La conversione al cristianesimo nei primi secoli [3 ed.] 9788816300026

Come e perché il messaggio cristiano riuscì a trasformare il mondo greco-romano?Î primi convertiti erano anzitutto uomin

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Italian Pages 352 Year 2005

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Table of contents :
Introduzione
"La conversione al cristianesimo nei primi secoli" di Gustave Bardy, analizza le dinamiche religiose, filosofiche e sociali del mondo antico che hanno portato alla diffusione del cristianesimo. Il documento esamina le religioni pagane, il giudaismo, la filosofia greca e i primi movimenti gnostici, evidenziando come il cristianesimo si è distinto e affermato nel contesto di queste correnti di pensiero.

I. Il Mondo Religioso Pagano:
○ Politeismo e Tolleranza: Le religioni pagane erano caratterizzate dal politeismo e da una notevole tolleranza reciproca tra i diversi culti. "Lontani dal reclamare un culto esclusivo da parte dei loro fedeli, sopportano senza contrarietà alcuna gli dèi vicini che non possono diventar rivali." Ogni città aveva una divinità protettrice ma ciò non impediva l'adorazione di altre divinità. "Accanto ad essa molti altri hanno il loro tempio ed il loro altare che sollecitano la pietà dei fedeli".
○ Formalismo Cultuale: La pietà religiosa era intesa come un dovere verso gli dei, un rispetto delle norme sacre e rituali, non necessariamente connesso a una profonda trasformazione interiore. "Occorre dare agli dèi ciò che è loro dovuto". Il culto consisteva principalmente in "un rito di venerazione, che consiste nel servizio del corpo".
○ Misteri e Salvezza: Le religioni misteriche promettevano la salvezza attraverso riti di iniziazione, rivelazioni segrete e parole d'ordine. "i riti di iniziazione assicurano a coloro che vi si sottomettono il possesso della salvezza". Tuttavia, anche i misteri letterari (basati su libri sacri) erano "formalisti" e non richiedevano una preparazione morale.
○ Inquietudini sull'Aldilà: Nonostante il formalismo, esisteva una ricerca spirituale più profonda, soprattutto in relazione alla vita dopo la morte. "Accetta questo sacrificio...Sèi tu infatti che...dividi con Ade la sovranità degli inferi. Manda la tua luce alle anime degli uomini...".
○ Santità e Sacro: La santità nel mondo pagano era spesso legata a concetti di tabù, rispetto, timore religioso e alla purità liturgica, più che a una purità morale. "ciò che è sottomesso ad un interdetto di natura religiosa, cioè che è tabù... inoltre, giacché bisogna essere liturgicamente puri per avvicinarsi agli dèi". Il termine latino sanctus indicava ciò che era consacrato alla divinità, protetto dall'autorità o inviolabile. "Sanctum est quod ab injuria hominum defensumatque munitum est".
○ Critiche e Decadenza: La mitologia pagana veniva screditata per le azioni immorali attribuite agli dei, la cui influenza negativa sulla condotta umana era denunciata dai cristiani. "impudichi, adulteri, pederasti, bellicosi, pronti alla collera e agli insulti." I culti orientali, con le loro esibizioni oscene e l’esaltazione nervosa, non contribuivano alla santità. Quando l'imperatore Giuliano tentò di ripristinare il paganesimo, fu costretto a partecipare a culti che andavano contro la sua morale.

II. La Conversione al Giudaismo:
○ Un Popolo e una Religione: Il giudaismo si distingueva per essere non solo una religione, ma anche un'identità nazionale. "Non per questo smettono la loro pretesa di costituire un popolo, una nazione." I giudei, pur dispersi, mantenevano un forte senso di identità e avevano privilegi unici. "Il popolo giudeo in quanto tale è riconosciuto... ed è l’unico ad esserlo".
○ Monoteismo Esclusivo: Il giudaismo era caratterizzato da un rigido monoteismo. "Io sono Jahwe il tuo Dio... Tu non avrai altri dèi davanti a me". Questo principio era centrale e aveva resistito alle influenze politeiste. "Non c'è più giudeo al mondo che non sia, fino alla morte, attaccato al dogma fondamentale dell’unità divina".
○ Influenza del Giudaismo: Molti pagani erano attratti dal giudaismo e ne adottavano alcune pratiche. "Anche la moltitudine è presa, da molto tempo, d’un grande zelo per le nostre pratiche pie...". Alcuni si convertivano pienamente, mentre altri rimanevano "tementi Dio".
○ Tementi Dio: I "tementi Dio" erano simpatizzanti del giudaismo che non completavano la conversione, ma adottavano alcuni comandamenti. "Da qui fino al-l’ammissione, al di fuori dell’adesione espressa al monoteismo, non si chiede loro altro che l’osservanza dei sette comandamenti...". Erano comunque considerati come pagani. "Essi sono tuttavia considerati come pagani e vengono quindi trattati di conseguenza". La conversione era difficile perché richiedeva l'abbandono della propria identità culturale.
○ Esclusivismo e Orgoglio: I giudei si consideravano il popolo eletto da Dio, unici depositari della vera fede. "Anche quando Israele pecca, resta sempre il figlio di Dio...". Questo senso di superiorità ostacolava la conversione dei pagani. "chi è come il tuo popolo Israele, nazione unica sulla terra?".

III. La Sfida della Filosofia:
○ Filosofia Come Conversione: La filosofia non era solo una disciplina intellettuale, ma un modo di vita, una forma di conversione. "Ci si converte alla filosofia come ci si converte al cristianesimo". I filosofi cercavano la saggezza e una vita virtuosa.
○ Socrate e i Cinici: Socrate diede l'esempio di un filosofo che anteponeva la verità alla propria vita. "Obbedirò al dio piuttosto che a voi e fin quando avrò un soffio di vita... non cesserò di filosofare". I cinici, come Diogene, incarnavano la filosofia come protesta e ricerca di autenticità.
○ Stoicismo e Rassegnazione: Lo stoicismo cercava la virtù attraverso l'accettazione del destino. Epitteto esortava a unirsi alla volontà divina. "Mi unisco al tuo pensiero, sono tuo. Non ricuso niente di ciò che tu giudicherai conveniente". Marco Aurelio, però, esprimeva un senso di malinconia e di transitorietà della vita. "Tra breve tu sarai nulla assoluto".
○ Il Filosofo Come Guida: I filosofi agivano come guide spirituali, dirigendo la vita di altri. "Un padre di famiglia per suo figlio non ha cure maggiori di quelle con cui Seneca veglia sulla sua piccola famiglia di discepoli". Cercavano di comprendere il significato dell'esistenza, la morale e la posizione dell'uomo nel cosmo. "Cosa siamo e in vista di quale esistenza veniamo al mondo?".
○ Limiti della Filosofia: Nonostante la ricerca della saggezza, la filosofia antica non offriva certezze sulla vita dopo la morte o sulla natura di Dio. "Il filosofo non sa. Egli spera e teme... Non è sicuro di niente e finisce per confessarlo." Nonostante l'impegno, la filosofia antica conduceva a una "tomba scavata di fresco" senza offrire un'autentica trasformazione spirituale.

IV. Gnosticismo e Rivelazione:
○ La Gnosi: La gnosi era un insieme di movimenti che cercavano una conoscenza segreta e rivelata delle cose. "essi... traducono il desiderio universale che gli uomini di questo tempo hanno di essere ammessi a possedere il segreto delle cose".
○ Conoscenza e Salvezza: La gnosi prometteva la salvezza attraverso la rivelazione di misteri, sia pratici (come la conoscenza di piante e astri) che trascendentali. "Felici coloro che parteciperanno di questa rivelazione: essi conosceranno... l'astrologia, l'alchimia...".
○ Cosmologia Gnostica: Gli gnostici si interrogavano sulla natura del mondo trascendente e sulla gerarchia delle entità spirituali. "Quale rapporto esiste tra le regioni sovrasensibili e il nostro mondo?". La salvezza era ottenuta con formule e conoscenze segrete.
○ Il Cristianesimo come Gnosi: Il cristianesimo era inteso come una gnosi, una rivelazione di Dio attraverso il Verbo, che era la luce del mondo. "Nel Verbo era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta". "Dio è luce e in lui non vi sono tenebre".

V. La Conversione al Cristianesimo:
○ Rivelazione Divina: Il cristianesimo offriva una conoscenza di Dio più chiara e accessibile. "Io ammirai una dottrina così perfetta e completa su Dio... Si comprende infatti come nulla sia più proprio a Dio che di essere".
○ Libertà dal Destino: A differenza della filosofia e delle religioni pagane, il cristianesimo offriva la liberazione dal destino. La fede nella Provvidenza divina dava conforto ai credenti, convinti che tutto volgesse al bene. "non basta conoscere, lo ripetiamo. Occorre trovare il modo di essere liberati".
○ Cristo Salvatore: Cristo era visto come un salvatore che liberava dal peccato e dal determinismo. "Sono io che ho mostrato agli astri la via che debbono seguire... Sono io che trionfo del fato e il destino mi obbedisce". La liberazione era offerta come dono gratuito.
○ Santità Cristiana: I cristiani erano chiamati a una santità interiore, una trasformazione profonda del cuore. "i cristiani sono dei santi... santi per chiamata, per vocazione". Questo concetto, unito al dono della grazia, si distingueva dal formalismo pagano e dall'esclusivismo ebraico.
○ Comunità e Amore: La conversione comportava una profonda trasformazione nei rapporti interpersonali. I cristiani amavano i nemici, pregavano per i persecutori e condividevano i propri beni. "Chi sono... gli uomini che promettono di rendere felici i loro discepoli... Dove sono coloro che hanno l’anima talmente purificata da amare i loro nemici?".
○ Battesimo e Fede: Il battesimo era il rito di iniziazione, una professione di fede nei dogmi principali. "Credi tu in Dio, Padre onnipotente? Credi in Gesù Cristo, Figlio di Dio... Credi tu nello Spirito Santo?".
○ Eternità: Contrariamente al mondo pagano, i cristiani credevano in un Dio creatore e in un mondo con un inizio e una fine. "È necessario che l’universo sia esso stesso non perimibile e increato... Se non è perimibile, non ha dovuto cominciare". I cristiani credevano anche nella risurrezione della carne, come parte fondamentale della loro fede.
○ Gesù Figlio di Dio: La fede in Gesù come Figlio di Dio era un elemento centrale della conversione cristiana. "Che, se alcuni fra i cristiani o i giudei sostengono che un Dio o un Figlio di Dio è disceso o deve discendere sulla terra...". Questo dogma si contrapponeva alla mitologia pagana.
○ Sacrificio e Redenzione: La croce, sacrificio di Cristo per la salvezza umana, era centrale alla fede cristiana. "Siatemi indulgenti, io conosco ciò che è preferibile. Adesso comincio ad essere un vero discepolo." La dedizione totale a Cristo era una caratteristica dei convertiti.
○ Le Scuole: Le scuole cristiane avevano un ruolo importante nella diffusione della dottrina. "È lì che abita e comunica la vera dottrina a tutti coloro che vogliono venire a trovarlo". Alcuni studiosi difendevano il Cristianesimo contro le critiche dei pagani. "è davanti agli imperatori filosofi che io porto la mia difesa".
○ Musica e Liturgia: La musica cristiana, con il suo carattere commovente, aveva un impatto emotivo importante per chi cercava l'unione con Dio. "Non poter esprimere la propria gioia con parole e tuttavia testimoniare con la voce ciò che si prova all’interno... questo è ciò che si chiama giubilare."

VI. Sfide e Controversie Interne
○ Eresie e Scismi: Il cristianesimo affrontò fin dalle sue origini numerose eresie che mettevano in discussione la dottrina. "Docetismo giudaizzante, gnosticismo... marcionismo... lanciano i loro richiami verso il mondo".
○ Disciplina Ecclesiastica: La chiesa si mostrava sempre più rigida nell’ammissione dei convertiti, escludendo chi esercitava professioni incompatibili con la morale cristiana. "Sono ammessi soltanto i candidati liberi... gli schiavi non vengono ammessi che dietro autorizzazione dei loro padroni..."
○ Il Cristianesimo come Terza Razza: I cristiani erano visti come appartenenti a una "terza razza", distinti sia dai pagani che dai giudei. "Siamo apettamente chiamati terza razza... Ma riflettete se... non ottengano per caso il primo posto, giacché non c'è razza che non sia cristiana."
○ Radicalità del Cristianesimo: Il cristianesimo richiedeva una completa adesione e rinuncia a tutto ciò che potesse ostacolare la fede, anche i legami familiari. "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada...".
○ Attività dei Cristiani: Nonostante la loro diversità, i cristiani svolgevano un ruolo attivo nella società, partecipando alla vita comune ma con una nuova prospettiva. "Noi non siamo brahma-ni o gimnosofisti... abitiamo in questo mondo assieme a voi".

Conclusione
Il testo di Bardy offre un quadro dettagliato delle dinamiche religiose e filosofiche che hanno portato alla diffusione del cristianesimo nel mondo antico. La conversione al cristianesimo rappresentava una trasformazione radicale che coinvolgeva non solo la fede, ma anche la vita morale, sociale e culturale. Il cristianesimo si presentava come una risposta alle inquietudini spirituali e offriva una via di salvezza e di libertà che si distingueva nettamente dalle altre religioni e filosofie dell'epoca.
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La conversione al cristianesimo nei primi secoli [3 ed.]
 9788816300026

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Gustave Bardy



Jaca Book

GIÀ E NON 2

ANCORA

Gustave Bardy

LA CONVERSIONE AL CRISTIANESIMO NEI PRIMI SECOLI

pia

Book

Titolo originale La conversion au christianisme durant les premiers siècles Traduzione Giuseppe Ruggieri © 1947

Aubier, Editions Montaigne, Paris © 1975

Editoriale Jaca Book SpA, Milano Prima edizione italiana dicembre

1975

Ottava ristampa gennaio 2015 Copertina e grafica Break Point / Jaca Book

Stampa e confezione Ingraf srl, Milano gennaio 2015

ISBN 978-88-16-30002-6 Editoriale Jaca Book via Frua 11, 20146 Milano, tel. 02/48561520, fax 02/48193361 e-mail: [email protected]; www.jacabook.it

INDICE

Nota di edizione Prefazione all’edizione francese del 1946

Capitolo primo La conversione nel paganesimo greco-romano =. N a a

Politica e religione . Formalismo . La santità . Il caso di Lucio Capitolo

secondo

La conversione = N

PW

N W

filosofica

. La filosofia antica . La santità filosofica . La propaganda dei filosofi . Insufficienza della filosofia Capitolo terzo La conversione al giudaismo . La presenza dei giudei nell’impero . Il giudaismo e i convertiti . Successo relativo del giudaismo nel mondo antico

98 109 116

Capitolo quarto I motivi della

conversione

cristiana

. Desiderio della verità N . Liberazione dalla fatalità e dal peccato VW +

. La santità cristiana . Altri motivi

come santità interiore

124

148 159

Indice Capitolo quinto Le esigenze della conversione cristiana 166 174 198

=. Rinuncia al passato . Adesione ai dogmi misteriosi . Sforzo verso la santità Capitolo sesto

Gli ostacoli alla conversione cristiana

N

È

. . . .

Estromissione dalle tradizioni religiose La rottura dei legami familiari La rottura dei legami sociali Accomodamenti pratici e tolleranze Capitolo settimo 1 metodi della conversione cristiana L’azione individuale L’apostolato cristiano Le scuole cristiane La liturgia cristiana

N la è Un

. . Conclusioni

Capitolo

ottavo

L’apostasia E. N WU È UV DA

Nel Nuovo Testamento . Attrazione dello gnosticisnto Le persecuzioni

. Apostasie intellettuali . Giuliano l’Apostata . Il mistero delle anime

213 220 228 241

Non è ricerca di arcaismo quella che spinge l’editore a pubblicate quest’opera tale e quale, senza il necessario aggiornamento allo stadio attuale della ricerca, che soprattutto qualche capitolo (ad esempio quello sul giudaismo) avrebbe richiesto. Si tratta piuttosto del vantaggio che una lettura di quest’ultima grande fatica del Bardy riserva ancora a chi si vuole accostare al fenomeno unico rappresentato dalla conversione del mondo pagano al cristianesimo. A differenza dell’opera di Arthur Darby Nock, recentemente ripresentata anche in Italia, lo studio del Bardy non si Jimita all’analisi di ciò che, nel paganesimo, era suscettibile di essere «compiuto» nel cristianesimo, ma affronta il problema più globalmente, anche dal punto di vista opposto: quali difficoltà ha incontrato, quali metodi.ha dovuto impiegare, quali motivazioni ha dovuto far valere il cristianesimo per far presa sul mondo greco-romano. Questa visuale, se a volte rischia di scivolare nell’apologetica, offre tuttavia la possibilità ben più apprezzabile di penetrare nella metodologia della missione cristiana, attraverso la testimonianza della prima patristica. (ndt)

NOTA DI EDIZIONE

Il quadro che Bardy offre della vita del cristianesimo nei primi secoli fa emergere dalla testimonianza sia dei cristiani stessi sia degli avversari o degli osservatori dell’epoca «il carattere unico e, a detta di tutti, paradossale, delle loro istituzioni». Con queste parole la lettera a Diogneto sintetizza un giudizio che percorre l’impero romano, determinando conversioni e persecuzioni. Questa prima fase della vita della chiesa, tesa nell’impegno fondamentale di esistere, mette proprio in luce quella unicità e paradossalità, che è esperienza motrice di ogni mutamento che i cristiani possono operare nella storia ancora oggi. Bardy, in un commento alle fonti che ci restano di quell’epoca, ha il merito di portarci direttamente a gustare il sapore rinnovatore di tale radice. La vita cristiana rivela una eccezionalità, esaltata dallo scontro brutale con una mentalità pagana ad un certo punto ben poco disposta ad accomodamenti, che però sa rendersi tessuto della vita solita. Ci vengono testimoniati nel testo di Bardy gesti clamorosi legati alla conversione al cristianesimo, incomprensibili e radicali mutamenti di vita. Sono per esempio il caso della donna che verrà poi denunciata dal marito, che abbandona la vita dissoluta per amore di Cristo mettendo il marito stesso di fronte ad una misteriosità inaccettabile, o il caso della conversione di Cipriano, personaggio colto e di alto rango, che abbandona tutto per seguire Cristo. Ma queste clamorosità di cambiamenti di vita non sono tutto. La vita cristiana non è un susse9

Nota di edizione il guirsi di eventi eccezionali, nel senso di fatti che sempre scuotono vita di senso comune. Dopo la conversione la vita del cristiano è la un uomo e di una donna normali, che però conservano in cuor loro vita l’eccezionalità del significato nuovo che li ha generati ad una evidenza, diversa. Tutti infatti, e il racconto di Bardy lo mette bene in «costume» amici e nernici. La parola esaltano il «costume» cristiano, normasta a indicare proprio qualcosa che è entrato a far parte della lità della vita, ma che la rende nuova per la sua capacità di essere segno

di un «logos» generatore.

Ai tempi della grande persecuzione in Oriente per esempio, che

furono tempi di carestie, pestilenze e guerre, i cristiani, secondo la testimonianza di Eusebio «erano i soli a mostrare compassione e umanità». Niente di più dunque di ciò che chiunque considererebbe degno di un uomo, ma niente di tutto questo evidentemente è realizzabile dall’uomo da solo. Così «lo spettacolo della santità» dei cristiani ricorda alla società del tempo che «la bontà» o «le virtù» di cui essi danno prova nelle circostanze più tragiche non sarebbero possibili se nbn «nel nome di Cristo». Testimonianza sconcertante per «l’orgogliosa saggezza ellenica sconvolta dalla miserabile storia di Gesù». Se infatti gli intellettuali dell’epoca leggono il vangelo per andare alle fonti del singolare «spettacolo» offerto dai cristiani e ritrovano una storia che deve loro apparire ovviamente vera, con date e nomi familiari, non ritrovano però, come dice Porfirio «nessuna parola degna di un sapiente». I fattori perciò che provocano queste radicali conversioni non sono identificabili dalla mentalità dominante di allora, che tuttavia avverte la presenza di questo logos, di questo significato diverso della vita, che resta incomprensibile. Quel tono e quel significato che emer-. geva stranamente dalla vita solita risultava intollerabile. Così le accuse rivolte al cristianesimo di sobillazione alla disgregazione delle famiglie, analoga ad un altro livello all’accusa di disprezzo per lo stato, sono una prova di questa incomprensibilità. Chi voglia oggi vivere il fatto cristiano radicalmente, sperimenta ancora il tentativo operato dalle ideologie dominanti di classificare l’esperienza della chiesa in categorie che non possono compren. derla e che ne sfiorano solo la superficie. Certe obiezioni di tono quasi illuministico di Celso, per esempio, anticipano perfettamente i tratti di argomentazioni e accuse che ancora oggi il cristiano all’interno dell’ambiente culturale della nostra epoca si sente rivolgere. C’è sempre una certa eccentricità apparente, una stranezza apparente, nella vita 10

Nota di edizione del cristiano così come viene percepita da chi non è cristiano, ma questo è il segno, la documentazione chiara dello spirito diverso, del logos diverso che informa la vita normale. A tal punto che qualora questo segno del «diyerso» venisse a mancare, quando la vita cristiana fosse, e oggi rischia continuamente di esserlo, perfettamente amalgamata e assimilabile da una mentalità corrente che non segue il Cristo, si sarebbe alle porte di quella che è stata la difficoltà più amara anche dei primi cristiani: il tradimento dei fratelli. La gravità del tradimento infatti, al di là della debolezza che cede a una violenza, consiste proprio nell’accettare di interpretare la grazia tramandata con i criteri della cultura mondana. Certo, come osserva Paolo nel sesto capitolo della Lettera ai Galati parlando della situazione dei cristiani tra gli ebrei, molti si comportavano in quel modo per poter vivere «in pace». Ma accettavano così, come rischiamo di accettare noi cristiani di oggi, di diventare strumenti del potere, cioè della mentalità dominante, di quel potere mondano che, secondo le stesse parole di Paolo, «vuole gloriarsi nella vostra carne».

PREFAZIONE

EDIZIONE FRANCESE DEL 1946

ALL’

Nell’anno 29 o 30 della nostra era, in coincidenza con la pasqua dei giudei, tre croci furono innalzate alle porte di Gerusalemme. Su due di esse morirono dei criminali per diritto comune. La terza era stata invece riservata ad un agitatore politico, stando almeno alla scritta che portava il nome del condannato e Ja motivazione del suo supplizio: «Gesù di Nazareth, re dei giudei». Esecuzioni del genere erano allora frequenti e non vi si prestava molta attenzione. Storici e cronografi avevano ben altro da fare perché sentissero il dovere di registrare fatti e gesta di poveracci i quali, spesso per motivi futili, venivano condannati alla morte di croce. L’esecuzione di Gesù sarebbe quindi passata inosservata se, due giorni dopo, alcuni amici e discepoli non avessero visto apparire, pieno di vita, colui del quale avevano rispettosamente deposto il corpo in un sepolcro nuovo. A dire il vero, questa risurrezione era stata predetta. Parecchio tempo prima della sua morte, Gesù l’aveva annunciata ai suoi: «Occorre che il Figlio dell’Uomo vada a Gerusalemme, soffra molto da parte degli anziani, degli scribi e dei principi dei sacerdoti e sia messo a morte; egli risusciterà il terzo giorno». Questi annunci, benché ripetuti, erano sembrati così strani, che nessuno vi aveva prestato attenzione e persino i compagni più fedeli non vi avevano creduto. Naturalmente, quando l’avvenimento si verificò, molti restarono increduli, anche in Gerusalemme e nei dintorni. Le autorità giudaiche diedero dei soldi ai soldati incaricati di far la guardia al sepolcro e 13

Prefazione

all’edizione

francese del 1946

ordinarono loro di dire che il corpo del condannato era stato rubato. Le persone istruite si fecero beffe delle donne e degli uomini semplici che avevano avuto delle visioni. 1 funzionari romani rifiutarono di imbarcarsi, ancora una volta, in un’avventura che la loro dignità impediva di prendere sul serio: ufficialmente Gesù era morto sulla croce e non occorreva aggiungere nulla a questo fatto. Il seguito è conosciuto. Alcuni giorni dopo la domenica di pasqua gli apostoli cominciarono a proclamare la buona novella di Gesù motto e risorto: «Tutta la casa di Israele sappia che Dio ha fatto Ctisto e Signore quel Gesù che voi avete crocifisso». E, cosa straordinaria, essi trovatono subito delle anime pronte a credere sulla parola. Ben presto, nella stessa Gerusalemme, numerose comunità accolsero coloro che erano stati conquistati dal loro insegnamento. Col passar del tempo i predicatori si fecero più arditi e, con l’aiuto delle circostanze, si misero a parlare di Gesù fuori della città santa, in Giudea, Samaria, Galilea e più lontano ancora, in Fenicia, Cilicia, Siria, nell’isola di Cipro. La moltitudine dei credenti non cessava di aumentare e meno di una ventina d’anni dopo la sua morte, il nome del suppliziato era noto a Roma, almeno tra i giudei. È questo fatto provocava dei sommovimenti di tale rilievo da obbligare l’imperatore Claudio a espellere i giudei dalla capitale. i Queste cose sono accadute diciannove secoli or sono. Il mondo romano si è convertito al cristianesimo ed ancora oggi il cristianesimo resta una delle più grandi forze spirituali dell’umanità. Spesso è stata tentata una spiegazione di questa conversione. Essa infatti non cessa di presentarsi, agli spiriti che riflettono, come uno degli enigmi più sconcertanti sollevati dalla storia. È un fatto ben assodato che la religione cristiana ha il suo punto di partenza nella predicazione di un profeta giudeo, Gesù di Nazareth, vissuto sotto il regno di Tiberio, essendo Ponzio Pilato procuratore dei romani per la Giudea ed Erode tettrarca della Galilea. Fd è ancora un altro fatto che, meno di trecento anni dopo, l’imperatore Costantino, non contento di riconoscere il cristianesimo come una religione lecita, gli ha conferito una situazione privilegiata e si è convertito anche personalmente, trascinando le moltitudini al suo seguito. Nel frattempo la nuova religione aveva moltiplicato le sue conquiste. Invano erano stati contro di essa accumulati ostacoli esterni e interni: persecuzioni da parte del potere, ripugnanze intellettuali da patte dei sapienti che si rifiutavano di accettare alcuni dei suoi dogmi essenziali, esigenze morali davanti a cui si impennavano le passioni 14

Prefazione all’edizione francese del 1946 più naturali. Nessuno di questi ostacoli ha resistito a lungo alla forza invincibile del cristianesimo. Non ci si meraviglierà dunque che, avendo come molti altri incontrato, lungo il corso delle nostre ricerche, il problema della conversione del mondo antico, lo abbiamo fatto a nostra volta oggetto del nostro studio cercando, se non di spiegarlo, almeno di situarlo e di descriverlo quanto meglio potevamo. Ringraziamo inoltre rispettosamente i professori della facoltà teologica di Lyon-Fourvière per aver voluto accogliere il nostro saggio nella collana «Théologie» e per averci aiutato a renderlo meno

indegno. 14 agosto

1946

Capitolo primo

LA CONVERSIONE NEL PAGANESIMO GRECO-ROMANO

L’idea di una conversione, nel senso che adesso diamo a questo termine, è restata a lungo, forse fino all’avvento del cristianesimo, totalmente estranea alla mentalità greco-romana. Non si è mai visto, e nemmeno si è immaginato, un uomo rinunciare alla religione della sua città natale e dei suoi antenati, per darsi con tutto il cuore e in maniera esclusiva ad una nuova religione. Per scoprire un fenomeno siffatto bisogna aspettare che il Cristo dichiarasse inconciliabile il servizio simultaneo di due padroni e necessaria l’opzione fra i due; o che Paolo precisasse il senso di questa opzione scrivendo ai corinzi: «Quale rapporto può esserci tra la giustizia e l’iniguità? Quale partecipazione della luce alle tenebre? Quale accordo tra il Cristo e Bdélial? Quali relazioni tra il fedele e l’infedele? Quale accordo tra il tempio di Dio e quello degli idoli?» !,

1. Politica e religione Le religioni antiche sono legate in maniera indissolubile alla vita familiare e civica. Ogni uomo libero, per lo stesso fatto di appartenere ad una famiglia e ad una città, ne onora gli dèi protettori. Fin dalla sua nascita è presente all’altare dove sono venetati i geni tutelari della sua razza e costoro lo riconoscono adottandolo in quali

2 Cor 6, 14/16; cfr 1 Cor 3, 16. 17

La conversione

nel paganesimo

greco-romano

Al tempo stesso egli è iscritto sui registri della fratria ad Atene, della gens a Roma. Cerimonie analoghe si ripetono quando gli si tagliano i capelli per la prima volta, quando entra tra gli efebi o indossa la toga virile. Più tardi, giacché la religione è inseparabile dalla città, se è chiamato ad una magistratura, esercita delle funzioni religiose nello stesso tempo in cui esercita i poteri politici o giudiziari. «Ad Atene, ad esempio, l’arconte eponimo organizza e presiede i giuochi sacri di Dioniso e delle Targelie, dirige le processioni celebrate in onore di Zeus Soter e di Asclepio. L’arconte re, guardiano del culto, presiede le feste di Eleusi e delle Lenee, organizza le lampadedromie che hanno luogo durante queste feste. Il polemarco offre il sacrificio annuale in onore dei guerrieri di Maratona e quello celebrato in onore dei tirannicidi Armodio e Aristogitone; egli presiede ancora ai funerali dei guerrieri morti durante l’anno. Gli strateghi offrono sacrifici agli dèi prima e dopo le spedizioni, per le grandi Dionisiache e per le Lenee; essi prendono parte al corteo delle Panatenee. Nel v e IV secolo, culto e politica sono talmente legati, che il tesoro della città e degli alleati viene depositato nell’opistodomo del Partenone e i funzionari preposti alle finanze vengono chiamati intendenti alle ricchezze sacre di Atena e degli altri dèi». Lo stesso dicasi a Roma. Il rex sacrorum possiede la presidenza nominale del collegio sacerdotale e dà il suo nome all’anno. I comizi non possono essere invocati e le elezioni non si possono tenere senza aver consultato gli duguri; solo i giorni fasti, inoltre, possono essere scelti per queste importanti operazioni. Sia che si tratti di dichiarare una guerra, di dare battaglia o di stipulare un trattato, sempre devono essere celebrati, a nome dello stato e per propiziarsi le divinità, riti fissati da una tradizione di cui sono guardiani i sacerdoti. La vita della città è essenzialmente religiosa e si può dire che il cittadino è per definizione legato al servizio degli dèi nazionali. «Quanto più egli partecipa agli affari della città e sale la magistratura, tanto più si solidarizza con i santuari locali e la religione nazionale» *. che modo.

Colui che non è cittadino, lo straniero domiciliato, il meteco, come non può prender parte alla vita politica della città in cui risiede, così non può prender parte alla sua vita religiosa. Egli ritrova i suoi diritti nella città natale, quando vi ritorna. Perciò, durante il 2 A J Festugièrte, Le monde gréco-romain t 2, Paris 1935, pp 43/44. 3 A J Festugière, ibid, t 1, pp 53/54. 18

au temps de Notre Seigneur, '

Politica e religione tempo in cui risiede all’estero, resta un estraneo per il corpo sociale in cui esercita la propria attività. Potrà essere straotdinariamente ricco e sfoggiare il suo fasto nella città che lo ha accolto, ma per il fatto di non esserne originario e se un decreto speciale non l’ha autorizzato a partecipare alle sue assemblee e al suo culto, resta inferiore al più umile dei cittadini. Ma se trova dei compatrioti può associarsi ad essi, formare una specie di confraternita e riavere quindi la possibilità di praticare la sua religione nazionale. Greci e romani testimoniano, al riguardo, lo stesso spirito di tolleranza. Se da una parte sorvegliano le associazioni di ogni genere che si costituiscono nelle loro città, dall’altra le tollerano volentieri se non turbano l’ordine pubblico e, in alcuni casi, concedono persino il favore di un riconoscimento ufficiale. «La Bendis trace è nota in Attica fin dalla fine del v secolo. Al principio della Repubblica, Socrate si reca al Piteo per assistere alle cerimonie del nuovo culto che viene celebrato per la prima volta *. La festa comprende una processione alla quale, accanto ai traci, anche gli abitanti del porto prendono parte, una corsa con le fiaccole a cavallo e un banchetto notturno. Le iscrizioni testimoniano che dopo la metà del Iv secolo il culto fioriva nel porto. Una di queste iscrizioni attesta che il popolo ateniese ha ufficialmente autorizzato la “nazione” trace, stabilita al Pireo, a costruirsi un santuario; essa soltanto è la padrona del tempio ed ha il diritto di istituire ogni anno, a giugno, la processione in onore di Bendis. È così che ha voluto l’oracolo di Dodone. Bendis ha il suo paredro, il dio Deloptes; più tardi appare l’eroe cavaliere trace» 5. Dappertutto, laddove le colonie straniere sono sufficientemente numerose, si ripete lo stesso fenomeno. A Roma, dove si danno convegno, verso gli inizi dell’era cristiana, uomini di ogni razza e nazione, i culti stranieri non si contano più e ognuno di essi ha il suo tempio, i suoi preti, le sue cerimonie più o meno strane alle quali sono attirati per curiosità gli stessi cittadini, prima di esserne conquistati come

fedeli.

AI di sotto dei meteci, all’ultimo posto della società e, almeno in alcuni casi, più vicini agli animali che all’uomo, ci sono gli schiavi. Essi non sono persone, ma cose, beni di proprietà che si acquistano e vendono, che si utilizzano a discrezione e da cui ci si separa una volta che si cessa di averne bisogno. La pratica potrà essere di bene4 5

Platone, Repubblica, 327 a. La scena si svolge nell’anno 411 circa. A J Festugière, op cit, pp 53/54. 19

La conversione nel paganesimo

greco-romano

volenza, ma, fino agli Antonini, la teoria resta quella: la legge non riconosce agli schiavi alcun diritto civile o religioso. Così come lo schiavo non è autorizzato a fondare una famiglia, altrettanto è impedito dall’accedere ai culti nazionali. Giacché tuttavia molti di questi disgraziati sono stati liberi prima di cadere in schiavitù e tutti conservano, nonostante tutto, l’anima con le sue aspirazioni, essi conservano e praticano le religioni del loro paese d’origine. «Nelle nostre case—scrive Tacito——noi impieghiamo soltanto servitori barbari; i loro riti non hanno nulla in comune con i nostri ed essi o non praticano alcuna religione o ne praticano una straniera» ‘. Sono gli schiavi, ancor più che gli stranieri domiciliati, ad introdurre in tutte le grandi città dell’impero romano i culti orientali e a farsene i più ardenti propagatori. «Chi dirà l’influenza che le cameriere, venute da Antiochia o da Menfi, hanno avuto sullo spirito delle loro padrone?» 7. Nazionali nel loro principio, inseparabili dalla vita politica di cui sono parte costitutiva, le antiche religioni non sono tuttavia esclusive. Lo stato stesso può già introdurre nuovi dèi nel suo panteon, se lo ritiene opportuno. Dopo una guerra vittoriosa vengono portati schiavi, accanto agli uomini, anche gli dèi dei popoli vinti; ma giacché, nonostante tutto è impossibile non temerli, si prende l’abitudine di venerarli accanto agli altri e li si prega di accordare ormai la loro protezione ai nuovi fedeli. In caso di sconfitta sorge diffidenza nei confronti delle divinità nazionali che non hanno saputo proteggere i loro adotatori e, senza tuttavia abbandonarle, si ricorre agli dèi del popolo vincitore o agli dèi stranieri dei quali si è sentito parlare e si è già sperimentata la benevolenza. Accade inoltre, quando fra due popoli si stabiliscono delle relazioni strette, che si accostino ed identifichino, in modo più o meno arbitrario, le loro divinità, cosicché i loro panteon, in un primo tempo distinti, finiscono per confondersi.

Tutti questi procedimenti trovano applicazione soprattutto a Roma, dove la povertà della religione primitiva rende più facile l’accoglimento degli dèi della Grecia in un primo tempo e orientali dopo. La prima ricezione di culti stranieri nella città di Romolo è da collegarsi, forse, con lo sviluppo delle classi popolari: onorando degli dèi peregrini, i plebei sfuggono alla necessità di adorare alcune delle 6 Tacito, Annales, x1v, 44. 7 F Cumont, Les religions orientales dans le paganisme romain, Paris 1909, p 36. 20

11

ed,

Politica e religione vecchie divinità propizie ai patrizi, Ma ben presto anche i patrizi riconoscono i nuovi venuti. Fin dal principio del Iv secolo si invitano le divinità greche, stabilite a Roma, a dei banchetti lettisterni, vengono istituiti per esse dei preti speciali, i duoviri (più tardi septernviri) epulones e i duumviri sacris faciundis che conservano i libri sibillini di origine apollinea. Si identifica Ercole con Sanco o dio Fidio, Ermes con Mercurio, Demetra con Cerere. Dopo la sconfitta di Canne, si invia a Delfi un’ambasciata guidata da Q Fabio Pittore per consultare Apollo; si consulta ancora Apollo dopo la perdita di Taranto del 212 ed in suo onore vengono istituiti dei giuochi (ludi apollininanes) che diventano annuali a partire dal 208-209. Verso questa data la fusione tra dèi greci e romani è quasi completa, per cui si fa difficoltà a distinguerli gli uni dagli altri’. Nel 205 è compiuto un progresso più caratteristico quando la grande madre dell’Ida, simboleggiata da una pietra nera caduta dal cielo, viene trionfalmente trasferita da Pessinunte e Pergamo a Roma. Senza alcun dubbio, anche se non si sa bene come, la dea frigia è identificata con Rea Silvia, madre di Romolo ed a questo titolo, fin dal suo arrivo, trova ospitalità nel tempio della Vittoria sul Palatino, in attesa che sulla stessa collina venga eretto un tempio in suo onore !’, Essa non è tanto la prima divinità orientale che faccia il suo ingresso nella futura capitale dell’impero, ma testimonia altresì eloquentemente la capacità quasi illimitata di accoglimento che hanno le stesse religioni ufficiali. Da parte loro, gli individui, ammesso che restino fedeli ai culti della città, possono adottare in particolare tutti gli dèi che vogliono. Non hanno il diritto di dispensarsi dalle cerimonie legalmente obbligatorie: escludersi dalla religione equivale ad escludersi dalla città. L’ateismo di Diagora di Melo !!, l’indifferenza di Protagora di Abdera È, fanno scandalo non solo tra i contemporanei e tutta l’antichità romaine 8 E Pais/] Bayet, Histoire conquéte, Paris 1926, p 125. E Pais/J Bayet, ibid, p 444.

9 10 11

des origines

è l’achèvement

de

la

E Pais/y Bayet, ibid, pp 445/446; F Cumont, op cit, p 70s. Cfr Th Gompetz, Pensatori greci, vol 1, Firenze 1933, p 203s. Gli apologisti cristiani citano ancora Diagora come una specie di fenomeno. 12 Protagora dichiara che l’uomo non deve occuparsi che delle cose umane. «Quanto agli dèi, aggiunge, non posso sapere né se ci sono, né se non ci sono; troppi ostacoli vi si oppongono, oscurità del soggetto e brevità della vita»: Diogene Laerzio, Vite, Lx, 51. 21

La conversione

nel paganesimo

greco-romano

ripete i loro nomi con una specie di terrore. Socrate viene condannato a bere la cicuta sotto il pretesto che non crede agli stessi dèi in cui

crede la città e li vuole sostituire con dèi nuovi”, Ma una volta adempiuta questa condizione, ognuno resta libero di scegliere nel mondo celeste i protettori che vuole e di praticare il culto che reputa migliore. Le sole regole da osservare sono quelle che si riferiscono al mantenimento dell’ordine pubblico e al rispetto della morale. Per il resto lo stato non si occupa di niente e non si intromette in una questione considerata come appartenente al dominio privato. All’approssimarsi dell’era cristiana, tutti i paesi del bacino mediterraneo sono invasi dalle religioni orientali. Non esiste divinità che non trovi a Roma o ad Atene adoratori ferventi. Iside e Osiride, Cibele, Attis, Adone, Mitra, sono i più conosciuti, ma non sono i soli e occorrerebbe ampliare la lista considerevolmente per poter enumerare tutti quelli ai quali, simultaneamente o successivamente, ricorre la pietà delle anime inquiete !, Quando assume il potere imperiale la dinastia dei Severi, lo sviluppo del sincretismo trova sostegno nella moda e nel favore dei sovrani i quali ne danno l’esempio. Essi non si limitano a venerare gli dèi del paganesimo o a far comporre, in contrapposizione al vangelo, la vita meravigliosa di Apollonio di Tiana. Alessandro Severo pretende annettere la stessa persona di Gesù Cristo. Stando al suo storico, egli avrebbe fatto mettere nel suo larario l’immagine del Salvatore, accanto a quella di Apollonio di Tiana, di Abramo, di Orfeo e di molti altri, considerati da lui come modelli “. Egli avrebbe anche pensato di innalzare un tempio al Cristo e.di farlo onorare ufficialmente assieme agli altri dèi e avrebbe, si dice, realizzato questo progetto se non fosse stato impedito dai sacerdoti . In ogni caso egli è in relazioni personali con Giulio Africano per il quale costruisce la bella biblioteca del Panteon !!. Sua madre, Giulia Mamea, convoca Origene ad Antiochia per fare esperienza diretta della sua 3 14

Platone, Apologia di Socrate, 24 b c. Cfr F Cumont, Les religions orientales dans le paganisme romain, Iv

ed, Paris 1929; J Toutain, Les cultes paiens religions orientales, Paris 1911; A J Festugière,

dans l’empire

romain,

t 2: Les

op cit, pp 128/166; A D Nock, Conversion, the old and ibe new in religion from Alexander the great to Augustine of Hippo, Oxford 1933, pp 138/156. 3 Lampridio, Vita Severi Alexandri, 29. 16 Lampridio, ibid, 43. 7 Oxyr Papyri, 412, 1 56s; cfr Grenfell/Hunt, Oxyrinchus Papyri, t 3, Cambridge 1903.

Politica e religione " e si intrattiene più volte con lui. Acla dedica di un trattato sulla risurrezione ”; più tardi la leggenda non esiterà a farne una cristiana ®. Più dèi si hanno, più si è sicuri della protezione celeste. Nella misura in cui l’impero si indebolisce, i barbari moltiplicano le loro invasioni e le loro devastazioni e diminuisce la sicurezza della vita quaggiù, gli occhi si volgono al cielo per cercarvi dei salvatori e le preghiere, con fervore ogni giorno crescente, vengono innalzate a tutti coloro che vengono reputati capaci di trionfare del destino e portare salvezza. Alla fine del Iv secolo la pietà pagana è più esasperata che mai. Essa moltiplica senza fine i riti di iniziazione ai misteri stranieri che l’Oriente ha fatto conoscere a Roma. Alfenio Ceionio Giuliano Camenio, prefetto di Roma nel 333, si gloria di essere stato septermvir epulonum, quindecemvir, padre dei sacrifici di Mitra, ierofante di Ecate, primo sacerdote di Libero, iniziato ai misteri della madre degli dèi 4. Il senatore Ulpio Egnazio Faentino, padre e araldo sacto del dio sole invincibile Mitra, capo dei bovari di Bacco, sacerdote di Iside, dopo aver ricevuto il battesimio di sangue del sacrificio del toro, consacra nel 376, una dedicazione alla Grande Madre e ad Attis 2. ‘Tamesio Augenzio Olimpio rileva un santuario dedicato a Mitra sulla via Flaminia e dichiara di non voler ricevere a tale scopo nessuna sovvenzione ufficiale, perché un’anima pia preferisce una tale spesa al guadagno ®. Un po’ più tardi Vettio Agorio Pretestato, proconsole di Acaia nel 362, prefetto dell’urbe nel 367, prefetto del pretorio d’Italia nel 384, è augure, pontefice di Vesta, sacerdote del sole, quindecemvir, curiale d’Ercole, iniziato a Libero e ai misteri eleusini, ierofante, custode del tempio, sacerdote del sacrificio del toro, padre dei padri *. Sua moglie, Aconia Fabia Paolina, non gli è inferiore per pietà, esintelligenza delle cose divine cetta persino da sant’Ippolito

18 Eusebio, Storia ecclesiastica, VI, 21, 3. 19 Eusebio, ibid, loc cit; i frammenti conservati di quest'opera si trovano in H. Achelis, Hippolytus Werke (Die griechischen cbhristlichen Scbhriftsteller der ersten drei Jabrbunderte, t 1/2), p 251s. 2 Rufino, Historia Ecclesiastica, v1, 21, 3; Otosio, Historiae, vir, 18, 6; Vincenzo di Lerins, Commonitorium, 17. 21 F Buecheler, Carmina latina epigrapbhica, Leipzig 1895ss, n 654. 2 Corpus inscriptionum latinarum, v1, 564; H Dessau, Inscriptiones latinae selectae, Berlin 1892ss, n 4153. 23 Dessau, op cit, n 4269. Buecheler, op cit, n 111; Dessau, op cit, 4 dei padri costituisce la più alta dignità mitriaca.

23

n 1259; il titolo di padre

La conversione nel paganesimo

greco-romano

a Cerere e agli Eleusini, consacrata a Ecate nel suo santuario di Egina, sacerdotessa del sacrificio del toro, ierofante >. Virio Nicomaco Flaviano, vicario di Africa nel 377 è considerato molto esperto nell’arte degli àuguri *; una invettiva in versi gli rimprovera di interessarsi a dei riti sporchi, come il sacrificio del toro, sendo consacrata

o assurdi, come quelli dei misteri di Cibele, Serapide, Iside e Osiride 7, Noi conosciamo con particolare dovizia di dettagli questi grandi signori dell’aristocrazia romana, grazie alle iscrizioni sontuose alle quali è stato affidato il loro ricordo, ma possiamo esser sicuri che non sono stati i soli a ricercare qualche pegno di salvezza nei loro protettori divini. Molti han fatto come loro, senza scrupolo né esitazione 2, Com’è possibile, nelle condizioni che abbiamo ricordato, parlare di conversione alle religioni pagane, sia che si tratti dei culti officiali o dei misteri orientali che diventano sempre più di moda man mano che ci si avvicina all’era cristiana? La conversione, noi lo sappiamo, è una rottura con il passato, un dono totale dell’anima ad una nuova forma di vita. Ma è proprio questo che il paganesimo non ha mai esigito dai suoi fedeli. In primo luogo perché è impossibile praticamente rinunciare alla religione della famiglia e della città, senza escludersi in maniera completa e definitiva dal proprio ambiente sociale. La vecchia formula romana, igni et aqua interdicere, ricorda in maniera tragica alcune conseguenze di questa esclusione. Il disgraziato che rinnega i suoi dèi o, per un grave delitto, si vede cacciato dalla sua città, perde tutti i suoi diritti sull’acqua e sul fuoco, cioè sugli elementi più indispensabili alla vita. Ovunque egli ormai si trovi, non ha più patria, famiglia, religione. Egli è condannato alla solitudine, cioè ad una vita più insopportabile della morte. È infatti perfettamente inutile cambiare religione per adottarne un’altra. Gli dèi 5 Buecheler, ibid. La Macrobio, Saturnalia, 1, 24, 17; Sozomeno, Storia ecclesiastica, vii, 22. 27 Adversus Nichomachum, 571,69,91, 98: edizione di L Delisle in Bibliothéque de l’Ecole des Chartes, t 3, serie v1, Paris 1867, p 295s; cfr C Morel, Recherches sur un poème latin du IV° siècle, Paris 1868; la moglie di Nicomaco non viene risparmiata: «Anche la tua sposa supplicante ha un bel caricare di offerte gli altari di tutte queste divinità mostruose che tu veneri nei loro santuari e compiere voti alle porte dei templi... e tentare di commuovere l’Acheronte a forza di evocazioni magiche; essa ti ha lasciato cadere, sfortunato che sei, nel Tartaro infernale». 28 Per tutto questo cfr P_ de Labriolle, La réaction paienne. Etude sur la polémique antichrétienne du ler au VIe siècle, Paris 1934, pp 348/354. 24

Politica e religione pagani non sono dèi gelosi, come Jahwe nel giudaismo. Lontani dal reclamare un culto esclusivo da parte dei loro fedeli, sopportano senza contrarietà alcuna gli dèi vicini che non possono diventar rivali. In genere ogni città ha la sua divinità protettrice alla quale rende un culto speciale. Questa divinità è simbolo vivente della città, regna sul suo luogo alto, l’acropoli, compare sulle monete come immagine stessa

dello stato: Artemide a Efeso, Atena ad Atene, Apollo a Cirene. Ma questa divinità non è la sola ad essere adorata nella città di cui è custode. Accanto ad essa molti altri hanno il loro tempio ed il loro altare che sollecitano la pietà dei fedeli e sono le stesse persone le quali, ad esempio a Efeso, dopo aver reso omaggio ad Artemide, vanno a pregare Demetra, sacrificano a Zeus o celebrano la processione di Dioniso ”. All’epoca imperiale il culto di Roma e di Augusto si sovrappone dappertutto alle religioni tradizionali ed è il simbolo che esprime l’attaccamento alla patria romana. Ma non si sostituisce ad esse e nemmeno per un istante ha l’ambizione di rimpiazzarle. Nato in Oriente, fin dal regno di Augusto, sotto l’impressione di felicità portata dalla pace infine ritornata dopo guerre senza fine, non tarda ad espandersi, cioè ad essere imposto come espressione della legalità civile e di fedeltà religiosa. Disgraziati quelli che lo rifiutano: si metterebbero fuori della città e cioè, in pratica; fuori del mondo civilizzato ”, Quando dall’altra parte si sono adempiuti i riti prescritti in onore dell’imperatore, si è completamente liberi di adorare chi si vuole e il governo centrale moltiplica le facilitazioni per i culti locali. A volte lo stesso imperatore è identificato, più o meno, al dio protettore e i due culti vengono celebrati assieme, o piuttosto si riducono ad uno. Qui ancora è impossibile parlare di conversione, perché il passato è mantenuto integralmente e si tratta, non già di sostituirlo, ma di aggiungervi una nuova adorazione.

” Sui culti di Efeso cfr A J Festugière, op cit, t 2, pp 57/67. 30 Soltanto i giudei vengono dispensati dal partecipare alle cerimonie del culto imperiale. Questo perché essi costituiscono una nazione, un popolo, e sono riconosciuti come tali. Essi hanno il loro Dio nazionale al quale rendere un culto. Questo basta. Ma ancora e soprattutto sono dispensati perché offrono sacrifici per l'imperatore fino alla distruzione del tempio di Gerusalemme. Questi

sacrifici

vengono

sostituiti

in seguito

25

da

doni più o meno

volontari.

La conversione

nel paganesimo

greco-romano

2. Formalismo

V'è di più. Ogni conversione suppone un cambiamento interiore. Non si tratta soltanto della modificazione di un atteggiamento, della trasformazione di un gesto, della sostituzione di una cerimonia con un’altra. Si tratta piuttosto del rinnovamento dell’anima che si separa dal passato per dar vita ad un’altra esistenza. È soprattutto da questo punto di vista che le religioni pagane non offrono alcun elemento suscettibile di corrispondere alla nostra concezione di conversione. Se si presta fede a Cicerone, il termine religio deve essere ricondotto al verbo relegere: «Non soltanto i filosofi, ma anche i nostri antenati hanno distinto la superstizione dalla religione. Coloro che passano giornate intere a pregare e a fare dei sacrifici perché i loro figli sopravvivano (superstiti) sono stati chiamati superstitiosi, termine che in seguito ha assunto un’accezione più estesa. Coloro che invece ritornavano con cura (con il pensiero) su tutte le cose concernenti il culto agli dèi e, per così dire, lo rileggevano (relegerent),

stati chiamati religiosi da relegere (ripassare con lo spirito)» *!., Questa etimologia concorda molto bene con il carattere formalista della religione romana, nella quale formule e riti erano soggetti a regole minuziose. Niente di strano quindi che degli uomini particolarsono

mente coscienziosi, minuziosi, meticolosi, cioè scrupolosi, religiosi, abbiano preso l’abitudine di esaminare retrospettivamente (relegere) se, ad esempio, delle formule tradizionali, anche incomprese, fossero state pronunciate esattamente e se i riti, anche bizzarri o insignificanti, fossero stati esattamente eseguiti ?, Ia Cicerone, De natura deorum, II, 72: «Non solo i filosofi, ma anche i nostri antenati hanno separato la superstizione dalla religione. Infatti coloro che supplicavano e facevano sacrifici tutti i giorni perché i loro figli fossero loro risparmiati (sup-rstites), sono stati chiamati superstiziosi. Questo termine in seguito ebbe un'applicazione più estesa. Coloro che invece riandsvano col pensiero e, per così dire, rileggevano tutto ciò che fa parte del culto degli dèi, sono stati chiamati religiosi». 2 P_Joùon, «L'étymologie de “religiosus” dans Cicéron et un trait ce ractéristique

de l'homme

religieux

en Israel»

in Recherches

de. Science

Reli-

gieuse (1936) pp 183/184; cfr W Otto, «Religio und supesstitio» in Archiv far Religionswissenscbaft, t 12 (1909), p 533s; A Ernout/A MNMeillet, Diction naire

éymologique

de

la langue

latine,

11 ed,

Paris

1939,

p 859:

«Forse

è

meglio collegare religio a religare: religio sarebbe propriamente il fatto di legarsi agli dèi, simbolizzato dall'uso delle bende e delle corone sei culto». 26

Formalismo Comunque stiano le cose dal punto di vista etimologico, tutti gli antichi autori sono d’accordo nell’affermare che l’essenza della religione consiste nel praticare esattamente le cerimonie imposte dall’uso. Distinguendo tre generi di teologia, quella mistica dei poeti, quella fisica dei filosofi e quella politica delle città, Varrone definisce quest’ultima: «Nosse atque administrare in quo est, quos deos colere, quae sacra et sacrificia facere quemquam par sit» 3, Cicerone dichiara che la santità è la scienza del rituale . Per Apuleio, essere sacerdote significa possedere a fondo la conoscenza, la scienza, la pratica degli ordinamenti rituali, delle regole di culto, delle disposizioni della legge religiosa *. Lattanzio scrive ancora che per i romani ogni religione consiste nel compiere dei riti puramente corporali *. Che vi sia della esagerazione in queste formule, lo riconosciamo volentieri, ma è certo che esse traducono benissimo l’impressione suscitata dalla minuzia e dalla complicazione del rituale. «I riti sono così complicati che colui che prega ha spesso due sacerdoti accanto a lui, uno per dettare la formula da pronunciare e l’altro per seguirla sul libro e assicurarsi che sia fedelmente ripetuta. È i romani sono talmente ipnotizzati da queste formule che le conservano anche quando il loro senso è stato perduto da molto tempo. Persino durante l’epoca imperiale i fratelli Arvali, votati al culto della Dea Dia, o dea della terra feconda, si facevano consegnare ogni anno un vecchio canto, le cui parole erano totalmente incomprensibili da secoli, senza che ciò impedisse loro di ripeterlo fedelmente fin quasi alla fine dell’impero» “’. Così intesa la religione è un puro formalismo.

