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Italian Pages 232 [231] Year 2017
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Coordinamento editoriale Leandro del Giudice Redazione Muriel Benassi Anna Bartoli Giovanni Cascavilla
ISBN 978-88-8103-880-0 © 2017 Diaroads srl - Edizioni Diabasis vicolo del Vescovado, 12 - 43121 Parma Italia telefono 0039.0521.207547 – e-mail: [email protected] www.diabasis.it
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Francesca Dosi
La lettera in corpo Sensi e intelletto nelle Relazioni pericolose di Stephen Frears
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Indice
Premessa metodologica. Oltre l’adattamento7 Introduzione. L’indagine dell’attrazione
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I. Puro teatro. La vocazione scenica del duo libertino
31
II. L’invenzione a tela di ragno del dato sensibile
75
III. La carne e lo schermo. Un erotismo nell’assenza
119
IV. Il gioco al massacro
163
Considerazioni su di un’inquietante prossimità
209
Bibliografia213 Nota biografica
231
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Il corpo […] costituisce un messaggio, un testo scritto, nella maggior parte dei casi, all'insaputa di chi ne è responsabile e su cui si esercitano le sottigliezze della fisiognomica […]. Mme de Merteuil, dal canto suo, non vuole lasciare a nessuno – né a Dio né alle proprie emozioni – la possibilità di “scrivere il suo corpo”. E a nessuno – a nessun uomo – la possibilità di leggerlo. Mario Lavagetto
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Premessa metodologica Oltre l’adattamento
Créér, c’est adapter. [ … ] Racine n’est qu’un adaptateur. Corneille aussi. La Fontaine de même. Molière, Schiller, Byron, Balzac. [ … ] Bien plus. Des adaptateurs d’adaptateurs. Marcel L’Herbier1
Nel 1988 Stephen Frears realizza Dangerous Liaisons e traspone al cinema non la pièce che il drammaturgo Christopher Hampton ha tratto, tre anni prima, da Les liaisons dangereuses di Choderlos de Laclos, e nemmeno il romanzo d’origine, bensì la somma di entrambi. Il regista reinventa il carteggio fittizio tardo-settecentesco tramite una nuova sceneggiatura redatta dallo stesso Hampton sulla base della precedente, ma funzionale alla specificità filmica2.
Affrontare la pellicola di Frears in termini critici significa rapportarsi a un caso esemplare di doppia rimediazione e riconoscere la peculiarità di una mise en scène cinematografica che è principalmente mise en corps di una verbalità prossima 7
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a quella drammatica. Significa, cioè, relazionare alla natura “scenica” della parola di Laclos una forma di “incarnazione” filmica da intendersi in senso proprio, come assunzione di una fisicità che interpella quella dello spettatore, nonostante la natura virtuale del mezzo che la supporta. Di conseguenza la prospettiva di questa nostra analisi è doppia. Propone, da un lato, un approccio trasversale al fenomeno di rifacimento, che tenga conto del passaggio attraverso il palcoscenico e della stratificazione teatrale del testo d’origine. Dall’altro inserisce tale fenomeno entro uno studio “organico” del linguaggio cinematografico al fine di sottarre in parte il discorso estetico al suo carattere aprioristico e teorico per aprirlo all’esperienza dello spettatore. Di associare, cioè, lo studio del discorso narrativo e rappresentativo, delle strategie di focalizzazione e di articolazione del punto di vista, a quello della ricezione del film, ai modi di percezione sensoriale, fisica, che esso induce. Trattandosi, in specifico, di uno studio di “caso”, il saggio non propone direttamente una riflessione teorica sulla trasposizione cinematografica3, si limita a prendere atto dello spostamento dell’asse interpretativo relativo ad essa. La consapevolezza ormai diffusa dell’autonomia e del sincretismo propria al cinema ha permesso, infatti, di leggere in modo più articolato la costante intersezione tra i diversi sistemi linguistici, svincolando il movimento di adattamento dalla nozione di filiazione lineare da un’opera all’altra. Ha consentito, inoltre, di rilevare l’ibridazione insita nelle dinamiche di reinvenzione creativa che il cinema supporta anche in casi di derivazione letteraria diretta e manifestata in sceneggiatura. Si tratta di considerazioni fondate sul superamento dell’idea di una sufficienza e di una compiutezza dell’opera letteraria, le quali la porrebbero entro un sistema gerarchico di valori come modello inarrivabile di riferimento. Un chiarimento rispetto a quest’ultima asserzione risulta necessario, soprattutto in relazione a casi, come quello che segue, di effettivo studio comparativo: non risulta “errato” 8
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in sé evidenziare il movimento di riconfigurazione dell’opera preesistente entro un nuovo regime di rappresentazione, ma, in tal caso, si devono prendere in considerazione l’irriducibilità dei due mezzi, le fasi intermedie di passaggio e i percorsi di corrispondenza trasversale.4 Vogliamo ripensare il rapporto tra il romanzo di Laclos e il film di Frears entro apporti e “trasporti” che creano un sistema di specularità e di risonanza, benché l’implicita dissimmetria dei due media non permetta di formulare equivalenze letterali. Non parleremo di “fedeltà”, dunque, poiché impossibile e riduttiva, ma della miracolosa prossimità tra opere d’arte distinte, linguaggi dispari. Investigheremo le peculiarità di un film che assume appieno la propria specificità e la complessità dello sguardo della macchina da presa sul reale, eppure mantiene un nodo enigmatico con l’opera letteraria di riferimento. Inizialmente analizzeremo la funzione performativa della parola epistolare in Laclos, la creazione di una verbalità che si concepisce in senso scenico. Individueremo entro tale funzione la forma più intima e sofferta di connessione tra il romanzo e lo schermo: quell’ostinazione del personaggio a inventarsi e ad osservarsi per dirigere il proprio mondo fittizio, che seduce così dolorosamente e che soggiace all’intero percorso di rimediazione de Les liaisons dangereuses da parte di Stephen Frears e Christopher Hampton. Tenteremo, cioè, di esplorare il desiderio. In seguito indagheremo le modalità di costruzione filmica del dato sensibile assente nel romanzo, dove i personaggi sembrano circolare entro uno schema astratto che subordina spazio, tempo e corpo alla formulazione e alla ricezione di un pensiero comunicante, origine e approdo della meccanica di seduzione. Per approfondire il rapporto del cinema al sensibile accenneremo, infine, senza pretese di esaustività, ai nuovi modelli di percezione che “le neuroscienze cognitive oggi ci consentono di formulare” tramite l’integrazione multi9
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modale di “azione, percezione e cognizione”, la quale “modellata sull’esperienza corporea che facciamo del mondo, informa il modo in cui il nostro cervello attraverso il corpo mappa il nostro essere al mondo”.5 Applicati al fatto filmico, tali modelli consentono di leggere l’esperienza dello spettatore come forma di embodiment e di meglio comprendere il processo d’identificazione, di empatia fisica e mentale insieme. I dispositivi cinematografici producono plurime forme di simulazione e attivano su più livelli una ricezione attiva: simulazioni di corpi coinvolgono e attraggono il pubblico in sala, agendo tanto sul suo immaginario quanto sulle sue pulsioni più viscerali. Seduto, immobile dinanzi allo schermo, lo spettatore si muove seguendo le loro traiettorie, esperisce il loro sentire e assapora il gusto della loro carne. Seguendo questo percorso percettivo tenteremo d’illustrare come la parola de Les liaisons dangereuses, il corpo “verbalizzato” dei personaggi, motore e freno all’azione narrativa, si faccia, nella pellicola di Frears, illusione di corpo, intensamente sensuale e provocatoriamente concettuale.
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Note 1. L’Herbier Marcel, Créer c’est adapter, «Cinémagazine», primo maggio 1931. 2. La formula “based on the play of Christopher Hampton. Adapted from the novel Les Liaisons dangereuses de Choderlos de Laclos” rivela la doppia origine del film di Frears. Hampton Christopher, Les liaisons dangereuses (a cura di M. D’Amico), Einaudi, Collezione di teatro, Torino, 1989. 3. Tale riflessione ha prodotto negli ultimi trent’anni un’importante bibliografia. I più recenti studi sul fenomeno dell’adattamento letterario, che citiamo assieme ad alcuni testi sull’intermedialità, hanno posto le premesse per il superamento di malintesi teorici e di sterili dibattiti sulle nozioni di fedeltà o di tradimento nei confronti di una presunta “natura” del testo letterario o di un suo non ben definito spirito, fornendo spunti diversificati e fruttuosi all’analisi delle molteplici forme di rimediazione. 4. Di conseguenza utilizzeremo il termine “adattamento” esclusivamente a fini esemplificativi e divulgativi, ben coscienti che, al pari di altri d’uso corrente, come trasposizione o rifacimento, esso sottende il concetto di film come “opera seconda”, frutto di un lavoro di conformazione dell’opera madre ai codici linguistici plurimi del cinema e alle esigenze diverse del mezzo, anche di ordine commerciale. 5. Gallese Vittorio, Guerra Michele, Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, Cortina Raffaello, Scienza e idee, Milano, 2015, p. 218.
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Introduzione L’indagine dell’attrazione
La triangolazione del desiderio La specificità della forma epistolare consiste nell’impossibilità di una narrazione oggettiva e di uno scambio spontaneo, poiché la ricezione dei fatti e dei personaggi da parte del lettore avviene sempre tramite la rielaborazione dello scrivente e implica, pertanto, la soggettività del suo sguardo e la schermatura della parola scritta. Quel che è vero per la forma epistolare in senso lato lo è ulteriormente per l’opera di Laclos che porta all’estremo la tendenza vicariante della lettera e la complessità del sistema di scambio. Somma d’inganni verbali da sciogliersi tramite la disseminazione d’indizi divergenti, il romanzo nega ogni verità narrativa esterna, produce un mosaico di campi prospettici e di livelli di conoscenza ed è privo di un qualsiasi ancoraggio per la costruzione di un mondo sensibile. Scopo e ostacolo di ogni forma di mise en corps de Les Liaisons dangereuses sarà, dunque, il superamento dell’astrazione implicita in un romanzo epistolare polifonico dove tredici scriventi forniscono contraddittori punti di vista su cose, figure ed eventi. Si tratterà di convertire in un occhio esterno il prisma di sguardi che attraversano e conducono la narrazione, facendo di una forma drammatica “in differita”, che prevede una distanza spazio -temporale tra gli interlocutori, un dialogo “in presenza” immesso in una spazialità concreta. La mediazione teatrale si rivela fondamentale poiché prevede l’abbandono della focalizzazione interna del romanzo e la conversione delle lettere in repliche attoriali, consentendo una prima materializzazione scenica dello scambio epistolare. Anticipa, cioè, il passaggio cinematografico obbligato da eventi ed esistenti che risie13
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dono esclusivamente nella formulazione della parola a un mondo di dispositivi e di figure che offrano consistenza, spessore e identità fisica all’universo concettuale di Laclos. Nel 1985 Christopher Hampton adatta Les Liaisons dangereuses per la scena britannica, realizzando Dangerous Liaisons, dramma in due atti, ciascuno dei quali si compone di nove quadri che concentrano in fulminei scambi di battute il carteggio fittizio di Laclos1. Tre anni dopo, per sceneggiare l’omonimo film di Stephen Frears, il drammaturgo riprende quasi per intero l’impianto dialogico della propria opera teatrale e trasforma i diciotto quadri scenici in cinquantaquattro sequenze filmiche, ottenute tramite un procedimento accurato di selezione e di montaggio delle lettere. Nel 2012 John Malkovich, che nel film di Frears ha il ruolo del visconte di Valmont, redige e dirige per il Théâtre de l’Atelier di Parigi Les Liaisons dangereuses, adattamento in francese non del romanzo, ma della pellicola, ambientato ai giorni nostri e interamente giocato sul ritorno allo scritto nei rapporti amorosi tramite scambi in rete, chat e sms. Il risultato è minore rispetto ai lavori citati in precedenza, ma l’impoverimento è consustanziale alla scelta linguistica e, di conseguenza, necessario ai fini della modernizzazione. Il processo, nel suo insieme, conserva interesse. La triangolazione inter-mediatica (romanzo, teatro e cinema, per poi tornare nuovamente al teatro) e linguistica (francese d’origine, inglese, francese ridotto) illustra il movimento di decostruzione e di ricostruzione de Les liaisons dangereuses in fasi successive e correlate tra loro e dimostra come il romanzo non solo conservi attualità, ma continui a fare appello a un lavoro di reinvenzione progressiva della parola epistolare. Esemplifica la frequenza e l’interrelazione dei fenomeni di fabbricazione di una “fisiologia” scenica desunta da una rete di voci mediate e immateriali. Il carteggio fittizio di Laclos prende forma, colore e suono tramite dispositivi spaziali, fonici e luministici, la parola rivela inattese profondità e acquista pienezza, corpo, appunto. 14
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Il romanzo si rivela essere permeabile. Ogni rilettura è concessa, ogni reinvenzione è possibile, poiché il palcoscenico e lo schermo accolgono, ciascuno a suo modo, la variazione e lo spostamento, la concentrazione o l’espansione tramite la sottrazione o l’addizione di dati sensibili. Nel passaggio dall’opera drammaturgica di Hampton al film di Frears viene meno, ad esempio, la rilettura a sfondo politico della vicenda. Nella doppia impresa di seduzione di Merteuil e Valmont il drammaturgo legge le tappe di una battaglia dei sessi, ma in questa stessa battaglia riconosce la disfatta di un’aristocrazia decadente che cerca nel libertinaggio un eroismo di sostituzione, senza riuscire ad anticipare gli esiti catastrofici della propria inazione e del dispendio gratuito di ricchezze e di energie.2 L’immagine della ghigliottina che appare sullo sfondo nel quadro scenico conclusivo, mentre Mme de Merteuil, in compagnia di Mme de Rosemonde e di Mme de Volanges, continua impassibile a giocare a carte in un’illusione di controllo che sarà presto smentita, rileva l’aspetto rivoluzionario del romanzo ed evidenzia la possibilità di un parallelo con l’attualità politica dell’Inghilterra thatcheriana. La vicenda individuale sarebbe specchio di una deriva collettiva e immagine di una condanna a morte annunciata che le classi dirigenti decidono ostinatamente di non vedere. Nel film di Frears e nella successiva pièce di Malkovich tale chiave interpretativa è abbandonata rispetto all’indagine psicologica dei movimenti contraddittori che accompagnano la scrittura del carteggio. La lettura politica del romanzo è sottesa, permane secondaria rispetto alla vicenda individuale: a indurre la marchesa di Merteuil e il visconte di Valmont dapprima a sostenersi e quindi ad affrontarsi in un gioco che non conosce futuro è la volontà di comprendere e addomesticare il desiderio, di analizzare le componenti dell’attrazione e svelare gli inviolabili segreti dell’intimità fisica e psichica per accedere alla conoscenza e al dominio. Alla medesima volontà risponde ogni tentativo di approccio creativo al testo. 15
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A prescindere da ragioni commerciali che non si possono escludere in alcun caso di adattamento, anche il più radicale, sono di certo le tematiche affrontate, d’interesse universale, a motivare le diverse volgarizzazioni del romanzo: cambiano contesto e costumi, ma permane la curiosità verso i meccanismi che governano le passioni, la tensione tra l’abbandono agli istinti e il controllo razionale, lo studio dei rapporti di forza tra uomo e donna, la demistificazione delle strategie sotterranee che dirigono il potere, il conflitto tra sostanza e apparenza, l’alternarsi di sopraffazione e resa. I resoconti veritieri o simulati di stati d’animo e di sensazioni, le temporanee riflessioni su di sé e sui propri interlocutori e lo studio delle situazioni amorose non sono soggetti alla limitazione circostanziale della storia e degli eventi, interpellano direttamente il lettore, avviano una riflessione che perdura nella memoria e si arricchisce di soggettive congetture, d’ipotesi tanto enigmatiche quanto lo sono i personaggi. Stimolano, cioè, una ricerca in profondità rivolta alla percezione del “non detto” e alla ricostruzione della vita nell’assenza. La “legge del desiderio” deve essere ricondotta a indagare ulteriormente le proprie motivazioni. La trattazione a seguire è interamente volta a comprendere come l’istinto “amoroso” che regola l’attrazione verso un oggetto estetico e induce a introiettarlo, a farne parte integrante del proprio sentire, diventi il motore di un’azione creativa. Il fascino esercitato dai personaggi “negativi” dei due libertini, connesso all’ineguale maestria con cui ordiscono l’intrigo e a un linguaggio tanto dissacrante quanto accattivante, rientra nella dinamica di seduzione che un’opera pubblicata nel 1782 non cessa di esercitare sul lettore. Introduce alla questione chiave della parola drammatica, attoriale. Se torniamo alla premessa inziale, possiamo aggiungere che tentare di definire il fascino esercitato dalle lettere di Laclos significa chiedersi in cosa consista la “vocazione all’incarnazione” che portano in sé le voci del romanzo, nel loro costruirsi dinamico e nella loro progressione verso una for16
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ma di autonomia. Ci soffermeremo, dunque, su di un atto di reinvenzione che, esattamente come il desiderio di cui nel romanzo non si cessa di disquisire, è indotto, riflesso e proiettato dagli scriventi.
L’opera palinsesto Texte [ … ]. Un pluriel irréductible Roland Barthes3
Il corpo testuale de Les liaisons dangereuses si afferma progressivamente come stratificazione di codici e giunge ad affrancarsi dal racconto originario proprio perché ne è costitutivo, lo determina. È un corpo iscritto entro una narrazione che sembra esistere nel suo farsi, entro un’azione romanzesca “manipolata”, ovvero codificata e ri-codificata, dalle singole voci che compongono il carteggio. Voci che, si diceva in precedenza, manifestano una vocazione scenica destinata a trovare conferma in un fenomeno di reinvenzione per il palcoscenico e per lo schermo sorprendente per entità e per diffusione geografica. Opera palinsesto4, dunque, il romanzo di Laclos somma in trasparenza le tracce di ogni scrittura successiva. Proscritto per immoralità nel corso dell’ottocento5 e a lungo considerato un esempio minore di narrativa licenziosa, pretesto per pruriginose edizioni illustrate “avec des marquises en robes à panier et des vicomtes en perruques”6, Les liaisons dangereuses è riabilitato solo ai primi del novecento, quando numerose riedizioni vengono date alle stampe. Se il processo all’opera ha termine, la sua fama ambivalente, oscura, sembra imporsi: intellettuali come Malraux e Gide s’inseriscono sulla linea critica inaugurata da Baudelaire, che leggeva in chiave diabolica la coppia “Merteuil/Valmont”, e ne propongono interpretazioni sovversive che sembrano aprire la strada agli scritti di Ba17
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taille sull’erotismo. La rinnovata attenzione di pubblico e critica nei confronti dell’opera conduce a una sua maggiore diffusione e alla definitiva consacrazione tra i classici del patrimonio letterario francese7, sancita dalla collocazione del romanzo nei programmi scolastici istituzionali e accompagnata dalla sua generalizzata riappropriazione creativa. La transtestualità de Les liaisons dangereuses, intesa nei termini originari di J. Genette come “tout ce qui met le texte en relation, manifeste ou secrète avec d’autres textes”8, si afferma già dagli anni venti tramite forme diversificate d’ibridazione letteraria: traduzioni in lingua straniera, citazioni, allusioni, riscritture propriamente dette, prosecuzioni desunte dalla conclusione aperta, articolazioni inattese della trama ispirate a un singolo episodio o a un singolo personaggio9 testimoniano come il carteggio di Laclos induca in più occasioni il lettore a “passare all’atto”, rielaborando le strategie del testo originario.10 Nelle dinamiche di passaggio da uno scritto all’altro, nei ponti e negli incroci testuali si compone la “cartografia” della parola di Laclos, i cui seppur vasti confini letterari vengono varcati in tempi molto brevi: attorno alla metà del novecento si moltiplicano le ricodificazioni del romanzo in linguaggi e in ambiti artistico-espressivi diversi dallo scritto, dando vita a un fenomeno di rimediazione peculiare poiché riferibile a un solo testo matrice. A differenza di quanto accade con maggiore frequenza, non è l’intero universo di un narratore prolifico a generare “mondi” derivati in costante evoluzione e progressivamente implementati tramite nuovi apporti, ma un solo romanzo che perviene a imporre la propria unicità per poi trascenderla e trasformarsi, innescando un meccanismo esemplare di dialogo tra le arti. Sono la radio, il cinema e la televisione, i media che si affacciano sul quotidiano degli anni cinquanta, a garantire una popolarità inattesa ai personaggi di Laclos. Preceduta da una versione radiofonica del 1950 ad opera di Paul 18
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Achard e seguita dal radio romanzo di Raul Dabadie del 196211, Les Liaisons dangereuses 1960, prima riduzione filmica del testo, è realizzata da Roger Vadim nel 1959. Si tratta di una rielaborazione in chiave moderna della vicenda, ambientata nei luoghi della mondanità parigina degli anni sessanta presenti nel titolo12. La componente ludica del romanzo, da intendersi in un’accezione estrema poiché destinata a provocare la disfatta conclusiva, è già presente in questo primo approccio cinematografico e costituirà uno dei nuclei d’interesse di Dangerous Liaisons, costruito sul doppio binario del gioco recitativo propriamente filmico e del gioco di rappresentazione scenica interno al primo. Inoltre il vincolo esistente tra Mme de Merteuil e il Visconte di Valmont è assunto, in entrambi i casi, come cardine della vicenda. La tensione irrisolta tra i due alimenta la seduzione narrativa. Allo sceneggiatore Roger Vailland si deve la trovata più singolare della pellicola di Vadim: fare di Valmont e Merteuil, interpretati da Gérard Philippe e da Jeanne Moreau, una coppia di sposi che decidono di concedersi assoluta libertà sessuale a patto di raccontarsi i rispettivi tradimenti. Tramite la rivendicazione libertaria della coppia è garantito il collante con la realtà contemporanea, è sancito in termini istituzionali il legame di complicità che unisce i due personaggi ed è resa concretamente l’unione metaforica del male, magnificamente espressa nella celebre formula con cui, negli anni quaranta, Jean Giraudoux riassume il romanzo: “La beauté, le sujet et le scandale du livre, c’est le couple, le mariage du mal”13. Vadim ha per primo l’intuizione di privilegiare l’unione cerebrale tra i due coniugi e, in una pellicola dove la sessualità esplicita ha un ruolo essenziale, il regista non filma alcun contatto tra loro che non abbia finalità strategica, privandoli dello spazio di un abbandono completo per sottolineare la tendenza condivisa da entrambi a teorizzare l’amore, a sezionarne le componenti anche nel luogo dell’intimità matrimoniale. Nella pellicola di Frears si riconfermerà la centralità della coppia 19
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libertina che imporrà, perlomeno fino alla pre-sconfitta finale, il proprio sguardo allo spettatore regolandone l’ambigua attrazione tramite un meccanismo di alternanza tra prossimità e distanza. Il film di Vadim inaugura, inoltre, una linea ricettiva “rassicurante” de Les liaisons dangereuses al cinema, centrata sulla conversione finale di Valmont all’amore, fulcro di numerose modernizzazioni che trasformano in melodramma l’analitica prosa laclosiana. Negli anni ottanta, durante il bicentenario della pubblicazione del romanzo, si moltiplicano le sue riproposte, molte delle quali comportano una semplificazione volta a soddisfare le esigenze di un pubblico eterogeneo che richiede prodotti accessibili. A un primo adattamento per la televisione14 seguono numerose trasposizioni per il piccolo e il grande schermo: la già citata pellicola di Frears, oggetto di questa trattazione, Valmont, il libero adattamento ad opera di Milos Forman, Cruel Intentions di Roger Kumble, una versione giovanilistica statunitense, edulcorata malgrado il titolo che porta15, due opere asiatiche dove prevale, con esiti diversi, la ricerca formale sull’immagine 16, diverse parodie17, una telenovela colombiana18, quattro feuilletons televisivi19, una commedia musicale20 e addirittura un manga giapponese di Chiho Saitô, celebre disegnatrice di genere21. Un unicum letterario in costante metamorfosi sviluppa, dunque, un’arborescenza testuale complessa e feconda, poiché a sua volta generatrice d’altre forme. Entro tali ramificazioni si pone il problema della “carne”, dell’acquisizione di un corpo – scenico, filmico, iconografico – da parte delle voci epistolari. Tale acquisizione passa, in primis, attraverso il palcoscenico. Non a caso il teatro resta, ad oggi, il principale ricettacolo dell’azione libertina di Mme de Merteuil e di M. de Valmont22. A due testi drammaturgici in particolare, il già citato Dangerous Liaisons di Hampton e Quartet, libero adattamento realizzato nel 1980 da Heiner Müller, si devono i maggiori allestimenti scenici del romanzo di Laclos. 20
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Quartet esprime al massimo grado la componente meta-teatrale del testo e la priorità di una ritualità scenica senza possibilità di uscita. Impone il simulacro mondano sulla verità dei sensi tramite il confinamento della sessualità entro una cornice ludica invalicabile, vissuta come scommessa portata all’estremo. Il drammaturgo tedesco concentra Les liaisons dangereuses in una ventina di pagine di dialogo e disegna il quartetto di personaggi della propria pièce attraverso lo sdoppiamento attoriale del duo Valmont e Merteuil. I libertini si affrontano in un tempo dilatato e in due spazi claustrofobici (un salotto francese di prima della rivoluzione e un bunker di dopo la seconda guerra mondiale) assumendo in alternanza i ruoli delle vittime di Valmont (Mme de Tourvel e Cécile de Volanges) e le maschere di se stessi, nel trionfo della specularità sessuale. La pièce di Muller potenzia la sostanziale ambiguità del romanzo, reiterando il gioco feroce delle maschere e la frammentazione dell’identità. Per questa sua coraggiosa radicalità Quartet conosce un buon successo di critica e una serie importante di rappresentazioni23, tra le quali spiccano le due versioni di Bob Wilson e di Patrice Chéreau. Nessun’altra rilettura della vicenda conserva la carica eversiva e de-costruttiva di Quartet, la sua performatività estrema tesa a far esplodere in scena le contraddizioni dei personaggi laclosiani, il lato oscuro, mortuario, della seduzione. Ciononostante il desiderio mimetico dei due libertini, associato alla “riflessività” che governa l’azione, torna anche in rifacimenti più convenzionali del romanzo come motore primo della reciproca dichiarazione di guerra e dell’ineluttabilità tragica della vicenda. La componente sovversiva del carteggio risiede, infatti, nel dissidio tra il mimetismo sociale e lo slancio verso una libertà soggettiva e incoercibile, nel contrasto tra la sistematicità collettiva dei rapporti personali e lo spontaneo manifestarsi di un’individualità emozionale, tra la strategia del desiderio e il suo progressivo superamento. Il conflitto irrisolto alla base del testo di Laclos, destinato 21
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a trionfare su ragione e sentimento e a svelare l’insufficienza di entrambi, tornerà nella versione filmica di Frears, seppur con esiti molto diversi per la concessione fatta dal regista al bisogno di chiarezza emozionale dello spettatore24, e sarà il fulcro della parte conclusiva delle nostre riflessioni. Condurremo, infatti, la nostra analisi attraverso le enigmatiche assenze del romanzo e gli inquietanti, parziali, svelamenti del film per penetrare la tragica impossibilità della vicenda.
Ambivalenze: mediazione verbale e trionfo del corpo Le voci talvolta dissonanti cui il romanziere dà vita lasciano intravedere possibili falle nel sistema, provocano interferenze in una sinfonia rituale. Dangerous Liaisons, tenta l’accesso – parziale e fuggitivo – al non detto romanzesco, si arrischia nell’effrazione del desiderio. Nel 1988 Stephen Frears non è il solo a confrontarsi con l’opera di Laclos. Lo stesso anno Milos Forman adatta liberamente Les liaisons dangereuses sulla base delle vaghe impressioni che un primo approccio al romanzo gli ha lasciato negli anni dell’adolescenza25. Il regista ceco non tiene conto del “nuovo” testo che una rilettura obbligata a ridosso delle riprese gli permette di scoprire e decide di attenersi alla versione edulcorata e sentimentale che ha lasciato sedimentare nella memoria. Ne risulta un film di cappa e spada che esplode di vitalità e di dinamismo. La pellicola offre allo spettatore l’immagine di un settecento vivace e salottiero, dove i rari interni, caldi e sfarzosi, sovraccarichi di oggettistica e d’illuminazioni eccentriche, esplodono di “presenza”, mentre gli esterni, desunti principalmente dalle rappresentazioni pittoriche delle feste agresti di Watteau, consentono effetti spettacolari e spostamenti veloci che dilatano lo spazio in ogni direzione, sovrastando la parola. Valmont fa trionfare le scenografie e i costumi, si apre su ambienti naturali di grande suggestione pittorica attraver22
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sati da giocose figure in movimento, predilige campi lunghi e piani ambiente, va alla ricerca della naturalezza del gesto e della replica spontanea nei dialoghi, giungendo a eliminare la dimensione progettuale, meditativa e speculativa che è alla base del romanzo. Forman decide d’inventare ex novo quegli eventi di cui non è mai offerto nel testo un resoconto univoco e veritiero, ipotizzando fatti che precedono la stesura delle lettere e la rendono inessenziale. Introduce, inoltre, cambiamenti rilevanti nella trama: risparmia la marchesa di Merteuil dalla pubblica condanna, dal dissesto finanziario e dal vaiolo e concede una possibilità di futuro alle due vittime di Valmont (il matrimonio per Cécile de Volanges e il recupero della propria vita coniugale per Mme de Tourvel). Solo il visconte perisce nell’impresa, ma dopo aver scoperto l’incanto dell’amore sincero per Mme de Tourvel. L’esperienza vissuta dai personaggi è fertile, positiva, e oppone il trionfo della vita nel suo farsi alla cristallizzazione dei personaggi laclosiani, quasi a testimoniare l’esattezza dell’avertissement del romanzo, dove l’autore, sotto le spoglie di un editore fittizio, ironizza sull’assenza di credibilità della vicenda narrata: “Nous ne voyons pas aujourd’hui de Demoiselle avec soixante-mille livres de rente se faire Religieuse, ni de Présidente, jeune et jolie, mourir de chagrin”26. Una volta che il gioco cerebrale di Valmont e Merteuil, è stato semplificato, movimentato e de-verbalizzato, non è necessario che la morte ne metta in luce l’idealità e la vanità. Il vissuto porta in sé la negazione del mito. La pellicola di Frears si sviluppa in direzione opposta. Malgrado la necessità di dare concretezza alla vicenda e ai suoi protagonisti, il lavoro dell’autore è interamente volto a conservare una mediazione verbale e una sorta d’interiorizzazione speculativa dell’azione. Il regista sceglie di radicalizzare i movimenti psicologici a scapito dell’avventura, eliminando le digressioni narrative di Merteuil e Valmont (ad esempio l’episodio di Prévan e 23
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l’avventura galante nella tenuta della viscontessa di M.) per concentrare il proprio interesse sulle linee essenziali della vicenda e privilegiare il triangolo formato dai due libertini e da Mme de Tourvel. Accentua i contrasti e alimenta la tensione narrativa, esasperando l’individualismo dei personaggi e mettendo in rilievo l’idealità e la vanità del gioco cui hanno deciso d’immolarsi. Se la pièce di Hampton fornisce i maggiori spunti di dialogo, che per risultare credibile come “parlato” deve essere ridotto e spezzato nell’alternarsi di domanda e risposta, la concentrazione spazio-temporale, che potrebbe essere ricondotta esclusivamente all’origine teatrale del film, giunge ad affrancarsi dal palcoscenico per affermarsi in senso propriamente cinematografico. Frears sceglie di privilegiare i volti con una frequenza inattesa di primi e primissimi piani, e, così facendo, si concentra sull’espressione psicologica e sulla sua negazione, ovvero sull’assunzione sistematica della maschera. Usa il contrasto luministico, l’alternanza della messa a fuoco e la ricorrenza del tema iconografico dello specchio per evocare il dualismo e l’ambiguità di un testo che si muove sui binari paralleli del calcolo, dell’osservazione e dell’analisi. Oppone alla confusione della vita e della presenza il rigore e la geometria di uno spazio claustrofobico e teso, dove si confondono l’individuo e la sua rappresentazione, ribadendo, in tal modo, il concetto di libertinaggio mondano come vittoria del simulacro e della spettacolarizzazione. Ciononostante, Frears giunge a filmare la tensione emozionale e fisica verso l’affrancamento rispetto al “metodo” di seduzione. Il regista mantiene la schermatura che i personaggi pongono ai sensi tramite lo sdoppiamento scenico del loro manifestarsi sociale, eppure fa trionfare il corpo, celebra la carnalità dell’immagine in ogni inquadratura. É in quest’ambivalenza che si concentra l’interesse di una pellicola, la quale, altrimenti, per il prevalere d’interni simmetrici spesso filmati frontalmente, la centralità dei dialoghi e dei personaggi, la relativa stabilità del quadro e la predo24
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minanza del gioco attoriale, risulterebbe un adattamento in costume di stampo teatrale piuttosto convenzionale. Dangerous Liaisons trova un difficile equilibrio tra la materializzazione della realtà assente nel romanzo, della sensualità che dalle lettere traspare senza mai essere descritta, e la schermatura del desiderio, tenuto costantemente vivo perché spento d’improvviso quando giunge a un picco di tensione Il regista riesce a rendere percettibile l’altalena di avvicinamento e allontanamento che accende e frustra l’erotismo alla base del racconto. Esplicitamente debitore del noir anni quaranta, egli elabora una pellicola a “tela di ragno” e nel progressivo dosaggio della suspense delinea un percorso indiziale “fisiologico” che lascia indovinare il futuro crollo della struttura stessa. Le scelte di ripresa di Frears – l’uso reiterato di determinati movimenti di macchina legati al sistema di forze prodotto dall’incontro attoriale e la presenza sistematica di un primo piano dialogico – sono volte ad acuire la risonanza sensoriale dello spettatore che sembra poter accedere alla trama dei volti e allo spessore dei corpi a prescindere dalla loro intrinseca immaterialità. Il film produce una visione “sinestetica” e reinventa “carnalmente” il sistema strategico volontario prodotto dal discorso epistolare, interamente subordinato alla disamina del pensiero. Giunge pertanto a interpellare direttamente il “corpo” dello spettatore che vive l’esperienza cinematografica nella sua totalità, confrontandosi con il “corpo” proiettato sullo schermo. Tale condivisione ha luogo secondo un processo empatico che ingloba e supera le definizioni d’immedesimazione e di proiezione del sé tradizionalmente associate alla visione spettatoriale. Il cinema lavora sulla profondità prospettica e sulla realtà luministica e cromatica per fare d’immagini di corpi realtà “filmiche” di corpi, sull’illusione di rilievo e di spessore per fornire carne sensibile a un’astrazione, sul movimento intra ed extra-diegetico per smuovere e interpellare insieme cervello e sensi. Lo schermo è luogo di un’esperienza 25
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percettiva altra rispetto al reale, ma ancor più intensa. Il potere di risonanza dei “corpi attoriali” di Dangerous Liaisons è alimentato da precise scelte di campo, di distanza, di prospettiva e di movimento. La strategia seduttiva che esercitano l’uno sull’altro e specularmente sullo spettatore è potenziata dall’alternarsi del loro avvicinamento e della loro separazione, dalla tensione erotica del corpo desiderante il cui appagamento è procrastinato o svilito. Questo studio è volto, dunque, all’analisi della “lettera in corpo” come ricettacolo e fonte di emozioni e di sensazioni, recitate o taciute, esperite o indotte, ma sempre sottoposte al vaglio di una ragione che la parola incarna e proietta attraverso e oltre lo schermo. Le pagine che seguono si addentrano in un dispositivo filmico che giunge a fare della parola epistolare di Laclos una fisiologia scenica sottoposta allo sguardo, ne asseconda e ne incrementa il potere seduttivo per poi smantellarlo e rivelarne la forza distruttiva.
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Note 1. La prima regia è di Howard Davies, con Alan Rickman nel ruolo del Visconte di Valmont et Lindsay Duncan in quello della Marchesa di Merteuil. In Francia un adattamento della pièce di Hampton realizzato da Jean-Claude Brisville e diretto da Gérard Vergez è rappresentato nel 1988 al Théâtre Édouard VII e l’anno successivo al Théâtre des Célestins. Una seconda produzione, per la regia di Rufus Norris, con Laura Linney (Marchesa di Merteuil) e Ben Daniels (Visconte di Valmont), va in scena al Roundabout Theatre di Broadway nel 2008. Nel 2012 una modernizzazione della vicenda, ambientata negli anni cinquanta e riscritta dallo stesso Hampton, è ripresa nel Canada francese, all’anfiteatro Hydro-Québec di Québec, diretta da Jennifer Gagnon Thibault, con Xavier Gagné (Valmont) et Geneviève Décarie (Merteuil). Nel novembre 2015 la pièce è rappresentata a Londra, alla Donmar Warehouse, con la regia di Josie Rourke 2. Il conte di Tilly, nelle sue memorie, è il primo a conferire una portata rivoluzionaria al romanzo di Laclos, la cui conclusione luttuosa è letta come specchio del disastro collettivo che avrebbe colpito l’aristocrazia francese. La sua interpretazione è ripresa con sfumature diverse da Baudelaire, da Émile Dard, biografo di Laclos, e infine da Roger Vailland che vede nel romanzo la rappresentazione di una classe sociale alla vigilia della propria caduta, di un gruppo sociale omogeneo che ignora sistematicamente i segnali esterni di un possibile conflitto e cancella con orgoglioso sprezzo le manifestazioni interne di una falla nel sistema. Si veda: Vailland Roger, Laclos par lui-même, Seuil, « Écrivains de toujours», Paris, 1953. 3. Roland Barthes, Bruissement de la Langue, Paris, éd. Du Seuil, 1984, p. 73. 4. Si veda a proposito del “palinsesto” testuale: Genette Gérard, Palimpsestes, la littérature au second degré, Seuil, Paris, 1982. 5. La proscrizione del romanzo spiega la rarità di trasposizioni ottocentesche: al primo adattamento per il teatro, che data dell’anno successivo alla pubblicazione, seguono un solo dramma borghese (Les Liaisons dangereuses, di Ancelot e Xavier, del 1834) e la ripresa di singoli episodi licenziosi – quello di Prévan in particolare – sulla scena galante della Belle Époque. Il testo di Laclos è sottoposto a censura e perseguito per offesa ai costumi durante tutta la prima metà del secolo, nonostante le critiche positive di scrittori celebri come Nerval, Baudelaire, Taine e i fratelli Goncourt. Una sentenza del tribunale correzionale della Senna dell’8 novembre 1823, confermata l’anno successivo dalla Cour Royale di Parigi, ne ordina la distruzione per oltraggio alla morale. Le ultime condanne a editori e librai colpevoli di aver diffuso il romanzo di Laclos datano del 1865.
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6. Delon Michel, «La géométrie et le doute», in Europe, n. 885-886, gennaio-febbraio 2003, p. 71. 7. Per un’accurata analisi del lungo processo riabilitativo de Les liaisons dangereuses e per maggiori delucidazioni sulla sua alterna fortuna critica e di pubblico, nonchè sulle diverse considerazioni relative alla moralità dell’opera si vedano : l’appendice di Catriona Seth in Laclos (De) Choderlos, Les Liaisons dangereuses, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», Paris, 2011 – Delon Michel. «Fortune et infortune des Liaisons». In P-A Choderlos de Laclos /Les Liaisons dangereuses, PUF, Paris, 1999. 8. Genette Gérard, Palimpsestes, la littérature au second degré, op. cit. pp 7,8. 9. Michel Delon cita la lista, completa fino al 1998, dei romanzi che possono essere ricondotti, in forma embrionale, alla matrice de Les liaisons dangereuses. In Delon Michel, P.A. Choderlos de Laclos: ’Les Liaisons dangereuses’, PUF, Paris, 1999, p. 109. In bibliografia citiamo alcuni tra i titoli riportati da Delon e altre opere ispirate, successivamente, al romanzo di Laclos. 10. Uno scrittore che “riscrive” un testo altro non è, infatti, che “[...] un lecteur qui passe à l’acte. Il prend des risques devant les autres lecteurs. [...] e permette, in tal modo “un réexamen de la stratégie que poursuivait le texte initial. Il conduit à proposer d’autres solutions plus conformes aux voeux personnels du nouveau lecteur.” Klein Christian. «Introduction» In: Klein Christian (a cura di), Réécritures : Heine, Kafka, Celan Müller, Presses Universitaires de Grenoble, 1989, p. 8. 11. Sarebbe interessante, in altra sede, sviluppare l’idea del «corpo fonico» delle Liaisons dangereuses, del carteggio letto a voce alta, trasmesso e diffuso presso il grande pubblico. Di voci che acquisiscono, dunque, il proprio suono individuale e ne fanno «carne» sonora, riconoscibile e fruibile tramite intelletto e sensi. 12. Les liaisons dangereuses 1960 di Roger Vadim con Jeanne Moreau (Madame de Merteuil), Gérard Philipe (Valmont), Annette Vadim (Madame de Tourvel), Jeanne Valérie (Cécile Volanges) et Jean-Louis Trintignant (Danceny). Il regista è costretto a introdurre il millesimo sessanta nel titolo del film per indicarne l’epoca di ambientazione e palesare in tal modo la libertà presa rispetto al romanzo, poichè, prima che la pellicola venga distribuita nelle sale, ha inizio un processo che oppone la societtà produttrice del film alla Société des gens de lettres, la quale lamenta una volgarizzazione dell’opera di Laclos. Laurent Versini cita, inoltre, una pellicola di Vadim del 1976, Une femme fidèle, come reinterpretazione – non palesata dal regista – del medesimo soggetto, nonchè di numerosi episodi riconducibili al romanzo. 13. Giraudox Jean, «Choderlos de Laclos» in Littérature, 1941 Paris. 14. Les Liaisons dangereuses sceneggiato realizzato nel 1980 da Charles 28
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Brabant, con Claude Degliame (Madame de Merteuil), Jean-Pierre Bouvier (Valmont) et Maïa Simon (Madame de Tourvel). Sarà riproposto nell’anno del bicentenario, il 1982. 15. Film del 1999 ambientato in un college americano, diretto da Roger Kumble e interpretato da Ryan Phillippe (Sebastian Valmont), Sarah Michelle Gellar (Kathryn Merteuil) e Reese Witherspoon (Annette Hargrove). 16. La prima, del 2003, dal titolo Untold Scandal, realizzata dal regista e scrittore E J-yong, è ambientata nella Corea del XVIII° secolo e pone la vicenda in secondo piano rispetto a una ricerca pittorica raffinata e complessa, dove l’apparato scenografico, i costumi e i cromatismi convergono nella costruzione di un’immagine simbolica altamente evocativa (la morte di Mme de Tourvel, che s’inabissa lentamente, come una corolla di fiore insanguinato, in un lago ghiacciato offre allo spettatore un momento di rara suggestione). La seconda, Dangerous Liaisons, presentata a Cannes nel 2012, per la regia di Jin-ho Hur, con i divi asiatici Ziyi Zhang, Dong-kun Jang e Cecilia Cheung, è ambientata nella Shanghai degli anni ‘30, in procinto di essere invasa dalle truppe giapponesi. Il regista pone l’accento su scenografie e sui costumi per consegnare allo spettatore l’immagine di una metropoli cosmopolita ed edonista, città di vizio e di piacere, sospesa sull’abisso rivoluzionario che di lì a poco la inghiottirà. Prevalgono, però, sull’analogia storica (il rimando alla rivoluzione francese) e cinematografica (il rimando a Shangai Express e alla diva Marlene Dietrich) i manierismi di un period-drama piuttosto convenzionale, centrato sul fascino delle star che interpretano i ruoli principali. 17. 1989: Les Liaisons dangereuses, sketch di Les Nuls trasmesso da Canal+, 1991: Les Liaisons vachement dangereuses, parodia di Les Inconnus per Antenne 2, e infine lo sketch interpretato da Jean Rochefort nel 2016 per il collettivo Les Boloss des belles lettres (BDBL). 18. 1998: Perro amor, telenovela prodotta da Channel One con Danna García, Julian Arango e Isabella Santodomingo. 19. Nel 2003 Josée Dayan, specialista delle fiction televisive (Les Misérables, Le Comte de Monte Cristo, Balzac), realizza Les Liaisons dangereuses con la sceneggiatura del celebre romanziere Eric Emmanuel-Schmidt, facendo del romanzo un feuilleton centrato sull’immagine divistica dei principali protagonisti: Catherine Deneuve (Merteuil), Rupert Everett (Valmont), Nastassja Kinski (Madame de Tourvel). Nel 2006, la marchesa di Merteuil si converte in una femme fatale potenzialmente assassina nel film per la televisione Flirting with Danger di Joyce Brotman. Nel 2016 vengono realizzate due versioni internazionali: Ligações Perigosas, miniserie di Denise Saraceni e Vinícius Coimbra, ambientata nel Brasile degli anni venti, trasmessa dalla televisione brasiliana Globo e Cruel Intentions, seguito della trilogia Sexe intentions, rifacimento per la televisione del film di Kumble. 29
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20. Liaisons Tropicales, la commedia musicale di Alfredo Arias, messa in scena a Buenos Aires nel 2003, e il brano Beyond My Control di Mylène Farmer, missaggio sonoro della celebre battura che John Malkovich/Valmont nel film di Stephen Frears pronuncia al momento della rottura con Mme de Tourvel. 21. Saito Chihô, Valmont, (vol. I e II), manga ed. Soleil, Paris, 2010. 22. A testimonianza della fortuna teatrale del romanzo, solo in Francia, a partire dal duemila, oltre a diversi allestimenti della pièce di Hampton, si contano numerose rappresentazioni originali: Les Liaisons dangereuses de Choderlos de Laclos, adattamento e regia di Didier Sandre, con Ludmila Mikaël (Merteuil), Didier Sandre (2000), Les Liaisons dangereuses, adattamento e regia di Régis Mardon e Pascal E. Luneau, Théâtre de l’Essaïon, Parigi (2010), Les Liaisons dangereuses, adattamento e regia di Joël Côté, Compagnie Bob&Aglae, al Théâtre de l’Opprimé, Parigi (2011), Les Liaisons dangereuses, adattamento e regia di Joël Côté, Compagnie Bob&Aglae, Théâtre Confluences, Théâtre de la Reine Blanche e Théâtre de Ménilmontant, Parigi (2012), Les Liaisons dangereuses, adattamento e regia di Christine Letailleur, con Dominique Blanc (Merteuil) et Vincent Pérez (Valmont) (2015). 23. Elenchiamo le maggiori: creazione di Bob Wilson (1980) – creazione in francese di Marc Liebens (Ensemble Théâtral Mobile, 1983) – regia di Patrice Chéreau (1985) – regia di Brigitte Haentjens (1996) – teatro danza di Jolente De Keersmaeker, Anne Teresa De Keersmaeker, Cynthia Loemij, et Frank Vercruyssen (1999) – regia di Hans-Peter Cloos (2003) – regia di Matthias Langhoff (2006) – regia di Bob Wilson con Isabelle Huppert et Ariel Garcia-Valdes (2006) - Letture di Jeanne Moreau e Sami Frey (2007-2008) – regia di Jean-Luc Ollivier (Globe théâtre, 2011) – regia di Florent Siaud (Théâtre La Chapelle, 2013) – regia di Benjamin Cotelle (Théâtre des Sens, 2014). 24. Frears sceglierà di fornire allo spettatore una delucidazione conclusiva, espressa in chiave melodrammatica, sulla posizione e sulle motivazioni di Valmont e di Merteuil. 25. Forman Miloš, Valmont (realizzazione: 1988, uscita: 1989), con Colin Firth (Valmont), Annette Bening (Madame de Merteuil), Meg Tilly (Madame de Tourvel), Fairuza Balk (Cécile de Volanges) e Henry Thomas (Danceny). Il film ha ricevuto una nomination all’Oscar e ha vinto nel 1990 il premio César per i migliori costumi. 26. Nel testo di riferimento al nostro studio: Laclos (De) Choderlos, Les Liaisons dangereuses. Avertissement de l’éditeur, (p. 23) Ed. Gallimard, coll. Folio classiques, prefazione di André Malraux, Parigi, 1970 (prefazione), 1972 (testo e note), note di Joel Papadopoulos, 2001.
