La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi. Atti del Convegno (Roma, 11-13 novembre 2010) 8821008819, 9788821008818


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La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi. Atti del Convegno (Roma, 11-13 novembre 2010)
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LA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA LUOGO DI RICERCA AL SERVIZIO DEGLI STUDI

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Sala di consultazione stampati della Biblioteca Apostolica Vaticana

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STUDI E TESTI ———————————— 468 ————————————

LA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA LUOGO DI RICERCA AL SERVIZIO DEGLI STUDI Atti del convegno Roma, 11-13 novembre 2010 a cura di MARCO BUONOCORE – AMBROGIO M. PIAZZONI

C I T T À D E L VAT I C A N O B I B L I O T E C A A P O S T O L I C A V AT I C A N A 2011

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La collana “Studi e testi” è curata dalla Commissione per l’editoria della Biblioteca Apostolica Vaticana: Giancarlo Alteri Marco Buonocore (Segretario) Timothy Janz Antonio Manfredi Claudia Montuschi Cesare Pasini Ambrogio M. Piazzoni (Presidente) Delio V. Proverbio Adalbert Roth Paolo Vian Sever J. Voicu

Descrizione bibliografica in www.vaticanlibrary.va

Stampato con il contributo dell’associazione American Friends of the Vatican Library

—————— Proprietà letteraria riservata © Biblioteca Apostolica Vaticana, 2011 ISBN 978-88-210-0881-8

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SOMMARIO Lettera di S.S. BENEDETTO XVI a S.E. il Cardinale RAFFALE FARINA

.....

VII

S.E. Card. R. FARINA, Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

XV

C. PASINI, Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1

LUOGO DI RICERCA M. DE NONNO, Filologia classica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

19

P. SCHREINER, Filologia bizantina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

49

C. TRISTANO, Paleografia e codicologia latina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

69

J.-N. GUINOT, Bible, patristique, liturgie et hagiographie . . . . . . . . . . . . .

117

A. PARAVICINI BAGLIANI, Il Medioevo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

143

V. FERA, Umanesimo e Rinascimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

159

I. FOSI, Storia moderna e contemporanea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

177

R. ANTONELLI, Italianistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

195

V. PACE, Storia dell’arte e della miniatura (secoli V-XIV) . . . . . . . . . . . . .

213

A. MORELLI, Storia della musica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

273

G. FIACCADORI, Orientalistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

299

E. ARSLAN, Numismatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

337

AL SERVIZIO DEGLI STUDI P. VIAN, Il Dipartimento dei Manoscritti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

351

A. ROTH, Il Dipartimento degli Stampati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

395

G. ALTERI – P. MANONI, Il Dipartimento del Gabinetto Numismatico . . . .

407

A. MANFREDI, La Scuola Vaticana di Biblioteconomia . . . . . . . . . . . . . . .

429

A. D’ALASCIO, Esposizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

451

I. SCHULER, Fotografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

477

M. GRIMACCIA, Conservazione e restauro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

503

L. AMMENTI – P. MANONI, Servizi informatici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

523

M. BUONOCORE, Editoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

541

A. M. PIAZZONI, Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

569

INDICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

577

Indice dei manoscritti e delle fonti archivistiche . . . . . . . . . . . . . . . .

579

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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VIII

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X

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XI

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XII

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XIII

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RAFFAELE CARD. FARINA

PRESENTAZIONE Sono lieto di salutare la sollecita uscita degli Atti del convegno La Biblioteca Apostolica Vaticana come luogo di ricerca e come istituzione al servizio degli studiosi (11-13 novembre 2010); essi sono pubblicati a cura della Vaticana stessa per mano di Marco Buonocore e Ambrogio M. Piazzoni, rispettivamente segretario e presidente della Commissione per l’editoria. Inaugurando il convegno, ho avuto il privilegio e la gioia di porgere l’augurio più prezioso e caro, quello rivolto dal Santo Padre Benedetto XVI nel messaggio indirizzatomi in occasione di quelle giornate di studio, qui pubblicato alle pagine precedenti. Sono stato inoltre latore del saluto di tutto il personale della Biblioteca Vaticana, lieto di tornare ad accogliere il pubblico dopo i tre anni di chiusura, durante i quali sono stati effettuati interventi edilizi e innovazioni tecnologiche per migliorare le strutture e razionalizzare spazi e percorsi. I lavori effettuati rientrano nella nostra volontà di continuare a tener fede e realizzare al meglio l’impegno che contraddistingue la Vaticana dall’inizio della sua storia. Come ricordato dal Santo Padre, infatti, sin dalla nascita la Biblioteca Vaticana è il luogo eminente in cui si custodisce la memoria storica della Chiesa universale, memoria che viene quotidianamente offerta, con debita cura e attenzione scientifica, all’intera umanità. La Biblioteca è dunque un luogo di conservazione ma anche un luogo di ricerca seria e qualificata, senza discriminazioni confessionali o ideologiche, aperto “alla verità tutta intera”, oggi rinnovato grazie all’impegno e alla generosità di molti. Il convegno è stato un momento significativo nella vita della Biblioteca, un’occasione per riflettere su quanto ci lega al passato, su quanto ci è richiesto dal presente e su quanto ci proietta nel futuro. Innanzitutto una riflessione interna, che coinvolge e riguarda ogni singolo impiegato. Una verifica che passa attraverso il riconoscimento delle radici classiche e cristiane dell’istituzione, attraverso la presa di coscienza della peculiarità del servizio diretto al Papa e alla Chiesa cattolica e della responsabilità di essere i custodi di un inestimabile patrimonio culturale, a servizio dell’umanità. Una presa di coscienza che si concretizza in un’analisi avviata a partire da un passato recente — gli anni Quaranta del Novecento — e proiettata nel futuro. In questo convegno la Vaticana “rinnovata” si presenta al monLa Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. XV-XVI.

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XVI

RAFFAELE CARD. FARINA

do degli studiosi, raccontandosi attraverso i suoi diversi dipartimenti e servizi; ripercorrendo una breve storia, ne descrive lo status quo con attenzione alle ultime innovazioni, e soprattutto ne illustra le prospettive. Tuttavia una riflessione che si rispetti implica anche il confronto e la valutazione da parte degli esterni, o meglio, nel nostro caso, dei fruitori. Per questo, alcuni studiosi rappresentativi delle diverse discipline storicoumanistiche e biblioteconomiche sono stati invitati a illustrare la funzione che la Biblioteca Vaticana ha avuto nel loro ambito di ricerca e a delineare il rapporto tra istituzione e studioso. Tale scelta non è stata motivata da un bisogno di celebrazione, ma dal desiderio di un confronto oggettivo e dalla volontà di raccogliere proposte e suggerimenti volti a garantire una maggiore qualità nei servizi offerti. Nella Biblioteca Apostolica Vaticana, forse più che altrove, l’antitesi tra conservazione e fruizione sembra stridente. Nell’equilibrio tra queste due contrastanti finalità si gioca il futuro: da un lato abbiamo il compito di assicurare la conservazione ottimale del patrimonio ereditato e di accrescerlo, se possibile, per poterlo trasmettere alle generazioni che verranno, e dall’altro dobbiamo renderlo al tempo stesso disponibile alla comunità. Come in ogni altra biblioteca, in Vaticana si conservano libri: manoscritti e stampati e, forse tra poco, libri elettronici; libri antichi e libri moderni che nel tempo diventeranno antichi. La differenza della Vaticana rispetto a molte delle altre biblioteche è data dall’ampiezza, dalla varietà e dal valore dei libri e delle collezioni; la sua straordinarietà — richiamo qui le parole del Santo Padre — è nell’essere strumento necessario allo svolgimento del Ministero petrino, in quanto essa, nella considerazione dei problemi, consente di avere quello sguardo capace di cogliere, in una prospettiva di lunga durata, le radici remote delle situazioni e le loro evoluzioni nel tempo. Inoltre, i tanti libri conservati, manufatti estremamente diversi tra loro, possono ancora “parlare” all’uomo e alla società di oggi e di tutti i tempi: tale obiettivo è raggiungibile attraverso la ricerca compiuta in piena collaborazione tra studiosi esterni e personale e studiosi interni. Tutti noi siamo chiamati a uno stile di vita che si contraddistingua per l’ispirazione a valori alti e per lo spirito di servizio. Si tratta infatti di assecondare quel bisogno di scoprire il vero che è un’esigenza della natura umana […], che spinge alla passione per la conoscenza e il sapere, e ci infonde il vivo desiderio della ricerca (Ambrosius Mediolanensis, De officiis, I, 26, 125). Raffaele Card. Farina

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CESARE PASINI

INTRODUZIONE La Biblioteca Apostolica Vaticana come luogo di ricerca e come istituzione al servizio degli studiosi1. Un lungo titolo per indicare il doppio scopo a cui mira il Convegno che prende il via in occasione della riapertura della Biblioteca Vaticana: ripercorrere cioè, per il periodo degli ultimi sessant’anni, gli studi compiuti in Biblioteca e la vita della Biblioteca nelle sue attività. Si è scelto di circoscrivere la ricerca al periodo successivo all’ultima guerra mondiale (1939-1945), ritenendolo adeguatamente omogeneo, sufficientemente ampio e significativo per gli sviluppi successivi al pontificato di Pio XI, il papa bibliotecario che, da prefetto e da pontefice, aveva ridato slancio in molti modi — non ultimo attraverso considerevoli opere di ristrutturazione — alla Biblioteca. Sessant’anni sono un piccolo frammento, l’ultimo di un ampio percorso di più di cinque secoli e mezzo, percorso che mi sono trovato a raccogliere tre anni fa dalle mani dell’allora prefetto Raffaele Farina2. Tre anni anomali a causa della chiusura della Biblioteca agli studiosi, ma in un percorso che non penso si sia interrotto: anzi, per le attività interne e per i lavori che abbiamo condotto per preparare la Biblioteca rinnovata in vista della riapertura, mi sento di affermare che è continuato e si è persino incrementato. E anche le ricerche degli studiosi sono spesso procedute a distanza, seppur in modo più limitato. Riprendendo il cammino, ci è utile volgere lo sguardo verso ciò che si è compiuto: per quanto riguarda gli studi, ogni indagine e sintesi, che verrà proposta e ulteriormente verificata nel comune dibattito, potrà essere un positivo stimolo e indirizzo alle ricerche che si vorranno in futuro intraprendere; per quanto riguarda le attività della Biblioteca, l’esposizione di 1 Nella preparazione di questo contributo ho ricevuto svariati aiuti da molte persone: voglio ringraziare tutti, e in particolare Christine Grafinger, Antonio Manfredi, Claudia Montuschi, Ambrogio Piazzoni, Paolo Vian. Ripropongo il testo così come venne pronunciato l’11 novembre 2010, con i riferimenti immediati alla mattina nella quale fu proposto in apertura del Convegno. 2 Precisamente il 25 giugno 2007, quando il prefetto Raffaele Farina fu nominato Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa.

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 1-16.

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CESARE PASINI

ciò che è stato fatto permetterà una migliore conoscenza di quanto avviene “dietro le quinte” e ancor più potrà favorire uno scambio di esperienze che tornerà a vantaggio per le scelte future: per le nostre, ma spero anche per le altrui. Non so anticipare quanto verrà esposto e quindi non posso certo anticipare i frutti che ne verranno o le conclusioni che se ne potranno trarre3. Ma si tratta, per usare il titolo della mostra4 che è stata inaugurata ieri sera5 e che si prolungherà sino a tutto gennaio 20116, di conoscere la Biblioteca Vaticana nella sua storia aperta al futuro. Iniziando per parte mia questa indagine, desidero pormi nella prospettiva di “conoscere” la Biblioteca Apostolica nella sua identità e missione, così come emerge oggi, in particolare dall’ultima guerra mondiale. Avrei certo potuto guardare a tutta la sua storia fin dalle sue origini, ma è lavoro per un verso troppo ampio in questa sede e per un altro più volte sondato e quindi noto nelle sue linee fondamentali. Fermandomi agli ultimi sessant’anni, cercherò di cogliere, dalle azioni e dai pensieri dei pontefici nell’arco temporale preso in considerazione, qualcosa del percorso che la Biblioteca stessa ha compiuto. È un’indagine a volo d’uccello, quasi una semplice raccolta di episodi e di citazioni, talvolta limitati nel loro valore e significato, ma che spero possa permettere di individuare alcune caratteristiche specifiche per ogni periodo considerato. 1. Pio XI (1922-1939) Prendendo avvio dall’ultima guerra mondiale, ci troviamo nel pieno pontificato di papa Pio XII e resta quindi alle spalle la ben nota e forte presenza di papa Pio XI7, cui già accennavo. Mi si permetta tuttavia, in forma esemplificativa e in modo quasi aneddotico, di segnalare l’interessante se3 Le conclusioni, affidate il 13 novembre al Vice Prefetto Ambrogio Piazzoni, sono riportate in questo volume, dopo tutte le relazioni. 4 Conoscere la Biblioteca Vaticana. Una storia aperta al futuro. 5 Mercoledì 10 novembre 2010. 6 Di fatto, visti il nutrito numero di visitatori e l’ampio apprezzamento manifestato, la mostra è stata prolungata sino al 13 marzo 2011. 7 Riguardo ai rapporti di Pio XI con la Biblioteca Vaticana cfr. G. BORGHEZIO, Pio XI e la Biblioteca Vaticana, in La Bibliofilia 31 (1929), pp. 210-231; per il suo precedente compito di bibliotecario, in Ambrosiana e in Vaticana, cfr. C. PASINI, Achille Ratti bibliotecario, in 19292009. Ottanta anni dello Stato della Città del Vaticano, a cura di B. JATTA, Città del Vaticano 2009 (Studi e documenti per la storia del Palazzo apostolico vaticano, 7), pp. 49-62; ID., Un foglietto di istruzioni di Achille Ratti Nunzio in Polonia e il suo addio agli studi, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae XVI, Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 458), pp. 325367: pp. 360-363.

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INTRODUZIONE

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quenza di indicazioni, nel Diario della Biblioteca8 redatto in quegli anni dal prefetto Giovanni Mercati, in merito alle visite di papa Ratti in Vaticana durante i lavori. In particolare, nel 1928, l’anno della costruzione dei primi tre piani del magazzino degli stampati sul lato orientale del Cortile del Belvedere, Mercati elenca le visite del 5 febbraio, del 1° aprile, del 6 e del 20 maggio e del 28 giugno9, fino a che si trova costretto a utilizzare un’espressione sintetica che vale per innumerevoli visite lungo il secondo semestre: «Luglio-dicembre. Il Santo Padre ripetute volte è sceso a vedere i lavori e a spingerli fortemente avanti»10. Si comprende che erano tutte visite “di lavoro”, nelle quali il Pontefice effettuava controlli, esprimeva valutazioni e comunicava decisioni operative. Al termine dell’anno, con evidente respiro di sollievo, Giovanni Mercati poteva scrivere, nell’annotazione inerente alla visita del 20 dicembre, a lavori conclusi: «Sua Santità si è dimostrato contentissimo, e tutti in generale sono rimasti ammirati della buona riuscita, non ostante la somma celerità, quasi precipitazione dei lavori»11. Non ci sfugge, nelle parole del Prefetto, lo “spingere fortemente avanti” da parte di papa Ratti e la “celerità” e “precipitazione”, che il Pontefice — da ex prefetto ma in effetti ancora in veste di prefetto! — seppe imprimere ai lavori e che Giovanni Mercati sembra aver subìto con qualche affanno. Ma, si sa, i lavori in corso vanno stimolati con energia, e neppure noi saremmo qui a raccontarlo a Biblioteca aperta, dopo i tre anni trascorsi, se papa Ratti non ci avesse lasciato qualcosa del suo spirito... 2. Pio XII (1939-1958) Ma torniamo a papa Pio XII, che tuttavia non sembra aver avuto contatti di specifico rilievo con la Biblioteca. Mi risulta infatti che l’abbia visitata, insieme all’Archivio Segreto, una sola volta, il martedì 11 aprile 1944, per prender visione, dopo i gravi bombardamenti sull’Italia Centrale, di quanto era stato raccolto e depositato nelle due Istituzioni vaticane dalla preziosa biblioteca del monastero di Montecassino e da altre simili collezioni di volumi e di opere artistiche. Nelle cronache della visita12 viene 8

Arch. Bibl. 115 A. Cfr. ibid., ff. 46r (5 febbraio), 46v (1° aprile, 6 maggio), 46v-47r (20 maggio), 47r (28 giugno). 10 Ibid., f. 47r. 11 Ibid., f. 47r. In Arch. Bibl. 204 (Ritagli di giornali riguardanti la Biblioteca), busta A (Ampliamenti della Biblioteca Vaticana), ff. 2-6, sono raccolti i quotidiani che all’indomani diedero notizia della solenne inaugurazione: L’Osservatore Romano, Il Messaggero, Il Giornale d’Italia, La Tribuna, Il Popolo di Roma. 12 Gli articoli dei quotidiani, raccolti in Arch. Bibl. 211 (Depositi di biblioteche e archivi 9

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CESARE PASINI

segnalato l’interesse del Pontefice per i reperti più significativi, dei quali era stata preparata un’esposizione dimostrativa nella Biblioteca e nell’Archivio13. La notizia ci richiama al ruolo della Biblioteca Vaticana come luogo di conservazione, in questo caso persino come asilo e rifugio in drammatici momenti di emergenza, e ci ricollega all’iniziativa, ugualmente legata al pontificato di Pio XII nei successivi anni Cinquanta, di riprodurre in microfilm ampie sezioni dei fondi manoscritti della Vaticana e di destinarli alla Saint Louis University nel Missouri raccogliendoli nella Vatican Film Library14: una decisione ben comprensibile dopo i disastri della guerra e nel clima di “guerra fredda” e di paura di un conflitto nucleare vissuto nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale. Ambedue gli episodi ricordati, pur nella loro diversità, paiono caratterizzare l’apporto di papa Pacelli in relazione alla Biblioteca Vaticana nel segno della conservazione difensiva, di emergenza, consono del resto all’asprezza dei tempi. Per il resto sembra di percepire, da parte del Pontefice che ben conosceva le istituzioni vaticane già dal suo servizio come Segretario di Stato di Pio XI, un rapporto istituzionale di fiducia, nello svolgimento normale dei compiti a ciascuno riservati. Proprio questi compiti sono peraltro descritti, almeno una volta, nell’udienza che il 15 maggio 1957 papa Pacelli concesse ai membri della Bayerische Bibliotheksschule di Monaco di Baviera15: vi troviamo specificamente ricordati gli Scriptores con il loro lavoro per la Biblioteca, le attività di ricerca e la compilazione dei cataloghi, il laboratorio fotografico ampiamente potenziato e la Scuola di Biblioteconomia annessa alla Biblioteca. Sono inoltre richiamati sia l’apertura nel 1892 della Sala Leonina per la consultazione degli stampati, a utilità dello studio dei manoscritti e per l’analogo servizio all’Archivio Segreto Vaticano, sia l’accesso agli studiopresso la Biblioteca Vaticana in tempo di guerra), ff. 1-2, sono tratti da Il Giornale d’Italia, Il Messaggero, L’Osservatore Romano. 13 Una mostra fu poi organizzata e aperta al pubblico, l’anno successivo, nel Salone Sistino (cfr. Biblioteche ospiti della Vaticana nella Seconda Guerra Mondiale. Col catalogo dei cimeli esposti nel Salone Sistino, Città del Vaticano 1945). 14 Intrapreso nel 1951, il progetto fu realizzato a partire dall’anno seguente e venne concluso nel giugno del 1957 (cfr. L’attività della Santa Sede nel 1951, Città del Vaticano s.d., pp. 255-256; L’attività della Santa Sede nel 1952, Città del Vaticano s.d., pp. 255-256; e continuativamente sino a L’attività della Santa Sede nel 1957, Città del Vaticano s.d., p. 286; cfr. anche P. VIAN, Tra i fratelli Mercati e don Giuseppe De Luca. Note sull’Archivio Segreto e sulla Biblioteca Apostolica durante il pontificato di Giovanni XXIII [1958-1963], in L’ora che il mondo sta attraversando. Giovanni XXIII di fronte alla storia. Atti del convegno: Bergamo, 20-21 novembre 2008, a cura di G. G. MERLO e F. MORES, Roma 2009, pp. 165-211: p. 190). 15 Cfr. Discorsi e radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XIX, Città del Vaticano 1958, pp. 185-188; L’attività della Santa Sede nel 1957 cit., p. 50.

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INTRODUZIONE

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si dello stesso Archivio Segreto: accesso che, rimarca il Pontefice, aveva avuto come conseguenza un forte incremento delle collezioni librarie in Biblioteca. Il breve riassunto di questo discorso chiarisce come il rapporto squisitamente istituzionale di fiducia fra il Pontefice e la Biblioteca non significasse evidentemente lontananza o estraneità ma comportasse piuttosto una precisa conoscenza della Biblioteca e un apprezzamento per la presenza di essa, e ugualmente dell’Archivio, nell’ambito scientifico della ricerca storica; e il cenno alla Scuola di Biblioteconomia permette inoltre di segnalare l’interesse di papa Pacelli per questa Istituzione fondata dal suo predecessore nel 1934, della quale aveva inaugurato un’apposita aula nel 1941 e di cui aveva ricevuto in udienza i membri, insieme a quelli della Scuola di Paleografia Diplomatica e Archivistica, il 15 giugno dell’anno seguente16. 3. Giovanni XXIII (1958-1963) Durante il suo breve pontificato Giovanni XXIII17 effettuò tre visite alla Biblioteca, delle quali fondamentale fu la prima, il 19 giugno 195918. Fu una visita ampia, minuziosa, durata oltre due ore, in tutti gli uffici: la segreteria, la Scuola di Biblioteconomia, il magazzino degli stampati, l’economato, l’ufficio accessioni, le sale del catalogo, la sala di consultazione degli stampati, la sala Barberini, la sala di consultazione dei manoscritti, i laboratori fotografici e il laboratorio del restauro, il medagliere. Il Pontefice, apprendiamo dai resoconti della visita19, mostrò particolare interesse agli schedari degli stampati, frutto delle innovazioni introdotte ai tempi di Pio XI in collaborazione con la biblioteconomia nordamericana; aveva anzi voluto personalmente cercare nello schedario un libro, il Codex Diplomaticus Civitatis, et Ecclesiae Bergomatis (Bergamo 1784-1799), facendoselo portare e — ci si premurò di osservare — «sperimentando così direttamente, come fanno gli studiosi durante le loro ricerche, il funzionamento del catalogo stesso e della distribuzione»20. 16

Cfr. Discorsi e radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, IV, Milano 1943, pp. 113-116; L’attività della Santa Sede dal 15 dicembre 1941 al 15 dicembre 1942, Città del Vaticano 1943, p. 13. 17 Riguardo ai rapporti di Giovanni XXIII con la Biblioteca Vaticana cfr. VIAN, Tra i fratelli Mercati cit. 18 Essa fu preceduta da un’udienza del Papa al personale della Biblioteca il 9 febbraio 1959 (cfr. L’attività della Santa Sede nel 1959, Città del Vaticano s.d., pp. 281-282; VIAN, Tra i fratelli Mercati cit., p. 167). 19 Cfr. L’attività della Santa Sede nel 1959 cit., pp. 62, 281-282; VIAN, Tra i fratelli Mercati cit., pp. 167-168. In Arch. Bibl. 204, ff. 32v e 34r, sono raccolti due ritagli, rispettivamente da Il Quotidiano e da L’Osservatore Romano, inerenti la visita del Pontefice. 20 L’attività della Santa Sede nel 1959 cit., p. 281.

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Le due visite successive furono meno significative: circa un anno dopo, la domenica 3 luglio 1960, Giovanni XXIII venne per vedere il Museo Sacro, evidentemente trascurato per motivi topografici nella visita del giugno 1959. Vi fanno riferimento anche le agende del Pontefice, con una significativa annotazione sulla «grande gioia» che ebbe nel rivedere quelle stanze dopo sessant’anni e sul fatto che — scrisse — «non mi stancai per nulla»21. Il 22 febbraio 1962 fu infine presente all’inaugurazione dei nuovi locali degli Indici di Iconografia dell’Arte Cristiana, al pianterreno della Biblioteca: si fermò «per circa un’ora interessandosi di tutti gli aspetti, anche i più minuti, di questo centro di studi»22. L’interesse di papa Roncalli per la Biblioteca, che nelle tre circostanze descritte appare tangibile nel suo indugiare durante le visite, sentendosi a proprio agio tanto da non provare stanchezza, è confermato dalla sua decisione di far ricollocare, il 17 luglio 1959, la statua detta di Ippolito nell’atrio della Biblioteca23: si trattava, per sé, di un rientro dopo il trasferimento al Museo Lateranense avvenuto nel XIX secolo, ma quella scelta veniva a simboleggiare anche un collegamento all’epoca protocristiana, nella quale era vissuto il personaggio che vi si riteneva raffigurato, e rivelava quindi ultimamente una specifica attenzione storica. Del resto, non è difficile immaginare che il Pontefice si sia accostato alla Biblioteca Vaticana (e all’Archivio Segreto) con l’animo dell’antico cultore di storia e con l’atteggiamento del comune studioso, appunto richiedendo, durante la prima visita, un volume che si connetteva alle sue decennali ricerche sulla Chiesa di Bergamo. E non per nulla, in morte, lasciò alla Biblioteca un piccolo fondo di storia bergamasca24, segno allo stesso tempo del suo impegno di ricercatore e di una delicata attenzione alla Biblioteca. 21 A.G. RONCALLI-GIOVANNI XXIII, Pater amabilis. Agende del pontefice, 1958-1963. Edizione critica e annotazione a cura di M. VELATI, Bologna 2007 (Edizione nazionale dei diari di Angelo Giuseppe Roncalli-Giovanni XXIII, 7), p. 133; cfr. L’attività della Santa Sede nel 1960, Città del Vaticano s.d., p. 80; VIAN, Tra i fratelli Mercati cit., p. 169. 22 L’attività della Santa Sede nel 1962, Città del Vaticano s.d., pp. 40, 440. L’Index of Christian Art dell’Università di Princeton era stato donato dal cardinale Francis Spellman, arcivescovo di New York, ed era stato inaugurato nel giugno del 1952 presso la sede del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana (cfr. L’attività della Santa Sede nel 1952 cit., pp. 256-257), venendo ininterrottamente incrementato negli anni successivi (cfr. i numeri successivi de L’attività della Santa Sede). Nel novembre 1960 l’Index era stato trasferito in Vaticana, dove erano stati allestiti i nuovi ambienti inaugurati nel febbraio 1962 da papa Giovanni XXIII (cfr. L’attività della Santa Sede nel 1960 cit., pp. 331-332; VIAN, Tra i fratelli Mercati cit., p. 169). 23 Cfr. L’attività della Santa Sede nel 1959 cit., p. 282; VIAN, Tra i fratelli Mercati cit., pp. 165-166. Dopo i lavori di ristrutturazione conclusi nell’estate del 2010, la statua, tuttora collocata nell’atrio della Biblioteca, è stata tuttavia trasferita dalla posizione centrale davanti al solenne scalone d’ingresso nello spazio sotto l’arco a destra di chi entra. 24 Cfr. L’attività della Santa Sede nel 1963, Città del Vaticano s.d., p. 533.

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4. Paolo VI (1963-1978) Con Paolo VI25 non solo entriamo in un pontificato più esteso nel tempo e ricco di numerose visite alla Biblioteca, ma anche ci accostiamo a una riflessione vivissima, che approfondisce il significato e il ruolo dell’Istituzione. Troviamo riferimenti alla Biblioteca nelle due visite principali, di inizio pontificato l’8 giugno 196426 e, per il V centenario della Biblioteca (come in quegli anni si riteneva), il 20 giugno 197527 e, in connessione con questo anniversario, nell’udienza concessa il 23 ottobre 1975 ai partecipanti al Colloquio internazionale della Biblioteca Vaticana28. Ma altri cenni sono presenti nei discorsi con cui papa Montini il 28 giugno 1969 consegnò alla Biblioteca il papiro Bodmer VIII contenente le lettere di san Pietro29, o quando inaugurò nel Salone Sistino la mostra su Le livre de la Bible il 25 marzo 197230, e quella su san Tommaso e san Bonaventura il 9 luglio 197431, o fece riferimento all’esposizione di antichi codici latini nel Salone Sistino durante l’udienza concessa il 16 aprile 1973 ai partecipanti al IX Congresso internazionale dell’Associazione Guillaume Budé32; e infine nelle parole che il 24 marzo 1964 il Pontefice rivolse al cardinale bibliotecario Eugène Tisserant nella Sala dei Pontefici dell’Appartamento Borgia in un incontro a festeggiamento dei suoi ottant’anni33. Per cogliere la riflessione di Paolo VI sulla Vaticana sono fondamenta25 Un legame di Paolo VI alla Biblioteca, occasionale ma ugualmente meritevole di grato ricordo, fu il suo essere ospitato, precisamente durante il conclave che lo elesse papa, nell’appartamento del Prefetto della Biblioteca Vaticana (cfr. L’attività della Santa Sede nel 1963 cit., p. 533). 26 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Paolo VI, II, 1964, Città del Vaticano 1965, pp. 1190-1192; cfr. Arch. Bibl. 115 A, f. 61r (di mano del prefetto Alfons Raes); L’attività della Santa Sede nel 1964, Città del Vaticano s.d., pp. 234-235, 683, 688. 27 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Paolo VI, XIII, 1975, Città del Vaticano 1976, pp. 652-656 (e anche in Acta Apostolicae Sedis 67 [1975], pp. 447-450); cfr. L’attività della Santa Sede nel 1975, Città del Vaticano s.d., pp. 216, 765-766. 28 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Paolo VI, XIII, 1975 cit., pp. 1165-1166; cfr. L’attività della Santa Sede nel 1975 cit., pp. 344-345, 765-766. 29 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Paolo VI, VII, 1969, Città del Vaticano 1970, pp. 460-462; cfr. Arch. Bibl. 115 A, f. 84r (di mano del prefetto Alfons Raes); L’attività della Santa Sede nel 1969, Città del Vaticano s.d., pp. 298-299, 933. 30 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Paolo VI, X, 1972, Città del Vaticano 1973, pp. 297-301 (e anche in Acta Apostolicae Sedis 64 [1972], pp. 303-307); cfr. L’attività della Santa Sede nel 1972, Città del Vaticano s.d., pp. 103-104, 795. 31 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Paolo VI, XII, 1974, Città del Vaticano 1975, pp. 645-646; cfr. L’attività della Santa Sede nel 1974, Città del Vaticano s.d., pp. 212, 741. 32 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Paolo VI, XI, 1973, Città del Vaticano 1974, pp. 342-344; cfr. L’attività della Santa Sede nel 1973, Città del Vaticano s.d., pp. 135, 806-807. 33 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Paolo VI, II, 1964 cit., pp. 202-205; cfr. L’attività della Santa Sede nel 1964 cit., pp. 145-146, 683.

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li, e ampiamente sufficienti, i discorsi pronunciati in occasione delle due visite principali. Ma desidero iniziare con una citazione tratta dall’ultimo discorso elencato, per il cardinale Tisserant, nel quale, riferendosi al festeggiato, Paolo VI tratteggia la figura dello studioso in ricerca, che fa opportunamente da sfondo a ogni considerazione sulla Biblioteca: «Noi sappiamo quali fatiche, quali rinunce, quale pazienza, quale rettitudine, quale disinteresse, quale amore al sapere esiga la dedizione totale e perseverante agli studi superiori, i quali, proprio perché tali sono, diventano lunghi, diventano aridi, diventano ingrati; e obbligati a scavare materiale per l’erudizione, fanno languire spesso la vivacità del pensiero e la libertà dell’espressione artistica, impongono alla mente la pazienza di accuratissime analisi e frenano nello spirito i voli delle alte sintesi della cultura finale. Noi perciò non possiamo non rendere omaggio ed esprimere riconoscenza a chi vi ha consacrato un grande talento, un’energia poderosa, una vita intera; e da un’abnegazione piena di amore alla verità e alla Chiesa ha cavato libri, opere, esempi degni dell’ammirazione e dell’emulazione degli studiosi»34. Ma quando varca le soglie della Biblioteca Apostolica, lo studioso che cosa vi trova? Anzitutto i grandi beni dell’umanità. Per questo Paolo VI nella visita del 1964 esprime un «sentimento [...] di venerazione, di omaggio a quanto è raccolto e custodito nella Biblioteca, che non è un cimitero, perché tutto, in essa, parla, rivive, sembra palpitare nella rievocazione che lo studio fa di questa eredità immensa dell’espressione umana, della storia, della cultura, della vita passata, la quale ivi riprende il colloquio con quelli che ne sanno cogliere e comprendere le voci misteriose»35. Quei documenti infatti hanno vita in sé, ma anche “rivivono” grazie allo studio di quanti li accostano: è questo appunto il significato della ricerca, che costituisce il frutto fecondo della fatica descritta nel discorso al cardinale Tisserant. Chi entra in Biblioteca, accanto ai “beni” ivi conservati, deve trovarvi uno spirito di accoglienza, di universalità, come si esprime il Pontefice nella visita del 1975: «La Biblioteca Vaticana rimane aperta agli studiosi d’ogni provenienza, superando gli stessi confini della professione cattolica ed ammettendo uomini di diverso orientamento religioso; ma soprattutto essa tende tanto a valorizzare il suo specifico e spesso unico, e inedito, patrimonio, quanto a mantenersi aggiornata nell’ormai sconfinata mole delle pubblicazioni e dei libri»36. Quindi un servizio che abbraccia tutto 34

Insegnamenti di Paolo VI, II, 1964 cit., pp. 204-205. Ibid., p. 1190. 36 Insegnamenti di Paolo VI, XIII, 1975 cit., p. 655. 35

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l’operato della Biblioteca e che il personale della Biblioteca desidera compiere alla perfezione: per questo il Papa, nella visita del 1964, dichiara di avvertire nei suoi ascoltatori un «sentimento di interesse, di premura, per rendere tutto perfetto, dare una forma moderna, restaurare, riparare, perché si è in un campo dove la perfezione, sotto ogni aspetto, per la custodia, la classifica, la divulgazione diviene la professione, l’impegno, il dovere quotidiano»37. Agli occhi di Paolo VI questo servizio si configura, nel seguito dello stesso discorso, in una specie di lavoro ascetico, quasi monastico: «Tale attività è molto stimata per le virtù ascetiche che essa impegna ed esige, perché non si può compiere una tale missione di studio specialmente al livello imposto dalla Biblioteca Vaticana e con una dedizione professionale assoluta, se non si è superata una quantità di ostacoli anche interiori, di desiderio e di aspirazioni a carriere che il mondo moderno fa balenare davanti agli occhi di chi lo contempla. Sua Santità vuol dire ai presenti che essi debbono considerarsi quasi dei monaci, consacrati cioè al pensiero scientifico, alla cultura e questo qualifica la loro vita dedicata a sì nobile missione»38. Sentiamo ancora, in queste frasi, un’eco delle parole espresse al cardinale Tisserant, ma vi è insieme anticipato un aspetto, il principale e il più profondo della riflessione di papa Montini, quello cioè che, riconoscendo e rispettando la validità in sé e l’autonomia della ricerca in quanto tale, scopre anche una sorta di carattere “sacro” nella ricerca stessa della verità: la descrive come connessione fra il compito della Chiesa e «gli studi d’ogni epifania di verità», come li chiama il giorno della consegna alla Biblioteca del codice Bodmer39, sia che tale verità «sia nota per via di ragione, che per via di rivelazione»; ma spinge oltre il percorso sino a percepire una presenza di Cristo stesso nei frammenti di verità che la ricerca e lo studio vanno raccogliendo nei documenti della storia. Ecco come papa Montini descrive questi passaggi nel discorso del 1964, partendo dal primo grado, nel quale si sente riecheggiare, applicato alla Chiesa, esperta di umanità, la famosa sentenza di Terenzio: Homo sum: humani nihil a me alienum puto40, o, detto in altro modo con espressione di impronta biblica, quella vocazione che la rende “cattolicamente” aperta all’umano, a tutto ciò che di bello, di buono, di nobile, di degno l’umanità ha prodotto nel corso dei secoli: «Alla domanda se questo è compito della Chiesa, non può esservi dubbio rispondere affermativamente; vi è lì una 37

Insegnamenti di Paolo VI, II, 1964 cit., p. 1190. Ibid., pp. 1190-1191. 39 Insegnamenti di Paolo VI, VII, 1969 cit., p. 461. 40 Heautontimorumenos, v. 77. 38

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specie di ecumenismo della cultura, e la Chiesa ha aperto e spalancato le porte, ha messo a disposizione i libri e i microfilm, ha prodigato tutte le facilitazioni e agevolazioni per la diffusione della cultura, per la sua circolazione più esatta e più larga; tutto quello che è umano, che l’uomo divulga, stampa e diffonde, la Chiesa lo accoglie ed è una testimonianza di maternità grande, di universalità di anima; nulla le sembra estraneo, a nulla può essere indifferente, il suo occhio è aperto su ogni fenomeno umano, anche su quelli deteriori e catalogabili soltanto — come i veleni nelle farmacie — in reparti riservati. [...] La Chiesa desidera — e l’ha dimostrato con i fatti — che la verità sia conosciuta, che l’opera di Dio, l’interpretazione del pensiero divino, stampato nelle cose, negli avvenimenti, nelle anime, nelle intelligenze, sia posta in evidenza ed emerga dalle carte, dai documenti, dai codici: espressioni dell’arte e della cultura»41. Ma c’è dell’altro, perché il desiderio della Chiesa si protende, dice il Papa, verso «un ultimo e spirituale scopo: che tutto divenga voce, inno: e salga — anche se, all’inizio, confusamente e inconsapevolmente — come lode di Dio, come riconoscimento del Verbo che fa piovere sulle cose umane la sua intelligenza e la sua conoscibilità. Si dà testimonianza a Cristo anche studiando così e anche tacendo e lavorando così»42. Risentiamo, in queste parole, le antiche riflessioni di Giustino Martire43 che, già nel II secolo, invitava a riconoscere i “semi” del Logos divino presenti nel logosragione mirabilmente sparso nell’antica cultura greca. E, traducendo in una terminologia a noi più vicina, possiamo affermare, che tutte le verità parziali, storiche e filologiche che siano, discendono e si ricollegano alla Verità somma, che è Dio; e quindi una missione culturale, come è quella della Biblioteca Apostolica Vaticana, riletta in questo contesto più ampio e allo stesso tempo senza nulla sovrapporre alla ricerca o in nulla manipolarla o asservirla, diventa anche in definitiva una missione religiosa, di ossequio alla Verità ultima, divina. 5. Giovanni Paolo II (1978-2005) Il lungo pontificato di papa Giovanni Paolo II ha comportato numerose occasioni di contatto con la Biblioteca Apostolica Vaticana, soprattutto per inaugurare varie esposizioni organizzate da quest’ultima: già a pochi mesi dalla sua elezione, l’8 maggio 1979, la mostra Testimoni dello Spirito, allestita nel Braccio di Carlo Magno, con gli autografi offerti a Paolo VI 41

Insegnamenti di Paolo VI, II, 1964 cit., p. 1191. Ibid., pp. 1191-1192. 43 Cfr. II Apologia 8,1; 10,2-6; 13,3. 42

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per i suoi ottant’anni44, il 30 maggio 1985 la mostra Dante in Vaticano45, anch’essa nel Braccio di Carlo Magno, il 23 ottobre 1990 la mostra nel Salone Sistino dedicata a sant’Ignazio nel cinquecentesimo anniversario della sua nascita46, il 6 aprile 1993, di nuovo nel Braccio di Carlo Magno, la mostra Nuevo Mundo per il quinto centenario della scoperta e dell’America47; a questi incontri possono essere accostate la visita dell’11 aprile 1986 per l’inaugurazione degli ambienti rinnovati del Medagliere della Biblioteca e delle porte di bronzo della Biblioteca e dell’Archivio48 e la lettera inviata al Bibliotecario Mons. Jorge María Mejía il 21 giugno 2000 in occasione dell’inaugurazione, al palazzo della Cancelleria a Roma, della mostra I vangeli dei popoli49. Ma i due momenti principali di incontro furono la visita del 7 febbraio 198450, quando fu inaugurato il nuovo deposito dei manoscritti, e l’udienza in Sala Clementina al personale dell’Archivio e della Biblioteca il 15 gennaio 199951. Il pensiero di papa Wojtyáa emerge tuttavia già con chiarezza nella visita del 1979, quando inaugurò la mostra con gli autografi offerti a Paolo VI. Egli, infatti, invita a transitare dal manoscritto all’uomo che lo verga e che vi “è presente”: «Al di sopra di tutto, in questi fogli manoscritti, vergati ora con nervosa rapidità ora con pacata serenità, è presente l’uomo: l’uomo che, nel momento in cui traccia un segno, intende dialogare o con 44 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II/1, 1979, Città del Vaticano 1979, pp. 1072-1074; cfr. L’attività della Santa Sede nel 1979, Città del Vaticano 1980, pp. 307-308. 45 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1, 1985, Città del Vaticano 1985, pp. 1686-1688; cfr. L’attività della Santa Sede nel 1985, Città del Vaticano 1986, pp. 457-458. 46 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIII/2, 1990, Città del Vaticano 1992, pp. 918-919; cfr. L’attività della Santa Sede nel 1990, Città del Vaticano 1991, pp. 800-801, 1369. 47 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVI/1, 1993, Città del Vaticano 1995, pp. 827-828; cfr. L’attività della Santa Sede nel 1993, Città del Vaticano 1994, pp. 291-292. 48 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX/1, 1986, Città del Vaticano 1986, pp. 983-984; cfr. L’attività della Santa Sede nel 1986, Città del Vaticano 1987, pp. 291, 1452-1453. 49 La lettera è riportata in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIII/1, 2000, Città del Vaticano 2002, pp. 1145-1146; cfr. L’attività della Santa Sede nel 2000, Città del Vaticano 2001, pp. 365, 1192-1193. 50 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/1, 1984, Città del Vaticano 1984, pp. 255-258; cfr. L’attività della Santa Sede nel 1984, Città del Vaticano 1985, pp. 94-96, 1369. 51 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXII/1, 1999, Città del Vaticano 2002, pp. 64-67; cfr. L’attività della Santa Sede nel 1999, Città del Vaticano 2000, p. 28.

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se stesso, per analizzarsi e conoscersi meglio; o con gli altri, per comunicare e manifestare ad essi le proprie concezioni, i propri sentimenti; o con Dio, per pregarlo con angoscia fremente o con dimessa umiltà. È presente, in questi manoscritti, l’uomo nella completa e complessa varietà della sua vita, delle sue aspirazioni alla verità, al bene, al bello, alla giustizia, all’amore»52. La riflessione del Pontefice va quindi oltre il compito specificamente bibliotecario, per ricordare — citando l’enciclica programmatica del suo pontificato (Redemptor hominis, 10) — che «a quest’uomo, anzi a questi uomini, le cui testimonianze vengono gelosamente conservate perché siano integralmente tramandate ai posteri, va il rispetto della Chiesa, la quale è consapevole che il suo compito fondamentale è di “dirigere lo sguardo dell’uomo, di indirizzare la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione che avviene in Cristo Gesù”»53. Collocati in questo scenario, i beni dell’umanità conservati nella Biblioteca vengono intesi all’interno del compito ecclesiale più globale di evangelizzazione della cultura, come cultura “umana”, anzi come cultura che trova in Cristo il fondamento più autentico dell’uomo. Il punto di partenza di questa riflessione si riallaccia idealmente alla riflessione di Paolo VI, che collegava tutte le verità parziali alla Verità somma, che è Dio; o, per altro verso, richiama quello spirito umanistico, che ha caratterizzato sin dagli inizi la Vaticana, per il quale punto di riferimento imprescindibile di ogni ricerca è l’uomo, la sua razionalità, la sua realtà spirituale, la sua dignità. Ecco perché, rimarca Giovanni Paolo II nella visita del 1984, senza nulla togliere all’attività quotidiana della Biblioteca «diretta alla promozione della conoscenza e della scienza ed alla tutela per patrimonio culturale nella sua più ampia accezione», è un’esigenza «della cultura umana quella di privilegiare maggiormente, al di là della conoscenza sensibile ed empirica, quella razionale e metafisica e quella della religione e dello spirito, cioè della fede»54. Di conseguenza, prosegue il Pontefice, una cultura autenticamente umana — poiché la Biblioteca è aperta a tutti gli studiosi «senza distinzione di razza, ideologia o religione, purché siano cultori di una vera scienza, veramente al servizio dell’uomo» — guiderà a concepire adeguatamente e a costruire correttamente la società degli uomini: «Furono quelle scienze umane», quelle coltivate con spirito umanistico in Vaticana e altrove, «a costituire nel passato un denominatore comune culturale, che anche oggi 52

Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II/1, 1979 cit., p. 1073. Ibid., pp. 1073-1074. 54 Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/1, 1984 cit., p. 256. 53

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ha la sua attualizzazione e continuazione nel servizio di quell’intesa e di quella collaborazione internazionale che è impegno e aspirazione di tutti i popoli. [...] È proprio infatti delle scienze umane stabilire la giusta gerarchia dei valori, ordinando l’universo dell’uomo e della natura a servire la pace. Ed è soprattutto in questo servizio di collaborazione culturale diretto al bene dell’uomo, all’intesa intellettuale, alla pace e alla ricerca della fede che si deve distinguere l’attività della Biblioteca Apostolica»55. La frase conclusiva apre alle espressioni dell’altro intervento fondamentale, del 1999. Mi concentro sull’invito del Papa a individuare, nel servizio di chi opera nell’Archivio e nella Biblioteca, quello di evangelizzazione della cultura o, come egli ama specificare, di “nuova evangelizzazione della cultura”. Infatti, spiega, «bisogna trovare il modo per far arrivare agli uomini e alle donne di cultura, ma forse prima ancora agli ambienti ed ai cenacoli dove la cultura attuale viene elaborata e tramandata, i valori che il Vangelo ci ha comunicato, insieme a quelli che scaturiscono da un vero umanesimo, gli uni e gli altri, in realtà, tra loro strettamente connessi. Se infatti il Vangelo ci insegna il primato assoluto di Dio e l’unica salvezza in Cristo Signore, questa è anche l’unica via per apprezzare, rispettare e veramente amare la creatura umana, fatta a immagine di Dio e chiamata ad essere inserita nel mistero del Figlio di Dio fatto uomo. Ora, i preziosi cimeli conservati, studiati e resi accessibili nella Biblioteca e nell’Archivio, costituiscono come la testimonianza vivente della costante proclamazione, da parte della Chiesa, dei valori evangelici, fautori del vero umanesimo. […] Voi contribuite in maniera significativa a porre le condizioni perché gli uomini e le donne impegnati in ambito culturale possano trovare la strada che li conduce al loro Creatore e Salvatore, e così anche alla vera e piena realizzazione della loro specifica vocazione in questo tempo di passaggio tra il secondo ed il terzo millennio»56. Si innestano fra loro e si connettono due aspetti: quello già più volte rilevato, secondo il quale tutto ciò che è umano rimanda e rilancia verso la Verità tutt’intera, e l’aspetto specificamente rimarcato da Giovanni Paolo II di aiutare ogni uomo, ogni cultore della storia, a percorrere «la strada che li conduce al loro Creatore e Salvatore, e così anche alla vera e piena realizzazione della loro specifica vocazione». Il primo aspetto ci colloca in dialogo con tutti gli uomini di buona volontà, il secondo aspetto ci ricorda una grazia di missione che ci è stata affidata.

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Ibid., p. 257. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXII/1, 1999 cit., pp. 66-67.

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6. Conoscere Mi fermo, in questa indagine, alle soglie del Pontificato di papa Benedetto XVI, di cui conosciamo l’intervento del 25 giugno 2007 rivolto alla Biblioteca e all’Archivio, alla vigilia dei lavori di ristrutturazione della Biblioteca57, e — oggi — il Messaggio che ci è stato appena letto58; e abbiamo accolto con riconoscenza e come proficuo incoraggiamento l’interessamento costante del Santo Padre, in questi tre anni, ai lavori in corso. Dagli interventi dei pontefici precedenti — sia permessa qui una sintesi — è emersa una svariata ricchezza di azione e di pensiero: l’intervento immediato di Pio XI nel condurre in porto i grandi lavori di rinnovamento della Biblioteca; il rapporto istituzionale di Pio XII in un periodo di grave emergenza bellica e postbellica; l’interesse di Giovanni XXIII quale antico cultore di storia che si trovava a proprio agio in una biblioteca; le riflessioni di Paolo VI, così attento a cogliere la fisionomia del ricercatore e l’ascesi esigente del lavorare in Biblioteca, e così penetrante nel percepire la “sacralità laica” degli «studi d’ogni epifania di verità» e il conseguente misterioso legame alla Verità somma che trasforma la ricerca in un implicito “inno a Dio”; infine l’approfondimento di Giovanni Paolo II, che pone al centro l’uomo: l’uomo che ha redatto il documento e l’uomo al cui servizio deve muoversi la ricerca per essere autentica, l’uomo e la sua ricerca che trovano il loro senso ultimo nella Verità del Creatore e Redentore, come già suggeriva Paolo VI, e il conseguente invito ad aiutare ogni ricercatore a raggiungere questo ultimo traguardo. Da questi interventi è quindi venuto un contributo articolato a conoscere la Biblioteca Apostolica Vaticana, la sua realtà e il suo “mistero”, nelle sue molteplici sfaccettature: una conoscenza di cui abbiamo tutti, da differenti collocazioni e ruoli, una percezione e che potrà manifestarsi nella sua varietà anche negli interventi che seguiranno. Non voglio tuttavia concludere questa introduzione al convegno senza indicare — poco più che un elenco! — gli strumenti e le occasioni, che abbiamo appena realizzato o stiamo conducendo in porto in queste settimane, per facilitare questa conoscenza. Coltivando tali iniziative, penso che siamo in linea con un invito che ho trovato ben espresso nel discorso del 1964 di Paolo VI: «Lo scopo precipuo di una così impegnativa attività è non solo di raccogliere, catalogare, ordinare secondo un criterio di alta perfezione un materiale tanto importante e prezioso, ma altresì il divulgar57 Il discorso è riportato in Insegnamenti di Benedetto XVI, III/1, 2007, Città del Vaticano 2008, pp. 1187-1190; cfr. L’attività della Santa Sede nel 2007, Città del Vaticano 2008, pp. 273274, 1119. 58 La lettera è riportata in questo stesso volume alle pp. VII-XIII.

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lo e renderlo accessibile secondo il motto che Niccolò V volle fosse posto nella sua biblioteca: Pro communi doctorum virorum commodo, cioè per l’estensione della cultura»59. La Biblioteca, si sa, rende accessibili i propri materiali con pubblicazioni scientifiche: è il suo compito specifico, è il suo modo di “divulgare”. E, fra gli svariati lavori usciti o in corso di stampa, desidero assicurare che nei prossimi mesi vedrà la luce la Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, a cura di Francesco D’Aiuto e Paolo Vian: uno strumento atteso, che non mancheremo di presentare adeguatamente ma che qui mi è gradito annunciare in via di completamento, ringraziando i curatori e i numerosi collaboratori. Abbiamo però voluto esprimere questo servizio di conoscenza anche in altre modalità, così da raggiungere fasce di pubblico differenti. Sappiamo infatti come la Biblioteca Vaticana sia estremamente nota e ben identificata nell’ambito degli studiosi di tutto il mondo ma sia altrettanto ignorata o talora fraintesa nella comune percezione. È nata così l’idea di una Storia della Biblioteca Vaticana, che in sette volumi comunichi la vicenda plurisecolare della nostra Istituzione a un pubblico interessato anche se non necessariamente “addetto ai lavori”: sono fiero di poter presentare oggi il primo volume, su Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), a cura di Antonio Manfredi60 e con la collaborazione di molti studiosi interni ed esterni alla Biblioteca. Dalla stessa motivazione, rivolta a un pubblico più ampio, è nata la mostra Conoscere la Biblioteca Vaticana: una storia aperta al futuro, a cura di Barbara Jatta, che abbiamo inaugurato ieri, e per la quale è stato approntato un catalogo, a cura di Ambrogio M. Piazzoni e della stessa Barbara Jatta61, frutto anch’esso di numerose collaborazioni. Queste iniziative — insieme ad altre minori come la nuova brochure, l’agenda 2011 con raffigurazioni tratte dai nostri tesori e una pubblicazione sui lavori compiuti organizzata dalla Società Italcementi62, generoso sponsor dei lavori —, che ci hanno richiesto molte energie, hanno marcato la riapertura della Biblioteca, insieme al Convegno che stiamo inaugurando. Avrei gradito legare la riapertura anche alla partenza in forma definiti59

Insegnamenti di Paolo VI, II, 1964 cit., p. 1191. Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), a cura di A. MANFREDI, I, Città del Vaticano 2010 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1). 61 Conoscere la Biblioteca Vaticana. Una storia aperta al futuro. Mostra nel Braccio di Carlo Magno (Piazza San Pietro), 11 novembre 2010-31 gennaio 2011, a cura di A. M. PIAZZONI e B. JATTA, Città del Vaticano 2010. 62 Biblioteca Apostolica Vaticana. Libri e luoghi all’inizio del terzo millennio - Vatican Library. Books and Places at the Beginning of the Third Millennium, Città del Vaticano 2011. 60

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CESARE PASINI

va del progetto di digitalizzazione dei manoscritti. Da quando il progetto è stato annunciato ormai quasi otto mesi fa, lo scorso 24 marzo, dopo essere stato preparato per circa due anni, si sono prospettate varie e interessanti vie per reperire i consistenti fondi necessari e renderlo quindi operativo, e non solo possiamo dire di non essere stati in pigra attesa, ma posso anche assicurare che le numerose vie analizzate e in parte percorse ci fanno sperare in una soluzione non lontana. In ogni caso i lavori compiuti, grazie alla collaborazione di Seret, Autonomy, Metis, E4, hanno permesso di avere ormai pronti 126 manoscritti, con 28.000 immagini riprodotte. E sentiamo il desiderio, per mostrare il frutto di quanto compiuto e metterlo a disposizione degli studiosi, di approntare appena possibile — con i tempi necessari per questo tipo di operazioni — un servizio di consultazione a bassa definizione, in linea sul web, delle immagini già disponibili. Anche questo sarà un servizio di conoscenza, sicuramente molto gradito, oltre a costituire una opportuna modalità di conservazione. Scelgo per chiudere un’espressione che mi è venuta di getto, mentre scrivevo alcune pagine introduttive al catalogo della mostra. Facevo riferimento a quella che chiamavo la “famiglia” del personale della nostra Istituzione; «una bella famiglia, quella della Biblioteca Apostolica, — mi veniva di precisare — ricca di persone motivate, preparate, dedite e convinte della loro missione, e unite in una collaborazione impegnativa e feconda!»63. Vorrei in qualche modo allargare questo sguardo positivo e riconoscente — che non nega le fatiche o i contrasti, ma non vuole lasciarsene mai schiacciare o frastornare — anche alla famiglia dei nostri studiosi e amici qui così largamente rappresentata. Grazie a tutti.

63 C. PASINI, Conoscere la Biblioteca Vaticana; una storia aperta al futuro, in Conoscere la Biblioteca Vaticana cit., pp. 11-14: p. 12.

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AL SERVIZIO DEGLI STUDI

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FILOLOGIA CLASSICA* 1. Alla ristampa della Storia della tradizione e critica del testo Giorgio Pasquali allegò nel 1952, come ‘Prima appendice’, la traduzione della sua recensione all’innovativa sintesi su Les manuscrits di Alphonse Dain uscita l’anno prima, in tedesco, nella rivista Gnomon1. In questo intervento, che va collocato nel fecondo panorama della rinascita delle relazioni scientifiche internazionali e degli studi che caratterizzò la ripresa dopo la catastrofe dei fascismi e della guerra, egli fra l’altro scriveva: «molte cose [su cui si sofferma Dain] non vengono trattate nemmeno nelle lezioni universitarie, e solo i migliori bibliotecari, della statura di un Giovanni Mercati o di un Augusto Campana, non le nascondono a chi si rivolge loro». Anche il meno esperto lettore del libro di Pasquali — ad esempio l’aspirante filologo quale io ero ormai quasi quarant’anni fa — non faceva molta fatica a scoprire che la sede dove i due generosi dispensatori di conoscenze operavano altro non era che la Biblioteca Apostolica Vaticana. L’apprezzamento così incondizionato per i due grandi custodi di una secolare tradizione di erudizione e di scienza qualificava una volta per tutte tale istituzione come un ‘territorio mitico’ della ricerca filologica, la cui primogenitura nella grande famiglia delle biblioteche di manoscritti e di studio era immediatamente confermata dal fatto che con un volume ad essa dedicato si erano emblematicamente inaugurati, a metà degli anni Trenta, quei Codices Latini antiquiores (= CLA) che per lo studioso della tradizione dei classici, e più in generale dei testi latini antichi, costituiscono ancor oggi un mirabile passaggio obbligato2. * Riproduco nel testo la relazione da me pronunciata l’11 novembre 2010, senza apportarvi modifiche né di taglio (calibrato in funzione della natura del Convegno) né di forma, ma integrandola con un corredo di note prevalentemente bibliografiche. 1 G. PASQUALI, recensione di A. DAIN, Les manuscrits (Paris 1949 [19642]), in Gnomon 23 (1951), pp. 233-242 (= Storia della tradizione e critica del testo. Seconda edizione con una nuova prefazione e aggiunta di tre appendici, Firenze 1952 [19341], pp. 269-280; le parole che sto per citare nel testo a p. 269). 2 E. A. LOWE, Codices Latini antiquiores. A Palaeographical Guide to Latin Manuscripts Prior to the Ninth Century, I-XI + Supplement, Oxford 1934-1971 (II2, ibid. 1972; cfr. poi B. BISCHOFF – V. BROWN, Addenda to Codices Latini antiquiores, in Mediaeval Studies 47 (1985), La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 19-48.

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2. Invitato dagli organizzatori di questo Convegno alla ‘missione impossibile’ di presentare — così la proposta del Prefetto — un sintetico «bilancio delle ricerche condotte negli ultimi decenni (…) sul patrimonio della Vaticana» nel campo della filologia classica, e non potendo fare altro, nell’economia dell’iniziativa, che tracciare una mappa per punti salienti del valore e della valorizzazione del patrimonio della Biblioteca in tale sconfinato territorio (mappa inevitabilmente personale, e dunque in ogni caso arbitraria), ho scelto di iniziare da quella mia antica impressione di lettura per introdurre qualche considerazione sulla fisionomia della Vaticana come ideale luogo di lavoro per il filologo classico che intenda muoversi nella linea di quell’inscindibile binomio tra filologia e storia che sta nel titolo di un altro seminale contributo di Pasquali3. Mi riferisco alla eminente funzione — come oggi si dice — di ‘reference’, cui la Biblioteca ha dalla fine dell’Ottocento costantemente assolto, non solo attraverso la generosità verso gli studiosi del suo personale scientifico (e la disponibilità di alcuni strumenti di ricerca sapientemente progettati, primo fra i quali la famosa ‘parete dei cataloghi’), ma anche attraverso la redazione di esemplari repertori, generali e speciali, del suo sterminato patrimonio, e la pubblicazione — non di rado in collaborazione con istituzioni esterne italiane e straniere — di collane editoriali, e in particolare di riproduzioni dei suoi più significativi cimeli equipaggiate di introduzioni e commenti spesso di altissimo livello. 3. Le pubblicazioni riguardanti in senso stretto storia della tradizione e critica dei testi classici greci e latini presenti nei prestigiosi «Studi e Testi», inaugurati proprio in coincidenza con l’inizio del XX secolo4, non sono numerose, ma sono tutte significative per il loro stretto legame con la viva ricerca condotta sui codici della Biblioteca, per la dimensione interdisciplinare (su questo torneremo fra poco) dell’approccio scientifico ai loro soggetti, e per l’ampiezza dell’immancabile corredo illustrativo. Si tratta, limitandosi all’ultimo cinquantennio, anzitutto dell’eccellente edipp. 317-366, e B. BISCHOFF (†) – V. BROWN – J. J. JOHN, Addenda to Codices Latini antiquiores (II), ibid. 54 (1992), pp. 286-307). 3 G. PASQUALI, Filologia e storia. Nuova edizione con una premessa di A. RONCONI, Firenze 1964 (19201). 4 I primi tre volumetti della serie recano com’è noto la data del 1900. Come riprova dell’aspirazione ‘organica’ della collana — pur così varia nell’argomento, nella mole e nel taglio dei volumi — cade qui opportuna la menzione della pubblicazione celebrativa Nel cinquantesimo di «Studi e Testi». 1900-1950, Città del Vaticano 1950, e soprattutto dell’impegno posto nella redazione sistematica delle Tavole e indici generali dei primi cento volumi (e poi dei volumi 101-200, quindi 201-300, infine 301-400 [le ultime due puntate curate nominativamente da P. VIAN]) di «Studi e Testi», Città del Vaticano, rispettivamente 1942, 1959, 1986 e 2002 (Studi e testi [= ST], 100, 200, 323 e 400).

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zione critica in più volumi, con storia del testo e commento, degli ardui (almeno per me!) commentari di Teone Alessandrino ai Πρόχειροι κανόνες di Tolomeo a cura di Anne Tihon e Joseph Mogenet (nel 1943 si era conclusa l’altra grande edizione, a cura di Adolphe Rome, dei commenti di Pappo e Teone all’Almagesto)5. Ma grande rilievo scientifico ha avuto anche la pubblicazione postuma, nel 1955, del libro di Artur Biedl sulla cosiddetta ‘grande excerptio’ da Diogene Laerzio conservata nei ff. 29v-88r dello zibaldone Vat. gr. 96 (in una ‘scholarly hand’ datata da Ciro Giannelli alla metà del XII secolo) e nei suoi apografi (fra cui spicca il pressoché coevo Vat. gr. 93)6, di recente edita per la prima volta anche come testo a sé stante nell’edizione teubneriana di questo scrittore curata da Miroslav Marcovich, e sempre al centro delle ramificate indagini di Tiziano Dorandi sulla sua tradizione7. Ugualmente capitale, nella storia degli studi sul testo di Strabone, è la puntigliosa trascrizione e indagine dell’eccezionale palinsesto diviso fra i Vat. gr. 2306 e 2061 A (pezzi anche nel ms. Ζ. α. XLIII dell’Abbazia di Grottaferrata) pubblicata un anno dopo da Wolfgang Aly e Francesco Sbordone, poi editore del geografo per la collana dell’Accademia dei Lincei (sempre dalle scritture inferiori del Vat. gr. 2306 Aly aveva già nel 1943 riesumato e convincentemente attribuito a Teofrasto un notevole frammento di ‘politologia’ antica)8. 5 A. TIHON, Le ‘Petit Commentaire’ de Théon d’Alexandrie aux «Tables faciles» de Ptolemée (Histoire du texte, édition critique, traduction), Città del Vaticano 1978 (ST 282); inoltre J. MOGENET, Le ‘Grand Commentaire’ de Théon d’Alexandrie aux «Tables faciles» de Ptolemée, Livre I: Histoire du texte, édition critique, traduction. Revues et complétées par A. TIHON. Commentaire par A. TIHON; EAD., Le ‘Grand Commentaire’ de Théon d’Alexandrie aux «Tables faciles» de Ptolemée, Livres II et III (e quindi Livre IV): Édition critique, traduction, commentaire, Città del Vaticano, rispettivamente 1985, 1991 e 1999 (ST 315, 340 e 390). Nel testo ho ricordato il precedente di A. ROME, Commentaires de Pappus et de Théon sur l’Almageste: texte établi et annoté, I: Pappus d’Alexandrie, Commentaire sur le livres 5 et 6 de l’Almageste (e quindi II: Théon d’Alexandrie, Commentaire sur les livres 1 et 2 de l’Almageste e III: Théon d’Alexandrie, Commentaire sur les livres 3 et 4 de l’Almageste, Città del Vaticano, rispettivamente 1931, 1936 e 1943 (ST 54, 72 e 106). 6 A. BIEDL, Zur Textgeschichte des Laertios Diogenes. Das Grosse Exzerpt Φ, Città del Vaticano 1955 (ST 184). Nella Tav. I riproduco la conclusione dell’excerptio nel Vat. gr. 96. 7 Diogenis Laertii Vitae philosophorum, I: Libri I-X (e II: Excerpta Byzantina), edidit M. MARCOVICH, Stutgardiae et Lipsiae 1999; i numerosi lavori laerziani di T. DORANDI (la cui nuova edizione cantabrigiense delle Vitae è annunciata come prossima) sono di recente confluiti nel suo libro intitolato Laertiana. Capitoli sulla tradizione manoscritta e sulla storia del testo delle «Vite dei filosofi» di Diogene Laerzio, Berlin – New York 2009. 8 W. ALY, De Strabonis codice rescripto, cuius reliquiae in codicibus Vaticanis Vat. gr. 2306 et 2061 A servatae sunt. Corollarium adiecit F. SBORDONE, Città del Vaticano 1956 (ST 188); cfr. precedentemente Fragmentum Vaticanum de eligendis magistratibus e codice bis rescripto Vat. gr. 2306 edidit W. ALY, Città del Vaticano 1943 (ST 104). L’edizione di Strabone elaborata da F. Sbordone è stata a distanza di tempo ripresa, dopo la morte del grecista napoletano, a cura di Silvio Medaglia: Strabonis Geographica, I: Libri I-II (e II: Libri III-VI), F. SBORDONE

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Fra i contributi più recenti voglio segnalare — sorvolando per ora su altro — uno degli ultimi e più rilevanti lavori di Giorgio Brugnoli, l’edizione critica degli Hermeneumata Vaticana del 2002 (in collaborazione con Marco Buonocore e con eccellente riproduzione integrale del codex unicus Vat. lat. 6925)9, e poi — in un campo dove una organica interazione tra filologi classici, storici del diritto e paleografi promette di essere la via maestra per rilevanti progressi — l’accurata ricognizione di Francesca Macino (2008) dei testimoni più antichi delle Institutiones di Giustiniano10. Prima ancora, nel 1992, gli «Studi e Testi» avevano ospitato la sorprendente rivelazione, ad opera di Michael McCormick — in un codice che si sarebbe potuto pensare ormai senza segreti, il tardoantico Pal. lat. 1631 di Virgilio (CLA I 99) —, di centinaia e centinaia di note e glosse in latino e in antico alto tedesco, tracciate a punta secca da lettori altomedievali: un documento impressionante non solo per la storia del manoscritto, ma soprattutto per quella della recezione di Virgilio e più in generale delle pratiche di fruizione dei classici nel Medioevo11. Degna di una particolare menzione appare infine la presenza di studi (filologici e codicologici) su tradizione e fortuna dei classici nell’ambito dell’ormai consolidata serie — sempre negli «Studi e Testi» — dei Miscellanea Bibliothecae Vaticanae, serie giunta ormai, dal 1987 al 2010, al XVII volume: basti per ora citare, a mo’ d’esempio, gli eruditi spaccati di storia degli studi dedicati da Luigi Ferreri all’Omero di Fulvio Orsini o all’esegesi tardo-cinquecentesca di Plutarco12, e il recente lavoro di Silvia Ottaviano sull’ ‘edizione carolingia’ di Virgilio rappresentata dal Reg. lat. 166913. recensuit, Romae 1963 (e 1970); poi III: Libri VII-IX, F. SBORDONE recensuit, cuius post mortem editionem curavit S. M. MEDAGLIA, Romae 2000; il completamento dell’edizione era stato affidato a Domenico Musti, anch’egli purtroppo di recente scomparso. 9 G. BRUGNOLI – M. BUONOCORE, Hermeneumata Vaticana (cod. Vat. lat. 6925), Città del Vaticano 2002 (ST 410). 10 F. MACINO, Sulle tracce delle «Istituzioni» di Giustiniano nell’alto Medioevo. I manoscritti dal VI al XII secolo, Città del Vaticano 2008 (ST 446). 11 M. MCCORMICK, Five Hundred Unknown Glosses from the Palatine Vergil (the Vatican Library, MS. Pal. lat. 1631), Città del Vaticano 1992 (ST 343). Del ‘Virgilio Palatino’, peraltro, la collana dei Codices e Vaticanis selecti aveva da tempo accolto un facsimile: Codex Vergilianus qui Palatinus appellatur quam simillime expressus, praefatus est R. SABBADINI, Parisiis 1925. 12 Cfr. L. FERRERI, La biblioteca omerica e l’Omero di Fulvio Orsini, in Miscellanea Bibliothecae Vaticanae [d’ora in poi MBV], VIII, Città del Vaticano 2001 (ST 402), pp. 173-256, e ID., Lezioni di Marc-Antoine Muret e di Niccolò Leonico Tomeo alle «Vitae» di Plutarco, in MBV, XIII, Città del Vaticano 2006 (ST 433), pp. 167-194; vd. inoltre ID., Il codice Vaticano utilizzato da Villoison nell’edizione dell’Iliade veneta. Con una sua lettera inedita all’ambasciatore di Venezia Girolamo Zulian, in MBV, IX, Città del Vaticano 2002 (ST 409), pp. 203-226. 13 Cfr. S. OTTAVIANO, Il Reg. lat. 1669: un’edizione di Virgilio d’età carolingia, in MBV, XVI, Città del Vaticano 2009 (ST 458), pp. 259-324.

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4. Quanto alle ben note riproduzioni di celebri manoscritti di autori dell’antichità greco-romana presenti nelle due serie dei Codices e Vaticanis selecti, nell’ultimo sessantennio accanto a proposte di prevalente — ma non esclusivo — interesse storico-artistico, come quelle di alcuni Dioscuridi e Tolomei latini illustrati (il grande Tolomeo Urb. gr. 82 era già stato doviziosamente riprodotto nel 193214), spiccano dal mio punto di vista, per la rinnovata attenzione ai loro soggetti come libri e come testi esemplari dell’affascinante mondo della tarda antichità, le nuove riproduzioni, accompagnate da un ampio corredo esegetico e da un vivace dibattito scientifico, dei due celebri Virgili illustrati, il Vat. lat. 3225 (Vergilius Vaticanus: CLA I 11) a cura di David H. Wright15 e il 3867 (Vergilius Romanus: CLA I 19), a cura di Carlo Bertelli, Alessandro Pratesi e altri (cui ha fatto da contraltare, negli «Studi e Testi» un volumetto in vari punti dissenziente dello stesso Wright)16, oltre che, naturalmente, l’introduzione premessa nel 1975 da uno specialista del calibro di Jean Irigoin alla riproduzione dei soli fogli contenenti le Olimpiche (ff. 1-95) del fondamentale Pindaro Vat. gr. 131217, uno di quei poco appariscenti ma filologicamente preziosi manoscritti cartacei, in questo caso risalente già alla seconda metà del XII secolo, su cui tanto spesso riposa la migliore tradizione dei testi greci. 5. Non è questa ovviamente la sede per passare in rassegna l’esemplare attività di catalogazione ordinaria dei fondi Vaticani, a partire da quel vero e proprio tesoro di dense descrizioni di manoscritti classici costituito dal primo tomo dei Codices Vaticani graeci del gran Mercati e di Pio Franchi de’ Cavalieri18, ma non posso non salutare con la più viva soddisfazione — 14

Cfr. Claudii Ptolemaei Geographiae codex Urbinas graecus 82 phototypice depictus, I-II (in 4 tomi), Lugduni Batavorum – Lipsiae 1932 (a cura di J. FISCHER e P. FRANCHI DE’ CAVALIERI). 15 Vergilius Vaticanus. Vollständige Faksimile-Ausgabe im Originalformat des Codex Vaticanus latinus 3225 aus dem Besitz der Biblioteca Apostolica Vaticana, Graz 1980 (il collegato volume di Commentarium, curato dal WRIGHT, è del 1984). Si ricordi che proprio una riproduzione fotografica parziale di questo emblematico cimelio aveva aperto nel 1899 la serie maggiore dei codici Vaticani in facsimile (19453, a cura di F. EHRLE) 16 Vergilius Romanus: Codex Vaticanus latinus 3867, ; Verkleinerte Wiedergabe des Originals der Faksimileausgabe …; Kommentarband zur Faksimileausgabe …, von C. BERTELLI – E. GALLICET – G. GARBARINO – I. LANA – A. PRATESI e J. RUYSSCHAERT, Zürich 1986 (anche qui una riproduzione parziale era stata allestita dalla Biblioteca Apostolica fin dal 1902); cfr. poi D. H. WRIGHT, Codicological Notes on the Vergilius Romanus (Vat. lat. 3867), Città del Vaticano1992 (ST 345). — Naturalmente lo «enigmatic marginal entry on folio 12r», di cui si parla a p. 13 e che è riprodotto a p. 42, si legge epicidon, cioè epicedion con ep- in legatura ‘ad asso di picche’ (siamo in margine appunto a Verg. ecl. 5, 20, con cui inizia il lamento funebre per Dafni). 17 Pindare, Olympiques. Reproduction du Vaticanus graecus 1312, avec une Introduction de J. IRIGOIN, Città del Vaticano 1975. 18 Codices Vaticani graeci, recensuerunt I. MERCATI et P. FRANCHI DE’ CAVALIERI, I: Codices

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per l’impareggiabile importanza, per la filologia degli autori greci e latini antichi, della biblioteca di Fulvio Orsini — la recente messa a disposizione degli studiosi, nel Vat. lat. 15321, delle accurate schede e descrizioni di 53 codici latini ex-Orsiniani elaborate da Augusto Campana per il suo mai completato catalogo dei Vat. lat. 3195-345319. Cruciali per comprendere il rilievo della Vaticana come centro di propulsione e diffusione degli studi classici — nonché il suo rapporto con istituti e programmi di ricerca nazionali e internazionali — sono alcuni cataloghi di mostre tenutesi presso la Biblioteca, da quello dedicato nel 1973 da Luigi Michelini Tocci e José Ruysschaert, allora vice prefetto, alla Survie des classiques latins «à l’occasion des assises romaines du IXe Congrès International de l’Association Guillaume Budé», fino all’imponente Vedere i Classici curato nel 1996 ancora da Marco Buonocore e inquadrato nel ciclo di mostre «Lettere e fede» promosse per il ‘Bimillenario di Cristo’ dal Ministero dei Beni Culturali (altri tempi!) in collaborazione con le biblioteche Vaticana, di Montecassino e Laurenziana20. E quanto alla pertinenza dell’aspetto figurativo e visuale nell’indagine sulla fortuna dei classici mi sia qui consentito di rammentare, a titolo integrativo, il recente studio postumo di Reginald Dodwell sull’influenza iconografica delle illustrazioni del mirabile Terenzio Vat. lat. 3868 (il cui ascendente è da lui eccessivamente retrodatato al III secolo) sulle illustrazioni dell’Esateuco alto-inglese British Library, Cotton Claudius B IV, e di altri manoscritti sacri anglosassoni, nonché l’ampia e documentata monografia dedicata

1-329, Romae 1923. Significativa del diverso spirito con il quale si procedette all’ordinamento attuale delle due serie ‘aperte’ dei Vaticani latini e dei Vaticani graeci è la posizione attribuita ai classici profani, nella gerarchia dei codici latini inevitabilmente preceduti dai libri sacri e patristici, in campo greco più liberamente collocati, con scelta squisitamente umanistica, ad apertura di serie. 19 Annuncio in M. BUONOCORE, Augusto Campana e la Biblioteca Apostolica Vaticana, in Diciottesimo Quaderno edito dalla Rubiconia Accademia dei Filopatridi, Savignano sul Rubicone 1996 [ma 1998], pp. 21-48 + tavv. I-XXXVII; della preparazione del catalogo del nucleo Orsiniano all’interno del fondo Vaticano latino ad opera del Campana venne data notizia in I libri editi dalla Biblioteca Vaticana. MDCCCLXXXV-MCMXXXXVII. Catalogo ragionato e illustrato, Città del Vaticano 1947, p. 163. 20 Cfr. , Survie des classiques latins. Exposition de manuscrits Vaticans du IVe au XVe siècle (14 Avril – 31 Décembre 1973), Bibliothèque Apostolique Vaticane 1973. Inoltre Vedere i classici. L’illustrazione libraria dei testi antichi dall’età romana al tardo medioevo, a cura di M. BUONOCORE. Salone Sistino – Musei Vaticani (9 ottobre 1996 – 19 aprile 1997), Roma 1996 (importante anche, nello stesso ciclo di mostre, l’altro catalogo Virgilio e il chiostro. Manoscritti di autori classici e civiltà monastica, a cura di M. DELL’OMO. Abbazia di Montecassino [8 luglio – 8 dicembre 1996], sempre Roma 1996).

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nel 2005 ancora da David Wright alla ricostruzione del comune capostipite tardoantico dei ‘Terenzi illustrati’ medievali21. 6. Ma l’impresa senza dubbio di maggior rilievo, nel campo dell’indagine del patrimonio manoscritto dei classici custodito dalla Vaticana, è quella costituita dai cinque imponenti volumi dei Manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, pubblicati a partire dal 1975, come frutto di un’esemplare collaborazione scientifica con l’Institut de Recherche et d’Histoire des Textes di Parigi, da una équipe franco-italiana diretta con tenacia e competenza da Élisabeth Pellegrin, e il cui ultimo tomo è finalmente uscito — dopo una lunghissima sospensione dei lavori conseguente alla scomparsa dell’eminente studiosa — proprio pochi mesi fa22. Una miniera inesauribile di informazioni, scoperte, segnalazioni e collegamenti, che bisognerà ora fornire di adeguati e riveduti indici, dove sarà possibile anche rimediare a quella quota parte di imperfezioni inevitabile in lavori collettivi di così ampio respiro23. Aggirandosi fra le pagine di questo monumentale repertorio — integrato magari dalla consultazione dei cataloghi speciali di codici Vaticani di classici latini elaborati per Orazio, Ovidio, Properzio e Seneca dal Buonocore (e da Renato Badalì per Lucano, da Rossella Bianchi per Tibullo, e ora da Alba Tontini per Plauto)24 — si acquisisce presto la consapevolezza 21 Cfr. C. R. DODWELL, Anglo-Saxon Gestures and the Roman Stage, Cambridge 2000. Poi D. H. WRIGHT, The Lost Late Antique Illustrated Terence, Città del Vaticano 2006. Splendido il facsimile Terentius. Codex Vaticanus latinus 3868 picturis insignis phototypice editus, praefatus est G. JACHMANN, Lipsiae 1929. 22 Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane [d’ora in poi MCLBV]. Catalogue établi par É. PELLEGRIN et J. FOHLEN, C. JEUDY, Y.-F. RIOU avec la collaboration d’A. MARUCCHI, Tome I: Fonds Archivio San Pietro à Ottoboni, Paris 1975; Tome II 1: Fonds Patetta et Fonds de la Reine, par É. PELLEGRIN, Paris 1978; MCLBV. Catalogue établi par É. PELLEGRIN et J. FOHLEN, C. JEUDY, Y.-F. RIOU avec la collaboration d’A. MARUCCHI et de P. SCARCIA PIACENTINI, Tome II 2: Fonds Palatin, Rossi, Ste-Marie Majeure et Urbinate, par J. FOHLEN, C. JEUDY, Y.-F. RIOU, Paris 1982; MCLBV. Catalogue établi par É. PELLEGRIN et F. DOLBEAU, J. FOHLEN et J.-Y. TILLIETTE avec la collaboration d’A. MARUCCHI et de P. SCARCIA PIACENTINI, Tome III 1: Fonds Vatican latin 224-2900, Paris 1991 (qui a p. 18 dell’introduzione un’utile lista alfabetica dei testimoni Vaticani fondamentali per i più importanti classici latini; del resto cfr. già J. FOHLEN, Les manuscrits classiques dans le fonds Vatican latin d’Eugène IV (1443) à Jules II (1550), in Roma humanistica. Studia in honorem Revi Dni Dni I. Ruysschaert. Collegit et edidit I. IJSEWIJN, Louvain 1985, pp. 1-51); infine MCLBV. Catalogue établi par É. PELLEGRIN (†), Tome III 2: Fonds Vatican latin 2901-14740. Édité par A.-V. GILLES-RAYNAL, F. DOLBEAU, J. FOHLEN, Y.-F. RIOU et J.-Y. TILLIETTE avec la collaboration de M. BUONOCORE, P. SCARCIA PIACENTINI et P.-J. RIAMOND, Cité du Vatican – Paris 2010. 23 A puro titolo d’esempio, rilevo la mancanza sia del Vat. lat. 5216 (nonostante sia citato a proposito del Vat. lat. 3402 come suo apografo) che del Vat. lat. 5170 (seconda parte). 24 Mi riferisco a M. BUONOCORE, Codices Horatiani in Bibliotheca Apostolica Vaticana, Bibliotheca Vaticana 1992 (con ben CLI tavole); ID., Aetas Ovidiana. La fortuna di Ovidio nei

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delle più profonde motivazioni, genetiche e storiche, della specificità del contributo che la Biblioteca Vaticana ha dato e dà agli studi di filologia classica (intesa sempre, pasqualianamente, come ‘storia della tradizione e critica del testo’). Al di là della straordinaria ricchezza e pregio filologico del suo patrimonio di classici (su cui potrò gettare uno sguardo, nella seconda parte di questo intervento, solo a volo d’uccello), la frequentazione della Vaticana promuove naturaliter un approccio alla filologia di questi testi che è indelebilmente marcato e condizionato dalla ‘full immersion’ nella storia di tale disciplina, consentendo in maniera esemplare la realizzazione del noto assioma di Rudolf Pfeiffer: «la storia della filologia classica è filologia classica nel suo farsi»25. 7. Grazie alla sua genesi umanistica, e alle ben note modalità del suo eccezionale accrescimento in età moderna attraverso l’acquisizione pressoché integrale di raccolte librarie di altissima qualità (quali quelle di Fulvio Orsini [1602], della Biblioteca Palatina [1622], dei duchi di Urbino [1658], della regina Cristina di Svezia [1689], delle famiglie Ottoboni [1748], Barberini [1902] e Chigi [1923], e così via), la Vaticana mette continuamente il filologo classico — indirizzato da mani esperte come quelle di Pierre de Nolhac o di Giovanni Mercati, di Jeanne Bignami Odier o di Paul Canart o di Salvatore Lilla26 — nelle condizioni di incrociare con una regolarità codici della Biblioteca Apostolica Vaticana, Sulmona 1994 (con XLII tavole); ID., Properzio nei codici della Biblioteca Apostolica Vaticana. Premessa di P. FEDELI, Assisi 1995; ID., Per un «iter» tra i codici di Seneca alla Biblioteca Apostolica Vaticana: primi traguardi, in Giornale italiano di filologia 52 (2000), pp. 17-100; R. BADALÌ, I codici romani di Lucano, in Bollettino del comitato per la preparazione dell’Edizione nazionale dei classici n. s. 21 (1973), pp. 3-47; 22 (1974), pp. 3-48; 23 (1975), pp. 15-89 (su 86 codici censiti, 79 sono conservati presso la Biblioteca Apostolica); , Tibullo: manoscritti e libri a stampa. Catalogo della mostra (Biblioteca Apostolica Vaticana, maggio-ottobre 1984), (= rist. corr. in Atti del Convegno internazionale di studi su Albio Tibullo. Roma – Palestrina, 10-13 maggio 1984, Roma 1986, pp. 381-415 + XIX tavv.); A. TONTINI, Censimento critico dei manoscritti plautini, I: Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma 2002 (= Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Memorie, ser. 9, vol. 15, fasc. 4). 25 Cito dalla traduzione italiana: R. PFEIFFER, Storia della filologia classica dalle origini alla fine dell’età ellenistica. Introduzione di M. GIGANTE, Napoli 1973, p. 31. 26 Cfr. P. DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini. Contributions à l’histoire des collections d’Italie et à l’étude de la Renaissance, Paris 1887; J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (ST 272); P. CANART, Les Vaticani Graeci 1487-1962. Notes et documents pour l’histoire d’un fonds de manuscrits de la Bibliothèque Vaticane, Città del Vaticano 1979 (ST 284); S. LILLA, I manoscritti Vaticani greci. Lineamenti di una storia del fondo, Città del Vaticano 2004 (ST 415). Del cardinale MERCATI «silere melius puto quam parum dicere»: basti qui solo menzionare le sue monumentali Opere minori raccolte in occasione del settantesimo natalizio, I: 1891-1897; II: 1897-1906; III: 1907-1916; IV: 1917-1936; V: Indice dei nomi e delle cose notevoli. Indice dei manoscritti citati. Bibliografia

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altrove impensabile il proprio percorso con quello (mi riferisco al caso dei codici Reginenses) del Vossius e del Heinsius, del Petau, del Daniel e del Bourdelot, o (e qui il riferimento è ai tesori di quel Fulvio Orsini, cui toccò in sorte un bel giorno di assicurarsi in un solo colpo il Virgilio vaticano e il Terenzio bembino, e poco dopo il già ricordato Pindaro Vat. gr. 1312 e per sovrammercato un Dionigi d’Alicarnasso27) di incrociare le proprie vie con quelle di Francesco Petrarca e di Angelo Poliziano, dei Bembo e dell’Agustín. 8. Nella evidente impossibilità di una rassegna completa dello stato degli studi sui testimoni Vaticani dei classici, ho scelto di menzionare in rapida corsa solo manoscritti di assoluto rilievo testuale, oggetto di più o meno recenti indagini, partendo dal meglio servito campo latino, e da alcuni celebri cimeli tardoantichi. Questo, nel mio piccolo, in linea con quell’«amore dei manoscritti antichi» acutamente evidenziato da Maurizio Campanelli non come banale avidità di collezionisti, ma come tratto caratterizzante del gusto umanistico, che contempla e studia i codici vetusti, insieme alle monete e ai monumenti, come reliquie che emergono «al di qua di un naufragio»28, e cui diede voce una volta per tutte il Poliziano, vergando in solenni maiuscole (lui che scriveva così nervosamente e in fretta) sul f. VIr del Vat. lat. 3226 (il già ricordato ‘Terenzio bembino’: CLA I 12) la stupefatta epigrafe «O FOELIX NIMIUM PRIOR AETAS.29 / EGO ANGELUS POLITIANUS HOMO VETUSTATIS / MINIME INCURIOSUS NULLUM AEQUE ME / VIDISSE AD HANC AETATEM CODICEM ANTIQUUM / FATEOR». Del resto, proprio questo leggendario Terenzio scritto e glossato al principio del VI secolo, posseduto da Porcellio Pandoni e poi da Bernardo e Pietro Bembo, è un vero e proprio paradigma delle potenzialità ricostruttive, anche squisitamente filologiche, di una strategia interdisciplinare mossa dalla consapevolezza, su cui tanto insisteva il Campana (e insiste poi oggi in particolare Guglielmo Cavallo30), dell’intimo rapporto intercorrente, nello studio della trasmissione dei testi antichi, fra la dimensione testuale e quella, materiale e storica, del libro. ‘Libro e Testo’ è l’insegna sotto cui

degli scritti. Notizie biografiche; VI: 1937-1957, Città del Vaticano 1937 (I-IV), 1941 (V) e 1984 (VI) (ST 76-80 + 296). 27 Cfr. DE NOLHAC, La bibliothèque cit., pp. 91-100. 28 Vd. M. CAMPANELLI, «Si in antiquis exemplaribus incideris...». I manoscritti tra letteratura filologica e gusto antiquario, in Segno e testo, 6 (2008), pp. 459-499, in particolare 472-477 (citazione da p. 475). 29 Cfr. BOETH. cons. 2 carm. 5, 1. 30 Cfr. G. CAVALLO, Dalla parte del libro. Storie di trasmissione dei classici, Urbino 2002, in particolare pp. 15-29.

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milita in Vaticana la filologia classica31. E così mentre Sesto Prete ci ha fornito in due riprese, negli «Studi e Testi», una analisi del codice non senza difetti, accompagnata ancora una volta da una riproduzione completa, Alessandro Pratesi è riuscito tramite l’analisi di un particolare grafico e della posizione degli scoli antichi a precisarne la datazione, Renato Raffaelli ne ha decodificato l’impaginazione e il progetto editoriale, il compianto Riccardo Ribuoli, partendo da un accertamento dell’attendibilità filologica della collazione compiutane dal Poliziano, è giunto a ricostruirne un brandello attualmente perduto32. Sui Virgili antiquiores non torno, né posso soffermarmi sui celebrati palinsesti del De re publica di Cicerone (CLA I 35) e dell’epistolario di Frontone (questo ripubblicato, e poi più di recente commentato dal van den Hout: ne è in progetto una nuova riproduzione, realizzata con il sussidio delle più moderne tecnologie, sia dei fogli contenuti nell’Ambros. E 147 sup. che di quelli contenuti nel Vat. lat. 5750 [CLA I 27]33), se non per menzionare la fioritura, dopo i fondamentali Prolegomena del Mercati, degli studi sulla biblioteca e specificamente le scoperte di classici bobbiesi di Mirella Ferrari e di Giuseppe Morelli34. 31 Alludo ovviamente al titolo di un epocale convegno di quasi trent’anni fa: Atti del Convegno internazionale «Il libro e il testo» (Urbino, 20-23 settembre 1982), a cura di C. QUESTA e R. RAFFAELLI, Urbino 1984. 32 Faccio riferimento a S. PRETE, Il codice Bembino di Terenzio, Città del Vaticano 1950 (ST 153); ID., Il codice di Terenzio Vaticano latino 3226. Saggio critico e riproduzione del manoscritto, Città del Vaticano 1970 (ST 262); A. PRATESI, Appunti per la datazione del Terenzio Bembino, in Palaeographica, diplomatica et archivistica. Studi in onore di G. Battelli, a cura della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell’Università di Roma, Roma 1979, pp. 71-84 (= Frustula palaeographica, Firenze 1992, pp. 177-189); R. RAFFAELLI, Prologhi, perioche e didascalie nel Terenzio Bembino (e nel Plauto Ambrosiano), in Scrittura e civiltà 4 (1980), pp. 41-101; ID., Ricerche sui versi lunghi di Plauto e di Terenzio (metriche, stilistiche, codicologiche), Pisa 1982, pp. 159-201; R. RIBUOLI, La collazione polizianea del codice Bembino di Terenzio. Con le postille inedite del Poliziano e note su Pietro Bembo, Roma 1981; ID., Per la storia del codice Bembino di Terenzio, in Rivista di filologia e di istruzione classica 109 (1981), pp. 170177. Riproduzione parziale del codice anche presso E. M. COURY, Terence. Bembine Phormio. A Palaeographic Examination, Chicago s. d. (1982?). Nella Tav. II è riportato l’inizio del prologo al Phormio (vv. 1-17), abbondantemente annotato in corsiva antica (cosiddetti scholia Bembina) coeva alla scrittura del testo. 33 Cfr. M. Cornelii Frontonis Epistulae. Schedis tam editis quam ineditis E. Hauleri usus iterum edidit M. P. J. VAN DEN HOUT, Leipzig 1988; inoltre M. P. J. VAN DEN HOUT, A Commentary on the Letters of M. Cornelius Fronto, Leiden-Boston-Köln 1999. Per una vecchia riproduzione delle parti palinseste del solo Vat. lat. 5750 vd. M. Cornelii Frontonis aliorumque reliquiae quae codice Vaticano rescripto 5750 continentur, Mediolani 1906. 34 Mi riferisco al volume di Prolegomena: De fatis bibliothecae monasterii S. Columbani Bobiensis et de codice ipso Vat. lat. 5757, allegato da G. MERCATI a M. Tulli Ciceronis De re publica libri e codice rescripto Vaticano latino 5757 phototypice expressi, Ex Bibliotheca Apostolica Vaticana 1934, e quindi a M. FERRARI, Le scoperte a Bobbio nel 1493: vicende di codici e fortuna di testi, in Italia medioevale e umanistica 13 (1970), pp. 139-180; EAD., Spigolature

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Ma non vorrei si trascurasse, restando fra i più venerandi cimeli latini, il valore esemplare dello studio offerto al padre Albareda da Herbert Bloch riguardo ai frammenti dell’unico esemplare delle Historiae di Sallustio sopravvissuto all’evo antico, ed incresciosamente smembrato nella Fleury altomedievale (due pezzi di un bifolio costuiscono il Reg. lat. 1283 B [CLA I p. 34], altri pezzi stanno a Orléans [CLA VI 809] e a Berlino), studio che fonda su una rigorosa ricostruzione codicologica solidi risultati quanto al contenuto e alla struttura dell’opera perduta dello storiografo35. Come eccellente esempio della funzionalizzazione della codicologia alla storia dei testi ricordo ancora l’accurata analisi dedicata da Jeannine Fohlen a quella straordinaria ed enigmatica ‘tomba di manoscritti antichi’ costituita dal palinsesto Pal. lat. 24 (CLA I 69-77, contenente assolute rarità quali un frammento del libro XCI di Livio, e fogli di opere perdute di Seneca e Frontone)36. Meno generalmente nota, anche per il carattere poco ameno del testo trádito (i cosiddetti Instituta artium dello ps. Probo), è la presenza in Vaticana del più lussuoso e cospicuo fra i codici grammaticali latini tardoantichi, quell’Urb. lat. 1154 (CLA I 117, forte di 289 fogli in bell’onciale del secolo V ex.) sulla cui singolare fisionomia e la cui storia misteriosa ho avuto modo io stesso di soffermarmi in un lavoro pubblicato giusto un decennio or sono37. 9. Per gli autori latini di cui si conservano in Vaticana importanti e talora unici testimoni altomedievali ricorderò almeno — limitandomi ai testi letterari38 — le ricerche della compianta Rita Cappelletto sull’Ammiano di bobbiesi, in Italia medioevale e umanistica 16 (1973), pp. 1-41; G. MORELLI, Le liste degli autori scoperti a Bobbio nel 1493, in Rivista di filologia e di istruzione classica 117 (1989), pp. 5-33; ID., Metricologi latini di tradizione bobbiese, in Manuscripts and Tradition of Grammatical Texts from Antiquity to the Renaissance. Proceedings of a Conference Held at Erice, 16-23 october 1997, as 11th Course of International School for the Study of Written Records, edited by M. DE NONNO, P. DE PAOLIS, and L. HOLTZ, Cassino 2000, II pp. 533-559 (ulteriori approfondimenti nell’introduzione all’imminente edizione critica commentata di Cesio Basso e Atilio Fortunaziano, curata dal Morelli per i Collectanea grammatica Latina dell’editore Weidmann). 35 H. BLOCH, The Structure of Sallust’s «Historiae»: the Evidence of the Fleury Manuscript, in Didascaliae. Studies in Honor of A. M. Albareda, Prefect of the Vatican Library, Presented by a Group of American Scholars, edited by S. PRETE, New York 1961, pp. 61-76. 36 J. FOHLEN, Recherches sur le manuscrit palimpseste Vatican, Pal. lat. 24 in Scrittura e civiltà 3 (1979), pp. 195-222. 37 M. DE NONNO, I codici grammaticali latini d’età tardoantica: osservazioni e considerazioni, in Manuscripts and Tradition cit., I pp. 133-172, in particolare pp. 153-163. Nella tav. III è riprodotto, dall’Urb. lat. 1154, un passo degli Istituta artium in cui si osservano all’opera i due correttori tardoantichi (rispettivamente in corsiva e in onciale di piccolo modulo), ed è attestato l’uso, che altri ha creduto innovazione della ‘pedagogia medievale’, della disposizione in colonna dei paradigmi. 38 Per quel che riguarda i ‘Fachtexte’, mi sia consentito solo di citare il commento a

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Fulda passato per le mani del Bracciolini e del Niccoli (Vat. lat. 1873)39; l’esemplare lavoro del Campana sulla tradizione manoscritta di Apicio (ove spicca il turonense Urb. lat. 1146, collazionato da Poliziano)40; le osservazioni di Silvia Rizzo e ora di Giuseppina Magnaldi sull’ascendenza e l’utilizzazione del Cicerone impaginato all’antica, su tre colonne, Arch. Cap. S. Pietro H 25 (CLA I 3; Poggio, ahimé!, lo credeva scritto da una donna, tant’era pieno di ingenui errori)41; poi le larghe indagini di Cesare Questa e della sua scuola sul testo, la colometria e le mani dei grandi Plauti medievali (fra i quali spiccano il massiccio vetus Camerarii, Pal. lat. 1615 e il Vat. lat. 3870, posseduto dal card. Giordano Orsini e banco di prova filologico del giovane Poggio)42; un risolutivo intervento di Luciano Canfora sulla composizione della veneranda silloge di orazioni ed epistole sallustiane del Vat. lat. 3864 (già fra i libri di Adoardo da Corbie), con conclusioni che questa volta incidono con forza sulla questione dell’autenticità — da negarsi — delle suasoriae a Cesare qui solo conservate43; gli studi di Armando Petrucci e di Ermanno Malaspina sul capostipite della tradizione del De Orazio di Porfirione, per il quale la natura di archetipo conservato del monumentale Vat. lat. 3314 è stata definitivamente provata, in una dissertazione rimasta purtroppo dattiloscritta, da L. PARETTI, Porphyrio in Horatium. La tradizione del commento ad Orazio di Porfirione dall’Antichità alla riscoperta umanistica, Università della Basilicata – Università Roma Tre (Dottorato di ricerca in ‘Storia della tradizione e critica dei testi greci e latini’ – XIII ciclo), a. a. 2000-2001. 39 R. CAPPELLETTO, Niccolò Niccoli e il codice di Ammiano Vat. lat. 1873, in Bollettino del Comitato per la preparazione dell’Edizione nazionale dei classici 26 (1978), pp. 57-84; EAD., Marginalia di Poggio in due codici di Ammiano Marcellino (Vat. lat. 1873 e Vat. lat. 2969), in Miscellanea A. Campana, Padova 1981, I pp. 189-211. 40 A. CAMPANA, Contributi alla biblioteca del Poliziano, in Il Poliziano e il suo tempo. Atti del IV Convegno internazionale di studi sul Rinascimento (Firenze, Palazzo Strozzi, 23-26 settembre 1954), Firenze 1957, pp. 173-229, in particolare pp. 198-217 (= Scritti, a cura di R. AVESANI, M. FEO, E. PRUCCOLI, I: Ricerche medievali e umanistiche, tomo 1, Roma 2008, pp. 425-493: pp. 457-479) 41 S. RIZZO, Il lessico filologico degli umanisti, Roma 1973, pp. 327-338; G. MAGNALDI, Poggio Bracciolini e le «Filippiche» di Cicerone, in Revue d’histoire des textes 32 (2002), pp. 183224 (per altri interventi di questa studiosa vd. la bibliografia in Le «Filippiche» di Cicerone. Edizione critica a cura di G. MAGNALDI, Alessandria 2008); delle Filippiche la Vaticana conserva anche due importanti esponenti del ramo ‘vulgato’ della tradizione, i Vat. lat. 3227 (in beneventana) e 3228. 42 C. QUESTA, «Numeri innumeri». Ricerche sui cantica e la tradizione manoscritta di Plauto, Roma 1984, in particolare pp. 23-159; ID., Parerga Plautina. Struttura e tradizione manoscritta delle commedie, Urbino 1985, in particolare pp. 87-242; A. TONTINI, Il codice Escorialense T. II. 8: Un Plauto del Panormita e di altri? in Studi latini in ricordo di R. Cappelletto, Urbino 1996, pp. 33-62. 43 L. CANFORA, Per una storia del canone degli storici: il caso del «corpus» sallustiano, in Società romana e impero tardoantico, IV: Tradizione dei classici, trasformazioni della cultura, a cura di A. GIARDINA, Roma – Bari 1986, pp. 3-18 + 207-210.

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beneficiis e del De clementia di Seneca (il norditaliano Pal. lat. 1547, così caratteristico per la sua scrittura affidata a un’équipe di maldestri ‘scribi in formazione’, laddove il suo apografo diretto Reg. lat. 1529 è, con eloquente contrasto, un elegante manufatto carolingio)44; la dissertazione sulla tradizione di Valerio Flacco di Widu-Wolfgang Ehlers, il cui ridimensionamento del ruolo del fuldense Vat. lat. 3277 ha ricevuto dalla successiva pubblicazione della seconda centuria dei Miscellanea del Poliziano (vedine il § 2) la più gratificante delle conferme45; il saggio di Oronzo Pecere sul Pal. lat. 899 della Historia Augusta, sottoposto a una insistita stratigrafia che ne rivela la storia pregressa e quella immediatamente analizzabile attraverso la verifica degli interventi dei correttori altomedievali, e poi di figure come Giovanni il Mansionario, Petrarca, ancora Poggio e Giannozzo e Agnolo Manetti46; infine le ricerche — veramente epocali — di Giuseppe Billanovich sulla miscellanea ravennate di VI secolo che nitidamente traspare alle spalle di una sezione del Vat. lat. 4929, già nelle mani di Heiric di Auxerre (il tipico codice «classico, piccolo e quadrato», per dirla con Marco Palma)47. 10. Rinunciando con rammarico a segnalare gli altrettanto importanti progressi filologici compiuti negli ultimi decenni nell’indagine delle copie umanistiche Vaticane di classici latini (ad esempio Cicerone, con la rive44 A. PETRUCCI, Alfabetismo ed educazione grafica degli scribi medievali (secc. VII-IX), in The Role of the Book in Medieval Culture, a cura di D. GANZ, Turnhout 1986, I pp. 109-131, in particolare pp. 121 sg.; ERM. MALASPINA, Una nuova collazione del codice Nazariano del «De clementia», in Seneca e il suo tempo. Atti del Convegno internazionale di Roma – Cassino, 11-14 novembre 1998, a cura di P. PARRONI, Roma 2000, pp. 339-375 (negli stessi Atti cfr. anche lo studio di P. BUSONERO, Un caso esemplare di antigrafo e apografo nella tradizione di Seneca: il Pal. lat. 1547 e il Reg. lat. 1529, pp. 295-337). Una tra le più disordinate e fallose fra le almeno dieci mani che si alternano nell’allestimento del Pal. lat. 1547 è esemplificata nella Tav. IV. 45 Cfr. W. W. EHLERS, Untersuchungen zur handschriftlichen Überlieferung der Argonautica des C. Valerius Flaccus, München 1970, e poi, dopo la pubblicazione nel 1972 dell’inedito polizianeo, P. L. SCHMIDT, Polizian und der italienische Archetyp der Valerius-Flaccus Überlieferung, in Italia medioevale e umanistica 19 (1976), pp. 241-256. 46 O. PECERE, Il codice Palatino dell’«Historia Augusta» come ‘edizione’ continua, in Formative Stages of Classical Traditions: Latin Texts from Antiquity to the Renaissance. Proceedings of a Conference Held at Erice, 16-22 October 1993, as the 6th Course of International School for the Study of Written Records, edited by O. PECERE and M. REEVE, Spoleto 1995, pp. 323-369. 47 G. BILLANOVICH, Ancora dall’antica Ravenna alle biblioteche umanistiche, in Italia medioevale e umanistica 36 (1993), pp. 107-174 (terza redazione di un lavoro uscito per la prima volta in Aevum 30 [1956], pp. 319-353). Ho alluso nel testo al titolo di un notevole saggio di codicologia quantitativa di M. PALMA, Classico, piccolo e quadrato. Dati per un’indagine su una tipologia libraria nell’europa carolingia, in Filologia classica e filologia romanza: esperienze ecdotiche a confronto. Atti del Convegno (Roma, 25-27 maggio 1995), Spoleto 1998, pp. 399-408.

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lazione della manus velox di Poggio nel Vat. lat. 1145848, Catullo49, Festo, dove 5 su 7 delle copie del malconcio archetipo Farnesiano, ora Neap. IV A 3, sono in Vaticana, e tra di esse il preziosissimo apografo di Poliziano, Vat. lat. 3368, e il Vat. lat. 5958 segnalato per la prima volta da José Ruysschaert nel 1973, anche se a mio parere con un equivoco sull’identificazione del copista50), vengo a un’ancora più rapida e arbitraria carrellata per il greco, dov’è da tener conto anzitutto, col Cavallo51, dell’assai maggiore rarità rispetto al campo latino dei manoscritti tardoantichi di classici di conservazione non archeologica — ma anche qui proprio la Vaticana, grazie al solito Fulvio Orsini, conserva una luminosa eccezione, il manipolo di 13 fogli in ‘maiuscola biblica’ (terzo quarto del sec. V, area palestinese) degli ultimi due libri (LXXIX e LXXX) della Storia romana di Dione Cassio, libri ignoti alla tradizione in minuscola, costituenti il Vat. gr. 1288, riprodotto fin dal 1908 dal Franchi de’ Cavalieri, che già ne sottolineò la provenienza dal territorio italo-greco, accomunandolo al già ricordato palinsesto di Strabone e Teofrasto52, e poi approfonditamente 48 A. CAMPANA, La copia autografa delle otto orazioni ciceroniane scoperte da Poggio nel 1417. Riassunto a cura della Redazione e dell’Autore, in Ciceroniana n. s. 1 (1973 [ma 1976]), pp. 65-68. Nella Tav. V è visibile la lacuna tra i §§ 19 e 20 della Pro C. Rabirio perduellionis reo, con annotazione in margine di Poggio e traccia in rosso della ceralacca con cui era incollato un biglietto (forse con ulteriori osservazioni) successivamnte staccatosi (comunicazione orale di Augusto Campana). Notevolissimo anche, sui marginalia petrarcheschi religiosamente ricopiati nel Pal. lat. 1820, G. BILLANOVICH, Petrarca e Cicerone, in Miscellanea G. Mercati, IV: Letteratura classica e umanistica, Città del Vaticano 1946 (ST, 124), pp. 88-106 (edizione riveduta in ID., Petrarca e il primo umanesimo, Padova 1996, pp. 97-116), da cui trae tutte le conseguenze filologiche S. RIZZO, Apparati ciceroniani e congetture del Petrarca, in Rivista di filologia e di istruzione classica 103 (1975), pp. 5-15. 49 Penso soprattutto alla luce gettata sulle correzioni dell’Ott. lat. 1829, il codex Romanus scoperto da W. G. HALE alla fine dell’Ottocento, dalle ricerche di A. C. DE LA MARE – D. F. S. THOMPSON, Poggio’s Earliest Manuscript, in Italia medioevale e umanistica 16 (1973), pp. 179195. 50 Cfr. RUYSSCHAERT, in Survie des classiques cit., p. 83, poi W. BRACKE, La première ‘édition’ humaniste du «De verborum significatione» de Festus (Vat. lat. 5958), in Revue d’histoire des textes 15 (1995), pp. 189-215; sul copista del Vat. lat. 5958 (e in generale sulla tradizione umanistica festina) vd. di recente l’informata S. AMMIRATI, Intorno al Festo Farnesiano (Neap. IV A 3) e ad alcuni manoscritti di contenuto profano conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, in MBV, XIV, Città del Vaticano 2007 (ST 443), pp. 7-93, in particolare pp. 22-27. 51 G. CAVALLO, Qualche annotazione sulla trasmissione dei classici nella tarda antichità, in Rivista di filologia e di istruzione classica 125 (1995), pp. 205-219 (= Dalla parte del libro cit., pp. 31-47, in particolare 31 e 37). 52 Cassii Dionis Cocceiani Historiarum Romanarum lib. LXXIX. LXXX quae supersunt. Codex Vaticanus graecus 1288, praefatus est P. FRANCHI DE’ CAVALIERI, Lipsiae 1908 (vd. in particolare p. 7). Il cenno all’importanza dell’area italiota per la conservazione e la trascrizione di testi greci antichi anche classici comporta inevitabilmente, tanto più nella presente sede, la menzione del seminale R. DEVREESSE, Les manuscrits grecs de l’Italie méridionale (histoire, classement, paléographie), Città del Vaticano 1955 (ST 183).

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studiato, intrecciando con efficacia il piano paleografico-codicologico con quello testuale, dal Mazzucchi, che lo definisce, per il maestoso assetto a tre colonne della pagina (peraltro brulicante, sul piano testuale, di errori d’ogni genere53), «grandioso codice» e «secondo soltanto al Sinaiticus»54. Progredendo nell’arbitrio, anzi, mi limiterò per il greco al campo dei prosatori, in qualche modo condizionato, peraltro, dal carattere della raccolta vaticana, che non presenta, per i poeti classici, cimeli analoghi ai grandi Marciani dell’Iliade e di Aristofane, o al Ravennate dello stesso commediografo, o ancora al Mediceo di Eschilo, Sofocle e Apollonio Rodio, anche se accanto al già menzionato Pindaro Vaticano non va trascurata, ad esempio, l’esistenza in Teocrito, la cui tradizione è stata così fruttuosamente indagata da Carlo Gallavotti55, di una familia Vaticana che comprende tra gli altri i Vat. gr. 42, 44 e 1825, e quella in Sofocle, esemplarmente esplorato da Alexander Turyn56, di una familia Romana il cui ‘codex plenior’ è il recenziore Vat. gr. 2291; d’altra parte, le vicissitudini della Vaticana all’epoca dell’occupazione napoleonica l’hanno privata ormai da oltre due secoli del grande codice dell’Anthologia Palatina (ora diviso fra Heidelberg e il ‘Supplément grec’ della Nazionale di Parigi) che nel Seicento e nel Settecento era stato fra i suoi tesori57. Venendo dunque ai prosatori greci, di assoluto rilievo è per Tucidide il Vat. gr. 126 (dell’avan53 Analogo — e peraltro non così eccezionale, nella tradizione dei classici — contrasto fra grandiosità codicologica e scorrettezza testuale si osserva com’è noto nei famosi frammenti liviani in elegante onciale ‘old style’ riutilizzati come involucri per reliquie nel Sancta Sanctorum del Laterano (M. VATTASSO, Frammenti d’un Livio del V secolo recentemente scoperti. Codice Vaticano Latino 10696, Roma 1906 [ST 18]; cfr. anche B. GALLAND, Les authentiques de reliques du «Sancta Sanctorum». Avant-propos de J. VEZIN, Città del Vaticano 2004 [ST 421], pp. 145-151). 54 Cfr. C. M. MAZZUCCHI, Alcune vicende della trasmissione di Cassio Dione in età bizantina, in Aevum 53 (1979), pp. 94-139, in particolare 94-122. Nella tav. VI è riprodotta la pagina del Vat. gr. 1288 recante la subscriptio al libro LXXIX (fine della seconda colonna) e l’indice del libro LXXX (privo di intestazione). 55 La ‘summa’ delle indagini teocritee di Gallavotti, che della Vaticana fu frequentatore assiduo, è com’è noto affidata alla praefatio al postumo Theocritus quique feruntur bucolici graeci, C. GALLAVOTTI recensuit, tertium imprimebatur Romae 1993 (19461). 56 Mi riferisco a A. TURYN, Studies in the Manuscript Tradition of the Tragedies of Sophocles, Urbana (Ill.) 1952; piace qui ricordare, dell’eminente filologo polacco cui la Vaticana diede asilo, quand’era in fuga dalla barbarie nazista, prima del definitivo approdo negli Stati Uniti, il prezioso repertorio dei Codices graeci Vaticani saeculis XIII et XIV scripti annorumque notis instructi. Congessit, enarravit eorumque specimina protulit A. TURYN, in Civitate Vaticana 1964. 57 Notizie sulle avventure del manoscritto dell’Anthologia Palatina ad es. in Anthologia Graeca, I: Buch I-VI, 2. verbesserte Auflage, Griechisch-Deutsch ed. H. BECKBY, München s. d. [ma 1966], pp. 90-98, o in A. MESCHINI, La storia del testo, in Antologia Palatina, a cura di F. M. PONTANI, I: Libri I-VI, Torino 1978, pp. XXXI-XLIX, in particolare pp. XLV-XLVII.

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zato sec. XI), insigne com’è noto per la conservazione, a partire dalla terza parte del libro VI, di tracce, studiate da Bartoletti, dall’Alberti e dal Kleinlogel, di una redazione distinta da quella degli altri testimoni disponibili58; di Tucidide si trova in Vaticana anche l’archetipo della translatio latina di Lorenzo Valla, importante pure per la costituzione del testo greco: è il Vat. lat. 1801 (ora riprodotto negli «Studi e Testi» da Mortimer Chambers59, e concluso dall’autentica autoriale [f. 184v] «Ideoque hec meo chirographo subscripsi ut esset hic codex mee translationis archetypus, unde cetera possent exemplaria emendari», dove chiara risuona l’eco, a nove secoli di distanza, dell’analoga nota cassiodorea conservata nel codice di Bamberga, patr. 61 (HJ. IV. 15) alla fine delle Institutiones saecularium litterarum: «Codex archetypus ad cuius exemplaria sunt reliqui corrigendi»). Caratterizzata da un’operazione di contaminazione altrettanto macroscopica, e forse ancora più complessa, è anche la vicenda testuale che sta a monte dell’attuale Vat. gr. 1 (dello scorcio del IX secolo), studiato fra gli altri dal Mercati, dal Lemerle e da Lidia Perria, e sul cui apparato di varianti marginali è recentissima un’audace proposta di Maria Jagoda Luzzatto, che vuole riconoscervi, postulando il sistematico fraintendimento di ben tre antichi sigla, il precipitato di una variantistica che rimonterebbe dall’età di Giustiniano (e del patricius Menas, in cui ci imbatteremo fra poco) addirittura a quella di Aristofane di Bisanzio60: resta fermo però che per il testo base il manoscritto Vaticano discende dal (o è comunque strettamente collegato col) venerando Par. gr. 1807, ma incorpora per cambio di modello (o per scelta sistematicamente divergente fra testo e varianti 58 Cfr. V. BARTOLETTI, Per la storia del testo di Tucidide, Firenze 1937; A. KLEINLOGEL, Geschichte des Thukydidestextes im Mittelalter, Berlin-New York 1962; le pluridecennali fatiche tucididee dell’Alberti sono confluite in un’edizione davvero eccellente: Thucydidis Historiae, I. B. ALBERTI recensuit, I: Libri I-II (poi II: Libri III-V, e III: Libri VI-VIII), Romae 1972 (e rispettivamente 1992 e 2000). 59 M. CHAMBERS, Valla’s Translation of Thucydides in Vat. Lat. 1801. With the Reproduction of the Codex, Città del Vaticano 2008 (ST 445): 60 Sulla collocazione recenziore del codice in testa ai Vaticani graeci vd. LILLA, I manoscritti Vaticani greci cit., pp. 90-93. Nel testo ho fatto riferimento, in una bibliografia vastissima, a G. MERCATI, Note per la storia di alcune biblioteche romane nei secoli XVI-XIX, Città del Vaticano 1952 (ST 164), pp. 58-66; P. LEMERLE, Le premier humanisme byzantin. Notes et remarques sur enseignement et culture à Byzance des origines au Xe siècle, Paris 1971, pp. 168 sg., 191 n. 49, 214; giustamente riservata sull’identificazione nei margini della mano di Areta anche L. PERRIA, Arethaea II. Impaginazione e scrittura nei codici di Areta, in Rivista di studi bizantini e neoellenici n. s. 27 (1990 [ma 1991]), pp. 55-87, in particolare pp. 72-75 (certamente di Areta è comunque, in Vaticana, l’Urb. gr. 35 dell’Organon di Aristotele). Cfr. poi M. J. LUZZATTO, Emendare Platone nell’antichità. Il caso del Vaticanus gr. 1, in Quaderni di storia 34, nr. 68 (luglio-dicembre 2008), pp. 29-85. Nella Tav. VII è riprodotto, dal Vat. gr. 1, l’incipit dell’Epinomide; in margine alcune fra le varianti considerate dalla Luzzatto.

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marginali di un modello comune) un’antica recensione distinta dei primi 5 libri delle Leggi61. Di fenomeni così precoci di conflazione ‘editoriale’ di filoni di tradizione antichi si stenterebbe a trovare veri paralleli nel campo dei classici latini. Anche del rivale di Platone, Isocrate, la Vaticana conserva un importantissimo testimone di IX-X secolo, l’Urb. gr. 111 di recente attentamente riconsiderato, nell’ambito della tradizione di quest’autore, da Pasquale Massimo Pinto e in vari contributi presentati nel 2003 in un seminario pisano su ‘La tradizione del testo di Isocrate’ promosso da Antonio Carlini e Daniela Manetti (la folta discendenza di un altro testimone vaticano dell’oratore, il Vat. gr. 65, datato al 1063, è stata poi ricostruita da Stefano Martinelli Tempesta)62. Per gli opuscula di Senofonte, mentre ricordo il ruolo fondamentale nella recensio del Vat. gr. 1335 (del X secolo, con restauri successivi), su cui è di recente tornato, dopo tanti altri, il Cavallo63, segnalo che un foglio del più recente miscellaneo Vat. gr. 989, importante soprattutto per l’Ipparchico, è stato ritrovato in altro manoscritto e segnalato nel vol. VI dei Miscellanea della Biblioteca da Paul Canart, che ne ha tratto spunto per una descrizione dell’intero manoscritto ricca di novità64; ancora per Senofonte, la Vaticana conserva nel Vat. gr. 129 un altro autorevole testimone di XI secolo della Ciropedia, rimasto inutilizzato dagli editori fino all’ ‘édition Budé’ di Bizos e Delebecque, presso i quali contribuisce sostanzialmente alla rivalutazione critica della ‘famiglia y’65. Sorvolando a malincuore su altri monumenti della rinascenza macedone, come il Vat. gr. 90, codex vetustior di Luciano, e il Vat. gr. 141, codex 61

Sulla tradizione platonica mi limito a rimandare al riassunto delle lezioni tenute al Collège de France negli anni 1986-87 da J. IRIGOIN, ora pubblicato, col titolo Deux traditions dissymétriques: Platon et Aristote, nel suo Tradition et critique des textes grecs, Paris 1997, pp. 149-190, in particolare pp. 151-167. Sulla fase tardoantica posso in extremis aggiungere il riferimento a un secondo intervento di M. J. LUZZATTO: Codici tardoantichi di Platone e i cosiddetti ‘scholia Arethae’, in Medioevo greco 10 (2010), pp. 77-109. 62 P. M. PINTO, Per la storia del testo di Isocrate. La testimonianza d’autore, Bari 2003; AA. VV., Studi sulla tradizione del testo di Isocrate, Firenze 2003 (Studi e testi per il ‘Corpus dei papiri filosofici greci e latini’, 12); S. MARTINELLI TEMPESTA, La tradizione manoscritta del ‘Panegirico’ di Isocrate. Gli apografi del Vat. gr. 65 (Λ), in Segno e testo 5 (2007), pp. 173-225. 63 G. CAVALLO, Conservazione e perdita dei testi greci: fattori materiali, sociali, culturali, in Dalla parte del libro cit., pp. 49-194 (già in Tradizione dei classici, trasformazioni della cultura cit., pp. 83-172), in particolare pp. 130-134. 64 P. CANART, Varia palaeographica, in MBV, VI (Collectanea in honorem rev.mi patris L. Boyle o. p.), Città del Vaticano 1998 (ST 385), pp. 93-120, in particolare pp. 93-102 (= Études de paléographie et de codicologie, reproduites avec la collaboration de M. L. AGATI et M. D’AGOSTINO, II, Città del Vaticano 2008 [ST 451], pp. 1169-1196: pp. 1169-1178). 65 Xénophon. Cyropédie, I: Livres I-II (e II: Livres III-V). Texte établi et traduit par M. BIZOS, Paris 1971-1973, poi III: Livres VI-VIII. Texte établi et traduit par E. DELEBECQUE, Paris 1978. Il manoscritto era stato segnalato, nelle sue Conférences all’École pratique des hautes études del 1968-69, dal solito IRIGOIN, cfr. Tradition et critique cit., p. 59.

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optimus per buona parte dei Bella di Appiano, concludo questa troppo sommaria rassegna con due casi diversamente caratteristici: quello dei 35 fogli palinsesti in minuscola ‘bouletée’ dei primi decenni del X secolo adoperati per riparare intorno al 1400 l’Elio Aristide Vat. gr. 1298, fra i quali si trovano, tematicamente associati alla Politica di Aristotele, i 23 fogli superstiti di un unicum come il dialogo περὶ πολιτικῆς ἐπιστήμης ripubblicato da ultimo da Carlo M. Mazzucchi e attribuibile al patricius Menas66, prefetto del Pretorio d’Oriente e in tale veste destinatario — sembra ben pertinente ricordarlo — della famosa costituzione Summa (7 aprile 529) ‘de Iustiniano codice confirmando’; e infine quello di Polibio (sulla cui tradizione orienta una buona monografia d’insieme di John Moore67): qui sono in Vaticana non solo il famoso Vat. gr. 124, studiato da Aubrey Diller e scritto senza risparmio di pergamena dal monaco Efrem nel X secolo68, testimone cardine della redazione completa del libri I-V, ma anche l’Urb. gr. 102 dei cosiddetti ‘excerpta antiqua’ dai libri I-XVIII, e inoltre il palinsesto Vat. gr. 73 degli Excerpta de sententiis fatti compilare da Costantino VII Porfirogenito, per il quale l’intera opera dello storico era ancora disponibile: anzi, questo esemplare unico degli estratti de sententiis, secondo quanto dimostrato da Irigoin, costituisce addirittura uno degli originali della raccolta, originariamente suddivisa in 53 tomi, di cui a noi restano, in copia o appunto in originale, appena quattro sezioni69. 11. Ma non posso terminare il regesto, ormai sempre più veloce, del 66 Menae patricii cum Thoma referendario De scientia politica dialogus. Iteratis curis quae extant in codice Vaticano palimpsesto edidit C. M. MAZZUCCHI, Milano 2002 (la parte così conservata del Dialogus è da Mazzucchi stimata equivalente a un decimo dell’opera originaria). 67 J. M. MOORE, The Manuscript Tradition of Polybius, Cambridge 1965. 68 A. DILLER, Notes on Greek Codices of the Tenth Century, in Transactions of the American Philological Association 78 (1947), pp. 184-188; vd. poi J. IRIGOIN, Pour une étude des centres de copie byzantins (suite), in Scriptorium 13 (1959), pp. 177-209, in particolare 181-195, G. PRATO, Il monaco Efrem e la sua scrittura. A proposito di un nuovo codice sottoscritto (Athen. 1), in Scrittura e civiltà 6 (1982), pp. 109-116, e i numerosi contributi della compianta Lidia Perria sulla figura del copista, di cui citerò qui almeno l’ultimo: L. PERRIA, Un aspetto inedito dell’attività del copista Efrem. L’uso delle abbreviazioni nel Laur. 28.3, in Bollettino della Badia greca di Grottaferrata n.s. 53 (1999) [= Ὀπώρα. Studi in onore di mgr P. Canart per il LXX compleanno, III, a cura di S. LUCÀ e L. PERRIA], pp. 97-101. Nella Tav. VIII si osserva (seconda colonna in alto) una delle ‘finestre’ (di grande importanza stemmatica) lasciate da Efrem nel Vat. gr. 124 in corrispondenza di difetti dell’antigrafo. 69 IRIGOIN, Pour une étude des centres de copie cit., pp. 177-181; ID., Les manuscrits d’historiens grecs et byzantins à 32 lignes, in Studia codicologica, in Zusammenarbeit mit J. DÜMMER, J. IRMSCHER und F. PASCHKE herausgegeben von K. TREU, Berlin 1977, pp. 237-245. A proposito degli Excerpta costantiniani, non tutti conservati, come s’è detto, in codici antiquiores, cade qui opportuna la menzione dell’accurato lavoro di P. CAROLLA, ‘Non deteriores’. Copisti e filigrane di alcuni manoscritti degli ‘Excerpta de legationibus’, in MBV, XV, Città del Vaticano 2008 (ST 453), pp. 129-170.

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contributo della Biblioteca Vaticana agli studi filologici degli ultimi decenni senza ricordarne ancora un capitolo, che al profano potrà anzi sembrare quello più rimarchevole. Si tratta della scoperta o ‘riscoperta’, ancora in età contemporanea, di testi greci e latini antichi ignoti o dimenticati. L’ampiezza stessa e la varietà del patrimonio manoscritto della Vaticana hanno reso e continuano a rendere possibili, anche dopo il leggendario cardinale Mai, casi del genere, che sono ormai di norma riservati, nell’immaginario collettivo anche degli studiosi, ai decifratori di papiri. Dovrebbe essere qui noto l’esempio, legato ancora al nome di Augusto Campana, della scoperta intorno alla metà del secolo scorso, in una delle tante miscellanee umanistiche di cui la Biblioteca è ricchissima, della silloge tardoantica dei cosiddetti Epigrammata Bobiensia, editi da Franco Munari e studiati fra gli altri dal mio maestro Scevola Mariotti (il codice però, Vat. lat. 2836, manca purtroppo nei già ricordati Manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane)70. Ad esso vorrei affiancare il ritrovamento (e l’editio princeps nel 1993) ad opera di Peter Marshall, in un apografo addirittura di XVI-XVII secolo (Vat. lat. 8222 A, ff. 2-9), del commento del retore Tiberio Claudio Donato ai versi 1-157 di Eneide VI, che ci restituisce il contenuto del primo fascicolo, staccato e poi disperso, del capostipite altomedievale della tradizione per la seconda parte delle sue Interpretationes Vergilianae (il Vat. lat. 1512 di fine VIII secolo: CLA I 10)71, e — scusandomi dell’autocitazione — anche la mia individuazione, in un poco appariscente apocrifo pseudoserviano che ho letto per la prima volta nell’umanistico Vat. lat. 1493 (ne ho trovato poi l’antigrafo medievale a Oxford), di un trattato metrico putroppo ancora inedito (ma confido di rimediare presto) che varie prove esplicite e implicite consentono di attribuire a Marziano Capella72. Né le 70 Epigrammata Bobiensia, detexit A. CAMPANA, edidit F. MUNARI, II: Introduzione ed edizione critica, a cura di F. MUNARI, Roma 1955 (riproduzione fotografica dei ff. 268r-278v del Vat. lat. 2836 in calce a Epigrammata Bobiensia, edidit W. SPEYER, Lipsiae 1963); vd. anche S. MARIOTTI, Epigrammata Bobiensia, in Scritti di filologia classica, Roma 2000, pp. 216-249 (già uscito in tedesco nel Supplementband IX della Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft di PAULY-WISSOWA, Stuttgart 1962, coll. 37-64). 71 P. K. MARSHALL, Tiberius Claudius Donatus on Virgil, Aen. 6, 1-157, in Manuscripta 37 (1993), pp. 3-20. Nella tav. IX offro uno specimen della scrittura dell’erudito trascrittore del ‘nuovo Tiberio Claudio Donato’ (sul quale cfr. anche Rivista di filologia e di istruzione classica 125 [1997], pp. 82-90), con l’intento di favorirne un’identificazione che sarebbe ovviamente preziosa; rammento a tal fine anche che i ff. 2-9 del fattizio Vat. lat. 8222A recano una precedente foliotazione, pertinente ad altro contesto codicologico, con i numeri 199-206. 72 M. DE NONNO, Un nuovo testo di Marziano Capella: la metrica, in Rivista di filologia e di istruzione classica 118 (1990), pp. 129-44 (non è stata questa la prima volta, del resto, che lo studio in Vaticana mi ha consentito di mettere in luce novità: cfr. già Le citazioni di Prisciano da autori latini nella testimonianza del Vat. lat. 3313, in Rivista di filologia e di istruzione classica 105, 1977, pp. 385-402). Sul Vat. lat. 1493 vd. poi l’esauriente trattazione di P. D’ALES-

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scoperte si fermano al campo latino. Tornando infatti al greco mi piace coronare la presente scorribanda con la segnalazione di due casi distinti e, ciascuno a suo modo, esemplari delle potenzialità offerte ancor oggi dall’indagine del patrimonio manoscritto di una biblioteca come la Vaticana: mi riferisco alla individuazione da parte di Giuseppe Ucciardello, annunziata nel 2007 nei Miscellanea Bibliothecae Vaticanae, di frammenti inediti di oratori attici negli additamenta marginali al lessico di Giorgio Francopulo, il cui primo e unico tomo ci è conservato nel Vat. gr. 7, scritto nell’anno 131073; e mi riferisco infine ai due straordinari fogli superstiti di un Menandro tardoantico in ‘maiuscola biblica’ (uno dei quali contenente quasi 200 versi inediti), riconosciuti da Francesco D’Aiuto nella scriptura ima del doppio palinsesto Vat. sir. 623, e per la prima volta presentati nel 200374. In questo caso va adeguatamente rimarcato come la scoperta sia non casuale (come del resto quasi mai avviene in casi del genere, a differenza di quanto credono gli inesperti), ma frutto di un sistematico progetto di ricognizione dei Graeca nei fondi orientali della Biblioteca. 12. Il tempo concessomi è scaduto, e mi affretto a concludere. Quali sono il senso e il valore, nell’odierno e disincentivante panorama degli studi sulla civiltà letteraria greco-latina (per di più spesso lontani, anche provocatoriamente, dal positivismo filologico e dal primato della pratica ecdotica), della frequentazione ‘sul campo’ dei manoscritti dei testi classici nell’ambiente della Biblioteca Vaticana? Essi risiedono per l’appunto — credo di averlo testimoniato a sufficienza — nel profilo di eccezionale crocevia delle indagini sulla tradizione, la fortuna, la storia dei testi con gli SANDRO, Testi grammaticali tardoantichi in codici umanistici, II: Il Vat. lat. 1493, in Res publica litterarum 22, n. s. 2 (1999), pp. 51-65. 73 G. UCCIARDELLO, Nuovi frammenti di oratori attici nel Vat. gr. 7, in MBV, XIV, Città del Vaticano 2007 (ST 443), pp. 431-483. Molti fra i marginalia contenenti i nuovi frammenti dichiarano come fonte il περὶ ῥητορικῶν ἀφορμῶν del retore Eudemo di Argo (forbice cronologica accertabile: II-V secolo d. C.); nel valutare l’attendibilità di tale notizia, Ucciardello raccoglie alle pp. 460-462 varie occorrenze del termine ἀφορμαί in titoli di altre opere d’ambito retorico; a questo proposito, osservo che l’apparente contraddizione rilevata a p. 461 («opere con questo titolo saranno state dei trattati sulla composizione retorica, non dei lessici», mentre «i nostri marginalia hanno contenuto lessicale e potrebbero derivare da un’opera ordinata alfabeticamente») andrà ridimensionata alla luce della cospicua presenza di serie lessicali alfabetiche anche lunghe negli estratti dalle Ἀφορμαί di C. Giulio Romano conservati nell’Ars grammatica di Flavio Sosipatro Carisio (cfr. da ultimo D. M. SCHENKEVELD, A Rhetorical Grammar. C. Iulius Romanus, Introduction to the liber «de adverbio», as Incorporated in Charisius’ «Ars grammatica» II. 13, Leiden-Boston 2004). 74 F. D’AIUTO, ‘Graeca’ in codici orientali della Biblioteca Vaticana (con i resti di un manoscritto tardoantico delle commedie di Menandro), in Tra Oriente e Occidente. Scritture e libri greci fra le regioni orientali di Bisanzio e l’Italia, a cura di L. PERRIA, Roma 2003, pp. 227-296, in particolare pp. 270-278.

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studi di codicologia, paleografia, umanesimo e storia delle biblioteche che caratterizza l’istituzione di cui oggi celebriamo la riapertura al pubblico degli studiosi. In un tempo fortemente segnato, com’è il nostro, da una crisi della storia che è anche crisi dell’approfondimento culturale, e crisi soprattutto di quella ‘lettura lenta’ che Friedrich Nietzsche considerava la quintessenza della pratica filologica dei testi, la Vaticana appare certo ancora come un baluardo dell’erudizione, e forse già come un segno di contraddizione. È evidente a tutti, credo, come nelle nostre scuole e nelle nostre università le discipline storiche e filologiche si trovino ormai ad affrontare, tra l’indifferenza e l’insofferenza della politica e della sedicente ‘società civile’, una sfida e un attacco di cui non è facile, almeno per me, prevedere esiti rassicuranti. Ma spero almeno che si sia notato come, fra i nomi che mi è capitato di menzionare in questa rapida carrellata, a veterani dei nostri studi siano stati mescolati con intenzione più giovani, e anche giovanissimi ricercatori. Sia questo un segno di speranza nella continuità di quella traditio lampadis così cara al vecchio Eduard Fraenkel, alla quale, nella sede plurisecolare della Biblioteca Vaticana, vogliamo e dobbiamo credere.

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MARIO DE NONNO

TAV. I – CITT� DE�VATICANO, BIB�IOTECA A�O�TO�ICA VATICANA , Vat. gr. 96, �. 88R.

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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3226, f. 53v.

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MARIO DE NONNO

Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 1154, f. 108r.

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Tav. IV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 1547, f. 60r.

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MARIO DE NONNO

Tav. V – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 11458, f. 11v.

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Tav. VI – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 1288, p. 20.

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MARIO DE NONNO

Tav. VII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 1, f. 139r.

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Tav. VIII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 124, f. 2r.

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Tav. IX – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 8222 A, f. 2r.

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PETER SCHREINER

FILOLOGIA BIZANTINA La storia delle scienze umane è marcata in prima linea da studiosi che hanno promosso una disciplina o una schola che da parte sua ha contribuito a propagare la ricerca. Il ruolo e l’importanza di collezioni, musei o biblioteche è limitato, se mai, solo a un interesse marginale1. L’idea di questo colloquio, di collocare una biblioteca al centro, sembra un punto di partenza molto fecondo per occuparsi dello sviluppo di una disciplina filologica. Certamente solo poche e grandi biblioteche erano in grado di dare impulso a queste discipline. Non c’è dubbio che la Biblioteca Vaticana sin dalla sua fondazione appartenga a questo genere di istituzioni. È stata proprio la filologia bizantina che ha approfittato particolarmente dei tesori di questa biblioteca. Cosa s’intende per filologia bizantina? È una parte centrale della bizantinistica che si occupa di testi scritti in lingua greca tra il VI e il XV secolo, in territori di lingua greca o di popolazione greca, prevalentemente nelle grande capitali e centri ecclesiastici2. Tali testi dipendono nella loro struttura linguistica e letteraria più o meno dalla letteratura greca antica e hanno spesso testi antichi come modelli che imitano3. La letteratura bizantina, profana e ecclesiastica, è anche più o meno in stretta relazione con autori patristici senza i quali è difficile studiarla, almeno per quanto riguarda certi autori o generi letterari. Il ricco patrimonio della Biblioteca Vaticana non soltanto di manoscritti greci antichi, ma anche patristici, era ed è un ideale sfondo per lo sviluppo degli studi bizantini. Oltre a questo 1

I diversi contributi sulla filologia bizantina nel secolo XX, pubblicati nel volume La filologia medievale e umanistica greca e latina nel secolo XX. Atti del Congresso Internazionale Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche. Università la Sapienza 12-15 dicembre 1989, 2 voll., Roma 1993, si dedicano unicamente agli studiosi di queste discipline, senza menzionare l’importanza delle istituzioni. 2 Non è questa la sede di discutere la definizione della nozione “letteratura bizantina“. Rinviamo piuttosto al primo capitolo della introduzione alla “Geschichte der byzantinischen Litteratur“ di Karl Krumbacher (infra nota 5), intitolato “Begriff und allgemeine Geschichte der byzantinischen Litteratur”. 3 Il fatto è ben noto, e diversi modi dell’adattamento di un testo antico erano all’ordine del giorno fino a quello che chiamiamo oggi “plagio”; cfr. i contributi di un recente colloquio dal titolo Imitatio – Aemulatio – Variatio, a cura di A. RHOBY e E. SCHIFFER, Vienna 2010. La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 49-67.

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aspetto scientifico, la Biblioteca Vaticana è connessa anche cronologicamente con lo studio della filologia bizantina: tra tante discipline filologiche nate nell’Ottocento, la filologia bizantina è l’ultima, nonostante studiosi occidentali si siano interessati già nella seconda metà del XV secolo ad autori bizantini e all’impero bizantino4. Il momento della nascita della filologia bizantina come definita sopra è l’anno 1891, quando uscì la prima edizione della Geschichte der byzantinischen Litteratur di Karl Krumbacher5, seguita, l’anno successivo dal primo fascicolo della Byzantinische Zeitschrift, e, nel 1898, dalla fondazione a Monaco del primo seminario universitario di filologia bizantina (o “greca medievale” come allora era la denominazione ufficiale)6. Queste attività (non solo a Monaco, ma anche a Parigi7, a San Pietroburgo e a Mosca8) coincideranno coll’apertura della Biblioteca Vaticana alla comunità degli studiosi da parte di papa Leone XIII nel 1883. Karl Krumbacher, come è dimostrato dalla corrispondenza conservata tra la Bayerische Staatsbibliothek (Tavv. I-III) e l’Archivio della Biblioteca Apostolica, fu in contatto con Giovanni Mercati, Franz Ehrle ed Achille Ratti, ed ha studiato egli stesso manoscritti nella biblioteca9.

4 Non esiste una “Storia dello studio della letteratura bizantina in epoca moderna”, e le scarse informazioni si limitano a vecchie bibliografie ed alle prefazioni e introduzioni delle edizioni. Meglio invece sono le nostre conoscenze dello studio della storia bizantina: cfr. E. GERLAND, Das Studium der byzantinischen Geschichte vom Humanismus bis zur Jetztzeit, Atene 1934. 5 K. KRUMBACHER, Geschichte der byzantinischen Litteratur von Justinian bis zum Ende des Oströmischen Reiches (527-1453), Monaco 1891 (seconda edizione accresciuta nel 1897). 6 Karl Krumbacher. Leben und Werk. Beiträge anlässlich des 100. Todestages nebst einem Verzeichnis der an Karl Krumbacher gerichteten Briefe in der Bayerischen Staatsbibliothek, herausggeben P. SCHREINER und E. VOGT, Monaco 2011 (Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften. Philos.-Hist. Klasse 2011, Heft 4). 7 B. FLUSIN, La philologie byzantine en France au XXe siècle, in La filologia medievale cit., I, pp. 61-75. 8 B. L. FONKIÇ - F. POLJAKOV, Schicksale der byzantinischen Philologie in Russland im 20. Jahrhundert, in La filologia medievale cit., II, pp. 769-819. 9 Nella raccolta della corrispondenza di Karl Krumbacher, conservata presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (cfr. supra nota 6) si trovano cinque lettere (a. 1895-1896) di Giovanni Mercati, ancora bibliotecario alla Biblioteca Ambrosiana, quattro (a. 1892-1907) di Franz Ehrle e due (a. 1896 e 1909) di Achille Ratti, bibliotecario e poi prefetto della Biblioteca Ambrosiana. La Biblioteca Apostolica conserva invece sette lettere e cartoline postali indirizzate da Krumbacher a Mercati (Carteggi del card. Giovanni Mercati I. 1889-1936. Introduzione, inventario e indici a cura di P. VIAN, Città del Vaticano, indice dei nomi s.v. Krumbacher). Vd. anche figg. 1-3.

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I. Testi bizantini e filologia bizantina dalla fondazione della Biblioteca Vaticana fino alla soglia del Novecento Già molto prima che la nozione di “filologia bizantina” o “studi bizantini” fosse stata creata alla fine del Ottocento, come abbiamo visto, testi bizantini delle diverse collezioni della Biblioteca furono oggetti di studio e di edizioni stampate. In questo colloquio, dedicato piuttosto allo sviluppo della biblioteca nella seconda metà del Novecento, non è purtroppo possibile trattare dettagliatamente la “preistoria” della filologia bizantina. Vorremmo tuttavia illustrare alcuni fatti per dimostrare che già sin dalla fondazione della Biblioteca il suo ricco patrimonio letterario greco bizantino attrasse studiosi, che, senza una differenziazione, come facevano i bizantini stessi, tra un testo greco ed un bizantino, considerarono entrambi una unità. Già prima della sua fondazione nel 1475 la biblioteca papale possedeva manoscritti greci10. Non ci sarebbe nessun motivo di menzionarli esplicitamente in questa sede, se non fossero in rapporto con uno studioso bizantino, un vero bizantino nato nel Peloponneso, che ci ha lasciato il primo documento di prestito. Il 10 ed il 25 maggio del 1455 niente meno che il cardinale Isidoro di Kiev prese in prestito 52 manoscritti greci per consegnarli personalmente a Cosimo di Monserrato, il bibliotecario di papa Callisto III11. Tra questi manoscritti si trovavano 15 autori patristici e bizantini con testi di carattere giuridico, storico e teologico12. Anche il cardinale Bessarione prese libri in prestito dalla Biblioteca, però non di autori bizantini13. Queste informazioni ci sono fornite dagli inventari regolarmente stesi a partire dal pontificato di papa Niccolò V, e sempre

10 R. DEVREESSE, Le fonds grec de la Bibliothèque Vaticane des origines à Paul V, Citta del Vaticano 1965 (Studi e testi, 244-245), pp. 9-36. 11 Ibid., pp. 37-40; cfr. anche G. MERCATI, Scritti d’Isidoro il cardinale Ruteno e codici a lui appartenuti che si conservano nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma 1926 (Studi e testi, 46), pp. 78-89. 12 34 manoscritti sono identificabili nei fondi attuali ( in corsivo autori patristici e bizantini): Vat. gr. 70? (Demostene), 87 (Luciano), 123? (Erodoto), 124 (Polibio), 126 (Tucidide), 131 (Diodoro), 133 (Dionisio di Alicarnasso), 136 (Giovanni Zonara, storia), 137 (Giovanni Damasceno, Sacra Parallela), 161 (Giovanni Scilitza), 163 (Giorgio Acropolita ed altri storici bizantini), 164 (Nicefora Gregora, storia), 210 (Giorgio Crisococca), 225 (Platone), 226 (Platone), 230 (Platone), 267 (compendio filosofico), 283? (Galeno), 517? (Giovanni Crisostomo), 543 (Giovanni Crisostomo), 610 (Tommaso d’Aquino, traduzione), 611 (Tommaso d’Aquino, traduzione), 771? (Triodio), 807? (testi agiografici), 864 (digesti), 1007 (Plutarco), 1029 (Platone), 1040? (Euclide), 1041? (Euclide), 1091 (Manuele Caleca), 1153 (profeti), Chig. R. VI. 41 = Chis. gr. 33 (Senofonte). 13 DEVREESSE, Le fonds grec cit., pp. 40-41.

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aggiornati14. Essi permettono ai ricercatori, in un modo che nessun’altra biblioteca può offrire, di controllare l’accrescimento dei fondi, e, nel nostro contesto, l’esistenza di testi ed autori bizantini. Gli inventari sono tuttavia privi di ogni analisi del contenuto, menzionando unicamente un titolo generale o un autore. In questo modo è possibile trovare in maniera più o meno facile i grandi autori della letteratura classica, patristica ed anche bizantina, mentre i tantissimi piccoli trattati, caratteristici per la letteratura bizantina, rimasero nascosti. A questo inconveniente rimediò il lavoro di Domenico e Alessandro Ranaldi alla fine del Cinquecento15. Ma non è qui la sede per raccontare la storia della catalogazione, benché essa sia più importante per la filologia bizantina che per quella classica. In tutti i casi in cui schede e inventari non permettevano di ritrovare un testo, il dotto bibliotecario fu l’unico aiuto (e lo è fino ai giorni odierni). Alcuni grandi nomi tra di loro erano anche legati particolarmente alla filologia bizantina, come Giovanni di Santa Maura (1540-1613) detto anche “l’ultimo copista greco”16, e più ancora Leone Allacci (1588-1669), nato a Chio nelle parti di quello che era stato l’impero bizantino17. Non si dimentichi anche Guglielmo Sirleto (1514-1585)18, il quale possedeva nella sua biblioteca 14 manoscritti di autori bizantini, tra cui la “biblioteca” di Fozio19, e poi, facendo un grande salto agli inizi del Novecento, Giovanni Mercati20. L’uso dei manoscritti sin dagli inizi, con una sola lacuna tra gli anni 1548-1563,

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DEVREESSE, Le fonds grec cit. ha raccolto e riunito insieme per la prima volta questi inventari dei manoscritti greci. 15 F. EHRLE, Geschichte der Katalogisierung der Vaticana, in Historisches Jahrbuch 11 (1890), pp. 718-727; vd. particolarmente P. PETITMENGIN, Recherches sur l’organisation de la Bibliothèque Vaticane à l’époque des Rinaldi 1547-1645, in Mélanges d’histoire et d’archéologie de l’École Française de Rome 75 (1963), pp. 561-628. 16 H. OMONT, Le dernier des copistes grecs en Italie, 1572-1612, in Revue des études grecques 1 (1888), pp. 177-191. I “dotti” bibliotecari stanno, tra l’altro, al centro del fondamentale lavoro di J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de JOSÉ RUYSSCHART, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272). 17 C. JACONO, Bibliografia di Leone Allacci (1588-1669), Palermo 1961; D. MUSTI, Leone Allacci, in Dizionario biografico degli Italiani, II, Roma 1960, pp. 467-471. 18 F. RUSSO, La biblioteca del Cardinale Sirleto, in Il Cardinale Guglielmo Sirleto (15141588). Atti del Convegno di Studio nel IV Centenario della morte. Catanzaro-Squillace 1989, a cura di L. CALABRETTA- G. SINATORA, Catanzaro 1989, pp. 219-299; vd. anche nello stesso volume V. PERI, Guglielmo Sirleto e la Chiesa Greca, pp. 145-181. 19 RUSSO, La biblioteca cit., pp. 235-239. 20 Sul cardinale Mercati vd. in prima linea P. VIAN, “Non tam ferro quam in calamo, non tam sanguine quam atramento”. Un ricordo del card. Giovanni Mercati, in Miscellanea Bibliothecae Vaticanae 8 (2000) (Studi e testi, 396), pp. 393-459, e ID., Mercati Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXIII, Roma 2009, pp. 599-603.

