La politica e l’immagine. Saggio su Ernst Bloch Quodlibet [First ed.] 9788874622726


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La politica e l’immagine. Saggio su Ernst Bloch Quodlibet [First ed.]
 9788874622726

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Quodlibet Studio Filosofia e politica

Mauro Farnesi Camellone

La politica e l’immagine

Saggio su Ernst Bloch

Quodlibet

Prima edizione: ottobre 2009 © 2009 Quodlibet Via Santa Maria della Porta, 43 - 62100 Macerata www.quodlibet.it Stampa: xxxxxxxxxxxxxxxxxxx 978-88-7462-272-6 ISBN

Volume pubblicato con il contributo dell’Università degli Studi di Padova nell’ambito del Progetto di Ricerca di Ateneo “Conflitto delle identità e prospettive della prassi nella crisi dello Stato” .

23

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1. La mancanza: desiderio e utopia 2. Lo stupore: domanda e forma 3. Le categorie come immagini: la forma-esodo

Capitolo primo Il soggetto e la forma. L’incostruibile problema del noi

Introduzione L’esodo dalla “circonferenza”

Elenco delle abbreviazioni

Indice

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1. Multivocità del tempo: le estasi temporali per figure 2. Zukunft in der Vergangenheit: oltre la logica del “futuro anteriore”? 3. Fortbildung: la storiografia come ultra-figurazione 4. Theorie-Praxis: per una riarticolazione

Capitolo secondo Insorgenze. Prolegomeni alla storiografia politica

51 53

Capitolo terzo I morti tornano di nuovo. La storia in senso fecondo

41

59

1. Una trascendenza immanente: Novum e Ultimum 2. Il Dio superfluo: ateismo e comunità

41 47

60 64

6 indice

1. A ridosso della sincronizzazione: la “vera” storia del presente 2. La trasfigurazione dell’ebraismo: un’“altra” storia per il Sionismo 3. Del diventare identici: il testo biblico come immagine politica

3. Thomas Müntzer: per la liberazione del nostro presente 4. Gemeinde: il contenuto politico dell’utopia

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Conclusione La partiticità riflettuta

76 81

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Cronologia

Capitolo quarto Storie di parte. Storiografia e intervento politico

131 Bibliografia

89

135 Indice dei nomi

90 107

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A Daniela, Maurizio ed Elsa: dalla mia parte, nel bene e nel male.

Elenco delle abbreviazioni

Le opere di Ernst Bloch vengono segnalate con le seguenti abbreviazioni. Di ogni riferimento si dà il rimando al testo in lingua originale e, se disponibile, alla traduzione italiana tra parentesi quadra. Tutti i testi di cui in nota non appare il nome dell’autore devono intendersi di Ernst Bloch.

AC Atheismus im Christentum. Zur Religion des Exodus und des Reichs (1968), Werkausgabe Band 14, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985; trad. it., Ateismo nel cristianesimo. Per la religione dell’Esodo e del Regno. “Chi vede me vede il Padre”, a cura di F. Coppellotti, Feltrinelli, Milano 2005.

Briefe 1-2 Briefe 1903-1975, voll. 2, a cura di U. Opolka, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985.

DW Durch die Wüste. Kritische Essays (1923), Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1964.

EdZ Erbschaft dieser Zeit. Erweiterte Ausgabe (1935; 1962), Werkausgabe Band 4, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 20013; trad. it., Eredità del nostro tempo, a cura di L. Boella, il Saggiatore, Milano 1992.

EM Experimentum Mundi. Frage, Kategorien des Herausbringens, Praxis (1975), Werkausgabe Band 15, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985; trad. it., Experimentum Mundi. La domanda centrale, le categorie del portar-fuori, la prassi, a cura di G. Cunico, Editrice Queriniana, Brescia 1980.

elenco delle abbreviazioni

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NR Naturrecht und menschliche Würde (1961), Werkausgabe Band 6, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985; trad. it., Diritto naturale e dignità umana, a cura di G. Russo, Giappichelli, Torino 2005.

la politica e l’immagine

GdU Geist der Utopie. Zweite Fassung (1923, 1964), Werkausgabe Band 3, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985; trad. it., Spirito dell’utopia, a cura di V. Bertolino e F. Coppellotti, Sansoni, Milano 2004.

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GdU 1918 Geist der Utopie. Erste Fassung (1918), Werkausgabe Band 16, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985.

PH Das Prinzip Hoffnung (1959), Werkausgabe Band 5, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985, trad. it., Il principio speranza, a cura di E. de Angelis e T. Cavallo, Garzanti, Milano 20052.

GEB Gespräche mit Ernst Bloch, a cura di R. Traub e H. Wieser, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1975.

PhA Philosophische Aufsätze zur objektiven Phantasie (1969), Werkausgabe Band 10, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985; di cui Aktualität und Utopie. Zu Lukács’ »Geschichte und Klassenbewußsein« (pp. 598-621), trad. it., Attualità e Utopia. «Storia e coscienza di classe Lukács» di , a cura di L. Boella, in Id. (a cura di), Intellettuali e coscienza di classe, Feltrinelli, Milano 1977, pp. 148-167.

HK Vom Hasard zur Katastrophe. Politische Aufsätze 1934-1939, a cura di O. Negt, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1972. KnK Kampf nicht Krieg. Politische Schriften 1917-1919, a cura di M. Korol, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985.

PM Politische Messungen, Pestzeit, Vormärz (1970), Werkausgabe Band 11, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985.

TE Tübinger Einleitung in die Philosophie (1963-64; 1970), Werkausgabe Band 13, Suhrkamp, Frankfurt

TAG Tagträume vom aufrechten Gang. Sechs Interviews mit Ernst Bloch, a cura di A. Münster, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1976; trad. it, Marxismo e utopia, a cura di V. Marzocchi, Editori Riuniti, Roma 1984.

SP Spuren (1939; 1959), Werkausgabe Band 1, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985; trad. it., Tracce, a cura di L. Boella, Garzanti, Milano 2006.

SO Subjekt-Objekt. Erläuterungen zu Hegel (1951; 1962), Werkausgabe Band 8, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985; trad. it., Soggetto-Oggetto. Commento a Hegel, a cura di R. Bodei, il Mulino, Bologna 1975.

KM Über Karl Marx, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1968; trad. it., Karl Marx, a cura di R. Bodei, il Mulino, Bologna 1972. LA Literarische Aufsätze (1965), Werkausgabe Band 9, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985; di cui Verfremdungen I (Janusbilder), trad. it, Volti di Giano, a cura di T. Cavallo, Marietti, Genova 1994; Verfremdungen II (Geographica), trad. it., Geographica, a cura di L. Boella, Marietti, Genova 1992. LV 1-2-3-4 Leipziger Vorlesungen zur Geschichte der Philosophie 1950-1956, a cura di R. Römer e B. Schmidt, rielaborazione di B. Dietschy e H. Gekle, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985. MGS Das Materialismusproblem, seine Geschichte und Substanz (1972), Werkausgabe Band 7, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985.

12 la politica e l’immagine

a. M. 1985; di cui Differenzierungen im Begriff fortschritt (pp. 118-147), trad. it., Sul progresso, a cura di L. Sichirollo, Guerini e Associati, Milano 1990 (con integrazioni testuali); Incipit vita nova (pp. 357-376), trad. it., Incipit vita nova, a cura di F. Coppellotti, in E. Bloch, Religione in eredità, Queriniana, Brescia 19852, pp. 132-160; Über Künstlerische und religiöse Wharheit (pp. 175-185), trad. it., Sulla verità religiosa, a cura di F. Coppellotti, in E. Bloch, Religione in eredità, cit., pp. 184-193. TLU Tendenz-Latenz-Utopie (1978), Werkausgabe Ergänzungsband, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985. TM Thomas Münzer als Theologe der Revolution (1921; 1969), Werkausgabe Band 2, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985; trad. it., Thomas Münzer teologo della rivoluzione, a cura di S. Krasnovsky e S. Zecchi, Feltrinelli, Milano 1980. ZW Zwischenwelten in der Philosophiegeschichte. Aus Leipzinger Vorlesung (1977), Werkausgabe Band 13, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1985; di cui Vorlesungen zur Philosophie der Renaissance (pp. 175-302), trad. it, Filosofia del Rinascimento, a cura di R. Bodei, il Mulino, Bologna 1981.

Introduzione. L’esodo dalla “circonferenza”

Il dono di riattizzare nel passato la scintilla della speranza è presente solo in quello storico che è compenetrato dall’idea che neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince. E questo nemico non ha smesso di vincere.

WALTER BENJAMIN

«Genosse Bloch ist tot. Die konkrete Utopie wird Realität»1. Per spiegare i principali scopi di questo lavoro, occorre partire da questo epitaffio, facendosi carico interamente del suo significato. Per farlo, sembra opportuno posizionarsi precisamente sul punto che divide le due affermazioni, considerarle separatamente, per poi tentare di riconquistarne l’unità. Il tempo che ci capita di vivere, almeno nel “francobollo” occidentale, risulta essere il tempo del “paradigma democratico” più che quello della democrazia: un tempo apparentemente uniforme, spazializzato dall’imperforabile “circonferenza”2 giuridi-

1 «Il compagno Bloch è morto. L’utopia concreta diviene realtà». Si tratta della scritta apposta da un gruppo di studenti sul muro della Clubhaus di Tübingen il giorno successivo la morte dell’ultranovantenne professore, avvenuta il 4 agosto 1977; cfr. A. Münster, L’utopie concrète d’Ernst Bloch. Une biographie, Kimé, Paris 2001, p. 368. 2 Utilizzo il termine virgolettato di “circoferenza” come calco del titolo del romanzo di J. Coe, The closed circle, Viking, London 2004 (trad. it. Il circolo chiuso, a cura di D. Vezzoli, Feltrinelli, Milano 2005) che porta a termine una trilogia iniziata con What a carve up!, Viking, London 1994 (trad. it La famiglia Winshaw, a cura di A. Rollo, Feltrinelli, Milano 1995) e continuata con The Rotters’ club, Viking, London 2001 (trad. it. La banda dei brocchi, a cura di R. Serrai, Feltrinelli 2002). Il trittico ripercorre un trentennio di storia inglese (dall’inizio degli anni Settanta alla

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introduzione. l’esodo della “circonferenza”

la politica e l’immagine

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legato ad un secolo, il XX, condannato come epoca del terrore totalitario, delle ideologie utopiche e criminali, delle illusioni vuote, dei genocidi, delle false avanguardie, dell’astrazione ovunque sostituita al realismo democratico5, insomma, il secolo della violenza. Sconfitto in qualità di indagatore e indicatore di quell’altrove immanente6, l’utopia concreta appunto, oramai sepolto sotto lo stigma dell’indicibilità7. Perché, allora, non abbandonare i morti al loro silenzio? Anche ammesso che la neutralizzazione abbia l’effetto ottundente appena descritto, perché non adattarsi ad essa in quanto accettabile modalità del vivere fuori dal rischio di ideologie mortali? A tali domande questo libro si assume il compito di rispondere, perché pone in questione la “chiusura” dell’auto-rappresentazione/narrazione del proprio tempo – una temporalità che continuamente ha bisogno di ricostituirsi come normale8. Non si tratta di un nostalgico guardare all’indietro, per ristorarsi in un

5 Cfr. A. Badiou, Le siècle, Seuil, Paris 2005, trad. it. Il secolo, a cura di V. Verdani, Feltrinelli, Milano 2006, dove si esercita uno sguardo che tenta di oltrepassare il giudizio per cui la “passione” del XX secolo sarebbe stata quella delle ideologie, per mostrare come la sua forza propulsiva sia stata invece quella della passione del reale, dell’agire, qui e ora. 6 Cfr. M. Eckert, Transzendieren und immanente Transzendenz. Die Transformation der traditionellen Zweiweltentheorie von Transzendenz und Immanenz in Ernst Blochs Zweiseitentheorie, Herder, Wien-Freiburg-Basel 1981. 7 Quando si parla della filosofia di Bloch, la si colloca sempre all’interno della tradizione marxista. È Bloch stesso a presentare, ad ogni piè sospinto, la sua impresa come sviluppo delle conseguenze del pensiero di Marx. I problemi a riguardo sono però molti, visto che quella stessa tradizione ha tentato di respingerlo o lo ha quantomeno sentito come un problema tormentoso. Valga ad esempio il giudizio che esprime su di lui Lukács negli anni ’60, che lo dipinge come un energico sostenitore di un’etica di sinistra, ma che sotto sotto le ha affiancato una teoria della conoscenza di destra. Non si intende qui discutere dell’ortodossia marxista di Bloch, questione che ci sembra piuttosto sterile, o comunque estranea agli scopi di questo lavoro. Sul tema, quindi, si rimanda interamente all’esaustiva analisi di H. Fahrenbach, Ernst Bloch und das Problem der Einheit von Philosophie und marxistische Theorie, in B. Schmidt (a cura di), Seminar: zur Philosophie Ernst Blochs, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1986, pp. 75-122. 8 Cfr. G. Lukács, La borghesia e «l’art pour l’art»: Theodor Storm, in Id., L’anima e le forme, trad. it. a cura di S. Bologna, SE, Milano 2002, pp. 91-124. Ciò significa che la “circonferenza” per conservarsi e garantirsi ha bisogno di suscitare un’alterità a cui conferire un volto demonico, estraneo alla vita e alla storia; per lo sviluppo del tema, cfr. F. Jesi, Spartakus. Simbologia della rivolta, a cura di A. Cavalletti, Bollati Boringhieri, Torino 2000.

co-discorsiva che contiene e ortopedizza la capacità di partecipazione e immaginazione politica. Una sorta di “cordone sanitario”, cicatrice lasciataci dal secolo da poco trascorso, che ci affida alla capacità contenitiva del “principio responsabilità” contro il “principio speranza”, «in quanto pone gli individui e i popoli di fronte ai limiti rigidi e ai rischi mortali impliciti in ogni pretesa di radicale trasformazione dell’esistente»3. Rispetto al piano contenuto da questa “circonferenza”, capace di supportare e implementare la pretesa trasparenza della sfera della circolazione, di sanificare i sedicenti “conflitti” per l’espansione dei “diritti” confermandoli sul livello politicamente indifferente della soggettività giuridica, ogni pensiero riguardante il mutamento politico risulta gestito per via amministrativa, e dunque riassorbito e neutralizzato. Il discorso della dominante racconta la propria “katechontica” necessità. Ogni pretesa o tentativo di forare questo piano, di indicarne un altrove, anche se problematico, risulta quantomeno «indecente»4. Soprattutto se questo altrove non viene pensato come collocato in un altro luogo e in un altro tempo, ma come del tutto immanente allo spazio-tempo occupato dalla “circonferenza”, esattamente come ciò che essa non ci permette di vedere. Non solo nel senso del nascondimento, ma soprattutto in quello, performativo, dell’accecamento. Dal punto di vista dell’opinione diffusa, prodotto primario del processo di neutralizzazione, un pensiero come quello di Bloch è morto perché “sconfitto dalla storia”, cadavere non esumabile seconda guerra del Golfo), mostrando il processo di desertificazione dell’immaginazione politica esemplificato dalla linea di perfetta continuità che lega i governi Thatcher ai governi Blair. 3 R. Bodei, Ombre sulla speranza, introduzione a E. Bloch, Il principio speranza, trad. it. di E. De Angeli e T. Cavallo, Garzanti, Milano 20052, p. XIII. Si suggerisce qui la “vittoria” di H. Jonas, Prinzip Verantwortung, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1979 (trad. it. Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 1989) sul Prinzip Hoffnung blochiano. 4 Cfr. M. Tomba, La «vera politica». Kant e Benjamin: la possibilità della giustizia, Quodlibet, Macerata 2006, dove si tenta di indicare una simile foratura, pensando alla “rottura” della costellazione concettuale che decide la forma della politica moderna riposizionando in modo radicale il problema della giustizia rispetto al principio liberal-democratico della maggioranza e al concetto di sovranità popolare.

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A rimanere strutturalmente aperto in Bloch è dunque il rapporto tra prassi e compimento13. Con quest’ultimo non si intende il rimando a nessuna “verità in sé”, che mostrerebbe, nell’eccedenza di un “modello” ideale, l’imperfezione del mero esistente14. Dunque: non l’Idea che vuole realizzarsi contro la realtà. Si tratta, piuttosto, della conseguenza decisiva di «un’ontologia del non-essere ancora, finalmente messa in luce nel non-ancoracosciente, nel non-ancora-divenuto, entrambi “sussistenti” nelle prospettive della tendenza e della latenza, nell’esperimento reale delle categorie (modi d’esserci, forme d’esserci), così come della loro materia rivolta in avanti». In questa prospettiva, «ogni movimento reale è incompiuta entelechia in tendenza-latenza, continuamente diretta alla realizzazione dell’urto iniziale del fatto-che nel realizzante. Questo, dunque, è l’experimentum mundi, non solo come esperimento sul mondo, ma anche nel mondo, cioè come esperimento reale del mondo stesso»15. Il carattere integralmente sperimentale del rapporto uomo-mondo (soggetto-oggetto), in cui si misura il mutamento di entrambi, è ciò che preserva il pensiero blochiano dalla pretesa di approcciare la prassi (e dunque lo stare insieme degli uomini, la politica) a partire da un’ontologia che la determini in modo necessitante. Il pensiero di Bloch è certamente sistematico16, ma intrinsecamente aperto:

introduzione. l’esodo della “circonferenza”

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“avrebbe potuto essere migliore”, e sfuggire così dalla responsabilità del presente. Tutt’altro: l’esigenza è quella di chiarire “l’essere opachi a noi stessi” proprio nel presente e nella vicinanza, nel momento e nel luogo in cui, di volta in volta, ci troviamo. La “circonferenza” ha condannato Bloch a rimanere “morto”, e con lui – cosa più importante – ha seppellito i problemi che ha indagato. Non solo, ed è questa l’ipotesi di partenza, forse è nell’attuare di continuo la sepoltura di quei problemi che essa definisce il proprio diametro. Questo lavoro si sforza di trovare, nel rapporto tra pensiero e politica per come è stato affrontato da Bloch, strumenti atti a rischiarare l’essere opaco a se stesso del presente nella sua auto-rappresentazione. Del tema della «speranza utopica» qui interessa soprattutto ciò che lo sottende: il pensiero della «forza di un io e di un noi»9, ossia il pensiero di una soggettività umana organizzata in grado di orientare, mobilitare e radicare in forma di comunità10 le tendenze verso una vita migliore11. Non si tratta per Bloch – e tanto meno per chi scrive – di pensare ad una teoria politica capace di fornire il modello dettagliato per una perfetta “società del futuro”. Esattamente il contrario. Contro qualsiasi pretesa di conciliazione definitiva, Bloch non si stanca di ripetere che ogni realizzazione risulta sempre e comunque incompleta, in quanto non può che alludere sempre ad un al di là di se stessa:

la politica e l’immagine

Il realizzato è allo stesso tempo turgido e leggermente ombreggiato perché nel realizzante stesso c’è qualcosa che non si è ancora realizzato12.

13 Cfr. P. Zudeick, Die Welt als Möglichkeit und Wirklichkeit. Die Rechtsfertigungsproblematik der Utopie in der Philosophie Ernst Blochs, Bouvier, Bonn 1987. 14 Cfr. «Wahrheit als eingreifende Abbildung von Tendenz-Latenz» (1936), TLU, pp. 250-260. 15 EM, p. 264 [292], con rimando all’intero MGS. Cfr. A. Christen, Ernst Blochs Metaphysik der Materie, Bouvier Verlag Herbert Grundmann, Bonn 1979. 16 Cfr. R.E. Zimmermann, Subjekt und Existenz. Zur Systematik Blochscher Philosophie, Philo Verlag, Berlin 2001.

Il senso stesso di questo mondo non si trova ancora in nessun tipo di semplice presenza già data. Non si trova che allo stato di possibilità, in quanto possibilità in nessun luogo ancora validamente realizzata, ma neppure definitivamente vanificata. Il fatto che c’è qualcosa in generale, questo “fatto-che” preme verso la storia, preme per entrare nel processo in cui il “fatto-che” pone e prova i molteplici “qualcosa” in vista del suo “checosa”, e tenta così di portare all’esterno, di portar fuori, a soluzione, la X

9 PH, p. 167 [173]. 10 Come in Gramsci e Merleau-Ponty, in Bloch c’è il tentativo di mantenere, o, meglio, di ricomporre l’unità tra storia e filosofia, un’unità riconfermata dal loro metodo di analisi che congiunge il fatto e il significato, il dato particolare e la prospettiva d’insieme. Per una linea interpretativa sui tre autori condotta in tale direzione, cfr. i seguenti studi pensati in parallelo secondo un piano di ricerca comune: G. Pirola, Religione e utopia concreta in Ernst Bloch, Dedalo, Bari 1977; G.L. Brena, Alla ricerca del marxismo: Merleau-Ponty, Dedalo, Bari 1977; G. Nardone, L’umano in Gramsci: evento politico e comprensione dell’evento politico, Dedalo, Bari 1977. 11 Cfr. E. Braun, Grundrisse einer besseren Welt. Beiträge zur Politischen Philosophie der Hoffnung, Talheimer Verlag, Mössingen-Talheim 1997. 12 PH, p. 221 [227]; cfr. EM, p. 239 [269].

introduzione. l’esodo della “circonferenza”

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18 la politica e l’immagine

contenuta nel fattore del “fatto-che”, ossia in generale il “che-cosa” tendente a se stesso. Item, il tema fondamentale dell’Experimentum mundi sono le indagini sul non-essere ancora che sospinge nell’oscuro dell’attimo vissuto, non ancora svelato a se stesso, in quanto possibile essere come utopia. Questo è ciò a cui noi tendiamo già nel nostro intendere e cercare, e sarebbe così, nel concetto limite del postulato, la risoluzione dell’enigma che si cela nel “fatto-che”, fino a scoprire il suo volto: è in questo senso che l’uomo può tenere in corso, sul suo fronte, l’esperimento del mondo17.

Il tema che questa ricerca considera al centro della riflessione filosofico-politica di Bloch18 è quello dell’immagine in quanto forma-esodo (Auszugsgestalten)19, nozione che indica la figurazione di quelle esperienze storiche determinate le cui possibilità non realizzate permangono in divenire come latenza, nonostante esse siano state bloccate nel momento della loro manifestazione. La forma-esodo, in quanto immagine di realizzazione, è costruzione che media figurativamente il rapporto tra teoria e prassi, ma è al contempo, in quanto luogo che permette il riconoscimento della tendenza, categoria storica centrale. La tesi che si vuole sostenere è che l’immagine, in quanto costruzione consapevole del proprio carattere indicativo ma non risolutivo per la prassi, occupa in Bloch il luogo della mediazione tra pensiero e politica. In questa prospettiva, si tenta di mostrare come lo scrivere storia sia produzione di immagini per eccellenza, cioè che la storiografia blochiana sia precisamente il tentativo di compiere la mediazione tra teoria e prassi nel senso sopra indicato20.

G. Koch (a cura di), U-topoi. Ästhetik und politische Praxis bei Ernst Bloch, Talheimer Verlag, Mössingen-Talheim 1996. 21 Cfr. J. Zimmer, Die Kritik der Erinnerung. Metaphysik, Ontologie und geschichtliche Erkenntnis in der Philosophie Ernst Blochs, Dinter, Köln 1993. 22 Cfr. B. Dietschy, Gebrochene Gegenwart. Ernst Bloch, Ungleichzeitigkeit und das Geschichtsbild der Moderne, Vervuert, Frankfurt a. M. 1988. 23 Cfr. P. Cipolletta, La tecnica e le cose. Assonanze e dissonanze tra Bloch e Heidegger, FrancoAngeli, Milano 2001. 24 Come accertato dagli studi di H. Boehmer (Studien zu Thomas Müntzer, Leipzig 1922; Thomas Müntzer und das jüngste Deutschland, in «Allgemeine EvangelischLuterische Kirchenzeitung», 56, 1923) Müntzer si scrive con il tz e non con la sola z, grafia quest’ultima che invece Bloch mantiene sempre.

Questo approccio richiede un percorrimento sincronico dell’opera di Bloch, che si assuma il vaglio della tenuta dell’“impresa” della formulazione di un sistema aperto dell’esperimento del mondo: l’ontologia del non-essere-ancora, ponendo nel momento della realizzazione la stessa trasformazione del realizzante, è anche un’antropologia con al centro «l’incostruibile problema del noi». Quest’ultima, dovendo rendere conto della «forma della domanda incostruibile», assume i tratti di una gnoseologia21. Il primo capitolo di questo lavoro ha il compito di chiarire i concetti fondamentali che articolano la complessità della riflessione di Bloch, mostrando come il tema dell’immagine, nella specifica formulazione della forma-esodo, funga da volano per la costellazione concettuale che egli attiva. Se la storiografia è l’attività che in Bloch produce immagini adeguate alla mediazione tra pensiero e politica22, è necessario comprendere quale nozione di temporalità, quale forma del tempo, questa attività deve presupporre. Il secondo capitolo affronta specificamente questo problema, mostrando come in Bloch non sia scindibile la determinazione della categoria del tempo dalla questione della figurazione delle estasi temporali nella loro relazione23. È in questo contesto che si cerca di fornire il quadro dello strumentario concettuale della storiografia blochiana, sottolineando come esso sia adeguato all’insuturabilità del rapporto teoria-prassi. Il terzo capitolo si concentra sull’analisi del più ampio esercizio storiografico di Bloch, la monografia dedicata alla figura di Thomas Müntzer24. L’immagine della rivolta dei contadini tede-

17 EM, p. 30-31 [62-63]. 18 Cfr. J.R. Bloch, Kristalle der Utopie. Gedanken zur politischen Philosophie Ernst Bloch, Talheimer Verlag, Mössingen-Talheim 1995. 19 Cfr. EM, pp. 160-164 [195-198]. 20 Soprattutto in Italia, il tema dell’immagine in Bloch, del “pensiero affabulante”, è stato ampiamente affrontato, cfr. L. Boella, Ernst Bloch. Trame della speranza, Jaca Book, Milano 1987; A. Czajka, Tracce dell’umano. Il pensiero narrante di Ernst Bloch, Diabasis, Reggio Emilia 2002; C. De Luzenberger, Narrazione e utopia. Saggio su Erns Bloch, LER, Napoli 2002; M. Latini, Il possibile e il marginale. Saggio su Ernst Bloch, Mimesis, Milano 2006. Rispetto a questi contributi, il presente lavoro cerca di mostrare come il problema dell’immagine ecceda in Bloch l’ambito della teoria estetica, e riguardi primariamente il rapporto tra filosofia e politica. In questa prospettiva, non è possibile identificare tout court in Bloch filosofia e narrazione, ma occorre farsi carico del suo intento sistematico, seppur nell’orizzonte del sistema aperto. In questa direzione mi sembrano andare gli studi raccolti in R.E. Zimmermann-

introduzione. l’esodo della “circonferenza”

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re l’innegabile oscurità della pagina blochiana. Essa permette la scomposizione del tema generale nei distinti passaggi in cui si articola, concedendo all’interprete di riconfigurarli nel modo più adatto alla trattazione delle questioni che muovono la sua ricerca. Nella forma del saggio non c’è la pretesa di riproporre al lettore l’oggetto nella sua interezza, e quindi nemmeno il pericolo di ridurlo icasticamente; piuttosto, in essa è possibile agire attraverso il prisma e la lente: mostrare distintamente gli elementi costitutivi del pensiero dell’autore, cogliere le differenti possibilità offerte dalla sua riflessione, per poi focalizzarle nella direzione del problema – nel caso specifico la mediazione nell’immagine di pensiero e politica – in modo che esso venga presentato non solo in riferimento a Bloch, ma all’altezza della sua valenza intrinseca per la comprensione del nostro presente. Nelle pagine che seguono, la stessa tecnica della citazione è stata utilizzata avendo di mira questo obiettivo, smontando e rimontando l’argomentazione blochiana in modo da offrirla ad un lettore che si immagina più interessato ai problemi sollevati che alle soluzioni prospettate nei testi.

la politica e l’immagine

schi del 1525 è intesa da Bloch come forma adeguata di mediazione tra pensiero e politica nel momento storico preciso in cui si trova la Germania dopo la prima guerra mondiale. Il tema centrale, che si mostra interconnesso tanto a elementi teologici che filosofici, è quello della comunità25, rispetto al quale Bloch elabora la questione dello sblocco delle possibilità passate nella loro connessione con l’avvenire, nel tentativo di forzare la messa in forma della politica prodotta dalla concettualità moderna26. Qui si apre lo spazio della teologia-politica blochiana, nella figura della comunità oltre lo Stato, per un trascendimento immanente della modernità, per la salvezza stessa di quest’ultima. Non contro la modernità, dunque, ma per un’altra modernità possibile. Infine, nel quarto capitolo, seguendo la ricostruzione categoriale proposta, vengono presi in esame altri esempi di storiografia politica blochiana: la trattazione della vicenda del nazismo, di quella del sionismo e dell’immagine politica prodotta a ridosso dell’interpretazione del testo biblico. Si tratta degli esempi forse più significativi di quella storiografia del presente intrinsecamente connessa all’impresa del sistema aperto dell’esperimento del mondo. Essi assumo come propria la forma-esodo, cioè sono immagini in cui si condensano esperienze storicamente determinate, mostrate in un divenire che interseca la loro permanenza. Queste immagini fungono da mediazione tra pensiero e politica, ma sono anche il tentativo, consapevolmente arrischiato, di fornire un’indicazione per la prassi. La stesura del presente lavoro ha dovuto confrontarsi con la difficoltà di una “figurazione adeguata” del pensiero di Bloch. Si è riconosciuta nella forma del saggio la via migliore per illumina25 Cfr. S. Ganis, Utopia e stato. Teologia e politica nel pensiero di Ernst Bloch, Unipress, Padova 1996. 26 Per l’analisi delle aporie di fondo annidate nel dispositivo concettuale della forma politica moderna rimando ai seguenti studi: G. Duso (a cura di), La politica oltre lo Stato: Carl Schmitt, Arsenale, Venezia 1981; Id., Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, FrancoAngeli, Milano 19982; Id. (a cura di), Il potere, Carocci, Roma 1999; Id., La logica del potere. Storia concettuale come filosofia politica, Laterza, Roma-Bari 1999; Id., La rappresentanza politica: genesi e crisi del concetto, FrancoAngeli, Milano 2003; Id., Oltre la democrazia. Uno percorso attraverso i classici, Carocci, Roma 2004.

Capitolo primo

Il soggetto e la forma. L’incostruibile problema del noi

Che si burlino pure, allora, della nostra fede nell’umanità, alla quale pur essi appartengono e delle nostre speranze nelle sue grandi capacità. E che ripetano allora per consolarci la loro sentenza: all’umanità non si può mai recare aiuto; così è stato e così sarà; lo ripetano finché hanno bisogno di consolazione!

Johan Gottlieb Fichte

Il problema principale che l’interprete deve affrontare approcciandosi al pensiero di Bloch e quello di sciogliere il nodo del carattere intrinsecamente “prassico” del suo filosofare. Fin dal «primo tentativo di opera fondamentale»1, la delucidazione di tale carattere è posta dallo stesso Bloch al centro della ricerca come questione della «forma della domanda incostruibile»2, che trova in seguito trattazione approfondita come «incostruibile problema del noi»3. Il contesto che abbraccia questo tentativo è definito dall’esigenza di un “ritorno alle cose”, un impegno contro «la relativizzazione della verità nello storicismo e nella sociologia. Con l’amico di giovinezza G. Lukács, Bloch operava il tentativo di un nuovo realismo contro la costruttività metodologica, contro l’idea borghese di sistema»4. Con questa mossa egli

1 GdU, p. 347 [xxxvii]. 2 «Die Gestalt der unkonstruierbaren Frage», GdU 1918, pp. 343-389. 3 «Zur Metaphysik unseres Dunkels, Nicht-mehr-Bewußten, Noch-nicht-Bewußten, unkonstruierbaren Wirproblem», GdU, pp. 237-287 [241-291]. 4 B. Schmidt, La questione di una teoria della storia destrutturante e delegittimante in Ernst Bloch, in Aa.Vv., Ernst Bloch. L’oscurità dell’attimo vissuto, a cura della Comunità di ricerca (Fenomenologia e società), FrancoAngeli, Milano 1986, p. 21.

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Cfr. PH, pp. 50, 929, 980 [56, 916, 967]. Cfr. G. Pirola, Religione e utopia concreta, cit., p. 17.

non intende semplicemente opporre una forma ingenua di realismo all’idealismo gnoseologico e allo storicismo, ma introdurre un orientamento speculativo-sociale teso ad una realizzazione trasformatrice. La chiave di questo orientamento si trova nella produzione di una «motorisch-phantastischen Erkenntnistheorie» e, dunque, nella messa a tema della «fantasia oggettiva»5, una fantasia con contenuto di mondo che media soggetto e oggetto. Nella fantasia oggettiva, Bloch identifica domandare e desiderare, applicando la costruzione dell’immagine al conoscere e chiarendo che anche il domandare sulla domanda è inserito essenzialmente nella domanda: il domandare è tale perché supera le proprie risposte. Il tentativo blochiano vuole essere all’altezza tanto di un nuovo filosofare, quanto di un nuovo desiderare; egli si spinge, allo stesso tempo, allo scaturire del domandare e alle sorgenti del bisogno.

1. La mancanza: desiderio e utopia La gnoseologia blochiana, e quindi la sua analisi dell’utopia, prende le mosse dal concetto marxiano di bisogno (Bedürfinis), sviluppato a ridosso di una riarticolazione della nozione freudiana di pulsione (Trieb)6. Bloch intende superare la reificazione del concetto di bisogno e cioè la riduzione del bisogno umano a stimolo fisiologico specifico che si rapporta in modo determinato ad un oggetto immediato e determinato. In base a questa riduzione, il bisogno non sarebbe altro che la molteplice mancanza di molteplici oggetti immediati, così che il rapporto uomo-mondo

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risulterebbe fisso e istintuale, sfera di per sé separata dalla coscienza. Bloch è invece concorde con Freud nel riconoscere nel bisogno umano la sentita mancanza che provoca un’eccitazione interna, una tensione non soddisfabile internamente, tendente in modo insopprimibile all’esterno, e quindi come condizione dinamica, fonte di energia motrice. Tale energia non si risolve nella ricerca immediata della soddisfazione del bisogno nell’immediato circostante, in modo meramente istintuale, ma attraverso la mediazione di una rappresentazione del proprio scopo, intrinsecamente connessa alla situazione in cui il soggetto corporeo si trova. Se questa energia ha di certo origine nel “somatico”, essa però si converte in tendenza “psichica”, attraverso un processo di intensificazione che oltrepassa la divisione di somatico e psichico, e che genera la rappresentazione dello scopo della tendenza. Il bisogno umano si mostra così come tendenza ed energia unitaria, orientata verso l’esterno, non nella forma del rapporto immediato, ma attraverso una rappresentazione che assume il mondo circostante all’interno di uno scopo psichico. La pulsione «si dipinge il suo scopo» e diviene desiderio7. Il dipingersi il proprio scopo significa il tendere dell’interiore verso l’esteriore, il rappresentare un altro luogo (ciò che Bloch chiama «Heimat») rispetto al mondo dell’immediatezza cui il soggetto si sente estraneo. Questa rappresentazione, questo dipingere, è propriamente una de-realizzazione, un trasportare ciò che è in un altro luogo, prospetticamente. La rappresentazione è dunque il contenuto stesso dell’atto di desiderare: il desiderio esprime un’immagine che è figura del mondo esterno che diviene termine di un’intenzione e di uno scopo, un «mondo migliore» che corrisponda al desiderio stesso. Il rapporto al mondo non è, allora, definito dalla semplice mancanza immediata di un oggetto immediato, ma dall’energia pulsionale che include il mondo esterno all’interno di una prospettiva e di un suo scopo: rappresentazione o immagine progettuale8. In questa prospettiva, la volontà diventa un attivo misurarsi con le cose:

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Questa istanza blochiana muove contro la prospettiva del neokantismo e la sua restrizione della conoscenza filosofica alla conoscenza stessa, in direzione di una visuale bergsoniana-husserliana; cfr. «Die modernen Philosophen», in GdU 1918, pp. 243270; inoltre, cfr. «Kritische Erörterungen über Rickert. Aus der Würzburger Dissertation» (1908), in TLU, pp. 55-107, ricavate dalla tesi di dottorato svolta sotto la direzione di Oswald Külpe. 5 Cfr. GdU 1918, pp. 332-342. Il Bloch maturo rintraccerà la matrice del tema nella «phantasia kataleptikè» degli stoici, cfr. EM, p, 64 [99]. Alla “fantasia oggettiva” è dedicato integralmente il decimo volume della Werkausgabe (PhA). Cfr. Cfr. PH, p. 50 [56]. Cfr. G. Pirola, Religione e utopia concreta, cit., pp. 1524.

