La persuasione e la rettorica

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SCRITTORI ITALIANI SEZIONE FILOSOFICA E PEDAGOGICA diretta da Michele F. Sciacca

CARLO MICHELSTAEDTER

LA PERSUASIONE E LA RETTORI CA

a

cura

di MARIA A. RASCHINI

M A RZ O R A T I

-

E D I T OR E

-

MI L A N O

Proprietà letteraria riservata

© Copyright 1972 by Marzorati-editore, Milano CL 23-0039-7

INTRODUZIONE

Carlo Michelstaedter è uno di quei pensatori che restano vivi nel tempo piu per i problemi attraversati con tragica luci­ dità che per le soluzioni offerte m appàgamento a determi­ nate esigenze. I suoi scritti, densi e vibrati pur se non molti per la morte precocissima, hanno ancora e forse soprattutto oggi la funzione di scuotere dai luoghi comuni nei quali ogni « contem­ poraneità » trova i suoi sostegni di comodo, svegliano prepotente e ineluttabile il senso dell'essenziale e rendono acuto il giudi­ zio su tutto ciò che è effimero, nella qualsiasi forma inganne­ vole e deludente. Nato a Gorizia nel 1887, da Alberto Michelstaedter, diri­ gente dell'Ufficio delle Assicurazioni Generali di Trieste, e da Emma Luzzatto (perita, a ottantanove anni, nel1943 in un cam­ po di concentramento, con la figlia Elda, vittima delle persecu­ zioni razziali), compi nella città natale gli studi medi sino al raggiungimento della maturità classica; una peculiare attitudine del suo ingegno alle matematiche lo indusse a intraprenderne lo studio presso l'Università di Vienna, ma un soggiorno a Firenze gli maturò la vocazione per le lettere classiche, per le quali nu­ triva un gusto innato e già coltivato. A Firenze pertanto si iscris­ se al corso di Lettere, permanendo in quella città per quattro anni interrotti soltanto da brevi ritorni a Gorizia e da qualche viaggio. Sarebbe improprio dire che segui i corsi con successo, poiché, piuttosto, la sua acutezza critica e le sue capacità dialet­ tiche agivano contemporaneamente all'apprendimento e all'assi­ milazione imprimendo alla sua preparazione il carattere di una formazione fortemente personalizzata; lo strumento filologico, posseduto a segno che poteva scrivere direttamente in greco con eleganza e originalità di dettato, gli servi per la penetrazione del significato della letteratura, della poesia, della filosofia greca. I presocratici lo affascinarono ed egli ne trasse profondi motivi di meditazione stabilendo tra la loro parola di poeti-filosofi e la sua inquietudine di uomo degli albori del secolo XX, una corrispon5

denza di accenti quale, forse, è dato riscontrare solo fra Nietzsche e i grandi tragici della Grecia; ma tutto ciò egli metteva a frutto in un disincantato quanto rigoroso confronto ideale tra il perenne senso tragico della vita e le ideologie contemporanee, di molte delle quali respingeva, per sofferta persuasione, le soluzioni edi­ ficanti e « costruttive », e le finalità sorrette da facili ottimismi. Non è possibile, a proposito del Michelstaedter, distinguere la vita dal pensiero, non solo, ma parlare del suo periodo uni­ versitario è già parlare di entrambi: gli anni d' università, in­ fatti, furono anche quelli della sua maturazione intellettuale e critica, e furono insieme tutta la sua vita, che si bruciò allo scadere dei quattro anni di corso: rientrato a Gorizia nell'estate del 1910 per dedicarsi alla tesi di laurea, spedito a Firenze il primo volume della tesi e terminato il secondo, la mattina del 17 ottobre si uccise con un colpo di rivoltella; l'aveva tolta da poco ad un amico, per precauzione. Stato di tensione e di esau­ rimento per il lavoro accanito e intenso, spiegano alcuni; suicidio « metafisica » che ha la sua ragione profonda nella tragicità senza speranza del suo pensiero, affermano altri. Quel che è certo, Michelstaedter, che l'amico Gaetano Chiavacci giudicava dotato di volontà ferrea, di delicatissima sensibilità, di intelletto acu­ tissimo, uniti a doti fisiche di forza e agilità non comuni, non è plausibilmente pensabile come un giovane le cui energie soccom­ bano allo sforzo di stesura di una tesi di laurea. Non sta a noi giudicare l'atto con il quale Michelstaedter scelse di morire anziché di continuare a vivere. Ci restano gli scritti nei quali, pensiamo, sta la risposta alla domanda che l'ha tormentato per i brevi fecondissimi anni della sua vita, sino alla tragica risposta di quel mattino autunnale: è possibile per l'uomo conferire un valore assoluto al suo esistere? Pochi, gli scritti del Michelstaedter; personalissimi nello stile che fa rivivere in modo originale la peculiare struttura della sintassi greca, sofferti di meditata passione esistenziale, ricchi di una cultura criticamente filtrata e nobilmente viva . Michelstaed­ ter fu anche poeta, anche se non forse soprattutto poeta; le sue Poesie oscillano tra la contemplazione della natura e la medita­ zione, e, pur se non toccano le vette della lirica, sono fortemente espressive di una duplice inclinazione che in lui viveva: il ripie­ gamento doloroso sulla vanità delle cose, cui fa eccezione in lui soltanto la capacità di sentire in profondità i rapporti d'amicizia, 6

d'amore, degli affetti umani piu autentici (cfr. Poesie a Senia); e l'incantamento della natura, quasi sogno d'evasione liberatrice. Ma l'evasione è sempre cosciente di sé, cosi che essa gli restitui­ sce ogni volta lo stimolo alla meditazione. Dal cerchio della tra­ gedia non si esce se non per raggiungeme una piu sofferta consa­ pevolezza: « Ahi, non c'è mare in cui presso o lontano l varia sponda non gravi, e vario vento l non tolga dalla solitaria pace, l mare non è che non sia un dei mari, l anche il mare è un deserto senza vita, l arido triste fermo affaticato ». Il momento meditativo avvolge e include sempre quello poe­ tico - il padre rimproverava alle poesie del figlio un eccesso di filosofia - e la poesia sembra nascere all'interno di una riflessione, tanto sofferta quanto esteriormente contenuta, sul senso dell'esistenza. Di questa unità d'ispirazione, e anche del­ l'attitudine del Michelstaedter a contenere in forma di riserbo, quasi di pudore, il proprio mondo interiore, è testimonianza l'Epistolario; raccolto e pubblicato dal Chiavacci, riunisce le testimonianze quotidiane di una vita brevissima ma scavata in profondità; gli affetti, delicati e finissimamente espressi - spe­ cialmente in alcune lettere alla madre - sono stati la sua sola possibilità di comunicare se stesso. Ma comunicazione non è con­ fessione, e Michelstaedter non si confessa mai: il momento espressivo è sempre in lui mediazione di là dalla quale la sua personalità multiforme si cela con il riserbo proprio di chi ha in qualche segreta misura già sofferte e scontate come impossi­ bili tutte le possibilità del comunicare in autenticità. Centinaia di pagine manoscritte, lasciate alla sua morte (cfr. Scritti vari, in C. M., Opere, a cura di G. Chiavacci, Firenze, 1958), di là dalla molteplicità dei temi toccati, e sempre colti con essenzialità di giudizio e penetrazione filosofica e critica, si compongono per unità d'ispirazione in un'opera organica che sul piano della critica letteraria e filosofica oggi può offrire una te­ stimonianza significativa della temperie culturale dei primissimi anni del '900; in particolare, del clima ove fiorirono quegli « ultimi romantici - come scrisse Alberto Spaini - ... nati la su, fra le Alpi, il Carso e il mare », quali Scipio Slataper, Giani Stuparich, Augusto Strindberg, Falco Marian. Ma rispetto a co­ storo Michelstaedter si può dire che fu romantico in senso piu lato, o, forse, nella misura in cui può esser detto romantico ogni spirito ribelle e insofferente delle strutturazioni mondane e delle categorizzazioni intellettuali, di fronte alle quali disconosce ogni possibile transazione. Egli infatti- alla cui versatilità d'ingegno 7

nulla era indifferente, e musica, letteratura, teatro, :filosofia, scien­ za, lo vedevano competente e acutissimo critico - tramite la pagina scritta trasformava in esperienza esistenziale i fermenti intellettuali del suo tempo per poterli cogliere in un significato valido per l'uomo di sempre.

Lo scritto principale resta tuttavia la sua tesi di laurea, pub­ blicata postuma {Genova, 1913) col titolo La persuasione e la rettorica da Vladimiro Arangio Ruiz che, con il Chiavacci, gli era stato compagno di studi. Quest'opera ebbe altre edizioni: con l'aggiunta delle Appendici critiche e lo scritto Il prediletto punto d'appoggio della dialettica socratica, fu pubblicata a cura del cugino Emilio Michelstaedter (Firenze, 1922); e da ultimo a cura di Gaetano Chiavacci fu compresa nella raccolta completa delle Opere (Firenze, 1958), insieme all'Epistolario e agli Scritti vari.

La partizione dell'opera è segnata dai due termini, la «per­ suasione » e la «rettorica », che Michelstaedter assume in anti­ tesi radicale e insormontabile. Alla « rettorica » egli vede conse­ gnato il destino dell'uomo, che, non consistendo ontologicamen­ te, «si finge la persona che gli manca » attraverso la media­ zione intellettuale e storica: a questa finzione l'uomo è però spinto dalla vita stessa che, definibile come «correlatività di coscienze », chiede l'alterità nelle qualsiasi forme quale strumen­ to necessario della propria conservazione. Tutto ciò che è, è correlativo ad altro (è " X(X.'t'a 't'L " ) : da questo punto di vista ogni costruzione del pensiero e dell'azione umana non è che un servizio reso alla q>LÀ.o�vxi(X. , cioè all'amore vile per la vita, di cui gli uomini sono gli schiavi, illusi di servire a se stessi. L'affer­ mazione della persona, singola o sociale, è sempre menzogna il cui esito è l'affermazione «sempre irrazionale e violenta » contro ciò che pur è stato il mezzo che l'ha permessa; infatti, l'uomo, che si dà una consistenza attraverso le strutture personali o sociali, in quanto costituzionalmente ne è privo, si serve poi di tale illusoria «persona » per opporla come reale e meritoria agli altri individui o alla società. Dal circolo chiuso della «rettorica » non si può uscire se non con il rifiuto di tutti i modi con i quali l'uomo nega la vanità del suo essere e del suo esserci; e i modi sono, per Michelstaedter, tutto dò che solitamente si costruisce e si pensa «come valore », sul piano della natura, della scienza, del sapere e della filosofia, della società e della storia. Piu si 8

allarga il cerchio della mediazione, e può essere ampliato sino all'assoluto, piu si « stabilizza » l'illusione, poiché la correlati­ vità, che è la legge dell'esistenza, acquisisce una zona infinita di estensibilità e di fruizione: ma proprio per questo si amplifica sino all'assoluto la menzogna, la cui massima espressione può essere sia l'affermazione dell'assoluto come tale, sia, equivalente­ mente per il Nostro, la concessione di un valore assoluto a ciò che è contingente e correlativo. Metafisica, religione, morale, da un lato, e sociologia, economia, politica, dall'altro, si equival­ gono: l'esistenza non ha che una legge, che alla radice toglie validità ad ogni altra che l'uomo le possa riconoscere o conferire, ed è la legge del suo stesso sussistere in funzione d'altro. Tutto ciò che esiste, per definizione essendo correlatività-a, per defini­ zione non-è: «Un peso pende ad un gancio, e per pender soffre che non può scendere: non può uscire dal gancio, poiché quant'è peso pende, e quanto pende dipende. Lo vogliamo soddisfare: lo liberiamo dalla sua dipendenza; lo lasciamo andare, che sazi la sua fame del piu. basso, e scenda indipendente fino a che sia contento di scendere. Ma in nessun punto raggiunto fermarsi lo accontenta, e vuoi pur scendere, ché il prossimo punto supera in bassezza quello che esso ogni volta tenga. E nessuno dei punti futuri sarà tale da accontentarlo, che necessario sarà alla sua vita, fintanto che lo aspetti ( ocppa &:v !J.É"VU aù·t6-v) piu basso; ma ogni volta fatto presente, ogni punto gli sarà fatto vuoto d'ogni attrattiva non piu essendo piu basso; cosf che in ogni punto esso manca dei punti piu bassi e vieppiu questi lo attrag­ gono: sempre lo tiene un'ugual fame del piu basso, e infinita gli resta pur sempre la volontà di scendere. Che se in un punto gli fosse finita, e in un punto potesse possedere l'infinito scen­ dere dell'infinito futuro, in quel punto esso non sarebbe piu quello che è: un peso. La sua vita è questa mancanza della sua vita. Quando esso non mancasse piu di niente, ma fosse finito, perfetto: possedesse se stesso, esso avrebbe finito d'esistere. Il peso è a se stesso im­ pedimento a posseder la sua vita, e non dipende piu da altro che da se stesso in ciò che non gli è dato di soddisfarsi. Il peso non può mai esser persuaso

». 1

All'uomo della rettorica, Michelstaedter contrappone l'uomo della «persuasione ». La «persuasione è il possesso presente 1 La persuasione e la rettorica, qui

a p.

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17.

della propria vita »; ma la vita essendo ciò che per definizione non-è, la persuasione consiste nel «possesso presente » di questa verità. È l'atteggiamento dell'uomo liberato da ogni engagement da cui l'anima è assente - e tale è, a confronto dell'assoluta richiesta michelstaedteriana, ogni impegno della ragione, sempre astratta e illusoria, come ogni impegno pratico, asservito alla q>tÀ.o�uxlr:x. ; l'assoluto della volontà sola di fronte a se stessa come lo scoglio che le forze cieche del mare non scalfiscono. Ma quale è la via alla persuasione? Quando ha inizio il distacco dall'asservimento all'amore vile per la vita che tutto travolge sotto le apparenze del bene, del vero, del giusto? Alla «persuasione » non c'è via già fatta che guidi i nostri passi; non la si può indicare con nessuna formula; occorre che ciascuno si faccia redentore a se stesso scavando nel vivo della propria vita con un atto di volontà « persuasa » piu forte di tutte le forze traenti della correlazione, lacerando le maglie del sapere, scomodando le trame vitali. Occorre liberare l'individuo dalla sua singolarità, determinata dalla legge della correlatività, perché nasca, nuovo, solitario, l'uomo liberato dalle trame con­ fortanti tessute nell'elemento vitale o apprestate dalla mediazione intellettuale; porsi nella situazione esistenziale analoga a quella del silenzio notturno che scopre la precarietà di quella realtà tanto suadente alla luce del giorno. Solo questa negativa sapienza che dicendo il nostro nulla dice la verità sul nostro esistere, consente che non vada dispersa la «disperata devozione » per la quale all'uomo non è dato alcun oggetto adeguato, se non quello che vive nell'uomo stesso come infinita capacità di portare il peso del suo non-essere. Ma «il dolore venne fra gli uomini ed essi non lo riconob­ bero »: la parola tragicamente vera che confina nel mondo della illusione la filosofia e la morale, la scienza e il progresso, la reli­ gione e la storia, come risultati di un'arte di persuadere con l'adulazione, esiti di un'immane xoÀ.r:x.XELt:X. che adesca gli uo­ mini fingendo loro una consistenza che non hanno, tutto ciò, scrive Michelstaedter «dissero ai Greci Parmenide, Eraclito, Empedocle, ma Aristotele li trattò da naturalisti inesperti; lo disse Socrate, ma ci fabbricarono su quattro sistemi. Lo disse l'Ecclesiaste ma lo trattarono e lo spiegarono come libro sacro... ; lo disse Cristo e ci fabbricarono su la Chiesa. Lo dissero Eschilo e Sofocle e Simonide, e agli Italiani lo proclamò Petrarca trion­ falmente, lo ripeté con dolore Leopardi; ma gli uomini furono loro grati dei bei versi, e se ne fecero generi letterari. Se ai -

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nostri tempi le creature di Ibsen lo fanno vivere su tutte le scene, gli uomini si divertono a sentir quelle storie eccezionali...; e se Beethoven lo canta cosi da muovere il cuore di ognuno, ognuno adopera poi la commozione per i suoi scopi...». Ma questo nihilista, che è tale in forza di una richiesta asso­ luta di fronte a cui ogni valore sembra inadeguato, non conosce il compiacimento torbido dell'esistenzialista ateo per la scoperta del niente che siamo, cosi come rifiuta l'ottusa soddisfazione del materialista illuso di vittorie nelle epoche di decadenza. Il risul­ tato della «persuasione» è una «pace» pagata a duro prezzo sul filo della sofferenza di non poter colmare d'assoluto un disperato bisogno di assolutezza, di non poter nemmeno conoscere la gioia di comunicare la sua persuasione, se nessuno che non l'abbia raggiunta da sé la può intendere. Il nulla è da Michelstaedter sentito con la profondità del mistico e al tempo stesso giudicato con la lucidità del loico. Tutti i sentimenti lo commuovono ma non c'è opera umana che lo esalti. Scosso ogni pigro e illusorio indulgere alle strutture incon­ sistenti approntate agli uomini dalla vita, lo sfiora un'ultima tentazione di positività: è la tentazione dell'«uomo di Dio»: «Ma c'è l' " uomo buono ", l' " uomo che ha Dio ". L'uomo che si comporta verso tutte le cose come se avessero valore, e non perché lui le vuole, ma che dà loro il valore che esse stesse danno a sé ... L'uomo che si comporta come se nessun interesse perso­ nale lo legasse alle cose, eppure le cose lo interessano: come se niente gli importasse, eppure egli si comporta in qualche modo verso tutte le cose. Egli non domanda niente per sé, come se le cose non gli avessero piu alcun valore, eppure attribuisce valore a tutte le cose. Egli vive come se fosse libero da ogni passione, e pure accetta la schiavitu d'ogni cosa particolare. Questa bontà ci colpisce nella vita come una luce d'un mondo sconosciuto, e ci fa pensare che noi siamo ciechi e loro, gli uomini buoni, ab­ biano occhi per vedere ciò che noi vedendo non vediamo... que­ sto trascende la vita, questo fa pensare a Dio, questo fa pensare a un valore in sé delle cose cosi come stanno, per cui vale la vita, a un'anima che è tutta buona... Come la vista della natura che è tutta pace all'occhio che la vede nelle sue grandi forme immobili: vivere senza lottare per vivere, cosi l'uomo di Dio, che nulla chiede e tutto dà, ed è contento di sé, sembra che squarci la trama oscura delle volontà nemiche e senza posa fluenti, vitae semper hiantes, e ci additi i cieli sereni: Gloria in excelsis deo et in terra pax hominibus. 11

Queste le parole della gioia piu serena; ed in queste la tri­ stezza della piu amara ironia ... D'inverno quando lo scirocco ininterrotto fa disperare del sole, ad un tratto in un giorno chiuso appare il margine estremo della massa continua delle nubi giu basso all'orizzonte, e rivela il lontano sereno, le montagne luminose nella gloria del sole: un altro mondo per noi, poiché per noi il sole non esiste ».1 Ma il santo, l' «uomo di Dio », se è dal Michelstaedter in­ tuito con la lucidità del miraggio, ha tuttavia per lui anche il valore di un miraggio, e perciò non riesce nemmeno ad essergli una tentazione; e insieme è molto di piu: è ciò che ogni uomo dovrebbe essere, e non può essere vero che sia, se nessuna verità esiste. Il lucido e amaro sogno del nihilista assetato di Dio non ha bisogno di risveglio per sapersi come sogno.

1

Scritti vari, in Opere, cit., pp. 752-755.

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NOTA BIBLIOGRAFICA

EDIZIONI . - Dialogo della salute - Poesie, Genova, Formiggini , 1912, a cura di VI. Arangio Ruiz; La Persuasione e la rettorica, ivi, 1913, a cura di VI. Arangio Ruiz ( senza le appendici, aggiunte invece nella seconda edizione dell'opera, a cura di Emilio Michelstaedter, Firenze, Vallecchi, 1922); Scritti inediti di C. M., in « La Ronda », Maggio 1922; Le Poesie a Senia e prose inedite, in « Il Convegno » , luglio 1922, a cura d i VI. Arangio Ruiz; Inediti di C. M. , a cura di A. Capitini, in « Letteratura » , gennaio-febbraio 1946 ; Poesie 1910, Milano, Garzanti, 1948, a cura di VI . Arangio Ruiz ; Opere, Firenze, Sansoni, 1958, a cura di G. Chiavacci. CRITICA . - M. A . RA S CHINI , C. M . , Milano, Marzorati, 1965 ; M. CERRUTI , C. M. Con testi e disegni inediti, Milano, Mursia, 1967; A. PIROMALLI, M., Firenze, La Nuova Italia, 1968 ; A. VERRI, M. e il suo tempo, Ravenna, 1969. E. CECCHI, in « La Tribuna », 12 sett. 1912 ( rist. ne « La Fiera Letteraria », 13 luglio 1952); G. A. BoRGESE, in Studi di letteratura moderna, Milano, Treves , 1915; VL. ARANGIO Rmz , Per C. M. , in « Il Convegno », 25 luglio 1922; G. GENTILE, ree . de La persuasione e la rettorica, in « La Critica », 20 novembre 1922; U. SPIRITO, ree . de La persuasione e la re ttorica, in « Giornale Critico della Filosofia Italiana », 1922; G. CHIAVACCI, Il pensiero di C. M., ivi, 1924 ; A . TILGHER, i n Ricognizioni, Roma 1924; AA . VV . , numero d i omaggio a C. M. della « Fiera Letteraria>> , 13 luglio 1952; T. MoRETTI Co­ STANZI, Un esistenzialista ante litteram, C. M . , nel vol. miscellaneo Esistenzialismo, Roma, 1943; Io . , Il personalismo di C. M. , in appendice a Meditazioni inattuali, Roma, « Arte e Storia>> , 1953; G. CATALFAMO, L'esistenzialismo di C. M. , in appendice a Berdiaeff, Messina, 1953; A. TE STA, M. e i suoi critici, in « Rassegna di filo­ sofia », 1953; E. GARIN, in Cronache di filosofia italiana, Bari, La­ terza, 1955 (19663); G. CHIAVACCI , s. v. C. M., in EncicloPedia Filo­ sofica, Venezia-Roma, 1957 (Firenze, Sansoni, 1 96 9 2 ) ; G. CATTANEO, La rivolta impossibile di C. M., in « Au t-Aut » , gennaio 1957; 13

M. F. SciACCA, La filosofia) oggi, Milano, Marzorati, 1958 ( 1963 4) ; E. CEccm, Un precursore dell'esistenzialismo, in «L'Approdo Let­ terario », luglio-settembre 1958; M. CIANCITTO, Esistenzialismo e idealismo in C. M., in « Teoresi », 1 960 ; Io . , L'idealismo di C. M.: La via alla persuasione, ivi, 1960; J. R.ANKE, Das Denken C. M.s. Ein Beitrag zur italienischen Existenzphilosophie, in « Zeitschrift

fiir philosophische Forschung », 1961 ( trad. in « Giornale Critico della Filosofia Italiana », 1962).

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I

LA PERSUASIONE

... J..I.CX.'V8!ivw o'òitOV'IIEXCX e�wpcx 1tp!icrcrw xovx ÈJJ.O� 1tpOCiE�X6'tcx SoFOCLE, Elettra [So che faccio cose inopportune e a me non convenienti]

I LA PERSUASIONE AHh�p�ov !J.ÈV ycip crepe IJ.Évoç 1ténovoe o�wxe�, 1téV't'oç o' Èç X�O'\IÒç oùoa.ç a1tÉ1t't'VCTE, ya.i:a. o' Eç" a.ùyà.ç 1ÌEÀ.LOU &.xa!J.CX.V't'Oç", 6 o' a.tftÉpoç E!J.�CX.À.E OL'\ICX.Lç lf).J... oç o' f.!; li.À.ÀOIJ OÉ)CE"t'CX.�, CT"t'VYÉOVCT� OÈ 1t!X'\I"t'Eç".

EMPEDOCLE!

S o c h e v o g l i o e n o n h o c o s a i o v o g l i a . Un peso pende ad un gancio, e per pender soffre che non può scendere ; non può uscire dal gancio, poiché quant'è peso pende, e quanto pende dipende. Lo vogliamo soddisfare : lo liberiamo dalla sua dipen­ denza; lo lasciamo andare, che sazi la sua fame del piu basso, e scenda indipendente fino a che sia contento di scendere. Ma in nessun punto raggiunto fermarsi lo accontenta, e vuoi pur scendere, ché il prossimo punto supera in bassezza quello che esso ogni volta tenga. E nessuno dei punti futuri sarà tale da accontentarlo, che necessario sarà alla sua vita , fintanto che lo aspetti ( oq>pcx: &'\1 (..I.E'\ITI cx:ù"t6v ) 2 piu basso; ma ogni volta fatto presente, ogni punto gli sarà fatto vuoto d'ogni attrattiva non piu essendo piu basso; cosi che i n o g n i p u n t o e s s o m a n c a d e i p u n t i p i u b a s s i e vieppiu questi lo attraggono: sempre lo tiene un'ugual fame del piu basso, e infinita gli resta pur sempre la volontà di scendere. Che se in un punto gli fosse finita, e in un punto potesse p o s s e d e r e l'infinito scendere dell'infinito futuro, in quel punto esso non sarebbe piu quello che è: un p e s o . La sua vita è questa mancanza della sua vita. Quando esso non mancasse piu di niente, ma fosse finito , perfetto : possedesse se stesso, esso avrebbe finito d'esistere. Il peso è a se stesso impedi­ mento a posseder la sua vita, e non dipende piu da altro che da se stesso in ciò che non gli è dato di soddisfarsi. I l p e s o n o n p uò m a i e s s e r p e r s u a s o . Né alcuna vita è mai sazia di vivere in alcun presente, ché tanto è vita quanto si continua, e si continua nel futuro quanto manca del vivere. Che se si possedesse ora qui tutta e di niente mancasse, se niente l'aspettasse nel futuro, non si continuerebbe: cesserebbe d'esser vita. Tante cose ci attirano nel futuro, ma nel presente invano voglia­ mo possederle. - Io salirò sulla montagna; l'altezza mi chiama, voglio averla; l'ascendo, la domino ; ma la montagna come la pos17

seggo ? Ben son alto sulla pianura e sul mare; e vedo il largo orizzonte che è della montagna; ma tutto ciò non è mio, non è in me quanto vedo, e per piu vedere non mai « ho visto »: la vista non la posseggo. - Il mare brilla lontano ; in altro modo esso sarà mio ; io scenderò alla costa; io sentirò la sua voce ; navigherò sul suo dorso . . . e sarò contento. Ma ora che sono sul mare, « l'orec­ chio non è pieno d'udire », e la nave cavalca sempre nuove onde, « un'ugual sete mi tiene ». Se mi tuffo nel mare, se sento l'onda sul mio corpo - ma dove sono io non è il mare ; se voglio andare dove è l'acqua e averla, le onde si fendono davanti all'uomo che nuota ; se bevo il salso, se esulto come un delfino, se m'annego - ma ancora il mare non lo posseggo : sono s o l o e d i v e r s o in mezzo al mare. Né se l'uomo cerchi rifugio presso alla persona ch'egli ama, egli potrà saziar la sua fame ; non baci, non amplessi, o quante altre dimostrazioni l'amore inventi, li potranno compenetrare l'uno del­ l'altro : ma saranno sempre due, e ognuno solo e diverso di fronte all'altro. Gli uomini lamentano questa loro solitudine ; ma se essa è loro lamentevole è perché, e s s e n d o c o n s e s t e s s i , s i s e n­ t o n o s o l i : si sentono c o n n e s s u n o e mancano di tutto . Colui che è per se stesso ( (.lÉ'VEr.) 3 non ha bisogno d'altra cosa che sia per lui ( !J.É'Vor. (l.Ù"t6'V) 4 nel futuro, ma possiede tutto in sé. Non avrà loco fu, sarà, né era ; ma è solo, in presente, e ora, e oggi, e sola eternità raccolta e 'ntera,s

Ma l'uomo vuole dalle altre cose nel tempo futuro quello che in sé gli manca : i l p o s s e s s o d i s e s t e s s o ; ma quanto vuole, e tanto occupato dal futuro, s f u g g e a s e s t e s s o i n ogni presente. Cosf si muove a differenza delle cose diverse da lui, diverso egli stesso da se stesso, continuando nel tempo. Ciò ch'ei vuole è dato in lui, e volendo la vita s 'allontana da se stesso ; egli non sa ciò che vuole. Il suo fine non è il suo fine, egli non sa ciò che fa perché lo faccia, il suo agire è un e s s e r p a s s i v o : poiché egli n o n h a s e s t e s s o , finché vive in lui irriducibile, oscura la fame della vita. L a p e r s u a s i o n e n o n v i v e i n c h i n o n v i v e s o l o d i s e s t e s s o ; ma figlio e padre, e schiavo e signore di ciò che è attorno a lui, di ciò ch'era prima, di ciò che deve venir dopo - cosa fra le cose. Perciò è solo ognuno e diverso fra gli altri , ché la sua voce non è la sua voce ed egli non la conosce e non può comunicarla agli altri. 18

« I discorsi si stancano

» ( Ecclesiaste ). Ma ognuno gira intorno al suo pernio, che non è suo, ed il pane che non ha non può dare agli altri. Chi non ha la persuasione non può comu­ n i c a r l a ( IJ.T)"'t't. Ou'Va.'t'a.t. -.uq>À.Òç- -.uq>ÀÒ'V OOT}YE�'V,6 San Lu ca ). Persuaso è chi h a i n s é l a s u a v i t a : l'anima ignuda nelle isole dei beati (Ti YUIJ.'Vi} �ux1) È'V -.o�ç- 't'W'V IJ.IX.Xapw'V 'ViJuo�.ç-,' Platone, Gorgia). Ma gli uomini cercano -.i}'V q>uxi)'V e perdono ..-i}'V �vxfJ'V 8 (S. Matteo).

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II L'ILLUSIONE DELLA PERSUASIONE

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Simonide 8

Alle haben recht - niemand ist gerecht. Tutti hanno ragione ­ nessuno ha l a r a g i o n e . Poiché non v'è effetto senza causa , ogni cosa nel mondo ha ragione d'avvenire ; a ogni causa è giusto il suo effetto, ad ogni bisogno giusta la sua affermazione - ma nessuno è g i u s t o : nessuno, ché in ciò appunto che chiede l'affermazione giusta alle sue cause, ai suoi bisogni, p r e n d e l a p e r s o n a d i q u e s t i , e non può avere la p e r s o n a d e 1 1 a g i u s t i z i a . Se egli è figlio delle tali cause, dei tali bisogni, non ha in sé la r a g i o n e ; e l'affermazione della sua qualunque persona è sempre, come irrazionale , v i o l e n t a . In qualunque modo uno chieda di continuare, parlano in lui le date necessità del suo vivere, ed egli in ciò che afferma come g i u s t o quello che è g i u s t o p e r l u i , nega ciò che è giusto per gli altri, ed è ingiusto verso t u t t i gli altri : avvenga o non avvenga ch'ei commetta ingiuria .9 « Poiché non v'è uom giusto sulla terra, che faccia il bene e non commetta ingiuria » ( Ecclesiaste ) . 1t &ç &\lt}pumoç 1tpòç �io \l 1tt'X'\10Upyoç - OCT'tLç" yàp ì}t:i'\lt'X't0'\1 oÉOLE 't ò È l'X u 't o u (.L É p o ç 'l'ti'X'II 't t &otx6ç Ècr'tw.10 - I buoni, i pii, gli onesti, i giusti, i benefici uomini che vivono, come sono morti in sé, cosi sono ingiu­ sti verso gli altri ; poiché per la paura della morte s'accontentano di vivere senza persuasione ; ogni loro atto, ogni loro parola è ingiusta, è disonesta, ché è sempre l'affermazione d'un'individualità illusoria . La giustizia, la persona giusta, l'individuo che ha in sé « la » ragione , è un'iperbole, dicono tutti, e tornano a vivere come se già l'avessero ; ma iperbolica è la via della persuasione che a quella con­ duce. Poiché come infinitamente l'iperbole s 'avvicina all'asintoto, cosf infinitamente l'uomo che vivendo voglia la sua vita s'avvicina alla linea retta della giustizia; e come per piccola che sia la distanza d'un punto dell'iperbole dall'asintoto , infinitamente deve prolungarsi 40

la curva per giungere al contatto, cosi per poco che l'uomo vivendo chieda come giusto per sé, infinito gli resta il dovere verso la giusti­ zia. Il diritto di vivere non si paga con un lavoro finito, ma con un'infinita attività .11 Poiché prendi parte alla violenza di tutte le cose, è nel tuo debito verso la giustizia tutta questa violenza. A toglier questa dalle radici deve andar tutta la tua attività : t u t t o d a r e e n i e n t e c h i e d e r e : questo è il d o v e r e - dove sono « i » doveri e « i » diritti io non so. L'attività che non chiede è il beneficio, che fa non per avere, ma facendo dà. Dare, fare, beneficare sono tre belle parole . Tutti dànno, fanno, beneficano : ma nessuno ha, niente è fatto, ed il bene chi lo conosce ? 1°. Dare non è per a v e r d a t o , ma per d a r e ( oovvcu ! ) . Se io entro in un negozio, e pago la merce, anche questo è un « dare ». Ma io pago la merce e non pago pel piacere di pagare . Se potessi a v e r p a g a t o , e tenermi la merce senza pagare, m'ac­ contenterei. Il pagare è mezzo e non fine. - La munificenza che aspetta il nome, il beneficio che aspetta la gratitudine, il sacrificio che aspetta il premio, sono come ogni altra faccenda che non ha in sé il fine, ma è mezzo ad aver qualche cosa ; e come dal bisogno di questa è necessitata, da questa pel futuro dipende. Il dare per aver dato non è dare ma c h i e d e r e . F a r e non è per a v e r f a t t o ; aver fatto non giova ; quello che hai fatto non l'hai nel presente , ma lo vuoi conservare ; per averlo devi r i f a r l o come ogni altra cosa: e non giungi a un fine. Far b e n e f i c i o non è dare o fare agli altri quello che essi credono di volere : far l 'elemosina al povero , sanare gli ammalati, sfamare, . dissetare, vestire, questo è lasciare che gli altri prendano ; non è dare o fare, ma è s u b i r e . 2°. Non può f a r e chi non è, non può d a r e chi non ha, non può b e n e f i c a r e chi non sa il bene. Questa attività dei b e n e f i c i f i n i t i è essa stessa una v i o l e n z a , poiché men­ tre s'afferma come attività individuale, è sempre schiava di ciò che vuoi continuare nel futuro ; in lei s'affermano, chiedendo , i bisogni irrazionali. È la .facile, debole, stupida pietà di chi non sa quello che fa, ma vuoi illudersi di fare. Se dare agli uomini i mezzi per la vita fosse l'attività giusta, ma generar figliuoli sarebbe divina cosa. Non dare agli uomini appoggio alla loro paura della morte, ma toglier loro questa paura ; non dar loro la vita illusoria e i mezzi a che sempre ancora la chiedano, ma dar loro la v i t a ora qui tutta,

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perché n o n c h i e d a n o : questa è l'attività che toglie la vio­ lenza dalle radici. « Questo è l'impossibile » . Già, l'impossibile! poiché i l p o s s i b i l e è ciò che è dato, il possibile sono i bisogni, le necessità del continuare, quello che è della limitata potenza volta al continuare, quello che è della paura della morte - quello che è la morte nella vita, la nebbia indifferente delle cose che sono e non sono : il coraggio dell'impossibile è la luce che rompe la nebbia, davanti a cui cadono i terrori della morte e il presente divien v i t a . Che v 'importa di vivere se rinunciate alla vita in ogni presente per la cura del possibile? se siete nel mondo e non siete nel mondo, prendete le cose e non le avete, mangiate e siete affamati, dormite e siete stanchi, amate e vi fate violenza, se siete voi e non siete voi? 3°. Dare è fare l 'impossibile : d a r e è a v e r e . - Finché l 'uomo vive , egli è qui, e là è il m o n d o ; finché egli vive, vuole dà e possederlo ; finché egli vive, in qualche modo s'afferma : c h i e d e , entra nel giro delle relazioni - ed è sempre lui qui e là il mondo diverso da lui. Ma di fronte a ciò che era per lui una data relazione, nella quale affermandosi egli chiedeva di continuare, o r a egli deve affermarsi non per continuare, deve amarlo non perché esso sia necessario al suo bisogno, ma per ciò ch'esso « è », deve d a r s i tutto ad esso tutto per a v e r l o : poiché in esso egli non vede una relazione particolare ma tutto il mondo, e di fronte a que­ sto egli non è la sua fame, il suo torpore, il suo bisogno d'affetto, il suo qualunque bisogno, ma egli è tutto : poiché in quell'ultimo presente deve aver tutto e dar tutto, e s s e r p e r s u a s o e p e r ­ s u a d e r e , aver nel possesso del mondo il possesso di se stesso - esser uno egli ed il mondo . Egli si deve sentire nel d e s e r t o fra l'offrirsi delle relazioni particolari, poiché in nessuna di queste egli può affermarsi tutto ; ma in ogni cosa che queste relazioni gli offrano egli deve amare la vita di questa e non usar della relazione : affermarsi senza c h i e d e r e . 12 Ma la sua vita non è quello che questa cosa crede giusto per sé, non deve chiederlo alle cose e farsi istrumento della loro qualunque richiesta 13 - ché essendo giusto all'una sarebbe ingiusto all' altra : ripeterebbe la contingenza delle loro coscienze ma deve egli stesso volerle, egli stesso crearle, a m a r e i n l o r o tutto se stesso, e comunicando il valore indi­ viduale , identificarsi . Ma questo tutto non è mai tutto e l'affermazione è sempre un cedere, poiché infiniti sono i travestimenti della w"t"a.-roç etva.t.. 1 8 Per loro disse Cri sto : el "t"Vq>ÀoL -i'j-r;e, oùx &v ELXE"t"E a(J.a.p-ria.v · v uv oè: "ì.Éye-re �-r" �ÀÉ1to(J.ev � il a(J.a.p-r!a. v�-twv �-ttvet..19 Si son fatta una forza della loro debolezza, poiché su questa comune debolezza speculando hanno creato una sicurezza fatta di reciproca convenzione . È il regno della rettorica . Infatti per quanto ognuno è limitato all'attimo, la società estende la sua previsione nello spazio e nel tempo, perché ognuno possa xowwcpeÀwç;- cpt.Ào�uxetv : 20 ognuno nel suo piccolo posto pensare alla propria piccola vita, ma questo soltanto possibile in quel modo determinato, perché anche ogni altro a sua volta possa fare altret­ tanto, ognuno girando sul suo pernio, e sapendo via via nei suoi denti i denti delle ruote connesse : op(J.wv-rÉç;- -re xa.ì. o p!J.WIJ.Evo t. /1 mossi e motori ad un tempo, infallibili e sicuri tutti, in quanto attraverso di loro viva la vita del grande organismo con la sua pre­ visione complessa e squisita, cristallizzata negli ingegni delicati e potenti che eliminano dal campo della vita umana ogni contingenza . 77

E come perché uno metta in un organo meccanico una data moneta e giri l'apposita leva, la macchina pronta gli suona la melo­ dia desiderata, poiché nei suoi congegni è cristalHzzato il genio musicale del compositore e l'ingegno tecnico dell'organista; cosi al determinato lavoro che l'uomo compie per la società, che gli è fami­ liare e istintivo nel modo, ma oscuro nella ragione e nel fine, la società gli largisce sine cura tutto quanto gli è necessario, poiché nel suo organismo è cristallizzato tutto l'ingegno delle piu forti indivi­ dualità accumulato dai secoli : ò �loç ò IJ.E't'' !icrcpcx.À.E�cx.ç i'}otcr· 't'Oç'.22 -

2° ) La sicurezza. ( lim Ct x = oo ) Questa sicurezza delle cose necessarie sta nella forza sufficiente per assicurarsi nel futuro l'affermazione delle proprie determina­ zioni di fronte a tutte le altre determinazioni (forze ) estranee e nemiche : per vincere la materia ( il tempo e la varietà delle cose [ spazio ] ) colla propria forma . In questa materia sono compresi anche i miei simili - che si distinguono dal resto della materia in ciò che si determinano nello stesso modo come io mi determino, che per c o n t i n u a r e cioè impongono al resto della materia la stessa forma che io le impongo. Cosl la s i c u r e z z a ( la « cosa », come dicono i giuristi) significa:

1°) violenza sulla natura : lavoro ; 2° ) violenza verso l'uomo : proprietà. 1°. Io ho lavorato il campo, ho approfittato a mio vantaggio del sole, della pioggia , dell'aria, della terra ; ho ucciso gli animali nocivi, ho addomesticati quelli che mi potevano servire. Ho colto il frutto della terra violentando la pianta; ho costrutto un tetto a difesa delle intemperie e delle fiere, vincendo lo spazio e l'inerzia e la durezza del sasso ; mi sono fatto le vesti, le armi, gli utensili ; ho cacciato nel bosco la selvaggina, ho tagliato la legna per cucinarla sul mio focolare e mangiar questa e il frutto del campo a mia maggior gloria. Finché ci siano l'aria, la terra, il sole e l'acqua e sulla terra campi e boschi, ed in questi vegetazione e animali, la potenzialità del lavoro in me e i cumuli di lavoro passato (le cose elaborate ) in mio possesso mi sono sufficiente sicurezza pel mio futuro. Ma ecco ora il maggior pericolo di fronte al quale io non ho alcuna previ­ sione, ecco una potenzialità di lavoro identica alla mia che vuoi 78

determinarsi nello s tesso punto dello spazio e del tempo, e toglie a me tutto il futuro : ecco l'uomo, il mio s i m i l e . 2°. Sul campo ancora fumante si rinnova la lotta. - I due uomini si contendono la sicurezza di poter violentar la natura e di usar dei cumuli di lavoro passato : in breve i due s i m i l i non sono piu simili, ma l'uno ha il diritto del lavoro ( o proprietà immobile ) e il diritto sui cumuli di lavoro ( o proprietà mobile) , ha affermato di fronte all'altro la propria individualità ; l'altro ha il f u t u r o t r o n c a t o , è alla mercè del vincitore in ciò che egli vuoi vivere ancora e non può giovarsi della propria potenza di lavoro . L'altro allora gli dà il mezzo di vivere purché egli lavori per lui . Cosf l'uomo ha subordinato il suo simile, alla propria sicurezza: ha esteso la sua violenza anche sul suo simile, perché questo cooperi a for­ nirgli quanto gli giova. E questo, lo schiavo, è materia di fronte al padrone, egli è una « cosa ». Ma egli è « cosa » in altro modo di come sia « cosa » un albero che il padrone sradica per usar tutto il legno; egli è « cosa » come l'albero che il padrone innesta e pota per ricavarne le frutta, e come quello ch'egli priva periodicamente dei rami per aver legna da ardere. Lo schiavo serve al padrone v i v o anche perché muoia per lui - ma non morto . Cosi la sua schiavitu non è assoluta ma relativa al suo bisogno di vivere. La mano dello schiavo non è condotta con la forza a girar la mola del mulino; ma essa lo fa perché il corpo abbia poi da mangiare, e non sia con la frusta o coi supplizi impedito di farlo temporanea­ mente o per sempre. A ognuno dei mezzi coercitivi o alla minaccia dei mezzi coercitivi inerisce la vittoriosa violenza padronale, la per­ suasività assoluta riguardo alla volontà di vivere dello schiavo . Lo schiavo che non ha bisogno del futuro è libero, poiché non offre piu presa alla persuasione della violenza padronale . Finché l'acqua ha peso, cioè volontà d'andar al centro della terra, può esser costretta a far andar i mulini e le fabbriche rannicchiate alle sponde : essa deve seguire tutte le vie preparate dall'uomo e far girare tutte le sue ruote, se pur vuole scendere e non restar sospesa. Ma il giorno che l'acqua non abbia piu bisogno del « piu basso », all'uomo saranno vane le sue chiuse e i suoi canali e le sue ruote : e tutte le fabbriche e tutti i mulini resteranno fermi per sempre. Il padrone si serve dello schiavo a t t r a v e r s o l a d i l u i form a : attraverso la sua potenza di lavoro . E gli fa sentire che il suo diritto d'esistere coincide colla somma di 79

doveri verso il padrone, che la sua sicurezza è condizionata dal suo aderire ininterrotto ai bisogni del padrone . Cosi nelle sue catene dure ma sicure lo schiavo s'acquista col violentamento della natura in pro' del padrone la sicurezza fra gli uomini ; e con la sua violenza sul suo simile il padrone ricava da lui la sicurezza di fronte alla natura, ch'egli non lavorando non ha piu in sé. - Uniti, sono entrambi sicuri ; staccati, muoiono entrambi : ché l'uno ha il diritto ma non la potenza del lavoro , l'altro la potenza ma non il diritto. Ma dice il codice : «ogni uomo ha per natura diritti già da sé stessi evidenti alla ragione »; 23 dichiara che tutto potrà esser consi­ derato come cosa ma che l'uomo non è una cosa ( § 285 ), ma l'uomo è una persona, e proclama la liberazione degli schiavi ( § 1 6 ). Gli uomini d o v r a n n o amarsi ? sacrificare ognuno il suo futuro per il suo compagno ? o dovrà riscoppiare la battaglia san­ guinosa e ognuno dovrà conquistarsi il futuro a rischio di perderlo ? I malsicuri padroni e i malsicuri liberti si guardano con terrore, nostalgici gli uni del sicuro dominio, gli altri delle catene sicure. L'amore e l'aperta battaglia minacciano allo stesso modo la loro sicurezza. - Ma la società apre le braccia materne, essa non è tenera che di questa sicurezza appunto ; il suo codice parla cosi « per conve­ nienza », in realtà esso non è che la cristallizzazione di questa preoc­ cupazione del singolo pel suo futuro . - L'eschimese e l'etiope s'in­ contrano nella zona temperata; esclamano simultaneamente : « Ho freddo - dice l'etiope - dammi le tue pelli » ; « ho caldo - dice l'eschimese - dammi le tue penne » . - Ognuno ha visto nell'altro soltanto la c o s a che gli è necessaria, non l'uomo che ha da vivere lui stesso (poiché ognuno allora avrebbe dovuto supporre che la cosa necessaria a lui fosse necessaria pure all'altro ) ; ma d'altronde la preoccupazione per la propria vita avrebbe trattenuto ognuno dei due dal compromettere tutto se stesso nella lotta. Ma lo scambio conveniente ad entrambi li ha fatti sicuri pur senza amore vicende­ vole , pur senza la vittoria d'alcuno. E la società cura che sempre un eschimese incontri in questo modo un etiope ; e ottiene cosi che i suoi gracili figliuoli abbiano senza graffiarsi ognuno la sua zuppa che da sé non saprebbe come farsi; e fatta , come difenderla dagli altri . Io sono debole di corpo e d'anima; messo in mezzo alla natura sarei presto vittima della fame, delle intemperie, delle fiere ; messo in possesso di ciò che mi è necessario, al riparo delle forze della natura, ma in mezzo alla cupidigia degli altri uomini , sarei in breve -

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privato di tutto e penre1 miseramente . La società mi prende, mi insegna a muover le mani secondo regole stabilite; e per questo povero lavoro della mia povera macchina mi adula dicendo che sono una persona, che ho diritti acquisiti pel solo fatto che sono nato, mi dà tutto ciò che m'è necessario, e non solo il puro sostentamento ma tutti i raffinati prodotti del lavoro altrui ; mi dà la sicurezza di fronte a tutti gli altri. Gli uomini hanno trovato nella società un padrone migliore dei singoli padroni, perché non chiede loro una varietà di lavori, una potenza bastante alla sicurezza di fronte alla natura, ma solo quel piccolo e facile lavoro familiare ed oscuro , purché lo si faccia cosf come a lei è utile , purché non si urti in nessun modo cogli interessi del padrone : d ÈÀ.Evi}Épovç av't"oÙç OE'i: siiv, 't"WV KpCX't"OUV't"WV ÈCT't"L 7ttiV't"1 àxoVCT't"Éa.24 La sicurezza è facile ma è tanto piu dura . La società ha modi ben determinati ; essa lega, limita, minaccia : la sua forza diffusa è concreta in quel capolavoro di persuasione che è il codice penale . La cura di questa sicurezza asser­ visce l'uomo in ogni atto . Dal momento che l'uomo vuoi poter dire « questo è l e g a l m e n t e mio », egli s'è reso schiavo attraverso il proprio futuro del futuro di tutti gli al­ t r i : e g l i è m a t e r i a (la proprietà mobile}. Ma in cambio, la società fa quello che nessun padrone farebbe ; essa rende partecipi i suoi schiavi della sua autorità, in ciò che il loro lavoro essa trasforma in denaro , e al denaro dà forza di legge.