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veniva registrato. I registri di prestito per gli anni 1475 -154821 e la pubblicazione delle suppliche al papa o al cardinale bibliotecario si rivelano di importanza particolare22. Essi dimostrano il prestito, la lettura o la copia anche di testi bizantini benché meno regolarmente in confronto agli autori classici23. Tra i famosi visitatori e lettori della biblioteca dev’essere menzionato nel nostro contesto il fondatore della paleografia bizantina, Bernard de Montfaucon, che si fermò a Roma dall’ottobre 1698 fino febbraio 170024. Lì stese (tra l’altro) un inventario dei manoscritti greci e latini della regina Cristina di Svezia, tra cui molto lo interessò (ma non ne conosciamo il motivo) il codice 57 (nella numerazione di oggi), di cui enumera tutti i 20 e più trattati bizantini di carattere ecclesiastico-giuridico25. D’altra parte la Biblioteca, o almeno i fondi di manoscritti, servivano anche da scriptorium nel senso medievale: molti codici bizantini venivano copiati a beneficio di altre biblioteche romane o di tutta Europa. Manca purtroppo finora un elenco sistematico e completo delle copie di testi bizantini basati 21

M. BERTÒLA, I primi due registri di prestito della Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1942 (Codices e Vaticanis selecti, 27). 22 CHR. M. GRAFINGER, Die Ausleihe vatikanischer Handschriften und Druckwerke (17631700), Città del Vaticano 1993 (Studi e testi, 360); EAD., Die Ausleihe vatikanischer Handschriften und Druckwerke im 18. Jahrhundert. I: Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 406). 23 Lo spazio a disposizione in questa sede non permette di entrare in dettaglio tanto più che uno studio dei manoscritti bizantini prestati e dei loro studiosi sarebbe un argomento degno di un saggio speciale. Nondimeno un piccolo elenco statistico può illustrare gli interessi per autori cristiani e bizantini. Nello spazio di 73 anni (1475-1548) vennero prestati in tutto 91 manoscritti greci, tra loro 41 autori patristici e bizantini, una cifra non troppo alta tenuto conto di tanti anni: 3 (Suda), 4 (Suda), 16 (miscellanea), 111 (Giuseppe Rachendita), 121 (Rodante di Teodoro Prodromo), 151 (la storia di Agatia), 152 (Giorgio Monaco), 173 (Strabone e Pletone), 209 (Giorgio Crisococca), 246 (miscellanea filosofico-teologica), 305 (Teodori Prodromi carmina), 315 (Niceforo Blemmida), 330 (Vecchio Testamento), 346 (Vecchio Testamento), 370 (Dionisio Areopagita), 386 (Gregorio Taumaturgo), 387 (Origene), 429 (Basilio), 433 (Basilio, epistole), 506 (Massimo Conf.), 542 (Giovanni Crisostomo), 575 (miscellanea teologica), 597 (Cirillo di Alessandria), 628 (Teodoreto, Istoria ecclesiastica), 634 (Teodoro Studita), 636 (Eutimio Zigabeno), 641 (Teofilatto di Bulgaria), 643 (lo stesso), 646 (lo stesso), 658 (Teofane di Cerama), 706 (miscellanea bizantina), 716 (Giovanni Crisostomo), 723 (miscellanea teologica), 836 (Atti del concilio di Nicea II), 1115 (miscellanea teologica), 1151 (atti sinodali), 1174 (alchimisti greci), 1209 (Bibbia). Negli anni 1563-1700 possiamo identificare i manoscritti bizantini 167 (Teofane Continuato), 495 (Giovanni Damasceno), 981 (Anna Comnena), 1485 (concilio Romano di 649), 1613 (menologio di Basilio), 1775 (Georgio Pachimera) e tanti altri. 24 B. DE MONTFAUCON, Diarium Italicum, Parigi 1702, pp. 276-278; nel diario stesso è menzionata la consultazione di tre manoscritti (p. 277): il famoso Vat. gr. 1209 della Bibbia, un codice degli atti degli apostoli e un manoscritto delle catene. 25 Les manuscrits de la reine de Suède au Vatican. Réédition du catalogue de Montfaucon et les cotes actuelles, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 238); il manoscritto è citato alle pp. 38-39.

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su di un originale vaticano26. Questo può essere soprattutto imputato al fatto che molti filologi dedicano poca attenzione alla copia, quando l’originale è ancora conservato. II. L’importanza della Biblioteca Vaticana per l’edizione di autori bizantini Da quando esiste la stampa — quasi contemporaneamente alla fondazione della biblioteca — il manoscritto perse la sua importanza come oggetto di lettura, studio o copia, e diventò un pezzo prezioso di antiquariato. Stranamente (e in parte contrariamente alla fortuna di testi antichi e patristici) gli autori bizantini (eccetto forse gli storici) hanno approfittato solo in maniera abbastanza modesta del nuovo mezzo di diffusione, la stampa. Anche in questo campo manca per ora un elenco bibliograficostatistico. Molti autori bizantini rimasero ignoti, altri testi vennero tràditi anonimamente o attribuiti ad altri autori, di preferenza a grandi nomi del mondo antico e dell’epoca dei padri della chiesa. La “Biblioteca Graeca” dello studioso amburghese Johann Albert Fabricius, pubblicata tra il 1705 e il 1728 (e ripetuta in diverse edizioni posteriori), tentò per la prima volta di mettere in ordine il materiale diffuso27. Ma anche in seguito molti testi bizantini rimasero nascosti, o mal attribuiti, in collezioni a stampa di autori classici e patristici28. Collezioni di questo genere furono pubblicate nei grandi centri dell’attività editoriale in Europa: a Venezia, Parigi, Leida,

26 Un bel esempio per tali prestiti offre il registro AB 26 dell’Archivio della Biblioteca (ed. GRAFINGER, Die Ausleihe (1563-1700) cit., p. 172 n. 245), in cui il 17 marzo 1642 Leone Allacci chiede il prestito di 15 manoscritti per copiare opere di S. Giovanni Damasceno: “ ... darete ... codici manoscritti greci segnati colli numeri 402, 492, 778, 789, 639, 952, 1068, 1075, 1672, 1744, 1816, e della Palatina 4, 46, 138, 248, che doveranno copiarsi le opere che in essi si trovano di S. Giovanni Damasceno col consenso dell’Eminentissimo Signore Cardinale Barberino“. Le copie si trovano nei Barb. gr. 325 e 329. Lo stesso Allacci riceve nel 12 settembre 1661 il famoso Vat. gr. 167, codice unico del Teofane Continuato, però non sappiamo, perchè si è interessato di questo manoscritto: “Accepi Codicem Manuscriptum Graecum in Pergamento signatum numero 167 continentem chartas 169 coopertum tabulis cum corio nigro in quo continentur varia“ (ed. GRAFINGER, Die Ausleihe cit., p. 549 nr. 835). 27 J. A. FABRICIUS, Bibliotheca Graeca sive notitia scriptorum veterum quorumcuncque monumenta integra aut fragmenta edita exstant tum plerumque e mss ac deperditis, I-XIV, Amburgo 1705-1728. 28 Possiamo menzionare, come esempi, alcune raccolte dell’inizio dell’Ottocento, di cui si è servito anche Karl Krumbacher nelle sue ricerche letterarie: C. D’ANSSE DE VILLOISSON, Anecdota Graeca, Venezia 1781; I. BEKKER, Anecdota graeca, Berlino 1814-1821; A. MYSTOXIDES, Συλλογὴ ἑλληνικῶν ἀνεκδότων, Venezia 1816; J. A. CRAMER, Anecdota Graeca, Oxford 1835-1837. Molti testi nascosti in manoscritti della Biblioteca Nazionale a Parigi vennero pubblicati nei volumi delle Notices et Extraits. Naturalmente non si dimentichi la Patrologia Graeca di J. P. Migne.

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Berlino, Lipsia o Oxford, molto meno, tuttavia, nella Roma dei papi29. Per imprese di tale carattere qualsiasi biblioteca in possesso di manoscritti greci era di per sé sufficiente: bastava che il codice fosse vicino all’editore, perché l’uso del codice filologicamente ottimo (che però poteva trovarsi in una biblioteca lontana) non aveva ancora un ruolo importante, talora nessuno30. Mancarono criteri per valutare l’importanza filologica di un testo e il manoscritto che lo contiene31. La filologia classica nel senso vero e proprio di una disciplina scientifica, nata nell’Ottocento, ha giudicato per la prima volta il testo di un autore secondo criteri severi, ed ha sviluppato il sistema della stemmatica, metodo che la filologia bizantina come erede della filologia classica ha in seguito adottato32. È stata però la “Storia della letteratura bizantina” del Krumbacher a creare la breccia decisiva, valutando autori, opere e strutture33. In quel momento la Biblioteca Vaticana ebbe una importanza particolare, perché innanzitutto possedeva (dopo le biblioteche del Monte Athos, praticamente inaccessibili) la raccolta più ricca di manoscritti greci nonché grazie a una politica di acquisto scientificamente fondata, un gran numero di testi bizantini di altissimo valore filologico, e pertanto già alla fine dell’Ottocento disponeva, oltre agli inventari, cataloghi a stampa che tennero conto anche di piccoli testi bizantini34. 29 Sulla stampa a Roma nella seconda metà del Quattrocento e nel Cinquecento vd. E. VON RATH, in Handbuch der Bibliothekswissenschaft,a cura di F. MILKAU, I, Lipsia 1931, pp. 390391, 497-498, e più dettagliatamente G. FUMAGALLI, Lexicon typographicum Italiae. Dictionnaire géographique d’Italie pour servir à l’histoire de l’imprimerie dans ce pays, Firenze 1905 (sulle attività a Roma vd. pp. 331-358). L’autore nota che “la production romaine de ce siècle (scil. il XVI) demeure dans son ensemble inférieure à celle de Venise” (p. 339). Tra loro, titoli greci o bizantini sono rari. 30 R. PFEIFFER, Die klassische Philologie von Petrarca bis Mommsen, Monaco 1982, si esprime su questo fatto come segue: “Der Druck leistete aber zunächst keinen echten Beitrag zur Verbesserung der Texte, da es üblich war, einzelne Handschriften, und oftmals nicht die besten, unredigiert zum Druck zu geben; tatsächlich hielt nun die Gefahr, dass schlechte Texte nachgedruckt und in großer Zahl in privaten und öffentlichen Bibliotheken angehäuft werden könnten, dem Fortschritt, den die Druckereikunst bedeutete, oft die Waage“ (p. 71). 31 Umanisti e collezionisti di manoscritti cercarono certamente i “migliori“ codici che sembrarono spesso identici ai più belli o più vecchi, mentre un vero e proprio metodo filologico si sviluppò soltanto nel corso dei secoli successivi, anche grazie all’aumento numerico di manoscritti greci e alla loro accessibilità. Rimase un puro caso, che un umanista e il suo editore ebbero in mano il migliore manoscritto secondo i criteri di oggi, i quali risalgono alle norme per una edizione critica stese in prima linea da Karl Lachmann; cfr. G. PASQUALI, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 1962, pp. 1-12 (“Il metodo del Lachmann”). 32 E. VOGT, Griechische Philologie in der Neuzeit, in Einleitung in die griechische Philologie, a cura di H.-G. NESSELRATH, Lipsia 1997, pp. 116-132: 124-126. 33 KRUMBACHER, Geschichte cit. 34 Sono i cataloghi dei manoscritti Chigiani (G. PIERLEONI, 1907), Ottoboniani (E. FERRON e F. BATTAGLINI, 1893), Palatini (H. STEVENSON, 1885), Reginensi (H. STEVENSON, 1888),

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Non è l’obiettivo di questo contributo quello di enumerare nel dettaglio i manoscritti bizantini usati dagli editori di opere bizantine. Si potrebbero menzionare, tra tanti altri, Teofilatto Simocatta35, Niceta Coniata36, Teofane Continuato37, l’epistolario di Teodoro Studita38 e di Demetrio Cidone39. Si trova qui anche il manoscritto più vicino all’originale della cronaca di Giorgio Acropolita40. La bizantinistica deve unicamente alla Biblioteca Vaticana la conservazione delle cronache di Teofilatto Simocatta41 e di Giovanni Cinnamo42, di cui possiede l’unico manoscritto, come anche nel caso del Vat. gr. 167, che ci tramanda come unico testimone il cosiddetto Continuatore di Teofane, fonte indispensabile per la storia del decimo secolo43. III. La catalogazione e la filologia bizantina Contrariamente ai testi greci di autori antichi accessibili in gran parte già prima del Novecento in qualsiasi edizione, benché spesso di valore filologicamente discutibile, molti autori bizantini e testi anonimi rimasero ancora a lungo in attesa di essere “scoperti”. I primi cataloghi stampati della Biblioteca erano certamente un gran aiuto, ma rimasero tuttavia spesso insufficienti nel campo bizantino in mancanza di identificazioni esatte ed annotazioni bibliografiche44. Il rigoroso regolamento per la nuova serie di Rossiani, ancora a Vienna (E. GOLLOB, 1910), Urbinati (C. STORNAJOLO, 1895), e il catalogo sistematico dei testi agiografici (HAGIOGRAPHI BOLLANDIANI – P. FRANCHI DE’ CAVALIERI, 1899). 35 L’unico manoscritto conservato dall’epoca bizantina è il Vat. gr. 977; cfr. P. SCHREINER, Die Historikerhandschrift Vaticanus graecus 977: ein Handexemplar zur Vorbereitung des Konstantinischen Exzerptenwerkes?, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 37 (1987), pp. 1-29 (= ID., Byzantinische Kultur II: Das Wissen, Roma 2009, saggio nr. II). 36 Si tratta dei Vat. gr. 163 (una volta in possesso di Giovanni Cortasmeno), 168 e 169; cfr. NICETAE CHONIATAE Historia, rec. I. A. VAN DIETEN, Berlino 1975, pp. XXII-XXV, XXIX-XXX. 37 Il Vat. gr. 167 è l’unico manoscritto bizantino, ma finora mai utilizzato nelle edizioni esistenti. Si aspetta però l’edizione del libro V, la vita dell’imperatore Basilio, in corso di stampa per la serie del Corpus Fontium Historiae Byzantinae, vol. 42, Berlino 2011. 38 Il Vat. gr. 1432 (una volta in possesso del cardinale Sirleto) è uno dei tre manoscritti principali della “seconda” famiglia delle lettere di Teodoro Studita. Altri manoscritti Vaticani importanti per la tradizione sono i Vat. gr. 633, 712, 722, 790, 827, 1890 e il Pal. gr. 371; cfr. Thedori Studitae epistulae, rec. G. FATOUROS, vol. I, Berlino 1992, pp. 46*-48*,56*-57*, 58*. 39 Il cod. Vat. gr. 101 è autografo di Demetrio Cidone (Tavv. I-II). Altri manoscritti Vaticani dell’epistolario: Urb. gr. 80 e 133, Barb. gr. 181 e 584; cfr. R. J. LOENERTZ, Les recueils de lettres de Démétrius Cydonès, Città del Vaticano 1957 (Studi e testi, 131), 1-2, 21-22. 40 Il Vat. gr. 163; altri manoscritti Vaticani di questo autore: Vat. gr. 166 e 981. 41 Vd. supra nota 35. 42 Il Vat. gr. 163. Altri manoscritti: i Barb. gr. 167, 192 e 242, che sono copie tardive del Vat. gr 163. 43 Vd. supra nota 37. 44 Vd. supra nota 34.

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cataloghi, dopo il 1923, rimediò anche a questi difetti e creò nel catalogo Vaticano un strumento di fama internazionale, un modello assoluto per la catalogazione di manoscritti45. L’identificazione del testo bizantino e la stima di cui era investito entrarono in un nuovo periodo. Benché mai esplicitamente dichiarato, dietro a questa valutazione del testo bizantino nel lavoro del catalogatore si staglia la personalità di Giovanni Mercati46, il quale, negli anni seguenti, incorporò nel catalogo sempre più annotazioni di lettori e possessori, che mostrarono come il manoscritto fosse stato anche in un certo senso uno specchio della vita bizantina47. Una nuova iniziativa della Biblioteca creò nel 1970 un volume intitolato “Sussidi bibliografici per i manoscritti greci della Biblioteca Vaticana”, a cui seguirono altri volumi di simile carattere fino alla soglia del nuovo millennio48. Certamente questi titoli non possono sostituire un catalogo, ma aiutano a colmare lacune e danno un primo orientamento in casi in cui un fondo o un settore non sia ancora catalogato. Benché una tale bibliografia sia naturalmente utile anche agli studi classici e a tanti altri settori, mi sembra che lo sia ancora di più per la filologia bizantina, dove le ricerche intorno a testi nuovi e alla loro identificazione sono ancora lontane dall’essere complete e perciò mezzi bibliografici sono di importanza più urgente che nell’ambito della filologia classica.

45 Le nuove norme sono pubblicate all’inizio del primo tomo del catalogo per il fondo Vaticano: I. [= G.] MERCATI – P. FRANCHI DE’ CAVALIERI, Codices Vaticani graeci I. Codices 1-329, Roma 1923, pp. XI-XV (“Leges quas procuratores Bybliothecae Vaticanae in codicibus graecis recensendis sibi constituerunt”). 46 Vd. supra nota 20. 47 Queste annotazioni seguono (composte in petit) la descrizione e comprendono informazioni sulla datazione del codice, gli ornamenti, le filigrane, il copista, i possessori e l’edizione di diverse note d’importanza per la storia del codice. Il catalogo dei Vaticani greci 1745-1962 di PAUL CANART, uscito nel 1970 e pioneristico in molti aspetti, ha sistematizzato per la prima volta la descrizione materiale del manoscritto in maniera esemplare per i cataloghi posteriori. 48 Sussidi bibliografici per i manoscritti greci della Biblioteca Vaticana a cura di P. CANART e V. PERI, Città del Vaticano 1970 (Studi e testi, 261). Questa bibliografia continua in maniera meno completa — prende in considerazione (anche per conseguire risultati concreti entro un limite ragionevole di tempo) solo riviste e raccolte d’articoli ed atti, omette invece monografie e edizioni — in quattro volumi fino all’anno 2000: M. BUONOCORE, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (1968-1980), I-II, Città del Vaticano 1986 (Studi e testi, 318-319); M. CERESA, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (1981-1985), Città del Vaticano 1991 (Studi e testi, 342); ID., Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (1986-1990), Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 361); ID., Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (1991-2000), Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 426). Vd. anche infra nella relazione di Marco Buonocore.

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IV. La Biblioteca Vaticana e lo sviluppo della paleografia bizantina Benché la relazione che segue sia dedicata completamente alla paleografia e alla codicologia, alcune parole dalla parte bizantinistica mi sembrano necessarie anche in questo contributo. Nonostante la paleografia bizantina sia stata fondata più di 300 anni or sono da Bernard de Montfaucon come “paleografia greca”49, essa diventò soltanto nel secolo passato una disciplina indispensabile e più che “ausiliare” per chi si occupa della filologia bizantina e della bizantinistica in genere. La paleografia come scienza dello sviluppo e del cambiamento della scrittura si basa necessariamente sullo studio dell’esempio pratico, la scrittura stessa nel manoscritto o nella sua riproduzione. È stata la nascita della fotografia nella seconda metà dell’Ottocento a creare le condizioni per la diffusione di facsimili stampati di documenti (dico “documenti” perché i pezzi archivistici precedevano i manoscritti letterari)50, accessibili a tutti senza ricorrere all’originale51. Già nel 1910 Pio Franchi de Cavalieri, scriptor per i manoscritti greci, e Johannes Lietzmann, professore di storia ecclesiastica presso l’università di Jena, pubblicarono un libretto di 50 esempi di scritture da manoscritti Vaticani tra il IV e il XVI secolo52. Il libro, anche grazie ad ulteriori edizioni nel 1927 e 1929, è servito a molte generazioni di filologi come prima introduzione allo studio delle scritture bizantine. Le tavole erano prive di legende e non indicavano l’autore e la datazione (che invece risultavano dall’introduzione), e perciò questo libretto è stato ideale per gli esami, meno però per gli studi privati. Nel 1969 Enrica Follieri pubblicò una nuova scelta di esempi, accompagnati da una lunga introduzione paleografica e con esatta traslitterazione delle tavole53, cui seguì nel 1998 49 B. DE MONTFAUCON, Palaeographia graeca, sive de ortu et progressu litterarum graecarum, et de variis omnium saeculorum scriptionis graecae generibus: itemque de abbreviationibus et de notis variarum artium ac disciplinarum. Additis figuris et schematibus ad fidem manuscriptorum codicum, Parigi 1708. 50 W. STELZER, Theodor Sickel und die Fotographie der 1850er Jahre, in Päpste, Privilegien, Provinzen. Beiträge zur Kirchen-, Rechts- und Landesgeschichte, a cura di J. GIESSAUF ET AL., Vienna 2010, pp. 419-447. Per la Biblioteca Vaticana Franz Ehrle è stato un protagonista nell’uso delle nuove tecnologie a proposito della riproduzione di manoscritti e testi: cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 239-240, e p. 272 n. 24. 51 Nel settore degli studi bizantinistici Karl Krumbacher ha sottolineato l’importanza della fotografia per la filologia aggiungendo alle sue edizioni una tavola con la scrittura dell’originale; cfr. K. KRUMBACHER, Die Photographie im Dienste der Geisteswissenschaften, in Neue Jahrbücher für das klassische Altertum, Geschichte und deutsche Literatur 9 (1906), pp. 601-658 (con 14 tavole ed elenchi di prezzi per la riproduzione fotografica nelle grande biblioteche, tra loro anche la Biblioteca Vaticana). 52 Specimina Codicum Graecorum Vaticanorum collegerunt P. FRANCHI DE’ CAVALIERI et I. LIETZMANN, Bonn 1910. 53 Codices graeci Bibliothecae Vaticanae selecti temporum locorumque ordine digesti

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una terza poderosa pubblicazione, che mise al centro la provenienza del manoscritto54. Dobbiamo menzionare in questa sede un altro modello paleografico, questa volta a partire dalla datazione del manoscritto, adottato da Alexander Turyn in tre volumi, tra cui uno dedicato ai manoscritti del XIII e XIV secolo nella Biblioteca Vaticana55. A partire dal 1913, quando Maria Vogel e Victor Gardthausen compilarono un repertorio di copisti di manoscritti greci, utile ancora oggi56, anche lo scriba ha suscitato l’interesse degli studiosi. Un repertorio recente, pubblicato nel 1997 da Ernst Gamillscheg, poté approfittare dal grande numero di manoscritti bizantini di questa biblioteca, rintracciando 615 nomi di copisti tra il nono e il quindicesimo secolo57, un numero, a cui Paul Canart ha aggiunto in un articolo uscito tre anni fa altri 38 nomi58. V. Studi bizantini e attività editoriale Siamo arrivati all’ultimo capitolo, le pubblicazioni nel settore della filologia bizantina. Nel 1900 fu fondata la serie Studi e Testi, che rende accessibile al mondo degli studiosi il ricco materiale documentario della Biblioteca, in una impresa che è finora senza paralleli in altre biblioteche del mondo59. Ne approfittò anche lo sviluppo della filologia bizantina: tra i 468 volumi di questa serie, usciti fino all’anno 2011, 50 autori appartengono all’epoca bizantina, sia come edizione di un testo sia come ricerca letteraria. All’inizio si colloca, già nell’anno della nascita della serie, un’edizione della Passio ss. Martini e Jacobi, curata da Pio Franchi de’ Cavaliecommentariis et transcriptionibus instructi ed. H. FOLLIERI, apud Bibliothecam Vaticanam 1969 (Exempla scripturarum, 4). 54 P. CANART – A. JACOB – S. LUCÀ – L. PERRIA, Facsimili di codici greci della Biblioteca Vaticana I. Tavole, Città del Vaticano 1998 (Exempla scripturarum, 5). Un secondo volume di commento non è ancora uscito. 55 A. TURYN, Codices Graeci Vaticani saeculis XIII e XIV scripti annorumque notis instructi, Città del Vaticano 1964 (Codices e Vaticanis selecti, 28). 56 M. VOGEL – V. GARDTHAUSEN, Die griechischen Schreiber des Mittelalters und der Renaissance, Lipsia 1909. 57 Repertorium der griechischen Kopisten 800-1600. 3. Teil. Handschriften aus den Bibliotheken Roms mit dem Vatikan. Erstellt von E. GAMILLSCHEG unter Mitarbeit von D. HARLFINGER und P. ELEUTERI, I-III, Vienna 1997. 58 P. CANART, Additions et corrections au Repertorium der Griechischen Kopisten 800-1600, 3, in Vaticana et Medievalia. Études en honneur de Louis Duval-Arnoud réunies par J. M. MARTIN, B. MARTIN-HISARD et A. PARAVICINI BAGLIANI, Firenze 2008 (Millennio medievale, 71; Strumenti e studi, n.s., 16), pp. 41-63. 59 La fondazione di questa collana si deve all’iniziativa del cardinal Franz Ehrle; cfr. l’introduzione di A. M. ALBAREDA al volume Tavole e indici generali dei primi cento volumi di Studi e Testi, Citta del Vaticano 1942 (Studi e testi 100), pp. VII-XXIII.

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ri, ed oggi l’ultimo titolo, il n. 456, è costituito dagli Études sur les Grandes Catéchèses de S. Théodore Studite. Possiamo presentare in questa sede solo pochi esempi in modo molto eclettico, usciti all’interno di queste date estreme. Vorrei menzionare il cosiddetto Tipoukeitos, un indice dell’opera legislativa degli imperatori bizantini Basilio e Leone, curato da Giovanni Mercati e Franz Dölger in una fruttuosa collaborazione tra la Biblioteca e l’Istituto di Studi Bizantini dell‘Università di Monaco60. Nel 1926 uscirono gli studi su Isidoro di Kiev, e nel 1931 testi inediti tratti dagli scritti dei fratelli Cidone, di Manuele Caleca e di Teodoro Meliteniota, ambedue frutto di lunghe ricerche del cardinale Giovanni Mercati61. A un genere letterario ben differente sono dedicati i sei volumi degli Initia hymnorum ecclesiae graecae di Enrica Follieri62. Nel 1954 Agostino Pertusi ha curato criticamente una delle fonti più importanti per l’amministrazione bizantina, il trattato De thematibus dell’imperatore Costantino Porfirogenito, basandosi su due importanti manoscritti Vaticani63. Manoscritti di tutti i fondi della Biblioteca servivano per la prima edizione dei Libri di conto dall’età bizantina64. Vorremmo, in questo contesto, non dimenticare una sotto-serie di Studi e Testi, i volumi dei Miscellanea Bibliothecae Vaticanae, concepiti nel 1987 e curati da Marco Buonocore. Arrivati già al diciassettesimo volume, sono riservati a contributi minori, come lo erano, nel nostro settore, i frammenti di manoscritti bizantini di Salvatore Lilla65 o i testi in greco volgare sulla navigazione pubblicati da Georgios Makris66. Già alla fine dell’Ottocento la Biblioteca mise a disposizione degli studiosi manoscritti importanti in forma di facsimile, reso possibile grazie 60

Studi e testi 25, 51, 107, 179, 193 tra gli anni 1914 e 1957. MERCATI, Scritti d’Isidoro cit.; ID., Notizie di Procoro e Demetrio Cidone, Manuele Caleca e Teodoro Meliteniota ed altri appunti per la storia della teologia e della letteratura bizantina del secolo XIV, Città del Vaticano 1931 (Studi e testi, 56). 62 H. FOLLIERI, Initia hymnorum ecclesiae graecae, Città del Vaticano 1960-1966 (Studi e testi, 211-215bis). 63 Costantino Porfirogeneto De Thematibus. Introduzione – testo critico – commento a cura di A. PERTUSI, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 160). I due manoscritti Vaticani sono i Vat. gr. 1005 e 1202. 64 P. SCHREINER, Texte zur spätbyzantinischen Finanz- und Wirtschaftsgeschichte in Handschriften der Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1991 (Studi e testi, 344). 65 S. LILLA, Codices Vaticani graeci 2644-2645, in Miscellanea Bibliothecae Vaticanae 1 (1987) (Studi e testi, 329), pp. 55-109; Codices Vaticani graeci 2646-2647, ibid. 2 (1988) (Studi e testi, 331), pp. 99-152); Codices 2648-2661, ibid. 4 (1990) (Studi e testi, 338), pp. 131-242). Più tardi queste descrizioni vennero incorporate nel grande catalogo Codices Vaticani Graeci. Codices 2644-2663, Città del Vaticano 1996. 66 G. MAKRIS, Ein griechischer Lingua Franca-Text, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 2 (1988) (Studi e testi, 331), pp. 187-223. 61

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alla nuova tecnica fotografica, di cui abbiamo già parlato. Un primo volume uscì nel 1889, il manoscritto biblico Vat. gr. 1209, curato da Giuseppe Cozza-Luzzi, igumeno di Grottaferrata e vice-bibliotecario della Vaticana67. Motivo della pubblicazione di questo manoscritto è stata l’importanza della scrittura in maiuscola biblica (come diciamo oggi dopo il lavoro fondamentale di Guglielmo Cavallo), mentre altri manoscritti sembravano degni di un facsimile perché possedevano miniature preziose. Essi fanno parte, già sin dal 1899, della serie Codices e Vaticanis selecti, una serie giunta a 102 volumi, tra cui dieci di importanza anche per la filologia bizantina nel senso più largo, come il Rotolo di Giosuè68 o il Menologio di Basilio II69. L’importanza della Biblioteca Vaticana per la filologia bizantina risulta innanzitutto dalla ricchezza di manoscritti greci, non solo per quanto concerne la quantità (più di 5000), ma soprattutto per la qualità filologica. L’istituzione del custode e dei suoi collaboratori, i cui interessi bizantinistici risalgono spesso all’amore verso l’oriente cristiano, facilitò l’accesso a questi tesori. La biblioteca sviluppò sin dall’inizio del secolo passato una ricca attività editoriale su vari livelli: testi di autori bizantini, saggi di filologia bizantina e facsimili di scritture e di interi manoscritti. Il quadro tematico di questo contributo è stato incentrato unicamente sulla filologia bizantina. Oltre a questo settore, la Biblioteca ha contribuito in maniera decisiva allo sviluppo della bizantinistica in genere, grazie alle sue collezioni di monete e sigilli, e agli oggetti del Museo Sacro, rendendo la biblioteca, tutto sommato, insieme con i manoscritti un Museion nel senso alessandrino. Questa tematica però sarebbe l’oggetto di un altro saggio.

67 Sacrorum bibliorum Vetus et Novum testamentum e codice graeco Vaticano 1209, curante I. COZZA-LUZZI, I-V, Roma 1889-1890. 68 La prima riproduzione del manoscritto risale al 1905: Il Rotolo di Giosuè. Codice Vaticano Palatino greco 431, riprodotto in fototipia e fotocromografia a cura della Biblioteca Vaticana, I-II, Milano (Codices e Vaticanis selecti, 5). Una riproduzione facsimile in colori uscì nel 1984 a Graz, sempre sotto gli auspici della Biblioteca Vaticana. 69 P. FRANCHI DE’ CAVALIERI, Il menologio di Basilio II, I-II, Torino 1907. Una nuova edizione facsimile in colori è stata pubblicata nel 2006 (Menologio di Basilio II, Madrid, in coedizione con la Biblioteca Vaticana; Codices e Vaticanis selecti, 64).

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1. LETTERA DI FRANZ EHRLE A KARL KRUMBACHER

Borgo S. Spirito 12 29. 6. 92 Sehr geehrter Herr Professor, Bitte, falls Sie nicht zeitig gegentheiligen Bescheid erhalten, sich nächsten Freitag um 9 Uhr morgens beim Eingangstor der Vaticana sich (cancellato) einzufinden. Leider ist es nicht möglich vorher (?) mehr als gutgemeinte (?), aber mehr als unsichere (?) appuntamentos zu erhalten. Mit herzlichem Gruß Ihr ergebenster (?) F. Ehrle Sj.70

70 La scrittura tedesca del Ehrle sembra chiara, ma è assai difficile da leggere. Ringrazio per l’aiuto Chr. M. Grafinger, archivista della Biblioteca Vaticana.

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Tav. I – München, Bayerische Staatsbibliothek, Nachlaßsammlung, Krumbacheriana I (Ehrle, Franz).

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2. LETTERA DI GIOVANNI MERCATI, BIBLIOTECARIO ALLA BIBLIOTECA AMBROSIANA DI MILANO, DELL’1 OTTOBRE 1895

Chiar.mo S.r Professore, Per consiglio del cav. Emidio Martini71 Le do una notizia, che spero non sia per tornarle sgradita. Ho letto nel 1° fascicolo della Byzantin. Zeitschr. di quest’anno la bella memoria del Treu sopra Michele Italico72. Essa m‘ha fatto ridestare alcune reminescenze di discorsi, che io sapeva d’aver avuto per mano. Riguardai i miei appunti e precisamente trovai nota di parecchi discorsi inediti d’Italico conservati nel cod. dell’Universitaria di Bologna sotto il N. 2412. Questo codice assieme a una decina d’altri è sfuggito all’Olivieri ed al Prof. Puntoni, che hanno pubblicato il catalogo dei codici greci di Bologna73. Ho chiamato il codice, ho copiato tutto ciò che v’ha di Italico ed altre parti ancora74. Ho trovato una conferma splendida delle congetture del Treu e più cose ancora, che interessano la biografia di Michele Italico, non meno che la storia dei suoi tempi75.

71

Emidio Martini (1853-1940) grecista, bibliotecario alla Biblioteca Ambrosiana e, tra l’altro, autore del catalogo dei manoscritti greci della Ambrosiana. Cfr. Dizionario biografico degli Italiani 71 (2008) 209-211 (A. L. BONELLA). 72 M. TREU, Michael Italikos, in Byzantinische Zeitschrift 4 (1895) 1-22. 73 A. OLIVIERI – N. FESTA, Indice dei codici greci delle Biblioteche Universitaria e Comunale di Bologna, in Studi Italiani di Filologia Classica 3 (1895) 385-495. Il manoscritto viene descritto un anno dopo questa lettera nel supplemento di V. PUNTONI, Indices codicum graecorum Bononensium ab Al. Oliviero compositi supplementum, in ibid. 4 (1896) 365-378; 370-373. 74 Una ampia descrizione del contenuto con la edizione di alcuni testi ha fatto lo stesso Mercati sotto il titolo Gli aneddoti di un codice Bolognese, in Byzantinische Zeitschrift 8 (1897) 126-143 (cfr. su uno di questi trattati scoperti dal Mercati anche P. SCHREINER, Schlechte Strassen in Konstantinopel, in Byzantina Mediterranea. Festschrift für Johannes Koder zum 65. Geburtstag. Wien 2007, 581-588). P. GAUTIER, Michel Italikos. Lettres et discours. Parigi 1972 ha studiato di nuovo il manoscritto (p. 12) e edito due discorsi (pp. 239-294). 75 Seguono ancora due pagine sul come pubblicare questi testi (cfr. la nota precedente). La lettera è firmata: 1 ottobre 1895 / Sac. Giovanni Mercati, dottore della Biblioteca Ambrosiana.

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Tav. II – München, Bayerische Staatsbibliothek, Nachlaßsammlung, Krumbacheriana I (Mercati, Giovanni).

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3. CARTOLINA POSTALE IN TEDESCO DI ACHILLE RATTI, PREFETTO DELLA BIBLIOTECA AMBROSIANA DI MILANO

Mailand, 13. VI. 09 Ich danke bestens für den neuen Separatabdruck76. Ich soll gestehen, dass Ihr Ersteindruck (?) auch mir zu ... optimistisch schien, obwohl Ihre Bedenken und Ihre Reserven bereits in der ersten Mitteilungen durchzusehen waren77. Niemand konnte mit mehr Recht als Sie dazwischen kommen und den guten Rat geben: hoffentlich wird man diesem Rate folgen. Ich grüße Sie herzlich und ehrerbietig ergeb. A. Ratti

76 Sembra che la cartolina si referisca alla discussione su di un “thesaurus” della lingua greca, cfr. K. KRUMBACHER, Das Programm des neuen Thesaurus der griechischen Sprache, in Internationale Wochenschrift für Wissenschaft, Kunst und Technik 1909, fasc. 22 77 K. KRUMBACHER, Ein neuer Thesaurus der griechischen Sprache, in Internationale Wochenschrift für Wissenschaft, Kunst und Technik 1909, fasc. 51.

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FILOLOGIA BIZANTINA

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Tav. III – München, Bayerische Staatsbibliothek, Nachlaßsammlung, Krumbacheriana I (Ratti, Achille).

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PALEOGRAFIA E CODICOLOGIA LATINA Se vuoi aumentare di mille miglia lo sguardo sali ancora un piano della torre. Sono parole scritte dal poeta cinese del VII secolo, Wang Zhihuan1, come a dire che la conoscenza ha bisogno di un numero sempre maggiore o più concettualmente significativo di fatti da prendere in esame, ma che per ottenerli bisogna avere il coraggio e la forza di salire più in alto o di penetrare più a fondo nei problemi, che poi è la stessa cosa. La Biblioteca Vaticana, per le decine di migliaia di manoscritti che conserva2 e per il ruolo di “luogo” intellettuale, oltre che fisico, aperto al dibattito internazionale e attento a recepire gli stimoli che di volta in volta tale dibattito offre al mondo scientifico, ha rappresentato, fin dalla sua costituzione, proprio quella torre, quella opportunità di “salire ancora un piano” per ampliare conoscenze e approfondire l’analisi della complessa storia della cultura e della cultura scritta in particolare. Ha fornito, per la natura maggioritaria delle testimonianze conservate, uno dei punti di osservazione fondamentali per valutarla, quella storia3: i codici, che vuol 1 “Il giorno chiaro tra i monti scompare / Il fiume Giallo verso il mare scorre / Se mille li al di là vuoi guardare / Sali ancora d’un piano sulla torre”. Il titolo del componimento è Su per la torre della Cicogna di cui è autore Wang Zhihuan (688-742 d.C.), poeta vissuto nel primo periodo Tang. Egli si riferisce alla pagoda a tre piani, detta Guanque (“della Cicogna”, appunto), nella città di Yongji della provincia di Shanxi, sulla riva orientale del Fiume Giallo, eretta nel 580 durante la dinastia Zhou Settentrionale (557-581 d.C.). Cfr. C. H. WU, The four Season of T’ang Poetry, Rutland-Vermont 1972, pp. 118-119; Le trecento poesie T’ang. Versioni dal cinese e intr. di M. BENEDIKTER, Torino 1961 (I Millenni, 54). 2 I fondi a carattere più propriamente letterario-librario contano circa 100.000 manoscritti — latini, greci e orientali — dai codici papiracei dei Vangeli e di altri scritti neotestamentari ai manoscritti tardo-antichi di Virgilio e Terenzio, da celebri palinsesti ai manoscritti altomedievali, dai capolavori della miniatura bizantina a quelli dell’Umanesimo e del Rinascimento italiano, dai fondi musicali e orientali alle biblioteche e agli archivi di grandi famiglie cardinalizie, e poi le carte erudite, gli autografi e i carteggi degli ultimi cinque secoli della storia mondiale. Per la storia e la consistenza del patrimonio manoscritto della Biblioteca Apostolica Vaticana, oltre ai contributi di F. Ehrle e di A. Pelzer, si veda J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire de manuscrits, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi 272). 3 Augusto Campana, in una voluminosa relazione edita nel 1968, ricorda il ruolo fondamentale giocato dal Prefetto Franz Ehrle nel costruire una “grande biblioteca storico-umanistica moderna” e di come egli fosse solito dire che non si trattava di una biblioteca in senso

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 69-116.

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dire, per usare parole altrui, quella complessa “fabbrica” del libro4, in cui sono intimamente legate come in una struttura unica elementi materiali (grafici, ornamentali, archeologici, testuali) e elementi immateriali (riferimenti all’ambito intellettuale di copia, modi e livelli di ricezione del testo in quei libri contenuto, riferimenti culturali alla tradizione libraria di tipologie testuali, obiettivi di comunicazione)5, altrettanto determinanti per la costruzione del prodotto finale. Affrontare il tema del ruolo giocato dallo studio delle raccolte manoscritte vaticane — e di alcuni codici in particolare — nello sviluppo degli studi nel campo della Paleografia latina negli ultimi 60 anni è impresa indubbiamente ardua. Molti sono i motivi, sia legati all’enormità del materiale bibliografico da prendere in considerazione, sia alla complessità dei temi affrontati, man mano che il dibattito, uscendo dalle Scuole, quelle storiche e quelle più recenti, della Vecchia Europa, interagisce con interpretazioni del fenomeno grafico sviluppatesi sia nei paesi dell’Europa dell’est che nel più ampio e diversificato scenario internazionale, grazie

proprio, ma di “una raccolta di libri necessari agli studiosi che venivano a studiarne i manoscritti”, intendendo la Biblioteca Vaticana essenzialmente come una “biblioteca di manoscritti”; cfr. A. CAMPANA, Tutela dei beni epigrafici, in Epigraphica 30 (1968), pp. 5-19; si veda a tal proposito il disegno della variegata cultura umanistica di Campana e della sua opera delineato con ammirazione e affetto da C. DIONISOTTI, Ricordi della scuola italiana, Roma 1998, p. 269. 4 Il riferimento terminologico è a P. BUSONERO – M. A. CASAGRANDE MAZZOLI – L. DEVOTI – E. ORNATO, La fabbrica del codice. Materiali per la storia del libro nel tardo Medioevo, Roma 1999 (I libri di Viella, 14). 5 Non è certo questo il luogo per ripercorrere il lungo itinerario che ha portato filologi e paleografi a confrontarsi su modi, forme e libri legati alla tradizione dei testi dell’Antichità e del Medioevo e che spesso hanno avuto come momenti di snodo vicende legate a manoscritti Vaticani, a partire da filologi come G. PASQUALI, del quale si vuole qui ricordare — oltre a Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 1934 e più volte riedito, da ultimo, a cura di D. PIERACCIONI, Firenze 1988 —, soprattutto i volumi conosciuti come Pagine stravaganti, cioè Pagine stravaganti di un filologo, Lanciano 1933; Pagine meno stravaganti, Firenze 1935; Terze pagine stravaganti, Firenze 1942; Stravaganze quarte e supreme, Venezia 1951 e recentemente raccolte in due volumi a cura di C. F. RUSSO, Firenze 1994. Gli appuntamenti delle Settimane di Studio sull’Alto Medioevo di Spoleto e la International School for the Study of Written Records di Erice sono stati caratterizzati da dibattiti complessivi incentrati sull’analisi di testi e scritture tràditi da codici vaticani, così come opere collettive come quelle promosse dalla Féderation Internationale des Instituts d’Études Médiévales, o il volume Storia della lettura nel mondo occidentale, a cura di G. CAVALLO – R. CHARTIER, Roma – Bari 1995 [2008²], fino a giungere a contributi recenti e recentissimi, ancora di impianto filologico a dimostrare quanto la storia della scrittura tragga linfa vitale dalla filologia e dalla storia della cultura almeno quanta ne dà a queste discipline, come O. PECERE, Roma antica e il testo. Scritture d’autore e composizione letteraria, Roma-Bari 2010 (BUL 644).

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a studiosi degli Stati Uniti o del Canada, che hanno fatto della Biblioteca Vaticana il luogo privilegiato delle loro ricerche6. Le grandi raccolte vaticane, infatti, hanno costituito per loro natura, per la eterogeneità delle morfologie grafiche e librarie che vi sono rappresentate, lo strumento principe per indagare forme, modi, tempi dell’evoluzione della cultura scritta in alfabeto latino. Insieme ai manoscritti — e a volte nonostante loro e ovviamente operando confronti non solamente su manoscritti vaticani —, si è cercato di ricostruire tessere dell’affascinante affresco della storia della scrittura e della cultura scritta nell’Occidente latino appuntando lo sguardo anche su materiali di analisi diversi dal libro, meno “formali” del codice (d’apparato, di scuola, di uso privato o legato a una stretta cerchia di lettori) o del documento (sia esso emanato da autorità pubblica o atto privato) e più o meno vicine, in relazione al livello di alfabetizzazione o acculturazione degli scriventi, alla scrittura usuale se non a quella che è stata chiamata “elementare di base”. Superata faticosamente la lunga stagione della classificazione delle occorrenze grafiche, è proprio dalla metà dello scorso secolo che si è appuntata l’attenzione metodologica sul riconoscimento dell’elemento primo di un sistema grafico, la scrittura normale, su cui si basa la fenomenologia grafica, per individuare le motivazioni, intrinseche e estrinseche al segno e al suo rapporto con gli altri segni nella stringa grafica, che portano al cambiamento graduale o alla “rupture” del sistema, per far parlare le scritture e il fluire della cultura che esse testimoniano. Sono i libri e le scritture a parlare, anche in questo intervento; sono le teorie che nell’ultimo secolo hanno calpestato il palcoscenico degli studi intorno alla storia della cultura scritta occidentale a presentarsi di volta in volta, per lo più volontariamente e caparbiamente lasciate qui anonime, ma certo “parlanti” di per sé di figure di studiosi e di scuole, di dibattiti sviluppati in convegni o sulle pagine di riviste di respiro internazionale e incentrate in massima parte sull’analisi di esemplari conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana7. Non si ha certo la pretesa di offrire un 6 Basta, a questo proposito, rivolgersi all’ampio mosaico scientifico delineato in occasione del centenario della fondazione dell’Istituto di Paleografia dell’Università di Roma “La Sapienza”, o ai periodici aggiornamenti dello stato degli studi presentati a convegni internazionali, cui si farà riferimento qui di seguito. Cfr. Un secolo di paleografia e diplomatica (18871986). Per il centenario dell’Istituto di paleografia dell’Università di Roma, a cura di A. PETRUCCI – A. PRATESI, Roma [1988]. 7 Anche le indicazioni bibliografiche in nota non pretendono di raggiungere un livello di esaustività d’informazione su vari temi toccati, ma sono concepite come riferimenti significativi a sostegno della chiave di lettura dello sviluppo degli studi intorno alla scrittura nell’Occidente latino e al suo veicolo principe, il libro, che qui si tenta di proporre, e segnalate in quanto incentrate sull’analisi di testimoni conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana.

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panorama esaustivo degli studi di settore, che peraltro risulterebbe come una riedizione delle tante significative rassegne edite negli ultimi venti o trent’anni8, ma affrontare un percorso così complesso, che passa dal Virgilio vaticano al Canzoniere petrarchesco, dai frammenti liviani ai codici di Ciriaco d’Ancona, richiede necessariamente prendere posizione tra le spesso contrastanti metodologie di analisi delle occorrenze grafiche e l’interpretazione delle risultanze di quelle analisi. Il dibattito sviluppato intorno a tali testimonianze, così come ad altre anche di conservazione non bibliotecaria, ben lungi dal fermarsi al solo livello descrittivo, pure imprescindibile, si è presto incentrato su temi di ordine concettuale, sul formarsi della fenomenologia grafica, ma anche sulla composizione degli ambienti di produzione di essa, in una parola sul suo valore culturale e quindi storico. Del resto, la crescita esponenziale degli studi degli ultimi anni che, partendo dall’esame di alcune testimonianze grafiche, hanno affrontato problemi complessivi, quali il digrafismo funzionale o assoluto degli scriventi o l’approccio globale alle testimoniaze grafiche di un’area geografico-culturale in un determinato periodo, ha portato la comunità scientifica a sentire il bisogno di studi sistematici che si sono tradotti in manuali, in I manoscritti che saranno citati, tutti di notevole importanza per la storia della scrittura latina, non trovano qui riproduzione, proprio per la loro diffusa conoscenza e perché compresi in repertori di circolazione scolastica, “la cui lettura ogni insegnante può seguire ormai anche da rovescio”, per usare le parole di G. Cencetti nella altrettanto famosa recensione, in La Bibliofilía 49 (1947), pp. 96-101 e oggi rist. in G. CENCETTI, Scritti di paleografia, a cura di G. NICOLAJ, Dietikon-Zürich 1993, pp. 15-21, al repertorio organizzato da J. MALLON – R. MARICHAL – CH. PERRAT, L’ecriture latine de la capitale à la minuscule, Paris 1939. 8 Oltre al già citato Un secolo di paleografia, si ricorda Gli studi di paleografia, di codicologia, di diplomatica negli ultimi dieci anni. Atti del convegno dell’Associazione Italiana dei Paleografi e Diplomatisti, Milano 1-2 marzo 1984, Le Relazioni, in Studi di Storia Medioevale e di Diplomatica 8 (1984), pp. 3-69; Cento anni di cammino. Scuola vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica (1884-1984 ), a cura di T. NATALINI, Città del Vaticano 1986; Tagung des Comité International de Paléographie Latine (Enghien-les-Bains, 19-20 septembre 2003), in Archiv für Diplomatik 50 (2004), pp. 205-546. Molti sono i manuali o gli studi miscellanei che hanno proposto lo “status quaestionis” degli studi paleografici, ma, tra tutti, quelli che, a mio avviso, hanno fornito non solo un repertorio di pubblicazioni ma una visione complessiva dell’argomento sono legati a due figure di studiosi, che hanno segnato l’ultimo secolo degli studi, e di maestri insuperati, come Augusto Campana e Giulio Battelli. Al primo è offerto il volume miscellaneo Testimonianze per un maestro. Ricordo di Augusto Campana, a cura di R. AVESANI, Roma 1997; il secondo, al termine del suo magistero durato tutta una vita, ha fornito alla comunità scientifica l’ennesima lezione di correttezza intellettuale e amore per i discepoli sparsi nel mondo e per la disciplina, rivedendo e aggiornando le sue Lezioni di paleografia, edite la prima volta presso la Pontificia Scuola di Paleografia e Diplomatica nel 1936 e più volte ristampate con revisioni, opera che è stata pubblicata a cura della Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, nel 2002 per i tipi della Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano.

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ripensamenti epistemologici della disciplina, che, se da una parte hanno il grandissimo merito di aver fornito una chiave per organizzare una materia in continuo divenire, dall’altro rischiano, proprio per quell’opera di sistemazione, di congelare il dibattito, di mettere un punto fermo alla discussione, ancor più fermo quanto più forte è la mente dei loro autori9. Sennonché, sono proprio quelle menti che, pur proponendo la propria interpretazione della storia della scrittura, così come della storia dello scrivere, non temono di porsi e di porre domande, di stimolare il dibattito, di tornare su vecchi e nuovi interrogativi, fino a riprendere in esame lo statuto stesso della disciplina. Il confronto è stato caratterizzato di volta in volta da nuovi modelli interpretativi di stampo tradizionale o, come si è sperimentato dagli anni ’80 del XX secolo, rivolti a metodologie di analisi dei dati applicate da tempo in campi di ricerca differenti da quello dello studio del libro e della scrittura, dall’analisi strutturalista10 all’analisi quantitativa11, fino a giungere alla più recente analisi computazionale delle forme grafiche12, alcune delle quali hanno portato a risultati complessivi interessanti, in alcuni casi hanno stimolato un ripensamento epistemologico della disciplina, in molti altri hanno arricchito di nuovi elementi di analisi materiali già studiati. E uso proprio il termine “materiali” per significare in primo luogo le scritture da analizzare e valutare secondo un rigoroso metodo formale, 9 Se manuali nel vero senso del termine sono da considerarsi B. BISCHOFF, Paläographie des römischen Altertums und des abendländischen Mittelalters, Berlin 1986 (Grundlagen der Germanistik, 24), ried. con aggiornamento bibliografico di W. KOCH, ibid. 20094, oppure il recentissimo P. CHERUBINI – A. PRATESI, Paleografia latina. L’avventura grafica del mondo occidentale, Città del Vaticano 2010, un altrettanto significativo manuale redatto come un repertorio bibliografico è L. BOYLE, Medieval Latin Palaeography: A Bibliographical Introduction. Toronto 1984, ried. italiana con un aggiornamento di F. TRONCARELLI, Roma 1999. 10 Da G. COSTAMAGNA, Perché scriviamo così. Invito alla paleografia latina, Roma 1987 (Fonti e studi del corpus membranarum italicarum. Prima serie, Studi e ricerche, 26) a E. CASAMASSIMA, Tradizione corsiva e tradizione libraria nella scrittura latina del Medioevo, Roma 1988. 11 Una discussione in A. DEROLEZ, Possibilités et limites d’une paléographie quantitative, in Hommages à Carl Deroux, a cura di P. DEFOSSE, Bruxelles 2003 (Collection «Latomus», 279) pp. 98-102. 12 Vd. Séminaire permanent sur la cursivité, che proprio nell’aprile 2011, per l’organizzazione dell’IRHT, del CNRS e dell’EDC, vedrà la sua quinta edizione (Paris, 14-15 aprile) intitolata Analyse d’image et paléographie systématique incentrata su Applications actuelles de l’informatique à la paléographie, quelles méthodes pour quelles finalités?, come recita il tema della tavola rotonda prevista. Per le sperimentazioni dell’analisi computazionale sulle forme grafiche si veda A. CIULA, Modelli digitali di scrittura carolina, in Gazette du livre médiéval, 45 (2004, automne), pp. 27-38 e EAD., Digital palaeography: using the digital representation of medieval script to support palaeographic analysis, in Digital Medievalist 1 (2005) (http://www.digitalmedievalist.org/article.cfm?RecID=2)

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ma anche il rapporto intercorrente tra il supporto e lo strumento scrittorio scelto da chi scrive e il complesso atto dello scrivere, con tutto il suo bagaglio di limiti e esaltazioni, direi quasi di determinismo e libertà nelle scelte operate dagli scriventi nei vari ambiti di scrittura13. L’idea della lettera e delle lettere nel loro collegarsi l’una all’altra si fa, così, dato grafico, obbedendo a criteri di ergonomicità o di atteggiamento dello scrivere, di significatività ideologica, sociale, di gusto, di efficacia della comunicazione, di rilevanza culturale e sociale dello scritto14, ma anche di fisiologia dell’atto di scrivere e percezione15, di leggibilità della pagina scritta nel suo complesso16. Un rapporto, questo, che indubbiamente c’è ed è constatabile, in certo senso misurabile nei suoi effetti, senza che per questo la Paleografia debba divenire essenzialmente una “scienza della misura”, come temeva Bischoff17, senza che il dato di volta in volta assunto come costante della valutazione debba essere assolutizzato e considerato l’elemento primo del cambiamento, senza, infine, che questo mini lo statuto stesso della disciplina: anzi, lo arricchisce e lo conferma. La scuola franco-belga e quella olandese hanno ampiamente dibattuto il problema, solo per incidens quella italiana, ma i risultati derivati dallo studio integrato tra più ambiti disciplinari sul Frammento Sabatini e sulla sua collocazione nella tradizione del Chronicon Vulturnense stanno lì a sottolineare l’efficacia che un approccio ampiamente multidisciplinare, calibrato tra scienze umane e le cosiddette scienze esatte, può portare, in alcuni casi, un contributo non solo alla storia del libro, ma proprio alla migliore comprensione dei fatti grafici, nella consapevolezza che mai, a nostro avviso, essi possono essere considerati avulsi dal contesto materiale e culturale di riferimento18. 13 Cfr. E. CASAMASSIMA – E. STARAZ, Varianti e cambio grafico nella scrittura dei papiri latini, in Scrittura e civiltà 1 (1977), pp. 9-110 nel campo della scrittura e E. ORNATO, Introduzione, in La fabbrica del codice cit., pp. 9-30 per la costruzione della pagina scritta. 14 Cfr. A. PETRUCCI, La scrittura. Ideologia e rappresentazione, Torino 1986. 15 Si veda L’écriture: le cerveau, l’oeil et la main, Actes du colloque international du Centre National de la Recherche Scientifique, Paris, 2-4 mai 1988, a cura di C. SIRAT – J. IRIGOIN – E. POULLE, Turnhout 1990. 16 R. BERGERON – E. ORNATO, La lisibilité dans les manuscrits et les imprimés de la fin du Moyen Age. Préliminaires d’une recherche, in Scrittura e Civiltà 14 (1990), pp. 151-198. 17 BISCHOFF, Paläographie cit., p. 17: “Mit technischen Mitteln ist die Paläographie, die eine Kunst des Sehens und Einfühlung ist, auf dem Wege, eine Kunst des Messens zu werden”. A questa perplessità, come si ricorderà, cercò di rispondere la redazione della rivista Scrittura e Civiltà con una serie di interventi pubblicati tra il 1995 e il 1998. Vd. M. PALMA, Tecniche, tendenze e prospettive nuove negli studi paleografici, in Tagung cit., pp. 527-545. 18 Il Chronicon Vulturnense è tramandato da un testimone unico, il ms. Barb. lat. 2724 del sec. XII in.; il Frammento è databile, su base testuale e su base tecnico-scientifica, al X-XI secolo: cfr. Il Frammento Sabatini. Un documento per la storia di San Vincenzo al Volturno, a cura di G. BRAGA, Roma 2003 (Scritture e libri del medioevo, 1). Sull’argomento si veda il

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Un altro esempio a sostegno della progressione di conoscenza derivante dal concorso di più metodologie di analisi derivate da ambiti disciplinari tradizionalmente non contigui è rappresentato dalle ricerche relative alla produzione del libro universitario. Studi insuperati, fin dagli anni ’30 del XX secolo, sono stati prodotti in ambito francese, tedesco, anglosassone, italiano su tale tipologia libraria, sulle litterae scholasticae e soprattutto sulla gestione della pecia, sia essa intesa come elemento di costituzione dell’exemplar19, sia come copia nei manoscritti derivati. Nel primo caso, spesso l’exemplar, ricomposto, diventa esso stesso libro di studio, come il Rationale di Guglielmo Durando di origine parigina, Arch. Cap. S. Pietro C.108 o l’Apparatus di Bartolomeo da Brescia al Decretum Gratiani, anch’esso parigino, Borgh. 26, oppure il Galeno latino Vat. lat. 2386. Nel secondo caso, copie di exemplaria identificabili tramite indicazione secondarie di pecia sono individuabili in molteplici esempi, uno fra tutti il codice napoletano contenente la Summa contra Gentiles di s. Tommaso Chig. B.VIII.126, sia, infine, come testo da cui essa deriva: “pecia, apopecia, epipecia”, insomma20. Grazie all’analisi quantitativa applicata alla variabilità dimensionale delle diverse zone del testo e della glossa di un corpus di libri giuridici glossati, ad esempio, si è potuto tratteggiare il complesso sistema di architettura della pagina nel libro universitario21, tanto magistralmente rappresentato da manoscritti di contenuto giuridico di origine bolognese come il Borgh. 372, l’Urb. lat. 165, il Vat. lat. 1430 e Par. lat. 4521, dando una coloritura ulteriore allo statuto del copista e del librarius o dello stationarius di XIII e XIV secolo, che, con il loro calcolare gli spazi e la proporzione delle lettere da destinare alla glossa o al commento rispetto al testo base, con l’adozione di sistemi grafici in funzione distintiva delle partizioni testuali, con il calibrare la tipologia e la quantità di dispositivi di ausilio alla lettura, con la “lotta” ingaggiata nei confronti della scarsa flessibilità delle modalità di trascrizione, aggravata dall’ulteriore rigida articolazione contributo di G. BRAGA, Analisi del testo per un’ipotesi di datazione, ibid., pp. 61-72; P. A. MANDÒ – F. LUCARELLI, Misure di analisi elementale con la tecnica PIXE (Particle-Induced X Ray-Emission), ibid., pp. 29-34. 19 Ridondante risulta in questa sede un resoconto bibliografico che tenga conto dei maggiori studiosi del libro universitario nell’Occidente medievale, da Destrez a Rouse, Orlandelli, Battelli, Schooner, Pollard, Zamponi. Si rimanda a un recente studio sulla produzione e l’utilizzo di “exemplaria” peciati di una giovane ricercatrice, G. MURANO, Opere diffuse per exemplar e pecia, Turnhout 2005 (Textes et Études du Moyen Âge-TEMA, 29) 20 L. BOYLE, Peciae, Apopeciae, Epipeciae, in La production du livre universitaire au Moyen Age. Exemplar et pecia. Actes du symposium tenu au Collegio San Bonaventura de Grottaferrata en mai 1983, a cura di L. J. BATAILLON – B. G. GUYOT – R. H. ROUSE, Paris 1988, pp. 39-41 21 Vd. L. DEVOTI, Un rompicapo medievale: l’architettura della pagina nei manoscritti e negli incunaboli del codex di Giustiniano, in La fabbrica cit., pp. 141-206.

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imposta dall’organizzazione della copia per pecia, con la continua provocazione di assecondare tendenze spontanee o divergenti rispetto alla regola, diventano in certo modo anch’essi autori22. Scelte artigianali si fondono così con scelte funzionali comunicative e con un’attenzione mai celata alla leggibilità della stringa grafica e della pagina nel suo complesso, tramite l’adozione di espedienti grafici, quale ad esempio l’elisione del tratto di attacco di alcune lettere nella littera textualis23, per approdare alla confezione di quello che si può definire un prodotto professionale canonizzato di alto livello. La critica è attenta a marcare i momenti, i luoghi, le figure che hanno favorito il cambiamento, la rottura del canone della scrittura, in un continuo bipolarismo scientifico tra una interpretazione positivista o storicista della fenomenologia grafica. Una lettura delle chiavi di volta della storiografia paleografica — anche se, ovviamente, una lettura personale e quindi necessariamente parziale e, nonostante ogni sforzo, di parte — con lo sguardo rivolto all’oggetto primario dell’investigazione (cioè la scrittura, le scritture e i testimoni che le tramandano), non può nascondere che determinate impostazioni teoriche, determinate “idee forti” che hanno impresso sviluppo nella critica storiografica sono scaturite da precise prese di posizione generali sullo statuto e sulla metodologia scientifica considerati propri della disciplina e sono scaturite da dibattiti a volte aspri che hanno generato vita ulteriore24. Quelle “idee forti” hanno trovato eco in monografie o interventi su singoli personaggi-chiave nella storia della cultura scritta a causa della loro concezione della scrittura, come gli studi sul Canzoniere petrarchesco Vat. lat. 3195 e il cosiddetto “Codice degli abbozzi” Vat. lat. 3196, che da più di 40 anni sono al centro del dibattito sul ruolo reale giocato dalla lezione petrarchesca nella costruzione filosofica che fa da sfondo alla riforma grafica umanistica25, nel vivace mondo padano-romagnolo, come nel 22 Avviene spesso per la storia dei testi, come ricorda L. CANFORA, Il copista come autore, Palermo 2002. 23 Vd. S. ZAMPONI, Elisione e sovrapposizione nella “littera textualis”, in Scrittura e Civiltà 12 (1988), pp. 135-176; P. SUPINO, La datazione delle ‘Litterae textuales’, 1100-1400, in Scriptorium 54 (2000), pp. 20-34. 24 Vd. P. SUPINO, Sul metodo paleografico: formulazione di problemi per una discussione, in Scrittura e Civiltà 19 (1995), pp. 5-29, che, dopo venti anni, fa da contrappunto a distanza a L. GILISSEN, L’expertise des écritures médiévales. Recherche d’une méthode avec application à un manuscrit du XIe siècle: le Lectionnaire de Lobbes, codex Bruxellensis 18018, Gand 1973 (Les publications de Scriptorium, 6). 25 Si rimanda al magistrale lavoro d’insieme di A. PETRUCCI, La scrittura di Francesco Petrarca, Città del Vaticano 1967 (Studi e testi, 248); si veda anche S. ZAMPONI, Il libro del Canzoniere: modelli, strutture, funzioni, in Rerum vulgarium fragmenta. Codice Vat. lat. 3195. Commentario all’edizione in fac-simile, a cura di G. BELLONI – F. BRUGNOLO – W. H. STOREY – S. ZAMPONI, Roma – Padova 2004, pp. 13-72; M. SIGNORINI, Fortuna del “modello-libro”

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paludato e introverso, ma altrettanto elitario, ambiente fiorentino, tra la fine del ’300 e i primi decenni del secolo seguente. Certo è che la portata storica di quella esperienza grafica, che per prima mette la litera — che sia legifera e castigata — al centro di una idea di rinnovamento culturale improntato alla claritas, si evince da quegli interventi autografi, ora più ora meno rivolti all’esigenza di fissare il pensiero dell’autore nel suo farsi e nel suo compiuto definirsi o di “guidare” la mano del copista preferito a rappresentarla al meglio, quell’idea. Quella esperienza grafica, quell’ “eresia” riceve valore, in quanto elemento di rottura con la tradizione culturale, veicolata dalla ripetitività dell’insegnamento normativo, proprio dal confronto con esperienze grafiche coeve e di derivazione diversa, piuttosto che dall’individuazione, spesso ostinatamente ricercata, di un modello grafico materialmente e storicamente inteso26. Una metodologia interpretativa, questa, che ha permesso di riconoscere il valore fortemente innovativo dell’Umanesimo nella concezione della scrittura: tensione ideale, riferimento culturale, piuttosto che adesione formale a exemplaria vetustiores, emergono nei primi esperimenti del Salutati e poi nella scrittura formale del Niccoli o del Poggio. Gli studi sulla scrittura dei cosiddetti protoumanisti e sui primi umanisti hanno contribuito, fino a tempi recentissimi27, a rivisitare il quadro proposto dagli studi complessivi degli anni 60, operato dalla scuola inglese prima e da quella italiana poi28, di cui pietre miliari sono stati proprio codici Vaticani: si pensi agli interventi riconosciuti della mano di Coluccio nel De motu stellarum Vat. lat. 989, o nel Fedone platoniano Vat. lat. 2063, oppure alle aggiunte presenti nella miscellanea di testi classici di astronomia di Igino Vat. lat. 3110, che sono serviti da contrappunto nella valutazione degli interventi colucciani nei più famosi codici forteguerriani; si pensi ancora al Cicerone Vat. lat. 3245 “manu Poggi”. Quel modo di interpretare la scrittura all’interno del più vasto panorama della cultura scritta ha trovato eco, infine, in opere collettive che hanno gettato ampi squarci di luce su scritture e scriptoria, sul libro — culturalmente e materialmente inteso, che sono aspetti che poi coincidono a Canzoniere, in L’io lirico: Francesco Petrarca. Radiografia dei Rerum vulgarium fragmenta, in Critica del testo, 6, 1 (2003), pp. 133-154. 26 Cfr. S. ZAMPONI, La scrittura umanistica, in Tagung cit., pp. 467-504. 27 S. ZAMPONI – T. DE ROBERTIS, Libri e copisti di Coluccio Salutati: un consuntivo, in Coluccio Salutati e l’invenzione dell’Umanesimo, a cura di T. DE ROBERTIS – G. TANTURLI – S. ZAMPONI. Catalogo della mostra Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 2 novembre 2008 – 30 gennaio 2009, Firenze 2008, pp. 345-363. 28 A. C. DE LA MARE, Humanistic Script: the First Ten Years, in Das Verhältnis der Humanisten zum Buch, a cura di F. KRAFFT – D. WUTTKE, Boppard 1977, pp. 89-108. Per un’ampia e meditata panoramica sulla scrittura e sul libro umanistico, si rimanda a ZAMPONI, La scrittura umanistica cit.

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mio avviso — e le sue scritture: basti pensare all’affresco sulla produzione delle Bibbie Atlantiche29 e agli studi, spesso controversi, sviluppati intorno alla Bibbia Palatina, Nuovo Testamento, Pal. lat. 5 o al Graduale Vat. lat. 5319 e i suoi rapporti con Roma e il Laterano, oppure intorno alla Bibbia di Santa Cecilia Barb. lat. 587 e la Bibbia del Pantheon Vat. lat. 1295830. Studi su singoli codici, questi, ma rivolti a indagare modelli, metodi, fini religiosi, ideologici, normativi della produzione di un particolare tipo di libro e di pagina, di scrittura e scritture adottate e del loro complesso dialogare col testo e con chi quel testo avrebbe letto e udito, quel libro avrebbe mostrato e visto, così come da mostrare e da vedere e comprendere nei vari livelli di significatività comunicativa sono le scritture esposte ad essi coeve o gli affreschi o i mosaici sui muri delle chiese o le immagini sbalzate su materiale prezioso degli oggetti di culto, a cui, idealmente, il ‘décalage’ di sistemi grafici adottati, il livello e la tipologia di ornamentazione di quei libri fanno rimando. Insieme, questi “segni” trasmettono così, oltre al messaggio verbale, un altro messaggio fortemente simbolico, di preminenza, autorità, potenza e, soprattutto, presenza duratura e normativa della divinità e del suo rappresentante terreno, nella vita delle istituzioni come nella costruzione di un insieme di valori sociali di riferimento. Ma quei prodotti “alti” non potrebbero essere compresi appieno senza porre attenzione su scritture “altre”, di uso certamente non librario in prima istanza, ma che in applicazioni librarie hanno trovato una loro formalizzazione o quantomeno la fissazione di una fase del loro sviluppo, mentre in campo usuale hanno avuto maggiore vitalità e durata: sono quelle operate da scriventi non professionali o non professionisti del libro, testimoni di vari livelli di alfabetizzazione, che, in società ad alta incidenza di uso di scrittura, intervengono a modificare il processo della corsività, permettendo che, a partire da poli di attrazione grafica differenziati, si attui, a livello usuale, una scelta tra forme grafiche coesistenti e concorrenti31. Queste sembrano caratterizzarsi, in ultima analisi, come scritture di 29

Le Bibbie Atlantiche. Il libro delle scritture tra monumentalità e rappresentazione. Catalogo della mostra Abbazia di Montecassino, 11 luglio – 11 ottobre, 2000 e Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, settembre 2000 – gennaio 2001, a cura di M. MANIACI – G. OROFINO, Milano – Roma 2000. 30 Si veda da ultimo E. CONDELLO, La Bibbia al tempo della Riforma gregoriana: le Bibbie atlantiche, in Forme e modelli della tradizione manoscritta della Bibbia, a cura di P. CHERUBINI, Città del Vaticano 2005 (Littera antiqua, 13), pp. 347-372; EAD., Per una indagine sui secoli XI e XII: considerazioni sulla Bibbia atlantica Vat. Rossi 617, in Bullettino ISIME e Archivio Muratoriano 110 (2008), pp. 189-203. 31 Lo sviluppo dell’annoso dibattito a distanza tra lo strutturalismo di Casamassima e Costamagna e l’interpretazione sociale della scrittura di Petrucci e Bartoli Langeli fa da sfondo nel Séminaire permanent sur la cursivité, iniziativa promossa dall’IRHT-CNRS-EDC, con

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categoria, in base alle loro funzioni e alla diffusione sociale e da lì si trasferiscono nell’uso di testi letterari e magari di letteratura volgare, processo che sembra potersi evincere dall’analisi della scrittura dei Canzonieri della lirica italiana. Soprattutto quello più completo, il ms. Vat. lat. 3793, con la sua incoerenza grafica, tra la minuscola protomercantesca del copista principale e le cancelleresche più o meno formate dei molti addizionatori, col suo essere esito di un lungo processo di scritturazione che persegue obiettivi più di accumulo che di ordinamento, ricorda da presso il libroregistro di ambito privato borghese e mercantile piuttosto che il volume di conservazione bibliotecaria. Proprio intorno al codice Vaticano si è sviluppato nell’ultimo ventennio un appassionante dibattito paleografico32, a corredo delle analisi di carattere letterario e filologico che accompagnano l’edizione dei tre celebri testimoni33, dibattito che ha contribuito a delineare la loro collocazione nel panorama della cultura scritta e nel processo di sviluppo e della successiva funzionalizzazione della corsiva usuale tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Allo stesso modo, a partire dalla valutazione formale dei fatti grafici incontri tenuti con cadenza annuale: Parigi École des Chartes (2006), Cambridge (2007), Firenze (2008), Siviglia (2009), Parigi (2010-2011) cit. 32 Il discorso si è dipanato a partire da un primo intervento di L. MIGLIO, Criteri di datazione per le corsive librarie italiane dei secoli XIII-XIV. Ovvero riflessioni, osservazioni, suggerimenti sulla lettera mercantesca, in Scrittura e civiltà 18 (1994), pp. 143-157 (relazione tenuta al IX Colloquio del Comité International de Paléographie Latine, Biblioteca Apostolica Vaticana, 20-22 settembre 1990), al saggio di A. PETRUCCI, Le mani e le scritture del canzoniere Vaticano, in I canzonieri della lirica italiana delle origini, a cura di L. LEONARDI, IV. Studi critici, Firenze 2001 (Biblioteche e archivi, 6), pp. 25-41. Un tema, questo, ripreso recentemente, con riferimento proprio al manoscritto Vaticano, in I. CECCHERINI, La genesi della scrittura mercantesca, in Régionalisme et internationalisme. Problèmes de Paléographie et de Codicologie du Moyen Âge. Actes du XVe Colloque du Comité International de Paléographie Latine, Vienne, 13-17 septembre 2005, a cura di O. KRESTEN – F. LACKNER, Wien 2008 (Veröffentlichungen der Kommision für Schrift- und Buchwesen des Mittelalters. Denkschriften der philosophisch-historischen Klasse), pp. 123-137 in part. nota 7 p. 125, EAD., Merchants and Notaries: Stylistic Movements in Italian Cursive Scripts, in Manuscripta 53, 2 (2009), pp. 239283. L’analisi materiale del codice Vaticano, sulle orme di J. STEINBERG, Merchant Bookkeeping and Lyric Anthologizing. Codicological Aspects of Vaticano 3793, in Scrittura e Civiltà 24 (2000), pp. 251-269, è stata operata da M. PALMA, Osservazioni sull’aspetto materiale del canzoniere Vaticano, in I canzonieri cit. pp. 43-55. Il tema è stato ripreso in un recentissimo intervento di carattere seminariale, da I. CECCHERINI, La cultura grafica dei copisti del Canzoniere Vaticano latino 3793 all’interno della giornata di studi Storia della scrittura e altre storie tenutasi presso l’Università di Roma La Sapienza il 29 novembre 2010, di cui si sperano a breve gli Atti. 33 Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793 (V); Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. Redi 9 (L); Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Banco Rari 217, già Palatino 418 (P), in edizione fototipica in I canzonieri cit. e ora disponibile in risorsa elettronica I tre canzonieri antichi Vaticano, Laurenziano, Palatino, a cura di L. LEONARDI, allestimento informatico a cura di E. DEGLI INNOCENTI, Firenze 2008.

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delle testimonianze scritte, tutte e non solo quelle di conservazione bibliotecaria ovviamente, attraverso la ricostruzione dei processi e delle tecniche di esecuzione e al contempo l’interpretazione storica dell’ambito sociale di produzione e di fruizione di quelle testimonianze, si è cominciato a illuminare negli ultimi anni un settore della produzione libraria conosciuto ai filologi, un po’ meno ai paleografi: quello del libro manoscritto volgare, raffigurato, ad esempio, dai testimoni di XIV e XV secolo del Decamerone boccacciano34, più tardi tradotto in francese in manoscritti ampiamente miniati, come il Vat. lat. 1989 di Laurent de Premierfait35, piuttosto che il testimone della Cronaca del Villani Chig. L.VIII.29636. Strattonata dalla filologia e dalla storia dei testi e della cultura da un lato e dalla sociologia, dalla linguistica e dall’analisi quantitativa dall’altro, si è ritenuto anche che l’autonomia della disciplina abbia vissuto un periodo di profonda crisi37. Una crisi, quella, che peraltro, se mai realizzatasi, è stata considerata da molti un positivo passaggio formativo perché ha arricchito spesso le risultanze dell’analisi formale38, derivata dall’analisi e dal confronto di manifestazioni grafiche. Se la paleografia è soprattutto disciplina dell’osservazione e del confronto, indispensabile è la conoscenza degli oggetti di quel confronto: 34 M. CURSI, Il Decameron: scritture, scriventi, lettori. Storia di un testo, Roma 2007 (Scritture e libri del medioevo, 5). 35 Il codice, prodotto a Parigi, è databile tra il 1414 e il 1418 ed è la copia più antica, ampiamente miniata, dell’opera di Laurent de Premierfait, che, tra il 1411 e il 1414, con il finanziamento di Bureau de Dammartin, di Premierfait nella diocesi di Troyes, originariamente ricchissimo mercante divenuto nobile e tesoriere di Francia dal 1411 al 1413, approntò l’edizione in francese del Decameron, basandosi sulla traduzione latina preparata dal frate Antonio da Arezzo. La versione latina del Decameron con testo in volgare italiano a fronte, che ha costituito il collegamento diretto tra le due lingue volgari e alla quale Laurent esplicitamente si riferisce, è purtroppo perduta. Cfr. G. DI STEFANO, Il «Decameron» da Boccaccio a Laurent de Premierfait, in Studi sul Boccaccio 29 (2001), pp. 105-136. 36 Vd. C. FRUGONI, L’ideologia del Villani nello specchio dell’unico manoscritto figurato della Nuova Cronica, Firenze 2005; EAD., Il Villani illustrato. Firenze e l’Italia medievale nelle 253 immagini del ms. Chigiano L VIII 296 della Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano – Firenze 2005. 37 È solo il caso di citare, in questa sede, l’intervento di A. PRATESI, Paleografia in crisi?, in Scrittura e Civiltà 3 (1979), pp. 329-333, stimolato dal convegno tenutosi a Perugia nel 1978 Alfabetismo e cultura scritta nella storia della società italiana, per cui si veda A. BARTOLI LANGELI, Ancora su paleografia e storia della scrittura: a proposito di un convegno perugino, ibid., II (1978), pp. 275-294. 38 Si ricorda la nota intervista a Petrucci: Armando Petrucci: una passeggiata per i sentieri della scrittura. Intervista di Antonio Castillo Gómez, professore all’Università di Alcalá de Henares, in Litterae. Cuadernos sobre cultura escrita 2 (2002), pp. 9-37 e il suo ripensamento di una disciplina che trova sviluppo proprio dall’interazione con ambiti scientifici differenti e si rafforza nell’esaminare ogni manifestazione scritta (e non solo manoscritta), per comprenderla non solo formalmente, ma inserendola nel contesto storico e sociale che le è proprio.

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esemplari grafici di conservazione archivistica, così come quelli di scritture epigrafiche o esposte, oppure testimonianze grafiche attribuibili a scriventi alfabetizzati ma non professionisti della scrittura costituiscono spesso il contraltare di scritture presenti su manoscritti, quelli vaticani in prima fila, ma anche quelli di altre raccolte bibliotecarie: ché non c’è forse miglior luogo che nelle nostre discipline per parlare di globalizzazione dell’informazione, in virtù della globalizzazione, che il caso e la storia ha favorito, dei luoghi di conservazione delle testimonianze. Non sarebbe stato possibile utilizzare l’immensa messe di notizie desumibili dall’ingente raccolta Vaticana se non si fosse portata avanti, a partire dall’inizio del XX secolo, una preziosa attività di catalogazione generale dei fondi, che, prima ancora che fungere da strumento di informazione, si configura come un modello di studio dei singoli elementi di una collezione libraria e del suo insieme, catalogazione che, fin da Eugène Tisserant, ha segnato un metodo di studio con cui si sono misurate, spesso con posizioni divergenti, le diverse impostazioni catalografiche proposte negli ultimi 20 o 30 anni. Accanto al lavoro ininterrotto della catalogazione generale, si è voluto sperimentare, anche qui tra i primi, la valenza scientifica nel campo degli studi paleografici, soprattutto per la conoscenza di ambienti culturali produttori di scrittura e non solo di “chef d’oeuvre”, della repertoriazione di codici datati39, grande impresa lanciata dal primo incontro del Comité International de Paléographie latine nel 1953. Impresa fruttuosa, questa, almeno per la conoscenza della produzione del libro nei secoli bassi del Medioevo e nell’età umanistica, che negli anni ’80 del secolo scorso ha accompagnato ricerche sfociate in convegni promossi dalla Biblioteca e continuate in studi successivi40. Oltre alla rinnovata consapevolezza della tipologia e del metodo di arricchimento e risistemazione delle raccolte voluti dai papi bibliofili e umanisti della Roma del ’400, che ha visto impegnati nella biblioteca papale personaggi del calibro del Platina o di Gio39 La collana Codici Latini datati Biblioteca Apostolica Vaticana ha visto il primo volume nel 1997, cfr. Nei fondi archivio S. Pietro, Barberini, Boncompagni, Borghese, Borgia, Capponi, Chigi, Ferrajoli, Ottoboni, Vol. 1: Testo e tavole, a cura di J. RUYSSCHAERT – A. MARUCCHI (Codici latini datati della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1). Molto più recente è il volume di E. CALDELLI, I codici datati nei Vaticani latini, 1-2100, Città del Vaticano 2007 (Codici latini datati della Biblioteca Apostolica Vaticana, 2). 40 Cfr. Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento. Aspetti e problemi, Atti del Seminario 1-2 giugno 1979, a cura di C. BIANCA – P. FARENGA – G. LOMBARDI – A. G. LUCIANI – M. MIGLIO, Città del Vaticano 1980 (Littera antiqua, 1); Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento. Atti del secondo seminario, 6-8 maggio 1982, a cura di M. MIGLIO – P. FARENGA – A. MODIGLIANI, Città del Vaticano 1983 (Littera antiqua, 3). Si veda anche Un pontificato e una città: Sisto IV (1471-1484). Atti del convegno, 3-7 dicembre 1984, a cura di M. MIGLIO – F. NIUTTA – D. QUAGLIONI – C. RANIERI, Città del Vaticano 1986 (Littera antiqua, 5).

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vanni Tortelli e i codici da loro acquisiti o prodotti41, tali ricerche hanno favorito anche la conoscenza dell’opera di tipografi di prima generazione migrati dalla Renania42 e l’attività di copisti di cui poco o nulla si era mai saputo prima di quegli studi, ma che hanno costituito l’humus su cui poi si è potuta sviluppare la produzione libraria romana del XV secolo43. Oggi quella repertoriazione permette di fare qualche passo avanti in un campo, quello della “prosopographie des scribes”, auspicato nell’incontro di Neuchatel nel 198344 e di conoscere la produzione e la scrittura di un copista come, ad esempio, quel Vlessentop, che dall’essere pari al “Carneade” di manzoniana memoria, ora è riconosciuto autore di almeno 11 manoscritti Vaticani di carattere giuridico, redatti nel terzo venticinquennio del ’40045. Aprire un nuovo fronte di indagine catalografica, sui cui esiti ancora si dibatte, è stato, in verità, una fruttuosa quanto coraggiosa sperimentazione46, se si ripensa al confronto, a volte piuttosto acceso, che l’impresa dei cataloghi di codici datati ha suscitato, soprattutto da quando si è privilegiato il metodo di elaborare una descrizione essenziale dei manoscritti, tralasciando l’analisi particolareggiata dei testi e soprattutto la descrizione della scrittura, a fronte della riproduzione fotografica di uno o più fogli, in modo da fornire, in un lasso di tempo limitato, molto materiale per analisi 41 Tra gli altri studi, per il ruolo giocato dal Platina si veda P. PIACENTINI, Platina, la biblioteca Vaticana e i registri di Introitus et Exitus. Da una ricerca di Giuseppe Lombardi, Roma 2009 (RR Inedita, 42). Per il Tortelli si rimanda allo studio sull’epistolario Vat. lat. 3908 di M. REGOLIOSI, Nuove ricerche intorno a Giovanni Tortelli, in Italia Medioevale e Umanistica 9 (1966), pp. 129-196 e al più recente studio di A. MANFREDI, Giovanni Tortelli e il suo copista: riflessioni sul Vat. lat. 1478, in I luoghi dello scrivere da Francesco Petrarca agli albori dell’età moderna. Atti del Convegno internazionale dell’Associazione Italiana dei Paleografi e Diplomatisti, Arezzo 8-11 ottobre 2003, a cura di C. TRISTANO – M. CALLERI – L. MAGIONAMI, Spoleto 2006, pp. 221-242 (Studi e Ricerche CISAM, 3). 42 Vd. ad es. Gutenberg e Roma. Le origini della stampa nella città dei papi (1467-1477), a cura di M. MIGLIO – O. ROSSINI, Napoli 1997. 43 Vd. P. CHERUBINI, Scritture e scriventi a Roma nel sec. XV: gruppi sociali, presenze nazionali e livelli di alfabetizzazione, in I luoghi dello scrivere cit., pp. 277-312. 44 Vd. Les manuscrits datés. Prémier bilan et perspectives. Actes de la réunion des rédacteurs et d’utilisateurs des catalogues des manuscrits datés, Neuchatêl, avril 1983, Paris 1985. 45 Cfr. E. CALDELLI, Vlessentop e gli altri: copisti a Roma nella prima metà del sec. XV, in I luoghi dello scrivere cit., pp. 243-275. 46 Un grande maestro come Augusto Campana, che con la Biblioteca Vaticana e i suoi libri ha sempre avuto un rapporto di forte contiguità, del resto, riprendendo un’espressione di L. Traube, ha definito una “coraggiosa disciplina” la paleografia, quando supera gli schemi di un ripetitivo formalismo e diventa, come l’arte, multimaterica nell’interpretazione del fenomeno grafico; vd. A. CAMPANA, Paleografia oggi. Rapporti, problemi e prospettive di una “coraggiosa disciplina”, in Studi Urbinati, n.s., 41 (1967) [Studi in onore di Arturo Massolo], pp. 1013-1030. Per Augusto Campana e la Biblioteca Vaticana vd. M. BUONOCORE, Augusto Campana e la Biblioteca Apostolica Vaticana, in Quaderni della Rubiconia Accademia dei Filopatridi 18 (1996) [1998], pp. 21-47.

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diversificate, da quelle d’impronta sociologica a quelle sull’archeologia del libro, oppure di carattere storico-economico, sullo sviluppo e la diffusione dell’alfabetizzazione e soprattutto sullo studio, in continua evoluzione, delle scritture del basso medioevo e sulla loro nomenclatura, rinunciando all’analisi euristica di ogni singola testimonianza47. Del resto, fornire alla comunità scientifica internazionale strumenti di conoscenza dei materiali posseduti dalle raccolte vaticane, librari e non, di ambiti culturali e linguistici i più diversificati e in maniera attenta alla tradizione scientifica, ma non sorda alle innovazioni metodologiche, è l’obiettivo che si era posto Franz Ehrle, allora Prefetto della Biblioteca, agli albori del XX secolo, quando iniziò quella che, insieme con la monumentale attività di catalogazione sistematica, è forse la più importante opera editoriale, certamente la più diffusa e compulsata da studiosi di tutto il mondo, come la collana Studi e testi, che ora si avvia a completare la quarta centuria di volumi tematici pubblicati, arricchita, a partire dal 1987, dall’edizione periodica dei Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, destinata a raccogliere contributi di minore ampiezza, ma sempre incentrati su testimonianze conservate nei fondi vaticani: ancora un intellettualmente coraggioso rovesciamento di visuale, una rivista all’interno di una collana di studi. Accanto a questi strumenti a stampa, a partire dalla seconda metà del XX secolo, l’attenzione si è rivolta anche alla conservazione dei materiali librari, non solo nel senso della tutela o del restauro dei manufatti, ma anche e soprattutto nel senso del mettere a disposizione dei ricercatori quei materiali, quelle fonti di studio, accogliendo immediatamente le potenzialità offerte dalle innovazioni tecnologiche e sperimentandole sui “grandi numeri”, il che ha portato alla riproduzione su supporto analogico e poi digitale dei fondi manoscritti della Vaticana, oggi disponibili alla St. Louis University, disponibili per tutti gli studiosi, grazie alle nuove tecnologie della comunicazione multimediale. Ché di coraggiosa sperimentazione si tratta e di assunzione di responsabilità sotto il profilo scientifico, ora come allora, come quando si decise di collaborare con una iniziativa, avveniristica nella metodologia di supporto quanto idealistica negli obiettivi, come la raccolta dei Codices

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Si veda sull’argomento il discorso a distanza tra P. SUPINO MARTINI, Sul metodo paleografico: formulazione di problemi per una discussione, in Scrittura e civiltà 19 (1995), pp. 5-29 e S. ZAMPONI, Esperienze di catalogazione di manoscritti medievali, in Libro, scrittura, documento della civiltà monastica e conventuale nel basso Medioevo (secoli XIII-XV). Atti del Convegno di studio, Fermo, 17-19 settembre 1997, Spoleto 1999, pp. 471-498 riedito con aggiunte col titolo Iniziative di catalogazione di manoscritti medievali, in Studi Medievali s. 3°, 40 (1999), pp. 369-393; ID., Norme per i collaboratori dei “Manoscritti datati d’Italia”, Firenze 2000.

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Latini Antiquiores, anzi di aprire la collezione, nel 193448. Era ben più che continuare sulla scia di quella che è stata chiamata “l’era dei facsimili”, aperta quasi un secolo prima dalle esperienze pionieristiche austriache e francesi49, coraggiose, generose quanto storicamente legate a una visione dello studio della scrittura finalizzato a investigazioni di carattere diplomatistico e archivistico o all’esigenza di far conoscere degli “chef d’oeuvre” conservati in una biblioteca o in un territorio, relativi a una particolare produzione artistica, quella legata al libro. Beninteso, ancora oggi — e forse sempre più nell’era della comunicazione mediatica — mantengono il loro valore le campagne di riproduzioni facsimilari di grande pregio, di cui la Biblioteca Vaticana si è fatta e si fa uno degli editori principi nel panorama mondiale, sia di raccolte documentarie, sia di manoscritti significativi per la storia della cultura, dell’arte, del diritto, del pensiero e della pratica religiosa50 — e soprattutto della religione cristiana — nelle società dell’Oc-

48 E. A. LOWE (ed.), Codices latini antiquiores. A paleographical Guide to latin manuscripts prior to the ninth Century, 12 voll., Oxford 1934-1966 [Vol. I: The Vatican Library, Oxford 1934, riedita a Osnabruck 1982]. La monumentale raccolta di codici latini anteriori al IX secolo è stata arricchita dallo stesso autore in Supplement, 1971 e poi da Bischoff e Brown con Addenda to Codices latini antiquiores, in Mediaeval Studies 47 (1985), pp. 317-366. 49 È noto che Theodor von Sickel fu il primo ad applicare l’arte fotografica, appena inventata, allo studio dei manoscritti, TH. VON SICKEL, Die Texte der in den Monumenta graphica medii aevi enthaltenen Schrifttafeln, Wien 1859-1882, collegato con l’edizione fototipica Monumenta graphica medii aevi ex archivis et bibliothecis imperii Austriaci collecta, edita iussu atque auspiciis ministerii cultus et publicae institutionis Caes. Reg., Vindobonae 1858-1882, opera che è ancora ritenuta tra le più splendide edizioni di tavole con esempi di scrittura latina medioevale. Cfr. W. STELZER, Theodor von Sickel und die Fotographie der 1850er Jahre, Wien – München 2010. Nel mondo scientifico francese due sono le figure che hanno legato lo studio dei manoscritti e la loro catalogazione alla necessità di produrre esemplari fotografici per l’analisi di testi e scritture, Léopold Delisle, fin dalla fondazione del Cabinet des manuscrits della Bibliothèque nationale de France, e poi, a partire dagli anni ’30 del XX secolo, Félix Grat tramite le campagne fotografico-catalografiche promosse dall’Institut de Recherches et d’Histoire des Textes. Nel 1898 la conferenza sulla conservazione del libro, tenutasi a San Gallo promosse la riproduzione fotografica per lo studio dei manoscritti, anche di quelli palinsesti, collegando la sperimentazione della nuova tecnica fotografica con i risultati a cui era giunto Robert Wood sulla fluorescenza. Franz Ehrle — una delle anime del congresso di San Gallo — annunciò in quella sede la nascita della collana Codices e Vaticanis selecti phototypice expressi e di lì a pochi mesi, nel 1899, uscì la riproduzione del Virgilio vaticano (Vat. lat. 3225), cui seguì nel 1902 il Virgilio romano (Vat. lat. 3867) e nel 1905 il De republica di Cicerone (Vat. lat. 5757). Vd. F. EHRLE, Della Conferenza Internazionale di San Gallo (1898), in Rivista delle biblioteche e degli archivi 20 (1909), pp. 113-132. In generale da ultimo vd. M. BUONOCORE, Theodor Mommsen a San Gallo, in Mediterraneo antico 13, 1-2 (2010), pp. 73-120. 50 Tra i grandi “monumenta” dell’Occidente europeo riprodotti, si ricordano qui Il codice di Terenzio Vaticano latino 3226. Saggio critico e riproduzione del manoscritto. Città del Vaticano 1970 (Studi e testi, 262), il cosiddetto Terenzio bembino, oppure il rotolo di Exultet di Montecassino dell’XI secolo, Exultet-Rolle: Vollständige Faksimile-Ausgabe in Originalgrösse

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cidente europeo, ma anche nei tanti momenti di interazione tra culture e organizzazioni sociali differenti e a volte idealmente contrapposte51. Queste attività fanno da sottolineatura all’allestimento di cataloghi per grandi mostre tematiche, come quella di manoscritti vaticani di contenuto liturgico, tenutasi a Colonia nel 1992-199352, dove –per citare solo qualche monumentum latino- il Sacramentario Gelasiano (Reg. lat. 316) trova la sua collocazione storica e quindi di natura testuale, teologica, oltre che di significatività culturale in quanto sintesi alta di tradizione artistica e grafica, accanto all’Evangeliario di Lorsch (Pal. lat. 50), al Sacramentario di Fulda (Vat. lat. 3548), dove il Rotolo di Exultet (Vat. lat. 9820) si accompagna alla Bibbia del Pantheon (Vat. lat. 12958), dove la Bibbia Este (Barb. lat. 613) e l’Evangeliario di Federico da Montefeltro (Urb. lat. 10) si accompagnano al Messale di Mattia Corvino (Urb. lat. 110). È solo un esempio, questo: molte altre sono le esposizioni allestite sia presso la Biblioteca Apostolica, sia in altre sedi con il concorso di essa. Torna in mente l’esposizione legata al quinto centenario dell’emanazione della bolla pontificia Ad decorem militantis Ecclesiae, promulgata il 15 giugno 1475, documento che creava la Biblioteca Vaticana, preceduta, nel 1950, da un’altra mostra, legata ai cinquecento anni dalla costituzione di quel nucleo iniziale di libri, acquistati per volere di Niccolò V con una parte delle elemosine dell’anno giubilare 1450. Una esposizione dei principali e più autorevoli manoscritti del Vecchio e Nuovo Testamento, una vetrina ed insieme una sintesi della storia dell’evangelizzazione, dalle versioni manoscritte ebraiche, a quelle orientali, latine e greche, dal IV al XV secolo fino alla prima edizione maguntina a stampa su pergamena della Bibbia latina53, prodotta probabilmente fra il 1454 e il 1456 da Gütenberg a Magonza è stata la mostra allestita nel 1972, seguita, in maniera significativa, da una esposizione di manoscritti contenenti testi classici latini, trasmessici dalla tarda des Codex vaticanus latinus 9820 der Biblioteca apostolica vaticana, Graz 1975 (Codices e Vaticanis selecti quam simillime expressi, 35). 51 Un solo esempio: il cosiddetto Codice Borgia, un manoscritto rituale e divinatorio originario del Messico precolombiano, Codex Borgia. Biblioteca apostolica vaticana Borg. Mess. 1, Madrid 2008 (Codices e Vaticanis selecti quam simillime expressi, 90). 52 Biblioteca Apostolica Vaticana: Liturgie und Andacht im Mittelalter. Erzbischöfliches Diözesanmuseum Köln 9. Oktober 1992 bis 10. Januar 1993, a cura di J. M. PLOTZEK – U. SURMANN, Stuttgart 1992. 53 BAV, Stamp. Barb. AAA.IV.16-17, conosciuta come “Bibbia delle 42 linee”, stampata in 35 copie su pergamena, tra il 1454 e il 1456, a Mainz da Johannes Gutenberg, Johann Fust e Peter Schoeffer. L’esemplare vaticano è privo di frontespizio e colophon, ma una copia completa conservata alla Bibliothèque nationale de France, riporta la data di completamento dell’opera del rubricatore, Heinrich Cremer, il 24 agosto 1456, che fissa un terminus ante quem per la lunga opera di allestimento dell’edizione, affiancata anche da 150 esemplari in carta.

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antichità all’Umanesimo, per l’opera di devozione dei copisti del Medioevo come per attività di commercio di librarii collegati alle corti signorili del ’400 europeo. E a corredo di quelle mostre, grande importanza rivestono per lo sviluppo delle conoscenze scientifiche, di testi, libri e le loro scritture, oltre che per la valorizzazione dei volumi esposti, i cataloghi redatti per l’occasione54. Più recentemente, la serie delle grandi mostre per il Bimillenario di Cristo ha svolto nel campo scientifico il ruolo significativo di strumento per avanzare proposte di risistemazione delle conoscenze paleografiche e di produzione del libro manoscritto, a partire da modelli alti della tradizione occidentale. In particolare, a questo proposito, si vuole ricordate la mostra itinerante sulle Bibbie Atlantiche55, o quella su I Vangeli dei Popoli56, dove il Codex Claromontanus (Vat. lat. 7223), con la versione pregerolimiana del Vangelo in onciale del V secolo e marginalia in corsiva nuova forse di origine italo settentrionale, si accompagna a uno splendido Evangeliario in maiuscola insulare dell’VIII secolo (Barb. lat. 570), o al coevo Evangeliario Vat. lat. 5465, uno dei più antichi testimoni della liturgia nella città di Roma, scritto in onciale e con l’aggiunta di un fascicolo contenente il Capitolare scritto in una minuscola dello stesso periodo, tanto vicina per Bischoff alla scrittura dell’apparato notulare del codice parigino che riporta l’Antologia Latina, BNF lat. 10318, il cosiddetto Salmasianus57. Il tema dell’evangelizzazione e dell’incontro di religioni si sviluppa, così, tra manoscritti greci, copti, arabi, persiani, e ancora latini, tra cui il ricchissimo Vangelo prodotto a Ratisbona nel 1022-1024 e donato da Enrico II all’a54 Luigi Michelini Tocci e mons. José Ruysschaert, due illustri e grandi studiosi, sono tra i primi divulgatori, anche ad un pubblico più vasto di quello strettamente scientifico, dei grandi tesori della Biblioteca Vaticana. A loro si devono l’ideazione delle mostre citate e la preparazione dei cataloghi, Miniature del Rinascimento. Catalogo della mostra, a cura di L. MICHELINI TOCCI, Città del Vaticano 1950; Quinto centenario della Biblioteca Vaticana, 14751975. Catalogo della mostra, a cura di L. MICHELINI TOCCI, Città del Vaticano 1975; Il Libro della Bibbia: Esposizione di manoscritti e di edizioni a stampa della Biblioteca Apostolica Vaticana dal secolo III al secolo XVI, a cura di L. MICHELINI TOCCI, Città del Vaticano 1972; Survie des classiques latins: Exposition de manuscrits vaticans du IVe au XVe siècle. Bibliothèque Apostolique Vaticane 14 avril – 31 décembre 1973, a cura di J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973. 55 Le Bibbie atlantiche cit. 56 I Vangeli dei popoli. La parola e l’immagine del Cristo nelle culture e nella storia. Città del Vaticano 21 giugno – 10 dicembre 2000, a cura di F. D’AIUTO – G. MORELLO – A. M. PIAZZONI, Città del Vaticano 2000. 57 B. BISCHOFF, Die Hofbibliothek Karls des Großen, in Karl der Große: Lebenswerk und Nachleben, II. Das geistige Leben, Düsseldorf 1965, pp. 233-254, riedito in Mittelalterliche Studien 3, Stuttgart 1981, pp. 5-38. Trad. it. Centri scrittorii e manoscritti mediatori di civiltà dal VI secolo all’età di Carlo Magno, in Libri e lettori nel Medioevo. Guida storico e critica, a cura di G. CAVALLO, Bari 1977, pp. 47-72; 243-272.

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bazia di Montecassino (Ott. lat. 74), forse testimone di un innesto di gusto mitteleuropeo nell’arte ornamentale cassinese di pieno XI secolo, fino al trionfo grafico e artistico della Bibbia Urbinate (Barb. lat. 1-2) scritta fra il 1476 e il 1478 nella bottega di Vespasiano da Bisticci per Federico da Montefeltro. Ma tali esempi e la citazione pedissequa delle segnature dei codici citati, quasi a “cogliere fior da fiore”, vogliono servire per sottolineare fatti importanti quanto ovvi, proprio perché universalmente conosciuti e riconosciuti, in primo luogo la molteplicità degli apporti di testimonianze culturali sedimentate in secoli di acquisizioni e esplicitate dalla varietà dei fondi di cui le segnature di quei manoscritti recano il segno. È come se per molti di essi la Vaticana costituisca l’approdo di una lunga odissea o di un lungo interessante viaggio, un percorso che, sulla base di testimonianze documentali, storiche o letterarie, è riassunto magistralmente dalle ricostruzioni dell’origine di quei fondi, portate avanti negli ultimi 40 anni da studiosi di provenienza internazionale, oltre che da scriptores della Biblioteca. Essi ne hanno seguito le vicende da Avignone al Laterano e poi nel formarsi degli antichi fondi e nella costituzione delle raccolte, seguendo le vie delle biblioteche signorili o principesche, così come di quelle di umanisti e collezionisti moderni58, tanto che in alcuni casi, come per i tanti codici di origine tedesca, conservati soprattutto nel Fondo Palatino, è possibile percorrere un immaginario ma concretissimo “Rundgang” tra la produzione di Lorsch, Reichenau, Heidelberg o San Gallo dal VII al XVI secolo, come di una biblioteca nella Biblioteca59. Sulla scorta dei codici Vaticani e della parola che essi hanno avuto e hanno dato all’interno del dibattito internazionale, si sustanziano, in tal modo, le splendide sintesi storiche e epistemologiche elaborate in tempi più o meno recenti relative allo sviluppo degli studi paleografici, a partire dai contributi per la celebrazione del centenario della fondazione della Scuola per Archivisti e bibliotecari di Roma60, o di quello della Scuola Vaticana61 e poi dei 50 anni dell’istituzione del Comité International de

58 Si tratta di opere complessive sulla storia della formazione del patrimonio librario, indicate in base all’arco cronologico di interesse, da F. EHRLE, Historia Bibliothecae Romanorum Pontificum tum Bonifatianae tum Avenionensis, I, Romae 1890, con gli Addenda di A. PELTZER [Città del Vaticano 1947] a A. MANFREDI, La nascita della Vaticana in età umanistica da Niccolò V a Sisto IV, in Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), a cura di A. MANFREDI, Città del Vaticano 2010 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1). 59 Cfr. W. BERSCHIN, Die Palatina in der Vaticana. Eine deutsche Bibliothek in Rom, Stuttgart 1992. 60 Un secolo cit. 61 Cento anni di cammino cit.

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Paléographie Latine62 e recentissimamente agli “aggiornamenti” del convegno di Lubjiana promosso dal Comité63. Non vorrei ripetere per l’ennesima volta — ma corre l’obbligo di farlo — che “passaggio di meta” per gli studi sulla scrittura in ambito occidentale, non solo latina, quindi, ma che dalla scrittura latina prendono origine, è stata la pubblicazione di Paléographie romaine nel 195264, che ha chiuso con la tradizionale paleografia descrittivo-classificatoria e ha aperto la stagione della visione globale delle testimonianze grafiche, da qualsiasi supporto esse siano veicolate. Il De bellis macedonicis (London, British Library, POxy. I, 30 già Pap. 1532) e l’Epitome di Livio (London, British Library, POxy. IV, 668 già Pap. 745), che stanno al centro dell’analisi sul passaggio dalla maiuscola alla minuscola in età romana e supportano la definizione e l’impatto dell’angolo di scrittura sul cambiamento del tratteggio (il ductus di Mallon), non fanno parte delle raccolte Vaticane, ma nella valutazione della scrittura di famosissimi codici Vaticani sono entrate in ballo negli anni successivi la pubblicazione del trattato65, in una discussione ampia, intessuta da subito a livello internazionale e capace ancora oggi di marcare elementi di novità, proprio prendendo spunto dalla discussione sull’angolo di scrittura e sulla sua incidenza nella modificazione di forme maiuscole e capitali, fino a giungere a mettere fortemente in dubbio 62

Cfr. Tagung cit. Si spera che presto saranno pubblicati i contributi delle giornate di studio incentrate sulle metodologie di analisi e riconoscimento degli autografi medievali, tra cui interessanti sono le opportunità offerte dalle nuove tecnologie informatiche applicate alla digitalizzazione delle forme grafiche. Un tema, questo, su cui si è soffermato GEORG VOGELER, Paleography and codicology in the digital age, che anticipa i temi del Convegno Analyse d’image et paléographie systématique (Parigi, 14 aprile 2011), promosso dall’IRHT. 64 J. MALLON, Paléographie romaine, Madrid 1952 (Scripturae, monumenta et studia, 3). Per una attenta disamina dell’ampia bibliografia sulla scrittura latina di età romana dagli anni ’50 del secolo scorso al volgere del secolo e una puntualizzazione sullo status quaestionis, si veda T. DE ROBERTIS, La scrittura romana, in Tagung cit., pp. 221-244. 65 Una sintesi del dibattito sull’angolo di scrittura è in M. PALMA, Per una verifica del principio dell’angolo di scrittura, in Scrittura e Civiltà 2 (1978), pp. 263-273; si veda anche G. NICOLAJ PETRONIO, Osservazioni sul canone della capitale libraria romana tra I e III secolo, in Miscellanea in memoria di Giorgio Cencetti, Torino 1973, pp. 3-27, che, in accordo con Casamassima e Tjäder, ridimensiona il peso dell’angolo di scrittura come fattore determinante dei mutamenti morfologici della scrittura romana; vd. CASAMASSIMA – STARAZ, Varianti e cambio grafico cit.; J. O. TJÄDER, Die nichtliterarischen lateinischen Papyri Italiens aus der Zeit 445-700, I, Lund 1955. Ovviamente i temi evocati dall’impostazione di Mallon non si fermano all’individuazione tecnica dell’angolo di scrittura, ma investono il campo teorico di interesse della disciplina paleografica e gli strumenti di analisi suoi propri, che ancora oggi hanno la forza di generare discussioni metodologiche di investigazione in relazione e non con discipline contermini o epistemologicamente differenti, come accenna nel suo saggio DE ROBERTIS, La scrittura romana cit., pp. 224-226. 63

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che ci sia stato mai uno spartiacque cronologico tra l’adozione dell’angolo “chiuso” e di quello “aperto”, né che il De Bellis sia perciò stesso anteriore all’Epitome66, tanto che non si può sostenere solo su fatti tecnici una periodizzazione cronologica del cambio grafico, almeno fino a che la scrittura non si organizza in un sistema chiuso e acquisisce un canone o uno stile. Sarebbe, insomma, sia per l’età antica che per quella medievale, l’elemento sovrastrutturale della costruzione di sistemi chiusi a determinare scelte tecniche67 e non viceversa. Attorno all’analisi delle caratteristiche morfologiche — sfuggenti spesso, perché si tratta di testimonianze di scrittura volutamente arcaizzante e mimetica68 — dei sette testimoni “antiquiores” dell’opera virgiliana, di cui quattro sono i cimeli vaticani, la discussione si è sviluppata, a volte subendo accelerazioni e a volte seguendo percorsi carsici e ridefinizioni cronologiche basate sull’esame delle occorrenze papiracee di età romana69. Il ragionamento ruota fin da subito intorno a un elemento rivestito 66 In base a tale convincente proposta interpretativa, allora, si dovranno rivedere anche modi e tempi della genesi della scrittura onciale, da investigare sia nella sua fenomenologia in testimonianze letterarie e documentarie, sia nelle applicazioni su supporto papiraceo e pergamenaceo, vd. G. CAVALLO, Problemi inerenti l’angolo di scrittura alla luce di un nuovo papiro: P.S.I. Od.5, in Scrittura e Civiltà 5 (1980), pp. 337-344, rist. in Il calamo e il papiro. La scrittura greca dall’età ellenistica ai primi secoli di Bisanzio, Firenze 2005 (Papyrologica Florentina, 36), pp. 85-90. 67 Pur percorrendo altre vie, Costamagna, nei suoi geniali interventi che applicano per primi le tesi dello strutturalismo all’analisi dei fenomeni grafici, giunge alle stesse conclusioni teoriche. Tra tutti si segnala G. COSTAMAGNA, Paleografia latina. Comunicazione e tecnica scrittoria, in Introduzione allo studio della storia, a cura di L. BULFERETTI, Milano 1968, pp. 123-171, rist. in ID., Studi di paleografia e diplomatica, Roma 1972 (Fonti e Studi del Corpus membranarum Italicarum, 9), pp. 123-174. 68 Si accenna solamente qui alla lunga diatriba circa la datazione proposta per il Virgilio augusteo, Vat. lat. 3256 + Berlin, Staatsbibliothek Preussicher Kulturbesitz, Lat. Fol. 416, dovuta alla ricercata somiglianza morfologica della scrittura con la maiuscola epigrafica del frontone del Pantheon a Roma, che ha indotto a attribuire al I secolo d. C. un prodotto librario, invece, di V-VI secolo, in cui la capitale, semmai, tradisce influenze nel tratteggio e nella pesantezza dei tratti sia dalla capitale epigrafica damasiana di IV secolo che dalla canonizzata scrittura onciale coeva di ambito romano; cfr. A. PETRUCCI, Per la datazione del “Virgilio Augusteo”. Osservazioni e proposte, in Miscellanea in memoria di Giorgio Cencetti cit., pp. 2945. Che il sistema grafico della capitale libraria, ormai nel V-VI secolo, sia permeabile a influenze dell’onciale, non solo latina ma anche greca, soprattutto nel linguaggio stilistico e nei meccanismi di esecuzione, pare ravvedersi in ambienti di stretta coabitazione delle due culture, come Ravenna, tanto da far avanzare l’ipotesi che siano originari di quel territorio altri due “Virgili”, il Pal. lat. 1631, il cosiddetto Virgilio palatino e il Vat. lat. 3867, il cosiddetto Virgilio romano; cfr. G. CAVALLO, La cultura scritta a Ravenna tra antichità tarda e alto medioevo, in Storia di Ravenna. Dall’età bizantina all’età ottoniana, a cura di A. CARILE, II/2, Venezia 1992, pp. 79-125. 69 Una sintesi bibliografica si può leggere in CHERUBINI – PRATESI, Paleografia latina cit., pp. 55-61; per l’ambito di fruizione dei manoscritti virgiliani si sottolinea il contributo di G.

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di una certa attendibilità, la possibilità di fissare la data della fattura di un esemplare di conservazione non Vaticana, il codice di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana Plut. 39.1, il cosiddetto Virgilio mediceo con scolii, in base alla determinazione dell’opera di correzione e commento grammaticale svolta dal console Turcio Rufio Aproniano Asterio nel 494, come si evince dalla sottoscrizione del codice70. Sennonché, quella data che porterebbe una datazione esplicita se non della sua fattura almeno dell’opera di correctio, distinctio e emendatio71 del codice virgiliano, è diventata, in assenza di altri elementi certi, la pietra angolare per la datazione degli altri esemplari e si sono posti in second’ordine, se non persi di vista, altri segni che sono offerti da quel codice e da un altro testimone, il Virgilio vaticano, Vat. lat. 3225, per comprendere il contesto culturale in cui essi si inseriscono e che contribuisce a spiegare il perché del loro aspetto materiale e degli stili grafici in essi rappresentati, in rapporto a quelli degli altri esemplari virgiliani. I due manoscritti virgiliani citati sono localizzabili con notevole verosimiglianza a Roma, al pari di altri esemplari come il Virgilio romano (Vat. lat. 3867) e l’augusteo (Vat. lat. 3256), tutti testimonianza alta di quel nuovo programma editoriale, favorito dalla diffusione della nuova formalibro, il codice, che poteva raccogliere in un unico “contenitore” una silloge completa di opere. Uno strumento, questo, che, se nelle scuole molto lentamente si stava affiancando al tradizionale, ma meno capiente, volumen, sottoforma di libro maneggevole, contenuto nel prezzo e in genere scritto in minuscola corsiva più o meno accurata, nel campo dell’utenza non scolastica presentava le forme grafiche della capitale di imitazione classica e dell’onciale, ormai canonizzata e caricata di dignità di scrittura letteraria, per la pubblicazione di opere di autori considerati classici dal pubblico contemporaneo. A questi, possono affiancarsi altri esemplari Vaticani testimoni di testi di autori classici, quali il Terenzio detto bembino Vat. lat. 3226, o la raccolta di membra disiecta di più manoscritti presente nella scriptio inferior dell’attuale Pal. lat. 24, o il Giovenale e Persio palinsesto Vat. lat. 5750, o il Sallustio Reg. lat. 1283 B (+ Orlèans, BM 192 + CAVALLO, Libro e cultura scritta, in La storia di Roma. IV. Caratteri e morfologie, Torino 1989, pp. 693-734. 70 A. PRATESI, Sulla datazione del Virgilio Mediceo, in Rend. Lincei, s. 8°, 1 (1946), pp. 396411, rist. in ID., Frustula palaeographica, Firenze 1992 (Biblioteca di «Scrittura e civiltà», 4), pp. 153-164. Si veda da ultima G. AMMANNATI, Ancora sulla sottoscrizione del console Asterio e sulla datazione del Virgilio Mediceo, in Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici 58 (2007), pp. 227-239. 71 Sui tempi e le modalità di allestimento del ms. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana Plut. 39.1 e gli ambiti di circolazione dei codici tardo antichi superstiti, in particolare dei “Virgili”, si rimanda a Itinerari di testi antichi, a cura di O. PECERE, Roma 1991, pp. 59-62.

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Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitze lat. Qu 364). A fronte di testimonianze papiracee provenienti da ambienti sicuramente scolastici che presentano minuscole corsive o semionciali72, in onciale è scritto il codice del De Republica ciceroniano, il celebre Vat. lat. 5757. In questo modo di intrecciare il rapporto tra testo, manufatto librario, scrittura e scritture con l’ambito di circolazione di quei libri, non domina solamente uno scopo euristico, cioè di studio e posizionamento cronologico dei singoli testimoni, si affina, invece, un principio interpretativo della scrittura nel suo flusso storico e nel suo significato sociale, nonostante i momenti di interruzione di continuità. In questo scenario culturale, Virgilio, l’autore classico per antonomasia, porta con sé l’allestimento di libri di altissimo livello compositivo, scritti in capitale. Ma anche all’interno di questo sottoinsieme ci sono delle differenze che ci parlano di distinti ambiti di fruizione delle edizioni virgiliane e, cosa che qui maggiormente interessa, di differenti atteggiamenti della stessa scrittura capitale. Il Virgilio romano e il Virgilio augusteo sono volumi di grandi dimensioni, scritti in una capitale monumentale, sono libri di lusso, ma scorretti nel testo, libri da esporre come una novità editoriale più che da leggere e quindi libri intonsi. Il Virgilio vaticano, al pari del mediceo, invece, è un volume di formato medio e che porta un testo molto castigato; in più, il codice di Firenze è corredato di un ampio apparato notulare scritto in una maiuscola ibrida che tradisce la derivazione da un ambiente scolastico di livello superiore della mano del postillatore, Aproniano Asterio. Ben lungi dall’essere stati pensati per un circuito scolastico, in virtù del loro livello esecutivo che li colloca appieno tra i libri di pregio, questi due codici sono, invece, esempi di quel nuovo programma editoriale destinato a un pubblico ricco costituito da colti e attenti lettori73. Ci si è soffermati sui codici virgiliani della Tarda Antichità proprio perché, a partire dalla valutazione dei fatti grafici da essi rappresentati e con il proposito iniziale di individuare una loro cronologia relativa, il metodo paleografico si è nei fatti arricchito, grazie al confronto con discipline contermini, come la filologia postlachmaniana e la storia della cultura. In questo processo di arricchimento dell’analisi formale della scrittura, a partire dal secondo dopoguerra, si sviluppa mano a mano una nuova metodologia di analisi, che tien conto della lezione di un altro gigante degli studi paleografici (non credo di peccare di cieca partigianeria nel voler citare solo lui insieme a Mallon), che è stato Giorgio Cencetti e del suo pres72 Ad es. il POxy 2401 delle Fabulae terenziane presenta anche distinciones di carattere grammaticale e metrico. 73 Per una profonda analisi della produzione editoriale di età tardo antica, si rimanda ai contributi in Itinerari di testi antichi cit.

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sante se non categorico invito a cercare nella scrittura usuale il “perché” e il “come” dell’evoluzione grafica. In quella temperie di rinnovamento non solo delle idee, ma anche della strumentazione a supporto dello sviluppo di quelle idee, ci si avvale fin da subito delle grandi potenzialità per una disciplina, che è innanzitutto basata sull’osservazione e sul confronto, offerte dalla nascente stagione delle campagne di riproduzione fototipica non solo di Codices tardo antichi e altomedievali, iniziata già prima del secondo conflitto mondiale, come si è ricordato, ma anche e soprattutto di Chartae, iniziativa mastodontica quanto utile che vede il suo primo apparire nel 1954 e che oggi si riveste di rinnovato interesse74. Fin da subito, si recepisce il valore della lezione malloniana e della scuola franco-belga con l’arricchimento apportato dal dibattito sviluppatosi a partire dall’intervento cencettiano sulla scrittura latina di età romana75. Interventi puntuali, pubblicati in Italia, in Francia, in Svezia essenzialmente, comparano le forme grafiche riconducibili al sistema della capitale con testimonianze di scrittura maiuscola e capitale su papiro, prendendo in esame esempi di derivazione letteraria accanto ad attestazioni di origine non letteraria76. Si dibatte sul concetto di ductus e sulla sua reale incidenza sulla morfologia della scrittura, sul metodo dell’expertise paleografica, sull’importanza o indifferenza del nominare le scritture, 74 Alla collana delle Chartae latinae antiquiores. Facsimile-Edition of the Latin Chartes Prior to the Ninth Century, voll. I-XLVII, Dietikon – Zürich 1954-1988 (ChLA), fondata da Albert Bruckner e Robert Marichal, si è aggiunta la nuova serie, diretta da Giovanna Nicolaj e Guglielmo Cavallo, Chartae Latinae Antiquiores. Facsimile-Edition of the Latin Chartes, 2nd series, Ninth Century, voll. L-, Dietikon – Zürich 1997-, che significativamente si apre con la sistemazione della prima serie, di cui continua la numerazione progressiva, in quanto i primi due volumi pubblicati, XLVIII e XLIX, contengono l’uno aggiunte e correzioni e l’altro indici e concordanze, ambedue editi nel 1998. Per l’importanza, non solo sotto il profilo diplomatistico ma soprattutto sotto quello paleografico, dell’edizione facsimilare della documentazione altomedievale, si rimanda a G. CAVALLO, Il contributo delle ChLA agli studi paleografici. Tre schizzi, in Mensch und Schrift. Die Privaturkunden der Karolingerzeit. Atti del convegno St. Gallen (CH), 20-23 September 2006, a cura di P. ERHART – K. HEIDECKER – B. ZELLER, Dietikon – Zürich 2009, pp. 237-242. 75 A partire da R. MARICHAL, Paléographie précaroline et papyrologie, in Scriptorium 1 (1946-1947), pp. 1-5; 4 (1950), pp. 116-142; 9 (1955), pp. 127-149, per continuare con G. CENCETTI, Ricerche sulla scrittura latina dell’età arcaica, in Bullettino dell’Archivio Paleografico Italiano, s. 2°, 2-3 (1956-57), pp. 175-205, rist. in ID., Scritti di paleografia cit., pp. 136-169 e con A. PETRUCCI, Per la storia della scrittura romana: i graffiti di Condatomagos, in Bullettino dell’Archivio Paleografico Italiano, s. 3°, 1 (1962), pp. 85-132, oppure J. O. TJÄDER, Die Forschungen Jean Mallons zur römischen Paläographie, in Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung 61 (1953), pp. 385-396. 76 Solo per portare qualche esempio, vd. PETRUCCI, Per la storia della scrittura romana cit.; TJÄDER, Die nichtliterarischen lateinischen Papyri cit.; R. MARICHAL, Découverte de tablette de bois écrites à l’encre à Vindolandia (Northumbeerland), in Journal des Savants 1975, pp. 113120.

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sul concetto di modificazione o evoluzione grafica in relazione con quello di scrittura “normale”, su quello, infine, di corsività, senza mai perdere di vista il rapporto di interscambio di informazioni con altre discipline che ruotano intorno alla scrittura, così come sulla necessità di prendere in esame tutte le testimonianze, non solo quelle librarie o documentarie, per comprendere le dinamiche del processo grafico77. Se l’ampio dibattito, che ha percorso tutta la seconda parte del XX secolo fino a costituire l’asse portante degli studi paleografici attuali, ha coinvolto testimonianze grafiche di molteplice derivazione78, pure esso trova la propria origine e la propria vitalità ancora oggi nell’analisi dei codici virgiliani tardo antichi e dei coevi manoscritti in maiuscola79. È proprio a partire dai testimoni Vaticani, come si è visto, in tempi e modi che seguono lo sviluppo del pensiero paleografico sulla scrittura e le sue funzioni, al fine di rispondere ai quesiti posti dall’osservazione delle forme grafiche e del loro evolversi, rifluire, fissarsi in canone, che si introduce il concetto del rapporto tra scrittura, testo tradito e ambienti in cui “quel” testo e “quel” libro ha circolato o che almeno “quel” libro con “quel” testo hanno voluto, dei livelli e delle modalità di scolarizzazione e acculturazione da quei libri e da quelle scritture testimoniata80, del ruolo culturale giocato da simili prodotti di alto livello compositivo e, per ultimo ma non ultimo, direi, del processo materiale di fattura, dei supporti e delle modalità di conservazione e di utilizzo in età romana e tardo antica dei materiali librari di pregio in confronto con quelli contenenti letteratura di

77 Si rimanda ad alcuni passaggi sul concetto di scrittura “normale” in età romana contenuti in A. PETRUCCI, Digrafismo e bilettrismo nella storia del libro, in Syntagma. Revista del Inst. de Historia del Libro y de la Lectura 1 (2005), pp. 53-66. Per un’ampia disamina su tali temi e per gli studi recenziori e recentissimi, si rimanda a DE ROBERTIS, La scrittura romana cit. 78 Vd. G. BARTOLETTI – I. PESCINI, Fonti documentarie in scrittura latina. Repertorio (sec. VI a. C.-VII d.C.), prefazione di A. PETRUCCI, Firenze 1994 (Biblioteca di «Scrittura e civiltà», 5). 79 Da ultimo si veda P. RADICIOTTI, Virgilio: le fonti di interesse papirologico esaminate da un paleografo, in Scripta. An International Journal of Codicology and Palaeography 3 (2010), pp. 89-96. 80 È opportuno almeno un rimando all’opera determinante di introduzione di tali principi di analisi svolta da Armando Petrucci, per cui si rinvia al lucido intervento di P. SUPINO MARTINI, Da Giorgio Cencetti ai giorni nostri, in Un secolo di paleografia e diplomatica cit., pp. 37-80, in particolare pp. 64-76, che, benché datato, sottolinea in maniera piena il contributo di innovazione fornito dallo studioso alla metodologia di comprensione dei fatti grafici. Rispetto all’interpretazione di manoscritti virgiliani, oltre al già ricordato PETRUCCI, Per la datazione del “Virgilio Augusteo” cit., si sottolinea la sintesi ID., Virgilio nella cultura scritta romana, in Virgilio e noi, Genova 1982 (Pubblicazioni dell’Istituto di Filologia classica e medievale. Università di Genova. Facoltà di Lettere, 74), pp. 51-72.

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consumo, di intrattenimento o testi di carattere tecnico-scientifico, nella sia pur variegata koiné scrittoria e culturale greco-latina81. Il processo di affinamento della metodologia di confronto tra attestazioni grafiche latine di origine occidentale e greco-egizia, ampliando e diversificando il livello grafico espresso dai materiali di varia natura fisica da prendere in considerazione per operare un confronto efficace, ha portato negli ultimi anni alla definizione di uno scenario grafico del tutto nuovo che per certi versi ha scompaginato l’idea di svolgimento della scrittura romana tra I e IV secolo, della cronologia di alcune delle testimonianze librarie più significative e, con esse, delle teorie scientifiche finora accreditate sull’utilizzazione di materiali papiracei e pergamenacei come supporto librario. Tutto ruota ancora intorno a un codice Vaticano, il manoscritto Pal. lat. 24, un volume palinsesto, che presenta nella scriptio superior i libri di Tobia, Giuditta, Esther, Giobbe dell’Antico Testamento in scrittura onciale del VII secolo e nella scriptio inferior frammenti di codici contenenti testi classici, di cui alcuni scritti in capitale, fra i quali parti delle opere di Livio, Lucano, Gellio82, fogli messi insieme da codici differenti e erasi. La scrittura dei frammenti palinsesti, nel suo complesso, non può essere ricondotta a una unitarietà di ambiente di produzione o addirittura di “scuola”, quale invece pare ravvisarsi in altri codici in capitale, come, ad esempio nell’impianto generale del Virgilio romano e del Virgilio palatino. Si è potuta individuare solamente, nella sezione contenente Livio, una generica somiglianza della scrittura con quella del Virgilio mediceo nel modulo stretto delle lettere, nel tratteggio di alcune di esse, piuttosto che nella tendenza 81 Sul tema dell’interrelazione tra scrittura latina e scrittura greca si sofferma già F. MASAI, La paléographie gréco-latine ses tâches, ses méthodes, in Scriptorium 10 (1956), pp. 281302, ma è certo con Alessandro Pratesi che l’idea si formalizza e finalmente trova una sistemazione scientifica definitiva con Guglielmo Cavallo. A tale proposito si citano solamente, del primo, A. PRATESI, Gli orientamenti della Paleografia latina negli ultimi decenni, in Cento anni di cammino cit., pp. 73-83, rist. in ID., Frustula palaeographica cit., pp. 113-123; del secondo, G. CAVALLO, La κοινή scrittoria greco-romana nella prassi documentaria di età bizantina, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 19 (1970), pp. 1-31, rist. in ID., Il calamo e il Papiro cit., pp. 43-71; ID., Scrittura greca e scrittura latina in situazione di multigrafismo assoluto, in L’écriture: le cerveau, l’oeil et la main cit., pp. 349-62. 82 Di tutti i frammenti erasi, sono scritti in capitale quelli corrispondenti agli attuali ff. 11-14 con brani dai libri VI e VII dei Pharsalia di Lucano, i ff. 46, 53 che riportano parti della Gratiarum actio pro Carthaginiensibus di Frontone, i ff. 73,75, 76, 78 con brani tratti da Livio, Ab Urbe condita lib. XCI, i ff. 72, 79, 80, 82-85, 87-99, 102-121, 129-176 tratti da un volume delle Noctes Acticae di Aulo Gellio. Il codice è stato ampiamente esaminato da A. PRATESI, Considerazioni su alcuni codici in capitale della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Mélanges Eugène Tisserant, VII, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 237), pp. 243-254, rist. in ID., Frustula Palaeographica cit., pp. 165-176, da cui si cita.

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dell’angolo di scrittura a mantenersi vicino ai 90° o nell’uso di lettere più grandi all’inizio di pagina, che ha indotto a ritenere il codice originario di Livio composto a Roma alla fine del V secolo83. Analogamente la scrittura della sezione portante l’opera di Lucano, benché di esecuzione poco accurata, è stata assimilata genericamente a quella del Terenzio bembino, Vat. lat. 3226, e posizionata nella seconda metà del V secolo; anzi, probabilmente, proprio a guardare in quest’ultimo testimone certe leziosità e certe esasperazioni nel tratteggio di lettere come la H e la T, si sarebbe portati a pensare che il codice di Terenzio, prodotto nello stesso ambiente dell’originario esemplare lucaneo, manifesti una evoluzione nel gusto rispetto a quello e sia di poco posteriore, tanto da potersi attribuire alla fine del V se non all’inizio del VI secolo84. Allo stesso periodo e a un ambiente in cui era uso adoperare sia il sistema grafico della capitale che quello dell’onciale, come si può riscontrare anche nel Sallustio Reg. lat. 1283 B, è attribuita la scrittura del frammento dell’opera di Frontone. Si tratterebbe, quindi, di poter riconoscere testimonianze di una attività grafica non certo di un’unica scuola, ma propria di un ambiente culturale molto ampio e allo stesso tempo ben identificabile, come l’area italica tra V e VI secolo, periodo in cui alla capitale si affiancava sempre più regolarmente la scrittura onciale, che alla prima avrebbe trasmesso accorgimenti stilistici, quali la tendenza alla rotondità del tratteggio e alla fluidità dei segni di coronamento, la tendenza ad allargare l’angolo di scrittura e di conseguenza una variazione dell’andamento chiaroscurale85. Un certo “stupore” paleografico, però, ha suscitato la sezione del manoscritto Pal. lat. 24 (Tav. I) contenente l’opera di Gellio, il cui “virtuosismo” grafico86, legato a quella che si è detta artificiosa imitazione di modelli antichi, cui fa da contrappunto un angolo di scrittura allargato e la rottura 83 Così PRATESI, Considerazioni cit. pp. 170-171, confortato in ciò da E. A. LOWE, Some facts about our oldest latin manuscripts, in The Classical Quarterly 19 (1925), pp. 197-208, anche se nel 1934 lo stesso studioso porrà la datazione della scrittura del frammento di Livio al IV secolo, CLA, I, 75 84 Cfr. A. PRATESI, Considerazioni cit. p. 172. Per il codice di Terenzio e la sua datazione al V-VI secolo vd. ID., Appunti per la datazione del Terenzio Bembino, in Palaeographica, Diplomatica et archivistica. Studi in onore di G. Battelli, Roma 1979, (Raccolta di studi e testi, 139), pp. 71-84, rist. ID., Frustula palaeographica cit., pp. 177-189, anche se da più parti si è avanzata una collocazione del codice al IV secolo (Lowe, Bischoff, Mallon, Prete), per cui si rimanda al contributo qui citato e massimamente a p. 178 note 5 e 6, p. 181 nota 9. 85 PRATESI, Considerazioni cit., p. 174-75. Si veda anche in CLA, VIII, 1069 l’attribuzione allo stesso ambiente del Virgilio vaticano dei sei fogli della Vetus Latina in onciale, la cosiddetta Itala di Quedlimburg, ms. Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, theol. lat. fol. 485. 86 Il termine molto efficace è adottato in PRATESI, Considerazioni cit. p. 172; per la trattazione di questa sezione del manoscritto si veda ibid., pp. 172-173.

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sistematica del bilinearismo perfetto, ha portato a pensare a un prodotto individuale, lontano da norme di scuola e riferibile, benché senza confronti, al IV secolo: lo confermerebbero proprio certi elementi formali, come la G caudata o la E dalla forma tondeggiante, o la T con traversa sviluppata a sinistra, che farebbero pensare a un copista non ignaro della nuova scrittura normale onciale, il cui canone si stava formando proprio nel IV secolo. Prodotto eccentrico e isolato, quindi, il codice originario di Gellio, comparabile con l’eccentricità rilevabile nella scriptio inferior delle pp. 6768 e 78 del manoscritto Vat. lat. 5750 che riportano opere di Giovenale e Persio87 (Tav. II). Sennonché un frammento papiraceo delle Historiae di Sallustio ritrovato a Ossirinco88 permette di avanzare nuovi elementi di riflessione in una materia, quella della periodizzazione della scrittura capitale e soprattutto dei grandi codici virgiliani, che sembrava sufficientemente sceverata. Il papiro Rylands, dal punto di vista materiale, tradisce la buona qualità dell’originario supporto, che nel corso del tempo si è degradato e ha fatto sì che il rotolo fosse ridotto a materiale di riuso, come mostra la presenza di un testo astronomico in greco nel verso89, che costituisce senz’altro un terminus ante quem per la fattura del volumen originario. Il Lowe90, forse attratto dalla communis opinio della datazione della capitale latina, attribuisce la scrittura del verso al IV secolo, datando conseguentemente al secolo precedente l’esemplare latino del recto, esemplare che Seider 87 Una vaga somiglianza grafica, che non può giustificare una produzione di scuola, è stata rilevata anche con la scriptio inferior del Reg. lat. 2077, che tramanda brani delle Verrine ciceroniane, in cui, alla pari del frammento di Gellio, si riscontra una caratteristica materiale particolare: il primo foglio recto e l’ultimo foglio verso di ogni fascicolo sono lasciati in bianco. 88 CLA, Suppl. 1721 = Manchester, John Rylands Library, 473(1), acquisito dalla biblioteca nel 1917 e pubblicato per la prima volta da C. H. ROBERTS, Catalogue of the Greek and Latin Papyri in the John Rylands Library, III, Manchester 1938, pp. 56-63. Lowe in CLA cit. data il frammento al II-III secolo basandosi sul fatto che nel verso del papiro è stato trascritto un trattato astronomico greco attribuibile alla fine del III o inizi del IV secolo, datazione confermata, sulla base dello studio del canone scrittorio della capitale, da NICOLAJ PETRONIO, Osservazioni sul canone cit., mentre R. SEIDER, Paläographie der lateinischen Papyri, Bd. I Urkunden. Bd. II, 1 Literarische Papyri. Bd. II, 2 Juristische und Christliche Texte. Stuttgart 1972-1981 situa il frammento al III-IV secolo. Il papiro è stato recentemente studiato da G. CAVALLO, Per la datazione del frammento Rylands delle “Historiae” di Sallustio, in Studi latini in ricordo di Rita Cappelletto, Urbino 1996 (Ludus philologiae, 7), pp. 63-69. 89 Un rotolo papiraceo di buona qualità si depaupera, in genere, entro 100 anni dalla sua produzione, cfr. E. TURNER, Recto and Verso, in Journal of Egyptian Archaeology 40 (1954), pp. 102-126. Si veda anche ID., The Terms “Recto” and “Verso”, in The Anatomy of the Papyrus Roll. Actes du XVe Congres International de Papyrologie, a cura di J. BINGEN – G. NACHTERGAEL, Bruxelles 1978-1979 (Papyrologica Bruxellensia, 16-19), I, pp. 26-53, tradotto “Recto” e “verso”. Anatomia del rotolo di papiro, Firenze 1994. 90 CLA, Suppl. 1721 cit.

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sposta addirittura ancora più avanti91, anche se Nicolaj vi riconosce una certa somiglianza con alcune tipizzazioni più antiche92. La scrittura del trattato di astronomia, però, alla luce di studi recenti, è risultata essere una maiuscola alessandrina delle origini, il che permette di assegnarla alla prima metà del II secolo d.C.93, elemento, questo, che costringe de facto a una datazione alla seconda metà del I secolo della scrittura del recto, al più tardi, anche volendo pensare a un precoce deterioramento del supporto. La scrittura delle Historiae di Sallustio, che, secondo Nicolaj, pare attestata in molti papiri ercolanesi, era già stata avvicinata da Cencetti a quella presente nel PHerc 147594 e presenta caratteristiche formali analoghe a quelle originarie dei due codici riscritti Vaticani, il frammento del codice originario di Gellio, appunto, contenuto nel ms. Pal. lat. 24 e quello di Giovenale e Persio conservato nella scriptio inferior del Vat. lat. 5750. La tecnica esecutiva, che “ricorda quella delle scritture a pennello” 95, era stata accostata però a sintomi dell’onciale nel tratteggio di alcune lettere e ha portato a una valutazione di virtuosismo eccentrico dei due testimoni con conseguente datazione, come si è detto, al periodo della piena sistemazione del canone dell’onciale. Invece, sulla base del confronto con il Sallustio e gli alti papiri collegati, tutti prodotti italici e circolanti in ambienti di cultura raffinata e in relazione con ambienti greco-egizi, tanto che il papiro sallustiano lì presto sarebbe emigrato, tali scritture potrebbero essere retrodatate al I secolo — i termini sarebbero la pubblicazione dell’opera di Gellio e l’età dei Severi —, per cui non costituirebbero delle manifestazioni grafiche extravagantes, semmai seguirebbero immediatamente gli esempi ercolanesi, tradendo così la loro assai probabile origine italica. Ben distante dalla nostalgica capitale presente in codici di avanzata età tardo antica come il Virgilio romano o il Virgilio mediceo, la scrittura del Gellio Palatino, con certe morbidezze nel tratteggio o certi sviluppi nella traversa della T o nella coda della G, sarebbe, quindi, testimonianza di modernità, di permeabilità a un nuovo gusto nascente che di lì a poco si sarebbe concretizzato nella costituzione di una nuova scrittura normale e di un nuovo canone grafico96. Tale datazione, di per sé e soprattutto se 91

SEIDER, Paläographie der lateinischen Papyri cit. NICOLAJ PETRONIO, Osservazioni cit. 93 CAVALLO, Per la datazione cit.; ID., Grammata Alexandrina, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 24 (1975), pp. 23-54. 94 G. CENCETTI, Paleografia latina, Roma 1978, p. 32 95 PRATESI, Considerazioni cit. 96 Il canone della scrittura onciale appare già in formazione nella prima metà del II secolo, cfr. O. TJÄDER, Der Ursprung der Unzialschrift, in Basler Zeitschrift für Altertumskunde 74 (1974), pp. 9-40 92

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confermata e avvalorata da ulteriori ritrovamenti, porterebbe alla necessità di riprendere in esame il problema complessivo dell’evoluzione della scrittura capitale libraria, da un lato, e della scrittura onciale, dall’altro, con i collegamenti, gli influssi e i prestiti formali e di gusto grafico tra i due sistemi97, soprattutto in ambienti e in epoche caratterizzati da una situazione di multigrafismo, sia all’interno dello stesso sistema alfabetico latino che tra alfabeti contigui e concorrenti98. Ma c’è di più, perché tale revisione dovrebbe necessariamente riguardare anche un totale ripensamento di tempi e modi di diffusione del codice pergamenaceo, tanto da ritenere che già nel I secolo e in prodotti librari legati alla letteratura “alta” si adotti in area italica la pergamena in maniera significativa, prestando, quindi, maggiore credito ai riferimenti presenti nelle testimonianze letterarie di I secolo99. Un’anticipazione e una indicazione geografica e sociale di uso in ambito di élite colta romana, questa della diffusione del codice e del codice pergamenaceo come veicolo di testi letterari, piuttosto sorprendente rispetto al III secolo greco e in ambito di letteratura popolare, propugnato dalla storiografia fin qui accettata100. Lo studio formale degli aspetti grafici, così, viene arricchito e fornito di senso dallo studio dei “luoghi” culturali di produzione di scrittura e di libro, per cui sarebbe, quindi, l’occidente della koiné a influenzare l’oriente nell’adozione della pergamena per produrre libri. Quella stessa koiné in cui si genererà in ambito goto un procedimento inverso, quando sarà la scrittura documentaria a influenzare se non le scelte grafiche, almeno il gusto di scriventi latini acculturati e addirittura specializzati, nella tipizzata produzione di forme capitali prima e del sistema minuscolo di epoca altomedievale poi101. Al centro della discussione torna la fittizia dicotomia tra il rivolgere l’attenzione al complesso rapporto tra la produzione, la ricezione del fenomeno grafico, organizzato o estemporaneo e avventizio, la geografia sociale del processo di alfabetizzazione, piuttosto che all’analisi intrinseca delle forme grafiche e delle loro varianti indagabili nella scrittura comune. Il 97

Si rimanda a G. CAVALLO, La scrittura greca e latina dei papiri. Una introduzione, Pisa – Roma, 2008, pp. 143-186. 98 ibid. 99 Si darebbe significato di forte rimando storico, ad esempio, ai versi di Marziale XIV, 5, 1 Languida ne tristes obscurent lumina cerae, / nigra tibi niveum littera pingat ebur, oppure a quelli di Persio 3,10 Iam liber et positis bicolor membrana capillis / inque manus chartae nodosaque venit harundo. 100 Il rimando è d’obbligo a E. TURNER, Greek manuscripts of ancient world, London 19872; C. H. ROBERTS – R. SKEAT, The Birth of the Codex, Oxford 1983. 101 “Se si guarda a Roma del VI-VIII secolo, allora si scopre un’altra κοινή, non più grecoromana, ma romano-bizantina”, cfr. CAVALLO, La κοινή cit., p. 31.

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riconoscimento della sopravvivenza e della continuità di alcune di queste forme grafiche, dovuta a scelte consapevoli legate alla funzionalità dello scrivere, è un tema che tanto ha coinvolto gli studiosi negli anni ’70-90 del secolo scorso. Divisione, questa, che si sana, a mio avviso, inserendo il dato grafico nel complesso dei “significanti” che lo circondano e lo comprendono e nel prendere in considerazione anche la funzione della scrittura, che ad esempio favorisce o limita il livello di corsività della stessa e induce a scelte di varianti che favoriscano una richiesta di leggibilità della pagina: si tratta di tener conto, quindi, di criteri strutturali, certo, ma anche sovrastrutturali, voluti o inconsci, degli scriventi. Tale considerazione metodologica è valida non solo per la comprensione di fenomeni grafici dell’età romana e in relazione al passaggio dalla “écriture commune” alla “nouvelle écriture commune” malloniana, ma è applicabile anche all’amplissimo panorama delle “scritture usuali” di stampo cencettiano lungo tutto il periodo medievale, con le ingerenze e i prestiti provenienti da sistemi allotri, ma culturalmente vicini o sovrapposti, ingerenze che hanno alimentato le sinapsi grafiche tra il filone della scrittura corsiva e quello della scrittura libraria prima che quest’ultima si fissasse in canoni e tipi. Se si pensa all’evoluzione della scrittura come al portato di diffusione sociale delle conoscenze grafiche, ci si può anche spiegare come, nei momenti di maggiore acculturazione o specializzazione degli scriventi, questi recepiscano influssi culturali eterogenei e li facciano propri, come è avvenuto nella confluenza di elementi della scrittura greca e latina in ambito goto per certi testimoni in capitale, in cui si sono ravvisate eco della “misteriosa scrittura grande” ravennate102 o, come si è ipotizzato in alcuni casi, per la produzione in onciale dell’Italia meridionale. D’altro canto, è proprio la diffusione dell’alfabetizzazione che, nell’ambito usuale, laddove si esprimono scrittori non professionisti anche se diffusamente alfabetizzati, permette di operare scelte grafiche inclini a criteri di economia e ergonomicità nel tratteggio di lettere e gruppi di lettere, processo che è confermato da testimonianze su papiro tra il II e il IV secolo, dove l’evoluzione della scrittura usuale nel senso della minuscola influisce anche sulle scritture posate di ambito librario. Sotto l’impulso dettato dall’esigenza della leggibilità e di funzionalità, queste assumono varianti grafiche che porteranno alla formalizzazione del sistema della semionciale, quale si mostra in testimoni maturi di VI secolo, come il s. Ilario di Vienna, codice papiraceo di cui un frammento è rappresenta102 O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” di alcuni papiri ravennati e il suo posto nella storia della corsiva italiana, in Studi romagnoli 3 (1952), pp. 173-221; CAVALLO, La κοινή cit.