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I Puro teatro
La vocazione scenica del duo libertino
Una vocazione all’incarnazione J’ai voulu faire un roman qui retentît encore sur la terre quand j’y aurai passé P.A.F. Choderlos de Laclos
Il conte Alexandre de Tilly riporta nelle proprie Mémoires1, dedicate alla vita galante dell’aristocrazia francese nel tardo settecento, la confidenza di un militare disilluso che si propone di compensare le scarse gratificazioni offerte dalla carriera nelle armi con il successo di un’ambiziosa opera prima letteraria. Nel descrivere al conte le circostanze di composizione de Les Liaisons dangereuses, pubblicato nel marzo del 1782,2 il generale P. F. A. Choderlos de Laclos, esperto in balistica e in strategia di posizione, dice di aver immaginato un’opera che gli sarebbe sopravvissuta, che avrebbe continuato a riecheggiare sulla terra ben oltre la sua scomparsa. L’aneddoto narrato da Tilly assume, oggi, valore profetico: il romanzo di Laclos non solo ha un’immediata risonanza presso i lettori contemporanei all’autore, ma acquista, nel tempo, una tale celebrità e una così forte autonomia da offuscarne vita e produzione successiva. Malgrado la posizione politica di rilievo avuta al fianco di Philippe d’Orléans, la partecipazione attiva al mondo intellettuale rivoluzionario e la redazione di altri scritti a carattere non narrativo3, il militare è ricordato oggi come l’autore di una sola opera4 che rappresenta l’approdo del romanzo analitico settecentesco, la confluenza del teatro galante e del filone libertino e, infine, “le couronnement et la liquidation du roman épistolaire”5. 31
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L’asserzione di Laclos riportata da Tilly non manifesta necessariamente la coscienza del valore atemporale del proprio romanzo, esprime piuttosto la visione folgorante dell’impatto che avrà, in modi e in tempi diversi, sui lettori, e riflette, tramite un’immagine altamente evocativa, il clamore che ne accompagna l’uscita. All’epoca della pubblicazione l’opera prima del militare è letta come roman à clef, dove l’autore avrebbe rielaborato fatti e personaggi osservati nei salotti aristocratici tra il 1769 e il 1775, durante un periodo di ozio forzato passato in guarnigione a Grenoble.6 Al pari della granata, di cui, ironia della sorte, lo stesso Laclos è inventore, il carteggio provoca una “deflagrazione” inattesa nella sfera mondana: le lettere che lo compongono s’introducono nel tessuto sociale in fini schegge penetranti, capaci di rivelarne i meccanismi sotterranei e di far emergere le strategie di seduzione e d’inganno che ne reggono le fragili fondamenta. Il 21 aprile del 1781, a solo un mese dalla prima edizione, Laclos ne firma una seconda e nei salotti parigini iniziano a circolarne versioni contraffatte: le reazioni esacerbate dei lettori, che si compiacciono nel riconoscere, oltre la finzione, vicende e figure note, pongono l’opera al centro del dibattito mondano e le garantiscono un successo scandalistico addirittura maggiore rispetto a quello degli scritti sadiani. La prossimità de Les liaisons dangereuses spaventa maggiormente rispetto alla crudele distanza posta dal divino marchese. Se quest’ultimo mette in scena forme esplicite di violenza fisica, relega i propri personaggi in contesti isolati e fa vivere loro una sessualità estrema in cui il pubblico tende a non riconoscersi, Laclos interpella direttamente i propri lettori tramite personaggi che si esprimono in termini familiari, si muovono in un terreno noto, calcano modelli comuni e condividono i medesimi rituali sociali. Gli interlocutori de Les liaisons dangereuses appartengono all’universo protetto di un’aristocrazia che nelle loro parole legge specularmente se stessa e vede narrata la propria sconfitta: “Ce n’était pas 32
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le système de Valmont et de Mme de Merteuil qui était particulièrement scandaleux. Mais c’était que ce système parût vrai, que son succès fût vraisemblable”7. Mme de Merteuil e M. de Valmont provocano sentimenti ambivalenti, di riprovazione o di fascinazione, ma non alimentano il distacco che il lettore pone tra sé e i libertini sadiani, le cui atroci infrazioni alla norma possono essere confinate entro una cornice fittizia che le separa dal “possibile”. L’innocenza del primo amore risulta sospetta dopo aver assistito alla scoperta di una sessualità scissa dal sentimento da parte di Cécile de Volanges e di Danceny, la resistenza della virtù rivela una fragilità inattesa dinanzi alla caduta di Mme de Tourvel e all’estasi condivisa con Valmont a prescindere dal dovere coniugale, la leggerezza della seduzione libertina mostra la gravità del giogo cui lega i partecipanti e gli effetti esacerbati cui può condurre, la finezza del pensiero sembra ritorcersi contro se stessa se posta al servizio di un sistema gratuito e autoreferenziale. Dietro l’apparente complicità dell’amour goût, del gioco mondano di conquista, della ricerca di un piacere condiviso, il lettore scopre “la gravité et la cruauté de ce jeu, tout ce qu’il peut y entrer de volonté d’humilier et de contraindre”8. Eppure non può esimersi dall’ammirare l’intelligenza di personaggi che agiscono in base al proprio pensiero, che “sono” la forza e l’arguzia del proprio pensiero. La questione morale posta dalla corrispondenza permane irrisolta e l’opinione pubblica si divide tra detrattori e sostenitori di un romanzo che racconta il libertinaggio aristocratico e celebra la perspicacia dei suoi esponenti, ma sembra al contempo decretarne la condanna e annunciarne la fine prossima9. Le strategie seduttive progettate o riportate dalle principali voci narranti disegnano, per i lettori del tempo, il quadro archetipo dei rapporti amorosi. Le peculiarità “verbali” degli scriventi garantiscono loro unicità e spessore, pervengono a fagocitare il romanzo d’appartenenza e, quale che sia la loro origine, sembrano avvallare la finzione paratestuale di auten33
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ticità della corrispondenza10. Insinuano il dubbio e alimentano il desiderio, solleticano la curiosità dei sensi e sollevano l’indignazione morale. Acquisiscono concretezza. Si cercano nuovamente i volti da attribuire agli interlocutori, ma non si tratta più d’individuarne l’identità nascosta, bensì di fornire a personaggi percepiti come straordinariamente vivi e veritieri un corpo scenico che risponda a tale “presenza” di parola. Nel 1783, l’anno successivo alla pubblicazione, l’opera di Laclos è già adattata per il palcoscenico con il titolo Le Danger des liaisons, pièce in un atto di Mme de Beaunoir, pseudonimo di A.L.B Robineau; nel 1784 la Parigi mondana riconosce personaggi ed episodi del romanzo nella commedia La Comtesse de Chazelle di Mme de Montesson; nel 1787 si rappresenta oltremanica Seduction, di Thomas Holcroft, che riprende situazioni e battute de Les Liaisons dangereuses. Solo lo scoppio della rivoluzione sembra poter temporaneamente arrestare questo primo movimento d’adattamento scenico del romanzo. L’impressione di autonomia fornita al pubblico dal personaggio laclosiano è una delle principali ragioni del rapporto privilegiato che Les liaisons dangereuses instaura da subito con la scena teatrale. Tra carteggio e testo drammatico esiste un’affinità sostanziale: benchè il primo presupponga una separazione spaziale degli interlocutori e uno scarto temporale tra la fase di redazione e quella di ricezione, entrambe le forme sono basate sullo scambio dialogico. Si tratta, cioè, di testi che non prevedendo l’intervento narrativo e descrittivo di un narratore esterno11 e di conseguenza rinforzano la “presenza” attiva dei parlanti, i quali sembrano “fabbricare” progressivamente la narrazione. La questione si pone con maggior forza nell’opera di Laclos e nella pellicola di Frears. Il regista attualizza tramite il dispositivo filmico il caso singolare di un romanzo i cui personaggi principali agiscono sulla base esclusiva di un pensiero “verbalizzato” che convertono in una forma drammatica di cui gestiscono trama e personaggi secondari: 34
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Dans leurs projets de séduction et de revanche, les libertins assument [ … ] le rôle d’auteurs, de romanciers et d’écrivains : les dévéloppements cruciaux de l’intrigue doivent être prévus à l’avance, mis en scène, répétés ou improvisés ; les personnages autour d’eux deviennent des “personnages”, des “acteurs” qui attendent qu’un rôle leur soit assigné.12
Cécile e Danceny sono a più riprese designati da Merteuil e Valmont come gli eroi del “romanzo” libertino che stanno scrivendo a doppia mano e lo stesso visconte attende che la marchesa gli dia ordini da eseguire e gli fornisca direttive sceniche per meglio interpretare la propria parte nella commedia degli inganni di cui è protagonista. Romanzo e teatro si confondono nelle lettere di Laclos, poiché la mise en abyme dell’atto di scrittura che sottende l’intero carteggio non è mai compiuta in se stessa, prevede sempre una mediazione spettacolare e un plauso pubblico13. In questo consiste “le pouvoir naturel de Laclos de faire coincider vie et écriture, trasformant sa prose en pure volonté, pure action, pur désir”14. La radicalizzazione della mise en abyme del processo di costruzione romanzesca fa dunque appello alla visione: la vita dei personaggi è convertita in un’epica della seduzione tramite molteplici messe in scena che i principali scriventi realizzano per riaffermare la perfetta coincidenza con i personaggi di cui hanno volontariamente assunto le sembianze, nella piena consapevolezza dello sguardo (o degli sguardi) cui saranno sottoposti. Come se i due maggiori interlocutori, Valmont e Merteuil, non vivessero che per “riportare” le proprie imprese, farne racconto e spettacolo da destinarsi tanto al théâtre du monde, quanto al proprio complice, il solo in grado di assaporare appieno il piacere esclusivo dell’intelligenza che si fa scrittura. I singoli episodi di seduzione, narrati e drammatizzati dal visconte e dalla marchesa, sono dimostrazione non solo del valore di chi li ha realizzati, ma della sua maestria nell’evocarli, servono a provocare l’ammirazione di chi ne riceve il racconto e a sancire una forma d’intesa primariamente intellettuale. La componente meta-letteraria del romanzo di Laclos, garantisce, dunque, l’autodeterminazione a un corpo “non 35
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fisiologico” immesso in una prospettiva vitale, in un dinamismo narrativo. Un corpo che domanda di acquisire l’anatomia mancante. Il teatro gli offrirà soffio, respiro e carne. Il cinema convertirà la carne in immagine e in illusione fisiologica. In illusione “incarnata”, appunto.
Il corpo attoriale romanzesco Les liaisons dangereuses s’iscrive tra le manifestazioni più perfezionate di una civiltà “eminentemente teatrale” la quale, pur avendo “posto l’aspirazione alla felicità su questa terra al centro della propria investigazione filosofica e morale”15, converte tale felicità in rituale sociale, sacrificandola al piacere della sua simulazione, un piacere “cosi intenso da fare dire a Madame de Stael che a Parigi si poteva persino fare a meno di essere felici.”16 Il romanzo restituisce appieno al lettore: “ lo spettacolo di una società innamorata del proprio virtuosismo formale”17 che giudica i propri membri e ne determina la posizione esclusivamente in relazione alla capacità d’interpretare con elegante disinvoltura la propria parte, di corrispondere a quel che il pubblico di pari si aspetta di vedere. I personaggi di Laclos, appartenenti all’ambito ristretto e privilegiato dell’aristocrazia, sono figure esemplari di un mondo che garantisce il primato della vita mondana su quella privata e della ripetizione codificata sull’imprevedibile accidentalità della contingenza. Di un’élite che si riconferma mutualmente, portando avanti ad oltranza: Una commedia raffinata e brillante, sullo sfondo di un décor fatto di sete, di ori e di specchi [...] che richiedeva autodisciplina, perfetta padronanza dei mezzi espressivi, rapidità di riflessi, uso di mondo, garbo, esprit – vale a dire quell’insieme di requisiti tipicamente francesi che Lord Chesterfield chiamava le Graces.18
I principali scriventi de Les liaisons dangereuses sono
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“acteurs expérimentés, prêts à se vanter de leurs exploits, à citer leurs sources et même à s’émerveiller de la crédulité naïve de leur public”19. Merteuil e Valmont, consapevoli che, in società, per praticare il gioco del libertinaggio, è necessario “joindre a l’esprit d’un Auteur le talent d’un comédien” (Lett. 81), inventano se stessi e scrivono il proprio e l’altrui copione, manifestando la necessità vitale di mettersi in scena. La vocazione attoriale degli eroi di Laclos, pur collegando strettamente l’universo romanzesco dello scrittore alla società francese dell’Ancien Régime, ne permette il superamento e viene ad affermarsi come cardine atemporale su cui poggiano le riscritture drammaturgiche dell’opera. La singolarità del romanzo deriva, infatti, in larga misura, dalla presenza linguistica dominante di personaggi che esistono esclusivamente nel tentativo – votato alla sconfitta – di rimanere fedeli all’immagine di sé che hanno elaborato e sostenuto nel tempo. Ovvero di “personaggi” che non cessano di definirsi e di concettualizzarsi in quanto tali. In questo risiedono l’unicità e la novità de Les liaisons dangereuses: Les personnages significatifs de Laclos ont, pour agir sur le lecteur, une raison profonde : ils portent d’autant plus à l’imitation qu’eux-mêmes imitent leur propre personnage. Fait nouveau en littérature : ils se conçoivent.20
Valmont si concepisce come Valmont e proietta tramite la propria scrittura un’immagine di sé fatta di un tono particolare che mescola lucidità e disinvoltura, cinismo ed ironia, ed anche una sorta di energia fisica, una aisance ferina accettabile solo a patto di essere gestita. Il corpo del visconte, al pari di quello della marchesa, è un corpo attoriale su cui trionfa la sola vera passione dell’attore: la fascinazione per il proprio personaggio, la quale lo induce ad un’ostinazione nella ripetizione, all’impossibilità di abbandono della propria “incarnazione” scenica21. Egli giunge addirittura a esprimere l’e37
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sigenza di prodursi davanti a un pubblico, affermando con spavalda certezza che all’impresa non mancheranno spettatori: “Au fait, n’y ai-je pas jouissances, privations, espoir, incertitude? Qu’a-t-on de plus sur un plus grand théâtre? des spectateurs ? Hé! laissez faire, ils ne manqueront pas” (Lett. 99). La modalità attoriale di Mme de Merteuil e di M. de Valmont, sorretta dalla citazione ripetuta di testi drammaturgici e dall’utilizzo di un lessico di scena, si concretizza in una serie di episodi di stampo apertamente teatrale (l’avventura di Prévan, la carità di Valmont, l’inganno di Mme de Volanges) e percorre sottilmente l’intera narrazione nella costante e perfetta dissociazione tra realtà e apparenza operata dalla coppia libertina. André Malraux, nella celebre Préface dedicata alle Liaisons dangereuses sul finire degli anni cinquanta, afferma che “chaque personnage de Laclos ne vit que par son ton, n’est que ton”22. Potremmo aggiungere che ciascun tono comprende note diverse, una serie di varianti che si definiscono in rapporto all’interlocutore e alle circostanze dello scambio. Valmont è lo scrittore più prolifico del romanzo e quello che dà maggior spazio al proprio virtuosismo stilistico, adattando con consumata abilità il tono delle proprie lettere alle aspettative dei diversi riceventi e agli effetti che desidera indurre. Il visconte scrive cinquantun lettere sulle centosettantacinque che compongono il racconto, delle quali trentuno sono destinate alla complice, Mme de Merteuil, cui si rivolge dando libero sfogo alla propria ironia e mostrandosi un interlocutore alla pari, brillante, sagace e scanzonato. Tale registro è riservato, però, esclusivamente alla marchesa. Dissacrante pedagogo e tramite amoroso di Cécile de Volanges, confidente privilegiato e sperimentato consigliere di Danceny, peccatore penitente sulla via della redenzione, e, in seguito, amante rispettoso ma appassionato di Mme de Tourvel, Valmont porta all’estremo il polimorfismo di scrittura e l’assunzione della maschera. Utilizza il linguaggio delle vittime come travestimento del proprio 38
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e moltiplica doppi e tripli sensi cui far partecipe Mme de Merteuil. La marchesa scrive, a sua volta, su più livelli e fa uso di fonti cui ispirarsi e modelli cui aderire per ottenere l’effetto desiderato: il cavaliere di Belleroche è sedotto da “un chapitre du Sopha, une Lettre d’Héloïse, et deux Contes de La Fontaine”(Lett.10). I due personaggi libertini sono ciascuno la costruzione concettuale di sé e la propria proiezione pubblica, l’elaborazione di un’idea che si attualizza non in unico tono, ma in un “tono in situazione” da adottare a fini precisi, in una parola drammatica che è azione e metamorfosi. Nella celeberrima lettera ottantuno Mme de Merteuil racconta a Valmont il proprio percorso di “formazione attoriale”, dall’ingresso in società nella prima adolescenza al matrimonio e infine alla vedovanza. Attraverso l’esercizio costante dell’osservazione e della perspicacia ella afferma di essere riuscita a eliminare la spontaneità delle proprie reazioni emotive per poter simulare sottomissione ai codici comportamentali del tempo, rigidità morale e religiosa e assenza di desiderio, fino ad ottenere una perfetta padronanza di sé in grado di garantirle, al contrario, il preciso e puntuale soddisfacimento dei propri “bisogni” naturali e il consenso impotente delle proprie vittime23. La marchesa, femme de tête in grado di esercitare il controllo su di sé per dirigere i suoi inconsapevoli coadiuvanti, esprime la rigida virtù che esige il libertinaggio mondano, il quale “demande une longue formation et un continuel exercice”24, ma giunge anche ad incarnare, nel più sofisticato dei modi, la qualità chiave dell’attore espressa da Diderot nel celebre Paradoxe sur le comédien25, ovvero la completa padronanza mentale sulle reazioni proprie e di altri (“ce n’est pas son cœur, c’est sa tête qui fait tout”26). Esiste una chiara affinità tra l’attitudine di Mme de Merteuil e il metodo dell’acteur de tête definito da Diderot: il confronto tra il corpo dell’attore e l’immagine che questo stesso corpo incarna sulla scena avviene tramite la coscienza precisa di 39
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uno sguardo, il proprio e quello di un pubblico che ha il potere di sancirne, con l’applauso o con il fischio, il prestigio permanente o la rovina. Le osservazioni espresse da Diderot ribadiscono la necessità che l’attore, costantemente cosciente del proprio gesto e della propria posizione nello spazio, non permetta mai all’emotività di interferire con l’emozione simulata27. A differenza del Don Giovanni e in analogia alla marchesa, il visconte di Valmont non ha preoccupazioni di ordine metafisico e, per soddisfare un desiderio che appartiene esclusivamente all’immanenza, assume il ruolo di tattico e d’intellettuale della seduzione, lasciando occasionalmente spazio all’improvvisazione per trarne profitto. Dell’eroe ispanico egli conserva, però, la relazione emblematica intrattenuta dal seduttore con le proprie vittime e con la società di riferimento, che è propriamente quella dell’attore con lo spettatore. Nella prospettiva definita da Diderot egli incarna “l’acteur de tempérament” che esercita la finzione grazie ad una sorta di predisposizione naturale – “la figure, la voix, le jugement, la finesse”28 – mosso da una concezione spettacolare dell’esistenza che lo induce ad agire nel mondo al solo scopo di lasciarvi un’impressione indimenticabile: “quand j’y mets du soin, l’impression que je laisse est ineffaçable” (Lett. 144). Eppure i resoconti del visconte delle proprie reazioni agli eventi inattesi fanno spesso pensare agli “hommes chauds, violents et sensibles” che, secondo Diderot, si danno in ridicolo spettacolo agli altri, i quali, come la marchesa, tengono le fila del dramma senza troppo parteciparvi: “Dans la grande comédie, la comédie du monde, celle à laquelle j’en reviens toujours, toutes les âmes chaudes occupent le théâtre; tous les hommes de génie sont au parterre”29. Le lettere di Valmont fanno talvolta supporre che egli perpetri le proprie macchinazioni non tanto per vivere un’avventura, quanto per interpretare al meglio un ruolo ben preciso, dettato da una regia misteriosa. Se, da un lato, è il codice sociale cui 40
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Valmont si attiene a confermarsi regista “storico” dell’impresa libertina, dall’altro, a dirigere lettera dopo lettera i movimenti del visconte è la marchesa di Merteuil, artefice di una progettualità individuale e concorrente rispetto all’egemonia maschile della seduzione.
La regia libertina Ils sont descendus de l’Olympe de l’intelligence pour tromper les mortels. Les Liaisons, si on les résumait, seraient une mythologie30
Il romanzo di Laclos è un sistema di cristallo, costruito su posture e im-posture verbali, che sulla parola si regge e che solo la parola può far crollare. In questo senso Malraux definisce le Liaisons dangereuses come una mitologia dell’intelligenza verbalizzata in cui Merteuil e Valmont avrebbero, per gradi diversi, il ruolo di demiurgi.31 Il visconte e la marchesa si distinguono dagli altri personaggi per l’entità del loro scambio, per la coscienza di se stessi e per l’attenzione meticolosa che portano al linguaggio. I due personaggi fagocitano il carteggio, occupando lo spazio epistolare come occupano metaforicamente la “scena” del racconto e come abitano, in senso proprio e in senso figurato, l’adattamento di Frears, articolato attorno alla loro complicità e al loro conflitto. Non è un caso che, nonostante la struttura polifonica e polisemica del testo, a marcare la memoria del lettore e ad assicurare l’immortalità del romanzo siano le figure del visconte e della marchesa: se si contano le lettere che si scrivono mutualmente e quelle che si fanno pervenire, benchè indirizzate ad altri, il loro scambio risulta di gran lunga superiore a quello degli altri scriventi e di conseguenza “le commentaire libertin à visage découvert l’emporte de beaucoup, structurellement, sur le masquage hypocrite, la sphère du discours cynique sur l’expression du 41
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langage amoureux”32. Quale che sia la parte di “finzione” che Valmont e Merteuil si riservano, la quasi totalità del loro scambio è improntata al registro della complicità libertina: brillante, cinico, ironico e disperatamente volontario. Di conseguenza la loro presenza linguistica dominante e la parziale sincerità con cui si rivolgono l’uno all’altra definiscono l’orientazione del romanzo e fanno appello direttamente al lettore, il quale avrà tendenza ad assumere il loro punto di vista sul mondo e, se non a condividerlo, perlomeno a parteciparvi come “spettatore” assaporandone l’intelligenza. La preminenza linguistica dei due personaggi li connota, dunque, come meta-autori del testo cui si accosta il ricevente, di un romanzo in fieri che sembra prendere forma parallelamente alla loro azione di scrittura. Ne fa ugualmente i drammaturgi e i registi di una rappresentazione che esiste nel suo farsi linguistico. Non a caso la loro enunciazione ruota attorno ai campi del “volere”, del “sapere” e del “potere”, a verbi modali che presuppongono, a seguire, un “infinito” d’azione. Il loro operato s’innesta su concetti “verbalizzati” e prevede sempre un potenziale svolgimento, una realizzazione. L’ascendente che hanno l’uno sull’altra è una questione di ordine linguistico, viene dal dominio sulla parola, con una netta superiorità della marchesa che giunge addirittura a dettare la lettera di rottura al visconte. Più prudente rispetto a Valmont, che resta il suo principale interlocutore, Mme de Merteuil, pur essendosi data come regola prima di libertinaggio quella di “ne jamais écrire” (Lett. 81), spedisce venticinque lettere di cui ventuno indirizzate al visconte ed esprime una riflessione costante sulla scrittura. La priorità della marchesa sugli altri personaggi deriva essenzialmente dalla capacità argomentativa di cui fa prova, citando con frequenza inattesa i propri interlocutori per poi analizzarne lo stile e verificarne gli effetti, criticarlo e talora smascherarlo, giungendo addirittura a indirizzare la scrittura di Danceny e di Cécile o a usurpare la piuma di Valmont. Se il lettore può indovinare nella prosa a effetto del vi42
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sconte uno sforzo di composizione teso ad assecondare le aspettative delle interlocutrici, il linguaggio di Mme de Merteuil, dinamico ed essenziale, sembra fluire spontaneamente, con una naturalezza e una facilità che manifestano la maestria linguistica della marchesa. Quando si rivolge alla complice il tono di Valmont è mondano, ricco di termini familiari e alla moda, ma si vuole brillante, provocatorio e sempre seduttivo. La guerra offre al libertino un vasto repertorio d’immagini tradizionali, introdotte come espressione della conquista amorosa nella prosa preziosa del secolo precedente. L’amore è un corpo a corpo. La marchesa accetta di combatterlo in singolar tenzone. IL visconte mescola la raffinata eleganza dei salotti alle espressioni volgari per il gusto di farlo, per affermare un’immagine scanzonata di se stesso, introducendo addirittura la blasfemia religiosa per inorgoglirsi della propria onnipotenza. Anche la lingua di Mme de Merteuil è molto vicina alla conversazione da salotto e ricca di termini familiari, ma cerca la brevità, la varietà e l’efficacia. L’influenza della società galante è presente, ma la marchesa innova l’arte del dialogo mondano introducendovi neologismi33 ed esotismi34 e fornendo agli aggettivi e ai sostantivi inattese estensioni di senso35. Mme de Merteuil è in grado di piegare la propria prosa a inflessioni diverse che vanno dalla più acre ironia all’orgoglioso disprezzo, dalla parodia delle sacre scritture alla volgare derisione, dal distacco alla collera. Solo il lessico sentimentale è assente: la marchesa disquisisce d’amore senza mai rivelare uno slancio passionale o emotivo, si limita a saccheggiare e a calpestare il linguaggio dei sentimentaux. Il visconte abusa, invece, di superlativi e d’iperboli che esprimono la sua foga naturale, l’energia convogliata nelle imprese di seduzione. Animata da un’immaginazione fervente, Mme de Merteuil moltiplica le figure inaspettate e le similitudini improntate ai contesti più diversi, ma il suo registro resta essenzialmente dinamico, teso all’azione, mentre Valmont non riesce ad esimersi, nemmeno con la marchesa, dalla costante “spettacolarizza43
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zione” del linguaggio e cadenza la propria prosa di procedimenti retorici diversificati (antitesi, parallelismi, metafore) che le offrono un’apparenza talvolta artificiosa. La forza “testuale” di Mme de Merteuil è frutto, dunque, di una parsimonia epistolare e di una sistematicità discorsiva. Nella sua stanzialità parigina la marchesa economizza sul linguaggio e dirige scrittura e azione, mentre Valmont, in continuo spostamento, non cessa di scrivere e d’infiammarsi, passando dalla confessione d’amore al diniego, dalla speranza alla disperazione, dalla sottomissione alla sfida, in un caleidoscopio di passioni contrastanti che fanno la complessità e la debolezza della scrittura e del personaggio. Il visconte, modello di libertinaggio mondano e rappresentante più seducente dell’egemonia maschile nella società aristocratica del tempo, incarna il diritto di conquista e di possesso che per tradizione spetta all’uomo e di cui la marchesa sarà usurpatrice. La prosa di Valmont esprime costantemente il sentimento del potere e la possibilità di applicarlo, ma anche, e soprattutto, il terrore di perderlo in virtù di un asservimento amoroso e del ridicolo che ne conseguirebbe. In quest’ambivalenza si costruisce il suo registro fondante: al delirio d’onnipotenza, espresso in un linguaggio ridondante e pieno, nella reiterazione delle similitudini belliche e religiose, si associa la progressiva scoperta di un sentimento adolescenziale, anch’esso elaborato in termini estatici e superlativi. Entro questo doppio binario s’inserisce l’ambiguità derivante dall’assunzione di diverse maschere attoriali e nemmeno l’ironia che stempera la passione di Valmont è sufficiente a colmare la duplicità di fondo del suo discorso e della sua azione. A suo modo più “integra”, la Marchesa di Merteuil elabora un cartesianesimo erotizzato e sistematico entro cui definisce e muove le pedine del proprio gioco. Se il visconte si crogiola nel proprio – illusorio – potere, la marchesa, cogito femminile dominante, “le personnage féminin le plus volontaire de la littérature française”36, traccia un percorso 44
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di subordinazione volontaria all’imperativo della ragione, al punto di poter affermare “Je suis mon ouvrage” (Lett. 81). In opposizione all’abnegazione totale di sé cui perverrà Mme de Tourvel, Mme de Merteuil impone se stessa tramite la reiterazione della prima persona singolare in ciascuna lettera. Attraverso l’uso costante del verbo vouloir e di frasi dichiarative e imperative che non accettano smentite e rifiuti, ella celebra la propria volontà e tenta di renderla infallibile tramite l’esercizio di una dissimulazione rigorosamente studiata e applicata al quotidiano. Un secondo verbo modale, “savoir”, nonostante le poche ricorrenze nel vocabolario della marchesa, giunge a imporsi grazie a un’unica frase destinata a marcare la memoria dei lettori. Narrando al visconte la scoperta della propria sessualità, la marchesa afferma: “je ne désirais pas de jouir, je voulais savoir” (Lett. 81). La volontà perentoria che permette al personaggio di soggiogare “le vivant au systématique”37 presuppone un desiderio di conoscenza che s’impone su tutte le altre forme di attrazione e subordina a sé pulsioni di natura fisica e sessuale. L’erotismo de Les liaisons dangereuses sarebbe, in tale prospettiva, sublimato nel trionfo di un pensiero che s’inventa, si articola e si compiace del proprio valore tramite la parola, ovvero di un’intelligenza verbale che non esiste se non nella progressiva “messa in atto” e “in scena” di se stessa: Mme de Merteuil a donc la passion du jeu (au sens théâtral), qui unit le plaisir de provoquer des passions et le plaisir de tromper en imitant les signes passionnels (ou en les dissimulant). Ce plaisir de tromper, en quoi consiste-t-il? Il tient manifestement à l’art de faire naître des émotions qu’on ne ressent pas soi-même, de les orchestrer.38
In una mostruosa dissociazione tra corpo e intelletto, la marchesa produce e vive sulla propria persona il piacere dello spettatore erotizzato che osserva il proprio teatro, la messa in scena che ha orchestrato, le emozioni che ha suscitato nel pubblico e le reazioni degli attori, complici e vittime della rappresentazione. Tale piacere, sentito e illusorio 45
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al contempo, s’identifica al piacere teatrale. Si tratta di una dilettazione estetica che acquista una reale esistenza solo se ha la possibilità di essere condivisa e di offrirsi perlomeno a un secondo spettatore che non sia il regista stesso. Vedremo in seguito come l’operato della marchesa, solipsista, gratuito ed autocelebrativo, sia destinato a perire allorché ella stessa sconfigge il suo unico possibile referente, Valmont, primattore e spettatore privilegiato della sua commedia, il solo in grado di apprezzarne e sancirne la maestria. Mme de Merteuil si rivela essere il personaggio cardine del sistema a scacchiera che governa il romanzo, colui che “se substitue à l’auteur et l’évince, puisqu’il est lui-même l’écrivain ; personne ne parle ni ne pense à sa place, c’est lui qui tient la plume”39. In realtà l’autore si manifesta costantemente attraverso preamboli, note e post-scriptum, e l’impressione di autonomia che i personaggi di Laclos offrono ai lettori nasce dal preciso controllo del romanziere il quale “dirige le jeu, tout autant que le dirige l’auteur de théâtre, bien qu’absent de la scène. Par la disposition des lettres, il ménage des effets, comparables à ceux du dialogue théâtral”40. Se in medias res Laclos privilegia il punto di vista dei due seduttori tramite cui dirige lo sguardo del lettore domandadogli una parziale adesione, in finale di partita, quando mette a tacere i due principali scriventi, egli rivela la presenza di chi redige, seleziona e dispone le lettere, di una figura esterna al carteggio. Non deve stupire, in tal senso, l’impressione di un finale posticcio del romanzo, la sensazione di rottura improvvisa generalmente percepita dal lettore: l’epopea libertina ha di fatto termine nel momento in cui scompare la corrispondenza tra Merteuil e Valmont, cancellata dalla più breve lettera dell’insieme epistolare, da un solo termine, quella “guerre” che la marchesa dichiara al visconte impedendo ogni possibile sviluppo futuro. Da allora in avanti prendono la parola i personaggi secondari e spetta addirittura a Mme de Volanges chiudere il carteggio con considerazioni 46
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moraleggianti eppur sentite, attonite e dolorose, sulla vicenda. L’autore sembra permettere a Mme de Merteuil e a M. de Valmont d’inventare se stessi e il proprio copione nel théâtre du monde, d’interpretare il proprio ruolo e di dirigere quello di altri, offre loro il controllo della scena, ma nel giro di poche lettere conclusive lo azzera con inattesa violenza. Regista senza palcoscenico, egli scrive un’opera eminentemente scenica e affida temporaneamente il proprio ruolo direttivo a uno dei personaggi, producendo magistralmente l’illusione d’autonomia del carteggio e degli scriventi, per poi riaffermare la propria presenza direttiva con una rapidità e un’efficacia inaspettate. Nel corso dei secoli, teatro e cinema hanno risposto favorevolmente a tale illusione, esaudendo lo sforzo di drammatizzazione della marchesa di Merteuil e il costante rapportarsi del visconte di Valmont al proprio “modèle en action, confronté à la vie, incarné”41. Dangerous Liaisons soddisfa esemplarmente la loro “vocazione” all’incarnazione dando “corpo” a un “tono” attoriale, alla tensione verso il proprio personaggio e all’enumerazione degli effetti – anche fisici, sensoriali – che esso induce nello spettatore – e attore involontario – di ciascuna drammatizzazione. A inizio film lo sguardo dello spettatore è immediatamente sedotto da figure che fabbricano concretamente la propria veste attoriale e delineano la bozza di un intrigo che sembra poi svilupparsi seguendo le loro direttive, le quali poggiano sull’alternanza e sull’ambiguità, e, di conseguenza, sull’eccitazione dei sensi e dell’intelletto dello spettatore.
Il corpo attoriale cinematografico Un breve prologo introduce la pellicola. Due mani di donna, nel buio, in piano ravvicinato, aprono lentamente una misteriosa lettera sigillata che porta il titolo del film, Dange47
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rous Liaisons, annunciandone apertamente l’origine epistolare e anticipando la ricorrenza della corrispondenza scritta all’interno della pellicola. Lo spettatore scoprirà in seguito, per i gioielli che porta, che si tratta della mano di Mme de Merteuil, interpretata da Glenn Close. Il ruolo direttivo della marchesa è sottilmente riferito al pubblico in sala.
Il motivo musicale in sottofondo, un tema per archi di George Fenton che sarà ripetuto sistematicamente nei momenti cardine della vicenda, evoca i brani composti da Bernard Hermann per Alfred Hitchcock. Ne rielabora la trama sonora incantatoria, la ripetitività ossessiva ed enigmatica, e rimanda esplicitamente al genere noir, collegandosi al mistero introdotto dalle immagini e definendo in apertura il taglio preciso dato dal regista alla storia narrata. Segue una lunga sequenza in montaggio parallelo che mostra, in diciotto piani alternati, distinti con perfetta regolarità in due binari di nove, la doppia preparazione all’entrata in scena nel théatre du monde della marchesa di Merteuil e del visconte di Valmont, accompagnata in sottofondo musicale dal concerto op. 9 La cetra di Antonio Vivaldi, che si sposa armonicamente con l’epoca d’ambientazione del film. Scorrono intanto in sovrimpressione alle immagini i nomi del cast tecnico e artistico, sempre collegati alle prime tra48
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mite un evidente gioco di rimandi e destinati a concludersi solo con l’annuncio della regia di Stephen Frears, esterno però al montaggio parallelo. Al termine della preparazione dei due attori/personaggi, viene, infatti, impressa una svolta dinamica alla narrazione tramite un breve piano sequenza che segue il movimento delle ruote della carrozza di Valmont diretta alla dimora di Mme de Merteuil e si conclude su di una panoramica verticale che mostra in campo lungo Cécile de Volange alla finestra. Solo allora appare il nome del regista, responsabile del movimento di macchina e della “trasformazione” del racconto. Lo stacco dà inizio al film: quel che lo spettatore ha appena esperito sembra essere altro rispetto alla storia che sarà narrata. La fase introduttiva del générique iniziale – forma filmica di passaggio che Christian Metz ha definito con lungimiranza come “une sorte de zone franche entre le monde de la réalité et celui de la fiction, une célébration minutieusement codifiée du cinéma par lui-même, un acte d’énonciation [...]”42 – sembra convocare ogni singolo tassello del film a venire. Ne suggerisce apertamente la struttura a enigma e l’origine teatrale, mostrando la preparazione dei due attori principali dietro quinte che di fatto sono già scena, opera cinematografica nel suo farsi. La sequenza, evoca, in un gioco d’incastri che è la prima mise en abyme meta-cinematografica di un film interamente costruito attorno alla metafora attoriale, il procedimento dell’adattamento inteso nel suo senso primo. Non solo definisce l’origine della pellicola, desunta dal romanzo di Laclos e dalla pièce di Hampton, ma incorpora a sé la fase di passaggio dal mondo reale di fabbricazione del film al mondo fittizio del film stesso, mostrata tramite l’assunzione attoriale della “parola” de Les Liaisons Dangereuses. Non si tratta semplicemente della preparazione all’entrata in scena dei due principali interpreti del film, ma della mise en corps delle voci epistolari del romanzo, di cui la sequenza evoca la dimensione dialogica “in assenza”. Il montaggio alternato 49
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esprime, infatti, tramite le due vestizioni mostrate simmetricamente, la vicinanza per analogia e la parallela separazione dei due maggiori interlocutori del carteggio. L’attuazione concreta della lettera “in corpo” (e “in maschera”, in abito e in trucco di scena) apre la pellicola. Non si limita a introdurla, la sintetizza.
L’apertura anticipa la sfida che motiva e costruisce la trama filmica, illustra la futura epopea dell’orgoglio, il trionfo dell’apparire sull’essere del libertino mondano e la spettacolarizzazione del sé nell’ambito sociale cui è destinato. Si tratta, inoltre, dell’unico passaggio a carattere interamente descrittivo del film, dell’unico momento in cui l’enunciazione non è immagine collegata alla parola, ma resta esclusivamente oggetto, tessuto, profumo, particolare fisico occultato o svelato. Il dato sensibile assume appieno valore metonimico. Cipria e parrucca designano il volto, abiti e scarpe il corpo, orpelli e servitù un secondo corpo, quello sociale dell’aristocrazia che esprime, con una noncuranza dettata dall’abitudine, il proprio dominio sulle cose e sulle persone. La mano di Valmont, ripresa in dettaglio a designare con un gesto appena accennato la parrucca o le scarpe scelte, ne è la sintetica dimostrazione. Un’ulteriore stratificazione 50
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metonimica si rivela nel colore del tacco della calzatura indicata dal visconte, frutto di una scelta non casuale. Verso il 1750, in Francia, appaiono a corte i tacchi rossi nelle scarpe maschili a rappresentare la figura del petit-maître philosophe, evoluzione del seduttore di corte, intellettuale mondano che considera la seduzione femminile come chiave della sua fama. È il simbolo di una classe sociale condannata, dalla reggenza in avanti, all’ozio e alla débauche e la prefigurazione del roué del 1770, che si afferma con la salita al trono di Luigi XVI e al quale Valmont viene a corrispondere. La corruzione dei costumi a corte sembra diminuire, il vizio si dissimula sotto apparenze di correttezza e di sensibilità, il seduttore non esibisce più il proprio disprezzo verso la donna, considerata esclusivamente come strumento di potere, ma si orna delle graces citate in precedenza e si distingue per la scioltezza e per la gradevolezza del linguaggio. Si abbellisce, cioè, tramite orpelli e parole, per soddisfare la propria vanità e per esibirsi sulla scena mondana. Una sola immagine, appena accennata, nel film di Frears, un banale cromatismo, permette di collegare il visconte alla moda del tempo e consente d’inserirlo nella linea in sviluppo della seduzione aristocratica, fino a designarlo come “l’ultimo” dei sagaci libertini da salotto di “prima della rivoluzione”. Le diverse combinazioni “primo piano/specchio” relative al corpo attoriale “Glenn Close/Mme de Merteuil” illustrano a loro volta il valore metonimico dato all’oggettistica di scena ed esprimono la circolarità della pellicola, costruita globalmente sui motivi dello sdoppiamento attoriale, della riflessività e della produzione scenica. Il viso in primo piano di Mme de Merteuil, riflesso nello specchio del suo cabinet de toilette, mentre la donna, seduta di schiena, non è messa a fuoco, apre la fase preparatoria alla vestizione dei due attori, anticipando e “incarnando” la formula già citata “je puis dire que je suis mon ouvrage”. Emblema del narcisismo conduttore della vicenda e 51
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simbolo della titanica impresa attoriale della marchesa, lo specchio esplicita l’assunzione della maschera in apertura del film per decretarne l’abbandono in chiusura: nel medesimo cabinet de toilette non sarà il riflesso, bensì il volto della marchesa ad essere ripreso in primo piano, sfregato con violenza dalla mano che lo libererà dal trucco.
L’entrata in scena di Mme de Merteuil e di M. de Valmont ha, dunque, valore d’anticipazione e di mise en abyme dell’atto filmico, e viene a configurarsi come resa concreta delle figure attoriali create da Laclos, coscienti di esistere solo in virtù dello sguardo posato su di sé. Lo spettatore assiste al momento della fabbricazione del personaggio sociale, il quale non conosce vita che non sia rituale e il cui spazio è invaso di prima mattina dalla servitù, sguardo neutro e riflettente, parificato allo specchio, corollario umano all’oggettistica di cui l’aristocrazia fa uso. La sequenza d’irruzione nel privato da parte della macchina da presa risponde al gioco voyeuristico che sottende il romanzo epistolare: simula la penetrazione dello sguardo nell’intimità e stimola la curiosità dello spettatore, cui fornisce una visione parziale e frammentata dei due personaggi, destinata ad acquisire la propria pienezza solo alla fine, una volta conclusa l’assunzione della veste scenica. 52
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Alla metonimia si accompagna la sineddoche: il tutto attoriale è espresso dalle singole parti che lo compongono nel gioco ripetuto del “mostrato/nascosto” su volto e corpo degli attori. Il viso di “Malkovich/Valmont” è filmato sotto le lenzuola, coperto da una salviettina umida o da un cono che lo ripara dal talco spruzzato sulla parrucca, ripreso dalla nuca, oppure sfocato rispetto agli accessori in primo piano. L’entrata in scena del personaggio è sapientemente ritardata per creare un’attesa nello spettatore. Quest’ultimo avrà la sorpresa di vedere, nel primo piano infine svelato del visconte, l’ennesima machera attoriale, un volto ieratico e inespressivo pronto ad affrontare la scena pubblica senza lasciar trasparire nulla di sé.