Lo stesso dicasi per i greci. La scienza divina fa parte di una virtù speciale: l’eusebeia. Noi traduciamo abitualmente questo termine con pietà, una virtù che fa a sua volta parte della giustizia. Occorre dare agli dèi ciò che è loro dovuto; in maniera più precisa: 3 “4

Varrone, Fragmenta (ed Bipontina, Zwlibriirken 1788), p 214. deorum, TI, 41: «La santità... è la scienza del culto

Cicerone, De natura da rendere agli dèi».

35 Apuleio, Apologia, Xxxv: «Infine quale accusa è il fatto di essere sacerdote, possedere, conoscere e praticare nel debito modo le leggi delle cerimonie, le norme sacre e il diritto delle religioni? ». 3%

Lattanzio,

Divinae

Institutiones,

Iv, 3: «Il culto

degli

dèi... ha soltanto

un rito di venerazione, che consiste nel servizio del corpo». 7 C Martindale, «La religion des Romains», in J Huby, Christus, Manuel d’hbistoire des religions, Paris 1912, pp 366/367. 27

La conversione

nel paganesimo

greco-romano

«Saper dire e fare ciò che è gradito agli dèi, pregando e offrendo sacrifici, ecco ciò che è pio, assicura la salvezza delle famiglie e quella delle città; il contrario è empio: da qui vengono gli sconvolgimenti e le rovine.. La pietà è una certa scienza dei sacrifici e delle preghiere... La pietà è la scienza dei doni e delle domande da fare agli dèi» *, Di queste tre definizioni, che d’altra parte si equivalgono, la prima è data da Eutifrone e le altre due sono suggerite da Socrate al suo interlocutore che le accetta senza batter ciglio; esse traducono infatti perfettamente la mentalità corrente. Certi giorni sono consacrati agli dèi e sono loro dovute determinate cerimonie e certe preghiere sono indirizzate loro da tutte le persone oneste. Quando vengono soddisfatti questi obblighi rituali, si è a posto con gli dèi ®. Le iscrizioni confermano la testimonianza di Platone. I termini eusebeia, eusebéès, eusebòs stanno sempre a designare la maniera in

cui si compiono i riti del culto pubblico. «Pie sono le città che fondano e rinnovano cerimonie e quelle che delegano ambasciatori ufficiali per queste feste. Pii sono i sacerdoti e i magistrati che adempiono perfettamente i sacrifici prescritti per la salvezza dello stato. Pio è il sacerdote o il benefattore che difende gli interessi di un santuario o contribuisce con le sue offerte al suo fasto. Pii sono gli artisti dionisiaci che vengono ad esibirsi gratis a Delfi in onore di Apollo, pio è il poeta melico il quale a sue spese vi fa eseguire dal coro un canto di sua composizione» *. Non si cerchino sentimenti profondi e una pietà interiore: è sufficiente che le cerimonie siano eseguite bene. Le preghiere sono redatte secondo un formulario che non varia molto. Nelle cerimonie pubbliche si prega «per la salvezza della città, per i cittadini, le loro mogli, i loro bambini e per tutti gli altri abitanti della città e del suo territorio, per la pace, per la ricchezza, l’abbondanza delle messi e degli altri frutti della terra, per la fecondità delle greggi» “!, Nel culto privato si prega per chiedere agli dèi la salute, la ricchezza, gli altri beni della terra o per ringraziarli quando si sono ottenuti i favori desiderati. Un incantevole mimo di Eronda ci fa conoscere il ringraziamento

di una donna di Cos, Cymno, la qua-

38 Platone, Eutifrone, 14 b c d. Platone, Politico, 290 d. ” 40 A J Festugière, op cit, t 2, pp 50/51. 4“ Dittenbetger, Sylloge Inscriptionum graecarum, 11 ed; si tratta di un'iscrizione di Magnesia sul Meandro, datata del 496 a.C. 28

Formalismo

le manifesta la sua riconoscenza ad Asclepio offrendogli un gallo: «Salve signore Peana, che regni su Tricca e risiedi a Cos la dolce, come ad Epidauro; e assieme a te saluto Coronide che ti ha generato, il dio Apollo e Igea che tu tocchi con la mano destra; salve a coloro che hanno qui il loro altare venerato, Panace, Epio, Giasone; salve a coloro che hanno distrutto la casa e le mura di Laomedonte, ai guaritori delle malattie violente, Podalirio e Macaone; salve a tutti gli dèi e le dee che abitano nella tua dimora, venerabile Peana; venite qui con benevolenza ad accettare il piccolo desinare del gallo che immolo, araldo appollaiato sui dante e non sempre è

muri della casa. La nostra fonte non è abbona nostra disposizione. Altrimenti sarebbe stato un bue o una scrofa ricca di lardo che ti avremmo offerto per la guarigione delle malattie da cui ci hai liberato, signore, con l’imposizione delle tue dolci mani» ?. Questa preghiera segue il tipo più classico: invocazione al dio al quale ci si rivolge, con la menzione dei santuari dov’è onorato in modo particolare, invocazione alla sua famiglia e a tutti gli dèi e le dee, in modo da non urtare nessuno degli abitanti dell’Olimpo, invito al sacrificio che sta per essere offerto, richiesta di un viso sorridente come pegno del favore divino: quasi

tutte le preghiere greche sono costruite secondo lo stesso modello. Le religioni misteriche che, nel periodo dell’era cristiana, fanno delle rapide conquiste in tutti gli ambienti, non esigono una pietà interiore; i riti di iniziazione assicurano a coloro che vi si sottomettono il possesso della salvezza. La rivelazione dei segreti, delle parole d’ordine che permettono di trionfare sul destino, o quella delle dot-

trine che danno la conoscenza dell’aldilà, producono lo stesso risultato. Si distingue a volte tra i misteri cultuali che comportano un'azione, una liturgia, e i misteri letterari che consistono soprattutto nella rivelazione di un libro sacro, di uno bieròs légos . Questa distinzione non è priva di fondamento, ma non riveste importanza per il punto

di vista nel quale ci siamo posti, giacché i misteri letterari sono altrettanto formalisti che i misteri cultuali. L’ermetismo, così come ci è noto attraverso i trattati I e xIII del Corpus hermeticum, rappresenta il tipo compiuto dei misteri letterari. Tl dio rivela al suo fedele i misteri nascosti e costui trova nella loro e

Eronda,

3

Cfr A J Festugière, L’idèal religieux des Grecs et l’Evangile, Paris

1932, pp

Mimi,

1v, 1, 17.

116/132.

29

La conversione nel paganesimo

greco-romano

conoscenza il principio della salvezza. Dopo aver fatto conoscere Tot il principio della generazione, Ermes continua:

a

«Riposati mio figlio e ascolta adesso la benedizione appropriata, l’inno della rigenerazione, che io ho giudicato bene di non produrre così facilmente, ma solo per te alla fine di tutto. Per questo motivo esso non viene insegnato, ma nascosto nel silenzio. Figlio mio, mettiti in un posto con il cielo aperto, guardando verso il sud al monìento del tramonto del sole e adora anche abando il sole si alza, rivolto ad oriente. Stai tranquillo, figlio mio» “ À questo punto canta l’inno e conclude: «Figlio mio, gioisco perché hai tratto dalla verità frutti eccellenti, germogli immortali. Avendo appreso ciò da me, proclama il silenzio della virtù e non manifestare ad alcuno, figlio mio, la tradizione religiosa sulla rigenerazione, perché non abbiamo ad essere considerati fra i detrattori. Ognuno di noi infatti è stato messo sufficientemente all’opera, io parlando e tu ascoltando. È mediante l’intelligenza che tu hai conosciuto te stesso e il nostro padre» ‘.

Qui viene richiesto all’iniziato il segreto assoluto sulle conoscenze che ha acquisito. Il trattato 1 mostra delle preoccupazioni più apostoliche, giacché l’iniziato, una volta istruito sulla natura di tutto e della visione suprema, comincia a predicare agli uomini la bellezza della pietà e della conoscenza. «Tra di essi alcuni si allontanarono facendosi beffe e abbandonandosi alla via della morte; altri mi domandarono di istruirli, gettandosi ai miei piedi. Da parte mia li rialzai e divenni la guida ‘della razza, insegnando loro le (buone) parole, come e in che maniera saranno salvati. È seminavo in essi le parole della saggezza e furono nutriti con il succo d’ambrosia. Venuta la sera, mentre la luce del solo al tramonto svaniva, diedi l’ordine a tutti di rendere grazie a o» * dl

L’astrologia, alla quale in qualche modo si è consacrato Vettio Valente, è ugualmente un mistero di questo genere e lo stesso dicasi della medicina che pratica Tessalo ’. Chiunque conosce gli insegna4 Corpus hermeticum, tract arr. 45 Ibid. 4 Corpus hermeticum, ttact 1 (Poimandres). 4 Cfr A J Festugiète, «L’experience religieuse du médecin Thessalos», in Revue Biblique (1939),pp 45/77. 30

Formalismo menti tradizionali di queste due scienze, possiede la contemplazione interamente santa ed immortale, divina ed augusta. Vettio cerca a lungo la verità sugli astri fino al giorno in cui la volontà divina, nella sua benevolenza, gli farà ottenere la trasmissione dei segreti, rendendolo così partecipe dell’immortalità. Da parte sua Tessalo, che ha cominciato per darsi in Asia alla grammatica e alla filologia, in Egitto si lascia sedurre dalla medicina per la quale brucia con ardore incredibile e si mette a percorrere l’Egitto per trovare le ricette efficaci di cui ha bisogno. Asclepio finisce per rivelargliele nel corso di una visione, giacché la sua scienza è strettamente divina. L’uno e l’altro, una volta istruiti, sono tenuti al segreto. «Ti scongiuro, venerabile fratello —scrive Vettio Valente—, di conservare con cura questi insegnamenti nel segreto e di non trasmetterli ai non iniziati, ma solo a coloro che ne sono degni» . Asclepio fa la stessa raccomandazione a Tessalo: «Eccoti munito, nel mio breve trattato, della dottrina che ti ho trasmesso, grazie alla quale potrai curare molte malattie gravissime e difficilissime da guarire. Non ti resta dunque che di mettere in opera queste prescrizioni e di custodire con cura il discorso che ti ho consegnato, senza trasmetterlo ad alcun profano estraneo alla nostra atte» ‘, I misteri cultuali ci sono più familiari perché hanno attirato l’attenzione da molto tempo e perché hanno esercitato una grandissima influenza sulle anime. Per la stessa forza delle cose, solo gli uomini istruiti, i sapienti e i filosofi possono applicarsi allo studio di una gnosi, tanto più nascosta in quanto si pensa che contenga la spiegazione dei misteri. Invece, anche i più umili hanno il diritto di pretendere una iniziazione che comporta soltanto dei gesti semplici da compiere o delle brevi formule da ritenere. Noi conosciamo un certo numero di queste formule tramite Firmico Materno ed altri scrittori antichi. «Ho mangiato tamburello, ho bevuto cembalo, sono diventato iniziato di Attis» °°, nei misteri di Cibele e Attis; «Son penetrato sotto il seno della Signora, dea dell’inferno,... capretto son cascato 48 religieux

ni

Vettio Valente, Florilegium, 87, 21, citato da A J Festugière, L’idéal des Grecs et l’Evangile, Paris 1932, p 226. Tessalo, De plantis, in Catalogus codicum astrologorum graecorum (ed

F Cumont,

Bruxelles

1898ss), vir,

3, p

163, 3.

so Firmico Materno, De errore profanarum religionum, xvi, 1; cfr Clemente Alessandrino, Protreptikés, 11; Eusebio, Praeparatio evangelica, X1, 3, 15; questi due ultimi scrittori presentano diversamente la fine della formula e scrivono: «Sono sceso nella stanza della dea». 31

La conversione nel paganesimo greco-romano nel latte» ‘!, nei misteri orfici; «Canta giovane sposo, salve giovane sposo, salve luce novella» ? e «Dio uscito dalla pietra» *, nei misteri di Mitra; «Ah, tu che hai due corna e due forme» °, nei misteri di Dioniso orfico; «Coraggio, iniziato del dio salvato, anche per noi dalle pene uscirà la salvezza» °, nei misteri di Attis. L’intetptetazione di queste formule è ben lontana dall’essere certa e lo stesso Firmico Materno che ce le riporta non ne conosce più il senso preciso. D’altra parte per l’iniziato l’essenziale consiste nel recitarle al momento opportuno, perché esse devono servigli da filatteri, soprattutto quando, dopo la morte, la sua anima separata dal corpo perverrà alla dimora degli dèi. Qui ancora il formalismo prende il sopravvento. Occorre che l’iniziazione produca i suoi effetti, che le cerimonie tradizionali siano ben fatte, che i termini rituali vengano perfettamente ripetuti, che le formule, anche se diventate senza errore.

incomprensibili,

siano trasmesse

Resta nondimeno

vero che, sia presso i greci che presso i rosi trovano dei segni di una pietà autentica, nel senso preciso che noi diamo a questo termine. Il formalismo è uno scoglio contro il quale vanno a sbattere a un dato momento tutte le religioni, anche le più spirituali, e sarebbe ingiusto vedere nei culti dell’antichità classica solo l’elemento materiale. Le espressioni più svariate del sentimento religioso vi si manifestano a turno. Ecco, ad esempio, il tono di confidenza del giovane Ione che adempie a Delfi le funzioni di mani,

sagrestano:

«Io scopo il sagrato del mio dio tutto il giorno, dall’ora nella quale ha inizio lo slancio rapido del sole. È il mio ufficio quotidiano... o Peana! o Peana! Sii benedetto! Sii benedetto! O figlio di Leto! È bello il lavoro, al quale mi dedico per te, Febo, davanti al tuo tempio, in onore del soggiorno fatidico! Glorioso è il mio compito, perché metto il mio braccio al servizio degli dèi, questi signori immortali, non dei signori mortali. Di questo pio lavoro non mi stanco affatto. Febo è mio padre, l’autore dei miei giorni. Perché io benedico il dio si O Kern, Orphicorum fragmenta, Berlin 1922, p 106; M J Lagrange, Les Mystères: l’orphisme, Paris 1937, p 139. 8 Firmico Materno, op cit, xx, 1. 93 Firmico Materno, op cit, xx, 1. 4 Firmico Materno, op cit, xa, 1. 55 Firmico Materno, op cit, Xoa1, 1. 32

Formalismo che mi nutrisce. E io chiamo padre il mio benefattore: Febo di questo tempio» *, Ed ecco l’inquietitudine preghiere citate da Clemente

Zeus

«A te, moderatore

dell’aldilà manifestarsi nelle

Alessandrino:

di tutte

è Febo, il

ammirevoli

le cose, io porto libazioni e torte,

o Ade, secondo il nome che preferisci. Accetta questo sacrificio che non è stato consumato dal fuoco, urna piena di tutti i frutti...

Sèi tu infatti che, tra gli dèi celesti, tieni in mano lo scettro di Zeus e dividi con Ade la sovranità degli inferi. Manda la tua luce alle anime degli uomini, a coloro che vogliono conoscere (le condizioni de) la lotta: da dove sono germogliati, qual è la radice dei mali, chi è il beato al quale occorre offrire sacrifici per trovare riposo dalle pene» ‘”.

Ed ecco la fede impaziente del medico Tessalo che, desiderando entrare in comunicazione con Asclepio, domanda ad un sacerdote di essere aiutato a ottenere questo favore: «Io gli dichiaro che la mia vita è tra le sue mani, che è assolutamente necessario che io conversi con un dio e che, se questo desiderio non si compie, sono pronto a lasciar la terra. Allora, avendomi rialzato da terra e consolatomi con i discorsi più gentili mi promise cordialmente di tradurre la mia preghiera e mi ordinò un digiuno di tre giorni. Ed io, con l’animo liquefatto all’annuncio di queste promesse, gli baciai la mano e lo colmai di ringraziamenti piangendo come una fontana» °%, Ecco la preghiera tenera

e riconoscente di Apuleio a Iside:

«Sei tua la santa e perpetua benefattrice del genere umano, sempre magnifica nel proteggere i mortali; tu provi il dolce affetto di tna madre per le disgrazie dei suoi figli. Non vi è giorno, notte, istante, per quanto breve, che sia vuoto dei tuoi favori; sulla terra e sul mare tu proteggi gli uomini, tieni lontano da essi le tempeste della vita, tendi loro una mano salutare per ritessere per essi le trame inestricabili legate dal destino; tu plachi le tempeste della Fortuna e arresti il corso nocivo delle stelle. Sei tu che adorano i cieli e venerano gli inferi; sei tu che fai girare l’universo, rischiari il sole, governi il mondo, schiacci sotto il piede il Tartaro. Gli astri ti rispondono, le 6

7 no,

58

Euripide,

Ione,

121/139.

Euripide, Fragmenta, 912 (edizione Nauck); cfr Clemente AlessandriStromata,

v, 12, 72.

Tessalo, op cit, prefazione. 33

La conversione nel paganesimo

greco-romano

stagioni ritornano grazie a te, gli dèi gioiscono per te, gli elementi ti obbediscono. Ad un tuo cenno i venti si rimettono a soffiare, si formano le nuvole di pioggia, germogliano le sementi, crescono le giovani piante. Gli uccelli che volano nel cielo, le bestie che errano per le montagne, i serpenti che strisciano sul suolo, i grandi pesci che nuotano nel mare, venerano tremando la tua maestà. Ed io, che per proclamare le tue lodi sono debole di spirito e povero di patrimonio, non ho eloquenza sufficiente per dire quel che avverto della tua maestà; non vi potrebbero bastare mille bocche, mille voci e persino l’eternità di una lode senza fine» *”.

Ed ecco infine al marito defunto la

la testimonianza piena di grave macstà che rende pia Aconia Fabia Paolina:

«Sei tu che, pio iniziato, serri nel segreto del tuo cuore le verità rivelate nelle sante iniziazioni e che, dotto conoscitore (delle cose celesti), onori la potenza multiforme degli dèi, associando alle sacre cerimonie, con bontà, (la tua donna) confidente degli dèi e degli uomini, la tua fedele compagna. Perché parlare degli onori, dell’influsso, delle gioie che i cuori degli uomini desiderano? Tu li hai sempre considerati caduchi e meschini. Sacerdote degli dèi, le tue bende si levano alte davanti agli uomini. E sei tu mio sposo, che attraverso discipline benefiche, liberando dalla condizione mortale la mia purità, il mio pudore, mi conduci nei templi e mi consacri come serva agli dèi» ©.

Il culto pubblico dall’altra parte provoca facilmente emozioni religiose purissime. Pensiamo ad esempio alle grandi processioni delle Panatenee, così come il genio di Fidia le ha scolpite una volta sui fregi del Partenone: tutto un popolo in marcia, nella grande luce di Atene, verso il tempio della sua patrona; gli inni cantati dai cori dei giovani e delle ragazze; gli oggetti sacri portati lentamente come in un trionfo e, al di sopra di tutto, il velo stesso della dea: quale solenne maestà e quale rispettosa devozione in questo lungo corteo, che raduna tutti i cittadini in un omaggio unanime. Pensiamo ancora alle feste celebrate a Olimpia in onore di Zeus, la cui statua magni-ica domina la folla. Nello stadio gli atleti, con il corpo splendidamente armonioso, gareggiano con forza ed abilità in gare dalle quali non è mai assente la grazia. I poeti si ingegnano a cantare le imprese dei vincitori. Sul teatro si succedono le tragedie che ricordano le glorie bd

60

Apuleio, Metamorfosi, Buecheler, Carmina

xt, 25, 1/7.

latina epigrapbica, n 111. 34

Formalismo tradizionali dell’Ellade e i favori degli dèi per i loto adoratori. Tutti i pensieri si uniscono, tutti i cuori si fondono: non vi è più che un’anima sola, interamente tesa al padre degli dèi e degli uomini che è il fine e l’oggetto unico di tutta questa pompa. Le religioni orientali sono meno gravi, meno ordinate, ma le loro cerimonie sono quanto mai adatte a provocate l’emozione religiosa. Si rilegga ad esempio la descrizione della processione di Cibele,

fatta da Lucrezio:

«La dea, lasciando il suo tempio, è condotta su un carro al quale sono aggiogati due leoni... Una corona murale cinge il suo capo... Patata con questo diadema, ancora adesso, attraverso il suo vasto impero, l’immagine della dea madre viene trasportata tra i brividi della folla... I tamburi tesi tuonano sotto i colpi delle palme, i cembali concavi rumoreggiano attorno alla statua; le trombe proferiscono la minaccia del loro rauco canto e il ritmo frigio del flauto getta il delirio nei cuori. Il corteo brandisce le armi, emblema di un furore violento, per lanciare il terrore sacro della potenza divina nelle anime ingrate e nei cuori empi della folla. Non appena dunque, portata attraverso le grandi città sul suo carro, l’immagine silenziosa della dea gratifica i mortali con la sua muta protezione, il bronzo e l’argento coprono tutta la strada percorsa, offerta generosa di cui l’arricchiscono i fedeli, mentre fioccano le rose, la cui caduta copre la dea madre e le truppe che la scortano. Contemporaneamente, gruppi armati di cureti frigi, come son chiamati dai greci, giuocano bizarramente fra di loto, saltellando cadenzatamente, gioiosi per il sangue che li inonda, mentre i movimenti delle teste fanno smuovere i loro pennacchi spaventosi» ‘!. In questi bei versi non si tratta che di emozioni diverse: timore, rispetto, furore estatico, delirio sacro; la traduzione più fedele è incapace di rendere le strane sonorità con le quali il poeta riesce a far partecipare il suo lettore ai sentimenti che animano gli stessi spettatori del lungo corteo. È impossibile rimanere indifferenti di fronte a questa manifestazione. Controvoglia si è presi, trascinati, e poveri coloro che non mantengono sufficiente padronanza di sé e si precipitano in mezzo ai Galli ° per compiere come loro il penoso sacrificio della loro virilità. 61

Lucrezio,

De rerum

natura,

111,

601, 606, 618/632;

per le

feste della

dea siriana, cfr Apuleio, op cit, vili, 24s e Luciano, La dea siriana, 35; per le cerimonie

62

in onore di Iside,

cfr Apuleio,

op.

cit, x,

8.

Propriamente erano assistenti al culto di Cibele che praticavano la (ndt)

castrazione.

35

La conversione nel paganesimo greco-romano Il sacrificio del toro, che oggi ci appare barbaro e ripugnante, è ugualmente capace di provocare atdenti emozioni. Prudenzio ne fa una descrizione penetrante. Si scava una fossa nella quale scende l’iniziato; egli ha la fronte cinta di bende e di una corona d’oro ed è rivestito di una toga di seta. La fossa viene ricoperta di assi in cui sono stati fatti dei buchi e sulle quali un toro è immolato... L’iniziato riceve il sangue della vittima. «Egli offre la sua testa alla contaminazione di questo fiotto che sporca tutto il suo vestito e il suo corpo. Egli tende la sua figura, le sue guance, le sue orecchie, le sue labbra, le sue narici, i suoi occhi, la sua stessa lingua, fino a che non è tutto imbevuto del sangue». Una volta che la vittima è morta si solleva la grata di assi e l’iniziato «esce, orribile a vedersi, mostra con orgoglio la sua testa umida, la sua barba sporca, le sue bende disgustose, le sue vesti insozzate» . Egli è felice perché è stato rigenerato per l’eternità, in aeternum renatus, come affermano alcune iscrizioni . Giacché l’efficacia del sacrificio del toro non dura che vent’anni e, una volta passato questo lasso, la cerimonia deve essere rinnovata ‘, l’iniziato almeno durante questo periodo è al sicuro da tutte le potenze del male e certo di partecipare dell’immortalità. Non basta tutto questo per spiegare la sua sottomissione alla iniziazione sanguinosa? I misteri di Eleusi sono più semplici, sebbene comportino diverse cerimonie. Fa parte di queste una corsa nell’oscurità, al termine della quale si perviene alla luce piena. Plutarco, in un testo conservato da Stobeo, descrive così questa corsa: «Dapprima delle corse a caso, dei giri penosi, delle marce inquietanti e senza fine attraverso le tenebre. Indi, prima della fine, 6

Prudenzio, Peristephanon, x, 1011s; cfr anche Gregorio Nazianzeno, IV, con la descrizione del sacrificio del toro di Giuliano l’Apostata. I due autori concordano nel segnalare il carattere selvaggio della cerimonia. Orazione

64 4152.

Corpus

inscriptionum

latinarum,

v1, 510; Dessau,

Inscriptiones

selectae,

65 Cfr Carmen contra paganos, 63: «Viuere cum speras viginti mundus in annos» (Tu che speri vivere puro per venti anni); Corpus inscriptionum latinarum,

v1, 504:

«Vota

Faventinus

bis deni

suscepi:

orbis,

Ut

mactet

re-

petens aurata fronte bicornes» (Il faentino compì i voti per vent’anni, per uccidere

nuovamente

i bicornuti

dalla

fronte

dorata):

del 376. Nel 390, Volusiano sembra aver rinnovato dopo

venti

anni:

Corpus

inscriptionum

latinarum,

questa iscrizione data il suo sacrificio del toro vi, 512: «Iterato uiginti

annis expletis taurobolii sui, aram instituit et consecrauit» (Passati i vent'anni del suo sacrificio del toro, lo ripeté e costruì e consacrò un altare); cfr M J Lagrange, «Attis ct le christianisme», in Revue Biblique (1919), p 465. 36

Formalismo giungono al colmo lo spavento, il tremito, il brivido, il sudore {reddo, il terrore. Ma in seguito una Juce meravigliosa s’offre agli occhi e si attraversano luoghi puri e prati dove risuonano le voci e le danze; parole sacre e apparizioni divine impongono un religioso segreto. Allora la persona, perfettamente iniziata da questo istante, divenuta libera e passeggiando senza costrizione, celebra i misteri con una corona sulla testa» “ Egli

è perfettamente

felice,

metra:

della gioia cantata dall’inno a De-

«Felice colui che possiede, tra gli uomini della terra, la visione di questi misteri. Al contrario, colui che non è iniziato ai santi riti e colui che non vi partecipa affatto non hanno le stesso destino, anche quando sono motti nelle morte tenebre» “, Sarebbe altrettanto facile quanto inutile moltiplicare i testi, mentre occorre che ci chiediamo se non abbiamo già abusato delle citazioni. Si trattava infatti di mostrare che il formalismo delle religioni pagane, sia dei greci che dei romani, non escludeva qualsiasi sentimento o emozione. Ma questo equivale quasi a sfondare delle porte aperte. Per noi tuttavia non consiste qui il vero problema. Le emozioni di cui abbiamo parlato sono essenzialmente passeggere e si accompagnano all’atto religioso. Quando questo è ormai compiuto esse scompaiono, non lasciando dietro di sé che un ricordo senza conseguenze. Esse non riescono a produrre quella trasformazione spirituale nella quale consiste la conversione, non riescono cioè a rinnovare l’anima da cima a fondo. Anche i riti più espressivi, come quelli dell’iniziazione misterica, agiscono in virtù di una efficacità propria, senza che l’iniziato abbia bisogno di una preparazione morale, senza che soprattutto abbia bisogno di impegnare il suo futuro e di promettere agli dèi un’esistenza migliore. Alcuni lo ‘fanno, come Lucius, l’etoe delle Metamorfosi di Apuleio, ma si tratta di eccezioni le quali forniscono allo storico motivo di stupore e di studio quasi inesauribile. Gli altri, tutti gli altri, non ci pensano nemmeno. Colui che ha subito il sacrificio del toro ne ha per vent’anni, durante i quali potrà fare ciò che gli parrà, pregare o no la grande madre alla quale è ormai consacrato, vivere alla maniera sua calpestando, se lo giudi6“

Plutarco, citato da Stobeo, Florilegium,

«Les

mystères

pp 299/300. 67

Inno

d'Éleusis

a Demetra,

et

le

christianisme»,

480s.

37

t 4, p 107; cfr M J Lagrange, in Revue

Biblique

(1919),

La conversione

nel paganesimo

greco-romano

cherà opportuno, tutte le leggi divine e umane. Egli è certo della salvezza e quando i vent’anni saranno passati, non avrà da fare altro che sottomettersi nuovamente al battesimo del sangue per rinascere all’eternità. Le formule, le cerimonie, agiscono meccanicamente, a differenza dei sacramenti cristiani che suppongono sempre delle anime ben disposte e la cui grazia è resa inefficace dalla presenza di un obex, di un ostacolo di ordine morale. Ecco l’elemento decisivo. 1 misteri come i sacrifici o gli altri atti

del culto pagano, non sono destinati a rinnovare gli spiriti e i cuori. Gli iniziati non sono dei convertiti. Sono soltanto degli uomini che conoscono dei segreti, che posseggono delle parole d’ordine per oltrepassare le barriere del mondo invisibile, che hanno contemplato spettacoli ineffabili. Essi sono liberati dalla costrizione delle potenze cattive e sono sicuri di trionfare sul destino. Non per questo cessano di restare dei poveri uomini, esposti alla tentazione e al peccato. Ma questo non li interessa. 3. La santità

Le religioni pagane in effetti non hanno quasi mai tentato di chiedere ai loro fedeli quello che ci sembra l’esito normale, la ragion d’essere di ogni conversione e che noi chiamiamo santità. Pochi termini sono più carichi di storia e più difficili a definite di questo. Per noi la santità è soprattutto la realizzazione di un ideale di grandezza morale; il santo è colui che si eleva al di sopra della comune umana, mediante la pratica delle virtù. Benché ordinariamente noi usiamo la parola riferendoci a idee e sentimenti di ordine religioso, accade a volte di parlare di santi laici, mettendo esclusivamente in rilievo il valore spirituale, spinto in alcuni casi fino all’eroismo, di uomini ai quali attribuiamo questo titolo. Originariamente invece religione e santità sono indissolubilmente legate, ma la santità, nell’accezione che gli antichi davano ad essa, è soprattutto la purità rituale che esigono gli dèi e che devono quindi possedere gli uomini, gli edifici o gli oggetti utilizzati per il loro servizio. Il fatto che dalla proprietà rituale, coincidente in ultima analisi con la pulizia, si possa e si debba passare alla purità interiore dell’anima, lo si concepisce facilmente e il passaggio viene operato in tutti i popoli con rapidità e profondità più o meno grandi. Il senso 38

La santità primitivo non viene tuttavia dimenticato e a volte emerge in picna luce nel modo che meno ci si attenderebbe. Presso i greci ad esempio, i termini bagios e bagnos, ambedue derivati dalla radice hag, in primo luogo si riferiscono a ciò che provoca il rispetto o il timore religioso. Hagios, che è piuttosto raro nella lingua classica, vi è usato a proposito degli oggetti consacrati degli altari o dei templi e, all’epoca ellenista, a proposito degli dèi stessi, soprattutto orientali, come Iside, Serapide, Baal , Hagnos designa, in modo più specifico, ciò che è sottomesso ad un interdetto di natura religiosa, cioè che è tabù. Esso è utilizzato in particolare per parlare soprattutto degli dèi infernali e di ciò che li riguarda da vicino; inoltre, giacché bisogna essere liturgicamente puri per avvicinarsi agli dèi e

rendere loro un culto, il termine esprime anche questa qualità richiesta dalla vita religiosa ° e, infine, si applica anche alla purità morale ”, soprattutto a quella connessa con l’astensione dalle relazioni sessuali. Presso i padri apostolici e gli apologeti il termine bagneia serve ad indicare quasi esclusivamente la virtù della castità. Nella lingua latina sanctus «si applica a tutto ciò che è consacrato alla divinità o concerne il culto da vicino, come il tempio e le immagini degli dèi, i sanctissima templa, i sanctissima sacella e questi simulacra sanctissima di cui Verre aveva avuto l’ardire di approptiarsi !; in genere tutto ciò che è sotto la salvaguardia della religione... Meno antica è la concezione che chiama santo tutto ciò che è protetto dall’autorità e dichiarato inviolabile. Sanctum est quod ab injuria hominum defensum atque munitum est? e i giureconsulti citano come esempi di res sanctae i muri e le porte della città... Così usato, sanctus non esclude necessariamente la sfumatura religiosa. Gaio, parlando della distinzione tra diritto divino e diritto umano, attribuisce alla prima categoria le res sacrae et religiosae e aggiunge: 68 Cfr K G Kuhn, art &yltog in Tbheologisches Wéòérterbuch zum Neuen Testament, 1, 87/88; E. Williger, Untersuchungen zur Terminologie des beiligen in den bellenisch-hellenistischen Religionen, Giessen 1922.

69

Euripide, Ippolito, 316: «Pure, o figlio, porti le mani di sangue».

Idem, Oreste, 1604: «Puro sono nelle mani, ma non nell’animo»; Por7” firio, Sull’astinenza della carne, 11, 44: «La purezza interna ed esterna di un

uomo divino; cfr F Hauck, art &yvég in Theologisches Wòrterbuch zum Neuen

Testament,

72

Marciano,

1, 123.

1 Cicerone, In Verrem, v, 184/185; In Q. Caecilium divinatio, 3; cfr G Link, De vocis sanctus uso pagano, Koenigsberg 1910, p 22. Digesto,

1, 8, 8.

39

La conversione

nel paganesimo

greco-romano

sanctac quoque res veluti muri et portae quodam modo divini iuris sunt”, Per Ulpiano, ciò che è santo, sta nel mezzo tra il sacro e il profano: proprie dicimus sancta quac neque sacra neque profana sunt, sed sanctione quadam confirmata'*. La protezione più grande che si possa garantire alla proprietà o al diritto era quella della divinità. La maniera più efficace per assicurare il rispetto di queste cose consisteva nell’investirle di una sorta di carattere sacro: sancire autem, afferma Servio, proprie est sanctum aliquod, id est consecratum facere fuso sanguine bostiae, et dictum quasi sanguine consecratum ®. Qualsiasi cosa si pensi di questa etimologia, essa permette di afferrare bene l’elemento religioso inseparabile dal termine sanctus, inteso nel senso giuridico di ciò che deve essere custodito inviolabilmente» Presso i semiti la santità è universalmente espressa dalla radice qdch che indica, sembra, l’idea di tagliare, separare. La cosa santa è

riservata e, conseguentemente, separata, distinta dall’uso profano. Essa appartiene a Dio e a Dio soltanto; essa è interdetta agli uomini, a meno che costoro non siano ugualmente consacrati al servizio divino; e se altri pervengono a toccarla, per ciò stesso essi partecipano alla consacrazione e al suo interdetto, sono, come essa, santificati 7. È evidente, anche qui, come la santità sia, all’origine, una qualificazione estrinseca che non concerne l’essere nella sua essenza. Per rendersi tuttavia conto del grado di spiritualizzazione che questo termine può aggiungere, basta rileggere la visione inaugurale di Jsaia: B 74

Gaio, Digesto, 1,8, 1. Ulpiano, Digesto, 1, 8, 9.

7

Servio,

In Aeneida,

xtI1,

200.

76 H Delehaye, Sanctus, Essai sur le culte des saints dans l’antiquité, Bruxelles 1927, pp 3/4; cfr A Ernout/A Meillet, op cit, p 884; cfr anche ciò che in questo stesso dizionario è detto a proposito di sacer: «Ciò che è sacro appartiene al mondo del divino... e differisce essenzialmente da ciò che appartiene alla vita normale degli uomini... La nozione di sacro non coincide con quella di buono o cattivo, ma è una nozione a parte. Sacro designa colui o ciò

che non

può

essere

toccato

senza

esserne

sporcato

o senza

sporcare».

Basta ricordare appena che che le parole sacer e sanctus appartengono alla stessa famiglia ed esprimono idee apparentate. 77 Cfr M J Lagrange, Etudes sur les religions sémitiques, 11 ed, Paris 1905, p 146. Di quest'opera occorre leggere tutto l’importante capitolo «Sainteté et impureté», pp 141/157, da cui appare come le persone o le cose sante possono essere considerate impure o viceversa, per il fatto di essere intoccabili. Basta ricordare il carattere religioso, sacro, quasi misterioso, ma altrettanto impuro, di ciò che appartiene alla generazione. 40

La santità «Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore assiso su un trono eccelso e sublime e il suo manto riempiva il tempio. I serafini si tenevano sopra di lui, ognuno fornito di sei ali: con due si velavano il volto, con due si velavano i piedi e con due volavano, ed inneggiavano l’un l’altro dicendo: santo, santo, santo, il Signore delle schiere; piena è tutta la terra della sua gloria. Tremavano le basi degli stipiti alla voce inneggiante e tutto il tempio si riempiva di fumo. lo dissi: ochimè, perché sono perduto! Infatti uomo dalle labbra impure sono io ed in mezzo ad un popolo dalle labbra impure io dimoro, e i miei occhi hanno visto, il re, il Signore delle schiere! Allora volò verso di me uno dei serafini con un carbone acceso in mano, preso con le molle sopra l’altare; toccò con esso la mia bocca e disse: ecco questo carbone ha toccato le tue labbra ed è tolta la tua iniguità e il tuo peccato è espiato»

Jahwe è santo perché è separato dal mondo a causa della sua trascendenza, ma la sua santità è ben altra cosa da tutto ciò. Essa consiste soprattutto nell’assoluta perfezione morale. Il profeta è atterrito perché, pur essendo peccatore, ha contemplato il santo per eccellenza e non si rassicura che dopo essere stato purificato dalle sue colpe con la pietra ardente con cui l’angelo tocca le sue labbra. Da questo istante anch’egli diventa un santo e perde il diritto di condurre una vita comune nell’indifferenza e nel peccato. Le religioni del mondo greco-romano non si sollevano così in alto e coloro che le praticano possono anche accontentarsi di una santità esteriore. Essi non devono preoccuparsi della purità delle loro anime, della pratica della virtù, dello sforzo verso l’ideale. Basta che adempiano alle condizioni prescritte dal codice di purità. «Per avvicinarsi al sacro occorre mettersi in stato di purità fisica; a chi non è puro, dice Platone, non è permesso toccare ciò che è puro. Da qui l'interdizione del diritto di entrare nei templi a chiunque non soddisfa le condizioni della purità ”., I motivi di impurità sono numerosi: la sporcizia propriamente detta o qualche difetto fisico, il sangue versato, sia che l’omicidio sia volontario o no, l’ingerimento di alcuni cibi o del vino, il contatto sessuale sia tra congiunti che tra non congiunti, il contatto di un cadavere, sia che si tratti di un parente al quale si è fatta la pulizia o soltanto della partecipazione ai funerali, il contatto di una partoriente; per una donna, la perdita della verginità, le mestruazioni, il parto, l’aborto. Per purificarsi basta far passare un lasso di 7

Is 6,1/7.

Li

Platone,

Fedone,

67 b.

41

La conversione

nel paganesimo

greco-romano

tempo più o meno lungo tra la causa dell’impurità e l’ingresso nel santuario e lavarsi, sia in tutto il corpo, sia soltanto nella parte impura, immediatamente prima di entrare. Ha ugualmente un valore catartico il fatto di portare una corona; per questo lo si prescrive spesso, così come si prescrive di portare alcune vesti» ®. È vero che a volte ci si può ingannare perché il vocabolario della purità morale assomiglia a quello della purità fisica e perché le anime migliori hanno finito per comprendere che bisogna essere realmente santi per accostarsi a Dio. Ma l’illusione non dura a lungo. Ne I Cretesi di Euripide, il neoiniziato ai misteri di Zagreo si esprime in questo modo: «Figlio della tiria Europa, nato dai fenici e dal grande Zeus, sovrano di Creta dalle cento città, io vengo, lasciando i santuari divini ai quali una trave locale, tagliata dall’ascia dei Cabiri e incassata con colla di bue, fornisce impenetrabili giunture di cipresso. Condu-

cendo una vita pura, dopo esser divenuto iniziato di Zeus dell’Ida, bovato di Zagreo il nottambulo, ho compiuto il rito di mangiare la carne cruda e ho brandito le torce in onore della madre delle montagne e la mia consacrazione mi ha dato il titolo di baccante assieme ai cureti. Vestito con abiti bianchi, evito la nascita dei mortali, non sfioro le bare e mi guardo bene dal mangiare esseri animati» ®!, Quali che siano esattamente i misteri di cui si parla in questo passaggio difficile, la purità rivendicata dall’iniziato non tocca le profondità dell’anima: indossare un abito bianco, seguire un regime vegetariano, evitare il contatto dei morti e astenersi persino dal parteci-

pare ai funerali, sono tutti precetti formalisti. A cosa serve farsi iniziare se non sì perseguono ambizioni più alte ed un ideale più spirituale? È certamente più interessante un’iscrizione di Filadelfia di Lidia che pare doversi datare al 1 secolo prima della nostra era e che ci fa conoscere la legge di un santuario privato, innalzato da un certo Dionigi in onore di Agdistis; in questa cappella c’erano anche degli altari a Zeus benefico, a Estia, agli altri dèi salvatori e, seguendo il gusto ®” A J Festugière, Le monde gréco-romain, cit, t 2, pp 84/86. È possibile trovare in quest’opera numerose riferenze. Presso i semiti occorreva osservare prescrizioni analoghe. Una grande parte del Levitico è occupata dal codice di santità. Li Euripide, Frammenti, 4712 (ed Nauck); cfr A J Festugière, «Le mystère de Dionysos» in Revue Biblique (1939), p 372s.

42

La santità dell’epoca, ad alcune personificazioni divine, come la felicità, la salute, la ricchezza, la virtù, la buona fortuna, il genio buono, la memoria, la carità, la vittoria. «Uomini e donne, schiavi e liberi, che venite in questo santuario, giurate per tutti gli dèi che non volete agire con inganno nei confronti di un uomo o di una donna, che non conoscete e che non eseguirete avvelenamenti, incantesimi, azioni magiche, che non siete colpevoli di aborto, di futto, di assassinio, sia che lo abbiate compiuto direttamente, sia che non abbiate denunciato i colpevoli. Un uomo non deve avere relazioni con la donna di un altro, sia essa libera o schiava maritata, o con un ragazzo o con una vergine, né deve consigliarlo agli altri. Se è testimone di questi crimini deve rivelarli e non tenerli segreti. Gli uomini e le donne che avessero commesso i crimini suddetti non entrino.in questa casa, perché gli dèi onnipotenti vi dimorano e vedono tutte queste colpe e non sopportano coloro che trasgrediscono i loro comandamenti. Una donna libera deve essere casta e non conoscere altro uomo che suo marito; se lo farà non sarà casta (bagnà), ma insozzata e indegna di venerare il dio che qui dimora o di offrirgli sacrifici... Dai, o Agdistis, custode e sovrana di questo oratorio, buoni pensieri a tutti, uomini e donne, liberi e schiavi, perché osservino questi comandamenti... O Zeus, salvatore, ascolta le nostre parole e dacci una coscienza buona, la salute, la liberazione, la pace, la sicurezza, sulla terra e sul mare» ©,

Qui le preoccupazioni morali sono stranamente mescolate alle tradizionali preoccupazioni di purità rituale; ma non bisogna esagerare le esigenze di Dionigi. Le regole che impone ai visitatori della cappella sono tutte negative; non commettere delitti è cosa ben diversa dall’esser santi, nel senso cristiano di questa parola. D’altra parte le colpe da evitare sono le stesse che fanno contrarre ai loro autori una impurità legale, della quale ci si sbarazza al termine di un periodo più o meno lungo. L’aborto esige quaranta giorni di purificazione, il contatto di un cadavere dieci, i rapporti illegittimi con una donna due. Passati questi periodi, ci si trova senza macchia e non si rischia più la collera degli dèi ®. Se pertanto ammiriamo l'iscrizione di Filadelfia, ciò deve riferirsi al fatto che essa è quasi unica nel suo genere ® e che, e Dittenberger, op cit, 985; cfr A D Nock, op cit, pp 216/218; AJ Festugière, Le monde..., cit, t 2, pp 159/160. a Cfr A D Nock, op cit, p 216. Lai Accanto all'iscrizione di Filadelfia è stata citata un’iscrizione più tarda, dell’epoca imperiale: Dittenberger, op cit, 1042. Si tratta del regolamento di un

santuario

privato,

innalzato

a Sounium,

43

in Attica,

in onore

del dio Mene

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malgrado tutto, le preoccupazioni che essa testimonia, suppongono vero rinnovamento della coscienza morale.

un

In definitiva bisogna attendere fino al Iv secolo e fino a Giuliano l’Apostata per trovare nel paganesimo una effettiva ricerca di santità. Ma lo stesso Giuliano è un convertito dal cristianesimo ed è troppo intelligente per non rendersi conto del torto che una indifferenza verso la virtù porterebbe alla causa che difende. Egli sa per esperienza tutto ciò che il cristianesimo deve ai suoi santi, e persino all’ultimo dei suoi fedeli, giacché la pratica della carità è generale nella chiesa. Egli sogna di convertire i pagani, soprattutto i sacerdoti degli dèi, alla vita migliore condotta dai discepoli del Cristo: «Non ci accorgiamo, scrive ad Arsace, sommo sacerdote della Galazia, che ciò che ha maggiormente contribuito a sviluppare l’ateismo ©, è l’umanità con gli stranieri, la preveggenza per la sepoltura dei morti ed una gravità simulata nella vita? Ecco di cosa ci dobbiamo occupare, senza mettervi alcuna finzione. È non basta che sia tu soltanto a deciderti. Occorre che tutti i sacerdoti della Galazia, senza eccezione, agiscano allo stesso modo. Per alimentarne lo zelo fai appello al loro amor proprio e alla loro ragione. Allontanali dal loro santo ministero se, invece di pregare gli dèi assieme alle loro mogli, ai figli e ai servi, tollerano che i loro domestici o i figli o le loro mogli galilee trascurino il culto degli dèi e preferiscano l’ateismo alla religione. Inoltre impegna i preti a non frequentare il teatro, a non bere nelle taverne e a non dirigere un mestiere vergognoso e malfamato. Onora quelli che ti ascoltano, destituisci i disobbedienti, stabilisci in ogni città numerosi ospizi, affinché gli stranieri abbiano a lodare l’umanità che abbiamo non solo per i nostri, ma anche per tutti gli altri che ne hanno bisogno... Visita spesso i governatori a casa loro, spedisci loro più spesso che puoi le tue comunicazioni per iscritto; che nessun prete vada loro incontro quando entrano in città, ma soltanto quando entrano nei templi degli dèi, in ogni caso senza uscire dai vestiboli. E all’interno non li preceda nessun soldato, mentre li potrà seguire chi vorrà. Una volta oltrepassata la soglia del recinto sacro, essi diventano privati cittadini. Sei tu, lo sai, che comandi all’interno: così esige la legge divina» ®. Tiranno. Questa cappella «è aperta a tutti, attraverso le condizioni ordinarie di purità. Il dio sarà favorevole a tutti coloro che lo serviranno nella semplicità di cuore. Chiunque oltraggerà la divinità sarà colpevole di peccato imperdonabile contro Mene Tiranno». A J Festugière, op cit, t 2, pp 160/161. 85 Cioè il cristianesimo. 66 Giuliano, Lettera 84.

La santità Raccomandazioni così minuziose, sotto la penna di un imperatore apostata divenuto «predicatore di riti ecclesiastici», ci divertono un po’. Esse ci commuovono anche perché tentano di realizzare un ideale impossibile e Giuliano non può fare a meno di rendersene conto. Invano moltiplica le ammonizioni al clero, invano si fa reclutatore di vocazioni sacerdotali: «Dichiaro che bisogna scegliere nelle città i migliori, quelli che hanno più amore per gli dèi in primo luogo e quindi per gli uomini; poco importa che siano poveri o siano ricchi. A questo riguardo non si stabilisca alcuna distinzione tra l’uomo oscuro e l’uomo in vista. Colui che per la sua mansuetudine è rimasto nell’oscurità, non merita di essere escluso a causa dell’umiltà del suo rango. Anche se fosse povero e del popolo basso, una volta che riunisce in sé queste due condizioni, amore per gli dèi e amore per gli uomini, lo si faccia sacerdote. Si avrà soprattutto la prova del suo amore per gli dèi, se inculca il sentimento dei doveri religiosi a tutti quelli della sua casa; si avrà quindi la prova del suo amore per gli uomini, se mette di buon grado il poco che possiede a disposizione degli indigenti, se lo divide volentieri con essi e se cerca di far del bene al maggior numero possibile di persone; è questo in effetti il punto che bisogna considerare soprattutto ed è da questo lato che occorre cercare un rimedio per la situazione» , Come avrebbe potuto sperare Giuliano di dare al paganesimo in agonia ciò che esso non aveva cercato di acquistare nei giorni più belli della sua potenza? I pagani, per regolare la loro condotta, potevano ispirarsi all’esempio dei loro dèi? Noi sappiamo troppo bene che genere di dèi erano quelli che amavano rappresentare nelle vecchie leggende: impudichi, adulteri, pederasti, bellicosi, pronti alla collera e agli insulti. Gli apologisti cristiani non si fanno scrupolo di denunciare i loro crimini e noi ci stanchiamo a volte delle loro descrizioni che ci sembrano disusate, delle loro facili beffe che non troviamo nemmeno troppo ricche di spirito, tanto esse si ripetono nei loro libri. Ma non bisogna dimenticare che quando si ripetevano in questo modo, non era per ridire temi letterari. Nessuno, si dice, credeva più alle favole della mitologia nel 11 o 11r secolo della nostra eta. Può darsi, ma è anche vero che si continuava a raccontarle e soprattutto si innalzavano sempre preghiere agli dèi che figuravano Li Questa formula è di M J Lagrange che ha intitolato uno dei suoi articoli: «Julien l’Apostat, prédicateur de retraites ecclésiastiques». lai Giuliano, Lettera 89. 45

La conversione

nel paganesimo

greco-romano

come eroi di queste favole. A Filippi in Macedonia è stata ritrovata una collezione di 136 rilievi, scolpiti direttamente sulla roccia, dentro alcune cave, rappresentanti le divinità adorate nel paese durante la seconda metà del 1 secolo. Nessuno manca all’appello: Zeus, Era, Atena, Ares, Afrodite, Ermes o i loro corrispondenti romani, i Dioscuri, Nemesi e Nike che sono greci e la Bendis trace con il suo paredro, il dio cavaliere. Chi può dunque affermare che gli dèi erano motti in Macedonia, se li si scopre così vivi, dopo tanti secoli? ®. Ovunque per il resto le cose andavano allo stesso modo. Non era alla scuola di questi personaggi che si poteva apprendere la morale. Il culto degli dèi greco-romani manteneva ancora una certa dignità e le leggi elementari della decenza venivano osservate. Non si può dire la stessa cosa dei culti praticati nelle religioni orientali che, agli inizi dell’era cristiana, attraggono tanti adepti. In essi non c'erano che cortei tumultuosi, esibizioni oscene e peggio ancora. 1 filosofi spiegavano allegoricamente questi riti, anche i più ripugnanti. Gli altri non andavano così lontano e si contentavano di gustare i piaceri molto grossolani che si offrivano loro in questi culti o cadevano nell’esaltazione nervosa che provocava contorsioni frenetiche, danze scomposte, urla e grida. Inutile cercare in tutto questo un invito alla santità. Quando Giuliano volle restaurare il paganesimo, si vide obbligato, nella sua pietà, a prender parte ad ogni genere di culto, compreso quello degli dèi siriani e, ad Antiochia, si fece vedere con delle compagnie alle quali i suoi costumi austeri non erano abituati. Scandalizzò gli uni e fece ridere gli altri a sue spese. Né la religione, né la morale guadagnarono alcunché e, attraverso questa dolorosa esperienza, l’imperatore poté rendersi conto che perdeva il suo tempo facendosi un predicatore di virtù, mentre gli dèi davano esempio di grandi sregolatezze e i loro sacerdoti erano in qualche modo condannati a celebrare delle cerimonie dove la morale aveva tutto da per-

dere. 4. Il caso di Lucio Da qualsiasi punto di vista vengano studiate, le religioni praticate nell’impero romano restano quindi fondamentalmente estranee a ciò che per noi costituisce l'essenza della conversione. La facilità hd

Cfr A J Festugière, op cit, pp 79/83. 46

Il caso di Lucio con cui esse accolgono tutte le divinità e permettono loro di istallarsi le une accanto alle altre, il carattere formalista degli obblighi che impongono o dei culti celebrati, la noncuranza quasi totale per le prescrizioni della morale, tutto concorre a rendere, se non impossibile, almeno inutile la trasformazione interiore che fa di un uomo un convertito. Invano, nella storia di queste religioni, si cercano delle anime che abbiano lasciato una di esse per darsi interamente ed esclusivamente all’altra. Si trovano dei devoti che moltiplicano le iniziazioni per assicurarsi maggiori probabilità di salvezza e si incontrano dei fedeli che accettano rudi pratiche ascetiche per far piacere al loro dio prediletto ”; si scoprono anche dei filosofi che insegnano il sincretismo e si vantano di adorare l’unica divinità sotto diversi nomi °!. Non ci sono, per così dire, vere conversioni ?. Il solo caso che ci è dato di conoscere e studiare è quello di Lucio, ma si tratta di un personaggio da romanzo ed è difficile stabilire in quale misura Apuleio riporta le sue esperienze personali quando descrive la conversione del suo eroe °°, È noto il tema delle Metamorfosi, dove ci viene raccontata questa storia. Lucio viene cambiato in asino per mezzo di procedimenti magici e non potrà ritrovare la forma umana che mangiando delle rose. Dopo straordinarie avventure si decide a invocare la protezione di Iside, con la certezza che la dea onnipotente possiede una Lai Cfr Giovenale, Satirae, VI, 522/531: «Al termine del giorno, in pieno inverno, la nostra devota romperà il ghiaccio del Tevere per immergersi tre volte e, sebbene non ami l’acqua, bagnerà la sua testa immergendola fino alla sommità del cranio; quindi, nuda e tremante, si trascinerà per il campo di Tarquinio il Superbo sulle ginocchia insanguinate. Se la bianca Io lo ordinerà, essa andrà fino all'estremità dell’Egitto, ne riporterà dell’acqua attinta presso la torrida Meroe, per aspergere il tempio di Iside, al vecchio ovile. Essa è convinta che la dea in persona le ha intimato l’ordine. Ecco con quali anime e con quali immaginazioni gli dèi converserebbero la notte!». ’ Cfr ad esempio la lettera di Massimo di Madaura a sant'Agostino, Epistulae, 16, che termina con queste parole: «Che gli dèi ti conservino, questi dèi attraverso i quali, tutti noi quanti siamo, adoriamo e onoriamo in mille modi differenti, ma nel medesimo accordo, il padre comune degli dèi e degli uomini».