§ 1 8 . ]edermann ist unter den von den Gesetzen vorgeschrie­ benen Bedingungen fahig, Rechte zu erwerben.'2S

La possibilità d'acquistare un diritto su una cosa già elaborata per servire all'uomo, su un cumulo di lavoro altrui , è già di fatto un diritto sul lavoro altrui. La possibilità d'acquistare il diritto di bearbeiten 26 una cosa {la proprietà immobile ), in ciò che significa la sicurezza che altri non lavorerà, è di fatto il diritto sull'altrui n o n l a v o r o . La proprietà è dunque la violenza sull'altrui persona, e attraverso la persona sulla natura. E questa violenza è assoluta fra gli uomini poiché la società vendica con tutta la sua forza i diritti dei suoi fedeli. § 1 9 . Jedem, der sich in seinem Rech gekrankt zu sein erachtet, -

steht es frei, seine Beschwerde vor der durch die Gesetze bestimmten Behorde anzubringen .'Zl

In tal modo ognuno può rendersi personalmente assoluta quella sicurezza che già per la coercizione generale egli gode. La piccola volontà vuole affermare la sua determinazione . E la società le dà modo di prendere. La piccola volontà non può difendere quello che ha preso colla sua violenza, e ne affida la difesa alla violenza sociale . 81

La piccola volontà ignara di tutto che non sia quell'oscuro senso delle sue necessità, che per queste nega, ignorandola, ogni altra volontà, che 't'Ò ta.u't'fjç- (.dpoç 28 ucciderebbe tutto quanto vive, per continuar a viver essa stessa - acquista cosi per mezzo della società forza intelligente e sicura contro ogni altra volontà, acquista potere su tutto ciò che i secoli passati hanno fatto, che il secolo presente produce. Ogni altra volontà è schiava del suo futuro. Tutto è materia per la sua vita. Cosi dunque nella società organizzata ognuno violenta l'altro attraverso l'onnipotenza dell'organizzazione; ognuno è materia e for­ ma, schiavo e padrone ad un tempo per ciò che la comune conve­ nienza a tutti comuni diritti conceda ed imponga comuni doveri. L'organizzazione è onnipotente, ed è incorruttibile poiché consiste per la deficienza del singolo e per la sua paura : e non c'è maggior potenza di quella che si fa una forza della propria debolezza. Il sin­ golo che per la sua sicurezza vive la sua vita nel modo sociale, xo�vwq>EÀwç- q>t.Ào�vxwv,29 che ha trovato che la libertà d'esser schiavo della vita è sicura a chi sa 't'ok xpa.'t'ouaw Etxa.i)Eiv ,30 e s'è adattato alla forma sociale, ed è geloso di questa in ragione appunto della d e b o l e z z a con la quale vi s'è affidato, geloso come è geloso il creditore della propria cambiale ; che, se ha fatto tanto d'ac­ cettarla e d'affidarle il suo avere, di-pende con la vita da quel pezzo di carta. Ché questo alla carta, quello alla forma sociale, sono en­ trambi attaccati come il naufrago alla tavola di salvezza, n o n p e r amore della tavola ma della prop ria salvezza. Cosi gli uomini che hanno accettata la cambiale della società, vi si tengono colle dita rattrappite - o con saldezza di principi - ed è questo il loro sguardo corrucciato volto all'opinione altrui, alla cr't'&.cnç- 31 di ogni fede perché non È7tEyElpn CT't'tiaw 't'�vcX.,32 a ogni fatto altrui perché non si faccia fazioso ; è questa la loro gravità d'istrumenti d'orchestra che perché soffiano e vengono soffiati si sentono l'autorità del compositore - per cui mi meraviglio che non usino tutti il « noi » per la prima persona singolare, come già lo fanno i viaggiatori di commercio, o il fattorino d'una banca che parlava dei « nostri milioni » ; è questa la loro cX.xpl�wx. 33 nella misura dei diritti e dei doveri, questa la loro « sufficienza » che non sopporta che ad altri non basti ciò che basta loro , per cui se uno usi a oltraggio di ciò che a ognuno dalla comune misura è concesso, si sentono pel fatto stesso personalmente oltraggiati.34 È perciò che se avessero a sacrificare a qualche dio che non fosse l'eterno Pluto, sacrificherebbero a Procuste . - Vien fatto di chieder soltanto che 82

cosa sieno quei diritti che secondo il codice spettano all'uomo g1a per razionale evidenza, pel fatto stesso che è nato, e quale sia la « persona » .

3° ) La riduzione della persona. ( lim c1 y = o ) Camminando per una vecchia via della mia città, i o m i sentii spesso lusingato dall'aspetto conveniente che la fronte delle case mi presentava, che anche le tracce del tempo e delle intemperie ave­ vano un'aria rispettabile e confortante. Ma le città, si sa, progredi­ scono, i nuovi bisogni culminano in progetti edilizi, e i progetti edilizi sventrano senza pietà le parti ingombranti. La mia via restò rispettata ; ma tutti i fabbricati che s'ammassavano dietro la prima linea di case dall'uno dei lati vennero rasi al suolo, per cui a chi passi ora per la parte sgombrata le case dalla fronte rispettabile , ahimè, offrono tutto lo spettacolo desolante della loro intima miseria. - Chi l'ha contemplata una volta, l'intuisce quando ripassa per la via con­ sueta anche attraverso la fronte rispettabile. Attraverso la fronte rispettabile che gli uomini presentano sulla via della vicendevole sicurezza, si possono intuire cosi le miserie del­ l'individualità ridotta, procedendo nella discussione della formola all'esame della seconda variabile. Der Unbeugsame wuchs nicht leichtsinnig au/,35 dicono . Non crebbe leggermente 36 colui che non si piega . I cedri cresciuti per le favorevoli condizioni piu presto e piu alti che non comportasse la resistenza della loro fibra, gravati dal loro stesso peso, piegano in breve la cima verso terra. - Quelli invece che combatterono col terreno ingrato e col clima nemico, seppur sono cresciuti, sono tanto cresciuti quanto la loro forza com­ porta e non c'è vento che li pieghi . L'uomo che ha assunto la persona sociale, per cui crebbe usur­ pando l'inadeguata sicurezza che l'ambiente gli offriva, ha fondato la sua vita sulla contingenza delle cose e delle persone, e della carità di queste vivendo da queste dipende pel suo futuro , né ha in sé vigore a conservarsi ciò che non per suo valore gli appartiene. Quanto piu l'individuo s'adatta alle circostanti contingenze , di tanto è meno « sua » la sufficienza, poiché tanto meno vasta è in lui la previsione diffusa per artus. Per quanto la previsione sociale s'è allargata ed è insufficiente a un maggior numero di contingenze, tanto piu breve è la sfera di previsione e minore la sufficienza dell'indi­ viduo che per la sua sicurezza alla previsione sociale come suffi-

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dente s'è affidato . A una sicurezza sociale assoluta corrisponde nel­ l'individuo sociale una previsione ridotta all'attimo e al punto ; per cui, a ogni nuova contingenza insufficiente, tolto dal grembo della società, l'individuo in quell'attimo e in quel punto miseramente peri­ rebbe. - Tutti i progressi della civiltà sono regressi dell'individuo . Ogni progresso della tecnica istupidisce per quella parte il corpo dell'uomo. - Le vesti , la casa, la produzione artificiale del calore rendono inutile la facoltà di reazione dell'organismo 37 all'aria, al caldo, al freddo, al sole,38 all'acqua . Per la facilità d'avere il cibo senza procurarselo e per la facilità delle armi, l'individuo per sé non è piu una forza pericolosa in mezzo agli animali ; egli non ha piu né l'agilità né la forza articolata e misurata né le mille astuzie ch'erano nella potenzialità del suo corpo, e facevano dell'uomo uno dei piu begli animali di rapina. Ma la società elimina ogni 1t6voç-,39 ogni pericolo che esiga tutta la fatica intelligente e tenace per esser superato : l 'impegno di tutta la persona per non esser mortale ; e vi sostituisce o la sicurezza o IÌ(...tl') XIi'Vouç crup.q>opciç- 40 per le quali gli uomini non vincono o soccombono nella lotta, ma si trovano ad esser salvi o morti . Essa s 'incarica di trasportar le preziose persone dei suoi figliuoli cosi che non abbiano a faticare . Cosi dall'uomo che tutto d'un pezzo col suo cavallo domato da lui e dominato poi sempre collo strano linguaggio fatto di guizzi muscolari nelle gambe, va attraverso ter­ reni sconosciuti conscio dei pericoli e pronto all 'adeguata reazione ; o che passa i monti scalando le pareti vertiginosamente erte trovando in ogni asperità appoggio bastevole alle mani e ai piedi articolati come le mani, costeggiando l'abisso senza che il cuore 4 1 vacilli e passando per frane « senza che il piede smuova un sasso » 42 al­ l'annoiato viaggiatore costretto in un vagone che sbatacchiandolo lo trasporta sopra, sotto , attraverso fiumi e monti e piani , mentre lui si stira o sbadiglia o parla d'orari con profonda conoscenza di causa o discute col conduttore con finissimi argomenti dei biglietti combi­ nati, della tariffa differenziale, dei diritti e doveri vicendevoli del viaggiatore e dell'impiegato ferroviario, che se la provvidenza divina lo mandi a scontrare con un altro treno di viaggiatori assopiti, ma volanti a 60 chi!. l'ora, non gli resta nemmeno il tempo di bestem­ miare che si trova già ad esser morto, passato direttamente dai minuti delle sue coincidenze all'eternità della morte, che lo agguaglia a sua grande indignazione, lui, l 'uomo civile , ai suoi antenati trogloditi e a tutti gli animali del creato ; dal marinaio che ha in mano la vela e il timone, ed è lui la ragione dell'equilibrio fra il vento e il mare , che sente sul viso la direzione e la forza del vento e misura -

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con l'occhio sicuro la bordata , che lotta con l'uragano a vincere o morire - al viaggiatore d'un transatlantico che, o merce ammuc­ chiata nella stiva o highlife sopra coperta, si contorce pel mal di mare e fidando nella prepotenza del tonnellaggio e delle caldaie del piroscafo che sta come un isolotto in mezzo all'uragano, si trova a calare a picco come un sasso assieme a tutti i compagni senza possi­ bile lotta, se uno scoglio o lo sperone d'un'altra nave si prenda la cura d'aprire i fianchi alla sua città galleggiante ; fra quelli e que­ sti - volevo dire - c'è la distanza uguale che fra la vita organica e la vita minerale. Ogni sostituzione delle macchine al lavoro manuale istupidisce per quel tanto le mani dell'uomo : poiché dal pensiero rivolto a determinate necessità erano state educate a saper fare, e dal con­ gegno, in cui quel pensiero s'è cristallizzato una volta per sempre, rese inutili, perdono ora l'intelligenza di quelle necessità. Cosi ai nostri giorni sono istupiditi ad esempio i fabbri, che un tempo da un blocco di ferro sapevano a forza di fuoco, di martello e di scal­ pello foggiare qual si volesse oggetto, che oggi sanno appena adat­ tare e congiungere con le viti i pezzi fatti che arrivano dalle fab­ briche o dalle fonderie, che non fanno piu da sé nemmeno le chiavi e i chiodi, si che a stento si trova uno che sappia piu ferrare un cavallo; 43 e gli artisti scalpellini e falegnami e tessitori, ecc. E al loro posto sono subentrate le masse di tristi e stupidi operai delle fabbriche che non sanno che un gesto, che sono quasi l'ul­ tima leva delle loro macchine . Cosi il fotografo ha sostituito l'incisore e sostituirà il pittore, le phonole e gli orchestrion sostituiranno i musicanti . . 44 Gli occhi finiranno per non vedere ciò che invano vedrebbero, le orecchie di sentire ciò che invano sentirebbero - il corpo del­ l'uomo si disgregherà. . . si verserà.45 -

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Cosi anche nell'attività di tutta la loro persona, la cui potenza per non essere concreta e attualmente visibile nelle parti del corpo piu si nasconde al giudizio, la sfera ha limitato il suo raggio di quanto piu s'è ingrandito quello della società. Poiché anche qui domina la legge che gradatamente elimina 't'Ò'J 7t6vov per dare una sicurezza interrotta solo da &.p:f)xa.vot. CTV(.l.q>opa.l, e gli uomini si tro­ vano a esser salvi o a esser caduti. Le parole : « non impegnarti con tutta la tua persona », « distin­ gui fra teoria e pratica » , « prendi la persona della sufficienza che t'è data », « misura i doveri coi diritti », « informati a ciò che è convenuto », formano il pentalogo dell'uomo sociale. - Questi, che ha accettato la cambiale della società e ne ha gravate le spalle della

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cura per la propria sicurezza, né ha piu bisogno d'incaricarsene né lo deve fare. Il codice dice che quello è punito che si fa giustizia da sé. Ma l'uomo sociale non deve piu affatto pensare alla giustizia ; quella è cosa che non lo riguarda : e g l i è s o t t o t u t e l a , n o n h a v o c e ; deve guardare invece d'andar diritto pel sen­ tiero che gli hanno preparato, dove conduca non è cosa sua. Agli occhi porta come i cavalli da tiro i ripari perché non gli accada di guardar a destra o a sinistra. La sua previsione deve limitarsi a quella strada e a quel tratto prossimo per guardar di non ince­ spicare. Cosf gli è tolto il senso della r e s p o n s a b i l i t à . Il cavallo che porta un uomo a commettere un delitto non è respon­ sabile di questo ; né il nostro uomo è responsabile del male, del bene cui il suo andare serve. Egli non è un Mitwisser, CT U\I E L O Wç , conscius, ma complice in buona fede. Egli non può ricordarsi a lungo per dove è passato, assorbito com'è dagli accidenti attuali della via a guardar dove mettere i piedi . - Quelli lo riguardavano allora quando vi passava, ora sarebbe da ingenuo pensarci cosi da perdere la pista : q u e s t a è l a r e a l t à , l a p r a t i c a , è da questa che dipende la sua vita. C 'era uno che camminava vicino a lui, che lo aveva aiutato nei passi difficili ; è sopraggiunto un altro che lo ha atterrato, che ne ha preso il posto ; il nostro viandante non può incaricarsi del caduto, egli deve pensare a dove metter i piedi . « Peccato ! » dice, e prosegue e tenta d'otte­ ner la grazia del nuovo compagno perché lo aiuti come l'altro fa­ ceva : ché in lui egli non vedeva il compagno ma vedeva l'aiuto . N-l}moç 8ç -rwv o�x-rpwç OLXO!J..Évwv yovÉwv ÈmÀ.tii}E-rcx.L,46 dice Elettra. Non è un uomo ma un infante ( unmunding) quello che non assume l' &.v-rtppo1to\l ffxi}oç 47 del dolore che l 'ha toccato in chi era legato con lui, che non risponde di ciò che una volta diceva suo. Poiché la sua persona d'oggi non è quella di ieri, chi le può d a r v o c e r e s p o n s a b i l e ? - « Ma - dice il viandante - !J..Tl OÈ\1 È1t' &.!J..-IJ xcx.vov ,48 non posso, non devo impegnarmi a fondo; que­ ste san belle cose - Et o' ÈÀ.EV1}Ep6v (J.. E OE� sfiv, 'tWV XpCX.'tOV\1'tWV Ècr-rt 1ttiv-r ' &.xovcr-rÈcx.; 49 io devo pensare a cose serie ». E prosegue intento alle pietre della via che sono la serietà, la realtà. M a q u e s t a r e a l t à p o i c h e c o s ' è p e r l u i ? La realtà dei sassi il cavallo la sa solo in riguardo ai piedi (vedi I, c. 2° ; II, c . 2° ). Cosf i luoghi per dove passa il viandante sono per lui l u o g h i c o m u n i . Delle cose che sfiora, delle cose su cui poggia per prose­ guire, che cosa sa egli come vivano e che vogliano e che siano ? Que­ sto solo sa, se gli san dure o tenere, difficili o 'facili, favorevoli o 86

nemiche. Egli ignora ciò che è giusto altrui, usa delle cose e delle persone solo in quanto utili al suo andare, 8 Xct'tiX 't'Ì'}V xowwvCa.v 'tUY­ xavEt. VE(l.6(l.EVOç,50 che dalla convenzione come giusto gli è assegnato . Cosf piegandosi , aspettando , transigendo e, per non impegnarsi a fondo cosf da comprometter tutto il futuro in un punto, dimentico e irresponsabile - l 'uomo sociale trae la vita ( « el se tira avanti » ) ignorandola - fino a che Giove non l o libera.

WXU(l.Opot., XCl'1tVOLO OLX'l}V &.ptlÉV'tEç a7tÉ'1t'tCX.V, ctlhò !J.6vov '1tEt.O"i7Év'tEç, chcv 7t p o O"Éx u pO"Ev €xa.O"'toç 7tav'to0"' ÈÀ.a.uv6tJ.tvot.. (EMPEDOCLE) 51

È scritto in qualche parte ( credo in Schopenhauer ) 52 che chi potesse guardare internamente in un vaso di terra non vi vedrebbe che un oscuro tendere al basso e un'oscura forza di coesione ; se potesse guardare nella mente d'un uomo vi vedrebbe ancora una volta tutto il mondo e tutti gli altri uomini e se stesso. - Quanto dire che nella retina d'un uomo che sta di fronte a un paesaggio, tutto il paesaggio rivive esattamente : ma come in quella chiaro vive solo quel punto che &v ( ogni volta eventualmente ) sia in fuoco, tutto il resto apparendo incerto - ché l'occhio vede senza vedere, ma certum habet solo quanto ha visto ; cosf, io credo, chi gettasse lo sguardo nella mente d'un uomo comune vi troverebbe una ben strana e deforme immagine del mondo e degli uomini e di se stesso : O"'tEt.­ VW7tO� !J.Èv yàp 7ta.À.&.!J.a.t. XCX.'tCl yui:a. XÉXUV'tCX.t. 53( Empedocle ) .Egli vedrebbe ad esempio il sapore del cibo e l'odore e l'impronta del prendere il cibo, e chi fa il cibo e chi lo vende, confusi in un solo cumulo di disposizioni oscure ; e a questo connesso - se si tratta d'un impiegato 54 - un altro cumulo con facciate di carte, filze di conti, superfici di tavole, rotoli di denaro, e il senso del denaro nelle dita , e il suono del denaro nell'orecchio, e gambe di seggiole, angoli di stanze, ecc . ; e un altro con cantonate di strade, insegne di negozi, quadrati di cielo, macchie di sole, ecc. ecc . ; e le une cose segnate dall'attrattiva, le altre dalla repulsione ; e in mezzo ombre d'uomini, chi senza testa, chi senza gambe ( segni di riconoscimento : gambe, nasi), chi segnato da un « sf », chi segnato da un « no », e l'impronta d'un bacio o un digrignare di denti, uno sguardo nemico ecc . ; e una ridda infernale di nomi , di dati , di parole, di numeri , tutti i 't67tot. 55 della rettorica : ma attraverso tutto il groviglio spasi­ mare vedrebbe la fame insaziata. Onde mossa la luce del piacere pel giro della pallida striscia che tutte le cose congiunge - corre ; in cui raccolte le scialbe irradiazioni di tutte le cose or l'una cosa or l'altra illuminano a illuder la fame nel prossimo istante, senza ri87

poso. La realtà degli uomini è la figura del sogno , che di quella parlano come se narrassero un groviglio di sogni . « Poiché viene il sogno con groviglio di cose e la voce dello stolto con groviglio di parole » { Ecclesiaste, V, 2 ) . - Ma mentre il sogno è l'intima mi­ sura della vita, quello che in riguardo alla vita ognuno sente - cosi che gli uomini non sanno comunicare le sensazioni del sogno ; per comunicare il groviglio di sogni della loro realtà essi trovano parole convenute per ogni riferenza particolare. - L'uomo nel sogno è nudo davanti a Dio cosi com'è, e pesa per quanto vale ; tutte le forme, gli ingegni, le parole , che non sono sue e a cui s'è adattato secondo la convenzione, cadono . Nell'intimità del sogno egli è come i suoi antenati che vivevano soli e nudi. - Difatti quando gli uo­ mini vogliono comunicare quelle misteriose sensazioni dei sogni, allora si trovano davanti all'impossibile, « non trovano parola » per 56 « esprimere quello che sentono ». Ma per gli usi della vita tutti dicono « tavolino », « seggiola », « piazza », « cielo », « colle », ecc., o « 'Marco », « Filippo >> , « Gregorio » , ecc .

Ov"t'W 't'O!. iCct"t'rt o6çav Eq>V "t'&:OE \IV\1 't'E EctÉ\I"t'ct "t'OLç" o' 5vo!J.' &vltptù7t0t iCct"t'ÉitEV"t'' É7tt0"T)IJ.O\I haO""t't& " .57 •

PARMENIDE,

v.

151 sgg.

Ma che ne sanno ? Ben essi dicono che se li vedono davanti chiu­ dendo gli occhi e che li conoscono a fondo ; ma se vogliono dir cosa siano, la figura si dissolve in notizie date come ricevute e in dati coordinati che corrispondono alle diverse impressioni dei sensi e al­ l'uso a cui la data cose serve, e si riduce, quando non sia indiffe­ rente, alla inesplicata simpatia o antipatia, alla attrattiva o alla repulsione che la data persona o la data cosa risveglia . - Come quando uno si mette a disegnare dò che dice di veder perfetta­ mente, e finisce col fare . . . ghirigori e monogrammi . . . « perché non sa disegnare » . L a loro memoria è fatta di questi cumuli d i disposizioni che aspettano le forme consuete per riconoscerle ; ed essi riferendovisi con parole non le comunicano , non le esprimono, ma le significano agli altri cosi da bastare agli usi della vita . Come uno muove una leva o preme un bottone d'un meccanismo per aver date reazioni, che le conosce per le loro manifestazioni, per ciò che d'indispensa­ bile gli offrono, ma non sa come procedono, ma non le sa creare ; egli vi si riferisce soltanto con quel segno convenuto . Cosf fa l'uomo nella società : il segno convenuto egli lo trova nella tastiera pr�pa-

�8

r otta come una nota sul piano . E i segni convenuti si congiungono in modi convenuti, in complessi fatti : sul piano egli suona non la sua melodia, ma le frasi p r e s c r i t t e dagli altri. È cosi che nella società vecchia la lingua si cristallizza. Hegel tlwm:vEL 58 anche in questo riguardo l'uomo sociale dicendogli che « gran signore, si fa " in sé " spirituale e meno abbisogna di quelle 5 piccole cose » . 9 Certo non ne abbisogna piu, proprio cosi come un bambino cui la madre tenera, per non volerlo esporre ai p e r i c o l i d i c a m m i n a r e s u I l e s u e g a m b e , assicurasse per sem­ pre il mezzo di trasporto, che certo non abbisognerebbe delle gambe e avrebbe la soddisfazione di vedere al loro posto due cose molli ed informi. L'uomo ammaestrato è ridotto a non uscir dal punto con la sua realtà ; il suo modo diretto è il segno d'una data vicina relazione. Simile all'uomo che sogna, che percorre con la luce della sua vista puntuale tutta una serie, che, poiché non vede le cose lontane come vicine, s' a v v i c i n a a 1 1 e c o s e l o n t a n e p e r v e d e r e : se l'interesse vuoi chiarire un elemento che nell'attuale visione è incerto, esso si trasporta immediatamente a quello e lo fa oggetto della susseguente visione. Io sogno che uno mi racconta una cosa, poi sogno la cosa ( non come raccontata ) : la visione del mio collo­ quio è scomparsa ed è subentrata la visione della cosa (Mille e una notte!): nel sogno non esiste realtà congiunta. - Una facoltà potente di sogno è quella dell'artista che vede le cose lontane come le vicine, e perciò le può dare cosi ch'esse appaiono nella loro reciproca rela­ zone di vicine e di lontane.60 Il pittore che dipinge un viale ha n e I l ' o c c h i o e n e I l a m a n o parallele le linee dei due filari, quando le fa convergenti ; e gli alberi tutti della stessa altezza quando li fa digradanti ; e tutti dello stesso colore, quando li fa via via piu velati d'azzurro, di gri­ gio, di bianchiccio, di viola, di rosso, a seconda che l'aria è pura, nebhiosa o passata dai raggi del sole al tramonto ; e tutti illuminati allo stesso modo, quando ne scema via via internandosi le diffe­ renze fra luce ed ombra . - Viene il semplice, e dice allora : « par vero » ; viene il critico e dice : « che primi piani ! che secondi piani ! che linea, che luce, che aria, che colorito ! » . S i mette a dipingere il semplice : e v a a vedere i l principio del viale e poi la fine ; vede che la larghezza è la stessa, e dipinge one­ stamente parallele le linee dei due filari ; e con lo stesso procedi­ mento e la stessa onesta diligenza gli alberi uguali tutti d'altezza, uguali il colore, uguali l'ombreggiatura. - Se viene un altro sem­ plice, s'accontenta di protestare che non capisce niente, o se conosce 89

il viale dice che « dovrebbe essere " quel viale ", ma non si capisce niente ». Ma il critico dice : « l'idea c'è - scuola gli manca » . È che il semplice ha portato la sua facoltà di vedere passo per passo lungo tutto il viale, a « veder da vicino le cose lontane », e le ha date via via come da vicino le ha viste. Egli ha ripetuto la vici­ nanza materiale per creare la vicinanza delle cose lontane. Egli non ha c o m u n i c a t o l'intimità, la s t e s s a n a t u r a dell'og­ getto, ma lo ha s i g n i f i c a t o con quelle apparenze che o g n i v o l t a lo fanno riconoscere 61 a chi l'abbia già visto . Cosi quando parla egli si trascina attraverso le relazioni elemen­ tari dei concetti, e per piu girar che faccia non piu ne prende.62 E le parole , come nel parlare rimangono oscure e vaghe, perdono la possibilità della pienezza delle riferenze per cui altrimenti sono perspicue. Da corpi vivi che possono attaccarsi e determinarsi attac­ cando e determinando da tante parti e in tanti modi, esse diventano materia che per sua forza non può riferirsi che in un modo, e tal­ volta in questa unione resta cristallizzata.63 - Da individualità pre­ cise esse diventano partes materiales. Il loro modo congiunto , tanto piu inadeguato quanto il loro s a p e r e piu limitato, è ridotto quasi esclusivamente alle elemen­ tari relazioni di tempo e alla fìnalità.64 Del resto il bell'organismo vivo d'un periodo r i v e l a t o r e è ridotto al pesante seguito di proposizioni incolori, come una catena di forzati, legate pesante­ mente coi « che » , coi « siccome » , « e dopo », « e allora », « il quale », ecc. L 'uomo che vive senza persuasione, senza mai ardir di valeria, non ha nella sua potenza un fine , una ragione che escano dal punto, se non per ripetersi nel passato e nel futuro. I rapporti di finalità, di necessità, di potenzialità vissuti superficialmente si confondono fra di loro e coi modi della realtà diretta. Cosi se la sua i n t e n z i o n e a sua insaputa implichi un tale rapporto, non la può comu­ nicare col nesso perspicuo dell'organismo congiunto, ma deve con moltiplicar di parole affannarsi a s i g n i f i c a r l a . Per esem­ · pio, s'egli vuoi dire che è necessario che un altro faccia una tal cosa perché poi la faccia lui stesso a sua volta, non dice : « lo farò quando tu l'abbia fatto ; ma deve dire : « non lo farò né oggi né domani né mai ; prima devi farlo tu, solo dopo lo farò io ». Per dire : « lo farei se tu lo facessi », deve dire : « io per me lo faccio ma fallo prima tu » . O il caso inverso : per dire « io giurerei » ( = io posso giurare) dice « io potrei giurare » ( io posso poter giurare ) ; oppure « se tu lo volessi, eventualmente lo farei » ( = se tu lo volessi, se tu lo volessi ·

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lo farei ) ; oppure « in quanto » (che indica il rapporto di necessità) per indicar il coincidere di due cose ( che è significato con « in ciò » ) .05 « Ma queste sono pedanterie - hai capito quello che volevo dire ? dunque basta » . Questione d'accontentatura. Se uno si è sufficiente nei modi della vita offerti dalla società, può accontentarsi di significare per i suoi usi nei modi convenuti le cose convenute e adagiarsi a ripetere senza intendere quello che gli altri in quei casi dicono, per esser inteso allo stesso modo da altri iniziati alla stessa xoww\l�cx.. Cosi egli può anzi avere uno « stile », una « lingua » perfetti, e pur non dir mai niente. - Ma quanto uno vuoi camminar sulle gambe, tanto deve sanguinar le sue parole, poiché « egli è cieco, 66 senza patria, miserabile se concede alle frasi fatte » . Ma pur dicono con l'aria di dir due cose opposte, gli uni: « biso­ gna informarsi dei gradi che lo spirito spiritualizzandosi ha superato nella storia del genere umano » ; gli altri : « bisogna leggere i buoni testi e la grammatica » . È inutile rimescolar di piu queste miserie : purché resti fermo che, consistendo la prospettiva linguistica tutta nella profondità della visione attuale, la vita organica della lingua, che pulsa uguale in ogni parola e in ogni unione di parole, come funzione della vita individuale, si disgrega e si fa imbecille, quando l'uomo dalla sicu­ rezza sociale sia ridotto - quanto alla sua previsione organizzata ( sicurezza individuale ) - al punto e all'attimo.

4° ) yc1

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Il massimo col minimo.

( la rettorica ) Quest'uomo della società che di fronte all'uomo in natura è tanto piu debole quanto non ha piu bisogno di vincere alcuno di quei pericoli che quello vinceva : cioè esattamente cosi debole come uno che non è capace di vinceme il piu piccolo ; e che non ha un'altra attività, una sfera d'azione piu vasta , poiché come in quello cosi in lui l'interesse non va oltre ai bisogni della vita : - questa volontà di vivere quasi inorganica pur gode, in cambio del suo piccolo lavoro imparato e della sua sottomissione, la sicurezza di tutto ciò che l'ingegno umano ha accumulato nella società, quale altrimenti s'ot­ tiene solo per la superiorità individuale, solo colla potenza della p e r s u a s i o n e . Col lavoro dell'individualità inferiore s'hanno i frutti dell'individualità superiore : questo è il significato rettorico

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dell' o t t i m i s m o s o c i a l e . Esso dice al singolo : « Chi compie il suo dovere verso la società ha diritto di viver sicuro ». - Ma chi ti dà il d i r i t t o di reputar tuo d o v e r e quello che la società dice tale ? - Esso dice ancora : ' EÀ.tuil"tpoç EO'"t'CX.� OO'"t'�ç

élv XCX.Ì. ÉV lN!J.@ aÀ.nil"wç "t'O�o\hoç 'Ìi o!oç !J.E"t'' &.vil"pW7tOV. ' 0 &.v1}p oÈ À.Éytv ' EÀ.tuil"tpoç EO""t'cx.� oO""t'Lç liv o\hwç &.À.nil"wòç Ti Év il"u!J.@ wO""t'E xcx.ì. IJ.E"t'' &.vil"pw1twv !J.'Ìl &.À.À.o�oouil"cx.�o. • H ytl.p P'Jl"t'op�x1) 7tpÒç "t'oÙç liÀ.À.ouç &.À.nil"tuouO"cx. "t'OLç liÀ.À.o�ç 7ttLil"t"t'CX.� 1] o È 7tpÒç ÈCX.U"t'ÒV aÀ.1}il"t�CX. XCX.Ì. "t'OÙç" èf.À.À.OUç' 1tE!il"E1..67 •

Ma la rettorica organizzata a sistema, nutrita dal costante sforzo dei secoli , fiorisce al sole, porta i suoi frutti e benefica i suoi fedeli. Ed altri ne porterà in futuro . E si vedrà ogni uomo curante solo della sua vita, negando cosi "t'Ò Ècx.u"t'oO plpoç 68 ogni altrui vita, aver dagli altri quanto voglia, e viver verso loro sicuro come se solo amore degli altri lo tenesse ; assorbito dalle cose attuali può dominar gli altri e comprender le cose come il grande può a prezzo della sua giustizia sanguinata. Il vti:xoç avrà preso l'apparenza della q>LÀ.LCX. 69 quando ognuno, socialmente ammaestrato, volendo per sé vorrà per la società , ché la sua negazione degli altri sarà affermazione della vita sociale. - Cosi ogni atto dell'uomo sarà la rettorica in azione, che, oscuro per lui stesso, gli darà quanto gli serva. Il d a n a r o , il mezzo attuale di comunicazione della violenza sociale, per cui ognuno è signore del lavoro altrui, il « concentrato di lavoro », il « rappresentante del diritto » , la fascia di trasmissione fra le ruote della macchina - sarà come divinità assunto in cielo, diventerà del tutto nominale, un' a s t r a z i o n e , quando le ruote saranno cosi ben congegnate che ognuna entrerà nei denti dell'altra senza bisogno di trasmissione . La l i n g u a arriverà al limite della persuasività assoluta, quello che il profeta raggiunge col miracolo - arriverà al silenzio quando ogni atto avrà la sua efficienza assoluta. Ma se a uno di questi poveri rimasugli d'umanità in un giorno di sole verrà un brivido di vita, quasi una reminiscenza attraverso i tempi al suo tardo cervello, e s'indugerà sul manubrio della sua macchina turbato, e s'allontanerà dal lavoro, il compagno avrà poca pena a farlo rinsavire : « Vieni - gli dirà è il tuo dovere morale ! » . L'altro capirà subito : « è il pane », e andrà al lavoro con la testa bassa. Kcx.À.À.t.mLO"!J.CX."t'CX. op­ cpvnç-.70 Prima di giungere al regno del silenzio, ogni parola sarà un x cx.À.À.w7t �O"!J.cx. opcpvnç: un'apparenza assoluta, un'efficacia immediata d'una parola che non avrà piu contenuto che il minimo oscuro istinto di vita. Tutte le parole saranno termini tecnici, quando l'oscurità !lìarà per tutti allo stesso modo velata, essendo gli uomini tutti allo -

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stesso modo addomesticati : le parole si riferiranno a relazioni per tutti allo stesso modo determinate. Come oggi si dice « forza d'at­ trazione », che non dice niente, ma vuol significar solo quel com­ plesso di effetti che tutti hanno vicini, ai quali bisogna pur sup­ porre una causa sufficiente ; cosi allora si dirà virtu, morale, dovere, religione, popolo, dio, bontà, giustizia, sentimento, bene, male, utile, inutile ecc. , e s'intenderanno rigorosamente quelle date relazioni della vita : i "t'6'7tot. xowol 71 saranno fermi come quelli scientifici. Gli uomini si suoneranno vicendevolmente come tastiera. Allora si avrà buon gioco chi vorrà scriver una « rettorica ». Ché la vita dell'uomo sarà davvero la divina (J.ECT6"t''Y)ç" 72 che dalla notte dei tempi futuri rifulse all'anima sociale d'Aristotele. Gli uomini parleranno, ma oùoÈv À.Éçoucrw.73 Elettra parla a loro quando dice a Crisotemide:

... 7t(tV"t'a.... CTOL ... xet:v'Y)ç 74 ot.oax"t'ti, xoùob.1 ix crau"t'ijç À.Éyet.ç. 75 '

Parlo del futuro per aver il caso di limite, ma gran parte del futuro è nel presente . Già ora nessun uomo nasce piu nudo ma tutti con la camicia, tutti già ricchi di ciò che i secoli hanno fatto per render loro facile la vita. E i piu sono quelli che se la tengono con ogni cura. Già ora l'uomo trova quanto gli è necessario in una forma prestabilita, e crede di sapere la vita quando ha imparato le norme di questa forma ed ottiene senza pericolo ciò che gli è necessario. , Questa forma, questa camicia di forza o camicia rettorica è contesta di tutte le cose nate dalla vita sociale : 1", i mestieri ; 2°, il commercio ; 3", il diritto ; 4", la morale ; 5°, la convenienza ; 6°, la scienza ; 7", la storia . La coscienza d'ogni uomo riposa nel possesso d'un grado qualsiasi di queste conoscenze : 1°, ogni uomo ha imparato un'arte o s'è procurato un titolo ; 2°, sa come guadagnarsi con questo la vita; 3°, sa in che limiti può farlo di fronte agli altri uomini, e come reclamare mano forte contro gli oltraggi di questi ; 4°, e quali sentimenti e rispetti deve avere per questi ; 5°, come deve compor­ tarsi e limitarsi in ogni atto verso di loro ; 6°, conosce il modo, la teoria dell'ambiente nella quale aver con che prevenire o riparare ai mali , e delle altre cose, quegli uomini che tale teoria possiedono come consultarli ; 7°, ha un fondamento di riguardi e di pregiudizi pel passato che con le scorie di ciò che è stato gli foggi una persona, come s'egli fosse anche nudo e per natura tale quale lo veste l'am­ biente : egli conosce i luoghi comuni necessari per vestire la persona sociale, perché il suo discorso a proposito di questa vita in questa forma abbia l'apparenza richiesta e accetta fra gli uomini della

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previsione buona a ogni contingenza, che ha una risposta con diritto di cittadinanza per ogni dubbio, a maggior gloria dell'ottimismo timido e sufficiente. Ka.ÀÀW7tLCTIJ.CX:ta. opq>VT)ç 76 Poiché essi sono as­ sorbiti dalle relazioni convenute, e con la voce oscura di queste conversano e della lor vita si confortano. Altro non chiedono. E vogliono continuare cosi come sono perché si credono d'esser p e r ­ sone vive : la loro scienza della vita è loro s u f f i c i e n t e . Questa è la loro sicurezza e la loro pace, la loro coscienza e la loro gioia - questo il loro sguardo :fidente volto al futuro. Ma essi galleggiano alla superficie della società come un ago asciutto alla superficie dell'acqua p e r l ' e q u i l i b r i o d e 1 1 e forze molecolari ; e un lieve soffio basta a far vedere com'era malsicuro il loro fondamento di fronte alla necessità che s'illudevano d'aver superata, quanto inadeguata la loro sicurezza. Quando un uomo si sommerge e tocca il fondo, a lui e agli altri sembra oew6ç 77 il fatto : ché egli si sente ingiustamente colpito e gli altri hanno la compassione della paura. E insieme protestano contro il destino, e bestemmiano la forza che rompe le loro sicure felicità: come se quell'uomo avesse avuto il diritto d'essere :fidu­ cioso, come se, i piedi sul fondo, avesse conquistato il suo posto al sole col suo individuale valore, eliminate dalla sua vita le contin­ genze, fondata « in loco stabile sua speme ». Poiché il loro comodo personale è loro l a r e a l t à , la sciagura che lo interrompe è la forza trascendente : il diavolo. Questa stessa impotenza si fa mani­ festa anche in ogni piccolo inceppamento del comodo d'ognuno, quando ognuno, per avergli attribuito valore e sicurezza assoluta, anche dopo averlo perduto non sa capire la giustizia delle altre cose che coscienti o no l'hanno inceppato, e allora s ' a r r a b b i a . Le grida e le bestemmie degli arrabbiati, il cigolio continuo della mac­ china sociale - questa è la voce dei popoli ! Ma quando si squarcia la trama delle forze calcolate e la violenza rompe nella vita e l'uomo sociale si trova nudo in contatto con le forze della natura e dell'uomo, e deve resistere colla consistenza del suo corpo e del suo carattere - allora la pietosa imagine dell'asso­ luta debolezza di chi non « trova né parole né atti » si fa universale e a tutti manifesta. È perciò che lo sforzo costante della società è teso a render sem­ pre pil1 solida la trama per farla forte della comune debolezza, sicura contro ogni evento. .

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2 . GLI ORGANI A S SIMILATORI . Ora per qual via la natura ha tessuto e tesse contro a sé tale trama ? e come si tiene questa e si riafferma sempre via in ogni figlio dell'uomo che, forte o debole nasca e di quella difesa bisognoso, pur sempre nasce ignaro dell'artifizio di quella ?

1° ) Come si costituisca la xo:ì.. axda 78 sociale. Se la volontà della natura di attuarsi tutta in un punto attra­ verso la serie delle cristallizzazioni individuali culmina nella coscienza d'un uomo vasta nel tempo e nello spazio - in cui per l'amore rivive quasi l'infinita varietà delle cose - pur sotto questa forma, proiettata nel tempo e in qualche modo determinata , essa senza posa si toglie il possesso attuale di sé, e restando pur sempre infinita non giunge al cristallo : all'individuo assoluto , al d i o . Onde la vita in ogni forma chiede la vita, e le cristallizzazioni individuali curano la propria continuità. In ogni grado la natura indifferente al singolo cura la continuità della razza e la salva dal vE.ixoç con mezzi ogni volta diversi. Cosf anche l'umanità , dal cui seno sorge l'ultima forma della volontà, cura la propria continuità. L'umanità sfugge alla violenza colla so­ cietà : T} q>�:Ì.. O �UXLa 't'T)V XOL'\IW'\ILa'\1 CTV'\IÉCT't'l]CTE\1. 79 Quasi per ironia l'impulso a questo movimento del p r i n c i p i o d e I l a d e b o l e z z a è dato dai piu forti. Certo fra gli uomini che l'ingiuria dell'intemperie, l'incertezza del cibo e del giaciglio, la minaccia delle fiere oltraggiavano, coloro che primi seppero trar dal­ l'unione riparo e cibo e difesa, furon quelli che piu valenti e riso­ luti per se stessi meno avevano da temere : che se tali non fossero stati, come gli altri li avrebbero seguiti, gli altri che per debolezza fisica e mancanza d'iniziativa intellettuale erano senza risorsa in balla degli eventi ? L'iniziativa è sempre del piu forte : e la « lega dei deboli » s'è fatta proprio a spese dei piu forti ; che per sola volontà di dominio o per amore ebbero sempre per campo naturale alla loro sovrabbondanza di vita, per dominarli o per amarli , i lDro simili . Ma quanto meno pensarono a trar per sé dal dominio, sfruttando gli altri, i segni convenuti della potenza e « i beni » considerati tali dagli uomini, e piu vollero la vita altrui amando nell'umanità e pre-­ supponendo in ognuno il v a l o r e che sentivano in sé - tanto meno abbagliati dalle cose cui gli altri attribuivano valore, meno aderirono alle vie convenute e piu poterono farsi iniziatori di nuove

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vie. Essi non interrogarono la storia per fondare il loro regno, e il loro regno se non fu di questa terra, piu forte si fondò nel cuore degli uomini.110 Per amore essi vollero eliminata la lotta ( \IEtxoç- ) di fra gli uomini e dettero loro una legge che questo a m o r e - questa dire­ zione verso l'assoluto, verso Dio - presupponendo in ognuno, tutti li faceva fratelli e pel vicendevole rispetto li univa . Nel nome della qnÀ.ia essi si trassero dietro e unirono vaste correnti umane ; le molti­ tudini seguendoli, ognuno colla sua mente, v o l s e r o E � ç- 't ò v � l o v 8 1 ciò c h e n e I l a m e n t e d e I l ' e r o e a n d a v a e t ç­ 't ò o v : 82 e imparando a dare alla loro misera vita i nomi che ave­ vano il loro senso vitale in quella grande vita del profeta, del legisla­ tore, del rivoluzionario, mangiarono e bevettero e prolifìcarono in nome di Budda, in nome di Cristo . La beatitudine, che il profeta ha dato, come fine, sicura, ognuno a se stesso raffigurando coi colori dei propri desideri e libera dei mali da cui ognuno è oppresso - ognuno prende come nuova scusa alla vita meschina, amore e tormento della sua piccola volontà. S'adattano alle nuove forme, persino al rifiuto d'alcune forme di vita, pur di vivere e di sperare ; e sul leone abbattutto riformicola con nuovo fervore la vita minuscola con le stesse gioie e gli stessi dolori e le stesse viltà. Poiché nel suo nome si trovano uniti e per la unione piu forti e piu sicuri. Cosf che dal suo sogno della fratellanza dei buoni ( &:yailwv q>tÀta. ) ha incremento l'organizzazione delle volontà nemiche, che delle sue forme simboliche incomprese - frutto della sua negazione - si servono per la sicurezza della loro qualunque affermazione di vita ( affermazione della qualunque vita ) : la comu­ nella dei malvagi, la XOL\IW\Ita. xa.xw\1. Se meno potenti, tanto piu numerosi agirono e agiscono gli altri , che l'amor della fama muove o un'ambizione che piu chiede un'im­ mediata e facile e vicina soddisfazione e via piu scende e agisce in sfere sempre minori ; che, quanto piu bisognosa della società degli uomini, questo bisogno prendendo per una ragione d'essere della società e delle sue cose e dei suoi bisogni - tanto piu concede alle vie convenute di quella : i piccoli riformatori e gli uomini di stato, i letterati, gli storici e i giornalisti, i capi partito e i demagoghi, e quelli nella cui piccola iniziativa culminano i minimi attriti . . . tutti che, piu o meno gravati dal bagaglio dei preconcetti , delle supersti­ zioni, delle cognizioni religiose, politiche, sociali del loro tempo, usurpano ai loro scopi i nomi dei maggiori e le forme e le parole d'effetto ormai acquis ito ; e , adulando piu o meno ai bisogni attuali,

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« agitano » e m1z1ano o trasformano o sfruttano correnti di idee partiti, comitati, gruppi, che concorrono tutti urtandosi, combatten­ dosi, aggrovigliandosi, a spingere la società verso il progressivo adattamento, all'organizzazione delle forze nemiche.83 E non pur dagli altri son creduti p e r s u a s i - ché pel volgo « esser in buona fede » è sinonimo di « esser persuaso » - ma essi stessi, se si eccettuino i furbi, nella persuasione del voler vincere, il proprio bisogno per ragione prendendo, sono dalle loro stesse parole ingannati, e illudendosi di propugnare idee proprie, sono inconsci strumenti della società . À.cx.vi}tivoucn OOVÀ.wi}É\I"t"Eç.84 Ma la vera funzione organica della società è l 'officina dei valori assoluti, la fornitrice dei « luoghi speciali » e « comuni »; la s c i e n z a . Che con l'« oggettività » che implica la rinuncia totale dell'individualità, prende i valori dei sensi o i dati statistici dei bisogni materiali come ultimi valori, e fornisce alla società col sug­ gello della saggezza assoluta ciò che per la sua vita le è utile : macchine e teorie d'ogni genere e per ogni uso - d'acciaio, di carta, di parole.85 Se è vero che fra gli scienziati - che per certo in quanto siano tali sono tutti inconsapevoli della finalità pratica del loro studio, e non se ne curano, ma fanno la scienza per la scienza - se è vero che ve ne sono di quelli che non hanno altra vita all'infuori della loro attività scientifica, e che compiono questa come a loro vitalmente, fisiologicamente necessaria, cosf da aver l'unica speranza e l 'unica gioia negli esperimenti, e da arrischiar la vita per conquistare una notizia alla scienza, - bisogna dire che essi sono un modello degli uomini dell'avvenire , poiché di fatto la loro volontà è tutta informata alle necessità sociali e in loro vivono i sensi degli altri uomini e g l i s t o m a c h i p r e o c c u p a t i d e I l ' a v v e n i r e , mentre, coll'individualità ridotta al meccanismo, essi com· piano le funzioni della comunità wç �o(.cx.v EXO\I"t"Eç" "('VW !J. CX.V . 86 ·

2o ) Come la xoÀet.XELCX. 87 sociale si diffonda: la OVCT7tet.Locx.ywy(.cx..88 IJ.'IÌ 'ltpchEpO'V IJ.'ll"t E "tW'V �cxu"tov JJ.TJ�kvòç E1tttJ.EÀE�cri}cx�, 1tp�v E!1U"t"ou E1tLJJ.EÀEi}E�1], ll'lttùç wç �ÉÀ"t�CT"tOç" :x:cxL uÀaxEç ; 19 dell'affermare, sorvegliare, correggere la giusta

109

affermazione di quelle necessità finge persona sufficiente ai capi dello stato . Perché cosi è

neces s ario

alla continuzione della città,

ognuno deve il suo qualunque ufficio oscuro e sempre uguale as­ sumere come vita sufficiente ; adattarsi ad essere

parte

mate­

r i a l e nell'organismo, ignorando a che questo giovi e c o m e d a q u e s t o gli debba provenire la sicurezza della sua vita ; ma stretto dalla propria necessità e fatto certo dalla forza immutabile di quel giro di cose che è attorno a lui, affidarsi a questo come peso inerte, a questo addossando la r e s p o n s a b i l i t à della sua qualunque attività. E questo non solo gli agricoltori e i mercanti , ma ben an­ che i cpuÀ.a.xeç e i capi dello stato, che l'esistenza, la continuazione di questo gran corpo con tutte le sue necessità devono accettare come dato di fatto imprescindibile, e dell' u n i f o r m e c o n g e ­ g n a r s i di tutte queste cose, che non hanno una r a g i o n e d ' e s s e r e , farsi una ragione di vita, perché quelle pur si conti­ nuino integre anche in futuro nella loro qualunque irrazionalità. La violenza cacciata per la porta è già rientrata per ogni fes­ sura ed è in ogni parte diffusa, mentre ancora Platone si compiace d'averla cacciata . Poiché se a parole è facile fare delle astrazioni dei bisogni materiali tanti scopi sufficienti alla vita dei singoli - per­ ché ogni singolo a uno di questi scopi s'adatti d'indirizzar la sua vita e pei begli occhi della felicità e della giustizia astratta accetti di tenervela sempre diritta, bisogna che ognuno al suo posto sia colla violenza ammaestrato e che il dato posto abbia poi in sé vio­ lenza determinante. Se questa è data dalla stessa mole inerte del­ l'organismo, quella è esercitata dall'arma dello stato : l ' e d u c a ­ z i o n e . Ahimè, non piu l'educazione che sommuove dall'intimo l'individuo, e imponendogli l 'identità con se stesso ( persuasione ) lo libera dalla violenza delle sue necessità e lo porta alla giustizia e alla pace della yu[J.\IÌ") \jJuxi] 20 ( Gorgia ) ; m a l'ammaestramento che ha un determinato scopo sufficiente nella vita, che vuol foggiare da ogni uomo un dato istrumento che giovi per dati usi , non perché basti a se stesso

( a.Ù"t'ripx1)ç),Z 1 e tutto in sé avendo e nulla dagli

altri chiedendo sia fatto libero ; ma perché il suo bisogno soddisfi nell'un modo invece che nell'altro e la sua attività spenda a com­ piere un dato ufficio necessario a una vita ch'egli non sa infine per­ ché pur sia e a che buon fine si continui .