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to dal Vat. lat. 9916 (+ Vind. Lat. 2160), la cui scrittura è sicuramente di impostazione libraria, ma preparata, preannunciata quasi, da sperimentazioni di progressivi adattamenti di atteggiamenti grafici di derivazione documentaria a pratiche librarie che si muovono pur sempre nell’alveo della corsiva nuova, che si sviluppano durante tutto il VI secolo103. Nell’età del passaggio dalla Tarda Antichità all’Alto Medioevo, si assiste a un fenomeno analogo a quello riconoscibile in un altro periodo caratterizzato da un’ampia diffusione sociale dell’alfabetizzazione, come il XV secolo, che porta, ad esempio, alla costituzione del modello normale delle “bastarde” e delle “mercantesche” quattrocentesche e che permette di comprendere anche la formazione delle strutture di base delle cosiddette scritture “personali” dell’età moderna. La teorizzazione della coesistenza di due filoni grafici nel flusso della scrittura latina, quello corsivo e quello librario, distinti ma non sempre divisi e con differenti tempi di svolgimento e esiti differenti, il riconoscimento del ruolo decisivo che la diffusione sociale della scrittura gioca nel favorire tali interferenze, la sottolineatura dell’opportunità, scientifica prima ancora che strumentale, di non operare scissioni tra la paleografia greca e la latina, sicuramente nel metodo paleografico, ma anche nelle tipologie grafiche di riferimento, almeno fino all’Alto Medioevo — e in alcune regioni europee anche in epoca successiva, fino a che persiste un rapporto osmotico tra le due culture e poi ancora quando il mondo bizantino e quello latino tardo medievale e umanistico si sono storicamente ricongiunti, questa volta, a livello di élites culturali —, questi sono i temi che hanno caratterizzato un altro “passaggio di meta” del pensiero paleografico tra la fine degli anni 70 e gli anni 90 del secolo scorso. Sempre di più l’attenzione si è rivolta a vicende e tipologie di testi, a libri intesi come oggetti materiali e testimonianze archeologiche, per cui stretto è il rapporto intercorrente tra la tipologia del “contenitore” e i modi di tradizione del testo contenuto, a scritture e scrittori o ambienti di scrittura, a lettori e ancora una volta al livello di alfabetizzazione/acculturazione degli ambiti di ricezione. Uno dei laboratori più ricchi per testare nuovi metodi di interpretazione della cultura scritta è stato ed è senz’altro la raccolta Vaticana. Così, l’analisi codicologica, grafica, degli elementi perigrafici, oltre che della tradizione del testo, hanno permesso all’Ilario basilicano104 di trovare fi103

CAVALLO, Scrittura greca e scrittura latina cit., pp. 179-184. Arch. Cap. S. Pietro D.182. Vd. L. BOYLE,”Basilicanus” of Hilary revisited, in Scribi e colofoni. Le sottoscrizioni dei copisti dalle origini all’avvento della stampa. Atti del seminario di Erice. X Colloquio del Comité international de paléographie latine, Erice 23-28 ottobre 1993, a cura di E. CONDELLO – G. DE GREGORIO, Spoleto 1995, pp. 93-105, rist. in ID., Integral Palaeography, with an introd. by F. TRONCARELLI, Turnhout 2001, pp. 105-117. 104

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nalmente un approdo alla sua lunga odissea dalle coste del Nord Africa nel tardo IV secolo alle sponde sarde, al seguito di un intellettuale curioso e raffinato come Fulgenzio di Ruspe. È affascinante seguire la ricostruzione dei testi tràditi proprio dall’Ilario Basilicano, nel loro assemblarsi, dal primo costituirsi del nucleo originario nordafricano scritto in semionciale, all’approdare di quel libro sulle sponde sarde probabilmente ancora in fascicoli sciolti, all’attività di collazione e augmentatio della silloge ilariana, in scrittura onciale, sulla base di un codice di IV secolo collegabile con l’ambiente culturale del vescovo Lucifero, fino a giungere all’individuazione di passaggi di lettura avvenuti in area continentale e rappresentati da interventi notulari in scrittura visigotica e minuscola di derivazione sangallese. È proprio l’analisi grafica e degli elementi peritestuali, sustanziata dalla osservazione codicologica, a fornire un ulteriore supporto alla storia della scrittura latina, proprio nel momento in cui ci si serve di essa per chiarire questioni squisitamente filologiche. Ci si domanda, infatti, se quel codice, con la sua scrittura onciale e semionciale formata e elegante, possa eventualmente aver rilasciato ulteriori influenze in quell’Italia del nord di IX secolo, ancora memore dell’attività grafica di Ursicino, lector Veronensis ecclesiae degli inizi del VI secolo, tanto ricettiva e protesa verso sperimentazioni grafiche tendenti a recuperare in ambiente librario esperienze formali della semionciale, che potessero stemperare le asperità di un filone corsivo, che continuava ad alimentare la scrittura usuale e trovava il momento della sua massima formalizzazione nella scrittura dei pratici del diritto. Un processo, quello che ha per sfondo Verona e la sua cattedrale, di lungo periodo, che salda il VI secolo con il IX, la figura di Ursicino con quella di Pacifico e, in ultima analisi, dà valore al ruolo che può aver giocato la permanenza di un codice come l’Ilario Basilicano in ambiente italo settentrionale alla fine dell’età tardoantica saldandolo con quello svolto nei confronti della rinascente schola vescovile di inizio IX secolo da manoscritti come la silloge di opere di Alcuino proveniente da S. Martino di Tours, antigrafo del più antico manoscritto veronese in minuscola carolina105, nello sforzo comune di rispondere in maniera individuale e

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München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 6407. Vd. D. A. BULLOUGH, Le scuole cattedrali e la cultura dell’Italia settentrionale prima dei comuni, in Vescovi e diocesi in Italia nel medioevo (sec. IX-XIII). Atti del convegno di Storia della Chiesa in Italia, Roma 5-9 settembre 1961, Padova 1964 (Italia Sacra, 5), pp. 111-143; da ultimo S. ZAMPONI, Pacifico e gli altri. Nota paleografica in margine a una sottoscrizione, in C. LA ROCCA, Pacifico da Verona. Il passato carolingio nella costruzione della memoria urbana, Roma 1995 (Nuovi studi storici, 31), pp. 229-244.

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autonoma ai nuovi indirizzi grafici e culturali provenienti d’oltralpe, con ciò recuperando la tradizione italica. Ancora, come sempre, indicazioni alla critica paleografica sono fornite dall’osservazione delle forme della scrittura usuale in un determinato ambito cronologico e geografico-culturale, dai modi in cui essa risponde a stimoli intrinseci, quelli legati alla maggiore o minore corsività di atteggiamento grafico, ma anche quelli estrinseci e sovrastrutturali, in relazione alla tipologia della testimonianza e a materiali, modi e forme della sua tradizione, alle capacità grafiche degli scriventi, ai loro modelli normali di riferimento, alle scelte non sempre lineari e uniformemente condivise che portano alla costituzione di un canone106. Sempre più, inoltre, soprattutto in luoghi fisici o culturali ad alto tasso di alfabetizzazione e là dove per motivi politici o ideali si è più aperti a influenze esterne, è il riconoscimento dei prestiti coscienti o involontari da sistemi grafici differenti a dare valore aggiunto all’analisi formale, tanto da rispondere con maggiore compiutezza ai “perché” e ai “quando” e ai “dove” si avviano i processi di trasformazione dell’impianto della scrittura normale107: cioè in che ambito culturale e sociale, ma anche in quale tipologia di manifestazione grafica e di tipologia testuale si ravvisa il primo farsi di quel cambiamento, prima

106 Temi, questi, che hanno attraversato tutta la storia degli studi paleografici degli ultimi 70 anni, da G. CENCETTI, Vecchi e nuovi orientamenti nello studio della paleografia, in La Bibliofilía 50 (1948), pp. 4-23, rist. in ID., Scritti cit., pp. 26-45 ad A. PETRUCCI, Libro, scrittura e scuola, in La scuola nell’Occidente latino dell’alto medioevo. Atti della XIX Settimana di studio del CISAM, Spoleto 1972, pp. 313-337, rist. in ID., Scrivere e leggere nell’Italia medievale, a cura di CH. M. RADDING, Milano 2007, pp. 81-97 e A. PRATESI, Gli orientamenti della Paleografia cit., pp. 73-83, passando per il paragone tra il ruolo giocato dall’usuale nel cambio grafico e quello giocato dalla lingua parlata nel cambio linguistico, che ha guidato le ricerche di Casamassima e Costamagna, ma anche C. E. WRIGHT, English vernacular Hands from XII to the XV Century, Oxford 1960, fino a giungere a A. BARTOLI LANGELI, Scrivere l’italiano, Bologna 2000. Nell’analisi della genesi di singoli sistemi grafici, basta forse ricordare la felice analisi sulla textualis di area lombardo-veneta di fine XII, influenzata dalla textualis transalpina, che, veicolata dal libro cortese che tramanda la nuova letteratura poetica volgare, approda nel XIII secolo alla cosiddetta “piccola gotica” della tradizione dei Canzonieri provenzali come il Vat. lat. 5232, per cui si veda S. ZAMPONI, La scrittura del libro nel Duecento, in Civiltà comunale: libro, scrittura, documento. Atti del convegno, Genova 8-11 novembre 1988, Genova 1989, pp. 315-354; P. SUPINO, Il libro nuovo, in Il Gotico europeo in Italia, a cura di V. PACE – M. BAGNOLI, Napoli 1994, pp. 351-359. 107 Il pensiero ovviamente va al fondamentale contributo di Alessandro Pratesi all’impostazione del principio metodologico di una paleografia greco-latina fin dal 1969, per cui si veda il suo intervento più recente A. PRATESI, Ancora sulla paleografia greco-latina, in Scrittura e civiltà 4 (1980), pp. 345-352, rist. in ID., Frustula palaeographica cit., pp. 143-350, che ha trovato terreno fertile nelle ricerche di Guglielmo Cavallo, di cui si veda a mo’ di esempio G. CAVALLO, La cultura scritta a Ravenna cit.; ID., Problemi inerenti l’angolo di scrittura cit.

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ancora che esso si sistematizzi nella scrittura formalizzata, documentaria piuttosto che libraria108. In tal modo, il libro, inteso come inscindibile unità di testo e di scrittura che quel testo trasmette o di corredo, iconico o non, che quel testo accompagna, da interpretare nella genesi delle sue forme e nella sua funzione, da investigare prendendo in esame ogni tipo di trasmissione testuale (si pensi ad esempio al grande tesoro dell’epistolografia autografa dall’età romana alla prima età moderna109), operata su ogni tipo di supporto (si pensi in primo luogo alla produzione epigrafica110), acquista un ruolo centrale nella costruzione della cultura di una comunità, di un popolo. E la scrittura ne è la prima e più articolata rappresentazione, si fa storia. Guardando i fatti grafici di poco posteriori a quelli fin qui trattati, in quest’ottica complessiva, si dà valore aggiunto ad esempio a quella felice sintesi di una decina di anni or sono che fa luce sulla cultura delle “due Italie longobarde”111, una cultura fatta di scrittura, di scritture su vari supporti, di libri, di vicende di testi, di renovatio librorum, ma anche e soprattutto di costruzione di nuovi libri contenenti miscellanee grammaticali o tecnico-scientifiche, oltre che testi di carattere religioso e liturgico, e di recuperi di frammenti della tradizione classica, nelle sedi della Longobardia maior come della minor112. 108

Per l’interazione tra ambito documentario e librario, si veda G. NICOLAJ, Ambiti di copia e copisti di codici giuridici in Italia (secoli V-XII in.), in Le statut du scripteur au Moyen Age. Actes du XIIe Colloque scientifique del Comité international de paléographie latine, Cluny, 17-20 juillet 1998, a cura di M.-C. HUBERT – E. POULLE – M. H. SMITH, Paris 2000, pp. 127-144; più recentemente M. H. SMITH, Les “gothiques documentaires”: un carrefour dans l’histoire de l’ecriture latine, in Tagung cit., pp. 417-465. Non sono certo solamente in tali ambiti grafici da ricercare influenze e osmosi, vd. ad es. A. PETRUCCI, Copisti e libri dopo l’avvento della stampa, in Scribi e colofoni cit., pp. 507-525. 109 A. PETRUCCI, Scrittura ed epistolografia, Roma 2004; ID., Scrivere lettere. Una storia plurimillenaria, Roma – Bari 2008. 110 A. CAVALLO, Scritture librarie e scritture epigrafiche tra l’Italia e Bisanzio nell’alto medioevo, in Inschrift und Material. Inschrift und Buchschrift. Fachtagung für mittelalterliche und neuzeitliche Epigraphik. Atti del convegno Ingolstadt 1997, a cura di W. KOCH – C. STEININGER, München (Bayerische Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-historische Klasse, Abhandlungen, N. F. 7, Heft 117), pp. 127-136; A. PETRUCCI, Il volgare esposto: problemi e prospettive, in Visibile parlare. Le scritture esposte nei volgari italiani dal Medioevo al Rinascimento, a cura di C. CIOCIOLA, Cassino 1997, pp. 45-58. 111 G. CAVALLO, Libri e cultura nelle due Italie longobarde, in Il futuro dei Longobardi. L’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo Magno. Catalogo mostra, Brescia, giugno-dicembre 2000, Saggi, a cura di C. BERTELLI – G. P. BROGIOLO, Ginevra – Milano 2000, pp. 85-103. 112 Sulle tematiche della cultura longobarda in Italia si veda G. CAVALLO, Libri e continuità della cultura antica in età barbarica, in Magistra Barbaritas. I Barbari in Italia, a cura di G. PUGLIESE CARRATELLI, Milano 1984, pp. 603-662; per la “Longobardia minor”, H. BLOCH, Monte Cassino’s Teachers and Library in the High Middle Ages, in La scuola nell’Occidente latino cit., pp. 567-570. Per la scrittura meridionale non si può non fare riferimento a E. A. LOWE, The

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Come si è detto, la ricostruzione della cultura in genere e della cultura grafica occidentale, in particolare per il mondo longobardo, non si fonda solamente su esemplari conservati nelle raccolte di codici vaticani, anche se molte delle maggiori sintesi storiche che hanno tentato di interpretare il poco noto panorama culturale dell’Alto Medioevo, proprio da testimoni vaticani hanno preso le mosse. Se è vero che la costruzione dell’intellettuale longobardo poggia sui codici contenenti opere della tradizione cristiana, conservati nelle arcae della prima biblioteca bobbiese, e che si rafforza poi su testi di carattere tecnico-pratico che ci sono giunti spesso per il tramite di copie di IX secolo, è pur vero che uno dei più antichi testimoni di quella raccolta è il manoscritto dei Sermoni di s. Agostino Vat. lat. 5758 “de arca domini Bobuleni”, della metà del VII secolo113, il cui ruolo nell’educazione dell’homo novus è sottolineato e arricchito, dal punto di vista teorico, nel secolo successivo dal codice bobbiese Vat. lat. 9882 delle Sentenze isidoriane o dalle Ethymologiae isidoriane tradite dal Vat. lat. 5763 (+ Guelf. 64 Weiss.)114 di area genericamente italosettentrionale che, con la sua minuscola libraria tradisce un circuito di utilizzazione di schola, così come di ambito scolastico si può riconoscere la produzione di codici di contenuto tecnico, come esempi di VII e VIII secolo, quali le raccolte mediche Urb. lat. 293 e Pal. lat. 187, o la copia di IX secolo dell’opera di Celso Vat. lat. 5951, utilizzata a Nonantola, anche se probabilmente scritta in area milanese115. Beneventan Script. A History of the South Italian Minuscule, Oxford 1914, rist. Roma 1980, con aggiunte di V. BROWN (Sussidi Eruditi, 33-34), ma si veda anche G. CAVALLO, Struttura e articolazione della minuscola beneventana libraria tra i secc. X-XII, in Studi Medievali s. 3°, 3 (1970), pp. 343-368. 113 Bobuleno fu, come è noto, insieme a Atala e Vorgusto uno dei primi abati di Bobbio successori di san Colombano. Per la conoscenza della biblioteca di Bobbio resta fondamentale l’antico ma sempre validissimo contributo di G. MERCATI, Prolegomena de fatis bibliothecae monasterii S. Columbani bobiensis et de codice ipso Vat. lat. 5757, in M. Tulli Ciceronis De Re Publica libri e codice Vaticano latino 5757 phototypice expressi, Città del Vaticano 1934 (Codices e Vaticanis selecti quam simillime expressi, 23), pp. 3-49; più recentemente, M. FERRARI, Le scoperte a Bobbio nel 1493: vicende di codici e fortune di testi, in Italia Medioevale e Umanistica 13 (1970), pp. 139-180. 114 Cfr. C. FALLUOMINI, Der sogenannte Codex Carolinus von Wolfenbüttel (Codex Guelferbytanus 64 Weissenburgensis). Mit besonderer Berücksichtigung der gotisch-lateinischen Blätter, Wiesbaden 1999. 115 Ma sono conservate anche copie di gran lunga più tarde, come gli Epigrammata Bobiensia tramandati da un manoscritto cinquecentesco, il Vat. lat. 2836, che fa pensare a un’opera appartenente “all’armarium-armamentarium di una buona scuola della fine dell’antichità”, come osserva CAVALLO, Libri e cultura cit., p. 86. Vd. M. FERRARI, Spigolature bobbiesi, in Italia Medioevale e Umanistica 16 (1973), pp. 1-41; G. BILLANOVICH – M. FERRARI, La trasmissione dei testi nell’Italia nord-occidentale, in La cultura antica dell’Occidente latino dal VII all’XI secolo. Spoleto, XXII Settimana di studio CISAM, Spoleto 1975, pp. 303-352.

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Percorrendo le raccolte vaticane, si trovano alti esempi di quella cultura nuova nel panorama occidentale, che riceve alimento nell’incontro tra tradizione ecclesiastica e processo di formazione dell’aristocrazia laica, a Bobbio come a Pavia, dove, proprio tra VII e VIII secolo circolava l’odierno manoscritto Reg. lat. 9 delle Epistole di s. Paolo, che ha animato il dibattito paleografico di qualche decennio addietro riguardo a una sua possibile origine non pavese, ma romana116, a conferma della continua attività, in campo librario, di produzione autoctona e di scambi da ambienti più o meno vicini (di libri, quindi, ma anche e soprattutto di uomini) che caratterizza il mondo longobardo dei primi secoli. In tal modo, a supporto degli strumenti per la formazione giuridica della classe dirigente, a Nonantola, con le sue forti dipendenze dalla cultura grafica della “Longobardia minor”117, così come a Milano, il programma di lettura di base si articola tra il sapere grammaticale derivato da sopravvivenze classiche, rappresentate ad esempio dal Seneca De beneficiis e De clementia Pal. lat. 1547 prodotto in quella città forse in ambiente scolastico tra VIII e IX secolo118 e la conoscenza di testi liturgici, quali i due Salteri di rito ambrosiano Vat. lat. 82 e 83. La cultura longobarda altomedievale, soprattutto quella rivolta ai fondamenti dell’istruzione grammaticale e retorica, trova proiezione e continuità nella Longobardia minore, nei secoli successivi la caduta del regno. Lì si serve del ricco materiale rappresentato da giacimenti letterari preesistenti e resi muti dalla frattura sociale e culturale del VI e VII secolo, che i lacerti a noi pervenuti o la ricostruzione filologica dell’anello mancante nella catena della tradizione testuale ci dicono scritti in corsiva nuova, ma anche in semionciale e in quella scrittura onciale i cui caratteri formali peculiari sono stati recentemente studiati119, arricchendoli con apporti dell’attività letteraria e esegetica di marca mitteleuropea120. 116

Vd. A. PETRUCCI, L’onciale romana. Origini, sviluppo e diffusione di una stilizzazione grafica altomediovale (sec. VI-IX), in Studi Medievali s. 3°, 12 (1971), pp. 75-132. Per la cultura grafica a Pavia si rimanda a E. CAU – M. A. CASAGRANDE MAZZOLI, Cultura e scrittura a Pavia (secoli V-X), in Storia di Pavia, II: L’alto medioevo, Milano 1987, pp. 177-217. 117 Vd. M. PALMA, Nonantola e il Sud. Contributo alla storia della scrittura libraria nell’Italia dell’ottavo secolo, in Scrittura e civiltà 3 (1979), pp. 77-88; ID., Alle origini del ‘tipo di Nonantola’: nuove testimonianze meridionali, ibid., 7 (1983), pp. 141-49. Per lo scrittorio di Nonantola, si rimanda a B. BISCHOFF, Manoscritti Nonantolani dispersi dell’epoca Carolingia, in La Bibliofilía 85 (1983), pp. 99-124. 118 Le dieci mani che si alternano sono molto poco esperte nella tecnica grafica, come rileva A. PETRUCCI, Scrivere il testo, in La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro. Atti del convegno di Lecce, Lecce 22-26 ottobre 1984, Roma 1985, pp. 209-227. 119 E. CONDELLO, Una scrittura e un territorio. L’onciale dei secoli V-VIII nell’Italia meridionale, Spoleto 1994. 120 Cfr. CAVALLO, La trasmissione cit.

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Tra l’Italia di Liutprando e quella di Arechi si riconosce uno stesso impegno nella costruzione della classe dirigente, basata sullo studio dei Padri e conoscenze grammaticali e tecniche; si riconosce uno stesso interesse al recupero dei classici, che, soprattutto in Italia meridionale si arricchisce di tradizioni autonome; si riconosce un’opera di rimandi di cultura grafica e di tradizione libraria121; si riconosce, infine, uno stesso indirizzo nel rivolgersi all’ambiente sia monastico che vescovile, con tutto il suo entourage laico. La cultura longobarda del sud fa propri quei testi, rinnovandoli nella forma esteriore (materiale, grafica, ornamentale), facendoli diventare il puntello della cultura di un popolo, tanto più forte quanto più riesce a interagire con culture altre e a recepirne alcuni stimoli senza soggiacere ad esse. Tutto questo si riverbera nella storia della cultura scritta di quel popolo e nelle caratteristiche della formazione della sua classe dirigente, che si rivolge alle sedi vescovili, oltre che monastiche di IX e X secolo, un movimento che, se per l’Italia del nord aveva coinvolto Nonantola, Pavia, Milano, per l’Italia del sud significa, insieme con monasteri quali Montecassino e San Vincenzo al Volturno122, città come Bari, Salerno, Benevento e Capua, ma anche quella Napoli permeata di cultura grafica curialisca123, dove le forme della minuscola, in ambienti cittadini alfabetizzati, prima ancora che monastici, possono raggiungere la maturazione del canone. 121

Non si può sottacere l’opera fondamentale di E. A. LOWE, The Beneventan Script cit., ma anche i completamenti del repertorio di testimonianze che hanno impegnato la vita scientifica di Virginia Brown. Accanto e grazie a loro, molti sono stati i contributi di impatto complessivo di ricercatori italiani e stranieri, in campo paleografico e testuale, a partire dall’affresco sulla produzione testuale e grafica fornito da CAVALLO, Struttura e articolazione cit.; ID., La trasmissione cit.; PALMA, Nonantola e il Sud cit. sul rapporto tra Montecassino e Nonantola tra VIII-IX secolo, F. NEWTON, The Scriptorium and Library at Monte Cassino, 10581105, Cambridge 1999 (Cambridge Studies in Palaeography and Codicology, 7), per citare solo interventi che ci sembrano abbiano segnato una svolta negli studi paleografici. Per un ampio e esauriente panorama, si rimanda a F. NEWTON, Fifthy Years of Beneventan Studies, in Tagung cit., pp. 327-346. 122 Se anche l’ornamentazione del manoscritto è “segno”, come io credo, allora non si può dimenticare il panorama artistico-letterario — e quindi anche grafico — delineato dall’impresa I codici decorati dell’Archivio di Montecassino, a cura di G. OROFINO, Roma 1994; per le altre sedi si rimanda a NEWTON, Fifthy Years cit., pp. 340-342 e note 78-93. 123 H. ENZENSBERGER – A. PRATESI, Aspetti della produzione documentaria in Italia meridionale (secc. XII-XIII), Palermo (Scrinium 13. Quaderni ed estratti di Schede Medievali), pp. 299-317; F. MAGISTRALE, Fasi e alternanze grafiche nella scrittura documentaria, in Civiltà del Mezzogiorno d’Italia. Libro, scrittura, documento in età normanno-sveva. Atti del Convegno dell’Associazione Italiana dei Paleografi e Diplomatisti, Napoli – Badia di Cava dei Tirreni, 14-18 ottobre 1991, a cura di F. D’ORIA, Salerno 1994, pp. 169-196; ID., Montecassino e la scrittura, in Il monachesimo benedettino. Profili di un’eredità culturale, a cura di O. PECERE, Napoli 1994, pp. 31-50; da ultimo G. CAVALLO, Die beneventanischen Urkunden-und Buchschrift, in Mensch und Schrift cit., pp. 128-133.

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Trovano così significato il Prisciano con scolii (Vat. lat. 3313) della Benevento di IX secolo, caratterizzata dalla presenza del vescovo-grammatico Orso e da un ceto colto di pratici del diritto collegati all’ambiente vescovile124, o il glossario Vat. lat. 3320 contenente anche i Synonima Ciceronis della Montecassino di Ilderico125, oppure il commento di Servio a Virgilio, tramandato dal Vat. lat. 3317126, della Napoli di X secolo, ancora non dimentica di cultura classica, con le sue élites colte e ecclesiastiche di corte, segni di questa tensione intellettuale, che genera notevole attività grafica e porta alla costituzione del canone nella scrittura127 almeno un secolo prima di quanto ricostruito dalla grande — e per certi versi insuperata — trattazione del Lowe o, secondo convincenti ricerche recenti, nel secolo precedente ancora128. In tal modo, recuperano la loro centralità manoscritti dell’inizio del XII secolo, quali il Chronicon Vulturnense Barb. lat. 2724129 124 M. DE NONNO, Le citazioni di Prisciano da autori latini nella testimonianza del Vat. lat. 3313, in Rivista di filologia e di istruzione classica 105 (1977), pp. 386-402; ID., Contributo alla tradizione di Prisciano in area beneventano-cassinese: Vallicell. C 9, in Revue d’Histoire des Textes 9 (1979), pp. 123-139; V. BROWN, “Where have all the grammars gone?”. The survival of grammatical texts in Beneventan script, in Manuscripts and tradition of grammatical texts from antiquity to the Renaissance. Proceedings of a Conference held at Erice, Erice 16-23 ottobre1997, 11th Course of the International School for the study of written records, a cura di M. DE NONNO – P. DE PAOLIS – L. HOLTZ, Cassino 2000, pp. 397-410. 125 A. LENTINI, Ilderico e la sua “Ars grammatica”, Montecassino 1975 (Miscellanea Cassinese, 39); F. MAGISTRALE, Il manoscritto della grammatica di Ilderico di Montecassino: caratteri materiali e dispositivi testuali, in Manuscripts and tradition cit., pp. 415-445. 126 Codice tanto più importante per gli studi filologici, da CH. M. MURGIA, The Servian commentary on Aeneid 3 revisited, in Harvard Studies of Classical Philology 91 (1987), pp. 303331 a S. TIMPANARO, Ancora su alcuni passi di Servio e degli scolii danielini al libro terzo dell’Eneide, in Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici 22 (1989), pp. 123-182. E con esso è da annoverare la miscellanea storica Pal. lat. 909. 127 CAVALLO, Struttura e articolazione cit. 128 NEWTON, The Scriptorium cit., p. 31 n. 12; F. DE RUBEIS, The “Codex Beneventanus”, in San Vincenzo al Volturno, 3, The finds from the 1980-86 excavations, a cura di J. MITCHELL – I. L. HANSEN – C. M. COUTTS, Spoleto 2001, pp. 439-449; G. NICOLAJ, Sulle rotte del tempo: a proposito della seconda serie delle Chartae Latinae Antiquiores, in Ravenna. Studi e Ricerche 9 (2002), pp. 155-165, ma anche M. PALMA et al., L’evoluzione del legamento “ti” nella scrittura proto-beneventana (secoli VIII-IX), in La tradition vive. Mélanges d’histoire des textes en l’honneur de Louis Holtz, a cura di P. LARDET, Turnhout 2003 (Bibliologia, 20), pp. 35-42. 129 Si rimanda alla discussione ampia, bilanciata tra storia del testo e della scrittura da un lato e analisi scientifico-tecnica dei materiali dall’altro, operata sul cosiddetto “Frammento Sabatini”, per cui si veda Il Frammento Sabatini cit. che rivede e specifica la trattazione di Federici; vd. Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, a cura di V. FEDERICI, III, Roma 1938 (Fonti per la storia d’Italia, 58-60); F. DE RUBEIS, La scrittura a S. Vincenzo al Volturno tra manoscritti ed epigrafi, in S. Vincenzo al Volturno. Cultura, istituzioni, economia, a cura di F. MARAZZI, Monterodumi (IS), 1996, pp. 21-40 ed EAD., The “Codex Beneventanus” cit. Per i codici ricondotti a San Vincenzo al Volturno, si veda L. DUVAL-ARNOULD, Les manuscrits de San Vincenzo al Volturno, in Una grande abbazia altomedievale nel Molise: San Vincenzo al

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o il Chronicon Sanctae Sophiae Vat. lat. 4939130 o gli Annales Beneventani Vat. lat. 4928, testimonianze della costruzione della memoria di un popolo, ma anche — e soprattutto, nel discorso che qui si sta sviluppando — testimonianze di ambiti di produzione, vie e modi di diffusione, processi di maturazione della minuscola beneventana, tra sistemi di registrazione documentaria e allestimento librario, che sposta l’attenzione dalla visione incentrata su Montecassino propugnata dal Lowe. Il che nulla toglie al valore di exemplum di una cultura forte, ma non estesa a tutto il territorio, dei grandi codici cassinesi di XI e XII secolo, molti di essi ancora portanti testi classici spesso in tradizione separata da quella di derivazione carolingia, quella cultura grafica che ha prodotto i Fasti ovidiani Vat. lat. 3262 o i Topica ciceroniani dell’Ott. lat. 1406, o il Commento al Somnium Scipionis Vat. lat. 3227131. Un canone grafico, quello della scrittura beneventama, in cui la moderna storiografia ha individuato una varietà di stili più o meno divergenti dalle monolitiche tipizzazioni prefigurate alla metà del XX secolo, tanto da porre forti perplessità sulla sua tenuta e coesione fino al XII-XIII secolo (a parte certe persistenze cristallizzate in ambiti chiusi e in tipologie librarie d’apparato riferibili fino al XVI132), soprattutto in zone, come Salerno, o l’area centrorientale della regione, dove ragioni culturali, di presenza di un forte ceto di pratici del diritto e delle tecniche aperti a influenze esterVolturno. Atti del I convegno sul Medioevo Meridionale, Venafro – San Vincenzo al Volturno 19-22 maggio 1982, a cura di F. AVAGLIANO, Montecassino 1985 (Miscellanea Cassinese 51), pp. 333-378. 130 Chronicon Sanctae Sophiae cod. Vat. Lat. 4939, edizione e commento a cura di J.-M. MARTIN; con uno studio sull’apparato decorativo di Giulia Orofino, Roma Istituto Storico per il Medioevo, 2000 (Fonti per la storia dell’Italia medievale 3) a completamento dei lavori preparatori per l’edizione di Ottorino Bertolini. Per la produzione grafica a Benevento, si vedano le note inserite in studi diplomatistici di V. MATERA, Minima diplomatica. Per l’edizione delle più antiche carte dell’abbazia di S. Sofia di Benevento (secoli VIII-XI), in Scrittura e produzione documentaria nel Mezzogiorno longobardo. Atti del Convegno internazionale di studio, Badia di Cava, 3-5 ottobre 1990, a cura di G. VITOLO – F. MOTTOLA, Badia di Cava 1991, pp. 383-398 e V. DE DONATO, Le più antiche carte del Capitolo della Cattedrale di Benevento (668-1200), Roma 2002 (Regesta Chartarum, 52). Per i codici della Biblioteca capitolare vd. J. MALLET – A. THIBAUT, Les manuscrits en écriture bénéventaine de la bibliothèque capitulaire de Bénévent, Paris, voll. 1-3, 1984-1977. 131 Sull’argomento si veda O. PECERE, Monachesimo benedettino e trasmissione dei classici nello specchio cassinese, in Il monachesimo benedettino. Profili di un’eredità culturale, a cura di O. PECERE, Napoli 1994, pp 9-29; V. BROWN, Terra Sancti Benedicti. Studies in the palaeography, History and Liturgy of Medieval Southern Italy, Roma 2005 (Raccolta di studi e testi, 219). 132 V. BROWN, The Survival of Beneventan Script. Sixteenth-Century Liturgical Codices from Benedictine Monasteries in Naples, in Monastica, I, Monte Cassino 1981 (Miscellanea Cassinese, 44), pp. 237-254, rist. in EAD., Terra Sancti Benedicti cit., pp. 149-174.

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ne133, provenienti dall’area mitteleuropea o dagli ambienti normanni di Sicilia, oppure in zone del Lazio meridionale, permette di sperimentare vuoi un atteggiamento autonomo delle forme grafiche pur sempre all’interno del canone, come in certi codici troiani, vuoi momenti di digrafismo assoluto o relativo beneventano-carolino nella produzione della scrittura libraria134. Si tratta di testi per la formazione religiosa, come il ms. Chig. A.IV.5 con le epistole e i sermoni di Pier Damiani, il commento di Valafrido Strabone al Libro di Giobbe Vat. lat. 80, il Salterio glossato Reg. lat. 13, ma anche di testi di pratica medica come il Barb. lat. 160, piuttosto che l’Urb. lat. 1415, oppure di opere di antiquaria come i Mirabilia Urbis Romae che si affiancano al Chronicon di Romualdo Salernitano nel Vat. lat. 3973 a mostrare come, non solo in aree eccentriche rispetto a Montecassino, come la Capitanata o Salerno, ma nella stessa casa-madre benedettina si possa riconoscere una certa permeabilità diffusa della cultura grafica beneventana, anche in ambienti in cui forte si mantiene il modello formativo beneventano-cassinese, attestato dai programmi di lettura. Libri, questi, in genere lontani dall’alto livello compositivo dei coevi manoscritti desideriani e che tradiscono una forte vitalità dell’ambiente scolastico, capace di rinnovarsi e di aprirsi a culture “altre”, che probabilmente mai sono rimaste assopite, in ambito monastico o vescovile, ma anche laico. Nulla a che vedere, dal punto di vista estetico e compositivo, con la produzione libraria forse più esaltante dei rotoli di Exultet, ma altrettanto significativi: basta pensare al Barb. lat. 592 o al rotolo di Benevento Vat. lat. 9820, importanti per la storia del libro e la storia della scrittura italo meridionale al di là del valore storico-artistico dei prodotti, anch’essi, in un certo senso, una miscela perfetta di tradizione e capacità di commistione culturale135. È, del resto, una genesi tutta longobarda, della Longobardia del nord e della chiesa milanese di VII-VIII secolo, quella dei rotoli pergamenacei usati per la liturgia e quindi anche per le celebrazioni del Venerdì Santo, che in Italia meridionale ha trovato nuova vitalità136. Vitalità, questa, probabilmente anche rinforzata dall’uso nello stesso periodo e nello stesso territorio di rotoli liturgici greci nelle chiese di rito bizantino137. Che in 133 Un semplice rimando al magistrale contributo di A. PETRUCCI – C. ROMEO, ‘Scriptores in urbibus’. Alfabetismo e cultura scritta nell’Italia altomedievale, Bologna 1992. 134 C. TRISTANO, Scrittura beneventana e scrittura carolina in manoscritti dell’Italia meridionale, in Scrittura e Civiltà 3 (1978), pp. 89-150. 135 Scheda in Exultet. Rotoli liturgici del Medioevo meridionale, dir. scient. di G. CAVALLO, a cura di G. OROFINO – O. PECERE, Roma 1994, pp. 319-339. 136 Sull’uso di rotoli liturgici a Milano a partire dal vescovo Lazaro e dal V secolo e poi entrati nella cultura religiosa longobarda dei primi secoli, si veda TH. F. KELLY, The Exultet in Southern Italy, New York – Oxford 1996. 137 A. JACOB, Rouleaux grecs et latins dans l’Italie méridonale, in Recherches de Codicologie

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alcuni luoghi dell’Italia meridionale si possano supporre influenze reciproche di due tradizioni librarie autonome è probabile, anche se ancora controverso, ma certo l’Exultet 3 di Bari dell’XI secolo, palinsesto, che presenta il testo latino scritto su un evangelistario greco di poco precedente, farebbe pensare quantomeno a una contiguità culturale soprattutto nella zona orientale della regione e porterebbe con sé anche la convinzione che il gusto, se non le forme, della minuscola greca di X secolo abbiano influito sul gusto, se non sulle forme, del tipo barese della minuscola beneventana138. L’analisi paleografica, negli ultimi anni, sempre più si è rivolta allo studio di un tassello ineliminabile della storia della scrittura: la storia della lettura. Non solo le fonti, ma i libri stessi ci parlano degli spazi culturali in cui essi hanno circolato, in virtù di un sistema complesso di “segni” grafici e paragrafici. La scrittura in cui è redatto il testo base o l’eventuale apparato notulare e interpuntivo permette di individuare l’ambito di produzione ma anche quello di circolazione di quel libro o di quei libri, per situarli in uno spazio culturale e contestualizzare il fenomeno o la tradizione di esso, dare un valore culturale oltre che cronologico alle scritture139. Ugualmente si comportano gli interventi di correzione o aggiornamenti del testo, la presenza originaria o l’aggiunta di segni paratestuali legati a un adattamento a forme di lettura differenti140, la purezza della tradizione grafica (se si può mai parlare di purezza nei fatti culturali) e il suo rapporto con le occorrenze epigrafiche o la mescolanza di influssi attestati nei cicli figurativi o ornamentali, l’eco culturale che questi ultimi hanno determinato e che ha positivamente contaminato altri sistemi complessi di “segni” non solo di origine libraria e non solo di produzione di élite, quale è quella che,

comparée. La composition du «codex» au Moyen Âge, en Orient et en Occident, a cura di PH. HOFFMANN, Paris 1998, pp. 69-97. 138 A una interrelazione tra i due sistemi grafici nella Puglia latina pensa, invece, A. PRATESI, Influenze della scrittura greca nella formazione della beneventana del tipo di Bari, in La chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo, Padova 1973, pp. 1095-1109. 139 M. PARKES, ‘Folia librorum quaerere’: medieval experience of the problems of hypertext and the index, in Fabula in tabula: una storia degli indici dal manoscritto al testo elettronico. Atti del Convegno di studio della Fondazione Ezio Franceschini e della Fondazione IBM Italia, Certosa del Galluzzo, 21-22 ottobre 1994, a cura di C. LEONARDI – M. MORELLI – F. SANTI, Spoleto 1995, pp. 23-42. 140 ID., Leggere, scrivere, interpretare il testo: pratiche monastiche nell’alto Medioevo, in Storia della lettura, a cura di G. CAVALLO – R. CHARTIER, Roma 1995, pp. 71-90; G. CAVALLO, Una mano e due pratiche. Scrittura del testo e scrittura del commento nel libro greco, in Le commentaire entre tradition et innovation. Actes du colloque international de l’Institut des traditions textuelles, Paris et Villejuif, 22-25 septembre 1999, a cura di M.-O. GOULLET-CAZÉ, Paris 2000, pp. 57-64.

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in ogni caso, fa riferimento al libro d’apparato o d’uso scolastico, permettono di interpretare il libro come “medium” culturale. Proprio il libro di scuola, essenzialmente di scuola monastica, è ampiamente rappresentato nella raccolta Vaticana e in primis il libro che porta testi classici, che sono alla base della formazione grammaticale finalizzata alla comprensione delle Scritture e dei Padri, ma che, nel loro riproporsi nei programmi di lettura, riacquistano un valore intrinseco, accresciuto dal ripristino di tradizioni autoctone, spesso proposte da “riscoperti” testimoni tardo antichi, che assieme al testo riaccendono l’attenzione (che vuol dire conservazione e interpretazione di modelli) anche sulle scritture che li veicolano141. È il tema, questo, che è al centro di una mostra di manoscritti, uno dei grandi eventi a cui la Biblioteca Vaticana, in collaborazione con altri Enti o come unica Istituzione organizzatrice, ha abituato il pubblico più o meno dotto negli ultimi decenni, intitolata Virgilio e il chiostro142, che non comprende solo codici Vaticani, ma che in molti di essi trova i suoi punti di forza per mettere in evidenza i capisaldi della conoscenza scolastica dei classici nel Medioevo: cioè i libri, materialmente intesi, che ci sono pervenuti e, con essi e tramite essi, i modi di arrangiamento e presentazione del testo — o spesso dei testi — a cui ambienti culturali differenziati danno valore nelle varie epoche, in base alla funzione che il libro, quel libro, doveva assolvere con conseguenti persistenze e perdite e riscoperte e ripensamenti non solo di opere, ma di forme grafiche e tecniche scrittorie, di tradizioni ornamentali. Una mostra, quella, conformata a un’idea forte dello stretto legame tra libro, inteso come complesso di “segni” di cui il testo è il portato principale ma non unico, scrittura/scritture e valore formale e culturale di esse, ambiente di produzione e ruolo che all’interno di un programma di lettura si intende riservare a quell’insieme di “input”, si direbbe oggi, legati all’insegnamento primario e superiore, all’elaborazione teorica del pensiero, a partire dalle fonti patristiche, applicato all’attività esegetica che percorre tutto il Medioevo e approda allo studio dei Padri 141 Il pensiero torna ad Armando Petrucci e al suo Alfabetismo e cultura scritta cit., ma anche a G. CAVALLO, Scuola, libri, pratiche intellettuali a Roma tra il V e il IX secolo, in Roma dall’antichità al medioevo. Archeologia e storia nel Museo Nazionale Romano Crypta Balbi, a cura di M. S. ARENA – P. DELOGU – L. PAROLI – M. RICCI – L. SAGUÌ – L. VENDITTELLI, Milano 2001, pp. 92-103. 142 Cfr. Virgilio e il Chiostro. Manoscritti di autori classici e civiltà monastica. Catalogo della mostra Montecassino 8 luglio – 8 dicembre 1996, organizzata dall’Abbazia di Montecassino, dal Ministero per i Beni Culturali, Ufficio Centrale per i Beni Librari, le Istituzioni Culturali e l’Editoria, e dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di M. DELL’OMO, Roma 1996, in particolare i contributi di O. PECERE, Prima dei classici. La cultura scritta a Montecassino da san Benedetto a Teobaldo, pp. 67-82 e M. DELL’OMO, Da Paolo Diacono a Pietro Diacono: Montecassino medievale e la tradizione classica, pp. 55-66.

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nell’età umanistica. In tal modo si tende a individuare i modi, i tempi, i luoghi intellettuali, oltre che geografici, di produzione e ricezione del testo classico e le tradizioni di registrazione grafica di quel pensiero. Sono i codici, spesso non “accattivanti” dal punto di vista estetico, a darci prova di tutto ciò, come l’Orazio Reg. lat. 1703 in minuscola carolina di area renana degli inizi del IX secolo con glosse attribuite a Valafrido Strabone, la miscellanea Reg. lat. 309 di impostazione geografica e astronomica con epitomi delle opere di Plinio il Vecchio, Macrobio, Marziano Capella scritta verosimilmente nello stesso torno di tempo a Saint Denis, i Fasti ovidiani Vat. lat. 3262 in beneventana dell’età di Teobaldo del primo trentennio dell’XI secolo, testimone di una tradizione autonoma e fortemente indiziato, per la sua forma oblunga e per una serie di errori di lettura, di essere l’apografo di un codice italo meridionale in minuscola dell’VIII secolo, oppure il Commento di Servio a Virgilio Vat. lat. 3317 un codice del X secolo in beneventana forse di Napoli, dove sviluppati erano gli studi virgiliani in quel periodo di grande fioritura della cultura classica e molto probabilmente dell’attività grafica, che riporta anch’esso una tradizione indipendente dei Commentaria serviani derivante direttamente da uno degli archetipi. Ed è una mostra, questa volta sì costituita solamente di manoscritti Vaticani143, che sviluppa un’altra idea forte degli studi intorno al libro e alla scrittura e ai modi di ricezione del testo, che ha contribuito ad arricchire gli studi paleografici dall’ultimo ventennio del XX secolo. Partendo dall’ineludibile rigorosa analisi formale, si va oltre il dato grafico o testuale stricto sensu, ma che da “testo” funge , per inserire gli esiti di quell’analisi in una prospettiva tridimensionale, che si avvale dello studio delle sinapsi che si generano tra le forme grafiche e altri modi di veicolare l’informazione, oltre e intorno al testo, modi che si collegano a tradizioni culturali in cui quel testo si situa, che non sono sempre esprimibili con la parola scritta, che fanno parte di un livello comunicativo sintetico e che al tempo stesso si dispiega su vari stadi interpretativi in relazione all’acculturazione di chi quella comunicazione riceve, quale solo l’immagine può rappresentare144. La pagina scritta, con i sistemi grafici adottati, con il décalage di 143 Vedere i classici: l’illustrazione libraria dei testi antichi dall’età romana al tardo Medioevo. Catalogo della mostra Città del Vaticano, Salone Sistino-Musei Vaticani, 9 ottobre 1996-19 aprile 1997, a cura di M. BUONOCORE, Roma 1996. 144 G. CAVALLO, Scrivere e decorare il libro, in Civiltà dei Romani, IV. Un linguaggio comune, a cura di S. SETTIS, Milano 1993, pp. 190-201; ID., Testo e immagine: una frontiera ambigua, in Testo e immagine nell’alto medioevo. XLI Settimana di studio CISAM, Spoleto15-21 aprile 1993, Spoleto 1994, pp. 31-62; R. MCKITTERICK, Text and image in the Carolingian world, in The uses of literacy in Early Mediaeval Europe, a cura di R. MCKITTERICK, Cambridge 1990, pp. 297-318.

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significatività assegnato ad essi, con la presenza di rubriche, di titoli, con la disposizione di capitoli per cola et commata, con la mise en page di componimenti in versi mostra al massimo grado di non essere una sorta di formattazione automatica che risponde solamente ad asettici imperativi di ergonomicità del prodotto, o a una ripetitiva tradizione di veicolazione di una tipologia testuale (elementi veri e presenti nel processo di allestimento del codice, ma non sufficienti)145. La pagina scritta, attraverso lo stretto rapporto con l’immagine che la spiega, la chiosa, la collega a forme altre di espressione artistica o culturale, si mette in relazione con il lettore, raffinato o elementare che sia, e tale intreccio di rimandi di senso contribuisce a dare nuovo valore al testo tràdito, alla sua ricezione e quindi lo porta a “parlarci” dei suoi lettori e dell’ambito di circolazione. Un solo esempio, tratto da un manoscritto, che nella sua delicata modestia non è certo uno dei masterpieces contenuti nel catalogo: si tratta di un codice delle Metamorfosi di Ovidio, Vat. lat. 1596, scritto in una textualis incipiente di XII-XIII secolo, di piccolo modulo e di area italiana non altrimenti caratterizzata. Al luogo della XXX fabula del II libro, là dove si parla del pastore Batto, il curatore del catalogo riconosce nella figura, che propone il protagonista con il bastone tipico e l’abbigliamento dei pastori transumanti dell’Italia centro meridionale, un rimando perfetto a “raffigurazioni analoghe in monumenti epigrafici o in reperti archeologici rinvenuti a Amiternum, Alba Fucens, Aesernia, Sulmo e databili tra il I secolo a.C. e il II d. C.”146. Questo fatto, in assenza di dati sicuri sull’origine del codice, potrebbe far pensare alla riproposizione iconografica di una tradizione locale e potrebbe addurre qualche contributo, assolutamente extragrafico, alla definizione di fatti grafici, quale la presenza dell’uso della testuale e le forme che essa assume nel XIII secolo in aree ancora di competenza territoriale beneventana ma sufficientemente periferiche da non risentire pesantemente del dominio grafico della scrittura canonizzata, il che sarebbe l’esito naturale di quelle sperimentazioni di digrafismo beneventana/ carolina così frequenti nel XII secolo proprio nelle zone vicine al confine nord-orientale del Ducato, cui si è accennato in precedenza. Tra le domande di derivazione giornalistica che devono guidare ogni 145 Si rimanda, per pura esemplificazione, a E. EISENLOHR, Kola und Kommata. Von Hieronymus zum Evangeliar Heinrichs des Löwen, in Mabillons Spur: zweiundzwanzig Miszellen aus dem Fachgebiet für Historische Hilfswissenschaften der Philipps-Universität Marburg zum 80. Geburtstag von Walter Heinemeyer, a cura di P. RÜCK, Marburg an der Lahn 1992, pp. 105132; M. PARKES, The Influence of Concepts of Ordinatio and Compilatio on the Development of the Book, in Medieval Learning and Literature. Essays presented to Richard William Hunt, a cura di J. J. G. ALEXANDER – M. T. GIBSON, Oxford 1976, pp. 115–141. 146 Cfr. M. BUONOCORE, La ricezione figurata dei classici. Genesi e struttura di una mostra, in Vedere i classici cit., pp. 7-26, in part. p. 8.

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analisi sulle testimonianze scritte, cercare di comprendere il ‘perché’ di una scrittura, cioè non solo a quale scopo si scrive, ma proprio perché si scrive così, è, forse, l’obiettivo ultimo della paleografia moderna e per raggiungerlo serve una ‘paleografia totale’, per parafrasare la ‘integral palaeography’ di Leonard Boyle147. E torna in mente l’idea della ‘grand codicologie’ di Samaran148, che, nell’interpretazione che si è cercato di dare in questo intervento, è come dire poi ‘grand paléographie’.

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BOYLE, Integral Palaeography cit. Cfr. L. GILISSEN, La paléographie en Belgique durant les cent dernières années. Aperçu très bref, in Un secolo cit., pp. 267-279. 148

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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 24, f. 153r.

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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5750, f. 67r.

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BIBLE, PATRISTIQUE, LITURGIE ET HAGIOGRAPHIE Au seul énoncé de ce titre, on mesure l’ampleur du sujet à traiter. Chacun de ces thèmes réclamerait un exposé particulier, et surtout un spécialiste de chacun d’eux. Bien mieux que moi, les différents acteurs de la Bibliothèque auraient su montrer qu’elle est à la fois, en chacun de ces domaines, un lieu de recherche et au service de la recherche. Le désir d’honorer la collection « Sources Chrétiennes » peut seul expliquer, à mes yeux, que Mgr Pasini m’ait confié cette tâche redoutable, qui dépasse de beaucoup mes compétences. J’avais primitivement envisagé d’illustrer cette double fonction exercée par la Bibliothèque à partir d’un choix de volumes de « Sources Chrétiennes » : l’exercice m’est rapidement apparu bien difficile et un peu artificiel, malgré la dette contractée par beaucoup d’auteurs de la Collection à l’égard de la Bibliothèque. Aussi ai-je jugé plus simple de procéder à un inventaire sommaire des ressources qu’elle met à la disposition des chercheurs en chacun des domaines qui nous occupent, en limitant cet inventaire aux publications parues depuis la seconde moitié du siècle dernier. Au regard de tout éditeur de texte — biblique, patristique, liturgique ou hagiographique —, la Bibliothèque s’impose avant tout comme lieu de recherche par la richesse de ses fonds manuscrits. La première partie de mon exposé sera donc consacrée aux manuscrits dont elle assure la conservation. Certains d’entre eux pourraient seulement passer pour des objets précieux donnés à voir, alors qu’ils sont infiniment plus que cela et font l’objet de recherches approfondies, menées à la fois au sein de la Bibliothèque et hors de ses murs. D’autre part, la conservation et la mise en valeur de ce patrimoine manuscrit s’accompagnent d’un ensemble impressionnant de publications, dont la Bibliothèque a l’initiative et qui concernent largement chacun des domaines énoncés, bien au-delà des recherches proprement codicologiques. Cela fera l’objet de la seconde partie de mon exposé1. 1 Pour alléger le système des références concernant les publications de la Bibliothèque Vaticane, nous abrégeons le plus souvent « Città del Vaticano » en « CV », suivi de la date de publication de l’ouvrage, et « Studi e testi » en « ST », précédé seulement de la date de publication et suivi du numéro d’ordre dans la Collection.

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 117-141.

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I. Le trésor des manuscrits Parmi environ 150.000 manuscrits que conserverait la Bibliothèque vaticane, plusieurs jouissent, à divers titres — en raison de leur ancienneté, de leur rareté ou de leur ornementation — d’une notoriété particulière. Une centaine seulement figure à ce jour dans la prestigieuse série des Codices selecti, elle-même répartie en deux classes, une Series maior et une Series minor. Les manuscrits bibliques et liturgiques y sont les mieux représentés au côté de manuscrits concernant l’Antiquité classique — Virgile, Térence, Cicéron, Claude Ptolémée — ou les Trecento et Quatrocento italiens — Dante, Pétrarque. En revanche, les manuscrits de textes patristiques ou hagiographiques ne bénéficient pas d’une semblable mise en valeur. Je me limiterai ici à citer quelques-uns de ces manuscrits « donnés à voir », relatifs à notre sujet, en soulignant que, depuis les années 1960, près d’une trentaine a fait l’objet de reproductions en fac-similés, accompagnées d’une présentation critique ou d’un commentaire, ce qui représente un travail d’édition considérable. 1. Les manuscrits donnés à voir pour la richesse de leur décoration Dès le début du siècle dernier, il est vrai, des reproductions phototypiques avaient rendu accessibles aux spécialistes, et non seulement aux bibliophiles plusieurs de ces manuscrits prestigieux — je pense en particulier au Vat. gr. 1209, le fameux Codex B de la Bible grecque2, et au Rouleau de Josué3, le Pal. gr. 431. Grâce au développement des techniques, les reproductions successives qui en ont été faites ont gagné en qualité et marquent chaque fois aussi une étape dans la recherche. Au rayon des Bibles, il conviendrait encore de citer : l’Évangéliaire de Lorsch conservé par le Pal. lat. 50, un manuscrit sur parchemin d’époque carolingienne (vers 810)4 ; la Biblia pauperum du Pal. lat. 871, également sur parchemin, d’époque nettement plus tardive (XIVe-XVe)5, ou encore 2 Bibliorum ss. Graecorum codex Vaticanus 1209 (cod. B) denuo phototypice expressus… I-IV, Milan 1904-1907. 3 Il Rotulo di Giosuè, codice Vaticano Palatino greco 431, Milan 1905. 4 Das Lorscher Evangeliar, Biblioteca Documentarã Batthyáneum, Alba Iulia, Ms R II, 1 ; Biblioteca Apostolica Vaticana, Codex Vaticanus Palatinus Latinus 50. [I. Faksimile-Edition] ; [II]. Kommentar, K. BIERBRAUER… [et al.] ; herausgegeben von H. SCHEFERS, Lucerne 2000. Dernièrement, lors de son voyage en Angleterre, le pape Benoît XVI a offert le fac-similé de cet évangéliaire à la reine Élisabeth II. 5 Die Biblia pauperum im Codex Palatinus Latinus 871 der Biblioteca Apostolica Vaticana sowie ihre bebilderten Zusätze, mit einer kodikologischen Beschreibung der Handschrift. Mitteilungen über ihre Geschichte, der Transkription der Texte, sowie Erläuterungen versehen von K.-A. WIRTH, Zurich 1982.

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BIBLE, PATRISTIQUE, LITURGIE ET HAGIOGRAPHIE

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celle, sur papier, presque contemporaine de la précédente (XVe s.), du Pal. lat. 1436. On citera aussi parmi ces trésors insignes : la Bible grecque, dite du patrice Léon (Reg. gr. 1B, XIe s.)7, du XIe siècle, la Bible de Ripoll (Vat. lat. 5729, Xe-XIe s.)8 ou celle de Montefeltro (Urb. lat. 1-2, parchemin, XVe s.)9. Tout aussi nombreux sont les fac-similés de textes liturgiques réalisés depuis la seconde moitié du siècle dernier, au premier rang desquels figure le Sacramentaire Gélasien (Reg. lat. 316, VIIIe s.)10, tenu pour le plus ancien sacramentaire officiel à l’usage de l’Église de Rome, dont Antoine Chavasse, sans négliger l’apport d’autres sacramentaires romains, a montré l’importance pour reconstituer l’histoire de la liturgie romaine11. Citons encore : le Ménologe de Basile II, un manuscrit du Xe s. [an. 976-1025], le Vat. gr. 1613)12, qui fit déjà au début du siècle dernier l’objet d’une reproduction, et le Martyrologe de Reichenau, un manuscrit du IXe s. [an. 855], le Reg. lat. 43813, doté d’une iconographie particulièrement remarquable, ou encore le Lectionnaire pour la fête des saints Benoît, Maur et Scholastique (Vat. lat. 1202)14 et les Neuf types de prières de S. Dominique du Ross. 3 (XIIIe s.)15. Plusieurs autres manuscrits de livres liturgiques ont pareillement été reproduits — le Missel du Pape Alexandre VI pour la Na-

6 Biblia pauperum. Riproduzione del Codice Palatino latino 143 : Canticum Canticorum … Presentazione di L. DONATI et L. MICHELINI TOCCI, CV 1978. 7 Die Bibel des Patricius Leo : Codex reginensis graecus I B. Einführung von S. DUFRENNE et P. CANART. I-II, Zurich 1988. 8 Les Bíblies de Ripoll. I, Vaticà, Lat. 5729, Vic 2002. (Pour le volume de commentaire, cfr. ST 408). 9 La Bibbia di Federico da Montefeltro (Urb. Lat. 1-2). [I. Facsimile] ; [II] Commentario al codice, a cura di A. M. PIAZZONI, Modène 2004-2005. 10 Sacramentarium Gelasianum e Codice Vaticano Reginensi Latino 316 [introd. de L. MICHELINI TOCCI et B. NEUNHEUSER]. I-II, CV 1975. 11 A. CHAVASSE, Le Sacramentaire gélasien (Vaticanus Reginensis 316). Sacramentaire presbytéral en usage dans les Titres romains au VIIe siècle, Paris 1958 [pp. VI-XIII]. 12 Menologio de Basilio II (Vat. Gr. 1613) [I. Facsímil], Torrejón de Ardoz (Madrid) 2006 ; F. D’AIUTO – I. PÉREZ MARTÍN, El Menologio de Basilio II: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, Vat. gr. 1613. Libro de estudios con ocasión de la edición facsímil (Colección scriptorium, 18), CV – Athènes – Madrid 2008. 13 W. VON PRÜM, Das reichenauer Martyrologium für Kaiser Lothar I., cod. Reg. lat. 438. Kommentarband von H.-W. STORK. I-II, Zurich 1997. 14 Lektionar zu den Festen der heiligen Benedikt, Maurus und Scholastica, Vat. lat. 1202. Handschrift aus Montecassino entstanden unter Abt Desiderius (1058-1086). I-II, Zurich 1981. 15 Modi orandi Sancti Dominici, cod. Ross. 3 (1) : die Gebets- und Andachtsgesten des Heiligen Dominikus : eine Bilderhandschrift. Kommentarband, L. E. BOYLE et J.-C. SCHMITT. I-II, Zurich 1997.

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tivité16, l’Exultet du Mont-Cassin17, l’Antiphonaire de la Basilique de S. Pierre18 —, ainsi que des Livres d’Heures : l’Office de la Vierge du Vat. lat. 378119 ou celui du Vat. lat. 1029320. Dans cette série prestigieuse, disions-nous, les ouvrages patristiques sont peu représentés. N’y figurent, sauf erreur, que la reproduction, au début du siècle dernier, du plus ancien des manuscrits de la Topographie chrétienne de Cosmas Indicopleustès, le Vat. gr. 69921, dont une nouvelle reproduction serait souhaitée, et le fac-similé du Vat. gr. 1162 (XIIe s.), récemment réalisé, qui transmet les Homélies mariales du moine Jacques de Kokkinobaphos22, un manuscrit comparable par la richesse de son iconographie à celui de la BNF, le Paris ms. gr. 1208 (Ancien fonds grec). Précieux par leur iconographie et souvent aussi par leur ancienneté, ces Codices selecti sont évidemment bien plus que de beaux objets « donnés à voir » : ils sont aussi, et avant tout, des objets d’étude et de recherche, l’image qui en fait la beauté étant inséparable de leur contenu textuel et du contexte dans lequel en a été effectuée la copie. 2. Les manuscrits donnés à voir en raison de leur ancienneté La preuve en est que, si la plupart des manuscrits reproduits en facsimilés dans la Series maior le doivent d’abord à l’abondance et à la qualité de leurs miniatures, un petit nombre le doit presque exclusivement à l’ancienneté et à l’importance qu’ils revêtent pour l’histoire du texte biblique ou celle de la liturgie. Ainsi en va-t-il du Sacramentaire Gélasien, et plus encore du Codex B (IVe s.), des manuscrits certes particulièrement soignés et dans un excellent état de conservation, mais d’une grande sobriété — 16 Missale Pontificis in Nativitate Domini : das Weihnachtsmissale Papst Alexanders VI. Codex Borgianus Latinus 425. Eine Einführung von A. ROTH… [et al.]. I-II, Zurich 1986. 17 Die Exultetrolle Codex Barberini latinus 592. Einführung von G. CAVALLO, wissenschaftliches Resümee von L. SPECIALE. I-II, Zurich 1988. 18 Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio di San Pietro B 79 : Antifonario della Basilica de S. Pietro (sec. XII). I. Introduzione e indici a cura di B. G. BAROFFIO – S. JUNG KIM ; presentazione di L. E. BOYLE ; II. Fac-simile (Musica Italiae liturgica, 1), Rome 1995. 19 Offizium der Madonna : das vatikanische Stundenbuch Jean Bourdichons, Cod. Vat. lat. 3781. Eine Einführung von E. KÖNIG, Zurich, 1984. 20 Offizium der Madonna : Vat. lat. 10293, Flandern, um 1500. Einführung von B. BRINKMANN, Zurich 1987. 21 Le miniature della Topografia cristiana di Cosma Indicopleuste, codice Vaticano greco 699, con introd. di C. STORNAJOLO, Milan 1908. 22 Das Marienhomiliar des Mönchs Jacobos von Kokkinobaphos : codex Vaticanus graecus 1162, I. HUTTER et P. CANART. I-II, Zurich 1991.

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surtout le Codex B — d’ornementation. Avec de tels fac-similés, la Bibliothèque met à la disposition de la communauté scientifique de précieux instruments de recherche et suscite également la recherche. Nous avons brièvement mentionné les études dont le Sacramentaire Gélasien a fait l’objet. Que dire des recherches suscitées, sur l’Ancien et le Nouveau Testament, par les fac-similés du Codex B, la reproduction déjà ancienne du seul Nouveau Testament, en 196823, ou sa dernière reproduction intégrale, en 199924 ? La possibilité est désormais largement offerte de confronter son texte à celui du Sinaiticus et de l’Alexandrinus. La réalisation de ce dernier fac-similé n’a-t-elle pas été récemment à l’origine du colloque international de Genève (2001), dont les Actes viennent d’être publiés25 ? On saura gré, du reste, aux auteurs de l’introduction et à la Bibliothèque d’avoir autorisé la reprise, dans ce volume d’Actes, des précieux Prolegomena à l’édition vaticane, et de permettre ainsi à un plus grand nombre de biblistes d’avoir accès au dernier état de la recherche sous la plume de spécialistes reconnus. Tout n’est pas dit, en effet, sur ce célèbre et vénérable Codex ! Au fur et à mesure que s’affine la recherche, aussi bien sur la présentation matérielle du codex que sur la nature et la qualité de son texte, des questions surgissent ou viennent remettre en cause des opinions qui semblaient faire consensus. Son origine égyptienne26, jusque-là largement admise, est maintenant écartée par certains spécialistes au profit d’une origine palestinienne27, voire romaine28. L’attention récemment portée à la présence de notations marginales, connues désormais sous le nom de distigmai, ouvre des perspectives nouvelles sur la connaissance, par le copiste ou les réviseurs du Codex B, de variantes textuelles dont témoignent d’autres manuscrits, et conduit à s’interroger sur l’incidence qu’elles auraient pu avoir 23 Novum Testamentum e codice Vaticano graeco 1209 (codex B), tertia vice phototypice expressum [introd. di C. M. MARTINI], Rome 1968. L’exemplaire offert par le Pape Paul VI à l’Institut des Sources Chrétiennes est daté de 1965. 24 Codex Vaticanus B Bibliorum sacrorum Graecorum — Bibliothecae Apostolicae Vaticanae Codex Vaticanus Graecus 1209, I. [Facsimile] ; II. Prolegomena di P. CANART – P.-M. BOGAERT – S. PISANO, Rome 1999. 25 P. ANDRIST (éd.), Le manuscrit B de la Bible (Vaticanus graecus 1209) [Introduction au fac-similé, Actes du colloque de Genève (11 juin 2001), Contributions supplémentaires], Lausanne 2009. 26 Cfr. P.-M. BOGAERT, Le Vaticanus graecus 1209 témoin du texte grec de l’Ancien Testament, dans Le manuscrit B de la Bible cit., pp. 47-76 ; ID., Le Vaticanus, Athanase et Alexandrie, ibid., pp. 135-155. 27 Cfr. J. K. ELLIOTT, Theodore Skeat et l’origine du Codex Vaticanus, ibid., pp. 119-133. 28 Cfr. C. B. AMPHOUX, Les circonstances de la copie du Codex Vaticanus (Vat. gr. 1209), ibid., pp. 47-76.

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sur la pureté de son texte, parfois altéré, semble-t-il, par l’introduction de variantes hexaplaires ou pré-hexaplaires29. L’étude des rapports entre le Codex B et le canon d’Athanase ou celui d’Eusèbe atteste l’étroitesse du lien qui unit très souvent les recherches bibliques et patristiques et renvoie une fois encore à la question de l’origine du Codex30. Bien d’autres questions sont encore débattues — le Codex B contenait-il ou non les épîtres pastorales31 ? —, qui montrent non seulement l’importance de ce manuscrit, malgré l’intérêt assez tardif que lui a porté la critique biblique, mais aussi celle de « moteur de recherche » joué par sa reproduction en fac-similé. C’est de même son ancienneté et sa valeur de témoin exceptionnel qui valent au Papyrus Bodmer VIII (P72), contenant les deux Épîtres de Pierre, d’appartenir à la grande série des fac-similés32. Ce papyrus de petit format et de facture modeste, certes admirablement bien conservé — à l’exception du premier feuillet quelque peu rogné sur les bords —, probablement copié en Égypte au IIIe s., peut-être dans la région de Thèbes — on ignore le lieu de sa découverte —, par des copistes coptes, n’est précieux que par son contenu et pour l’histoire du canon du Nouveau Testament. Sans doute destiné à un usage privé plutôt qu’à la lecture publique à l’église, il conserve de ces deux épîtres un texte plus ancien que celui du Codex B avec lequel il a toutefois de grandes affinités. J’ajoute en passant que la bibliothèque de «Sources Chrétiennes» doit au Pape Paul VI d’en posséder un fac-similé, comme elle lui doit celui du Nouveau Testament du Codex B. On souhaiterait que le Papyrus Bodmer XIV-XV (P75), récemment entré dans les collections de la Bibliothèque (nov. 2006) et daté lui aussi du début du IIIe s., puisse à son tour connaître la même fortune. D’apparence moins modeste que le Bodmer VIII, en ce qu’il semble avoir été transcrit par un professionnel, mais dans un moins bon état de conservation, il ne contient plus aujourd’hui que les chapitres 3-24 de l’Évangile de Luc et les chapitres 1-15 de l’Évangile de Jean, les débris des feuillets portant le début de l’Évangile de Luc et la fin de celui de Jean ayant servi à renforcer la reliure du codex. A la différence aussi du Bodmer VIII, dans lequel le début de chacune des deux Épîtres de Pierre trouve place en tête d’un nou29 Cfr. P. B. PAYNE and P. CANART, Distigmai Matching the Original Ink of Codex Vaticanus : Do They Mark the Location of Textual Variants ?, ibid., pp. 199-226. 30 Cfr. BOGAERT, Le Vaticanus, Athanase et Alexandrie cit., ibid. ; P. ANDRIST, Le milieu de production du Vat. gr. 1209 et son histoire postérieure : le canon d’Eusèbe, les listes du IVe siècle des livres canoniques, les distigmai et les mss connexes, ibid., pp. 227-256. 31 Cfr. S. PISANO, The Vat. gr. 1209 : A Witness to the Text of the New Testament, ibid., pp. 77-97. 32 Beati Petri Apostoli Epistulae ex Papyro Bodmeriana VIII transcriptae (Biblioteca Apostolica Vaticana, Bodmer VIII). Introductio, textus et apparatus cura et studio CAROLI M. S.R.E. Cardinalis MARTINI, Torrejón de Ardoz (Madrid) 2003.

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veau feuillet, ce papyrus, sans doute dans une volonté d’« économie », fait commencer l’Évangile de Jean sur le feuillet où s’achève celui de Luc : seul un espace de la valeur de quelques lignes souligne, après l’explicit de l’un et avant l’incipit de l’autre, la séparation des deux textes. Des feuillets utilisés dans la reliure du codex, il ne reste que des fragments, parfois infimes, le plus souvent laissés de côté par les éditeurs de l’édition princeps33. Notons qu’à l’occasion de la douzième Assemblée Générale du Synode des évêques, la Bibliothèque a dernièrement (2008) reproduit quelques feuillets de ce papyrus — le texte du Pater dans sa version lucanienne et le Prologue de Jean —, dans un élégant petit volume34, en y joignant une description du manuscrit qui en souligne l’importance pour la constitution du canon des évangiles et relève les affinités de son texte avec celui du Codex B35, ce que notaient déjà les auteurs de l’édition princeps. La publication récente de nouveaux fragments, provenant peut-être de la reliure, fait souhaiter que la Bibliothèque Vaticane puisse prochainement offrir aux spécialistes un fac-similé le plus complet possible de ce papyrus, comme elle l’a fait pour le Bodmer VIII. 3. Les manuscrits présentés lors d’expositions Auraient droit aussi à l’appellation de Codices selecti, bien qu’il s’agisse d’une catégorie fort différente de la précédente, les manuscrits « donnés à voir » lors d’expositions et répertoriés dans les catalogues édités pour la circonstance. Mentionnons, par exemple : en 1972, celui de l’exposition Il Libro della Bibbia36 ; en 1965, celui de l’exposition consacrée aux Manoscritti e stampati liturgici37 ; en 1988, celui de l’exposition sur les Livres d’Heures38 ou encore, en 1995, sur Liturgia in figura39. En ce qui concerne les textes 33

V. MARTIN – R. KASSER, Papyrus Bodmer XIV-XV. Évangiles de Luc et Jean. I-II. Bibliotheca Bodmeriana, Cologny-Genève 1961. De nouveaux fragments, qui étaient absents de l’editio princeps, ont été publiés récemment : cfr. M.-L. LAKMANN, Papyrus Bodmer XIV-XV (P75). Neue Fragmente, dans Museum Helveticum 64 (2007), pp. 22-41 ; J. M. ROBINSON, Fragments from the Cartonnage of P75, dans Harvard Theological Review 101 (2008), pp. 231-252. 34 Un venerabile testimone dei Vangeli secondo Luca e secondo Giovanni : il Papiro Bodmer 14-15 (P75) [Introd. R. FARINA, p. 8-19], Città del Vaticano 2008. 35 Cfr. S. J. VOICU, « Scheda tecnica : cenni sulla storia, sul contenuto e sulla finalità del Papiro Bodmer 14-15 (P75) », ibid., p. 24-39. 36 Il Libro della Bibbia. Esposizione di manoscritti e di edizioni a stampa della Biblioteca Apostolica Vaticana dal secolo III al secolo XVI, CV 1972. 37 Manoscritti e stampati liturgici esposti dalla Biblioteca vaticana in occasione del Congresso intern. dei traduttori di libri liturgici, CV 1965. 38 Libri d’ore della Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di G. MORELLO, Zurich 1988. 39 Liturgia in figura. Codici liturgici rinascimentali della Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di G. MORELLO e S. MADDALO, CV 1995.

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patristiques, il faut citer le beau catalogue de l’exposition de Florence, en 1997, Umanesimo e Padri della Chiesa40, qui offre près d’une trentaine de planches de manuscrits de la Bibliothèque, dont 75 font l’objet d’une présentation ou d’une mention, ce qui en fait le groupe le plus important de manuscrits cités après celui des bibliothèques florentines. Fruits d’un important travail de sélection et de recherche de la part de leurs éditeurs, ces catalogues d’exposition témoignent non seulement de la volonté de la Bibliothèque de faire connaître à un large public la richesse de ses fonds manuscrits, mais constituent aussi, même pour le spécialiste, en raison de la qualité des reproductions et des notices scientifiques qui accompagnent les documents présentés, de précieux instruments de travail. 4. Les manuscrits précieux par leur seul contenu A côté de ces manuscrits « donnés à voir », bien plus nombreux encore sont ceux qui, pour être de facture plus modeste, n’en sont pas moins précieux. Il n’est pas question ici d’en esquisser la liste : la tâche serait immense. Quelques exemples suffiront, je l’espère, à faire pressentir leur importance pour la recherche. 4.1. Manuscrits tardifs Il ne s’agit pas nécessairement de manuscrits très anciens. Ainsi en vat-il du Codex Neofiti 1, un manuscrit sur parchemin de 449 folios, daté du début du XVIe siècle d’après son colophon (1504), qui contient, selon certains spécialistes, le plus ancien Targum palestinien complet. Copié à Rome par Gilles de Viterbe, futur cardinal, qui hébergea pendant une dizaine d’années le fameux grammairien juif Élie Lévita, il ne représenterait pas un Targum originel ancien utilisé pour la récitation synagogale, mais pourrait dériver d’un texte de base remontant aux tout premiers siècles de notre ère, ce texte étant lui-même la mise par écrit d’une tradition orale beaucoup plus ancienne. Longtemps considéré comme un des manuscrits vaticans du Targum d’Onqelos, son identité de Targum palestinien a été reconnue en 1956 par A. Díez Macho41. Dès lors, les travaux se sont succédé pour le situer par rapport aux autres Targums — l’Onqelos et le Pseu40 S. GENTILE (a cura di), Umanesimo e Padri della Chiesa. Manoscritti e incunaboli di testi patristici da Francesco Petrarca al primo Cinquecento, Biblioteca Apostolica Vaticana, Rome 1997. 41 Cfr. Targum du Pentateuque, Genèse [éd. R. LE DÉAUT – J. ROBERT, Paris 1978 (Sources chrétiennes, 245)], Introd., p. 38. A. DÍEZ MACHO, Ms Neophyti 1, 5 vol., Madrid – Barcelone 1968-1976.

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do-Jonathan, les fragments de manuscrits trouvés dans la Guénizah du Caire, le Targum samaritain et la Peshitta. Ce manuscrit tardif revêt donc un intérêt tout particulier, notamment pour l’histoire de l’exégèse juive et, éventuellement, pour une comparaison avec le Nouveau Testament, comme le note R. Le Déaut dans l’introduction à son édition dans Sources chrétiennes42. Quittons les premiers siècles et l’exégèse juive pour l’époque patristique au Ve siècle. Le plus ancien manuscrit grec des Lettres festales de Cyrille d’Alexandrie, un parchemin, l’Ott. gr. 448, n’est pas antérieur aux XIe- XIIe s., et les manuscrits postérieurs, tous du XVIe ou du XVIIe s., — cinq sur 13 sont conservés aussi à la BAV — dépendent de ce seul manuscrit43. C’est dire l’importance de ce manuscrit tardif qui conserve la presque totalité des 30 Lettres festales de Cyrille, un papyrus copte (P. Vindob. K 10157) ayant permis à A. Camplani d’apporter la preuve que seul un accident survenu dans la tradition manuscrite grecque avait accrédité l’idée que Cyrille n’avait pas écrit de lettre pour l’année 413/414, la première de son épiscopat44. Plus tardif encore est l’unique manuscrit grec à nous avoir conservé en tradition directe, et sous le nom de Cyrille, le traité de Théodoret de Cyr sur La Trinité et l’Incarnation, dont le cardinal A. Mai a donné l’édition princeps45. Il s’agit d’un manuscrit papier, le Vat. gr. 841 du XIVeXVe siècle. Grâce à divers témoignages, celui de Sévère d’Antioche et celui de la Chaîne sur Luc de Nicétas notamment, le traité a pu être restitué aujourd’hui à son véritable auteur46. Outre ce manuscrit unique, nous disposons d’une importante tradition indirecte, plus ancienne, pour chacune des deux parties du traité, et, dans ce cas encore, les manuscrits conservés à la Bibliothèque Vaticane sont parmi les plus anciens et, pour plusieurs d’entre eux, les plus complets. La nouvelle édition du traité que j’espère

42

Ibid., p. 41. Cfr. CYRILLE D’ALEXANDRIE, Lettres festales I-VI [éd. P. ÉVIEUX – W. H. BURNS et al., Paris 1991 (Sources chrétiennes, 372)], Introd., pp. 119-129. 44 A. CAMPLANI, La prima Lettera festale di Cirillo di Alessandria e la testimonianza di P. Vindob. K 10157, dans Augustinianum 39 (1999), pp. 129-138. 45 A. MAI, Scriptorum Veterum Nova Collectio e Vaticanis codicibus edita a Angelo Mai, Bibliothecae Vaticanae praefecto, t. VIII, livre III, Rome 1833, pp. 27-58. 46 E. SCHWARTZ, I. Die sogenannten Gegenanathematismen des Nestorius; II. Zur Schriftstellerei Theodorets (Sitzungsberichte der Königlich Bayerischen Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-Philologische und Historische Klasse 1922, 1. Abh.), München 1922, pp. 30-40 ; J. LEBON, Restitutions à Théodoret de Cyr, dans Revue d’Histoire Ecclésiastique 26 (1930), pp. 523-550 ; M. RICHARD, Les citations de Théodoret conservées dans la chaîne de Nicétas sur l’Évangile selon saint Luc, dans Revue Biblique 43 (1934), pp. 88-96. 43

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pouvoir achever prochainement sera de ce fait grandement redevable à la Bibliothèque. Allons plus loin. Malgré l’existence d’autres témoins du texte parfois bien plus anciens, l’intérêt d’un manuscrit tardif peut encore être d’un autre ordre : par exemple, s’il est l’exemplaire ayant servi à une première édition imprimée, comme c’est le cas de l’Ott. gr. 39, daté de 1536, pour celle de l’Éranistès47. 4.2. Manuscrits anciens On pourrait sans aucun doute produire d’autres exemples de manuscrits tardifs dont le statut de témoins uniques d’une œuvre, en tradition directe, fait tout le prix. À cet égard, leur importance n’est donc pas moindre que celle des manuscrits les plus anciens et les plus vénérables, ces Codices antiqui dont la Bibliothèque est également riche. Nous avons déjà mentionné l’ancienneté et l’intérêt du Reg. lat. 316 (VIIIe s.) qui transmet le Sacramentaire Gélasien. Mais il faut citer aussi les Vat. lat. 3835 et 3836, tous deux également du début VIIIe, qui conservent les Sermons du pape Léon le Grand — le premier pour la période de l’année liturgique qui va de la Passion (6e dimanche de Carême) à la fête des SS. Pierre et Paul et à celle des douze Apôtres, le second depuis la fête du premier août jusqu’à la fin de l’année liturgique — et constituent le plus ancien homiliaire latin. Bien qu’ils n’appartiennent pas, selon A. Chavasse, à la même tradition48 — l’un puise son texte des sermons de Léon dans un exemplaire de la première collection, le second appartient au groupe dit « l’homiliaire latin de type S » —, tous deux se recommandent par leur ancienneté. Il n’est que de lire la copieuse introduction d’A. Chavasse à son édition des Sermons de Léon le Grand pour voir combien, outre ces deux manuscrits les plus anciens, bien d’autres manuscrits du Vatican sont répertoriés ou utilisés pour l’édition. Parmi ceux de « type S », la deuxième collection des sermons de S. Léon, il faudrait signaler l’Homiliaire de Saint-Pierre, de la fin du Xe s. (Arch. Cap. San Pietro C.105, mutilé de la fin) et sa copie du XIIe s., le cod. Arch. Cap. San Pietro C.107. De la première collection de sermons, la Bibliothèque conserve deux représentants du Xe-XIe s., les Vat. lat. 8562 et 8563 ; des collections complètes issues des homiliaires ou indépendantes d’eux, témoignent en outre 15 manuscrits vaticans s’échelonnant du XIIe au XVe siècle. 47 THÉODORET DE CYR, Éranistès [éd. G. H. ETTLINGER, Oxford 1975], Introd., pp. 36-39. La première édition du texte parut à Rome : Dialogi tres contra quasdam haereses…, ed. CAMILLUS PERUSCHUS, Romae, per Stephanum Nicolinum Sabiensem, 1547. 48 LÉON LE GRAND, Sermons, [éd. A. CHAVASSE, Turnhout 1973 (Corpus Christianorum. Series Latina, 138)], pp. XXII-XXIV ; XLIX.

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Du traité d’Hilaire de Poitiers sur La Trinité, la Bibliothèque conserve également l’un des plus anciens manuscrits, puisque le cod. D.182 de l’Archivio del Capitolo di San Pietro, un manuscrit en onciales, aurait été écrit vers l’an 500. Il est donc avec le Paris 2630, le Paris 8907, le Wien 2160 et quelques autres manuscrits fragmentaires, l’un des témoins majeurs du texte, même si l’ordre des mots qu’il présente diffère souvent de celui des manuscrits les plus anciens, ou s’il ajoute parfois au texte et s’efforce de rendre clairs les développement doctrinaux, comme le note P. Smulders49. Dans le cas des Tractatus super psalmos d’Hilaire, en revanche, ce sont les bibliothèques de Vérone et de Lyon qui possèdent les plus anciens manuscrits, des onciaux du Ve s. Mais le Reg. lat. 95, du IXe s., en minuscule carolingienne, est tenu avec les deux autres pour l’un des meilleurs témoins du texte. Il est plaisant de noter que le manuscrit de Lyon, probablement copié en Italie méridionale, aurait pu rejoindre les fonds vaticans, alors que c’est le Reg. lat. 95, copié en France dans les environs d’Orléans, qui se trouve aujourd’hui à la Bibliothèque Vaticane ! Un autre manuscrit vatican, apparenté au manuscrit de Vérone (Bibl. capit. XIII), le Vat. lat. 251 du XIe s., a été lui aussi utilisé pour l’édition du CCL50. C’est dire combien cette édition est redevable, elle aussi, aux fonds de la Bibliothèque. Parce qu’il fait partie des manuscrits reproduits en fac-similés en raison de son iconographie, nous avons déjà évoqué le Vat. gr. 699, mais il faut insister ici sur le fait qu’il est le plus ancien témoin (IXe s.) du texte de la Topographie chrétienne de Cosmas Indicopleustès, le Sinaiticus gr. 1186 et le Laurent. Plut. IX. 28 appartenant tous les deux au XIe siècle51. On pourrait multiplier les exemples qui montreraient l’importance de la dette contractée à l’égard de la Bibliothèque par les éditeurs de textes patristiques, qu’il s’agisse de manuscrits anciens ou de manuscrits plus tardifs. Un rapide sondage sur les 200 premiers volumes de la collection « Sources Chrétiennes » révèle que 200 manuscrits appartenant à la Vaticane ont été consultés, collationnés en tout ou en partie, ou retenus pour l’édition du texte. Compte tenu du fait que les premiers volumes de la Collection n’offrent pas tous une édition critique, que l’existence d’un texte solidement établi dispense parfois d’avoir à refaire le travail, et que, dans d’autres cas, les manuscrits retenus pour l’édition proviennent d’autres bibliothèques, ces chiffres traduisent néanmoins la contribution irrempla49

HILAIRE DE POITIERS, De Trinitate [éd. P. SMULDERS, Turnhout 1979 (Corpus Christianorum. Series Latina, 62)], Introd., pp. 28*-29* ; 62*-65*. 50 HILAIRE DE POITIERS, Tractatus super psalmos [éd. J. DOIGNON, Turnhout 1997 (Corpus Christianorum. Series Latina, 61)], Introd., pp. XXXII-LXXIX [LXXIV-LXXVI]. 51 COSMAS INDICOPLEUSTÈS, Topographie chrétienne [éd. W. WOLSKA-CONUS, Paris 1968 (Sources chrétiennes, 141)], Introd., pp. 44-58.

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çable de la Bibliothèque Apostolique Vaticane à l’édition des textes patristiques. II. Les instruments de travail mis par la Bibliothèque à la disposition des chercheurs Il fallait donner la priorité aux manuscrits conservés et mis en valeur par la Bibliothèque, car ils constituent pour le chercheur et l’éditeur de texte, quel que soit son domaine de recherche, le premier de ses instruments de travail. Toutefois l’accès à un nombre aussi considérable de manuscrits, dont certains attendent encore une editio princeps — celle du Papyrus copte 9 des petits prophètes, par exemple, est actuellement en chantier, sous la direction de Nathalie Bosson — serait rendu bien difficile, si la Bibliothèque ne fournissait dans le même temps toute une série d’outils et d’études concernant les différents fonds, ou ne mettait à la disposition de la communauté scientifique, grâce à ses publications, les résultats des recherches conduites en chacun des domaines qui nous occupent. Il me faut donc maintenant dresser un rapide inventaire de ces différents instruments de recherche. 1. Les recherches relatives aux fonds manuscrits 1.1. La série des catalogues analytiques On mentionnera, en premier lieu, les catalogues analytiques des différents fonds de manuscrits. Outils indispensables, notamment pour l’éditeur de texte, leur réalisation exige, de la part des savants scriptores à qui nous les devons, de longues et patientes recherches. Au sein même de la Vaticane, on a pu déplorer la lenteur avec laquelle ces catalogues voyaient le jour et s’interroger sur la meilleure méthode à adopter et les règles à suivre pour parvenir, sans attendre encore deux ou trois siècles, à rendre compte des quelque 150.000 manuscrits conservés. Pourtant, dans le temps même où d’autres modes de catalogage plus « sommaire » étaient mis en œuvre — j’y reviendrai dans un instant —, se poursuivait la patiente mise au point des catalogues analytiques, avec des descriptions et des études de manuscrits plus complètes et plus précises encore que celles offertes par les premiers volumes de cette grande série. Le rythme même de leur publication s’est accéléré : rien que pour le fonds des Codices Vaticani graeci, on compte, depuis les années 1950, 8 nouveaux catalogues sur un total de 10 catalogues parus52, et, pour celui 52

R. DEVREESSE, Codices Vaticani graeci. III. Codices 604-866, CV 1950 ; C. GIANNELLI,

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des Codices Vaticani latini, également 8 nouveaux catalogues53, auxquels s’ajoutent trois réimpressions de catalogues plus anciens. Pour les Codices Barberiniani graeci, deux catalogues ont été publiés depuis les années 5054, et un pour les Barberiniani latini55. Les deux catalogues existants des Palatini graeci ont été réimprimés en 1975 ; pour les Codices Urbinates graeci, un catalogue a été réimprimé en 1981, et, pour les Urbinates latini, deux autres l’ont été en 1988. Enfin, pour quitter le domaine des manuscrits grecs et latins, deux nouveaux catalogues ont vu le jour, celui des Codices Vaticani Hebraici 1-115 en 195656 et celui des Codices Comboniani Aethiopici en 200057. Auxquels il faut ajouter l’inventaire récent des manuscrits hébreux de la Bibliothèque dressé par Benjamin Richler et publié dans la collection Studi e testi58. Ce sont donc au total, depuis 1950, 21 nouveaux catalogues parus et huit réimpressions de catalogues anciens, un nombre tout à fait considérable, si l’on a en vue la masse des documents répertoriés et minutieusement décrits, l’épaisseur des volumes et surtout le temps de travail nécessaire — il se compte en années ! — à la réalisation de chacun d’eux. 1.2. La série des catalogues « sommaires » Sans doute la tâche à accomplir reste-t-elle considérable. Uniquement pour combler les lacunes de la série actuelle des catalogues, il resterait à décrire plus de 1100 manuscrits pour les seuls Codices Vaticani graeci, et Codices Vaticani graeci 1485-1683, CV 1950 ; C. GIANNELLI, Codices Vaticani graeci 1684-1744. Addenda et indices, P. CANART, CV 1961 ; P. CANART, Codices Vaticani graeci 1745-1962. I. Codicum enarrationes, CV 1970 ; II. Introductio addenda indices, CV 1973 ; S. LILLA, Codices Vaticani graeci 2162-2254, CV 1985 ; P. SCHREINER, Codices Vaticani graeci 867-932, CV 1988 ; S. LILLA, Codices Vaticani graeci 2644-2663, CV 1996. 53 J. B. BORINO, Codices Vaticani latini. Codices 10876-11000, CV 1955 ; M.-H. LAURENT, Codices Vaticani latini. Codices 1135-1266, CV 1958 ; J. RUYSSCHAERT, Codices Vaticani latini. Codices 11414-11709, CV 1959 ; A. MAÏER, Codices Vaticani latini. Codices. 2118-2192, CV 1961 ; M. M. LEBRETON, Codices Vaticani latini. Codices 1135-1266. Indices, CV 1968 ; M. M. LEBRETON – A. FIORANI, Codices Vaticani latini. Codices 11266-11326, CV 1985 ; C. LEONARDI (M. M. LEBRETON), Codices Vaticani latini. Codices 2060-2117. Indices, A. M. PIAZZONI – P. VIAN, CV 1987 ; M. BUONOCORE, Codices Vaticani latini. Codices 9734-9782, CV 1988. 54 V. CAPOCCI, Codices Barberiniani graeci. I. Codices 1-163, CV 1958 ; J. MOGENET (J. LEROY, P. CANART), Codices Barberiniani graeci. II. Codices 164-281, CV 1989. 55 S. PRETE, Codices Barberiniani latini. Codices 1-150, CV 1968. 56 H. CASSUTO, Codices Vaticani Hebraici. Codices 1-115, CV 1956. 57 O. RAINERI, Codices Comboniani Aethiopici, CV 2000. 58 B. RICHLER, Hebrew manuscripts in the Vatican Library: catalogue. Compiled by the staff of the Institute of microfilmed Hebrew manuscripts, Jewish National and University Library, Jerusalem; edited by... ; palaeographical and codicological descriptions : Malachi Beit-Arié in collaboration with Nurit Pasternak, 2008 (ST 438).

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plus de 8000 pour les seuls Codices Vaticani latini. Cela fait, il resterait toutefois, pour ne parler que des manuscrits latins, plus de 30.000 manuscrits à cataloguer, puisqu’on estime leur nombre total à environ 50.000, et que, pour un sixième seulement, le travail serait aujourd’hui achevé ! On mesure l’ampleur de la tâche à accomplir et le temps nécessaire à sa réalisation. Un tel état de fait a conduit à explorer, parallèlement à la grande série de catalogues, d’autres voies pour atteindre plus rapidement l’objectif qu’avait défini, à la fin du XIXe siècle, la Commission mise en place par le pape Léon XIII, celui de « publier un catalogue en dix volumes de tous les manuscrits vaticans ». Le projet a donc été lancé, il y a une vingtaine d’années, de réaliser une série de catalogues dits « sommaires », pour les distinguer de ceux de la grande série. Il a été mis en œuvre avec la publication, en 1989, dans la collection Studi e Testi, d’un premier catalogue59. Les objectifs de cette nouvelle série ont été clairement précisés par le P. Leonard E. Boyle dans la préface à ce premier volume d’une série qui en comporte aujourd’hui cinq60 : « Il proposito di questo Catalogo sommario e della serie che inaugura non è in alcun modo quello di soppiantare la grande serie di cataloghi analitici per i quali la Biblioteca Vaticana è giustamente celebre. Si tratta semplicemente di rendere le risorse testuali della Biblioteca Vaticana più speditamente disponibili agli studiosi di quanto sia possibile finora. Tale proposito, non dimenticando il codice nella sua globalità, si concentra sui suoi contenuti, lasciando libera la serie dei cataloghi analitici di andare per la sua strada secondo i tempi a essa necessari61. » De manière informelle, un objectif comparable semble avoir été poursuivi, sensiblement à la même époque, pour l’inventaire d’autres fonds manuscrits. On trouve en effet, toujours dans la collection Studi e Testi, plusieurs volumes consacrés aux manuscrits de la Reine de Suède62, aux

59 A. M. PIAZZONI – P. VIAN, Manoscritti Vaticani latini 14666-15203. Catalogo sommario, 1989 (ST 332). 60 P. VIAN, La “Raccolta prima” degli Autografi Ferrajoli. Introduzione, inventario e indice, 1990 (ST 336. Cataloghi sommari e inventari dei fondi manoscritti 2) ; ID., Le Raccolte Ferrajoli e Menozzi degli Autografi Ferrajoli. Introduzione, inventario e indice, 1992 (ST 351. Cataloghi sommari… 3) ; ID., Le Raccolte Minervini e Odorici degli Autografi Ferrajoli. Introduzione, inventario e indice, 1993 (ST 354. Cataloghi sommari… 4) ; ID., Le Raccolte e la Miscellanea Visconti degli Autografi Ferrajoli. Introduzione, inventario e indice, 1996 (ST 377. Cataloghi sommari… 5). 61 PIAZZONI – VIAN, Manoscritti Vaticani latini cit., p. IX. 62 Les manuscrits de la Reine de Suède au Vatican. Réédition du Catalogue de Montfaucon et cotes actuelles, 1964 (ST 238).

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manuscrits arabes63, syriaques64, éthiopiens65, persans66 ou turcs67, des recherches sur le fonds Ottoboni68, un Catalogue des manuscrits grecs de l’Archivio di San Pietro69, plusieurs de ces « catalogues » ayant déjà donné lieu à une réimpression, ce qui atteste de leur utilité pour la recherche. 2. La collection Studi e Testi Ces quelques exemples le laissent déjà entrevoir, la collection Studi e Testi est, en complément des grands catalogues de manuscrits, l’un des plus importants instruments de travail procurés au chercheur en chacun des domaines qui nous occupent. Née avec le siècle dernier (1900), elle atteint, dès 1949, malgré les deux guerres mondiales qui ont meurtri l’Europe et sans aucun doute ralenti les publications, le nombre de 150 volumes, dont plusieurs ont été ensuite réimprimés. C’est toutefois à partir des années 50 que la Collection connaît sa véritable expansion et que s’accélère le rythme de ses publications : depuis ces soixante dernières années, en effet, plus de 300 nouveaux volumes ont été publiés, soit une moyenne de cinq volumes par an, compte non tenu des réimpressions. Nous limiterons donc notre inventaire, sommaire lui aussi, aux publications postérieures à 1950. La collection Studi e Testi se signale par la diversité des sujets traités et par la typologie de ses différents volumes, comme le fait entendre le nom qu’elle s’est donné : des études et des éditions de textes, mais aussi, nous venons de le voir, des catalogues et des inventaires de fonds manuscrits. La période qu’elle couvre s’étend de l’antiquité classique à l’antiquité tardive, — chrétienne ou non —, de la Renaissance humaniste à l’époque moderne. Cette collection est donc à elle seule une « bibliothèque », dont l’exploration est facilitée par la publication d’un volume de Tables et d’Index chaque fois qu’une centaine de volumes est atteinte. 63

G. LEVI DELLA VIDA, Secondo elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca Vaticana, 1965 (ST 242) ; C. A. ANZUINI, I manoscritti coranici della Biblioteca Apostolica Vaticana e delle biblioteche romane, 2001 (ST 401). 64 A. VAN LANTSCHOOT, Inventaire des manuscrits syriaques des fonds Vatican (460-631), Barberini Orientali et Neofiti, 1965 [réimpr. 1996] (ST 243). 65 E. CERULLI (†), Inventario dei manoscritti Cerulli etiopici ; introduzione, integrazioni e indici a cura di O. RAINERI, 2004 (ST 420). 66 E. ROSSI, Elenco dei manoscritti persiani della Biblioteca Vaticana : Vaticani, Barberiniani, Borgiani, Rossiani, 1948 [réimpr. 1983] (ST 136). 67 E. ROSSI, Elenco dei manoscritti turchi della Biblioteca Vaticana : Vaticani, Barberiniani, Borgiani, Rossiani, Chigiani, 1953 [réimpr. 1996] (ST 174). 68 J. BIGNAMI ODIER, Premières recherches sur le fonds Ottoboni, 1966 (ST 245). 69 P. CANART, Catalogue des manuscrits grecs de l’Archivio di San Pietro, 1966 [réimpr. 1988] (ST 246).

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Pour faire suite à ce qui vient d’être dit, je commencerai cette exploration par les recherches qui ont trait aux manuscrits dans les différents domaines qui nous occupent. 2.1. Autour des manuscrits Plusieurs volumes des Studi e Testi sont, de fait, des monographies consacrées à un manuscrit donné. Ainsi l’étude par A. Schenker du texte hexaplaire des psaumes 24-32 dans le manuscrit Ott. gr. 39870 ou celle conjointe du Vat. lat. 5729 et du Paris, BNF lat. 6 menée par A. M. Mundó sur la Bible de Ripoll71. Citons également celles de J.-M. Sauget sur deux manuscrits syriaques, le Borg. sir. 39 et le Borg. sir. 6072, celle de S. Lilla sur le Vat. gr. 1809 et son texte tachygraphique des Noms divins73, ou encore celle de C. Giannelli et S. Graciotti du Missel croato-raguséen à partir du manuscrit Neofiti 5574. Une autre série de volumes offre, depuis 1962, une imposante Bibliographie de l’Archivio Vaticano, et, depuis 1986, tout aussi imposante, La Bibliographie des fonds manuscrits de la Biblioteca Vaticana75 ; il faudrait y ajouter le premier tome de la Bibliographie rétrospective des fonds de la Biblioteca Vaticana76 et un volume de Compléments bibliographiques pour les manuscrits grecs de la Vaticane77. D’autres volumes encore sont consacrés à l’histoire d’un fonds particulier, celui des Vaticani greci de S. Lilla78 ou celui de P. Canart79. Comme 70 A. SCHENKER, Psalmen in den Hexapla. Erste kritische und vollständige Ausgabe der hexaplarischen Fragmente auf dem Rande der Handschrift Ottobonianus Graecus 398 zu den PS 24-32, 1982 (ST 295). 71 A. M. MUNDÓ, Les Bíblies de Ripoll ; estudi dels mss. Vaticà, Lat. 5729 i París, BNF, Lat. 6, 2002 (ST 408). 72 J.-M. SAUGET, Un cas très curieux de restauration de manuscrit : le “Borgia Syriaque 39”. Étude codicologique et analyse du contenu, 1981 (ST 292) ; ID., Un Gazzâ chaldéen disparu et retrouvé : le ms. Borgia syriaque 60, 1987 (ST 326). 73 S. LILLA, Il testo tachigrafico del “De divinis nominibus” (Vat. gr. 1809), 1970 (ST 263). Voir aussi : N.P. CHIONIDES – S. LILLA, La Brachigrafia italo-bizantina, 1981 (ST 290). 74 C. GIANNELLI – S. GRACIOTTI, Il messale croato-raguseo (Neofiti 55) della Biblioteca Apostolica Vaticana, 2003 (ST 411). 75 M. BUONOCORE, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (1968-1980). I-II, 1986 (ST 318-319) ; M. CERESA, Bibliografia dei fondi manoscritti… (1981-1985), 1991 (ST 342) ; ID., Bibliografia dei fondi manoscritti… (1986-1990), 1998 (ST 379) ; ID., Bibliografia dei fondi manoscritti… (1991-2000), 2005 (ST 426). 76 M. BUONOCORE, Bibliografia retrospettiva dei fondi della Biblioteca Vaticana. I, 1994 (ST 361). 77 P. CANART – V. PERI, Sussidi bibliografici per i manoscritti greci della Biblioteca Vaticana, 1970 [réimpr. 1994] (ST 261). 78 S. LILLA, I manoscritti vaticani greci : lineamenti di una storia del fondo, 2004 (ST 415). 79 P. CANART, Les Vaticani graeci 1487-1962. Notes et documents pour l’histoire d’un fonds de manuscrits de la Bibliothèque Vaticane, 1979 (ST 284).

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l’indique leur titre, ces ouvrages entrent dans la catégorie de ceux qui contribuent à retracer l’histoire de la BAV — et accessoirement celle d’autres bibliothèques romaines80. Dans ce but, une nouvelle série a été entreprise, en 1994, celle des Studi e documenti sulla formazione della BAV, qui comporte déjà trois titres81. Curieusement l’ouvrage, sur le même sujet, de C. M. Grafinger82 n’a pas trouvé place dans cette série. La présence plus ancienne de deux autres études, l’une due à R. Devreesse83, l’autre à J. Bignami Odier84, atteste de l’intérêt porté aujourd’hui à ce genre de recherches. Aussi peut-on voir en chacune de ces monographies l’esquisse et les prolégomènes de la future Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana prévue en sept volumes85. Naturellement ces répertoires ou ces études concernent bien d’autres domaines que ceux dont nous parlons, mais ceux-là aussi y ont leur place, fût-elle modeste parfois, comme le soulignent, par exemple, dans leur introduction, les éditeurs du premier Catalogue sommaire des manuscrits latins86. 2.2. Études et éditions de textes Pour élevé que soit le nombre des volumes de Studi e Testi consacrés, sous une forme ou sous une autre, aux manuscrits de la Bibliothèque, il ne représente qu’une partie des publications de cette Collection, riche d’études, mais aussi d’éditions de textes, accompagnées parfois d’une traduction. HAGIOGRAPHIE. — Dans les débuts de la Collection et dans la première partie du siècle dernier, les éditions de Passions de martyrs et, plus généralement les écrits hagiographiques, y occupent une place importante, no80 Cfr. G. MERCATI, Note per la storia di alcune biblioteche romane nei secoli XVI-XIX, 1952 (ST 164). 81 A. MANFREDI, I codici latini di Niccolò V. Edizione degli inventari e identificazione dei manoscritti, 1994 (ST 359) ; J. FOHLEN – P. PETITMENGIN, L’“Ancien fonds” Vatican Latin dans la nouvelle Bibliothèque Sixtine (ca. 1590 – ca. 1610), 1996 (ST 362) ; M. R. DILTS – M. L. SOSOWER – A. MANFREDI, Librorum graecorum Bibliothecae Index a Nicolo De Maioranis compositus et Fausto Saboeo collatus anno 1553, 1998 (ST 384). 82 C. M. GRAFINGER, Beiträge zur Geschichte der Biblioteca Vaticana, 1996 (ST 373). 83 R. DEVREESSE, Le fonds grec de la Bibliothèque Vaticane des origines à Paul V, 1965 (ST 244). 84 J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits (avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT), 1973 (ST 272). 85 Un premier volume est paru : A. MANFREDI (a cura di), Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), CV 2010. 86 PIAZZONI – VIAN, Manoscritti Vaticani latini cit., p. XIV.

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tamment grâce aux travaux de P. Franchi de’ Cavalieri. Un premier cycle semble pourtant se clore avec les derniers ouvrages parus sous son nom, dans les années 6087, et la publication, en 1964, du volume d’index de l’ensemble de son œuvre hagiographique88. Cela ne signifie pas pour autant l’abandon des recherches en ce domaine. Depuis la seconde moitié du siècle dernier, plusieurs études hagiographiques ont été publiées. Sans doute certaines publications sont-elles déjà anciennes, les légendes orientales relatives aux mages de l’Évangile89, par exemple, ou la publication, dans les Mélanges Albareda, des Actes d’un moine éthiopien — du XIVe siècle90, ou encore, dans les Mélanges Tisserant, de l’édition commentée de la légende de S. Nicolas de Myre dans une ode médiévale (Cod. Cassinese 280)91. Toutefois, récemment ont été éditées deux séries d’Actes de martyre : en 1999, les Actes éthiopiens d’un martyr égyptien du Xe siècle92, et, en 2004, ceux d’un martyr éthiopien du XIVe siècle93. Dans ces mêmes années, mentionnons encore le volume de H. Bloch, consacré à un roman hagiographique du XIIIe siècle, le dossier Atina de Pierre le Diacre (martyre de Marc et al.)94. Ajoutons-y, pour être complet, l’étude de F. Lanzoni sur quatre siècles de l’histoire ecclésiastique et hagiographique de Faenza95, et celle de B. Galland sur les authentiques de reliques du Sancta Sanctorum96. BIBLE. — Un même ralentissement des publications se constate dans le domaine biblique à partir des années 50. Seules deux publications récentes méritent d’être signalées : l’une, déjà mentionnée, consiste en l’étude de deux manuscrits de la Bible de Ripoll97 ; l’autre, celle de Tedros 87

P. FRANCHI DE’ CAVALIERI, Scritti agiografici, 1962 (ST 221-222). P. KÜNZLE – V. PERI – J. RUYSSCHAERT, Indici agiografici dell’opera di Pio Franchi de’ Cavalieri pubblicata in “Studi e Testi”, 1964 (ST 223). 89 U. MONNERET DE VILLARD, Le leggende orientali sui Magi evangelici, 1952 [réimpr. 1990] (ST 163). 90 E. CERULLI, Gli atti di Zênâ Mârqos, monaco etiope del sec. XIV, dans Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. Card. Albareda a Bibliotheca Apostolica edita. I, 1962 (ST 219), pp. 191-212. 91 A. LENTINI, La leggenda di S. Nicola di Mira in un’ode di Alfano Cassinese, dans Mélanges Eugène Tisserant. II. Orient chrétien. 1ère partie, 1964 (ST 232), pp. 333-343. 92 O. RAINERI, Gli atti etiopici del martire egiziano Giorgio il Nuovo († 978), 1999 (ST 392). 93 O. RAINERI, Gli atti di Qawesýos martire etiopico (sec. XIV), 2004 (ST 418). 94 H. BLOCH, The Atina Dossier of Peter the Deacon of Monte Cassino. A Hagiographical Romance of the Twelfth Century, 1998 (ST 346). 95 F. LANZONI, Storia ecclesiastica e agiografia faentina dal XI al XV secolo, a cura di G. LUCCHESI, 1969 (ST 252). 96 B. GALLAND, Les authentiques de reliques du Sancta Sanctorum, 2004 (ST 421). 97 Cfr. supra note 71 (ST 408). 88

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Abraha porte sur la version éthiopienne de la Lettre aux Hébreux98. Toutes les autres publications, à la vérité peu nombreuses, sont antérieures aux années 90. Cela n’enlève rien naturellement à leur intérêt. Quiconque cherchera à y voir clair dans les citations, empruntées par Jean Chrysostome à d’« autres » traducteurs dans ses commentaires In Psalmos, ne pourra faire l’économie de consulter le volume que consacrait à ce sujet le cardinal G. Mercati en 195299. Celui d’A. Schenker, déjà cité, l’édition critique du manuscrit Ott. gr. 398100, qui conserve dans ses marges des variantes hexaplaires sur les Ps. 24-32, montre, comme l’exemple précédent, qu’il y a là, pour les biblistes et les éditeurs de textes patristiques, un domaine de recherche encore en grande partie à explorer. On trouverait du reste, dans les Opere Minori du Cardinal Mercati, plusieurs articles concernant ces mêmes questions101. Pour rester dans le même registre, signalons l’édition critique, procurée par M. McNamara, de la Glossa in Psalmos102, transmise par le Pal. lat. 68, qui concerne aussi le domaine patristique, puisqu’une des sources principales de son auteur est l’Épitomé que Julien d’Éclane fit du Commentaire sur les psaumes de Théodore de Mopsueste, ou encore l’édition et traduction, en deux volumes, de la Chaîne arabe de l’Évangile de Saint Matthieu103. Enfin, on relève, dans le premier des sept volumes des Mélanges Eugène Tisserant, publiés en 1964, plusieurs articles touchant les questions bibliques104. LITURGIE. — Dans le domaine liturgique, les publications les plus importantes et les plus nombreuses sont presque toutes antérieures à la fin des 98

Tedros ABRAHA, The Ethiopic version of the Letter to the Hebrews, 2004 (ST 419). G. MERCATI, Alla ricerca dei nomi degli “altri” traduttori nelle Omelie sui Salmi di S. Giovanni Crisostomo e variazioni su alcune catene del Salterio, 1952 (ST 158). 100 SCHENKER, Psalmen in den Hexapla, op. cit., 1982 (ST 295). 101 V. g. G. MERCATI, Di alcune testimonianze antiche sulle cure bibliche di san Luciano, dans G. MERCATI, Opere minori raccolte in occasione del settantesimo natalizio. VI. (19371957), 1984 (ST 296), pp. 99-113 ; Appunti esaplari, ibid., pp. 125-132 ; A quale tempo risale “il Siro” dei commentatori greci della Bibbia ?, ibid., pp. 148-157 ; Il problema della colonna II dell’Esaplo, ibid., pp. 223-293. 102 M. MCNAMARA, Glossa in Psalmos. The Hiberno-Latin Gloss on the Psalms of Codex Palatinus Latinus 68 (Psalms 39:11 – 151:7). Critical Edition of the Text together with Introduction and Source Analysis, 1986 (ST 310). 103 F. J. CAUBET ITURBE, La cadena árabe del Evangelio de San Mateo. I. Texto ; II. Versión, 1969-1970 (ST 254-255). 104 R. DEVREESSE, La Deuxième aux Corinthiens et la seconde finale aux Romains, dans Mélanges Eugène Tisserant. I. Écriture Sainte – Ancien Orient, 1964 [réimpr. 1973] (ST 231), pp. 135-151 ; S. GAROFALO, Nuove note sulla edizione in fac-simile tipografico del Codex Vaticanus (B), ibid., pp. 217-227 ; R. LE DÉAUT, Φιλανθρωπία dans la littérature grecque jusqu’au Nouveau Testament (Tite III, 4), ibid., pp. 255-294. 99

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années 70. A cette date s’achève la publication, en cinq volumes, de l’inventaire des manuscrits liturgiques latins105, que j’aurais dû mentionner plus haut avec des ouvrages du même type parus dans les Studi e Testi. Ils méritent toutefois de figurer ici, dans la mesure où ils présentent un groupement thématique, qui constitue par lui-même une précieuse étude et beaucoup plus qu’un répertoire. Une décennie plus tôt (1960-1966), Enrica Follieri achevait, elle aussi, un autre grand œuvre en six volumes, tous réimprimés depuis, le relevé des Initia des hymnes de l’Église grecque106. A cette même époque appartiennent également le volume consacré par H. Barré à l’inventaire des homéliaires carolingiens de l’école d’Auxerre et au relevé de leurs Initia107, et les deux volumes de texte du Pontifical romano-germanique du dixième siècle, édités par C. Vogel et R. Elze, suivis dix ans plus tard d’un troisième volume contenant l’Introduction générale et les tables, aujourd’hui disponible sur CD-rom108. Dans les Mélanges Albareda, deux contributions sur la liturgie méritent également d’être signalées : l’une concernant le rite de la bénédiction des Rameaux avec la transcription du texte du manuscrit Vat. lat. 4770109, l’autre l’édition d’un canon inédit de S. André de Crète pour l’Annonciation conservé dans le Vat. gr. 2008, l’un des plus remarquables manuscrits de contenu hymnographique conservés à la Vaticane110. Enfin, bien qu’il s’agisse d’une publication nettement plus ancienne, puisqu’elle s’achève avec la première moitié du siècle dernier, on permettra à un lyonnais de mentionner les trois volumes consacrés aux œuvres liturgiques de l’évêque Amalaire, un acteur important de la réforme liturgique carolingienne, édités par J. M. Hanssens111, d’autant qu’ils ont été réimprimés en 1993. En comparaison, le bilan des quarante dernières années est plus mo105

P. SALMON, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque Vaticane, 1968-1972 (ST 251, 253, 260, 267 et 270). 106 H. [= E.] FOLLIERI, Initia hymnorum ecclesiae Graecae, 1960-1966 [réimpr. 1985-1990] (ST 211-215 bis). 107 H. BARRÉ, Les homéliaires carolingiens de l’école d’Auxerre. Authenticité – Inventaire – Tableaux comparatifs – Initia, 1962 [réimpr. 1984] (ST 225). 108 C. VOGEL – R. ELZE, Le pontifical romano-germanique du dixième siècle. Le Texte : I. (n. I-XCVIII) ; II. (n. XCIX-CCLVIII) ; III. Introduction générale et Tables, 1963, 1972 (ST 226-227, 269). 109 D. BALBONI, Il rito della benedizione delle palme (Vat. lat. 4770), dans Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. Card. Albareda…, 1962 (ST 219), pp. 55-73. 110 E. FOLLIERI, Un canone inedito di S. Andrea di Creta per l’Annunciazione (Vat. gr. 2008 e Crypt. Δ. a. VII), ibid., pp. 337-357. 111 I. M. HANSSENS, Amalarii episcopi Opera liturgica omnia. I. Introductio. Opera minora ; II. Liber officialis ; III. Liber de ordine antiphonarii – Eclogae de ordine Romano – Appendix tomi I et II – Indices, 1948-1950 (ST 138-140).

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deste. Deux publications pour les années 70 : les Analecta Liturgica de P. Salmon112, une contribution, dans le prolongement de son monumental inventaire des manuscrits liturgiques, à l’histoire de la prière chrétienne à partir d’extraits de manuscrits liturgiques de la Bibliothèque Vaticane, qui procure aux liturgistes un certain nombre de textes inédits ou rares, et le volumineux ouvrage consacré par A.-G. Martimort, en 1978, à La documentation liturgique de dom Edmond Martène113. Deux publications encore au cours de la décennie suivante : en 1985, un volume dû à M. Dykmans, Le Pontifical romain révisé au XVe siècle114, et, en 1986, l’étude, par J.-M. Sauget, de deux panégyriques melkites pour la seconde partie de l’année liturgique115, d’un grand intérêt aussi pour les études patristiques, puisque ces homiliaires liturgiques en langue arabe sont composés essentiellement à partir de textes de Pères grecs, parmi lesquels Jean Chrysostome se taille la part du lion. Deux autres publications enfin depuis 1990 : les deux volumes de Sible de Blaauw, en 1994, sur les rapports entre liturgie et architecture dans la Rome antique et médiévale116, et, dernièrement, l’étude, déjà mentionnée, consacrée par C. Giannelli et S. Graciotti au Missel croato-raguséen du Neofiti 55, un manuscrit du XVIe siècle en caractères latins, unique représentant connu d’un manuscrit en langue vulgaire à usage liturgique dans toute la littérature religieuse croate ancienne117. PATRISTIQUE. Venons-en pour terminer au domaine des études patristiques. Il faut faire là sensiblement le même constat : seules deux publications ont vu le jour, à dix ans de distance, depuis la fin des années 1990, à savoir, en 1998, l’édition en deux volumes des œuvres de Barlaam le Calabrais, dirigées contre les latins118, et, dernièrement, les études de Julien Leroy consacrées aux Grandes Catéchèses de Théodore Studite119. À une seule exception près, toutes les autres publications de textes ou d’études patristiques sont antérieures aux années 80, les plus nombreuses ayant vu 112 P. SALMON, Analecta Liturgica. Extraits des manuscrits liturgiques de la Bibliothèque Vaticane. Contribution à l’histoire de la prière chrétienne, 1974 (ST 273). 113 A.-G. MARTIMORT, La documentation liturgique de dom Edmond Martène. Étude codicologique, 1978 (ST 279). 114 M. DYKMANS, Le Pontifical romain révisé au XVe siècle, 1985 (ST 311). 115 J.-M. SAUGET, Deux panegyrika melkites pour la seconde partie de l’année liturgique : Jérusalem S. Anne 38 et Üaríúâ 37, 1986 (ST 320). 116 S. DE BLAAUW, Cultus et decor. Liturgia e architettura nella Roma tardoantica e medievale. I-II, 1994 (ST 355-356). 117 Cfr. supra note 74 (ST 411). 118 A. FYRIGOS, Barlaam Calabro, Opere contro i latini. Introduzione storica dei testi, edizione critica, traduzione e indici, 1998 (ST 347-348). 119 J. LEROY, Études sur les Grandes Catéchèses de S. Théodore Studite. Édition par O. DELOUIS avec la participation de S. J. VOICU, 2008 (ST 456).

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le jour entre 1950 et 1960. Il reste que la série des études et des éditions patristiques tient une place importante dans la collection Studi e Testi et constitue toujours une référence. À titre personnel, j’ai beaucoup utilisé, pour mes recherches sur Théodoret et l’exégèse antiochienne, les travaux de R. Devreesse sur Théodore de Mopsueste, sur les anciens commentateurs grecs de l’Octateuque et des Rois et sur les anciens commentateurs grecs des psaumes, les premiers antérieurs de peu à 1950120, les seconds publiés en 1959 et 1970121 ; son édition pourtant ancienne du Commentaire sur les psaumes de Théodore122 n’est toujours pas remplacée, non plus que celle de ses Homélies catéchétiques, réalisée avec R. Tonneau123. Pour rester dans le contexte de la controverse doctrinale du Ve siècle, mentionnons, en 1950, l’étude par le cardinal Mercati d’un fragment de Nestorius et de la chaîne des Psaumes qui le transmet124, et, en 1967, celle de F.J. Leroy sur L’homilétique de Proclus de Constantinople125, ou encore, en 1956, l’étude critique des Lettres du patriarche nestorien Timothée Ier par R. J. Bidawid126. Trente ans après les observations du cardinal Mercati sur les préfaces d’Origène et d’autres Pères à leur commentaire du Psautier, accompagnées de l’édition de fragments inédits127, les hypothèses de V. Peri sur l’identification du texte latin des Homélies sur les psaumes d’Origène128, sans recueillir toutefois l’assentiment de la majorité des spécialistes, ont eu du moins le mérite de relancer la recherche. Précédemment V. Peri

120

R. DEVREESSE, Essai sur Théodore de Mopsueste, 1948 (ST 141). R. DEVREESSE, Les anciens commentateurs grecs de l’Octateuque et des Rois (fragments tirés des chaînes), ST 201, 1959 ; ID., Les anciens commentateurs grecs des Psaumes, 1970 (ST 264). 122 R. DEVREESSE, Le commentaire de Théodore de Mopsueste sur les Psaumes (I-LXXX), 1939 (ST 93). 123 R. TONNEAU – R. DEVREESSE, Les Homélies catéchétiques de Théodore de Mopsueste. Reproduction phototypique du ms. Mingana syr. 561 (Selly Oak Colleges’ Library, Birmingham). Traduction, introduction, index, 1949 (ST 145). 124 G. MERCATI, Il frammento Maffeiano di Nestorio e la catena dei Salmi d’onde fu tratto, 1950 (ST 154). 125 F.-J. LEROY, L’homilétique de Proclus de Constantinople. Tradition manuscrite, inédits, études connexes, 1967 (ST 247). 126 R. J. BIDAWID, Lettres du patriarche nestorien Timothée I. Étude critique avec en appendice la lettre de Timothée I aux moines du Couvent de Mar Maron (traduction latine et texte chaldéen), 1956 [réimpr. 1987] (ST 187). 127 G. MERCATI, Osservazioni a Proemi del Salterio di Origene, Ippolito, Eusebio, Cirillo Alessandrino e altri, con frammenti inediti, 1948 (ST 142). 128 V. PERI, Omelie origeniane sui Salmi. Contributo all’identificazione del testo latino, 1980 (ST 289). 121

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avait consacré un volume à l’editio princeps des Actes grecs du concile de Florence129. Plusieurs éditions de textes seraient encore à signaler : celle du livre d’Alcuin contre l’hérésie de Félix130, celle de l’éloge de Macaire Makrès, un auteur du XIVe-XVe siècle, et de ses écrits contre l’islam131, ou celle, en deux volumes, d’Écrits théologiques éthiopiens des XVIe-XVIIe siècles132. Outre des éditions de textes, des monographies ou des études portant sur un auteur ou un ouvrage particuliers — une histoire du monachisme grec en Italie méridionale au XIVe siècle à partir du Liber visitationis d’Athanase Chalkéopoulos133 ou, déjà mentionné, le petit volume consacré par S. Lilla au texte tachygraphique des Noms divins du Pseudo-Denys134 —, on note, dans cette même Collection, la présence d’un certain nombre de volumes plus généraux intéressant la patristique : un volume, déjà ancien, de Patristic Studies135 ; les deux gros volumes d’Initia Patrum graecorum de C. Baur136, objet d’une réimpression en 1973 ; une histoire de la littérature ecclésiastique géorgienne137. Enfin, sans prétendre pour autant à l’exhaustivité, on pourrait signaler encore la réimpression, en 1998, d’un choix d’articles de J.-M. Sauget, souvent difficiles à atteindre, même si ce choix ne concerne pas exclusivement la littérature patristique138. Au total, depuis les années 50, on compte donc plus d’une vingtaine de volumes consacrés à un sujet patristique, ce qui en fait l’ensemble le mieux

129

V. PERI, Ricerche sull’“Editio princeps” degli atti greci del Concilio di Firenze, 1976 (ST

275). 130

G. B. BLUMENSHINE, Liber Alcuini contra haeresim Felicis. Edition with an Introduction, 1980 (ST 285). 131 A. ARGYRIOU, Macaire Makrès et la polémique contre l’Islam. Édition princeps de l’éloge de M. Makrès et de ses deux œuvres anti-islamiques…, 1986 (ST 314). 132 E. CERULLI, Scritti teologici etiopici dei secoli XVI-XVII. I. Tre opuscoli dei Mikaeliti, 1958 (ST 198) ; II. La storia dei Quattro Concili ed altri opuscoli monofisiti, 1960 (ST 204). 133 M. H. LAURENT – A. GUILLOU, Le “Liber visitationis” d’Athanase Chalkéopoulos (14571458). Contribution à l’histoire du monachisme grec en Italie méridionale, 1960 (ST 206). 134 Cfr. supra note 73 (ST 263). 135 E. HONIGMANN, Patristic Studies, 1953 (ST 173). 136 C. BAUR, Initia Patrum graecorum. I-II, 1955 (ST 180-181). 137 M. TARCHNIŠVILI – J. ASSFALG, Geschichte der kirchlichen georgischen Literatur auf Grund des ersten Bandes der georgischen Literaturgeschichte von K. Kekelidze, 1955 [réimpr. 1977] (ST 185). 138 J.-M. SAUGET, Littératures et manuscrits des chrétientés syriaques et arabes. Recueil d’articles publié par L. DUVAL-ARNOULD et F. RILLIET. Préface de L. E. BOYLE, O.P., 1998 (ST 389). À côté de plusieurs articles intéressant la patristique grecque et soulignant en ce domaine l’apport des traductions syriaques (Sévère d’Antioche, Pseudo-Épiphane de Chypre) ou arabes (Grégoire de Nazianze, Nil d’Ancyre), d’autres concernent la liturgie ou l’hagiographie.

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représenté dans la collection Studi e Testi, après les études relatives aux manuscrits et aux textes liturgiques. Conclusion Comment conclure cet inventaire à la fois trop long et incomplet des richesses de la Bibliothèque Vaticane en chacun de ces domaines ? D’abord peut-être en soulignant avec force que la Bibliothèque n’est pas seulement un lieu de conservation de manuscrits précieux et d’ouvrages rares, mais surtout un lieu de recherche et de mise en valeur de ses trésors. Nous avons tenté de montrer qu’elle remplit cette double fonction, à la fois par la réalisation de fac-similés de manuscrits bibliques, liturgiques ou hagiographiques, remarquables par leur ornementation ou l’importance que leur confère leur ancienneté, et par celle d’expositions « grand public » sur des thèmes illustrant un fonds particulier. Lieu de recherche, elle l’est plus encore par les études et les publications savantes de ses scriptores et de ses collaborateurs les plus proches. L’utilisateur des grands catalogues analytiques de manuscrits ne mesure pas toujours la somme de travail investi pour parvenir à lui offrir, depuis un demi-siècle, une information sans cesse plus complète et plus précise. Il risque bien de se contenter de profiter de l’outil qui lui est offert, en oubliant le nom de l’auteur de ce patient travail de recherche ! Tout occupé à trouver le renseignement qu’il souhaite, ne néglige-t-il pas trop souvent, comme le notent avec humour les éditeurs du premier volume de la série des « catalogues sommaires »139, de lire la préface qui retrace les étapes de ces recherches et en expose les principes ? De ce travail de recherche mené au sein de la Bibliothèque, témoigne aussi le grand nombre des publications dues à ses scriptores, vice-préfets ou préfets dans la collection Studi e Testi : catalogues, études de manuscrits et de fonds particuliers, mais aussi éditions de textes, monographies, recueils d’articles, mélanges. S’il était besoin d’en produire une preuve supplémentaire, on pourrait mentionner le projet en cours, et déjà bien avancé — ce dont témoignent plusieurs publications récentes — qui prévoit l’inventaire de tous les manuscrits palimpsestes de la Bibliothèque. Travail considérable, que pourront faciliter des techniques nouvelles de lecture ou de reconnaissance de caractères, mais offrant bien des difficultés et des défis à relever : le règlement préalable d’un certain nombre de questions de méthode et des priorités à définir pour le dépouillement de fonds parfois considérables140. 139

PIAZZONI – VIAN, Manoscritti Vaticani latini… Catalogo sommario cit., p. XI. Cfr. S. J. VOICU, Note sui palinsesti conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana, dans Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 16 (2009) (ST 458), pp. 445-454. 140

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Lieu de recherche, la Bibliothèque l’est encore — c’est à cela que l’on pense immédiatement d’ordinaire — comme celui où les chercheurs peuvent trouver presque tous les instruments nécessaires à leurs travaux. Surtout s’ils portent sur la Bible, la littérature patristique ou hagiographique, ou la liturgie, car ce sont là sans doute les fonds les plus importants de la Bibliothèque. Je n’ai pu que trop rapidement mentionner ce que doivent les éditions de textes patristiques, et, en particulier, celles de la collection « Sources Chrétiennes », aux ressources de la BAV, pour ce qui est des manuscrits et des éditions anciennes, mais aussi des publications sur la littérature patristique en général, où questions bibliques et liturgiques notamment, tiennent une place importante. Lieu de recherche, la Bibliothèque l’est enfin, au sens où elle contribue non seulement à servir la recherche, mais à la susciter. Nous l’avons brièvement souligné en montrant comment la reproduction d’un manuscrit en fac-similé — celui du Codex B —, accompagnée de savants Prolégomènes, avait été à l’origine d’un colloque international, qui permit une nouvelle confrontation des opinions scientifiques sur le sujet et l’émergence de nouvelles questions. D’autres exemples pourraient sans aucun doute être produits de ce rôle d’incitation à la recherche que joue, peut-être sans le savoir, la BAV, et qui s’opère à partir de la lecture d’une hypothèse avancée dans un catalogue de manuscrits ou de telle étude publiée sur un texte patristique ou liturgique. Loin d’être seulement un conservatoire d’objets précieux, la Bibliothèque est donc aussi, et peut-être avant tout, un acteur dynamique de la recherche contemporaine sur l’antiquité tardive et les premiers siècles chrétiens. Aussi doit-on particulièrement se réjouir de sa réouverture, qui permettra de nouveau aux recherches conduites en son sein et à celles que facilitent ses publications de connaître un nouvel élan.

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IL MEDIOEVO Parlare della Biblioteca Vaticana come centro di ricerca per il Medioevo — inteso nelle sue varie accezioni — testuali, filologiche, storiche —, e questo su un lungo periodo, per il secolo che va dalla fine dell’Ottocento fino quasi ai nostri giorni, è un’impresa affascinante ma costituisce una sfida che non può essere soddisfatta rapidamente, ragion per cui questo mio intervento è soprattutto destinato a raccogliere impressioni, piste, ricordi senza nessuna intenzione di esaustività. Non potrò citare né tutti i temi e né tutti gli aspetti che meriterebbero di essere ricordati ed approfonditi, né tanto meno tutti gli studiosi che hanno svolto un ruolo di primo piano in questo lungo itinerario intellettuale e scientifico. Il mio intento è di mettere in evidenza e di riflettere su alcune delle caratteristiche di fondo che hanno permesso — perché questo lo dò per scontato — di fare della Biblioteca Vaticana un centro di ricerca nel secolo che è ormai alle nostre spalle, per quanto riguarda gli studi sul Medio Evo. Per farlo correttamente dovrei tenere presente tutti e tre i cerchi concentrici che hanno contribuito ad arricchire l’atmosfera di ricerca alla Vaticana, tre cerchi concentrici che si interferiscono e non conoscono frontiere. Questi cerchi concentrici sono: il personale scientifico della Biblioteca (per quanto riguarda il Medioevo, soprattutto gli scriptores); studiosi non di ruolo cui la Biblioteca ha affidato compiti e missioni nel campo della ricerca; studiosi del tutto esterni da un punto di vista amministrativo ma la cui attività di ricerca, nel campo medievistico, appare così legata alla Biblioteca da far ritenere che anch’essa in qualche modo debba rientrare in una riflessione comune sulla Vaticana come centro di ricerca. Per motivi di spazio, e solo per questo, dovrò concentrarmi soprattutto sul secondo cerchio concentrico, se non altro perché mi pare possa mettere bene in luce gli obiettivi del convegno, dato che si tratta di studiosi che la Biblioteca ha attratto proprio per fare ricerca. Ed anche questa scelta, che non vuole essere esaustiva, ha soltanto lo scopo di riflettere su alcuni esempi che hanno carattere di esemplarità. A questo proposito vorrei prendere come punto di partenza una nota autobiografica di Jeanne Bignami Odier che Concetta Bianca ha ritrovato La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 143-158.

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tra le sue carte e ha pubblicato nel suo ricordo edito nella Rivista di storia della Chiesa in Italia (con la quale la Bignami aveva collaborato a lungo) nel 1991, un po’ meno di due anni dopo la sua morte avvenuta il 19 gennaio 19891. Questa nota autobiografica — appartenente a quel filone di égo histoire che si è imposto ancor più nei decenni successivi, soprattutto in seno alla storiografia francese — si conclude con tre paragrafi preceduti dalla frase seguente: «La mia permanenza alla Vaticana». Il testo continua così: «Avevo imparato molto con i professori dell’École des Chartes, però ho imparato ancora di più sopra gli scrittori latini da mons. Auguste Pelzer, specialista in scolastica medievale, e dal padre A. Wilmart O.S.B., il più grande paleografo e codicologo mai esistito. Ho incontrato alla Biblioteca Vaticana personaggi di grande fama intellettuale ed ho sempre goduto della protezione dei prefetti e dei cardinali Tisserant, Mercati e Stickler. Gettando un colpo d’occhio alla mia bibliografia, si potrà vedere la vastità dei miei studi che con grande gioia mia sono stati ripresi in questi giorni, completati e migliorati da nuove squadre di studiosi, soprattutto nel settore degli studi medievali nei quali fui introdotta da [Charles-Victor] Langlois e aiutata dal prof. Charles Samaran».

In queste poche righe, succinte, Madame Bignami ripercorre, con quel suo particolare modo di fare che univa modestia ad una simpatica e del tutto meritata autosoddisfazione, quasi sessant’anni della sua vita. Prima donna a vincere il concorso per essere accolta alla Scuola Francese di Roma come Membre (la giovane Jeanne Odier era riuscita prima alla promozione della École des Chartes del 1925) aveva vissuto a Roma negli anni 1926-1927 ed aveva già allora studiato alla Biblioteca Vaticana. Entrò però come collaboratrice alla Vaticana nel 1929-1930, quando, sposatasi con un medico romano, si dimise da bibliotecaria al Département des Imprimés della Bibliothèque nationale, per stabilirsi a Roma. Da allora, fino alla sua morte, Madame Bignami svolse la sua intera attività di ricerca presso la Vaticana. Si tratta, ripeto, di poche righe e succinte, ma che appaiono pregevoli come testimonianza nella prospettiva del nostro convegno, perché Jeanne Bignami ci dice di avere imparato molto da Mons. August Pelzer e da Dom André Wilmart: la Biblioteca Vaticana è dunque un luogo in cui si impara, in cui studiosi affermati, appartenenti o no allo staff stabile della Vaticana (André Wilmart era stato chiamato alla Vaticana per redigere il catalogo 1 C. BIANCA, Jeanne Bignami Odier, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 20 (1972), pp. 245-248.

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dei codices Reginenses2, vi passò dieci anni ma non fu mai scriptor come Mons. Pelzer) formano le nuove generazioni, tramandano il loro sapere, come non si fa sempre in tutte le biblioteche e come si fa invece in istituti di ricerca. Madame Bignami testimonia anche del fatto che questa formazione le fu offerta da massimi specialisti nel campo della scolastica medievale, della paleografia e della codicologia. Ed è un insegnamento che investe un connubio tra testi e codici sul quale dovremo tornare. Persino la sua stessa produzione scientifica, Madame Bignami la vede prospettata verso quelle «nuove squadre di studiosi» che hanno ripreso ed ampliato quanto ella aveva potuto ricercare e scrivere. Insomma, in quelle sue brevi righe di égo histoire, Jeanne Bignami coglie nel segno elementi fondamentali della vita di ricerca alla Vaticana, in un periodo centrale della sua storia novecentesca. E non è certo un caso se anche il necrologio dedicato alla memoria di Mme Bignami da Bruno Neveux, uno dei massimi studiosi dell’erudizione del periodo moderno, perfetto conoscitore del mondo degli studi intorno alla Vaticana e alla Scuola Francese di Roma, ripropone una riflessione su questi stessi elementi3. Dopo aver detto, con una certa enfasi, che «la Bibliothèque Vaticane a trouvé en Jeanne Bignami Odier son Lépold Delisle», Bruno Neveux spiega: «Il faut bien saisir ce caractère distinctif de la Vaticane, qui n’est pas comme ailleurs en Europe un simple dépôt à l’usage de lecteurs anonymes et pressés par le temps mais un vrai centre de recherches, où le personnel scientifique et une élite de lettrés venus du monde entier se regroupent en un réseau relié par de continuels échanges et maintiennent des exigences critiques d’un très haut niveau philologique et historique, sans céder aux contaminations des sciences sociales et de leurs méthodes complaisantes. Dans cette société de peritiores, un peu noyé aujourd’hui par l’afflux regrettable de jeunes chercheurs locaux, Jeanne Bignami avait fini par incarner la mémoire de la Vaticane, non seulement celle des siècles écoulés mais celle de l’âge d’or auquel elle survivait, ouvert en 1922 par l’élection du pape bibliothécaire dont la sollicitude permit à l’institution de se moderniser intelligemment, sous la direction de Mgr Tisserant à partir de 1930, et d’attirer, à un titre ou à un autre, y compris le généraux

2 Fu proprio Jeanne Bignami Odier a pubblicare, in collaborazione con il benedettino L. Brou e André Vernet, la bibliografia di André Wilmart, Bibliographie sommaire des travaux du père André Wilmart O.S.B. 1876-1941, Roma 1953 (Sussidi eruditi, 5). 3 B. NEVEU, Jeanne Bignami-Odier (1902-1989), in Bibliothèque de l’École des Chartes 131 (1989), pp. 675-678. Si potrà rileggere anche l’omaggio di J. RUYSSCHAERT, Jeanne BignamiOdier, in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen-Âge 101 (1989), pp. 7-10 e ID., Les écrits de Jeanne Bignami-Odier, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 3 (1989), pp. 361366 (Studi e testi, 333).

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asile aux persécutés raciaux, une pléiade de savants très divers d’allure et de caractère mais tous adonnés aux études sévères».

Ho citato poc’anzi il connubio tra testi e codici al quale la Bignami si riferiva esplicitamente. Va infatti aggiunto che Mme Bignami fu accolta prima come collaboratrice al nuovo catalogo degli stampati, ma ben presto la sua attività si ricollegò con la sua specifica formazione di Chartiste che le aveva permesso di entrare nel mondo di Giovanni de Rupescissa, un francescano allora poco noto ma la cui scrittura profetica e le molteplici vicissitudini personali (compresa la sua prigionia alla corte papale di Avignone) non potevano non interessare una giovane studiosa con ramificazioni familiari che provenivano dalla Ginevra calvinista4. Già nel 1934, Mme Bignami pubblicò una guida alla storia delle collezioni di manoscritti della Vaticana che sarebbe servita a due generazioni di studiosi di riconoscersi nella ‘selva oscura’ dei fondi e dei cataloghi della Vaticana5. Il legame con la Francia si impose ancor più quando Dom André Wilmart le chiese di collaborare alla catalogazione del fondo Reginense. Era forse la prima volta che la ricerca alla Vaticana si interessava da vicino alla catalogazione e alla storia di un fondo di manoscritti come tale: nei periodi precedenti l’attenzione era stata per lo più rivolta alla catalogazione di una serie di codici all’interno di un fondo più vasto6. La Bignami poté così rimanere ancorata al Medioevo, essendo i codici medievali del fondo reginense, come è noto, di altissimo valore e di quantità notevole. Studiare i codici reginensi significava però anche interessarsi alla collezione di quel celebre fondo, il che esigeva che ci si interessasse da vicino al mondo culturale romano del Cinquecento7. Queste varie esperienze — la guida, il fondo reginense, il mondo culturale romano del tardo Quattrocento e del Cinquecento — vennero poi a fondersi in quello che è 4

J. BIGNAMI ODIER, Études sur Jean de Roquetaillade (Johannes de Rupescissa), Paris 1952; Jean de Roquetaillade (de Rupescissa), in Histoire littéraire de la France, XLI, Paris 1981, p. 75-240; EAD., Liber Ostensor quod adesse festinant tempora, édition critique sous la direction d’A. VAUCHEZ, par C. THÉVENAZ MODESTIN et Chr. MOREROD-FATTEBERT avec la collaboration de M.-H. JULLIEN DE POMMEROL sur la base d’une transcription de JEANNE BIGNAMI ODIER, Rome 2005 (Sources et documents d’histoire du Moyen Âge, 8). 5 J. BIGNAMI ODIER, Guide au departement des manuscrits de la Bibliothéque du Vatican, Paris 1934 (Extrait des Mélanges d’archéologie et d’histoire, publiés par l’École francaise de Rome, t. LI, 1934). Jeanne Bignami Odier si interessò anche al fondo Ottoboni: EAD., Premières recherches sur le fonds Ottoboni, Città dal Vaticano 1966 (Studi e testi, 245). 6 EAD., Les fonds de la Reine à la Bibliothèque Vaticane, in Collectanea vaticana in honorem Anselmi M. card. Albareda, Città del Vaticano 1962 (Studi e testi, 219), pp. 159-189. 7 EAD., Cristina di Svezia e le scienze occulte, Firenze 1983. EAD.,

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diventata la sua opera principale, la «synthèse magistrale» secondo la formula di Bruno Neveux, ossia La Bibliothèque Vaticane de Syxte IV à Pie IX pubblicata nel 1973, dopo due anni di vivace collaborazione editoriale con Mons José Ruysschaert, Vice-Prefetto della Vaticana8. Jeanne Bignami Odier era entrata alla Vaticana nel 1930. Soltanto sei anni dopo, una giovane studiosa tedesca, Anneliese Maier fu inviata in Italia dall’Accademia delle Scienze di Berlino per raccogliere le lettere di Leibniz conservate nelle biblioteche italiane. Ed è per questa ragione che Anneliese Maier, figlia di un noto professore di filosofia di Berlino, pensò di fare ricerche nei fondi di autografi della Biblioteca Vaticana. Una sua prima relazione apparve già nel 1937 nelle Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken9. Un anno dopo, la giovane Maier fu già in grado di pubblicare il suo primo importante studio sulla storia della filosofia della natura, Die Mechanisierung des Weltbildes im 17. Jahrhunderts10, inaugurando un’avventura intellettuale che le avrebbe permesso di pubblicare tre prime opere fondamentali tra il 1939 e il 1943 presso il Kaiser Wilhelm-Institut für Kulturwissenschaft a Palazzo Zuccari11 e poi tra il 1949 e il 1958 i suoi famosi Studien zur Naturphilosophie der Spätscholastik, che in parte contengono nuove edizioni di studi anteriori, presso le Edizioni di Storia e Letteratura12, che furono per molti studiosi legati alla Vaticana una sorta di secon8 EAD., La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272). 9 A. MAIER, Leibnizbriefe in italienischen Bibliotheken und Archiven, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 27 (1937), pp. 267-282. 10 EAD., Die Mechanisierung des Weltbildes im 17. Jahrhunderts, Leipzig 1938 (Forschungen zur Geschichte der Philosophie und der Pädagogik, 18). 11 Nella serie Veröffentlichungen des Kaiser Wilhelm-Instituts für Kulturwissenschaft im Palazzo Zuccari, Rom. Abhandlungen: Das Problem der intensiven Grösse in der Scholastik (De intensione et remissione formarum), Leipzig 1939; EAD., Die Impetustheorie der Scholastik, Wien 1940; EAD., An der Grenze von Scholastik und Naturwissenschaft. Sudien zur Naturphilosphie des 14. Jahrhunderts, Essen 1943. 12 Studien zur Naturphilosophie der Spätscholastik, 1: Die Vorläufer Galileis im 14. Jahrhundert, Roma 1949 (Storia e letteratura, 22); Studien zur Naturphilosophie der Spätscholastik, 2: Zwei Grundprobleme der scholastischen Naturphilosophie. Das Problem der intensiven Grösse. Die Impetustheorie, Roma 1951 (Storia e letteratura, 37); Studien zur Naturphilosophie der Spätscholastik, 2: An der Grenze von Scholastik und Naturwissenschaft. Die Struktur der materiellen Substanz. Das Problem der Gravitation. Die Mathematik der Formalituden, Roma 1952² (Storia e letteratura, 41); Studien zur Naturphilosophie der Spätscholastik, 4: Metaphysische Hintergründe der spätscholastischen Naturphilosophie, Roma 1955 (Storia e letteratura, 52); Studien zur Naturphilosophie der Spätscholastik, 5: Zwischen Philosophie und Mechanik, Roma 1958 (Storia e letteratura, 69).

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da casa e strinsero, come Anneliese Maier, con Nuccia De Luca legami di vera amicizia. Le fu così possibile di ricomporre il quadro della riflessione tardomedievale sui problemi scientifici e naturali che si era delineata fin dai primi decenni del XIII secolo in stretta relazione con la riscoperta e la diffusione nell’Occidente latino degli scritti scientifici di Aristotele. Pierre Duhem, il principale protagonista di questo rinnovato interesse per la cosmologia medievale e la visione naturalistica del mondo tra l’Antichità e il Rinascimento, aveva sostanzialmente posto il problema in una sorta di inevitabile continuità tra Medioevo e Modernità, come se il Medioevo dovesse essere compreso soltanto e prioritariamente per la sua funzione di precursore del mondo scientifico moderno13. Anneliese Maier ribalterà il problema, usando in modo rigorosissimo e con un continuo ricorso a codici e testi, il criterio dell’individualità del singolo pensatore, di «cui si indaga la soluzione data ai vari problemi filosofici, ma nell’intento di considerarli specialmente collegati in una struttura sistematica, cioè nella formazione di una dottrina filosofica avente un suo carattere di unità». «L’individualità di un filosofo si percepisce meglio e si determina con migliore precisione quando quella individualità, nel suo insieme, viene confrontata nelle sue dimensioni, orizzontale e verticale»14. Ma proprio perché si tenta di analizzare ogni singolo autore nel particolare, si è in grado di metterlo a confronto col modo con cui è costruita la stessa dottrina in altro o in altri autori. Fu così che Anneliese Maier poté mettere in evidenza la forza della scolastica ma anche i suoi limiti: «Forse non c’è mai stata, né prima né dopo, un’epoca che abbia professato un ideale quantitativo con la stessa convinzione della Scolastica»15. Omnia in mensura et numero et pondere disposuisti: con queste parole del libro della Sapienza citata infinite volte, veniva infatti data una legittimazione allo sviluppo sempre maggiore di quelle ricerche dette calculationes. Si era profondamente convinti che nel mondo non solo tutto fosse mirabile ma avesse anche una misura. Ma di fatto «La diversità tra l’interpretazione medievale della natura e quella dei secoli successivi è che la prima intende costruire la propria immagine del mondo con elementi qualitativi mentre la seconda ricorre a fattori ‘meccanici’ o, in altre parole: 13 P. M. DUHEM, Le système du monde: histoire des doctrines cosmologiques de Platon à Copernic, 10 vol., Paris 1913-1959. 14 M. PARODI, in A. MAIER, Scienza e filosofia nel Medioevo. Saggi sui secoli XIII e XIV, pref. di Mario DAL PRA; introd. e trad. di M. PARODI e A. ZOERLE, Milano 1984, p. X. Cfr. l’eccellente introduzione di S. D. SARGENT, On the Threshold of Exact Science: Selected Writings of Anneliese Maier on late Medieval Natural Philosophy, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1982. 15 A proposito della misura, si veda il recentissimo vol. XIX della rivista Micrologus. Nature, Sciences and Medieval Societies = La misura / Measuring, Firenze 2011.

