117 5 55MB
Italian Pages 434 [221] Year 1998
Palmira Cipriano
La labiovelare iranica dalle origini indoeuropee ali' epoca attuale
13
BIBLIOTECA DI RICERCHE LINGUISTICHE E FILOLOGICHE
48
P ALMIRA CI PRIANO
LA LABIOVELARE IRANICA DALLE SUE ORIGINI INDOEUROPEE AGLI SVILUPPI ATTUALI
UN IVERS ITÀ DELLA TUSC IA
UNIVERS ITÀ "LA SAPIENZA"
VITERBO
ROMA
1998
11 volume è s1ato pubblicato con il concorso finanziario dell' Istituto di Studi Romani dell'Università della Tusci:i e con il concorso dei fondi MURST del Dipanimento di Studi Glottoantropologiei dell'Università di Roma "La Sapienza··.
Resta esclusa ogni forma di diritti di autore.
ISSN 0392-936 1- ISBN 88-85134-49- 1 Biblioteca d i Rice rche Linguistiche e Filologich~ Nr. 48
C2Sa Edicrice "li Calamo~ s. n.e. di Fausto Liberati Via Bernardino Tdesio, 4b 00195 Roma Te!. e Fax (06) 37 24 546 htt p://www. ilcalamo.priminct.it E-Mail: [email protected]
INTERNET
Presentazione C'era una volta - garantisco che non è l'inizio di una favola per linguisti troppo piccoli - una grande competenza in lingue e testi orientali fta molti dei padri fondatori della "vergleichende Sprachwissenschaft" applicata alle lingue indoeuropee. l'etimologia scientifica e la grammatica comparativa nacquero insieme quando i su laudati si accorsero che, abbandonando il razionalismo e l'idealismo, tarda e audace progenie di Aristotele e di Platone, a favore di una nuova, umile e non intellettuale, ma rigorosa e metodica osservazione analitica della forma materiale fonica delle parole e dei morfemi di un gran numero di lingue di Europa e di Asia - mantenuto sullo sfondo, a garanzia, il campo dei significati delle parole selezionate e delle funzioni morfologiche- era possibile nientemeno che fare un po' di luce di tipo "storico" sulle ultime età buie a ridosso dei primi chiarori di tante civiltà euroasiatiche, oltre che far luce, ovviamente, sui secoli delle singole storie stesse. Si esagerò dapprima, è vero, estendendo a valenza generale il fotto che non poca luce a/l'Occidente era venuta e veniva dall'Oriente, ma ad ogni modo grande vantaggio trassero gli studi di linguistica glottologica dalla conoscenza del sanscrito, di varie lingue iraniche, e poi de/l'armeno e di altre lingue orientali di nuova acquisizione. Dal Bopp, al HUbschmann, all'Asco/i, al Bartholomae e agli ultimi grandi indoeuropeisti della prima metà di questo secolo - penso al Mei/1.et, al Pagliaro, al Kurylowicz, al Pisani, al Benveniste, al Hojfmann - per tutti l'Oriente indoeuropeo non era "te"a incognita': sibbene nota come l'Occidente. Poi sopravvenne - e si aprì il grande tema di come le lingue funzionino - una linguistica generale e teorica, la quale, però, presso alcuni, per volere essere farse generale e teorica al meglio, razionalizzò il principio che, per penetrare e tenere sotto controllo l'universo linguistico, la via ottimale fosse conoscere e analizzare, in prima e magari sola istanza, la propria lingua materna, limitandosi di preferenza alla sua sintassi e, perché no, ai suoi clitici, cosi pronti secondo le occasioni e i tempi a passare dalla destra alla sinistra e viceversa, evitando, in genere, posizioni centriste indecise. Oramai sono i più tra i linguisti che hanno aderito a questo nuovo orientamento epistemologico. E dire che sanscrito e persiano figuravano già nel titolo dello scritto rivoluzionario di Franz Bopp del 1816, e che Rasmus Rask avventurosamente si fece carico di cercare e di portare in salvo in Europa un gran numero di manoscritti orientali, anche iranici,
Prn,ntaz.io,u
Prt'Ientaziont
per rimediau alla sua prima disinfonnazione e per accrescere al contempo la cultura occidentak. Fatiche inutili, tempo perduto? Cos} la pm.serebbe probabilmentt la massa, per dire, dei linguisti di oggi, st solo ne fossero informati, non può quei pochi che restano a coltivare un 'indoeuropeistica ad ampio raggio, non disgiunta da una coSlantt cura filologica ptr il dato testuak empirico. Sicuramentt, anche il sempre più difficik rapporto di intencambio tra filologia orimtak e orientalistica indoeuropea ha invo• gliato gli indoeuropeisti più recenti ad effettuare una specie di ritirata strategica mtro i confini linguistici più faci/mmtt difendibili dell'Europa. Se la conoscenza del sanscrito tra gli indoeuropeisti delle ,i/time genera• zioni non è andata del tutto perduta, grazie, in b11ona paru, al carature normativo, fisso e rigido di questa lingua, cht ne consente un controllo tutt'altro che impossibile, è presso i medesimi la conoscmza delle lingue iraniche che ha più sofferto degli effetti della grande specializzazione de/. l'iranistica del presente secolo in un polverio di partimtntazioni in singole lingue, dialetti e tradizioni ttstuali di ogni epoca e area del cosJ vasto e duraturo Iran. Il risultato è stato una nottvole separazione dei percorsi e... delle comperenu. Eppure la scitnr.tt non può rinunciare a momenti di ricerca tsttsa e particolareggiata nei quali sintttizzare compettnu e dottrine, che potrebbero sembrare reciprocamente distanti ma che, se fattt convtrgere con me• todo, possono produ"e acquisizioni panoramiche che sfuggirebbero altri• menti a ogni wduta approfondita ma rùtrella. Ché poi w1 oriutmte am• pio p~ò anche illuminare quel che una wduta di troppo stretta angolarura non riesce a scorgere. Accordata pertanto da un lato una nuova e ben fondata teoria della co• munione linguistica indoeuropea preistorica con una tsttsa conoscenza di moire lingue indoeuropee e con una approfondita esperienza mila docu• mmtazio,u iranica dalle fasi antiche all'attua/il~ (largo spazio è dato anche al neopersiano), l'Autrice ha affrontato un complesso problematico dalle moltt sfaccettature, ttntato ma invano dagli indoeuropeisti•ira11isti del passato (e del presmtt), e comprendente perfino "enigmatiche" e "ribelli " regole ortografiche del neopmiano, non chiarite e non domate non dico dai grammatici occidentali ma nemmeno dagli il/mtri colleghi delle universitìt iraniane che cercano di spiegarle in appositi manuali e trattattlli alle matricole che si iscrivono ai loro corsi /inguùtico-filo/ogico-storici. Bipartita è stata, infatti, la matrice, ormai lontana, da/LA quale oggi emerge q11esto ampio e articolato scritto. Lo sguardo critico tkll'Autrìet si era soffermato dapprima, in momenti diversi, e quasi a porre problemi diversi, da un lato sull'allotropia fonema-
tica in posizione iniziale di almne parole avestiche, tra k q11a/i campeggia in particolar modo il nome (o i nomi, si è anche detto) avestici del Sok, dall'altro mllt iruoddisfacenti spiegazioni e giustificazioni che si leggono in grammatiche orientali e occidentali di neopersiano circa il modo di scrivere e di leggere parole che ne/LA scrittura, all'iniziak, presmtano per tradizione - che qui si dimostra esstrt non sempre fondata - la sequenza delle k11ere xà e vàv dell'alfabeto arabo-pmiano. Dopo alcun tempo di riflessioni e di indagini le due questioni si sono riveLAte come aspetti diversi (diversi per modalità linguistico-grafiche e storiche in genere} di un unico grande probkma di fonologia storica di stra/unga temporalità, nella quale certi aspetti migmatici dell'attualità corrente trovano la loro spiegazione se si risale alle prime anmazioni stesse del/'iranico, e da IJ, quindi, al protoiranico, purché, osservato il protoiranico in trasparenza, si riesca a scorgerne la filigrana indoeuropea, secondo una concezione non rigida e fissa del ricostruito ma modulnre e prosodicammte dinamica. Al di là del risultato di fondo (effetti di allotropia dovuti a/In duplice funzione prosodica di dttmninatt "sonanti" indoeuropee e all'osci/lnzione di collocazione del focus vocalicu.s), I.a presente ricerca ha conseguito ,m grande numero di risultati particolari, che fanno chiaraza m diverse storie linguistiche del gruppo iranico, s-u un notevole numero di etimologie, molte del rutto nuove, sulle vicende storiche del neopersiano, nonché sullo stato assai problematico della ltssicografia pmia11a, sia locak sia occidentak. i intertssame la prospettiva che si ricava sul neopeniano, la cui grafia comervatrict comente, in sede, di "kggere " un poeta antico e classico alla maniera moderna - quasi che la lingua in mille e duecento anni non si fosse mossa - ovwro un poeta moderno, se si vuok, alla maniera antica. Una caratteristica dei grandi dizionari ptr1iani è la prtsenza di un incredibile numero di omofoni (e omografi!). Triplice è la causa: in primo luogo dettm1int1tt evoluzioni fonetiche hanno cancellato differenze antiche, in secondo luogo una secolare stratificazione lessicale del 11eopersia110, che ha operano prelievi nei secoli presso varie altre parlate iraniche, ha prodotto coincidenze e perfino parole graftmatiche fantasma; ultima causa: una grafia non proprio ada11a a una lingua indoeuropea ha contribuito a nascondere nella ttstualità scritta dijferenu lessicali mtte. l '.Autrice ha ampiamente i/lustrato queste cause, seguendo la storia del neopersiano fino al suo al/uale ripiegarsi su si sttsso e quindi al mo ritrarsi entro il cerchio di un kssico dell'uso cOlto che si è liberato di tanta passata ambiguità lmicak. Con un quasi gioco di parole si potrebbe dire che ciò che nel caso del