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Cfr. PH, p. 85 [91].

Quanto più vivacemente sarà figurata in un’immagine di desiderio la rappresentazione dello scopo che accompagna il desiderio, tanto più forte sarà il volere9.

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sionale è ciò che da forma al lavoro, poiché il soddisfacimento del bisogno si situa all’interno dell’anticipazione dello scopo, la quale diviene legge del lavoro stesso. L’oltrepassamento della soglia che separa natura e psiche, equivale nell’uomo al passaggio tra natura e cultura. Lo stesso essere culturale dell’uomo è la determinazione della sua natura, poiché la stessa sopravvivenza naturale è possibile solo attraverso un’attività culturalmente determinata. La nominazione dell’individuo umano non è possibile, dunque, a partire dal genere e dalla specie considerati come fatti naturali, ma come unità definita dall’appartenenza alla cultura e alla sfera psichica10. Lavorando, l’uomo determina la sua esistenza nella natura, non facendo dell’attività culturale il mezzo della sopravvivenza, ma il fine da conseguire e, allo stesso tempo, il modo della sua esistenza. Il fine è il superamento del condizionamento immediato del bisogno nell’orizzonte di un’attività vitale libera dal bisogno e, in questo senso, fine a se stessa. In questo modo, Bloch pensa all’organizzazione del lavoro a partire dal bisogno, ma, soprattutto, inserendola nell’orizzonte del desiderio. La libertà umana, dunque, non dipende solo dalla produzione di beni materiali in vista della sopravvivenza, ma soprattutto in ordine al fine immanente al desiderio che tende ad una specifica e determinata forma di sopravvivenza. C’è dunque nel bisogno umano primario (la fame) un bisogno-desiderio che separa natura da cultura e che è relativo alla produzione e alla forma di produzione dei beni economici. Questa dinamica è comprensibile solo rispetto alla determinazione del desiderio come anticipazione dell’essenza umana, quel desiderio che può incontrare negazione storica in quanto dipende dal fine e dalla forma che l’organizzazione sociale del lavoro assume. Se si considera il tema della trascendenza utopica all’interno di questo orizzonte, si scopre come esso si configuri come esperienza di confine tra l’immediato, che non restituisce altro che se stesso ed è quindi accompagnato dall’esperienza della non-identità, e la rottura, la sottrazione all’uniformità, legata a immagini di desiderio alimentate dalla costitutiva aspirazione dell’uomo a PH, p. 51 [57].

A questo punto della propria analisi, Bloch si appropria della determinazione freudiana della pulsione, per innestarla in modo autonomo nella propria argomentazione. Per Freud la pulsione primaria è quella originata dal bisogno sessuale, così che la libido è intesa essere l’energia dominante il campo pulsionale. Bloch sembra fare un passo indietro rispetto a questa analisi, ponendo l’autoconservazione quale energia che investe interamente il campo pulsionale, e identificando così nella fame il bisogno primario. Ciò permette a Bloch di sottolineare il carattere integralmente attivo del rapporto tra soggetto e mondo. La fame, nella sua urgenza irriducibile, deve essere tenuta ferma come pulsione primaria per non cedere ad una prospettiva incapace di investigare il vasto campo dei condizionamenti economici che determinano l’intera storia dell’umanità. Occorre, cioè, non fissare il mondo come realtà data, relegando l’io a mera funzione di adattamento. Per Bloch, quindi, il rapporto erotico tra soggetto e mondo è ancora un rapporto immediato. L’energia pulsionale scaturente dal bisogno primario è, invece, non soddisfabile in se stessa. Il sé emerge così quale termine di un confronto attivo con il mondo esterno, teso ad una trasformazione di quest’ultimo secondo il desiderio. In questa prospettiva, l’energia pulsionale primaria assume il ruolo di agente e di variabile storica, intrinsecamente connessa al variare del bisogno e ai fattori che lo producono e ne determinano il mutamento, sia rispetto ai singoli sia rispetto ai gruppi. Rispetto all’animale, anch’esso condizionato dal bisogno, l’uomo è spinto verso l’esterno in modo non naturalmente preordinato, ma secondo la forma dell’anticipazione psichica dello scopo che va oltre l’immediato soddisfacimento del bisogno. In questo modo l’energia pulsionale primaria coincide con il sé in quanto tale, un “essenza” umana che “ancora non c’è” e che è sempre ricercata attraverso prefigurazioni. Questa energia pul9

28 la politica e l’immagine

conquistare la sua stessa essenza11. Risalendo alla prima trattazione blochiana del tema12, si scopre come nello «sprofondarsi nelle cose» viene sviluppato il motivo dello «scomparire» di ciò che «nascosto», «ignoto», movimento profondamente affine all’avventura del desiderio: una sospensione del tempo fenomenologico che instaura un tempo interno alla coscienza immediatamente realizzativo del desiderio, costitutivo di immagini di realizzazione. Nel Bloch maturo, poi, l’esperienza della coscienza è intesa hegelianamente come “viaggio” (Fahrt)13, che determina direzione e forma della filosofia dell’utopia, la quale deve farsi carico del fatto che tale esperienza è caratterizzata da momenti di arresto e rottura, di ripresa e di ripetizione. Questi instaurano con il mondo esterno un rapporto che eccede la semplice elaborazione da parte del soggetto, ma che si determina all’altezza di un dissesto della tradizionale relazione tra soggetto-oggetto. La filosofia utopica di Bloch, sviluppata in chiara opposizione alla dottrina kantiana dell’infinita approssimazione storica, è stata accusata di ripiombare nella più classica filosofia dell’identità14. A questa critica si è affiancata quella che legge nella nozione blochiana di storia la via per l’assenza di storia15. In risposta a queste critiche, si deve sottolineare come la stessa divisione di soggetto e oggetto sia un prodotto storico e quindi superabile storicamente16. In tutto ciò, occorre dirlo, si sfiora ancora solo marginalmente la riflessione blochiana. Il tentativo di Bloch, infatti è quello di introdurre una differenziazione nel concetto di identità e, nel quadro dell’anticipazione di una possibile identità “in orizzonte”, di prendere le parti del non identico17. I temi della

Cfr. D. Horster, Bloch zur Einführung, Soak, Hannover 1977, p. 24. La teoria critica di Horkheimer e Adorno ha chiamato in causa contro la coa-

11 L. Boella, Quadro con cornice mobile e quadro ad arco: pensare per immagini e utopia in Ernst Bloch, in Aa.Vv., Ernst Bloch. L’oscurità dell’attimo vissuto, cit., p. 77. 12 Cfr. GdU 1918, pp. 249-251. 13 Cfr. TE, pp. 50-51. 14 Cfr. A. Schmidt, Der Begriff der Natur in der Lehre von Marx, Europäische Verlagsanstalt, Frankfurt a. M. 1971, cap. V; trad. it. Il concetto di natura in Marx, a cura di L. Colletti, Laterza, Bari 1973. 15 Cfr. H. Reinicke, Materie Und Revolution: Eine materialistische erkenntnistheoretische. Untersuchung zur Philosophie von Ernst Bloch, Taunus, Kronberg 1974. 16 17

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domanda incostruibile e dell’oscuro dell’attimo vissuto si comprendono solo all’interno di questo sforzo. L’identità “in orizzonte” è pensata funzionalmente al superamento della divisione antagonistica tra soggetto e oggetto. Essa, dunque, contro la coazione all’identità, è un identificare aperto e in movimento, la cui preoccupazione principale è proprio il recupero del non identico. Non la quiete mistica di un’unità inesprimibile, dunque, ma il pulsante «residuo»18 di differenza non identificata, che mostra come l’identità si mostri solo in un identificare problematico. Bloch continua così a percorrere le «vie del mondo mediante le quali l’interno diventa esterno e l’esterno come interno»19.

2. Lo stupore: domanda e forma

Nel Geist der Utopie, Bloch si concentra sullo stupore (Staunen) come momento-motore che sottende tanto il domandare che il desiderare, ogni conoscere e volere20. Al di fuori della dimensione dello stupore si danno solo pulsioni istintuali. Lo stupore, considerato di per sé, non indica direzione: esso è formulabile in modo frammentario, interrotto, alla ricerca di un modo di domandare sensato e di un sensato modo del desiderare. Sullo stupore, momento incostruibile, poggia ogni costruzione del domandare, ogni costruzione del desiderare. Tanto il termine del domandare che quello del desiderare, dunque, si danno solo come dimenticanza dello stupore originario. In questa prospettiva, è possibile affrontare adeguatamente il paradosso di una «forma della domanda incostruibile». Se ciò che è formato è, in linea di principio, ri-costruibile, l’incostruibilità esclude di per sé la forma. Bloch non sosta su tale paradosso, ma lo assume produttivamente. Da un lato, il richiamo alla rammemorazione del fondamento non costruibile della domanda (lo stupore) permette di mantenere la distanza critica da ogni irrigidimento del

zione all’identità il non identico, ovvero ciò che era stato rimosso o eliminato da quella stessa coazione. 18 SO, p. 489 [512]. GdU, p. 289 [309], corsivo aggiunto. Cfr. GdU, pp. 241-256 [245-260]. 19

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ramente presente, resta sottratto alla nostra coscienza; ci può diventare chiaro solo grazie alla distanza del passato, e ci può venire incontro nell’anticipazione dell’adesso in quanto futuro. Tuttavia, il concetto blochiano di «vissuto» non si riferisce all’istante come mera astrazione25. Piuttosto, in Bloch l’attimo si presenta come mediazione spazio-temporale, come un «intermedio» (Da-Zwischen) che va compreso secondo il senso comune della parola Augenblick (batter d’occhio), che punta sull’estrema momentaneità. Con ciò Bloch tenta di sviluppare in modo non strutturale una dialettica dell’immagine26 che si muove tra acutezza e vastità, immagine per altro piuttosto “classica” che è stata usata spesso per indagare il rapporto tra spazio e tempo. La comprensione del significato dell’attimo blochiano necessità di una focalizzazione sul topos della situazione. L’attimo è sempre in situazione, e, rispetto ad essa, si presta a una descrizione cristallizzata più labile e transitoria: se si considera l’atto «l’attimo si presenta come rammemorazione visualizzante; se si parte dal risultato, invece, come quadro»27. Il «vissuto» blochiano non può essere inteso in senso meramente “esistenzialistico”, anzi, occorre considerarlo in modo teoreticamente problematico. Se l’attimo è situazione, esso è contraddizione differenziata che sempre si pone: dato che la contraddizione nell’estrema prossimità spazio-temporale – l’essere oscuri a se stessi perché troppo vicini a sé nel qui e ora – non si presenta semplicemente come irrisolta, ma sempre determinata come spazio-tempo proprio del soggetto, allora la prossimità va intesa principalmente come un approssimarsi. Il vissuto è dunque l’orizzonte più difficile dell’uomo in quanto essere intenzionale, poiché esso letteralmente “non c’è”,

concetti sono perifrasi dell’utopico che diventano definizioni se vengono determinate più esattamente; le tiene unite la categoria del “Non-ancora”», TLU, p. 386. 25 Ciò è stato ben evidenziato da H.E. Schiller, Metaphysik und Gesellschaftskritik. Zur Konkretisierung der Utopie im Werk Ernst Blochs, Athenaeum-Hain-Scriptor-Hanstein, Königstein/Ts. 1982, p. 38. 26 Qui una delle fonti, tra le più trascurate, dell’intuizione benjaminiana circa le immagini dialettiche. Sul tema in Benjamin, che fu attento lettore della prima edizione del Geist der Utopie, cfr. M.T. Costa, Il carattere distruttivo. Walter Benjamin e il pensiero della soglia, Quodlibet, Macerata 2008. 27 B. Schmidt, La questione di una teoria della storia, cit., p. 28; cfr. L. Boella, Quadro con cornice mobile e quadro ad arco, cit., pp. 77-102.

domandare. Dall’altro, viene mantenuta la necessità della messa in forma dell’incostruibile. In questo modo Bloch si smarca sia dalle maglie del costruttivismo metodologico, sia dal rischio di un vuoto anarchismo gnoseologico. La via di un tale smarcamento non può essere solo quella di un “domandare circa il domandare”, che sarebbe già una costruzione, ma quella della formulazione delle occasioni dello stupore. Si tratta di ciò che potremmo definire una «formabilità situazionale»21, anche se, in prima battuta, limitata alla dispersione individualizzata del vissuto. Il puro stupore sembra coglibile solo in tali dispersioni, ma esso è presente nella sostanza nell’intera vicenda dell’essere interrogante umano. È lo stupore stesso, allora, ad essere effettivamente storico, poiché l’unica messa in forma possibile del puro stupore soggiace, nelle sue occasioni, al mutamento. La completa casualità storica delle occasioni non permette tra loro nessuna necessaria connessione, ma non toglie la probabilità che «lo stupore stesso sia sempre identico, sia quanto all’atto che al suo oggetto più profondo, al quale si rapporta in base alle occasioni che lo suscitano; esso è diverso solo nelle gradazioni della sua forza»22. L’incostruibilità del domandare, sorgendo tanto in un atteggiamento gnoseologico quanto in un atteggiamento desiderante, se porta con sé la conseguenza di domandare circa la possibilità del domandare, rivela anche il carattere smisurato dell’incontro con il mondo. Bloch utilizza a proposito l’immagine della «vetrina», riferendosi così al nostro posizionamento nella sfera della circolazione: con la parvenza (Schein) della sovrabbondanza di offerta, in una società dei consumi che produce l’immaginazione di una perpetua espansione, si fanno tacere sia il domandare sia il desiderare23. Il movimento di sottrazione da tale castrazione ci respingere nella massima prossimità spazio-temporale della nostra esistenza (Da-Sein), il “qui e adesso” dove ci troviamo. Bloch delinea tale prossimità come «oscuro dell’attimo appena vissuto»24. L’adesso della nostra esistenza, costantemente e inte21 B. Schmidt, La questione di una teoria della storia, cit., p. 25. 22 GdU 1918, p. 364. 23 Cfr. PH, pp. 397-401 [399-403]. 24 Cfr. GdU, pp. 237-246 [241-260] dove a ciò è affiancato il tema del «sapere non ancora conscio» e del «non ancora divenuto» che gli corrisponde. «Entrambi i

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in quanto non è coglibile là dove si vive. Tuttavia esso produce situazioni differenziate e dinamiche, e quindi ad esso è attribuibile una forma, di esso è possibile una formulazione tramite una dialettica mobile. In ciò Bloch non è esistenzialista, ma piuttosto un hegeliano che rifiuta la schematizzazione della dialettica28. L’oscurità dell’attimo appena vissuto pone, sempre identico a se stesso, il problema della prossimità; in ciò l’oscurità del soggetto a se stesso parrebbe avere un carattere meta-storico. Tuttavia, ad essere storico è certamente ogni tentativo, sempre diverso, di penetrare quell’oscurità, ed è su questo che Bloch fa leva per estrarre da ciò che è apparentemente astorico la sua storia. Non si tratta perciò di pensare all’oscurità dell’attimo appena vissuto come ad un enigmatico non-fondamento sempre echeggiato ma non sviluppabile, una sorta di sostrato astorico della storicità, la cui origine sarebbe impenetrabile nella misura in cui essa diventa struttura temporale dell’essere, generalizzando così tutto ciò che è qualitativamente situazionale, e rendendo impossibile l’argomentare sul particolare storico. In Bloch, al contrario, l’istante situazionale è il punto di partenza per la ricerca della storia, ricerca che è una decostruzione del domandare che mira alla domanda incostruibile. Nel Geist der Utopie questa argomentazione si svolge attorno alla categoria centrale del Vorschein, e trova nell’estetica – precipuamente nella «filosofia della musica» – il momento di unificazione sistematica29. Vorschein non è apparenza (Schein) e non è ancora fenomeno (Erscheinung). Piuttosto, in Bloch Vorschein è la mediazione di ciò che in Kant deve rimanere rigorosamente

30 Ciò rimane costante nella riflessione blochiana, finanche nella sua sistemazione più matura, cfr. EM, p. 202-203 [235]. 31 Non si tratta di una restitutio in integrum di ciò che è stato, ma di un riafferrare «il passato per quel tanto che esso può trovare connessione con il futuro», B. Schmidt, La questione di una teoria della storia, cit., p. 31. Risiede forse in ciò la più profonda differenza fra Bloch e Benjamin rispetto al tema della redenzione (Erlösung) del passato.

distinto – la separazione tra essenza ed esistenza, coscienza e assoluto. Il Vorschein blochiano è la traduzione categoriale dell’espressione, cioè di una mediazione storica e dialettica. Salvando l’apparenza, Bloch fa dell’arte non la riproduzione della natura, ma la produzione soggettivo-oggettiva (umano-naturale) dell’ornamento. La filosofia utopica salva l’apparenza senza irrigidirla, coglie in essa il pre-apparire di un futuro accessibile, realizzabile per quanto ancora lontano30. Al Vorschein si connette la Selbstbegegnung. L’incontro con il sé, sorto dall’intenzione nella situazione, è per Bloch il principio che deve muovere una nuova filosofia della storia, insieme ermeneutica e dialettica. La Selbstbegegnung ha il compito categoriale di articolare il “senso” della storia: essa fa comprendere che sia l’assoluta perdita del sé, sia la rigida identità del sé con se stesso sono una vanificazione della storia in quanto impediscono la comprensione di quell’eccesso nel passato che penetra nell’attualità del presente e figura, anticipandolo, il futuro31. Dunque la Selbstbegegnung “illumina” il Vorschein e al contempo ne viene “illuminata”, perché nell’urto di soggetto e oggetto si svela a noi sia l’espressione di un sé che non ha ancora incontrato se stesso, sia la cosa in sé che fermenta e urge nella natura. Al cuore dell’estetica blochiana si scopre così un’antropologia che ci mostra l’uomo come un “poter essere”, qualcosa che deve essere sempre ancora trovato: l’essenza delle cose non è preordinata e non inerisce alle cose stesse, ma viene sempre e solo sperimentata all’altezza del Vorschein utopico. Per Bloch non solo esiste rottura tra pensiero ed essere, ma il soggetto non è identico a se stesso e le cose non hanno ancora svelato la loro essenza. La Selbstbegegnung apre ad una filosofia utopica che ha come centro il potenziale autotrascendimento dell’esistenza umana, perché, come il Vorschein, essa non è più illusione ma non è ancora fenomeno. Non è dunque letteralmente

28 Cfr. A. Münster, Utopie, Messianismus und Apokalypse im Frühwerk Ernst Blochs, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1982, pp. 77-90. 29 Per la musica come figura di un tempo storico plurale, intrecciato, sincopato cfr. GdU, pp. 100-108 [102-109]. Se si considera la centralità della trattazione che Bloch riserva alla musica all’interno del Geist der Utopie, si può sostenere (soprattutto a ridosso dell’analisi della forma-sonata in Beethoven) che la temporalità messa in forma nella musica è per Bloch la temporalità per eccellenza. Sulla filosofia della musica di Bloch, cfr. T. Kneif, Ernst Bloch und der musikalische Expressionismus, in S. Unseld (a cura di), Ernst Bloch zu ehren. Beiträge zu seinem Werk, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1965, pp. 277-326; C. Migliaccio, Musica e utopia. La filosofia della musica di Ernst Bloch, Guerini, Milano 1995; E. Matassi, Bloch e la musica, Marte, Salerno 2001.

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come trasformazione: solo nella prassi dei soggetti esperienti si ha la misura della verità, cioè esattamente ciò che la teoria non può mai pre-ordinare. Il nesso teoria-prassi deve essere dunque ri-articolato a partire dalle macerie lasciate dall’esplosione del rapporto soggetto-oggetto, dalla scoperta che «quel che vuole divenire non è soltanto quel “sono” dell’“io”, ma anche il “sono” in quanto “qualcosa” che non si possiede, che manca. In tutto questo c’è quindi un non-avere, che perciò non sopporta di rimanere presso di sé, che vuole uscire fuori di sé»35. L’uscire fuori di sé, dunque, coincide con l’abbandono della confusione connessa all’eccesiva prossimità. In questo modo è possibile tracciare una profonda linea di continuità nella riflessione blochiana, che permette all’interprete di far dialogare apertamente scritti giovanili con opere tarde. Tuttavia occorre fare molta attenzione alle variazioni rispetto al tema fondamentale della concezione dello spazio-tempo. Nel Geist der Utopie l’esperienza musicale – soprattutto nella privilegiata dimensione dell’ascolto, che pluralizza in un noi l’incontro del soggetto con se stesso36 – era intesa da Bloch come «tempo sottoposto a forma», ciò come figura adeguata del processo sperimentale atta a superare i limiti della spazializzazione cristallizzata. In seguito, fino allo sforzo ultimo di una «dottrina ontologica delle categorie», Bloch non vede più nelle forme spaziali durature l’annullamento di tale processo: al contrario, egli tenta di evidenziare una «significatività di rimando» tra movimento spaziale e momento temporale, fino a pensare lo spazio stesso come mediato temporalmente37. In virtù di questa temporalizzazione

35 Ivi, p. 11 [41]. Ma questo è anche il momento di massimo rischio: quello di “togliere” la confusione con una fretta eccessiva che «conduce solo ad un ordinare ad ogni costo in modo fisso, conchiuso, pieno di residui antiquati». 36 Concentrandosi sul suono, Bloch pone l’ascolto al centro dell’esperienza musicale, «tema che apre la filosofia della musica blochiana ad una prospettiva comunitaria», E. Matassi, Bloch e la musica, cit., p. 11. 37 Evidenziare questo spostamento nella riflessione di Bloch (come fa B. Schmidt, La questione di una teoria della storia, cit., p. 37) permette di comprendere la sistemazione categoriale del sistema aperto, dove spazio e tempo, insieme, vengono trattate quali «categorie dimensionanti (categorie quadro)», EM, p. 13 [44] e pp. 83-114 [119-150]. Occorre tuttavia notare come, tanto nella prima edizione del Geist (GdU 1918, p. 199) quanto nell’ultima, Bloch sembra aver già ben chiara questa prospetti-

pensabile “storia senza utopia”, poiché solo il Vorschein utopico libera tanto dal nichilismo quanto dall’illusione delle escatologie realizzate. L’infinita apertura della Selbstbegegnung – che poggia su di un radicale “tanto peggio per i fatti” – permette alla filosofia della storia di Bloch di rovesciarsi integralmente nella pratica della libertà. La connessione tra Vorschein e Selbstbegegnung matura durante l’intera produzione blochiana, raggiungendo la formulazione finale del tentativo sperimentale del sistema aperto. L’incontro con il sé viene sempre affrontato da Bloch a partire dalla percezione della mancanza, dell’incompletezza del proprio possedersi. Il “qualcosa” che sempre manca alla pienezza dell’incontro del soggetto con se stesso relaziona quest’ultimo ad un “fuori”. Non si tratta di una relazione immediata, bensì di una vera e propria torsione (Drehung) del soggetto esperiente che ruota il proprio sguardo verso se stesso: al contenuto immediato del vivere occorre dare cioè una mediazione obbiettivante per poterlo esperire e possedere, portare a chiarimento e compimento. Ciò significa che il soggetto incontra se stesso solo nella misura in cui riesce a non essere «troppo vicino» a sé. Questo è lo spazio della scoperta di «un’eccedenza utopica» percepibile in quelle che Bloch chiama «figure antiche, del passato, che ci toccano ancora oggi, anzi anche in futuro», di qualcosa di cui si in-tende certamente la presenza, ma che «non c’è in nessun modo»32. La «carica di dinamite» che Bloch ha voluto piazzare «nel rapporto soggetto-oggetto»33 brilla finalmente per produrre lo spazio di possibilità del sistema: l’esposizione categoriale della «realizzazione del realizzante»34 coincide integralmente con la pratica dell’esperimento del mondo svolto dal soggetto. La «realizzazione del realizzante» è esattamente il passaggio insuturabile che tiene aperto il sistema blochiano, l’ultima “voce” della teoria che non può che “togliersi” dopo aver esposto categorialmente la struttura sperimentale (interrogante) dell’esperienza del mondo. Questa apertura, contra nihilismus, declina la conoscenza del mondo 32 EM, p. 11 [41]. GdU, p. 347 [xxxvii]. EM, p. 253 [282]. 33

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i. il soggetto e la forma. l’incostruibile problema del noi

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svuotamento e tale deformazione del formale sono arrivati oggi al grado più alto39.

39 Ivi, p. 156 [191]. 40 Ivi, p. 159 [193]. Cfr. «Begegnung der utopischen Funktion mit Archetypen» PH, pp. 181-189 [187-195]. 41 EM, p. 160 [194, traduzione modificata].

Nella sempre maggiore determinazione del valore d’uso di una cosa nel suo astratto valore di scambio, Bloch non legge solo lo svuotamento della forma, ma anche il suo livellamento a-qualitativo. Ciò ha pesanti ripercussioni da un punto di vista categoriale, poiché nell’atto formale della riflessione le categorie stesse vengono considerate come concetti generali, gruppo di conchiuse forme logiche contenenti la possibilità di ogni conoscere. Per rispondere a questa riduzione, Bloch ricorre ad una riconsiderazione dell’archetipo, cercando di separarne la nozione dal «carattere di riconduzione all’indietro, di mera reminiscenza». Dell’archetipo gli interessa «il motivo conduttore del presentimento che è già stato, eppure non solo già stato, ossia non liquidato»40, un’ulteriorità di significato che non rimane nella sede primitiva di una formulazione esclusivamente mitica. Si tratta di ciò che nella storia ritroviamo con mutata funzione, archetipi che si riproducono in forme nuove, che si mostrano carichi di futuro pur provenendo dal passato. Le categorie che Bloch cerca di riqualificare attraverso archetipi di questo genere sono cariche di contenuto, e dunque non meramente formali. L’archetipicità qualifica soprattutto «le ancora aperte categorie allegoriche dell’arte, che si rigirano a fatica nell’esistente dato, e ancor più le categorie simboliche della religione, rapportate laconicamente all’unica cosa necessaria. I motivi conduttori degli archetipi rivolti in avanti si trovano qui – a differenza della stazionarietà romantica degli archetipi rimasti arcaici – allo stato di apertura non sviluppata, cioè allo stato di frammento produttivo». Il contenuto utopico racchiuso in questo carattere frammentario è dunque coscienza dell’apertura al possibile, e insieme il paradosso di «una capacità riassuntiva processualmente aperta»41. Secondo l’espressione blochiana, gli archetipi «tingono» il categoriale, nel senso che un loro tratto essenziale può svilupparsi a categoria, almeno in tutti gli arche-

dello spazio la forma-esodo (Auszugsgestalt) diventa in Bloch la categoria storica fondamentale.

3. Le categorie come immagini: la forma-esodo Lo spostamento sopraindicato completa la categorizzazione storica di quelli che sembrano presentarsi, in prima battuta, come elementi prettamente esistenziali: la forma della domanda incostruibile e l’oscuro dell’attimo. La prima si categorizza come intenzionalità potenziale, il secondo come tendenza. Entrambe le categorie, secondo i termini più maturi della riflessione blochiana, si mediano nella forma-esodo38. Con questo concetto, Bloch si contrappone sia a un’assolutizzazione del carattere processuale della storia, sia ad una radicale negativizzazione della stessa. Su questo sfondo, egli ricerca l’identificazione di una tendenza in se stessa che svolga la propria potenzialità verso il futuro, nel senso di un a-(v)venire, di ciò che ci viene incontro in modo destinale, di ciò che è, dunque, la nostra stessa origine (Ursprung). Nulla sarebbe più falso che definire vuota la forma. Un’affermazione simile è stata fatta solo dopo che il valore di scambio ha incominciato a divorare il valore d’uso del contenuto di una cosa. E quindi dopo che si è detto formale, e perciò privo di contenuto, quel che in ambito pre-borghese era carico, proprio come forma, del più denso contenuto. Appunto tale va, quando egli sottolinea «il legame strutturale tra l’evento temporale incorniciato dal sinfonismo e l’evento storico-produttivo. Infatti in entrambi i casi l’evento porta al largo e alla fine può giungere solo dall’intimo, dall’evento, come meta. In entrambi il tempo è il perdurare del prima nell’“ora”, quindi è risparmio, durata, costruzione, eredità, preparazione e raccolta, finché qualcosa non si compia e non agisca il tempo purificato, compreso, carico della meta, musicalmente storico, mosso da ragione e provvidenza, il ritmo come musica nella musica e come logica nel cosmo. In tal modo anche l’evento entra con la sua forza formativa e prospettica in una nuova dimensione spaziale, per trasferire la successione casuale nel parallelismo compreso di un “inventario” sviluppato”: sul piano musicale nel risonante substrato spaziale contrappuntistico d’una fuga o di tutta una sinfonia, sul piano filosofico nel luminoso spazio storico qualitativamente discontinuo di un epoca in sé conclusa o di tutta la storia universale», GdU, p. 167 [166]. 38 Cfr. EM, pp. 160-164 [195-198], dove il traduttore italiano rende Auszugsgestalten con «figure che si ritraggono fuori di sé».

i. il soggetto e la forma. l’incostruibile problema del noi

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38 la politica e l’immagine

tipi che non rimangono meramente mitici o arcaici. Ciò significa, inoltre, che quanto poco gli archetipi stanno e cadono con l’arcaico, tanto poco le categorie sono legate al tempo in cui sono nate e hanno avuto validità, e tanto poco sono quindi riducibili a determinati periodi storici.

44 Cfr. ivi, p. 163 [197] 45 Ivi, pp. 163-164 [197-198, traduzione modificata]. Bloch porta ad esempio il melos della Cantata di pentecoste di Bach. 46 Ibid. Cfr. TE, p. 322.

Nella musica intesa come arte del tempo (Zeitkunst), si producono reali insiemi plastici in cui il tutto è più della somma delle parti. Nello stesso tempo, ciò che si produce nel processo del fluire musicale è una connessione reale (realer Zusammenhang), che si distingue dalla connessione conforme alla legge. Quest’ultima enuncia la connessione ragione-conseguenza come una successione, mentre la forma rende visibile nella simultaneità una connessione determinata e determinate Mentre le leggi risultano strutturalmente generalizzanti, «le forme si trovano a loro agio nel particolare. E in ogni settore del sapere la forma caratterizza appunto il surplus stesso di una corrispettiva totalità, il cui relativo totum in modo proprio oggettivo-reale viene centrando gli elementi in una specifica unità interagente»46. In ciò nulla può

I suoni sono senz’altro un flusso temporale e da loro si sviluppa contemporaneamente un volto melodico ben formato. […] La riscoperta del pensiero della forma nell’arte temporale della musica indica potentemente che le forme vanno intese processualmente e che, malgrado ciò, o appunto perciò, le forme sonore si elevano, nella sequenza dei suoni, non solo in gesti continuamente fluenti, ma appunto con un volto mosso, non certo soltanto arioso. Il grande melos, pur nascendo acusticamente solo nello scorrere del tempo, e insieme poi dileguandovisi nuovamente, può qui diventare addirittura una chiave per riscoprire quella forma impressa che si sviluppa vivendo, e non solo, ma si mette in cammino, apre se stessa e continua ad avanzare45.

Fra le categorie e ciò che appare nella realtà (Erscheinung in der Realität) Bloch coglie una tensione costitutiva che, anziché mettere tra parentesi il reale, cerca di operare in esso la piena parusia (eine volle Parusie) proprio di ciò che ancora si dà solo come apparenza. Il configurare ulteriormente delle categorie ha precisamente la funzione di trasfigurare ciò che ancora solo appare per portarlo a compimento, anche se solo sperimentale44. Su questo punto, Bloch sottolinea come il pensiero della forma (Denken der Gestalt) si possa approcciare proficuamente rispetto alla dimensione del suono:

Nulla, ad esempio, è meno invecchiato che la categoria platonica, vecchia più di duemila anni, dell’eros, come avere e non-avere insieme. In breve, la scienza filosofica fondamentale della dottrina delle categorie non abbisogna né tollera minimamente un relativismo storico che la tolga di mezzo42.

Ivi, p. 161 [195]. Cfr. ivi, p. 162 [196]

Il relativismo storico è escluso dall’eccedenza (Überschuss) racchiusa nelle categorie: da un lato, essa deriva dalla stessa archetipicità ricca di eccedenza, che impedisce il rinsecchirsi del categoriale a impalcatura di un pensiero coerente ma privo di fantasia (phantasielos); dall’altro, l’eccedenza deriva dal fatto che le categorie stesse sono forme d’esserci (Daseins-Formen) tenute ferme nel concetto. Mediante questo riferimento reale (Realbezug) le categorie possono esprimere figurazioni di modelli obiettivi (Modellbildungen objektiver). Nella loro ricerca figurativa dell’oggettivo (Figurforschung des Objekthaften), le categorie non si limitano alla raffigurazione ma vanno a configurare ulteriormente (weiterbilden) loro stesse con progressiva oggettività. Le categorie non sono, perciò, figure immobili, ma, proprio perché cariche di contenuto, esse si enunciano come forme-esodo (Auszugsgestalten), cioè come figure che, ritraendosi fuori da se stesse, aprono ad una riconfigurazione ulteriore della comprensione del reale. Intesa in questo modo, per Bloch la mediazione categoriale tra pensiero e mondo implica l’intervento attivo del soggetto nel mondo, e al contempo la trasformazione dello stesso soggetto esperente. Ciò significa che il concepire (Begreifen) per via categoriale non può essere identificato tout court con un’attività esclusivamente contemplativa, che non coincide con la sola visione (Schau), e che quindi non riguarda la sola the-oria. Il concepire categoriale, in virtù del carattere delle categorie stesse, è attività intrinsecamente prassica43. 42 43

40

EM, p. 165 [199].

la politica e l’immagine

essere pensato come statico, come sussistente in modo separato da ciò che appare; per questo le categorie non possono essere intese come panoramiche fisse, calchi immobili, ma solo come «forme-esodo, che si trovano nel processo come immagini di tensione, immagini di una tendenza». Le categorie non esauriscono il reale come già tutto interamente compreso, ma rimandano strutturalmente all’eccedenza di possibilità contenute nel reale stesso; ciò significa che esse si trovano sempre al centro di «una genesi in divenire, che non lascia le sue immagini dormire sogli allori»47, ma che esige che tali immagini continuino a prodursi in modo sperimentale. Se la musica come arte del tempo è lo sfondo esemplificativo di cui Bloch si serve per determinare lo statuto della categoriaimmagine, il luogo in cui egli mette in atto questa categorialità è la storiografia, e in modo particolare nella storiografia politica. Nel tentativo di produrre una mediazione categoriale tra pensiero e politica, Bloch scrive storia attraverso immagini – categorie con un contenuto archetipico – contenenti possibilità reali: immagini del passato cariche di futuro, come la rivolta dei contadini di Müntzer, la non-contemporaneità delle classi proletarizzate nella Germania nazi-fascista, le istanze profetiche nelle eresie cristiane. È dunque nelle pagine che contengono quelle immagini storiografiche che va indagato il pensiero politico di Bloch; ed è qui, nello sforzo di mediazione che in esse si produce, che la filosofia può interrogare il proprio statuto nei confronti della realtà dello stare insieme degli uomini.

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Capitolo secondo

Insorgenze. Prolegomeni alla storiografia politica

Chi sia troppo strettamente connesso con il tempo muta in fretta.

Siegfried Kracauer

In Bloch, la storiografia è l’attività atta a produrre immagini adeguate alla mediazione tra pensiero e politica. Qual è, dunque, la nozione di temporalità, quale la forma del tempo, che questa attività deve presupporre? Si tratta di affrontare questa questione nel dettaglio, mostrando come nella riflessione blochiana non si dia soluzione di continuità tra la determinazione categoriale del tempo e la figurazione delle estasi temporali nella loro relazione. È in questo contesto che si colloca lo strumentario concettuale per una storiografia politica che si faccia carico dell’insuturabilità del rapporto tra teoria e prassi.

