La conversione al cristianesimo nei primi secoli 8816300026, 9788816300026

Con il presente libro Bardy affronta le difficoltà che il cristianesimo ha incontrato, quali metodi ha dovuto impiegare,

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Italian Pages 352 [347] Year 2015

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La conversione al cristianesimo nei primi secoli
 8816300026, 9788816300026

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Gustave Bardy

La conversione al cristianesimo nei primi secoli

La conversione al cristianesimo nei primi secoli

Come e perché il messaggio cristiano riuscì a trasfor­ mare il mondo greco-romano? I primi convertiti erano anzitutto uomini semplici. Solo lentamente aderirono intellettuali e appartenenti a classi sociali benestanti. Eppure la quasi totalità dei documenti a nostra disposi­ zione per ricostruire la fenomenologia della conversione al cristianesimo nei primi secoli appartiene proprio alla testimonianza di quegli intellettuali. Occorre quindi ri­ salire, attraverso un poderoso filtraggio delle fonti, alla immediatezza stessa della conversione delle masse. Bardy ricostruisce in questo libro le motivazioni, gli ostacoli, le esigenze, i metodi della conversione cristiana nei pri­ mi tempi della chiesa. Ma colloca anche accuratamen­ te le prime vicende del cristianesimo dentro l’ambiente religioso e culturale dell’impero romano. Ne deriva un quadro quanto mai vivo della storia cristiana: una vera e propria storia della chiesa nei primi secoli vista nel suo sviluppo dinamico, nel duro confronto con una realtà estranea, quale fu quella dell’orgoglioso e autosufficiente paganesimo greco-romano. Ma ne scaturisce anche, sul terreno solido della filologia, una metodologia della con­ versione, analizzata nelle sue dimensioni oggettive.

G ustave B ardy (1881-1955) è stato uno dei più grandi stu­ diosifrancesi d i patrologia della prim a m età del secolo scorso. Oltre alle sue opere d i storia della letteratura cristiana antica, ricordiamo le m onografie su Didim o il Cieco (1910), A tana­ sio (1914), Paolo d i Sam osata (prima edizione 1923), Origene (1931), nonché sulla vita spirituale secondo i padri dei prim i tre secoli (1931) e sulla teologia patristica della chiesa (1945-1947). In copertina: Orante. Disegno tratto da una stelc funeraria del v secolo, conservata al Musco Copto del Cairo.



19,00

ISB N 978*88-16-30002-6

9 " 788816 11 300026

GIÀ E NON ANCORA 2

Gustave Bardy

LA CONVERSIONE AL CRISTIANESIMO NEI PRIMI SECOLI

JacaBook

Titolo originale La conversion au christianisme

durant !es premiers siècles Traduzione Giuseppe Ruggieri

© 1947 Aubier, Editions Montaigne, Paris © 1975 Editoriale Jaca Book SpA, Milano Prima edizione italiana dicembre 1975 Ottava ristampa gennaio 2015 Copertina e grafica Break Point l Ja ca Book

Stampa e confezione lngraf srl, Milano gennaio 2015

ISBN 978-88-16-30002-6 Editoriale Jaca Book via Frua 11,20146 Milano, tel. 02/48561520, fax 02/48193361 e-mail: [email protected]; www.jacabook.it

IN D ICE

Nota di edizione Prefazione all'edizione francese del 1946

9 13

Capitolo primo La conversione nel paganesimo greco-romano 1. 2. 3. 4.

17 26 38 46

Politica e religione Formalismo La santità Il caso di Lucio Capitolo secondo La conversione filosofica

1. 2. 3. 4.

55 73 82 90

La filosofia antica La santità filosofica La propaganda dei filosofi Insufficienza della filosofia Capitolo terzo La conversione al giudaismo

1. La presenza dei giudei nell’impero 2. Il giudaismo e i convertiti 3. Successo relativo del giudaismo nel mondo antico

98 109 116

Capitolo quarto I motivi della conversione cristiana 1. 2. 3. 4.

Desiderio della verità Liberazione dalla fatalità e dal peccato La santità cristiana come santità interiore Altri motivi 5

124 137 148 159

Indice

Capitolo quinto Le esigenze della conversione cristiana 1. Rinuncia al passato 2. Adesione ai dogmi misteriosi 3. Sforzo verso la santità

166 174 198

Capitolo sesto Gli ostacoli alla conversione cristiana 1. 2. 3. 4.

Estromissione dalle tradizionireligiose La rottura dei legami familiari La rottura dei legami sociali Accomodamenti pratici e tolleranze

213 220 228 241

Capitolo settimo I metodi della conversione cristiana L 2. 3. 4. 5.

L'azione individuale L'apostolato cristiano Le scuole cristiane La liturgia cristiana Conclusioni

250 260 270 277 288 Capitolo ottavo L'apostasia

1. 2. 3. 4. 5. 6.

Nel Nuovo Testamento Attrazione dello gnosticismo Le persecuzioni Apostasie intellettuali Giuliano l'Apostata Il mistero delle anime

295 302 310 325 334 343

Non è ricerca di arcaismo quella che spinge l’editore a pubbli­ care quest’opera tale e quale, senza il necessario aggiornamento allo stadio attuale della ricerca, che soprattutto qualche capitolo (ad esem­ pio quello sul giudaismo) avrebbe richiesto. Si tratta piuttosto del vantaggio che una lettura di quest’ultima grande fatica del Bardy riserva ancora a chi si vuole accostare al fe­ nomeno unico rappresentato dalla conversione del mondo pagano al cristianesimo. A differenza dell’opera di Arthur Darby Nock, recentemente ripresentata anche in Italia, lo studio del Bardy non si limita all’ana­ lisi di ciò che, nel paganesimo, era suscettibile di essere «compiuto» nel cristianesimo, ma affronta il problema più globalmente, anche dal punto di vista opposto: quali difficoltà ha incontrato, quali metodLha dovuto impiegare, quali motivazioni ha dovuto far valere il cristiane­ simo per far presa sul mondo greco-romano. Questa visuale, se a volte rischia di scivolare nell’apologetica, offre tuttavia la possibilità ben più apprezzabile di penetrare nella metodologia della missione cristiana,’ attraverso la testimonianza della prima patristica, (ndt)

7

NOTA DI EDIZIONE

Il quadro che Bardy offre della vita del cristianesimo nei primi secoli fa emergere dalla testimonianza sia dei cristiani stessi sia degli avversari o degli osservatori dell’epoca «il carattere unico e, a detta di tutti, paradossale, delle loro istituzioni». Con queste parole la let­ tera a Diogneto sintetizza un giudizio che percorre l’impero romano, determinando conversioni e persecuzioni. Questa prima fase della vita della chiesa, tesa nell’impegno fondamentale di esistere, mette proprio in luce quella unicità e paradossalità, che è esperienza mo­ trice di ogni mutamento che i cristiani possono operare nella storia ancora oggi. Bardy, in un commento alle fonti che d restano di quell’epoca, ha il merito di portard direttamente a gustare il sapore rinnovatore di tale radice. La vita cristiana rivela una eccezionalità, esaltata dallo scontro brutale con una mentalità pagana ad un certo punto ben poco disposta ad accomodamenti, che però sa rendersi tessuto della vita solita. Ci vengono testimoniati nel testo di Bardy gesti clamorosi legati alla conversione al cristianesimo, iricomprensibili e radicali mutamenti di vita. Sono per esempio il caso della donna che verrà poi denundata dal marito, che abbandona la vita dissoluta per amore di Cristo met­ tendo il marito stesso di fronte ad ima misteriosità inaccettabile, o il caso della conversione di Cipriano, personaggio colto e di alto rango, che abbandona tutto per seguire Cristo. Ma queste damorosità di cambiamenti di vita non sono tutto. La vita cristiana non è un susse­ 9

Nota di edizione guirsi di eventi eccezionali, nel senso di fatti che sempre scuotono il senso comune. Dopo la conversione la vita del cristiano è la vita di un uomo e di una donna normali, che però conservano in cuor loro Teccezionalità del significato nuovo che li ha generati ad una vita diversa. Tutti infatti, e il racconto di Bardy lo mette bene in evidenza, esaltano il «costume» cristiano, amici e nerbici. La parola «costume» sta a indicare proprio qualcosa che è entrato a far parte della norma­ lità della vita, ma che la rende nuova per la sua capacità di essere segno di un «logos» generatore. Ai tempi della grande persecuzione in Oriente per esempio, che furono tempi di carestie, pestilenze e guerre, i cristiani, secondo la testimonianza di Eusebio «erano i soli a mostrare compassione e uma­ nità». Niente di più dunque di ciò che chiunque considererebbe degno di un uomo, ma niente di tutto questo evidentemente è realizzabile dall’uomo da solo. Così «Io spettacolo della santità» dei cristiani ri­ corda alla società del tempo che «la bontà» o «le virtù» di cui essi danno prova nelle circostanze più tragiche non sarebbero possibili se ntm «nel nome di Cristo». Testimonianza sconcertante per «rorgogliosa saggezza ellenica sconvolta dalla miserabile storia di Gesù». Se infatti gli intellettuali dell’epoca leggono il vangelo per andare alle fonti del singolare «spet­ tacolo» offerto dai cristiani e ritrovano una storia che deve loro appa­ rire ovviamente vera, con date e nomi familiari, non ritrovano però, come dice Porfirio «nessuna parola degna di un sapiente». I fattori perciò che provocano queste radicali conversioni non sono identificabili dalla mentalità dominante di allora, che tuttavia avverte la presenza di questo logos, di questo significato diverso della vita, che resta incomprensibile. Quel tono e quel significato che emer-. geva stranamente dalla vita solita risultava intollerabile. Così le ac­ cuse rivolte al cristianesimo di sobillazione alla disgregazione delle famiglie, analoga ad un altro livello all’accusa di disprezzo per lo stato, sono una prova di questa incomprensibilità. Chi voglia oggi vivere il fatto cristiano radicalmente, speri­ menta ancora il tentativo operato dalle ideologie dominanti di clas­ sificare Tesperienza della chiesa in categorie che non possono compren­ derla e che ne sfiorano solo la superficie. Certe obiezioni di tono quasi illuministico di Celso, per esempio, anticipano perfettamente i tratti di argomentazioni e accuse che ancora oggi il cristiano alTintemo del­ l’ambiente culturale della nostra epoca si sente rivolgere. C’è sempre una certa eccentricità apparente, una stranezza apparente, nella vita 10

Nota di edizione del cristiano cosi come viene percepita da chi non è cristiano, ma questo è il segno, la documentazione chiara dello spirito diverso, del logos diverso che informa la vita normale. A tal punto che qualora questo segno del «diverso» venisse a mancare, quando la vita cristiana fosse, e oggi rischia continuamente di esserlo, perfettamente amalgamata e assimilabile da una mentalità corrente che non segue il Cristo, si sarebbe alle porte di quella che è stata la difficoltà più amara anche dei primi cristiani: il tradimento dei fratelli. La gravità del tradimento infatti, al di là della debolezza che cede a una violenza, consiste proprio nelTaccettare di interpretare la grazia tramandata con i criteri della cultura mondana. Certo, come osserva Paolo nel sesto capitolo della Lettera ai Galati parlando della situazione dei cristiani tra gli ebrei, molti si comportavano in quel modo per poter vivere «in pace». Ma accetta­ vano così, come rischiamo di accettare noi cristiani di oggi, di diven­ tare strumenti del potere, cioè della mentalità dominante, di quel po­ tere mondano che, secondo le stesse parole di Paolo, «vuole gloriarsi nella vostra carne».

11

PREFAZIONE A LL’ ED IZIO N E FRANCESE D E L 1946

Nell’anno 29 o 30 della nostra era, in coincidenza con la pasqua dei giudei, tre croci furono innalzate alle porte di Gerusalemme. Su due di esse morirono dei criminali per diritto comune. La terza era stata invece riservata ad un agitatore politico, stando almeno alla scritta che portava il nome del condannato e la motivazione del suo supplizio: «Gesù di Nazareth, re dei giudei». Esecuzioni del genere erano allora frequenti e non vi si prestava molta attenzione. Storici e cronografi avevano ben altro da fate per­ ché sentissero il dovere di registrare fatti e gesta di poveracci i quali, spesso per motivi futili, venivano condannati alla morte di croce. L ’esecuzione di Gesù sarebbe quindi passata inosservata se, due giorni dopo, alcuni amici e discepoli non avessero visto apparire, pieno di vita, colui del quale avevano rispettosamente deposto il corpo in un sepolcro nuovo. A dire il vero, questa risurrezione era stata predetta. Parecchio tempo prima della sua morte, Gesù l ’aveva annunciata ai suoi: «Oc­ corre che il Figlio dell’Uomo vada a Gerusalemme, soffra molto da parte degli anziani, degli scribi e dei principi dei sacerdoti e sia messo a morte; egli risusciterà il terzo giorno». Questi annunci, benché ri­ petuti, erano sembrati così strani, che nessuno vi aveva prestato at­ tenzione e persino i compagni più fedeli non vi avevano creduto. Naturalmente, quando l’avvenimento si verificò, molti restarono increduli, anche in Gerusalemme e nei dintomi. Le autorità giudaiche diedero dei soldi ai soldati incaricati di far la guardia al sepolcro e 13

Prefazione all'edizione francése del 1946 ordinarono loro di dire che il corpo del condannato era stato rubato. Le persone istruite si fecero beffe delle donne e degli nomini semplici che avevano avuto delle visioni. I funzionari romani rifiutarono di imbarcarsi, ancora una volta, in un'avventura che la loro dignità im­ pediva di prendere sul serio: ufficialmente Gesù era morto sulla croce e non occorreva aggiungere nulla a questo fatto. Il seguito è conosciuto. Alcuni giorni dopo la domenica di pasqua gli apostoli cominciarono a proclamare la buona novella di Gesù morto e risorto: «Tutta la casa di Israele sappia che Dio ha fatto Cristo e Signore quel Gesù che voi avete crocifisso». E, cosa straordi­ naria, essi trovarono subito delle anime pronte a credere sulla parola. Ben presto, nella stessa Gerusalemme, numerose comunità accolsero coloro che erano stati conquistati dal loro insegnamento. Col passar del tempo i predicatori si fecero più arditi e, con l'aiuto delle circo­ stanze, si misero a parlare di Gesù fuori della città santa, in Giudea, Samaria, Galilea e più lontano ancora, in Fenicia, Cilicia, Siria, nel­ l'isola di Cipro. La moltitudine dei credenti non cessava di aumentare e meno di una ventina d'anni dopo la sua morte, il nome del suppli­ ziato era noto a Roma, almeno tra i giudei. E questo fatto provocava dei sommovimenti di tale rilievo da obbligare Timperatore Claudio a espellere i giudei dalla capitale. Queste cose sono accadute diciannove secoli or sono. Il mondo romano si è convertito al cristianesimo ed ancora oggi il cristianesimo resta una delle più grandi forze spirituali dell'umanità. Spesso è stata tentata una spiegazione di questa conversione. Essa infatti non cessa di presentarsi, agli spiriti che riflettono, come uno degli enigmi più sconcertanti sollevati dalla storia. È un fatto ben assodato che la re­ ligione cristiana ha il suo punto di partenza nella predicazione di un profeta giudeo, Gesù di Nazareth, vissuto sotto il regno di Tiberio, essendo Ponzio Pilato procuratore dei romani per la Giudea ed Erode tetrarca della Galilea. Ed è ancora un altro fatto che, meno di tre­ cento anni dopo, l'imperatore Costantino, non contento di riconoscere il cristianesimo come una religione lecita, gli ha conferito una situa­ zione privilegiata e si è convertito anche personalmente, trascinando le moltitudini al suo seguito. Nel frattempo la nuova religione aveva moltiplicato le sue con­ quiste. Invano erano stati contro di essa accumulati ostacoli esterni e interni: persecuzioni da parte del potere, ripugnanze intellettuali da parte dei sapienti che si rifiutavano di accettare alcuni dei suoi dogmi essenziali, esigenze morali davanti a cui si impennavano le passioni 14

Prefazione all'edizione francese del 1946 più naturali. Nessuno di questi ostacoli ha resistito a lungo alla forza invincibile del cristianesimo. Non ci si meraviglierà dunque che, avendo come molti altri in­ contrato, lungo il corso delle nostre ricerche, il problema della con­ versione del mondo antico, lo abbiamo fatto a nostra volta oggetto del nostro studio cercando, se non di spiegarlo, almeno di situarlo e di descriverlo quanto meglio potevamo. Ringraziamo inoltre rispettosamente i professori della facoltà teologica di Lyon-Fourvière per aver voluto accogliere il nostro saggio nella collana «Théologie» e per averci aiutato a renderlo meno indegno. 14 agosto 1946

13

Capitolo primo LA CONVERSIONE N EL PAGANESIM O GRECO-ROMANO

L ’idea di una conversione, nel senso che adesso diamo a questo termine, è restata a lungo, forse fino all’avvento del cristianesimo, totalmente estranea alla mentalità greco-romana. Non si è mai visto, e nemmeno si è immaginato, un uomo rinunciare alla religione della sua città natale e dei suoi antenati, per darsi con tutto il cuore e in maniera esclusiva ad una nuova religione. Per scoprire un fenomeno siffatto bisogna aspettare che il Cristo dichiarasse inconciliabile il ser­ vizio simultaneo di due padroni e necessaria l’opzione fra i due; o che Paolo precisasse il senso di questa opzione scrivendo ai corinzi: «Qua­ le rapporto può esserci tra la giustizia e l ’iniquità? Quale partecipa­ zione della luce alle tenebre? Quale accordo tra il Cristo e Bèlial? Quali relazioni tra il fedele e l ’infedele? Quale accordo tra il tempio di Dio e quello degli idoli?» l.

1. Politica e religione Le religioni antiche sono legate in maniera indissolubile alla vita familiare e civica. Ogni uomo libero, per lo stesso fatto di ap­ partenere ad ima famiglia e ad una città, ne onora gli dèi protettori. Fin dalla sua nascita è presente all’altare dove sono venerati i geni tutelari della sua razza e costoro lo riconoscono adottandolo in qual­ 1

2 Cor 6, 14/16; cfr 1 Cor 3,16.

17

La conversione nel paganesimo greco-romano che modo. Al tempo stesso egli è iscritto sui registri della fratria ad Atene, della gens a Roma. Cerimonie analoghe si ripetono quando gli si tagliano i capelli per la prima volta, quando entra tra gli efebi o indossa la toga virile. Più tardi, giacché la religione è inseparabile dalla città, se è chiamato ad una magistratura, esercita delle funzioni religiose nello stesso tempo in cui esercita i poteri politici o giudiziari. «Ad Atene, ad esempio, l ’arconte eponimo organizza e presiede i giuo­ chi sacri di Dioniso e delle Targelie, dirige le processioni celebrate in onore di Zeus Soter e di Asclepio. L ’arconte re, guardiano del culto, presiede le feste di Eieusi e delle Lenee, organizza le lampadedromie che hanno luogo durante queste feste. Il polemarco offre il sacrificio annuale in onore dei guerrieri di Maratona e quello celebrato in onore dei tirannicidi Armodio e Aristogitone; egli presiede ancora ai fune­ rali dei guerrieri morti durante l’anno. Gli strateghi offrono sacrifici agli dèi prima e dopo le spedizioni, per le grandi Dionisiache e per le Lenee; essi prendono parte al corteo delle Panatenee. Nel v e rv se­ colo, culto e politica sono talmente legati, che il tesoro della città e degli alleati viene depositato nell’opistodomo del Partenone e i fun­ zionari preposti alle finanze vengono chiamati intendenti alle ricchezze sacre di Atena e degli altri d è i»2. Lo stesso dicasi a Roma. Il rex sacrorum possiede la presidenza nominale del collegio sacerdotale e dà il suo nome all’anno. I comizi non possono essere invocati e le ele­ zioni non si possono tenere senza aver consultato gli àuguri; solo i giorni fasti, inoltre, possono essere scelti per queste importanti ope­ razioni. Sia che si tratti di dichiarare una guerra, di dare battaglia o di stipulare un trattato, sempre devono essere celebrati, a nome dello stato e per propiziarsi le divinità, riti fissati da una tradizione di cui sono guardiani i sacerdoti. La vita della città è essenzialmente reli­ giosa e si può dire che il cittadino è per definizione legato al servizio degli dèi nazionali. «Quanto più egli partecipa agli affari della città e sale la magistratura, tanto più si solidarizza con i santuari locali e la religione nazionale» 3. Colui che non è cittadino, lo straniero domiciliato, il meteco, come non può prender parte alla vita politica della città in cui ri­ siede, così non può prender parte alla sua vita religiosa. Egli ritrova i suoi diritti nella città natale, quando vi ritorna. Perciò, durante il 2 A J Festugière, Le monde grèco-romain au temps de Notre Seigneur, t 2, Paris 1935, pp 43/44. 3 A J Festugière, ibid, t 1, pp 53/54. 18

Politica e religione tempo in cui risiede all’estero, resta un estraneo per il corpo sociale in cui esercita la propria attività. Potrà essere straordinariamente ricco e sfoggiare il suo fasto nella città che lo ha accolto, ma per il fatto di non esserne originario e se un decreto speciale non l’ha au­ torizzato a partecipare alle sue assemblee e al suo culto, resta inferiore al più umile dei cittadini. Ma se trova dei compatrioti può associarsi ad essi, formare una specie di confraternita e riavere quindi la pos­ sibilità di praticare la sua religione nazionale. Greci e romani testimo­ niano, al riguardo, lo stesso spirito di tolleranza. Se da una parte sor­ vegliano le associazioni di ogni genere che si costituiscono nelle loro città, dall’altra le tollerano volentieri se non turbano l’ordine pub­ blico e, in alcuni casi, concedono persino il favore di un riconosci­ mento ufficiale. «La Bendis trace è nota in Attica fin dalla fine del v secolo. Al principio della Repubblica, Socrate si reca al Pireo per as­ sistere alle cerimonie del nuovo culto che viene celebrato per la prima volta4. La festa comprende una processione alla quale, accanto ai traci, anche gli abitanti del porto prendono parte, una corsa con le fiaccole a cavallo e un banchetto notturno. Le iscrizioni testimoniano che dopo la metà del rv secolo il culto fioriva nel porto. Una di queste iscrizioni attesta che il popolo ateniese ha ufficialmente autorizzato la “ nazione” trace, stabilita al Pireo, a costruirsi un santuario; essa soltanto è la padrona del tempio ed ha il diritto di istituire ogni anno, a giugno, la processione in onore di Bendis. È così che ha voluto l’oracolo di Dodone. Bendis ha il suo paredro, il dio Deloptes; più tardi appare l’eroe cavaliere trace»5. Dappertutto, laddove le colonie straniere sono sufficientemente numerose, si ripete lo stesso fenomeno. A Roma, dove si danno con­ vegno, verso gli inizi dell’era cristiana, uomini di ogni razza e nazione, i culti stranieri non si contano più e ognuno di essi ha il suo tempio, i suoi preti, le sue cerimonie più o meno strane alle quali sono atti­ rati per curiosità gli stessi cittadini, prima di esserne conquistati come fedeli. Al di sotto dei meteci, all’ultimo posto della società e, almeno in alcuni casi, più vicini agli animali che all’uomo, ci sono gli schiavi. Essi non sono persone, ma cose, beni di proprietà che si acquistano e vendono, che si utilizzano a discrezione e da cui d si separa una volta che si cessa di averne bisogno. La pratica potrà essere di bene­ 4 5