Se il viso di Mme de Merteuil appare già dalla prima inquadratura, esso non è che il riflesso mostrato dallo specchio in 54
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cui si osserva compiaciuta, in cui “ripete” il proprio copione, studiando con attenzione le minime variazioni espressive da prendere in pubblico a seconda delle occasioni. Quando finalmente sono entrambi visibili i due “attori/ personaggi” hanno completato il processo di costruzione della propria maschera e la macchina da presa ha delineato i loro presupposti di complicità, ma anche le premesse della futura rivalità, sancita dalle figure intere di entrambi che chiudono la sequenza. Ripresi frontalmente, immobili al centro del quadro, come se fossero l’uno di fronte all’altra, s’immaginano destinati ad affrontarsi in duello.
Entrambi rivolgono uno sguardo impenetrabile alla macchina da presa e, di conseguenza, allo spettatore. L’attore 55
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che guarda in macchina compie un voluto errore rispetto alla verosimiglianza, afferma la finzione e interpella il pubblico in sala. Se da un lato possiamo vedere in questa soluzione il punto d’arrivo del montaggio alternato che non confluisce in un reale confronto tra i due, ma in un “faccia a faccia” simulato tramite la frontalità di entrambi, dall’altro essa crea, da subito, un coinvolgimento diretto dello spettatore nella finzione.
Se l’identità dei personaggi, nel romanzo come nel film, si definisce in base allo sguardo portato su di sé, essa acquista forza e spessore nel momento in cui il personaggio si appropria di questo stesso sguardo e lo dirige allo spettatore, giungendo, per il suo tramite, a costruire e a drammatizzare l’immagine mitica di sé e la propria proiezione pubblica. L’attore che alla fine dei titoli di testa guarda in sala è l’enunciatore filmico, prende la parola e fornisce allo spettatore la stessa illusione di autonomia del personaggio romanzesco, la cui scrittura “attiva” sembra dirigere gli eventi. Lo spettatore stipula da subito un patto di visione condivisa, sancito dallo scambio di sguardi, da un’intesa “filmica” connotata in senso stretto nei termini di una reciprocità attiva.43
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La commedia degli inganni In apertura la regia di Frears interpella lo spettatore, presentandogli i protagonisti del film a venire che prendono silenziosamente la parola tramite un ponte visivo realizzato dallo sguardo. Poche scene dopo, attraverso il dialogo tra Valmont e Merteuil, il pubblico, messo al corrente della manipolazione cui sta per assistere, è reso complice del gioco libertino. Nel passaggio dalla lettera al palcoscenico e dal palcoscenico allo schermo si pone con forza il quesito del sapere. L’accesso alla conoscenza dirige e motiva il tracciato verbale, ma l’ambiguità è interna alla scrittura e il cinema deve rapportarsi ad essa, alternando esposizione e sottrazione del visibile. La parola romanzesca da convertire in dispositivo filmico è contraddittoria ed enigmatica, prevede molteplici chiavi di lettura e implica una costante focalizzazione interna, con una netta predominanza, si diceva in apertura, del punto di vista libertino. La forma cinematografica, tende, al contrario, ad eccezione di alcune opere sperimentali volte ad approfondire proprio il discorso sul punto di vista44, ad evitare un’identificazione costante e prolungata tra lo sguardo della macchina da presa e quello dei personaggi, ovvero a privilegiare l’alternanza di una diffusa focalizzazione esterna (una generica “terza persona” corrispondente all’occhio della macchina da presa) e di saltuarie prospettive interne alla narrazione. Se il regista trasforma la parola polifonica di Laclos in volti e in corpi, in identità fisiologiche distinte, egli deve ugualmente convertire il prisma di sguardi che attraversano il romanzo in un occhio esterno, ma non neutro, che sappia restituire prospettive individuali, pluralità d’intenti e gradi diversi di conoscenza. Il problema principale dell’adattamento cinematografico de Les Liaisons dangereuses concerne proprio la stratificazione cognitiva delle lettere: la macchina da presa deve saper cogliere e mostrare allo spettatore un primo grado di lettura delle cose e delle 57
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persone da parte dei personaggi ingenui e manipolati e il doppio, talvolta triplo, livello di decodificazione del reale che posseggono i manipolatori, i quali, a loro volta, ignorano molto l’uno dell’altra e lasciano trasparire l’esistenza di segreti che mai verranno in superficie. Il lettore de Les liaisons dangereuses è esposto agli inganni di chi scrive, possiede una conoscenza frammentaria e mediata dalla parola epistolare, la quale, come si diceva in precedenza, tende a legarlo a chi, tra i personaggi, non solo ha accesso al maggior numero di lettere, ma detiene i codici di decodificazione del linguaggio che gli consentono di penetrare il segreto dell’intimità. Il desiderio d’effrazione guida la lettura e definisce l’erotismo del romanzo sulla base dell’osservazione mascherata, di una dilettazione a distanza che mantiene costante l’eccitazione senza pervenire a soddisfarla pienamente. La partecipazione voyeuristica del lettore al gioco libertino nasce dalla connivenza con chi osserva e manipola per trarre godimento da potere e conoscenza. Per questo motivo, dunque, Frears induce lo spettatore ad assumere lo sguardo di chi sembra dirigere gli eventi, facendolo partecipe della costruzione dell’intrigo tramite la reiterazione di dispositivi filmici specifici: i primi piani d’intesa tra i due complici, le soggettive sulle vittime, la distribuzione scenica degli spazi di conquista, il gioco di specchi e di paraventi, l’alternanza di mostrato e occultato, la voce fuori campo che svela gli inganni nell’atto di manifestarsi in scena. Reinventa, inoltre, le sequenze manifestamente “attoriali” che i due libertini romanzeschi riservano al théâtre du monde, introducendo nella pellicola la leggerezza giocosa del teatro degli inganni e del vaudeville amoroso. Prevalgono nel film i loci deputati alla sociabilité, intesa come la capacità individuale di sviluppare rapporti sociali, come qualità distintiva di una classe che converte l’honnêtété, l’eleganza e il rispetto delle bienséances del secolo precedente in una ritualità salottiera, in un’esibizione di simulacri. Corollari mondani degli spazi di rappresentazione 58
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teatrale, le logge private perdono la propria funzione per assumerne una nuova e mimetica rispetto al palcoscenico: in ben tre sequenze, un raccordo di montaggio visivo e sonoro permette il passaggio dalla scena dove è in atto una rappresentazione propriamente detta a un palco privato dove viene a configurarsi una nuova drammatizzazione. Dal palcoscenico dell’Opéra in cui è rappresentata Iphygénie en Tauride (1779) di Glück si passa alla loggia privata della marchesa di Merteuil che individua tra il pubblico il giovane Danceny e decide di farne l’attore inconsapevole della seduzione di Cécile. Una sequenza simile ha luogo nel medesimo palco ed è introdotta da un raccordo sonoro tra Paride ed Elena (1770), sempre di Glück, suonata all’arpa dalla giovane che riceve il primo messaggio d’amore di Danceny, e la stessa opera rappresentata a teatro. La scena prevede la focalizzazione dell’interno della loggia, dove la marchesa ha un approccio seduttivo nei confronti di Cécile e segna, in tal modo, una progressione nella strategia di depravazione della fanciulla. Il terzo episodio, citato in precedenza, sviluppa la messa a morte mondana di Mme de Merteuil tramite uno scambio di sguardi, urla e fischi tra il palco privato di quest’ultima e la platea dell’Opera (nel romanzo la scena si svolge nel petit salon della Comédie italienne). Come avviene nei luoghi pubblici, dove “l’espace n’est pas orienté vers son foyer institutionnel, l’autel ou la scène, mais traversé par des animations qui le décentrent”45, nel privato anticamere, scalinate, boudoirs e saloni, destinati al passaggio o al ricevimento, incorporano a sé modalità di mise en scène teatrale e prevedono una deviazione nell’orientamento dello sguardo. Elementi d’arredo, pareti e specchi fungono da quinte sceniche, accolgono inconsapevoli attori secondari e consentono una visualizzazione dello sdoppiamento attoriale dei due libertini. Il salone di Mme de Merteuil si trasforma in palcoscenico quando quest’ultima informa Mme de Volanges della “relazione pericolosa” che crede essersi instaurata tra Cecile e Danceny, offrendo 59
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la propria performance attoriale a Valmont, spettatore nascosto tra il divano e il paravento. Il pubblico in sala assiste al pezzo di bravura di Mme de Merteuil tramite lo sguardo del visconte, ne condivide la prospettiva e, di conseguenza, l’identica porzione di spazio scenico. Come lui, ha diritto a cogliere, nel volgersi della marchesa, il passaggio dall’espressione di afflizione rivolta a Mme de Volanges a quella di compiacimento per la riuscita del piano, il rapido sorriso di soddisfazione dell’attrice improvvisata che fa dono al proprio complice di un pezzo di vaudeville. Il dispositivo filmico permette di mostrare, in parallelo alla “rappresentazione”, le reazioni di divertimento e di ammirazione dello spettatore interno al quadro, un visconte tanto stupito quanto affascinato dalla performance della marchesa.
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Al tono giocoso della commedia degli inganni contribuisce, inoltre, l’alternarsi di apparizioni e sparizioni di Valmont riflesso da uno specchio tramite il quale egli cerca di comunicare con Mme de Merteuil. La scena ha termine solo quando l’uscita di Mme de Volanges e la chiusura della porta dietro di lei convertono nuovamente il palcoscenico nel luogo chiuso dell’intimità e Mme de Merteuil si volge, trionfante, verso Valmont per ricevere il proprio tributo d’ammirazione. La comicità involontaria della madre di Cécile è accentuata dalle smorfie di fastidio, dall’imbarazzo nei gesti e dallo sguardo stupito e inconsapevole di Swoozie Kurt, l’attrice che incarna il personaggio cui corrisponde il ruolo del ridicolo beffato nella commedia degli inganni. La medesima parte spetta a Georges, servitore di Mme de Tourvel, durante l’episodio della beneficienza simulata di Valmont, introdotto, non a caso, da L’air du coucou di Haendel che accompagna la partenza per la finta caccia da parte del visconte e del suo valletto. Destinata a convincere la Présidente della conversione che la sua sola presenza avrebbe operato sull’animo del libertino, la scena prevede uno spettatore interno cui è offerta, suo malgrado, una vera e propria rappresentazione teatrale. Valmont, primattore grandiloquente, ricorre a espedienti spettacolari (battute a effetto, presenza centrale al quadro con personaggi secondari ai propri piedi) per sottolineare un eroismo da melodramma e ritrovare l’enfasi delle parole che il suo precedente letterario indirizza alla propria complice “au milieu des bénédictions bavardes de cette famille, je ne ressemblais pas mal au héros d’un drame, dans la scène du dénouement” (Lett. 21). Nella pellicola la carità del visconte, che si direbbe ironicamente ispirata a un quadro edificante di Greuze, ha un esito comico grazie all’uso grottesco degli elementi scenici e a un patetismo talmente marcato d’apparire ridicolo. La teatralità di Valmont, sempre giocosa e meno sottile rispetto a quella della marchesa, prevale nella parte della pellicola ambientata nella 61
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residenza estiva di Mme de Rosemonde. La scalinata barocca che permette la drammatizzazione dell’episodio d’accesso alla stanza di Cecile è parte integrante di un labirinto notturno connotato da subito come spazio d’inseguimento, fuga ed effrazione del privato da parte dell’eroe di una commedia licenziosa che strizza l’occhio al teatro galante, ne recupera le ambientazioni convenzionali e l’oggettistica, i personaggi ricorrenti e gli stereotipi.46 Lo stesso Malkovich rinforza la “denaturazione” del gioco attoriale con una mimica esacerbata, un’irruenza da slapstick comedy e la costante manifestazione fisica del proprio compiacimento, del divertimento con cui si produce nell’esibizione. La conversione degli spazi filmici in palcoscenici dove hanno luogo le drammatizzazioni di M. de Valmont e di Mme de Merteuil, il doppio registro dei due personaggi e la messa in rilievo del loro sdoppiamento attoriale, evocano l’ambigua connotazione della lettera nel carteggio romanzesco, concretizzano la concezione spettacolare di sé dei due maggiori scriventi e incarnano il concetto di libertinaggio tardo settecentesco come esibizione mondana. Non rispondono, però, alla tensione progressiva verso lo svelamento che caratterizza la pellicola di Frears e l’avvicina al desiderio di effrazione e di conoscenza che governa l’azione romanzesca e soggiace alla lettura. Talvolta la regia coglie in inganno i due libertini e svincola il pubblico dal loro sguardo.
La soglia e lo sguardo La compulsione a sapere guida la lettura del romanzo di Laclos. Il tentativo di accedere al segreto dell’intimità ne motiva il piacere, il suo ritardo e la sua impossibilità conclusiva non fanno che alimentarlo. La regia cinematografica incentiva costantemente la simulazione e la dissimulazione attoriale, ma stimola, al contempo, il piacere voyeuristico dello spettatore, cercando la sua complicità non solo quan62
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do lo rende partecipe delle manipolazioni dei due libertini, ma ogniqualvolta gli consente di accedere a una visione privata preclusa ai personaggi. Frears non cessa d’interrogare la loro finzione drammatica per individuarne le falle consustanziali, permettendo che la vera seduzione esercitata sul pubblico avvenga nei rari momenti in cui ai due manipolatori sfugge il controllo. Affinché sia possibile è necessario che lo spettatore non solo acceda al grado di conoscenza dei due libertini, ma che lo superi, che possa cogliere saltuariamente gli iati della scrittura di Laclos, i non detti rivelatori, le intermittenze della manipolazione verbale. Questo induce la regia ad affrancarsi dallo sguardo di Valmont e Merteuil per farsi carico di una prospettiva esterna che decodifichi il linguaggio della menzogna attoriale: la macchina da presa cattura reazioni inattese, movimenti appena accennati che il pubblico può leggere come sinceri o momentaneamente ispirati da un sentimento autentico. Il pubblico cinematografico, voyeur per la natura stessa del dispositivo, parteciperà, da un lato, all’intrigo machiavellico dei due libertini, si farà sedurre dalla loro intelligenza verbalizzata che il cinema potenzia offrendole l’opportunità di mettersi in scena, e, dall’altro, guidato dalla complicità della macchina da presa, tenterà di carpirne la debolezza inconfessata per volgere progressivamente il proprio sguardo dalla maschera al volto. Questo passaggio non avverrà senza dolore. Alla maschera corrispondono, infatti, il marivaudage amoroso e la commedia degli inganni, il registro comico della seduzione intesa come divertissement mondano, la leggerezza della manipolazione iniziale. Al volto il progressivo emergere della debolezza sentimentale che provocherà la conclusione tragica della pellicola, l’emergere dell’imprevisto sotterraneo che i due attori e drammaturgi della propria commedia non sapranno dirigere. In Dangerous Liaisons la realtà psicologica ed emozionale dei personaggi non è semplicemente mostrata tramite l’occhio della macchina da presa, essa è rifratta da una pluralità 63
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di sguardi che hanno coscienza l’uno dell’altro. Gli indizi di un’ipotetica verità interiore, gli stralci dell’intimità, possono essere indirizzati da una regia complice e attiva a uno di loro in particolare a discapito di altri, oppure sottratti ai personaggi e riservati esclusivamente al pubblico in sala. Esemplificativa in tal senso è la scena in cui, dopo che Valmont le ha riportato la caduta di Mme de Tourvel e ha fatto involontariamente mostra di un sentimento d’amore verso la vittima, Mme de Merteuil attraversa la parete mobile del corridoio di specchi che la introduce al boudoir segreto in cui riceve i propri amanti e, prima di assumere il proprio “sorriso di scena”, si ferma e appoggia la fronte contro il muro, come per sostenersi e per ritrovare la calma. Un furtivo istante di debolezza è colto dalla macchina da presa, sempre sulla soglia, nella zona di passaggio.
La sequenza del castrato, introdotta ex novo dal regista, è emblematica della rifrazione di sguardi che nel film incentiva una circolazione della conoscenza e interpella lo spettatore. L’episodio anticipa la verità sentimentale che nel finale sarà offerta allo spettatore ed è costruito come mise en corps di un brano della lettera centotrentaquattro in cui la marchesa spiega al visconte il “sotterfugio” con cui egli nega a se stesso il proprio sentimento d’amore nei con64
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fronti di Mme de Tourvel, convogliato nel piacere dell’osservare con lentezza47. La macchina da presa segue l’ingresso e poi lo spostamento della coppia libertina “Valmont/ Merteuil” nel salone destinato ai ricevimenti della dimora estiva di Mme de Rosemonde, e, con un raccordo di montaggio giocato sull’analogia tra parola, suono e immagine48, li accompagna mentre si posizionano tra il pubblico che assiste al canto di Ombra mai fu, da Xerxès di Haendel (1738). Si alternano, nella prima parte della sequenza, le figure intere della coppia e le inquadrature della sala, chiaramente esplorata dal loro punto di vista, a dimostrazione del loro rilievo mondano, della loro complicità e del divertimento che traggono dall’osservazione delle proprie pedine sociali.49 L’asse prospettico cambia, però, d’improvviso e in modo radicale. Una panoramica mostra l’entrata nel salone di Mme de Tourvel che si accomoda a sua volta ed è intercettata da Valmont, seduto al fianco di Mme de Merteuil. Una vera e propria triangolazione dello sguardo si realizza quindi tramite un’alternanza di focalizzazione sui volti dei tre personaggi coinvolti nello scambio. Attraverso la messa a fuoco dell’osservatore, una macchina da presa indagatrice rende manifesta allo spettatore l’azione del guardare e la convoglia su di un soggetto che resta, invece sfocato. Si tratta di una deviazione rispetto all’abituale costruzione in soggettiva che prevede l’adesione della camera alla prospettiva di chi guarda e la messa a fuoco dell’oggetto su cui si tale sguardo si concentra. In questo caso il rapido passaggio da un personaggio a un altro permette, certo, di riconoscere il soggetto osservato, ma esibisce sul volto di chi guarda il vero fulcro d’interesse della scena. La macchina da presa esterna l’attenzione dell’osservatore e le reazioni che essa suscita: il volto di Mme de Tourvel che cerca quello di Valmont è illuminato dal candore del suo sorriso ed esibisce la spontaneità di un innamoramento difficile da mascherare, ad esso risponde la fissità inquieta 65
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dello sguardo che il visconte posa su di lei, scosso in modo così potente da non poterlo celare alla marchesa. Quest’ultima, una volta messa a fuoco, rivela, in un brevissimo volgere degli occhi, l’immediata comprensione del sentimento che lega i due “interlocutori” osservati a loro insaputa, e manifesta in un istante di tensione quella che lo spettatore potrà leggere in seguito come gelosia o vanità ferita. Il frettoloso baciamano di Valmont a Mme de Merteuil, ripristina l’equilibrio messo in pericolo dall’interlocuzione visiva. Una simile rivelazione, rivolta tramite lo sguardo non a uno o più personaggi in scena, ma allo spettatore, ha luogo durante la breve scena che segue la scoperta di Émilie presso Valmont da parte di Mme de Tourvel. Dopo aver “esibito” il rapporto con la cortigiana per riaffermare il proprio potere sulla Présidente e ostentare la priorità di un agire spettacolarizzato sulla realtà dei sentimenti, il visconte, ripreso in primissimo piano tra le braccia di quest’ultima, mostra pentimento e sconcerto negli occhi abbassati e poi chiusi sotto il peso dell’intima vergogna che viene a prevalere sull’esibizione pubblica.
Duplice e difficilmente riconducibile a una stessa direzione, lo sguardo di Dangerous Liaisons esiste nello strabismo 67
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di John Malkovich, nelle assenze di cui si carica la recitazione di Glenn Close e nell’innocenza sfuggente degli occhi di Michelle Pfeiffer. In un interrogativo, in un’ambivalenza che gioca costantemente sull’alternanza di rivelazione e occultamento. Lo sguardo induce un movimento transitorio, destinato a essere schermato, bloccato da un repentino volgersi dell’attore, da una porta chiusa o da una sistematica sfocatura, oppure svelato da un’opposta messa a fuoco, da un’apertura (la serratura, la finestra, la porta, lo specchio) o da un’osservazione prolungata e fissa. Esiste “sulla soglia”. È esattamente in questa zona liminare al vero che si concentra l’interesse della pellicola di Frears, non semplice “illustrazione” di stampo teatrale del romanzo di Laclos, ma interrogativo specificatamente filmico sul rapporto tra la percezione visiva - chi vede e cosa vede - e la componente del sapere - chi tramite parola e sguardo conosce e cosa conosce – inserito in una prospettiva narrativa dinamica che offre e sottrae, in alternanza, potere ai personaggi. Per una sostanziale “derivazione” d’ambiguità, lo sguardo filmico di Dangerous Liaisons è prisma visivo, rifrazione di punti di vista e di prospettive, mentre la “soglia” è l’immagine spazializzata che può definire la pellicola. Il film incorpora il sistema di filtri che intercorre tra parola e dato sensibile nel romanzo di Laclos.
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Note 1. Le Mémoires du comte Alexandre de Tilly, pour servir à l’histoire de mœurs de la fin du XVIIIe siècle, pubblicate per la prima volta nel 1828, in tre volumi, dodici anni dopo la morte del loro autore, raccontano costumi di corte e scene galanti di fine secolo, arrestandosi alla partenza di Tilly per l’Inghilterra nel 1792, in piena rivoluzione. Le pagine autobiografiche del conte contengono numerosi aneddoti sui personaggi della sfera mondana cui Laclos si sarebbe ispirato per Les liaisons dangereuses. Il testo, riedito da Christian Melchior-Bonnet nel 1965, è oggi accessibile su Gallica: http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k46839g. Tilly Alexandre (comte de), Christian Melchior-Bonnet (a cura di), Mémoires pour servir à l’histoire des mœurs de la fin du XVIIIe siècle, Mercure de France, collection “Le Temps retrouvé”, 2003. 2. Laclos elabora Les liaisons dangereuses nel corso dei ventitre mesi passati in guarnigione sull’Île d’Aix tra il 1779 e il 1781. Il 4 settembre del 1781 il militare chiede un congedo di sei mesi per completare la stesura del romanzo che esce a fine marzo dell’anno successivo. 3. Commissario all’Assemblea elettorale dei cittadini nobili di Parigi, Laclos il cui esordio letterario data del 1773 con alcuni poemetti pubblicati nell’Almanach des Muses, dirige Le Journal des amis de la Constitution per cui scrive numerosi articoli, è l’autore del trattato De l’éducation des femmes (1783), rimasto incompiuto e pubblicato postumo nel 1903, e di una lettera di elogio a Vauban (1786) destinata ai membri dell’Académie Française. Laclos (DE) Choderlos, Œuvres complètes, Gallimard, “Bibliothèque de la pléïade”, Paris, 1979 (note e apparato critico: Laurent Versini). 4. Esemplificativo in tal senso è il titolo dell’opera biografica che Émile Dard consacra al romanziere: Dard Émile, Le général Choderlos de Laclos, auteur des liaisons dangereuses, Slatkine, Genève, 1971. 5. Versini Laurent, «Le Roman le plus intelligent». Les Liaisons dangereuses de Laclos, Champion, « Unichamp », Paris, 1998, p. 62. 6. Benedetta Craveri, nel saggio Gli ultimi libertini, dà spazio alla figura di Mme de Coigny, la quale, come leggiamo a pagina 75, “maestra nell’arte della parola” come in quella di sottrarsi, “spirito ribelle, in lotta contro ogni forma di regola imposta […]”, avrebbe tolto “il saluto a Laclos poiché lo sospettava di averla presa a modello per la marchesa di Merteuil nelle Relazioni Pericolose”. “Perfetta incarnazione dell’allumeuse”, la marchesa “si limitava ad accondiscendere a un gioco erotico che aveva il suo modello archetipo nella tradizione dell’amor cortese“ (p. 75) e “sapeva imporsi ai suoi interlocutori per l’acume e l’eleganza della conversazione e l’originalità dei giudizi, ma teneva troppo alla propria
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libertà per spingersi oltre.” (p. 68). Benedetta Craveri racconta che la nobildonna “seppe convincere il duca di Lauzun e il principe di Ligne, due tra i più celebri seduttori dell’epoca, a coltivare i delicati piaceri dell’amitié amoureuse” e riporta quel che il secondo scrive di lei: “ha ragionato troppo sull’amore. Dall’analisi è passata all’anatomia e questo cadaverino ha perduto ogni attrattiva […] Vorrei che trovasse un uomo simile a lei e allora si che assisteremmo a un bel confronto” (p.69). Non è certo difficile immaginare in tale confronto il duello che oppone la marchesa di Merteuil e il visconte di Valmont nel testo di Laclos. Benedetta Craveri, Gli ultimi libertini, Adelphi, Milano, 2016. 7. Malraux André, «Préface», In: Laclos, Choderlos de, Les Liaisons dangereuses, Le Livre de poche, Paris, 1952, pp. 9, 10. 8. Seylaz Jean-Luc, Les Liaisons Dangereuses et La Création Romanesque Chez Laclos , op. cit. p. 92. 9. Lo stesso Tilly, attorno al 1804, vede nell’opera di Laclos l’anticipazione del crollo dell’aristocrazia e definisce il romanzo come “un des milles éclairs de ce tonnerre (…) un de ces météores désastreux qui ont apparu sous un ciel enflammé, à la fin du XVIII°siècleé”. In Laclos (De) Choderlos, Oeuvres complètes de Choderlos de Laclos, Gallimard, “Bibliothèque de la pléiade”, Paris, 1967 (a cura di Maurice Allem). Appendices, p. 710. 10. Laclos gioca sul dubbio di veridicità del carteggio: un redattore fittizio asserisce, in prefazione, di aver raccolto, selezionato e riordinato una voluminosa corrispondenza che gli è stata consegnata al fine della pubblicazione, ma un editore, altrettanto fittizio, avverte il lettore di non poter garantire l’autenticità della corrispondenza e di aver ragione di pensare che possa trattarsi di un romanzo. 11. La narrazione in terza persona, assunta nel patto di finzione come “oggettiva” perché esterna agli eventi, è presente solo nel paratesto del romanzo, ovvero nell’avvertimento al lettore da parte di un editore fittizio sotto le cui vesti si cela l’autore, nella prefazione e nelle note del redattore, altra maschera indossata dal romanziere. 12. Fontana Biancamaria, Du boudoir à la Révolution : Laclos & Les Liaisons dangereuses dans leur siècle, éd. Agone, Marseille, 2013, p. 161. 13. Le affinità tra la scrittura epistolare di Laclos e il teatro sono evidenziate dai maggiori specialisti dell’autore. Laurent Versini tra gli altri, ricorda che “Jean Giraudoux a aussi rapproché la polyphonie épistolaire de l’échange de répliques au théâtre et, désignant Laclos comme ‘un petit Racine’, a considéré le roman, à son époque, comme tendant à remplacer un théâtre pourtant bien vivant.”, ma sottolinea ugualmente come Laclos abbia obbedito al gusto del tempo che si aspettava dal romanzo «des qualités dramatiques d’émotion et le tableau des passions dont la scène s’était fait une spécialité». Giraudoux Jean, «Choderlos de Laclos», Nouvelle Revue française, 1er décembre 1932, p. 854-870, raccolto in Lit70
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térature, Grasset, 1941, p. 57-75, citato da Versini Laurent. ‘Le Roman les plus intelligent’: ‘Les Liaisons dangereuses’ de Laclos, Honoré Champion, «Unichamp», Paris, 1998, p. 58. 14. Fontana Biancamaria, Du boudoir à la Révolution: Laclos & Les Liaisons dangereuses dans leur siècle, op. cit. p. 161. 15. Craveri Benedetta, Gli ultimi libertini, op.cit. p. 234 16. Craveri Benedetta, Ibid. p. 29. 17. Craveri Benedetta, Ibid. p. 103. 18. Craveri Benedetta, Ibid. p. 29. 19. Fontana Biancamaria, Du boudoir à la Révolution, op.cit. p. 145. 20. Malraux, André, « Préface ». op. cit, p. 11. 21. Non a caso l’ipocrisia sociale designa la condotta di entrambi. Il termine “ipocrisia” viene dal greco ypokrisi (ypo = sotto, krinein = spiegare) e l’ypokrites definisce l’attore, nello specifico un secondo attore che con la voce e la gestualità imita un primo attore che a sua volta incarna un personaggio. Da qui la mise en abyme della finzione, la specularità insista nel processo e il senso odierno del termine che designa la simulazione ai fini della manipolazione. 22. Malraux, André, ibid., p. 12. 23. La battaglia rivolta al «sesso» cui appartiene Valmont e l’assunzione di tratti maschili per superare l’alienazione e la subordinazione della donna nella società dell’Ancien Régime parrebbero sostenere l’ipotesi di un proto-femminismo della marchesa di Merteuil. Ipotesi che, da un lato, pare essere avvallata dalla pubblicazione postuma di un trattato di Laclos sull’educazione femminile, ma, dall’altro, viene smentita dall’individualismo esasperato di Mme de Merteuil e dall’assenza di una qualsiasi forma di solidarietà verso il proprio sesso. Si tratta di una questione aperta che, peraltro, viene spesso associata a un’omossessualità latente della marchesa, implicita nell’ambiguo rapporto di quest’ultima con Cécile de Volanges. 24. Vailland Roger, Laclos par lui-même, Seuil, « Écrivains de toujours», Paris, 1953. P. 61. 25. Affinità riscontrabile a posteriori poiché il dialogo filosofico sulla natura della recitazione, terminato nel 1778, ma pubblicato solo nel 1830, non può essere annoverato tra le fonti del romanzo. Diderot Denis, Paradoxe sur le comédien. Le Livre de Poche, « Classiques de Poche », Paris, 2001. Introduzione e note: Jean-Marie Goulemot. 26. Diderot Denis, Ibid. p. 53. 27. Tali considerazioni saranno riprese e approfondite negli appunti di Stanivlavsky per la messa in scena dell’Othello, trasformati poi in un testo edito nel 1948 che sarà alla base del metodo assunto dall’Actor’s Studio newyorkese. In un gioco di specchi, nel film di Frears, Glenn Close, un’attrice di teatro americana, cui il cinema ha offerto una fama inter71
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nazionale, esibisce per il grande schermo le potenzialità del “metodo” Stanivlasky e offre il proprio virtuosismo alla rappresentazione di sé di Mme de Merteuil. 28. Diderot Denis, Paradoxe sur le comédien, op. cit. p. 47. 29. Diderot Denis, Ibid. p. 53. 30. Malraux, André, “Préface”, op cit. p. 11. 31. “Comme le destin de tous les personnages des Liaisons est, à des degrés divers, gouvernés par ces deux-là, ils ont exactement une situation de démiurges” In Malraux, André, ibid. p. 11 32. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, José Corti, « Les Essais », Paris, 2001, p. 65. 33. Déraisonnement, demi-jouissance, se remarier, recacheter, être fixé. 34. Duègne, odalisque, ottomane. 35. Précautions locales, lettre maritale. 36. Malraux, André, « Préface », op. cit., p. 18 37. Seylaz Jean-Luc, Les Liaisons Dangereuses et La Création Romanesque Chez Laclos , Minard, Paris, 1965, p. 118. 38. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, op. cit. pp. 88, 89. 39. Rousset Jean, « Une forme littéraire : le roman par lettres », In Forme et signification, Essais sur les structures littéraires de Corneille à Claudel, Librairie José Corti, Paris, 1962, pp. 67-68. 40. Pomeau René, Laclos ou le paradoxe, Hachette, Paris, 1993, p. 108. L’osmosi tra lo scrittore e la sua eroina spiega in parte le reazioni estreme del pubblico all’uscita del romanzo e l’ambiguità morale di cui Laclos è stato accusato. In realtà, come vedremo nel dettaglio, si tratta di una simulazione d’identità verbale, di un trompe l’oeil linguistico destinato a rivelarsi come inganno nella parte finale. 41. Malraux André, « Préface », op. cit. p. 11. 42. Metz Christian, «Pour servir de Préface». In Mourges, Nicole de, Le Générique de film. Méridiens Klincksieck, Paris, 1994, pp. 8-9. 43. “Questo sguardo è spesso reciprocato dallo sguardo in macchina dei protagonisti del film […] il loro sguardo ci tocca al punto da trasformarsi in mano protesa verso l’obiettivo.” In: Gallese Vittorio, Guerra Michele, Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, op.cit., p. 212 (in relazione a Persona di I. Bergman). 44. Il caso più noto è quello di Robert Montgomery che nel 1947 gira Lady in the lake interamente «in soggettiva». La mdp corrisponde per tutta la durata del film allo sguardo del personaggio che lo spettatore non ha modo di vedere se non riflesso negli specchi. 45. Coulet Henry, in AAVV, Laclos et le libertinage, 1782-1982: Actes du colloque du bicentenaire des Liaisons dangereuses, PUF, Paris, 1983, p. 179. 72
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46. Tra i quali, ad esempio, il mimetismo servitore/padrone, una delle costanti del meccanismo speculare nel teatro della seduzione (mimetismo di cui Dom Juan e Sganarelle sono i due esempi più illustri), che dà luogo all’episodio eminentemente teatrale di Émilie e Azolan, valletto di Valmont, il quale si presta alla conquista della giovane per offrire al proprio padrone la possibilità di ricattarla. 47. «Or, est-il vrai que vous vous faites illusion sur le sentiment qui vous attache à Madame de Tourvel ? C’est de l’amour, ou il n’en exista jamais: vous le niez bien de cent façons : mais vous le prouvez de mille. Qu’estce, par exemple, que ce subterfuge dont vous vous servez vis-à-vis de vous même (car je vous crois sincère avec moi), qui vous fait rapporter à l‘envie d’observer le désir que vous ne pouvez ni cacher ni combattre de garder cette femme?» (Lett. 134). 48. Un esempio tra i tanti possibili: lo scambio di battute tra Mme de Merteuil e M. de Valmont sulla “facile” seduzione di Cécile da parte di quest’ultimo si conclude su di un’ironica domanda retorica della marchesa, la quale si chiede se si plaude il tenore solo per essersi schiarito la gola, mentre, per raccordo sonoro, si odono le prime note di Ombra mai fu, cantata da un castrato nella stanza accanto. 49. Due sequenze simili sono presenti nella pellicola di Vadim, che si apre con una panoramica dall’alto sul salone dei Valmont durante un ricevimento: la macchina da presa segue il maggiordomo tra gli invitati, cogliendo frammenti di conversazioni riferite ai padroni di casa che appaiono, infine, con calcolato ritardo, inquadrati in piedi, davanti a una porta a vetri, in una situazione di evidente complicità (l’uomo si china a mormorare qualcosa nell’orecchio della donna che scoppia in una risata). In una sequenza successiva, ambientata nell’albergo di montagna dove i personaggi sono riuniti (che corrisponde, a grandi linee, alla residenza di Mme de Rosemonde), l’entrata in scena dei coniugi si ripete con le medesime modalita: i due, in piedi, ripresi frontalmente, attraversano l’atrio dell’albergo aprendo una porta in legno, parlano a voce bassa, riferendosi alle proprie “pedine” e Juliette Merteuil scoppia nuovamente in una fragorosa risata. La regia sottolinea la complicità tra i due a danno degli altri personaggi su cui entrambi volgono uno sguardo incuriosito e divertito.
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II L’invenzione a tela di ragno del dato sensibile
Corpi di parola Lo studio del rapporto di Dangerous Liaisons al romanzo epistolare di Laclos poggia sulla consapevolezza della “disincarnazione” di quest’ultimo. Corpo verbalizzato e immateriale, il personaggio de Les liaisons dangereuses esiste esclusivamente nel suo prodursi in una “scrittura/azione” e si definisce tramite il proprio registro peculiare, arricchito di sfumature tonali e scomposto nelle maschere linguistiche che sceglie di assumere o nelle opinioni che altri esprimono su di lui. Sono le modalità espressive differenti di ciascuno che permettono di identificare le figure del romanzo, designandone il “carattere”, inteso come passione direttrice iscritta nella parola stessa. Un “discorso” dominante è motore degli atti di ciascuno scrivente, ma è arricchito e contraddetto – o “sporcato” – dal discorso altrui, svelato o mistificato da quest’ultimo. Ingloba altre passioni, simulate e drammatizzate tramite la parola, oppure rivelate da un accento inusuale, da un lapsus, da un vuoto di scrittura. Se escludiamo gli scriventi minori (Mme de Rosemonde, Mme de Volanges, i servitori Azolan e Bertrand e infine padre Anselme) e i personaggi che non hanno diritto di parola nel carteggio, ma vengono “raccontati” (Belleroche e Prévan), i tre interlocutori maggiori, oltre al visconte e alla marchesa, ovvero Mme de Tourvel, Cécile e Danceny, hanno diritto tanto a un’espressione verbale che li contraddistingue e ne rivela l’evoluzione, quanto a una caratterizzazione esterna, realizzata a più riprese da Merteuil e Valmont. Nella dinamica verbale che soggiace al romanzo 75
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le “vittime” dell’impresa libertina, lettori e redattori ingenui, convinti della sincerità dei propri interlocutori, sono al contempo attanti di un discorso in prima persona e oggetto della “scrittura” altrui. Il loro “corpo” verbale viene, dunque, a definirsi sul doppio binario del registro individuale e della disamina operata su quest’ultimo dalle voci “portanti”. Nessuna di tali voci, però, sembra possedere il gusto della descrizione “fisica”, materiale, delle cose e delle persone. Lo sguardo, che tanto peso ha nella narrazione, pare sorvolare sull’aspetto esteriore degli scriventi. È finalizzato esclusivamente all’esplorazione interiore. Il carteggio, essenzialmente analitico, prevede non solo un resoconto drammatizzato dei fatti accorsi (con dovizia di particolari su battute, spostamenti e gestualità), ma dissertazioni speculative sui medesimi fatti e sulla loro matrice psicologico-affettiva, arricchite da considerazioni di ordine generale sulla realtà sentimentale. Laclos concede ai personaggi rarissimi tratti fisici e pochi “costumi di scena”. Ad eccezione della giovane Volanges gli scriventi non hanno diritto, nel romanzo, a descrizioni che non siano ambigue o finalizzate all’azione. I due maggiori interlocutori, il visconte di Valmont e la marchesa di Merteuil, non sono mai “raffigurati” da altri personaggi se non come caratteri esemplari della depravazione maschile e della più rigida virtù femminile. Si forniscono a vicenda sottili indicazioni sulla fisicità delle vittime, ma l’ambiguità del loro discorso (il valore simbolico aggiuntivo dato a buona parte dei termini scelti e il prevalere del doppio senso nella formulazione delle singole frasi) impedisce al lettore di ricavarne ritratti plausibili e veritieri. “Les corsets qui arrivent au menton” (Lett. 5) e il cattivo gusto nell’abbigliamento di Mme de Tourvel sono, ad esempio, considerazioni di Mme de Merteuil sulla propria rivale, tese a sminuirla agli occhi di Valmont rimarcandone il ridicolo eccesso di pudore, mentre le forme attraenti che gli abiti leggeri della Présidente lasciano indovinare sono suggerite 76
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dal visconte alla marchesa per motivare il proprio desiderio alla complice e risvegliarne al contempo la gelosia.1 Solo su Cécile de Volanges i due libertini concordano e giungono a farne, in tempi diversi, un ritratto essenzialmente fisico che lascia indovinare la carica erotica posseduta in tutta innocenza dalla fanciulla. Nel presentare al visconte l’impresa di seduzione Mme de Merteuil decanta l’aspetto grazioso della giovane Héroïne de ce nouveau Roman e la voluttà che ne trapela: “Elle est vraiment jolie; cela n’a que quinze ans, c’est le bouton de rose… de plus, un certain regard langoureux qui promet beaucoup en vérité” (Lett. 2). Una volta portata a termine la seduzione, il visconte sottolinea come la bellezza e la freschezza infantile di Cécile lo abbiano indotto all’azione: “La jolie mine de la petite personne, sa bouche si fraîche, son air enfantin, sa gaucherie même fortifiaient ces sages réflexions; je résolus d’agir en conséquence, et le succès a couronné l’entreprise” (Lett. 96). Non deve stupire il rilievo dato ai dettagli fisici della giovane Volanges da parte di Mme de Merteuil e di M. de Valmont poiché si tratta dell’unico personaggio del romanzo considerato dai due libertini quasi esclusivamente come “corpo”, destinato a essere manipolato e fatto oggetto di un’educazione erotica che coincide con una progressiva depravazione. La schermatura dei personaggi si estende all’aspetto psicologico: la caratterizzazione degli scriventi, di per sé scarsa, è sempre subordinata all’azione di seduzione e alla dinamica epistolare2. Siccome non esiste comunicazione che non sia verbale e a distanza i tratti caratteriali, per quanto sottilmente analizzati, sono trasmessi tramite il filtro della parola individuale, soggettiva e ambigua perché a più dimensioni. Su di un unico evento e su di uno stesso personaggio sono espressi punti di vista differenti; il furto e l’intercettazione delle lettere (o la brutta copia delle originali da inviare a un secondo destinatario) producono un doppio ricevente e perlomeno due livelli di lettura, le descrizioni psicologiche si sommano e si contraddicono le une alle altre fino a impedire al letto77
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re di comprendere appieno la realtà affettiva ed emozionale sottesa dal carteggio. Jean-Pierre Ryngaert sottolinea questa sorta di “mise en abyme” del ritratto menzognero: Un personnage parle de lui et des autres. D’autres tiennent un discours sur lui. Il est donc possible de jouer au jeu des portraits, mais en ne se faisant pas illusion, car tous les personnages mentent, ou plus exactement ont un discours sur le monde et sur les autres qui n’est pas objectif.3
La parola epistolare, che l’ingenuo Danceny – ce beau héro de roman secondo la marchesa – crede essere una messa a nudo dell’anima, è al contrario “discorso” sul mondo, schermo posto all’intimità e strumento privilegiato di messa in scena del sé. Il discorso diventa atto, non in quanto enunciato ma in quanto modalità di enunciazione; il verbalizzare è azione e i personaggi stessi ne sono attuazione e attori. La società chiusa degli scriventi di Laclos è uno spazio astratto di semiotica pura, è un percorso verbale tracciato da chi sembra poterlo decodificare a proprio piacere. Si pone, dunque, la questione della possibilità stessa di una resa filmica dell’astrazione. Stephen Frears offre al romanzo di Laclos un mondo sensibile, disegna un volto attoriale ai suoi personaggi, inventa un corpo. Benché figure e cose perdano peso e materia per acquistare rilievo e spessore cinematografici, una consistenza a-materica in grado di attirare e di produrre effetti e percezioni, lo spettatore esperirà la presenza “fisica” dei personaggi. Nonostante il linguaggio cinematografico scomponga e ricomponga il corpo attraverso la scala dei piani dell’inquadratura e lo dinamizzi altrimenti rispetto al reale, il pubblico avrà l’esatta percezione di un movimento vitale, di un mondo assente nel romanzo4. Eppure, in questa stessa, ossessiva, ridondante, presenza di corpi – e di parti di corpi – sullo schermo, leggiamo il tracciato astratto di Laclos. Frears non illustra il romanzo, non si limita a colmare le assenze, egli “significa” il testo relazionandolo quasi esclusivamente agli interpreti, 78
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facendo dello spazio e del tempo intradiegetici una sorta di “prosecuzione” dell’esistenza fisiologica e mentale di personaggi che credono – erroneamente – di poterli possedere. Ne fa corpo mentale e fisico al contempo. L’intensità che Frears ottiene non per accumulo, ma per selezione, risponde, in specifico, al rapporto che viene a instaurarsi tra il dispositivo filmico e il romanzo d’origine. La relazione degli interpreti allo spazio e la loro interazione, in analogia alle dominanti nella scala di piani e nei movimenti di macchina, producono la circolazione “fisica” – a tela di ragno – dell’energia concettuale del testo, il suo costruirsi in senso dinamico e il suo urtarsi a impedimenti mentali e a barriere imposte.