1. Multivocità del tempo: le estasi temporali per figure

La categoria dimensionante del tempo1 è segnata strutturalmente dall’interruzione poiché «l’“ora”che nel tempo viene continuamente a interrompere è tanto poco il mero prodotto di

1 Nel “sistema aperto” tempo e spazio sono considerate in quanto «categorie quadro» del doppio movimento del «ruotare/sollevare» (Drehung/Hebung), cioè della mediazione obiettivante che secondo Bloch occorre dare al contenuto immediato del vivere per poterlo esperire e possedere, portare a chiarimento e a compimento; cfr. EM, p. 13 [44] e pp. 83-114 [119-150].

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un’analisi non-temporale, da essere piuttosto la cosa di per sé più vicina al tempo, in quanto il cosiddetto flusso del tempo ha ancora dovunque questo urto sorgivo»2. Il tempo risulta in se stesso atomizzato, non però nel modo dell’indifferenza di ogni istante rispetto ad un altro, ma in quello di una multivoca differenziazione qualitativa. Tanto che se si tenta di pensare al tempo come ad un flusso, questo deve essere fatto iniziare di nuovo ad ogni attimo, ad ogni momento che «mette per primo in corsa la forma temporale, la porta al suo autentico agendum»3. L’indicazione paolina4 dell’attimo come luogo di integrale trasformazione viene da Bloch espansa, spalancata fino ad infrangere qualsiasi tentativo di sezionamento cronometrico della temporalità. Dovunque l’esistere si avvicina al suo nucleo, comincia la durata, non una durata irrigidita, ma una durata che contiene il Novum senza caducità, senza corruttibilità5.

Bloch, dunque, rompe con lo schema aristotelico in cui l’istante è il punto indivisibile, piatto, marmoreo, che separa continuamente nel suo scorrere il “prima” dal “poi”, il passato dal futuro. L’attimo blochiano, tanto come Jetzt che come Augenblick, risulta strutturalmente fratto, granulare e discontinuo, luogo del duplice scorrere del passato nel futuro e del futuro nel passato. Certo, tra l’ora e l’ora successivo vi è ogni volta interruzione, ciò che permette l’esserci sempre di nuovo un “ora”, un «mai» (Nie), che è la stessa «pausa nelle pulsazioni dell’“ora”, in cui l’“ora” è interrotto»6. Tuttavia questa dinamica deve essere intesa nella pienezza della sua reciprocità: poiché a sua volta «dall’“ora” il “mai” viene continuamente interrotto»7. La valenza integralmente biunivoca del rapporto tra Jetzt e Nie

8 Ivi, pp. 83-84 [120]. 9 Ivi, p. 102 [138]. 10 Agostino, De civitate Dei, Ib. XII, cap. XIV, a cura di B. Bombart-A. Kalb, Lipsiae 1928-294, vol. I, pp. 531-533; Cfr. M. Heidegger, Die Grundprobleme der Phäenomenologie, in Gesamtausgabe, a cura di M. Heidegger-F.W. von Herrmann, vol. XXIV, Klostermann, Frankfurt a. M. 1975; trad. it. I problemi fondamentali della fenomenologia, a cura di A. Fabris, il Melangolo, Genova 1989.

è precisamente ciò che “salva” la “filosofia della storia” di Bloch dal soccombere alla sterile e vuota illusione di portare con sé il sigillo della perfetta necessità. Il “mai”, infatti, non può essere inteso di per se stesso, ma c’è soltanto come cessare dell’“ora”. Se questo venisse a mancare, allora assisteremo all’esasperazione del “mai” in un “mai più” (Niemals), producendo una falsificante “chiusura” del passato. Occorre, invece, assumere il punto di vista per cui «la guerra dei trent’anni non può essere lasciata per strada e la storia di Roma non può certo essere resa non accaduta; se non altro per il fatto che tanta parte del passato continua ad avere i suoi effetti nel presente e nel futuro. In tal modo, quindi, il “mai” genuino, analogamente all’“ora”, compare in generale soltanto al suo posto d’origine; non c’è alcun “ora”, e di conseguenza neanche un “mai” genuino, quando ci si fa presente il trascorso o il venturo»8. Il presente non può perciò essere inteso come perfetta puntualità, perché strutturalmente sfumato nel suo negativo, presenza che scivola nell’assenza, che torna però come latenza pulsante. La temporalità è dunque intermittenza: la luce dello Jetzt e l’oscurità del Nie non si danno nel modo dell’assolutezza, ma si compenetrano. Il primo è comunque sempre avvolto dall’oscurità, il secondo, in quanto negazione sempre e comunque determinata, lascia trasparire da sé la positività che avanza. La discontinuità del tempo corrisponde alla «puntualità del fatto-che (Daß) da cui scaturisce e che lo porta ad ampliarsi in un fluire continuo»9. Il tempo sorge dunque dal dilatarsi di un elemento intensivo10, ma non nel senso di una evoluzione lineare, perché questa deve essere pensata sempre assieme all’involuzione contenuta nel “mai”: il tempo “scorre” solo perché parte da un elemento di concentrazione, e si contrae proprio perché può espandersi. L’ora e il presente non coincidono, pur quest’ultimo muovendosi intorno ad esso. L’“ora”, l’attimo inquieto che non si può esperire vitalmente, immette sia il palpitare nel tempo, sia l’urta-

2 Ivi, p. 101 [137]. 3 Ibid. In Bloch, a differenza che in Heidegger, Jetzt (l’attimo, l’ora) sembra essere sovrapponibile ad Augenblick (il momento, il batter d’occhio). Cfr. R. Bodei, Multiversum. Tempo e storia in Ernst Bloch, Bibliopolis, Napoli 19832, pp. 55 ss. Per un’analisi più ampia del rapporto del pensiero di Bloch con quello di Heidegger, cfr. P. Cipolletta, La tecnica e le cose. Assonanze e dissonanze tra Bloch e Heidegger, FrancoAngeli, Milano 2001. 4 1a Cor. pp. 15, 51 ss. 5 PH, p. 1391 [1365]. EM, p. 83 [119]. Ibid. 6

7

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re nello spazio. In maniera corrispondente all’“ora”, infatti, il “qui” precede la determinazione dello spazio: come l’“ora” è interrotto dal palpitare del “mai”, così il “qui” è interrotto da un “in nessun luogo”. In questo modo, Bloch non intende enunciare una mera corrispondenza, ma una vera e propria temporalizzazione dello spazio, in quanto «nell’“ora” si trova già il “qui” come margine spaziale, nel “mai” si affaccia già il margine spaziale dell’“in nessun luogo”». Il presente è determinato così dal movimento tempo-spaziale (zeiträumliche) di questi momenti immediati, mostrandosi come relativamente accessibile all’esperire. Nel presente ordinario (übliche Gegenwart) le cose si presentano una accanto all’altra, ma prive di autentica connessione. Le due forme di giuntura (Anstückung) che costituiscono l’ampiezza del presente sono la simultaneità, secondo la forma del tempo, e la contiguità, secondo la forma dello spazio. Anche se, nel presente, esse si presentano intrecciate, la prima precede la seconda; è, infatti, per via della simultaneità che il presente partecipa dell’oscuro dell’attimo che si sta vivendo. Tuttavia, proprio perché il presente non coincide con l’immediato “ora”, esso è relativamente più chiaro: I gradi di chiarezza variano precisamente con l’intensità della mediazione; di modo che un cattivo, astratto, puramente contemplativo rapportarsi al presente si riavvicina, di per se stesso, all’oscuro dell’attimo vissuto, rinunciando appunto al compiere la mediazione del presente. Al punto tale che le cose, all’opposto che nella prospettiva consueta, diventano tanto più invisibili quanto più ci si avvicinano, vale a dire quanto più entrano nell’ambito del presente11.

12 Ivi, p. 86 [122]. 13 Ivi, p. 87 [123]. Come esempio di una storiografia capace di un tale sguardo, Bloch si riferisce a K. Marx, Der achtzehnte Brumaire des Louis Bonaparte (1852), in MEW 8, p. 115-203; trad. it. Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte, in Id., Il 1848 in Germania e in Francia, a cura di P. Togliatti, L’Unità, Roma 1946, pp. 258-359. Sulla storiografia politica di Marx, cfr. M. Tomba, Il materialista storico al lavoro. La storiografia politica del Diciotto brumaio, in C. Arruzza (a cura di), Pensare con Marx. Ripensare Marx, Alegre, Roma 2008, pp. 93-124.

mente vuoto». La prossimità all’oscurità dell’attimo vissuto si connette ad un preteso disimpegno e ad una apparente avalutatività espressa nell’occuparsi del solo passato. In questa prospettiva storicistica agisce in modo nascosto il presente sociale con i suoi interessi, e dunque lo storico che rifugge il presente permette «la fuga dall’attualità di una classe dominante che non vuole, non deve lasciarsi vedere proprio sul piano scientifico»12. Lo sguardo di uno storico che affronti concretamente l’attualità, invece, è quello di colui che non vede nel presente solamente un «buco in cui il saputo vada a perdersi senza frutto, bensì un momento di passaggio di mediazioni largamente ramificate, di decisioni concrete». Questo sguardo è in grado di mediare il presente distinguendolo dal presente ordinario, e quindi di riconoscerlo come unico luogo temporale di un agire che ha davanti a sé, contenendolo riflessivamente, il compimento delle intenzioni di libertà, degli atti di libertà che sono stati interrotti nel passato, cioè nella storia. Il presente che uno storico di tal guisa sta guardando è autenticamente rielaborato, un campo temporale che assume su di sé tutta la storia, «un campo di lavoro temporale del fronte processuale»13. Tuttavia, ciò non significa porsi nel punto più elevato della storia e considerare tutto il passato come interamente liquidato; anzi, qui si scopre un particolare forma di giuntura con il passato esprimibile nella categoria di non-contemporaneità (Ungleichzeitigkeit) che non si può in nessun caso ridurre a mera arretratezza. Si tratta della contraddittoria presenza storica di certe componenti di una società e di un’epoca, le quali, pur provenendo ed essendo ancorate ad un assetto antecedente, fanno ancora parte dell’orizzonte del presente. Bloch sta pensando all’inattualità di vecchi ceti sociali (contadini, piccoli borghesi) in un mondo sincronizzato sul sistema di produzione

EM, pp. 85-86 [121-122].

A ridosso di questa relativa oscurità, Bloch pone la questione della possibilità di una storia del presente. L’approccio al problema è condotto per via negativa, cioè a partire dal riscontro dell’impotenza concettuale degli storici “di professione” di fronte a ciò che avviene nel presente come novum, affrontato con uno sguardo contemplativo che perde in oggettività. Infatti, «la presa di conoscenza contemplativa ha soltanto una coscienza post festum, non nel presente; anzi, per lei quest’ultimo è scientifica11

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«punteggiare dell’“ora”» il presente come piena praesentia, e quindi non più «bisognoso di futuro», non è ancora dato in nessun luogo, ma permane come «disposizione». In questo modo, Bloch non fugge dal presente attuale, bensì ne scopre la carica, la potenzialità, il fermento; ma scopre anche quegli elementi di estraneità contenuti nel presente, e quindi il fatto che esso non è ancora praesentia, «ma solo il luogo per la sua disposizione germinale non ancora decisa»16.

16 Ivi, pp. 89-90 [125-126]. Cfr. G. Lukács, Storia e coscienza di classe (19231967), trad. it. a cura di G. Piana, SugarCo, Milano 1991, pp. 268-269. 17 EM, p. 90 [126-127].

Nel trapassare pulsante nel momento successivo, l’“ora” trova se stesso ed ogni cosa anzitutto come futuro. Tuttavia, ancora una volta, qui è necessario distinguere tra un futuro che ci viene incontro come regolarità, ripetizione (ad esempio il tramonto del sole), e «il nuovo che nasce dalla trasformazione, quel che non è ancora apparso, pur avendo certamente la possibilità di apparire, ossia che è contenuto [nell’“ora”] come disposizione germinale». Nel senso ordinario, il futuro ci viene incontro in modo schematico, mentre il futuro in quanto possibilità a-(v)viene in modo fluido, «e quindi passibile di svolte». Si tratta del futuro contenuto in «eventi che stanno appena sviluppandosi, e che né quanto al loro avvento né quanto al loro contenuto sono pienamente condizionati, determinati e così pienamente prevedibili». Nel futuro così inteso «si cela sempre, perciò, l’elemento della sorpresa, vale a dire, relativamente al futuro umano, l’elemento del rischio oppure della salvezza»17. Per Bloch, il futuro come schema della ripetizione è curvato sotto il passato come mero indice cronologico della posteriorità; sulla soglia del futuro relativo all’incertezza, invece, sta il momento, la prova, dell’esperimento. In questa prospettiva, almeno in prima battuta, il passato può essere inteso come futuro che ha già

2. Zukunft in der Vergangenheit: oltre la logica del “futuro anteriore”?

capitalistico; questi possono conferire al passato un’importanza attuale, certamente – come ha mostrato il nazi-fascismo – in senso reazionario, ma, poiché sono portatori di un’istanza contraria all’oppressione politica e socio-economica che subiscono, anche trasfigurabile in senso liberatorio e carico di futuro. Una tale trasfigurazione è prospettata da quello storico in grado di leggere nel presente la possibilità tra questa non-contemporaneità e «una sovra-contemporaneità (Übergleichzeitigkeit) che ha in vista un futuro da conquistare, anziché un passato da evocare conservativamente»14. Un presente così inteso, che deve la sua relativa ampiezza all’essere margine nella giuntura di passato e futuro, non è un presente assoluto, il nunc stans di un attimo adempiuto, bensì mescolanza di “ora”, passato e futuro. Questa simultaneità nel presente trapassa nella contiguità spaziale del mondo circostante, esperito vitalmente. Il tempo, come modo del muoversi e del trasformarsi rispetto a se stessi, «è fuggevole anche nel presente», che non ha «nessuna univoca delimitazione», poiché «interi anni, anzi decenni del futuro, e sicuramente del passato, sono annoverati nel presente». Non è possibile pensare alla perfetta identità dell’“ora” e del presente poiché questo «non può essere un presente realmente presenziale a se stesso: il praesens non è ancora una praesentia»15, e però vi è indirizzato, muovendo sempre d nuovo dall’“ora”. Se questo è il modo dell’esperire vivente nel tempo, allora Bloch ha bisogno di modificare l’abituale successione degli stessi modi temporali in senso storico-fenomenico (passato-presente-futuro). Nel pulsare dell’“ora”, che è sempre il cominciamento, non si inserisce più direttamente il presente, ma un «venire, un sopravvenire, ossia un avvenire (Kommen, Heraufkommen, also Zukünftiges)», e unicamente da questo segue a sua volta un passato, qualcosa che non può sostare ma che racchiude ancora un futuro, «almeno nella sua parte migliore». Nel continuo 14 EM, p. 87 (123, traduzione modificata). Cfr. EdZ, pp. 150-153 [121-124]. Cfr. F. Conigliaro, Sulla nave di Odisseo. Saggio su Ernst Bloch: non-contemporaneità, contemporaneità, sovra-contemporaneità, Augustinus, Palermo 1990. 15 EM, p. 88 [124-125].

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Ivi, p. 91 [127-128]. Ivi, p. 92 [129].

la politica e l’immagine

fornito il suo risultato, e quindi come un futuro in cui la tensione si è esaurita. Tuttavia, a Bloch interessa verificare se in ciò, che al massimo sembra poter essere contemplato come ricordo, non si celino anche «gli impulsi del divenire ancora racchiusi nel già divenuto». Se il passato è guardato solo contemplativamente, a non essere colto è «tutto quel che poteva essere futuro nel passato (Zukunft in der Vergangenheit)»18: in questo modo il passato viene immobilizzato, e tutto ciò che in esso non si è pienamente realizzato viene soppresso. Bloch è alla ricerca di quel passato che porta con sé «una mutevole eredità coinvolgente», «un’eccedenza». Non si tratta di un’eredità culturale con funzione puramente ideologica, ma della ricerca di un in fieri ancora pulsante: Bloch profila un tipo di sapere storico che guarda a ciò che ri-corre nella storia ma che allo stesso tempo ci pre-corre in quanto possibilità, «quel che contiene ancora in sé la condizione paradossale di essere appunto futuro nel passato. È infatti proprio questa significatività utopica, questa seminalità, questo carattere inconfondibile delle intenzioni, soprattutto delle creazioni, del passato nonpassato, di continuare a germinare, che costituisce l’eccedenza utopica […], il fermento dell’attualità mantenuta in serbo nella storia»19. Questo tipo di sapere storico non è il ricordo di un tempo ormai defunto, in cui i morti seppelliscono i loro morti. Esso, al contrario, appartiene alla soglia del nuovo, rimane nella profondità della memoria utopica, che sa guardare anche indietro. Un sapere con il volto di Giano, dunque, che guarda tanto al non essere riuscito del passato quanto all’essere aperto del futuro. L’articolazione utopico-concreta proposta da Bloch, risulta ben lontana dalla mera consequenzialità di un susseguirsi che conduce in modo puramente cronologico ad un presente dominante. È il tempo stesso, infatti, a non essere inteso come scorrimento rettilineo dell’incedere cronometrico: se è vero che il tempo esiste indipendentemente dall’uomo, esso però non è, nemmeno nel suo modo passato, indipendente dal contenuto «incon18 19

ii. insorgenze. prolegomeni alla storiografia politica

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chiuso», «trasformantesi», che in lui si svolge e di cui costituisce il campo concreto20.

Il decorso del tempo si differenzia in diversi piani che non ammettono affatto semplicemente un uniforme “prima” e “poi” di una sequenza dotata di omogeneità formale, che dai vari tipi di passato porta al futuro. Di conseguenza, i diversi quanta di tempo non sono di per se stessi omogenei, sono per lo più distintamente diversi qualitativamente gli uni dagli altri, così distintamente che soprattutto i passati, per contenuto radicalmente diversi, della “storia naturale” e della “storia umana” non si possono senz’altro tracciare sulla stessa linea21.

Certo, il passato storico lascia dietro di sé, accanto ai suoi effetti postumi, anche macerie, relitti e reperti funerari. Tuttavia, anche qui, è possibile che rimangano elementi di futuro “ridestabili” nell’“ora”. Bloch si sta rivolgendo esplicitamente a Walter Benjamin, al pensiero di un tempo-ora singolarmente intensivo che, nella vita di un singolo o di un gruppo, fa pulsare l’“ora” passato non in quanto ricordo, bensì come «vigorosamente riattinto». Nell’esplosione del tempo-ora «schizza fuori nuovamente, quasi di rimbalzo, anziché il continuum della storia, un passato carico di attualità». L’agire dell’“ora” sulle macerie del passato porta con sé l’impatto che interrompe il tempo come mero passaggio; ma ciò significa che «sia dietro che davanti ad ogni cosa prodotta» compare di nuovo il producente, e quindi l’inconsistenza di una «contemplazione interessata solamente al suo apparente disinteresse». Nel tempo-ora può verificarsi l’impatto «di praesentiae di tipo non-trascendente: qui è significativo questo plurale in luogo dell’unum necessarium, per via della perdurante distanza di quell’unica cosa mancante»22.

20 «Il concetto di tempo cronometrico, uniforme come un metronomo, deriva dal pensiero legato al valore di scambio, il quale livella ogni diversità anche qualitativa, in una sequenza di prezzi solo quantitativamente caratterizzante», ivi, p. 93 [129130]. 21 Ivi, p. 94 [130], e ancora «il sole di Omero illumina anche noi, e può farlo anche senza Omero, rimanendo letteralmente extraterritoriale rispetto a lui, con un eccedenza utopica di possibilità cosmica». Cfr. TE, pp. 138-147. 22 EM, pp. 96-97 [132-133]. Cfr. W. Benjamin, Über den Begriff der Geschichte (1940), in Gesammelte Schriften, a cura di R. Tiedeman e H. Schweppenhäuser, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1974-1989, I, 3; trad. it. in Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Einaudi, Torino 1997, pp. 20-57.

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50 la politica e l’immagine

In Bloch – e qui si misura una significativa differenza con Benjamin – il tempo-ora come nunc stans si dà solo come pre-apparizione che getta la sua luce sull’oscurità dell’attimo vissuto, indicando la via di fuoriuscita dall’oscurità dell’eccesso di prossimità, ma non realizzandola mai in maniera pienamente compiuta23. Nel Vor-schein, si muove la risonanza del tempo-ora, del presente-ora; in questo, e solamente in questo, Bloch scorge la possibilità di far saltare il continuum storico attraverso la riattivazione di momenti passati carichi di futuro. Questa carica di futuro nel passato è la pre-apparizione fluida e mai compiuta di un Ultimum, di un momento arrestato, che nel presente indica, senza in ciò determinare un automatismo necessario, la direzione del mutamento: Ciò accade quando l’avvenimento di un tempo, che viene fatto saltare fuori, in quanto non meramente passato, ma esplosivo, indichi un bene tanto alto, come se il tempo posteriore non avesse avuto bisogno di andare tanto più avanti24.

25 Ivi, 23 [54]. Per la critica al linguaggio filosofico, con particolare riferimento ad Heidegger, che sottende questa scienza storica, cfr. ivi, pp. 33-38 [66-72]. 26 Cfr. J. Derrida, Otobiographies: l’enseignement de Nietzsche et la politique du nom propre, Galilée, Paris 1984, trad. it. il Poligrafo, Padova 1993; Id., Politiques de l’amitié, Galilée, Paris 1994, trad. it. Cortina, Milano 1995. 27 Cfr. G. Rametta, Le «difficoltà» del potere costituente, in «Filosofia Politica», XX, n. 3, 2006, pp. 391-402.

Il tema dell’oscuro dell’attimo vissuto porta con sé l’impossibilità di «prendere le cose così come sono», di accontentarsi di una troppo rapida «equazione tra pensiero ed essere». Secondo Bloch, nella storia della filosofia, per sopperire all’insostenibilità di questa equazione, si ricorre ad una teoria della visione, «con l’intuizione come contenuto di un concetto raffigurato». Si trat-

3. Fortbildung: la storiografia come ultra-figurazione

re il mutamento come qualcosa di non ancora liquidato, vale a dire che sia sollecitato dagli avvenimenti di un tempo nella loro sede originaria, né in generale a conservare il ricordo del futuro racchiuso nel passato. In questo tipo di storia sono delle mere parvenze, dei prodotti irrigiditi, delle ideologie, a essere state prese senza analisi per la cosa stessa»25. Ci sembra che il tema blochiano del futuro nel passato, non sia in nessun modo riconducibile ad una logica del futuro anteriore, cioè ad un carattere proiettivo della temporalizzazione impresso sull’esperienza produttiva di ordine26. Non c’è in Bloch nessun richiamo ad un momento fondativo dell’ordine stesso, o un richiamo all’origine che sia evocativo di un inizio a cui richiamarsi per produrre l’ordine definitivo27. Piuttosto, in Bloch c’è l’assunzione, tanto analitica quanto problematica, del carattere strutturalmente impermanente dell’ordine stesso, derivata dal carattere integralmente sperimentale e trasformativo del rapporto uomo-mondo, che è tale perché ne coinvolge sempre entrambi i termini. Il blochiano futuro nel passato, dunque, è la scoperta del carattere aperto del reale nel modo della temporalità, considerata in tutte le sue estasi, e al contempo un’assunzione di rischio nell’indicare una possibile direzione al mutamento.

Bloch vuole così oltrepassare la prospettiva di una troppo frettolosa attualità, quella di uno sguardo inconsistente sul mondo circostante, cifra di un atteggiamento puramente contemplativo che rimane lontano, come se ne fosse estraneo, dallo svolgersi del reale. Ciò è caratteristico di quella scienza storica, che si presume senza presupposti, e che trova nel passato remoto una particolare facilità a spacciarsi come oggettiva, come se fosse «uno studio sul granito». Così, «Ranke credette di poter dire, con ironica modestia, che egli non si gravava dell’alto ufficio di giudicare il mondo, egli voleva solo constatare ciò che era stato. Anzi, l’avversione per il giudicare, diventata completamente positivistica, a parte il suo distogliere idealisticamente lo sguardo da tutto ciò che per i dominatori di oggi era scomodo e indesiderato già negli avvenimenti di un tempo, tale avversione non ha il minimo interesse a conservare il ricordo di un giudicare capace di indica23 «L’archetipo del sommo bene è il contenuto di invarianza del più felice stupore; il suo possesso, nell’attimo e appunto in quanto questo attimo, sarebbe quello che tramuta nella piena risoluzione del fatto-che», PH, p. 355 [359]. 24 EM, p. 98 [134].

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ta di una «dottrina della raffigurazione (Abbildlehre), che presuppone pur sempre il lavoro su di una cosa vista, intuita sensibilmente, e concepisce l’intuizione come ricompensa di un concetto, non come una cosa già data senz’altro»28. Il rischio implicito di questa posizione è quello di un «grandioso vedere che gira per il mondo» e finisce per rivelare l’essenza fenomenologica di esso come «essenza totalmente rigida». Bloch non gioca a sostituire la dottrina della figurazione con una speculare teoria della produzione (Erzeungstheorie), ma tratteggia una dottrina dell’ultra-figurazione (Fortbildlehre): L’ultra-figurare è, infatti, un figurare che può anche oltrepassare la sua cosa […]. E che ha dietro di sé quella partecipazione attiva, che non lascia le cose così come stanno fino ad ora, quella partecipazione al sopravvenire della cosa, a cui ci si mantiene fedeli soprattutto nel conoscere. Ecco ripresentarsi un occhio, senz’altro, ma non più in nessun caso come occhio puramente contemplante. Esso vede, piuttosto, come le cose siano imperfette, ma anche come potrebbero perfezionarsi, e tenta così di dare indicazioni necessarie a trasformandole con-figurandole29.

30

EM, p. 63 [98].

La cifra distintiva del sistema aperto dell’esperimento del mondo è di pensare, in costante concomitanza, tanto “ciò che si è”, quanto i modi della nostra trasformazione. Il pensare stesso, in questa prospettiva, eccede la funzione contemplativa. Così, il pensiero categoriale sembra «non avere l’ultima parola», ma essere costantemente anticipato dall’agire, dal trasformare. Tuttavia, la categoria non riposa in una mera passività statica come forma vuota, anzi, essendo forma consapevole della propria incompletezza e portando in sé un contenuto di possibilità, in-

4. Theorie-Praxis: per una riarticolazione

ta». Ma ad essere tutte incompiute, in questa prospettiva, sono anche le forme categoriali dell’esserci, che perciò assumo come propria «la forma-esodo, ossia sono trasformabili; la loro “cosa”, ossia la “causa” pendente nel corso del mondo in generale, è ancora assolutamente mancante»30. La storiografia blochiana, distinguendosi da una scienza storica di carattere puramente contemplativo, utilizza categorie adeguate alla dottrina dell’ultra-figurazione, e dunque lavora con immagini, le forme-esodo, di cui riconosce il carattere strutturalmente incompiuto. Incompiutezza carica di possibilità che è propria anche del passato, cioè esattamente di ciò di cui la storiografia è ultra-figurazione. In questa prospettiva, la storiografia di Bloch si assume il compito di una comprensione del presente che non si riduce a mera contemplazione, ma che arrischia, nel gesto dell’ultra-figurazione, ad indicare un percorso possibile per la trasformazione del presente stesso. A risultare mediato, in questo modo di scrivere storia, è precisamente il rapporto tra il pensiero e l’agire sul mondo e nel mondo: in gioco non c’è solo la possibilità di realizzazione della cosa, ma la possibilità di realizzazione dello stesso realizzante. Blochianamente, non sussiste separazione tra questi livelli di possibilità, ma soggetto e oggetto devono essere colti come trasformantesi insieme nel corso dell’esperimento del mondo.

Per Bloch non si tratta di una proiezione soggettiva sulla cosa, ma dello sforzo di fare emergere l’eccedenza che è nella cosa stessa e in nessun altro luogo. L’ultra-figurazione si presenta come movimento accrescente, oltrepassante, che si dispone a ridosso di ciò che c’è di germinale negli oggetti, mediandolo dialetticamente. In questo modo, il pensiero si «mette in cammino nel mondo stesso» alla ricerca di ciò che permane come realmente pulsante nel numero sterminato dei suoi oggetti. Esso si impegna in «una conoscenza diversa dalla conoscenza rimasta puramente contemplativa», perché tesa al chiarimento delle fluide possibilità nelle cose stesse. Ciò, comunque, «non è certo destinato con sicurezza né al bene né al nihil, si trova piuttosto ad essere in viaggio, con una conoscenza attiva che interviene nelle interconnessioni; e questo movimento, secondo un detto di Aristotele, che non si può certo tacciare di scavalcamenti utopici, è un’entelechia incompiu28 EM, p. 60 [95]. 29 TE, p. 157. Cfr. K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, vol. I, trad. it. a cura di D. Cantimori, Editori Riuniti, Roma 1994, p. 414 (MEW 23, p. 393).

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della verifica metodica, come controllo di una tecnica conoscitiva, ma come sondaggio aperto nel mondo stesso e nella sua descrizione. Il conoscere non può essere né solamente un passivo raffigurare, né solamente un attivo produrre: deve riuscire, piuttosto, «ad unificare entrambi gli atti cognitivi in un ultra-figurare oggettivo-reale, in accordo e mediazione con la tendenza e la latenza di volta in volta afferrabili nelle figure del mondo»34. Il conoscere ultrafigurante sta nell’esperimento del mondo, che necessita dell’uomo, consapevolmente conoscente, come soggetto in-formante e ultra-figurante. Le categorie del nostro conoscere, sempre condizionate da un punto di vista storico-sociale, non si riducono però a queste condizioni, ma sono tentativi, seppur imperfetti, di aprire alle possibilità dei modi d’esserci e delle forme d’esserci. Esse sono manifestazioni, immagini di possibilità all’interno dell’esperimento stesso, forme-esodo che si traggono fuori da ciò che è già raggiunto, dirigendosi verso ulteriori determinazioni. Nelle tendenze e latenze delle possibilità del reale, colte tramite siffatte categorie, la realtà stessa risulta liberata dall’ipostasi di una salda necessità, dalla determinazione chiusa e compiuta, in una connessione nella quale il modo del possibile diventa primario. Bloch non si riferisce al possibile come al totalmente altro, ma come alla possibilità oggettivo-reale perdurante, «id est della materia del processo che si porta fuori inconchiusa», e quindi cifra di un movimento di identificazione aperto «nelle figure categoriali come forme-esodo»35. Ciò che per Bloch è massimamente importante è che «l’ancora irriducibile domandare, e in ciò l’enigma del mondo in generale, non venga privato di tensione con risposte fisse, tratte dal già dato, non venga costruito ad hoc in base a queste risposte e lasciato così all’oblio». Il pericolo sarebbe l’inaridimento totale, senza più domande, che colpirebbe anche il rispondere perché meramente costruito. Si liquiderebbe, così, «il problema del problema stesso», che, invece, perdura in ciò che non è ancora inquadrato e incorporato, ma solo apparentemente separato «che non 35

Ivi, p. 242 [272]. Cfr. ivi, pp. 139-149 [174-183]. Ivi, p. 243 [273].

tende, cioè indica un percorso alla trasformazione. Questo stesso «in-tendere è comune al pensare e al fare e rinvia entrambi vicendevolmente, ossia in definitiva inseparabilmente, l’uno all’altro. La via è approntata, ma la meta non sta davanti agli occhi, altrimenti non diviene, e non sarebbe una meta. Il suo sipario si alza, se siamo noi stessi a comparirvi dietro»31. Il nostro essere non è già integralmente posseduto, ma è a se stesso invisibile nell’eccesso di prossimità; per questo spinge per uscire dalla sua pura immediatezza. In ciò il nostro essere «non è null’altro che domanda e dovunque, in prima come in ultima istanza, una domanda su se stesso, sul suo determinantesi “fattoche”, che è in sé assolutamente non-determinato». La domanda viene dalla nostra meraviglia, dal nostro stupore, per il fatto che qualcosa è in generale, e coinvolge l’oscurità del “qui e ora” di ogni cosa che appare. In questo modo, Bloch non pone in nessun altro luogo il topos di questo enigma, ma lo pensa «come enigma dell’immanenza genetica e in nessun modo della trascendenza ipostatizzata»32. L’interrogare non è un’arrestarsi alla meraviglia, ma un mettersi in cammino, per tentativi, alla ricerca di una soluzione. Nella categorizzazione, il domandare «si collega con l’ipotesi, che non enuncia ancora nessuna risposta decisa, ma rende finalizzata la domanda. Le possibilità della dimostrazione vengono sviluppate nell’indagare il “come” di conferme incisive, sperimentanti, e nel formare figure anticipanti»33. Non c’è qui, dunque, nessun feticismo dei fatti, poiché l’essenza non è già comparsa, né sul piano storico né su quello naturale, ma mostra la sua empirica incompiutezza. Bloch si spinge oltre, soffermandosi su una «caratteristica del mondo» per la quale ipotesi e figure non compaiono solo sul piano metodologico: si tratta di «ipotesi reali, frammenti reali, figure reali, nel mondo, nelle prove di un paradigma mancante. Solo questi fanno valere un genuino realismo nel loro compiuto movimento come nel loro orizzonte utopico-concreto, e quindi entelechetico». Esperimento e figure non vanno intesi nel senso 32

31 Ivi, p. 239 [269]. Ivi, p. 240 [270]. Ivi, p. 241[271]. 33

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Cfr. EM, p. 251 [281].

in quanto questa vi è abbracciata, anche alla natura, visto che è insieme alla trasformazione della natura che si compie la trasformazione dei rapporti tra gli uomini40. Di un rapporto così inteso tra teoria e prassi, la storiografia blochiana, come storia del presente, si fa interamente carico.

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si adatta a tutto ciò che è esistito finora, in quanto le risposte fatte di contenuti già noti non riescono ad appagarlo». Il pungolo dello stupore dell’incontro con noi stessi (Selbstbegegnung) «rimette in discussione tutte le soluzioni già venute e può includere insieme quanto è stato tralasciato, in senso multivoco, conducendo a domande puramente e semplicemente fondamentali»36. Ma la meraviglia è anche lo scalpello per aprire una breccia nel meramente esistente, un’apertura verso una «vita nova, che non è priva di mediazioni, ma viene all’improvviso, certamente nel tempo, sebbene non ancora nella piena riuscita e nell’incorruttibile salvezza». Con ciò, Bloch distingue l’immagine escatologica della «domanda del mondo su se stesso» da ogni modello di soluzione pre-costruita37. Le categorie blochiane, in quanto tentativi di risposta ancora non esaustivi, cioè aperti, si collocano nella tensione fra domandare costruito e domanda incostruibile. L’uomo, in quanto soggetto conoscente, scopre la via «dell’autoconoscenza come domanda reale del mondo su se stesso», e quindi egli ha la funzione di rafforzare qualitativamente il suo stesso domandare». Al centro di questo interrogare si trova l’identità del soggetto con se stesso, non come vuota tautologia, né «come già fisso esser stato, bensì come non-ancora-divenuto», cioè con il carico di «un passato, spesso non liquidato, cioè nei suoi intenti non irrigidito, come futuro nel passato»38. Data questa dottrina delle categorie, per Bloch diventa insostenibile che «la teoria sia puramente applicata alla prassi, cosicché la teoria possa continuare a pensarsi, chiusa e ininterrotta». La prassi non si trova alla fine della teoria, ma, in quanto trasformazione, «decide della teoria stessa». Non si tratta di una prova ex eventu, ex effectu, ma di «un orientamento che si trova nel rapporto concreto degli uomini con gli uomini e con la natura»39. Bloch, quindi, sostiene la tesi per cui i problemi ultimi della prassi non possono essere riferiti isolatamente alla società umana, ma, 36 Ivi, p. 244 [274]. 37 Ivi, p. 245 [275]. 38 Ivi, p. 246 [276]. 39 Ivi, p. 250 [280]. Cfr. «Weltveränderung oder die Elf Thesen von Marx über Feuerbach», PH, pp. 288-334 [293-338]

Capitolo terzo

I morti tornano di nuovo. La storia in senso fecondo

Il giudizio su Müntzer continua ad essere controverso, forse perché il suo messaggio fa ancora paura.