Platone, Repubblica, 327 a. La scena si svolge nell'anno 411 circa. A J Festugière, op cit, pp 53/54. 19

La conversione nel paganesimo greco-romano volenza, ma, fino agli Antonini, la teoria resta quella: la legge non riconosce agli schiavi alcun diritto civile o religioso. Così come lo schiavo non è autorizzato a fondare una famiglia, altrettanto è impe­ dito dall’accedere ai culti nazionali. Giacché tuttavia molti di questi disgraziati sono stati liberi prima di cadere in schiavitù e tutti con­ servano, nonostante tutto, l'anima con le sue aspirazioni, essi con­ servano e praticano le religioni del loro paese d’origine. «Nelle nostre case— scrive Tacito— noi impieghiamo soltanto servitori barbari; i loro riti non hanno nulla in comune con i nostri ed essi o non praticano alcuna religione o ne praticano ima straniera» 6. Sono gli schiavi, ancor più che gli stranieri domiciliati, ad introdurre in tutte le grandi città dell’impero romano i culti orientali e a farsene i più ardenti propaga­ tori. «Chi dirà l’influenza che le cameriere, venute da Antiochia o da Menfi, hanno avuto sullo spirito delle loro padrone?»7. Nazionali nel loro principio, inseparabili dalla vita politica di cui sono parte costitutiva, le antiche religioni non sono tuttavia esclu­ sive. Lo stato stesso può già introdurre nuovi dèi nel suo panteon, se lo ritiene opportuno. Dopo una guerra vittoriosa vengono portati schiavi, accanto agli uomini, anche gli dèi dei popoli vinti; ma giac­ ché, nonostante tutto è impossibile non temerli, si prende l ’abitudine di venerarli accanto agli altri e li si prega di accordare ormai la loro protezione ai nuovi fedeli. In caso di sconfitta sorge diffidenza nei confronti delle divinità nazionali che non hanno saputo proteggere i loro adoratori e, senza tuttavia abbandonarle, si ricorre agli dèi del popolo vincitore o agli dèi stranieri dei quali si è sentito parlare e si è già sperimentata la benevolenza. Accade inoltre, quando fra due popoli si stabiliscono delle relazioni strette, che si accostino ed iden­ tifichino, in modo più o meno arbitrario, le loro divinità, cosicché i loro panteon, in un primo tempo distinti, finiscono per confondersi. Tutti questi procedimenti trovano applicazione soprattutto a Roma, dove la povertà della religione primitiva rende più facile l ’accogli­ mento degli dèi della Grecia in un primo tempo e orientali dopo. La prima ricezione di culti stranieri nella città di Romolo è da collegarsi, forse, con lo sviluppo delle classi popolari: onorando degli dèi peregrini, i plebei sfuggono alla necessità di adorare alcune delle 6 Tacito, Anndes, zrv, 44. 7 F Cumont, Le,r religioni orientales dans le paganiime romain, u ed, Paris 1909, p 36. 20

Politica e religione vecchie divinità propizie ai patrizi ’ . Ma ben presto anche i patrizi riconoscono i nuovi venuti. Fin dal principio del rv secolo si invitano le divinità greche, stabilite a Roma, a dei banchetti lettisterni, ven­ gono istituiti per esse dei preti speciali, i duoviri (più tardi septemviri) epulones e i duumviri sacris faciundis che conservano i libri si­ billini di origine apollinea. Si identifica Ercole con Sanco o dio Fidio, Ermes con Mercurio, Demetra con Cerere. Dopo la sconfitta di Canne, si invia a Delfi un’ambasciata guidata da Q Fabio Pittore per con­ sultare Apollo; si consulta ancora Apollo dopo la perdita di Taranto del 212 ed in suo onore vengono istituiti dei giuochi (ludi apollinittattes) che diventano annuali a partire dal 208-209. Verso questa data la fusione tra dèi greci e romani è quasi completa, per cui si fa diffi­ coltà a distinguerli gli uni dagli altri89. Nel 205 è compiuto un progresso più caratteristico quando la grande madre delTIda, simboleggiata da una pietra nera caduta dal cielo, viene trionfalmente trasferita da Pessinunte e Pergamo a Roma. Senza alcun dubbio, anche se non si sa bene come, la dea frigia è identificata con Rea Silvia, madre di Romolo ed a questo titolo, fin dal suo arrivo, trova ospitalità nel tempio della Vittoria sul Palatino, in attesa che sulla stessa collina venga eretto un tempio in suo ono­ re 1012. Essa non è tanto la prima divinità orientale che faccia il suo ingresso nella futura capitale dell’impero, ma testimonia altresì elo­ quentemente la capacità quasi illimitata di accoglimento che hanno le stesse religioni ufficiali. Da parte loro, gli individui, ammesso che restino fedeli ai culti della città, possono adottare in particolare tutti gli dèi che vogliono. Non hanno il diritto di dispensarsi dalle cerimonie legalmente obbli­ gatorie: escludersi dalla religione equivale ad escludersi dalla città. L ’ateismo di Diagora di Melo n, l’indifferenza di Protagora di Abdera u, fanno scandalo non solo tra i contemporanei e tutta l’antichità 8 E P ais/J Bayct, Histoire romaine des origine* à Vachèvement de La conquètey Paris 1926, p 125. 9 E P ais/J Bayct, sbid, p 444. 10 E P ais/J Bayct, ibidf pp 445/446; F Cumont, op citt p 70s. 11 Cfr Th Gomperz, Pensatori greci, voi 1, Firenze 1933, p 203s. Gli apologisti cristiani citano ancora Diagora come una specie di fe­ nomeno. 12 Protagora dichiara che l’uomo non deve occuparsi che delle cose uma­ ne. «Quanto agli dèi, aggiunge, non posso sapere né se ci sono, né se non d sono; troppi ostacoli vi si oppongono, oscurità del soggetto e brevità della vita*: Diogene Laerzio, Vite, uc, 51. 21

La conversione nel paganesimo greco-romano ripete i loro nomi con una specie di terrore. Socrate viene condannato a bere la cicuta sotto il pretesto che non crede agli stessi dèi in cui crede la città e li vuole sostituire con dèi nuovi u. Ma una volta adempiuta questa condizione, ognuno resta libero di scegliere nel mondo celeste i protettori che vuole e di praticare il culto che reputa migliore. Le sole regole da osservare sono quelle che si riferiscono al mantenimento dell'ordine pubblico e al rispetto della morale. Per il resto lo stato non si occupa di niente e non si intromette in una questione considerata come appartenente al dominio privato. All'approssimarsi dell'era cristiana, tutti i paesi del bacino me­ diterraneo sono invasi dalle religioni orientali. Non esiste divinità che non trovi a Roma o ad Atene adoratori ferventi. Iside e Osiride, Cibele, Attis, Adone, Mitra, sono i più conosciuti, ma non sono i soli e occorrerebbe ampliare la lista considerevolmente per poter enume­ rare tutti quelli ai quali, simultaneamente o successivamente, ricorre la pietà delle anime inquiete 1314. Quando assume il potere imperiale la dinastia dei Severi, lo sviluppo del sincretismo trova sostegno nella moda e nel favore dei sovrani i quali ne danno l'esempio. Essi non si limitano a venerare gli dèi del paganesimo o a far comporre, in contrapposizione al vangelo, la vita meravigliosa di Apollonio di Tiana. Alessandro Severo pretende annettere la stessa persona di Gesù Cristo. Stando al suo storico, egli avrebbe fatto mettere nel suo la­ rario rimmagine del Salvatore, accanto a quella di Apollonio di Tiana, di Abramo, di Orfeo e di molti altri, considerati da lui come modelli 151 . 6 Egli avrebbe anche pensato di innalzare un tempio al Cristo e .di farlo onorare ufficialmente assieme agli altri dèi e avrebbe, si dice, realiz­ zato questo progetto se non fosse stato impedito dai sacerdoti In ogni caso egli è in relazioni personali con Giulio Africano per il quale costruisce la bella biblioteca del Panteon 17. Sua madre, Giulia Mamea, convoca Origene ad Antiochia per fare esperienza diretta della sua 13 Platone, Apologia di Socrate, 24 b c. 14 Cff F Cumont, Les religione orientales dans le paganisme romain, iv ed, Paris 1929; J Toutain, Les cultes pmens dans Lempire romain, t 2: Les religions orientales, Paris 1911; A J Festugière, op citt pp 128/166; A D Nock, Conversion, thè old and tbe new in religion from Alexander thè great to Augustine of Hippot Oxford 1933, pp 138/156. 13 Lampridio, Vita Severi Alexandri, 29. 16 Lampridio, ihidt 43. 17 Oxyr Papyri, 412, 1 56s; cfr Grenfell/Hunt, Oxyrinchus Papyri, t 3, Cambridge 1903. 22

Politica e religione intelligenza delle cose divine 18 e si intrattiene più volte con lui. Ac­ cetta persino da sant’Ippolito la dedica di un trattato sulla risurre­ zione 19; più tardi la leggenda non esiterà a fame una cristiana20. Più dèi si hanno, più si è sicuri della protezione celeste. Nella misura in cui l’impero si indebolisce, i barbari moltiplicano le loro invasioni e le loro devastazioni e diminuisce la sicurezza della vita quaggiù, gli occhi si volgono al delo per cercarvi dei salvatori e le preghiere, con fervore ogni giorno crescente, vengono innalzate a tutti coloro che vengono reputati capaci di trionfare del destino e portare salvezza. Alla fine del IV secolo la pietà pagana è più esasperata che mai. Essa moltiplica senza fine i riti di iniziazione ai misteri stranieri che TOriente ha fatto conoscere a Roma. Alfenio Ceionio Giuliano Camenio, prefetto di Roma nel 333, si gloria di essere stato septemvir epulonum, quindecemvir, padre dei sacrifici di Mitra, ierofante di Ecate, primo sacerdote di Libero, iniziato ai misteri della madre degli d èi21. Il senatore Ulpio Egnazio Faentino, padre e araldo sacro del dio sole invincibile Mitra, capo dei bovari di Bacco, sacerdote di Iside, dopo aver ricevuto il battesimo di sangue del sacrifido del toro, consacra nel 376, una dedicazione alla Grande Madre e ad A ttis22, Tamesio Augenzio Olimpio rileva un santuario dedicato a Mitra sulla via Flaminia e dichiara di non voler ricevere a tale scopo nessuna sov­ venzione affidale, perché un’anima pia preferisce una tale spesa al guadagno 23. Un po’ più tardi Vettio Agorio Pretestato, proconsole di Acaia nel 362, prefetto dell’urbe nel 367, prefetto del pretorio d’Ita­ lia nel 384, è augure, pontefice di Vesta, sacerdote del sole, quindecem­ vir , curiale d’Èrcole, iniziato a Libero e ai misteri eleusini, ierofante, custode del tempio, sacerdote del sacrifido del toro, padre dei padri24. Sua moglie, Aconia Fabia Paolina, non gli è inferiore per pietà, esu Eusebio, Storia ecclesiastica, vi, 21,3. 19 Eusebio, ibid, loc tit; i frammenti conservati di quest’opera si trovano in H. Achelis, Hippolytus Werke (Die grieckiscken ckristlichen Schriftsteller der ersten drei Jahrhunderte, t 1/2), p 25ls. 20 Rufino, Historta Ecclesiastica, vi, 21, 3; Orosio, Historiae, vii , 18, 6; Vincenzo di Lerins, Commonitorium, 17. 21 F Buecheler, Carmina latina epigraphica, Leipzig 1895ss, n 654. 22 Corpus inscriptionum latinarum, vi, 564; H Dessau, Imcriptiones la­ tinae selectae, Berlin 1892ss, n 4153. 23 Dessau, op citt n 4269. 24 Buecheler, op citf n 111; Dessau, op cit, n 1259; il titolo di padre dei padri costituisce la più alta dignità mi triaca. 23

La conversione nel paganesimo greco-romano sendo consacrata a Cerere e agli Eleusini, consacrata a Ecate nel suo santuario di Egina, sacerdotessa del sacrificio del toro, ierofante 25. Vino Nicomaco Flaviano, vicario di Africa nel 377 è considerato molto esperto nell'arte degli àuguri2627*; una invettiva in versi gli rim­ provera di interessarsi a dei riti sporchi, come il sacrificio del toro, o assurdi, come quelli dei misteri di Cibele, Serapide, Iside e Osi­ ride 77. Noi conosciamo con particolare dovizia di dettagli questi gran­ di signori dell'aristocrazia romana, grazie alle iscrizioni sontuose alle quali è stato affidato il loro ricordo, ma possiamo esser sicuri che non sono stati i soli a ricercare qualche pegno di salvezza nei loro protettori divini. Molti han fatto come loro, senza scrupolo né esi­ tazione a . Com'è possibile, nelle condizioni che abbiamo ricordato, parlare di conversione alle religioni pagane, sia che si tratti dei culti officiali o dei misteri orientali che diventano sempre più di moda man mano che ci si avvicina all'era cristiana? La conversione, noi lo sappiamo, è una rottura con il passato, un dono totale dell'anima ad una nuova forma di vita. Ma è proprio questo che il paganesimo non ha mai esigito dai suoi fedeli. In primo luogo perché è impossibile praticamente rinunciare alla religione della famiglia e della città, senza esclu­ dersi in maniera completa e definitiva dal proprio ambiente sociale. La vecchia formula romana, igni et aqua interdicere, ricorda in ma­ niera tragica alcune conseguenze di questa esclusione. Il disgraziato che rinnega i suoi dèi o, per un grave delitto, si vede cacciato dalla sua città, perde tutti i suoi diritti sull'acqua e sul fuoco, cioè sugli elementi più indispensabili alla vita. Ovunque egli ormai si trovi, non ha più patria, famiglia, religione. Egli è condannato alla^ solitu­ dine, cioè ad una vita più insopportabile della morte. È infatti per­ fettamente inutile cambiare religione per adottarne un'altra. Gli dèi 25

Buecheler, ibid. Macrobio, Saturnalia, I, 24, 17; Sozomeno, Storia ecclesiastica, vii, 22. 27 Adversus Nicbomachum, 5 7 ,6 9 ,9 1 ,9 8 : edizione di L Delisle in Bibliothéque de VEcole des Chartes, t 3, serie vi, Paris 1867, p 295s; cfr C Mo­ re], Recbercbes sur un poème latin du IV c siòclet Paris 1868; la moglie dì Nicomaco non viene risparmiata: x, 8. M Porfirio, Vita di Plotino, 3. 69

La conversione filosofica che al tempo stesso gli dia k verità e una regola di vita. Si è già messo a cercare ed è passato per diverse scuole senza trovare ciò che desidera. L ’insegnamento di Ammonio è per lui una rivelazione e da allora vi si dà tutto intero. Per undici anni frequenta assiduamente i corsi del maestro e soltanto le circostanze sono talmente forti da por­ tarlo a lasciare Alessandria, nel 262. Quando l’imperatore Gordiano parte per la conquista della Persia, la sua impazienza di conoscere la saggezza dei barbari, in primo luogo quella dei persiani e forse anche quella degli indiani, è tale che non esita a tentare l’avventura e si arruola nell’esercito romano. La disfatta lo obbliga a rifugiarsi ad Antiochia, da dove raggiunge Roma ed è a Roma che apre la sua scuola. Egli resta però fedele alle lezioni che ha ricevuto. Con alcuni dei suoi compagni di studio, discepoli Ìntimi di Ammonio, Erennio e Origene, ha preso Timpegno di tener segreta la dottrina del maestro e ha tenuto fede alla sua promessa 55. Questo segreto non è affatto l’equivalente di quello che lega gli iniziati ai misteri e che è molto più rigido; esso è piuttosto la prova che, agli occhi dei membri delk scuola, gli insegnamenti intesi «non erano la semplice esegesi di una dottrina classica, come il pktonismo, Taristotelismo o lo stoicismo» 56, ma interessavano soprattutto la vita spirituale tutta intera e non la semplice formazione dello spirito. Per il resto noi conosciamo Am­ monio troppo male per poterne parlare con certezza. Resta però, a testimonianza del suo grande valore, la sua influenza su uomini quali Plotino e Origene. A Roma, Plotino è tutto dato alk filosofia e, come il suo mae­ stro d’Alessandria, raggruppa attorno a sé discepoli entusiasti. Amelio comincia a frequentarlo il terzo anno del regno di Filippo, nel 247; segue i suoi corsi fino al primo anno del regno di Claudio nel 271, cioè per 24 anni; quando arriva alla sua scuola, è già avanzato nello studio delk filosofia, giacché possiede la dottrina delk scuola di Li­ simaco, lo stoico 57; ma non ne è realmente preso e Plotino è il solo che lo conquista interamente. Lo stesso accade per Porfirio, trentenne, quando incontra Amelio che lo conduce da Plotino; egli ha già scritto 55 lin i. 56 E Brehier, Piotiti, Ennèade*, t 1, Paris 1924, p iv. Sulla dottrina di Ammonio Sacca cfr R Cadiou, La jeunesse d’Origène, Paris 1936, pp 184/203. 57 Porfirio, op city 3. 70

La filosofia antica e ha seguito le lezioni di Longino Plotino stesso ha allora 59 anni, 10 stomaco malandato, la vista debolissima; presto sarà afferrato da un male cronico alla gola e da una malattia alla pelle; è nervoso, agitato, prova un bisogno singolare di cambiare continuamente posto e il regime che segue contribuisce ad accrescere il suo cattivo stato di salute Niente in lui sembra fatto per attirare e tuttavia Porfirio è sedotto al primo colpo. Si attacca irrevocabilmente a Plotino, diventa 11 confidente dei suoi pensieri, prima ancora di farsi editore delle sue opere, e gli conserva fino alla fine un attaccamento senza limiti, Un altro dei discepoli di Plotino, Rogaziano, è senatore: «Egli arrivò, scrive Porfirio, ad un tale distacco dalla vita, da abbandonare tutti i suoi beni, rimandare i suoi servi e rinunciare alle sue dignità. Essendo pretore e sul punto di recarsi in tribunale, mentre i littori erano già là, non vi volle andare e trascurò le sue funzioni. Non volle nemmeno abitare a dàsa sua; stava presso amici o familiari presso i quali mangiava e riposava. Non mangiava che un giorno su due. Questa rinuncia e questa incuria, nonostante fosse tal­ mente malato di gotta che lo si portava in sedia, lo fecero ristabilire; e mentre prima non era più nemmeno capace di aprir la mano, acquistò una tale facilità nel servirsene, da superare qualsiasi artigiano di me­ stiere manuale. Plotino lo amava, lo lodava al di sopra di tutti e lo proponeva come esempio ai filosofi» *°. La fiducia che i discepoli ripongono in Plotino è assoluta. Essa si spinge a tal punto che molti di essi, prima di morire, gli affidano i figli, maschi o femmine, con tutta la loro fortuna. Egli si occupa con zelo di tutta questa famiglia di adozione, si interessa agli studi dei suoi pupilli, vigila sulla gestione del loro patrimonio ed esige il rendi­ conto dai tutori. Dichiara che, fin quando questi bambini non sono « Ibid, 4. 59 Ibid, 2; E Brehier, op cit, p vni. ® Porfirio, ibid, 7. Nello stesso capitolo, Porfirio segnala molti altri di­ scepoli di Plotino: Paolino, un medico di Scitopoli; Eustochio, un medico d'Alessandria che lo curò durante l’ultima malattia e lo assistette nella morte; Zotico, critico e poeta, conosciuto per le sue recensioni di An ti ma co; l’arabo Zete, anche lui medico, che metteva le sue proprietà a disposizione del maestro venerato; i senatori Marcello, Oronzio e Sabino; Serapione d'Alessandria, un vecchio retore, convertito, anche se imperfettamente, alla filosofia. Quindi delle donne: Gemina, nella cui casa abitava, e sua figlia Gemina; Anfidea ed altre ancora. L ’imperatore Gallieno e sua moglie Salonina subirono l’attrazione di Plotino e vollero ascoltarlo. 71

La conversione filosofica ancora dei filosofi, occorre conservare loro intatti i beni e le rendite6I. Porta lo stesso buon senso nei problemi di ordine filosofico e religioso; quando Amelio, che non si lascia scappare nessuna occasione per of­ frire dei sacrifici, lo invita ad accompagnarlo, egli si limita a rispon­ dere: spetta agli dèi venire da me e non a me andare dagli dèi. E il credulo Porfirio, riportando queste parole non può impedirsi dall'aggiiingere che non le ha capite 62. Il dono infine che ha fatto di se stesso alla filosofia e agli amici è così totale, che sogna di fondare un giorno una città in Campania, dove si seguano le leggi di Platone e che, per questo motivo, verrebbe chiamata Platonopoli63. L'imperatore Gallieno sembra che non si sia mostrato contrario al progetto, ma altre persone vicine, senza dubbio funzionari prudenti e accorti, lo dissuasero dal dare la sua approvazio­ ne a questa chim era. Gli uni dopo gli altri i discepoli di Plotino si allontanarono dal vecchio maestro, ripresi dal richiamo del mondo; molti furono tolti via dalla morte. Plotino finì per restare isolato e conservò fino alla fine la serenità e la fiducia, dando esempio ammire­ vole di una vita consacrata ad una nobile causa. Le sue lezioni non andarono perdute. La scuola neoplatonica fu, per secoli, l'ultimo rifugio della saggezza antica. Ad essa gli ultimi pagani vennero a domandare lezioni di vita o, all'occasione, lezioni di morte. Essa, per il resto, si trasformò velocemente in maniera quasi completa. Già Porfirio è tutt'altra cosa da un intellettuale: «Spirito critico ed ingenuità, entusiasmo sincero ed abile opportunismo, scienza solida ed erudizione puerile, curiosità di un greco avido di compren­ dere e sapere, aberrazioni di un occultista; libero andamento di un pensiero che discute e ragiona; docilità di un credente pronto ad ac­ cettare tutte le rivelazioni; apostolato morale molto elevato, familia­ rità compromettenti; volgarizzazione lucida e facile, compilazioni, persino assurdità: sembra che vi sia di tutto nell'opera di Porfirio» Dopo di lui la caduta diventa sempre più rapida. Giamblico è un teurgo, Massimo di Efeso un mago e forse un truffatore. Le conversiorn che operano non hanno quasi più nulla di filosofico.