Prrsmtazione presente libro fa la differenza è il fotto che gli indoeuropeisti di oggi possono essere magari anche buoni espmi di pm iano antico, ma difficilmente sanno qualcosa di neopersiano antico. P altresì un dato di fotto che non si può studiare e analiuare la scrittura piizand e la lingua avestica, rimanendo a/l'interno della scrittura piizand e del ttsto avestico. Ancor mmo gli indoeuropeisti dispongono di quella informazione almeno essenziale circa l'arabo e la cultura grammaticale araba che è indispensabile per giudicare di neopersiano, molto più di quanto l'informazione sul complesso aramaico sia indispensabile per giudicare di persiano medievale. Aggiungi che ,ma certa esperienza di critica linguistica nei settori medio- e neoindiano è proprio quel fastigio che corona la dottrina che sta alla base dell'opera presente. Sottolineo che nel dir ciò ho a reato di usare espressioni contenute. Nell'apprezzare le conoscenu linguistiche non mi riferisco ovviamente a quella polimatia plurilinguistica che si realizza molto sporadicamente in individui eccezionali e che lascia stupefatto ognuno, specie se tanto sapere pratico ha per oggetto il mondo orientale. il mio riferimento è a quell'esperienza storica su/l'evoluzione di una pluralità di lingue (nonché culture e scritture), spmo tra di loro interferenti, ne/l'ambito di grandi famiglie ge1ualogiche, la quale esperienza, sul versante occidmtale come sull'orientale, è appunto quella esclusiva che caratteriua il glonologo di vaglia. Ometterei forse di ricordare uno fra i molti valori del libro se non mggerissi al lettore di porre la massima attmzione a quanto la teoria dell'indoeuropeo ricostruito guadagni da questa vasta esplorazione su vari aspetti del modo in cui l'iranico ha elaborato l'eredità preistorica. L'area iranica risulta essere forse quella nella quale più che in altre la mobilità antica di certe parti componenti radicali emerge con maggiore evidenza, laddove il sanscrito in Oriente e gran parte delle lingue indoeuropee di Occidente mostrano di avere irrigidito alquanto la struttura delle radici privilegiando di caso in caso una fra le varie possibilità fonnali che si presentavano. Provengo da nobili e vigorose radici che attecchirono e molto produssero nel campo del/'indoettropeistica occidentale e orientale, e mi sono adoperato qual ramo a non far cessare il salire della linfa verso le alte e più .fresche estremità. Adesso mi rallegro del fotto che frutti copiosi fanno al ramo ombra gradita. Walter Be/ardi
AVVERTENZA PER IL LETTORE
Com'è noto, le lingue iran iche, dalla fase antica a quella moderna, mostrano documenti redatti in una grande varietà di tipi di scrittura. In questo lavoro, onde ridurre al minimo indispensabile la riproduzione dei ca ratteri originali dei molteplici tipi di scrittura, farò ricorso a sistemi di traslitterazione e di trascrizione dei quali è opportuno dare conto fin d'ora. Per quanto riguarda la simbologia tecnica grafìco-fonetico-fonemarica propria della linguis tica, si terrà prese nte che le pare ntesi quadre racchiudono trascrizioni fonetiche scritte in caratteri "tond i" (" Roman", "plai n"), le sbarre oblique a destra racchiudono in tondo le uni tà fonema tiche, le parentesi graffe racchiudono in corsivo (" lralic") le letture interpretative forni te dai lessici orientali indigeni, le virgolette doppie a fil di rigo {i cosiddetti caporali), infine, racchiudono la traslitterazio ne, che aspira ad essere una specie di conversione formale della scrittura originale. All'uso, ad ogni modo, delle sbarre oblique, per indica re i valori fonema tici, si rico rre solo in quei particolari casi nei quali sia necessario evidenziare tale fo nematicità; altri menti si fa uso - come è comu ne abitudine - del corsivo puro e semplice. Con il simbolo V, in un co ntesto in corsivo, indico un fonema vocalico breve qualsiasi; co n il simbolo V la rispettiva lunga. Presenteremo i due simboli in tondo, tra caporali, quando vorremo riferirci al piano grafico, Analogo discorso vale per il simbolo C che indica, qu ando è corsivo, qualsivoglia fonema co nsonantico, ovvero'. qu and o è in tondo fra caporali , qualsivoglia lettera consonanc1 ca.
IO
A1111ertenza per il ltttor1
Adoperiamo il termine "vocale", secondo la tradizione maggiori taria, per indicare foni che costituiscono centro di sillaba; "semivocale", invece, per quei foni del tipo [y] e [w] che, pur presentando lo stesso luogo e lo stesso grado diaframmatico delle corrispettive vocali - nella fattispecie, [i] e [u] - , non costicuiscono centro di sillaba in quanto privi di tenuta. Dal punto di vista indoeuropeiscico, però, le semivocali w e y sono qui chiamare spesso "consonanti" perché possiamo presumere che, in fase preistorica, esse svolgessero una funzione fonema tica analoga a quella delle altre consonanti, salvo acquisire in particolari contesti una propria tenuta articolatoria, in vista di una funzione "vocalica", da intendere, però, come tale solo sul piano prosodico. Abbiamo evitato di impiegare il termine "vocale d'appoggio" al posto di "semivocale" perché non è legittimo chiamare "vocale" un fono che sia privo di tenuta articolaroria. Per la rappresentazione delle semivocali palatale e labiovelare, spesso indicate rispettivamente negli scudi di linguistica con i simboli i e y., qui sono utilizzati - come abbiamo appena visto - i simboli y e w (rranne quando siano ci tate forme così co me sono state scritte da altri auto ri). Nel caso del fonema consonantico labiovelare /w/, attribuibile all 'indoeuropeo e all'indoiranico preistorici, adopererò il simbolo grafico w, ma ricorrerò al simbolo u quando sia opportuno evidenziare la funzione prosodica vocalica della suddetta consonante preistorica. Analogamente ricorrerò al simbolo w nella rappresentazione di forme del protoiranico ricostruito, nonché per le lingue iraniche medievali. Per qualcuna, però, converrà fa re una eccezione: dato l'uso di un a scrittura di tipo brahmi per i testi catanesi, il grafema che rappresenta /w/ verrà trascritto con v, visto il modo usuale di rendere tale grafema brahmi. Le lettere i e u res tano in uso per indicare l'elemento periferico dei dittonghi persiani amichi e avestici. Per le scritture iraniche medievali di origine aramaica, adorto una traslitterazione di tipo interpretativo 1 . Ai fini della presence 1
Come è noto, anche le scritture d i tipo brahmi sono d i o rigi ne
Àlllltrtenutperiilertore
Il
indagine, infatti, non sarebbe vantaggioso riprodurre la gra fi a degli origi nali con un sistema di "traslitterazione neutra", del tipo di quella già usata dal Barcholomae per il pahlavico di problematica lettura. Una "traslitterazione neutra" risulca utile soltanto quando si voglia forn ire una immagine, per così dire, "fotografica" della forma grafica originale, senza impegnarsi in una preliminare interpretazione di segni grafici polivalenti. Per esempio, la grafia monogrammatica pahlavica li"' , risultante dal legamento del segno ..., e del segno 1, si pocrebbe rraslirrerare, in modo neutro, «an>1 , cioè attribuendo arbitrariamente al primo segno plurivalente .,., uno dei suoi molti valori (u\i cioè alif. e poi 11h», «x» etc.), vale a dire quello di alif da rappresentare con la lettera c(a», e attribuendo al seco ndo segno \, egualmente plurivalente («n», «r>1, «w», «u>1 etc.), uno dei suoi possibili valori, nella fattispecie quello di «n». Nel caso del problema trattato nel presente lavoro, però, sarebbe fuor di luogo produrre fo rme grafiche senza avere in precedenza stabilito che cosa co n esse gli scribi abbiano voluto effettivamente rappresenta re. Per ta le morivo non mi atterrò, nel caso del pahlavico dei libri, all'abitudine di traslitterare la grafia I;"' mediante «hw» quando, in realtà, in base alla comparazione linguistica interna all'a rea iranica, bisogna leggere xW. Una traslitterazione del tipo ((hw)) per un I;"' che è da leggere xW sarebbe, per altro, fonte di grave confusione aU'i nrerno di una trattazione come la nostra, nella qu ale il problema del rapporto da istituire era la realizzazione fonematica */xw/ e le realizzazioni delle sequenze */h(u)w/ - / hu(w)/ - /hw/ occupa per l'appunto il posto centrale. Il mon ogramma pahlavico I;"' , nella grafia pazand elaborata in epoca sasa nidica per redigere per iscritto il resto avestico in antecedenza tramandato oralmente, è stato assunto allo scopo di rappresentare il fo nema fricativo sordo labiovelare fxw/ dell'avestico, che noi, seguendo la trascrizione usuale, rendiamo con xv. aramaica. Però nel tipo brahmi la polivalenza dei grafemi è minima; in più c'è s1a1a una incegrazione di segni per indicare le vocal i.