Jacob Taubes

Il più ampio esercizio storiografico di Bloch, la monografia dedicata alla figura di Thomas Müntzer1, costituisce l’esempio più significativo di forma-esodo da lui prodotto. L’immagine della rivolta dei contadini tedeschi del 1525 è intesa da Bloch come forma adeguata di mediazione tra pensiero e politica nel preciso momento storico in cui si trova la Germania dopo la prima guerra mondiale. Essa deve essere in grado di convogliare la portata dell’evento rivoluzionario della guerra contadina con la decisione rivoluzionaria nel presente. Il tema centrale, che si mostra interconnesso tanto a elementi teologici che filosofici, è quello della comunità, rispetto al quale Bloch elabora la questione dello sblocco delle possibilità passate nella loro connessione con l’avvenire, nel tentativo di forzare la messa in forma della politica prodotta dalla concettualità moderna. Qui si apre lo spazio della teologia-politica blochiana, nella figura della “comunità oltre lo Stato”, per un trascendimento immanente della moder-

1 Come accertato dagli studi di H. Boehmer (Studien zu Thomas Müntzer, Koehler & Amelang, Leipzig 1922; Thomas Müntzer und das jüngste Deutschland, in «Allgemeine Evangelisch-Luterische Kirchenzeitung», 56, 1923) Müntzer si scrive con il tz e non con la sola z, grafia quest’ultima che invece Bloch mantiene sempre.

iii. i morti tornano di nuovo. la storia in senso fecondo

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60 la politica e l’immagine

nità, per la salvezza stessa di quest’ultima. Non contro la modernità, dunque, ma per un’altra modernità possibile.

1. Una trascendenza immanente: Novum e Ultimum

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6

4 PH, p. 1626 [1585-1586]. 5 Ivi, p. 233 [238]. Cfr. ivi, pp. 1405-1410 [1378-1383]. S. Ganis, Utopia e Stato, cit., p. 15.

Il compimento dunque si mostra sempre e solo come anticipazione, perché il carattere d’incompiutezza della speranza non può essere esaurito dialetticamente: l’Ultimum può essere pensato solo come interruzione, come «salto totale […] da tutto ciò che finora si è avuto»5. Il non-ancora utopico è dunque determinato dalla sottrazione della Meta escatologica, mancanza che si mostra nell’immanenza del processo storico e che pone sotto il segno della provvisorietà ogni realizzazione umana. Icasticamente: il tentativo blochiano è quello di pensare ad un «trascendere senza trascendenza» e quindi di mantenere unito al massimo grado, nella tensione di una polarità, la storia (il non-ancora) e l’escatologia (l’Ultimum). Dunque, Bloch non pensa ad un compimento immanente dell’immanenza: l’Ultimum è limite immanente al principio stesso della speranza: l’essere totalmente altro dell’eschaton non è coglibile in nessun altro luogo, e in nessun altro tempo, diverso dal non-ancora6. L’Ultimum «non indica, quindi, un al di là assolutamente trascendente, ma è “incarnato” nel Non-ancora quale trascendenza immanente: esso si manifesta nella forma del suo trascendere e solo in questo modo rende esperibile finanche l’insufficienza e la mancanza che caratterizzano il Non-ancora pur nella sua promessa e speranza di pienezza»7. Tentiamo ora di comprendere il significato di tutto ciò rispetto alla politica. In quanto è indisponibile all’agire umano, la “pie-

dell’antica teologia, magari mitologicamente guidato dall’alto in basso. Ma certo con questa vecchia teologia, che ricorda anche la “provvidenza”, non è discreditato lo stesso autentico problema teologico, né la vera categoria del fine, quindi dello scopo, quindi del senso si può tenere per sempre fuori o è dogmaticamente tolta dal mondo. Tanto meno in quanto proprio la tendenza implica costantemente un riferimento al fine; in quanto senza tale riferimento al fine un progresso non potrebbe né essere misurato né essere presente obiettivamente e realmente. […] E la verità della teologia non consiste dunque mai di scopi già dati, ma di scopi che si formano soltanto nel processo attivo, nascendone sempre di nuovo e arricchendosi4.

L’utopia blochiana può essere considerata una teologia politica nella misura in cui in essa si scopre la congiunzione dell’escatologia con storia e politica2. Se il Principio speranza, proprio perché Prinzip, si rivela essere strutturalmente intrastorico, allora la speranza stessa, per non essere vuota passività, deve essere pensata come in potenza soddisfabile nella Meta escatologica. Quindi non è proponibile separare, nel pensiero di Bloch, il tema del Novum dalla categoria dell’Ultimum, cioè non è possibile, come pur fanno importanti interpretazioni3, relativizzare la politica per via teologica. Il Novum storico rappresenta l’anticipazione messianica della fine, cioè partecipa di un’eternità che resta futura determinandosi così come non-ancora. Questo non-ancora non è come se nell’atomo o nei “differenziali” subatomici della materia fosse già presente e rimpicciolito nella sua “disposizione”, come incapsulato, tutto quel che poi risulta o risulterà. Tale concezione arretrata del non-ancora sopprimerebbe o non capirebbe proprio il salto dialettico nel nuovo. Altrettanto ovviamente nella tendenza-latenza del processo materiale, dialettica e aperta al novum, non si trova alcuno scopo preordinato, dunque ugualmente posto bell’e pronto, al modo 2 In questo capitolo si tenta di riprendere e di sviluppare autonomamente alcune tesi proposte da S. Ganis, Utopia e Stato. Teologia e politica nel pensiero di Ernst Bloch, Unipress, Padova 1996, che ha rappresentato, per chi scrive, il primo e fondamentale approccio al pensiero politico di Bloch, e che rimane, a livello internazionale, il contributo decisivo per comprendere la teologia politica blochiana, sviluppata negli scritti degli anni 1918-23. Ciononostante, la linea interpretativa fin qui sostenuta conduce a conclusioni e giudizi piuttosto diversi da quelli di Ganis circa il pensiero blochiano posteriore al 1923, in riferimento ai suoi rapporti con il marxismo e con la vicenda del socialismo reale. Il quarto paragrafo di questo capitolo chiarirà queste divergenze. 3 Cfr. H.E. Schiller, Metaphysik und Gesellschaftskritik. Zur Konkretisierung der Utopie im Werk Ernst Blochs, Athenaeum-Hain-Scriptor-Hanstein, Königstein/Ts. 1982; e J. Moltman, Teologia della speranza. Ricerche sui fondamenti e sulle implicazioni di una escatologia cristiana, trad. it. a cura di A. Comba, Queriniana, Brescia 1970.

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iii. i morti tornano di nuovo. la storia in senso fecondo

la politica e l’immagine

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re sperata, con l’unico presupposto ineludibile della sua assenza, con il suo radicale toglimento come condizione (Zustand). La Heimat non si presenta, allora, come uno stato di natura, ma come non-ancora, mai divenuto, e perciò come il Novum della Meta utopica. La forza della mossa blochiana è quella di porsi sullo stesso terreno heimatloss della modernità, situando l’utopia all’altezza della crisi e della rottura inaugurate da essa, per guadagnare l’idea di un ordine naturale che, procedendo da una condizione di assenza e vuoto d’identità, non riproduca l’artificio statuale della Macht, ma ad una comunità sciolta e libera dalla scissione rappresentativa nella quale è costituito il soggetto politico moderno. Ciò significa che in Bloch la congiunzione teologico-politica non ha nulla a che vedere con la tentazione di colmare l’imperfezione nella finzione di una sostanza autentica della comunità, che sarebbe fondata sulla pretesa della piena conoscenza del Bene. Il legame nella comunità è fedeltà ad una mancanza, cioè ad un universale che impedisce alla comunità di pensarsi come un insieme chiuso o di universalizzarsi come un particolare: dal lato dell’origine essa è aperta a tutti. Ciò che in questa prospettiva letteralmente sparisce è la “forma” Stato: in Bloch, infatti, ad essere utopica è la “forma” stessa, pensata perennemente in avvenire, mai dimentica del suo momento sorgivo. In altre parole, in Bloch non è pensabile alcuna messa in forma dell’ordine attraverso la sua rappresentazione, mentre la teoria politica moderna nega, proprio attraverso il concetto di rappresentanza, la dimensione del futuro e fissa l’ordine nella condizione alienante di un passato non più disponibile10.

10 In tutte le costruzioni giusnaturalistiche l’ordine è concepito, nella “forma” Stato, come ciò che è già da sempre formato e la figura del contratto, centro di quella tradizione, subordina integralmente gli individui privandoli della possibilità stessa di agire politicamente, cfr. G. Fiaschi, I diritti di chi? Il soggetto e l’ingranaggio, in A. Tarantino (a cura di), Filosofia e politica dei diritti umani nel terzo millennio, Giuffrè, Milano 2003, pp. 288-364.

nezza della realizzazione” è limite immanente alla politica e pertanto ne occupa lo stesso luogo: essa ne è l’origine (Ur-sprung), in senso tecnico-filosofico. Per Bloch si tratta della fedeltà ad un’assenza. L’assenza della perfezione dell’ordine delle cose umane8, di una sua realizzabile pienezza. Solo a partire da questa assenza, e nell’operare immanente di questa assenza, è possibile pensare all’edificazione della comunità quale specifica qualità del rapporto inter-umano9. In questo passaggio, certamente, riecheggia il mito di un fondamento (Ur-zustand), ma in esso non agisce nessuna pulsione regressiva. Non si tratta, infatti, di figurare il ritorno ad uno stato iniziale, cosa che ridurrebbe la figura dell’origine ad una rappresentazione della condizione edenica, e dunque ad una mitologia. L’origine (Ursprung) non ha nulla a che vedere con una provenienza temporale (Herkunft), con un primum cronologico che, proprio perché già divenuto, negherebbe la dimensione del Novum che l’utopia vuole portare al centro del proprio intento filosofico e pratico. Se in Bloch si vuole parlare di una naturalità dell’ordine, lo si può fare solo considerandola quale meta utopica. Con ciò l’utopia risulta scevra da qualsiasi tratto nostalgico, consapevole di non poter adagiarsi sul presupposto di una “già da sempre data” naturalità dell’ordine delle cose umane. In questo senso, l’utopia blochiana fa propria la rottura giusnaturalistica con l’antico concetto di cosmo e la radicalizza. Essa si colloca sullo stesso piano della Zeitwende moderna e, proprio per questo, la trascende superando ogni posizione che si attesti nell’esteriorità rispetto ad essa e dunque nell’impossibilità di oltrepassarla. Non si tratta, per Bloch, di rifiutare la modernità, ma di compierla radicalizzando la sua medesima premessa: la dissoluzione di ogni presupposto, la desertificazione nichilistica di ogni radice e di ogni tradizione. Perciò la Heimat (patria, intesa tanto come origine tanto come destinazione) non può essere cercata all’indietro, ma deve esse8 Nel libro sul Naturrecht ciò vale in maniera specifica per la figura del matriarcato, cfr. NR, p. 132 [104]. 9 Cfr. R. Panattoni (a cura di), La comunità. La sua legge, la sua giustizia, Il Poligrafo, Padova 2000.

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2. Il dio superfluo: ateismo e comunità

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Con l’intento di esplicitare il significato della teologia-politica blochiana, ne sondiamo ora i luoghi genetici. Partiamo perciò da quello più dirimente: la morte di Dio11. Nella prima edizione del Geist der Utopie (1918) l’annuncio nietzscheano è assunto come chiave di volta per scardinare quella che Bloch riconosce essere l’atmosfera intellettuale del proprio tempo12. La critica blochiana poggia su di un piano immanente: egli non utilizza, contra nihilismus, la “morte di Dio” per rovesciarla immediatamente nella proposta di un qualche assoluto destinato a riempire positivamente il vuoto apertosi con la crisi delle nozioni metafisiche tradizionali di Dio, trascendenza, verità. Egli sembra piuttosto guardare, nietzscheanamente, all’oltrepassamento del nichilismo, cioè alla sua negazione in quanto dottrina oggettivante. Si tratta di farsi carico fino in fondo dell’attraversamento di un mondo abbandonato da Dio, e quindi sbarazzarsi della re-ligio teistica in quanto ingombrante cadavere putrescente, scoprendo nell’ateismo lo spazio della speranza. L’istanza nietzscheana permette a Bloch di designare messianicamente il suo approccio alla politica, che trova il proprio centro nella nozione utopica, ateo-religiosa, della Heimat, vero e proprio «apriori di tutta la politica e la cultura»13, «principio 11 La “morte di Dio”, che Nietzsche fa annunciare dall’uomo folle, il quale piomba in mezzo ai molti che in Dio non credono, si rivela fondamentalmente un assassinio: l’uomo stesso ha ucciso Dio (cfr. F. Nietzsche, La gaia scienza, § 125, in Opere di Friederich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, voll. I-VIII, Adelphi, Milano 1964-1982, vol. V, tomo II, pp. 129-130). Nietzsche non intende sacrificare Dio in favore del Nulla, poiché riconoscendo la verità mortale secondo cui Dio è morto mira a trasformarla in una verità vivificante, o piuttosto a scoprire nell’abisso della verità mortale il suo opposto […]. Il suo ateismo non è privo di ambiguità, giacché egli dubitava che vi possa essere un mondo, un mondo qualsiasi, il cui centro non sia Dio», L. Strauss, Note on the plan of Nietzsche’s Beyond good and evil (1973), in Studies in platonic political philosophy, a cura di J. Cropsey, T.L. Pangle, The University of Chicago Press, Chicago/London 1983, pp. 180-181 [trad. it. in Gerusalemme e Atene. Studi sul pensiero politico dell’Occidente, a cura di R. Esposito, Einaudi, Torino 1998, pp. 342-343]; cfr. F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, § 150, in Opere di Friedrich Nietzsche, cit., vol. IV, tomo II, p. 79. 12 Cfr. GdU 1918, pp. 235-342, con particolare attenzione al paragrafo intitolato «Nietzsche, die Kirche und die Philosophie», pp. 267-270. 13 GdU 1918, p. 341.

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metareligioso di ogni rivoluzione»14. In questa chiave va considerata la posizione storico-filosofica della comunità. Si tratta allora di pensare alla penetrazione ultima di un assoluto nel quale l’umanità riconosca se stessa come problema inesauribile. In questo modo Bloch affida la mediazione tra il non-ancora e l’Ultimum a qualcosa che, solo secondo una prima approssimazione, si potrebbe nominare come “soggetto collettivo”, ricomposizione che, nella sua tensione ad abbattere tutti quegli ostacoli che si frappongono al «diventare identici» (cioè uomini in quanto uomini), coincide con la parte degli sfruttati e degli oppressi. Blochianamente risulta dunque impossibile scindere il problema dell’ingiustizia socio-economica dall’anticipazione comunitaria del Regno messianico. In questa prospettiva interpretativa, nell’esercizio storiografico del 1921, Thomas Müntzer svolge il ruolo di controfigura di questa necessaria integralità dell’azione rivoluzionaria. Con questa mossa Bloch si presenta come il pre-figuratore di uno spazio-tempo post-metafisico e post-statuale. L’oltrepassamento della “forma Stato”, nell’utopia, è legato alla possibilità di pensare il trascendimento epocale della condizione nichilistica e del vuoto, o piano perfettamente liscio, annunciato dall’incipiente infrazione della soluzione moderna al problema dell’ordine. Qui si apre lo spazio della teologia-politica blochiana, nella figura della comunità oltre lo Stato, nel tentativo di “attraversare il deserto” fino in fondo, per un trascendimento immanente della modernità e, quindi, per la salvezza stessa di quest’ultima. Non contro la modernità, dunque, ma per un’altra modernità possibile. Qui si mostra nella sua forza motoria il “simbolo speranza”, «perfettamente sovrapponibile alla figura cristologica che, incarnata comunitariamente, rappresenta un ponte gettato senza approdi tra tenebra e luce, tra l’oscuramento e la miseria del tempo presente e la possibilità di un nuovo rapporto con la verità. Simbolo antitragico proiettato verso la meta prossima ventura di una nuova unità, il Cristo blochiano è la categoria metapolitica centrale dell’utopia. Nella forma del Non-ancora

14 TM, p. 210 [188]. Per il Bloch maturo, tanto l’umano quanto il naturale devono alla fine pervenire allo svelamento del loro nocciolo ancora segreto e nascosto nella Heimat, cfr. AC, pp. 23-25 [31-33].

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essa si fa carico dell’esodo dalla condizione moderna della politica, il silenzio della verità, ed opta per l’unità (Heimat) ravvisandone la possibilità nell’approfondimento e nella piena assunzione di quel nichilismo dal quale l’Uno deve risorgere nelle vesti di un nuovo mito [immagine] incarnato nel simbolo metareligioso del Regno senza Dio»15. Nella prima edizione del Geist, il simbolo cristologico funge letteralmente da cardine per l’articolazione che Bloch stabilisce tra gli opposti domini di vita e forma16. Tale articolazione si muove tra l’estremo della negatività e dell’immediatezza dell’inizio (l’attimo vissuto), e quello dell’ultimo, il non ancora apparso, l’idea utopica. Nella loro tensione, questi estremi convivono all’interno della categoria cristologica, il primo come “non ancora dissolta oscurità”, il secondo come “già meta”, ma non ancora presente17. Nel tentativo di gettare il ponte senza approdi tra immanenza e trascendenza figurato dal simbolo cristologico, Bloch si distanzia dalla radicalizzazione lukácsiana del contrasto tra forma e vita18. In Lukács, infatti, il concetto di forma ha la caratteristica di plasmare la realtà, eliminando da essa l’indeterminatezza del possibile. Nella forma il possibile si cristallizza

19 «Nella tragedia la possibilità originaria di un’anima diventa la sola realtà», Id., Metafisica della tragedia, cit., p. 323. A questo proposito Bloch nota come in questo modo la realtà assuma il carattere della necessità, cfr. GdU, p. 251 [255]. 20 GdU 1918, pp. 336-338. 21 GdU, p. 135 [135]. Ponendosi al di là della contrapposizione tra tragedia e romanzo, Bloch si concentra sulla figura dell’eroe comico, cfr. ivi, pp. 252-257 [256261]. Esso, lacerato e sanguinante, si contrappone all’eroe tragico “compiuto”, alla sua intangibile atemporalità. L’in-compiutezza dell’eroe comico traspare dal riso, presagio del positivo che toglie compattezza all’assolutezza del destino tragico ed è traccia di un possibile e differente esito del quale l’eroe comico si fa annunciatore. Il Cristo blochiano incarna precisamente questa figura. Cfr. G. Cunico, Messianismo dionisiaco. Percorsi “apocrifi” per una rilettura di Nietzsche, Marietti, Genova 1992. 22 Cfr. D. Krochmalnik, Ernst Bloch Exkurs über die Juden, in «Bloch Almanach», 13, 1993, pp. 39-58. 23 GdU 1918, p. 329.

nell’unica possibilità decisa dal conio della forma stessa, cioè diviene realtà19. L’utopia blochiana rovescia integralmente questa prospettiva, scoprendo nella forma stessa l’essere sempre in possibilità. Se per Lukács l’opacità e la granularità della vita trova purificazione nella forma, in Bloch la negatività dell’oscuro dell’attimo vissuto non coincide con un assoluto nulla già deciso, ma con un vuoto «che si trasforma nello sfondo realmente partecipe» dove risalta la latenza del soggetto stesso. Se nel Geist der Utopie il tentativo di una ricomposizione della totalità è rifiutato seccamente, altrettanto decisamente Bloch non rinuncia ad una riarticolazione processuale di immanenza e trascendenza, di storia e redenzione. Il progetto blochiano del 1918 è, in questo senso, il tentativo di un «sistema del messianismo teoretico»20, orientato verso la soluzione escatologica del problema della verità, «del puro fondamento mantenuto aperto e tuttavia rimasto misterioso»21. Il Symbol blochiano, facendo perno sulla cristologia, getta un ponte tra storia e redenzione ma, allo stesso tempo, rende utopica l’idea di conciliazione22. Tra storia e redenzione, infatti, non si danno né assoluta discontinuità, né superamento dialettico capace di togliere, in un terzo e superiore momento, non-identità e identità. Certamente, Bloch si riferisce ad un «Terzo, oltre l’ebreo e Cristo»23, e dunque ad una tensione verso l’adempimento e la conciliazione; si tratta del Messia di un Terzo Testamento che guida l’ebreo, «l’esule in senso proprio, l’escluso dalla sto-

15 S. Ganis, Utopia e Stato, cit., p. 22 (cfr. ibid., note 34-35). Il rapporto tra la figura cristologica e la nozione di categoria è ribadito in EM, p. 208 [240]. 16 Questo pensiero precede di molto la stesura del testo, ed è già presentato in una lettera a Lukács del 12.7.1911, cfr. Briefe I, p. 41. Il tema viene esposto ampiamente in «Symbol: die Juden», Gdu 1918, pp. 319-332. Come risulta dalla riedizione successiva (DW, pp. 122-147) questo scritto risale al biennio 1912/13. Per un’analisi dettagliata del testo e della vicenda della sua composizione cfr. G. Bonola, L’impulso dello spirito ebraico all’utopia. Ernst Bloch letto da Walter Benjamin e Gershom Scholem (1919/1920), in M. Ponzi-B. Witte (a cura di), Teologia e politica. Walter Benjamin e un paradigma del moderno, Nino Aragno, Torino, pp. 259-314. 17 Cfr. GdU, p. 295 [315]. 18 Cfr. G. Lukács, Metafisica della tragedia, in Id., L’anima e le forme, cit., pp. 303-347; Id., Epistolario. 1902-1917, a cura di E. Karati e E. Fekete, Editori Riuniti, Roma 1984, p. 238. A tale contrapposizione si sovrappone l’alternativa tra l’unicità di senso propria della tragedia e l’assenza di senso del romance, dramma religioso di un’epoca senza religione, cfr. Id., Il problema del dramma non-tragico (1911), in Id., Scritti sul romance, trad. it. a cura di M. Cometa, il Mulino, Bologna 1982, pp. 42-73; Id., Teoria del romanzo. Saggio storico-filosofico sulle forme della grande epica (1920), trad. it. a cura di G. Raciti, SE, Milano 2004. Su questi temi cfr. M. Cacciari, Metafisica della gioventù, Introduzione a G. Lukács, Diario (1910-1911), trad. it. a cura di G. Caramore, Adelphi, Milano 1983, pp. 69-148.

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fuori da ogni processualità, come ribaltamento repentino e improvviso degli estremi uno nell’altro31. Quella del giovane Benjamin32 si configura come una critica immanente alla politica e alla sua essenza nichilistica. Egli vuole mostrare la coappartenenza di nichilismo e redenzione poiché il “messianico” è in grado di trascendere la Gewalt soltanto occupandone interamente il luogo33. La “nientificazione”34 del potere statale – la rivoluzione come altro da una politica intesa come presa e conservazione del potere – confluisce nel movimento redentivo, ovvero in quell’altro genere di Gewalt che apre alla giustizia, elemento eccedente la forma dell’ordine giuridico ma immanente all’ordine stesso35. La rivoluzione sembra interessare a Benjamin solo per la paradossalità di questo movimento, che trascende la politica radicalizzandone l’immanenza e l’autonoma direzione. Allo stesso modo, l’idea comunitaria di Bloch nasce sul terreno del nichilismo in quanto suo immanente rovesciamento attraverso il simbolo ateo della metareligione36. Politica e redenzione

sul concetto di storia tra i due autori cfr. A. Luther, Variationen über die Endzeit. Bloch contra Benjamin, in «Bloch Almanach», 4, 1984, pp. 57-73; H.E. Schiller, Jetzeit und Entwicklung. Geschichte bei Ernst Bloch und Walter Benjamin, in H.L. Arnold (a cura di), Ernst Bloch Text+Kritik, Text+Kritik, München 1985, pp. 175193; W. Letschka, „Geburt der Utopie aus dem Geist der Destruktion“. Anmerkungen zu allegorische Strukturen in der Geschichtsphilosophie Blochs und Benjamin, in «Bloch Almanach», 18, 1999, pp. 43-69. 31 Cfr. S. Ganis, L’ordine della redenzione. Benjamin e il politico, in «Trimestre», 1-2, 1991, pp. 45-86. Questo saggio, che risalta per profondità e acume nella letteratura sul pensiero politico di Benjamin, ha il merito di evidenziare come nell’autore si apra la strada ad una teologia politica esorbitante il paradigma della secolarizzazione. 32 Cfr. W. Benjamin, Zur Kritik der Gewalt (1921), in Id., Gesammelte Schriften, II, 1, cit., pp. 179-203 (trad. it. Per la critica della violenza, in Id., Angelus Novus, a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino 1962, pp. 5-30). 33 Cfr. «Philosophie der Gewalt oder Gewalt der Philosophie» (1972), in TLU, pp. 233-245. 34 Cfr. H. Eidam, Strumpf und Handschuh. Der Begriff der nichtexistenten und die Gestalt der unkonstruierbaren Frage. Walter Benjamin Verhältnis zum Geist der Utopie Ernst Blochs, Königshausen & Neumann, Würzburg 1992. 35 Cfr. M. Tomba, La «vera politica», cit., pp. 205-255. 36 Da questo punto di vista va certamente smussata la distanza tra il pensiero di Benjamin e quello di Bloch, distanza esacerbata da molti interpreti benjaminiani, che hanno spesso finito per produrre un’immagine piuttosto stereotipata della posizione blochiana. Utile per una rivalutazione complessiva del rapporto tra Bloch e Benjamin

ria»24, nell’esodo dalla condizione stessa dell’esilio25. Tuttavia, seguendo la categoria blochiana di Ultimum, questo Terzo sta sempre e soltanto nella dimensione compiuta e contemporaneamente aperta della Meta escatologica, del non-ancora26. In questo modo Bloch non assolutizza né la lacerazione (l’esilio), né la conciliazione: egli intende fare del non-ancora utopico il luogo di un’identificazione aperta, inconclusa. La mediazione cristologica ci consegna così una Aufhebung processuale del negativo (una negazione della negazione) che sempre di nuovo inizia a cominciare. L’utopia, allora, non garantisce nessuna conciliazione, ma la consegna alla dimensione della speranza, storicizzando così la lacerazione. La cristologia blochiana non è dunque né cristiana, né ebraica: il Messia non è già venuto nel Cristo, ma è comunque annunciato, e quindi anticipato, dalla figura storica di Gesù27. Walter Benjamin, che pur riconosce a Bloch il merito di aver «negato con ogni forza il significato politico della teocrazia»28, rifiuta l’impostazione processuale del rapporto tra storia e redenzione. Nel Theologisch-politisches Fragment – traccia di una recensione alla prima edizione del Geist der Utopie29 –, Benjamin evidenzia una relazione disgiunta tra tempo profano e tempo messianico, che nega l’articolazione positiva e lineare di storia e redenzione, e al contempo impedisce di pensare la mediazione cristologica tra i due ambiti30. Questo rapporto è invece compreso, 24 Ivi, p. 327. 25 Cfr. S. Ganis, Utopia e Stato, cit., p. 69. 26 Cfr. GdU 1918, p. 332. 27 Cfr. AC, pp. 70-72; 78 e ss. [77-79; 84 e ss.]; TE, pp. 185; 374. 28 W. Benjamin, Theologisch-politisches Fragment (1920 circa), in Id., Gesammelte Schriften, II, 1, a cura di R. Tiedeman e H. Schweppenhäuser, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1980, pp. 203-204 (trad. it. Frammento teologico-politico, in Id., Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Einaudi, Torino 1997, pp. 254255). Su teocrazia e anarchia nell’ebraismo tedesco, fondamentale il testo di G. Guerra, Judentum zwischen Anarchie und Theokratie. Eine religionspoltische Diskussion am Beispiel der Begegnung zwischen Walter Benjamin und Gershom Scholem, Aisthesis Verlag, Bielefeld 2007. 29 Gershom Sholem ricostruisce la vicenda di questa recensione in Walter Benjamin – Storia di un’amicizia (1975), trad. it. a cura di E. Castellani-C.A. Bonadies, Adelphi, Milano 2008, pp. 129-131, 142-145. 30 Cfr. H. Wißkirchen, Die humane Kraft des Denkens. Die frühen Philosophie Blochs und Benjamins, in «Bloch Almanach», 7, 1987, pp. 53-79; per un confronto

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TM, p. 165 [152].

non possono risolversi in un immediato ribaltamento (Umschlag, in senso tecnico) dell’una nell’altra: al centro della loro relazione sta la categoria cristologica e dunque la figura della mediazione37. Da questo punto di vista, la categoria cristologica blochiana contiene in nuce la definizione della politica come «arte del possibile»38, in cui convivono il fattore soggettivo – l’autonoma soggettività indeducibile da ogni determinismo storico ed economico – e quello della possibilità oggettiva – l’essere secondo la possibilità della materia sociale – e dunque contro il mero arbitrio soggettivo. Per Bloch, dunque, Benjamin rischia di perdere il senso della determinatezza storica in quanto, assolutizzando la discontinuità, separa la Jetztzeit da ogni mediazione concreta39. A ciò è stato obiettato, certo con efficacia, che «l’istanza della mediazione con il processo e il rifiuto di assolutizzare il discontinuo rischiano, a loro volta, di schiacciare la Jetztzeit tra la negatività del presente dato e la negatività del non-ancora. […] Anzi il sospetto e che, dagli anni Trenta in poi, la politica rischi di ridursi soltanto a questione tecnica, cioè tattica organizzativa e propagandistica, mentre il simbolo della redenzione rischia di perdere, a causa di questo passaggio, ogni rapporto con la prassi della liberazione»40. Tuttavia, nel tentativo di superare questa obiezione, è possibile, mediante una considerazione sincronica dell’opera di Bloch, senza voler con ciò nascondere variazioni e fratture nella sua riflessione, leggere il potenziamento della fun-

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zione del simbolo della redenzione nell’immagine intesa come forma-esodo – categoria storica centrale – e con essa ritrovare nel sistema aperto dell’esperimento del mondo l’adeguata mise à jour del sistema del messianismo teoretico. Il piano della mediazione risulta certamente spostato: gli estremi tra cui esso è posto non sono più, nel Bloch maturo, storia/redenzione ma pensiero/ politica(storia). Ciò non rappresenta il tradimento del tema della comunità e la riduzione della politica a organizzazione e propaganda, ma incarna il tentativo estremo di pensare sistematicamente il rapporto teoria-prassi senza schiacciarlo su di un piano di astratta e illusoria necessità e chiusura, lo stesso pericolo che il giovane Bloch indicava riferendosi alle mortifere illusioni delle escatologie realizzate. Negli scritti blochiani del quinquennio 1918-23, la comunità utopica è, dunque, soltanto quella nella quale l’orizzonte unitario del senso eccede ogni in-sé già determinato, ogni rappresentazione del valore, producendosi, invece, nella decisione priva di presupposti di dare alla storia il suo fine. La teologia politica blochiana rifiuta di riempire in modo fittizio il vuoto scavato dalla secolarizzazione e lasciato aperto dallo gnosticismo liberale. Il tema della comunità è, infatti, pensato all’interno di un orizzonte post-statuale, segnato dalla crisi delle nozioni metafisiche di verità, Dio, trascendenza. Non vi è nessuna tentazione di fingere una sostanza autentica della comunità identificandola positivamente con popolo e razza, sangue e suolo, biologisticamente, etnicamente, culturalmente, rischio che si è sempre corso, e ancor oggi si corre, nella perversa ricerca d’identità che diviene immediatamente nichilistica in quanto scatena la distruzione del nonidentico in nome del proprio radicamento, concepito alla stregua di una proprietà da tutelare ad ogni costo. Nel Thomas Münzer Bloch prende decisamente le distanze da ogni idea comunitaria che voglia «sopprimere l’età moderna anziché salvarla»41. La modernità può essere salvata soltanto se il tentativo di ri-teologizzazione della politica procede dall’interno della condizione dell’assenza di Dio, per consumarne processualmente la negatività facendosi carico della crisi che essa ha pro-

il contributo di L. Boella, Pensare e narrare, Introduzione a E. Bloch, Tracce, a cura di L. Boella, Garzanti, Milano 2006, pp. v-il. 37 Remo Bodei nota che Bloch avverte una sorta sospetto nei confronti del «putschismo temporale» di Benjamin, Multiversum, cit., p. 78. 38 «Über Politik als Kunst des Möglichen» (1964), in PM, pp. 409-429. 39 Cfr. EdZ, pp. 370-371 [310-311]; EM, p. 259 [288]; PhA, pp. 154-155; TE, pp. 322, 327, 333-334. Questa critica vale probabilmente a ragione per Zur Kritik der Gewalt, ma andrebbe ricalibrata a ridosso delle tesi benjaminiane Über den Begriff der Geschichte (1940), in W. Benjamin, Gesammelte Schriften, cit., I, 3, trad. it. Sul concetto di storia, cit., pp. 20-57, soprattutto in riferimento alla tesi IV, cfr. ivi, p. 25. Anzi, molto probabilmente già il Benjamin di Einbahnstrasse (1928) (in Id., Gesammelte Schriften, cit., IV, 1, pp. 83-148, trad. it. Strada a senso unico, a cura di G. Schiavoni, Torino, Einaudi, 2006) ha una comprensione più complessa della politica e dell’intervento politico: «Intervento, rischio, e rapidità del politico sono una questione di tecnica, non di cavalleria», ivi, p. 44. 40 S. Ganis, Utopia e Stato, cit., pp. 73-74.

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dotto. Incentrandosi sull’incostruibilità dell’unità, e dunque sull’inesauribile problematicità dell’idea di ordine, il simbolo comunitario attraversa la povertà di un’epoca in cui l’unità è già da sempre assente e fa di questa mancanza il terreno stesso da cui si produce, senza presupposti, la decisione per il senso e per l’unità. La temporalità del simbolo comunitario è allora sempre e solo quella di un presente vivente ed eterno dell’Uno che deve essere sempre di nuovo deciso perché o è adesso, oppure non è mai stato prima («Es ist Zeit», se non ora, quando? Se non noi, chi?). In tal modo, Bloch toglie l’assolutezza di ogni “cattiva immaginazione” che intenda l’assenza e la distruzione del senso come un nulla già deciso e privo di speranza, come fissazione, a suo modo rassicurante, di una perdita irrimediabile. Nel simbolo della comunità escatologica si compie, invece, una salvifica destructio destructionis che mostra la nullità della stessa “assenza di Dio”, facendo comparire «nel mito, il mito di questo vuoto: così quel vuoto si colmerà a metà gettando luce sul mito successivo, quello dell’umanità escatologica»42. Lo spazio per il mito della comunità escatologica si apre, allora, nella presa di distanza da ogni rappresentazione dell’ordine buono. L’utopia blochiana si determina così come infrazione di ogni modello: la forma politica in se stessa viene pensata come problema incostruibile, come l’incostruibile problema del noi (Wir-Problem), come problematica esperienza sperimentale perennemente aperta sulla propria origine. Va specificato come non si tratti di una nuova rappresentazione dell’umano, né di una visione umanistica che assolutizza la soggettività; al contrario, per Bloch il simbolo comunitario libera nell’uomo la possibilità di rilanciare un legame collettivo con la verità e di ricongiungersi ad una prassi che lo rende partecipe dell’eternità. In ciò esso mostra la propria extraterritorialità rispetto alla forma-Stato quale risposta alla necessità storica della produzione di un ordine capace di controllare il conflitto religioso che spezzò l’unità dell’Europa43. 42 GdU 1918, p. 341. 43 Cfr. C. Schmitt, Il Leviatano nella dottrina dello stato di Thomas Hobbes, in Id., Scritti su Thomas Hobbes, a cura di C. Galli, Giuffrè, Milano 1986, pp. 64-143.