[-1. 1)

La parola dell 'educazione platonica nella Repubblica è la a- 1. ç 22 ( libb . I I e I I I , passim ).

[J. i.

-

Come quando il giovane che invecchia istituisce insieme alla

1 10

barba una certa quale rispettabile rotondità del ventre, per cui, non piu padrone del suo corpo, non può piu scalare qualunque cima, e scendere in qualunque precipizio, e passare qualunque fiume in qua­ lunque tempo, ma cammina rispettabilmente per le vie battute ; che nello stesso tempo arrotonda il suo cervello e lo fissa a una qual­ siasi rispettabile sufficienza, per cui l 'amico dei giovani anni sente che ormai la verità non può piu dirla intera, ma che c 'è qualche cosa dalla quale l'arrotondato dipende per il suo futuro e che è pronto a difendere con tutte le armi contro la troppo cruda verità ; - cosi Platone, poiché s'è stancato per l'arida e solitaria via della persuasione e s 'è volto agli uomini con sufficienza di sapiente e ha dovuto filosofare il possibile nella vita e adattarsi al « bisogna vi­ vere », poiché ha accettato la necessità delle necessità della vita; Platone t e m e ora la verità che sommuove l 'individuo dalle ra­ dici e scatena in lui la domanda d'un presente piu pieno, che non venga a turbare i cerchi arbitrari delle sue finzioni di vita : e g l i n o n t o l l e r a p i u l ' a r t e .23 I singoli professionisti bastano alla loro arte, ma non s a n n o l a v i t a ; poiché l'accettano nel qualunque modo dato per con­ tinuare , ma non sanno se quello che fanno sia un bene, non sanno perché e a che essi vivano, non conoscono se stessi : vivono senza persuasione . Allo stesso modo i politici e i guerrieri che accettano la necessità dell'esistenza dello stato. In questa vita ottusa e fram­ mentaria l'educazione socratica ( come la conosciamo per bocca di Platone ) è c r e a t r i c e d ' u o m i n i . Tutto il suo insegnamento è in questo :

«

non fate ciò di cui non avete in voi la ragione ; non

vi fingete una sufficienza

( crocpl.a.ç o6ça.) 24

della vostra qualunque

fatica per la paura della morte : impossessarsi del bene, della p r o ­ pri a anima , e s sere uguali a se ste s si suasi ) è necessario, vivere non è necessario ! » .

( esser per­

Essa risveglia nell'uomo l a richiesta del bene attuale e lo af­ franca dal pericolo di dar valore a nomi cosi da esser per questi tratto a adattarsi all'irrazionalità di una qualsiasi vita sufficiente ; lo libera dalla vana attesa d'un futuro che porti ciò di cui nel pre­ sente non abbia in sé la potenza, lo libera dalla soggezione dell'am­ biente in ciò che gli nega il possesso di quanto dalle cose e dagli uomini gli possa esser dato diverso da lui, additandogli come unico possesso da conseguire la propria a n i m a . - L'uomo deve es­ sere s e s t e s s o , deve aver tutto in sé, deve essere a.ù-.ap:>cl')ç. Questa educazione ( ed è l'unica ) dà all'uomo le gambe per cam­ minare e gli occhi per vedere : non gli dà vie fa t te ,

111

n o n g l i f a v e d e r d a t e c o s e . Questa fa l'uomo sicuro e indipendente da qualunque offrirsi di cose e non può temere che l'una o l'altra vita sufficiente lo vinca . Che se poi una l'abbia a vincere, non è una da preferire all'altra, né una piu che l'altra da temere, poiché quello che è da temere , quello che è l 'irrazionale, è l'adattarsi ai modi d 'una vita che non è la propria . Se Socrate giunga a comunicare quel valore individuale, se a questo si possa giungere -rò 'ltaptina\1 25 io ora non curo ; ma certo altro l 'educazione non -

può cercare , né finché questo non abbia dato, potrà presumere d'aver dato scienza sufficiente .

Ma Platone non ha da fare uomini ; egli ha da fare agricoltori, calzolai, fabbri, mercanti, banchieri, guerrieri, politici , che compiano ognuno la sua funzione necessaria ai singoli bisogni della città, per­ ché questa pur si continui . Platone ha bisogno che ognuno s'adatti alla sufficienza di quell'astrazione di vita che egli a ognuno ha mac­ chinato . Ognuno deve

'ltato6ç-; 26 deve

(-Lq.tE'Laitat -rà aù-rQ 'ltpoa-1)xo\l't'tl Eùitùç- Èx

imitare

dunque, imparare a ripetere gli atti

oscuri che vede compiere agli altri : il futuro fabbro il maneggiar del ferro , l'agitar del martello, gli atteggiamenti eroici del fabbrp ; il futuro calzolaio il tirar del filo , il menar la lesina, la schiena ri­ curva del calzolaio ; il futuro guerriero gli esercizi del corpo, la di­ gnità, il rispetto della città, l'amore per gli interessi di questa, l 'odio per i nemici di questa, che egli vede costituire la persona dei guerrieri adulti ; e il cpvÀ.aç 27 che voglia diventare &pxw\1,28 tutto il pensare sis tematico , tutto il rispetto per le necessità con­ gegnate dalla sapiente e sufficiente tradizione . Perciò Platone se non può dire quale buona ragione faccia d'un bambino un fabbro e nien­ t 'altro che un fabbro e d'un altro un calzolaio e niente altro che un calzolaio, ma egli s 'ingegna a fingere una ragione sufficiente alla tri­ plice distinzione che violenta i destini dei suoi cittadini.29 E quan­ do poi li ha avviati, ognuno per la sua s trada, egli mette ad ognuno i ripari agli occhi perché altro non veda, dove poter metter i piedi, che la sua strada. Cosi a ogni XPl'}IJ.tl't'tO"'t'i]ç- 30 per il giro dei suoi atti , cosi a ognuno dei privilegiati , che a guerrieri e a capi dello stato vengono ammaestrati, per il giro delle parole e dei modi della scienza che come sufficiente viene loro infiltrata. Bene egli teme d 'ogni parola e d'ogni imagine diversa che possa offrirsi loro, poi­ ché ogni facoltà di critica ha loro tolto , perché è stato suo scopo di toglier loro questa pericolosa facoltà : 'lÌIJ.Et'ç oÈ: \mÈ:p -rw\1 q>U­ À.rixwv q>of3ov(-1Eita : 3 1 quei poveri ragazzi sarebbero capaci di imi­ tare L'lt'ltouç- XPE!J.E-rtsov-raç- xat -ravpouç- !J.UXW(-LÉ\Iouç- xa� '!to-ra-

1 12

(..LO Ùç tVOCj)OU\I"t'CX.ç" XCX.L thiÀ.CX.'t''t'CX.\1 X't'U7tOUCTCX.\I XCX.L �pO\I"trtç XCX.L mi\l"t'CX. rx.u 't'rt 't'O�rx.u"trx..32 Platone ha bisogno d'un poeta, oç &v rx.ù"t@ "t'i}v 't'OU È7tLE�Xouç ÀÉ�t.\1 (..LL(..LT} 't'CX.L XCX.L "trt À.Ey6(..LE\ICX. ÀÉYTI È\1 ÈXEL\IOLç" "to�ç 't'V7tOLç, ok xrx."t' llpxàç Èvo(..Loi}E"t1}crrx.'t'O .J3 Le sue virtu ci­ vili, il suo sapere finito non sono la stessa persona dei suoi guer­ rieri, carne della loro carne, ma la persona aggiunta con la vio­ lenza dell'imitazione, che come si può acquistare, cosi si può per­ dere. La sapienza resta cosi c o s a estranea all'organismo, che può d'altronde prestar orecchio a discorsi non veri, godere gioie perico­ lose, temere timori dissolventi per se stesso con la sua ignoranza o la sua mancanza di critica - onde poi vinto e sopraffatto perda, espella, dimentichi, si lasci portar via il prezioso tesoro che gli era stato aflidato .34 Io chiedo dove stia il prezzo di questo tesoro che non assicura il possessore dagli inganni e i vizi e i terrori che tengono schiavi gli uomini comuni, ma che abbisogna esso stesso d'un 'altra guardia per essere fatto sicuro . Io dico ch 'esso è già perduto se si può te­ mer di perderlo ; io dico che non si ha ciò che si può in futuro non piu avere, che non si è ciò che si può in futuro non piu essere . Difatti la qualità che fa prescegliere a Platone dalle file dei

cpvÀ.rx.xEç i futuri capi dello stato è in primo luogo la buona me­ moria, cioè quella malattia per cui l'organismo assorbe, conserva pur senza assimilare, e non espelle la materia estranea : la rettorica è un fenomeno d'avvelenamento. Ma per questa nella città si con­ segue l'armonia delle sue varie necessità, per la quale a ognuna av­ venga la sua giusta affermazione nell 'adeguato affermarsi delle altre , e sempre via nel futuro per il continuo giro di queste proceda :

xrx.t (..L-i} \1 . . . 7tOÀ.t.'t'ELCX., Èci\17tEp &7trx.� Op(..L1}crn EU, EflXE"t'CX.t. WCT7tEP xv­ xÀ.oç rx.ù�rx.\lo(..LÉ\Ir) .35 E se « per la strada rotonda ch'è infinita » ro­ tando, lo stato questa brutalità delle necessità abbia per motore , se per questa si finga l'armonia delle sue parti, non però Platone lo chiama col suo nome :

xowwvlrx. xrx.xwv, organizzazione di necessità

irrazionali , che non hanno un fine organizzato, piu che una sola non abbia nella sua a lei giusta affermazione . Ma, da queste s i n ­ g o l e g i u s t e a f f e r m a z i o n i l' i d e a d e l l a g i u s t i ­ z i a a s t r a e n d o , Platone attribuisce allo stato l a p e r s o n a d e 1 1 a g i u s t i z i a . Mentre questa non può affermarsi , se mai si affermi, che nella negazione d'ogni necessità. Cosi lo stato che - se pur moltiplicata e congegnata - altra persona non ha che quella della prima e brutale necessità della vita, è per lui t u a z i o n e f i n i t a d e l b e n e : o r l-L ex. � i} (..l.�\l 't'Ì"]\1

113

l' a t ­

7t6À.w '

Etm:p òpì}wç YE �X�CT"t"tl�, "t" E }. É w ç !iytlì}Tjv ElVrl� ofjÀ.ov O'Ì} O"t"� crocpl} "t"0 ECT"t"L XtlL &:vOpE�(l XtlL crwcppwv XtlL o � x (l � (l • 36 •••

Come ha attribuito sufficienza determinante all'irrazionale della necessità, cosi ora parla d'un' i d e a d e l b e n e , d'una sapienza che questa brutalità corregge si da eliminare ogni attrito . Cosi già nel Pedone si parla di due cause sufficienti : &}.}.o �v "t"L È.CT"t"� "t"Ò

rlh�ov "t"Q OV"t"�, &À.À.o OÈ È.XELVO, &vw où "t"Ò tlt"t"�OV oùx a:v 'ltO"t"' EtT} tltno"V 37 ; cosi pili tardi dogmaticamente nel Time o : "t"a.iha. ol} 'lta"V"t"(l "t"O"t"E "t"a.,J"t"n 'lt E cp v x 6 " a. È. ç &: v a y x TJ ç ò " o u x a. }. À. f. cr "t" o v "t" E xa.t &: p f. cr "t" o v o T} 1...1. � o v p y ò ç È"V "t"Oi:ç y�yvo­ !J.É"Vo�ç 'lttlpEÀ.a(J.Stx."VE"\1, i)vf.xa. "t"Ò"V a.Ù"t"apXT} "t" E xa.t "t"Ò"V "t"EÀ.EW"t"lX."t"OV ì}Eò"V È.yÉwrl, XPWIJ.E"Voç (J.È"V "t"a.i:ç 'ltEpt "t"tx.u"t"a. a. i. "t" (. Cl � ç v 7t 11 p E "t" o u cr a. � ç , "t" ò OÈ EÙ "t"EX"t"a.t."Vo!J.E"Voç È."V 1téicr� "t"Oi:ç y� yvo(J.É"Vo�ç a. ù "t" 6 ç . &ò ol} XP'IÌ ou' lX.L"t"La.ç EtOT} O�opL�Ecrì}a.�. "t" ò IJ. È "V à v a. y x Cl i: o v , "t"Ò OÈ ì}Ei:ov, x a.t "t"Ò p.Èv ì}Ei:ov È.v li'lta.crL �11· "t"EL"V X"t"l}crEwç EVEXtl EÙOa.LIJ.OVoç S f. o v , xa.ì}' ocrov TJIJ.WV i) cpucrLç È."VOÉXE"t"lX.L, "t" Ò O È à "V a. y X a. L o "V È. X E L "V W "V X à p L "V , À. o y � � o !J. E "V o v , w ç & v E v "t" O u "t" w v o ù o v v tl "t" à a. v "t" à È. X E L "V a. , Ècp' o!ç CT7tovoa�OIJ.E"V, (J.O'Jrl XlX."t"lX."VOEL"\1 oùO' a.Ù ).a.SEi:V oùo' (f}.}.wç 1twç IJ.E"t"tlCTXEi:v.38 Questo Ù"VtlYXtli:ov/9 questo ah�ov 40 è la XPELtl,41 la deficienza di tutte le cose : il mancare dell'essere, il •

non-essere, il m a l e . La soddisfazione che dalla correlatività nel vario infinito concatenarsi è data alle cose è la stessa affermazione di questo male, per cui esso nel futuro senza fine si continua. Il buon OTJIJ.Lovpy6ç 42 del Timeo, il "t"Q o"V"t"L a.t't"LO"V 43 del Pedone, sono que­ sto stesso male, questa stessa mancanza dell'essere, sono le incarna­ zioni del dio della q>LÀ.o�vxf.a. che cosi ha vinto il divino discepolo di Socrate . OEi: È!J.È �fj"V, ha detto Platone, "t"Òv x6CT(J.O"V OEi: �fiv , 't"Ò"V &vì}pw7to"V OEL �fiv,44 e non ha sentito che con la stessa parola che diceva : è n e c e s s a r i o che io viva, ha detto : io manco del vi­ vere, io non sono. Se Socrate gli fosse ancora al fianco a sostenerlo nell'aspra via, gli chiederebbe quale necessità vi sia "t"Q o"V't"� 45 o qual bene che c i ò c h e m a n c a d e 1 1 ' e s s e r e p u r s i c o n t i n u i . Ma Socrate non c'è piu, e Platone solo, nella paura della morte, s'è volto per appoggio alle cose ch'eran dietro di lui . A questa stessa paura della morte , al OEi: �fiv,46 egli attribuisce valore sufficiente ; a quello che non vuoi esser detto, all 'irrazionale, egli at­ tribuisce parola e se ne fa valore considerabile, causa sostanziale, un "t"� che ha diritto d'esistere come elemento della sua crocpla. 47 asso­ luta, quello di cui egli non può dire "t" L 'lto"t"' ÈCT't"L"V, poiché infatti 1 14

oÙOÉ'II ÈO"'tl.'ll ; e se egli dunque pur ÀÉyEt., ma oÙOÈ'II À.ÉyEt. .48 't ò y &. p -. o L D a "V a. -. o '\1 o E o L É 'II a. L , o ù o è: 'll li À. À. o È cr 't ì. 'll il o o " E L 'Il (j o q> ò 'Il E t v a. " 1-L 1) 8 'Il 't a. •49 Il bene che corrisponde al OEL �i}'ll , l'altro a.h tov ,50 come anche si muti e si travesta, altro non può essere che �i}v . Il suo à.ya.Dòv è q>t.À.O�VXLiÀE, o\hwç &.çLWO"O[J.EV, 'tà. CX.U'tà. 'tCX.U'tCX. ELO'fl Èv .. n cx.ù'tou �uxn Exov-rcx., otà. .. à. cx.u'tà. 1ta1}11 txELvoLç 'twv cx.v-rwv ò v o f-1. a 't w v òpi}wç &çtoua-i}cx.L -rn 1tOÀ.EL.74 « ÒVOf-I.CX.'tCX. » 75 sf, ma « ò dç » 76 dov'è? •

Io posso rispondere con un fatto, un tragico fatto , che diede una soluzione inaspettata ad un dialogo che m'è accaduto di sor­ prendere fra l' « io » d'un signore conosciuto e stimato per Èyxpcx.­ -rÉLa e &.vOpELa e O'Wq>pOO'U'V'r] e au"tapxEt.a e &.pE"t'1} e o r.. xar..o òç oÈ IJ.6voç ò oLxexLoç. ·o ouv O'Oq:>Lexç OLOaa-xexÀ.oç, O'Oq:>Òç !J.ÈV ELVexL oi.6IJ.EVOç", OLXexLOç" o' oùx wv, Wç" YE SWV, ex Ù "t' TI "t' ·(j ex Ù 't O U O Ì. 1} O' E L 't E X ex L Cfl ex v E p ij. -. w v a À. À. w v x ex x L q. È '7t L x ex L p w v , "t'ouç "t'E aÀ.À.OUç" '7t a V 't ex ç" X ex X 71 y O p E L X ex L Ù '7t È p É ex U 't O U Cl '7t O À. O y E L 't ex L •98 Platone per fingere a sé e agli altri la felicità della sua felice società d'infelici, perché ogni ingiusto cittadino della città della giu­ stizia r e a l i z z i questa felicità che è nell' &:yexMv,99 per il quale l'idea della giustizia s'irradia in ogni via della città e in ogni mean­ dro della sua anima - Platone non ha altra via che il dire i mali manifesti negli altri stati e nella vita dei singoli. Come quello che per sua forza salito alto per l'erto monte che pur sempre ancora ha la cima nella nebbia, quando, arrestato da troppo duri ostacoli , ha deciso di non proceder piu oltre, che si conforta del non aver l'aria serena guardando al basso, e riandando i passi scabrosi che la sua forza ha superati e dove altri per paura fermati sono ora involti da piu folta nebbia o da neri nuvoli tempe­ stosi, o sono chiusi in basse oscure valli ; e si compiace del non es­ sersi in alcuno di quei bassi posti per viltà accontentato e si com­ piace dell'altezza raggiunta, se pur non gli dia quello per cui sol­ tanto ha teso all'alto, e della propria vanità si fa velo per non veder la nebbia ; - cosi Platone, che non s 'è comodamente adattato alla patria fatta ed ha avuto la forza di negare gli dei, di negare le tra­ dizioni, di negare la gloria, di negare la famiglia, ma non è giunto a negare gli elementari bisogni della vita, le prime necessità del con­ tinuare e ha lasciato rifiorir nel suo mondo ricreato sotto il nome del bene il male cosi che gli ha fatto velo agli occhi, s i d e v e volgere ora agli errori superati per ricavarne un po' di dolce sapore al presente vuoto della gioia promessa.100 I mali , gli errori negli altri stati e nella vita dei singoli sono manifesti a ogni uomo negli avvenimenti . Un tiranno viene pugna­ lato, una democrazia è sconvolta da partiti ambiziosi - questo ognu­ no lo vede ; ma Platone vede il male del tiranno e della democrazia anche nel tiranno florido e nella democrazia tranquilla, poiché egli vede l'insufficienza della loro potenza e in questa la necessità del male ; e di questo male la presenza nell 'incertezza e nella preoccu-

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pazione. Poiché la sua vista piu alta ha eliminato la contingenza da una piu vasta cerchia di vita, egli può vedere la necessità del 'VE'Lxoç 101 manifesto nelle insufficienti costituzioni di vita degli uomini . Non però il 'VE'Lxoç è meno anche nel suo stato, anche se l'organizzazione gli tolga di scoppiar manifestamente , poiché è implicito nei bisogni elementari d'ognuno : a dar a ognuno il vuoto d'ogni presente . È implicito nel sapere di Platone che inadeguatamente sufficiente nel­ l'irrazionale non gli dà la presenza dell' àycx.it6v . Eppure bisogna d i r e che c'è, se pur s'insegna : bisogna pur costituirsi la persona e dare agli altri questa persona col suo sapere come meta finita. Bisogna cbtoÀ.oyE'i:o-ltcx.L . 102 E dalla via della vita nasce la ricerca del s a p e r e p e l s a p e r e : l ' a c c a d e m i a , la rettorica. La viva richiesta d'un valore ha u n a s o l a m i s u r a ; per questa tutte le differenze e le apparenze, le distinzioni e le parole degli uomini le si manifestano nella loro inadeguata sufficienza ; e uno stesso principio di male essa riconosce in varie manifestazioni, poiché colla volontà r a c c o l t a d'un solo bene ( del p o s s e s s o a t t u a l e d e I l a p e r s u a s i o n e ) essa a ogni cosa reagisce. In riguardo a questa misura stanno il p i u ed il m e n o delle cose , per questa si può riconoscere ugual mente in atti diversi e in atti uguali diversa mente : questa è la OV\ICX.(.LLç di veder �v xcx.!. É.7t1. 7tOÀ.À.a,103 è la vista che ha vicine le cose lontane . Ma ( ancora una volta e mille volte ! ) soltanto se questa vastità di vita v i v a tutta a t t u a l m e n t e , saranno v i c i n e le cose lontane . Soltanto se essa chieda n e l p r e s e n t e l a p e r s u a s i o n e , essa potrà reagire in ogni presente con una s a p i e n z a cosi squisita, ed enunciando il s a p o r e che le cose hanno per lei, costituire la p r e s e n z a d ' u n m o n d o che poi gli uomini dicano sapere o arte o sogno o profezia o pazzia a piacer loro. C 'era una volta un re - non come tutti i re, figlio di re e ni­ pote di re, ma un re come dio comanda : un tiranno ; e non un tiranno come tutti i tiranni ai quali il trono parve l'unica altura da scalare, ma che facendo quello che stimava giusto s 'era trovato a sedere sul trono, e tutto inteso a lavorare in mezzo al suo popolo appena se n'era accorto . - Ma un giorno di pioggia, stanco e inter­ detto nel suo far giustizia, mandò via il suo buon popolo e volle restar solo a riposare . E quando si trovò solo ebbe a dire « final­ mente ! )> , e si fece comodo nel suo bel trono . La pioggia cadeva e il buon re s'annoiava . Pensava al tempo pas-

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sato, pensava al tempo presente e non trovava niente che avesse la virru di rallegrarlo. Invano badava a ripetere al suo cuore annoiato « ma io sono ' re' » ; il cuore rispondeva : « e che ne so io? » . Invano contemplava l'oro e i marmi della sala, la porpora del proprio man­ to, si girava e rigirava fra le mani lo scettro e la corona; ma non riusciva a realizzare la propria regalità cosi da farla intendere al suo cuore annoiato . Allora gli venne la melanconica idea di vestire delle proprie insegne reali un fantoccio e di metterlo sul trono al proprio posto : cosi avrebbe a suo agio raffigurato al suo cuore la propria persona nella sua maestà e si sarebbe compiaciuto e confortato in uno col suo cuore. E cosi fece. - Dopo un rude lavoro di tre giorni e tre notti il fantoccio era a suo posto atteggiato e vestito da re. Egli d i s c e s e i g r a d i n i e l o a m m i r ò d a l b a s s o . Infatti era su­ perbo . - Ma il cuore ricominciò a lamentarsi : che in fondo tutto ciò gli era indifferente e che s'annoiava. Ed egli si disse che infatti al « re » mancavano tante cose, che piu veramente significassero la sua dignità e la sua attività ; che l'atteggiamento poteva esser mi­ gliore e le insegne del potere in molto maggior numero ; che biso­ gnava poi farlo vedere al popolo e dimostrare a tutti la maestà re­ gale. E con nuova lena si rimise al lavoro che gli si offriva cosi ricco di dilettasi dettagli e di brillanti fantasie, e che nell'affermare la maestà del re aveva uno scopo cosi nobile, cosi alto e cosi ve­ ramente lusinghiero per lui che era re . Il popolo affluiva alla sala del trono. Ed egli faceva contemplare a tutti che ne lo chiedevano, e anche agli altri, « in che modo si fa il re », e non si stancava di fare, disfare, rifare il suo regale fantoccio e di dichiarar le insegne cosa significassero e di celebrar le gesta e le attività da quelle signi­ ficate, e la grandezza e la giustizia e la potenza e la suprema feli­ cità del re . E con sempre piu ingegnosa invenzione nuove decora­ zioni e bellezze vi aggiungeva e con sempre piu sottile ingegno le dichiarava.

La gente stupiva, ammirava, si divertiva e prestava volonterosa il culto ch'egli loro persuadeva col precetto e coll'esempio. - N o n era difficile cosa. Non però il suo cuore era soddisfatto ; ma illuso cosf spesso da speranze sempre piu vicine e in atti sempre piu piccoli e facili de­ finite, s 'era via via lasciato stordire del tutto e la sua voce , fatta ottusa, non si sentiva piu . 1 26

Già da tempo intanto un altro aveva preso il governo dello stato, e il nostro vecchio re come innocuo lasciava vegetare nella sua reggia decaduta. E lasciava fare anche quanti altri nelle proprie case s'erano finte simili reggie dove si coltivavano ognuno il pro­ prio « fantoccio reale » : il vecchio re aveva fatto scuola . D a allora « fare i l r e » e insegnare a « fare i l re » è divenuta una professione stimata. A questo fato somiglia il fato di Platone e della filosofia greca. rÀ.uxù -rò yvwvcu/04 disse Platone e si compiacque della stessa attività del suo pensiero . Nel Fedro, nella pienezza delle sue fa­ coltà, egli sembra esultare di queste ; e non piu reagisce verso le cose, come chi vive e vuole, e la diversità del mondo da sé in una persona fingendo concreta, per impossessarsi di questa, la propria anima denuda, e crea attuale in ogni parola la vicinanza delle cose lontane : il valore individuale. ( Io penso al Gorgia ) . Non combatte una viva battaglia, ma nella facilità dell'amicizia stabilita e della fiducia incondizionatamente concessa, finge la realtà d'un mondo assoluto e in sé la finita potenza di giungervi , e della propria po­ tenza gode in confronto all 'impotenza altrui, e dei modi, come que­ sta potenza s'afferma, inebriandosi, attribuisce loro u n s i g n i ­ ficato per se stesso finito. Dopo aver dato di contro al discorso di Lisia la sua brillante prova, egli analizza quello e questa e, dimostrati i suoi modi e il suo procedere, 105 esclama : T o u -r w v o l} eywyE cx.ù-réç -rE Èpcx.cr·nlç,

W cx.�OpE, 't W 'V O L ex. L p É O' E W 'V xcx.t O' u 'V ex. "( W 'Y W 'V , L'V oléç 'tE w À.ÉyEL'V 'tE xcx.t cppovdv: Mv -rÉ -rw' &À.Àov 1]y1)crwp.cx.L OU'VCX.'tÒ'V E i. ç � 'V x ex. t È 7t t 7t o ). ). èL 7t E q> u x ò ç o p q, 'V ' -rou-rov oLwxw xcx.-r6mcr�E p.E-r' CxvLov wcr-rE � E o � o . xcx.t p.Év-roL xcx.t -roùç ouvcx.p.Évouç cx.ù-rò opfi,v EL p.È.v op�wç l'l p.l} 7tpocrcx.yopEUW, �Eòç oloE, xcx.Àw oÈ. oùv P.ÉXPL -rouoE oLcx.ÀEx-rLxouç-. 106 Dei modi , del metodo, della via egli si dice innamorato, non piu del bene attuale per il possesso della propria stessa vita, nella seria volontà della quale soltanto gli consistette la m i s u r a , la ragione di quei modi . Nel punto che pel piacere di questi a quel possesso rinuncia, egli ha già perduto questa misura . Nel punto che non piu si sente solo e ignoto a se stesso a volere la vita, ma, im­ ponendosi il nome d i a l e t t i c o , g o d e d i s é , della propria attività passata e futura fra gli uomini : l a d i a l e t t i c a è g i à m o r t a . E il suo posto ha preso l' cx.Mcx.oicx. 1 07 di chi nelle pro­ prie parole s'è finto ii valore assoluto, per aver il diritto di vivere

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come persona finita sempre nuove parole tessendo. Il Fedro fa l'apo­ logia della dialettica - e in ciò appunto non è piu dialettico ma apologetico; dimostra l'impotenza d'ogni rettorica di fronte alla po­ tenza della dialettica - e in quel punto la dialettica s'è già fatta rettorica . Nel Fedro Platone realizza con efficacia insuperata il va­ lore della v i a s o c r a t i c a di fronte all'altrui impotenza; e in quel punto d a n d o l a c o m e f i n i t a e c o n s i d e r a n ­ d o l a , v i s ' è g i à f e r m a t o . E poiché la via socratica per­ ciò appunto e soltanto non è una via come un'altra, perché nega ogni fermata 108 e si proclama sempre ancora non finita/09 il fermar­ visi a compiacersene e u n ' a b b a n d o n a r l a p e r s e m p r e . Il vivo senso della propria insufficienza, il bisogno di venir in ogni punto a ferri corti colla vita, l' impossibilità d' adagiarsi nella qualunque sufficienza a continuare la propria illusoria persona : a vi­ vere senza conoscersi, senza la persuasione - questo è il motore che fa sentire e vedere a Socrate la presenza d e l m a l e sotto le ap­ parenze sufficienti della cpt.À.o�vx!ct. Questa è la voce del dio ch'egli ha in petto, che nella negazione certa s'afferma e non finge valori sufficienti ; 110 per questa egli non teme la morte, e non cura il fu­ turo . L a s u a v i a n o n è u n p r o c e d e r e m a u n p e r m a n e r e . 111 Ché f e r m o e a t t u a l e tenendo il postulato del valore nella vita, le parole che gli uomini usano con presunzione di assoluto valore - in ciò che egli ne esige la sufficienza in rapporto a ogni caso, quale avrebbero se questo valore contenessero - come a quel postulato inadeguate, vuote di senso le manifesta. Questa è la dialettica. Come chi nel certo e determinato risputare una matura si fingesse la presenza della sorba matura, 't n &. À. i) i} E (. Cl Èyvwxévat. whòv 1tpÒç crocp!.av finge la presenza dell' &. À. l] i} E t. Cl , 112 nell' O L O Cl l' E r ò o ç &. y Cl i} o v . 113 Alla ò t. &. v o L Cl del

perfida sorba im­ cosi Platone nel OVOEvÒç &ì;t.ov si

cht. XCIXa ÈCT'tW filosofo \m&.pxEt.

(J.E"(CIÀ.01tpÉ1tEt.Cl XCIÌ. i} E W p (. Cl 'TtCIV'tÒç" (J.ÈV XP6VOV, micri)ç OÈ oùcrf.ctç,t'4 non come c e r t e z z a della deficienza dell' infinita va­ rietà delle cose nell'infinito tempo, e come coscienza della propria deficienza, ma come scienza finita. E mentre afferma che a chi quella vista possegga, non potrà (J.Éya 'tt. òoxEi:v ELVctt. 'tÒv !Xvi}pwmvov �!.ov, e che ÒELÀ. ii òT) xaì. &.vEÀ.EUi}ép� cpvcrEt. cpt.À.ocrocp!.ctç &.ì..l) i}wi;ç .. . oùx &v (J.E'tELiJ ,115 egli stesso parla le parole della cpt.À.o�ux!.a che il suo parere finito gli finge, e del lavoro di salita e discesa e congiun-

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zione e astrazione nel sistema dei nomi oscuri che questo sapere co­ stituiscono si foggia una vita sufficiente.

Tò -ro(wv E'tEpov (.lctVilrx.vE 't (.lfj(.lrx. 11 6 -rou VOT}'tOU ÀÉyov-rti (.lE -rou-ro, ov rx.ù-ròç ò Myoç &7t-rE-rrx.t. -rn 'tOU ò t ex. À É y E O" il ex. t òu­ \lct(..I.E t, -ràç Ù 7t O l} É r:J' E t ç 7tOtOU(.lE\IOç" OÙX cipxaç, ciÀÀà 'tQ 0\l'tt u7toilÉrrEtç, oiov Ém�tirrEtç 'tE xrx.� op (.l tiç, �vrx. IJ.ÉXPt 't o u ci v u 7t o ­ l} É 't O U É 7t � 't 'Ìj \1 't O U 7t !X. \1 't Ò ç ci p X 'Ìj \1 i. W \1 1 ci\)Jci(J.E­ \IOç" rx.1hfjç, 1tciÀw rx.u ÉXO(.lE\IOç" 'tW\1 ÉXEL\IT}ç" ÉXO!J.ÉVW\1, oihwç É1t� 'tEÀEU't'Ì)\1 X!X.'t!X.�!X.L\11] 1 rx.i.r:tilT}'tQ 1t!X.\I'tct1t!X.r:J't\l oÙOE\1� 1tpOr1XPW!J.E\IOç", ci).. ).. ' EtÒEO"t\1 CX.Ù'toi:ç ot' CX.Ù'tW\1 Ei.ç CX.Ù'tct, X!X.� 'tEÀEU't(t Ei.ç EtÒT}. 117 Cosi ogni l a v o r o n e l s i s t e m a e c o l s i s t e m a pro­ duce col confronto e coll'astrazione un rapporto che come « idea » ha diritto di cittadinanza nel mondo dell'assoluto. E al p o s s e s s o d e 1 1 a v i t a essendo sostituita come meta la conoscenza discor­ siva della correlatività, 118 il postulato eroico della dialettica ( che ri­ suona nella Repubblica quasi con le stesse parole ) di non ascoltar che la voce del dio nella propria coscienza, chi voglia impossessarsi della propria vita, diventa ora l' rx.ùllrx.o(rx. 119 dell' a f f e r m a z i o n e d o g m a t i c a , che con la elaborazione illimitata e arbitraria dei concetti vuoi dar la scienza finita delle infinite relazioni delle cose, che ai simboli e alle proporzioni fantasticate adatta a forza gli av­ venimenti - e il tutto chiama vita assoluta.

IV. La decadenza. Platone ha creato ora un mondo dove rivivono tutte le relazioni delle cose con le quali nella sua vita mortale egli viene in contatto . E questo mondo è nella sua lontana luminosa immobile solitudine compreso tutto nell ' idea del sommo bene, l ' u n o , sostanziale, assoluto. Parmenide aveva detto : 'tWÙ't6v ÉO"'tt \IOEL\1 'tE xrx.� ouvExÉv Ér:t'tt v6T} (.lrx.. 1 20 Una cosa è il pensiero e la cosa ch'io penso; non v'è pen­ siero a s t r a t t o dalle cose. Una cosa è il mio vivere e il mondo ch'io vivo. Se il mio vivere è un s a p e r e assoluto, cioè fuori dal­ l 'attualità delle relazioni, delle mutazioni, il mondo ch'io vivo ed io stesso siamo in un punto assoluti, immutevoli : l v rr u v E x É ç : 121 i l p e r s u a s o : l ' i n d i v i d u o . - Socrate aveva messo vi­ cino a ogni uomo il postulato della persuasione colla richiesta: 'tL Ér:t't!. questo che fai, questo che dici ? chi sei tu ? E all' uomo di­ stratto nelle relazioni aveva negato il s a p e r e , in ciò che sapere

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sia dell' u o m o s a p i e n t e - e l'uomo sapiente da ogni relati­ vità assoluto. Ora Platone con la sua s a p i e n z a di nomi astratti, che ognu­ no può conquistarsi, si trova ad aver u n m o n d o d e l p e n s i e r o e u n m o n d o d e 1 1 e c o s e ; e poiché la cosa di cui il pensiero è pensiero deve esser sostanziale, ché altrimenti il pen­ siero non è pensiero, 122 egli si trova ad aver due s o s t a n z e che l'una è per l'altra, è conforme all'altra, è lo specchio dell'altra. Ma l'una sostanza ha mutamenti e congiunzioni : molteplicità ; l'altra è E'V CTWEXÉç : poiché le idee che in questo si contengono sono quelle immobili : ognuna nella sua sede . 123 Nella n e c e s s i t à d i p i u d i r e egli deve ora con le idee ( i n e s s i , i nomi ) del suo si­ stema, delle cose con le quali la sua vita vicina ogni volta venga in contatto d i r e di piu che non consenta la dogmatica immobi­ lità di quelle . E Parmenide e Socrate devono ora liberar le idee del loro peso inutile anzi pernicioso alla necessità del d i r e : e conceder loro la tanto desiata facoltà della CTUIJ.1tÀ.oxf) . 1 24 L'artificio non è mal scelto di metter in bocca al legislatore la costituzione dell'anarchia. Ma è pur triste che Platone , che per bocca di Socrate ha fatto la piu esplicita affermazione della nect"'ssità della dignità individuale, ap­ ponendola alla sufficienza delle convenzioni e delle credenze tradi­ zionali, alla sufficienza molteplict: e vana dei sofisti - parlasse egli le parole proprie o le parole che un Socrate vivo avesse procla­ mato - che Platone ora questo stesso Socrate induca a smentire , a calpestare, a macchiare la propria persona, si che - se uno non voglia negliger del tutto tre quarti dell'opera di Platone - questa persona, non piu integra, non può piu esser per gli uomini lo spec­ chio dove ognuno veda manifesta la propria insufficienza. Ma Platone ha bisogno d'aver dagli altri il segno della propria persona, vuoi esser per loro il sapiente sufficiente a ogni cosa, e, se non può dare vicine le cose lontane, ma le c o s e v i c i n e d i c e e le chiama lontane - perché esse pur siano accette alla corta vista del comune degli uomini, e insieme conservino il n o m e d i c o s e l o n t a n e : di sapienza assoluta. E perciò i nomi che questa sapienza costituiscono, e che rifulsero di tutta la loro luce nella bocca del vero Socrate e del vero Parmenide, devono ora per la loro stessa bocca scendere nel fango a dar bella apparenza alla oscurità. 125 « I I s i s t e m a d e 1 1 e i d e e c o m p i e l a s u a u I t i m a e v o I u z i o n e » , si dice - ma è una cosa cosi sem­ plice ! Infatti è un fatto storico come un altro.

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Et YE olov i) 1)[Jipcx. EL"f) ( 't'Ò o\1 ) , fì (..LL CX. xcx.t 1'] cx.1hi} oùacx. 1toÀ.À.cx.xoù &�ex. ÈO"'t'L xcx.t oùoÉv 't'L 1-1éiÀ.À.ov cx.Ù't''Ì} cx.1hfjç xwplç ÈO"'t'LV, d o{hw x ex. t �XCX.O"'t'0\1 't'WV Etowv �v Èv 1téiO"LV &1-1cx. 't'CX.Ù't'ÒV Et"fJ . 126 •••

• . •

Appunto il g i o r n o ! ma non è il giorno del g i u d i z i o ! Quello è un giorno di cui vale la pena di parlare per tutte le cose, come di quello in cui tutte le cose avessero a giungere alla c r i s i , alla g r a n f e b b r e , all' u l t i m o p r e s e n t e . Ma noi vo­ gliamo parlare dell'oggi, dell'ieri, del domani e allora ci serve l'idea del giorno : l'idea di tutti i giorni - ché il giorno del giudizio non ci servirebbe. Cosi possiamo parlare a sufficienza d'ognuno dei giorni che nascono e muoiono per rinascere e rimorire, che sono e non sono, e possiamo dirne cosa piu ci piaccia e come anche : possiamo parlare del giorno XCX.'t'IÌ 't''Ì}V XLV"fJO"LV 't'fjç yfjç-,127 e allora esso ci sarà un semplice fatto di proiezione ; possiamo parlarne xcx.'t'IÌ 't'Ò cpwç/28 e allora il fatto di proiezione diventa fenomeno ottico ; pos­ siamo parlarne xcx.'t'IÌ 't'lÌ È1tL 't'fjç yfjç, 1 29 e allora possiamo dire che queste cose mutano via via l'oscurità con la luce e poi di nuovo la luce con l 'oscurità. E riguardo a queste allora dovremo guardarci dal parlare d' « un » giorno per tutte, che non troppo manifesta­ mente avessimo a parlare di ciò che è e non è : poiché che cosa « è » il giorno in riguardo a una cosa, che non sia nel prossimo attimo infinitesimale diverso ? 130 Davvero dovremmo meglio fare come il vecchio Cratilo.

O s'io parli di giorno in riguardo a tutte le cose, ma non son mai tutte, e quelle che sono nel giorno non son mai quelle , ma sempre altre ; sicché davvero parlando del giorno sulla terra À.cx.vitcivw \IUX't'CX. it' Ò(..LOÙ xcx.t 1)�Épcx.v ÈVOELxvvç-.131 Ma se mi prendo la cura di dire : « Questa cosa in questo dato punto partecipa in questo dato modo della luce del giorno », avrò parlato da saggio, perché avrò parlato XCX.'t'tÌ 't''Ì}V XLV"f)O"LV : 132 secondo il tempo, lo spazio ( la rela­ tività ) - e allora la XLV"f)O"LV non potrà piu esser nemica al mio dire. S'io voglia poi parlar della luce, farò bene a dire in riguardo a che cosa « luce » ; poiché davvero s 'io dovessi parlar della luce senza dir in riguardo a che cosa, avrei un soggetto senza attributo, senza predicato, miserabile, esule, ramingo : s 'io dunque ho la seria volontà di dire, devo à1tocpcx.LVEL\I 133 in riguardo a che cosa, e in ri­ guardo a questa cosa assicurarmi d'avanzo contro i danni del mo­ vimento, mettendo già il mio dire nelle rotaie del movimento.