Un’astrazione verbale dinamica Sul finire degli anni sessanta Henri Coulet non esita a designare il carteggio fittizio di Laclos come “une abstraction (poussée) à sa dernère limite”5. A una trentina d’anni di distanza Laurent Versini lo definisce come “le plus abstrait des romans”6, mentre Jean Ehrard modera l’asserzione nei termini “d’une demi-abstraction”7 che trovano generale consenso e verranno globalmente accolti dalla critica successiva. Le coordinate spazio-temporali del romanzo sono effettivamente tracciate, ma in pochi cenni allusivi, in una sorta d’indifferenza radicale rispetto alla qualità sensibile della realtà rappresentata, nel rifiuto di una poetica della natura e di una lunga durata romanzesca. Alla rarità di notazioni geografiche e all’anonimato delle residenze nobiliari e delle petites maisons libertine (spazi del piacere segreto dell’aristocrazia, cui fa riferimento Mme de Merteuil nelle lettere 47 e 85), corrisponde l’assenza quasi completa di descrizioni ambientali e paesaggistiche. Sono citati i boulevards, l’Opéra e la Comédie italienne, di cui i personaggi sono assidui frequentatori, mentre con i termini 79
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non connotati in senso spaziale “cercle” e “grand théâtre” si designano i salotti, destinati a creare o a distruggere le reputazioni. Sono, inoltre, nominati la chiesa di Saint Roch e il villaggio di Saint Mandé alle porte del Bois de Vincennes, dove avviene il duello tra Valmont e Danceny. Si accenna agli spazi dell’assenza, dove le figure maritali sono trattenute, lasciando libero corso all’azione libertina (Dijon, dove si tiene l’interminabile processo presieduto da Monsieur de Tourvel e la Corsica, dove combatte M. de Gercourt, ritardando per questo l’unione con Cécile de Volanges) e si nominano, in conclusione, i luoghi di una fuga oltre i confini della Francia (l’Olanda, dove si rifugia la marchesa di Merteuil e Malta, dove Danceny integra il proprio ordine di cavalleria). Non sono concesse al lettore altre indicazioni spaziali e degli ambienti nominati nessuno è descritto. Nelle lettere dei personaggi non vi è alcun cenno bozzettistico di colore locale, non è data alcuna indicazione d’atmosfera, non è fornito alcun dettaglio cromatico o materico. La conversione del mondo sensibile in evocazione esclusivamente nominale rientra nell’economia del racconto: gli interlocutori non hanno necessità di descrivere l’un l’altro un terreno sociale che condividono e che possono agevolmente figurarsi sulla base di scarse indicazioni. Uno spazio in cui agiscono con la disinvoltura consentita dall’abitudine, poiché esso incorpora a sé l’insieme dei luoghi d’incontro rituale del gruppo sociale ristretto dell’aristocrazia parigina. La complicità e l’intimità dei due principali scriventi rendono ancor meno necessaria un’eventuale descrizione: un accenno è sufficiente affinché il ricevente sappia indovinare l’ambientazione e i figuranti della messa in scena che gli è riportata. L’autore sottende, inoltre, ambienti e oggetti d’uso quotidiano perché si rivolge a un lettore che condivide il mondo in cui agiscono i suoi personaggi, può permettersi di dare lo spazio “per acquisito” perché è quello nel quale il pubblico cui è destinato il romanzo è supposto muoversi abitualmente. Il solo nominare luoghi pubblici e privati consente di evo80
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carli e ci permette, oggi, di figurare le pratiche sociali di una classe e di un’epoca che nel testo trova conferma del proprio senso di appartenenza. Laclos interiorizza una vicenda “qui est présentée par Richardson dans le foisonnement du réel, il en rétient une épure, limite le nombre des personnages et des décors, les réduit à l’abstraction d’un milieu social fermé, délaisse les détails pour ne conserver que l’analyse”8. Arredi, oggetti e costumi sono nominati per similitudine “analitica” con il sentire e l’agire dei personaggi e diventano metafora dello sguardo che essi posano sul reale. Allorché i due libertini narrano l’un l’altra, con dovizia di particolari, le proprie imprese di seduzione, solo alcuni oggetti sono citati; si tratta perlopiù di “luoghi” fisici destinati ad accogliere il corpo (letto, poltrona, ottomana, chaise-longue) o a creare punti di riferimento entro il terreno di conquista, in modo da definire traiettorie di spostamento. Questo riconferma la forte affinità tra il romanzo di Laclos e il testo teatrale, dove le indicazioni spaziali, raramente poetiche e orientate «[…] non vers une construction imaginaire mais vers la pratique de la représentation»9, sono funzionali al posizionamento degli attori e alla loro interazione. L’oggettistica di scena delle lettere di Laclos finisce poi per sparire assieme ai figuranti e solo all’immaginazione dell’interlocutore (e del lettore) è consegnata la rappresentazione dell’incontro tra i corpi. Le sensazioni fisiche sono solo accennate e i movimenti erotici non sono né descritti né spazializzati. Per il libertino mondano di fine settecento “posséder l’espace c’est finir par l’oublier”10, significa farne scena dove mettere in atto la propria parola, subordinarlo al tracciato dinamico creato dal carteggio: Le libertin français des Lumières ne travaille que sur les passions. S’il s’intéresse au monde extérieur […] c’est exclusivement en fonction d’une stratégie d’approche de la cible.11
Privati dell’esperienza “poetica” dello spazio, i personaggi di Laclos descrivono in termini “poetici” la propria azione 81
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utilizzando spesso metafore legate allo spostamento. Se il loro approccio alla realtà è di ordine strategico, tale strategia viene a comporsi entro una scansione dinamica del racconto: le lettere proiettano volontà e pulsioni individuali nello spazio sotto forma di movimenti (arrivi, partenze, spostamenti, fughe) incontri (stabiliti, mancati, procrastinati, realizzati), effrazioni e intrusioni nel privato (i “secrétaires” violati, i personaggi osservati dal buco della serratura). Il terreno “fisico” è traduzione dei movimenti dell’intelletto e dei sensi, espressi tramite un dinamismo verbale che è la condizione prima della straordinaria energia trasmessa dal romanzo. Lo spazio nelle Liaisons dangereuses è, dunque, funzionale alla creazione dei legami tra i personaggi (le liaisons, appunto, che indicano tanto la conversazione mondana quanto l’amicizia amorosa e l’avventura erotica) ed è sempre orientato a una dinamica di scambio, alla comunicazione epistolare. In un “discorso-azione” la parola epistolare è tracciato spaziale e indicazione di un percorso narrativo. La realtà verbale prevale costantemente su quella fisica, subordinata al gioco linguistico, finalizzata alla drammatizzazione delle vicende riportate dai libertini e sempre legata al piacere intellettuale di farne partecipe il proprio complice. Alla lettura si ha l’impressione che il dato sensibile esista semplicemente affinché i personaggi possano costruire attorno ad esso il proprio discorso. Associare una così complessa astrazione verbale dinamica a Dangerous Liaisons potrebbe apparire incongruo, eccessivo. Il film non accoglie alcuna forma radicale di sperimentazione12. Si tratta di una produzione cinematografica hollywoodiana di fattura piuttosto tradizionale, di un film in costume che cerca la verosimiglianza iconografica attraverso fonti d’epoca, riferimenti pittorici (Fragonard e Boucher) e modelli cinematografici espliciti (fra tutti il Barry Lindon di Kubrick e La presa di potere di Luigi XIV di Rossellini). Il regista gira nei castelli neoclassici della regione Île de France13 nell’abbazia di Moncel nell’Oise e finalizza le riprese 82
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nello studio Taksen a Joinville, mantiene gli arredi d’epoca e richiede un’attenzione maniacale al dettaglio nella creazione sartoriale degli abiti e degli accessori. Ciononostante Frears compie una scelta di nudità e di concisione e procede a un impoverimento sistematico della scena, eliminando ciò che potrebbe rivelarsi aggiuntivo rispetto a un intrigo racchiuso nei volti dei personaggi, nei loro corpi pensanti e dialoganti, drammatici.14 Il regista recupera l’astrazione del romanzo costruendo il dato sensibile su binari paralleli: la costante focalizzazione dei volti, resa ambigua dal sovrapporsi di plurime maschere attoriali, la creazione di uno spazio evocativo, inteso come quadro analogico ai movimenti dei personaggi e alla loro volontà, ed infine l’invenzione di una temporalità metaforica, subordinata alla veste tragica assunta dalla vicenda.
L’architettura di menzogna, tracce di noir L’azione de Les liaisons dangereuses si configura progressivamente entro un “intrigo” astratto che può essere ripensato nel doppio senso di complotto e di “intricazione”. Di lettera in lettera si ordisce una trama che è configurazione del racconto e spazio vitale dei personaggi, che perde ogni connotazione fisica per ridursi alla sua essenza mentale ed emozionale. Il racconto, costruito con precisione dal romanziere attraverso la combinazione e la progressione delle lettere, sembra prodursi autonomamente in una zona liminare al vero in cui concetto e verbo sono tutt’uno, in cui la parola è un fatto concreto, è un’azione guidata da intelletti dinamici che non riescono ad arrestarsi, non si concedono riposo e periscono di questo stesso, inesorabile, avanzare. Stephen Frears si muove, di conseguenza, tra le maglie di un reticolo epistolare dato nel suo farsi, si confronta con una simile costruzione narrativa. 83
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Negli spazi abitati da volti e da corpi ingombranti cui non cessa di avvicinare la macchina da presa, determinati dalla loro presenza, attraversati dalle loro tensioni, il regista ricompone un tracciato d’inganni, di simulazioni e di cospirazioni che portano in sé la traccia di un’ineluttabilità mortuaria. Tenta in tal modo di fare della vicenda narrata quell’efficace architettura di menzogne con cui Malraux definisce il romanzo di Laclos15. La regia riposa sull’adozione sistematica del primo piano e sul passaggio dall’ambiente (da panoramiche o carrellate che avvolgono lo spazio o lo percorrono fornendogli dinamicità) a una porzione ridotta dello stesso, determinata dal corpo attoriale. La chiusura selettiva e sistematica del campo visivo al fine di ottenere l’epurazione del quadro e di concentrarsi sui volti degli interpreti non driva, come annunciato in precedenza, da una scelta di artificiosità marcata, non è questione di stile. Compiere una (semi)astrazione spaziale significa, in questo caso, mettere ambienti e oggettistica al servizio degli interpreti e delle tensioni psicologiche, emozionali e sensuali che la presenza attoriale sottende e che il dispositivo filmico potenzia. Non solo porli in secondo piano rispetto alla presenza dei personaggi sulla scena, ma far si che ne siano una sorta di emanazione. Questo collega la priorità del volto alla trasfigurazione dello spazio in funzione evocativa. Tale denaturazione simbolica è da intendersi nel senso che offre Rohmer all’organizzazione spaziale nel Faust di Murnau: “[…] ce n’est pas de l’espace filmé que le spectateur a l’illusion, mais d’un espace virtuel reconstitué dans son esprit, à l’aide des éléments fragmentaires que le film lui fournit”16. Attraverso una raffinata ricostruzione degli ambienti lo spettatore non solo ritrova la realtà di un’epoca, ma accede a una rete astratta che prescinde da porcellane e quadri alle pareti poiché li incorpora e li connota nella messa in scena del desiderio e della paura. 84
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Nella ricostruzione scenografica dei (rari) esterni e degli interni si affermano le rigide regole di composizione geometrica che regolano l’architettura neoclassica settecentesca scelta per le riprese: gli ambienti sono spesso filmati in quadri statici, perlopiù frontali, dove figure e oggetti trovano un’armonica collocazione, regolata da canoni di ordine e di simmetria17. Se tale scelta è chiaramente dettata da esigenze di credibilità storica, essa offre anche una realtà sensibile, concreta, al rigido sistema a scacchiera che definisce l’azione libertina. La ragione trionfante sui cui poggia l’operato di Valmont e Merteuil non ha natura contemplativa, bensì operativa: i due personaggi “costruiscono” una realtà funzionale alle proprie – ludiche – esigenze, forniscono un ordine immutabile alle cose e agli eventi, determinano il reale per non esserne determinati, lo compongono in sequenze lineari e progressive, cancellando la possibilità del disordine e l’irruzione di un imprevisto che non possono o non vogliono gestire. Il dato sensibile in-corpora, esprime e accompagna l’evolversi di tale operato, perlomeno fino all’inatteso sovvertirsi della vicenda. Il romanzo introduce, inoltre, un’effrazione “interna” alla scrittura che prevede la messa in rilievo nominale dell’oggettistica e del mobilio riferiti ad essa. Motore “conoscitivo” dell’azione è, infatti, la volontà di accedere alla sfera del “segreto” da parte della coppia libertina: Le harcèlement libertin donne un relief dramatique à la porte, à la clé, à la serrure (elle ferme, elle ouvre, et s’offre aussi, par son orifice, au regard inquisiteur) au tiroir et à la poche qui, en cachant des lettres, donnent accès, comme le trou de la serrure, à la connaissance la plus précieuse: la connaissance du secret.18
Nel film, viene dato rilievo ai medesimi oggetti – porta, chiave, serratura, cassetto, tasca – poiché producono l’accentuazione e la mise en abyme del piacere voyeuristico. Del testo di riferimento la pellicola riprende anche modelli convenzionali di rappresentazione dell’effrazione, tra cui l’azio85
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ne del seduttore che guarda non visto dal buco della serratura e si compiace delle sensazioni provocate nella vittima.
La cospirazione e la manipolazione al fine del dominio sulle persone e sugli eventi sono dunque evocate, seppur in un’ipotesi di attendibilità storica, nelle scelte di arredo e di costruzione dello spazio. Il dedalo di stanze en enfilade delle residenze nobiliari, le strutture architettoniche che designano un passaggio (corridoi, ballatoi, scale, ingressi, porte, finestre) e gli arredi di separazione, come i paraventi, sono parte integrante di un movimento destinato alla schermatura o all’intercettazione dell’intimità. Gli interni disegnano uno spazio claustrofobico dove si acuiscono le tensioni provocate dall’incontro/ 86
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scontro tra i corpi. I numerosi spazi di transizione tracciano linee di separazione o di congiungimento e rispondono a un maggior o minor grado di conoscenza: il corridoio di specchi di Mme de Merteuil incorpora il passaggio segreto attraverso cui accedere al boudoir della marchesa, i cortili servono esclusivamente l’arrivo e la partenza delle carrozze, gli ingressi e le scalinate delle dimore nobiliari in cui si svolge buona parte della vicenda compongono un sistema di altimetrie ed indicano diversi livelli di potere. Frears trasforma gli ambienti nel terreno di “gioco” dei personaggi, facendone un labirinto da cui sembra impossibile poter uscire se non se ne conosce il codice, un palcoscenico su cui questi stessi corpi si mettono in scena e infine un terreno di caccia dove preda e predatore finiscono per confondersi. La “prigione” verbale e sociale che impedisce il libero esprimersi della realtà emozionale è esplicitamente evocata dal corridoio percorso da Cécile all’uscita dal convento, sovrastato da volte cupe, chiuso da un sistema di porte e chiavistelli e dall’imponente griglia filmata trasversalmente.
Il debito verso il noir degli anni quaranta che il regista esplicita in occasione dell’uscita di Dangerous Liaisons19 si manifesta, dunque, nell’elaborazione di una pellicola a “tela di ragno” liberamente ispirata a Double Indemnity 87
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(Assicurazione sulla morte) di Billy Wilder20. Frears recupera tre caratteristiche maggiori del genere cui appartiene il film citato: una spietata analisi dei costumi sociali, un intreccio fondato sullo schema della vendetta e della manipolazione che si offre a un inatteso capovolgimento conclusivo e infine la presenza chiave di una coppia di amanti diabolici la cui azione è governata dalla seducente e sinistra figura femminile. Il regista costruisce una struttura geometrica e tesa, cristallina e per questo fragile, dove ogni particolare trova collocazione e senso: gli sguardi che i personaggi si sottraggono, il respiro sempre più affannoso, gli abbandoni inattesi, sono indizi fisiologici della trappola che costruiscono attorno a se stessi. La suspense è direttamente collegata al sapere dello spettatore. Consapevole del pericolo poiché a conoscenza della macchinazione dei due libertini e di verità che immagina possano rivelarsi fatali, egli assiste all’acuirsi della tensione narrativa e avverte in modo sempre più preciso l’evolversi in negativo della vicenda. Il progressivo abbandono di un cromatismo delicato per tinte sempre più forti con il prevalere dei neri e dei rossi, la ripetizione ossessiva del commento musicale di George Fenton e l’incremento del contrasto luministico verso la parte conclusiva della pellicola concorrono a provocare angoscia nello spettatore e confermano la sua intuizione del dramma a venire. In posizione di dominio sulle persone e sugli eventi, ripresa dal basso verso l’alto, in piedi, in cima alla grande scalinata in pietra della sua residenza, Mme de Merteuil è una dark lady d’eccezione che oppone la propria immobilità e la calcolata lentezza nei gesti al dinamismo di Valmont cui detta non solo le azioni da compiere, ma il copione da seguire nella scena di rottura con Mme de Tourvel. La marchesa assume il ruolo emblematico di seduttrice fatale, il cui fascino esteriore, destinato a provocare roventi passioni per poi precipitare le vittime dell’inganno verso la morte o la disfatta, contrasta con una glaciale freddezza interiore. 88
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Femme de tête, lucida, razionale, Mme de Merteuil esprime, nel romanzo come nel film, il proprio disprezzo per le donne sentimentali e deliranti di passione, non cessa di canzonare gli slanci amorosi di Valmont e di solleticarne la vanità per spingerlo a distruggere l’oggetto del proprio desiderio e, infine, ad annientare se stesso: Longtemps immobile à Paris, tissant sa toile, tout semble l’opposer à ce kaléidoscope de passions qui est Valmont, toujours en train de s’agiter, de s’enflammer, passant de l’espérance à la crainte et au désespoir, de l’amour à la haine, de la confiance à l’inquiétude.21
L’immagine, che Goldzink utilizza per opporre la marchesa e il visconte è riferita al romanzo, ma potrebbe perfettamente aderire alle due figure filmiche, descriverne la diversa collocazione spaziale e il diverso rapporto al tempo, 89
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per ricondurle ai ruoli chiave del noir tradizionale. A una femme fatale mossa dal calcolo e dalla volontà di potere corrisponde un complice maschile diviso tra connivenza e dubbio, colpevolezza e innocenza cui si rivela progressivamente il proprio asservimento e il proprio ruolo strumentale. Attore dello spettacolo di cui la marchesa si conferma regista e drammaturga, Valmont temporeggia sulla scalinata in attesa di ricevere la propria ricompensa, scende lentamente al braccio della complice, sale di corsa urlando vittoria e mostra in tal modo la propria debolezza di esecutore a colei che “come Sallustio” tiene le fila della vicenda. Così come nell’universo del noir il vegetale è assente, prevale la pietra. Ad eccezione delle lunghe passeggiate di Valmont e Tourvel nel parco di Mme de Rosemonde, rare sono le sequenze girate in esterni; esse si limitano ad arrivi e partenze e all’episodio di carità simulato da Valmont per ottenere l’ammirazione della Présidente. Frears sceglie di girare nel mondo “pietrificato” delle Liaisons Dangereuses, dove i termini che designano la natura sono anonimi e indeterminati poiché l’estetica del libertino mondano prevede una completa aderenza all’artificio, la mortificazione dello slancio naturale e nessuna attrazione per una vita contemplativa.
Il rifiuto di una poetica della natura Benché interiorizzato e ridotto all’essenziale, lo spazio romanzesco de Les liaisons dangereuses rielabora i due termini di un’opposizione piuttosto convenzionale tra città e campagna presente in tanta letteratura libertina, dove a un universo d’intrighi, consacrato esclusivamente al piacere e al “divertissement” mondano, si contrappone uno spazio agreste in cui condurre una vita ritirata, improntata a una relativa quiete, spesso movimentata e “de-naturata”, però, dall’irruzione di un seduttore. Nel romanzo, il confronto tra 90
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i due poli, drammatizzato già dalla seconda lettera, è reso necessario dalla forma epistolare che implica la lontananza degli scriventi e si realizza nella presenza di Mme de Merteuil a Parigi (da dove la marchesa si assenta solo in un paio di occasioni) e nel temporaneo soggiorno di M. de Valmont nel castello di Mme de Rosemonde (dove il libertino, senza più distrazioni mondane, rivolge il proprio interesse a Mme de Tourvel, invitata a passarvi i mesi estivi)22. La rappresentazione della campagna non prevede parentesi liriche dedicate alla bellezza del mondo naturale: Laclos exclut le sentiment de la nature. Pour ses libertins, la beauté n’est pas au dehors, mais dans la pureté de la méthode, dans la virtuosité de l’exploit séducteur rapporté aux “principes”.23
Nessuno degli scriventi esprime sentimenti di meraviglia, di commozione o d’empatia dinanzi alle forme e ai colori di una natura estiva. Il mondo sensibile cui Rousseau rivolge uno sguardo lirico o elegiaco è cancellato dall’ironia mordente dei libertini. La campagna dove Valmont intraprende la seduzione di Mme de Tourvel è, nelle parole del visconte, ennuyeuse comme le sentiment, et triste comme la fidélité, e corrisponde, secondo Mme de Merteuil, alla morte di ogni piacere: “Vous vous enterrez dans le tombeau de votre tante” scrive la marchesa a Valmont (Lett. 5), il quale non può che riconoscere la propria noia “la vie que je mène ici est réellement fatigante, par l’excès de son repos et son insipide uniformité” (Lett. 60). Il mondo agreste diventa spunto per la drammatizzazione della scena edificante di carità recitata dal visconte e si offre addirittura come pretesto per battute licenziose, dove il doppio senso a sfondo sessuale è immediatamente riconoscibile.24 La narrazione della vita nella residenza estiva di Mme de Rosemonde è somma di abitudini rituali: le visite ai poveri del cantone, le preghiere del mattino e della sera, la messa quotidiana, a volte un triste wisk (Lett. 4), la caccia e l’arrivo delle lettere all’ora di pranzo.25 Nient’altro è descritto, se non la scarsa illuminazione del 91
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salone che facilita l’impresa di seduzione del visconte e che sarà enfatizzata nei notturni della pellicola di Frears.26 Nel film l’opposizione tra il contesto naturale e l’ambiente cittadino è accentuata poiché destinata ad acquisire rilevanza analogica in rapporto ai personaggi. Il parco di Mme de Rosemonde, unico ambiente naturale in un mondo di pietra, corrisponde con ogni evidenza alla femme naturelle, Mme de Tourvel, che appare, per la prima volta, durante l’esposizione libertina del piano ordito: un montaggio parallelo la mostra nell’atto di cogliere delle rose nel parco, “accompagnata” dalla voce fuori campo di Valmont, il quale, rivolgendosi a Mme de Merteuil, nella residenza parigina di quest’ultima, asserisce di voler cogliere il “fiore più prezioso” del giardino della propria zia.27 Assente dai luoghi della mondanità, la Présidente è inserita in uno spazio di sospensione rispetto alle passioni che governano il mondo.
La naturalezza di Mme de Tourvel è composta entro i rigidi schermi della ragione e del buonsenso, rifiuta il disordine del mondo selvaggio, la “natura” propriamente detta. Il giardino di gusto rinascimentale, oasi di saggezza e di riposo costruita secondo principi di ordine e di simmetria e ideali estetici di armonia e di proporzione, è espressione concreta della “tranquillità” che la giovane donna ribadisce di desi92
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derare nelle lettere indirizzate a Valmont. Incorpora a sé la progettualità cui tenta di farlo aderire, ovvero la riconversione della passione nei termini di una “compostezza” nel sentire, di un’amicizia amorosa che ella sa di poter governare. Il regista conserva una realtà naturale concreta, materica, ma la de-natura, facendone espressione di un’intimità individuale o il corollario di un gioco verbale, con esplicito rimando al carteggio. Il procedimento è evidente ogniqualvolta una battuta estrapolata dalle lettere e riportata dalla voce fuori campo interagisce ironicamente con la realtà fisica mostrata sullo schermo. Chiarificatrice in tal senso è la scena in cui il visconte di Valmont rapporta il costante procrastinare e il mancato esito nella seduzione di Mme de Tourvel ai sentieri privi di svolte del parco di Mme de Rosemonde, mentre la camera filma seduttore e vittima nell’atto di percorrerli.
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L’attesa forzata cui il visconte deve aderire, caricandola di tensioni destinate a far crollare le difese di Mme de Tourvel, è espressa simultaneamente dai lunghi viali alberati che ospitano le loro interminabili passeggiate e dalla battuta che la sintetizza. Le rigorose forme geometriche del parco e le carrellate con cui la camera di Frears lo disegna rendono perfettamente l’ossessione della linea retta, la tensione verso un punto che sfugge al possesso e per questo attrae e, allo stesso tempo, l’ostinazione nel perseguire, senza scarti laterali, la propria condotta. Questa doppia corrispondenza permette a sua volta una duplice lettura dello spazio: luogo transitorio di difesa per Mme de Tourvel e di procrastinazione dell’attacco per M. de Valmont. La lunga fase di seduzione di Mme de Tourvel presso la tenuta estiva di Mme de Rosemonde genera una sorta di conflitto tra la marchesa e il visconte sulla velocità d’azione. Se Valmont si attarda nella conquista e sostiene di resistere a occasionali tentazioni in nome della prudenza e della purezza del metodo, la marchesa lo sprona alla rapidità d’esecuzione come sola prova efficace d’ortodossia libertina, poiché individua nelle esitazioni del visconte la manifestazione di un suo asservimento sentimentale nei confronti della Présidente. Riprendendo i termini dell’opposizione archetipa tra satyre e languoreux individuata da Roland Barthes28, il primo, un Valmont dedito a un sensualismo giocoso da “consumarsi” ogniqualvolta l’istinto lo comandi, corre il rischio di trasformarsi nel secondo, colui che ritarda l’appagamento del desiderio per dilatare il tempo dell’attesa e struggersi nel sogno. Tale conflitto introduce la questione del tempo romanzesco, che, al pari dello spazio, è parte di un costrutto intellettuale prodotto e attivato dalla parola, e, a prescindere dal dato cronologico effettivo, si dilata e si scompone nell’analisi, oppure si spezza in brevi massime taglienti, seguendo l’oscillare dei personaggi. Come lo spazio il tempo è “progettato” dalle voci narranti che tentano di fare della realtà sottoposta all’azione imprevedibile della 94
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contingenza una propria determinazione e si accaniscono nell’impedire il movimento spontaneo dell’individuo verso la mutazione.
Il tempo progettato All’evidenza di un’astrazione spaziale romanzesca costruita in senso reticolare attraverso il carteggio corrisponde la percezione di un’astrazione temporale legata anch’essa alla lettera, al tempo di redazione, di ricezione e di lettura e allo scarto tra questi. La parola fagocita, dilata o raccorcia il dato temporale, lo reinventa. La cronologia del racconto è in realtà definita attraverso la datazione delle missive che vanno dal 3 agosto al 14 gennaio 17…, e scandiscono il passaggio dalla piena estate, con soggiorni agresti e assenze da Parigi, all’autunno del rientro nella capitale, fino all’inverno che segna la repentina conclusione della vicenda. Il millesimo è omesso e, sebbene la critica tenda a collocare l’azione verso il 178029, permane un’indeterminatezza storica che non preclude, però, ai contemporanei di Laclos di riconoscere nello scambio epistolare la propria epoca. Come per lo spazio il tempo del romanzo è dato per acquisito, è il presente condiviso dal lettore, fatto di rituali sociali che gli forniscono una cadenza essenzialmente mondana. La sceneggiatura del film di Frears colloca la vicenda nel 1789, riprendendo la datazione della pièce di Hampton che collega esplicitamente la disfatta libertina alle prime avvisaglie della messa a morte rivoluzionaria della nobiltà. Una volta realizzata, però, la pellicola non è datata in modo esplicito e perde, come si diceva in apertura, la connotazione politica data dallo sceneggiatore alla propria versione teatrale. Il tempo dell’intrigo è circoscritto ai quattro mesi del romanzo, con abbondanza di notazioni climatiche e metereologiche che, pur avendo un’immediata necessità nar95
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rativa (il brutto tempo impedisce le passeggiate nel parco e obbliga i personaggi a confrontarsi nella maggiore intimità negli interni), acquistano una valenza simbolica aggiuntiva, poiché il cambio stagionale garantisce un rapido passaggio verso il metaforico “inverno” della storia. Il film recupera, dunque, la scansione tragica di un romanzo ridotto alla fase di crisi conclusiva, limitato a una temporalità breve che impedisce la durata e il divenire, sclerotizza e acuisce il confronto tra personaggi che non si danno il tempo di cambiare. A differenza della Nouvelle Héloïse di Rousseau, che si sviluppa su più anni (1732-1745) e permette di seguire l’evoluzione e la maturazione degli scriventi, Les Liaisons dangereuses coglie i protagonisti nel pieno del loro splendore, racconta il loro disperato tentativo di non offrirsi al cambiamento e di conservare l’immagine eroica di se stessi che hanno saputo inventare e celebrare. Stephen Frears restituisce la temporalità tragica della vicenda condensando, in una progressione ritmica soffocante, il tentativo di cristallizzazione dell’io libertino che invece di offrirsi alla vita si racconta e si mette in scena. Bloccato su di un’immagine che non deve offuscarsi, dominato da chi si propone di dirigere una strategia di conquista, il tempo, nel romanzo, rientra nella purezza del metodo che mette il presente al proprio servizio e determina un futuro prossimo. Anch’esso viene posto in gioco. Già dalla prima lettera Mme de Merteuil si propone di anticiparlo chiamando a sé M. de Valmont affinchè porti a termine la perversione di Cécile prima che il matrimonio della giovane Volanges venga celebrato: “Partez sur-le-champ; j’ai besoin de vous. Il m’est venu une excellente idée, et je veux bien vous en confier l’exécution” (Lett. 2). La temporalità libertina non ha prospettive di lunga durata religiosa e non vuole conoscere una dilatazione sentimentale, non si presta al malinconico struggersi nel ricordo o alle fantasticherie su di una chimera di felicità a venire. Se esiste proiezione futura, essa risiede nel calcolo poiché 96
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l’intera vicenda è costruita attorno al tentativo di fuggire il tempo vissuto e le ingerenze della sorte per rientrare in un tempo asservito ai propri scopi. La noia e la sedentarietà di una nobiltà oziosa possono spiegare “la dévorante hantise du temps, si caractéristique des roués de Laclos, et que Pascal appelait le divertissement”30. L’uso frequente del futuro nelle lettere di Valmont e di Merteuil designa, dunque, una progettualità intesa ad “impiegare” il tempo, a trovargli uno sbocco appagante e una motivazione più o meno “eroica”, manifestando l’orgogliosa fiducia nell’esito positivo delle proprie macchinazioni. La predizione futura serve la noia e alimenta il peccato di ubris, asseconda l’eccessivo orgoglio dei personaggi, la loro aristocratica superbia, mentre il controllo sulla realtà sensibile, umana e materiale, nutre la loro tracotanza e dirige il loro istinto di prevaricazione: la marchesa anticipa la sorte di Gercourt31 e riassume il destino che lei stessa ha stabilito per Prévan32; Valmont, dallo stile più ridondante, s’inebria nel sogno del futuro trionfo su di una Mme de Tourvel che ancora gli resiste33 e, in seguito, immagina un’alternanza di conquiste e abbandoni come terreno su cui sperimentare il proprio dominio su di lei e l’avvenuta assunzione del proprio ruolo di divinità.34 Per portare a termine la realizzazione di un futuro progettuale i libertini orientano la propria condotta in modo tale da trarre vantaggio dall’occasione, esercitandosi sull’improvvisazione per non dover mai dipendere dal caso. Un tale controllo e una così forte premeditazione vengono, in realtà, a impedire un’autentica progressione. L’aborto involontario di Cécile evoca l’assenza di futuro ne Les liaisons dangereuses, dove l’io parlante, che si osserva agire e si compiace nel narrare la propria azione, tende a eternizzare l’immagine di se stesso che ha costruito, incarnato e proiettato in ambito sociale, precludendosi volontariamente procreazione ed evoluzione. Questa cristallizzazione non avviene senza tentennamenti e senza il rischio di passare dal tempo dominato al tempo vissuto. La chimera e il rimpianto fanno 97
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capolino tra le righe dei due personaggi più volontari del romanzo. Le esitazioni del visconte, il piacere prolungato che prova nella semplice frequentazione della futura vittima della seduzione, lasciano intravedere una forma di coinvolgimento. Si prospetta, da parte del visconte, la possibilità di una stasi nella conquista e di un’ontosa quanto appagante relazione duratura con Mme de Tourvel. Mme de Merteuil è a sua volta vittima di una forma di nostalgia che mette in pericolo la progettualità a termine immediato e la temporalità libertina rivolta esclusivamente all’hic et nunc del piacere. La marchesa evoca, infatti, a due riprese, la relazione avuta con Valmont e iscrive il legame d’amore e d’amicizia che l’unisce al visconte in una lunga durata che mal si concilia con la voluttà episodica tipica del libertinaggio mondano. Le irruzioni di un tempo non governato contribuiscono al disfacimento della trama minuziosamente intessuta. La speranza e la paura della “durata” concorrono a una fine sacrificale che accumuna, con varianti, la pellicola al romanzo. Dangerous Liaisons accoglie una temporalità romantica di abbandono sentimentale che nel romanzo è prefigurata per poi essere negata in un rapido finale shakespeariano che lascia solo cadaveri sulla scena. Il film si apre sulle intermittenze ritmiche del vaudeville, integra nella sua progressione il tempo della tragedia e si chiude, infine, su effetti melodrammatici che cadenzano la sconfitta dell’orgoglio minato dalla paura di una dipendenza affettiva.
Il corpo predato nel labirinto La concentrazione tragica del tempo, paradossalmente esteso nella dimensione meditativa della parola, e la trasfigurazione simbolica dello spazio, elaborato come metafora della vicenda e come evocazione della natura di ciascun personaggio, ci permettono di rintracciare in Dangerous Liaisons l’astrazione paradossalmente “sostanziale” del roman98
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zo di Laclos. Non semplice ricostruzione storico-ambientale dello spazio-tempo romanzesco e nemmeno riproduzione credibile, per il grande schermo, del palcoscenico teatrale, la scena cinematografica è terreno strategico dell’acquisizione di un corpo filmico attoriale, nodo nevralgico del rapporto dei personaggi al sensibile. L’analisi di un episodio esemplare in tal senso potrà chiarire queste asserzioni. Si tratta della resa filmica delle lunghe passeggiate di Valmont e Tourvel nel parco di Mme de Rosemonde, precedentemente citate in relazione alla Présidente come femme naturelle, al dissidio del visconte, contemporaneamente satyre e langueureux, e alla ricorrenza iconografica della linea retta come duplice simbolo di ostinazione e di procrastinazione. La sequenza di Dangerous Liaisons che anticipa, in esterni, la prima confessione di Mme de Tourvel e la sua pre-caduta, si compone di due incontri dialogati tra quest’ultima e il visconte di Valmont nei giardini della tenuta dove entrambi trascorrono i mesi estivi. La metafora romanzesca dell’inseguimento si risolve nelle sequenze girate con carrelli a precedere o laterali che vedono i due personaggi confrontarsi verbalmente mentre incedono nel parco. Una di queste, in particolare, mette in azione una serie di dispositivi filmici che permettono una simulazione incarnata degli istinti di pedinamento e di fuga e il potenziamento delle sensazioni connesse ad essi, provocando il coinvolgimento “fisico” dello spettatore. Il connubio tra i movimenti di macchina e il passaggio da figure intere a primi e primissimi piani, così come l’avvicendarsi di messa e fuoco e sfocato, restituiscono allo spettatore gli spostamenti e le emozioni della caccia, identificandolo in alternanza all’animale braccato e al predatore. Il primo dialogo, girato con un carrello laterale che accompagna l’incedere dei due personaggi lungo un sentiero delimitato da filari di alberi, mostra – in campo/ controcampo – dapprima il volto, a fuoco, di Valmont che insiste nel sostenere il proprio innamoramento e successiva99
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mente quello della Présidente, solo e centrale nel quadro, che ribadisce la necessità di un allontanamento da parte del visconte. Nel secondo dialogo Valmont intercetta la donna e si posiziona appena dietro di lei, ripreso a figura intera, sfocato come il resto del paesaggio, in una progressiva negazione della profondità prospettica. Preceduta dalla macchina da presa, Mme de Tourvel, in primissimo piano, centrale al quadro, accelera per distanziare il visconte che “l’attacca” ai lati, zizzagando e cercando una sempre maggiore prossimità. Il volto di Valmont è messo a fuoco, anch’esso in primo piano, appena dietro quello di Mme de Tourvel. La sensazione di vicinanza è incrementata dall’abbandono definitivo della prospettiva iniziale a favore dei piani ravvicinati su cui si attarda la macchina da presa, in un carrello a precedere che simula il movimento sempre più rapido dei corpi che avanzano, svelando il graduale turbamento della donna e l’ostinata provocazione dell’uomo. Valmont appare e scompare lateralmente dietro Mme de Tourvel secondo una cadenza ritmica dettata da brevi frasi di seduzione ripetute con sempre maggiore veemenza, accompagnate dal crescendo musicale e dalle risposte sincopate della Présidente che, infine, scompare dal quadro. Il corpo fisico del predatore “verbalizzato” sembra sul punto di afferrare la preda, la insegue troppo da vicino, incombe su di lei fino a far percepire allo spettatore una presenza alle spalle, il fiato addosso. Il suo avanzare sembra dover condurre alla presa e alla conquista. I movimenti di macchina “presuppongono possibilità di spostamento che mimano il comportamento di un intero organismo, restituendo allo spettatore […] l’effetto cinetico e aptico rispetto agli spazi che attraversa e agli oggetti che sfiora”35. La predizione motoria cui è indotta la sfera sensoriale dello spettatore (e con esso la sfera mentale e affettiva) si risolve però in un brusco arresto. L’intercettazione del corpo e l’avanzamento nella prossimità fino a un punto di tensione estrema, sciolta d’improvviso nel ritorno a una quiete apparente, satura di frustra100
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zioni e di desiderio, sono motivi ricorrenti nella pellicola di Frears. In un labirinto di stanze e di corridoi il regista disegna la mappa strategica di un gioco di seduzione che ha come nodo focale la sua stessa impossibilità. Chiarificatrici del procedimento ed evocatrici della tela di ragno libertina sono due scene, realizzate in interni, in cui Valmont confessa il proprio amore a Mme de Tourvel. Nella prima un piano ambiente mostra i due personaggi seduti l’uno di fronte all’altro su due divani del salone, entrambi di profilo rispetto al pubblico che ha una visione d’insieme dello spazio costruito in termini teatrali e simmetrici. A uno scambio verbale in campo/controcampo segue lo slancio improvviso del visconte che si alza e fa un giro su se stesso, accompagnato in un movimento circolare dalla macchina da presa, per poi avvicinarsi alla Présidente e confessarle di amarla. L’uomo, ripreso dal basso verso l’alto, in un primo piano fortemente contrastato e in una prospettiva che simula lo sguardo della donna, si china infine con violenza su di lei, quasi ad afferrarla. Il tono della voce del visconte aumenta assieme alla velocità ritmica della sua confessione, accompagnato dal crescendo del brano di Fenton che, come si diceva in apertura, rielabora variazioni musicali desunte dal noir. Al primo piano segue un campo medio destinato a mostrare l’ambiente, il cui ordine strutturale risulta falsamente rassicurante, mentre un carrello a precedere accompagna l’allontanarsi di Mme de Tourvel, riproducendo la dinamica “predatore/preda” e il senso di attacco alle spalle instaurati nella sequenza del parco. L’inseguimento prosegue sulla scalinata fino alla camera di Mme de Tourvel, e si conclude sull’immagine della donna che, in preda all’affanno, si slaccia il corsetto per respirare, osservata con compiacimento dal visconte – e, in soggettiva, dallo spettatore – attraverso il buco della serratura. Le medesime componenti dell’azione scenica sono riprese con maggior pathos nell’episodio che drammatizza il primo cedimento di Mme de Tourvel: l’incalzante richie102
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sta amorosa avviene in notturna nelle stanze della donna, dapprima inseguita a grandi passi dal visconte e poi stretta al corpo di lui. Uno spostamento semicircolare della macchina da presa, ripetuto da sinistra a destra e viceversa, che segue i due corpi sempre più da vicino per accompagnarli nel loro movimento. Legati l’uno al busto dell’altra, Mme de Tourvel e il visconte di Valmont iniziano a descrivere anelli sul pavimento, generando un balletto circolare ossessivo e disperato, sottolineato dalla macchina da presa, che resta incollata ai corpi e dal commento sonoro di Fenton che aumenta per intensità e per ritmo. L’attore in azione si appropria dello spazio e lo determina, e non viceversa, creando una rete palpabile di tensioni che manifestano in termini concreti turbamenti, ansie e tentennamenti verbali del testo di Laclos. Il movimento circolare dei corpi allacciati è riprodotto da quello della macchina da presa che giunge a sollecitare la nostra sfera sensoriale e la nostra memoria immaginativa. Il critico Hojbjerg “prende in esame il movimento di macchina circolare, le cui conseguenze precettive sarebbero sviluppate al livello di sentimenti corporei (bodily feelings)” e rimarca come tale movimento, ricorrente nelle scene d’amore e sedimentato nella nostra mappa percettiva, sia in grado di “dare senso a schemi corporei che attivano significati metaforici immediatamente colti dagli spettatori”36. L’estrema vicinanza dei due busti, il contatto serrato a metà tra la presa e l’abbraccio, il movimento rotatorio che provoca “stordimento” e “vertigine”37 hanno, in questo caso, la capacità d’indurre non solo la partecipazione interna, corporea, all’azione filmica da parte dello spettatore, attivando una risonanza sensoriale e affettiva, ma anche una sorta di disequilibrio. Disequilibrio fisico innanzitutto: sono evocazione motoria dell’instabilità e della sensazione di precipitazione. La partecipazione spettatoriale si realizza in una zona di conflitto portata all’estremo, come sarà per le altre scene di maggior pregnanza erotica del film, e riproduce l’alter103
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nanza vitale tra resistenza e abbandono che guida, passo dopo passo, la danza macabra delle Liaisons. La rotazione implica una possibilità di caduta che, metaforicamente, richiama la resa. Lascia, cioè, indovinare il progressivo confluire del movimento “danzato” a due nell’atto d’amore, ma al contempo ne indica il pericolo. Evoca il potenziale allentarsi della resistenza femminile e il suo risolversi in un subitaneo crollo che la lascerebbe – in senso proprio e figurato – nelle mani dell’uomo. Il brusco arresto del movimento filmico e profilmico sulla stretta di Valmont e sui primi piani dei due personaggi conduce, infatti, alla confessione d’amore di Mme de Tourvel, al bacio del visconte che “affonda” sul collo della donna e determina il rovinoso accasciarsi dei due corpi avvinghiati. L’abbraccio si scioglie nella violenta reazione emotiva della Présidente che si allontana per poi crollare di nuovo ai piedi del seduttore e implorarlo di risparmiarla stringendosi alle sue gambe. I singhiozzi soffocati di Mme de Tourvel accompagnano il movimento dell’uomo che, dopo averla presa tra le braccia, la conduce sul letto ed inizia a slacciarle il corsetto per permetterle di respirare.