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Questo artificio secolare sbarra la possibilità di un riferimento sostanziale alla Veritas: in quanto lo Stato moderno nasce dal crollo dell’Unitas christiana, esso deve neutralizzare ogni riferimento a sostanze teologiche o dottrinali foriere, ormai, solo di un’inestricabile conflittualità44. Nella strumentalità dell’esperienza politica moderna, e nella riduzione “macchinica” dell’ordine politico, si misura la distanza dell’artificio dall’unità sostanziale del simbolo e quindi la scomparsa di ogni rapporto con l’escatologia45. Carl Schmitt è colui che forse in modo più radicale ha assunto come luogo genetico del proprio pensiero questa perdita. Egli mostra assai chiaramente46 che il distacco dalla dimensione simbolica dell’Unitas christiana rappresenta un punto di assoluto non-ritorno. Nella neutralizzazione e spoliticizzazione dell’epoca moderna il punto di tenuta dell’ordine deve sempre essere spostato in avanti, perso e di nuovo conquistato, ma senza nessun superamento dialettico, senza alcuna riconciliazione dell’esperienza del distacco e della perdita, origine stessa dell’Europa statuale. Schmitt rigetta ogni prospettiva di rifondazione e nega con ciò ogni “filosofia della storia” declinata sull’identità modernità-decadenza47. Con Nietzsche, egli è consapevole, come lo è Bloch, che la via “all’indietro” non è percorribile; egli, però, stende uno sguardo luttuoso sulla vicenda della modernità, limi-

44 Cfr. R. Koselleck, Critica illuministica e crisi della società borghese, trad. it. di G. Panzieri, il Mulino, Bologna 1972, pp. 17-68. 45 Cfr. W. Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels (1928), in Id., Gesammelte Schriften, cit, I, 1; trad. it. Il dramma barocco tedesco, a cura di G. Schiavoni, Einuadi, Torino 1999, dove emerge chiaramente come alla teologia politica che innerva il dispositivo concettuale dello Stato appartenga una coessenziale dimensione mortifera; cfr. M. Makropoulos, Modernität als ontologischer Ausnahmenzustand? Walter Benjamins Theorie der Moderne, Fink, München 1989, pp. 23-59. Negli anni di Weimar la risposta moderna al problema dell’ordine politico mostra tutta la sua transitorietà, in quanto la sovranità statale sembra non avere più il monopolio del “politico”, riproponendo così il tema della “decisione” e la sua assenza di un presupposto di senso. L’ordine artificiale che dalla decisione è istituito (cfr. C. Schmitt, Teologia politica (1922-1934), in Id., Le categorie del “politico”, a cura di G. Miglio e P. Schiera, il Mulino, Bologna 1998, pp. 27-86) è sempre necessario, ma anche, nella sua infondatezza, sempre distante dalla pienezza della “forma”. 46 Cfr. C. Schmitt, Il concetto di politico (1932), in Id., Le categorie del “politico”, cit., «L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni», pp. 167-183. 47 Cfr. Id., Cattolicesimo romano e forma politica, a cura di C. Galli, Giuffrè, Milano 1986, pp. 73-85.

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PhA, p. 209.

tandosi a osservarne con malinconico disincanto il suo essere «una necessaria disperazione»48. L’utopia di Bloch si distanzia nettamente da questo sguardo luttuoso gettato sugli esiti della secolarizzazione. Se in Schmitt si assiste, infatti, quasi ad una apologia della dimensione gottlos e della conseguente necessità di pensare ad un katechon49, Bloch tenta, invece, di far emergere dal nichilismo stesso un pensiero dell’unitas a partire dall’assenza della Heimat. Nell’utopia egli approfondisce il processo moderno di immanentizzazione, ma lo rovescia rigettando nel modo più netto lo schema teologico della caduta, che finirebbe inevitabilmente per produrre una giustificazione del potere. Rispetto all’apocalittica negativa insita nella teologia politica schmittiana, in se stessa disperata e perciò indirettamente apologetica dell’ordine moderno, la politica in Bloch si caratterizza proprio per il suo essenziale riferimento al principio speranza. Il significato filosofico e storico di quest’ultimo deassolutizza la condizione del “vuoto di Dio”, rovesciandola nel nulla di quello stesso vuoto. Su questo nulla poggiano le fondamenta del ponte gettato in avanti verso la Heimat, intesa non come da sempre già perduta, ma come sempre ancora da raggiungere. Nell’idea di blochiana di comunità, l’umano si emancipa dalla rappresentazione antropologica, costruita dalla teoria politica moderna di matrice giusnaturalistica, che lo incatena alla sua finitudine, al suo essere-per-la-morte e libera, nell’umano stesso, nella piena immanenza dell’esserci-nel-mondo, l’immortale. La relazione dell’umano con l’immortale “che è in lui” coincide con la sostanza del legame comunitario che mette in relazione gli uomini nel loro comune non-essere-ancora, cioè, a quella che in un saggio del 1920 sulla doppia natura dell’umanità Bloch defi-

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nisce «eternità presente e futura del Regno messianico»50. È questo lo spazio di quel «nuovo legame» (Neue Verbindlichkeit) di cui Bloch parla a Lukács già nel l911: un ambito della relazione interumana originariamente extra-autoritario, perché slegato dalla rappresentazione creaturale dell’uomo sulla quale si fonda modernamente l’artificio del potere. L’“identità”, che indica la presenza escatologica del volto rivelato dell’uomo, è intesa da Bloch in senso redentivo. Essa è il simbolo della partecipazione dell’uomo all’immortale e non lo stigma della scissione nella quale si costituisce modernamente il soggetto del potere, identico a se stesso in quanto rappresentato da un altro al cospetto del quale il soggetto compare sempre e solo come nuda vita mortale. Qui il riferimento blochiano è al nucleo simbolico e messianico del “diritto naturale assoluto” delle sette ereticali, che egli racchiude nella declinazione utopica del nome “identità”. Bloch cerca di aprire in quel nome lo spazio di una nuova possibilità – dato che il monopolio della rappresentazione statuale su di esso sembra poter essere infranto – prima che esso si perda nell’esito nichilistico implicito nella sua perversione fascista. In questo, la riflessione del primo Bloch si sottrae completamente alla riduzione dell’umano a soggetto passivo, bisognoso di un appello all’etica e alla difesa dei diritti umani. Nel Bloch del Geist e del Thomas Müntzer la liberazione dell’immortale nell’uomo è un filo rosso che connette, nel concetto utopico della Selbstbegegnung (incontro con il Sé), la teologia della rivoluzione del XVI secolo con il nostro presente. In questa connessione avviene l’esodo dalla creaturalità e dalla soggezione alla morte: la comunità è lo spazio di questo esodo, incarnazione cristologica nella quale l’uomo è liberato dalla sottomissione alla trascendenza del potere. Privata del suo fondamento, ovvero della rappresentazione dell’uomo come essere-per-la-morte, la costruzione dell’autorità umana viene spezzata, lasciando spazio libero per rilanciare collettivamente il legame del finito con l’infinito all’interno di un ordine che è, ab origine, extra-autoritario.

48 Id., Ex Captivitate Salus, a cura di C. Mainoldi, Adelphi, Milano 1987, p. 68. Cfr. A. Brandalise, La terra sotto Berlino. Anamnesi del politico in Ex Captivitate Salus, in Id., Categorie e figure. Metafore e scrittura nel pensiero politico, Unipress, Padova 2003, pp. 69-84. 49 Katechon identificato di volta in volta con lo Stato o con la dittatura, cfr. C. Schmitt, Il custode della costituzione, a cura di A. Caracciolo, Giuffrè, Milano 1981. Su questo tema cfr S. Ganis, Parlamentarismo e unità politica. Note al “custode della costituzione” di Carl Schmitt, in «Il pensiero politico», 3, 1992, pp. 331-342.

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3. Thomas Müntzer: per la liberazione del nostro presente Il contesto nel quale si colloca la ricerca blochiana sulla figura di Thomas Müntzer travalica i limiti della mera ricostruzione storica, facendosi carico di un gesto storiografico di eccezionale potenza51. Ad esso è infatti affidato il compito immane di porre l’evento rivoluzionario della guerra contadina del 1525 a contatto con la decisione rivoluzionaria nel presente: Noi vogliamo essere sempre soltanto con noi. Così anche qui noi non guardiamo assolutamente indietro. Ma vivi noi stessi ci mescoliamo. Ed anche gli altri si volgono di nuovo trasformati, i morti tornano di nuovo, la loro azione vuole compiersi ancora una volta con noi. Münzer finì molto rapidamente e tuttavia volle il più vasto. Chi lo osserva nella sua opera ha l’oggi e l’incondizionato in una prospettiva più distaccata, più completa della troppo veloce esperienza vissuta, eppure egualmente non attenuata. Münzer è anzitutto storia in senso fecondo, egli è ciò che è suo e tutto il passato che merita di essere trascritto è qui per impegnarci, per entusiasmarci, per sostenere sempre in modo più ampio ciò che è da noi continuamente inteso52.

La lettura Blochiana è sostenuta da una “filosofia della storia” svincolata dall’illusione di una processualità necessitante, ma che «di nuovo agita ciò che è stato, superandolo utopicamente»53. Il presente eterno della Entscheidung è il luogo in cui avviene l’incontro tra temporalità diverse ma simultanee, e la loro connessione si definisce sia come compimento di ciò che nel passato è rimasto incompiuto, sia come eredità positiva, da mobilitare nel presente, dei contenuti utopici racchiusi nel passato stesso. La loro incompiutezza coincide esattamente con l’eccedenza di senso racchiusa nel non-ancora che li contrassegna, e sollecita dunque a porre noi stessi come punto di congiunzione tra ciò che nella storia è rimasto interrotto e la possibilità del nostro futuro. Non il passato inteso come totalità del trascorso, 51 «Indubbiamente il miglior contributo su Thomas Müntzer è quello di Ernst Bloch, il quale per una propria affinità interiore sa cogliere in lui l’essenziale», J. Taubes, Escatologia occidentale, trad it. a cura di E. Stimilli, Garzanti, Milano 1997, p. 141. TM, p. 9 [29]. GdU, p. 226 [231]. 52

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dunque, ma come ciò che pur essendo già stato è «ancora vivo e non ancora liquidato»54. A questo scopo, Bloch non fornisce una visione spiritualistica della teologia di Müntzer, cosa che collocherebbe quest’ultimo all’interno del processo che collega le correnti ereticali della riforma con il neoprotestantesimo e quindi con la formazione dello Stato aconfessionale e secolare, ma anzi ne accentua massimamente il contenuto intrinsecamente politico. In questo modo, egli riesce a mostrare come, all’altezza della Riforma, si siano date, e abbiano sanguinosamente frizionato una sull’altra, possibilità diverse per la modernità incipiente. La prima istanza dell’eresia müntzeriana diventa, per Bloch, il togliere alla teocrazia di ogni significato politico, ed è proprio questo lo spazio che si apre per politicizzare al massimo l’istanza riformatrice dei contadini di Müntzer. All’opposto, Bloch legge nella teologia luterana la tendenza ad operare la totale neutralizzazione e spoliticizzazione della teologia che apre allo Stato secolare moderno. A questo esito conduce la scissione, nella morale luterana, tra morale della persona e morale del pubblico ufficio, e il distacco che essa istituisce tra il mondo e il cristiano: l’introiezione del simbolo religioso che porta alla moderna separazione tra pubblico e privato. Quello che nella mistica spirituale del Medioevo era luce interiore, nella teologia di Müntzer diventa «fiamma divorante volta all’esterno. La conseguenza è che il farsi-Spirito del mondo è al tempo stesso un farsi-mondo dello Spirito, che la realizzazione dello Spirito è al tempo stesso una sua perdita nel mondo. Le speranze, finora solo interiori, vengono d’un tratto volte all’esterno e con un impeto particolare portano a compimento gli accadimenti storici»55. In questo senso, Müntzer viene letto come possibilità di una transvalutazione dell’idea di cristianità, e dunque di Europa, divenendo l’atavico portavoce di un riferimento all’unità di un simbolo religioso radicalmente gottlos, quindi al

54 PH, p. 8 [13]. 55 J. Taubes, Escatologia occidentale, cit., p. 141. «La teologia di Müntzer si risolve in un confronto faccia a faccia con Lutero. A partire de questo confronto si compie la decisione tra due principi: riforma e rivoluzione», ivi, p. 142.

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Cfr. TM, pp. 172-173 [158-159]. Cfr. ivi, pp. 115-116 [113-114].

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comunitariamente viene sperata, è per definizione universale. In quanto figura del non-ancora utopico, essa è pre-figurazione di una forma d’ordine universale che tuttavia si presenta come esperienza storica realizzata sempre e solo al suo interno, nel paradossale particolarismo dell’universale che la caratterizza57. La setta, nel suo nucleo originariamente non settario, non può essere intesa come parte politicamente priva di legittimità, cioè come fazione, accanto ad altre. Ma nemmeno può accontentarsi di essere tollerata come confessione al fianco di altre confessioni, perché ne risulterebbe politicamente neutralizzata. Ad essa non si può guardare con le lenti della scienza politica moderna, dal punto di vista della Gewalt statuale, cioè con gli occhi dei vincitori. La setta müntzeriana, per come la figura Bloch, non riconosce se stessa come parte, e perciò combatte per istituire il proprio diritto alla comunità, cioè all’essere anticipazione concreta dell’universale. Non si tratta di istituire il Regno con la forza, ma di esercitare quel Gewaltrecht des Guten proprio della comunità che chiede di divenire se stessa. Per dirlo icasticamente: contro i principi non si insorge perché essi sono infedeli, ma perché ci impediscono di diventare ciò che siamo58. La potenza della mossa blochiana poggia sulla collocazione dell’alterità e dell’eccedenza di Müntzer proprio al cuore dell’origine nichilistica della Neuzeit, all’interno del processo stesso di secolarizzazione che viene innescato dall’evento della riforma quale impulso sorgivo del moderno. La non-contemporaneità del fenomeno settario è dunque contemporanea ma eccedente il processo di immanentizzazione, occupa il medesimo tempo ed il medesimo luogo di quello ma ne configura il radicale oltrepassamento. Solo questa precisa collocazione, non in un altro dove o in un altro quando, la comunità di Müntzer, interpretata da Bloch alla luce del simbolo ateo della metareligione, può rappresentare la più profonda “alterità” nei confronti della via maestra intrapresa dalla modernità, di cui vuole essere tanto oltrepassamento quanto redenzione. L’alterità di Müntzer è tale in quanto contemporanea al momento sorgivo dell’ordine sta-

TM, p. 130 [125].

contempo metareligioso e metapolitico, nella direzione di una comunità post-statuale «senza Diritto né Stato»56. In Bloch la Riforma appare dunque contrassegnata da un’articolazione complessa di una temporalità a molteplici livelli. Questa lettura scompagina ogni interpretazione della riforma che, all’interno di un fluire rettilineo ed omogeneo del tempo, tenda a considerarla un semplice avviamento alla modernità e alla forma politica che la contraddistingue, riducendola a giustificazione expost della sua vittoria storica. Al processo che connette la Riforma nella sua versione luterana e calvinista alla nascita del moderno, è simultaneo un diverso movimento del quale Bloch ravvisa le tracce utopiche nella teologia della rivoluzione di Müntzer, con il suo metter capo all’idea di una comunità apocalittica che, assieme all’esercizio statuale della Gewalt, rigetta ogni dimensione autoritaria. Bloch attua un vero e proprio taglio sincronico che gli permette la connessione fattuale dell’istanza di una corrente minoritaria e storicamente perdente della Riforma con l’utopia comunitaria che egli cerca di cogliere quale possibilità nella Germania di Weimar. Nella pagina blochiana assistiamo al ribollire risorgente dell’episodio della guerra contadina all’interno della Riforma come indicatore di un possibile utopico per le sorti del presente. Si tratta di un’ermeneutica utopica, che mette in primo piano nella Riforma la non-contemporaneità dell’emergenza settaria nei confronti del moderno concetto del “politico”. L’eccedenza (Überschuss) dell’eresia di Müntzer e la possibilità di ereditare il suo permanere come resto utopico contro la storia istituita dai vincitori, emerge con la massima evidenza per Bloch proprio quando la messa in forma dello Stato liberale moderno sembra cedere, rilasciando massi erratici, isole di non-contemporaneità (le classi subalterne della Germania all’inizio degli anni ’20 del secolo scorso) in cui rendere presente un’eredità che racchiude la possibilità di un’altra modernità. La setta chialista che si aggrega attorno alla figura di Müntzer, in quanto si presenta quale anticipazione di quella totalità (il Regno) che si rende visibile nel corpo della comunità e che 56

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Cfr. PH, p. 631 [623].

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tuale moderno, del quale ora, come allora, essa rappresenta la possibilità sconfitta ma ancora di nuovo ereditabile, perché portatrice di un’immaginazione capace di un rovesciamento liberatorio che sorge dalla radicalizzazione dello stesso movimento immanentizzante della modernità. Müntzer è dunque figura del pulsare utopico, vitale che batte con diversa temporalità a fianco e dentro la via mortifera della non-identità e del dominio. Il tempo di questo pulsare è quello dell’ordine comunitario, cioè la temporalità eventiva del non-ancora che rifiuta ogni rituale fondativo e ad ogni pretesa di produrre una definitiva rappresentazione dell’ordine. Il carattere sperimentale dell’ordine si mostra come caratteristica primaria del Multiversum umano, costituentesi nel riferimento ad un “comune” che non porta alla produzione rappresentativa dell’identità (al movimento dell’identificazione), né alla riduzione della visibilità dell’ordine alla dimensione reificata della durata. Dunque, l’unità del “comune” si trova interamente nella temporalità eventiva del non-ancora ed è per definizione esperimento. Ciò permette a Bloch di nominare un “Noi” che è sempre e soltanto l’attualità vivente della connessione dei Molti, estranea ad ogni immaginazione dell’interpersonalità comunitaria che pretenda di ridurla ad una fondazione data una volta per tutte. Negli anni 1918-23, dunque, l’utopia politica di Bloch ha il carattere di una critica immanente della modernità. Assumendo, anche negli scritti della maturità, la costitutività della crisi della/ nella Neuzeit, l’utopia radicalizza la spinta all’emancipazione contenuta in possibilità nel moderno. Nell’utopia comunitaria, Bloch non rigetta l’idea moderna di libertà in nome dell’organicismo o del paternalismo, ma la radicalizza al punto che nella comunità essa non si presenta più come co-originaria al potere e al diritto oggettivo59. Libertà, dunque, non è più quella dell’individuo costituito dalla sovranità, ma è quella dell’uomo emancipato dallo statuto di subjectum e cioè dalla scissione che, nell’artificio della rappresentanza politica moderna, risulta costitutiva 59

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della soggettività in quanto tale. La neutralizzazione moderna della teologia nella politica produce, simultaneamente, la sovranità e l’isolamento dell’individuo libero che le sta di fronte come nuda vita mortale, in quanto separata da ogni legame con l’eternità. L’intento principale della teologia politica blochiana è, dunque, la rottura della rappresentazione dell’uomo scaturente da una antropologia che lega, senza speranza, l’individuo alla condizione di creatura, già da sempre mortale perché già da sempre uccidibile. Da tale rottura emerge la visibilità del simbolo ateo dell’umanità escatologica, il “nuovo legame” comunitario, che non può poggiare che sull’evento reciproco, comune, e sempre nuovo dello scoprire/sperimentare la propria origine e destinazione; il “nuovo legame” comprende e salva al contempo le differenze e si mostra solo nella pre-apparizione simbolica di un «Tertium, che sta al di là di io e tu»60, un comune non-ancora, il Messia che ancora e sempre manca. Esso diviene legame tra gli uomini grazie al quale – nella forma del problema incostruibile – risulta possibile nominare un “noi”.

4. Gemeinde: il contenuto politico dell’utopia

Nel lungo corso della riflessione blochiana, il contenuto politico dell’utopia viene problematizzato e rideterminato. È soprattutto l’eredità utopica dei simboli religiosi e del messianismo a subire una profonda revisione61, pur rimanendo centrale anche nel Bloch maturo di Atheismus im Christentum, in strettissima connessione con l’impresa della formulazione del sistema aperto62. Certamente, soprattutto per i lavori degli anni di Leipzig

60 TM, p. 210 [188]. 61 Cfr. A. Rabinbach, Between Enlightenment and Apocalypse: Benjamin, Bloch and the Modern Jewish Messianism, in «New German Critique», 34, 1985, pp. 78124; P.R. Mendes-Flohr, “To Brush History against the Grain”: The Escatology of the Frankfurt School and Ernst Bloch, in «Journal of the American Academy of Religion», 51, 1983, pp. 631-650. 62 L’originaria intenzione di Bloch rispetto alla Gesamtausgabe era che essa si chiudesse con un volume dedicato alla religione dell’Esodo e del Regno e ai centri della logica e della metafisica. In seguito Bloch preferisce separa il progetto in due volumi contigui, il XIV Atheismus im Christentum e il XV Experimentum mundi, cfr.

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Cfr. EM, pp. 239-264 [269-292].

(1949-61), sussiste il problema di valutare come il confronto con il socialismo reale determini profonde variazioni all’approccio blochiano alla politica, e come esso spinga a quella richiesta di umanizzazione della politica che è il fulcro-motore di Naturrecht und menschliche Würde (1961)63. Tuttavia, non è possibile sostenere che in Bloch si assista ad una completa funzionalizzazione del simbolo della redenzione in favore di una relativizzazione etica della politica, che conseguirebbe all’adesione all’idea minima del centralismo democratico. Il problema non è qui quello di smarcare Bloch dall’esperienza del socialismo reale nel blocco Sovietico. Identificare integralmente l’utopia con la relativizzazione etica della politica, o con il persistere di una riserva metafisica che dovrebbe impedire l’assolutizzazione del potere, impedisce di vedere la trascendenza reale dell’utopia blochiana rispetto a qualsiasi forma di ordine realizzato. Per ciò, non si può pretendere di raffigurarsi un Bloch “occidentale”, propugnatore di un’umanizzazione dell’esperienza socialista: si finirebbe per produrre un’apologetica nei confronti di un primato della morale sulla politica, un presunto antidoto al rischio totalitario delle ideologie, che a sua volta si rivelerebbe ideologico in quanto assolutizzazione della rappresentazione dell’umano come nuda vita. Dichiarando l’impossibilità del riconoscimento di un bene comune di natura sostanziale, l’umanesimo dell’etica nega all’uomo la prospettiva dell’eternità, relegando la sua condizione a quella di creatura esposta alla morte e al potere: un umanesimo nichilista, che si abbevera alla fonte dell’inerzia del tempo, della morte, del nulla64. Un tale umanesimo è proprio ciò che la teologia politica di Bloch spazza via. Essa, infatti, permette di stabilire un rapporto critico e immanente con il nichilismo, mettendone in discussione il prodotto politico principale: la rappresentazione dell’umano come sempre potenziale vittima inerme. Detto ciò, non si può non sottolineare che, almeno nel libro

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sul diritto naturale, è Bloch stesso ad avvicinarsi pericolosamente alla prospettiva dell’umanesimo appena tratteggiato. Negli anni di Leipzig, il suo problema politico è quello di rilanciare una prassi di emancipazione all’interno del socialismo realizzato, e per farlo egli sembra ricorrere proprio al primato della morale. Una risposta certo dettata dalla necessità di fronteggiare il “fatto” dello stalinismo, che sembra ridursi però ad un intervento a favore delle vittime dei processi di Mosca, rivendicando per esse la tutela dei cosiddetti diritti umani fondamentali – che nulla hanno a che vedere con il diritto naturale assoluto della comunità. Una tale rivendicazione tradisce necessariamente la stessa teologia politica blochiana, perché poggia su uno statuto dell’umano quale subjectum passivo del potere dello Stato. Ciò che scompare in questo passaggio è proprio il fulcro dell’idea blochiana di comunità, cioè la prassi comune degli uomini nel prodursi, sempre di nuovo aperto, della verità. Il ricorso ai diritti umani, dunque, non solo presuppone un’umanità passiva, ma la implementa assimilando la condizione umana a quella di vittima mortale. L’inconsistenza di questo genere di politica, che vorrebbe porsi quale resistenza al potere, è già nella sua origine, cioè nella rinuncia a ritenere possibile – e dunque pensabile e collettivamente praticabile – la relazione con la verità. Al contrario, l’ultimo Bloch, nel tentativo di una riarticolazione sistematica del rapporto teoria-prassi, riattiva – contra nihilismum – il legame tra prassi e verità, riconquistando così il tema della realizzazione del realizzante65. Se, dunque, l’umanesimo “democraticistico” e nichilistico non corrisponde all’ultima parola di Bloch sulla politica, vale la pena di ricercare le tracce di una persistenza del tema comunitario anche in Naturrecht und menschliche Würde e negli scritti coevi. Un tale sondaggio sembra possibile all’altezza della figura del Regno della libertà, dove il concetto di Freiheit si trova connesso ad una forma di ordine (nello specifico il Reich) dislocato dall’ambito concettuale dello Stato. Il concetto di Ordung è facilmente riconducibile ad accezioni negative che lo identificano con la coazione, apparentemen-

G. Cunico, Il sistema aperto dell’esperimento cosmico, Nota introduttiva a E. Bloch, Experimentum Mundi. La domanda centrale, le categorie del portar-fuori, la prassi, trad. it. a cura di G. Cunico, Queriniana, Brescia 1980, p. 9. Cfr. S. Ganis, Utopia e Stato, cit., pp. 106-132. Cfr. PH, pp. 1384-1391 [1358-1365]. 63

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te all’esatto opposto della libertà66. Nell’orizzonte della comunità senza Stato, la libertà è primariamente “libertà per” (FreiheitWozu), e si riferisce all’identità tra esistenza ed essenza67. La libertà così intesa non è per Bloch concetto, ma idea68, contenuto essenziale del Reich, cioè di un ordine che nulla ha a che vedere con la forma dello Stato69. Le immagini di libertà e ordine che Bloch fornisce nel suo compendio delle utopie sociali hanno la funzione di indicare la possibilità di un Ordung non riducibile alla dimensione della statualità70. In Freiheit, ihre Schichtung und ihr Verhältnis zur Wahrheit (1956), lo spazio del Regno della libertà è chiaramente comunitario e dunque ultra-statuale71. Qui la Gemeinde è ribadita essere il simbolo materiale dell’anticipazione dell’Überhaupt, e la figura cristologica occupa la soglia tra ciò che si manifesta come presenza e ciò che non è ancora presente quale immagine del rapporto interumano, estranea ad ogni staticità dell’ordine72. La politicità di questa immagine è tutta giocata sull’apertura all’incostruibilità del Regno: essa si presenta come rapporto morale senza bisogno di un supporto esteriore – la sfera moralizzante dei diritti umani – perché capace di contenere in sé la moralità. La nozione blochiana di Gemeinde indica un legame prodotto dal divenire visibile dell’idea – il comune non-ancora: essendo l’idea indeducibile dall’ambito del visibile, il comune si mostra, nel rapporto tra gli uomini, sempre e soltanto come evento73, cioè come incontro nella dimensione innovativa e carica di futuro della ripetizione, del ritorno di ciò che non si è ancora realizzato. All’interno dello libro sul Naturrecht, questa prospettiva rie-

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74 NR, p. 192 [155]. 75 Cfr. ivi, p. 191 [154]. 76 Cfr. PH, pp. 235; 1450-1456 [241; 1421-1426] dove quest’immagine si modella sull’archetipo dell’Esodo biblico. 77 Cfr. NR, p. 190 [153]. 78 Cfr. PH, p. 1516 [1482]. Cfr. ivi, p. 621 [613]. Cfr. ivi, pp. 1137-1138 [1124-1125].

merge, quasi carsicamente, anche a ridosso delle nozioni di uguaglianza e fraternità. L’uguaglianza nella Gemeinde non è egualizzazione astratta davanti ad un potere che, nella fondazione giusnaturalistica della sovranità, procede dall’azzeramento di ogni articolazione e differenza. Piuttosto, Bloch pensa ad un’uguaglianza nell’umanità quale «polifonia di un unisono»74. La “salvezza” di un’individualità concreta è garantita, in questa prospettiva, dall’irriducibile differenza del contenuto cui si riferisce l’idea stessa di eguaglianza: il divenire identico a sé dell’uomo stesso. Non un’identità statica, sottrazione rappresentativa dalla possibilità della Begegnung, ma Identifizierungsprozess che si produce sempre di nuovo nell’incontro con l’altro. Qui si mostra la radice di un comune non-ancora, l’Ultimum ancora mancante, che lega senza re-ligare l’uomo all’uomo75. Nell’immagine comunitaria76, l’identità non occupa il luogo della moderna sovranità, realizzata nella rappresentanza come identità del soggetto politico, che produce l’azzeramento delle differenze – e dunque anche quella su cui si basa la dipendenza dell’uomo dall’uomo – solo al prezzo di un’uguale nullità di fronte alla Macht. Se l’artificio moderno si regge sulla totale opposizione tra il molteplice e l’uno (la sovranità), l’unità pensata comunitariamente coincide con l’ordinarsi aperto e a più voci77, multiverso e privo di verticalità, ordinarsi dei molti nel quale si mostra operante, nel modo della trascendenza immanente, il principio speranza (l’identità, che non è ancora, dell’uomo con se stesso)78. L’articolarsi di libertà e uguaglianza in un ordine che si configura come Multiversum umano nella materialità della Gemeinde assume in Bloch il nome di solidarietà79, espressione dell’intreccio multivoco tra il singolo e la comunità80. Essa è «l’ultima norma» e, alla fine, l’unica norma del diritto naturale in senso

66 Cfr. NR, p. 258 [212]; PH, p. 614-621 [606-612]. In questi scritti Bloch prospetta, a tratti, una compenetrazione conflittuale ma graduale di libertà e ordine, orizzonte che non coincide con l’idea di comunità. 67 Cfr. PhA, p. 592. 68 Cfr. GdU, p. 295 [315]. 69 Cfr. PH, p. 621 [612]. Poco prima (cfr. ivi, p. 619 [610]), Bloch sembra attribuire la possibilità di quest’ordine alla realizzazione sovietica del socialismo. Ciò sembra indicare il fallimento di quella realizzazione con la sua statalizzazione. 70 Si tratta dell’intero cap. 36 di PH, pp. 547-729 [541-718]. 71 Cfr. PhA, p. 588. Cfr. ivi, p. 589. Cfr. PH, p. 1492 [1460]. 72

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quest’ultimo scaturisce, sempre rinnovato, quel «nuovo legame» (Neue Verbindlichkeit) in cui per Bloch consiste «l’incontro con il noi» (Wir-Begegnung)88.

88 Ivi, p. 192 [155]. Qui è certamente presente un’idea di cattolicità apocalittica (cfr. ivi, pp. 310-314 [260-263]), così come nella nozione blochiana di fraternità la subordinazione della ecclesia militans alla ecclesia triumphas riecheggia lo schema del rapporto guerra-pace così come esso era affrontato nel Thomas Müntzer, cfr. ivi, p. 194 [157] e PM, pp. 433-455. Per l’analisi di queste tracce, cfr. S. Ganis, Utopia e Stato, cit., pp. 132-136.

«oggettivo radicale»81. La fraternità, terza figura del tricolore repubblicano di cui Bloch attua la risemantizzazione, è co-estesa alla solidarietà, basata su di una comune situazione di bisogno o di prevaricazione. Essa passa attraverso una determinata lotta in comune per il superamento di tale situazione, e si mostra così solo sul piano di un agire concreto, non limitato ad un momento dialogico in senso comunicativo-linguistico: la fraternità dà prova di sé solo nella prassi concreta della liberazione82. Nell’analisi blochiana del Naturrecht, le sembianze repubblicane del citoyen nascondono la figura settaria e apocalittica del Bruder müntzeriano. Non a caso Bloch conia l’espressione «citoyen des Reichs»83. Se libertà e uguaglianza si articolano in modo tale da eccedere la concettualità del dispositivo statuale aprendo l’orizzonte utopico-messianico della comunità, la fraternità rimanda all’immagine della guerra settaria. Declinata come «fraternitas militans»84, la relazione comunitaria nasce sul terreno della negazione di tutto ciò che chiude al processo di identificazione dell’uomo con se stesso (l’oppressione, economica e/o politica). In questo senso la fraternità rimanda anche ad una Freiheitwovon (libertà da), che Bloch identifica con «l’Alpha della rivoluzione»85. Tuttavia, proprio come nel Thomas Müntzer la guerra rivoluzionaria era intesa quale apertura di spazio per la possibilità comunitaria del Regno – estranea dunque agli scopi della presa e della conservazione del potere –, anche in Naturrecht und menschliche Würde la fraternitas militans è subordinata alla realizzazione della «fraternitas triumphans»86, quella “libertà per” (Freiheit-Wozu) che coincide con «l’Omega della rivoluzione»87. Ancora una volta, dunque, Bloch insiste sullo Überhaupt messianico, il cui avvento è preparato dall’immagine comunitaria e dal suo indicare l’inesauribile apertura al/del Regno escatologico. Da 81 NR, pp. 252; 269 [207; 222]. 82 Cfr. G. Cunico, Critica e ragione utopica. A confronto con Habermas e Bloch, Marietti, Genova 1988, pp. 233-234. 83 PH, pp. 1095; 1413 [1083, 1385]. 84 NR, p. 193 [156]. 85 Ivi, p. 188 [152]. Ivi, p. 193 [156]. Ivi, p. 189 [153]. 86

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Capitolo quarto

Storie di parte. Storiografia e intervento politico

Tutti lo sanno. Nella tua casa si vocia forte la menzogna. Ma la verità deve tacere. È così? Perché ti pregano gli oppressori, tutt’intorno, ma ti accusano gli oppressi? Gli sfruttati ti mostrano a dito, ma gli sfruttatori lodano il sistema che in casa tua è stato escogitato!

Bertold Brecht

Seguendo la ricostruzione categoriale proposta, saranno ora presi in esame alcuni esempi di storiografia politica blochiana: la trattazione della vicenda del nazi-fascismo, di quella del sionismo e dell’immagine politica prodotta a ridosso dell’interpretazione del testo biblico. Questi tentativi – scelti per la loro significatività, ma che sono una parte esigua di quelli prodotti da Bloch – costituiscono singoli capitoli di quella “storiografia del presente” intrinsecamente connessa – strutturalmente inseparabile – all’impresa del sistema aperto dell’esperimento del mondo. Essi assumo come propria la forma-esodo, cioè sono immagini in cui coagulano esperienze storicamente determinate, che si rendono visibili in un divenire che interseca la loro permanenza, riunendo così potenza evocativa e forza teoretica, astrazione e visibilità. Esse sono il luogo della mediazione tra pensiero e politica, ma anche il tentativo, tramite la scrittura, di produrre un intervento politico, di rischiare un’indicazione per la prassi.