12
Awtrunza pt r il lettou
Nel rispetto della più amica tradizione degli studi avestici (a parte, perciò, quella tradizione più recente che si rifà a K. Hoffmann) i due segni consecutivi avestici )) - che compaiono quasi solo all'interno di parola e che sono rraslitterabili come .cu u» sono qui assunti, sul piano della trascrizione, come fossero un grafema unico. T aie grafema, convenzionalmente unico, viene trascritto qui con la lettera corsiva v. Questa trascrizione non crea co nfusione con la trascrizione v di b in quanto quest'ultimo segno occorre soltanto in posizione iniziale di parola, laddove i casi di «uu» all'iniziale di parola sono estremamente rari. Il simbolo w resta a trascrivere - secondo l'uso del Banholomae - il segno e,j che rappresenta la spirante bilabiale sonora /~/ (da certuni resa con /3 ). Va da sé che tale tipo di trascrizione di «uu» con v è ben lungi dall'essere interpretativa della proteiforme realtà fonematica avestica, che ha subìto varie evoluzioni e va ri adattamenti lungo il corso della storia. Analogo discorso va fatto per la trascrizione con w rappresentante/~/. Anche K. Hoffmann adopera la lectera v, ma solranro ad esponente, sia nella trascrizione xvdeJ segno avestico ;,u (vedi supra), sia nella trascrizione IJv del segno avestico~• da lui inteso come rappresentazione di una "nasale tettale labializzata". K. Hoffmann ha richiamato l'attenzione sul fatto che la scrittura «uu » deve rispecch iare una tradizione della recitazione avestica cronologicamente seco ndaria , condizionata daila fonologia persiana di epoca sasa nidica (cioè di quell'epoca e di quell'area che videro l'elaborazio ne di un sis tema g rafico - esempl ato su quello in vigore per il pahlavico - per menere per iscritto l'Avesta). In tale contesto fono logico sasanidico, uuu)) avrebbe rappresentato - secondo K. Hoffmann, Avesta-Schrift 1971, p. 323 - la pronuncia sudoccid entale /uw/ (K. H o ffmann scrive /uu/) d el1' encicà fono logica avestica orientale /w/, in posizione postconsonanti ca, intervocalica e iniziale. La prassi di rendere )) co n «uu», introdotta da K. H offmann, se è fondamenta le per una edizione critica che volesse rappresentarci l'archetipo di età sasanidica - ma si noterà che questo srudios? es.rende spesso, in sede di trascrizione, l'impiego di uu all'avesuco m genere, al d i fuori di ogni precisazione temporale - , re-
Avwrtmza ptr il !tttort
13
sta estranea all a questione della ricostruzione dello statuto fonologico del pre- o protoavestico. Ai fini della problematica discussa nel presente lavoro, la quale non concerne la facies sasanidica dell'archetipo "testuale" (seri no) avestico ma la facies iranica originaria che deve essere stata alla base della lingua avestica orientale, ciò che interessa è stabilire se a fronte del valore / uw/ segnato dalla grafia «uu » sasanidica sia d a porre in una fase originaria un 'unica realtà fonematica •Jwl (ammessa del resto dallo sresso H offmann , che la rende con y) oppure anche altre realtà, com e •fu(+ V)/ o */u + w (+ V)/, o ltre che */w (+ V)/. Data la plurisecolare tradizione della lingua orale avestica, che avrà conosciuto lungo la sua periodizzazione vari tipi di influenze dialettali, con ricadute sul piano fonologico che non conosciamo perfettamente, dobb iamo limitarci a ricorre re a espedienti conve nzionali per "scrivere" la realtà fonematica avestica sfu ggente, a noi nota solo attraverso la rece nziore grafia pazand. Nella prospettiva globale della storia cieli' avestico, canto la proposta del H offman n di ricorrere alla scri ttura uu, qu anto l'uso più antico di scrivere v, si eq uivalgono, fermo restando il facto che né l'una né l'altra resa grafica possono essere impiegate quando ci si voglia impegnare sul piano della ricostruzione degli ancecedenci fo nematici iranici antichi, da postulare alla base d ella faci es orientale primigenia dell 'avestico. C irca il profilo specifico proprio di alcune particolarità fonologiche del periodo pregrafico dell 'avesti co, è chiaro che è difficile emettere giudizi e p rocedere a precisazioni , visto che dell 'avestico conosciamo soltanto la fase sasanidica. Si terrà presente che nell'ambito del neopersiano la semivocale labiovelare è pervenuta precocemente all o stad io di fri ca tiva labiodenrale sonora, onde qui - limitatamente alla fase moderna si impone l' imp iego del simbolo v. Simile discorso va fatto pe r il sanscri ro, nel cui caso la tradizione d egli studi ricorre sempre e soltanto a v, ma per pura conve nzione. Nel caso dei caratteri d ell 'alfa beto arabo-persiano, farò ricorso al seguente sistema di traslitterazione, il quale in gran parte ri-
14
Awtrtmza per j/ kttort
Awtrttnza per il lettore
..
flette modalità correnri fra gli orientalisti:
~
.,,
alif h> pll
· b p I
d
j (= [J]) e(= [t])
(.
h•
h
t
d
c. c.
1• jlm
j
d•I d•l r> z>
j
u
; .)
..,..
.;. ~
sin !In s•d
.b .b
t
"
.o,
,.,,.
d d
dad
. t•
ayn
t
gayn ._; fa
" e!
~
J
",
Q
g
nO.n
f q k g I m n
waw
w
q•f kaf gaf 1am mim
(neopers.
mod. v), ù h(l-r), -0 tà marbùça -r y, I r• h•
rispetto a (< f} » che figuri in una delle due sequenze «11uh» o «qhw. Mentre, però, nei casi sopra citati la funzione del trattino diacritico è quella di dar luogo con il minimo sforzo creativo a una "lettera" nuova per individuare un 'alterità fonematica e/o fo netica, nel caso di 11:f}v » l'es pediente è servito soltanto a rendere più breve e più rapida la scrittura di una sequenza che altrimenti sarebbe di
28
Parte I.i - Up. Il
un maggior numero di lettere. Considerato che raie l ( = 1' 'forza virale' e l"1.>' 'esistenza, vira, mondo', entrambi trascritti usualmente ax"', si deve tenere presente che essi corrispondono rispettivamente a l) avcst, ree. 2 a-hii- fcmm. 'forza virale' (cf. AirWb. col. 283; vedi anche col. 111 , s.v. ree. a-qhva-, gat. a-hviJ- fcmm. 'Antricb dcs Willcns, Schaffcnsdrang, Lebcnskrafr'), e a 2) avcst. gar. e ree. aqhav-lahu- 'esistenza; mondo' (cf. AirWb.
col. 106). In base a queste corrispondenze ritengo di potere affermare che si tratti non di fo rme linguistiche mcdiopcrsianc schicrtc ma di pure e semplici crascri1.io ni-adattamcnri pahlavici di avcst. a-ha- e ahu-. Delle forme pah lavichc in questione non si hanno continuazioni nel neopersiano; per l"'i.J' 'esisrem.a, vita, mondo' in pai.and ricorre la scrittura-lettura OX; in un caso (Frahang i pahlavlk, cod. P, fol. 7 a} compare la scrinura-lenura axWi (cf. Nyberg, Manual Il, 1974, p. 39). Nel suo complesso, la documencazione ci aurorizi.a. a ritenere che i sacerdoti 1.0roastriani leggessero la trascrizione pahlavica KJ-' come se fosse una forma realmence persiana concenente una fricativa labiovelare sorda in posizione finale, vale a dire come axw. Taie axW - dato il precoce sviluppo, in area persiana, di -x"' in -x, previo oscuramento della vocale precedente - veniva assimilato alle altre forme mediopcrsiane contenenti -x"' e, dunque, veniva coerentemente !erto Ox. Per quanto riguarda, infine, il composto pahlavico dolaxW {«dwSxw.}, man . pers. d61ox («dwJ{w)x») 12 , possiamo osservare che anch'esso rappresenta la "persianiuazione" del composto avesc. daoiahva- 'inferno', con la sostituzione di -1sud-occidenrale a -Z- e con la consueta trascrizione di avest. ahvaactraverso il pahl. KJ-'• leno axW e, pcnanto, ulteriormente trasformato in dx. Anche nel caso di pahlavico dolaxW, manicheo doJox non esistono conti nuazio ni in neopersiano. Il neopersiano ant ico dòzax (arrestato in FirdOsI) - doiax, infatti, è da considerare un impresrito di origine settentrionale (si veda man. pare. «dwjx• doiax ); sulla provenienza senentrionale delle forme neopersiane in questione cf. Lenrz, Nordiran. Elnneme 1926, p. 286, nr. 68. 12
Boyce, Word-Lisi 1977, legge duJox.