Del soffocamento e della paura Je le vis, je rougis, je pâlis à sa vue; Un trouble s’éleva dans mon âme éperdue; Mes yeux ne voyaient plus, je ne pouvais parler; Je sentis tout mon corps et transir et brûler Racine, Phèdre (1677), I, 3
La progressiva penetrazione dell’intimità, di cui l’atto sessuale è nel film come nel romanzo soddisfazione parziale, entro il labirinto fisico e mentale costruito dalla volontà libertina, si realizza tramite appostamenti, inseguimenti e avvicinamenti inattesi cui corrisponde un senso di soffocamento, una mancanza d’aria speculare a quella insita nel 106
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romanzo da cui è tratta la pellicola. Negli anni sessanta Giovanni Macchia, per definire il disegno geometrico de Les liaisons dangereuses, scrive che la scrittura di Laclos giunge a riempire lo spazio con un ritmo ostinato fino a risvegliare l’idea di un mondo dove nessuno si concede di respirare a pieni polmoni, ma ognuno conserva la propria razione d’aria da consumare.38 La definizione corrisponde perfettamente all’articolazione della pellicola di Frears: il ritmo serrato delle scene, la loro successione costruita a incastro tramite raccordi fluidi ma non trasparenti di montaggio (talvolta contrappunto ironico o prosecuzione del fuori campo sonoro) e la rapida incisività dei dialoghi impediscono un ampio “respiro” della narrazione e rendono tangibile l’asfissia che opprime i personaggi. Il medesimo senso di oppressione è in-corporato alla mise en scène attraverso la fisicità attoriale ed è sempre legato ai movimenti a due d’inseguimento e di fuga. Se il cerchio disegnato dalla macchina da presa e dallo spostamento attoriale mima cinematograficamente la vertigine funesta della danza amorosa che scandisce il romanzo, la ripresa in piano ravvicinato dell’affanno e del soffocamento riproduce la mancanza d’aria consustanziale al racconto. Entrambi concorrono a rendere l’idea di un’impossibile libertà rispetto a se stessi e a schemi sociali imposti. La macchina da presa, a ridosso dei corpi, partecipa del loro sentire, lo carica di potenziale erotico e lo trasmette a livello empatico: le mani di Valmont, in piano ravvicinato, che slacciano il bustier di Mme de Tourvel, allungata sul letto, in lacrime e ansimante, hanno un forte impatto sensoriale sullo spettatore, restituendogli in particolare l’effetto del corpo appena sfiorato. Ogniqualvolta la cinepresa segue da vicino il movimento delle mani o della bocca del visconte essa rinforza nello spettatore una sensazione tattile e prensile insieme: Valmont sfiora perché desidera afferrare, il suo movimento esiste nello slancio verso il possesso, è parte integrante della sua indole di predatore. Perfetta incarnazio107
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ne della “visione aptica” del cinema, la concentrazione del movimento sulle “prese” del visconte, sulle sue mani che si attardano nel contatto con il corpo femminile, permette la connessione tra le sensazioni tattili esperite dai personaggi e la memoria e l’immaginazione tattile dello spettatore, attiva cioè una “simulazione incarnata” e ne potenzia l’empatia “fisica”, acuisce “la multimodalità della nostra interazione” e favorisce “una risonanza maggiore coi corpi o con gli oggetti, ma anche con la texture del film”39. Alle “mani” del visconte rispondono le lacrime di Mme de Tourvel che attraversano lo schermo, lo saturano di dolore e trasmettono uguale sofferenza allo spettatore. Il respiro della donna si quieta lentamente, mentre l’uomo apre ad uno ad uno i ganci del corsetto, ma le lacrime continuano a colare, rigano il tessuto della pelle, e la grana della pellicola. Prendiamo a prestito la prosa poetica di Epstein per descrivere come un primissimo piano, nell’esasperazione della vicinanza, possa catturare il dolore e non spiegarlo, nemmeno trasmetterlo per forza immaginativa, ma farlo esperire allo spettatore: La douleur est à portée de main. Si j’étends le bras, je te touche, intimité. Je compte les cils de cette souffrance. Je pourrais avoir le goût de ses larmes. Jamais un visage ne s’est encore ainsi penché sur le mien. Au plus près il me talonne, et c’est moi qui le poursuis front contre front. Ce n’est même pas vrai qu’il y ait de l’air entre nous; je le mange. Il est en moi comme un sacrement. Acuité visuelle maxima.40
Se “l’identificazione immersiva e la partecipazione da essa generata [...] passa [...] attraverso una risonanza motoria con i movimenti, le azioni e le espressioni del personaggio nel film”41 anche a figura intera o in campo medio e lungo, “la risonanza tattile mediata dal film [...] trova nel primo piano e nel dettaglio il luogo di maggiore stimolazione, una stimolazione che oltrepassa il dato visivo e la funzione narrativa e va a porsi come esperienza della grana 108
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dell’immagine; il nostro risuonare con i corpi ingranditi e frammentati e con il dettaglio della pelle dei personaggi corrisponde a un entrare carnalmente in contatto con la trama dell’immagine”42. L’affanno ripreso da vicino, la difficoltà di respirazione, le parole spezzate e l’abbandono alle lacrime focalizzate dalla macchina da presa, consentono allo spettatore di percepire la carne di Mme de Tourvel. Sono elementi che, assieme alla natura ordinata del parco di Mme de Rosemonde e ai castigati abiti dai colori pastello che si riflettono nella purezza dello sguardo di Michelle Pfeiffer, vengono a “significare” il personaggio e il suo ruolo chiave all’interno della vicenda narrata. Gli costruiscono “trasversalmente” un corpo. Se torniamo al romanzo, rileviamo che, a suo modo, anche Mme de Tourvel pecca di orgoglio e di fedeltà verso la persona che ha scelto d’incarnare. Si ostina, infatti, nel voler dirigere la propria esistenza secondo principi immutabili cui crede fermamente, nel voler sottoporre sensi e affetti al vaglio di una ragione regolatrice e pacificatrice, estirpando dal proprio percorso esistenziale ogni possibile ingerenza del caso e proteggendosi contro l’irruzione di ciò che non riesce a padroneggiare. L’emozione produce in lei devastanti subbugli interiori ed effetti paralizzanti che si esteriorizzano in frasi lasciate in sospeso, generalmente riportate dal visconte alla marchesa come prova del proprio potere sulla donna – “Oh! Non mais …” (Lett. 6), “Eh bien! Oui, je…” (Lett. 92) – oppure in sospiri, tremiti e lacrime che Valmont dipinge a Mme de Merteuil per dimostrarle fino a che punto la Présidente non sappia simulare o celare quel che prova. È proprio attraverso le lacrime che l’emozione romanzesca di Mme de Tourvel si esprime più frequentemente, in un ventaglio di sensazioni che acquistano progressivamente intensità, andando dalla commozione all’intenerimento per giungere alle violente crisi che accompagnano le sue cadute.43 Se il lettore coglie del registro di Mme de Tourvel solo il vocabolario dei manuali religiosi edificanti in cui la passione 110
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amorosa diventa délire (Lett. 50) o poison dangereux (Lett. 124), oppure il linguaggio dell’obbedienza morale e dei divieti che la società impone alla donna, in nome del quale ella persiste nel rifiutarsi a M. de Valmont e nel condannarne la condotta, egli non può che aderire alla sentenza di Mme de Merteuil secondo cui la Présidente scrive male quanto veste. Ella si esprime, infatti, in un linguaggio spersonalizzato, tanto artificioso e codificato quanto quello prezioso in uso nei salotti mondani. Ciononostante,la sua corrispondenza con Valmont rivela da subito un conflitto doloroso che offre al personaggio la possibilità di acquisire un “corpo” tragico, lo spessore immateriale del sacrificio e del delirio amoroso. Il tentativo iniziale di mantenere tra lei e il visconte la distanza del linguaggio mondano, con lettere caratterizzate da periodi ampi e cerimoniosi e disquisizioni di ordine generale, s’indovina da subito votato alla sconfitta: l’insistenza sul vincolo coniugale e sull’obbligo morale di non corrispondere con il visconte e, soprattutto, di non lasciarsi coinvolgere dalle sue parole, manifesta la tentazione opposta, la esprime per contrasto. L’associazione della felicità al dovere presente nella lettera cinquantasei è, in tal senso, rivelatrice: “je suis heureuse” afferma la Présidente, per rettificare immediatamente dopo: “je dois l’être”. A partire da questa stessa lettera l’emozione si fa più marcata, con divagazioni inquiete, domande senza risposta e un susseguirsi d’imperativi che lasciano intravedere il turbamento di Mme de Tourvel, spaventata dall’idea di felicità espressa da Valmont: “Ce que vous appelez le bonheur, n’est qu’un tumulte des sens, un orage des passions dont le spectacle est effrayant” (Lett. 56). L’impressione che ne deriva è quella di una figura dalla sensibilità accentuata, consapevole di se stessa e dei pericoli cui tale eccesso la espone. Mme de Tourvel nutre, al pari dei due libertini, un profondo rispetto per la ragione, tramite la quale ella cerca di frenare il sentimento nascente per rielaborarlo nei termini tranquillizzanti di un’amicizia amorosa. La Présidente non rientra nella categoria delle 111
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“prudes” e il suo registro non esprime bigottismo, ipocrisia o asservimento alle convenzioni sociali; non crea, cioè, corrispondenza tra la felicità e quel “dovere” che tanto frequentemente cita nel proprio carteggio, bensì tra felicità e pace interiore. Il volto dell’attrice che incarna Mme de Tourvel nella pellicola di Frears è l’armoniosa geometria di quest’ordine ambito: nei tratti perfettamente simmetrici di Michel Pfeiffer, nella dolcezza delle linee che li compongono, si disegna la composta felicità cui il personaggio aspira. L’azzurro liquido del suo sguardo rielabora costantemente il motivo della lacrima, ne è saturo e sopraffatto, l’affanno del respiro entro cui sembra penetrare la macchina da presa esprime il terrore della perdita di sé, la premonizione di un sacrificio cui, puntualmente, il personaggio si offrirà. Nella progressione sistematica della tensione entro spazi claustrofobici e ordinati e nella focalizzazione del volto, Frears costruisce dunque la dialettica “paura/desiderio” che accumuna artefici e vittime del gioco libertino. Nel movimento incessante tra prossimità e distanza, incarnata nei movimenti degli attori e in quello della macchina da presa, modula l’eccitazione voyeuristica che regge la narrazione. Nella scena sopraccitata tra M. de Valmont e Mme de Tourvel il movimento dei personaggi simula un contatto che “sta per avvenire” e induce a una falsa predizione sensoriale: lo spettatore ha tendenza a percepirlo come preambolo alla consumazione dell’atto sessuale di cui, invece, esperisce esclusivamente le premesse. Il gesto di Valmont, teso a far respirare Mme de Tourvel e ad alleviare il suo stato di affanno, blocca, invece di assecondarlo lo slancio erotico reso possibile dal disperato abbandono della donna che si avvicina sollevando il busto e schiude appena la bocca per accogliere quella del visconte. I due volti sono ripresi di profilo in piano ravvicinato e disegnano una traiettoria di contatto. L’inaspettato e inspiegato allontanamento di Valmont44 vanifica le attese del pubblico e nega al contempo la sua “anticipazione” motoria, frustra il desiderio creato em112
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paticamente. Il regista gioca sul ritardo o sull’impedimento del piacere, celebrando, in tal modo, una delle funzioni portanti del cinema, quella «d’établir cette tension entre le vu et le non vu: par le jeu des regards, des champs contrechamps, des personnages décentrés, de la suggestion auditive, de l’ombre et de la lumière»45. La penombra delle alcove libertine o delle stanze private, movimentata dalla fiamma tremula delle candele, crea contrasti e scolpisce la carne e i volti, offre spessore ai corpi nelle scene di maggiore pregnanza erotica della pellicola e si fa emblema di un film interamente costruito attorno alla menzogna e allo svelamento.
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Note 1. “C’est dans l’abandon du négligé qu’elle est vraiment ravissante. Grâce aux chaleurs accablantes que nous éprouvons, un déshabillé de simple toile me laisse voir sa taille ronde et souple. Une seule mousseline couvre sa gorge, et mes regards furtifs, mais pénétrants, en ont déjà saisi les formes enchanteresses” (Lett. 6). 2. Le lettere, comprese quelle delle vittime, sono sempre destinate a produrre degli effetti sul destinatario, possono accendere il desiderio o tentare di convertirlo in tenerezza, provocare gelosia o compassione, giocare sulla vanità, sull’amor proprio o sul timore dell’opinione sociale. Tendono, cioè, a suscitare sensazioni o sentimenti di diversa natura, ma tutti strumentali all’azione. La lettera può essere resoconto o previsione dei fatti, strategia di persuasione e di seduzione o corollario all’azione, ma è sempre duello di spirito, dove chi non padroneggia la parola è destinato a soccombere. 3. Ryngaert Jean-Pierre, Introduction à l’analyse du théâtre, Dunod, Paris, 1991, p. 121. 4. Si vedano: Malavasi Luca, Racconti di corpi: Cinema, film, spettatori, Edizioni Kaplan, 2014, Menarini Roy, Il corpo nel cinema. Storie, simboli e immaginari, Mondadori, Milano, 2015. 5. Coulet Henri, “L’espace et le temps du libertinage dans Les liaisons dangereuses” in AAVV Laclos et le libertinage, op cit, p 182. 6. Versini è tuttora considerato l’autore del testo critico di riferimento sulle Liaisons: VERSINI Laurent, «Le roman le plus intelligent». ‘Les Liaisons dangereuses’ de Laclos, Champion, «Unichamp», Paris, 1998. 7. Ehrad Jean, L’invention littéraire au XVIIIe siècle : fictions, idées, société, PUF, Paris, 1997, p.215 8. Delon Michel, P.A Choderlos de Laclos. ‘Les Liaisons dangereuses’, PUF, «Études Littéraires», Paris, 1999, p. 39. 9. Ubersfeld Anne, Lire le théâtre, Tome I, Éditions sociales/Messidor, coll. «Essentiel», Paris, 1982, p. 140. 10. Coulet Henri, “L’espace et le temps du libertinage dans Les liaisons dangereuses” in AAVV Laclos et le libertinage, op cit, p. 183. 11. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, op. cit. p. 10. 12. Un esempio, tra i tanti possibili, di cinema sperimentale dove il trattamento dello spazio si piega a un intento simbolico: Dogville, in cui Von Trier ambienta la sconfitta della Grazia (una struggente Nicole Kidman) in una cittadina disegnata col gesso su un pavimento, spesso inquadrata dall’alto come il tabellone di un gioco o il contorno di un cadavere. Gli attori aprono porte invisibili e si spostano lungo margini indistinti, bianchi o neri a seconda dell’ora del giorno. L’ipocrita crudeltà della comunità uma-
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na verrà convogliata verso una violenza distruttiva ed espiatoria. In questo caso, a differenza di quanto avviene in Dangerous Liaisons, l’astrazione spaziale è massima e denuncia manifestamente il testo filmico come finzione. 13. Champs-sur-Marne, Guermantes e Lesigny nella zona di Seine-et-Marne ; Maisons-Laffitte e Neuville nelle Yvelines ; Vincennes alle porte di Parigi, Saussay in Essone. 14. Il regista ribadisce questo concetto nella lunga intervista rilasciata a Michel Ciment all’epoca di uscita del film nelle sale: «[… ] je passais mon temps à enlever du champ les serviteurs, les tableaux, les candelabres. Il était évident pour moi que mes personnages devaient être dans le cadre à l’exclusione de toute autre chose». In Ciment Michel, “Entretien avec Stephen Frears”, in Positif n.338, aprile 1989, p. 7. 15. Malraux André, “Préface”, op. cit. p. 7. 16. Rohmer Eric, L’Organisation de l’espace dans le «Faust» de Murnau. U.G.E. 10/18, 1977, pp 11-12. Citato da Gardies André, Le récit filmique, Hachette, coll. «contours littéraires», Paris, 1993, p. 83. 17. Tra i tanti esempi possibili: la partenza di Valmont e il corrispettivo arrivo di Merteuil nella residenza di Mme de Rosemonde. Nel primo caso lo spettatore vede il visconte, frontale, scendere la scalinata in pietra e avviarsi alla carrozza, come lui centrale rispetto all’immagine, mentre sulla destra e sulla sinistra, entrambe in piedi, si trovano Mme de Tourvel e Mme de Rosemonde, al cui fianco stanno i servitori, immobili. Nel secondo s’inverte la prospettiva dello spettatore, ma si mantengono la centralità del personaggio libertino e la composizione del quadro, poiché la carrozza da cui scende Mme de Merteuil per avviarsi alla medesima scalinata è nuovamente centrale, ma inquadrata dalla dimora dove gli altri personaggi femminili sono in piedi ad aspettarla. 18. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, op. cit. pp 25, 26. 19. Il regista, nelle interviste rilasciate in occasione dell’uscita della pellicola, confessa di aver voluto trasformare il romanzo di Laclos nel “film le plus noir que l’on puisse imaginer”. In Ciment Michel, “Entretien avec Stephen Frears”, Positif n.338, aprile 1989, p. 6. 20. Terzo film e primo grande successo commerciale del regista americano, Double Indemnity, uscito nel 1944, racconta la storia di Walter Nef, impiegato in una compagnia assicurativa, che, manipolato da una cliente venuta a stipulare un’assicurazione sulla vita del marito, ordisce con la donna una macchinazione che li porta all’omicidio. Walter finisce per assassinare il marito dell’amante, per poi accorgersi di essere stato a sua volta ingannato. Presi in trappola dal diabolico piano che li ha visti complici, i due amanti arrivano ad uccidersi l’un l’altro. 21 Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie: ou le roman du libertinage, op. cit. p 87. 22. Solo la distanza tra Mme de Merteuil e M. de Valmont, ospite nel ca115
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stello della zia, Mme de Rosemonde, rende necessario lo scambio scritto tra i due e, di conseguenza, produce il loro carteggio. 23. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie: ou le roman du libertinage, op. cit. p. 10. 24. L’invito della comtesse de B*** a Valmont affinché le renda visita nella campagna in cui «son mari a le plus beau bois du monde qu’il conserve pour les plaisirs de ses amis» è rapportato dal visconte alla marchesa (Lett. 59), la quale commenta: «[…] allez revoir, si vous en êtes tenté, le bois de B***. Vous dites qu’il le garde pour le plaisir de ses amis! Cet homme est donc l’ami de tout le monde ?» (Lett. 63). 25. Il solo momento di convergenza di attività e d’individualità disparate: «l’usage ici est de se rassembler pour déjeuner et d’attendre l’arrivée des lettres avant de se séparer», spiega Valmont nella lettera 34. 26. “Obscurité douce, qui enhardit l’amour timide” asserisce il visconte nella lettera 23. 27. Il regista sfrutta un topos dell’immaginario romanzesco occidentale – la rosa come donna nel giardino dell’amore, da Le Roman de la rose a La porte étroite – lo associa alla purezza del volto dell’attrice e all’intenzionalità espressa verbalmente dal visconte, contestualizzandole nello spazio fisico del parco. 28. “Le Satyre dit: je veux que mon désir soit immédiatement satisfait. Si je vois un visage qui dort, une bouche entrouverte, une main qui traîne, je veux pouvoir me jeter dessus. Ce Satyre – figure de l’Immédiat – est le contraire même du Langoureux. Dans la langueur, je ne fais qu’attendre: “je ne finissais pas de te désirer.” (Le désir est partout; mais, dans l’état amoureux, il devient ceci, de très spécial: la langueur.)” Roland Barthes, Fragments d’un discours amoureux, Paris, Seuil, 1977, p. 185. 29. In riferimento al ritrovamento di alcune lettere manoscritte si tende a credere che la soppressione dell’anno sia dovuta alla volontà di rendere credibile la presenza di Gercourt in Corsica, benchè Versini ricordi che la datazione completa delle lettere non fosse pratica corrente nel romanzo epistolare, nemmeno alla fine del secolo. Versini, Laurent, «Le roman le plus intelligent». ‘Les Liaisons dangereuses’ de Laclos, Champion, «Unichamp », Paris 1998, p. 69. 30. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie: ou le roman du libertinage, op. cit. p. 42. 31. «Prouvons-lui donc qu’il n’est qu’un sot: il le sera sans doute un jour» (Lett. 2). 32. «Quant à Prévan, je veux l’avoir, et je l’aurai ; il veut le dire, et il ne le dira pas : en deux mots, voilà notre roman» (Lett. 81). 33. «J’aurai cette femme ; je l’enlèverai au mari qui la profane : j’oserai la ravir au Dieu même qu›elle adore. […] Je serai vraiment le Dieu qu’elle aura préféré. » (Lett. 6). 116
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34. «Quel plaisir j’aurai à me venger! Je la retrouverai, cette femme perfide; je reprendrai mon empire sur elle. Si l’amour m’a suffi pour en trouver les moyens, que ne fera-t-il pas, aidé de la vengeance? Je la verrai encore à mes genoux, tremblante et baignée de pleurs, me criant merci de sa trompeuse voix; et moi, je serai sans pitié» (Lett. 100). «Je ferai plus, je la quitterai; et je ne connais pas cette femme, ou je n’aurai point de successeur. Elle résistera au besoin de consolation, à l’habitude du plaisir, au désir même de la vengeance. Enfin, elle n’aura existé que pour moi; et que sa carrière soit plus ou moins longue, j’en aurai seul ouvert et fermé la barrière» (Lett. 115). 35. Gallese Vittorio, Guerra Michele Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, op. cit. p. 144. 36. Da Hojbjerg in: Gallese Vittorio, Guerra Michele Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, op. cit. p. 143. 37. I due termini sono usati già negli anni trenta da Rudolf Arnheim per indicare le sensazioni soggettive che la mdp puo provocare nello spettatore. In: Gallese Vittorio, Guerra Michele Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, op. cit. p. 144. 38. Macchia Giovanni, Il paradiso della ragione : studi letterari sulla Francia Laterza, Bari, 1960, pp. 216-229. Si veda anche: Laclos Choderlos (de), I legami pericolosi, trad. Piero Bianconi, Introduzione di Giovanni Macchia, Milano, Rizzoli, 1968. 39. Gallese Vittorio, Guerra Michele Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, op. cit. p. 215. 40. Epstein Jean, Bonjour cinéma, prima ed. La Sirène, 1921, in Ecrits sur le cinéma : 1921-1953, Seghers, Paris, 1974-1975. 41. Gallese Vittorio, Guerra Michele Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, op. cit. p. 216. 42. Gallese Vittorio, Guerra Michele Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, op. cit. p. 233. 43 Di fronte alla finta beneficienza del visconte, Mme de Tourvel è «attendrie jusqu’aux larmes» (Lett. 22), alla prima dichiarazione d’amore di quest’ultimo la donna «fond en larmes» e passa l’intera serata «baignée de larmes priant avec ferveur» (Lett. 23), e successivamente «une nuit dans les larmes » (Lett.90) ed infine «tous les moments de sa triste existence sont marqués par ses larmes» (Lett. 108). 44. Corrispondente al resoconto che, nel romanzo, il visconte fa alla marchesa di Merteuil, senza darle altre spiegazioni che non siano l’eccesso di facilità e la scarsa gloria nell’impresa. 45. Clerc Jeanne-Marie Littérature et cinéma. Nathan, «Fac. cinéma», Paris, 1993, p. 158.
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III La carne e lo schermo un erotismo nell’assenza
L’impero dei sensi Ce livre, s’il brûle, ne peut brûler qu’à la manière de la glace. Charles Baudelaire1
Nel romanzo di Laclos l’erotismo rientra nell’astrazione del dato sensibile e nella costante procrastinazione dell’incontro. L’autore scrive in un secolo che s’interroga sul concetto di piacere e lo sviluppa entro un vasto ventaglio letterario che va dai romanzi erotico-pornografici propriamente detti2 al marivaudage amoroso3 per giungere alla disamina sentimentale della Nouvelle Héloïse di Rousseau, esplicitamente citata in esergo ne Les liaisons dangereuses. Debitore per intrighi e personaggi del teatro galante allora in voga e della produzione libertina di Crébillon Fils4, Laclos mette in scena situazioni convenzionali di proselitismo alla débauche ed evoca due progetti erotici speculari e paralleli (le due vendette che confluiscono nella seduzione di Cecile e le due iniziazioni alla sensualità della stessa Cécile e di Mme de Tourvel). Rivisita nei protagonisti del carteggio le figure dei naifs da indurre alla perdizione (il giovane cavaliere sentimentale, la fanciulla ingenua uscita dal convento, la moglie devota) e quelle, corrispondenti, dei seduttori senza scrupoli, nonché i caratteri secondari della cortigiana e dei valletti mimetici rispetto al padrone. Le tre figure femminili principali rientrano appieno negli stilemi della tradizione letteraria centrata sulla seduzione: Cécile evocherebbe les sens, Mme de Tourvel le cœur e Mme de Merteuil la tête, ma l’abbondanza di sfumature dei tre personaggi vanifica lo 119
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sforzo teso a farne caratteri convenzionali. La voluttà della prima conserva una forma d’innocenza poiché Cécile non cessa di amare con rinnovato candore Danceny, l’innamoramento della femme à sentiments coltiva l’orgoglio della propria unicità e il timore di non essere per l’amato che un passeggero richiamo dei sensi,5 e, infine, l’amour de vanité della marchesa esige una condivisione che ne rivela l’inconfessata insufficienza.6 L’autore trae da plurime ricorrenze narrative un’occasione di sintesi e di superamento. Individua nei movimenti dettati dai sensi una spinta all’analisi e alla concettualizzazione, riservando loro un trattamento ironico che mostra al contempo disillusione e desiderio di cambiamento. Questo produce il suo approccio inatteso alla sessualità. La fine del secolo è permissiva, il linguaggio della seduzione potrebbe essere esplicito, addirittura crudo, ma l’autore sceglie la perifrasi erotica di retaggio prezioso e riprende il linguaggio evocativo di Crébillon portandolo all’estremo: la descrizione della conquista e dell’avventura è convertita in allusione, le situazioni a sfondo erotico sono descritte in modo rapido ed evasivo. Gli atti e gli organi sessuali non sono mai menzionati, nemmeno per immagine, la nudità è solo suggerita dagli abiti leggeri e l’autore fa un uso limitato, si diceva, delle descrizioni di elementi d’architettura, di giardinaggio e di decorazione d’interni che costituiscono la scena convenzionale di tanta letteratura erotica del tempo. I periodi che dovrebbero concludersi nella descrizione del rapporto sessuale precipitano d’improvviso verso uno stacco, una chiusa che risolve la questione in un’immagine o in una battuta di spirito, oppure la convoglia verso una direzione distinta. La medesima tecnica è ripresa da Frears in termini cinematografici tramite il passaggio alla scena successiva con un raccordo di montaggio allusivo, oppure, senza necessità di stacco, tramite un repentino allontanamento dei corpi recitanti o una replica arguta destinata a impedirne l’abbandono. 120
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Regista e romanziere mantengono, in tal modo, l’erotismo nel limbo dell’evocazione. Lo abbozzano e passano ad altro, obliquamente, creando distacco rispetto al dettaglio organico e alle emozioni connesse alla sfera dei sensi. L’origine del desiderio erotico su cui i maggiori scriventi de Les liaisons dangereuses non cessano di disquisire sembra risiedere esclusivamente nell’idea, in un’immagine che essi formulano dell’avventura propria o di altri, destinata, per esistere, a prendere forma di drammatizzazione sociale. È fondamentalmente un’occupazione dell’immaginazione creatrice in uno stato di noia e di désoeuvrement. La scelta della perifrasi erotica romanzesca da parte di Laclos non significa, però, che la voluttà, intesa come soddisfazione erotica, sia assente dall’intrigo. Benché il libertinaggio de Les liaisons dangereuses sia altro rispetto alla ricerca sfrenata del piacere dei sensi, esso non esisterebbe senza l’affermazione puntuale di tale finalità: il possesso sessuale è parte integrante di una trama ordita attorno a due seduzioni. Il discorso sul desiderio e sul suo appagamento è il cardine d’azione di un romanzo che si situa alla confluenza di forme diverse di narrativa licenziosa e ne rappresenta la quintessenza, il vertice “scarnificato”. Tale discorso converge nella figura di Cécile de Volanges, “machine à plaisir” del visconte e della marchesa che ne realizzano l’educazione erotica. Nella pellicola di Frears se la “carne” s’impone sullo schermo è sempre in relazione alla giovane Volanges e ai due seduttori, protagonisti di un trionfo giocoso dei sensi che sembra inizialmente apparentare la vicenda alla commedia amorosa. Cécile, che apre il carteggio di Laclos con una lettera destinata all’amica Sophie rimasta in convento, ha un vocabolario semplificato (ad esempio ça per cela), povero e ripetitivo, che non le permette di designare sentimenti e sensazioni in modo preciso e articolato. Utilizza, dunque, in abbondanza, sostantivi generici che indicano la frequenza di emozioni contrastanti: i termini “peine”, “plaisir” e “chagrin” 121
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tornano regolarmente nelle lettere a indicare l’attitudine della giovane a “provare” sensazioni. Come solo rinforzo grammaticale Cécile utilizza l’avverbio bien di cui abusa davanti agli aggettivi per tradurre un’emozione più intensa.7 Il lessico infantile la distingue dal mondo degli adulti, che la giovane non capisce e da cui aspetta delucidazioni e aiuto: Gercourt, ad esempio, il marito che le è destinato, diventa nelle sue parole Le Monsieur (Lett. 39) ed è sempre associato alla paura e all’attesa. L’incontro con il giovane Danceny induce Cécile a dipingere in termini piuttosto convenzionali un quadro idealizzato del sentimento che sta scoprendo, opponendolo a un vocabolario della “morale” cui sa di doversi attenere (“il faut”, “si tu me grondes”). Quel che emerge principalmente dal suo carteggio è, però, la progressiva rivelazione del desiderio. Parlando del “plaisir” che ella prova nell’amare Danceny la giovane aggiunge “moi-même qui l’ai senti, si bien vivement senti, je ne le comprends pas” (Lett. 55). “Sentir” e “éprouver” sono i verbi che ricorrono con maggior frequenza nelle sue lettere e che giungono a destabilizzarla: “je ferme les yeux, et tout de suite je crois le voir […] je crois l’entendre; cela me fait soupirer et puis je sens un feu, une agitation… je ne saurai tenir en place” (Lett. 55). L’amore adolescenziale è principalmente un affare di sensi che non prevede alcuna mediazione intellettuale ed è rivendicato, inconsapevolmente, come condizione prima di una possibile felicità. Anche il tormento della passione si converte nel suo opposto: “C’est comme un tourment et ce tourment-là fait un plaisir inexprimable” (Lett. 55). Cécile “sente”, dunque, senza saper comunicare con esattezza il proprio sentire, esprime una precipitazione emozionale difficile da frenare e quando si accorge di non poterla più comunicare a Sophie quest’ultima scompare dal carteggio. Tale vuoto corrisponde alla repentina e definitiva perdita dell’innocenza infantile da parte della giovane che abbandona l’amicizia fanciullesca e recide il solo contatto con il mondo chiuso, 122
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ma protetto, del convento per stringere relazioni con il mondo sessuato degli adulti. La corrispondenza amorosa tra Cécile e Danceny, costruita a specchio invertito rispetto a quella dei due libertini, fa dei due giovani una coppia d’ingenui sentimentali, eredi per la purezza del loro sentire di Julie e Saint Preux, protagonisti della Nouvelle Héloïse di Rousseau, ma anche dei “naifs” indotti alla scoperta della sessualità e all’apprendimento della “débauche” nella narrativa di formazione libertina: entrambi, infatti, si affidano al visconte di Valmont e scelgono come interlocutore privilegiato la marchesa di Merteuil. Si evince dal romanzo che la morale elementare cui Cécile fa riferimento e la mancanza di volontà di cui dà prova vengono dall’assenza di una solida educazione e di un dialogo sincero con le figure parentali8, ma, quale che sia la motivazione della facilità con cui ella cede agli impulsi, restano prioritari nel suo discorso l’impero delle sensazioni e l’impossibilità di sottrarvisi: “C’était plus fort que moi” (Lett. 18), “je n’ai pas pu m’en empêcher” (Lett. 28), “si j’avais pu m’en empêcher” (Lett. 30). Reificata dalla marchesa che la designa come “cela”, “la chose”, “ce bel objet”, “machine à plaisir”, Cécile viene progressivamente ad essere “une sorte d’animal érotique savant et monstrueusement innocent”9, una creatura non immorale né perversa, semplicemente a-morale, un corpo che si offre inconsapevolmente al piacere.
L’innocenza pre-morale del corpo La Marchesa di Merteuil, nel romanzo, è la sola che accenna a un puntuale soddisfacimento dei propri desideri, evocando una naturale predisposizione alla voluttà, ancora silenziosa durante l’adolescenza, ma di cui in seguito non avrà da lamentarsi. Ella narra, inoltre, due avventure erotiche (con Belleroche e con Prévan), fornendo al lettore dovizia di particolari scenici, senza entrare, però, in detta123
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gli fisici che non siano lacrime simulate o posture assunte. Non a caso i due episodi non sono ripresi da Frears. Direttamente ispirati all’aneddotica libertina, ne lasciano intravedere esclusivamente la preparazione e l’ambientazione (boudoirs disordinati, scale e porte segrete), restano vuoti di sostanza, di verità. Tramite Cécile de Volanges si definisce in modo ben più preciso che nelle spettacolarizzazioni riservate agli attanti maschili la carica sessuale sovversiva di Mme de Merteuil: ella rivela apertamente a Valmont il desiderio omoerotico occasionato esclusivamente dalla fisicità e dall’inconsapevole sensualità della fanciulla,10 la quale risponde a sua volta a tale attrazione confessando a Sophie di amare la marchesa “plus comme Danceny que comme toi” (Lett. 55). Non sono gli amanti sedotti episodicamente e nemmeno Danceny, con cui la marchesa avvierà in conclusione una liaison, ad essere oggetto “fisico” esplicito del suo desiderio, ma Cécile, solo approdo dei sensi entro una strategia eminentemente intellettuale.11 Mme de Merteuil usurpa, in forma celata, l’erotismo di conquista del libertino maschile, incarna la compulsione a sedurre entro una meccanica svuotata di sentimento propria di una categoria precisa cui, per sesso, non appartiene. Nella pellicola di Frears il tatto e l’udito entrano prepotentemente in gioco, in funzione seduttiva, nel corso di una ripresa ravvicinata sulla marchesa di Merteuil e Cécile nel palco privato di quest’ultima all’Opéra, allo scopo di rendere in modo concreto l’ambigua attrazione espressa verbalmente nel romanzo. Sul palcoscenico del teatro si rappresenta Paride e Elena, ma, parallelamente alla macchina da presa, lo sguardo dello spettatore si sposta, con uno stacco, nella loggia di Mme de Merteuil. Il palco è visto dall’interno, in modo tale da privilegiare le due figure femminili, inquadrate frontalmente, sedute di profilo e rivolte l’una all’altra, entrambe a fuoco mentre lo sfondo resta indistinto. A Cécile, che confessa con timore di aver già scritto a Danceny, risponde il sorriso indulgente della marchesa che 124
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le pone un dito sulla bocca come per imporle il silenzio, mentre sul palcoscenico il duetto amoroso raggiunge, in un crescendo musicale, le vette della passione: la carezza sulle labbra turgide trova riscontro nel volto della giovane che si posa sul seno della marchesa, in un abbandono fatto di fiducia e di desiderio. Lo spettatore esperisce il contatto della pelle. La macchina da presa si avvicina ad essa, sembra accarezzarla seguendo i movimenti lenti dei corpi. Il desiderio trionfa al pari della passione in scena.12 Il percorso di educazione libertina tracciato nel romanzo dalla marchesa approda alla caduta della giovane Volanges e ai successivi incontri notturni con Valmont che riporta “leur lutte sur le lit, à mi-chemin entre un jeu d’enfant et la violence”13, ma si arresta al bacio dato e ricevuto, lasciando immaginare al lettore un possesso virile che si può intendere come un vero e proprio stupro oppure come una giocosa battaglia dei sensi dove il piacere è condiviso. Egli confessa, infatti, alla propria complice di aver soggiogato Cécile “par l’autorité”, “rendant à l’homme ses droits imprescriptibles” (Lett. 96), ma conclude dicendo “Enfin, de faiblesse en reproche, et de reproche en faiblesse, nous ne nous sommes séparés que satisfaits l’un de l’autre, et également d’accord pour le rendez-vous de ce soir” (Lett. 95). Prevalgono l’allusione e l’ambiguità; solo l’avvenuto amplesso è certo, benché non descritto. Nello scambio tra i libertini la realtà del desiderio, la fisiologia del piacere, i particolari del corpo sembrano appartenere a un paesaggio conosciuto. Si danno per acquisiti, come gli arredi, come le stagioni, come le fisionomie. La sequenza consacrata alla perdita della verginità di Cécile in Dangerous Liaisons rientra nella meccanica ludica del vaudeville che predilige il gioco delle parti e del mostrato/ nascosto rispetto alla rappresentazione erotica propriamente detta. Durante la spedizione notturna di Valmont è posto l’accento sulle dinamiche di passaggio e sulla simbologia basilare della chiave14, sulla gestualità scanzonata di Malkovich e sullo sguardo portato al corpo. Il visconte, infatti, sco126
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pre Cécile e si attarda sulle forme della ragazza tra le pieghe del lenzuolo e della sottoveste bianca, esibendo un piacere evidente nell’osservare i contorni della figura femminile, nell’indovinarla pregustando le azioni a venire. Segue una breve lotta fisica e verbale: si alternano le riprese frontali sui due corpi intrecciati riversi sul letto e i piani ravvicinati sui baci richiesti e dati, accompagnati dallo scambio di battute. Il movimento convulso è parzialmente bloccato dalla presa del visconte: l’incapacità di Cécile di difendersi fisicamente coincide con la sua inferiorità verbale che le impedisce di trovare adeguati argomenti di resistenza. La “manipolazione” linguistica di Valmont si esprime metaforicamente nella parte per il tutto, nei dettagli sulla mano, nell’esplorazione del corpo, nella fisicità avvolgente dell’attore.
Sempre connessa alla parola la “carne” s’impone sullo schermo. E non solo in quest’occasione: il tatto e il gusto sono interpellati quando la bocca del libertino bacia, con piacere e vigore non celati, seno, mani e guance delle protagoniste femminili; la sua irruenza indica un’abitudine consumata ad “afferrare” il piacere ogniqualvolta lo si desideri. Malkovich dimentica, in una recitazione fisica, immediata, le posture aristocratiche che dovrebbe tenere il visconte di Valmont e si abbandona a una forma di sensualità giocosa 127
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che esprime la sciolta sicurezza di chi crede di dominare la realtà in cui si muove. Egli incarna, in tal modo, una nobiltà di fatto, divoratrice, sprezzante, che gli permette di coincidere con il libertino di Laclos, il quale, “entièrement, hystériquement pris dans une seule obsession, avoir, prendre”15, non cerca l’immersione epicurea nei piaceri sensibili (anche naturali ed estetici), ma la reiterazione gloriosa delle avventure e l’asservimento dell’altro al proprio dominio. La carne di Valmont è forza intellettuale destinata al possesso e abitudine giocosa a ottenerlo senza fatica, la carne di Cécile è terreno di scoperta e campo di conquista.
La lettera e il piacere mediato La compulsione al possesso del visconte di Valmont non è mai disgiunta dal piacere dello sguardo posato sulla vittima. Lo spettatore cinematografico, voyeur per eccellenza, assiste all’ossessione di “scoperta” del libertino laclosiano e al fenomeno di effrazione visiva che sottende per intero la messa in scena virile nel romanzo16. Lo sguardo del lettore si posa sul mondo femminile tramite quello del visconte di Valmont, figura poliedrica e onnipresente in cui sembra convogliare l’intero universo maschile, altrimenti quasi assente dalla scena.17 Il voyeurismo, connaturato al genere epistolare e fondato su di una doppia illusione di partecipazione,18 è decuplicato, ne Les liaisons dangereuses, dalla compulsione a sapere che si confonde nel possesso dell’altro e nel dominio di sé. Tramite l’uso strumentale del carteggio i due principali scriventi cercano non solo di accendere il desiderio e di condurre alla resa il proprio avversario, ma di svelarne le componenti al fine di dominarlo: la violazione dell’intimità fisica non è mai scissa dalla penetrazione dell’intimità psicologica, il possesso del corpo è secondario, dicevamo, 128
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rispetto al possesso emozionale e cerebrale. Libido sciendi e libido dominandi governano l’azione libertina di cui la libido sentiendi non è che una finalità parziale. Laclos consente al lettore di accedere al doppio registro di scrittura di Mme de Merteuil e di M. de Valmont, permettendogli di condividere un codice interpretativo senza il quale, al pari delle loro vittime, sarebbe destinato a subire inconsapevolmente l’atto di scrittura. La chiave, che permette in Dangerous Liaisons l’andirivieni burlesco e il gioco di scambio tra Valmont e Cécile, è emblema del romanzo da cui il film è tratto: roman à clef non per i modelli reali di riferimento, ma per la necessità di decodificare tramite una o più chiavi linguistiche il registro libertino, per l’intima adesione che domanda al lettore, fatto partecipe, suo malgrado, dell’impresa di conquista e di svelamento dell’intimità. Il lettore, forzatamente consenziente, trae il proprio piacere dalla connivenza cui è indotto, accompagna i libertini nelle loro macchinazioni gioendo della seduzione linguistica che attivano l’uno per l’altro a danno delle vittime, le quali ripongono fiducia nel senso primo della parola, ignorando il codice. Esemplificativa è la lettera redatta da Valmont sul corpo della cortigiana Émilie, in cui il visconte narra le fasi di una voluttuosa notte d’amore facendone un’appassionata dichiarazione alla Présidente de Tourvel. Manifestazione di pari abilità e irriverenza, la lettera, preceduta dal codice interpretativo offerto a Mme de Merteuil,19 è destinata a sedurre contemporaneamente, “per interposta scrittura”, Mme de Tourvel e la marchesa, complice, assieme al lettore, dell’inusuale modalità redazionale e della maestria assoluta di Valmont. L’improvvisato tavolo di scrittura diventa oggetto dell’ironico commento libertino20 e la lettera stessa si fa corpo del piacere erotico, corpo della violenza “verbale” che la scrittura esercita sulla vittima, ed infine corpo della seduzione narrativa. Sostituta della carne, è ricettacolo degli slanci “fisici” che dovrebbero intercorrere tra gli amanti e che gli amanti si precludono21: 129
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Le libertinage à la Crébillon ou à la Laclos ne travaille que dans la perversité morale, il n’écrit pas à même le corps la violence qui l’habite. En revanche, son imagination s’exerce plus librement sur les lettres […]. Faut-il rêver à la lettre comme un substitut du corps?22
L’oggetto “lettera” è fulcro e veicolo della narrazione: nascosta in un’arpa, dettata, ricopiata, citata e ripresa, inviata in brutta o in bella forma, rubata, intercettata, strappata, baciata, bagnata dalle lacrime, pervenuta ai personaggi loro malgrado, diffusa pubblicamente o rimossa dal redattore, la lettera penetra tutti gli spazi, si gioca di tutti i divieti, scandisce il tempo fino a creare una realtà sensuale non materica, quella della circolazione della parola, l’unica in cui sembrano effettivamente muoversi i personaggi. La dinamica di sostituzione lettera/corpo stimola l’immaginazione del lettore e rientra in un erotismo di sfida che solletica i sensi per il rischio che comporta e per la crudeltà che lascia intravedere, un erotismo manifesto nell’episodio di Émilie. Valmont non si limita a ingannare tramite la menzogna, giunge a farlo dicendo il vero: “jamais je n’eus autant de plaisir en vous écrivant, jamais je ne ressentis, dans cette occupation, une émotion si douce et cependant si vive. Tout semble augmenter mes transports: l’air que je respire est plein de volupté” (Lett. 48). Egli fornisce prova di virtuosismo nell’inganno raccontando nel dettaglio la progressione del desiderio fino ad affermare la necessità di arrestare temporaneamente la scrittura per arrendersi al picco di piacere carnale: “Pardonnez, je vous en supplie, au désordre de mes sens. Je devrais peut-être m’abandonner moins à des transports que vous ne partagez pas : il faut vous quitter un moment pour dissiper une ivresse qui s’augmente à chaque instant, et qui devient plus forte que moi” (Lett. 48). Lo spazio tipografico posto volontariamente dall’autore tra quest’ultimo periodo e quello successivo corrisponde all’avvenuto amplesso, lasciato all’immaginazione. L’arte dell’allusione di Laclos raggiunge in tal modo la propria pienezza: la lettera, perfettamente credibile come struggente dichiarazione d’amore 130
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per chi ne ignora la chiave di lettura, illustra il progressivo accrescersi del piacere fino a suggerire un orgasmo maschile che resta “fuori scena”. La pellicola di Stephen Frears tende a manifestare il proprio debito verso la scrittura epistolare di Laclos e a mantenere il doppio registro libertino tramite soluzioni filmiche volte a manifestare e a potenziare la tendenza vicariante della lettera, la presenza in scena dell’oggettistica epistolare, il voyeurismo implicito nella forma romanzesca e, eccezion fatta per il finale, la connivenza tra spettatore e manipolatori. Il caso specifico dello scrittoio convertito nel corpo della cortigiana è risolto in una sequenza in montaggio parallelo composta da sette piani successivi che mostrano, in alternanza, Valmont in camicia da notte, i capelli sciolti senza parrucca e senza cipria, nell’atto di scrivere sul dorso nudo
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di Émilie, e Mme de Tourvel seduta in modo composto su di una panchina nel parco di Mme de Rosemonde. La voce fuori campo del visconte, che pronuncia le parole destinate a evocare il piacere, funge da connessione ironica tra i due campi visivi e permette di ritrovare il décalage laclosiano tra le due possibili interpretazioni delle medesime frasi. Il contrasto è aumentato dall’opposizione tra l’interno scarsamente illuminato e l’esterno assolato, tra il chiaroscuro che scolpisce i due corpi mollemente adagiati tra le lenzuola e la luce diffusa che avvolge Mme di Tourvel evocandone la sincerità e la credulità. La crudeltà del gioco erotico verbalizzato trova conferma nella ripresa quasi letterale del testo: “je crois pouvoir assurer sans crainte qu’en ce moment je suis plus heureux que vous” (Lett. 48), sottolineata in contrappunto dal volto evidentemente turbato della Présidente. Concludendo la sequenza sull’immagine del visconte che interrompe la scrittura per cingere la cortigiana, Frears restituisce lo iato romanzesco ed introduce la consumazione di un amplesso che non verrà mostrato. Il ricorso a una scena parallela a questa, che mostra Cécile de Volanges, in camicia da notte, nell’atto di scrivere a Danceny sul corpo nudo del visconte e sotto dettatura di quest’ultimo, reitera il gioco di seduzione, evocando il potere seduttivo della parola a doppio significato e a doppio intento. L’episodio è desunto dalla lettera centodiciassette, scritta da Cécile a Danceny sotto dettatura di Valmont, il quale la cita, in seguito, a Mme de Merteuil, destinataria ultima della prodezza verbale del visconte. Essa trae il proprio effetto ironico dal rinnovato stile di Cécile, spinta a più riprese dalla marchesa a curare maggiormente la propria scrittura, ma non comporta la conversione del seduttore in scrittoio; si tratta dunque di una scelta stilistica aggiuntiva di Frears che gioca nel corso della propria narrazione sugli effetti di analogia e di contrasto tra le scene, in modo tale da esibire costantemente gli effetti di specularità che caratterizzano il carteggio. L’insistenza sulla simmetria filmica è manifestata 132
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dalla ripresa della medesima posizione dei due amanti con la differenza che ad offrirsi come “corpo di scrittura” è stavolta la figura maschile, di cui viene sottolineata la fisicità possente tramite la nudità. Parallelismo e simmetria si manifestano esemplarmente in una delle scene consacrate agli incontri notturni tra Valmont e Cécile e all’educazione sessuale di quest’ultima. L’episodio si conclude sulle parole del visconte che invita la propria allieva ad apprendere qualche termine latino per poter designare con una terminologia adeguata i propri desideri, mentre in fuori campo sonoro si ode il “Salve Regina”, intonato, in latino, dal prete che celebra la messa nella scena immediatamente successiva. La costante desacralizzazione del linguaggio religioso attuata dai due libertini a finalità puramente edonistica è convertita in ironico effetto di montaggio.