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nel primo si tratta di una fisica delle grandezze intensive, nel secondo di grandezze estensive. È questa la differenza fondamentale tra la considerazione della natura del XIV con quella del XVII secolo»16. In questo senso, i pensatori medievali, soprattutto del Trecento appaiono precursori, Vorläufer di Galileo — termine che figura nel titolo di uno dei suoi principali scritti —, un termine che però va inteso soltanto «come chi percorre per primo una strada su cui poi altri otterrannno risultati del tutto originali»17. Non è questo il luogo per riassumere oltre il magnifico percorso scientifico di Anneliese Maier che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere negli ultimi due anni della sua vita alla Biblioteca Vaticana, in quotidiane conversazioni che mi hanno senza alcun dubbio aperto nuovi orizzonti storiografici e di ricerca18. Ciò che mi interessa sottolineare è che se si dà uno sguardo alla sua bibliografia, contenente 98 titoli (da me pubblicata in appendice al terzo volume della sua raccolta di scritti Ausgehendes Mittelalter19) si nota che dal 1930 al 1938 i suoi interessi riguardano problemi filosofici (studi influenzati anche da suo padre, di cui pubblicò nel 1934 e nel 1935 il secondo e il terzo volume della sua Philosophie der Wirklichkeit20, oltre ad un articolo biografico nel Philosophen-Lexikon21) che non vanno oltre il secolo XVI. Nel 1939, invece, Anneliese Maier inaugura la sua stagione ‘scolastica’, con quel saggio sul Problem der intensiven Grösse in der Scholastik che è una prefigurazione metodologica degli stupendi studi successivi22. La sua incursione nel Medioevo, che poi costituirà l’ossatura della sua grande opera di storia della filosofia della natura, non avvenne per caso, anzi deve essere considerata il riflesso dell’incontro con la Vaticana, ed in

16 A. MAIER, ‘Ergebnisse’ der spätscholastischen Naturphilosophie, in Scholastik 35 (1960), pp. 161-88 (rist. in EAD., Ausgehendes Mittelalter, II, pp. 425-457 [trad. ingl., On the Threshold of Exact Science, p. 143-170]). 17 M. PARODI, in A. MAIER, Scienza e filosofia nel Medioevo cit. p. 7. 18 Nel decimo anniversario della sua morte le fu dedicato il volume: Studi sul XIV secolo in memoria di Anneliese Maier, a cura di A. MAIERÙ – A. PARAVICINI BAGLIANI, Roma 1981 (Storia e letteratura, 151). 19 A. MAIER, Ausgehendes Mittelalter. Gesammelte Aufsätze zur Geistesgeschichte des 14. Jahrhunderts, III, Roma 1977 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi, 138), pp. 617-626. 20 EAD., Philosophie der Wirklichkeit. Bd. 2, Abt. 1: Die Realität der physischen Welt; Bd. 2, Abt. 2: Der Aufbau der physischen Welt, Tübingen 1934; Bd. 3: Die physisch-geistige Wirklichkeit, Tübingen 1935. 21 EAD., Maier Heinrich, in Philosophen-Lexikon, hrsg. von W. LIEGENFUSS, Berlin 1937. 22 EAD., Zwei Grundprobleme der scholastischen Naturphilosophie: das Problem der intensiven Grösse, die Impetustheorie, 3a ed., riv. ed ampl., Roma 1968 (Storia e letteratura, 37).

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particolare con Monsignor Pelzer. Esattamente come per Jeanne Bignami Odier. Fu August Pelzer che aprì alla giovane Maier (nel 1937 aveva 32 anni) le porte della scolastica, attraverso quello che in Vaticana è la via maior, ossia lo studio dei testi attraverso i codici, e, se possibile, lo studio di un intero fondo di codici. Dom Wilmart aveva introdotto Jeanne Bignami nel fondo reginense, ad Anneliese Maier August Pelzer affidò il compito di descrivere e catalogare i codici Borghesiani, ossia quella magnifica raccolta di codici scolastici che furono trasportati da Avignone a Roma sotto Paolo V Borghese nel 1605. L’operosità scientifica della Maier in termini di filosofia della natura andò quindi di pari passo con uno studio capillare sui codici Borghesiani23, il cui catalogo fu pubblicato nel 1952 (inserito tra gli Studi e Testi e non nella serie dei cataloghi vaticani di manoscritti perché la Maier non era Scriptor)24. Non fu così però per il suo secondo catalogo, dei codici Vaticani Latini 2118-2192, apparso nel 196125. Il lavoro sui codici Borghesiani indusse Anneliese Maier ad interessarsi alla storia stessa di quel fondo e più indirettamente a quella della Biblioteca papale in epoca avignonese26. È abbastanza singolare, a ritroso del 23 Anneliese Maier inzia nel 1948 a pubblicare studi su codici della Biblioteca Vaticana, ed in particolare in relazione con la sua catalogazione dei codici borghesiani: Handschriftliches zu Arnaldus de Villanova und Petrus Johannis Olivi, in Analecta sacra Tarraconensia 21 (1948), pp. 53-74 (= Ausgehendes Mittelalter, II, Roma 1967, pp. 215-237); EAD., Der literarische Nachlass des Petrus Rogerii (Clemens VI.) in der Borghesiana, in Recherches de théologie ancienne et médiévale 15 (1948), pp. 332-356; ibid. 16 (1949), pp. 72-98 (= Ausgehendes Mittelalter cit. pp. 255-315. Nachtrag: pp. 503-517); EAD., Due documenti nuovi relativi alla lotta dei cardinali Colonna contro Bonifacio VIII, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 3 (1949), pp. 344-364 (= Ausgehendes Mittelalter cit. p. 13-34. Nachtrag: p. 492); EAD., Notizie storiche del XIII e XIV secolo da codici Borghesiani», ibid. 4 (1950), pp. 163-185 (= Ausgehendes Mittelalter cit., pp.. 35-58. Nachtrag: p. 492); EAD., Per la storia del processo conro l’Olivi», ibid. 5 (1951), pp. 326-339 (= Ausgehendes Mittelalter cit., pp. 239-253). 24 EAD., Codices Burghesiani Bibliothecae Vaticanae, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 170). 25 EAD., Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti. Codices Vaticani Latini. Codices 2118-2192, In Bibliotheca Vaticana 1961. 26 EAD., Annotazioni autografe di Giovanni XXII in codici vaticani, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 6 (1952), pp. 317-332 (= Ausgehendes Mittelalter cit., pp. 317-332); Eine Verfügung Johanns XXII. über die Zuständigkeit der Inquisition für Zaubereiprozesse, in Archivum Fratrum Praedicatorum 22 (1952), pp. 226-246 (= Ausgehendes Mittelalter, cit., 59-80); EAD., Der letzte Katalog der päpstlichen Bibliothek von Avignon (1594), Roma 1952 (Sussidi eruditi, 4) (= Ausgehendes Mittelalter, III, Roma 1977, pp. 187-248); Un manoscritto della biblioteca del cardinale Scipione Borghese, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 7 (1953), pp. 106-108 (= Ausgehendes Mittelalter, cit., II, pp. 131-134). Nachtrag: p. 497); EAD., Der Katalog der päpstlichen Bibliothek in Avignon vom Jahr 1411, in Archivum Historiae Pontificiae 1 (1963), pp. 97-

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tempo, poter osservare come una studiosa dell’elevatura intellettuale di Anneliese Maier, che si era affermata nel campo della storia della filosofia e della scienza medievale e moderna al più alto livello27, capace di dialogare alla pari con Bruno Nardi (di cui possedeva gelosamente tutte le sue opere e tutti i suoi estratti) o ancora con Alexandre Koyré, sia passata continuamente e per decenni dalla filosofia della natura allo studio erudito di un fondo di manoscritti, dall’edizione di testi inediti riguardanti vari aspetti della vita intellettuale ed ecclesiastica del tardo Duecento e del primo periodo avignonese, alla storia della biblioteca papale di Avignone, e di essere stata in grado, a livelli così diversi, di intraprendere studi sistematici e con lo stesso rigore. Mutatis mutandis, anche questo fu l’itinerario di Jeanne Bignami Odier, ma anche questo fu l’itinerario di August Pelzer, il quale fu per la sua epoca un notissimo studioso di filosofia scolastica, un catalogatore eccelso di manoscritti e il continuatore della prima vasta storia dei fondi manocritti della biblioteca papale e della Biblioteca Vaticana iniziata da Franz Ehrle (1845-1934)28. Ma anche Franz Ehrle non si era certo accontentato di pubblicare il primo volume della sua celebre Historia bibliothecae Romanorum pontificum tum Bonifatianae tum Avenionensium. La fondazione e direzione, con Padre Heinrich Denifle (1844-1905), dell’Archivio Vaticano, dell’Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte des Mittlelaters29, una delle riviste storiche più innovative nel campo dell’erudizione storico-intellettuale — pubblicata non per i tipi dell’Archivio Vaticano o della Biblioteca Vaticana 177 (= Ausgehendes Mittelalter, cit., III, pp. 77-158. Nachtrag: p. 610); EAD., Der Handschriftentansport von Avignon nach Rom im Jahr 1566, in Mélanges Eugène Tisserant, VII, Biblioteca Vaticana 1964 (Studi e testi, 237), pp. 9-27 (= Ausgehendes Mittelalter, cit., III, pp. 167-186. Nachtrag: pp. 611-612); EAD., Zu einigen Handschriften der päpstlichen Bibliothek von Avignon. Nachrag zur Edition des Katalogs von 1411, in Archivum Historiae Pontificiae 2 (1964), pp. 323-328 (= Ausgehendes Mittelalter, cit., III, pp. 159-166. Nachtrag: p. 611; Die Bibliotheca Minor Benedikts XIII. (Petrus’ de Luna), ibid. 3 (1963), pp. 139-191 (= Ausgehendes Mittelalter, cit. II, pp. 1-53. Nachtrag: p. 609); EAD., Ein Leihregister aus der Bibliothek des letzten Avignoner Papstes Benedikts XIII. (Petrus de Luna), in Rivista di storia della Chiesa in Italia 20 (1966), pp. 309-327 (= Ausgehendes Mittelalter, cit., III, pp. 55-76). Per altri studi, in particolare sui codici Sidonenses, vd. la sua bibliografia, citata in n. 19, p. 623. 27 Cfr. A. MAIERÙ, Anneliese Maier e la filosofia della natura tardoscolastica, in Gli studi di filosofia medievale fra Otto e Novecento, Roma 1991, pp. 303-330; ID. – E. SYLLA, Daughter of her Time: Anneliese Maier (1905-1971) and the Study of fourteenth-century Philosophy, in Women Medievalists and the Academy, a cura di J. CHANCE, Madison, Wisconsin 2005, pp. 625645. 28 Bibliografia di August Pelzer, in A. PELZER, Études d’histoire littéraire sur la scolastique médiévale. Recueil d’articles mis à jour à l’aide des notes de l’auteur par A. PATTIN et E. VAN DE VYVER, Louvain-Paris 1964 (Philosophes médiévaux, 8), pp. 13-18. 29 Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte des Mittelalters, 7 voll., Berlin 1885-1900.

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ma della Weidmannsche Buchhandlung di Berlino — che precorreva per molti versi il rinnovamento scientifico degli ultimi decenni del secolo XIX, sono una chiara dimostrazione della presenza, alla Vaticana, fin dalla fine dell’Ottocento, di questo prezioso connubio tra studio di singoli codici, studio delle collezioni vaticane, scoperta di testi inediti, il tutto inserito, secondo modalità ovviamente diverse, in una prospettiva larga di interessi culturali ed intellettuali, che includevano la storia dei grandi movimenti della filosofia scolastica e della filosofia della natura, la storia intellettuale, anche quella eterodossa. Lo dimostrano l’interesse di Padre Denifle per la storia delle università e di quella di Parigi30, di Franz Ehrle su Pietro di Candia31 e il palazzo vaticano32, il contributo fondamentale di August Pelzer alla Histoire de la philosophie médiévale di Maurice De Wulf33, contributo che si affianca agli studi su Godefroid de Fontaines34 e alle sue notevoli scoperte (identificazione dei traduttori medievali dell’Etica a Nicomaco, tracce della traduzione greco-latina del De caelo di Aristotele nei margini del Vat. lat. 2088, opera di Roberto Grossatesta, scoperta di un corso di Alberto Magno sull’Etica a Nicomaco)35. Ma ciò vale per Jeanne Bignami Odier, il cui interesse per personaggi come Giovanni de Rupescissa36 o per lo scrittore domenicano del tardo duecento Roberto d’Uzès37 non si confinava certo in un mero interesse erudito, ma era sostenuto dall’entusiamo di scoprire nuovi codici e nuovi testi. 30 H. S. DENIFLE, Documents relatifs à la fondation et aux premiers temps de l’Université de Paris, Paris 1884 (Extrait des Mémoires de la Société de l’histoire de Paris et de l’Ile-de-France, 1883); ID., Chartularium Universitatis Parisiensis. sub auspiciis Consilii generalis facultatum Parisiensium ex diversis bibliothecis tabulariisque collegit et cum authenticis chartis contulit HENRICUS DENIFLE; auxiliante AEMILIO CHATELAIN, Paris 1889 ss. 31 F. EHRLE, Der Sentenzenkommentar Peters van Candia des Pisaner Papstes Alexanders V. Ein Beitrag zur Scheidung der Schulen in der Scholastik des vierzehnten Jahrhunderts und zur Geschichte des Wegestreites, Münster in Westf. 1925 (Franziskanische Studien; Beiheft, 9). 32 F. EHRLE – H. EGGER, Der vatikanische Palast in seiner Entwicklung bis zur Mitte des XV. Jahrhunderts, Città del Vaticano 1935 (Studi e documenti per la storia del palazzo apostolico vaticano, 2). 33 Histoire de la philosophie médiévale de M. DE WULF, 5e éd., Louvain, t. I, 1924, pp. 66-77, 2223-2333; 7e éd., Louvain, I, 1934, 64-80, T. II, 1936, pp. 25-51, pp. 54-58; trad. ital., a cura di V. MIANO, Firenze 1944-1945. 34 A. PELZER, Les quatre premiers Quodlibets de Godefroid de Fontaines (texte inédit), Louvain 1904 (Les philosophes belges, 2). 35 ID., Le cours inédit d’Albert le Grand sur la Morale à Nicomaque recueilli et rédigé par saint Thomas d’Aquin, in Revue néo-scolastiques de philosophie 24 (1922), pp. 333-361, 479-520. Vedi la bibliografia citata in n. 19. 36 Vedi n. 4. 37 J. BIGNAMI ODIER, Les visions de Robert d’Uzès († 1296), in Archivum Fratrum Praedica-

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E così, gli studi di Anneliese Maier sulla visio beatifica38, che provengono dalla sua familiarità con il fondo Borghese, non erano un semplice prosieguo di interessi codicologici e testuali e di storia delle biblioteche. Erano gli anni in cui ebbi sovente l’occasione di parlarne con lei direttamente, ed ancor oggi mi è viva la memoria di quel suo intenso desiderio di studiare la questione intellettuale e teologica al di là delle sue implicazioni erudite. Certo, lo sforzo di Franz Ehrle, Heinrich Denifle, August Pelzer, Jeanne Bignami Odier e di Anneliese Maier — per non citare che questi nomi — era pricipalmente rivolto a quello che i tedeschi chiamano ancor oggi Grundlagenforschung, ma la scelta dei temi e — in alcuni casi molti la loro trattazione — ampliavano enormentemente il quadro erudito. Ed è per questo motivo che l’Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte des Mittelalters è rimasto fondamentale, che gli studi della Maier sulla filosofia scolastica appaiono ancor oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, ancora così profondamente novatori, metodologicamente perfetti, e che i lavori della Bignami su Giovanni da Rupescissa — un personaggio che proprio in questi ultimi anni ha richiamato l’attenzione degli studiosi della profezia medievale — costituiscono sempre un punto di riferimento di fondamentale importanza. Ripeto, non solo per il rigore codicologico e testuale. Vi è un altro aspetto a cui si deve rivolgere l’attenzione, ed è la sistematicità. Persino l’ultimo grande ambito di lavoro della Maier — la Visio beatifica — si iscrive in questa traiettoria, un ambito in cui si trovò a confrontarsi con Marc Dykmans, il noto gesuita ex direttore della Biblioteca della Gregoriana che svolse durante gli ultimi decenni di vita la sua attività di ricerca nella sala dei manoscritti della Vaticana, tanto da essere una figura che appartiene a quel terzo cerchio concentrico di cui ho parlato all’inizio. Ma anche Marc Dykmans fu preso dal genius loci vaticano della sistematicità, basti pensare ai suoi quattro volumi di edizione di cerimoniali

torum 25 (1955), pp. 258-310. Con l’edizione del testo, dal codice Toledo, Bibl. del Cabildo, 6-26, corretto in parte grazie al codice Paris, Bibliothèque nationale de France, ms. lat. 2592. 38 I problemi teologico-filosofici legati alla visio beatifica interessano Anneliese Maier negli ultimi anni della sua vita. La morte non le ha permesso di completare un suo desiderio, quello di elaborare un corpus dei principali testi: Zu einigen Disputationen aus dem Visio-Streit unter Johann XXII., in Archivum Fratrum Praedicatorum 39 (1969), pp. 97-126 (= Ausgehendes Mittelalter, cit. III, pp. 415-445); EAD., Eine unbeachtete Quaestio aus dem Visio-Streit unter Johann XXII., in Achivum Franciscanum Historicum 63 (1970), pp. 280-318 (= Ausgehendes Mittelalter, cit., III, pp. 505-542); EAD., Zur Textüberlieferung einiger Gutachten des Johannes de Neapoli, ibid. 40 (1970), pp. 5-27 (= Ausgehendes Mittelalter cit., III, pp. 481-504); EAD., Schriften, Daten und Personen aus dem Visio-Streit unter Johann XXII., in Archivum Historiae Pontificiae 9 (1971), pp. 143-186 (= Ausgehendes Mittelalter cit., III, pp. 543-590).

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latini medievali39, un campo di studi che fu peraltro rinnovato de fond en comble da ricerche di ampio respiro di Reinhard Elze40 e di Bernhard Schimmelpfennig41 che alla Vaticana svolsero una grandissima parte delle loro ricerche. In quegli stessi anni Pierre Salmon, occupando la scrivania posta in una delle finestre della sala di consultazione della Vaticana, tra quelle di due scriptores, elaborava il primo sistematico inventario dei manoscritti liturgici latini della Vaticana42, un’impresa non facile e che svolse con estrema rapidità ed efficacia, pur in età avanzata. La sistematicità — oltre che la riflessione e, direi, l’invenzione di un nuovo ambito di ricerca (analogamente a quanto avvenne con Anneliese Maier) — caratterizza la vita scientifica di studioso che arrivò a Roma quasi contemporaneamente a Jeanne Bignami e ad Anneliese Maier. Mi riferisco a Stephan Kuttner. Come Anneliese Maier, Stephan Kuttner si era laureato a Berlino, in Legge (1931). Di famiglia ebraica (già in parte convertita al protestantesi39 M. DYKMANS, Le cérémonial papal de la fin du Moyen Âge à la Renaissance, 4 voll., Bruxelles, Roma 1977-1985. Edizione critica sistematica dei cerimoniali pontifici dei secoli XIIIXIV. Le edizioni sono precedute da ampie introduzioni e descrizioni dei testi. I primi due volumi interessano il Duecento. I Le cérémonial papal du XIIIe siècle [1977]: il cerimoniale di Gregorio X (pp. 13-66; edizione: pp. 155-218), il cerimoniale di Latino Malabranca per il cardinale-vescovo, 1280 ca (pp. 67-108; edizione: pp. 219-64), il cerimoniale cardinalizio, 1300 ca (pp. 109-114; edizione: pp. 264-86); messa papale (pp. 115-134; edizione: pp. 287-303) e pontificale (pp. 135-137; edizione: pp. 305-23), il cerimoniale tratto da un pontificale romano (pp. 138-46; edizione: pp. 325-48). II De Rome en Avignon ou le cérémonial de Jacques Stefaneschi [1981]. Ampia introduzione (pp. 1-252 e edizione [pp. 253-507]) dell’ordo XIV). 40 C. VOGEL (ed.), Pontificale Romano-Germanicum. Le Pontifical romano-germanique du dixième siècle, en collaboration avec REINHARD ELZE, Città del Vaticano 1963-1972 (Studi e testi, 226, 227, 269); R. ELZE, Die Ordens für die Weihe und Krönung des Kaisers und der Kaiserin, hrsg. von R. ELZE, Hannover 1960 (Fontes iuris germanici antiqui in usum scholarum ex Monumentis Germaniae historicis separatim editi, 9). 41 B. SCHIMMELPFENNIG, Die Zeremonienbücher der römischen Kurie im Mittelalter, Tübingen 1973 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 40). Nella prima parte (pp. 1-140; p. 141: cronologia delle collezioni di cerimoniali, 1140-1488), ampia e completa ricostruzione della tradizione manoscritta dei libri cerimoniali curiali dal XII al XV secolo. Nella seconda parte (pp. 145-378) vengono editi: la collezione di testi cerimoniali tramandata dal codice Avignone, Bibl. munic., 1706; il libro cerimoniale di Bindo Fesulani; il libro cerimoniale dell’epoca di Benedetto XIII e (parzialmente) il pontificale di Giovanni Barozzi. Seguono le concordanze e l’elenco dei codici. Opera di riferimento, che ha fatto progredire le nostre conoscenze sui cerimoniali della Chiesa romana degli ultimi secoli del Medio Evo. 42 P. SALMON, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque Vaticane. 1. Psautiers, antiphonaires, hymnaires, collectaires, bréviaires. 2. Sacramentaires, epistoliers, evangéliaires, graduels, missels, Città del Vaticano 1968 e 1969 (Studi e testi, 251 e 253); 3. Ordines romani, pontificaux, rituels, cérémoniaux. 4. Les livres de lectures de l’office, les livres de l’office du chapitre, les livres d’heures, Città del Vaticano, 1970 e 1971 (Studi e testi, 260 e 267).

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mo), Stephan Kuttner abbandonò nel 1933 la Germania nazista per l’Italia, dove fu accolto come collaboratore scientifico alla Biblioteca Vaticana e insegnò alla Università del Laterano a Roma. Nel 1940 emigrò negli Stati Uniti, fu professore alla Catholic University of America dal 1940 al 1964. Nel 1970 fondò l’Istituto di diritto canonico alla Berkeley School of Law, che diresse fino al 1988. Non voglio ripercorrere lo stupendo itinerario di studioso e di animatore di ricerche di Stephan Kuttner, un tema che esula dall’ambito di questo mio intevento. Vorrei però ricordare che già nel 1935 gli Studi e Testi pubblicano la sua Kanonistische Schuldlehre43 e nel 1937 il suo celebre Repertorium der Kanonistik44. Risalgono al 1940 L’Édition romaine des Conciles généraux et les actes du premier concile de Lyon, edita dalla collana Miscellanea historiae pontificiae della Gregoriana45. Sono studi che inaugurano la ben nota stagione canonistica che il Kuttner guiderà magistralmente fino alla sua morte e la cui onda lunga non si è affatto ancora affievolita, una stagione di studi che si fonda su quelle stesse esigenze metodologiche che evidenziano anche le vite di studio della Bignami e della Maier, il connubio tra codici, testi e ampia riflessione intellettuale e tematica. E non è certo un caso se proprio la Biblioteca Vaticana ha accolto fin dall’inizio la pubblicazione della serie dei convegni di storia dei Proceedings of the International Congresses of Medieval Canon Law46, giunta al dodicesimo 43 S. KUTTNER, Kanonistische Schuldlehre von Gratian bis auf die Dekretalen Gregors IX: systematisch auf Grund der handschriftlichen Quellen dargestellt, Città del Vaticano 1935 (Studi e testi, 64). 44 ID., Repertorium der Kanonistik (1140-1234). Prodromus Corporis glossarum, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 71). 45 ID., L’édition romaine des Conciles généraux et les actes du premier Concile de Lyon, Roma 1940 (Miscellanea Historiae Pontificiae, edita a Facultate historiae ecclesiasticae in Pontificia Universitate gregoriana, III, 4-5). 46 Proceedings of the Second International Congress of Medieval Canon Law. Boston College, 12-16 August 1963, cur. S. KUTTNER, J. J. RYAN, Città del Vaticano 1965 (Monumenta iuris canonici. Series C, Subsidia, 1); Proceedings of the Third International Congress of Medieval Canon Law. Strasbourg, 3-6 September 1968, cur. S. KUTTNER, Città del Vaticano 1971 (Monumenta iuris canonici. Series C, Subsidia, 4); Proceedings of the Fifth International Congress of Medieval Canon Law. Salamanca, 21-25 September 1976, cur. S. KUTTNER – K. PENNINGTON, Città del Vaticano 1980 (Monumenta iuris canonici. Series C, Subsidia, 6); Proceedings of the Sixth International Congress of Medieval Canon Law. Berkeley, California, 28 July-2 August 1980, cur. S. KUTTNER – K. PENNINGTON, Città del Vaticano 1985 (Monumenta iuris canonici. Series C. Subsidia, 7); Proceedings of the Seventh International Congress of Medieval Canon Law. Cambridge, 23-27 July 1984, Città del Vaticano 1988 (Monumenta iuris canonici. Series C, Subsidia, 8); Proceedings of the Eighth International Congress of Medieval Canon Law. San Diego, 21-27 August 1988, cur. S. CHODOROW, Città del Vaticano 1992 (Monumenta iuris canonici. Series C, Subsidia, 9); Proceedings of the Ninth International Congress of Medieval Canon Law. Munich, 13-18 July 1992, cur. P. LANDAU – J. MUELLER, Città del

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volume, oltre che di un inventario di codici canonistici, frutto di una collaborazione con l’Institute of Medieval Canon Law (Berkeley) da lui fondato e diretto, oltre che con l’Istituto storico germanico di Roma diretto da Reinhard Elze47. La sistematicità — ossia la capacità di intraprendere e di diffondere editorialmente — nel campo della medievistica, anche al di là della storia testuale e codicologica, caratterizza in quei decenni centrali del Novecento anche le intense relazioni di studio che intercorsero tra la Biblioteca Vaticana e l’Archivio Vaticano. Basti pensare alla sistematica edizione delle Rationes decimarum48 sotto la guida esperta di Giulio Battelli, ai sigilli Vaticano 1997 (Monumenta iuris canonici. Series C, Subsidia, 10); Proceedings of the Tenth International Congress of Medieval Canon Law. Syracuse, New York, 13-18 August 1996, cur. K. PENNINGTON – S. CHODOROW – K. H. KENDALL, Città del Vaticano 2001 (Monumenta iuris canonici. Series C, Subsidia, 11). 47 A Catalogue of Canon and Roman Law Manuscripts in the Vatican Library compiled at the Institute of Medieval Canon Law under the direction of S. KUTTNER; with the aid of the Deutsches Historisches Institut, Rom under the direction of R. ELZE, Città del Vaticano 19861987 (Studi e testi, 322, 328). 48 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia I La decima degli anni 12741280, ed. P. GUIDI, Città del Vaticano 1932 (Studi e testi, 58); Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Aemilia, ed. A. MERCATI – E. NASALLI ROCCA – P. SELLA, Città del Vaticano 1933 (Studi e testi, 60); Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Aprutium-Molisium, ed. P. SELLA, Città del Vaticano 1936 (Studi e testi, 69); Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Apulia-Lucania-Calabria, ed. D. VENDOLA, Città del Vaticano 1939 (Studi e testi, 84); Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Venetiae-Histria-Dalmatia, ed. P. SELLA – G. VALE, Città del Vaticano 1941 (Studi e testi, 96); Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Campania, ed. M. INGUANEZ, Città del Vaticano 1942 (Studi e testi, 97); Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia II La decima degli anni 1295-1304, ed. M. GIUSTI, Città del Vaticano 1942 (Studi e testi, 98); Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Sicilia, ed. P. SELLA, Città del Vaticano 1944 (Studi e testi, 112); Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Sardinia, ed. P. SELLA, Città del Vaticano 1945 (Studi e testi, 113); Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Latium, ed. G. BATTELLI, Città del Vaticano 1946 (Studi e testi, 128); Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Marchia, ed. P. SELLA, Città del Vaticano 1950 (Studi e testi, 148); Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Umbria, ed. P. SELLA, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 161-162); Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Lombardia et Pedemontium, ed. M. ROSADA, Città del Vaticano 1990 (Studi e testi, 324); Liguria maritima, ed. M. ROSADA (†), riveduta e integrata da E. GIRARDI, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 425) Rationes decimarum Hispaniae (1279-1280), ed. J. RIUS SERRA, 2 voll., Barcelona 1946-1947 (Textos y estudios de la Corona de Aragón, 7-8); cfr. G. BATTELLI, Le decime pontificie del Lazio nei secoli XIII e XIV, in Atti del V Congresso nazionale di studi romani, a cura di C. GALASSI PALUZZI, III, Roma 1942; ID., Le Rationes decimarum Italiae, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 1 (1947), pp. 447-55 (rist. in ID., Scritti scelti. Codici, documenti, archivi, Roma 1975, pp. 97-107); ID., Le decime pontificie del Lazio (secoli XIII-XIV), in L’hostie et le denier. Les finances ecclésiastiques du haut Moyen Âge à l’époque moderne. Actes du Colloque de la Commission internationale d’histoire ecclésiastique comparée. Genéve août 1989, Genéve 1991 (Publications de la Faculté de théologie de l’Université de Genéve, 14), pp. 71-78.

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dell’Archivio Vaticano a cura di Pietro Sella e di Marie-Hyacinthe Laurent (che diventerà scrittore della Biblioteca dopo esser stato in Archivio)49. In quello stesso arco di tempo che va dal periodo della guerra alla fine degli anni settanta, in molti altri settori, la ricerca svolta alla Vaticana produsse monumenti eruditi sistematici, come la pubblicazione del codice del canonico Grimaldi sulla basilica vaticana medievale, le carte geografiche di Roberto Almagià, e così via, senza parlare dei fondamentali studi di Gerhart B. Ladner sull’iconografia papale50. La sistematicità di questi studi è anche il riflesso delle possibilità di ricerca che la Vaticana può offrire in campi così trasversali e disciplinari. Possibilità di ricerca che non si limitano alla ricchezza delle collezioni di manoscritti e di stampati ma che ha sempre trovato, in particolare in quei decenni centrali del Novecento, un suo prolungamento nelle formidabili reti di contatti scientifici, editoriali e personali che la presenza regolare e continua alla Vaticana permetteva di tessere51. Devo interrompere qui il mio intervento, che, come vedete, ha ricordato e analizzato soltanto una piccolissima parte della ricerca medievistica svolta alla Biblioteca Vaticana nel Novecento. Ma alcuni punti fermi mi sembra siano emersi con forza, ossia il fatto che la ricerca svolta alla Vaticana all’interno di quei centri concentrici di cui ho detto all’inizio è stata caratterizzata da un’interferenza continua tra codici, testi e riflessione disciplinare, tanto da avere — nei casi qui ricordati come anche in altri — svolto un ruolo propulsore che è esattamente quello che ci si chiede da un istituto di ricerca, più che da una biblioteca. In questo senso, mi sembra che si possa applicare a Franz Ehrle, a August Pelzer, a Dom Wilmart, a Jeanne Bignami Odier, ad Anneliese Maier oltre che ovviamente a Stephan 49 I sigilli dell’Archivio vaticano, a cura di P. SELLA; con la collaborazione di M.-H. LAURENT, 6 voll., Città del Vaticano 1937-1964 (Inventari dell’Archivio Segreto Vaticano). 50 G. B. LADNER, Die Papstbildnisse des Altertums und des Mittelalters, 3 voll., Città del Vaticano 1941-1984 (Monumenti di antichità cristiana, s. II, 4). Opera di riferimento. Il vol. II (1970) presenta uno studio sistematico della ritrattistica dei singoli papi del secolo XIII. Il volume III comprende, oltre a numerose aggiunte di carattere iconografico, una sintesi su insegne e ornamenti pontifici presenti nella iconografia papale medievale (sandali, guanti, dalmatica, fanone, pallio, tiara, ferula…). 51 G. B. LADNER, Images and Ideas in the Middle Ages. Selected Studies in History and Art, 2 voll., Roma 1983 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi, 155-156). Già per il primo suo studio, sulla statua lateranense di Bonifacio VIII, edito nel 1934, Ladner era entrato in contatto con la Biblioteca Vaticana: Die Statue Bonifaz’ VIII. in der Lateranbasilika und die Entstehung der dreifach gekrönten Tiara, in Römische Quartalschrift 42 (1934), pp. 35-69 (rist. in ID., Images and Ideas in the Middle Ages. Selected Studies in History and Art, II, Roma 1983, pp. 393-426). In appendice, edizione della dichiarazione dei canonici di San Giovanni in Laterano Girolamo Bonfigli e Jacomo Brancario, circa il trasferimento dalla Loggia delle benedizioni della statua di Bonifacio VIII inginocchiato e dell’affresco (1 aprile 1631).

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Kuttner quella frase che sentii dire più volte da Monsignor Michele Maccarrone52 — uno dei grandi protagonisti del terzo centro concentrico di studiosi legati alla Vaticana nella seconda metà del Novecento — ad Augusto Campana (la cui memoria aleggia in tutte le sale della Vaticana e che altri in questo Convegno ricorderanno con maggiore competenza di me). Mons. Maccarrone usava infatti dire che la prima cattedra universitaria di Augusto Campana era stata la Vaticana. A me sembra che questo si possa dire anche per molti altri grandi studiosi della Vaticana, e questo forse spiega perché la stessa Anneliese Maier, cui fu data una cattedra a Colonia nel primo dopoguerra, preferì ritornare al Cortile del Belvedere dopo un solo semestre di insegnamento.

52 Praticamente tutta l’attività storiografica di Michele Maccarrone è legata alla sua pluridecennale frequenza della Biblioteca Vaticana. Della sua sterminata bibliografia vorrei almeno ricordare soprattutto quella che raccogli i suoi scritti: Chiesa e Stato nella dottrina di papa Innocenzo III, Roma 1940 (Lateranum, n.s., 6, 3-4); ID., Studi su Innocenzo III, Padova 1972 (Italia sacra. Studi e documenti di storia ecclesiastica, 17); ID., Romana Ecclesia, Cathedra Petri, 2 voll., a cura di P. ZERBI – E. VOLPINI – A. GALUZZI, Roma 1991 (Italia sacra. Studi e documenti di storia ecclesiastica, 47-48); ID., Nuovi studi su Innocenzo III, a cura di R. LAMBERTINI, Roma 1995 (Nuovi studi storici, 25). Cfr. La cattedra lignea di san Pietro in Vaticano. Quattro studi, a cura di M. MACCARRONE et al., Città del Vaticano 1971 (Atti della Pontificia Accademia romana di archeologia, Serie 3, Memorie, 10), pp. 93-154.

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UMANESIMO E RINASCIMENTO È difficile, forse impossibile, definire con precisione il perimetro di questa area di ricerca in una biblioteca come la Vaticana, progettata nel Quattrocento, nel momento di più alta incidenza dell’ideologia umanistica, come certificazione storica della Chiesa trionfante e centro propulsore della nuova cultura («ad decorem militantis Ecclesiae, fidei catholicae augmentum, eruditorum quoque ac litterarum studiis insistentium virorum commodum et honorem»)1. Cresciuta intorno a un nucleo di libri del secolo XV, alla confluenza di un’eredità non organicamente accumulata nelle epoche precedenti, la biblioteca si trovò nel corso dei secoli a conglobare integralmente numerose altre raccolte, da quella di Federico da Montefeltro alla libreria chigiana assorbita solo nel 1923, per citare due momenti esemplari della mirabile espansione. Allo stato attuale la Vaticana è per importanza la prima di tutte le biblioteche fondate nella stagione rinascimentale, e nelle molte collezioni cristallizzate al suo interno il numero di libri che più o meno direttamente hanno attinenza con la temperie umanistica è altissimo. Perché l’umanesimo non solo si pone come epoca di autonoma produzione culturale, ma anche come momento di ricezione della stagione medievale e di recupero della tradizione classica. Nel 1957 Paul Oskar Kristeller pubblicò sul primo numero di Manuscripta il resoconto di un’indagine sui progressi nel dopoguerra della ricerca rinascimentale tra i fondi manoscritti della Vaticana2. Con la consapevolezza storiografica di chi aveva avviato la ricognizione dei manoscritti umanistici in tutto il mondo, Kristeller operava un bilancio distinguendo tra recuperi di testi ignoti e contributi essenziali per testi già noti da altre biblioteche, e sottolineando anche l’importanza storica e statistica della 1 Espressioni ormai celebri tratte dalla bolla costitutiva della Biblioteca Vaticana (15 giugno 1475) emanata da Sisto IV: J. RUYSSCHAERT, Sixte IV, fondateur de la Bibliothèque Vaticane (15 juin 1475), in Archivum historiae pontificiae 7 (1969), pp. 523-524. Per la storia dell’istituzione è ora fondamentale Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana. I. Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento, a cura di A. MANFREDI, Città del Vaticano 2010 (in particolare il contributo di A. MANFREDI, La nascita della Vaticana in età umanistica: da Niccolò V a Sisto IV, pp. 149-236). 2 P. O. KRISTELLER, Renaissance Research in Vatican Manuscripts, in Manuscripta 1 (1957), pp. 67-80.

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 159-175.

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molteplicità degli esemplari conservati. Se applicassi lo stesso metodo oggi per tracciare le linee del tema, affine a quello di Kristeller, che gli organizzatori mi hanno affidato, non riuscirei certamente a dare il senso compiuto di quel che la Vaticana ha significato e significa per gli studi umanistici: perché l’importanza non si può misurare sul metro dei prodotti custoditi o di quelli identificati, sulla linea di ciò che dai fondi è stato trasferito nella carta stampata; se è determinante la considerazione globale di un patrimonio ancora ben lontano dall’aver esaurito le proprie potenzialità euristiche, che può essere guardato nell’insieme e nei dettagli da mille diverse prospettive, ancor più lo è la progettualità elaborata dalla biblioteca in funzione di quel patrimonio. Nel 1961, a proposito di un articolo di François Secret, Carlo Dionisotti affermava: «in materia umanistica bisogna dir chiaro che chi non passa per prima cosa attraverso l’opera di Giovanni Mercati, sbaglia porta e strada: o si rifà da capo o è meglio che cambi mestiere»3. Mi ero fermato su queste parole in un contributo per il convegno sulle filologie organizzato nel 1989 dal CNR, dove per evidenziare in modo più marcato il successivo percorso tentavo in certo senso di delimitarne la portata4; è ora il momento di dare a esse piena giustificazione storica. Giovanni Mercati è nella Biblioteca Vaticana dal 1898, quando vi entra come scriptor Graecus, al 1957, anno della morte; nel 1919 è nominato Prefetto della Biblioteca, nel 1936 è Cardinale Bibliotecario e Archivista di Santa Romana Chiesa. Egli dà dunque un’impronta forte alla biblioteca con un’attività che si distende in lunghissimi decenni5. Nato nel 1866, Mercati venne a costituire nella sua artigianale bottega di lavoro l’altro polo rispetto alla Scuola Storica 3

C. DIONISOTTI, Umanisti dimenticati?, in Italia medioevale e umanistica 4 (1961), p. 287, ora confluito in C. D., Scritti di storia della letteratura italiana, I, 1935-1962, a cura di T. BASILE – V. FERA – S. VILLARI, Roma 2008, p. 423. 4 V. FERA, La filologia umanistica in Italia nel secolo XX, in La filologia medievale e umanistica greca e latina nel secolo XX. Atti del congresso internazionale (Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche – Università La Sapienza, 11-15 dicembre 1989), I, Roma 1993, p. 266 («alle parole di Dionisotti […] non bisogna dare valore assoluto: esse si spiegano alla luce di quei tempi, delle egemonie culturali dell’epoca, per quanto Mercati ha significato sul piano della formazione di quel gruppo di giovani che frequentava la Vaticana negli anni trenta e quaranta»). 5 Per il curriculum del Cardinale, con l’indicazione delle nomine accademiche e degli uffici: Notizie biografiche del Card. Giovanni Mercati, in G. M., Opere minori, V, Città del Vaticano 1941 (Studi e testi, 80), pp. 11-16, con l’aggiornamento di A. M. ALBAREDA, Gli scritti del Cardinale Mercati, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1957, pp. 15-45. Interessanti squarci autobiografici in P. VIAN, Un «Lebenslauf» del card. Giovanni Mercati per l’accademia austriaca delle scienze di Vienna (agosto 1947), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, VII, Città del Vaticano 2000 (Studi e testi, 396), pp. 461-479; ID., «Non tam ferro quam calamo, non tam sanguine quam atramento». Un ricordo del card. Giovanni Mercati, ibid., pp. 393-459.

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di Novati, perseguendo senza clamori di manifesti né dichiarazioni metodologiche la linea di una quotidiana ricerca erudita che attraverso una catena ininterrotta di uomini dotti, l’ultimo dei quali era Giovan Battista de Rossi6, si riconnetteva direttamente all’erudizione settecentesca, e non era solo erudizione ecclesiastica, malgrado questa vi prevalesse, era semplicemente e assolutamente erudizione. Proprio nella prospettiva umile con cui Mercati guardava ai libri e nella sistematicità dell’approccio si nota forse la principale differenza rispetto alla ricerca ottocentesca di un Angelo Mai, altro cardinale e prefetto, vero e proprio emblema della sua epoca, che invece puntava l’attenzione soprattutto sul recupero eroico di testi che avrebbero potuto illustrare meglio la biblioteca, cogliendone gli anecdota più rilevanti7. Il lavoro di Mercati è invece frutto di un positivismo illuminato, che cerca all’interno della biblioteca le certezze e le ragioni della storia. Occorrerebbe indagare bene i rapporti tra l’erudizione di Mercati e quella dei suoi contemporanei, a cominciare da Croce, per metterne a nudo con maggiore precisione radici umori e sviluppi: ma è certo che a un epigono della Scuola Storica, qual era ancora Dionisotti quando frequentava la Vaticana prima e durante la guerra, l’erudizione di Mercati si presentava con «la durezza e lo splendore del diamante». È chiaro che con questo giudizio, contrapposto alla propria «filologia di vetro»8, Dionisotti non caratterizzava un particolare tipo di erudizione, 6 Interessanti notizie e prospettive sulla giovinezza di lavoro di Giovanni Mercati (e del fratello Angelo) in M. MACCARRONE, Il primo soggiorno romano di Giovanni ed Angelo Mercati e la corrispondenza con Giovanni Battista De Rossi, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 41 (1987), pp. 26-78. 7 Ancora valido S. TIMPANARO, Angelo Mai, in S. T., Aspetti e figure della cultura ottocentesca, Pisa 1980, pp. 225-271, che mette bene in evidenza il rapporto tra la linea delle scoperte e quella della ricerca antiquaria. Si veda inoltre, pure per una più esaustiva bibliografia, A. CARRANNANTE, Mai, Angelo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXVII, Roma 2006, pp. 517520. 8 «Imperava allora sulla Biblioteca il Cardinale, quello che per tutti noi era, senza più il Cardinale, Mercati. In lui, vecchio, di una vecchiezza prepotente, quasi emblematica e fuori del tempo, lontanamente alto come un astro se anche ci passasse accanto rannuvolato nella sua umile veste nera, e per lui negli Studi e testi, e via via risalendo, nel sistema antico di una formidabile erudizione ecclesiastica, non era difficile scoprire la durezza e lo splendore del diamante. Era questione di durezza, di un grado diverso nella scala. Per anni avevamo lavorato e creduto in una filologia di vetro. Nulla di male: era una industria legittima e onesta, e poteva anche produrre cose belle e preziose. Ma bisognava rendersi conto che erano cose fragili, che era vetro e non diamante. Il tempo che ci era toccato in sorte faceva scempio delle cose fragili»: C. DIONISOTTI, Ricordo di don Giuseppe De Luca, in Italia medioevale e umanistica 4 (1961), pp. 329-330. Val forse la pena osservare che la metafora del diamante e del vetro era probabilmente suggerita a Dionisotti da Petrarca, RVF CXXIV 12-14 («Lasso, non di diamante, ma d’un vetro/veggio di man cadermi ogni speranza,/et tutti miei pensier’ romper nel mezzo»).

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ma pensava piuttosto allo spessore e all’ampiezza degli interessi, che dominavano lingue e sistemi culturali diversi, e alla capacità di integrare la prospettiva ecclesiastica con quella laica: peculiarità, questa, di non poco conto per chi aveva avviato una riflessione di forte impatto su ‘chierici e laici’ nella storia letteraria italiana. All’epoca Mercati aveva prodotto documenti fondamentali per gli studi umanistici: cito soltanto il volume sul Perotti del 1925, gli Scritti del Cardinale Ruteno del 1926, i ricchissimi Prolegomena all’edizione fototipica del De republica ciceroniano del 1934, l’indagine sui codici Pico Grimani Pio del 1938 e gli ultimi contributi alla storia degli umanisti del 19399: tutto un fervore di ricerche che attraversano l’intero umanesimo. Quando apparve il libro che ricostruiva la vita e gli scritti di Perotti, la ricerca umanistica in Italia era concentrata intorno a pochi professori: a parte italianisti come Vittorio Rossi e Vittorio Cian, signoreggiava soprattutto Remigio Sabbadini, ed era da poco morto il russo Vladimiro Zabughin, geniale ma vulcanico e caotico ricercatore che, tra i primissimi in Italia, aveva insegnato Letteratura umanistica alla Sapienza10. È significativo che le scritture di Sabbadini e quelle di Mercati abbiano delle forti somiglianze sul piano stilistico, presentino cioè una facies fattuale, pragmatica, vadano subito al cuore dei problemi, tenendosi sostanzialmente fuori dalla letteratura, dagli aspetti critici. Com’è noto, Sabbadini privilegia della cultura umanistica il trapunto delle testimonianze relative alla ricezione dei classici, e ciò che dell’umanesimo per suo merito riaffiora è per così dire materiale di risulta, succedaneo ai suoi interessi primari: per seguire la traccia dei classici egli è obbligato a fissare i percorsi biografici di ambiente in ambiente di una fitta schiera di umanisti, pubblica lettere e orazioni, carmi e sottoscrizioni; costruisce una biblioteca che nella sovrabbondanza dei documenti impone anche la visione di un certo tipo di umanesimo, prevalentemente latino11. Mercati non è invece mosso da un esclusivo interesse, spazia in tutte le direzioni con uguale curiosità, concilia la prospettiva del greco con quella del latino, occupandosi con la stessa maestria di libri e copisti utriusque linguae, illustra la formazione delle biblioteche, è più attento agli aspetti materiali del libro, 9 A. CAMPANA, Bibliografia degli scritti del cardinale Giovanni Mercati (1890-1956), in Nel novantesimo anno del Cardinale Mercati 1866-1956, Città del Vaticano 1956, pp. 57-130 (nella Nota bibliografica annessa a A. C., Profili e ricordi, Padova 1996, p. 77, Campana prometteva: «aggiunte alla bibliografia, l’elenco degli scritti pubblicati intorno al Cardinale, e altri complementi, saranno dati in altra sede»). 10 Una pregnante piccola biografia gli è stata dedicata da A. CAMPANA, Vladimiro Zabughin, in V. Z., Vergilio nel Rinascimento italiano da Dante a Torquato Tasso, I, Trento 2000, pp. IXXVI. 11 FERA, La filologia umanistica in Italia nel secolo XX cit., pp. 240-243.

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con un interesse integrale verso la cultura dell’epoca. E pensa anche al collegamento tra biblioteca e archivio: è lui che ha voluto i «Sussidi per la consultazione dell’Archivio Vaticano»12. Come ha ben chiarito Campana, egli, ecclesiastico, si accostava alla cultura laica con un certo disagio: ne fa fede anche l’aggiunta «arcivescovo di Siponto» che caratterizza Perotti fin dal titolo nel volume del 192513. Nel complesso quella di Mercati, proprio per l’esaustivo modello di ricerca che propone, è figura più consentanea di altre alla sensibilità di giovani che scoprono la filologia umanistica prima della guerra, e perciò ben si spiega il giudizio di Dionisotti. Per comprendere il grado di incidenza dell’opera di Mercati nella cultura umanistica, basta scorrere l’indice dei manoscritti, dei nomi e delle cose notevoli delle sue Opere minori14, che offre una selva di riferimenti, ma soprattutto è sufficiente sfogliare i sei volumi della Miscellanea che gli fu dedicata nel 194615. In certo qual modo si può dire che l’esame delle Miscellanee per i prefetti e/o cardinali bibliotecari distribuite in tutto lo scorso secolo può costituire un magnifico strumento di valutazione degli interessi che sono stati preminenti in Vaticana. Poiché si deve ai prefetti non solo l’organizzazione, ma anche di decennio in decennio la progettualità scientifica dell’istituzione, può essere infatti istruttivo valutare la tipologia e la stessa reattività degli studiosi che hanno partecipato alle varie sillogi. Nella miscellanea dedicata nel 1924 a Francesco Ehrle, prefetto fino al 1913, per merito di Mercati aperta agli studiosi di tutto il mondo, l’umanesimo occhieggia solo in indugi paleografici o relativi alla storia della biblioteca, mentre si dispiegano prevalentemente materiali di storia medievale, teologici e filosofici16; ugualmente spiccano aperture sulla storia dei fondi pontifici nei Collectanea promossi per Anselmo Albareda dopo una quasi trentennale prefettura nel 1962, nei quali è memorabile un contributo di Pertusi sull’Omero del Petrarca17. Un forte respiro internazionale si avverte ancora nei sette volumi delle Mélanges raccolte nel 1964 per l’orientalista Eugène Tisserant, che successe a Mercati nel 1957, dove i saggi 12

Nel Cinquantesimo di ‘Studi e Testi’ 1900-1950, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1950,

p. 13. 13 A. CAMPANA, Commemorazione del Socio Cardinale Giovanni Mercati, in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 33 (1960-1961), pp. 15-38. Lo scritto con il titolo Giovanni Mercati è stato raccolto in Profili e ricordi cit., pp. 48-77. 14 MERCATI, Opere minori, V cit., pp. 55-213. 15 Miscellanea Giovanni Mercati, I-VI, Città del Vaticano 1946 (Studi e testi, 121-126). 16 Una preziosa fonte di informazioni sui cinque volumi della miscellanea e sulla biografia culturale del Cardinale è in Miscellanea Francesco Ehrle. Album, Città del Vaticano 1924 (Studi e testi, 42). 17 Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. Card. Albareda, I-II, Città del Vaticano 1962 (Studi e testi, 219-220).

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sull’umanesimo, nei volumi VI e VII, sono schedati come momenti esemplari di storia dell’istituzione18. Infine nella Miscellanea edita nel 1998 in onore di Leonard Boyle, prefetto tra il 1984 e il ’97, l’umanesimo è limitato al solo articolo su Tortelli di Antonio Manfredi19. Ma nella serie delle miscellanee per i prefetti che scandiscono il Novecento nessuna ha per la letteratura medioumanistica la stessa forza propositiva della Miscellanea Mercati. Basta scorrere i nomi dei partecipanti per accorgersi che a rendere omaggio al vecchio Cardinale sono i maggiori specialisti della filologia medievale e umanistica, con contributi destinati a lasciare il segno nella storia degli studi, da Billanovich a Ullman, da Kristeller a Bertalot, da Dionisotti a Weiss e a Jedin e altri ancora nel solo IV volume, mentre nel secondo dedicato alla letteratura medievale è presente Augusto Campana. La Miscellanea Mercati segna il momento più alto dell’espansione umanistica in Vaticana; a partire dal 1946 la ricerca sull’umanesimo tende sempre più a riannodarsi intorno alla biblioteca e alla sua storia, proiettandosi ovviamente meno all’esterno; prevale il momento della ricostruzione dei fondi, dell’anatomia delle raccolte. Non si tratta di un’involuzione, in quanto il complesso policentrismo giustifica il puntare alla piena intelligenza storica e culturale dei materiali conservati. Idee, queste, implicite in alcuni interventi di don Giuseppe De Luca, il grande progettista della Storia della pietà, irregolare allievo del Cardinale fuori dalle mura, su L’Osservatore Romano, dove Mercati era definito «un erudito senza posa, senza confini»20 e la Vaticana «al pari d’una grande università, d’una grande accademia scientifica», che non deve essere consacrata «a una provincia speciale dell’erudizione. Il suo compito di studio è l’illustrazione scientifica dei suoi fondi manoscritti»21. La Miscellanea Mercati potrebbe definirsi il seminarium della nuova filologia, quasi un luogo di iniziazione per uomini che andavano contro corrente, riconoscendosi nell’arbor scientiarum del Cardinale, che aveva traghettato dal vecchio al nuovo secolo un’idea ascetica di erudizione e di tenace attaccamento alle opere e agli autori, custodendola gelosamente nella temperie idealistica non propizia per gli studi filologici. Ad alcuni giovani partecipanti sarebbe toccato il compito di rifondare gli studi umanistici: alludo, a parte Kristeller, a Billanovich, Dio18

Mélanges Eugène Tisserant, I-VII, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 231-237). Collectanea in honorem Rev.mi Patris Leonardi E. Boyle, O.P. septuagesimum quintum annum feliciter complentis, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae VI, Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 385); su Boyle: M. BUONOCORE, Leonard Eugene Boyle O.P., in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 72 (1999-2000), pp. 343-346. 20 G. DE LUCA, Le Opere minori del Card. Giovanni Mercati, in L’Osservatore Romano, 6 agosto 1943. 21 G. DE LUCA, Una grande collezione erudita, in L’Osservatore Romano, 22 gennaio 1943. 19

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nisotti e Campana22. I tre studiosi si ritroveranno insieme all’insegna di una nuova progettualità, dando vita a partire dal 1958, con Paolo Sambin, al periodico Italia medioevale e umanistica che traccerà la strada maestra della ricerca sino alla fine del Novecento. La presenza di Campana nel gruppo è strategica. Egli infatti è il più grande allievo del Cardinale, col quale i contatti erano cominciati nel 1927, quando ancora era studente all’Università di Bologna23; tra le prime lettere a Mercati conservate in Vaticana spicca una del 1928 intorno al libro dello scrittore vaticano Bartolomeo Nogara sul romagnolo Biondo Flavio24. Dopo varie vicissitudini, per impegno di Mercati, Campana approda nella Biblioteca Vaticana già nel 1935 e viene nominato scriptor Latinus nel 1938. Come lavoro di catalogazione gli viene affidata da subito una tra le più prestigiose sezioni dei Vaticani latini, su cui aveva cominciato a lavorare Marco Vattasso: 29 manoscritti romanzi e 229 latini provenienti dalla biblioteca di Fulvio Orsini25. La stima del Cardinale per il suo corregionale e novello bibliotecario doveva essere immensa: perché era enorme la difficoltà che la lavorazione di quel fondo comportava (accanto al Terenzio di Bembo e ai Virgili antichissimi si allineavano libri provenienti dagli scaffali di umanisti di prima grandezza, da Petrarca a Bembo), ed erano grandi e complesse le competenze che richiedeva la descrizione di quei codici molto spesso «tocchi di 22 FERA, La filologia umanistica in Italia nel secolo XX cit., pp. 266-271; ID., Giuseppe Billanovich e il primo orizzonte della filologia umanistica, Conferenza tenuta nel decennale della morte all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in corso di stampa; su alcuni fermenti negli studi umanistici del dopoguerra: ID., Preistoria e prospettive della filologia umanistica, in Storia della lingua italiana e Filologia. Atti del VII Convegno ASLI (Pisa-Firenze, 18-20 dicembre 2008), Firenze 2010, pp. 175-190. 23 M. BUONOCORE, Augusto Campana e la Biblioteca Apostolica Vaticana, in Quaderni della Rubiconia Accademia dei Filopatridi 18 (1996) [1998], pp. 21-47 (a p. 29 è ricordata la menzione da parte di Mercati Paralipomeni perottini II, 1, in La Bibliofilia 29 (1927), pp. 253-256, di una comunicazione del S.r Augusto Campana in relazione a un appunto autografo di Pontico Virunio su Niccolò Perotti nel codice Vat. lat. 10914, segno evidente di un rapporto di stima già sperimentato). 24 Edito nel 1927, il volume fu recensito da Campana nel periodico La Romagna e salutato con le parole: «il libro esce, dico non solo materialmente, da un ben noto e meraviglioso cantiere di studi: dalla Biblioteca Vaticana» (la recensione ora in CAMPANA, Biondo Flavio da Forlì, in A. C., Scritti, a cura di R. AVESANI – M. FEO – E. PRUCCOLI, I. Ricerche medievali e umanistiche, I, Roma 2008, pp. 7-22). Su questi particolari e sui rapporti di Campana con la Romagna e con la Vaticana: C. DIONISOTTI, Augusto Campana, in C. D., Ricordi della scuola italiana, Roma 1998, p. 549. Per la lettera di Campana, scritta da Santarcangelo di Romagna (Forlì) il 19 gennaio 1928 (Tavv. I-II): Carteggi del Card. Giovanni Mercati, 1. 1889-1936, Introduzione, inventario e indici a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 413) [n. 5916]. 25 L’annuncio di preparazione del volume, elencato tra le Pubblicazioni della Biblioteca Apostolica Vaticana del 1937, è stato riprodotto in CAMPANA, Scritti, I cit., pp. 77-78.

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mano d’huomini dotti», di cui si aveva stimolante ma imperfetta notizia dalla ricerca ottocentesca di Pierre de Nolhac26. Naturalmente Campana può essere definito allievo di Mercati solo lungo ideali parametri di metodi e di prospettive di ricerca, ma certo per sua stessa ammissione quando egli arrivava in Vaticana era in sostanza un autodidatta, piuttosto indisciplinato, proiettato con passione veemente nell’universo della sua terra, come documenta la sua bibliografia fino al 193727; in Vaticana trova gli strumenti e la guida sicura per ampliare a largo raggio lo spettro delle indagini28, senza tuttavia tradire mai il suo naturale trasporto per gli studi romagnoli e riuscendo a restare sempre se stesso, con la propria indipendenza di giudizio. Tra i primi risultati di un lavoro portato a compimento nella grande biblioteca è l’edizione su La Rinascita di alcuni ignoti brani dell’Italia illustrata, vale a dire del testo primitivo della Romandiola, rintracciato in un codice di Ravenna almeno quattro anni prima, come si deduce da una lettera indirizzata proprio al Cardinale (Tav. III)29; solo nella nuova realtà bibliografica lo studioso poteva dare un senso compiuto a una simile scoperta, e allo stesso modo poteva portare avanti con consapevolezza d’impianto un’indagine sul Carteggio del Poliziano, il cui primum movens è con tutta probabilità da ravvisare negli originali polizianei conservati tra gli autografi Piancastelli di Forlì30. A partire dalla nomina comincia per Campana una storia più sciolta e regolare, rapportata ai nuovi scenari, con scoperte esaltanti e pazientissimi scavi. Particolare significato deve aver avuto l’incontro con Ludwig Bertalot, lo studioso che battendo una strada nuova negli studi aveva storicizzato e ricondotto nell’alveo della tradizione filologica il volume speculativo Leonardo Bruni Aretino: Humanistisch26 P. DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini, Paris 1887. Importanti i dati forniti da BUONOCORE, Augusto Campana cit., pp. 39-46, dove si segnalano le acquisizioni poziori di Campana nelle descrizioni di 53 codici del Fondo Orsini pronte per la stampa, mai realizzata. 27 M. FEO, L’opera di Augusto Campana, in Testimonianze per un maestro. Ricordo di Augusto Campana (Roma, 15-16 dicembre 1995), a cura di R. AVESANI, Roma 1997, pp. 151167. 28 Piace riportare le parole di GIUS. BILLANOVICH, Augusto Campana e don Giuseppe De Luca, in Testimonianze per un maestro cit., p. 21: «la Vaticana lo fece crescere presto e molto: perché indigò la sua natura vaga dentro un rigido orario quotidiano, perché gli mise a disposizione l’enorme collezione di manoscritti e la connessa suppellettile esuberante di libri, perché lo collocò dentro il cerchio di studiosi primari che lì erano approdati giungendo da tutto l’orbe, perché lo innalzò a maestro ecumenico e a maestro ineguagliabile di clienti sitibondi». 29 A. CAMPANA, Passi inediti dell’«Italia illustrata» di Biondo Flavio, in La Rinascita 1 (1938), pp. 91-97, ora confluito in Scritti, I cit., pp. 79-83. Per la lettera a Mercati, scritta da Santarcangelo di Romagna il 10 ottobre 1934: Carteggi del Card. Giovanni Mercati, 1. 1889-1936 cit., [n. 7605]. 30 A. CAMPANA, Per il carteggio del Poliziano, in La Rinascita 6 (1943), pp. 437-472 (= Scritti, I cit., pp. 185-211).

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Philosophische Schriften di Hans Baron31; con lui Campana pubblica su La Bibliofilia un lavoro su Jacopo Zeno e Ciriaco d’Ancona32, ma tutta la ricerca di Bertalot fino al ’50 rivela forti debiti nei confronti del giovane scriptor romagnolo: addirittura per l’antologia di epigrammi di Lorenzo Abstemio apprendiamo dalla Miscellanea Mercati che il lavoro era stato suggerito da Campana, il quale mise a disposizione dell’amico un esemplare in suo possesso dell’edizione del 1505 con caratteristiche bibliografiche uniche33. All’amicizia con un altro bibliotecario, Lamberto Donati, si devono suoi puntuali interventi tra il 1936 e il ’40 sul Maso Finiguerra, preziosa «rivista della stampa incisa e del libro illustrato»34. E del rapporto avviato con Tommaso Accurti testimonia il contributo offerto per la miscellanea in memoria del grande incunabulista35. In quell’ambiente esclusivo l’autorevolezza di Campana è in continuo crescendo: è lui a rivedere la trascrizione del testo dei primi registri di prestito editi dalla Bertòla nel 1942 e a compilare l’indice degli autografi, cinque pagine in funzione di un nitido facsimile che sono una pietra miliare nella moderna paleografia umanistica e nella storia dell’umanesimo romano. Ma è con Mercati che si dovette instaurare uno speciale rapporto di studio, armonioso e osmotico, un esercizio di confronto quotidiano; dalla metà degli anni Trenta le testimonianze si infittiscono: in un lavoro sul Virgilio mediceo del ’36 il Cardinale cita come conquista di Campana l’attribuzione alla mano di Jacopo Aurelio Questenberg dell’Ott. lat. 173236, ma per comprendere lo spessore di queste relazioni di lavoro sono sufficienti le menzioni dello scriptor di fresca 31 Pubblicato a Leipzig-Berlin nel 1928. Le nuove prospettive di lavoro in L. BERTALOT, Zur Bibliographie der Übersetzungen des Leonardus Brunus Aretinus (1936-37), e ID., Zur Bibliographie des Leonardus Brunus Aretinus (1937-38), ora confluiti in L. B., Studien zum Italienischen und Deutschen Humanismus, hrsg. von P. O. KRISTELLER, Roma 1975, pp. 265303. Una breve e densa presentazione della sua attività in P. O. KRISTELLER, In memoria di Ludovico Bertalot, in Lettere italiane 13 (1961), pp. 108-109. 32 Gli scritti di Iacopo Zeno e il suo elogio di Ciriaco d’Ancona (1939), confluito sia in BERTALOT, Studien cit., pp. 311-332, sia in CAMPANA, Scritti, I cit., pp. 85-107. 33 L. BERTALOT, L’antologia di epigrammi di Lorenzo Abstemio nelle tre edizioni Sonciniane (1946), ora confluito in Studien, II cit., pp. 333-354; in part. si veda a p. 347 n. 1: «ancora prima di accorgersi delle interessantissime particolarità del suo esemplare il collega Campana mi suggerì questo lavoro. L’ho cominciato fiducioso nel suo aiuto e non avrei potuto condurlo a termine senza giovarmi delle sue conoscenze epigrafiche e romagnole». 34 A. CAMPANA, Intorno all’incisore Gian Battista Palumba e al pittore Jacopo Rimpacta (Ripanda), in Maso Finiguerra 1 (1936), pp. 164-181 (= Scritti, I cit., pp. 59-76); ID., [Manoscritti del De re militari di Roberto Valturio], ibid., 5 (1940), pp. 81-82; ID., Felice Feliciano e la prima edizione del Valturio, ibid., pp. 211-222 (= Scritti, I cit., pp. 109-122). 35 A. CAMPANA, Antonio Blado e Bartolomeo Platina (1947= Scritti, I cit., pp. 283-293). 36 G. MERCATI, Il soggiorno del Virgilio Mediceo a Roma nei secoli XV-XVI, in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 12 (1936), p. 545 n. 4.

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nomina nelle note al già citato volume sui Codici Pico Grimani del ’38, per apporti eruditi relativi ad es. al destino dei libri del Trapezunzio, all’Ott. lat. 1661, al cognome Tossici o Toschi, a una Biblioteca Acquaviva a Roma nel Cinquecento, a Guicciardo da Frignano e a Simone de Grymnis37. Una collaborazione feconda che per Campana sarà stata decisiva: il frutto più appariscente è la bibliografia di Mercati che Campana porta a compimento nel ’41, di sicuro occasione unica per entrare nell’officina di lavoro del grande vecchio38. Certo in questi anni cruciali, fra il ’38 e il ’46 quando sulla Miscellanea Mercati pubblica Veronensia, un percorso dall’arcidiacono Pacifico al Maffei, e nello stesso anno nel Journal del Warburg The Origin of the Word «Humanist», egli è già riuscito a distillare dalla lezione severa del Cardinale e dal rapporto viscerale instaurato con la Vaticana una evidente magnifica disciplina. Due anni dopo la morte di Mercati, nel 1959, quando ormai era venuto meno «quel primo vincolo di gratitudine e devozione» che lo teneva legato alla biblioteca, Campana lascia la Vaticana chiamato come professore di Paleografia dall’Università di Urbino39: un trapianto che per la cultura umanistica italiana si è rivelato essenziale. Senza Mercati, Campana si sarebbe smarrito nei labirinti di una sia pure altissima erudizione locale, nella trafila nobile e antica dei bibliotecari di Romagna; l’autorevole maestro era riuscito a far esplodere le potenzialità di un giovane geniale, proiettandole su una platea infinitamente più ampia, quella dei libri e degli archivi pontifici. Con la presenza di Campana in Italia medioevale e umanistica approdava nella rivista la linea culturale di Giovanni Mercati: non può essere casuale infatti che il primo contributo firmato sull’annuario dal condirettore Campana rechi il titolo Il codice ravennate di S. Ambrogio40, argomento prediletto dal Cardinale; era come il voler sottolineare la continuità nelle scelte culturali e nei metodi, rimarcando la fedeltà verso il progetto; la formazione di Campana aveva gettato un ponte tra l’erudizione ecclesiastica e quella 37 G. MERCATI, Codici latini Pico Grimani Pio e di altra biblioteca ignota del sec. XVI esistenti nell’Ottoboniana e I codici greci Pio di Modena, con una digressione per la storia dei codici di S. Pietro in Vaticano, Città del Vaticano 1938 (Studi e testi, 75), pp. 19, 197 nn. 3-4, 198, 272, 292 (vd. FEO, L’opera di Augusto Campana cit., p. 168, nn. 3806-3811). 38 La bibliografia, dal 1890 al 1941, è pubblicata anonima in MERCATI, Opere minori, V cit., pp. 17-54; per i successivi rifacimenti vd. n. 9. 39 A. GATTUCCI, Augusto Campana docente di Paleografia e diplomatica e di Storia della letteratura latina medievale nell’Università di Urbino, in Testimonianze per un maestro cit., pp. 53-77. 40 A. CAMPANA, Il codice ravennate di S. Ambrogio, in Italia medioevale e umanistica 1 (1958), pp. 15-68; l’articolo è in perfetta linea con il frastagliato lavoro del Cardinale sull’argomento; notevole anche per la biografia del giovane Mercati la I Appendice: Notizia inedita di Giovanni Mercati sul codice ravennate [1895], pp. 65-67.

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laica: lo aveva gettato sugli argini della storia, della scienza e della libertà di ricerca. E mi auguro che quanto qui è pur sommariamente ricordato riesca a dare un senso e uno sfondo alle parole di Dionisotti sul Cardinale. Ma certo lo «splendore del diamante» ha finito con l’eclissare l’intero contesto degli scriptores, che nella prima metà del Novecento costituivano una squadra straordinaria di eroi rimasti nell’ombra, che non hanno chiesto se non di lavorare con umiltà e dedizione, di servire la causa della biblioteca. Di alcuni Nello Vian ha tracciato i ritratti con verve letteraria41, ma la loro attività meriterebbe di essere ricostruita in un grande libro (magari in uno dei volumi della progettata storia della biblioteca), facendo rivivere la fotografia che li ritrae nel 1921 intorno al neocardinale Achille Ratti42. Da Vattasso a Pelzer a Nogara a Borino a Carusi a Franchi de’ Cavalieri, e poi a Devreesse a Laurent alla Maier, per citarne solo alcuni, gli scriptores hanno concorso col Cardinale nella costruzione in Vaticana di una prospettiva umanistica in senso lato. Attraverso la catalogazione dei fondi, la ricostruzione delle antiche biblioteche, e con monografie consegnate alla celebre collana Studi e testi, hanno instaurato una tradizione che è perdurata per tutto il secolo: nel dopo Campana l’umanesimo si è declinato in Vaticana sui nomi di José Ruysschaert43, che succede a Pelzer e, viceprefetto a partire dal 1965, imposta la sua ricerca prevalentemente nell’ambito dell’umanesimo romano, e di Rino Avesani, che firma in quegli anni pagine alte sull’umanesimo senese intorno a Pio II e a partire dal 1970 è chiamato come ordinario di Filologia medievale e umanistica dall’Università di Macerata. È impossibile in questa sede scandire i meriti di ogni scriptor; importante è parso piuttosto fissare il fervido clima di consapevole costruzione della ricerca umanistica cui tutti partecipavano. Non è possibile neppure tentare una precisa ricognizione della presenza dell’umanesimo nell’attività editoriale dell’istituzione. Perché essendo anima costitutiva della Biblioteca, l’umanesimo vive sommerso nella maggior parte delle pubblicazioni e affiora di continuo, quasi spontaneamente, nei cataloghi dei fondi dettagliati e sommari, sia greci sia latini, nei cataloghi tematici (mirabile Les manuscrits classiques de la Bibliothèque Vaticane sotto la direzione della Pellegrin: a partire dal 1975), in quelli dei codici latini datati (con Adriana Marucchi ed Elisabetta Caldelli, dal 41 N. VIAN, Figure della Vaticana, in L’Urbe 3-4 (maggio-agosto 1986), pp. 102-124 [rist. in N. V., Figure della Vaticana e altri scritti. Uomini, libri e biblioteche, a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 424), pp. 331-355]. 42 La si può vedere in VIAN, Figure cit., p. 340 [= p. 111]. 43 J. IJSEWIJN, Reverendi admodum Domini Domini Iosaei Ruysschaert vita, in Roma Humanistica. Studia in honorem […] Iosaei Ruysschaert, collegit et edidit I. IJSEWIJN [= Humanistica Lovaniensia 34 (1985)], pp. X-XXXVIII.

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1997), nella minuta bibliografia dei manoscritti. In alcuni cataloghi speciali le trame umanistiche risaltano in modo più concentrato: così nell’Aetas ovidiana (1994, edito dal Centro ovidiano di Sulmona) e nei Codices Horatiani (1992) di Buonocore, come pure nel catalogo dedicato a Tibullo da Rossella Bianchi (1986). Ma dell’umanesimo vaticano sono veri e propri ambasciatori gli splendidi cataloghi di mostre realizzate sotto la prefettura di p. Leonard Boyle: Rome Reborn, mostra allestita a Washington da Anthony Grafton nel 1993, e poi i tre eleganti volumi Virgilio e il Chiostro, Vedere i classici, e Umanesimo e Padri della Chiesa, approntati tra il 1996 e il 1997 nel progetto «Lettere e Fede» per il Bimillenario di Cristo, sotto la direzione scientifica di Guglielmo Cavallo. L’umanesimo continua inoltre a vivere anche nella riproduzione fototipica di molti testi classici passati negli scrittoi di intellettuali fra Trecento e Cinquecento. E veniamo alla linea principale dell’editoria della Vaticana, alla collana Studi e testi: un marchio fortunatissimo, riproposto varie volte nel Novecento, e non solo in Italia. Guardata dall’esterno, si presenta come una raccolta di volumi eterogenei alla confluenza dei materiali conservati nella biblioteca. Memorabile il giudizio di De Luca, quando la collana contava ancora cento numeri: «uomini di ogni patria, di ogni fede, di ogni idea, purché uomini intesi semplicemente e umilmente al vero, sono di casa in questa serie. La quale pertanto non è solo una grandissima collezione erudita, ma è una suprema testimonianza di umanità; una umanità che non è umanesimo né umanitarismo, ma riconoscimento, sul volto di ciascun uomo, del Padre comune a tutti […]»44. Parole molto belle, ma forse non del tutto vere. De Luca si lasciava trasportare dalla sua interpretazione della storia alla luce della pietà cristiana e umana45. Dopo centoundici anni la collana, con 464 titoli al suo attivo, è ancora una roccaforte di filologia ed erudizione; ma non è né può essere una semplice testimonianza di umanità, è piuttosto la testimonianza vissuta e vivente dell’umanesimo e dei suoi valori che hanno sfidato i secoli. È la conciliazione delle culture umane, l’armonia dei sistemi linguistici, la sapienza dell’oriente unita a quella dell’occidente; un quadro simile alla biblioteca che voleva costruire Lorenzo per Pico e Poliziano, e non si dimentichi che sia a Firenze sia a Roma c’è alla base l’ideale di paideia di Parentucelli; né può essere casuale che la moderna rifondazione della biblioteca e la sua progettualità scientifica si siano realizzate sotto un pontefice, Leone XIII, con forti aperture al neoumanesimo. 44 DE LUCA, Una grande collezione erudita cit. (si veda il commento a questo brano di L. MANGONI, In partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana del Novecento, Torino 1989, pp. 300-301). 45 Per la definizione della sua ideologia basti la lunga meditata Introduzione al I volume dell’Archivio italiano per la storia della pietà 1 (1951), pp. XIII-LXXVI.

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Certo l’incidenza dei volumi più specificamente riconducibili all’età umanistica, a parte la mappa già delineata nel corso di questa relazione, non è proporzionata allo spazio immenso dell’umanesimo in biblioteca. Ma non bisogna dimenticare che nel corso del Novecento si sono moltiplicate in Italia e all’estero le occasioni editoriali per gli studi sul Rinascimento, nell’ambito delle quali una sia pur superficiale indagine documenta una fortissima presenza di fonti vaticane. Negli ultimi tempi sono state pubblicate ricerche importanti sulle biblioteche dei pontefici umanisti, da Eugenio IV (Jeannine Fohlen, 2008) a Leone X (Mark Sosower et alii, 2006), da Niccolò V (Antonio Manfredi, 1994) a Marcello II Cervini (Paola Piacentini, 2001). Come specifici contributi piace ricordare, per quel che molti tra questi lavori hanno consegnato alla storia della letteratura italiana, almeno gli interventi di Vattasso su Antonio Flaminio, Petrarca e Tasso (1900, 1904, 1915), il De otio curato da Rotondi e Martellotti (1958), il libro su Venturino de Prioribus di Federico Patetta (1950), il contributo di Cian su Baldassar Castiglione (1951), qualche volume di Sesto Prete (1950: sul Terenzio bembino; 1964: Two Humanistic Anthologies), il libro di Blum sulla Badia fiorentina (1951) e quello di Laurent su Fabio Vigili (1943), il carteggio tra Marco Barbo e Giovanni Lorenzi di Pio Paschini (1948), il De viris, i Commentarii, i Carmina, il De Europa e altre opere di Piccolomini editi da Van Heck (1984, 1991, 1994, 2001, 2007) e un libro sulla scrittura del papa umanista di Wagendorfer (2008), il Pietro Marso di Dykmans (1987), i volumi su Colocci di Corrado Bologna e Marco Bernardi (2008), la corrispondenza di Agostino Chigi di Ingrid Rowland (2001), il Tucidide valliano di Mortimer Chambers (2008), e altro ancora. Ma molto fruttuosi si rivelano i Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, con volumi in progress a partire dal 1987, dove confluiscono ricerche su manoscritti e antiche stampe: un segnale di cultura scientifica militante, in certo senso un indicatore di rotta. C’è da chiedersi quali siano oggi le prospettive della ricerca umanistica in una biblioteca come la Vaticana, mentre l’eredità dell’umanesimo si va sempre più dissolvendo nella società. La risposta non può essere che nella continuazione del lavoro avviato dalle generazioni che ci hanno preceduti, ovviamente con diversa consapevolezza storico-culturale e con obiettivi definiti in rapporto alle nuove esigenze. La principale caratteristica della biblioteca, quella di contenitore di altre biblioteche, probabilmente impone di continuare a scavare nella direzione di ricostruire la storia delle antiche raccolte, di precisare i flussi della tradizione, individuare le aree di origine, studiare i modi della fruizione. Lungo le mille strade che muovendo dai codici e dagli antichi stampati di età umanistica percorrono l’Italia e l’Europa, si riuscirà a recuperare una visione dell’umanesimo non

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convenzionale, scandita per centri d’interesse, ancorata attraverso il possesso e la fruizione dei libri al lavoro creativo ed esegetico degli uomini del Rinascimento. Sul versante più specifico dei testi, il cantiere di lavoro che ancora si profila per gli aspetti codicologico-paleografici, filologici, storici, letterari, esegetici è praticamente incommensurabile. Un capitolo a parte è costituito dall’area degli incunabuli, per lo studio dei quali si possono indicare ascendenze illustri, da Tommaso Accurti a Lamberto Donati a Michelini Tocci46; oggi che l’indice di Sheehan è stato col IV volume completato, occorrerebbe elaborare un progetto per tracciare la storia dei libri a partire dalle prime raccolte; un progetto che preveda la pubblicazione on line di specimina dei marginalia, sulle linee di un programma di cui a lungo abbiamo discusso in un convegno di Erice47, con lo scopo di accertare la provenienza dei prodotti e dare una fisionomia storica agli anonimi postillatori. Un metodo che, misurato sulle ricchissime collezioni vaticane, potrebbe avere effetti straordinariamente propulsivi sulla ricerca internazionale. È probabile che tenderà ad accentuarsi la vocazione interdisciplinare della biblioteca sul versante iconografico, epigrafico, numismatico, ma anche cartografico, artistico, musicale: in particolare l’epigrafia lascia presagire importanti sviluppi per la presenza di un riconosciuto maestro come Marco Buonocore. In tutta la sua lunga storia, soprattutto ai primordi e nell’età moderna a partire dal pontificato di papa Leone, la Biblioteca Vaticana non si è limitata a essere mero deposito di glorie librarie del passato, ma, coniugando con la giusta sensibilità la conservazione e la promozione, si è caratterizzata come produttrice di cultura, scegliendo costantemente in ogni epoca le vie del rinnovamento, accettando le sfide sempre più urgenti della società intellettuale e adeguandosi nell’era della globalizzazione alle nuove tecnologie; non ha optato per un modello di sviluppo chiuso e confessionale, ma si è aperta all’ecumene di tutte le religioni e le culture umane, per essere crocevia della ricerca e interpretare nel modo più alto il messaggio peculiare della civiltà umanistica nella quale è stata fondata. 46 Per Accurti e Donati, VIAN, Figure cit., pp. 111-113 [= pp. 341-342]; M. BUONOCORE, Luigi Michelini Tocci (1910-2000), in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 72 (1999-2000), pp. 351-354; P. VIAN, Bio-bibliografia di Luigi Michelini Tocci (1910-2000), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae IX, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 409), pp. 501-525. 47 In una tavola rotonda coordinata da Leonard Boyle; si veda di K. JENSEN, Cataloguing Books with Marginal Annotations: a Report of a Round Table Discussion, in Talking to the Text: Marginalia from Papyri to Print, Proceedings of a Conference held at Erice, 26 september – 3 october 1998, as the 12th Course of International School for the Study of Written Records, edited by V. FERA – G. FERRAÙ – S. RIZZO, Messina 2002, pp. 433-456.

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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Carteggi Mercati, f. 9529r.

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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Carteggi Mercati, f. 9529v.

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Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Carteggi Mercati, f. 12271r.

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STORIA MODERNA E CONTEMPORANEA È difficile che gli studiosi, giovani e meno giovani, italiani e stranieri, che si sono occupati di storia moderna, non si siano confrontati con fonti — manoscritte e a stampa — conservate nella Biblioteca Vaticana. Non era certo un vano clamore e un infondato timore quello che portò ad esprimere vibrate proteste e accorati appelli quando il mondo scientifico seppe dell’inevitabile chiusura per tre anni di un luogo di ricerca per molti ineludibile. Il forzato intervallo di frequentazione della Biblioteca ha costretto molti di noi a rivolgersi ad altre istituzioni, spesso a scoprire la ricchezza di biblioteche talvolta trascurate o ignorate, in passato, più per abitudine che per scelta. Ha portato però anche a riflettere su quanto è stato prodotto sui fondi della Vaticana e pubblicato nelle sue collezioni: strumenti di consultazione ineccepibili permettono infatti di ricostruire un panorama che, da solo, determina le linee di mutamento storiografico verificatosi in queste ricerche a partire dalla seconda guerra mondiale a oggi. La peculiarità delle fonti prodotte da un’istituzione legata alla universalità del Papato, arricchita da lasciti di famiglie, di privati, da acquisti, verificatisi anche in circostanze complesse e, talvolta, addirittura drammatiche, ricompongono un mosaico in cui emergono, strettamente legati, l’universalità della monarchia pontificia, la territorialità del potere temporale, l’eccezionale fisionomia della città del papa, il coniugarsi di antico e moderno, cioè contemporaneo, in una dimensione che attraversa i tempi e che non può costringersi entro le scansioni cronologiche tradizionali. La mia relazione intende offrire, sinteticamente e nella consapevolezza di una personale e certo arbitraria scelta tematica e cronologica, un panorama ed un bilancio critico della storiografia che, dal secondo dopoguerra ad oggi, ma soprattutto negli ultimi decenni del Novecento e all’inizio del nuovo secolo ha prodotto significativi risultati, nell’ambito della storia moderna e contemporanea, grazie a ricerche condotte su fondi manoscritti e a stampa della Biblioteca già noti, ma grazie anche alle nuove domande, più ricche e articolate, alle suggestioni e all’apporto metodologico di altre discipline, e alla consultazione di interi fondi, resa possibile dalla loro catalogazione avviata e conclusa in questi decenni1. Nuove fonti, 1

Nella impossibilità di fornire indicazioni bibliografiche esaustive sulle tematiche accen-

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 177-193.

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nuove domande hanno permesso infatti un rinnovamento degli studi in ambito modernistico che ha condotto, a partire dagli anni ’80 del secolo trascorso, ad indagare con precisione documentaria e con un’ottica diversa dal passato, dalla tradizione di studi sostanzialmente forgiata sulla dimensione antiquaria, sia gli apparati istituzionali della monarchia pontificia, le carriere dei suoi uomini, ecclesiastici e laici2, le dinamiche sociali di affermazione non solo in Italia e in Europa, ma nella sua dimensione mondiale: basti pensare a questo proposito, alla storia delle missioni, al reclutamento e alla formazione dei missionari3, all’incontro di essi con culture diverse e lontane, agli studi recenti su ordini religiosi4. Missioni nate nel testo, i riferimenti in nota sono stati limitati a studi più recenti di carattere generale, oltre che a quelli che hanno utilizzato fonti manoscritte e a stampa della Biblioteca Vaticana e ai volumi pubblicati nella collana «Studi e testi». 2 Ad es. W. REINHARDT, Kardinal Scipione Borghese (1605-1633). Vermögen, Finanzen und sozialer Aufstieg eines Papstnepoten, Tübingen 1984 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 58); R. AGO, Carriere e clientele nella Roma Barocca, Roma – Bari 1992. 3 Nella BAV il fondo più ricco per la storia delle missioni è senz’altro il Borgiano latino sebbene, soprattutto per il Seicento, si trovino molte fonti sia nei Barberiniani latini che nei Chigiani. Per alcune indicazioni a proposito cfr. F. MARGIOTTI, Materiale missionario nel fondo Borgia latino della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Euntes Docete 21 (1968), pp. 411-456. Per l’India cfr. D. LORENZEN, El flagelo de la mision. Marco della Tomba en Indostan, Ciudad de Mexico 2010. Manoscritti sia Borgiani sia Barberini latini sono citati in Orientalisme, science et controverse: Abraham Ecchellensis (1605-1664), a cura di B. HEYBERGER, Turnhout 2009 e in A. GIRARD, Rome et les chrétiens du Proche-Orient arabe. Enjeux d’un savoire orientaliste dans la capitale pontificale aux XVIIe et XVIIIe siècles, 2010. Ringrazio Giovanni Pizzorusso per queste indicazioni bibliografiche. Alcuni recenti studi hanno esaminato le missioni svolte da ordini religiosi nell’Europa orientale: fra questi A. MOLNAR, Le Saint-Siège, Raguse et les missions catholiques de la Hongrie ottomane 1572-1647, Rome – Budapest 2007; G. PLATANIA, Mamma li turchi! La politica pontificia e l’idea di crociata in età moderna, Viterbo 2009, pubblica il memoriale indirizzato da Paolo da Lagni a Innocenzo XI, utilizzando anche altra documentazione conservata nei Barberini latini. Sullo stesso tema cfr. G. POUMARÈDE, Pour en finir avec la Croisade. Mythes et réalités de la lutte contre les Turcs aux XVIe et XVIIe siècles, Paris 2004; M. FORMICA, Giochi di specchi. Dinamiche identitarie e rappresentazioni del Turco nella cultura italiana del Cinquecento, in Rivista storica italiana 120 (2008), pp. 5-53. Un’analisi critica della storiografia sui caratteri ‘globali’ delle missioni in S. DITCHFIELD, Decentering the Catholic Reformation. Papacy and Peoples in Early Modern Word, in Archiv für Reformationsgeschichte 101 (2010), pp. 186-208. 4 La bibliografia sugli ordini religiosi si è arricchita negli ultimi anni di studi che hanno considerato non solo la dimensione istituzionale, la specificità culturale, la funzione nel quadro della Chiesa tridentina: tra le pubblicazioni italiane si vedano Anatomia di un corpo religioso. L’identità dei Gesuiti in età moderna, a cura di F. MOTTA, in Annali di storia dell’esegesi 19, 2 (2002), pp. 333-464; Alle origini della Compagnia di Gesù, in Rivista storica italiana 117 (2005), pp. 5-178; Ordini regolari, a cura di S. FECI – A. TORRE, in Quaderni storici 40, 2 (2005), pp. 319-553; Identità religiose e identità nazionali in età moderna, a cura di M. CAFFIERO – F. MOTTA – S. PAVONE, in Dimensioni e problemi della ricerca storica 1 (2005), pp. 7-93; Ordini religiosi, in «Nunc alia tempora, alii mores». Storici e storia in età posttridentina, a cura di M. FIRPO, Firenze 2005, pp. 91-261; Religione, conflittualità e cultura. Il clero regolare nell’Europa

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rivolte ai paesi di recente scoperta, ma anche nel Mediterraneo, dove, nel Cinque e Seicento — e non solo allora — la presenza musulmana metteva a repentaglio le comunità cristiane5. Segnali dell’attenzione che maturava verso queste tematiche si possono scorgere già in alcune pubblicazioni di «Studi e testi» apparsi nei tardi anni ’60 (un esempio in questo senso sono i corposi volumi sulla prima missione pontificia in America latina, quando la maggior parte di quei paesi passava attraverso l’esperienza rivoluzionaria per liberarsi dalla dominazione coloniale spagnola)6. Si deve tuttavia osservare come la maggior parte degli studi sul tema delle missioni abbia considerato soprattutto la documentazione conservata negli archivi di specifiche congregazioni, come ad esempio Propaganda Fide, o di ordini particolarmente impegnati in età moderna nell’evangelizzazione dei popoli extraeuropei nonché nella riconquista dei territori europei passati all’eresia, come i Gesuiti7. La storia delle missioni si è profilata come un campo di ricerca globale, non solo per l’espansione della fede cattolica e dei problemi — religiosi, politici, sociali — ad essa connessi, ma anche come esempio di storia globale tout-court. In questa indiscussa pluralità e varietà di studi, resta tuttavia ancora poco esplorata la documentazione, manoscritta e a stampa, conservata in Biblioteca Vaticana. Molteplici possono essere i motivi di questa mancata valorizzazione delle fonti vaticane. L’interesse per l’azione missionaria svolta da specifici ordini si è focalizzad’antico regime, a cura di M. C. GIANNINI, in Cheiron. Materiali e strumenti di aggiornamento storiografico 43-44 (2006), pp. 7-395 e, per una sintesi, il saggio di F. RURALE, Monaci, frati, chierici. Gli Ordini religiosi in età moderna, Roma 2008. Sono ancora scarsi gli studi su ordini religiosi in età moderna che abbiano focalizzato l’attenzione sulle numerose fonti, manoscritte e a stampa, presenti in Biblioteca Vaticana, come si evince anche dal volume Gli archivi per la storia degli ordini religiosi. Fonti e problemi (secoli XVI-XIX), a cura di M. C. GIANNINI – M. SANFILIPPO, Viterbo 2007 (Studi per la storia delle istituzioni ecclesiastiche, 1). 5 M. JAÇOV, Le missioni cattoliche nei Balcani durante la guerra di Candia (1645-1669), 2 voll. Città del Vaticano 1992 (Studi e testi, 352-353); ID., Le missioni cattoliche nei Balcani tra le due grandi guerre: Candia (1645-1669) – Vienna e Morea (1683-1699), Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 386); ID., L’Europa tra conquiste ottomane e leghe sante, Città del Vaticano 2001 (Studi e testi, 403) 6 P. LETURIA – M. BATLLORI, Primera misión pontificia a Hispanoamérica, Città del Vaticano 1963 (Studi e testi, 229) e, sempre nella stessa collana, l’edizione della suggestiva storia della cristianizzazione del Southwest americano A. F. BANDELIER, A History of the Southwest. A Study of the Civilation and Conversion of the Indians in the Southwest of the Unites State and Northwestern Mexico from the Earlier Time to 1700, II, ed. by E. J. BURRUS S. J. with collaboration of M. TURREL RODACK, Città del Vaticano 1987 (Studi e testi, 325) opera già studiata criticamente, con un’ampia ricostruzione biografica del suo autore, del contesto storico e culturale in cui maturò (cfr. Studi e testi, 257-258). 7 Non sono considerate fonti vaticane, ad esempio, nel libro Frontiers of Faith: Religious Exchange and the Constitution of Religious Identities, 1400-1750. Cultural Exchange in Europe, 1400-1750, vol. 1., E. ANDOR – G. I. TÓTH eds., Budapest, 2001.

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to soprattutto sul Cinque e Seicento a discapito dei secoli successivi: una scelta cronologica che ha portato, soprattutto nel periodo di chiusura della Biblioteca, a privilegiare la documentazione di archivi dei rispettivi ordini, certo più compatta di quella vaticana, da reperire spesso con una minuziosa ricerca in diversi fondi apparentemente poco pertinenti al tema. Il rinnovamento degli studi modernistici che si coglie a partire soprattutto degli anni ’80 era determinato anche dalla crescente centralità che, nelle ricerche di studiosi italiani e stranieri, veniva assumendo la storia del Papato, lontana ormai da impostazioni rankiane o dai toni apologetici di un von Pastor8. Per la storiografia italiana si mostrava superato il pregiudizio, frutto di una eredità risorgimentale riutilizzata a fini ideologici, che aveva frenato l’interesse degli storici per il Papato, nella sua dimensione temporale e spirituale, italiana, europea, universale9. Lo spostamento progressivo dell’attenzione dai capolavori artistici, soprattutto rinascimentali e barocchi, al contesto politico, sociale e culturale nel quale erano stati prodotti, ha senz’altro contribuito a focalizzare progressivamente le ricerche sulle diverse sfaccettature che offriva la composita fisionomia della monarchia pontificia. Fondamentali, in questo senso, sono state ricerche sull’urbanistica rinascimentale che hanno messo sempre più in stretta relazione il mecenatismo, la committenza non solo con il prodotto artistico, ma con il contesto storico in cui nascevano. Da qui, il moltiplicarsi degli studi sia sul piano artistico, urbanistico insieme a quelli che approfondivano aspetti istituzionali e sociali della storia del Papato e di Roma, proprio scavando nei fondi manoscritti della Vaticana. Da Martino V a Niccolò V, i contributi si arricchivano in un quadro che non si fermava a Roma, ma coglievano con forza la dimensione italiana ed europea della monarchia pontificia, nel movimentato quadro culturale umanistico e rinascimentale, segnato dal fragile equilibrio politico e dalle nascenti tensioni religiose che di lì a poco avrebbero condotto alla rottura dell’unità cristiana10. Ben vengano, allora, gli anniversari con la celebrazione di convegni e la pubblicazione degli atti, quando costituiscono un punto fermo per le ricer8 Fondamentale, in questa prospettiva, fu com’è noto, il libro di P. PRODI, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale in età moderna, Bologna 1982 (nuova edizione Bologna 2006). Una storia della santità della persona del pontefice, in una dimensione diacronia, è tracciata da R. RUSCONI, Santo Padre: la santità del papa da San Pietro a Giovanni Paolo II, Roma 2010. 9 Si vedano i saggi nel volume Identità italiana e cattolicesimo. Una prospettiva storica, a cura di C. MOZZARELLI, Roma 2003. Inoltre G. SIGNOROTTO, Roma nel Rinascimento, in Il Rinascimento italiano e l’Europa, vol. I, a cura di M. FANTONI, Treviso 2009, pp. 331-354. 10 Niccolò V nel sesto centenario della nascita, a cura di F. BONATTI – A. MANFREDI, Città del Vaticano 2000 (Studi e testi 397). Per una sintesi cfr. La Papauté à la Renaissance, a cura di F. ALAZARD – F. LA BRASCA, Paris 2007; M. PELLEGRINI, Il Papato nel Rinascimento, Bologna 2010.

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che: vanno certo in questa direzione, ad esempio, solo per citarne alcuni fra i più significativi, i convegni su Alessandro VI, non più trattato come artefice di intrighi e dispensatore generoso di favori familiari, nonché di veleni, ma come intelligente e spregiudicato artefice della costruzione territoriale della monarchia pontificia11, al recente convegno su Giulio II12, ai diversi simposi su Sisto V che, celebrati fra il 1985 ed il 1990, hanno contribuito ad arricchire, con l’esame di fonti fino ad allora inesplorate, con la rilettura critica di una ricca storiografia, non solo la personalità del pontefice marchigiano, ma la struttura istituzionale del Papato proprio nel momento decisivo della sua proiezione universale postridentina13. Non è infatti da trascurare come l’attenzione sulle congregazioni, ristrutturate o create da papa Peretti nel 1588, abbia stimolato una serie di studi sui problemi del governo temporale14, sul controllo inquisitoriale e la censura15,

11 Cfr. gli atti dei Convegni organizzati dal Comitato Nazionale “Incontri di Studio per il V centenario del pontificato di Alessandro VI” promossi da “Roma nel Rinascimento”; Roma di fronte all’Europa al tempo di Alessandro VI, a cura di M. CHIABÒ – S. MADDALO – M. MIGLIO – A. M. OLIVA, Roma 2001, 3 voll.; Alessandro VI e lo Stato della Chiesa. (Atti del convegno Perugia, 13-15 marzo 2000), a cura di C. FROVA – M. G. NICO OTTAVIANI, Roma 2003 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 79); Alessandro VI dal Mediterraneo all’Atlantico. (Atti del convegno Cagliari, 17-19 maggio 2001), a cura di M. CHIABÒ – A. M. OLIVA – O. SCHENA, Roma 2004; La fortuna dei Borgia. (Atti del convegno Bologna, 26-28 ottobre 2000), Roma 2005; inoltre G. ZARRI, La religione di Lucrezia Borgia, Roma 2006. 12 Metafore di un pontificato. Giulio II (1503-1513) (Atti del Convegno internazionale di Studi, Roma 2-4 dicembre 2008), a cura di F. CANTATORE, Roma 2010. 13 Studia Sixtina: nel 4. centenario del pontificato di Sisto 5, 1585-1590, Roma 1987; Il Campidoglio e Sisto 5, a cura di L. SPEZZAFERRO – M. E. TITTONI, Roma 1991; Sisto 5: 6. Corso internazionale di alta cultura, 19-29 ottobre 1989, a cura di M. FAGIOLO – M. L. MADONNA, Roma 1992, 2 voll., Centro di studi sulla cultura e l’immagine di Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali; Comitato nazionale per le celebrazioni del 4. centenario del pontificato di Sisto 5 (1585-90); Centro di studi sulla cultura e l’immagine di Roma; Roma di Sisto 5: le arti e la cultura, a cura di M. L. MADONNA, Roma 1993. 14 Per una sintesi si veda A. MENNITI IPPOLITO, Il governo dei papi nell’età moderna. Carriere, gerarchie, organizzazione curiale, Roma 2007. Fra le ricerche su particolari aspetti del governo temporale dello Stato Pontificio cfr., ad esempio, G. BRUNELLI, Soldati del papa: politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa, 1560-1644, Roma 2003; ID., ll Sacro Consiglio di Paolo IV, Roma 2010; I. FOSI, La giustizia del papa. Sudditi e tribunali nello Stato Pontificio in età moderna, Roma – Bari 2007 (trad. ing. Papal Justice. Subjects and Courts in the Papal State, 1500-1750, Washington D.C. 2011); S. TABACCHI, Il Buon Governo. Le finanze locali nello Stato della Chiesa (secoli XVI-XVIII), Roma 2007; A. MENNITI IPPOLITO, 1664. Un anno della Chiesa universale. Saggio sull’italianità del papato in età moderna, Roma 2011. 15 A. PROSPERI, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino 1996; G. FRAGNITO, La Bibbia al Rogo: la censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura, 14711605, Bologna 2003; EAD., Proibito capire: la Chiesa e il volgare nella prima età moderna, Bologna 2005; Church, Censorship and Culture in early Modern Italy, ed. by G. FRAGNITO, Cambridge 2001.

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sul disciplinamento del clero e sulla sua formazione16, sugli ordini religiosi vecchi e nuovi, sulla spinta missionaria extraeuropea, sulla diplomazia pontificia nel quadro di un’Europa lacerata dalle guerre di religione: temi che possono esemplificare il rinnovamento negli studi modernistici grazie alle nuove e più articolate domande poste alle fonti, anche vaticane. Molte ricerche si sono poi spostate sul Sei e Settecento, un arco cronologico prima rimasto piuttosto ai margini degli interessi storiografici, perché etichettato a lungo come ‘decadenza’ per l’Italia e ancor più per il Papato, avvolti nella coltre oppressiva della Controriforma, poi riesaminato ed indicato addirittura come un periodo segnato da significativi interventi riformatori. Accanto a queste tematiche, emerse con forza negli ultimi decenni del secolo trascorso che hanno avviato ricerche condotte su fonti conservate in Vaticana, altre hanno rappresentato punti focali di ricerche di studiosi italiani e stranieri. Torniamo ancora agli studi storico-artistici: opere d’arte, interi cicli pittorici hanno fornito agli storici la chiave interpretativa per studiare la propaganda, la sua iconografia, la sua trasmissione17. Un esempio fra tutti ci viene proprio dallo studio degli affreschi del Salone Sistino della Biblioteca che, nella descrizione di Angelo Rocca, rappresentano il messaggio lanciato da Roma per celebrare l’universalità del pontefice romano e le sue realizzazioni politiche nel quadro italiano ed europeo18. In questa prospettiva assumeva una forte valenza politica e culturale anche l’effimero, la festa19, ed ancor più il cerimoniale che, sulla scorta del16 In particolare, fra i molteplici studi sull’argomento, si segnalano i contributi raccolti nei volumi Per il Cinquecento religioso italiano, (Atti del Convegno internazionale: Siena 27-30 giugno 2001), 2 voll., a cura di M. SANGALLI, Roma 2003; Chiesa, chierici, sacerdoti: clero e seminari in Italia tra 16 e 20 secolo (Atti del Convegno internazionale: Siena, 21 maggio 1999), a cura di M. SANGALLI, Roma 2000; Pastori pope preti rabbini: la formazione del ministro di culto in Europa, secoli 16.-19. a cura di M. SANGALLI Roma 2005. E. BONORA, Giudicare i vescovi: la definizione dei poteri nella Chiesa postridentina, Roma – Bari 2007. 17 S. F. OSTROW, Art and Spirituality in Counter-Reformation Rome, Cambridge 1996 (trad. it. L’arte dei papi. La politica delle immagini nella Roma della Controriforma, Roma 2002); Art and Identity in Early Modern Rome, ed. by J. BURKE and M. BURY, Aldershot 2008; A. ANTINORI, La magnificenza e l’utile. Progetto urbano e monarchia papale nella Roma del Seicento, Roma 2008. 18 Non sono molti gli studi recenti sul complesso degli affreschi del Salone Sistino e sui molteplici significati, non solo allegorici. Oltre a F. PISTOLESI, I concilii ecumenici illustrati, con riproduzione degli affreschi della Biblioteca Vaticana e prefazione di L. von Pastor, Montalto Marche 1925, si vedano D. FRASCARELLI, Gli affreschi sistini della Biblioteca Vaticana: analisi storica e iconografica, Tesi di laurea, Università “La Sapienza” Roma 1987; W. J. VETH, The frescoes of the Ecumenical Councils in the Sixtine Salon (1590) and the Catholic Conciliar historiography, Rome 2003. Ringrazio la dr. Claudia Montuschi per queste indicazioni. 19 L’ effimero barocco: strutture della festa nella Roma del ’600, 2 voll. a cura di M. FAGIOLO DELL’ARCO – S. CARANDINI, Roma 1977-1978.

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la profonda e stimolante, ancorché tarda, ricezione in Italia degli studi di Norbert Elias, si configurava come un «linguaggio politico» che da Roma si proiettava in Europa come modello valido anche per le altre corti20: un modello riconosciuto già nel Settecento quando Lünig scriveva, nell’ampia sezione dedicata ai cerimoniali pontifici e cardinalizi, che Roma era «die Quelle aller Ceremonien, so bey den meisten Europäischen Höfen»21. Accanto al cerimoniale, e indissolubilmente legato ad esso, si infittivano dagli anni ’80 gli studi sulla corte, in genere come Idealtyp, sulle corti italiane ed europee, considerate come luogo della politica nel quadro dell’antico regime. La corte papale appariva in questo senso un oggetto privilegiato sia per la ricchezza delle fonti, allora in gran parte da indagare, sia per la continuità delle cerimonie che si innervava nella sostanza di un potere non ereditario e ne costituiva sia la proiezione esterna, sia il messaggio significativo e duraturo22. Ma anche gli studi sul cerimoniale pontificio, arricchitisi negli ultimi anni di significativi contributi italiani e stranieri, trovavano la loro premessa nella pubblicazione dell’opera di Patrizi Piccolomini e il cerimoniale pontificio nel Rinascimento (1980-82) ad opera di p. Marc Dykmans23. È proprio dall’edizione di testi liturgici che veniva evidenziata la caratteristica del cerimoniale di una immutabilità apparente, di un adattamento invece sostanziale che si modificava insieme alla corte e alle sue cerimonie. Un quadro, per quanto sintetico e senza alcuna pretesa di esaustività, degli interessi storiografici non può prescindere dall’analisi di quanto emerge dalle pubblicazioni della collana «Studi e testi» che ben eviden20 M. A. VISCEGLIA, Il cerimoniale come linguaggio politico. Su alcuni conflitti di precedenza alla corte di Roma tra Cinquecento e Seicento, in Cérémonial et rituel à Rome (XVIe-XIXe siècle), études réunis par M. A. VISCEGLIA e C. BRICE, Roma 1997 ora in EAD., La città rituale. Roma e le sue cerimonie in età moderna, Roma 2002, pp. 119-190, volume al quale si rinvia per l’ampia bibliografia sul tema. Inoltre, fra gli studi recenti sul tema della cerimonialità, si ricordano soprattutto le pubblicazioni di studiosi tedeschi che presso l’Università di Münster conducono significative ricerche sul Papato in età moderna e contemporanea. Per l’età moderna si veda, in particolare, Werte und Symbole im frühneuzeitlichen Rom, hg. von G. WASSILOWSKY – H. WOLF, Münster 2005; J. BÖLLING, Das Papstzeremoniell der Renaissance, Frankfurt a M. 2006; Päpstliches Zeremoniell in der frühen Neuzeit. Das Diarium des Zeremonienmeister Paolo Alaleone de Branca wärhend des Pontifikats Gregors XV. (1621-1623), hg. von G. WASSILOWSKY – H. WOLF, Münster 2007. 21 J. CH. LÜNIG, Theatrum Ceremoniale Historico-Politicum, oder Historisch-und Politischer Schauplatz aller Ceremonien, II, Leipzig 1720, pp. 166-351. 22 La corte di Roma “teatro” della politica europea, a cura di M. A. VISCEGLIA – G. SIGNOROTTO, Roma 1998; Court and Politics in Papal Rome 1492-1700, ed. by M. A. VISCEGLIA – G. SIGNOROTTO, Cambridge 2002. 23 M. DYKMANS, L’oeuvre de Patrizi Piccolomini ou le Cérémonial papal de la première Renaissance, 2 voll., Città del Vaticano 1980-1982 (Studi e testi, 293-294).

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ziano il progressivo spostamento di attenzione da temi ‘classici’ — dalla diplomazia alle ‘biografie’ — ad aspetti e problemi di storia della cultura, delle missioni e dei rapporti con altre religioni, ai processi di beatificazione, all’esame di vicende processuali di ‘eretici’, alla storia di famiglie italiane24, ai cerimoniali, appena menzionati. Consideriamo, ad esempio, la diplomazia. Nello studio di Aldo Stella su Chiesa e stato a Venezia25, in cui si analizzavano, pur con alcune imprecisioni, le relazioni dei nunzi pontifici a Venezia, veniva capovolta la prospettiva di Ranke, la sua valutazione e mitizzazione delle relazioni degli ambasciatori veneti. Il quadro cronologico era assai ampio e dava spazio a quel tournant sei e settecentesco fino ad allora piuttosto trascurato dalla storiografia che aveva invece privilegiato il secolo precedente, anche per analizzare le fonti diplomatiche. Se, ancora con l’opera su Venezia, i concetti presenti nel titolo — Chiesa e Stato — sono emblematici di una storiografia per così dire ‘tradizionale’, fortemente condizionata da antinomie, non solo concettuali, negli studi successivi sulla diplomazia, pubblicati nella collana «Studi e testi», in riviste italiane e straniere, nelle serie di pubblicazioni di fonti promosse da istituti stranieri a Roma — mentre la pubblicazione delle nunziature negli stati italiani non registra significativi progressi da oltre vent’anni, non solo per le crescenti difficoltà finanziarie, ma anche per l’affievolirsi di interesse verso questa fonte — la storia diplomatica si arricchiva attraverso un’ottica più ampia con cui si esaminavano le fonti. Insieme ai documenti curiali, per così dire ‘ufficiali’, veniva infatti vagliata e utilizzata dagli studiosi, quando possibile, anche la corrispondenza con la famiglia pontificia, con il proprio entourage, facendo emergere, insieme alla precoce professionalizzazione della funzione diplomatica svolta dai nunzi, il ruolo delle relazioni esterne, informali per il successo dell’azione diplomatica presso le corti, la quotidianità, il tessuto relazionale, la percezione dell’ambiente esterno e la sua trasmissione a quello di provenienza26. Se la fonte principale delle nunziature è sempre principalmente costituita dalla documentazione della Segreteria di Stato, con l’allargarsi e l’arricchirsi della prospettiva sono state sempre più con24

P. HURTUBISE, Une famille témoin: les Salviati, Città del Vaticano 1985 (Studi e testi, 309). A. STELLA, Chiesa e stato nelle relazioni dei nunzi pontifici a Venezia, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 239). 26 Per un esame critico delle prospettive di pubblicazione delle nunziature si rinvia al volume Kurie und Politik. Stand und Perspektive der Nuntiaturberichtsforschung, hg. von A. KOLLER, Tübingen 1998. Per una nuova e originale impostazione metodologica per lo studio delle fonti diplomatiche cfr. il vol. Paroles des négociateurs. L’éntretien dans la pratique diplomatique de la fin du Moyen Âge à la fin du XIX siècle, études réunis par S. ANDRETTA et ALII, Roma 2010. 25

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siderate la trattatistica, le istruzioni e la loro circolazione, manoscritta e a stampa, come strumenti di formazione di chi doveva intraprendere carriere diplomatiche, ma al tempo stesso come veicolo informativo, spesso costruito su modelli standardizzati, sulla fisionomia di una corte, del suo apparato, del suo sovrano27. La ricchezza di queste relazioni e delle istruzioni conservate in originale e in copia in Vaticana e in altre biblioteche europee dà, da sola, la dimensione della vastità di un’informazione non solo circoscritta agli ambienti diplomatici. Certo che lo studio dell’oggetto corte, come si è evidenziato, è stato centrale nell’aprire nuove prospettive di ricerca su temi connessi con essa, come la diplomazia, che ha sicuramente contribuito a risvegliare l’interesse per la storia politica, per una ‘nuova’ storia politica possiamo dire, in cui si sono inserite a pieno titolo le biografie di personaggi, spesso cardinali, talvolta figure di spicco della loro epoca, talaltra, figure minori, ma non per questo prive d’interesse28. Una storia politica è stata costruita anche attraverso nuove e funzionali categorie interpretative come ‘Mikropolitik’ e ‘Verflechtung’, usate soprattutto da storici tedeschi, che hanno permesso di leggere attraverso una lente nuova i legami informali che guidavano l’azione politica e di governo spirituale e temporale della monarchia pontificia a livello italiano ed europeo29. È sempre la collana «Studi e testi» che mostra il precoce interesse per la biografia: da quella del cardinale Lambruschini30 ad Alfonso Carafa

27 Fondamentali, anche come strumento informativo, sono le istruzioni ai nunzi, fonte tuttavia ancora scarsamente utilizzata, in questa prospettiva, sebbene ormai da decenni disponibile in accurate edizioni: Die Hauptinstruktionen Clemens’ VIII für die Nuntien und Legaten an den europäischen Fürstenhöfen: 1592-1605, im Auftrag des Deutschen Historischen Instituts in Rom, bearbeitet von K. JAITNER, Tübingen 1984; Die Hauptinstruktionen Gregors XV. für die Nuntien und Gesandten an den europäischen Fürstenhöfen; 1621-1623 im Auftrag des Deutschen Historischen Instituts in Rom bearbeitet von K. JAITNER, Tübingen1997 (Instructiones pontificum Romanorum); Le istruzioni generali di Paolo V ai diplomatici pontifici: 1605-1621, a cura di S. GIORDANO, Tübingen 2003 (Instructiones pontificum Romanorum). 28 Fra i diversi studi di carattere non solo biografico su personaggi della curia e della corte pontificia si ricorda Z. WAZBINSKI, Il cardinale Francesco Maria del Monte, 1549-1626, 2 voll., Firenze 1994; M. PELLEGRINI, Ascanio Maria Sforza: la parabola politica di un cardinaleprincipe del Rinascimento, Roma 2002; I. FOSI, All’ombra dei Barberini. Fedeltà e servizio nella Roma barocca, Roma 1997; A. KARSTEN, Kardinal Bernardino Spada. Eine Karriere im barocken Rom, Göttingen 2001. 29 È d’obbligo il rinvio ai numerosi studi di W. Reinhard e della sua scuola che hanno focalizzato l’attenzione sul pontificato di Paolo V. Per una sintesi dei concetti dell’impostazine metodologica e dei concetti che hanno infrmato tali ricerche: W. REINHARD, Papauté, confessions, modernité, éd. et préf. par R. Descimon, Paris 1998; per una sintesi storiografica e documentaria cfr. ID., Paul V. Borghese (1605-1621) Mikropolitische Papstgeschichte, Stuttgart 2009 che alle pp. XVII-XXV presenta l’ampia bibliografia dell’Autore e dei suoi allievi. 30 L. M. MANZINI, Il cardinale Lambruschini, Città del Vaticano 1960 (Studi e testi, 203)

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«cardinale di Napoli»31, pubblicate all’inizio degli anni ’60. Ma è spesso nelle miscellanee, in singoli contributi di studiosi che si manifestano nuovi interessi e, soprattutto, ricerche su fondi vaticani manoscritti e a stampa: i sette volumi dei Mélanges Tisserant sono un esempio in questo senso. Non sono da trascurare, inoltre, gli studi di carattere prosopografico che hanno ricostruito il tessuto degli apparati di governo temporale e spirituale della Chiesa, la struttura del Sacro Collegio, le dinastie di pontefici e regnanti, aprendo nuove prospettive su fonti utilizzate fino ad allora per la ricostruzione puramente genealogica e araldica32. Altro tema di rilievo che ha avuto negli ultimi decenni un grande impulso e rinnovamento, è senz’altro quello che ha visto al centro i santi e la santità. Proprio all’inizio degli anni ’60 venivano pubblicati i processi per s. Filippo Neri che aprivano squarci di straordinario interesse non solo sulla figura del Santo, ma sulla società e la politica coeve33. Si può dire che la pubblicazione abbia certamente influito nell’indirizzare ed alimentare percorsi di ricerca agiografici che, fino ad allora concentrati soprattutto su figure della santità medievale, si spostavano progressivamente sul periodo moderno e addirittura contemporaneo. Non sono state però al centro di ricerche degli studiosi solo le singole figure di santi o beati: progressivamente l’ottica si è posata sulla «politica della santità» perseguita in età moderna, sulle regole imposte da pontefici come Urbano VIII per evitare facili e precoci culti che nascevano a livello popolare, privilegiando, al contempo, canonizzazioni che assumevano un indubbio valore politico da spendere nel quadro dei coevi equilibri europei34. I processi di santità hanno per31 R. DE MAIO, Alfonso Carafa Cardinale di Napoli (1540-1565), Città del Vaticano 1961 (Studi e testi, 210). 32 In particolare da ricordare le opere edite e curate da CH. WEBER: Kardinale und Pralaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates: Elite-Rekrutierung, Karriere-Muster und soziale Zusammensetzung der kurialen Führungsschicht zur Zeit Pius 9.: 1846-1878, von CH. WEBER, Stuttgart 1978; Die altesten päpstlichen Staatshandbücher: Elenchus congregationum, tribunalium et collegiorum Urbis, 1629-1714, bearb. von CH. WEBER, Rom 1991; Senatus Divinus: verborgene Strukturen im Kardinalskollegium der frühen Neuzeit, 1500-1800, hg. von CH. WEBER, Frankfurt am Main 1996; Päpste und Kardinäle in der Mitte des 18. Jahrhunderts (1730-1777): das biographische Werk des Patriziers von Lucca Bartolomeo Antonio Talenti, hg. von S. M. SEIDLER und CH. WEBER, Frankfurt am Main 2007; Die Päpstlichen Referendare,1566-1809: Chronologie und Prosopographie, bearb. von CH. WEBER, Stuttgart s.d.; Legati e governatori dello Stato pontificio, 1550-1809, a cura di CH. WEBER, Roma 1994; Genealogien zur Papstgeschichte, unter Mitwirkung von M. BECKER, bearb. von CH. WEBER, 6 Bde., Stuttgart 1999-2002. 33 G. INCISA DELLA ROCCHETTA – N. VIAN, Il primo processo per S. Filippo Neri. Vol. I. Testimonianze dell’inchiesta Romana, Città del Vaticano 1957 (Studi e testi, 191). Gli altri volumi furono pubblicati dagli stessi curatori fra il 1958 ed il 1963 (Studi e testi, 196, 205, 224). 34 Cfr. M. GOTOR, I beati del papa. Santità, Inquisizione e obbedienza in età moderna, Firenze 2002.

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messo altresì di indagare la mentalità religiosa, le pratiche devozionali, il funzionamento di congregazioni chiamate a disciplinare, spesso con difficoltà, conflittuali interessi che si snodavano attorno a figure esemplari, soprattutto nel primo Seicento, quando Roma cercò di riassestare e assicurarsi il controllo sulla santità. I processi di canonizzazione e il culto dei santi sono stati sempre più analizzati come un fenomeno complesso e per comprenderlo è stato necessario usare l’analisi del linguaggio visivo e testuale, simbolico e spirituale, concreto e letterale35. L’edizione dei processi di s. Filippo Neri ha aperto però anche altre piste di ricerca che, forse non immaginate dagli editori di quelle preziose fonti, hanno trovato un fertile terreno nei decenni più vicini a noi, con l’intrecciarsi di conoscenze e metodi interdisciplinari: basti solo pensare alla storia di genere e alla santità femminile, colta nelle sue diverse declinazioni36, al misticismo37, ma anche alla storia della scienza e della medicina che hanno spesso usato le fonti delle canonizzazioni per indagare le conoscenze mediche sperimentate e teorizzate nelle autopsie sui «corpi santi»38, così come le conoscenze della filosofia naturale sono state studiate, nei processi di canonizzazione, per spiegare il miracolo. L’apertura dell’archivio dell’ex S. Uffizio nel 1998 ha avviato la ripresa di una intensa stagione di studi che ha lentamente modificato l’impostazione cantimoriana che a lungo aveva privilegiato la ricerca su singole figure di dissidenti religiosi perseguitati dalla Chiesa, soprattutto nel momento di maggiore tensione confessionale, cioè nel crinale cinquecentesco. Se ancora alcuni studi pubblicati dalla Biblioteca avevano al centro fonti processuali — come il processo a Endimio Calandra39 — l’interesse per altri aspetti dell’azione inquisitoriale e censoria ha sicuramente aperto, dal punto di vista cronologico e territoriale, originali tracciati di ricerca. 35 Come osserva, a questo proposito, S. DITCHFIELD, Thinking with the Saints: Sanctity and Society in the Early Modern World, in Critical Inquiry 35, 3 (2009), pp. 552-584. 36 Cfr. i numerosi studi di G. ZARRI fra i quali Le sante vive: cultura e religiosità femminile nella prima età moderna, Torino 1990; Donne e fede: santità e vita religiosa in Italia, a cura di L. SCARAFFIA e G. ZARRI, Roma 2009. 37 A. MALENA, L’eresia dei perfetti. Inquisizione romana ed esperienze mistiche nel Seicento italiano, Roma 2003. 38 Su questo tema cfr. N. G. SIRAISI, Signs and Evidence: Autopsy and Sanctity in Late Sixteenth Italy, in Medicine and the Italian Universities 1250-1600, Leiden 2001, pp. 356-380; G. POMATA, Malpighi and the Holy Body: Medical Experts and Miraculous Evidence in Early Modern Italy, in Renaissance Studies, 21, 2007, pp. 568-86; E. ANDRETTA, Anatomie du Vénérable dans la Rome de la Contre-réforme. Les autopsies d’Ignace de Loyola et de Philippe Neri, in Conflicting Duties: Science, Medicine and Religion in Rome, 1550-1750, ed. by M. P. DONATO – J. KRAYE, London 2009, pp. 255-280. 39 S. PAGANO, Il processo a Endimio Calandra e l’Inquisizione a Mantova nel 1567-1568, Città del Vaticano 1991 (Studi e testi, 339).

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Vale la pena ricordare come le lettere ‘ufficiali’ di Fabio Chigi inquisitore a Malta, ad esempio, pubblicate in «Studi e testi» nel 1967 hanno permesso di porre a questa fonte nuove domande in un’ottica più vasta e certamente rinnovata dopo che si sono moltiplicati gli studi sull’inquisizione non solo romana, ma spagnola e portoghese40. L’accessibilità a fonti archivistiche, l’arricchimento metodologico e storiografico di cui si sono nutriti gli studi su inquisizione e censura, disciplinamento, confessionalizzazione, identità religiosa, conversione41 — solo per ricordare alcune delle tematiche che, recentemente, hanno prodotto significativi studi — hanno certamente spinto a focalizzare l’attenzione anche su numerose fonti della Biblioteca, manoscritte e a stampa: dai manuali per inquisitori, ai carteggi, alle raccolte di testi giuridici, in parte già conosciuti e utilizzati, in parte ancora in attesa di ricerche più approfondite42. L’attenzione non si è fermata solo all’Italia, ma come mostrano gli atti di un convegno sull’Inquisizione celebrato in occasione del Grande Giubileo del 2000, è stata offerta l’opportunità di riflettere sullo stato degli studi — e non solo — relativo al quadro europeo43. Tema assai ampio e controverso che non ha mancato di suscitare e di continuare a suscitare riflessioni e polemiche, sul passato ed anche sul presente44. Abbiamo citato l’evento del Grande Giubileo del 2000: 40 In particolare S. PASTORE, Il Vangelo e la spada. L’Inquisizione di Castiglia e i suoi critici (1460-1598), Roma 2003; EAD., Un’eresia spagnola. Spiritualità conversa, alubradismo e Inquisizione (1449-1559), Firenze 2004; G. MARCOCCI, I custodi dell’ortodossia. Inquisizione e Chiesa nel Portogallo del Cinquecento, Roma 2004. 41 Il tema della conversione — sia di ebrei, musulmani che di cristiani di altre confessioni — è stato e continua ad essere al centro di numerosi studi, sia stranieri che italiani. Fra questi cfr., in particolare, «Dall’infamia dell’errore al grembo di Santa Chiesa». Conversioni e strategie della conversione a Roma nell’età moderna, in Ricerche per la storia religiosa di Roma, Studi, documenti, inventari, 10 (1998); M. CAFFIERO, Battesimi forzati. Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi, Roma 2004; I. FOSI, «Con cuore sincero e con fede non finta» Conversioni a Roma in età moderna fra controllo e accoglienza, in Les modes de la conversion à l’époque moderne. Autobiographie, alterité et construction des identités religieuses, éd. par M. C. PITASSI – D. SOLFAROLI CAMILLOCCI, Firenze 2010, pp. 215-232; EAD., Convertire lo straniero. Forestieri e Inquisizione a Roma in etá moderna, Roma 2011 (La corte dei papi, 21). 42 È impossibile dar conto, anche approssimativamente, dei numerosi studi italiani e stranieri che, dal 1998, hanno usato le fonti dell’ex Sant’Uffizio. Si vedano, per un quadro generale, i volumi relativi ai convegni svolti presso l’Accademia Nazionale dei Lincei: L’ inquisizione e gli storici: un cantiere aperto (Roma, 24-25 giugno 1999), Roma, 2000 (Atti dei convegni Lincei, 162); Le inquisizioni cristiane e gli Ebrei (Roma, 20-21 dicembre 2001), Roma 2003 (Atti dei convegni Lincei, 191); I primi Lincei e il Sant’Uffizio: questioni di scienza e di fede (Roma, 12-13 giugno 2003), Roma 2005 (Atti dei convegni Lincei, 215). Inoltre I Domenicani e l’inquisizione. Atti del III seminario internazionale su “I Domenicani e l’Inquisizione”, (Roma 15-18 febbraio 2006), a cura di C. LONGO, Roma 2008. 43 L’Inquisizione. Atti del Simposio internazionale Città del Vaticano, 29-31 ottobre 1998, a cura di A. BORROMEO, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 417). 44 Un bilancio delle ricerche compiute è stato avanzato nel volume A dieci anni dall’aper-

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non è possibile ricordare come molte iniziative, alcune di grande spicco e spessore storiografico, come l’Enciclopedia dei Papi, maturate in questa occasione abbiano portato ad una valorizzazione di fonti vaticane45. L’indicizzazione di manoscritti ha permesso poi, di recente, sia l’edizione di documenti, con criteri tradizionali e con strumenti digitali, così come un vasto progetto di identificazione dei libri posseduti dagli ordini religiosi e censiti nell’inchiesta promossa dalla Congregazione dell’Indice alla fine del ’500, i cui risultati assai significativi, ancorché parziali, sono stati presentati agli studiosi in diverse occasioni46. Le biblioteche, la loro storia, gli inventari dei fondi posseduti, le biografie dei bibliotecari non possono essere certo ascritti solo alla storia della cultura. Come mostrano proprio alcune fra le più significative pubblicazioni di «Studi e testi» relative a queste tematiche, gli inventari di biblioteche parlano della storia familiare, delle vicende spesso tragiche o gloriose che portavano a ricomporre o a smembrare il patrimonio librario in connessione con eventi che esterni alla famiglia: l’inizio o la fine di un pontificato, l’acquisizione di un titolo cardinalizio o nobiliare, la crescita economica e il prestigio sociale, ma anche l’insorgere di difficoltà economiche che portavano, in molti casi, a disfarsi del patrimonio librario. Si è discusso spesso se l’inventario di una biblioteca rappresenti e traduca visibilmente gli interessi del suo possessore: la natura composita di molti fondi conservati in Vaticana mostra proprio come i percorsi siano spesso contorti ed eterogenei, come in essi si perda spesso la fisionomia culturale del proprietario della biblioteca, ma si ricomponga una vicenda culturale che dal personaggio passa alla sua famiglia, alla sua epoca e a quelle successive fino all’acquisizione del fondo da parte della Biblioteca Vaticana. tura dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede: Storia e archivi dell’Inquisizione (Atti del Convegno, Roma, 21-23 febbraio 2008), Roma 2011. 45 Enciclopedia dei Papi, 3 voll., Roma 2000. Da ricordare anche il volume Roma, città del papa. Vita civile e religiosa del giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtila, cura di L. FIORANI – A. PROSPERI, Storia d’Italia, Annali, 16, Torino 2000. 46 M. M. LEBRETON – L. FIORANI, Codices Vaticani Latini. Codices 11266-11326: inventari di biblioteche religiose italiane alla fine del Cinquecento, Città del Vaticano 1985 (CM 41): partendo da questo inventario prezioso ma sommario, il progetto intendeva creare su base elettronica «un adeguato formato di presentazione e di consultazione della fonte documentaria costituita dalle liste di titoli dei libri posseduti dai regolari alla fine del secolo XVI per aprire la strada a successive ricerche più puntuali»: R. RUSCONI, Le biblioteche degli ordini regolari in Italia alla fine del secolo XVI, in Rivista di storia del Cristianesimo 1 (2004), pp. 189-199; Libri, biblioteche e cultura degli ordini regolari nell’Italia moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice, Atti del convegno Internazionale, Macerata, 30 maggio-1 giugno 2006, a cura di R. M. BORRACCINI – R. RUSCONI, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 434) [la citazione è a p. 9]; Dalla «notitia librorum» degli inventari agli esemplari. Saggi di indagine su libri e biblioteche dai codici Vaticani latini 11266-11326, a cura di R. M. BORRACCINI, Macerata 2009.

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È il caso del fondo Ottoboni, esplorato da Jeanne Bignami Odier47, ma anche della biblioteca di Celso Cittadini, maestro di Fabio Chigi48, mostra come l’analisi dei manoscritti e stampati ispanici presenti nella Biblioteca Barberini (1978) ci fornisca uno spaccato di un incontro culturale fra la famiglia di Urbano VIII e la cultura iberica, ammirata sul piano letterario, specchio tuttavia di una potenza politicamente ostile, temuta e anche studiata per essere fronteggiata adeguatamente, non solo sul piano diplomatico e militare49. Manca ancora uno studio che colga più profondamente quanto queste ricerche pionieristiche hanno suggerito ormai diversi decenni fa. Fa eccezione, forse, la biblioteca di Stefano Borgia che presenta un quadro sfaccettato della cultura orientale a Roma nel Settecento: la polimorfa e complessa personalità di Borgia, prefetto della Congregazione di Propaganda Fide per diciannove anni, dal 1770 al 1789, sintetizza quella attenzione per le culture, le lingue, i costumi dei paesi di missione che già nel secolo precedente aveva stimolato una produzione editoriale funzionale alla preparazione dei futuri missionari, sia un collezionismo che saldava la consapevolezza di conoscere per evangelizzare con la crescente curiosità dell’esotico. La pubblicazione dell’inventario della sua biblioteca ne è una spia eloquente50. È significativo che fino ad ora, con l’eccezione del volume di J. Bignami Odier51, mancasse una storia più approfondita della Biblioteca Vaticana: l’ordinamento dell’archivio della Biblioteca stessa sembra aprire ampi squarci non solo sulla storia ‘interna’ della Vaticana, ma sulla circolazione della cultura attraverso di essa nei secoli dell’età moderna, come mostrano alcune recenti, pionieristiche ricerche52. Sono questi solo alcuni dei molteplici esempi che possono essere pre47 Interessante appare l’inventariazione della biblioteca di Marcello Cervini proprio per disegnare a tutto tondo la personalità non solo culturale del pontefice, protagonista di un travagliato momento della storia della cattolicità: P. PIACENTINI, La biblioteca di Marcello Cervini. Una ricostruzione dalle carte di Jeanne Bignami Odier, Città del Vaticano 2001 (Studi e testi, 404). 48 M. C. DI FRANCO LILLI, La biblioteca manoscritta di Celso Cittadini, Città del Vaticano 1970 (Studi e testi, 259). 49 H. G. JONES, Hispanic books in the Barberini Collection, 2 voll., Città del Vaticano 1978 (Studi e testi, 280-281). 50 P. ORSATTI, Il fondo Borgia della Biblioteca Vaticana e gli studi orientali a Roma tra Sette e Ottocento, Città del Vaticano 1996 (Studi e testi, 376). Inoltre, l’inventario della biblioteca, con introduzione di V. Romani, è stato pubblicato da G. GRANATA – M. E. LANFRANCHI, La biblioteca del cardinale Stefano Borgia (1731-1804), Roma 2008. 51 J. BIGNAMI ODIER, La Bibliotèque Vaticane de Sixte IV à Pie IX. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272). 52 Fra i numerosi contributi di CHR. M. GRAFINGER cfr. Beiträge zur Geschichte der Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1997 (Studi e testi, 373); EAD., Die Ausleihe vatikanischer Handschriften und Druckwerke 18. Jahrhundert, Teil I, Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano

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sentati in un arco cronologico che non sottostà alle tradizionali partizioni. Non ci si può fermare al Sei e Settecento: citiamo come unico esempio le raccolte Ferrajoli che, insieme agli autografi, alle altre miscellanee, ci offre non solo la prova della vivacità intellettuale dei membri della famiglia che, nella Roma dell’800, fece le sue fortune col monopolio del tabacco, ma disegna con precisione i loro legami con eruditi, intellettuali, antiquari italiani e stranieri53. I nomi che passano davanti agli occhi, da Giovan Battista Visconti a Giovan Battista de Rossi, segnano le tappe più significative della cultura antiquaria che da Roma si proiettava in Europa ed aveva attratto viaggiatori e antiquari provenienti dal Nord che divennero essi stessi veicoli preziosi di una cultura che aveva saldato l’interesse per l’antico con la rivalutazione della cultura e dell’immagine di Roma, della corte pontificia, mentre in Europa circolavano ormai venti rivoluzionari. Raccolte, talvolta eterogenee, trovano proprio in questo carattere la loro specificità e diventano uno straordinario oggetto di indagine: vale per tutti l’esempio degli autografi Paolo VI che, frutto di un preciso disegno che ha trovato anche forme espositive e una relativa catalogazione, si presenta, come è stato acutamente sottolineato, lo specchio di un «umanesimo integrale [del pontefice bresciano], di una apertura al mondo, dell’attenzione, rispettosa e sincera, verso tutte le manifestazioni del pensiero, dell’arte, della ricerca, dell’intelletto, dello spirito umano, con una larghezza che va al di là dei confini visibili della chiesa cattolica e può apparire in alcuni casi sorprendente»54. Dalla storia delle biblioteche e all’interno di esse emerge, fra l’altro, anche la straordinaria potenzialità dei carteggi, il fascino spesso traditore della corrispondenza. È un carattere che attraversa i secoli: la corrispondenza di Carlo Gualteruzzi con Giovanni Della Casa ci dà uno spaccato del clima religioso, politico e intellettuale degli ultimi anni del pontificato farnesiano, quando la Roma rinascimentale, già sconvolta dal Sacco, si stava lentamente spegnendo in una crisi politica e religiosa che aveva le sue radici lontane55. Per rimanere al Cinquecento, la pubblicazione delle 2002 (Studi e testi, 406); Teil II: Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 407). 53 P. VIAN, La «raccolta prima» degli Autografi Ferrajoli, Città del Vaticano 1990 (Studi e testi, 336); ID., Le raccolte Ferrajoli e Menozzi degli Autografi Ferrajoli, Città del Vaticano 1992 (Studi e testi, 351). 54 Gli autografi Paolo VI, a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 1999 (Studi e testi, 393). La citazione è tratta dall’ampia introduzione del Curatore: Dal mecenatismo al dialogo: l’umanesimo di un pontificato, a p. X. 55 O. MORONI, Carlo Gualtieruzzi (1500-1577) e i suoi corrispondenti, Città del Vaticano 1984 (Studi e testi, 307); EAD., Corrispondenza Giovanni della Casa-Carlo Gualtieruzzi (15251549), Città del Vaticano 1986 (Studi e testi, 308).

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lettere di Agostino Chigi aveva forse deluso chi si aspettava di leggere in esse tracce di un mito costruito successivamente sul banchiere dei papi e sugli splendori della sua vita56. Erano invece lettere fortemente illuminanti, proprio nella loro semplice aridità, della concretezza mercantile che badava al successo delle sue operazioni, rivelando le doti di un uomo d’affari, quali la lucidità, l’intraprendenza, la capacità di tenere i fili di una rete di traffici e di interessi familiari sparsi per l’Europa. Certo molto ancora potrebbe dirci uno studio più approfondito della biblioteca del cardinale Henry Stuart, erede dell’Old Pretender in esilio a Roma dall’inizio del Settecento, biblioteca che ha il suo nucleo originale nella biblioteca dei Gesuiti di Albano, nella quale, come mostra il catalogo57, si saldano in un significativo intreccio l’attenzione — e forse il nostalgico rimpianto — per il passato inglese e l’interesse per la cultura italiana e specialmente romana del Settecento. Se questi sono alcuni degli esempi valorizzati da studi recenti, che hanno ricomposto la disorganicità di fonti spesso contenute in fondi diversi, non solo in Biblioteca Vaticana, diverso è il discorso per quei carteggi che si collocano, archivisticamente, all’interno di fondi personali e si caratterizzano per una, direi, naturale, organicità. Per quanto riguarda la storia contemporanea, che occupa in questa esposizione uno spazio più limitato, proprio per la specificità della Biblioteca e dei suoi fondi manoscritti, l’attenzione di studi recenti si è focalizzata proprio sui carteggi di storici, tracciando con nitidezza i contorni di rapporti culturali nel contesto europeo, spesso in momenti tormentati della sua storia più recente. Un esempio per tutti viene senz’altro dalla recente pubblicazione del carteggio di Pasquale Villari con storici tedeschi che, come è stato scritto, rappresenta «una delle tante maglie di quella catena o di quella rete che è la storia dei rapporti culturali tra le due nazioni, anche se, per la natura stessa del genere epistolare, l’oggetto immediato di quelle lettere ha un carattere in primo luogo pragmatico, contingente: scambio di informazioni erudite e di pubblicazioni...informazioni su sistemi scolastici, presentazioni di giovani tedeschi in procinto di recarsi in Italia, comuni imprese scientifiche tra italiani e tedeschi»58. Ma anche da questo commercio di informazioni, solo apparentemente minute, passa il

56 The Correspondence of Agostino Chigi (1466-1520) in cod. Chigi R.V.c., ed. by I. D. ROWLAND, Città del Vaticano 2001 (Studi e testi, 399). 57 M. BUONOCORE, La biblioteca del cardinale Henry Stuart duca di York dal codice Vaticano Latino 15169, Città del Vaticano 2007 (Studi e testi, 440). 58 A. M. VOCI, La quiete prima della tempesta: europeismo e orgoglio nazionale nei carteggi di Pasquale Villari, in L’Acropoli 4 (2000), pp. 426-453; “Un anello ideale” fra Germania e Italia: corrispondenze di Pasquale Villari con storici tedeschi, a cura di A. M. VOCI, Roma 2006.

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dialogo, lo scambio culturale, la conoscenza, la comprensione, in un arco di anni che, sul piano politico, videro cambiare gli equilibri fra i due paesi. Molto però resta ancora da fare. Non ci sono stati studi recenti sulle carte von Pastor — un fondo di straordinaria importanza non solo per comprendere la genesi della Storia dei Papi, ma per tracciare un ulteriore, lucido esempio della formazione e dell’insegnamento accademico del suo autore, così come la corrispondenza familiare e i Tagebücher non sarebbero certo fonti prive d’interesse. Mancano ancora studi organici anche sui carteggi Toniolo, che coprono anni significativi per la storia dell’Italia dal 1863 al 1918: potrebbe non essere quindi vano l’appello a leggere anche in queste carte le tensioni, non solo accademiche, che segnarono le vicende successive al processo di unificazione italiana.

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ITALIANISTICA La letteratura italiana dalle Origini al XIV secolo è organicamente una letteratura plurilinguistica: latino, antico-francese, provenzale, volgari italiani formano parte costituiva del patrimonio culturale degli auctores del primo canone letterario italiano ed europeo (Dante, Petrarca, Boccaccio), ma spesso anche di letterati per così dire “minori” ma che minori non sono (da Pier della Vigna a Brunetto Latini a Nicolò de’ Rossi). Ora, se c’è un luogo al mondo in cui sia possibile un accesso certo non esaustivo ma pressoché completo a manoscritti fortemente rappresentativi della tradizione romanza e italiana delle Origini e della cultura umanistica, è perfino scontato pensare alla Biblioteca Apostolica Vaticana (d’ora innanzi BAV). Dal grande manoscritto lirico trobadorico Vat. lat. 5232 (A) ad altri quattro importanti manoscritti trobadorici (Chig. L.IV.106 [F], Vat. lat. 3207 [H], 3206 [L], 3208 [O]), oltre ad alcuni descripti, al dramma di S. Agnese, ai romanzi di Chrétien de Troyes (il Reg. lat. 1725 [2a metà XIII]), al Roman de la Rose (con 5 manoscritti), al Trésor di Brunetto Latini (pure con 5 codici), ai romanzi francesi in prosa (Reg. lat. 1517 Suite Merlin, Reg. lat. 1489 Lancelot, Quête, Mort Artu, Pal. lat. 1967 Mort Artu), all’autografo della Chronica di Salimbene da Parma, per citare almeno alcune delle più rilevanti opere conservate nella BAV. Non mi è peraltro stato affidato un compito così vasto e oneroso come quello di analizzare l’intera articolazione plurilinguistica della letteratura italiana e del resto non sarebbe certo stato possibile in questa sede nel tempo a disposizione1. Limiterò pertanto la mia relazione a un aspetto particolare della letteratura italiana fra Origini e Umanesimo, quello poetico, in quanto è certamente il più rilevante per la storia letteraria italiana fra Duecento e Cinquecento, secondo una diffusa opinione medievale, confermata da Dante nel De Vulgari eloquentia: II, i, 1 «Sollicitantes iterum celeritatem ingenii nostri et ad calamum frugi operis redeuntes, ante omnia confitemur latium vulgare illustre tam prosayce quam metrice decere proferri. Sed quia ipsum prosaycantes ab avientibus magis accipiunt et quia quod avietum est prosaycantibus permanere vide1

Un rapido schizzo di possibili Percorsi di italianistica nella Biblioteca Vaticana si può trovare nella Storia della Letteratura Italiana diretta da E. MALATO, XIII, La ricerca bibliografica. Le istituzioni culturali, Il Sole 2 Ore, 2005, pp. 538-546, a cura di M. RASCAGLIA. La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 195-211.

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tur exemplar, et non e converso — que quendam videntur prebere primatum —, primo secundum quod metricum est ipsum carminemus». Ma circoscriverò le mie osservazioni non solo per questo motivo; o meglio, forse proprio per questo motivo, poiché la poesia dei primi quattro secoli della letteratura in volgare è anche il settore per il quale la BAV come luogo di ricerca ha offerto e offre agli studiosi opportunità uniche, determinate dalla compresenza di autografi e manoscritti fondamentali per la storia e l’interpretazione della letteratura italiana, tanto da divenire il luogo materiale da cui sono partite alcune fra le più rilevanti proposte metodologiche dell’ultimo secolo e specificamente degli ultimi cinquant’anni. Naturalmente tutto ciò avrebbe potuto rimanere ad uno stato soltanto potenziale, presentarsi cioè come uno strumento a disposizione dei ricercatori e non, come invece è avvenuto, quale luogo d’incontro fra diverse opzioni culturali, metodologiche e critiche, se intorno a quei documenti non si fosse creata sin dal Cinquecento, e prima ancora dell’ingresso di molti codici nella Biblioteca, una modalità di conservazione, lettura, riproduzione e interpretazione che ha sedimentato e si è sviluppata attraversando i secoli. È un’impostazione metodologica che riesce ancora oggi estremamente produttiva, grazie anche alle istituzioni che intorno alla BAV si sono sviluppate e che a tutt’oggi operano, in cordiale e generosa intesa con le istituzioni scientifiche e i giovani di tutto il mondo, a cominciare, per mia esperienza, dai giovani universitari romani; anche con iniziative seminariali sul campo, aperte a laureandi e dottorandi, come quella indimenticabile organizzata da Marco Buonocore qualche tempo fa. Pur limitandomi, dunque, al solo versante poetico, non riproporrò una storia complessiva del lavorio umanistico intorno agli autografi e ai manoscritti lirici due e trecenteschi, ma partirò da alcuni monumenti della poesia italiana due- e trecentesca conservati alla BAV, per capire come si siano sviluppati alcuni capitoli fondamentali della storia della tradizione poetica italiana e della sua interpretazione critica, fino ai nostri giorni. Cominciamo dal più antico dei canzonieri lirici italiani conservati alla BAV, il Vat. lat. 3793. Fiorentino, databile tra fine Duecento e primi del Trecento, conserva la massima parte della lirica prestilnovistica; se si fosse perduto — notava alcuni anni fa G. Folena — la nostra conoscenza della poesia del Duecento ne sarebbe stata più che dimezzata; per certi settori importanti pressoché annullata2, rendendo di fatto impossibile qualsiasi ricerca attendibile sulla storia poetica duecentesca. A una prima mano 2

G. FOLENA, Überlieferungsgeschichte der altitalienische Literatur, in G. INEICHEN – A. SCHINDLER – D. BODMER, Geschichte der Textüberlieferung der antiken und mittelalterlichen Literatur, Band II. Überlieferungsgeschichte der mittelalterlichen Literatur, Zürich 1964, p. 375.

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identificata come «di natura mercantesca» da Armando Petrucci3, proposta confermata da altri rilievi paleografici e storico-culturali (notevoli quelli di Justin Steinberg4) — e che ritengo ancora valida malgrado alcuni dubbi recentissimi avanzati al riguardo — si aggiungono molte altre mani due-trecentesche, una particolarmente importante, quella definita acutamente da Contini dell’«Amico di Dante», trascrittore e forse autore di un’imponente serie di sonetti e di alcune canzoni, fra cui la risposta a Donne ch’avete intelletto d’amore, unico componimento dantesco — e stilnovistico — presente nel codice. Ambiente mercantesco della prima mano, ambiente vicino a Dante e agli stilnovisti come seconda mano pressoché coeva (cancelleresca con tratti di protomercantesca, per Casamassima, di «un colto borghese o magnate toscano» per Petrucci5): inizio di una trafila storico-culturale che fa del libro Vat. lat. 3793 il documento e insieme il monumento fondativo di una tradizione, come conferma la struttura del codice, ordinato secondo un criterio insieme storiografico e critico tendenzioso ma acutissimo. Un disegno che rende il manoscritto un’opera in certo senso in sé autonoma, portatrice di valore in sé, per intenzionalità compositiva e strategia politico-culturale, come è stato proposto e ormai comunemente accettato. Una simile sottolineatura, malgrado i generosi e peraltro infondati tentativi di elevarne ancor di più lo status, attribuendo la seconda mano addirittura a Dante (Giulio Salvadori6), e dunque considerando attentamente in qualche modo la storia dell’oggetto-libro manoscritto e dei suoi esecutori, come era caratteristico della scuola romana del Monaci, non ha però trovato piena valorizzazione che in anni recenti, quando allo stesso Vat. lat. 3793 è stato riconosciuto, per così dire ufficialmente, lo status di “classico” del canone letterario italiano, ed è stato quindi analizzato e studiato, nelle Opere delle Letteratura italiana Einaudi7, esattamente alla stessa stregua della Commedia o dei Rerum Vulgarium Fragmenta. Il fatto è che un tale destino non è che il terminale di una lunga fortuna dell’opera, iniziata nel primo Cinquecento col suo possessore, monsignor Angelo Colocci, segretario apostolico, filologo e umanista, che non 3

A. PETRUCCI, Le mani e le scritture del canzoniere vaticano, in I canzonieri della lirica italiana delle origini. IV. Studi critici, a cura di L. LEONARDI, Firenze 2001, pp. 26-27. 4 J. STEINBERG, Merchant Bookkeeping and Liric Anthologizing; Codicological Aspects of Vaticano 3793, in Scrittura e civiltà 24 (2000), pp. 251-269. 5 PETRUCCI, Le mani e le scritture cit., p. 32. 6 G. SALVADORI, La poesia giovanile e la Canzone d’amore di Guido Cavalcanti, Roma 1895, p. 85. 7 R. ANTONELLI, Canzoniere Vaticano latino 3793, in Letteratura italiana diretta da A. ASOR ROSA, Le Opere, I. Dalle Origini al Cinquecento, Torino 1992, pp. 27-44, poi rivisto e aumentato in ID., Struttura materiale e disegno storiografico del canzoniere vaticano, in I canzonieri della lirica cit., pp. 3-23.