33
Tra le forme che presenrano -l}hv- possiamo ci rare anche le seguenti . 14) Ree. haptal}hum ' un settimo', accusar. sing. neucro pre-
sente nel Frahang i oim, I (cf. AirWb. col. 1766, s.v. haptahva-
•Siebentel'). 15) Ree. ptll)ttll}hum ' un quinto', accusar . sing. neutro, presente in Frahangi oim, I, Yasn 19, 7, Vicùvdiit6 , 32 e 16, 2 (cf. AirWb. col. 844, s.v. ptUJtahva- 'Fiinftel'; tale forma deriverebbe, secondo il Barcholomae, da un ario *paIJkrasua-1 3 ). 16) Ree. afttll}httm 'un ottavo', accusar. sing. neutro presente
nel Frahang i oim, I (cf. AirWb. col. 262, s.v. a!tahva- 'Achtel'). Le ultime ere forme sopra ci tate occupano un posto a parte, in quanto esse, molto probabilmente, rappresentano - come vedremo nel § 12.4 - dei puri e semp lici rifacimenti analogici creati su l modello di avest. ree. Brilva- ' un terzo'.
13 Su patJlal]hum (accusat . sing. masch. ) ' Fiinfrcl' vedi anche .Rei:hch, P; 62, § J 16, il quale: propone , come il Bartholomac, la dcnvaz1onc d, ~paqtah11a- da una protoform a aria •paq*taJJ!ll· .
CAPITOLO III
3. le ipotesi circa le alternanze xv __. hv- e-xv_,.., -hv-- -f)hv- (,...., -~uh-- -~' h-). L'alternanza avesti ca x'I-- hv- è stata spiegata in modo vario. Queste due differenti realizzazioni fonematiche sono state valutate o come riflessi di fasi diacroniche diverse inrerne all'avestico stesso, o come variazioni concescuali fonotattiche (sandhi di frase) o, infine, co me variazioni diarop iche. Soltanro da pane del Hlibschmann è stara affacciata la possibilità di inquadrare la distribuzione di x"- e di hv- in una prospettiva storico-genealogica. Il suo suggerimento, conciso ed espresso in forma apodittica più che argomentativa, è stato accolto - come vedrem o - solo parzialmen te da alcuni studiosi. Mi riferisco, in particolare, a K. Hoffmann, il quale, però, ben lungi dal rettificare gli aspetti non condivisibili e dal chiarire quelli non sufficientemente espliciti della formulazione del Hi.ibschmann, ha proposto variazioni sul rema tali da inge nerare gravi aporie. Per quanto concerne, poi, la distribuzione di -;:,,JJ- e di -hv- all' interno di parola, per lo più è prevalsa l'i potesi che, dell e due realizzazioni in questione, soltanto una, vale a dire -hv-, rappresen ti il "regolare" trattamento avestico del gruppo indoeuropeo *sw in posizione interna di paro la, laddove x 11 costituirebbe il "regola re" trattamento avestico del gruppo indoeuropeo •sw in posizione iniziale. Da tale assun to alcuni hanno ded o tto che le form e le quali mostrano -x 11- in posizione interna sarebbero da considerare alloglotte. Più precisa mente, si tratterebbe di forme prese in prestito dalla lingua aracos iana, cioè dalla supposta va rietà lin guistica iranica dell 'Aracosia antica, la quale varietà sarebbe stata caratterizzata dalla presenza di -x11- anche in posizione interna. A complicare il problema interviene la presenza, accanto a -x"e -hv-, delle sequenze "nasali" o "nasalizzare" -IJhv-, -I]uh- e -1,Vh-,
37
Parte li - Cap. lii
Lr i'potni circa k alurnanu xv __ hv- rtc.
valutacc da alcuni come sviluppi "recenti" di -hv-, da altri come possibili sviluppi "recenti" tanto di -x"-quando di -hv-.
poi discesa la fricativa labiovelare del mediopersiano: .ciran. * Cy, •Cv> ap. /Cii/, /Cuu/, aber dial. "Ci, •Cu, deshalb iran. "hv > ap. /uu/, aber dial. 'hu > mp. xw [... ]• (Cl./. 1989, p. 87, § 2.3 .2, 2). In sintesi, secondo lo Schmitt anche il mediopersiano xU' sarebbe il riflesso di un protoiranico *hw mantenutosi come ra1e nel persiano amico accanto alla variante diatopica /uw/, testimoniata dal persiano achcmenide.
36
3. l. l 'ipousi che l'avestico xv sia sviluppo de/l'avestico hv.
L'ipotesi esplicativa che ha avuto più fortuna di tutte è quella secondo la quale l'avest. hv rappresenterebbe l'immediato anteccdenre della fricativa labiovelare x 11• La compresenza, nel corpus ave.stico, delle due realizzazioni hv e x" mostrerebbe, pertanto, la convivenza di due realizzazioni fonematiche appartenenti in origine a scadi cronologici diversi: al più antico apparterrebbe hv; a uno più rece nte x'I. Fra i seguaci di raie ipotesi possiamo menzionare il Horn il quale non trova, ad esempio, alcuna diffi coltà ad ammettere un confronm tra: ,aw. hvilpah- 'wohltiitig'; pahl. x"ap bezw. XfiP, xuplh; ai. svdpas-• (Etymologi, 1893, p. 11 I. nr. 503). Analogamente il Geiger, in vari luoghi del Gnmdriss I, 2, dà per scontato che gli allotropi avestici hrr-- x"- rappresentino, risperrivamente, la continuazione e lo sviluppo di un protoiran. *hw-. Si veda quanto il Geiger afferma nella breve sintesi da lui dedicata, nel Grundriss, ai dialetti del Pamir ("PD."): ,Dic an lautende G ruppc hv (aw. hv- x"-, ap. hr,v-, np. x"-) wird in dcn PD. zu xx • (GirPh., I, 2, p. 307, § 34, 2). Sulla medesima linea sono da collocare le seguenti annotazioni del Geiger: .Anlaurendes urir. hv (aw. x") = ar. sv erscheint als v oder nv [scii. in pasto], das dann weiterhin in nm und m i.ibergehen kann; so ist nvar 'Sonne' (daneben nmar) = aw. hvar-, vur 'klein' = aw. x"ar3ta-, np. xurd » (GirPh., I, 2, p. 208, § 3, 5); ,Urir. hv (= ai. sv-, aw. x", ap. huv-) isr verrre ten [scil. in baluci] durch v-, vor i-Vocalen durch h[... ], (GirPh., I, 2, p. 236, § 3, 4) . Lo stesso punto di vista traspare, ancora, da una brevissima osservazione del Benveniste circa i1 gruppo « hv-, devenu de bonne heurc xv-, (Meillct-Benveniste, Vimx Pm, 1931, p. 88, § 144). In tempi recenti , l'ipotesi in questione viene accolta anche da R. Schmitc, il quale sostiene, con riferimento al persiano amico, che l'iranico • hw si sarebbe trasformato, nella lingua delle iscrizioni achemenidi, in /uw/, mentre si sarebbe mantenuto come raie in alcune varietà dialettali. Da questo * hw dialettale sarebbe
Possiamo presumere che l'assiomatica asserzione, fin qui illustrata, che la sequenza hv attes tata dall 'avestico rappresenti la co ntinuazione di quello che i più hanno supposto essere il più antico esito protoiranico del gruppo indoeuropeo preistorico •s·w- vale a dire, */hw-/ - sia scatu rita con immediatezza dalla identificazione formale che alcuni studiosi hanno ope rato fra l'avestico hv e il gruppo protostorico * /hw/ da essi ricostruito. L'ipotesi che l'esito iranico primario di *sw- sia stato un *hw poggia evidentemente sulla consideraz~one c_he il nor_mal~ esiro proroiranico di indoeur. *s è /h/. Tale 1potes1, pe~ò, c1_rca 11 trattamento più antico di *sw-. non è supportata dat dan della documentazione iranica. A questa ipotesi fa ostacolo, già ~ p_rim~ vi~ta, i~ facto_che ~a fricativa xU' presenti, nell 'area lingu1suca 1ra01ca sta anuca, sia medievale, sia, soprattutto, moderna, una diffusione cosl amp ia da far pensare che raie fonema sia da considerare paniranico e pertanto originario. Non è, comunque, opportuno esprimere giudizi sulla base di generiche e immediate int~izi~ni. L'attr!buzi~ne di un prototipo fono logico alla fase proto1ra01ca deve, mfam, esse_re fondata su coerenti parametri di valutazione dei dati emergen ti da una co mparazione interlinguistica interna all'area iranica, _co me cercherò di mostrare nel corso del presente lavoro. E propno alla mancata definizione di una corretta metodologia comparativo-ricostruttiva è da imputare il facto che non si sia ancora pervenuti, a tutt'oggi, ad una spiegazione soddisfacente dell'allotropia iranica qui in oggetto.