61 £2

63 64

Porfirio, ibidt 9. Jbidt 10. Ibid, 12. J Bidez, Vie de Porpbyre, Gand 1913, p 11. 72

La santità filosofica 2. La santità filosofica Per quanto oggi ci sembra stupefacente, la conversione alla fi­ losofia è dunque un fatto che appare molto frequente nell'antichità. Come spiegarla? Quali sono le cause per cui tanti spiriti buoni si sono orientati verso la saggezza profana e le hanno domandato degli aiuti che la religione non offriva loro? Le ragioni che possono esser fatte valere sono numerose. In primo luogo la filosofia promette ai suoi adepti di dare una spiegazione chiara e sicura del mondo. Per secoli i filosofi sono i soli che riflettono sulla costituzione dell'universo e spiegano le sue leggi cercando di riportarle all'unità. Anche dopo che Socrate ha dato come scopo essenziale alla saggezza quello di conseguire la conoscenza del­ l'uomo interiore, i filosofi continuano a cercare il segreto delle cose. Sia gli stoici che gli epicurei posseggono una fisica alla quale tengono, perché i loro sistemi morali le sono strettamente connessi. Inutil­ mente la preoccupazione della condotta morale prende sempre più il primo posto negli spiriti. Seneca che scrive: «Voler sapere più di ciò che è sufficiente, è una forma di intemperanza» 656 , che fa professione di disprezzare le matematiche e l'astronomia tt, compone tuttavia dei libri sulle questioni naturali, sulla situazione dell'India, sulla situazione e sulla religione degli egiziani, «perché la conoscenza del mondo e del cielo eleva Tanima e la trasporta al livello degli oggetti che tratta» 67. È vero che, dal iv secolo a.C., le scienze positive si sono svilup­ pate fuori della filosofia e hanno fatto notevoli progressi, ma durante l'era cristiana, hanno cessato di interessare gli spiriti. Si fa ad esse un posto quanto più ristretto possibile nell'educazione liberale, giacché occorre che un uomo dabbene sappia un po' d’aritmetica, di geometria, di jnusida, ecc... Non si rinnovano molto le conoscenze acquisite. Ciò che si vuol sapere è il segreto globale del mondo, delle sue origini, del suo destino. A partire da qui occorre spiegare il successo dei sistemi gnostici che promettono di dare questa conoscenza ai loro adepti. Gli spiriti più coltivati si dilettano ad enumerare le generazioni degli eoni, a spiegare attraverso quali degradazioni successive il male procede dal 65 66 67

Seneca, Epistulae, uaocvm , 16. Ibid, evi, 11. Ibidt cxvii, 19. 73

La conversione filosofica bene e come si opererà un giorno la restaurazione universale. Tra questi sistemi, quelli che conosciamo meno male, sono profondamente innestati nel cristianesimo. Ma in se stessa la gnosi non è un fenomeno cristiano e si ricollega alla storia generale dello spirito umano. Essa non è in primo luogo ellenica e si comprende come Plotino abbia solo disprezzo per coloro che rifiutano di applicarsi all'antica cultura dei greci. «Venuti dopo gli antichi, hanno preso da loro molte cose, fa­ cendo soltanto delle aggiunte maldestre, perché li vogliono contrad­ dire. Essi ammettono generazioni e corruzioni di ogni sorta nell'intel­ ligibile; disprezzano l'universo sensibile; considerano come finzione l'unione dell’anima al corpo; criticano colui che governa il nostro uni­ verso; identificano il demiurgo all’anima e gli attribuiscono le stesse passioni dell'anima particolare» w. Venuta dall'Oriente, come le religioni che in quel tempo si dividono il dominio delle anime e come i sistemi filosofici allora in voga, la gnosi risponde ad un bisogno. In un tempo avido di sapere, essa pretende dare una soluzione definitiva ai grandi problemi. Ma da molto tempo la filosofia fa le stesse promesse; e coloro che non vogliono saperne dello gnosticismo, continuano a indirizzarsi ad essa per conoscere la ragione delle cose e sbarazzarsi cosi di tutti i timori che impongono l'ignoranza e l'errore. «Siccome gli uomini sembrano sentire nel fondo del cuore un peso la cui pesantezza li opprime, se essi potessero arrivare a cono­ scere l'origine del male e il motivo per cui questo pesante fardello di miseria soggiorna nel loro cuore, allora non vivrebbero come noi per lo più vediamo, ignorando dò che vogliono l'uno e l'altro, cercando senza posa di cambiar posto, come se in questo modo potessero sba­ razzarsi del loro carico. Spesso uno fugge via dalla sua ricca dimora per il disgusto di essere a casa, e subito vi ritorna, perché non si sente affatto meglio fuori. Corre spingendo i, cavalli a testa bassa verso la fattoria di campagna, come se volasse al soccorso della sua casa in fiamme. Ma cominria a sbadigliare non appena tocca il suolo oppure, con la testa pesante, si rifugia nel sonno per cercarvi l'oblio, o si affretta persino a riguadagnare la dttà. È cosi che l’uomo cerca di fuggire da se stesso. Ma incapace per lo più di riuscirà, come si vede, resta attaccato suo malgrado a dò che detesta; si è ammalati e non si conosce la causa del proprio male. Se la si vedesse bene, lasdando da parte qualsiasi altra cosa, ognuno si applicherebbe prima di tutto a6 8 68

Plotino, Enneadi, u, 9, 6.55. 74

La santità filosofica studiare la natura delle cose; infatti non è in gioco un'ora soltanto, ma reternità, questa eternità nella quale i mortali dovranno passare tutto il tempo che resta da percorrere dopo la morte» 69. È vero che non tutte le filosofie danno la stessa risposta alle in­ quietudini che Lucrezio descrive con eloquenza. Gli epicurei negano resistenza della provvidenza e si sbarazzano così delle chimere for­ giate dalla religione. Gli stoici al contrario predicano la sottomissione alla provvidenza che tutto conduce secondo le regole di una sovrana saggezza. Chi ha ragione? Cosa bisogna scegliere? Coloro che non hanno il coraggio di optare finiscono per rifugiarsi nello scetticismo. Niente è più deludente e scoraggiante della conclusione del De natura: deorum di Cicerone. Dopo molti passi d'arme, brillanti giostre ora­ torie, gli interlocutori del dialogo si separilo, senza concludere, con una battuta: «Si tratta di sapere se esiste un Dio, se questo Dio si interessa agli uomini e se esiste un legame tra lui é noi. Si tratta di sapere cos'è 1'anim a umana, se essa ha rapporto con Dio, se viene da lui e ritorna a lui. In breve si tratta della nostra felicità, del nostro tutto. Ecco ciò che gli uomini eletti domandano ai filosofi. Negazioni, dubbi, sorrisi, giochi di parole non sono sufficienti. Si vuole una cer­ tezza, una luce che illumini, convinca, sostenga, consoli. Ora i filosofi si rimandano la palla» 70. Ma anche quando non spiegano il mistero delle cose, le filosofie conservano un certo valore, perché insegnano a vivere. All'epoca imperiale quasi tutte concordano nelle risposte pratiche da dare ai problemi dell'esistenza. Si può essere stoico o epicureo, pitagorico o cinico. Difatti, se si è filosofi, si sa che bisogna sopportare il dolore, disprezzare la morte, aver pazienza nella malattìa, non lasciare che la propria anima si turbi, contentarsi della sola virtù per essere felici71. Saggezza un po' corta, senza dubbio, ma che può bastare in tempi difficili e che rasserena gli spiriti migliori di Roma, durante le ultime convulsioni della repubblica e sotto i regni dolorosi di un Caligola, un Nerone o un Domiziano. Per quanto si possa essere curiosi di conoscere il senso delle cose, vi sono delle circostanze in cui non si ha né il tempo né il coraggio per perseguire delle ricerche 69 Lucrezio, De rerum natura, in, 1053/1075. 70 A J Festugière, L'idéal religieux des Grecst dt, p 99. 71 Questi cinque precetti riassumono i cinque libri delle Tusculane. Sa­ rebbe possibile, senza fatica, ritrovarli più o meno modificati in tutti i filosofi del suo tempo e anche del periodo seguente. 75

La conversione filosofica disinteressate. La vita quotidiana non impone meno doveri. La filo­ sofia enumera questi doveri72. Cosa chiederle di più? Si è costretti, in molti casi, a domandarle meno ancora, giacché la filosofia è colpita da sospetto e quelli che la professano sono og­ getto di misure molto rigide. Sotto il regno di Nerone, Rubellio Plau­ to, nipote di Augusto, è accusato, tra l ’altro, di stoicismo ed è co­ stretto a darsi la morte. Verso il 65, dopo la congiura dei Pisoni, gli stoici Musonio e Cornuto, sono condannati all’esilio per ordine di Nerone, perché insegnano, il primo soprattutto, filosofia ai giovani. Nel 71, sotto Vespasiano, tutti i filosofi sono cacciati via da Roma e verso la stessa epoca, Dione di Prusa, ancora retore, pronuncia dei discorsi Contro i filosofi «questa peste delle città e dei governi». Più tardi, nell’85, Domiziano fa morire il sofista Materno, colpevole di aver pronunciato a scuola un discorso contro i tiranni; Rustico Arulino, perché è filosofo e considera Trasea come un santo; Erennio Senecione perché ha redatto una vita di Elvidio Prisco 73. In questa congiuntura non si tratta più di vivere bene, ma di morire bene. I filosofi dell’epoca imperiale hanno davanti l ’imperituro esem­ pio di Socrate, primo martire dell’amore alla saggezza e modello per­ fetto di coraggio davanti alla morte 74. Quando occorre, essi si ispirano a questo esempio. Condannato da Caligola, Giunio Cano stava gio­ cando agli scacchi, quando il centurione, sopraggiungendo con la truppa, lo invitò a seguirlo: «Egli fece il conto dei suoi punti e disse all’avversario: atten­ zione! Dopo la mia morte non raccontare di aver vinto. Dopo, facendo segno al centurione gli disse: tu sei testimone che sono in vantaggio di un punto. Credi tu che Cano tenesse tanto al suo gioco? Egli si prendeva invece gioco del boia. I suoi amici erano costernati di per­ dere un tale uomo. Perché questa tristezza?, domanda loro. Voi vi chiedete se l’anima è immortale; io lo saprò presto. E fino all’ultimo istante non smise di cercare la verità e di domandare alla propria morte la soluzione del grande problema. Il suo filosofo l’accompa­ gnava; mentre si avvicinavano all’altura dove ogni giorno venivano offerti sacrifici a Cesare, nostro dio, il filosofo gli chiese: a cosa pensi 72 Nel 140 a.C., lo stoico Panezio scrive un trattato Sul conveniente. A questo trattato si ispira Cicerone nei primi due libri del De officiis. 73 Dione Cassio, op citt lx v i , 12/19; lxvtt, 13; cfr E Brehier, Histoire de la phisolophie, Paris 1926/27, t 1, p 420. 74 La morte di Socrate fornisce un argomento quasi inesauribile. Cfr ad esempio Seneca, De providentia, n i , 4 e 1 2 ; De constantia sapientist v i i , 3; De tranquillitate animi, v, 2/3; xvi, 1; De otiot vin, 2. 76

La santità filosofica in questo momento, Cano? In quale disposizione ti trovi? E Cano rispose: ho intenzione di osservare, in questo istante così rapido, se sento la mia anima andarsene. E promise che, se avesse scoperto qualcosa, sarebbe ritornato a trovare i suoi amici per informarli sulla sorte delle anime» 75. E Seneca aggiunge: «Ecco la tranquillità in mezzo alla tem­ pesta. Non è degno dell'immortalità quest'uomo che nel proprio tra­ passo cerca una prova della verità; che interroga la propria anima sul punto di esalare, al limite ultimo della vita; che, non contento di istruirsi fino alla morte, vuole ancora che la stessa morte gli insegni qualcosa? Nessuno ha mai filosofato così a lungo»76. Questo è vero. Ma si potrebbero citare altri esempi del genere. Rubellio Plauto aveva presso di sé, come direttori di coscienza, i filosofi Coerano e Musonio, quando gli furono inviati i soldati incaricati di metterlo a morte. Uno dei suoi liberti gli consigliò di resistere; i suoi filosofi lo persuadevano di preferire, a una vita incerta e tremante, la fermezza di una morte prontissima ed egli seguì coraggiosamente il loro parere. Seneca stesso, dopo che si aprì le vene, fece scrivere dai suoi servi un discorso che Tacito afferma di non voler riportare per non sfigurarlo e che d'altra parte è nelle mani di tutti 77. Necessariamente Io spettacolo di siffatte morti doveva suscitare il desiderio e attirare alla filosofia anime ge­ nerose, ma inquiete di fronte al grande passaggio. Messi di fronte alla morte dei martiri cristiani, i saggi migliori non la comprendono affatto. Epitteto attribuisce questo coraggio all'abitudine e desidera che lo stesso coraggio sia ispirato ai discepoli mediante il ragionamento e la dimostrazione: giacché Dio ha fatto tutto nel mondo e le parti non esistono che per il bene dell'insieme, è giusto che gli uomini, sapendo di essere parte del tutto, accettino di essere sacrificati per l'utilità del tutto e non gemano quando per essi viene l’ora di andarsene 78. Marco Aurelio scrive da parte sua: «Quanto è bella l'anima che si tiene pronta, se è necessario, a liberarsi subito dal corpo per estendersi, disperdersi o sopravvivere! Ma questo stato di preparazione deve provenire da un giudizio personale e non da un puro spirito di opposizione come nei cristiani. Esso deve essere ragionato, grave e, se vuoi che ti si creda sincero, senza posa tea75

76 77 78

Seneca, De tranquillitate animi, xiv, 7/9. Ibid , xiv, 10. Tacito, Annales, xv, 63. Amano, Diatribe, iv, 7, 6.

77

La conversione filosofica txale» 79. Solo Gallieno forse rende una giustizia più esatta ai cristiani quando, particolarmente per il loro disprezzo della morte, acconsente a considerarli come filosofi80. In ogni caso i pagani dichiarano di non aver nulla da imparare per vivere e morire dall'esempio dei cristiani. A loro basta seguire la propria filosofia e imitare le lezioni che danno i loro saggi e i loro santi. La filosofia pretende infatti di avere i suoi santi, cioè uomini più grandi per natura e degni di essere proposti come modello a tutte le generazioni. Dopo la loro morte, la leggenda si impossessa più o meno rapidamente dei più grandi fra di essi e attribuisce loro sia un’origine divina che poteri miracolosi. Platone riceve un culto, quasi subito dopo la morte, e presto viene presentato come figlio di Apollo. Pitagora, fin dai tempi di Aristotele, viene considerato come un tau­ maturgo che moltiplica prodigi e profezie; riceve il nome di Apollo Iperboreo e gli abitanti di Metaponto gli rendono un culto. I suoi discepoli lo chiamano il divino e, non volendone fare un dio in senso stretto, lo guardano come uno che per se stesso costituisce un genere intermedio tra la divinità e l ’umanità. Nel corso dei secoli la leggenda di Pitagora non cessa di arricchirsi di elementi nuovi ed è facile seguire il progresso di questo accrescimento da Eraclide Pontico a Diogene Laerzio, da Diogene a Porfirio, da Porfirio a Giamblico 81. Quest’ultimo arriva a scrivere: «Alcuni lo chiamano Pizio, altri Apollo Iperboreo, altri Pacone, altri uno dei demoni che abitano la luna, dicendo che è apparso sotto forma umana agli uomini di un tempo, per l’utilità e il risanamento •della vita mortale, per accordare alla natura umana la scintilla salu­ tare della beatitudine e della filosofia. Per cui mai è venuto o verrà uno più grande di colui che gli dèi, attraverso questo Pitagora, d hanno dato» 82. Quando parla di Epicuro, Lucrezio non è meno entusiasta: «Sei tu, o padre, l’inventore della verità, sei tu a prodigata .lezioni paterne; nei tuoi libri, o maestro glorioso, simili alle api che -.79 Marco Aurelio, Pensieri, n , 3. 00 Gallieno,’ dtato da Ibn-Al-Athir; cfr P de Labriolle, La réaction pàienne... cit, p 96. * 81 Sugli accrescimenti della leggenda pitagorica, cfr M J Lagrange, «Lcs légendes pythagoriciennes et TE vangile» in Revue Biblìque, (1936), pp 481/511. 82 Giamblico, op cit, 30. 78

La santità filosofica vanno bottinando nei prati fioriti, noi ci rechiamo per pascerci delle tue parole d'oro... Non appena la tua dottrina comincia con voce possente a proclamare questo sistema della natura, uscito dal tuo genio divino, subito si dissipano le tenebre dello spirito» u . Con Apollonio di Tiana ci troviamo in pieno romanzo. Noi in­ fatti conosciamo il personaggio solo tramite Filostrato e il pretesto storico non è che un retore desideroso di trasporre, sulla testa di un taumaturgo pagano, «il nimbo di santità che dalla fronte del Cristo irraggiava sui fedeli»84. Il romanzo d'altra parte arrivò a operare delle conversioni perché, stando alla testimonianza di Dione Cassio, Caracalla innalzò un santuario ad Apollonio85; Alessandro Severo pose lo sua immagine nel proprio larario accanto a quelle di Abramo, Orfeo e Cristo stesso 86; Aureliano risparmiò la città di Tiana che aveva giurato di distruggere, per rispetto alla memoria dell'essere ec­ cezionale che vi era nato 87. Quelli che abbiamo citato sono i più grandi tra i santi della filosofia, ma ve ne sono molti altri. Senza voler insistere ancora su Socrate, venerato da tutta l'antichità, Diogene il Cinico è per Cercida, cento anni dopo la morte, un essere celeste. Epitteto diventa oggetto di una specie di culto. Celso reputa che Orfeo, Anassarco ed Epitteto sono uomini veramente degni dei nostri omaggi. I seguaci di Carpocrate, che sono degli gnostici cristiani, hanno le immagini del Cristo accanto a quelle di Pitagora, Platone, Aristotele e altri ancora88. Non sono soltanto i loro discepoli, più o meno lontani, a venerare in questo modo i filosofi. L'uomo del popolo si lascia prendere dai bei racconti che gli vengono fatti della loro vita e della loro morte. Egli ammira il loro coraggio di fronte a tiranni crudelissimi che essi rifiutano di adulare e i quali li condannano a morte e li fanno giustiziare senza aver ottenuto la minima concessione. Non è meno sedotto dal rac­ conto delle loro imprese ascetiche, dalla loro resistenza al freddo, alla fame, alla nudità. Li considera un po' come dei maghi e lo stesso Porfirio non esita ad attribuire a Plotino un potere taumaturgico w Lucrezio, op cit, m , 9/17. 84 P de Labriolle, op cit, p 188. c Dione Cassio, op cit, ix x v m , 18. 86 Lampridio, Vita Severi Alcxandri, 29. 17 Lampridio, Vita Aurcliani, 24. u Ireneo, Adversus Haereses, i, 20, 4; cfr A D Nock, op cit, p 176 e 295/296. 79

La conversione filosofica dicendo che era assistito da uno di quei demoni che sono vicini agli d èi89. In questo contesto si comprende come sia stato attribuito, se non alla filosofia, almeno ai filosofi il potere, non solo di fornire una spiegazione della natura, di dare una regola di vita e di aiutare tutti per lo meno a morire bene, ma di insegnare anche la via della salvezza, intendendo questa parola nel senso ad un tempo complesso e impre­ ciso che possiede agli inizi dell’era cristiana. In quest’epoca essere sal­ vati significa anzitutto essere preservati da disastri e da pericoli di ogni tipo: malattia, annegamento, perdita dei beni, guerra, brigantag­ gio, ingiustizia; significa ottenere la fecondità del suolo, del gregge, del focolare. Gli dèi salvatori sono quelli che difendono e proteggono gli individui e le città. Tra gli immortali ottengono questo titolo specialmente Esculapio ed Iside. Esculapio perché è il medico, colui che guarisce i malati e ridà vigore ai corpi indeboliti; Iside perché assicura la protezione del gregge e la fecondità del suolo. Tra gli uo­ mini vengono considerati come salvatori soprattutto i re e gli impera­ tori. Uno dei Tolomei porta espressamente questo titolo. Nel 9 a.C., l’assemblea della provincia d’Asia, fa conoscere in questi termini i propri sentimenti nei riguardi di Augusto: «Giacché la provvidenza, che ha regolato il corso della nostra esistenza e che vi apporta tanta cura e liberalità, ha messo il culmine alla perfezione della nostra vita, dandoci Augusto, dopo averlo col­ mato di eccellenza in vista della felicità degli uomini; giacché essa lo ha inviato a noi e ai nostri discendenti come un salvatore, per porre fine alla guerra e dare un ordine a tutte le cose; giacché Cesare, dopo la sua apparizione, ha adempiuto tutte le speranze che i nostri padri riponevano in lui, non solo sorpassando tutti i benefattori che Thanno preceduto, ma non lasciando ai suoi successori alcuna possibilità di fare meglio di lui; giacché infine il giorno della nascita del dio è stato per il mondo l’inizio delle buone notizie che gli si devono, l’assemblea decide, su proposta del proconsole P Fabio Massimo, di iniziare l’anno nuovo con il giorno anniversario dell’imperatore» 90. w Porfirio, op city 10. 90 Dittenberger, Orientis graeci inscriptiones selectae, 458. C£r un’iscrizione di Alicamasso, dopo l’anno 2 d.C. (Inscr Brit Mus, 894): «Poiché la natura eterna ed immortale ha portato a compimento i suoi benefici immensi verso gli uomini, accordandoci, come bene supremo e felicità della nostra vita, Cesare Augusto, padre della propria patria, la dea Roma, Zeus paterno e sal­ vatore di tutto il genere umano, la cui provvidenza non ha solo colmato, ma 80

La santità filosofica Nelle religioni misteriche la salvezza è qualcosa di più. L'uomo vuole essere felice, non solo quaggiù, ma anche per l'eternità, nel sog­ giorno degli dèi. Egli ha bisogno di una guida per compiere il viaggio faticoso della vita e per trovare il cammino che conduce alla meta desiderata. Il dio salvatore è colui che dirige cosi i suoi fedeli, mostra loro la strada da seguire, li distoglie dal pantano nel quale rischiano di affondare91. La salvezza diviene allora l'immortalità felice.-La filo­ sofia assicura la stessa liberazione, la stessa salvezza della religione. Come afferma Albino nel suo Manuale di filosofia platonica: «Essa è, al tempo stesso, desiderio di sapienza, liberazione dell'anima e sua conversione al di fuori del corpo, perché ci volge verso gli intelligibili e gli esseri veri» 92. La filosofia è un medico, cura le anime malate e le guarisce da tutte le infermità Fra tutti i filosofi è Epicuro che riceve i titoli di medico e sal­ vatore. Egli non si è contentato di comporre un trattato Sulle malattie e sulla morte, ma «ha dato una panacea, he tetrapharmakos w, tetrafarmacum 95, formula ideale di quattro precetti sufficiente a lenire tutte le piaghe dolorose dell'umanità... A causa dei suoi benefici i discepoli lo considerarono come superiore alla condizione umana. Insensibil­ mente la sua scuola si è trasformata in una chiesa 96. Questa ha i suoi sacrificatori e le sue cerimonie, periodicamente celebrate in onore del maestro che ha portato la salvezza all'umanità 97. Lucrezio lo invoca sorpassato le preghiere di tutti gli uomini—in effetti la terra e il mare sono in pace; le città fioriscono nella legalità, la concordia e la prosperità; non c*è paese che non abbia raggiunto il vertice della fortuna e che non abbondi In ricchezze; Tumanità è tutta piena di speranze felici per il futuro e di conten­ tezza per il presente —, conviene onorare il dio con giuochi pubblici e statue, sacrifici e inni». Cfr A J Festugière, Le monde gréco-romain, t 2, pp 7/8. 91 Cfr Platone, Fedone, 69 c: «Chiunque giungerà profano alla casa di Ade e senza essere stato iniziato, sarà sommerso nel pantano; al contrario, chi è stato purificato e iniziato una volta giunto colà, prenderà dimora insieme con gli dèi» (tiad Turolla). 92 Albino, Introduzione a Platone. 93 Cfr Filone di Larissa, citato da Stobeo, Eclogaey il, 40s. 94 W Croenert, «Neues uber Epikur und einige herkulanensischen Rollen» in Rheinisches Museum fur Philologie (1901), p 617. 95 Historia Augusta, i, 21, 4; rv, 5, 4; xvm , 30, 6. 96 Cfr F Picavet, «Epicure, fondateur d'une xeligion nouvelle* in Revue d'bistoire des religions (1893), pp 315/344. 97 Seneca, Epistulaey xxvui, 9. 81

La conversione filosofica come un d io 98 e nel fervore della loro gratitudine i fedeli lo celebrano come il salvatore, sótèr» 9910. Guaritrice di tutte le malattie dell'anima, liberatrice della mor­ te, maestra della vita umana: con tutte queste promesse, la filosofia doveva necessariamente attirare a sé molti spiriti, alla ricerca della liberazione e della felicità che le stesse religioni non riuscivano più a conservare o a conquistare. Per un certo tempo e per un certo numero di intelligenze la filosofia fu il rifugio supremo di fronte alle in quieti tu dini e alle angosce di questo mondo. Quando Seneca scri­ veva avLucilio: «Io comprendo o Lucilio che non sono soltanto cor­ retto, ma trasfigurato e d'altra parte non prometto, non spero nem­ meno, che non vi sia in me più nulla che debba cambiare. Al contra­ rio, ci sono ancora in me parecchi punti che debbono essere o in­ coraggiati, o indeboliti, o perfezionati. Ma la prova del miglioramento di un'anima consiste nel fatto che essa vede i difetti che prima igno­ rava. Ci si congratula con alcuni malati perché avvertono il loro male. Così ti vorrei comunicare il cambiamento inatteso che è avvenuto in m e » e s p r i m e v a sentimenti che molti contemporanei, convertiti come lui, condividevano. Resta da chiederci attraverso quali mezzi la filosofia operava le sue conquiste.