E se questo io posso fare colla O"U(-11tÀ.ox1) delle idee, perché non

131

farlo ? per riguardo a 't'Ò �v ? 1 34 e che bene mi viene da 't'Ò �v ? Con l ' EV non posso dir niente e invece io voglio dir tante cose . Ergo O"V(.l.7tÀÉxw(J.Ev e XCX.'t'l]YOPW!J.EV ! 135 Chi va con la corrente non ha piu da temer della corrente. Perché nel mio dire è già implicito il movimento, io posso ogni vol­ ta illudermi di parlare di stabilità di cose : parlare del sole poiché nel mio dire è implicita l'ombra, parlar della vita poiché nel mio dire è implicita la morte . -

'Eà.v oùv 't'�ç 't'O�CX.V't'CX. È1t�XEWii 1t o À. À. à. x ex. !. g v 't ex. u 't à. CÌ.7tOq>CX.�VE�V, À�itouç XCX.� çu}.cx. xcx.!. 't'à. 't'O�CX.V't'CX., cpl)O"O(.l.EV CX.U't'ÒV 1t o }. À. eX. x ex. � g v CÌ.7tOOELXVUVCX.�, ou 't'Ò EV 7tOÀ.Àà. OUOÈ 't'à. 1tOÀÀ.à. t:v, oÙÒÉ 't'L itcx.u!J.CX.O"'t'ÒV À.ÉyELV, &.}.}.' &7tEp &v 7tCÌ.V't'Eç o(.l.oÀ.oyo�(J.Ev· Èà.v OÉ 't'Lç, 8 vvv oi} Èyw � ÀEyov, 1t p w 't o v !-l È v o L ex. L p f) 't ex. L x w p ì. ç ex. ù 't eX. x ex. it ' ex. u 't eX. 't eX. E L o 1] , olov O(.l.OL6't'1]'t'&. 't'E xcx.� CÌ.\Io(.l.ot6't'1]'t'CX. xcx.� 1t }. f) it o ç xcx.!. 't'Ò EV xcx.� O"'t'&.o-w xcx.ì. T ' c XL\Il]O"LV XCX.L 1tCX.V't'CX. 't'Il. 't'O�CX.U't'CX., E L 't CX. E V E CX. U 't O L ç 't CX. V 't CX. o u v &. (.l. E V CX. o- u y x e p &. v v u o- it cx. t x cx. ì. O L CX. X p � V E O" it cx. t. &. 1t o cp ex. l v n , &.ycx.�!J.llV &v Eywy', ECJ>ll, i}cx.u(.l.cx.o-'t'wç, w Zl)vwv. 't'cx.v't'cx. oÈ &. v o p E � w ç !J.Èv 1t&.vu i)yov(.l.cx.t. 1t e 1t p ex. y IJ. ex. 't e v o. 1tOÀÙ (.l.Év't'' &v WOE (.l.iiÀÀ.ov , wç ÀÉyw, &.ycx.O"itE�l]V, EL 't'�ç 1) ex. L EXO� 't'i}v cx.u't'i}v 't'CX.Ihl]v CÌ.7top�cx.v Èv ex. ù 't o � ç 't o � ç E L o E Cf L 7t CX. V 't' O O CX. 7t (i) ç 1t À E X O (.l. É V 1] V , W 0" 7t E p È V 't' O � ç o p w ­ (.l. É V O L ç O t l) À i} E 't' E , o v 't' w ç x cx. ì. È v 't' O � ç À o y t. cr !J. Q À. CX. (.l. � CX. V O (.l. É V O � ç È 1t L O E � ç cx. !. }36 xcx.� (.l.OL EL1tÉ, CX.U't'Òç O"Ù o\hw 0LTIP1]0"CX.� wç ÀÉyELç, xwptç !J.Èv EL01] cx:ù't'à. éi't''t'cx., xwptç oÈ 't'à. 't'où't'wv cx.ù !J.E't'Éxov't'cx.; 137 '

'

'

\

-

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-

•••

Questo è il programma dell'« evoluzione » . Nel Parmenide non c'è che la parte negativa, la reductio ad absurdum dell'immobilità dell' « u n o ». E il vecchio Parmenide addossandosi 't'OLOV't6V 'tE xcx.ì. 't'OO"OV't'OV 1tÀ.fii}oç À.6ywv, 138 eseguisce il triste giuoco dialettico che è fatto possibile soltanto per lo s d o p p i a m e n t o r e t t o r i c o d e l s a p e r e e d e 1 1 a v i t a . Poiché per questo ap­ pare naturale la necessità d'attribuir s o s t a n z a all' « uno » as­ soluto e s o s t a n z a ai modi della c o r r e l a t i v i t à . Cos1 volta a volta, all'una o all'altra necessità obbedendo, Parmenide priva ogni volta l'altra sostanza d'ogni sostanzialità ; e congiungendo e sepa­ rando i termini t:v, 1toÀÀ&., ov, (.l.TJ ov, 139 egli giunge alla proposizione piu volte contradditoria : O't'L EV eh' EO"'t'LV EL't'E (.li} EO"'t'�V, cx.Ù't6 • . .

'tE XCX.Ì. 'tiXÀÀcx. XCX.Ì. 7tpÒç CX.U't'à. XCX.Ì. 7tpÒç éiÀ.À.l]À.CX. 7tCÌ.V't'CX. 7tcl.V'tWç ÈO"'t� 't'E xcx.� oùx EO"'t'L xcx.ì. cpcx.{.vE't'CX.� 't'E xcx.� où cpcx.�VE't'CX.�. 140 1 32

La soluzione dell' cÌ7topttx. 14 1 non è ora quella che ogni cervello sano, ogni �civtx.vaoç �vx1} 142 farebbe : « allora fatemi vivere, e non mi parlate piu di sapienza » : l'esplicita affermazione dell'insufficienza del sapere in chi, per ciò che ha coscienza appunto, è cosa fra le cose e non può posseder l'assoluta sapienza ; ma il 1t6poç 143 è l'af­ fermazione della sufficienza della qualunque vita a esser detta e a far cosi parte della sapienza. Poiché necessario ormai a Platone non è che il d i r i t t o d i d i r e , e se niente abbia valore, m a questo deve aver valore. Cosi egli non toglie "tO ov 144 dall'esistenza correlativa, ché con quello se ne andrebbe la aocpi.tx. 145 ; ma elimina per sempre l'espres­ sione 't o 1-L i} o v 146 dal campo della filosofia : facendovi entrare le stesse cose che col !J.i} ov erano significate sotto il nome piu digni­ toso di ihepov. 147 Costituito questo enpov a i d e a , è attribuita tacitamente sostanza assoluta ( cioè diritto d ' e s s e r d e t t o ) al­ l'irrazionale . E per questo 1t6poç nei templi sereni dell'assoluto si diffonde la nebbia delle mutazioni correlative. Dai giochi atletici del Parmenide "tà 1toÀÀa 148 esce nel Sofista colla palma vittoriosa : "tO E'V 149 è morto per sempre e con lui il postulato dell'onestà filosofica. Questo postulato : il sapere è il c o e s s e r e del tutto in un punto : di me e delle cose, e delle cose non varie e diverse, ma del caldo insieme e del freddo, dell 'umido insieme e dell'asciutto, ecc. Finché uno vive : egli è qui e là è il mondo : due e non uno . E il mondo, finch'egli ne ha coscienza, non tutto in un punto , ma sempre questa cosa e quella, ora e dopo, piu e meno, ecc . : "tà 1toÀÀa e non l'uno. Gli animali e con loro le Bcivtx.uao� �vxtx.i. che sono tutte attualmente nel giro di quelle mutazioni, delle quali la loro coscienza essendo il correlativo vive come anche vive, dall'at­ tuali tà che procede nel tempo non uscendo, sono la stessa co s a con il loro sapere . Ma colui che delle tx.Lai}1}ae�ç hepo�waewv 150 ha fatto tesoro, e questo tesoro ha affidato alla memoria, e questa me­ moria ha chiamato sapere, e di questo sapere s 'è fatto vita suffi­ ciente, quello non sta né in cielo né in terra, « a Dio spiacente ed a' nemici suoi » . ( Davvero : la rettorica non sta né in cielo né in terra. )

-

Ché questo ingombro di « veri » riconosciuti, di regolarità e di­ sposizioni constatate, di apprezzamenti , di giudizi, di ragionamenti, di dati, di notizie : di p a r o l e - egli non può dare come "tO

Ev &.xi.vTJ"tO'V, &.o�tx.i.pe"tov, &.7tp6aBtx."tov, &.1tp6aw1tov, 133

&.7tpoa6!-L�-

À.ov, l 50 b is del quale egli non può dir niente/5 1 né d'altronde esso gli si può mai conciliare con questa o quella mutazione che la sua vista vicina dalla correlatività nel punto attuale via via rilevi. E mentre questo ingombro gli è il piu caro tesoro, e il dire, che da questo proviene, la prima necessità, questo non ha diritto d'esistere se non è « sapere » , e non significa niente se non si riferisce al mondo delle mutazioni vicine .

1tctV't'WV Xa't'ayEÀ.(X.CT't'6't'a't' a IJ.E't'LO�EV 't'ÒV À.6yov ot IJ."r)OÈV EWV't'Eç' x o � v w v L q. 'lt (X. i} l) IJ. (X. 't' o ç' É 't' É p o u i} a. 't' E p o v 'lt p O CT a y O p E U E !. V ( Soph. , 252 b ) . 15 l bis Poiché : &.v&.yx"r) 't'6v 't'� À.Éyov't'a �v y É 't' 1. À.ÉyELV Évòç- y«Xp oT] 't'6 YE 't't cr "'l IJ. E r o v Elvat ( Soph. , 23 7 d ). 152 •••

• . .

Necessario

è

significare .

èç òvoiJ.ct't'WV IJ.ÈV IJ,6vwv cruvExwç- À.EyoiJ.Évwv o u x l CT '"'t' � 1t o 't' È }. 6 y o ç' l ouo' (X.V P"r)IJ.ct't'WV xwptç OVOIJ.ct't'WV À.EXil'ÉV't'WV (Soph. , 262 a ) . 152 b is N e c e s s a r i o è a t t r i b u i r e a l l' u n a c o s a u n a r e ­ lazione . «

Né alcun atto , né alcuno stato, né alcuna sostanza, né dell'ente né del non-ente, rivelano i suoni 1tp�v &v 't'tç' 't'orç- 6v6(..1. aCT� 't'eX

PTJIJ.(X.'t'(X. XEpctcrn" 't'6't'E o' i'JpiJ.OCTÉ 't'E xat À.6yoç- ÈyÉVE't'O Euil'ùç- 1') 'ltpW't'"r) CTUIJ.'ltÀ.oxl) » ( Soph ., 262 c).153 . . •

Per la congiunzione dei nomi si può s i g n i f i c a r e , e i nomi sono i s e g n i delle cose, e la voce degli elementi del sapere :

O�cX y«Xp 't''Ì}V IJ.. }.}.l)}.wv 't'WV EtOWV CTUIJ.'ltÀ.OX'Ì}V Ò À.6yoç- yÉyOVEV 'ÌJIJ.LV ( Soph . , 259 e ) .154 È necessario ('t'«X ELO"r) ) È'lt�XOWWVELV IJ..}. }.l)}.o�ç- ( Soph . , 25 1 d ) .155 Le ralazioni astratte possono predicarsi l'una dell'altra a costi­ tuire il sapere che il filosofo elabora col raziocinare : ò oÉ yE q>!.À.6CToq>oç- O�cX À.oytCTIJ.Wv 1tp6CTXEL't'(X.!. i.OÉq. ( Soph . , 25 4 a ) .1 56 Questo ch'io predico d'una cosa è una mutazione ( o un persi­ stere in riguardo ad altre mutazioni ) della quale ora m'accorga o in passato mi sia accorto : è sempre la manifestazione della cor­ relatività in mezzo alla quale pur la mia coscienza si gira in ciò appunto che ne ha coscienza. IJ.'Ìl ov 't'OU (..I.'Ì] OV't'Oç' 'ltEÀ.ct�Et.157 Ma ora il mutarsi nell'eterna deficienza dall'uno all'altro stato non è un n o n - e s s e r e , ma un essere in riguardo ad altre cose :

1 34

Ò1t6't'cx.\l 't'Ò �i} o\1 ÀEYWI-U\1 . . . oùx É'\!CX.\I't'�0\1 't'� À.Eyo�E\1 't'OU O\l't'Oç , à.}.}.' E 't' E p o \1 � 6 \1 o \1 ( Soph . , 25 7 b ) ; e questo nuovamente è un e s s e r e , È1tE�1tEp Ti i}cx.'t'Epou cpvcnç Ècpà.vr) 't'W\1 o\l't'W\1 oucrcx. ( Soph. , 258 a ) . 1 58 I n f a t t i : n o n è p i u i l � i} èi\1 c h e s i s i a t r a ­ s m u t a t o i n E 't' E p o \1 c h e l ' o \1 s t e s s o : p o i c h é a l ­ t r o n o n v ' è n e l d i r e m o l t e p l i c e c h e l e È 't' E p o � w ­ cr E � ç 1 59 ( v . Appendice 1 ). Ho attribuito sostanza ( valore ad esser detto ) alla indicazione d'una relazione : ho attribuito sostanza alla mutazione, all'infinita correlatività, al non-essere . Il non-essere ac­ compagna ogni essere ch'io indichi : questo è bianco = questo non è altra cosa = questo manca delle altre cose : « è b i a n c o » , m a « n o n è » i n c i ò a p p u n t o c h' è b i a n c o . Implicito il non essere nel mio dire, io po sso ormai fingere la sos tanzialit à alla qua­ l u n q u e c o s a ch' i o di c a . Il movimento è movimento e non è movimento, in ciò che è movimento d'una cosa in riguardo ad altre cose che con quella non si muovano, ma stabilità in riguardo alle cose commosse .160

"0\lo�cx. e pi)�cx.'t'cx., 16 1 dice Platone : il soggetto e gli attributi . E nel soggetto egli si finge un e s s e r e sostanziale di cui per l' Ém­ xo ww\I L CX. 162 si predichi un modo dell'essere . Ma questo « essere » non è che un s e g n o di un complesso di determinazioni delle quali indico una nel suo qualunque modo d'affermarsi o di non af­ fermarsi. Quelle determinazioni, per le quali quel complesso m'è noto ch'io con nome sufficiente significo, non però mi san esse note. S'io voglio dir di loro , devo andar al correlativo, e il correlativo sarà parte d'un nuovo complesso. O g n u n o h a n e I l ' a l t r o la sua causa concomitante ed esplicativa, e l a ragione sfugge diffusa nella nebbia del­ l' i n f i n i t a c o r r e l a t i v i t à :

; v � 1t cx. \l 't' cx. 1t o À À cx. x n o ' o ù x � O" 't' � \1 . 1 63

� È \1

� cr 't' � ,

1t o À À cx. x n

Cosi l'attività filosofica va di cosa in cosa per la trama della correlatività e ripete le voci vicine dell'infinitesimale . Tutte queste voci, che ognuna in ogni punto è la voce d'una qualunque persona o cosa, ed ha s o l t a n t o p e r q u e s t a e i n q u e s t a , i n q u e l p u n t o , s e n s o v i t a l e , essa a s t r a e , e di questi frammenti m o r t i della qualunque vita

135

si f o g g i a u n a p e r s o n a . - E questo 1toÀ.uxÉq>ctÀ.ov 164 è l ' u o m o , l'uomo che ha la vera vita e si gode il sommo bene : è la p e r s o n a a s s o l u t a , OL!Ì. À.oyLwpLO"!J.É\ICX.L ( ex.� È1tt 't'6 't'E O"W!J.CX. x ex.t 't'OÙç ).. i i)ouç yLyv6(J.E\ICIL ) 184 e coi nomi che a queste appartengono significate, partecipano del sistema e fanno capo al s o m m o b e n e , all'assoluto, a Dio . E la voce che, alla mia bestemmia sostituendosi, le racconta, è divina cosa anch'essa, che è la voce essa appunto dell'assoluta saggezza. -

Io, per me, ho per piu saggia la modesta storia che ci racconta l'oscuro Panarces : 185

A1:v6ç 't'iç ÈO"'t'L\1' wç civrip 't'E xoùx civ1)p ' opvLi)a xoùx opvLi)' ìowv 't'E xoùx ìowv È1tÌ. çu).. ou 't'E xoù çu).. o u xcx.i)'l)!J.ÉV'l)\1, }.ii)� 't'E XOÙ À.Li)� f3aÀ.OL 't'E XOÙ f3aÀ.OL. 1 86 Come una melodia che attraverso le elaborazioni e per il molti­ plicarsi degli ornamenti e degli accompagnamenti abbia già perduto la forza della sua primitiva purezza, che infine anche le note fonda­ mentali rompe negli accordi imperfetti, per cui nella sua voce en­ tra il lamento impotente, il molle, l'umido ; cosi dopo aver eseguito le tante variazioni logiche sul tema della verità, Platone contamina le stesse note fondamentali, a emetter le quali soltanto egli aveva levato la voce : e il suo sistema liquescit. Cosi si fa valere il criterio della v i s t a v i c i n a . 138

M i. a. È

(]'

't t 1} a p E 't 1} t1 o ù o E 1-.1. i. a. : 187 questa è la me­

lodia pura che aveva intonato il discepolo di Socrate . Una è la na­ tura dell'uomo, che è buona e gli è propria ; che se a questa s'avvi­ cini, a tutte le cose sarà buono e saprà ogni cosa; se questa in sé non susciti, sarà a tutte le cose come ignaro inetto : una è la mente, uno il valore dell'individuo attraverso la varietà dei suoi atti . Non ciò che l'uomo si t r o v a a f a r e che alla vista vicina nei segni vicini apparisce, ma quello che e g l i f a : questa è la mente e il valore per cui si duo idem faciunt non est idem . 188 Questa cercando, norma unica della vita, per la quale l'uomo sa­ pesse ciò che egli faccia, che si trova a esser nato in questo mondo di xli7t1}À.o�, Platone s 'era sbarazzato dai nomi di virtu sufficienti che gli uomini impongono a date eccellenze di particolari attività oscure nella loro ragione a chi le compie e a chi ne goda i frutti : il coraggio riconosciuto dalla spada, la sapienza dalla toga, la pietà dai riti, ecc . - Ma ora scendendo egli si ritrova sotto la schiavitu di questo criterio della vista vicina e la sua yviJ.v'D �ux'D [..L aÀ.' a.ù1hç

opq>V1}ç xa.À.À.wm:fJ'(..La.fJ'L'J ÈVOEOV[..LÉ'J1} À.a.v�li'JE� q>À.ua.pov fJ'a.. 189

« Ognuno ha il difetto della sua virtu » : questa è la parola corrente : come se in ognuno la virtu facesse i suoi giochi e i suoi il difetto, e non fosse invece che, se l'uomo abbia difetto, la v i r t u che in lui appaia non è virtu della sua mente, ma degli atti ch'egli pur con mente difettosa si t r o v i a f a r e sufficientemente ; che di fronte alla necessità d'altri atti, il difetto della sua mente ma­ nifesterebbe anche agli occhi della comune miopia. A questa lode con l 'implicito biasimo della virru con l'implicito difetto - che tutti gli uomini con implicita l' ava.v o pi.a. 190 procla­ mano -, il sistema di Platone , col suo ente che ha implicito il non-ente, con la sua fermezza che ha implicito il movimento, come a ogni altra voce dell' a��oç �i.oç, è in grado ora di conferire l ' a u ­ t o r i t à d e l l' a s s o l u t a s a g g e z z a . Altro che i sofisti ! Se i sofisti erano ladruncoli, ma Platone absit iniuria verbo è il ladro in guanti gialli, che ha il suo si­ stema per rubare non piu, come quelli facevano, questo o quello a caso, dicendo a ognuno : « io sono un ladro » ; ma con metodo e seriamente, p e r p o t e r r u b a r e t u t t o , e dicendo agli uo­ mini : « io son quello che vi salvo per sempre dai ladri » . Infatti è il modo piu sicuro : legittimando i compromessi dell'umana debo­ lezza, egli toglie - 't'Ò E.a.u'tOV [..LÉ p oç 191 all'uomo ogni possibi­ lità di sentirsi in quella insufficiente, ogni bisogno d'affrancarsi da quella. -

-

139

' A v rJ. y x rJ. i: o v & p rJ. y t y o v E v , i)rJ.U!-LrJ.CT't'ov 't'WrJ. Myov XrJ.L oùx dwi)6't'rJ. OÙOrJ.[.l.Wç a1tO

"(L"fV6(.lEVOV IJ.Époç È7tLCT't'lJIJ.T)ç" lXctCT't'OV IÌq>OpLCTilÈV È7tWVV!J.LctV (Q"XEL 't'LVà. Éctv't'fjç i.ol.av diventa l' u7toxd(.lEvov delle Èmcr't'fiiJ.ctL ticpw­ pLCTIJ.ÉVctL.259 145

Questo tntOXELIJ.E'II 0'\1 260 Aristotele non lo cerca lontano, ma l o c o m e o g n i v o l t a è d a t o . Il criterio della « v i s t a v i c i n a » è c o s t i t u i t o . 26 1 E dalla vista vicina col g u a r d a r e (i)-ewpE�'\1 1tEPL "t!.'Voç) 262 si costituisce nella me­ moria il tesoro dell 'esperienza ;263 e per questo nella realtà sufficien­ temente guardata si riconoscono determinazioni ( cause, scopi, pro­ prietà, analogie : regolarità )/64 e queste si l o c a l i z z a n o . Poi­ prende

·

ché in ciò è determinata una nota, in che essa è attribuita a un dato soggetto.265 E questo soggetto mi sarà la prima s o s t a n z a , della quale dirò i modi che costituiscono la sua natura, quali io sufficienti ho riconosciuti. E poiché questo soggetto ha una forma sufficiente colla quale vive e si conserva, e alla conservazione della quale cospirano in lui le sue parti , è chiaro che per questa si con­ serva e questa è il suo fine 266 e la ragione del suo essere : cosi che quando un soggetto vive , perché vivendo ha lo scopo di vivere,267 è questo il bene e il suo esser finito - ché non farà differenza se questo bene sia un bene od un bene apparente che è detto in ri­ guardo a quel soggetto. E l 'essere finito, che è attuale in un sog­ getto, è l'entelecheia 268 di questo soggetto ; ma nell'entelecheia è la natura piu propriamente detta dell'individuo . - Res periturae, donec

non perierint, hominibus esse videntur, postquam autem periere, non esse. - Ma esse periscono secondo la quantità e non secondo la qualità : 269 ora nella qualità è la forma e l 'essere sostanziale. l'essere è detto molteplicemente : 270 questo è detto essenza in sostanza, quello in quanto affezione della sostanza, quello in via per giungere alla sostanza, o dissoluzione o privazione

Poiché quanto quanto o pro­

prietà o funzione o produzione della sostanza, o in quanto negazione dei concetti che riguardano la sostanza, o d'uno di questi o della sostanza stessa : infatti anche il non-essere lo diciamo « non-essere » , m a sempre i n riguardo a una sola natura . L'essere 271 è detto una volta secondo l 'accidente , una volta secondo la verità, una volta secondo l'errore ; e ancora è detto secondo i modi della predicazione, e anche è detto una volta in potenza e una volta nell'attività finita - ma sempre in riguardo a una natura . Poiché anch' essa la natura è detta molteplicemente : m in un certo senso come principio del movimento, che ha in sé in potenza la vita, ma non ha la potenza della vita - ed è come materia; e in un altro senso come forma, e :fine e ragione per cui, come so­ stanza definitiva ; ma in un altro senso ancora come attività finita,

1 46

che cresce e si continua poiché nel vivere è il buon fine dell'essere che vive - e non si faccia differenza se esso sia un bene o un bene che appare . Ché non tutto è per natura e col buon fine/73 ma come soggetto materiale 274 senza il quale la sostanza finita non può essere quella che essa è, sostanza finita ; ma quando essa ha ordinato in rapporto a questo fine quanto nella materia era dato, noi la diciamo sostanza finita; 275 poiché le potenze che sono in potenza nella materia, non sono potenze della materia, ma dell'anima attività finita,276 come la vista è in potenza nell'occhio, ma è la potenza dell'anima e l'anima è la natura, e alla natura essa appartiene per sé e non per accidente . Ma l'accidente ha la causa nella materia ed è inconoscibile . Ma poiché noi invece cerchiamo i sommi principi e le cause pri­ me, è chiaro che essi saranno necessariamente inerenti a questa na­ tura : e a questo punto reale guardando, considereremo il principio che la cosa, com'io vedo, ha generato, e sarà la sua causa efficiente ; le necessità materiali che per questo punto persistono e senza le quali esso non potrebbe essere quello che è, e sarà la causa mate­ riale ; e infine le potenze del soggetto come esso mi sta davanti e come cospirano al buon fine nella vita : la causa formale e finale del suo essere per cui esso è in sé finito, ed è questa natura e questa attività finita . Cosi si possono trovare i primi principi i quali mag­ giormente sono in ciò che sono in piu cose, e da questi trarre ne­ cessarie le definizioni delle singole forme . E questa è la scienza : ma i generali sono detti accanto le cose, solo secondo il discorso,m che in realtà sono solo le attività finite , che tali sono . . . . . . in q u a n t o uno s i finga sufficiente i l lavoro sui dati , pei quali a lui deficiente le cose deficienti sono reali ; e questi dati ri­ mettendo nelle cose tragga da queste a quelli la realtà, da quelli a queste la finitezza : onde la sua persona, che è cosa fra le cose e compie un lavoro bruto , abbia l'apparenza della ragione e il diritto di fare il filosofo . Se Aristotele fosse stato una Bavcxuaoç �ux1} ,278 se Aristotele fosse stato senza memoria, non ci s a r e b b e s t a t a materia per lui, ma solo l'attualità della sua persona, col suo orizzonte sempre uguale in cose varie . Ma nella sua memoria il cumulo degli orizzonti, le notizie congegnate, il sistema delle parole è sempre u n d i ­ v e r s o d a I l ' a t t u a l i t à - poiché per tal via inorganica Ari-

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stotele, 1i [J.È\1 q>LÀ.60'0Cj)Oç" ÈV"tEÀ.EX1k n OÈ &.vl)p &.ovva."tOç",279 è fuori dell' attualità e alla vita non reagisce direttamente, &,).,).,' iì xa."tà À.6yov.280 E di fronte a questo suo À.6yoç tutta la realtà è materia. Ma in questa materialità cose avvengono che egli prevede, cose che suppone secondo i tesori della sua esperienza, e cose che xa."tà O""tÉp1')CTL\I "tllç" È[J.'l'tELpla.ç 281 ignora. In quelle, come finito ponendo il suo sapere, Aristotele finge la forma attuale fuori di sé come necessità sostanziale della loro natura, in queste la necessità mate­ riale. E quello che alle cose previste avvenga oltre la previsione, quello è l'accidente e quello ha sempre il suo posto pronto nella infinita informe inconoscibile eterna materialità.

È che a quella forma è criterio la contingenza del suo sapere, al suo sapere criterio la contingenza di quella forma : O[J.OLoç "t@ O[J.OLt:!;): [l'Ì] ÈÒv yàp [l'Ì] 56v"tL 'l'tEÀ.a�EL : 282 e le cose che non vede, e le cose che crede vedere, e la sua credenza e la sua vita figlie tutte della stessa comune contingenza della vita che non è vita. Poiché questo fine del conservarsi, al quale cospirando gli ele­ menti materiali costituiscono la forma, quale è, seppur guardiamo in faccia il voler vivere e col suo proprio nome lo chiamiamo « fug­ gire la morte » ? Ché una cosa nasce, e poiché è nata, a questa fuga è nata per via determinata; che se questa tale non fosse essa non avrebbe via a fuggire e immobile alla soglia della vita non piu viva sarebbe che morta ; ma poiché è nata e vive e in modi determinati fugge la morte, ha una potenza determinata in questa fuga fino a un certo punto determinato, che è il suo fine - se non "tÒ �ÉÀ."tt.O""t0\1 ( OÙOÈ'II ycì.p OLCX.Cj)EpÉ"tW etn &.ya.llòv Ei"tE cpa.w6[J.E\IO\I aya.Mv ) ma certo "tÒ EQ"XCX."t0'\1 283 e per quella determinata una infinita impo­ tenza : per l'una e per l'altra essa giunge a questo estremo della morte. -

E allora la causa del suo vivere ( causa efficiente ) e il modo (cau­ sa formale ) e la possibilità data ( causa materiale ) e il fine e la causa dell'esser sopraffatta dalle contingenze ( causa accidentale ) è u n a e l a s t e s s a c h e è d a t a nell ' a c c i d e n t e m o r t a l e della nascita . E questa contraddizione è attuale in ognuna delle parole che costituiscono il sapere sufficiente d'Aristotele : nel 1t p w "t o v a. t "t t. o v , che è xa.ll' a.1h6 284 e senz' essere determinato deter­ mina cose, per determinar le quali poi l' &.7t6oEd;t.ç 285 lo finga ne-

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cessariamente determinato ; 286 l ' o ù O' � (1. , che non è tale se non nella deficienza attuale, per la quale essa, a conservarsi quale essa è , necessariamente abbia a esser subordinata a queste e a quelle de­ terminate cose che non sono nella sua potenza; il 't' É À o ç , che è solo nel non giungere al "t'ÉÀoç : e manifesta infine ad ognuno nelle parole cp v O' L ç e E v 't' E À É x E L (1. 287 che nello stesso tem­ po devono significare, la prima « il mancare d'ulteriore crescere » ché questo significa l'attualità di crescere - e nello stesso tem­ po la finitezza del crescere ; l'altra l'attività che m u o v e al fine e che è in sé finita.

-

Il mondo c'è perché c'è, come io ci sono perché ci sono, e per­ ché io ci sono il mondo è p e r m e . N o n è u n a c o s a d a d i r s i i l m o n d o m a d a v i v e r s i . - Ma s 'io pur ci sono e dico di piu cose ch'io non viva, ogni volta in ognuna di queste si ripete l'illusione elementare del mio essere, che sono qui soltanto perché non sono altrove ; e come per me è il mondo, cosi ora in ogni punto dove io abbia fisso lo sguardo senza vita, quella cosa non sarà solo essa vera per me in quel punto, in quell'attimo, in quel modo che alla mia vita sia necessario ; ma e s s a s a r à u n mondo per sé : non una cosa da viversi ma da dirsi . Una cosa perché c' è, è anche cosi com' è : un' entelecheia è in rapporto a un' entelecheia . Come per l'attualità della mia vita, alla quale l'irriducibile vo­ lontà di continuare è la ragione indiscutibile, sono reali e assoluti i fini e reali le necessità, e un male e un bene, e un dio e un dia­ volo, un prima e un dopo , un piu e un meno, ecc. detti in rap­ porto a questa ragione ; cosi appena io abbia fisso u n p u n t o col mio sguardo teoretico, e sarà un' oÙO'�(J. e avrà un fine sufficiente necessario nell' e s i s t e r e . Poiché al mio sguardo, che con quel punto procede, il suo esistere ( continuare a essere in quel punto ) è un p e r m a n e r e ; il non finito della sua deficienza, per cui essa continuandosi continua ad essere in quel punto: i l s u o e s s e r e f i n i t o ; le mutazioni, che essa compie per questa sua deficienza continuandosi per continuare : l ' a t t i v i t à c h e v a a l f i n e e d è i n s é f i n i t a ; il suo crescere ed invecchiare : la s u a n a t u r a ; quello che a questo progresso appartiene come inerente alla sua natura : l a s u a f o r m a e, di fronte a questa attualità 149

della forma nel punto teorizzato, l e s u e p o t e n z e fuori di que­ sto punto sia nel tempo sia perché dette in riguardo ad altre cose, non in atto ma in potenza; 288 e la ragione del suo nascere è la forma ch'io riconosco : 289 cioè perché essa pervenisse al punto della mia teoria . -

M a i n lei m'appaiono cose e cose furono, che io non s o legare al fine, senza le quali essa non sarebbe in quel punto ; a lei avven­ gono cose che possono da questo toglierla, che non le appartengono per sua natura e che pur io devo necessariamente ammettere : e l a i n f i n i t a m a t e r i a i n c o n o s c i b i l e m'è anch'essa neces­ sariamente reale come causa adeguata a ciò ch'io non sappia ; poiché necessario è il p u n t o t e o r e t i c o , poiché permane in me la deficienza della vita e all'impotenza di questa necessaria la finzione della persona sapiente, e a questa persona necessaria la sufficienza del sapere . Cosi ora il mio sapere, avendo nell' affermazione della materia implicita l'infinita ignoranza, è al sicuro da ogni oltraggio delle contingenze . Ma il punto teoretico è l' atto del mio guardare, e può girare dove anche io voglia fra la varietà delle cose : sempre sarà in lui l ' e n t e l e c h e i a delle cose guardate, poiché il mio guardare è attribuzione di fine : la stessa permanenza del movimento nel tem­ po, poiché il mio guardare commosso con le cose è attribuzione di stabilità ; altro fine , altra natura, altra forma, altra ragione, e in altro riguardo supposta la materia inconoscibile . Le stesse cose che prima erano proprie della natura, ora contingono ; che prima erano il fine, sconnesse ora dal fine attuale nel punto, sono la materia; che erano prima attività finita, ora sono in potenza ; 290 ciò che prima era vicino, ora è lontano; 291 e cosi all'inverso. Tutto cammina come cammina l' V'ltOXEL(l.evov della mia i}ewp t: a.,292 e le cose mutano a se­ conda ch'io le dico in riguardo all'uno o all'altro soggetto . Io sono indifferente, la verità è indifferente, la vita non parla piu, poiché la mia vita, la verità le ho messe nell'attualità della mia memoria a predicar differenze in rapporto alla qualunque realtà. Infatti posso sempre sufficientemente predicare. E mettendo in ogni punto questa mia fatica teoretica, che è la mia persona, come reale fuori di me, aver sempre un mondo vivo e sostanziale, in un punto la materia e la forma, il generale e il particolare, l'attività e il fine, il movimento e la stabilità.

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Come l'uomo dagli occhi fosforescenti dannato a girare nell'im­ mensa caverna senza uscita, che il riflesso dei propri occhi vede via via sulla parete ; e opposta al riflesso gira l'ombra dietro di lui : om­ bra sotto, ombra sopra al pallido punto sulla parete , ombra ai lati - e la notte paurosa nell 'infinito vano della caverna dov'egli pur trae i suoi passi . E se uno lo ferma e gli chiede : « dove sono o r a i princ1p1 generali che hanno in sé la ragione, dov 'è o r a la sostanza, dov 'è l 'essere sostanziale ? fammi luce, colmami il vano della vita, dammi la stabilità della mia vita che mi sfugge : il valore individuale, la natura finita ! » , Aristotele uscendo dalla nebbia delle sue macchi­ nazioni reagisce come quello che viene a forza riscosso dal suo sonno, dove l'attualità del sogno gli fingeva via via il possesso della qualunque cosa che sognasse . Poiché con gli stessi argomenti del sogno, che ancora lo anneb­ bia, quello difende il diritto di sognare ; e Aristotele con dire « al­ trimenti non si può dir niente » , afferma la necessità di prindpi per se stessi indimostrabili delle dimostrazioni, che gli diano il di­ ritto di d i r e . 293 Ed a perpetuar le vendette del sapere sufficiente, insegna ai di­ scepoli : « non parlate di essere o non essere, ma fateli s i g n i ­ f i c a r q u a l c h e c o s a » 294 Infatti, data una qualsiasi signi­ ficazione, positiva o negativa, scettica, agnostica, catastrofica - in ogni modo è dato il presupposto per la necessità del diritto di dire, e s'è chiesta ospitalità al regno delle parole che si voleva abbattuto. E se gli chiedo di comunicarmi realmente la stabilità di questo principio, che egli a parole mi toglie di poter a parole negare, si ch'io giunga a riva e a h h i a la c e r t e z z a : e mi dia in un punto ora qui questa sostanza individuale,295 assoluta dalla nebbia delle cose che nascono e periscono e in una perpetua mutazione 296 sono e non sono ; - egli sorride di commiserazione,297 accenna col dito 298 al cielo onde occhieggiano stelle fisse,299 e a me stesso 300 che gli parlo in prima persona; e poich' io non gli sembro convinto, m'addita un pozzo e seccato mi dice : « va e affogati » .301 Ma io né m'affogo né pur lo lascio - ché con tanta violenza m'ha costretto ad ammettere la necessità d'una sostanza stabilita e in me stesso ha accennato di voler riconoscerla; 302 e di questa stessa mia paura della morte mi lamento, per la quale non seguo il suo consiglio, per la quale invece mangio e non mi sazio, parlo e non pervengono a dire mai tutto, e mi sento solo e miserabile e privo .

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di tutto : e gli chiedo questa « c o s a », che sotto la cappa ch'io vedo immobile del cielo teme e soffre e pur sempre sperando e di­ sperando attende e in mille desideri ansiosi si dissolve, questa mia persona ch'io non conosco e ch'egli fa mostra di conoscere sostan­ ziale, questa mia n a t u r a , 303 ch'io non posseggo, infine che sia. Ma Aristotele mi risponde ch'io sono come il cieco, che vuoi parlar dei colori e sillogizza sui nomi vuoti ; e si rimette al suo lavoro.304 Cieco s1, - ma quanto al sillogizzare sui nomi, chi è che lo fa : quello che domanda , perché sa di non vedere, o quello che fa il sistema fisico e metafisica senza saper la cpucnç che sia ? Se chi domanda chiede una risposta - ma chi fa il sistema chiede agli altri la fiducia perché pur credano nelle sue parole, senza che egli faccia loro vedere niente, e a quelle che, non vedendo, non intendano, suppongano la certezza della via. 'A).).,' où OU\JCX."t't'U "t'Vq>Mç "t'Vq>M\J ÒO'l)yEi:\J ,305 ha detto Cristo. Sordo alle proteste dell'insufficienza dell'uomo, Aristotele presta pur volentieri orecchio alla voce molteplice della vita dell'uomo, e anche su questa fissa il suo punto teoretico e in questa il buon fine e la ragione d'essere suppone ; e come per le altre vite a ogni rico­ noscimento egli esclama cpucnç oÙOÈ\J 'ltOLEL !J.Ii"t''l)\J,306 cosi anche a ogni attività dell'uomo egli suppone ogni volta la finitezza .307 Ma la cpucnç dell'uomo non s 'esaurisce nella qualunque attività, come mai la cpu cnç in nessuna cristallizzazione organica s ' esaurisce. Ma mentre nella bestia, nella pianta il non esaurirsi ( l'impotenza, l'in­ sufficienza) si può fingere estraneo al buon fine del qualunque or­ ganismo, come inerente a una qualunque causa materiale, sia per accidente, sia per necessità; nell'uomo l'insufficienza della sua qua­ lunque vita alla sua felicità finita appare come inerente al suo fine, poiché in parole, in desideri, in atti si manifesta, che sono vicini alla vista d'ognuno e questa felicità come fine si pongono.308 Onde la pluralità dei beni come correlativi delle diverse illusioni di feli­ cità degli uomini , e la necessità di u n a n o r m a . Poiché questa insufficienza Aristotele tacita in sé con la finzione d'una persona sufficiente nel lavoro t e o r i c o , egli non ha in sé la n o r m a , nella propria natura il criterio della natura umana. La natura umana gli appare come molteplicità di nature . La sua e s p e r i e n z a della n a t u r a umana va attraverso i segni vicini degli occhi, delle orecchie, delle notizie che gli sono

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ogni volta come dati soggetto di ricerca e diversi dalla ricerca stessa. E i segni vicini sono gli atti degli uomini ; e la norma : una norma per l'attività tratta dalla pluralità dei fini, che dovesse servire di determinante alla 7tpotx.LpEcrtç 309 d'ognuno. La teoria etica è cosf non solo classificativa d'entelechie, ma co­ stitutiva ( determinativa) : non esaurisce lo scopo in se stessa, ma ha uno scopo per la vita. Onde la prima distinzione esplicita fra teoretico e pratico. Ma questo non cangia la natura della teoria d'Aristotele : essa non classifica dati della vita con attribuzione del fine, ma f i n i cosf d e t t i , norme costituite, o p i n i o n i c o r r e n t i . Il suo uxoxE�IJ.E'VOV 3 10 non è di elementi di vita ma di tante teo­ rie della vita, poiché essa cammina non piu per terra ma pei cervelli degli uomini. Altrove bisognava mescolarsi fra gli animali per aver i dati vicini della loro vita, per suppor loro un fine ; ora si possono aver i dati vicini dalla bocca degli uomini che enunciano il loro fine nella vita, e attribuir a questo ogni volta la sufficienza : non è co­ spirazione di determinazioni di vita al fine della vita, ma catalogo di fini diversi costituiti . La rettorica della sapienza sufficiente che e l a b o r a e costi­ tuisce il sistema, resta sempre uguale a se medesima, indifferente­ mente da dove con la sua stessa vista vicina essa colga i suoi dati . Per esser teoria della pratica non è essa stessa pratica, ma appunto teoria. La teoria della pratica per esser pratica non deve esser teoria, non deve finger una qualunque realtà sufficiente nella qualunque elaborazione dei suoi dati, ma deve esser un i m p e r a t i v o , che sia sferza ai dorsi inerti degli uomini a far sentir loro la loro insuf­ ficienza, essa stessa come in c i ò a t t i v a , e non O'l')!J.tx.tvoucrtx.,311 permanendo infinita, che il suo fine abbia nella cessazione dell'insuf­ ficienza ( !J.YJ 'VOIJ.LO''r)'t'E 5't'L lj).i}ov Btx.À.Etv dp1}v'r)v È1tÌ. 't'YJV yiiv' oùx

lj).i}ov Btx.À.Etv dp1}vl')v !ÌÀ.À.t:Ì. IJ.ciXtx.Lptx.v ) .312

Essa v u o l e , con l'attualità di tutta la persona chiede qual­ che cosa nella vita : in ciò parla agli uomini della lor vita ; essa vuole la propria stessa vita : la « sufficienza » che trova cristalliz­ zata nelle parole e nelle istituzioni degli uomini , essa esperimenta come insufficiente con la misura unica della propria richiesta ; e molti mali fa manifesti e « un » bene, nell'eliminazione del male.

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Ma Aristotele qui come altrove procede col punto teoretico e i dati, quali essi siena alla corta vista dati, moltiplicando, e ap­ proposito di questi in ogni punto in vario modo stravolgendo l'enor­ me macchina delle sue parole, della sapienza sufficiente .

I . Cosi da un lato, quasi tentasse una storia naturale appropo­ sito della vita dell'uomo, egli prende i s e g n i vicini - poiché la mente non intende : gli atti e gli effetti ; e poiché al malo effetto bisogna supporre una mala causa, e la mala causa deve esser un oltraggio se pur la virru sia un'attività finita, è necessario supporre che la virtu ch'ei non conosce si trovi ogni volta i n u n c e r t o g i u s t o m e z z o fra le qualità antitetiche dell'uomo, delle quali ognuna per sé ad atti esorbitanti lo spingerebbe. Ma come questo poi non si possa determinare, e come gli av­ venimenti smentiscano le previsioni, e gli effetti in tanti modi di­ versi corrispondano agli atti , Aristotele preoccupato lamenta : Tà. oÈ

xaÀ.. à. xat -tà. o�xata, 7tEpÌ. wv 1) 7tOÀ.. L'tLXTJ crxo'ltE�'ttXL, -tocrau-tl)V EXEL otaq>opà.v xaì. 7tÀ.. avl)v, wcr-tE ooxE�v v6!l� !l6vov dvaL, cpucrEL oÈ !liJ . Totau-tl)V et -twa 7tÀ.. avl)v EXEL xat -tàya�a, otà. -tò 7toÀ..­ . À.. otç- CTU!l�IX�VELV �À.a�tXç' à1t' tXÙ'tWV f}Ol) yap 'tLVEç' àml>À.OV'tO otà. 1tÀ.. o ihov, enpoL oÈ ot' àvopECav. ( Eth. Nic. , A l . 1 094 b 1 4 ).313 Infatti per uno che si trovi nella necessità di dire che un bene è la ricchezza, un bene la virtu, e un bene e soprattutto un bene la vita, non c'è via per uscire dall' à1top�a 3 14 - se non forse dire e l 'uno e l'altro e in questo e in quel riguardo e non sempre e ad ogni costo , ma in questo tempo e in questo luogo ; o se non si può XIX't"J1YOPE�v 3 15 con certezza d'ogni bene il quanto, il come, il quando, il dove, il perché questo l i b e r o bene abbia ad accontentarsi d'entrar in scena, ma si dice -tp67tov 'tLVa,316 fino a un c e r t o punto, con c e r t a misura, non troppo e non troppo poco ; e pro­ prio detto volgarmente : « finché non ne verrà un male, sarà un bene » .

'E1tEÌ. 'tàya�òv � cr a x w ç À.. É y E 't (l.L 't {i> o v 't L (xaì. yà.p EV 'ti{j 'tL À..ÉyE'ttXL, olov Ò �EÒç' XIXÌ. Ò vouç. XIXÌ. ÉV 'ti{j 'ltOL{{j, aL àpE­ 'ttXL' XIXÌ. EV 'ti{j 1tOCT{{j, 'tÒ �'tptov' xaì. Év -t0 7tp6ç 'tL, 'tÒ xpi}crL­ . !lOV XIXÌ. EV xp6v�, XIXLp6ç' XIXÌ. É.v 't01t�, O�IXL'tiX, xaì. E'tEptX 'tOLIXU­ 'ttX), ofjÀ.ov wç oùx &v ELT) xow6v 'tL xaMÀ.. o u xaì. fv' où yà.p &v ÈÀ..Éy E'tO ev 1tacratç 'tetk XIX'tl)yopiatç, !l)..). ' É.v !lLét !lOV1) . (Eth. Nic. , A 4. 1 096 a 2 3 ) .317 154

I I . Ma questo

è d e t t o » qui non è soltanto il modo di significar l'una e l'altra relazione, ma sono i fini costituiti dagli uo­ mini, le norme convenute, le e l e m e n t a r i t e o r i e d e I l a pratica. «

Coi suoi cerchi logici e l'architettura della IJ.ECT6'tl]ç" non giunge a dar altra norma che : Év 'tOV oixa.t.a. -rtpci.'tnt.v o oixa.t.oç yive'ta.t. xa.L ÉX 'tOU 'tCL crwq>pOV(X. o crwq>pw v . ( Eth. Nic. , B 3 . 1 1 05 b 9 ) - e :

'tCL (.lÈV ouv -rtpci.y(.l(X.'t(X. OLX(X.!.(X. xtx.L crwq>pO'J(X. À. É y e 't (X. t. ' éhtx.v TI 'tOt.tx.U't(X. oltx. tlv o OLXtx.t.oç -� o crwq>pwv -rtpci.çE�'J ( Eth. Nic. , B 3 . 1 1 05 b 5 ) ; 3 1 8 per la quale l'uomo giusto appoggiato all'atto giusto e l'atto giusto all'uomo giusto precipiterebbero entrambi dç lf�vcrcrov q>À.vtx.pLtx.ç 3 1 9 - se non vi fosse quel À.É"'(E't tx. t.,320 dietro al quale Aristotele si ripara come un ladro dietro alla stessa vite che spoglia. Infatti per questo À.Éye'ta.t. il giusto e le sue opere non sono piu quelli che Aristotele in qualunque modo sappia , ma quelli che sono dati d a I l a t e o r i a g i à f a t t a d e 1 1 a v o c e p u b b l i c a . L' ci.pxi) propria dell'etica è l' Hl't.cr(.l6ç,321 che è insieme p r i n c i ­ p i o e f i n e .322 Poiché le opinioni vivono ÉV 'tEÀ.e xd q. nelle xoww­ 'JLtx.t. degli uomini/23 che considerate nuovamente come sostanze in­ dividuali e provviste dell' eu xpTJ CT'tOV 'tÉÀ.oç 324 formano il soggetto della teoria politica. Ma per il singolo le opinioni si raccolgono si­ stematicamente, si raccomandano come norma - ma non si può fare la xtx.MÀ.ov ù-rt6ÀTJt!Jt.ç 325 delle opinioni, che valgono solo là dove valgono . L' e t i c a è f i n i t a p r i m a d i c o m i n c i a r e , p o i c h é È!Ìv Xtx.'ttx.À.d1tl]'ttx.t. 'tCL Evooçtx., oeoet.y(.lÉVOV li.'J eLT) �Xtx.Vwç-.326 Ma Aristotele s'è già messo al sicuro contro le opposizioni :

't'Ì)'V Ù1tOXet.(.lÉ'VT)'J UÀ.T]V O t. tx.CTtx.(j)ll­ Tò yàp ci.x p t. � Èç ovx O(.loiwç Év &-rttx.crt. 'toi:ç M yot.ç Émsll ­ 'tÉov, wcr-rtep OVOÈ ÈV 'tOLç" Oi)(J.t.Ovpyov(.lÉvot.ç . . . Aytx."ltl]'tÒ"\1 ouv -rtepl. 't O t.o ,h wv xtx.l. Éx 'tOt.OV'tW"\1 À.Éyov'ttx.ç -rttx.XVÀ.wç xa.t -. v 1t � 327 -.ci.­ Àl) ilÈç Èvoeixvvcriltx.t., xtx.l. -rtepL 'tW'J w ç È 1t 1. 't ò 1t o À. ù xtx.l. Èx 'tOt.ov-.wv À.É y ov't a. ç 'tOt.tx.U'ttx. xtx.l. crv(.l-rteptx.lvecriltx.t. . . . II e 1t a. t. o e v (.l É v O V yci.p ÉCT'tt.'J É1tL 'tOO"OU'tOV 't ci X p t. � È ç È 7t t. S 11 't e L V xtx.il' Extx.cr'tov yÉvoç, écp' ocro'J ·h -.ou 7tp ci.y(.ltx.'toç q>vcrt.ç É-rtt.oF.xe­ 'ttx.t. . . . ..:1t.ò 'tfjç -rtoÀ.t.'tt.Xfjç o v x E cr -. t. v oLxei:oç ci.xpotx.'t'Ì)ç o 'JÉ oç· &7tet.poç ytkp 'tW"\1 Xtx.'ttk 'tÒv �iov 7tpci.çewv (Eth. Nic. , A l . 1 094 b 1 1 ) .328 AÉyot.'tO o' &v �xa.vwç e� Xtx.'tà

ildll .