2 una 93

Il passaggio dal cristianesimo al paganesimo, che è in conversione, sarà studiato al capitolo VIII. Si discute ancora, e forse non si finirà mai, sul carattere

qualche modo autobiografico

o no del libro xx delle Metamorfosi. Cfr G Lafaye, Histoire du culte des divinités

d’Alexandrie,

Paris

1884,

p 75s.

47

La conversione

nel

paganesimo o

greco-romano Li)

dignità sovrana, che tutte lc cose umane sono conservate dalla sua provvidenza e che non solo gli animali, domestici e selvaggi, ma persino gli esseri inanimati sono vivificati per volontà divina con la sua luce e la sua forza. Iside ascolta di fatto la sua preghiera e gli

appare: «Non devi temere, dice la dea, la difficoltà delle mie isttuzioni, perché nel momento stesso in cui verrò a te, mi renderò presente al inio sacerdote e gli ordinerò in sonno ciò che dovrà fare. Ricordati e conserva sempre, in fondo ai tuoi pensieri, l’impegno che, per il resto della tua vita e fino all’ultimo respiro, hai ormai preso per me. Per il resto tu vivrai felice, fiero della mia protezione e quando, dopo aver compiuto il corso della tua vita, scenderai agli inferi, anche laggiù, in quel luogo sotterraneo a forma d’emisfera, adorerai me, adesso presente ai tuoi occhi, mentre brillerò nelle tenebre dell’Acheronte e regnerò sulle segrete profondità dello Stige. lo ti sarò sempre propizia. Se tu infatti onorerai la mia divinità con omaggi attenti, con servizi religiosi, con astinenze rigorose, sappi che solo a me è permesso di prolungare la tua vita stessa, al di là dei termini fissati dal destino» ”. L'indomani il mitacolo avviene nel modo annunciato da Iside. Durante una grande processione in onore della dea, il sacerdote di Iside tende all’asino le rose che tiene in mano e Lucio dopo averle divorate riprende la forma umana davanti allo stupore della folla. Il sacerdote tiene allora questo discorso: «Dopo aver sopportato diverse e numerose prove, dopo essere stato sballottato dalle tempeste spaventose e dagli uragani formidabili della fortuna, eccoti infine arrivato, Lucio, al porto del riposo e all’altare della misericordia. Né la tua nascita, né la tua dignità, né la dottrina, alla quale devi la tua celebrità, ti son servite a qualcosa; le chine scivolose dell’età verdeggiante ti han fatto precipitare sotto la schiavitù dei piaceri, per cui hai ricevuto la sinistra ricompensa della tua disgraziata condotta. Ma, con tutto ciò, la fortuna cieca, tormentandoti nei peggiori pericoli, ti ha condotto senza saperlo a questa santa beatitudine che adesso è la tua. Vada via adesso, infierisca con furore insensato e cerchi una nuova materia per la sua crudeltà. Coloro che sono stati rivendicati alla vita dalla maestà della nostra dea, non offrono più il fianco alla sua cattiva sorte. Cosa son serviti ortuna nefasta i briganti, le bestie selvagge, la schiavitù, gli ostacoli di strade difficilissime, il timore anche quotidiano della “ 9

Apuleio, Ibid, x,

Metamorfosi, 6, 2/5.

1, 1.

Il caso di Lucio

morte? Ormai sei stato ricevuto sotto la protezione di una fortuna

chiaroveggente, di una fortuna che, con lo splendore della sua luce, rischiara persino gli altri dèi. Assumi quindi il viso gioioso che si addice all’abito bianco che indossi e accompagna con passo felice la processione della dea benefica. Che vedano gli empi, che vedano e riconoscano i propri errori. Ecco che Lucio, liberato dai mali antichi per grazia della provvidenza della grande Iside, trionfa felicemente del suo cattivo destino. Per essere tuttavia ancora più sicuro e tranquillo, dai il tuo nome a questa santa milizia alla quale non ti sei ancora legato con giuramento, consacrati al servizio della nostra religione e caricati volontariamente del giogo del suo ministero. Quando avrai Orio a servire la dea, gusterai maggiormente il frutto della

tà»

*,

La folla ascolta rapita il discorso, guarda Lucio con ne ed esclama al suo passaggio:

ammirazio-

«A quest'uomo l’onnipotenza sacra della dea ha reso la forma e ha permesso di riprendere il suo posto fra i propri simili. Felice, tre volte felice, colui che ha meritato, a causa dell’innocenza della sua vita precedente e della sua fede, una protezione talmente manifesta del cielo per cui, chiamato in qualche modo ad una nuova nascita, è stato promesso al servizio del santo ministero» ‘7, ‘Terminata la festa, passa un po’ di tempo durante il quale Lucio conduce la stessa vita dei sacerdoti nel recinto del tempio e prende parte alle cerimonie del culto privato. Ma esita ancora a farsi iniziare ed a consacrarsi interamente alla dea, nonostante l’invito pressante di questa. La sua conversione resta imperfetta. Egli teme la difficoltà delle pratiche ascetiche alle quali dovrebbe impegnarsi, moltiplica le obiezioni che gli impediscono di darsi e tuttavia riconosce la verità della sua chiamata e non riprende le abitudini mondane che prima seguiva. Infine lo decide la realizzazione insperata di un sogno. Va a trovare il sommo sacerdote e gli chiede l’iniziazione che lo impegnerà in modo inequivocabile. «Ma egli, da uomo grave, celebre per l’esatta osservanza di una religione dalla castità così grande, dopo avermi ricevuto con cortesia e bontà, rimanda la mia istanza, allo stesso modo in cui fanno i genitori con i desideri prematuri dei loro figli. Tranquilizza tuttavia il mio cuore inquieto e mi consola con belle promesse. Mi dice che il giorno % ld

Ibid, Ibid,

x1, 15. xa, 16, 3.

La conversione nel paganesimo

greco-romano

in cui ognuno deve essere iniziato gli viene rivelato dalla volontà della dea. È lei che sceglie il sacerdote che deve celebrare gli uffici divini e che provvede in maniera simile alle spese necessarie delle cerimonie. Pensa quindi che debbo ancora attendere con molta pazienza e che debbo soprattutto evitare la precipitazione e tenermi lontano da due errori: non bisogna infatti ritardare una volta chiamato e non affrettarsi prima di esserlo; né tra i suoi sacerdoti C'erano persone talmente deboli di spirito o così decise a perire, da osare intraprendere un atto di iniziazione che sarebbe stato temerario e sacrilego senza l’ordine della dea, rischiando di contrarre così una macchia mortale. In effetti le porte degli inferi e la custodia della salvezza sono nelle mani della ea e l’ammissione stessa ai suoi misteri viene celebrata come il simulacro di una morte volontaria e di una vita ottenuta, mediante la preghiera, da essa soltanto. Sono gli uomini arrivati al termine stesso della loro vita, alla soglia della morte, capaci di conservare gli augusti segreti della religione, ad essere abitualmente attirati dalla dea e fatti in qualche modo rinascere dalla sua provvidenza, per essere rimessi davanti al cammino di un’altra vita. Anch’io dovevo quindi osservare il comandamento celeste, benché fossi stato già designato e destinato dall’evidente favore della grande divinità ad un ministero felice. Come i altri adoratori dovevo per il momento astenermi da cibi profani e interdetti per arrivare in modo più conveniente fino ai misteriosi segreti di una religione tanto pura» ,

Questa esortazione produce il suo effetto. Lucio calma la sua impazienza senza nulla perdere del suo desiderio di una consacrazione assoluta e definitiva. Egli attende nella pace e nel silenzio che si manifesti la volontà di Iside. La dea non tarda a manifestare il suo desiderio e a designare il personaggio che riceverà Lucio nel numero degli iniziati. Non appena Lucio si avvicina al sacerdote scelto, costui lo felicita calorosamente: «Felice, felice Lucio, che l’augusta divinità con la sua volontà benefica onora fino a tal punto. Perché attendi ancora nell’ozio e perché ti trattieni? Ecco per te arrivato il giorno desiderato dai tuoi voti ferventi, nel quale devi essere introdotto in seno ai nostri sacri misteri, per ordine della dea dai mille nomi, per mezzo delle mie mani che vedi» ®

I riti di iniziazione vengono celebrati nella maniera abituale. Lucio gioisce allora di gaudio perfetto. Non può stancarsi di contemplare l’immagine della divinità alla quale ormai &àppartiene e gli ri%

Ibid,



Ibid,

wa, 21. x1, 22,

6. 50

Il caso di Lucio volge preghiere riconoscentissime e intime. Non riesce a ringraziare a sufficienza il sacerdote al quale deve una felicità così grande e che è divenuto in qualche maniera la sua guida spirituale. Ed è con il cuore pieno di santa emozione che ritorna in patria. Sempre fedele ad Iside, viene chiamato un po’ di tempo dopo a fare un viaggio a Roma. Con indicibile gioia vi ritrova un santuario della sua dea amata. Benché straniero nella capitale dell’impero, si sente a suo agio quando prega. Perciò egli ogni giorno fa le sue devozioni e non tralascia nessuna delle preghiere che possono testimoniare la sua fedeltà. Quando un giorno si accorge che, per essere perfetto, gli manca ancora qualcosa, l’iniziazione ai misteri di Osiride, si affretta a domandarla. Non esita nemmeno a vendere una parte del suo guardaroba, anche se ridotto, per coprire le spese della cerimonia. Dopo questa nuova iniziazione la sua gioia sarebbe completa se non dovesse compiere un ultimo passo e farsi ricevere nel numero dei pastofori, entrare cioè nel collegio sacerdotale di Iside. La dea chiamandolo a quest’ufficio gli accorda un grande favore ed egli è felice di poterlo accettare, obbedendo fino alla fine alle esigenze della sua vocazione. Il racconto di Apuleio è notevole da ogni punto di vista e noi vi abbiamo insistito per il fatto che esso è unico nel suo genere nell’antichità pagana. Scrive A D Nock che Lucio «assomiglia ad un uomo accolto nella chiesa cattolica ed il quale soggiorna in un monastero per un ritiro; per un certo periodo, come avveniva nei primi secoli, egli differisce il battesimo a causa degli obblighi che impone. Una volta battezzato egli vuole andare avanti... e finalmente diventa membro del terz’ordine di san Francesco; vive allora nel mondo come se non ne facesse parte. Il sacerdote che gli dà la prima iniziazione resta per lui una specie di direttore spirituale. L’ideale espresso dallo scrittore è fatto di sottomissione, di pace, di gioia, sentimenti che fortificano la contemplazione dell’immagine della dea, le rivelazioni della sua volontà ricevute in sogno e la celebrazione quotidiana dell’ufficio divino» !”. Per quanto possa essere imperfetto il paragone dei culti pagani con il cristianesimo, occorre dire che, nel caso di Lucio, esso si impone quasi allo spirito. Senza dubbio, Lucio resta libero di rendere un culto agli altri dèi e Iside non ne sarebbe gelosa. Ma per lui conta soltanto la dea onnipotente dalla quale ha ricevuto tante grazie e alla 100

A D Nock, op cit, p 155. 51

La conversione nel paganesimo greco-romano quale si è affidato. 1 sentimenti che prova nei suoi riguardi, la fedeltà rara che le dedica, tutto in lui fa prova di um’autentica conversione dando a questa parola, per una volta, la sua risonanza cristiana. Non manca che una sola cosa a Lucio, la ricerca di una vera santità. Per

lui è in questione la castità, i digiuni, le astinenze alimentari: si tratta soltanto di precetti rituali i quali non hanno che dei lontani rapporti con la perfezione morale. Occorre digiunare per dieci giorni, prima di ogni iniziazione; occorre custodire la castità nelle stesse condizioni. Una volta compiute le cerimonie, la natura riprende i suoi diritti e non deve più subire costrizione. Questo basti perché non abbiamo a ingannarci. Al fondo poco ci importa che Lucio sia il prestanome di Apuleio o che il romanziere abbia inventato di sana pianta i sentimenti che presta al suo eroe. Per quanto sia simpatico il fedele di Iside e la sua vita convertita sia pia, noi restiamo ancora insoddisfatti. È tuttavia non bisogna dimenticare che il suo caso è unico: il paganesimo ha potuto immaginare, nel suo declino, un racconto di conversione. Il cristianesimo nascente ha realmente convertito il mondo. Questo basta per segnarne la differenza.

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Capitolo secondo LA CONVERSIONE

FILOSOFICA

I greci e i latini, sebbene non abbiano conosciuto vera conversione religiosa, sono invece in grado, soprattutto i primi, di offrire alla meditazione dello storico numerosi casi di conversioni filosofiche. Uomini come Pitagora, Socrate, Diogene il Cinico, Epicuro, Epitteto, Marco Aurelio, per non segnalare che alcuni nomi tra molti altri, non si contentano di studiare in maniera speculativa i problemi posti dal mondo e dall’anima e di costruire più o meno faticosamente teorie destinate a restare senza influenza sulla vita reale. Essi sono i primi a comportarsi in perfetto accordo con i loro principi. Se è necessario, arrivano fino a separarsi dal mondo e a rinunciare a tutti i loro beni, per essere interamente liberi di praticare le loro dottrine. A volte si riuniscono in comunità con i discepoli che hanno trascinato con il proprio esempio e l’esistenza regolata che conducono in questo caso fa prevedere i monasteri cristiani. Molti fra di.loro si credono chiamati a insegnare, a convertire gli altri ed esercitano un vero apostolato. Socrate predica il suo vangelo sulla pubblica piazza e per le vie di Atene. 1 cinici percorrono il mondo, sporchi, laceri, fieramente avvolti nei cenci di un vecchio mantello. Seneca si fa direttore di coscienza ascoltato della nobiltà romana. Plotino si prende cura scrupolosa di tutti i bisogni dei suoi discepoli, vigilando sulla gestione dei loro beni e sulla loro salute, raccogliendo dopo la loro morte gli orfani per allevarli e sfotzandosi di condurli alla vita divina. In poche parole, la filosofia che per noi è soltanto lo studio quasi sterile delle questioni metafisiche e morali, per un gran numero di anziani è una 53

La conversione filosofica

tegola ed un metodo di vita e occupa, ai loro occhi, il posto che adesso occupa la religione !. Ci si converte alla filosofia come ci si converte al cristianesimo e questa conversione comporta, nello spirito e nel cuore di coloro che la compiono, un rivolgimento dei valori e, al tempo stesso, l’inizio di una esistenza rinnovata. 1

Sarcbbe

molto

interessante,

anche

a Fliunte

e, davanti

a Leone,

se non

è nostro

compito,

ricordare

la storia del termine filosofia. Si attribuisce la sua introduzione nel vocabolario a Pitagora. Cfr Cicerone, Tusculanae v, 3: «Pitagora, stando ad una tradizione raccolta da un uditore di Platone, Eraclide Pontico, che fu un saggio distinto, si era recato

principe

di Fliunte,

aveva trattato

alcune questioni, mostrandosi sapiente ed esperto. Meravigliato della sua intelligenza e della sua eloquenza, Leone avrebbe chiesto quale fosse la scienza alla quale si rifaceva in modo particolare e Pitagora avrebbe risposto che in fatto di specialità non ne aveva alcuna, ma che era filosofo. Sorpreso dalla stranezza del termine, Leone gli chiese cosa poteva essere un filosofo e quale differenza vi era tra un filosofo e il resto degli uomini; alla qual cosa Pitagora rispose

che... certi

individui

sparsi

per il mondo,

trascuravano

tutto

il resto

per osservare curiosamente la natura; erano costoro a qualificarsi come appassionati della saggezza, giacché questo è il senso della parola filosofo... Nella vita,

la contemplazione

e lo studio

della

natura,

hanno

un forte

sopravvento

su ogni altro genere di attività». La filosofia di Pitagora è tutta speculativa. Quella di Epicuro è puramente pratica: «È vanità il discorso del filosofo, se non mira a guarire qualcuno dei mali dell’anima. È inutile la medicina che non caccia via le malattie del corpo; dell’anima»

lo stesso vale per la filosofia se non riesce (Frammenti, 221, 169, 14ss, ed Usener).

a cacciare

un

male

Nel Nuovo Testamento il termine filosofia è impiegato solo in Col 2, 8 con un senso peggiorativo e designa la falsa saggezza: «Badate che nessuno vi inganni con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana». La parola filosofo appare in At 17, 18, a proposito degli epicurei e degli stoici che sono presenti al discorso di Paolo ad Atene. Nel secondo secolo la filosofia diviene una religione. Per Massimo di Tiro la filosofia è la sola religione pura, la sola vera facoltà di pregare nell'uomo: Dissertazioni, v, 8 ed Hobein. L’Asclepius dello Pseudo Apuleio dichiara al cap 12: «La filosofia soltanto è, nel conoscere. la divinità, vista assidua e vera religione». Secondo Apuleio, De Platone, 11, 7 e 11, 23, la giustizia, regina delle virtù, si confonde in un senso con la santità e l’ultima parola della sapienza è: segui la traccia di Dio. Un testo ermetico, citato da Stobeo, Eclogae, 1, 698, contiene queste parole: «Sii pio, figlio mio. La pietà è il vertice della filosofia, così come senza la filosofia non si può raggiungere il vertice della pietà». Apuleio, Apologia, XLI, la chiama «aruspice di tutti gli animali, sacerdote di tutti gli dèi»: Dione Crisostomo, Orazioni, XII, la considera come «l’interprete, il profeta più veridico e più perfetto dell’essenza immortale». Nella lingua cristiana la filosofia designerà spesso la stessa dottrina cristiana, considerata come insieme di verità, come sintesi dottrinale. 54

La filosofia antica 1. La filosofia antica Il primo, a nostra conoscenza, che abbia orientato la filosofia lungo le strade dell’azione pratica ed abbia raggruppato attorno a sé dei discepoli per trascinarli ad una vita austera, è Pitagora di Samo ?. À dire il vero, la sua vita e la sua opera ci sono quasi del tutto sconosciute. Stando alle notizie degli antichi, egli nacque a Samo per emigrare in un certo momento nella Magna Grecia, a Crotone, dove tiunì dei discepoli attorno a sé; queste cose avvennero prima della

del v1 secolo. È tuttavia sicuro che avesse una forte personalità. «Pochi uomini hanno esercitato un’azione personale di tale influsso sui loro adepti. Costoro si chiamavano pitagorici, la qual cosa restò senza esemfine

pio fino ad Epicuro, la cui influenza non fu minore. Una sua parola era considerata come un oracolo. 1 pitagoriani o, come si dice per lo più, i pitagorici, erano una comunità, ma con degli affiliati che restavano nel mondo. Tendevano ad un’attività politica; vivendo assieme, formavano una specie di confraternita, con leggi alimentari speciali, un abito piuttosto negletto, di cui la commedia di mezzo si prese beffe volentieri... La stretta unione dei confrati data dall’attaccamento alla dottrina del maestro, risulta con grande evidenza dal fatto che, dispersi, apparvero in Grecia all’inizio del Iv secolo come una scuola perfettamente coerente nelle sue dottrine, imponendo ammirazione a Platone e suscitando la curiosa attenzione di Aristotele» ®. Ben presto la leggenda si impadronì della persona del fondaCfr Gregorio Nazianzeno, Orazione per Basilio,

xml, 4; Orazione per Cesario, 1, 5. Più spesso, forse, essa sarà la vita austera ed ascetica, la vita monastica: cfr Eusebio, Storia ecclesiastica, VI, 3, 89.13; vII, 9, 6; GregoOrazione rio Nisseno, Orazione catechetica, XvTII, 3; Gregorio Nazianzeno, per Cesario, 1x, 4, 6; Orazione per Basilio, 11x, 3. Cfr F Cumont, L’Egyprte des astrologues, Bruxelles 1937, p 122; F. Doelger, «Zur Bedutung von puiAbcogog und giiocvogla in byzantinischer Zeit», in Teovapasvia Etnle Geoplhou opta, t 1, Atene 1940, p 125.

2

La storia di Pitagora e dei pitagorici resta, nonostante le molteplici

ricerche, molto oscura. Cfr I Levy, Recherches sur les sources de la légende de Pytbagore, Paris 1926; Idem, La légende de Pythagore en Grèce et en Pale-

stine, Paris 1927; A Delatte, Etude sur la litterature pythagoricienne, 1915; Idem, La vie de Pytbagore de Diogène Laerce, edizione critica con introduzione e commento, Bruxelles 1922; J Carcopino, La basilique pythagoricienne dela Porte Majeure, Paris 1927; M ) Lagrange, «Les légendes pythagoriciennes et l’Evangile », in Revue Biblique (1936) pp 481/511; (1937) pp 5/28. 3 M J Lagtange, art cit in Revue Biblique (1936) p 484. 55

La conversione

filosofica

tore, circondandola di un’aurcola di miracolo e di mistero. Si affermò che il nome svelava già da solo la sua missione divina ce metteva in rilievo l’origine apollinea dei suoi insegnamenti ‘. Si raccontava che fosse stato istruito dalla Pizia 5, Si fabbricarono persino delle genealogie che lo facevano discendere dal dio pitico ‘. Da vivo, se si presta fede ad un racconto che probabilmente risale all’Abaris di Eraclide Pontico, per convincere gli increduli aveva bisogno soltanto di mostrare la sua coscia d’oro ’. I suoi primi discepoli, stando alla testimonianza di Aristotele, andavano ripetendo: c’è una specie di animale ragionevole che è il dio, una seconda che è l’uomo, mentre Pitagora è un esempio della terza ®, Quattrocento anni dopo, la sua divinità non era più dubbia per i suoi fedeli e Trogo Pompeo, nel 1 secolo a.C., nota senza sorpresa che a Metaponto la sua casa era stata trasformata in tempio dove veniva comunemente adorato °. I pitagorici si facevano forti di una gnosi soprannaturale e non avevano bisogno, per le loro credenze, d’altra prova che della parola del loro divino maestro: «Autos epba: egli l’ha detto», era l’affermazione che non ammetteva repliche, il postulato incontestabile che bastava a placare e a colmare il loro animo ”, La leggenda non ha risparmiato nemmeno le betairiai, le associazioni che si rifacevano a Pitagora. In che misura l’attività dei primi pitagorici si è orientata verso la politica? La supremazia di Crotone 4

Nel v secolo a.C. Aristippo dava già questa etimologia che ci ha tra-

smesso Diogene

Laetzio,

Vita di Pitagora,

vir,

21: «perché proclamò

(b&goreueu)

In ogni caso il nome

di Pitagora

la verità non peggio del Pitico». Apollonio di Tiana, seguito da Giamblico, Vita pitagorica, 7, dà un’altra spiegazione: «Perché dal Pitico fu preannunciato (pro8goreutbé) a lui (al padre Mnesarco)». si deve collegare all’Apollo Pitico.

5 6 7

Porfirio, Vita di Pitagora, 41; Diogene Laerzio, op cit, vir, 21. Porfirio, op cit, 2; Giamblico, op cit, 5. Porfirio, op cit, 28; Giamblico, op cit, 91/92 e 135; Diogene Laetrzio,

op cit, vir, 21. Aristotele,

Frammenti,

187.

9 10

Trogo Pompeo, secondo Giustino, Excerpta, xx, 4. J Carcopino, op cit, pp 173/175: «Cicerone che resta filosofo e razionalista, non ha compreso il valore dello bieros logos»; cfr De natura deorum, 1, 5, 10: «Né invero son solito provare quello che ci è stato tramandato dai pitagorici, dei quali si afferma che, quando si chiedeva loro la ragione di qualche affermazione fatta nel corso della disputa, rispondessero: egli l'ha detto. Egli era in realtà Pitagora». Il richiamo all’autorità del maestro non ha senso nella misura in cui costui è più che un uomo e la sua parola costituisce una specie di rivelazione. 56

La filosofia antica

su Sibari c altre città della Magna Grecia, tra il 510 e il 450 a.C., è in connessione con gli inscgnamenti del maestro e la sua disfatta segna forse, per l’ordine dei pitagorici, l’inizio di una vita nuova nel corso della quale la mistica prende decisamente il passo sulla politica e sulla stessa filosofia razionale? In che misura il pitagoricismo è stato contaminato dall’orfismo fin dalle suc origini e lo stesso Pitagora ha circondato il suo insegnamento di precauzioni religiose che gli conferivano l’andamento sacro dei misteri? Sono tutte questioni, accanto ad altre, destinate a restare senza risposte certe. Alcuni storici testimoniano a questo riguardo uno scetticismo quasi totale. Scrive ad esempio Festugière: «È possibile che siano esistite fin dall’inizio delle confraternite di pitagorici, senza che tuttavia se ne possa determinare esattamente la natura, religiosa o politica. È certo in ogni caso che la descrizione dell’ordine pitagorico, quale si legge nei capitoli 17 e 21 di Giamblico !!, costituisce un pezzo di fantasia che si ricollega ad un genere letterario molto conosciuto nell’epoca ellenistica e cioè alla descrizione idealizzata delle caste sacerdotali o confraternite religiose dei popoli barbari, egiziani, giudei (terapeuti ed esseni), brahamani dell’India, gimnosofisti delle rive del Nilo. Due tratti caratterizzano queste descrizioni. Da una parte la continenza, hegkrateia, dei preti o saggi di cui si parla. Dall’altra parte la separazione dal mondo, il gusto del ritiro in un luogo lontano dalle città dove i saggi formano un gruppo scelto. Questa descrizione di una vita idilliaca e turale era destinata a rapire, per contrasto, i cittadini apatici dell’Alessandria ellenistica e della Roma imperiale... È a questo genere letterario, con le regole già fissate, che appartiene il pezzo del De vita pythagorica: esso propone un modello greco della vita filosofica, non meno ammirevole di quelli dei popoli barbari» 2, Forse lo scetticismo di queste conclusioni è esagerato e le notizie che possediamo sulla vita pitagorica sono di miglior lega di quel u

Giamblico è una delle pitagorica. 12 A J Festugière, «Sur le

nostre fonti principali per lo studio della vita

“De vita pithagorica” de Jamblique», in Revue des Etudes Grecques (1937) pp 476/477; P_Boyancé, «Sur la vie pythagoriibid (1939) pp 36/50, critica vivacemente le conclusioni di Festugière e si sforza di dimostrare che almeno il capitolo 21 della Vita di Giamblico dipende da Aristosseno di Taranto, il quale era un testimone degno di fede. Nonostante tutto, Festugière non ha torto nell’attirare l’attenzione sulla parte di convenzionalità contenuta nella descrizione di Giamblico. Non conosciamo nulla per poter affermare con certezza che vi siano stati molto presto dei raggruppamenti pitagorici.

cienne»,

57

La conversione filosofica

che pensa Festugière. Resta il fatto che la storia delle confraternite pitagoriche, il loro reclutamento, le loro pratiche ascetiche, le loro tendenze religiose, restano avvolti nell’oscurità. Già un osservatore attento come Erodoto non riusciva più a distinguere tra pitagoricismo ed orfismo !’. Nel corso dei secoli si ebbero altre contaminazioni, tanto più facilmente, in quanto fu negli ambienti romani che il pitagoricismo trovò gli adepti più ferventi. Posidonio d’Apamea (135-51 a.C.) lo mescolò con lo stoicismo e dopo di lui «non c’è per così dire filosofo, qualunque sia il titolo di cui si fregia, a qualunque sistema si rifaccia, che non renda omaggio o non accordi il tributo di un’adesione almeno parziale al maestro di Crotone, il cui prestigio è ormai all’apogeo» !, Tra i pitagorici di questo periodo, colui che noi conosciamo meglio e dà maggiormente l’impressione di un convertito è un amico di Cicerone 5 ed un partigiano deciso di Pompeo: P Nigidio Figulo. «Costui non è soltanto un letterato, un sapiente, un filosofo. È un apostolo che è stato entusiasmato dalla parola di Pitagora, così come crede di intenderla. Egli ha senz'altro scoperto la soluzione di tutti gli enigmi della natura e la regola di tutte le azioni umane. In ogni caso professa il pitagoricismo come una fede e si è assegnato il compito di farne rifioritre in Roma, non solo le idee, ma le discipline e il culto 6, A casa sua si tengono delle riunioni che non hanno nulla dell’accademia, ma che somigliano a dei misteri. Nell’associazione che ha radunato e che presiede, commenta i discorsi sacri attribuiti a Pitagora e quelli che i pitagorici hanno scritto in nome di Orfeo» ", Egli è molto più ispirato di un filosofo e quando i posteri lo ricorderanno lo qualificheranno di matematico, astrologo !, mago ”. Egli annuncia il futuro, predice il meraviglioso destino di Augusto fin dal giorno della sua nascita ”, dichiara, dopo che Cesare passò il Rubi13 14 15

Erodoto, Storia, 11, 81. J Carcopino, op cit, p 190. Plutarco, An seni..., XOxvII, 8.

20

Dione

16 Cicerone, Timeo, framm 1: «Quell’uomo (Nigidio) fu ornato di tutte le arti che sono degne di un uomo libero, ma anche acuto e diligente investigatore di quelle cose che sembrano nascoste dalla natura; infine ritengo che sia stato colui che ha rinnovato dopo quei nobili pitagorici la cui disciplina, dopo essere stata in voga per alcuni secoli in Italia e in Sicilia, si estinse, questa stessa disciplina». 17 J Carcopino, op cit, p 198. 18 Agostino, De civitate Dei, v, 3. 19 Girolamo, Cbhronica, ad annum 45 ante Chr. Cassio,

Storia

romana,

XLV, 1, 3/5.

58

La filosofia antica cone, che una nuova epoca è cominciata per il mondo *!; esamina gli astri, ausculta le viscere delle vittime o utilizza il dono di una seconda vista di un bambino in stato di ipnosi. Alla fine muore nell’esilio che gli hanno valso le sue idee politiche e dove hanno contribuito a man tenerlo le sue convinzioni mistico-filosofiche. Un centinaio di anni più tardi, un altro convertito del pitagoricismo si impone alla nostra attenzione: T Statilio Tauro. È su suo ordine che è stata senz'altro costruita la basilica scoperta nel 1917 vicino a Porta Maggiore a Roma ”. Per il resto noi conosciamo meglio Ja basilica che il ‘proprietario, del quale sappiamo soprattutto che fu console nel 40 d.C. e che, dieci anni più tardi, accusato di peculato durante il suo governo in Africa e soprattutto di superstizioni magiche, fu costretto a darsi la morte per sfuggire ad una condanna inevitabile ®. Solo il monumento che ha fatto scavare, costruire e decorare ci dà notizie sulle sue credenze e sul culto che praticava assieme ai suoi amici. Ma non sappiamo nulla della vita morale che praticavano in privato o in pubblico i membri di questo cenacolo aristocratico, troppo pochi e troppo ricchi perché cercassero di diffondere le loro idee o anche di trasformarsi spiritualmente. Nel corso della sua lunga esistenza, il pitagoricismo ha potuto attirare alcune anime generose, alcuni sognatori alla ricerca di perfezione, ma non ha mai voluto conquistare le folle. Molto diversa appare l’opera di Socrate. Costui è un convertito nel senso più stretto del termine. Egli ha una missione da compiere. Dal giorno in cui ha udito la voce interiore che lo chiamava a predicare, si è dato tutto al suo compito. «Per trent’anni lo si vide errare per le strade di Atene, dal mattino alla sera, poveramente vestito, insensibile al freddo e al caldo, incurante dei suoi affari personali, unicamente occupato a rendere migliori i suoi concittadini. Egli andava a prenderli dappertutto, al mercato, nelle botteghe, nel ginnasio e li interrogava alla sua maniera. Esame molto serio. L'uomo così abbordato si sentiva sedotto in un primo tempo dall’umore allegro del suo interlocutore, dalla grazia del suo spirito, ma le questioni si succedevano l’una all’altra, diventavano incalzanti, indiscrete, si arrivava a 21 2

Lucano, Pbharsalia, 1, 639s. Per noi l’opera principale su questa basilica è quella citata di J Car

2

Tacito, Annales,

xi1, 19.

59

La conversione

filosofica

dire quello che non si voleva, ci si vedeva messi di fronte a verità scomode, si era costretti a confessare che si aveva torto o a contraddirsi sfrontatamente. Si restava presi, a meno che non ci si arrabbiasse; ma allora si incorreva nel ridicolo» *, Egli visse così per lunghi anni, amato e rispettato dagli uni, deriso dagli altri, temuto da molti, fino a quando non gli venne lanciata contro un'accusa capitale. Mai fu così grande come in queste circostanze tragiche. Avrebbe potuto tentare di difendersi, invocare delle circostanze attenuanti, spiegarsi almeno sui suoi metodi e sulle sue dottrine. Egli rivendicò invece con fierezza la responsabilità del suo atteggiamento. «Ammettiamo, dice ai suoi giudici, che voi mi facciate questo discorso: Socrate, noi ti lasciamo stare, ma ad una condizione, che tu non passi più il tuo tempo a interrogare la gente o a filosofare. Se ti riprenderemo in fallo, morrai. O giudici, se voi vorreste impormi questa condizione per lasciarmi stare, vi direi: Ateniesi, vi sono grato e vi amò, ma obbedirò al dio piuttosto che a voi e fin quando avrò un soffio di vita, fin quando ne sarò capace, siate certi che non cesserò di filosofare, di esortarvi, di insegnare a chiunque di voi incontrerò. E gli dirò, come sono abituato a fare: Come! Caro amico, tu sei un ateniese, cittadino di una città più grande e rinomata delle altre per la sua scienza e la sua potenza, e non ti vergogni di dedicare le tue cure alla tua fortuna, per accrescerla il più possibile, alla tua reputazione e ai tuoi onori. Ma per quel che riguarda la tua ragione, la verità, la tua anima che occorrerebbe migliorare senza posa, tu non te ne preoccupi, non ci pensi!... Il mio unico compito è di andare nelle strade per persuadervi, giovani e vecchi, a non preoccuparvi del vostro corpo e della vostra fortuna con la stessa passione che dovreste avere per la vostra anima, per renderla quanto più buona possibile» 5, Personale e diretta, questa predicazione produceva grandi effetti sulle anime dei giovani che si attaccavano al vecchio maestro con ardore appassionato e subivano irresistibilmente il suo fascino. Apollodoro dichiara ad esempio all’inizio del Simposio: «Provo una gioia incomparabile nel parlare di filosofia e a sentirne parlare gli altri, anche astraendo dall’utilità che credo di troVi sono al contrario altri discorsi. I vostri soprattutto, quelli di gente ricca e di uomini d’affari, che mi pesano terribilmente. E ho pietà per voi, compagni miei, che immaginate di essere buoni a varci.

24

M Croiset,

Platon.

Oeuvres

complètes

(Collection

France), t 1, Paris 1920, p 119. 3 Platone, Apologia di Socrate, 29 c d; 30 a b. 60

des Universités

de

La filosofia antica qualcosa, mentre non siete buoni a nulla. E forse, a vostra volta, mi considerate sfortunato; ed io vedo che voi credete di essere nel vero, ma io, in ciò che vi concerne, non lo credo, lo so e troppo bene» *. Non sono soltanto dei giovani ingenui come Apollodoro che si lasciano ammaliare da Socrate, bensì dei gaudenti già stanchi, come Alcibiade 7’, La parola e l’esempio del maestro ® trascinano realmente la gioventù ateniese e per un certo tempo si può avere l’illusione di credere che la filosofia prenderà possesso di tutti gli spiriti. Ma l’entusiasmo cade presto e, dopo che Socrate beve la cicuta, il gruppo che si riuniva attorno a lui si disperde ”. Il più grande e il più fedele tra i suoi discepoli, Platone, insegna come il maestro la filosofia; ma invece di correre per le strade, fa scuola nei giardini dell’Accademia e non raccoglie nella sua scuola che alunni scelti. Egli arriva persino a immaginare delle costituzioni politiche dove i filosofi abbiano un ruolo privilegiato e quando si trasferisce in Sicilia, lo fa con la speranza di lavorarvi alla costruzione della città ideale. Fino alla fine resta un professore, molto sdegnoso delle realtà umane. Non è un apostolo e nessuno si converte al platonismo.

I veri successori di Socrate, eredi del suo spirito e del suo zelo sono i cinici, tra i quali Diogene di Sinope resterà per sempre il tipo ideale. Tutta l’antichità vedrà, non senza sorpresa, circolare sulle grandi strade del mondo greco prima e del mondo romano dopo, questi eterni viandanti, vestiti con un mantello corto, dalla barba incolta e dai lunghi capelli, bastone alla mano e bisaccia sul dorso, a piedi nudi sia d’estate come d’inverno. Essa ascolterà i loro discorsi semplici e affascinanti, attraversati da interrogazioni dirette, di buone parole e di facezie, di aneddoti, racconti e leggende. Essa si chiederà con inquietitudine se deve ammirarli o farsi beffe di loro. Finirà per 2%

Platone, Simposio, 173 c d; Apollodoro riappare nel Fedone, 59 a b, 117 d. Egli è il più sconvolto dei discepoli per la morte imminente di Socrate. 7 Platone, Simposio, 215 d/216 e. 23 Ibid, 170 b, ci viene ricordato che Aristodemo camminava sempre a piedi nudi, senz’alcun dubbio per assomigliare specialmente a Socrate. I Non bisogna dimenticare che durante i lunghi anni dell’apostolato di Socrate, questo gruppo di discepoli si era rinnovato più volte. Erano soprattutto i giovani ad essere sensibili all’impresa del maestro. Una volta passata l’età dell’entusiasmo, sparivano l’uno dopo l’altro per essere subito rimpiazzati. Tra quelli rimasti fedeli, alcuni, forse parecchi, perseveravano ammirazione, mae non avevano più il tempo di seguire Socrate.

61

nella loro

La conversione

filosofica

ammirarli, sebbene non si fidi e tema di essere vittima di un inganno, giacché ai veri saggi si mescolano spesso dei simulatori abili nello sfruttare la pubblica credulità. Fino alla fine del xv secolo cristiano ed anche oltre ”, i cinici annunceranno al mondo la pratica dell’austerità, il disprezzo delle ricchezze, la vanità di tutti i beni materiali. Essi si burleranno senza vergogna di tutto e di tutti e soprattutto non risparmieranno, nelle loro beffe impietose, gli dèi del paganesimo e le loro scabrose leggende. Essi proporranno ai loro discepoli l’esempio idealizzato di Ercole il quale, dopo aver scelto la virtù, le restò sempre fedele e meritò così di essere accolto tra gli immortali. Gli imperatori li accoglieranno allo stesso modo dei vescovi. Dopo l’avvento al trono Giuliano l’Apostata vedrà venire alla sua corte molti di questi apostoli nomadi, «un certo Asclepiade, quindi Sereniano, quindi ancora un certo Chitrone, infine non si sa quale giovane biondo e di alta statura, quindi Eraclio e dopo di essi per due volte tanti altri» °!. A Costantinopoli sarà persino obbligato a subire i consigli di Eraclio sul modo migliore di governare e le sue beffe sui culti pagani. Fu questo fatto a spingerlo a scrivere una satira amara del cinismo. Un po’ più tardi Gregorio di Nazianzo si farà vergognosamente ingannare da un certo Massimo, originario d’Alessandria, che egli loderà in piena chiesa con un eloquente panegirico ed il quale, per tutto ringraziamento,

cercherà

di usurpare la sua sede episcopale *.

del cinismo e il suo successo, sia negli gli uomini colti, pongono dei problemi che non sta a noi risolvere. È certo che fra tutti coloro che circolavano di città in città, avvolti nel mantello del filosofo, «vi era una turba sfrontata, sporca e grossolana, composta da schiavi fuggiaschi e da mendicanti» ”. Ma è anche certo che vi furono molti uomini sinceri La lunga sopravvivenza ambienti popolari che presso

0 «In pieno secolo v, ad Alessandria, un cinico di nome Sallustio, che si esercitava a sopportare i morsi del fuoco come un fachito, non temette di compromettersi

negli

ambienti

dei

cospiratori

pagani,

dove

poteva

frater-

nizzare con dei brahmani e ammirare il loro regime ancora più semplice del suo, consistente solo in riso, datteri e acqua».. Cfr J Bidez, Vie de l’empereur Julien, Paris 1930, pp 248/249. Giuliano, ed F C Hetrtlein, p 224 A. E 32 Cfr L Duchesne, Histoire ancienne de l’Eglise, t 2, Paris 1908, pp 48ss; R Asmus, «Gregor von Nazianz und sein Verhiltnis zum Kynismus», in Theologische Studien (1894), p 314ss. 3

M Caster, Lucien et la pensée

religieuse

62

de son temps,

Paris

1937, p. 65.

La filosofia antica e leali i quali abbracciarono la vita povera ed errabonda per disprezzo delle ricchezze ingannevoli di questo mondo e per amore della libertà. Costoro furono spesso dei veri convertiti. L’esempio di Dione di Prusa è uno dei più noti e caratteristici al tempo stesso Nato a Prusa in Bitinia, verso il 40 d.C., Dione apparteneva ad una famiglia ricca e ragguardevole. Debuttò nella carriera letteraria con la sofistica e riscosse successo con dei discorsi altrettanto vuoti di contenuto quanto brillanti nella forma, dalle antitesi sapientemente spinte, le frasi armoniosamente equilibrate, in breve con tutto il tintinnio di parole e di stile capace di incantare i contemporanei. Ma questo non era per lui che una distrazione. L’amministrazione e lo sfruttamento dei suoi possedimenti gli procuravano abbondanti ren-

dite che egli metteva generosamente

al servizio dei suoi compatrioti. Un giorno questa carriera che si annunciava brillante, «vide aprirsi un precipizio. In che modo Dione perdette ad un tempo la fiducia e l’affetto dei suoi concittadini? Si trattò del mutamento brusco dell’umore della folla, dell’esplosione di collere lentamente accumulate, di suscettibilità offese? Fu veramente minacciato di essere lapidato e di veder bruciata la sua casa? Partì allora per Roma dove sperava una buona accoglienza a causa delle relazioni già vecchie della sua famiglia con la corte imperiale. Ma vi incontrò e detestò Domiziano. Osò manifestare francamente il suo orrore per il calvo Nerone, si trovò compromesso nella rovina di un nobile personaggio della aristocrazia romana, si esiliò o fu esiliato» ®. L’esilio costituiva per lui la povertà, cioè la miseria con la preoccupazione del pane quotidiano da guadagnare. Lo accettò con coraggio e cominciò da allora la vita del filosofo errante. Per 14 anni, 4 Fra molti altri si potrebbero ricordare soprattutto Cratete e Demonace. Il primo, che visse nel 1v secolo a.C., ha lasciato un grande ricordo di sé per il distacco dalle ricchezze e per la sfrontatezza che non ammetteva riserve. Citato già da autori comici come Filemone (framm 46, ed Kock, t 2, p 523) e Menandro (/ram 117; 118; ed Kock, t 3, p 35) lo è anche da Luciano nei suoi Dialoghi dei morti ed è lodato a più ripresa da Girolamo, In Matthaeum, contra Iulianum, Yv, III, PL26, 138/139, e da Agostino, Opus imperfecitum 43; PL 45, 1362 e da altri ancora. 35 L Frangois, Essai sur Dion Crysostome, pbilosophe et moraliste cynique et stoicien, Paris 1921, pp 6/7. Il personaggio in questione è probabilmente P_Mazon, «Dion il genero di Tito, Flavio Sabino, messo a morte nell’82. Cfr de Pruse et la politique agraire de Trajan» in Lettres d'bhumanité, t 2, Paris 1943, p 47.

63

La conversione filosofica fino alla morte di Domiziano, percorse l’Oriente con il miserabile costume dei cinici. Prima del suo esilio aveva già percorso l’Asia Anteriore e l’Egitto. Andò in Grecia, si fermò alle rive del Danubio e a quelle del Dnieper. L’ascesa al trono di Nerva lo trovò impegnato ad evangelizzare i Geti. Essa segnò al tempo stesso la fine delle sue disgrazie e ne rifece un personaggio influente, non solo a Prusa, ma anche a Roma, dove sostenne con tutti i mezzi la politica del nuovo regime, senza rinunciare d’altra parte alla filosofia. È vero che sotto le vesti del predicatore Dione non cessa di restare il gran signore che era stato precedentemente. Non è dato di trovare né nella sua vita né nei suoi discorsi le eccentricità sconcertanti che caratterizzavano tante volte la vita del cinico. Egli si mostra fedele alla tradizione descrivendo gli eroi tradizionali della setta, Diogene, Socrate, Ercole; e nel tracciare il ritratto di Diogene non disdegna i colori violenti o i tratti maggiormente accusati di grossolanità. Ma per se stesso è attento a conservare una saggia misura nella propria condotta. Edifica senza scandalizzare e parla senza offuscare. Il suo linguaggio è quello di un uomo coltivato, meglio ancora, di un autentico stilista che non riesce a mostrarsi indifferente nei confronti della lingua che usa. Con tutto ciò egli si considera il medico delle anime, loro sorvegliante e ispettore, Ratdskopos kaì episkopos*, e adempie con palese sincerità la missione della quale si ritiene inve-

stito.

«Secondo lui, un filosofo non si lascia distogliere, dal proclamate i precetti della sapienza a tutti coloro che incontra, né dalle difficoltà, né dalle ingiurie, né dalle beffe. Egli non si arrabbia per il fatto che gli uomini ridano di questa disposizione d’animo pacifico, di questo disprezzo dei beni e degli onori, di questa abiezione volontaria e coprano il filosofo di ignominia... Per tutti egli è più umano di un fratello o degli amici, non abbandona mai il suo ufficio e quanto più si fa servo dell’interesse dei suoi concittadini, del suo prossimo, dei suoi familiari, tanto più grande è la veemenza, sempre temperata di rispetto, che mette nelle sue esortazioni. Questo rispetto non lo conduce a dissimulare alcunché, e ciò in proporzione al fatto di considerare coloro che l’ascoltano più o meno importanti per lui. Alza il tono quanto può, rimprovera, esorta se stesso e gli altri, con eloquenza sempre più pressante» *’, 3% Su queste due parole e sulla loro funzione nella predicazione cfr L Frangois, op cit, p 1558. 37 Ibid, p 153; cfr Dione, Orazioni, 27. 64

dei cinici,

La filosofia antica

Il cinismo, tale quale lo insegna e pratica Dione Crisostomo, è strettamente imparentato con lo stoicismo e, alla fine del 1 secolo d.C., già da tempo le due dottrine hanno operato dei prestiti vicendevoli, per cui è quasi impossibile distinguere l’una dall’altra. 1 romani non si turbano per così poco. Essi non domandano alla filosofia delle sottigliezze scolastiche, ma ricette e rimedi per vivere e morire bene. Ed è soprattutto presso i romani che, al sorgere dell’era cristiana, i filosofi assumono la figura di convertiti o di operatori di conversione e si artogano la funzione di predicatori o di direttori di coscienza. Il ruolo di questi ultimi è più facile da sostenere. Non si chiede loro infatti di vivere in maniera conforme ai propri principi e la saggezza di cui fanno professione non costituisce, ai loro occhi, Pimpegno irrevocabile di tutta la persona. L’essenziale per essi è di insegnare. Gli amici che vengono da loro chiedono dei buoni consigli piuttosto che dei buoni esempi. Sotto il regno di Nerone, Seneca costituisce il modello perfetto del direttore d’anime, si direbbe quasi del confessore, ed una clientela numerosa, aristocratica e coltivata si raduna attorno a lui per ricevere le esortazioni che egli moltiplica con zelo commovente. Senza dubbio Seneca vive sobriamente, si astiene da cibi raffinati, mangia frutta e legumi, beve soltanto acqua e dorme su un letto così duro che il corpo non vi lascia alcun segno *. Ma ci tiene al fatto che noi non ignoriamo alcuna delle sue motrtificazioni e lo sfoggio che ne fa ci lascia inquieti. Egli parla in modo ammirevole dei suoi schiavi: «Sono schiavi, ma sono uomini. Sono schiavi, ma abitano sotto il nostro tetto. Sono schiavi? No, sono i nostri amici nell’abbassamento. Sono schiavi? Sì, nostri compagni di servitù, se consideriamo che la fortuna ha uguale potere su di essi e su di noi» ”. Ma, dopo avere scritto dichiarazioni tanto elevate, non si cura di liberarne uno solo e si guarda bene dall’invitarli a dividere il suo regime di vita. Egli possiede immense ricchezze che, se non sono state acquistate in maniera disonesta, come gli rimprovera qualcuno dei contemporanei ”, sono dovute per lo meno alla liberalità dell’imperatore Nerone. È non compie il minimo gesto per sbarazzarsi di questa fortuna inutile, anche se scrive: «Io avrei un uguale disprezzo per le ricchezze presenti o assenti, senza tristezza di saperle altrove, senza presunzione se le vedo brillare attorno a me e resterei a 39 .

Seneca, Epistulae, CviII. Ibid, xuv. Tacito, Annales, xtII, 42; xIv, 52.

65

La conversione

filosofica

insensibile, sia che la fortuna venga o si allontani». Le debolezze della sua vita sono riscattate tuttavia dalla nobiltà della sua morte. Ancora oggi si legge con emozione l’ammirevole racconto che ne ha fatto Tacito 2. Se la filosofia non è stata sufficiente per permettere a Seneca di comportarsi da eroe, gli ha dato tuttavia la forza di morire. E questo costituisce la prova suprema del suo valore. Malgrado tutto è Epitteto che ci tocca di più. È stato schiavo e ha sofferto, anche nelle sue membra, la schiavitù, tanto è vero che padrone gli ha spezzato una gamba battendolo. Liberato, non è mai il

pervenuto alla ricchezza e tuttavia ha acquisito reputazione sufficiente da attirare a Nicopoli in Epiro, dove si era fissato, i giovani della nobiltà romana. Discepolo di Musonio è stato così profondamente convertito alla filosofia da attribuirsi, come Socrate, una vera missione. «lo vi sono stato inviato da Dio come esempio, non avendo né possedimenti, né casa, né donna, né figli, né giaciglio o utensili» *. Nella rinuncia assoluta scorge una esigenza del proprio apostolato: «Nello stato attuale delle cose e su questo campo di battaglia non è necessario che nulla possa distogliere in altre direzioni il cinico, perché possa appartenere interamente al suo ministero divino? Non è necessario che possa andare a trovare la gente, senza essere legato agli obblighi dell’uomo ordinario, senza essere tenuto alle relazioni sociali delle quali occorre tener conto, se vuole mantenere il ruolo di uomo onesto, ma che non potrebbe rispettare senza distruggere in sé l’apostolo, il sorvegliante, l’araldo inviato dalla divinità» “. Egli si presenta come testimone di Dio: «Zeus ha voluto sapere se c’è un soldato come egli deve averlo, un cittadino come egli deve averlo e ha voluto presentarmi agli uomini come testimone delle cose che non devono fissare il libero arbitrio: guardate che vi spaventate a torto, che desi-

derate vanamente ciò che desiderate». E affinché la testimonianza acquisti maggior peso soprattutto attraverso la sofferenza, Zeus riduce 4 Seneca, De vita beata, xx. e Tacito, Annales, xv, 42/43. 3 Arriano, Diatribe, Iv, 8, 31. “ Arrtiano, Diatribe, u11, 22, 69. Giustamente questo passo è stato collegato a 1 Cor 7, 32/33: « Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie e si trova diviso». Cfr M J Lagrange, «La philosophie religieuse d’Epictète et le christianisme» in Revue Biblique (1912), p 208. 66

La filosofia antica

il suo testimone in povertà, l’abbandona alla malattia, lo manda in esilio, in prigione, non già perché lo odia, ma per metterlo alla prova e per servitsene come testimone presso gli altri ‘. Nonostante tutto ciò Epitteto conserva una gioia profondissima, perché sente di obbedire in tutto alla volontà divina. Al momento di morire vorrebbe potersi presentare a Dio e dirgli: «Ho mai trasgredito qualcuno dei tuoi comandamenti? Mi sono servito per scopi diversi delle facoltà che mi hai dato? Ho impiegato diversamente le mie sensazioni o le mie idee? Ti ho mai rimproverato qualcosa? Ho mai biasimato il tuo governo? Sono stato ammalato quando tu l’hai voluto. Anche altri lo sono stati, ma io ho accettato di buon grado la malattia, sono stato povero dietro tuo ordine e lo sono stato con gioia. Mi sono tenuto lontano dagli incarichi perché così hai voluto; non ho mai desiderato onori. Mi hai veduto triste per questo? Non mi sono presentato davanti a te radioso, non aspettando che un ordine, un cenno da parte tua? Adesso, come tu vedi, abbandono la festa. Me ne vado, ti rendo grazie di avermi permesso di assistervi assieme a te, di contemplare le tue opere e di associarmi al tuo governo seguendo i tuoi comandi» “. Qui, come di frequente altrove, il linguaggio di Epitteto assume un andamento religioso. Il filosofo non piega la testa davanti alla fatalità. Egli si tiene ritto per unire pienamente la sua volontà a quella di Dio: «Alza il collo. Tu sei liberato dalla servitù. Osa guardare verso Dio e dirgli: usa ormai di me per ciò che vorrai. Mi unisco al tuo pensiero, sono tuo. Non ricuso niente di ciò che tu giudicherai conveniente. Conducimi dove ti piacerà. Mettimi l’abito che tu vorrai. Vuoi tu che io sia negli onori? Semplice particolare? Che resti? Che vada in esilio? Che sia povero? Che sia ricco? Io ti giustificherò di tutto davanti agli uomini» “’,

Certo, queste formule sono ammirevoli e ci fanno conoscere un’anima sottomessa alla volontà divina, convertita nel senso più stretto di questo termine. Ma non possiamo dimenticare che Epitteto ha conosciuto il cristianesimo, che probabilmente ha letto le epistole paoline e noi abbiamo il diritto di chiederci se lo spettacolo del pro6

Arriano, Diatribe,

111,

46

Arriano,

111,

47

Arriano, Diatribe,

Diatribe,

24, 112s.