Il dominio e la schermatura Domina la tua passione, che, se non ti obbedisce ti comanda. Mettile un freno, incatenala. Orazio, Epistole 1,2 – 62,63
Le numerose ricorrenze di una sensualità ammiccante in Dangerous Liaisons, piuttosto esplicite benché non convogliate nella rappresentazione dell’amplesso, non alimentano il potenziale erotico del film che si concentra quasi esclusivamente in una forma acuta di tensione. Esiste non nel possesso finale, ma nella pulsione ad esso, non nella fusione dei corpi, ma nella paura e nella speranza che una tale condivisione possa esistere. Il regista coglie la peculiarità della scrittura laclosiana negli iati, nelle attese e nei non detti, nell’evocazione del tormento altalenante cui sono sottoposti sensi e intelletto. Riesce a trasmettere attraverso il mezzo filmico una sessualità scarsamente vissuta, 133
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ma costantemente anelata, risvegliata, trafugata o sorpresa. L’erotismo si nutre delle esitazioni e delle frustrazioni dei personaggi. Les liaisons dangereuses è un romanzo del “terrore” non solo perché anticipa, in termini individuali, la messa a morte rivoluzionaria di una nobiltà oziosa e impotente di fronte ai cambiamenti della storia, ma per la sensazione tangibile di “paura” diffusa che il carteggio trasmette al lettore. Le lettere esprimono costantemente il timore di dover fare il lutto della propria identità sociale e individuale per assumere la fragilità che la sincerità emozionale e sentimentale comporta. Se la vittima del gioco libertino prevede il rischio d’immolarsi a sensazioni potenti, fino ad allora sconosciute, capaci di distruggere la quiete costruita dalla ragione e dal buon senso, il libertino stesso sa di poter inconsapevolmente passare dal tempo costruito al tempo vissuto, dallo spazio dominato allo spazio subito, per l’insidiosa identificazione con la vittima stessa. Conosce il rischio sociale del ridicolo sentimentale e il rischio individuale della dipendenza amorosa, per questo motivo è disposto a sacrificare tutto per l’intelligenza esibita di una formula. Sa che finché la realtà nominale avrà la meglio sulla realtà affettiva potrà conservare il controllo. Di conseguenza il romanzo prevede l’assunzione sistematica e volontaria di forme distinte di schermatura rispetto all’altro da sé, alla realtà sensibile o all’intimità sentimentale, di maschere verbali e comportamentali da intendersi come scudi di protezione o strumenti di una strategia di conquista. La concettualizzazione di sensi e sentimenti tramite la parola epistolare è di certo la prima barriera posta alla spontaneità dell’espressione, ad essa si sovrappone l’idea ribadita della necessità di erigere o di superare un ostacolo, sempre motore di un movimento in avanti e indice di un corpo desiderante o desiderato. La vanità e l’amor proprio dei libertini pongono barriere al soddisfacimento del desiderio per alimentarlo23, mentre la loro volontà di 134
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dominio mette un freno all’abbandono fisico ed emozionale. Allo stesso modo, la ragionevolezza di Mme de Tourvel si fa scudo dinanzi ai sensi, la coscienza dell’illusorietà del sentimento ritarda l’unione desiderata “tra le righe”, espressa nelle frasi spezzate e nei sospiri rivelatori evocati da Valmont. Ciascun ostacolo funge da incentivo all’erotismo “assente” del romanzo, lo richiama, lo induce, ne stimola l’invenzione immaginativa e concentra il desiderio del fruitore proprio nella zona di frontiera che esiste tra resistenza e abbandono. Al lettore interno ed esterno alla diegesi (il personaggio che legge e il fruitore del romanzo) interessano le scalfitture del sistema, le pieghe che si formano tra verità e simulazione, tra la spinta alla confessione e il repentino ripiegarsi nella menzogna. Si cercano indizi tra le parole mancanti. L’incarnazione cinematografica della pulsione all’abbandono frenata dal terrore della perdita di sé avviene tramite la ricorrenza sistematica di un primo piano “dialogico”, ovvero dell’interazione ravvicinata di due personaggi presenti nell’inquadratura o alternati in una successione rapida di repliche in campo e controcampo. Tale scelta permette non solo di filmare da vicino i volti in un lento avanzare verso l’intimità che invece sarà loro preclusa, ma d’instaurare un dialogo ravvicinato con lo spettatore. L’erotismo di sfida di Dangerous Liaisons risiede, si diceva, nel repentino allontanamento quando l’estrema vicinanza dei corpi porta al massimo grado l’eccitazione dei sensi, tanto quelli dei personaggi di finzione quanto quelli dello spettatore. Il film attualizza, in tal modo, il principio primo del libertinaggio mondano, ovvero la necessità di porre ostacoli alla consumazione del piacere affinché questo non perda d’intensità. Nel romanzo, M. de Valmont e Mme de Merteuil non giungono mai a incontrarsi: il loro appuntamento è costantemente procrastinato e la loro distanza non fa che aumentare malgrado il progressivo avvicinamento spaziale. Il rapporto sessuale, promesso dalla marchesa al visconte come 135
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premio in caso di riuscita nell’impresa di seduzione, è sempre citato, ma mai concesso, viene anzi ad essere oggetto di ulteriore discordia. Il lettore ha diritto, però, a uno scambio a distanza, a una serie di “duelli” verbali di forte pregnanza erotica per quello che lasciano indovinare di tensione tra il dominio della parola e l’opposto desiderio d’abbandono. Esso traspare negli interstizi del discorso ed è talvolta esplicitamente riscontrato da uno dei due interlocutori: Mme de Merteuil – maestra, diremmo oggi, nell’analyse du texte – riporta e commenta frasi di Valmont per mostrargli quanto sia forte il sentimento verso Mme de Tourvel che egli rifiuta di accettare, mentre il visconte accenna in più di un’occasione alla gelosia della marchesa e intravede la possibilità di una loro rinnovata unione. Il desiderio esiste nell’immaginazione, nella proiezione futura di quel che potrebbe essere e nel ricordo che si vuole far rivivere: Mme de Merteuil definisce la passione per Valmont come tale nel momento stesso in cui confessa che si tratta del solo dei suoi gouts che abbia mai avuto un moment d’empire su di lei (Lett. 81). Non abbiamo alcun resoconto del piacere erotico del visconte, solo l’asserzione ribadita del soddisfacimento che egli trae nell’assistere alla battaglia interiore tra virtù e amore in Mme de Tourvel. Quest’ulteriore duello, parallelo a quello combattuto con Mme de Merteuil, ha però una conclusione: si risolve in due mesi di frequentazione di cui il lettore non ha alcun resoconto in termini erotici se non l’asserzione del visconte relativa alla caduta di Mme de Tourvel, di cui egli riporta l’abbandono assoluto. Emerge esclusivamente lo stupore con cui Valmont descrive l’inattesa estasi reciproca vissuta nel momento in cui la Présidente accetta di offrirsi a lui, senza più remore, freni ed esitazioni. Alla descrizione dell’avventura sessuale subentrano quelle di un piacere mentale e di un abbandono sentimentale. Nel presente pietrificato del mondo libertino Laclos racconta – paradossalmente – un desiderio che non appartiene all’immanenza. Che anticipa lo slancio verso l’assoluto ro136
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mantico e ne denuncia al contempo l’illusorietà. Un desiderio concentrato nello sguardo che cela o lascia trasparire, che scherma eppure tenta d’indovinare il segreto dell’intimità. In una tensione oltre la carne. I personaggi enigmatici e contraddittori de Les liaisons dangereuses mostrano delle fessure e anticipano uno svelamento che non avrà luogo se non in forma molto parziale. Nelle crepe del dominio di sé e degli altri risiede il fascino che non cessano di esercitare: l’erotismo si esprime nella zona d’ombra della scrittura, nello spazio secreto in cui i personaggi coltivano il dubbio, nell’intima lotta che rivolgono in primo luogo a se stessi. Se la descrizione della realtà sensoriale è omessa, altrettanto non si può dire della tensione verso tale realtà prodotta dall’uso di verbi di percezione, relativi in particolare allo sguardo e a un generico sentire che ritorna negli scambi epistolari. Il termine regard24 è ricorrente nel romanzo e si apre con frequenza inattesa a tutto il campo lessicale del guardare.25 La straordinaria presenza dei personaggi deriva in gran parte da questa loro forza di percezione: si osservano e si “sentono” l’un l’altro per cogliere la falla nella struttura, il dettaglio che lascia intravedere un possibile cedimento. Al primo contatto fisico con Mme de Tourvel, stretta a sé per superare un fossato, Valmont racconta: “Je pressai son sein contre le mien: et dans ce court intervalle je sentis son cœur battre plus vite. L’aimable rougeur vint colorer son visage, et son modeste embarras m’appris assez que son cœur avait palpité d’amour et non de crainte” (Lett. 6). Più volte il visconte riporta in dettaglio alla marchesa di Merteuil le reazioni emotive di Mme de Tourvel, insistendo sugli occhi che si abbassano in sua presenza e sul rossore delle guance, associando timidezza e pudore al timoroso risveglio dei sensi, alla confessione d’amore. Egli osserva ed è a sua volta osservato26. Il voyeurismo, in ogni sua estensione di senso, è il primo fattore erotico del romanzo e lo sarà della pellicola. Lo sguardo è fatto sensoriale concreto, espressamente citato, ed è al contempo metafora del tentativo di 137
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conoscenza e di possesso finale. Nella costante alternanza di due contrastanti forme di desiderio, il piacere dell’intelligenza che celebra se stessa e afferma la propria auto-sufficienza e, all’opposto, la pulsione di sincerità, l’istinto d’abbandono all’altro e di allentamento delle costrizioni, viene, infatti, a crearsi un terreno indiziale che il lettore ha il “piacere” e il “desiderio” di cogliere e di decifrare.
L’accesso al desiderio: il primo piano A differenza di quanto avviene nel romanzo Dangerous Liaisons mette in presenza i due libertini, ma introietta la frustrazione romanzesca del loro contatto sottoponendola allo sguardo indagatore dello spettatore entro lo spazio angusto del primo piano, sulla trama della pelle. La lotta interpersonale e la battaglia interiore sono combattute, nel film, attraverso la geografia del volto, negli “appostamenti” dello sguardo, nei movimenti dei nervi occultati repentinamente, nelle palpebre che si abbassano e nelle labbra che si schiudono verso l’abbandono. Le tensioni verbali si fanno grana epidermica e respiro per acuirsi impercettibilmente nella distorsione dei tratti e nell’affanno. Secondo Ingmar Bergman “la proximité du visage humain est certainement la noblesse et la caractéristique du film” e l’assenza o la moltiplicazione di primi piani rivelano fatalmente non solo “le tempérament du réalisateur” ma “le degré de l’intérêt qu’il porte aux hommes”27. La marchesa di Merteuil e il visconte di Valmont si affrontano con l’intento di svelare il volto sensibile dell’altro e, forse, di rivelare il proprio. Allo stesso modo una profonda curiosità dell’uomo per l’uomo supporta la macchina da presa nel momento in cui si avvicina alle maschere come ai volti per scrutarne i dettagli, per cogliere e trasmettere le impercettibili tensioni dei muscoli, le sfumature di stanchezza, le lacrime che premono per scendere, ma restano sulla soglia delle ciglia. 138
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Più poeta che teorico del cinema, Jean Epstein scrive negli anni venti un elogio sensuale del primo piano cinematografico come “teatro della pelle”, anticipando, con un’immagine potentemente evocativa, i più recenti studi critici sull’esperienza della corporeità, sulla componente sensoriale dell’immagine filmica come presupposto imprescindibile dell’identificazione dello spettatore: Entre le spectacle et le spectateur, aucune rampe. On ne regarde pas la vie, on la pénètre. Cette pénétration permet toutes les intimités. Un visage, sous la loupe, fait la roue, étale sa géographie fervente... C’est le miracle de la présence réelle, la vie manifeste, ouverte comme une belle grenade pelée de son écorce, assimilable, barbare. Théâtre de la peau.28
La grana della pelle è campo percettivo, palcoscenico offerto allo sguardo tramite l’ingrandimento e la “riproposizione di elementi fuori scala rinforzati dall’isolamento pregno di senso in cui vengono a trovarsi”29. Il concetto radicato, con varianti, nella teoria del cinema dalle origini ad oggi- 30 si fonda sull’idea di una “penetrazione” della vita da parte del dispositivo cinematografico che, tramite l’avvicinamento al minimo dettaglio anatomico, alla tessitura della pelle, svela la geografia concreta del corpo umano e rende percettibile un’emozione rivelatrice “d’altro”, una tensione nascosta. Permette, cioè, di assaporare simultaneamente la pienezza della carne, il fremito sensoriale, e qualcosa d’invisibile che si apparenta al pensiero e al sentimento, ma lo scavalca per immediatezza. Negli stessi anni in cui scrive Epstein l’ungherese Béla Balázs intuisce le straordinarie possibilità del primo piano che, da semplice curiosità nel cinema delle attrazioni, oppure tassello di un costrutto narrativo, diventa il fondamento della settima arte, capace di rendere l’anima umana “visibile”. A differenza del teatro, vincolato al mantenimento di proporzioni reali, il dispositivo filmico può creare tra lo spettatore e il volto una vicinanza privilegiata, destinata a suggerire e a indur139
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re un massimo di intensità drammatica pur conservando la “verità” del visibile. Permette, cioè, l’esplorazione e la penetrazione dell’intimità di un segreto che può restare intatto, che non necessita di trasfigurazione, di spiegazione o di ricodificazione. Il primo piano offre allo spettatore la conoscenza di una verità cellulare, microscopica e pre-razionale. In queste prime osservazioni teoriche, tese a fornire anche un senso “epocale” al mezzo cinematografico, vediamo delinearsi un nuovo umanesimo, inteso come esplorazione di possibilità e forme di conoscenza fino ad allora inedite: il cinema mostra non solo di poter scardinare le coordinate spaziali e costruire una nuova sintassi, ma di poterne fare l’espressione di una forza percettiva autonoma rispetto alla parola. Epstein e Balázs scrivono all’alba di un “pensiero sensibile”31 che non necessita di una sistematizzazione verbale e tramite la “prossimità” estrema dell’incarnazione può giungere ad affrancare sentimenti e pensieri da spazio e materia, fino a creare la dimensione di un’interiorità altrimenti celata32. Se nel romanzo di Laclos nulla è detto e tutto si lascia indovinare, se il lettore deve farsi ermeneuta e indagare le parole per cogliervi verità celate, in Dangerous Liaisons lo spettatore interroga il volto dei personaggi, ne studia da vicino la carne, percepisce la materialità del respiro e della voce per avere un accesso sensoriale all’intimità. Il primo piano che Frears impone come scelta di campo privilegiata è la sfida cinematografica alla parola epistolare, capace di rivelare e di occultare simultaneamente. È alternativamente indizio di una verità del volto, espresso nel théâtre de la peau, e assunzione della maschera destinata ad agire nel théâtre du monde.
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Le théâtre de la peau, occhi, bocca, orecchio e pelle Le scene a due tra la Marchesa di Merteuil e il Visconte di Valmont sono chiarificatrici del trattamento che alterna svelamento e occultamento, avvicinamento e distacco, cui Frears sottopone il primo piano. La prima tra queste, a inizio film, prevede la pianificazione della seduzione e si svolge su di un canapè azzurro che sarà teatro degli incontri tra i due libertini fino a quando complicità e intesa conserveranno un vantaggio sulla rivalità. La macchina da presa, con un movimento lento e insistito, si avvicina frontalmente ai due, seduti l’uno di fianco all’altra; un breve stacco mostra, in montaggio parallelo, l’immagine di Mme de Tourvel annunciata dalle parole del visconte, per poi ristabilire l’attenzione sui due volti ripresi in campo e controcampo e reintrodurre una seconda volta la figura di Mme de Tourvel nel giardino di Mme de Rosemonde. Le soluzioni espressive sono di per sé piuttosto convenzionali, ma la loro interazione con la parola è interessante. Una prima analogia, che abbiamo introdotto in precedenza, è stabilita tra la rosa da cogliere e la Présidente, illuminata da una luce diurna naturale, diffusa e avvolgente, che ne esalta l’incarnato diafano e ne evoca la purezza, in contrasto con la penombra e l’illuminazione a candela del salone di Mme de Merteuil. La seconda è più sottile e gioca interamente sul connubio tra sensi e intelletto. I quattro primi piani dei due libertini, alternati alle scene nel parco, sono ripresi da una posizione leggermente laterale che mostra al contempo la nuca di chi ascolta e il volto, a fuoco, di chi parla sottoponendosi allo sguardo dell’altro, in modo tale che, per abitudini di visione, lo spettatore assuma in “falsa soggettiva” la posizione dell’osservatore. Gli attori scandiscono le battute, le riempiono; la bocca dell’uomo lascia trapelare un sorriso di compiacimento, si muove “gustando” ogni parola, assaporandola, e si avvicina al volto della donna, mentre gli occhi, accesi nel piacere anticipato 141
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dell’impresa, restano fissi su quelli dell’interlocutrice. L’immobilità del volto femminile è tesa nella medesima attrazione dello sguardo, se la bocca si schiude a sua volta in una velata ironia, gli occhi restano concentrati sul visconte. L’estrema vicinanza dei corpi e la linea di contatto visiva che si stabilisce tra i due acuiscono la risonanza sensoriale dello spettatore con i personaggi, stimolandone al contempo altri due sensi, il tatto e il gusto. Un primo piano, che include i due volti di profilo abbandonati allo schienale e lascia immaginare i due corpi che si allungano sul divano, sembra far confluire i piani precedenti nell’attesa unione ed accende i sensi nello spettatore, ma il repentino volgersi dello sguardo della marchesa verso un altrove indefinito delude le aspettative e procrastina la consumazione del desiderio. Un movimento di macchina “specularmente” opposto al precedente accompagna il distacco della donna: con un lento allontanamento sostituisce i primi piani con mezzi busti e impedisce il contatto a venire. È in tale istante che Mme de Merteuil pronuncia la parola “cruelty”, facendo si che il sorriso dell’uomo si spenga e lasci spazio a una sorta di stupore ammirativo. La crudeltà s’incarna nella barriera verbale, nel brusco arresto del contatto visivo, nel movimento repentino ma controllato di distacco. Una parola chiave del romanzo, la “preferita” della Marchesa, si fa “corpo” filmico. La sincronia e la perfetta coincidenza tra l’espressione verbale, i sensi interpellati e i movimenti di avvicinamento e di allontanamento, rendono manifesto, in questa prima fase della vicenda, il controllo dei personaggi su di sé e sugli eventi. Lo sguardo assente della marchesa, ricorrente nella pellicola, introduce inoltre la dimensione meditativa del romanzo, il piacere non dell’incontro, ma del pensiero teso a immaginarlo, della congettura e dell’analisi33. Solo a Mme de Merteuil è concesso, nel romanzo e nel film, lo spazio del ricordo, in forma di dissertazione sociale (la condizione della donna in società e la simulazione cui è costretta), di rievocazione dolorosa del passato34 e di malcelata nostal142
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gia per la relazione con M. de Valmont. Il connubio tra la modulazione dello sguardo dell’attrice, ripreso molto da vicino, e le parole tratte dal romanzo, permette, durante il monologo tratto dalla celeberrima lettera ottantuno in cui la marchesa racconta la propria formazione, il passaggio verso una dimensione temporale e spaziale altra rispetto al presente: i primissimi piani della donna, ripresi frontalmente, fagocitano lo schermo, il volto è immobile, la bocca sola si muove e scandisce la narrazione, mentre gli occhi, leggermente abbassati, sembrano concentrati nello sforzo di visualizzare del passato e coinvolgono lo spettatore in tal senso, lo accompagnano verso la proiezione mentale di un percorso segreto, interiore. L’occhio della marchesa è presente seppur nel distacco, assorto nel pensiero e ripiegato su di sé, ma necessita costantemente di essere sottoposto, per esistere, a un secondo occhio che gli offra prestigio e legittimità: il monologo è spezzato da piani ravvicinati sul visconte, immobile, lo sguardo fisso rivolto a un fuori campo che indoviniamo essere il volto della marchesa, rapito da una voce che produce, in lui come nello spettatore, una sorta d’incantesimo sensuale e intellettuale. Destinatario privilegiato dell’esposizione che la marchesa fa di sé e del proprio personaggio modellato nel tempo, Valmont entra in campo riconducendo la donna all’interazione dei sensi. I tempi sono volutamente rallentati; alla domanda sul senso della loro storia la marchesa non risponde subito, fa una pausa e si volta lentamente, caricando l’atmosfera di un’attesa che è pulsione, tensione pura. Viene meno la profondità prospettica poiché lo spazio che circonda i volti si offusca fino a cancellarsi e s’impone una dimensione materica e mentale dissociata da spazio e tempo, una dimensione che esiste esclusivamente sulla pelle, negli occhi, nell’orecchio e sulle labbra. Tutti i sensi sono interpellati all’unisono e lo spettatore viene a posizionarsi su quella soglia che Epstein, esprimendosi alla prima persona singolare, riconduce al primo piano come teatro della pelle: “Aucun tressaillement ne 144
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m’échappe. […] Projeté sur l’écran, j’atterris dans l’interligne des lèvres”35. Negli interstizi delle labbra si vengono a leggere le fenditure della scrittura romanzesca, gli spazi e i tempi costruiti dall’immaginazione dei due personaggi libertini, il passato ammantato dal ricordo – forse non veritiero – di un amore condiviso, la proiezione futura di una nuova esperienza fusionale e totalizzante, le illusioni che entrambi ribadiscono, a più riprese, di aver perduto nel corso della vita. Il primo piano è la concretizzazione di una tensione immateriale verso il piacere e la pienezza amorosa, è lo spazio dell’appetito sessuale e della speranza sentimentale. Dal contrasto tra i due termini, dalla loro apparente irriducibilità, nasce l’impossibilità di risolvere il piano ravvicinato in una vera prossimità tra i corpi.
Multimodalità di percezione: il primo piano sonoro Lo scambio tra Valmont e Merteuil che segue la narrazione autobiografica della marchesa vede alternarsi primissimi piani di entrambi (solo una parte del volto è nel quadro, da sotto la fronte fino al collo) ripresi da punti di vista che mimano le rispettive prospettive. La marchesa, filmata dal basso verso l’alto, osserva il visconte scivolare impercettibilmente lungo il divano per abbandonarsi a lei e prosegue nell’evocazione del passato abbassandosi lentamente verso di lui. La sua voce si fa sussurro fino a che il silenzio s’impone e il sorriso lascia posto all’improvvisa serietà con cui risponde allo sguardo diretto e torvo che Valmont non distoglie dal suo, chiuso in un silenzio pesante e completamente assorbito dal proprio movimento. Non ci è concesso sapere se la scelta di John Malkovich nel ruolo del seduttore sia frutto di una felice casualità o di un’intuizione folgorante, comunque sia, essa si rivela apporto fondamentale alla dinamica voyeuristica che regge la vicenda: lo strabismo convergente 145
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dell’interprete (uno degli occhi guarda verso l’interno) crea un’asimmetria e un’ambiguità di fondo che amplificano, invece di diminuire, come si potrebbe suppore, l’intensità del suo sguardo. L’imperfezione fisica dell’interprete ne incrementa il fascino dandogli un’ambivalenza sostanziale, ribadisce metaforicamente lo sdoppiamento attoriale del personaggio e infonde un’equivoca inquietudine al suo guardare, incorpora all’azione quello straniamento che la marchesa esprime quando volge gli occhi verso un altrove indefinito.
Già nei primi avvicinamenti dei due sfidanti lo spettatore può leggere la paura, mai scissa dal desiderio, che provoca il brusco arrestarsi dei corpi protesi l’uno verso l’altro, impedisce l’abbandono ai sensi e in tal modo esaspera la tensione 146
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invece di scioglierla. In questo caso un fattore esterno, l’arrivo di Mme de Volanges, interrompe l’azione e fa effrazione nell’intimità che si era venuta a creare, trasformando il confronto privato in una scena di vaudeville dai risvolti comici. Al termine del confronto teatrale si ripristina attraverso una nuova alternanza di primi piani l’intimità dei due personaggi e viene a ristabilirsi la coincidenza tra parola e immagine. La marchesa e il visconte si dispongono simmetricamente ai lati del quadro, appoggiati ciascuno allo stipite opposto della porta che crea un surencadrement. Il rapido alternarsi di campo e controcampo confluisce in un unico piano ravvicinato sulle due figure di profilo che implica il venir meno della distanza offerta dalla soluzione precedente: Valmont si accosta a Mme de Merteuil, si china su di lei poggiando le braccia al muro e stringendola alle spalle. Assume la posizione del predatore abituato a sovrastare la propria vittima. La macchina da presa si avvicina ulteriormente ai due volti di profilo, gli occhi fissi l’uno sull’altra, mentre si scambiano battute pregne di chiare allusioni sessuali. Il lento avanzare del visconte è accompagnato dalle parole che la marchesa sussurra, asserendo di aver fame e di doverlo per questo lasciare, la bocca della donna è tutt’uno con il gioco verbale, il respiro si fa più corto e la voce, roca, si abbassa di tono fino a confondersi con il respiro stesso. L’avversario subentra con una replica, “I have quite an appetit myself”, che rilancia il doppio senso e l’incorpora avvicinando la bocca alla donna che sembra a sua volta schiudere ed offrire la propria, ma blocca inaspettatamente lo slancio con una battuta che mantiene il gioco di parole per porre fine a quello dei sensi: “then go home and eat”. La grana della pelle invade lo schermo, lo spazio tra la carne dell’uno e dell’altra si restringe, i confini corporei sono violati e si pongono i presupposti di un contatto – un bacio, una stretta più forte – che non avverrà. La marchesa volge contemporaneamente lo sguardo e il viso, sfuggendo alla presa del visconte che si solleva lentamente sfiorandole la pelle ed esce dal quadro. 147
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La macchina da presa, prima di aprirsi su di un piano ambiente, si sofferma su di un istante d’immobilità della donna che chiude gli occhi e offre allo spettatore la fuggitiva rivelazione di un’intimità sofferta negata all’uomo. La scena porta all’estremo la tensione erotica tra i due “complici/sfidanti” a un passo dalla resa e dalla riunione, bruscamente interrotte dal controllo della marchesa che mantiene il desiderio in una zona di confine alimentata dall’insoddisfazione e dalla procrastinazione. È inoltre un esempio chiave di come una scelta di campo associata ad altri dispositivi filmici, tra cui la “presenza” carnale dell’attore in scena, possa veicolare allo spettatore significati sostanziali, di come una pellicola aperta su di una multimodalità di percezione coinvolga – per sinestesia e per sincretismo – tutti i sensi dello spettatore. L’udito è parte integrante di tale coinvolgimento. Il primo piano di Dangerous Liaisons diventa “sonoro” nel momento in cui la presenza del respiro, dell’umidità delle labbra, di un suono spezzato e roco, riesce a rendere visibile la trama acustica, a far pervenire allo spettatore la sua materialità, quando giunge “à jeter, pour ainsi dire, le corps anonyme de l’acteur dans mon oreille: ça granule, ça grésille, ça caresse, ça râpe, ça coupe, ça jouit.”34 In uno dei suoi saggi più celebri, Le plaisir du texte, Roland Barthes attraversa la trama sensoriale della “scrittura ad alta voce” di cui sottolinea non la chiarezza di trasmissione, non la funzione di costruzione di senso, bensì “les incidents pulsionnels”, “le langage tapissé de peau”, “l’articulation du corps, de la langue”. Egli afferma il piacere, sensuale, fisico, di “un texte où l’on puisse entendre le grain du gosier, la patine des consonnes, la volupté des voyelles, toute une stéréophonie de la chair profonde”36. Non deve stupire che Barthes associ l’esperienza percettiva di una scrittura in grado di dare “corpo” alla voce al mezzo cinematografico, di per sé sinestetico, in grado di stimolare simultaneamente più organi di percezione tramite l’accostamento di piani sensoriali diversi. 150
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La “stereofonia della carne” è celebrata da un cinema che: […] prenne de très près le son de la parole (c’est en somme la définition généralisée du “grain” de l’écriture) et fasse entendre dans leur matérialité, dans leur sensualité, le souffle, la rocaille, la pulpe des lèvres, toute une présence du museau humain.37
Nella pellicola di Frears l’estrema vicinanza ai volti permette di cogliere per intero questa presenza non del viso, ma del “muso” umano, di qualcosa che si avvicina all’animalità, a un’istintività felina che confonde la voce con il respiro, nella cadenza del petto scoperto che si solleva e si abbassa ritmicamente, sulla bocca umida che pregusta il piacere su cui disserta. Entro la composita struttura uditiva del cinema, il teorico Chion, che ha dedicato buona parte dei suoi scritti al suono cinematografico e all’esperienza spettatoriale dell’ascolto, attribuisce un ruolo privilegiato alla voce, zona di frontiera tra corpo e spazio. Nelle scene in precedenza analizzate la parola attoriale è simultaneamente veicolo del linguaggio romanzesco propriamente detto e fatto sensoriale, ancora una volta trama o tessuto. La riproposta sotto forma di dialogo dello scambio epistolare concentra in brevi battute decise la battaglia linguistica dei due libertini e arricchisce i loro incontri di doppi sensi a sfondo sessuale che replicano verbalmente la tensione erotica di cui si carica l’immagine. Il gusto della parola rientra, però, in un’impresa di dominio intellettuale sui sensi e la verbalità trionfante dei personaggi interviene il più delle volte a bloccare sul nascere lo slancio passionale. Se coinvolge lo spettatore lo fa in termini intellettuali, ne stuzzica l’intelligenza, specularmente a quanto avviene sullo schermo, dove l’allusione “parlata” al desiderio pone un freno alla sua realizzazione. Paradossalmente questa stessa parola schermante riesce a produrre grazie alle sue componenti fisiche, un’implicazione diretta dei nervi e della pelle, a farsi, cioè, veicolo emozionale e sensoriale. Il suono della parola è traccia, implica sempre uno sposta151
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mento nello spazio, una seppur minima variazione, e, se pieno, “carnoso”, tale suono può avvolgere nel movimento la mappa sensoriale dello spettatore, può abbracciare l’intero campo visivo e potenziare il piacere degli occhi, il gusto delle labbra. L’orecchio funge da conduttore e permette alle vibrazioni sonore di penetrare l’interiorità di chi ascolta e di stimolarne altri sensi, di produrre sensazioni aptiche, rinforzando il legame tra il tatto e il movimento. Nel nostro caso la modulazione delle voci del visconte e della marchesa e la loro trasformazione in respiro o in sussulto quando si fanno roche, mormorano seguendo l’ondulazione del petto o si spezzano infliggendo dolore, ne fanno qualcosa di “prensile” e d’“ipnotico” che cattura insieme i sensi e l’attenzione.38 Questo ci riconduce al tatto che, paradossalmente, s’impone sull’immaterialità costitutiva della visione filmica proprio nella relazione privilegiata con il primo piano, visivo e sonoro, il quale “esalta e focalizza la visione dello spettatore sugli aspetti più materici degli oggetti ripresi, siano essi volti, mani, paesaggi, o costruzioni e oggetti prodotti dalla mano umana”39. Il primo piano ci permetterebbe, in questa prospettiva, di vedere “non solo con il sistema visivo, ma anche con quello tattile e motorio” che “non si attiva solo quando esperiamo un contatto sul nostro corpo, ma anche quando lo vediamo esperire a qualcun altro”40: la prossimità inedita alla pelle, agli occhi, alla bocca – ma anche alla voce e al respiro – prodotta artificialmente tramite riprese ravvicinate, permette allo spettatore di percepirne la consistenza materica.
La prossimità al dolore L’adattamento cinematografico de Les liaisons dangereuses si confronta con il mistero che si legge negli interstizi di una comunicazione gestita e controllata nel dettaglio. Entro la rete indiziale dei volti perviene a farsi carico del desiderio 152
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epistolare che emerge per il tramite esclusivo di una parola non descrittiva, non illustrativa, ma metaforica ed evocativa. Il corpo attoriale e la sua presenza in movimento nello spazio ne riassumono sfumature e inganni. La zona erotica de Les liaisons dangereuses risiede nello spazio angusto che collega il piacere alla frustrazione, nell’intervallo breve tra la resa ai sensi e il ripristino della barriera. Si nutre delle esitazioni e dell’orgoglio dei personaggi, e, di conseguenza, si avvicina pericolosamente al gusto del dolore. La “carne” desiderata o desiderante nel romanzo e nel film è sottoposta alla battaglia per il possesso e per il dominio, è assoggettata all’attesa e al rifiuto, è martirizzata nell’abbandono che segue la conquista. Il potere di provocazione del romanzo non risiede esclusivamente nella verosimile prossimità dei personaggi ai lettori, ma in una visione allarmante delle relazioni sessuali, dominata dal combattimento e dal conflitto, privata di momenti di stasi, di riposo: Une fois encore, c’est la tension créée dans le roman par le risque et la violence qui rend si troublantes les descriptions, pourtant discrètes, des situations sexuelles pour un public habitué à une littérature licencieuse beaucoup plus explicite et plus crue : il règne dans le récit une violence omniprésente, subtilement psychologique, qui ne peut être simplement cataloguée comme “agression masculine”, désignation trop faible et peu adaptée. Car l’important dans Les liaisons dangereuses est que chacun est en situation de danger.41
Le lettere delle vittime manifestano con frequenza un sentimento di pericolo incombente e la disperazione che segue gli attacchi libertini. La paura primaria, quella di cedere a pulsioni sconosciute indotte dai seduttori e vagamente riconducibili al “male”, appartiene a Cécile e a Mme de Tourvel, le due figure femminili oggetto delle manovre di Mme de Merteuil e M. de Valmont. La sensazione di pericolo è addirittura più forte, però, presso i due libertini: “Qui sont en situation de risque et qui, plus prévenus que leurs 153
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victimes face aux déceptions du cœur et de l’esprit, multiplient les signaux d’alarmes”42. Nella progressione del loro scambio si manifesta al lettore la consapevolezza da parte di entrambi del pericolo cui si espongono. Non incorrono semplicemente nel rischio di tradire la propria persona pubblica e di venir meno al proprio ruolo perdendo la protezione dello scudo attoriale, ma di perdere se stessi nella sottomissione all’altro e nella schiavitù sentimentale: […] toutefois, la peur qui hante les libertins n’est pas la peur d’être déçus, découverts ou de tomber en disgrâce sociale. Nous sommes prévenus au début du roman qu’ils ont renoncé au bonheur pour des ambitions plus élevées ; ils affronteront la ruine, même la mort, avec un courage stoïque. Leur véritable anxiété est en fin de compte de se perdre eux-mêmes, menace implicite s’ils se soumettent à la volonté d’un autre. Pour utiliser leurs propres mots, ils ont peur de devenir esclaves.43
Una lucida e provocatoria ironia caratterizza per intero la loro comunicazione epistolare. Rivolta alternativamente agli interlocutori assenti e al ricevente, essa implica sempre una presa di distanza e un’affermazione di superiore distacco sulle cose, sulle persone e sugli eventi. L’irrisione, la deformazione sarcastica del sensibile, non è mai bonaria o gratuita, prevede la dissimulazione del vero ed è destinata alla celebrazione della propria intelligenza e alla conseguente seduzione di chi la riceve. Il pericolo di passare nel campo del “ridicolo”, di varcare la soglia dell’opposto da sé ed entrare a far parte non di chi deride, ma di chi si espone alla derisione senza barriere verbali protettive, implica la morte intellettuale e sociale della propria persona, la perdita di sé e del fascino esercitato sull’altro. La seduzione, per quanto brillante, scanzonata e apparentemente leggera, impegna l’individuo nella sua totalità, ne riafferma costantemente il passato, ne dirige l’avvenire. Solo il virtuosismo del giocatore importa. Il divertissement perde in allegria e acquista in serietà, il gioco non ammet154
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te istintività ed anche la soddisfazione dei sensi non può essere scissa dal piacere cerebrale della sfida e dall’accanimento nella vittoria, la partita s’impossessa totalmente degli avversari immettendoli entro una meccanicità che solo apparentemente contiene e regola il loro agire. Se torniamo ai romanzi del marchese de Sade citati in apertura individuiamo in tale sistematicità un parallelo inquietante con il testo di Laclos. I supplizi cui sono sottoposte le vittime sadiane s’inseriscono in un’infinita, stilizzata e spersonalizzante ritualità erotico-pornografica cui Mme de Merteuil e M. de Valmont sembrano sfuggire per l’immaterialità del loro agire, per l’assenza di descrizioni crude dell’atto sessuale. Eppure la corrispondenza tra loro lascia intravedere una connivenza di lunga data e una sistematicità del piacere “qui procède à une impressionnante réduction mécaniste de l’être humain”44. Il libertino di Laclos non infligge dolore fisico alla propria vittima e non trae piacere dall’osservazione della sofferenza del corpo, si diletta, però, delle passioni che mima e delle emozioni distruttive che suscita, dell’umiliazione mentale e affettiva che produce e dell’entità delle proprie vittorie. É un cerebrale iscritto entro una meccanica di accumulo e di ripetizione, è un attore che si esibisce a sua volta entro una performatività rituale. Non conosce voluttà che non sia circoscritta entro questa cornice, non si abbandona alla dimensione panica, totalizzante, del desiderio. In questo senso i personaggi del visconte e della marchesa sono figure esemplari di una sistematicità sociale nei rapporti di seduzione che riduce il piacere a un gioco di rappresentazione, a una masquerade. La dissacrante ironia dei due personaggi e la straordinaria capacità di manipolazione di cui danno prova hanno, di conseguenza, un doppio effetto sul lettore: la seduzione che esercitano si accompagna a una sensazione di paura e al desiderio che liberino dal ruolo imposto se stessi e gli attori del marivaudage amoroso che stanno mettendo in scena, prima che sia troppo tardi e che la commedia si converta in 155
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tragedia. Il desiderio emozionale del lettore s’insinua tra le rare fenditure del sistema, nella speranza che i personaggi decidano di allentare il giogo cui si legano volontariamente, di affrancarsene in modo definitivo e di varcare la soglia della spontaneità sentimentale. La risposta cinematografica di Frears verrà parzialmente incontro alle attese dello spettatore e sceglierà d’immolare non le maschere, ma i volti, portandone brandelli in superfice.
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Note 1. Baudelaire Charles, «Notes sur ‘Les Liaisons dangereuses’». In Œuvres complètes, Seuil, Paris, 1968. pp. 643-646 (poi: Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, Paris, 1976). 2. Come: L’Histoire de Dom Bougre, portier des Chartreux testo libertino del 1741 attribuito a Gervaise de Latouche e riedito nel 1778 con il titolo Mémoires de Saturnin, Les amours du Chevalier de Faublas di Louvet de Couvray, Les Bijoux indiscrets, pubblicato anonimamente da Denis Diderot nel 1748, l’inglese Fanny Hill, or Memoirs of a Woman of Pleasure, di John Cleland, redatto a Londra nel 1749. 3. Didier Masseau cita La Double Inconstance (1723), Le Jeu de l’amour et du hasard (1730) e Les Fausses Confidences (1733) come modelli assunti da Laclos per rendere il movimento di oscillazione nelle coppie secondo la legge dell’incostanza sentimentale e il gioco del travestimento e degli inganni che guida l’avventura amorosa. In Masseau Didier, «Le narrataire des Liaisons dangereuses», AAVV Laclos et le libertinage, op. cit. pp. 113-138. 4. In Versini Laurent, Laclos et la tradition. Essais sur les sources et techniques des ‘Liaisons dangereuses’. Klincksieck, Paris, 1968. 5. Mme de Tourvel ricorda, in tal senso, la figura della Princesse de Clèves e la morte cui si abbandona mostra l’avvenuta presa di coscienza da parte della donna della propria illusione. 6. Mme de Merteuil pone barriere di difesa linguistica e cerebrale tali da impedire da soddisfare l’esigenza primaria di espansione della propria identità emozionale e sentimentale. 7. La frequente ripetizione degli stessi termini riguarda anche, in mise en abyme, la scrittura epistolare: un solo paragrafo della lettera 27, contiene cinque volte il verbo écrire e altre cinque il verbo dire. La maggiore difficoltà di Cécile consiste proprio nel comprendere e nell’esprimere quel che prova: tutto indica nel suo “tono” una curiosità timorosa e una spontaneità ingenua, talvolta ridicola, legata all’età e alla povertà culturale. L’incognita degli usi del mondo la spaventa e l’attrae al contempo. 8. Il personaggio di Cécile ha indotto la critica a formulare importanti considerazioni storico-sociologiche sulla condizione femminile di deprivazione culturale nel mondo aristocratico tardo settecentesco, con derive importanti nel secolo successivo (in relazione anche all’opera postuma di Laclos sull’educazione della donna). Considerazioni che rientrano, inoltre, nel dibattito filosofico del tempo tra stato di natura e costrizioni della civiltà, al dissidio tra istinto e ragione, sensi e intelletto. 9. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, op. cit. p. 44.
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10. “Tout annonce en elle les sensations les plus vives. Sans esprit est sans finesse, elle a pourtant une certaine fausseté naturelle, si l’on peut parler ainsi, qui quelquefois m’étonne moi-même, et qui réussira d’autant mieux, que sa figure offre l’image de la candeur et de l’ingénuité. Elle est naturellement très caressante, et je m’en amuse quelquefois : sa petite tête se monte avec une facilité incroyable” (Lett. 3). 11. La speranza inizialmente riposta dalla marchesa nella possibilità di fare della fanciulla un’emula e di avviarla al libertinaggio, lascia inoltre intravedere nel desiderio verso Cécile l’attrazione narcisistica verso chi specularmente offre alla donna l’immagine di se stessa. La rinuncia al progetto manifesta l’individualità esasperata di Mme de Merteuil e, assieme ad essa, il superamento dell’attrazione sensuale tramite l’intelletto. La marchesa considera, infatti, la giovane incapace di una “riflessione” sulle proprie azioni e decide di farne esclusivamente uno strumento di vendetta nei confronti di Gercourt. 12. L’ambigua attrazione della marchesa nei confronti della giovane vittima è sviluppata in modo più manifesto e meno sensuale nel Valmont di Forman, dove Cécile, dopo aver perduto la verginità, cerca rifugio nella camera di Mme de Merteuil, gettandosi in lacrime tra le sue braccia. Mme de Volanges arriva inaspettatemente il mattino successivo e manifesta una certa sorpresa nel vederle a letto insieme, inducendo nello spettatore un sospetto smentito dalle parole della marchesa che tranquillizza immediatamente la madre di Cécile. L’immagine di un rapporto sessuale tra le due donne è suggerita in modo esplicito, ma non «incarnata»: i campi lunghi e la priorità data all’azione non interpellano direttamente i sensi. 13. Fontana Biancamaria Du boudoir à la Révolution: Laclos & Les Liaisons dangereuses dans leur siècle, op.cit. p.104. 14. Il movimento che va dalla scalinata all’anticamera permette, infine, il passaggio alla camera, attraverso una porta sorvegliata da un guardiano di pietra con cui il visconte, tramite la chiave che tiene in bocca, improvvisa un gioco di specchi. 15. Fontana Biancamaria, Du boudoir à la Révolution : Laclos & Les Liaisons dangereuses dans leur siècle, op.cit. p. 117. 16. JM Goulemot“Le lecteur voyou et la mise en scène de l’imaginaire viril dans Les liaisons dangereuses” in AAVV Laclos et le libertinage, pp. 164-173. 17. Se si escludono Danceny, la cui virilità è costantemente ridicolizzata dalla marchesa, i fantocci aristocratici di cui ella si serve come di pedine nel suo gioco amoroso e i mariti assenti, esclusivamente citati, il visconte resta l’unica figura maschile a tutto tondo che “abita” le pagine del romanzo. 18. Il fruitore legge come se fosse al contempo destinatario della lettera e 158
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complice del redattore, mosso dal desiderio di accedere all’intimità degli scriventi. 19. “Cette complaisance de ma part est le prix de celle qu’elle vient d’avoir, de me servir de pupitre pour écrire à ma belle Dévote, à qui j’ai trouvé plaisant d’envoyer une lettre écrite du lit et presque d’entre les bras d’une fille, interrompue même pour une infidélité complète, et dans laquelle je lui rends un compte exact de ma situation et de ma conduite (Lett. 47). 20. “la table même sur laquelle je vous écris, consacrée pour la première fois à cet usage, devient pour moi l’autel sacré de l’amour ; combien elle va s’embellir à mes yeux ! j’aurai tracé sur elle le serment de vous aimer toujours!” (Lett. 48). 21. Cécile porta a letto con sé il primo biglietto ricevuto da Danceny, e al risveglio lo bacia con foga: “J’ai été reprendre sa lettre pour la relire à mon aise. Je l’ai emportée dans mon lit, et puis je l’ai baisée comme si …” (Lett. 42). Lo stesso Valmont confessa a Mme de Merteuil di aver baciato la lettera di Mme de Tourvel “avec un transport dont je ne me croyais plus susceptible” (lett 44). 22. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, op. cit, p. 32. 23. Il visconte di Valmont motiva con l’assenza di ostacoli l’inazione di Danceny e scrive alla marchesa di Merteuil: «Il aurait fallu, pour échauffer notre jeune homme, plus d’obstacles qu’il n’en a rencontrés» (Lett. 57). 24. Lo sguardo di Cécile «regard langoureux qui promet beaucoup en vérité» (Lett. 2); gli sguardi di Valmont su Tourvel «regards furtifs, mais pénétrants» e successivamente «regards farouches qui, pour avoir l’air d’être égarés, n’en étaient pas moins clairvoyants et observateurs» (Lett. 125); quello della Présidente «regard» che « annonce la joie pure et la bonté compatissante» (Lett. 6) ; lo sguardo eloquente di Danceny su Cécile («Et qu’ai-je à vous dire, que mes regards, mon embarras, ma conduite et même mon silence ne vous aient dit avant moi ?» (Lett. 17) quello imperativo del visconte (secondo Cécile : «Il est bien facile de s’entendre avec lui, car il a un regard qui dit tout ce qu’il veut» (Lett. 75); lo sguardo della marchesa all’Opera su Prévan «Il était à l’Opéra, presque vis-à-vis de moi, et je m’en suis occupée. Il est joli au moins, mais très joli ; des traits fins et délicats ! il doit gagner à être vu de près» (Lett. 74). 25. “Presque tout passe par le regard dans Les Liaisons dangereuses qui commencent par un regard et alternent le regard du désir, celui du calcul et celui de la tendresse.” In Versini, Laurent, «Le roman le plus intelligent». ‘Les Liaisons dangereuses’ de Laclos, Champion, «Unichamp», Paris, 1998, p. 176. 159
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26. Nelle lettere indirizzate dapprima a Mme de Volanges e in seguito a Mme de Rosemonde, la Présidente riporta gli atteggiamenti di Valmont, fornendo a entrambe un’immagine idealizzata del cambiamento morale in atto nel visconte, dando, cioè, del visconte una chiave erronea di lettura in termini emozionali e affettivi. 27. Bergman Ingmar. Citato da Betton Gérard, Esthétique du cinéma, PUF «Que sais- je», Paris, 1994, p. 32. 28. Epstein Jean, La Poésie d’aujourd’hui, un nouvel état d’intelligence, La Sirène, 1921, p. 171. Citato da Betton Gérard, Esthétique du cinéma, PUF, «Que sais-je», Paris 1994. pp. 31-32. 29. Gallese Vittorio, Guerra Michele, Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, op. cit. p. 213. 30. L’idea che la rappresentazione fuori scala di un volto o di un particolare del volto sullo schermo mediante l’avvicinamento della mdp al soggetto inquadrato rinforzi la partecipazione emozionale dello spettatore e provochi la sua empatia nei confronti del personaggio è d’altronde condivisa fin dalle origini del mezzo, tanto dal punto di vista pratico (l’imporsi progressivo del primo piano) quanto dal punto di vista teorico (la mole di scritti riferiti ad esso). Béla Balazs ne fa il caposaldo del suo impianto critico e la peculiarità della settima arte. 31. Sono i termini utilizzati dal regista sovietico Ejznstein che, a sua volta, si è interrogato sulla «componente pre-cognitiva del primo piano, che si imprime per sempre nella coscienza e nella memoria». In Gallese Vittorio, Guerra Michele Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, op. cit. p. 214, da Ejzenstein, 1938. 32. Come sembra esemplificare, secondo Balázs, La passion de Jeanne d’Arc (1927) di Carl Theodor Dreyer. 33. Un primo piano di poco successivo, quando dopo aver accompagnato il visconte, la Marchesa accetta la sfida e afferma che si concederà una volta ottenute prove scritte della caduta di Mme de Tourvel, ne è la riconferma: inquadrata leggermente dal basso, un sorriso complice e ironico, ella rivolge lo sguardo altrove, a un futuro di piacere che è già condiviso come proiezione mentale rivolta all’altro e allo spettatore. 34. In seguito alla deflorazione di Cécile de Volanges la marchesa, riflessa in un grande specchio della residenza di Mme de Rosemonde, calma la giovane e la induce a continuare a ricevere la propria “educazione” da M. de Valmont, asserendo che dolore e vergogna si provano una volta sola. Il riferimento esplicito al momento della propria perdita della verginità è accompagnato da uno sguardo distante ma non distaccato, solo assorto nel ricordo amaro dell’episodio e nella consapevolezza della propria innocenza perduta. 35. Barthes Roland, Le plaisir du texte. In «Œuvres complètes: 19721976», Seuil, 2002, p.261. 160
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36. Barthes Roland, Le plaisir du texte. In «Œvres complètes: 19721976», ibid. p. 261. 37. Barthes Roland, Le plaisir du texte. In «Œeuvres complètes: 19721976», ibid. p. 261. 38. “Le neuroscienze hanno dimostrato che le aree visive rispondono anche a stimoli tattili e acustici, così come le aree somatosensoriali e le aree acustiche rispondono anche a stimoli visivi. […] L’integrazione multimodale è una caratteristica propria anche delle aree sensoriali primarie.” Gallese Vittorio, Guerra Michele, Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, op. cit. p. 223. 39. Gallese Vittorio, Guerra Michele, Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, op. cit. p. 217. 40. Gallese Vittorio, Guerra Michele, Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, ibid. p. 217. 41. Fontana Biancamaria Du boudoir à la Révolution: Laclos & Les Liaisons dangereuses dans leur siècle, op.cit. p. 46. 42. Fontana Biancamaria ibid. p. 46. 43. Fontana Biancamaria ibid. p. 47. 44. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, op. cit. p. 117.