Perciò per non esser detti ci.-rttx.ioev-.ot., &-rtet.pot., vetx.'Jt.xoi,329 bi­ sogna tacere.

155

Cosi Aristotele è invincibile come la nebbia stessa, della quale parla la voce. Il regno delle parole in lui è cosi ben costituito che ogni ribellione rientra anch'essa nelle istituzioni preparate. A ogni abbiezione è opposto un "t'67toç.330 Le negazioni, i dubbi dei filo­ sofi anteriori, dove vive la loro richiesta della persuasione, egli ha tacitati, finta loro nella qualunque argomentazione artificiosa suffi­ ciente risposta. E dei modi di questa richiesta infine, e della forza della persua­ sione egli s 'è fatto soggetto alle teorie della Topica e della Ret­ torica .

1 56

APPENDICE III

PROIEZIONE DELLA MENTE D'ARISTOTELE SUI MODI DELLA SIGNIFICAZIONE

« Veramente »,

ex.

'V E p 6 'V . 9 1

Quanto al owa.-r6'V, esso si scinde nei due modi : rispetto al fu­ turo ( -rò ÈCTOIJ.E'V0\1 ) 92 e rispetto al passato ( -rò yEyo'V6ç ) , come già prima chiaramente è detto.93 Le dieci linee ( 1 3 9 3 a 1-9 ) che par­ lano del futuro riaccennano in poche parole quanto in lungo è stato detto nei capitoli 1 0° e 1 1 o del I libro coll'intento speciale della probabilità dei delitti ; e quelle poco piu numerose sul yEyo'V6ç ( 1 3 92 b 1 5-35 ) coincidono con le cose già dette al cap . 1 2° del li­ bro I, quando parlava delle persone che probabilmente hanno com­ messo il crimine e di quelle che sono probabilmente colpite . Restano di generale le poche manovre col owcx.-r6'V.94 - Per giustificare egli mette uno dei suoi soliti additamenti all' Ù7tOXE�IJ.E'VO'V,95 che per voler prevenire le opposizioni riescono a confessioni d'impotenza : -rò

oÈ 7tcx.pà. -rcx.u-ra -r� �lJ'tE�'V m:pì. !J.EyÉfrovç à1tÀ.wç xcx.ì. v7tEpoxfiç xE­ 'VoÀ.oyE�'V Écr-r�'V· xvpLw-rEpcx. yap Écr-r� 7tpòç -rl}'V xpEla.'V -rw'V xcx.­ fr6À.ov -rà. xcx.fr' itxcx.cr-rcx. -rw'V 7tpa.y�J,ci-rw'V .96 1 70

E allora dove va la 1toÀ.vitpuÀ.TJ"t'Oç OLCXlpop&; ? 97 Il xow6v 98 s'è squagliato ancora, se queste xowa� 1tpo"t'6;e:wpe:i:v su . . .20 fosse quello di Platone. Ma quando Aristotele dice « dialettica )), sappia­ mo cosa dobbiamo intendere se pur è fresca in noi la grata memoria della Topica. D'altronde àv·dcr"t'poq>oç non vuoi dir l:croç,30 né Aristotele può identificarle nel momento stesso che inizia un libro per differenziarle. 'A'li"t'LO'"t'poq>oç non stabilisce un'uguaglianza fra due cose, ma un'u­ guaglianza di rapporti in cose diverseY Se ogni rapporto deve aver due termini, l'equazione di due rapporti deve averne quattro. E se con quest'equazione vogliamo trovare o definire uno dei termini, bisogna che gli altri tre siano conosciuti,32 poiché un'equazione che abbia piu d'una incognita non d e t e r m i n a niente. Aristotele che vuoi qui determinar la rettorica, dice che essa sta a non so che cosa come la dialettica a non so che altra cosa. Se noi ora vogliamo ch'egli con questo 1tpoolp.!.O'V 33 abbia detto qual­ che cosa, dobbiamo darci attorno le mani per trovar gli altri due termini. Il carattere comune che Aristotele dà loro nel seguito di questa stessa proposizione, è il procedere pei c o m u n i e non per via scientifica. E altrove : O!.Oa.crxa.Àla.ç ytip ÈO'"t' !.'V o xa."t'CÌ. "t'TJ'V Èmcr"t'i)­

IJ.TJ'V Myoç, "t' o u "t' o OÈ à o v 'V a. "t' o v , àì.ì.' àvtiyxTJ o 1. à "t' w v x o L 'V w 'V 1tO!.Ei:crita.1. "t'CÌ.ç 1tLO'"t'E!.ç xa.t "t'ovç Myouç, W0'1tEP xa.t Èv "t'oi:ç "t'omxoi:ç ÈÀ.Éyop.Ev . . . 34 Non sono dunque scienze, teorie, ma facoltà, potenze pratiche col fine della persuasione; infatti 8cr� &'V "t'!.ç 'ÌÌ "t'lJ'V O!.a.ÀEX"t'LXlJ'V 'ÌÌ \1 "t'll.V"t'Tj'\1 p.l} x a. it ti 1t E p tl'V o \J '\1 &. P, E L ç lÌ À À ' È 1t L O' "t' 1) P, a. ç 1tELpa_"t'll.L Xll."t'll.O'XE\JIÌSEL\1, ). 1) O' E "t' a. !. "t' lJ 'V q> V O' L 'J whwv !Ìq>ll.'JLO'a.ç "t'{i) P,E"t'll.�a.�'JE!.V È1t!.O'XE\JU­ SW'J dç È1tLO'"t'1)p.a.ç V1tOXELp.ÉVW'J "t'L'JW'J 1tPll.YIJ.U"t'W'J, àì.ì.à p.l} p.6vo\l ì.6ywv.35 Che questo sia il loro tratto comune egli lo ridice anche riferendosi alla prima proposizione : . . . xa.ì. op.ola. ( "t'TI OLa.­ ÀEX"t'!.XTI ) 1 xa.ita1tEP xa.ì. IÌPXOIJ.E'JOL EL1tOIJ.EV' 1tEpÌ. OVOE'JÒç yàp wp1.crp.Évou o v o E "t' t P a. a.v"t'wv Ècr"t'w è 1t L cr "t' 1J p. 11 , 1twç EXEL, àì.ì.à o u v ti p. E 1. ç "t'WÈç "t'OU 1toplcra.1. Myouç .36 Ma allora XWO\J\IEVO\JO'W 37 di cascar insieme, e la ÒIJ.OLO"t'T]ç di divenire una "t'll.V"t'O"t'T]ç, se pur la 1tE1.itw 38 è una e non due . Sarebbe dunque una la OV'Vll.IJ.Lç' - e quella dell'individuo piu forte - e il xow6v sarebbe il soggetto universale creato ogni volta. . . ma sa176

rebbe soprattutto cÌ7tCX.LOE\JO"LCX. 39 se uno venisse a tirar simili conse­ guenze. « AWcÌJ.U:Lç e non OU'VCX.(J.t.ç ! le 0\J"\IcÌ(J.ELç sono di cose di­ verse e, se non sono limitate a 1 1 a s c i e n z a d i q u e s t e c o s e , pure À.Éyo'V't'CX.L xcx.-1}' \moXEL(J.E'V0'\1 : cosi À.ÉyE't'CX.L xcx.-1}' U'TtOXEL· J.U:'VOV la 'TtELl}w, e il xowòv À.ÉyE't'CX.L in due modi . . . insomma altra cosa è il retore, altra il dialettico ! » .40 Allora andiamo avanti. Kowcx.l sono in primo luogo le CÌ'Tto­

OELX't'LXCX.� cipxcx.t:, 't'tX cii;LWIJ.CX.'t'CX. è!; wv &7tcx.V't'Eç OEt.xvuovaw ( olov lhL 1tav civcx.yxcx.i:ov il cptivcx.�o il CÌ7tocptivcx.L ) ,41 e in questo sono uguali il dialettico e il retore. Ma i dialettici s'occupano di problemi come p . es. 'TtEpt 't'CX.Ù't'OU

xcx.t È.'t'Épov xcx.t Ò(J.OLO\J xcx.t CÌ'VO(J.OLO\J xcx.t 't'CX.Ù't'6't'T}'t'Oç" xa.t É'\ICX.'\1· 't't.6't'T}'t'Oç" xcx.t 1tEpL 1tpO't'ÉpO\J XCX.L ÙO"'t'ÉpO\J XCX.L 't'WV éf.À.À.WV a'TtcÌV't'WV 't'WV 't'Ot.OU't'WV ÉX 't'W'\1 Évo6!;wv (..1.6v ov 7tOLOUJ.U:VOt. 't'TJ'V O"XÉ� t.V .42 Essi devono far prender piede alle cÌ1tOOELX't'LXCX.1. cipxa.l nelle opi· nioni correnti, per poter avÀ.À.oylsEal}a.L 7tEp1. 7tCX.'V't'Òç 't'Ou 7tpO't'E­ -i}Év't'oç 7tpo�À.TJIJ.CX.'t'oç è!; Évo6!;wv, xcx.t cx.Ù't'ot À.6yov Ù7tÉXO'V't'Eç (..1.11· -!}(v ÉpEL'\1 Ù7tEVCX.V't'LOV.43 I retori 1tEpt wv . . . 1t p ti 't' 't' o v a 1. , �ovÀ.EUO'V't'CX.L xcx.t axo7tOUO"L,44 cioè quelle cose che ÈVBÉXE't'CX.L xcx.t &À.À.wç EXEL'V 45 - e sic­ come 't'Ò E�X6ç ÉO"'t't.V Wç É7tt 't'Ò 1tOÀ.Ù YL'V6(J.E'\IO'V . , id est : 't'Ò 7tEpL 't'IX ÉVOEX6J.U:VCX. &À.À.wç ÉXELV, o\hwç EXOV 7tpÒç ÉxEi:vo 1tpòç 8 Eix6ç, wç 't'Ò xcx.-i}6À.ov 7tpÒç 't'Ò XCX.'t'tX (J.Époç' 't'WV OE O"T}(J.ELW'\1 't'Ò (J.E'\1 o{hwç EXEL wç 't'WV xa.-1}' bcx.a't'6V 't'L 7tpÒç 't'Ò xcx.-i}6À.ov, 't'Ò OE wç 't'WV xcx.-i}6À.ov 't'L 7tpÒç 't'Ò xa.'t'à IJ.Époç 46 - cosi si fanno 't'IX év-i}v(J.1}­ (J.CX.'t'CX. É!; Eix6't'WV XCX.L Éx O"T}(J.ELW'\1.47 Cosi il xow6v non è una cosa sempre identica a se stessa: • . .

..

ma congiungendo i principi dimostrativi assoluti ( gli assiomi ) con l ' Ù'TtOXELJ.U:VOV non di cose determinate ma di giudizi correnti ( 't'WV Etowv ) ,48 prende diversa forma e dà nome diverso a chi l'usa, e conduce a diverso risultato a seconda del campo dove agisce : 't'i'jç

cx.1hi'jç ( pT}'t'OpLxi'jç ) 't'6 't'E 7tt.l}a.vòv xcx.l. 't'Ò cpcx.w6(J.Evov LO ELV m-i}cx.­ v6v, W0"7tEp xa.t É1t� 't'i'jç Ot.CX.À.EX't'LXi'jç O"VÀ.À.oyLO"(J.6'11 't'E xcx.t q>cx.t.V6I-l.EVO'V 0"\JÀ.À.oy LO"(J.6V .49 Il dialettico dunque ouva.'t'cx.t. avÀ.À.oy!sEcrlta.t. 1tEp1. 7tCX.'V't'Òç 't'OV 7tpO't'El}ÉV't'Oç" 1tpO�À.TJ(J.CX.'t'Oç" - CÌ1t' È 'V O 6 !; W 'V - O t. tX 't' W 'V x o L v w v : il retore ouva.'t'cx.t. 7tELl}Ew 7tEpt 7tCX.V't'Òç 't'OU 7tpO't'El}Év't'oç 7tpcÌy(J.CX.'t'Oç" - CÌ7t' E i X 6 't' W 'V - 0 t. tX 't' W 'V X O t. 'V W V .50 Ora poiché, come pare, abbiamo le due ovvcÌ(J.Et.ç, distinte e de­ terminate senza che esse abbiano cessato, come pare, d'esser ovvti-

1 77

se il loro tratto comune è questo d'esser owaJ.kELç' e non scienze, quando ci sian date le scienze dei due campi dove quelle sono ouvaJ.kEt.ç, avrmo l e d u e scienze che hanno il tratto co­ mune d'esser scienze e non owaJ.kEt.ç, là dove la rettorica e la dialettica sono ouva!J.ELç, e in loro i due termini che mancano nella nostra quae dicitur p r o p o r z i o n e .5 1

J.kELç'

-

Aristotele cerca per la dialettica quello che noi cerchiamo, quan­ do si chiede nella Metafisica : 52 7tEpl. 8crwv OL oux.À.EX'tt.xol. 7tEt.pwv­ •••

'taL CTX07tELV ÈX 'tWV Èvo6;wv (J.6VOV 7tOLOVJ.kEVOL 't'Ì]V O'XÉtj;t.v, 'ttVOç Èct'tl. l)Ewpiicrat. 7tEpÌ. 7taV'tWV. - E si risponde nel libro r: 53 Oi. ot.aÀ.Ex .. �.xot ot.aÀ.Éyov.. a�. 7tEpl. &7ta\l'tw\l· xowòv oè 7tficrL .. ò ov ÈCT'tL . .. 't@ OV'tl. n ov, ECT't!. 'tLVà LOLa· xaì. 't"aih' Èct'tl. 7tEpl. wv 'tOU q> t. À. o et 6 q> o u ÈmcrxÉtj;acri)at. 'tÒ àÀ.'l')i)Éç : - oi. OLaÀ.EX'tLXol. 'taÙ'tÒV (J.è.V tJ7tOOUOV'taL crxii!J.a 't@ q>LÀ.oct6q>� �CT'tL o è 1} OLa­ À.EX'tt.X'Ì} 7tEt.pact'tLX1} 7tEpL WV q> l. À. O Cf O q> � a y \1 W p l. Cf 't l. X 1) . Quanto alla rettorica : . . Ù7tooue:'tat. Ù7tÒ 'tÒ crxii!J.a 'tÒ 't ii ç 7t o À. L 't" 1. x ii ç 1) p'l')'tOpt.x1} ; 54 ma s 'occupa di quelle cose cosi che E't" t. Ù7to À.e:L 7te:L crxÉ!.JJ w 't" fl 7t o À. t. 't L x fl È 7t t. cr 't" 1) 1J. n .55 E lo conferma dall'altra parte l'etica : 56 7te:t.pa'tÉov 't"U7t� ye: 7te:pt.À.a­ �e:i:v aÙ't"Ò ( 'tÒ ayaMv, 't"Ò 't"ÉÀ.oç 't"WV 7tpaX'tWV ) 't"� 7tO't"' Èct'tl. xal. 't�\loç 'tWV É7tt.CT't"'l')(J.WV f) OUVaJ.kEWV. �6;e:Le: o' &v 'tiiç XUpt.W'tci't'l')ç" xal. !J.tXÀ.Lct'ta àpxt.'tEX'tOVt.Xiiç. Tot.aV't"'l') oè xal. 1) 7t o À. l. 't l. x 1) q>aLVE'tat.... ÒpW!J.EV oè xal. 'tàç ÈV'tLIJ.O'ta'taç 't W \1 O u \1 a 1J. e: W V ù 7t ò 't a v 't" 'l') v o O cr a c; oro\/ CT'tpa't'l')j'LXTJ\1 otxovo(J.t.XTJ\1 p 'l') 't O p t. x 1} v . • . .

•..

• . •

.

•••



Dunque :

7te:pl. 't o u o v 't o ç ,

l

l

,

À.6ywv oùva(J.Lç ( 7tELpaCT'tt.X1} O 7tE!.CT'tLX1) ) : 1) O L a À. e: X 't t. X 1}

E7tLCT't'l')IJ.'l') ( ot.oacrxaÀ.t.x'Ì} i)e:wpta ) : 1) 7t p W 't" 'l') q> L À. o cr o q> L a ( la metafisica )

7te:pl. 'tWV 7tpaX'tWV

l

l

l

Myw\1 ovva(J.t.ç ( 7tEI.CT'tt.X1} ) : 'Ì} p 'l') 't O p L X 1) 57

É 7ti.CT't"1) 1J.'l') ( OLoacrxaÀ.t.x'Ì} i}e:wp�a ) : 'Ì} 7t O À. t. 't" L X 1) ( etica e politica )

178

E allora ecco l ' a n t i s t r o f i a 58 completa :

pY)'topt.xl} : 7tOÀ.!.'tLXTJ'V

=

ot.aÀ.EX't!.X'Ì} : cpt.À.ocrocpla'V

oppure :

PYJ'tOpLx'Ì} : OL(X.À.EX'tLXl)'V

=

7tOÀ.L'tLX'Ì} : cpt.À.ocrocpla'V 59

Per sapere ora che cos'è la rettorica, basta moltiplicare la politica con la dialettica e divider il prodotto per la metafisica ! . . .

Ma che volesse dir proprio questo Aristotele quando ha iniziato la sua rettorica con quell'innocente a"V'tlcr'tpocpoç ? 60 Io non lo cre­ do, perché allora non avrebbe iniziato una rettorica. Poiché se la 'tÉ X.'IIYJ 61 può esser per sé una pratica, ma la t e c n i c a è ogni volta una t e o r i a . E la teoria onde in ogni campo si muove la pratica, non può esser altro che la teoria di quel campo. Per esem­ pio la teoria che il medico pratico possedendo diffusa per artus pra­ tica curando il corpo umano, non può esser altro che la teoria del corpo umano. E la teoria per cui il retore persuade nelle questioni politiche, non dovrebbe poter esser altro che la politica. Ora poiché iniziando una rettorica Aristotele deve intender di far la teoria della rettorica, egli dovrebbe voler rifar l'etica e la po­ litica, seppur è giusta la loro vicendevole relazione quale Aristotele stesso la stabilisce. - Ma poiché non si può cpci'VCX.L xcx.!. a7tOCj>cl'VCX.L 62 una cosa nello stesso punto ( com'egli c'insegna ) , bisogna ammet­ tere ch'egli allora almeno non lo pensasse. In tutti quei vari posti nel principio della Rettorica e altrove egli parla cosi della sua generalità, della sua potenza indipendente dalle cose, analoga a quella della dialettica, poiché riguardo « a quel problema » egli non poteva comportarsi diversamente, se pur voleva metter la sua rettorica nelle vie dell' « idealismo » : la scuola obbli­ ga. - Ma poiché voleva f a r l a la rettorica e non semplicemente dire « chi voglia esser retore dovrà esser un buon dialettico e un buon politico », cosi egli non poteva né pensarlo né ben dirlo, per la preoccupazione che non gli venisse tolto il posto per dare una teoria della rettorica. Questo « posto » vuoi dire far apparire che la rettorica in sé è quella che egli vuoi fare : « teoria della retto­ rica ». Cosi accanto o sopra a questa definizione della rettorica come potenza, si accampano quelle che la dipingono come una « t e o r i a d e l l a r e t t o r i ca » . Già nella prima proposizione egli non dice OLà XOL'VW'V o a1tÒ xoww'V, ma 7tEp1. XOL'VW'V, che è il suo modo d'indicar l'oggetto della itEwp�; oppure non dice che la rettorica deve ov"Vacritcx.L 7tEmn'll , ma wç El7tEL'V OOXEL OV'VMitCX.L it E w p E i: 'V 'tÒ mita'11 6'V ; 63 poiché

1 79

insomma ou 't'Ò 7tEi:cun è:pyov a.1hijç, cH..À.à. 't'Ò U.iEi:v 't'Ò: Ù7ttipxov't'a. mi}a.và. 7tEp� EXa.CT't'0'\1 . 64 È cosi appunto anche della dialettica che per lui è diventata una Topiea. Cioè avendola definita prima come la p r a t i C a ( OU'\1(1{-LLç Mywv ) della t e o r i a , la fa diventar poi di fatto la xa.MÀ.ou Ù7toÀ.'r)�Lç 65 dei discorsi dialettici , cioè la t e o r i a della p r a t i c a della t e o r i a ; e la rettorica che in rapporto alla politica ( come teoria della pratica ) era apparsa la p r a t i c a della teoria della pratica , diventa ora la t e o r i a della p r a t i c a della t e o r i a della p r a t i c a . Ma 't'OLoih6v 't'E xa.� 't'OCToihov 1tÀ.iji}oç À.oywv 66 non va senza pericoli. Trarre una xa.i}6À.ou Ù7t6À.'r)�Lç è considerare una cosa o piu cose in riguardo ai gradi d'un'altra cosa; cosi i matematici considerano un numero in riguardo alla potenza d 'un altro numero come base : e questo dicono cavar il logaritmo d'un numero . Ora noi caveremo i logaritmi delle due formale della dialettica e della rettorica per vedere se poi sussista ancora lo stesso rapporto che prima : 67 log OLa.À.EX't'Lxijç = i) xa.i}6).ov Ù7t6À.'r)�Lç 7ta.V't'OLWV 't'67twv 't'WV

XOLVW'\1

log p'r)'tOpLxijç = i) xa.i}6À.ov Ù7t6À.'r)�Lç 't'WV Év 'tOi:ç 7tOÀ.L't'Lxoi:ç 't'07tWV 't'WV XOLVWV, cioè d'una parte sola dei xoLVwv : perciò la ret­ torica come teoria è p. 6 p L 6 v 't' L 't' ij ç o L a. À. E x 't' L x ij ç . 68 Questo non s' assomiglia piu per niente al rapporto di prima. Invece di due ovvti�Lç diverse e determinate , ora abbiamo la sche­ matizzazione dei discorsi come c o s a d e 1 1 a d i a l e t t i c a , e come cosa della rettorica l'applicare questa schematizzazione ai di­ scorsi politici . Ma la cosa va avanti ancora. Mentre la s c h e m a t i z z a z i o n e dei discorsi in g e n e r a l e , che sono su qualunque problema e fanno le conclusioni da quali si vogliano opinioni correnti ( ò:1t' Évo6çwv ) , non può dare un riassunto di questi giudizi correnti in rapporto a tutte le discipline ( 't'WV E�Owv ), ma soltanto le forme ge­ nerali, i luoghi comuni nelle disputazioni su qualunque cosa : le astrazioni della vita degli assiomi nelle loro diverse posizioni in ge­ nerale ; - la s c h e m a t i z z a z i o n e d e i d i s c o r s i p o l i t i c i può dare oltre che le astrazioni della vita degli assiomi nelle loro diverse posizioni in questo campo , anche i giudizi che a questo campo appartengono, i quali, come a questo limitati, sono riassumi­ bili : per cui questa parte della teoria può diffondersi anche sulle premesse ( 't'Ò: E�O'r) ) 69 mandando « quasi » nuovi g e r m o g l i .

1 80

Perciò la rettorica è « quasi » un ' escrescenza della dialettica : « o r o 'V » '1t a. p a. cp u É ç .. L .. Ti ç 8 L a. À. E x .. L x Ti ç 70 E que­ sto germoglio diventa una teoria '1tEp� -.a fti}TJ xa.� '1tEp� -.cl.ç àpE-.à.ç .

xa.t -.pi-.ov . . . '1tEpt "t eX '1ttXi}TJ , "t L "tE �xa.cr-.6v ÈO""tLV "tWV '1ta.i}wv xa.t '1to�6v "tL, xa.t Èx -.ivwv ÈyyiyvE-.a.L xa.t '1twç· wcr-.E cruiJ.0a.ivEL -.l)v PTJ"tOpLxi)v orov '1ta.pa.cpuÉç "tL -.fjç 8ta.À.EX"ttxfi ç Elva.L xa.t -.fjç '1tEp� "tCÌ. lli}ll '1tpa.yiJ.a."tELa.ç, f)v ÒLXa.LOV Ècrn '1tpocra.yopEVEL'V '1tOÀ.L"tLX1jv .71 Considerate come i}Ewpia.L ambedue, la rettorica è dunque IJ.OpLoV e '1ta.pa.cpuÉç,72 e risulta questa forma : 73

/

/

Come ora questa determinazione o meglio fusione o confusione s'accordi con l'altra io non so; ma certo è che con quella s 'unisce e a quella si sovrappone, procedendo unita in ogni proposizione, in ogni serie di premesse a conclusione anticipata, cosi mirabilmente, con tale aspetto di serena, severa, impeccabile incomprensibilità scien­ tifica, che, com'io credo, la scienza possiede in queste prime pagine della Rettorica un modello insuperato di callopismatismo. Per esempio : 74 quando ha analizzato in tre parti il fatto per­ suasivo, egli prosegue : cpa.vEpòv 1hL -.a.iha. [-.cl. -.pia.] Ècr-.t À.a.0E�V -.ou cruÀ.À.oyicra.cri}a.L 8uva.IJ.Évou xa.t -.ou i}Ewpfjcra.L '1tEpt 't'CÌ. fti}TJ ecc. : 75 cruÀ.À.oyicra.cri}a.L e i}Ewpfjcra.L 'ltEpt -.cl. ilitTJ 76 non sono della stessa natura, ma il primo è di chi parla, il secondo di chi fa teorie . Se­ condo la prima definizione della rettorica nel saper parlare è incluso tutto il resto : cioè il « su che » e l' « a chi » ; diviso invece -.ò pTJ"tOptx6v 77 in due parti, poiché il teorizzare è opera di chi clas­ sifica -.cl. fti}TJ ecc., anche il cruÀ.À.oyicra.crlla.L ouva(..I.EVoç 78 viene a si­ gnificare l'opera teorica del r e t o r i c o sui sillogismi : cosi il se­ condo senso s'è sovrapposto al primo. Ma ciò non gli toglie di poter tirar la conseguenza : OLÒ xa� {moouE't'a.L Ù1tÒ -.ò crxfi l-la. -.ò -.fj ç '1to­ À.L"tLXfjç i) PTJ"tOptx1),79 che ha senso soltanto secondo la prima defi­ nizione: dove cioè s' intenda che la rettorica fa discorsi in base a

181

conoscenze sulle quali la politica teorizza . Mentre quando ha dato per contenuto alla rettorica questo stesso teorizzare, essa non Ù'lto­ o ve:"t'cx.� piu tmÒ "t'Ò CTXi)(J.CX. "t'ijç 1COÀ�"t'�Xijç,80 ma di questa è parte o 7tcx.pcx.cpuÉç. 81 Poi seguita : ECT"t'� ycìp (J.6p�6v "t'� "t'ijç o�cx.Àe:x"t'�xijç: 82 - come può esser parte della dialettica , se come Ù7toOe:OU!J.ÉVT) Ù'TCÒ "t'Ò CTXii!J.cx. "t'Ò "t'ijç 7tOÀ�"t'Lxijç essa è una ovvcx.(J.�ç 83 del tutto distinta ? Aristotele ha sentito questo ed ha aggiunto : xcx.t Ò(J.o�cx., che non è davvero un'aggiunta possibile a !J. 6 p � o v . 84 Ma egli aveva biso­ gno di rimettersi con tutte le classificazioni fatte nel filo della prima definizione ( xcx.iM:7te:p apx6IJ.EVO� EL'TCO(J.E'J ) . 85 Difatti egli seguita poi

1te:pì. IJ.Èv ouv "t'i)ç ouva(J.e:wç cx.ù"t'wv

•••

e:�pT)"t'cx.t. e1xe:oòv txcx.vwç . . . : 86

e la OVVCX.!J.Lç" del retore è ormai la ovvcx.(J.�ç del retorico : d' Aristo­ tele. - La distinzione di fronte alla politica è fatta con un oCTcx. 7tpÒ

epyou (.lkv EO""t'!. Ot.e:Àe:i:v, E't'L o' Ù'TCOÀE�'TCEL !J.l. Mtp?X.O 'TCOÀt."t'!.XTI Èm­ CT"t'1}IJ.n . e:�'TCW!J.EV xcx.ì. vuv .87 Dove nell ' o CTcx. 7tpÒ epyou è dato per di­

mostrato e determinato quello appunto che dal principio in poi s 'at­ tende che venga e determinato e dimostrato . Il punto caratteristico è quando egli pone il suo metodo di fron­ te agli altri , dove necessariamente la riflessione sui discorsi e la for­ za del discorso devono venir prese in uno, seppur si voglia dar un metodo. Il metodo è 7te:pì. "t'OV"t'WV ot.' wv 88 uno persuade. Ma poi­ ché metodo non è una teoria indifferente , ma vuoi esser lo stesso mezzo del parlare , anche il poter persuadere non è piu Ot.CÌ "t'OV"t'WV ma 1te:pì. "t'O i h wv . 89 Come già in principio ha detto : 7te:p1. "t'WV xowwv.90 La constatazione d'un qualunque nesso concomitante pretende d'esser la stessa ragione della cosa ( cx.i."t'Ccx.v i}e:wpe:i:v ÈVOÉXE"t'CX.t. ) .91 - Cosi A l . 1 354 b 2 1 : ... 7te:pì. OÈ "t'WV Èv"t'ÉXVWV 7tCCT"t'EWV oÙoÈv Oe:t.xvv ou­ O" t.'J , "t' O U "t' O 0' ÈCT"t'Ì.V oi}e:v tiv "t'Lç" yÉVOL"t'O ÈV1}U(J.1](J.CX."t'�X6ç.92 Quel "t'Oiho vuoi dire "t'Ò Oe:�X'JV'JCX.!. 7tEp1. ÈV"t'ÉXVW'J 'TCLCT"t'EWV, cioè il far la teoria, lo schematizzare le forme del discorso. Altrimenti avrebbe detto CX.U"t'CX.L ( ex. t 'TCLCT"t'Et.ç" ); e se l' 15i}e:v si riferisse alle 'TCLCT"t'Et.ç" e non alla teoria sulle 'ltLCT"t'ELç", avrebbe detto Èvi}u!J.1]!J.CX."t't.Xo1. yiyvov­ "t'CX.t., poiché come le 'TCLCT"t'Et.ç" appartengono alla realtà diretta, cosi il loro effetto di render stringenti i discorsi deve appartenere alla realtà diretta ; 93 alla quale Aristotele si riferisce per dire quale debba esser lo studio sui discorsi . Ma mettendo il potenziale ( realtà con­ dizionata ) oi}e:v tiv "t't.ç" yÉVOL"t'O Èvi}U(J.1](J.CX."t'LX6ç", egli intende l'effetto dello studio sulle 'TCLCT"t'Et.ç, che egli vuoi porre come condizione ne­ cessaria dell'esser entimematico . Ora dall'analisi delle 'TCLCT"t'Et.ç uno diventerà un buon analizzatore, non un buon creatore di 'TCLCT"t'Et.ç-.94

1 82

Ma in Èvi}u!J.Y)(J.IX:nx6ç 95 contaminandosi i due sensi , vive appunto l'equivoco in ciò, ch'esso significa l'oratore in riguardo a una cosa, in riguardo alla quale dall'altra parte, allo stesso modo può esser si­ gnificato l'analitico .

L'oratore in quanto fa ciò che l'analitico chiama entimemi, può esser detto » in riguardo a questi come lo stesso analitico che se ne occupa e li nomina. Cosi è cristallizzato in una parola l'errore fondamentale che attribuisce al retore le qualità di chi sulla retto­ rica in qualunque modo riflette, perché questi la propria vita vi­ vendo possa arrogarsi il merito e il nome di quello. Come chi di­ cesse non che Demostene aveva forza dimostrativa tale che dai suoi discorsi si può ricavar forme d'entimemi , ma che aveva appunto sol­ tanto questa abilità schematizzatrice dei discorsi altrui . E che que­ sta acquistandosi col continuato esercizio dell'analisi, nello studio delle vie altrui, uno può diventare un Demostene . Questo è l'errore di ogni metodistica, che caratterizza tutta la filosofia aristotelica, o meglio ogni forma aristotelica della filosofia sotto qualunque nome in qualsiasi tempo e paese, ed è di fronte alla Persuasione la Ret­ torica. Cosi Aristotele proseguendo % dice : Otà yàp -rou-ro -rfjç �ù-.fjç oiJcrY)ç (J.EMoou ... oùOèv ÀÉyoucrw . Per cui è identificato 7tEpÌ. 7tLCT-rEW'II ÀÉyEL'II con 7tEp� -rfjç (J.Ei}6oou À.ÉyEL'II , che vale l'identificazione di 7tLCi'tELç con (J.Éi}oooç, onde fare il metodo abbia il valore di far le prove.97 Cosi Aristotele pone il suo primo sillogismo multigemino ed in­ finito: 98 È1td oè TJO"TI, ovoÈ LxrJ.­ v6ç 7t O 't E ÀÉj'EL\1 � O" 't rJ. L 7t E. p Ì. o Ù O E V 6 ç • 108 - 'H pl)"tt ­ p LXTJ &v ELl) \jJvxrJ.ywyirJ. "tLç OLIX Mywv, où IJ.6vov Èv otxrJ.O""tl)­ pioLç XrJ.Ì. oo-oL èiÀÀoL Ol)IJ.OO"LOL O"UÀÀoyoL, LÀ60"oq>oç 124 - questa è tutt'altra 1tpcx.y(...L a­ 't'ELCX. 125 - sarebbe come costringer un uomo che mangia a « far filosofia » . Aristotele qui vuoi « far » la rettorica : e questa neces-

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sità che cosi l'ha vinto e l'ha costretto a difendere l' Ù'ltOXELIJ.Evov, si rivela anche subito ; poiché .a.va.v't'la. OEL ouva.o-i}a.t. 'lte:me:w tva. IJ. 1) 't' E À. (X. v i} ci v n 'l't w ç � x E t. . 126 Che significa « tu devi po­ ter dimostrare il vero come il falso . . . per saper . . . come è possibile » ? Significa che i l ouva.o-i}a.t. 'lte:li}EL\1 non vuoi dire « poter dimostrare » ' ma « poter teorizzare sui discorsi che dimostrano », e allora i l di­ scorso corre : « devi poter teorizzare sui discorsi per saper come sta la cosa » . E nuovamente lo scopo e la potenza di chi analizza e teorizza i discorsi ( Aristotele stesso ) è sovrapposta allo scopo e la potenza dell'oratore . Cosi che il : « non puoi ingannare gli altri, se sei tu stesso im­ pigliato nell 'inganno stesso » di Platone, messo nella forma : cx.� 1twç -rvyxci­ vovcrL 1toi:cx. 7tpOU7toÀ.cx.(.L�civov-rEç : 78 non cercar segni e ricostruir la natura e a questa applicar i luoghi preparati, ma direttamente par­ lare secondo che la situazione insegni . OihE yàp 7t6ppwi>Ev ou-rE

1tciv-rcx. OEL À.CX.(.L�avov-rcx.ç crvvciyEt.V . 'tÒ IJ,ÈV yàp cicrcx.c:pÈç o�à 'tÒ IJ.fixoç, -rò oè àooÀ.wx�cx. O LIÌ -rò q>cx.vEptÌ À.ÉyEw .79 « Non conviene

prender le cose da lontano né portar tutte le cose insieme, ché quello riesce oscuro per la lunghezza, questo , per lo svolger cose manifeste, prolisso » . « Ma conviene . . . aver certo 1t E p t o v o E i: À. t y E t. v ,

-r à -r o u -r {{} u 7t ci p x o v -r cx. , lì 1t ci v -r cx. lì E V L CX. » : 80 À. É y w o È conoscer d a v i c in o l e c o s e v i c i n e - « come, quando

si voglia consigliar la guerra o la pace agli Ateniesi, quali le loro forze militari, se di terra o di mare o tutte e due, e quante, e quali i proventi, quali gli amici e i nemici . . » ; « o quando si voglia lo­ darli 81 [l'assunto sarà impossibile ] E i. IJ. 'Ì'j E x o � IJ. E v 82 la bat­ taglia navale di Salamina o la battaglia di Maratona ecc . . . . » ; « poi­ ché infatti [ quelli che parlano ] non prendono i loro argomenti da qualunque cosa, à).. ).. ' Èx -rwv 1tEpt EXCX.O''tOV u 1t ex. p X 6 v 't w v ; 83 « [ e necessitati a parlare ] all'improvviso,84 bisognerà adoperarsi allo stesso modo avendo riguardo IJ.'Ì') Ei.ç ci 6 p L C1 't ex. ci).. ).. ' dç -rli u 1t 6. p x o v -r ex. S4 bìs delle cose in questione, cercando di tirar le linee quanto piu fitte e vicine al fatto ; poiché, ocr{{} &v 1tÀ.dw EXU -rwv u7tcx.px6v-rwv,85 tanto piu facile riuscirà la dimostrazione, e quanto piu v i c i n e [ le argomentazioni ] -rocrou-r({.l o i. x E L 6 -r E p ex. e meno XOLVCX., 1. » . 86 Bisogna dunque avere le relazioni v i c i n e e d e t e r m i n a t e 87 di quel nucleo di relazioni che è ogni punto della vita ( 7tpéiyiJ,cx. ), ogni questione : e non in altro modo dette o ad altre cose riferite, lontane e generali, ma quanto piu possibile f a m i ­ l i a r i alla loro materialità, che altrimenti parleremo per generalità v a g a m e n t e . 88 E tanto piu, tanto meglio , ma mai s 'arriverà col moltiplicare le tangenti a ricerchiate il cerchio se non F.i.ç &7tELpov,89 mai s 'arriverà con concetti a rifare un punto della vita. Non però questo cessa d 'esser in ogni modo il caso di limite, la meta d'ogni rettorica : e allora vedo la rettorica - ma non vedo i retori . Infatti è questo il caso del silenzio o meglio dell'infinita oscura voce delle infinite determinazioni in ogni punto del tempo e dello spazio : la personalità del retore ( la sua previsione, il suo interesse ) è ridotta .

. . .

202

al punto. Parlano i fatti - come non possono a meno di parlare dappoiché ò 7t!I'V"t"oi:oç &�t.oç �!oç 90 è un fatto. E la via per questo possesso : Questa conoscenza della infinita materialità delle relazioni anno­ data e determinata in ogni caso particolare - la rettorica non la può dare se non voglia correr l'infinita via dei casi particolari , che an­ che ammessa nel caso di limite perfetta, sarebbe inutile come quella che per il qualunque discepolo sarebbe priva dei segni di riconosci­ mento . Di fronte al caso speciale come vi riconoscerebbe uno il tal caso della sua infinita rettorica ? Aristotele stesso lo dice : OVOEl-1-�!I "t"ÉX'Vl} trX07tEL "t"Ò X!Ii)-' �XIltr"t"0\1 . . . 't" Ò X !I i)-' � X !I tr 't" O \1 a 7t E L ­

p o 'V X !I t o v x È 7t t tr "t" l} "t" 6 \l ( A 2 . 1 3 56 b 2 8 ) .91 L'astrazione di singole relazioni e l'assunzione in quel riguardo di quanti piu possibile casi particolari è cosa delle scienze partico­ lari .92 E se anche volessimo a scopi retorici far passare al nostro di­ scepolo il tirocinio di tutte le scienze finite nell'infinito , ma non gli potremo mai comunicare il criterio dell'opportunità di fronte al « qualunque caso », se già egli n o n l ' a h h i a n e 1 1 a v i s t a c h e v e d e v i c i n e l e c o s e l o n t a n e ( e allora non avrebbe bisogno di noi) . Quando non glielo possiamo comunicare, bisogna c h ' e g l i s i t r o v i a p o s s e d e r l o : bisogna ch'egli s i t r o v i ad aver v i c i n e l e c o s e delle quali a h h i a a v o l e r p a r l a r e : che sia loro materialmente vicino. Bisogna ch 'egli sia o p p o r ­ t u n o fra cose o p p o r t u n e come ogni altra semente nella sua regione. Poiché ogni semente possiede gli argomenti e i luoghi per per­ suader alla sua terra la necessità di dare ad essa il giusto nutrimento, al suo sole di darle la giusta luce e il giusto calore, alla sua piog­ gia d'annaffiarla nel giusto tempo e nella giusta misura, a quel vento o a quegli insetti di diffondere il suo polline . . . e « tutte queste cose ». Ché se la terra fosse un'altra terra, se altro sole, altro vento, altri insetti rifiutassero quella loro opera a quella semente, né la se­ mente anche lo chiederebbe ; ma, altra semente essendo, altre cose chiederebbe che dalle condizioni le fosse concesso di chiedere e d'impetrare . Cosi non c'è mica bisogno, che l'ateniese persuada i cinesi o il cinese gli ateniesi ; ma parli l'ateniese ai suoi ateniesi atticamente delle ulive, e il cinese in cinese ai suoi cinesi dei mandarini ! Quanto piu l'ateniese sarà buon ateniese, tanto piu potrà par-

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lare agli ateniesi in modo vicino. Né si darà il caso che un ateniese del tempo di Salone abbia a parlare a un ateniese dei tempi felici che videro Aristotele , se non nell 'Ade, dove pare che l'onda del Lete faccia dimenticare a ognuno, fra le altre cose, anche la sua ret­ torica , sicché un mandarino si possa scambiar con un arconte . Ma per la provvida cura degli dei 1tpoUmipxe:L h&.cr't� ò crViJ..q> U'toç a.i.wv.93 E due concittadini ( che quando parlino insieme, saranno dun­ que anche contemporanei ) parleranno sempre cosi che la parola del­ l'uno si trovi ad essere familiare e bene accetta all'orecchio dell'altro e viceversa - sempre che siano ambedue cittadini camme il faut : che abbiano sulle pareti delle loro case le rappresentazioni delle bat­ taglie vittoriose di Maratona e Salamina, e negli atri i busti gloriosi di Milziade e di Temistocle, e in petto gli stessi concetti e gli stessi giudizi, detti con le stesse parole, succhiati in prima col latte materno, confermati poi e consolidati dalla scuola e dalla vita alla stessa rettorica di preconcetti e di pre­ g i u d i z i . Infatti dice il filosofo : « Q u e s t a è l a r a g i o n e per cui piu persuasivi parlano alla folla i s e m p l i c i c h e g l i ' s t u d i a t i ' , come anche dicono i poeti che gli uomini della folla parlano alla folla con piu opportuna abilità ; poiché mentre quelli parlano per luoghi comuni e genera­ lità, questi dicono quello che sanno, cioè cose sempre vicine al caso (i. e. i luoghi comuni speciali, opportuni ) » .94 - Ma questo possesso è ancora un possesso morto, una possi­ bilità non un atto ; - direbbe forse qualcuno in linguaggio aristo­ telico. Un medico, che è pagato per ridonar la salute, è tutto lui « vo­ lontà della salute altrui >> : egli ha preso la persona della salute dei corpi, la quale per diversi che siano i corpi nei loro diversi males­ seri è sempre u n a . E ogni corpo malato gli si presenti è suo interesse renderlo sano. Ma il buon cittadino che conosce i modi familiari e bene accetti agli altri, che interesse ha ad usarne, che interesse a proporre una cosa che faccia piacere a quello, cosi ch'esse siano sempre bene ac­ cette ? Queste cose che fanno piacere , come non sono della salute di quello cui fanno piacere, ma della sua illusione eventuale, hanno scopi ogni volta diversi, quanto diverse ogni volta le illusioni delle persone . Sicché l'interesse d'ognuno di questi scopi vive in ognuno, che per quest 'interesse appunto è fatto quella tal persona ; ma non possono vivere tutti questi interessi speciali e diversi e anche con-

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trari in una persona, che non sarebbe una persona ma il caos delle persone, la negazione dell'interesse nella negazione della persona : che in un tempo vorrebbe il piu e il meno, il caldo e il freddo ecc. Ma bisogna che l ' u n o abbia il s u o u t i l e appunto nel compiersi delle illusioni d e I l ' a l t r o , che cercando pur l 'effet­ tuarsi delle p r o p r i e illusioni riesca e g l i s t e s s o u t i l e a g l i a l t r i .95 Non avrà egli allora conoscenza morta dei luoghi comuni opportuni, ma la sua vita sarà un luogo comune : At.ò O E� E1tEcri}cx.t. 'téi) çu'Véi) 96 ( Eraclito). Nella c o m u n e 1 1 a i d e a l e ( xot.'\IW'\ILCX. xcx.xw'\1 ) 97 fiorisce al­ lora il cittadino cosf come ogni pianta nella sua regione. Nel punto eh' egli cosi vuole, g l i è g i à d a t o d i o t t e n e r e , p e r ché altrimenti egli non vorrebbe cosf, ma al­ trimenti . Egli h a quello che vuole , perché n on v u o l e c h e q u e 1 1 o c h e g l i è d a t o . La sua volontà di continuare è parte integrante dell'altrui continuazione : txcx.cr'toç yà:p XOL'VWq>EÀ.wç yt.À.o\j;uxe�.98 Sicché ognuno vive wç Ì.OLCX.'\1 EXW'\1 q>p6'\l'l')O"t.'\l 99 (Eraclito ) : consiglia, propone, comanda e vince ; ma in ciò appunto egli h a g i à o b b e d i t o . Ma dove la comunella non è giunta a questo punto ideale, meta dei sogni dei filantropi, dove l'illusione dell'uno non ha in tutto già obbedito alla convenienza delle altrui illusioni , la sua fondamen­ tale ignoranza inimica dell'altrui vita deve apparire in un qualche suo bisogno non, come gli altri, esaudito prima che espresso. E se questo bisogno prenda la forma di consiglio, proposta, comando : si vesta di parole per venir soddisfatto, allora apparirà la miseria del singolo come d'una pianta cui sia tolta la terra di sotto, che con le radici in aria cercherebbe invano coi suoi consueti argomenti ot­ tenere il nutrimento necessario . Cosi egli farà palesemente impeto verso il suo punto (che agli altri, ai quali egli parli, sarà dannoso o almeno indifferente ) e afferrerà a caso tutte le consuete, convenute espressioni del buono e del bello per chiamar quella cosa che egli vuoi ottenere, o addirittura s'affannerà a esortare, a spingere, a pre­ gare senza ragioni, ma solo facendo leva del proprio desiderio che la cosa avvenga ( come Critone quando vuoi far fuggir Socrate, esau­ riti i suoi argomenti : 'AÀ.À.à: 7tCX.'V'tÌ. 'tp6m�, w l:w x p cx.'t"Eç , 1tELDou !J.Ot. xcx.ì. !J.'l') Ocx.(.llil ç &À.À.wç 7tOLEL ) . 100 Come il maldestro che vuoi smuo­ ver una pietra, che ignaro della volontà di questa, non s 'adoperi con cunei, con leve, con rulli sottoposti a creare l 'equilibrio instabile e farsene dominatore, ma pur la spinge facendo impeto con tutto il