3. La propaganda dei filosofi I mezzi di propaganda utilizzati dai filosofi sono altrettanto nu­ merosi quanto diversi. Dall'insegnamento privato che il filosofo do­ mestico dà ai figli della casa e spesso anche al padre che non disdegna d'ascoltarlo, fino ai discorsi erogati nelle pubbliche piazze, davanti ad 98 Lucrezio, De rerum natura, m , 15; v, 8. 99 C£r Croenert, Rheiniscbes Museum fur Pbiloìogie (1901), p 625; J Carcopino, Aspects mystìques de Rnme peùenne, Paris 1949, p 245. Ai testi citati da Carcopino è facile aggiungerne altri, ad esempio, Cicerone, Tusculanae, r, 48: «Dicono di essere stari liberati ad opera sua da durissimi padroni»; Idem, De finibus, i, 14: «ritengo che lui... abbia liberato gli animi degli uomini da grandissimi errori»; Luciano, Alessandro, 61: «...Epicuro, ...uomo veramente santo e di divina natura... e solo... divenuto liberatore di quelli che 1"hanno ascoltato». Epicuro è ancora nominato sótèr in una iscrizione del 121 d.C. (lettera di Plotina, moglie di Traiano agli epicurei di Atene) in Dittenberger, Sylloge inscriptionum graecarum, cit, 834. 100 Seneca, Epistulae, vi, 1. 82

La propaganda dei filosofi ascoltatori curiosi ed avidi di belle parole 101*103; dai corsi privati dati ad alcuni discepoli nei giardini delTAccademia o sotto le gallerie del Pecile, fino alle conferenze lette davanti ad un pubblico scelto, in una sala ben avviata; dalle direttive scritte ad un amico e più o meno espressamente destinate alla pubblicazione, fino alle grandi opere in prosa o in versi che sviluppano metodicamente un sistema: tutti i procedimenti sono buoni ad essere utilizzati e sia gli uni che gli altri operano delle conquiste. Dal tempo di Alessandro Magno, se non prima 1 pp 417/418. 96

La conversione al giudaismo è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti ad esse e non le servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso che punisce le colpe dei padri nei figli, fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi» 2. Dopo il ritorno dalla schiavitù babilonese, forse soprattutto dopo la sollevazione e il trionfo dei Maccabei, restano definitivamente vinte le seduzioni del politeismo, contro le quali per secoli avevano lottato invano i profeti. Non c'è più giudeo al mondo che non sia, fino alla morte, attaccato al dogma fondamentale dell'unità divina3. Ne consegue che, se un pagano desidera convertirsi al giudaismo, deve rinunciare a servire i suoi dèi nazionali, quelli della sua famiglia e della sua città, astenersi persino dal culto ufficiale di Roma e di Augusto4, per consacrarsi esclusivamente a Jahwe. Egli deve rinun2 Es 20,2/6. 3 Cerehie pagane più o meno estese sono state influenzate dalla religione giudaica e hanno a volte introdotto Jahwe nel loro panteon. I papiri magici sono pieni di invocazioni indirizzate a Jao: efr A Dieterich, Abraxas, Gottingen 1891, pp 68/71; A J Festugière, L ’idéal religieux..., dt, pp 287/288. Nelle provinde del Ponto e della Cappadocia, ancora nel rv secolo d.C., si trovano dei sebomeni ton Theon hypsiston, che hanno dimestichezze giudai­ che. Fra gli adepti di questo culto Vi fu Gregorio il Vecchio, il padre di Gregorio di Nazianzo. Cfr E Schiirer, «Die Juden im bosporaniscehn Reiche und die Genossenschaften der il ghimel, il dalet... L ’indomani gli insegnò il contrario. Ma ieri, esclamò il proselito, non mi hai parlato così! E Hillel replicò: così tu ti riferisci a me e non alla tradizione». Altra storia analoga: «Un pagano si presentò a Shammai e gli disse: convertimi a condizione di insegnarmi tutta la legge per il tempo, in cui, io mi terrò ritto su un piede. Shammai lo scacciò col cubito da costruzione che teneva in mano. Il pagano si recò allora da Hillel che lo ricevette come proselito dicendogli: ciò che ti dispiace non lo fare al tuo pros­ simo, ecco tutta la legge; il resto non è che commento, va e studia». In un terzo caso il proselito vuole convertirsi per diventare sommo sacerdote. Hillel lo porta a riconoscere da sé come questa pretesa non sia conveniente. E il Talmud conclude: «Un giorno questi tre proseliti si incontrarono e si dissero: Tirascibilità di Shammai è stata sul punto di scacciarci dal mondo, la dolcezza di Hillel d ha avvicinati alle ali della shekhina» 70. Dopo la caduta di Gerusalemme, al contrario, si diffida dei pro­ seliti. Si esigono garanzie da coloro che si presentano per convertirsi. Si rifiutano impietosamente tutti coloro che sono mossi da motivi di interesse. Non solo si ricorda con energia che ogni uomo deve trovare Dio seguendo la sua volontà e non per costrizione71 e si in­ siste sul fatto che il vero proselito è colui che si converte per Dio soltanto, nel nome del deio. Ma si cerca inoltre di scoraggiare le volontà deboli. «Una baraita del trattato lebamoth abbozza il dialogo che si svolge tra il maestro e il candidato: Come ti è venuta l’idea di essere proselito? Non sai che oggi Israele è perseguitato, oppresso, rigettato qua e là ed esposto a tutte le sofferenze? Se il candidato 70 B Sbabbath, 31 a, cit da M J Lagrange, Le messianisme... cit, pp 268/ /269. 71 Giuseppe, Vita, 23. 114

Il giudaismo e i convertiti risponde: lo so e non ne sono degno (di dividere la triste sorte di Israele), lo si accoglie subito»72. Altri rabbini sono ancora più severi. Eliezer ben Ircano, all'inizio del il secolo, stima poco i proseliti; egli pensa che bisogna risparmiarli, giacché, essendo cattivi per na­ tura, occorre impedire che ricadano nei loro crimini. Khlebo, rabbino di origine babilonese che abita in Palestina nel in secolo, dichiara con energia: «I proseliti sono altrettanto penosi per Israele che la lebbra per l'epidermide. È ciò che dice la scrittura in questi termini: i proseliti si attaccheranno a Israele e saranno una lebbra per la casa di Giacobbe». Un baraita provava persino che i proseliti, per il fatto di giocare con i bambini, ritardano l'avvento del Messia e il gioco al quale fa allusione è il vizio contro natura. Questa diffidenza si spiega per il timore di vedere il proselito tornare indietro. È dò che dice fra gli altri R Khiya alla fine del il secolo: «Non bisogna avere confidenza nel proselito fino alla ventiquattresima generazione, perché egli resta attaccato al suo lievito. Ma quando il proselito si sottomette al giorno del Signore con amore e rispetto c si converte in vista del deio, Dio non lo respinge, perché sta scritto: egli ama il proselito». Questa concessione finale sembra fatta un po' contro vo­ glia. Essa non basta a scartare l'impressione che, almeno dopo il fal­ limento degli ultimi tentativi di restaurazione giudaica, le conver­ sioni non siano incoraggiate dai rabbini più di quanto esse non siano viste con stima dai pagani7374. Questa è l'ultima parola del giudaismo sulla conversione dei pagani. Dopo aver annundato che tutte le nazioni si convertiranno al vero Dio, i profeti ispirati hanno cessato di alzare la voce: essi avevano portato a termine il loro messaggio. Ma i loro discendenti non li hanno compresi. Nel n secolo della nostra era, essi insegnano, più vigorosamente che mai, che le nazioni devono a Israele il fatto di non essere del tutto prive dei benefid divini: il mondo non sus­ sisterebbe senza Israele 7\ «Dio non si prende cura che di Israele e non custodisce che questo e, per cosi dire, è in ricompensa di questa custodia e di questa cura che si prende cura e custodisce gli altri 72 B lebamoth, 47 a, d t da M J Lagrange, ibid, p 270. 73 Gli ultimi testi, come i precedenti, sono ripresi da M J Lagrange, ibid, pp 270/271. 74 Hébhodha Zaréy 10 b: «È per questo che Dio li ha dispersi ai quattro venti. Israele, come l’olio, porta la luce al mondo»; Pesiqta, 7 a: «Il taber­ nacolo ha dato al mondo solidità e fermezza». 1D

La conversione al giudaismo uomini» 75. Le benedizioni che vengono nel mondo vengono solo a morivo dei figli di Israele e non per le nazioni76. Già molto prima lo Pseudo Aristea, aveva detto: «Il legislatore istruito su tutto da Dio, ri ha rinchiusi entro barriere inviolabili e in muri di ferro, perché non ri mescoliamo af­ fatto a nessuna delle altre nazioni, conservandoci puri nel corpo e nelTanima, purificandoci dai pensieri vani..,» 77. A dispetto delle belle affermazioni di un certo numero di rab­ bini, a dispetto degli sforzi compiuti in alcun momenti per moltipli­ care il numero dei proseliti78, il giudaismo, nel suo insieme, è ri­ masto fedele alle idee particolariste e nazionali. Non ha accettato i convertiti che a condizione di aggregarli non solo alla vita religiosa, ma anche alla vita sociale del popolo di Dio. O piuttosto non è mai riuscito a separare, secondo la grande tradizione profetica, ^elemento religioso dalTelemento nazionale. Così ha perduto, quando si sarebbe potuta presentare, l ’occasione di attirare la moltitudine dei pagani che cercavano Dio.

3. Successo relativo del giudaismo nel mondo antico Difficile da parte dei pagani sprezzosi e beffeggianri, difficile ugualmente da parte dei giudei intransigenti e orgogliosi, quale suc­ cesso ha incontrato in definitiva l’appello del giudaismo e perché al­ meno alcuni hanno risposto a questo appello? È difficile rispondere alle due questioni. Da una parte fanno qui difetto tutti gli elementi di una statistica e non è possibile va­ 75 Siphra Dt, xr, 12 (40), 78 b. 76 P Schebut, xv, 3, 35 b. 77 Pseudo Aristea, Lettera, 139. 78 II proselitismo ha fatto sempre parte integrante della tradizione reli­ giosa di Israele e, fin dai tempi più antichi, Israele si è accresciuto aggregandosi degli stranieri. Anche durante la schiavitù babilonese i giudei hanno ammesso fra le loro fila un certo numero di stranieri che, al ritorno, non poterono fornire la prova della loro origine autenticamente israelita. Al tempo dei Mac­ cabei i giudei vittoriosi arrivarono persino a circoncidere con la forza i loro nuovi sudditi. Giuseppe searione parecchi fatti di conversione: Beilum judaicurri, n, 20, 2; vn, 3, 3; Antiquitates, xrv, 7, 2; xvn, 3, 5; xx, 2, 3.45 ; rv, 1, 2; vn, 13; vin, 2; efr J Bonsirven, Le judahme palestinien, d t, t 1, pp 22/23. 116

Successo relativo del giudaismo nel mondo antico lutare la forza della propaganda giudaica nel momento in cui fu più intensa, cioè intorno al n secolo dell’era cristiana. Noi sappiamo al massimo che questa propaganda raggiunge tutte le parti dell'impero romano e si estende anche al di là. Essa interessa tutte le, classi so­ ciali, dalle più ricche alle più miserabili, compresa quella degli schiavi. Questi ultimi a volta erano circoncisi a forza, quando ciò non provo­ cava conseguenze legali fastidiose. «In caso di acquisto di uno schiavo incirconciso da un pagano, tutto dipende dalle condizioni formulate. Se lo si è comprato per circonciderlo viene trattato come schiavo e lo si circoncide suo malgrado. Se non si è convenuto di circonciderlo 10 si tratterà come libero e non è permesso di costringerlo alla circon­ cisione» 79*. Un aneddoto riportato da Isaac ben Nahman, a nome di Josuè ben Levi, uno dei principali ambras dell'inizio del I I I secolo, spiega il principio: «Un uomo aveva acquistato tutta una località abitata da schiavi pagani, per convertire la gente al giudaismo e cir­ conciderla. Ma essi si rifiutarono»00. Sembra che il nuovo proprieta­ rio non abbia osato andare oltre, conformandosi così alla regola che ognuno deve onorare Dio secondo la sua volontà e non per costri­ zione 81. Noi riteniamo dunque che nel periodo preso in esame, la forza di penetrazione del giudaismo sia stata molto grande. Gli autori pro­ fani parlerebbero tanto dei giudei, se costoro non avessero trovato udienza nei contemporanei? Orazio, Seneca, Dione Cassio, Svetonio, Tacito, Plinio il Vecchio, Persio, Giovenale, altri ancora, segnalano i giudei, descrivono i loro costumi, li beffeggiano, li criticano o li condannano. Non esiste per così dire, uno scrittore tra il 50 e il 150, che non li conosca e non li citi. Alla stessa epoca i cristiani, i quali, a dire il vero, sono appena nati e cominciano appena a diffondersi, vengono a stento menzionati. Il giudaismo al contrario ritiene l’attenzione, così come avviene, in questo periodo di intenso sincre­ tismo, per gli altri culti venuti dall’Oriente ed è impossibile che non possegga, anche in alto luogo, delle simpatie dichiarate. Possiamo ricordare alcuni fatti. L ’imperatrice Livia aveva una schiava chiamata Akmé e inviava doni al tempio di Gerusalem­ 79

Iebamoth, trad Schwab, t 7, p 113. Ibid, p 111. 11 Giuseppe, Vita, 23. Alcuni rabbini arrivano a scusare ridolatria di­ cendo che essa è uso degli antichi ed è bene seguire la tradizione degli antichi, efr J Bonsirven, op cit, t 1, p 104. 00

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La conversione al giudaismo me 82. L'imperatore Claudio aveva come amico l'alabarco Alessandro, che aveva servito la madre Antonia e s’era preso cura delle sue fi­ nanze 83. Un'iscrizione del regno di Claudio ci fa conoscere una schiava giudea dell’imperatore, originaria di Gerusalemme 84.' AJla corte di Nerone si trovava un attore giudeo: Alitiro 85* e la concubina di Ne­ rone, Poppea, era una «temente Dio» w. Dopo la sua morte essa non fu cremata all'uso romano, ma interrata alla maniera dei re stranieri87*. Sotto lo stesso regno, Pomponia Grecina, deferita al tribunale do­ mestico per superstitio externa w, era forse giudea, anziché cristiana. Domiziano, un po’ più tardi, fa condannare il console Flavio Clemente e la moglie Domitilla, appartenenti alla famiglia imperiale, per ateismo e pratica dei costumi giudaici89; questo, che per lo più dagli storici è stato inteso come segno di appartenenza al cristianesimo, potrebbe essere detto anche del giudaismo 90. Se questi fatti sono troppo pochi per autorizzare una conclusione d'insieme, bastano a dar prova del­ l'attrazione che il giudaismo ha esercitato fin nell'ambiente imperiale. Si potrebbe aggiungere del resto che, sotto i tre regni di Vespasiano, Tito e Domiziano, lo storico Giuseppe fu persona grata presso gH imperatori e che egli ebbe per protettore, se non per amico, il po­ tente liberto di Nerone, Epafrodito, al quale dedicò la Vita e il Contra Apionem 91. Soprattutto bisogna ricordare che tutti i figli di Erode il Grande furono allevati a Roma e vi intrattennero relazioni amichevoli con i principi della famiglia imperiale92. In ogni ipotesi— e questo ci interessa soprattutto— le simpatie

82

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Giuseppe, Antiquitates xvn, 5, 7; Bellum judaicum 32, 6; 33, 7; v, 13, 6. Giuseppe, Antiquitates, XDC, 5, 1. Corpus inscriptionum latinorum, x, 1971. Giuseppe, Vita, 3. Giuseppe, Antiquitates, X X , 8, 11; Vita, 3. Tacito, Annales, xvi, 6. Tacito, ibid, xnr, 32. Dione Cassio, op cit, lxvxt, 14, ls; Svetonio, Domiziano, 15. J Juster, op cit, t 1, p 257, n 1. Questa identificazione non è sicura, ma molto probabile; cfr Th Reinach, Flavius Josèphe, Contre Apion, Paris 1930, p 1, n 2. 92 Agrippa i passò a Roma la maggior parte della sua vita, fino alla sua elevazione al trono. Fu amico di Druso, figlio di Tiberio (Giuseppe, Antiqui­ tates, xviu, 6, 1) e più tardi di Caligola. Sono noti i rapporti molto stretti di Berenice e di Agrippa n con gli imperatori Vespasiano e Tito. Ma bisogna dire che i principi erodiani non sono stati ferventi giudei, se non hanno finito addirittura per apostatare. 118

Successo relativo del giudaismo nel mondo antico dichiarate o segrete dei pagani, anche ricchissimi e potentissimi, non portano troppo lontano sulla strada della conversione. Per lo più ci si arresta allo stadio preliminare 93. Si accetta dal giudaismo la fede monoteista, ci si ispira ad esso per alcuni usi, come il riposo del sabato, i digiuni, le astinenze alimentari. Tutto ciò è relativamente facile. E dopo, se qualche giorno il fardello diventa troppo pesante, lo si rigetta, tanto più facilmente quanto meno si è impegnati. Il «temente Dio» non fa parte della comunità di Israele. Egli resta libero di se stesso. La sua situazione permette ogni curiosità e ogni rinnegamento 94. Quanto ai motivi che hanno portato le anime ad abbracciare il giudaismo, essi sono molto lontani dall'esser chiari. Si può citare «l'apologetica vivente che era costituita dallo spettacolo così sedu­ cente della vita familiare dei giudei e delle loro virtù religiose e morali, nonché Lattazione che esercitava sulle anime più spirituali il culto delle sinagoghe largamente aperte agli stranieri; la lettura della bibbia resa accessibile ad ogni uomo colto dalla traduzione dei Set­ tanta» 95. Si può ancora ricordare il richiamo del monoteismo, e di un monoteismo concreto, vivo, dimostrato da una tradizione lunga e gloriosa; l’interesse provocato dall’esclusivismo dei benefici divini che, facendo di Israele un popolo a parte, svegliava il desiderio di aggregarsi a questo popolo eletto. Si potrebbero aggiungere a questi altri motivi ancora, senza che alcuno di essi sia in grado di spiegare come, a dispetto di tutte le resistenze venute dal di dentro e dal di fuori, il giudaismo si sia man­ 93 La circoncisione resta per molti un ostacolo insormontabile. Forse è per questo che le donne si convertono più volentieri degli uomini. Almeno noi conosciamo più donne che uomini a essere passati al giudaismo. 94 Giuseppe, Contra Apionem, ir, 32, 232s$, si vanta molto quando, a proposito dei giudei di origine, scrive: «Forse tra di noi sono stati conosciuti, non dico molti, ma solo due o tre che abbiano tradito le leggi e temuto la morte? Io non parlo della morte più facile che sopravviene in combattimento, ma delia morte accompagnata alle torture del corpo, che sembra essere la più spaventosa di tutte. Questo è vero fino a tal punto che io ritengo di alcuni vincitori, che ci maltrattavano, non già per odio contro la gente, secondo il loro piàcimento, ma per contemplare lo spettacolo straordinario di uomini per i quali Tunica disgrazia consisteva nell'essere costretti a commettere un'azione o soltanto a pronunciare una parola contraria alle loro leggi». Senza voler misconoscere Teroismo dei martiri giudei, si può tuttavia affermare che il giudaismo dovette deplorare un certo numero di apostasie. 95 J Bonsirven, op city t 1, p 25. 119

La conversione al giudaismo tenuto in mezzo alle nazioni e non abbia smesso di farvi progressi. La conversione al giudaismo è una specie di paradosso, allo stesso modo del giudaismo come tale. Sembra che tutti gli elementi si diano convegno per rendere impossibili queste conversioni: il paganesimo non ha che disprezzo o odio per la religione di Jahwe, da' cui viene condannato; l’impero sopporta appena una comunità etnica che non si lascia assimilare come le altre c che, anche senza capi, senza capitale, senza territorio, senza lingua particolare, pretende restare un popolo e una patria. Il giudaismo stesso pone tali condi­ zioni e tali difficoltà ai candidati alla conversione, che saranno man­ tenuti per il resto ad un rango inferiore, da allontanare le volontà migliori. Ma al tempo stesso il giudaismo ha i suoi apostoli devoti, schia­ vi, commercianti, letterati che moltiplicano gli sforzi di propaganda. L ’impero accorda al popolo giudaico privilegi esorbitanti che rifiuta a tutti gli altri popoli conquistati e che questi non pensano nemmeno di chiedere. U paganesimo accetta gli usi giudaici per cui, quasi dap­ pertutto, per lo meno nelle città importanti, il sabato non si lavora come nelle feste più importanti. Tutto sembra fatto per stornare le anime e al tempo stesso tutto sembra fatto per attirarle. Le anime, sconcertate, esitano. Ben poche vanno fino in fondo e si lasciano con­ quistare. Ma un gran numero ascoltano i predicatori che leggono o commentano Mosè e i profeti. Un gran numero accettano di adorare il Dio vivente che ha promesso di chiamare a sé tutte le nazioni e di inviare ad esse la sua luce. E mentre il giudaismo cerca la sua via, mentre gli spiriti si orientano faticosamente verso il vero Dio, nella sinagoga di Nazareth, un operaio, uno sconosciuto, rilegge ai suoi compatrioti il passaggio notissimo di Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l ’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in li­ bertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore. Poi ar­ rotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga staVano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire; oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi»96. Da quel gipmo in effetti comincia la conversione del mondo ad opera del cristianesimo. Una luce nuova s’è levata che non si spegnerà mai più. »