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solo provvedeva alla copia fedele dell’intero manoscritto (l’attuale Vat. lat. 4823) ma intorno al nucleo originario proveniente dal Vat. lat. 3793 proponeva, col suo lavoro complessivo e con l’inserzione di una parte significativa della tradizione lirica successiva, tra cui Dante, Cino, Boccaccio, Petrarca, se non «l’idea di un libro lirico totale»8, certo la necessità di un completamento del canone lirico con la tradizione successiva. Colocci fu poeta e filologo attento all’intera produzione romanza, dai trovatori provenzali ai galego-portoghesi, di cui fu il primo grande ricercatore e studioso europeo: un filologo a tutto campo, oltre che poeta in proprio, che aveva ben presente cosa potesse e dovesse significare allora — e quindi anche per noi, oggi — una vera storia della letteratura italiana, inseparabile dalle consorelle romanze. Colocci potrebbe essere un exemplum ancor oggi validissimo di quel che significa una biblioteca come luogo di ricerca: tanto che ancor oggi sulle sue carte conservate nella BAV si continua proficuamente a studiare e investigare con sempre nuovi risultati, consegnate alla collana di «Studi e testi». Appena due anni fa sono stati pubblicati due volumi in cui da una parte si fa il punto, sulla base dei risultati di un convegno romano (séguito di quello esinate del 1972), su Angelo Colocci e gli studi romanzi9 e dall’altra si tenta una prima possibile ricostruzione della Biblioteca di Angelo Colocci10, fortunatamente in parte significativa ancor oggi investigabile attraverso i fondi della Biblioteca Apostolica. Se una biblioteca è un luogo di ricerca, quello che potremmo definire uno dei suoi protofondatori, Angelo Colocci, ne è dunque certamente un emblema, secondo un metodo e un lavoro sulla tradizione che non per nulla lasciò grandi continuatori, fra cui quel Federico Ubaldini che non solo ne curò la biografia (a stampa, ma col manoscritto pure conservato in BAV11) ma fu a sua volta, come vedremo, archetipo di un intero filone di ricerche. Per analizzare secondo tali prospettive storico-culturali il Vat. lat. 3793 e il lavoro colocciano intorno ad esso, occorreva però che si passasse da una filologia formale rigidamente lachmanniana12, in cui il manoscritto 8 C. BOLOGNA, Sull’utilità di alcuni descripti umanistici di lirica volgare antica, in La filologia romanza e i codici, a cura di S. GUIDA – F. LATELLA, Messina 1993, II, p. 578. 9 Angelo Colocci e gli studi romanzi, a cura di C. BOLOGNA – M. BERNARDI, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi 449). 10 M. BERNARDI, Lo zibaldone colocciano Vat. lat. 4831. Edizione e commento, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi 454). 11 F. UBALDINI, Vita Angeli Colotii episcopi Nucerini, Roma 1673, ma cfr. anche F. UBALDINI, Vita di Mons. Angelo Colocci. Edizione del testo originale italiano, Barb. lat. 4882, a cura di V. FANELLI, Città del Vaticano 1969 (Studi e testi, 256). 12 O meglio, neo-lachmanniana, essendo Lachmann di orientamento metodologico ben

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era considerato un semplice «magazzino di varianti», ad un diverso orientamento metodologico in cui la tradizione testuale e quindi il manoscritto fosse prima di tutto una «miniera di storie», per usare due espressioni di Giuseppe Billanovich13. Occorreva un mutamento — o meglio, un’integrazione — del paradigma che imperava nella filologia romanza. Un indirizzo già tipico della Scuola romana promossa da Ernesto Monaci, attentissimo all’investigazione paleografica più che a quella ricostruttiva, ma il cui grande e consapevole recente maestro è stato appunto il filologo umanista Giuseppe Billanovich, non per nulla assiduo e quasi divinatorio compulsore di manoscritti vaticani e ricostruttore di proprietà e percorsi, anche nel ricordo ammirato e quasi stupito di un altro grande frequentatore della BAV, Carlo Dionisotti, e soprattutto ammiratore del metodo e delle aperture culturali di un altro maestro della BAV, monsignor Angelo Mercati, continuatore ed esponente di una tradizione di studi così tipica della ricerca erudita e antiquaria romana. In realtà si potrebbe dire — o obiettare —, che dal Medio Evo ad oggi, dove è esistita una grande biblioteca, lì prima o poi accanto e in ragione dell’esistenza stessa di una raccolta libraria attiva, si è impiantata una grande ricerca (e talvolta una grande letteratura), in tutti i settori presenti nei fondi. Ma il caso della BAV presenta ovviamente caratteristiche particolari: per la “lunga durata”, pressoché unica, dell’istituzione, per la sua identità e storia, per la sua apertura a tutti gli studiosi e alle più varie discipline. Era dunque certamente parte di una metodologia ecdotica sostanzialmente prelachmanniana, oltre che della già citata importanza del codice, l’edizione interpretativa del Vat. lat. 3793 che D’Ancona e Comparetti pubblicarono in cinque volumi dal 1875 al 188814, ma rispondeva anche a un approccio al testo che proprio a Roma, con uno dei fondatori della Filologia romanza italiana, Ernesto Monaci, promotore non per nulla della splendida edizione diplomatica a cura di Francesco Egidi, stampata presso la Società Filologica Romana15, si costituì per alcuni decenni in vera e propria scuola, ben differenziata da quella fiorentina di Pio Rajna. Caratteristica della scuola romana era proprio l’attenzione quasi esclusiva diverso dai suoi successori italiani su alcuni punti essenziali, cfr. R. ANTONELLI, Interpretazione e critica del testo, in Letteratura italiana diretta da A. ASOR ROSA, IV. L’interpretazione, Torino 1985, pp. 141-243 e sp. 149-152. 13 GIUS. BILLANOVICH, La tradizione del testo di Livio e le origini dell’Umanesimo, I/1 Tradizione e fortuna di Livio tra Medioevo e Umanesimo, Padova 1981, p.1. 14 Le antiche rime volgari, secondo la lezione del codice Vaticano 3793, pubblicate per cura di A. D’ANCONA – D. COMPARETTI, Bologna, Commissione dei testi di lingua, 1875-1888, 5 voll. (con aggiunta nel vol. V di annotazioni critiche di T. CASINI). 15 Il libro de varie romanze volgare. Cod. vat. 3793, a cura di F. EGIDI, con la collaborazione di S. SATTA – G. B. FESTA – G. CICCONE, Roma 1908.

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dedicata al singolo codice e alle sue modalità di composizione (non ancora il manoscritto come «miniera di storie» ma certo come unico documento storicamente fededegno), piuttosto che alla comparazione di tipo neolachmanniano, che Monaci non apprezzava: «Perché la futura critica del testo non manchi di fondamenta, è necessario di determinare fino a che sia possibile in quale modo il testo fu copiato»16. È qualcosa di più di un nostalgico richiamo a un padre fondatore il fatto che tale proposizione del Monaci figuri in epigrafe al saggio che in certo qual modo ha fondato nel 1979 una nuova tendenza metodologica17, basata appunto sull’analisi codicologica macro e microstrutturale del libro-manoscritto romanzo e italiano, accompagnata da una coscienza prospettica di tipo diastratico e battezzata perciò, e di nuovo nella scuola filologica romana18, come «Filologia materiale», sull’esempio dell’“archeologia materiale”, a distinguerla dalla pura e semplice codicologia, a cui peraltro è strettamente connessa (sarebbe semmai da ricordare come in punti di svolta metodologica si ripropongano le relazioni tra filologia e archeologia già care al Monaci): se ne veda nel recente numero monografico della rivista «Moderna» (2, 2008) una ricostruzione storica e bibliografica pressoché esaustiva, comprese le ultime ricerche, dedicate alle unità di scrittura dei manoscritti trobadorici e italiani (con in testa ovviamente il Vat. lat. 3793) da Enrico Zimei e Fabrizio Costantini19. Ed è qualcosa di più ovviamente di un caso che oggetto di tale analisi sia stato un famoso manoscritto della lirica portoghese, più sopra citato, fatto copiare proprio dallo studioso da cui abbiamo preso le mosse, Angelo Colocci, da un exemplar poi perduto e quindi oggi testimone privilegiato, accanto alle sole due altre superstiti antologie complessive della lirica galego-portoghese (una delle quali, ancora, della BAV, il Vat. lat. 4803). Un codice poi acquistato proprio da Ernesto Monaci e venduto alla morte di questi al governo portoghese e oggi noto col nome di Colocci-Brancuti. Il primo studio che potremmo definire di vera e propria “filologia materiale” nel senso oggi comunemente invalso, si diceva, è quello dedicato da Anna Ferrari nel 1979, alla Formazione e struttura del canzoniere portoghese della 16 E. MONACI, Il canzoniere portoghese della Biblioteca Vaticana, Halle a/S , Libreria editrice Lippert (Max Niemeyer), 1875, p. XII. 17 A. FERRARI, Formazione e struttura del canzoniere portoghese della Biblioteca Nazionale di Lisbona (cod. 10991: Colocci-Brancuti). Premesse codicologiche alla critica del testo (Materiali e problematiche), Paris 1979. 18 ANTONELLI, Interpretazione e critica del testo cit., p. 207. 19 F. COSTANTINI, Le unità di scrittura nei canzonieri della lirica italiana delle origini, Roma 2007; E. ZIMEI, Paraula escricha. Ricerche sulla segmentazione della catena grafica nei canzonieri trobadorici, Roma 2009.

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Biblioteca nazionale di Lisbona20. È dunque frutto di un riconoscimento di paternità oseremmo dire “materiale”, oggettiva, della BAV, che la serie dedicata a tutti gli antichi indici manoscritti della lirica romanza (provenzali, antico-francesi, italiani e galego-portoghesi) conservati non solo in Vaticana e curata dalla stessa Ferrari, sia pubblicata, come gli studi già citati sul Colocci, nella collana di «Studi e testi» della BAV («Intavulare», giunta al volume ottavo con l’edizione degli indici del Chig. L.VIII.30521). Ugualmente significativo è che in parallelo, dalla stessa scuola di un grande neolachmanniano, Aurelio Roncaglia, allievo di Pasquali e Barbi, oltre che successore di Giulio Bertoni e Angelo Monteverdi, e sodale/allievo di Contini già dai tempi della Normale di Pisa, sia stata proposta nello stesso 1979, un’edizione (di Giacomo da Lentini) ove veniva proposto un nuovo modello di edizione fondato non solo su una proposta stemmatica, ma anche su una parallela riproduzione diplomatica di tutta la tradizione manoscritta, analiticamente esaminata, dal punto di vista della mise-en-page e dei sistemi grafici22, come poi divenuto frequente negli anni successivi, soprattutto nelle edizioni informatizzate, tecnicamente ben più disponibili a fornire tutti gli approcci e approfondimenti insiti nell’operazione; e si pensi ai successivi saggi di Wayne Storey e a tutto il filone attento alla mise en page e al suo valore critico23. Naturalmente non si pretende che la BAV abbia fecondato colla sua presenza esclusivamente una scuola romana; se mi sembra documentato nei fatti (e ho potuto ovviamente ricordare soltanto i più significativi, almeno dal mio punto di vista) che esiste una specifica tradizione ‘romana’ ben radicata e strettamente legata alla BAV, non c’è dubbio che anche nei rappresentanti più illustri della tradizione lachmanniana romana, come Vittorio Rossi o Angelo Monteverdi e Aurelio Roncaglia, l’assunzione del neolachmannismo quale metodologia di riferimento si sia sempre accompagnata al più grande rispetto per il documento: si ricordino le proposizioni metodologicamente definitive di Angelo Monteverdi24 (d’accordo col Tallgren e col Contini) riguardo alle modalità di edizione dei poeti della Scuola siciliana o quelle di Aurelio Roncaglia riguardo alla teoria dell’edi20

FERRARI, Formazione e struttura cit. «Intavulare». Tavole di canzonieri romanzi (serie coordinata da A. FERRARI), III. Canzonieri italiani, I. Biblioteca Apostolica Vaticana, Ch (Chig. L. VIII. 305), a cura di G. BORRIERO, Biblioteca Apostolica Vaticana 2006 (Studi e testi, 431). 22 GIACOMO DA LENTINI, Poesie, ed. crit. a cura di R. ANTONELLI, Roma 1979, pp. XXVIII-LXVI. 23 H. WAYNE STOREY, Transcription and Visual Poetics in the Early Italian Lyric, New York 1993. 24 A. MONTEVERDI, La critica testuale e l’insegnamento dei Siciliani, in Essais de philologie moderne (1951), Communications présenteés au Congrés International de Philologie Moderne, Liège 10-13 septembre 1951, Paris 1953, pp. 209-217. 21

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zione critica (al congresso di Napoli della Société Internationale de Linguistique et Philologie Romane, 197425), ove si riconosceva l’opportunità di diversi tipi di edizione, a seconda degli scopi cui fosse destinata. Rilievo del singolo manoscritto in quanto libro e non come puro magazzino di varianti: sia quale documento storico-culturale di valore autonomo, sia peraltro — è bene riaffermarlo — quale elemento basilare di ogni successiva — e comunque auspicabile — operazione comparativa. Per questa via, sempre nei primi anni Settanta del secolo scorso, D’Arco Silvio Avalle, incaricato di approntare il materiale lessicale per la poesia italiana duecentesca del nuovo Thesaurus della Crusca, giungeva a teorizzare quella che definiva una «doppia verità»26: la verità dell’autore e la verità del copista. Conseguentemente Avalla propose nel convegno di Messina La filologia romanza e i codici, del 1991 (riprendendo formulazioni analoghe consegnate nel 1972 al Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters27), una visione delle antologie liriche romanze sulla linea di Pasquali28 (almeno per la parte relativa alla storia della tradizione) e Giuseppe Billanovich: i manoscritti non dovevano essere considerati più come «pure astrazioni, senza legami concreti con la cultura che li ha prodotti»29, ma veri e propri libri unitari, portatori di una linea storicoculturale da valutare in quanto tale. Di qui la denuncia della «conoscenza superficiale e molto spesso erronea di che cosa sia e che cosa rappresenti un libro medievale» riscontrata negli «editori moderni» e la conseguente «necessità di promuovere edizioni critiche dei canzonieri» in quanto tali30, evidente riflesso delle esperienze di ricerca condotte da Avalle negli anni precedenti. L’anno successivo usciranno infatti le Concordanze della lingua poetica italiana delle origini31: pur con tutti i limiti metodologici e realizzativi rilevabili, costituiscono un vero e propro capolavoro e un nuovo paradigma della moderna filologia romanza e italiana. La massima parte del gigantesco volume è ancora una volta costituita dal Vat. lat. 3793, ma vi trovano posto anche altri documenti e monumenti vaticani, quasi ignoti 25

AU. RONCAGLIA, La critica testuale, in XIV Congresso internazionale di Linguistica e Filologia romanza (Napoli, 15-20 aprile 1974), Atti, Napoli-Amsterdam, I, 1978, pp. 481-488. 26 D’A. S. AVALLE, I canzonieri: definizione di genere e problemi di edizione (1984), ora in ID., La doppia verità. Fenomenologia ecdotica e lingua letteraria del Medioevo romanzo, Firenze 2002, p. 166. 27 AVALLE, Fenomenologia ecdotica del Medioevo romanzo (1972), ora in ID., La doppia verità cit., pp. 125-153. 28 G. PASQUALI, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 1934. 29 AVALLE, La filologia romanza e i codici cit., ora in ID., La doppia verità cit., p. 208. 30 Ibid., p. 210. 31 Concordanze della lingua poetica italiana delle Origini, (CLPIO), I, a cura di D’A. S. AVALLE, Milano – Napoli 1992.

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ai più, a cominciare dai 14 frammenti di testi poetici citati da Salimbene nell’autografo della sua Chronica, restituiti così dopo un lungo oblio alla storia della letteratura italiana. Agli stimoli provenienti dall’opera di Avalle è debitrice, per esplicita e affettuosa dichiarazione dello stesso curatore, Lino Leonardi, l’edizione fotografica dei tre grandi codici lirici duecenteschi che si apre col ms. Vat. lat. 3793: l’edizione è corredata, per la prima volta, da studi critici esaustivi dedicati a ogni singolo libro-manoscritto, secondo una struttura che non lascia praticamente nulla di inevaso e costituisce a sua volta un modello per studi del genere: struttura materiale e disegno storiografico, contenuti e fonti, mani e scritture, analisi linguistica, analisi del corredo figurativo32. Recentemente ristampata e completata da un CD, ha non a caso aperto la serie dell’edizione nazionale dei manoscritti lirici più antichi che nel progetto dovrebbe arrivare sino alla Raccolta aragonese di Lorenzo il Magnifico, su cui torneremo più oltre33. Abbiamo più sopra accennato al disegno di raccolta lirica complessiva, se non canonizzante, che Colocci aveva abbozzato nella copia del Vat. lat. 3793, il ms. Vat. lat. 4823, e negli altri suoi libri e scartafacci: un progetto solo lirico e ormai cinquecentesco. L’acribia e l’attenzione al libro manoscritto in quanto tale aveva permesso a Domenico De Robertis, già nel 1974, il riconoscimento definitivo (dopo le intuizioni del Vandelli) di un’unità libraria che assegna in realtà già a Boccaccio (intorno alla fine degli anni Cinquanta del XIV secolo) la volontà ben più consapevole di offrire un vero e proprio canone della grande letteratura italiana due-trecentesca34. Anzi, due diversi canoni mutati nel tempo, l’uno “letterario” in senso lato e l’altro esclusivamente lirico, di cui ci danno testimonianza ancora una volta due manoscritti della BAV, i Chig. L.V.176 e L.VI.213, riconosciuti come parti originariamente legate di un unico manoscritto poi riorganizzato in due unità librarie autonome. Il codice nel suo complesso si apriva in origine con la Vita di Dante di Boccaccio, cui seguivano la Vita nuova, la Commedia, il carme boccacciano dedicato a Petrarca, Ytalie iam certus honos, le 15 canzoni “canoniche” di Dante nella serie tramandata da Boccaccio, il Canzoniere di Petrarca. Il libro era infatti stato pensato e ordinato da Boccaccio in modo da rap32 I canzonieri della lirica italiana delle origini, IV, Studi critici, a cura di L. LEONARDI, Firenze 2001. 33 L’ultimo volume pubblicato è Il canzoniere escorialense e il frammento marciano dello stilnovo. Real Biblioteca de El Escorial, e.III. 23, Biblioteca Nazionale Marciana, it. IX. 529, con riproduzione fotografica e digitale, a cura di S. CARRAI – G. MARRANI, Firenze 2009. 34 D. DE ROBERTIS, Il Codice Chigiano L. V. 176 autografo di Giovanni Boccaccio. Edizione fototipica, Roma-Firenze 1974, pp. 3-72.

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presentare le “tre corone” della nuova letteratura volgare italiana (Dante, Petrarca e lui stesso), con l’avvertenza che la presenza di Boccaccio veniva affidata a due opere proprie (il Compendio della Vita di Dante che apriva il codice e il carme in lode di Petrarca Ytalie iam certus honos) ma anche all’organizzazione del codice in quanto tale, come ha ben visto Domenico De Robertis: «Nel quadro della lunga fatica spesa nel culto della memoria di Dante, di cui costituisce, per la parte della tradizione testuale, l’ultima tappa, questo codice rappresenta uno dei versanti più singolari di tale atteggiamento, quello che guarda a Petrarca, il tentativo di coinvolgerlo in questo culto, il momento in cui Petrarca velit nolit è acquisito alla tradizione stessa che ha il suo caposaldo in Dante da parte del terzo fra cotanto senno, e insomma l’atto costitutivo del canone delle “tre corone” ad opera e per subordinata intromissione dell’ultima di queste»35. Il codice fu poi smembrato, togliendo la Commedia, per formare appunto il Chig. L.VI.213, e sostituendola colla grande canzone teorica di Guido Cavalcanti Donna me prega, col commento di Dino Del Garbo. Quanto a dire, da un canone complessivo della poesia italiana alla proposta di un canone esclusivamente lirico, secondo quello che sarà poi definito, per la Raccolta aragonese, il «fiorentino imperio», ovvero il canone laurenziano della lirica italiana, derivata anche e proprio dal Chig. L.V.176, secondo un progetto elaborato dal Poliziano, cui — secondo il Pastore Stocchi36 — si dovrebbe anche la ristrutturazione del codice vaticano Chig. L.V.176 e il trasferimento della nuova proposta di canone esclusivamente lirico alla Raccolta Aragonese, pur essa parte integrante della BAV, con uno dei manoscritti da essa derivati, perduta la Raccolta originale, il Vat. lat. 3213: «un’ampia raccolta di rime antiche in continuazione» con gli autori disposti «in ordine cronologico»37 e quindi con un certo intento storiografico. Quanto a dire che se aggiungiamo un altro manoscritto vaticano della metà del XIV secolo, il Chig. L.VIII.305, ovvero uno dei fondamentali testimoni della lirica stilnovistica (molto probabilmente noto direttamente o tramite un affine a Petrarca, e poi passato nelle mani di Antonio di Coluccio Salutati e di Federigo Ubaldini), e i suoi derivati, innanzitutto la Raccolta aragonese, pro quota, come a suo tempo chiarì Michele Barbi38, l’intera vicenda della costituzione del canone “italiano” è disponibile in una sola Biblioteca, grazie anche alla presenza di vari altri codici del Bem35

Ibid., p. 7. M. PASTORE STOCCHI, Su alcuni autografi del Boccaccio, in Studi sul Boccaccio 10 (19771978), p. 135. 37 M. BARBI, Studi sul Canzoniere di Dante, con nuove indagini sulle raccolte manoscritte e a stampa di antiche rime italiane, Firenze 1915, p. 270. 38 Ibid., p. 316. 36

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bo e dei suoi corrispondenti, a cominciare dal preziosissimo Vat. lat. 3214 e dalla copia bembiana dei Rerum Vulgarium Fragmenta e dei Trionfi (Vat. lat. 3197), ma anche grazie a codici “extravaganti” come il Barb. lat. 3953. Il Barb. lat. 3953 è testimone di una fase fondamentale dell’espansione toscana, e stilnovistica, grazie al rimatore trevigiano Nicolò de’ Rossi nel Veneto del Trecento39, ovvero in una regione culturalmente decisiva nella storia della lirica e della lingua italiana dal Duecento al Cinquecento, quando infine la codificazione grammaticale del Bembo fisserà canone lirico e linguistico per i secoli a venire: parrà inutile, a questo proposito, ricordare che fu lo stesso Bembo a offrire a papa Clemente VII, nel 1524, il manoscritto di dedica delle Prose della volgar lingua. Nel Cinquecento (il fondo Colocci vi entrò alla morte di questi, dopo il 1549), e dal Cinquecento in poi — l’abbiamo visto — la BAV ha orientato le linee di ricerca e le modalità di relazione e di lettura del libro manoscritto per molte generazioni di grandi studiosi, da Leone Allacci a Federico Ubaldini, che ritroveremo fra breve, a Celso Cittadini al Crescimbeni: sino appunto a noi e alla ripresa — anche in ambito romanzo e italiano — di una pratica del libro manoscritto sostanzialmente rinnovata, anche alla luce del lachmannismo, e profondamente “umanistica”: elemento non secondario in un momento storico in cui la grande cultura umanistica sembra posta in crisi dallo sviluppo delle società industriali contemporanee. Non posso insistere in questa sede su un aspetto che meriterebbe ben altra attenzione e analiticità, ma l’accenno alla Commedia e al ruolo ad essa assegnato nel progetto “canonizzante” del Boccaccio ci riporta in particolare, fra i più di settanta codici della Commedia conservati alla BAV, a due manoscritti fondamentali, sui quali negli anni recenti si è sviluppata un’intensa attività di ricerca: il Vat. lat. 3199 e l’Urb. lat. 366. Il primo, «prodotto fiorentino della metà» del XIV secolo40, aperto di nuovo dall’encomio boccacciano per Petrarca, Ytalie iam certus honos, non è di mano del Boccaccio (come notato sul primo foglio, nell’Ottocento), ma è vicino al capostipite di tutta la tradizione della Commedia risalente a Boccaccio («il Boccaccio — notava Petrocchi, ed è notazione tuttora valida — aveva sul tavolo o Vat o un gemello di esso»41); da questi fu donato a Petrarca tra il 1341 e il 1350. Petrarca con parsimonia ma con mirata attenzione vi apponeva alcuni dei suoi segni caratteristici di lettura, come ha rilevato 39

F. BRUGNOLO, Il canzoniere di Nicolò de’ Rossi, I. Introduzione, testo e glossario, Padova 1984, sp. pp. XXX e XXXI; ma cfr. ora, dello stesso, Meandri. Studi sulla lirica veneta e italiana settentrionale del Due-Trecento, Roma-Padova 2010. 40 DANTE ALIGHIERI, La Commedia, secondo l’antica vulgata, a cura di G. PETROCCHI, Milano, 1966, p. 89. 41 Ibid., p. 89 (e cfr. anche p. 42).

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nel 1993 Carlo Pulsoni42, per passare poi nelle mani di Bembo (che se ne servì per l’Aldina del 1502) ed esser lasciato alla Vaticana dal successivo possessore, l’onnipresente Colocci. Ma il Vat. lat. 3199 non è solo l’ennesima conferma della traditio di cui sono depositari i mss. vaticani: è anche «l’iniziatore di una diffusa tradizione del testo dantesco, fino a varie tappe del Cinquecento (quali soprattutto l’Aldina del 1502 e la Crusca del 1595) ed oltre, fino al Foscolo e alla fiorentina del 1837 (Niccolini, Capponi, Borghi e Becchi) e in gran parte al Witte»43. Quanto a dire uno dei testi fondamentali che hanno guidato la lettura e il riuso della Commedia fino ai giorni nostri, tanto da costituirne uno dei capisaldi, al di là del problema, pur sempre fondamentale, ma ancora del tutto aperto e destinato a rimanere tale in mancanza dell’autografo o affine, del testo originale autorizzato da Dante. Ma, a proposito del testo originale della Commedia, il secondo dei manoscritti appena citati, l’Urb. lat. 366, è stato al centro del più recente dibattito critico. È stato infatti proposto da Federico Sanguineti, sulla base di una nuova recensio completa della tradizione manoscritta fondata sui luoghi critici individuati da Barbi per la Società Dantesca Italiana, quale unico rappresentante di uno dei due rami (ß) in cui si articola per generale consenso lo stemma della tradizione della Commedia44. Come che sia della proposta di Sanguineti, variamente contrastata da ulteriori interventi (fino al recentissimo e non ancora completo di Luigi Spagnolo45, SPCT, aprile 2010), è indubbio che l’Urbinate rappresenta già per Petrocchi e per i numerosi e autorevoli critici di Sanguineti, sino al recente contributo di Giorgio Inglese, in compagnia o meno di altri due manoscritti (Rb e Mad, BN 10186)46, uno dei codici-chiave per l’edizione della Commedia e rappresentante esimio della fortuna del poema in ambito emiliano-romagnolo47, vicinissimo cioè ad un altro codice rilevante, il Ricc. 1005 (Rb). Se per Dante non abbiamo autografi, ma comunque almeno la testimonianza autografa dei grandi che lavorarono sui suoi derivati, sulla sua traditio, la BAV ospita, oltre ad autografi di Boccaccio, quello che è certa42 C. PULSONI, Il Dante di Francesco Petrarca: Vaticano latino 3199, in Studi petrarcheschi, n.s., 10 (1993), pp. 155-208. 43 DANTE ALIGHIERI, La Commedia cit., p. 90. 44 Lo stemma di Sanguineti è stato proposto in Per l’edizione critica della Comedìa di Dante, in Rivista della letteratura italiana 12, 2/3 (1994), pp. 277-292, e poi parzialmente modificato in Dantis Alagherii Comedia, ed. crit. per cura di F. SANGUINETI, Firenze, 2001, p. LXV. 45 L. SPAGNOLO, La tradizione della Comedìa, in Studi e problemi di critica testuale 80 (aprile 2010), I semestre 2010, pp. 9-90. 46 G. INGLESE, Per lo stemma della «Commedia» dantesca. Tentativo di statistica degli errori significativi, in Filologia italiana 4 (2007), pp. 51-72. 47 DANTE ALIGHIERI, La Commedia cit., p. 88.

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mente il più rilevante autografo dell’antica lirica italiana, il Vat. lat. 3195 di Petararca, accompagnato anche, nel cosiddetto codice degli abbozzi, il Vat. lat. 3196, da minute e belle copie autografe di componimenti poi inseriti nel Canzoniere. È il polo forse fondamentale in cui i manoscritti vaticani si sono rivelati all’origine di un’importante svolta metodologica della filologia e della critica moderna, sia per quanto riguarda il trattamento editoriale dovuto ad autografi di particolare rilievo, sia per quanto riguarda il problema delle varianti d’autore. Per il primo aspetto, l’accurata introduzione ecdotica premessa da Contini all’edizione del 194948 presso l’editore Tallone di Parigi, e poi riproposta in molteplici edizioni economiche dall’editore Einaudi, ha rappresentato per molti decenni un punto fermo, teorico e pratico, per le modalità di edizione di un testo autografo, specie se di particolare importanza come questo petrarchesco. Non per nulla i due recenti e ponderosi commenti del Canzoniere, di Marco Santagata e Rosanna Bettarini49, se hanno rappresentato un fondamentale evento negli studi critici petrarcheschi, non hanno sostanzialmente mutato quasi nulla dell’assetto testuale continiano. Ma, come sempre, anche in presenza di autografi, in filologia e nella critica del testo non c’è mai un punto d’arrivo definitivo: prima gli studi di Patrizia Rafti sull’interpunzione petrarchesca50 (1996), poi, nell’anniversario petrarchesco, il riesame della forma-libro relativamente alla mise en page e all’organizzazione macrostrutturale compiuto da Furio Brugnolo, Gino Belloni, H. Wayne Storey e Stefano Zamponi sull’autografo51 hanno confermato l’esigenza, già variamente avvertita (penso al bel lavoro di Livio Petrucci sulle unità di scrittura petrarchesche52), di nuovi accertamenti. L’edizione fotografica, resa possibile come sempre dalla BAV e in particolare «dall’entusiastica e lungimirante adesione prima di p. Leonard Boyle e poi di mons. Raffaele Farina», come ricorda Brugnolo nella premessa, è del resto non a caso accompagnata 48

FRANCESCO PETRARCA, Rerum vulgarium fragmenta, con una nota al testo di G. CONTINI e indice dei capoversi, Parigi 1949. 49 FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, ed. commentata a cura di M. SANTAGATA, Milano, 1996; FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere, Rerum vulgarium fragmenta, a cura di R. BETTARINI, Torino 2005, 2 voll. 50 P. RAFTI, L’interpunzione del Petrarca. Saggio di analisi del “Codice degli abbozzi” (Vat. lat. 3196), Tesi di Dottorato in Paleografia, Università di Roma, La Sapienza, 1989; EAD., Alle origini dell’interpunzione petrarchesca, in Scrittura e civiltà 18 (1994), pp. 159-181. 51 FRANCESCO PETRARCA, Rerum vulgarium fragmenta. Codice Vat. lat. 3195, edizione in facsimile, Padova 2003 e Commentario, all’edizione in facsimile, a cura di F. BRUGNOLO – G. BELLONI – H. WAYNE STOREY – S. ZAMPONI, Padova 2004. 52 La lettera dell’originale dei Rerum vulgarium fragmenta, in Per leggere. I generi della lettura III, 5 (2003), pp. 67-134.

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da quella diplomatica procurata (sempre in un anniversario petrarchesco, il 1904) da Ettore Modigliani per incarico, ancora una volta, di Ernesto Monaci53: Brugnolo la definisce un «gioiello», ed in effetti è un vero modello di edizione diplomatica, promosso dallo stesso Monaci, cui non a caso si deve anche la fondazione della paleografia universitaria romana, come ricordava recentemente Armando Petrucci54. Giuseppe Savoca55 ha riaperto ora la questione del testo. Al di là delle soluzioni proposte dallo stesso Savoca (che rivendica modifiche, rispetto all’edizione Contini e successive, «in 3685 versi (cioè in quasi metà del Canzoniere, costituito da 7785 versi) per un complesso di 8455 variazioni puntuali»)56, è facile prevedere che l’autografo dei Rerum vulgarium fragmenta conservato alla BAV sarà oggetto di nuove ricerche nel prossimo futuro, malgrado le tante visitazioni e numerose edizioni esistenti, compresa quella fotografica dei primi del secolo57. Ritorniamo così, anche per Petrarca, a Monaci e a quella nuova visione del libro-manoscritto e alla filologia materiale da cui eravamo partiti, esplicitamente evocata da Furio Brugnolo nella Premessa al Commentario, nella quale offre tutto il ventaglio dei problemi ancora posti dall’autografo petrarchesco e delle ricerche da compiere. Il Vat. lat. 3195 si presenta infatti a Brugnolo, ancora e più che mai oggi, come rivestito da «una sorta di fascino misterioso, quasi sacrale: come se qualcosa in esso, e di esso, continui, malgrado tutto, a sfuggirci»58. E ciò malgrado sia, o forse perché è, ancora oggi «Un oggetto [...] carico di storia, di fatti, di implicazioni reali, con un’identità concreta e inconfondibile, segnato da un divenire lungo e tormentato e nello stesso tempo mirabilmente stabile e coerente, immune da guasti, errori e superfetazioni, perfetto anche nel suo aspetto grafico e codicologico e nei criteri che lo ispirano»59: quale dovette insomma apparire già a Coluccio Salutati che, come ha recentemente accertato Maddalena Signorini60, fu il primo possessore (e committente?) di una copia quasi 53 Il Canzoniere di Francesco Petrarca riprodotto letteralmente dal Cod. Vat. Lat. 3195 con tre fotoincisioni, a cura di E. MODIGLIANI, Roma, Società Filologica Romana, 1904. 54 FRANCESCO PETRARCA, Rerum vulgarium fragmenta. Codice Vat. lat. 3195 cit., p. 9. 55 G. SAVOCA, Il Canzoniere di Petrarca tra codicologia ed ecdotica, Firenze 2008; FRANCESCO PETRARCA, Rerum vulgarium fragmenta, ed. critica a cura di G. SAVOCA, Firenze 2008. 56 Ibid., p. xii. 57 L’originale del Canzoniere di Francesco Petrarca, Codice Vaticano latino 3195, riprodotto in fototipia, a cura della Biblioteca Vaticana, Milano, Hoepli, 1905. 58 FRANCESCO PETRARCA, Rerum vulgarium fragmenta. Codice Vat. lat. 3195 cit., p. 7. 59 Ibid. 60 M. SIGNORINI, Fortuna del “modello-libro” Canzoniere, in L’Io lirico: Francesco Petrarca. Radiografia dei Rerum vulgarium fragmenta, a cura di G. DESIDERI – A. LANDOLFI – S. MARINETTI (= Critica del testo 6,1 [2003]), pp. 133-154.

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in facsimile, riconosciuta nel Laurenziano Plut. XLI. 10, e come dovette riconoscere Pietro Bembo, che acquistò il 3195 dagli eredi di Petrarca, utilizzandolo nella sua aldina del 1501, rispettandone rigorosamente, e in piena coscienza del suo valore, la struttura e l’ordinamento, contrariamente a quanto avvenne dopo di lui61. Ma lo stesso Petrarca e i suoi autografi sono all’origine di un’altra fondamentale e fortunata tendenza della critica moderna, la “critica delle varianti”, forte ormai di più di 60 anni di esperienze nella versione “moderna”, ma in realtà ben più antica e parte anch’essa della storia della BAV. Già Armando Petrucci, uno dei grandi maestri frequentatori e studiosi della BAV, aveva richiamato l’attenzione, in un fondamentale lavoro del 1967, sull’edizione precoce e straordinaria, per acume e resa tipograficocritica, del codice degli abbozzi procurata nel 1642 da Federico Ubaldini: un modello la cui impronta ritroveremo solo in pieno Ottocento e nella prima metà del Novecento nell’edizione delle varianti di Schiller da parte di Karl Goedeke e di Leopardi da parte di Francesco Moroncini; un modello certo non ignorato da Angelo Romanò nella sua edizione degli abbozzi petrarcheschi62. Cesare Segre qualche anno fa63 lo ha giustamente considerato l’inventore della moderna critica delle varianti, grazie alla rappresentazione sistematica, mediante diversi caratteri tipografici, del testo e delle successive correzioni: «L’invenzione dell’Ubaldini consiste nel non raccogliere varianti da confrontare col testo definitivo del canzoniere, quello del Vat. lat. 3195, e nel fornire invece un quidsimile delle pagine del Petrarca, rappresentando tutte le fasi dell’elaborazione di ogni poesia, secondo l’esigenza non so quanto consapevole della totalità. E poiché lo studio delle varianti d’autore, che risale sino all’epoca classica, con scarsi mutamenti metodologici attraverso i secoli, s’impone col suo grosso valore euristico solo quando le varianti vengono affrontate nel loro sistema, occorre conferire all’Ubaldini un diploma di precursore»64. Se infatti lo stimolo originario a ragionare sulle varianti d’autore nel senso oggi invalso dovette venire a Contini dal lavoro di S. Debenedetti sull’Ariosto65 e se questi a sua volta, come l’Appel nell’edizione del 1891, s’ispirò a Ubaldini, «vien fatto di pensare che la metodologia variantistica, riportata giustamente a Debenedetti e Contini, debba riconoscere a Ubaldini il ruolo di 61

R. ANTONELLI, Rerum vulgarium fragmenta di Francesco Petrarca, in Letteratura italiana diretta da A. ASOR ROSA, Le Opere, I. Dalle Origini al Cinquecento, Torino, 1992, p. 399 segg. 62 A. ROMANÒ, Il codice degli abbozzi (Vat. Lat. 3196) di Francesco Petrarca, Roma 1955. 63 C. SEGRE, Petrarca e gl’incunaboli della critica genetica, in L’Io lirico cit., pp. 3-8. 64 Ibid., p. 3. 65 G. CONTINI, Come lavorava l’Ariosto (1937), ora in Esercizi di lettura sopra autori contemporanei con un’appendice su autori non contemporanei (1939), Torino 1974, pp. 232-241.

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pioniere»66. Qualcosa dunque di molto simile a quel che abbiamo potuto osservare, per quanto riguarda ciò che oggi si definisce “filologia materiale”, a proposito del lavoro di Colocci e continuatori vaticani intorno ai manoscritti delle origini italiane e romanze, ferme restando le differenze e gli sviluppi tipici e specifici della critica moderna, almeno relativamente agli scopi ultimi della ricerca67. Del resto, recensione al lavoro del Debenedetti a parte, il primo e fondamentale banco di prova “autonomo” della metodologia variantistica, fu dedicato da Contini, nel 1943, proprio a Petrarca e al codice degli abbozzi, il Vat. lat. 319668. È da Contini — come ricordava Segre — che nasce la moderna critica delle varianti (su evidenti suggestioni della linguistica saussuriana e ginevrina), come descrizione e comparazione delle varianti all’interno di un sistema e non più come osservazioni soggettivistiche sul progressivo passaggio, come ritenevamo gli umanisti, «da una lezione originaria ad una lezione migliore e magari ad una ancora migliore»69 e soprattutto come selezione dei tratti critici pertinenti, dunque significativi e non soggettivistici, ricavabili negli spostamenti interni al sistema: non come registro indifferenziato di tipo documentario, come nella critica genetica francese, evidentemente suggestionata dalla semiologia di Roland Barthes e dall’idea di una di fatto impossibile e soprattutto nonsignificativa «traversée des signes». Sarebbe peraltro riduttivo limitarsi soltanto ai grandi auctores e ai grandi monumenti letterari. È anche fondamentale valutare il peso del patrimonio volgare inesplorato o recentemente emerso, grazie ad alcune ricerche estensive condotte su tutta la collezione manoscritta, sull’esempio dei censimenti condotti sui fondi latini: si veda, per quanto riguarda sempre la letteratura italiana, l’immenso lavoro svolto da Fabio Carboni nella BAV, prima perfezionando l’incipitario della lirica italiana dei secoli XIII e XIV nel 197770 (lo ricordo con particolare piacere poiché fu una delle prime tesi di laurea che assegnai nel mio lavoro universitario, alla fine degli anni Sessanta, a Roma naturalmente, nell’Istituto di Filologia Romanza che fu di Monaci), e poi proseguendo con l’Incipitario della lirica italiana dal XIV al XX secolo71 e lo spoglio di una parte impressionante di 66

Ibid., p. 5. Sulla “filologia materiale” si veda ora La materialità della filologia, a cura di A. CADIOLI e M. L. MENEGHETTI, numero monografico di Moderna 2 (2008). 68 G. CONTINI, Saggio d’un commento alle correzioni del Petrarca volgare, Firenze 1943, poi in Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Torino 1970, pp. 5-31. 69 SEGRE, Petrarca e gl’incunaboli cit., p. 4. 70 F. CARBONI, Incipitario della lirica italiana dei secoli XIII e XIV, I. Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1977-1980 (Studi e testi, 277, 288). 71 CARBONI, Incipitario della lirica italiana dal XV al XX secolo, Città del Vaticano, Biblioteca 67

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ITALIANISTICA

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altre biblioteche italiane. Ciò che ha permesso, fra l’altro, la riscoperta in BAV di numerosi componimenti e opere sconosciute o ritenute perdute, come nel caso di Simone Prudenzani72. È un lavoro reso possibile non solo dalla grande disponibilità della BAV nell’accesso ai fondi ma anche grazie alla pubblicazione dei risultati in un’eccezionale serie all’interno di quella collana «Studi e testi» nella quale sono condensati decenni di ricerche in tutti i campi, italianistica compresa73. Qualcosa di buono si potrà forse ricavare, in una prospettiva analoga, anche dal censimento dei manoscritti vaticani latini e romanzi del XIII secolo, ovvero di un secolo-chiave per la storia della letteratura e della cultura italiana, avviato da R. Antonelli alcuni anni fa e recentemente ripreso, allargandola anche ad altre biblioteche italiane ed europee, da un giovane ricercatore della “Sapienza”74. Concludendo, quale ultima indicazione trarre da questa pur sintetica e limitata carrellata? Proprio nell’epoca in cui la riproducibilità tecnica ha mutato radicalmente il quadro della cultura umanistica e i rapporti fra Autore e Lettore, i manoscritti, autografi e apografi, conservano ancora, nella società postmoderna, non solo l’“aura” dell’Originale, soltanto incrinata dalla riproducibilità dell’opera d’arte e dei beni documentari (edizioni fotografiche, edizioni diplomatico-interpretative, edizioni interpretative, edizioni critiche, con la loro progressiva entropia, ma anche con le nuove possibilità che offrono), ma si dimostrano l’unico Luogo ove sia possibile capire in re, nel dato materiale, ragioni ed evoluzioni del testo letterario, quel nesso insomma fra tradizione e innovazione che è una delle basi fondanti della ricerca letteraria, artistica e culturale. La Biblioteca Vaticana si conferma dunque e ancora quale luogo di ricerca ineludibile e quale punto d’incontro fra diverse prospettive culturali e metodologiche, italiane e internazionali. “Aura” e Dasein fissano la lunga catena della Tradizione, anche nei periodi più difficili della storia europea: la BAV è, oserei dire da sempre, il Luogo dell’auctoritas e dell’aura, ma anche della ricerca e dell’innovazione, consegnata non solo alla lunga serie di studi sulla letteratura italiana pubblicata nella collezione «Studi e testi» della BAV, ma anche a quanto dalla BAV è nato, come luogo elettivo d’incontro e di dialogo fra diverse culture e diverse metodologie.

Apostolica Vaticana, 1982-1994 (Studi e testi, 297-299, 299bis, 321, 330, 334-335, 349-350, 370-372). 72 S. DE’ PRODENZANI, Rime, ed. crit. di F. CARBONI, Manziana 2003. 73 Il catalogo completo è on line sul sito della BAV. 74 Manoscritti latini e romanzi del XIII secolo, in La Filologia Romanza e i codici cit., I, pp. 71-89; la ricerca è tuttora in corso, grazie alla tesi dottorale di Lorenzo MAININI, presso il Dottorato in Filologia e Letterature Romanze e Slave dell’Università “Sapienza” di Roma.

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STORIA DELL’ARTE E DELLA MINIATURA (SECOLI V-XIV) Alla cara memoria di Padre Leonard Boyle, frate domenicano, studioso, prefetto della Biblioteca

L’onore di riferire al pubblico e agli studiosi qui presenti la recente storiografia storico-artistica sui fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana implica anche un onere e un rischio non trascurabili, che tutti facilmente comprenderanno1. Onere e rischio viaggiano infatti sul medesimo binario della straordinaria importanza dei fondi di questa biblioteca, che con crescente e moltiplicato impegno di ricerca lungo gli scorsi decenni, ovvero lungo il secolo scorso, sia da parte degli studiosi ‘interni’, sia da parte degli studiosi ‘utenti’, ha dato luogo a una enorme quantità di pubblicazioni che li hanno in larga misura documentati. I materiali di pertinenza dello storico dell’arte coprono non solo un arco cronologico che dal IV secolo giunge fino ai nostri tempi, ma anche 1 Nelle seguenti note le referenze bibliografiche riguardano, con minime eccezioni, solo i principali studi sull’apparato illustrativo dei codici. Si è comunque sempre cercato di indicare sia gli studi “storico-artistici” principali, sia i testi con adeguata bibliografia di riferimento (con particolare attenzione a quelli di grandi mostre, e di quelle vaticane in primis) per evitare note di straripante estensione. Qui di seguito i cataloghi a cui farò costante riferimento: Bibliotheca Palatina, cat. della mostra (Heidelberg 1986), hrsg. von E. MITTLER, Heidelberg 1986; Biblioteca Apostolica Vaticana. Liturgie und Andacht im Mittelalter, cat. della mostra (Köln 1992-1993) Köln 1992; Vedere i Classici. L’illustrazione libraria dei testi antichi dall’età romana al tardo medioevo, cat. della mostra (Città del Vaticano 1996-1997), a cura di M. BUONOCORE, Roma 1997; Diventare Santo. Itinerari e riconoscimenti della santità tra libri, documenti e immagini, cat. della mostra (Città del Vaticano 1998-1999), a cura di G. MORELLO – A. M. PIAZZONI – P. VIAN, Città del Vaticano – Cagliari 1998; 799. Kunst und Kultur der Karolingerzeit, cat. della mostra (Paderborn 1999), hrsg. von CHR. STIEGEMANN – M. WEMHOFF, Mainz a. Rh. 1999; Le Bibbie Atlantiche, cat. della mostra (Montecassino – Firenze 2000-2001) a cura di M. MANIACI – G. OROFINO, Roma 2000; I Vangeli dei Popoli, cat. della mostra (Città del Vaticano 2000), a cura di F. D’AIUTO – G. MORELLO – A. M. PIAZZONI, Città del Vaticano 2000. Vista l’ampiezza dell’arco cronologico e territoriale dei manoscritti citati mi sono avvalso anche della pazienza e collegialità di studiosi, colleghi e amici, cui ho fatto leggere il mio testo per incorrere il meno possibile in disinformazioni o imprecisioni, pur restando mia ogni responsabilità. A tutti loro il mio ringraziamento.

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 213-272.

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un’estensione che comprende oltre l’Europa, ma più sporadicamente, anche altri continenti, dall’America all’Africa e altrove. È inevitabile quindi che nella sintesi che mi è stata affidata io debba circoscrivere tempi e luoghi, pur consapevole che questa circoscrizione sarà non solo ingiusta verso i tempi e i luoghi esclusi, ma anche verso gli stessi tempi e luoghi privilegiati, talmente vasti sono i fondi della Biblioteca. Mi limiterò, per le ragioni appena esposte, a un ritaglio crono-topografico dell’Europa medievale fra IV e XIV secolo, dividendolo in tre sezioni cronologiche (1. fino all’anno 1000; 2. I secoli XI e XII; 3. I secoli XIII e XIV) e circoscrivendolo sostanzialmente ai codici latini, quelli greci implicando altrimenti un’estensione che farebbe esplodere le ineliminabili esigenze di stampa2. In proposito valga qui solo ricordare in una sequenza grosso modo cronologica i titoli o segnature dei manoscritti più straordinari: la Topografia cristiana di Cosma Indicopleuste, Vat. gr. 699, il Rotolo di Giosué Pal. gr. 431 ca. 950, la “Bibbia di Leone” Reg. gr. 1B ca. 940, il cd. Menologio di Basilio II Vat. gr. 1613 ca. 985, l Salteri Barb. gr. 320 e 372, le Omelie di Giacomo di Kokkinobaphos Vat. gr. 1162, ca. 1125-1150, il Tetraevangelo comneno Urb. gr. 2, i Vangeli di Giovanni II ed Alessio Comneni Urb. gr. 2, ca. 1128, il Salterio Pal. gr. 381B, il Tetraevangelo di Innocenzo VIII Vat. gr. 1158, il Praxapostolos di Innocenzo VIII Vat. gr. 12083. Se questa è la “qualità”, la “quantità” non è da meno, dal momento che, almeno per quanto riguarda i codici miniati, i fondi vaticani sono solo inferiori al complesso dei fondi atoniti e a quelli della Biblioteca Nazionale di Parigi, ma è comunque quella con la maggiore densità di insostituibili capolavori. Per la medesima ragione dovrò tacere sui codici scritti in altre lingue. È chiaro che, anche se in qualche modo inavvertitamente, il mio percorso espositivo è stato tentato dal privilegiare ambiti di mia maggiore conoscenza, che ho tuttavia almeno tentato di integrare ed ampliare, con un lavoro sistematico, ma di certo incompleto, su quelle pubblicazioni scientifiche che d’un lato offrono importanti acquisizioni conoscitive, d’altro lato documentano l’importanza delle opere stesse in contesti di più ampio respiro; un’importanza tale da farci facilmente percepire quanto ne sarebbe grave l’assenza o la perdita per la storia della cultura dell’umanità 2 Come si vedrà, farò solo un paio di eccezioni nei casi che implicano la possibilità di loro esecuzione fra Italia meridionale e Roma. 3 Nella straripante bibliografia mi limito a ricordare il ‘classico’ riferimento d’obbligo: V. LAZAREV, Storia della pittura bizantina, Torino 1965, da integrare con cataloghi delle mostre, fra i quali in primis alcuni di quelli appena citati nella nota 1, cui potrà aggiungersi The Glory of Byzantium. Art and Culture of the Middle Byzantine Era, A.D. 843-1261 (New York 1997), edited by H. C. EVANS and W. D. WIXOM, New York 1997.

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intera, non solo della cultura cristiana che ne è apporto fondante, ma anche del paganesimo e della laicità. Dalle origini all’anno 1000 Proprio con il riferimento al mondo pagano, con il quale la cultura figurativa cristiana è inestricabilmente connessa, è opportuno iniziare, anche perché è un ambito che ci conduce proprio alle date iniziali di questo percorso, forse ancora al secolo dell’editto costantiniano, di sicuro al seguente. Mi riferisco naturalmente al “Virgilio vaticano”, Vat. lat. 3225 (Tav. I), codice che si ritiene eseguito a Roma in uno dei due ventenni di fine IV e inizio V secolo, che l’assenza di una sicura testimonianza ci impedisce di precisare4. Le sue impaginature narrative hanno per noi quel valore esemplare, che a una data certa, nel quarto decennio del V secolo, ci ribadiscono i mosaici di navata di Santa Maria Maggiore, senza che da essi, o da altri testi, ne possa discendere la risposta della sicura cronologia5. È comunque indiscutibile che anche sulla base dell’esistenza di queste miniature, e di quei mosaici, che l’occhio degli storici dell’arte può cercare e ha cercato di verificare l’originaria sostanza di V secolo degli affreschi leoniani sulle navate di San Paolo fuori le mura, restaurati a fine XIII secolo, perduti per la distruzione ottocentesca e conosciuti grazie alle copie di XVII secolo, nei Barb. lat. 4406 e 44076. Tutti sappiamo che al “Virgilio vaticano”, verosimile committenza dell’aristocrazia senatoriale intorno al 400, si affianca il “Virgilio romano”, Vat. lat. 3867, che segue un’altra tradizione illustrativa7. Di un secolo, o 4 TH. B. STEVENSON, Miniature decoration in the Vatican Vergil. A study in late antique iconography, Tübingen 1983; A. GEYER, Die Genese narrativer Buchillustration. Der Miniaturenzyklus zur Aeneis im Vergilius Vaticanus, Frankfurt 1989; Vergilius Vaticanus. Vollständige Faksimile-Ausgabe im Originalformat des Codex Vaticanus Latinus 3225, Graz 1980 (commento di D. H. WRIGHT, Graz 1984); D. H. WRIGHT, Der Vergilius Vaticanus. Ein Meisterwerk spätantiker Kunst, Graz 1993; Vedere i Classici, cat. cit., pp. 142-148 n. 1 (D. H. WRIGHT). 5 E. KITZINGER, Byzantine Art in the Making, London 1977, pp. 66-75; FL. MÜTHERICH, Die illustrierten Vergil-Handschriften der Spätantike, in Würzburger Jahrbücher für Altertumswissenschaft 8 (1982), pp. 205-221 [= Studies in Carolingian Manuscript Illumination, London 2004, VII, pp. 266-293]. 6 ST. WAETZOLDT, Die Kopien des 17. Jahrhunderts nach Mosaiken und Wandmalereien in Rom, Wien – München 1964. Per la più recente discussione delle “copie barberiniane” e di altra documentazione pure conservata nella Biblioteca vd, in merito alla basilica di San Paolo fuori le mura: H. L. KESSLER, Seroux’s Decadent Column Capital and other Pieces in the Puzzle of S. Paolo fuori le mura in Rome, in Arte medievale 2004/1, pp. 9-34. Per un’agile sintesi vd. anche H. L. KESSLER – J. ZACHARIAS, Rome 1300. On the path of the pilgrim, New Haven – London 2000, pp. 158-218. 7 CH. EGGENBERGER, Die Miniaturen des Vergilius Romanus, Codex Vat. Lat. 3867, in Byzan-

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poco più, posteriore, fu approntato a Roma o a Ravenna intorno al volgere del V nel VI secolo, senza che a rigore l’una o l’altra localizzazione, ambedue autorevolmente proposte, sia dimostrabile, per grafia o per analisi figurativa. Labili comunque le ragioni per la prima alternativa, fondata sull’eccezionalità delle sue dimensioni e la qualità della pergamena. Resta comunque il fatto che insieme, il “Vaticano” e il “Romano”, sono i due più antichi codici illustrati dell’opera virgiliana, ambedue conservati nei fondi vaticani. Fra gli altri codici di testi antichi devono essere ricordati alcuni altri, agevolati oltretutto dall’esemplare ricognizione critica di Marco Buonocore in occasione della mostra nel Salone Sistino del 1996-19978. In primo luogo dunque il “Terenzio”, Vat. lat. 3868 (Tav. II), attribuito a scrittorio imperiale della corte di Ludovico il Pio nel terzo decennio del IX secolo, “la migliore delle quattro copie illustrate conosciute di uno stesso esemplare tardoantico perduto”9. Esponente di una messinscena narrativa e fortemente gestuale, ancor di recente sottolineata, del codice (o di suoi simili) è stata anche proposta la valenza di modello per l’affresco della pazzia dei servi di Sisinnio nella basilica di San Clemente10. Di certo le strisce ‘teatrali’ offrono comunque un campionario di gesti e di espressività scenica, che, combinati con la qualità pittorica delle immagini, fanno certamente di questo codice una tappa di significativa mediazione ed ineliminabile importanza per la figuratività medievale, non solo occidentale, e le sue radici antiche11. tinische Zeitschrift 70 (1977), pp. 58-90; Vergilius Romanus, Kommentarband zur FaksimileAusgabe des Cod. Vat. Lat. 3867, Zürich 1986 (ivi, in part.: C. BERTELLI, Die Beschreibung der Miniaturen, pp. 84-102; ID., Die Illustrationen des Vergilius Romanus im historischen und künstlerischen Kontext, pp. 103-150); Vedere i Classici, cat. cit., pp. 150-156 n. 2 (D. H. WRIGHT); D. H. WRIGHT, The Roman Vergil and the Origins of Medieval Book Design, London 2001. 8 Si tratta della mostra cui si è qui fatto riferimento sin dalla nota 1. 9 Vedere i Classici, cat. cit., pp. 168-176 n. 8 (D. H. WRIGHT); Kunst und Kultur cit., II, pp. 719-722 n. X.18 (A. SCHMID); D. H. WRIGHT, The lost late antique illustrated Terence, Città del Vaticano 2006. Ne ricordo anche la copia forse turonense di inizi XII secolo, Vat. lat. 3305, per la quale cfr. Vedere i Classici, cat. cit., pp. 218-223 n. 27 (D. H. WRIGHT). 10 Per la “ripresa” romana vd. S. ROMANO, Commedia antica e sacra rappresentazione. Gli affreschi con «storie di san Clemente» nella basilica inferiore di San Clemente a Roma, in Figura e racconto. Narrazione letteraria e narrazione figurativa in Italia dall’antichità al primo rinascimento / Figure et récit: narration littéraire et narration figurative en Italie de l’Antiquité à la première Renaissance. Atti del Convegno di studi (Losanna 2005), progetto e direzione di M. PRALORAN e S. ROMANO, Firenze 2009, pp. 53-88 (si illustrano qui alla tav. II le scene citate dalla studiosa). Ma vd. anche, sui caratteri di gestualità nella tradizione illustrativa dei testi classici, G. M. FACHECHI, I classici illustrati: forme di visualizzazione dei testi teatrali antichi nel medioevo, in Rivista di storia della miniatura 5 (2000), pp. 17-27. 11 Vd. per una recente indagine sul versante bizantino M. BERNABÒ, Dalla Commedia Nuova all’iconografia cristiana: il recupero dell’antico a Bisanzio nel IX secolo, in Medioevo. Il tempo

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Ricordo naturalmente che non sono solo i poemi o le opere teatrali, ma anche le opere di scienza a occupare un posto di rilievo per la conoscenza dei testi antichi, tale essendo per esempio il caso di altro codice pur esso dell’iniziale IX secolo e anch’esso collegato all’ambiente della corte imperiale di Aquisgrana, ovvero il “Corpus agrimensorum”, Pal. lat. 156412. La Biblioteca Vaticana conserva fra i suoi fondi altri codici che sono pietre miliari della straordinaria attività degli scriptoria carolingi, sulla quale con gli studi degli ultimi decenni si è raggiunta una conoscenza di straordinaria competenza e intelligenza13. Il capolavoro più alto in termini di qualità ne è il celeberrimo Libro dei Vangeli di Lorsch, Alba Iulia, Biblioteca Batthyáneum, ms. R.II.1 + Pal. lat. 50, ultimo codice della Scuola di corte di Carlo Magno14 (Tav. III); mentre di particolare importanza per esserne la più antica delle copie conosciute è il “De laudibus sanctae crucis” di Rabano Mauro, Reg. lat. 124, esemplato alla metà del terzo decennio forse a Fulda15. Questo esemplare vaticano, dedicato a s. Martino e al papa, Gregorio IV, è noto anche per la sua immagine dell’imperatore Ludovico il Pio come miles Christianus, con la mano destra che regge la croce astata, piuttosto che lo scettro (Tav. IV): l’immagine è posta sulla piena pagina, caratterizzata dal sistema dei versi figurati, secondo una prassi che risaliva al poeta costantiniano Optaziano Porfirio, ancora una volta testimoniando lo studio di modelli librari antichi. Alla successiva

degli antichi. Atti del Convegno internazionale di studi (Parma 2003), a cura di A. C. QUINTAVALLE, Parma – Milano 2006, pp. 208-219. 12 FL. MÜTHERICH, Der karolingische Agrimensoren-Codex in Roma, in Aachener Kunstblätter 45 (1974), pp. 59-74 [= Studies cit., V, pp. 118-146]; Palatina, cat. cit., pp. 129-130 n. C7.1 (W. BERSCHIN – J. F. HANSELMANN); Vedere i Classici, cat. cit., pp. 177-183 n. 9 (L. TONEATTO); Kunst und Kultur, cat. cit., pp. 716-719 n. X.17 (K. BIERBRAUER). 13 Die karolingischen Miniaturen, hrsg. von W. KOEHLER – FL. MÜTHERICH, I-VI, Berlin 1930-1999; VII, Wiesbaden 2009. Fra le sintesi più recenti della questione critica: FL. MÜTHERICH, Die Erneuerung der Buchmalerei am Hof Karls des Grossen, in Kunst und Kultur, cat. cit., III, pp. 560-609; J.-P. CAILLET, La classification des manuscrits carolingiens, in Cahiers archologiques 53 (2009-2010), pp. 33-47. 14 Karolingischen Miniaturen cit., II/1, Berlin 1958, pp. 88-100; Bibliotheca Palatina, cat. cit., pp. 120-121 n. C 4.3 (H. KAISER-MINN); Biblioteca Apostolica Vaticana, cat. cit., pp. 74-77 n. 6 (U. SURMANN); Kunst und Kultur, cat. cit., II, pp. 727-733 n. X.22, (K. BIERBRAUER); Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 185-189 n. 28 (C. ALBARELLO). Facsimile: Das Lorscher Evangeliar, Biblioteca Documentarä Batthyáneum, Alba Iulia, Ms R II 1; Biblioteca Apostolica Vaticana, Codex Vaticanus Palatinus Latinus 50. [I. Faksimile-Edition]; [II]. Kommentar, K. BIERBRAUER et al.; hrsg. H. SCHEFERS, Luzern, Faksimile Verlag Luzern, 2000 (Codices e Vaticanis selecti, 44). 15 FL. MÜTHERICH, Die Fuldaer Buchmalerei in der Zeit des Hrabanus Maurus, in Hrabanus Maurus und seine Schule: Festschrift der Hrabanus Maurus Schule, hrsg. von W. BÖHNE, Fulda 1980, pp. 94-125 [= Studies cit., XII, pp. 374-416]; Kunst und Kultur, cat. cit., I, pp. 56-59 n. II.14 (K. BIERBRAUER).

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“Scuola di corte”, di Lotario, spetta invece l’Evangelario Urb. lat. 316. Al ritaglio degli scrittori tedeschi di marca insulare, pur sempre attivi nei territori imperiali, per la precisione a Fulda, è stato assegnato l’Evangelario Vat. lat. 41, allestito nel I quarto del IX secolo, giunto a Roma, come si evince da diverse annotazioni, sin dall’XI secolo17. Di età, ma non di stretto ambito artistico carolingio, sono anche i Vangeli Pal. lat. 46, sottoscritti da un “Jonathan clericus”, forse scriba e miniatore, le cui interessanti anche se non spettacolari iniziali miniate e tavole dei canoni evidenziano tutti i problemi di una specifica localizzazione tedesco-mosana di IX secolo ancora una volte segnata ‘anche’ da modelli insulari18. Nei fondi vaticani non mancano codici di grandissima importanza per testimoniare la precedente attività degli scriptoria franchi, pur se essi, naturalmente, hanno la maggiore documentazione nelle biblioteche francobritanniche. Va da sé che il Sacramentario gelasiano, Reg. lat. 316, allestito a Chelles a metà VIII, secolo ha un’importanza che trascende quella dell’analisi storico-artistica, ma anch’essa, per qualità e razionalità progettuale dell’apparato decorativo è altamente e non meno significativa19. Qui, come nell’Hexaemeron parigino lat. 12135 della Bibliothèque nationale de France, l’apparato si avvale di stilizzate forme vegetali e, soprattutto, di un repertorio zoomorfico che struttura e affianca figure e iniziali implicando, se non pure esplicitando, anche in ciò un riferimento al mondo della natura che altro non è che un riferimento alla Creazione, come sarà siglato, pochi decenni dopo, da Scoto Eriugena quando scrive: “Con i tuoi sensi corporei osservi le forme e la bellezza delle cose visibili; in essi la tua intelligenza riconoscerà il verbo di Dio”20. Di tale apparato decorativo un 16 Die Karolingischen Miniaturen cit., IV/1, Berlin 1971, pp. 60-65; Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 193-195 n. 32 (P. CHERUBINI). 17 A. WEINER, Die Initialornamentik der deutsch-insularen Schulen im Bereich von Fulda, Würzburg und Mainz, Würzburg 1992; Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 189-191 n. 29 (E. CONDELLO). 18 L. NEES, The Jonathan Gospels (Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Pal. Lat. 46), in Tributes to Jonathan J. G. Alexander. The Making and Meaning of Illuminated Medieval & Renaissance Manuscripts, Art & Architecture, ed. by S. L’ENGLE – G. B. GUEST, Turhout 2006, pp. 85-98. 19 Per le iniziali di questo e altri codici altomedievali il riferimento primario è al ben noto studio di C. NORDENFALK, Die spätantiken Zierbuchstaben, Stockholm 1970. Per più recenti occasioni di studio cfr. Vaticana, cat. cit., pp. 64-67 n. 3 (K. BIERBRAUER); Kunst und Kultur, cat. cit., pp. 784-787 n. XI.2 (K. BIERBRAUER). Vd. inoltre il facsimile: Sacramentarium Gelasianum e Codice Vaticano Reginensi Latino 316 [introd. di L. MICHELINI TOCCI – B. NEUNHEUSER]. I-II, Città del Vaticano 1975 (Codices e Vaticanis selecti, 38). 20 X. MURATOVA, Alle origini dell’iniziale zoomorfa, in L’VIII secolo: un secolo inquieto. Atti del Conv. int. di studi (Cividale del Friuli 2008), a cura di V. PACE, Cividale del Friuli 2010, pp. 305-312 (cit. da p. 310).

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altro codice vaticano, il Missale Gothicum Reg. lat. 317, espone una formulazione più acerba21. Per l’area insulare un suo caposaldo è a sua volta l’Evangelario Barb. lat. 570, della seconda metà dell’VIII secolo, ma di incerta localizzazione, fra Northumbria, Inghilterra meridionale e Mercia22. Interessante per più inusuali dettagli iconografici, che hanno sollecitato la ricerca dei modelli immediati o piuttosto mediati, come nel caso dell’inversione dei simboli di Marco e Luca nella I tavola dei canoni o dei quattro evangelisti tuttti barbati, presenta anche una precoce e rara immagine simbolica del peccatore, sorprendentemente infilata peraltro nell’asta centrale della I tavola dei canoni (Tav. V), secondo una formula che sarà soprattutto ripresa nella scultura monumentale23. Entro il X secolo qualche altra sporadica citazione non potrà comunque dimenticare i mss. astronomici Vat. lat. 645 e Reg. lat. 309, dipendenti verosimilmente da un manuale di calcolo astronomico composto agl’inizi del IX secolo alla corte di Carlo Magno24; oppure il Martirologio di Wandalberto Reg. lat. 438 pur esso copia del terzo quarto del IX secolo, eseguita in uno scriptorium della Reichenau ed esemplata su un originale dell’848 per l’imperatore Lotario, particolarmente importante per le sue rappresentazioni dei Mesi, ulteriore testimonianza dell’attenzione ai modelli della cultura antica25; o, ancora, il Salterio ambrosiano Vat. lat. 83, strettamente associato al Clm 343 della Staatsbibliothek di Monaco e di controversa assegnazione, sia alla possibile committenza dell’arcivescovo 21

Vaticana, cat. cit., pp. 62-63 n. 2 (K. BIERBRAUER); Kunst und Kultur, cat. cit., pp. 782784 n. XI.1 (K. BIERBRAUER). 22 J. J. G. ALEXANDER, Insular Manuscripts. 6th to the 9th century, London 1978 (A Survey of manuscripts illuminated in the British isles, 1), pp. 61-62 n. 36; Vaticana, cat. cit., pp. 70-73 n. 5 (J. J. G. ALEXANDER); Kunst und Kultur, cat. cit., II, pp. 446-449 n. VII,13 (K. BIERBRAUER); Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 179-180 n. 24 (V. LONGO). 23 Per una breve discussione dell’immagine, confrontata con il ben più tardo chiostro romano di San Giovanni in Laterano, dove il contesto di condanna del peccato è piuttosto chiaro, vd. V. PACE, Immagini della sessualità nel Medioevo italiano, in Medioevo: immagini e ideologie, Atti del Conv. int. di studi (Parma 2002), a cura di A. C. QUINTAVALLE, Milano 2005, pp. 630-643. Già ALEXANDER, Insular Manuscripts cit. p. 61 aveva giustamente sottolineato che “The inclusion of such a figure in this context is unexplained”. 24 F. MANCINELLI, I codici miniati della biblioteca capitolare di Monza e i loro rapporti con gli scriptoria milanesi dal IX al XIII secolo, in Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte 16 (1969), pp. 108-208. Il Vat. lat. è databile intorno all’813, dunque immediatamente dopo l’originale “composto alla corte di Carlo Magno intorno all’810”, mentre il Reg. lat. 309 al X. Per una recente discussione dei manoscritti astronomici (incentrata su un esemplare veronese, dove non manca un richiamo al Vat. lat. 645) vd. F. TONIOLO, Civiltà medievale e memoria dell’antico: le “imagines” dello Pseudo Beda della Biblioteca Antoniana di Padova (ms. 27), in Medioevo. Il tempo degli antichi cit., pp. 232-242. 25 Vaticana, cat. cit., pp. 82-83 n. 8 (K. BIERBRAUER).

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milanese Ansperto (868-881), sia al X secolo, di recente favorita, con la proposta di una data al 950 circa26; o, infine, giungendo al “Sud”, il più antico e prezioso fra gli “Exultet”, il rotolo beneventano Vat. lat. 9820, degli anni 985-98727. Con una citazione a parte (vista la mia dolorosa decisione di escludere i codici greci da questa trattazione), vorrei comunque concludere questa sezione altomedievale almeno ricordandone due, il primo, significativamente caratterizzato da iniziali zoomorfe, è il Vat. gr. 1666, con i “Dialoghi” di Gregorio Magno, di cui è stata proposta e ripetutamente accolta una referenza romana alla sicura data dell’anno 80028; il secondo è il ben noto “Giobbe vaticano”, Vat. gr. 749, la cui stretta inerenza con i fatti figurativi romani del IX secolo ne ha appunto motivato anche l’ascrizione a scrittorio dell’Urbe29. I secoli XI e XII Tentando una ripartizione in macroaree nell’ambito cronologico fra XI e XII secolo è opportuno rivolgere adesso l’attenzione ai territori imperiali, per la grande importanza dei suoi scriptoria nell’età tardo-ottoniana e immediatamente successiva, nei fondi vaticani esemplati al massimo livello dal Libro dei Vangeli Ott. lat. 7430. Se questo “Evangelium imperatoris” 26

Vaticana, cat. cit., pp. 84-85 n. 9 (V. PACE); G. ZANICHELLI, La sapienza degli angeli: Nonantola e gli scriptoria collegati fra VI e XII secolo, in La sapienza degli angeli. Nonantola e gli Scriptoria padani nel Medioevo, cat. della mostra (Nonantola 2003), a cura di G. ZANICHELLI e M. BRANCHI, Modena 2003, p. 32; F. CRIVELLO, Die Buchmalerei in Oberitalien unter den letzten Karolingern und den Ottonen, in Zeitschrift des deutschen Vereins für Kunstwissenschaft 58 (2004), pp. 171-196. 27 H. BELTING, Studien zur beneventanischen Malerei, Wiesbaden 1968; Vaticana, cat. cit., pp. 158-161 n. 30 (B. BRENK); Exultet-Rolle. Vollständige Faksimile-Ausgabe in Originalgrösse des Codex Vat. Lat. 9820 der Biblioteca Apostolica Vaticana. Kommentarband: H. DOUTEIL – F. VONGREY. I-II, Graz 1974; B. BRENK, Bischöfliche und monastische “Committenza” in Süditalien am Beispiel der Exultetrollen, in Committenza e produzione artistico-letteraria nell’alto medioevo occidentale, Atti delle Settimane di studio del Centro Italiano di studi sull’alto medioevo, 39, Spoleto 1992, pp. 275-300; N. ZCHOMELIDSE, Drei mittelalterliche Schriftrollen aus Benevent, in Marburger Jahbuch für Kunstwissenschaft 24 (1997), pp. 9-24 (“Kunst als ästhetisches Ereignis”). Sui rotoli di “Exultet” vd. ancora, infra, alle note 45-47. 28 A. GRABAR, Les manuscrits grecs enluminés de provenance italienne (IXe-XIe siècles), Paris 1972, pp. 30-31 n. 10; J. OSBORNE, The Use of Painted Initials by Greek and Latin Scriptoria in Carolingian Rome, in Gesta 29 (1990), pp. 76-85. 29 GRABAR, Manuscrits grecs cit., pp. 16-20 n. 1; H. BELTING, Byzantine Art among Greeks and Latins in Southern Italy, in Dumbarton Oaks Papers 28 (1974), pp. 1-29; G. CAVALLO, La cultura italo-greca nella produzione libraria, in I Bizantini in Italia, Milano 1982, pp. 495-612; M. BERNABÒ, Cinquantaquattro dipinti romani della prima metà del IX secolo inediti o poco noti. Prima l’iconografia, poi lo stile, in Segno e testo 1 (2003), pp. 309-331; ID., Le miniature per i manoscritti greci del libro di Giobbe, Firenze 2004. 30 H. BLOCH, Montecassino, Byzantium and the West in Earlier Middle Ages, in Dumbarton

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come definito negl’inventari dell’abbazia cassinese, è davvero (come vuole l’antica tradizione locale) quello ad essa donato dallo stesso imperatore Enrico II, la sua data sarebbe ancorata con certezza all’ad quem del 1024 (data di morte dell’imperatore) mentre l’a quo del 1022 (data di malattia del sovrano al seguito della cui guarigione sarebbe stato dato in dono) può verosimilmente valere a circoscriverne la donazione, ma non l’esecuzione (a Ratisbona), altrimenti serrata in tempi troppo stretti. Il codice è famoso non solo per la qualità delle sue miniature, ma anche per il ritratto dell’imperatore (Tav. VI), perno di un sofisticato programma ideologico, di potere e di giustizia, che lo ha significativamente fatto accostare, come possibile modello di riferimento, al programma della Porta federiciana di Capua, non potendosi nemmeno escludere che esso, sottratto all’abbazia sin dal 1126 come attestato nel Chronicon, fosse in seguito appartenuto a Federico II stesso31. Altro importante codice del medesimo torno di tempo, eseguito nello scriptorium di Fulda nel primo quarto dell’XI secolo, è poi il Sacramentario, Vat. lat. 3548, testimone di un programma iconografico in stretta simbiosi con le esigenze liturgiche, appartenente a una ‘famiglia’ composta da manoscritti in gran prevalenza di poco anteriori o coevi, a Göttingen (Universitätsbibliothek, cod. Theol. 231), a Bamberga (Staatl. Bibliothek, ms. Lit. 1), a Udine (Bibl. Capitolare, ms. 1), a Lucca (Bibl. Governativa, ms. 1275) e altrove (fra i quali il Vat. lat. 3806, il Pal. lat. 1341 e il Reg. lat. 441)32; ancor più che negli altri, colpisce qui per coerenza scenografica e compostezza compositiva il ricorso all’inquadratura scenica con colonne (Tav. VIIa) vero e proprio espediente ‘teatrale’, mentre la sua qualità stilistica ne ha sollecitato confronti con il paliotto aureo della Cappella Palatina di Aquisgrana33. All’aprirsi del secondo millennio l’area insulare è esemplata da due codici allestiti a Canterbury nel suo secondo quarto, il Salterio da Bury St. Edmunds, Reg. lat. 12, e il “Prisciano” Ross. 500. Il primo è caratterizzato dai suoi disegni marginali a penna, nella lontana tradizione del Salterio Oaks Papers 3 (1946), pp. 163-224, in part. pp. 177-187 (oppure ID., Montecassino in the Middle Ages, Roma 1986, I, in part. pp. 19-30); Vaticana, cat. cit., pp. 92-95 n. 13 (U. SURMANN); Regensburger Buchmalerei. Von frühkarolingischer Zeit bis zum Ausgang des Mittelalters, cat. della mostra (München – Regensburg 1987), red. FL. MÜTHERICH – K. DACHS, München 1987, pp. 34-35 n. 18 (U. KUDER); Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 225-228 n. 45 (L. SPECIALE). 31 J. WOLLESEN, A Pictorial Speculum Principis: the Image of Henry II in cod. Bibl. Vat. Ottobonensis lat. 74, fol. 139v, in Word and Image, 5/1 (1989), pp. 85-110. 32 E. PALAZZO, Les sacramentaires de Fulda. Étude sur l’iconographie et la liturgie à l’époque ottonienne, Münster 1994; Vaticana, cat. cit., pp. 96-99 n. 14 (U. SURMANN). 33 H. SCHNITZLER, Fulda oder Reichenau, in Wallraf-Richartz-Jahrbuch 19 (1957), pp. 39132. Non si può qui nemmeno dimenticare l’estrema eleganza delle iniziali incipitarie delineate in oro con rabescature vegetali argentee (o viceversa) che costellano l’intero codice.

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di Utrecht, fra i quali particolarmente interessanti sono sia l’Ascensione al f. 73v, dove la scomparsa del Cristo è stata significativamente suggerita tagliandone la figura con il margine stesso della pergamena (Tav. VIII), sia la rappresentazione della Trinità (f. 88r), ma anche da belle iniziali, nell’asta di una delle quali, la B del Beatus vir (f. 21r), è eccezionale la rappresentazione del monaco-miniatore, una volta persino identificato da un’iscrizione adesso lacunosa34. l’altro è il “Prisciano”, Ross. 500, alcune delle cui iniziali mostrano bene la straordinaria verve inventiva dello scriptorium della cattedrale35. Alla Francia di inizio secolo, forse da Tours, proviene invece lo straordinario “Terenzio”, Vat. lat. 3305, con un ciclo di illustrazioni che il miniatore dové basare “sulle sue letture e sulla sua immaginazione”, ispirandosi probabilmente a una copia del perduto Terenzio tardoantico illustrato36. Al di là dei Pirenei invece è la Bibbia di Ripoll, Vat. lat. 5729, a lungo erroneamente ritenuta di provenienza da Farfa, mentre segna a metà secolo, insieme con la coeva Bibbia di Roda, oggi ms. Lat. 6 della Nazionale di Parigi, una tappa fondamentale della tradizione libraria della Catalogna37. La sua straordinaria importanza, per l’ampio sviluppo figurativo degli eventi biblici, è ulteriormente siglata dalla confrontabilità della sua iconografia con i registri scolpiti sulla facciata (di metà XII secolo) della chiesa abbaziale stessa di Ripoll38. Nel secolo XI, che vede la nascita e lo sviluppo della “Riforma della chiesa”, è solo naturale e ovvio che a Roma stessa se ne colgano le tracce 34 F. WORMALD, English Drawings of the tenth and eleventh centuries, London 1952, pp. 47-49 e 79; E. TEMPLE, Anglo-Saxon manuscripts. 900-1066, London 1976, pp. 100-102 n. 84; R. KASHNITZ, Der Werdener Psalter in Berlin, Düsseldorf 1979; Vaticana, cat. cit., pp. 104-107 n. 17 (J.J.G. ALEXANDER); B. C. RAW, Trinity and incarnation in Anglo-Saxon art and thought, Cambridge (GB) 1997; Pen and Parchment. Drawing in the Middle Ages, cat. della mostra (New York 2009), a cura di M. HOLCOMBE, New York 2009, pp. 59-61, n. 10 (L. BESSETTE). 35 Virgilio e il chiostro. Manoscritti di autori classici e civiltà monastica, cat. della mostra (Abbazia di Montecassino 1996) a cura di M. DELL’OMO, Roma 1996, pp. 120-121 n. 8 (A.M. ADORISIO). Dei codici miniati Rossiani è in preparazione il Corpus curato da Silvia Maddalo. 36 Vedere i Classici, cat. cit., pp. 218-220 (D. WRIGHT). 37 W. CAHN, La Bible romane, Fribourg – Paris 1982, pp. 293-294 n. 150; Vaticana, cat. cit., pp. 190-193 n. 38 (J. M. PLOTZEK); Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 219-222 n. 43 (E. CONDELLO); M. CASTIÑEIRAS, Ripoll et Gérone: deux exemples privilégiés du dialogue entre l’art roman et la culture classique, in Les Cahiers de Saint-Michel de Cuxa 39 (2008) (Actualité de l’art antique dans l’art roman. Actes des XXXIX journées Romanes de Cuxa, 2007), pp. 161-180; M. CASTIÑEIRAS – I. LORÉS OTZET, Las Biblias de Rodes y Ripoll: una encrucijada del arte románico en Catalunya, in Les fonts de la pintura romànica, eds. M. GUARDIA – C. MANCHO, Barcelona 2008, pp. 219260. Ma cfr. anche Les Bíblies de Ripoll. I, Vaticà, Lat. 5729, Vic 2002, facs. (per il volume di commento vd. A. M. MUNDÒ, Les Bíblies de Ripoll; estudi dels mss. Vaticà, Lat. 5729 i Paris, BNF, Lat. 6, Città del Vaticano 2002 [Studi e testi, 408]). 38 CASTIÑEIRAS, Un passaggio al passato: il portale di Ripoll, in Medioevo. Il tempo degli antichi cit., pp. 365-381.

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più significative, non tanto sulle pareti delle chiese, dove i riferimenti storiografici alla Riforma sono stati anche troppo generosi, quanto proprio sui documenti scritti e illustrati: in primo luogo le Bibbie atlantiche39. La più antica di esse nei fondi vaticani è la “Palatina”, Pal. lat. 3-5 in tre monumentali volumi40, fra le cui più significative caratteristiche sono la ripresa di modelli turoniani nelle grandi iniziali, o la sequenza delle immagini dei profeti, non casualmente rinvenibile anche in altre opere monumentali pur esse collegate allo spirito della Riforma — mi limito a citare la porta di bronzo di San Paolo fuori le mura e gli affreschi della chiesa di Sant’Angelo in Formis — e altrettanto significativamente reperibili in opere di età paleocristiana, come gli affreschi di navata di San Paolo fuori le mura, al confronto con i cui profeti emergono più che suggestive similitudini41. Di poco posteriore alla “Palatina” è quella di provenienza da Santa Cecilia, da cui trae il nome, Barb. lat. 587 (Tav. IX); forse commissionata da un personaggio — cardine della Riforma come l’abate Desiderio di Montecassino, dal 1059 cardinale-prete della chiesa trasteverina, anche se contrasta con questa ipotesi l’autorevole obiezione dell’incompatibilità della sua grafia carolina con la romanesca usata nello scrittorio trasteverino42. Fra le più belle della sua specie la Bibbia è confrontabile, per parità di livello qualitativo, con le migliori pitture romane del tempo, come alcuni pannelli della chiesa inferiore di San Clemente. 39 Bibbie Atlantiche, cat. cit.; G. OROFINO, Per un’iconografia comparata delle Bibbie atlantiche, in Rivista di Storia della Miniatura 6-7 (2001-2002) (Atti del VI congresso di Storia della Miniatura [Urbino 2002], pp. 29-40; Roma e la Riforma gregoriana. Tradizioni e innovazioni artistiche (XI-XII secolo). Actes du colloque (Lausanne 2004), a cura di S. ROMANO – J. ENCKELL JULLIARD, Roma 2007. Fra le sintesi critiche sulle Bibbie atlantiche (dunque, al di là degli studi di Garrison, Berg e Ayres) entro contesti più ampi è opportuno ricordare le pagine di CAHN, La Bible romane cit., pp. 98-104e C. BERTELLI, Fondazioni medievali dell’arte italiana, in Storia dell’arte italiana, II/1, Torino 1983, pp. 151-155, oppure Miniatura e pittura. Dal monaco al professionista, in Dall’eremo al cenobio. La civiltà monastica in Italia dalle origini all’età di Dante, prefazione di G. PUGLIESE CARRATELLI, Milano 1987, pp. 579-699, in part. pp. 636-641. 40 Bibliotheca Palatina, cat. cit., pp. 133-134 n. C 8.2 (W. BERSCHIN); Bibbie Atlantiche, cat. cit., pp. 120-126 n. 4 (L. SPECIALE). 41 Per il confronto fra la ‘fonte’ paolina e la Bibbia Palatina rinvio al mio Un percorso storiografico: dalla filologia alla ideologia, in Bibbie Atlantiche, cat. cit., pp. 61-64. Per i profeti della basilica ostiense vd. il Barb. lat. 4406 (riprodotti e discussi da WAETZOLD cit., nota 6). Senza conoscere il mio scritto il confronto è stato anche proposto da U. NILGEN, Romanische Buchmalerei, in Kunsthistorische Arbeitsblätter, hrsg. von A.-M. BONNET – W. BUSCH et al., 7/8, Köln 2002, pp. 5-24. 42 Bibbie atlantiche, cat. cit, pp. 126-131 n. 5 (L. M. AYRES). Per le osservazioni di carattere paleografico, vd. P. SUPINO MARTINO, Roma e l’area grafica romanesca (secoli XI-XII), Alessandria 1987, pp. 25-33 e 108-117. Per il più recente status quaestionis vd. adesso L. SPECIALE, Iohannes presbyter e la data d’esecuzione della Bibbia di Santa Cecilia, in Immagine e ideologia. Studi in onore di Arturo Carlo Quintavalle, a cura di A. CALZONA – R. CAMPARI – M. MUSSINI, Parma – Milano 2007, pp. 132-137.

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All’iniziale XII secolo viene poi datata la terza delle più importanti Bibbie atlantiche vaticane, Vat. lat. 12958, detta “del Pantheon” per la sua presenza antica, cinquecentesca, nella chiesa da dove nel 1650 fu donata a papa Innocenzo X43. È questa la Bibbia atlantica con la maggior quantità di illustrazioni vetero-testamentarie di ambito romano, essenziale dunque a intuire la vastità del patrimonio iconografico disponibile nell’Urbe, vista la larghissima perdita delle testimonianza monumentali. Non mette conto di enumerare le altre, numerose, ma di più ristretto apparato decorativo, che solo in quella detta “di Todi”, Vat. lat. 10405, si allinea alle menzionate in precedenza per pretesa di analoga densità illustrativa, senza peraltro un livello qualitativo che supporti tali pretese44. Collegato ideologicamente alla Riforma è anche il rotolo di “Exultet” Barb. lat. 592, già ritenuto allestito per la Pasqua del 1087 celebrata a Montecassino dal suo abate Desiderio, divenuto papa col nome di Vittore III, ma più di recente riferito oltre gli anni desideriani45. È la scenachiave delle “Autorità”, nella quale si esplicita con maggiore forza visiva il tema del rapporto fra il potere spirituale e quello temporale, che nel precedente “Exultet” Vat. lat. 3784 non sembra fosse virato sulle esigenze rappresentative della Riforma, dal momento che l’altra scena significativa in merito, della “Mater Ecclesia”, non contiene una sottolineatura del suo ruolo, come altrimenti avviene nel “Barberiniano”46. Ambedue i rotoli testimoniano comunque, insieme con l’altro “Exultet” desideriano, oggi Add. 30337 della British Library, qualità progettuali e capacità esecutive del suo scriptorium degne della grande abbazia per la quale vennero composti;

43 Vaticana, cat. cit., pp. 194-197 n. 39 (J. M. PLOTZEK); Bibbie atlantiche, cat. cit., pp. 262271 n. 45 (L. SPECIALE) 44 Bibbie Atlantiche, cat. cit. pp. 158-162 n. 13 (L. SPECIALE). Queste le segnature delle altre Bibbie atlantiche presenti nei fondi vaticani: Vat. lat. 10404, Vat. lat. 4220-4221, Vat. lat. 10510, Vat. lat. 4218, Ross. 617, Vat. lat. 10511, Vat. lat. 4217A, Arch. Cap. S. Pietro A. 1, discusse ai nn. 15-19, 38, 40 e 41 del catalogo cit. 45 Die Exultetrolle Codex Barberini Latinus 592, 1. Faksimile. 2.Einführungssbd. von G. CAVALLO, wiss. Resümee von L. SPECIALE, Zürich 1988; L. SPECIALE, Montecassino e la Riforma Gregoriana. L’Exultet Vat. Barb. Lat. 592, Roma 1991; Vaticana, cat. cit., pp. 164-167 n. 32 (B. BRENK). La datazione al 1087, sostenuta dalla Speciale, è stata argomentatamente smontata da F. NEWTON, The scriptorium and library of Monte Cassino, 1058-1105, Cambridge 1999 (Cambridge studies in palaeography and codicology, 7), con preferenza per il volgere del secolo XI. 46 Per il Vat. lat. 3784: Vaticana, cat. cit., pp. 162-163 n. 31 (B. BRENK); Exultet, cat. cit., pp. 211-213 (B. BRENK). Sulla “Commemorazione delle Autorità”, vd. L. SPECIALE, Accipiter vel spata. Note palinseste per le commemorazioni secolari dell’Exultet Barberini, in Itinerari di ricerca storica 10 (1996) [1997], pp. 63-96; EAD., Le commemorazioni finali nei rotoli dell’Exultet, in Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen Age 112 (2000), pp. 191-224.

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così come insieme con tutti gli altri sono testimonianza primaria per la liturgia e la musica dell’Italia meridionale del tempo47. Il capolavoro, peraltro, dello scrittorio desideriano è il celeberrimo “Codex Benedictus”, ovvero il Vat. lat. 1202, chiave di volta per la conoscenza dell’arte della Montecassino desideriana, forse eseguito nel 1075 (Tav. X)48. Andate perdute le imprese artistiche dettagliatamente trasmesse dalla Cronaca del monastero, di cui sono solo un riflesso gli affreschi di Sant’Angelo in Formis, il codice cassinese ci permette la presa diretta sui modelli bizantini e dunque su quel nesso decisivo e fondante della pittura italomeridionale, e persino europea, dei decenni successivi, sull’onda degli apporti della “peritia greca”49. Oltre che sull’oltremare bizantino la progettazione del codice implicò anche, soprattutto, attenzione e ricezione della Initialornamentik ottoniana, modellata sul Vangelo dell’imperatore Enrico II, il già ricordato Ott. lat. 7450. All’importanza squisitamente ‘artistica’ per i caratteri formali del codice, delle sue immagini e dell’ornamentazione delle sue iniziali, si congiunge quella di carattere programmatico, dell’impaginazione delle Vite di san Benedetto e san Mauro, nell’XI secolo esemplate con diverse ascendenze sui capitelli di St. Bénoit-sur-Loire o nel Lezionario ms. 2273 oggi nella Biblioteca municipale di Troyes51. Altri codici dei fondi vaticani ci documentano la qualità dello scrip47 TH. F. KELLY, The Exultet in Southern Italy, New York – Oxford 1996. Per una sintesi, che mi permetto di definire “utile” sull’intero panorama degli Exultet, rinvio al mio I rotoli di Exultet nell’Italia meridionale medievale, in Lecturas de Historia del Arte 4 (1994), pp. 15-33, poi ristampato nel mio Arte Medievale in Italia Meridionale. I. Campania, Napoli 2007, pp. 125-154, con asterisco di aggiornamento bibliografico alla p. 154. Per la più recente sintesi critica sulle diverse questioni, vd. L. SPECIALE, Scrivere per immagini: i rotoli dell’Exultet, in Metodo della ricerca e ricerca del metodo. Storia, arte, musica a confronto, Atti del conv. di studi (Lecce 2007), a cura di B. VETERE, Galatina 2009, pp. 107-120. 48 Lektionar zu den Festen der heiligen Benedikt, Maurus und Scholastica, Vat. lat. 1202. Handschrift aus Montecassino entstanden unter Abt Desiderius (1058-1086). I. [Kommentarband]; II. [Faksimile], Zürich 1981; B. BRENK, Das Lektionar des Desiderius von Montecassino cod. Vat. lat. 1202. Ein Meisterwerk italienischer Buchmalerei des 11. Jahrhunderts, Zürich 1987 (Wiss. Ergänzungsband zur Faksimileausgabe des codex Benedictus); Vaticana, cat. cit., pp. 168-173 n. 33 (B. BRENK); Diventare Santo, cat. cit., pp. 244-246, n. 122 (L. SPECIALE). La data del 1075 è stata proposta da NEWTON, The Scriptorium cit., su base paleografica a suo parere rinforzata dall’evidenza visuale della miniatura di offerta. 49 Pionieristico e fondamentale per la comprensione dell’importanza della Montecassino desideriana anche nel più ampio contesto europeo il saggio di W. KOEHLER, Byzantine Art in the West, in Dumbarton Oaks Papers 1 (1941), pp. 61-87. 50 BLOCH, Montecassino cit. (oppure Montecassino in the Middle Ages, loc. cit.) e, dopo di lui, la seguente storiografia. 51 BRENK, Das Lektionar cit.; L. SPECIALE, Il ciclo benedettino del Lezionario Vat. Lat. 1202 e i suoi modelli, in Medioevo: i modelli. Atti del Convegno int. di studi (Parma 1999), a cura di A. C. QUINTAVALLE, Parma – Milano 2002, pp. 673-681.

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torium cassinese, sia prima che dopo il suo grande abate Desiderio: così il Breviario del tempo dell’abate Oderisio, Urb. lat. 585, confezionato peraltro per un altro stabilimento ecclesiale, assai verosimilmente dedicato alla Vergine, oppure il Messale Vat. lat. 6082, della seconda metà del XII secolo52. Alla conoscenza dell’arte, ovvero della miniatura in Campania e dei codici in beneventana anche al di fuori della regione la Biblioteca Vaticana offre peraltro altra preziosa e insostituibile documentazione: al di là di quanto già riferito sui tempi precedenti, ricordandone l’“Exultet” Vat. lat. 9820, vale di certo ricordare almeno, per lo stesso XI secolo, i libri dei Vangeli Vat. lat. 3741 e Ott. lat. 296, un ”Orosio” largamente corredato da illustrazioni a penna, e due Cronache illustrate di primo XII secolo. Il Vat. lat. 3741, “verosimilmente originario della cattedrale di Alatri”, è un codice i cui evangelisti stravolgono i modelli “non-bizantini”, con un Marco dai capelli bianchi, un Luca dalla fisionomia petrina, un biondo Matteo che ricorda il ‘tipo’ di Luca, un biondo Giovanni cui si accostano gli sconosciuti committenti, mentre il Cristo benedicente tradisce l’ispirazione dall’“Antico dei Giorni” per la sua capigliatura bianca, e solo la Madonna col Bambino in grembo, adorata dagli angeli (che voltano la testa dall’altra parte!) può accreditare conoscenze di una consolidata iconografia, anche se sparigliata, come nelle altre immagini, da una travolgente policromia53. L’Evangelario Ott. lat. 296, è, a sua volta, non solo preziosa indicazione della qualità raggiunta da uno scriptorium barese nei gloriosi tempi di fine XI secolo, ma anche delle sue possibili connessioni con modelli anglonormanni, suggeriti da un’iniziale di esplicita ascendenza sul “clambering style” di Canterbury54. Con i suoi disegni a penna l’“Orosio”, Vat. lat. 3340 è precoce testimonianza di un corredo illustrativo di un testo storico, al cui illustratore, di iniziale XII secolo, “non vi è nulla che sia troppo difficile, nessun aspetto del racconto che non possa trovare la sua immediata 52

Urb. lat. 585: Vaticana, cat. cit., pp. 174-177 n. 34 (V. PACE); Vat. lat. 6082, per il quale cfr. Vaticana, cat. cit., pp. 178-181 n. 35 (V. PACE). 53 V. PACE, Studi sulla decorazione libraria in area grafica beneventana. I fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana. I codici cassinesi di età desideriana e i codici non cassinesi della I metà dell’XI secolo, in L’età dell’abate Desiderio. II. La decorazione libraria. Atti della Tavola rotonda (Montecassino 1987), Montecassino 1989 (Misc. Cassinese, 60), pp. 65-93, in part. pp. 87-88; Vaticana, cat. cit., pp. 186-189 n. 37 (V. PACE). La citazione virgolettata, sulla provenienza, è tratta da SUPINO MARTINI, Roma e l’area grafica romanesca cit., p. 187. Vd. anche, per la riproduzione a piena pagina delle immagini degli evangelisti Dall’eremo al cenobio cit., figg. 29-32, con richiamo nel testo a p. 395 (di G. CAVALLO). 54 PACE, Studi cit., 1989, p. 77 (l’iniziale si trova al f. 124v); G. OROFINO, L’Evangelario Vat. Ottob. Lat. 296 della barese abbazia di Elia, in Fonti per la storia della liturgia, a cura di N. BUX, Bari 1991 (Per la storia della chiesa di Bari. Studi e materiali, 5), pp. 23-38; Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 240-242 n. 52 (P. CHERUBINI).

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trasposizione grafica” (Tav. VIIb), con un esito che è sembrato suggestivamente essere “il precedente del tipo di illustrazione delle Cronache di Marin Sanudo o di Paolino Veneto”. Se è a suo modo indimenticabile, fra le tante, la scenetta dell’assedio dei Galli a Roma con il Campidoglio sullo sfondo, assolutamente sorprendente è l’iniziale che mette in scena una penetrazione sessuale, alla stregua di un graffito da lupanare, una sorta di oscena drôlerie ante litteram, senza possibilità alcuna di riferimento al testo55. Le due Cronache, ovviamente importanti in primo luogo per quanto intendono documentare, sono quella di Santa Sofia di Benevento, Vat. lat. 4939, confezionato nella stessa città nel primo quarto del XII secolo, e il Chronicon Volturnense, Barb. lat. 2724, confezionato nello scrittorio abbaziale fra il 1124 e il 13056. Unica e dunque di particolare rilievo per l’esplicita autocelebrazione del proprio prestigio d’origine la miniatura di fondazione di Santa Sofia con il dux Arechi II, per l’assenza del dedicatario divino “in una dimensione tutta temporale e pubblica più che devozionale”; ma non meno significativa ne è la glorificante immagine dell’imperatore Ottone I (che aveva confermato i beni dell’abbazia), visualmente assimilato ad Alessandro Magno in un assetto trionfale di ascendenza romano-imperiale (Tav. XI)57. Altri codici in “beneventana” conservati in questa Biblioteca sono importanti soprattutto, ma non sempre soltanto, per la loro Initialornamentik (siano essi stati allestiti in Campania o in altre regioni meridionali): ne è stato iniziato, ma non portato a termine, uno studio sistematico, da cui ha tratto origine un saggio su uno di essi, il Martirologio di Santa Maria di Gualdo Vat. lat. 5949, di fine XII secolo, il cui scriptor “Eustasius”si celebrò con versi altisonanti, che lo definiscono addirittura “potens in sculpturis”, lodando altresì la decorazione del codice di “vividis coloribus” con “variis nodis et figuris”58. 55 L’iniziale, una A di A(b urbe condita) si trova al f. 60. Cfr. V. PACE, Immagini della sessualità nel medioevo italiano, in Medioevo: immagini e ideologie. Atti del Convegno int. di studi (Parma 2002), a cura di A. C. QUINTAVALLE, Parma – Milano 2005, pp. 630-643. 56 Vat. lat. 4939: G. M . FACHECHI, Il Chronicon Sanctae Sophiae di Benevento: l’apparato decorativo e illustrativo, in Arte medievale 11 (1997), pp. 75-90; G. OROFINO, L’apparato decorativo, in Chronicon Sanctae Sophiae (cod. Vat. Lat. 4939), ed. e commento di J. M. MARTIN, con uno studio sull’apparato decorativo di G. OROFINO, Roma 2000 (ISIME, Fonti, RIS. 3*), pp. 137-186. Barb. lat. 2724: F. RICCIONI, Un codice da rivalutare: il Chronicon Vulturnense, in Miniatura 3-4 (1990-1991) [1993], pp. 33-50; L. SPECIALE, Il mito e la memoria: il ciclo illustrato del Chronicon Vulturnense e le sue radici altomedievali, in Medioevo. Il tempo degli antichi cit., pp. 293-307. 57 OROFINO, Apparato cit., pp. 144-146. 58 Sul Vat. lat. 5949 cfr. E. CONDELLO – V. PACE, Il Martirologio di Santa Maria di Gualdo cod. Vat. lat. 5949: una testimonianza di cultura e storia di area beneventana verso la fine del XII secolo, in Ricerche di Storia dell’arte 50 (1993), pp. 77-88 (ripubblicato tale e quale per quanto di propria spettanza in V. PACE, Arte medievale cit., pp. 155-165, mentre è stato

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Alla citazione esemplativa dei codici in “beneventana” dovrebbe affiancarsi anche quella dei codici greci, prodotti lungo la dorsale tirrenica fra Campania e Calabria, lungo un arco cronologico che risale naturalmente anche a prima dell’XI secolo59. Fra di essi sono sicuramente capuani il Vat. gr. 2020, con testi di s. Massimo il confessore e il libro dei Vangeli Vat. gr. 2138, possibilmente tali e/o comunque italo-meridionali il Sinassario Vat. gr. 866 e il Salterio Vat. gr. 235, calabrese l’Eucologio Vat. gr. 155460. Ad essi si aggiungano soprattutto lo splendido rotolo con la Liturgia di s. Giovanni Crisostomo, Borg. gr. 27, di fine XI secolo, dalla storiografia a lungo considerato salernitano, ma più di recente ricondotto a uno scrittorio calabrese, verosimilmente a Rossano61, il Tetraevangelo Barb. gr. 520, di Terra d’Otranto ante 119262. ampliato e approfondito per la parte più propriamente ‘libraria’ da E. CONDELLO, Scriptor est Eustasius. Nuove osservazioni sull’origine del codice vaticano latino 5949, in Scrittura e civiltà 18 (1994) [1995], pp. 53-75). In seguito vd. anche Vaticana, cat. cit., pp. 182-185 n. 36 (V. PACE). Per lo studio dell’Initialornamentik dei codici vaticani: V. PACE, La decorazione dei manoscritti pre-desideriani nei fondi della Biblioteca Vaticana, in Scrittura e produzione documentaria nel mezzogiorno longobardo. Atti del Convegno int. di studio (Badia di Cava 1990), a cura di G. VITOLO – F. MOTTOLA, Badia di Cava 1991, pp. 405-456; PACE, Studi sulla decorazione cit., pp. 65-93. Per la sopravvenuta preminenza di altri interessi il terzo saggio, sui codici del XII secolo, mi è rimasto, solo abbozzato, “nel cassetto”, con tutta la sua documentazione e mi auguro che venga da altri utilizzato e ripreso. Ineludibile per esigenze comparative, oltre che per la qualità dell’apparato critico, è comunque anche il riferimento a I codici decorati dell’archivio di Montecassino, a cura di G. OROFINO, di cui sono finora apparsi i primi 3 voll.: I. I secoli VIII-X, Roma 1994; II/1-2. I codici preteobaldiani e teobaldiani, Roma 1996 / 2000; III. Tra Teobaldo e Desiderio, Roma 2006. 59 Sulla produzione manoscritta greca dell’Italia meridionale vd. G. CAVALLO, La cultura italo-greca nella produzione libraria, in I Bizantini in Italia, Milano 1982, pp. 495-612, da emendare parzialmente dopo le decisive obiezioni di A. JACOB, I più antichi codici greci di Puglia: ovvero un viaggio della paleografia nel paese che non c’è, in Studi medievali e moderni 2 (2002), a cura di A. APPIGNANI – R. PACIOCCO, pp. 5-42. 60 GRABAR, Manuscrits grecs cit., pp. 36-39, 55-67 nn. 15, 16, 17, 36 e 37. Sul Vat. gr. 2138 vd. adesso Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 213-216 n. 41 (M. D’AGOSTINO); sul Vat. gr. 866 vd. adesso Oriente Cristiano e Santità. Figure e storie di santi tra Bisanzio e l’Occidente, cat. della mostra (Venezia 1998), a cura di S. GENTILE, Roma 1998, pp. 210-212 n. 33 (M. D’AGOSTINO); per la localizzazione del Vat. gr. 1554 vd. A. JACOB, Rouleaux grecs et latins dans l’Italie méridionale, in Recherches de codicologie comparée, textes édités par PH. HOFFMANN, Paris 1998, pp. 69-97. 61 Codici greci dell’Italia meridionale, cat. della mostra (Grottaferrata 2000), a cura di P. CANART – S. LUCÀ, Roma 2000, p. 75 n. 23 (A. JACOB). Per la più recente referenza a Salerno vd. in precedenza CAVALLO, La cultura italo-greca cit., p. 556 (con bella tav. a colori, fig. 488). 62 Sull’ornamentazione e la figurazione del Barb. gr. 520, vd. M. BONICATTI, Aspetti dell’industria libraria medio-bizantinadegli “scriptoria” italogreci e considerazioni su alcuni manoscritti criptensi miniati, in Atti del 3° congresso int. di studi sull’alto medioevo (Benevento e altrove 1956), Spoleto 1959, pp. 341-364, da emendare, per cronologia e localizzazione, con Codici greci dell’Italia meridionale, cat. cit., pp. 105-106, n. 42 (S. LUCÀ).

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La Campania è una delle tante regioni d’Italia alla conoscenza della cui storia artistica la Biblioteca offre un apporto insostituibile di conoscenze, come pure avviene d’altronde per le altre aree italiane — che si tratti di referenze estese alle intere regioni, a scriptoria urbani ovvero a istituzioni monastiche etc. Nel caso di Roma ne ricordo il Lezionario Vat. lat. 1274 da S. Gregorio al Celio, fra i pochi manoscritti che ci testimoniano con certezza la miniatura figurativa dell’urbe, al di là delle grandi imprese delle Bibbie atlantiche, fra XI e XII secolo63; i codici dello scrittorio lateranense, peraltro di una qualità che non corrisponde all’importanza della sede64, o, ancora, il modesto, ma interessante Evangelario Chig. A.VI.164, mentre resta problematico il caso dell’Evangelistario Ross. 23565. Per l’abbazia laziale di Farfa valga il ricordo del suo Regesto, Vat. lat. 8487, o anche del Breviario Chig. C.VI1.7766, ma soprattutto della Collectio canonum, Vat. lat. 1339, il cui programma d’immagine, di esaltazione del potere imperiale e di condanna dell’eresia si giustifica così bene nel contesto politico di questa abbazia imperiale — esemplare la lettura che ne è stata fatta dell’Ascen63 Il Vat. lat. 1274 è stato reso noto agli studi storico-artistici da E. B. GARRISON, Studies in the History of Medieval Italian Painting, II, Firenze 1955-1956, p. 82 (Contribution to the History of Twelfth-Century Umbro-Roman Painting. Part II. Materials, pp. 79-94). Diventare Santo, cat. cit., pp. 216-219, n. 105 (G. N. VERRANDO); V. PACE, Politica delle immagini o immagini di politica? Programmi absidali a Roma e nel Patrimonium Petri nell’età della Riforma, in Medioevo: l’Europa dele Cattedrali. Atti del Conv. int. di studi (Parma 2006), a cura di A. C. QUINTAVALLE, Parma – Milano, 2007, pp. 237-244. 64 M. A. BILOTTA, I codici miniati prodotti in Laterano conservati nella biblioteca apostolica vaticana: una prima ricognizione, in Miscellanea Bibliothecae Apostolica Vaticanae 10 (2003) (Studi e testi, 416), pp. 7-50. Vd. anche EAD., I libri dei papi. La curia, il Laterano e la produzione manoscritta ad uso del papato nel Medioevo (secoli VI-XIII), Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 465). 65 Il Chig. A.VI.164 è stato riferito a Roma da GARRISON, Studies cit., IV, 1962, pp. 268-269, e come tale ricordato da J. J. G. ALEXANDER, A Manuscript of the Gospels from Santa Maria in Trastevere, Rome, in Studien zur mittelalterlichen Kunst. 800-1250. Festschrift für Florentine Mütherich zum 70. Geburtstag, hrsg. von K. BIERBRAUER – P. K. KLEIN AND – W. SAUERLÄNDER, München 1985, pp. 193-206. Sul Ross. 235, dopo la sua assegnazione ad area umbro-romana di fine XI secolo da parte del GARRISON, Studies cit., II, pp. 91-92, la SUPINO, Roma e l’area grafica cit., p. 323, ne ha precisato dati che ne rendono plausibile almeno la presenza antica a Roma, slittandone la data alla metà del XII secolo, che di recente, L. SPECIALE, Tra Roma e Farfa cit. infra, pp. 452-453 nota 48, intuitivamente arretra “al primo-secondo quarto del XII secolo”, ritenendolo eseguito nel Lazio meridionale. 66 Pionieristiche sulla miniatura dello scriptorium farfense le pagine di GARRISON, Studies cit., II, pp. 121-131. Più recenti interventi, che tengono anche conto dei diversi apporti disciplinari, sono quelli di L. SPECIALE, Tra Roma e Farfa: cultura artistica nei manoscritti decorati dell’abbazia di Farfa, in Farfa abbazia imperiale. Atti del conv. int. (Farfa – Santa Vittoria in Matenano 2003), a cura di R. DONDARINI, Negarine di S. Pietro in Cariano 2006, pp. 437-458, e di J. ENCKELL JUILLIARD, Au seuil du salut. Les décors peints de l’avant-nef de Farfa en Sabine, Roma 2008, pp. 121-128.

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sione, al f. 7 — che difficilmente trova adeguate alternative67. Alla Toscana rinviano la Bibbia Vat. lat. 4216, pur se destinata al monastero umbro di Fonte Avellana68, ai territori padani il Salterio nonantolano Vat. lat. 8469, e la “Vita Mathildis” di Donizone, Vat. lat. 4922, straordinaria per le sue pagine miniate, per le “icone” dei dinasti, “come nella statuaria imperiale antica” (Tav. XII) e per la forte carica ideologica che sottendono, icasticamente esplicita nella scena del “Rex” (Enrico IV) inginocchiato di fronte a Matilde in trono70; a Verona la Miscellanea, Pal. lat. 927, preziosa documentazione di testi storici corredata da disegni a penna degli Auctores71. Al sud, oltre a quanto ricordato per i codici in beneventana, spicca per importanza e qualità il Libro dei Vangeli di Monreale Vat. lat. 42, traccia sicura e unica per l’attività di uno scrittorio altrimenti sconosciuto, malgrado lo straordinario ruolo svolto da questa abbazia nella sfera delle arti72. Per i plurimi nessi della Sicilia con l’oltremare mediterraneo viene infine opportuno ricordare qui un altro libro dei Vangeli, il Vat. lat. 5974, che per felice casualità condivide la conservazione nella stessa biblioteca con il Vat. gr. 756, già suo modello quando fu eseguito a Gerusalemme verso la fine del XII secolo, come chiaramente dimostra la dipendenza della sua pagina con gli evangelisti (f. 3v) dalla corrispondente del Tetraevangelo greco (f. 11v)73. 67 Risolutive mi paiono le argomentazioni di A. TRIVELLONE, L’hérétique imaginé. Hétérodoxie et iconographie dans l’Occident médiéval, de l’époque caroilingienne à l’Inquisition, Turnhout 2009, pp. 106-141, con esauriente discussione dello stato della questione. In immediata anteriorità lo stretto legame fra il manoscritto e la decorazione affrescata dell’abbazia è stato ribadito da ENCKELL JUILLIARD, Au seuil du salut, loc. cit. 68 Bibbie atlantiche, cat. cit., pp. 281-282 n. 48 (K. BERG); La sapienza degli angeli cit., pp. 65-66 n. 5 (M. BRANCHI). 69 Vaticana, cat. cit., pp. 86-87 n. 10 (V. PACE); La sapienza degli angeli cit., pp. 112-113 n. 23 (M. BRANCHI). 70 La citazione virgoletta è da BERTELLI, Miniatura e pittura cit., p. 618. Del codice abbiamo il facsimile, con un volume di commento (testi di R. PERNOUD – V. FUMAGALLI) e di traduzione (C. GOLINELLI – A. JANECK), Vita der Mathilde von Canossa, Vat. lat. 4922, I-II, Zürich, Belser, 1984 (Codices e Vaticanis selecti, 62). Sul 4922 vd. anche Heinrich der Löwe und seine Zeit, cat. della mostra (Braunschweig 1995), hrsg von J. LUCKHARDT – F. NIEHOFF, München 1995, I, pp. 91-94 n. B 11 (G. C. BOTT); Wiligelmo e Matilde. L’officina romanica, cat. della mostra (Mantova 1991) a cura di A. CALZONA – A. C. QUINTAVALLE – M. CASTIÑEIRAS, Milano, pp. 644-648 (G. ZANICHELLI). 71 Virgilio e il chiostro, cat. cit., pp. 122-124 n. 9 (A. SPOTTI). 72 Federico II e la Sicilia. Dalla terra alla corona. Arti figurative e arti suntuarie, cat. della mostra (Palermo 1994-1995) a cura di M. ANDALORO, Palermo 1995, pp. 375-378 n. 105 (C. MAIEZZA); Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 270-272 n. 62 (V. PACE). 73 Vat. lat. 5974: H. BUCHTHAL, Miniature Painting in the Latin Kingdom of Jerusalem, Oxford 1957, pp. 25-33; Vaticana, cat. cit., pp. 154-157 n. 29 (V. PACE); Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 272-274 n. 63 (V. LONGO). Per il Vat. gr. 756 vd. ibidem, pp. 248-252 n. 55 (M. DELLA VALLE).

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I secoli XIII e XIV Poiché è Roma il centro della cristianità occidentale, è con i codici eseguiti nella città papale che può iniziarsi quest’ultima sezione, ricordandone due dai fondi della sua basilica petrina: il “codice del cardinale Laborante”, Arch. Cap. S. Pietro C.110, di verosimile inizio secolo, e il Sacramentario Arch. Cap. S. Pietro F.18, ad uso della basilica stessa74. Fra i codici della seconda metà del XIII secolo ha particolare rilevanza per i suoi espliciti accenti francesi, in particolare della sua miniatura con la Crocefissione, il Sacramentario Ott. lat. 356, dell’iniziale settimo decennio, scritto ad uso della cappella papale75. La presenza di codici francesi a Roma è d’altronde documentata dal caso esemplare della “Bibbia dell’Aracoeli”, parte dei cui nove volumi, codd. Vat. lat. 7793-7801, alcuni dei quali parigini, di fine XII e di avanzato XIII secolo, furono da papa Niccolò III Orsini donati alla chiesa francescana76. Un esplicito nesso fra Roma e Parigi, con estese diramazioni verso altri codici italiani per convergenze parigine è poi quello del Sacramentario Chig. C.VI.174, al cui miniatore, “magister Nicolaus” — che si firmò ambiziosamente a lettere dorate, al f. 98, accanto al Memento vivorum della “Messa in solemnitatibus beate Marie virginis” — si riconduce un buon numero di altri manoscritti miniati nell’arco della seconda metà del secolo77. Agli anni ’70 e ’80 del secolo spetta poi un gruppo di Antifonari, verosimile “frutto del rinnovamento 74 V. PACE, Per la storia della miniatura duecentesca a Roma, in Studien zur mittelalterlichen Kunst” cit., pp. 255-262 [il saggio è stato ristampato in ID., Arte a Roma nel Medioevo. Committenza, ideologia e cultura figurativa in monumenti e libri, Napoli 2000, pp. 201-216, con “Post scriptum” alle pp. 216-217], con riferimento alla loro prima pubblicazione, rispettivamente da parte di W. F. VOLBACH, Le miniature nel codice del cardinale Laborante, in La Bibliofilía 42 (1940), pp. 41-54 e di GARRISON, in Studies cit., IV, 1962, pp. 411-415. In seguito: A. IACOBINI, La Pittura e le Arti Suntuarie da Innocenzo III a Innocenzo IV (1198-1254), in Roma nel Duecento, coord. A. M. ROMANINI, Torino 1991, pp. 237-319. 75 PACE, Per la storia cit.; Bonifacio VIII. Anno 1300 il primo giubileo, cat. della mostra (Roma 2000) a cura di M. RIGHETTI TOSTI-CROCE, Milano 2000, pp. 182-183 (M. TORQUATI); BILOTTA, Codici miniati cit., pp. 36-40; EAD., Immagine e memoria liturgica nei manoscritti miniati duecenteschi ad uso della cappella papale, in Medioevo. Immagine e memoria. Atti del Convegno int. di studi (Parma 2008) a cura di A. C. QUINTAVALLE, Parma – Milano 2009, pp. 415-422; EAD., I libri dei papi cit. 76 Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 314-316, n. 77 (S. MAGRINI); Bonifacio VIII. Anno 1300 cit., pp. 208-213 n. 162 (F. MANZARI); S. MAGRINI, La ‘Bibbia’ dell’Aracoeli nella Roma di fine Duecento, in Scrittura e civiltà 24 (2000), pp. 227-250. 77 PACE, Per la storia cit.; Diventare Santo, cat. cit., pp. 229-232, n. 112 (C. DAVID); Bonifacio VIII. Anno 1300 cit., passim (con interventi di F. AVRIL, M.-TH. GOUSSET, S. MADDALO) e la scheda n. 130 alle pp. 183-184 (M. A. BILOTTA); BILOTTA, Immagine e memoria liturgica cit.; EAD., Pontificali duecenteschi secundum consuetudinem et usum romanae Curiae. Contributi per la storia della produzione miniata ad uso del Papato nel Medioevo, in Arte medievale 7, 1 (2008), pp. 55-80. Prendo qui l’occasione per osservare che nella prima presentazione

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dei libri liturgici voluto da Niccolò III”, conservati oggi nel Fondo Capp. Giulia XVI.1-3 della Biblioteca, importanti per la loro testimonianza figurativa sulla liturgia papale del tempo, anche se non sorretti da una qualità adeguata al loro prestigio78. La Francia, centro principale della moderna miniatura gotica duecentesca, è riferimento primario anche per un codice di grandi ambizioni, come la “Bibbia di Manfredi” Vat. lat. 36; del tutto verosimilmente eseguita a Napoli e donata al figlio dell’imperatore Federico II, prima dell’incoronazione reale del 125879. L’immagine di donazione, al f. 522v (Tav. XIII), si svolge sullo sfondo di un tappeto ribaltato prospetticamente e bordato con stemmi della casa sveva e della città di Piazza Armerina, sede della Corte nazionale per la Sicilia, tale da suggerirne una relazione ‘forte’ che è stata giustificata con l’identificazione, suggestiva ma non incontrovertibile, del committente / donatore nel vicario generale del Regno di Sicilia, Federico Lancia, zio di Manfredi80. Alla scena di donazione orgogliosamente partecipa lo stesso miniatore, che si ricorda (e si identifica anche nel De Balneis, ms. 1474 dell’Angelica e nel lat. 40 della BnF) raccomandandosi al principe Manfredi nella sottoscrizione al termine dell’Apocalisse (f. 494v): “Princeps mainfride regali stirpe create / Accipe quod scripsit Johensis scriptor et ipsum / digneris solita letificare manu”. Al tempo di Manfredi risale pure la celeberrima versione del De arte venandi cum avibus, Pal. lat. 1071, qui conservato nella sua più antica copia dell’originale per l’imperatore Federico II, perduto dopo lo sventurato furto dalla sua tenda davanti alle mura di Parma nel 124881. Insieme, il lat. 40 e il Pal. lat. 1071 ci tradell’attività di questo miniatore, io non ho scritto, né ancora oggi lo credo, che questi abbia miniato anche l’Ott. lat. 356, come mi viene accreditato dalla storiografia successiva. 78 F. MANZARI, Gli antifonari tardoduecenteschi per i canonici della basilica di S. Pietro a Roma, in Arte medievale 3,1 (2004), pp. 71-85. Al momento della stesura di questo articolo due degli antifonari (il 4 e il 5) si trovavano nel Museo Sacro della Basilica di San Pietro. 79 H. TOUBERT, Influences gothiques sur l’art frédericien. Le maître de la Bible de Manfred et son atelier, in Federico II e l’arte del Duecento italiano. Atti della III settimana di studi … (Roma 1978), a cura di A. M. ROMANINI, Galatina 1980, II, pp. 59-76; Federico II e la Sicilia, cat. cit., pp. 397-403 n. 109 (M. C. DI NATALE); Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 295-299 n. 70 (V. PACE); G. OROFINO, Incognitae officinae: il problema degli scriptoria di età sveva in Italia meridionale, in Medioevo: le officine. Atti del conv. int. di studi (Parma 2009), Parma – Milano 2010, pp. 468-480. Malgrado tante citazioni, sulla Bibbia manca comunque ancora quella monografia che meriterebbe. 80 A. RULLO, Alcune novità sulla Bibbia di Manfredi, in Arte medievale 6, 2 (2007), pp. 133140. Che il donatore sia ‘seduto’ di fronte al destinatario del dono, e che indossi un vaio d’ermellino, fa piuttosto pensare che si tratti dello stesso imperatore (in accordo con la Toubert e con chi prima di lei lo sostenne), e che dunque il miniatore “abbia in qualche modo travisato il modello” (PACE, loc. cit.), come d’altronde suggerisce anche il profilo del “principe” con la sua orbita oculare prospetticamente deformata. 81 Fredericus II, De Arte venandi cum avibus, Ms. Pal. Lat. 1071. Biblioteca Apostolica

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smettono la ‘temperatura’ artistica della corte sveva in età manfrediana, con la partecipazione di miniatori sicuramente aggiornati sulla Francia, ma indipendentemente ricettivi di istanze di naturalismo ascendente su archetipi tardo-antichi, anche filtrati dalla recente miniatura islamica82. Con il passato svevo d’un lato, ma anche con il futuro della grande miniatura napoletana di medio XIV secolo, si collega il codice delle Vitae sanctorum Patrum, Vat. lat. 375, testimone con altri codici conservati altrove, dell’altissima qualità illustrativa raggiunta da uno scrittorio siciliano di età aragonese: assolutamente straordinaria la sequenza delle sue scenette — ben 133! —, in larga prevalenza sui margini, ‘libere’ sulla pergamena oppure incorniciate entro scatole prospettiche (Tav. XIV)83. Dal contesto italomeridionale del XIII secolo deve invece essere escluso il Nuovo Testamento, Vat. lat. 39, che a pieno titolo appartiene a scrittorio veronese di verosimile secondo quarto del secolo84. Questo codice, gemellato con il Chig. A.IV.74 per similitudine del ciclo narrativo neotestamentario, è importante soprattutto per la densità illustrativa del suo ciclo apocalittico, unico caso del genere (qui e nel Chigiano) nel panorama librario italiano duecentesco, sia per la latitudine dei suoi modelli Vaticana – Faksimile-Ausgabe, mit Kommentar von C. A. WILLEMSEN, Graz 1969 [ora anche: De arte venandi cum avibus (Pal. lat. 1071) [I. Facsímil]; [II.] J. M. FRADEJAS RUEDA, El Arte de Cetrería de Federico II, Torrejón de Ardoz (Madrid) 2004]; Die Zeit der Staufer, cat. della mostra (Stuttgart 1977), hrsg. von R. HAUSSHERR, Stuttgart 1977, pp. 658-659 n. 824 (FL. MÜTHERICH); Palatina, cat. cit., pp. 112-114 n. C 1.2 (D. WALZ); Ezzelini. Signori della Marca nel cuore dell’Impero di Federico II, cat. della mostra (Bassano del Grappa 2001-2002), a cura di C. BERTELLI – G. MARCADELLA, Bassano del Grappa 2001, p. 188 n. V.4 (G. OROFINO). Segnalo, in corso di stampa G. OROFINO, Di padre in figlio. Federico II, Manfredi e l’illustrazione del De arte venandi cum avibus, in Tempi e forme dell’arte. Miscellanea di Studi offerti a Pina Belli D’Elia, a cura di L. DEROSA – CH. GELAO, Foggia 2011, pp. 137-143. 82 F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli, 1266-1414, Roma 1969; pp. 36-41; G. OROFINO, Il rapporto con l’antico e l’osservazione della natura nell’illustrazione scientifica di età sveva in Italia meridionale, in Intellectual Life at the Court of Frederick II Hohenstaufen. Proceedings of the Symposium Life at the Court of Frederick II Hohenstaufen (Washington 1990), ed. by W. TRONZO, Washington 1994, pp. 129-149. 83 H. BUCHTHAL, Early Fourteenth Century illuminations from Palermo, in Dumbarton Oaks Papers 20 (1966), pp. 103-118; G. DALLI REGOLI, Un florilegio medievale illustrato, Firenze 1972; Oriente Cristiano e Santità. Figure e storie di santi tra Bisanzio e l’Occidente, cat. della mostra (Venezia 1998), a cura di S. GENTILE, Roma 1998, pp. 252-255 n. 54 (E. CONDELLO); A. DE FLORIANI, La Bibbia. Durazzo fra Palermo e Costantinopoli, in Studi di Storia dell’arte 14 (2003), pp. 9-62. 84 Faksimileausgabe des Cod. Vat. Lat. 39, Zürich 1984; Neues Testament Codex Vaticanus Latinus 39. Eine Einführung von G. MORELLO – U. STOCKMANN, Zürich 1984; G. MORELLO – V. PACE, Ricchezza iconografica e committenza laica, volume di commento all’edizione in facsimile del cod. Vat. lat. 39 della Biblioteca Vaticana, Presentazione di A. PRATESI, Milano 1984, pp. 51-101; Vaticana, cat. cit., pp. 202-207 n. 41 (V. PACE); Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 299300 n. 71 (G. MORELLO).

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europei, pur se ibridati in uno stile “tardo romanico” ormai fuori tempo alla sua data85. Di ben maggiore modernità (senza con questo inficiare l’interesse dei codici veronesi) sono i Vangeli glossati Vat. lat. 120, committenza parigina di lusso, del secondo quarto del XIII secolo86; sulla destra del bifolio di apertura (f. IIIr) un’immagine del Giudizio colpisce per la rara messinscena di Maria e di Giovanni (l’evangelista, non il Battista) prostrati ai piedi del Cristo giudice, mentre nel registro sottostante la maestosa figura di Abramo, abbigliata con piviale blu, troneggia con le anime in grembo87. Ad altro atelier parigino, “di Mathurin”, è stato riferita la Bibbia Urb. lat. 597, preziosa per la sua provenienza dalla biblioteca di Federico da Montefeltro88. È Bologna, con i suoi codici miniati, il centro di produzione libraria e miniatorio che lungo il XIII e il XIV secolo è meglio esemplificato alla Vaticana89. In primo luogo la Bibbia Vat. lat. 20, al cui principale miniatore si associano altri manoscritti vaticani, fra i quali le Decretali Vat. lat. 1390, esponenti della “transizione dal ‘primo stile’ bolognese a quello di fine secolo, alla data dell’VIII decennio del XIII secolo. La Bibbia “20” ha fogli di splendida partitura ornamentale e iniziali di non infrequente interesse per le loro scelte tematiche, ma soprattutto sorprende per le immagini marginali, dove si toccano le consuete corde di grottesca ironia e si utilizzano 85

V. PACE, Il Nuovo Testamento Vat. lat. 39: modelli europei e presenze locali in un codice del Duecento veronese, in MORELLO – PACE, Ricchezza iconografica cit., pp. 51-101; L. ELEEN, A Thirteenth-Century Workshop of Miniature Painters in the Veneto, in Arte Veneta 39 (1985), pp. 9-21; EAD., New Testament Manuscripts and their lay Owners in Verona in the thirteenth Century, in Scriptorium 41 (1987), pp. 221-236; Ezzelini. Signori della Marca cit., II, p. 56 n. II.4.2 (F. TONIOLO); G. Z. ZANICHELLI, Santi e immagini: il ms. 1853 della Biblioteca Civica di Verona, in Preghiera alla Vergine con le leggende di san Giorgio e santa Margherita, comm. all’ed. in facsimile del manoscritto 1853 della Biblioteca Civica di Verona, a cura di D. BINI, Modena 2007, pp. 19-82. 86 R. BRANNER, Manuscript Painting in Paris during the Reign of Saint Louis, Berkeley – Los Angeles – London 1977, passim; Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 291–295 n. 69 (A. MANFREDI). Altro codice parigino dei fondi vaticani è la Bibbia Reg. lat. 16, per la quale vd. Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 288-291, n. 68 (S. MAGRINI). 87 Vd., sia per la citazione che per il tema: J. BASCHET, Le sein du père. Abraham et la paternité dans l’occident médiéval, Paris 2000. 88 G. M. FACHECHI, Bibbie medievali nella biblioteca che fu di Federico da Montefeltro, in Rivista di Storia della Miniatura 6-7 (2001-2002), pp. 103-112. 89 A. CONTI, La miniatura bolognese. Scuole e botteghe, 1270-1340, Bologna 1981, offre in merito l’unica larga sintesi, pur se nelle strettoie di una prospettiva quasi esclusivamente attribuzionistica. Importanti precisazioni, arricchimenti e ampiamenti di prospettiva si devono ai successivi contributi di Massimo Medica, cui si rinvierà a proposito dei singoli manoscritti, dovendone peraltro subito ricordare la panoramica critica esposta nel suo La città dei libri e dei miniatori, in Duecento. Forme e colori del Medioevo a Bologna, cat. della mostra (Bologna 2000) a cura di M. MEDICA, Venezia 2000, pp. 109-140. Al libro e al saggio dei due studiosi dovrà intendersi implicito il riferimento per i mss. citati qui di seguito.

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citazioni classiche (Tav. XX)90. A loro volta, nelle Decretali sono state colte “non poche affinità” con le Istituzioni Vat. lat. 1434, della metà di quel decennio91. Non diversamente dalla corte federiciana o da Roma, anche a Bologna l’allestimento dei codici diede l’opportunità ai propri miniatori o scribi di autocelebrarsi, come avviene nel “Graziano” Vat. lat. 1375, con la poetica sottoscrizione di Jacopino da Reggio: “Ut rosa flos flororum sic liber iste librorum / quem Jacobinus depinxit manu Reginus” di cui è discusso se si riferisca al miniatore o allo scriba92. I testi giuridici sono, per la comprensibile importanza del loro studio universitario, fra i testi più diffusi, come avviene d’altronde anche a Parigi93. Questa diffusione non deve comunque far dimenticare il loro notevole costo, tale da essere stato calcolato come equivalente o addirittura superiore rispettivamente al costo annuo del mantenimento agli studi di uno studente o dello stipendio di un professore94. Ben più costoso doveva dunque essere, per esempio, il lussuoso codice delle Decretali, Pal. lat. 629, artisticamente il più importante codice giuridico di quest’ambito, databile al penultimo decennio del XIII secolo (Tav. XVI), mirabile per la leggerezza delle sue tonalità cromatiche e per la delicatezza del disegno, anch’esso frequentemente accreditato a Jacopino da Reggio95. 90 Sul Vat. lat. 20 vd. Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 309-314 n. 76 (M. TORQUATI). Allo stesso miniatore di questo ms. è stato riferito il lat. 3253 della BnF, per cui vd. Duecento, cat. cit., pp. 291-294 n. 91 (M.TH. GOUSSET). 91 Citazione da MEDICA, La città dei libri cit., p. 125, che per le Decretali rinvia a CONTI, Miniatura cit., p. 24. Particolare interesse hanno nel Vat. lat. 1390 la “Deesis” del f. 2v ‘alla bizantina’ e il ‘goticissimo’ e affascinante albero delle affinità al f. 212r. 92 La sottoscrizione è stata più volte ricordata, non senza dubbi sull’effettivo riferimento al miniatore piuttosto che allo scriba, per la cui attività è documentato l’uso del verbo “depingere”. In merito vd. il Dizionario biografico dei miniatori italiani. Secoli IX-XVI, Milano 2004, s.v. “Jacopino da Reggio (Maestro della Bibbia Latina 18)”, pp. 344-345 (M. MEDICA), oppure P. BURKHART, Die Dekretalenhandschrift Vat. Pal. 629 und die Bologneser Buchmalerei am Ende des XIII. Jahrhunderts, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae [13. Arbeiten zu Codices Vaticani Palatini Latini und anderen Handschriften aus der alter Heidelberger Sammlung, hrsg. W. BERSCHIN] 5 (1997) (Studi e testi, 365), pp. 33-51. 93 Sia sufficiente in merito il rinvio a A. MELNIKAS, The corpus of the miniatures in the manuscripts of Decretum Gratiani, I-III (Studia Gratiana, 26-28, curantibus I. FORCHIELLI – A. M. STICKLER), Romae 1975. L’assenza di adeguati indici nuoce gravemente all’utilizzazione di quest’opera, incompiuta, alla quale ha peraltro rivolto giustificate critiche C. NORDENFALK nella sua Besprechung nella Zeitschrift für Kunstgeschichte 43 (1980), pp. 318-337. I mss. vaticani, bolognesi o parigini in grande prevalenza, utilizzati in questo studio, elencati alla p. 1267, sono i seguenti: Arch. Cap. S. Pietro A.24-A.27, Barb. lat. 1262, Borgh. 370, Chig. E.V.131 e E.VII.206, Ott. lat. 119 e 3133, Pal. lat. 621-626, Reg. lat. 977 e 1039, Ross. 307, 308 e 595, Urb. lat. 1616, 1370, 1371, 1375, 1390, Vat. lat. 1365-1376, 2491-2495, 3529 e 4993. In buona parte si tratta di codici che attendono di essere studiati. 94 L. DEVOTI, Aspetti della produzione del libro a Bologna: il prezzo di copia del manoscritto giuridico tra XIII e XIV secolo, in Scrittura e civiltà 18 (1994), pp. 77-142. 95 BURKHART, Die Dekretalenhandschrift cit., lascia tuttavia il miniatore nell’anonimato.

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Si è scritto che con questo codice e le sue affiliazioni stilistiche la miniatura bolognese mostra, in sintonia con altri centri del tempo, aperture su Bisanzio, indicate attraverso i confronti con la pittura metropolitana di esportazione, come nel caso degli affreschi serbi di Sopoòani (per es. nel f. 2)96. È, comunque, non più che un’”apertura”, che indica conoscenze forse mediate da perduti manoscritti bizantini, dai quali soprattutto si accolgono, di tanto in tanto, modalità di panneggio (per esempio, oltre che ai ff. 1v, 2 e 208, anche nella sequenza delle figurette fra i ff. 85 e 95v, o negli svolazzi “tardo-comneni” dei manti al f. 195) se non pure qualche suggerimento architettonico o esiti di pittoricismo fisionomico — che, alla lontana, potrebbero ricordare Mileševa. Lungo l’arco della prima metà del XIV secolo, fra terzo e quarto decennio, altri codici si inanellano nella serie bolognese, così i Gregorii IX Decretales, Urb. lat. 159 e i Commentari in Evangelia, in Actus Apostolorum, et in Apocalypsim, lingua gallica, Urb. lat. 11, “straordinario monumento della cultura francese a Rimini e della pittura riminese alla corte malatestiana”, sottoscritto dal suo amanuense nel gennaio 1322 e miniato, insieme con altri, da Neri da Rimini, “più in alto di tutti gli altri miniatori emiliani della stessa generazione”97, oppure le Decretali Vat. lat. 1389 e il “Giustiniano” Vat. lat. 1430, ambedue riferiti all’anonimo “Illustratore”98. Al quarto decennio spetta anche il cd. “Leggendario ungherese” Per lo stato della questione sul manoscritto vd. G. BERNARDI, Una scheda per le Decretali manoscritto Palatino latino 629 della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Arte a Bologna. Bollettino dei Musei Civici d’Arte Antica 6 (2007), pp. 119-128. 96 BURKHART, Die Dekretalenhandschrift cit., pp. 36-37. Altri confronti sono stati istituiti con la Bibbia di Gerona, con il BnF lat. 18 e con l’Add. 18720 della British Library. Ma si tenga presente che la referenza metropolitana bizantina per la miniatura bolognese era già stata individuata e sottolineata con precisione da Cesare Gnudi (vd. infra alla nota 100), oltre che da T. VELMANS, Deux manuscrits enluminés inédits et les influences réciproques entre Byzance et l’Italie au XIVe siècle, in Cahiers Archéologiques 20 (1970), pp. 207-233. Vd. adesso, in merito a questi rapporti, A. HOFFMANN, Leibesfülle zwischen Ost und West. Beobachtungen zur Byzanzund Antikenrezeption in der Bibel von Gerona, in Latenisch-griechisch-arabische Begegnungen. Kulturelle Diversitatät im Mittelmeerraum des Spätmittelalters, hrsg. von M. MERSCH und U. RITZERFELD, Berlin 2009, pp. 163-180. Più di recente il tema è stato ancora affrontato da M. MEDICA, Modelli bizantini nella miniatura bolognese del “secondo stile”: iconografia e cronologia, in Tra le due sponde dell’Adriatico: la pittura nella Serbia del XIII secolo e l’Italia, cat. della mostra (Belgrado, Bologna – Ferrara 1999), coord. editoriale di R. D’AMICO, Ferrara 1999, pp. 144-161. 97 Sull’Urb. lat. 159, connesso al Pal. lat. 629 per l’Arbor affinitatis, vd. H. SCHADT, Die Darstellungen der Arbores Consanguinitatis und der Arbores Affinitatis. Bildschemata in juristischen Handschriften, Tübingen 1982. Sui Commentari in Evangelia, in Actus Apostolorum et in Apocalypsim, lingua gallica Urb. lat. 11, vd. Neri da Rimini. Il Trecento riminese tra pittura e scrittura, cat. della mostra (Rimini 1995), coord. scientifico A. EMILIANI, Milano 1995, pp. 182191 n. 32 (P. G. PASINI), con citazione da p. 186, oltre che, sul miniatore, C. VOLPE, La pittura riminese del Trecento, Milano 1965, pp. 10-12, con citazione da p. 11. 98 Sui due codici: Giotto e le arti a Bologna al tempo di Bertrando Del Poggetto, cat. della mostra (Bologna 2005-2006) a cura di M. MEDICA, Cinisello Balsamo 2005, p. 208 n. 37 (M.

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Vat. lat. 8541, codice di lusso di stupefacente densità illustrativa che lascia spazio al solo testo delle didascalie: con 104 fogli miniati a piena pagina sul recto e sul verso, ciascuna con quattro scene su fondo oro entro compartimenti segnati da ornati fitomorfi99. Il codice fu forse allestito a Esztergom verosimilmente per il re Carlo I d’Ungheria, secondo quanto suggerisce il programma figurativo che, oltre a esporre vita e morte di apostoli, evangelisti, martiri e diversi santi del tradizionale santorale, esalta anche un santo re come s. Ladislao I d’Ungheria (Tav. XVII): orientate prevalentemente sulla miniatura bolognese, le sue miniature sono una “singolare fucina di invenzioni, di creazione iconografica e linguistica”, testimonianza “di uno sviluppo e di un intreccio di cultura fra l’Italia e il centro Europa che continuerà per alcuni decenni in una reciprocità di influssi …”. Significativo è anche il ricordo, in molte di esse, delle policromie ornamentali dell’Epistolario del Gaibana di Padova100. Alla soglia di metà secolo uno straordinario vertice qualitativo, ante 1348, è quello segnato dal Messale del card. Bertrand de Deux, Arch. Cap. S. Pietro B.63 (Tav. XVIII), alla cui decorazione parteciparono miniatori di controversa identificazione, fra i quali forse il giovane Niccolò di Giacomo101. È una presenza particolarmente discussa per l’importanza del miniatore, identificato dalla sua firma in altri codici miniati della seconda metà del Trecento, taluni veri e propri capolavori, BOLLATI); ibid., p. 212 n. 38 (M. BOLLATI), oltre al saggio di M. MEDICA, Libri, miniatori e committenti nella Bologna di Bertrando del Poggetto, ibid., pp. 79-93. Sull’“Illustratore” si veda anche la recente scheda di M. MEDICA, s.v. nel Dizionario biografico dei miniatori italiani cit., pp. 361-363. 99 Heiligenleben: “Ungarisches Legendarium”: Codex Vat. Lat. 8541, von G. MORELLO – H. STAMM – G. BETZ, Zürich 1990-1992 (facs.); Diventare Santo, cat. cit., pp. 223-226, n. 109 (G. MORELLO). 100 C. GNUDI, La Bibbia di Demeter Nekcsei-Lipócz, il «Leggendario» Angioino, e i rapporti fra la miniatura bolognese e l’Arte d’Oriente, in Actes du XXXIIe Congrès int. d’Histoire de l’Art (Budapest 1969), Budapest 1972, I, pp. 569-581 (con citazione dalle pp. 576-577); L. VAJER, Rapporti tra la miniatura italiana e quella ungherese nel Trecento, in La miniatura italiana fra Gotico e Rinascimento. Atti del II Congresso di Storia della Miniatura Italiana (Cortona 1982), a cura di E. SESTI, Firenze 1985, pp. 3-32; Vaticana, cat. cit., pp. 234-237 n. 48 (F. NIEHOFF). Il richiamo al “Gaibana” (il ben noto Epistolario della Biblioteca Capitolare di Padova) è stato giustamente formulato da Morello cit. supra, p. 21. CONTI, Miniatura bolognese cit., è riuscito a ridurre la valutazione di questo codice alla sola menzione ‘qualitativa’ delle miniature, da “grande fumetto di lusso a pretesto devozionale” (pp. 85-86). 101 E. CASSÉE, The Missal of Cardinal Bertrand de Deux. A Study in fourteenth century Bolognese miniature painting, Firenze 1980 (recensito da A. CONTI, in Prospettiva 24 (1981), pp. 72-82); Vaticana, cat. cit., pp. 216-219 n. 44 (J. J. G. ALEXANDER); Maria Vergine Madre Regina. Le miniature medievali e rinascimentali, cat. della mostra (Roma, 2000-2001), a cura di C. LEONARDI – A. DEGL’INNOCENTI, Roma 2001, pp. 253-258 n. 19 (P. VIAN). Incomprensibile il giudizio di CONTI, Miniatura bolognese cit., p. 92 che scrive dei “risultati mediocri del Messale B 63”, tanto da dubitare che l’abbia mai davvero visto!