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1. A ridosso della sincronizzazione: la “vera” storia del presente

Frankfurt a. M. 1973. Bloch raccoglierà i suoi contributi al dibattito nell’edizione del 1964 di Erbschaft dieser Zeit. 4 Cfr. «Bemerkungen zur „Erbschaft dieser Zeit”» (1936), in PhA, pp. 31-53. Questo scritto è la risposta alle critiche, di stretta osservanza lukácsiana, mosse al libro da H. Günther, Erbschaft dieser Zeit?, in «Internationale Literatur», 3, 1936, pp. 85-101, e che riguardano soprattutto le tesi blochiane sull’arte di avanguardia e sulla decadenza della borghesia. Lo sfondo delle tesi di Bloch sull’eredità culturale è rappresentato dallo scritto di G. Lukács, „Große und Verfall“ des Expressionismus, in «Internationale Literatur», 1, 1934, pp. 153-173. 5 Cfr. L. Boella, Il presente come storia (raccontata), Introduzione a E. Bloch, Eredità del nostro tempo, a cura di L. Boella, il Saggiatore, Milano 1992. In generale sulle modalità della scrittura blochiana cfr. Id., Ernst Bloch. Trame della speranza, Jaca Book, Milano 1987. 6 Un procedimento analogo si ritrova in S. Weil, Sulla Germania totalitaria, a cura di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1990. 7 «Dovrebbe essere il primo grande libro prodotto dall’emigrazione, un libro che non rende le cose facili», lettera a Klaus Mann del 4 ottobre 1933 in Briefe 2, pp. 622-623. Il libro ebbe invece scarsa ricezione, e fu anche poco recensito.

ne le sue tesi. Se si considerano i passaggi dedicati alla dialettica tra Ungleichzeitigkeit e Gleichzeitigkeit, fulcro teoretico del libro in cui Bloch sottopone al massimo sforzo la sua analisi filosofica, ci si accorge che negli stessi luoghi lo scritto gioca tutte le sue carte come “intervento politico”. Le due cose sembrano non poter essere considerate separatamente: per tenere insieme questi aspetti nella scrittura – per mostrare l’impossibilità di una loro disgiunzione (anche solo espositiva) – Bloch dà ad Erbschaft dieser Zeit la forma di un esercizio storiografico il cui oggetto è il proprio presente. Il libro vuole intervenire al centro del dibattito della sinistra tedesca, per giungere con essa ad una vera e propria «resa dei conti»4. Al contempo, esso è un libro sulla storia della Germania tra il 1918 e 1935. Una storiografia, però, del tutto particolare, svolta attraverso il procedimento discorsivo della paratassi5. Nell’esposizione blochiana i fatti, le cose, i nomi si susseguono in una concatenazione non immediatamente esplicativa, nella direzione di un accumulo inclusivo e combinatorio6. Il presente figurato da Bloch fa risaltare le tensioni e gli scioglimenti della materia sociale, gli arresti nella storia che producono nodosità nell’esperienza. In questo scenario egli instaura un vero «corpo a corpo»7 con la propaganda nazi-fascista: in palio c’è la possibilità di ereditare il presente: “bottino” che sembra conqui-

Con Erbschaft dieser Zeit, scritto e pubblicato a Zurigo nel 1935, Bloch compone la testimonianza di un doppio esilio: quello dalla Germania nazista, e quello dall’impotenza staliniana di comprendere proprio quella vicenda1. A Benjamin quel libro sembrò del tutto inadeguato alla portata degli eventi, tanto da considerarlo l’opera di «un gran signore che, giunto a ispezionare una località devastata dal terremoto, non ha per prima cosa niente di più urgente da fare che far stendere ai suoi servi i tappeti persiani che si è portato dietro – del resto alquanto tarmati –, collocare i vasi d’oro e d’argento – in parte già alquanto anneriti – lasciarsi avvolgere in vesti di broccato e di damasco»2. Tuttavia, proprio il carattere inattuale di ciò che in quelle pagine viene pensato è forse il tema principale del libro stesso. Si tratta dei resti, spesso ideologici, di un passato che il nazi-fascismo ha fatto propri: Bloch non si concentra sul loro carattere ideologico, ma sceglie la via, ben più rischiosa, di tentare, proprio contro la catastrofe incombente, di ridislocarli su di un altro terreno, di salvare dalle macerie frammenti di un eredità anticapitalistica. Bloch guarda, come già nel libro su Müntzer, alle possibilità inespresse – nascoste – di un epoca, cioè tenta di portare dalla propria parte ciò che rimane dopo il terremoto, un sisma che Mosca sembra non voler vedere. In questo modo Bloch si discosta di molto dall’interpretazione del nazi-fascismo avvallata dal così detto marxismo ufficiale dell’epoca3, e ciò si riflette nella modalità stessa con cui egli espo1 Cfr. A. Rabinbach, Unclaimed Heritage: Ernst Bloch’s Heritage of Our Time and the Theory of Fascism, in «New German Critique», 11, 1977, pp. 5-21. 2 W. Benjamin, lettera a Alfred Cohn del 6 febbraio 1935 in Id., Briefe, II, a cura di G. Scholem-T. Adorno, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1966, pp. 648-649. 3 Con questo libro Bloch si propone intervenire nel dibattito degli intellettuali marxisti dell’emigrazione. Uno dei temi più scottanti è quello relativo al giudizio sull’espressionismo, che divide il fronte degli scrittori anti-fascisti riunitisi a Parigi (cfr. A. Münster, Une biographie, cit., pp. 182-196) tra favorevoli e contrari (cioè quelli su posizioni lukácsiano-moscovite). Cfr. H.J. Schmitt (a cura di), Die Expressionismusdebatte. Materialen zu einer marxistische Realismuskonzeption, Suhrkamp,

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La Germania devastata dalla crisi economica è un paese in cui un passato fantasmatico è libero di circolare per città e campagne, un paese abitato da una grande quantità di materia sociale precapitalistica11. Su questo scenario si palesa la contraddizione tra non-sincronicità e sincronicità, tra non-contemporaneità e contemporaneità – tra Ungleichzeitigkeit e Gleichzeitigkeit. Essa diventa il fulcro dell’esposizione blochiana della vicenda del nazifascismo. Non si tratta di una “sociologia di retroguardia”, ma della focalizzazione su di uno scarto della continuità storica non soltanto tra le classi, ma anche al loro interno: una dissonanza tra differenti modi d’essere (Seinsarten) e le conseguenze che da essa scaturiscono. Da un lato, la non-contemporaneità dei contadini e del modo di vita rurale è storicamente sostanziale: per loro il ritorno ad un’immagine romantica del Volk tedesco non è solo mitologica – l’immagine di un radicamento naturale non è una mera “depravazione” storica – ma corrisponde a condizioni di vita fattuali. Dall’altro, l’utopia della comunità völkisch non si limita a coinvolgere solo questi strati della società. A cercare salvezza nel passato sono anche gli impiegati12 e la classe media nelle città: un atteggiamento che non deriva esclusivamente dalle condizioni materiali, nemmeno per ciò che riguarda i contadini proletarizzati. Nella rimitologizzazione di antiche idee essi trovano un’immagine capace di concentrare un latente odio anti-capitalistico, e di consentire la ricerca di un futuro proprio nella figurazione di un passato migliore13. Tutto ciò si contrappone tanto alla coscienza di classe del proletariato – che guarda al futuro

lavoro nel mercato mondiale, ombre corte, Verona 2008, pp. 106-122, che mostra come questa questione si ritrovi già in Marx. 11 Cfr. EdZ, pp. 105-111 [83-88]. 12 «Gli impiegati, che prima erano i “sottoufficiali del capitale”, si sono trasformati in un esercito che tra le sue file conta un numero sempre maggiore di soldati semplici e interscambiabili», S. Kracauer, Die Angestellten (1929), in Id., Schriften, Frankfurt a. M., Suhrkamp 1971, vol. I, trad. it. Gli impiegati. Ultime notizie dalla nuova Germania, Torino, Einaudi 1980, p. 9. Kracauer espresse un giudizio molto positivo su Erbschaft dieser Zeit, sottolineando però come i suoi contenuti sarebbero per lo più passati sotto silenzio, dovendo essi cozzare con un «materiale umano» incapace di acquisirli, cfr. la lettera a Bloch del 7 febbraio 1935, in Briefe 1, pp. 384-386. 13 Cfr. «Sokrates und die Propaganda» (1936) in HK, p. 107.

stabile solo ponendosi di fronte al proprio tempo non con l’atteggiamento dello storico che decreta l’inizio o la fine di un’epoca, ma con uno sguardo sull’attualità che sa dilatarne i confini e ridislocare altrove gli elementi inattuali in essa ancora presenti. Data la conformazione di questo sguardo, la scrittura di Bloch deve procedere attraverso interruzioni, in modo sincopato, tornando indietro e ricominciando da capo in una sorta di mimesi con l’oggetto. In questa operazione, il rischio che Bloch si assume è quello di considerare il nazi-fascismo come una potente sintesi culturale8, prospettiva che gli consente di porsi la domanda cruciale: perché, in una crisi globale che coinvolge tutte le classi, è il nazi-fascismo, e non il socialismo, a vincere? Perché esso riesce ad attecchire non solo tra i movimenti giovanili9, ma ha larga base nel Mittelstand e tra i contadini, fino a trovare supporto persino tra la classe operaia? Le ipotesi di Bloch a tale riguardo sono quelle di un marxista eretico: primo, se la tradizione esplosiva dell’anti-capitalismo mistico e romantico non si costituisce solamente di elementi arcaici ed irrazionali, ma di componenti attive capaci di agire dinamicamente nel presente, l’impoverimento di una immaginazione rivoluzionaria di sinistra non contribuisce esso stesso alla catastrofe? Secondo, è possibile che, in una società come quella tedesca dell’inizio degli anni ’30 del secolo scorso, esista, al fianco di quella tra borghesia e proletariato, una contraddizione altrettanto potente – una contraddizione della non-contemporaneità – tra gli strati sociali legati a un modo di produzione di per sé pre-capitalistico, ma storicamente presente, e la modernità capitalistica?10 8 Il contributo più filosoficamente significativo per comprendere tale sintesi culturale è quello di Furio Jesi: Germania segreta. Miti nella cultura tedesca del Novecento, Silva, Milano 1967; Mito e linguaggio della collettività, in Letteratura e mito, Einaudi, Torino 19773, pp. 33-44; Il mito, Isedi, Milano 1973; Cultura di destra, Garzanti, Milano 1979. 9 «La gioventù che non si trova all’unisono con il tempo presente e la sua aridità è incline più a tornare indietro che ad attraversare l’oggi per raggiungere il domani. E ciò sarà vero finché il tempo diverso, nel quale essa si trova, non sarà trasportato nel futuro», EdZ, p. 106 [84]. 10 Cfr. M. Tomba, Forme di produzione, accumulazione, schiavitù moderna, in D. Sacchetto-M. Tomba (a cura di), La lunga accumulazione originaria. Politica e

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come “oggettivamente bloccato” –, quanto alla coscienza tecnocratica delle elites capitalistiche – che considera il divenire come lo sviluppo evolutivo della razionalità tecnica14. Per Bloch, la contraddizione tra queste dimensioni temporali deve essere pensata dialetticamente, per permettere il riconoscimento di una complessità che non si concentri solo sulla pienezza di attualità, ma su ciò che non è contemporaneo e che preme sulla contemporaneità, esigendo di essere riconosciuto15. Questa “pressione” costringe a considerare nel presente il sovrapporsi e l’intrecciarsi – potenzialmente conflittuale – di esperienze temporali differenziate16. Il desiderio di una “resurrezione del passato”, che sorge in questa stratificazione dell’esperienza sociale, è il terreno su cui lavora la propaganda nazi-fascista. Accanto alla volgarità e alla rozzezza inarticolata, alla stupidità e alla credulità panica quali ci vengono mostrate ad ogni ora e ad ogni parola nella Germania del terrore, c’è un frammento di antico e romantico anticapitalismo, con la coscienza di ciò che manca nella vita di oggi e la nostalgia di una vita oscuramente diversa17.

I semi della distruzione si annidano nel voler ignorare l’autentico impulso qui al lavoro. Si tratta, allora, di non abbandonarlo ad un esito nazi-fascista, ma di ereditarlo: Infatti un’“eredità” dialetticamente utilizzabile di una classe può essere contenuta non soltanto nel momento della sua ascesa rivoluzionaria o nel massimo sviluppo della sua operosità e industriosità. Essa può trovarsi anche nel suo declino e nei molteplici contenuti liberati dalla disgregazione. Preso di per sé, da un punto di vista immediato, l’inganno scintillante o inebriante del fascismo non serve che al grande capitale, il quale, grazie ad esso, distrae o confonde lo sguardo dei ceti caduti in miseria. Da un punto di vista mediato, tuttavia, compare nella distrazione una falla 14 Una doppia contrapposizione che però, nell’esperienza del nazi-fascismo, assume una direzione precisa: «lo strato superiore del grande capitale utilizza i sogni gotici contro la realtà proletaria» almeno fino a che «la rivoluzione non penetrerà il passato ancora vitale e lo ribattezzerà», EdZ, p. [88] 15 Cfr. «Ungleichzeitigkeit und Pflicht zu ihre Dialektik» (1932), in EdZ, pp. 104160 [82-130]. 16 Cfr. A. Münster, «L’analyse blochienne de l’antisémitisme et du fascisme», in Id., Ernst Bloch: messianisme et utopie, PUF, Paris 1989, pp. 51-61. 17 EdZ, p. 16 [4, trad. modificata].

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poco profonda su di una superficie ancora poco compatta, nell’inebriamento irrazionale si vede apparire un vapore proveniente da abissi che non sono utili solo al capitalismo18.

Il paradosso di un mondo che si pensa integralmente razionalizzato è di non essere in grado di contenere quelle forze che muovono dall’interno dell’uomo, che non sono semplici vestigia del passato, ma che sfidano nel presente quella razionalizzazione19. Queste istanze si raffigurano in miti che rimandano ad una cultura simbolica che parla di una fame insoddisfatta, di qualcosa di passato, non più articolato, represso, che però spinge per forare i confini di ciò che non è ancora stato realizzato20. Bloch affronta seriamente la portata del mito nel mondo contemporaneo, e per ciò considera con la massima serietà gli elementi irrazionali e mitici a cui il fascismo fa appello: non si tratta solo di riconquistare il terreno da qui essi sono emersi per sanificarlo, ma di ereditare positivamente ciò che in essi c’è di radicale e che la sinistra ha astrattamente liquidato come illusione derivante dalla “falsa coscienza” del fascismo21. Il fatto che sia stato il nazismo, e non la sinistra, a dare significato politico alla sostanza utopica contenuta nell’anticapitalismo romantico dei contadini e del Mittelstand, non deve occultare l’impulso autentico che proprio lì deve essere scoperto. Per questo, Bloch non affida a Erbschaft dieser Zeit il compito di smascherare un’illusione ideologica, ma quello di esaminare con cura ciò che ancora può essere salvato, ciò che ancora rimane di positivo in quelle istanze. Quei miti, quelle immagini, contengono una forza che può essere rivoltata contro il fascismo stesso che se ne è appropriato.

18 Ibid. Cfr. «Rosa Luxemburg, Lenin und die Lehren oder Marxismus als Moral», GEB, p. 211. 19 Cfr. GdU, pp. 274-287 [277-286]. Cfr. G. Raulet, Critique of Religion and Religion as Critique: The Secularized Hope of Ernst Bloch, in «New German Critique», 9, 1976, pp. 77-86. 20 Cfr. GdU, pp. 243 [239]; «Die Landesgrenze des Nihilismus (1921)», DW, p. 114. 21 Bloch rifiuta il punto di vista per cui un’eredità positiva possa derivare solo da periodi di «insorgenza rivoluzionaria», ma pensa che occorra invece riuscire a estrarla anche da periodi di declino in cui «nella disintegrazione comunque restano distinguibili elementi eterogenei», «Über Ungleichzeitgkeit, Provinz und Propaganda», in GEB, p. 202.

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Non siamo dunque per nulla dispensati dal’analizzare i concetti che i nazisti hanno trafugato e insieme utilizzato allo scopo di effettuare il loro inganno, benché ad esso si deve porre un termine. È così che fanno la loro comparsa il Führer e soprattutto il Reich, e se si va alla ricerca del senso in origine definito nel tempo di queste nozioni, esse si profilano sotto un altro aspetto che dà da pensare più di quanto fossimo abituati negli ultimi tempi. La materia è ancora in buona parte integra, se non fosse per il marcio che l’accecamento e il crimine vi hanno messo dentro. L’essenza immaginifica della cosa era inoltre già di frequente contro l’abuso che se ne poteva fare. Ma una luce bella e nobile viene da giorni caduti in oblio, ma non scomparsi. È importante ritrovarne la memoria. Il nazista non ha inventato nemmeno la canzone con cui seduce22.

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Cfr. TM, p. 63 [71]. «Rauhnacht in Stadt und Land» (1929), in EdZ, pp. 52-61 [37-45].

Rimane il fatto che l’effetto prodotto dal nazionalsocialismo rivela una parte di responsabilità, quella di un marxismo volgare fin troppo diffuso. Grandi masse tedesche, in particolare la gioventù (condizione fortemente organizzata e intrisa di mitologia), hanno potuto diventare nazionalsocialiste perché il marxismo, che le interpreta, non “significa” nulla per esse. È certo che il proletariato è la classe storicamente decisiva, ma è altrettanto certo che esso si è mescolato in modo del tutto straordinario con la borghesia […]. Altrettanto certo è che per esso non conta solo l’ultima macchina e l’ultima fase dell’imperialismo, ma anche la disgregazione nazionalsocialista e gli altri fenomeni di transizione dell’ideologia tardo-borghese. Importante in questo senso è disarmarla e saccheggiarla, importante è criticare l’apparenza rivoluzionaria, ma anche operare un passaggio dia-

fascista si è appropriata di quella immagine, di quella tradizione. Quella speranza radicata nel cristianesimo primitivo e poi riesplosa nella rottura rivoluzionaria di Thomas Müntzer26, con tutta la sua carica esplosiva, è stata sottratta ai suoi legittimi eredi. Eppure quella potenza persiste. L’anomalia fascista consiste nel fatto che quel contenuto autentico viene perverso in una difesa irrazionale e reazionaria dell’ordine socio-economico esistente. Un paradosso interno al fascismo stesso, che da un lato sostiene un’intensa razionalizzazione industriale, e dall’altro si nutre di fascinazioni völkisch di carattere prettamente romantico e anticapitalistico. Ma questa contraddizione ha avuto la forza di portare dalla propria “parte” proprio gli strati non-contemporanei alla razionalizzazione capitalistica, di pervertire l’eredità rivoluzionaria che appartiene, ad esempio, ai contadini che vivono, ancora nella Germania della prima metà del XX secolo (e anche oggi fuori dal “francobollo” occidentale), in una dimensione pre-capitalistica. Focalizzandosi sulla non-contemporaneità che contraddistingue la contraddizione interna al fascismo, Bloch vuole dimostrare che l’eredità di Müntzer non è morta, ma è stata tradita, sfigurata, snaturata. Si tratta allora di restituire ai legittimi proprietari quel passato ancora pulsante, perché essi possano sentirne il vitale legame nel presente27. Questo è un compito che il marxismo si deve assumere:

L’immagine del Terzo Regno appartiene alla tradizione del chialismo rivoluzionario delle sette ereticali del tardo Medioevo, figura di un Diesseitige Evangelium che promette la libertà in terra e che storicamente contiene sempre l’implicazione di una rivoluzione politica e sociale23. Nella sua forma originaria, questa immagine è fatta intervenire nella lotta contro la secolarizzazione della Chiesa, come ad esempio nella teologia rivoluzionaria di Gioacchino da Fiore, in qui la futura «terza epoca» si sostanzia nell’originaria fratellanza comunitaria del genere umano, un regno della libertà da realizzare in terra24. A Bloch non interessa l’astrattezza dell’idea rivoluzionaria contenuta in quella specifica immagine del Regno, il suo carattere mistico ed estrinseco alla situazione del presente, ma il fatto che essa testimoni la permanenza storica della figurazione di un “mondo che chiede di diventare nuovo”. Essa indica qualcosa di sotterraneo ma di potente che ha assunto una varietà di forme storiche, con le quali ha continuato a esplodere in superficie. Esso non ha ispirato solo gli eretici medievali e quelli della prima età moderna, ma persiste tanto in Lessing quanto nella Rivoluzione francese25. Il XX secolo presenta però un’eccezione: in esso la destra nazi22 «Zur Originalgeschichte des Dritten Reich» (1937), in EdZ, p. 126-127 [102, trad. modificata]. 23 Cfr. ivi, pp. 132-140 [107-113]. 24 Di Gioacchino da Fiore si consideri ad esempio l’Enchiridion super Apocalypsim (1183-1185), trad. it. Sull’Apocalisse, a cura di A. Tagliapietra, Feltrinelli, Milano 2008. 25 Cfr. EdZ, pp, 137-139 [111-112].

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lettico che trasformi tutte le sue contraddizioni (preborghesi) in teoria e prassi rivoluzionaria. Dioniso del tanfo e Terzo Regno nell’ambito del capitalismo sono esempi di contraddizioni che è stato il capitalismo stesso a generare; ma Dioniso e Terzo Regno non possono diventare concreti nel marxismo volgare soltanto, e in questo caso si gettano ancora tra le braccia della reazione. Il risultato è davanti agli occhi di tutti e la formula di conseguenza inevitabile: il successo dell’ideologia nazionalsocialista testimonia per parte sua che il progresso del socialismo dall’utopia alla scienza è andato troppo oltre […]. Così invece il nemico trionfa con sfrenate grida di giubilo e un’irratio a cui non viene opposta resistenza, malgrado la situazione rivoluzionaria che rende le sue vittime per lo meno sensibili al socialismo. E si forma un arcaismo che blocca il passaggio nelle file del proletariato, non solo dal punto di vista concettuale. I marxisti volgari non montano la guardia nelle regioni del primitivo e dell’utopia, proprio là dove i nazionalsocialisti attingono il loro potere di seduzione, e non sarà l’ultima volta. Si è abbandonato alla reazione, senza colpo ferire, il cielo e l’inferno, il guerriero sanguinario e la teologia28.

31 Cfr. S. Kracauer, Das Ornament der Masse (1927), Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1963, trad. it. La massa come ornamento, a cura di M.G. Amirante Pappalardo-F. Maione, Prismi, Napoli 1982. Forte, comunque, l’assonanza della pagina blochiana con questa analisi: «Il popolo diventa così, anche dal punto di vista medico, un unità cementata dal sangue, una zona di confluenza di correnti puramente organiche, dal cui passato proviene l’uomo e verso il cui “futuro” (un futuro fortemente limitato dalle tradizioni) vanno i suoi figli. L’entità “popolo” espelle il tempo dalla storia, insieme alla storia stessa; il “popolo” è spazio e destino organico, nient’altro, è quel “collettivo autentico” i cui fondamenti devono liquidare la scomoda lotta di classe del presente, fenomeno del tutto superficiale ed effimero», EdZ, pp. 96-97 [75-76, corsivo aggiunto]. 32 EdZ, p. 405 [340]. 33 Cfr. M. Horkheimer-T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo (1947, 1969), trad. it. a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino 1997, con particolare riferimento al capitolo «Elementi dell’antisemitismo. Limiti dell’illuminismo», pp. 182-223.

dell’esecuzione in una perfetta razionalizzazione funzionale che non conosce persone, ma solo gambe, movimenti ritmici, sincronia, egli riconosce i tratti fondamentali del prodotto della connessione tra fascismo e capitalismo. Senz’alcuna nostalgia, Kracauer non deplora la razionalizzazione, bensì deplora che essa, nel sistema di produzione e organizzazione capitalistica cui egli assiste, sia troppo limitata, non vada a fondo nell’emancipazione dal mito. Tuttavia, egli non si lascia abbagliare dalla seduzione ornamentale della massa-spettacolo e non vede in essa, come tanti odierni epigoni del nichilismo, la liberazione. Nel concetto di “ornamento della massa”, Kracauer mostra come l’estetizzazione della vita politica sia prodotta attraverso i media e l’organizzazione di eventi pubblici, nei quali l’estetismo diventa una concreta forma di prassi: questo è, nella sua lettura, il modo in cui la propaganda fascista infetta di sé l’intera vita sociale31. Se l’analisi blochiana si dimostra insoddisfacente sotto questo aspetto, essa però ci consente di scoprire come il nazi-fascismo si sia infiltrato esattamente nello spazio che la razionalità illuministica aveva abbandonato (Hohlraum): non la mera irrazionalità necessariamente repressa dalla razionalità borghese, ma i vitali desideri di emancipazione che la vicenda del suo sviluppo ha tradito – «gli esseri umani non vivono di solo pane, soprattutto quando non ne hanno»32. Si scopre così una potente connessione, tra Erbschaft dieser Zeit e l’analisi condotta negli anni ’40 da Horkheimer e Adorno in Dialektik der Aufklärung, anche se certamente non si tratta d’una perfetta sovrapponibilità33.

Tuttavia, enfatizzando ciò che il fascismo depreda dal passato, Bloch sembra non prestare sufficiente attenzione agli elementi di discontinuità che esso introduce, quei tratti che ne fanno una potente tecnica di organizzazione sociale, e che mostrano la specificità della connessione tra fascismo e capitalismo: ciò che è veramente nuovo nel fascismo è la sua capacità di organizzazione delle masse29. La trattazione blochiana del nazi-fascismo manca, allora, di un’analisi adeguata del come esso organizzi e mantenga il controllo su gruppi sociali diversi, inserendoli in una sfera pubblica unificata, sincronizzata, in cui si assiste all’estetizzazione della partecipazione, e quindi alla piena depoliticizzazione30. Piuttosto, in ciò sembra soccorrerci Siegfried Kracauer quando, a partire dall’analisi della figurazione ornamentale del balletto, nel quale le singole particelle – gli individui – si fondono completamente nel tutto 28 «Amusement Co., Grauen, Drittes Reich» (1930), ivi, pp. 66-67 [49-50, ultimo corsivo aggiunto]. 29 Questo elemento sarà rilevato e analizzato successivamente da H. Arendt, secondo la quale il regime totalitario fa del rapporto con la massa atomizzata (poiché composta di individui incapaci di riconoscersi in nessuna rappresentanza politica e totalmente indifferenti rispetto agli affari pubblici), proprio il rapporto qualificante il suo potere; cfr. in modo particolare H. Arendt, Le origini del totalitarismo (1951), trad. it. a cura di A. Martinelli-S. Forti, Einaudi, Torino 2004, pp. 171-371. 30 Cfr. A. Rabinbach, Unclaimed Heritage, cit., p. 14.

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Lo sguardo di Bloch è rivolto in maniera specifica alla Germania, all’interno della quale, «presso il contadino disperato, il piccolo borghese fallito, la natura e, a maggior ragione, i fantasmi della storia risorgono con particolare facilità. La crisi economica, che libera i fantasmi, si sviluppa in un paese che ha una quantità eccezionalmente rilevante di materiali precapitalistici. Si pone pertanto urgentemente la questione di sapere se la Germania, per quanto riguarda la sua potenza, è ancora più in divenire e quindi più vulcanica, per esempio, della Francia; quello che è certo, e che essa non ha, nemmeno alla lontana, dato una forma altrettanto contemporanea e altrettanto omogenea alla ragione capitalistica. È appunto questo caos relativo che ha fatto volgere verso il nazionalsocialismo un elemento “inattuale”, non-contemporaneo, sgorgato da un’arretratezza ancora più profonda, ossia dalla barbarie»34. In questo modo, Bloch designa il potenziale ideologico della rivoluzione conservatrice:

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Ibid. Ivi, pp. 116-122 [93-98].

Questa contraddizione, finché è un rifiuto semplicemente sordo del tempo attuale è soggettivamente non-contemporanea, quando si manifesta come un residuo di epoche precedenti che si è mantenuto nell’epoca attuale, è oggettivamente non contemporanea. L’elemento soggettivamente non-contemporaneo, dopo aver covato a lungo nell’amarezza, si manifesta oggi come collera repressa. In un epoca più tranquilla, questa collera era il malumore e l’atteggiamento meditativo del piccolo borghese tedesco che si ritirava da una vita alla quale non si sentiva più di tener dietro, maledicendola o rifugiandosi nell’interiorità. Soggettivamente non-contemporanei, in poche parole, sono anche i rami secchi – che però si infiammano nella collera come legna da ardere – del dovere, della cultura, dello “status” del ceto medio, in un epoca che non conosce più una posizione

meno crudeli e barbare, che possono tornare a risorgere, liberarsi anche in modo esplosivo, se certe condizioni storiche, economiche, politiche e sociali si trovano riunite. In quei particolari momenti è l’alterità stessa, precedentemente più o meno tollerata, che diventa l’oggetto dell’irruzione violenta dell’odio e del risentimento. È il caso dell’antisemitismo. Dal canto suo, Bloch si sofferma sulle modalità specifiche di irruzione di questo «fenomeno di demenza perfettamente noncontemporaneo, nonché aberrante»36, ma ne determina diversamente il carattere psichico. Ciò emerge chiaramente dalle coordinate che guidano la sua analisi del ceto medio, che lo portano a sottolineare la «natura logica delle contraddizioni non-contemporanee»37. Ai ceti medi non manca solo il sostento materiale, ma anche qualcosa che da molto tempo non trovano più nell’aridità della loro esistenza. A mancar loro è qualcosa che Bloch indica come «abituale», «psichico», che, come la mancanza di cibo, si trova, con ugual forza, in contraddizione con il presente. Ciò gli permette di identificare una duplicità in ogni contraddizione che spinge alla rivolta: un lato interiore – il sentimento di insoddisfazione – e un lato esteriore – il fatto che concretamente si è consumati. Il ceto medio impoverito, allora, si oppone al presente tanto interiormente, anche se in maniera opaca e sorda, quanto esteriormente, attraverso comportamenti residuali che sono estranei al mondo attuale.

Attraverso il relativismo e l’abbattimento generale, si aprono un varco bisogni e riserve provenienti dalla preistoria, come un magma che buca una crosta sottile. Anche il nichilismo della vita borghese, della mercificazione, dell’alienazione del mondo intero rivela qui delle non-contemporaneità che si sono conservate con un carattere doppiamente “naturale” e una “natura” che si è conservata con un carattere doppiamente magico. È così che nella sala nazionalista ardono i fuochi da campo e il fumo del sacrificio. Le fanfare annunciano il Führer con una forza che non risale più soltanto a Guglielmo II; i radi orticelli dell’ideologia, che falsificano il mito, diventano realmente opprimenti e al loro posto cresce una giungla nella massa in delirio35.

EdZ, pp. 114-115 [91-92]. Ivi, p. 115 [92, corsivo aggiunto].

Distintamente da Bloch, per spiegare il ritorno inatteso della barbarie in Germania, Adorno e Horkheimer si servono frequentemente di un modello esplicativo di tipo socio-psicologico che fa proprio il metodo della psicanalisi freudiana. La loro ipotesi è che il nazi-fascismo possa essere una conseguenza diretta o indiretta delle frustrazioni imposte alla natura umana attraverso il processo della civilizzazione moderna. Disciplinate e represse nell’orizzonte razionale della vita moderna, ci sono componenti, più o 34 35

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di centro. A ciò corrisponde l’elemento oggettivamente non-contemporaneo, che rappresenta la sopravvivenza di rapporti e forme di produzione del passato, per quanto siano intralciate da quelle più recenti, nonché di sovrastrutture più antiche. Oggettivamente non-contemporaneo è ciò che è lontano dal presente ed estraneo ad esso; comprende perciò residui in via di sparizione e soprattutto un passato che non è stato messo in opera, che non è stato ancora “superato” da un punto di vista capitalista. La contraddizione soggettivamente non-contemporanea attiva quella oggettivamente non-contemporanea, di modo che le due contraddizioni si riuniscono, quella ambiguamente ribelle della collera repressa e quella oggettivamente estranea dell’essere e della coscienza di un’altra epoca38.

nazismo è cosa buona, ma è ciò che non ha fatto ad essere funesto», TAG, p. 64; cfr. HK, p. 106. 42 «Il processo di consumo della forza-lavoro è allo stesso tempo processo di produzione di merce e di plusvalore. Il consumo della forza-lavoro, come il consumo di ogni altra merce, si compie fuori del mercato ossia della sfera della circolazione. Quindi, assieme al possessore di denaro e al possessore della forza-lavoro, lasciamo questa sfera rumorosa che sta alla superficie ed è accessibile a tutti gli sguardi, per seguire l’uno e l’altro nel segreto laboratorio della produzione sulla cui soglia sta scritto: No admittance except on businnes. Qui si vedrà non solo come produce il capitale, ma anche come lo si produce, il capitale. Finalmente ci si dovrà svelare l’arcano della fattura del plusvalore», K. Marx, Il capitale, cit., p. 208. 43 EdZ, p. 121 [97].

Occorre dunque rilevare che tra l’alterità non-contemporanea e la contraddizione contemporanea esiste una relazione obliqua che deve essere compresa per essere sottratta al fascismo. L’intento di Bloch non è quello di negare il carattere assolutamente specifico del modo di produzione capitalistico, né il carattere mercificato, tanto frenetico quanto fantomatico, della società capitalistica, in qui si distingue quella merce particolare che è la forza-lavoro, l’unica ad aver necessariamente attaccato un corpo umano vivente42. Su quest’ultima insiste la contraddizione oggettivamente e soggettivamente incarnata della società contemporanea e, considerata di per se stessa, essa non rivendica qualsivoglia contenuto di passato. Tuttavia, per Bloch ciò non significa che la contraddizione contemporanea non si nutra in parte della materia che la contraddizione non-contemporanea non attinge dal presente. Questa “materia comune” si presenta sotto la «forma di qualcosa che manca, come l’aspirazione rivoluzionaria all’uomo intero, all’uomo non alienato, al paradiso in terra. Insomma, nella rivolta della negatività proletaria e reificata si trova anche in ultima analisi la materia di una contraddizione che si ribella a partire da “forze produttive” che non sono state affatto liberate, da contenuti intenzionali di una specie che resta sempre non-contemporanea»43. Non si tratta solo di una profonda connessione con l’elemento utopico dell’uomo, che non ha trovato in nessuna epoca il proprio compimento – e che il «pungolo ultimo» di ogni autentica trasformazione; ma anche del contatto con le positività che possono opporsi al capitalismo pur essendo elementi di una materia antica:

L’esposizione di Bloch, fondata sulla dialettica della contraddizione tra contemporaneità e non-contemporaneità, culmina nella tesi secondo cui il capitalismo ha bisogno dell’antagonismo di elementi non-contemporanei, della loro eterogeneità, per operare una diversione dalle proprie contraddizioni rigorosamente attuali39. Perciò, considerata in se stessa, la contraddizione noncontemporanea è l’opposto di una contraddizione «motrice ed esplosiva», essa non è dalla parte del proletariato, proprio perché risulta strutturalmente extraterritoriale al «campo di battaglia in cui si fronteggiano operai e capitale». Se lasciato a se stesso, non è possibile pensare nemmeno ad una «maturazione tardiva di ciò che non è stato autenticamente messo in opera nel passato»40. Ma proprio per questo è necessaria «un’alleanza che liberi nel passato il futuro ancora possibile che esso racchiude», e ciò è possibile solo a partire dalla comprensione del fatto che entrambi si trovano situati nel presente. Di fronte alla minaccia nazi-fascista, non è dunque possibile sostenere che essa contenga tanto l’offensiva della classe dominante che gli elementi della sua disgregazione, che essa cioè rifletta la contraddizione dialettica dell’ultimo stadio del capitalismo e con essa il suo stesso declino: ciò, infatti, non esaurisce il contenuto non-contemporaneo che si esprime «nella collera repressa e nei vincoli rimasti intatti»41. 38 Ivi, pp. 116-117 [93]. 39 «Il capitale è tenuto a far nascere in tutti i paesi fascisti la stessa specie di sentimento nazionale e di ideologia nazionale per sostituire la coscienza di classe proletaria», ivi, p. 98 [77]. Ivi, pp. 118-119 [95]. Ivi, p. 120 [96]. «Tutto ciò che il Partito comunista tedesco ha fatto contro il 40

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La creatura che non è stata appagata, l’avvertimento profetico e la testimonianza di sfere estranee alla storia e al presente prospettano alla dialettica, legata in modo troppo unilaterale al solo capitalismo, il dovere di porre almeno il problema di una totalità (Ganzheit) a molteplici livelli44.

La necessità avvertita da Bloch è quella di «rendere anche più ampio il tempo attuale che è in movimento», e per farlo ha bisogno di una «dialettica a molteplici livelli»45. Se il conflitto di classe in senso proprio e attuale, nella società capitalistica, e quello tra forze produttive e rapporti di proprietà, esso non è l’unico che la anima. L’altro conflitto, «quello che oppone il capitale e le classi pauperizzate in forma non-contemporanea, coesiste con quello contemporaneo, sia pure in maniera soltanto confusa»46. In una classe come quella della piccola borghesia, una «classe senza storia», esso genera angoscia e collera repressa, ma nessuna coscienza di classe. La sua conflittualità è rivolta solo contro i sintomi dello sfruttamento, non contro il suo nucleo, perché è il contenuto stesso di quel conflitto ad essere un anticapitalismo «arcaico». Ma in questa contraddizione è necessario riconoscere una «forza possibile». La frattura non-contemporanea fa il gioco del presente capitalistico solo finché agli uomini non-contemporanei non è dato un altro orizzonte di riferimento, un’altra immagine di un avvenire possibile: Il compito consiste nel separare gli elementi della contraddizione noncontemporanea che sono suscettibili di avversione e di metamorfosi, ossia quelli che sono ostili al capitalismo e in esso non trovano accoglienza, e nel rimontarli dando loro un’altra funzione in un contesto diverso. […] La funzione della contraddizione autenticamente contemporanea è di essere sufficientemente concreta e integrale per distogliere dalla reazione anche le contraddizioni non-contemporanee […]. Un intelletto non astrattamen44 Ibid., [98]. 45 «Problem einer mehrschichtigen Dialektik», ivi, pp. 122-126 [98-102]. Riassumendo, gli elementi che questa dialettica deve permettere di pensare nella loro connessione sono i seguenti: 1) la collera repressa (contraddizione soggettivamente noncontemporanea); 2) il passato non ancora esaurito (contraddizione oggettivamente non-contemporanea); 3) l’atto rivoluzionario libero del proletariato (contraddizione soggettivamente contemporanea); 4) il futuro impedito contenuto nel presente (contraddizione oggettivamente contemporanea). 46 Ivi, p. 122 [99].

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te liquidatorio deve farsi comunque carico degli elementi utopici e sovversivi, della materia rimossa di un passato che non è ancora tale47.