Le 4,16/21. 120

Capitolo quarto I M OTIVI DELLA CONVERSIONE CRISTIANA

II mondo greco romano non si è convertito a nessuna delle re­ ligioni orientali che, a turno o simultaneamente, hanno sollecitato la sua adesione; non si è convertito alla filosofia, malgrado la predi­ cazione e gli esempi degli stoici e dei cinici; non si è convertito al giudaismo, nonostante la propaganda della legge mosaica; ma si è convertito al cristianesimo. Una trentina d ’anni dopo la morte del Signore era possibile fare già, nella comunità di Roma, una molti­ tudine immensa di m artiriJ; e all’inizio del li secolo, un funzionario integro come Plinio il Giovane, aveva il diritto di dichiarare che, nella sua provincia di Bitinia, la nuova superstizione aveva invaso non solo le città, ma anche i borghi e le campagne1 2. È stato senza dubbio scritto che, se il mondo non fosse divenuto cristiano, sarebbe diven­ tato mitriaco3. A dire il vero noi non ne sappiamo niente 4 e soprat­ tutto resta il fatto che non è divenuto mitriaco, mentre è divenuto cristiano e lo è rimasto per secoli. La rapidità e la profondità di questa conversione sollevano gravi problemi e, prima di ogni altro, questo: perché il cristianesimo è riuscito là dove son falliti tutti gli altri tentativi di trasformazione o di conquista degli spiriti antichi? 1 Clemente, Prima lettera ai Corinzi, vi, 1; Tacito, Annales, xv, 44. 2 Plinio il Giovane, Epistulae, x, 96, 3 Cfr F Cumont, Textes et monuments figurés relatifs aux mystères de Mitbra, t 1, Bruxelles 1896, pp 276/277. * Cfr A v Hamack, Mission und Ausbreitung des Cbristentums, cit, t 2, pp 938/946. 121

I motivi della conversione cristiana Una risposta adeguata a questa questione è impossibile. Il se­ greto delle anime appartiene loro e noi non possiamo dimenticare la potente azione della grazia di Dio che sceglie quelli che vuole e li conduce a sé per le strade che egli vuole. Il più noto tra i convertiti dei primi tempi cristiani, Paolo, è anche colui del quale la conversione resta più misteriosa. A più riprese si è tentato di spiegarla. C’è chi ha fatto appello al calore o al riverbero del sole sulla sabbia; all ecci­ tazione nervosa del giovane fariseo che, avvicinandosi al termine del suo viaggio, si lasciava sempre più commuovere dalla missione di cui era incaricato; al lavorio di meditazione più o meno cosciente, pro­ vocato dalla morte eroica di Stefano, e ad altro ancora. È sufficiente dopo tutto questo rileggere il racconto degli A tti5 o forse, meglio ancora, quello più c o m m oven te, perché più diretto, della Lettera ai Galati, per rendersi conto dell’insufficienza delle spie­ gazioni puramente umane: «Vi dichiaro dunque fratelli che il vangelo da me annunciato non è modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto né l ’ho im­ parato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. Voi avete certa­ mente sentito parlare della mia condotta di un tempo nei giudaismo, come io perseguitassi fieramente la chiesa di Dio e la devastassi, su­ perando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e conna­ zionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me il Figlio suo perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli pri­ ma di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco» 6. Una volta convertito, Paolo conserva senza alcun dubbio le qua­ lità umane che aveva fin dalla nascita, la vivacità dei sentimenti, l yar­ dore della volontà, la profondità dell’intelligenza e, al di sopra di tutto, l ’entusiasmo col quale si consacra tutto intero alla missione che lo sedusse una volta. Giudeo, ejjli apparteneva anima e corpo a Jahwe e alla sua legge. Cristiano è esclusivamente il discepolo eletto da Gesù Cristo. Il suo cuore non ammette divisioni. Non è stato mai uomo dai temporeggiamenti e dalle mezze misure. Dal giorno in cui ha riconosciuto, in Gesù, il messia promesso dai profeti e il salvatore degli uomini, egli è pressato ad annunciarlo attorno ’a sé. Il suo apoAt 9, 1/19; cfr At 22, 3/21; 26, 9/20. Gal 1,11/17.

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I motivi della conversione cristiana stolato comincia subito dopo la conversione e ciò che ci sorprende maggiormente nel racconto della sua vita, senza che per altro possiamo sollevare il velo che lo sottrae ai nostri occhi, è il periodo di raccogli­ mento e di silenzio che passerà in Arabia, in Cilicia, senza che sap­ piamo con esattezza dove, prima di iniziare le sue grandi spedizioni missionarie. Ma se la conversione non cambia le sue facoltà naturali, le rivolta talmente che Paolo resta il tipo perfetto di tutti i convertiti. Egli lo sa e dichiara senza esitazione: «Per grazia di Dio sono quel che sono e la sua grazia non è stata vana in me» 7. Il caso di Paolo è un caso privilegiato e da solo fornisce la ma­ teria sufficiente per un lungo studio. Sono infatti poche le conver­ sioni che conosciamo con lo stesso lusso di dettagli e con la stessa precisione. La maggior parte di quelli che hanno raccontato la loro chiamata al cristianesimo ed il loro ingresso nella chiesa, l’hanno fatto con una discrezione che ci deprime. Alcune allusioni sparse in un’opera di grande respiro, come nel caso di Tertulliano; un racconto più o meno romanzato come quello di Giustino nei primi capitoli del Dia­ logo con Trifone; una narrazione vaga e quasi impersonale, come quelle di Taziano, Cipriano, Commodiano, Finnico Materno, Ilario di Poitiers e di molti altri ancora: ecco in genere il genere di testimo­ nianze di cui siamo ridotti a servirci. Colui che tra i convertiti si è maggiormente consegnato ai contemporanei e alla posterità, Agostino, appartiene ad una categoria molto speciale, perché non ha dovuto scoprire il cristianesimo come se fosse venuto dal di fuori. Il figlio di Patrido e Monica in effetti è nato e cresciuto in un’atmosfera cri­ stiana; fin dalla più tenera età è stato iscritto nel numeto dei catecu­ meni; ha corso il rischio di essere battezzato, per suo desiderio, all’età di undici o dodici anni. Il manicheismo, che così a lungo Io ha trat­ tenuto nelle sue reti, nonostante tutti gli elementi estranei che vi si trovano mescolati, è un’eresia cristiana8. Tutti questi sono elementi che hanno un loro peso e obbligano lo storico a distinguere la con­ versione di Agostino da quella dei pagani venuti direttamente dalle tenebre dell’idolatria, alla luce del cristianesimo. Ma v’è di più. Co­ loro che hanno parlato, poco o molto, della loro conversione, sono 7 1 Cor 15, 10. 8 Si può discutere, quasi alTinfìnito, sul posto che l’eleinento cristiano occupa nel manicheismo. In ogni caso, anche se si tende a restringerlo, non bisogna dimenticare che Mani, all'inizio della Lettera del jondamentoy si pre­ senta come «apostolo di Gesù Cristo», per provvidenza di Dio Padre.

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I motivi della conversione cristiana uomini istruiti, letterati, filosofi. Ora, in ogni società essi costitui­ scono un piccolo numero. Ed essi lo sono soprattutto nella rhiesn che, per lungo tempo, reclutò la maggior parte dei suoi fedeli tra gli igno­ ranti e i poveri. Noi daremmo molto per sapere quello che hanno provato gli schiavi, la povera gente, i commercianti, i marinai, i col­ tivatori che, ad Antiochia, a Salonicco o a Corinto hanno udito per la prima volta l ’annuncio del regno di Dio e gli appelli alla libertà conquistata dalla croce di Cristo. Nessuno fra questi umili si è preoc­ cupato di scrivere e, se avessero tentato, sarebbero stati incapaci di farlo. D ’altra parte molte conversioni sono state operate in massa dopo imo dei discorsi degli apostoli. Com’è possibile che l’allocuzione di Pietro il giorno di Pentecoste a Gerusalemme9, o quella in occa­ sione della guarigione dello storpio alla fiotta B ella10, abbiano deter­ minato migliaia di giudei a fare penitenza dei loro peccati e a chiedere il battesimo? Perché il discorso di Paolo all’Areopago, questo discorso così studiato nella forma, così accuratamente preparato in profondi­ tà ” , non ha incontrato alcun successo ed è stato interrotto dalle beffe degli ascoltatori? Perché l ’apostolo, dopo il suo arrivo a Corinto, ha risolutamente cambiato il suo metodo di esposizione ed ha rinunciato a insegnare qualsiasi cosa che non fosse la croce di Gesù Cristo e di Gesù Cristo crocifisso, e perché questa predicazione semplicissima del mistero della croce ha conquistato una comunità numerosa e fedele? u Questioni di questo genere si possono moltiplicare e la maggior parte di esse sono destinate a restare senza risposta. Per quanto incomplete e insufficienti siano, per forza di cose, le testimonianze dei convertiti, noi possiamo tuttavia chiedere ad esse tutto ciò che sono in grado di darci. Saremo quindi nella condizione di conoscere, in maniera imperfetta senza dubbio, ma esatta nell’insieme, qualcuna delle ra­ gioni che hanno attirato gli spiriti antichi verso la religione del Sal­ vatore.

1. Desiderio della verità Di queste ragioni la prima è il desiderio di verità. Questo de­ siderio è di tutti i tempi. Nessuno forse ne ha espresso la forza con At 2, 14/36. At 3,12/26. At 17,22/31. 1 Cor 2, 1/2. 124

Desiderio della verità la stessa eloquenza di Agostino. Egli aveva diciannove anni quando fu sedotto, per la prima volta, da un libro di filosofia, VOrtcnsio di Cicerone. L ’amore del vero che vi attinse non cessò più di abitare nella sua anima. Questo amore cominciò per condurlo dai manichei: «Ripetevano: verità, verità, e ne facevano un gran parlare con me ed essa non era mai in essi. Dicevano il falso non su te soltanto, che sei veramente la verità, ma anche sugli elementi di questo mondo, tua creatura... Verità, verità, come già allora dal più profondo della mia anima, sospiravo per te, mentre così spesso e in tanti modi quelli facevano risuonare a me il tuo nome, ma con la voce soltanto e con libri enormi e numerosi» u. Più tardi questo desiderio della verità lo portò al cattolicesimo e fu qui che infine trovò la felicità che è la verità: «Ho conosciuto molte persone desiderose di ingannare; nessuna di essere ingannata. Dove hanno conosciuto quindi questa vita beata, se non dove conobbero anche la verità? Amano quindi la verità per­ ché non vogliono essere ingannate, e amando la vita beata, la quale non è altro che il godimento delk verità, amano senz'altro anche la verità...14. Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, lardi ti amai. Ed ecco tu eri dentro di me ed io fuori dove ti cercavo. Ed io, deformato, ti cercavo in queste cose belle che tu hai fatto. Tu eri in me e io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle cose che, se non fossero in te, non esisterebbero nemmeno. Mi chiamasti, gri­ dasti e sfondasti la mia sordità; balenasti, brillasti e dissipasti la mia cecità; hai diffuso la tua fragranza e ho respirato e anelo a te; ho gustato e sono affamato e ho sete; mi hai toccato e bruciai d’ardore per la tua pace» Molti altri, oltre Agostino, hanno conosciuto questo stesso de­ siderio; sembra che il vecchio mondo, più ancora del nostro, sia stato, almeno in certe epoche, torturato dalTinquietitudine intellettuale. Di questa inquietitudine troviamo un’eco nelle ultime lettere di Paolo. I cristiani dell’Asia Minore, ai quali si indirizza Paolo, rischiano di lasciarsi turbare dalle filosofie e dagli inganni vani che seguono le u Agostino, Confessioni, ni, 8, 10. 14 Ibid, x,2 3 , 33. 15 Ibid, x, 27, 38; efr C Boycr, Uidée de verità dans la philosophie de saint Augustin, Paris 1921. 125

I motivi della conversione cristiana tradizioni umane, secondo i principi di questo mondo 16. Noi inten­ diamo queste ultime parole nel senso di sogni astrologici, ai quali si mescolano ogni genere di superstizioni improntate al giudaismo: ci si occupa di feste, di neomenie, di sabati, si accorda un’importanza sconsiderata al culto degli angeli. Sono queste, afferma Paolo, visioni di illuminati i quali, ripieni di vano orgoglio e di una ragione tutta carnale, si separano dal Cristo 17. Senza dubbio i veri cristiani non si lasciano sedurre, perché essi sono certi di possedere già tutta la verità. Ma un numero molto grande di fedeli imperfetti sono sensibili all’at­ trazione di queste false dottrine e uniscono, al cristianesimo autentico e al deposito tradizionale, speculazioni stravaganti che ne compromet­ tono la purezza. Uno degli ultimi avvertimenti dati dall’apostolo Paolo al discepolo Timoteo, consiste nel metterlo in guardia contro i maestri di menzogne che si compiacciono nelle dispute vane ed empie e nelle opposizioni della falsa gn osi18. La parola gnosi è caratteristica. Essa serve ad indicare l’insieme dei movimenti i quali, dalla fine del i secolo fino agli inizi del ni, si svilupparono in margine al cristianesimo autentico e rischiarono di comprometterne la crescita. La storia definitiva di questi movimenti attende ancora di essere scritta, ammesso che possa esserlo. Essi infatti si ricollegano alle religioni orientali, al giudaismo, ai paganesimi grecoromani, oltre che al cristianesimo stesso e, ognuno alla sua maniera, traducono il desiderio universale che gli uomini di questo tempo hanno di essere ammessi a possedere il segreto delle cose. Sulla natura come tale incombe un immenso mistero. Occorre sollevare il velo che lo ricopre e ciò non può avvenire che mediante una rivelazione de­ stinata ai soli iniziati19. 16 Col 2 ,7 /8 . 17 Col 2, 18/19; cfr J Huby, Les Epìtres de la captività, Paris 1905, p 76s. 10 1 Tm 4, 1/3; 6,20. Le opposizioni di cui parla FApostolo sono forse del genere di quelle che Marcione svilupperà più tardi e le quali vogliono sottolineare la differenza tra l’insegnamento di Cristo e quello del Vecchio Testamento. 19 L ’idea di rivelazione e quella di segreto sono strettamente connesse. L ’iniziato non ha il diritto di comunicare ad altri ciò che ha appreso. Gli scritti ermetici, ad esempio, non devono essere tradotti in greco, per non cadere nelle mani dei profani. Cfr Trattato , xvi, 2; xm, 22. Si legge nell'Asclepios, 32: «E voi, Tat, Asclepio e Aminone, coprite col silenzio c nascondete con la taciturnità, nei segreti del petto i divini misteri»; cfr A J Festugière, Vidéal religieux des grecs} cit, pp 120ss; « L ’expérience religieuse du médecin 126

Desiderio della verità Felici coloro che parteciperanno di questa rivelazione: essi co­ nosceranno altrettanto bene le proprietà delle piante che Tastrologia 2l, Talchimia, la fisiologia, la iatromatematica, la retorica e tante altre cose ancora. Il libro della Sapienza, in uno dei suoi passaggi più curiosi, dichiara che «Egli mi ha concesso la conoscenza infallibile delle cose, per comprendere la struttura del mondo e la forza degli elementi, il principio, la fine e il mezzo dei tempi, Palternarsi dei solstizi e il susseguirsi delle stagioni, il ciclo degli anni e la posizione degli astri, la natura degli animali e ristinto delle fiere, i poteri degli spiriti e i ragionamenti degli uomini, la varietà delle piante e le pro­ prietà delle radici» 22. Nella Pistis Sophia il rivelatore promette al­ l’iniziato che conoscerà i misteri delle bestie selvagge, dei rettili, della vacca e degli uccelli, delle montagne e delle pietre preziose, delToro e dell’argento, del rame, del ferro e del piombo, del vetro e della cera, delle piante, della terra, del mare e degli animali marini; conoscerà ugualmente il mistero dei punti cardinali, quello dei demoni e degli Thessalos», art cit, pp 50/51; La révélation d'Hermès Trismégiste, t 1: Gastro­ logie et les Sciences occultes, Paris 1944, pp 309/354. Negli scritti gnostici di lingua copta, non c'è parola che ritorni più spesso di quella di mistero, se non addirittura di rivelazione. Nel secondo libro di Jeut ad esempio, Gesù spiega agli apostoli che, per partecipare ai misteri, occorre aver rinunciato completamente al mondo, ai suoi affari e ai suoi beni e di non aver altra fede che quella nella luce. I misteri sono sacri e non bisogna rivelarli ad alcuno. Gesù insiste su questo obbligo del segreto. Nel primo scritto del Papiro Bruce, Gesù rivela agli iniziati le parole d'ordine che permetteranno di attraversare liberamente i compartimenti o gli stadi che si succedono nel mondo invisibile. Ma queste parole non possono essere indifferentemente comunicate a ognuno. 20 II medico Tessalo desidera conoscere le proprietà delle piante, per poter guarire i malati che si indirizzano a lui e strabiliare con la propria scienza i confratelli; efr A J Festugière, art cit, pp 58/59. La storia di Cipriano Mago, che studia tutte le scienze possibili e immaginabili in Grecia, in Frigia, in Egitto e in Babilonia, prima di istallarsi ad Antiochia, è particolarmente caratteristica di questa sete di conoscenza; efr A J Festugière, La révélation d'Hermès Trismégiste, cit, pp 37/40; 369/383. 21 L'astrologo Vettio Valente persegue con ardore straordinario la cono­ scenza della sua arte; efr A J Festugière, Vtdéal religieux des grecsì cit, pp 120/127; F Cumont, VEgypte des astrologues, Bruxelles 1937, pp 151ss. 22 v Sap 7, 17/20. Evidentemente la rivelazione di cui si tratta è quella della vera saggezza e viene dal vero Dio. Ma come nota De Vaux, secondo A J Festugière, art cit, p 48, n 2, «è impossibile non vedere in questo testo un riflesso della polemica giudaica contro gli insegnamenti segreti dell’elle­ nismo alessandrino».

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I motivi della conversione cristiana uomini, del fuoco e dell'aria, delle stelle e delle nubi, della terra e dell'acqua, del secco e dell'umido, della pioggia e della rugiada e di molte altre cose ancora 2324. L'enumerazione prosegue per parecchie pa­ gine, il cui solo interesse consiste nel fard conoscete Tuniversale cu­ riosità che anima gli uomini del n e del n i secolo È chiaro che le sdenze naturali non sono suadenti a soddisfare questa curiosità. G ò che si desidera conoscere infatti è soprattutto il segreto del mondo invisibile: «Per i curiosi questo mondo non è vuoto. Al di sotto di Dio che resta inaccessibile, devono esserci delle entità, astratte e viventi ad un tempo. Quali sono? In quale ordine gerarchico si ordinano? Cosa hanno fatto? Quali rivoluzioni vi sono state in questo dominio trascendente? Quali ripercussioni gli avveni­ menti dell'alto hanno avuto sulla storia del cosmo e dell'umanità? Quale rapporto esiste tra le regioni sovrasensibili e il nostro mon­ d o ? » 25. Ecco alcuni dei problemi di cui d si preoccupa. Giacché si spera di entrare un giorno nel mondo invisibile, si vuole conoscere il mezzo sicuro per penetrarvi e possedere le parole misteriose che permettono di arrivarvi senza indampi. Molte religioni misteriche sfodano, come abbiamo visto 26 nella comunicazione agli iniziati di formule destinate a procurare la salvezza e il libro di Jeut presso gli gnostid di lingua copta, è pieno di formule del genere, grazie a cui è possibile attraversare senza inadenti le sfere celesti. Ora il cristianesimo più autentico è una gnosi. «Nel Verbo era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta... Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe» 27. «Dio è luce e in lui non vi sono tenebre»23. Il Salvatore stesso dichiara anzi che la vita eterna consiste nel conoscere il vero Dio e colui che ha man­ 23 Pistis Sophia, 92/93, edizione di C Schmidt, Koptisch-gnostiscbe Schriften, t 1, Leipzig 1903, pp 133/137. 24 Forse occorrerebbe aggiungere che questa curiosità resta superficiale e non sfocia in grandi scoperte sden tifi che, G ò che si ricerca, sono soprattutto ricette e procedimenti per dominare il mondo. Vi erano allora più maghi che sapienti. 25 E de Faye, Gnostiques et gnosticisme, Etude critique des documenti du gnosticisme chrétien, u ed, Paris 1923, p 434. 26 Cfr sopra, cap i. 27 Gv 1 ,4 /3 ,9 /1 0 . a 1 Gv 1,5. 128

Desiderio della verità dato Gesù Cristo ®. Egli afferma che è lui stesso la verità30 e che la verità libererà i suoi discepoli31. Senza dubbio, Paolo insiste nell’opporre alla sapienza umana di cui sono innamorati i greci, il Cristo crocifisso, follia per i greci e scandalo per i giudei, ma sapienza e forza di Dio per i credenti Egli dichiara ugualmente che la scienza gonfia, mentre l’amore edifica e precisa che, anche se conoscesse i misteri e tutta la scienza, ma non avesse la carità, dò non gli servi­ rebbe a niente33. Ciò non gli impedisce tuttavia di scrivere altrove che egli è incaricato di rivelare in mezzo alle nazioni il mistero na­ scosto dall’eternità e fatto conoscere ormai ai santi3*. E in un altro passo ancora in maniera più predsa: «A me, che sono l ’ i n f i m o fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare ai gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo, e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo, perché sia manifestata ora nel deio, per mezzo della chiesa, ai principati e alle potestà, la multiforme sa­ pienza di Dio» Chi sarebbe potuto restare insensibile a queste promesse? Tra i misteri dell’Oriente, molti sono esdusivamente letterari e sono rin­ chiusi in un libro la cui conoscenza, riservata ai soli iniziati, è suffidente per dare il segreto della liberazione36. Anche il cristianesimo appariva, per molti aspetti, come una religione del libro v . Esso por­ tava al mondo le scritture sacre dei giudei, comunemente ignorate fino allora, e vi faceva vedere le profezie di cui realizzava il compi­ mento. Esso completava queste scritture, a partire dalla fine del i se­ colo, se non prima, con altre scritture che si raccomandavano per l’au» Gv 17,1. » Gv 14, 6. 3> Gv 8,32. » 1 Cor 1,18/25. « 1 Cor 13,2. » Col 1,23/27. « Ef 3,8 /1 0 . 36 Cfr in A J Festugière, L ’idéaJ religieux des grecs, cit, pp 116/142, il capitolo dedicato ai misteri cultuali e misteri letterari. Secondo A Boulanger, «Le salut selon l’orphisme», in Mémorùd Lagrange, Paris 1940, pp 69/79, l’orfismo dovrebbe essere classificato tra i misteri letterari e l’iniziazione orfica essenzialmente consisterebbe nella trasmissione di un libro sacro, di uno hieros logos. Cfr, per rermetismo, A J Festugière, « Le ' Logos", hermetique d ’enseignement» in Revue des Etudes grecques (1942), pp 77/108. 37 A v Hameck, op cit, t 1, pp 289/299. 129