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accanto ai quali altri gli sono stati ascritti: del sesto decennio le Novelle super tertio, quarto et quinto Decretalium Vat. lat. 2534 e la Novella super VI Decretalium, Vat. lat. 2538, del 1353, il Liber primus Decretalium, Vat. lat. 1456, al cui f. 1r l’autore, protetto dal card. Bertrando Dal Poggetto (“post mortem”, essendo questi defunto nel 1352) offre al pontefice la sua opera102, e, ancora, due codici delle Tragedie di Seneca: il Vat. lat. 1645 e lo splendido Urb. lat. 356, ambedue dello scorcio del secolo103. A fine secolo risale anche una bella copia della Divina Commedia, Vat. lat. 4776, particolarmente significativa perché, al di là della bellezza delle sue miniature, eseguite a fine secolo da miniatori fiorentini, identificati stilisticamente con don Simone Camaldolese e Ambrogio di Baldese, vi si è colto l’intervento di un miniatore bolognese, la cui presenza ha indotto a ritenere che ne sia stato committente il condottiero Paolo Orsini104. Molti altri manoscritti dei fondi vaticani testimoniano le numerose edizioni di testi classici o comunque di studio (per es. di astronomia), corredate da disegni a penna o minii, eseguite a Bologna (anche per altri centri) e altrove nell’Italia dell’aristocrazia, delle corti e delle università trecentesche europee, su molti dei quali si segnala peraltro una forte discrasia fra l’abbondanza degli studi testuali e la scarsità di quelli storico-artistici: così, ancora il bolognese Vat. lat. 2194, con le Metamorfosi di Apuleio105, 102 Su questi codici vd. M. MEDICA, I miniatori dei corali agostiniani: Nicolò di Giacomo e Stefano di Alberto Azzi, in I corali di San Giacomo Maggiore. Miniatori e committenti a Bologna nel Trecento, cat. della mostra (Bologna 2002-2003), Bologna 2003, pp. 63-107; ID., Sulla possibile effigie del cardinale Bertrando Del Poggetto, legato di Bologna (1327-1334), in Studi in memoria di Patrizia Angiolini Martinelli, a cura di S. PASI, Bologna 2005, pp. 199-204. 103 Vat. lat. 1645: Vedere i Classici, cat. cit., pp. 311-313 n. 68 (C. M. MONTI); F. PASUT, Alcune novità su Nicolò di Giacomo, Stefano degli Azzi e altri miniatori bolognesi della fine del Trecento, in Arte cristiana 92, n. 824 (2004), pp. 317-332; Urb. lat. 356: A. PUTATURO MURANO, Le tragedie di Seneca, ms. Urb. lat. 356 della Biblioteca Vaticana, in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli 21 (1978-1979), pp. 159-168; Vedere i Classici, cat. cit., pp. 303-306 n. 64 (C. M. MONTI); G. M. FACHECHI, Il ‘catalogo per autori’ e la ricezione figurativa di un testo antico nel medioevo, in La catalogazione dei manoscritti miniati come strumento di ricerca. Esperienze, metodologia, prospettive. Atti del Convegno internazionale di studi (Viterbo, 4-5 marzo 2009), a cura di S. MADDALO – M. TORQUATI, Roma 2010 (Istituto Storico Italiano per il Medio Evo. Nuovi studi storici, 87), pp. 229-239. Sul miniatore vd. la recente scheda nel Dizionario biografico dei miniatori cit., pp. 827-832, s.v. “Nicolò di Giacomo di Nascimbene” (F. PASUT). 104 B. DEGENHART – A. SCHMITT, Corpus der italienischen Zeichnungen. 1300-1450. I: Südund Mittelitalien, Berlin 1968, pp. 186-191, Kat. n. 96; P. BRIEGER – M. MEISS – CH. S. SINGLETON, Illuminated Manuscripts of the Divine Comedy, Princeton (NJ) 1969, pp. 327-331; M. BOSKOVITS, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento 1370-1400, Firenze 1975, pp. 110-111, 275, 429; M. MEDICA, Aggiunte al «Maestro del Messale Orsini» e ad altri miniatori bolognesi tardogotici, in Arte a Bologna. Bollettino dei musei civici d’arte antica 2 (1992), pp. 11-30. Il Messale, già di iniziale ‘400, da cui il Maestro prende nome, è anch’esso vaticano: Arch. Cap. S. Pietro B.66. 105 Su questo codice vd. infra nel testo e alla nota 134.

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l’Eneide Vat. lat. 2761106, la Miscellanea di testi storici Vat. lat. 1860 forse senese107, la Miscellanea di Apuleio, Frontino e Palladio, Vat. lat. 2193, allestita da Francesco Petrarca prima del 1343108, i testi di Ditti Cretese e Darete Frigio Reg. lat. 1505109, il Seneca Ott. lat. 1420, con un disegno a penna, per l’Hercules furens, di stupefacente drammaticità (Tav. XIXa)110, diversi altri codici con le tragedie e testi filosofici dello stesso autore111, la Miscellanea astronomica Vat. lat. 3110, trascritta da Coluccio Salutati, con disegni a penna delle costellazioni in libera ripresa della tradizione classica, attribuiti a un seguace del pittore fiorentino Bernardo Daddi112. Trattandosi di “classici” varrà qui anche la pena di ricordare, al margine, un duecentesco Orazio, il Vat. lat. 1592 una cui immagine miniata di Augusto è stata di recente plausibilmente interpretata come uno pseudo-ritratto di Federico II113. Fra i testi classici non si possono non ricordare ancora quelli francesi, con testi di Vegezio, Aristotele e Seneca114, oppure un manoscritto come quello delle Metamorfosi di Ovidio Reg. lat. 1480, di alto pedigree, miniato a Parigi per Carlo V e forse appartenuto al duca Jean de Berry115. Alla corte reale francese ci conduce poi un altro codice, vergato agl’inizi dello stesso secolo e pur esso di corrispondente altezza qualitativa, il Breviario di Bianca, figlia di re Filippo V, Urb. lat. 603 (Tav. XX), opera 106

Vedere i Classici, cat. cit., pp. 245-247 n. 40 (F. STOK). Vedere i Classici, cat. cit., pp. 260-262 n. 48 (A. MANFREDI). 108 Vedere i Classici, cat. cit., pp. 268-274 n. 52 (F. STOK – E. ZAFFAGNO). 109 H. BUCHTHAL, Historia troiana. Studies in the History of Medieval Secular Illustration, London – Leiden 1971; Vedere i Classici, cat. cit., pp. 276-283 n. 54 (F. MANZARI). 110 Vedere i Classici, cat. cit., pp. 284-285 n. 55 (C. M. MONTI). Il disegno al f. 1 è purtroppo il solo ‘frontespizio’ disegnato con completezza, quello per le Troades essendo limitato alla preliminare impostazione, gli altri non essendo stati per nulla eseguiti. 111 Ne ricordo il Pal. lat. 1671 (bolognese?). il Pal. lat. 1677, il Reg. lat. 1500 e il Pal. lat. 1538 (tutti di fine XIV sec. italosettentrionali), il Vat. lat. 1647 (forse veronese), tutti repertoriati in Vedere i Classici, cat. cit. rispettivamente ai nn. 41, 59, 60, 67 e 62). 112 DEGENHART – SCHMITT, Corpus cit., I, p. 75, Kat. n. 29; Vedere i Classici, cat. cit., pp. 251-252 n. 43 (A. BARTÒLA); G. MARIANI CANOVA, L’immagine degli astri nel manoscritto medievale, in L’uomo antico e il cosmo. 3° Convegno int. di archeologia e astronomia (Roma 2000), Roma 2001, pp. 385-401. 113 Vedere i Classici, cat. cit., pp. 228-232, n. 31 (P. MARPICATI); M. BUONOCORE, AugustoFederico II in un codice oraziano della Vaticana? A proposito del Vat. lat. 1592, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, 17 (2010) (Studi e testi, 462), pp. 7-14. Il codice è miscellaneo e contiene anche un testo più tardo, che ne invita a suggerire la presenza in Sicilia e, conseguentemente, può favorirne un’origine latamente italomeridionale. 114 Sono il Reg. lat. 1628, il Borgh. 130, l’Urb. lat. 355, il Ross. 457, il Reg. lat. 1480, sui quali cfr. Vedere i Classici, cat. cit., ai nn. 44, 45, 50, 53 e 58. Per l’Urb. lat. 355 è stata confermata la referenza avignonese: La miniatura ad Avignone al tempo dei papi. 1310-1410, Modena, 2006, pp. 53-72. 115 Vedere i Classici, cat. cit., pp. 289-294 n. 58 (F. MANZARI). 107

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alla quale partecipò Jean Pucelle, con le sue miniature che introdussero oltralpe i modi della moderna pittura toscana116. Quanto l’interscambio artistico fra Toscana e Francia sia stato importante è esemplarmente testimoniato dal corredo illustrativo del cosiddetto “Codice di san Giorgio”, Arch. Cap. S. Pietro C.129 (Tav. XXI) che innesta in Francia, alla più alta dimensione qualitativa, le esperienze della pittura toscana: eseguito nella stessa Avignone per il cardinale Jacopo Stefaneschi, alla preminente partecipazione di un miniatore toscano, prevalentemente ritenuto fiorentino, ma del quale sono innegabili i forti accenti senesi, si affiancò infatti un disegnatore della Francia meridionale per le iniziali filigranate117. A testimonianza della diffusione del linguaggio artistico del “Maestro del codice di san Giorgio” vanno poi ricordati il Salterio, Arch. Cap. S. Pietro E.15118, e i “Documenti d’amore” di Francesco da Barberino, Barb. lat. 4076, dalle interessanti e inconsuete formule iconografiche usate per la rappresentazione delle Virtù119. Benché, a sua volta, per lungo tempo appaiato per via del testo e della vicina segnatura con il “4076”, il Barb. lat. 4077, pur esso con il testo dei Documenti, è invece stato allontanato dalla Toscana e da Firenze per ragioni di stile dei suoi disegni colorati, riferiti in primo tempo ad area bolognese, più di recente tentativamente accreditati ad area veneto-padovana, insieme con il più modesto Barb. lat. 3953, codice che illustra la Canzone di Francesco “Io non descrivo in altra guisa Amore”120. Ad Avignone stessa spettano anche diversi altri codici, fra i quali, per 116 CH. STERLING, La peinture médiévale à Paris, 1300-1500, I, Paris 1987, pp. 74-81; Vaticana, cat. cit., pp. 238-239 n. 49 (E. KÖNIG). Particolarmente affascinanti in questo prezioso codice, al di là della strepitosa qualità delle iniziali miniate, le drôleries marginali, di frequente con creature favolose metà umane-metà animali, e le estensioni vegetali delle letterine popolate di volatili o dalla più diversa fauna. 117 Sul codice e sull’attività del “Maestro”: M. G. CIARDI DUPRÉ DAL POGGETTO, Il Maestro del Codice di San Giorgio e il cardinale Jacopo Stefaneschi, Firenze 1981; Il gotico a Siena, cat. della mostra (Siena 1982), Firenze 1982, pp. 166-170 e scheda n. 58 (L. BELLOSI), pp. 171-176 nn. 59-61 (F. AVRIL); M. BOSKOVITS, The Fourteenth Century, The Painters of the Miniaturist tendency, Florence 1984 (A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting, by R. OFFNER with K. STEINWEG, continued under the direction of M. BOSKOVITS and M. GREGORI, sect. III, vol. IX), pp. 38-44, 189-219; Vaticana, cat. cit., pp. 212-215 n. 43 (J. J. G. ALEXANDER); Giotto e il Trecento, cat. della mostra (Roma 2009), a cura di A. TOMEI, Ginevra – Milano 2009, pp. 286-288 n. 125 (F. MANZARI). Per altre committenze Stefaneschi e curiali vd. infra nel testo e alla nota 147. 118 BOSKOVITS, The Fourteenth century cit., p. 219 (scheda di C. DE BENEDICTIS). 119 DEGENHART – SCHMITT, Corpus cit., I, pp. 31-38, Kat. n. 13; S. PARTSCH, Profane Buchmalerei der bürgerlichen Gesellschaft in spätmittelalterlichen Florenz, Worms 1981, pp. 79-87; BOSKOVITS, The Fourteenth century cit., pp. 189-191. Vd. anche, al seguito di un importante ritrovamento, K. SUTTON, The lost Officiolum of Francesco da Barberino rediscovered, in The Burlington Magazine 147 (2005), pp. 151-164. 120 O. PÄCHT, Early Italian nature studies and the early calendar landscape, in The Journal

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citarne alcuni dei più importanti, il Messale Arch. Cap. S. Pietro B.76, “fra i primi libri liturgici papali superstiti nei quali troviamo lo stemma del pontefice [Clemente V]”, realizzato per l’uso di questo papa, ma anche accresciuto in seguito con nuovi fascicoli miniati121, un folto gruppo di codici con scritti di s. Tommaso122, poi il De Trinitate di s. Agostino, Ross. 304, le Opere di Guillaume d’Auvergne, Vat. lat. 1650, il cd. “Breviario di Martino V”, Vat. lat. 14701, in realtà committenza di uno di due vescovi della famiglia d’Aigrefeuille fra il 1368 e il 1383, interessante oltre che per la sua bella qualità per il complesso incrocio di cultura figurativa che sottende: non solo di Francia e Italia, ma anche di Boemia123. Di diretta committenza papale è poi il Messale dell’antipapa Clemente VII, nelle sue tre sezioni dell’Ott. lat. 62, Vat. lat. 4766-4767, miniato da Jean de Toulouse, a capo di una bottega attiva ad Avignone a partire dagli anni ottanta del Trecento fino a tutto il I decennio del nuovo secolo124. All’antipapa Clemente VII dovette essere donata dal duca Jean de Berry la lussuosa Bibbia Vat. lat. 50-51, miniata fra il 1389 e il 1394 da Jacquemart de Hesdin e da un suo collaboratore su committenza del duca Jean de Berry, del quale ostenta l’arma, insieme con quello della moglie Jeanne de Boulogne e del papa all’inizio di ciascun volume125. Alla Francia è stato a lungo tempo assegnato il Libro d’ore Pal. lat. 537, che adesso invece è convincentemente riferito a uno scrittorio inglese fra gli anni ’20 e ’50 del del XIV secolo, snodo importante di quel torno di tempo che ha a monte il suo capolavoro nel Queen Mary Psalter, della British Library (Royal 2. B. VII)126; non pochi i motivi d’interesse del suo apparato iconografico, come là dove si inscena una musica di tamburello e tromba per i dannati scagliati nelle pene infernali (Tav. XXII). of the Warburg and Courtauld Institutes 13 (1950), pp. 13-47; DEGENHART – SCHMITT, Corpus cit., I, p. 39; BOSKOVITS, The Fourteenth century cit., p. 191 nota 13. 121 MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 21-30. Al libro della Manzari si rinvia per una più precisa lista e discussione dei codici avignonesi. 122 Elencato da MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., p. 48, il merito del loro riconoscimento spetta a F. Avril e ad A. Dondaine. Essi sono i Vat. lat. 731 (1-2), 732 (1-2), 738 (1-2), 745, 747 (1-2), 784, 785 (1-2), 787 (1-2), 807, 2106. 123 MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 188-195. 124 Ibid., pp. 205-211. 125 M. MEISS, French Painting in the Time of Jean de Berry, London 1967; Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 356-362 n. 93 (F. MANZARI). 126 Palatina, cat. cit., pp. 205-206 n. E. 3.2 (L. SCHUBA – M. WEIS); L. FREEMAN SANDLER, Gothic Manuscripts 1285-1385, London 1986 (A Survey of Manuscripts Illuminated in the British Isles, V), pp. 129-130 n. 116; Vaticana, cat. cit., pp. 240-243, n. 50 (E. KÖNIG); M. A. BILOTTA, Note al programma iconografico del Libro d’ore Pal. lat. 537 della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 8 (2001) (Studi e testi, 402), pp. 7-44.

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Collegati ad Avignone, a Venezia e a Napoli per un plesso di circostanze diverse di offerte, di scrittura ed esecuzione nelle diverse redazioni (conservate in diverse biblioteche), i testi delle Conditiones terrae sanctae, di Marino Sanudo il vecchio, del Liber secretorum fidelium crucis, di Paolino Veneto, offrono con le loro versioni vaticane, rispettivamente Vat. lat. 2972 le Conditiones, Vat. lat. 2971 e Reg. lat. 548 il Liber, una straordinaria documentazione di intersezioni politiche, letterarie, cartografiche, all’insegna di una munificenza artistica ‘policentrica’127. A scrittorio veneziano del 1318 “in stile Sanudo” — per il suo allineamento su modi figurativi che risalgono a un codice marciano delle Conditiones — è stato riferito il “Breviario di Spalato”, Vat. lat. 6069128, mentre alla metà del secolo è stato riferito il De regimine principum di s. Tommaso, Chig. M.VIII.158129. Alla Vaticana sono conservati anche i due codici, Vat. lat. 6435 e Pal. lat. 1993, di Opicinus de Canistris, chierico pavese attivo ad Avignone dagli anni ’30, contenenti disegni di cartografia antropomorfizzata e altri, talmente straordinari da aver persino suscitato interesse come evidenza di un caso clinico di schizofrenia, ma, a suo modo, precursore di Arcimboldo! Straordinaria in questa sequenza di “visioni” anche la cartografia mediterranea, con l’Italia ‘nello stivale’ e l’intera costa nordafricana trasformata in una figura di profilo di monaco (Tav. XIXb)130. Ulteriore testimone delle complesse interferenze e della circolazione di miniatori e libri fra l’Emilia e il Veneto è poi un “Valerio Massimo”, Vat. lat. 1917, forse allestito a Verona 127 B. DEGENHART – A. SCHMITT, Marino Sanudo und Paolino Veneto. Zwei Literaten des 14. Jahrhunderts in ihrer Wirkung auf Buchillustrierung und Kartographie in Venedig, Avignon und Neapel, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte 14 (1973), pp. 1-137; ID., Corpus der italienischen Zeichnungen. 1300-1450. II: Venedig; Addenda zu Süd- und Mittelitalien, Berlin 1980, pp. 8-74, nn. 637-638, con discussione (di caotica sistematicità) di altri mss. fra i quali il Pal. lat. 1362 e il Vat. lat. 1960; (su quest’ultimo vd. anche M. V. FONTANA, Muhammad and Khadija in an illustration of a 14th-century manuscript of the Satyrica Ystoria by Paulinus Venetus (Ms. Vatican latin 1960), in Islamic Artefacts in the Mediterranean World. Trade, Gift Exchange and Artistic Transfer, ed. by C. SCHMIDT ARCANGELI - G. WOLF, Venezia 2010, pp. 205-216); G. MARIANI CANOVA, La miniatura veneta del Trecento tra Padova e Venezia, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, a cura di M. LUCCO, Milano 1992, pp. 383-408; oppure: EAD., La miniatura a Venezia nel secolo di Giotto, in Il secolo di Giotto nel Veneto, a cura di G. VALENZANO – F. TONIOLO, Venezia 2007, pp. 203-215; MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 72-83. Per un’interpretazione del pertinente clima storico: G. CURZI, Allegoria dell’embargo e propaganda per la crociata nelle opere di Marin Sanudo il vecchio, in Storia dell’arte 89 (1997), pp. 5-26. 128 MARIANI CANOVA, La miniatura veneta cit., p. 400, oppure EAD., La miniatura a Venezia cit., p. 205. 129 DEGENHART – SCHMITT, Corpus cit., II, pp. 75-79, Kat. n. 639. 130 Sul Vat. lat. 6435 vd. adesso M. LAHARIE, Le Journal singulier d’Opicinus de Canistris (1337 – vers 1341). Vaticanus latinus 6435, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 447-448). Per la più recente discussione sui disegni vd. Pen and Parchmen cit., pp. 148-155 nn. 44-46 (K. WHITTINGTON).

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a fine secolo XIV131. Di sicuro veronesi, di fine VIII decennio, sono poi il Pal. lat. 110 e il Pal. lat. 112, nei quali sono state giustamente riscontrate strette parentele di stile con la pittura della cerchia di Altichiero132. Sempre nel Veneto, assai verosimilmente nella Padova del VI decennio, venne miniato il Livio, Arch. Cap. S. Pietro C.132, forse “il più antico documento superstite della miniatura fiorita alla corte carrarese nel Trecento”133. Milano, i cui capolavori dell’età signorile, sono soprattutto in altre biblioteche, è peraltro rappresentata da alcuni codici di eccellenza: le Metamorfosi di Apuleio, Vat. Lat. 2194, di committenza viscontea a scrittorio bolognese, datato al 1346, che nel bel frontespizio ostenta l’arma famigliare (Tav. XXIII); il Messale di s. Maurilio, cod. Pal. lat. 506, la cui miniatura a piena pagina con Cristo testimonia palesemente le strette corrispondenze della pittura libraria con quella murale, ovvero con gli affreschi di Chiaravalle, il Vat. lat. 451, con testi di Agostino, degli anni intorno al 1400, allestito per committenza del vescovo benedettino Giovanni Capogallo, familiare di Giangaleazzo Visconti, miniato da Michelino da Besozzo134. A Napoli la “storia”, fosse essa quella troiana o romana dell’antichità, oppure quella degli eroi della cavalleria, ebbe largo corso alla corte angioina sin dai suoi primi tempi e potrebbero testimoniarlo numerosi codici fra i quali, pur se modesto per qualità, l’“Histoire ancienne” Vat. lat. 5895, o il “Guiron le courtois” Reg. lat. 1501, di inizi secolo XIV135. Una tale testimonianza non è stata tuttavia esente da una serrata contestazione per la quale, al seguito di argomenti fa i quali primario lo studio delle iniziali filigrana131

M. MINAZZATO, Un Valerio Massimo miniato dal Maestro della Novella, in Rivista di Storia della Miniatura 12 (2008), pp. 67-72. 132 F. PICCOLI, Altichiero e la pittura a Verona nella tarda età scaligera, Sommacampagna 2010, pp. 111-113. Nel contesto veronese degli anni ’80 viene citato dalla studiosa anche il Vat. lat. 1908, codice miscellaneo di testi di Svetonio e Cicerone. 133 MARIANI CANOVA, Miniatura veneta cit., p. 387. 134 Per le Metamorfosi: Vedere i Classici, cat. cit., pp. 267-268 (F. STOK); M. BOLLATI, Libri per i Visconti: committenza a corte tra Galeazzo II e Filippo Maria Visconti, in Lombardia gotica e tardogotica, a cura di M. ROSSI, Ginevra – Milano 2005, pp. 189-209; per il Messale di San Maurilio: M. L. GENGARO, Introduzione, in Miniature lombarde. Codici miniati dall’VIII al XIV secolo, Milano 1970, p. 49; L. COGLIATI ARANO, ibid., pp. 400-401, ad figg. 117-118; C. BERTELLI, Introduzione, in Il millennio ambrosiano. La nuova città dal Comune alla Signoria, a cura di C. BERTELLI, Milano 1989, pp. 6-25. Per l’“Agostino”: G. ALGERI, Per l’attività di Michelino da Besozzo in Veneto, in Arte Cristiana 75 (1987), pp. 17-32 (con la bibl. relativa alla nota 29 di p. 30); Diventare Santo, cat. cit., pp. 120-122, n. 13 (A. MANFREDI). 135 B. DEGENHART – A. SCHMITT, Frühe angiovinische Buchkunst in Neapel. Die Illustrierung französischer Unterhaltungsprosa in neapolitanischen Scriptorien zwischen 1290 und 1320, in Festschrift Wolfgang Braunfels, Tübingen 1977, pp. 71-92 Diventare Santo, cat. cit., pp. 229232, n. 112 (C. DAVID); A. PERRICCIOLI SAGGESE, I romanzi cavallereschi miniati a Napoli, Napoli 1979; DEGENHART – SCHMITT, Corpus cit., II, pp. 187-201, Kat. n. 665 (Vat. lat. 5895), pp. 225226, Kat. n. 675 (Reg. lat. 1501).

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te, se n’è proposta l’assegnazione a Genova136. È una questione nella quale, come d’altronde sempre, lo studio della “miniatura” si rivela inscindibile dal più largo contesto di tutte le discipline che afferiscono al libro137. Finora altrettanto controverso è stato d’altronde il caso del “Barlaam e Josafat” Ott. lat. 269, di sicuro datato al 1311 e già assegnato inizialmente a Salerno, poi al Veneto e a Genova, di cui si è invece recentemente documentata la produzione al seguito dell’imperatore Arrigo VII sotto le mura di Brescia assediata138. Non va poi dimenticata la sequenza delle copie dell’edizione federiciana del De balneis Puteolanis, qui testimoniata dall’Ott. lat. 2110, dal Ross. 379, dal Barb. lat. 311139; né, infine, il caso del Bestiario Chig. M.VI.137, ancora oggi nel limbo di un’indefinita Italia meridionale140. Di sicuro a Napoli furono allestiti manoscritti di lusso come il I volume della Bibbia “di Matteo di Planisio”, Vat. lat. 3550-3552 (Tav. XXIV). Di straordinaria ricchezza illustrativa nel I dei 3 volumi, il colophon del copista Georgius sacerdos, apposto a fine del III volume (Vat. lat. 3552), ce ne trasmette sia la certa data di conclusione del 1362, per unità grafica e codicologica riferibile a tutti e tre i volumi, sia pure la sua committenza da parte dell’abate del convento dei Celestiniani, da cui trae il nome. La sua decorazione miniata, di incontestata attribuzione a Cristoforo Orimina, non venne portata a termine, cosicché un suo ulteriore motivo di interesse, oltre che per la sua qualità e per le sue scelte iconografiche, risiede nell’evidenza del disegno preliminare alla coloritura e alle sue primissime fasi141. A questa Bibbia si lega una serie di altre opere di medio e secondo 136 M. TH. GOUSSET, Étude de la décoration filigranée et reconstitution des ateliers: le cas de Gênes à la fin du XIIIe siècle, in Arte medievale 2 (1988), pp. 121-152 (che precisa e circostanzia le sue anticipazioni in Manuscrits enluminés d’origine italienne. 2. XIIIe siècle, par F. AVRIL – M.-TH. GOUSSET, Paris 1984). Hanno tuttavia ribadito la provenienza napoletana sia G. OROFINO, Libri miniati francesi a Napoli, in Il Gotico europeo in Italia, a cura di V. PACE – M. BAGNOLI, Napoli 1994, pp. 375-389 (ivi, alla nota 72 di p. 388, l’intera lista dei mss.), sia A. PERRICCIOLI SAGGESE, Le illustrazioni di storia nei codici miniati a Napoli tra Duecento e Trecento: riflessione sullo stato degli studi, in Medioevo. Il tempo degli antichi cit., pp. 547-556. 137 P. SUPINO MARTINI, Linee metodologiche per lo studio dei manoscritti in litterae testuales prodotti in Italia nei secoli XIII-XIV, in Scrittura e civiltà 17 (1993), pp. 43-101. 138 DEGENHART – SCHMITT, Corpus cit., II., pp. 245-252, Kat. n. 690, per l’iniziale collegamento del ms. al gruppo “salernitano”; Storia di Barlaam e Josaphas secondo il manoscritto 89 della Biblioteca Trivulziana di Milano, a cura di G. FROSINI – A. MONCIATTI, Firenze 2009 (ivi, in part. alle pp. 172-197). 139 C. M. KAUFFMANN, The Baths of Pozzuoli, Oxford 1959; S. MADDALO, Il De balneis Puteolanis di Pietro da Eboli: realtà e simbolo nella tradizione figurata, Città del Vaticano 2003 (Studii e testi, 414). Il codice barberiniano è comunque già quattrocentesco. 140 Del manoscritto si hanno solo sporadiche segnalazioni: PÄCHT, Early Italian nature studies cit., p. 24; DEGENHART – SCHMITT, Corpus cit., I, pp. 164-165; II, pp. 192; OROFINO, Libri miniati francesi cit., p. 384. 141 Si vedano in proposito il f. 109 e i ff. 121-130 del I vol., dopo di cui restano in bianco

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Trecento — nella sola Vaticana la Bibbia per Roberto di Taranto Vat. lat. 14430, il Salterio-Innario Vat. lat. 8183, il “Pietro Lombardo” Vat. lat. 681, il “Boccaccio” Vat. lat. 2145, lo “Svetonio” Vat. lat. 1860 — che nell’insieme costituiscono una delle testimonianze più importanti per densità e qualità della miniatura di un centro urbano, in uno scenario di committenze fra corti e ordini religiosi142. Nell’ultimo trentennio del secolo ancora un capolavoro napoletano è il Messale Ross. 180143. Ad un’area “di frontiera” del Regno di Napoli, l’Abruzzo, spettano due codici miniati, ambedue di lusso, di buona, ma non eccelsa qualità figurativa: il primo, felicemente ritrovato dopo un’apparente sparizione, è il Graduale, Capp. Giulia XVII.2, sottoscritto da Guglielmo di Berardo da Gessopalena “pro sacrosancta basilica principis apostolorum de urbe anno domini MCCCXXXVII”, dunque assai verosimilmente eseguito a Roma stessa, come anche ha suggerito la presenza di inserti classicheggianti forse presenti in un modello posseduto dal Capitolo stesso144; il secondo, la “Biblia Aprutina”, Vat. lat. 10220, sottoscritto dal miniatore (o copista) Muzio di Francesco di Cambio da Teramo e riferito a mio avviso troppo tardi alla II gli spazi delle miniature e mancano le drôleries marginali, sussistendo solo motivi ornamentali e filigrane (per un’illustrazione di un bifolio solo disegnato [127v-128r] vd. Vaticana, cat. cit., p. 225). Dei due volumi successivi (Vat. lat. 3551 e 3552) l’uno (il “3551”) ha nella sua parte iniziale i soli ornati marginali e filigrane, anche con uso dell’oro, come nel “3550”, l’altro invece (il “3552) è del tutto privo di ogni forma decorativa, con la sola scrittura a inchiostro e qualche tocco di rubricature, ambedue peraltro con testo che ha lasciato lo spazio per l’inserimento delle miniature. Vd. in merito, DEGENHART – SCHMITT, Corpus cit., I, pp. 146-153, Kat. n. 79 (Vat. lat. 3550); Vaticana, cat. cit., pp. 220-225 n. 45 (J. J. G. ALEXANDER); S. MAGRINI, La Bibbia di Matheus de Planisio (Vat. Lat. 3550, I-III): documenti e modelli per lo studio della produzione scritturale in età angioina, in Codices manuscripti 50-51 (feb. 2005), pp. 1-16. 142 BOLOGNA, I pittori alla corte angioina cit., pp. 278-279; A. PERRICCIOLI SAGGESE, Aggiunte a Cristoforo Orimina, in Studi di storia dell’arte in memoria di Mario Rotili, Napoli 1984, pp. 251-259; F. MANZARI, Un nuovo foglio miniato della bottega Orimina, un Graduale smembrato e la figura di un anonimo miniatore napoletano del Trecento, in Storie di artisti storie di libri, Napoli 2008, pp. 293-312; Giotto e il Trecento, cat. cit., pp. 300-302 n. 134 (G. CORSO). Di più vasto respiro sulla miniatura napoletana del Trecento: A. BRÄM, Neapolitanische Bilderbibeln des Trecento. Anjou-Buchmalerei von Robert dem Weisen bis zu Johanna I., Wiesbaden 2007; F. MANZARI, Le psautier et livre d’heures de Jeanne d’Anjou: pratiques françaises de dévotion et exaltation dynastique à la cour de Naples, in L’art de l’enluminure 32 (2010), pp. 2-73. 143 Vaticana, cat. cit. pp. 226-229 n. 46 (J. J. G. ALEXANDER). 144 F. MANZARI, Contributi sulla miniatura abruzzese del trecento; il Graduale miniato da Guglielmo di Berardo da Gessopalena e la produzione della prima metà del secolo, in L’Abruzzo in età angioina. Arte di frontiera tra Medioevo e Rinascimento. Atti del Convegno int. di Studi (Chieti 2004), a cura di D. BENATI – A. TOMEI, Milano 2005, pp. 181-209; G. CORSO, I manoscritti miniati di Santa Maria Maggiore a Guardiagrele, Pescara, 2006, pp. 20-23 (adesso in ed. ampliata: Miniature per una collegiata abruzzese. I corali medievali di Guardiagrele alla luce dei recenti ritrovamenti, Pescara 2010) . Sul miniatore vd. anche il Dizionario biografico cit., s.v. “Guglielmo di Berardo da Gessopalena”, pp. 329-332 (F. MANZARI).

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metà del secolo, dimostra, insieme con il precedente e con altri, la vivacità dell’attività libraria in questa regione145. Alle istanze civiche di un centro comunale indirizza invece il codice vaticano ‘di storia’ più importante della Firenze di quei tempi: il “Villani”, Chig. L.VIII.296, l’unica Cronaca comunale illustrata del XIV secolo che ci sia pervenuta, scritta e illustrata (dal fiorentino Pacino di Bonaguida) all’insegna di un esplicito sentimento guelfo pro-angioino e, per converso, malevolo nei confronti della dinastia sveva, fra i cui tanti misfatti viene annoverato e illustrato (al f. 84r) l’assassinio dell’imperatore Federico II nel sonno da parte del figlio Manfredi146. Avendo iniziato questo percorso con Roma, con Roma lo si può anche terminare, ricordandone di inizio e fine secolo, ovvero alle date intorno al 1300 e intorno al 1400, l’intensa produzione di libri ad uso del pontefice e di stretta inerenza alla curia papale, con l’utilizzazione di uno “scrittorio curiale” (una volta già erroneamente creduto “scriptorium Stefaneschi”) cui spettano negli anni intorno al 1300, l’“Exultet” Arch. Cap. S. Pietro B.78, l’“Opus metricum” del card. Stefaneschi, nel Vat. lat. 4932-4933, il De centesimo seu iubileo anno liber Arch. Cap. S. Pietro G.3, e poi ancora i Pontificali Vat. lat. 1155 e Vat. lat. 4747147. Al margine dovrà peraltro ricordarsi anche l’importanza dei codici ebraici pur essi allestiti nell’urbe fra XIII e XIV secolo, fra i quali le Bibbie Ross. 554 e Vat. ebr. 9148. Proprio negli anni di trapasso dal XIV al XV secolo fu infine prodotto, 145 Vangeli dei Popoli, cat. cit., pp. 339-347 n. 89 (M. BUONOCORE); M. BUONOCORE, La Biblia Aprutina, in Teramo e la valle del Tordino, a cura di L. FRANCHI DELL’ORTO, Teramo 2006 (Documenti dell’Abruzzo teramano, VII,1), pp. 550-557. 146 Il Villani illustrato. Firenze e l’Italia medievale nelle 253 immagini del ms. Chigiano L VIII 296 della Biblioteca Vaticana, a cura di CH. FRUGONI, Firenze – Città del Vaticano 2005; ivi, in part.: G. Z. ZANICHELLI, La Cronica di Giovanni Villani e la nascita del racconto storico illustrato a Firenze nella prima metà del Trecento, pp. 59-76); Die Nuova Cronica des Giovanni Villani (Bibl. Apost. Vat., ms. Chigi L.VIII.296). Verbildlichung von Geschichte im spätmittelalterlichen Florenz, Diss. München, 2007; V.GEBHARD, Representation of Florentine History and Creation of Communal Myths in the Illustrated Nuova Cronica of Giovanni Villani, in Iconographica 8 (2009), pp. 78-82. Per essere un codice vaticano ricordo che la Zanichelli ha confrontato l’ambientamento delle scene rituali del “Villani” con modelli di codici giuridici, come il Vat. lat. 1455, realizzato da Pacino di Bonaguida probabilmente nel 1334 [su Pacino, vd. Dizionario biografico cit., pp. 841-842, s.v. (A. LABRIOLA)]. 147 V. PACE, Codici miniati a Roma al tempo del primo Giubileo, in Roma 1300-1875. L’arte degli anni santi, cat. della mostra (Roma 1984-1985), a cura di M. FAGIOLO – M. L. MADONNA, Milano 1984, pp. 318-320; E. CONDELLO, I codici Stefaneschi: uno scriptorium cardinalizio del Trecento tra Roma e Avignone?, in Archivio della Società Romana di Storia Patria 110 (1987), pp. 21-61; EAD., I codici Stefaneschi: libri e committenza di un cardinale avignonese, ibid., 112 (1989), pp. 195-218; BILOTTA, Pontificali duecenteschi cit.; EAD., I libri dei papi cit. 148 G. Z. ZANICHELLI, Manoscritti ebraici romani, in Bonifacio VIII, anno 1300 cit., pp. 111116, e pp. 215-216 per le schede dei due codici vaticani (nn. 164 e 165).

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per il pontefice allora regnante, Bonifacio IX, il cosiddetto “Pontificale” che da lui trae il nome, Vat. lat. 3747 (Tav. XXV), in realtà un testo liturgico che contiene i riti per la preparazione del papa alla celebrazione della messa, illustrati in stretta relazione con le rubriche; le sue miniature sono opera di un atelier eclettico, dalle convergenze centro-italiane diverse, dalla Toscana in primo luogo, ma anche da fonti napoletane e ancora duecentesche149. Dal Virgilio Vaticano al Pontificale di Bonifacio IX trascorrono, più o meno, mille anni: un arco di tempo che alla Biblioteca Apostolica Vaticana è testimoniato da codici (in qualche raro caso da rotuli) che sono non poche volte capolavori della civiltà figurativa, di cui qui si sono ricordati, in pur minima parte, solo quelli dell’occidente europeo. Altri territori e anche altri secoli ampiano ancora di più l’importanza di questa Istituzione, alla quale tutti noi dobbiamo essere grati per la cura verso il proprio patrimonio e per averne fatto un ideale “luogo di ricerca al servizio degli studiosi”.

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Vaticana, cat. cit., pp. 230-233 n. 47 (J. J. G. ALEXANDER); Il Pontificale di Bonifacio IX (Vat. lat. 3747). [I. Facsimile]; [II.] Commentario, a cura di A. M. PIAZZONI, Castelvetro di Modena 2007; F. MANZARI, Libri liturgici miniati per Bonifacio IX. Il codice Vat. lat. 3747 e la miniatura a Roma e nel Lazio all’epoca dello scisma, in Il Pontificale cit., pp. 49-89; EAD., Libri liturgici miniati in Italia centromeridionale all’inizio del Quattrocento, in Universitates e Baronie. Arte e architettura in Abruzzo e nel Regno al tempo dei Durazzo. Atti del conv. (Guardiagrele – Chieti 2006), a cura di P. F. PISTILLI – F. MANZARI – G. CURZI, Pescara, I, pp. 109-133. Esiti di forte similitudine con questo “Pontificale” li presenta il Messale Ross. 276, dell’ultimo quarto del secolo per la chiesa aquilana di santa Maria di Paganica.

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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3225, ff. 33v, 40r.

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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3868, ff. 10v, 14r.

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Tav. III – Alba Iulia, Biblioteca Batthyáneum, ms. R.II.1, p. 26 (f. 13v).

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Tav. IV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 124, f. 4v.

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Tav. V – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 570 (II), f. 1r.

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Tav. VI – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 74, f. 193v.

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Tav. VIIa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3548, f. 8r.

Tav. VIIb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3340, f. 8r.

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Tav. VIII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 12, f. 73v.

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Tav. IX – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 587, f. 264r.

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Tav. X – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1202, f. 2r.

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Tav. XI – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4939, f. 126r.

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Tav. XII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4922, f. 49r.

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Tav. XIII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 36, f. 522v.

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Tav. XIV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 375, f. 39r (s. Marina), f. 50r (s. Frontone abate), f. 54v (scena di nuoto e paesaggio lacustre).

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Tav. XV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 20, ff. 199v, 202r, 358v.

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Tav. XVI – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 629, f. 208r.

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Tav. XVII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 8541, f. 83v.

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Tav. XVIII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Cap. S. Pietro B.63, f. 227v.

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Tav. XIXa – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 1420, f. 1r.

Tav. XIXb – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 6435, f. 54r.

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Tav. XX – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 603, f. 408v.

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Tav. XXI – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Cap. S. Pietro C.129, f. 85r.

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Tav. XXII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 537, f. 139v.

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Tav. XXIII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2194, f. 1r.

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Tav. XXIV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3550, ff. 11r e 38v.

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Tav. XXV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3747, f. 1v.

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ARNALDO MORELLI

STORIA DELLA MUSICA Nel 1770, Charles Burney, musicista e musicologo inglese, compì un viaggio attraverso l’Europa per raccogliere materiali in vista della stesura di una prima grande storia della musica, che avrebbe poi dato alle stampe a Londra fra il 1776 e il 17891. Pochi giorni dopo essere giunto a Roma, così annotava nel suo giornale di viaggio2: Giovedì 25 [settembre 1770]. Ebbi l’onore di essere presentato al cardinale Alessandro Albani, bibliotecario del Vaticano e prefetto della cappella pontificia. Sua eminenza mi ricevette con grande cordialità e disponibilità, prendendomi per mano e dicendo: «Figlio mio, che volete?». Dopo averlo informato circa gli scopi del mio viaggio in Italia, gli manifestai il desiderio che mi fosse permesso di esaminare i manoscritti della Biblioteca Vaticana e quelli dell’archivio della cappella pontificia riguardanti la musica. «Voi avrete il permesso che desiderate, ma chiedetemelo per iscritto in forma di supplica». Ciò fatto, ebbi l’onore di essergli presentato una seconda volta: egli chiamò il suo segretario e gli diede istruzioni per stendere un ordine, che poi firmò, indirizzandolo a monsignor arcivescovo di Apamea [Stefano Evodio Assemani], prefetto della Vaticana, per consentirmi di accedere alla biblioteca quando volevo, di consultare i libri e i manoscritti che desideravo e di avere copia di quel che mi interessava.

Fin dagli albori della storiografia musicale — come si legge nella vivida testimonianza di Burney — la Biblioteca Vaticana costituì un passaggio 1 C. BURNEY, A general history of music, from the earliest ages to the present period. To which is prefixed a dissertation on the music of the ancients, 4 voll., London 1776-1789. 2 C. BURNEY, The present state of music in France and Italy, II ed., London 1773, p. 272: «Tuesday 25 [September 1770]. I had this morning the honour of being presenting to Cardinal Alexander Albani, principal librarian to the Vatican, and Prefetto, or Governor of the Pope’s chapel. His eminence received me in the most obliging and condescending manner imaginable, taking me by the hand, and saying, Figlio mio, che volete? «My son, what do you wish I should do for you?» And upon my informing him of the views with which I came into Italy, and expressing a defire to be permitted to examine MSS. in the Vatican library, and in the archives of the pontifical chapel, relative to music, he said, «You shall have the permission» you desire, but write it down in the «form of a memorial»; which being done, I had the honour of being presented to him a second time, when he called for his secretary, to whom he gave instructions to draw up an order, which he signed, and addressed to Monsignore Archivescovo di Apamea, prefetto della Vaticana, to admit me into the Vatican library when I pleased, to let me see what books and MSS. I pleased, and to have copied what I pleased».

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 273-298.

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pressoché obbligato per lo studio delle fonti musicali, per l’antichità e la rarità dei materiali che vi erano conservati. Ad attrarre Burney — e, dopo di lui, le successive generazioni di musicologi — furono principalmente le fonti relative alla musica sacra: fonti autorevoli non soltanto per i contenuti musicali che tramandavano, ma, più in generale, quali testimonianze dei mutamenti intercorsi nella musica occidentale, in particolare quella legata alla liturgia cristiana, lungo l’arco di molti secoli3. Nella temperie positivistica del tardo Ottocento e del primo Novecento la Vaticana costituì un’eccezionale miniera sia di libri liturgici, con e senza notazione musicale, repertoriati e indagati dagli studiosi di paleografia musicale e di canto gregoriano, sia di manoscritti di polifonia medievale e rinascimentale descritti, analizzati e trascritti dai musicologi che andavano delineando una storia della musica vista come storia delle ‘forme musicali’ — la messa o il mottetto, la chanson o il madrigale —, seguendone la nascita, l’evoluzione e la decadenza, secondo gli orientamenti della nascente Musikwissenschaft di matrice germanica. A questa fase di studi risalgono fondamentali lavori come quelli di Ehrensberger sui Libri liturgici Bibliothecae Apostolicae Vaticanae manuscripti (Freiburg im Breisgau 1897) e di Henry Marriott Bannister sui Monumenti vaticani di paleografia musicale latina (Leipzig 1913). Non possiamo non ricordare l’opera, emblematica di tutta un’epoca, del tedesco Franz Xavier Haberl, curatore degli opera omnia di Palestrina4 e di Orlando di Lasso5, autore di una trilogia significativamente intitolata Bausteine für Musikgeschichte (Leipzig 1885-1888): 1. Wilhelm du Fay; 2. Bibliographischer und thematischer Musikkatalog des päpstlichen Kapellarchives im Vatikan zu Rom; 3. Die römische «Schola cantorum» und die päpstlichen Kapellsänger bis zur Mitte des 16. Jahrhunderts, condotta su materiali perlopiù provenienti dalla Biblioteca Vaticana, all’epoca da poco arricchitasi con l’arrivo del fondo Cappella Sistina (1870-71), comprendente l’archivio e il fondo musicale dei cantori pontifici. Dal primo Novecento — come è noto — la Biblioteca Vaticana ha vi3 Va qui ricordato che anche il celebre p. Giovan Battista Martini, autore di una Storia della musica, purtroppo interrottasi al III tomo in seguito alla sua morte, si avvalse di materiali della Biblioteca Vaticana, consultati di persona, durante un soggiorno romano nel 1753, o, con varie difficoltà, grazie all’aiuto di colleghi e conoscenti, in particolare di Girolamo Chiti, maestro della cappella lateranense; cfr. E. PASQUINI, Giambattista Martini, Palermo 2007, pp. 39-40, 71-73. 4 Per l’esattezza Haberl curò gli ultimi 24 dei 33 volumi dell’edizione dei Pierluigi da Palestrina’s Werke, Leipzig 1862-1894; i primi dieci furono editi a cura di TH. DE WITT, F. ESPAGNE e F. COMMER. 5 Orlando di Lasso Sämtliche Werke, 21 voll., Leipzig 1894-1926, a cura di F. X. HABERL – A. SANDBERGER.

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sto sensibilmente incrementato il suo patrimonio grazie all’acquisizione di straordinari fondi come Barberini (1902), Borgiano (1902), Rossiano (1922), Chigi (1923), Ferrajoli (1926)6, Patetta (1945), S. Maria Maggiore (1931), S. Pietro (1940), Cappella Giulia (1942)7, che, fra l’altro, hanno considerevolmente arricchito il patrimonio di manoscritti liturgici, oggi inventariati nei volumi curati da Pierre Salmon8, come pure di preziosi manoscritti e stampe musicali. Venendo a considerare quanto prodotto dalla ricerca dagli anni Cinquanta ad oggi, notiamo come l’accresciuta disponibilità dei fondi acquisiti per lascito o deposito dalla Biblioteca abbia notevolmente allargato l’ambito delle ricerche. Nel campo degli studi sul canto piano — che ovviamente non comprende soltanto il gregoriano — grazie al deposito dell’Archivio del Capitolo di San Pietro, avvenuto nel 1940, alcuni libri liturgici notati di eccezionale rilevanza storica come il graduale Vat. lat. 5319, l’antifonario Arch. Cap. S. Pietro B.79 (Tav. I) e i graduali F.22, F.11A, F.18 dello stesso fondo, fondamentali documenti del cosiddetto ‘canto romano antico’ (alte römische Gesang) hanno acceso un intenso, e a volte aspro, dibattito, circa le origini del gregoriano, ancor oggi ben lungi dall’essersi esaurito. I codici in questione contengono infatti la massima parte di quel che resta del canto romano antico, un repertorio di canto piano simile ma non uguale al gregoriano che rimase in uso nelle chiese romane fino al XIII secolo. La presenza di questo peculiare repertorio a Roma, negli stessi secoli in cui il gregoriano s’era ormai affermato come repertorio di tutta (o quasi) la cristianità occidentale, ha suscitato un dibattito mirato a ridisegnare la geografia delle origini del gregoriano stesso, che ha visto schierati su posizioni opposte medievisti del calibro di Bruno Stäblein, che per primo studiò queste fonti, e poi di Helmuth Hucke, Michel Huglo, Thomas Connolly e, più recentemente, Giacomo Baroffio — cui si deve un’edizione in facsimile del codice Arch. Cap. S. Pietro B.79 in collaborazione con Soo Jung Kim9 —, Edward Novacki, John Boe, Thomas F. Kelly e altri ancora. «Del resto — come scrive Giulio Cattin — la posta in gioco è molto alta perché 6 Per il catalogo della cospicua raccolta librettistica conservata fra le opere a stampa di questo fondo cfr. Libretti per musica del Fondo Ferrajoli della Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di G. GIALDRONI e T. M. GIALDRONI, Lucca – Città del Vaticano 1993. 7 Sulla storia dell’istituzione cfr. J. O. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Citta del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272); C. M. GRAFINGER, Beiträge zur Geschichte der Biblioteca Vaticana, Citta del Vaticano 1997 (Studi e testi, 373) 8 P. SALMON, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque Vaticane, 5 voll., Città del Vaticano 1968-1972 (Studi e testi, 251, 253, 260, 267, 270). 9 Biblioteca Apostolica Vaticana. Archivio S. Pietro B 79. Antifonario della basilica di S.

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la presenza del romano antico e il trapasso al repertorio gregoriano in Roma [non prima della metà del XIII secolo] comportano valutazioni che toccano la tradizionale visione storica di Roma come culla della liturgia e del canto nell’Europa occidentale»10. Come ha sconsolatamente affermato Baroffio, in una riflessione su un «cammino» di ricerca che ha attraversato quasi mezzo secolo, «ci troviamo su una zattera di ipotesi in un oceano di ignoranza […]. Purtroppo la gran parte di esse [fonti superstiti] non è ancora stata studiata in modo esaustivo»11. Per quanto riguarda gli studi sulla musica polifonica del Medioevo e del Rinascimento, particolare risonanza hanno riscosso fra gli studiosi alcuni manoscritti di eccezionale portata storico-musicale. Fra questi, il codice Ross. 215 (Tav. II), la più antica fonte di polifonia italiana del Trecento pervenuta alla Vaticana nel 1922; essa fu resa nota da Gino Borghezio nel 1925, e via via studiata da quasi tutti i più noti specialisti di musica trecentesca — fra i quali Heinrich Besseler, Friedrich Ludwig, Johannes Wolf — e di filologia medievale — Ferdinando Liuzzi, Ugo Sesini, Ettore Li Gotti, Aurelio Roncaglia. Nel 1963, in alcuni fogli notati scoperti presso la biblioteca della Fondazione Greggiati a Ostiglia, Oscar Mischiati riconobbe alcuni frammenti del Ross. 215, apportando così nuovi elementi di conoscenza del codice e della sua storia12. Le composizioni polifoniche del codice rossiano apparvero poi in edizione moderna a cura di uno dei massimi medievisti italiani del Novecento, Nino Pirrotta13, che ne curò poi un’edizione in facsimile con ampi commenti, indicando in Verona il probabile luogo di origine e proponendo una datazione intorno al 137014. Pochi anni fa Tiziana Sucato ne ha realizzato una nuova edizione moderna, comprensiva delle musiche del frammento di Ostiglia15. Pietro (Sec. XII), introduzione e indici a cura di B. G. BAROFFIO – S. J. KIM, presentazione di L. E. BOYLE, Roma 1995 (Musica Italiae Liturgica, 1). 10 G. CATTIN, La monodia nel Medioevo, Torino 1991 (Storia della musica a cura della Società Italiana di Musicologia, 2), p. 37. 11 G. BAROFFIO, Il canto gregoriano a Roma. Il canto gregoriano da Roma: ricordi di un cammino tra ricerca e ipotesi, in Rivista internazionale di musica sacra 31 (2010), pp. 5-10: 5. 12 O. MISCHIATI, Uno sconosciuto frammento appartenente al codice vaticano Rossi 215, in Rivista italiana di musicologia 1 (1966), pp. 69-76. 13 Music of fourteenth-century Italy, a cura di N. PIRROTTA, vol. II: The collected works of Maestro Piero, compositions from the Codex Vatican Rossi 215, and anonymous madrigals and cacce from other manuscripts, Amsterdam 1960 (Corpus Mensurabilis Musicae, 8/2). 14 Il Codice Rossi 215. Roma, Biblioteca apostolica Vaticana; Ostiglia, Fondazione Opera pia Don Giuseppe Greggiati, studio introduttivo ed edizione in facsimile a cura di N. PIRROTTA, Lucca 1992 (Ars nova, 2). 15 Il codice Rossiano 215. Madrigali, ballate, una caccia, un rotondello, edizione critica e studio introduttivo a cura di T. SUCATO, Pisa 2003. Si rimanda a questa recente pubblicazione per la bibliografia aggiornata sul codice.

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Il codice Chig. C.VIII.234 è una straordinaria fonte della polifonia franco-fiamminga del Quattrocento, contenente tredici messe di Johannes Ockeghem (ca. 1420-97), fra cui la Missa Ecce Ancilla Domini, che apre il volume (Tav. III). Il manoscritto, sontuosamente miniato, fu studiato negli anni cinquanta da Herbert Kellman, che ne accertò la redazione avvenuta nelle Fiandre, fra 1498 e 1503, su commissione del gentiluomo della corte di Borgogna Philippe Bouton16. Il codice chigiano è stata una fonte privilegiata dalle indagini sul repertorio e sulla tecnica compositiva dei polifonisti franco-fiamminghi, come mostra l’ampia bibliografia, nella quale citiamo almeno la dissertazione di Heinz-Jürgen Winkler, Die Tenormotetten von Johannes Regis in der Überlieferung des Chigi-Kodex (Universität Heidelberg, 1994; poi pubblicata, Città del Vaticano-Turnhout, 1999). Recentemente il codice Chig. C.VIII.234 è stato riesaminato da Emilio RosFábregas che ha mostrato come esso rechi, oltre alle armi del Bouton, quelle delle famiglie spagnole dei Cardona e Fernandez de Córdoba, che ne entrarono in possesso dopo il 1515, e successivamente fecero realizzare e aggiungere una parte del codice probabilmente a Napoli (Tavv. III-V)17. Lo chansonnier Capp. Giulia XIII.27 è un’eccezionale raccolta di musica profana, che comprende chanson franco-fiamminghe copiate nel tardo Quattrocento, probabilmente a Firenze per un membro della famiglia de’ Medici. Fra queste figura infatti la celebre canzone Palle, palle di Heinrich Isaac, in riferimento allo stemma mediceo (Tavv. VI-VII). Allan Atlas, che a questo codice ha dedicato la sua dissertazione, ne ha poi pubblicato un’edizione in facsimile con commentario e trascrizione18. Meno appariscenti dei precedenti codici, ma non meno considerevoli per la storiografia, sono le Epistole composte in lingua volgare, nelle quali si contiene la resolutione di molti reconditi dubbij della musica (Vat. lat. 5318), una raccolta manoscritta di oltre cento lettere fra alcuni dei mag-

16 H. KELLMAN, The origins of the Chigi Codex. The date, provenance, and original ownership of Rome, Biblioteca Vaticana, Chigiana, C.VIII.234, in Journal of the American Musicological Society 11 (1958), pp. 6-19. 17 E. ROS-FABREGAS, The Cardona and Fernández de Córdoba coats of arms in the Chigi Codex, in Early music history 21 (2002), pp. 223-258. Sul codice chigiano si veda anche il recente contributo di E. F. HOUGHTON, The anonymous motets of the Chigi Codex, in «Uno gentile et subtile ingenio». Studies in Renaissance music in honour of Bonnie Blackburn, a cura di G. FILOCAMO – M. J. BLOXAM – L. HOLFORD-STREVENS, Turnhout 2009, pp. 431-440. 18 A. W. ATLAS, Rome, Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Giulia XIII.27, and the dissemination of the Franco-Netherlandish chanson in Italy, c. 1460 – c. 1530, Ph.D. diss., New York University, 1971, and The Cappella Giulia chansonnier (Rome, Biblioteca Apostolica Vaticana, C.G. XIII.27), Brooklyn (NY) 1975-76, a cura di A. ATLAS, part 1 Commentary; part 2 Transcriptions.

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giori teorici musicali italiani del primo Cinquecento19, messe insieme dal veneziano Giovanni del Lago fra il 1517 e il 1543, forse in vista di un’edizione a stampa presso l’editore Paolo Manuzio che le aveva comprate; le lettere, ereditate dal figlio dell’editore, Aldo Manuzio jr, pervennero, nel 1598, alla Biblioteca Vaticana20. Già nota fin dal Settecento al padre Giovan Battista Martini, che ne possedeva una copia sia pure parziale, la succosa corrispondenza fra i teorici musicali ritornò al centro degli interessi della musicologia negli anni Trenta-Quaranta del Novecento, grazie agli articoli di Raffaele Casimiri e Knud Jeppesen nel 194121. A occuparsene in modo continuativo fu però Edward E. Lowinsky, che utilizzò questa straordinaria fonte per affrontare non facili questioni di teoria musicale del primo Cinquecento e iniziò poi a lavorare a un’edizione integrale di questi carteggi. Morto Lowinsky nel 1985, a portare avanti il progetto fu Bonnie J. Blackburn, che, con la collaborazione di Clement A. Miller, diede alle stampe un’edizione magistralmente annotata dell’intero carteggio22. La maggiore accessibilità dei fondi Cappella Sistina e Cappella Giulia, determinatasi con il loro deposito presso la Vaticana rispettivamente nel 1870 e nel 1941, è stata ulteriormente accentuata dalla pubblicazione dei loro cataloghi ad opera del musicologo José María Llorens23, autore anche di una pionieristica dissertazione sulla cappella pontificia al tempo di Paolo III, ricca di documenti ma mai pubblicata24. Prova ne sia che negli anni Settanta e Ottanta, la musica polifonica del Quattrocento e del Cinquecento, vista soprattutto attraverso i materiali archivistici e musicali della cappella pontificia e della cappella Giulia, è stata uno dei soggetti più 19 Giovanni Spataro (54 lettere), Giovanni Dal Lago (27), Pietro Aaron (9), Giovanni Maria Lanfranco (2) e altri teorici di minore notorietà. 20 Il titolo completo recita: Epistole composte in lingua volgare, nelle quali si contiene la resolutione di molti reconditi dubbij della musica oscuramente trattati da antichi musici e non rettamente intesi da moderni, a commune utilità di tutti li studiosi di tale liberale arte nuovamente in luce mandate dal molto di ciò studioso messer Giovanni del Lago, prete nella chiesa di S. Sophia di Venezia, et scritte al magnifico messer Girolamo Molino patricio venetiano. 21 R. CASIMIRI, Il codice Vat. 5318. Carteggio musicale autografo tra teorici e musici del sec. XVI dall’anno 1517 al 1543, in Note d’archivio per la storia musicale 16 (1939), pp. 109-131, e K. JEPPESEN, Eine musiktheoretische Korrespondenz des früheren Cinquecento, in Acta musicologica 13 (1941), pp. 3-39. 22 A correspondence of Renaissance musicians, a cura di E. LOWINSKY – B. J. BLACKBURN – C. A. MILLER, Oxford 1991. 23 Capellae Sixtinae codices musicis notis instructi sive manu scripti sive praelo excussi, a cura di J. M. LLORENS, Città del Vaticano 1960 (Studi e testi, 202); Le opere musicali della Cappella Giulia. 1. Manoscritti e edizioni fino al ‘700 a cura di J. M. LLORENS, Città del Vaticano 1971 (Studi e testi; 265). 24 J. M. LLORENS CISTERÓ, La capilla pontificia en el Renascimiento musical de Lajandro Farnese, Papa Paulo III, tesi di dottorato, Roma, Pontificio Istituto di Musica Sacra (1968).

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frequentati dalla musicologia internazionale, in particolare statunitense e tedesca — ma curiosamente non italiana. In quegli anni furono condotti lavori fondamentali sui manoscritti di polifonia dei fondi Cappella Sistina e Cappella Giulia come le dissertazioni dottorali di Richard Sherr, The papal chapel ca. 1492-1513 and its polyphonic sources (Princeton University, 1975)25; di Mitchell P. Brauner, The Parvus manuscripts. A study of Vatican polyphony, ca. 1535 to 1580 (Brandeis University, 1982)26; di Jeffrey Dean, The scribes of the Sistine Chapel, 1501-1527 (University of Chicago, 1984)27; e infine quella di Adalbert Roth, Studien zum frühen Repertoire der Päpstlichen Kapelle unter dem Pontifikat Sixtus’ IV. (1471-1484). Die Chorbücher 14 und 51 des Fondo Cappella Sistina der Biblioteca Apostolica Vaticana (Johann Wolfgang Goethe-Universität Frankfurt am Main, 1982; poi pubblicata, Città del Vaticano 1991). Di rilievo anche altri lavori dedicati alla musica presso le due istituzioni cui fanno capo i due fondi predetti, come le dissertazioni di Christopher A. Reynolds, The music chapel at San Pietro in Vaticano in the later fifteenth century (Princeton University, 1982)28, che ha investigato un’altra importante fonte di polifonia del primo Quattrocento, il ms. Arch. San Pietro B.8029; di Pamela Starr, Music and music patronage at the papal court, 1447-1464 (Yale University 1987), di Rafael Köhler, Die Cappella Sistina unter den Medici-Päpsten, 1513-1534. Musikpflege und Repertoire am päpstlichen Hof (Universität Heidelberg, 1988, poi pubblicata, Kiel 2001), e le più recenti dissertazioni di Bernhard Janz, Der Fondo Cappella Sistina der Biblioteca Apostolica Vaticana. Studien zur Geschichte des Bestandes, (Universität Heidelberg, 1994, poi pubblicata, Paderborn 2000) e di Klaus Pietschmann, Kirchenmusik zwischen Tradition und Reform: die Päpstliche Kapelle und Repertoire unter Papst

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Pubblicata una ventina di anni più tardi col titolo Papal music manuscripts in the late fifteenth and early sixteenth centuries, Neuhausen 1996. Dello stesso studioso segnaliamo i saggi — in gran parte dedicati alla cappella pontificia e al suo repertorio — ora raccolti in R. SHERR, Music and musicians in Renaissance Rome and other courts, Aldershot 1999. 26 Cfr. anche M. BRAUNER, Music from Cappella Sistina at the Cappella Giulia, in Journal of musicology 3 (1984), pp. 287-311; ID., The catalogue of Raffaele Panuzzi and the repertory of the Papal Chapel in the 15th and 16th centuries, in Journal of musicology 8 (1990), pp. 427-443. 27 Cfr. anche J. DEAN, The repertory of the Cappella Giulia in the 1560s, in Journal of the American Musicological Society, 41 (1988), pp. 465-490. 28 Poi pubblicata col titolo Papal patronage and the music of St. Peter’s, 1380-1513, Berkeley 1995. Sulla cappella Giulia cfr. anche A. DUCROT, Histoire de la cappella Giulia au XVIe siècle depuis sa foundation par Jules II (1513) jusqu’à sa restauration par Grégoire XIII (1578), in Mélanges d’archéologie et d’histoire 75 (1963), pp. 179-240, 467-559. 29 C. A. REYNOLDS, The origins of San Pietro B 80 and the development of a Roman sacred repertory, in Early music history 1 (1981), pp. 257-304.

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Paul III; 1534-1549 (Universität Münster, 2000; poi pubblicata, Città del Vaticano 2007)30. Tali imponenti lavori hanno contribuito a ridisegnare la funzione della musica e il repertorio in uso presso le due maggiori istituzioni ecclesiastiche romane attraverso quasi tutti i pontificati succedutisi durante il Rinascimento31. Il quadro che ne esce mostra la città papale fra Quattro e Cinquecento non solo come luogo di produzione, ma anche come luogo di incontro fra le diverse culture musicali europee, e permette di superare la visione ottocentesca di una tradizione locale incentrata su Palestrina, fondatore di una ‘scuola romana’, così come la videro pionieri della musicologia storica, quali Giuseppe Baini, autore delle celebri Memorie storicocritiche della vita e delle opere di Giovanni Pierluigi da Palestrina (Roma 1828); August Wilhelm Ambros che incentrò sulla Musik in Italien von Palestrina bis gegen 1650 il quarto volume della sua Geschichte der Musik (Leipzig 1878)32; il già citato Haberl e i loro epigoni novecenteschi come Alberto Cametti, biografo del compositore prenestino e Raffaele Casimiri curatore di una seconda edizione degli opera omnia palestriniani33. Alla tradizione storicistico-erudita si connettono le due biografie di Palestrina di Lino Bianchi34 e gli ampi scritti dedicati da Giancarlo Rostirolla alla cappella Giulia e alla cappella pontificia nel periodo palestriniano e

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Tre di queste dissertazioni — quelle di Adalbert Roth, Heinz-Jürgen Winkler e Klaus Pietschmann — sono apparse nella collana della Biblioteca Vaticana CASCAM (Capellae Apostolicae Sixtinaeque Collectanea Acta Monumenta), fondata e diretta dallo stesso Roth, accanto ad alcune miscellanee di studi e atti di convegni sulla cappella papale, la sua prassi e il suo repertorio, e alla monografia, di carattere interdisciplinare, di A. M. VOCI, Nord o Sud? Note per la storia del medioevale Palatium apostolicum apud Sanctum Petrum e delle sue cappelle, Città del Vaticano 1992. 31 I risultati conseguiti dalla fioritura di questi studi intorno alla cappella pontificia fra tardo Medioevo e Rinascimento, vista soprattutto in una prospettiva cosmopolita, grazie alla internazionalità dei suoi membri e del suo repertorio, hanno dato luogo a specifiche pubblicazioni: oltre alle monografie e alle tre collectanee della collana CASCAM (vedi nota precedente), ricordiamo almeno il volume collettivo Papal music and musicians in medieval and Renaissance Rome, a cura di R. SHERR, Oxford 1998, 32 Ambros non riuscì a completare, per la sopravvenuta morte, il volume progettato come studio su Palestrina e la scuola romana; esso fu tuttavia pubblicato nel 1878, nello stato di frammento in cui si trovava alla morte dell’autore, a cura di O. KADE e H. LEICHTENTRITT. 33 Le opere complete di Giovanni Pierluigi da Palestrina, 16 voll. Roma 1939-1943. Rimasta interrotta per la morte di Casimiri, questa edizione delle opere palestriniane fu continuata a cura di L. VIRGILI (vol. 17, Roma 1952), K. JEPPESEN (voll. 18-20, Roma 1954) e, infine, di L. BIANCHI (voll. 20-35, Roma 1955-2000). 34 La prima, Giovanni Pierluigi da Palestrina, Torino 1971, in collaborazione con K. G. FELLERER, che vi incluse un proprio saggio sulle messe e i mottetti del compositore; la seconda Palestrina nella vita, nelle opere, nel suo tempo, Palestrina 1995.

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nel primo Seicento35, come pure gli studi sulla musica sacra a Roma nel Sei e nel Settecento, intesa come eredità di quella palestriniana: mi riferisco ai lavori di Laurence Feininger, instancabile trascrittore di musica polifonica dai manoscritti vaticani, nonché curatore-editore di musiche policorali dell’età barocca sparse nelle decine di volumi di collane quali Documenta liturgiae polychoralis sanctae ecclesiae romanae, Monumenta liturgiae polychoralis sanctae ecclesiae romanae e altre36. Come pure ai lavori di Siegfried Gmeinwieser sui maestri di cappella del primo Settecento Girolamo Chiti e Giuseppe Ottavio Pitoni, del quale compilò il catalogo tematico della sterminata produzione in massima parte conservata nel fondo Cappella Giulia37, avendola il compositore lasciata per testamento, con tutte le sue carte, al capitolo di San Pietro che aveva servito per lunghi anni. Dello stesso Pitoni, singolare protagonista di una fase aurorale della storiografia musicale, è stata pubblicata in una accurata edizione critica moderna a cura di Cesarino Ruini (Firenze 1988) la Notitia de’ contrapuntisti e compositori di musica, una sorta di primo dizionario dei musicisti, rimasto manoscritto in tre redazioni nel fondo Cappella Giulia38. Fra le carte lasciate da Pitoni, sempre nel fondo Cappella Giulia, resta, ancora se35 G. ROSTIROLLA, La cappella Giulia in San Pietro negli anni del magistero di Giovanni Pierluigi da Palestrina. Atti del convegno di studi palestriniani (28 settembre – 2 ottobre 1975), a cura di F. LUISI, Palestrina 1977, pp. 101-283; ID., Policoralità e impiego di strumenti musicali nella basilica di San Pietro in Roma negli ultimi anni del Cinquecento, in Atti della giornata internazionale di studi sulla policoralità, promossa dall’Università degli studi di Messina (Messina, 27 dicembre 1980), a cura di G. DONATO, Roma 1987, pp. 11-54; ID., Musiche e apparati nella basilica vaticana per le feste dei Santi Pietro e Paolo e della Dedicazione dalla fine del XVI al primo quarto del XVII secolo, in Musik in Rom im 17. und 18. Jahrhundert. Kirche und Fest, a cura di M. ENGELHARDT – C. FLAMM, Laaber 2004 (Analecta musicologica, 33), pp. 417-474. 36 Restano tuttavia manoscritte la maggior parte delle sue trascrizioni di composizioni polifoniche del Quattro e del Cinquecento, tratte principalmente dai manoscritti vaticani dei fondi Capp. Sistina e Capp. Giulia, oggi conservate in 13 volumi (8 di messe, 3 di mottetti, 1 di magnificat, 1 di inni magnificat e salmi) a Roma, presso la biblioteca del Pontificio Istituto di Musica, già segnalati da E. E. LOWINSKY, Laurence Feininger (1909-1976). Life, works, legacy, in Musical quarterly 63 (1977), pp. 327-366, che sono stati di recente studiati e catalogati; cfr. A. ADDAMIANO, I manoscritti di messe polifoniche redatti da Laurence Feininger ora presso la Biblioteca del Pontificio Istituto di Musica Sacra: catalogo analitico e data-base informatico, tesi di laurea, Università di Roma Tor Vergata, 2001-2002; ID., Uno strumento per la conoscenza della musica sacra e delle sue fonti Quattro-Cinquecentesche. Sulle orme di Laurence Feininger, in Manoscritti di polifonia nel Quattrocento europeo. Atti del convegno internazionale di studi. Trento, Castello del Buonconsiglio, 18-19 ottobre 2002, a cura di M. GOZZI, Trento 2004, pp. 23-32. 37 S. GMEINWIESER, Giuseppe Ottavio Pitoni: thematisches Werkverzeichnis, Wilhelmshaven 1976; ID., Girolamo Chiti, 1679-1759. Eine Untersuchung zur Kirchenmusik in S. Giovanni in Laterano, Regensburg 1968 (Ph.D. diss., Universität Köln). 38 Biblioteca Apostolica Vaticana, Capp. Giulia, I.1, I.2, I.3.

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minesplorato, lo sterminato corpus di quarantuno volumi di appunti che il musicista raccolse in vista di una ciclopica Guida armonica — una sorta di vasto manuale storico-stilistico della composizione, ricco di esempi tratti da brani dei secoli XV-XVII —, mai venuta alla luce, fatto salvo un primo volume, la cui prima tiratura andò però distrutta per volontà dell’autore stesso39. Fra le maggiori imprese condotte su materiali settecenteschi della biblioteca va ricordata la pubblicazione di un volume curato da Giancarlo Rostirolla, contenente i ritratti e le caricature di personaggi del mondo musicale romano del Settecento, provenienti dagli album del Mondo novo di Pier Leone Ghezzi (Ott. lat. 3112-3119), che il pittore aveva ceduto al pontefice Benedetto XIV in cambio di un vitalizio40. La singolare fonte iconografica apporta un significativo contributo alla conoscenza della vita musicale a Roma nella prima metà del Settecento e alla biografia di singoli musicisti e di altri personaggi, grazie anche alle saporose e talvolta graffianti didascalie apposte da Ghezzi stesso in calce ai ritratti, piene di dettagli non solo biografici ma anche umani e psicologici, difficilmente ricavabili da altre fonti41. Per la storia della musica nell’Ottocento mette conto ricordare i lavori di Leopold M. Kantner sulla cappella Giulia e quello, in collaborazione con Angela Packovski, sulla cappella pontificia42. A partire dagli anni Sessanta, altri importanti fondi della Vaticana relativi a personalità e famiglie le cui vicende si intrecciano con la storia politica e culturale di Roma e della Chiesa durante l’età moderna hanno 39 L’unico esemplare sopravvissuto alla distruzione fu quello che pervenne a padre Giovan Battista Martini, che lo conservò nella sua ricchissima biblioteca, oggi depositata presso il Museo internazionale e Biblioteca della musica di Bologna. Sull’opera cfr. almeno S. DURANTE, La Guida armonica di Giuseppe Ottavio Pitoni. Un documento sugli stili musicali in uso a Roma al tempo di Corelli, in Nuovissimi studi corelliani. Atti del terzo congresso internazionale (Fusignano, 4-7 settembre 1980), a cura di S. DURANTE – P. PETROBELLI, Firenze 1982, pp. 285326, e Giuseppe Ottavio Pitoni, Guida armonica. Facsimile dell’unicum appartenuto a padre Martini. Roma (ca. 1690), a cura di F. LUISI, Lucca 1990. 40 G. ROSTIROLLA, Il Mondo novo musicale di Pier Leone Ghezzi, con saggi di S. LA VIA – A. LO BIANCO, Roma – Milano 2001. 41 Alle raccolte ottoboniane di disegni del Ghezzi va ad aggiungersi un album di recente venuto alla luce, contenente, fra l’altro, una trentina di ritratti di musicisti; cfr. G. ROSTIROLLA, Il Mondo novo accresciuto. Trenta nuovi disegni di Pier Leone Ghezzi dal Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, in Recercare 21 (2009), pp. 229-287. 42 L. M. KANTNER, «Aurea Luce». Musik an St. Peter in Rom, 1790-1850, Wien 1979 (Österreichische Akademie der Wissenschaften, 339, Veröffentlichungen der Kommission für Musikforschung, 18); ID. e A. PACKOVSKI, La cappella musicale pontificia nell’Ottocento, Roma 1998, parte di una Storia della cappella musicale pontificia in 7 volumi, progettata una ventina di anni fa, cui ha fatto seguito, finora, soltanto quello di S. DE SALVO FATTOR, La cappella musicale pontificia nel Novecento, Roma 2005.

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attirato l’interesse degli studiosi impegnati in campi diversi dalla musica sacra: l’opera, la cantata, la musica strumentale, e più in generale della committenza in campo musicale. Mi riferisco a fondi archivistici come la Computisteria Ottoboni, su cui lavorò il musicologo Hans Joachim Marx nell’ambito di una ricerca su Corelli, che — come è noto — fu alle dipendenze del cardinale Pietro Ottoboni dal 1689 alla morte (1713)43. L’indagine sulle carte dell’archivio Ottoboni relativamente al periodo successivo alla morte di Corelli è stata poi condotta negli anni Ottanta-Novanta da Stefano La Via, che ha approfondito il mecenatismo musicale ottoboniano nel primo quarantennio del Settecento44. Fra tutti i fondi familiari spiccano tuttavia il Barberini e il Chigi, acquisiti dalla Vaticana rispettivamente nel 1902 e nel 1923, che comprendono collezioni di musiche di straordinario interesse storico-musicale per qualità e quantità, unitamente — fatto davvero non comune — agli archivi di queste stesse famiglie. Nel filone di studi sul dramma per musica a Roma nel Seicento — avviato dagli studi di Nino Pirrotta sulle relazioni fra teatro per musica e commedia dell’arte45, di Carolyn Gianturco su Stradella e l’opera romana del Seicento46, di Silke Leopold su Stefano Landi e la musica vocale su testi spirituali47 — si colloca l’importante lavoro di Margaret Murata Operas for the papal court (Ann Arbor [MI] 1981), condotto in gran parte su materiali dei fondi e degli archivi Barberini e Chigi, oltre che Ro43

H. J. MARX, Die Musik am Hofe Pietro Kardinal Ottobonis unter Arcangelo Corelli, in Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte V, a cura di F. LIPPMANN, Köln – Wien 1968 (Analecta musicologica, 5), pp. 104-177. 44 S. LA VIA, Il cardinale Ottoboni e la musica: nuovi documenti (1700-1740), nuove letture e ipotesi, in Intorno a Locatelli, a cura di A. DUNNING, Lucca 1995, pp. 319-526. Sulle carte archivistiche della Computisteria Ottoboni si fondano anche i lavori di M. L. VOLPICELLI, Il teatro del cardinale Ottoboni al Palazzo della Cancelleria, in Il teatro a Roma nel Settecento, Roma 1989, vol. II, pp. 681-782; T. CHIRICO, L’inedita serenata alla regina Maria Casimira di Polonia. Pietro Ottoboni committente di cantate e serenate (1689-1709), in La serenata tra Seicento e Settecento. Musica, poesia, scenotecnica. Atti del Convegno Internazionale di studi, Reggio Calabria, 16-17 maggio 2003, a cura di N. MACCAVINO, Reggio Calabria 2007, vol. II, pp. 397-449; EAD., New information about harpsichords and harpsichords makers employed in Rome by Cardinal Pietro Ottoboni and his father Antonio, in Galpin Society Journal 62 (2009), pp. 101-115; EAD., Strumenti a corde e a fiato e strumentisti in casa Ottoboni all’epoca di Händel a Roma, in Georg Friedrich Händel in Rom. Beiträge Internationalen Tagung am Deutschen Historischen Institut in Rom, 17.-20. Oktober 2007, a cura di S. EHRMANN-HERFORT – M. SCHNETTGER, Kassel 2010 (Analecta musicologica, 44), pp. 291-306. 45 N. PIRROTTA, Commedia dell’arte and opera, in Musical quarterly 41 (1955), pp. 305-324. 46 C. GIANTURCO, Nuove considerazioni sul «tedio del recitativo» delle prime opere romane, in Rivista Italiana di Musicologia 18 (1982), pp. 212-239; EAD., Alessandro Stradella (16391682). His life and music, Oxford 1994. 47 S. LEOPOLD, Stefano Landi: Beiträge zur Biographie. Untersuchung zur weltlichen und geistlichen Vokalmusik, Hamburg 1976.

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spigliosi, lavoro che ha per filo conduttore i drammi per musica su libretto di Giulio Rospigliosi (poi papa Clemente IX), quasi tutti rappresentati sotto il patrocinio dei Barberini, fra il 1631 e il 1668. Gloria Rose e, più approfonditamente, la stessa Murata hanno poi rivolto la loro attenzione ai numerosi manoscritti di cantate del fondo Barberini, identificando fra questi un gruppo particolarmente interessante appartenuto al cantante Marcantonio Pasqualini, che fu al servizio del cardinale Antonio Barberini48. Parallelamente agli studi di Murata sul teatro musicale, un altro musicologo statunitense, Frederick Hammond, ha scandagliato l’archivio Barberini nel corso dei suoi studi su Girolamo Frescobaldi, culminati nella monografia dedicata a questo compositore apparsa nel 1983, cui ha fatto seguito una decina di anni più tardi quella sul mecenatismo musicale dei Barberini all’epoca del pontificato di Urbano VIII49. Al fondo e all’archivio Chigi sono legati i primi lavori musicologici di Jean Lionnet, studioso francese scomparso nel 1998, che per una quindicina d’anni frequentò con assiduità pressoché quotidiana la Biblioteca Vaticana. Durante la schedatura dei manoscritti del fondo Chigi, effettuata nell’ambito del progetto RISM (Répertoire international des sources musicales), promosso dall’UNESCO, Lionnet intraprese collateralmente intense ricerche d’archivio, indagando sul mecenatismo musicale del cardinale Flavio Chigi e sulla cappella pontificia, mettendo in luce i legami che univano i cantori papali, come pure altri musicisti, alle famiglie della più alta nobiltà romana del Seicento e seguendone la carriera attraverso le cappelle musicale delle chiese romane50. 48

G. ROSE, Pasqualini as copyist, in Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte, IX, a cura di F. LIPPMANN, Köln 1974 (Analecta musicologica, 14), pp. 170-175; M. MURATA, Further remarks on Pasqualini and the music of MAP, in Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte XII, a cura di F. LIPPMANN – W. WITZENMANN, Köln 1979 (Analecta musicologica, 19), pp. 125-145. Di imminente apparizione A thematic catalogue of chamber cantatas by Marc’Antonio Pasqualini, in Journal of seventeenth-century music, ser. Instrumenta (www. sscm-jscm.org), a cura di M. MURATA, contenente in massima parte composizioni presenti nei manoscritti del fondo Barb. lat. 49 F. HAMMOND, Girolamo Frescobaldi and a decade of music in Casa Barberini, 1634-1643, in Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte XII, a cura di F. LIPPMANN con la collaborazione di W. WITZENMANN, Köln 1979 (Analecta musicologica, 19), pp. 94-124; ID., More on music in Casa Barberini, in Studi musicali 14 (1985), pp. 235-261; ID., Girolamo Frescobaldi, Cambridge (MA) 1983 (trad. it. a cura di R. Pagano, Palermo 2002), e ID., Music and spectacle in Baroque Rome. Barberini patronage under Urban VIII, New Haven – London 1994. 50 J. LIONNET, Les activités musicales de Flavio Chigi cardinal neveu d’Alexandre VII, in Studi musicali 9 (1980), pp. 287-302; e ID., The Borghese family and music during the first half of the seventeenth century, in Music and letters 74 (1993), pp. 519-529. Sulla cappella papale ID., Una svolta nella storia del collegio dei cantori pontifici: il decreto del 22 giugno 1665 contro Orazio Benevolo; origine e conseguenze, in Nuova rivista musicale italiana 17 (1983), pp. 72103; ID., Performance practice in the papal chapel during the 17th century, in Early music 15

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Successivamente, ricerche sui materiali chigiani sono state condotte anche da Frank D’Accone e da Colleen Reardon, che, attraverso di questi, ha potuto documentare il patronage musicale dei Chigi a Siena, loro città di origine con cui mantennero strette relazioni51. Ancora nel fondo Chigi vanno segnalate due collezioni di manoscritti di rilevante importanza per la musicologia storica pervenute alla biblioteca chigiana nel corso del Seicento: si tratta del corpus di autografi del compositore Marco Marazzoli, studiati da Wolfgang Witzenmann52, e quelli del poeta romano Sebastiano Baldini, contenenti numerose poesie per musica, catalogati da Giorgio Morelli53. In tema di testi per musica è doveroso ricordare l’ottimo strumento di ricerca costituito dagli incipitari della lirica italiana compilati da Fabio Carboni attraverso lo spoglio sistematico di tutti i fondi della Vaticana e di altre biblioteche romane, che si rivelano particolarmente preziosi anche per il musicologo, data l’abbondanza di testi per musica che vi si ritrovano54. Nel prezioso materiale musicale del fondo Chigi rivestono un’importanza capitale le numerose partiture d’opera del Seicento, in gran parte pervenute nella collezione chigiana al tempo del cardinale Flavio Chigi. (1987), pp. 3-15. Sulle cappelle romane vanno ricordati almeno ID., La musique à Saint-Louis des Français de Rome au XVIIe siècle, 2 voll., Venezia 1985-1986, vol. I, pp. 83-84, vol. II, pp. 76-126; ID., La musique à Santa Maria della Consolazione au 17ème siècle, in Note d’archivio per la storia musicale, n. s., 3 (1986), pp. 190-191; ID., La musique à San Giacomo degli Spagnoli au XVIIème siècle et les archives de la Congrégation des Espagnols de Rome, in La musica a Roma attraverso le fonti d’archivio. Atti del convegno internazionale di studio (Roma, 4-7 giugno 1992), a cura di B. M. ANTOLINI – A. MORELLI – V. VITA SPAGNUOLO, Lucca 1994, pp. 487-502. 51 F. A. D’ACCONE, Cardinal Chigi and music redux, in Music observed. Studies in memory of William C. Holmes, a cura di C. REARDON e S. PARISI, Warren (MI) 2004, pp. 65-100; C. REARDON, The 1669 Sienese production of Cesti’s L’Argia, ibid., pp. 417-428; EAD., Holy concord within sacred walls. Nuns and music in Siena, 1575-1700, Oxford 2001. 52 W. WITZENMANN, Autographe Marco Marazzolis in der Biblioteca Vaticana, in Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte VI, a cura di F. LIPPMANN, Köln – Wien 1969 (Analecta musicologica, 7), pp. 36-86. 53 Sebastiano Baldini (1615-1685). Le poesie per musica nei codici della Biblioteca Apostolica Vaticana. Incipitario e fonti musicali, a cura di G. MORELLI, con un saggio introduttivo di F. CARDINALE, Roma 2000. Lo stesso studioso ha poi pubblicato numerose lettere di Marazzoli e altri musicisti rivenute nei vari fondi manoscritti della Vaticana; cfr. Saggio di lettere di musicisti dalle raccolte di autografi della Biblioteca apostolica Vaticana, a cura di G. MORELLI, in Nuova rivista musicale italiana 31 (1997), pp. 367-485. 54 F. CARBONI, Incipitario della lirica italiana dei secoli XV-XX, 12 voll., Città del Vaticano 1982-1994 (Studi e testi, 297-299, 299 bis, 321, 330, 334-335, 349-350, 370-372). In particolare vanno segnalati i volumi 1-3, Biblioteca Apostolica Vaticana: Fondo Vaticano latino; vol. 5, Biblioteca Apostolica Vaticana: Fondi Boncompagni, Borghese, Borgiano, Latino, Capponi, Carte Belli; voll. 6-7, Biblioteca Apostolica Vaticana: Fondo Patetta; voll. 10-12, Biblioteca Apostolica Vaticana: Fondo Chigi.

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Insieme a poche altre collezioni — Contarini a Venezia, Estense a Modena, Leopoldina a Vienna —, tali partiture formano il corpus centrale di fonti sul quale si fonda quasi per intero la conoscenza dell’opera italiana del pieno Seicento. A tutt’oggi possiamo affermare che soltanto una parte esigua di queste partiture è stata esaminata e utilizzata dagli studiosi di drammaturgia musicale e si è ancora in attesa di indagini non limitate alla singola partitura, ma che affrontino nel suo complesso questo straordinario gruppo di manoscritti. I tempi, tuttavia, sembrano maturi perché gli studiosi intraprendano questo lavoro: il modello storiografico che poneva Venezia e l’opera veneziana al centro di un circuito nazionale, relegando, per converso, Roma in posizione marginale, all’avanzare delle ricerche non solo in campo musicale55, ma anche in quello teatrale — e qui penso agli studi di Sara Mamone56 ed Elena Tamburini57 —, va cedendo il passo a un modello di circuito che potremmo definire, al di fuori di ogni retorica, nazionale, dal momento che esso vide coinvolti come protagonisti tanto sovrani e principi regnanti ed esponenti dell’aristocrazia, quanto personale specializzato (compositori, cantanti, impresari, scenografi ecc.), che agivano nell’ambito di una rete, talora più cooperativa che competitiva, comprendente centri come Napoli e Torino, Parma e Firenze, Milano e Venezia, Ferrara e Roma. Le partiture chigiane ci offrono dunque chiari contrassegni di questo network del teatro musicale italiano del Seicento. I fondi Vaticano musicale, Barberini e, soprattutto, Chigi, conservano una dozzina di particolari manoscritti, che, stante la loro rarità, assumono somma rilevanza per la storia della musica e della prassi esecutiva. Si tratta di «intavolature» cembalo-organistiche, vale a dire manoscritti contenenti musica notata per strumento a tastiera, compilati nel corso del Seicento. Tali fonti furono studiate e repertoriate nel corso degli anni Settanta da Alexander Silbiger nella sua dissertazione Italian manuscript sources of 17th century keyboard music (Brandeis University, 1976; poi pubblicata, Ann Arbor [MI] 1980), e successivamente approfondite da Claudio Annibaldi nell’ambito dei suoi studi sugli autografi di Frescobaldi e dei musicisti della sua cerchia (Tavv. VIII-IX)58. Più recentemente nella 55 Mi riferisco agli studi di musicologi, quali N. Pirrotta, L. Bianconi, T. Walker, P. Fabbri, L. Lindgren, M. Murata, W. Weaver, J. Lionnet, F. D’Accone, N. Dubowy. 56 S. MAMONE, Serenissimi fratelli principi impresari. Notizie di spettacolo nei carteggi medicei. Carteggi di Giovan Carlo de’ Medici e di Desiderio Montemagni suo segretario (1628-1664), Firenze 2003. 57 E. TAMBURINI, Due teatri per il principe. Studi sulla committenza teatrale di Lorenzo Onofrio Colonna (1659-1689), Roma 1997. 58 C. ANNIBALDI, La didattica del solco tracciato: il codice chigiano Q.IV.29 da «Klavierbüchlein» d’ignoti a prima fonte frescobaldiana autografa, in Rivista italiana di musicologia 20

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sua tesi dottorale L’oeuvre en filigrane: une étude philologique des manuscrits de musique pour clavier à Rome au XVIIe siècle, discussa all’università di Ginevra nel 2005 (poi pubblicata, Firenze 2009), Christine Jeanneret è ritornata a esaminare queste intavolature manoscritte alla luce di una agguerrita metodologia codicologica, che le ha permesso di stabilire attribuzioni e datazioni più precise, e in qualche caso di identificare attraverso l’analisi grafologica perfino i musicisti che le approntarono, grazie a un vasto lavoro di raccolta di documenti autografi (ricevute, liste ecc.) lasciati dagli organisti negli archivi delle chiese romane, fra i quali, spicca, per consistenza e continuità, quello della cappella Giulia. Le raccolte manoscritte di cantate del Seicento conservate nei fondi Barberini e Chigi costituiscono un altro corpus di assoluto rilievo per la storia della musica. Benché da tempo inventariate, prima da Baronci e poi da un gruppo di studiosi nell’ambito del progetto RISM, esse sono state studiate nel loro complesso da Margaret Murata (Barberini) e Lowell Lindgren (Chigi), anche se la pubblicazione completa dei loro risultati non sembra essere molto vicina. Nel campo degli studi sulla cantata proprio in questi ultimi anni si è assistito a un deciso cambio di prospettiva. In passato, infatti, gli studiosi si erano mossi seguendo due linee principali: delineare gli aspetti formali delle composizioni, in modo da ricomporre un’ideale linea evolutiva del genere oppure compilare i cataloghi delle opere di singoli musicisti, vagliando attribuzioni o proponendone nel caso di brani adespoti59. Attualmente alcuni studiosi — Murata, Jeanneret, Ruffatti e il sottoscritto — hanno mutato gli obiettivi di lavoro sulla cantata, considerando il manoscritto nei suoi aspetti materiali60: questo tipo di indagine — poco applicato ai manoscritti musicali di età moderna — ha condotto a identificare con nome e cognome un buon numero di copisti, come pure di (1985), pp. 44-97; ID., Musical autograph of Frescobaldi and his entourage in Roman sources, in Journal of the American Musicological Society 43 (1990), pp. 394-425; ID., Palestrina and Frescobaldi: discovering a missing link, in Music and letters 79 (1998), pp. 329-345. 59 È questo il caso della Wellesley Edition Cantata Index Series, diretta da O. JANDER, 9 voll., Wellesley (MA) 1964-1972, collana di cataloghi tematici di cantate seicentesche suddivisi in volumi per compositore. 60 Ad aprire la strada in tale direzione fu il fondamentale articolo di M. MURATA, Roman cantata scores as traces of musical culture and signs of its place in society, in Atti del XIV congresso della Società Internazionale di Musicologia, Trasmissione e recezione delle forme di cultura musicale. Bologna, 27 agosto-1 settembre 1987; Ferrara – Parma, 30 agosto 1987, a cura di A. POMPILIO et AL., Torino 1990, pp. 272-284 (trad. italiana: La cantata romana fra mecenatismo e collezionismo, in La musica e il mondo. La committenza musicale in Italia tra Quattro e Settecento, a cura di C. ANNIBALDI, Bologna 1993, pp. 253-266). Per una lettura del collezionismo musicale da un punto di vista storico-antropologico è ancora interessante il contributo di C. ANNIBALDI, L’archivio musicale Doria Pamphilj. Saggio sulla cultura aristocratica a Roma fra 16° e 19° secolo, in Studi musicali 11 (1982), pp. 91-120.

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decoratori dei manoscritti, a datare con maggior precisione queste fonti, e ad attribuire molti di quei brani che spesso vi compaiono come adespoti, e, in qualche caso, ad accertare gli originari proprietari grazie a stemmi o ad altri elementi (Tavv. X-XI). Ma ancor più importante è il fatto che tale lavoro preliminare ha permesso di riconsiderare e osservare il manoscritto di cantate come un oggetto che forse meglio di altri può illuminarci sulle funzioni delle musica, sui meccanismi di trasmissione, sui gusti e le scelte poetiche e musicali dei committenti61. La maggior parte del materiale di interesse storico-musicale conservato in Vaticana — sia documenti sia testi musicali — è ben lungi dall’essere stato esplorato e studiato62, e molto del tradizionale lavoro storico, codicologico e filologico su di esso deve ancora essere svolto, senza contare il fatto che i documenti già studiati dalle precedenti generazioni di studiosi potrebbero essere ora fatti oggetto di nuove domande. Tuttavia il compito della musicologia storica non si esaurisce certo nello studio dei testi musicali, nella loro trascrizione ed edizione. Negli ultimi decenni, infatti, si è andata facendo strada la convinzione che la storia della musica non si identifichi con la storia delle composizioni musicali ma più in generale 61 I primi risultati delle ricerche — condotte in parte rilevante su manoscritti dei fondi Chigi e Barberini, e relativi archivi — sono apparsi negli articoli di A. MORELLI, Una cantante del Seicento e le sue carte di musica: il «Libro della signora Cecilia», in «Vanitatis fuga, aeternitatis amor». Wolfgang Witzenmann zum 65. Geburtstag, a cura di S. EHRMANN-HERFORT – M. ENGELHARDT, Laaber 2005, pp. 307-327; ID., «Perché non vanno per le mani di molti...». La cantata romana del pieno Seicento: questioni di trasmissione e di funzione, in Musica e drammaturgia a Roma al tempo di Carissimi, a cura di P. RUSSO, Venezia – Parma 2006, pp. 21-39; ID., Per una storia materiale della cantata: considerazioni sulle fonti manoscritte romane, in Francesco Buti tra Roma e Parigi: diplomazia, poesia, teatro. Atti del convegno di studi (Parma 12-15 dicembre 2007), a cura di F. LUISI, Roma 2009, pp. 381-394; C. JEANNERET, «Armoniose penne». Per uno studio filologico sulle opere dei copisti di cantate romane (1640-1680), ibid., pp. 395-414; A. RUFFATTI, «Curiosi e bramosi l’oltramontani cercano con grande diligenza in tutti i luoghi». La cantata romana del Seicento in Europa, in Journal of seventeenth-century music, 13/1 (2007), http://sscm-jscm.press.uiuc.edu/v13/no1/ruffatti.html; M. MURATA, A topography of the Barberini music manuscripts, in I Barberini e la cultura europea del Seicento. Atti del convegno internazionale (Roma, 7-11 dicembre 2004), a cura di F. SOLINAS, L. MOCHI ONORI, S. SCHÜTZE, Roma 2007, pp. 375-380; EAD., The score on the shelf. Valuing the anonymous and unheard; EAD., The score on the shelf. Valuing the anonymous and unheard, in Musical text as ritual object, a cura di H. SCHULZE, Turnhout, in corso di pubblicazione; A. MORELLI, Seventeenth-century Roman cantata manuscripts as a source for a material history, ibid.; A. RUFFATTI, French sources of Roman cantatas. The European dissemination, ibid.; C. JEANNERET, The Roman cantatas manuscripts (1640-1680). A musical cabinet of curiosities, ibid. 62 A titolo di esempio, notiamo come perfino una fonte di polifonia sacra di metà Cinquecento (Vat. mus. 440), in Vaticana fin dal 1918, sia rimasta sconosciuta ai repertori e agli studiosi fino a un paio di anni orsono; cfr. A. MORELLI, «Galli cantant». Maestri di cappella francesi in uno sconosciuto manoscritto di metà Cinquecento, in «Uno gentile et subtile ingenio» cit., pp. 295-308.

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con la storia del rapporto fra gli individui e l’esperienza musicale63. È per questo che la Biblioteca Vaticana si rivela oggi quantomai congeniale alle più avanzate prospettive di ricerca in campo storico-musicale, prospettive improntate a metodi di indagine interdisciplinare che trovano nella Vaticana una naturale disponibilità di materiali librari, iconografici e archivistici inerenti le diverse discipline umanistiche, che ci permette quindi di conseguire una visione della musica come parte integrante di quel microcosmo della cultura, al cui centro sta l’Uomo, quale fu concepito per secoli nella civiltà occidentale.

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Al riguardo si vedano almeno l’introduzione di F. A. GALLO al volume Musica e storia tra medioevo e età moderna, Bologna 1993, pp. 9-29; ID., Historia civilis e cultural heritage, in Il saggiatore musicale 8 (2001), pp. 14-20.

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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Cap. S. Pietro B.79, f. 103r, antifona Angelus Domini descendit.

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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ross. 215, f. IIIr (3r), madrigale anonimo, Dal bel chastel se parte de Peschiera.

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Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. C.VIII.234, f. 19v, Johannes Ockeghem, Missa Ecce Ancilla Domini, Kyrie.

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Tav. IV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. C.VIII.234, f. 20r, Johannes Ockeghem, Missa Ecce Ancilla Domini, Kyrie.

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Tav. V – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. C.VIII.234, f. 284v, Johannes Ockeghem, Missa L’homme armé, Kyrie.

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Tav. VI – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Capp. Giulia XIII.27, f. 7v, Heinrich Isaac, canzone Palle, palle.

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Tav. VII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Capp. Giulia XIII.27, f. 8r, Heinrich Isaac, canzone Palle, palle.

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STORIA DELLA MUSICA

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Tav. VIII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. Q.VIII.206, f. 203r [Girolamo Frescobaldi], Sola fra’ suoi più cari.

Tav. IX – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. Q.IV.29, f. 29r [Girolamo Frescobaldi].

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ARNALDO MORELLI

TAV. X – CITT� DEL VATICANO, BIBLIOTECA A�OSTOLICA VATICANA , Chig. Q.IV.10, CO�ERTA CON STEM M A CARDINALI�IO C�I�I .

ANTERIORE

TAV. XI – CITT� DEL VATICANO, BIBLIOTECA A�OSTOLICA VATICANA , Chig. Q.IV.10, �. 1R, ANONIM A Pria ch’al mar lusitano.

CANTATA

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GIANFRANCO FIACCADORI

ORIENTALISTICA* Come ha scritto Francesco Gabrieli, «solo un estrinseco vincolo geografico» riunisce tuttora sotto un’unica denominazione, comprensivamente, le discipline rivolte per tradizione a lingue e culture «orientali» che si estendono, nel tempo, dall’alba della civiltà asiatica e mediterranea ai giorni nostri e, nello spazio, dall’Estremo Oriente al Corno d’Africa all’Egitto ed al Maghrib1. Un discorso sul contributo della Biblioteca Apostolica Vaticana agli studî orientalistici negli ultimi cinquant’anni, coincidenti in larga misura con la seconda metà del Novecento, esigerebbe naturalmente l’apporto di più studiosi, specialisti dei diversi settori scientifici nei quali la materia è venuta distintamente articolandosi in questo mezzo secolo. Un tempo che ha segnato, per ragioni anche ideologiche, il tramonto definitivo della generica nozione di «orientalismo» propria della scienza europea d’età moderna: ricordo per tutti il libro, assai influente, di Edward W. Said, Orientalism, del 1978 (con una nuova prefazione del 2003), e la discussione, non sempre critica, che intorno ad esso si è svolta2. Per Said l’orientalismo è una variata costellazione di falsi presupposti che indica piuttosto la percezione occidentale, nella fattispecie, del Vicino e Medio Oriente; e a questo insieme arbitrario di studî, viziato da «un sottile e persistente pregiudizio eurocentrico nei confronti dei popoli araboislamici e della loro cultura», ha decisamente contribuito una lunga tradizione di immagini romantiche dell’Asia e dell’Oriente mediterraneo, servita a sua volta quale implicita giustificazione ad ambizioni imperialistiche europee o d’oltreoceano3. Ma basterebbe chiedersi quale parte abbia, in questo disegno imperialista, la decifrazione dei geroglifici egiziani, se non * Sono grato ad Alessandro Bausi e Riccardo Contini, coi quali ho discusso alcune parti di questo lavoro. A Marco Buonocore, Delio V. Proverbio, Gaga Shurgaia e Sever J. Voicu devo precise informazioni sui materiali della Biblioteca. 1 GABRIELI 1950, pp. 90-91 (= 1954, pp. 226-228), con la citazione. Vd. ora anche i saggi raccolti in ID. 1993 e, con altra declinazione, in TESSITORE 1995. 2 SAID 1978 (20033), sul quale vd. almeno MACFIE 2000 e IRWIN 2006, nonché già REIG 1988, tutti con ampie indicazioni. 3 SAID 1978 (20033), pp. 1-28 (pp. 239-352): pp. 6-8 in particolare. La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 299-336.

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già delle tavolette cuneiformi della Mesopotamia: che nella prospettiva dell’Oriente mediterraneo, a lato di nazioni ed imperi protagonisti della storiografia greca e giudaica, ha portato in primo piano popoli e Stati del cui nome si era perduta memoria già al tempo di Erodoto4. A fronte di inevitabili distorsioni politiche o evidenti deformazioni accademiche, alle quali ogni persona civile guarda con sdegno e tristezza, troppo spesso si dimentica che gli studî orientali si sono sviluppati come un aspetto dell’umanesimo europeo, indipendentemente da qualsiasi proposito d’espansione coloniale, per quella singolare facoltà di comprensione delle altrui esperienze connessa al libero avanzamento degli studia humanitatis — che nella Biblioteca Vaticana hanno un luogo naturaliter privilegiato. Se dunque un solo studioso si è assunto l’onere della trattazione, fatalmente limitata a sommarî cenni informativi (e bibliografici), con riserva di maggiore impegno nelle parti di più diretta competenza, questo è non già o non tanto per pratica opportunità di sintesi, o per l’ovvia ragione che nell’indagine storica «non valgono i limiti segnati da consuetudini o da ordinamenti accademici»5, ma per l’enciclopedismo orientalistico che caratterizza da sempre in termini positivi, di fondamentale unità del sapere, la Biblioteca Vaticana «come luogo di ricerca» e ne costituisce anzi un peculiare tratto di continuità, riflesso coerente delle sue origini umanistiche e dell’estrema varietà, anche sotto questo profilo, delle sue raccolte di manoscritti e stampati. Fra i primi se ne contano oggi oltre novecento in ebraico e circa novemila in lingue orientali diverse: arabo, turco, persiano, copto, siriaco, etiopico, armeno, georgiano e altre ancora, fra le quali cinese, mongolo, sanscrito e lingue in scritture indiane e derivate, come tibetano, tailandese e birmano6. All’interno di tali raccolte orientalistiche e delle indagini storiche e filologiche ad esse collegate, estese naturalmente alla scrittura e alle arti figurative, come pure agli aspetti materiali della produzione libraria, è chiara la prevalenza dei documenti relativi all’Oriente giudaico, cristiano ed islamico, del resto armonica, fin dalle origini, con gli interessi degli ambienti di corte e di curia — rivolti alla tradizione giudaica e, comunque in subordine, alla cultura cristiano-orientale ed islamica7. Una tradizione e una cultura che, nella tarda antichità e nel medioevo, hanno d’altronde 4 LEWIS 1993, p. 126. Cf. PUGLIESE CARRATELLI 1965, p. 287 (= 1976, p. 169 = 1993, p. 13: vd. anche p. 27). 5 PUGLIESE CARRATELLI 2002, p. 5 (= 2011, p. 27). 6 Vd., in particolare, FILLIOZAT 1986. 7 PROVERBIO 2010a, p. 469, e già LEVI DELLA VIDA 1939, p. 442; in generale, vd. anche PIEMONTESE 1993.

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prodotto numerose versioni siriache, arabe ed ebraiche di testi filosofici e scientifici greci delle quali la Biblioteca conserva testimoni più spesso autorevoli, così come delle traduzioni latine di quelle versioni, che per la via di Toledo e dei suoi interpreti hanno restituito all’Occidente medievale opere greche irreperibili o da pochi leggibili in originale8. Né sono meno evidenti le necessarie intersecazioni con gli studî biblici e teologici, patristici, liturgici ed agiografici, specialmente di àmbito greco e slavo, già in parte illustrati nel nostro convegno, ma anche caucasico (armeno e georgiano) e siro-palestinese. Si pongono qui, per la produzione e circolazione di libri nelle aree in oggetto e le eventuali ripercussioni in altre zone periferiche così dell’Oriente bizantino e slavo come dell’Oriente cristiano stricto sensu9, problemi analoghi a quelli sollevati dalla letteratura di traduzione: si pensi soltanto alla parte dei documenti orientali (in primo luogo armeni e georgiani) nella ricostruzione della più antica liturgia gerosolimitana10; o ancora, per altra via, a figure «miste» come quelle di due scriptores Graeci della Vaticana, Ciro Giannelli (1905-59) e Vittorio Peri (1932-2006), interessati entrambi al mondo slavo e alle culture dei Balcani nelle loro relazioni con l’ellenismo tardoantico, bizantino e postbizantino11. Per tacere di studiosi a noi più vicini, come Sever J. Voicu, pure scriptor Graecus, che quale patrologo e cultore di letteratura intertestamentaria si è costantemente misurato con le lingue dell’Oriente cristiano, fino a pubblicare una versione italiana dell’apocrifo arabo dell’infanzia di Gesù12; o Francesco D’Aiuto, ellenista e docente nella romana Università di «Tor Vergata», ma anche armenista e già «addetto» ai manoscritti greci della Biblioteca, con cui prosegue oggi la collaborazione per indagini paleografiche, codicologiche e testuali d’intersezione fra cristianità bizantina e orientale13. E piace almeno ricordare, quale segno di naturale continuità, se non di «lunga durata», che l’edizione del messale croato-raguseo della Biblioteca Vaticana, ms. Neofiti 55 (di tardo XVI secolo, unico testimone di messale volgare di tutta la letteratura medievale croata), incompiuta per la scomparsa prematura di Giannelli, è stata condotta a termine da Sante Graciotti nel 200314. 8 Vd. D’ANCONA 1996; CASSARINO 1998; GUTAS 2002; CHRISTYS 2002; STROHMAIER 2003; Les Grecs 2009; DI BRANCO 2009; inoltre, WATT 2010. 9 Resta sostanzialmente valida la definizione di GUIDI 1935, p. 550b, di cui PERI 1994, pp. 144-145 nt. 8. 10 Vd., p. es., G. SHURGAIA 1996, 1997a, 1997b. 11 Vd. DIDDI 2004, p. 337, e risp. VIAN 2006. 12 Vd. VOICU 1976, 1998, 2008 e Vangelo 2002. 13 Vd. D’AIUTO 1995, 1999, 2004. 14 GIANNELLI & GRACIOTTI 2003, di cui DIDDI 2004.

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Neppure possono trascurarsi casi di complessa stratificazione culturale come quello, oggetto di recentissimi studî, del cod. Vat. sir. 623, che nella seconda sua parte si compone di membrane palinseste tratte da numerosi manoscritti di epoche ed àmbiti linguistici diversi: arabo, aramaico palestinese, armeno, siriaco e greco15. La scriptio ima del codice, con circa duecento versi del Dýskolos di Menandro, ha restituito altrettanti trimetri d’un dramma della Commedia nuova, non ancora identificato né altrimenti attestato, la cui edizione è destinata alla prestigiosa collana della Biblioteca, gli «Studi e testi»16. Ferma tenendo la rappresentatività di tutti questi elementi, e gli analoghi spunti offerti, per i manoscritti in special modo, dallo studio delle arti figurative, non va comunque dimenticata la sostanziale disparità delle rispettive tradizioni, anche sul piano del metodo filologico (e paleografico) proprio di ciascuna — inclusa l’odierna deriva della «new philology». Entro i limiti fin qui segnati, e in attesa dell’annunziata Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, preparata da Francesco D’Aiuto e Paolo Vian, e dei capitoli specifici della grande Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, di cui Antonio Manfredi ha curato ora il primo volume, con un contributo significativo sull’origine delle collezioni orientali17, vorrei dunque indicare alcune linee per una sintetica valutazione del ruolo della Vaticana nel progresso delle discipline che qui interessano. Più che secondo nessi linguistici tradizionali (Semitistica, Egittologia, Indoiranistica, Turcologia, Iberistica, Sinologia) o nessi di cultura e di civiltà solo parzialmente sovrapponibili alle divisioni linguistiche (Islamistica, Etiopistica, Caucasologia, Mongolistica, &c.)18, intendo procedere secondo un principio «associativo», di rievocazione delle grandi figure di bibliotecarî e studiosi e delle ricerche e delle opere ad essi direttamente o indirettamente riconducibili. Ricerche ed opere che suggeriscono un primo inquadramento generale di quelle discipline nel più vasto panorama delle scienze umanistiche promosse dalla Biblioteca, qual è documentato anzitutto, ma non esclusivamente, da una nutrita serie di pubblicazioni. In particolare, dai cataloghi di manoscritti e dai volumi dei citati «Studi e testi», forse gli indicatori più significativi della quantità e qualità della ricerca svolta nel periodo in esame, cui la nomina del francese cardinale Eugène-Gabriel Tisserant, già segretario della Congregazione per la Chiesa Orientale, ad Archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, nel 1957, 15

PROVERBIO 2002b. D’AIUTO 2003, pp. 266-278. In generale, vd. ora VOICU 2009 (p. 447 e nt. 14 su presunti palinsesti etiopici). 17 Le origini della Biblioteca 2010, con PROVERBIO 2010a. 18 Cf. già GABRIELI 1950, p. 91 (= 1954, p. 228). 16

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offre un termine non simbolico. È nello spirito della sua opera il tema stesso di questo convegno, che fa il punto d’un lungo corso di studî e scoperte, dall’età antica alla moderna e alla contemporanea. Non è questo il luogo per illustrare l’attività di filologo e storico di Tisserant e, specialmente, le sue conoscenze di ebraico, siriaco, arabo, copto, armeno ed etiopico, i suoi interessi per le scienze bibliche, l’Oriente cristiano ed islamico, o i suoi titoli in relazione alla Biblioteca, alla quale egli fu aggregato come scrittore per le lingue orientali fin dal 1908 (poi pro-prefetto dal 1930 al 1936, con grande soddisfazione dei colleghi orientalisti), promuovendo instancabilmente l’ammodernamento e il progresso dell’istituzione19. Basti ricordare che fra gli anni Venti e Trenta del secolo egli divenne attore e referente pressoché unico della collaborazione con il Carnegie Endowment for International Peace, grazie al quale sull’antica «libreria» dei Papi fu definitivamente innestato il modello della grande biblioteconomia americana, da lui conosciuta e apprezzata in due memorabili viaggi negli Stati Uniti, del 1927 e del 193320. Né possono qui tacersi, con gli studî a Gerusalemme, le sue missioni nei Paesi balcanici e nel Vicino Oriente quale emissario di Pio XI, negli anni 1923-24 (insieme a Cyrille Korolevskij) e ancora nel 1926, alla ricerca di manoscritti e stampati che, dopo il crollo dell’impero Ottomano, il mutato scenario politico permetteva di ottenere con maggior facilità, più spesso salvandoli da sicura dispersione o distruzione — un aspetto sul quale, mi pare, non si è riflettuto con sufficiente onestà. Per tal modo, il futuro cardinale veniva anche iniziandosi direttamente alla vita delle comunità cristiane d’Oriente che aveva a lungo contemplato nei libri, e doveva poi visitare con assiduità negli anni della porpora (e della Biblioteca): dai Balcani alla Mesopotamia all’Etiopia, dal Libano alla Palestina all’Egitto ed all’India (la Vaticana ha, già nel fondo antico, una raccolta di testi siriaci della Chiesa Malabarica quale nessun’altra biblioteca possiede)21. Dopo una lunga eclissi per non condivisibili ragioni di parte o ideologiche, alla figura di Tisserant, decisamente «in contrattempo» (secondo una felice espressione di Roberto Longhi), è dedicata una serie d’iniziative recenti: imprimis il colloquio internazionale del 2002 presso l’Institut catholique di Tolosa e il bel volume di Hervé Gaignard, del 2009, che dà ora un lume inatteso sulla «vita spirituale» dell’uomo e dello studioso fra il 1908 e il 1945 (e più si attende dalla biografia che prepara mons. Giuseppe Maria Croce, dell’Archivio Segreto Vaticano)22. Già gli atti del colloquio, apparsi 19

Vd. ora FIACCADORI 2010b, con altre indicazioni e bibliografia. MATTIOLI HÁRY 2009, pp. 733-736 (Index, ad n.). 21 Cf. LEVI DELLA VIDA 1939, pp. 187 e 442. 22 Le cardinal 2003 e GAIGNARD 2009. 20

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nel 2003, fanno ampia giustizia di valutazioni superficiali ed incolte, legate in prevalenza agli ultimi anni di vita del cardinale (e alle non chiare vicende intorno all’edificazione della nuova cattedrale a La Storta), ma ampiamente dimentiche dei suoi meriti di orientalista e di bibliotecario, appena offuscati dal crollo del Salone Sistino, nel dicembre 1931, e di fatto organici alla sua azione politica. Francese per estrazione e universalista per vocazione, egli fu nemico di ogni totalitarismo: fervente antinazista e antifascista, divenne poi, nel dopoguerra, deciso anticomunista. Si deve al pro-prefetto mons. Tisserant l’idea di accogliere presso la Biblioteca, per sottrarli al regime fascista da essi avversato, studiosi quali Ugo Monneret de Villard, che non ebbe mai una cattedra23, e sopratutto l’ebreo Giorgio Levi Della Vida, allontanato dall’insegnamento universitario nel 1931, per aver rifiutato di prestare al governo un giuramento di fedeltà «irricevibile»24. Levi Della Vida divenne allora collaboratore scientifico della Vaticana per l’Elenco dei manoscritti arabi islamici, apparso in «Studi e testi» quattro anni più tardi25 — e da lui continuato nel Secondo elenco, ancora in «Studi e testi», del 196526. Così, dal 1932 al 1938, anche il rabbino Umberto Cassuto fu collaboratore della Biblioteca: per il catalogo dei manoscritti ebraici, il cui primo volume, dedicato al fondo palatino, sarebbe uscito, nel 1956, nella series maior della Vaticana27. Sotto la guida energica — è il caso di dirlo — del pro-prefetto e grazie alle cospicue risorse librarie della Vaticana e alla tranquillità che in essa potevano trovare, questi e altri dòtti, presenti a vario titolo (Monneret de Villard come libero studioso), furono stimolati a produrre opere ancor oggi fondamentali per chi desideri accostarsi al patrimonio orientalistico della Biblioteca e, in generale, agli studî orientali intesi nel senso più largo e più nobile del respiro intellettuale e del metodo critico. Di Monneret de Villard, archeologo e islamista, ma sopratutto storico, il cui àmbito di ricerca spazia dall’India all’Asia centrale all’Irân, dall’Egitto e dalla Nubia cristiana al Maghrib e al Corno d’Africa28, si dovranno quantomeno citare in premessa il libro su Lo studio dell’Islâm in Europa nel XII e XIII secolo, del 1944, e le magistrali Ricerche sui magi evangelici, del 1952, preparati entrambi negli anni di guerra e pubblicati quindi in

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Vd. LEVI DELLA VIDA 1955a, pp. 176-177 (= 1959, p. 316). Su di lui vd. Giorgio Levi Della Vida 1988; CONTINI 1989; Giorgio Levi Della Vida 2010. 25 LEVI DELLA VIDA 1935. 26 ID. 1965. 27 CASSUTO 1956. 28 Vd. sopratutto LEVI DELLA VIDA 1955a (= 1959); L’eredità 2004; FIACCADORI 2007a, con bibliografia. 24

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«Studi e testi»29. Pochi oggi ricordano — ma è solo un esempio fra i molti — che ne Lo studio dell’Islâm, un testo breve e assai denso sul relais toledano delle versioni latine di testi arabi tradotti dal greco30, è segnalata per la prima volta l’esistenza di traduzioni europee (latine) del racconto arabo dell’ascensione del Profeta, il Kitâb al-Mi‘râó o «Libro della Scala», desiderato «anello mancante» fra l’escatologia islamica e la Commedia dantesca31. Una fondamentale scoperta alla quale un altro insigne orientalista, Enrico Cerulli, avrebbe poi dedicato ben due monografie allestite presso la Biblioteca e apparse coerentemente in «Studi e testi»: Il “Libro della Scala” e la questione delle fonti arabo-spagnole della Divina Commedia, del 1949, e le Nuove ricerche sul Libro della Scala e la conoscenza dell’Islam in Occidente, del 197232. A indicare con chiarezza le radici di specifici e ricorrenti temi e situazioni di studio della Vaticana, si deve a questo punto menzionare il gran libro di Levi Della Vida, capolavoro di dottrina e di sintesi che, con l’avvenuto superamento della tradizione antiquaria d’ascendenza sei-settecentesca, ben rappresenta la vocazione orientalistica della Biblioteca nella prima metà del Novecento: gusto per la ricerca erudita, passione diplomatica per l’inedito, escussione e combinazione delle fonti tra biografia e memorialistica. Mi riferisco alle esemplari Ricerche sul più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana, stampate in «Studi e testi» e dedicate non ritualmente al card. Tisserant nel 1939 («… questo libro | che da lui si sarebbe dovuto scrivere | e a lui deve d’esser stato scritto»)33. Con la naturale integrazione dei Documenti intorno alle relazioni delle Chiese orientali con la Santa Sede durante il pontificato di Gregorio XIII, del 194834, esse hanno decisamente segnato la via ad ogni studio ulteriore delle presenze orientali nella Vaticana e sulla maggior scena europea dal medioevo all’età contemporanea, anticipando per questa parte il lavoro, assai diverso, di Jeanne Bignami Odier sulla storia della Biblioteca da Sisto IV a Pio XI (è del 1973 il volume di «Studi e testi» da lei firmato in collaborazione con mons. José Ruysschaert, allora pro-prefetto)35, e le seriori indagini, tanto più congeniali, di Paola Orsatti su Il Fondo Borgia della Biblioteca Vaticana e gli studi orientali a Roma tra Sette e Ottocento, del 1996, sempre in

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MONNERET DE VILLARD 1944 e 1952. Supra, pp. 300-301 e nt. 8. 31 MONNERET DE VILLARD 1944, pp. 53-54; cf. ID. 1948, p. 119. 32 CERULLI 1949 e 1972. 33 LEVI DELLA VIDA 1939, p. III. 34 ID. 1948. 35 BIGNAMI ODIER 1973, da integrare oggi principalmente con GRAFINGER 1993 e 1997. 30

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«Studi e testi» — uno strumento prezioso e ricchissimo, ancorché rivolto principalmente a materiali borgiani36. Quello riunito intorno all’«alta figura» del pro-prefetto e poi cardinale Tisserant — e rievocato in pagine ormai classiche da Levi Della Vida37 — era un ambiente orientalistico che si distingueva per una singolare liberalità e apertura dei suoi orizzonti scientifici, inconsueta nel panorama delle biblioteche del tempo, ma ancor più in Italia, dove neppure a livello universitario esistevano condizioni paragonabili perché potesse realizzarsi il «generoso ed illuminato scambio di cultura, confortato da un vivo senso di umana comprensione» in cui un altro grande orientalista e convinto assertore della fondamentale unità culturale di Europa ed Asia, Giuseppe Tucci (1894-1984), indicava la ratio degli studî coltivati per tempo da missionarî e viaggiatori europei38. Proprio in una collana dell’allora Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, fondato da Tucci con Giovanni Gentile, vide la luce nel 1950, per cura di Monneret de Villard, un notevole documento delle relazioni fra Europa ed Oriente nel medioevo: il Liber peregrinationis dell’agostiniano Jacopo da Verona, che visitò la Palestina, il Sinai, l’Egitto e la Siria nel 133539. L’edizione del testo, con un ricchissimo commento archeologico, storico e geografico, fu preparata da Monneret negli anni di più intensa frequentazione della Biblioteca. La straordinaria varietà di ricerche promosse allora dalla Vaticana ha senz’altro influito positivamente sugli sviluppi successivi, nella delicata transizione postbellica alla seconda metà del Novecento, quando venivano riannodandosi faticosamente le fila spezzate dalla guerra e riprendevano vigore in Europa gli studia humanitatis — ai quali l’identità, se non la consuetudine, dei protagonisti assicurò, per un certo tempo almeno, tradizione e continuità. Emblematica, sotto questo profilo, la figura del premostratense belga Arnold van Lantschoot, collaboratore della Biblioteca dal 1929, scrittore per le lingue orientali dal 1936 (l’anno in cui Tisserant divenne cardinale), poi vice-prefetto dal 1951 al 196540. Consultore della Congregazione per la Chiesa Orientale, egli contribuì alla revisione di numerosi testi liturgici ad uso dei Cattolici di rito orientale. Numerosissimi sono i dòtti italiani e stranieri che ricordano l’aiuto da lui ricevuto generosamente in più di 36

ORSATTI 1996. LEVI DELLA VIDA 1955b, pp. 5-6, 8; ma vd. anche le sue inedite Note autobiografiche (Roma 1958), pp. 155-158 del dattiloscritto (presso gli eredi Levi Della Vida), la cui conoscenza devo all’amica cortesia di R. Contini. 38 TUCCI 2005, p. 14. Cf. PUGLIESE CARRATELLI 1996, p. 22; in generale, Giuseppe Tucci 1995. 39 Liber 1950. 40 DRAGUET 1969 e GARITTE 1969, con bibliografia degli scritti. 37

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un’occasione — anche questo un tratto caratteristico della Biblioteca come «istituzione al servizio degli studiosi». Un nome per tutti, di un grandissimo filologo e storico dell’Oriente cristiano: il conterraneo, e lovaniense, Gérard Garitte, che nel 1946 pubblicava in «Studi e testi», da manoscritti principalmente vaticani, il suo opus magnum, i Documents pour l’étude du livre d’Agathange, il libro armeno di V secolo che va sotto il nome di Agatangelo e contiene il racconto ufficiale della storia di Gregorio Illuminatore e del re Tiridate41. È forse questo, con le Ricerche di Levi Della Vida, il più importante lavoro orientalistico edito dalla Biblioteca nel secolo scorso. La vastissima produzione scientifica di van Lantschoot, essa pure di tradizione lovaniense (come il ventaglio di lingue da lui coltivato), meriterebbe una trattazione a sé. Per ricchezza di temi e qualità di risultati essa è, a mio avviso, speculare a quella di un dòtto isolato come il tedesco Sebastian Euringer, biblista e più famoso liturgista e cultore di studî sull’Oriente cristiano42, ma con una differenza significativa: van Lantschoot rivolse la sua attenzione specialmente, se pur non esclusivamente, ai materiali della Vaticana. Richiamo qui solo l’incompiuto catalogo dei manoscritti copti, il secondo tomo dei quali (la prima parte) uscì nel 1947; l’inventario dei manoscritti etiopici entrati successivamente alla descrizione di Sylvain Grébaut ed Eugène Tisserant (1935-36), incluso nei Collectanea in onore del card. Anselmo M. Albareda, pubblicati nel 196243; e l’inventario dei manoscritti siriaci dei fondi Vaticano (490-631), Barberini orientale e Neofiti, del 1965 — apparsi, gli ultimi due, in «Studi e testi»44. Ma a codici di New York, Parigi, Gotha e Berlino, oltre che della Vaticana, attinge un altro suo dottissimo volume di «Studi e testi»: Les “Questions de Théodore”, del 195745. Dedicato al suo maestro, l’illustre coptologo mons. Louis-Théophile Léfort, esso offre l’edizione dell’originale saidico e delle «recensioni» araba ed etiopica di una raccolta egiziana di erôtapokríseis della fine del VII secolo. Si è detto di Cerulli: insieme con lui, dal 1953 alla morte (1969) van Lanschoot diresse la sezione etiopica del Corpus scriptorum Christianorum Orientalium, la grande impresa lovaniense articolata nelle diverse lingue dell’Oriente cristiano, tuttora felicemente in corso46. E nel 1959 van Lantschoot prese parte, con un’importante relazione sul metropolita Salâmâ, revisore delle Scritture (sec. XIV), al convegno di studî etiopici 41

GARITTE 1946. Vd. WENINGER 2005. 43 VAN LANTSCHOOT 1962. 44 ID. 1965. 45 ID. 1957. 46 RUYSSCHAERT 1989, p. 277, di cui RAINERI 2004c, p. 7 e nt. 9. 42

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organizzato da Cerulli presso l’Accademia nazionale dei Lincei47. È noto, del resto, il rapporto di stima e di umanità che legò Cerulli, non comune personalità di etiopista (semitista e cuscitista), islamista e storico dell’Oriente cristiano, ma anche alto funzionario coloniale e poi diplomatico48, così all’antifascista Tisserant come al più distaccato cardinale bibliotecario Giovanni Mercati e al prefetto Albareda — auspice inizialmente Levi Della Vida, che di Cerulli fu maestro ed amico49. Nei primi anni che seguirono la sua partenza definitiva dall’Etiopia, nel 1940, Cerulli frequentò assiduamente la Vaticana, di cui ammirava «gli strumenti moderni che essa offre alla ricerca storica» (sono parole sue, raccolte da mons. Ruysschaert, latinista per elezione, ma non privo di competenze e interessi orientalistici)50. Nella fattiva quiete della Biblioteca (e dell’Archivio Segreto) poté così preparare le summae grandiose sul Libro etiopico dei Miracoli di Maria e sugli Etiopi in Palestina, uscite nel 1943 e, rispettivamente, nel 1943 e 1947, in due tomi51, al principio dei quali è nettamente indicato il suo debito nei confronti della Vaticana e del card. Tisserant, oltre che di amici come il gesuita Jean Simon, del Pontificio Istituto Biblico, anch’egli frequentatore assiduo della Biblioteca, e di fatto tramite fra le due istituzioni (perché l’Istituto, fondato nel 1909, ha avuto ovviamente grande influenza anche nello sviluppo degli studî sull’Oriente classico e cristiano)52. In Biblioteca Vaticana nacquero e furono pubblicati, per «Studi e testi», due altri volumi di Cerulli: gli Scritti teologici etiopici dei secoli XVI-XVII, del 1958 e 196053; sono dedicati anch’essi al card. Tisserant, che nel 1963 doveva partecipare al convegno internazionale sul tema «L’Oriente cristiano nella storia della civiltà», ordinato da Cerulli e Levi Della Vida presso l’Accademia dei Lincei, di cui il cardinale era socio straniero dal 195854. Il convegno, di netta impostazione filologica e storica, prese forma all’ombra del Concilio Vaticano II (1962-65), che aveva richiamato l’attenzione sui Cristiani d’Oriente come fratelli separati e non più scismatici: tutti i concilî ecumenici del primo millennio si erano tenuti in Oriente; il dogma, la liturgia, la spiritualità e il diritto canonico apparivano incomprensibili 47 VAN LANTSCHOOT 1960. 48 La bibliografia su di lui

è indicata da RAINERI 2004c; elenco (lacunoso) degli scritti di Cerulli in calce a RICCI 1988, pp. 20-44, di cui ID. 1989. Cf. anche ID. 1991 e 2003. 49 Vd. LEVI DELLA VIDA 1963. 50 RUYSSCHAERT 1989, p. 277. Su mons. Ruysschaert vd. almeno BATTELLI 1993 e 1994. 51 Vd. CERULLI 1943a, 1943b e 1947. 52 Vd. GILBERT 2009, p. 85. 53 CERULLI 1958 e 1960. 54 Vd. L’Oriente cristiano 1964.

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senza un’approfondita conoscenza delle rispettive origini orientali55. Di qui la necessità di far precedere le iniziative ecumeniche in corso da una serie di studî specialistici svolti in un clima di scientificità — al di là e al di fuori di ogni mitologia di martirio. Quanto una tale esigenza di chiarezza e imparzialità sia stata poi appagata, o smentita la mitologia del martirio, è difficile dire: l’impressione è che, finito il Concilio, sulle ragioni teologiche abbiano spesso prevalso quelle politiche (il pensiero va immediatamente ai Cristiani del Libano, abbandonati ben presto al loro destino); e che su tutto questo si sia innestato, non sempre limpidamente, il dialogo «interconfessionale» — non tanto, dunque, le relazioni con il Cristianesimo orientale, quanto ormai con il Giudaismo e l’Islâm. In ogni caso, è degno di nota che il convegno linceo del 1963, accanto alla partecipazione della Vaticana, ai massimi livelli, qual era armonica con l’impostazione storicistica in essa ormai prevalente, registrasse l’assenza totale degli ecumenisti, e segnatamente del Pontificio Istituto Orientale, fondato ad hoc da Pio XI nel 1917 e dal 1928 consorziato all’Università Gregoriana e all’Istituto Biblico — e proprio dal 1963 munito di una sezione per il diritto canonico orientale, poi facoltà separata nel 197156. Ma certo, fra istituzioni pontificie, non mancavano i nessi e le collaborazioni: intanto, l’Orientale dipendeva dall’allora Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale (per le Chiese Orientali dal 1967), di cui Tisserant fu segretario fino al 1959; e all’iniziativa del cardinale si deve, nel 1958, la chiamata in Biblioteca, come scrittore per le lingue orientali, di uno studioso che all’Istituto Orientale — ove p. Simon, del Biblico, fu professore di copto ed etiopico dal 1932 al 1964 — si era addottorato qualche anno prima: il francese Joseph-Marie Sauget, scomparso prematuramente nel 198857. Nei trent’anni della permanenza di mons. Sauget presso la Vaticana, seduto all’ampia scrivania ch’era stata di Angelo Mai, sempre ingombra di libri e di carte, molte cose cambiarono decisamente; e molti dei vecchi protagonisti uscirono per sempre di scena: nel 1972 anche il card. Tisserant, fra gli ultimi «prìncipi della Chiesa»; e così nel 1983 il gesuita belga Alfons Raes, già professore e rettore dell’Istituto Orientale, nonché mentore di Sauget, di cui aveva vivamente appoggiato la candidatura in Biblioteca. Esperto (vero) di liturgia, Raes fu prefetto della Vaticana dal 1962 al 197158. Nel 1947 aveva pubblicato con un altro validissimo liturgista e 55

PERI 1994, pp. 144-148. Ibid., pp. 145-146 e nt. 8. Sull’Istituto: The Pontifical Oriental Institute 1993; Il 75° Anniversario 1994; The Christian East 1996; POGGI 2000, tutti con ampie indicazioni. 57 Su di lui vd. almeno FOHLEN 1990 e la Préface di L. BOYLE a SAUGET 1998, pp. 5-6. 58 Vd. SAUGET 1987b. 56

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docente dell’Orientale, il confratello belga Jean Michel Hanssens, l’importante collezione di tâbot etiopici (tavole d’altare in pietra o legno e relativi supporti di «custodia») allora nel Museo sacro della Biblioteca, giovandosi della competenza di van Lantschoot per le numerose e interessanti iscrizioni incise su di essi59. Fu di p. Raes l’idea di pubblicare le anafore siriache, poi continuata presso l’Istituto dal suo allievo Robert Taft, sotto forma di testi e studî, non solamente di àmbito siriaco, editi nella serie «Anaphorae Orientales» da lui fondata e diretta60. In questa cultura liturgica e patristica si era formato l’abbé e poi mons. Sauget (è del 1962 la sua bibliografia, ancora utilissima, sulle liturgie orientali)61, ma con una eleganza cosmopolita e un’esatta vocazione scientifica — aveva trascorso alcuni anni a Beirut come professore di matematica — che si riflettono nella nitidezza dei suoi scritti, rivolti all’àmbito copto ed etiopico, ma sopratutto siriaco ed arabo, in particolare alle tradizioni liturgiche ed agiografiche dei Melchiti, dei Maroniti e dei Caldei, da lui ampiamente analizzate proprio grazie all’abbondanza dei documenti conservati in Biblioteca62. Nei «Subsidia hagiographica» dei Bollandisti egli pubblicò le prime ricerche sull’origine e il carattere degli omiliarî melchiti, un tomo fondamentale, del 1969, e nel «Corpus scriptorum Christianorum Orientalium» la traduzione araba della collezione di Apoftegmi del siro ‘Enânîšô‘, del 198763. Fra le une e l’altra si era inserita la curiosità per un genere davvero «trasversale» come quello dei Pateriká, alla cui intelligenza egli diede numerosi contributi, anche partecipando al IV Congresso Internazionale di Studi Etiopici (1972) con un memorabile intervento sulle relazioni fra l’arabo cristiano e l’etiopico (in margine al Patericon Aethiopice pubblicato da Victor Arras nel «Corpus scriptorum Christianorum Orientalium»)64. A «Studi e testi» affidò quindi una serie di volumi utilissimi: è del 1981 la dettagliata analisi codicologica — insolita, specie in quegli anni, per un orientalista, ma certo lontana dalla poi dominante «archeologia del libro» — del Borg. sir. 39, un manoscritto caldeo vergato circa il 1680 non lungi da Alqôš che presenta un curioso caso di restauro o «risarcimento» (con carte da un libro di contenuto identico) fatto in Oriente alla fine del XVIII secolo65. Del 1986 è la concisa presentazione di due notevoli panegyriká 59

HANSSENS & RAES 1951. Vd. TAFT 2001. 61 SAUGET 1962. 62 Bibliografia degli scritti in ID. 1998, pp. 9-14. 63 ID. 1969 e 1987c. 64 ID. 1974, di cui RICCI 1987. Vd. anche l’ultimo suo scritto, SAUGET 1989, apparso postu60

mo. 65

SAUGET 1981.

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melchiti per la seconda parte dell’anno liturgico66; e del 1987 l’indagine, anche codicologica, sul Borg. sir. 60, un Gazzâ o «Thesaurus», con gli uffici delle feste e commemorazioni proprie dei Caldei, ch’era scomparso da tempo e fu da lui ritrovato in Biblioteca67. Nel 1998, decennale della morte, i colleghi Louis Duval-Arnould e Frédéric Rilliet hanno curato per la stessa collana una silloge di suoi articoli meno tecnici su letteratura e manoscritti delle cristianità siriache ed arabe che — come le centinaia di voci impeccabilmente allestite per la Bibliotheca sanctorum (1961-69)68 — ben riflette la declinazione o lo spettro delle ricerche condotte da lui presso la Vaticana69. L’interesse per l’inesauribile fondo Borgia e per il suo eponimo, i cui manoscritti (e parte degli stampati) sono fortunatamente conservati in Biblioteca, non ha mai abbandonato mons. Sauget (e ne ha tratto ispirazione, dichiaratamente, Paola Orsatti nel volume già ricordato)70. Fra le imprese non minori dello studioso, assai sensibile alla storia della disciplina, è la nuova ristampa anastatica, del 1973 (dopo quella di Lipsia, del 1903), con un importante ragguaglio introduttivo ed ampie note bibliografiche, del celebre Catalogus codicum Copticorum manu scriptorum qui in Museo Borgiano Velitris adservantur del danese Georg Zoega (Jørgen Zoëga), apparso a Roma nel 1810 coi tipi di Propaganda Fide71. Con impostazione non diversa, nel 1975 Sauget curò la ristampa della Bibliotheca Orientalis Clementino-Vaticana del maronita Giuseppe Simonio Assemani (asSim‘âní), uscita in quattro tomi fra il 1709 e il 1725, vera e propria «clavis universalis» per gli studî sull’Oriente cristiano72. E non posso dimenticare il suo disappunto di orientalista e di bibliotecario per la dispersione della raccolta di stampati già legata da Stefano Borgia al Collegio Urbano di Propaganda Fide e, nel 1970 (complice il trasloco nella nuova sede al Gianicolo), messa incredibilmente sul mercato antiquario, con molti altri preziosi volumi, dalla Pontificia Università Urbaniana, erede del Collegio Urbano73 — anziché affidarla, come sarebbe stato ovvio e doveroso, alla Vaticana, custode naturale del retaggio borgiano. Un ruolo, questo, ap66 ID. 67 ID.

1986. 1987a. 68 Vd. la premessa di mons. Duval-Arnould alla Bibliographie des travaux in SAUGET 1998, p. 9. 69 SAUGET 1998, con un’inedita sintesi su La littérature arabe chrétienne ancienne, pp. 147174. 70 ORSATTI 1996, p. V. 71 SAUGET 1973; cf. già ID. 1972 e ora BUZI 2009, pp. 77-88. In generale, Stefano Borgia 2000 e HAMILTON 2006, pp. 242-270 (con qualche inesattezza). 72 SAUGET 1975. 73 GRANATA 1998 e EAD. & LANFRANCHI 2008, p. 25 e nt. 64.