Questi elementi non possono essere intesi esclusivamente come “morbosi”, anche perché nemmeno per quelli che si intendono “sani” si può parlare di un’immunità rispetto «all’ideologia-marciume». Con ciò si astrarrebbe dall’opposizione specifica della non-contemporaneità, dando così sostegno al fascismo. D’altro canto, se il capitalismo è il fenomeno storico che, almeno in occidente, ha liberato l’uomo dai vincoli dei modi di produzione arcaici, ciò non significa che esso sia «l’unica casa nella storia dalla quale occorra ereditare dialetticamente». Bloch, dunque, tiene ferma la distinzione tra la contraddizione non-contemporanea e il fascismo che la strumentalizza, e a partire da essa mostra la necessità di una mehrschichtigen Dialektik, che sia «pluritemporale», «plurispaziale», «poliritmica». Essa deve servire a «ritrovare nel passato, ove possibile, un elemento che è ancora effettivamente operante e che non è passato, per ritrovare nebulose autentiche che devono ancora generare una stella»48. Il passato che interessa a Bloch è quello il cui fine può diventare eredità reale nel presente attuale, una ricchezza ancora incompleta del passato da cui acquisire «forza rivoluzionaria supplementare»49. Questo è lo scopo di una «polifonica» dialettica delle contraddizioni, capace di scovare nel capitalismo stesso abbastanza domande ed elementi che non sono ancora stati superati. La voce della contraddizione contemporanea resta di certo dominante «ma sia sotto sia sopra questo cantus firmus si esprimono turbolenze disordinate che non possono riferirsi al cantus firmus in altro modo se non attraverso il riferimento di quest’ultimo ad esse – in una totalità ad un tempo critica e non-contemplativa. Una dialettica plurispaziale si manifesta soprattutto nella dialettizzazione di contenuti ancora “irrazionali”; i quali sono,

47 Ivi, p. 123 [99] 48 Ivi, pp. 124-125 [100-101]. E di seguito: «la totalità non si appesantirà di semplici nebulosità apparenti, di ammassi di stelle oscure, formatisi molto tempo fa, per quanto la loro somiglianza con le nebulose sia la stessa che sussiste tra lo slogan della zolla e la nuova terra o tra il Terzo Reich e la comunità dell’avvenire». 49 Ivi, p. 126 [101].

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nel loro aspetto positivo rimasto critico, le “nebulose” delle contraddizioni non-contemporanee»50. Dunque, le vie di uscita dal capitalismo possono essere diverse, poiché esso non è la weberiana gabbia d’acciaio da cui è impossibile evadere. A portare fuori di esso possono essere persino quelle strade che sembrano volgere all’indietro, ma che in realtà sono i sentieri interrotti verso il futuro che sinora il capitalismo ha sbarrato. Il capitalismo ha bisogno di tagliare la strada al futuro racchiuso nel passato. Vuole che il passato sia passato e basta, perché in questo modo può utilizzarlo come mezzo di divisione contro quel futuro che si genera dialetticamente all’interno delle diverse contraddizioni capitalistiche. Al contrario, una mehrschichtigen Dialektik permette di scoprire come nello sguardo rivolto al passato degli strati sociali anacronistici sia contenuto «il sogno di una cosa, della quale non ha che da possedere la coscienza, per possederla realmente. Apparirà chiaro come non si tratti di tirare una linea retta tra passato e futuro, bensì di realizzare i pensieri del passato»51. Per quanto il passato non elaborato dei contadini e della piccola borghesia e il futuro “frenato” del proletariato non coincidano – anzi, la crisi, favorendo gli anacronismi, ha nel presente accentuato la loro distanza –, è indispensabile trovare tra loro un punto di incontro prospettico per superare la comune disperazione prodotta dalle contraddizioni capitalistiche. Su questo punto cruciale, la distanza tra Bloch e Lukács è netta e profonda. Quest’ultimo, infatti, sostiene l’alleanza necessaria tra “borghesia progressiva” e proletariato, legame che si può ottenere solo posizionandosi al vertice dello sviluppo storico mondiale, abbandonando l’irrazionalismo decadente al suo destino. Bloch, invece, tenta di legare le sorti del proletariato a quelle dei ceti anacronistici proletarizzati, di recuperare alla ragione quella “irratio autentica” espressa tanto da tali gruppi, quanto dalle avanguardie artistiche del Novecento.

50 Ibid., [102]. Cfr. R. Bodei, Multiversum, cit., pp. 50-53. 51 Marx an Ruge, settembre 1843, in MEGA, I, 1(1), p. 575; trad. it. a cura di R. Panzieri, in K. Marx, Un carteggio del 1843 e altri scritti giovanili, Roma, Rinascita 1954, pp. 40-41). Cfr. «Traum von einer Sache», in PhA, pp. 163-169.

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2. La trasfigurazione dell’ebraismo: un’“altra” storia per il sionismo

La Judenfrage può essere assunta come uno dei punti di coagulazione delle tensioni costitutive del “progetto moderno”, inteso specificamente quale processo di neutralizzazione e di spoliticizzazione52. In Bloch il tema è sempre assunto all’interno della questione più ampia della rottura del dispositivo della concettualità statuale. In questa prospettiva, egli non si confronta solo con la vicenda dell’antisemitismo, ma anche con le istanze contrapposte dell’assimilazionismo e del sionismo. Fino alla prima guerra mondiale, rispetto a tale questione, il panorama intellettuale tedesco risulta dominato dalla filosofia della religione di matrice neokantiana e, in particolare, dalla figura di Herman Cohen53. La sua riflessione rappresenta, probabilmente, la più importante espressione del tentativo moderno di conciliare filosofia e giudaismo54; in questo senso, Cohen può essere considerato il padre putativo di tutta quella generazione di filosofi tedeschi del Novecento che, se pur in modi profondamente diversi, si sono confrontati con l’ebraismo55.

52 Cfr. M. Farnesi Camellone, Giustizia e storia. Saggio su Leo Strauss, FrancoAngeli, Milano 2007, pp. 41-88. 53 Cfr. H. Cohen, Kants Theorie der Erfahrung, (1871 I ed.; 1885 II ed.; 1918 III ed.), ora in Id., Werke, hrsg. vom Hermann-Cohen-Archiv Zürichn, Olms, Hildeshein-New York, 1987, I, tomi 1-3 (il tomo 1 contiene la ristampa anastatica della III ed., il tomo 2 le varianti tra la III e la II ed., il tomo 3 la ristampa anastatica della I ed.); trad. it. La teoria kantiana dell’esperienza, (traduce la I edizione) a cura di L. Bertolini, FrancoAngeli, Milano 1990. Almeno fino alla metà degli anni ’20, in Germania questo testo si impone come passaggio obbligato per affrontare la lettura di Kant (cfr. I. Kajon, Il pensiero ebraico del Novecento. Una introduzione, Donzelli, Roma 2002, pp. 20-29), soprattutto in ambiente ebraico: Benjamin e Scholem, ad esempio, nel 1916-17 lo discutono assieme, facendone oggetto di un’analisi critica che l’anno successivo si riverserà in W. Benjamin, Über das Programm der kommenden Philosophie (1918), in Gesammelte Schriften, cit., Band I, Erster Teil, p. 169; trad. it. Sul programma della filosofia futura, in Metafisica della gioventù. Scritti 1910-1918, a cura di G. Agamben, Torino, Einaudi, 1982, p. 225. 54 Cfr. L. Strauss, Introductory Essay to Herman Cohen, “Religion and Reason”, in Id., Jewish Philosophy and the Crisis of Modernity. Essays and Lectures in Modern Jewish Thought, a cura di K.H. Green, State University of New York Press, Albany 1997, pp. 281-282. 55 Cfr. P. Bouretz, Témoins du futur. Philosophie et messianisme, Gallimard, Paris

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scritti della maturità, votati alla mediazione tra cultura tedesca ed ebraismo, l’idea di una “superiorità del presente” sottende l’intero impianto del sistema di Cohen, e si rispecchia necessariamente nella sua declinazione del rapporto tra religione e politica57. Di fatto, Cohen mostra di accettare come presupposto la soluzione liberale al problema teologico-politico, e quindi di relegare l’esperienza religiosa ad una dimensione tutta privata. Cohen rinuncia a pensare la centralità del patto tra Dio e il popolo di Israele, almeno nella maniera in cui esso viene figurato dalle fonti ebraiche, ovvero come rapporto tra due termini che rimangono assolutamente distinti58. In questo modo, al fine di salvaguardare la libertà umana come autonomia – nonché la libertà della filosofia – egli sbarra la possibilità di porre l’alternativa tra guida umana e guida divina nell’ordine delle cose umane. Riducendo la portata della Rivelazione alla sola dimensione morale, Cohen rinuncia ad uno dei caratteri fondamentali del giudaismo – l’intendere la Rivelazione primariamente come Legge59 – e separa religione e politica come due dimensioni irrelate. La filosofia della religione di Cohen, mediando la relazione tra cultura tedesca ed ebraismo a partire da un sistema filosofico già costruito sulla nozione di autonomia dello spirito, neutralizza l’eccedenza della Rivelazione, riducendo l’esperienza religiosa ad esperienza privata60. Cohen fonda la propria ermeneutica su di una declinazione

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Cohen pensa ad una filosofia della religione capace di accedere ai contenuti della Rivelazione edulcorandoli dal filtro interpretativo costituito dalle categorie della tradizione pagana, al fine di comprendere il “monoteismo etico” della Bibbia in maniera più adeguata rispetto alle possibilità offerte dalla filosofia antica. Egli interpreta il tentativo di armonizzare i contenuti della Rivelazione con quelli della filosofia pagana come un vero e proprio misconoscimento dell’essenza della religione ebraica. Per questo motivo, Cohen legge nella confutazione della teologia naturale, retaggio della cosmologia greca, e nella distinzione netta di due domini di validità, quella della natura e quello dell’interiorità (cioè della conoscenza morale e religiosa), i passaggi obbligati verso il recupero dell’essenza dell’ebraismo; questa dimensione risulterebbe così perfettamente aderente allo sviluppo ormai raggiunto dalla ragione umana nella forma specifica del suo sistema filosofico56. Per Cohen si tratta, dunque, di riconoscere la perfetta congruenza tra i contenuti biblici e i contenuti della ragione, e quindi di identificare la “verità” del giudaismo tradizionale con la religione della ragione. A ben vedere, si tratta del tentativo di produrre una completa “secolarizzazione” del giudaismo: nella visione progressiva dello sviluppo dello spirito, la razionalità sulla quale si rimodellano i contenuti dell’ebraismo rappresenta il punto più alto di un processo tutto interno al divenire storico e quindi interamente profano. Come risulta esplicitamente dagli

57 Cfr. H. Cohen, Deutschtum und Judentum mit grundlegenden Betrachtungen über Staat und Internationalismus (1915; 1916 II ed.), in Jüdische Schriften, cit., II, pp. 237-301. Questo testo è criticato fortemente da F. Rosenzweig in uno scritto composto tra il 1915-1916 (Deutschtum und Judentum, in Der Mensch und sein Werk. Gesammelte Schriften, Nijhoff, Haag-Dordrecht 1976-1984, 4 voll., III, p. 169 ss.) e rimasto inedito, in cui si sottolinea come Cohen riduca a mere astrazioni tanto la cultura tedesca quanto l’ebraismo. 58 Cfr. F. Rosenzweig, Atheistische Theologie (1914), in Der Mensch und sein Werk. Gesammelte Schriften, Nijhoff, Haag-Dordrecht 1976-1984, 4 voll., III, pp. 687 ss.; cfr. I. Kajon, Introduzione al pensiero ebraico del novecento, cit., pp. 62-63. 59 Cfr. L. Strauss, Philosophie und Gesetz. Beiträge zum Verständnis Maimunis und seiner Vorläufer (1935), in Gesammelte Schiften. Band 2: Philosophie und Gesetz – Frühe Schriften, a cura di H. Meier-W. Meier, J. B. Metzler, Stuttgart/Weimar 1997, pp. 3-123; trad. it. Filosofia e Legge. Contributi per la comprensione di Maimonide e dei suoi predecessori, a cura di C. Altini, Giuntina, Firenze 2003. 60 Cfr. F. Rosenzweig, Deutschtum und Judentum, cit., p. 169.

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2003, p. 11. Da questo punto di vista il testo decisivo di Cohen è senza dubbio il postumo Religion der Vernunft aus den Quellen des Judentums (1919-1929 II ed.), rist. J. Melzer, Köln 1959; trad. it. Religione della ragione dalle fonti dell’ebraismo, a cura di P. Fiorato, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994. Cfr. Id., Spinoza über Staat und Religion, Judentum und Christentum, in Id., Werke, cit., XVI, p. 318-426. Cfr. inoltre Id., Kants Begründung der Ethik nebst ihren Anwendungen auf Recht, Religion und Geschichte (1910, II ed.), in Werke, cit., II; trad.. it. La fondazione kantiana dell’etica, a cura di G. Gigliotti, Milella, Lecce 1983. 56 Cfr. H. Cohen, System der Philosophie, 1. Teil, Logik der reinen Erkenntnis (1902; II ed. 1914), in Werke, cit., VI; 2. Teil, Ethik des reinen Willens (1904; II ed. 1907), in Werke, cit., VII [Etica della volontà pura, trad. it. a cura di G. Gigliotti, Edizione scientifiche italiane, Napoli 1994]; 3. Teil, Ästhetik des reinen Gefühls, 2 voll. (1912), in Werke, cit., VIII-IX. Al “sistema” si connette problematicamente lo studio specifico del “concetto di religione”, cfr. Id., Der Begriff der Religion im System der Philosophie (1915), in Werke, cit., X; trad. it. Il concetto di religione nel sistema della filosofia, a cura di G. P. Cammarota, Edizione scientifiche italiane, Napoli 1996.

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è radicalmente critico rispetto all’idea di un’egemonia culturale tedesca. Ancora più netta è la contrapposizione blochiana alla politica prussiana in generale e alla guerra in particolare, che lo porterà al primo esilio in Svizzera negli anni 1917-191963. Testimonianza dell’impegno politico di questo periodo è data dai numerosi articoli scritti per la Freie Zeitung di Berna64, i cui temi principali solo la critica al militarismo degli Junker e ad un sistema autoritario le cui aspirazioni espansionistiche minacciano di soffocare nell’intera Europa i movimenti di emancipazione sociale e politica. Bloch si auto-esilia in Svizzera per sfuggire all’arruolamento, a differenza di molti intellettuali tedeschi di origine ebraica il cui fervore assimilazionista si traduce in un patriottismo senza riserve. Il distacco dal pensiero di Cohen, come da quello di Georg Simmel, si produce in Bloch di fronte all’emergere della connivenza tra la loro posizione intellettuale e la politica prussiana65. Gli scritti del primo esilio svizzero ci mostrano un Bloch che si sforza di leggere nella guerra la possibilità del crollo definitivo delle monarchie dell’Europa centrale. Questa speranza si nutre di una visione apocalittica ebraica ispirata al tikkun olam, la trasfigurazione del mondo nella giustizia dopo la liberazione dal male per opera del Messia66. La risposta sionista alla Judenfrage si colloca all’opposto della prospettiva assimilazionista. Essa si organizza in movimenti tra qui spicca per importanza lo Jüdischer Wanderbund BlauWeiss67. Nonostante la vita piuttosto breve dell’organizzazione,

63 Cfr. A. Münster, Biographie, cit., pp. 104-117. 64 Articoli raccolti da M. Korol in KnK, pp.73-437. 65 Cfr. TAG, pp. 35-36. 66 Cfr. A. Münster, Ernst Bloch. Messianisme et utopie, cit., p. 43. 67 Lo Jüdischer Wanderbund Blau-Weiss, si costituì ufficialmente nel 1912 a Berlino, consacrandosi essenzialmente ad attività sportive e all’organizzazione di feste legate ai rituali ebraici. A partire dal 1922 il movimento si orienterà dichiaratamente verso un sionismo politico che mira al “ritorno” in Palestina. Il giovane Gershom Scholem è una delle voci più significative nel dibattito relativo all’orientamento politico ed intellettuale del movimento, come testimoniano una serie di interventi (Die Blau-Weisse Brille) distribuiti in forma privata tra il ’15 e il ’16, poi apparsi in «Der Jude» 12, 1917, pp. 822-825 (ora in G. Scholem, Tagebücher, 1913-1917, Jüdischer Verlag, Frankfurt a. M. 1995, pp. 291-301), e poi ancora con la nota critica Jugendbewegung, Jugendarbeit, und Blau-Weiss, «Blau-Weiss Führerzeitung», Agosto 1917, pp. 26-30 (ora con il titolo Blau-Weiss Blätter, in Id., Tagebücher, 1917-1923, Jüdi-

volontaristica della nozione di “ideale”, sulla quale costruisce una semantica progressiva dei tempi storici: «Entusiasmo per l’ideale, per l’autocoscienza dell’umanità, per il futuro, che è l’eternità del mondo morale, questa è l’intenzione, che non può avere la sua fonte solo nel pensiero, che sgorga invece dalla volontà, nella quale la volontà si dimostra una potenza autonoma e pura, anzi, la direzione dello spirito che produce il supremo contenuto puro dell’essere, l’ideale dell’eternità»61. Si tratta di una rilettura delle le fonti ebraiche che presuppone la “verità” della filosofia neokantiana, e che mostra di muovere dall’idea di un necessario progresso dialettico insito nella storia. In virtù di questo presupposto, Cohen considera l’ordine liberale moderno come il luogo più appropriato per il compimento della sintesi di giudaismo e filosofia. In questa prospettiva, il presente sembra in grado di comprendere il passato meglio di quanto esso stesso si sia compreso, e quindi che la verità del passato stia tutta nell’interpretazione che di esso può fornire il presente. Il sistema filosofico di Cohen esalta la dimensione razionale del presente al punto di porla come momento di razionalità assoluta, un momento che pretende di trascendere la storia e predefinisce ogni comprensione del passato, tanto da rendere ridondante e superfluo lo stesso studio della storia. Tale razionalità produce una visione progressiva del processo storico, di cui lo stesso sistema coheniano sarebbe la pretesa realizzazione. Nella figura di Cohen si raccolgono i tratti più significativi del movimento di assimilazione che coinvolge l’intellighenzia ebraica di lingua tedesca tra XIX e XX secolo. Una tendenza che in lui si massimizza, fino alla teorizzazione della necessità di una piena convergenza culturale ebraico-tedesca capace di riunire la missione storico-universale dei due popoli. Una convinzione che porta Cohen ad approvare gli obiettivi di guerra di Guglielmo II. Bloch, per molti aspetti affascinato dalla revisione coheniana del kantismo62 e da alcuni aspetti della sua interpretazione dell’ebraismo, 61 H. Cohen, Ethik des reinen Willens, cit., p. 425 [trad. it. cit., p. 307]. 62 Tracce della frequentazione blochiana di Cohen sono desumibili nei primissimi scritti: cfr. «Über die Kraft und ihr Wesen» (1902), p. 3; «Kritische Erläuterung über Rickert. Aus der Würzburger Dissertation» (1908), TLU, pp. 55-107.

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essa eserciterà un’influenza significativa sull’intero movimento dei giovani sionisti tedeschi68. Il gruppo originario di questa associazione si costituisce nel 1907, come controparte ebraica del Wandervogel, organizzazione che, sotto la guida di Karl Fischer, riuniva giovani tedeschi accomunati da una sorta di “disprezzo per la modernità”, i cui tratti caratteristici venivano riconosciuti nella urbanizzazione della civiltà e nel materialismo della società borghese69. I partecipanti al movimento non si identificavano specificamente in nessuna posizione politica: ciò che li accomunava era l’interesse per un certo tipo di poesia e di critica sociale

70 Cfr. P. de Lagarde, Deutsche Schriften: Gesamtausgabe letzter Hand, 5a ed., Dieterichsche Buchhandlung, Göttingen 1920; Id., Ausgewählte Schriften, a cura di P. Fischer, 2a ed., Lehmanns, München 1934.

che essi ritrovavano in autori quali Stefan George, Rainer Maria Rilke e Hermann Hesse. L’assenza di un indirizzo politico di fondo non impedì che si diffondesse tra loro la convinzione che gli ebrei dovessero essere esclusi dall’organizzazione. Attraverso la lettura di Paul de Lagarde70, infatti, gli ebrei venivano associati all’imperante materialismo urbano, dal cui rifiuto il movimento prendeva le mosse. Una comunione di intenti tra giovani tedeschi e giovani ebrei era considerata strutturalmente impossibile, poiché il Wandervogel, pur non professando un’istanza antisemita, si riconosceva come movimento “a-semitico”. I suoi componenti consideravano l’estraneità delle due “nazionalità” come un fatto naturale, la cui evidenza si sarebbe manifestata nel corso della storia dell’umanità. I giovani ebrei tedeschi, che condividevano le posizioni antimoderne proprie di questa ripresa völkish, risposero all’esperienza dell’esclusione dal Wandervogel dando vita ad un movimento di stampo sionista, lo Jüdischer Wanderbund Blau-Weiss, che si modellò sulle pratiche e sugli ideali del movimento giovanile tedesco, tanto da risultarne quasi l’immagine speculare. Il sionismo, almeno nella prospettiva dominante di Theodor Herzl, Leon Pinsker e Max Nordau, rifiuta di fatto una soluzione “teologica” del problema ebraico come problema politico: esso nega che la salvezza del popolo di Israele dipenda esclusivamente dall’intervento divino. Nella prospettiva dell’ortodossia ebraica, solo la fedeltà alla Legge, nell’attesa della fine delle sofferenze del popolo ebraico, può preparare l’avvento del Messia. La fine dell’esilio, del Galuth, non è il frutto dell’agire umano, ma l’esito di un libero intervento divino che eccede totalmente il volere degli uomini. Il sionismo politico si dimostra insofferente alla passività di questa visione messianica, e cerca una soluzione storica al problema ebraico nella costituzione di uno Stato reale. Per convertire le energie passive del popolo ebraico in forze attive, il sionismo politico deve dimostrare la debolezza della prospettiva tradizionale, sottolineandone il carattere passivo e para-

scher Verlag, Frankfurt a. M. 2000, pp. 101-106). Sull’importanza delle tendenze messianiche nella Germania di Weimar e la loro connessione con il sionismo cfr. K. Schreiner, Messianism in the Political Culture of the Weimar Republic, in P. SchäferM. Cohen (a cura di), Toward the Millennium. Messianic Expectations from the Bible to Waco, Brill, Leiden 1998, pp. 311-361. 68 Le analisi sui movimenti giovanili ebraici della Germania di Weimar sono giunte ad uno stato piuttosto avanzato, e rappresentano ormai una parte fondamentale della storiografia relativa alle dinamiche culturali del periodo. Per un primo orientamento cfr.: M. Brenner, The Renaissance of Jewish culture in Weimar Germany, Yale University Press, New Haven 1996; C. Rinott, Major Trends in Jewish Youth Movements in Germany, in Leo Baeck Institute Year Book XIX, Secker & Warburg, London 1974, pp. 77-95; W. Laqueur, A History of Zionism, Holt (Rinehart and Winston), New York-San Francisco 1972, pp. 194 ss., 484 ss.; Id., The German Jewish Youth Movement and the “Jewish Question”, in Leo Baeck Institute Year Book VI, Secker & Warburg, London 1961, pp. 193-205; W. Rosenstock, The Jewish Youth Movement, in Leo Baeck Institute Year Book XIX, Secker & Warburg, London 1974, pp. 97-102; A. Barkai, The Organized Jewish Community, in M.A. Meyer-M. Brenner (a cura di), German-Jewish History in Modern Time, vol. 4: Renewal and Destruction, 1918-1945, A. Barkai-P. Mendes-Flohr (a cura di), New York, Columbia University Press, New York 1996, pp. 90-95; J. Reinharz, Fatherland or Promised Land: the Dilemma of the German Jew, 1893-1914, University of Michigan Press, Ann Arbor 1975, pp. 152 ss. Per ciò che riguarda in modo specifico il ruolo delle corporazioni degli studenti all’interno del movimento sionista tedesco cfr. R. Lichtheim, Rückkehr: Lebenserinnerung aus der Früzeit des deutschen Zionismus, Deutsche Verlagsanstalt, Stuttgart 1970, pp. 79-94. 69 Cfr. W. Laqueur, The German Jewish Youth Movement, cit., pp. 193. Il Wandervogel era ispirato dal misticismo di Friedrich Ludwig Jahn, Julius Langbehn e Paul de Lagarde, contraddistinto da una spiritualità luterana piuttosto de-cristianizzata. Jahn (1778-1852) fu promotore di riforme al sistema educativo, volte alla preparazione dei giovani alla guerra di liberazione contro l’occupazione francese; Langbehn (1851-1907), fu un poeta dal lirismo realistico, che nelle sue opere vagheggiava una prospettiva pan-germanistica. Tra tutti il personaggio di maggior rilievo fu sicuramente Lagarde (1827-1891), il cui “conservatorismo radicale”, attraverso il movimento giovanile tedesco, fu assorbito dal programma del nazionalsocialismo.

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lizzante. Potremmo dire che il sionismo politico si fonda, alla fine, su una professione di ateismo o, se si preferisce, che esso rappresenta una soluzione totalmente atea al problema ebraico. Bloch si tiene sempre ben lontano dal movimenta sionista, poiché ne ritiene la prospettiva politica tutta interna alla concettualità statuale e dunque incapace di eccedere, nonostante i suoi contenuti anti-borghesi, la dimensione capitalistica. L’implicito ateismo che sottende il sionismo politico, poi, rimane schiacciato nella prospettiva di quel nichilismo deteriore incapace di rovesciarsi in un istanza extra-autoritaria e comunitaria. Ciononostante, dopo la seconda guerra mondiale – e dunque successivamente alla fondazione dello Stato di Israele avvenuta nel 1948 – egli tenta, all’interno del suo compendio delle utopie sociali71, di prospettare per il sionismo una tradizione “interrotta”, capace di trasfigurare la Judenfrage, e dunque di renderla ereditabile come lotta di liberazione politica e sociale72. L’excursus blochiano parte dalla considerazione che il dolore del popolo ebraico non ha paragoni. Non si riferisce solo allo sterminio nazi-fascista, ma all’intera storia di quel popolo, da sempre percosso e disprezzato, ma che non si è mai lasciato divorare benché «costantemente fra i denti dei popoli padroni». La liberazione borghese lo ha inserito nella società capitalistica presente, ultima stazione di un «calvario», quella della libera concorrenza che esige l’uguaglianza giuridica dei partner. Una parte dell’elemento ebraico, «non sempre la migliore», entra e si afferma nel mercato: «era una prima alba, quella dell’assimilazione»73. Ma infine, quando «i folli che confidavano in un progresso che girava a vuoto» lo ritenevano impossibile, ricompare con forza mai vista lo sterminio. Quando è proprio il cittadino liberale a spianare l’arma contro l’ebreo, allora l’unica soluzione pare essere quella della separazione definitiva: è questo il momento in cui «il luogo natale riprende a brillare»74. In realtà, questo desiderio emerse già nel cuore dell’assimilazione, ma solo dopo il 71 Cfr. PH, 547- 729 [541-718]. 72 Cfr. «Altneuland, Programm des Zionismus», ivi, pp. 698-713 [689-703]. Ivi, p. 698-699 [689]. Ivi, p. 699 [690]. 73

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nazi-fascismo il sionismo si impose come opinione diffusa, anche tra quelli ebrei che non avevano nessuna intenzione di lasciare i paesi in cui vivevano. A questa opinione diffusa, Bloch risponde evidenziando come il desiderio del “ritorno”, presente in tutta la storia del Galuth, in un momento preciso della storia della diaspora seppe legarsi con le istanze dei movimenti di liberazione politica e sociale.

Il socialista Moses Heß, a suo tempo amico e precursore di Marx ed Engels, successivamente amico di Lassalle, dialettico idealista certamente inveterato, nel 1862 con Roma e Gerusalemme75 scrisse il più toccante libro dei sogni sionisti. Fu aiutato in ciò dal modo al contempo appassionato e confuso con cui credeva alla funzione animatrice della razza76.

Con questa mossa storiografica, Bloch tenta di costruire un’altra tradizione per il sionismo, per scoprirne nelle istanze più profonde le possibilità di liberazione rimaste bloccate. Moses Hess, pur negli angusti limiti della sua “filosofia dell’azione” e della “pulsione razziale”77, nella lettura blochiana diviene il momento originario in cui l’ebraismo di matrice profetica si connette con la causa del proletariato. In questa prospettiva, il ritorno in Palestina diventa un momento funzionale al socialismo inteso come «vittoria della missione ebraica nello spirito dei profeti»78. Chiaramente, lo scopo principale di questa lettura è quello di far abbeverare il socialismo alla fonte del profetismo, ereditandone così la forza immaginifica della visione liberatoria. L’appello di Hess rimase inascoltato, tanto che i sogni sionisti persero il loro timbro socialista diventando moderatamente liberali. Una generazione dopo, infatti, compare sulla scena Theodor Herzl, autore dell’unico programma sionista che ebbe efficacia storica, «un programma in cui forse non mancava Geremia, ma

75 Cfr. M. Hess, Rom und Jerusalem, die Nationalitätsfrage, M.W. Kaufmann Verlag, Leipzig 1862. Il testo viene ristampato nel 1899 per volontà di M.I Bodenheimer (esponente del partito sionista) con un nuovo sottotitolo: Die Letzte Nationalitätsfrage; trad. it. Roma e Gerusalemme. L’ultima questione nazionale, a cura di G. Giannini, Guida, Napoli 2002. 76 PH, p. 700 [691]. Cfr. G. Bensussan, Moses Hess. La philosophie, le socialisme, PUF, Paris 1985. PH, p. 702 [692]. 77

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da cui Isaia era assente». Decisivo per l’influsso di Herzl sulla borghesia ebraica fu il «colore illuministico liberale, che venne cui conferito al sogno di Sion. [Egli] provvide innanzi tutto ad allontanare ogni connessione con il radicalismo sociale dei profeti, con la missione socialista e con le altre così dette stravaganze di Moses Heß; il sionismo divenne così accessibile per la borghesia ebraica liberale. Herzl trovò il modello per il proprio Stato ebraico nei numerosi irredentismi, […] anche gli ebrei dovevano poter approdare al loro proprio Stato nazionale»79. Il progetto di Herzl è quello di trasformare questione nazionale ebraica in una questione mondiale, cioè farla diventare un problema a carico della comunità internazionale, attraverso «un accordo con il capitalismo». Lo scopo del sionismo divenne così la fondazione di uno Stato capitalistico democratico sotto l’egida delle potenze europee, il cui ordine sociale interno doveva assumere le fattezze di «un capitalismo privato cooperativo con riforma agraria»80. La Sion di Herzl era un utopia immediatamente raggiungibile, sostanziata non da una missione, ma dall’orgoglio nazionale. Insieme alla deformante condizione della diaspora, egli prospettava anche l’annullamento della prospettiva dell’assimilazione, «falsa aurora in cui la diaspora non era stata diradata, bensì affermata». Il sionismo si poneva così come seconda e vera aurora, capace di illuminare una prossima «sede per il popolo ebraico in Palestina garantita dal diritto pubblico». In realtà, Bloch tende a mostrare che la posizione di Herzl, molto più di quella di Hess, presuppone l’assimilazione è l’abbandono di tutto ciò che nell’ebraismo risulta extra-territoriale rispetto alla statualità capitalistico-democratica:

82 Ibid. [696]. 83 Cfr. M. Farnesi Camellone, Martin Buber (1878-1965): la comunità oltre lo Stato, in Aa.Vv., L’altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico, “Fondazione Luigi Micheletti”, Jaka Book, Milano 2009 (in corso di stampa). 84 Cfr. M. Buber, Israel und Palästina. Zur geschichte einer Idee, Artemis, Zürich 1950; trad. it. Sion. La storia di un’idea, di P. Gonnelli, Marietti, Genova 1987.

Ciò che è completamente assente in Herzl, e che invece è contenuto in potenza nel sionismo romantico di Hess, è il legame con un messianismo che sostanzi una visione sociale di Sion. A differenza di Herzl, Hess sostenne indefessamente l’alleanza tra l’istanza sionista e il movimento operaio internazionale: in essa era possibile attivare lo spirito profetico e mostrare come per Israele «la tomba di famiglia contasse meno della resurrezione». Israele doveva trasfigurarsi come «luogo di irradiazione, come appello al mondo intero e non come Stato»82. Colui che tra i sionisti ha sostenuto maggiormente la missione universalistica di Israele è stato senza dubbio Martin Buber83. L’umanesimo ebraico di Buber lavora ad una nozione di ethos che superi la separazione tra moralità e politica, e quindi anche tra Kultur – intesa come dimensione spirituale privata – e vita pubblica. Nella prospettiva buberiana, la ricomposizione dello iato tra Kultur e Zivilisation nell’ebraismo deve indicare la possibilità di rinnovamento integrale per l’intera umanità: questa è la vocazione universalistica dell’umanesimo ebraico, perché questa è la missione di Israele. Il sionismo stesso riceve dall’umanesimo ebraico una declinazione di senso del tutto eccedente l’istituzione di uno Stato per Israele. Il ritorno a Sion ha per Buber lo scopo di fornire agli ebrei una nuova possibilità per essere popolo, al di là della messa in forma statale di questa dimensione. Il significato di tale partecipazione comunitaria si ritrova nella peculiare distinzione buberiana tra Gesellschaft e Gemeinschaft: se la prima consiste in una condivisione di interessi regolata giuridicamente, la seconda si fonda sulla condivisione di un sentire comune radicato in un ethos che coinvolge integralmente gli individui rivelandoli costituiti nella relazione. La comunità è «un’associazione vivente» (Lebensverband), ed è quindi compartecipazione ad un destino e ad una vocazione84.

Gli hassidim non avrebbero fondato nessuna Tel Aviv, lo studio del Talmud non avrebbe depositato nessuno manoscritto di Einstein nell’università di Gerusalemme e non vi sarebbero lì professori di Cabbala, bensì cabalisti. Anche il fascismo ebraico, in quanto conseguenza dell’adozione dello Stato capitalistico-democratico contemporaneo, senza una simile adozione sarebbe del tutto sconosciuto81. 79 Ivi, pp. 702-703 [693-694]. Ivi, p. 704 [694]. Ivi, p. 705 [695]. 80

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L’esperienza dell’insediamento ebraico in Palestina aveva convinto Buber che la costituzione di uno Stato di Israele non poteva che essere considerata alla stregua di un obiettivo momentaneo. La questione ebraico-araba nel suo complesso costringeva ad indirizzare gli sforzi verso un superamento della statualità, o almeno verso l’idea di uno «Stato binazionale» pensata all’interno di uno scenario geopolitico capace di contenere una Confederazione del Vicino Oriente (Israele e i paesi del bacino del Giordano) e quindi eccedente rispetto ad un piano del diritto internazionale costituito da Stati sovrani considerati come monadi indipendenti. In questa prospettiva, ad essere superata è la stessa ideologia nazionale, che rimane fruttuosa solo se non rende la nazione un fine in se stesso. È la consapevolezza del proprio compito a rendere un popolo nazione, la consapevolezza di avere una missione non astrattamente definibile, ma sempre di nuovo idealmente mostrata e interpretata come «segreto del popolo». Non appena l’ideologia nazionalistica trasforma la nazione in un fine in sé essa diventa sterile per l’umanità, e perde perciò il proprio “diritto” all’esistenza. La nazione, e quella ebraica in modo particolare, deve assumere su di sé una responsabilità sopranazionale, cioè aprirsi ad uno spazio etico concreto che le permetta un rapporto vitale con gli altri popoli. Questo è dunque il compito politico del popolo di Israele, che «non ha come obiettivo lo sfruttamento capitalistico di una regione e non è asservito ad alcun fine imperialistico; il suo senso è il lavoro creativo di uomini liberi su una terra comune. I questo carattere sociale del nostro ideale nazionale risiede la forte garanzia che tra noi ed il popolo dei lavoratori arabi si rivelerà una profonda e duratura solidarietà di reali interessi […]. Grazie alla consapevolezza di questa alleanza si costituirà tra gli appartenenti ad entrambi i popoli nella vita pubblica e personale una attiva predisposizione al reciproco rispetto e alla reciproca benevolenza. Solo così si potrà compiere, in grandezza storica, di nuovo l’incontro tra i due popoli»85. Buber è il grande assente della storia del sionismo tratteggia85 Id., Una terra e due popoli. Sulla questione ebraico-araba, a cura di I. Kajon e P. Piccolella, Giuntina, Firenze 2008, p. 90.

iv. storie di parte. storiografia e intervento politico

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ta da Bloch. L’intento blochiano, infatti, è quello di figurare la massima divaricazione tra la vicenda del sionismo politico quale è stata, e quella che avrebbe potuta essere se si fossero condotte alleanze differenti. Di fatto, Buber è troppo interno alla vicenda della fondazione dello Stato di Israele per poter essere utilizzato in questa operazione. Inoltre, l’immagine del sionismo fornita da Bloch ha lo scopo preciso di produrre una trasfigurazione dell’ebraismo in quanto tale, in modo che i suoi contenuti profetici e messianici possano essere ereditati in una prospettiva marxiana.