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suo corpo - e n o n r i e s c e a s m u o v e r l a . - Cosi l'altro sospinto con questa brutalità, intende che la cosa, che l'altro vuole, è tanto poco buona in sé da aver bisogno di tutte le frasi conve­ nute della bontà ( che egli, pel non coincidere del suo interesse con quello dell'altro, riconosce per tali), e che l'altro a sua volta è tanto poco sicuro della riuscita da dover metter in pegno la propria per­ sona, e s'accerta che quella cosa è per lui del tutto cattiva, e che dovrebbe compierla sacrificandosi solo per compiacere all'altro ; cosi che se anche prima forse la avrebbe fatta, come a lui ignota e in­ differente, ora ha una certa ragione per non farla. La rettorica dunque persuade solo in quanto ha già obbedito :

f)

P 'l') 't' o p r. x f)

1t d i h r.

ti

1t d � E 't' a r.. 1 01

E questa rettorica non s 'esercita solo nelle orazioni, ma in ogni parola che si scambia utile alla propria vita che se voglia esser effi­ cace deve giocar coi valori che 1tpoì.imX.pxouo-w, ma negli atti che se non abbiano a riuscire inutili o perniciosi devono muoversi nella direzione e coi mezzi prestabiliti, ma nella stessa inerzia che se non riposa sulla sicurezza delle istituzioni convenute contiene in sé la vendetta . Il possesso della rettorica - la rettorica opportuna fatta di luo­ ghi comuni speciali - s 'organizza in ogni singolo per l'informarsi dei suoi interessi agli interessi degli altri : onde chieda la sua vita ciò che è dato secondo le possibilità della XOL'VW'VLtx., XtX.'t'à. 't'Ò 1tpoU1tcXPXO'V tj�oç, e sia il singolo È'V't'EÀ.EX1Jç nell' li�r.oç �toç dove egli 't'UYXcX'VEL yeyo'VWç-: 102 opportuno fra cose opportune, vicino a ciò che egli vuole a sé vicino e cui la vicinanza della sua volontà è ne­ cessaria. Il possesso della rettorica è l'esser posseduto dalla retto­ rica della xoww'Vla: esser parte materiale di questa. E c o m e q u e s t a 1t p o \J � ci p x E r. o g n i v o l t a , o g n i v o l t a 1t p o U 1t ci p x E r. 103 n e l l ' i n d i v i d u o l a r e t t o r i c a : l a rettorica è un fatto . Se per dar la 1tEr.�w l'arte rettorica è impotente come quella che non può dar la vicinanza delle cose lontane, per dar la rettorica essa è vana del tutto, che non la può generare come non può creare il tempo, il luogo, il nascimento. Ma di fronte al fatto dell'azione d'un uomo sull'altro - avvenga esso per l 'individualità trascendente di quello o per l'ingranaggio degli interessi : per creazione della vicinanza o per la vicinanza ma­ teriale ( preesistente, contingente) - se niente può l'arte rettorica; può, sotto il nome d'arte, la � E w p l a tutto quello che a propo-

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sito di tutti gli altri fatti : raccogliere 'tà. tntcipxov'tcx. 104 che ap­ paiono all'occhio vicino, le apparenze ( cause) concomitanti , e affer­ mar d'aver dato ragione di quelli quando ha classificato queste. L'assunto d'un'arte della persuasione di « c o m u n i c a r e a l ­ t r u i l a f o r z a d e I l a p e r s u a s i o n e » , che coincide con l'assunto di c o m u n i c a r e l a p e r s u a s i o n e , di creare la vicinanza delle cose lontane : è anch'esso ridotto come gli altri as­ sunti « filosofici » a trar le linee vicine dell'apparenza dei fatti. Come per dar la dialettica egli non cerca di dar nella vista piu lontana il criterio per la miopia delle altrui opinioni, ma le opi­ nioni enunciate prendendo come fatti, trae dalla raccolta delle loro relazioni apparenti ( xcx.1MÀ.ou Ù7t6À. l')�Lç) 105 gli schemi, gl'ingegni della topica, e c r e a la teoria delle opinioni enunciate : cosi per dar la forza della persuasione egli non comunica la persuasione, ma le manifestazioni del persuadere prendendo come fatti, egli raccoglie e classifica le apparenze dei singoli casi di persuasione : où 'tÒ 7tE�o-cu

epyov cx.1hfjç ( 'tfjç pl')'tOpLXfjç ) , ciÀ.À.à. 'tÒ �odv 'tà. Ù7tciPXOV'tCX. 7tL1Jcx.vci. 106 Poiché sta il fatto che un uomo muove un altro colla sua pa­ rola, 'tTJV cx.�'t l.cx.v ÉvOÉXE'tCX.t. 11e:wpdv : ci è dato 1Je:wpe:�v la ragio­ ne. 107 La ragione del fatto è l'individualità trascendente di chi parla; 1Je:wpe:�v questa vorrebbe dire comunicar la persuasione. Ma Aristo­ tele intende : poiché sta il fatto che uno apparisce trascinato dalla parola dell'altro, v u o l d i r e c h e c i s a r à l a s u a c a u s a o g n i v o l t a ; e poiché ogni apparenza d'ogni singolo caso è parte della causa ( ché il caso altrimenti non sarebbe quello ma un altro), queste apparenze sono 'tp67toV 't t.v ci 108 cause : sicché è dato considerare, raccogliere, classificare questi d a t i che appariscono in ogni fatto . La rettorica ha la sua materia nelle condizioni dei fatti di per­ suasione avvenuti : 1) pl')'tOpt.xT} Éx 'tWV f}Òl') {3ouÀ.e:ue:o-11cx.t. e:lw116'twv ( o-uÀ.À.oy!�e:'tcx.t. ) . 109 Essa fa la teoria di ciò che 7tpOU7tfjpxe:v nei fatti del passato, e questo chiamando 'tà. Ù7tcipxov'tcx. 7tt.lJcx.vci 110 pel fu­ turo presume di dar la ragione della persuasione . Cosi il fatto della persuasione si scinde nella nella infinita mate­ rialità, poiché l'anima della persuasione - la persona trascendente di chi persuade - è ignota alla corta vista della 11e:wpl.cx.. Quei d a t i appartennero nei singoli casi alla persuasione solo in quanto dominati ( vergeistigt ) dall'oratore ; nella persona di que­ sto sta la possibilità di dominare anche altri dati in qualsiasi altro

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caso, i quali per sé sono sempre oscuri e impotenti. Mentre quella è sempre costante, questi sono sempre diversi a seconda della situa­ zione : dell'uditorio. Il criterio della persuasione sta nella conoscenza di ciò che gli uomini vogliono, senza saperlo, che saziando la volontà trascende le illusioni individuali - e il criterio della teoria classificativa delle orazioni sono appunto queste illusioni individuali : la conoscenza di ciò che questo e quello vuole. E questa conoscenza è l'enumerazione arbitrariamente finita degli infiniti modi come gli uomini si fingono la felicità, il bene, il male ecc . , e le manifestazioni delle loro passioni, delle loro virtu, dei loro caratteri , come distintamente appariscono e sono detti nella vita vi­ cina ( non definiti per ciò ch'essi significano per l'individuo ) : "t'Ò wç

É1tì.

... ò

'ltoÀ.u .U'

La rettorica è cosi il registro di ciò che gli uomini dicono per lo piu di desiderare, delle cose che per lo piu si dicono virtu e pas­ sioni ecc . , poi delle sentenze che per lo piu si ripetono, degli artifici che per lo piu sono stati applicati ecc . : tutti i frammenti della vita, la materialità delle relazioni, ordinate via via in riguardo all'una o l'altra parola ( bene, male, virtu ecc . ) come i vetri colorati in un caleidoscopio. Ma in realtà sono i rottami del naufragio della filosofia. Se c'è un dio per la xowwvia. xa.xwv,112 egli ha ben scelto Ari­ stotele quale suo istrumento. Il filosofo credeva scrivendo la retto­ rica di far un manuale che rappresentasse il meglio delle sue lezioni parlate di rettorica, come queste gli erano certo il meglio di quanto s 'era mai fatto in questa 1tPtx.'Yf.ltx."t'Eia.. 113 E invece della sua autorità di filosofo e r e d e e volgarizzatore 114 della grande vita filosofica della Grecia il dio s 'è servito per affermare la via fatta e anticipare la via del futuro : la rettorica attuata nella vita. Perché ognuno abbia la sicurezza della vita senza avere in sé alcuna forza di questa sicurezza ma per la convenzione, perché l'iner­ zia d'ognuno agisca sugli altri per la necessità delle correlazioni cosi che ognuno abbia l'illusione dell 'attività razionale, perché l'indivi­ dualità sciolta nelle relazioni abbia l'apparenza delle individualità piu forti , il dio congiunge in lega i m i n i m i b i s o g n i e l a v i t a d i q u e s t i s o s t i t u i s c e a I l a v i t a d e I l ' u o m o . Cosi ognuno credendo viver la propria vita muova gli altri e sia dagli altri mosso e abbia certa la via per vivere fra gli altri . Sognarono già un « valore » e una via sicura per ognuno , una 208

sapienza della propria vita, che agli altri si potesse comunicare, che fosse valida a muovere il cuore d'ognuno : perché l 'uomo potesse aver quello che in tanti modi illuso chiede e non ha, e gli altri a questa stessa via portando identici a sé insieme pel comune amore giungere al bene . Quelli erano illusi. - Il fine è nella vita d'ognuno, perché pur viva, e il bene nella possibilità di questa. Cosi la necessità stessa guidò gli uomini per la via del bene at­ traverso i loro tanti tentativi. E se per questa, pur via procedendo, essi siano ancora l'uno all'altro un accidente, ma sempre piu il vo­ cabolario della virtu e del bene e di tutte quelle altre parole che quegli illusi fantasticarono, per il parlare, per il predicare, per l'in­ segnare e lo scrivere vieppiu s 'arricchisce. E va lode ad Aristotele, che primo questo vocabolario con infinita pazienza dalle parole degli uomini raccogliendo compilò, e - se pur con le tante eccezioni e imperfezioni quali inerenti all'ancora imperfetto metodo dell' wç È'ltÌ. "tÒ 'ltOÀ.u 11 5 costitui il primo codice della sapienza della vita, e le sue prime conquiste rese ti'ltEpL"tpO'ltOt.. 116 Per questo infatti egli fu il primo motore a tutte le altre codi­ ficazioni nei secoli che seguirono, a quelle che ora con sempre mag­ gior &.xpl�Et.tX 117 gli studi statistici compiono a maggior gloria della sufficienza inerte e timorosa . -

209

NO T E *

* Quando si è reso necessario, si è intercalata la traduzione di passi o cita­ zioni greche all'interno delle note dell'Autore (N.d.A. ). In tal caso ogni tra­ duzione è inserita tra parentesi quadre.

CAPITOLO I

PARTE I

l ( DIEL S , 1 15, 9-12 ) : « Perché la possa dell'etere li tuffa nel mare, l il mare sulla terra li sputa, la terra nelle vampe l del sole fulgente, che li lancia Fmvortici dell'etere; l l'uno dall'altro li accoglie e tutti li odiano » ( trad. Bignone). Michelstaedter cita i presocratici secondo il testo del Mullach. EMPEDOCLE di Agrigento, nato verso il 492 a. C., espose in versi la sua dottrina filosofica. Con­ serviamo numerosi frammenti di due poemi, Sulla Natura e Purificazioni. Per Empedocle il divenire della realtà, la nascita e la morte, sono apparenze dovute alla unione e alla separazione di quattro elementi fondamentali - fuoco, ac­ qua, terra, aria - sotto l'impulso di due forze contrarie, la Discordia e l'Amore. Accoglie la dottrina pitagorica della trasmigrazione delle anime (metempsicosi). 2 L'espressione greca è tradotta con le parole immediatamente precedenti nel testo. 3 Qui il verbo greco è usato nel significato che ha nella forma intransitiva: stare, permanere, essere per se stesso. 4 Lo stesso verbo di cui alla nota 3, usato nella forma transitiva significa : essere per altro, aspettare. 5 Sono versi di PARMENIDE di Elea ( DIEL S , 8, 5-6), vissuto nel VI sec. a. C. e fondatore della scuola filosofica nota col nome di Eleatismo. Fu il primo ad esporre in versi (esametri) la propria dottrina. Del suo poema Della natura restano 154 versi. Secondo Parmenide esistono due vie di ricerca, quella della verità, che dà la persuasione, e quella della opinione, opposta alla prima. La verità è l'oggetto del discorso secondo ragione, l'opinione invece si ferma al­ l'apparenza, che è non-essere. L'essere, che è la verità, è uno, immutabile, tutto presente eternamente a se stesso, non conosce né successione né tempo, ed è l'oggetto proprio della filosofia. Primo formulatore del concetto di eternità, Par­ menide è stato considerato da Platone il padre della filosofia. 6 « non può un cieco guidare un altro cieco ». 7 « l'anima nuda nelle isole dei beati ». 8 « cercano la vita e perdono la vita » : IJJux'iJ significa anima sia nel senso di vita animale che di vita dello spirito. -

CAPITOLO II

l (DIELS, 6, 6-9 ) : « Essi si agitano qua e là, muti insieme e ciechi, stupe· fatti, folla senza criterio, per i quali essere e non essere valgono lo stesso e non valgono lo stesso ». 2 « infinito al di là del quale c'è sempre qualcosa », cioè infinito come « non finito ».

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3 « infinito al di fuori del quale non c'è nulla ». 4 « il vile amore per la vita assume mille forme per favorire la vita ».

s « tutto scorre ». È la celebre formula della filosofia eraclitea. 6 « Ebbene, questo chiamano vita » (dr. DIELS, Empedocle, 15, 2). 7 >] (N.d.A. ). 86 « come se avessero un criterio individuale >>. 87 « adulazione >> . 88 « educazione corruttrice ». 89 « né occuparsi di nessuna delle sue cose, prima che uno si sia presa cura di se stesso, affinché divenga quanto piu è possibile buono e saggio, né degli affari della città, prima che della città stessa, e nello stesso modo occu­ parsi delle altre cose » . 90 « meraviglia a vedersi » . 91 I l gelso è u n bell'albero diritto alto, m a nelle mani dell'uomo i gelsi sono poveri nani mutilati. Ogni anno non appena con instancabile speranza hanno messo nuovi germogli, che già sono nudi e neri : un brivido invernale in mezzo alla campagna primaverile. Perché i bachi da seta hanno fame, e l'uomo si tien cari i suoi produttori di seta - fintanto che gli abbiano fatto la seta . Poi uccide anche quelli per aver i bozzoli intatti (N.d.A. ). 92 I l servizio che in modo analogo l'uomo fa ai vitelli, agli agnelli, ai polli, ai puledri, per farsene piu buone macchine da lavoro, o piu buoni produttori di carne - è noto a ognuno. Che la stessa cosa fa l'educazione disonesta della società coi giovani uomini, è vicino, credo, e manifesto ad ogni occhio. È per­ ciò che le donne del nostro tempo sono povere, miserabili, mendiche in para­ gone alle donne d'altri tempi. Perciò anch'esse fanno il possibile per diven­ tare « neutre » ( N.d.A.). 93 « Abbellimenti ». PARTE III

APPENDICE I l Le prime tre di queste appendici critiche furono scritte dall'Autore tra il settembre e l'ottobre del 1910; le ultime, circa sei mesi prima. 2 Dire una cosa è indicare un fatto, non un nome senza attributo o un attributo senza nome : ogni xa.-.nyopLa. è xa.-.nyopLa. �-.EpOLWO"EW�, non hE­ pot6't'1}"'t"O�. [« categoria di mutazione, non di diversità »] . Se io dico :« questo », non dico niente, dicendo soltanto un « diverso »; ma se dico « questo è », indico un fatto, in ciò che indico una m u t a z i o n e . « È » è diverso di « diventa », « si muta », ecc.; non il contrario di « non è », poiché il « non è » non è concepibile che come un « distruggersi » o « essersi distrutto » - dunque (.l.aì..' a.VDL� [ « a maggior ragione » ] come mutazione. Attribuire questo « è » al « questo », è indicare una negazione (privazione) di mutazione. Lo stesso ragionamento naturalmente - e con maggiore facilità - per le relazioni par­ ticolari : p. es. « è qui » non è il contrario di « non è qui >> ma il diverso; « mangia » non è il contrario, ma il diverso di « non mangia ». La c o s c i e n ­ z a non è che coscienza di m u t a z i o n i (o di movimento : tempo - spazio - relatività). Senza mutazione non v'è coscienza. Ab b i a m o c o s c i e n z a della stabilità, solo come diversa dalla mutazione (N.d.A. ). 3 1-1-iJ�wç- -!topu�W(.l.E'ita. [ « Non in qualche modo... »] il tempo passato è pas­ sato in ciò che si riferisce al presente dell'intenzione; la determinazione del­ l'intenzione è dunque sempre attuale ( N.d.A. ) . 4 ylyvecr-!ta.t oùx o!6v 't' E 't'Ò àouva.""t"0'\1 yevicrtla.t. ARIST., Metaph .,

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B 4. 999 h 1 1 {N.d.A.) [ «È impossibile che divenga ciò che non è possibile che sia divenuto �> ] . s Onde l'uso del cosidetto « aoristo gnomico » i n greco per l'indicazione di relazioni alle quali si vuole attribuire valore in sé, indipendente dal tempo per tutti i tempi (quelle che cosi curiosamente si dicono « verità generali ») ( N.d.A. ). 6 Il verbo « essere » non ha « aoristo » ( intendo che il suo « remoto » non ha il significato dell'« aoristo » greco) perché, se deve significare non una rela­ zione particolare ma l'essere sostanziale fuori del tempo (non « questo è qui » ma « questo è » : [cr·n, non l'enclitica), non può stare che nel presente, perché esso è il verbo appunto che significa la sostanzialità. In italiano « fu » = « non è ». In greco difatti l'aoristo di ELVa� [ « essere » ] non esiste (N.d.A. ) . 7 Cosi come ognuno d i noi è impotente nella realtà riguardo al postulato dell'assoluta potenza (N.d.A.). 8 Gli inglesi fanno il futuro con shall e will (N.d.A.). 9 Molto chiaro questo nel cosi detto consecutivo : 1° (diretto }: xpauy/)v 1tOÀ­ ).Tjv �1to�ow, wcr'T:E xa.L ot 1tOM[-L�OL i)xouov : 2o (congiunto): xpauynv 1tOÀ­

).Tjv �1toiow, WCT'T:E xaL 'toùç 1tOÀE[-L�ouç axovEw = oìlìa ll't� 't'o�cxu't'T) 'T:�ç xpcxuy-i) ota.v �1t0LOW, acp' oftEV ot 1tOÀÉ[-L�O� 't6't'E -i'jcrcxv , 'IÌXOUO'CX't'O. Personi­ ficato in: ot6ç 'tE Elp;l ( opciv) (N.d.A. ). [ « l" (diretto) : fecero molto clamore, ché anche i nemici l'udirono; 2" (congiunto) : fecero molto rumore in modo che udissero anche i nemici = so che un siffatto clamore quale essi fecero, si senti anche dal luogo ove i nemici stavano. Personificato in : in quel modo che son io ( a fare) ».] to L'italiano e il greco estendono in modo diretto anche a quelle relazioni le quali, espresse anche soltanto come « congiunte �> a una relazione diretta, siano da questa stessa intese come reali. I l f u o c o d e 1 1 ' a t t e n z i o n e è a n c o r a u n a v o l t a a t t u a l e (vedi il presente storico, l'uso dell'ao­ risto). Per es. : « tu sai che il cavallo corre - o!crila. II'T:L b L1t1tOç 'T:PÉXEt ». Nel « sai » è contenuta l'indicazione che la realtà congiunta non è realtà solo pel soggetto « tu », ma è reale, buona per ogni soggetto : perciò il Soggetto riaffaccia i suoi diritti e se la prende come realtà diretta. - Il latino invece rimane freddo al significato di scis, e considera il suo oggetto come un oggetto buono soltanto per il « tu », come realtà congiunta che, finché tale sia, non può far da diretta (o siamo plebei o siamo patrizi ) : scis equum currere. Oppure, « tu vedi che questo è ». Nel « vedi » è manifesta l'intenzione del Soggetto di dar la cosa come reale; oppure : oblitus es quid initio dixerim ÉmÀÉÀT)O'CXL tt Xct't'' apx!kç EL'!tOV - (( hai scordato ciò ch'io dissi da principio ». ( Il « latino » adopera il modo congiunto coll'attrazione ea quae [ dixi] in quid [ dixerim ] : dimostrativo e relativo definito nel relativo indefinito. Il « gre­ co » il modo diretto pur facendo l'attrazione, ma questa del dimostrativo e re­ lativo (ÉXELVOC a) ( « quelle cose che »] nel relativo definito (a) [ « che » : pron. relat. neutro plurale] . L'« italiano » il modo diretto senza attrazione (e questo per una certa quale paura rispettosa dell'uso latino): esso finisce la proposi­ zione diretta mettendo per oggetto il dimostrativo, e considera la proposizione relativa come apposizione enarrativa di questo al posto d'un sostantivo e ag­ gettivo : per esempio « le mie prime parole » cavillo che il latino permette. Del resto esso è capace di farsi indipendente con un « hai scordato quanto dissi da principio », avvicinandosi al greco ). L'italiano e il greco possono far questo in grazia di quel « d a p r i n c i p i o » che indica le cose dette come reali ; e lo possono, anche senza questo, ogni qualvolta l'intenzione del Soggetto le dia come tali, cioè non esistenti (sapute, scordate, ecc.) solo congiuntamente nel soggetto ma anche nelle realtà diretta. ( N.d.A. ) . I l Nello specchio vedo m e fra l e cose (N.d.A.) . -

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APPENDICE II 1 L'espressione greca è tradotta con le parole immediatamente precedenti nel testo. 2 L'A. introduce, con queste parole, alla sua interpretazione di Platone: il quale si sarebbe allontanato dall'insegnamento socratico proprio col distinguere tra la definizione dell'essenza (che è la trasposizione intellettualistica della do­ manda socratica LÉCTtl.'ll't'Er; xa.1. XPU­ CTÒ'\1 7tEp�i}É'\I't'Er; 7t p Ò r; 'lÌ O O 'Il 'Ìj 'Il É p 'Y a !; E C1 i} a. � XEÀ.EUEW 't''Ìj'\1 -yijv, xa.L 't'OÙr; XEpa.p.Éa.r; Xfl.'t'fl.XÀL'IIfl.'ll't' Er; ÉmoÉ!;�a. 7tpÒr; 't'Ò 7tVp o�a.7t�'II O'\I't'ar; 't'E xa.L EUWXOU(J.Évour;, 't'ÒV 't'poxòv 1Ca.pa.i}q�.Évour;, o CT o v d v É 1C � i} u (J. w cr L x e ­ p a. p. E u E � v . . . oil't'E ò yEwpyòr; yEwpyòr; �CT't'a.� oil't'e ò xepa.(J.Eùr; xepa.(J.Eur; ( 420 d - 42 1 a). [ « Si, ben sappiamo rivestire i contadini di begli abiti e circon­

darli d'oro, e chiamarli a lavorare la terra per diletto, sappiamo anche far cori­ care al primo posto, vicino al fuoco, i pentolai per bere a gara insieme e goz­ zovigliare, portando loro accanto gli strumenti del lavoro . . . ma cosi il contadino non sarà piu contadino, né il pentolaio, pentolaio ».] Dunque il contadino non lavora per lavorare, per la gioia presente del lavoro, ma per aver lavorato, per aver il premio del suo lavoro. Il lavoro gli è una oscura fatica, che ha il solo senso « necessario per poter mangiare e bere in sicurezza ». Che se questo egli potesse avere senza lavorare, non lavorerebbe piu. S'egli potesse vender l'aria invece che i prodotti della sua fatica, sarebbe contento. È p e r l ' a p p a ­ r e n z a d' aver lavorato ch' egli lavora e si mantiene al suo posto. (N.d.A. ) 1o « mercede ». 1 1 « secondo le sue forze ». 1 2 « opinione >> . 13 Cfr. nota 5, qui.

14 "l i}� OlJ, Tjv o ' Éy w, 't'� )...éy� É !;, apxfir; 1CO�W(J.ev 7t6Àtv, 1CO LlJ CTn OÈ fl.U 't'lJ'II , wr; EO�XEV, 'lÌ 'lÌ (J. e 't' É p a. x p E � a. ( 369 c). ( N.d.A. ) [ (( Orbene, dissi,

col nostro discorso mettiamo assieme uno stato sin dal suo primo sorgere, ed esso sorgerà s e c o n d o i l n o s t r o h i s o g n o » ] . 1 5 « e noi subito a . . . » . 16 « un qualche ordigno », « un qualche meccanismo ». 17 « farsi giusta ». 18 « artefici ». 19 « custodi », « guerrieri ». 20 « anima nuda ». 21 « che basta a se stesso », « autosufficiente ». 22 « Imitazione ». 23 Non altrimenti e non per altra cura Tolstoi se la prende colla Sonata a Kreutzer. Perdio, « s' i' fosse 'mperator, sa' che farei? ». La farei suonare p e r l e g g e in tutti gli uffizi, in tutte le scuole, per tutte le piazze, in tutti i pubblici ritrovi, finché all'anima piu pallida e piu implicata giungesse un raggio di sole, si che per la prima volta levando la faccia al cielo e aprendo gli occhi arrossati, con tremito ignoto si dicesse: « ma se son vivo bisogna ben la viva la vita anche un solo istante »; finché per l'aria si sentisse come un fruscio di uccelli liberati. ( N.d.A. ) 24 « parvenza di sapienza ». 25 « assolutamente ». 26 Cfr. [ Rsp.,] 395 c (N.d.A. ). [ « fin dalla fanciullezza, imitare gli atti a .:iascuno convenienti » ] . 'ZT « custode » , « guerriero » .

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28 « principe ». 29 III c. 21 (414 b e sgg.). (N.d.A. ) 30 « uomo d'affari ». 3 1 387 c (N.d.A. ). [ « . . . ma, quanto ai guardiani, noi staremo in appren­ sione . . . ».] 32 396 b (N.d.A. ). [« cavalli nitrenti o tori muggenti o fiumi scroscianti o mari fragorosi o tuoni o ogni altro rumore simile ».] 33 Cfr. 398 b ( N.d.A. ). [ « il quale imiti il modo di parlare proprio delle persone decorose e parli conformemente a quei modelli che per legge abbiamo posti in principio. ]

34 4 1 3 a, b , c (N.d.A. ).

35 424 a (N.d.A. ). [ « del resto ... la costituzione dello stato, se è ben posta

all'inizio, segue un processo circolare di accrescimento >) . ] 36 427 e ( N.d.A. ). [ « credo che i l nostro stato possa esser ottimo, s e è ret­ tamente fondato ... è chiaro infatti che esso è sapiente, e coraggioso, e tempe­ rante e giusto >), ] 37 Phaed. , 99 b (N.d.A. ). [ « altro è l a causa i n senso proprio, altro è ciò senza di cui la causa non può esser tale >). ] 38 Tim. 6 8 e (N.d.A. ). [ « L'artefice, di quanto di piu bello e di piu buono esiste, prese tutte queste cose, cosi fatte per necessità, da ciò che ha nascimento, allorché generò il dio autosufficiente e perfettissimo, servendosi di esse come di cause ausiliarie, operando però egli stesso bene in tutte le cose che hanno nasci­ mento. Bisogna dunque distinguere due generi di cause, quella necessaria e quella divina, e quest'ultima bisogna ricercarla in ogni cosa per vivere una vita felice, nella misura in cui è possibile alla natura umana, mentre la causa necessaria deve essere cercata grazie a quella divina, pensando che quella senza questa, di cui ci occupiamo, è impossibile intenderla o possederla o parteciparne >). Timeo, 68 e - 69 a] . 39 « necessità >). 40 « causa >). 41 « bisogno », ), 49 Apol. 29 a (N.d.A. }. [ « infatti, temere la morte altro non è che sembrar sapienti senza esserlo » . ] 50 « causa )). 51 « il suo bene soffre di attaccamento alla vita >). 52 « piviere », « uccel di borro >). 53 Cfr. Gorgia, 494 b ( N.d.A. ). [ « in uno scorrere continuo e pieno » . ] 54 ouxovv livliyx1J y ' , liv 1tOÀ.Ù ÉmppÉll, 1tOÀ.Ù xcx.t -tò amòv EL\It:X.L ( Gor­ gia, 494 b). (N.d.A. ) [« Non è inevitabile che, se molto scorre fluendo, molto anche si perda . . . ? ». ] 55 « all'umana brama di vivere che sempre s i guarda attorno avida, i n cerca di qualche nuovo strumento » . 56 « secondo la necessità >) . 57 « secondo ciò che è divino », « alla maniera di Dio ». 58 Rsp. 428 c-d : ÉmCT't'T}I.J..1j , . . q>UÀ.t:X.XLXTJ . n . . . \mÈp OÀ.1jç 1t6À.Ewç. . . � ou­ .

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À.EVE'tt:X.L, 0\/'t'L\It:X. -tp61tO\I t:X.tl't'll 'tE 1tpÒç cx.\rd]\1 XtxL 1tpÒç 't'!Ìç" riÀ.À.cx.ç 1t6À.ELç" ripLCT'tt:X. Ò(.I.LÀ.OL.

229

429 a : ò). ly �cr -r o v ylyvE-ra.L yévoç, iiJ 7tpo cr1']x E � -ra.u -rl)ç -rljç Èm cr-r 'I'J!J.l)ç IJ.E"tO:À.a.yxlivEW, iìv 1\lLI\911 OEi -rwv aÀ.À.WV ÈmCT'rl}IJ.WV cro cp la.v x a.À.Ei cri}a. � . 428 d : o �à -ra.u-rl)V oùv -ri)v ÈTI�cr-r'I'Jp.lJV -rl. -ri)v 7tÒÀ.LV 7tpocra.yopEUELç; Eu�ovÀ.ov - Eq>l) - x a.t -rl) - Ei.ç fi.).).o 'r L . Ou y!Ip OLjJ.CJ.L - d7tOV - OL YE aÀ.À.OL ÈV a.u-rfi f) O E �À.ot iì &.v o pEio � ov-rEç xup�OL &v EiEv f1 "tola.v a.u-ri)v El:va.L f) -r o la.v . - Ou yap . - Ka.t &.vopEla. &pa. TioÀ.Lç 1J. É p E L -r L v t È a.v "t ij ç Ècr-rl, oLà. -rò Èv Èxdvcp EXELV ouva.p.w -roLa.U"tl)V, f.l OL!Ì. 7t CJ.V -r Ò ç CTWCTEL "t'Ì)V m:pt -rwv o�wwv o6�a.v, -ra.u-rti 'tE a.u-rà. ELVCJ.L xa.t 'rOL(J.U't"CJ., ti 'tE x a.t ora. ò VO!J.OM-rl)ç 7ta.p1']yyELÀ.EV ÈV -rfi 7tCJ.LOEL�. Cfr. anche 430 a-c. (N.d.A. ) [ « colui che chiama vile o valorosa una città, dissi, non pone forse mente solo a quella sua parte che milita o fa la guerra per lei? - Nes­ suno pon mente ad altro. - Credo infatti, dissi, che tutti gli altri che vi si trovino, o vili o coraggiosi che siano, non potrebbero farla in nessun altro modo. - Affatto non lo potrebbero. - Dunque la città, grazie ad una parte di sé, è anche valorosa poiché tale parte ha un potere siffatto che mantiene viva l'opinione di come siano temibili quelle cose che il legislatore insegnò essere tcmib;li, allorché li educò ».] �J « coraggio civile ». 61 « secondo la scienza politica, secondo la saggev:a » . 62 « secondo la saggezza » e « secondo il coraggio » . 63 4 3 1 b : o,) -r ò il!J.ELVov -rou xdpovoç ilpXEL, crr7)rppov xì,l) -cÉov x a.t xpEi-c­ -cov a.ù-rou (N .d.A. ). [ Ei:ç o6�a.L] tiì.).. à. opa.-:tE.'rEUOVCTL\1 Èx -cijç �vxfiç -rou àvi}pw7tOV , WCT'rE où 7tO À.À. O U &�La.i. der L 'J , E w ç il v -r L ç a. u -r à. ç o 1) cr 11 a. t -r l a. ç ). o y L cr lJ. (i) . [ « però ( le opinioni vere) non permangono a lungo, e se ne fuggono dall'animo del­ l'uomo, cosf che non hanno molto significato, tranne nel caso che non si tengan salde col ragionamento per cause ».] (N.d.A. ) . ti6 « zelante » . 6 7 D a giovane Platone avrebbe detto : o u OEL 7tEI.l}Ecrl}a.L ouoa.p.wç - 't"O'II YE &pxov'ta.. [ « a nessun costo, assolutamente, chi comanda, deve esser sotto­ messo » ] ( N.d.A. ). 68 « ispirato ;>. 69 « senno ;>, « ragionevolezza >; . 70 Platone adopera sempre crwcppocruv11 nel senso di Èyxp!Ì"t"ELrl [ « padro­ nanza di sé ;> ] e attribuisce cosf a questo senso il valore di v i r t u che c'è in crw. 99 « bene ». 1 oo Rsp., VIII (N.d.A. ). 101 « lotta ». 102 « far l'apologia », « difendersi ». 103 La « forza » di veder « l'unità attraverso la molteplicità ». 1 04 « dolce è il conoscere ». 105 Fedro, cap. 48-49 (264 e e segg. ) (N.d.A. ). 106 Fedro, 266 b (N.d.A. ). [ « Fedro, io amo queste cose, le suddivisioni e

23 1

le composizioni, per poter parlare e pensare; e se credo altri capace di cogliere l'unità che naturalmente è nella molteplicità, lo seguo ricalcando le sue orme come quelle di un dio. Perciò dò nome di dialettici sin d'ora a chi sia in grado di far ciò, e dio sa se con questo agisco rettamente o meno ».] 107 « arroganza ».

108 Apologia, 29 d : xa.t fwcmEp liv È.!J:ltv É w xa.1. ol6r;- "tE !T>, où p.'ÌJ 'lta.va-wp.a.L q>LÀ.OO"Oq>WV XCX.L Vt.J.i:v 7tCX.pCX.XEÀ.Ev6p.Ev6ç- "tE xa.1. ÈVOELXVVIJ.EVOç" 3't4J dv èat tv -. v yx:livw Vt.J.wv, Mywv ... o-tL w lipLCT"tE livopwv ... cppovt')crEwç oÈ xa.1. liÀ.T)­ i}E � a.r;- xa. 1. 't ijç ljlvx:iir;-, O'ltWç", wr;- � EÀ."t LCT'tT) ECT"t"CX.L, oùx É'ltLp.EÀ.EL OVOÈ cppov­ "t L�ELç". [ « e sinché avrò fiato e vita non desisterò dal filosofare, consigliando

e dando avvertimP.nti a voi e a quelli che incontrerò, sempre, dicendo ( . . . ): o ottimo fra gli uomini ( . . . ) non ti vergogni di non aver cura della sapienza e della verità e dell'anima, quella cura per la quale l'anima diventa quanto pos­ sibile migliore ? »] (N.d.A. ).

109 Apologia, 23 b: où-.or;- ... a-e>. 1 14 Rsp . , 486 a ( N.d.A. ). [Per il « pensiero » del filosofo « ha inizio la magnificenza e la contemplazione della totalità del tempo e della sostanza ».] 1 1 5 R sp. , 486 a, b (N.d.A. ). [ « sembrar gran cosa la vita umana » ; « a una natura vile e ignobile non può legittimamente convenire la vera filosofia ».] 1 16 L 'altro è la matematica (N.d.A. ). [Intende : l'altro settore dell'intelligi­ bile (cfr. nota seguente).] 1 1 7 Rsp. , 511 b. - Cfr. anche Rsp., 532 a; 533 c , d (N.d.A. ). [ « Per quanto concerne l'altro settore dell'intelligibile, io intendo, sappilo, quello che si at­ tinge con la forza dell'argomentare, grazie alla facoltà dialettica, col conside­ rare le ipotesi non quali principi ma ipotesi propriamente, e come scala o punto d'appoggio affinché l'uomo, risalendo al principio di ogni cosa sino a ciò che è posto di là dalle ipotesi, giunto ad esso e attenendovisi e aderendo a ciò che ne consegue. allo stesso modo discenda al termine senza servirsi di alcuna cosa sensibile, ma delle sole idee con e per se stesse, e nelle idee finisca » . ] llll i}Ewpia. 1tCX.'\I"tÒç- 1-1-È'\1 x: p6 v o v , 7tliCTT)ç" OÈ ovcria.r;- (N.d.A. ). [ « contem­ plazione della totalità del tempo e della sostanza » . ] ll 9 « arroganza ».

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12() L' espressione è tradotta con le parole immediatamente seguenti nel testo. 12 1 « l'unità compatta ». 1 22 Parm. , 132 b-e : E'li �X!1CT't6v ÉCT'tt. 't W V 'VOTJ(J.!i.'twv, v6T}(J.!1 oÈ o uo EV 6 ç- ; - a"ì..ì..: aouv!l'tov , Ei.1tEi:v. - a"ì.."ì.. à. 'tw6s-; - v!lt - ov'toç iì oùx ov'tos-; o'V'toç- (N.d.A. ). [Il passo platonico, per esteso, dice: « Ebbene . . . ciascuno di questi pensieri è uno, ma di che ? di nulla? - Impossibile. - Allora, è pen­ siero di qualche cosa? - Certamente. - Ma di qualche cosa che è o di qual­ che cosa che non è? - Di qualche cosa che è ». ] 123 Quello che nel Parmenide è detto dell'« uno », nel Sofista è ripreso ri­ guardo le idee : !;UtL�!ILVEt. o' oùv, w E>E!IhT}'tE, aXLVTJ'tW'V 'tE O'V'tW'V vouv (J.TJOEV� 1tEp� tLTJÒE'VÒç" ELV !lt. (J.TJO!lll O V (Soph. , 249 h) ( N.d.A. }. [« Ne vien dun­ que, o Teeteto, che per le cose senza movimento, per nessuna, in nessun luogo affatto vi è intelletto ? » . ] 124 « intrecciamento », « relazione ». 125 E proprio letteralmente: l'idea del 1tT)À.6ç" [ « fango » ] , l'idea del �{moç [ « sudiciume »] che Socrate è necessitato ad ammettere : vÉo ç yà.p d E'tt. ( Parm., 130 e) [« perché tu sei ancora giovane »] , dice Parmenide a Socrate che esprime la sua repugnanza - e basterebbe questo a rivelare l'età di Pla­ tone, quando compose il dialogo. Infatti ci deve esser tanta polvere degli anni sul conto violentato della propria vita perché uno possa assumere senza sbalzi e senza ribellioni, ma toto corde la persona dell'« oggettività ». Che cosa è piu da ammettere che non da ammettere, quando il criterio non è piu l' ELV!lt. [ « l'essere »] ma l' a1tOÒEt.XVU'V!1L [ « l'essere nominato »] , l' a1t o cptiV !1L [ « il mostrare »] quale CTU(J.1t À.oxi) può non esser concessa, qual limite può esser posto al 1tP!1Ytl!l'tEUEcri)!1L [ « essere occupati »] ? dove si può segnar la frontiera nella correlatività delle cose fra ciò che può (J.E'tÉXEW [ > . 1 62 « comunanza ». 1 63 Soph., 259 b (N.d.A. ). [ « tutto in mille modi è, ma in mille modi non è ». ] 1 64 « dalle molte teste » . 1 65 « unita all'essenza delle cose con il ragionamento ». 1 66 Soph., 257 c-d : 'H ì)CI-.épov IJ.O� cpucnç cpCilve:-.cx.� xcx.-.cx.xe:xe:piJ.cx."t�crl}ll�

XC1M7tEp Émcr·niiJ.1J . Ilwç; Mlcx. !J.ÉV ÉCT'tL 7tOV xcx.L ÉXE�\11], 'tÒ o' É7tL 't� IJ.Époç cx.ù-.Tjç Excx.cr-.ov àcporncrì)Èv È7tWWIJ.LC1V tcrxe:� -.wà Ècx.v-.Tjç i.o�cx.v · otò 7toÀÀCIL -.txvcx.t -. dcrL Àe:y6(.lEVC1L xe1L Èmcr-.f}IJ.cx.L (N.d.A. }. [ « Mi

ytyvéiJ.e:vov



sembra che la natura del diverso si divida moltiplicandosi, come la scienza. - E in che modo ? - Anche quella infatti è una, ma nel volgersi a un og­ getto determinato, ha un particolare nome, che è una determinazione della scienza; è per questo che parliamo di arti e scienze molteplici ».] 167 Soph., 258 d-e ; 'HIJ.ELç' OÉ YE où v.évov wç ECT'tL 'tcX IJ.TJ OV'tCl tl7tE­

od!;tx.(.lEV, tXÀÀcX XC1L 'tÒ Elooç o 'tVYX!iVE� 0\1 'tOU lJ.TJ 0\/'tOç' tX7tEqJT]V!i(.lEì)Cl · 'tTJV yàp ì)Cl'tÉpou q>UCTL\1 tl7tOOEL!;CX.V'tEç' oiJcrav 'tE XClL XCl'tClXEXEp(.lCl't�CJl.l.ÉVT]V È7tL 7tckv"tcx. -.à oV'tCI 1tpòç rJ..)..).. TJÀCI, -.ò 7tpòç -.ò Bv EXCICT"tov v.ép�ov cx.u-.Tjç tl\/'t�--�M(.lE\10\1 È'toÀp.i]crcx.v.e:v EL7tELV wç ClU'tÒ 'tOU'tO ÉCT'tL\1 0\/'tWç' 'tÒ 1-lTJ ov (N.d.A. ). [ « Noi abbiamo provato non soltanto che è ciò che non è, ma anche abbiamo mostrato quale è il genere proprio di ciò che non è; infatti provando

l'essere della natura del diverso, e provando ancora come essa si comunica a tutto ciò che è, ed è in relazione di reciprocità, siamo stati tanto arditi da af­ fermare che ogni parte di questa natura del diverso è propriamente il non-essere, poiché ciascuna si contrappone a una parte di ciò che è ». ] 168 Poiché, come egli dice ( ibid. , 2 6 1 c), \/U\1 o ' É7tEL . . . 'tOU'tO ... O�C17tE7tÉ­ pC1V'tC1L, -.6 'tOL 1-lÉYLO"'tOV "te:i:xoç ÙP1J!J.ÉVOV &.v ELlJ (N.d.A. ). [ « e ora, dopo ( . . . ) aver trattato ciò, abbiamo vinto l'ostacolo p ili forte » . ] . 169 Soph., 263 b (N.d.A. ). [ « in relazione a ciascuno, molte cose che sono e molte cose che non sono ».] n o Soph., 251 a-b. Cfr. ibid., 253 c-d: Tò xcx.-.à yÉ\11] o�cx.tpe:i:aì)cx.� ML -

IJ.iJ'tE 't(X.Ù'tÒV dooç E'tEPOV T)''( i]O'ClQ'ì)ClL IJ.iJ'tE E'tEpOV Bv 'tClÙ'tÒV w7Jv ou -.Tjç OLCX.ÀEX'tLXf}ç cpi]aop.e:v Èma"ti]IJ.l}ç' ELVClL; (N.d.A. ). [ « Dividere per generi e non pensare che una specie identica sia poi diversa, né, se diversa, pensarla

identica, non diremo forse che appartiene alla scienza della dialettica? » (Soph. , 253 c-d). Il brano citato nel testo, e tolto anch'esso dal dialogo platonico Il So­ fista (251 a-b ), cosi dice : « Parlando di un uomo noi riferiamo a lui molteplici denominazioni, e precisamente gli attribuiamo colori, figure, dimensioni, vizi e virtu, nelle quali relazioni tutte, e nelle innumerevoli altre, non soltanto diciamo di lui che è un uomo, ma anche che è buono, e cosi via senza fine, e nello stesso modo noi assumiamo ciascuna delle altre cose come una unità, e poi ciascuna la diciamo molteplice e la chiamiamo con molti nomi » . ] 17 1 « che s i tien stretto all'essenza delle cose con il ragionamento » . 1 72 « la facoltà dell'intelletto ». 173 Chi non pensasse al contenuto del dialogo che l'anima conduce, nel­ l'unione di queste due proposizioni potrebbe leggere l a p i u b e I l a c a r a t t e r i s t i c a del vero uomo, che chiede seriamente un valore nella vita e di se stesso vive senza chieder di fuori appoggi e dati ; ché a lui davvero, come a quello che piu profondamen te vive la propria vita, la vita delle cose

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si rivela . E si può infatti non pensare a quel contenuto e tenersi per dette queste parole : 6 EV"t'Òç" "t'ijç \j.lux'ii r 7tpÒç- a.ù"t'i}V o�cD.. o yoç- . . . tr:: wvov.acrlhj o�avo�a. (Soph. , 263 e) [ « il dialogo che avviene nell'interno dell'anima con se stessa fu chiamato pensiero »] . -- Cfr. Rsp., 486 a: .. H� ouv Ù1tcXPXE� o�a.­ voi.q. jJ.Eya.À.o7tpÉ7tE�a. xa.� �Ewpi.a. 7tfX.V"t'Òç jJ.ÈV xp6vou, 7tcXCi'f}ç OÈ oiHrCa.ç-' ol6v "t' E orE� "t'OU"t'l{.l jJ.Éya. "t'� O O X ELV dvet� "t'ÒV tivftpwmvov �LOV ; 'Aouvet"t'OV, Ti o ' oç-. Ouxovv Xet� �cX\IfX."t'OV ou OEL\10\1 "t'L 'lÌYTJCiE"t'CtL 6 "OLOV"t'Oç"; " HXLO""t'cX yE . ..iELÀii oi} xa.t livEÀEui>ÉP'-ll cpucrE� cpLÀ.ocrocpi.a.ç liÀ'f}l}wiJç, wr Eo�xEv, oux &v 1-LE"t'EL'fl (N.d.A. ). [ « Ora, chi possiede la magnificenza del pensiero e sa con­ templare tutto il tempo e tutto l'essere, costui può giudicare cosa ragguarde­ vole la vita umana? - Impossibile, disse. - Anche la morte, pertanto, un siffatto uomo, non la riterrà tessibile ? - Non la riterrà affatto. - Appare dun­ que come a un'indole vile e meschina non si addice la vera filosofia » . ] 1 74 « l a contemplazione d i tutto i l tempo e d i tutto l'essere » ( cfr. l a nota precedente ). 1 75 « tutte le qualsivoglia teorie intorno ai qualsivoglia mutamenti, e ai qualsivoglia problemi ». 1 76 « teorie ». 1 77 « forza », « energia », « potenza ». 1 78 Soph., 247 d-e (N.d.A. ). [ « Dico pertanto che ciò che contiene una, qualsiasi, potenza, sia essa di fare la qualsiasi cosa o di ricevere anche la me­ noma azione dal piu trascurabile agente, e sia pure per una volta soltanto, ciò, dico, è indiscutibilmente qualcosa che realmente è; assumo infatti quale regola per definire gli enti, che ciò che è null'altro è che potenza » . ] 1 79 « vita senza vita ». 1 80 [« potenza »] . Vedi Soph. , 263 a, b , c. Il piccolo discorso ®Ea.i."t'tl"t'Oç xa­ V'I']"t'fX.� ( che "t'W'\1 7tPW"t'WV O"U!J.7tÀ.oxwv È.Ci"t'L) [« Teeteto siede » ( che « è delle re­ lazioni piu semplici »)], è vero ; l'altro piccolo discorso, ®Ea.l"t11"t'Oç lJ.É"t'E"ta.L [« Teeteto vola » ] , è falso. Poiché il primo rileva una delle relazioni di quel com­ plesso che con E>Ea.i."t''f}"t'Oç" è significato ; e quel complesso è un uomo, cioè un mammifero, bipede, ecc., il quale "t' uy xciv EL xocl}T]lJ.Evoç [ « appunto sta seduto »] in presenza al So g g e t t o (vedi Appendice I). L'altro discorso è falso, per­ ché appunto il complesso significato x ci� "t' fX. L in presenza al S o g g e t t o , e "t'Ò xocfti)cr�a.L è h Ep ov di "t'Ò 7tÉ"t'ECi�a.L [ « l'esser seduti è diverso dal volare »] ; cioè : il complesso significato è un v.i} 1tE"t'O!-LEVoç- [ « colui che non vola »] . E il discorso sarebbe o contraddittorio o senza riferenza a un dato complesso, in ogni caso un « non-discorso »: sarebbe "t'W\1 tiowci"t'W\1 �« impossibile » ] . Pla­ tone aggiunge al secondo discorso : ( E>Ea.i. "t''fl"t'Oç) � vvv lyw OLa.ÀiyOlJ.fX.L [ « Tee­ teto col quale ora sto ragionando » ] . Ma è inutile, poiché o significa qualcuno con E>E etL"t''fl"t' Oç o non significa; e se significa significa un uomo, e la o uv a.lJ.Lç riconosciuta dell'uomo ch'egli cosi significa è già un f"t'Epov di 1tÉ"tEcrita.L [ « di­ verso dal volare »] (N.d.A. ). 181 « quasi si fosse veramente fatta piu vicino ». 1 82 « tutto questo, dico che assolutamente è ». 1 83 « fissate dal ragionamento ». 1 84 « delle scienze, che danno le determinazioni d'ogni cosa (quelle che �i costituiscono nemiche del corpo e delle pietre ) ». Con la precisazione messa in parentesi, l'Autore vuoi ribadire il carattere nominalistico del sapere, cosi come egli lo concepisce. 1 85 P ANARCES : poeta lirico greco minore. 1 86 « C'è una favola, di un uomo che non è un uomo, il quale vedendo, e non vedendo, un uccello che non è un uccello appollaiato su un tronco che non è un tronco, lo colpisce e non lo colpisce con una pietra che non è una pietra ». 1 87 « O la virtu è una sola e tutt'intera, o non è affatto ». 1 88 « facciano pure due persone una stessa cosa, non sarà la stessa cosa ».