38
Partr I.i - Up. Ili
3.2. L 'ipotesi di Ch. Bartholoma,. Nel vol ume I, 1 del Grundris, der iranischm Philologie il Barrholomac prospettava, a p. 37, uno sviluppo daJl'ario *sw-, iniziale di parola, al proroiran. * hw-. Tale gruppo risultante si sa rebbe trasfo rmato, a sua vo lta, all'inizio di frme, nella realizzazione monofonematica allofonica *x"'-: «Dic uriranische Anlaucsgruppe hu- (aus ar. ff!-) wurde im Saczanlaut zu einem cinfachcn Laut umgestalcet, und zwar zu ei ner labialisierren tonloscn gurrura lcn Spirans: x"-, wiihrend hy- sonst erhalcen blieb, . A raie supposta alte rnanza condizionata proroiranica. * /hw-/.,.., */xw-/ il Barrholomae riteneva di potere riportare il "no rmale" scambio fra l,v-,.,.., xV-preseme in avestico. In realtà l'avestico non ci testimonia - lo ammetteva il Bartholomae stesso - il tipo di sandh i di frase che avrebbe dovuto determinare, a suo avviso, l'emersione di xu-. Infatti, come lo studioso metteva in eviden za, illustrando i fenomeni di sa ndh i di frase in avestico, sia nell'avestico sia nel persiano antico achemenide, diversamente da quanto avviene in indiano antico, tutte le paro le, "provviste di accento proprio", so no sc ritte separatamente. Secondo il Bartholomae sarebbe stato possibile, in ogni cso, affermare che esse manifestano, di norma, la stessa forma fonetica che hanno o all'inizio o alla fine di frase. Solo raramente esse mostrerebbero la forma fonetica che si è sviluppata in determinacc posizioni incerne alla frase. A p. 180, § 304, del GirPh. I, 1, il Banholomae ribadi va questo co ncetto (da lui già espresso a p. 177, nell 'introduzione alla trattazio ne dei fenomeni di sa ndhi in avestico) : «Dic Verschmelzung der WOner im "Sarz" zu ciner "geschlossenen phonetische n Einheit'' [. .. ] ist, sofern es sich um "selbscandig accentuirte WOrcer" [ ... ] handclt, in der Schrift nur sclten zum Ausdruck gekommen . Die Regel ist, dass alle Worrer die Lautform dcs Satzan- und auslauts aufweisen,. . Lo studi oso pensava di poter dedurre i fenomeni di sa ndhi, che si sa rebbero dovuti verificare, a suo avviso, all'i ntern o di frase, dai fenomeni di co ndizionamento fonetico che si possono osservare in posizione interna di parola. Perciò il Bartholomae, partito dall'assu nto che l'avest. hv fosse da ass umere co me l'esito tipi co di ario .. stu all'interno di parola, giungeva a concludere che
Lr ipotni cim1 k alurnanu xv__ hv- eu.
39
hv- fosse l'esito tipico di ario •sw anche in posizione iniziale di parola all'interno di frase 14 . Visto, però, che esistono di fatto, in avestico, fo rme le quali presentano al l'i nterno di parola un -xu-, il Barrholomae pensava di poter aggira re l'ostacolo ammettendo che fra le due realizzazioni fonematiche iniziali di parola hv- e x 11-, quella monofo nematica x"- si sarebbe estesa, dalla posizione iniziale di parola (e origi nariame nte di frase) , anche all 'interno di parole non composte: «Der im Anlaut normale Wechscl zwischen hy und x" ist auf dem Weg der Nachbildung auch in den Jnlau c - nichrcomponirrer Worter, [... ] - gelangt• (p. 37) . Data questa interpretazione del Ba rrholomae, so rprende il facto che nel quadro del sistema fonematico proroiranico ('' uriranisch") che lo studioso fornisce a p. 45 e sgg., al nr. 12 sia registrato, come esico deU'a rio e dell'indoeur. *sy,-, soltanto il pro• toiran . */xu/, senza che alcun accenno sia fatto al gruppo pro toiran ... hy,-. La discrepanza rilevabiJe fra la situazione che il Bartholomae prospettava nella rappresentazione tabulare di p. 45 dove attribuiva al protoiranico la labiovelare x"- - e quella che egli prospettava a p. 37 - dove proiettava in fase proroiranica un gruppo iniziale di pa rola .,, hu-, del quale la spirante gutturale sorda •xw. sa rebbe stata una va riante fonotattica sincronologica per effecco di sand hi (incipic di frase) - pocrebbe essere giusrificata se si prendesse in considerazione il dato che nel sudd en o quadro del sistema fonematico proroiranico il Barrholomae collocava soltanto realizzazion i monofonematiche. Tunavia il Bartholomae avrebbe dovuto, se non altro, ricordare nel quadro l'alternanza tra "'/xw / e • /hw/. Per quanto concerne, po i, la grafia avest ica «huu1>, impiegata per segnare il gruppo / hw/, essa sarebbe stata in realtà, per il Bar• tholom ae, plurivalente. Oltre al suddetto / hw/, in alcuni casi, in• facci, essa avrebbe reso un /huw/. In GirPh. l, I, p. I 66, § 286, a, 14 Dobbiamo ~rt3nto ritenere che, nella prospettiva dd Banholomae, le parole avestiche inizianti con hu· rapprcscnri no, in realtà, una del le poche cc• cezioni alla norma secondo la quale le parole - una voha irrigiditesi in una forma unica - man ifesterebbero usualmente l'aspcno che esse un 1empo .1.vevano assun to all 'i nizio di frase e non all'interno della medesima.
40
Parre I.i - Ulp. Ili
e p. 167, § 286, annotazione I, lo studioso osservava che la grafia 1(-huua» del locat. plur. deve da per tutto essere assunta con il valore di -huwa. Ad esempio, il «-huua• dell 'avcs t. ree. yiihva ' b proto ir >
"hw
iniziale > >
aracosiano avestico
.J,
XW•
-XW.
xw-
-hw(-xw- < Ara.cosia)
avest ico rece nte •suw (atono)
>
interno
-hw- > • f'Jwh-
huw > (a.tono)
.J,
>
.J, huw (tonico) >
aracosiano avestico mediopcrs.
XW•
huw- (atono) (xw - < Aracosia)
-huw-
XW-
Nel complesso la fo rmulazione di K. Hoffmann ap pa re poco convincente rispetto a quelJa di H . Hiibschmann. Anzitutto sorprende il farro che egli abb ia equivocato sull 'accentazione di una particolare fo rma indiana ancica, che svolge un ruolo significativo nella comparazione indoiranica del materiale in quest io ne. Inesistente è, infatti, la fo rma ved ica suvdr, sulla quale K. Hoffmann si poggia per gi ustificare l'esistenza, nel protoindoiranico, di un a sequenza *suw- co n w sillab ico atono, donde sa rebbe d isceso un protoi ran. *huw-parimenri atono . Nella realtà dei fa tti, vista la grafia tradizio nale indige na indi an a, e recepita l'interpretazione cano ni ca presentataci dal Wackernagel (Altind Gmmm., I, p. 287, § 246 b) , dobbiamo ritene re ch e lo svàr bisillabico del Rig Veda fosse realizzato come sUvar e non come •suvdr. Non si comprende, per al tro, perché, secondo il H offm ann, da un *huw- protoiranico, divenuto (altra ipotesi ad hoc) *hUwtonico, si sia dovuta e potuta svilu ppare, nella fase persiana medievale, una realizzazione fonematica lab iovela re in posizione ini-
50
Paruli- Ulp.111
zialc in xwrxfyd, un derivato "secondario", secondo lui, sostitui tosi a un più antico "'hzltJar xiaitam, che a sua volta sarebbe da considerare secondario rispetto a un più antico • huydr xlaitam 22 . Inoltre, K. Hoffmann è incorso - a mio avviso - in un atto di omissione metodologicamente non proprio corretto, in quanto non ha messo in relazione reciproca i dati dell'avestico e del persiano. L' unico confronto avestico-pe rsiano che egli ha ope rato quello, cioè, sopra menzionato, fra mediopcrs. xwrxfyd e avesr. hzmar3Xlalt3m - risulta viziato da petizioni di principio cd ha sortiro, perranco, risultati inaccectabili. t:, infatti, impossibile concludere con K. Hoffmann che la labiovelare presente nella parola mediopersiana per "sole" xwarx!id, ad esempio, sia da considerare secondaria perché a raie parola non corrisponderebbe, in avestico, una forma iniziante con x"bensl una con hv- (scii. huuarZ(fait31n). Innanzi rutto, come è ben noto, il persiano non ~ una continuazione dell 'avestico; in secondo luogo esistono all'interno dell'arca iranica, per il nome del sole, ora forme che si accordano con l'avestico ora altre che vanno d 'accordo con la forma dell 'area persiana. Chiara manifcs,azione della debolezza della ipotesi di K. Hoffmann è il fatto che per spiegare due occorrenze del medesimo 22 In ve rità K. H offman n aveva espresso nel 1967 (in !dg. Tùmamm) un 'opinione diametralmente opposta e, ~nz'altro, meno infondata. Per spie • gare le due forme avestiche huunNe x 11Jqg, rispc:nivameme nomi nativo/ ac• cusativo e genit ivo del termine per "sole", egli si appellava a due protoforme d ist inte le quali sarebbero state caratterizzate oltre che da una variazione te~ matica anche da una diversa collocazione dell'accento: · hUwar(• ved. sU11ar, svàr) e •huwJqh (< ario ~suwd1u). L'atonia di huw• nella seconda forma avrebbe dato conto del perché il genitivo •xuwJqg, bisi ll abico nel gatico, sa• rebbc divenuto monosillabico nella recitazione posnaratustriana delle Gatha e del perché in conformit·à a tale pronuncia monosillabica si sarebbe fissata l'ortografia x"Jqg traslata anche ai testi gatici. Sul problema della bisillabicità di x'lk]g in gacico sono tornati più di recente alcuni !aringa.lini; vedi, infra, il
§ I 1.4.