I motivi della conversione cristiana torità degli apostoli e Ispirazione dello Spirito Santo. Se non agiva sulle anime con lo splendore del suo culto, con le pompe della litur­ gia, il prestigio dell'arcano, presentava tuttavia alle anime stanche, ai cuori affaticati e dilaniati per 1'inutile ricerca del vero bene, ciò che avevano cercato altrove senza trovarlo: Tannando della vera salvezza. Bastava avvicinare e paragonare agli scritti famosi posti sotto il pa­ trocinio di Orfeo, Zoroastro o Hermes, gli oracoli degli antichi pro­ feti, le lettere degli apostoli e soprattutto i quattro vangeli, per af­ ferrare la distanza che separava gli uni dagli altri. Da una parte parole inintelligibili, procedimenti magia, a volte persino pie frodi o puerili inganni, che un po’ di buon senso e di sangue freddo bastava a sco­ prire 38. Dall'altra parte onestà, lealtà, franchezza e, al di sopra di tut­ to, la dottrina di colui che, essendo in forma di Dio, non aveva repu­ tato rapina l'uguaglianza con Dio, ma aveva spogliato se stesso per prendere la forma di schiavo e farsi obbediente fino alla morte di croce39. Per trovare la verità, molti intraprendono viaggi interminabili e lunghi. Il medico Tessalo, dopo aver eserdtato l'arte della gram­ matica in Asia, passa ad Alessandria, poi si mette a percorrere l'Egit­ to, in cerca del dio che possa rivelargli i segreti delle piante40. L'astro­ logo Vettio Valente attraversa terra e mare, visita numerose nazioni, prima di scoprire il mistero degli elementi del quale si preoccupa41. Ludo, nelle Metamorfosi di Apuleio, per arrivare al termine delle sue sventure, deve prima attraversare prove lunghe e terribili42. 38 Ippolito, Pbilosophoumena, xv, 32/35; ed Wendland, pp 58s. Sant'Ip­ polito racconta in dettaglio come si usa per persuadere gli spiriti ingenui e creduli che il dio è veramente apparso loro: «(Ecco come il mago) fa apparire la. divinità in lineamenti di fuoco. Dopo aver disegnato sul muro la sagoma che vuol mostrare, ne spalma di nascosto la superficie con nnq droga composta del miscuglio seguente: porpora lacone e bitume di Zante; quindi, come in un delirio estatico, avvicina al muro una torcia infiammata e la droga prende fuoco in una gran luce»; cfr R Ganschinietz, Hyppolitos Capitei gegen die Magier (Texte und Urttersuchungen, xxxix, 2). Esistono ancora altri procedi­ menti dello stesso genere. » Fil 2, 6/8. 40 A J Festugière, « L ’expérience religieuse du médecin Thessalos», art dt, pp 57/59. 41 Vettio Valente, Florilegium, ed Kroll, Catalogna codicum astrologorum, t 5, pp 49,19/21. c Apuleio, Metamorfosi, xi, 15. 130

Desiderio della verità Un certo numero di anime trova la verità cristiana al termine di simili ricerche. Tale è il caso di san Giustino il filosofo, di cui è necessario leggere il racconto: «A mia volta cominciai a desiderare di frequentare uno di que­ sti filosofi e mi affidai a uno stoico. Dopo un certo tempo passato con lui, giacché non avevo aggiunto nulla alle mie conoscenze su Dio (egli stesso non lo conosceva e affermava che questa scienza non è neces­ saria), lo lasciai per un altro, peripatetico, spirito molto penetrante secondo il suo convincimento. Egli mi sopportò i primi giorni e poi volle che fissassi un salario affinché le nostre relazioni non restassero inutili. Questo fu il motivo per cui Pabbandonai, non stimandolo fi­ losofo del tutto. Restavo tuttavia col cuore pieno del desiderio di comprendere ciò che veramente e soprattutto è la filosofia e mi rivolsi ad un pitagorico, famosissimo e molto fiero della sua sapienza. Dopo, giacché manifestai Pintenzione di diventare suo alunno e discepolo familiare, mi disse: come? Hai imparato la musica, Pastronomia, la geometria? Pensi dunque di contemplare un giorno qualcuna delle cose che contribuiscono alla felicità, se prima non hai appreso ciò che distacca Panima dagli oggetti sensibili per renderla capace di quelli intellettuali, perché veda il bene e il male in se stessi? Egli mi fece dunque un grande elogio di queste scienze, mi dichiarò che erano necessarie, poi mi congedò perché gli confessai di non conoscerle. Io ero naturalmente addolorato da questa delusione, tanto più che lo consideravo un sapiente. Ma quando in seguito valutai il tempo neces­ sario per lo studio di queste scienze, non mi seppi risolvere a questo lungo ritardo. Nel mio imbarazzo decisi di andare a trovare i platonici. In effetti essi avevano una grande fama. Da poco inoltre abitava nella nostra città un uomo intelligente, che passava per uno dei principali platonici. Lo frequentavo più spesso che potevo e feci dei progressi; ogni giorno avanzavo quanto più possibile. L ’intelligenza delle còse incorporee mi prendeva moltissimo; la contemplazione delle idee dava ali al mio spirito, cosicché dopo un po’, ritenni di essere divenuto un sapiente. Fui anche così sciocco da credere che avrei visto Dio senza mediazioni» 43. Una nuova delusione orientò Giustino al cristianesimo. Egli eb­ be la buona fortuna di incontrare un vegliardo cristiano il quale gli svelò la vera natura della visione di D io 44 che costituiva il termine ultimo dei suoi desideri e-al tempo stesso gli rivelò il Cristo. 43 Giustino, Dialogo con Trifone, n, 3/6. 44 La visione di Dio, la somiglianza con Dio e la conversazione con Dio: ecco i fini essenziali che si propongono nel mondo ellenico, le anime avide di verità. Cfr A J Festugière, Vidéal religieux des grecs, cit, pp 117/122; La 131

I motivi della conversione cristiana Vi potrà essere una parte di fantasia nel racconto di Giustino o almeno un accomodamento letterario45. Il tema dei viaggi e delle ricerche perseguite nelle diverse scuole filosofiche fa in qualche modo parte dei luoghi comuni della conversione. Lo si trova ad esempio nelle Omelie clementine. Come Giustino, Clemente comincia a fre­ quentare i filosofi. Ma egli vede costoro «occupati soltanto a distrug­ gere e edificare sistemi, a disputare, a ingelosirsi, a costruire sillogismi artificiosi e immaginare premesse. Il dogma che prevale è a volte che Lamina è immortale e a volte che è mortale... e le tesi messe in discussione sono considerate vere o false, secondo i pregiudizi di co­ loro che le difendono e non secondo la parte di verità che esse con­ tengono» 4Ó. Deluso da questi filosofi, Clemente ha intenzione di ri­ volgersi ai maghi, per soddisfare il suo desiderio di conoscere. «Voglio partire per l ’Egitto. Là diventerò amico degli ierofanti e dei profeti dei santuari; dopo aver cercato e trovato un mago, lo convincerò, con una forte somma di denaro, ad evocare, mediante la cosiddetta negromanzia, un’anima, come se volessi informarmi di alcuni affari; ma la mia inchiesta avrà lo scopo di conoscere se Lamina è immor­ tale» 47. Uno dei filose^ suoi amici lo dissuase dal tentare l’avventura e lo consigliò piuttosto di andare in Giudea ad ascoltare la predica­ zione di Gesù. Siamo qui in pieno romanzo. Lo stesso accade negli atti di san Cipriano d’Antiochia: qui vediamo lo stesso mago met­ tersi alla ricerca della verità per monti e valli49. Ci ritroviamo invece sul terreno solido della storia con Taziano l’Assiro, discepolo di san Giustino. Come il suo maestro, Taziano si è messo alla ricerca della verità. «Ho percorso molti paesi; ho insegnato le vostre dottrine, mi sono messo al corrente di molte arti ed invenzioni. Da ultimo ho sog­ giornato nella città dei romani e ho visto le diverse statue che sono révélation d’Hermès Trismegiste, cit, pp 45/66; J Gross, La divinisation du chrétien d’après les Pères grecs. Contribution historique à la doctrine de la gràce, Paris 1938, pp 18/38. 45 Cfr A Puech, Les apologistes ehrétiens du deuxième siècle, Paris 1912, pp 48/50. 46 Omelie clementine, i, 3. Ibidy I, 5. Il desiderio di essere informati suirimmortnlità dell’anima 47 non è raro in quest’epoca; cfr sopra, cap ir, l’aneddoto riportato da Seneca, tranquìUitate animi, n v , 2 s s . 48 Vita S. Cyprianij in Acta sanctorum septembrisf t 7, p 222; cfr A J Festugière, La révélation d'Hermès Trismegistef cit, pp 37/40.

De

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Desiderio della verità state tolte a voi, gred, per essere trasportate da loro. Ma io non mi applico, come fanno i più, a rafforzare le mie opinioni con quelle degli altri49... Avendo visto tutto questo, e dopo aver inoltre partedpato ai misteri e fatto la prova di culti diversi che sono stati stabiliti ovunque da donnette e androgini, rientrando in me stesso, mi chie­ devo come potevo scoprire la verità. Mentre meditavo cercando il bene, mi accadde di incontrare degli scritti barbari, più antichi delle dottrine dei gred, di ispirazione troppo manifestamente divina per essere paragonati agli errori di queste. Mi accadde di credere in essi a causa della semplidtà dello stile, della naturalezza delle narrazioni, delTintelligenza chiara che danno sulla creazione del mondo, della predizione del futuro, delTeccellenza dei precetti, della sottomissione di tutte le cose ad un solo monarca. La mia anima si mise così alla scuola di Dio» 50. Molti altri, soprattutto fra gli spiriti coltivati, furono costretti a seguire lo stesso itinerario spirituale. Era naturale che si indirizzas­ sero in primo luogo alla filosofia per scoprire la verità. Ovunque si trovavano infatti professori, o almeno parlatori i quali promettevano, a volte in denari sonanti, la sdenza dell'universo e quella dell'uomo. Le contraddizioni tra questi diversi sistemi non tardavano a mostrare la loro vuotaggine. La scoperta del cristianesimo, ad un tempo così semplice, così razionale e pieno di misteri profondamente religiosi, costituiva allora una rivelazione. Dopo Giustino e Taziano, Clemente Alessandrino si lasda pren­ dere a sua volta dall'attrazione della verità. Forse egli è originario di Atene. La sua curiosità naturale lo orientò ben presto verso i problemi filosofia e religiosi ed è per lo meno verosimile che si fece iniziare ai misteri di Eieusi di cui parla spesso in maniera informata. Tuttavia né i culti tradizionali, né i misteri riescono a soddisfarlo e la verità che cerca sembra sfuggirgli a misura che tenta di avvicinarsi ad essa. Intraprende allora lunghi viaggi e i maestri che ascolta sono quasi tutti cristiani. Uno di origine ionia, è affermato in Grecia; altri ri­ siedono nella Magna Grecia; fra questi ultimi uno viene dalla Siria Cava e il secondo dall'Egitto. Altri ancora si trovano‘in Oriente. Fra essi figura un assiro; un altro, in Palestina, è di origine ebraica. Final­ mente scoprirà colui al quale si u n irà in maniera definitiva ed il quale abita in Egitto. «Vera ape sicula, questo maestro incomparabile rac­ coglie il succo dei fiori che coprono il campo dei profeti e degli apo49 50

Taziano, Discorso ai greci, 35. Ibid, 29.

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I motivi della conversione cristiana stoli e deposita nell’anima dei suoi ascoltatori una scienza purissima e santissima» 51. Sotto la sua condotta, Clemente fa immensi progressi, non si contenta di trovare una conoscenza teorica del cristianesimo, diventa gnostico lui stesso, cioè, secondo la terminologia di Clemente, un cristiano perfetto quanto è possibile esserlo in questo mondo. Una volta convertito non rinuncia alla filosofia, e giacché questa l’ha aiutato a pervenire alla verità cristiana, pretende usarla per gui­ dare altre anime a Cristo. «Anche se la filosofia non abbraccia la verità in tutta la sua grandezza e anche se è impotente ad adempiere i comandamenti di­ vini, per lo meno prepara la via alla didascalia regale; essa in qualche modo fa rinsavire e plasma in anticipo il carattere e prepara colui che crede alla provvidenza a ricevere la verità52... La filosofia greca, per così dire, purifica Tanima e la prepara in anticipo a ricevere la fede sulla quale la verità edifica la ghosi» 53*. Ma qui, egli incontra una opposizione dichiarata da parte di alcuni ambienti cristiani. Egli conosce una moltitudine di fedeli i quali hanno paura della filosofia, come i bambini hanno paura del­ l ’orco 54 e pur stimando molto poco la loro fede 55 e dichiarando che «gli stessi i quali disprezzano la filosofia, attaccano la fede, lodano l’ingiustizia e proclamano la felicità di una vita dedicata ai piaceri» 56, è costretto a difendere con energia il suo atteggiam elo di ottimismo 51 Clemente Alessandrino, Stromata, i, 1, 10. Spesso si è cercato di iden­ tificare i maestri ai quali Clemente deve la sua formazione cristiana. È possi­ bile che lo ionio sia Atenagora, che l’assiro sia Taziano, che il giudeo-cristiano sia Egesippo, a meno che non sia uno sconosciuto. Sembra almeno certo che Tultimo sia Panteno, ma siamo male informati sull’attività di quest’ultimo nonostante la riconoscenza che gli tributa Clemente; cfr G Bardy, «Aux origines de l’Ecole d ’Alexandrie» in Recherebes de Science Religieuse (1937), pp 65/90. 52 Gemente Alessandrino, Stromata, i, 80 (ed Stahlin, t 2, p 52). 53 Ibid, vii, 20 (Stahlin, t 3, p 14); cfr P Camelot, «Clément d’Alexandrie et rudlisation de la philosophie grecque» in Rechercbes de Science Religieuse (1931), pp 540/589. 34 Clemente Alessandrino, ibid, vi, 80 (Stahlin, t 2, p 472). 55 Ibid, vi, 81: «Essi temono che la filosofia li possa trascinare... Ma se la fede, perché non vorrei dire la gnosi, è in loro talmente debole da essere distrutta dalle apparenze speciose, che sia allora distrutta, giacché per ciò stesso essi confessano di non avere la verità. Ora la verità, come si dice, è invincibile». 56 Ibid, v, 85 (Stahlin, t 2, p 382).

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Desiderio della verità franco e gioioso. Questo non gli impedisce tuttavia di costatare che i «filosofi rifiutano volontariamente» di intendere la verità, sia per di­ sprezzo della lingua dei barbari, sia per timore della morte che le leggi civili tengono sospesa sulla testa dei credenti57*. La simpatia che quindi il cristianesimo può incontrare presso i filosofi non è forte suf­ ficientemente, il più delle volte, per permettere loro di trionfare sulla paura di rischiare la vita e per portarli a superare i futili pregiudizi letterari. Egli stesso, Clemente, ha dominato questi ostacoli con molto coraggio ed è stato l’amore della verità, perseguita per monti e valli, a condurlo alla chiesa di Cristo. Egli spera che altri si convertiranno come lui, ma i fatti lo obbligano a confessare che costoro saranno sempre pochi e che, in definitiva, saranno necessari argomenti diversi dalla propedeutica filosofica, per condurli al Signore. L ’esperienza di Clemente non sarà completamente delusa ed altre anime, nobili quanto la sua, verranno al Cristo perché, in lui sol­ tanto e negli insegnamenti della chiesa, scopriranno la verità vana­ mente ricercata presso i sapienti di questo mondo. Basta ricordare ancora l’esempio di sant’Uario di Poitiers che, all’inizio del De Tririnate, riporta a lungo i ricordi dei suoi sforzi. Il punto di partenza delle riflessioni di Ilario è il problema del­ la vita e il suo senso. Nato in Aquitania, certamente nella stessa Poitiers, da una grande e ricca famiglia pagana, il giovane si chiede perché è sulla terra. Per vivere nell’opulenza e nell’ozio? Per soddi­ sfare le passioni? In tal caso non sarebbe differente dagli animali e la vita non varrebbe la pena di esser vissuta. Bisogna dunque credere che Dio immortale non ci ha dato la vita in vista della morte, giac­ ché non sarebbe degno di un benefattore generoso aver unito una tale misura di gioia e di felicità alla vita, perché poi tutto finisse nel timore tristissimo della morte Occorre quindi andare più lontano: vivere senza peccare, prevedere, evitare i mali e le prove della vita se si può, altrimenti accettarli con pazienza. Tutto ciò però è buono, ma ancora insufficiente: «Il mio spirito era portato a fare con ardore, non solo dò che sarebbe stato criminoso e doloroso omettere, ma a conoscere inoltre questo Dio che d aveva fatto un dono di valore cosi grande e il cui servizio consideravo come un onore. Lo spirito desiderava riposare nella sua bontà, come nel porto più sicuro e familiare, di fronte alle 57 a

Ibidt vi, 67 (Stahlin, t 2, p 465). Ilario, De Trimiate, X, 2; p l , 10, 26/27. 135

I motivi della conversione cristiana prove così grandi delle circostanze attuali. Il mio spirito era quindi infiammato da un desiderio fortissimo verso lui, verso la sua intelli­ genza o la sua conoscenza» 59. In questa inquietitudine e in questo ardore che lo portava verso Dio, l’apprendista filosofo si interroga sugli dèi del paganesimo. Ilario non ci dice se ha mai servito questi dèi con molta devozione. È pos­ sibile e verosimile che si sia limitato a rendere loro gli omaggi stret­ tamente prescritti, senza cercare di saperne di più sul loro conto. Ma quando si mette a riflettere non può impedirsi di prestare l’orecchio alle risposte contradditorie dei filosofi. Gli uni affermano che Dio non esiste; gli altri che Dio e il mondo si confondono; altri ancora che gli dèi della mitologia non sono che aspetti diversi dell’unico Dio. Queste risposte e altre ancora lo lasciano insoddisfatto. Egli tiene per certo che Tessere divino ed eterno deve essere uno e senza pas­ sioni, che la sua onnipotenza non ammette gradi, che la sua eternità non ha né prima né poi, che in lui tutto è eterno ed onnipotente. «Ero a questo punto con le mie riflessioni, quando mi imbattei nei libri che la religione degli ebrei presenta sotto il nome di Mosè e dei profeti e nei quali Dio creatore parla così di sé: io sono colui che è; e ancora: ecco che tu dirai ai'figli di Israele: colui che è mi ha inviato a voi. Io ammirai una dottrina così perfetta e completa su Dio, la quale parlava dell’incomprensibile natura divina in maniera talmente adatta all’intelligenza umana. Si comprende infatti come nulla sia più proprio a Dio che di essere; ciò che è, né comincia né cessa di essere. Ciò che possiede una beatitudine eterna ed immuta­ bile non ha mai potuto e non potrà mai non essere; ciò che è divino non è soggetto né alla distruzione, né alla corruzione» Queste riflessioni e altre simili occupano a lungo lo spirito di Ilario il quale, pur proclamando Tincomprensibilità di Dio, scopre tuttavia gli attributi che gli possono essere riconosciuti e gode sempre più profondamente di queste scoperte. Egli va più lontano ancora. Non servirebbe a nulla avere delle idee esatte su Dio se la morte ci togliesse ogni sentimento e non sarebbe degno di Dio aver dato alTuomo la prudenza e la sapienza, se questi deve presto cessare di vivere e se muore per Tetemità. L ’immortalità dell’anima è quindi un’esigenza della conoscenza che noi abbiamo di Dio. È allora, che 59 »

Ibid, i,3 ; Ibid, i, 5;

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10, 27. 10, 28. 136

Liberazione dalla fatalità e dal peccato dopo aver studiato la Legge e i profeti, Ilario intraprende la lettura del vangelo di Giovanni. Immediatamente il prologo lo trasporta e lo rapisce. Egli vi trova dò che aveva cercato altrove e la sua anima si dona definitivamente al Cristo 61. Abbiamo qui un perfetto esempio di conversione intellettuale. Dall’inizio alla fine è la riflessione che agisce, progredisce e condude. Per lo meno Ilario non d rileva altro, che il cam m ino della sua intel­ ligenza alla ricerca della verità. Come Giustino, Taziano, Gemente, egli inizia per rivolgersi alla filosofia. Questa gli fornisce delle basi più o meno sicure, ma non soddisfa interamente. Qui soprattutto la nostra curiosità rimane insoddisfatta, perché Ilario non d spiega più degli altri cosa desidera di più. G ò che è certo è che, come Taziano, ha la fortuna di imbattersi nei libri sacri e di proseguirne la lettura, malgrado le prevenzioni, che uno spirito coltivato come il suo può avere nei confronti di opere trasmesse da barbari, i giudei, e redatte in una lingua volgare, infarata di solecismi e barbarismi e per nulla preoccupata dell'armonia. Non dice invece nulla degli strumenti um ani di cui Dio si è servito per condurlo alla chiesa, ma è certo che non ha fatto da solo gli ultimi passi e che, ancor prima di aprire la bibbia, aveva trovato numerosi cristiani nel suo ambiente. Il suo racconto schematizza un po' la realtà. Ma almeno mette in rilievo il motivo decisivo della conversione: Ilario si è lasciato conquistare perché ha amato la verità e l’ha trovata nel cristianesimo.

'2. Liberazione dalla fatalità e dal peccato

Per quanto sia vivo il desiderio della verità, esso non costituisce affatto il solo motivo che trascina le anime fino alla chiesa cristiana. Non si può nemmeno dire che esso sia il prindpale. Dopo tutto, co­ noscere è utile a patto soltanto che la sdenza sia in grado di liberare l’anima da tutte le sue preoccupazioni. Se essa non fa conoscere le vie della salvezza, se lascia cadere il minimo dubbio sulla vita d’oltre­ tomba, cessa di rivestire un interesse per la maggioranza degli uo­ mini. Alcuni spiriti curiosi, più o meno numerosi secondo le epoche e secondo i paesi, potranno pure mettersi alla, ricerca della verità, senza secondi fini, per strappare al mondo il suo segreto. La maggior parte degli uomini non è però di questo avviso. Molti pensano per«

Ibid, i, 6/10;

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10, 28/32.