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189 La sua « anima nuda sempre piu rivestita degli abbellimenti dell'oscurità si perde in chiacchiere ». 190 « mancanza di virilità ». 191 « per quanto sta in lui ». 1 92 Cfr. Pol. , 306 a-b [« Diventa dunque necessario enunciare un discorso del tutto inconsueto »] . - 'A\Ia.yxa.i:ov [ « è necessario »] : perché l'apparenza del coraggio nella violenza rozza, l'apparenza della saggezza nell'erudizione pacata xa.À.à. À. Éy ovr a.� (306 c) xa.� É1ta.wovvra.� (306 d) [ « si dicon belle e si lo­ dano »] ; e in questo fare, per l'una -.fi -.1k àvSpda.ç- � p o cr p i) O' E � X p w � E a a. ( 306 e), all 'altra -.i k xoav.�6't 'l'j.. Oç' �\IOIJ.CX. b�cpÉp0�\1 ... Kr.t.t �'Ìj\1 67t6'ta.\l a.ù YE à�cp6'tEpa. yiy\l'l'j'tCX.� 'Xll.!}'Xll. l]�i:\1 d x a. � p a. , �E'ta.�cXÀ.À.O\I'tEç' �xà.'tEpa. a.v 'tw �JJ é y o � E e1t� -.à a. -.la. �à.À.w à1to\IÉ{J.ovrE� ... o i: r b v 6 � a. cr � v ( 307 b) [per l'una « adoperiamo la denominazione di coraggio » ( 306 e), al­ l'altra « diamo il nome di decoro ( ... ). Ma quando entrambe ci risultassero sgra­ dite, le biasimiamo tutte e due e mutandone i nomi le riferiamo ai difetti op­ posti » (307 b ) ] . - Perché insomma tale è l'imperiosa voce del giudizio co­ mune, coi suoi biasimi, le sue lodi, le sue distinzioni che confondono, e i nomi oscuri che a queste s'applicano (N.d.A. ). 193 « la prontezza dello slancio dalla regolarità uniforme, la passione del cuore dall'intelletto, l'ardimento dalla assennatezza ». 194 « il coraggio della brama di vivere ». 195 « la prontezza di slancio del corpo ». 196 Cfr. nota precedente, e nota 193. 197 « conforme ad un ritmo regolare ». 198 « regolarità », « ritmo ». 199 « decenza », . 245 « è in relazione a questo »>. 246 « Concetto, idea, essenza, genere, discorso, aver parte, prender parte, par­ tecipare, avere in comune, relazione »> sono in questa nuova « repubblica »> le autorità costituite; « dimostrare, pronunciare, provare, assumere, contrapporre, significare, indicare - dare il nome, la denominazione, la definizione, obiettare, stabilire i limiti, sceverare », ecc., i servi dello stato, che fanno tutti i servizi. 247 Pol . , 308 a (N.d.A. ). [ « non coraggiosi, ma piuttosto predisposti al coraggio » . ] 2.4.'1 « e quasi, per l a maggior parte queste cose »>. 249 « significare ». 250 In due pagine (Poi. , 306-307 ) lo dice tre volte : 306 a-b ; 307 e (N.d.A. ). [L'espressione greca è tradotta con le parole precedenti . ] 25 1 Non dice tcr-.�, non dice E t EtT) . . . EtT) liv : « sarebbe s e q u e s t a d a t a c o s a fosse »> ; ma dice EtT) liv : « sarebbe se n e s s u n a d e 1 1 e c o s e c h e i o i g n o r o a v e s s e a i n t e r v e n i r e »> (N.d.A. ). 252 « Non dice nulla ». 253 « per un certo aspetto », « sotto un certo riguardo ». 254 « collocazione », « sistemazione ». 255 . 257 « la partecipazione e la comunanza, l'aver parte e il prender parte »>. 258 « dell'altro e del non essere » . 259 « ciò per cui ciascuna parte della scienza, non appena delimitata, chiede una definizione propria di se stessa » diventa il « soggetto » delle « determinate scienze ». 2 60 « soggetto ». 26 1 ARI S T . , Rhet. , A l . 1355 a 1 5 : lip.a. oÈ xa.t ot avi}pw"Tto� .51�lL·•f1jl ç.l. .SçdlL 1tEcpuxa.crw Lxa.vwç- xa.t -.ci 1tÀ.E�w .-uyxavoucr� -.ljç- cÌÀ.T)i}Et:cxç- - De anima, r 8. 432 a 7 : t-t.Ìl !tLCTila.v6p.EVOç- IJ.T)OÈV OUOEV lì..v p.&J}o� OÙOE ;uvELT) . Anal. post. , A 1 3 . 81 a 38: cpa.VEp6v .. . éh�, d -.�ç- a.l:cri}T)cr�ç- ÉXÀ.ÉÀ.o�m:v, avayxT) xa.t Èmcr-.i)p.T)v 'tLVà ÉXÀ.EÀ.omÉva.�, -�v ào\Na.-.ov À. a. � E�v . - ibid. , B 19. 100 a 10: oihE . . . É\IU"Tttipxoucrw àcpwp�crp.Éva.� a. t E;E�ç- o { h ' a"Tt' aÀ.À.WV EçEW\1 "(LVO\I't"!t� yvwcr·nxw-.Épwv d)..).. ' a1t' a.�cri}i) crEwç- . - Cfr. Metaph., Z 12. 1038 a 1 9; H 4. 1044 b l. (Platone di contro, Rsp., 532 a : a.Ù't"Ò 6 ECT't"W aya,i}òv a. ù 't n v o i) cr E � À.a�n ) ( N.d.A. ). [ « e gli uomini, anche, son tali per natura da poter adeguatamente conoscere ciò che è vero e per lo piu giungono a toccare la ve­ rità » (Rhet. , A l . 1355 a 15); « colui che non apprende con i sensi nulla ap­ prenderebbe né sarebbe in rapporto con niente » (De Anima, r 8. 432 a 7 ); « ed è chiaro che se qualsiasi sensazione cessasse, di necessità cesserebbe anche qual­ siasi scienza, ché non ci sarebbe possibile raggiungerla » ( Anal. Post. , A 13. 8 1 a 38); « e le condizioni già stabilite non esistono né possono sorgere da altre condizioni piu atte a conoscere se non dalla sensazione »> ( ibid. , B 19. 100 a 10); 235

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( « [quando] uno con la stessa ragione cerca di afferrare l'essenza reale del bene »: PLATONE, Rep., 532 a). ] 262 « teorizzare intorno a qualche cosa ». 263 Metaph. , A l. 980 b 28: ylyvE"t�� o' EX -tTjç J.L'IIlUJ.'l')ç 4-LrcELPL� 'tOLç" (t..., t'} pr.:mo�ç. Anal. post. , A 3 1 . 88 a 3 : Èx 'tOÙ i}EwpEi:v 'toÙ'to rcoÀ.À.axtç aup.­ � a�\I0'\1 't O xal)6).ou &.v lh'jpEuO"aV'tEç àrc6oEt!;w EtXOJ.LE'II · EX yàp 'tW'II x�i)' EX!XO"'t!X 1tÀ.Et6\IW'II 't O xaMÀ.ou STjÀ.ov . 'tO oÈ xaMÀ.ou 't {. J.L L o 'Il , O'tL lh'jÀ.oi: 'tO at'tL0\1 (N.d.A. ). [« Per gli uomini l'esperienza nasce dalla memoria » ( Me­ taph. , A l . 980 b 28); Anal. post. , A 3 1 . 88 a 3 : « dall'aver spesso considerato ciò, dopo aver indagato l'universale, potremmo arrivare alla dimostrazione. L'uni­ versale infatti si rende manifesto quando ci si muove da una molteplicità d'in­ dividui, esaminato uno per uno. Perciò l'universale ha piu valore, in riferi­ mento a ciò che ha una causa esterna >> .] 264 Anal. post., A 2 . 71 b 9 : ÉrctO"'taO"i)�L oÈ oi.OJ.LEba [xao-'to\1 àrcÀ.wç, O't!X\1 'tlJ\1 -t' �i.'tt!X'\1 OLW(J.Ej)� YWWO"XEL'II , o�· f)v 'tO rcpiiYJ.LlX ÈO""tL'II , lS'tL ÈxEl­ \IOU a['ti.a ÈO"-tt, xat !J.lJ E'II OÉXE0"6at 'tOù't' li.À.À.wç EXEL'II . ibid. , A 14. 79 a 24: xuptW't'!X't'0\1 'tOU ELOÉ\I�L "t'O s�6'tL l)EwpEL'II . ibid. , B 8. 93 a 4: 't!XU'tÒ'\1 'tÒ EÌ.oÉvaL 't i. É o- 't L xat 'tÒ EÌ.OÉvaL 'tÒ at'ttov 't o ij 't C E o- 't L v - Anal. prior. , A 30. 46 a 1 8 : 'tttç IJ.ÈV àpxàç 'tttç" TCEpt EO"X�'t'O'II E(J.rcELptaç EO"'tL rca­ paoou\lc.tL. À.Éyw o' OL0\1 't'IÌ\1 lXO"'tpOÀ.OYLXlJ'II !J.È'II E(J.rcEtpl.�v "tijç lXO"'tpOÀ.oytxTjç ÈrctO"'tlJIJ.'Y]ç· À.'Y]q>frÉV'twv yàp tx�vwç 'tW\1 cpawo!J.Évwv oihwç EupÉlh'jo-�v �t lXO"'t'pOÀ.OyLXctL àrcoi}Ei.!;E�ç". Ò!J.oi.wç oÈ xat 1tEPL li.À.À.TJV ÒTCOL!XVOUV EXEL 'tÉX'IITJV 'tE xat ÈmO"'t'lJ(J.'YJ\1. wo--.' Èàv À.'Y]cpi}(i 'ttt urcàpxoV't� rcEpL [x�O""t ov '!'nJ.É-tEpov ì]Sn 'tttç àrcood!;Etç È-;; oi.(J.wç ÈIJ.q>�'l'l.sE�v. (Dovrebbe dire: o'ta.v o t w 1..1. E i) a ELÀ.1]q>É'II ct L "t'L ovSÈv Ei.Sw't'Eç") ( N.d.A. ). [Anal. Post. , A 2. 71 b 9 : « siamo per­ suasi di conoscere pienamente un oggetto determinato ... quando crediamo di conoscere la causa per cui l'oggetto è, conoscendo che è causa di esso, e che esso non può essere diversamente ». Ibid. , A 14. 79 a 24 : « la principale forma del sapere è la considerazione del perché ». Ibid. , B 8. 93 a 4 : « la stessa cosa è conoscere che cosa è (un oggetto) e la causa per cui è ». Anal. prior. , A 30. 46 a 19: « è compito dell'esperienza fornire i principi degli oggetti determinati. Cioè, ad esempio, è compito dell'esperienza astronomica fornire i principi della scienza astronomica; esaminati convenientemente i fenomeni, se ne sono deri­ vate le dimostrazioni astronomiche. Similmente avviene per ogni altra arte o scienza. Quando dunque sia stato precisato tutto ciò che concerne i vari og­ getti, è nostro compito pronunziare subito le dimostrazioni ». Dovrebbe dire: « qualora supponessimo di esserci impadroniti di qualcosa pur non avendo visto niente ».] 265 ARIST., Metaph. , r l . 1003 a 27 : oTjÀ.ov wç Cj>VO"EWç" "tLVOç" a.u-.àç àw1.yxa.i:ov EÌ:Va.t xal}' au-.l}v ( N.d.A. ). [ « è chiaro che (le cause e i principi) devono esser tali di una realtà che è in sé ».] 266 Metaph., a 2. 1013 b 25 : wç 'tÒ 't'ÉÀ.oç xat 't'àya.l)ov 'tWV li.À.À.wv · 't o yàp où E'IIE X� �ÉÀ.'ttO"'tov xat 'tÉÀ.oç 'tW'II li.À.À.wv Éi}ÉÀ.EL dv��. o�a.q>EpÉ'tw oÈ (J.1]0È\J !XU'tO ELTCELV àya.l)o\1 f) cpaw6(J.E'II OV àya.Mv. Metaph. , a 4. 1015 a 10: 'tÒ ElSoç X!XL 1Ì ouo-l.a, 'tOÙ'tO S' EO"'tL 'tO 'tÉÀ.oç 'tTjç "(E\IÉO"EWç". De part. anim., A l . 6 40 a 1 8 : 1Ì yÉvEcnç EVEXct 'tijç ouo-l.aç ÈO""tLV . Phys. , B 5. 1 96 b 2 1 : E O"'t � oÈ E\IExà 'tOU, oo-a 'tE àrcò Stavol.�ç &.v rcp�x�I.TJ, x�t oo-� àrcò cpuo-Ewç. ibid. , B 8. 199 b 26: a.-.orco\1 oÈ .. o 1..1.1J oi:Eo-6at [vExa 'tov yi.vEo-l)a� ( N.d.A. ). [« in quanto sono il fine e il bene di altre cose: per ciò, appunto, infatti, che lo scopo è che siano il bene massimo e il fine delle altre cose » (Metaph ., a 2. 1013 b 25 ) ; « la forma e la sostanza, e questo è il fine della generazione » (Metaph. , a 4. 1015 a 10); « perciò è la genesi della so­ stanza » (De part. anim. , A l . 640 a 18); « e pertanto quante cose vi sono che possono aver tratto origine dall' intelletto, tante dalla realtà » (Phys. , B 5 . 1 96 b 21); « è assurdo non credere a cagione della generazione » ( ibid. , B 8 . 199 b 26 ) . ] -

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267 Eth. Nic. , I 9 : 1 170 b 2 : rpucm ycìp &.y(ltMv l;w{J . - De gener. anim., B l. 73 1 b 30: �é).·nov -.ò sfiv -.oii !J.lJ sfiv. - Pol. , r 6. 1278 b 24 ; LC'Wç ycìp E\IEC'"tL ("t{i> sfiv ) 't'L "tOU X(lÀOU !J.OPL0\1 (N.d.A. ). [ « e infatti la vita è un bene per natura » ( Eth. Nic., I, 9. 1 170 b 2}; « meglio il vivere che il non vi­ vere » (De gener. anim . , B l . 731 b 30); « ugualmente infatti nel vivere è una parte della bellezza » (Poi. , r 6. 1278 b 24 }.] 268 Phys. , B l. 1 93 b 12 : "E't'L S' n q>VC'Lç' n ÀEYO!J.É\11] wç yÉVEC'Lç' òS6ç ÉC'"tL\1 dç q>UC'L\1 . . . (b 16} 't'Ò q>UO(J.EVOV ÉX "tLVÒç Ei:ç "tL �PXE't'(lL fJ q>VE't'(lL.

E�ç 't'i. oùv q>VE't'(lL ; ouxL [ dç 't'Ò] É� où, &,).).' Elç [-tò ] 15. n iip(l !J.Opq>i), q>VC'Lç (N.d.A. ). [Phys. , B l . 193 b 12: ciC'ELç f) ouC'i(lç SLÒ xat 't'Ò !J.lJ ov dv(lL !J.lJ ov q>(l!J.ÉV ( N.d.A. ). [ « Adunque, l'essere si dice in modi molteplici, ma sempre in relazione ad un solo principio; di alcune cose si dice che sono enti, poiché sono sostanze, di altre, perché affezioni della sostanza, di altre ancora, perché sono vie per la sostanza, oppure corruzioni o mancamenti o qualità o cause fattrici o generatrici sia di sostanza che di ciò che concerne la sostanza, oppure ancora negazioni di alcune di tutte queste o della sostanza stessa, per cui anche del non-essere diciamo che è in quanto non essere » . ] 211 Metaph., E 2. 1026 a 33 : &,).).' È1tEL 't'Ò o v 't' Ò &.1tÀ.wç ÀEYO!J.E\10\1 ÀÉyE't'(lL '1tOÀÀ(lXWç", W\1 �v JJ.È\1 Tjv 't'Ò X(l"ttÌ C'UJJ.�E�1]x6ç, hepov SÈ 't'Ò wç &.).nitÉç, x(lt -tò tJ.'lÌ ov wç -.ò \jJEuSoç, 1t(lpcì 't'(lU"t(l s· éC''t'L 't'cì axn�(l't'(l 't'fiç X(l't'TJYOPL(lç' . . . �'t'L 'lt(lptÌ 't'(lU't'(l 1tci\l't'(l 't'Ò Svvci(J,EL X(l L ÈVEpyEi.� . È1tEL SÈ 1tOÀÀ(lXWç' ).éyE"t(lL "tÒ cv, '1tPW't'OV 7tEpL "tOU Xet't'CÌ C'utJ.�E�T]XÒç ÀEX't'É0\1 (N.d.A. ). [ « L'essere, poi, generalmente inteso, si dice con piu significati, uno dei quali, come già dicemmo, viene chiamato accidentale, un altro come vero, mentre il non essere, come falso, e accanto a questi vi sono le figure delle ca­ tegorie ( ... } e ancora vi è, inoltre, l'essere come potenza e come atto ; dal mo­ mento che l'essere si dice con piu significati, si deve pertanto trattare dell'essere accidentale, innanzitutto ».] m Metaph. , A 18, 1022 a 14: -.ò X(lit' 8 MyE't'(lt 1to).).axwç. - ibid. , A 20. 1022 b 4: ��Lç oÈ MyE't'(lL EV(l !J.ÈV "t'p61tov . . . if.).).ov SL �"t'L . . - ibid. , A 22. 1022 b 22 : �'t'Ép1]0'Lç' À.ÉyE"t'(lL �\l(l (J.È\1 't'p01t0\l. . . E\let OÉ. . . �"t'L . . O!J.OLWç' OÉ. . . �"t'L . . . xaì. ÒC'axwç S L . &.7torpciO'ELç ÀÉyov"t'aL ( N.d.A. ). [ « ciò per cui s i dice in molti modi » (Metaph. , A 18. 1022 a 14 ); « il modo di essere si dice secondo il luogo, o ( ... ) o ( . . . ) » (ibid. , A 20. 1 022 b 4 ) ; « la privazione si dice secondo il luogo ( . . . ) o ( . . . ) parimenti ( ... ) o ( . . . ) e in quanti modi si dicono le negazioni » (ibid. , A 22. 1022 b 22).] 273 De part. anim., A 2. 677 a 1 7 : où '!J.'lÌV . . . SE� SlJ't'E�\1 7tciV"t'(l E\IEY.et "t'i.voç, &;).).&. "tLvwv ov-twv -toLou"t'wv E"t'EP(l È� &.vciyxnç C'V!J.�(li.VEL Stcì 't'(lu"t'a 1to).).ci (N.d.A. ). [ « non per questo . . . bisogna sempre che essa abbia un fine, ma da certi enti siffatti molti altri necessari necessariamente seguiranno ».] 274 Metaph. , A 5 . 1015 a 20 : &.v(lyX(l�0\1 ).éyE't'etL, où iivEV oux É v S É x E . 't (l L S fi V W ç C'U\ICtL"t'LOU, olov "tÒ ciV(l'lt'\IE�V x a L n "tpOq>lJ "t'i{j çt;Jt� &.vay­ X(lL0\1 : &.ouva't'0\1 y&.p iiveu -.ov"t'wv dvat : xat wv iivEV -.ò &.yaMv !J.lJ ÈvSÉ.

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JCE'tCXL � ELVCXL il "(EVÉcrl}cxL, � -ro xcxxov tbto�cxÀ.Ei:v iì CT'tEpl]l}ijvcxL olov -ro '7tLELV -ro q>tXPI-lCXXOV tivcxyxcxi:ov l:vcx p.i} xtip.vn ... ( N.d.A. ). [ « Si dice necessario ciò senza il concorso del quale è impossibile vivere, come il respirare e il nutrirsi che sono necessari per l'animale; il quale non può esistere senza di essi ; si dice anche necessario ciò senza di cui non può esistere né prodursi il bene, o re­ spingersi e allontanarsi il male, come prendere una medicina è necessario per non essere ammalati ( ... ) ».] 275 De inc. anim., 2 . 704 h 1 5 : T) q>UCTLç oMÈv '7tOLEL JltX't'T]V, à.)..).. ' à.d EX -rwv EVIiEJCWp.Évwv -rii ovcri.q.. '7tEpl. (xcxcr-rov yÉvoç t; '7tOÀ.À.(i} xp6v� xcxl. -roi:ç '7tOÀ.À.oi:ç E'tEO"LV, Èv otç- ovx &v it).. cxl}Ev E� -rcxù-rcx xcxÀ.wç ELXEV. [ « Ma non bisogna misconoscere che dev'essere passato molto tempo, in cui molte di queste cose non sarebbero state celate se fossero state cosi di buon esito »] (N.d.A. ). 276 Phys., r l. 201 a 8 : WCT'tE XLVTJCTEWç xcxl. JlE'tCX�oÀ.fjç ÉCT-r l.v Etli'T] -ro­ CTCXÙ'tCX, OCTCX -roù ov-roç. OLTIP'TJJlÉVOU liÈ xcxl}' EXCXCT'tOV yÉvoç -roù p.Èv ÈV'tE­ À.EJCEL([.. 'tOÙ oÈ OUVtX!-lEL, T) -roù OUVtXJA.EL ov-roç EV'rEÀ.ÉJCELCX, n 'tOLOÙ't0\1, XLV'T]O"i.ç EO"'tLV, OLOV 'tOÙ 1-lÈV aÀ.À.OLW'tOÙ, n à.À.À.OLW'tOV, aÀ.À.OLWO"Lç. [ « Cosi le specie del movimento e della mutazione sono tante quante sono quelle dell' essere. -

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Distinto, per ciascun genere, ciò che è in atto e ciò che è in potenza, l'atto dell'essere che è in potenza, in quanto in potenza, è movimento, come l'atto del mutato, in quanto mutabile, è mutazione » ] . Ora, poiché cpvcnç- cpEvyE� -t ò &1tE�pov · -t ò (.LÈv yàp li'ltE�pov IÌ"t'EÀ.Éç, 1Ì ot cpv c nç à.Eì. STJ"t'E� 'tÉÀ. oç- (De gen. anim., A l . 715 b 14) [ « la natura rifugge dall'illimitato; l'illimitato è infatti senza un fine, e la natura sempre richiede un fine » ] , è necessario alla sufficienza del sapere : I. fingere un fine attuale nel movimento che non sia la fine del movi­ mento : - Phys. , B 2. 194 a 28 : 1Ì cpvcnç- -tÉÀ.oç- xcxì. où �'%:xcx · w v y à p CT U \I E X O V ç' -t f} ç- x � v ij cr E w ç- O V CT TJ ç' E CT 't � 't � "t' É À. o ç "t' ij ç x t v i) cr E w ç , "t'OV"t'O ECTXCX"t'0\1 xcxì. "t'Ò où EvExcx. - ibid. , B 2. 1 94 a 32: � o v À. E 't ex � ou miv dv cx� 'tÒ E CTX CX"t''\1 't ÉÀ.oç , aì..ì.. à 't ò � É À. 't t CT 't o \1 ' E'ltEÌ. xcxì. 1tO�OVCTW cxì. 'tÉ X\I CXt 'ti]\1 iJÀ.T]\1 cxì. j.l.E\1 a'ltÀ.Wç cxì. o' EUEpy6v, xcxì. X P W!J. E ftcx wç 'IÌl-LW\1 E\I EX CX 'lta\l"t'W\1 \mcxpx6v"t'W\I. ÉCTj.!.E\1 yap 'ltWç xcxì. 'IÌ!J.ELç' "t'ÉÀ.oç. [ « La natura è fine a causa finale; infatti quando si dà un fine di un movimento, essendo il movimento continuo, questo fine è insieme fine ultimo e causa finale » . - « Non ogni fine, infatti, significa fine ultimo, ma il migliore, poiché anche le arti foggiano il loro materiale, le une assolutamente, le altre a causa della loro utilità, e noi stessi usiamo di tutte le cose considerandole come esistenti in vista di noi . Noi stessi infatti in qualche modo siamo fine »] . - Metaph. , I 4. 1055 a 1 4 : ( "t'Ò 'tÉÀ.oç ) E CTX CX"t' 0\1 Èv 'ltCX\I"t'Ì. xcxì. 'ltEp�ÉXEt l« ( il fine) è, in ogni cosa, il limite estremo che tutto abbraccia »] . - Pbys. , r 7. 207 a 35 : 'ltEptÉXE"t'CX� wç 1Ì iJÀ.T] È\l"t' Ò ç xcxì. 'tÒ li'ltEtpov, 'ltEptÉXEL OE "t' Ò dooç- [ « come la materia cinge dall 'interno all'infinito, cosi la forma » ] . I I . un primo motore immobile : - Phys. , r l . 201 a 25 : O OX EL !J.È.\1 OÙ\1 ·neri.\1 lf'ltCX\1 XWELCTftcxt "t'Ò XL\IOV\1 , OU !J.iJ\1 aÀ.À.IÌ 'ltEpÌ. 'tOU"t'OU !J.Ev È!; lfÀ.À.W\1 ECT"t'CXt of)ì.. o \1 Ò'ltWç' EXEL ( ECT"t't yap "t't X L\I O V\1 xcxì. u!TEL 'ltOÀ.Lç- t'l otxl.a. x a.L ibta�J-.oç- 'l)�wv ÈIT'tW. [ « e per ciascuno di noi vien prima la città che la famiglia, naturalmente ».] Ma poi quando si tratta di dar ragione della f a m i g l i a , che ha vita autonoma e per piu punti contraria allo stato, ed esporre il suo fine particolare, bisogna dire che ava.yxa.LO'tEpO'V otx�a 1tOÀ.EWç' [ « la famiglia è piu necessaria dello stato »] (Eth. Nic. , e 14. 1 162 a 17), poiché 'tEXVO'ltOLLa. XOWO'tEpov 'tOLç' �ti>otç- [ « la generazione dei figli è comune a tutti i viventi » ] ( N.d.A. }. 292 « il soggetto della mia contemplazione ». 293 Anal. post. , A 9 . 76 a 16: m OÈ q>avEpÒv 'tOU'tO, q>a.VEpÒV xa.t O'tL oux EIT'tL 'ti:Ìç' ÈXa!T'tOU tof.a.ç- &.px!Xç- tX'ltOOEL!;a.v EITO'V'trl.L yi:Ìp ÈxEL'II rl.L amiV'tW'\1 apxai, xa.L Ém!T'tTJ]J.'lJ 1) ÈxEl.vwv xvp�a 1ti:ÌV'tWV. E passim (N.d.A. ). [ « Se tutto ciò è chiaro, sarà chiaro anche che non si potranno dimostrare i principi propri di ciascuna cosa ; dovrebbero essere, questi, infatti, anche i principi di tutte le cose, e la scienza di questi medesimi dovrebbe essere la principale fra tut te le scienze ».] 294 Metaph. , r 8 . 1012 b 5: 'A).)..!X 1tpÒç- t'i.'lta.v-.aç- 'tOÙç' 'tOLOU'tOUç' À.Oyouç­ a.t-cei:!Tfta.t oei:, xa.Mnep ÈÀ.ÈXftTJ xa.t Èv -.oi:ç- Ènrivw MyoLç-, (vedi l' &.n6on!;tç­ ÉÀ.Ey X'tLXTJ - Metaph., r 4. 1006 a 11 sgg.) oux ELva.(. 'tL t\ ]J.TJ EL'\I(J,L aÀ.À.I:Ì �TlJ�aivew 'tL, WIT'tE È!; 6pL!T�ou OLaÀ.ex-.Éov À.a.�6v-caç- -cl. !TTJ�a.l.v�t 'tÒ li;Euooç­ t'l 'tÒ tXÀ.TJì}Éç-. Ei. OÈ �TJftÈv aÀ.À.o t\ -cò tXÀ.TJftÈç- q>tiva.t t\ tX'ltOq>avaL l!;euo6ç­ ÉCT'tW, riouva.-cov 'ltti'V'ta li;Euofi ELVa.t · avriyXTJ yi:Ìp 'tfjç- tX'V'tLq>a!TEWç' i}ci.-.epov ELVrl.L �OpLOV tÌÀ.'lji}Éç-. "E-cL d néiv t'l cprivaL tì �1toq>riva.L ava.yxa.i:ov, tXOU'\IrJ.'tOV a�q>O'tEpa l!;euofj EL'\IaL. ì}chepov ytip ]J.Epoç- 'tfjç- tXV'tLq>aCTEWç' l!;euo6ç- ECT'tL. ibid. , r 4. 1006 a 5 : 'A!;LOU!TL o1) xat "t'OU'tO tX1tOOELX'\IU'Vrl.L 'tWÈç' OL' tX'ltrl.LOEU­ rrl.a.v. ECT'tL yi:Ìp tÌ7ta.LOEucrl.a. -.ò JJ.TJ yLy'VWITXEW 't�vwv OEL l;TJ'tELV tÌ'ltOOEL!;w xa.L -.l.vwv ou oEi:. "O).. wç- �Èv yàp ànav-.wv tiouva.-.ov &.n6oEL!;w dva.t · dç­ èi'ltELpov yàp &v �(J,OL�OL, WCT'tE �TJO' ou-cwç- EL'\I(J,L &.7t6éìn!;w. Et OÉ 'tLVWV �1) OEL �TJ'tELV tX'ltOOEt!;w, 't�Va &.!;toucrw ELV(J,L �éiÀ.À.0'\1 "t'OLrl.U't'lJV apx-i]v oux &v EXOLE'\1 dnE L'V (N.d.A. ). [ « Ma al fine di confutare tutti questi discorsi, come già è stato detto nei ragionamenti che precedono (v. l'argomentazione dialet-

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tica ), occorre che si domandi non se qualcosa è o non è, ma dare un SI­ gnificato preciso alle cose che si dicono, cosi che, prendendosi a discutere da un punto determinato, si. incominci a dire che cosa significano vero e falso. Ora, se affermare ciò che è vero è nient'altro che negare ciò che è falso, è impossibile che tutto sia falso; è necessario infatti che uno dei due termini dell'opposizione sia vero. Poiché se è necessario o affermare o negare ogni cosa, è impossibile che sia l'affermare che il negare siano falsi : dei due termini in opposizione, infatti, uno solo può essere falso » (Metapb. , r 8. 1012 b 5 ) ; « Al­ cuni, per ignoranza, sostengono che anche questo ( principio) si debba dimo­ strare : e infatti è dell'ignorante non saper riconoscere di quali cose bisogna dare dimostrazione, e di quali non occorre darla. In linea generale, è impos­ sibile che si dia dimostrazione di tutto ; si procederebbe all'infinito, in questo caso, e la dimostrazione non ci sarebbe. Se di alcune cose pertanto non si deve dare dimostrazione, nessun principio si può affermare che meno di que­ sto abbia bisogno d'essere dimostrato » . ] 295 Anal. post., B 7 . 9 2 a 34 : 'ltWç' OU'V o n ò ÒpL�O�E'VOç' od!;EL "TJ'V oua-l.a.'V, ;t] 't'Ò 't'L É�LV; (N.d.A. ) [ « come dunque chi definisce dimostrerà la sostanza, o che qualcosa è? » ] . 296 Metapb. , r 5. 1010 a 7 : "E't L OÈ 'ltiicra.v ÒpW'V'tEç' 't' G. U 't T} 'V XL'VOIJ�É'VT}'V 'tTJ'V q>vcrL'V, xa.'tà oÈ. 'tOU �E'ta.�ciÀ.À.O'V'toç oMÈ.'V aÀ.T}i}w 6� EVO'V, 'ltEpL yE "ò 1tciv't'n 1tci�wç �E't'a.�!H.À.o"V oòx É"VotxEa-i}a.L à).TJ{}EvEw ( N.d.A. ). [ « Questi , poi, vedendo che tutta la natura è in movimento, e che niente di vero si può dire intorno a ciò che è soggetto al movimento, giunsero alla conclusione che non si può dire la verità su dò che muta » . ] 297 Anal. post., B 7. (92 b ) : ci).).' aovva.'tO'V . .. à)..)..,' t'i"LO'ltO'V (N.d.A. ). [ « ma è impossibile ... ma è assurdo » . ] 298 Anal. post. , B 7. 92 b l : '!tç O V'V li.À.À.oç 't'PO'ltOç' À.OL'ltOç'j ou yàp o'Ì] oEI.!;EL YE "TI a.ta-�a-EL tl 'te{) oa.x'tvÀ.4J. - " E't L 'ltwç oEt!;EL 'tò 'ti. Èa-'tw; à:vciyxT} yàp "Ò'V do6'ta 'tÒ 'ti. Ècr'tL'V Civi}pw7toç t] (i)... )... o Ò'tLOU\1 doÉ"Va.L xa.t éhL EO"'tLV ' 'tÒ yà:p �'Ì] 0\1 oùodç oUiEV o 'tL ÈO"'tL'V, aÀ.À.à 'tL �È\1 O"T)�a.t'VEL ò À.oyoç tl 'tÒ O'VO�a.. O'ta.\1 E�7ttù 't'pa.yÉÀ.a.q>oç, 'tL o' EO"'tL 't'pa.yÉÀ.a.q>oç, aou­ Va.'t0'\1 doÉva.L (N.d.A. ). [ « Quale sarà dunque l'altro procedimento ? Non si potrà dimostrare con la sensazione, o additando. - Come poi si potrà dimo­ strare ciò che è (l'essenza)? È necessario che chi sa che cosa è un uomo, o qualsiasi altra cosa, sappia anche che è; nessuno sa infatti che cosa sia il non essere, ma sa soltanto quale è il discorso che lo spiega, o il nome con cui lo pronuncia, come se io dicessi tragelafo, ma che cosa è il tragelafo è impos­ sibile saperlo >>. Il tragelafo o becco-cervo è un animale favoloso] . 299 Metapb. , r 5 . 1 0 1 0 a 28 : · o yà:p 'ltEpÌ. 'Ì]�iiç 't'CV a.ta-i}n'tOV 'tO'ltOç' È'V q>Dopéf xa.t j'E'VÉO"EL OL!X'tEÀ.E� �6voç wv · (l}.. )., ' o\inç oMÈ v wç d'ltE�V �6pLO'V 'tOU '7ta.v't'6ç EO"'tL\1, wcr'tE OL xa. LO'tE p ov il"V lìL' ÈxEi:va. 't'OV't'WV Cl7tE\jJT}q>l.a-a.v'to t) OLÒ: '!a.U't!X ÈxEI.Vtù'V xa.'tE\j;T)q>LO"O:V'!O. "E't L OÈ oTjÀ.0\1 O'tL xa.t r:pòç 't'OU't'O\Jç' 'ta.,hà 'to�ç 1tciÀ.a.L À.EXl)Ei:a-w Èpou�"V · c't'L yàp ìta-'tw axl.vn't6ç 'tLç q>va-Lç OELX'tÉO'V a.Ò'toi:ç xa.ì. TIELO''tÉov a.v'tovç. (N.d.A. ) [ « Essendo infatti il mondo sensibile che ci circonda il solo soggetto a costruzione e a generazione; ma que­ sto, possiamo dire che è non piu che una menoma parte del tutto, cosi che piu giusto sarebbe assolvere le cose di questo mondo a causa di quelle, che non con­ dannare quelle a causa di queste. Ed è poi manifesto che nei confronti di costoro possiamo considerare valido ciò che prima abbiamo detto : provare cioè a loro sino a renderli persuasi che esiste una realtà immobile » . ] 300 Metaph. , Z 16. 1 040 b 23 : \mcipXEL 1] oua-l.a. Epo'V'twç EXOL 't'WV 7tEa.vEp6v ÈO"'tLV, O'tL ouoEì.ç' oihwç OLClXEL'ta.L oihE 'tWV (i).).wv oihE

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't'WV ÀEy6v't'wv 'tòv 'ì.6yov 't'Ou't'ov . ..:lLoc 't'� ycX.p · (3cxo��E� MÉycxprioE I:J.).).' oux ncrux&.�EL OLOJ..LÉVOç (3cxoi�ELV ; ouo' EuMwç �wilEV 1tOPEVE't'CXL Etç cppÉcxp i\ Etç cp&.pcxyycx, Éocv 't'VXTI, I:J.).).cX. cpa!VJ}'t'!XL EUÀct(3oV!..t.Evoç, wç oux Ò[.LOLWç o1.6tJ.EVOç J..LTJ &.ycxilòv dvaL 'tÒ EJ..L1tECTELV xcxt &.ycxMv ; (N.d.A. ). [« Come potrebbe distinguersi dalle piante uno che non pensa nulla e identicamente crede e non crede? Onde massimamente appare che non c'è nessuno in siffatta condizione, né fra gli avversari, né fra chi sostiene questa stessa opinione. Perché mai infatti se ne va davvero a Megara, invece di starsene in casa pensando di andarci, chi la pensa in quel modo ? O perché, dandosene il caso, quand'è il momento, non si butta nel pozzo o in un abisso, ma si mostra guardingo come ogni altro per il quale buttarsi e non buttarsi non sono per niente cose egualmente buone ? ».] 302 Vedi n. 298 e n. 300 (N.d.A. ). 303 Phys., B l. 193 a 3: '.O.ç o ' ECT'tLV n q>VCTLç, 1tELpiicrilctL OELXVVV!XL yE­ À.oi:ov . cpcxvEpòv ycX.p O 't'L 'tOLctu't'a 't'WV ov't wv Écr't't 1toÀÀ.ri. Tò SE OELxvvvcxL 't'et cp!XVEpà OLà 'tWV àcpcxvwv ou OUV!X[.LÉVOU xpLVELV ECT'tt 'tÒ OL' au'tÒ xcxt IJ.TJ o�· au"t"Ò yvwpLJ..LO V. "O'tL o' ÈVOÉXE't!XL 'tOU'tO 1ttiCTXELV, oux &ol]À.OV · CTUÀÀoyL­ CTCXL'tO yàp &v 't'Lç Èx YEVE"t"Tjç wv 'tUq>ÀÒç 1tEpL XPW!J.rX""t"Wv · WCT""t"E I:J.'vriyxl) 't'oi:ç 'tOLOV""t"OLç 1tEpt 'tWV 6voJ..Lri't'WV dvctL 'tÒV ).6yov, voEi:v oÈ J..LlJ OÉV (N.d.A. ) . [« È ridicolo tentare di mostrare com'è l a realtà ; è manifesto infatti che molte sono le cose siffatte fra gli enti. Mostrare le cose evidenti per mezzo di ciò che è oscuro è proprio di chi non sa giudicare ciò che è noto per sé e ciò che non è noto per sé. Come è possibile che questo avvenga, non è chiaro : cosi come potrebbe un cieco dalla nascita sillogizzare sui colori, allo stesso modo per costoro il discorso diventa necessariamente fatto di sole parole, ma non cono­ scono niente ».] .304 Anal. post. , B 7. 9 2 b 24 : 'A).).' &.EL e!;ECT't'L ÀÉYELV 'tÒ OLOC 't!. - Anal. post. , B 7. 92 b 8: d OEL!;EL, 't'L ÉCT'tL, xat lhL ECT't'L, 1twç 't'ci> ctu't0 ).éy� OEi!;EL; o 'tE yocp ÒpLCT!J.Òç E'V 't'L Ol)ÀOL xcxt n &.1t60EL!;Lç · 'tÒ OÈ 't'L ÈCT'tLV &v­ ilpw1toç xcxt 'tÒ dvctL &vilpw1tov &À.À.o ( N.d.A. ). [ « Però sarà possibile dire il perché » - « Se sarà possibile dire che cosa è e che è, come lo si proverà con uno stesso discorso? La definizione e la dimostrazione manifestano una cosa sola; infatti, altro è dire che cosa è l'uomo e altro dire che è ». ] 305 « M a non può il cieco guidare u n altro cieco » (Le. , 6, 39). 306 « la natura non fa nulla invano ». Y!7 Eth. Nic. , A 5 . 1097 a 1 6 : cpcxi.vE-raL J..LÈv &'ì.'ì.o Év &'ì.'ì.u 1tpti!;EL xat 'tÉXVTI ('tÒ &.yalMv ) 't'L OV\1 ÈxrXCT't1J -r&.yaMv ; iì ov xripw "tOC ÀOL1tOC 1tPrX't­ "tE"taL ; Èv ti1tticru o È -:tpri!;EL x aL 1tpOaLpÉCTEL 't ò 't É ').., o ç . . . È1td OÈ 1t À. É w cpaLVE"taL 't à "t É À. lj ' 'tOU"tWV o' cxtpOV!J.Ei}ti "tLVct OL' hEpct, orov 1t À. o ij "t o v a u ). o ù ç )taL o'ì.wç 't à o p y cx v cx . . 'tEÀEL6'tEpOV OÈ ÀÉ­ YOJ..LEV 'tÒ xcxil' av'tÒ OLWX"tOV ... 'tOLOU'tOV o' n EUOCX�IJ.OVLa J..L rXÀLCT't' Etvcx� OOXEL . . . n o o v 1) v xcxt '\IOU'\1 xcxt 1tiiCTctV étpE'tTJ'II cxtpov[.LEila !J.ÈV xcxt OL' au-rti . . . cxtpOVIJ.Eilcx O È: xat 't'Tjç EUOCXLIJ.OVLCXç" xripLV . [ « È chiaro che il bene è diverso a seconda delle azioni e delle arti ( . . . ) che cosa dunque è il bene per ciascuna ? forse ciò in grazia di cui si fa tutto il resto ? ( ... ) in ogni azione o proponimento, esso è il fine ( ... ) e poiché i fini appaiono diversi, e di questi noi ne scegliamo alcuni in vista di altri, come la ricchezza, o i flauti o in genere tutti gli strumenti ( . . . ) diciamo piu perfetto il fine perseguito per se stesso ( . . . ) un siffatto bene sembra essere soprattutto la felicità ( . . . ) cerchiamo si il pia­ cere, la ragione, e ogni altra virtu per se stesse, ma le cerchiamo anche per es­ sere felici >>. ] L a felicità è u n bene, u n altro il piacere, u n altro l a virru, u n altro l'in­ telligenza; e se uno va a dirgli : « per me è un bene far la mia tela in un angolo oscuro », anche questo dirà Aristotele 'tp61tov 'tLVOC cpaivE""t"a� &.ycxMv 't'L E!vaL [ « in qualche modo sembra essere un bene »] (Et h. Nic. , A 4. 1096 a 23 ) (N.d.A. ). 308 Tutta la distanza ignorante da ciò che m'è OJ..L OL0'\1 [ « simile » ] e cono­ sciuto nella natura d'un uomo alla sua mente che non intendo è colmata dal ..•



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concetto di 'ltEpLouaù.t e di 1tpoalpECTLç" [ « abbondanza » e « volontà » ] . Se co­ noscessi la mente vedrei nel suo correre alla felicità per la qualunque via l'in­ sufficienza : ora suppongo il fine, il libero arbitrio del superfluo, come ragion sufficiente di ciò che non so (N.d.A. ). 309 « risoluzione >>, « volontà ». 3 10 « soggetto ». 311 « significante » : nel senso che « dà i segni » alle cose e alle azioni de· gli uomini. 312 « Non crediate che sia venuto a portare la pace sulla terra; non son ve­ nuto a portare la pace ma la guerra ». 31 3 « Il bello e il giusto, ai quali mira la scienza politica, presentano di­ vergenze e mancamenti tali, che sembrano esser solo per legge e non per natura. Un siffatto mancamento è proprio anche dei diversi beni, se da questi molti uomini ricevono danni : molti infatti vi furono che andarono in rovina per la ricchezza, molti per il coraggio ». 3 14 « aporia », « insufficienza », « mancanza ». 3 1 5 « testifìcare ». 316 « secondo un certo modo ». 317 « Poiché il bene si dice identicamente che dell'essere ( si dice infatti di ciò che è, quali Dio e l'intelletto ; le virtu si dicono secondo la qualità; la giusta misura, secondo la quantità; l'utile, secondo la relazione ; l'opportuno, secondo il tempo; le abitudini, secondo il luogo, e cosi tutto il resto), è ma­ nifesto che esso non potrebbe essere un universale comune e unico : non po­ trebbe infatti essere detto secondo tutte le categorie, ma secondo una sola ca­ tegoria ». 318 « il giusto diviene tale dal compiere azioni giuste, e l'assennato dal compiere azioni assennate » - e: « si dicon azioni giuste e assennate quelle che sono tali quali le compirebbe un individuo giusto e uno assennato ». 3 19 « nell'abisso delle chiacchiere ». 320 « si dice », « è detto ». 321 « II " principio " proprio dell'etica è l' " abitudine " ». 322 Eth. Nic. , A 7 . 1098 b 3 : 't'WV llpxwv oÈ aL 1-lÈv É1taywyij �Ewpov'V'"t'aL, aL oÈ ata�CTEL ( nell'astrologia ), aL OÈ É l} L cr 1-l @ 't L 'V L , xaL li).'MJ.L 8' tf).).wç- [ « alcuni dei principi sono trovati per induzione, altri per sensazione, altri mediante l'abitudine, altri in altro modo » ] . Cosi per darci una lezione pratica d i morale egli c'insegna che bisogna sem­ pre oLxwç- o 1toÀÀaxwç- ÀÉYELV [ « dire distinguendo » o « dire in piu modi »] tutto ciò che si dica, per poter poi usare o l'uno o l'altro senso secondo che l'opportunità richieda : 'Apxi) (lal}ljcrEwç- ov 't'Ò 1tpw-.ov xat 1} -.ov 1tpawa-.oç­ llpxi) él).).' lll}Ev péi,cr't'' 8.v 1-la�oL oppure : !ll}Ev yvwa-.òv 't'Ò 1tpawa 'ltpi;)­ 't'OV. Ma poi : 'Icraxwç- oÈ xaL 't'CÌ ai:'t'La ).éye-.aL. 1tav"a yckp 't'ci ai:'t'La llpxaL ..iLò � 't'E cpuaLç- àpxi) xat 't'Ò cr-.oLXE'Lov xat 1} oLavoLa xaL 1} 'ltpoal­ pEcrLç, xat o v cr C a , x a t 't' Ò o v E \I E X IX (Metaph. , ..i l . 10 13 a 2-2 1 ) . [ « I l cominciamento della conoscenza e i l cominciamento dell'azione non sono il principio, ma ciò da cui ti sarà massimamente agevole il conoscere » - op­ pure : « donde è conoscibile la prima azione ». Ma poi : « Identicamente si dice delle cause. Tutte le cause infatti sono principi ( . . . ). E perciò è principio la natura, lo sono gli elementi, il pensiero, la volontà, la sostanza, il fine ».] 'A p X i) n e I p r i m o s e n s o come 't ò 1t p w 't o v É 'V u 1t ci p x o 'V ('t@ (lavMvo'V'"t'L ! ). E n e l s e c o n d o c{) xa�· aù-.ò tJ'ltàPXEL 't'L, 'tOV'tO av-.ò aù-.@ aL'tLO'V · 't'Ò oÈ xafr6).ou 'ltPW"t'OV · ai:'tLov &pa 't'Ò xa�6).ou ( Anal. post. , A 24. 85 b 24) - e : 't'CÌ 1-laÀÀov xafr6).ou !-lliÀÀov l}E"t'Éov àpxàç- � wcr't'E àpxat "t'ck 'ltpw"t'' 8.v ELTJCTav yÉVTJ . (Met. , B 3. 999 a 2 1 ) 't ] (poiché non è il caso degli elementi sem­ plici, che sono primi in tutti i due sensi, dei quali la sola vista ci dà la ragione generale - secondo De anima, r 6. 430 a 26 : 'H !J.Èv ovv 't'W\1 &.lìLaL­ pÉ't'wv '\IOT]O'Lç" Èv 't'OihoLç, 7tEpL li oòx EO''t'L 't'Ò I)J Ev lì o ç [ « l'intendimento di ciò che è indeterminabile in queste cose, intorno alle quali non vi è ingan­ no >>] -, perché finora non ha parlato che di complicazioni e difficoltà ) sono a un tratto i primi elementi vicini ai sensi dai quali si perviene colla xaMJ.ou \moÀTJIJJ Lç- e colla É1taywy1) [ « coll'assunzione dell'universale >> e con « la in­ duzione >> ] ai primi principi sostanziali ; - e cosi &.px1) passa all'uso che se ne deve far ora come dato elementare, materiale dell'abitudine, ma col valore di 7tpW't'O\I sostanziale, che contenga in sé scienza sufficiente. - Cosi 't'pÒ7tO\I 't'WcX [ « in qualche modo >>] non si può far scienza etica, perché la probabilità ( 't'Ò wç È7tL 't'Ò 1toÀ.u ) [ « per circa la maggior parte dei casi >> ] non si può né provare, né dimostrare, né legare O'Ù\1 a�"t'i.aç- ÀOj"LO'IJ.0, - liJ.J.ov lìÈ "t'p67tov [ « con il ragionamento per cause - altro è infatti il modo >> ] (poiché innanzi tutto necessario è per Aristotele f a r l a ) si può farla sufficientemente, purché in questi quali anche siano dati vicini che 7tpoiJmipxouaw [ « già s'incontrano >> ] nell'esperienza abitudinaria si finga con un gioco di parole il valore assoluto sostanziale (N.d.A. ) . 323 « in atto » nelle « comunità >>. 324 Cfr. Pol. , A 1 . 1252 a l e sgg. (N.d.A. ) . [ « fine utile >> . ] 325 « l'accoglimento dell'universale ». 326 Eth. Nic. , H l. 1 145 b 6 . [ « Se si possono ammettere le optntoni co­ muni, si sarebbe già dimostrato a sufficienza >>. ] - Cfr. Eth. Nic., A 2. 1095 a 28 : 'A1tcicraç- !J.ÈV ovv È!;E"t'til;nv "t'I'Ì.ç- lìo!;aç- IJ.a't'aLo"t'Epov tawç- Èa"t'i.v , ì.:x:a­ vòv lì È "t'I'Ì.ç !J.cXÀ.LO'"t'a É1tmoJ.al;ouaaç- iì lìo:x:ovaaç- EXEW "t'W!Ì À.oyov . [Rh et., r 10. 1410 b 22 : É7tL7tOÀaLa ÀÉj"O[.I.E\1 "t'lÌ 7ta\l"t'L lìijì.. a , :x:at li IJ.T]IìÈv lìE� l;T]­ "t'ijO'aL] . [ « Prendere in considerazione tutte le opinioni, dunque, sarebbe pres­ socché inutile; basterà perciò considerare le piu diffuse o che sembrano abba­ stanza ragionevoli ». - « diciamo superficiale ciò che si presenta chiaro sotto ogni aspetto, e ciò ove nulla vi è da cercare >>.] Vedi anche : Eth. Nic. , K 2 . 1 172 b 36 ( N.d.A. ).