5, 8s. 11, 16, 41s.

67

La conversione filosofica

lui un influsso più pro“. contrappone l’inquietituAlla gioia tranquilla di Epitteto si dine di Marco Autelio; all’ottimismo religioso del vecchio liberto che accetta la volontà di Dio, il lamento disingannato dell’imperatore morente: selitismo cristiano non abbia esercitato su di fondo di quanto non si ammetta comunemente

«Tra breve tu sarai nulla assoluto, non farai più parte degli oggetti che ti stanno attualmente davanti, né degli esseri attualmente viventi. Tutte le cose sono attualmente fatte per cambiare, alterarsi, finire, per produrne altre che succedano ad esse» ”. «Quale minuscola parte del tempo infinito e insondabile è stata divisa a ciascuno, perché, in un istante, vada a svanire nel nulla! Quale minuscola parte della sostanza universale! È quale minuscola zolla di terra, sulla quale ti arrampichi, nella terra universale? Riflettendo a tutto ciò, non attribuire gran peso che all’azione conforme alle direzioni della natura e ai sentimenti conformi al movimento generale della natura» ”, Marco Aurelio bisogno per dirigere

crede di tutto cuore alla filosofia. Egli ne ha la propria vita:

«Come i medici hanno sempre sotto mano i loro apparecchi e le loro borse per apprestare le cure d'urgenza, allo stesso modo tieni sempre pronti i principi grazie ai quali potrai conoscere le cose

divine e umane e far vedere ad ognuna delle tue azioni, anche la più piccola, che tu ti ricordi della connessione reciproca di questi due ordini di questioni. Infatti sarebbe impossibile far bene qualsiasi cosa interessa gli uomini se non la si rapporta alle cose divine e vice-

versa» 5!,

Egli ha soprattutto bisogno della filosofia per imparare a morire, benché essa non gli dia, sul mistero del destino umano, quella chiarezza che egli avrebbe il diritto di attendersi, per cui finisce per collocarsi nella prospettiva di un annientamento totale del suo essere:

è possibile dunque che gli dèi, dopo aver tutto regolato e bontà per l’uomo, abbiano trascurato quest’unico particolare: un certo numero di uomini di virtù provata, dopo aver stretto, per così dire, tanti patti di alleanza con la divinità; dopo «Come con sapienza

48 , 0 si

Cfr M J Lagrange, art cit, p 210s. Marco Autelio, Pensieri, xt, 21. Ibid, xtr, 32. Ibid, tm, 13.

La filosofia antica essere stati a lungo confidenti della divinità con la loro condotta pia e il culto che le rendevano, questi uomini, una volta morti, non ritornano alla vita, ma sono completamente estinti. Se è così, sappi bene che, se le cose avessero dovuto verificarsi diversamente, gli dèi vi avrebbero provveduto. Ciò che fosse stato giusto, sarebbe stato anche possibile; ciò che fosse stato conforme a natura, la natura lo avrebbe portato a realizzarsi. Ma giacché non è così, se tuttavia non è così sii persuaso che era anche necessario che non fosse così» ?,

È questa l’ultima parola dello stoicismo che segna al tempo stesso il nobilissimo sforzo della filosofia nella sua ricerca della verità e della felicità? Accettazione rassegnata delle leggi naturali e della morte stessa, sottomissione al destino contro cui è vano lottare, sarebbe questa la vera sapienza? Marco Aurelio non vuole. assomigliare a quei bestiari, già semidivorati che, coperti di sangue e di ferite, domandano tuttavia di essere conservati fino all’indomani, per essere nuovamente consegnati agli stessi artigli e agli stessi morsi: «Se senti che stai per cadere, che non sei più padrone di te, rifugiati in qualche angolo dove potrai tornare in possesso di te stesso, oppure esci definitivamente dalla vita, senza collera, liberamente, semplicemente, modestamente, avendo fatto almeno qualcosa nella tua vita, per averla lasciata cioè in questo modo» ®, Marco Aurelio è l’ultimo dei grandi stoici che l’antichità abbia conosciuto. Dopo di lui è il neoplatonismo che si sforza di conquistare le anime. Lo stesso fondatore è un convertito. «A vent’otto anni, racconta il suo biografo Porfirio, Plotino si diede alla filosofia. Fu messo in relazione con le celebrità di allora ad Alessandria, ma usciva dalle lezioni pieno di delusione e mestizia. Egli raccontò le impressioni ad un amico il quale comprese il desiderio della sua anima e lo accompagnò da Ammonio, che egli non conosceva’ ancora. Non appena fu entrato e l’ebbe ascoltato, disse al suo amico: ecco l’uomo che cer-

Da quel giorno frequentò assiduamente Ammonio» *. Niente è più significativo di questa conversione brusca e definitiva. Quando essa si verifica, Plotino è tormentato. Egli è alla ricerca di una dottrina cavo.

2 Ibid, x11, 5; cfr M J Lagrange, «Marc-Aurèle, Le jeune homme, Le philosophe, L’empereur», in Revue Biblique (1913), pp 243/259; 394/420; 568/587.

53 4

Marco Aurelio, Pensieri, x, 8. Porfirio, Vita di Plotino, 3. 69

La conversione

filosofica

che al tempo stesso gli dia la verità e una regola di vita. Si è già messo a cercare ed è passato per diverse scuole senza trovare ciò che desidera. L’insegnamento di Ammonio è per lui una rivelazione e da allora vi si dà tutto intero. Per undici anni frequenta assiduamente i corsi del maestro e soltanto le circostanze sono talmente forti da portarlo a lasciare Alessandria, nel 262. Quando l’imperatore Gordiano parte per la conquista della Persia, la sua impazienza di conoscere la saggezza dei barbari, in primo luogo quella dei persiani e forse anche quella degli indiani, è tale che non esita a tentare l’avventura e si arruola nell’esercito romano. La disfatta lo obbliga a rifugiarsi ad Antiochia, da dove raggiunge Roma ed è a Roma che apre la sua

scuola. Egli resta però fedele alle lezioni che ha ricevuto. Con alcuni dei suoi compagni di studio, discepoli intimi di Ammonio, Erennio e Origene, ha preso l’impegno di tener segreta la dottrina del maestro e ha tenuto fede alla sua promessa”. Questo segreto non è affatto l’equivalente di quello che lega gli iniziati ai misteri e che è molto più rigido; esso è piuttosto la prova che, agli occhi dei membri della scuola, gli insegnamenti intesi «non erano la semplice esegesi di una dottrina classica, come il platonismo, l’aristotelismo o lo stoicismo» , ma interessavano soprattutto la vita spirituale tutta intera e non la semplice formazione dello spirito. Per il resto noi conosciamo Ammonio troppo male per poterne parlare con certezza. Resta però, a testimonianza del suo grande valore, la sua influenza su uomini quali Plotino e Origene. A Roma, Plotino è tutto dato alla filosofia e, come il suo maestro d’Alessandria, raggruppa attorno a sé discepoli entusiasti. Amelio comincia a frequentarlo il terzo anno del regno di Filippo, nel 247; segue i suoi corsi fino al primo anno del regno di Claudio nel 271, cioè per 24 anni; quando arriva alla sua scuola, è già avanzato nello studio della filosofia, giacché possiede la dottrina della scuola di Lisimaco, lo stoico ’; ma non ne è realmente preso e Plotino è il solo che lo conquista interamente. Lo stesso accade per Porfirio, trentenne, quando incontra Amelio che lo conduce da Plotino; egli ha già scritto 55 56

Ibid. E Brehier, Plotin, Ennéades, t 1, Paris 1924, p Iv. Sulla dottrina di Sacca cfr R Cadiou, La jeunesse d'Origène, Paris 1936, pp 184/203. Porfirio, op cit, 3.

Ammonio

57

70

La filosofia antica e ha seguito le lezioni di Longino ”. Plotino stesso ha allora 59 anni, lo stomaco malandato, la vista debolissima; presto sarà afferrato da un male cronico alla gola e da una malattia alla pelle; è nervoso, agitato, prova un bisogno singolare di cambiare continuarnente posto e il regime che segue contribuisce ad accrescere il suo cattivo stato di salute ”, Niente in lui sembra fatto per attirare e tuttavia Porfirio è sedotto al primo colpo. Si attacca itrevocabilmente a Plotino, diventa il confidente dei suoi pensieri, prima ancora di farsi editore delle sue opere, e gli conserva fino alla fine un attaccamento senza limiti. altro dei discepoli di Plotino, Rogaziano, è senatore:

Un

«Egli arrivò, scrive Porfirio, ad un tale distacco dalla vita, da abbandonare tutti i suoi beni, rimandare i suoi servi e rinunciare alle sue dignità. Essendo pretore e sul punto di recarsi in tribunale, mentre i littori erano già là, non vi volle andare e trascurò le sue ioni. Non volle nemmeno abitare a (sa sua; stava presso amici o familiari presso i quali mangiava e riposava. Non mangiava che un giorno su due. Questa rinuncia e questa incuria, nonostante fosse talmente malato di gotta che lo si portava in sedia, lo fecero ristabilire; e mentre prima non era più nemmeno capace di aprir la mano, acquistò una tale facilità nel servirsene, da superare qualsiasi artigiano di mestiere manuale. Plotino lo amava, lo lodava al di sopra di tutti e lo proponeva come esempio ai filosofi» ®, La fiducia che i discepoli ripongono in Plotino è assoluta. Essa si spinge a tal punto che molti di essi, prima di morire, gli affidano i figli, maschi o femmine, con tutta la loro fortuna. Egli si occupa con zelo di tutta questa famiglia di adozione, si interessa agli studi dei suoi pupllli, vigila sulla gestione del loro patrimonio ed esige il rendiconto dai tutori. Dichiara che, fin quando questi bambini non sono 58 Ibid, 4. 9 Ibid, 2; E Brehier, op cit, p vil. w Porfirio, ibid, 7. Nello stesso capitolo, Porfirio segnala molti altri discepoli di Plotino: Paolino, un medico di Scitopoli; Eustochio, un medico d’Alessandria che lo curò durante l’ultima malattia e lo assistette nella morte; Zotico, critico e poeta, conosciuto per le sue recensioni di Antimaco; l’arabo Zeto, anche lui medico, che metteva le sue proprietà a disposizione del maestro venerato; i senatori Marcello, Oronzio e Sabino; Serapione d’Alessandria, un vecchio retore, convertito, anche se imperfettamente, alla filosofia. Quindi delle donne: Gemina, nella cui casa abitava, e sua figlia Gemina; Anficlea ed altre

ancora. L'imperatore Gallieno e sua moglie Salonina subirono l'attrazione di Plotino e vollero ascoltarlo. 71

La conversione

filosofica

ancora dei filosofi, occorre conservare loro intatti i beni e le rendite ‘!. Porta lo stesso buon senso nei problemi di ordine filosofico e religioso; quando Amelio, che non si lascia scappare nessuna occasione per offrire dei sacrifici, lo invita ad accompagnarlo, egli si limita a rispondere: spetta agli dèi venire da me e non a me andare dagli dèi. E il credulo Porfirio, riportando queste parole non può impedirsi dall’aggiungere che non le ha capite ‘, Il dono infine che ha fatto di se stesso alla filosofia e agli amici è così totale, che sogna di fondare un giorno una città in Campania, dove si seguano le leggi di Platone e che, per questo motivo, verrebbe chiamata Platonopoli °. L’imperatore Gallieno sembra che non si sia mostrato contrario al progetto, ma altre persone vicine, senza dubbio funzionari prudenti e accorti, lo dissuasero dal dare la sua approvazione a questa chimera. Gli uni dopo gli altri i discepoli di Plotino si allontanarono dal vecchio maestro, ripresi dal richiamo del mondo; molti furono tolti via dalla morte. Plotino finì per restare isolato e conservò fino alla fine la serenità e la fiducia, dando esempio ammirevole di una vita consacrata ad una nobile causa. Le sue lezioni non andarono perdute. La scuola neoplatonica fu, per secoli, l’ultimo rifugio della saggezza antica. Ad essa gli ultimi pagani vennero a domandare lezioni di vita o, all’Occasione, lezioni dî morte. Essa, per il resto, si trasformò velocemente in maniera quasi completa. Già Potfirio è tutt’altra cosa da un intellettuale: «Spirito critico ed ingenuità, entusiasmo sincero ed abile opportunismo, scienza solida ed erudizione puerile, curiosità di un greco avido di comprendere e sapere, aberrazioni di un occultista; libero andamento di un pensiero che discute e ragiona; docilità di un credente pronto ad accettare tutte le rivelazioni; apostolato morale molto elevato, familiatità compromettenti; volgarizzazione lucida e facile, compilazioni, persino assurdità: sembra che vi sia di tutto nell’opera di Porfirio» “.

Dopo di lui la caduta diventa sempre più rapida. Giamblico è un teutgo, Massimo di Efeso un mago e forse un truffatore. Le conversioni che operano non hanno quasi più nulla di filosofico.

22

Porfirio, ibid, 9. Ibid, 10. Ibid, 12. J Bidez, Vie de Porphyre, Gand

1913,

72

p 11.

La santità filosofica 2. La santità filosofica

Per quanto oggi ci sembra stupefacente, la conversione alla filosofia è dunque un fatto che appare molto frequente nell’antichità. Come spiegarla? Quali sono le cause per cui tanti spiriti buoni si sono orientati verso la saggezza profana e le hanno domandato degli aiuti che la religione non offriva loro? Le ragioni che possono esser fatte valere sono numerose. In primo luogo la filosofia promette ai suoi adepti di dare una spiegazione chiara e sicura del mondo. Per secoli i filosofi sono i soli che riflettono sulla costituzione dell’universo e spiegano le sue leggi cercando di riportarle all’unità. Anche dopo che Socrate ha dato come scopo essenziale alla saggezza quello di conseguire la conoscenza dell’uomo interiore, i filosofi continuano a cercare il segreto delle cose. Sia gli stoici che gli epicurei posseggono una fisica alla quale tengono, perché i loro sistemi morali le sono strettamente connessi. Inutilmente la preoccupazione della condotta morale prende sempre più il primo posto negli spiriti. Seneca che scrive: «Voler sapere più di ciò che è sufficiente, è una forma di intemperanza» ©, che fa professione di disprezzare le matematiche e l’astronomia ©, compone tuttavia dei libri sulle questioni naturali, sulla situazione dell’India, sulla situazione e sulla religione degli egiziani, «perché la conoscenza del mondo e del cielo eleva l’anima e la trasporta al livello degli oggetti che tratta» ©, | È vero che, dal 1v secolo a.C., le scienze positive si sono sviluppate fuori della filosofia e hanno fatto notevoli progressi, ma durante l’era cristiana, hanno cessato di interessare gli spiriti. Si fa ad esse un posto quanto più ristretto possibile nell’educazione liberale, giacché occorre che un uomo dabbene sappia un po’ d’aritmetica, di geometria, di musica, ecc... Non si rinnovano molto le conoscenze acquisite. Ciò che si vuol sapere è il segreto globale del mondo, delle sue origini, del suo

destino.

A partire da qui occorre spiegare il successo dei sistemi gnostici che promettono di dare questa conoscenza ai loro adepti. Gli spiriti più coltivati si dilettano ad enumerare le generazioni degli eoni, a spiegare attraverso quali degradazioni successive il male procede dal 65 Di

Seneca,

7

Epistulae, Ibid, cv, 11. Ibid,

LjoorviiI,

16.

cxvir, 19.

73

La conversione flosofica bene e come si opererà un giorno la restaurazione universale. Tra questi sistemi, quelli che conosciamo meno male, sono profondamente innestati nel cristianesimo. Ma in se stessa la gnosi non è un fenomeno cristiano e si ricollega alla storia generale dello spirito umano. Essa non è in primo luogo ellenica e si comprende come Plotino abbia solo disprezzo per coloro che rifiutano di applicarsi all’antica cultura dei

greci. «Venuti dopo gli antichi, hanno preso da loro molte cose, facendo soltanto delle aggiunte maldestre, perché li vogliono contraddite. Essi ammettono generazioni e corruzioni di ogni sorta nell’intelligibile; disprezzano l’universo sensibile; considerano come finzione l’unione dell’anima al corpo; criticano colui che governa il nostro universo; identificano il demiurgo all’anima e gli attribuiscono le stesse passioni dell’anima particolare» “, Venuta dall’Oriente, come le religioni che in quel tempo si dividono il dominio delle anime e come i sistemi filosofici allora in voga, la gnosi risponde ad un bisogno. In un tempo avido di sapere, essa pretende dare una soluzione definitiva ai grandi problemi. Ma da molto tempo la filosofia fa le stesse promesse; e coloro che non vogliono saperne dello gnosticismo, continuano a indirizzarsi ad essa per conoscere la ragione delle cose e sbarazzarsi così di tutti i timori che impongono l’ignoranza e l’errore. «Siccome gli uomini sembrano sentire nel fondo del cuore un peso la cui pesantezza li opprime, se essi potessero arrivare a conoscere l’origine del male e il motivo per cui questo pesante fardello di miseria soggiorna nel loro cuore, allora non vivrebbero come noi per lo più vediamo, ignorando ciò che vogliono l’uno e l’altro, cercando senza posa di cambiar posto, come se in questo modo potessero sbarazzarsi del loro carico. Spesso uno fugge via dalla sua ricca dimora per il disgusto di essere a casa, e subito vi ritorna, perché non si sente affatto meglio fuori. Corre spingendo i, cavalli a testa bassa verso la fattoria di campagna, come se volasse al soccorso della sua casa in fiamme. Ma comincia a sbadigliare non appena tocca il suolo oppure, con la testa pesante, si rifugia nel sonno per cercarvi l’oblio, o si affretta persino a riguadagnare la città. È così che l’uomo cerca di fuggire da se stesso. Ma incapace per lo più di riuscitci, come si vede, resta attaccato suo malgrado a ciò che detesta; si è ammalati e non si conosce la causa del proprio male. Se la si vedesse bene, lasciando da parte qualsiasi altra cosa, ognuno si applicherebbe prima di tutto a 68

Plotino,

Enneadi,

11,

9, 6.55.

74

La santità filosofica studiare la natura delle cose; infatti non è in gioco un’ora soltanto, ma l’eternità, questa eternità nella quale i mortali dovranno passare tutto il tempo che resta da percorrere dopo la morte» ®,

È vero che non tutte le filosofie danno la stessa risposta alle inquietudini che Lucrezio descrive con eloquenza. Gli epicurei negano l’esistenza della provvidenza e si sbarazzano così delle chimere forgiate dalla religione. Gli stoici al contrario predicano la sottomissione alla provvidenza che tutto conduce secondo le regole di una sovrana saggezza. Chi ha ragione? Cosa bisogna scegliere? Coloro che non hanno il coraggio di optare finiscono per rifugiarsi nello scetticismo. Niente è più deludente e scoraggiante della conclusione del De natura: deorum di Cicerone. Dopo molti passi d’arme, brillanti giostre oratorie, gli interlocutori del dialogo si separano, senza concludere, con una battuta: «Si tratta di sapere se esiste un Dio, se questo Dio si interessa agli uomini e se esiste un legame tra lui è noi. Si tratta di sapere cos’è l’anima umana, se essa ha rapporto con Dio, se viene da

lui e ritorna a lui. In breve si tratta della nostra felicità, del nostro tutto. Ecco ciò che gli uomini eletti domandano ai filosofi. Negazioni, dubbi, sorrisi, giochi di parole non sono sufficienti. Si vuole una certezza, una luce che illumini, convinca, sostenga, consoli. Ora i filosofi si rimandano la palla» ”. Ma anche quando non spiegano il mistero delle cose, le filosofie conservano un certo valore, perché insegnano

a vivere. All’epoca imperiale quasi tutte concordano nelle risposte pratiche da dare ai problemi dell’esistenza. Si può essere stoico o epicureo, pitagorico o cinico. Difatti, se si è filosofi, si sa che bisogna sopportare il dolore, disprezzare la morte, aver pazienza nella malattia, non lasciare che la propria anima si turbi, contentarsi della sola virtù per essere felici !, Saggezza un po’ corta, senza dubbio, ma che può bastare in tempi difficili e che rasserena gli spiriti migliori di Roma, durante le ultime convulsioni della repubblica e sotto i regni dolorosi di un Caligola, un Nerone o un Domiziano. Per quanto si possa essere curiosi di conoscere il senso delle cose, vi sono delle circostanze in cui non si ha né il tempo né il coraggio per perseguire delle ricerche 6

Lucrezio,

De rerum

natura,

111,

1053/1075.

7 A J Festugière, L’idéal religieux des Grecs, cit, p 99. 71 Questi cinque precetti riassumono i cinque libri delle Tusculane. Sarebbe possibile, senza fatica, ritrovarli più o meno modificati in tutti i filosofi del suo tempo e anche del periodo seguente. 75

La conversione

filosofica

disinteressate. La vita quotidiana non impone meno doveri. La filosofia enumera questi doveri 2. Cosa chiederle di più? Si è costretti, in molti casi, a domandarle meno ancora, giacché la filosofia è colpita da sospetto e quelli che la professano sono oggetto di misure molto rigide. Sotto il regno di Nerone, Rubellio Plauto, nipote di Augusto, è accusato, tra l’altro, di stoicismo ed è costretto a darsi la morte. Verso il 65, dopo la congiura dei Pisoni, gli stoici Musonio e Cornuto, sono condannati all’esilio per ordine di Nerone, perché insegnano, il primo soprattutto, filosofia ai giovani. Nel 71, sotto Vespasiano, tutti i filosofi sono cacciati via da Roma e verso la stessa epoca, Dione di Prusa, ancora retore, pronuncia dei discorsi Contro i filosofi «questa peste delle città e dei governi». Più tardi, nell’85, Domiziano fa morire il sofista Materno, colpevole di aver pronunciato a scuola un discorso contro i tiranni; Rustico Arulino, perché è filosofo e considera Trasea come un santo; Erennio Senecione perché ha redatto una vita di Elvidio Prisco P. In questa congiuntura non si tratta più di vivere bene, ma di morire bene. I filosofi dell’epoca imperiale hanno davanti l’imperituro esempio di Socrate, primo martire dell’amore alla saggezza e modello perfetto di coraggio davanti alla morte *, Quando occorre, essi si ispirano a questo esempio. Condannato da Caligola, Giunio Cano stava giocando agli scacchi, quando il centurione, sopraggiungendo con la

truppa, lo invitò a seguirlo: «Egli fece il conto dei suoi punti e disse all’avversario: attenzione! Dopo la mia morte non raccontare di aver vinto. Dopo, facendo segno al centurione gli disse: tu sei testimone che sono in vantaggio di un punto. Credi tu che Cano tenesse tanto al suo gioco? Egli si prendeva invece gioco del boia. I suoi amici erano costernati di perdere un tale uomo. Perché questa tristezza?, domanda loro. Voi vi chiedete se l’anima è immortale; io lo saprò presto. E fino all’ultimo istante non smise di cercare la verità e di domandare alla propria morte la soluzione del grande problema. Il suo filosofo l’accompagnava; mentre si avvicinavano all’altura dove ogni giorno venivano offerti sacrifici a Cesare, nostro dio, il filosofo gli chiese: a cosa pensi 72 Nel 140 a.C., lo stoico Panezio scrive un trattato Sul conveniente. A questo trattato si ispira Cicerone nei primi due libri del De officiis. 3 Dione Cassio, op cit, 1xv1, 12/19; 1xv1I, 13; cfr E Brehier, Histoire de la pbisolopbie, Paris 1926/27, t 1, p 420. 4 La morte di Socrate fornisce un argomento quasi inesauribile. Cfr ad esempio Seneca, De providentia, n1, 4 e 12; De constantia sapientis, VII, 3; De tranquillitate animi, v, 2/3; xv1, 1; De otio, vil, 2. 76

La santità filosofica

in questo momento, Cano? In quale disposizione ti trovi? È Cano rispose: ho intenzione di osservare, in questo istante così rapido, se sento la mia anima andarsene. È promise che, se avesse scoperto qualcosa, sarebbe ritornato a trovare i suoi amici per informarli sulla sorte delle anime» ”.

E Seneca aggiunge: «Ecco la tranquillità in mezzo alla tempesta. Non è degno dell’immortalità quest’uomo che nel proprio trapasso cerca una prova della verità; che interroga la propria anima sul punto di esalare, al limite ultimo della vita; che, non contento di istruirsi fino alla morte, vuole ancora che la stessa morte gli insegni qualcosa? Nessuno ha mai filosofato così a lungo» *. Questo è vero. Ma si potrebbero citare altri esempi del genere. Rubellio Plauto aveva presso di sé, come direttori di coscienza, i filosofi Coerano e Musonio, quando gli furono inviati i soldati incaricati di metterlo a morte. Uno dei suoi liberti gli consigliò di resistere; i suoi filosofi lo persuadevano di preferire, a una vita incerta e tremante, la fermezza di una morte prontissima ed egli seguì coraggiosamente il loro parere. Seneca stesso, dopo che si aprì le vene, fece scrivere dai suoi servi un discorso che Tacito afferma di non voler riportare per non sfigurarlo e che d’altra patte è nelle mani di tutti 7, Necessariamente lo spettacolo di siffatte morti doveva suscitare il desiderio e-attirare alla filosofia anime generose, ma inquiete di fronte al grande passaggio. Messi di fronte alla morte dei martiri cristiani, i saggi migliori non la comprendono affatto. Epitteto attribuisce questo coraggio all’abitudine e desidera che lo stesso coraggio sia ispirato ai discepoli mediante il ragionamento e la dimostrazione: giacché Dio ha fatto tutto nel mondo e le parti non esistono che per il bene dell’insieme, è giusto che gli uomini, sapendo di essere parte del tutto, accettino di essere sacrificati per l’utilità del tutto e non gemano quando per essi viene l’ora di andarsene ”. Marco Aurelio scrive da parte sua: «Quanto è bella l’anima che si tiene pronta, se è necessario, a liberarsi subito dal corpo per estendersi, disperdersi o sopravvivere! Ma questo stato di preparazione deve provenire da un giudizio personale e non da un puro spirito di opposizione come nei cristiani. Esso deve essere ragionato, grave e, se vuoi che ti si creda sincero, senza posa tea-

aIsad

Seneca, De tranquillitate animi, Ibid, xav, 10. ‘Tacito, Annales, xv, 63. Arriano, Diatribe, 1v, 7, 6.

x1v, 7/9.

La conversione

filosofica

trale» ”. Solo Gallieno forse rende una giustizia più esatta ai cristiani quando, particolarmente per il loro disprezzo della morte, acconsente a considerarli come filosofi ®. In ogni caso i pagani dichiarano di non aver nulla da imparare per vivere e morire dall’esempio dei cristiani. A loro basta seguire la propria filosofia e imitare le lezioni che danno i loro saggi e i loro santi.

La filosofia pretende infatti di avere i suoi santi, cioè uomini più grandi per natura e degni di essere proposti come modello a tutte le generazioni. Dopo la loro morte, la leggenda si impossessa più o meno rapidamente dei più grandi fra di essi e attribuisce loro sia un’origine divina che poteri miracolosi. Platone riceve un culto, quasi subito dopo la morte, e presto viene presentato come figlio di Apollo. Pitagora, fin dai tempi di Aristotele, viene considerato come un taumaturgo che moltiplica prodigi e profezie; riceve il nome di Apollo Iperboreo e gli abitanti di Metaponto gli rendono un culto. 1 suoi discepoli lo chiamano il divino e, non volendone fare un dio in senso stretto, lo guardano come uno che per se stesso costituisce un genere intermedio tra la divinità e l’umanità. Nel corso dei secoli la leggenda di Pitagora non cessa di arricchirsi di elementi nuovi ed è facile seguire il progresso di questo accrescimento da Eraclide Pontico a Diogene Laerzio, da Diogene a Porfirio, da Porfirio a Giamblico ‘!, Quest’ultimo arriva a scrivere: «Alcuni lo chiamano Pizio, altri Apollo Iperboreo, altri Pacone, altri uno dei demoni che abitano la luna, dicendo che è apparso sotto forma umana agli uomini di un tempo, per l’utilità e il risanamento ‘della vita mortale, per accordare alla natura umana la scintilla salutare della beatitudine e della filosofia. Per cui mai è venuto o verrà uno più grande di colui che gli dèi, attraverso questo Pitagora, ci hanno

dato»

#2,

Quando parla di Epicuro, Lucrezio non è meno entusiasta: Jezioni

tu, o padre, l’inventore della verità, sei tu a prodigarci paterne; nei tuoi libri, o maestro glorioso, simili alle api che

«Sei

“7 Marco Aurelio, Pensieri, x1, 3. ® Gallieno; citato da Ibn-Al-Athir; cfr P_ de Labtiolle, La réaction paienne... cit, p 96. « si Sugli accrescimenti della leggenda pitagorica, cfr M J Lagrange, «Les légendes

2

pythagoriciennes et l’Evangile» Giamblico, op cit, 30.

in Revue Biblique,

78

(1936), pp 481/511.

La santità filosofica

nei prati fioriti, noi ci rechiamo per pascerci delle tue parole d’oro... Non appena la tua dottrina comincia con voce possente a proclamare questo sistema della natura, uscito dal tuo genio divino, subito si dissipano le tenebre dello spirito» ®. vanno bottinando

Con Apollonio di Tiana ci troviamo in pieno romanzo. Noi infatti conosciamo il personaggio solo tramite Filostrato e il pretesto storico non è che un retore desideroso di traspotre, sulla testa di un taumaturgo pagano, «il nimbo di santità che dalla fronte del Cristo itraggiava sui fedeli». Il romanzo d’altra parte arrivò a operare delle conversioni perché, stando alla testimonianza di Dione Cassio, Caracalla innalzò un santuario ad Apollonio ©; Alessandro Severo pose lo sua immagine nel proprio larario accanto a quelle di Abramo, Orfeo e Cristo stesso *; Aureliano risparmiò la città di Tiana che aveva giurato di distruggere, per rispetto alla memoria dell’essere eccezionale che vi era nato “’. Quelli che abbiamo citato sono i più grandi tra i santi della filosofia, ma ve ne sono molti altri. Senza voler insistere ancora su Socrate, venerato da tutta l’antichità, Diogene il Cinico è per Cercida, cento anni dopo la morte, un essere celeste. Epitteto diventa oggetto di una specie di culto. Celso reputa che Orfeo, Anassarco ed Epitteto sono uomini veramente degni dei nostri omaggi. I seguaci di Carpocrate, che sono degli gnostici cristiani, hanno le immagini del Cristo accanto a quelle di Pitagora, Platone, Aristotele e altri ancora ®. Non sono soltanto i loro discepoli, più o meno lontani, a venerare in questo modo i filosofi. L'uomo del popolo si lascia prendere dai bei racconti

fatti della loro vita e della loro morte. Egli ammira di fronte a tiranni crudelissimi che essi rifiutano di adulare e i quali li condannano a motte e li fanno giustiziare senza aver ottenuto la minima concessione. Non è meno sedotto dal racconto delle loro imprese ascetiche, dalla loro resistenza al freddo, alla fame, alla nudità. Li considera un po’ come dei maghi e lo stesso Porfirio non esita ad attribuire a Plotino un potere taumaturgico

che gli vengono il loro coraggio

Li “

Lucrezio, op cit, nr, 9/17. P_ de Labtriolle, op cit, p 188.

ss

Dione

66 U “

Cassio,

op cit,

Livi,

18.

Lampridio, Vita Severi Alexandri, 29. Lampridio, Vita Aureliani, 24. Ireneo, Adversus Haereses, 1, 20, 4; cfr

295/296.

79

AD

Nock, op cit, p 176 e

La conversione filosofica dicendo dèi ®,

che era assistito da uno di quei demoni che sono vicini agli

In questo contesto si comprende come sia stato attribuito, se non alla filosofia, almeno ai filosofi il potere, non solo di fornire una spiegazione della natura, di dare una regola di vita e di aiutare tutti per lo meno a morire bene, ma di insegnare anche la via della salvezza, intendendo questa parola nel senso ad un tempo complesso e impreciso che possiede agli inizi dell’era cristiana. In quest’epoca essere salvati significa anzitutto essere preservati da disastri e da pericoli di ogni tipo: malattia, annegamento, perdita dei beni, guerra, brigantaggio, ingiustizia; significa ottenere la fecondità del suolo, del gregge, del focolare. Gli dèi salvatori sono quelli che difendono e proteggono

gli individui e le città. Tra gli immortali ottengono questo titolo specialmente Esculapio ed Iside. Esculapio perché è il medico, colui che guarisce i malati e ridà vigore ai corpi indeboliti; Iside perché assicura la protezione del gregge e la fecondità del suolo. Tra gli uo-

mini vengono considerati come salvatori soprattutto i re e gli imperatori. Uno dei Tolomei porta espressamente questo titolo. Nel 9 a.C., l’assemblea della provincia d’Asia, fa conoscere in questi termini i

propri sentimenti nei riguardi di Augusto:

«Giacché la provvidenza, che ha regolato il corso della nostra esistenza e che vi apporta tanta cura e liberalità, ha messo il culmine alla perfezione della nostra vita, dandoci Augusto, dopo averlo colmato di eccellenza in vista della felicità degli uomini; giacché essa lo ha inviato a noi e ai nostri discendenti come un salvatore, per porte fine alla guerra e dare un ordine a tutte le cose; giacché Cesare, dopo la sua apparizione, ha adempiuto tutte le speranze che i nostri padri riponevano in lui, non solo sorpassando tutti i benefattori che l'hanno preceduto, ma non lasciando ai suoi successori alcuna possibilità di fare meglio di lui; giacché infine il giorno della nascita del dio è stato per il mondo l’inizio delle buone notizie che gli si devono, l’assemblea decide, su proposta del proconsole Fabio Massimo, di iniziare l’anno nuovo con il giorno anniversario dell’imperatore» P_

” Porfirio, op cit, 10. o Dittenberger, Orientis graeci inscriptiones selectae, 458. Cfr un'iscrizione di Alicarnasso, dopo l’anno 2 d.C. (Inscr Brit Mus, 894): «Poiché la natura eterna ed immortale ha portato a compimento i suoi benefici immensi verso gli uomini, accordandoci, come bene supremo e felicità della nostra vita, Cesare Augusto, padre della propria patria, la dea Roma, Zeus paterno e salvatore di tutto il genere umano, la cui provvidenza non ha solo colmato, ma 80

La santità filosofica Nelle religioni misteriche la salvezza è qualcosa di più. L’uomo vuole essere felice, non solo quaggiù, ma anche per l’eternità, nel soggiorno degli dèi. Egli ha bisogno di una guida per compiere il viaggio faticoso della vita e per trovare il cammino che conduce alla meta desiderata. Il dio salvatore è colui che dirige così i suoi fedeli, mostra loro la strada da seguire, li distoglie dal pantano nel quale rischiano di affondare °!. La salvezza diviene allora l’immortalità felice. -La filosofia assicura la stessa liberazione, la stessa salvezza della religione. Come afferma Albino nel suo Manuale di filosofia platonica: «Essa è, al tempo stesso, desiderio di sapienza, liberazione dell’anima e sua conversione al di fuori del corpo, perché ci volge verso gli intelligibili e gli esseri veri» 2, La filosofia è un medico, cura le anime malate e le guarisce da tutte le infermità .

Fra tutti i filosofi è Epicuro che riceve i titoli di medico e salvatore. Egli non si è contentato di comporre un trattato Sulle malattie e sulla morte, ma «ha dato una panacea, he tetrapharmakos *, tetrafarmacum ”, formula ideale di quattro precetti sufficiente a lenire tutte le piaghe dolorose dell’umanità... A causa dei suoi benefici i discepoli lo considerarono

come superiore alla condizione umana. Insensibilmente la sua scuola si è trasformata in una chiesa *. Questa ha i suoi sacrificatori e le sue cerimonie, periodicamente celebrate in onore del maestro che ha portato la salvezza all’umanità 7, Lucrezio lo invoca le preghiere di tutti gli uomini—in effetti la terra e il mare sono in pace; le città fioriscono nella legalità, la concordia e la prosperità; non c’è paese che non abbia raggiunto il vertice della fortuna e che non abbondi in ricchezze; l’umanità è tutta piena di speranze felici per il futuro e di contentezza per il presente —, conviene onorare il dio con giuochi pubblici e statue, sorpassato

sacrifici e inni». Cfr A J Festugière,

Le monde

gréco-romain,

t 2, pp 7/8.

LI Cfr Platone, Fedone, 69 c: «Chiunque giungerà profano alla casa di Ade e senza essere stato iniziato, sarà sommerso nel pantano; al contrario, chi è stato purificato e iniziato una volta giunto colà, prenderà dimora insieme con gli dèi» (trad

2 3 % in s %

Turolla).

Albino, Introduzione a Platone. Cfr Filone di Larissa, citato da Stobeo, Eclogae, 11, 408. W Croenert, «Neues liber Epikur und cinige herkulanensischen Rollen» Rheinisches Museum fiir Philologie (1901), p 617. Historia Augusta, 1, 21, 4; 1v, 5, 4; xvunl, 30, 6. Cfr F Picavet, «Epicure, fondateur d’une religion nouvelle» in Revue

d’histoire des religions (1893), pp 315/344. Seneca, Epistulae, Xxvul, 9.

bi

81

La conversione filosofica come un dio * e nel fervore della loro gratitudine i fedeli lo celebrano come il salvatore, séter» ” Guaritrice di tutte le malattie dell’anima, liberatrice della morte, maestra della vita umana: con tutte queste promesse, la filosofia doveva necessariamente attirare a sé molti spiriti, alla ricerca della liberazione e della felicità che le stesse religioni non riuscivano più a conservare O a conquistare. Per un certo tempo e per un certo numero di intelligenze la filosofia fu il rifugio supremo di fronte alle inquietitudini e alle angosce di questo mondo. Quando Seneca scriveva a* Lucilio: «Io comprendo o Lucilio che non sono soltanto corretto, ma trasfigurato e d’altra parte non prometto, non spero nemmeno, che non vi sia in me più nulla che debba cambiare. Al contratrio, ci sono ancora in me parecchi punti che debbono essere o incoraggiati, o indeboliti, o perfezionati. Ma la prova del miglioramento di un’anima consiste nel fatto che essa vede i difetti che prima ignorava. Ci si congratula con alcuni malati perché avvertono il loro male. Così ti vortei comunicare il cambiamento inatteso che è avvenuto in me» !”, esprimeva sentimenti che molti contemporanei, convertiti come lui, condividevano. Resta da chiederci attraverso quali mezzi la filosofia operava le sue conquiste.

3. La propaganda dei filosofi I mezzi di propaganda utilizzati dai filosofi sono altrettanto numerosi quanto diversi. Dall’insegnamento privato che il filosofo domestico dà ai figli della casa e spesso anche al padre che non disdegna d’ascoltarlo, fino ai discorsi erogati nelle pubbliche piazze, davanti ad 38 ”

De rerum natura, 11M, 15; Cfr Croenert, Rhbeinisches Museum ae Pbilologie (1901), p 625; J CarAspects mystiques de Rome pdaienne, Paris 1949, p 245. Ai testi citati da Carcopino è facile aggiungerne altri, ad esempio, Cicerone, Tusculanae, 1, 48: «Dicono di essere stati liberati ad opera sua da durissimi padroni»; Idem, De finibus, 1, 14: «ritengo che lui... abbia liberato gli animi degli Lucrezio,

copino,

uomini da grandissimi veramente santo e di

l'hanno ascoltato».

errori»;

Luciano,

Alessandro,

Epicuro è ancora nominato séfsér in una moglie di Traiano agli épicurei di inscriptionum graecarum, cit, 834. 100 Seneca, Epistulae, VI, 1.

di Plotina,

61:

«...Epicuro,

...uomo

divina natura... e solo... divenuto liberatore di quelli che iscrizione

del 121 d.C. (lettera

Atene) in Dittenberger, Sylloge

La propaganda

dei filosofi

ascoltatori curiosi ed avidi di belle parole !!; dai corsi privati dati ad alcuni discepoli nei giardini dell’Accademia o sotto le gallerie del Pecile, fino alle conferenze lette davanti ad un pubblico scelto, in una sala ben avviata; dalle direttive scritte ad un amico e più o meno espressamente destinate alla pubblicazione, fino alle grandi opere in prosa o in versi che sviluppano metodicamente un sistema: tutti i procedimenti sono buoni ad essere utilizzati e sia gli uni che gli altri operano delle conquiste. Dal tempo di Alessandro Magno, se non prima !®, i filosofi diventano i consiglieri abituali dei principi. Alessandro stesso è stato educato da Aristotele e durante le sue campagne tiene Callistene con sé. Lo stoico Perseo abita presso Antigono Gonata; lo stoico Sfero presso Cleomene re di Sparta !; Ecateo, discepolo di Pirrone, presso Tolomeo Lago; Diodoro Cronos e Stilpone presso Tolomeo Sètér; Panareto, discepolo di Arcesila, presso Tolomeo Evergete; Eraclide di Lembro presso ‘Tolomeo Filometore; Cratete presso Attalo di Pergamo !*. Il ruolo che giocano varia naturalmente secondo i re presso cui stanno a servizio e secondo le circostanze in cui si trovano; per lo meno sono presenti e testimoniano così del rispetto che ispitano e dell’autorità morale che viene loro riconosciuta. Nel 155 a.C. la filosofia greca fa per la prima volta la sua apparizione a Roma: l’accademico Carneade, il peripatetico Critolao e lo stoico Diogene di Babilonia vi sono contemporaneamente inviati come ambasciatori, per difendere davanti al senato la causa di Atena, condannata ad un’ammenda di 500 talenti per la distruzione della città di Oropo. Questi strani ambasciatori fanno sensazione nel mondo romano, per le conferenze che danno e le discussioni che sostengono in pubblico. Carneade viene notato per la sua eloquenza fogosa e 101

Cfr

At

17,18/19.

Quando

i filosofi

epicurei

e stoici,

che

avevano

ascoltato Paolo discutere sui giudei nella sinagoga, lo trascinano all’Areopago per fare esporre le sue idee in pubblico, si conformano gli usi di un popolo amante dell’eloquenza e delle novità. Tutti coloro che hanno qualcosa da dire possono esprimersi con libertà; possono star certi di trovarvi sempre degli ascoltatori, se non degli adepti. 102 Può essere qui citato il soggiorno di Platone presso Dionigi di Siracusa. Ma bisogna ammettere che i consigli del filosofo si rivelarono poco efficaci sulla condotta e sulla politica del tiranno. 103 Cfr F Oller, «Le philosophe stoicien Sphairos et l’otuvre réformatrice des rois de Sparte Agis et Cléomène», in Revue des Etudes grecques (1936), pp 536/570. 104 Cfr H Diels, Doxographi graeci, Berlin 1879, p 82, n 2. 83

La conversione filosofica l’abilità con la quale difende egualmente due tesi contraddittorie. Critolao viene lodato per le sue frasi tornite e sentenziose, Diogene per la sua maniera forte e moderata. Il vecchio Catone, preoccupato per l’austerità dei costumi tradizionali, fa rimandare al più presto i greci e cinque anni più tardi una consulta del senato espelle da Roma tutti i retori e filosofi stranieri. Ma i filosofi non tardano a prendere la loro rivincita e a entrare trionfalmente in Roma. Presto li si vede assidui presso i più famosi uomini pubblici che non possono fare a meno della loro presenza e dei loro consigli. Metrodoro è presso Paolo Emilio; C Blossio, discepolo d’Antipatre, presso Tiberio Gracco; Panezio di Rodi presso Publio Scipione; Atenodoro di Tarso e Cordilione presso Catone di Utica; lo stoico Diodoto presso Cicerone; Antioco presso Lucullo; Filodemo presso Pisone, Nicola il Peripatetico presso Erode. Del resto la maggior parte di questi personaggi, nella loro giovinezza, hanno frequentato le scuole della Grecia ed hanno ascoltato i filosofi a casa loro, nel loro ambiente di origine. Non fanno altro quindi che restare fedeli alle vecchie abitudini continuando a fare appello ad essi al loro rientro a Roma. L’impero continua le tradizioni della repubblica e gli imperatori sono i primi a darne l’esempio: Ario Didimo, Atenodoro e Teone sono in qualche modo i cappellani privati di Augusto. Marco Aurelio, filosofo egli stesso, fa di Rustico il suo consigliere intimo e nei Pensieri ricorda con riconoscenza tutti coloro che hanno contribuito alla sua formazione spirituale: gli stoici Apollonio, Sesto, Catulo, Massimo, il platonico Alessandro, il peripatetico Severo. Nell’intervallo, soprattutto sotto il regno di Nerone e Domiziano, occorre passare delle brutte ore. Ma anche allora i filosofi non interrompono il loro apostolato, come apprendiamo da Seneca !”., Nel 1 secolo dell’era cristiana, le grandi famiglie di Roma hanno il loro filosofo domestico, che istruisce i giovani e dirige la coscienza dei genitori. Questi filosofi danno quindi lezioni private ai loro discepoli. A volte sono ammessi ad assistere degli estranei, in piccolo numero; ma questi vi figurano come ascoltatori muti, senza prender parte alle discussioni che possono 105 «Tra questi filosofi, Seneca cita Attalo, Fabiano, i due Sesti, Sozione; si può aggiungere il platonico Trasillo, sotto Tiberio, e Musonio Rufo, un cavaliere romano che tenne scuola di stoicismo sotto Nerone, fu da questi condannato all’esilio e svolse un ruolo importante nella conversione di un certo numero di romani delle classi elevate». A J Festugière, Le monde grécoromain,

t 1, cit, p 175,

n 2.

84

La propaganda dei filosofi sorgere tra il maestro e i discepoli ed è già per essi un favore raro Come diessere ammessi ad ascoltare insegnamenti confidenziali . rettori spirituali i filosofi sono ammessi nell’intimità della casa. Essi insegnano, ai membri della famiglia in cui vivono, il segreto del vivere bene e, occorrendo, quello del morire bene. È frequente durante i tempi dei tiranni come Caligola, Claudio, Nerone, Domiziano, vedere il senato decimato, la nobiltà duramente colpita. Soprattutto allora le lezioni dei saggi danno il loro frutto. Tra coloro che fanno professione di filosofia, sono molti quelli che non limitano la loro attività all’interno di una famiglia, per quanto altolocata. Essi dirigono persone in tutta la società romana. Il caso più noto è quello di Seneca che, per un certo periodo, è la guida di Paolino, Marcellino, Sereno, Lucilio e di altri, desiderosi ancora di un insegnamento solido. «Un padre di famiglia per suo figlio non ha cure maggiori di quelle con cui Seneca veglia sulla sua piccola famiglia di discepoli o, se si può dire, di penitenti. Egli prescrive loro le letture da fare; regola l’impiego delle loro giornate; richiede dei rapporti esatti sui minimi incidenti della loro vita morale. Legge tra le righe delle lettere che gli scrivono, per vedere se tentano di ingannarlo e non teme di interrogare sul loro conto quelli che li frequentano abitualmente o che abitano nella loro provincia... È un direttore di coscienza scrupolosissimo» !”

Più tardi lo stoico Cornuto gioca un ruolo analogo e Persio ci ha confidato ciò che fu, per la sua giovinezza casta, questo maestro amatissimo: «Nel momento in cui la strada si biforca e quando l'inesperienza fuorviante della vita porta gli spiriti indifesi ai crocevia in cui si confondono le strade, mi sono riservato per te, sei tu che accogli la mia tenera età sul tuo seno socratico, Cornuto. Allora la regola, abile a dissimularsi, raddrizza col suo contatto una moralità accartocciata, la mia anima sente pesare su di sé la ragione, lavora a lasciarsi vincere e, sotto il tuo pollice, si plasma in opera d’arte. Con te, mi ricordo, io passavo in effetti lunghe giornate assolate e banchettavo all’inizio della notte. Di fatti in due facciamo uno, per regolare d’accordo lavoro e riposo e ci rilassiamo seriamente con un pasto disecreto»

1%,

106 Cfr A J Festugière, «Le Logos hermétique d’enseignement» in Revue des Etudes greques (1942), p 88s. 107 L Levrault, Sé&nèque, Lettres è Lucilius, 1/xv1, Paris 1897, p 39. 108 Persio, Satirae, v, 34/44. Altrove, Satirae, TI, 665. Persio ricorda tutto 85

La conversione filosofica L'insegnamento scolastico raggiunge una cerchia più vasta che non la direzione di coscienza. Almeno a partire da Pitagora, sono esistite scuole filosofiche chiuse molto rigidamente e all’interno delle quali il maestro poteva sviluppare dottrine che non avrebbe voluto esporre davanti al grande pubblico. Sembra che i metodi tradizionali fossero ancora in funzione nei primi secoli dell’era cristiana e che Giamblico si riferisca al suo tempo, quando descrive l’insegnamento ricevuto alla scuola di Pitagora in questi termini:

«I membri del didascaleion, questa moltitudine di uomini di grande fama e dai talenti prodigiosi, si guardavano bene dall’usare il comune linguaggio ordinario, in uso presso tutti, per rendere immediatamente intelligibili ai loro uditori, da una parte le lezioni orali e le dispute scolastiche, d’altra parte le redazioni e le note del corso, infine le composizioni compiute e date al pubblico e di cui la maggior parte si è conservata fino a noi. Essi non cercavano di facilitare l'intelligenza di ciò che era stato detto. Al contrario, seguendo il precetto, che aveva loro imposto Pitagora, di essere riservati sui divini misteri, usavano dei metodi segreti per guardarsi dai non iniziati e ricoprivano col velo dei simboli le loro discussioni verbali e i loro scritti» 1° Plotino non si comporta diversamente dai maestri delle scuole pitagoriche. Egli non è disposto a sviluppare il suo pensiero che in presenza di uditori sulla cui fedeltà e discrezione può contare. E se è necessario non esita a rompere con coloro che lo potrebbero tradire. All’inizio del suo corso si comincia per leggere un passaggio di Aristotele o di Platone, o di qualche altro, con un commentario. Allora il maestro prende la parola per spiegare ciò che è stato letto, ma si guarda

bene dal fare una conferenza di seguito; preferisce farsi in-

ciò che bisogna

chiedere

alla filosofia:

«Istruitevi

e rendetevi

conto,

disgraziati,

delle cause delle cose. Cosa siamo e in vista di quale esistenza veniamo al mondo; quale rango ci è stato assegnato o piuttosto, per dove e da dove si prende dolcemente il tornante del limite, qual è la misura del denaro; quali desideri gli dèi ci permettono di formare; cosa può servire una moneta dal rilievo saliente; quali liberalità converrebbe fare verso la patria e verso i cari genitori; chi ti comanda di essere la divinità e quale posto occupi nell’umanità». Qui i problemi sono molto mescolati. Ma il primo posto è lasciato, come è giusto, alle preoccupazioni morali. 109 Giamblico, op cit, 104; su questo testo cfr W Bousset, Jiidisch-chriAJ Fe silicher Schulbetrieb in Alexandria und Rom, Gàéttingen 1915, p 4; stugière, «Le Logos hermétique d’enseignement», cit, p 86s. 86

La propaganda dei filosofi terrogare da uno dei discepoli e rispondere alle questioni, in maniera tale che la lezione sia una serie di domande e risposte. A volte ci si meraviglia di questo. Ma se non mi si facessero domande, risponde Plotino, non avrei obiezioni da risolvere e non avrei nulla da dire che possa essere scritto !!, Egli non parla volentieri davanti ai suoi pari o emuli. «Un giorno Origene venne al suo corso; egli arrossì e volle alzarsi; pregato da Origene di parlare, disse che non ne aveva più desiderio, perché era sicuro di rivolgersi a persone che sapevano quel che avrebbe detto; la discussione continuò un po’ e si alzò per andarsene» !!!, Niente di meno solenne e preparato delle sue lezioni. Il maestro non segue un ordine determinato, non ha in vista la redazione di una somma delle sue conoscenze o di una sintesi delle sue idee. Si lascia andare secondo il gioco delle circostanze, seguendo ciò che giudica più utile per la formazione dei suoi discepoli. L’essenziale ai suoi occhi è di formare gli spiriti, convincerli, elevarli, cambiarli. Le conferenze o le letture sono indirizzate ad un pubblico più vasto di quello delle lezioni scolastiche. Ma quelli che vi assistono partecipano spesso più per curiosità che come amici della saggezza. Sono gli sfaccendati che non sanno come impiegare il tempo delle loro giornate, i mondani che devono rendere una gentilezza accogliendo l'invito che è stato loro fatto, gli indifferenti che vogliono conformarsi agli usi della società e che credono un dovere andare ad ascoltare la conferenza alla moda !2, In un tempo nel quale si legge relativamente poco a causa della rarità dei manoscritti e del loro prezzo ele-

tutti gli autori di fama si ritengono obbligati a dare lettura delle loro opere !’, «Quasi tutti gli scritti dell’epoca imperiale rispondono ad una preoccupazione dominante: quella della lettura ad alta voce vato,

davanti a un uditorio. Ogni scritto o è stato scritto in anticipo per essere letto pubblicamente, o è una redazione, stenografata o no, di

una lettura. Anche un genere come la storia non sfugge a questa legge e ancor meno la filosofia. L’infatuazione per la lettura pubblica 110

Pottirio,

op

cit,

13.

111 Porfirio, ibid, 14. 112 Seneca, Epistulae, CvIII, 3: «Alcuni vengono per sentire e non per imparare, così come andiamo a teatro, per piacere, per allietare le orecchie con i discorsi, 0 siamo condotti dalla voce e dalle favole. Vedrai un gran numero di questi uditori, per i quali la scuola del filosofo è un rifugio ozioso...». 113 Cfr, tra molte altre testimonianze, Plinio il Giovane, Epistulae, 1, 13; 11, 18; Iv, 5; v, 17; v1, 17 ecc.