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I motivi della conversione cristiana sino che la scienza non porta con sé che delusione e tristezza. Essa ci dice che i fenomeni si producono secondo leggi necessarie, che noi siamo impotenti a liberarci dai legami della fatalità, che il mondo è legato in tutte le sue parti ad un determinismo a cui è soggetto anche l’uomo, che le nostre vittorie più belle non riescono ad allargare la stretta. Anche se nell'antichità la legge del determinismo universale non è stata formulata con lo stesso grado di perfezione dei pensatori moderni, non per questo domina in misura minore gli spiriti dei greci e dei romani. Il nome stesso che porta basta a renderla temibile. Essa si chiama di fatti heimarmenè, fatum, fatalità o destino. Il mondo antico vive in qualche maniera nell'ossessione della schiavitù. Moltitudini innumerevoli servono un numero troppo ri­ stretto di uomini liberi privilegiati, senza alcuna speranza terrena di potersi sottrarre alla loro condizione. Gli stessi uomini liberi non sono mai sicuri di conservare la loro libertà, tanto son numerosi i mezzi per cadere in schiavitù. U più comune fra questi è la conquista straniera. Non vi è guerra che non porti al popolo vittorioso folle innumerevoli di prigionieri che vengono trascinati nei trionfi dei ge­ nerali ed esposti in seguito sui mercati per essere venduti all'incanto come vili animali. Ma vi sono altri modi. Se si fanno dei debiti, se si commettono alcuni delitti di diritto comune o semplicemente se si è abbattuti da un rovescio di fortuna, la schiavitù è sempre là minac­ ciosa e non abbandona la preda. Tutto è stato detto sulla schiavitù. Si sono ripetute a gara le formule di Aristotele sui barbari di razza inferiore, la cui sorte è di essere votati alla schiavitù o i consigli di Catone il Vecchio, il quale raccomanda di sbarazzarsi degli schiavi invecchiati ed inutilizzabili come cavalli vecchi e ferraglia di scarto. Si è discusso all'infinito sulla felicità o infelicità relativa degli schiavi ed è certo che la loro sorte è stata molto differente, secondo le circostanze. Ma c'è un punto su cui tutti si trovano d'accordo ed è che gli schiavi non sono e non possono essere trattati come persone. Essi non hanno alcun diritto, né dvile, né religioso. Il migliore dei padroni non può nulla contro questo fatto. La legge e il costume sono qui d'accordo e si impongono con un rigore assoluto. Per lo schiavo è l'affrancamento il solo mezzo di conquistare la dignità umana che gli è stata impietosamente rifiu­ tata. Accade talvolta che dei padroni generosi affranchino i loro schiavi o una parte di essi. Accade anche che a forza di lavoro e di economia alcuni schiavi raccolgano la somma necessaria per liberarsi. Questi casi non sono però molto frequenti perché lo stato e la società 138

Liberazione dalla fatalità e dal peccato fanno buona guardia per difendere un'istituzione necessaria all'uno e all'altra. Ma si comprende anche facilmente la gioia di coloro che pervengono a conquistare la libertà. Le catene che spezzano sono quelle che li escludevano dal mondo umano. Una volta riscattati pe­ netrano in questo mondo, hanno le loro leggi e i loro dèi. Quali oriz­ zonti nuovi sono aperti da queste semplici parole! Vi è d’altra parte una schiavitù più pesante di quella di cui abbiamo parlato, perché essa tocca tutti gli uomini senza eccezione ed è impossibile liberarsene: quella del destino. L'uomo dell’anti­ chità non trova né nella filosofia, né nella religione, il potente sostegno che a giudei e a cristiani è dato dalla fede nella provvidenza. Sapendo che tutto è governato da un Dio infinitamente saggio e buono, posJ siamo consolarci dei mali di questo mondo, pensando che sono voluti 0 almeno permessi da questo Dio e che in definitiva niente accade che non volga al bene, non solo dell'universo nel suo insieme, ma di ogni singolo uomo che lo popola. I greci e i romani non posseggono questo appoggio. Il dio di Platone è il bene assoluto; forse è anche provvi­ denza, ma non ha fedeli e occorrerà attendere la rinascita neoplatonica per renderlo vivo e fecondo e per infondere uno spirito religioso nella dottrina del bene e d ell’uno. Il dio di Aristotele, atto puro, pensiero del pensiero, si disinteressa al mondo che non conosce nemmeno. U dio degli stoici è immanente al mondo di cui costituisce la legge. Lontano dal portare una liberazione, incatena ancora più sicuramente 1 suoi credenti alle maglie di un determinismo universale. Agli inizi dell'era cristiana il fardello si appesantisce. «Giacché con la scomparsa delle strutture della città Tuomo è ormai abbandonato alla sua incertezza, giacché l’egoismo dei padroni e l’ambizione di quelli che vogliono diventarlo accrescono la crudeltà, delle guerre, moltiplicano i massacri, abituano a disprezzare il sangue dei deboli, l’uomo sente allora pesare più opprimente' il peso della heimarmené... Ed ecco credenze, non nuove, ma la cui espansione è recente, aggiungere peso al destino. Importate dall’Oriente trovano un sostegno nella saggezza greca. Infatti, se uno stesso fuoco divino circola attraverso questo grande corpo che è la natura, ovunque pre­ sente, ovunque animatore, allora esiste una syggeneia fra tutti gli esseri, un rapporto delle parti al tutto e del tutto alle parti. Vi è dun­ que dall’uno all’altro, corrispondenza e simpatia» Paris 1932. m M I Rostovtzeef, The excavations at Dura-Europos... Preliminary Tepori of fifth season of work, oct 1931-march 1932, New Haven 1934, pp 238/288; efr L H Vincent, in Revue Biblique (1936), pp 126/127. 114 Cfr ad esempio Ippolito, Commenti su Daniele, I, 20; Clemente Ales­ sandrino, Stromata, vii, 3; Origene, In Exodum, homilia II, 2; homilia xn, 2; In Leviticum, homilia ix, 9; In Jesu Nave, homilia il, 1; Cipriano, De opere et eleemosynis, 15. Poco dopo il 238, Gregorio il Taumaturgo, avrebbe co­ struito una chiesa a Nuova Cesarea e altre chies ' non avrebbero tardato ad innalzarsi nella provincia. Ad Antiochia, dopo la deposizione di Paolo di Samosata, Aureliano aggiudica la casa della chiesa al vescovo in comunione con Roma: Eusebio, Storia ecclesiastica, v i i , 28. m L ’editto di Gallieno rende ai cristiani il possesso delle chiese a loro tolte da Valeriano, Eusebio, Hist. Eccles., v i i , x i i i , 2. Sulle costruzioni poste­ riori a questo editto, cfr Eusebio, Hist. E c c l e s vili, i. 116 Eusebio, op cit, x, 4; l’iscrizione di M Giulio Eugenio, vescovo di Laodicea in Pisidia, ricorda le cure da lui profuse per la ricostruzione della chiesa: «Avendo tenuto l’episcopato per 25 anni interi con moka cura e aven­ do edificato tutta la chiesa dalle fondamenta e tutto il suo ornamento cioè

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I metodi della conversione cristiana calis, i doni fatti alle chiese di Roma dallo stesso imperatore ll7, sono sufficienti a farci intravedere la magnificenza degli edifici eretti in onore di Cristo e dei santi. Nello stesso tempo si sviluppa il culto. Il clero diventa più numeroso e circonda il vescovo che siede in fondo alla basilica in mezzo ai suoi preti, i suoi diaconi e tutti i suoi ministri. I canti as­ sumono una nuova ampiezza e contribuiscono ad attirare l’attenzione del popolo, anche se questo non è in grado di associarsi immediata­ mente all’esecuzione dei salmi, degli inni o dei cantici. Si comprende come non possiamo insistere su questo punto. Bisogna tuttavia ri­ cordare Timportanza presa dal canto, perché vi è 11 un elemento che ha potuto attirare un certo numero di anime al cristianesimo. Fin dai primi tempi i cristiani hanno posseduto in proprio inni e cantici. San Paolo raccomanda ai colossesi di istruirsi ed esortarsi a vicenda, di cantare, rendendo grazie a Dio nei loro cuori, inni, salmi e cantici spiritualill0. Egli indirizza agli efesini una raccomandazione analoga: «Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo» ll9. Forse nella stessa lettera ci è conservato un frammento di questi inni pri­ mitivi, ad esempio in questi tre versi: Svegliati o tu che dormi Déstati dai morti E Cristo ti illuminerà UD. O ancora la prima lettera a Timoteo: Grande è il mistero della pietà portici, quadriportiri. pitture, mosaici, orologio ad acqua, vestibolo e con tutte le opere murarie ecc». Cfr P Batiffol, « L ’épitaphe d’Eugène, évèque de Laodicée* in B u lle tin d ’an cicn n e litté ra tu re et d ’arch éologie ch rétien n es (1911), pp 25/34. 117 L ib e r P o n tificali s: S y lv e tste r , ed L Duchesne, t 1, pp 170ss; cfr pp cxLm ss. Zeno di Verona, H o m ilia e , i, 4, assicura che al suo tempo, verso la fine del rv secolo, le chiese cristiane sono ancora meno belle di quanto fossero i templi pagani. Ma egli parla soprattutto per il suo paese che è stato evangelizzato molto tardi. Col 3, 16. i» Ef 5, 18/20. » Ef 5, 14. 284

La liturgia cristiana Egli si manifestò nella carne Fu giustificato nello Spirito Apparve agli angeli Fu annunziato ai pagani Fu creduto nel mondo Fu assunto nella gloria m. In ogni caso, l'Apocalisse, quando descrive la liturgia celeste sembra ispirarsi a quella terrestre e i cantici che attribuisce ai cit­ tadini dell'aldilà, agli angeli o ai 24 vegliardi, hanno dovuto iniziare ad essere cantati nelle assemblee dei santi quaggiù nz. Agli inizi del li secolo, Plinio il Giovane scrive a Traiano che, nelle loro riunioni, i cristiani cantano inni a Cristo come a un Dio m. Più tardi, Giustino Tertulliano 12*34251267* parlano anche dei canti che sono in uso nelle cerimonie liturgiche. In un frammento dell'anonimo antiartemonita citato da Eusebio, il controversista oppone, alle novità dell'eresiarca, «tanti salmi e canti cristiani composti dalle origini (del­ la chiesa) da parte dei fedeli, nei quali si celebra il Cristo Verbo di Dio proclamandolo Dio stesso» Un oracolo d'Apollo, citato da Porfirio nella sua grande opera contro i cristiani, ricorda parimenti quest'uso m. Gli ortodossi non sono i soli a servirsi della metrica e della musica per esprimere la loro fede. Noi conosciamo tramite il Frammento muratoriano m e Tertulliano 129, l'esistenza di inni gnostici. 121 1 Tm 3, 16; cfr C Spicq, Saint Paul. Les épitres pastorales, Paris 1947, pp 107/111. 122 Cfr Ap 4, 8 e 11; 5,9/10.12/13; 7,10 e 12; 11,17/18; 15,3/4. Cfr J Marty, «Etudes des textes cultuels de prières contenus dans le Nouveau Tcstament» in Revue d’histoire et de pbilosophie religieuse (1929). 123 Plinio il Giovane, Epistulae, x, 96. Sul canne dei cristiani di Bitinia, cfr Dolger; Sol salutis, u ed, Miinster 1925, pp 103/136. 124 Giustino, Apologia J, 13. 125 Tertulliano, Apologeticum, x x x x k , 18; cfr De anima, 9; De oratione, 27; De spectaculis, 29; Scorpiace, 7; De exhortatione castità tis, 10. 126 Eusebio, Storia ecclesiastica, v, 38,5; cfr P BatifFol, Histoire du bréviaire romain, m ed, Paris 1911, p 11; in generale, sugli inni a Cristo, cfr J Lebreton, Histoire du dogme de la Trinità, t 2 , Paris 1926/7, p 218/226. 127 Porfirio, cit da Agostino, De civitate Dei, 2ax, 23: «Prosegua come vuole, cantando con inutili fallacie un dio morto che fu perduto e ucciso, per giusta sentenza dei giudici, con morte incatenata dal ferro, pessima a vedersi». Cfr P BatifFol, «Oracula hellenica» in Revue Biblique (1916), p 193. m Frammento muratoriano, 82s. 129 Tertulliano, De carne Chris ti, 17, 20. 285

I metodi della conversione cristiana Nei Philosophoumena Ippolito cita un inno dei Valentiniani LS0. Gli Atti di Tommaso 131, la Pistis Sophia, d hanno conservato esempi di questa letteratura. Più tardi, Paolo di Samosata interdice ad An­ tiochia i canti in onore di Nostro Signore Gesù Cristo perché troppo moderni e scritti da uomini troppo moderni, e li sostituisce con inni di sua composizione che fa cantare dalle donne in piena chiesa In alcuni momenti, molti vescovi si inquietano della propaganda così fatta dagli etetid. Il concilio di Laodicea del iv secolo arriva ad interdire i salmi scritti da alcuni privati e i libri non canonia Queste prescrizioni sono troppo tardive e troppo assolute per essere seguite da successo. Nel corso del rv secolo si sviluppa e si ingrandisce la musica ecdesiale, diviene.più dotta e anche più com­ movente. Lo scopo della maggior parte dei canti cristiani non è di istruire, ma di provocare una spede di estasi e di unire a Dio coloro che li eseguono o soltanto li ascoltano. £ almeno così che Agostino spiega il valore del Jubilus: «Cosa significa giubilare? Non poter esprimere la propria gioia con parole e tuttavia testimoniare con la voce dò che si prova alTintemo... questo è dò che si chiama giubilare. Che la vostra carità consideri coloro che giubilano nelle cantilene comuni e si lasdano andare ad una gioia profonda; voi li vedete, durante i canti eseguiti con parole, esultare di una gioia che la lingua è incapace di tradurre e giubilare, affinché la voce tradisca i movimenti dell'anima, la quale non può esprimere a parole dò che il cuore sente. Se dunque costoro giubilano trascinati da una gioia terrestre, non dobbiamo noi manife­ stare con il giubilo quella gioia celeste che non riusdamo ad esprimere a parole?» ° 4. Ma il giubilo non piace a tutti, dal momento che è difficile ese­ guirlo in coro. I semplici fedeli preferiscono canti meno complicati, di cui essi stessi possono riprendere il ritornello. Questo desiderio è1 *4 2 0 3 130 131

Ippolito, P h ilo so p h o u m e n a , vi, 37. Bevan, T h e hym n o f thè so ul, co n tain ed in thè sy riac A c ts of saint T h o m as (T e x te s a n d S tu d ie s , v, 3), Cambridge 1898. L e tte ra del concilio d i A n tio c h ia , cit da Eusebio, S to ria ecclesiastica , 132

vii, 30, 10. 113

Concilio di Laodicea, canone 59: Mansi, S acro ru m conciliorum ... col­

le g io ,

li, 573 C.

134 Agostino, E n a rra tio n e s in P sa lm o s 9 4 ; cfr psalm 99, 4; in psalm 32, 2; in psalm 88, 16. 286

La liturgia cristiana soddisfatto da una parte dal canto antifonato dei salmi, cioè dalla divisione dei versetti tra due cori che si alternano 135 e, dalTaltra parte, dagli inni composti su musica sufficientemente semplice per essere ricordata senza difficoltà 136*138.Tutti conoscono le righe commosse di Agostino, in cui ricorda l ’impressione avuta a Milano da questa musica, allora così nuova: «Come ho pianto nel sentire i vostri inni, i vòstri cantici, i soavi accenti di cui risuonava la vostra chiesa! Quale emozione ne ricevevo! Essi scorrevano nel mio orecchio e si scioglieva la verità nel mio cuore. Un grande slancio di pietà mi sol­ levava e le lacrime scorrevano lungo le mie gote, ma mi facevano del bene» w . Accanto ai canti di chiesa, bisogna segnalare, come strumenti di propaganda e mezzi di conversioni, le canzoni destinate al grande pubblico della strada, fatte per essere imparate da tutti. Questo genere di ritornelli e di strofe popolari hanno ottenuto un gran successo in alcuni momenti e in certi ambienti. Noi ne conosciamo in particolare due esempi. Il primo è quello di Ario che, stando alla testimonianza di Filostorgio, compose, per rendere popolare il suo insegnamento, alcune canzoni ad uso dei marinai, dei battellieri, dei viaggiatori, in modo tale che il porto e il mercato di Alessandria risuonavano di questi canti di un nuovo genere Il secondo esempio è quello di Agostino che rispose ai salmi donatisti composti da Parmeniano di Cartagine con un salmo dello stesso genere composto da ventidue strofe di dodici versi ciascuna e separate da un ritornello: «Voi tutti che trovate piacere nella pace, giudicate soltanto la verità». Niente è più popolare di questo salmo abbecedario i cui versi, fortemente ta135 Secondo Teodoreto, Storia ecclesiastica, ir, 9, il canto antifonato ebbe origine in Siria; da qui si diffuse rapidamente in Oriente, dopo il 350; cfr Basilio, Lettere, 207, per Cesarea; Socrate, Storia ecclesiastica, vi, 8; Sozomeno, Storia ecclesiastica, veti, 8 per Costantinopoli. Ambrogio introduce questa maniera a Milano, cfr Agostino, Confessioni, ix, 7. 136 Gli inni di Uario furono i primi a essere scritti in latino; ma non poterono essere mai cantati durante le celebrazioni liturgiche, perché troppo dotti. Il creatore delTiiinodica occidentale fu Ambrogio; cfr Agostino, Con­ fessioni, rx, 7, 15. 157 Agostino, Confessioni, ix, 7, 14. 138 Filostorgio, Storia ecclesiastica; cfr Vita Costantini, ed Bidez, Philost orgius Kirchengeschichte, p 13; 24 ss. Queste canzoni non hanno certamente nulla in comune con la Talia, che era piuttosto un trattato teologico, benché parzialmente redatto in versi, cfr G Bardy, Recherches sur saint Lucien d*An­ tioche et son écolet Paris 1936, p 248.

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I metodi della conversione cristiana gliati da una mediante e resi assonanti nella finale, si imprimono da soli nella memoria. Esso non tardò ad essere cantato da tutti i cat­ tolici per le strade di Ippona e servì fortemente alla causa della verità. Occorre aggiungere però che il salmo di Agostino contro il partito di Donato, come le canzoni di Ario, non sono destinati a convertire i pagani, ma a guadagnare dei cristiani per condurli all Or­ todossia o per trascinarli al contrario verso l’eresia. Essi non possono quindi che scandalizzare i pagani, i quali da lungo tempo conoscono la rivalità tra i diversi gruppi cristiani e se ne fanno beffe U9. E noi non conosciamo canti popolari dello stesso genere, destinati alla propaganda, presso i sostenitori del vecchio culto. Quanto ai canti di chiesa, ai salmi, agli inni sacri e all’insieme della liturgia di cui questi canti fanno parte, bisogna inoltre ammettere che non abbiamo le prove dirette dell’influenza che hanno potuto esercitare sulle anime. Le nostre celebrazioni attuali, con la solennità di cui sono circondate, commuovono a volta le anime più indurite e le attirano alla fede. È stata la stessa cosa nel corso dei primi secoli? Forse, ma non ne siamo certi. E se siamo stati costretti a porre la questione, saremo altrettanto prudenti da lasciarla senza risposta.

Conclusioni Abbiamo es urito la lista dei mezzi usati dalla chiesa nel corso dei primi secoli per condurre le anime alla conoscenza del cristiane­ simo e prepararle a ricevere la grazia della conversione? Forse 140. Ma 159 Origene, Contra Celsum, v, 62; ni, 12. Ammano Marcellino, Rerum gestarum libri, xxn, 5 ,4 , ricorda che Giuliano l'Apostata aveva cercato di calmare in un primo tempo i dissensi fra i vescovi, perché aveva sperimentato che non ci sono bestie feroci cosi ostili agli nomini, di quanto lo sono un buon numero di sinistri personaggi fra i cristiani. Giuliano stesso, Lettere, 114, ed Bidez, p 193, scrive a proposito ad alcuni vescovi che aveva tratto dall'esilio: «Questi energumeni sono arrivati ad un tale eccesso di demenza che, vedendosi impediti di esercitare la loro tirannia e di continuare le loro vio­ lenze, s'esasperano dapprima fra di loro, poi contro di noi, che serviamo gli dèi...». 140 È possibile tuttavia prolungare la lista che abbiamo dato. Ci sarebbe da sottolineare ad esempio l’importanza della trasformazione di certi costumi o cerimonie pagane adattate e adottate dal cristianesimo. Uno dei primi esempi noti di questo metodo è dato da Gregorio il Taumaturgo verso la fine del m

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Conclusioni è ovvio che la condiscendenza divina ha metodi diversi da quelli degli uomini, sia pure di quelli di chiesa, e che non si imbarazza affatto nel condurre alla verità le anime di buona volontà. Il Signore, quansecolo. San Gregorio di Nissa, Vita di san Gregorio Taumaturgo, p g 46, 893s, si esprime così sul suo conto: «Notando che la folla ignorante c inesperiente restava fedele al culto degli idoli a causa dei piaceri corporali connessi, per­ mise a questa gente, per ottenere l'essenziale, di celebrare feste in onore dei martiri, sperando che, col tempo, sarebbe ritornata da sé alla serietà e ad rigore di vita che la fede indicava». Alla fine dell'età patristica, Gregorio Magno, Epistulae, xr, 56, dà istruzioni ispirate dallo stesso spirito, in una lettera a Mellotus, uno degli apostoli dell’Inghilterra: «Quando il Dio onnipotente ti avrà condotto presso il reverendissimo vescovo Agostino, nostro fratello, comunicagli il risultato delle mie lunghe riflessioni a proposito della questione degli inglesi e cioè: non bisogna distruggere i templi degli idoli che esistono in questa nazione, ma basta distruggere gli idoli che ci sono dentro, aspergere questi edifici con acqua benedetta, costruire altari e deporvi le reliquie. Se questi templi sono solidamente costruiti è importante farli passare dal culto dei demoni al culto del vero Dio. Il popolo, vedendo che i suoi templi non sono stati distrutti, caccerà rerrore dalla propria anima e, conoscendo e adorando il vero Dio, si riunirà più facilmente in questi luoghi che gli sono familiari. Inoltre, giac­ ché hanno l'abitudine di immolare dei buoi in onore del demonio, occorre che questa pratica sia trasformata in solennità -cristiana. Il giorno della dedicazione della chiesa o dell'anniversario dei martiri le cui reliquie riposano in quella chiesa, si costruiscano tende di fogliame attorno alle chiese, una volta templi degli idoli, e vi si celebrino delle solennità con pie agapi. Che non immolino i loro animali in onore del diavolo, ma che li prendano in cibo a gloria di Dio dispensatore di ogni bene e che gli rendano grazie. Se si permetteranno loro alcuni festeggiamenti esteriori, perverranno a gustare più facilmente le gioie interiori. È certamente impossibile tagliare tutto d’un colpo a questi spiriti incolti; chiunque vuole raggiungere una vetta, deve innalzarsi gradual­ mente, passo passo e non a salti». Possono qui bastare questi due testi. L'argomento delle sopravvivenze pagane esigerebbe un’ampia trattazione e del resto è stato già trattato diverse volte. Cfr a d esempio H Delehaye, Les légertdes hagiographigues, III ed, Bruxelles 1927, pp 140/201, e soprattutto i numerosi studi di F J Dolger, in Antike und Christentum, Miinster 1930ss. Occorrerebbe ugualmente ricordare le conversioni in massa di un popolo con il suo re; così ad Edessa, cfr Eusebio, Storia ecclesiastica, n, 1, 7; in Georgia, cfr Rufino, Historia ecclesiastica, i, 10; in Armenia, cfr Sozomeno, Storia ecclesiastica, u, 8; più tardi in Gallia, cfr Martino di Tours, Historia francorum, n, 29/31; Avito di Vienne, Epistula ad Chlodovaeum, ecc. Per YInghilterra, cfr Beda il Venerabile, Historia ecclesiastica gentis an­ glorum, i, 25/26; Gregorio Magno, Epistulae, vm , 29; xi, 36. Le narrazioni più antiche su fatti di questo genere sono spesso leggendarie o avvolte da leggende. I fatti più recenti vanno oltre i confini del nostro lavoro.