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IV Il gioco al massacro
Del mimetismo La gloire ordinairement n’est qu’un miroir, où l’on fait paraître le faux avec un certain éclat. Traité de la concupiscence de J.B. Bossuet
Le ultime sequenze della pellicola di Frears vedono intensificarsi il ritmo narrativo e precipitare gli accadimenti inizialmente mossi dalla progettualità libertina. Da quest’ultima sembrano d’improvviso svincolarsi per acquisire una fatale autonomia, malgrado lo sforzo disperato dei personaggi d’imporre loro la propria volontà. Si accentuano i momenti forti nei dialoghi e le passioni si scatenano con una violenza inattesa. Una tavolozza livida, tendente al nero, cancella il rosa pesca e l’azzurro pallido dei costumi; il bianco della neve e dei veli funerari sfuma i colori accesi delle rappresentazioni teatrali. Al vaudeville amoroso, costretto entro le forme ordinate di una scena neoclassica, subentra la concentrazione tragica di eventi luttuosi. Ai momenti giocosi, costruiti sull’arguzia degli scambi verbali e sull’ironico confronto tra gli sguardi, segue un rapido scioglimento, dove ai personaggi non è offerta possibilità di salvezza. Anche il riscatto di Valmont è tardivo e non produce rimedi effettivi alla rovina collettiva. La fine de Les liaisons dangereuses di Laclos, ripresa con una variante fondamentale nel film di Frears (l’ipotetica “redenzione” di Valmont), rivela l’ineluttabilità mortuaria che governa l’impresa libertina, caratterizzata dalla specularità e dal conflitto dei due personaggi principali, legati tra loro da sentimenti ambivalenti di fascinazione e di rivalità. Un duello reale, quello tra Danceny e Valmont, e un duello 163
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metaforico, quello che oppone quest’ultimo alla marchesa di Merteuil, sono la simmetrica – e speculare – conclusione della “guerra” che soggiace all’intero carteggio. Le astrazioni verbali del romanzo sono convertite in corpo scenico proprio in virtù della forza con cui manifestano desiderio e conflitto. Sono “corpi combattenti” – l’uno contro l’altro e ciascuno contro se stesso – perché incatenati all’immagine di sé che lo specchio del “modello/rivale” rinvia loro. Sono “corpi desideranti” destinati a distruggersi mutualmente per l’impossibilità di uscire dalla triangolazione del desiderio stesso. La trama bellica è il telaio su cui si tessono le relazioni amorose o erotiche dei personaggi, corrotte e sconfitte non dal “libertinaggio” in senso stretto, ma dalla tensione irrisolta tra un individualismo esasperato e l’identificazione speculare con il proprio interlocutore e con i modelli sociali di riferimento. Il risalto dato da Frears al conflitto finale, alle morti esemplari e alle sofferenze dei personaggi è di conseguenza l’esito “spettacolarizzato” di una vicenda che si sviluppa entro una griglia guerresca governata dalle leggi del desiderio mimetico1, “orienté vers la folie et vers la mort depuis toujours”2, cui René Girard ha dedicato per intero la propria indagine filosofica. Dopo aver analizzato il fenomeno del mimetismo, attraverso lo studio di opere romanzesche maggiori, Girard ne ha esaminato la dimensione sociale e antropologica in relazione all’esplosione della violenza collettiva e al concetto di capro espiatorio, figura che, nel caso specifico de Les liaisons dangereuses, s’incarna nelle vittime sacrificali femminili di Valmont per poi estendersi al personaggio maschile e alla Marchesa di Merteuil, “immolata” in senso catartico dalla società aristocratica cui appartiene al fine di ristabilire l’ordine venuto meno. Nessuna “menzogna romantica” appare ne Les liaisons dangereuses di Laclos se non quella che il lettore offre a se stesso nel momento in cui decide arbitrariamente di credere all’autenticità – mai confermata – del sentimento di Val164
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mont verso Mme de Tourvel. Permane solo un’implacabile “verità romanzesca” che conduce ciascuno dei personaggi al sacrificio o alla condanna. Per contro, se l’illusione amorosa sembra trionfare nella pellicola di Frears, essa sfocia nella morte e decreta la propria sconfitta. I protagonisti del romanzo non esistono se non in relazione all’altro da sé, referente di un’esistenza spettacolarizzata. Fissano, dunque, la propria immaginazione “attiva” su di un modello in cui riconoscono un prestigio che non possiedono, o che possiedono solo in parte, trasfigurando l’oggetto desiderato nel piacere d’interpretare il ruolo che tale oggetto consacra. La conquista assume valore solo in virtù della presenza di un mediatore. Motore della battaglia è dunque un triplo “desiderio mimetico” che ha come emuli la collettività di appartenenza con i suoi dettami e i suoi codici rituali, il proprio complice – al contempo figura di riferimento, stimata poiché riconosciuta affine, e rivale implacabile cui dimostrare la propria superiorità – e infine se stessi, o meglio il personaggio che non si cessa di mettere in scena, da offrire alla società come archetipo del genere. Il processo d’identificazione produce adorazione e rivalità: l’idolatria verso il modello stimola l’orgoglio e la volontà di differenziarsi, poichè quel che lo rende desiderabile ne fa anche un ostacolo da superare e un nemico da sconfiggere. Produce quindi concorrenza, la quale determina a sua volta rancore, ostilità e violenza imitativa, tanto più forte quanto più i rivali mimetici sono prossimi l’uno all’altro. La società descritta da Laclos è dominata da due forme di conformismo opposte e complementari (in un certo senso “mimetiche”): la pruderie (traducibile in italiano con l’insieme dei termini pudicizia, moralismo e rigore) e il libertinaggio mondano. La prima è destinata a negare il corpo, fonte del desiderio e della passione, la seconda il cuore, all’origine del sentimento amoroso e della trascendenza spirituale. Rigidamente codificate e necessarie al mantenimento dell’ordine sociale, entrambe le forme negano l’in165
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terezza della persona, l’amputano di una parte vitale e dei suoi corollari. Matrimoni combinati, reclusione conventuale e pubblica condanna in caso di peccato della carne sono tra le manifestazioni più gravi – e più diffuse – della prima forma di conformismo sociale (quella contro cui si pongono il visconte di Valmont e la marchesa di Merteuil, sebbene quest’ultima finga pubblicamente di aderirvi). L’aspirazione all’affrancamento che designa storicamente l’origine del libertinaggio rende le costrizioni della sua deriva mondana meno evidenti, ciononostante questa seconda forma di conformismo, resa pubblica solo nella sua veste maschile, intrattiene con la pruderie una sorta di dipendenza e di rivalità mimetica: se la prima fa della verginità, della fedeltà e dell’obbedienza cristiana virtù da difendere e da garantire tramite una serie di obblighi e di divieti, sono proprio tali interdizioni a stimolare la voluttà del seduttore che fa subentrare alla demonizzazione della sessualità il proprio catechismo di depravazione.3 Il destino di Mme de Merteuil è singolare: la marchesa sembra svincolarsi da tali modelli allorché, in giovane età, prende coscienza della situazione di sudditanza che il suo ruolo le impone e decide di opporvi il proprio pensiero – lucido, razionale, brillante – come solo spazio autentico di libertà. L’affrancamento interiore è alla base della sua ricerca. Da allora ella intraprende una formazione che può essere considerata un processo di mimetismo sociale volontario, il quale teoricamente dovrebbe garantirle un destino eccezionale perché autentico, ma, in realtà, la conduce a una forma estrema di dissociazione. La marchesa entra in un conformismo cosciente a doppio senso e vive secondo gli schemi sociali imposti dalla pruderie e dal libertinaggio. Grazie alle sue abilità perviene a eccellere in entrambi fino a divenire un modello per l’una e per l’altro, ponendosi in rivalità sia con l’universo femminile che con quello maschile. Lo spessore tragico del personaggio non è da ricondurre esclusivamente a una fatale gelosia di stampo raciniano, 166
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bensì a una forma esasperata di assolutizzazione dell’io che solo nel teatro di Corneille raggiunge un tale livello di forza e di fatale necessità. Un orgoglio aristocratico, colto, sprezzante, nato da un’esperienza di disgusto del mondo e di orrore dell’assoggettamento femminile, è la passione fondante della marchesa. Una sorta di corruzione in senso estremo dell’amor proprio viene a dirigerne l’intera esistenza, ma, paradossalmente, invece di liberarla, l’incatena all’altro. Valmont le risulta indispensabile, non solo perché è l’unico che conosce la sua duplice natura e può ammirarla nella sua veste libertina, ma poiché ha accesso alla sua scrittura, ovvero al libero spazio d’espressione di un’intelligenza trionfante. Mme de Merteuil necessita di un doppio maschile, in nota minore, per poter eccellere ed essere applaudita sul terreno “verbale”, il solo spazio di reale emancipazione che ha costruito per sé entro la rete sociale. Di conseguenza il legame tra i due libertini si stabilisce da subito sulle basi del desiderio mimetico. La reputazione sociale di Valmont, modello riconosciuto di libertinaggio maschile, temuto dai rivali e dalle vittime, lo designa immediatamente agli occhi della marchesa come oggetto del desiderio (non a caso Frears fa ripetere alla sua eroina cinematografica l’asserzione presente nella lettera ottantuno: “je vous désirais avant de vous avoir vu. Séduite par votre réputation”). Laclos fa dei libertini due figure paradossali e per questo affascinanti: orgogliosi artefici del culto della propria persona, sorretti nell’azione da un individualismo estremo e creatori di un universo autoreferenziale, essi si rivelano i prodotti più sofisticati e le figure esemplari di un mondo che incrementa la specularità e si muove attorno alla triangolazione del desiderio. Perfettamente coscienti del ruolo che interpretano nella storia individuale e collettiva, essi percepiscono chiaramente tale ruolo come artificio e trappola, e si situano sempre a una certa distanza critica, ciononostante non possono – e non vogliono – staccarsene per definire altre modalità d’interazione sociale. 167
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La questione centrale del romanzo è la relazione ambigua tra individualità marcata e identificazione sessuale e sociale. La dinamica imitativa che regge la narrazione non ha alcuna possibilità d’arresto e nessuna via d’uscita: tanto più i due personaggi libertini cercano di distinguersi e di evadere da schemi imposti, tanto più vengono a corrispondersi, a confrontarsi tra loro con violenza e a competere in seno a un mondo di cui loro stessi alimentano vanità e rivalità.
Una partita estrema Stephen Frears indica come fonti cinematografiche dirette di Dangerous Liaisons, il Barry Lindon di Stanley Kubrik (1975) e La prise de pouvoir par Louis XIV di Roberto Rossellini (1966)4 che fa coincidere l’avvento del re sole con l’affermazione della vita di corte come cerimoniale. In questo caso la teatralità della realizzazione è perfettamente funzionale al progetto del regista, che evidenzia tanto il perpetuo “stare in scena” del re, creatore e interprete del proprio personaggio, quanto la ritualizzazione del quotidiano, collante della società aristocratica francese di prima della rivoluzione. La ritualità di Kubrick è a sua volta insita nelle scelte d’inquadratura e di movimento. Il regista reinventa, infatti, un settecento pittorico e astratto in quadri senza cornice, allargati nell’ossessiva frequenza dello zoom ottico all’indietro, ricomposti in teatrini artificiali abitati da un’umanità che sembra prodursi esclusivamente nell’asettico ripetersi del gioco. Il conflitto, composto e regolato entro una meccanica rituale, scandisce la pellicola che diventa immagine speculare di una civiltà aristocratica la cui violenza può essere controllata poiché costretta in forme condivise. Il gioco di carte, la conversazione mondana, le sfide cavalleresche e la caccia partecipano di una ritualità sociale che regola la perpetrazione di schemi predeterminati e impedisce il movimento e il cambiamento, preservando l’impermeabilità di 168
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una classe che nel gioco stesso si definisce e si rappresenta.5 Chi si accosta al romanzo di Laclos prende inevitabilmente atto di tali schemi. Roger Vadim accompagna i titoli di testa de Les liaisons dangereuses ‘60 con l’immagine di una scacchiera ripresa dall’alto che riempie per intero lo schermo. I nomi del personale tecnico e degli attori s’iscrivono entro i riquadri bianchi e neri e s’incarnano in pezzi del medesimo colore, a indicare le pedine della partita e i due principali avversari. La prima a essere inquadrata è la regina nera, e, subito dopo, appare, sempre nel riquadro nero, il nome dell’attrice che impersonerà Juliette Merteuil: Jeanne Moreau. Di seguito, è focalizzato in dettaglio il re nero e appare il nome dell’interprete di Valmont: Gerard Philippe. Il regista francese delinea in apertura il carattere di sfida meccanica, regolata, del romanzo di Laclos, la sua natura ludica da intendersi in senso estremo e mortuario. La pièce di Christopher Hampton si apre e si chiude sull’immagine delle protagoniste femminili nell’atto di giocare una partita a carte. Nell’ultimo quadro su queste figure impegnate in un’attività quotidiana e rassicurante incombe la ghigliottina proiettata sul fondale. Il drammaturgo assume, in maniera esplicita, il gioco di carte come metafora di una perpetuazione sociale destinata a essere bruscamente arrestata dagli eventi storici. Stephen Frears mostra, a sua volta, Mme de Merteuil e Mme de Volanges disputare una partita, in apertura, sedute a un tavolo nel salone della marchesa, e in più occasioni inquadra Mme de Rosemonde assorta nei suoi solitari. Evita l’evocazione diretta della rivoluzione francese, ma introduce nella narrazione il gioco di società come parte integrante delle abitudini rituali della comunità aristocratica. Recupera, in tal modo, il “gioco” inteso nella sua accezione letterale, “tel qu’il se pratiquait au XVII° siècle, agrément des soirées passées en société”, incarnato in un’attività ben specifica, “placée, comme en abîme, au cœur même du roman pour en refléter l’image idéale et symbolique”.6 169
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Il libertinaggio dei salotti aristocratici di fine settecento, epicureismo degradato in una tecnica dei sensi destinata alla rappresentazione, appartiene alla categoria ludica della mimicry così com’è stata definita da Roger Caillos7: il termine indica tutti giochi che implicano l’accettazione di un’illusione di fondo circoscritta a una precisa cornice (il carnevale, i balli mascherati, i travestimenti e le assunzioni di ruolo), ovvero quei giochi che hanno come presupposto il fatto di ritenere “vera”, entro uno spazio-tempo delimitato, la maschera, metaforica o reale, posta sul volto. La pratica sociale della seduzione è una finzione condivisa dai partecipanti volontari e dagli eventuali spettatori. Laclos incorpora, dunque, lo schema ludico del libertinaggio mondano al proprio romanzo, che deve a Crébillon, e in particolare all’opera Les égarements du cœur et de l’esprit (1736-38), la drammatizzazione dell’arte della seduzione come modo di vivere in società. Durante la reggenza, in un momento di relativa stabilità, il gioco dell’amore si pone come alternativa alla noia di una nobilita oziosa. Rappresenta, assieme alla caccia e al duello, l’occasione di mettersi alla prova e di mostrare le proprie capacità. Ciascuna di queste pratiche concorre a garantire “pace” e conformità al gruppo comunitario, poiché, producendo rivalità e convogliandola nel gioco, disciplina la violenza, la istituisce e la codifica. L’amore viene dunque a confondersi con l’affermazione sfrenata della voluttà e assume una connotazione peggiorativa: il seduttore, o “petit maître”, distrugge con insolenza le reputazioni femminili e converte in lussuria la propria inazione politica e militare. Ignora i concetti di moderazione razionale e di temperanza che guidano l’accesso alla saggezza del libertino del XVI° e XVII° secolo. Con la salita al trono di Luigi XVI vi è il ritorno a un certo rigore. Seduttori come Lauzun e Bezenval dissimulano la ricerca del piacere sotto l’amabilità e la raffinatezza nelle maniere, ma, essendo ormai la sfida irrimediabilmente degradata, essa continua a manifestarsi principal170
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mente nell’arte della simulazione e della conquista amorosa. Si afferma, all’epoca, la figura del roué cui Valmont corrisponde: uno scellerato brillante, amabile e metodico, in grado di discorrere d’amore e d’intellettualizzare la seduzione, “aimable parce qu’il a toutes les grâces et les travers à la mode; qu’il est amusant et dangereux; […] Méthodique parce qu’il connaît les ressorts du cœur […]”8. La scelta del libertino non è etica bensì tecnica e prevede un’immersione cieca e gratuita nell’immanenza di un codice comportamentale svincolato da modelli morali o religiosi preesistenti. Valmont eccelle nel “metodo”: la fisiologia edonistica alla base della sua azione – una cultura del corpo e del piacere – si piega a una regola castratrice che definisce i meriti mondani di libertini concorrenti. Il seduttore conduce i propri attacchi con un rigore estremo, secondo principi che non ammettono deroga, perplessità o trasgressione, poiché “le libertinage […] exercé dans un siècle de haute tenue, où les jeux de société ont des règles rigoureuses qui exigent du joueur la plus grande maîtrise de soi, […] continuait à constituer une épreuve”9. All’inverso dell’amour-passion che trascina, soggioga e riduce in schiavitù, il libertinaggio è un gioco volontario e premeditato, condotto in un susseguirsi di figure determinate. La prima tra queste è la scelta della vittima designata che deve essere meritoria: Le libertin ne s’attaque qu’à des forteresses réputées imprenables. C’est en choisissant délibérement la plus difficile qu’il se prouve à soimême la liberté de son choix, et c’est en démantelant les défenses les plus formidables qu’il fait la preuve de sa virtuosité et de sa vertu.10
Alla scelta seguono le fasi di seduzione vera e propria, di caduta della donna, di rottura eclatante e di divulgazione dell’avvenuta conquista, con conseguente messa a morte “sociale” della vittima, la cui virtù è per sempre macchiata. La resa della preda, pur essendo il momento culminante del gioco, quello che ne garantisce la “piacevolezza”, non rappresenta, come sarebbe dato supporre, il fine ultimo 171
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dello stesso. La consumazione dell’atto sessuale non è che una tappa codificata del rituale che trova un senso solo se celebrato scrupolosamente e realizzato nella sua totalità: “l’exploit n’est achevé que si le jeu est enfin théâtralement dévoilé”11. La quarta e ultima figura, quella dell’abbandono, deve possedere una certa intensità e un’immediata risonanza mondana affinché il libertino possa dare pubblica prova del mancato attaccamento a qualcuno che non sia se stesso. Non solo la vanità, ma l’onore del seduttore – speculare all’onore macchiato della vittima – è in gioco: egli dimostra, infatti, di saper coraggiosamente affrontare i rischi che la spettacolarizzazione della vicenda comporta. La morte in duello, sfidato da chi l’impresa ha offeso, è il primo – e più radicale – tra questi e garantisce al libertino una dimensione eroica che altrimenti perderebbe. Inoltre, se la rottura non avvenisse, l’impresa potrebbe essere ricondotta a un banale innamoramento e dimostrerebbe l’incapacità del giocatore di restare fedele alla partita e a se stesso. Se il soddisfacimento del bisogno sessuale è al centro della conquista, l’indipendenza affettiva è la prova autentica di un libertinaggio di fatto. La rinuncia ad essa equivarrebbe a esporsi al ridicolo12, sarebbe motivo di massima vergogna: La société libertine génère ses propres règles et interdits, qui ne sont plus référés au ciel, mais à la société : la gloire et la crainte du ridicule. Ces deux passions peuvent se ramener à une seule, l’amour propre.13
Il seduttore mondano che si esibisce nel “théâtre du monde” e ha bisogno dei suoi accoliti “pour ses plaisirs, pour ses passions, pour sa gloriole”14 mima “le défi que l’héroique libertin des XV° et XVI° siècles portait à Dieu, à l’autel et au trône”15. Egli non afferma la propria libertà rispetto alla religione e alle autorità civili che fomentano e strumentalizzano la paura di Dio, ma rispetto all’amore che è la grande “preoccupazione” del suo tempo, per confermare la propria autosufficienza e inaccessibilità al sentimento. Da qui 172
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l’alienazione del giocatore, vincolato al codice cui ha deciso di attenersi e responsabile verso “le monde” che l’osserva, lo giudica e si fa specchio della sua azione: Tout se passe comme si le libertinage, cette violation soigneusement réglée, se soumettait aux normes de la civilité, sans laquelle il perd tout son éclat. Comme en sport, la virtuosité du libertin ne prend sens que par les règles qui le contraignent.16
La dignità del giocatore, ben consapevole delle privazioni che la sfida comporta e del dolore che si ritrova a infliggere, consiste nel portare a termine, a qualsiasi prezzo, la partita. Alla lettura de Les liaisons dangereuses si percepisce chiaramente come lo sforzo di Valmont sia interamente teso a far rientrare l’episodio di seduzione di Mme de Tourvel entro il codice convenzionale dell’impresa libertina, in modo tale da non cadere nella trappola di un risibile innamoramento. Già alla quarta lettera il visconte scrive alla marchesa: “J’ai besoin de cette femme pour me sauver du ridicule d’en être amoureux”. La paura del ridicolo è motore di ogni “parola” arguta e castratrice di Valmont.
Lo specchio Quand l’image est parfaite dans le miroir, il est tant de briser le miroir. Jean-Christophe Grangé, Le Serment des limbes (2007)
L’incremento della violenza nella fase conclusiva della pellicola di Frears è direttamente proporzionale alla progressiva presa di coscienza del dolore che il personaggio del visconte sa di stare infliggendo a Mme de Tourvel, ostinandosi a non abbandonare, comunque, lo schema inizialmente prefissato. Tale ostinazione è determinata dall’impossibilità di “liberarsi dallo sguardo”: il proprio, quello della società, quello di Mme de Merteuil. Superficie che riflette tale sguardo, lo specchio, nel film, è l’indice della costru173
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zione autonoma dei personaggi e il contrappunto ironico alla lettera come “miroir de l’âme”. Nel finale della pellicola perde la funzione ludica avuta in precedenza (nelle scene destinate a rinforzare i doppi sensi verbali e a suggellare la complicità dei libertini17 o in quelle desunte dal teatro degli inganni, con l’apparizione e la sparizione di spettatori nascosti in scena), si fa tutt’uno con l’azione e incarna la tensione verso la propria rottura. Partecipa del mutamento. Sembra addirittura anticipare la rivelazione del volto, il venir meno del disorientamento e l’assunzione – tardiva e funerea – dell’identità celata. Allegoria del cinema nella tradizione critica sulla settima arte, l’oggetto “specchio” è il dispositivo fisico destinato alla mise en abyme dello sdoppiamento ed è, in tal senso, la figura prima della recitazione e della drammatizzazione. Esprime la perfetta coincidenza dei libertini con le figure che hanno scelto di divenire e di “attuare” in società e proietta “un théatre des passions, une fiction d’animation sentimentale”18. Riflette e rimanda, cioè, l’immagine di Valmont e Merteuil come prodotto della creazione attoriale in senso proprio e in senso figurato, come incarnazione del personaggio da parte dell’interprete della pellicola e come costrutto che il personaggio stesso realizza su di sé. Produce in tal modo una moltiplicazione dell’illusione referenziale dello spettatore: è doppio immateriale e intangibile del volto attoriale che, a sua volta, è proiezione di sé, non “corpo”, ma riflessività esplicita del corpo recitante. Nel film le superfici riflettenti sono immagini del reale e riflesso di un’ambiguità, di un’identità plurima e mascherata. Sono schermo e schermatura, proiezione dei personaggi e barriera “visibile” che pongono al mondo. Il corridoio di specchi della marchesa di Merteuil porta all’estremo questo effetto: moltiplica la figura umana e la presenza ossessiva dei personaggi in scena, la converte in una moltitudine di riflessi scomposti e ne proietta il movimento, acuito dall’illuminazione non omogenea di candele e candelabri che creano chiaroscuri 174
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tremolanti fino a produrre la vertigine barocca che servirà un finale a tinte forti. Nei due episodi di seduzione e di abbandono di Mme de Tourvel da parte di Valmont, (costruiti seguendo le direttive sceniche riportate, nel romanzo, dal visconte alla marchesa) Frears introduce l’oggetto specchio come strumento di lavoro attoriale e manifestazione scenica dello sguardo che, nelle lettere, Valmont afferma di aver costantemente posto su di sè. Nel primo caso egli confessa a Mme de Merteuil di aver puntato molto sul soccorso delle lacrime, non arrivate, però, a causa dell’eccesso di controllo mantenuto per tutta la durata della scena. Nel film, la stanza di Mme de Tourvel è gabbia entro cui un personaggio ferino si muove con simulata disinvoltura, concentrato sulle reazioni spontanee dell’inconsapevole spalla per trarne vantaggio.
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L’entrata dell’uomo, filmata con una panoramica circolare, il cui centro corrisponde a Mme de Tourvel, su cui l’attore mantiene fisso lo sguardo, riprende, infatti, la drammatizzazione “predatore/animale braccato” che ha definito i precedenti incontri tra i due personaggi. Questa stessa gabbia, espressa per sinestesia dalla grata dello schienale di una sedia dietro la quale appare il volto di Valmont, ripreso in primo piano, diventa palcoscenico su cui l’attore si muove calibrando gesti, movimenti e parole. Lo sdoppiamento attoriale si rivela nell’immagine dell’uomo riflessa in primo piano dal grande specchio sul camino d’ingresso, dove Valmont si studia e s’interpella per distaccarsi da se stesso, ottenere il completo dominio delle proprie emozioni e assumere un tono e una fisionomia funzionali alla riuscita dell’impresa. Allo stesso modo, nell’episodio di caduta di Mme de Tourvel, non è il volto reale di Valmont a pronunciare le parole che ne decretano la morte, ma l’immagine attoriale progettata, costruita e proposta sulla scena. La drammatizzazione avviene con una variante: chi detta il copione da seguire al visconte è Mme de Merteuil. De-posseduto di sé, strumento fisico e verbale di un dramma di cui non è autore, Valmont cerca nello specchio la riconferma di una padronanza che ha invece perduto: ripete ossessivamente il ritornello “it’s behind my control”, che mima verbalmente la sua impotenza proprio mentre afferma violentemente l’autorità maschile, concentrandosi sull’immagine del proprio doppio. La cupa intensità del suo volto riceve spessore e violenza dal contrasto luministico che ne sottolinea solo il riflesso, in un’oscurità diffusa. Lo sguardo del visconte, rivolto altrove, oltre lo specchio stesso, e di seguito oltre la finestra verso cui si volge, incapace di sostenere quello di Mme de Tourvel, tradisce la sua sconfitta. L’immagine speculare lascia trasparire la crepa nella struttura. La recitazione di Malkovich, le scelte di ambientazione (l’interno soffocante) e di regia (impercettibili movimenti di macchi176
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na che seguono da vicino la lotta tra i corpi) favoriscono l’interazione emozionale e sensoriale dello spettatore. La disperazione del visconte e la sofferenza di Mme de Tourvel sono trasmesse attraverso una stratificazione uditiva e tattile che si somma al dato visivo (lo sguardo). La voce dell’uomo, spezzata nell’affannosa ripetizione della battuta che ha memorizzato, aumenta di tono fino a farsi violenza sonora e provocare nello spettatore angoscia e fastidio. La presa brutale dei capelli della donna, che si accascia senza riuscire a respirare rinforza la risonanza aptica con l’immagine ed evoca il senso di oppressione e di soffocamento che, come si diceva in precedenza, accompagna nel romanzo e nel film il personaggio di Mme de Tourvel. Il piano ravvicinato sui due corpi avvinti in uno scambio non amoroso potenzia, dunque, l’incarnazione simulata, fa subire al pubblico l’angoscia e la tensione dello scontro. Una volta conclusa la messa a morte della vittima, Valmont lascia la stanza, ma esita dinanzi alla porta chiusa, barcolla e solleva la mano per afferrare la maniglia e poter rientrare. Non porta, però, a termine l’azione ed esce repentinamente di scena. Sebbene l’attore non varchi la soglia della spontaneità sentimentale, la scomposizione filmica del suo movimento ne visualizza il dubbio, dà corpo a un tentennamento che nel romanzo, dove non si fa cenno a tale esitazione, resta nell’alveo di una vaga percezione. Il gesto interrotto è al contempo l’anticipazione delle azioni a venire di Valmont (poiché il passaggio, nel film, avrà luogo) e l’incarnazione delle costrizioni di una forma di libertinaggio che obbliga “à une stricte vertu, au sens cartesien du moi, c’est-à-dire: à être toujours agissant et jamais agit et, dans le cas particulier, toujours séducteur jamais séduit”19. Garante della perfetta aderenza del visconte a tale virtù è la marchesa di Merteuil, specchio vivente in cui il libertino cerca se stesso per non essere sconfitto, modello cui aderire per appagare la propria vanità, esempio da superare per affermare la propria supremazia. 177
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L’identità di Valmont è intrappolata in un sistema speculare e il desiderio verso Mme de Tourvel non può svilupparsi in linea retta. Il disperato sforzo di “rappresentazione” del visconte conduce inevitabilmente al sacrificio cristico della Présidente, immolata non solo alla vanità di Valmont, ma alla sua appartenenza di casta e al conflitto latente che lo lega alla marchesa. La dichiarazione di guerra di quest’ultima è la rivelazione finale dello scontro già in atto e conduce all’esplosione di una violenza generalizzata, alla moltiplicazione delle vittime sacrificali e alla confusione di ruoli. Riafferma un caos primigenio che rivela il volto di una società in declino che ha addomesticato l’istinto e costretto la crudeltà entro una raffinata forma rituale: Faut-il parler de guerre en dentelles? Le libertinage, fantasme d’une société de l’étiquette en manque de gloire, tente de répondre à cette étrange question: comment faire le mal sans violer la politesse (la dernière élégance des héros sans héroïsme?).20
D’arme e d’amore Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto, Ludovico Ariosto21
Frears rielabora la vicenda romanzesca seguendo il tracciato del conflitto: l’aggressione maschile e l’assimilazione del corpo femminile alle nozioni di spazio e di territorio rivelano, tramite dispositivi cinematografici, strategie e obiettivi della conquista libertina. La battaglia “per” e “tramite” il possesso del corpo si rivela essere, da subito, tappa di un dominio più vasto che si estende alla padronanza della parte emozionale, affettiva e cerebrale. Nella progressione delle sequenze filmiche viene pertanto a delinearsi la volontà di far rientrare il movimento della realtà entro una strategia da
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intendersi in senso militare, che non tenga conto delle ingerenze del caso e dell’imprevedibilità delle reazioni umane. La pellicola e il testo di Laclos procedono in parallelo, poiché la guerra costituisce per entrambi una “forma-senso” matrice, generatrice di scrittura filmica e letteraria. Les liaisons dangereuses, romanzo epistolare d’analisi psicologica, potrebbe essere letto come un trattato esemplare sull’arte militare e Dangerous liaisons, film drammatico in costume, rientrerebbe, per estensione, nel genere bellico. L’uso frequente da parte di Laclos di una terminologia militare e l’elaborazione della vicenda a tela di ragno rendono evidente il legame tra il romanzo e l’arte della guerra anche per chi ignora che l’autore de Les liaisons dangereuses fosse un artificiere di carriera e un esperto di fortificazioni. Biancamaria Fontana sottolinea come i motivi centrali della narrazione siano tutti di ordine guerresco e si possano riassumere nella triade “le danger, l’agression et le combat”22. Alla designazione delle vittime (che, in una prima fase rappresentano anche gli antagonisti) e all’elaborazione di un piano d’attacco, seguono l’appostamento sul campo e una serie di manovre militari che conducono all’offensiva e alla resa del nemico: Les deux libertins préparent des plans de bataille, envoient des espions dans le camp ennemi, èvaluent ses défenses, estiment les armes, observent le terrain, lancent des attaques éclair, assiègent, avancent, se retirent et conquièrent.23
Gli spostamenti disegnati dalla corrispondenza sono quelli della difesa, del ritiro, dello spionaggio e dell’attacco (per sorpresa oppure tramite appostamenti lenti e metodici che conducono all’assalto conclusivo). Ogni tappa della seduzione rientra nei termini di una simulazione guerresca che si disegna nei movimenti di corpi aggressivi o fuggitivi, sottomessi o dominanti: Merteuil e Valmont discutono apertamente delle strategie impiegate, ne soppesano i pro e i contro, si felicitano mutualmente per le vittorie ottenute e per la maestria mostrata sul campo di battaglia. Recupera180
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no inoltre, in senso ironico, la tradizione epico-romanzesca della quête amorosa24, dove il cavaliere si mette alla prova per mostrarsi degno della donna amata, la quale si offre, a sua volta, come ricompensa al suo valore, ma la Carte de tendre nelle mani dei seduttori diventa “une carte d’état major”25. Dall’eco dell’amor cortese emerge una forma sottile di malinconia collegata al rimpianto di un assoluto amoroso che problematizza la visione “bellica” del personaggio femminile. Il gergo guerresco è costantemente impiegato dal visconte che, con giocoso sprezzo dell’umiltà, non esita a compararsi ad Alessandro magno, a Federico il grande, ad Annibale, a Cesare e, infine, a Turenne. Ancora una volta, però, si legge, dietro la scanzonata ironia del visconte, la nostalgia di un eroismo perduto. Le lettere dei due attaccanti lasciano trapelare altro, una tensione che esula dal sistema. Quando la marchesa, sostenendo la superiorità di un attacco rapido e ben fatto, critica apertamente le strategie dilatorie di Valmont, il quale celebra al contrario il piacere dell’attesa e l’emozione che si prova dinanzi ai segni progressivi del cedimento nella vittima, il lettore coglie l’apprensione della donna, il senso del pericolo di un “tradimento” da parte del proprio alleato. Il gioco di società libertino è una guerra simulata e drammatizzata che prevede una ben definita attribuzione delle parti, ma, nella progressione del romanzo, i ruoli si fanno meno chiari. Il lettore non riconosce più i due distinti campi di battaglia né le motivazioni dell’impresa e, in finale di partita, la lotta per la seduzione si risolve in uno scontro mortale tra i due complici originari. Nella pellicola di Frears un tessuto indiziale importante prepara la conversione della vicenda e lo svelamento finale del volto sofferto di Mme de Merteuil. La sensazione di minaccia e di aggressione espressa dai personaggi ed esperita dallo spettatore non cessa di aumentare, fino a che la “dichiarazione di guerra” pronunciata dalla marchesa provoca un capovolgimento netto e definitivo della situazione e lo spargimento di sangue, da metaforico qual era fino ad allora, 181
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diventa ben concreto. Lo scontro finale, nel romanzo e nel film, fornisce necessariamente un’ulteriore stratificazione di senso alla “guerra” simulata su cui poggiano la redazione del carteggio e l’azione narrativa: non semplice impresa di seduzione, ma conflitto mimetico vissuto in modo totalizzante nell’opposizione di due individualità assorbite nell’analisi ininterrotta del proprio riflesso. Nel romanzo di Laclos un dettaglio relativo a questo episodio rivela l’evidenza “speculare” dei due libertini. La lettera centocinquantatre che Valmont indirizza a Mme de Merteuil ha valore intimidatorio: asserendo che “le moment de la franchise est arrivé”, egli offre un’ultima possibilità di resa – sessuale – alla marchesa per poi minacciarla di rottura violenta nel caso ella continui a tergiversare e ad abusare di lui attraverso il proprio “raisonnement”. Il termine non è casuale, somma i concetti di ragione e di discorso che presso la marchesa vengono costantemente a fondersi. Il visconte aggiunge inoltre che: Le moindre obstacle mis de votre part, sera pris de la mienne pour une véritable déclaration de guerre : vous voyez que la réponse que je vous demande, n’exige ni longues ni belles phrases. Deux mots suffisent.
La risposta della marchesa – “Hé bien! la guerre” – è un capolavoro di sintesi e di maestria verbale (si limita alle due parole richieste ridicolizzando l’interlocutore), nonché l’esempio maggiore della convergenza metanarrativa di una “parola/azione” destinata a scatenare la furia distruttrice conclusiva. Tra parentesi, nel testo, emerge il dettaglio rivelatore: (Écrite au bas de la même lettre). La lettera che produce il conflitto finale è una sola, scritta a due mani dai libertini, iniziata da Valmont e conclusa da Merteuil, quasi che ad affrontarsi debba essere il riflesso speculare dell’uno nell’altra. Giano bifronte che asserisce con violenza l’autonomia delle sue due componenti, la coppia libertina si affronta in senso altrettanto speculare nel film di Frears. Il duello annunciato dalla vestizione dei due protagonisti in apertura della pellicola acquista forma specifica in conclusione. 182
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Non a caso, la sequenza è costruita all’interno del boudoir della marchesa, la “zone grise de la pseudo-intimité, située entre l’espace intime suprême qu’est la chambre et l’espace social par excellence qu’est le salon”26. Illuminato a candela, immerso in una calda penombra, potrebbe accogliere la definitiva riunione dei due amanti, oppure trasformarsi, come avverrà, nello spazio dell’oscurità e del conflitto. Il visconte, ripreso a figura intera, sembra irrompere nella stanza, ma si arresta in zona franca, nel vano della porta, mentre la marchesa è inquadrata seduta allo scrittoio. All’annuncio dell’abbandono di Mme de Tourvel segue una serie di campi/controcampi che alternano figure intere e volti dei due interlocutori su di uno sfondo sfocato, dove solo lo scintillio delle candele movimenta il buio. Il visconte, visibilmente turbato, è ripreso in primissimo piano, con una luce di taglio che lascia in ombra una metà del volto, scapigliato, senza il velo di cipria e l’ornamento della parrucca a ingentilirne i tratti marcati. Un solo occhio è visibile, saturo di lacrime frenate e di collera repressa. La marchesa è filmata a sua volta con una luce contrastata che ne scolpisce il viso angoloso, maschile. I due volti divisi a metà, ambivalenti e drammatici, funzionano, nel dialogo, come superfici riflettenti volte a creare una serie di rimbalzi della tensione emozionale che si cristallizza nello spazio e rende palpabile lo scontro, lo esaspera nella linea tesa dall’uno all’altra. La sequenza, che prevede momenti di stasi e anticipazioni di una resa che non avverrà, in parallelo a manifestazioni concrete della violenza tra i due (le frasi urlate, lo schiaffo che Valmont dà a Merteuil, le parole pungenti), si conclude in una somma delle scelte stilistiche di Frears destinate ad esprimere la crisi del mimetismo e la natura bellica della narrazione. Le battute che pongono fine al dialogo e danno il via alla guerra sono precedute da una panoramica circolare che simula l’accerchiamento di Merteuil su Valmont, ripreso in primissimo piano, di nuovo visibile per metà, la bocca semiaperta nello stupore, l’occhio spalancato d’orrore e d’incredulità. 183
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La valenza del movimento di macchina è esplicita: le sorti s’invertono, il carnefice si rivela vittima e viene paradossalmente a coincidere con colei che ha ostinatamente perseguito, Mme de Tourvel. Il “predatore” Valmont, senza trucco di scena, il volto disfatto, in un trionfo di candele nel buio del salone di Mme de Merteuil, è “predato” dallo sguardo di quest’ultima che sarà artefice della sua condanna a morte. La resistenza del volto alla maschera è ormai minima. Il visconte l’abbandonerà definitivamente nella sequenza successiva, mentre Mme de Merteuil l’indosserà fino all’ultima inquadratura, quando ella stessa sceglierà di abbandonare con disperazione e rabbia il proprio trucco scenico. La marchesa, fiera che circonda la propria preda, finisce col rivelare una verità fino ad allora taciuta: la propria azione come vittoria non sulla donna, ma sull’uomo, sulla vanità virile e sulla certezza del possesso. Al movimento di macchina, che offre un vertiginoso senso di suspense27, corrisponde il piano ravvicinato sul volto, dove l’emozione (la lacrima, la parola) resta in sospeso, bloccata nell’interstizio della rivelazione inattesa. La luce materializza l’umida lucentezza dell’occhio e il respiro bloccato della bocca, rende visibile in un bagliore funereo la carne divisa a metà, amputata della sua possibilità amorosa, la coscienza improvvisa e rabbiosa del sacrificio avvenuto28. I due personaggi libertini si fronteggiano, mentre alle loro spalle due grandi specchi, posti sopra i camini e scarsamente illuminati, creano una finta profondità prospettica, riflettono solo il buio e qualche sfolgorio di candela che illumina parti del dorso dei personaggi. La scena in questione è l’ultima in cui la specularità si afferma violentemente, sebbene l’oggetto specchio non sia ormai che schiena e buio. È lo sguardo dei due combattenti che si fa riflesso dell’altro, luogo della paura della verità e di un’ultima finzione di dominio, espressa nel sorriso compiaciuto della marchesa che risponde al braccio teso di Valmont pronunciando, in piano ravvicinato e con una luce piena che illumina per intero il volto, un solo termine, 186
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“War”. In stato di guerra permanente, Mme de Merteuil ignora l’istinto di pietà che il secolo dei lumi suppone connaturato all’essere umano. Il primo piano di Frears ne fa un’allegoria della collera vendicatrice: ferita nella sua passione dominante, l’orgoglio, la marchesa sa di non poter retrocedere, di non potersi abbandonare a una pace avvilente o concedere tregua al proprio avversario mimetico. L’ultima sua decisione corrisponde all’esplosione, non più controllata, della violenza devastatrice.