87

La conversione

filosofica

è tale che si arriva a recitare vecchie opere che non erano state scritte affatto per quest’uso» !!$, a rappresentare ad esempio, in modo drammatico, i dialoghi di Platone !"5. Per lo più le conferenze filosofiche battono su problemi pratici, come il matrimonio, i diritti dei genitori, l’esilio, la violenza, la collera, la clemenza, il ruolo della donna nella società, l’amicizia ecc. Esse si ricollegano facilmente alle declamazioni dei retori che prendono spesso come argomento queste stesse questioni e al più se ne distinguono per le caratteristiche esteriori. I retori infatti si sforzano di esercitare lo spirito dando un tono paradossale ai problemi agitati. 1 filosofi prendono invece le cose dall’alto e più che alla maniera sottile di trattare i problemi sono interessati alle soluzioni. La differenza non è sempre facile da stabilite e non è strano che i filosofi a volte si scaglino contro la retorica e rifiutino energicamente di essere assimilati ai sofisti !, Così quando Seneca il Retore, vedendo il giovane figlio manifestare disposizioni troppo accentuate per la filosofia 117, lo riporta quasi a forza all’eloquenza, non fa un calcolo così buono come crede e, anche da retore, Seneca trova l’occasione di trattare gli argomenti che gli sono cari. Senza rotture, ritornerà alla filosofia al momento opportuno. Accanto al pubblico coltivato al quale si indirizzano i conferenzieri, di fama, vi è la folla. Per essa la filosofia è soprattutto rappresentata dai cinici. Abbiamo già parlato di questi predicatori da crocicchi, che cercano di evangelizzare il basso popolo e percorrono le strade, sporchi, cenciosi, i capelli mal tagliati e la barba irsuta. Le persone più elevate fanno a gara a prendersi beffe di loro e la letteratura sfrutta il Joro genere di vita come argomento di battute senza fine. I cinici lasciano parlare e continuano nella loro propaganda. Che tra 114 E Brehier, Plotin, Ennéades, t 1, cit, p xxvI. 115 Plutarco, Questioni conviviali, vir, 1. 116 Epitteto manifesta spesso il suo cattivo umore dopo le conferenze, per il resto piene di talento, fatte dai discepoli e teme di preparare per il futuro retori invece di filosofi: Diatribe, 11, 1, 29s; Porfirio, op cit, 13 e 18, si lamenta delle persone che trattavano Plotino come un chiacchierone inesauribile: «Lo disprezzavano, perché non comprendevano ciò che diceva... Egli era completamente libero dalla pompa e dall’orgoglio di un sofista; i suoi corsi somigliavano a conversazioni»; Aulo Gellio, Noctes Atticae, v, 1, cita parole severe di Musonio Rufo contro i declamatori. 117 Seneca, Epistulae, cvilt; Consolatio ad Helviam, xv. 88

La propaganda dei filosofi di loro vi siano degli sfruttatori è fuor di dubbio, ma altri, e molti, sono dei convinti che hanno l’ambizione di convertire molte anime alla saggezza, a volte un po’ corta, ma spesso più corroborante di quel che ad esempio le satire di Orazio vorrebbero farci credere !!%, Si deve ammettere che il successo dei cinici non è sempre considerevole. I bambini si beffano di loro, della loro sporcizia, del loro bastone che fa pensare alla mazza d’Ercole. I grandi li lasciano chiaccherare a piacimento e non si fermano nemmeno per ascoltare i loro discorsi ripetuti continuamente e le loro banali esortazioni alla virtù. Nonostante tutto, il loro disinteresse, la loro facondia a volte solenne e burlesca, i loro appelli reiterati alla fraternità umana, le loro promesse di un avvenire migliore, finiscono per fare una certa impressione. Anche coloro che non si convertono, in definitiva quasi tutti gli uditori di occasione, ritengono qualcosa dei loro discorsi. Si sentono meglio preparati, all’Occorrenza, a disprezzare la ricchezza, ad accettare le prove e la morte stessa senza lamentarsi, forse anche a praticare la virtù. A forza di essere ripetute in mille maniere, le idee dei cinici, mescolate per il resto a molte altre di origine pitagorica, platonica, stoica, penetrano le anime e creano una mentalità. Agli inizi dell’era cristiana, un po’ prima o un po’ dopo secondo i luoghi e le circostanze, un buon numero di queste idee fa parte integrante del patrimonio spirituale dell’impero greco-romano.

118 Cfr Orazio, Satirae, 11, 3. Damasippo che, dopo aver perduto tutta la sua fortuna e tentato di annegarsi, si è convertito alla filosofia, racconta così la sua conversione: «Non t’illudere, mio bene; voi siete pazzi, tu e la gente

irragionevole;

sì, quasi

tutti

gli uomini

lo sono,

se vi è verità

nelle

parole che pronuncia Stertinio e di cui io, suo docile allievo, ho messo per iscritto i precetti ammirevoli, al tempo in cui, avendomi riconfortato, mi ha domandato di nutrire la mia barba filosofica e di ritornarmene senza tristezza dal ponte Fabricio. Avevo fatto dei brutti affari e volevo precipitarmi nel fiume con la testa coperta, quando egli, sorgendo alla mia destra, mi dice: guardati dal non far nulla che sia indegno di te. Una falsa vergogna ti tiene alla gola, quando hai paura di passate come insensato fra gli insensati». A questo punto il filosofo fa un lungo discorso, alla fine del quale il disperato si dichiara conquistato alla filosofia. Altrove, Satirae, 11, 7, è lo stesso schiavo di Orazio Davo, che è divenuto filosofo ed il quale, approfittando della libertà dei saturnali, redarguisce il padrone. 89

La conversione filosofica 4. Insufficienza della filosofia «I greci cercano la saggezza» !’, Con queste parole, l’apostolo Paolo ritiene di poter riassumere, con un solo tratto, l’aspirazione fondamentale dei suoi nuovi uditori, quando, dopo aver evangelizzato una buona parte dell'Asia Minore e della Macedonia, arriva in Grecia. Fin dalla prima tappa in questo paese, ad Atene, si scontra con dei filosofi stoici ed epicurei, curiosi di ascoltarlo ”., A Corinto viene chiamato a comparire davanti al proconsole d’Acaia, Gallione, che non è altri che il fratello di Seneca. E quest’alto personaggio, senza nemmeno prendersi la briga di ascoltare, gli toglie la parola fin dalle prime battute: «Se si trattasse di um’ingiustizia o di un crimine, me ne interesserei volentieri. Ma giacché non si tratta che della legge giudaica, di parole e di nomi, vedetevela tra di voi. Io non voglio di queste cose» 1, In questo momento son passati più di quattrocento anni da

essete giudice

quando Socrate ha bevuto la cicuta per aver insegnato l’importanza sovrana della conoscenza di sé. Son passati duecento anni da quando i filosofi greci hanno messo piede a Roma. Quale uso greci e romani

hanno fatto della filosofia e quanti sono in mezzo ad essi i convertiti? Niente è mancato durante questo lungo periodo, almeno così sembra, perché essa moltiplicasse le conversioni. Essa ha usufruito fin dall’inizio del prestigio che danno la scienza e la nascita. Se Socrate è figlio di uno scalpellino e di una levatrice, Platone appartiene ad una famiglia aristocratica di Atene e uno dei cugini, Crizia, figura nel numero dei trenta tiranni. A Roma gli uomini più considerevoli si danno alla filosofia, quasi subito dopo l’espulsione di Carneade e dei suoi compagni d’ambasciata. Cicerone, quando volgarizza con i suoi scritti i temi usuali della filosofia greca, ha esercitato splendidamente tutte le magistrature e ha salvato la repubblica dagli intrighi di Catilina. Lucrezio è di razza nobile e la gens Lucretia è tra le più note ed illustri della capitale. Più tardi Seneca, che continua l’opera intrapresa da Cicerone, è il precettore del futuro Nerone e, durante i primi anni del regno del suo pupillo, esercita presso di lui le funzioni di primo ministro. Con Marco Aurelio infine la filosofia sale 119 120 121

1 Cor 1, 22. At 17, 18. At 17, 14/15. 90

Insufficienza della filosofia

sul trono e l’impero vede, senza meravigliarsi,

un saggio presiedere ai suoi destini. È vero che, tra i filosofi, non tutti hanno la stessa origine e che molti hanno cominciato per condurre una vita molto umile. Epitteto è stato persino schiavo e lo ricorda senza millanteria e senza vergogna. Ma tutti godono almeno del prestigio che conferisce il possesso della saggezza e questo prestigio, già grande agli occhi dei contemporanei di Platone, non fa che crescere con gli anni. Il saggio è proclamato felice dai suoi contemporanei, perché ha penetrato la ragione dei fenomeni *, I ricchi lo ammettono alla loro intimità, anche se non è eguale per fortune e per nascita, ed il popolo prova nei suoi riguardi una simpatia rispettosa, frammista spesso a un po’ di cimore. Tutte le porte gli sono aperte. Sembra che gli basti presentarsi per moltiplicare le sue conquiste. Anche i cinici, di cui ci si fa beffe, alla fine ottengono la confidenza di un gran numero di gente. Come è possibile, in queste condizioni, che il bilancio della filosofia si chiuda con un fallimento? Non bisogna infatti esitare ad impiegare questa parola. Dopo lunghi secoli di propaganda, intrapresa in apparenza sotto i migliori auspici, la filosofia non ha convertito gli uomini. Senza dubbio essa ha ottenuto un certo numero di successi belli e magnifici. Noi abbiamo ricordato qualcuna delle conversioni operate: essa ha il diritto di esserne orgogliosa ®, Ma cosa significa questo di fronte alle moltitudini che soffrono nell’ignoranza e nel-

La maggior parte dei filosofi non si cura che degli uomini liberi, dei cittadini, dei ricchi. Essi hanno un bel dire. La loro predicazione è anzitutto aristocratica. In questo essi sono sottomessi alle esigenze tiranniche dei costumi e delle leggi che permettono loro di proclamarsi tutt’al più cittadini del mondo e fratelli dei loro schiavi, ma che li obbligano a trattare gli stranieri come barbari e gli schiavi come inferiori, a volte persino come bestie da soma. All’apl’inquietitudine?

2 Virgilio, Georgica, 11, 490: «Felice colui che ha potuto conoscere le cause delle cose». 123 Particolarmente commovente l’attrazione che esercita la filosofia sulle anime giovani. Apollodoro è entusiasta di Socrate. Seneca, fin dalla sua giovinezza, pratica l’astinenza dei pitagorici (cfr Epistulae, CvuI) e il padre è costretto,

per moderarne

lo zelo, non

solo

a mandarlo

a scuola

dai retori,

ma

a farlo viaggiare in Egitto. Persio è conquistato dall’esempio di Cornuto. Marco Aurelio pretende, verso i 14 anni, di coricarsi su un giaciglio e sua madre deve intervenire per fargli accettare delle pelli come materasso. 91

La conversione

filosofica

prossimatrsi dell’era cristiana, lo sviluppo vittorioso dell’impero romano, con tutte le conseguenze politiche e sociali che comporta, modifica un po’ il vecchio ordine delle cose, ma non le trasforma a sufficienza perché possano tradursi in realtà le belle teorie degli stoici. Petsino nelle opere dei migliori discepoli degli stoici, in quelle di Seneca in particolare, «nonostante l’affermazione ripetuta dell’uguaglianza di tutti gli uomini, si trovano facilmente testi da cui traspare la sua fierezza di romano e la sua diffidenza, mescolata a disprezzo, per i graeculi» 4, Anche più tardi, molto più tardi, quando il cristianesimo avrà moltiplicato le sue conquiste in tutte le classi sociali e persino tra gli intellettuali più appassionati della saggezza, uno dei grandi rimproveri che si continuerà a rivolgergli sarà la sua stupidaggine, il suo disprezzo, non solo per gli insegnamenti fallaci della filosofia umana, ma anche per l’arte del bel dire, per le ricerche di stile, per l’osservanza delle regole della grammatica. Fino alla fine del Iv secolo la chiesa si troverà davanti avversari di questo genere. Non è questa la confessione migliore di una tara congenita in tutti i pagani conquistati alla filosofia? Una parola basta a caratterizzarli e per ciò stesso a condannarli: l’orgoglio. Si credono superiori agli altri perché sanno quello che gli altri ignorano e perché spesso praticano una rinuncia alla quale gli altri rifiutano di sottomettersi. I migliori sono a questo punto. Cosa dire degli altri? V’è di più ancora. La filosofia non apporta il vero rimedio ai mali di cui soffre l’umanità. 1 più convinti e sinceri tra coloro che essa ha convertito, finiscono, a un dato momento, per rifugiarsi nell’astensione. Essi non sanno o, almeno, non sono sicuri. Cicerone non osa risolvere il problema della natura degli dèi. Alla fine del dialogo che porta questo titolo, rinvia la questione a un’occasione migliore, la qual cosa costituisce un modo elegante per squagliarsela. Seneca non sa quasi nulla sull’anima e si limita a porre delle domande: «Da dove viene l’anima? Qual è la sua natura? Quando inizia?

Passa essa da un luogo all’altro.e cambia di domicilio per animare alternativamente esseri di specie differente? Non è rinchiusa una sola volta e non torna a errare per lo spazio? È essa corpo o no? Cosa farà quando avrà finito di agire tramite nostro? Come userà della della libertà quando sarà uscita da questa prigione? Dimenticherà il 124

P_

Fabre, Le monde gréco-romain, 92

t 1, cit, p 176.

Insufficienza della filosofia passato e comincerà a conoscersi quando, separata dal corpo, sarà al cielo?» !5,

salita

Le questioni sono poste molto bene. Ma esse non ricevono presta

risposta. A volte Seneca si lascia trascinare da nobili speranze e all’anima queste parole:

«Venga il giorno che separerà la mescolanza di divino e umano di cui sono composta, abbandonerò la mia argilla là dove l’ho presa e mi riunirò agli dèi. Anche qui comunico con loro, ma una pesante catena mi tiene legata alla terra. I ritardi di questa vita mortale sono il preludio di una vita migliore e più duratura... Il tempo che passa dall’infanzia alla vecchiaia ci matura per una seconda nascita. Un’altra origine, un mondo nuovo ci attende» !%,

Questi passaggi sono rari nella sua opera. Se fossero più frequenti, la loro imprecisione sarebbe sufficiente ad inquietarci. Sotto il tintinnio delle parole, si dissimula a stento il vuoto del pensiero. Il filosofo non sa. Egli spera e teme, secondo il suo temperamento morale e le circostanze. Non è sicuro di niente e finisce per confessarlo. «Abbiamo del tempo di resto? Sappiamo vivere? Sappiamo morire?» 77, Al fondo è quest’ultimo problema che interessa maggiormente il filosofo. L’essenziale ai suoi occhi è uscir bene dalla vita. Non importa se ha potuto rappresentare solo tre atti al posto dei cinque sui quali contava: tre atti fanno un pezzo completo !%, Quando il sipario cade, bisogna esser capaci di salutare il pubblico e di lasciare con dignità la scena: «Se uno degli dèi ti dicesse, scrive Marco Autelio, che tu morrai domani, o al massimo, posdomani, tu non daresti più importanza al fatto che questo accada fra due giorni o domani, ammenocché tu non sia l’ultimo dei vigliacchi. Qual è infatti la dif-

ferenza? Allo stesso modo non devi credere che sia un vantaggio morire dopo molti anni, piuttosto che domani» !”. Sono dei pensieri forti, ma che non cercano nemmeno di nascondere lo scoraggiamento che li ispira. Agire, senza sapere a quale scopo, perché siamo una parte di questo grande universo; credere agli dèi senza averne la ra125 126 127 128

Seneca,

Epistulae, LOT. Ibid, cu. Ibid, x1v. Matco Aurelio, Pensieri, xtI, 36.

»

Ibid,

1v, 47.

93

La conversione

filosofica

gione decisiva ” e quindi coricarsi attendendo la morte: ecco dove sfocia lo sforzo della filosofia antica. Essa chiede all’uomo di consacrarsi interamente ad essa, e dopo aver ottenuto un abbandono totale lo conduce ad una tomba scavata di fresco, per mostrargli il posto del riposo: questo spettacolo merita veramente una conversione?

130 Ibid, xi1, 28: «A coloro che ancora domandano: dove hai visto gli dèi? Da che cosa costati l’esistenza di coloro che onori?, risponderei: in primo luogo, essi sono invisibili ai miei occhi. In seguito, non ho visto nemmeno la mia anima e tuttavia la rispetto. Lo stesso vale per gli dèi. Attraverso i segni della loro potenza, che essi mi fanno provare in ogni circostanza, costato che esistono e li venero». 94

Capitolo terzo LA CONVERSIONE AL GIUDAISMO

Tra le religioni conosciute dall’antichità, ce n’è una che si distingue da tutte le altre per le sue speciali caratteristiche: il giudaismo. In effetti il giudaismo è in primo luogo, oltre che una religione, un popolo. A prima vista, questo tratto non basta per farne qualcosa di particolare. Abbiamo già detto come tutte le religioni antiche siano strettamente legate alla nazionalità: il condannato politico che è gettato in esilio, perde al tempo stesso i diritti di cittadino e le prerogative religiose. Egli non ha più né focolare, né altare. Il meteco che abita in una città straniera, non vi gode di alcun diritto politico e non può, salvo eccezioni, prendere parte attiva al suo culto. Tuttavia, nella misura in cui le città autonome cedono il posto ai grandi imperi, questi legami tendono a sciogliersi. Al culto locale si sovrappongono i culti nazionali o internazionali, che possono essere celebrati da tutti e dappertutto. Non c’è greco che non sia adoratore di Zeus, di Apollo, di Demetra. A partire dal 1 secolo dell’era cristiana, tutti i cittadini dell’immenso impero romano comunicano nella religione di Roma e di Augusto e la celebrazione del culto imperiale li avvicina più di quanto non avrebbero saputo fare le bellissime dichiarazioni dei filosofi sulla fraternità umana. Solo i giudei fanno eccezione alla regola. Invano, attorno ad essi, si modificano le circostanze politiche. Invano, essi stessi, dopo essere stati sottomessi alla dominazione persa e quindi a quella greca, sono divenuti sudditi dell’impero. Non per questo smettono la loro pretesa di costituire un popolo, una nazione. Essi hanno a Gerusalemme il loro tempio e i loro sacerdoti: questo è sufficiente 95

La conversione al giudaismo perché Gerusalemme resti ai loro occhi, la capitale del loro stato. Essi sono dispersi in tutti i paesi del mondo, hanno sinagoghe in tutte le città importanti del bacino mediterraneo e al di là delle frontiere imperiali; essi parlano greco, latino, persiano, siriaco, se è necessario. Cosa importa? Essi sono prima di tutto esclusivamente giudei. Ciò che è più significativo è che le autorità civili, le une dopo le altre, riconoscano la loro pretesa e accordino loro dei privilegi che non sono riconosciuti a nessun altro raggruppamento nazionale. I nomi con i quali sono designate le comunità giudaiche possono cambiare, ma la realtà ricoperta da questi nomi resta essenzialmente la stessa. Il popolo giudeo in quanto tale è riconosciuto, sia dai successori di Alessandro Magno che dagli imperatori romani, ed è l’unico ad esserlo !. C’è di più. La religione giudaica è esclusiva di qualsiasi altra. ] pagani possono adorare tutti gli dèi che vogliono. Più ne adorano, più protettori hanno in cielo e più possibilità hanno di vedere le loro preghiere esaudite. Lo stesso individuo può essere iniziato ai misteri di Iside, di Mitra, di Demetra. Queste iniziazioni non si escludono vicendevolmente, non di più, ad esempio, delle diverse confraternite che coesistono nel cattolicesimo. Gli spiriti coltivati aggiungono d’altra parte che, sotto nomi molteplici, è sempre l’unico principio divino ad essere adorato ed è possibile intendere questa affermazione sia in senso monoteistico che panteistico. L’uomo comune non si preoccupa di guardare le cose così da vicino. Senza cercare di ragionare, egli si contenta di rendere omaggio agli dèi più svariati e nt merosi. Diversamente stanno le cose nel giudaismo. Il primo dei comandamenti dato da Dio a Mosè è così concepito: «Io sono Jahwe il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa della schiavitù. Tu non avrai altri dèi davanti a me. Tu non ti farai immagine intagliata, né figura alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che 1 Cfr E Schirer, Geschichte des jiidischen Volkes im Zeitalter Jesu Christi, tv ed, t 3, Leipzig 1909, pp 71/121; J Juster, Les Juifs dans l’empire romain, leur condition juridique, économique et sociale, t 1, Paris 1914, pp 413/424. Secondo i luoghi, le organizzazioni giudaiche si chiamano spesso politeuma, politeia, katoikia, thiasos, proseuche, synodos, synagb6ghe, stematos, ethnos,

laos,

universitas,

corpus

o, semplicemente

iudaei.

«Il

loro

carattere

proprio non è intaccato dalla diversità di queste appellazioni... A questa diversità di nomi risponde forse una varietà nei dettagli dell’organizzazione interna.

Una cosa pertanto

resta

certa:

nell'impero

romano,

sotto i diversi

nomi,

con dei diritti locali forse più o meno estesi, l’organizzazione locale dei giudei si presenta sempre con lo stesso carattere specifico di corpo nazionale, cellula della nazione giudaica»: J Juster, op cit, pp 417/418. 96

La conversione al giudaismo è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non

ti prostrerai davanti ad esse e non le servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso che punisce le colpe dei padri nei figli, fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma

che dimostra il suo favore a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi» ?, Dopo il ritorno dalla schiavitù babilonese, forse soprattutto dopo la sollevazione e il trionfo dei Maccabei, restano definitivamente vinte le seduzioni del politeismo, contro le quali per secoli avevano lottato invano i profeti. Non c'è più giudeo al mondo che non sia, fino alla morte, attaccato al dogma fondamentale dell’unità divina 3. Ne consegue che, se un pagano desidera convertirsi al giudaismo, deve rinunciare a servire i suoi dèi nazionali, quelli della sua famiglia e della sua città, astenersi persino dal culto ufficiale di Roma e di Augusto *, per consacrarsi esclusivamente a Jahwe. Egli deve rinun2 Es 20, 2/6. 3 Cerchie pagane più o meno estese sono state influenzate dalla religione giudaica e hanno a volte introdotto Jahwe nel loro panteon. I papiri magici sono pieni di invocazioni indirizzate a Jao: cfr A Dieterich, Abraxas, Gòttingen 1891, pp 68/71; A J Festugière, L’idéal religieux..., cit, pp 287/288. Nelle provincie del Ponto e della Cappadocia, ancora nel Iv secolo d.C., si trovano dei sebomeniî ton Theon bypsiston, che hanno dimestichezze giudaiche. Fra gli adepti di questo culto vi fu Gregorio il Vecchio, il padre di Gregorio di Nazianzo. Cfr E Schiirer, «Die Juden im bosporaniscehn Reiche und die Genossenschaften der cefibuevoi Geòy USdiotovy ebendaselbsi» in Sitzungsberichte der Berliner Akademie der Wissenschaften (1897), pp 200/225;

F Cumont, «Hypsistos» in Supplément à la Revue de l’Instruction publique en Belgique

(1897).

Un'iscrizione

trovata

nei

dintorni

di Eleusa

in Cilicia ri-

corda una comunità di sabbatistai che venerano «il Dio sabatico»: Dittenberger,

op cit,

573. L’epiteto

«sabatico»

accostato

al nome

di Dio

è strano

e

rivela a colpo sicuro una provenienza giudaica. Non ci possiamo tuttavia occupare di questi casi di sincretismo o di altri analoghi, di conversione. Riteniamo tuttavia utile averli ricordati.

perché

non

si tratta

4 Questo punto non costituisce tuttavia difficoltà particolari, perché i giudei ottengono molto spesso il permesso di dar prova della loro lealtà verso l’imperatore in maniera diversa dalle cerimonie richieste ai pagani: «Nella diaspora, i giudei sostituivano i sacrifici all'imperatore, che dovevano essere fatti nei templi dell’imperatore, con preghiere nelle sinagoghe, focolari del culto imperiale, come le chiama.-Filone, in Flaccum, 7, e indirizzate a Jehovah

per l’imperatore.

In Palestina,

a Gerusalemme,

si fanno dei

sacrifici

a nome di tutti i giudei, ma è a Jehovah che sono indirizzati e non all'imperatore; ci si trova nel tempio giudaico di Dio e non nel tempio di Cesare. Queste

preghiere

e questi

sacrifici

specificamente

97

giudaici

non

costituiscono

La conversione al giudaismo al tempo stesso alla sua nazionalità, alla sua razza, per diventare uno di questi giudei disprezzati contro i quali la folla dei pagani ciare

sembra non avere sarcasmi a sufficienza. Una siffatta conversione, con tutte le esigenze che comporta, è realmente possibile? Ecco ciò che dobbiamo chiederci dapprima.

1. La presenza dei giudei nell’impero Attorno all’era cristiana, i giudei sono sparsi nel mondo intero. Li si ritrova ovunque ci sia del denaro da guadagnare e del commercio da fare, fortemente raggruppati tra di loro e con una vita separata, in disparte dalle nazioni di cui ricevono l’ospitalità. Nelle grandi città, può persino accadere che essi posseggano quartieri speciali. Ad Alessandria i diadochi hanno riservato loro un quartiere, «perché potessero condurvi meglio una vita pura, senza mescolarsi agli stranieri». Al tempo di Filone, si sono moltiplicati in modo tale da riempire due quartieri su cinque, cioè da sciamare nell’intera città. A Roma risiedono soprattutto nella regione di Trastevere, ma li si trova uguak mente nella Suburra e altrove. Vi hanno almeno 13 sinagoghe e, all’epoca di Tiberio, su una popolazione totale di 800.000 abitanti, raggiungono il numero di 50 o 60 mila. Ad Antiochia, dove sono attirati dallo stesso fondatore della città, godono privilegi considerevoli e posseggono redditi notevoli 5. Giuseppe, senza dare alcuna cifra, afferma che essi costituiscono una parte importante della popolazione. Sarebbe facile moltiplicare gli esempi. Da Dura-Eurtopos fino alla Spagna non c’è paese che non sia stato raggiunto dalla dispersione giudaica. Ovunque i giudei si impongono all’attenzione, perché non vivono come gli altri. Non frequentano i templi degli dèi, non offrono sacrifici cruenti, non hanno alcuna immagine della divinità che adorano. Si radunano per pregare nelle sinagoghe che hanno fatto costruiomaggi volontari, compensazioni spontanee e arbitrarie offerte dai giudei e dipendenti dalla loro volontà, ma sono per essi forme obbligatorie del culto imperiale, la cui omissione sarebbe certamente punita»; cfr J Juster, op cit, t 1, pp 346/347. 5 Cfr A v Harnack, Die Mission und Ausbreitung :des Christentums in den ersten drei Jabrbunderten, tv ed, t 1, Leipzig 1923, pp 9/13; E Schiùrer, op cit, t 3, pp 1/30; J Juster, ibid, pp 179/212. Se non è possibile fornire statistiche esatte, è tuttavia fuori discussione il gran numero di giudei che vivono in tutte le città commerciali dell'impero romano. 98

La presenza dei giudei nell’impero re e decorare a loro spese e che frequentano regolarmente. Hanno i loro giorni di festa che celebrano con riti speciali. Ogni settimana in particolare osservano rigidamente il riposo del sabato ed invano si tenterebbe di farli lavorare in questo giorno. Hanno digiuni severi e si astengono da alcune carni, soprattutto da quella del porco. Portano costumi speciali e quelli che sono più religiosi ci tengono ai loro filatteri, sui quali sono scritti alcuni versetti della legge. Com'è possibile non notare della gente che ha una condotta così singolare? Come è possibile non cercare di conoscerli maggiormente? È soprattutto il riposo del sabato che colpisce lo sguardo. Esso finisce addirittura per essere osservato in numerosi circoli pagani. Nota giustamente M J Lagrange: «1 giudei avevano senza dubbio, allora come oggi, il monopolio di alcuni commetci, per non parlare del maneggio del denaro. Quando essi si davano al loro sciopero settimanale, molte industrie erano paralizzate. Il fatto più semplice era di smettere di lavorare assieme ad essi... Nell’antichità non si era più propensi al lavoro, di quanto lo si era nel mondo dell’Islam. Il principio dei giorni nefasti era riconosciuto da tutti. 1 pontefici avevano diminuito il rigore di queste disoccupazioni forzate: si trovò più naturale e logico ripartirli lungo tutto l’anno di settimana in settimana. Fu soprattutto l’ozio del sabato a colpire Ovidio. Esso è un giorno in cui non si fanno affari ‘; non è il momento di viaggiare ’ e le donne sono sfaccendate °. D’altra parte l’idea della disoccupazione era naturalmente legata a quella di un giorno nefasto e più di un pagano ha dovuto pensare che i giudei erano osservanti così scrupolosamente del sabato a motivo di esperienze funeste. Fu questo un motivo per unire la pratica del sabato alle loro superstizioni sui cattivi presagi» ”. 6

Ovidio,

Ars

amatoria,

1, 415/416:

«...in

quel giorno

in cui

ritornano,

poco convenienti agli affari i culti del settimo giorno dei siri della Palestina». 7 Ovidio, Remedium amoris, 217/218: «Non desiderare piogge, né ti facciano indugiare i sabati stranieri e neppure l’Allia nota per i suoi danni». L’anniversario della battaglia di Allia era, tra i giorni nefasti, quello più rigidamente osservato per l’astensione dal lavoro. : Ovidio, Ars amatoria, 1, 75/76: «Non dimenticare le feste di Adone pianto da Venere, e le cerimonie religiose, celebrate il settimo giorno della settimana dai giudei di Siria». 9 M J Lagrange, Le messianisme chez les Juifs, Paris 1909, p 276. 1 testi raccolti in Th Reinach, Textes classici relativi al giudaismo sono comodamente d’auteurs grecs et romains relatifs au judaisme, Paris 1895. Si possono citare, tra coloro che parlano del sabato come di un giorno funesto, Tibullio, Flegiae, 1, 3, 17/18; Orazio, Satirae, 1, 9, 608.

9

La conversione al giudaismo I giudei non si limitano a provocare la curiosità. A volte suscitano anche l’imitazione. Essi si insinuano ovunque e finiscono per rendersi indispensabili. Quelli che non esercitano un mestiere confessabile, si fanno annunciatori di buona ventura e fanno oroscopi per spillare qualche soldo ai loro clienti superstiziosi. Giovenale descrive senza la minima simpatia una scena della quale dovrà essere stato spesso un testimone divertito: «Ecco che arriva, lasciando il suo cesto e il suo fieno, una giu-

dea che tutta tremante mendica misteriosamente al suo orecchio: è l’interprete delle leggi di Solima, la grande sacerdotessa dell’albero, la fedele messaggera dei decreti del cielo. Anche essa. Le si riempie la mano, ma meno generosamente. I giudei vendono al ribasso tutti i sogni che volete» ! Invano a volte si cerca di sbarazzarsi di loro, il popolo si solleva e organizza un massacro generale, gli imperatori intervengono e ordinano l’espulsione di tutti i giudei di Roma. Ben presto si videro riapparite i proscritti, più numerosi e influenti che mai. Volenti o nolenti occorre sopportarli. Occorre anche adottare alcuni dei loro costumi. Nel 11 secolo sono numerosi coloro che a Roma accendono le loro lampade il venerdì sera, ma che il sabato si contentano di una magra pietanza per non accendere il fuoco. Ciò provoca la beffa sferzante di Persio: «Al ritorno dei giorni di Erode, quando, sulle finestre gocciolanti d’olio, le lampade in fila e ornate di violette hanno vomitato un fumo grasso, quando una coda di tonno nuota nel fondo di un piatto di terra rossa e il bianco orcio è riempito di vino, tu muovi in silenzio le labbra e vai in deliquio per il sabato dei circoncisi» !!. 10 Giovenale, Satirae, 542ss. 11 Persio, Satirae, v, 176ss; cfr Tertulliano, Ad nationes, 1, 13: «Voi siete certo coloro che avete ammesso il sole anche nella lista dei sette giorni e avete scelto tra i giorni vostri il primo in cui sottrarvi al bagno o differirlo fino alla sera, e in cui curare l’ozio e il desinare. Questo voi lo fate da voi stessi tralignando in religioni straniere. Sono feste giudee infatti i sabati e la cena pura ed è giudaico il rito delle lucerne con gli azzimi e le preghiere litorali, cose estranee ai vostri dèi». Seneca, cit da Agostino, De civitate Dei, VI, 11: «Nel frattempo invalse fino a tal punto il costume di quel popolo scelleratissimo, da essere accettato su tutta la terra: i vinti hanno dato leggi ai vincitori. Ma quelli conoscono la causa dei loro riti. La maggior parte del popolo invece ignora il motivo di ciò che fa». Commodiano, Insiructiones, 1, 28, 11ss; 1, 37.

100

La presenza dei giudei nell’impero Nel mondo intero le pratiche giudaiche trovano imitatori ferventi. È Giuseppe ad assicurarcelo e non abbiamo motivo alcuno di negare la sua testimonianza: «Anche la moltitudine è presa, da molto tempo, d’un grande per le nostre pratiche pie e non c’è città tra i greci, né un solo popolo tra i barbari, dove non sia diffuso il nostro uso del riposo zelo

settimanale, dove i digiuni, l’accensione delle lampade e molte delle nostre leggi relative al nutrimento, non siano osservati. Allo ‘stesso modo in cui Dio si è sparso per il mondo intero, la legge ha viaggiato fra gli uomini. Basta che ognuno esamini da sé la propria famiglia e la propria patria e non metterà in dubbio le mie parole» 2,

Molti non si contentano tuttavia di copiare le pratiche o di imitare gli atteggiamenti. Essi vogliono sapere ciò che insegna e crede questo strano popolo, così differente dagli altri ed il quale, disperso in mezzo alle nazioni, non si lascia assimilare ad alcuna. In parecchie case vi sono schiavi giudei. La conquista di Gerusalemme ad opera di Pompeo, la riconquista della Palestina ad opera di Vespasiano e Tito, la campagna d’Adriano contro Bar-Kokeba, hanno moltiplicato il numero dei prigionieri ridotti in schiavitù. Per le strade abbondano mendicanti giudei, sempre pronti ad abbordare i passanti, non solo per chiedere l’elemosina, ma anche per raccontare la propria storia, parlare della famiglia, del proprio paese e della propria religione. Ovunque si conoscono dei giudei che non desiderano di meglio che farsi interrogare. Infine le persone istruite possono leggere le opere di apologetica diretta o indiretta, scritte specialmente per la propaganda. I libri santi, tradotti in greco da tanto tempo, si impongono particolarmente all’attenzione. È oltre ad essi, queste persone hanno a loro disposizione un’intera biblioteca, dove si succedono libri di filosofia morale e religiosa, come gli scritti di Aristobulo o il 1v libro dei Maccabei ”, profezie come gli scritti sibillini, tragedie come quelle di Ezechiele, epopee come quelle di Filone il Vecchio e Teodoto, racconti storici come quelli dello Pseudo Écateo, Artapane, Aristea. Ad eccezione di alcuni pezzi, tutta questa letteratura è scomparsa, ma noi possiamo giudicare il suo carattere e le sue tendenze attraverso

le opere di Giuseppe e Filone, che ci sono pervenute al com-

2 Giuseppe, Contra Apionem, 11, 29, 282ss; cfr Antiquitates, 111, 8, 9.217. Le quatrième livre des Machabées. Introduc13 Cfr A Dupont-Sommer, tion, traduction et notes, Paris 1939 e la recensione di quest'opera che A J Festugière ha scritto in Revue des Etudes grecques (1941), pp 127/131. 101

La conversione al giudaismo pleto. Forse Filone, benché alessandrino o proprio perché alessandrino, ha scritto per i suoi correligionari che, vivendo come lui in mezzo ai pagani, potevano essere tentati di abbandonare la Legge e ritornare all’idolatria.’ Giuseppe invece, fariseo di famiglia sacerdotale, si rivolge ai pagani per rivelare loro l’antichità del giudaismo e il valore incomparabile delle sue credenze e dei suoi comandamenti. L’uno e l’altro si sono consacrati al servizio della causa giudaica, ma ci si può chiedere se i loro libri abbiano corrisposto alle loro speranze e sembra che siano stati soprattutto i cristiani a leggerli e a utilizzarli ancor prima della pace della chiesa. In ogni caso, la letteratura giudaica avrebbe potuto ritenere l’attenzione dei pagani, desiderosi di informarsi sulla religione che vedevano praticare davanti ai loro occhi. Essa esisteva ed era sufficientemente ricca e varia per tispondere a

tutte le esigenze. Tra le credenze giudaiche, quella che si impone ovunque in primo luogo è il rigido monoteismo. I giudei si vantano di essere i soli fta gli uomini a non ammettere più dèi *. Questo dogma non pre. senta speciali difficoltà per un gran numero di pagani. Esso costituisce l'esito normale, in qualche maniera, della riflessione filosofica e delle critiche dissolutrici di cui sono vittime da molto tempo gli dèi della mitologia. Ma la filosofia non offre all’adorazione degli uomini che una divinità astratta, spesso confusa con il mondo di cui sarebbe l’anima o la forza immanente e, altre volte, relegata in una lontananza inaccessibile e indifferente agli avvenimenti umani. E la critica si limita a distruggere le vecchie leggende senza sostituirle. Il giudaismo si presenta invece come l’erede di una lunga tradizione, ancora più antica di quella dei primi sapienti stessi dell’antica Grecia; esso appare come il messaggero del Dio vivente, che ha insegnato la Legge per mezzo di Mosè e che più volte e in più riprese si è manifestato per mezzo dei profeti. Esso ha il diritto di inorgoglirsi dei privilegi ricevuti, giacché in verità «non c’è sotto il cielo nazione più grande, qualunque essa sia, che abbia i suoi dèi così vicini ad essa, come Jahwe, il suo Dio, si avvicina ai suoi figli». Gli argomenti che i giudei, portano in favore della loro religione hanno una forza incontestabile e non possono mancare di fare impressione sugli spiriti , 4 Aristea, Lettera, 132. 15 Cfr Bergmann, Jiidische Apologetik im neutestamentliche Zeitalter, Berlin 1908; M J Lagrange, Le judaisme avant J.-C., Paris 1931, p 338s. 102

La presenza dei giudei nell’impero Coloro che si lasciano convincere da questi argomenti e rinunciano all’idolatria sono gioiosamente accolti dai giudei di razza. «La letteratura rabbinica designa i membri di questa categoria con l’espressione biblica di gér tésabb, applicata in primo tempo all’ospite imperfettamente assimilato ad Israele. In greco e latino vengono chiamati ordinariamente i “tementi Dio”, espressione’ di origine ebraica, com’è indicato dal senso particolare dato al verbo temere» !. Il Nuovo Testamento ci fa conoscere parecchi pagani che in questo modo si sono avvicinati al giudaismo e portano il titolo di phoboumenoi ton Theon, di sebomenoi ton Theon o anche soltanto di sebomenoi: il centurione di Cafarnao, al quale i giudei rendono questa testimonianza: «Egli ama il nostro popolo e ci ha costruito una sinagoga» ”; il centurione Cornelio che moltiplica le elemosine a favore del popolo e che prega Dio con perseveranza ", Lidia, la commerciante di porpora di Filippi, originaria di Tiatira, che riceve a casa sua l’apostolo Paolo e i suoi compagni ”; il corinzio Tito Giusto, la cui casa, vicina alla sinagoga, diviene per un certo tempo teatro della predicazione di

”. La buona novella del cristianesimo trova in essi accesso più facile che nei giudei d’origine, giacché non deve lottare contro i pregiudizi di razza che ingombrano l’animo di costoro ”!, I «tementi Dio», benché assistano regolarmente alle preghiere pubbliche che vengono recitate nelle sinagoghe, non fanno ancora parte della comunità d’Israele e il nome di proseliti della porta che Paolo

spesso è stato dato loro a torto, perché non appare che nel rabbinismo del x111 secolo e non si applica nemmeno ad essi, traduce tuttavia con esattezza la loro posizione rispetto al giudaismo: essi stanno accanto alla porta, aspettando la loro ammissione definitiva. Da qui fino all’ammissione, al di fuori dell’adesione espressa al monoteismo, non

si chiede loro altro che l’osservanza dei sette comandamenti che si crede Dio abbia dato a Mosè come fondamento di ogni vita sociale: proibizione dell’idolatria, dell’omicidio, dell’incesto, del furto, della profanazione del nome di Dio, del mangiar pezzi di un animale vivo, 16 J Bonsirven, Le judaisme palestinien au temps de Jésus Christ, 2 voll, Paris 1934/1935, t 1, p 26. 17

18

Ta 75 At 10,

2 4

At 18,7. Cfr At 17, 4.17.



1/2.

At 16,14.

103

La conversione

al giudaismo

nonché la prescrizione della pratica dei giudizi 2. Sono i comandamenti che gli apostoli e gli anziani, riuniti a Gerusalemme per esaminare la grave questione dell’ingresso dei pagani nella chiesa nascente, decidono di imporre loro. L’assemblea emette il parere che non bisogna obbligarli ad altro che all’astinenza dalle carni sacrificate agli idoli, dal sangue, dalla carne degli animali soffocati e dalla fornicazione ”. Per il resto i «tementi» possono mangiare le carni ritenute impure, continuare a frequentare i pagani, violare il riposo sabatico. Queste prescrizioni strettamente giudaiche non sono per essi. In queste condizioni si comprende come, molto spesso, i figli di un «temente» il quale, per ragioni personali, non ha spinto oltre il suo cammino verso il giudaismo, facciano l’ultimo passo che li separa dalla conversione totale e definitiva. Giovenale descrive, non senza ironia, il termine di questo cammino: «Costui ha avuto, per caso, un padre osservante del sabato; egli non adorerà che le nubi e la divinità del cielo, non farà differenza alcuna tra la carne umana e quella del porco, da cui suo padre si è astenuto; presto egli si fa persino circoncidere. Allevato al disprezzo delle leggi romane, non impara, non osserva, non venera che la legge giudaica, tutto ciò che Mosè ha trasmesso ai suoi adepti in un volume misterioso. Non mostra la strada al viandante che non pratica le stesse cerimonie, non indica una fontana che al solo circonciso. E tutto questo perché suo padre passò nell’inazione un giorno per ogni settimana, senza prendere parte alcuna ai doveri della vita» , In attesa di questa meta finale, i «tementi Dio» restano ai margini del giudaismo stretto. Essi costituiscono attorno ad ogni comunità giudaica una corona molto vasta di irraggiamento e di influenza. Essi sono tuttavia considerati come pagani e vengono quindi trattati di conseguenza. Alcuni rabbini promettono loro che riceveranno il nome di Israele e che parteciperanno al mondo futuro. Altri spiegano loro gravemente che la presenza di uno solo di essi è una benedizione per le città dove abitano ” o ancora, che sono stati allattati, J

Bonsitven,

op cit, t 1, p 251.

At 15, 20/21; cfr At 21, 25. Giovenale, Satirae, XIV, 96ss. t&&ER

Bereshit rabba, cit da M J Lagrange, op cit, p 282: «Viene sctitto, riguardo alle città marittime, ciò che la stessa generazione del diluvio non ha Provato, .-e cioè che esse sarebbero degne di uno sterminio totale (seguendo Sof 2,5). A quale titolo possono quindi sussistere? A quello che procura loro un solo proselito, un solo “temente il cielo” che esse, ogni anno, produ104

La presenza dei giudei nell’impero nella persona dei loro antenati, come veri giudei con il latte di Sara * Ci si rifiuta tuttavia di sedere alla stessa tavola con loro per prendere i pasti e Pietro ha bisogno di un ordine espresso del cielo per acconsentire a mangiare con Cornelio; ad Antiochia invece si lascia convincere dagli intransigenti e non rinnova la sua impresa di Cesarea 7 Non è permesso ai pagani contrarre matrimonio con le figlie israelite e si rifiuta loro ogni partecipazione ai privilegi che derivano al popolo dalla sua elezione. In breve, la sola condiscendenza che viene testimoniata loro, è l’interdizione di affliggerli o di opprimerli ?, Mentre gli idolatri sono a stento considerati come uomini e si può beneficiare dei loro ertori in materia di transazione, persino ingannarli volontariamente, avere il diritto di conservate gli oggetti che appartengono loro, non salvarli in pericolo di morte, non indicare loro la strada, esercitare la vendetta nei loro riguardi e via dicendo, al contrario occorre mostrarsi benevoli verso gli adoratori del vero Dio. Questo è senza dubbio qualcosa, ma la loro inferiorità per rapporto agli israeliti non è meno palese. Quanto ai pagani, c'è da dire appena che essi hanno poca stima di uomini che, dopo aver rinunciato ai culti tradizionali, non hanno nemmeno il coraggio di proclamarsi giudei. Questo atteggiamento privo di energia e franchezza dispiace soprattutto ai filosofi stoici ed Epitteto lo stigmatizza senza esitazioni: «Perché ti pretendi stoico? Perché inganni il mondo? Perché tu, che sei greco, giuochi a fare il giudeo? Non vedi cosa fa che si dica: un tale è giudeo, siriano, egiziano? Quando vediamo un uomo cono». Si troveranno numerosi testi citati da I Levi, «Le proselytisme juif» in Revue des Etudes Juives (1905), pp 1ss; cfr S Biablocki, Die Beziebungen des Judentums zu Proselyten und Proselytentum, Berlin 1930;' Causse, «La propagande juive et l’'hellenisme» in Revue d’bistoire et de pbhilosophie religieuses

(1923),

pp 397/414.

Pesigta rabbathi, cit da M J Lagrange, op cit, p 283: «I pagani coni loro figli 4 Sara perché li allattasse. Gli uni lo facevano in buona fede, gli altri per provarla, ma né gli uni né gli altri ci hanno perduto. In effetti R Levi dice: coloro che lo facevano in buona fede, si sono convertiti. Ecco perché sta scritto: Sara ha allattato i tuoi figli, essi sono divenuti figli di Israele. Coloro che invece avevano soltanto voluto provare Sara, sono diventati, secondo i nostri saggi, grandi in questo mondo. Tutti coloro che si convertono nel mondo e tutti i “tementi il cielo” esistenti al mondo, sono stati allattati con il latte di Sara».

2%

ducevano

7

At

28

J

10, 14.28; Gal 2, 11ss. Bonsitven, op cit, t 1, p

28; t 2, p 261ss. 105

La conversione al giudaismo metà qua e metà là, diciamo: egli non è giudeo, ma gioca a fare il giudeo. Solo se assume i sentimenti del battezzato e dell’eletto è realmente giudeo e lo si chiama così. Lo stesso è per voi, credenti mal dipinti, giudei di nome, ma non di fatto» ”.

In queste condizioni non sarebbe meglio per i «tementi Dio» fare l’ultimo passo che li separa ancora dal giudaismo e darsi completamente alla religione da loto scelta? Un cetto numero lo pensa e agisce in conseguenza. Altri esitano fino al momento della loro morte e si comprendono le loro esitazioni, tanto più se si pensa che le esigenze di una conversione piena fanno paura. La prima di tutte, la più imperiosa, è la circoncisione. Essa è il segno distintivo del giudeo, la sua gloria, il marchio dell’alleanza. Essa è il grande comandamento. Abramo e Mosè non sono considerati perfetti che dopo averlo adempiuto. Un vero giudeo preferisce il martirio anziché rinunciarvi e se la storia segnala casi di apostasia in cui dei circoncisi hanno cercato di dissimulare, con un'operazione chirurgica, la loro circoncisione, si tratta di casi estremamente rari e isolati ”, Epitteto, nel testo che abbiamo citato, non parla della circoncisione, mentre ricorda il battesimo come se fosse il rito essenziale dell’iniziazione giudaica. Ma il battesimo, che riceve un grande posto nel rituale ed è persino considerato essenziale dai rabbini, non basta. Esso deve essere preceduto dall’effusione simbolica del sangue. Non è possibile tuttavia trovare dottori più tolleranti e disposti in certi casi ad ammettere che la circoncisione possa essere supplita? Lo si è concluso a volte dalla storia di Izate, raccontata da Giuseppe, e ripresa dopo di lui da più parti. «Niente di più caratteristico, per quanto riguarda lo zelo e le differenti tendenze dei missionari giudei, sul caso di coscienza che si poneva ai nuovi convertiti. Il giudeo che aveva convinto Îzate a temere Dio si chiamava Anania. La madre del giovane principe ed altre dame della corte erano state convertite da un altro missionario. Per esse non c’era nessuna difficoltà. Ma quando Izate manifestò l’intenzione di andare fino in fondo, fu sua madre stessa, la fervente Elena, il tipo perfetto del proselito, che si oppose al suo proposito con l’aiuto di Anania, per paura di un movimento popolare e spaventata dalla responsabilità nella quale incorreva. La cosa principale, diceva Anania, era onorare Dio e questo »

Artriano, Diatribe,

11,

9, 19/21.

” Cfr 1 Mac 1, 16: sotto il regno di Antioco Epifane si erano visti apostati di questo genere. Cfr ugualmente 2 Mac 4, 7/17. 106

La presenza dei giudei nell’impero era molto più importante della circoncisione. Non fu questo l’avviso di un terzo apostolo, Eleazato di Galilea, molto più puntiglioso sui costumi nazionali. Non bastava leggere la Legge. Occorreva osservarla. E Izate si circoncise» *!, Anania costituisce un’eccezione rara e le gravi ragioni politiche che sono mal dissimulate dai suoi principi sulla superiorità della vita

interiore, non hanno alcuna importanza agli occhi di quasi tutti i rabbini. Persino lo scriba che interroga Gesù sul primo comandamento, non pensa a mettere in dubbio la necessità della circoncisione, perché non pensa che ai giudei e, se dichiara che «amare Dio con

tutto il cuore e con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso, val più di tutti gli olocausti e i sacrifici» “2, si contenta di opporre il precetto dell’amore a quelli concernenti la pratica liturgica. Si può essere giudei senza offrire sacrifici, ma non lo si è senza essere circoncisi. Basta del resto leggere gli Atti degli Apostoli e la Lettera ai Galati per rendersi conto dell’importanza attribuita dai dottori giudei alla circoncisione. Paolo, che pretende dispensarne i cristiani e che non vi scorge il segno dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, fa la figura del rivoluzionario *. Dal punto di vista giudaico, l’odio vigoroso che suscita, è quanto di più legittimo vi possa essere.

Ora, per i pagani, la circoncisione presenta un carattere disonorante e grottesco. Gli apologisti come Filone moltiplicano gli sforzi per giustificarla, dicendo che essa permette di evitare la malattia del carbonchio, che rende il corpo più puro, che facilita Ja generazione, che stabilisce una rassomiglianza con il cuore, che significa l’escissione delle voluttà”, Il da fare che si danno, mostra i molteplici pregiudizi dei quali debbono trionfare. Quanto agli autori profani, essi non risparmiano beffe e motti su un’operazione che lascia tracce così profonde *. Ma v'è di più. 31

Lagrange, op cit, pp 280/281; cfr Giuseppe, Antiquirtates, xx, 2, era re di Adiabene al tempo di Claudio. Egli fece educare i suoi figli aGerusalemme, dove la madre Elena e il fratello Monobaze risie-

M J

1/4. Izate

cinque dettero a lungo; cfr E Schiirer, Geschichte des jidischen Volkes, cit, t 3, pp a

169/172. Mec 12, 32/33.