51
tipo articolatorio labiovelare xw in x"J"J]gdeU'avestico e in xwarxllt del mediopersiano, egli sia stato costretto ad avanza re due spiegazioni diverse: nel caso della forma avestica si tratterebbe di un /xw/ preso in prestito dall'aracosiano; nel caso della fo rma mediopersiana si tratterebbe di una labiovelare secondaria dovuta al passaggio di */huw/ iniziale di parola da atono a tonico. Purtroppo, canto l'imprestito, quanto lo spostamento delJ 'accenco ~ono fatti immaginati ad hoc e non dati di riscontrabilità oggemva. Riguardo all'ipotesi dell 'imprestim da parte dell'avestico, basterà dire che, per formulare una tesi simile, bisognerebbe prima disporre di documenti aracosiani che ci dicessero qualcosa sulla situazione fonologica di quesra parlata. Estrapolare aspecri di un sistema linguistico, altrimenti ignoto, da aspetti fonologici di forme di un 'alrra lingua, alle quali si attribuisce se nza motivazione alcuna lo statuto di imprestiti, è una procedura metodologica la quale appare più un giro vizioso che una dimostrazione (si ricordi il ben controverso e deludente caso del "pelasgico" estrapolam dal greco antico). Inoltre, se, da un lato, rispetto al tema allotropico avestico x"an- per "sole" con labiovelare iniziale, non sembra che esistano riscontri nel resto dell'area iranica (le forme ossete dig. xonsare ir. xussar "Sud" continuano un proroiran. *h(u)wan-sar-), dall 'altro nell' intera area iranica sono ben documentati i riflessi dell 'allotropo originario protoiranico /xwar/ con labiovelare. Di questi numerosi riscontri iranici K. Hoffmann, nel proporre la sua spiegazione ad hoc per il mediopersiano xwarxlit, non ha tenuto conto. Infìne, in una prospettiva largamente indoeuropeisti ca, nella quale l'alternarsi di un tema in -n- e di un tema in -/- nel nome del sole è completamente pacifico, non c'è alcuna ragione per supporre che i due membri della coppia avestica hvar-/x"an- no n continuino direttamente questa antica, preistorica, allotropia. E d 'altra parre, poiché è ben documentato che nel nome indoeuropeo d el "sole" il segmento sintagmatico iniziale non era rigidamente strutturato nella forma biconsonantica *sw. .. , eleganza ed economia dell 'argomentazione glortologica pretenderebbero che
52
Paru I.i - Gtp. lii
l'oscillazione nella parte iniziale delle forme avestiche per Hsole" fosse ricondotta proprio a raie stato preistorico di non rigida configurazione. Del che parleremo am piamente più avanti (si veda, in particolare, infra, il cap. Xl). Se K. Hoffmann non ha proceduto a una comparazione sia endoiranica sia indoeuropea, ciò forse è dipeso dal suo presupposto indimos trabile che l'allotropia avestica hvar- - ~fin- s ia di origine diaropica. A tale divisamento è stato spinto molto probabilmente dal farro che, dal suo punto di vista, sarebbe sraco inconcepibile ammettere che un determinato rema o una determinata radice paressero prese ntare, in fase protostorica, realizzazioni prosodiche diverse. Ma, come abbiamo già detto, quest'ultimo è un preconcecto non condivisibile. I diversi tipi di prosodia, che le lingue st0riche attestano, ci autorizzano, infa tti, a proiettare nel tardo indoeuropeo preistorico la tendenza a realizzare prosodicamente in modo diverso strutture radicali e tematiche contenenti consonanti, come [w], predisposte per la loro struttura fonetica ad assumere su di sé l'apice di sillabicità e a funzionare, quindi, come vocali.
3.4.2. La qumion, &kilt nasalizzazioni. Circa la questione delle nasalizzazioni, K. Hoffmann (Avest. va~huui= 1976, pp. 595-599) parte da alcune premesse. Il protoiranico ("Uriranisch'") avrebbe avuto, in posizione interna di parola, due tipi di sequenza come app resso specificato (cf. la tabella sopra presentata); di queste due, nell 'avestico recente, la prima si sarebbe nasalizzata, mentre la seconda non sarebbe incorsa in questo fenomeno:
(I) protoiran. e avcst. ant. -ahwa- (> ree. -aq"ha-); (2) protoiran. e avest. sia ant. sia ree. -ahuwa-. La nasalizzazione della prima seq uenza (da • -aswa-) , avrebbe dovuto dare - secondo K. Hoffmann - regolarmente nell 'avestico recente -aq"ha- (vedi tabella), attribuendo egli al già discusso segno pa.zand 3 la funzione di segnare l'esito regolare della nasalizzazione di /-hw-/. Ma a K. H offmann si presentano anche grafie come tcva11huu~» (invece di • «var,Vhi\ffi») e ttarihuuà» (invece di "«3.fl"h1») .
Lr ipotni dm, kolurnn11uxv•-hv- ttr.
53
Per queste ultime "eccezioni" K. Hoffmann ipotizza allora varie soluzioni. Second o una di queste soluzioni, si sarebbe trattato di "forme miste", nel senso che una nasalizzazione recente si sarebbe impiantata su una realtà linguistica avestica originaria con struttura bisillabica -a-hwn-. Il risufraro sarebbe stato appunto un {sempre bisillabico!) «arJhuua», ben diverso dal "legittimo" ttar,vha« (scii., secondo K. Hoffmann, "legittima" rappresentazione grafica di fariwha/). Sotto l'influsso di quest'ultima presunta "regolare" realizzazione bisillabica, anche il "sud-occidentale" -nl]huwa- sarebbe stato rid otto al bisillabico -al]hwn-. Altre forme "miste" si troverebbero persino nella tradizione gatica. Ad ese mpio gat. (( aojorihuuar:it-» sarebbe un incrocio fra avest. ant. *aujahwant- e ree. ao}aJJ"ham-. La forma " mista" «va11huui1m» rinvierebbe ad un avestico antico• wahwiim non attestato (in Yasna HapttU]hiiiti il genir. plur. suona vohuntpn che è anche una delle forme dell'avestico rece nte) . La seconda sequenza -ahuwa- è ravvisata da K. Hoffmann nei casi di locativi plurali del tipo *damasu+a > ditmahva [damahuwa] (scri tto t1:dàmahuua»). Possiamo sin da o ra osservare che, trattandosi di forma di locativo con -a paragogico, quindi seco ndario, è difficile convenire con K. Hoffmann che la sequenza /huwa/ implicara sia "urirnnisch". Si veda, infra,§ 12. I. Nel complesso ritengo che la complicata ricostruzione delle diverse modalità di nasalizzazione, intessuta dal Hoffmann sulla base dell 'interpretazio ne di convenzioni grafiche non sempre stab ili e coe renti, non raggiu nga risultati di qua lche interesse. L'insieme delle co nsiderazioni di K. Hoffmann non va al di là della pronuncia mediopcrsiana configurata dalla scrittura della redazione sasa nidica dell 'Avesta. Oltre tutto, nel suo discorso, piano grafico e piano fonetico-fonologico non riescono alcune volte a rimanere distinti. Si veda, ad esempio, il passo in cui K. Hoffmann scrive: •uriran . *nhya• als a1J 11hn- (d. h. mir labialisierren rekralen asa l), (Hoffmann, Avest. va~huu~m 1976, p. 595), dove al posto della trascrizione di una realtà linguistica (che, giusta l'ipotesi del Hoffmann, avrebbe potuto essere /ariwha/) figura
54
Parte I.i - Cap. lii
la trascrizione di una realtà grafica. Sarebb e stato utile, piuttosto, indagare se le nasalizzazioni abbiano realmente interessato soltanto il gruppo -hw- - come sembra voler dire il H offmann - o se non vi siano dei casi nei quali si possa affermare con certezza o supporre co n un cerro grado d i probabilità che la nasalizzazione abbia interessato an che la fricativa -Jt!J-(vedi , supra, i numeri 12 e 13 del cap. Il; e per una lo ro discussione cf., infra, § 12.3) . In 1I", in sé e per sé non ci offre elementi per stabilire se la realtà fonematica ecimologicamenre giusta della forma neo pcrsiana sia stata x01 oppure xìi! o, ancora, xwaf : infatti, tanto la grafia del neopersia no quanto quella del mediopersiano manicheo si pres ta no - come vedremo meglio nel prossimo capitolo - a rappresentare tutte e tre le suddette seq uenze fonematiche.