Ciò che della missione sociale e dell’eredità dei profeti continua a vivere oggi nell’ebraismo rendendolo importante, lo ha annunciato Moses Heß lontano dalla Palestina e Marx l’ha reso presente addirittura in totale estraneità da essa. Per essi Sion era ovunque crolli “il regno animale sociale” e cessi la diaspora: quella di tutti gli sfruttati86.

PH, p. 705 [696]. Ivi, p. 708 [698-699].

L’imporsi della linea di Herzl, e il conseguente divenire di Israele pedina sulla scacchiera della politica imperialistica, provocò l’effetto non secondario di abbandonare parecchi milioni di ebrei al macello nazi-fascista, impedendo loro di approdare in Palestina. Lo Stato ebraico di Herzl aveva portato al numero chiuso del diritto di residenza degli ebrei, e Sion diveniva una terra da cui ebrei politicamente scomodi potevano venir deportati in qualità di stranieri ingombranti. Inoltre, Israele diventò l’oggetto dell’odio del movimento nazionale rivoluzionario arabo, a sua volta pedina nel gioco dell’imperialismo occidentale. Tutto ciò contribuì al fatto che «uno Stato popolato con la fuga dal fascismo, diventasse a sua volta uno Stato fascista. […] Israele e diventato il cane, neppure ben tenuto, dell’imperialismo americano in Medio Oriente»87. Bloch insiste sul fatto che non esiste una soluzione isolata ai problemi delle minoranza e delle nazionalità, cioè che non c’è soluzione alla Judenfrage, senza una soluzione complessiva della questione socio-economica, che è la radice più profonda anche dell’antisemitismo. Per questo l’utopia ebraica deve riconnetter86 87

iv. storie di parte. storiografia e intervento politico

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si a ciò che rappresenta la sua cifra distintiva, il dovere di agire in conformità con l’insegnamento dei profeti. Ma per fare questo non è più necessario nessun centro d’azione in Palestina, poiché «in un movimento di liberazione complessivo gli ebrei hanno sempre lo spazio per rendere superfluo l’ultimo ghetto. Schierati in riga con il movimento per la luce, in ogni paese cui si appartiene, questa sembra l’autentica patria ebraica. Nella misura in cui l’ebraismo non rappresenta solo una qualità più o meno antropologica, bensì un certo affetto messianico, quello per l’autentica terra di Canaan, che non è più limitata nazionalmente; Thomas Müntzer “con la spada di Gedeone” lo ha rivelato, ma non i Rothschild»88. L’ebraismo deve riscoprire il suo essere movimento profetico, e quindi il suo appartenere ai popoli in generale, e non ad un protettorato occidentale in un angolo d’Oriente. Se esiste ancora una nazione ebraica, la sua liberazione coincide con la liberazione sociale, poiché, secondo l’intenzione profetica, Sion è ovunque. L’unico senso del popolo ebraico resta, dunque, quello di essere testimone vivente dell’istanza messianica89.

3. Del diventare identici: il testo biblico come immagine politica

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90 Ivi, p. 1504 [1471]. 91 Cfr. AC, p. 120 [121]. 92 Cfr. ivi, pp. 148-166 [146-161]. Cfr. ivi, pp. 126-148 [126-146]. Cfr. ivi, pp. 115-148 [115-146].

ra il trascendere come insito ontologicamente nella materia stessa, in quanto determinazione fondamentale della realtà. Tuttavia, egli rimarca che il luogo fenomenico di una tale trascendenza si trova storicamente nella religione, o meglio, in quelle pagine del testo biblico che hanno nutrito le eresie cristiane. Bloch intende rendere ereditabile per le lotte di liberazione nel presente ciò che nella Bibbia c’è di unico: infatti, «la resurrezione di Cristo dai morti è senza analogia nella storia delle religioni, ma la trasformazione apocalittica del mondo in qualcosa di ancora totalmente non presente non trova nemmeno un accenno fuori dalla Bibbia»90. Atheismus im Christentum vuole dunque testimoniare della radicale novità della storia biblica, quella storia che non si limita al testo scritturale ma che si trova raccolta in tutta la tradizione ereticale dagli Ofiti ad Origine, a Gioacchino da Fiore, a Thomas Müntzer, a Tommaso Campanella. Interpretata in questa prospettiva, la storia biblica racconta del serpente quale prima affermazione della volontà di trascendere senza trascendenza, che si scaglia contro il Dio Signore della teocrazia. Così Caino e il suo stigma dicono la verità contro i sacrifici di sangue di Abele91; Dio, sul monte Moira, vede il suo errore e sostituisce Isacco con un montone rendendo nulla la fede “canina” di Abramo. Nessuna possibilità di mediazione con un modello di teodicea nell’invocazione di Giobbe al vendicatore di sangue, contro la signoria assoluta di Jahvè92. Il Dio dell’Esodo, che si annuncia a Mosè con “Io sarò quello che io sarò”, parla nella bocca dei profeti93 che gridano contro la teocrazia e si compie in Cristo, il serpente per eccellenza. In lui il trascendere trova la propria immagine compiuta, ponendosi contro la trascendenza, nelle ultime parole dalla croce, pronunciate contro il Dio dell’annientamento e della morte94. Il figlio dell’uomo si pone nella Bibbia contro la teologia del sacrificio, della morte espiatoria, contro la Chiesa che ne

Ivi, p. 709 [700]. Cfr. ivi, pp. 712-713 [703].

Nell’opera di Bloch considerata nel suo insieme, emerge chiaramente la tensione verso un soggetto liberato e un oggetto disalienato, che egli considera avere un proprio luogo storico d’origine: la tradizione biblica secondo il filo rosso apocalittico, non teocratico e dunque extra-autoritario, lo stesso che si ritrova nella storia delle grandi eresie e delle grandi rivoluzioni. La chiave di lettura che gli consente questo approccio al testo biblico è l’ontologia del non-essere-ancora e la conseguente nozione di utopia, in cui la mediazione utopica non si contrappone rigidamente e negativamente a ciò che utopico non è, ma si elabora dentro all’unica realtà storica. Marxianamente, Bloch conside88 89

iv. storie di parte. storiografia e intervento politico

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so»101. Il lungo peregrinare per il continente-speranza ha insegnato a Bloch la parola d’ordine di ogni esodo dalla terra della schiavitù: «dove v’è speranza, ivi è anche religione; di certo non vale l’inverso (dove è religione, ivi è anche speranza), a riguardo delle religioni dettate dal cielo e dall’autorità»102. Dall’umana speranza nel Novum migliore nasce la critica più dura contro la re-ligio intesa nel suo significato etimologico di legame all’indietro, repressivo e regressivo. Questa speranza, invece, muove dall’anticipazione scontenta ed autocreativa, verso un trascendere senza trascendenza. Occorre riconoscere un’invarianza di questo indirizzo che, anche se spesso frustrato, riemerge nei momenti più inaspettati, «in una storia che tante volte si fa da sola il contropelo»103. Ciò vale in modo particolare per quell’ateismo che non si accontenta dello sterile “no” del nichilismo, e che sente la mancanza del fuoco dei “verso-dove”, degli “a-che-scopo”, dell’eschaton. Per questa necessità, la Scrittura si mostra ricolma di scuotimenti contro i sostegni di questo mondo di morte, certo in modo immaginifico, se non persino mitologico, «ma tuttavia rorida di ribellioni più tardi represse o falsificate»104. Per Bloch è la situazione del nostro presente, la profondità del nostro tempo, a chiederci di far filosofia guardando lontano, anche nel passato se necessario, per ritrovare schegge esplosive da inoculare qui e ora. In questa prospettiva, liberi da qual si voglia Dio Signore (sia esso concreto oppure immaginario, ma comunque disciplinante) si tratta di rialzarci «senza l’aiuto di angeli»: «nelle parole della Bibbia questo si chiama il nostro volto svelato, nella filosofia il diventare identici»105. Il sondaggio biblico blochiano ha lo scopo di recuperare materiale incandescente per nutrire un’immaginazione del presente capace di indicare rischiosamente la via del mutamento, di pensare all’esperimento del mondo come esperienza della trasformazione dello stesso soggetto esperiente:

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la politica e l’immagine

fa il centro del suo culto, contro Lutero e Calvino che nella riforma affermano nel modo più violento il principio teocratico. L’eresia, invece, ci consegna una “critica della religione” che contro il Dio Signore ripropone il dilemma “aut Caesar aut Christus”. Morto il figlio dell’uomo, non muore il desiderio escatologico95 che trasforma questa morte nel massimo trionfo contro la teologia del sacrificio espiatorio e della pazienza della croce96. Nel simbolo cristologico, ateo e metareligioso, è inscritto l’annuncio della verità dell’homo absconditus che non si è ancora mai oggettivato e che è il mistero ancora immediato del nostro essere uomini. In Bloch, dunque, la critica della religione diviene paradossale negazione della trascendenza in un trascendere, e affermazione del Regno97 in cui l’uomo riconoscerà il proprio volto finalmente disvelato, in cui “naturalizzazione dell’uomo e umanizzazione della natura” finalmente coincideranno98. L’immagine della storia biblica fornita da Bloch si configura come esodo dal regno della necessità, nella direzione di quell’Heimat – tanto meta quanto origine – dove l’uomo incontrerà se stesso in unità con il cosmo99. La religione che interessa a Bloch, quella che può indicare la via della liberazione, quella in grado di fornire nutrimento ad un immaginario che non può essere abbandonato alla desertificazione capitalistica, è quella dell’esodo e del Regno. Essa non può essere gettata via in quanto superstizione, perché in essa si trova qualcosa di esplosivo che non può essere perduto. Della religione va ereditata la cosa migliore, e «la cosa migliore nella religione è il fatto di crear degli eretici»100. Per Bloch, l’urgenza, la necessità, è di leggere la Bibbia sub specie di storia degli eretici continuamente operante, usando un metodo analitico e uno sguardo investigatorio, che permetta di udire «il mormorio dei figli di Israele, tanto noto quanto spesso e volentieri soppres-

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101 Ibid. 102 Ibid. 103 Ivi, p. 24 [32]. Ibid. Ivi, p. 25 [33, corsivo aggiunto]. 99

95 Cfr. ivi, pp. 207-212 [198-204]. 96 Cfr. ivi, pp. 218-226 [209-216]. 97 Cfr. ivi, pp. 294-297 [278-281]. 98 Cfr. ivi, pp. 297-303 [281-286]. Cfr. ivi, pp. 311-354 [291-331]. Ivi, p. 23 [31]. 100

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Ivi, p. 33 [41, corsivo aggiunto].

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Invece di gettare via in blocco questo “a-che-scopo”, privi come siamo del tutto di arco e di frecce vere e proprie, invece di dipingere e reintonacare “modernamente” i vecchi fondi di magazzino, sarebbe meglio tentare di nuovo di prestare ascolto anche a quel non-ancora biblico, che pure non viene meno; e distinguere soprattutto, aprendosi un cammino attraverso terreni incolti e giardini, con una fiaccola tra le mani, entrando poi nella Scrittura, senza rimanere in disparte ma ponendosi dalla parte di coloro che furono lasciati in disparte106.

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Conclusione La partiticità riflettuta

Non esistono punti di arrivo che siano insuperabili, in quanto anche il punto di arrivo, il culmine massimo, non è che un termine di riferimento rispetto ai punti di arrivo già superati.

Arnold Schönberg

Nel pensiero di Bloch rimane ferma, fino alla fine, la distinzione tra “vivere” (leben) ed “esperire vitalmente” (erleben). Il vivere avviene nell’oscurità dell’essere troppo prossimi a se stessi, e di esso il soggetto ha solo una debole percezione. L’esperienza vitale si ha, invece, nel mettersi a distanza da sé, nell’uscir fuori dall’eccesso di prossimità, da quel punto cieco (blinder Fleck) da dove è impossibile ricevere impulsi. Si tratta, seppur ancora nella dimensione dell’immediatezza, di un mettersi di fronte a sé. L’oscuro dell’attimo vissuto non nomina solo la nostra interiorità, ma riguarda anche ciò che sta fuori di noi, poiché esso persiste in mezzo a tutto ciò che non riesce a ruotarsi davanti a sé. Ad ogni esperienza, al proprio inizio, si interpone questa oscurità. Ciò investe a pieno la possibilità stessa di concettualizzare la nostra esperienza. Da un punto di vista logico-formale, i concetti possono solo apparentemente risultare evidenti, soprattutto quando pretendono di sussumere ricordi e sopravvivenze del passato. Appunto per questo, del passato rimane qualcosa da ereditare, qualcosa che eccede la possibilità di essere sterilizzato nel concetto. Qualcosa che può avere una sua maturazione postuma nella forma della pre-apparizione del nostro futuro. Tali preapparizioni, che costituiscono la componente utopica dell’ideo-

conclusione. la partiticità riflettuta

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logia, sono i fermenti dell’eccedenza che rende possibile l’utopia in generale, che la collocano in un terreno sempre più ampio, più aperto, al di là dell’ideologia stessa. Certamente, un ideologia del passato può mantenersi nel senso di una forma di dominio, del tutto priva di produttiva maturazione postuma, restaurata e addobbata con abbellimenti tratti dal passato. Un’ideologia ricca di eccedenza, invece, ha una funzione integralmente diversa, anzi può congiungersi con uno sguardo disincantato, uno sguardo persino distruttore, che però non vuole trivializzare, immobilizzare e privare di tensione ciò che intende costruire dalle macerie. Questo sguardo, che smaschera l’ideologia sterile camuffata da realtà data, deve strappare «dalla catena i fiori immaginari, non perché l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga il fiore vivo»1. Lo sforzo blochiano è quello di un pensiero che assume su di sé l’impresa della categorialità dopo che il carattere ideologico delle stesse categorie è stato disvelato:

Questo genere di partiticità, […] diventa al tempo stesso un’obbiettività con-figurante (mitbildende), ulteriormente figurante (weiterbildende). Mentre proprio i presunti empiristi, anzi i positivisti, che sottolineano in modo così sospetto la loro neutralità rispetto ai valori, sono tanto lontani da questa libertà dall’interesse da non aver dietro di sé nient’altro che l’interesse annebbiante della loro classe. E il reale che portano sulla loro insegna è in effetti così poco neutrale rispetto ai valori da conservare e feticizzare in verità come fatti incontestabili per lo più solo le datità dominanti, ossia per l’appunto le datità presenti5.

realtà significa necessariamente prendere parte. Ma detto ciò, la presa di parte per la causa degli oppressi non può essere il mero risultato di un impegno morale. In questa presa di parte deve manifestarsi un atteggiamento fondabile esattamente nella stessa realtà obiettiva: per Bloch, la partiticità riflettuta ha a che fare esattamente con la verità. Una presa di parte interessata, dunque, ma che non fa da velo, perché è «conforme alla verità» (wahrheitsgemäße)4, nella misura in cui si differenzia da ogni altra posizione ideologica avendo come solo interesse l’eliminazione di tutti gli interessi e di tutte le ideologie che fanno da velo. Una tale partiticità è il tramite per cui l’utopia contenuta nell’ideologia diventa finalmente utopia concreta, nell’alleanza con lo smascheramento del «cattivo presente» – quello che si autorappresenta come orizzonte insuperabile, atemporale e astorico – con le qualità del reale cariche di futuro, con la comprensione della tendenza e della latenza del possibile presente nel reale. Questa prospettiva condanna come «cattiva partiticità» – come presa di parte inconsapevole della propria parzialità – ogni feticismo dei fatti che si scagli, nel suo preteso obiettivismo, contro le possibilità del reale.

Anzi, proprio nel suo reggere alla prova, anche dopo un accurato esame delle origini sociali della categorialità, come forma d’esserci non ancora per nulla affermatasi, tale eccedenza consegue così proprio costitutivamente, vale a dire, qui, all’interno di una realtà in se stessa ancora carica di utopia, un riferimento al reale2.

Parole e concetti sono certamente avvolti da un involucro ideologico, ma non si esauriscono in esso. Occorre, tuttavia, sempre di nuovo mettere alla prova la purificazione delle categorie dall’ideologia. Resta decisivo il fatto che ancora in nessun tempo e in nessun luogo le categorie possono essere trattate come perfettamente scevre dall’ideologia. Questo è il nodo cruciale, la questione che spinge Bloch a riflettere sulla nozione di partiticità (Parteilichkeit)3. Il pensare la realtà, in quest’ottica, non può presupporre in nessun modo la propria neutralità: pensare la

5

4

Ibid. Ivi, p. 53 [87].

La partiticità riflettuta smaschera, dunque, i fatti in quanto questi si presumono esaurienti lo spazio della verità, delle possibilità del reale, mostrandone il carattere intrinsecamente impermanente. L’ideologia più forte e nociva è quella che si pretende del tutto indipendente dagli interessi, mentre l’intensissima e

2

1 K. Marx, Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel, trad. it. a cura di R. Panzieri, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 191 (MEW 1, p. 379). EM, p. 51 [86]. Cfr. ivi, p. 52 [87]. 3

129

conclusione. la partiticità riflettuta

la politica e l’immagine

Ivi, p. 54 [89, corsivi aggiunti].

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8

infine nella sequenza delle categorie stesse come figura. Il conoscere come enunciare categoriale presuppone l’uomo come conoscente e insieme anche come ciò che è da conoscere, come ciò che viene conosciuto di volta in volta in via di approssimazione. Qui si chiarisce la necessaria distinzione tra l’oggetto reale intenzionato dal conoscere (Objekt), e l’oggetto come termine e risultato sempre provvisorio del conoscere tramite categorie (Gegenstand). Tra soggetto e oggetto in questo modo non si profila un abisso, ma un ponte, che «può così essere percorso dal soggetto ricercante allo stesso modo in cui l’oggetto stesso, anzi il mondo nel suo complesso, è in cammino verso la mancante conoscenza di sé»8. Alla fine, ciò che possiamo ereditare da Bloch è forse proprio questa mancanza, o meglio, la capacità, e il coraggio, di sperimentarla.

Ivi, p. 54 [88]. Ivi, p. 264 [292].

riflettuta partiticità dell’interesse alla liberazione permette di dissolvere le nebbie della chiusa autorappresentazione della realtà. L’eccedenza «può trovare chi raccoglie la sua eredità solo se questa stessa eccedenza viene presa da un novum, da un che di originario, non ancora storicamente esaurito»6. Questo contenuto non liquidato è presente nelle stesse categorie che permettono la comprensione storica, nella misura in cui esse concedono spazio alla ri-creazione del novum, assicurandolo sul piano gnoseologico sia contro il relativismo dell’astratto soggettivismo, sia contro l’apparente neutralità dell’obiettivismo. Ciò impegna la figurazione storiografica a trattare la storia stessa come esperimento, che si svolge in direzione di un “verso-dove” (Wohin) e un “a-che scopo” (Wozu), entrambi sempre di nuovo da scoprire, da implementare, mai decisi da ciò che è “già stato”. Il carattere sperimentale del sistema aperto di Bloch si fa carico dell’ardita prospettiva di pensare l’uomo finalmente naturalizzato nell’umanizzazione della natura. Naturalizzazione e umanizzazione richiedono un pensiero dell’immanenza spinto fino all’estremo, il più possibile prossimo alla causa dell’uomo, e quindi alla causa del mondo, che deve essere sottratta all’oscuro esistentivo per essere portata dentro «la realtà della prossimità reale», cioè immensa nella presenza del ritrovamento di noi stessi. L’essere oscuri a noi stessi, pur perdurante come insopprimibile condizione iniziale di ogni nostra esperienza, nell’esperimento del mondo deve trovare progressivo, anche se mai certo, chiarimento. Tanto il soggetto che l’oggetto non devono rimanere affetti da estraneità a se stessi, ma ri-condotti alla propria Heimat. Qui «l’illuminismo ex fine e la prossimità al volto disvelato non vengono ancora avanzando da nessuna parte come parola risolutiva, ma avanzano da ogni parte come parola d’ordine: natura naturata nos ipsi erimus»7. Il kategorein blochiano è primariamente un enunciare, dove ciò che viene detto nella categoria è lo stesso quadro (Rahmen) enunciatovi, il quadro enunciato innanzitutto come spazio e tempo, poi secondo le trasmissioni logiche tra i suoi contenuti, 6 7

Ernst Bloch. Profilo della vita e delle opere

Poiché si è scelto di interpretare l’opera di Bloch con un taglio sincronico, per facilitare l’orientamento del lettore si fornisce di seguito una succinta tavola cronologica della vita e delle opere principali.

1885 Nasce a Ludwigshafen il 7 luglio.

1902 Manoscritto: Über die Kraft und ihr Wesen [Sulla forza e la sua essenza].

1908 Dissertazione di laurea: Kritische Erörterungen über Rickert und das Problem der modernen Erkenntnistheorie [Discussioni critiche su Rickert e il problema della moderna teoria della conoscenza] poi stampata a Ludwigshafen nel 1909.

1914-’17 Scrive la prima versione del Geist der Utopie [Spirito dell’utopia].

1918 Esce a München per i tipi di Duncker & Humblot la prima versione del Geist der Utopie.

1919-’21 Scrive Thomas Münzer als Theologe der Revolution [Thomas Münzer come teologo della rivoluzione] che esce per i tipi di Kurt Wolff, München.

1923 a) Seconda edizione del Geist der Utopie per i tipi di Paul Cassirer, Berlin; b) Aktualität und Utopie, recensione a Lukács, Geschichte und Klassenbewusstsein; c) Zehlendorfer Manuskript, abbozzo di sistema su

132 la politica e l’immagine

cui si baserà Experimentum Mundi. In questi testi si rintraccia l’avvicinamento al marxismo teorico. 1925 Durch die Wüste [Attraverso il deserto]. 1930 Spuren [Tracce]. 1935 a) Erbschaft dieser Zeit [Eredità di questi tempi]; b) Conferenza al «Congrès pour la Défense de la Culture» dal titolo Marxismus und Dichtung [Marxismo e poesia]. 1936-’38 A Praga lavora al manoscritto Geschichte und Inhalt das Materiebegriff [Storia e contenuto del concetto di materia]. 1938-’49 Esilio negli Stati Uniti. Qui lavorerà a: a) SubjektObjekt [Soggetto-Oggetto]; b) Naturrecht und menschliche Würde [Diritto naturale e dignità umana]; c) Das Prinzip Hoffnung [Il principio speranza]. 1946 Esce a New York Freiheit und Ordnung. Abriss der Sozialutopien [Libertà e ordine. Schizzo delle utopie sociali], un lungo stralcio da Das Prinzip Hoffnung. 1948 Esce per la prima volta, in traduzione spagnola a Città del Messico, Subjekt-Objekt. 1949-’61 Si stabilisce a Lipsia, dove diventa docente universitario e direttore dell’Istituto di filosofia. Prolusione: Universität, Marxismus, Philosophie. 1949 Prima edizione tedesca di Subjekt-Objekt, Aufbau, Berlin Ost. 1952 Avicenna und aristotelische Linke [Avicenna e la sinistra aristotelica]. 1953 a) Christian Thomasius, ein deutscher Gelehrter ohne Misere [C.T., un dotto tedesco libero dalla miseria intellettuale]; b) Primo volume (di tre) dell’edizione orientale (Berlin) di Das Prinzip Hoff-

ernst bloch. profilo della vita e delle opere

133

nung; c) Primo volume (di due) dell’edizione occidentale di Das Prinzip Hoffnung, Suhrkamp, Frankfurt a. M.

1954 Secondo volume dell’edizione berlinese del Prinzip.

1955 Conferenza: Differenzierungen im Begriff Fortschritt [Differenziazioni nel concetto di progresso].

1959 a) Escono il secondo volume dell’edizione occidentale e il terzo di quello orientale del Prinzip; b) nuova edizione di Spuren.

1961-’77 Professore ospite a Tübingen.

1961 a) Prolusione: Kann Hoffnung enttäuscht werden? [Può la speranza essere delusa?]; b) Philosophische Grundfragen. Zur Ontologie des Noch-Nicht-Sein [Domande filosofiche fondamentali. Sull’ontologia del non-essere-ancora]; c) Naturrecht und menschliche Würde, che inaugura l’edizione completa delle opere.

1962 a) Verfremdungen I [Straniamenti I] (saggi letterari); b) nuova edizione aumentata di Subjekt-Objekt.

1963 Primo volume della Tübinger Einleitung in die Philosophie [Introduzione tubinghese alla filosofia].

1964 a) Secondo volume della Tübinger Einleitung in die Philosophie; b) Verfremdungen II. Geographica; c) nuova rielaborazione della seconda edizione del Geist.

1965 Literarische Aufsätze [Saggi letterari].

1968 a) Atheismus im Christentum. Zur Religion des Exodus und des Reichs [Ateismo nel cristianesimo. Sulla religione dell’Esodo e del Regno]; b) Widerstand und Friede. Aufsätze zur Politik [Resistenza e pace. Saggi sulla politica].

134 la politica e l’immagine

1969 a) Philosophische Aufsätze zur objektiven Phantasie [Saggi filosofici sulla fantasia obbiettiva]; b) nuova edizione di Spuren; c) nuova edizione di Thomas Münzer. 1970 Politische Messungen, Pestzeit, Vormärz [Misurazioni politiche, tempo di peste, vigilia rivoluzionaria]. 1971 a) Nuova edizione della Tübinger Einleitung in die Philosophie; b) ristampa fotomeccanica della prima edizione del Geist. 1972 a) Das Materialismusproblem, seine Geschichte und Substanz [Il problema del materialismo, la sua storia e la sua sostanza]; b) Vorlesungen zur Philosophie der Renaissance [Lezioni sulla filosofia del rinascimento]; c) Vom Hasard zur Katastrophe. Politische Aufsätze aus den Jahren 1934 bis 1939 [Dall’azzardo alla catastrofe. Saggi politici degli anni dal 1934 al 1939], che contiene i testi originali poi rielaborati per le successive edizioni, soprattutto in Politische Messungen e in Erbschaft dieser Zeit. 1975 Experimentum Mundi. 1977 Zwischenwelten in der Pilosophiegeschichte. Aus Leipziger Vorlesungen [Gli intermondi nella storia della filosofia. Dalle Lezioni di Lipsia]. Muore il 4 agosto nella sua casa di Tübingen.

Bibliografia

Per ciò che riguarda i testi di Bloch si rimanda all’elenco iniziale. Di seguito si forniscono i riferimenti alla letteratura critica sull’autore, alle opere di altri autori e agli studi a cui si è fatto riferimento nella stesura del lavoro. Questa bibliografia non ha pretesa di completezza, ma si riferisce esclusivamente ai testi consultati.

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Ganis S. 20n, 60n-61n, 66n, 68n-70n, 74n, 82n, 87n George S. 113 Gioacchino da Fiore 96 e n, 121 Guerra G. 68n Guglielmo II 100, 110 Günther H. 91n

De Luzenberger C. 18n Derrida J. 51n Dietschy B. 19n Dombart B. 43n Duso G. 20n

Indice dei nomi

Bach J.S. 39n Badiou A 15n Barkai A. 112n Benjamin W. 13, 14n, 31n, 33n, 49 e n, 50, 66n, 68-70 e n, 73n, 81n, 90 e n, 107n Bensussan G. 115n Bloch J.R. 18n Bodei R. 14n, 42n, 70n, 106n Boella L. 18n, 28n, 31n, 70n, 91n Boehmer H. 19n, 59n Bonola G. 49n, 66n, 68n Bouretz P. 107n Brandalise A. 74n Braun E. 16n Brecht B. 89 Brena G.L. 16n Brenner M. 112n Buber M. 117 e n, 118-119 e n

Jesi F. 15n, 92n

Hegel G.W.F. 28, 32, 126n Heidegger M. 19n, 42n, 43n, 51n Herrmann F.W. von 43n Hess M. 115-117 e n Hesse H. 113 Herzl T. 113 Hobbes T. 72n Horkheimer M. 28n, 99-100e n Horster D. 28n

Fabris A. 43n Fahrenbach H. 15n Farnesi Camellone M. 107n, 117n Feuerbach L. 56n Fiaschi G. 63n Fichte J.G. 23 Fischer K. 112

Eckert M. 15n Eidam H. 69n Engels F. 115

Cacciari M. 66n Calvino G. 122 Christen A. 17n Cipolletta P. 19n, 42n Coe J. 13n Colletti L. 28n Cohen H. 107-111 e n Conigliaro F. 46n Costa M.T. 31n Cunico G. 67n Czajka A. 18n

154 Jonas H. 14n Kajon I. 107n, 109n Kalb A. 43n Koch G. 19n Koselleck R. 73n Kneif T. 32n Kracauer S. 41, 93n, 98-99 e n Krochmalnik D. 67n Lagarde P. (de) 112-113 e n Laqueur W. 112n Latini M. 18n Letschka W. 69n Lichtheim R. 112n Lukács G. 15n, 23, 47n, 66-67 e n, 75, 90n-91n, 106 Lutero M. 77n, 122 Luther A. 69n Makropoulos M. 73n Marx K. 15n, 28n, 45n, 52n, 56n, 93n, 103n, 106n, 115, 119, 126n Matassi E. 32n, 35n Mendes-Flohr P.R. 81n, 112n Migliaccio C. 32n Münster A. 13n, 32n, 90n, 94n, 111n Müntzer T. 19 e n, 40, 59 e n, 65, 75-80 e n, 86-87 e n, 90, 97, 120-121 Nardone G. 16n Nordau M. 113 Nietzsche F. 51n, 64 e n, 67n, 73 Panattoni R. 62n Pinsker L. 113 Pirola G. 16n, 24n-25n Platone 38 Ponzi M. 66n Rabinbach A. 81n, 90n, 98n Rametta G. 51n Raulet G. 95n Reinharz J. 112n Reinicke H. 28n Rilke R.M. 113 Rinott C. 112n Rosenstock W. 112n Rosenzweig F. 109n

indice dei nomi Schiller H.E. 31n, 60n, 69n Schmidt A. 28n Schmidt B. 15n, 23n, 30n-31n, 33n, 35n Schmitt C. 20n, 72-74 e n Schmitt H.J. 90n Scholem G. 66n, 68n, 90n, 107n, 111n Schönberg A. 125 Schreiner K. 112n Strauss L. 64n, 107n, 109n Taubes J. 59, 76n-77n Tomba M. 14n, 45n, 69n, 92n Unseld S. 32n Weber M. 106 Weil S. 91n Witte B. 66n Zimmer J. 19n Zimmermann R.E. 17n-18n Zudeick P. 17n

Quodlibet Studio

ANALISI FILOSOFICHE

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Jacques-Alain Miller, L’angoscia. Introduzione al Seminario X di Jacques Lacan Éric Laurent, Lost in cognition. Psicoanalisi e scienze cognitive Francesco Napolitano, Sete. Appunti di filosofia e psicoanalisi sulla passione di conoscere Jacques-Alain Miller (a cura di), L’anti-libro nero della psicoanalisi Felice Cimatti, Il volto e la parola. Psicologia dell’apparenza

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Luca Guidetti, L’ontologia del pensiero. Il “nuovo neokantismo” di Richard Hönigswald e Wolfgang Cramer Michele Gardini, Filosofia dell’enunciazione. Studio su Martin Heidegger Giulio Raio, L’io, il tu e l’Es. Saggio sulla Metafisica delle forme simboliche di Ernst Cassirer Marco Mazzeo, Storia naturale della sinestesia. Dal caso Molyneux a Jakobson Lorenzo Passerini Glazel, La forza normativa del tipo. Pragmatica dell’atto giuridico e teoria della catogorizzazione Felice Ciro Papparo, Per più farvi amici. Di alcuni motivi in Georges Bataille Marina Manotta, La fondazione dell’oggettività. Studio su Alexius Meinong Silvia Rodeschini, Costituzione e popolo. Lo Stato moderno nella filosofia della storia di Hegel (1818-1831) Bruno Moroncini, Il discorso e la cenere. Il compito della filosofia dopo Auschwitz Stefano Besoli (a cura di), Ludwig Binswanger. Esperienza della soggettività e trascendenza dell’altro Luca Guidetti, La materia vivente. Un confronto con Hans Jonas Barnaba Maj, Il volto e l’allegoria della storia. L’angolo d’inclinazione del creaturale Mariannina Failla, Microscopia. Gadamer: la musica nel commento al Filebo Luca Guidetti, La costruzione della materia. Paul Lorenzen e la «Scuola di Erlangen» Mariateresa Costa, Il carattere distruttivo. Walter Benjamin e il pensiero della soglia Daniele Cozzoli, Il metodo di Descartes Francesco Bianchini, Concetti analogici. L’approccio subcognitivo allo studio della mente Marco Mazzeo, Contraddizione e melanconia. Saggio sull’ambivalenza Vincenzo Costa, I modi del sentire. Un percorso nella tradizione fenomenologica Aldo Trucchio (a cura di), Anatomia del corpo, anatomia dell’anima. Meccanismo, senso e linguaggio Roberto Frega, Le voci della ragione. Teorie della razionalità nella filosofia americana contemporanea

ESTETICA E CRITICA

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FILOSOFIA E POLITICA

Massimiliano Tomba, La «vera politica». Kant e Benjamin: la possibilità della giustizia Alberto Burgio (a cura di), Dialettica. Tradizioni, problemi, sviluppi Patrizia Caporossi, Il corpo di Diotima. La passione filosofica e la libertà femminile Adalgiso Amendola, Laura Bazzicalupo, Federico Chicchi, Antonio Tucci (a cura di), Biopolitica, bioeconomia e processi di soggettivazione Paolo B. Vernaglione, Dopo l’umanesimo. Sfera pubblica e natura umananel ventunesimo secolo Dario Gentili, Topografie politiche. Spazio urbano, cittadinanza, confini in Walter Benjamin e Jacques Derrida Mauro Farnesi Camellone, La politica e l’immagine.Saggio su Ernst Bloch

LETTERATURE OMEOGLOTTE

Silvia Albertazzi e Roberto Vecchi (a cura di), Abbecedario postcoloniale III. Venti voci per un lessico della postcolonialità Matteo Baraldi e Maria Chiara Gnocchi (a cura di), Scrivere = Incontrare. Migrazione, multiculturalità, scrittura

Silvia Albertazzi, Barnaba Maj e Roberto Vecchi (a cura di), Periferie della storia. Il passato come rappresentazione nelle culture omeoglotte Beatriz Sarlo, Una modernità periferica. Buenos Aires 1920-1930 François Paré, Letterature dell’esiguità Matteo Baraldi, I bambini perduti. Il mito del ragazzo selvaggio da Kipling a Malouf

LETTERE

Andrea Landolfi (a cura di), Memoria e disincanto. Attraverso la vita e l’opera di Gregor von Rezzori Felice Rappazzo, Eredità e conflitto. Fortini, Gadda, Pagliarani, Vittorini, Zanzotto Felice Ciro Papparo (a cura di), Di là dalla storia. Paul Valéry: tempo, mondo, opera, individuo Carlo A. Madrignani, Effetto Sicilia. Genesi del romanzo moderno Francesco Spandri, Stendhal. Stile e dialogismo Antonietta Sanna, La parola solitaria. Il monologo nel teatro francese del Seicento Marco Rispoli, Parole in guerra. Heinrich Heine e la polemica Giancarlo Bertoncini, Narrazione breve e personaggio. Tozzi, Pirandello, Bilenchi, Calvino Luca Lenzini, Stile tardo. Poeti del Novecento italiano Wilson Saba, Il punto fosforoso. Antonin Artaud e la cultura eterna Paolo Petruzzi, Leopardi e il Cristianesimo. Dall’Apologetica al Nichilismo Guido Garufi (a cura di), In quel punto entra il vento. La poesia di Remo Pagnanelli nell’ascolto di oggi Guido Garufi (a cura di), In quel punto entra il vento. La poesia di Remo Pagnanelli nell’ascolto di oggi Christoph König, Strettoie. Peter Szondi e la letteratura François Regnault, Conferenze di estetica lacaniana e lezioni romane

SCIENZE DEL LINGUAGGIO

John R. Taylor, La categorizzazione linguistica. I prototipi nella teoria del linguaggio