3 Paolo stesso, d'altra parte, fa circoncidere Timoteo, figlio di un pagano e di una giudea, At 16, 3. 4 Filone, De circumcisione, 1, 2; De migratione Abrabam, 16. Orazio, Satirae, 1, 9, 70: «corti giudei»; Persio, Satirae, Vv, 184: «temi 35 107

La conversione al giudaismo Colui che vuole farsi circoncidere, si espone, almeno a partire dal regno di Adriano, alle pene gravi comminate alla castrazione. La Historia Augusta afferma addirittura che la causa della guerra giudaica fu la legge sulla circoncisione ®. È vero che Antonino il Pio rende esenti da questa legislazione severa i giudei d'origine ®’, Ma i pagani d’origine vi sono tenuti e, fino alla fine dell’impero, essi sono esposti alla perdita dei beni, all’esilio e persino alla morte, qualora si facciano circoncidere *%, La legge può non essere sempre applicata, malgrado venga rinnovata ” e l’imperatore Eliogabalo è il primo a violarla ”, Non per questo essa decade e lascia pesare una grave minaccia contro i violatori “, La circoncisione è il segno dell’ingresso definitivo nella comunità giudaica. Colui che la riceve è marchiato per la vita. Agli occhi dei suoi compatrioti è ormai un apostata, ancora di più, un ateo “, un nemico del genere umano “, un inutile “, Egli merita di attirare sulla propria persona tutte le calunnie più infamanti che corrono sul i sabati circoncisi»; ciso poeta» (verpe

Marziale, Epigrammata, vi, 30, 5; xorxv, 11, 94: «circonpoeta); Giovenale, Satirae, XI, 99; «E subito pongono i

prepuzi»; Petronio, frammento, 37: «...se tuttavia non intagliano col ferro l’altare dell’inguine e se non scioglie il capo annodato ad arte». Gli autori giudaici,

ad esempio

Filone,

De specialibus

legibus,

1; De circumcisione,

1;

Giuseppe, Contra Apionem, TI, 13, da parte loro, ricordano i sarcasmi di cui la circoncisione è stata oggetto presso i pagani. La Vita Hadriani, 1v, 2: «Per quella tempesta i giudei mossero guerra, perché veniva loro vietato di mutilare i genitali». 37 Digesto, 48, 8,11 pr (Modestino): «Con il rescritto del divo Pio è permesso ai giudei di circoncidere i propri figli soltanto. Chi facesse questo, senza appartenere alla loro religione, incorre nella pena comminata per la castrazione». 38 Giulio Paolo, Sententiae, 5, 22, 3: «i cittadini romani che circoncidono se stessi o i servi, e alla relegazione

col rito

giudaico,

sono

condannati

alla

confisca dei

beni

perpetua in un'isola; i medici sono condannati alla pena capitale». 39 Settimio Severo rinnova ad esempio le misure prese dai predecessori; Spartiano, Vita Severi, 27, 1: «Dopo ciò... si recò ad Alessandria... Durante il viaggio istituì diverse leggi. Vietò sotto grave pena di diventare giudei. La stessa cosa sancì dei cristiani». 4 Vita Elagabali, 7. il Cfr J Juster, op cit, t 1, pp 269/271. ce Manetone, cit da Giuseppe, Contra Apionem, 1, 26, 239 e 248; Apollonio Molone, citato da Giuseppe, ibid, 11, 14, 148. ni Manetone, cit da Giuseppe, ibid, 1, 26, 248; Lisiraco, cit da Giuseppe, ibid, 1, 24, 209; Apollonio Molone, ibid, mn, 14, 148. 4 Apollonio Molone, ibid, 11, 14, 148; Apione, ibid, 11, 12, 135. 108

Il giudaismo e i convertiti popolo giudaico * e che ripetono a gara, non solo gli uomini del popolo, i quali nonostante le smentite rieditano le favole del banchetto di Tiesti e del delitto di Edipo *, ma anche gli uomini più calmi e posati come Tacito, il quale non esita a riprendere per proprio conto le accuse peggiori “

2. Il giudaismo e i convertiti Ricacciati dai pagani come disertori, cioè come criminali di diritto comune, sono almeno sicuri i convertiti al giudaismo di trovare presso i loro nuovi correligionari un’accoglienza sufficientemente calotosa per essete consolati dai soprusi che devono subire dai loro vecchi amici? Non è possibile affermarlo. Infatti, anche quei giudei

che si mostrano più favorevoli ai proseliti, si vedono obbligati a mantenere una differenza tra loro e gli israeliti di nascita. Ciò non può non sorprendere di primo acchito, se ci si ricorda delle splendide dichiarazioni profetiche sulla chiamata di tutte le nazioni al regno messianico. Ma i profeti sono ben lontani. Dopo il loro insegnamento, il popolo eletto ha conosciuto l’esilio di Babilonia, nel corso del quale si è ripiegato su se stesso. Nei secoli seguenti si è andato ulteriormente accentuando questo movimento di ripiegamento e di concentrazione. Di fronte ai pagani carichi di tutti i vizi, colpevoli di tutti i delitti, il popolo si erge in un superbo isolamento. 45 Cfr la lista di queste calunnie in J Juster, op cit, t 1, pp 45/48, che le ordina sotto 22 capi differenti e non pretende esaurirne la lista. Cfr Bergmann, op cit, p 146. 4“ Apione, cit da Giuseppe, Contra Apionem, 11, 8, 90/96. Si sa che i cristiani saranno a loro turno vittima di accuse simili. 47 Tacito, Historiae, gono difesi per la loro

1, 4: «Questi riti, introdotti in qualunque modo, venantichità; altre istituzioni sinistre invalsero con schi-

fosa pravità. Infatti gli uomini peggiori, con disprezzo della religione patria, portavano assieme tributi ed elemosine. Per questo motivo aumentarono le sostanze dei giudei e, giacché hanno una fede ostinata, sono pronti alla misericordia fra di loro. Ma contro tutti gli altri hanno un odio ostile. Non si mescolano con gli altri nei pasti e nel letto. Pur essendo gente inclinatissima alla libidine, si astengono dall’accoppiamento con gli estranei. Ma fra di loro nulla è considerato illecito. Hanno stabilito di circoncidere i genitali per essere riconosciuti a causa di questa diversità. Passati nel costume degli altri, lo usurpano. Né di altro vengono imbevuti che di disprezzare gli dèi, spogliare la patria, i genitori, i figli, i fratelli, considerare come vili...». 109

La conversione al giudaismo Solo esso è il popolo predestinato, col quale Dio ha stretto un’alleanza eterna, perché non ha trovato altra nazione capace di ricevere

la Legge. «Il Santo, sia benedetto, dice agli israeliti: voi avete fatto di me un oggetto di amore (una potenza) unico al mondo, perché sta

scritto: ascolta Israele, Ya, il nostro Dio, è un Ya unico (Dt 6, 4); ed io farò di voi un oggetto di amore (una potenza) unico al mondo, perché è detto: chi è come il tuo popolo Israele, nazione unica sulla terra?» “, Anche quando Israele pecca, resta sempre il figlio di Dio, sia che lo inviti o non lo inviti, che sia corrotto o no, che sia ribelle o no ‘, e l’amore del Signore per il suo popolo prende la forma di una tenerezza meravigliosa:

«A cosa è simile questa cosa? Ad un uomo che viaggiava e faceva camminare suo figlio davanti a sé. Vennero dei briganti per toglierglielo davanti e farlo prigioniero. Egli lo prese e lo mise dietro a'sé. Venne un orso per afferrarlo di dietro ed egli lo prese da dietro e lo mise davanti. Vennero i briganti davanti e l’orso di dietro. Egli lo prese e lo mise sulle sue braccia. Il figlio si tormentava a causa del sole bruciante; il padte stese su di lui il suo abito; ebbe fame e il padre gli diede da mangiare; ebbe sete e il padre gli diede da bere. Così fece il Santo, sia benedetto, nei riguardi di Israele» ”. Ma gli israeliti

di nascita, la discendenza

di Abramo,

sono i

soli a pattecipare ai privilegi dell’elezione divina. Coloro che non appartengono per diritto di nascita alla nazione giudaica, non diventeranno mai discendenza di Abramo. Tutti i loro sforzi verranno ad urtare qui contro un’assoluta impossibilità. Per rendersi conto dell’orgoglio smisurato che la filiazione abramitica procura a quanti la possiedono, basta rileggere alcuni testi del Nuovo Testamento: la dichiarazione di Giovanni Battista agli scribi e farisei che venivano a chiedergli il battesimo: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente? Fate dunque frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra di voi: abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo anche da queste “

Hagiga, Seigneur, Paris

n 50

3 a b, cit da J Bonsirven, Les idées juives au temps de Notre1934, p 61.

Siphra Dt, xpou, 5 (308), 133 ab, cit da J Bonsirven, op cit, p 63. Mekbilta Es, x1v, 19, cit da J Bonsirven, op cit, p 65. 110

Il giudaismo e i convertiti piette» °!; i rimproveri dei giudei al Salvatore: «Noi siamo della discendenza di Abramo e non siamo stati mai schiavi di nessuno. Come dici dunque che diventeremo liberi?» ”; la fiera risposta di Paolo ai suoi avversari: «Però in quello in cui qualcuno osa vantarsi, lo dico da stolto, oso vantarmi anchio. Sono ebrei? Anch'io. Sono israeliti? Anch'io. Sono stirpe di Abramo? Anch'io» 5 Senza dubbio, alcuni scrittori giudei che si indirizzano ai pagani e vogliono a dispetto di tutto difendere i loro compatrioti, minimizzano l’importanza della razza e della filiazione d’Abramo. Scrive Giuseppe: «Chiunque vuol venire da noi, sotto le medesime leggi, il legislatore lo accoglie con benevolenza perché pensa che non è la sola razza ad avvicinare gli uomîni, ma anche la loro morale. Non ci è invece permesso accogliere nella nostra vita intima quelli che vengono di passaggio» ’. E ancora: «Se noi non crediamo di dover imitare i costumi degli altri, per lo meno accogliamo con piacere coloro che vogliono partecipare ai nostri. Ed io penso che questa è, ad un tempo, una prova di umanità e di magnanimità» °°. Come Giuseppe, Filone sembra mettere su un piede di eguaglianza, isotimia, i giudei di nascita e quelli che lo sono divenuti per libera scelta. Non dobbiamo lasciarci ingannare da queste promesse tranquillizzanti ed è inutile proseguire a lungo la lettura di questi scrittori, pur così benevoli, per vedere farsi strada, tramite loro, la boria dei compatrioti. Benché non sia figlio d’Abramo, il convertito, una volta citconciso, dopo aver ricevuto il bagno di purificazione e, prima della distruzione del tempio, offerto il sacrificio prescritto ”’, fa parte della 51

Mt

3,9;

cfr Lc 3,8.

2 Gv 8,33; cfr 8, 39. 53 2 Cor 11,22. Si può aggiungere che, per Paolo, le promesse fatte ad Abramo restano il punto di partenza delle grazie soprannaturali che Dio accorda alla sua posterità, cioè in primo luogo al Cristo che è la vera discendenza di Abramo (cfr le genealogie date da Matteo e Luca) e, per mezzo di Cristo, a tutti quelli che credono in lui. Alla discendenza carnale succede una discendenza spirituale; cfr At 13, 32; 26, 6; Gal 3, 16s; Rm 4, 13/14.16; Ef 2, 12.

11, 36, 261. Ibid, 11, 28, 210. Filone, De monarchia, 1, 76. | Su questo triplice obbligo, cfr E Schiirer, verténdosi, il proselito prende un nome giudaico

li

Giuseppe, Contra Apionem,

111

op cit, t 3, pp 181/185. Cone, almeno in alcuni casi, lascia

La conversione

al giudaismo

comunità d’Israele, è cioè tenuto agli stessi doveri degli altri giudei. Ogni circonciso è tenuto ad adempiere tutta la Legge . Questa formula di Paolo vale sia per i proseliti che per i giudei di nascita. E quando égli parla della Legge, occorre intenderla così come è divenuta attraverso i cavilli dei rabbini, con le loro sottigliezze e minuzie. Niente è risparmiato ai proseliti, benché nei loro confronti si facciano domande come questa: sono essi tenuti a prender parte alla seconda pasqua, se si sono convertiti soltanto dopo la prima? I testi arrivano a precisare i dettagli delle prescrizioni rituali alle quali vengono assoggettati e sottolineano il fatto che non sono tenuti al levirato. Invece i loro diritti non sono uguali a quelli dei giudei di nascita. Essi possono certamente essere amati, aiutati, soccorsi in tutte

le occasioni in cui debbono esserlo i loro nuovi fratelli. Accetti a Dio come Abramo, che fu il primo proselito, devono essere accolti con gioia e introdotti sotto le ali della shekbina. Essi prendono parte a tutte le cerimonie del culto, offrono sacrifici e vi impongono sopra le imanî. Ma restano inferiori e subordinati. Le loro figlie non hanno diritto a sposare i sacerdoti, almeno fino alla fine del 1 secolo; a quest'epoca Giosuè promette al proselito Aquila che i figli delle sue figlie offriranno sacrifici sull’altare ”, ma ci si può chiedere se tutti i rabbini avrebbero ratificato questa promessa. Nell’ordine delle presenze, un sacerdote precede un levita, un levita precede un israelita, un istaelita precede un bastardo, un bastardo precede un nathin (schiavo del tempio), un nathin precede un proselito, un proselito precede uno schiavo liberato . Questa lista delle presenze è molto istruttiva sul posto che occupano i convertiti nella considerazione dei figli d’Abramo. Questi ultimi soltanto infine hanno il diritto di recitare le preghiere in cui Abramo è chiamato nostro padre: «Un proselito presenta le primizie senza dire la confessione (Dt 26, 3ss). Egli non può dite infatti: che tu hai giurato di dare ai nostri padri. Se sua madre è israelita, egli reciterà la confessione. Quando prega solo, in privato, dirà: Dio, il padre di Israele. Quando è alla sinail suo nome pagano. Cfr J B Frey, Corpus inscriptionum iudaicarum, t 1, Paris 1936, n 523: «Veturia Paolina... che visse 86 anni, 6 mesi, proselita per 16 anni, con il nome di Sara, madre delle comunità del Campo di Marte e di Volumnio. Che sia in pace il suo sonno». 58 Gal 5, 3. 9 Cfr J Bonsitven, Le judaisme palestinien, cit, t 1, p 32; E Schiirer, Geschichte des jiidischen Volkes, t 3, p 186. 60 Horajoth, 111, 8, cit da E. Schiirer, op cit, t 3, p 187. 112

Il giudaismo e i convertiti goga, dirà: Dio, vostro padre. Ma se sua madre è israelita, potrà dire: Dio, nostro padre» “!, Dopo ciò, Filone potrà anche dire che bisogna amare i proseliti, non solo come amici e parenti, ma come se stessi @, Sono le stesse esigenze della prassi a incaricarsi di restringere la portata di questa bella formula. È d’altra parte certo che i giudei tengano molto a moltiplicare il numero dei proseliti e non si industrino in mille modi a scoraggiare i desideri di conversione, anziché favorirli? È difficile rispondere a queste domande e occorre, senz’alcun dubbio, distinguere accuratamente i tempi. Prima della conquista di Gerusalemme nel 70, la propaganda giudaica fa incontestabili sforzi, messi bene in rilievo dalla maledizione del Salvatore: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della geenna il doppio di voi» . Il Nuovo Testamento ci mostra dappertutto missionari giudei, impegnatissimi a ostacolare la predicazione degli apostoli cristiani: ad Antiochia dove inducono Pietro a giudaizzare “; in Galazia, dove distolgono i fedeli dalle regole date da Paolo ; a Corinto, dove seminano la divisione fra i fratelli “; e dove tentano di svilite la persona dell’apostolo e la sua autorità. Essi vanno e vengono in tutte le città dove si sono fermati i propagatori della buona novella e cercano di distruggere le giovani chiese da questi fondate ‘’, È a quest’epoca che Hillel pronuncia la formula ammirevole: «Sii un discepolo di Aronne, che ama la pace, che persegue la pace, che ama le creature e le conduce alla Legge» “. Ed è a quest’epoca che si spiega che, se Israele è stato disperso fra le nazioni, è per far loro del bene ’. Sempre in questo periodo la predicazione del nonmìe di Dio fra tutti gli uomini viene considerata un dovere. Hillel passa per colui che ha saputo guadagnare i cuori che invece sono stati respinti dall’intransigenza di Shammai: 6 e

Bikkurim, 1, 4, cit da E Schiirer, op cit, loc cit. Filone, De caritate, 12.

63

Mt 23, 15.

4 65 6 67

Gal 2, 12. Gal 3,1; 5,7. 1 Cor

1, 11ss;

2 Cor

10, 12ss;

11, 22ss.

Sulla propaganda giudaica si può vedere Friedlander, «La propagande des Juifs avant l’ère chrétienne» in Revue des Etudes Juives (1895), pp 161/181; Causse, art cit, ibid. religieuse 68

vw

Abotbh, 1, 12. IL Baraita, 1, 4.

113

La conversione al giudaismo a Shammai e gli chiese: quante leggi avete? Egli rispose: due, la legge scritta e quella orale. E il pagano: io son disposto a credere alla legge scritta, ma non a quella orale; convertimi e insegnami la legge scritta (soltanto). A queste parole Shammai s’adirò e lo mise alla porta ingiuriandolo. Il pagano allora si recò da Hillel che lo ricevette come proselito (nonostante la condizione suddetta). Il primo giorno (gli insegnò l’alfabeto) dicendo: ecco l’aleph, il. bet, il ghimel, il dalet... L’indomani gli insegnò il contrario. Ma ieri, ‘esclamò il proselito, non mi hai parlato così! E Hillel replicò: così tu ti riferisci a me e non alla tradizione». «Baraita: un pagano si presentò

Altra storia analoga: «Un pagano si presentò a Shammai e gli disse: convertimi a condizione di insegnarmi tutta la legge per il tempo, in cui, io mi terrò ritto su un piede. Shammai lo scacciò col cubito da costruzione che teneva in mano. Il pagano si recò allora da Hillel che lo ricevette come proselito dicendogli: ciò che ti dispiace non lo fare al tuo prossimo, ecco tutta la legge; il resto non è che commento, va e studia».

In un terzo caso il proselito vuole convertirsi per diventare porta a riconoscere da sé come questa E il Talmud conclude:

sommo sacerdote. Hillel lo pretesa non sia conveniente.

«Un giorno questi tre proseliti si incontrarono e si dissero: di Shammai è stata sul punto di scacciarci dal Lando, la Hillel ci ha avvicinati alle ali della shekbina»

l’irascibilità dolcezza di

Dopo la caduta di Gerusalemme, al contrario, si diffida dei proseliti. Si esigono garanzie da coloro che si presentano per convertirsi. Si rifiutano impietosamente tutti coloro che sono mossi da motivi di interesse. Non solo si ricorda con energia che ogni uomo deve trovare Dio seguendo la sua volontà e non per costrizione ! e si in-

siste sul fatto che il vero proselito è colui che si converte per Dio soltanto, nel nome del cielo. Ma si cerca inoltre di scoraggiare le volontà deboli. «Una baraita del trattato Tebamoth abbozza il dialogo che si svolge tra il maestro e il candidato: Come ti è venuta l’idea di essere proselito? Non sai che oggi Israele è perseguitato, oppresso, rigettato qua e là ed esposto a tutte le sofferenze? Se il candidato 7”

B Sbabbath,

31

a, cit da

M

J

Lagrange,

/269.

21

Giuseppe, Vita, 23. 114

Le

messianisme...

cit, pp 268/

Il giudaismo e i convertiti risponde: lo so e non ne sono degno (di dividere la triste sorte di Israele), lo si accoglie subito» 2. Altri rabbini sono ancora più severi. Eliezer ben Itcano, all’inizio del 11 secolo, stima poco i proseliti; egli pensa che bisogna risparmiarli, giacché, essendo cattivi per natura, occorte impedire che ricadano nei loro crimini. Khlebo, rabbino di origine babilonese che abita in Palestina nel 1rr secolo, dichiara

con energia: «1 proseliti sono altrettanto penosi per Israele che la lebbra per l’epidermide. È ciò che dice la scrittura in questi termini: i proseliti si attaccheranno a Israele e saranno una lebbra per la casa di Giacobbe». Un baraita provava persino che i proseliti, per il fatto di giocare con i bambini, ritardano l’avvento del Messia e il gioco al quale fa allusione è il vizio contro natura. Questa diffidenza si spiega per il timore di vedere il proselito tornare indietro. È ciò che dice fra gli altri R Khiya alla fine del 11 secolo: «Non bisogna avere confidenza nel proselito fino alla ventiquattresima generazione, perché egli resta attaccato al suo lievito. Ma quando il proselito si sottomette al giorno del Signore con amore e rispetto e si converte in vista del cielo, :Dio non lo respinge, perché sta scritto: egli ama il proselito». Questa concessione finale sembra fatta un po’ contro voglia. Essa non basta a scartare l’impressione che, almeno dopo il fallimento degli ultimi tentativi di restaurazione giudaica, le conversioni non siano incoraggiate dai rabbini più di quanto esse non siano viste con stima dai pagani ”. Questa è l’ultima parola del giudaismo sulla conversione dei pagani. Dopo aver annunciato che tutte le nazioni si convertiranno al vero Dio, i profeti ispirati hanno cessato di alzare la voce: essi avevano portato a termine il loro messaggio. Ma i loro discendenti non li hanno compresi. Nel 11 secolo della nostra era, essi insegnano, più vigorosamente che mai, che le nazioni devono a Israele il fatto di non essere del tutto prive dei benefici divini: il mondo non sussisterebbe senza Israele !, «Dio non si prende cura che di Israele e non custodisce che questo e, per così dire, è in ricompensa di questa custodia e di questa cura che si prende cura e custodisce gli altri 72 73

B Iebamoth, 47 a, cit da M J Lagrange, ibid, p 270. Gli ultimi testi, come i precedenti, sono ripresi da M )

Lagrange,

ibid,

pp 270/271.

4 Habbodha Zara, 10 b: «È per questo che Dio li ha dispersi ai quattro venti. Israele, come l’olio, porta la luce al mondo»; Pesigta, 7 a: «Il tabernacolo ha dato al mondo solidità e fermezza». 115

La conversione al giudaismo uomini» ”. Le benedizioni che vengono nel mondo vengono solo a motivo dei figli di Israele e non per le nazioni %. Già molto prima lo Pseudo Aristea, aveva detto:

«Il legislatore istruito su tutto da Dio, ci ha rinchiusi entro barriere inviolabili e in muri di ferro, perché non ci mescoliamo affatto a nessuna delle altre nazioni, conservandoci puri nel corpo e nell’anima, purificandoci dai pensieri vani...» 7, A dispetto delle belle affermazioni di un certo numero di rabbini, a dispetto degli sforzi compiuti in alcun momenti per moltiplicare il numero dei proseliti *, il giudaismo, nel suo insieme, è rimasto fedele alle idee particolariste e nazionali. Non ha accettato i convertiti che a condizione di aggregarli non solo alla vita religiosa, ma anche alla vita sociale del popolo di Dio. O piuttosto non è mai riuscito a separare, secondo la grande tradizione profetica, l’elemento religioso dall’elemento nazionale. Così ha perduto, quando si sarebbe potuta presentare, l’occasione di attirare la moltitudine dei pagani che cercavano Dio.

3. Successo relativo del giudaismo nel mondo antico Difficile da parte dei pagani sprezzosi e beffeggianti, difficile ugualmente da parte dei giudei intransigenti e orgogliosi, quale successo ha incontrato in definitiva l’appello del giudaismo e perché almeno alcuni hanno risposto a questo appello?

È difficile rispondere alle due questioni. Da una patte fanno qui difetto tutti gli elementi di una statistica e non è possibile vaE 76 77 78

Sipbra Dt, xx, 12 (40), 78 b. P_ Schebiit, xv, 3, 35 b. Pseudo Aristea, Lettera, 139. Il proselitismo ha fatto sempre parte integrante della tradizione religiosa di Israele e, fin dai tempi più antichi, Israele si è accresciuto aggregandosi degli stranieri. Anche durante la schiavitù babilonese i giudei hanno ammesso fra le loro fila un certo numero di stranieri che, al ritorno, non poterono fornire la prova della loro origine autenticamente israelita. Al tempo dei Maccabei i giudei vittoriosi arrivarono persino a circoncidere con la forza i loro nuovi sudditi. Giuseppe menziona parecchi fatti di conversione: Bellum judaicum, II, 20, 2; VII, 3, 3; Antiquitates, XIV, 7, 2; XVII, 3, 5; Xx, 2,345; Iv, 1, 2; vm, 13; vir, 2; cfr J Bonsirven, Le judaisme palestinien, cit, t 1, pp 22/23. 116

Successo

relativo del giudaismo nel mondo antico

lutare la forza della propaganda giudaica nel momento in cui fu più intensa, cioè intorno al 11 secolo dell’era cristiana. Noi sappiamo al massimo che questa propaganda raggiunge tutte le parti dell’impero romano e si estende anche al di là. Essa interessa tutté le, classi sociali, dalle più ricche alle più miserabili, compresa quella degli schiavi. Questi ultimi a volta erano circoncisi a forza, quando ciò non provocava conseguenze legali fastidiose. «In caso di acquisto di uno schiavo incirconciso da un pagano, tutto dipende dalle condizioni formulate. Se lo si è comprato per cirtconciderlo viene trattato come schiavo e lo si circoncide suo malgrado. Se non si è convenuto di circonciderlo lo si tratterà come libero e non è permesso di costringerlo alla circoncisione» ”. Un aneddoto riportato da Isaac ben Nahman, a nome di Josuè ben Levi, uno dei principali amoras dell’inizio del 111 secolo, spiega il principio: «Un uomo aveva acquistato tutta una località abitata da schiavi pagani, per convertire la gente al giudaismo e circonciderla. Ma essi si rifiutarono» ®, Sembra che il nuovo proprietario non abbia osato andare oltre, conformandosi così alla regola che ognuno deve onorare Dio secondo la sua volontà e non per costrizione !, Noi riteniamo dunque che nel periodo preso in esame, la forza di penetrazione del giudaismo sia stata molto grande. Gli autori profani parlerebbero tanto dei giudei, se costoro non avesseto trovato udienza nei contemporanei? Orazio, Seneca, Dione Cassio, Svetonio, Tacito, Plinio il Vecchio, Persio, Giovenale, altri ancora, segnalano i giudei, descrivono i loro costumi, li beffeggiano, li criticano o li condannano. Non esiste per così dire, uno scrittore tra il 50 e il 150, che non li conosca e non li citi. Alla stessa epoca i cristiani, i quali, a dire il vero, sono appena nati e cominciano appena a diffondersi, vengono a stento menzionati. Il giudaismo al contrario ritiene l’attenzione, così come avviene, in questo periodo di intenso sincretismo, per gli altri culti venuti dall’Oriente ed è impossibile che non possegga, anche in alto luogo, delle simpatie dichiarate.

Possiamo ricordare alcuni fatti. L’imperatrice Livia aveva una schiava chiamata Akmé e inviava doni al tempio di Gerusalem7” ” “

trad Schwab, t 7, p 113. Ibid, p 11ì. Giuseppe, Vita, 23. Alcuni rabbini arrivano a scusare l’idolatria dicendo che essa è uso degli antichi ed è bene seguire la tradizione degli antichi, cfr J Bonsirven, op cit, t 1, p 104. Tebamoth,

117

La conversione al giudaismo me

®‘, L’imperatore

Claudio aveva come amico l’atabarco Alessandro,

che aveva servito la madre Antonia e s’era preso cura delle sue flnanze ©, Un’iscrizione del regno di Claudio ci fa conoscere una schiava giudea dell’imperatore, originaria di Gerusalemme “’ Alla corte di Nerone si trovava un attore giudeo: Alitiro e la concubina di Nerone, Poppea, era una «temente Dio» “. Dopo la sua motte essa non fu cremata all’uso romano, ma interrata alla maniera dei re stranieri Sotto lo stesso regno, Pomponia Grecina, deferita al tribunale domestico per superstitio externa ®%, era forse giudea, anziché cristiana. Domiziano, un po’ più tardi, fa condannare il console Flavio Clemente e la moglie Domitilla, appartenenti alla famiglia imperiale, per ateismo e pratica dei costumi giudaici °; questo, che per lo più dagli storici è stato inteso come segno di appartenenza al cristianesimo, potrebbe essere detto anche del giudaismo ”. Se questi fatti sono troppo pochi per autorizzare una conclusione d’insieme, bastano a dar prova dell’attrazione che il giudaismo ha esercitato fin nell’ambiente imperiale. Si potrebbe aggiungere del resto che, sotto i tre regni di Vespasiano, Tito e Domiziano, lo storico Giuseppe fu persona grata presso gli imperatori e che egli ebbe per protettore, se non per amico, il potente liberto di Nerone, Epafrodito, al quale dedicò la Vita e il Contra Apionem °!, Soprattutto bisogna ricordare che tutti i figli di Erode il Grande furono allevati a Roma e vi intrattennero relazioni amichevoli con i principi della famiglia imperiale °, In ogni ipotesi—e questo ci interessa soprattutto —le simpatie 8

Giuseppe, 13,

Antiquitates,

xvII, 5, 7; Bellum

6. Giuseppe, Antiquitates, xx, 5, 1. Corpus inscriptionum latinarum, 2, 1971. Giuseppe, Vita, 3 Giuseppe, Antiquitates, xx, 8, 11; Vita, 3.

judaicum,

1, 32,6;

1, 33,7;

IS8SRESU

Gv

12,6;

13, 29.

0 Gv 12, 4/6. Gli altri evangelisti, ricordando l’incidente, non nominano Giuda: Mt 26,8; Mc 14,4/5; Lc 7, 36ss racconta in maniera totalmente diversa l'episodio del vaso rotto e del profumo sparso. I Mc 14, 10; Mt 26, 14/16; Le 22, 3/6. 2 Gv 12, 6. 33

Mt

27, 3ss.

Nel Nuovo Testamento

volto nel mistero nell’apostasia di Giuda. Era necessario segnalarla, ma è impossibile comprenderla. Gli altri casi riportati nel Nuovo Testamento sono più semplici. La conversione dei primi cristiani era stata causata, nella maggior

parte dei casi, da uno slancio di entusiasmo: la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli %, la guarigione dello storpio alla Porta Bella ©, i miracoli compiuti da Pietro e dai compagni *, la liberazione straordinartia degli apostoli imprigionati ‘’, avevano moltiplicato considerevolmente il numero dei discepoli. Ai primi fedeli non si chiedeva molto. La penitenza delle colpe passate, l’affermazione della messianità, se non della divinità di Gesù: queste erano le sole condizioni richieste perché fosse amministrato il battesimo *, Come sorprendersi se, in queste candizioni, una volta passato il primo fervore, un certo numero di credenti si sia lasciato riprendere dalle vecchie abitudini e abbia, più o meno espressamente, rinunciato al Cristo che aveva promesso di servire senza riserve? A dire il vero, non si tratta tempre, e forse nemmeno nella maggior parte dei casi, di apostasie pure e semplici. Le cose dell’anima sono più complesse e quando si è stati conquistati una volta dal Salvatore, quando si è afferrata la profondità del suo insegnamento su Dio, sugli uomini e sul mondo, è molto difficile tornare indietro, senza conservare l’impronta indelebile di lezioni simili. Si cerca allora di coordinare la fede cristiana con ogni genere di dottrina umana e si cade nell’eresia, piuttosto che nell’apostasia propriamente detta. Coloto che vengono dal giudaismo, si lasciano persuadere che la circoncisione e le cerimonie rituali prescritte dalla Legge di Mosè restano obbligatorie, nonostante la liberazione compiuta dal Salvatore. Inutilmente grida allora Paolo:

«Chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu ”*

At

35

At

2, 41. 4, 4.

%

At

5, 12/14.

7 At 5,42; 6,1. 38 Cfr At 8, 26/40. Il diacono Filippo, dopo aver spiegato all’eunuco della regina Candace la profezia di Isaia sul servo di Jahwe, gli dice che può essere battezzato se crede con tutto il suo cuore che Gesù è il Figlio di Dio. L’eunuco risponde che lo crede e viene immediatamente introdotto nel numero dei fedeli. Una formazione così rapida e superficiale non può fare a meno di meravigliarci. 297

L’apostasia rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso? Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione? Siete così privi di intelligenza che, dopo aver cominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne?... Correvate così bene; chi vi ha tagliato la strada che non obbedite più alla verità?» *, Falsi apostoli, operatori di iniquità turbano le coscienze e riportano alla schiavitù delle pratiche giudaiche coloro che erano stati chiamati alla libertà di Cristo. Altri, provenienti dal paganesimo, ascoltano volentieri i maestri della sapienza umana; sentono il bisogno di interminabili genealogie di eoni*°, di complicate teorie sugli astri e sulla nostra dipendenza da questi ‘1; quando l’Apostolo ricorda loro che la sapienza umana è follia davanti a Dio e che, per quel che gli riguarda, ha fatto professione di non sapere fra di essi altro che Gesù

Cristo e Gesù Cristo crocifisso ©, si fanno beffe di lui c rifiutano di ascoltarlo ’. Non ci è evidentemente possibile misurare la portata di questo movimento di riflusso. Forse esso è rimasto molto debole agli inizi della predicazione cristiana. Ma c’è da temere che con gli anni, almeno qui e là, esso si sia sviluppato e gli scritti più recenti del Nuovo Testamento danno l’impressione che le apostasie nelle chiese, alla fine, del primo secolo, siano state molto numerose. Le lettere pastorali mettono in guardia Timoteo e Tito contro i seduttori ipocriti che interdicono il matrimonio o impongono di astenersi dagli alimenti che Dio ha creato perché fossero presi con azioni di grazie *, che si introducono nelle case e si impadroniscono dello spirito delle donne “5, che moltiplicano le questioni folli, le genealogie e le dispute a proposito della legge “. Leggendo queste descrizioni si ha l’impressione che le pratiche giudaizzanti abbiano un posto di rilievo nel messaggio dei falsi dottori. Esse non sono le sole a essere in causa ed i discepoli di Paolo sono invitati ad opporsi con tutte le loro forze ad un sincretismo tanto più pericoloso, quanto più G &

Gal 3, 1/3; 5,7.

1 Tm 1,4; Tt 3,9. Col 2,20; Gal 4,3 e 9, 1 Cor 2,2. 2 Cor

Ea&L£E&80&

10, 9/11.

2 Tm 4,3. 2 Tm 3,6;

4,

3/4.

Tt 3,7.

298

Nel Nuovo Testamento

e sottile. Noi conosciamo anche i nomi di alcuni ap. .ati famosi: Imeneo e Alessandro hanno fatto naufragio nella fede e l’apostolo li ha consegnati a Satana perché imparino a non bestemmiare più ‘’. Non sappiamo nulla degli errori di Alessandro. Quanto a Imeneo, che altrove riappare accanto a Fileto *, insegnava che la risurrezione era già avvenuta e sovvertiva così la fede di parecchi. raffinato

Figelo, Etrmogene e Dema, che hanno abbandonato Paolo, sono forse meno colpevoli; essi sono tuttavia ricordati dalla seconda Lettera a Timoteo con triste severità La seconda Lettera di Pietro e la Lettera di Giuda fanno vedere pericoli crescenti. Si parla al futuro del loro verificarsi:

«Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina. Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà coperta di improperi. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma la loro condanna è già da tempo all’opera e la loto rovina è in agguato» ” Ma non bisogna ingannarsi. trasparente del presente e i falsi nella chiesa:

Questo futuro non è che un velo dottori agiscono da molto tempo

«Costoro sono come fonti senz'acqua e come nuvole sospinte dal vento: a loro è riservata l’oscurità delle tenebre. Con discorsi gonfiati e vani adescano mediante le licenziose passioni della carne coloro che si erano appena allontanati da quelli che vivono nell’errore. Promettono loro libertà, ma essi stessi sono schiavi della corruzione. Perché uno è schiavo di ciò che l’ha vinto. Se infatti, dopo aver fug4 1 Tm 1, 19/20. È probabile che Imeneo ed Alessandro appartengano alla comunità di Efeso e che san Paolo li abbia condannati prima di lasciare questa città. Alessandro sembra essere il fabbro di cui si lamenta l'apostolo in 2 Tm 4, 14; Imeneo viene ricordato ancora in 2 Tm 2,17, in compagnia di un certo Fileto. Noi non sappiamo esattamente in che cosa consista il castigo del quale si fa cenno qui, come già in 1 Cor 5,5. 4 2 Tm 2,17/18. Secondo l’Ambrosiaste, Imeneo e Fileto pensavano che la risurrezione avviene nei nostri figli, cioè che l’uomo rivive nei suoi figli. Ma non è questo ciò che afferma l’apostolo. Secondo lui, i due affermavano che la risurrezione era già avvenuta, cioè che era puramente Essi dovevano confonderla con la rigenerazione battesimale. » 2 Tm 1,15; 4, 10; cfr C Spicq, op cit, pp 336 e 391.

9

2Pt2,1/3;

cfr

Gd 4.

299

spirituale.

L’apostasia

gito le corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del Signore e salvatore Gesù Cristo, ne rimangono di nuovo invischiati e vinti, la loro ultima condizione è diventata peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver conosciuto la via della. giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltar le spalle al santo precetto che era stato loro dato. Si è verificato per essi il proverbio: il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata ad avvoltolarsi nel brago» i

La minaccia di cui si tratta è grave. Nelle cristianità che ha davanti l’autore ispirato, si moltiplicano le apostasie provocate dalle false dottrine. Esse si verificano soprattutto con i nuovi convertiti malfermi nella loro fede e sembra che, in gran parte almeno, esse siano state provocate da cadute morali. 1 falsi maestri contano soprattutto sulle debolezze della carne per attirare i credenti nelle loro reti e il successo riportato dimostra che non si sono ingannati. Non sarebbe stato meglio per i poveri apostati restare nel paganesimo, anziché imparare a conoscere Gesù Cristo per abbandonarlo subito dopo? Le sette lettere alle chiese d’Asia nell’Apocalisse, non tracciano un quadro molto più consolante della situazione ecclesiale, almeno in alcune comunità. A Pergamo, l’apostolo denuncia la presenza di uomini «seguaci della dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balak a provocare la caduta dei figli d’Israele, spingendoli a mangiare carni immolate agli idoli e ad abbandonarsi alla fornicazione. Così pure hai di quelli che seguono la dottrina dei Nicolaiti» ?, A Tiatira, una donna che si proclama profetessa insegna ai servi di Dio e li inganna invitandoli a mangiare gli idolotiti e a vivere nell’impurità ”. Un certo numero si lascia sedurre e viene minacciato dei castighi divini. A Sardi le cose francamente sembrano andar male: «All’angelo della chiesa di Sardi scrivi: ... ti si crede vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. Ricorda dunque come hai raccolto la parola, osservala e ravvediti...» *.

In questa chiesa, i cui inizi erano stati quasi scomparsa; le tradizioni sono dimenticate sì

2 Pt 2, 17/22; cfr Gd 12/13.16.

2 3 4

Ap, 2, 14/15. Ap 2, 20. Ap 3, 1/3.

promettenti, la fede è e non ci sono più che

Nel Nuovo ‘Testamento dei resti la cui perseveranza non è sicura. A Laodicea infine domina la tiepidezza. Non c'è più questione di apostasia, ma l’indifferenza ha sostituito l’ardore e lo zelo che l’apostolo amerebbe trovare nei suoi destinatari; questa tiepidezza gli apparte così disgraziata che egli preferirebbe una freddezza dichiarata. Se non bisogna esagerare la portata dei rimproveri che abbiamo letto, non bisogna nemmeno minimizzarli e il racconto che ci fa Clemente Alessandrino alla fine del Quis dives salvetur ci dà un esempio concreto della situazione delle chiese d’Asia: vi vediamo, di fronte all’apostata diventato capo di briganti, un vescovo senza dubbio buono e devoto, ma incapace di mantenere le sue pecore nella via retta; occorre che sia il vecchio apostolo, nonostante la sua età, a mettersi alla ricerca del gregge sbandato e riportarlo all’ovile ”. Le lettere di Giovanni confermano ancora la nostra impressione. Molti seduttori sono venuti nel mondo i quali non riconoscono che Gesù Cristo è veramente venuto nella carne; un numero troppo grande di fedeli si son lasciati prendere dai loro discorsi e hanno abbandonato la chiesa *%, Un po’ dappertutto l’eresia miete vittime e attrae a sé, coì fallaci promesse di verità, i discepoli del Cristo. Tuttavia l’eresia non è sola e molti convertiti ricadono nel paganesimo dopo aver seguito gli insegnamenti di Cristo per un periodo più o meno lungo. Questa è la testimonianza fornita dalla lettera di Plinio il Giovane a Traiano:

«Mi è stato rimesso un atto di accusa che conteneva il nome di parecchie persone. Gli uni negarono di essere cristiani o di esserlo mai stati. In mia presenza essi hanno invocato gli dèi, hanno offerto incenso e libazioni alla tua immagine che avevo fatto portare a questo scopo con le statue delle divinità, hanno infine maledetto il Cristo, mentre si dice che, coloro che sono veramente cristiani, non acconsentono mai a farlo. Ho dunque giudicato che devono essere rinviati. Altri, nominati nel libello, hanno cominciato per dite erano cristiani, poi l’hanno negato; hanno confessato che lo erano stati, ma che adesso non lo erano più, alcuni da tre anni, altri da più tempo ancora, alcuni persino da 25 anni. ‘Tutti costoro hanno venerato la tua immagine e le statue degli dèi e hanno maledetto il Cristo... In seguito alle loro dichiarazioni ho creduto necessario interrogare due delle loro serve che essi chiamano diaconesse, per sapere cosa c’era di vero. Non ho trovato altro che una superstizione cattiva ed esagerata» "7 che

55 6

Clemente Alessandrino, Quis dives salvetur, 42. 1 Gv 2,18//19; 4,1/3; 2 Gv 7

57

Plinio,

Epistulae,

x, 96.

301

L’apostasia Plinio non dice nulla del numero degli apostati e nemmeno si dilunga—questo soprattutto sarebbe per noi interessante—sulle ragioni che li hanno ricondotti al culto degli idoli. Sembra tuttavia, stando alle formule che impiega e le quali sono evidentemente concepite in modo tale da guadagnare la benevolenza dell’imperatore, che i rinnegamenti non siano stati un fatto eccezionale e che, molto tempo prima dell’apertura dell’inchiesta e della minaccia di un castigo immediato, molti convertiti abbiano abbandonato la chiesa. È possibile, se non probabile, che le cause morali siano state all’origine della maggior parte di questi cedimenti, perché il cristianesimo, come viene presentato dagli accusati, è soprattutto una regola di vita: impegnarsi

per giuramento a non commettere

crimini, furti, brigantaggio, adulterio, menzogna, slealtà; e, assieme a questo, partecipare a pasti innocui, cantare inni al Cristo come a un Dio: ecco tutte le colpe e tutti gli errori che confessano. Si può ritenere che siffatte esigenze siano pesate ben presto in maniera troppo pesante sulle anime abituate al rilassamento e che l’abbandono del Cristo sia stato il risultato di una debolezza troppo grande. Aggiungiamo d’altra parte che, nonostante tutto, i veri fedeli sono rimasti in maggioranza. Invano l’onesto funzionario tenta di persuadere Traiano che il cristianesimo sarà vinto facilmente. 1 termini della lettera non permettono illusioni a questo proposito. Molto numerosi sono gli accusati, di tutte le età, di tutte

le condizioni, dell’uno e dell’altro sesso, e gli interrogatori sono lontani dall’essere terminati. Le città non sono le sole ad essere state raggiunte, ma sono stati colpiti anche i borghi e le campagne ”. Se, verso il 110, vi sono in Bitinia molti apostati, il cristianesimo non cessa però di diventare sempre più potente. La secessione dei deboli è una prova per la chiesa. ‘Tenuto conto di tutto, è però una prova benefica.

2. Attrazione dello gnosticismo Il secondo secolo è stato per eccellenza il secolo dell’eresia. Ertori di ogni sorta si moltiplicano e pullulano di fronte a un cristianesimo che non ha ancora racchiuso i suoi dogmi in formule definitive, che non possiede ancora un’autorità di governo sufficientemente S8

Ibid. 302

Attrazione dello gnosticismo potente per essere del tutto indiscussa, ed il quale mantiene la sua unità di fede e di vita unicamente per l’attaccamento incondizionato alle tradizioni apostoliche e alla gerarchia episcopale ?. Docetismo giudaizzante, gnosticismo dove si mescolano in proporzioni diverse misteri orientali e dottrine cristiane, marcionismo, un po’ più tardi adozionismo, sabellianismo, patripassianismo, lanciano i loro richiami verso il mondo, di volta in volta o simultaneamente. Non appena un dottore immagina un nuovo sistema, i suoi discepoli sono già all’opera per trasformarlo a tal punto da renderlo irriconoscibile. I maestri famosi fondano scuole piuttosto che chiese. Marcione stesso, al quale gli storici fanno risalire il merito di aver istituito una chiesa , non può impedire ai suoi di dividersi in sette rivali e di modificare profondamente la sua dottrina.

Le eresie possiedono tutto quello che è necessario per trascinare le anime. Le une promettono soprattutto la rivelazione di misteri nascosti e la conoscenza di termini complicati grazie ai quali sarà possibile vincere il fato; le altre assicurano ai loro adepti il possesso dello Spirito Santo e il dono della profezia; altre ancora, con l’impiego di procedimenti magici, sembrano operare miracoli. Alcune fra di esse esigono dai loro fedeli un’ascesi capace di collocarli al di fuori delle condizioni normali dell’esistenza, mentre altre proclamano l’indifferenza delle azioni per gli spirituali, autorizzandoli così alle peggiori scostumatezze. Non c’è tendenza umana, buona o cattiva, alla quale esse non pretendano dare soddisfazione e si comprende senza difficoltà l’influsso che esercitano. stino compone un’opera contro che troverà molti imitatori.

Fin dalla metà del

11

secolo, Giu-

le eresie !, dando così un esempio

siamo male informati sul successo reale di Disgraziatamente tutte queste sette e sarebbe altrettanto inesatto esagerarlo quanto negarlo. Quando Giustino assicura che un gran numero di persone accetta la dottrina di Marcione ®, quando Ireneo si lamenta delle conversioni operate dagli gnostici fin nella valle del Rodano , quando 95 (Unam

eat 61 e 63

Cfr G Bardy, La théologiede Sanctam,

13), Paris

1945,

pp

l’Eglise 11/12.

de saint Clément è saint Irénée

Cfr A v Harnack, Marcion. Das Evangelium 1924, pp 143/152. Giustino, Apologia I, xxv1, 8. Ibid, 1vu1, 1. Ireneo, Adversus Haereses, 1, 13ss. 303

des fremden Gottes,

11 ed,

L’apostasia Origene menziona a ogni piè sospinto nelle sue omelie gli errori di Matcione, Basilide e Valentino , non si La il diritto di dire che i difensori dell’ortodossia parlano nel vuoto e combattono avversari immaginari. Ma è un fatto che, agli inizi del 111 secolo, il pericolo dell’eresia è eliminato dalla chiesa e questa è ormai sicura di una

vittoria altrettanto pronta quanto definitiva. Soprattutto è importante sapere in quali ambienti abitualmente le eresie reclutano i propri fedeli: costoro vengono direttamente dal paganesimo o sono, almeno nella maggior parte dei casi, apostati dal cattolicesimo? Se bisogna prestar fede agli antichi scrittori è la seconda ipotesi quella vera. La maggior parte degli eretici, non solo i maestri, ma anche i semplici fedeli, sarebbero cioè passati per il cattolicesimo prima di cadere nell’errore. Ecco cosa dice in primo luogo Tertulliano per quanto riguarda i capi: «Si sa che Marcione e Valentino non furono talmente antichi: essi vissero su per giù sotto il regno di Antonino. Essi credettero dapprima alla dottrina cattolica nella chiesa romana, fino al giorno in cui, la loro curiosità sempre inquieta e con la quale corruppero anche i loro fratelli, non li fece espellere per due volte, Marcione assieme

ai duecentomila sesterzi che aveva portato alla chiesa. Quindi, esiliati in una separazione perpetua, essi dispersero il veleno delle loro dottrine. Infine Marcione, avendo confessato il suo pentimento, accettò la condizione a cui fu subordinata la concessione della pace ecclesiastica, cioè di restituire alla chiesa coloro che aveva trascinato alla rovina con i suoi insegnamenti. Ma la morte non gliene lasciò il tempo» ®. i

Cfr A v Harnack, Der

Arbeiten

des Origenes

(Texte

Kirchengeschichiliche und Untersuchungen,

Ertrag der exegetischen 42, 3/4),

t 1, pp 30/39; t 2, pp 54/81. 65 ‘Tertulliano, De praescriptione baereticorum, 2xx, 2/3, Marcione,

secondo

la tradizione,

è il figlio di un

Leipzig

1918;

aggiungiamo che vescovo di Sinope e che fu

dapprima scomunicato nel suo paese per aver violato una vergine; Pseudo Tertulliano, Adversus omnes baereses, 1. Quanto a Valentino, Tertulliano, Adversus Valentinianos, Iv, scrive di lui: «Valentino sperava nell’episcopato (di Roma)... Ma avendo ottenuto il posto un altro, a causa della prerogativa del mattirio, indignato, si staccò dalla chiesa della regola autentica». Ireneo, Adversus Haereses, IN, 4,3, assicura che Cerdone, prima di cadere nell'eresia, era stato cattolico e che era stato ammesso persino alla penitenza, come Marcione e Valentino. Può darsi che in questi racconti vi siano elementi leggendari, calcati gli uni sugli altri. Ma noi non abbiamo argomenti per sospettare dell’apostasia delle persone in questione. 304

Attrazione dello gnosticismo Da parte sua Montano è un neoconvertito “ che, «nello smisurato desiderio di primeggiare che aveva il suo animo, fece passare in sé il nemico». Fra i suoi discepoli, Temisone si vantava di aver confessato il Cristo. In realtà era sfuggito alla prigione e aveva ottenuto la libertà, grazie al pagamento di una forte somma “’, Un altro, Alessandro, pretendeva ugualmente di essere trattato da confessore. Attesta Apollonio: «Egli è stato giudicato da Emilio Frontino, proconsole di Efeso, non a causa del nome (di Cristo), ma a causa rapine aveva commesso. Egli era già un apostata. In seguito egli mentì nel nome del Signore e fu rimesso in libertà. Egli aveva ingannato i fedeli di questo paese e la sua chiesa, alla quale apparteneva, non lo ricevette perché era un ladro. Coloro che vogliono sapere e lo concerne, hanno a loro disposizione gli archivi pubblici di Asia» “ che

Tutti costoro non valgono la corda per impiccarli, se almeno bisogna prestar fede alle testimonianze che abbiamo citate. Essi hanno lasciato la chiesa perché non hanno potuto fare altrimenti, perché non erano degni di essa, e perché, sia la dottrina che la chiesa insegna che la condotta che esige, erano troppo elevate per essi. Quanto ai discepoli il loro caso è ancora più chiaro. Scrive Ireneo nella prefazione del suo Adversus Haereses: «Senza riguardo per la verità, alcuni introducono parole menzognere e genealogie vane, atte a sollevare più difficoltà, come dice l’Apostolo, che non a edificare l’edificio di Dio nella fede; le loro combinazioni ingegnose convincono e trascinano gli ingenui; essi li imprigionano nelle spiegazioni falsificate delle parole del Signore, nei commenti perversi dei suoi bei insegnamenti. Così sconvolgono molte anime attirate da una pretesa conoscenza, allontanandole da colui che ha organizzato e ordinato l’universo. I loro artifici di parole spingono allo studio gli incapaci e le loro assurdità causano la perdita di questi disgraziati che, non sapendo discernere il vero dal falso, bestemmiano empiamente il creatore. Essi non mostrano il loro errore per non scoprirsi e non essere presi. Quest'errore si avvolge astutamente in speciose verosimiglianze e, in questo, aspetto esteriore, esso appare ai novizi più vero della stessa verità» ® Anonimo, cit da Eusebio, Storia seat

ecclesiastica, Apollonio, cit da Eusebio, ibid, v, 18, 5. Apollonio, cit da Eusebio, ibid, v, 18, 9. Ireneo, Adversus Haereses, 1, prefazione.

305

v, 16, 6.

L’apostasia Tertulliano

aggiunge

altre precisazioni a questo quadro:

«La preoccupazione degli eretici non è di convertire i pagani, ma di pervertire i nostri. La gloria che essi ricercano di preferenza non è di sollevare coloro che sono a terra, ma di gettare in basso quelli che stanno eretti. È questo è naturale, perché la loro opera non è fatta di materiali che siano propri a loro, ma dei rottami della verità. Essi scalzano la nostra casa per costruire la loro. Togliete loro la Legge di Mosè, i profeti, Iddio creatore: non hanno più accuse da articolare. In questo modo essi distruggono più facilmente gli edifici già innalzati, di quanto non innalzino le rovine che giacciono al suolo. Ecco l’unico compito per il quale essi diventano umili, accarezzanti e modesti. Inoltre essi ignorano il rispetto, persino nel riguardi dei loro capi. Ecco perché in genere non c’è scisma presso gli eretici. Quando c'è non lo si vede, perché lo scisma è la loro stessa unità» ”, Altrove Tertulliano spiega ciò che può attirare all’eresia i cristiani tiepidi. In primo luogo è l’ambizione, il desiderio dei primi posti: «Le loro iniziative son fatte a capriccio, senza serietà, senza seguito. Essi istallano a volte dei neofiti, a volte degli uomini impegnati nel secolo, a volte i nostri apostati per unirli a sé con l’ambizione, perché non possono farlo con la verità !, Da nessuna parte si avanza più facilmente che nel campo dei ribelli: il fatto stesso di trovarsi fra di loro costituisce già un titolo» 7.

Più spesso ancora è la debolezza della fede: «Le eresie sono così forti solo su coloro la cui fede è debole. Nelle lotte degli atleti e dei gladiatori, per lo più il vincitore trionfa, non perché sia invincibile, ma perché il vinto era senza vigore... Non avviene diversamente con le eresie. Esse traggono tutta la loro forza dalla debolezza di alcuni, ma esse sono senza vigore, contro una fede vigorosa» , ”%

Tertulliano, De praescriptione baereticorum, XLII, 1/6; cfr Tertulliano,

Adversus

71

Valentinianos,

È molto conosciuto

antiartemonita

che cita

1.

il caso del Eusebio,

op

confessore Natale, riportato dall’anonimo cit, v, 28, 10/12: «Natale fu condotto

dagli eretici, dietro pagamento, ad assumere il titolo di vescovo di questa eresia; egli doveva ricevere da essi una mensilità di 150 denari... Egli era sedotto dal primato di cui godeva in mezzo a loro e dall'amore vergognoso del guadagno che svia tanti uomini». 2 Tertulliano, De praescriptione baereticorum, XLI, 6. 7

Ibid,

11,

6/8.

306

Attrazione dello gnosticismo Perché meravigliarsi allora se un vescovo, un diacono, una vedova, una vergine, un dottore, un mattire stesso si allontanano dalla regole? Nessuno si può vantare di essere superiore alla tentazione o al peccato. Bisogna che vi siano delle eresie, perché i giusti siano messi in luce, allo stesso modo in cui occorrono le persecuzioni, per provare la costanza di coloro che si vantano di essere fermi. Ma «la persecuzione fa almeno i mattiri, mentre l’eresia fa solo gli apostati» “,

Ogni eresia ha d’altra parte la sua attrattiva particolare e i suoi procedimenti per sedurre le anime deboli o incostanti. Presso i montanisti la grande attrazione è il carisma profetico. Tutti coloro che seguono Montano sono presi da una specie di entusiasmo che li fa andare fuori da se stessi. Invano i cattolici cercano di reagire contro questo impulso e uno di essi, Milziade, prova che un profeta non deve parlare quando si trova in estasi ”. I fanatici non vogliono sentir nulla ”. Inoltre Montano annuncia ai suoi discepoli la venuta imminente della Gerusalemme celeste nella piana di Pepuza. Questa promessa contribuisce fortemente a eccitare le anime e folle immense si riuniscono nel luogo designato per essere sicure di non mancare allo spettacolo della parusia trionfale 7. Ancora a lungo, dopo le prime delusioni, si trovano cristiani, e persino vescovi, prontissimi a lasciarsi ingannare da nuove promesse: ogni annuncio della fine del mondo provoca una crisi che gli spiriti calmi fanno fatica a sanare °°. I marcosiani descritti da Ireneo ”, impiegano volentieri procedimenti magici per attirare l’attenzione. 74

Ibid,

1v, 5.

7 76

Cfr Eusebio, Storia ecclesiastica, v, 17, 1 Anonimo, cit da Eusebio, op cit, v, 16, 8/9: «Gli altri al contrario, eccitati come da uno spirito santo e un carisma profetico, ma gonfi soprattutto d'orgoglio e dimentichi dell’ordine del Signore, incoraggiatono questo spirito insensato (Montano), ammaliatore e seduttore del popolo, incantati e trascinati com'erano da lui nell’errore, al punto da non riuscire più a tacere... Lo spirito proclamava felici quanti gioivano e si glorificavano in lui; egli li inorgogliva con la grandezza delle promesse, ma a volte rivolgeva loro in faccia rimproveri molto giusti e degni di essere accettati, perché apparisse egualmente capace di riprenderli». 7 Apollonio, cit da Eusebio, op cit, v, 18, 2. Sul successo riportato dalla propaganda montanista cfr P_de Labriolle, La crise montaniste, Paris 1913, pp 145/146. Si videro città intere come Tiatira, passare all’eresia; Epifanio, Haereses,

LI, 33.

76 Cfr Ippolito, In Danielem, 111, 18, ed Bonwetsch, p 230; Firmiliano di Cesarea, Epistula ad Cyprianum, in Cipriano, Epistulae, L30otv, 10. 5

Ireneo,

Adversus

Haereses,

1, 13,1.