il Noldeke, il Pagliaro («RSO• 1929) e il Wolff ( Glossar zu Firdosi 1935, p. 343 nota), una lett ura alternativa x"'alii 42 (con l'intensa -!I-gi ustificabile a partire dal gruppo protoiranico •-xl-). La ce rtezza, ad ogni modo, che la fo rma mediopers. man. toi:S ,. quella neopers. J.,p iniziassero con xw- ci viene fornita solo dai ,lati della comparazione interlinguistica interna all'area iranica. Come abbiamo già messo in evidenza all'inizio di quest~ capitolo, alle fo rme del persiano corrisponde, nel partico manicheo, l.1 parola grafematica flWXS>t nel cui flWX» iniziale ~ da riconoscere sicuramente, visti i dati del persiano, l'esito maggioritario dell'an1ico X 141 - . Poiché, come abbiamo constatato, nella maggior parte dei casi la grafia pone notevoli problemi interpretativi, ritengo opportuno presentare un quadro dei problemi grafie~ prima di riprend~re il discorso sui risultati ai quali si può pervemre da un lato mediante la comparazione diacronica interna a un determinato sorcogr_u ppo linguistico iranico, dall 'altro mediante la messa a punto d1 una corretta metodologia comparativo-ricostruttiva endoiranica.
78
Qualche suggerimento circa la struttura fonematica di 1(xwS» ci può veni re: I) dalla effettiva forma fonematica della parola nel neopersiano moderno in corrispondenza d ella scrittura flXWS»; e 2) da un 'indagine sull'etimologia della forma in questione. C irca il punto (I) osserverem o che le forme moderne [xc;,!]. [xc;,!:ib] ' brillante etc.' con il loro -p- chiuso(< 1l- breve e aperto) parlano contro la presenza di un [o] nel neo~ersiano an tico. 9.uest' ultimo, infatti, avrebbe avuto, come esao, nel neopers1ano moderno, un /u/. Pertanto l'antecedente immediaco del moderno xo! deve esse re stato xfil. · C irca il punto (2) si noterà che «xWS», data la sua confrontabilità con l'antico indiano sv-ak1a-, deriva, pres umibi lmente, da un indoeur. •sw-ok1up- 'dai begli occhi\ donde l'iranico •xiu-axfi-. La plausibilità di tale eti mologia non entra in crisi per il fat~o che il vocabolo flXwSy», risulta impiegato non raramente m Fi rdùsT per attuare lo schema metrico - - (a pane quattro volte di impiego anche secondo lo schema .. - ). Per rendere conto della prima sillaba lunga di C(xwS)'» in FirdO.sT possiamo ipotizzare, con
79
42 Circa una lettura x"'aII di •xwl•, estrapolata dall'astracco >,~ aJ/l (per cui vedi supra) , cf. H Ubschmann, Swdim 1895, p. 57 e sg., nr. 508.
CAPITOLO V
5. la polivalenza. delle rappresentazioni grafiche della labiovelare sorda fricativa e i riflessi di questa nelle scritture in uso nelle culture iraniche.
Illustrerò, per somme linee, i problemi inerenti alle rappresentazioni grafiche di .xW nei sistemi di scri ttu ra di numerose lingue iraniche. Si terrà presente che, in alcuni sistemi di scrittura, non è facile stabilire se ci troviamo di fro nte alla rappresentazione grafica di una effettiva labiovelare o non, piuttosto, di fronte ad uno sviluppo fonematico di essa. Per la fase antica prenderò in esame solcanro i problemi della po livalenza della sequenza grafica "« u)) + , . Ora, poiché il passaggio, in coranese, delle consonanti fricative *x, •J e *0 in h è tipico soltanto della posizione intervocalica, non c'è motivo di ritenere che in posizione iniziale *xw sia passato in / hw/. Caso mai, ci saremmo attesi uno sviluppo di --x"'- in labiovelare sorda aspirata (*k'w), considerato il fatt0 che, generalmente, le fricative •fx/, */0/ e */f/ dell 'iranico antico approdano, in cotanese, a parte la posizione inrcrvocalica, allo stadio di occlusive sorde aspirate (rispettivamente /k'/ , !t'! e /p'/) per influenza indiana (• under indian influence", Emmerick, Cl.I. I 989 , p. 213 e sgg.). Nel caso di /xw/, però, probabilmente tale tipo di sviluppo non si sarà ver ificato a causa dell'assenza, in indiano, di un parallelo fonema occlusivo sordo lab iovelare. Un'ipotesi probabile, dunque, è che il fonema amico /xw/ si sia mantenuto come cale nel cocanese. Dal punco di vista grafico, in mancanza di un segno specifico per [x]. si sarà fano ricorso alla seq uenza grafica «hv• . Dato, però, che "hv" poteva ess~ re utili~zat0 anche allo scopo di rappresentare un /hw/ fonologico, è evidente che la grafia del catanese non ci è di nessuna utilità per condurre riflessioni circa l'antica allotropia iranica x"' - h(u)w.
5.2.2.2. la rappresentazione grafica di fxw/ nel sogdiano . I cesti sogdiani ci sono tramandaci in ere tipi diversi di scrittura, tutti di origine semitica: la scrittura "sogdiana" propriamente detta, nella quale sono stati redatti i cesti buddistici, lettere, documenti legali ecc., oltre ad una certa quota di cesti manichei e cristiani; la scrittura manichea, che è una fo rma modificata della paJmircna; la scrittu ra siriaca cstranghela, nella quale ci so no stati trasmessi i testi cristiani. A questi tipi si aggiunge un quarto, vale a dire una scrittura di tipo brahmi in un unico frammento. I primi ere tipi di scrittura sopra menzionaci sono accomunati da ambiguità grafiche sia nella segnatura dell e vocali, sia in quella delle consonanti. In particolare risulta problematica la sc rittu ra "sogdiana", la quale rende le fricative sorde /f/, /8/ e ix/ con gli stessi segni impiegati per le corrispettive sono re /f',/, /6/ e /y/, facca eccezione per alcuni casi di distinzione grafica tra /x/ e /y/ in posizione iniziale e finale di parola. Per quanto riguarda la resa grafica di Jxw/, pertanto, bisogna tenere conto del fatto che nella scrittura "sogdiana" cale fonema risulta per lo più segnato dalla seq uenza plurivalente ~w.. A prescindere, comunque, dalla ambiguità ingenerata dalla segnatura di /x/ mediante wy », possiamo rilevare una consistente ambiguità di valenza della sequenza grafica t< XW» dovuta tanto alla mancanza di segnatura delle vocali, quanto alla plurivalenza dei segni «w» e "Y», i quali posso no rendere più tipi di vocali oltre che le corrispeccive realizzazioni semivocaliche /w/ e /y/. Riassumo, qui di seguito, quali siano le diverse possibili e legicci,!11e lenu re delle sequenze grafiche "«xw» + «C>," e "«xwy» + «Cn . La sequenza grafica «xw» seguìca da un segno conso nantico può rappresentare i segucnci diversi valori : xwil, xli, xO (- xii). La sequenza grafica «xwy• segulca da un segno consonantico può vale re x"'f, xWT, x"'l, xuya, xttw3, xoy.