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327 Mit Schlagworten [ 'ti;> À.6Y4>, o�ti 'tOV OELX'II V'II a!. fJ q>alve:a-i>a� onxvuva� (N.d.A. ). [ « vi sono tre specie di argomentazioni per ra­

gionamento discorsivo : le une sono connesse al modo di pensare di chi parla, le altre consistono nel disporre in un certo modo chi ascolta, le altre poi con­ sistono nello stesso discorrere attraverso la dimostrazione o l'apparenza della dimostrazione ».] 25 [Rhet.,] A 2. 1356 a 2 1 : ... cpavEpòv eh� -tai.i-ra [ -tà. 'tpta.] Écnt À.a�EL'\1

-rou a-uÀ.À.oyi.O"aa-l>aL ouva[.LÉvou xat 'tOu l>Ewpl)a-a� 'ltEpt 'ttX i)l>T) xaL -rà.ç-

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tXPE't«Ìç xcxì. -tphov 'tOU 'ltEpÌ. 't«Ì 'lt(ilh), 'tL 'tE �xcxa-t6'11 ÉO"'tL 'tW'\1 'ltcxllwv xcxì. 'ltoi:6v 'tL, xcxì. Éx 'tL'II W'\1 ÉYYLY'IIE't L ­ x ex v L x w v [ « Si deve accennare in breve, dopo le cose dette, alle argomen­ tazioni non-tecniche >> ] (N.d.A. ). Nel testo : se « secondo i pre supp o s ti derivati dal principio sono le piu lon t ane, secondo il soggetto (le prove materiali ) sono le piu vicine ». 45 « intorno ai costumi » e « intorno alle p ass ioni ». 46 [Rhet. , ] A 10. 1 368 b 26 : "t«Ì oÈ ÉX "tW'\1 'ltEpÌ. 't«Ì 'lt(ilh) �T]fu]O"OIJ.É'II W'\1 . . . [ « dall'altro, per quanto si è detto in to rno alle passioni . . . . »] - ibid. , 1 369 a27: d l>è: 'II É oç t1 'ltpEa�u-tT]ç t1 oLxcxtoç t1 lioLxoç, 'iloTJ otcxcpÉpEL. xcxì. oÀ•J.Jç oacx 't W '\l O"UIJ.�CXL'\16'\I"tW'\1 'ltOLEL I>Lcxq>ÉpEL'II 't«Ì 'ilftTJ 'tW'\1 fivi)pw'ltW\1, otov 'ltÀ.OU­ 'tEL\1 l>oxG'N Ècxu-t@, ll 'ltÉVEO"Dcxt I>LOLO"Et 'tL, Xp6vLp.oL xlXÌ. cr1tovo!X�OL q>lXVE�v /iv, Éx -r:wv "ltEpÌ. -r:ckç- àpe-r:&:ç- 8LTI­ p1Jp.Évwv À.1)1t't'ÉWV... 1tEpt o' EÙ\IOL!Xç' X!Xt cpLÀ.Ltzç' ÉV 't'Ok 1tEpÌ. -r;à, 1tcXih) À.EX't'É0\1 (N.d.A. ). [ xÉpoEL. X!XL p.&,).).ov t;wcrL Xtz'\"tÌ. À.oytcrp.ov il XlX'\"tÌ. -ro Tjl}oç-· 6 J.l. E v y lX p ).. o y L cr p. ò ç- 't o v cr v p. (jl É -

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't' 6 o ' Ti i} o c; 't' 11 c; &. p E 't ii c; ! a 't (. v (N.d.A. ). [ « essi p o v 't' o çsono cattivi... e pusillanimi... e meschini... e senza speranze. . . e servi dell'in­ teresse... e vivono piu secondo il calcolo che secondo il carattere: il calcolo infatti si addice all'interesse, mentre il carattere è proprio della virtu » . ] 6 8 [ Rhet. , ] B 1 8 (N.d.A. ). 69 « deliberazioni ». 70 Cfr. nota 5 2 , qui. 7 1 « genere atto a consigliare ». 72 Se ne esce un brutto periodo non è da far meraviglie, certo; ne s1 può per questa necessità far questione di trasposizioni (cfr. SPE:-IGEL, Ober die Rhe­ torik des A ris t . , Mlinchen, 185 1 ). Che se per ogni suo periodo inconseguente si dovesse sospettar qualche alterazione, si potrebbe far nascer una questione ame­ rica a proposito d'Aristotele (N.d.A. ). [ LEONHARD SPENGEL ( 1 803-1880), profes­ sore di filologia ad Heidelberg e a Monaco, studioso di retorica e di Aristotele] . 73 « in che modo si debbano rendere morali i discorsi ». 74 Del resto confronta [ Rhet. , ] A 2 . 1 3 5 6 a 2 6 e A 4. 1359 b 10: "t'llc;' 1tEPL 't'à 'ilih'J 1tPCiì1J.CI'tELac; e m:pL 'tà l1ìh1 7tOÀ.L'tLXl]ç [ « i caratteri secondo il punto di vista pratico » e « i caratteri secondo il punto di vista politico »] (N.d.A. ). 't'à 1ttiih) : le passioni : 'tÒ l'jl}oc;: il carattere. 75 « che cosa è il concetto di comune? ». « Si definisce equivocamente ». 76 « esattezza >> . 77 [ Rhet ,] A 2. 1358 a 4 ( N.d.A.). 78 « alcuni di essi (entimemi ) sono di competenza della retorica ... altri di altre arti ». 79 Ibid. , 29 ( N.d.A. ). so « Si deve distinguere, parlando degli entimemi, le specie e i luoghi dai quali prenderli ». 81 « Con specie intendo le premesse proprie a ciascun genere, con luoghi, quelli comuni a tutti i generi ». 82 « premesse proprie » o particolari. 83 « premesse generali » o comuni. 84 S'egli per distinguere do l) e 'tÒ7tOL [ « specie » e « luoghi »] ha definito ELOIJ come la prima parte del contenuto di 1tpo"t'tiaELc; [ « premesse » ] , non gli resta per determinar i 't07tOL che la seconda : bastava che avesse detto : ... 'tÒ7touc; o È 't à c; x o L v 11 c; ( 7tpO'ttiaELc;) [ « i luoghi invece sono premesse comuni »] . Ma questo come voleva non poteva, perché altre cose aveva in petto, onde l'ambi­ guo 'tÒ1touc; oÈ 't'OÙc; xowoùç ÒIJ.ol.wc; 1tci'V'!W'V [ « i luoghi comuni a tutti i ge­ neri » ] , dove è presupposto che uno già sappia che cosa sono i "t'Ò7tOL (N.d.A. ) XCI't'IJYOPEL'V ota. 104 [ Rh et.,] B 20. 1393 a 22 (N.d.A. ). [ « Rimane da trattare ancora delle ar­ gomentazioni comuni a tutti (i generi), poiché si è parlato prima di quelle pro­ prie a ciascuno >>.] 1 05 « Poiché dunque è possibile per tutti i tipi di discorsi stabilire sia l'uti­ lità, sia donde iniziarli sia lo scopo, e indicare, spiegandoli, gli schemi degli entimemi; poiché il fine di qualsiasi discorso è di essere persuasivo, e il carat­ tere persuasivo nasce dalle argomentazioni degne di fede: niente vieta di teo­ rizzare intorno a ogni genere di procedimenti, dai quali ricavare le premesse e il discorso, e di chiamare argomentazioni degne di fede, in una certa misura. gli schemi cosi ottenuti ». 1 06 « niente vieta >>. 107 E il primo « procedimento >>, che ha un « sostrato » cosi ampio di que­ stioni, lo possiamo chiamare - aggiunge Michelstaedter - « la scienza politica dei costumi (infatti tutti i discorsi si tengono nella polis e in conformità alla polis) ». 108 « premessa ricavata dal principio ».

25 7

APPENDICE V t « il bene » nell'« anima nuda ». 2 « filosofia »; « il guidare le anime (con diletto) ». 3 « adulatore ». 4 « chi guida le anime ». 5 Fedro, 270 b, e; 271 e - 272 a ( N.d.A. ) . 6 266 b ( N. d.A. ). 7 247 d-e (N.d.A. ). 8 249 d-e; 270 a, c (N.d.A. ). 9 « conveniente ». 1 0 262 b, 272 d - 273 a ( N.d.A. ). [« opinione comune ». ] I l 2 6 1 a ( N.d.A. ). 1 2 capp. 50-52 (N.d.A. ). 13 27 1 e - 272 a (N.d.A. ). 1 4 277 e - 278 a (N.d.A. ). ts 275-278 ( N.d.A. ). 16 « aderendo al tempo o rubando tempo ». 1 7 « correr dietro alle opinioni » è « il riscontro del preparar ghiottonerie per l'anima ». t8 261 a (N.d.A. ). 19 « il cuore di ciascuno ». 20 « teorizzare su ... ». 2t Rhet. , B 23 e sgg. (N.d.A. ). 22 B 1 -18. (N.d.A. ). 23 « arte rettorica ». 24 Fedro, 269 c e tutto il cap. 52 (N.d.A. ). 25 « la scienza ». 26 Rhet. , A 2. 1 357 a 1 : be -twv "ilolJ �ouÀEUECT�cu dwM-twv (N.d.A. ). La traduzione è data dal testo. 27 Ibid., 1 356 b 33: -rò xct�' �:x:ctcr-rov gvoo;ov �Ewpl)cm (N.d.A. ) . La tra­ duzione è data dal testo. 28 [Rhet. ,] A l. 1354 a l ( N.d.A. ). [ « La rettorica è analoga alla dialettica ; tutte e due hanno oggetti tali che in qualche modo è proprio di tutti gli uomini conoscere e non di una determinata scienza ».] 29 Cfr. nota 17 di questa Appendice. 30 « analogo » non significa « identico ». 3t L'« a » in rapporto ai « 2 a » è av-tia--rpocpoç [ « analogo »] al « h » in rapporto ai « 2 h », poiché è uguale in ambedue i casi il rapporto « 1 /2 »; a s t a ai 2 a c o m e h ai 2 h; a : 2 a = h : 2 b. « Star . . . come », questo si­ gnifica av-ria--rpocpo'\1 EtVctL [ « esser analogo »] nell'uso di Platone e d'Aristotele. Quello che dice lo Stallbaum significato del vocabolo : vocatur av-ricr-rpocpov quidquid a l i c u i r e i e x a l t e r a p a r t e r e s p o n d e t [ « si dice ana­ logo ciò che corrisponde ad una cosa per un certo aspetto »] ( ad Leg. XII 951 a e altrove), si può applicar certo a tutti i casi, ma non è il preciso senso quasi tecnico che la parola ha preso nel lavorio filosofico degli idealisti. Poiché l' i d e a "tÒ fv È1tÌ. 7tOÀÀa [ « l'uno di là dai molti » ] , è appunto una relazione che si ripete in cose diverse. L' i n t u i r l a - la funzione « filosofica » per eccel­ lenza - è lo stabilire l'e quazione di due o piu rapporti. Per i cacciatori d'idee che vivevano confrontando, questo era l'istrumento usuale e doveva prender un nome tecnico. P. es., Phil. , 57 a-b : oo:x:Ei: -roivuv 4.LoLyE oihoç ò Myoç oux Tjnov, ii O"tE ÀÉyEw ctÙ"tÒV T}px61J.E�ct, "tcti:ç T}oovcti:ç �l}"tW'\1 aV"tiCT-tpocpov Èv­ "tctV�ct 7tpO�E�Àl]XÉ'\IctL, O"XW1tWV à.pa ÈCT"t(. "tLç" È"tÉpctç liÀÀl} Xct�ctpW-rÉpct É1tLO""tlJIJ.llç" È7tLO""tlJIJ.ll, xct�a7tEp Tjoovfjç T}oovl) [ « A me sembra pertanto che questo discorso, allo stesso modo che quando lo abbiamo cominciato, allorché cercavamo qualcosa che facesse riscontro ai piaceri, stia ora indagando se vi sia ,

258

una scienza piu pura delle altre, cosi come vt e un piacere piu puro del pia­ cere >>] . Ricerca per le scienze il discrimine che segnando la piu pura corrisponda a quello che segna fra i piaceri la gioia incontaminata : xrd}apà bt�CT'tYII.I.T} Èv 'ta�ç- ÈmO"'tYU.J.I1�ç Ò:'V'tLO"'tpocpoç xal}apéiç- i)Sovijç È'V i)Sova�c; [ « la scienza pura fra le scienze è il riscontro del piacere puro fra i piaceri >>] . Oppure P h il. , 51 e : riguardo ai piaceri dell'olfatto, il fatto che non sono congiunti con necessari do­ lori [poiché il loro scomparire, come non percepito, non è doloroso, Tim. , 65 a ] in quanto e come avviene corrisponde alle altre ragioni di purezza negli altri piaceri. Cosi P h il. 40 d, Leg. XII 951 a, 953 c, Tim. 87 c, Rsp. 522 a, 530 d; e nel posto sulla rettorica (Gorgia 464) 6\jlo'lto��xl} 'ltpÒç- O"W!J-11 = �T}'tOP�X'lÌ 'ltpòç- ljJux'l')v [ « l'arte culinaria rispetto al corpo = la rettorica rispetto all'ani­ ma » ] , poiché il rapporto uguale in tutti due i casi è la xoÀ.!1XEL!1 [ « adula­ zione >>] . Aristotele stesso, De gener. anim., r 1 1 . 761 a 19: s�à SE 'tÒ 'tO�ç q>U'tO�ç" Ò:'V'tLCT'tpocpov �XEW 'tTJ'V q>UO"L'V, lìLà 'tOU'tO ecc . . . . È'ltEL �ouÀ.E'ti1L YE wç 'tà cpu'tà 'ltpÒç 'tTJ'V yijv o{hwç- �XEW 'tà OO"'tpax61ìEP!-LI1 'ltpÒç 'tÒ vyp6v. - «l>V"t'à; ytjv = OO"'tpax61ìEP!-LI1 : vyp6v e l' inversione OIT'tpax61ìEP!-LI1 : q>V'tà = vyp6v: ytjv [ « a causa del fatto che la natura ha analogia coi vegetali, per questo � ecc. .. . « poiché si crede che come i vegetali nei confronti della terra, cosi sia ciò che è solido rispetto a ciò che è liquido >>. - « Vegetali: terra = solido : liquido >> e l'inversione « solido : vegetali = liquido : terra >>] ( se a : 2 a = b : 2 b. a : b = 2 a : 2 b, o b : a = 2 b : 2 a). Qui il rapporto è !;w't�XW'tEpov E!va� : 00"1{.1 SW'tLXW'tEpov 't'Ò uypòv 'tOU l;npou xat yijç ulìwp, 'tOCTOÙ't O'V 1} 'tW'V OO"'tpaxooÉpiJ.W'V q>UO"Lç 'tijç 'tW'V q>V'tW'V [ « essere piu vitale : di quanto è piu vitale l'elemento liquido rispetto all'asciutto, e l'acqua rispetto alla terra, di al­ trettanto lo è la natura dei solidi rispetto a quella dei vegetali » ] . Oppure Pol. , .6. 5. 1292 b 5: 'tÉ"t'ap'tov [Ellìoç oÀ.Lyapxiaç] 5-rav ... &pxn p.l} ò v6p.oç 0:).).' o l. &pxov'tEç xat �O"'tL'V Ò:V'tLO"'tpocpoç a v't'T} Èv -ra�ç oÀ.Lyapxia�ç w cr 1t E p 1} 'tupawtç Èv 'trii:'ç IJ.ovapxt:a�ç-. - Au'tT} Èv oÀ.�yapxia.�ç = 'tVpa.wLç tv 1-LO­ va.pxiaLç [ « una quarta ( specie di oligarchia) si dà quando ( ... ) al comando vi sono i magistrati, e non la legge; e questa è il corrispettivo, tra le oligarchie, di quel che è la tirannide fra le monarchie ». - « Questa, fra le oligarchie = ti­ rannide fra le monarchie » ] . (L' w a 1t E p [ « come >>] rompe la coerenza del periodo ripetendo il significato d'uguaglianza che è già contenuto nell' Ò:'V'tL­ CT'tpocpoç [ « corrispettivo » ] , o toglie ogni senso esigendo da Ò:V'tLCT'tpocpoç la significazione d'un preciso rapporto come O:ya.Mv o xa.x6v [ « bene » o « male » ] ecc., ch'esso non può dare) (N.d.A. ). .

32 x : a = b : c

ab

X = -- . c

(N.d.A. ).

33 « proemio » . 34 Rhet. , A l . 1355 a 26 (N.d.A. ). [ « Infatti il discorso secondo la sctenza è proprio dell'insegnamento, ma questo è impossibile, ed è invece necessario portare argomentazioni prese dai luoghi comuni, come anche nei Topici abbiamo detto . . . ».] 35 [Rhet. ,] A 4 . 1359 b 12 (N.d. A. ). [ . eo Cfr. nota precedente. 81 « derivazione ». 82 « è infatti una parte della dialettica ». &3 « tendente a conformarsi allo schema della politica » essa è una « facoltà ». 84 « e simile » ; « parte » . 85 « come abbiamo detto all'inizio ». 86 « per quanto concerne le loro capacità . . . si è detto quasi a sufficienza ».

261

87 [ Rhet. ,] A 4. 1359 b 16 (N.d.A. ). [ « e diremo anche di quelle questioni che è vantaggioso trattare, ma che lasciano poi la ricerca alla scienza politica ».] 88 « intorno a queste cose mediante le quali ». 89 Non « mediante queste cose;: » ma « intorno a queste cose ». 90 « intorno ai luoghi comuni ». 91 « è possibile investigare la causa ». 92 « ma non mostrano niente dal punto di vista di una dimostrazione tecni­ ca, mentre proprio questa è la condizione per diventare esperti negli entimemi ». 93 L'Autore vuoi rilevare qui che « questa condizione » ( cfr. nota preceden­ te) per la quale si diventa esperti negli entimemi è il poter dare « dimostra­ zioni tecnicamente sorrette » : in altre parole, Aristotele, secondo l'Autore, vuoi dare una teoria del metodo della « persuasione » (1tlCT"t�ç), e resta indifferente ai contenuti della persuasione stessa. 94 Cfr. anche la nota precedente. Per Aristotele, è assai piu importante pos­ sedere capacità analitiche che essere portatori di una autentica persuasione; la forma, i modi, gli schemi del discorso intorno alla verità prevalgono sulla ve­ rità stessa. 95 « il formulatore di entimemi ». 96 [ Rhet .,] A 1 . 1354 b 22 (N.d.A. ). [ « per questo, di questo stesso me­ todo . . . nulla dicono ».] 97 Cfr. anche nota 94. Aristotele, identificando il > ... ] per lasciarsi aperta la strada a dir poi : ii oÉ -ewwv ov-ewv ( òpMv ), -eou -ewoç Ù'ltOXEL!J.Évou xa-eT)yopEi:-eaL . . . [ « in quanto alla giustizia degli enti, si classifica a seconda del soggetto » ... ] ed enumerare e classificare le diverse òpM­ -eT)-eaç. .. [ « giustizie » ... ] . Ma -e 6 y E 6 p i) 6 v ! -e o y E ò p 1} 6 v ! -e 6 y E 6 p i) 6 v ! [ « il giusto ! »] (N.d.A. ). 1 10 Il "(E determina qui la necessità che il giusto sia sempre uguale ( dicen­ do : altrimenti non è piu giusto); l' Et'!tEP �a"t'W [il « se c'è »] in base a que­ sta necessità dice « se vogliamo ora parlar d'un'arte (indifferente se c'è, se non c'è, quale è, come è), non potrebbe esser senza posseder -eò òpft6v. È l'espres­ sione dell'assenza di nesso » (ZEuç llcr-eLç 1to-e' Écr-elv [ « Zeus, chiunque mai sia »] ecc... EsCHILO) (N.d.A. ). 111 Diamo la traduzione dell' intero passo sopra riportato nel testo : « La retorica non è forse l'arte di guidare le anime mediante i discorsi e non solo nei tribunali e in quanti altri pubblici discorsi, ma anche in quelli privati, la stessa sempre intorno alle piccole e alle grandi questioni e tale che non diventa piu apprezzabile se usata rettamente nelle questioni lievi o nelle questioni gra­ vi ». - « Per ogni tipo di discorso sarebbe un'arte unica e, se c'è, sarebbe tale da assimilare tutto a tutto, per quanto è possibile e per ciò che è possibile » . 112 « come avverrà dunque che, disconoscendo l a verità d i una cosa, qual­ cuno riesca a distinguere la somiglianza piccola o grande di quella cosa che non conosce, con le altre? - È dunque possibile che uno sia capace di far mutare parere agli altri conducendoli dal proprio convincimento a quello contrario, poco alla volta, mediante successive somiglianze, e nel far ciò non inganni anche se stesso, se egli stesso non possiede la verità su ciascuna cosa? - Occorre di con­ seguenza che chi ha intenzione di ingannare un altro, ma senza ingannare se stesso, conosca con assoluta precisione la somiglianza e la differenza fra gli enti ». 1 1 3 « ingannare ». 1 14 « Allora, o carissimo, chi ignora la verità e invece va cercando solo opi­ nioni, ci appresterà, come sembra, un'arte del discorrere del tutto ridicola e priva di metodo ». 115 « ciò che è simile al vero », « le opinioni correnti ». 116 Rhet. , A 1 . 1 355 a 1 7 (N.d.A. ). [ « essere perspicaci nei confronti delle opinioni correnti è proprio di chi è perspicace anche nei confronti della verità » .] 1 17 Aristotele, secondo l'Autore, vuole elevare lo studio « delle opinioni correnti » alla « forma di scienza ». 118 [Rhet., A l . 1355 a] 27 (N.d.A. ). [ « è necessario che le argomentazioni e i discorsi attraversino le opinioni comuni... e bisogna esser capaci di ingenerar persuasioni contrarie ».] 119 La > rettorica, l'arte deve dunque correr dietro all 'opi­ nione. 120 [Rhet. , A 1 . 1355 a] 15 (N.d.A. ). [« e insieme, anche, gli uomini sono per natura cosf fatti per adeguare la verità e per lo piu la raggiungono ».] 12 1 « lavorare artificiosamente ». 122 « arte dei discorsi ». 123 « cavillare ». 1 24 « metafisico >> .

26.3

« programma ». Poiché « bisogna esser capaci di ingenerare persuasioni contrarie » ... « ma per non ignorare come si pongono le questioni ». ! 27 Cfr. nota 1 18, qui. ! 28 Nell' ordine, le tre espressioni greche significano: « principi propri »; « assunzione dell'universale »; « scienza apodittica >> . ' 29 [Rhet.,] A 1 . 1355 b 2 (N.d.A. ). [« porterebbe gran nocumento chi fa­ cesse uso non retto di siffatta arte dei discorsi... ».] 13° « molto gioverebbe chi ne usasse rettamente, e molto nuocerebbe chi ne usasse ingiustamente >>. 131 [Rhet.,] A 1 . 1355 a 30 (N.d.A. ). [ « non perché facciamo ugual uso dei contrari, infatti non si deve ingenerare una persuasione immorale >>. ] 1 32 Ibid. , 3 6 (N.d.A. ). [ « gli atteggiamenti soggettivi non hanno l o stesso valore, ma sempre, anzi, le cose vere e le migliori, per natura sono piu adatti al sillogismo e alla persuasione, generalmente parlando >>.] 1 33 Ma non è niente affatto !Ì'TCÀ.wç- [ « generalmente »] (N.d.A. ). 134 « in qualche modo ». 135 milcxv6v = capacità persuasiva, che è tale per sua forza sia attraverso « la verità >> che attraverso « l'apparenza >> . Cosf piu sotto : Aristotele, secondo Michelstaedter, a parole distingue tra persuasione apparente e veritativa, in realtà il suo concetto di persuasione ha sempre origine « dalle apparenze », dalle « opinioni ». Se la « capacità persuasiva >> fosse davvero la 'TCELi>w, la « persua­ sione » apparente dovrebbe essere, infatti, la « non-persuasione ». - La critica di Michelstaedter prosegue infatti sullo stesso tono : come può Aristotele porre un criterio sicuro per distinguere la verace capacità persuasiva, da quella appa­ rente, se il criterio di veracità è stato sin dall'inizio da lui posto non nella ve­ rità, ma nei modi del discorso che devono tener conto dei luoghi comuni ? Que­ sti ultimi infatti non sono mai uguali a se stessi, ma intrinsecamente sono feno­ menici . La sua distinzione tra capacità persuasiva apparente e verace ricade essa stessa all'interno dell'apparente, è apparente essa stessa. ! 36 Per la comprensione del passo, si cfr. la nota precedente. 137 Se è un « concetto distinguibile », è un « concetto apparentemente di. stinguibile >>. 1 38 [Rhet. , A l . 1355 ] B 24 (N.d.A. ). 139 « figure di entimemi apparenti ». 1 40 « programma »; « specie >>. 1 41 « conforme all'opinione comune ». 142 [Rhet. ,] A 1 . 1355 b 18 (N.d.A. ). [ « allora qui l'uno sarà retore secondo la scienza, l'altro secondo l'intenzione, là uno sarà sofista secondo l'intenzione, mentre il dialettico sarà tale non secondo l'intenzione, ma in ragione della sua capacità ... Ciò è infatti conforme all'opinione comune ».] !25 126

APPENDICE VI 1 2

« questo è conforme all'arte », « alla tecnica >>. appare ed è detto >>. 3 Top., A 4. 1 0 1 b 1 1 : Et olj À.a�Ol.I-LE'V, 1CpÒç- 'TC6acx xcx.L 'TCO�CX. xcxt ÈX -.i.vwv o t MyoL, x ex. t 'TC Wç -.ou'tW'V Etmopl)ao!J.EV, EXOLIJ.EV &.v txcx.vwç 'tÒ 1tpoxEi.tJ.E­ vov (N.d.A. ). [« Se avremo stabilito a quante e quali cose si volgono i discorsi e donde derivino, e come fruirne, avremo anche il modo di possedere l'argo­ mento a sufficienza » . ] 4 « fine ». 5 Top. , A 2. 1 0 1 a 2 6 : ECT't L ol] 1CpÒç 'tpi.cx., 1CpÒç YVIJ.VCX.CT(cx.v , 1tpÒç 'tit.ç i'V'tEU�ELç, 1CpÒç 'tà.ç Xet.'tà. cptÀ.ocrocpi.ctv É1tLCT'tl}!J.cxç (N.d.A.). [ « (Questo trat«

"

264

tato è utile) sotto tre aspetti, per esercizio, per le conversazioni, per le scienze che interessano la filosofia » . ] 6 Top., A 1 1 . 1 04 b 1: llp6�À:ru..La oÉ ÈCT"rL oLaÀ.Ex"r�xòv i}twpY)p.a "tò O"Vv­

"tEi:vov iì 'ltpòç atpEo'L\1 xaL q>UYIÌV iì 'ltpÒç à.J..:l')ftE�av xaL Y\IW�v iì aù"tò t] wç CTUVEpyòv 'ltp6ç 't� �"tEp0\1 "rWV "rO�OU"tW'\1, 'ltEpt OÙ iì OÙOE"rÉpwç oo;à.!:;,ou­ CT�\1 iì ÈVa\l"tLWç' ol. 'ltOÀ.À.oL "rOi:ç crocpoi:ç, i') ol. O'OcpoL "rOLç" 1tOÀ.À.oi:ç, i') Èxà.·npoL a1hot Èau"roi:ç. - A 1 1 . 104 b 19: ®ÉcrLç oÉ ÈCT"rw \)'lt6À.TJ4J�ç 'ltaplXO"EW� -cò !J.ÈV -et xa-c&. '"tl.­ '110� xa-cacpaa-L�, -cò Sè -et &.1t6 -cwoç &.1t6cpaa-�ç. - Top., e l. 155 b 7 : Mixp� J..LÈV OV'\1 '"tOV EVPE�'\1 '"tÒ'\1 '"tÒ1tO'II ÒJ..LOLW� '"tOV cpLÌ.00"6q>ov xat 'tOV s�aÀ.EX't�XOV i) a-xÈijJLç, -c ò H � S TJ -c a v -c a -c ri -c -c u 'Il x a t É p w -c TJ J..L a -c (. ­ � E L 'Il t 6 L O 'Il 't O V 6 L a À. E X 't � X O v• 1t p Ò � � 't E p O V ')' ti p 1t Q. V -c ò -c o L o v -t o 'Il , -c{i) Sè cp�ì.oa-6cpql xat �TJ'"tOVV'"t� xai)' Èau-còv oùoÈv !J.ÉÌ.E�, Ut'\1 &.À.TJ'i)fj J..LÈ'II il xat 'Y'IIWP�IJ.a� 1t E p t 1t a v 't' ò ç 't' o u 1t p o 't' E t) h l . 't' o ç 1t p o � ). 1) 1J. a 't' o ç i!; É'Vo6!;wv, xaL aÙ"t'oL Myov Ù1tÉXO'V"t'Eç 1-.I.'I'JitÈV Épo\:i!J.E'II tJ'ltE'Va'll"t' tO'V (N.d.A. ). [ « Lo scopo di quest'opera è quello di rinvenire

un metodo mediante il quale poter dedurre, intorno a tutte le questioni propo­ ste, dei sillogismi che partano dall'opinione comune, anche per non fare noi stessi dei discorsi che siano antitetici alla nostra tesi ».] 54 Bella a&ttipxE�a ! [ « indipendenza »]. Basta dire "t'Ò À.ruxòv xa"t'à "t'OU"t'O i] x a"t'à "t'OU"t'O (Wç "t'U'lt� À.a�E�V) « -t po'lt 0'\1 "t'�'llà » J..LÉÀ.a'\1 À.Éj"E't'a� ( « che il bianco a proposito di questo o di quello si può dire ' in certo modo ' nero »] e si possono fare infinite È'VO""t'ctCTE�ç [ « obiezioni » ] che per arbitrarie che siano, richiederanno sempre nuovamente tutta la forza dialettica per esser superate. E l'altro, se non è Socrate, s'arrabbia. Cosi si può EÙ'ltOPELV É'V 'ltclcrlJ à1topi.�· xaL yàp lÌ à1top!a 1t6poç "t'�ç . .. [ « esser sufficienti in ogni situazione insufficiente; e infatti ogni insufficienza è anche, per un certo verso, una sufficienza ... » ] . È questione di sfacciataggine (N.d.A. ). La traduzione del brano citato nel testo è la seguente: « Potendo infatti discutere su ciò che è identico e su ciò che è diverso, nello stesso modo tro­ veremo il mezzo per discutere quando si tratta di espressioni definitorie . . . Infatti non è sufficien te dimostrare che l'oggetto è identico, se si vuoi difendere la espressione definitoria; mentre per abbatterla è sufficiente dimostrare che l'og­ getto non è identico ».

55 Soph. El. , 3 3 . 1 84 b 1: 'ltEpL oÈ "t'Ou cruÀ.À.oy!t;ecrt)a� 'lta'V't'eÀ.wç ouoÈv E�XOJ..LE'V 1tp6"t'epov dÀ.À.o À.Éyew, à).). ' iì 't' p � � n t; T] 't' o u v 't' E ç 1t o À. ù v x p 6 v o v É 1t o v o u 1.1. E v . - Ego ista omnia feci. - Difatti i moderni gli sono ben grati di queste sue fatiche e a gara lodandolo si provano ad imitarlo. Uno per molti : When Sokrates had supplied the negative stimulus and in­ dication of what was amiss, together with the appeal to Induction as fina! authority, Aristotle furnished, or did much to furnish, the positive analysis and complementary precepts, necessary to clear up, justify, and assure t h e m a r c h o f r e a s o n e d t r u t h (G. GROTE, Aristotle, London, 1872, II, p. 160) (N.d.A. ). [Soph. El. , 33. 184 h 1: « in torno alla deduzione non abbiamo nulla di cui fruire che sia stato detto prima, ed anzi noi lungamente abbiam faticato con laboriosa ricerca ». - Io ho fatto tutte queste cose, è l' iron ica sottolineatura del Michelstaedter; il quale riporta un brano del filosofo inglese e illustre studioso del pensiero greco GIORGIO GROTE, citato dalla sua nota opera su Aristotele, al fine di confermare come quasi tutti gli studiosi - esaltando la filosofia dello Stagirita come quella che ha « completato il concetto socratico di induzione » e offerto la garanzia della « verità scientifica » - si sono perciò stesso schierati nelle file degli affermatoti del sapere come retorica, il cui maestro è Aristotele . ] 56 Top. , A 3 . 1 0 1 h 9 : à).).' i à v "t' W 'V È V O E X O IJ. É'.I lù v J..L TJ O È"II

'lt a p a À. e t 'lt lJ , t x a v w ç a ù "t' ò v g x e � v "t' TJ V È 'lt � O" "t' TJ J..L TJ V cp 1) rr o IJ. E v (N.d.A . ) . [ « se uno non avrà trascurato nulla di ciò che è possi·

bile, diremo che possiede la scienza in modo conveniente ».] 57 « L'entimema, in generale, è la piu importante delle argomentazioni ». 58 Rhet. , B 23. 1397 a 7 (N.d.A. ). [ « Un luogo ... si ricava dai contrari ».] 59 Ibid. , b 12 (N.d.A. ). [ « Un altro (luogo, si trae) dal piu e dal meno » . ] (i() « i l carattere persuasivo è pe rs ua sivo rispetto a qualcuno ». V. anche nel testo. 61 Rhet. , A 6 (N.d.A. ). [ « questi sono i beni quasi universalmente am messi ! ! » . ] 62 A 5. 1360 b 14-30 (N.d.A. ).

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Questi, che cosa? questi « beni » ? (N.d.A. ).

64 « Press'a poco » . . . e « tutti » ! ! un luogo comune dunque e pur non co­ mune, finito e pur infinito; la frase in greco comincia con crxeo6v [ « quasi )) ] e !'ìnisce con d'lta"ll 't'Eç [ « tutti » ] . Ma questa « pressappochezza » del comune accordo diventa subito : Et « O 1) )> ÉO""t'W T) EÙOa�J..L O'Vta "t'O�OU"t'O"II , à 'V à Y X T]

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cxù·dj� Elvoc� 1-J.ÉpTJ .. [ « se 'naturalmente' la felicità è cosa siffatta, è necessario che vi siano le sue parti... » ] : le parti n e c e s s a r i e d'un press'a poco ! ! . . . E piu sotto è confermata la loro necessità con où ylip Èo"-tw if)...)... oc 1tcxpà 't"IXihoc [ « non ve ne sono altre infatti oltre a queste » ] . Aristotele parla come quell'avvocato che credeva di render imaginoso e stringente il suo discorso di­ cendo : « sentite che imagine ! », « badate ora faccio un'argomentazione strin­ gente », « avete sentito che argomenti? », o parlando della « densa compagine dei suoi ragionamenti » e della « diga contro la quale si romperà l'onda del­ l'eloquenza avversaria », ecc. - Egli si adula continuamente della ragionevo­ lezza (necessità) di quanto dice, aggiungendo alle sue stanche e irragionevoli enumerazioni l'affermazione della necessità... e i posteri gli credettero e gli credono sulla parola. - Qui del resto apparisce chiaro come Aristotele si fa· cesse suggerir le idee dalle parole, come cioè non scrivesse pensando, ma pen­ sasse scrivendo : Scrivendo a c a s o le cose che in qualunque modo possano esser dette in rapporto alla felicità, egli s i t r o v a a d a v e r m e s s o ac­ canto « la forza e la bellezza », e « la fama e la stima » ; e allora salta agli occhi la distinzione che le prime appartengono all'interno, le altre all'esterno; e senza curarsi se e come questo interno sia la ragione dell'esterno, egli la af­ ferra quale criterio generale e necessario secondo il quale si posson d i r e i beni; e come uno che si ritrova nella via conosciuta dopo aver passato al buio molte siepi, e molti fossi saltato - compiaciuto esclama: où ylip ÈO''tW if).),oc 7t!Xpà -t!XU't!X [ « non ve ne sono altre infatti oltre a queste » ] . Certa­ mente: tutti gli uomini abitano in Grecia o fuori della Grecia: non datur ter­ tium. - E poi segue quasi automaticamente : EO''t"� o' Èv IXÙ"t@ IJ.ÈV 't"à 7tEpt !Jiuxi)v X!XL -tà ÈV O'WIJ.IX't"L, [l;w OÈ EÙyÉVELCX xoct (j)!À.oL xoct XPin.LIX-tCX xcxt 'tLIJ.i} [ « (i beni) interiori sono quelli relativi all'anima e quelli relativi al corpo, gli esteriori sono la salute e gli amici e le ricchezze e gli onori » ] . E l'apparenza scientifica è per tal modo fornita . A tormento dei futuri commentatori egli non si dà poi la cura di togliere l'enu­ merazione fatta prima a caso e di completar questa cosi felicemente callopi­ smatica, ma lascia quella a suo posto e questa lascia incompleta, e s e g u i t a a s c r i v er e (N.d.A. ). 65 A 5. 1361 a 3 (N.d.A. ). 66 In una parola « dei pazzi », come nei Problem. (A l. 953 a 10 sgg.) (N. d. A. ). 67 Rhet. , A 2. 1355 b 36 (N.d.A. ). [ « argomentazioni atecniche : chiamo atee· niche quante non sono raggiunte da noi stessi ma già fatte ».] 68 « E infatti potremmo fare in certo modo una tecnica delle argomenta· zioni atecniche ». 69 Vedi p. es. A 7 . 1364 a 23-30! (N.d.A. ). I termini greci che seguono, significano: « cogliere »; « opinioni comuni »; « i precedenti »; « le cose pos­ sibili » e « le cose apparenti ». 70 Du magst Recht haben - mir ist es aber doch nicht recht (N. d.A. ). Ripete con un motto in tedesco, già citato, l'espressione latina : « per quanto tu dica cose convenienti, a me tuttavia non convengono ». 7 1 Cfr. SOFOCLE, Elettra, 397 (N.d.A. ). [ « le cose che dici non mi riguar­ dano >). ] 72 Cfr. B 2. 1379 a 4-6 (N.d.A. ). [ « il grande animo dei principi nutriti da Zeus » i quali « si sdegnano proprio per la loro superiorità ». - L'espressione citata da Aristotele è in 0MERO, Iliade, I I, 196. ] 73 Cfr. ibid. , 33-35 (N.d.A. ). [ « riponendo la propria ambizione nella filosofia si corruccia se altri ne parlano male ».] 74 B 12 (N.d.A. ). [ « m a i caratteri variano secondo l'età e l a fortuna >). ] 75 « adirarci ». 76 « arte » e « persuasione >). .

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« quanto è possibile »; « essere possibile ». 78 B 21 . 1395 b lO (N.d.A. ). [ « congetturare quali siano i punti di vista dell'in terlocu tore ».] 79 B 22. 1395 b 24 ( N.d.A. ). - La traduzione è data dall'Autore al periodo immediatamente successivo . 80 Ibid., 1396 a 4 (N.d.A. ). [ « gli argomenti convenienti a ciò intorno a cui si parla, o tutti o parecchi ».] 81 Ibid. , 12 (N.d.A. ). a2 pOVECT't'Épa.ç xa.l. J,l li ). À. O V !1 ). T] Jl' L V ij ç' ecc. •





( N.d.A. ). [ « ci si informerà intorno ai costumi relativi alle costituzioni ... nella Politica ». - « Enumerare in modo esatto e particolareggiato, dividere se· condo le specie ciò intorno a cui s'intende deliberare, e darne definizioni quanto possibile vere, non possiamo proporcelo adesso, perché tutto ciò non è di per­ tinenza dell'arte retorica, bensf di una piu razionale e veritiera » . ] 93 « c'è per ciascuno i l suo tempo », « ciascuno cresce col suo tempo ». 94 B 22. 1395 b 26-31 (N.d.A. ). 95 Vedi Parte prima, I I , cap. 3• (N.d.A. ). 96 « Perciò bisogna uniformarci a ciò che è comune ». > è « già apprestata », nella stessa misura « è apprestata » la rettorica in ciascun individuo. 104 « tutte le cose disponibili ». 105 « l'assunzione dell'universale ». 106 Rhet. , A 1 . 1355 b 10 ( N.d.A.). [ « non è compito ( della rettorica ) il

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persuadere, ma il vedere ciò che è utile a persuadere ».] 107 Ibid., l354 a l0 (N.d.A. ). - L'espressione greca e la frase che segue sono analoghe. tos « in certo modo ». 109 Ibid. , 1357 a l (N. d.A. ) . [« la rettorica (dimostra) a partire da quegli argomenti intorno ai quali di solito decidiamo » . ] 110