307

L’apostasia «Il grande dottore della setta, Marco, finge di consacrare calici riempiti d ‘acqua e, allungando la sua preghiera invocatoria, li fa apparire rossi, color sangue, come se la grazia dall’alto facesse discendere nei calici il proprio sangue all’appello del prestigiatore. E tutti i presenti ardono dal desiderio di gustare questo beveraggio, perché la grazia agisca anche su di essi. Egli fa consacrare i calici dalle donne, provoca la loro meraviglia, le seduce, perché mira soprattutto ad esse, s ente se sono ricche ed eleganti. Col pretesto di comunicare la grazia, e il dono della profezia, egli ottiene da esse doni, ricchezze, a volte persino l’amore... Alcuni (dei sugi discepoli) costruiscono un letto nuziale e organizzano una cerimonia mistica per coloro che essi iniziano. Dicano che si tratta delle nozze spirituali, immagine delle unioni soprannaturali degli eoni. Altri battezzano nell’acqua dicendo: nel nome del Padre sconosciuto di tutte le cose, verso la verità madre di tutte le cose, verso Gesù che discende, per l’unione e la redenzione

e la comunione delle potenze. Altri pronunciano termini ebraici: basyna, cacabasa, canaa... che vengono spiegati in questo modo: tu

che sorpassi ogni virtù del Padre, io ti invoeo, tu che ti chiami luce, spirito e vita, perché in un corpo, tu hai regnato... Altri riscattano moribondi, spargendo sulla loro testa acqua e olio, oppure un unguento con acqua, recitando le formule che sappiamo. Essi ordinano a questi moribondi di dire questa formula, quando, morti, incontreranno le potenze: io sono un figlio che viene, padre del primo padre; io sono figlio in questo momento. Io sono venuto a vedere tutte le cose, quelle che sono mie e quelle che sono degli altri, quelle almeno che sono di Hachamoth, la femmina, e che essa ha fatte per se stessa; io traggo il mio essere dal primo essere e ritorno a me, da dove sono venuto» ® i

Com’era possibile che cerimonie così strane, formule tanto misteriose, non avessero grande successo presso spiriti curiosi o anime avide di liberazione? Stando alla testimonianza del vescovo di Lione, i marcosiani moltiplicano di fatti le loro conquiste nella valle del Rodano e la loro influenza si estende anche nelle famiglie dei membri del clero ®!, Gli artemoniti si rivolgono soprattutto agli intellettuali che abbagliano con la loro scienza: «Essi non cercano ciò che dicono le sante lettere, ma si adoperano faticosamente a trovare una forma di ragionamento per stabilire la loro empietà. Se si obietta loro una parola dei libri sacri, chiedono ” Citiamo qui il riassunto di Ireneo, dato da A Dufoureg, Saint Irénée (La pensée chrétienne), Paris 1905, pp 54/56. “ Ireneo, Adversus Haereses, 1, 13, 6. 308

Attrazione dello gnosticismo si può fare un sillogismo congiuntivo o disgiuntivo. Essi mettono da parte le sante Scritture di Dio e si applicano alla geometria; essi sono della terra, parlano della terra e non conoscono colui che viene dall’alto. Euclide geometrizza quindi arditamente fra alcuni di essi; Aristotele e Teofrasto fanno la loro ammirazione e Galieno è quasi adorato da alcuni di loro... Essi non hanno paura di mettere la mano sulle divine Scritture, dicendo che è per correggerle. Chiunque vuole, potrà convincersi che io non calunnio dicendo di loro queste cose. Se in effetti si prendono degli esemplari di ognuno di loro e si metse

tono a confronto, si troverà che sono molto differenti. Quelli di Asclepiade in effetti non concordano con quelli di Teodoto. Del resto è facile procurarsene in gran numero, perché i loro discepoli copiano con zelo le alterazioni di ciascuno di essi. Inoltre il testo di Ermofilo è differente da questi e quello di Apolloniade non concorda con nessun altro» ©,

Ad uso di coloro che non sono interessati alla critica, gli artealtri metodi. Essi assicurano di avere dalla propria la tradizione della chiesa, che tutti gli antichi e gli stessi apostoli hanno ricevuto e insegnato quello che loro insegnano attualmente, che la verità della predicazione è stata conservata fino al tempo di Vittore, tredicesimo vescovo di Roma dopo Pietro, ma che a partite da Zemoniti impiegano

firino, suo successore, è stata alterata . Questi argomenti non restano sterili. L’eresia di Artemone si diffonde negli ambienti romani dove raccoglie numerosi seguaci. Forse esercita la sua influenza fino ad Antiochia, se è vero, come pretende Eusebio, che Faolo di Samosata si è limitato a rinnovarla “, Durante tutto il 11 secolo l’eresia lavora in questo modo a strappare i fedeli alla grande chiesa. Si è preteso di affermare, è vero, che l’eresia è anteriore all’ortodossia, la quale non sarebbe che il risultato di un violento sforzo di opposizione al libero pensiero ., Un paradosso simile non ha bisogno di molto per essere respinto “. In realtà l’errore opera le sue più brillanti conquiste negli ambienti già guadagnati Anonimo, cit da Eusebio, Storia ecclesiastica, Anonimo, cit da Eusebio, ibid, v, 28, 3. Eusebio,

ibid,

v, 28, 1. Rechiglaubigkeit

v, 28, 13/17.

Cfr W Bauer, und Ketzerei im dltesten Cbhristentum, Tiibingen 1934. 6 Cfr A v Harnack, Mission und Ausbreitung, cit, t 2, p 928; «I principi fondamentali e le dottrine di queste comunità (eretiche) erano così costituite, che non potevano trovare facilmente un seguito se non dove si trovava una cristianità

già

costituita».

309

L’apostasia

al cristianesimo, e quando la chiesa è abbastanza organizzata per opporgli una resistenza efficace, esso cessa di essere realmente pericoloso. Verso la fine del Iv secolo, Ottato di Milevi può assicurare che i nomi stessi degli eretici, Marcione, Prassea, Sabellio, Valentino e gli altri, fino ai catafrigiani, sono totalmente sconosciuti in Africa‘

Ed è già da molto tempo che è così, quando Ottato rende questa testimonianza.

3. Le persecuzioni In mancanza delle eresie altre.cause agiscono per moltiplicare il numero degli apostati. Una delle più efficaci, che esercita la sua azione soprattutto durante la crisi del 111 secolo, ma che si manifesta già prima, è il timore del martirio, unito al desiderio troppo umano di tranquillità e di vita facile. Senza dubbio, fino alla conversione di Costantino, la chiesa conosce veri periodi di pace e, fino all’editto di Decio, la persecuzione non la colpisce mai tutta intera. Ma resta vero che, per quasi tre secoli, tutti i cristiani sono più o meno esposti a dare la vità per il Signore. Essi lo sanno e l’eroismo è quindi una condizione essenziale della loro aggregazione alla chiesa. Tuttavia molti lo dimenticano e si lasciano prendere dalla spensieratezza provocata dagli anni tranquilli, per cui la prova li trova disarmati e impotenti. Verso il 150, la chiesa di Roma, così come la descrive Erma, ha un

numero molto grande di fedeli di questo genere. «Vi sono persone che non hanno mai scrutato la verità, né cercato di approfondire le cose divine, ma si contentano di una fede superficiale, immersi come sono negli affari, nelle ricchezze, nelle amicizie con i pagani e molte altre preoccupazioni di questo mondo» ®, Le conseguenze di un atteggiamento siffatto sono facili da prevedere: «Coloro che hanno presentato i rami, di cui i due terzi erano secchi e l’altro verdeggiante, sono gli uomini che dopo aver abbracciato la fede, hanno ammassato ricchezze e guadagnato la considerazione dei pagani. Essi hanno concepito per questo un grande orgoglio e sono divenuti arroganti; hanno abbandonato la verità e disertato la società dei giusti, per dividere la vita dei pagani, trovando questa via più dolce. Tuttavia non hanno rinnegato Dio, ma hanno perseverato 7 88

Ottato di Milevi, De schismate Donati, Erma, Pastore, mandato x, 1, 4. 310

1,

9.

Le persecuzioni nella fede, pur non compiendo le opere della fede. Molti fra di loro hanno fatto penitenza e sono andati ad abitare nella torre. Altri, al contrario, a forza di vivere con i pagani, si sono lasciati sedurre dalla vana considerazione di cui godono presso loro, ed hanno abbandonato definitivamente Dio per condurre la vita dei pagani, nel numero dei quali devono essere classificati. Altri hanno mostrato esitazione, disperando della loro salvezza a causa delle azioni che hanno commesso. Altri infine sono caduti nell’indecisione e hanno seminato la discordia tra di loro» ®,

Il quadro non è bello e fa intravedere molto rilassamento nella comunità romana. Anche se le apostasie esplicite vi sono rare, quale altro nome che quello di apostata si può dare ai cristiani che si disinteressano della religione e ricominciano a condurre la vita dei pagani, senza preoccuparsi affatto dei loro interessi spirituali? Questo stato di cose non è solo di Roma. Verso il 200, Tertulliano lo denuncia anche a Cartagine. Egli conosce gente che è cristiana quando le piace, secondo i capricci del vento, si potrebbe dire”. Egli parla altrove dei fedeli che sono tenuti lontani dalla chiesa dai rischi della. voluttà, piuttosto che da quelli della vita’. A Cesarea la situazione non è migliore. Origene dichiara ai suoi ascoltatori che non meritano di essere perseguitati e che Dio prevede che essi non saranno talmente coraggiosi da saper affrontare il martirio ”, Quando viene il tempo della prova, le apostasie si moltiplicano. I figli di Erma bestemmiano il Signore e tradiscono i loro genitori con molta malizia; a queste colpe aggiungono inoltre costumi dissoluti e un diluvio di infamie. Ciò non impedisce al padre, troppo indulgente, Li ”%

Ibid, similitudine vir, 9, 1/4. ‘Tertulliano, Scorpiace, 1.

% Tertulliano, De spectaculis, 11, 3; ed Boulanger, Paris 1933, p 41. 2 Origene, In Numeros, x, 2; ed Bihrens, t 2, p 72: «Dobbiamo dire che i sacrifici dei martiri non vengono offerti per noi e che quindi rimangono in noi i nostri peccati; infatti non meritiamo di patire la persecuzone per Crsto né di morire per il nome del Figlio di Dio. E lo stesso diavolo, sapendo che i peccati vengono

rimessi con la passione

del martirio,

non vuole

muoverci

le pubbliche persecuzioni dei pagani. Egli sa infatti che, se venissimo condotti davanti ai re e alle autorità nel nome di Cristo, per rendere testimonianza di fronte ai pagani e ai giudei, questo costituirebbe per noi una gioia ed un’esultazione, perché la nostra mercede è grande nei cieli. Il nemico non fa questo o perché è invidioso della nostra gloria, oppure forse perché,

colui che tutto prevede, sa già in anticipo che noi non siamo idonei a tolletare il martirio». Ci si scuserà di aver citato questo bel passaggio in esteso, benché sia in parte estraneo al nostro oggetto.

311

di Origene

L’apostasia

di promettere loro il perdono se si pentono ”. Nel corso della stessa persecuzione, molti cristiani di Roma fanno lo stesso: bestemmiano il Signore e tradiscono i servi di Dio *; meno compassionevole per loro, di quanto lo è per i suoi figli, il veggente li tratta da apostati, scellerati, e dichiara che non ci sarà penitenza per essi. A Smirne, durante la persecuzione di cui Policarpo è la vittima più gloriosa, un frigio, di nome Quinto, è sufficientemente temerario per denunciarsi da se stesso alle autorità e per spingere altri cristiani a seguire il suo. esempio; ma arrivato nel circo e messo in presenza delle bestie, è preso da terrore, per cui il proconsole lo convince con i suoi inviti a giurare per la fortuna di Cesare e a sacrificare agli dèi. Questo esempio di debolezza produsse una profonda impressione su tutta la chiesa ”. A Lione, nel 177, un grande numero di fedeli viene arrestato e contemporaneamente anche il vescovo Potino e il diacono Santo sono gettati in prigione; molto presto avviene una cernita fra i prigionieri. Scrive il redattore della lettera alle chiese di Asia e di Frigia: «Gli uni erano evidentemente

pronti

al martirio;

essi diedero

con alacrità perfetta la confessione; ma ve ne furono altri che non

erano né preparati, né esercitati e che si trovavano ancora deboli, non in condizione da sopportare lo sforzo di un grande combattimento; di costoro, circa dieci, cedettero. Essi ci causarono una tristezza grande e un dolore incommensurabile; essi spezzarono la sollecitudine degli tri che non erano stati arrestati ed i quali, a prezzo di terribili sofferenze, assistevano tuttavia i martiri e non li abbandonavano. Noi eravamo tutti terrorizzati dall’ambiguità della loro confessione ®... Il rinnegamento non servì loro gran cosa, perché in un primo tempo restarono rinchiusi nella stessa prigione dei loro compagni, sotto l’imputazione di omicidio e impudicizia... Abbassavano gli occhi; erano abbattuti, costernati e ripieni di una totale confusione; i pagani li insultavano, li *rattavano da vili, da gente senza coraggio; essi erano accusati di omicidio e avevano perduto il nome degno di ogni onore, il nome glorioso che dà la vita. Il resto dei nostri, vedendo questo, si

rafforzò 7... Per misericordia di Dio tuttavia molti rinnegati si convertirono ” Érma, op ci!, visione 11, 2, 1. “ Ibid, similitudine 1x, 19, 1. Sui martiri di questa persecuzione cfr ibid, visione 111, 2,1; similitudine vir, 3, 6/7. Mariyrium Polycarpi, 1v. 1 redattori aggiungono al loro racconto: «È per questo, fratelli, che noi non lodiamo coloro che si consegnano volontariamente, mentre il vangelo non insegna in questo modo». % Epistula ecclesiae lugdunensis, cit da Eusebio, op cit, v, 1, 11/12.

n

Ibid, 35.

312

Le persecuzioni e, fra di essi, una cristiana di nome Biblis. Il Cristo fu allora magnificamente glorificato da coloro che l’avevano rinnegato in un primo tempo: contro l’attesa dei pagani, essi gli resero testimonianza. Di fatti li si interrogò a parte, senza dubbio come per rendere loro la libertà, fecero la loto confessione e vennero aggiunti al numero dei martiri. Ne restarono fuori solo coloro che non avevano mai avuto traccia di fede, né rispetto della veste nuziale, né pensiero del timore di Dio, ma che con il loro voltafaccia facevano bestemmiare la via, cioè i figli della perdizione» “. Vetso la stessa epoca, sotto il regno di Marco Aurelio, sembra che avvenimenti analoghi si siano verificati ad Edessa. Il vescovo Noè viene messo a morte e la persecuzione che ne segue è così dura che molti fratelli che sono ancora deboli nella fede, ritornano al culto dei demoni; per quattro anni è impossibile ordinare un vescovo”. Ovunque si rinnovano gli stessi fatti. Dalla fine del 111 secolo, la persecuzione diventa un'occasione così temibile di apostasia che i vescovi non esitano a raccomandare ai fedeli di fuggire in altre città e a dare persino l’esempio della fuga. Alcuni di loro si riscattano con il denaro, assieme alla loro comunità, per non essere costretti a rendere la testimonianza suprema. Diventato montanista, Tertulliano condanna energicamente nel De fuga in persecutione questa duplice tolleranza !”. Per quanto eloquente, la sua protesta resta senza effetto. Più pietosa di fronte alla debolezza umana, più maternamente tenera, la chiesa cattolica non si crede in diritto di obbligare i suoi figli a subire prove superiori alle loro forze e di esporli spontaneamente alla apostasia. Fino allora tuttavia non si segnalano che apostasie individuali. L’editto di Decio, nel 250, provoca apostasie collettive che mettono in grande pericolo la stessa vita di alcune chiese. La prima metà del 111 secolo era stata per il cattolicesimo un periodo di magnifiche conquiste !!, Tra la persecuzione di Settimio Severo e quella di MassiLi

Ibid,

48.

» Cronaca di Arbela, 5; ed Zorell (Orientalia Cbhristiana, vit, 4), Roma 1927, p 21. 100 Cfr Tertulliano, De fuga in persecutione, Vv, 1: «E dice: quanto a me, fuggo, per non perire qualora dovessi rinnegare; sta a lui, se vuole, riportarmi nel mezzo. Rispondimi questo in primo luogo: sei certo che rinnegherai se non fuggirai, o sei incerto? Se sei certo, hai già rinnegato, perché, presumendo che rinnegherai, già hai rinunciato a ciò che hai presunto; inutilmente quindi fuggi per non rinnegare;

perché se rinnegherai, hai già rinnegato». sufficienti a darci un’idea di queste con1rr secolo (verso il 200), Origene dichiara

101 Gli scritti di Origene sono quiste. Quando parla dell'inizio del

313

L’apostasia mino il Trace, la pace non aveva cessato di regnare e grazie ad essa numerose reclute erano venute alla chiesa. D’altra parte le famiglie cristiane si erano moltiplicate e la formula di Tertulliano, fiunt non nascuntur christiani (cristiani si diventa, non si nasce) aveva smesso di essere vera dopo che i battesimi dei bambini erano diventati frequenti !®, Ma la qualità dei nuovi fedeli non era migliorata, al contrario !°; scrive Cipriano: «Ognuno si adoperava ad aumentare la sua fortuna. Dimenticando quello che facevano i cristiani di un tempo, all’epoca degli apostoli, e ciò che dovrebbero fare sempre, bruciando dal desiderio insaziabile di ricchezze, tutti si occupavano ad accrescere le loro entrate. Non c’era più pietà nei preti, non C’era più integrità nella fede dei ministri di Dio, non c’era più carità nelle opere, non c’era più regola nei costumi. Gli uomini osano tagliare la loro barba, le donne si truccano; si corrompe la purezza degli occhi, opera delle mani di Dio; si dà ai capelli un colore falso. Per ingannare i cuori semplici si impiega l’astuzia e l’artificio; per circuire i fratelli si fa ricorso alla furberia. Ci si sposa con gli infedeli, si prostituiscono ai pagani le membra di Cristo. Non solo si giura per ogni cosa, ma si spergiura; non si ha per i superiori che sdegno pieno di orgoglio, si lancia contro il prossimo il veleno della maldicenza, odi persistenti dividono gli uni dagli altri. Molti vescovi, invece di essere come devono le guide e il modello del resto dei cristiani, disprezzano il divino ministero e si fanno agenti di affari dei potenti del secolo; essi disertano le loro cattedre, abbandonano il loro popolo e se ne vanno, errando di provincia in provincia, cercando di trafficare e realizzare grossi benefici. I loro fratelli mancano di tutto nelle loro chiese, ma essi vogliono che in questo

momento

i cristiani

non erano

ancora

numerosi,

che non

vi era

città interamente cristiana e che, in nessuna città i cristiani avevano la maggioranza;

cfr Contra

Celsum,

111,

30; In

psalmum

36,

homilia

1, 1.

Invece

quando parla del periodo 235/250, afferma che la predicazione cristiana ha raggiunto il mondo intero; De Genesi, homilia 1x, 2; In Canticum Canticorum, IL ecc. Non bisogna tuttavia forzare indebitamente questi testi. Per spiegare il ritardo della parusia, Origene, In Matthaeum, serie 39, spiega che tutte le nazioni non sono state ancora raggiunte dalla predicazione evangelica, mentre

altrove, In Numeros, homilia xt, Cristo.

L’impressione

resta tuttavia

1, dice che ovunque vi sono chiese del

quella che abbiamo

dato;

cfr A v Harnack,

Mission und Ausbreitung, cit, t 2, pp 535/538; 548/549. 12

Tertulliano,

De

baptismo,

xvIII,

conosce

al contrario,

In

Epistulam

i battesimi

dei bambini,

ma

non li consiglia; egli li teme piuttosto a causa dei rischi di apostasia che comportano.

Origene,

ad

Romanos,

v,9,

dichiara

che la chiesa ha ricevuto dalla tradizione apostolica l’uso di battezzare anche i bambini;

103

cfr In Lucam,

homilia

Cfr sopra, capitolo v, III.

xav.

314

Le persecuzioni avere denaro in abbondanza; adoperano sotterfugi e frodi per mettere la mano sulle terre; ricorrono all’usura per aumentare a dismisura il proprio avere» '*,

Il ritratto non è lusinghiero ed è possibile trovare altrove, specialmente nelle omelie di Origene, di che confermarlo, se non di che farlo diventare ancora più nero. Anche dopo aver messo in conto la severità indispensabile al moralista si impone la conclusione: la chiesa del 111 secolo conta troppi fedeli indifferenti o deboli. L’editto di Decio scoppia all’improvviso su di essi come un colpo di fulmine a ciel sereno. Noi non ne conosciamo i termini, ma sappiamo che esso obbliga tutti i sudditi dell’imperatore a munirsi di un certificato costatante che essi appartengono alla religione ufficiale e che ne hanno adempiuto i riti in presenza di un funzionario designato a questo scopo. Un certo numero di questi certificati ci è pervenuto. Essi sono redatti in maniera uniforme e fissata una volta per tutte: «Alla commissione eletta per sorvegliare i sacrifici. Memoria di Aurelio Aseside, figlio di Sereno, del borgo di Teadelfia. Io ho sempre offerto sacrifici agli dèi e ancora adesso, in vostra presenza, ho fatto, secondo l’editto, libagioni e sacrifici e ho mangiato offerte sacre. Io vi prego di darmene atto qui sotto. State bene, Aseside, 32 anni, invalido... Noi, Aurelio Sereno ed Aurelio Erma, lo abbiamo visto sacrificare. Io Erma ho siglato. Anno primo dell’imperatore Cesare Gaio Messio Quinto Traiano Decio, Pio, Felice, Augusto, il 18 di Payni» !®, Se Decio aveva sperato di distruggere il cristianesimo con le sue imposizioni, i fatti dovevano incaricarsi di dimostrare il suo ertore. Ma in un primo momento poté credersi vincitore, tanto fu alto dappertutto il numero di coloro che si sottomisero all’editto o che almeno fecero sembiante di sottomettersi !. Le testimonianze che 104

Cipriano,

105

H Leclercq, «Les certificats de

Bulletin

De lapsis, vI.

d’ancienne

littérature

sacrifice paien sous Dèce en 250» in et d’archéologie chrétiennes (1914), p 130. Ba-

sta limitarci ad un esempio. Altri testi non ci direbbero nulla in più. 106 Era di fatti possibile procurarsi certificati di favore, sia ottenendoli dai magistrati poco esigenti, sia comprandoli in denaro sonante. I cristiani intransigenti

erano

disposti

a condannare

senza

remissione

questa

pratica

e non

avevano del tutto torto. Nonostante tutto la colpa dei libellatici—si diede questo

nome

a coloro

che compravano i certificati—, quella degli apostati che avevano sacrificato agli idoli limitati a offrire l'incenso.

315

era

meno

grave

di

o si erano anche solo

L’apostasia

si riferiscono a Cartagine e ad Alessandria. altrettanto tristi quanto decisive. Scrive Cipriano:

possediamo

Essi sono

«Alle prime parole di minaccia proferite dal nemico, un grande numero di fratelli abbandonò la propria fede; non fu la violenza della persecuzione ad abbatterli, ma sono caduti per proprio volere. Essi non aspettavano per salire (ai templi) di essere presi; essi negavano prima ancora di essere interrogati. Da se stessi correvano al foro, si affrettavano verso la morte (delle loro anime) come se questò fosse stato da sempre il loro desiderio, come se avessero ottenuto l’occasione di realizzare ciò che ‘da sempre avevano desiderato. E quanti supplicavano che si accettasse il loro rinnegamento se, sopravvenuta la sera, i magistrati li rimandavano! A molti non bastava perdere se stessi, ma si eccitavano vicendevolmente alla defezione... e perché niente mancasse a questo straripamento di crimini, si videro bambini

portati sulle braccia dei genitori o condotti per mano, per essere spogliati di ciò che avevano ricevuto al momento della loro nascita.. Fratelli carissimi, non bisogna dissimulare la verità, né tacere la causa dei nostri mali: ‘è l’amore cieco del patrimonio che ha ingannato !

molti»

17

Il vescovo di Alessandria fa eco a quello di Cartagine, mini tali, che i due racconti sembrano calcati l’uno sull’altro:

in ter-

«Tutti furono presi da spavento; molti e tra i più considerevoli si presentarono subito; costoro cedevano al timore; altri erano funzionari ed erano condotti dalle loro funzioni; altri erano trascinati dall’ambiente; chiamati per nome si recavano ai sacrifici impuri ed empi. Gli uni erano pallidi e tremanti, non come gente che deve sacrificare, ma come se essi stessi dovessero essere sacrificati e immolati agli idoli; venivano anche sommersi dalle sghignazzate di derisione del popolo numeroso che li circondava; ed era evidente che erano totalmente vili, sia per morire che per sacrificare. Altri invece accorrevano agli altari in maniera più risoluta e affermavano con ardore che non erano mai stati cristiani. A loro proposito è molto vera la parola del Salvatore, perché difficilmente. saranno salvati. Il resto o seguiva il cattivo esempio degli uni e degli altri o fuggiva. Alcuni erano arrestati; di questi, alcuni dopo essere stati condotti ai ferri e alla prigione, altri persino dopo esserci rimasti per parecchi giorni, in seguito abiuravano prima di andare in tribunale; altri ancora, dopo vento sopportato per un certo tempo le torture, rifiutavano di andare oltre

107

Cipriano, De lapsis, 7/11.

108

Dionigi Alessandrino,

cit da Eusebio,

316

Storia

ecclesiastica,

VI, 41, 11/13.

Le persecuzioni Fra tante cadute lamentevoli, una delle più dolorose è quella del vescovo di Smirne, Euctemone. Noi non sappiamo esattamente a quali moventi abbia obbedito apostatando, ma è certissimo che ha apostatato in piena conoscenza di causa e che ha moltiplicato gli sforzi per trovare imitatori persino in mezzo al clero. Dopo’ aver rinnegato il Cristo, era venuto al tempio di Nemesi con un agnello che si proponeva di sacrificare alla dea e del quale voleva far mangiare le carni al prete Pionio, condotto davanti al tribunale per rispondere dell’imputazione di cristianesimo; aveva persino fatto arrostire l’agnello davanti alle dee, ma Pionio e i suoi compagni avevano energicamente rifiutato di assaggiarne, per cui era rimasto il solo a farlo e aveva dovuto riportarlo a casa appena intaccato. «Questa apostasia burlesca coprì di ridicolo il povero vescovo. Egli non aveva dimenticato nulla perché riuscisse grandiosa ed era stato con la corona in testa che aveva giurato per la fortuna dell’imperatore e per Nemesi» 1”. A quella di Euctemone bisogna avvicinare l’apostasia non meno clamorosa di due vescovi spagnoli: Basilide di Legione ed Asturica e Marziale di Emerita. Noi conosciamo il fatto grazie ad una lettera

di Cipriano:

«Secondo la vostra lettera, fratelli carissimi, e secondo la testimonianza conforme dei nostri colleghi Felice e Sabino e la lettera di un altro Felice di Cesaraugusta, che è uomo di fede e difensore della verità, Basilide e Marziale si sono macchiati con un criminale biglietto di idolatria. Inoltre Basilide, oltre la macchia del biglietto, mentre era ammalato, ha confessato di avere bestemmiato. Deponendo da se stesso, per obbedire alla sua coscienza tormentata dai rimorsi, l’onore dell’episcopato, si è messo a far penitenza, troppo felice di poter comunicare da laico. Marziale, da parte sua, dopo aver preso parte per lungo tempo, come membro di un collegio, ai banchetti vergognosi e impuri dei pagani, ha fatto sotterrare i suoi figli, essendo sempre nel medesimo collegio, alla maniera dei pagani, in sepolture profane ed ha affermato, in una pubblica udienza tenuta davanti al procuratore ducenario, che aveva obbedito agli ordini dell’idolatria e rinnegato il Cristo. Vi sono infine numerose colpe gravi di cui si sono resi colpevoli Basilide e Marziale» 11°,

Il caso di questi due vescovi, soprattutto quello di Marziale, è curiosissimo. Basilide si contenta dopo tutto di un certificato di sa109

110

Acta Pionti, 18; ed Knopf/Kriiger, Cipriano, Epistulae, LxvII, 6.

317

cit,

p 55.

L’apostasia

crificio, e non si sa altro di preciso sugli altri crimini che gli sono attribuiti. Marziale invece è a stento cristiano e la sua condotta lascia prevedere le colpe che condannerà, circa 50 anni più tardi, il concilio di Elvira !!!, Ci si meraviglia soltanto che un uomo di questo genere abbia potuto essere innalzato all’episcopato nella chiesa cattolica e si può ritenere che egli abbia soprattutto cercato i vantaggi materiali, che fin da allora erano collegati a questa funzione. Nella corrispondenza di Cipriano vengono segnalati ancora altri vescovi apostati. Evaristo è un italiano, forse uno dei consacratori

di Novaziano ,

Dopo essere stato deposto dalla sua sede, non è

nemmeno rimasto un semplice fedele e, uscito dalla chiesa di Cristo, si è messo ad errare lontano, in altte province. Ma non gli è bastato fare personalmente naufragio nella fede; ha cercato anche di provocare altri naufragi attorno a sé !, Altri sono africani. Giovino e Massimo «sono stati condannati da nove dei loro colleghi a motivo dei sacrifici e di crimini abominevoli stabiliti a loto carico» e sono stati nuovamente scomunicati nel concilio del 252; Reposto di Saturnuca non solo è caduto personalmente nel corso della persecuzione, ma con i suoi consigli sacrileghi ha fatto cadere la maggior parte del suo popolo ", Tutti questi personaggi sono poco interessanti, povera gente ripiena di ambizione o di orgoglio, invidiosa della vera santità, molto debole di fronte ai supplizi che Ja poteva minacciare. Costoro erano insomma cristiani senza carattere e senza volontà, pronti a seguire i più leggeri soffi di vento o i più deboli movimenti di opinione. Più della loro apostasia è il loro cristianesimo, in particolare la loro promozione al presbite-

rato e persino all’episcopato, s]vere 15,

che ci pone problemi difficili da ri-

ul Cfr Ch Guignebert, «Les demichrétiens et leur place dans l’Eglise antique» in Revue d’Histoire des Religions (1923). 12 Cornelio, Epistula ad Cyprianum, in Cipriano, Epistulae, 1,2. Evaristo fu rimpiazzato da Zeto. Sembra essere stato uno scismatico, piuttosto che un apostata in senso stretto. 113 Cipriano, Epistulae, 111, 1, 2. 114 Ibid, Lx, 10, 2/3. 15 Non parliamo qui di Novaziano, il cui caso resta molto oscuro. Cornelio, nella sua lettera a Fabio d’Antiochia, cit da Eusebio, op cit, v1, 43, 16, scrive: «Per viltà e amore della vita, in tempo di persecuzione, ha negato di essere prete. Invitato in effetti dai diaconi ed esottato a uscire dal nascondiglio dove si era imprigionato, e a soccorrere i fratelli così come deve, così 318

Le persecuzioni Fra gli apostati della persecuzione di Decio, molti non attesero nemmeno la fine delle difficoltà per pentirsi della propria caduta e chiedere la reintegrazione nella chiesa. Il numero dei penitenti si accrebbe in proporzioni considerevoli, soprattutto una volta che il pericolo scomparve, per cui la chiesa, dopo essere stata decimata, si trovò alla fin fine altrettanto potente quanto prima. Alcuni fra i capi delle comunità cristiane avrebbero preferito rifiutare la riconciliazione ecclesiastica agli apostati che si pentivano. La loro opinione incontrò poco successo tra i fedeli e non ne ottenne nemmeno nell’insieme dell’episcopato. La Didascalia degli apostoli spiega con una franchezza vicina all’ingenuità che i peccatori ai quali il vescovo non rimette le colpe e che vengono trattati in maniera troppo rigorosa, rischiano di tornare al paganesimo e di trovare degli imitatori !%, Anche se non è stata espressa così categoricamente da Cornelio, Cipriano o Dionigi di Alessandria, la paura di perdere molti fedeli spiega in parte il loro atteggiamento misericordioso. Ma cosa valgono dei credenti che sono incapaci di sostenere la prova? La grande pace che separa la persecuzione di Valeriano da quella di Diocleziano fu favorevole all’espansione del cristianesimo, anche se non lo fu alla crescita del suo valore morale. Eusebio descrive con tratti eloquenti i caratteri essenziali di questo periodo di tranquillità: «Come raccontare le innumerevoli adesioni alla chiesa, le folle nelle assemblee di ogni città e il notevole concorso delle moltitudini nelle case della preghiera? Inoltre non ci si contentava più degli edifici di una volta e in ogni città si facevano sorgere dal suolo chiese vaste e ampie... Tuttavia, come accade nella pienezza della libertà, tra di noi le cose si volsero alla mollezza e alla indifferenza e ci ingelosimmo gli uni degli altri; ci lanciammo ingiurie grossolane e mancò poco che ci dessimo battaglia gli uni con gli altri, quando capitava, con le armi e i dardi che son le parole; i capi laceravano i può un prete, quando i fratelli sono in pericolo e chiedono il soccorso di un conforto, si è mostrato talmente alieno dal cedere ai diaconi che lo. pressavano, da uscirsene furioso e allontanarsi. Diceva in effetti che non voleva essere più prete, perché era preso da un’altra filosofia». Un po’ più in là, Cornelio aggiunge: «Quest'uomo illustre ha abbandonato la chiesa di Dio nella come

quale aveva creduto». Ma noi sappiamo che Novaziano ha diretto alla testa del presbiterio la chiesa di Roma, durante la sede vacante del vescovo, e che è l’autore delle lettere indirizzate allora da Roma a san Cipriano (Epistulae, XxX e XCauv. Ciò non concorda con i termini usati da Cornelio. 116 Didascalia Apostolorum, vit, ed H R Connolly, pp 65/67.

319

L’apostasia capi; i popoli divisi si sollevavano contro i popoli; l’ipocrisia maledetta e la dissimulazione salivano al grado più alto della malizia» 1", Si comprende senza difficoltà come la persecuzione di Diocleziano abbia visto riprodursi gli stessi spettacoli di apostasia di quella di Decio. Noi non abbiamo i dati necessari per stabilire statistiche o anche per tentare raffronti fra le due prove, senz’altro le più temibili che conobbe la chiesa antica. Ancor meno di Decio, Diocleziano e i suoi associati avrebbero voluto fare dei martiri. Essi preferivano molto di più fare apostati e non risparmiavano alcun mezzo per raggiungere il loro scopo. Eusebio ci parla in particolare di apostasie forzate tali quali non si erano viste, sembra, dai tempi di Decio: «Uno era spinto a forza ad avvicinarsi ai sacrifici sporchi ed impuri e lo si rimandava come se avesse sacrificato, sebbene si fosse astenuto. Un altro non si era nemmeno avvicinato del tutto e non aveva toccato niente di impuro, la gente diceva che aveva sacrificato, egli sopportava in silenzio questa denuncia calunniosa e se ne andava. Un altro veniva sollevato, mezzo morto; lo si gettava al suolo come se fosse un cadavere ed egli giaceva per terra; quindi qualcuno lo trascinava nuovamente per i piedi per lunghi spazi e veniva contato tra quelli che avevano sacrificato. Un altro gridava e attestava a voce alta il suo rifiuto di sacrificare e si faceva gloria di confessare questo nome improntato al Signore. Un altro ancora affermava con forza che non aveva sacrificato e che non avrebbe mai sacrificato. Ma tutti costoro erano colpiti con forza e ridotti al silenzio da una squadra di soldati messi a questo scopo; venivano feriti al viso e alle guance; poi venivano gettati fuori con la forza. Tutti i nemici della religione pensavano che bisognava dar l’impressione di essere arrivati allo scopo, con tutti i mezzi» 18, È evidente che i mezzi impiegati non furono dappertutto gli stessi e che si modificarono nel corso degli anni durante i quali perdurò la persecuzione. In parecchi posti i magistrati finirono per stancarsi delle esigenze del governo e applicarono gli editti con debolezza. Altrove i pagani stessi, esasperati dalla vista dei supplizi e sensibili al coraggio manifestato dai martiri, non esitarono a prendere le difese dei fedeli !!°, In ogni caso, se vi furono molti martiri, vi furono anche 117 118 119 tare

Storia ecclesiastica, vir, 1, 5/7. Ibid, vir, 3, 2/3; cfr De martyribus Palestince, Eusebio,

1, 3/5. Atanasio, Historia Arianorum ad monachos, LXIV: «Eio sentito raccondei dai miei genitori che, nel tempo in cui cominciò’ la persecuzione,

320

Le persecuzioni

molti rinnegati ed Eusebio non esita a scrivere: «Un gran numero di capi delle chiese sopportarono con coraggio terribili sofferenze e diedero lo spettacolo di grandi lotte, ma una moltitudine di altri la cui anima era intorpidita dalla codardia, cedettero rapidamente al primo colpo» ® Noi siamo particolarmente informati per l’Africa sulla condotta dei vescovi e del clero, grazie ai documenti ufficiali provocati dallo scisma donatista, o stabiliti a cura delle autorità, in particolare il processo verbale della perquisizione fatta nella chiesa di Cirta ! e quello della riunione episcopale di Cirta ‘2, Gli editti imperiali avevano ordinato la consegna e la distruzione di tutti i manoscritti dei libri sacri. Alcuni vescovi pensarono di trarsi d’impaccio consegnando ai funzionari opere profane, ad esempio libri di medicina e persino scritti eretici. Ma i traditori, come non si tardò a chiamarli, furono estremamente numerosi, soprattutto in Numidia. Paolo di Cirta, se non consegnò nulla personalmente, accettò che le Scritture fossero consegnate dai suddiaconi e dai lettori che le avevano in custodia. Donato di Mascula, Marino di Aquae Thibilitanae, Donato di Calama, Vittore di Rusicada non furono meno esenti da debolezze; Purpurio di Limata ‘P e Secondo di Tigisi, pagani sottrassero i nostri fratelli cristiani alle ricerche dei loro nemici, che sacrificarono addirittura i loro beni tradirli; accoglievano coloro che tra

e affrontarono

la prigione,

piuttosto

di

i nostri si rifugiavano da loro e si espo-

nevano per proteggerli». 120 Eusebio, op cit, vir, 3, 1. 121

Acta

Munati

Felicis,

intercalati

nei

Gesta

apud

Zenopbhilum,

PL 8,

730/733. 12 Agostino, Contra Cresconium donatistam, 1, 17, 30; PL 43, 510. 123 Niente è più curioso dell’interrogatorio di Purpurio da parte del decano Secondo: «Secondo disse a Purpurio di Limata: si dice che tu hai ucciso due figli di tua sorella a Milevi. Purpurio rispose: pensi tu di spaventarmi come gli altri? È cosa hai fatto tu, al quale il curatore e il consiglio hanno intimato di consegnare le Scritture? Come ti sei liberato dalle loro mani, se non dando o facendo consegnare tutto? Infatti ci deve essere stato un motivo per lasciarti andare. Quanto a me, ho ucciso e uccido tutti coloro che sono contro di me. Quindi non mi provocare e non mi fare parlare oltre. Tu sai che io non ho riguardi per nessuno. Secondo giovane disse allo zio Secondo: senti quello che si dice di te. Egli è pronto a ritirarsi e fare uno scisma, c non solo lui, ma tutti quelli che tu incrimini. Io vedo che stanno per abbandonare e pronunciare una sentenza contro di te e tu resterai il solo eretico. Cosa importa quello che ognuno ha fatto? Egli ne renderà conto a Dio.

321

L’apostasia che era allora il decano della provincia di Numidia ', ebbero ugualmente un atteggiamento più o meno franco. Nell’Africa proconsolare ci furono anche delle defezioni, sebbene le nostre informazioni siano qui meno”’precise. Fundano di Abiline, fu certamente colpevole e consegnò le Scritture. Novello di Tisica e Faustino di Tuburbo lo furono

probabilmente. Mauro di Utica sembra che si sia riscattato con il denaro. Ci furono quelli che, come Mensurio di Cartagine, diedero motivo alla critica e furono costretti a giustificarsi. Si finì per sapere che aveva salvato i libri sacri grazie ad uno stratagemma che egli trovava abile ma che mancava di franchezza; in effetti aveva sostituito alle Scritture alcune opere eretiche e furono queste che gli agenti del proconsolato ritirarono senza guardare !5, La storia non ha conservato il racconto dettagliato di tutti i cedimenti, anche episcopali o clericali, che si verificarono allora. Sant’Ottato assicura che furono estremamente /numerosi: «Ad eccezione di alcuni cattolici, tutti avevano peccato e C’era come un’apparenza di innocenza nell’ammettere da molti il crimine» !*, Quando ritornò la calma, coloro che non avevano tradito si gloriarono della loro fermezza e furono raggiunti da un buon numero di traditori, desiderosi di rifarsi una verginità. Fra questi ultimi, Secondo di Tigisi non fu il meno audace; egli gridò talmente e così forte di essere innocente che si finì per crederlo e il suo collega Mensurio di Cartagine conservò davanti a lui e ai suoi seguaci l’atteggiamento di un accusato, se non quello di un colpevole. Alcuni, come Felice di Aptonge, che le circostanze avevano messo in risalto, poterono stabilire la loro fedeltà 27. Altri restarono sotto i colpi di accuse ingiuste. Solo i più audaci e i più violenti poterono presentarsi come santi. In se stesse queste apostasie africane non offrono nulla di parSecondo disse a Felice di Rotaria, a Nabore di Centuriones, e Vittore di Garbis: cosa ne pensate? Essi risposero: ne renderanno conto a Dio. Secondo disse: voi sapete ciò che ne è e Dio anche; prendete posto. E tutti risposero: grazie a Dio». Che vescovi! ' 124 Secondo aveva il suo modo di raccontare il proprio atteggiamento. Agli inviati del curatore, aveva, stando a lui, risposto: sono un cristiano e un vescovo; non sono un traditore. Allora era stato spinto a dare almeno qualcosa, anche di poco valore. Egli si era rifiutato lo stesso; Agostino, Breviculus collationis questa storia.

25 126 127

cum

donatistis,

It, 25.

Impossibile

Agostino, ibid, n, 13, 25. Ottato di Milevi, De schismate Donati, Gesta purgationis Felicis, PL 8, 718ss. 322

1, 20.

discernere

la

verità

in

Le persecuzioni ticolarmente interessante. Tra i fedeli è la paura che domina; di fronte al pericolo, la fedeltà a Cristo e alla sua chiesa conta poca cosa ?, Il battesimo era stato preso quando non c’erano rischi da correre; lo si rinnega non appena la persecuzione scatta, con l’intenzione, è ovvio, di ricevere il perdono quando le circostanze diverranno più favorevoli. I vescovi, responsabili degli edifici delle chiese e delle scritture ispirate, fanno appello alla casuistica: cosa sono le costruzioni di pietra e cosa sono persino i libri di fronte a una vita umana? Le chiese si potranno ricostruire, i manoscritti potranno es-

sere ricopiati, ma non si può risorgere una volta morti. Se il Salvatore ha permesso di fuggire nel tempo della persecuzione, si può mostrare severo con coloro che hanno consegnato ai pagani solo dei libri? Ancora di più, non si commette un’azione lodevole facendo distruggere agli stessi pagani i libri eretici, cioè le opere profane e pericolose per la fede? L’astuzia, se non la menzogna, in simili casi non diventano buone azioni? Dopo il 305, la persecuzione cessò quasi del tutto di devastare le cristianità africane. Bisognava preoccuparsi di rimetter su le rovine accumulate. Si sa fin troppo bene in qual misura l’opera di restaurazione fu compromessa dalle pretese orgogliose del donatismo. Sappiamo meno bene ciò che avvenne nelle altre chiese. «L’editto di confisca dei beni ecclesiastici, mobili e immobili, fu applicato senza difficoltà a Roma. La comunità cristiana vi era così numerosa e conosciuta, che ogni simulazione sarebbe stata, non solo pericolosa, ma impossibile» ®, In questo momento il papa era Marcellino, che d’altronde non tarda a morire (24 ottobre 304). Storie grossolane girarono più tardi sul suo conto. I donatisti lo misero nel numero dei traditori e alcuni tra di loro pretesero persino che avesse offerto 128 Bisogna aggiungere che in Africa la maggior parte dei cattolici è di origine romana, o almeno di africani romanizzati. Forse, tranne che in Numidia, il cristianesimo non ha messo radici profonde nelle anime popolari. Esso resta superficiale, tanto più che è stato portato da stranieri che, nello stesso tempo, sono i padroni. La persecuzione fornì ad un cristianesimo autenticamente africano, l’oOccasione di manifestarsi donatisti, reclutati soprattutto in Numidia,

contro il cattolicesimo romano. I si oppongono con tutte le loro

forze ai cattolici dell’Africa proconsolare e della Mauritania, perché rappresentano la tradizione

locale.

Le guerre

religiose

che,

con forme

e alternative

diverse, proseguono lungo tutto il Iv secolo, prendono forma di lotte nazionali. Il fanatismo donatista è una forma di patriottismo. i figli dei santi, un vero tradimento della patria.

129

L’apostasia

L Duchesne, Histoire ancienne de l’Eglise, cit, t 2, p 92. 323

è, per

L’apostasia incenso sugli altari pagani '. Il popolo romano accettò più o meno queste chiacchiere, che hanno lasciato tracce fin negli scritti dell’inizio del vI secolo, nel falso concilio di Sinuessa e nella Vi/a AMarcellini contenuta nel Liber Pontificalis. È oggi impossibile determinare in che misura tutto questo corrisponda a realtà '!, In Oriente, doye la persecuzione fu più lunga e crudele che in Occidente, la sola notizia che abbiamo dell’apostasia delle masse è la lettera canonica di Pietro d’Alessandria. Le decisioni che sono prese in questa lettera testimoniano, nell’insieme, molta indulgenza nei confronti dei caduti. Questo fatto fece sì che queste decisioni non furono accettate dai rigoristi e diedero occasione ad uno scisma, quello di

Melizio di Licopoli. Esse erano tuttavia tanto più opportune quanto maggiore era stato il numero dei martiri nel paese e tanto più che la chiesa d’Egitto, nel suo insieme, era forse una di quelle in cui la resistenza al potere si era più valorosamente affermata . I procedimenti che vi erano stati impiegati per strappare apostasie forzate, sono ancora più selvaggi di quelli di cui parla Eusebio; scrive Pietro d’Alessandria: «Se ci sono quelli che hanno sofferto violenza e che sono stati costretti, con un bavaglio in bocca e privati di tutti i Joro movimenti, ed i quali, irremovibili nella fede, hanno lasciato bruciare le loro mani stese malgrado essi sull’altare dei sacrifici (come mi hanno scritto dalla prigione i beati martiri, a proposito di quelli di Libia e di altri miei colleghi), costoro possono, soprattutto se si aggiunge la testimonianza degli altri fratelli, prendere nelle celebrazioni il posto dei confessori, allo stesso modo ‘di coloro i quali, dopo la tortura, non avendo più che un soffio di vita e privati dell’uso della parola, non dicono nulla e non si muovono più per resistere a quelli che fanno loro violenza; essi infatti non hanno. acconsentito all’infamia, come mi hanno assicurato i miei colleghi» Sulle apostasie che si poterono verificare altrove non abbiamo dati precisi. Sappiamo ad esempio che due discepoli di san Luciano di Antiochia, Asterio e Alessandro, ebbero la debolezza di sacrificare 130

131 132

Agostino, Contra Liber pontificalis,

litteras

Petiliani,

11,

202; De unico

baptismo,

27.

ed L Duchesne, t 2, p 162. Cfr Eusebio, Storia ecclesiastica, vu, 8/9; H Delehaye, Les martyrs d’Egypte, Bruxelles 1923, pp 18ss. 133 Pietro d’Alessandria, Epistula canonica, ed P_A de Lagarde, Reliquiae juris ecclesiastici

antiquissimae,

Leipzig

1856, p 73.

324

Apostasie

intellettuali

agli idoli. Filostorgio cerca vagamente di scusarli ambedue, dicendo che furono vinti dalla violenza dei tiranni * e quanto abbiamo detto sui mezzi usati per provocare le abiure rende verosimile questa affermazione. Essi fecero del resto penitenza della loro caduta, grazie ai buoni uffici di Luciano *° e, come scrive Tillemont, dopo aver ricor-

dato che Asterio fu un ariano della prima ora, «la chiesa trasse almeno questo vantaggio dalla sua apostasia, che gli eusebiani non osarono innalzarlo allo stato ecclesiastico, sebbene fosse sempre con loro, come loro discepolo zelantissimo, e si trovasse sempre in tutte le assemblee dei vescovi, con una grande devozione dell’essere» 1%, 4. Apostasie intellettuali Niente è più triste, ma anche niente è più banale delle apostasie di cui le persecuzioni di Decio e Diocleziano ci hanno dato spettacolo. Invano cerchiamo argomenti o pretesti in queste cadute. Vi si rivela soltanto la debolezza umana, almeno quando l’apostasia è volontaria, ed è essa sola che conta. Debolezze scusabili senz’altro, qualora si pensa ai terribili supplizi riservati ai fedeli e ai procedimenti messi in atto, per ottenere le abiure. Promesse o minacce, niente viene risparmiato !” e si comprende facilmente come anche le anime generose soccombano alla tentazione. Debolezze tuttavia, e senza contropartita se non la penitenza, quando si manifestava, il che non accadeva sempre. Molto rare sembrano essere state nel corso dei primi secoli le apostasie ragionate, cioè i ritorni al paganesimo per argomenti di ordine intellettuale o morale, più interessanti oltre tutto da studiare. E ciò si spiega per parecchi motivi. Noi porremmo oggi al primo posto, tra questi motivi, la superiorità incontestabile del cristianesimo rispetto alle religioni pagane. Il monoteismo ai nostri occhi costituisce un reale progresso sul politeismo, soprattutto su un politeismo così 14

Filostorgio, Storia ecclesiastica, 11, 14; ed Bidez, p 25. Secondo sanDe synodis, XvIlI, questa apostasia si verificò durante la prima persecuzione, quella che ebbe luogo sotto il nonno di Costanzo, Massimiano Erculeo. t’Atanasio,

135 136

Filostorgio, op cit, 11, 14. L S Lenain de Tillemont,

137

Cfr H Delehaye, Les Passions des martyrs et les genres littéraires,

Mémoires,

cit, p_ 273ss.

325

t 6, p 292.

L’apostasia grossolano come quello della mitologia greco-romana ®, La dottrina cristiana della caduta originale e della redenzione ci sembra offrire una soluzione realmente soddisfacente del problema del male, nonostante il mistero che essa implica. Ma non era così nell’antichità e noi non conosciamo molti credenti che abbiano cercato una saggezza nel cristianesimo. Da solo, il dogma cristiano della risurrezione, sarebbe stato sufficiente per allontanare la maggior parte degli spiriti abituati a riflettere. Ci si ricordi soltanto delle beffe che accolsero Paolo ad Atene, non appena pronunciò soltanto il termine di risurrezione !” Ci si ricordi soltanto della moltitudine dei trattati composti su questo tema durante i secoli 1, C'è lì un ostacolo contro il quale sono venute forse a sbattere molte buone volontà, anche delle intelligenze superiori. D’altra parte noi sappiamo già ! come il numero degli intellet-

tuali sia rimasto molto esiguo durante i primi tre secoli. La maggior parte dei convertiti è composta da gente minuta, senza cultura, che non ha esigenze intellettuali. Essi non hanno ragionato sopra la loro adesione al Cristo. Presentandosi il caso, non ragionano nemmeno sul joro ritorno agli idoli. Essi si lasciano andare alle loro impressioni, obbediscono alle circostanze. Quando invece per caso, un letterato, un filosofo, Giustino e Clemente Alessandrino si danno al Signore, lo 138 Gli apologisti dei primi secoli vengono accusati a volte di battersi contro i fantasmi, consacrando i loro sforzi migliori alla critica, ripetuta mille volte, delle leggende mitologiche. Nessuno avrebbe creduto infatti ormai a queste leggende. Questo rimprovero non mi sembra fondato. Mentre le persone istruite e la stessa massa del popolo sapevano molto bene che cosa ritenere delle pretese avventure di Zeus e degli altri dèi, i racconti di poeti, le sculture e le pitture degli artisti, le cerimonie rituali esercitavano un richiamo troppo forte, perché si potesse restare indifferenti di fronte a questi dèi,

così vicini a noi per le loro

passioni,

così differenti

da noi per la loro

immutabilità e la loro felicità. Forse si rideva su di loro, ma li si pregava e si rendeva loro un culto, per cui era sempre necessario mostrate la loro vanità e la loro stupidità. È possibile pensare che se il paganesimo non avesse avuto alcuna attrattiva per i loro contemporanei, ivi compresi gli spiriti colti, un sant'Agostino e persino un Teodoreto di Ciro, avrebbero consacrato tanto tempo e tanti sforzi a rifiutare il paganesimo? 139 At 17, 32. 140 Ricordiamo qui solo i nomi di Giustino, Atenagora, Tertulliano, Origene, Pietro d’Alessandria, Metodio di Olimpia. Oltre le opere espressamente dedicate alla risurrezione, non esiste autore dei primi tre secoli che non abbia trattato questo tema con molti sviluppi. Cfr A D Nock, op cit, pp 247ss. 141 Cfr sopra, capitolo vz, $ 3. 326

Apostasie

intellettuali

con sufficiente riflessione e serietà perché possano essere tentati di tornare indietro. La storia segnala tuttavia alcuni casi di siffatti ritorni. Quelli

fanno

di Ammonio Sacca, fondatore del neoplatonismo, e di Porfirio, editore delle opere di Plotino, sono i più conosciuti !°, Essi meritano di essere studiati così come lo permette lo stato delle fonti di cui disponiamo, sia per il loro carattere eccezionale che per l’alto valore intellettuale delle persone in questione. La vita di Ammonio Sacca ci è nota male. Si dice che fosse un vecchio facchino e che nella sua giovinezza abbia scaricato sacchi di grano nel porto di Alessandria. Sotto l’imperatore Commodo si convertì alla filosofia, conservando del suo primo mestiere, solo il soprannome di Sacca. Questa conversione fu completa e definitiva. Essa non modificò soltanto il corso delle sue idee, ma trasformò tutta la sua esistenza. Divenne professore al Museo, ma pur soddisfacendo agli obblighi imposti dal suo titolo ufficiale, radunò attorno a sé un certo numero di scolari più fedeli e diligenti, ed è verosimile che abbia cominciato a condurre vita comune con loro. A dire il vero, la prova di questa syssitia, come allora si diceva, non l’abbiamo. Le riunioni di questo genere erano però frequenti in quel tempo ad Alessandria e la condotta di Plotino nei confronti dei suoi discepoli dovette essere ispirata dai ricotdi di giovinezza. Tutto ci porta insomma a credere che Ammonio abbia condotto vita comunitaria con coloro che seguivano abitualmente le sue lezioni !. Costoro subirono profondamente la sua influenza, e uno di loro, lIerocle, descrive così l’impressione lasciatagli

maestro:

dal

«Fu lui che, ispirato da Dio, per primo comprese bene le dottrine di Platone ed Aristotele, le riunì in un solo e medesimo spirito, consegnò così in pace la filosofia ai suoi discepoli, applicandosi con entusiasmo a quello che nella filosofia c’era di vero e sollevando lo sguardo al di sopra delle opinioni comuni che fanno della filosofia un oggetto di disprezzo. Per effetto di un disaccordo tra le due dottrine, gli uni si gettano volentieri nella disputa e nell’eccesso, gli altri si lasciano prendere dal pregiudizio e dall’ignoranza. Tali erano le disposizioni della maggioranza dei filosofi quando brillò all’improvviso 12

Non è

ecclesiastica,

necessario insistere sul caso di Domnus, citato da Eusebio, VI, 12, 1. Era un cristiano che, nella persecuzione, si era

tanato dalla fede in Cristo ed era passato alla superstizione 1463

E Bréhier,

Plotin,

Ennéades,

cit, t 1, p nr.