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parso a tutti evidente in occasione della mostra sul cardinale e sulle sue collezioni ordinata fra Napoli e Velletri nel 2001, in cui carte e manoscritti arabi, etiopici, siriaci, turchi, indiani e cinesi (anche xilografie) del fondo Borgia, per tacere di monete e medaglie, hanno avuto parte ampia e significativa74. Alla Biblioteca Apostolica sono stati d’altronde versati da sempre, fino a tempi molto recenti, i materiali di altre istituzioni pontificie meno adatte alla loro tutela e valorizzazione. Per i manoscritti orientali, rammento quelli dell’Istituto Biblico: oltre a 9 codici latini e uno greco, 20 manoscritti arabi, 10 etiopici (includenti una quota dei libri di Giuseppe Sapeto, l’agente italiano per l’acquisto della baia di Assab nel 1869), e uno persiano, insieme con due litografie persiane, una xilografia e uno stampato cinese; quelli dell’Orientale: 15 greci, 6 latini, 7 arabi, 7 etiopici, 3 siriaci e 2 turchi; e infine quelli del Collegio etiopico, 5 su 28, i più antichi, in ge‘ez — portati tutti in Biblioteca nel 2005 e in parte già oggetto di studio e catalogazione75. Una fiorente attività scientifica — di intelligenza e valorizzazione — anima e caratterizza nel tempo l’opera di tanti insigni studiosi attivi nella Vaticana o comunque interessati da fuori al suo patrimonio. Ancora qualche nome per tutti: Michel van Esbroeck, gesuita e professore a Monaco e al Pontificio Istituto Orientale, filologo e storico amplissimo dell’Oriente cristiano (scomparso prematuramente nel 2003)76; Khalil Samir Khalil, pure gesuita e professore all’Orientale, interessato al copto, al siriaco e sopratutto all’arabo cristiano (con un antico impegno per la riedizione della monumentale Geschichte der christlichen arabischen Literatur allestita da Georg Graf presso la Biblioteca e pubblicata in cinque volumi di «Studi e testi» fra il 1945 e il 1953)77; e Angelo Michele Piemontese, professore alla romana «Sapienza», iranista e islamista versatissimo, da sempre amico della Biblioteca e sottile indagatore dei suoi fondi e della storia degli studî ad essi relativa78. L’attività scientifica dispiegata, all’interno e all’esterno, sui materiali della Biblioteca può certo evincersi in maggior dettaglio dalle bibliografie dei manoscritti della Vaticana esemplarmente curate fra il 1970 (dedicata ai soli fondi greci) e il 2011 da Paul Canart e Vittorio Peri, poi da Marco 74

Vd. La collezione Borgia 2001, passim. FIACCADORI 2010a, pp. 531-532. 76 Vd. SAMIR 2006 e la bibliografia degli scritti nella silloge memoriale Universum Hagiographicum 2006, pp. xxxi-lvi. 77 Vd. il volume in suo onore: Studies 2004, con bibliografia degli scritti, pp. 279-314. 78 A lui, «on the occasion of his 70th birthday» (2010), è dedicata la miscellanea The Persian language 2011, p. 5. Vd., in particolare, PIEMONTESE 1978, 2008a, 2008b. 75

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Buonocore e Massimo Ceresa per «Studi e testi»: sette volumi — due dei quali «retrospettivi», con spoglio di pubblicazioni anteriori al 1968 — che consentono d’integrare più precisamente il quadro fin qui delineato79. E altri contributi orientalistici, anche con riguardo all’iranistica, all’egittologia, all’arabistica, alla turcologia, non meno che all’indologia, all’armenistica e all’iberistica si trovano negli ormai diciassette volumi dei Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae che si pubblicano, con cadenza annuale (tolta una breve interruzione) dal 1989, e ospitano saggi diversi su manoscritti, carte e stampati più o meno formalmente connessi con la Biblioteca80. Un discorso a sé esigerebbero certo gli stampati, al pari delle mostre organizzate, promosse o condivise dalla Vaticana — con materiali suoi proprî — negli ultimi decennî, alle quali non sono stati certo estranei gli studî orientali. Valgano qui, per memoria dei primi, i sondaggi avviati da tempo su classi ricche di materiali come gli incunaboli ebraici o le prime edizioni latine di Aristotele con la versione dei commentarî medievali di Ibn Rušd o Averroè81. Per le mostre della Biblioteca e i loro utilissimi cataloghi, ricordo la splendida rassegna «I Vangeli dei popoli», allestita nel Palazzo della Cancelleria da Francesco d’Aiuto, Giovanni Morello e Ambrogio M. Piazzoni in occasione del giubileo del 200082, con testimoni «autentici» delle versioni in tutte le lingue dell’Oriente cristiano, inclusi il georgiano, con un celebre Tetravangelo dell’XI secolo83, e il persiano, con un Vangelo di Matteo del 1312 (che documenta la sopravvivenza del Cristianesimo nella Persia dell’epoca)84; o ancora quella, recentissima, sul tema «Conoscere la Biblioteca Vaticana», curata dallo stesso Piazzoni e da Barbara Jatta nel Braccio di Carlo Magno (2010/11), ove pure le raccolte orientali erano assai ben rappresentate85. Quanto agli eventi espositivi che hanno visto la partecipazione della Vaticana, oltre alle rassegne su Stefano Borgia, citata, e su «Federico da 79

CANART & PERI 1970; BUONOCORE 1986, 1994; CERESA 1991, 1998, 2005; DI CERBO & al. 2011. Oltre agli scritti già altrove citati in questo lavoro, vd. BARTÒLA 1989; RUYSSCHAERT 1989; HISSETTE 1989, 2003a; PERI 1998; YU DONG & DAY 1998; PIEMONTESE 2003, 2005, 2007; RAINERI 2000, 2005a, 2005b, 2006; ID. & TEDROS ABRAHA 2003; DUVAL-ARNOULD 2002; RILLIET 2003; GRAFINGER 2005; CAPRIOTTI VITTOZZI 2006, 2008; SFERRA & VERGIANI 2008; TEDROS ABRAHA 2008; SIDARUS 2010. 81 Vd. SHEEHAN 1990 e risp. HISSETTE 2002, 2003b e GILMONT & HISSETTE 2005. In generale, per gli stampati come per i manoscritti e la storia degli studî, utilissimi regesti e notizie anche in GRAFINGER 1993 e 1997, passim. 82 I Vangeli 2000. 83 G. SHURGAIA 2000. Sul ms. (Vat. iber. 1) cf. anche T. SHURGAIA 2006a, 2006b, 2006c, 2006d, 2006e. 84 PIEMONTESE 2000. Sul ms. (Vat. pers. 4) vd. anche ID. 2001. 85 Vd. Conoscere la Biblioteca 2010, pp. 171-198 (Sez. C – I manoscritti) e 199-217 (Sez. D – Gli stampati). 80

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Montefeltro and his Library», organizzata a New York nel 2007 presso la Morgan Library, con una sezione sui codici ebraici86, vorrei qui richiamare la mostra veneziana «Nigra sum sed formosa. Sacro e bellezza dell’Etiopia cristiana», allestita a Ca’ Foscari nel 2009, con pezzi della Biblioteca e del suo Museo sacro (due dei tâbot ricordati), passato in tempi recenti ai Musei Vaticani, e l’ampia rassegna «Ai crinali della storia. Padre Matteo Ricci (1552-1610) fra Roma e Pechino» che, ordinata nel Braccio di Carlo Magno nel 2009/10, si è avvalsa di preziosi stampati della Biblioteca87. Giova ora insistere sulla straordinaria circolazione di uomini e idee che è all’origine di tutto questo, al centro della quale era ed è sempre la Vaticana con la sua speciale atmosfera di studio e di collaborazione internazionale. Ne sono prova non remota e tangibile i Mélanges — in sette volumi — offerti dalla Biblioteca al card. Tisserant nel 1964, nell’occasione del suo ottantesimo genetliaco, apparsi ovviamente in «Studi e testi»: a un primo volume sull’Oriente antico e la Sacra scrittura ben due ne seguono sull’Oriente cristiano, ai quali praticamente tutti gli studiosi attivi nel campo contribuirono con saggi non occasionali88. Del carattere decisivo, anche per le generazioni successive, di scelte maturate in quegli anni, è segno eloquente in altri fatti. Ne ricordo almeno uno: il card. Mercati, bibliotecario dal 1936 al 1957, e mons. Albareda, prefetto dal 1936 al 1962, riservarono a Cerulli, negli anni della guerra, un’accoglienza che non avrebbe più dimenticato89. Per questo, fra il 1953 e il 1955, egli volle donare alla Biblioteca, in varie riprese, una collezione di 1016 codici persiani (più 17 litografie) e 39 turchi o persiano-turchi e persiano-arabi veicolanti (con quattro eccezioni) drammi religiosi islamici, le ta‘ziye, ai quali si era specialmente interessato durante la sua legazione in Irân, dal 1950 al 1954 (quando anche raccolse i materiali linguistici neoaramaici elaborati più tardi con Fabrizio Pennacchietti)90; e nel 1954 offrì alla Vaticana la sua collezione di manoscritti etiopici, forte di ben 325 pezzi, cui seguirono, nel 1963, dieci codici arabi moderni91. Si tratta, nell’insieme, di un’accessione davvero cospicua (per i manoscritti orientali la più cospicua in assoluto di tutto il Novecento), destinata ad alimentare una corrispondente 86

Federico da Montefeltro 2007, con PROVERBIO 2007b. Vd. Nigra sum 2009, pp. 70-71 e 92-93, nrr. 13 e 21-24, e risp. Ai crinali 2009, pp. 220, 221, 236, 251, nrr. 75, 78-79, 103-104, 144. 88 Mélanges 1964, I e II-III. 89 RUYSSCHAERT 1989, p. 277, di cui RAINERI 2004b, p. 10 e nt. 20. 90 Vd. CERULLI 1954 e BIGNAMI ODIER 1973, p. 282 s., nt. 115, da integrare con ROSSI & BOMBACI 1961, pp. XXVI-XXVII, e RAINERI 2004b, pp. 9-10, nonché Testi neo-aramaici 1971, p. V (cf. anche PENNACCHIETTI 1991). 91 RAINERI 2004b, pp. 9-10. 87

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quantità di ricerche e di studî. Un sommario elenco dei drammi islamici fu redatto tempestivamente da Ettore Rossi (1894-1955), già collaboratore della Vaticana per i codici turchi e persiani, e poi dal più giovane Alessio Bombaci (1914-79) e pubblicato in «Studi e testi» nel 196192; e dei manoscritti etiopici procurò un inventario lo stesso Cerulli, raccogliendo le schede da lui preparate in tempi diversi. Disponibile nella sala dei cataloghi in copia fotostatica dell’autografo (1978), questo inventario è stato trascritto, integrato e dato alle stampe nella stessa collana solo nel 200493. Il libro, con un utilissimo indice, è frutto della pazienza di mons. Osvaldo Raineri, professore all’Orientale e già «assistente» presso la Biblioteca dal 1998 — di fatto successore di mons. Sauget, dopo un lungo e preoccupante intervallo94. Oltre che di un prezioso inventario analitico sulla «coda» dei Vaticani etiopici (300-323)95, mons. Raineri è autore d’un gran numero di pubblicazioni d’interesse etiopistico, vertenti in maggioranza su documenti della Biblioteca, prima fra tutte il grande catalogo dei Codices Comboniani, del 2000, nella citata series maior della Vaticana96. Quindi, per limitarsi ai volumi di «Studi e testi»: l’edizione degli atti di Giorgio, neomartire egiziano del X secolo, stampata nel 199997; degli atti di Qawesýos, martire etiopico del XIV secolo, nel 200498; delle lettere tra i pontefici romani e i prìncipi etiopici dal XII al XX secolo, nel 2003 (riveduta per l’Archivio Segreto nel 2005)99; della riduzione italiana, opera di Francesco Beccadelli, della cinquecentesca Verdadeira informaçam das terras do Preste Joam di Francisco Alvarez, nel 2007100. A tutt’oggi, mons. Raineri, con due dipinti di notevole interesse artistico ed etnografico (esposti alla mostra di Ca’ Foscari nel 2009)101, ha donato alla Vaticana ben 276 manoscritti etiopici della sua collezione, che ha in gran parte descritto e illustrato egli stesso in sede scientifica102. Come si vede dalle scarne annotazioni che precedono, per una serie di congiunture assai fortunate, l’Etiopia storica, comprendente l’odierna 92

ROSSI & BOMBACI 1961. Vd. ROSSI 1948, 1951, 1953. CERULLI 2004. 94 Elenco delle sue pubblicazioni in Da Schilpario 2009, pp. 273-303. Inoltre: Vita del santo monaco 2009 e Il Gadl di san Pietro 2010 (di cui BAUSI 2011) e RAINERI 2010, 2011. 95 RAINERI 1993. 96 ID. 2000. 97 ID. 1999b. 98 ID. 2004a; cf. già ID. 2003b. 99 ID. 2003a (e 2005c, di cui KROPP 2010). 100 RAINERI 2007. 101 Supra, p. 314 e nt. 87. 102 RAINERI 1998, 1999a, 2002, 2010. Sul ms. Raineri 43 vd. ora anche MELEY MULUGETTA 2010. 93

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Eritrea, ha avuto in Biblioteca un ruolo direi privilegiato tra i Paesi dell’Oriente cristiano: fra vecchie e nuove aquisizioni, con oltre un migliaio di manoscritti, la Vaticana detiene anzi un primato assoluto, non solamente quantitativo103. Un simile primato e la sua inesauribile capacità d’attrazione di sempre nuovi studiosi, anche per l’«archeologia del libro» (oggetto di mirate incursioni dei non etiopisti)104, sono d’altronde armonici con il carattere «conservativo» di quella cultura — la cui produzione manoscritta continua tuttora — e con l’accertata presenza d’uno stabilimento di pellegrini o monaci etiopi in Santo Stefano dei Mori, accanto all’abside di San Pietro (non lungi dall’attuale Collegio etiopico), fin dallo scorcio del XV secolo105. Al dono dei manoscritti di Cerulli è seguito nel 1963 quello dei suoi stampati (circa 2500 volumi); del 1961 è ancora il dono di cinque manoscritti etiopici da parte dell’esploratore e geografo Giotto Dainelli (Vat. et. 295-299)106; e in anni a noi più vicini si sono aggiunte la collezione di rotoli magici, circa 660, dell’architetto, artista e incisore Sandro Angelini (1915-2001)107, attivo in Etiopia per l’International Fund for Monuments dal 1966 al 1973 (restauri alle chiese monolitiche di Lâlibalâ e poi ai castelli di Gondar e ai monumenti di Aksum)108, e la biblioteca specialistica di Salvatore Tedeschi, un diplomatico italiano (nativo del Cairo) in servizio ad Addis Abeba dal 1959 al 1971 che fu poi grande frequentatore della Vaticana e lasciò una pregevole serie di studî su Egitto cristiano ed Etiopia dal medioevo all’età contemporanea109. Nel 1999 si è conclusa, grazie all’impegno di Jeanne-Marie Allier, la stampa in quattro tomi, per «Studi e testi», degl’inediti carnets di viaggio di Arnauld d’Abbadie (custoditi a Parigi presso la Bibliothèque nationale, oggi de France), iniziata di fatto con il secondo, nel 1980: il primo, Douze ans de séjour dans la Haute-Éthiopie (Abyssinie), che dà titolo all’opera, era stato già pubblicato dall’autore nel 1868 (ed è quindi riprodotto anastaticamente)110. Nel 2004 gli «Studi e testi» hanno parimenti ospitato l’edizione della versione etiopica della Let103

BAUSI 2009, p. 186; UHLIG & BAUSI 2010, p. 739. BOZZACCHI 1996 e 2001; SZIRMAI 1999, pp. 45-50 («The Ethiopian Codex»); ma cf. BAUSI 2008, pp. 525-548 («La produzione del manoscritto»), con ampie indicazioni; inoltre, PANKHURST 1992. 105 Vd. ora BAUSI 2007, pp. 90-97, e risp. PROVERBIO 2011. 106 BIGNAMI ODIER 1973 p. 282 nt. 115; cf. VAN LANTSCHOOT 1962, pp. 453-454 e 492-504. Su Dainelli vd. RICCI 2005. 107 Sono descritti in RAINERI 1990; cf. PROVERBIO 2010c. 108 Vd. INTERNATIONAL FUND FOR MONUMENTS 1967, passim; ANGELINI 1965-67; ANFRAY 2002. Per i suoi materiali documentarî e iconografici, donati alla Civica biblioteca «A. Mai» di Bergamo, ANGELINI 2006. 109 Vd. BAUSI 2010. 110 D’ABBADIE 1980, 1983, 1999. 104

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tera agli Ebrei a cura di Tedros Abraha, anch’egli docente all’Orientale e assiduo frequentatore della Biblioteca111. Tuttavia, ciò non significa che sia mancata l’attenzione ad altri filoni tradizionali di ricerca: penso, ad esempio, allo studio di Karl-Ernst Lupprian sulle relazioni del Papato con gli Stati mongoli nel XIII secolo, apparso sempre in «Studi e testi» nel 1981, che riprende un classico tema («Les Mongoles et la Papauté») di Paul Pelliot, l’illustre sinologo, mongolista e tibetologo francese (1878-1945) il cui nome, come quello del più giovane Tucci, evoca un’eccezionale varietà di esplorazioni e ricerche tutt’altro che «antiquarie» — dalle grotte di Dunhuang al Milione di Marco Polo, dall’Orda d’Oro ai «chrétiens d’Asie centrale et d’Extrême-Orient», come suona il titolo d’una sua memoria del 1914 (ripreso nelle postume Recherches del 1973 e 1984)112. Con lui, che preparava l’edizione (apparsa molti anni dopo nelle Recherches) della stele nestoriana bilingue (cinese e siriaca) di «Singan-fou» o Xi’an (Fu), eretta nel 781 e scoperta nel 1625, mons. Tisserant aveva collaborato negli anni Venti e Trenta sulle pagine della «Revue de l’Orient chrétien», dov’è sintomatico, anche del clima della Biblioteca, il coinvolgimento dello scriptor Latinus Gino Borghezio113. Ora, la Vaticana possiede un’importante collezione di manoscritti e stampati cinesi dal XVI al XVIII secolo: opere a carattere sacro e profano, redatte per lo più, le prime, da missionarî gesuiti europei o da convertiti cinesi. Ospite della Biblioteca dal 13 giugno al 6 luglio 1922, Pelliot ne stese allora in meno d’un mese, su invito di mons. Tisserant, un rapido Inventaire sommaire poi disponibile in copia dattiloscritta nella sala dei cataloghi, tuttora un validissimo strumento per la consultazione di quei fondi. L’Inventaire di Pelliot, nel quale il cinese è sempre in traslitterazione, è stato finalmente pubblicato nel 1995, su iniziativa dell’Istituto Italiano di Cultura di Kyoto, da uno studioso giapponese, Tokio Takata, che ne ha riveduto e integrato il testo, aggiungendovi i caratteri originali e una preziosa serie di indici114. Parallelamente, a distanza di un anno, un nuovo catalogo è apparso presso la Biblioteca, per «Studi e testi», a cura di Clara Yu Dong: limitato alle «opere cinesi missionarie» dei secoli XVI-XVIII, esso riprende ugualmente il testo di Pelliot (e l’impostazione sinologica legata, nella Roma di prima metà del Novecento, agli studî «ricciani» del 111

TEDROS ABRAHA 2004. LUPPRIAN 1981. Vd. PELLIOT 1914 (e 1973 e 1984, nonché 1996). Per l’Oriente balcanico e postbizantino e la non diversa complessità delle sue relazioni, fra Mediterraneo, Asia anteriore e Oceano Indiano, JAÇOV 2001; indirettamente utile, MRKONJIÒ 1989. 113 PELLIOT 1922/23-1931. Vd. anche LEVI DELLA VIDA 1955b, p. 6; su Borghezio, BIGNAMI ODIER 1973, p. 262 e nt. 40 (p. 273). 114 PELLIOT 1995. 112

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gesuita Pasquale M. D’Elia), ma considera un maggior numero di pezzi rispetto all’Inventaire del 1922115. È questo un passo importante verso la futura completa catalogazione delle opere in lingua cinese possedute dalla Biblioteca, incluse quelle del fondo lasciato da Giuseppe Vacca, non ancora accessibili agli studiosi. Vengono qui alla mente anche altri volumi della collana: è del 2001 il catalogo di Carlo Alberto Anzuini, Manoscritti coranici della Biblioteca Apostolica Vaticana e delle biblioteche romane116; nel 2007 Elie Kallas ha pubblicato gli Intimate songs del cod. Vat. ar. 366, curiosa raccolta di carmi erotici di notevole interesse tematico e linguistico117; è apparsa infine quest’anno l’edizione delle Quaestiones medicinae di Üunayn b. Isüâq (il solo testo siriaco), curata da E. Jan Wilson e Samuel Dinkha118. Nel 2008 è andato in stampa il catalogo dei manoscritti ebraici nella Biblioteca Vaticana: edito da Benjamin Richler, con descrizioni paleografiche e codicologiche di Malachi Beit-Arié in collaborazione con Nurit Pasternak, il libro porta a compimento dopo mezzo secolo, e in modo ben diverso, il disegno intrapreso da Cassuto nel volume del 1956119. Ed è in qualche misura gemello, per contributori (Richler e Beit-Arié), oltre che per concezione e per forma, del recente catalogo dei manoscritti ebraici della Biblioteca Palatina di Parma, impresso a Gerusalemme nel 2001120: una delle maggiori collezioni europee, con 1500 pezzi, i più dal celebre fondo dell’orientalista e bibliofilo Gian Bernardo De Rossi (1742-1831)121. Non sarà vano, a questo punto, rammentare che Bibliotecario e archivista di Santa Romana Chiesa è stato, dal 1998 al 2003, un esperto di lingua e cultura ebraiche: l’arcivescovo e poi cardinale argentino Jorge María Mejía, già professore di Sacra scrittura a Buenos Aires, naturalmente sensibile al progresso degli studî biblici e orientali. Durante il suo mandato si colloca un episodio indicativo della riconosciuta competenza orientalistica della Vaticana, e della sua disponibilità a collaborare, anche in quest’àmbito, con altre biblioteche. Nel 2000, auspice l’allora prefetto mons. Raffaele Farina, ben 27 manoscritti etiopici della Palatina di Parma furono depositati pro tempore presso la Vaticana, e qui riprodotti fotograficamente, perché vi fossero catalogati da mons. Raineri 115

YU DONG 1996; cf. anche EAD. 2001. ANZUINI 2001. 117 KALLAS 2007. 118 WILSON & DINKHA 2010. 119 Hebrew Manuscripts 2008. 120 Hebrew Manuscripts 2001. 121 Vd. ora anche DE PASQUALE 2009, con bibliografia. 116

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e da Delio Vania Proverbio nell’àmbito d’un progetto da me coordinato122. Quindici di essi, appartenenti alla biblioteca dell’etnografo e funzionario coloniale Antonio Mordini (acquistata per la Palatina, ad impulso di chi scrive, nel 1994), vengono dall’isolato monastero «stefanita» di Gunda Gundê, nel ‘Âgâmê (Tegrây orientale)123: come il testimone principe del Pastore di Erma (anch’esso oggi in Palatina), di cui Cerulli aveva assicurato tempestivamente una copia fotografica alla Vaticana124 — ove anche si trovano altri 53 «Manoscritti fotogrammati nel monastero di Gundagundiè» ad opera del comboniano Emilio Ceccarini (1912-79)125. Il catalogo vaticano dei codici ebraici si avvale di una densa introduzione storica di Proverbio126, dal 2004 «successore» di mons. Raineri come assistente presso la Biblioteca Apostolica e dal 2011 scriptor Orientalis — il primo dalla scomparsa di mons. Sauget. Ai fondi della Vaticana Proverbio ha da tempo rivolto le sue attenzioni in una serie di articoli comparsi principalmente in Orientalia e nei Rendiconti dell’Accademia nazionale dei Lincei127, oltre che negli Scritti in memoria di Emilio Teza, editi per sua cura128, e nei ricordati Miscellanea della Biblioteca129. Interessato all’ebraico e a tutte le lingue dell’Oriente cristiano ed islamico, specialmente al siriaco, al copto, all’etiopico, al turco ed all’arabo, e al grande fenomeno dell’eterografia (il così detto karšûnî o øaršûnî: in origine, testi in lingua araba e scrittura siriaca)130, egli rinnova la grande tradizione orientalistica della Vaticana. Degno di nota, per «trasversale» ampiezza di competenze, l’inventario dei manoscritti orientali della Badia Greca di Grottaferrata131; e così la densa monografia sull’omelia pseudocrisostomica De ficu exarata132. Fra le «scoperte» più originali di Proverbio sono i Turco-Syriaca, una particolare categoria di documenti cristiani bene attestata nelle raccolte 122

RAINERI 2004c, pp. 648-650. Vd. FIACCADORI 2007b, e ora anche DE PASQUALE 2009, p. 55 e nt. 62 (p. 68). Altri mss. di questa sfortunata biblioteca monastica, oggetto recente di acquisti e saccheggi indiscriminati: GRIFFITH MANN 2001, pp. 104-107, nr. 14 (con un maraweü o «ventaglio [liturgico]» dallo stesso monastero, pp. 114-115, nr. 17, di cui BALICKA-WITAKOWSKA 2004, p. 27 e ntt. 59-61, fig. 24A-B, p. 42); FOGG 2001, pp. 28-35, nr. 11; ID. 2005, pp. 84-89, nr. 35. Cf. BAUSI 2007, p. 91 e n. 9. 124 RAINERI 2004c, p. 645. 125 Ibid., pp. 645-648. 126 PROVERBIO 2008b. 127 ID. 1992, 1994, 1999, 2001a, 2002b, 2002c. 128 Vd. Scritti 1998, con numerosi contributi del curatore. 129 PROVERBIO 2001b, 2002a, 2003, 2004a, 2004b, 2006a. Ma vd. anche ID. 2000b e 2006b. 130 ID. 2008a. 131 ID. 2000a 132 ID. 1998, di cui KROPP 2000, CAMPLANI 2001 e LUISIER 2001. 123

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della Biblioteca133; e ai manoscritti e stampati turchi di questa — depositaria, fra l’altro, dei libri turco-osmanlı del candiota mons. Paul Mulla (Ali Mehmet Mulla-Zâde, 1881-1969) — egli ha dedicato una serie di studî, con un bellissimo volume fresco di stampa, Turcica Vaticana, che in parte integra ed aggiorna le sue precedenti ricerche sul tema134. Ma siamo già nel futuro; e della sua azione, che l’ha visto coinvolto nelle rassegne su Stefano Borgia, i Vangeli e la Biblioteca (con varie schede di manoscritti e un’acuta sintesi sulle versioni arabe dei Vangeli)135, come dei più recenti indirizzi della Vaticana in materia di orientalistica, si potrà forse dir meglio in altra occasione. Ora il discorso dovrebbe piuttosto allargarsi, fra identità linguistiche e tradizioni figurative, a una storia dell’orientalismo — non più soltanto italiano o europeo — nello specchio della Biblioteca. Non intendo però superare i limiti concessi a una rapida presentazione come questa vuol essere. Prima di concludere, a tanti ricordi importanti per i vecchi frequentatori della Vaticana e dell’ingente e qualificata mole delle sue pubblicazioni (anche e proprio di storia degli studî) vorrei aggiungere una dichiarazione di verità: in Biblioteca, nell’ultimo cinquantennio, storici e filologi italiani e stranieri hanno non solo proseguito con vigore e intelligenza, dall’antico al tempo nostro, l’esplorazione scientifica delle diverse civiltà dell’Oriente, sopratutto giudaico, cristiano ed islamico, ma — ed è molto di più — hanno posto solide basi per gli anni a venire. Dobbiamo trarne, credo, un decisivo incoraggiamento, una grande speranza per il futuro. Se vogliamo fare un bilancio, non può essere che positivo: la Vaticana ha fattivamente contribuito alla sopravvivenza e all’estensione di questi nostri studî, a una loro apertura su più vasti orizzonti di «comprensione internazionale» — l’unico modo per impugnare con efficacia la falsa nozione di orientalismo di cui si diceva all’inizio.

133

PROVERBIO 2004b.

134 ID. 2007a e 2010b. 135 Supra, pp. 311-312

e nt. 74, 313-314 e ntt. 85 e 86; PROVERBIO 2000c.

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BIBLIOGRAFIA* Il 75° Anniversario del Pontificio Istituto Orientale. Atti delle celebrazioni giubilari, 15-17 ottobre 1992, ed. by R. F. TAFT & J. L. DUGAN, Roma 1994 (OCA, 244). D’ABBADIE 1980 = A. D’ABBADIE, Douze ans de séjour dans la Haute-Éthiopie (Abyssinie), I-II, Réédition anastatique du t. premier, Préface de J. TUBIANA, Introduction et notes par J.-M. ALLIER, Città del Vaticano 1980 (Studi e testi, 286-287). D’ABBADIE 1983 = A. D’ABBADIE, Douze ans de séjour dans la Haute-Éthiopie (Abyssinie), III, Introduction, édition, notes et index par J.-M. ALLIER, Città del Vaticano 1983 (Studi e testi, 304).136 D’ABBADIE 1999 = A. D’ABBADIE, Douze ans de séjour dans la Haute-Éthiopie (Abyssinie), IV, Introduction, édition, notes et index par J.-M. ALLIER, Città del Vaticano 1999 (Studi e testi, 391). Ai crinali 2009 = Ai crinali della storia. Padre Matteo Ricci (1552-1610) fra Roma e Pechino (Vaticano, Braccio di Carlo Magno, 10 ottobre 2009-24 gennaio 2010), a c. di A. PAOLUCCI & G. MORELLO, Torino, Londra, Venezia & New York 2009. ANFRAY 2002 = F. ANFRAY, Sandro Angelini, in Rassegna di studi etiopici n.s., 1 (2002), 1, pp. 143-145. ANGELINI 1965-67 = S. ANGELINI, Le chiese monolitiche di Lalibelà, in Atti dell’Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti in Bergamo 33 (1965-67), pp. 3-24. ANGELINI 2006 = S. ANGELINI, Monumenti del Lago Tana, a c. di P. ANGELINI, Bergamo 2006. ANZUINI 2001 = C. A. ANZUINI, I manoscritti coranici della Biblioteca Apostolica Vaticana e delle biblioteche romane, Città del Vaticano 2001 (Studi e testi, 401). BALICKA-WITAKOWSKA 2004 = E. BALICKA-WITAKOWSKA, The Liturgical Fan and Some Recently Discovered Ethiopian Examples, in Rocznik Orientalistyczny 57 (2004), 2, pp. 19-46. BARTÒLA 1989 = A. BARTÒLA, Alessandro VII e Athanasius Kircher S.J. Ricerche ed appunti sulla loro corrispondenza erudita e sulla storia di alcuni codici chigiani, in MBAV, III, Città del Vaticano 1989 (Studi e testi, 333), pp. 7-105. BATTELLI 1993 = G. BATTELLI, José Ruysschaert, in Studi romani 41 (1993), pp. 317318. BATTELLI 1994 = G. BATTELLI, José Ruysschaert (1914-1993), in Archivio della Società romana di Storia patria 117 (1994) [1995], pp. 278-279. BAUSI 2007 = A. BAUSI, La catalogazione come base della ricerca. Il caso dell’Etiopia, in Zenit e Nadir II. I manoscritti dell’area del Mediterraneo: la catalogazione come base della ricerca, Atti del Seminario internazionale (Montepulciano, 6-8 luglio 2007), a c. di B. CENNI, C. M. F. LALLI & L. MAGIONAMI, Montepulciano 2007 (Medieval Writing. Settimane poliziane di studi superiori sulla cultura scritta in età medievale e moderna, 2), pp. 87-108. BAUSI 2008 = A. BAUSI, La tradizione scrittoria etiopica, in Segno e testo 6 (2008), pp. 3-53. BAUSI 2009 = A. BAUSI, Una civiltà del manoscritto, in Nigra sum 2009, pp. (182) 183-186. * AANL-R = Atti della Accademia Nazionale dei Lincei-Rendiconti; MBAV = Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae; OCA = Orientalia Christiana analecta.

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BAUSI 2010 = A. BAUSI, Tedeschi, Salvatore, in Encyclopaedia Aethiopica, 4, ed. by S. UHLIG, with the collaboration of A. BAUSI, Wiesbaden 2010, pp. 884-885. BAUSI 2011 = A. BAUSI , rec. a Il Gadl di San Pietro 2010, in La parola del passato 66 (2011), pp. 233-240. BIGNAMI ODIER 1973 = J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272). BOZZACCHI 1996 = G. BOZZACCHI, La legatura etiopica, in Conservazione dei materiali librari, archivistici e grafici, a c. di M. REGNI & P. G. TORDELLA, Torino 1996 (Documenti, 3), I, pp. 333-339. BOZZACCHI 2001 = G. BOZZACCHI, La legatura etiopica, in I beni culturali 9 (2001), 4/5, pp. 47-54. BUONOCORE 1986 = M. BUONOCORE, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (1968-1980), Città del Vaticano 1986, I-II (Studi e testi, 318-319). BUONOCORE 1994 = M. BUONOCORE, Bibliografia retrospettiva dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana, I, Città del Vaticano 1994 (Studi e testi, 361). BUZI 2009 = P. BUZI, Catalogo dei manoscritti copti borgiani conservati presso la Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli (con un profilo scientifico di Stefano Borgia e Georg Zoega e una breva storia della formazione della collezione Borgiana), Roma 2009 = AANL-M sc. mor., s. IX, 25 (1), pp. 1-497. CAMPLANI 2001 = A. CAMPLANI, rec. a PROVERBIO 1998, in Aethiopica 4 (2001), pp. 233-242. CANART & PERI 1970 = P. CANART & V. PERI, Sussidi bibliografici per i manoscritti greci della Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1970 (Studi e testi, 261). CAPRIOTTI VITTOZZI 2006 = G. CAPRIOTTI VITTOZZI, Elementi egizi nel codice Ottoboniano latino 3105, in MBAV, XIII, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 433), pp. 103-117. CAPRIOTTI VITTOZZI 2008 = G. CAPRIOTTI VITTOZZI, Una enigmatica figura nel codice Ferrajoli 513 e una lampada da Canosa: aspetti della magia di origine egizia, in MBAV, XV, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 453), pp. 101-127. Le cardinal 2003 = Le cardinal Eugène Tisserant (1884-1972). Une grande figure de l’Église, une grande figure française. Actes du colloque international (Toulouse, les 22 et 23 novembre 2002), Toulouse 2003 (Sources & travaux d’histoire immédiate, 14). CARUSI 2002 = P. CARUSI, Il trattato di filosofia alchemica “Miftâü al-Üikma” ed i suoi testimoni presso la Biblioteca Apostolica, in MBAV, IX, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 409), pp. 35-84. CASSARINO 1998 = M. CASSARINO, Traduzioni e traduttori arabi dall’VIII all’XI secolo, Roma 1998 (Piccoli saggi, 3). CASSUTO 1956 = H. CASSUTO, Codices Vaticani Hebraici: Codices 1-115, In Bybliotheca Vaticana 1956 (Bybliothecae Apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti, s.n.). CERESA 1991 = M. CERESA, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (1981-1985), Città del Vaticano 1991 (Studi e testi, 342). CERESA 1998 = M. CERESA, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (1986-1990), Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 379).

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CERESA 2005 = M. CERESA, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (1991-2000), Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 426). CERULLI 1943a = E. CERULLI, Il Libro etiopico dei Miracoli di Maria e le sue fonti nelle letterature del Medio Evo latino, Roma 1943 (R. Università di Roma. Studi orientali pubblicati a c. della Scuola Orientale, 1). CERULLI 1943b = E. CERULLI, Etiopi in Palestina. Storia della comunità etiopica di Gerusalemme, I, Roma 1943 (Collezione scientifica e documentaria a c. del Ministero dell’Africa Italiana, 12). CERULLI 1947 = Etiopi in Palestina. Storia della comunità etiopica di Gerusalemme, II, Roma 1947 (Collezione scientifica e documentaria a c. dell’Ufficio studi del Ministero dell’Africa Italiana, 14). CERULLI 1949 = E. CERULLI, Il “Libro della Scala” e la questione delle fonti arabospagnole della Divina Commedia, Città del Vaticano 1949 (Studi e testi, 150). CERULLI 1954 = E. CERULLI, Una nuova collezione di manoscritti persiani della Biblioteca Vaticana, AANL-R sc. mor., s. VIII, IX (1954), pp. 507-515. CERULLI 1958 = E. CERULLI, Scritti teologici etiopici dei secoli XVI-XVII, I. Tre opuscoli dei Mikaeliti, Città del Vaticano 1958 (Studi e testi, 198). CERULLI 1960 = E. CERULLI, Scritti teologici etiopici dei secoli XVI-XVII, II. La storia dei Quattro Concili ed altri opuscoli monofisiti, Città del Vaticano 1960 (Studi e testi, 204). CERULLI 1972 = E. CERULLI, Nuove ricerche sul Libro della Scala e la conoscenza dell’Islam in Occidente, Città del Vaticano 1972 (Studi e testi, 271). CHAHINE 2002 = Ch. C. CHAHINE, Une version syriaque du Sermo cum iret in exsilium (CPG 4397) attribué à Jean Chrysostome, in MBAV, IX, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 409), pp. 85-102. The Christian East 1996 = The Christian East. Its Institutions & Its Thoughts. A Critical Reflection. Papers of the Intl. Scholarly Congress for the 75th Anniversary of the Pontifical Oriental Institute (30 May-5 June 1993), ed. by R. F. TAFT, Roma 1996 (OCA, 251). CHRISTYS 2002 = A. CHRISTYS, Christians in al-Andalus, 711-1000, Richmond, Surrey, 2002 (Culture and Civilization in the Middle East, s.n.). La collezione Borgia 2001 = La collezione Borgia: curiosità e tesori da ogni parte del mondo [Velletri, Palazzo Comunale, 31 marzo-3 giugno 2001; Napoli, Museo Archeologico Nazionale, 23 giugno-16 settembre 2001], a c. di A. GERMANO & M. NOCCA, Napoli 2001. Conoscere la Biblioteca 2010 = Conoscere la Biblioteca Vaticana. Una storia aperta al futuro, Mostra nel Braccio di Carlo Magno (Piazza S. Pietro), 11 novembre 2010-31 gennaio 2011, a c. di A. M. PIAZZONI & B. JATTA, Città del Vaticano 2010. CONTINI 1989 = R. CONTINI, Giorgio Levi Della Vida e la letteratura siriaca, in G. LEVI DELLA VIDA, Pitagora, Bardesane e altri studi siriaci, a c. di R. CONTINI, Roma 1989 (Università di Roma. Studi orientali, 8), pp. V-XXI. Da Schilpario 2009 = Da Schilpario in Africa e Diario della mia vita in terra africana di Antonio Grassi, a c. e con la bibliografia di O. RAINERI, Roma 2009.

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D’AIUTO 1995 = F. D’AIUTO, Osservazioni paleografiche su antiche traduzioni armene dal greco, in collaborazione con A. SIRINIAN, in Rivista di studi bizantini e neoellenici n.s., 32 (1995) [1996], pp. 3-16. D’AIUTO 1999 = F. D’AIUTO, Un carme bizantino in onore degli evangelisti e la sua versione armena nel Vat. gr. 1445, in collaborazione con A. SIRINIAN, in Rivista di studi bizantini e neoellenici n.s., 36 (1999) [2000], pp. 121-169. D’AIUTO 2003 = F. D’AIUTO, Graeca in codici orientali della Biblioteca Vaticana (con i resti di un manoscritto tardoantico delle commedie di Menandro), in Tra Oriente e Occidente. Scritture e libri greci fra le regioni orientali di Bisanzio e l’Italia, a c. di L. PERRIA, Roma 2003 (Testi e Studi bizantino-neoellenici, 14), pp. 227-296. D’AIUTO 2004 = F. D’AIUTO, Su alcuni manoscritti d’interesse mechitaristico in fondi non armeni della Biblioteca Vaticana, in collaborazione con A. SIRINIAN, in La spiritualità armena nei secoli X-XII. Atti della I Settimana di Studio sulla Spiritualità Armena (Isola di San Lazzaro-Venezia, 3-8 settembre 2002), Venezia 2004, pp. 183-204. D’ANCONA 1996 = C. D’ANCONA, La casa della sapienza, Milano 1996 (Socrates, 18). DE PASQUALE = A. DE PASQUALE, I fondi ebraici e orientali nella Biblioteca Palatina di Parma, in Exoticis linguis. Libri ebraici e orientali della Biblioteca Palatina di Parma, Parma 2009 (Mirabilia Palatina, 2), pp. 9-68. DI BRANCO 2009 = M. DI BRANCO, Storie arabe di Greci e di Romani. La Grecia e Roma nella storiografia arabo-islamica medievale, Pisa 2009 (Greco, Arabo, Latino. Le vie del sapere. Studi, 1). DI CERBO & al. 2011 = V. DI CERBO & al., Bibliografia retrospettiva dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana, II, a c. di M. BUONOCORE, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 464). DIDDI = C. DIDDI, L’edizione del Messale croato-raguseo della Biblioteca Apostolica Vaticana: risultati e prospettive di ricerca, in Europa Orientalis 23 (2004), pp. 337-343. DRAGUET 1969 = R. DRAGUET, Arnold van Lantschoot (1899-1969), in Analecta Praemonstratensia 45 (1969), pp. 109-116 = Le Muséon 82 (1969), pp. 249-258. DUVAL-ARNOULD 2002 = L. DUVAL-ARNOULD, La collection «Sire» de la Bibliothèque Vaticane, in MBAV, IX, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 409), pp. 115-168. L’eredità 2004 = L’eredità di Monneret de Villard. Atti del convegno (Politecnico di Milano. Dip.to di Conservazione e storia dell’architettura, 27-29 novembre 2002), a c. di M. G. SANDRI, Firenze 2004 (Biblioteca di archeologia dell’architettura, 2). Federico da Montefeltro 2007 = Federico da Montefeltro and his Library (New York, The Morgan Library and Museum, June 8-September 20, 2007), ed. by M. SIMONETTA, Preface by J. J. G. ALEXANDER, Milano & Roma 2007. FIACCADORI 2007a = G. FIACCADORI, Monneret de Villard, Ugo, in Encyclopaedia Aethiopica, 3, ed. by S. UHLIG, Wiesbaden 2007, pp. 1004-1006. FIACCADORI 2007b = G. FIACCADORI, Mordini, Antonio, in Encyclopaedia Aethiopica, 3, ed. by S. UHLIG, Wiesbaden 2007, pp. 1017-19.

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FIACCADORI 2010a = G. FIACCADORI, Santo Stefano dei Mori, in Encyclopaedia Aethiopica, 4, ed. by S. UHLIG, in cooperation with A. BAUSI, Wiesbaden 2010, pp. 528-532. FIACCADORI 2010b = G. FIACCADORI, Tisserant, Eugène-Gabriel, in Encyclopaedia Aethiopica, 4, ed. by S. UHLIG, in cooperation with A. BAUSI, Wiesbaden 2010, pp. 964-967. FILLIOZAT 1986 (2001) = J. FILLIOZAT, Les manuscrits en écritures indiennes et dérivées à la Bibliothèque Vaticane, [Paris & Città del Vaticano] 1986 (rev. 2001), 51 pp. [B.A.V., Sala cons. mss., rosso 554A]. FOGG 2001 = S. FOGG, Ethiopian Art, London 2001. FOGG 2005 = S. FOGG, Art of Ethiopia, Introduction by C. GRIFFITH MANN, London 2005. FOHLEN 1990 = J. FOHLEN, Les études orientales à la Bibliothèque vaticane: hommage a Mgr. Joseph-Marie Sauget, in Mémoires de la Société d’émulation du Doubs 32 (1990), pp. 157-163. GABRIELI 1950 = F. GABRIELI, Gli studi orientali in Italia, in Cinquant’anni di vita intellettuale italiana, 1896-1946. Scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo anniversario, a c. di C. ANTONI & R. MATTIOLI, Napoli 1950, II, pp. 89-111 (= ID., Dal mondo dell’Islàm. Saggi di storia e civiltà musulmana, MilanoNapoli 1954, pp. 228-255). GABRIELI 1993 = F. GABRIELI, Orientalisti del Novecento, Roma 1993 (Istituto per l’Oriente. Pubblicazioni, s.n.). Il Gadl di san Pietro 2010 = Il Gadl di san Pietro, patriarca di Alessandria e ultimo dei martiri, ed. del testo etiop. e tr. it. di O. RAINERI, Turnhout 2010 (Patrologia Orientalis, LI/5 = 230). GAIGNARD 2009 = H. GAIGNARD, La vie spirituelle du cardinal Eugène Tisserant. Entre perfection et sainteté (1908-1945), Paris 2009. GARITTE 1946 = G. GARITTE, Documents pour l’étude du livre d’Agathange, Città del Vaticano 1946 (Studi e testi, 127). GARITTE 1969 = G. GARITTE, Bibliographie d’Arnold van Lantschoot, in Le Muséon 82 (1969), pp. 259-264. GIANNELLI & GRACIOTTI = C. GIANNELLI (†) & S. GRACIOTTI, Il messale croato-raguseo (Neofiti 55) della Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 411). GILBERT 2009 = M. GILBERT, L’Institut Biblique Pontifical. Un siècle d’histoire, Roma 2009. GILMONT & HISSETTE 2005 = J.-F. GILMONT & R. HISSETTE, À propos de trois anciennes éditions latines d’Aristote avec Commentaires d’Averroès (dont les incunables GW 2340/3106; IGI 795/1106), in MBAV, XII, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 430), pp. 181-238. Giorgio Levi Della Vida 1988 = Giorgio Levi Della Vida nel centenario della nascita (1886-1967), a c. di G. GARBINI, Roma 1988 (Studi semitici, n.s., 4). Giorgio Levi Della Vida 2010 = Giorgio Levi Della Vida: incontro di studio (Milano, 19 maggio 2008), a c. di E. I. RAMBALDI & G. ROTA, Milano 2010.

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Giuseppe Tucci 1995 = Giuseppe Tucci nel centenario della nascita (Roma, 7-8 giugno 1994), a c. di B. MELASECCHI, Roma 1995. GRAFINGER 1993 = Ch. M. GRAFINGER, Die Ausleihe vatikanischen Handschriften und Druckwerke (1563-1700), Città del Vaticano 1993 (Studi e testi, 360). GRAFINGER 1997 = Ch. M. GRAFINGER, Beiträge zur Geschichte der Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1997 (Studi e testi, 373). GRAFINGER 2005 = Ch. M. GRAFINGER, Die Rückgabe einer hebräischen Handschrift an die Biblioteca Casanatense, in MBAV, XII, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 430), pp. 239-243. GRANATA 2001 = G. GRANATA, La biblioteca del cardinale Stefano Borgia, in Dell’antiquaria e dei suoi metodi. Atti delle giornate di studio [1997-99], a c. di E. VAIANI, Pisa 2001 = Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Quaderni, s. IV, 2 (1998), pp. 225-238. GRANATA & LANFRANCHI 2008 = G. GRANATA & M. E. LANFRANCHI, La biblioteca del cardinale Stefano Borgia (1731-1804), Roma 2008. Les Grecs 2009 = Les Grecs, les Arabes et nous, éd. par Ph. BÜTTGEN & al., Paris 2009 (Ouvertures, s.n.). GRIFFITH MANN 2001 = C. GRIFFITH MANN, The Role of the Illuminated Manuscript in Ethiopian Culture, in Ethiopian Art: The Walters Art Museum, Baltimore, MD, 2001, pp. (94) 95-119. GUIDI 1935 = M. GUIDI, Oriente cristiano, in Enciclopedia Italiana di Scienze Lettere ed Arti, XXV, Roma 1935, pp. 550a-552c. GUTAS 2002 = D. GUTAS, Pensiero greco e cultura araba (1998), tr. it. di C. MARTINI, a c. di C. D’ANCONA, Torino 2002 (Piccola biblioteca Einaudi. Storia e geografia, 145). HAMILTON 2006 = A. HAMILTON, The Copts and the West, 1439-1822. The European Discovery of the Egyptian Church, Oxford 2006 (Oxford-Warburg Studies, s.n.). HANSSENS & RAES 1951 = J. M. HANSSENS & A. RAES, Une collection de tâbots au Musée Chrétien de la Bibliothèque Vaticane, in Orientalia Christiana periodica 17 (1951), pp. 435-450. Hebrew Manuscripts 2001 = Hebrew Manuscripts in the Biblioteca Palatina in Parma. Catalogue, Ed. by B. RICHLER, Palaeographical and codicological descriptions: M. BEIT-ARIÉ, Jerusalem 2001. Hebrew Manuscripts 2008 = Hebrew Manuscripts in the Vatican Library. Catalogue, Comp. by the Staff of the Institute of Microfilmed Hebrew Manuscripts, Jewish National and University Library, Jerusalem, ed. by B. RICHLER, Palaeographical and Codicological Descriptions: M. BEIT-ARIÉ, in collab. with N. PASTERNAK, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 438). HISSETTE 1989 = R. HISSETTE, Le Corpus Averroicum des manuscrits Vaticans Urbinates latins 220 et 221 et Nicoleto Vernia, in MBAV, III, Città del Vaticano 1989 (Studi e testi, 333), pp. 258-356. HISSETTE 2002 = R. HISSETTE, La traduction latine médiévale du commentaire moyen d’Averroès sur les Catégories et les lemmes de certains témoins anciens du texte, dont le ms. Vaticano, Urb. lat. 221, in MBAV, IX, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 409), pp. 245-273.

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HISSETTE 2003a = R. HISSETTE, L’al-Jabr d’al-Khwârizmí dans les mss. Vat. Lat. 4606 et Vat. Urb. Lat. 291 et Guglielmo de Lunis, in MBAV, X, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 416), pp. 137-158. HISSETTE 2003b = R. HISSETTE, Des éditions humanistes à Guillaume de Luna? Le cas du commentaire d’Averroès sur les Prédicaments de Urb. Lat. 221, in MBAV, X, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 416), pp. 423-470. HISSETTE 2006 = R. HISSETTE, Jacob Mantino tributaire de Nicoleto Vernia? Le cas du commentaire moyen d’Averroès sur les Prédicaments de Urb. lat. 221, in MBAV, XIII, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 433), pp. 265-286. INTERNATIONAL FUND FOR MONUMENTS 1967 = INTERNATIONAL FUND FOR MONUMENTS, Inc., Lalibela - Phase I. Adventure in Restoration, New York, NY, 1967. IRWIN 2006 = R. IRWIN, For lust of knowing: the Orientalists and their enemies, London 2006 [2007]. JAÇOV 2001 = M. JAÇOV, L’Europa tra conquiste ottomane e leghe sante, Città del Vaticano 2001 (Studi e testi, 403). KALLAS 2007 = E. KALLAS, Intimate Songs from the Ms. Vatican Arabic 366, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 436). KROPP 2000 = M. KROPP, rec. a PROVERBIO 1998, in Oriens Christianus 84 (2000), pp. 266-267. KROPP 2010 = M. KROPP, rec. a RAINERI 2005c, in Oriens Christianus 94 (2010) [2011], pp. 281-292. LEVI DELLA VIDA 1935 = G. LEVI DELLA VIDA, Elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca Vaticana: Vaticani, Barberiniani, Borgiani, Rossiani, Città del Vaticano 1935 (Studi e testi, 67). LEVI DELLA VIDA 1939 = G. LEVI DELLA VIDA, Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1939 (Studi e testi, 92). LEVI DELLA VIDA 1948 = G. LEVI DELLA VIDA, Documenti intorno alle relazioni delle Chiese orientali con la Santa Sede durante il pontificato di Gregorio XIII (Appendice: aggiunte a «Studi e testi» 92), Città del Vaticano 1948 (Studi e testi, 143). LEVI DELLA VIDA 1955a = G. LEVI DELLA VIDA, Ugo Monneret de Villard, in Rivista degli studi orientali XXX (1955), pp. 173-188 (ID., Aneddoti e svaghi arabi e non arabi, Milano-Napoli 1959, pp. 310-320, senza Bibliografia degli scritti). LEVI DELLA VIDA 1955b = G. LEVI DELLA VIDA, L’activité scientifique du Cardinal Tisserant, in Recueil Cardinal Eugène Tisserant. «Ab Oriente et Occidente», publié par S. POP, Louvain 1955, I (Travaux publiés par le Centre International de Dialectologie de l’Université de Louvain, 1), pp. 1-11. LEVI DELLA VIDA 1963 = G. LEVI DELLA VIDA, Omaggio ad Enrico Cerulli, in Oriente moderno 43 (1963), pp. 795-798. LEVI DELLA VIDA 1965 = G. LEVI DELLA VIDA, Secondo elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1965 (Studi e testi, 242). LEWIS 1993 = B. LEWIS, Islam and the West, Oxford 1993. Liber peregrinationis 1950 = Liber peregrinationis di Jacopo da Verona, a c. di U. MONNERET DE VILLARD, Roma 1950 (Il Nuovo Ramusio, 1). LUISIER 2001 = Ph. LUISIER, rec. a PROVERBIO 1998, in Orientalia n.s., 70 (2001), pp. 143-148.

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LUPPRIAN 1981 = K.-E. LUPPRIAN, Die Beziehungen der Päpste zu islamischen und mongolischen Herrschern im 13. Jahrhundert anhand ihres Briefwechsels, Città del Vaticano 1981 (Studi e testi, 291). MACFIE 2000 = A. L. MACFIE, Orientalism: a reader, Edinburgh 2000. MATTIOLI HÁRY 2009 = N. MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library and the Carnegie Endowment for International Peace. The History, Impact, and Influence of their Collaboration (1927-1947), Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 455). Mélanges 1964 = Mélanges Eugène Tisserant, I. Écriture sainte. Ancien Orient; II. Orient chrétien, 1ère partie; III. Orient chrétien, 2ème partie, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 231-233) MELEY MULUGETTA 2010 = MELEY MULUGETTA, A Mechanical Clock from Venice for Emperor Dawit of Ethiopia, in Aethiopica 13 (2010) [2011], pp. 189-192. MONNERET DE VILLARD 1943 = MONNERET DE VILLARD, Lo studio dell’Islâm in Europa nel XII e nel XIII secolo, Città del Vaticano 1944 (Studi e testi, 110). MONNERET DE VILLARD 1948 = MONNERET DE VILLARD, Il Libro delle peregrinazioni nelle parti d’Oriente di frate Ricoldo da Montecroce, Roma 1948 (Dissertationes historicae, 13). MONNERET DE VILLARD 1952 = MONNERET DE VILLARD, Le leggende orientali sui Magi evangelici, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 163). MRKONJIÒ 1989 = T. MRKONJIÒ, Il Teologo Ivan Paštriò (Giovanni Pastrizio) (16361708). Vita – Opere – Concezione della Teologia – Cristologia, Roma 1989 (Seraphicum. Dissertationes ad Lauream, 75). Nigra sum 2009 = Nigra sum sed formosa. Sacro e bellezza dell’Etiopia cristiana (Venezia, Ca’ Foscari Esposizioni, 13 marzo-10 maggio 2009), a c. di G. BARBIERI & G. FIACCADORI, Crocetta del Montello (TV) 2009. L’Oriente cristiano 1964 = L’Oriente cristiano nella storia della civiltà (Roma, 31 marzo-3 aprile 1963, Firenze, 4 aprile 1964), Roma 1964 (Problemi attuali di scienza e di cultura, 62). ORSATTI 1996 = P. ORSATTI, Il fondo Borgia della Biblioteca Vaticana e gli studi orientali a Roma tra Sette e Ottocento, Città del Vaticano 1996 (Studi e testi, 376). PANKHURST 1992 = R. PANKHURST, The Last Bookbinder of Harar and his Tools, in The Book Collector 41 (1992), 2, pp. (214) 215-219. PELLIOT 1915 = P. PELLIOT, Chrétiens d’Asie centrale et d’Extrême-Orient, in T’oung Pao 25, IIe sér., 15 (1914), pp. 157-164. PELLIOT 1922/23-31 = P. PELLIOT, Les Mongoles et la Papauté. Documents nouveaux, édités, traduits et commentés […] avec la collaboration de MM. BORGHEZIO, MASSÉ‚ et TISSERANT, in Revue de l’Orient chrétien 23, 3e sér., 3 (1922/23), pp. 3-30; 24, 3e sér., 4 (1924), pp. 225-335; 28, 3e sér., 8 (1931), pp. 3-84. PELLIOT 1973 = P. PELLIOT, Recherches sur les chrétiens d’Asie Centrale et d’Extrême Orient, [I]/I. En marge de Jean du Plan Carpin, II. Guillaume de Rubrouck, III. Màr Ya(h)bhallàhâ, Rabban Úàumâ et les princes Öngut chrétiens, éd. par [J. DAUVILLIER & L. HAMBIS], Paris 1973 (Œuvres posthumes de P. Pelliot). PELLIOT 1984 = P. PELLIOT, Recherches sur les chrétiens d’Asie Centrale et d’Extrême Orient, II/I. La stèle de Si-Ngan-Fou, 1984 (Œuvres posthumes de P. Pelliot).

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PELLIOT 1995 = P. PELLIOT, Inventaire sommaire des manuscrits et imprimés chinois de la Bibliothèque Vaticane, A posthumous work […], rev. and ed. by TOKIO TAKATA, Kyoto 1995 (Istituto italiano di Cultura. Scuola di studi sull’Asia orientale, s.n.). PELLIOT 1996 = P. PELLIOT, L’inscription nestorienne de Si-Ngan-Fou, ed. with supplements by A. FORTE, Kyôto & Paris 1996 (Italian School of East Asian Studies. Epigraphical Ser., 2 / Collège de France, Institut des Hautes études chinoises. Œuvres posthumes de P. Pelliot). PENNACCHIETTI 1991 = F. A. PENNACCHIETTI, Testi neo-aramaici dell’Unione Sovietica, raccolti da E. CERULLI, Napoli 1991 (Istituto universitario orientale. Dipartimento di Studi asiatici. Ser. minor, 35). PERI 1994 = V. PERI, Orientalis varietas. Roma e le Chiese d’Oriente — Storia e Diritto canonico, Roma 1994 (Kanonika, 4). PERI 1998 = V. PERI, Mosca sede di un Patriarca in documenti della curia romana (1550-1596), in MBAV, VI. Collectanea in honorem Rev.mi Patris Leonardi E. Boyle, O.P., septuagesimum quintum annum feliciter complentis, Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 385), pp. 341-459. The Persian language 2011 = The Persian language in history, ed. by M. MAGGI & P. ORSATTI, Wiesbaden 2011 (Beiträge zur Iranistik, 33). PIEMONTESE 1978 = A. M. PIEMONTESE, I manoscritti persiani del Fondo Sbath nella Biblioteca Vaticana e un nuovo “Barzunâma”, in AANL-R sc. mor., s. VIII, 23 (1978), pp. 447-464. PIEMONTESE 1993 = A. M. PIEMONTESE, Leggere e scrivere «Orientalia» in Italia, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa s. III, 23 (1993), pp. 427-453. PIEMONTESE 2000 = A. M. PIEMONTESE, sch. nr. 84. Vangelo di Matteo. Persiano, in I Vangeli 2000, pp. 332-334. PIEMONTESE 2001 = A. M. PIEMONTESE, Le glosse sul Vangelo persiano del 1338 e il Codex Cumanicus, in MBAV, VIII, Città del Vaticano 2001 (Studi e testi, 402), pp. 313-349. PIEMONTESE 2004 = A. M. PIEMONTESE, L’ambasciatore di Persia presso Federico da Montefeltro, Ludovico Bononiense O.F.M. e il cardinale Bessarione, in MBAV, XI, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 423), pp. 539-565. PIEMONTESE 2005 = A. M. PIEMONTESE, I due ambasciatori di Persia ricevuti da papa Paolo V al Quirinale, in MBAV, XII, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 430), pp. 357-425. PIEMONTESE 2007 = A. M. PIEMONTESE, La diplomazia di Gregorio XIII e la lettera del Re di Persia a Sisto V, in MBAV, XIV, Città del Vaticano 2007 (Studi e testi, 443), pp. 363-409. PIEMONTESE 2008a = A. M. PIEMONTESE, I codici arabi, persiani e turchi nel Fondo Rossiano e don Leopoldo Sebastiani, in Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo 110 (2008), 2, pp. 275-299. PIEMONTESE 2008b = A. M. PIEMONTESE, Profilo testuale dell’Urb. lat. 1384, in Ornatissimo codice. La Biblioteca di Federico di Montefeltro [Urbino, Palazzo Ducale, 14 marzo-27 luglio 2008], a c. di M. PERUZZI, Milano 2008, p. 195.

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POGGI 2000 = V. POGGI, Per la storia del Pontificio Istituto Orientale: saggi sull’istituzione, i suoi uomini e l’Oriente Cristiano, Roma 2000 (OCA, 263). The Pontifical Oriental Institute 1993 = The Pontifical Oriental Institute: The First Seventy-five Years, ed. by E. G. FARRUGIA, Rome 1993. PROVERBIO 1992 = D. V. PROVERBIO, Le recensioni copte del miracolo di Doroteo e Teopista: testimonia vaticani, in Orientalia n.s., 61 (1992), pp. 78-91. PROVERBIO 1994 = D. V. PROVERBIO, Chrysostomus adversus Chalkedon: Note supplémentaire sur le codex FB du Monastère Blanc à la lumière du manuscrit éthiopien Comboniano H3, in Orientalia n.s., 63 (1994), pp. 57-67. PROVERBIO 1998 = D. V. PROVERBIO, La recensione etiopica dell’omelia pseudocrisostomica de ficu exarata ed il suo tréfonds orientale, Wiesbaden 1998 (Äthiopistische Forschungen, 50). PROVERBIO 1999 = D. V. PROVERBIO, Sul più antico codice delle Masâ’il fí ’ý-ýibb lilmuta‘allimín di Üunayn ibn Isüâq (Isagoge Ioannitii), in AANL-R sc. mor., s. IX, X (1999), pp. 57-92. PROVERBIO 2000a = D. V. PROVERBIO, Inventario sommario dei manoscritti arabi, ebraici, etiopici — con notizia dei turchi — conservati presso la Biblioteca della Badia di Grottaferrata, Roma 2000 = AANL-M sc. mor., s. IX, 12 (4), pp. 469-570. PROVERBIO 2000b = D. V. PROVERBIO, Per la storia del manoscritto copt. 9 della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Rara volumina [7] (2000), 1-2, pp. 19-39. PROVERBIO 2000c = D. V. PROVERBIO, Le versioni arabe dei Vangeli, in I Vangeli 2000, pp. 67-70. PROVERBIO 2001a = D. V. PROVERBIO, Additamentum Sinuthianum. Nuovi frammenti dal Monastero Bianco in un codice copto della Biblioteca Apostolica Vaticana, in AANL-R sc. mor., s. IX, 12 (2001), pp. 409-417. PROVERBIO 2001b = D. V. PROVERBIO, Manoscritti scientifici giudeo-arabi (præter lexica) nella serie dei codici Vaticani ebraici: inventario analitico, in MBAV, VIII, Città del Vaticano 2001 (Studi e testi, 402), pp. 351-405. PROVERBIO 2002a = D. V. PROVERBIO, Spicilegi di storia locale dall’Iraq nestoriano: l’assedio di Mossul del 1508 nella testimonianza di un codice ritrovato (Vat. sir. 653), in MBAV, IX, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 409), pp. 275-304. PROVERBIO 2002b = D. V. PROVERBIO, Theonis Alexandrini fragmentum pervetus Arabice. Sul più antico manoscritto del Commentarium parvum di Teone Alessandrino. Notizia preliminare, in AANL-R sc. mor., s. IX, 13 (2002), pp. 373-386. PROVERBIO 2002c = D. V. PROVERBIO, Ancora sulle versoni ebraiche della Chirurgia magna di Bruno da Longobucco (Longoburgo), in AANL-R sc. mor., s. IX, 13 (2002), pp. 625-639. PROVERBIO 2003 = D. V. PROVERBIO, Una nuova versione ebraica del Lilium medicinae di Bernard de Gordon (ms. Borgiano ebraico 2 della B.A.V.), in MBAV, X, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 416), pp. 227-262. PROVERBIO 2004a = D. V. PROVERBIO, Orientalia medica e codicibus Vaticanis. Acefali, adespoti e negletti: una prima ricognizione, in MBAV, XI, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 423), pp. 567-581. PROVERBIO 2004b = D. V. PROVERBIO, Turco-Syriaca. Un caso estremo di sincretismo linguistico e religioso: i libri di Tommaso Úarrâf da Edessa (XVIII sec.) nella bi-

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blioteca portativa di Tommaso caldeo da Alqôš, in MBAV, XI, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 423), pp. 583-635. PROVERBIO 2006a = D. V. PROVERBIO, Gli “incunaboli” di Müteferrika conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, in MBAV, XIII, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 433), pp. 559-580. PROVERBIO 2006b = D. V. PROVERBIO, Echi della guerra arabo-bizantina della fine del IX secolo in un’epigrafe siriaca da Qaraqôš, in «In partibus Clius». Scritti in onore di Giovanni Pugliese Carratelli, a c. di G. FIACCADORI, con la collaborazione di A. GATTI & S. MAROTTA, Napoli 2006 (Biblioteca europea, 36), pp. 137-146. PROVERBIO 2007a = D. V. PROVERBIO, In margine alla versione osmanlı dei Vangeli veicolata dal ms. Vat. turco 59, in MBAV, XIV, Città del Vaticano 2007 (Studi e testi, 443), pp. 411-430. PROVERBIO 2007b = D. [V.] PROVERBIO, Notes on the Diaspora of the Hebrew Manuscripts: From Volterra to Urbino, in Federico da Montefeltro 2007, pp. (50) 51-61. PROVERBIO 2008a = D. V. PROVERBIO, Eterografia come problema storico, Città del Vaticano 2008 (Dispense della Scuola Vaticana di Biblioteconomia, 2). PROVERBIO 2008b = D. V. PROVERBIO, Historical Introduction, in Hebrew Manuscripts 2008, pp. XV-XXIII. PROVERBIO 2010a = D. V. PROVERBIO, Alle origini delle collezioni librarie orientali, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, I. Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), a c. di A. MANFREDI, Città del Vaticano 2010, pp. 467-485. PROVERBIO 2010b = D. V. PROVERBIO, Turcica Vaticana, Città del Vaticano 2010 (Studi e testi, 461). PROVERBIO 2010c = D. V. PROVERBIO, sch. nr. C.31. Rotoli magici etiopici del fondo “Sandro Angelini”, in Conoscere la Biblioteca 2010, p. 189. PROVERBIO 2011 = D. V. PROVERBIO, Santo Stefano degli Abissini. Una breve rivisitazione, in La parola del passato 66 (2011), pp. 50-68. PUGLIESE CARRATELLI 1965 = G. PUGLIESE CARRATELLI, Gli Ittiti nella storia del Vicino Oriente, in Rivista storica italiana 77 (1965), pp. 287-299 (= ID., Scritti sul mondo antico. Europa e Asia — Espansione coloniale — Ideologie e istituzioni politiche e religiose, Napoli 1976 [Biblioteca della Parola del Passato, 11], pp. 169-175 = ID., Introduzione, in F. BERTI & al., Arslantepe, Hierapolis, Iasos, Kyme. Scavi archeologici italiani in Turchia, Venezia 1993, pp. 13-29: pp. 13-23, con Sommaria notizia della ricerca archeologica, pp. 25-29). PUGLIESE CARRATELLI 2002 = G. PUGLIESE CARRATELLI, La repubblica napoletana del 1799. Discorso tenuto nel Forte di Sant’Elmo il 21 gennaio 1999, in apertura del Convegno per il bicentenario della Rivoluzione napoletana del 1799, Napoli 2002 (= ID., Umanesimo napoletano, a c. di G. MADDOLI, Napoli 2011, pp. 27-33). RAINERI 1993 = O. RAINERI, I manoscritti Vaticani etiopici 300-323. Inventario analitico, Udine 1993 = Quaderni utinensi 7 [13/14] (1989), pp. 105-144. RAINERI 1990 = O. RAINERI, Catalogo dei rotoli protettori etiopici della collezione Sandro Angelini, Roma 1990. RAINERI 1998 = O. RAINERI, Inventario dei manoscritti etiopici “Raineri” della Biblioteca Vaticana, in MBAV, VI. Collectanea in honorem Rev.mi Patris Leonardi E. Boyle, O.P., septuagesimum quintum annum feliciter complentis, Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 385), pp. 485-548.

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RAINERI 1999a = O. RAINERI, I doni della Serenissima al re Davide I d’Etiopia (ms. Raineri 43 della Vaticana), in Orientalia Christiana periodica 65 (1999), pp. 363448. RAINERI 1999b = O. RAINERI, Gli Atti etiopici del martire egiziano Giorgio il Nuovo († 978), Città del Vaticano 1999 (Studi e testi, 392). RAINERI 2000 = O. RAINERI, L’anafora etiopica inedita di Maria Na’akwetaka amlâk bafequr waldeka Iyasus Krestos, in MBAV, VII, Città del Vaticano 2000 (Studi e testi, 396), pp. 337-354. RAINERI 2002 = O. RAINERI, Gli atti di Mazrâ’eta Krestos (ms. “Raineri 136” della Vaticana), in MBAV, IX, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 409), pp. 305-374. RAINERI 2003a = O. RAINERI, Lettere tra i pontefici romani e i principi etiopici (Sec. XII-XX), Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 412). RAINERI 2003b = O. RAINERI, Note sul Gadla Qawesýos (Cerulli etiopico 194), in MBAV, X, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 416), pp. 263-291. RAINERI 2004a = O. RAINERI, Gli atti di Qawesýos, martire etiopico (Sec. XIV), Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 418). RAINERI 2004b = O. RAINERI, Introduzione, in CERULLI 2004, pp. 5-13. RAINERI 2004c = O. RAINERI, Aethiopica Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, in MBAV, XI, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 423), pp. 637-652. RAINERI 2005a = O. RAINERI, “Historia de’ gli Abissini, popoli dell’Etiopia” di Giovanni Baldassarre, in MBAV, XII, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 430), pp. 427-482. RAINERI 2005b = O. RAINERI, I detti di Achicar in alcuni codici etiopici della Vaticana, in MBAV, XII, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 430), pp. 483-499. RAINERI 2005c = O. RAINERI, Lettere tra i pontefici romani e i principi etiopici (Sec. XII-XX). Versioni e integrazioni, Città del Vaticano 2005 (Collectanea Archivi Vaticani, 55). RAINERI 2006 = O. RAINERI, La versione etiopica del breve Onerosa pastoralis officii di Urbano VIII, in MBAV, XIII, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 433), pp. 581-612. RAINERI 2007 = O. RAINERI, La Historia d’Ethiopia di Francesco Alvarez, ridotta in italiano da Ludovico Beccadelli, Città del Vaticano 2007 (Studi e testi, 437). RAINERI 2010 = O. RAINERI, Il ms. “Raineri 230” della Biblioteca Vaticana, in MBAV, XVII, Città del Vaticano 2010 (Studi e testi, 462), pp. 121-126. RAINERI 2011 = O. RAINERI, Omelia del Salvatore (Trattato etiopico sulla passione di Cristo, in Orientalia Christiana periodica 77 (2011), pp. 93-151. RAINERI & TEDROS ABRAHA 2003 = O. RAINERI & TEDROS ABRAHA, La versione etiopica della bolla Ineffabilis di Pio IX, in MBAV, X, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 416), pp. 653-669. REIG 1998 = D. REIG, Homo orientaliste. La langue arabe en France depuis le XIXe siècle, Paris 1988. RICCI 1987 = L. RICCI, Mons. Joseph-Marie Sauget, in Rassegna di studi etiopici 31 (1987) [1988], p. 298. RICCI 1988 = L. RICCI, [Ricordo di] Enrico Cerulli, in Rassegna di studi etiopici 32 (1988) [1990], pp. 5-19, con Bibliografia a c. di G. LUSINI, pp. 20-44.

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RICCI 1989 = L. RICCI, Errata-corrige a RSE XXXII (1988), in Rassegna di studi etiopici 33 (1989) [1991], pp. 197-198. RICCI 1991 = L. RICCI, Enrico Cerulli, in AANL-R sc. mor., s. VIII, 44 (1991), pp. 103113. RICCI 2003 = L. RICCI, Cerulli, Enrico, in Encyclopaedia Aethiopica, 1, ed. by S. UHLIG, Wiesbaden 2003, pp. 708-709. RICCI 2005 = L. RICCI, Dainelli, Giotto, in Encyclopaedia Aethiopica, 2, ed. by S. UHLIG, Wiesbaden 2005, p. 71. RILLIET 2003 = F. RILLIET, Deux homéliaires sarouguiens du VIe siècle à la Bibliothèque Vaticane, in MBAV, X, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 416), pp. 293-337. ROSSI 1948 = E. ROSSI, Elenco dei manoscritti persiani della Biblioteca Vaticana (Vaticani – Barberiniani – Borgiani – Rossiani), Città del Vaticano 1948 (Studi e testi, 136). ROSSI 1952 = E. ROSSI, Il “Kitâb-i Dede Qorqut”: racconti epico-cavallereschi dei Turchi Oøuz tradotti e annotati con «facsimile» del ms. Vat. Turco 102, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 159). ROSSI 1953 = E. ROSSI, Elenco dei manoscritti turchi della Biblioteca Vaticana (Vaticani – Barberiniani – Borgiani – Rossiani – Chigiani), Città del Vaticano 1953 (Studi e testi, 174). ROSSI & BOMBACI 1961 = E. ROSSI & A. BOMBACI, Elenco di drammi religiosi persiani (Fondo mss. Vaticani Cerulli), [Prefaz. di E. CERULLI], Città del Vaticano 1961 (Studi e testi, 209). RUYSSCHAERT 1989 = J. RUYSSCHAERT, Décès: Enrico Cerulli, in Revue d’histoire ecclésiastique 84 (1989), pp. 276-277. RUYSSCHAERT 1989 = J. RUYSSCHAERT, Les manuscrits hébraïques vaticans. Corrections et additions à la liste de 1968, in MBAV, III, Città del Vaticano 1989 (Studi e testi, 333), pp. 357-360. SAID 1978 = E. W. SAID, Orientalism, London & Henley-on-Thames 1978 (New York, NY, 20033: 25th Anniversary Ed. with a New Preface by the Author). SAMIR 2006 = S. Kh. SAMIR, Michael van Esbroeck, SJ (1934-2003), le collègue et l’ami, in Universum 2006, pp. xxv-xxx. SAUGET 1962 = J.-M. SAUGET, Bibliographie des liturgies orientales, Roma 1962. SAUGET 1969 = J.-M. SAUGET, Premières recherches sur l’origine et les caractéristiques des Synaxaires melkites (XIe-XVIIe siècle), Bruxelles 1969 (Subsidia hagiographica, 45). SAUGET 1973 = J.-M. SAUGET, Introduction historique et notes bibliographiques au Catalogue de Zoega, in G. ZOEGA, Catalogus codicum Copticorum manu scriptorum qui in Museo Borgiano Velitris adservantur, Romae 1810 [Hildesheim & New York, NY, 1973], pp. V*-XLIII* [già in Le Muséon 85 (1972), pp. 25-63]. SAUGET 1974 = J.-M. SAUGET, Un exemple typique des relations culturelles entre l’arabe-chrétien et l’éthiopien: un Patericon recemment publié, in IV Congresso Internazionale di Studi Etiopici (Roma, 10-15 aprile 1972), Roma 1974 (Problemi attuali di scienza e di cultura, 191), I (Sezione storica), pp. 321-388. SAUGET 1975 = J.-M. SAUGET, Postface, in J. S. ASSEMANUS, Bibliotheca Orientalis Clementino-Vaticana, I-III, Romae 1709-25 [Hildesheim & New York, NY, 1975]: III/2, pp. [CMLXV]-[CMLXXXV].

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SAUGET 1981 = J.-M. SAUGET, Un cas très curieux de restauration de manuscrit: le Borgia syriaque 39. Étude codicologique et analyse du contenu, Città del Vaticano 1981 (Studi e testi, 292). SAUGET 1986 = J.-M. SAUGET, Deux Panegyrika melkites pour la seconde partie de l’année liturgique: Jérusalem S. Anne 38 et Üaríúâ 37, Città del Vaticano 1986 (Studi e testi, 320). SAUGET 1987a = J.-M. SAUGET, Un Gazzâ chaldéen disparu et retrouvé: le ms. Borgia syriaque 60, Città del Vaticano 1987 (Studi e testi, 326). SAUGET 1987b = J.-M. SAUGET, Le révérend Père Alphonse Raes, SJ, préfet de la Bibliothèque Vaticane, 1962-1971, in MBAV, I, Città del Vaticano 1987 (Studi e testi, 329), pp. 127-146. SAUGET 1987c = J.-M. SAUGET, Une traduction arabe de la collection d’Apophtegmata patrum de ‘Enâníšô‘. Étude du ms. Paris arabe 253 et de ses témoins parallèles, Louvain 1987 (Corpus scriptorum Christianorum Orientalium, 495 / Subsidia, 78). SAUGET 1989 = J.-M. SAUGET, Le Paterikon arabe de la Bibliothèque Ambrosienne de Milan L 120 Sup. (SP II. 161), Roma 1989 = AANL-M sc. mor., s. VIII, XXIX (5), pp. 473-516. SAUGET 1998 = J.-M. SAUGET, Littératures et manuscrits des chrétientés syriaques et arabes, recueil d’articles publié par L. DUVAL-ARNOULD & F. RILLIET, Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 389). Scritti 1998 = Scritti in memoria di Emilio Teza, a c. di D. V. PROVERBIO, Roma 1998 [1999] = Miscellanea marciana 7 (1997). SFERRA & VERGIANI 2008 = F. SFERRA & V. VERGIANI, Due manoscritti sanscriti preservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana: Vat. ind. 76 e Vat. ind. 77, in MBAV, XV, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 453), pp. 303-310. SHEEHAN 1990 = W. J. SHEEHAN, Hebrew incunabula in the collections of the Vatican Library, in MBAV, IV, Città del Vaticano 1990 (Studi e testi, 338), pp. 365-383. G. SHURGAIA 1996 = G. SHURGAIA, La tradizione liturgica del sabato di Lazzaro e della domenica delle palme nei manoscritti bizantini dei secoli XI-XII, Excerpta ex diss. ad doctoratum, Romae 1996. G. SHURGAIA 1997a = G. SHURGAIA, La struttura della liturgia delle ore del mattino della domenica delle palme nella tradizione di Gerusalemme, in Studi sull’Oriente Cristiano 1 (1997), 1-2, pp. 79-107. G. SHURGAIA 1997b = G. SHURGAIA, Formazione della struttura dell’ufficio del sabato di Lazzaro nella tradizione cattedrale di Gerusalemme, in Annali di Ca’ Foscari 36 (1997), 3, pp. 147-168 [sunto ingl.]. G. SHURGAIA 2000 = G. SHURGAIA, sch. nr. 17. Tetravangelo. Georgiano, in I Vangeli 2000, pp. 164-167. T. SHURGHAIA 2006a = T. SHURGHAIA, Vat’ik’anis Otxtavis mxat’vruli šemk’uloba [L’ornamentazione artistica del Tetravangelo vaticano], in Saenatmecniero ¯iebani / Linguistic Papers 23 (2006), pp. 340-349 [sunto ingl.]. T. SHURGHAIA 2006b = T. SHURGHAIA, Vat’ik’anis Otxtavis tavgadasavali [La storia del Tetravangelo vaticano], in K’lasik’uri da tanamedrove kartuli mc’erloba 2 (2006), pp. 33-49 [sunto ingl.].

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T. SHURGHAIA 2006c = T. SHURGHAIA, On dating Vat. iberico 1, in Bulletin of the Georgian National Academy of Sciences 173 (2006), pp. 416-418 [sunto ingl.]. T. SHURGHAIA 2006d = T. SHURGHAIA, Saxarebis erti ¯veli kartuli xelnac’eris šedgenilobis sak’itxisatvis [Per la struttura d’un antico Tetravangelo manoscritto georgiano], in K’avkasiis macne / Caucasian Messenger 14 (2006), pp. 157-164 [sunto ingl.]. T. SHURGHAIA 2006e = T. SHURGHAIA, Šavi Mtis Otxtavis kartuli xelnac’eri [Un manoscritto georgiano del Tetravangelo della Montagna Nera], in Cisk’ari 2006, 1, pp. 131-135. SIDARUS 2010 = A. SIDARUS, Les sources d’une somme philosophico-théologique copte arabe (Kitâb al-Burhân d’Abû Šâkir Ibn ar-Râhib, XIIIe siècle), in MBAV, XVII, Città del Vaticano 2010 (Studi e testi, 462), pp. 127-164. Stefano Borgia 2000 = Stefano Borgia e i Danesi a Roma, a c. di R. LANGELLA, Velletri 2000 (Centro di Studi borgiani. Quaderni, 1). STROHMAIER 2003 = G. STROHMAIER, Hellas im Islam, Wiesbaden 2003 (Diskurse der Arabistik, 6). Studies 2004 = Studies on the Christian Arabic heritage in honour of Father Prof. Dr. Samir Khalil Samir S.I. at the occasion of his sixty-fifth birthday, ed. by RIFAAT EBIED & H. TEULE, Leuven, Paris & Dudley, MA, 2004 (Eastern Christian Studies, 5). SZIRMAI 1999 = J. A. SZIRMAI, The Archaeology of Medieval Bookbinding, Aldershot 1999. TAFT 2001 = R. F. TAFT, Introducing the New Series: Anaphorae Orientales, in Orientalia Christiana periodica 67 (2001), pp. 555-558. TEDROS ABRAHA 2004 = TEDROS ABRAHA, The Ethiopic version of the Letter to the Hebrews, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 419). TEDROS ABRAHA 2008 = TEDROS ABRAHA, Mälké’a Ùéllase — l’effigie della Trinità di Abba Sébüat LäAb, in MBAV, XV, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 453), pp. 311-398. TESSITORE 2001 = F. TESSITORE, Schizzi e schegge di storiografia arabo-islamica italiana, Bari 1995. Testi neo-aramaici 1971 = Testi neo-aramaici dell’Iran settentrionale, raccolti da E. CERULLI, con glossario di F. A. PENNACCHIETTI, Napoli 1971 (I.U.O.N. Pubblicazioni del Seminario di Semitistica. Ricerche, 8). TUCCI 2005 = G. TUCCI, Italia e Oriente (1949), a c. di F. D’ARELLI, Presentazione di G. GNOLI, Roma 20052 (Il Nuovo Ramusio, 1). UHLIG & BAUSI 2010 = S. UHLIG & A. BAUSI, Manuscripts, in Encyclopaedia Aethiopica, 4, ed. by S. UHLIG, with the collaboration of A. BAUSI, Wiesbaden 2010, pp. 738-744. Universum 2006 = Universum Hagiographicum. Mémorial R.P. Michel van Esbroeck, s.j. (1934-2003), Saint-Pétersbourg 2006 = Scrinium 2. I Vangeli 2000 = I Vangeli dei Popoli. La Parola e l’immagine del Cristo nelle culture e nella storia (Palazzo della Cancelleria, 12 giugno-10 dicembre 2000), a c. di F. D’AIUTO, G. MORELLO & A. M. PIAZZONI, Roma & Città del Vaticano, 2000. Vangelo 2002 = Vangelo arabo dell’infanzia di Gesù, a c. di S. J. VOICU, Roma 2002 (Minima, s.n.).

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GIANFRANCO FIACCADORI

LANTSCHOOT 1957 = A. VAN LANTSCHOOT, Les “Questions de Théodore”. Texte sahidique, recensions arabes et éthiopienne, Città del Vaticano 1957 (Studi e testi, 192). VAN LANTSCHOOT 1960 = A. VAN LANTSCHOOT, Abba Salâmâ, métropolite d’Éthiopie (1348-1388), et son rôle de traducteur, in Atti del [I] Convegno Internazionale di Studi Etiopici (Roma 2-4 aprile 1959), Roma 1960 (Problemi attuali di scienza e di cultura, 48), pp. 397-401. VAN LANTSCHOOT 1962 = A. VAN LANTSCHOOT, Inventaire sommaire des mss. Vaticans éthiopiens 251-299, in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. Card. Albareda, a Bibliotheca Apostolica edita, In Civitate Vaticana 1962, I, pp. 453-512. VAN LANTSCHOOT 1965 = A. VAN LANTSCHOOT, Inventaire des manuscrits syriaques des fonds Vatican (490-631), Barberini oriental et Neofiti, Città del Vaticano 1965 (Studi e testi, 243). VIAN 2006 = P. VIAN, Da Oriente e da Occidente. In memoria di Vittorio Peri (19322006), in MBAV, XIII, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 433), pp. 621-688. Vita del santo monaco 2009 = Vita del santo monaco etiopico Malke‘a Krestos (sec. XVI-XVII), ed. del testo etiop. e tr. it. di O. RAINERI, Turnhout 2009 (Patrologia Orientalis, LI/3 = 228). VOICU 1976 = S. J. VOICU, Lingue orientali e patristica greca. Sussidi bibliografici, in Augustinianum 16 (1976), pp. 205-215. VOICU 1998 = S. J. VOICU, Verso il testo primitivo dei Παιδικὰ τοῦ Κυρίου Ἰησοῦ «Racconti dell’infanzia del Signore Gesù», in Apocrypha 9 (1998), pp. 7-95. VOICU 2008 = S. J. VOICU, Pseudo Severiano di Gabala, Encomium in XII apostolos (CPG 4281): gli spunti apocrifi, in Apocrypha 19 (2008), pp. 217-266. VOICU 2009 = S. VOICU, Note sui palinsesti conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana, in MBAV, XVI, Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 458), pp. 445-454. WATT 2010 = J. W. WATT, Rhetoric and Philosophy from Greek into Syriac, Farnham 2010 (Variorum CS Ser., 960). WENINGER 2005 = S. WENINGER, Euringer, Sebastian, in Encyclopaedia Aethiopica, 2, ed. by S. UHLIG, Wiesbaden 2005, p. 451. WILSON & DINKHA 2010 = E. J. WILSON & S. DINKHA, Hunain Ibn Ishaq’s “Quaestions on Medicine for Students”. Transcription and Translation of the Oldest Extant Syriac Version (Vat. Syr. 192), Città del Vaticano 2010 (Studi e testi, 459). YU DONG 1996 = [C.] YU DONG, Catalogo delle opere cinesi missionarie della Biblioteca Apostolica Vaticana (XVI-XVIII secolo), Città del Vaticano 1996 (Studi e testi, 366). YU DONG 2001 = C. YU DONG, Chinese Language Books and the Jesuit Mission in China: A Study on the Chinese Missionary Books Brought by Philippe Couplet from China, in MBAV, VIII, Città del Vaticano 2001 (Studi e testi, 402), pp. 507-554. YU DONG & DAY 1998 = [C.] YU DONG & J. D. DAY, The mappamundi of Matteo Ricci, in MBAV, VI. Collectanea in honorem Rev.mi Patris Leonardi E. Boyle, O.P., septuagesimum quintum annum feliciter complentis, Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 385), pp. 707-732. VAN

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NUMISMATICA Un tentativo di esporre la storia del Medagliere Vaticano dovrebbe ancora oggi iniziare con le parole di Mons. Stanislao Le Grelle1, che nell’introduzione, densa e informatissima, ai quattro volumi del Catalogo delle monete e bolle plumbee pontificie del Medagliere Vaticano, redatto da Camillo Serafini, nel 1910, ne raccoglieva ed elaborava magistralmente la complessa documentazione storico-archivistica. Egli indicava come “le origini e lo sviluppo del medagliere della Biblioteca Vaticana fossero intimamente connessi con le origini e lo sviluppo delle collezioni artistiche ed archeologiche in essa adunate”. Anche se fu “soltanto sul principio del XIX secolo che il Medagliere formò sezione a sé e solo verso il 1850 ebbe anche un suo proprio direttore”. Quasi esattamente un secolo fa, il Le Grelle individuava, a mio avviso correttamente, come proprio nella prima metà del XIX secolo, dopo il saccheggio francese, in una fase di apparente scarsa visibilità internazionale del Medagliere, si fossero create le premesse per una “seconda vita” della gloriosa istituzione, che tuttora prosegue e si sviluppa, senza recidere le radici che affondano profondamente nelle vicende della Biblioteca Vaticana prenapoleonica e nella Roma rinascimentale. Da quest’ultima conviene prendere le mosse ancora oggi, in una fase di eccezionale vitalità dell’Istituzione, della quale verrà data esauriente documentazione dal collega Gianfranco Alteri in questo medesimo contesto. Il modello di Biblioteca che venne a definirsi con l’età moderna, dal XVI secolo, nell’Europa tutta, si proponeva come un servizio per la ricerca con una complessa articolazione disciplinare, con spesso organici rapporti tra l’ambito scientifico e quello storico-umanistico e con un’attenzione particolare alla raccolta e alla conservazione dei monumenti del mondo e della cultura classica. In uno strettissimo rapporto con la fitta rete europea delle Accademie, la Biblioteca divenne il luogo naturalmente destinato ad affiancare al li1 S. LE GRELLE, Saggio storico delle Collezioni Numismatiche vaticane, in Le monete e le bolle plumbee del Medagliere Vaticano descritte ed illustrate da Camillo Serafini, 4 voll., Città del Vaticano, 1908-1927, vol. I, 1910, pp. 3-67 (di seguito LE GRELLE, con la numerazione delle pagine dell’estratto in numeri romani).

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 337-348.

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bro, al codice, al manoscritto, al documento d’archivio, le raccolte di oggetti antichi, che con il passare del tempo e con la delimitazione dei campi di ricerca formarono quasi sempre realtà museali autonome. Nella documentazione del passato di fondamentale importanza erano la moneta e il materiale paramonetario, non tanto per il loro significato collezionistico, quanto per la quasi costante possibilità di una loro collocazione assoluta nel tempo e per la messe di indicazioni antiquarie, di memorie e immagini, proposte nella prodigiosa moltitudine dei tipi. Ciò in particolare con la moneta romana, che proponeva un’evidenza iconografica in perfetto collegamento con le tradizioni storico letterarie, che parallelamente venivano recuperate ed elaborate, appunto nelle Biblioteche. Ne derivava una documentazione monumentale del mondo antico, con scritti e immagini monetali complementari, che rappresentava la base indispensabile per la ricerca. La moneta era altresì presente nei ritrovamenti casuali e sul mercato con una disponibilità apparentemente inesauribile ed era quindi di facile reperibilità in tutta Europa; era di dimensioni ideali per una comoda collocazione in stipi, armadi e cassetti; aveva il pregio incomparabile della conservazione del monumento integro, senza problemi di interpretazione e ricostruzione, apparentemente senza alcun collegamento con significati o funzioni che non fossero a carattere civile. Conviene sottolineare questo ultimo particolare aspetto della documentazione numismatica, con un tentativo di sua contestualizzazione nella Roma di XVI-XVIII secolo. La sostanziale “laicità” del documento, che altri monumenti del mondo antico, come le sculture, non sempre assicuravano, in quanto prodotti come strumenti per una comunicazione considerata inaccettabile in termini ideologici e religiosi, fece sì che la ricerca storica sviluppata sulla moneta, così come il collezionismo che ne era premessa e giustificazione, avessero particolare fortuna, per secoli, in ambiente ecclesiastico e trovassero un terreno particolarmente fertile proprio a Roma. Appare quindi ben comprensibile come nel luogo più ricco allora di documenti nascosti nel sottosuolo, a Roma, ove si aveva un mondo ecclesiastico e aristocratico di eccezionale spessore culturale, si formassero splendide collezioni numismatiche, destinate successivamente alla dispersione in tutta Europa, ma anche in parte confluite nelle raccolte vaticane. Ma proprio la particolarissima collocazione di Roma nel mondo di allora come centro della Cristianità, rese più complesso, a paragone con il resto dell’Europa, il passaggio, altrove naturale, da una dimensione collezionistica privata all’istituzione pubblica, aperta al godimento degli amanti della storia e dell’arte e alla consultazione del ricercatore. La col-

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lezione numismatica non poteva proporsi, nei secoli XVI-XVIII, se non come strettamente legata alla Biblioteca come istituzione e come sua parte integrande. Una Biblioteca “Vaticana” però in Roma non poteva, né doveva, proporsi in termini di “laicità” e di “neutralità” ideologica, in quanto strumento, specie in età tridentina, necessariamente funzionale ai doveri pastorali della Chiesa. La formalizzazione del Medagliere Vaticano, come “sezione” della Biblioteca, ebbe quindi a subire, rispetto agli altri grandi medaglieri europei, i medesimi ritardi e le medesime attese che interessarono in Roma l’istituzionalizzazione delle raccolte artistiche e storiche “profane” della Chiesa tra XVI e XVIII secolo, rispetto alle grandi raccolte museali europee. Ciò non impedì che proprio a Roma, in un ambito parallelo, sempre rimasto libero da pregiudiziali remore ideologiche e religiose, si sviluppasse una tradizione collezionistica numismatica di grande portata, costantemente in collegamento con la biblioteca2. Si ebbe quindi la formazione di innumerevoli collezioni private che poi in parte affluirono nell’Istituto pubblico, con forte ritardo, quando non vennero disperse. Abbiamo però indizi relativi ad una possibiltà di ufficiale Collezione Vaticana già in età pre-tridentina. Così ci rimane notizia dell’esistenza di un nucleo collezionistico di monete presso la Biblioteca già nel 1555, voluto dal Cardinale Bibliotecario Marcello Cervini (poi Papa Marcello II)3. L’indicazione rimane però vaga, anche se bene si inserisce nel clima culturale umanistico-rinascimentale fortemente laicizzato nel quale si collocava nella prima metà del XVI secolo anche la Roma Papale, che però si avviava proprio in quegli anni a scelte molto diverse. Pio V allontanò infatti nel 1566 dal Vaticano le sculture classiche raccolte nel cortile dell’Ottagono, con un rifiuto preciso del concetto di Museo — fondamentalmente laico — che si era definito nell’età precedente e che aveva preso forma anche nelle Raccolte Capitoline, presso le quali venne anche trasferita parte dei materiali prima al Vaticano. L’istituzionalizzazione di un Medagliere Pontificio risultava quindi, nel periodo successivo, del tutto improponibile. Se nell’anno 1600 Fulvio Orsini donò a papa Clemente VIII4 quattro monete, esse erano però finalizzate a documentare la conversione di Costantino e non ad entrare in una “collezione”. In quegli anni quindi il medagliere, se esistente, non sembra fosse ideal2

LE GRELLE, p. 3 nota 2, con efficace elencazione delle biblioteche-museo nella Roma settecentesca. 3 LE GRELLE, p. 3. 4 LE GRELLE, p. 4.

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mente strutturato come istituzione finalizzata alla raccolta e all’utilizzo della moneta come premessa della ricerca storica, come comunque erano già concepite le raccolte private in Roma stessa, se proprio l’Orsini lasciò in eredità la sua collezione al Cardinale Odoardo Farnese, che possedeva già una splendita raccolta. Non altrimenti si può spiegare l’utilizzo come reliquie legate al culto della Santa Croce delle monete d’oro imperiali e bizantine del tesoro del Laterano5, scoperto nel 1586. Le monete vennero singolarmente distribuite come oggetto di culto e vengono oggi individuate nei tesori ecclesiastici dispersi in varie città d’Italia. Analogamente, nel reliquiario della Croce, ora nei Musei Vaticani, è conservato un Hyperperon costantinopolitano di Manuele Comneno I (1143-1180). La moneta era considerata quindi come una reliquia6. Pure non venne utilizzata in termini di raccolta museale l’imponente massa di monete gettata nei secoli dai pellegrini sulla Confessione di San Pietro, in Vaticano7, e sulla Tomba di San Paolo. Le monete venivano regolarmente raccolte e selezionate: dal 1587 l’oro e l’argento veniva depositato presso l’Erario Sanzione di Castel Sant’Angelo8, mentre non sappiamo in 5 Il ripostiglio del Laterano, scoperto nel 1586 nelle mura dell’antico Patriarcato, conteneva 123 Solidi aurei di Teodosio I, Arcadio, Onorio, Teodosio II, Valentiniano III, Marciano, Leone I, Giustino I, Giustiniano, Tiberio, Maurizio, Focas, Eraclio, oltre forse a placche votive. S. MOSSER, A bibliography of Byzantine Coin Hoards, New York 1935 (Numismatic notes & monographs, 67), p. 73; J. P. C. KENT, The Roman Imperial Coinage, vol. X: The Divided Empire and the Fall at the Western Parts A.D. 395-491, London, 1994, p. CIX (lo cita, attribuendo l’occultamento al VII secolo); L. TRAVAINI, La bolla numismatica di Sisto V, i riti di fondazione e due monete reliquie a Milano, in Sanctorum 4 (2007), pp. 203-240 (riconosce due Solidi in reliquiario a Milano); F. M. VANNI, Una moneta da venerare, in Numismatica e Antichità Classiche 38 (2009), pp. 261-284 (riconosce un Solido ostrogoto per Giustiniano I in un reliquiario al Museo Diocesano di Arezzo). 6 TRAVAINI, La bolla numismatica cit., p. 214. 7 Lo scavo presso la Confessione di San Pietro venne effettuato dal 1939 al 1949, recuperando oltre 1900 monete, pubblicate in C. SERAFINI, Appendice numismatica, in B. M. APOLLONJ GHETTI, Esplorazioni sotto alla Confessione di San Pietro in Vaticano, Città del Vaticano, 1951, pp. 225-244. Chi scrive ha in corso la ricognizione dei materiali, per un aggiornamento della pubblicazione. Lo scavo ha restituito una sola moneta in oro, un Tremisse di Lucca per Carlo Magno, probabilmente da lui deposta personalmente sulla tomba dell’Apostolo nel 781. Cfr. E. A. ARSLAN, Il dono di re Carlo all’apostolo Pietro: un Tremisse d’oro, in Numismatica e Antichità Classiche 37 (2008), pp. 377-406. Il numero delle monete gettate dai pellegrini era enorme: per il Giubileo del 1300 il Cardinale Stefaneschi valutava la moneta lasciata dai pellegrini in 30.000 fiorini d’oro all’altare di S. Pietro e 20.000 a quello di S. Paolo, non in monete importanti ma in piccoli nominali di vari paesi (L. TRAVAINI, Le monete del primo Giubileo, in Anno 1300 il primo Giubileo. Bonifacio VIII e il suo tempo, a cura di M. RIGHETTI TOSTI CROCE, Milano, 2000; EAD., Saints and sinners: coins in medieval Italian graves, in Numismatic Chronicle 164 (2004), pp. 159-181: pp. 173-174). 8 Nel 1587 Sisto V stabilì che “…. Omnes pecunias aureas et argenteas, quas sancti peregrini

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quali termini la moneta spicciola venisse utilizzata come denaro spendibile9. Comunque la moneta raccolta non era mai stata presa in considerazione per alimentare una raccolta e la pratica del getto era praticamente già cessata il 26 giugno 1594, quando fu consacrato da Clemente VIII l’altare papale attuale. Tuttavia, se i recuperi monetari, che oggi diremmo avvenuti “sul territorio”, confluivano nel collezionismo privato, romano o straniero, la Biblioteca Vaticana servì già allora da collettore di materiali paramonetari, come le impronte plumbee sigillari donate da Francesco Gualdi alla biblioteca, note dal 163010. Questo piccolo, ma importante, nucleo di bolle pontificie, che andò con il tempo perduto (come spesso i piombi, oggetti di grande fragilità), indizia come nella Biblioteca si stesse creando precocemente un contesto di classi monumentali apparentemente secondarie, parallelamente all’imponente patrimonio più propriamente archivistico documentario, che fece successivamente del Medagliere il luogo ideale per la ricerca storico-numismatica moderna, sempre più attenta ai materiali paramonetari. Solo nel 1703 le raccolte museali, con Clemente XI, ritrovarono ospitalità nel cortile ottagono. Ma — come istituzione ufficiale — ebbero vita breve, anche se continuarono le acquisizioni. Fu solo con il Cardinale Lambertini, papa Benedetto XIV, bolognese, che il Museo rinacque: nel 1757 veniva riordinato, all’interno del Vaticano, e riaperto, con la cura dello scultore Bartolomeo Cavaceppi e di Francesco Vettori. La fondamentale laicità del Museo come istituzione destinata a supportare la ricerca e aperta alla comunità, concepita come archivio dei monumenti storici ed artistici del suo passato, veniva accettata in termini di compromesso. A Roma, come in altri luoghi, ricordo l’Ambrosiana di Milano, ai materiali veniva attribuita funzione accademica per gli artisti, in termini di strumento didattico, finalizzato a fornire modelli nelle scuole di disegno e di scultura. Ciò permetteva comunque nei fatti di recuperare indirettamente il concetto e le funzioni del Museo. Si era comunque così definito un clima culturale diverso, che rese possibile anche la nascita ufficiale del Medagliere Vaticano: già nel 1738 Cle-

obtulerunt ad sepulchrum [sic!] Scti Petri …” fossero depositate presso l’Erario Sanzione, perché troppo “sacre” per esser utilizzate nel vil commercio quotidiano. Quindi la moneta offerta dal pellegrino veniva in un certo qual modo “sacralizzata”. Ci appare precisa l’analogia con l’utilizzo come reliquie delle monete del Ripostiglio del Laterano, scoperto proprio l’anno precedente (cfr. nota 5). 9 È credibile che prima del 1587 la moneta venisse utilizzata come denaro corrente. 10 LE GRELLE, p. XVII.

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mente XII aveva acquistato la Collezione Numismatica del Cardinale Albani, inaugurando di fatto il Medagliere. Se si dovette attendere a lungo prima che il progetto di un Medagliere Vaticano assumesse forma e concretezza, da un’età molto alta era stato in Roma attivissimo, anche in ambito ecclesiastico, come già si è detto, un qualificato collezionismo privato, che coinvolgeva anche gli stessi Papi, se nel ‘400 il veneziano Papa Paolo II, già appassionato raccoglitore da giovane cardinale, aveva coltivato questa passione erudita anche dopo essere stato chiamato al soglio pontificio, ma sempre privatamente11. Il carattere privato del collezionismo nel mondo ecclesiastico romano nei secoli XVI-XVIII dipese dal rispetto rigoroso delle scelte tridentine, che imponevano alla Biblioteca Vaticana un carattere esclusivamente religioso e che riconoscevano al collezionismo numismatico — come già indicato — la sola valenza storico-decumentaria, insufficiente per le finalità unicamente pastorali di un’Istituzione ufficiale della Chiesa. Fuori dalle mura leonine si formarono, quindi, intanto splendide collezioni, di antichità e anche numismatiche, che talvolta in parte confluirono successivamente nei Musei e nel Medagliere Vaticani. Così, tra le raccolte numismatiche, nel XVII secolo quelle di Benedetto e Vincenzo Giustiniani (in parte oggi Torlonia), la collezione Farnese, quella Torlonia. Sino a quella della Regina Cristina di Svezia, che giunse in Vaticano alla fine del secolo, come si dirà. Tutte concepite, specie nel XVIII secolo, come collezioni numismatiche organicamente collegate alle biblioteche-museo di ciascun collezionista, nelle quali trovavano collocazione centrale. Come si è detto, la nascita effettiva del Medagliere avvenne con l’acquisizione per la Biblioteca Vaticana della splendida collezione Albani, paragonabile solo al Medagliere reale di Francia, ricca di 328 medaglioni greci e romani, per i quali venne immediatamente predisposta la pubblicazione, realizzata nel 1739 e nel 1744. Si stabiliva così il principio della sistematica comunicazione al mondo scientifico della natura e della consistenza dei fondi e delle acquisizioni. Nel 1748, con l’acquisizione della collezione del Museo Carpegna12, costituito da monete e da altre classi monumentali, venne sancito il principio dell’indivisibilità del complesso, da conservarsi unito presso la Biblioteca. Con il Museo Carpegna iniziava anche l’interesse del Medagliere per la medaglia moderna, da allora uno dei punti di forza dell’istituto nel mondo scientifico europeo. 11 12

LE GRELLE, p. XVII. LE GRELLE, p. XIX.

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Lo strettissimo rapporto con la ricchissima biblioteca e l’articolazione delle collezioni non numismatiche organicamente ad essa collegate erano paragonabili solo a quanto si aveva allora, e si ha tuttora, nella Bibliothèque Nationale di Francia, con le collezioni di antichità tuttora parte integrante del Cabinet des Médailles. La vocazione del Medagliere Vaticano non come mera collezione tradizionale, allineamento sistematico di serie della medesima classe monumentale, ma come luogo dove reperire, con le monete e le altre collezioni, gli strumenti basilari per lo studio e l’approfondimento di tematiche storico-archeologiche complesse, nella quali fosse presente anche la moneta, ancor meglio si definì con le acquisizioni di classi monumentali non numismatiche in senso stretto. Ha grande significato, nella volontà di documentare anche quanto non si possedeva in originale, l’acquisto nel 1746, significativamente per volontà di Benedetto XIV Lambertini, della collezione di 6666 zolfi di cammei e d’intagli antichi di Pier Leone Ghezzi13, unitamente a diversi volumi. Il quadro si completò nell’anno 1746 circa, con oltre 5067 monete pontificie della collezione del pittore Saverio Scilla14, naturalista e numismatico, e con l’acquisizione delle impronte in carta di altre 4114 monete papali. Si aggiunsero nella stessa epoca 21 antiquiores di Francesco de’ Ficoroni, poi, nel 1768, la collezione di piombi pontifici di Padre Baldini, donate dai Padri Somaschi al Papa Clemente XIII, e nel 1797 la serie dei sigilli, prima parzialmente nel Museo Kircheriano, in massima parte medievali, venne trasferita al Medagliere, ad integrare gli interessi classici sino ad allora prevalenti. Nell’articolazione delle diverse classi monumentali, numismatiche e paranumismatiche, il Medagliere Vaticano assumeva progressivamente una dimensione che oggi definiremmo come di moderna Banca Dati. Il Medagliere si proponeva infatti non solo come luogo di conservazione di una collezione di eccezionale ricchezza e qualità, ma anche come “istituto di ricerca”, in termini di grande e stupefacente modernità. La moneta veniva analizzata non come oggetto di collezione, ma prevalentemente come fonte storica. Monete classiche, medievali, moderne, sigilli, medaglie, zolfi, impronte in carta, piombi, concorrevano tutti a formare un eccezionale contesto documentario a disposizione della ricerca storica. È significativo come la collezione di monete e la collezione di impronte meritassero una identica valutazione venale, 1000 scudi romani15. 13

LE GRELLE, p. XXII. LE GRELLE, p. XXII. 15 L’acquisto venne effettuato per 800 scudi (LE GRELLE, p. XXIII). 14

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Vi era anche un collegamento ideale e pratico tra il momento della produzione, presso la zecca romana, e il Medagliere, che viene documentato dal dono, nel 1765 e nel 1766, del Papa alla biblioteca di 251, e poi di altre 191, medaglie in argento dei Pontefici da Martino V a Clemente X, battute con i conii degli Hamerani. In tale modo il Medagliere diveniva Archivio della Zecca. Come in ogni altro grande medagliere europeo nella seconda metà del XVIII secolo, le collezioni venivano incrementate con acquisti, con cambi (a dire il vero non sempre giustificati) e con i recuperi nel territorio. Spesso con acquisizioni di grande importanza, ma sempre con forme per noi dolorose di selezione, in termini collezionistici, privilegiando i materiali rari e di eccezionale conservazione e quindi sacrificando l’integrità dei complessi associati. Ma ciò rientrava nella prassi dei Musei dell’Europa settecentesca, nei quali venivano privilegiati l’eccellenza artistica, la rarità, il valore venale degli oggetti esposti, secondo i principi del collezionismo, di allora e talvolta ancora di oggi. Il Museo diventava naturalmente luogo di celebrazione e di meraviglia, se non realtà monumentale sacralizzata in termini laici. In questa concezione, che voleva il museo non solo come pratico contenitore di documenti utili alla ricerca e a soddisfare l’interesse dell’uomo di cultura, ma documento monumentale esso stesso con il massimo impatto estetico e visivo, tanto da collocare in secondo piano e mortificare talvolta le raccolte museali stesse, tuttora pesantemente presente nella nostra cultura, vanno inquadrati l’arredamento e la monumentalizzazione della sede del Medagliere Vaticano, conclusa nel 1797, con gli armadi di Luigi e Giuseppe Valadier, nei quali venivano comunque conservate accostate le collezioni numismatiche e medaglistiche, i cammei, i bronzi, gli avori. Tutto ciò che costituiva il contesto necessario in cui collocare la moneta per lo sviluppo degli studi storico-numismatici. Parallelamente all’evoluzione tardo settecentesca della struttura in termini celebrativi e monumentali, l’impostazione eminentemente storicoantiquaria della ricerca venne rispettata nella sostanza ed ebbe uno straordinario punto di forza nell’unione organica del Medagliere alla biblioteca e alle collezioni museali ad essa collegate, che erano indipendenti dai Musei Vaticani. Il Medagliere, nel 1755, era posto tra il 67° e il 68° armadio dei manoscritti. L’integrazione, anche nella collocazione fisica, era perfetta. Non vi è alcun dubbio che tale processo di formazione, che vide l’acquisizione anche di importanti nuclei di monete e che collocò alla fine del XVIII secolo la Biblioteca e il Medagliere Vaticani di Roma, strettamente interdipendenti, tra i principali centri di cultura europei, in contrasto con

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la progressiva marginalizzazione politica dello Stato, ebbe le sue premesse nello sviluppo di un collezionismo di eccellenza in Roma nei due secoli precedenti, al quale abbiamo già accennato. I ritrovamenti monetari erano particolarmente abbondanti e significativi nello straordinario complesso della documentazione storico-archeologica restituita dalla città e dal suo territorio ed erano considerati con grande interesse dal mondo culturale romano, attivo non soltanto in ambito umanistico, rappresentato soprattutto dalle Accademie. La cultura accademica romana del XVIII meriterebbe relativamente alla moneta un approfondimento, impossibile però in questa sede. Basti citare, a questo proposito, l’acquisto nel 1794, per 20.000 scudi, del prestigioso medagliere, che era stato della Regina Cristina di Svezia16, che nel 1690 aveva fondato a Roma l’Accademia dell’Arcadia, e che dalla metà del XVII secolo era al centro degli interessi del mondo della ricerca europea. La produzione scientifica che scaturì da queste premesse, sia ad opera dei responsabili del Medagliere, che si impegnarono, specie il Baldi, anche nella redazione di cataloghi (che rimangono spesso oggi unica testimonianza di materiali dispersi o sottratti), sia dei ricercatori di tutta Europa, ai quale erano state aperte le porte con generosità, fu fondamentale per la scienza di tutta Europa e pose le premesse per la successiva ricerca numismatica ottocentesca e contemporanea. *

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Il Medagliere Vaticano finora descritto non esiste più. Almeno nella connotazione che aveva assunto alla fine del XVIII secolo, come luogo dove si era realizzato, in una straordinaria raccolta numismatica, uno dei più alti prodotti della cultura accademico-collezionistica dei secoli precedenti, formidabile punto di riferimento per la cultura storica di tutta Europa. Nel 1798, nella confusa situazione che portò alla Repubblica Romana, i Francesi occuparono il Vaticano e saccheggiarono le collezioni della Biblioteca e del Medagliere, con un particolare interesse per i cammei, che andarono in gran parte perduti. Alla brutalità del saccheggio iniziale seguì una legale requisizione, secondo le precise indicazioni del Direttorio, che ordinò il trasferimento dei tesori della Biblioteca a Parigi, inviando anche l’elenco dei libri da prelevare. L’elenco delle monete sembra che non sia mai giunto a Roma, ma per parte delle collezioni sarebbe stato ormai troppo tardi: quanto rimaneva fu 16

LE GRELLE, p. XXXVIII ss.

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raccolto in casse e consegnato ai Francesi, con molte delle monete gettate in un sacco, alla rinfusa e senza una catalogazione, che sembra non sia mai giunto a Parigi. Il saccheggio fu devastante: venne descritto con commozione a rabbia dal Le Grelle in pagine che ancora oggi conviene leggere e meditare17. Il 26 luglio del 1799 giungevano in Francia 26 casse provenienti dall’Italia: 21 furono destinate al Cabinet des Médailles, con i 56 medaglieri della Biblioteca Vaticana. Il Gabinetto numismatico praticamente era stato annientato. Faticosamente iniziò la ripresa. Pio VII, prima dell’esilio, acquistò nel 1807 la bella collezione di Pietro Maria Vitali, tenendola però nascosta. Nel 1812 le collezioni contavano 9888 monete, costantemente arricchite dai ritrovamenti dalle catacombe e dal territorio, in attesa del ritorno da Parigi dei materiali trasferiti. Se ne occupò il Canova, nel 181518, con l’aiuto della forza armata di occupazione a Parigi. Egli però, senza cataloghi e a tanti anni di distanza dal disordinato saccheggio, riuscì a recuperare solo parte del materiale sottratto, anche per le resistenze e le astuzie dei conservatori del Gabinetto Regio di Parigi. Addirittura permise che venissero sostituiti con monete scelte dai Francesi gli esemplari che non era stato possibile (o non si era voluto) riconoscere. Troppo tardi giunsero a Parigi gli elenchi da Roma. Nel 1816 il Medagliere Vaticano riceveva in restituzione le poche monete recuperate a Parigi. Quanto restava della grandiosa collezione del passato venne, con le nuove accessioni, ordinato e catalogato da Bartolomeo Borghesi. Cominciò così, inizialmente in tono minore e senza una vera guida professionale, una lenta ricostruzione del complesso, basata su acquisti, anche di singoli esemplari di particolare significato, su cambi e soprattutto su ritrovamenti in un territorio che rimaneva pur sempre particolarmente generoso. Le raccolte raggiunsero con il tempo una discreta consistenza, lontana però ormai da quella dei maggiori medaglieri europei, ma il clima culturale nella città era mutato, provincializzandosi, e non riusciva più a confrontarsi con i maggiori centri di ricerca degli stati nazionali, nei quali si viveva la tumultuosa crescita delle scienze umanistiche in Europa. Il Medagliere, che non riusciva più a proporsi come centro di ricerca valido a livello internazionale, allineò quindi la propria realtà e le proprie 17 LE GRELLE, p. XLII ss. Per queste vicende, narrate dalla parte dei franesi, cfr. T. SARMANT, Le Cabinet des Médailles de la Bibliothèque nationale, 1661-1848, Paris, 1994 (Mémoires et documents de l’École des Chartes, 40). 18 LE GRELLE, p. LVI.

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ambizioni a quelle delle altre strutture museali degli stati italiani preunitari. Alcuni dei quali ebbero pure a soffrire19, in termini organizzativi e di visibilità, nel lungo periodo tra l’età napoleonica e la conclusione delle guerre d’indipendenza. A Roma venne anche trascurata la sicurezza delle collezioni, nelle quali si dovette registrare il clamoroso furto perpetrato da Demetrio Diamilla, che aveva accesso alle collezioni, al quale erano stati affidati imprudentemente compiti di catalogazione20. Proprio nei mesi della Repubblica Romana. Pure, nel contesto italiano, la ricchezza di memorie restituite dalla città di Roma e dal territorio dello Stato della Chiesa, così come il vivace mercato antiquario attivo nella città, nonché i provvedimenti del governo per le antichità, sotto molti aspetti più avanzati che in altre regioni italiane, permisero un arricchimento delle collezioni che non va certamente sottovalutato. Anche per la continuità con consolidate tradizioni di ricerca del passato, legate a classi monumentali particolarmente ben documentate a Roma, come la monetazione bronzea fusa, o la documentazione dalle catacombe, o la sfragistica, o i piombi. Né va sottovalutato l’acquisto nel 1824 dei 4800 libri della Collezione del Conte Cicognara, collocata nel Medagliere. Seppe cogliere queste situazioni privilegiate, tra le quali è sempre da collocare la complementarietà delle collezioni numismatiche con l’immenso patrimonio archivistico e biblioteconomico conservato dalla Biblioteca, della quale il Medagliere era una sezione, il Padre Pietro Tessieri, al quale l’Istituto venne affidato ufficialmente nel 1854. Al Tessieri, attento anche alla moneta medievale e moderna, si deve un deciso potenziameno delle collezioni. Così per la sezione delle monete pontificie, che più di ogni altra, per la particolare posizione, anche politica, dello Stato della Chiesa, rappresentava la più naturale specificità del Medagliere, venne acquistata nel 1851 la collezione Belli. Nel 1854 poi l’acquisto della collezione di Francesco Sibilio quadruplicava praticamente i fondi vaticani di moneta romana repubblicana, che diveniva così una delle più ricche del mondo, se non allora la più importante, sanando le perdite dell’età napolenica. Ma il Tessieri fu attivissimo nell’arricchimento di tutte le serie monetali, con acquisti sistematici ed oculati. Si definiva in quegli anni la struttura

19 Fu il caso del Gabinetto Numismatico di Brera, fortemente penalizzato dal governo austriaco fino all’unità d’Italia. 20 LE GRELLE, p. LXVI.

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dell’attuale medagliere, con un’ottima documentazione di ogni aspetto della storia della moneta e con l’acquisizione di esemplari spesso eccezionali. La presa di Roma del 1870 non sembra aver avuto conseguenze negative degne di nota sulla conduzione del Medagliere. Il Tessieri però era malato e moriva nel 1873. Gli successero, per breve tempo, Ignazio Guidi e poi Carlo Ludovico Visconti, fino al 1894. Gli ultimi decenni del secolo non furono per il Medagliere al livello degli anni della direzione Tessieri, anche se le acquisizioni o il recupero di importanti nuclei collocati in altre sezioni delle Raccolte Vaticane, con il loro trasferimento nel Medagliere, qualificarono ulteriormente le collezioni. Si dovette giungere al 1901, già sotto la direzione di Camillo Serafini, per un ancor più deciso potenziamento della già formidabile collezione di monete pontificie, con l’acquisto della collezione Randi, ricca di oltre 26.000 pezzi. Con questa acquisizione le Raccolte Vaticane si ponevano come passaggio obbligato per la ricerca mondiale sulle emissioni pontificie. La sistematica, dettagliata e preziosa trattazione della secolare vita del Medagliere Vaticano scritta da Le Grelle si arrestava ai primi anni del XX secolo. Il nuovo secolo iniziava con Camillo Serafini responsabile del Medagliere, oggi curato da Giancarlo Alteri, al quale spetta il compito di illustrare quest’ultima fase di feconda attività e costante crescita delle collezioni e dell’Istituto scientifico di ricerca rappresentato dal Medagliere Vaticano, proponendoci le sue prospettive di futura crescita e di sempre più solida collocazione nel consesso mondiale della scienza numismatica.

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IL DIPARTIMENTO DEI MANOSCRITTI1 1. Premessa. – 2. La Sezione Manoscritti. – 3. La Sezione Archivi. – 4. La Sezione Indirizzi ai Pontefici. – 5. Problemi e prospettive. – Appendice. Tabella 1: Tessere d’ingresso, presenze di studiosi in Sala Manoscritti e manoscritti consultati (1949-2007). – Tabella 2: Accessioni di manoscritti (1950-2010). – Tabella 3: Numero degli «Scriptores» (1950-2010). – Tabella 4: Nomine di «Scriptores» per prefetture (1950-2010).

1. Premessa «Ma che cosa intendete fare a Roma? Questo ci inquieta tutti: a Roma non si sta senza avere dei propositi cosmopoliti. Che cosa intendete di fare?». Il concitato richiamo di Theodor Mommsen a Quintino Sella in una sera del 1871, riferito da Federico Chabod nella sua Storia della politica estera italiana dal 1870 al 18962, mi è tornato alla mente cercando un incipit per questo intervento. Con facile analogia, si può pensare che all’inizio del terzo millennio non si può «stare a Roma», cioè amministrare lo straordinario patrimonio manoscritto di cui la Biblioteca Vaticana dispone, senza avere propositi grandi, un’idea forte ed elevata, nutrita al tempo stesso da un acuto senso di responsabilità e dalla profonda consapevolezza dei molteplici, gravi problemi che sono anch’essi parte del quadro complessivo. Eppure, data la premessa dei propositi grandi e delle idee elevate, vorrei rifuggire da discorsi generici (che facilmente sconfinano nella retorica, anche per la naturale tentazione offerta dal soggetto) e dare a queste brevi notazioni un taglio eminentemente pratico e concreto, considerando lo stato, i problemi e le prospettive per tre delle quattro sezioni nelle quali è attualmente articolato il Dipartimento Manoscritti, la Sezione Manoscritti, la Sezione Archivi e la Sezione Indirizzi ai Pontefici. Solo per la prima mi soffermerò più analiticamente a proposito dei fondi, delle accessioni, degli ambienti, del personale, della catalogazione e del pubblico 1 Per tutti i dati ai quali si fa riferimento nel testo senza specifiche notazioni si rinvia alla Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, I-II, a cura di F. D’AIUTO e P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466-467) e alle tabelle che completano questo articolo, cfr. infra. 2 F. CHABOD, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, I, Bari 1965 (Universale Laterza, 24), p. 221 [prima edizione: 1951].

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 351-394.

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degli studiosi, riservando alle altre due un’attenzione necessariamente più cursoria, anche perché le riflessioni in parte si sovrappongono. Lo sguardo si concentra sull’ultimo cinquantennio3 ma, come subito vedremo, è necessaria la considerazione di un «prologo in cielo» che spieghi come si è creata la situazione attuale, splendida e problematica al tempo stesso4.

2. La Sezione Manoscritti I fondi Partiamo da alcuni dati5. Il Dipartimento Manoscritti amministra oggi 146 fondi; 126 nella Sezione Manoscritti, dei quali 29 «aperti», cioè naturalmente suscettibili di incrementi, e 97 «chiusi», perché derivati da collezioni storiche preesistenti all’arrivo dei manoscritti in Biblioteca e quindi non passibili di accrescimenti che ne sfigurerebbero la natura; 20 sono invece i fondi della Sezione Archivi, tutti «chiusi». Rispetto alla tendenza degli ultimi decenni del secolo scorso a costituire con una certa facilità fondi manoscritti anche di piccole dimensioni, per garantire maggiore visibilità e facilità di individuazione ai documenti in essi conservati6, oggi 3 Ma in taluni casi, sia nel testo che nelle tabelle, il punto di partenza nella rilevazione dei dati è piuttosto il 1950, considerata data più significativa per una periodizzazione omogenea, in quanto segna la piena ripresa delle attività dopo gli anni del secondo conflitto mondiale e del dopoguerra, simbolicamente rappresentata dalle celebrazioni per il quinto centenario della fondazione della Biblioteca Vaticana culminate nella mostra «Miniature del Rinascimento». 4 Sulla natura della Vaticana come «biblioteca di manoscritti», storicamente percepita nel tempo come tale, si insiste in P. VIAN, Il Dipartimento Manoscritti, in Conoscere la Biblioteca Vaticana [catalogo della mostra «Conoscere la Biblioteca Vaticana. Una storia aperta al futuro», Braccio di Carlo Magno (Piazza San Pietro), 11 novembre 2010-31 gennaio 2011], a cura di A. M. PIAZZONI e B. JATTA, Città del Vaticano 2010, pp. 33-34. 5 Dati e riflessioni sulla Sezione Manoscritti in P. VIAN, La Sezione Manoscritti, in Conoscere la Vaticana cit., pp. 35-43. 6 A dimostrazione di questa tendenza alla costituzione di piccoli fondi si possono citare diversi casi: le Carte Stefani (79 segnature), consegnate fra il 1969 e il 1972 e ulteriormente incrementate fra il 1988 e il 2003; le Carte Filippi (18 segnature), donate alla Vaticana nel 1983; il fondo Moschetti (88 segnature, ma 84 elementi), costituito di riproduzioni fotografiche di manoscritti giuridici medievali donate nel 1986 e accessionate nel 1989; l’Archivio Gatti (22 fascicoli in 23 contenitori), costituito di copie fotostatiche di documenti conservati nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma donate nel 1990 e accessionate nel 1991; il fondo Ravalli (38 elementi in un contenitore), con documenti accessionati nel 1996. Ma già a partire dagli anni Settanta erano stati costituiti alcuni fondi «minori»: Lascito Pastor (1970), Carte d’Abbadie (1971), De Marinis (1972), Carte Wilmart (1972), Lasinio (1981-1982). Obbligate furono invece le costituzioni in fondi autonomi, nella sezione Archivi, della Computisteria Ottoboni (1976) e degli Archivi della F.U.C.I. (1982-1983). Ma cfr. anche infra la nt. 14 e le indicazioni che seguono la Tabella 2: Accessioni di manoscritti (1950-2010).

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è tornato a prevalere l’indirizzo saggiamente più tradizionale e la costituzione di nuovi fondi è da considerarsi un fatto piuttosto eccezionale, se non per le collezioni semplicemente depositate in Vaticana da altri enti. Oscillanti, in ragione della diversità dei criteri su cui si basano, sono le valutazioni numeriche delle consistenze: ma non si è lontani dal vero calcolando in poco meno di 80.000 le segnature dei manoscritti della Sezione Manoscritti e in circa 10.000 quelle della Sezione Archivi7. I fondi sono di estensioni diverse e vanno dalle 15.384 segnature dei Vaticani latini, il fondo «aperto» più cospicuo, agli otto fondi costituiti da un solo elemento. La stessa varietà si riscontra nell’arco cronologico rappresentato, che va dal II-III secolo d.C. al XX, e nelle tipologie librarie, fra le quali accanto al rotolo e al codice non mancano forme esotiche, spesso tra i manoscritti di provenienza missionaria. Al di là dei numeri, ciò che naturalmente colpisce è la straordinaria ricchezza e varietà, davvero con pochi paragoni, delle raccolte manoscritte vaticane, frutto dell’accumulazione secolare di un’istituzione come la Chiesa romana che in Occidente ha, per continuità, pochi paralleli. Se poniamo in un elenco cronologico le date delle principali accessioni di fondi manoscritti ci rendiamo subito conto che fra il 1870 (quando arrivarono in Vaticano i fondi manoscritti della Cappella Pontificia) e il 1948 (quando pervenne la biblioteca Boncompagni Ludovisi, l’ultima delle biblioteche «papali» e «cardinalizie» che la Santa Sede rivendicava come sue perché alimentate da papi e cardinali nipoti nella pienezza delle loro funzioni, come la Borghesiana, la Barberiniana e la Chigiana) si verificò una congiuntura particolarissima, anche in ragione di una situazione politico-ecclesiastica segnata da un’accesa polarizzazione per o contro Roma. In quel periodo la Vaticana fu una formidabile calamita che attrasse manoscritti (e stampati) da chiese e capitoli dell’Urbe, da congregazioni e fondazioni religiose, da istituzioni vaticane (come il Capitolo di S. Pietro), da famiglie aristocratiche e non e da singoli collezionisti. Per il suo prestigio la Vaticana era allora ritenuta l’unica istituzione in grado di garantire la conservazione dei beni affidati. D’altra parte la «formidabile calamita» non si limitava a un ruolo meramente passivo: se una diocesi aveva bisogno di restaurare antichi manoscritti o pergamene, tutto veniva accolto volentieri ma talora poi si cercava di non restituirlo, offrendo in cambio qualcosa che veniva presentato come più utile nella situazione locale (che peraltro dava pochissime garanzie di essere in grado di tutelare i beni che la Biblioteca cercava invece di conservare). E si inviavano missio7 Per la distinzione fra «segnature» ed «elementi», cfr. VIAN, La Sezione Manoscritti cit., p. 37.

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ni in Oriente dopo la caduta della Grande Porta alla ricerca di manoscritti, come del resto avevano già fatto in passato con diverse destinazioni molti pontefici, da Niccolò V in poi. Qualcuno, come un grande bibliotecario italiano del secolo scorso, Francesco Barberi, ha parlato di una politica rapace e senza scrupoli da parte della Vaticana8. Col senno di poi, credo invece che sia stato un atteggiamento provvido e dai benefici effetti che ha salvato dalla dispersione e dal degrado collezioni e manoscritti importanti. Ma tutto questo ha avuto sull’istituzione conseguenze durature e pesanti, paragonabili forse solo a quelle delle accessioni del periodo rivoluzionario e napoleonico. Per comprendere l’impatto di queste accessioni sulla vita della Biblioteca si tenga conto che solo i manoscritti Barberiniani (oggi distribuiti in tre fondi, per complessivi 11.835 manoscritti; senza dunque tener conto dell’archivio) superano numericamente le tre grandi accessioni seicentesche (la biblioteca Palatina di Heidelberg nel 1623, la biblioteca Urbinate nel 1657 e la biblioteca di Cristina di Svezia nel 1690) e le due settecentesche (i manoscritti Capponiani nel 1746 e i manoscritti Ottoboniani nel 1748), che complessivamente raccolgono ora 10.972 manoscritti. In altri termini, nel solo 1902, anno in cui pervennero alla Biblioteca anche più di 2.500 manoscritti di Propaganda Fide, arrivarono in Vaticana più manoscritti di quanti erano entrati con le maggiori accessioni di due secoli. A ragione allora l’Annuario pontificio poteva notare nel 1915 che l’accessione dei manoscritti e degli stampati Barberiniani fu «il maggior acquisto, che mai sia stato fatto dalla Biblioteca Vaticana»9. Così, nell’arco di poco meno di ottant’anni, la Vaticana acquisì migliaia e migliaia di manoscritti che rappresentarono una sorta di gigantesca indigestione per la Biblioteca che ancora oggi deve in qualche modo «smaltire», in termini di catalogazione ma anche di conservazione, quanto fu assorbito in quel periodo, 8 F. BARBERI, Schede di un bibliotecario (1933-1975), Roma 1984, pp. 136 (a proposito dell’accessione della Biblioteca Chigiana), 196 (a proposito della donazione alla Vaticana da parte di Tammaro De Marinis della sua collezione di legature rinascimentali e della pubblicazione dei quattro volumi degli Studi di bibliografia e di storia in onore di Tammaro De Marinis, pubblicati e presentati nel 1964: «[...] da un lato l’ambizione sfrenata e la cinica intraprendenza del novantenne antiquario miliardario, dall’altro la tradizionale avidità senza scrupoli della Vaticana: quando si tratta di libri non va pel sottile: due cardinali [scil. Albareda e Tisserant] si recano ora a Firenze a rendere omaggio, nella sua reggia, al più chiacchierato degli antiquari italiani. Il che avviene, naturalmente, sulla pelle delle biblioteche dello Stato italiano»); ma cfr. anche pp. 266, 287. 9 Annuario pontificio per l’anno 1915 (...), Roma 1915, p. 553. Il testo è probabilmente riconducibile ad Achille Ratti, divenuto prefetto nel 1914; il confronto con le indicazioni nell’Annuario del 1914 mostra la portata del rinnovamento nella presentazione dell’istituzione.

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decisamente irripetibile10. E viene da pensare al serpente boa del primo capitolo del Piccolo principe di Saint-Exupéry che ingoia un elefante e il cui profilo viene ridisegnato dalla mole del pachiderma divorato. Non a caso per i manoscritti Barberiniani, come per i Chigiani, si ricorre ancora oggi agli storici inventari e indici manoscritti pre-vaticani dei Pieralisi e di Giuseppe Baronci e non sono neanche in programma nuove catalogazioni. Penso allora che in futuro la Vaticana non debba soprattutto puntare sull’accrescimento del suo patrimonio manoscritto (ferma restando la sua disponibilità a essere rifugio e asilo di collezioni importanti, altrimenti mal destinate, come è avvenuto nel 1989 per i manoscritti di Lorenzo Perosi11) ma debba piuttosto impegnarsi a consolidare, per quanto riguarda la conservazione e la catalogazione, ciò che ha raccolto. Le accessioni Di fatto le accessioni degli ultimi cinquant’anni sono lontane dal ritmo frenetico della «grande indigestione». Non sono certo mancate acquisizioni di eccezionale rilievo, come nel 1969 e nel 2006 rispettivamente quelle dei Papiri Bodmer VIII e XIV-XV12 o, a un livello naturalmente inferiore, la splendida «Bibbia di de Gaulle», donata a Giovanni XXIII dal capo di Stato francese nel 196013. Ma in linea di massima le accessioni annuali sono numericamente nei limiti del ragionevole. Per offrire qualche dato numerico, fra il 2002 e il 2010, gli elementi accessionati oscillano fra i 179 dell’anno 2006-2007 (anno peraltro eccezionale, poiché segnato dall’acquisto di un considerevole lotto di manoscritti orientali presso un antiquario olandese, e quindi poco rappresentativo) e i 28 dell’anno 2008-2009. A cifre vicine alla seconda conduce la ricostruzione del ritmo delle accessioni 10 Ancora per considerare qualche dato numerico: nel 1838 le statistiche pubblicate da Antonio Nibby calcolavano in 24.277 i manoscritti vaticani, che, «compresi i numeri doppi pe’ codici di più volumi», arrivavano a 25.000, cfr. A. NIBBY, Roma nell’anno MDCCCXXXVIII, [IV], Parte seconda moderna, Roma 1841, p. 252. In poco più di un secolo e mezzo il numero si è dunque più che triplicato. 11 L’attività della Santa Sede nel 1990 (...), Città del Vaticano 1991, p. 1366. 12 L’attività della Santa Sede nel 1969 (...), Tipografia Poliglotta Vaticana s.d., p. 933; L’attività della Santa Sede nel 2006 (...), Città del Vaticano 2007, p. 1122. 13 Il manoscritto è attualmente segnato Vat. lat. 14430 (A-B); cfr. L’attività della Santa Sede nel 1960 (...), Tipografia Poliglotta Vaticana s.d., p. 326; P. VIAN, Tra i fratelli Mercati e don Giuseppe De Luca. Note sull’Archivio Segreto e sulla Biblioteca Apostolica durante il pontificato di Giovanni XXIII (1958-1963), in L’ora che il mondo sta attraversando. Giovanni XXIII di fronte alla storia. Atti del Convegno, Bergamo, 20-21 novembre 2008, a cura di G. G. MERLO e F. MORES, Roma 2009, pp. 165-211: 196 nt. 159. Sulle accessioni degli ultimi anni cfr. anche P. CANART, Cinquante ans à la Bibliothèque vaticane, in Le livre & l’estampe 51 (2005), n° 164, pp. 7-28: 20-21.

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fra il 1950 e il 2001, con l’eccezione del periodo tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta caratterizzato da un impegnativo sforzo di ordinamento dei fondi e di attribuzione di nuove segnature, spesso relative a manoscritti già presenti in Vaticana14. Ancora, per ragionare sui numeri, nel 1965 i Vaticani latini (il fondo «aperto» per i manoscritti in alfabeto latino) erano 14.67115, oggi sono 15.384, con un incremento in quarantacinque anni di 713 elementi (con una media di circa 15 all’anno); i Vaticani greci nel 1965 erano 2.63016, oggi sono 2.672, con un incremento di 42 elementi (meno di uno all’anno). E sembrano oggi decisamente più facili le accessioni di manoscritti orientali che quelle di manoscritti greci. Ma si consideri anche che, come si è accennato, non sempre l’accessione di un elemento in un fondo riflette effettivamente l’arrivo di un nuovo manoscritto in Biblioteca; talvolta si tratta semplicemente del passaggio da un luogo a un altro della Biblioteca. È il caso degli indici e inventari manoscritti dei nostri fondi per molti, troppi anni in consultazione diretta degli studiosi. Dall’apertura più larga della Vaticana al pubblico dei ricercatori negli ultimi decenni dell’Ottocento, la Vaticana ha offerto a quanti la frequentavano la possibilità di consultare strumenti descrittivi che comprendevano, per fare qualche esempio, gli inventari dei Vaticani latini intrapresi dai Ranaldi tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento e proseguiti sino a Giovanni Battista De Rossi nella seconda metà dell’Ottocento, quelli seicenteschi di Leone Allacci per i Vaticani greci e così via, per molti fondi e insiemi di fondi storici — dai Palatini agli Urbinati, dai Reginensi ai Barberiniani, dai Rossiani ai Chigiani — dotati di strumenti 14 Il ruolo svolto in questo sforzo da José Ruysschaert, viceprefetto dal 1965 al 1984, è sottolineato da CANART, Cinquante ans à la Bibliothèque vaticane cit., p. 27: «[…] il [scil.: Ruysschaert] réussit […] à “nettoyer” les fonds de manuscrits d’appendices et de fragments de manuscrits restés non enregistrés depuis de nombreuses années». Si rinvia ai dati e alle analisi presentati infra nella Tabella 2: Accessioni di manoscritti (1950-2010). Ma per una considerazione complessiva si tenga conto che nel periodo indicato sono pervenuti, in dono o in deposito, manoscritti costituiti nei seguenti fondi (le date si riferiscono agli arrivi dei documenti, non alle costituzioni in fondi): Cerulli persiani (1953-1955), Cerulli etiopici (1954), Carteggi Toniolo (ante 1956), Carteggi Villari (1959-1960), Carte Belli (1961), Carte d’Abbadie (1966), Papiri Bodmer (dal 1969), Carte Stefani (1969-1972), Carteggi De Luca (1975), Autografi Paolo VI (1979), Lasinio (1981-1982), Carte Filippi (1983), Moschetti (1986), Comboniani (1989), Perosi (1989), Archivio Gatti (1990), Carte Francia (post 1995), Ravalli (1996), Raineri (dal 1997), Pontificio Istituto Orientale (2005), Pagès (2006), Pontificio Istituto Biblico (2006), Angelini (2007), Pontificio Collegio Etiopico (2008). Cfr. anche supra nt. 6. 15 L’attività della Santa Sede nel 1965 (...), Tipografia Poliglotta Vaticana s.d., p. 828. Può essere interessante notare che nel 1838 i Vaticani latini erano 8.942, cfr. NIBBY, Roma nell’anno MDCCCXXXVIII, [IV], cit., p. 251. 16 L’attività della Santa Sede nel 1965 cit., p. 828. Nel 1838 i Vaticani greci erano 2.158, cfr. NIBBY, Roma nell’anno MDCCCXXXVIII, IV, cit., p. 251.

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catalografici manoscritti particolari17. Si è trattato di una scelta obbligata in assenza di catalogazioni a stampa; quando, per esempio per gli Urbinati greci e latini, uscirono, fra il 1895 e il 1921, i cataloghi a stampa di Cosimo Stornaiolo fu possibile ritirare gli inventari e gli indici originali sino a quel momento utilizzati. Ma il pericolo era grande: verso la fine della prefettura (1895-1914) di Franz Ehrle, nel dicembre 1911, uno studioso tedesco addirittura sottrasse, forse per scherno e irrisione, un inventario a stampa di manoscritti criptensi, provocando grande scalpore e animate discussioni nel Consiglio della Biblioteca18. Al di là di questi rischi estremi e forse improbabili, il danno più facile, sicuro e quotidiano era invece recato dalla consultazione, con la leggerezza disinvolta e inconsapevole di chi maneggia un elenco telefonico, di esemplari unici e originali, autentici e venerabili monumenti della catalografia vaticana e non, chiavi di orientamento preziosissime e per ora insostituibili. Negli ultimi anni abbiamo ritirato tutti gli originali manoscritti di questi strumenti, per ora sostituiti da copie digitali e in futuro anche da copie cartacee. Ma fra le accessioni più recenti vanno ancora segnalati, fra l’ottobre 17 Per i limiti di questi inventari manoscritti, cfr. già le valutazioni del «Report» (1927) del bibliotecario americano William Warner Bishop in N. MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library and the Carnegie Endowment for International Peace. The History, Impact, and Influence of their Collaboration (1927-1947), Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 455), p. 113. 18 Il fatto si verificò il 20 dicembre 1911 e fu discusso nell’adunanza del Consiglio della Biblioteca del 19 gennaio 1912; l’inventario sottratto (e riportato il giorno dopo senza che inizialmente nessuno se ne accorgesse) dovrebbe essere identificato con uno stampato: A. ROCCHI, Codices Cryptenses seu Abbatiae Cryptae Ferratae in Tusculano digesti et illustrati, Tusculani 1883 (attualmente segnato: Catal. Italia. II. Grottaferrata. 1. Cons.). Lo studioso tedesco fu subito escluso dall’ammissione in Biblioteca. Informato del fatto il prefetto, egli scrisse una lettera a chi aveva raccomandato il giovane avvertendo che lo studioso non sarebbe più stato ammesso e che in futuro non sarebbero più state accolte presentazioni da parte di chi aveva per lui garantito. Lo studioso tedesco si presentò quindi a Ehrle chiedendo la riammissione; Ehrle lo rinviò a Pio X o al card. Mariano Rampolla del Tindaro, che allora si occupava delle vicende della Biblioteca in assenza del cardinale bibliotecario Alfonso Capecelatro, impegnato nella sua diocesi di Capua (effettivamente lo studioso tedesco si rivolse a Rampolla). Il Consiglio valutò che la colpa era soprattutto di sbadataggine e di irriflessione. «Siccome però nei protestanti di Germania è sconfinato il disprezzo per tutto ciò che appartiene alla S. Sede (onde non solo si peritano di portare libri e codici in casa, a dispetto di tutti i regolamenti, ma giungono perfino a vantarsene in pubblico) sembra necessario dare un esempio di giusta severità». Ehrle propose una misura di mezzo fra l’immediata riammissione e l’esclusione a vita. Generoso Calenzio si dichiarò per il perdono senza indugio, mentre Cosimo Stornaiolo era propenso per la riammissione ma previa una nuova garanzia da parte dell’ambasciatore o di un direttore d’istituto. Giovanni Mercati optò per una delle due soluzioni estreme (esclusione a vita o riammissione immediata), lasciando la scelta a Ehrle, «che conosce meglio uomini e cose di Germania»; Pio Franchi de’ Cavalieri era invece favorevole a un provvedimento di rigore. Alla fine Rampolla rimise a Ehrle la decisione, cfr. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Bibl. 162, ff. 108r-109r.

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2005 e il febbraio 2008, il deposito presso la Vaticana (che dunque non ne diviene proprietaria, ma solo custode) di quattro fondi (il più cospicuo dei quali supera di poco i 100 elementi) e il dono di un fondo di manoscritti (soprattutto rotoli) etiopici, con oltre 700 elementi19. Mentre nell’ultimo caso si tratta di una collezione privata donata alla Santa Sede, i primi quattro rinviano a istituti ecclesiastici e congregazioni religiose; e confermano la vocazione, che la Vaticana sente sua, di asilo e rifugio di collezioni librarie ecclesiastiche che i proprietari non credono più di potere o sapere conservare. Gli ambienti Il ritmo più ragionevole delle accessioni non sembra creare, nell’immediato e a medio termine, problemi di spazio. Dal 1984 quasi tutti i fondi manoscritti della Vaticana sono conservati nel vasto deposito sotterraneo in cemento armato da taluni colloquialmente chiamato — con termine bellico che, già utilizzato al momento della costruzione, negli anni 1982-1983, rinviava al terrore della catastrofe atomica — il «bunker»20. La 19 Si tratta dei fondi: Pontificio Istituto Orientale (pervenuto il 13 ottobre 2005, per deposito dell’omonimo istituto), Pagès (pervenuto al Dipartimento il 19 settembre 2006, per deposito della Società di Maria [Padri Maristi]), Pontificio Istituto Biblico (pervenuto il 17 novembre 2006, per deposito dell’omonimo istituto), Pontificio Collegio Etiopico (pervenuto, ma per ora solo parzialmente, il 5 febbraio 2008, per deposito dell’omonimo istituto). La collezione di manoscritti etiopici, per la maggior parte rotoli apotropaici, raccolta da Sandro Angelini soprattutto nei dintorni di Lalibela, è invece pervenuta alla Biblioteca Vaticana il 1° febbraio 2007, cfr. L’attività della Santa Sede nel 2006 cit., p. 1122; L’attività della Santa Sede nel 2007 (...), Città del Vaticano 2008, p. 1120; L’attività della Santa Sede nel 2008 (...), Città del Vaticano 2009, p. 992. Cfr. anche supra nt. 14. Dagli anni Cinquanta si segnala solo un altro caso di deposito di manoscritti conservati in fondo autonomo: il fondo Comboniani, costituito da manoscritti etiopici raccolti dal comboniano Armido Gasparini durante la sua permanenza ad Asmara (1954-1958) e successivamente depositati, con atto di consegna dell’8 gennaio 1989, dalla Congregazione dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù presso la Biblioteca Vaticana (cfr. L’attività della Santa Sede nel 1989 (...), Città del Vaticano 1990, pp. 1401-1402). 20 Sul nuovo Deposito, edificato sotto il Cortile della Biblioteca, cfr. il raro opuscolo, pubblicato dalla Steelcase Strafor Italia, Il nuovo Deposito Manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, s.l., s.a.; e ora A. RITA, La Biblioteca Vaticana nelle sue architetture. Un disegno storico (...), in Biblioteca Apostolica Vaticana. Libri e luoghi all’inizio del terzo millennio, Città del Vaticano 2011, pp. 70-123: 116-121. La superficie è di 700 mq, con una volumetria di 3.700 mc; la scaffalatura sviluppa 6.500 metri lineari. Cfr. anche L’attività della Santa Sede nel 1982 (...), p. 1342; L’attività della Santa Sede nel 1983 (...), p. 1327; L’attività della Santa Sede nel 1984 (...), p. 1369. Dall’inaugurazione (1912) della nuova Sala di consultazione dei manoscritti (quella attuale) sino agli anni 1983-1984, i manoscritti erano conservati in un deposito su quattro piani, al di sopra della Sala, all’interno dell’edificio che chiude verso est il Cortile della Biblioteca. Su di esso cfr. le descrizioni e le valutazioni del «Report» (1927) di William Warner Bishop, che già allora lo considerava «antiquated» per quanto «serviceable»,

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profonda ristrutturazione avvenuta negli anni 2008-200921, con il totale svuotamento del Deposito e l’emigrazione di tutti i fondi manoscritti22, ha offerto al momento del loro rientro l’irripetibile occasione di una più razionale disposizione dei fondi e di un più accorto uso degli spazi. Così, anche grazie all’allestimento nell’estate 2004 di una più capiente Riserva (il luogo ove sono conservati, mantenendo le loro segnature, i manoscritti più preziosi della Biblioteca, fisicamente separato dai locali di deposito degli altri codici nel 196223) e alla creazione nell’ambito della recenMATTIOLI HÁRY, The Vatican Library and the Carnegie Endowment for International Peace cit., pp. 110-111, 121. Nel 1928 erano state formulate alcune proposte di miglioramento e nell’anno successivo vi era stato installato un ascensore (al posto del montacarichi idraulico); alla metà degli anni Trenta nel piano superiore erano stati allestiti scaffali particolari, per l’alloggiamento dei manoscritti di grande formato (ibid., pp. 307, 394, 602). Ma la situazione non era ideale, anche per motivi di sicurezza. All’inizio del secondo conflitto mondiale, i timori di possibili pericoli aerei avevano indotto a sgomberare gli ultimi due piani del Deposito e nel 1942 a trasferire temporaneamente i manoscritti più preziosi in locali sotto la Sala delle Nozze Aldobrandini, cfr. N. VIAN, Figure della Vaticana, in L’urbe 49 (1986), pp. 104-124: 119 [ripubblicato in ID., Figure della Vaticana e altri scritti. Uomini, libri e biblioteche, a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 424), pp. 331-355: 350]; M. CERESA, La Biblioteca Vaticana e le biblioteche romane durante la seconda guerra mondiale, in Le biblioteche e gli archivi durante la seconda guerra mondiale. Il caso italiano, a cura di A. CAPACCIONI, A. PAOLI, R. RANIERI, con la collaborazione di L. TOSONE, Bologna 2007, pp. 343-369: 344]. 21 Sugli interventi (prima dei lavori) cfr. C. FEDERICI, Il progetto di riqualificazione del Deposito Manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Biblioteche oggi, vol. 25, nr. 8 (ottobre 2007), pp. 47-52. Una rassegna dei lavori compiuti in G. FACCHINI – M. BARGELLINI, Gli ultimi lavori di ristrutturazione (2007-2010) (...), in Biblioteca Apostolica Vaticana. Libri e luoghi cit., pp. 124-141: 130. 22 Dal 1950 a oggi la totalità dei fondi della Sezione Manoscritti ha subìto due trasferimenti. Il primo, negli anni 1983-1984, col passaggio dal deposito su più piani al di sopra della Sala al nuovo Deposito; il secondo, negli anni 2008-2009, col passaggio dal Deposito della Biblioteca Vaticana a quello dell’Archivio Vaticano (gennaio-luglio 2008) e, terminati i lavori di ristrutturazione del Deposito, nel senso opposto (luglio-settembre 2009). Sicuramente più complesso il secondo del primo perché, comportando l’uscita dei fondi dalla Biblioteca e la loro temporanea collocazione esterna, ha richiesto lunghe e delicate operazioni di imballaggio dei manoscritti. 23 «Quest’anno la Vaticana si è arricchita di una sala modernamente attrezzata, detta della Riserva, perché adibita alla conservazione dei manoscritti e stampati più preziosi. Risultata da un magazzino di deposito, su disegno del precedente Prefetto Cardinale Albareda, essa è un modello del genere per la sua funzionalità non disgiunta da eleganza. Con cinque armadi in lamiera di ferro per i codici, altri due, con piani estraibili, per le pergamene e le carte geografiche, un grande bancone per i papiri e, infine, con l’aria condizionata essa si aggiunge alle altre iniziative realizzate e in corso per l’ammodernamento completo dei servizi della Biblioteca Apostolica», L’attività della Santa Sede nel 1962 (...), Tipografia Poliglotta Vaticana s.d., p. 436. La «riserva» (probabilmente come sezione separata ma all’interno del deposito dei manoscritti) esisteva già precedentemente; vi si fa cenno anche nel Regolamento della Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma 1923, pp. 24, 38, 54. Già il 6 novembre 1907 era stato annunciato al Congresso della Biblioteca il futuro allestimento di una «camera forte» per i manoscritti più preziosi; il 25 novembre 1920 venne precisato che lo spazio individuato

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te ristrutturazione di tre nuovi spazi (fra i quali una Sala dei papiri con una particolare climatizzazione)24, il Deposito Manoscritti non vive più nell’immediato incubo della mancanza di spazi. Col ritmo delle accessioni cui si è accennato e che si è in qualche modo auspicato, si può prevedere che per 20 o 25 anni il nostro Deposito possa accogliere senza particolari difficoltà i naturali sviluppi dei fondi. Ma la gigantesca massa dei Depositi A-E (1.393 elementi, fra scatole e pacchi con documenti di vario genere), creati agli inizi degli anni Ottanta con materiali da tempo giacenti in Biblioteca25 e da allora in attesa di esame, ordinamento, smistamento verso fondi costituiti o da costituire, non permette di riposare tranquilli e induce era il vecchio laboratorio per il restauro e la fotografia dei codici destinato a essere trasformato in «camera di sicurezza dei cimeli più preziosi, che avrà l’accesso unicamente dal magazzino dei mss.», cfr. Biblioteca Vaticana, Arch. Bibl. 162 [verbali delle adunanze del Congresso direttivo, nr. 149 e s.n., 6 novembre 1907 e 25 novembre 1920], ff. 77r-v, 158v. Col nuovo Deposito dei manoscritti, allestito negli anni 1982-1983, la Riserva è tornata all’interno del Deposito, separata da esso da una cancellata. Fino agli anni Settanta del secolo scorso era poi aperta nel Salone Sistino una mostra permanente, visibile nel circuito dei Musei Vaticani, di una scelta fra i codici più preziosi e interessanti della Biblioteca, una sorta di «Riserva in mostra» (cfr. I libri esposti nella Biblioteca Vaticana, [catalogo della mostra permanente: Città del Vaticano, Salone Sistino della Biblioteca Vaticana], Città del Vaticano [1952], 19642; ai «codici esposti» fa riferimento il Regolamento del 1923, cfr. ibid., pp. 54, 61), scomparsa nell’ultimo quarantennio per il moltiplicarsi di mostre interne a diversi soggetti e poi per la perdita (1999-2009) del Salone Sistino da parte della Biblioteca. Sul clamoroso furto, nel novembre 1965, del Canzoniere del Petrarca (Vat. lat. 3195) e dell’Ott. lat. 2229 (con rime autografe del Tasso) lì esposti, cfr. N. VIAN, Il Petrarca sul prato, in Strenna dei romanisti 35 (1974), pp. 464-472 [ripubblicato in ID., Figure della Vaticana e altri scritti cit., pp. 249-259]. 24 I tre nuovi spazi ricavati nell’ambito dei lavori di ristrutturazione negli anni 2008-2009 sono: a) la Sala dei papiri (ricavata in uno spazio accanto al Deposito Manoscritti); b) l’antico corridoio dell’antideposito che introduceva al Deposito (ora reso obsoleto dall’installazione di un nuovo ascensore che collega direttamente il Deposito ai laboratori di restauro e fotografico), nel quale sono stati collocati fondi manoscritti orientali «chiusi»; c) uno spazio dietro la nuova parete eretta nella Sala Manoscritti (al di sopra del banco di distribuzione dei manoscritti), nel quale sono stati collocati i Depositi A-E, di cui subito sotto. 25 Raccolti nel corso del XX secolo, provvisoriamente riordinati nel 1964, i materiali ora costituiti nei Depositi A-E furono oggetto di particolare cura durante la viceprefettura (19651984) di José Ruysschaert (1914-1993), al quale si deve l’attuale sistemazione al momento del trasferimento dei fondi nel nuovo Deposito dei manoscritti, negli anni 1983-1984. Nei Depositi A-E sono presenti materiali, per lo più manoscritti, di diversa tipologia, conservati spesso in pacchi che non di rado riuniscono più elementi, volumi o nuclei di carte. In molti casi si tratta di materiale mai incluso nei fondi, talora perché si attendeva che maturassero i tempi per la sua consultazione oppure inserito in un primo momento e poi ritirato perché ritenuto di modesto interesse. Oltre a manoscritti, documenti, volumi archivistici, insieme di frammenti provenienti da recuperi codicologici, si segnalano in particolare le seguenti tipologie, più rappresentate: a) carte di studiosi ed eruditi (secc. XIX-XX); b) carte di bibliotecari e archivisti vaticani, spesso elaborate nel corso del loro lavoro d’ufficio, o di studiosi dei fondi e della storia della Biblioteca; c) carte di ecclesiastici; d) carte relative a enti e istituzioni, Ordini religiosi, chiese, monasteri; e) materiali, non ancora sistemati, provenienti da accessioni par-

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a pensare presto a depositi esterni o a una discreta sopraelevazione dell’attuale deposito all’interno del Cortile della Biblioteca. Così, anche la Sala di consultazione (comune alle due Sezioni del Dipartimento)26, con l’attuale disponibilità di 54 posti, sembra garantire una risposta adeguata al flusso degli studiosi27; i momenti drammatici della straordinaria affluenza dei mesi fra il maggio e il luglio 2007, alla vigilia della chiusura triennale, sono legati a una circostanza fortunatamente irripetibile; e il numero degli studiosi, anche in una prospettiva di lungo termine, non dovrebbe creare, come vedremo, soverchie preoccupazioni. Il personale Se gli ambienti sono sicuramente fra i migliori possibili (anche in considerazione dell’insuperabile condizionamento di edifici storici non modificabili a nostro piacimento), meno brillante appare la situazione del personale. Il Dipartimento Manoscritti è attualmente composto da 19 persone, 16 nella Sezione Manoscritti, 3 nella Sezione Archivi; 14 con ruolo scientifico, 5 con ruolo esecutivo28. Numeri piuttosto esigui, non relativazialmente già costituite in fondi autonomi o venute a formare sezioni di fondi manoscritti o a stampa «aperti»; f) documentazione relativa alla storia ecclesiastica in vari paesi. 26 Dal Regolamento del 1923 (tit. VI, art. I, § 9, 10; Regolamento della Biblioteca Apostolica Vaticana cit., pp. 53, 54) si deduce che allora nella «sala di studio dei manoscritti» si consultavano anche «incunaboli, stampe-incisioni, libri dei fondi più antichi (Palatini, I Raccolta, Barberiniani, Capponiani, ecc.) ed altre rarità di pregio non comune»; parallelamente anche il Deposito dei manoscritti ospitava gli stampati antichi (cfr. MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library and the Carnegie Endowment for International Peace cit., pp. 110-111, 121). La separazione fra manoscritti e stampati antichi è dunque in Vaticana un fatto relativamente recente. 27 Nel suo «Report» (1927) sulla Biblioteca Vaticana, William Warner Bishop considerava adeguate, per il presente e per il probabile uso futuro, misure e luminosità della Sala Manoscritti, cfr. MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library and the Carnegie Endowment for International Peace cit., p. 110. Nel 1935 erano stati apportati alcuni miglioramenti, abbassando il pavimento e allargando anche le finestre (ibid., pp. 591, 593, 603; fotografie prima e dopo il rinnovamento sono pubblicate ibid., pll. 19 e 27). Ma il ridimensionamento della Sala nel corso dei lavori degli anni 2007-2010 (per il nuovo ascensore che collega il Deposito ai laboratori fotografico e di restauro all’interno di una nuova torre nel Cortile della Biblioteca), con la perdita di più di 5 m sui 25 m complessivi di lunghezza, rende ora la situazione indiscutibilmente più difficile. Sulla Sala Manoscritti cfr. RITA, La Biblioteca Vaticana nelle sue architetture cit., pp. 102 (con due immagini, figg. 29, 30, degli anni 1931 ca. e 1936), 105. Un’immagine della Sala nel 2010, dopo l’erezione del muro all’altezza della cosiddetta «torre dei manoscritti» e dell’ascensore, in FACCHINI – BARGELLINI, Gli ultimi lavori di ristrutturazione cit., p. 132. Sulla cosiddetta «torre dei manoscritti», G. GUALA, La torre dei manoscritti, in Biblioteca Apostolica Vaticana. Libri e luoghi cit., pp. 142-167. 28 Ma si tenga conto che dall’ottobre 2003 l’Archivista capo, direttore della Sezione Archivi, è uno «scriptor Latinus» e che dal 2007 anche il direttore del Dipartimento Stampati è uno «scriptor Latinus» (nel conteggio entrambi vengono annoverati nella Sezione

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mente alla Biblioteca (ove rappresentano circa un quinto del personale) ma rispetto alla mole dei fondi e confrontati a quelli di altre istituzioni meno provvedute di materiali manoscritti; realisticamente è però difficile pensare che in futuro vi possano essere considerevoli aumenti. Anziché abbandonarsi a scontati lamenti va segnalata la presenza di un certo numero di «scriptores» (attualmente 5, 4 «latini» e uno «greco»), eredi di un’antica figura attiva in Biblioteca già nel XVI secolo che dal pontificato di Leone XIII hanno l’incarico della catalogazione scientifica dei manoscritti. Questo ruolo, che per diversi motivi negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso sembrava votato all’esaurimento e all’estinzione, è tornato recentemente ad alimentarsi; tali nomine indicano la volontà della Santa Sede e della Vaticana di non privarsi di un collegio qualificato che fa parte integrante dell’identità dell’istituzione29. Contemporaneamente è però mutata la modalità del reclutamento: a differenza di quanto accadeva fino agli anni Settanta, «scrittori» non si nasce (con una nomina che proietta subito la persona al vertice del cammino) ma si diventa, allo sbocco di una carriera interna che mette alla prova le qualità del candidato. Rinverdendo in qualche modo l’antica prassi della «sopravvivenza», sono così comparse nel Dipartimento figure (il vice-assistente, l’assistente, l’aiuto-scriptor) che prima non esistevano o erano presenti solo nel Dipartimento Stampati, mentre attualmente si nota una accentuata prevalenza di «scrittori latini» su quelli «greci» (peraltro motivata dalle proporzioni dei diversi fondi) e, da più di vent’anni, l’assenza (di diritto ma non di fatto) dello «scrittore orientale». Ma si segnala qui una contraddizione di fondo: l’attribuzione di gravose responsabilità nella conduzione della Biblioteca a «scrittori» se, da un lato, garantisce rigore, serietà e unità di intenti nell’amministrazione quotidiana, dall’altro finisce per distrarre la parte più qualificata del corpo scientifico dal fine istituzionale della descrizione dei codici. Di modo che, paradossalmente, si prendono in mano, si studiano, si catalogano i manoscritti più negli anni felici dell’apprendistato che in quelli della pienezza del titolo, quando altre mansioni impediscono lo svolgimento dell’attività più naturale. La soluzione del problema (peraltro comune ad altri ambiti) non è facile e somiglia alla quadratura del cerchio o evoca la Manoscritti). Nella Sezione Manoscritti il personale con ruolo esecutivo è composto da quattro persone, nella Sezione Archivi da una. 29 Per le nomine degli «scriptores» si rinvia infra alla Tabella 3: Numero degli «Scriptores» (1950-2010), e alla Tabella 4: Nomine di «Scriptores» per prefetture (1950-2010). Nel Regolamento del 1923 era previsto che gli «scrittori» effettivi fossero otto, cfr. Regolamento della Biblioteca Apostolica Vaticana cit., pp. 8, 22-23, ma senza una rigida determinazione numerica per le singole denominazioni, «dovendosi piuttosto badare alla necessità di terminare certi fondi prima di altri e adattarsi alle occasioni favorevoli, che raramente si dànno, di attirare uomini idonei sotto ogni rispetto».