86
87
5.3. Le rese grafiche nel neopersiano. Ne1la sc rittura tradizionale arabo-persiana del neopersiano moderno, la grafia «xw• può rappresentare (segno con V - maiuscolo, corsivo o non corsivo, secondo i casi - il posto d i una vo-
Parte li - Vip. V
Ul poliwlmu delk rapprrsmtaz.ioni grafiche della labiowlan etc.
cale) tanto /xVvV/ (/xaval) quanto /xu/ (per esempio •xwsh, /xu!é/ 'spiga') quanto, infine, i dittongh i /xaw/, /xow/. In alcuni casi, però, il «w » è scritto ma non pronunciato (v¼v-e maktub-e gayr-e malfui 48 ). Ciò avviene, di norma, quando , ,-, «xwSk» = xo!k < xulk 'secco' {pahl. dei libri, mediopers. e pan. mani chei 1chwSk» hufk; avest. hulka-), etc. In un esiguo numero di termini inizianti con xo- < xU- < xwiila scrittura «x» finisce per prevalere co m e esclusiva: ad ese mpio, «x(u)d '(y)» = xodà(y) < xildii{y), pahl. «xwt'y, xwatiiy, m ani cheo «xwd'y»; «xsr» = xosor< xfi si'i r 'suocero', avest. x!'asura-. O a1le anzidette inco ngruenze del sistema grafico neopersiano discendono, talora, effettive pronunce oppure "letture lessicografi che" erronee di fo rme neo persiane a ntiche le quali presentano in posizione iniziale la sequenza grafica 1cxw» al posto di «xn. (I ) In alcuni casi particolari, la scrittura 1cxwn per /x U-/ ha dato luogo a "letture" etimo logicamente immo tivate, come [xw u-], [xa-] e [xil-]. Alcune di tali letture possono avere avuto anche una circolazione limitata, mentre altre sono emerse unicame nte nell'ambito della lessicografia. Ad esempio, la fo rma grafica «xwrrm >1, sopra citata, poteva esse re pro nun cia ta [xwurram] nel neopersiano ant ico, com e è lecito dedurre d a una testimo nianza di l:l amza al-Iifah~ni54 , secondo il quale questa parola avrebbe prese ntato, in posizione iniziale, un suo no (c intermedio fra x e w», 53 Per la prese nza di rali alterna nze grafiche nei più antichi m anoscritri della prosa neopersiana arcaica (dei secoli X e Xl) cf. G. Laz.a rd, langue I 963, p. I 54. 54 In At-tnnbil, 'alà /,udui at-ra,bif (Dam,sco 1388 [= 1968), p. 35). Cf. F. Meie r, A,wprnchefmgm 198t, p. 7l. e G. Laza rd , langue 1963, p. 155. Fra le parole persiane co n xw- iniziale, etim ologicamente corretto, l$fahi\nl cita la fo rm a per "sole" x"'arlld nella grafia .4.,..:...,.....
La polilllllmza drllr rapprnmtazioni graftchr dr/la labiowlarr rrc.
91
v,1lc a d ire assomma nce in sé i caratteri sia di [x] sia d i [w]. Ancora , per «xwSk-' rd» 'fa rin a integrale, non se tacciata' (composto di KXwSk)) [= «xSk»] xt'ilk 'secco, genui no', mod. xo!k, e di «' rd )) iird 'fa rin a') troviamo la lettura {xafk-ard} nel Borhàn-eqa.te' al posto della attesa lettura fonematica xi'ilk-iird Tale lettura, basata sulla nmvinzione che il vàv di l(xwSb sia ma'dul é 55 , è registrata tanto dal Vullers (Lexicon 1855 , p. 756) quanto dallo Steingass (Pmian-Englùh Dictionary 1892 , p. 487 a) accan to a lla lettura lxii./k-ard}; cf. presso Steingass anche la lettura {xi!ì'ka-iird} della grafia l(xwS kh- 'rd» (risalente a J. Richardson 56 ), e presso Vullers e Sreingass la lettura {xilSkar} di «x(u)sk' r►,). 2) In altri casi, a fro nte di una grafia sto rica 11xw», la quale rapprese nta la segnatura del riflesso di una effettiva fricati va labiovelare originaria, troviamo, invece, nei lessici, accanto alla inc..licazio ne di una pronuncia {xa-} {la qual e può essere giudicata una " lettura" erronea della grafia ,p rapp rcsenrancc di un antico x'"ii-), anche la regist raz ione di letture del tipo {xii-} o {x-}. Ad ese mpio , per «xwnd m, ' leggere', lo Steingass registra le due letture lxnndnn} e {xandan} o, anco ra, per 11XW)'» 'sudo re' il lessico di Bchàr-e 'aja m (del 1768) propone, a pa ri titol o, le letture co n vàv-e ma'dulé, cioè {xay}, e co n vàv-e ma' ruf 57 , cioè {xay }. Bisogna, ad ogn i modo, usare prudenza prima di d ecidere se una lettura "inattesa" sia da considerare effettivamente come il ri55 Pe r l:t lettura less icografica {xa} della sequenza grafica costitu ita da «x T v.1v•e ma'duJé,. si veda, infra,, cap. XVI. Rari sono i casi nei quali è da am met• rere u na effettiva real izzazio ne fonematica /xa/ come alternativa ri spetto a /xw'/J/ (cf., ù,fra, § 18.2). 56 Auto re di un dizio nario persiano•a rabo• inglese degli inizi dell 'Otto• cento. Cf. Vullcrs, lexicon 1855, p. VI II , nota 11. 57 Vale a dire 'vàv noto': la qualifica di "noto" era data all e vocali ii ed T lunghe mentre la qualifica di "ignoto" (majhii/) era riservata alle vocali Ocd l lunghe in qua nto, mentre la prima coppia di vocali era presente nel sistema fonematico dell'arabo classico - dal quale il neopersiano ha derivato la propria terminologia grammaticale-, al con trario la seconda coppia di vocal i era estran ea ad esso.
92
Partrl.i - Ctzp. V
La po/ivaknu dr/k rapprrsmtaz.ioni grafichr dr/la labiowlarr ne.
sulcaro di una invadenza del livello grafico in quello fonologico. Basterà qui accen nare al fatto che in alcuni casi la sequenza x6- (> xtH può in realtà costituire il riflesso fonematico di un originario x"'ii-: più precisamente, nel neopersiano antico, x6- poceva rappresentare una variabi le di xWii- per lo più di origine diato~ica (come, ad esempio, nel caso di xòh accanto a x"'iihar 'so rella'5 ).
(1) x"'i/-
Il r
Per concludere l'argomento dei rapporti tra fonologia e grafia nella storia della fricativa labiovelare in neopersiano, diam o qui di seguito un quadro schematico articolato in due pani.
x"'ii-
59
Nella parre (I) raccolgo le diverse variabil i di x"'II"- e di x"'Yattribuibili al neopersiano antico; a si nistra colloco le sequenze attribuibili alla comunione linguistica iranica antica (xWd'-, x"'ii-, xWay-, x"'i-), alcune delle quali sono attribuibi li anche al neopersia no a nti co (x"'J-, x"'ii-, xWl-); a destra la serie delle relative variabili possibili del neopersiano an tico e, tra parentesi, ciò che a ciascuna di esse corrisponde nel neopersiano moderno. Nella pane (2) raccolgo le diverse valenze neopersiane antiche delle grafie «xw», «x1J'», «x(u>», t xod 'stesso'.
63 Es. •Xwy• = xiiy > xiiy 'sudore' (cf., infra, § 18.1). 64 Es. •Xwnd» = xawand's ignore', forma arabizzata d i x"'and. Cf., infra,§ 9. 10. 65
Es.
• XWS:,."'
xawa1 'che si t rova in una cavità (d etto d ell'occhio)', forma
di origi ne araba. 66 Es. «xwsc•:: xOJt (.. x"'il.st) ' isola' (cf. , infra,§§ 9.6 e 18.3). 67
Es. •xwd .. • x&:i > xud 'elmo', cf. anr. pers. xawda-, avcst. xaoda-. 68 Es. •xwb11 = (•xob) > xzib > xub ' buono', cf. pah l. •xwp• xOp < • huwiip (cf., supra,§ 4 e, infra,§ cap. VII, se rie lessicale nr. 20, B, a, I). 69 Es. •xwh • x,Vt > xuk 'porco', cf. ant. ind. sakara-. ,o Es. «xwx11 = xawx 'pèsca', fo rma di o rigine arabo-egiziana. 71 Es. «xw' n11 = xiwiin ,. xuwan, allorro pi arab izzati di xwàn 'cavo lo d a pranzo' (cf., in,fra, §§ 9.14 e 18. 1). 72 Es. •xw'nq 11 = xawà,ziq ➔ xavJntq 'monasteri', forma di origine araba (plur. di •x' nq' h11'"' xiinaqiih > xàntqdh).
73 Es. «xwyd11 = xWTd (< x"'ld) .. xfd ' grano in erba'; per qucst' ulcima fo rm a rroviamo nel neopersiano classico anche la g rafi a •xyd11. Nel neopersiano moderno troviamo •xwyd » = xid oltre che xavid (es ito, quest'u ltimo, della fo rma arabizzata della fo rma neopers. ant. xawld). 74 Es. «xw'g11 ,...., «x'g» ,. xag'uovo' accanto a •x'yh11 = xilyn, ide m; cf. pahl. •x'dk- xiiyak. Cf. , infra, nota 308.
75 Es. «x' hr• "' xiihar > xàhar 'so rella', acca nto a «xw' h n = xWilhar; ocx'byd n" = xàbfda,z ➔ xdbidan 'dormire', acca nto a •xw'bydm, = xwabldnn Cl C.
76 Es . .. x(u)d'(y)• "' x1idii(y} > xodd(y) (cf., infra, § 6. 1; cap. VI I, serie lessicale nr. 17, A, b, I); •X(u)sr" "' xt'4sur> xosor'suoccro' (cf., infra,§ 6.2.1 , serie lessicale nr. 9, e§ 17.2, gruppo lessicale nr. 2), cf. avesr. l.,l)amra-. 77 Es. «x(a)h "' xdi'suoccra' che suss iste nel moderno (cf., infra, § 8.6 e 17.2, g ruppo lessicale nr. 27); «x