327

giudaica.

Storia allon-

L’apostasia

la sapienza superiore di Ammonio, che viene celebrato sotto il nome di ispirato da Dio. Fu egli in effetti che, pacificando le opinioni degli antichi filosofi e trasformando i sogni sbocciati da una parte e dall’altra, stabilì l’armonia tra le dottrine di Platone e di Aristotele in quello che hanno di essenziale e di fondamentale» Per provocare un tale entusiasmo, per meritare il nome di ispirato da Dio, Ammonio dovette darsi interamente alla filosofia. La sua conversione ci interessa qui perché, secondo Porfirio, essa sarebbe stata un’apostasia dal cristianesimo. Costui infatti, nel terzo libro del Contro i cristiani, citato da Eusebio, scrive: «Ammonio era cristiano, allevato dai suoi genitori in mezzo ai cristiani; ma quando ebbe gustato la ragione e la filosofia, passò subito al genere di vita conforme alle leggi» ! L’idea soltanto di una apostasia di Ammonio portabile allo storico ecclesiastico che si è ribellato l’affermazione di Porfirio:

è sembrata insopcon forza contro

«Quanto ad Ammonio, egli è rimasto nella divina filosofia, integralmente e indefettibilmente fino al termine estremo della vita. Questo è almeno quanto testimoniano ancora le opere di quest’uomo, che ha lasciato scritti che gli valgono la stima generale. Tale è in effetti l’opera intitolata Saull’accordo tra Mosè e Gesù e tante altre che si trovano presso coloro che hanno il gusto delle belle cose» ! Teoricamente nulla si oppone al fatto che Ammonio sia rimasto cristiano, pur portando il mantello corto dei filosofi e insegnando la filosofia. Giustino il filosofo e Tertulliano avevano, l’uno conservato, l’altro ripreso questo costume, senza che la chiesa vi trovasse nulla da ridire. Eracla, discepolo egli stesso di Ammonio e presbitero di Alessandria, seguiva già le lezioni del maestro da cinque anni, quando vi attirò Origene. «Durante questo tempo, aggiunge quest’ultimo per giustificare il suo atteggiamento presso i suoi detrattori, Eracla, dopo aver lasciato l’abito comune di cui si serviva prima, prese il mantello dei filosofi e lo conserva fino ad oggi, non smettendo di occuparsi dei libri dei greci che stima quanto più può» !7, Un po’ più tardi, la 14

Terocle, citato

147

Origene,

45 146

da Fozio, Bibliotheca, cod 214; rG 103, 701. 111, cit da Eusebio, op cit, vr,

Porfirio, Contro i cristiani, Eusebio, ibid, vi, 19, 10. cit

da Eusebio,

ibid,

vr1,

328

19, 14.

19,7.

Apostasie

intellettuali

chiesa di Laodicca ebbe come vescovo un certo Anatolio, di Alessandria, del quale Eusebio traccia questo ritratto:

originario

«In giò che concerne le conoscenze, l’educazione greca e la filosofia, era considerato al primo posto tra i nostri contemporanei più illustri. In effetti egli aveva portato fino al punto più alto l’aritmetica, la geometria, l’astronomia, la teoria sia dialettica che fisica, la conoscenza della retorica. Per questo motivo si dice che egli sia stato giudicato degno dai suoi compatrioti di stabilire ad Alessandria la scuola della successione di Aristotele» !®, Gli esempi di filosofi cristiani non mancano dunque prima del terzo secolo. Ma noi siamo obbligati lo stesso a contestare la testimonianza di Eusebio. Noi sappiamo in effetti che Ammonio Sacca non ha scritto nulla. Ben lungi dal cercare di diffondere la sua dottrina all’esterno, ne ha fatto il privilegio di alcuni iniziati, ai quali ha dovuto raccomandare la più grande discrezione se non il segreto, in conformità del resto ad un uso allora molto diffuso tra le scuole filosofiche !°, D’altra parte, alcuni di coloro che tra gli antichi ci hanno parlato di Ammonio, non lo rappresentano come interessato alle questioni esegetiche che si potevano sollevare in ambiente cristiano. Solo la filosofia ha attirato la sua attenzione; almeno essa lo ha conquistato interamente 1. È dunque estremamente verosimile che Eusebio, ingannato dalla omonimia e desideroso di fare opera apologetica, abbia confuso Ammonio Sacca con un omonimo, forse, come ha supposto C. Schmidt, con Ammonio vescovo di Tmuis e discepolo 148 Eusebio, op cit, vir, 32, 6. Ad Antiochia il presbitero Malchione, che, solo, riuscì a smascherare l’eresia di Paolo di Samosata, era capo di una scuola di sofisti, dove si insegnavano autori greci; Eusebio, op cit, VII, 29, 2. La storia della chiesa antica è in grado di fornirci esempi analoghi. 1459 Cfr Porfirio, Vita di Plotino, 3: «Erennio, Origene e Plotino avevano stabilito assieme di tener segreti i dogmi di Ammonio, che il maestro aveva spiegato loro in tutta chiarezza nelle sue lezioni. Plotino, mantenne la promessa;

egli era

in relazione

con

persone

che venivano

a trovarlo,

ma

le te-

neva all’oscuro di tutti i dogmi che aveva ricevuto da Ammonio. Erennio ruppe per primo la convenzione e Origene lo seguì». Non è sicuro che Ammonio stesso abbia imposto il segreto in maniera così stretta ai discepoli; ma costoro dovevano essere fedeli ad una consegna del maestro se si impegnavano.

150

Cfr F Heinemann, «Ammonios Sakkas und die Ursprung des Neupla-

tonismus » in Hermes rung iùiber Ammonios

R Cadiou, La jeunesse

(1926), pp 1ss; H von Arnim, «Quelle der UberliefeSakkas» in Rbheinisches Museum (1887), pp 276/285; d’Origène, Paris 1936, pp 184/203; 231/234.

329

L’apostasia

di Origene "!, Sarebbe quest’ultimo e non Ammonio Sacca che avrebbe scritto sull’accordo tra Mosè e Gesù !2, Non abbiamo invece motivo alcuno per sospettare l’affermazione di Porfirio, quando parla dell’apostasia di Ammonio. Porfirio era di fatti ben piazzato per sapere a che cosa riferirsi sulle idee di un uomo che era stato il maestro amato e rispettato del suo stesso maestro Plotino, e dal quale avrà spesso ascoltato i ricordi. Ma se Ammonio, così come sembra, è stato battezzato nella sua infanzia e se ben presto ha dovuto lavorare per guadagnarsi la vita, si può pensare che non abbia ricevuto una conoscenza personale del cristianesimo e che non abbia fatto alcuno sforzo per studiarlo. Il risveglio della sua intelligenza fu provocato dalla filosofia pagana, una filosofia che non era per se stessa sistematicamente ostile al cristianesimo, ma che l’ignorava totalmente, ciò che forse è peggio. Egli si sarà staccato allora, senza crisi interiore, da una religione alla quale non aveva mai aderito nell’intimo della sua anima. Perché sarebbe dovuto restare cristiano, se la filosofia gli dava una fede viva e gli assicurava una certezza che non aveva trovato nei misteri insegnati dalla chiesa? Abbiamo visto che Ierocle lo rappresenta come un entusiasta, un ispirato 1, Gli uomini di questa tempra si lasciano facilmente conquistare non appena si offre loro una dottrina razionale e mistica al tempo stesso. La saggezza ellenica dava all’anima ardente di Ammonio il misticismo di Platone e il razionalismo di Aristotele. Dopo un certo

numero di altri, dopo Potamone * ad esempio, del quale avrebbe 151 stentum

C Schmidt, Plotins Stellung zum Gnosticismus und kirchlichen Cbri(Texte

und

Untersuchungen,

xx,

Leipzig

1910,

p 6,

n

1. Il nome

di Ammonio eta molto diffuso in Egitto. In particolare era portato da un peripatetico contemporaneo fine, cit da Porfirio, Vita

«che non di Plotino,

aveva pari 20.

in erudizione»,

Longino,

De

152 Bisogna ricordare tuttavia che nel terzo secolo, soprattutto durante la dominazione dei Severo, il cristianesimo fu molto alla moda, persino negli ambienti più refrattari. Numenio d’Apamea, filosofo neopitagorico, citato da Porfirio, secondo Eusebio, op cit, vI, 19, 8, da san Girolamo, Epistulae, e da altri, e che nessuno ha pensato di rivendicare per il cristianesimo,

Lxx, 4 nutriva

molto rispetto nei riguardi dei giudei e del loro legislatore. Egli chiamava Platone, un «Mosè atticizzante», ammetteva il senso figurato di alcune profezie ebraiche e si era interessato alla storia di Gesù, che trasferiva sul piano allegorico; cfr P_ de Labriolle, La réaction paienne, cit, p 228. 153 Cfr sopra, n 144 di questo stesso capitolo. 14

Cfr E Krakowski,

Plotin

et le paganisme

330

religieux,

Paris

1933, p

140.

Apostasie

intellettuali

seguito le lezioni, egli ha tentato di dare vita ad un nuovo In questo non c’era posto per l’elemento cristiano '°,

eclettismo.

L’apostasia di Ammonio Sacca è quindi la cosa più semplice e banale del mondo: una rottura con la chiesa alla quale era stato sempre indifferente. Cosa bisogna pensare invece di quello che si attribuisce a Porfirio? E, in primo luogo, Porfirio è stato veramente cristiano? «Allo stato delle conoscenze, scrive P. de Labriolle, questa domanda appare quasi insolubile. Sant'Agostino che non aveva avuto fra le mani il Contro i cristiani, ma leggeva parecchie altre sue opere, non gli dà mai questo nome. Egli scrive solo nel De civitate Dei x, 28: “Ah! Se tu avessi avuto un vero, fedele amore della saggezza, avresti conosciuto il Cristo, virtù e sapienza di Dio, e non ti saresti allontanato (resiluisses) dalla sua umiltà così salutare, tutto gonfio di una scienza vana ed ampollosa...” Il termine resiluisses possiede una vivacità difficile da rendere: propriamente si tratta di un balzo indietro. L’espressione non indica d’altra parte necessariamente l’abbandono di una credenza prima condivisa: essa può significare anche un’antipatia ineluttabile nei confronti di alcune forme della mentalità cristiana. D'altra parte lo storico Socrate, che scrive verso la metà del quinto secolo, afferma che Porfirio abbandonò, apelipe, il cristianesimo !%. È vero che imputa questa diserzione ad un motivo molto puerile: Porfirio sarebbe stato battuto da alcuni compagni a Cesarea di Palestina e avrebbe provato una tale collera per questo trattamento indegno che nel suo cattivo umore, ek melagcholias, avrebbe rinunciato alla fede e pensato fin da allora di scrivere un libro di polemica !'’. L’aneddoto sembra molto sospetto. Tuttavia Socrate l’avrà ripreso da Eusebio di Cesarea che aveva rifiutato Porfitio e che era ben informato sul passato della comunità cristiana di Cesarea» 15%, 155 I semplici fedeli di Alessandria, di cui parla Clemente, Stromata, vI, 80; Vv, 85; 1,45, non avevano forse torto nello spaventarsi della filosofia e nel riconoscervi un pericolo per una fede insufficientemente illuminata. Clemente

prende con risolutezza le difese dei filosofi, perché è un saggio lui stesso, capace di non restare prigioniero delle reti della saggezza umana. 156

Socrate, Storia ecclesiastica, 111, 33, 37; PG 67, 444. L’aneddoto è riprodotto con abbellimenti in una Theosopbia, attribuita ad Aristocrito {fine del v secolo) che ha dovuto riprenderlo, come sembra, da

157

Eusebio; efr C Buresch, Klaros, Leipzig 1889, p 124. 158 P de Labriolle, op cit, pp 231/232. Qualunque cosa dica de Labriolle, io non sono certo del tutto che Socrate abbia ripreso da Eusebio la trama del suo racconto. Non ne abbiamo alcuna prova. Soprattutto non sono d’ac331

L’apostasia Le testimonianze di Agostino e di Socrate sono praticamente le sole a parlare del cristianesimo di Porfirio e abbiamo visto la fragilità dell’una e dell’altra. Quale peso hanno, accanto a ciò che sappiamo di più certo, sulla vita e l’attività intellettuale del filosofo neoplatonico? Nato, o almeno educato a Tiro, Porfirio ha dovuto incontrare ben presto i cristiani. Egli li ha senz’altro visti nel proprio paese natale. Più tardi, alla scuola di Ammonio, è stato condiscepolo di Eracla e di Origene ed è difficile credere che non si sia mai intrattenuto con quest’ultimo, così profondamente zelante per la fede cristiana, su questioni religiose. In ogni caso egli ha apprezzato la pene-

e il suo ardore nello studio dei filosofi pagani, benché critichi senza mezzi termini la sua maniera di interpretare allegoricamente i libri sacri °., La sua curiosità molto estesa l’ha attratto ben presto verso lo studio dei problemi religiosi !”., In Fenicia, come ad Alessandria, ha trovato facilmente elementi atti a sodtrazione del suo spirito

disfarlo, in mezzo alla confusione dei culti orientali che si toccano e compenetrano. Fra tutte le altre religioni il cristianesimo non ha mancato di attirarlo, a causa della moltitudine dei suoi adepti e della recoido sul fatto che Eusebio ha dovuto conoscere un avvenimento così insignificante come le botte di un qualsiasi fedele. Egli poteva conoscere la storia della

sua comunità

senza

trovarvi

nulla

a proposito

del

fatto

in questione.

Invece era del tutto normale presentare come un rinnegato il grande avversario

del

cristianesimo.

159 Porfirio, cit da Eusebio, Storia ecclesiastica, v1, 19, 7/8: «Greco, educato negli studi greci, Origene è andato ad arenarsi in questa barbara impresa. Dandosi ad essa è cambiato e ha guastato la sua abilità nei discorsi. Nella sua condotta è vissuto da cristiano e contro le leggi; ma nelle opinioni relative

alle cose e al divino,

ellenizzava

e trasferiva

alle favole

straniere

i

metodi dei greci. Egli in realtà frequentava continuamente Platone; le opere di Numenio, di Kronio, di Apollofane, di Longino, di Moderato, di Nicomaco e degli uomini istruiti nelle dottrine pitagoriche costituivano il suo passatempo. Egli si serviva anche dei libri di Cheremone lo stoico e di Cornuto. Fu dietro costoro che egli fece conoscenza del metodo allegorico dei misteri greci; in seguito lo adattò alle Scritture dei giudei». 160 J Bidez, Vie de Porphyre, Gand 1913, pp 9/10: «Egli doveva parlare l’idioma del suo paese e si piccava forse di comprendere l’ebraico. Era versato nei misteri della Caldea, della Persia e dell’Egitto. Lo si vede descrivere e interpretare una specie di geroglifico e maneggiare i libri sacri e la letteratura profana dei giudei e dei fenici. L'India stessa aveva attirato la sua curiosità e ci si indirizzò a lui per dimostrare l’inautenticità di alcuni scritti gnostici che andavano sotto il nome di Zoroastro». 332

Apostasie

intellettuali

sistenza opposta a tutte le persecuzioni. Ha tuttavia provato la minima simpatia nei suoi riguardi, come a volte si tenta di farci credere? 1, La cosa è per lo meno dubbia. Se, nella Filosofia degli oracoli, ha parlato di Cristo in termini elogiativi, si è mostrato impietoso nei confronti dei cristiani, in modo tale da meritarsi il rimprovero severo di Agostino per questa sua ambiguità: «Chi è talmente sciocco da non accorgersi come gli oracoli (che Porfirio cita e commenta) sono una finzione di quest’uomo di inganno, e io aggiungo di questo nemico accanito del cristianesimo, oppure che sono i demoni impuri a darli, per autorizzare, con le lodi che danno al Cristo, il biasimo che riversano sui cristiani e, in questo modo, chiudere, se fosse possibile, la via della salvezza eterna alla quale ci si impegna mediante il cristianesimo?» !!, In realtà lo spirito di Porfirio è penetrato fino in fondo di ellenismo, come quello di Plotino. Questo equivale a dire che esso è impermeabile a ciò che costituisce l’originalità della rivelazione cristiana. 1 quindici libri del Contro i cristiani, redatti nella piena maturità del suo pensiero, sono una testimonianza evidente della sua ostilità fondamentale nei confronti del cristianesimo. Essi costituiscono l’opera di un uomo che conosce quanto meglio possibile il soggetto che ha intrapreso a trattare, che ha letto accuratamente i vangeli e le lettere di Paolo e, almeno, parecchi libri del Vecchio Testamento, che ha gettato sulla vita della chiesa sguardi, privi di benevolenza, ma terribilmente acuti. Niente tuttavia, almeno nei numerosi frammenti che ci sono arrivati di questa grande opera, permette di supporre che l’autore abbia conosciuto il cristianesimo dal di dentro, per averlo praticato egli stesso. Nel 111 secolo bastava avere occhi e guardare, per distinguere i catecumeni dai fedeli, i preti e i vescovi dai laici, o ancora per ammirare con invidia le grandi costruzioni dove in pieno giorno si tenevano le assemblee cristiane. A voler

supporre che Porfirio sia stato battezzato, questo dovrebbe essere 161

Cfr J Bidez, ibid, p 13: «La sua natura dolce e fine non poteva che

essere attirata dalla nobiltà e dalla bontà infinita delle parole di Gesù. Egli ne comprese la bellezza, come comprese la grandezza della bibbia. A lungo conservò per la persona di Gesù una sincera venerazione». Molto più giustamente, P de Labriolle, op cit, pp 233ss, ha mostrato che è impossibile trovare nelle

opere di Porfirio, persino nella Filosofia degli oracoli, la più piccola benevolenza reale per il Cristo

e per il cristianesimo.

Eusebio,

Demonstratio

evange-

lica, 111, 7, ed Heikel, p 140, non può lodare le formule di Porfirio che dopo averle mutilate senza vergogna. 162 Agostino, De civitate Dei, x1x, 23. 333

L’apostasia accaduto, come per Ammonio, nella sua infanzia: la sua ragione, che mai è stata cristiana, non ha avuto mai nulla da abiurare. Ma non è necessario ricorrere a questa ipotesi. Socrate, che in definitiva resta l’unico garante preciso del cristianesimo di Porfirio, non è un testimone talmente autorevole da potersi imporre a noi. Non meritano quindi di essere ritenuti i due soli nomi di apostati notoriamente intelligenti che ci offre la storia dei primi tre secoli. È vero che, nel corso dei 250 anni di un periodo carico di avvenimenti di ogni genere, necessariamente si saranno verificati un certo numero di rinnegamenti determinati da ragioni intellettuali. Se è stato possibile mettere in rilievo i rapporti stretti di due mentalità apparentemente così irriducibili, come quella di Celso ed Origene !, si può anche e senza alcun paradosso mostrare l’abisso umanamente insuperabile che separa Plotino dai cristiani !*, Fino alla pace della chiesa sono stati rari i filosofi cristiani. Non è ancora certo che abbiano tutti perseverato nella fede

', 5. Giuliano l’Apostata

Bisogna arrivare in definitiva a Giuliano, colui al quale i secoli cristiani hanno dato per eccellenza il nome di apostata, per trovare un caso nettamente caratterizzato di ritorno voluto e amato alle divinità del paganesimo !%. L’infanzia del giovane principe, come si sa, fu solitaria e infelice. Privo della madre alcuni mesi solo dopo la sua nascita, del padre Giulio Costanzo dall’età di sette anni, egli crebbe sotto la sorveglianza di guardiani sospettosi che non seppero né vollero dargli 163 M Miura-Stange, Celsus und Origenes. Das Gemeinsame ibrer Weltanschauung nach den acht Biichern des Origenes gegen Celsus, Giessen 1926. 164 Cfr J Lebreton, in A Fliche/V Martin, Histoire de l’Eglise, t:2, pp 216/220; E Bréhier, Plotin, Ennéades, cit, t 2, pp 108/110. 165 L’eresia ha certamente esercitato la sua attrazione su un certo numero di essi.

Senza

condividere

l’ammirazione

entusiasta

che manifesta

E de

Faye

nei confronti dei capi dello gnosticismo, non si può tuttavia dubitare del valore intellettuale di uomini come Matrcione. Per quanto li conosciamo

Basilide,

Valentino, Eraclione, questi uomini” possono

Tolomeo,

male, essere considerati dei veri pensatori e molti di essi, se non tutti, erano passati dal cattolicesimo, prima di insegnare l’eresia. Cfr P_Allard, Julien l’Apostat, Paris 1903; J Bidez, La vie de l’em166 pereur Julien, Paris 1930; J Geffcken, Kaiser Julianus, Leipzig 1914. 334

Giuliano l’Apostata l’affetto di cui il suo cuore ardente era avido. Il solo maestro di cui abbia conservato un buon ricordo è il vecchio eunuco Mardonio, esigente ed austero, ma profondamente devoto. Fu Mardonio che iniziò Giuliano ai poemi omerici e gli rese familiare la presenza spirituale di Achille, Ulisse, Nausicaa, Calipso, cari fantasmi da cui non doveva più separarsi; egli non esercitò tuttavia alcuna influenza sulla sua formazione religiosa. Questa fu affidata in un primo tempo a Eusebio di Nicomedia e, dopo che questi lo lasciò, a Giorgio di Cappadocia. Non si potevano immaginare iniziatori peggiori di questi due uomini. Il primo, vescovo di corte, invecchiato negli intrighi e divenuto talmente ambizioso da desiderare, alla vigilia stessa della sua morte, il trasferimento alla sede episcopale di Costantinopoli. L’altro, figlio di un operaio follatore, vecchio fornitore di carne di porco all’esercito, colpevole di concussione e delatore. Tutti e due, ariani della prima ora, abituati a spaccare il capello in quattro, molto più interessati alle dispute teologiche che alla pratica della vita cristiana. Laddove ci sarebbero state di bisogno sante persone, applicate al perfetto adempimento del loro ministero e a dare gli esempi di un’ardente carità, Costanzo, l’imperatore responsabile dell’educazione del cugino, non trovò di meglio per formare quest’anima generosa ed entusiasta che dei sofisti retori e degli avventurieri senza scrupolo. Come avrebbe potuto sperare risultati felici dalla direzione di siffatti maestri? In un primo tempo tuttavia sembrò che le lezioni di Eusebio e Giorgio fossero di profitto a Giuliano e questi conservò per tutta la vita un ricordo profondo delle prime esperienze cristiane. A queste esperienze si riferirà costantemente quando vorrà intraprendere la riforma del paganesimo. Non avrà paura di confessarlo e gli antichi storici lo hanno sottolineato dopo che l’ha fatto lui stesso. Sozomeno scrive così: «Comprendendo che il cristianesimo traeva la sua forza di vivere da quelli che lo _professavano, Giuliano decise di introdurte ovunque, nei templi ellenici, l’appatato e l’organizzazione del culto cristiano, tribune e seggi di onore con maestri e lettori per l’insegnamento dei dogmi e della morale ellenista, preghiere imposte a ore e a giorni fissi, monasteri per le donne e gli uomini che si dedicavano alla filosofia, asili per gli stranieri e i mendicanti e ogni genere di opere di filantropia a favore degli indigenti. Egli voleva rendere, in questo modo, prestigio alle credenze dei pagani. Pensò persino di imitare la tradizione cristiana prescrivendo una gradazione di penitenze per i peccati volontari e involontari seguiti da pentimento. Ciò che provocò soprattutto la sua emulazione si dice sia stata l’abitudine che 335

L’apostasia avevano i vescovi di scambiare tessere fra di loro, accompagnando le lettere di raccomandazione di cui si munivano coloro che partivano per un viaggio, affinché, ovunque arrivassero, gli stranieri potessero ottenere un alloggio e le cure necessarie, in quanto la testimonianza della tessera li faceva considerare conoscenti e amici» !"’,

Una siffatta imitazione, spinta fino ai minimi dettagli, suppone una presa reale del cristianesimo sull’animo di Giuliano. Ma questa presa è tutta intellettuale. L’imperatore ha perfettamente compreso ciò che costituisce la forza della chiesa: la virtù dei suoi preti, la dignità delle cerimonie, la carità dei fedeli, la solidità dei legami fra tutte le comunità. Sono questi i tratti che egli cerca di riprodurre quando organizza a suo modo la religione pagana. Ma è stato preso nei suoi sentimenti, nel suo cuore? Ha amato Gesù Cristo? Di questo è permesso dubitare, perché mai parla di lui con la tenerezza impregnata di melanconia che hanno spesso gli apostati. Senza dubbio, «non bisogna perdere di vista il carattere tendenzioso degli scritti in cui parla della carità cristiana. Sono encicliche di un pontefice settario che pensa solo a fare ai galilei tutto il male possibile. Ogni volta che, dopo esser diventato padrone di un impero che vuole riportare al culto degli dèi, raccomanda le opere di misericordia che la sua educazione cristiana gli ha fatto conoscere, non vuole più scorgere, per interesse della politica, che calcolo e finzione» %, Nemmeno le sue lettere intime testimoniano però, da nessuna parte, che egli abbia penetrato lo spirito del cristianesimo e gustato la dolcezza del Cristo. Egli è stato cristiano in buona fede, con sincerità, come lo si è nell’infanzia e nella giovinezza, prima di ogni riflessione personale. Egli non lo è stato teneramente. Ciò che invece ha conquistato il suo amore, il suo entusiasmo dei primi anni, è lo spettacolo del mondo rischiarato dal sole: «Nel suo discorso sul sole-re, egli pretende che di buon’ora, attraverso le nebbie che gli nascondevano il cammino della salvezza, aveva intravisto come il lampo di una prima illuminazione. Avvenne allorché, camminando tutto solo, forse nella campa167

Sozomeno,

Storia

ecclesiastica,

v, 16; cfr Gregorio

di Nazianzo,

Discorsi,

Iv, 111. Giuliano dà ai sacerdoti pagani le sue direttive nelle lettere 84/89, che si completano vicendevolmente ed editano tutto un programma di riforma del paganesimo, seguendo gli esempi dati dai cristiani; cfr J Bidez, L'’empereur Julien,

Lettres,

Paris

1924,

pp

95/105;

M

J Lagrange,

«Julien

prédicateur de retraites ecclésiastiques», art cit in La Vie Spirituelle. 168 J Bidez, La vie de l’empereur Julien, cit, pp 33/34. 336

l’Apostat,

Giuliano l’Apostata gna di Macellum, e abbandonandosi alle impressioni di una sensibilità sognante, fu come afferrato dai prestigi dell’anima del mondo. A volte in pieno giorno gli sembrava che il sole lo avvolgesse con i suoi raggi, l’attitasse verso di sé e, in una elevazione mistica, gli facesse riconoscere, amare e ammirare la sua onnipotenza. A volte, nel mezzo del silenzio delle notti, quando il rumore dell’agitazione umana si spegne così completamente, che noi possiamo riascoltare la voce delle cose, si fermava a lungo a contemplare il cielo e le stelle. Questo spettacolo gli era apparso così inebriante da farlo cadere in estasi. Più di una volta aveva ripetuto l’esperienza. A volergli credere, si era talmente familiarizzato con l’aspetto delle costellazioni e degli astri erranti che, ad esempio, notava da un giorno all’altro le loro diverse posizioni... Queste contemplazioni lasciarono in lui un ricordo, dove egli, più tardi, vide il primo slancio della sua fede eliolatrica» È legittimo diffidare di queste interpretazioni successive e possiamo ritenere che, per il momento, il ragazzo non abbia cercato così lontano il senso delle sue prime meraviglie. Ma bisogna tener presenti questi stati di ammirazione perché, per certi aspetti, sono molto rari presso i greci. Ciò che incanta Giuliano non è l'ordine del mondo compreso mediante l’intelligenza. Ciò che l’incanta è quest’ordine, percepito con il cuore e la sensibilità fremente. Da allora sente il bisogno di una religiorre che soddisfi i suoi appelli verso il mistero delle cose. Per lui il cristianesimo non è affatto una religione del genere. Niente di più spoglio della sua liturgia, nonostante la magnificenza delle chiese, la ricchezza delle vesti sacre, la varietà dei suoi canti. Tutta l’attenzione si concentra sull’altare dove il prete offre il pane e il vino. Niente soprattutto di più astratto del dogma, spiegato da ariani che si sforzano di confinare Dio il Padre in una lontananza inaccessibile o che vedono nel Cristo una semplice creatura, che dissertano all’infinito sull’ingenerato e sul generato, ma non parlano mai dell’amore di Dio per i suoi figli che sono gli uomini. A quale scopo una siffatta dialettica, simili discussioni, quando si tratta di penetrare interamente nella sfera del divino? Per diversi anni queste impressioni restarono vaghe. Venne il giorno in cui si precisarono. Tra i filosofi che Giuliano frequentava a Pergamo, si trovava un neoplatonico di rango, Edesio, che, non volendo assumere personalmente la formazione del giovane, lo rinviò 169

Ibid,

p

59; cfr Giuliano,

Discorsi,

337

Iv, 130/131.

L’apostasia ad uno dei suoi discepoli, Eusebio. Costui gli parlò di Massimo, il cui prestigio e le relazioni intime con gli dèi, facevano allora l’ammirazione dei suoi devoti. Ecco cosa raccontò al suo ascoltatore mera-

vigliato: «Fui convocato, un po’ di tempo fa, assieme ad altri amici al tempio di Ecate, da Massimo. Egli si trovò così radunati numerosi testimoni contro di sé. Dopo che noi salutammo la dea, Massimo gri-

dò: sedete, amici, guardate bene ciò che sta per accadere e vedete se non sono superiore agli altri uomini. Noi ci sedemmo tutti. Allora Massimo bruciò un grano di incenso, si cantò da se stesso non so quale inno e spinse così lontano la sua esibizione che, all’improvviso, l’immagine di Ecate sembrò sorridere e poi ridere forte. Siccome noi sembravamo scossi, Massimo ci disse: nessuno di voi si turbi, perché in un istante si accenderanno le torce che la dea tiene nelle sue mani. Non aveva finito di parlare che già il fuoco brillava alla sommità delle torce. Noi ci ritirammo, colpiti momentaneamente da stupore di fronte a questo operatore teatrale di meraviglie e ci chiedevamo se prendevamo per buone queste belle cose. Ma, aggiunse Eusebio, non ti meravigliare in anticipo di nessun fatto di questo genere, più di quanto non me ne meravigli io e credi che non c’è nulla di più importante della purificazione che procede dalla ragione. Allora il divino Giuliano si alzò. Addio, mi disse. Immergiti nei tuoi libri; tu mi hai rivelato l’uomo che cercavo» 1” Niente è più curioso di questo racconto dove si oppongono così nettamente il razionalista Eusebio e il mistico Giuliano. Il filosofo, descrivendo le meraviglie operate da Massimo, lo fa certamente per distogliere il suo imperiale discepolo da un ciarlatano al quale non attribuisce il minimo credito. Ma egli ottiene proprio il risultato opposto a quello che cercava. Senza la minima esitazione Giuliano va a trovare Massimo e immediatamente si lascia prendere da lui. Questo entusiasmo non finisce di meravigliarci. Per noi, come per Eusebio, Massimo non è che una specie di prestigiatore che abusa della pubblica credulità e noi conosciamo in particolare, grazie al Philosophboumena di Ippolito, i procedimenti impiegati dai maghi e dai sacerdoti per fare i loro giuochi di prestigio !, Noi facciamo fatica a comprendere che uno spirito vigoroso e acuto, come quello di Giuliano, abbia potuto farsi ingannare così presto. Ma noi non ci tro170

Eunapio,

Vitae

sophistarum,

Maximus,

ed Boissonade,

pp 474/475.

171 Ippolito, Philosophoumena, Iv, 35; cfr R Ganschinietz, Hyppolitos Kapitel gegen die Magier (Texte und Untersuchungen, xxx1mx, 2), Leipzig 1913. 338

Giuliano l’Apostata viamo più nel mondo antico e non siamo nemmeno sicuri che esempi simili non si riproducano alla nostra epoca. L’intelligenza forte e razionale non è la sola a entrare in giuoco nelle questioni di ordine religioso e morale. Mentre altrove essa continua a esercitarsi qui viene oscurata da altre forze più potenti. Un giovane, soprattutto quando è stato privo di affetto nella sua adolescenza, quando è cresciuto nell’isolamento, offre facile presa agli incantatori che gli promettono la conquista del mondo e il possesso di Dio. Libanio, che non ha nulla di mistico, spiega da puro razionalista, l’influsso dei neoplatonici, soprattutto di Massimo di Efeso, su Giuliano. Secondo lui il giovane fu conquistato soltanto dallo splendore del vero:

«Giuliano fu preso quando incontrò uomini imbevuti della dottrina di Platone, quando ascoltò parlare degli dèi e dei demoni, degli esseri che veramente hanno fatto questo universo e lo conservano, quando imparò da essi cosa è l’anima, da dove viene, ciò che la fa decadere, ciò che la eleva, ciò che la definisce, ciò che ja esalta, cosa sono per essa la prigionia e la libertà, come può evitare l’una e pervenire all’altra. Allora abbandonò le sciocchezze alle quali aveva creduto fino allora per istallare nella sua vita lo splendore della verità, come se in un grande popolo venissero ristabilite le statue degli dèi che erano state prima oltraggiate col fango» !2

Questa descrizione non è inesatta, nel senso che gli iniziatori di Giuliano furono realmente i filosofi. Massimo stesso, autore di un commento alle Categorie di Aristotele, non si occupava solo di teurgia. Prisco, che egli conobbe più tardi ad Atene ed il quale, assieme a Massimo, fu il testimone e il consolatore dei suoi ultimi istanti, ci teneva molto a conservare, in tutta la sua condotta e il suo atteggiamento, la dignità di un vero filosofo. Ma la descrizione è incompleta. Per se stesso il neoplatonismo non è necessariamente pagano e l’esempio di Agostino, che nei libri neoplatonici troverà la rivelazione delle realtà spirituali e la via più sicura verso il cristianesimo, basterebbe

a dimostrarlo. Gregorio di Nazianzo e Basilio, che a loro volta furono condiscepoli di Giuliano ad Atene, si lasciarono a loro volta conquistare dalle dottrine di Platone, senza per questo rinunciare alla religione cristiana, di cui furono al tempo stesso difensori valorosissimi. Per questo non basta dire che l’intelligenza di Giuliano fu ua

Libanio, Orazioni, xv1r1, 18. 339

L’apostasia

conquistata dalla saggezza ellenica. Essa infatti non fu né sola né principalmente

a essere in gioco. Ciò che Giuliano domandò soprattutto al dio di cui divenne fervente discepolo, dietro Massimo di Efeso e i suoi amici, furono le emozioni religiose, un amore e una devozione che il cristianesimo non gli avevano mai dato. Quando egli fu afferrato così, si diede con la ferma volontà di non tornare indietro. Attorno a lui la storia mostra

apostati inconsistenti e frivoli: il retore Ecebolo, prima pagano, quindi cristiano, ridivenuto pagano nel 361 e nuovamente cristiano nel 362; il vescovo di Ilio, Pegaso, sciocco e ambizioso, che venera in segreto gli dèi pur esercitando le funzioni episcopali e che, divenuto sacerdote pagano, non crede con più fervore al suo nuovo mestiere che al precedente !”; il fratello di sua madre, Giuliano, che fu un persecutore di cristiani, ma il quale, al dire di Filostorgio, apostatò per fargli piacere 1". Per tutti questi caratteri senza energia e senza fede, pronti a voltare al minimo soffio di vento, Giuliano non provò mai il minimo rispetto. Egli dovette servirsene, ma non si fidò di essi. La sua religione fu di tempra diversa dalla loro e lo si vide bene, perché tutta la sua vita ne fu una testimonianza. Quando si convertì agli dèi dell’ellenismo, occorreva del coraggio, perché Costanzo era cristiano e non scherzava sul capitolo della religione. Se questi non 173 Cfr Giuliano, Lettere, 79, ed Bidez, pp 85/87. Citiamo almeno una parte di questa lettera così caratteristica: «Arrivai ad Ilio nell’ora in cui si riempiva il mercato. Egli mi venne allora incontro e, giacché desideravo visitare la città (era il pretesto che prendevo per frequentare i templi) mi servì da guida e mi pilotò dappertutto... Vi è là un tempietto all’eroe Ettore, con la sua statua di bronzo in una piccola cappella. Di fronte è stato piazzato

Achille a cielo aperto... Vi trovai altari ancora illuminati, direi quasi fiammeggianti e la statua di Ettore brillava tutta strofinata con olio. Guardando fisso Pegaso dico: come, gli abitanti di Ilio sacrificano ancora? Volevo con tatto sondare la sua opinione. Mi rispose: cosa c'è di strano se essi prestano culto ad un uomo per bene che fu loro concittadino, come noi ne abbiamo per i nostri martiri? Il paragone non era esatto, ma io riconobbi una intenzione delicata, per rapporto alla situazione di allora. Cosa accadde in seguito? Io proposi di incamminarci verso il recinto sacro di Atena Ilia. Egli mise molta mi aprì il tempio e, come per prendermi a tepremura nell’accompagnarmi; stimone, mi mostrò tutte le statue perfettamente intatte... Pegaso mi seguì ancora

fino

all’Achilleion

e mi mostrò

la

tomba

intatta. Ora, mi avevano avvicinava con molto adesso gli sono ostili,

fatto credere che egli l’aveva demolita. In realtà vi si rispetto.

Questo

l’ho visto

da

me. Inoltre,

quelli che

mi fecero sapere che in segreto invocava e adorava il sole». 174 Filostorgio, op cit, vu, 4; vir, 10; ed Bidez, pp 82ss; 97ss. 340

Giuliano l’Apostata riuscì, in venti anni di regno, ad estirpare il paganesimo dall’impero, il desiderio però non gli mancò e molte leggi, promulgate da lui, furono destinate a rendere sempre più difficile l’esercizio dei vecchi culti. Egli dovette impiegare dei pagani al suo servizio, ma nella sua cerchia più vicina si trovano soprattutto cristiani, persino vescovi. A partire da Costantino era scontato che l’impero fosse cristiano, che la famiglia imperiale e l’imperatore stesso rendessero omaggio al Cristo. Facendo professione di paganesimo Giuliano ruppe con le abitudini e le tradizioni. Egli lo fece senza esitare, dapprima di nascosto; i suoi amici ne furono però informati; non appena le circostanze lo permisero, il suo atteggiamento fu palese e, in seguito, non ebbe un istante di esitazione o di cedimento. Lo si accusò, lo si criticò, ci si fece beffe di lui. La sua pietà lo obbligò a volte a compromettersi in culti più o meno licenziosi che la sua austerità doveva trovare riprovevoli. Ma davanti alle esigenze della religione, egli fece tacere gli scrupoli della morale. Meglio ancora: se è vero che la morte è la suprema prova delle credenze che hanno aiutato a vivere, Giuliano seppe morire da pagano. Agli amici in lacrime attorno al letto sul quale stava per rendere l’ultimo respiro, rimproverò la debolezza: «È una umiliazione per noi tutti, disse, che voi piangiate un principe la cui anima risalirà presto verso il cielo e si confonderà con il fuoco delle stelle». Il silenzio s’era stabilito attorno a lui ed égli ne approfittò per iniziare con Prisco e Massimo un discorso sulla vita futura e sulla nobiltà infinita dell’anima. Queste conversazioni, un oracolo reso una volta da Elios, il suo dio prediletto, lo riconfortarono. Fu con gioia che rese l’anima al suo dio, che per un certo tempo l’aveva tenuta prigioniera in un corpo mortale 1”, Bisogna aggiungere che una tale religione doveva essere intollerante e che lo fu? Giuliano avrebbe voluto conservare la sua calma di fronte ai suoi vecchi correligionari e, se possibile, riportarli al paganesimo con le sole armi della persuasione. Egli fece a più riprese delle dichiarazioni rassicuranti in questo senso:

«Non interdico l’ingresso nelle scuole (pagane) ai giovani che vogliono frequentarle. In effetti non sarebbe né naturale né ragionevole chiudere la buona via a fanciulli che non sanno ancora da quale parte dirigersi, e questo per timore di far seguire loro, con libera scelta, le nostre tradizioni ancestrali. D’altra parte si avrebbe il diritto di guarirli, come si guariscono i frenetici senza loro permesso, ma, ben 15

Ammiano Marcellino, Rerum gestarum libri, xxv, 3s. 341

L’apostasia inteso, perdonando tutta la loto malattia. A mio avviso infatti bisogna non punire, ma illuminare la gente che sragiona . Per persuadere gli uomini e istruirli, occorre ritornare alla ragione e non alle battiture, agli oltraggi, ai supplizi corporali. Non posso ripéterlo troppo: coloro che hanno zelo per la vera religione, non molestino, non attacchino, non insultino la folla dei galilei. C'è bisogno più di pietà che di odio per coloro che hanno la disgrazia di errare in materia così grave. Se la religione è veramente il più grande dei beni, l’empietà è al contrario il più grande dei mali» !. Malgrado il tono sdegnoso delle formule, si tratta di principi Ma altra cosa è enunciarli ed altra cosa farli passare nella pratica. 1 cristiani non accettarono la benevolenza altera che l’imperatore proponeva loro e costui non volle più sottomettersi alle loro esigenze. Volente o nolente fu un persecutore. Ciò prova la forza e la sincerità delle sue convinzioni pagane. Notiamo infine come, tentando di risuscitare l’impero pagano, Giuliano diede prova del coraggio richiesto per le cause che, se non sono perdute in anticipo, sono tuttavia fortemente rischiose. È vero che «l’impresa che seduceva Giuliano sembrava così allettante ai pagani del suo tempo che essa, dopo Massenzio, almeno per due secoli, diede luogo a incessanti tentativi di controrivoluzione. Poco dopo la morte dell’apostata, suo cugino Procopio, quindi il giovane Teodoro, si lasciarono trascinare dalle sue stesse ambizioni. In seguito, dopo che il generalissimo Lucio volle assassinare Teodosio per ristabilire l’idosaggi.

latria, Eugenio, Massimo Antemio a Roma, e tutti i cospiratori raggruppati attorno a Pamprepio e ad alcuni altri in Egitto, furono pagani che, come Giuliano, concepirono un piano di reazione contro i progressi del cristianesimo. Non bisogna meravigliarsi di questo susseguirsi ininterrotto di rivolte. L’ellenismo offriva infatti allora risorse importanti e preziose a coloro che volevano rendergli la signoria del mondo. Prima di Teodosio, gli imperatori cristiani si ritennero in dovere di trattarlo con molti riguardi» !, Nonostante tutto non bisogna però dimenticare che la causa del cristianesimo era stata vinta fin dai tempi di Costantino. Quando una religione ha attraversato prove talmente terribili come le persecuzioni di Decio, di Valeriano, di Diocleziano; quando, malgrado le perdite, essa si è dimostrata sufficientemente potente per obbligare i suoi persecutori non solo a 176

Giuliano, Lettera 61; ed Bidez, p 75.

177

Giuliano, J Bidez,

178

Lettera

114; ed Bidez, p 195. l’empereur Julien, cit,

La vie de

342

p 84.

Il mistero

delle anime

riconoscerla e a tollerarla, ma a farne pubblicamente professione, essa è praticamente invincibile. Ricordando gli sforzi di Giuliano, non si può fare a meno di pensare al bel verso di Lucano: «La causa vittoriosa piacque agli dèi, quella vinta a Catone».

6. Il mistero delle anime Dopo Giuliano sarebbe facile trovare altre apostasie, meno famose, ma sempre interessanti per lo storico. Basterebbe ricordare quella di quel senatore, vecchio console, che verso la fine del Iv secolo, dopo aver abbracciato il cristianesimo ed aver perseverato per alcuni anni, l’abbandonò per il culto della Magna Mater, al quale un poeta sconosciuto indirizzò un giorno un invito pressante, ma cortese, di ritornare alla religione che aveva abbandonato !”, Occorre tuttavia porre un termine. Del resto non apprenderemmo nulla di nuovo a voler continuare le nostre ricerche ed il caso dell’imperatore apostata risponde a tutte le questioni che può sollevare il fatto di un ritorno

ai culti pagani.

Bisogna aggiungere che è quasi il solo, a nostra conoscenza, che risponde a tutte queste questioni? Quando un uomo come Marcione, come Basilide, come Valentino, come Novaziano, lascia la chiesa per inventare un sistema eretico o per fomentare uno scisma, non torna indietro. Egli si immagina, e fa credere a coloro che diventano suoi discepoli, che spinge la sua matcia in avanti, che apporta una correzione, se non un incontestabile arricchimento al cristianesimo tradizionale, che insegna una dottrina migliore, più ricca e più feconda di quella alla quale si rinuncia. Questi casi non possono quindi trattenerci. Quando le folle, tra le quali possono emergere personalità eccezionali, consentono a sacrificare agli idoli, o soltanto a mangiare gli idolotiti o acquistare certificati di sacrifici, esse cedono alla paura troppo umana dei supplizi e della morte e noi sappiamo, tramite le terrificanti descrizioni che ci ha lasciate Eusebio, quali fossero i supplizi riservati ai fedeli. Comprendiamo senza difficoltà questa paura e la scusiamo, così come siamo pronti a provare per essa gli stessi sentimenti di misericordioso perdono che ebbero san Cipriano di Cartagine, san Dionigi d’Alessandria, san Gregorio di Nuova Cesarea, in 17 rum

Pseudo Cipriano, Ad quemdam senatorem, ed Peiper (Corpus ScriptoLatinorum, t 23, p 227.

ecclesiasticorum

343

L’apostasia

una parola tutta la chiesa cattolica. Si poteva avere il coraggio di opporre un rifiuto, dettato più dall’orgoglio che dalla salvaguardia dell’ideale cristiano, ai poveri peccatori che facevano penitenza? E quando dei volgari ambiziosi o degli intriganti abbandonano la religione, nella quale erano stati educati o che avevano volontariamente scelta, per conservare

una situazione

acquisita, per piacere ad un imperatore

o

a un alto funzionario, per evitare la perdita delle loro iicchezze terrestri o per acquisirne delle nuove, noi comprendiamo ancora questo atteggiamento, per quanto vile, perché cesso è spiegabile troppo naturalmente, a pattire da alcuni degli istinti più profondi della nostra natura. Ma tutto questo non ci interessa. Al contrario, quando un uomo cresciuto nel cristianesimo, istruito nella religione da maestri sedicenti competenti !, iscritto persino nelle file del clero !“!, sceglie liberamente di ritornare agli dèi del paganesimo; quando, agendo così, egli si espone al risentimento dei suoi, alle beffe e agli insulti del popolo fedele; quando innalzato dalle circostanze alla dignità imperiale si attiene all’osservanza devota delle pratiche più minuziose del suo culto prediletto e si sforza, nonostante tutti gli ostacoli, di restaurare la fede fatiscente dei suoi sudditi, noi non possiamo fare a meno di fermarci davanti a lui e chiedergli le ragioni ultime del suo atteggiamento. Perché Giuliano ha rinunciato al cristianesimo? Le ragioni intellettuali lo toccarono poco. La religione cristiana non era ormai, al suo tempo, il privilegio dei poveri e degli ignoranti. Essa contava tra i suoi fedeli uomini di valore altissimo, financo professori famosi. Essa era esposta e difesa da vescovi come Atanasio e Ilario che avrebbero potuto rivaleggiare in scienza ed eloquenza con gli uomini più istruiti di questo periodo. È vero che nel suo libro Contro i cristiani, Giuliano tratta spesso il cristianesimo come una malattia dell’intelligenza, che per parlarne usa volentieri i termini di favola, menzogna, irrazionale, che gli rimprovera di essere una invenzione combinata dalla cattiveria umana e di non contenere nulla di divino. Ma tutto questo non spiega la sua de180

Giuliano aveva già apostatato in segreto quando suo fratello Gallo,

tormentato

per la sua fede,

gli inviò

il dialettico

più terribile

dell’arianesimo.

Nessuno come Aezio era in grado di mettere in sillogismi i dogmi. Egli riuscì ad interessare Giuliano che gli conservò il suo affetto e, divenuto imperatore, gli fece dono di un fondo nell’isola di Mitilene. Ma non riuscì a convertirlo. 181 Non si può dubitare che Giuliano sia stato promosso al lettorato e che abbia avuto quindi l’incarico di leggere in chiesa la Scrittura durante le celebrazioni liturgiche.

344

1] mistero

delle anime

fezione. Se ha adorato gli dèi del paganesimo è soprattutto perché li ha amati. Ha trovato nel loro culto la bellezza da cui era presa la sua anima ardente; nelle leggende, interpretate con l’aiuto dell’allegoria, ha trovato la spiegazione del mondo, il cui spettacolo aveva rapito la sua giovinezza solitaria; nelle loro iniziazioni e nei loro misteri, ha trovato infine la certezza della salvezza alla quale aspirava con tutte le sue forze. La chiesa avrebbe potuto dargli tutto questo, che essa possedeva incomparabilmente meglio del paganesimo. Ma non l’ha fatto. E forse a questo puro elleno che era Giuliano, poteva convenire solo una religione ellenica. Quando si parla della Grecia e dell’ellenismo si pensa subito al razionalismo dei filosofi. 11 caso di Giuliano ci obbliga a ricordarci che esiste una mistica greca e che essa ha incantato molte anime.

Questo non basta evidentemente per spiegare il mistero dell’apostasia come tale. I cuori conservano il loro segreto c nessuno ha il potere di strapparlo loro. Se, dopo aver studiato a lungo i problemi storici posti dalla conversione del mondo romano al cristianesimo, abbiamo consacrato all’apostasia l’ultimo capitolo, lo abbiamo fatto per tentare una controprova che ci sembrava necessaria. Abbiamo potuto segnalare in effetti alcuni casi interessanti, raggruppare esempi curiosi. Ma non oseremmo dire che siamo riusciti a penetrare Je anime degli apostati, spesso più difficili da comprendere che quelle degli stessi convertiti. Sono soprattutto questi che ci hanno occupato ed è pensando ad essi che vogliamo porre termine a questo libro. È successo, nel corso dei secoli, che popoli interi si convertissero al seguito del loro re; è anche accaduto che folle numerose venissero alla chiesa, trascinate, per spirito di imitazione, per ambizione. Per quanto importanti possano essere stati per la storia generale fatti di questo genere, ai nostri occhi sono meno significativi delle conversioni individuali, provocate dalla grazia di Dio. San Paolo, san Giustino, san Cipriano di Cartagine, Arnobio, Lattanzio, sant’Agostino, i nomi di questi uomini ci resteranno sempre cari, perché sono i nomi di uomini tetti e sinceri che si sono sempre lasciati fare dalla verità.

345

Dal catalogo Jaca G.

BEDOUELLE,

di AMATECA 1993 E. J.

Book

La storia della Chiesa, vol. 14 — Manuali di Teologia Cattolica,

CARBONELL ESTELLER, L'arte paleocristiana, 2007 ENGEMANN, Roma, Losplendore del tramonto, 2014

D. JarrÉ, Il Talmud e le origini ebraiche del cristianesimo, 2008 J.M. LABOA, Atlante storico della carità, 2014 G.B. LADNER, I! simbolismo paleocristiano, 2008 H.I. MARROU, S. Agostino e la fine della cultura, 1987, ult. rist. 1994 NEWMAN, Benedetto, Crisostomo, Teodoreto, 2009 RAHNER, Chiesa e struttura politica nel cristianesimo primitivo, 1978, ult. rist. 2003 SORDI, I cristiani e l'impero romano, 1984,

J.H. H. M.

nuova ed. 2011

Come e perché il messaggio cristiano riuscì a trasformare il mondo greco-romano? Î primi convertiti erano anzitutto uomini semplici. Solo lentamente aderirono intellettuali e appartenenti a classi sociali benestanti. Eppure la quasi totalità dei documenti a nostra disposizione per ricostruire la fenomenologia della conversione al cristianesimo nei primi secoli appartiene proprio alla testimonianza di quegli intellettuali. Occorre quindi risalire, attraverso un poderoso filtraggio delle fonti, alla immediatezza stessa della conversione delle masse. Bardy ricostruisce in questo libro le motivazioni, gli ostacoli, le esigenze, i metodi della conversione cristiana nei primi tempi della chiesa. Ma colloca anche accuratamente le prime vicende del cristianesimo dentro l’ambiente religioso e culturale dell’impero romano. Ne deriva un quadro quanto mai vivo della storia cristiana: una vera e propria storia della chiesa nei primi secoli vista nel suo sviluppo dinamico, nel duro confronto con una realtà estranea, quale fu quella dell’orgoglioso e autosufficiente paganesimo greco-romano. Ma ne scaturisce anche, sul terreno solido della filologia, una metodologia della conversione, analizzata nelle sue dimensioni oggettive. BARDY (1881-1955) è stato uno dei più grandi stufrancesi di patrologia della prima metà del secolo scorso. Oltre alle sue opere di storia della letteratura cristiana antica, ricordiamo le monografie su Didimo il Cieco (1910), Atanasio (1914), Paolo di Samosata (prima edizione 1923), Origene (1931), nonché sulla vita spirituale secondo i padri dei primi tre secoli (1931) e sulla teologia patristica della chiesa (1945-1947). GUSTAVE

diosi

In copertina: Orante. Disegno tratto da una stele funeraria del v secolo, conservata al Museo Copto del Cairo.

ISBN 978-88-16-30002-6

€ 19,00

9

INN 788816

"

UO 300026

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