Duellanti Iconograficamente il duello, nella sua costruzione binaria e frontale, rappresenta l’immagine archetipa della rivalità speculare che provoca il conflitto e necessita, per risolversi e contenersi socialmente, del sangue di un capro espiatorio. La mutua dipendenza cannibale, divorante, dei due sfidanti è resa con straordinaria organicità nell’opera cinematografica di Ridley Scott che porta come titolo proprio il termine Duellanti29. L’impossibile separazione degli avversari nasce non solo dal rituale militare che, pur dividendoli, li obbliga, di fatto, a continuare ad affrontarsi per ottemperare al codice d’onore, ma anche dal mutuo rispecchiarsi nell’immagine frontale del proprio sfidante. Come se il riflesso dell’uno di fronte all’altro, a eguale distanza da un centro virtuale, producesse un perfetto sistema simmetrico ed esprimesse “per immagine” la tensione mimetica, facendo dei contendenti una “coppia” singolare e unica rivelando e azzerando al contempo, le cospicue differenze caratteriali. Nel Barry Lindon di Kubrik la storia dell’ascesa e del declino del protagonista, che si dipana tra il 1756 e il 1789, è scandita da una serie di duelli che vanno da quello in cui perde la vita il padre di Redmond Barry alla sconfitta dell’ormai maturo Lyndon con il figliastro Bullingdon. L’intera vicenda si articola, dunque, attorno a una forma rituale che permette 187
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la regolamentazione della violenza – di cui denaro e amore sono agenti propulsori – in seno alla società stessa. Redmond Barry è attore e marionetta della crisi mimetica che, giunta al proprio apice, ne fa uno dei tanti capri espiatori, un ricettacolo di violenza programmata. In Dangerous Liaisons il duello metaforico tra Mme de Merteuil e M. de Valmont, epicentro della violenza che si diffonde con un’immediatezza inaspettata, ha un corollario concreto, un “riflesso” speculare nel duello reale che vede affrontarsi il visconte e Danceny. Vestigio feudale di una classe sociale che la riconverte in dettaglio d’abbigliamento, la spada torna ad assumere una funzione guerresca e fa del giovane cavaliere l’ultimo “specchio” di Valmont, nonché l’estremo confidente e l’esecutore testamentario del visconte. Nel corso di sei sequenze in montaggio parallelo Frears intercala le immagini del confronto maschile con quelle delle cure in convento cui Mme de Tourvel è inutilmente sottoposta e con la memoria dell’atto d’amore e d’abbandono sensuale tra quest’ultima e Valmont. Per analogia al sangue dell’una ripreso in dettaglio (le ventose poste sulla schiena scarificata, la lama del chirurgo che incide una vena del braccio e lascia colare un rivolo scuro) corrisponde il dolore dell’altro che mostra assenza e disinteresse rispetto al duello (lo stupore con cui osserva il proprio braccio ferito, come fosse quello di un altro, la stanchezza impressa sul volto). Entrambe le forme di sofferenza sono messe in relazione all’immagine ovattata di una felicità perduta tramite il rallentato sull’uomo che attira la donna su di sé, in un’atmosfera resa calda e avvolgente dalla luce diffusa e dall’oro dei capelli di Mme de Tourvel. La scelta di regia designa l’esperienza inaspettata vissuta dal visconte come deroga e possibile messa in discussione del credo libertino e riprende l’idea, citata nel carteggio, di una sopravvivenza dell’estasi amorosa dopo la consumazione dell’atto sessuale. Ogni minimo gesto di Valmont denota distrazione rispetto al presente dell’azione e il suo sguardo perplesso, ripre188
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so in piani ravvicinati, rimanda al flash-back che chiarisce nell’ossessione del ricordo amoroso la motivazione dell’assenza a se stesso. L’avversario è inesistente, lo spettatore ne dimentica la presenza. A combattere non sono Danceny e Valmont, bensì il fantoccio di quest’ultimo contro di sé. Valmont posa la fronte contro le lastre di pietra del ponte che sovrasta la zona del duello, tiene la spada all’altezza del volto, ripreso in primissimo piano, e d’improvviso la lascia cadere volgendosi precipitosamente verso il giovane avversario che affonda la lama nel suo ventre. L’abbandono della spada mima il distacco del libertino rispetto alla morte, la sopravvenuta spossatezza del giocatore. La scelta di un suicidio semi-volontario da parte di Valmont si accompagna alla professione d’amore per Mme de Tourvel che egli ha il tempo di pronunciare prima di morire. È di nuovo un primo piano a stabilire un contatto privilegiato con lo spettatore: la metà del volto di Valmont affondato nella neve, immobile, l’occhio visibile sbarrato, esprime la presa di coscienza del visconte, l’assurdità di una verità compresa troppo tardi. Lo spettatore “sente” il freddo umido della pelle immersa nella neve. Lo sguardo di Valmont mescola lo stupore per la morte sopraggiunta d’improvviso, di contro a ogni calcolo strategico, e la necessità di confessare sentimenti fino ad allora sistematicamente taciuti. Le ultime parole del visconte sono l’eroico epitaffio di un eroe di melodramma che tenta di rimediare al male inflitto30, accetta e confessa il proprio amore e la vanità del proprio agire e si apre, in tal modo a una possibile redenzione. Il rosso del sangue versato invade il campo della visione e trionfa nella panoramica dall’alto sul corpo senza vita del visconte che lascia dietro di sè una colata di sangue distribuita a macchia sul cortile innevato. La rappresentazione della morte eroica di Valmont in Dangerous Liaisons è in parte frutto di esigenze di mercato (l’elucidazione della realtà amorosa offerta al pubblico che assiste a una produzione hollywoodiana classica) e al con190
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tempo indice di una precisa lettura del romanzo di Laclos, la cui ambiguità permette di scegliere plurime direzioni di mise en scène. Per l’ultimo dialogo tra Valmont e Danceny, Frears recupera, infatti, la supplica, apparsa in una prima redazione dell’opera, rivolta da Valmont a Mme de Volanges affinché ella riporti la sua professione d’amore a Mme de Tourvel offrendole una possibilità di salvezza31. La soppressione di questa lettera nella versione definitiva ha come sola motivazione quella addotta dal redattore fittizio in nota al testo, ovvero che nessun seguito a tale corrispondenza ha potuto chiarire la sincerità d’intenti del visconte. La giustificazione è chiaramente posticcia (il lettore sa che nessuna lettera del carteggio è del tutto sincera) e maschera l’intento dell’autore: i dubbi sulla condotta di Valmont e l’ambiguità del personaggio devono essere mantenuti, nulla deve essere concesso all’apoteosi finale del sentimento amoroso. Numerosi indizi, nel romanzo, lasciano intravedere la scoperta, da parte del libertino, di un nuovo ordine, o meglio, la tentazione di svincolarsi dal “proprio” ordine per accedere alla spontaneità del sentimento. Una prospettiva di riscatto amoroso si prefigura attraverso le contraddizioni che guidano la condotta del visconte, il quale, mosso dalla vanità e dal timore del ridicolo, oltraggia la donna che sembra amare, o mortifica slanci di sensibilità letti come impedimento alla libertà e ostacolo all’intelligenza32. Nulla, però, traduce in modo diretto un’effettiva e indubitabile conversione del visconte all’amore e un pentimento profondamente sentito. Frears sceglie, al contrario, di dissipare ogni dubbio e di leggere in Valmont la prefigurazione di un tormentato eroe romantico, cosciente del vuoto della propria esistenza33. Nel momento in cui il visconte affonda da solo verso la propria spada, egli viene a immolarsi a se stesso e di conseguenza alla marchesa, inserendosi nella linea delle vittime e partecipando, in tal modo al sacrificio imposto dalla società e dalla storia. 192
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Nel romanzo, quando le lettere cessano di essere scritte dai tre personaggi principali, quando il loro sforzo di raccontarsi viene meno, anche la loro vita “romanzesca” si spegne o lascia una vaga prospettiva di continuazione in negativo, come nel caso di Mme de Merteuil. La risoluzione di Mme de Tourvel d’interrompere definitivamente la corrispondenza con Valmont è, di fatto, un gesto suicida. L’arresto e la pubblica diffusione dello scambio epistolare tra quest’ultimo e Mme de Merteuil combacia con la fine di entrambi. La circolazione mondana del carteggio è testimonianza ultima di vite ormai concluse. Nella pellicola la consegna a Danceny da parte di Valmont di un fascio di lettere macchiate di sangue – e portate, non a caso, sul petto – indica, a sua volta, l’abbandono della scrittura individuale e il conferimento della parola a personaggi secondari. Al corpo morente di Valmont corrisponde un «corpo/lettera» che sembra sostituirsi alla coppia libertina nel condurre gli eventi e convertirsi da strumento di seduzione in strumento di morte. Non è solo l’evidente connubio eros-thanatos ad assere affermato, ma la perfetta coincidenza tra scrittura e vita, in analogia alla «forma/senso» fondante del romanzo. Il regista sottolinea, in conclusione, la comunanza del martirio femminile: sotto le cupe volte del convento che l’ha precedentemente vista “prigioniera” Cécile de Volanges siede in silenzio accanto a Mme de Tourvel che muore ordinatamente dietro i veli bianchi del letto a baldacchino. A differenza di quanto avviene per Valmont, che nella pellicola ha accesso all’apoteosi romantica – e spettacolare – del sacrificio per amore, la Présidente ritrova nella morte una sorta di pacificazione e di riposo, lontana ormai dalle dolorose passioni che l’hanno sconfitta. Nel film viene affievolito l’afflato sentimentale di Mme de Tourvel tramite la soppressione dell’invocazione al cielo in cui la vittima, nel romanzo, assume su di sé ogni colpa e chiede con fervore che l’amante venga perdonato34, ma per193
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mane l’idea di una sua disincarnazione tramite la velatura dell’immagine in controluce e la rigorosa compostezza del quadro.
Nel film la Présidente è un esempio di raffinata moderazione e perde la veste tragica assunta nel carteggio di Laclos, dove al vocabolario del dovere e della resistenza subentrano dapprima il registro mistico del dono assoluto di sé e, in seguito all’abbandono, quello del grandioso emozionale che ne accompagna il delirio altalenante35. Il linguaggio della Présidente, di minor impatto sul lettore rispetto all’ironico brio libertino, passa bruscamente all’adorazione amorosa, trasformandosi in elogio mistico dell’amante e in accettazione della dannazione36. Il rigetto delle convenzioni sociali e del pubblico giudizio e l’elaborazione di un assoluto sentimentale, trasfigurano il personaggio della sensibile devota in “héroïne perdue d’amour”37, capace di abbandonare ragione e volontà per consacrarsi esclusivamente al culto dell’amore. Elevano dunque Mme de Tourvel verso un sublime romantico che la riscatta dalla “convenzione” letteraria cui appartiene. La morte finale della giovane donna è il compimento di un percorso che va dall’estasi alla passione intesa in senso cristico come sacrificio consapevole di sé. Alla resa dei sensi segue l’abbando194
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no finale della veste terrena, lo sradicamento spirituale. In Dangerous Liaisons la morte al mondo in un chiaroscuro velato è, a sua volta, trasfigurazione del corpo. Non grido mistico, ma ovattata sublimazione che partecipa di una progressione nel trattamento della fisicità. Dalla sequenza del duello che oppone Mme de Merteuil e M. de Valmont il contrasto luministico aumenta, le ombre s’impongono lasciandosi penetrare dalla luce tremula di candele e candelabri che sono preludio ai ceri mortuari. Alla carne del desiderio risponde una corporeità che si afferma come disfacimento del corpo desiderante oppure come sua disincarnazione.
Il corpo sconfitto Il est impossible de supposer qu’ils aient vécu dans notre siècle; dans ce siècle de philosophie, où les lumières, répandues de toutes parts, ont rendu, comme chacun sait, tous les hommes si honnêtes et toutes les femmes si modestes et si réservées.38
La pellicola di Frears si conclude su di una sorta di “precipitazione” della marchesa, articolata nel rapido susseguirsi della caduta, dell’abbandono della maschera e del decomporsi del volto. Alla silenziosa sparizione di scena che accumuna Mme de Tourvel e Cécile de Volanges si contrappone la fine urlata dell’illusione attoriale di Mme de Merteuil, connessa all’uscita fisica dallo spazio di rappresentazione mondana. Quest’ultima è preceduta da un’esplosione di violenza che funge da rivelazione sentimentale. Il pubblico è indotto a leggere il crollo della marchesa come diretta conseguenza della morte di Valmont poiché, nella scena successiva al duello, la marchesa, attraversa il cabinet de toilette allontanando da sé la servitù e distruggendo gli strumenti di preparazione attoriale (tra cui la cipria che alza un velo tangibile, polveroso) per poi accasciarsi a terra tra grida, singhiozzi e cocci dello specchio che ha fatto cadere. 195
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Frears motiva ed espone, dunque, l’intensa natura passionale di Mme de Merteuil che si rivela in modo parziale e indiretto nel romanzo tramite l’accanimento con cui persegue i propri scopi e la discrepanza tra questo stesso accanimento e le sue motivazioni: “La grandeur exceptionnelle du personnage tient à la violence extrème des passions que rien ne justifie vraiment dans la tradition du libertinage romanesque”39. Nell’orgoglio, passione primaria, come si diceva in precedenza, s’inseriscono, di lettera in lettera, l’astio per il proprio sesso e per la debolezza di cui fa prova, il rancore verso il mondo maschile dominante, la ricerca della voluttà libertina, la paura della perdita di libertà, il culto di sé e la gelosia che porta alla vendetta. Tali passioni, mascherate da un’ironia mordente e da una sciolta padronanza verbale, s’interpenetrano e si rinforzano l’un l’altra, alimentate da una perseveranza suicidaria retta solo da un’inflessibile – e 196
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irrecusabilmente aristocratica – gratuità. Per la violenza, il cinismo e l’egoismo che comportano, esse escludono ogni forma di compartecipazione al dolore altrui e sostengono un individualismo esacerbato, consapevole della solitudine cui condanna ed è condannato. Nel film tale accanimento si risolve nell’esplosione di collera seguita da un ultimo tentativo di rappresentazione, votato però all’insuccesso. La marchesa appare truccata e immobile nel proprio palco all’Opéra, ma attorno a lei si fa il silenzio, rotto d’improvviso da fischi e da insulti che la costringono ad andarsene. L’attrice, la cui maschera è evidente per la prima volta nel trucco accentuato, nel volto troppo bianco segnato dal rossetto scuro, color sangue, conserva la sua gelida immobilità dinanzi alla condanna del mondo aristocratico, pubblico e referente della rappresentazione.
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È tradita solo da un istante d’instabilità quando, all’uscita “di scena”, esita sulla soglia e barcolla, lo sguardo assente, teso verso un indeterminato fuori campo.40 A chiudere la pellicola in senso circolare è un primo piano della marchesa: non il riflesso del volto perfettamente truccato che ha aperto il film, ma, per contrasto, il viso stesso della donna, “sfigurato” dal gesto violento della mano che lo strucca, mentre una lacrima scende a rigarlo e lascia tracce di rossetto sulla pelle. L’abbandono della maschera di scena non avviene senza dolore e sulla trama del volto restano le tracce umide del sangue versato, del dramma costruito e portato a termine senza prevedere fino in fondo le conseguenze cui avrebbe condotto.
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La focalizzazione di un’epidermide “in disfacimento”, se impieghiamo i termini con cui Deleuze, riferendosi a Persona di Ingmar Bergman, indica il primo piano come punto estremo dell’immagine-affezione41, è indizio del vaiolo che, nel romanzo, sfigura la marchesa, facendosi espressione di una natura mostruosa fino ad allora occultata dalla bellezza.42 Nell’economia del carteggio spetta a Mme de Volanges, un personaggio secondario, citare un semplice “figurante”senza identità propria per introdurre la “punizione” posticcia riservata a Mme de Merteuil: “Le Marquis de ***, qui ne perd pas l’occasion de dire une méchanceté, disait hier, en parlant d’elle, que la maladie l’avait retournée, et qu’à présent son âme était sur sa figure” (Lett. 175).
Roger Vadim, prima di Frears, decide di chiudere la propria pellicola su di un primo piano evocatore della “rivelazione” romanzesca. Juliette Merteuil brucia nel lavandino le lettere che possono comprometterla e causare un pubblico scandalo. Cercando di ravvivare le braci con una bottiglietta d’alcool, la donna ne rovescia accidentalmente una parte sulla sottoveste che prende fuoco, e si riversa, in fiamme, nel salone. Nella scena conclusiva, dopo che Danceny e Cécile escono dal palazzo di giustizia accompagnati da Mme de Volanges, appare Juliette attesa da una folla di giornalisti: la 199
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donna è inquadrata frontalmente in piano ravvicinato, una metà del viso in ombra, sfigurata dai segni evidenti dell’ustione, ma non esprime alcuna emozione, sembra, anzi ostentare freddezza e superiorità guardando dritto innanzi a sé, respingendo i fotografi e uscendo di scena per lasciare allo spettatore, come ultima inquadratura, la nudità di un muro grigio. Vadim sceglie di assecondare il silenzio romanzesco e mantiene la propria eroina nell’indeterminatezza. Frears compie, al contrario, una scelta di esposizione melodrammatica dei propri personaggi, offrendo anche alla marchesa la possibilità di una lacrima di pentimento. La regia partecipa con intensa commozione ai destini dei personaggi, prende una direzione sentimentale e scioglie i nodi psicologici del romanzo. Eppure non lo edulcora, come si potrebbe supporre. Svela i volti e al medesimo tempo li distrugge, esibisce la fisicità agonizzante dei protagonisti per raccontarne il crollo, la fatale rovina. Risponde, in tal senso, “à une revanche des corps sur les modalités du désir qui cherchaient à les subordonner au langage à l’état pur”43. Manifesta una corporeità latente dietro il linguaggio e la associa al sentimento senza, però, offrire a quest’ultimo un valore risolutivo. Mostrando le passioni che legano Mme de Merteuil e M. de Valmont l’una all’altro ed entrambi alle proprie vittime, il regista offre loro un’identità affettiva e una debolezza di fondo che il pubblico può – e probabilmente vuole – leggere come traccia sensibile, resto di umanità fisica ed emozionale. Una “residualità” di questo tipo non è assente da Les liaisons dangereuses di Laclos, ma resta nell’ordine del non detto, dell’ambiguità. Il romanzo, per quanto astratto e concettuale, introduce nel trionfo della parola la sua stessa impossibilità: l’epopea dell’intelligenza costituisce il racconto, ma rivela l’impossibilità intrinseca di governare gli eventi. La ragione dei lumi si spegne per la troppa fiducia che ripone nella propria infallibilità. La debolezza è insita nello scioglimento e, di conseguenza, nella trattazione stessa. Non è “affettiva”, è costitutiva del testo. 200
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Un romanzo corale costruito su di una strategia di seduzione, quasi un “trattato” di “libertinaggio mondano”, annuncia prepotentemente la sconfitta della ragione e la ricerca di un assoluto passionale romantico per rinnegarne poi la stessa possibilità. Si conclude anch’esso su di un “disfacimento”. I tre personaggi maggiori del carteggio, su cui non a caso Frears concentra le riprese, sono vittime appassionate di scelte esclusive, perseguite con accanimento strategico nel caso dei due libertini e tramite una de-possessione volontaria e misticheggiante in quello di Mme de Tourvel. Peccano di orgoglio e di tenacia devastatrice poiché le attese rispettive sono troppo elevate: ciascuno sembra cercare, per vie diverse, la durata e l’esclusività nella relazione in un mondo di frammentazione e d’incostanza, tutti temono un sentimento che si accaniscono a distruggere, adorano simulacri poiché esigono di dare o di ricevere una forma di adorazione che supera l’umano. Mme de Tourvel muore, dando effettivo seguito alla propria premonizione, per aver riposto cieca fiducia nell’altro, per essersi votata a lui nella perdita di se stessa. Il sacrificio la nobilita, ma si ripiega su di sé e la relega dietro i veli conventuali. Cécile de Volanges e il cavalier Danceny periscono ai sensi e al sentimento, scelgono gli ordini religiosi e si ritirano dalla vita. Valmont è vittima della scissione tra due forme di desiderio, una preromantica perdita di sé, nell’illusione della fusione e nella vertigine dell’emozione, e un’amicizia amorosa che cela il narcisismo e l’identificazione dietro la complicità e la stima reciproca. La soluzione che offre alla marchesa, il ricongiungimento sulla base della fedeltà amicale (designando, nella prima lettera a Mme de Merteuil, il loro rapporto come “seul exemple de constance au monde”), nasce dall’illusione di un’uguaglianza di fatto e di una sincerità possibile entro il libertinaggio. Merteuil lascia la scena nella consapevolezza che si tratta, appunto, di un’illusione e che l’amore allegramente sacrificato su di un’ottomana – se di amore si trattava 201
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– è destinato a restare chimera, nell’impossibilità d’iscrivere la passione e la felicità nella durata e di pretendere da Valmont una relazione esclusiva.44 La scrittura epistolare nasce dalla loro distanza, si nutre della procrastinazione del loro incontro e infine lo impedisce: la prospettiva di una riconciliazione amorosa tra i due libertini è ritardata e poi rinnegata, a immagine della possibilità stessa di una relazione che non esiste se non in forma effimera di ricerca, d’illusione e d’inevitabile delusione. Se nel romanzo i due non giungono a incontrarsi, nella pellicola di Frears i loro continui scambi, filmati in campo-controcampo, non si concludono mai in un concreto avvicinamento: l’alternanza li separa e impedisce il contatto, l’unione si mantiene in uno stato di preambolo producendo l’usura definitiva del desiderio. Nell’opera di laclos il sentimento, tra tanta dissertazione, resta silenzioso e, in conclusione, si lascia sconfiggere senza proclamare la propria necessità. Un romanzo che “parla” senza sosta d’attrazione e d’amore sembra ignorarne l’esistenza o decretarne l’impossibilità costitutiva. La passione su cui i personaggi non cessano di disquisire resta nell’ordine della vanità, del narcisismo, del desiderio di conoscenza e di possesso, cerca l’applauso e finisce in una repentina, fischiata, uscita di scena. Spetta a voci di corridoio chiudere la narrazione. Mme de Volanges, oltre all’aneddoto del vaiolo, riporta le notizie di una pubblica umiliazione della marchesa, della perdita del processo e della fuga in Olanda con i gioielli trafugati alla famiglia del marito. Il lamento finale del personaggio – “quelle fatalité s’est donc répandue autour de moi depuis quelque temps, et m’a frappée dans les objets les plus chers!” (Lett. 175) – è quello di un coro classico che esprime l’orrore dell’accaduto e si stupisce di tanta violenza. La tragedia è svilita dalla brutale eleganza della società aristocratica: amari brusii di spettatori esterni ripristinano la mistificazione, celebrano Prévan come un nuovo Valmont e rimettono a punto un sistema d’atrocità a scacchiera. 202
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Laclos accompagna il lettore attraverso l’agonia dei suoi personaggi con la rapida efficacia e la fredda distanza di chi conosce le conseguenze della guerra ed enumera i cadaveri sul campo di battaglia. Non offre illusioni, non dà spiegazioni e non emette giudizi, se non tramite l’ottusa perplessità di Mme de Volanges: “Je vois bien dans tout cela les méchants punis ; mais je ne trouve nulle consolation pour leurs malheureuses victimes” (Lett. 173). Il lettore resta in una posizione di confine. Lo spettatore, al contrario, rompe lo specchio e penetra il volto. Un volto “filmico”, menzognero per la natura virtuale del mezzo e per l’illusorietà che caratterizza il sentimento amoroso. In entrambi i casi non è data alcuna speranza in una duratura fusione di cuore, sensi e intelletto. La carne libertina, cui da spessore e vita l’estrema vicinanza della macchina da presa, esiste nelle oscillazioni del desiderio e in un’ambiguità di fondo. La delucidazione finale e la melodrammatica conclusione della pellicola ne mostrano insieme irrealtà, sconfitta e disfacimento. Il corpo smascherato perde in fascino e acquista in violenza distruttrice, ai sussurri subentrano le parole urlate, alla tensione sensuale una pressione psicologica e fisica che torchia, comprime e finisce per schiacciare. La parte organica e sotterranea si manifesta sotto forma di sangue, nelle macchie rosse che si allargano a terra e segnano i volti, nella simbologia facile dei corpi accasciati, mischiati al proprio sangue e alla neve dell’inverno della vita, coricati tra i veli funerei dell’assenza di passione. La rigida elevazione degli interpreti e delle strutture si converte in posizione orizzontale, in aderenza al suolo. Al primo piano schermato nello specchio o nello sguardo dell’altro subentra un primo piano trasparente, speculare all’emotività dello spettatore. Si tratta, però, di un’immagine decomposta, di un volto morente. All’abbandono del corpo libertino risponde l’assunzione della fisica materialità della vita al suo termine, nel suo tragico piegarsi agli esiti definitivi del tempo vissuto. 203
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Note 1. Nel saggio Mensonge romantique, vérité romanesque, pubblicato in Francia nel 1961 ed edito in Italia nel 1965, René Girard introduce il concetto di desiderio mimetico cui apporrà successivamente precisazioni e correzioni. In questo primo testo, tramite l’analisi dell’opera maggiore di grandi romanzieri (Cervantes, Stendhal, Proust et Dostoevskij), Girard individua una triangolazione del desiderio, il quale non si fissa su di un oggetto in maniera indipendente e lineare, bensì in modo trasversale, per imitazione. Il desiderio non nasce, dunque, sulla base dell’autonomia individuale, ma della mediazione di un terzo o di una collettività che conferisce all’oggetto desiderato un valore aggiuntivo, quello del prestigio di chi lo possiede. Ne derivano la tragica consapevolezza dell’illusione romantica dell’autenticità affettiva e la diffusione di una violenza imitativa generalizzata che Girard approfondisce nelle opere successive, affrontando il fenomeno della rivalità collettiva che crea conflitti suscettibili di estendersi a intere comunità per risolversi nell’immolazione di un capro espiatorio. Girard René Mensonge romantique et vérité romanesque, Paris, Grasset, 1961. 2. Girard René, Des choses cachées depuis la fondation du monde, Grasset, Paris, 2001. p. 471. 3. Il desiderio mimetico di Mme de Merteuil e di M. de Valmont prevede una dinamica sostitutiva radicale, collegata alla sfida alla divinità, cui opporre il culto di se stessi. La dissacrante riconversione libertina della ritualità religiosa è resa esplicita nella pellicola di Frears dal raccordo di montaggio già citato che vede Valmont intraprendere la formazione “linguistica” di Cécile all’erotismo, mentre, in fuori campo sonoro, si odono le parole latine che scandiscono la funzione liturgica su cui si apre il piano successivo. 4. Commissionato dall’ORTF, ente televisivo francese, La prise de pouvoir par Louis XIV, nasce come sceneggiato televisivo e viene trasmesso per la prima volta in Francia, sul primo canale, l’8 ottobre del 1966. 5. Il tema è approfondito in: Guerra Michele, Il meccanismo indifferente. La concezione della storia nel cinema di Stanley Kubrick, Aracne, Roma, 2007. In specifico: capitolo III. Settecento: il sogno inghiottito, da p. 89 a p. 107. 6. Belcikowski Minh Christine, Poétique des Liaisons dangereuses, José Corti, Paris, 1972, p. 84. 7. Roger Caillois, nel celebre saggio sull’attività ludica I giochi e gli uomini (1958), distingue i giochi in quattro categorie corrispondenti alle fasi del ciclo rituale, categorie che saranno riprese e rivisitate da René Girard, il quale le disporrà in un ordine corrispondente allo svolgimento del pro-
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cesso fondatore, collegandole a una ritualità che finisce per convogliare la violenza verso una vittima sacrificale e giunge in tal modo ad estinguerla. Caillois Roger, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, tr. It. L. Guarino, Bompiani Tascabili, Milano, 2000. 8. Versini Laurent, «Le roman le plus intelligent». ‘Les Liaisons dangereuses’ de Laclos, Champion «Unichamp», Paris, 1998, p. 42. 9. Vailland Roger, Laclos par lui-même, Seuil, «Écrivains de toujours», Paris, 1953.p. 51. 10. Vailland Roger, Laclos par lui-même, op.cit., p. 81. 11. Vailland Roger, Laclos par lui-même, op.cit., p. 111. 12. Si veda a proposito del «ridicolo» come messa a morte sociale dell’aristocratico il film Ridicule di Patrice Leconte (1996). 13. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, op. cit. p. 132. 14. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, ibid. p. 133. 15. Vailland Roger, Laclos par lui même, op. cit., p. 54. 16. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, op. cit. p .122. 17. Tra i tanti esempi possibili: la scena in cui Merteuil e Valmont si osservano compiaciuti allo specchio, complici nella seduzione avvenuta di Cécile de Volanges, mentre Danceny ringrazia il visconte per aver saputo “mantenere il suo amore in vita”. 18. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie: ou le roman du libertinage, op. cit. p. 141. 19. Vailland Roger, Laclos par lui même, op. cit., p. 53. 20. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, op. cit. p. 122. 21. Ariosto Ludovico, Orlando Furioso – Proemio, canto I, 1-4 22. Fontana Biancamaria Du boudoir à la Révolution: Laclos & Les Liaisons dangereuses dans leur siècle, op.cit. p. 41. 23. Fontana Biancamaria, Du boudoir à la Révolution: Laclos & Les Liaisons dangereuses dans leur siècle, ibid. p. 41. 24. “Le style des troubadours n’est-il pas parodié par la marquise lorsqu’elle décrit Valmont comme son “chevalier” en “quête” d’aventures amoureuses (LLD, X, XX, CVI9)?” Fontana Biancamaria Du boudoir à la Révolution : Laclos & Les Liaisons dangereuses dans leur siècle, Ibid. p. 42. 25. Fontana Biancamaria Du boudoir à la Révolution : Laclos & Les Liaisons dangereuses dans leur siècle, Ibid. p. 42. 26. “[…] le boudoir semble avoir été conçu pour être le lieu des demi-confidences et des faux aveux, de l’entre-deux affectif.” Per descrivere lo spazio d’intimità parziale e di passaggio, sottomesso ad esigenze di 205
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discrezione che il visconte infrange, ci rifacciamo ad un testo che, in realtà, designa in specifico il boudoir romanzesco balzachiano del secolo successivo: Richer Jean-François. «Un lieu balzacien. Le boudoir. Illusions Perdues et La Duchesse de Langeais» Itinéraires du XIXe siècle, Toronto, Centre d’Études du XIXe siècle Joseph Sablé, 1996, p. 217-29. p. 219. 27. Roger Caillois, citato in precedenza in relazione al “gioco”, designa con la parola greca ilinx i giochi di “vertigine” che consistono, ad esempio nel girare rapidamente su se stessi, provocando una tangibile sensazione allucinatoria. Caillos Roger, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, op.cit. 28. Mostra la consapevolezza espressa da Valmont nel romanzo con queste parole: «Une femme sensible et belle, qui n’existait que pour moi, [...] dans ce moment même meurt peut-être d’amour et de regret» (Lett. 151). 29. Realizzato nel 1977, il primo film di Ridley Scott, The Duellists, interpretato da Harvey Keitel e Keith Carradine, è tratto dall’omonimo racconto di Joseph Conrad. In epoca Napoleonica due ufficiali diversi per credo politico e per carattere (pacato e saggio l’uno, collerico e provocatore l’altro) si affrontano in duello nel corso della loro intera esistenza, che si intreccia con la vicende di Napoleone e della Grande Armée per concludersi, infine con un epilogo non cruento e con la separazione dei due avversari (D’Hubert risparmia Féraud e lo «dichiara morto» e questi dovrà rispettare la sua volontà, in ottemperanza alle regole del codice d’onore). 30. Tramite il consiglio dato a Danceny di guardarsi dalla marchesa, accompagnato dalla consegna del carteggio rivelatore e dalla supplica di portare il proprio messaggio d’amore a Mme de Tourvel per salvarla da morte certa. 31. Valmont sceglie Mme de Volanges come confidente e mediatrice presso Tourvel in preda al delirio chiedendole, prima del duello, di far avere alla Présidente la lettera che il redattore ha arbitrariamente deciso di sopprimere dalla raccolta. Volanges non la consegna e si pone la domanda che si porrà anche il lettore, su « le désespoir » espresso dal visconte: « D’abord faut-il y croire, ou veut-il seulement tromper tout le monde, et jusqu’à la fin ? ». (Lett.154). Il visconte scrive inoltre a Danceny del rimpianto che prova per Mme de Tourvel e della disperazione di essere separato da lei, ma, ancora una volta, nulla prova la sua sincerità (Lett. 155). Nel film, le medesime frasi “dette” a Danceny da un Valmont in punto di morte non danno motivo di dubbio. 32. Egli mostra meraviglia davanti alla femme naturelle, riconosce momenti di debolezza che, dice, «ressemblaient à cette passion pusillanime» (Lett. 125), parla del cuore che credeva «flétri» ora rianimato da «les charmantes illusion de la jeunesse» (Lett. 6), dai «transports de jeune homme», esprime difficoltà «à mettre de l’ordre dans le récit (Lett. 44). 206
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Dopo la vittoria su Mme de Tourvel, nella lettera scritta a Mme de Merteuil per esibire il suo trionfo e richiedere la ricompensa promessa, esibisce principalmente il proprio stupore: dice di essere «maîtrisé comme un écolier par un sentiment involontaire et inconnu», parla de «l’ivresse complète et réciproque», e di «ce charme inconnu» giustificando tali emozioni come frutto delle qualità straordinarie di una donna inattesa. (Lett. 125). 33. «Thus, this Vicomte expires, not like Laclos’ remorseless 18th century libertine, but in a manner which anticipates the deeply dissatisfied, proudly regretful villain-heroes of Romanticism – Chateaubriand’s René, Byron’s Don Juan, and certainly Goethe’s Faust, the quintessentially misguided desiring male who is also eventually redeemed by the love of his innocent victim.» Hammer, Stephanie Barbé. « Romanticism and reaction: Hampton’s Transformation of Les Liaisons dangereuses.» In : GROSS, Robert (ed.). Christopher Hampton. A Casebook. New York & London: Garland Publishing, «Casebooks on Modern Dramatists», 1990. p. 118. 34. Se già nelle prime lettere della Présidente si manifesta una naturale indulgenza verso le debolezze di chi le sta accanto, il perdono finale che riserva a Valmont, accollandosi interamente la responsabilità delle proprie azioni, ne conferma la trasfigurazione: “Dieu tout-puissant (…) Je me soumets à ta justice ; mais pardonne à Valmont. Que mes malheurs, que je reconnais avoir mérités, ne lui soient pas un sujet de reproche et je bénirai ta miséricordie!” (Lett. 165). 35. Solo nella pellicola di Vadim viene recuperata l’idea del delirio della vittima, seppur nell’ambito di una modernizzazione della vicenda: al frastuono che accompagna la morte di Valmont (una musica jazz assordante, le urla degli invitati alla festa in cui, colpito da Danceny, egli cade a terra battendo la testa contro un camino acceso) si contrappone la nenia che Marianne Tourvel canticchia dolcemente, lo sguardo assente, mentre prepara la valigia per il viaggio che si appresta a compiere con l’amato, di cui però, ha già appreso la morte. Una follia malinconica prende il posto della morte dell’eroina. 36. Mme de Tourvel non fa più allusione al tradimento coniugale, non manifesta alcun rimorso e assume pienamente il dovere d’immolarsi alla felicità di colui che ama, come si legge nella lettera inviata a Mme de Rosemonde: “C’est donc à votre néveau que je me suis consacrée; c’est pour lui que je me suis perdue. Il est devenu le centre unique de mes pensées, de mes sentiments de mes actions” (Lett. 128). 37. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, op. cit. p. 167. 38. Laclos Choderlos (de) Les liaisons dangereuses, op. cit. “Avertissement de l’éditeur”, p. 9. 207
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39. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie : ou le roman du libertinage, op. cit. p. 100. 40. Nel romanzo la scena ha luogo alla Comédie Italienne: “Pour que rien ne manquât à son humiliation, son malheur voulut que M. de Prévan, qui ne s’était montré nulle part depuis son aventure, entrât dans le même moment dans le petit salon. Dès qu’on l’aperçut, tout le monde, hommes et femmes, l’entoura et l’applaudit; et il se trouva, pour ainsi dire, porté devant Madame de Merteuil, par le public qui faisait cercle autour d’eux. On assure que celle-ci a conservé l’air de ne rien voir et de ne rien entendre, et qu’elle n’a pas changé de figure!” (Lett. 173). 41. Lo studioso parla di “volto” e insieme di disfacimento del volto, poiché il primo piano indica la persona, ma al tempo stesso l’immagine e la maschera mortuaria. In VI. L’image-affection : visage et gros plan - La limite du visage ou le néant: Bergman. pp.134,135. 42. La sopravvivenza della marchesa sfigurata dal vaiolo ha prodotto, nel tempo, finzioni narrative dedicate alla prosecuzione della sua vicenda. Si veda, in particolare: Christiane Baroche, L’Hiver de beauté, Collection Blanche, Gallimard, 1987. Il romanzo racconta la vita di Mme de Merteui a Rotterdam, insistendo sul rapporto bellezza-mostruosità. 43. McCallam David, Les modalités du désir dans Les Liaisons dangereuses, in «Dix-huitième siècle», 1/2006 (n. 38), p. 589-609. URL: http:// www.cairn.info/revue-dix-huitieme-siecle-2006-1-page-589.htm 44. “Et puis comment vous fixer?” “qui de nous deux se chargera de tromper l’autre?” Lett. 131.
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Considerazioni su di un’inquietante prossimità
In un finale denso di pathos Stephen Frears sembra voler “umanizzare” M. de Valmont e Mme de Merteuil, facendone le vittime coscienti della loro stessa macchinazione. Offre una parziale motivazione al loro operato, connota come sincero l’amore del visconte per Mme de Tourvel, rende manifesta la gelosia della marchesa. Se un’esplicazione di questo tipo risulta rassicurante poiché, rimarcandone la debolezza, avvicina i personaggi allo spettatore, essa non permette di vincere la sofferenza e di coniugare la lucida disamina intellettuale con l’abbandono sentimentale. Non impedisce al pubblico di assistere alla repentina disfatta della “parola/azione” libertina, insita nella progressiva e inevitabile usura del meccanismo soffocante che genera e governa la finzione narrativa. Interrogarsi sulla brutale, rapida sconfitta delle voci narranti del romanzo e sulla diversa, ma altrettanto respingente e definitiva, rovina dei corpi filmici, significa prendere atto della nostra vicinanza a tale disfacimento e cercarne l’origine. Ci rimanda alla questione di partenza, alla natura peculiare del fascino che conservano i personaggi ambigui e contraddittori di Laclos. Ci pone in relazione diretta con la seduzione estetica esercitata dal dolore convertito in derisione. Ci induce ad affrontare non il “mostruoso di natura” raccontato dal marchese de Sade, dove il male inflitto è ben concreto e si risolve nel dominio viscerale e violento dei corpi martirizzati, bensì il “mostruoso cerebrale” che agisce in seno a un mondo dove il concetto stesso di natura ha perso significato. In un universo, cioè, dove bisogni artificiali e mediati impediscono le scelte individuali, riducono il desiderio al suo simulacro, non conservano che le forme. Il machiavellismo dei due complici iniziali ha scopi irrisori, inconsistenti rispetto alle energie impiegate a tal fine e all’accanimento nel perseguirli. Viene forzatamente a coincidere con 209
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una distruzione gratuita le cui sole motivazioni sono riconducibili a un aggressivo narcisismo e all’ossessiva, aristocratica, paura del ridicolo. Eppure, per tutto il corso della narrazione, la sistematica ironia del visconte e della marchesa seduce il lettore. La loro priorità linguistica si afferma come una potente arma di fascinazione di ordine non solo cerebrale. I sensi sono stimolati da un “sogghigno” che li interpella e si nutre della loro complicità. Gli strumenti filmici adottati da Frears per mantenere l’ironico distacco proprio al “gioco” libertino alimentano la medesima seduzione e potenziano la connivenza irresistibile del fruitore con l’intelligenza brillante e sprezzante dei due personaggi chiave di Laclos. Dangerous Liaisons è la resa filmica di un’amara eppur giocosa forza cerebrale, attraente e repulsiva al contempo, forma estremizzata dell’ironia filosofica illuminista ed esito mondano di un ego esacerbato. Grana e timbro del romanzo, garante della sua unicità, l’ironia si afferma nella pellicola di Frears attraverso uno schema ludico che inizialmente coinvolge con brio e comicità lo spettatore, rendendolo complice dell’umiliazione del sentimento. Il dispositivo filmico permette che la virtuosità dei giocatori lo irretisca, sebbene ne percepisca la gratuità e ne possa prevedere l’esito nefasto. La performance consensuale dei due libertini perde, però, la propria valenza ludica poiché irrompe oltre la cornice del gioco, o meglio viene a designare come tale l’intera realtà d’appartenenza dei personaggi e prevede la presenza di partecipanti che ignorano di farne parte e ne subiscono gli effetti. Non pone limiti alla partita, la assolutizza in una forma drammatica che perde progressivamente in leggerezza quello che acquista in serietà, fagocitando lo spazio e il tempo in forme fittizie dove muovere le proprie pedine, trasformando il terreno di gioco in prigione e la vecchia complicità in scontro. Confinati entro uno spazio geometrico e ordinato, eppure frammentato, saturo di tensione, senz’altra profondità di campo che non sia quella di specchi rifrangenti, i corpi combattenti di Dangerous Liaisons si affrontano in una battaglia che lo spettatore percepisce da subito come vincolan210
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te e definitiva. La frustrazione di chi vi assiste aumenta in parallelo al desiderio e all’illusione di una possibile pacificazione di cuore e di sensi, di un abbandono della partita. La condotta di Valmont e Merteuil, cui lo spettatore aderisce con piacere e paura insieme, è una forma di libertinaggio paradossale che ha immolato la propria libertà all’intelligenza di una battuta. Radicalmente antisociale, si attualizza nello scontro di esperienze orgogliosamente individualiste, eppure mimetiche, dogmatiche e schermanti. Il meccanismo di Laclos designa una civiltà “incivique qui a perdu tout souvenir d’une société politique et d’un horizon naturel”1, che maschera con un velo di cipria e una battuta sagace “l’agressivité ombrageuse des mois dressés les uns contre les autres, en quête d’une gloire aussi inflexible que la gloire cornellienne, mais reduite aux affaires privées, elles-mêmes ramenées aux affaires sexuelles”2. Il nostro riconoscerci nello specchio della scrittura di Laclos e del film di Frears ha in sé qualcosa di profondamente inquietante. Implica il superamento dei confini storici e geografici della Francia aristocratica tardo settecentesca e interpella la nostra realtà di relazione individuale e sociale. Nel progressivo scivolamento dell’ironia narrante verso un sarcasmo disperato e impotente lo spettatore si lascia condurre verso un disfacimento che gli è familiare, verso un’impossibilità di fondo in cui riconosce le proprie paure, entro una decadenza raffinata e intellettualizzata. L’universo de Les liaisons dangereuses che Stephen Frears ha l’intuizione di ridurre ai volti dei propri personaggi, costretti entro spazi angusti d’interazione forzata, è frammentato in un dedalo di solipsismi esasperati che non trovano convergenze perché incapaci di condivisione e di empatia. Il fascino esercitato dai due combattenti è quello di una civiltà perfezionata che introduce uno stato di guerra permanente e d’ininterrotta mediazione entro le relazioni interpersonali. Una civiltà di cui cogliamo istintivamente il riflesso speculare, un’immagine in cui non tardiamo a riconoscerci.
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Note 1. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie: ou le roman du libertinage, op. cit. p. 158. 2. Goldzink Jean, Le Vice en bas de soie: ou le roman du libertinage, ibid. p. 124.
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Nota biografica
Francesca Dosi, laureata in letteratura francese, con un dottorato di ricerca presso l’Università della Sorbonne, si occupa delle dinamiche di passaggio tra scrittura filmica e romanzo. Oltre a numerosi articoli sul cinema della modernità, sulla filmografia «del reale» e sulla narrativa francese contemporanea, ha pubblicato, per le edizioni LettMotif, il saggio Trajectoires balzaciennes dans le cinéma de Jacques Rivette. Frequenta assiduamente Parigi, sua città d’adozione, ma vive e lavora in Italia, dove collabora con l’Università di Parma e i© presso il Convitto nazionale Maria Luigia. Fa parte del CRIR, gruppo di ricerca sulle Écritures de la Modernité convenzionato CNRS e coltiva la pittura e la narrativa. Il romanzo di autofiction Ma saison avec Guillaume, edito da La société des écrivains, ripercorre l’incontro struggente con Guillaume Depardieu, cui l’autrice ha dedicato anche un’importante serie pittorica. Tra le sue più recenti mostre: Il volo della farfalla, dedicato all’icona di Marilyn Monroe e Ninfa, il panneggio caduto, che rielabora tramite fotografia e pittura, la produzione scultorea di Jean Baptiste Boudard a Parma. L’autrice lavora attualmente a un progetto artistico parallelo a La lettera in corpo, volto a coniugare pittura, fotografia e danza contemporanea.
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