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I metodi della conversione cristiana do vuole, compie anche i miracoli e le profezie, ed è impossibile par­ lare di questi fatti meravigliosi, come si parla dei procedimenti pura­ mente umani. Questi ultimi soltanto sono stati qui esaminati e ab­ biamo visto come siano numerosi e vari. Il Salvatore prima di risalire al delo aveva inviato gli apostoli alla conquista del mondo. Senza lasciarsi sconcertare da ciò che di paradossale era contenuto in que­ st’ordine, la chiesa nascente l ’ha preso sul serio e si è sforzata di realizzarlo. Con Tapostólato individuale, con la predicazione pubblica, con Tesempio delle loro virtù, con l’insegnamento orale, con le apo­ logie scritte, con la liturgia, con il canto degli inni e dei cantici, tutti, vescovi, clero, fedeli, si sono messi all’opera. In meno di tre secoli essi hanno preparato la trasformazione del mondo greco-romano.

C apitolo ottavo L ’A P O S T A S IA

L ’apostasia è in qualche modo il rovescio della conversione, giacché ogni convertito è quasi necessariamente un apostata rispetto alia religione che abbandona, al partito che lascia, alla scuola filosofica che disdetta. In teoria almeno, e tenendo conto solo dell’etimologia, il termine apostasia non comporta un significato peggiorativo, perché si limita ad esprimere l’idea di allontanamento, di partenza, di cam­ biamento di posizione L L ’apostata è l’uomo che si sposta, che se ne va, che rinuncia alle idee alle quali aveva fino allora aderito, che si allontana dai compagni con i quali fino allora aveva pensato, ser­ vito e combattuto. Ed è bello lasciare l ’errore per la verità, ricono­ sciuta a volte dopo lunghi sforzi, rompere coraggiosamente con il proprio passato per aderire ad una società migliore e più aperta. Vi è tuttavia qualcosa di penoso in questo atteggiamento. L ’uo­ mo onesto, così come noi lo sogniamo, non deve cambiare avviso, perché resta fedele alle idee della sua giovinezza, alle tradizioni del suo passato. Anche quando si orienta verso dottrine più soddisfacenti per il suo spirito e per il suo cuore, il gruppo del quale faceva parte ha il diritto, quando egli si separa volontariamente, di giudicare1 1 Questo senso non è sconosciuto nel Nuovo Testamento. Cfr Le 13,27: «Allontanatevi (apostSte) da me, voi tutti, operatori di iniquità», che del resto è parallelo a Sai 6, 9: «Via da me, voi tutti che fate il male». Nei due casi si tratta di una sentenza di condanna, pronunciata da Dio, che non vuole più vedere i peccatori nelle sue vicinanze.

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L ’apostasia l’apostata con severità e di condannare la sua scissione. Se si tratta di un esercito, egli viene considerato un disertore; se si tratta di una città, come un traditore o un ribelle; se si tratta di una religione o di una chiesa, come un rinnegato. La nota dell'apostasia assume quin­ di il carattere di infamia e c'è appena bisogno di aggiungervi qualche altra precisazione, perché essa basti da sola a segnare la riprovazione sociale che la colpisce. Da allora l'apostasia, sotto tutte le sue ‘‘orme, è assimilata a un delitto. L'apostata è un ribelle in /apporto al re di cui era suddito2, alla patria di cui era cittadino3. In maniera più speciale, che nell'uso corrente non tarda a divenire esclusiva, l’apo­ stata è un rinnegato rispetto al Dio nel quale aveva fatto professione di credere. I Settanta che non ignorano il significato politico dei ter­ mini apostatés e apostasia4, li usano ordinariamente, senza nemmeno bisogno di precisarlo, per parlare dell’apostasia religiosa5. Lo stesso avviene nel Nuovo Testamento, dove l’apostasia che allontana da Dio viene considerata come il più grande dei crimini. Nel vangelo di Luca, la parabola del seme denuncia coloro che, dopo aver ascoltato la parola di Dio credono per un certo tempo, ma nel momento della tentazione se ne vanno, aphistantai, cioè abbandonano la via della santità nella quale avevano preso a camminare. Tutto questo viene detto con una parola: apostatano6. Il periodo di prova di cui si parla può essere inteso in riferimento alla vita di Gesù, di cui i discepoli hanno condiviso le difficoltà7, ma diversi co m m entatori pensano di poter trovare qui un’allusione all'incredulità che farà un numero grandissimo di vittime, nel periodo immediatamente an­ 2 C£r Polibio, Storie, v, 41, 6; v, 57, 4: «apostasia dal re*. 3 Cfr Diodoro Siculo, Biblioteca storica, xv, 18: «apostasia dallapatria». 4 Cfr Gn 14, 4; 2 Cor 21, 8; Tb 1, 4; 1 Esd 2, 23. 5 Cfr Gs 22, 22; Gcr 2, 19; 2Cron 29, 19; 1 Mac 2, 15; Gcr 3, 14: «ritornate figli traviati (aphestikotes)»; Is 30, 4; spesso il senso viene preci­ sato da un complemento: da Dio, dal Signore, ecc; cfr 1 Mac 1, 15: «dalla santa alleanza»; 1 Mac 2, 19: «dal culto dei padri»; 2 Mac: «come apostata dalle leggi». 6 Le 8, 13; cfr M J Lagrange, L ’Evangile selon saint Luct Paris 1921, pp 241/242: «Marco descrive piuttosto la psicologia di queste persone, Luca la loro situazione nei confronti della società dei fedeli. Quelli di Marco si scandalizzano, termine che Luca impiega il meno possibile... e che rimpiazza con aphistgmi, per indicare una separazione deliberata, termine sconosciuto a Marco e a Matteo, ma che egli usa volentieri». 7 M J Lagrange, op cit1 p 242.

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L'apostasia teriore alla parusia8. Un passo della Lettera agli ebrei non è più pre­ ciso in questo senso: l'autore vi oppone i cuori cattivi, induriti nel­ l’incredulità e i quali si allontanano dal Dio vivente, ai fedeli che, resi partecipi del Cristo, conservano ferma la loro fede fino alla fine, cosi come era all'inizio 9. Niente in queste formule indica la fine del mondo. Invece sembra che la prima Lettera a Timoteo si riferisca al­ l’apostasia generale che precederà la venuta del messia. L ’Apostolo annuncia in effetti che, negli ultimi tempi, alcuni abbandoneranno la fede per aderire agli spiriti dell’errore e alle dottrine demoniache 101 . Nella seconda Lettera ai tessalonicesi troviamo nuovi dettagli. Paolo supplica i suoi destinatari di non lasciarsi sviare da coloro che an­ nunciano prematuramente la parusia e aggiunge: «Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrap­ pone e si innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio» n. Non occorre che insistiamo sulle idee qui espresse; già il. Signore aveva annunciato che negli ultimi giorni si sarebbero levati molti falsi profeti e avrebbero sedotto un gran numero di uomini e 8 Cfr H Schlier, art àq>Ù7TTflj.i oLTtocraMa, in G Kittei, Theologiscbes Wórterbuch zum Neuen Testamene 1, 509/511. 9 Eb 3, 12/14: «Guardate perciò fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani (en tó apostinai) dal Dio vivente... Siamo diventati infatti partecipi di Cristo, a condizione di mante­ nere salda fino alla fine la fiducia che abbiamo avuta da principio». 10 1 Tm 4, 1: «Lo spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno (apostSsontai) dalla fede, dando retta a spiriti men­ zogneri e a dottrine diaboliche». Con altri termini Paolo ritorna spesso nelle lettere pastorali sulle prospettive escatologiche; cfr 2 Tm 3, 1; «Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti difficili»; 2 Tm 4, 3; cfr C Spicq,’ Saint Paul, Les epltres pastorales, rit, p 136. 11 2 Ts 2, 3/4; la frase resta in sospeso, ma il senso è chiaro. Bisogna che l’avversario si manifesti, perché il messia venga a combatterlo. È signi­ ficativo che il personaggio designato qui da Paolo con l’espressione anthrópos tès hamartias, riceve in Giustino, Dialogo con Trifone, ex, 3, il nome di tes apostasias anthrópos, come se l’apostasia bastasse a definirne il carattere. Al­ trove, op city cur, 5, Giustino spiega il nome del diavolo, Satana, come un nome composto «secondo Tazione che il diavolo ha compiuto, perché sata, nella lingua dei giudei e dei siriani, vuol dire apostata e nas è la parola che si traduce con serpente». Cfr Ireneo, Adversus Haeresesy v, 21, 2: «Il ter­ mine ebraico satana, significa apostata». Questa etimologia è falsa, ma l’idea che si vuole sottolineare deve essere mantenuta. II più grande crimine dell’an­ gelo delle tenebre è la sua apostasia.

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L'apostasia che, in seguito all'abbondanza dell'iniquità, si sarebbe raffreddata la carità di molti u. Gli evangelisti non parlano espressamente di aposta­ sia, ma Videa che esprimono corrisponde a dò che noi oggi indichiamo con questo termine. Il linguaggio cristiano raccoglie naturalmente la eredità del Nuovo Testamento. Apostatare significa in primo luogo rinnegare Dio. Nel Pastore di Erma, gli apostati, i traditori della chie­ sa, coloro che hanno bestemmiato il Signore nei loro peccati, coloro che sono arrossiti per il nome del Signore che era stato invocato su di loro sono morti per sempre a Dio Apostatare è quasi sinonimo di rinnegare Dio 14. San Giustino parla ugualmente dei discepoli del Salvatore che lo hanno abbandonato e rinnegato 15; denunda la colpa di coloro che si allontanano dalle parole del Salvatore I6, dalla cono­ scenza di Dio 17, dalla fede del Cristo 10. Tuttavia il senso tecnico, se è prevalente, non è esdusivo. È così che Tertulliano designa i giudei come «apostati del Figlio» 19 e parla degli eretici usando sempre il ter­ mine di apostati30. Dice di Saulo che lo spirito del male l'ha cam­ biato in un altro uomo, in un apostata21. Ma anch'egli dà a volte il 12 Mt 24, 11/13. La tradizione giudaica annunciava spesso la perdita della fede e l’apostasia come prova che doveva precedere la venuta del messia; cfr M J Lagrange, Le messianisme chez les juifs, cit, p 186s; J Bonsirven, Le Judaisme palestìnien au temps de Jésus-Christ: sa (biologie, cit, t 1, pp 399/404. 13 Erma, Pastore, similitudine vni, 6 ,4 : «Questi sono gli apostati e i traditori della chiesa»; cfr similitudine ix, 19, 1: «Apostati e bestemmiatori del Signore; e traditori dei servi di Dio. Per costoro non c’è penitenza, ma la morte». 14 Cfr Erma, op cit, similitudine vm , 8, 2: «Alcuni di loro apostatano alla fine; costoro dunque non hanno penitenza; con le loro opere hanno infatti bestemmiato e rinnegato il Signore». 15 Giustino, Apologia I , L, 12: «Tutti i suoi familiari apostatarono rin­ negandolo». Giustino, Dialogo con Trifone, vny, 2. lbid, xx, 1. Ibid, cxi, 2. Tertulliano, De pudicitia, vm . Tertulliano, De praescriptione haereticorum, iv, 3; x l i , 6; cfr Ad versus Valentinianos, i: « I valentiniani formano senz’altro un collegio numerosissimo tra gli eretici, giacché sono moltissimi tra gli apostati della verità». Le eresie facevano numerose reclute nella chiesa cattolica; il nome di apostata in tal caso era usato a buon diritto. 21 Tertulliano, De anima, xi, 3. Tertulliano parla ugualmente in De anima, il, 3, degli apostatarum spiritum, cioè degli angeli decaduti.

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Nel Nuovo Testamento senso attuale al termine22. A partire da Cipriano questo significato è definitivamente acquisito con esclusione di qualsiasi altro23. Questi esempi bastano a farci comprendere cos’è propriamente l’apostasia agli occhi di un cristiano e quale è la gravità di questa colpa. L ’apo­ stata è colui il quale, dopo aver aderito all’insegnamento del Salvatore e aver ricevuto il battesimo, abbandona la chiesa e tradisce le sue promesse. Fin dai primi tempi, il suo crimine è tra quelli che non ammettono perdono... «Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, che hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le meraviviglie del mondo futuro. Tuttavia se sono caduti, è impossibile rin­ novarli una seconda volta portandoli alla conversione, dal momento che per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espon­ gono all’infamia» 2\

1. Nel Nuovo Testamento Per quanto grave in se stessa, per quanto terribili ne siano le conseguenze spirituali, l ’apostasia ha degli esempi nella chiesa primi­ tiva. Il primo fatto di questo genere, più doloroso anche da ricordare, è certamente quello dell’apostolo Giuda. Quando citano il suo nome, nella lista degli apostoli o altrove, gli evangelisti non mancano di ri­ cordare che è stato lui a tradire il Maestro 2526e la storia non ha mai cessato di guardarlo come il traditore per eccellenza. Inutilmente nel­ l’antichità alcuni gnostici hanno cercato di riabilitarlo. Sembra che presso i cainiti, o almeno per alcuni membri della setta 2Ó, «lo si rap­ 22

Tertulliano, De pudicitia, vi e ix. Cipriano, Epistulae l v u , 3, 1: «Coloro che hannoapostatato e, ritor­ nati al secolo al quale avevano rinunciato, vivono paganamente»; efr P de Labriolle, art «Apostasie» in Th Klauser, Reallexikon fur Antike und Ckristentum, t 1, Leipzig 1942, pp 550/551. 24 Eb 6, 4/6. 25 Me 3, 19; Mt 10, 4; Le 6, 16; efr Gv 12, 4. 26 Ireneo, Adversus Haercses,-1, 31, 1: «Dicono chesolo iltraditore Giu­ da, fra tutti gli apostoli, abbia avuto questa conoscenza e per questo abbia operato il mistero del tradimento». Pseudo Tertulliano, Adversus omnes haereses, 2: «Coloro che affer­ mano questo difendono anche il traditore Giuda, ricordando che è ammirevole e grande per la utilità che si dice abbia apportato al genere umano. Alcuni infatti ritengono che per questo motivo bisogna dare grazie a Giuda. Dicono 23

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L ’apostasia presentava come uno spirito superiore che era nel segreto dell’uni­ verso. Si diceva che egli sapeva che le potenze ostili volevano impe­ dire la morte di Gesù Cristo, perché questa morte avrebbe costituito la salvezza dell’umanità. Per sventare i loro piani, Giuda avrebbe tra­ dito il Signore. Altri si spingevano fino a pretendere che Gesù voleva tradire l’umanità e che Giuda l ’avrebbe consegnato per questo mo­ tivo» 77. Alcuni scrittori recenti hanno difeso idee analoghe2i. Questi tentativi non hanno tuttavia incontrato molto successo. Noi vorremmo conoscere tuttavia cosa ha spinto Giuda a tradire Gesù e siamo co­ stretti a pure ipotesi. Al massimo possiamo ricordarci che l ’uomo di Karioth sembrava molto attaccato al denaro. Era lui che disponeva della borsa del Signore e dei compagni ed era stato incaricato di prov­ vedere ai loro bisogni è in particolare lui che, durante il banchetto offerto al Signore e agli apostoli da Lazzaro e dalle sorelle, si era lamentato della profusione di profumo prezioso sparso sui piedi del Maestro * ; e la prima questione che aveva posto ai sacerdoti e agli u o mini del sinedrio proponendo lóro di tradire Gesù, era stata quella del salario a cui avrebbe avuto diritto 31. Giovanni dice espressamente di lui che era un ladro32. Ma tutto ciò basta a spiegare un misfatto così nero? E come spiegare, nell’ipotesi di un’anima vile, il penti­ mento profondo, anche se insufficiente, che si impadronisce dell’apo­ stolo prevaricatore, una volta compiuto il crimine? 33. Tutto resta avin effetti che Giuda, accorgendosi che Cristo voleva sovvertire la verità, lo tradì affinché la verità non potesse essere sovvertita». Epifanio, Haereses, xxxvm , 1, 1/5, ed Holl t 2, pp 63/64; Filastrio, Liber de haeresibus, u e xxxrv, distingue nettamente i cainiti e gli ammi­ ratori di Giuda. Ma la sua testimonianza, molto tardi, non ha un gran valore. Del resto questo problema non ha molta importanza per quello che ci in­ teressa. 17 E .d e Faye, Gnostiques et gnosticisme. Etudes critiqucs des documents du gnosticisme chrétien aux I I* e I I I * siècles, n ed, Paris 1925, p 372. u Cfr ad esempio Ed Fleg, Jésus raconté par le Juif errant, Paris 1933, pp 67, 250, 273 e passim. Secondo Fleg Giuda è il saggio che tradisce per realizzare le profezie e dare quindi la sua ultima consacrazione a Gesù, aiutan­ dolo a compiere ciò che era stato scritto di lui. » Gv 12,6; 13,29. 30 Gv 12,4/6. Gli altri evangelisti, ricordando rincidente, non nominano Giuda: Mt 2 6 ,8 ; Me 1 4,4 /5; Le 7 , 36ss racconta in maniera totalmente diversa Tepisodio del vaso rotto e del profumo sparso. Me 14, 10; Mt 26, 14/16; Le 22, 3/6. » Gv 12,6. 33 Mt 27, 3ss.

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Nel Nuovo Testamento volto nel mistero nell’apostasia di Giuda. Era necessario segnalarla, ma è impossibile comprenderla. Gli altri casi riportati nel Nuovo Testamento sono più semplici. La conversione dei primi cristiani era stata causata, nella maggior parte dei casi, da uno slancio di entusiasmo: la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli34, la guarigione dello storpio alla Porta Bella15, i miracoli compiuti da Pietro e dai compagni363 la liberazione straor­ dinaria degli apostoli imprigionati37, avevano moltiplicato considere­ volmente il numero dei discepoli. Ai primi fedeli non si chiedeva molto. La penitenza delle colpe passate, l ’affermazione della messianità, se non della divinità di Gesù: queste erano le sole condizioni ri­ chieste perché fosse amministrato il battesimo Come sorprendersi se, in queste condizioni, una volta passato il primo fervore, un certo numero di credenti si sia lasciato riprendere dalle vecchie abitudini e abbia, più o meno espressamente, rinunciato al Cristo che aveva promesso di servire senza riserve? A dire il vero, non si tratta tempre, e forse nemmeno nella maggior parte dei casi, di apostasie pure e semplici. Le cose dell’anima sono più complesse e quando si è stati conquistati una volta dal Sal­ vatore, quando si è afferrata la profondità del suo insegnamento su Dio, sugli uomini e sul mondo, è molto difficile tornare indietro, senza conservare l’impronta indelebile di lezioni simili. Si cerca allora di coordinare la fede cristiana con ogni genere di dottrina umana e si cade nell’eresia, piuttosto che nell’apostasia propriamente detta. Co­ loro che vengono dal giudaismo, si lasciano persuadere che la circon­ cisione e le cerimonie rituali prescritte dalla Legge di Mosè restano obbligatorie, nonostante la liberazione compiuta dal Salvatore. Inu­ tilmente grida allora Paolo: «Chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu 34 At 2,41. 35 At 4 ,4 . * At 5,12/14. 37 At 5 ,4 2 ; 6 ,1 . 33 Cfr At 8,26/40. Il diacono Filippo, dopo aver spiegato all'eunuco della regina Candace la profezia di Isaia sul servo di Jahwe, gli dice che può essere battezzato se crede con tutto il suo cuore che Gesù è il Figlio di Dio. L'eunuco risponde che lo crede e viene immediatamente introdotto nel numero dei fedeli. Una formazione cosi rapida e superficiale non può fare a meno di meravigliarci.

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L ’apostasia rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso? Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione? Siete così privi di intelligenza che, dopo aver cominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne?... Correvate così bene; chi vi ha tagliato la strada che non ob­ bedite più alla verità?» 39. Falsi apostoli, operatori di iniquità turbano le coscienze e ripor­ tano alla schiavitù delle pratiche giudaiche coloro che erano stati chia­ mati alla libertà di Cristo. Altri, provenienti dal paganesimo, ascol­ tano volentieri i maestri della sapienza umana; sentono il bisogno di interminabili genealogie di eoni40, di complicate teorie sugli astri e sulla nostra dipendenza da questi41; quando VApostolo ricorda loro che la sapienza umana è follia davanti a Dio e che, per quel che gli riguarda, ha fatto professione di non sapere fra di essi altro che Gesù Cristo e Gesù Cristo crocifisso42, si fanno beffe di lui c rifiutano di ascoltarlo 4\ Non ci è evidentemente possibile misurare la portata di questo movimento di riflusso. Forse esso è rimasto molto debole agli inizi della predicazione cristiana. Ma c’è da temere che con gli anni, almeno qui e là, esso si sia sviluppato e gli scritti più recenti del Nuovo Testamento danno l’impressione che le apostasie nelle chiese, alla fine, del primo secolo, siano state molto numerose. Le lettere pastorali mettono in guardia Timoteo e Tito contro i seduttori ipocriti che interdicono il matrimonio o impongono di aste­ nersi dagli alimenti che Dio ha creato perché fossero presi con azioni di grazie44, che si introducono nelle case e si impadroniscono dello spirito delle donne45, che moltiplicano le questioni folli, le genealo­ gie e le dispute a proposito della legge46. Leggendo queste descri­ zioni si ha l’impressione che le pratiche giudaizzanti abbiano un posto di rilievo nel messaggio dei falsi dottori. Esse non sono le sole a essere in causa ed i discepoli di Paolo sono invitati ad opporsi con tutte le loro forze ad un sincretismo tanto più pericoloso, quanto più 39 « 41 42 « 44 45 46

Gal 3, 1/3; 3 ,7 . 1 Tm 1,4; Tt 3 ,9 . Col 2, 20; Gal 4, 3 e 9. 1 Cor 2 ,2 . 2 Cor 10,9/11. 2 Tm 4, 3. 2 Tm 3, 6; 4, 3/4. Tt 3,7.

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Nel Nuovo Testamento raffinato e sottile. Noi conosciamo anche i nomi di alcuni ap