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famosa coperta che tirata da una parte ne scopre un’altra. Ma è un problema che va segnalato perché si collega allo stato della catalogazione dei manoscritti vaticani. Catalogazione e studi Il grande sforzo catalografico intrapreso, in due fasi ben distinte, sotto il pontificato di Leone XIII nell’ultimo sessantennio ha fatto passi ulteriori. Per offrire ancora alcuni numeri, negli anni Cinquanta del secolo scorso hanno visto la luce sette cataloghi della serie maggiore, quattro negli anni Sessanta, sei negli anni Ottanta, due negli anni Novanta30. Non si deve ridurre a queste espressioni lo sforzo catalografico vaticano (al quale, per esempio, appartiene a pieno titolo il catalogo dei manoscritti Borghesiani di Anneliese Maier, uscito nel 1952 nella collana «Studi e testi», forse perché l’autrice era solo una collaboratrice scientifica della Biblioteca31). Come sarebbe probabilmente erroneo concludere dalla rarefazione dei numeri che la spinta propulsiva dei cataloghi maggiori, per adottare un’espressione usata altrimenti, stia perdendo forza: sono in corso diverse catalogazioni sempre rivolte alla serie dei «Catalogi» e si è discusso in seno al Dipartimento se sia necessario vincolare le descrizioni all’uso del latino oppure convenga orientarsi (ed è attualmente l’indirizzo prevalente) verso le lingue moderne, più adatte a esprimere i fenomeni che le ricerche

30 I riferimenti sono ai cataloghi: dei Vaticani greci 604-866 (R. Devreesse, 1950), dei Vaticani greci 1485-1683 (C. Giannelli, 1950), dei Vaticani latini 10876-11000 (G. B. Borino, 1955), dei Vaticani ebraici 1-115 (U. Cassuto, 1956), dei Barberiniani greci 1-163 (V. Capocci, 1958), dei Vaticani latini 1135-1266 (M.-H. Laurent, 1958; gli indici furono curati da M. M. Lebreton nel 1968), dei Vaticani latini 11414-11709 (J. Ruysschaert, 1959); dei manoscritti Ferrajoli 737-977 (F. L. Berra, 1960), dei Vaticani greci 1684-1744 (C. Giannelli, con «addenda» e indici di P. Canart, 1961), dei Vaticani latini 2118-2192 (A. Maier, 1961), dei Vaticani greci 1745-1962 (P. Canart, 1970; il volume con l’introduzione, gli «addenda» e gli indici ha visto la luce nel 1973); dei Vaticani greci 2162-2254 (S. Lilla, 1985), dei Vaticani latini 1126611326 (M. M. Lebreton e L. Fiorani, 1985), dei Vaticani latini 2060-2117 (C. Leonardi, con la collaborazione di M. M. Lebreton e con indici curati da A. M. Piazzoni e P. Vian, 1987), dei Vaticani greci 867-932 (P. Schreiner, 1988), dei Vaticani latini 9743-9782 (M. Buonocore, 1988), dei Barberiniani greci 164-281 (J. Mogenet, le cui descrizioni sono state completate da J. Leroy e gli indici curati da P. Canart, 1989); dei Vaticani greci 2644-2663 (S. Lilla, 1996), dei Comboniani (O. Raineri, 2000). Nell’ambito dei cataloghi, più che in altri lavori, le date di pubblicazione dei volumi hanno però un valore solo indicativo perché in essi viene alla luce il lavoro incominciato e svolto in anni precedenti. Dal 1902 al 1947 avevano visto la luce venti cataloghi della serie maggiore. 31 Codices Burghesiani Bibliothecae Vaticanae, recensuit A. MAIER, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 170). Si potrebbero citare altri casi; cfr., per esempio, P. CANART, Catalogue des manuscrits grecs de l’Archivio di San Pietro, Città del Vaticano 1966 (Studi e testi, 246).

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codicologiche più recenti studiano e rilevano32. Proprio tale discussione mostra in realtà quanto la Vaticana continui ad annettere un’importanza particolare alla continuazione di una linea di catalogazione a stampa che rappresenta un suo motivo di orgoglio ed è certo un ramo vivo, non secco dell’attività scientifica della Biblioteca. Non è però questa la sede per fare un bilancio della storia e delle prospettive della catalogazione vaticana, già compiuto altrove con dovizia di particolari e di analisi33, né per soffermarsi sulla profonda diversità delle situazioni per i manoscritti greci (buona), per quelli latini (molto arretrata) e per quelli orientali (discreta). Per questi ultimi — sia detto incidentalmente — proprio recentemente si sta cercando di riportare alla luce alcuni risultati incompleti ma non privi di importanza di una delle due grandi catalogazioni novecentesche di manoscritti arabi, quella del sacerdote tedesco Georg Graf, dedicata ai manoscritti arabo-cristiani, come quella di Giorgio Levi Della Vida aveva riguardato i manoscritti arabo-islamici. Ma nell’ultimo cinquantennio, accanto alla catalogazione della serie maggiore, due date vanno segnalate come tappe importanti nello sforzo descrittivo dei manoscritti vaticani. Nel 1989 è stato pubblicato il primo catalogo sommario a stampa di manoscritti vaticani, all’interno di un’articolazione della collana «Studi e testi» che negli anni successivi si è arricchita di altri sette titoli34. Nel novembre 2007 è stato inaugurato il 32 Ma già due cataloghi della serie maggiore contengono descrizioni in italiano, cfr. Codices Vaticani Latini. Codices 11266-11326, recensuerunt M. M. LEBRETON et A. FIORANI: Inventari di biblioteche religiose italiane alla fine del Cinquecento, in Bibliotheca Vaticana 1985 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti); Codices Comboniani Aethiopici, recensuit O. RAINERI, in Bibliotheca Vaticana 2000 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti). 33 A. PETRUCCI, La descrizione del manoscritto. Storia, problemi, modelli, Roma 20012 (Beni culturali, 24), pp. 36-38, 43-44; L. E. BOYLE, Prefazione, in Manoscritti Vaticani latini 1466615203. Catalogo sommario, a cura di A. M. PIAZZONI e P. VIAN, Città del Vaticano 1989 (Studi e testi, 332; Cataloghi sommari e inventari dei fondi manoscritti, 1), pp. V-IX: V-VIII; M. BUONOCORE, Scriptorium Vaticanum: passato e presente, in Zenit e Nadir, II: I manoscritti dell’area del Mediterraneo: la catalogazione come base della ricerca. Atti del Seminario internazionale, Montepulciano, 6-8 Luglio 2007, a cura di B. CENNI, C. M. F. LALLI e L. MAGIONAMI, Montepulciano 2007, pp. 63-78. Cfr. anche le indicazioni e le valutazioni in CANART, Cinquante ans à la Bibliothèque vaticane cit., pp. 18-19. 34 Si tratta del catalogo sommario dei Vat. lat. 14666-15203 (a cura di A. M. PIAZZONI e P. VIAN; Studi e testi, 332); sono seguiti: nel 1990 l’inventario della Raccolta prima degli Autografi Ferrajoli (a cura di P. VIAN; Studi e testi, 336), nel 1992 l’inventario delle Raccolte Ferrajoli e Menozzi degli Autografi Ferrajoli (a cura di P. VIAN; Studi e testi 351), nel 1993 l’inventario delle Raccolte Minervini e Odorici degli Autografi Ferrajoli (a cura di P. VIAN; Studi e testi, 354), nel 1996 l’inventario della Raccolta e della Miscellanea Visconti degli Autografi Ferrajoli (a cura di P. VIAN; Studi e testi, 377), nel 1999 l’inventario degli Autografi Paolo VI (a cura di P. VIAN; Studi e testi, 393), nel 2003 l’inventario della prima parte (1889-1936) dei Carteggi del

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catalogo elettronico dei manoscritti vaticani, consultabile «on line», che si alimenta da fonti diverse: in primis lo schedario cartaceo relativo ai manoscritti vaticani realizzato tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Quaranta del secolo scorso e noto, dal nome del bibliotecario che lo propose, William Warner Bishop, come «schedario Bishop»35, ma anche cataloghi a stampa, record puramente bibliografici, registrazioni della Sezione Archivi. Quest’opera, sempre in progress, conta attualmente (ottobre 2010) 57.968 record; analiticamente, 21.711 provengono dalla «schedario Bishop», 1.079 da cataloghi a stampa, 33.372 da citazioni bibliografiche, 626 da citazioni bibliografiche relative a cataloghi di mostre, 1.180 da registrazioni della Sezione Archivi. Le due iniziative, pur nella differenza delle proporzioni, mostrano da parte della Biblioteca un approccio più flessibile e diversificato al grande problema della catalogazione dei manoscritti, per la quale si aprono ora strade diverse. In altri termini appare tramontata non solo la rigida alternativa fra il catalogo analitico e quello sommario, fra gli usi contrapposti delle corti di S. Pietro e di S. Giacomo, come icasticamente ancora li descriveva all’inizio degli anni Sessanta Giuseppe Billanovich36; ma viene meno anche la contrapposizione fra catalogo a stampa e catalogo elettronico, che possono convivere e anzi complementariamente integrarsi37. Nella fase di trapasso determinata dall’avvento dell’era digitale si può anche dare il caso di una catalogazione a stampa, come quella dei manoscritti giuridici promossa dall’Institute of Medieval Canon Law e dal Deutsches Historisches Institut di Roma e pubblicata nella collana «Studi e testi» fra il 1986 e il 198738, proseguita in forma di catalogazione elettronica39 e in card. Giovanni Mercati (a cura di P. VIAN; Studi e testi, 413), nel 2004 l’inventario dei Cerulli etiopici (dello stesso Enrico Cerulli, a cura di O. RAINERI; Studi e testi, 420). 35 MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library and the Carnegie Endowment for International Peace cit., pp. 309-317, 476-483 e passim (cfr. s.v. «Summary Index of Mss.» in indice). 36 G. BILLANOVICH, Le catalogue des Vaticani latini 11414-11709, in Scriptorium 16 (1962), pp. 79-80. 37 A. M. PIAZZONI, Prospettive: cataloghi cartacei, cataloghi informatici, in La catalogazione dei manoscritti miniati come strumento di conoscenza. Esperienze, metodologia, prospettive. Atti del Convegno internazionale di studi, Viterbo, 4-5 marzo 2009, a cura di S. MADDALO e M. TORQUATI, Roma 2010 (Nuovi studi storici, 87), pp. 249-260. 38 A Catalogue of Canon and Roman Law Manuscripts in the Vatican Library, compiled at the Institute of Medieval Canon Law under the direction of S. KUTTNER, with the aid of the Deutsches Historisches Institut, Rom, under the direction of R. ELZE, I: Codices Vaticani latini 541-2299, Città del Vaticano 1986 (Studi e testi, 322); (...), II: Codices Vaticani latini 23002746, Città del Vaticano 1987 (Studi e testi, 328); dei due volumi mancano ancora gli indici. 39 Un «provisional text» del terzo volume, relativo ai manoscritti giuridici fra i Vat. lat. 3137-11527, frutto della digitalizzazione delle bozze del terzo volume nell’ambito di un progetto guidato da Martin Bertram e Gero R. Dolezalek e finanziato dalla Gerda Henkel Stiftung,

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attesa forse di una versione definitiva e completa che possa essere anch’essa pubblicata a stampa. Molto, naturalmente, si sta facendo nella prospettiva del catalogo elettronico vaticano. Ma, anche per il suo carattere in qualche modo «derivato», non si può davvero credere che esso sia una panacea di ritardi e mancanze: il deficit catalografico vaticano, anche in ragione della vastità dei fondi prima ricordata, rimane indiscutibilmente grave e imbarazzante. Mi sia però permessa una riflessione che, senza intenti scherzosi, riprende un’immagine utilizzata recentemente da politici ed economisti a proposito del debito pubblico di alcuni paesi della cosiddetta «Eurozona». È vero — si è notato — che in taluni casi il debito pubblico è molto elevato ma esso è bilanciato e in qualche modo compensato da un altissimo, virtuoso risparmio privato delle famiglie. Si parva licet, anche la situazione catalografica vaticana permette analoghe considerazioni: alla persistente carenza di cataloghi a stampa di emanazione istituzionale corrisponde una straordinaria ricchezza di descrizioni catalografiche a carattere tematico promosse da esterni alla Biblioteca e confluite in pubblicazioni talvolta anch’esse esterne alla Vaticana, talvolta comparse nelle nostre collane. Il genere non è recente: basti pensare alla catalogazione dei manoscritti riguardanti la storia di Roma a opera di Vincenzo Forcella venuta alla luce fra il 1879 e il 188540; ma da allora il lavoro è proseguito con impressionante continuità, con frutti davvero cospicui. Per fare solo tre esempi, ricordo la catalogazione dei manoscritti ebraici pubblicata nel 200841, quella dei manoscritti con testi di classici latini che proprio in questi mesi ha varcato il suo traguardo42, quella dei manoscritti miniati di diversi fondi, di cui Düsseldorf, è disponibile nel sito dell’Università di Lipsia: http://www.uni-leipzig.de/~jurarom/ manuscr/VaticanCatalogue/indexvatican.html. Precedentemente il testo era nel sito dell’Università di Aberdeen, dal quale fu cancellato nel 2009. 40 V. FORCELLA, Catalogo dei manoscritti riguardanti la storia di Roma che si conservano nella Biblioteca Vaticana, I-IV, Roma 1879-1885 (Catalogo dei manoscritti riguardanti la storia di Roma che si conservano nelle biblioteche romane pubbliche e private, 1-4) [con descrizioni di manoscritti dei fondi: Cappon.; Ott. lat.; Pal. lat.; Reg. lat.; Vat. lat.]. 41 Hebrew Manuscripts in the Vatican Library. Catalogue, Compiled by the Staff of the Institute of Microfilmed Hebrew Manuscripts, Jewish National and University Library, Jerusalem, ed. by B. RICHLER, Palaeographical and Codicological Descriptions: M. BEIT-ARIÉ in collaboration with N. PASTERNAK, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 438) [con descrizioni di manoscritti dei fondi: Barb. or.; Borg. ebr.; Chig.; Neofiti; Ott. lat.; Ross.; Urb. ebr.; Vat. ebr.; Vat. pers.]. 42 Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, Catalogue établi par É. PELLEGRIN et J. FOHLEN, C. JEUDY, Y.-F. RIOU avec la collaboration d’A. MARUCCHI, I: Fonds Archivio San Pietro à Ottoboni, Paris 1975 (Documents, études et répertoires publiés par l’Institut de Recherche et d’Histoire des Textes, 21) [con descrizioni di manoscritti dei fondi: Arch. Cap. S. Pietro. ; Barb. lat.; Bonc.; Borg. lat.; Borgh.; Cappon.; Chig.; Ferr.; Ott.

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sono invece prossimi i primi volumi sul fondo Rossiano43. La Vaticana gode del privilegio di una centralità storica che la pone naturalmente alla confluenza di interessi e forze molteplici. Non capita, per esempio, a tutte le biblioteche di trovare due loro manoscritti, l’Arch. Cap. S. Pietro A.29 e il Chig. E.VIII.245, oggetto di una descrizione interna di oltre quattrocento pagine, come è accaduto nel volume di Manlio Bellomo sulle «quaestiones in iure civili disputatae» edito nel 2008 dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo44. La recente esperienza per una Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, in cui si è cercato — vera fatica di Sisifo — di raccogliere un’esemplificazione dei frutti di queste catalogazioni «esterne», ci ha insegnato quanto esse siano numerose, vaste, imprevedibili e spesso eccellenti. Questo, beninteso, non assolve la Vaticana dal compito istituzionale di catalogazioni proprie, con mezzi e criteri diversi di descrizione, a seconda delle differenti situazioni dei fondi; ma lat.]; (...), II/1: Fonds Patetta et Fonds de la Reine, par É. PELLEGRIN, Paris 1978 (Documents [...]) [con descrizioni di manoscritti dei fondi: Patetta; Reg. lat.]; (...), Catalogue établi par É. PELLEGRIN et J. FOHLEN, C. JEUDY, Y.-F. RIOU avec la collaboration d’A. MARUCCHI et de P. SCARCIA PIACENTINI, II/2: Fonds Palatin, Rossi, Ste-Marie Majeure et Urbinate, par J. FOHLEN, C. JEUDY, Y.-F. RIOU, Paris 1982 (Documents [...]) [con descrizioni di manoscritti dei fondi: Pal. lat.; Ross.; S. Maria Magg.; Urb. lat.]; (...), Catalogue établi par É. PELLEGRIN et F. DOLBEAU, J. FOHLEN et J.-Y. TILLIETTE avec la collaboration d’A. MARUCCHI et de P. SCARCIA PIACENTINI, III/1: Fonds Vatican latin, 224-2900, Paris 1991 (Documents [...]) [per il fondo Vat. lat.]; (...), Catalogue établi par É. PELLEGRIN (†), III/2: Fonds Vatican latin, 2901-14740, Éd. par A.-V. GILLES-RAYNAL, F. DOLBEAU, J. FOHLEN, Y.-F. RIOU et J.-Y. TILLIETTE, avec la collaboration de M. BUONOCORE, P. SCARCIA PIACENTINI et P.-J. RIAMOND, Cité du Vatican – Paris 2010 (Documents [...]) [per il fondo Vat. lat.]. 43 Ma fra le catalogazioni «esterne» va ricordata almeno quella dei manoscritti Palatini latini, promossa e curata dalla Universitätsbibliothek di Heidelberg: Die historischen und philosophischen Handschriften der Codices Palatini Latini in der Vatikanischen Bibliothek (Cod. Pal. Lat. 921-1078), beschrieben von D. WALZ, hrsg. von V. PROBST und K. ZIMMERMANN, Wiesbaden 1999 (Kataloge der Universitätsbibliothek Heidelberg, 3) [descrizione dei Pal. lat. 921-1078]; Die medizinischen Handschriften der Codices Palatini Latini in der Vatikanischen Bibliothek, beschrieben von L. SCHUBA, Wiesbaden 1981 (Kataloge der Universitätsbibliothek Heidelberg, 1) [descrizione dei Pal. lat. 1079-1339 [alle pp. 481-503 sono presenti descrizioni di manoscritti con testi di medicina al di fuori di tale sezione del fondo: Pal. lat. 1817-1818, 1822, 1876, 1890-1897]; Die Quadriviums-Handschriften der Codices Palatini Latini in der Vatikanischen Bibliothek, beschrieben von L. SCHUBA, Wiesbaden 1992 (Kataloge der Universitätsbibliothek Heidelberg, 2) [descrizione dei Pal. lat. 1340-1458]; Die humanistischen Triviumsund Reformationshandschriften der Codices Palatini latini in der Vatikanischen Bibliothek (Cod. Pal. lat. 1461-1914), beschrieben von W. METZGER, mit Beiträgen von V. PROBST, Wiesbaden 2002 (Kataloge der Universitätsbibliothek Heidelberg, 4) [descrizione dei Pal. lat. 1461-1914]. 44 M. BELLOMO, Quaestiones in iure civili disputatae. Didattica e prassi colta nel sistema del diritto comune fra Duecento e Trecento. Contributi codicologici di L. MARTINOLI, in Appendice, Roma 2008 (Fonti per la storia dell’Italia medievale. Antiquitates, 31), pp. 1-211 (Arch. Cap. S. Pietro A.29), 213-425 (Chig. E.VIII.245); ma cfr. anche L. MARTINOLI, Per una descrizione codicologica del manoscritto vaticano, Chig. E.VIII.245, ibid., pp. 763-771.

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sarebbe stolto se essa non incoraggiasse, favorisse, moltiplicasse tutte le iniziative serie e qualificate in questa direzione, che possono collaborare in maniera vistosa a colmare il gap di conoscenze sui fondi manoscritti vaticani, soprattutto per i fondi e le sezioni di fondi ancora privi, parzialmente o completamente, di catalogazioni a stampa. Non si può comunque ridurre l’attività del Dipartimento alle pur fondamentali e primarie iniziative catalografiche. In questi anni il Dipartimento è stato e continua a essere l’operoso cantiere in cui hanno preso forma imprese come le bibliografie dei fondi manoscritti45, l’edizione degli inventari quattro- e cinquecenteschi46, la ricostruzione delle biblioteche di Eugenio IV e Niccolò V47, la ricordata Guida ai fondi, i volumi della Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana48, l’inventario dei palinsesti49, i com45 Sono stati sinora pubblicati sette volumi. Quattro riguardano la bibliografia corrente per tutti i fondi manoscritti e sono fondati su riviste ed estratti: per gli anni 1968-1980 (I-II, a cura di M. BUONOCORE; 1986; Studi e testi, 318-319), per gli anni 1981-1985 (a cura di M. CERESA; 1991; Studi e testi, 342), per gli anni 1986-1990 (a cura di M. CERESA; 1998; Studi e testi, 379), per gli anni 1991-2000 (a cura di M. CERESA; 2005; Studi e testi, 426). Un volume è dedicato solo ai manoscritti greci, con indicazioni a partire dall’Ottocento sulla base di monografie, riviste e opere collettive (a cura di P. CANART e V. PERI; 1970; Studi e testi, 261). Due volumi, per tutti i fondi manoscritti a esclusione di quelli greci, riguardano la bibliografia dalla metà del XIX secolo al 1967 (a cura di M. BUONOCORE; 1994; Studi e testi, 361; a cura di V. DI CERBO, M. DI PAOLA, C. FRANCESCHI e M. BUONOCORE; 2011; Studi e testi, 464). I volumi a stampa si ricollegano alla prassi (già segnalata nel 1923, nel Regolamento della Biblioteca Apostolica Vaticana cit., p. 24) di «scrittori» e bibliotecari vaticani di raccogliere indicazioni bibliografiche relative ai manoscritti vaticani su schede mobili, manoscritte o dattiloscritte. Le indicazioni bibliografiche vengono ora inserite nel catalogo elettronico dei manoscritti (cfr. supra). 46 Librorum Graecorum Bibliothecae Vaticanae Index a Nicolao De Maioranis compositus et Fausto Saboeo collatus anno 1533, curantibus M. R. DILTS – M. L. SOSOWER – A. MANFREDI, Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 384; Studi e documenti sulla formazione della Biblioteca Apostolica Vaticana, 3[bis]); Index seu inventarium Bibliothecae Vaticanae divi Leonis pontificis optimi: anno 1518 c., Series Graeca, curantibus M. L. SOSOWER – D. F. JACKSON – A. MANFREDI, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 427; Studi e documenti sulla formazione della Biblioteca Apostolica Vaticana, 5); Librorum Latinorum Bibliothecae Vaticanae Index a Nicolao de Maioranis compositus et Fausto Saboeo collatus anno MDXXXIII, curantibus A. DI SANTE – A. MANFREDI, Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 457; Studi e documenti sulla formazione della Biblioteca Apostolica Vaticana, 7). 47 A. MANFREDI, I codici latini di Niccolò V. Edizione degli inventari e identificazione dei manoscritti, Città del Vaticano 1994 (Studi e testi, 359; Studi e documenti sulla formazione della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1); J. FOHLEN, La bibliothèque du pape Eugène IV (14311447). Contribution à l’histoire du fonds Vatican latin, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 452; Studi e documenti sulla formazione della Biblioteca Apostolica Vaticana, 6). 48 Di cui è sinora uscito il primo volume: Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, I: Le origini della Biblioteca Vaticana fra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), a cura di A. MANFREDI, Città del Vaticano 2010. 49 Cfr. per ora S. J. VOICU, Note sui palinsesti conservati nella Biblioteca Apostolica

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mentari dei facsimili di manoscritti come la Bibbia urbinate50, il Menologio di Basilio II51 e la Bibbia di Belbello, le iniziative connesse alle figure (e al mondo che intorno a loro gravitava) di Gaetano Marini52 e Giovanni Mercati53. Gli studiosi Una delle particolari, ineguagliabili ricchezze della Vaticana è dunque — lo abbiamo appena visto — lo straordinario concorso di studiosi di tutto il mondo, attirati dalle ricchezze dei suoi fondi manoscritti. Tale concorso, come abbiamo accennato, ha delle felici e feconde conseguenze per la catalogazione tematica dei nostri fondi. Per offrire alcune cifre sull’afflusso degli studiosi, fra il 2002 e il 2007 si passa dal massimo delle 9.966 presenze di studiosi in Sala Manoscritti (con 16.910 richieste di consultazioni di manoscritti) dell’anno 2002-2003 al minimo delle 8.302 presenze (con 12.919 richieste) dell’anno 2004-2005; i dati dell’anno 20062007, con 12.222 presenze e 22.400 richieste, sono evidentemente stati alterati dall’imminente chiusura triennale della Biblioteca, che ha attirato fra l’aprile e il luglio 2007 un numero eccezionalmente elevato di studiosi. La tendenza sembra comunque alla flessione. Ancora per indicare alcuni dati comparativi, nel 1964-1965 le presenze erano 9.792 (con 14.818 richieste), nel 1974-1975 9.023 (con 13.569 richieste), nel 1984-1985 10.365 (con 16.800 richieste) e nel 1994-1995 15.188 (con 19.100 richieste)54. Il Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XVI, Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 458), pp. 445-454. 50 La Bibbia di Federico da Montefeltro (Urb. lat. 1-2), I/[2]: Commentario al codice, a cura di A. M. PIAZZONI; II/[2]: Commentario al codice, a cura di A. M. PIAZZONI, Modena 2004-2005 (Codices e Vaticanis selecti [...], 85). 51 El «Menologio de Basilio II», Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 1613. Libro de estudios con ocasión de la edición facsímil, dirigido por F. D’AIUTO, edición española a cargo de I. PÉREZ MARTÍN, Città del Vaticano – Atenas – Madrid 2008 (Colección Scriptorium, 18). 52 Ricollegandosi alle Lettere inedite di Gaetano Marini, pubblicate da Enrico Carusi fra il 1916 e il 1940 (Studi e testi, 29, 82-83), è in preparazione per il secondo centenario della morte del Marini, nel 2015, una raccolta di studi, destinata alla collana «Studi e testi» e curata da Marco Buonocore. 53 Una serie di recenti articoli intorno alla figura di Giovanni Mercati è segnalata in Carteggi del card. Giovanni Mercati, I: 1889-1936, introduzione, inventario e indici a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 2003 (Cataloghi sommari e inventari dei fondi manoscritti, 7), p. xxv nt. 80. 54 Per le presenze degli studiosi e per le richieste dei manoscritti si rinvia infra alla Tabella 1: Tessere d’ingresso, presenze di studiosi in Sala Manoscritti e manoscritti consultati (19492007).

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lamentato declino dell’istruzione universitaria, il regresso delle discipline umanistiche e in esse di quelle ad alta specializzazione — filologica, linguistica, paleografica — quali sono quelle che richiedono la consultazione dei manoscritti potrebbero forse essere individuati tra i fattori di questa tendenza55. Cosa offrire a questi studiosi, che in numero crescente consultano manoscritti «moderni», cioè dal Cinquecento in poi, i più fragili? E che quando si occupano di manoscritti più antichi sembrano attirati più da interessi storico-artistici o codicologici che propriamente testuali? Originali o digitalizzazioni? A differenza di altre biblioteche, la Vaticana tende tradizionalmente a offrire gli originali, se i motivi conservativi (soprattutto per i manoscritti «moderni» e in particolare per il problema degli inchiostri ferro-gallici che corrodono il supporto cartaceo) lo permettono. Il progressivo aumento del patrimonio digitale ci permetterà in futuro di ricorrere sempre di più a queste risorse che in alcuni casi sono più che sufficienti, per esempio per chi deve leggere un manoscritto seicentesco di Avvisi o corrispondenza diplomatica fra i Barberiniani latini; ma non intendiamo mutare drasticamente l’indirizzo tradizionale che anche recentemente ha colpito un osservatore esterno per la «relativa mancanza di protezione» di tesori inestimabili, espressione di una liberalità collegata al fondamentale ottimismo umanistico (e cristiano) nei confronti della natura umana56. In realtà siamo fermamente convinti che il contatto con l’originale possa in molti casi riservare sorprese che nessuna riproduzione potrà assicurare. Si deve caso mai essere severi e selettivi nelle ammissioni, non creare difficoltà ad autentici e qualificati studiosi. Un uso dunque responsabile e consapevole degli originali, quando veramente necessario: ecco la direzione nella quale vorremmo muoverci nei prossimi anni. Uso dell’originale o ricorso al digitale, permesso di consultazione o esclusione da essa? Si tratta di dilemmi che ogni giorno dolorosamente si pongono, quando si deve amministrare una massa imponente di manoscritti nelle situazioni conservative più varie e ci si sente stretti, quasi serrati fra le diverse esigenze delle necessità inderogabili della conservazione e le ragioni plausibili e forti della fruizione e dello studio. In assenza (e in 55 A questa tendenza, di lungo periodo, si deve sicuramente aggiungere la motivazione, strettamente interna, di una maggiore selettività nelle ammissioni degli studiosi in Biblioteca, diminuita nel corso degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso; e, last but not least, il progressivo aumento (peraltro ancora molto limitato nell’ambito dei manoscritti) delle risorse elettroniche consultabili al di fuori della Biblioteca. A «una più accorta politica nelle ammissioni» fa riferimento la relazione ne L’attività della Santa Sede nel 2005 (...), Città del Vaticano 2006, p. 1204. 56 A. MONDA, Nella biblioteca di Dio [con intervista a Daniel Mendelsohn], in La repubblica, 5 gennaio 2011, pp. 40-41; di Mendelsohn cfr. anche il più ampio articolo God’s Librarians, in The New Yorker, January 3, 2011, pp. 24-30.

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attesa) di una revisione conservativa generale che ci offra di ogni manoscritto un aggiornato e puntuale resoconto dello stato materiale, da diversi anni e sino alla chiusura del 2007 il Dipartimento si è regolato in questo modo. Il lunedì mattina si esaminavano, insieme al capo restauratore, tutti i codici intercettati durante le consultazioni della settimana precedente come «problematici» da un punto di vista conservativo. Alcuni venivano considerati «consultabili con cautela», altri «non consultabili»; nei codici venivano inseriti cartoncini che avvertivano i custodi del loro status e contemporaneamente le segnature andavano a comporre elenchi «ragionati» dai quali si è attinto per restauri interni ed esterni57. Per i manoscritti dichiarati «non consultabili» si avviavano immediatamente i passi necessari per mettere a disposizione degli studiosi microfilm o digitalizzazioni da microfilm (se presenti nel nostro archivio fotografico). Il sistema, a nostro avviso, ha funzionato. Dall’ottobre 2003 a oggi (ma la pratica, sospesa durante la chiusura triennale, è stata ripresa solo nelle scorse settimane) sono stati dichiarati «non consultabili» (soprattutto codici con fenomeni di perforazione del supporto cartaceo da parte di inchiostri ferro-gallici) e quindi inseriti nella corrispondente lista 413 manoscritti; in quella dei «consultabili con cautela» (per lo più manoscritti con problemi «strutturali», di indebolimento della cucitura dei fascicoli, distacco di fogli, separazione della legatura dal corpo del manoscritto e così via) 360 manoscritti. Partendo dai due elenchi, nel tempo, sono stati estratti e restaurati rispettivamente 55 «non consultabili» e 175 «consultabili con cautela». Se i numeri dei due elenchi non presentano grandi divari (ma i «non consultabili» sono più numerosi di oltre cinquanta unità), va notata la comprensibile, sensibile differenza nel numero dei restaurati; fatto peraltro prevedibile esigendo i «non consultabili» procedure di restauro più complesse e 57 La pratica di segnalare esternamente i manoscritti con seri problemi conservativi non è di certo recente in Vaticana. Già Achille Ratti, durante la sua prefettura (1914-1919), aveva esaminato tutti i manoscritti e contrassegnato quelli che andavano restaurati e che non era quindi prudente dare in consultazione (soprattutto manoscritti italiani sei- e settecenteschi, con fenomeni di perforazione del supporto cartaceo da parte degli inchiostri ferro-gallici), cfr. E. TISSERANT, Pius XI as Librarian, in The Library Quarterly 9 (1939), pp. 389-403: 395 [rist. in Recueil Cardinal Eugène Tisserant. «Ab Oriente et Occidente», II, publié par S. POP, avec la collaboration de G. LEVI DELLA VIDA, G. GARITTE et Mgr O. BÂRLEA, Louvain 1955 (Travaux publiés par le Centre international de dialectologie générale près l’Université Catholique de Louvain, 2), pp. 609-619: 613]. Forse proprio a questa pratica vanno in qualche modo ricondotte le etichette con l’indicazione dattiloscritta «Da restaurare» ancora presenti sul dorso di molti manoscritti vaticani (cfr., per esempio: Borg. ar. 112, Borg. sir. 54, Borg. sir. 55, Borg. sir. 135, Borg. sir. 165); di esse si fa menzione nel Regolamento del 1923, cfr. Regolamento della Biblioteca Apostolica Vaticana cit., pp. 44-45. La più recente, semplice novità è nella compilazione di elenchi ragionati, a disposizione del Laboratorio di restauro, per la programmazione degli interventi.

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impegnative. In realtà siamo ben consapevoli che i problemi conservativi dei nostri fondi manoscritti vanno ben al di là dei piccoli numeri indicati; ma in attesa di una revisione generale conservativa, di cui parleremo, tale sistema nella sua modesta e disarmante semplicità ci è parso l’unico per evitare di chiudere gli occhi — fra i contrastanti sentimenti della frustrazione, dello scoraggiamento o dell’indifferenza — su quanto quotidianamente osserviamo, spesso con trepidazione e tormento, a proposito dei nostri manoscritti. La constatazione del problema non è fine a se stessa ma diviene così il potenziale inizio di un processo virtuoso. 3. La Sezione Archivi La Sezione fu costituita di fatto verso la fine degli anni Settanta del XX secolo, con il trasferimento nell’attuale sede (in fondo al quarto piano del Deposito degli stampati, ove prima era il Gabinetto numismatico) dell’Archivio Barberini e di altri fondi archivistici sino ad allora conservati negli armadi del Salone Sistino e delle gallerie attigue58. Le modalità di questo trasferimento (e forse anche di quelli precedenti dalle sedi di provenienza in Vaticano) hanno creato non pochi problemi perché hanno spesso scompaginato serie archivistiche omogenee, ora non sempre di facile ricostituzione. Proprio i lavori per la Guida ai fondi sono stati l’occasione per l’individuazione, all’interno dell’Archivio Barberini, di spezzoni di archivi familiari di altra provenienza, come l’Archivio Colonna e l’Archivio Costaguti, pervenuti, spesso per via matrimoniale, nel grande archivio della famiglia gentilizia romana e in esso inseriti, in un complesso gioco di scatole cinesi59. Il fatto mostra quanto si possa e si debba progredire nell’ordinamento, 58 Il trasferimento dei fondi archivistici dagli armadi del Salone Sistino e dalle gallerie circostanti nell’attuale sede, in spazi liberati dal trasferimento del Gabinetto Numismatico, ebbe inizio nel 1978, cfr. L’attività della Santa Sede nel 1978 (...), s.l. [1979], p. 773 («È iniziato il trasferimento degli Archivi Barberini, Chigi e di San Pietro nei nuovi magazzini»). Ma come segno di un’accresciuta sensibilità ai fondi archivistici fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta del secolo scorso vanno almeno ricordati due fatti: nel 1969 «per il maggior controllo del patrimonio archivistico si è provveduto con l’assunzione di uno specialista in archivistica» [L’attività della Santa Sede nel 1969 cit., p. 933], cioè Luigi Fiorani (1938-2009); nel novembre 1977, nel nuovo Statuto della Biblioteca Vaticana approvato da Paolo VI, veniva precisato che la prima sezione della Biblioteca era costituita da manoscritti e documenti d’archivio (cfr. tit. IV, art. I, § 28; ma cfr. anche Regolamento, art. II, § 13), mentre nel Regolamento del 1923 si faceva riferimento sempre e solo a «codici» (e quando si fa cenno a «documenti» si tratta di quelli dell’Archivio Vaticano, cfr. Regolamento della Biblioteca Apostolica Vaticana cit., pp. 48, 50). Dati e riflessioni sulla Sezione Archivi in M. BUONOCORE, La Sezione Archivi, in Conoscere la Biblioteca Vaticana cit., pp. 47-51. 59 Lo scorporo e la costituzione in fondi autonomi di nuclei archivistici pervenuti insieme all’Archivio Barberini erano già incominciati negli anni Settanta del secolo scorso con i docu-

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nell’inventariazione e quindi nella conoscenza dei fondi della Sezione Archivi, dalla vita peraltro ancora giovane e conseguentemente sinora meno studiata e curata della Sezione Manoscritti. Anche per quanto riguarda l’accessione dei fondi che la compongono la Sezione Archivi ha una storia relativamente recente, solo poco più che secolare. Nel 1902 pervenne l’Archivio Barberini, seguito nel 1913 dall’Archivio Barberini Colonna di Sciarra e trent’anni dopo, nel 1944, dall’Archivio Chigi60. Nel primo ventennio del secolo scorso si collocano le accessioni degli archivi di capitoli e di chiese romane (S. Maria in Cosmedin, primi anni del secolo XX; S. Maria in Via Lata, 1904; S. Angelo in Pescheria, fra il 1909 e il 1919; S. Anastasia, fra il 1910 e il 1920; Pantheon, prima del luglio 1911)61. A questi due fondamentali nuclei costitutivi (archivi di famiglie nobili romane; archivi di capitoli e chiese romane) si sono più recentemente aggiunti alcuni piccoli nuclei documentari, anche personali, depositati o donati nella seconda metà del secolo XX (Archivio del Circolo di S. Pietro; Archivi della F.U.C.I.; Archivio Martire), mentre strade diverse hanno seguito la sezione archivistica dell’Archivio del Capitolo di S. Pietro (depositato nel 1940 e fonte di alimentazione anche di altri due fondi omonimi, nella sezione Manoscritti e nel Dipartimento Stampati) e i documenti del fondo Notai d’Orange (pervenuti a più riprese, sempre nella prima metà del secolo XX, dall’Archivio Vaticano ove erano giunti dagli archivi papali di Avignone). La storia ancora recente delle accessioni e della Sezione spiega la situazione dell’ordinamento e della catalogazione dei fondi62. Il più grande, l’Archivio Barberini, è ordinato e consultabile in cinque serie (Indici, Abbadie I, Computisteria, Giustificazioni, Pergamene) che rappresentano meno di un terzo dell’intero Archivio; i rimanenti due terzi sono costituiti da un’imponente raccolta di volumi, registri, filze e buste, in corso di sistemazione in altre sei serie (Indice V, Abbadie II, Carteggi, Giustificazioni II, Computisteria II, Sacre Congregazioni). Il gap catalografico, già sottolineato per la Sezione Manoscritti, diviene nella Sezione Archivi più menti della Computisteria Ottoboni ed erano successivamente proseguiti con l’Archivio Salviati e con l’Archivio del monastero della SS. Incarnazione del Verbo Divino. 60 Sempre nel 1944, fra il 2 e l’11 marzo, pervenne l’Archivio della Curia di Frascati, insieme alla Biblioteca del Seminario di Frascati, ora raccolta nel fondo York del Dipartimento Stampati. 61 Più recente è invece l’accessione dell’Archivio del Capitolo di S. Maria Regina Coeli. 62 Significativo di questa presenza per certi versi inavvertita dei fondi archivistici è il quasi totale silenzio a proposito di essi in J. BIGNAMI ODIER, Guide au département des manuscrits de la Bibliothèque du Vatican, in Mélanges d’archéologie et d’histoire [de l’]École française de Rome 51 (1934), pp. 205-239 (solo un cenno alla sezione archivistica della biblioteca Barberini a p. 224). Nel 1934 erano già in Biblioteca non solo l’Archivio Barberini ma quasi tutti gli archivi delle chiese romane prima ricordati.

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grave e problematico, perché ad esso, per lo stato della documentazione, non si può ovviare ricorrendo alla catalogazione di studiosi esterni che abbiamo visto invece essere una potenziale e straordinaria risorsa della Sezione Manoscritti. Qui infatti l’ordinamento e la sistemazione (che comunque comportano una previa, per quanto sommaria, inventariazione) sono preventive rispetto a qualsiasi possibile consultazione esterna. In misura forse maggiore della Sezione Manoscritti, problematica appare anche la situazione conservativa per la massiccia presenza di fenomeni di corrosione dei supporti cartacei da parte di inchiostri ferro-gallici: casi che, come si può immaginare, sono frequenti in archivi, come quelli Barberini e Chigi, con ricchissima documentazione sei- e settecentesca. 4. La Sezione Indirizzi ai Pontefici Accanto alle due sorelle maggiori, la sezione è naturalmente penalizzata dalle troppe e mai sufficienti attenzioni necessarie alle altre, finendo per fare la figura della cenerentola63. Eppure, per quanto poco conosciuta, essa raccoglie documenti storici di notevole interesse. La raccolta nasce, come è noto, nella seconda metà dell’Ottocento nel clima di corale e solidale appoggio del mondo cattolico al Papa prima minacciato come sovrano di uno Stato territoriale, poi prigioniero in una minuscola porzione della città di Roma invasa dalle truppe italiane. Diocesi, chiese, associazioni, gruppi di fedeli manifestano così la loro devozione e il loro attaccamento al Papa, con attestazioni e raccolte di firme spesso accompagnate da manufatti — legature, pagine miniate e altro — di elevato valore formale. L’invio di questi indirizzi ai pontefici prosegue per tutto il XX secolo, pur nel mutare delle circostanze storiche; nel tempo cambiano i mezzi di espressione, recentemente più semplici e modesti, si moltiplicano le fotografie e i doni di oggetti, ma non cambia lo spirito. È evidente l’interesse di una simile raccolta64, che dagli ultimi anni del pontificato di Pio IX arriva a Giovanni Paolo II, per la storia della devozione al Papa ma anche quale collettore, fra centro e periferia, di testimonianze di innumerevoli situa63 Dati e riflessioni sulla Sezione Indirizzi ai Pontefici in P. VIAN, La Sezione Indirizzi ai Pontefici, in Conoscere la Biblioteca Vaticana cit., p. 45. 64 Dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso, dopo molte peregrinazioni in varie sedi, gli Indirizzi ai Pontefici sono collocati in locali, contigui a quelli del Gabinetto Numismatico e soprastanti la Galleria Lapidaria, precedentemente occupati dalla Guardia Nobile Pontificia (soppressa da Paolo VI, con gli altri corpi militari pontifici, il 14 settembre 1970); per i nuovi spazi cfr. L’attività della Santa Sede nel 1974 (...), Tipografia Poliglotta Vaticana s.d., pp. 741-742, 744; L’attività della Santa Sede nel 1975 (...),Tipografia Poliglotta Vaticana s.d., pp. 765, 768; L’attività della Santa Sede nel 1976 (...), s.l. [1977], pp. 681, 683-684; L’attività della Santa Sede nel 1977 (...), s.l. [1978], p. 740.

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zioni locali. Eppure, al di là del volume di Bruno Horaist, del 1995, sostanzialmente limitato alle diocesi francesi e al pontificato di papa Mastai65, mancano le ricerche e pour cause: lo stato degli inventari è assolutamente povero e lacunoso e in questa direzione è necessario muoversi con energia e decisione, perché anche qui, come si è visto a proposito della Sezione Archivi, non si può fare appello all’opera di studiosi esterni se prima non si compie un ordinamento generale del fondo e una almeno sommaria inventariazione. 5. Problemi e prospettive Il 24 marzo 2010, in uno dei primi giorni di primavera, il prefetto della Vaticana, mons. Cesare Pasini, ha annunciato sulle colonne de L’osservatore romano un progetto di digitalizzazione generale dei manoscritti della Vaticana66, impresa per la quale si stanno cercando e creando le condizioni di realizzazione, mentre nei mesi scorsi è terminato un «test bed», per mettere alla prova macchine, procedure, organizzazione, e si procede ora con un lavoro di digitalizzazione molto limitato. Un progetto del genere, nella sua complessa vastità, mi sembra abbia un possibile parallelo solo in quello realizzato nel corso degli anni Cinquanta del secolo scorso, nel clima della guerra fredda e della paura atomica, di microfilmatura dei fondi manoscritti della Vaticana, destinata a creare una sorta di «duplicato» fotografico della Biblioteca Vaticana negli Stati Uniti, nell’Università Saint Louis, nel Missouri67. Cambiano naturalmente le tecnologie, rimane 65

B. HORAIST, La dévotion au pape et les catholiques français sous le pontificat de Pie IX (1846-1878) d’après les archives de la Bibliothèque Apostolique Vaticane, Rome 1995 (Collection de l’École française de Rome, 212); dello stesso Horaist è la voce, Adresses au pape, in Dictionnaire historique de la papauté, sous la direction de Ph. LEVILLAIN, Paris 1994, pp. 49-50. I non numerosi contributi su documenti del fondo (a parte alcune schede in cataloghi di mostre) riguardano il pontificato di Pio IX: D. BALBONI, Inventario degli «Indirizzi Pio IX» nella Biblioteca Vaticana, in Archivum historiae pontificiae 17 (1979), pp. 425-432, con indicazioni sulle serie XI-XIV non inventariate da Lorenzo Ilarione Randi (1818-1887) nel catalogo manoscritto conservato presso la sezione; F. TAMBURINI, Il fondo «Indirizzi di Pio IX» della Biblioteca Vaticana e alcuni documenti della intransigenza cattolica, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, I, Città del Vaticano 1987 (Studi e testi, 329), pp. 197-227: 197-202, con notizie sul fondo e indicazioni sulle serie XI-XIV. 66 C. PASINI, Manoscritti digitali, in L’osservatore romano, 24 marzo 2010, p. 1. 67 Per la storia dell’iniziativa ed elenchi dei manoscritti microfilmati: A Checklist of the Vatican Manuscript Codices Available for Consultation at the Knights of Columbus Vatican Film Library, in Manuscripta 1 (1957), pp. 27-44, 104-116, 159-174; 2 (1958), pp. 41-49, 84-99, 167181; 3 (1959), pp. 38-46, 89-99. Aggiornamenti sono segnalati in Ch. J. ERMATINGER, Projects and Acquisitions in the Vatican Film Library, in Manuscripta 12 (1968), pp. 170-178; Check List of Vatican Library Manuscript Codices on Microfilm in the Knights of Columbus Vatican Film Library: Parts I-IV, in Manuscripta 29 (1985), pp. 91-117, 166-191; 30 (1986), pp. 41-70, 120-

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immutato il desiderio di creare una rappresentazione generale dei manoscritti vaticani che li preservi almeno in parte da troppo reiterate e logoranti consultazioni e soprattutto dall’invasività distruttiva delle ripetute riproduzioni fotografiche. Se concludo queste brevi note con il grandioso progetto di digitalizzazione è perché credo che esso possa essere una straordinaria opportunità in termini di conoscenza e di conservazione. In termini di conoscenza perché l’esame diretto di tutti i manoscritti vaticani può essere occasione per una catalogazione anche sommaria della loro totalità, anche solo recuperando i dati fondamentali delle inventariazioni e catalogazioni disponibili; in termini di conservazione perché alla riproduzione si può accompagnare una scheda essenziale sullo stato dei manoscritti che ci offra alla fine uno sguardo generale sullo stato conservativo dei nostri fondi, permettendoci di pianificare gli interventi necessari. La digitalizzazione dei manoscritti trascende quindi l’aspetto tecnico del progetto e può rivelarsi un’occasione da non perdere per aiutarci a fronteggiare le due grandi emergenze, catalografica e conservativa, relative ai nostri fondi manoscritti. Ma accanto a queste prospettive, che per la loro complessità non sono né di facile né di rapida realizzazione, credo che il Dipartimento debba nei prossimi anni prefiggersi alcuni obiettivi particolari, prosaicamente concreti. Per la Sezione Manoscritti è prioritario ordinare e inventariare la parte ancora non disponibile del vasto lascito di Federico Patetta (in Biblioteca Vaticana dal 1946), nella quale spicca la collezione di autografi68, e studiare, sistemare, ordinare e inventariare gli ingenti materiali dei Depositi A-E. Per la Sezione Archivi, è importante pervenire presto a un ordinamento complessivo e definitivo dei fondi, 137; e soprattutto in: Guide to Microfilms of Vatican Library Manuscript Codices Available for Study in the Vatican Film Library (June 1993), compiled under the direction of Ch. J. ERMATINGER by B. J. CHANNELL, L. J. DALY and Th. G. TOLLES, Saint Louis, Missouri 1993. Cfr. anche: A. C. BOLINO, Bibliographical Note: The Vatican Film Library at Saint Louis University, in The Business History Review 31 (1957), pp. 425-436; Ch. J. ERMATINGER, Catalogues in the Knights of Columbus Vatican Film at Saint Louis University, in Manuscripta 1 (1957), pp. 5-21, 89-101; E. C. KROHN, Music in the Vatican Film Library at Saint Louis University, in Music Library Association. Notes, 2nd Ser., 14 (1957), nr. 3, pp. 317-324; L. J. DALY – E. R. VOLLMAR, The Knights of Columbus Vatican Microfilm Library at Saint Louis University, in The Library Quarterly 27 (1958), pp. 165-171; H. LA PLANTE, The Vatican Film Library: a Bibliography, in The Catholic Library World (December 1961), pp. 215-217, 240-243. 68 Una rassegna completa del fondo per i documenti di interesse umanistico (sulla base di un indice provvisorio non in consultazione) in P. O. KRISTELLER, Iter Italicum. Accedunt alia itinera. A Finding List of Uncatalogued or incompletely Catalogued Humanistic Manuscripts of the Renaissance in Italian and Other Libraries, VI: (Italy III and alia itinera IV). Supplement to Italy (G-V). Supplement to Vatican and Austria to Spain, London – Leiden – New York – København – Köln 1992, pp. 406-408; ma gli Autografi Patetta conservano una ricca documentazione anche per altri ambiti; attualmente sono ordinati, inventariati e quindi consultabili gli autografi sino a Dallari.

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preliminare alla loro inventariazione e messa a disposizione degli studiosi. Per la Sezione Indirizzi ai Pontefici, infine, è doveroso procedere a un’inventariazione generale del fondo nelle sue articolazioni, anche in questo caso per renderlo fruibile alle ricerche. Forse una goccia nel mare delle cose da fare e degli impegni da assolvere. Ma solo coniugando particolare e universale, progetti specifici e concreti, anche limitati e circoscritti, alle idee grandi cui si è accennato in principio il Dipartimento Manoscritti della Biblioteca Vaticana, all’inizio del terzo millennio, potrà essere fedele alla sua vocazione originaria. Con consapevolezza, con un acuto senso di responsabilità, senza trionfalismi; il grande scarto, forse incolmabile, fra le forze disponibili e le molteplici esigenze che si pongono non deve divenire un alibi per non fare, ma uno stimolo costante a moltiplicare le forze e l’impegno; solo così saremo degni di «stare a Roma», «pro communi virorum doctorum commodo» e «ad decorem militantis Ecclesiae».

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APPENDICE Tabella 1 TESSERE D’INGRESSO, PRESENZE DI STUDIOSI IN SALA MANOSCRITTI E MANOSCRITTI CONSULTATI

(1949-2007) I dati sono ricavati dalle relazioni annuali de L’attività della Santa Sede. Per un confronto con l’afflusso degli studiosi negli anni 1878-1903 e negli anni 1918-1925, cfr. rispettivamente i dati pubblicati in R. FARINA, «Splendore veritatis gaudet Ecclesia». Leone XIII e la Biblioteca Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XI, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 423), pp. 285-370: 351-367, e in MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library and the Carnegie Endowment for International Peace cit., pp. 68-69 (sulla base di una tabella probabilmente compilata da Eugène Tisserant).69707172 anno

tessere d’ingresso

1949-1950

1.245

1950-1951 1951-1952 1952-1953 1953-1954 1954-1955 1955-1956 1956-1957 1957-1958 1958-1959 1959-1960 1960-1961 1961-1962

1.475 1.362 1.406 1.425 1.400 1.514 1.874 1.499 1.477 1.548 1.496 1.671

presenze in Sala richieste di presenze in Sala Manoscritti69 manoscritti Stampati70 [dato non indicato] [dato non indicato] [dato non indicato] 8.000 [dato non indicato] 9.819 [dato non indicato] 9.168 [dato non indicato] 9.811 [dato non indicato] 12.15671 7.996 12.023 8.580 11.567 8.003 12.437 8.587 12.456 9.307 15.236 8.507 13.563 8.597 12.267

[dato non indicato] [dato non indicato] [dato non indicato] [dato non indicato] [dato non indicato] [dato non indicato] 12.634 13.052 13.326 12.688 14.287 13.473 13.062

richieste di stampati [dato non indicato] 11.500 8.720 9.329 7.678 10.000 ca.72 10.480 12.326 13.085 13.595 16.181 14.708 15.863

69 Nelle relazioni de L’attività della Santa Sede, il dato incomincia a essere registrato solo a partire dal 1956. 70 Nelle relazioni de L’attività della Santa Sede, il dato incomincia a essere registrato solo a partire dal 1956. 71 Lo scarto fra i dati degli anni 1953-1954 e 1954-1955 induce a credere che a partire da questi ultimi si indichino, nelle relazioni de L’attività della Santa Sede, le richieste, mentre precedentemente si indicavano i manoscritti consultati. 72 Lo scarto fra i dati degli anni 1953-1954 e 1954-1955 induce a credere che a partire da questi ultimi si indichino, nelle relazioni de L’attività della Santa Sede, le richieste, mentre precedentemente si indicavano gli stampati consultati (sempre escludendo gli stampati di Sala, per i quali non era e non è necessario compilare una scheda di richiesta).

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IL DIPARTIMENTO DEI MANOSCRITTI

1962-1963 1963-1964 1964-1965 1965-1966 1966-1967 1967-1968 1968-1969 1969-1970 1970-1971 1971-1972 1972-1973 1973-1974 1974-1975 1975-1976 1976-1977 1977-1978 1978-1979 1979-1980 1980-1981 1981-1982 1982-1983 1983-1984 1984-1985 1985-1986

1.562 1.494 1.698 1.698 1.841 1.926 1.922 1.921 2.153 2.184 3.942 4.417 3.829 3.707 4.011 4.111 4.003 3.766 3.735 4.443 3.712 3.615 3.608 3.714 [di cui 2.048 tessere annuali e 1.666 temporanee] 1986-1987 3.683 [di cui 2.030 tessere annuali e 1.653 temporanee] 1987-1988 3.760 [di cui 1.999 tessere annuali e 1.761 temporanee] 1988-1989 4.405 [di cui 2.160 tessere annuali e 2.245 temporanee]

9.886 9.257 9.792 9.865 12.094 11.448 11.153 10.661 11.375 10.258 10.130 10.221 9.023 8.822 8.778 9.267 9.463 9.060 9.449 10.286 9.463 9.842 10.365 10.907

15.318 15.357 14.818 11.098 18.327 19.102 18.727 18.191 19.084 15.592 16.271 15.481 13.569 14.017 16.461 16.500 15.730 15.650 17.596 16.400 17.100 18.325 16.800 23.500

14.159 12.608 12.835 14.350 15.861 16.457 16.457 16.348 17.830 18.225 18.996 19.819 18.543 16.976 16.869 17.263 18.080 18.860 18.256 18.785 17.999 18.587 18.680 19.389

16.592 15.469 17.975 19.370 20.021 21.814 18.276 19.520 20.378 20.659 27.761 32.224 30.440 29.331 28.766 27.981 20.672 23.192 21.773 21.965 21.48[0]73 22.006 22.415 24.100

10.815

20.750

19.719

23.920

10.335

18.400

20.612

23.506

11.055

20.360

20.915

24.602

73

73 Il dato offerto da L’attività della Santa Sede nel 1983 cit., p. 1328, è alterato da un refuso, per caduta dell’ultima cifra, qui congetturalmente ripristinata con uno 0.

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PAOLO VIAN

1989-1990

1990-1991

1991-1992

1992-1993

1993-1994

1994-1995

1995-1996

1996-1997

1997-1998

4.430 [di cui 2.151 tessere annuali e 2.279 temporanee] 5.053 [di cui 2.850 tessere annuali e 2.203 temporanee] 4.789 [di cui 2.088 tessere annuali e 2.701 temporanee] 4.486 [di cui 2.078 tessere annuali e 2.408 temporanee] 4.712 [di cui 2.136 tessere annuali e 2.576 temporanee] 4.576 [di cui 2.188 tessere annuali e 2.388 temporanee] 4.986 [di cui 2.180 tessere annuali e 2.806 temporanee; con «oltre 23.100 presenze»] 4.986 [di cui 2.180 tessere annuali e 2.806 temporanee74; con «circa 22.300» presenze] 4.842 [di cui 2.003 tessere annuali e 2.839 temporanee]

12.746

17.673

23.960

26.450

14.577

18.880

22.718

26.380

16.418

20.800

23.183

25.832

16.618

22.054

23.369

25.438

15.713

19.140

25.754

24.789

15.188

19.100

24.075

25.118

[dato non indicato]

[dato non indicato]

[dato non indicato]

[dato non indicato]

13.449

16.914

24.530

27.193

11.627

18.114

22.743

27.586

74

74

I dati sono curiosamente identici a quelli dell’anno precedente.

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IL DIPARTIMENTO DEI MANOSCRITTI

1998-1999

ca. 5.000 16.838 [di cui «circa 2.000» tessere annuali e «circa 3.000» temporanee] 1999-2000 4.035 «circa 12.000» [di cui 2.991 tessere annuali e temporanee e 1.044 permessi giornalieri] 2000-2001 4.337 15.00076 [di cui 3.170 tessere annuali e temporanee e 1.167 permessi giornalieri] 2001-2002 4.204 [dato non indi[di cui 1.676 cato] tessere annuali, 1.505 temporanee e 1.023 permessi giornalieri; con un numero complessivo di 25.549 presenze di studiosi in 195 giorni di apertura] 2002-2003 3.946 9.966 [di cui 1.751 tessere annuali, 1.321 temporanee e 874 permessi giornalieri; con un numero complessivo di 24.724 presenze di studiosi in 184 giorni di apertura]

381

20.501

22.040

27.382

16.00075

[dato non indicato]

[dato non indicato]

21.00077

19.052

26.460

[dato non indicato]

19.722

27.26578

16.910

19.802 [di cui 4.659 nella Sala Periodici]

23.753

75767778

75

Il dato offerto è probabilmente approssimativo. Il dato offerto è probabilmente approssimativo. 77 Il dato offerto è probabilmente approssimativo. 78 L’attività della Santa Sede nel 2002 (...), Città del Vaticano 2003, p. 1150, indica per il periodo 2001-2002 «27.256» volumi richiesti nelle sale degli stampati; ma deve sicuramente trattarsi di un refuso per 27.265 perché si soggiunge che i volumi erano «805 in più rispetto al precedente periodo». 76

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2003-2004

4.028 [di cui 1.687 tessere annuali, 1.357 temporanee e 974 permessi giornalieri; con un numero complessivo di 23.580 presenze di studiosi in 195 giorni di apertura] 2004-2005 3.027 [di cui 1.455 tessere annuali e 1.572 fra temporanee e permessi giornalieri; con un numero complessivo di 18.145 presenze di studiosi in 171 giorni di apertura] 2005-2006 3.049 [di cui 1.375 tessere annuali e 1.440 fra temporanee e permessi giornalieri; con un numero complessivo di 20.103 presenze di studiosi in 193 giorni di apertura] 2006-2007 3.016 [di cui 1.426 tessere annuali e 1.590 fra temporanee e permessi giornalieri; con un numero complessivo di 23.396 presenze di studiosi in 189 giorni di apertura]

PAOLO VIAN

9.947

17.427

18.526 [di cui 4.331 nella Sala Periodici]

23.647 [con 2.952 richieste di periodici conservati nei depositi]

8.302

12.919

14.056 [di cui 2.876 nella Sala Periodici]

17.910 [con 1.265 richieste di periodici conservati nei depositi]

9.329

14.612

14.606 [di cui 2.718 nella Sala Periodici]

14.105 [con 1.242 richieste di periodici conservati nei depositi]

12.222

22.400

16.176 [di cui 3.063 nella Sala Periodici]

17.156 [con 1.973 richieste di periodici conservati nei depositi]

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IL DIPARTIMENTO DEI MANOSCRITTI

383

Tabella 2 ACCESSIONI DI MANOSCRITTI (1950-2010) I dati sono ricavati dai registri di accessione del Dipartimento Manoscritti disponibili per il periodo in questione. Oltre a quello corrente, inaugurato nel marzo 2003, essi sono otto; se ne offre di seguito una breve descrizione: Arch. Bibl. 117: registro inaugurato il 24 gennaio 1951 da Nello Vian, segretario della Biblioteca Vaticana; proseguito dal 1° dicembre 1953 da Luigi Michelini Tocci, assistente, e poi da altri (fra questi, Dante Balboni, assistente, e Romeo De Maio, assistente); chiuso il 7 giugno 1963. Il registro riguarda non solo l’accessione di manoscritti ma anche di oggetti (medaglie, monete, quadri, bassorilievi e così via) e, in misura minore, di stampati. Le registrazioni recano, oltre alla firma dell’estensore, anche quella di un altro impiegato della Biblioteca. Arch. Bibl. 118: registro inaugurato da Marie-Hyacinthe Laurent, «scriptor» latino, il 15 giugno 1963 e da lui proseguito sino al 15 giugno 1967; con alcune Avvertenze per la consultazione delle pagine che precedono, a firma di Rino Avesani, «scriptor» latino, s.d. (ff. 13r-14r) e una nota autografa di Alfons Raes, prefetto della Biblioteca Vaticana (1962-1971), redatta nel 1971 a proposito dei Vaticani slavi e inserita da José Ruysschaert «ne pereat» il 30 novembre 1983 (ff. 14ar-16ar). Secondo una nota iniziale di Laurent, dal 25 gennaio 1965 il registro comprese le accessioni di tutti i manoscritti della Vaticana, tranne quelli collocati «in deposito», ai quali fu dedicato un registro apposito (cfr. infra, Arch. Bibl. 121). Arch. Bibl. 118A: registro inaugurato da Ruysschaert il 14 aprile 1969 e da lui proseguito sino al 5 luglio 1971; relativo a tutti i manoscritti (sia quelli assegnati ai diversi fondi, sia quelli inseriti nei Depositi, cfr. infra, Arch. Bibl. 121). Arch. Bibl. 118B: registro inaugurato da Ruysschaert il 5 luglio 1971 e da lui proseguito sino al 26 luglio 1982; ai ff. 6r, 17r, 27r, 36v, 43r, 55r, 61r, 73r, 80r, 101r, statistiche ed elenchi di manoscritti che hanno ricevuto segnature definitive e di fondi e inventari messi a disposizione del pubblico. Arch. Bibl. 118C: registro inaugurato da Ruysschaert il 31 luglio 1982 e da lui proseguito sino al 10 agosto 1984; ai ff. 13r e 70v, statistiche ed elenchi di manoscritti che hanno ricevuto segnature definitive e di fondi e inventari messi a disposizione del pubblico. Arch. Bibl. 118D: registro inaugurato da Paul Canart, «scriptor» greco e capo della Sezione Manoscritti, il 1° ottobre 1984 e da lui proseguito sino al 18 gennaio 1999. Arch. Bibl. 118E: registro inaugurato da Louis Duval-Arnould, «scriptor» latino e direttore del Dipartimento Manoscritti, il 23 giugno 1999 e da lui proseguito sino al 6 novembre 2001. Arch. Bibl. 121: registro inaugurato da Laurent il 2 dicembre 1964 e da lui proseguito sino al 21 gennaio 1967; le ultime tre registrazioni, dal 4 aprile 1968 al 1° dicembre 1968 (ff. 4r-5r), sono di mano di Avesani; il registro riguarda solo i manoscritti in alfabeto latino inizialmente collocati in coda al fondo Vaticano latino, in attesa di ricevere l’assegnazione della segnatura, poi collocati nel Deposito B.

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PAOLO VIAN

Si tenga conto che nei conteggi il periodo dell’anno considerato va in linea di massima da ottobre a settembre; sono compresi tutti i fondi di pertinenza del Dipartimento Manoscritti; ma le indicazioni numeriche risentono naturalmente di qualche approssimazione. A integrazione dei dati dei registri di accessione si segnala infine anche il cenno che alle accessioni dell’anno viene riservato nelle relazioni de L’attività della Santa Sede (= ASS), spesso con indicazioni sul contenuto di alcuni manoscritti; ma si avverte che i dati non sempre coincidono numericamente con quelli dei registri delle accessioni.

anno

numero dei manoscritti

1950-1951

1

1951-1952

[cfr. ASS 1951, pp. 375-376] 7 [cfr. ASS 1952, p. 257]

1952-1953

23 [cfr. ASS 1953, p. 330]

1953-1954

5 [cfr. ASS 1954, p. 306]

1954-1955

13 [cfr. ASS 1955, p. 265]

1955-1956

9 [cfr. ASS 1956, p. 284]

1956-1957

3 [cfr. ASS 1957, p. 282]

1957-1958

1 [cfr. ASS 1958, p. 229]

1958-1959

— [cfr. ASS 1959, p. 284]

1959-1960

— [cfr. ASS 1960, p. 326]

1960-1961

3 [cfr. ASS 1961, p. 382]

1961-1962

4 [cfr. ASS 1962, p. 436]

1962-1963

3 [cfr. ASS 1963, p. 535]

1963-1964

31 [cfr. ASS 1964, p. 685]

1964-1965

71 [cfr. ASS 1965, p. 828]

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IL DIPARTIMENTO DEI MANOSCRITTI

1965-1966

34 [cfr. ASS 1966, pp. 1092-1093]

1966-1967

10 [cfr. ASS 1967, p. 1500]

1967-1968

2 [cfr. ASS 1968, pp. 1432-1433]

1968-1969

20 [cfr. ASS 1969, p. 934]

1969-1970

399 [cfr. ASS 1970, pp. 966, 967]

1970-1971

310 [cfr. ASS 1971, pp. 831-832]

1971-1972

108 [cfr. ASS 1972, pp. 796, 797]

1972-1973

312 [cfr. ASS 1973, p. 807]

1973-1974

108 [cfr. ASS 1974, p. 742]

1974-1975

262 [cfr. ASS 1975, p. 767]

1975-1976

177 [cfr. ASS 1976, p. 682]

1976-1977

149 [cfr. ASS 1977, p. 738]

1977-1978

91 [cfr. ASS 1978, p. 774]

1978-1979

55 [cfr. ASS 1979, p. 1276]

1979-1980

84 [cfr. ASS 1980, p. 1179]

1980-1981

74 [cfr. ASS 1981, p. 1113]

1981-1982

181 [cfr. ASS 1982, p. 1343]

1982-1983

243 [cfr. ASS 1983, p. 1328]

1983-1984 1984-1985

355 19 [cfr. ASS 1985, pp. 1468, 1469]

1985-1986

18 [cfr. ASS 1986, pp. 1448, 1449]

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PAOLO VIAN

1986-1987

7 [cfr. ASS 1987, p. 1519]

1987-1988

9 [cfr. ASS 1988, p. 1660]

1988-1989

24 [cfr. ASS 1989, pp. 1401-1402]

1989-1990

3 [cfr. ASS 1990, p. 1366]

1990-1991

34 [cfr. ASS 1991, p. 1509]

1991-1992

— [cfr. ASS 1992, p. 1357]

1992-1993

37 [cfr. ASS 1993, p. 1493]

1993-1994 1994-1995 1995-1996

62 17 67

1996-1997

[cfr. ASS 1996, p. 1056] — [cfr. ASS 1997, p. 1172]

1997-1998 1998-1999 1999-2000 2000-2001 2001-2002 2002-2003

19 5 5 3 [—]79

2980 [cfr. ASS 2003, p. 1128]

2003-2004

48 [cfr. ASS 2004, p. 1120]

2004-2005

58 [cfr. ASS 2005, p. 1203]

2005-2006 798081

4181 [cfr. ASS 2006, p. 1121]

79

Per il periodo mancano i dati. I dati sono relativi solo al periodo da marzo a luglio 2003. 81 Il 13 ottobre 2005 sono pervenuti i manoscritti del fondo Pontificio Istituto Orientale (37 elementi), depositato presso la Vaticana; il 19 settembre 2006 sono pervenuti i manoscritti del fondo Pagès (102 elementi), depositato presso la Vaticana. 80

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IL DIPARTIMENTO DEI MANOSCRITTI

2006-2007

17982 [cfr. ASS 2007, p. 1120]

2007-2008

3383 [cfr. ASS 2008, p. 992]

2008-2009

28 [cfr. ASS 2009, p. 986]

82 83

2009-2010

42

I dati raccolti permettono alcune riflessioni. Per quanto i registri di accessioni di Laurent coprano solo il periodo 1963-1968, sin dagli inizi degli anni Cinquanta fu lui a occuparsi delle accessioni dei manoscritti, controfirmando già in Arch. Bibl. 117 le registrazioni relative ai manoscritti (durante le prefetture di Franz Ehrle, 1895-1914, Achille Ratti, 1914-1919, Giovanni Mercati, 1919-1936, e per qualche anno successivo, i registri delle accessioni erano stati invece tenuti direttamente dal prefetto della Vaticana, secondo il tenore del tit. III, art. II, § 7 del Regolamento del 1923, cfr. Regolamento della Biblioteca Apostolica Vaticana cit., p. 15). Anche in presenza di nuovi viceprefetti succeduti a Robert Devreesse (che resse l’incarico fra il 1946 e il 1950), Arnold van Lantschoot (dal 1° febbraio 1951) e José Ruysschaert (dal 1° giugno 1965), fu Laurent che continuò a occuparsi delle accessioni dei manoscritti, sostanzialmente sino alla sua morte (28 settembre 1968). Nel 1965 Laurent decise di inserire i manoscritti provvisoriamente collocati in coda ai Vaticani latini, in attesa di ricevere l’assegnazione di una segnatura definitiva, in un fondo apposito, denominato «Deposito»; al Deposito A furono assegnati i documenti pervenuti sino al 2 dicembre 1964, al Deposito B i documenti pervenuti posteriormente a questa data. Nel gennaio 1967 il Deposito B era pervenuto a contare 57 elementi (non vi sono dati per il Deposito A). Dopo la scomparsa di Laurent, a partire dal 1969 la registrazione delle accessioni dei manoscritti divenne competenza del viceprefetto Ruysschaert che nell’ultimo quindicennio della sua viceprefettura mise in atto un impegnativo sforzo di riordinamento dei fondi manoscritti, proseguendo il cammino intrapreso da Laurent con la creazione dei Depositi A e B (in seguito affiancati dai Depositi C-D e, recentemente, dal Deposito E), ma anche creando nuovi fondi, inserendo numerosi manoscritti in fondi già costituiti, mettendo a disposizione del pubblico inventari di fondi che venivano così aperti alla consultazione. Fu uno sforzo per certi versi senza precedenti (almeno prossimi) e fu sostanzialmente in quel quindicennio (1969-1984) che i fondi manoscritti e i loro strumenti descrittivi assunsero l’aspetto complessivo che hanno conservato sino ad oggi: è in quel periodo che le accessioni dei manoscritti raggiungono cifre elevate, che si discostano notevolmente dal ritmo normale degli anni precedenti e 82 Il 17 novembre 2006 sono pervenuti i manoscritti del fondo Pontificio Istituto Biblico (45 elementi), depositato presso la Vaticana; il 1° febbraio 2007 sono pervenuti i manoscritti (soprattutto rotoli) etiopici del fondo Angelini (675 elementi), donato alla Vaticana. 83 Il 5 febbraio 2008 sono pervenuti i primi cinque manoscritti del fondo Pontificio Collegio Etiopico (complessivamente 26 elementi), depositato presso la Vaticana.

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che vanno soprattutto ricondotte all’attribuzione di segnature e alla collocazione nei fondi di elementi già presenti in Biblioteca. Per esemplificazione, si segnalano di seguito alcuni interventi particolarmente cospicui e significativi. Nell’anno 1969-1970 furono creati tre fondi provvisori (Borgiani indiani provvisori, Vaticani estremo-orientali provvisori, Vaticani indiani provvisori), il primo e il terzo dei quali furono poi soppressi nell’agosto 1973, con la collaborazione di George Moraes, con l’inserimento degli elementi rispettivamente nei Borgiani indiani e nei Vaticani indiani (il fondo dei Vaticani estremo-orientali provvisori è stato soppresso solo più recentemente, il 30 novembre 2004, col versamento dei manoscritti nel fondo dei Vaticani estremo-orientali e nel neo-costituito fondo dei Vaticani indocinesi); furono costituti nuovi fondi: le Carte Stefani (10 febbraio 1969) e il Lascito Pastor (19 giugno 1970), quest’ultimo col trasferimento nel Deposito dei manoscritti e delle carte autografe sino ad allora conservate nell’«Erinnerungsschranck» conservato nelle gallerie, nelle vicinanze del Salone Sistino; furono create nuove sezioni all’interno dei fondi Archivio del Capitolo di S. Pietro (con la creazione della sezione J) e Cappella Giulia (anche con manoscritti di Giuseppe Ottavio Pitoni). Furono compiuti cospicui inserimenti nei fondi, come nei Vaticani latini (25 manoscritti provenienti dall’impiegato della Dataria Apostolica Alessandri, acquistati da Franz Ehrle durante la sua prefettura [1895-1914]; 21 registri della Corte temporale di Avignone acquistati da Laurent e poi da lui ceduti alla Vaticana) e nei Vaticani musicali (manoscritti di Lorenzo Perosi); vennero ordinati e sistemati fondi pergamenacei (come le Pergamene di Veroli) o sezioni pergamenacee all’interno di fondi già costituiti (come per la sezione Pergamene nell’Archivio Barberini); e si incominciò a inserire manoscritti nel fondo Patetta, operazione proseguita negli anni successivi. Nell’anno 1970-1971 fu costituito (6 luglio 1971) il fondo Carte d’Abbadie; vennero inseriti nel fondo Ferrajoli 54 manoscritti provenienti da Michelangelo Lanci e nel fondo Vaticano latino manoscritti di Giovanni Della Casa provenienti dall’archivio Ricci Paracciani e manoscritti della Guardia Nobile recentemente soppressa (1970); incominciarono cospicui inserimenti fra i Microfilm di manoscritti e nel Deposito B, proseguiti negli anni successivi. Nell’anno 1972-1973 furono costituiti i fondi Carte Wilmart e De Marinis (13 novembre 1972) e incominciò l’inserimento fra i Vaticani arabi e i Vaticani turchi di numerosi manoscritti ordinati e inventariati da Yuüannâ Malak (Malâk, 1916-1985). Nell’anno 1974-1975 si incominciò a costituire il fondo Carteggi Villari, incrementato e completato negli anni successivi. Nell’anno 1975-1976 fu costituito (30 marzo 1976) il fondo Computisteria Ottoboni. Nell’anno 1976-1977 si incominciò ad alimentare il fondo Autografi Patetta. Nell’anno 1977-1978 vennero inseriti fra i Vaticani latini i 25 manoscritti frutto dei lavori della Commissione per la riforma del Breviario durante il pontificato di Pio X. Nell’anno 1981-1982 venne costituito il fondo Carte Lasinio e furono inseriti in fondi diversi 23 manoscritti provenienti dall’eredità di Paolo VI. Nell’anno 19821983 vennero inseriti nei fondi 55 manoscritti di provenienza gesuitica recati in Biblioteca dall’archivista della Compagnia di Gesù Edmond Lamalle (1900-1989) e fu costituito il fondo Archivi della F.U.C.I., con documenti pervenuti nel 1983. Nel 1983-1984 fu costituito (25 novembre 1983) il fondo Carte Filippi.

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IL DIPARTIMENTO DEI MANOSCRITTI

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Con la fine della viceprefettura Ruysschaert il ritmo delle accessioni torna alla misura normale. Ma si segnalano alcuni eventi particolari (altri sono già stati ricordati supra). L’8 gennaio 1989 furono depositati 245 manoscritti etiopici appartenuti alla Congregazione dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, raccolti nel fondo Comboniani; il 25 luglio 1989 vennero accessionati 84 volumi di riproduzioni fotografiche di manoscritti giuridici medievali appartenuti a Guiscardo Moschetti (1906-1984), donati nel 1986 dal figlio Cesare M. Moschetti e raccolti nel fondo Moschetti. Il 22 gennaio 1991 vennero ritirate alcune pergamene di provenienza Aldobrandini, sino a quel momento depositate presso la Biblioteca Vaticana; il 16 marzo 1991 vennero accessionati i ventidue fascicoli della copia fotostatica dell’archivio di Edoardo (1875-1928) e Guglielmo Gatti (1905-1981), depositato presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, e costituiti nel fondo Archivio Gatti. Il 4 giugno 1996 vennero consegnati alla Vaticana i manoscritti musicali di Pietro Ravalli (1804-1851), raccolti nel fondo Ravalli.

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Tabella 3 NUMERO DEGLI «SCRIPTORES» (1950-2010) I dati sono ricavati dall’Annuario pontificio. Si avverte che nei conteggi non vengono considerati gli «scrittori» onorari, sopranumerari o emeriti, ma solo quelli effettivi; viene invece compreso il viceprefetto, scelto dal collegio degli «scrittori» (Statuto 1995, art. 25; Statuto 2004, art. 25). Ma si noterà che mentre lo Statuto del 1995 prevedeva che «per il carattere fondamentale del Dipartimento dei manoscritti, Egli [scil.: il viceprefetto] ne è il Direttore con tutte le incombenze che ciò comporta», lo Statuto del 2004 ha separato i due incarichi. I dati biografici relativi agli «scriptores» che compaiono nelle note sono soprattutto tratti da J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), passim, e dai documenti dell’Archivio della Biblioteca, per la consultazione dei quali ringrazio Christine M. Grafinger. ANNO

NUMERO COMPLESSIVO DEGLI

1950 1951 1952 1953 1954 1955 1956 1957 1958 1959

8485 86878889

«SCRIPTORES» 984 8 9 9 9 8 7 7 8 8

«SCRIPTORES» LATINI

«SCRIPTORES» GRECI

«SCRIPTORES» ORIENTALI

5 5 5 5 5 5 5 5 5 5

3 285 386 3 3 287 188 1 289 2

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1

84 Nell’Annuario pontificio 1950 compaiono, con la qualifica di «scrittori», i seguenti nominativi: Robert Devreesse, viceprefetto; Giovanni Battista Borino, Valentino Capocci, Ciro Giannelli, Francesco Luigi Berra, Arnold van Lantschoot, Augusto Campana, Marie-Hyacinthe Laurent, José Ruysschaert. 85 Nell’Annuario pontificio 1951 scompare il nome di Robert Devreesse (dimissioni: 1° settembre 1950; † 16 agosto 1978). 86 Nell’Annuario pontificio 1952 si aggiunge il nome di Paul Künzle (nato nel 1906; nomina: 1° febbraio 1951). 87 Nell’Annuario pontificio 1955 scompare il nome di Valentino Capocci (nato nel 1901; nomina: 1° gennaio 1931; termine del servizio: 1° gennaio 1954; † 21 novembre 1969). 88 Nell’Annuario pontificio 1956 scompare il nome di Ciro Giannelli (nato nel 1905; nomina: 1° gennaio 1931; termine del servizio: 21 aprile 1955; † 3 dicembre 1959). 89 Nell’Annuario pontificio 1958 si aggiunge il nome di Paul Canart (nato nel 1927; nomina: 3 luglio 1957).

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IL DIPARTIMENTO DEI MANOSCRITTI

1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975

7 8 9 9 9 9 8 9 10 8 9 9 8 8 8 8

90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100

390 492 4 4 4 4 4 595 5 497 599 5 100 4 4 4 4

2 2 393 3 3 3 3 3 496 398 3 3 3 3 3 3

291 2 2 2 2 2 194 1 1 1 1 1 1 1 1 1

90

Nell’Annuario pontificio 1960 scompaiono i nomi di Giovanni Battista Borino (nato nel 1881; nomina: 29 ottobre 1919; termine del servizio: 20 giugno 1961; † 3 aprile 1966) e Augusto Campana (nato nel 1906; nomina: 1° settembre 1938; termine del servizio: 31 dicembre 1959; † 7 aprile 1995). 91 Nell’Annuario pontificio 1960 si aggiunge il nome di Joseph-Marie Sauget (nato nel 1926; nomina: 1° dicembre 1958). 92 Nell’Annuario pontificio 1961 scompare il nome di Francesco Luigi Berra (nato nel 1888; nomina: 1° luglio 1931; termine del servizio: 31 dicembre 1960; † 3 maggio 1982) e compaiono quelli di Rino Avesani (nato nel 1931; nomina: 1° aprile 1960) e Claudio Leonardi (nato nel 1926; nomina: 1° aprile 1960). 93 Nell’Annuario pontificio 1962 si aggiunge il nome di Vittorio Peri (nato nel 1932; nomina: 1° marzo 1961). 94 Nell’Annuario pontificio 1966 scompare il nome di Arnold van Lantschoot (nato nel 1889; nomina: 23 aprile 1936; viceprefetto dal 1° febbraio 1951; termine del servizio: 1° luglio 1965; † 23 febbraio 1969). 95 Nell’Annuario pontificio 1967 si aggiunge il nome di Romeo De Maio (nato nel 1928; nomina: 1° marzo 1966). 96 Nell’Annuario pontificio 1968 si aggiunge il nome di Salvatore Lilla (nato nel 1936; nomina: 1° aprile 1966). 97 Nell’Annuario pontificio 1969 scompare il nome di Marie-Hyacinthe Laurent (nato nel 1906; nomina: 1° luglio 1949; † 28 settembre 1968). 98 Nell’Annuario pontificio 1969 scompare il nome di Paul Künzle († 20 giugno 1968). 99 Nell’Annuario pontificio 1970 scompare il nome di Claudio Leonardi (termine del servizio: 31 maggio 1969; † 21 maggio 2010) e si aggiungono quelli di Louis Duval-Arnould (nato nel 1933; nomina: 22 agosto 1969) e Agostino Paravicini Bagliani (nato nel 1943; nomina: 1° settembre 1969). 100 Nell’Annuario pontificio 1972 scompare il nome di Rino Avesani (termine del servizio: 28 febbraio 1971).

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1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

PAOLO VIAN

7 7 7 7 7 7 6 6 6 5 5 5 5 4 5 5 5 5 5 5 5 5 5 4 5 5

3101 3 3 3 3 3 2102 2 2 1103 1 1 1 1 2105 2 2 2 2 2 2 2 2 2 4107 4

3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 2106 1108 1

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 —104 — — — — — — — — — — — —

101 102 103 104 105 106 107 108

101 Nell’Annuario pontificio 1976 scompare il nome di Romeo De Maio (termine del servizio: 16 luglio 1977). 102 Nell’Annuario pontificio 1982 scompare il nome di Agostino Paravicini Bagliani (termine del servizio: 19 giugno 1981). 103 Nell’Annuario pontificio 1985 scompare il nome di José Ruysschaert (nato nel 1914; nomina: 1949; termine del servizio: [giugno] 1984; † 9 gennaio 1993). 104 Nell’Annuario pontificio 1989 scompare il nome di Joseph-Marie Sauget († 7 aprile 1988). 105 Nell’Annuario pontificio 1990 si aggiunge il nome di Marco Buonocore (nato nel 1954; nomina: 13 settembre 1989). 106 Nell’Annuario pontificio 1999 scompare il nome di Paul Canart (termine del servizio: 25 ottobre 1998). 107 Nell’Annuario pontificio 2000 si aggiungono i nomi di Ambrogio M. Piazzoni (nato nel 1951; nomina: 3 febbraio 1999) e Paolo Vian (nato nel 1957; nomina: 3 febbraio 1999). 108 Nell’Annuario pontificio 2000 scompare il nome di Vittorio Peri (termine del servizio: 31 gennaio 1999; † 1° gennaio 2006).

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IL DIPARTIMENTO DEI MANOSCRITTI

2002 2003110 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

4 4 3 3 5 5 5 5 5

4 4 3111 3 112 4 4 4 4 4

—109 — — — 1113 1 1 1 1

— — — — — — — —

109 110 111 112 113

109 Nell’Annuario pontificio 2002 scompare il nome di Salvatore Lilla (termine del servizio: 30 novembre 2001). 110 Dall’ottobre 2003 l’Archivista capo, direttore della Sezione Archivi del Dipartimento Manoscritti, è uno «scriptor Latinus» (cfr. supra nt. 28). 111 Nell’Annuario pontificio 2004 scompare il nome di Louis Duval-Arnould (termine del servizio: 28 febbraio 2003). 112 Nell’Annuario pontificio 2006 si aggiunge il nome di Adalbert Roth (nato nel 1953; nomina: 1° gennaio 2006). 113 Nell’Annuario pontificio 2006 si aggiunge il nome di Sever J. Voicu (nato nel 1945; nomina: 1° gennaio 2006).

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PAOLO VIAN

Tabella 4 NOMINE DI «SCRIPTORES» PER PREFETTURE (1950-2010) PREFETTURA

NUMERO DI NOMINE

ANNI DELLE NOMINE

Anselm M. Albareda (1936-1962)

6 [dal 1950]114

Alfons Raes (1962-1971) Alfons Stickler (1971-1984) Leonard E. Boyle (1984-1997) Raffaele Farina (1997-2007) Cesare Pasini (2007- )

4 — 1 4 —

1951, 1957, 1958, 1960 (2), 1961 1966 (2), 1969 (2) — 1989 1999 (2), 2006 (2)

114

Addendum Il 24 giugno 2011 sono stati nominati quattro nuovi «scriptores» (per l’ambito latino Antonio Manfredi e Claudia Montuschi, per l’ambito greco Timothy Janz, per l’ambito orientale Delio V. Proverbio), riportando così il collegio quasi allo storico plenum di dieci elementi, previsto anche dalla tabella organica del febbraio 2005 ma non più raggiunto dal 1968.

114

Nel periodo anteriore della prefettura Albareda (1936-1949) si ebbero altre cinque nomine di «scriptores»: quelle di Igino Giordani (1936), Arnold van Lantschoot (1936), Augusto Campana (1938), Marie-Hyacinthe Laurent (1949) e José Ruysschaert (1949). Si può concludere che durante i ventisei anni della prefettura più lunga del XX secolo — ma anche una delle più lunghe dell’intera storia della Vaticana — si ebbero più nomine di «scrittori» (11) di quante ve ne siano state nei quarantacinque anni delle quattro prefetture immediatamente successive (9).

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IL DIPARTIMENTO DEGLI STAMPATI1 Il Dipartimento degli Stampati della Biblioteca Apostolica Vaticana è stato creato solo di recente, nell’ambito di un lento processo di modernizzazione della Biblioteca che ebbe inizio verso la metà degli anni ottanta del secolo scorso, tuttora in evoluzione. Tale processo di modernizzazione si è attuato mediante una serie di cambiamenti e innovazioni, ancora in atto, miranti ad una ridefinizione e ad un ampliamento dei compiti della Biblioteca, secondo una progressiva riorganizzazione dell’Istituto sia per quanto riguarda la sua struttura interna (e in particolare il Dipartimento degli Stampati), sia per quanto riguarda, di conseguenza, il suo organico, nell’intento di adeguare la Biblioteca alle aspettative del mondo accademico moderno, non tralasciando le istanze poste dall’evoluzione delle nuove tecnologie. La partizione della Biblioteca in grandi sezioni appare per la prima volta nello Statuto e Regolamento approvato da Paolo VI il 24 novembre 19772: manoscritti e documenti d’archivio, libri a stampa e stampati in generale comprese le carte geografiche e le incisioni, oggetti d’arte e serie numismatiche3. Tale documento, che doveva sostituire il Regolamento redatto sotto Pio XI nel 1923, sebbene rispecchiasse entro certi limiti delle tendenze o principi di sviluppo già in corso, forse per la malattia e la morte del Pontefice, avvenuta neanche nove mesi dopo, il 6 agosto 1978, di fatto fu recepito e, quindi, gradualmente realizzato soltanto nel corso dei decenni successivi. Dopo il 1977 appaiono per esempio nell’Annuario Pontificio nuovi componenti strutturali, in termini di uffici, sezioni o servizi, soltanto molto gradualmente e talvolta sporadicamente, indicando una situazione fluida e una struttura complessiva ancora non ben definita. La Biblioteca appare ancora divisa in una serie di sezioni non assegnate o raggruppate in Dipartimenti. Nel 1980 emergono per la prima volta una Sezione Manoscritti e una Sezione Stampati accanto4, però, ad altre sezio1 Il testo qui pubblicato è, salvo qualche correzione e alcune integrazioni, quello letto nell’ambito della conferenza arricchito delle note più essenziali. 2 L’Attività della Santa Sede nel 1978, Città del Vaticano [1979], p. 773. 3 Leggi e disposizioni usuali dello Stato della Città del Vaticano, a cura di W. SCHULZ, Roma 1982 (“Utrumque ius”. Collectio Pontificiae Universitatis Lateranensis, 8), vol. II, pp. 509-538. 4 Annuario Pontificio per l’anno 1981, Città del Vaticano 1981, p. 1117.

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 395-405.

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ni già menzionate precedentemente ed oggi in parte appartenenti al Dipartimento5. Continua a mancare il Servizio delle Accessioni menzionato per l’ultima volta nell’anno 1975. Solo tanti anni dopo, nel 1988, il quadro diventa all’improvviso più differenziato6. Il numero delle sezioni e dei servizi menzionati aumenta notevolmente, alcuni di essi compaiono ufficialmente per la prima volta o sono, addirittura, del tutto nuovi7. Riemergono dopo anni la Sezione Indirizzi ai papi e il Servizio Accessioni e appaiono per la prima volta la Sezione archivistica, che appartiene oggi al Dipartimento dei Manoscritti, un Catalogo dei Manoscritti, il Medagliere Vaticano, l’Art Index e il Reparto Automazione. Quest’ultimo rappresenta un chiaro indicatore dei profondi cambiamenti verificatisi in Biblioteca sotto la Prefettura di Leonard E. Boyle O. P. (1984-1997). All’inizio del suo mandato, nel 1984, di una struttura dipartimentale ancora non vi è traccia; così è fino allo Statuto del 1995, dove per la prima volta vengono menzionati quattro Dipartimenti con le loro sezioni: il Dipartimento dei Manoscritti, il Dipartimento degli Stampati, il Dipartimento dei Musei e Gallerie ed il Dipartimento numismatico8. Lo Statuto del 1995, che recepisce lo spirito e con ciò le novità essenziali espresse da Paolo VI nel 1977, rappresenta una svolta nella storia istituzionale recente della Biblioteca. È senz’altro uno dei grandi meriti del Prefetto Boyle di aver dato alla Biblioteca una struttura dipartimentale moderna, una tappa importante nel cammino della Biblioteca verso il futuro e segno di un riordinamento profondo. Tali cambiamenti importanti lasciano traccia nell’Annuario Pontificio per l’anno 1997, quando per la prima volta vengono nominati i quattro Dipartimenti specificati nello Statuto del 19959, mentre per il 1998 la struttura quadripartita della Biblioteca trova anche la sua espressione tipografica10. Nel 1999, infine, scompare il Dipartimento dei Musei e Gallerie, che a partire dal primo ottobre 1999 era stato affidato alla Direzione dei 5 Ibid.: Sezione delle Stampe-Incisioni, Sezione Oggetti d’Arte, Servizio del Catalogo degli Stampati e, infine, il Museo Sacro. 6 Annuario Pontificio per l’anno 1989, Città del Vaticano 1989, p. 1205. 7 Ibid.: Sezione Manoscritti, Sezione Stampati, Sezione archivistica, Indirizzi ai Papi, Catalogo Stampati, Stampe-Incisioni, Musei, Medagliere Vaticano, Art Index, Catalogo Manoscritti, Accessioni, Reparto Automazione, Museo Sacro. 8 Statuto e Regolamento della Biblioteca Apostolica Vaticana, Anno Domini MCMXCV, p. 12, «Art. 35: I Dipartimenti sono quattro: Dipartimento dei Manoscritti, Dipartimento degli Stampati, Dipartimento dei Musei e Gallerie, Dipartimento del Gabinetto Numismatico. Art. 36: Le sezioni sono nuove: … b) nel Dipartimento degli Stampati: Accessioni, Catalogo; Sale e magazzini stampati; Libri antichi; Gabinetto delle stampe; Periodici; Materiale non librario». 9 Annuario Pontificio per l’anno 1998, Città del Vaticano 1998, p. 1312. 10 Annuario Pontificio per l’anno 1999, Città del Vaticano 1999, pp. 1309-1310.

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IL DIPARTIMENTO DEGLI STAMPATI

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Musei del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e la Biblioteca appare per la prima volta con una struttura tridipartimentale11. Spetta, però, al successore di Boyle, l’attuale Bibliotecario e archivista di Santa Romana Chiesa, Sua Eminenza Reverendissima Raffaele Cardinal Farina, S.D.B., prefetto della Biblioteca dal 1997 al 2007, l’applicazione effettiva delle norme fissate nello Statuto del 1995 e con ciò la realizzazione finale della struttura dipartimentale, ora tripartita, insieme ad altre novità decisive per l’Istituto. Sebbene il Dipartimento degli Stampati prenda la sua fisionomia moderna ufficialmente con lo Statuto del 1995, esso riceve la sua struttura attuale solo nello Statuto del 2005, quando viene articolato, in sette uffici e sezioni com’è ancora oggi: Libri antichi, Gabinetto delle Stampe, Ufficio Informazioni Bibliografiche, Accessioni, Catalogo, Sale e Magazzini e Materiale non librario12. L’articolazione dipartimentale è il modello ordinario di organizzazione e gestione ormai presente in tutte le biblioteche importanti del mondo ed anche in tanti altri settori e istituzioni, sia della cultura sia dell’industria, con cui si dà attuazione al principio di partecipazione dei funzionari dirigenti al processo decisionale, secondo i rispettivi ambiti di competenza. Nella Biblioteca Apostolica Vaticana questo processo di riordinamento e di strutturazione è ancora in pieno svolgimento. La breve rassegna sulla storia di ciò che oggi rappresenta il Dipartimento degli Stampati non può essere limitata a delineare qualche aspetto istituzionale, ma deve dare anche qualche segnalazione di alcuni sviluppi o fatti incisivi che hanno determinato o marcato la storia dell’Istituto e che fanno parte ancora oggi della realtà del Dipartimento, sia come ambienti, sia come eredità biblioteconomica. Il primo avvenimento da menzionare è strettamente legato all’apertura dell’Archivio Segreto Vaticano alla libera consultazione degli studiosi avvenuta nel 1881 per iniziativa di Leone XIII (1878-1903)13. In concomitanza con questo straordinario evento l’illuminato Pontefice aprì presto la Biblioteca a un pubblico più ampio di ricercatori e non da ultimo agli storici che cominciavano ad “assalire” le vaste raccolte di documenti degli uffici della Curia conservati nell’Archivio Segreto, per permettere loro di approfondire e allargare le ricerche. Cosi, nel 1892, furono allestite le attuali 11

Annuario Pontificio per l’anno 2000, Città del Vaticano 2000, pp. 1376-1377. Annuario Pontificio per l’anno 2010, Città del Vaticano 2010, pp. 1286-1287. 13 R. FARINA, Leone XIII e la Biblioteca Apostolica Vaticana. «Splendore veritatis gaudet ecclesia», in Leone XIII e gli studi storici. Atti del convegno internazionale commemorativo. Città del Vaticano, 30-31 ottobre 2003, a cura di C. SEMERARO, Città del Vaticano 2004 (Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Atti e documenti, 21), pp. 64-108. 12

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Sale di Consultazione degli Stampati. Quella principale, la Sala Leonina, è divisa in due navate con le tavole di consultazione nella navata sinistra che si affaccia al Cortile del Belvedere e l’antico catalogo cartaceo nella navata a destra che si affaccia sull Cortile della Biblioteca. Nella Sala Leonina minore, situata dopo la Sala Leonina, si trova la porta che dava accesso alla Sala di Consultazione principale dell’Archivio Segreto Vaticano in uso fino alla fine degli anni Cinquanta allorché venne chiusa. Attraverso questa porta gli studiosi che frequentavano l’Archivio Segreto potevano arrivare direttamente in Biblioteca per consultare i numerosi volumi collocati nelle Sale Leonine. In questo periodo, profondamente plasmato dalla prefettura del gesuita Franz Ehrle (1895-1914), insigne studioso e una delle figure più importanti nella storia della Biblioteca del Novecento, che coronò la sua carriera come Cardinal Bibliotecario (1929-1934), la disposizione dei volumi di Sala fu organizzata secondo un ordine che è ancora quello attuale. Sotto Ehrle fu tra l’altro dato avvio alla schedatura dei libri stampati14. Durante il pontificato di Pio XI (1922-1939) l’intenso periodo di rinnovamento, che portò la Biblioteca Apostolica Vaticana al livello delle più moderne biblioteche del mondo, trovò il suo culmine. Il Pontefice non era soltanto reduce da un’importante carriera accademica quando si chiamava ancora Achille Ratti, ma era anche molto familiare con i problemi e le esigenze della sua Biblioteca, alla quale aveva prestato servizio come prefetto (1914-1922) succedendo direttamente a Franz Ehrle e continuandone gli sforzi di modernizzazione15. Grazie a una serie di circostanze favorevoli riuscì tra il 1925 e il 1926 ad attirare l’attenzione del Carnegie Endowment for International Peace, che con una serie di finanziamenti permise alla Biblioteca di realizzare una serie di fondamentali progetti16. L’evento più imponente fu l’allestimento di un nuovo deposito per libri stampati nel 1927-1932, nell’ambiente prima occupato delle antiche scuderie papali, divenute obsolete dopo l’introduzione dell’automobile, situato sul lato destro del Cortile del Belvedere rispetto all’attuale ingresso della Biblioteca. Il nuovo Deposito per gli Stampati, in uso ancora oggi senza che siano avvenute modifiche degne di nota, rappresentava all’epoca 14

H. BINDER, Franz Ehrle SJ : Mittelalterhistoriker, Präfekt der Biblioteca Vaticana, Kurienkardinal: 1845-1934, in Lebensbilder aus Baden-Württemberg im auftrag der Kommission für geschichtliche landeskunde in Baden-Württemberg, a cura di G. TADDEY – R. BRÜNING, vol. 22, Stuttgart 2007, pp. 281-306. 15 C. PASINI, Achille Ratti bibliotecario, in 1929-2009. Ottanta anni dello Stato della Città del Vaticano, a cura di B. JATTA, Città del Vaticano 2009 (Studi e documenti per la storia del Palazzo Apostolico Vaticano, 7), pp. 49-62. 16 N. MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library and the Carnegie Endowment for international peace: the history, impact, and influence of their collaboration (1927-1947), Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 455).

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lo state of the art, era ultramoderno. Consiste di una complessa struttura di scaffalature in acciaio fabbricata dall’allora ben nota ditta americana SNEAD. Il sistema era concepito come una struttura autoportante, perché le vecchie mura dell’ala est, che collegano l’antico Palazzo Apostolico con il Palazzo del Belvedere realizzato sotto Innocenzo VIII (1484-1492), e che furono costruite sotto Giulio II (1503-1513), come testimonia l’iscrizione monumentale, non giacevano su fondamenta solide e avevano bisogno del supporto di una struttura realizzata con massicce travi in acciaio, nella quale furono poi istallate le scaffalature, che si articolano in sei piani orizzontalmente divisi a metà dal solaio dell’ala cinquecentesca. Rappresentava allora lo state of the art, anche perché le scaffalature vennero dotate di piani traforati a forma di griglia per favorire la circolazione dell’aria. In questo dettaglio possiamo vedere anche l’espressione di una particolare sensibilità verso gli stampati, proprio come essi meritano in quanto importante parte dell’eredità dell’intera umanità. Al tempo di Pio XI il Deposito degli Stampati era da considerare senz’altro una grande conquista, ma oggi non corrisponde più alle esigenze di una adeguata conservazione di materiale librario stampato. Sempre durante il pontificato di Pio XI i generosi finanziamenti del Carnegie Endowment for International Peace e la collaborazione della Library of Congress di Washington permisero la compilazione di un nuovo schedario completo dei libri stampati. Tali finanziamenti furono ridotti nel 1936 per cessare completamente nel 1947. Durante la prefettura di Alfons Maria Stickler S.D.B. (1971-1984) fu allestito nel 1971 il Deposito per i periodici sito sul lato sinistro del Cortile del Belvedere rispetto all’attuale ingresso della Biblioteca dietro la Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica situata nell’Archivio Segreto Vaticano17. Nel 1983 furono terminati i lavori edilizi che avevano avuto inizio due anni prima nella zona del giardino esterno del cosiddetto muro di Michelangelo ubicato al di là dell’ala est menzionata sopra per creare nuovi spazi per gli uffici della Sezione del Catalogo degli Stampati, dell’Ufficio Accessioni e per alcune piccole stanze destinate agli scriptores18. La prefettura di Leonard E. Boyle O.P. (1984-1997) apriva le porte della Biblioteca alle nuove tecnologie informatiche. L’informatizzazione del Catalogo degli Stampati ha avuto inizio nel 1985 e da quel momento la catalogazione elettronica sostituì definitivamente quella tradizionale manoscritta o dattiloscritta, né vennero più prodotte schede cartacee. Negli anni 17 18

L’Attività della Santa Sede nel 1971, Città del Vaticano [1972], p. 830. L’Attività della Santa Sede nel 1984, Città del Vaticano [1985], p. 1369.

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Novanta si cominciò a riconvertire i dati presenti nelle schede cartacee nel catalogo elettronico, un’impresa che si è conclusa formalmente solo adesso, alla fine del periodo della chiusura (2007-2010), con l’inserimento delle collocazioni mancanti, soprattutto per un gran numero di libri antichi e rari. Dal 1994 l’Online Public Access Catalogue (OPAC) è consultabile dall’esterno via Internet19. Sin dall’inizio la Biblioteca si adopera nell’integrare e perfezionare l’OPAC. Anche la prefettura di Raffaele Farina S.D.B. (1997-2007) è contrassegnata da sviluppi importanti. Cominciamo con le notevoli attività edilizie che, in parte, riguardano anche gli ambienti gestiti dal Dipartimento degli Stampati. Nel settembre 2002 è stata aperta al pubblico una nuova Sala di Consultazione dei Periodici, con i periodici più consultati a disposizione negli scaffali. Nell’ambito dei lavori di consolidamento e rinnovamento eseguiti nel corso degli ultimi tre anni è stato ristrutturato anche il Deposito dei Periodici, adesso dotato di climatizzazione. Ma ci sono anche delle novità notevoli al livello dei singoli uffici e sezioni. Nel corso degli anni tra il 2004 e il 2006 è stato completamente riorganizzato l’Ufficio Accessioni, che rappresenta, con il supporto della Commissione delle Accessioni, l’organo di acquisizione più importante della Biblioteca. Attraverso esso passano tutte le pubblicazioni e altro materiale librario (e non) in arrivo, indipendentemente dalla transazione di acquisizione. Perciò furono in primis riattivati e affidati a nuove procedure gli scambi di pubblicazioni, che sono diventati ormai un importante strumento d’acquisto per incrementare le collezioni. È stata introdotta per la prima volta un’efficace politica degli acquisti, che non riguarda soltanto il materiale librario, ma anche le risorse digitali e che coinvolge non soltanto il personale scientifico dell’Istituto, ma anche tutti gli studiosi interessati attraverso il nuovo sito internet. Fu riorganizzata, infine, la gestione dei periodici nell’intenzione di offrire un servizio migliore all’utenza. La Sezione Catalogo, per la quale passa tutto il materiale acquisito dall’Ufficio Accessioni, provvede alla catalogazione secondo lo standard internazionale ISBD nel formato MARC 2120. Dal 2008 la Sezione Catalogo effettua la catalogazione dei fondi storici chiusi già esistenti in Biblioteca e ancora non trattati limitandosi a descrivere catalograficamente il materiale librario antico solo al livello di short title, e tralasciando gli incunaboli, che fanno capo direttamente alla Sezione Libri Antichi, di cui si parlerà oltre. 19

L’Attività della Santa Sede nel 1994, Città del Vaticano [1995], p. 1450-1451. MARC 21. Formato conciso per dati bibliografici. Edizione italiana, a cura di A. CONTESSI – A. GADEA RAGA, Milano 2007. 20

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Il Gabinetto delle Stampe è la raccolta grafica della Biblioteca e custodisce, oltre a varie tipologie di materiali a stampa, anche una rimarchevole quantità di disegni. Nel 2009 anche la cospicua Raccolta fotografica è stata affidata al Gabinetto, che sta attualmente provvedendo alla sua catalogazione21. Tale patrimonio necessita non solo di una conservazione particolare, ma anche delle competenze specifiche per la catalogazione, che rappresenta uno dei compiti principali della sezione. Nel Catalogo delle Stampe e dei Disegni, iniziato nel 199722 ed è consultabile via Internet dal 199823, dal 2001 ogni scheda è corredata di una riproduzione a bassa risoluzione dell’oggetto descritto24. Nell’anno 1999 vede la luce l’Ufficio Informazioni Bibliografiche che svolge le funzioni di ufficio relazioni con il pubblico25. È impegnato a rispondere ai quesiti che provengono per posta cartacea e, prevalentemente, elettronica, su ogni argomento relativo alla Biblioteca, ma svolge anche compiti di orientamento nelle ricerche bibliografiche per indirizzare gli studiosi verso gli strumenti bibliografici più appropriati per le loro ricerche. Inoltre fornice assistenza all’uso dei cataloghi e di altri repertori. La Sezione Libri Antichi, già prevista nello Statuto del 1995 e per la prima volta menzionata per il 1997 nell’Annuario Pontificio26, è stata di fatto e resa definitivamente operativa soltanto nel 200827. La nuova Sezione ha dei compiti ben definiti: — fornire agli studiosi volumi antichi e rari, intesi come oggetti primari di ricerca; — provvedere alla catalogazione degli incunaboli; — sovrintendere alla catalogazione approfondita dei libri antichi in genere, intendendo con questo termine i volumi stampati fino al 1800; — accrescere il patrimonio stampato antico e di pregio della Biblioteca. L’attività della Sezione mira soprattutto a promuovere lo studio della storia del libro, allestendo nuovi cataloghi elaborati secondo gli standard bibliografici accettati internazionalmente e aggiornando continuamente i repertori e le pubblicazioni specifiche a disposizione degli studiosi. La giovane Sezione ancora non dispone di un organico stabile, ma si spera 21

L’Attività della Santa Sede nel 2009, Città del Vaticano [2010], p. 998. L’Attività della Santa Sede nel 1997, Città del Vaticano [1998], p. 1175. 23 L’Attività della Santa Sede nel 1999, Città del Vaticano [2000], p.1211. 24 L’Attività della Santa Sede nel 2002, Città del Vaticano [2003], p. 1151. 25 Annuario Pontificio per l’annp 2000, Città del Vaticano 2000, p. 1377. 26 Annuario Pontificio per l’anno 1998, Città del Vaticano 1998, p. 1312. 27 Menzionata per la prima volta in L’Attività della Santa Sede nel 2009, Città del Vaticano [2010], p. 987. 22

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che la situazione sia destinata ad evolversi nel prossimo futuro. Per il momento viene retta da un gruppo di collaboratori del Dipartimento schierati intorno al suo Direttore. Potrebbe sembrare piuttosto sorprendente che una biblioteca che custodisce collezioni di libri antichi e rari cosi importanti come la Biblioteca del Papa non abbia sentito la mancanza di una struttura interna con il compito di prendersi cura esclusivamente del patrimonio stampato più prezioso. Durante la prefettura di Leonard E. Boyle apparentemente si avvertì tale lacuna, perché nel 1989 fu attivato un nuovo ufficio, il Catalogo delle Collezioni storiche di Stampati28, un’iniziativa probabilmente pensata fuori del Catalogo degli Stampati, che viene ancora una volta ricordata nell’anno successivo per poi perdersi nel nulla29. Le attività del Dipartimento nel prossimo futuro saranno caratterizzate soprattutto dall’impegno di reinserire la Biblioteca, per ciò che concerne le specifiche attività del Dipartimento degli Stampati, sempre di più in un contesto internazionale, allo scopo di instaurare ed intensificare la collaborazione soprattutto con altre biblioteche, ma anche con istituzioni e associazioni internazionali del settore. I problemi da risolvere sono sempre numerosi e in grandissima parte comuni a tutte le biblioteche; cosi diventano imperativi lo scambio continuo di esperienze e l’organizzazione e realizzazione di progetti comuni che toccano principalmente i seguenti cinque campi: — la conservazione, soprattutto la conservazione preventiva; — la digitalizzazione; — la catalogazione del patrimonio antico, dall’organizzazione di campagne catalografiche alle attività di catalogazione scientifica; — il restauro, concentrandosi sullo sviluppo di nuove tecniche o metodi di restauro; — la gestione della sicurezza (relativamente alle collezioni, agli ambienti e al personale della Biblioteca) Alcuni esempi: Recentemente si sono stabiliti ottimi contatti con la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco e con la British Library di Londra, che di comune intesa sono destinati ad un ulteriore sviluppo in tutti i campi. Nell’anno 2009 la Biblioteca è diventata membro del Center for the the Study of the Book recentemente istituito nella Bodleian Library di Oxford

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L’Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1989, p. 1401. L’Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1990, p. 1366.

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con la prospettiva di una lunga ed intensa collaborazione a largo raggio che si rivela molto promettente30. Dal 2007 la Biblioteca è special member del Consortium of European Research Libraries (CERL), un’iscrizione che si è rivelata già a breve termine molto vantaggiosa come auspicio per una proficua partecipazione della Biblioteca alle attività e iniziative del CERL nel futuro31. Il futuro è già in atto. Un progetto concreto, che mi sta molto al cuore, è stato già portato a termine con un intero anno di anticipo: il Vatican Incunabula Short Title Catalogue (VISTC)32. Il VISTC è stato realizzato in collaborazione con il CERL e con l’Incunabula Short Title Catalogue (ISTC) della British Library33. Punto di partenza del VISTC è stato l’inventario curato dal Padre William S. Sheehan, C.S.B., un’opera fondamentale, in quanto rappresenta il primo tentativo concreto e organico di censire gli incunaboli della Biblioteca del Papa34. Le preparazioni per il VISTC hanno avuto inizio nell’estate del 2009 grazie alla generosa disponibilità del CERL, che ha reso fattibile l’impresa, e alla collegiale collaborazione dell’ISTC, che ha facilitato molto la realizzazione del progetto. Il VISTC, da lungo tempo auspicato non soltanto dagli incunabulisti, ma anche da tanti altri studiosi, è stato completato giusto in tempo per essere presentato al mondo accademico in occasione della riapertura della Biblioteca. Il VISTC è stato integrato nel Online Public Access Catalogue (OPAC) e cosi per la prima volta gli incunaboli della Biblioteca del Papa sono diventati visibili e con ciò accessibili. Nel corso dell’anno 2011 è prevista la consultazione del VISTC all’interno della piattaforma multi-OPAC dell’Istituto. Ma la storia, molto bella, che vorrei raccontare è questa. La realizzazione del VISTC è stata resa possibile grazie a un generoso finanziamento offerto dal Reverendissimo Decano del Duomo di Stoccolma, Åke Bonnier, che con il suo dono generoso ha reso non soltanto un notevole servizio al mondo accademico, ma ha anche dato un significativo esempio di ecumene vissuta, che ha dato al progetto una dimensione inaspettata. A questa esperienza, particolarmente significativa, ha contribuito molto anche Sua Eccellenza, Fredrik Vahlquist, attualmente ambasciatore residente della Svezia nella Repubblica Croata e benefattore della Biblioteca, attirando l’interesse del suo amico di Stoccolma. 30

Cfr. http://www.bodley.ox.ac.uk/csb/. Cfr. http://www.cerl.org/web/. 32 L’Attività della Santa Sede nel 2009, Città del Vaticano [2010], p. 987. 33 Cfr. http://www.bl.uk/catalogues/istc/. 34 Bibliothecae Apostolicae Vaticanae Incunabula, a cura di W. J. SHEEHAN, C.S.B., Città del Vaticano 1997 (Studi e Testi, 380-383). 31

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Il progetto entra adesso nella sua seconda fase che prevede sulla base del VISTC la catalogazione vera e propria dei singoli esemplari secondo le regole applicate tradizionalmente nella catalogazione dei manoscritti. Si spera che il Bibliotecae Apostolicae Vaticanae Incunabulorum Catalogus (BAVIC) vedrà la luce entro cinque anni. Nell’ambito del progetto BAVIC è previsto anche un progetto di digitalizzazione, la Vatican Incunabula Digitisation (VID). La realizzazione del BAVIC verrà accompagnata da un comitato scientifico internazionale, al quale hanno già aderito alcuni dei più importanti incunabolisti. Con iniziative di questo tipo il Dipartimento partecipa e contribuisce in modo molto sostanziale alla piattaforma multi-OPAC, che sta per dispiegarsi, finalmente, anche nella Biblioteca del Papa. Come dal 1994 il primo OPAC è consultabile dall’esterno via Internet; si aggiungono come espressione di questa nuova realtà già dal 1998 il Catalogo delle Stampe e dei Disegni curato dal Gabinetto delle Stampe, per di più, il già menzionato VISTC e, in un futuro non troppo lontano, il BAVIC, entrambi curati dalla Sezione Libri Antichi. Simili progetti catalografici, sempre coordinati dalla Sezione Libri Antichi, sono previsti per le Cinquecentine e Seicentine conservate soprattutto in tanti fondi chiusi della Biblioteca. Per quanto riguarda le Cinquecentine è già in atto da anni una collaborazione con il progetto EDIT16 dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche (ICCU). Una delle priorità delle attività all’interno del Dipartimento per i prossimi anni sarà il completamento del Progetto Pergamon, che è già concluso per le collezioni a consultazione diretta presenti nelle Sale di Consultazione degli Stampati, ma che dev’essere ancora completato per i fondi conservati nei Depositi. L’applicazione della tecnologia Radio-Frequency Identification (RFID) in diretto collegamento con l’OPAC della Biblioteca rappresenta una pietra miliare nella gestione delle collezioni, perché crea anche le condizioni per una gestione molto efficace della sicurezza del patrimonio affidato al Dipartimento35. Siccome ogni biblioteca trova la sua principale “raison d’être” negli studiosi che la frequentano, il Dipartimento ha programmato per i prossimi anni una serie di novità tese a migliorare i servizi offerti, sempre fedele all’intenzione del Pontefice Niccolò V, «pro communi doctorum virorum commodo»36. I nostri sforzi non riguardano soltanto l’aumento dell’offerta di strumenti di lavoro nella Sale di Consultazione nella forma tradizionale 35

P. MANONI, Gestire le collezioni in radiofrequenza, in Biblioteche oggi 3 (2007), pp. 43-48. E. MÜNTZ – P. FABRE, La Bibliothèque du Vatican au XVe siècle d’apres des documents inédits, Paris 1887 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 48), p. 47. 36

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cartacea, cioè l’aumento del materiale librario accessibile in consultazione diretta, ma sono diretti per la prima volta anche alla creazione di un’offerta valida di risorse digitali. È venuto il momento di inserire le risorse digitali nell’offerta, perché con la riapertura della Biblioteca ogni studioso munito di un laptop adeguatamente equipaggiato posa accedere attraverso un servizio WIFI offerto in tutte le Sale di Consultazione ai servizi online. Però, nel suo impegno di migliorare le condizioni di ricerca, la Biblioteca ha bisogno dell’aiuto e della collaborazione degli studiosi che la frequentano. S’intende infatti incrementare la possibilità, da parte degli studiosi, di segnalare alla Biblioteca le pubblicazioni da acquisire. Questa partecipazione, già possibile in passato, è ora incoraggiata anche tramite il sito Web della Biblioteca. Considerando che ogni Biblioteca è in primo luogo un istituto di conservazione, il Dipartimento degli Stampati ha soprattutto l’obbligo di custodire e preservare con ogni cura le collezioni affidategli. Perciò le sfide più impegnative per il futuro riguarderanno la conservazione e il restauro. Uno degli obiettivi più urgenti, in questo ambito, è quello di migliorare la conservazione del patrimonio stampato e, conseguentemente, di creare le condizioni ottimali per offrire in consultazione il patrimonio a stampa della Biblioteca senza limitazioni legate allo stato di conservazione dei volumi. Purtroppo, dotazioni librarie come le nostre non possono non risentire del tempo che trascorre e dei fattori ambientali che inevitabilmente ne compromettono la stabilità conservativa. Ritengo sia un nostro dovere morale imprescindibile garantirne la permanenza e la consultabilità nel tempo, in quanto custodi di questa importantissima eredità culturale dell’umanità a noi affidata, della quale siamo fieri e che siamo chiamati a rispettare e conservare con la massima cura. È allo studio un progetto concreto, che ritengo di estrema importanza e al quale mi dedicherò con impegno affinché sia realizzato in tempi brevi, per la salvaguardia ottimale del patrimonio a stampa antico e di pregio della Biblioteca del Santo Padre.

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DIPARTIMENTO DEL GABINETTO NUMISMATICO I. IL MEDAGLIERE DELLA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA

Nel decorso ottobre [1923] si è compiuto il XXV anniversario dacché S.S. Leone XIII di santa memoria si degnava nominarmi Custode del Gabinetto Numismatico Vaticano. In questo non breve periodo di tempo le collezioni in esso raccolte si sono venute quale più, quale meno sensibilmente aumentando, la sistemazione, classificazione e catalogazione delle singole serie è stata da me curata con ogni possibile assiduità, né mi è giammai mancato il favore dei Sommi Pontefici che si sono succeduti nel governo della Chiesa, e l’assistenza e la simpatia dei preposti alla Biblioteca Vaticana, di guisa che mercè il Divino aiuto quel Medagliere che ho ricevuto in consegna in gran parte disordinato, quasi affatto privo di cataloghi ed inventari, dotato nel suo insieme di mediocre valore scientifico, sconosciuto agli studiosi ed ai dotti, inetto a reggere al paragone non soltanto con le maggiori raccolte numismatiche di Europa, ma anche con quelle delle principali città italiane, oggi è assurto, in particolare per alcune serie più speciali alla sua indole, a grandissima importanza, quasi tutti gli inventari ne furono redatti insieme ad un preciso inventario sintetico generale fin dal 1919 ora aggiornato al 31 ottobre 1923, ne fu pubblicata la splendida serie di monete e bolle plumbee pontificie e si contribuì con numeroso e scelto materiale ad opere generali e speciali edite in questo tempo da vari numismatici italiani e stranieri….

Con queste parole, il marchese Camillo Serafini, che nel novembre del 1898 era succeduto, nella carica di Custode del Gabinetto Numismatico Vaticano, ad Enrico Stevenson morto improvvisamente, iniziava la Relazione sullo sviluppo ordinamento e catalogazione delle raccolte numismatiche e sfragistiche del Medagliere Vaticano e sullo stato attuale delle medesime. 1 novembre 1898 – 31 ottobre 19231. Relazione, con la quale il Serafini, alla fine dell’ottobre del 1923 appunto, metteva in risalto quale notevole importanza, nel corso di quei primi 25 anni della sua Direzione, avesse fatto raggiungere al Medagliere Vaticano, che aveva ereditato in una si1 Dattiloscritto senza alcuna segnatura, conservato nell’Archivio del Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana.

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 407-428.

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Tav. I – Aurelio Mistruzzi. Medaglia commemorativa del III anniversario della nomina di Camillo Serafini a governatore dello Stato della Città del Vaticano, 1932. Bronzo; mm. 105,60. BAV – Medagliere. Md. U. I. XXII, 39.

tuazione a dir poco inadeguata a quello che era il Medagliere dei papi; e ciò sia per la consistenza davvero scarsa delle sue collezioni sia per lo stato della catalogazione delle stesse, limitata praticamente alle sole mo-nete romane, e per di più non a tutte. Continuava, infatti il Serafini la sua Relazione affermando: Per quanto riguarda l’ordinamento e la catalogazione posso dire che trovai le varie raccolte regolarmente divise l’una dall’altra; soltanto però le monete romane e papali e le medaglie pontificie erano ordinate cronologicamente, le altre erano collocate alla rinfusa, con cartine descrittive quasi tutte fuori di posto, in un ordine approssimativo e saltuario, mentre la regolare catalogazione si era arrestata all’incirca là dove il Guidi l’aveva condotta col suo catalogo dell’Aes Grave, delle monete della Repubblica Romana e dell’Impero fino al regno di Tito. Tutto il resto non era inventariato che per metallo in ordine di collocamento nelle credenze contenenti le varie serie e la loro consistenza e distribuzione risultava soltanto dagli inventari per metallo delle consegne 1871, 1876, 1894. Intorno all’apprezzamento che poteva farsi delle singole raccolte innanzi alla mia venuta e che doveva servir di regola per i futuri arricchimenti ecco quanto può dirsi: La serie Romana si presentava buona per l’Aes Grave, veramente ottima per le monete della Repubblica, soddisfacente per l’Impero, in specie per il bronzo, scadente assolutamente per la monetazione bizantina. La serie Greca e Coloniale poteva ritenersi tutto al più un inizio di collezione con qualche ottimo esemplare. La serie di monete Pontificie, buona per un privato collezionista o per un

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gabinetto generico, presentavasi davvero meschina per il Medagliere Vaticano. La serie di monete Italiane ed Estere non rappresentava nessun valore apprezzabile. Discreta la raccolta di medaglie Pontificie, povera quella delle medaglie dei Secc. XV e XVI, di nessuna importanza quella delle medaglie in genere. Le altre raccolte speciali, ad eccezione della serie delle Bolle plumbee pontificie resa unica dall’acquisto Stevenson della collezione Ruspoli, e dei piombi antichi Ficoroniani da aumentarsi, non costituivano che nocciuoli di collezioni….

Quindi, prima di passare in rassegna le varie collezioni, per sottolineare come le avesse aumentate durante quei suoi primi 25 anni di permanenza al Medagliere, aggiungeva: Da tali considerazioni chiaro appariva che se si fosse voluto portare il Medagliere Vaticano al grado che gli competeva …, era necessario procedere con metodo e perciò aumentare innanzi tutto le raccolte più da vicino attinenti alla storia del Papato; ordinare ed inventariare senza alcun indugio tutto il materiale esistente; far conoscere con pubblicazioni e con volenterosa collaborazione in lavori di altri autori, quanto fosse atto a portare un contributo agli studi storici e numismatici; aumentare nei limiti convenienti quelle serie che presentavano un tale interesse od erano giunte a tal grado di ricchezza, che ogni aumento rappresentasse in esse una importanza cospicua. Fu con tali propositi, approvati ed incoraggiati [dai miei superiori], che ho intrapreso fin da principio il lavoro di ordinamento e di ampliamento delle raccolte, e … mercé la magnanimità dei Papi, ho potuto ottenere risultati davvero soddisfacenti, in ispecie per quelle serie che debbono starci maggiormente a cuore….

E tra queste serie maggiormente a cuore, c’era senz’altro quella delle monete papali, che il Serafini, per una circostanza davvero straordinaria, appena nominato Conservatore, riuscì ad ampliare in modo veramente straordinario e fino a qualche anno prima non solo non sperato, ma neppure immaginato. Infatti, nel 1901, Leone XIII acquistava per il Medagliere Vaticano, su proposta del giovane Conservatore, la celebre collezione di monete pontificie, che era stata messa insieme dal cardinale Lorenzo Randi di Bagnacavallo, il quale per oltre trent’anni vi aveva profuso i frutti di infinite e faticose ricerche, di metodiche cure, di tenaci propositi, impiegando anche, quando era stato necessario, forti somme di denaro. Alla sua morte, aveva lasciato al nipote Paolo Baldi-Randi una raccolta di monete pontificie unica al mondo per il numero e la scelta dei pezzi. Essa infatti comprendeva ben 26.188 monete così distinte: 1.108 d’oro, 14.193 d’argento e 10.887 di mistura e rame. Questo eccezionale numero di pezzi, unito

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a quelli allora esistenti nel Medagliere Vaticano – 4.053 esemplari – tolti i duplicati in numero di circa 16.700, ma aggiunti i nuovi acquisti permessi proprio dalla vendita dei suddetti duplicati, formò quella raccolta, che il Serafini, quindi, pubblicherà in tre volumi negli anni 1910, 1912 e 1913.

Tav. II – Francesco Bianchi. Medaglia di Leone XIII commemorativa dell’apertura dell’Archivio Segreto Vaticano, 1883. Oro; mm. 43,50; gr. 53,50. BAV – Medagliere. Md. Pont. 4061.

Ma quella Randi non fu l’unica collezione ad entrare nel Medagliere Vaticano fin da quei primi anni della direzione del Serafini. Già verso la fine del 1800, solo per citarne qualcuna, era pervenuta al Medagliere la collezione lasciata per testamento da Don Luigi Pizzamiglio, formata da quasi 4.000 pezzi tra monete, conii, libri di numismatica, ma soprattutto medaglie papali in bronzo. Nel 1921, poi, Benedetto XV acquistava per il Medagliere, sempre su sollecitazione del Serafini, un’altra importantissima collezione di monete pontificie, quella Celati, non celebre, certo, come la collezione Randi, eppure composta da 11.715 pezzi così distinti: 924 d’oro, 5.695 d’argento e 5.096 di mistura e rame. Questa collezione, che tolti i duplicati andò ad aumentare la raccolta vaticana di monete pontificie di altre 4.326 unità, venne quindi pubblicata, nel 1928, nel 4° volume, che andò ad aggiungersi ai tre precedenti già citati. L’attività del Serafini fu rilevante anche nel campo della numismatica moderna e contemporanea; basti pensare agli accordi stipulati con la Regia Zecca del Regno d’Italia, che arricchì il Medagliere Vaticano di una notevole quantità della sua ricca produzione di medaglie coniate in quegli anni. Tra le numerose altre collezioni entrate nel Medagliere sempre in quel periodo, possiamo ricordare inoltre, tra le tante, il Medagliere Borgiano di

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Propaganda Fide, che il Serafini tra l’altro conosceva molto bene, dal momento che intorno al 1891-1892 aveva avuto l’incarico di ordinare e catalogare quella raccolta, composta: 1) da una parte del Medagliere Borgiano di Velletri (l’altra parte era stata trasferita al Museo Nazionale di Napoli), con le serie greca, alessandrina, cufica, piombi e pietre incise; 2) dai doni dei missionari, con le serie orientali; 3) da un lascito del cardinale Lorenzo Randi, con monete di diversi luoghi e di varie epoche. Purtroppo, il giovane Serafini aveva dovuto rinunciare all’incarico assai presto, perché si era accorto che avvenivano continue sottrazioni, essendo i locali poco custoditi. Così, appena chiamato alla direzione del Medagliere Vaticano, aveva presentato una memoria al Cardinale Rampolla, Segretario di Stato, affinché il Medagliere di Propaganda Fide fosse trasportato nel Medagliere Vaticano prima che venisse saccheggiato del tutto. E così avvenne; ma quello che giunse in Vaticano era soltanto il residuo dell’importantissimo Medagliere perduto: tutte le monete d’oro e d’argento delle varie serie erano sparite, mentre erano restate tutte le monete di mistura e di bronzo, per un totale, comunque, di quasi 14.000 mila pezzi, di cui circa 11.500 entrarono nelle collezioni vaticane, mentre il resto fu collocato tra i duplicati e gli scarti.

Tav. III – Franz Kissing. Medaglia commemorativa del 25° anniversario della nomina a cardinale di Mariano Rampolla del Tindaro, 1912. Argento; mm. 67,70; gr. 145,75. BAV – Medagliere. Md. Card. XVIII, 4.

Naturalmente, oltre alle collezioni più o meno grandi, alcune grandissime, soprattutto di monete pontificie, che portarono ben presto il Medagliere Vaticano ad occupare, in questo specifico settore, il primo posto nel mondo, in quegli anni continuarono ad arricchire il Medagliere numerosi

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altri acquisti o cambi (effettuati molto spesso con i duplicati) oppure lasciti sia di raccolte sia di singoli pezzi di monete, medaglie, sigilli, tessere plumbee romane e bizantine, decorazioni, placchette, come: le quasi 500 decorazioni donate dalla vedova del conte Ruffin, le oltre 700 monete della Giudea e dei Paesi vicini in circolazione ai tempi di Gesù, le oltre 1.000 monete greche, romane, bizantine e italiane donate in più riprese dalle sorelle La Farina di Palermo, le circa 3.000 monete greche, romane, estere e medaglie varie donate dalla signora Pilar de la Canal della diocesi di Cartagena. E si potrebbe continuare ancora per molto. La Prima Guerra Mondiale rallentò l’arricchimento del Medagliere, tanto più che papa Benedetto XV non sempre vi faceva pervenire le medaglie in oro e in argento che gli venivano donate, preferendo farle vendere e utilizzare il ricavato per opere di beneficenza a favore delle vittime di quella ch’egli stesso aveva definito una «orrenda carneficina».

Tav. IV – Doppio ducato papale di Pio II (1458-1464). Al dritto raffigura il papa su galera, che benedice un calice con ostia e al rovescio San Pietro e San Paolo. Oro; mm. 31,00; gr. 6,89. BAV – Medagliere. Mt. Pont. Pius II. Suppl. 1.

Il successore Pio XI Ratti (1922-1939) nutriva, invece, un profondo interesse per la numismatica, in special modo per la medaglistica. La sinergia tra il papa, Serafini e l’incisore Aurelio Mistruzzi portò alla realizzazione di medaglie tra le più belle del Novecento. Come il predecessore Alessandro VII, anche Pio XI si dilettava a disegnare gli schizzi per le medaglie che gli stavano particolarmente a cuore, a dettarne la leggenda e a esaminarne i modelli. Nell’udienza del 22 dicembre 1922 definì la medaglia «piccolo monumento, tanto più facile, in ragione della sua piccolezza, ad esser tenuto vicino da chi apprezza il ricordo di cose memorande».

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Tav. V – Doppia di Urbano VII (1590). Al dritto presenta lo stemma del pontefice e al rovescio una croce gigliata fra lo stemma del cardinal legato Alessandro Peretti e quello della città di Bologna. Oro; mm. 28,20; gr. 6,53. BAV – Medagliere. Mt. Pont. Urbanus VII, 7.

L’11 febbraio 1929, in seguito ai Patti Lateranensi, nacque lo Stato della Città del Vaticano e Camillo Serafini ne fu nominato Governatore. Il nuovo gravoso incarico non gli impedì tuttavia di seguitare a occuparsi del Medagliere Vaticano, compilando migliaia di schede scientifiche relative a monete e a medaglie in vista di una loro pubblicazione. Con l’appoggio di Pio XI, egli riuscì soprattutto ad arricchire la già straordinaria collezione delle monete papali di alcuni rarissimi esemplari,

Tav. VI – Quadrupla di Innocenzo X (1644 – 1655). Al dritto presenta il busto del pontefice e al rovescio lo stemma del cardinal legato di Avignone Antonio Barberini. Oro; mm. 33,00; gr. 13,17. BAV – Medagliere. Mt. Pont. Innocentius X, 283.

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come, per esempio, una doppia di Urbano VII, una quadrupla di Innocenzo X, uno zecchino di Leone X, una quadrupla ed una doppia di Paolo V, uno scudo d’oro di Paolo III, un doppio ducato di Pio II, un quattro ducati di Paolo II, un dieci fiorini di Sisto IV, un cinque ducati di Alessandro VI. Anche durante i tristi anni 1940-1944 Serafini si recò quasi quotidianamente nel Medagliere Vaticano, spesso a rischio della stessa vita, per svolgervi le funzioni di Conservatore. Nell’immediato dopoguerra, le collezioni numismatiche della Biblioteca conobbero una stasi, determinata da tanti fattori, il più importante dei quali fu quasi sicuramente una certa freddezza di rapporti fra il Serafini e Pio XII, che infatti non visitò mai il Medagliere, sebbene disponesse che vi fossero conservate tutte le medaglie, senza eccezioni, che di volta in volta gli venivano donate per qualsiasi evenienza. E spesso si trattava di pezzi assolutamente unici, anche se talvolta più di oreficeria, in verità, che di numismatica, come la medaglia d’oro del “Premio Principe Carlo” conferita al pontefice dalla Corona di Svezia o la medaglia-gioiello della Virgen de Cuenca, in Spagna, realizzata in avorio, oro, platino e pietre preziose. Senza contare poi le molte medaglie ad personam ricevute da Pio XII nelle varie udienze durante il Giubileo 1950. In effetti, la prima metà del secolo che ci ha appena lasciati si dimostrò molto generosa con il Medagliere Vaticano, che tra l’altro vide incrementare la sua collezione di monete dell’Impero Romano con l’immissione di svariati esemplari provenienti dalle catacombe, e le sue collezioni di

Tav. VII – Dieci fiorini di camera di Sisto IV (1471-1484). Al dritto presenta Gesù che affida il gregge a San Pietro e al rovescio, la nave degli Apostoli sul mare agitato dai venti; a destra, Gesù salva San Pietro che sta annegando. Oro; mm. 56,00; gr. 33,81. BAV – Medagliere. Mt. Pont. Sixtus IV. Suppl. 1.

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monete di tutta l’Europa, soprattutto di quelle del periodo tardo-antico e medioevale, con la sistemazione nei suoi armadi delle circa 2.000 monete ritrovate nell’area sotto la Basilica Vaticana, dove si ritiene sia stato sepolto San Pietro, durante gli scavi effettuati negli anni Quaranta in quel luogo particolarmente sacro per i Cristiani; monete, queste ultime, che il Serafini classificò, anche se per sommi capi, pubblicandone un elenco nel 1951.

Tav. VIII – Luciano Zanelli. Medaglia commemorativa del giuramento pronunciato dagli allievi del Corso “Urano” III dell’Accademia Aeronautica di Pozzuoli, 1978. Bronzo; mm. 100,00. BAV – Medagliere. Fondo Zanelli 1.

Nel marzo del 1952 il marchese Camillo Serafini moriva, lasciando un Medagliere, che ora veramente si poteva definire “il medagliere dei Papi” per la ricchezza e per la qualità delle sue collezioni numismatiche, in special modo di quella delle monete pontificie, unica al mondo per il suo splendore. Ma lasciava soprattutto un Medagliere ormai famoso non solo in Italia. Quando vi era entrato come conservatore la prima volta, aveva detto: … il Medagliere Vaticano era quasi assolutamente sconosciuto. Nessuno dei manuali numismatici e dei cataloghi generali descrittivi di qualsiasi serie antica o medioevale riportava, salvo rarissime eccezioni, monete esistenti nel nostro Gabinetto… Perfino nella descrizione di monete pontificie del Cinagli il Medagliere Vaticano non è giammai nominato. Ora tutti i più grandi studiosi di numismatica attingono largamente nelle loro opere fondamentali sia sulle monete antiche e pontificie sia sulle medaglie dal materiale insigne del Medagliere Vaticano, oltre ad altri molti che ormai lo frequentano per le loro monografie e ricerche speciali. A tutti costoro vengono forniti descrizioni, calchi in gesso, notizie per i loro lavori, ma principalmente vengono fatte vedere, toccare, studiare nei loro particolari le monete o le medaglie.

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E questa apertura agli studiosi continuò anche con il successore, Luigi Michelini Tocci, che anzi per rendere più accogliente per gli studiosi il Medagliere, lo sposterà, negli anni settanta del secolo scorso, negli ambienti in cui ancora oggi è sistemato, cioè nelle tre stanze fino ad allora occupate dalla Guardia Nobile. La prima annotazione di Michelini Tocci come nuovo responsabile del Medagliere sull’apposito Registro delle nuove acquisizioni, già tenuto dal predecessore, porta la data del 22 maggio 1953 e riguarda l’entrata nel Medagliere di una «medaglia commemorativa delle celebrazioni centenarie del “Decretum” di Graziano», arrivata in Biblioteca il 1 maggio 19522. L’opera di Michelini Tocci fu caratterizzata dall’acquisizione di qualche moneta o medaglia mancanti alle specifiche collezioni e soprattutto di due raccolte notevoli per la qualità dei pezzi: una di monete bizantine e una di “Giustine”. Entrarono pure nel Medagliere le 13 medaglie annuali in oro originali, trovate nella bara di Innocenzo XI, quando il feretro fu aperto in vista della beatificazione di questo papa avvenuta nel 1956. In occasione di una visita al Medagliere, Giovanni XXIII, su richiesta del Conservatore, diede disposizioni affinché si provvedesse a colmare la lacuna nella serie delle medaglie e monete pontificie recenti. Arrivarono così parecchie medaglie, soprattutto quelle di Pio XII, appositamente battute in oro dalla Zecca italiana, e intere serie di emissioni monetali.

Tav. IX – Emilio Greco. Medaglia coniata dalla Repubblica di San Marino per commemorare il 25° anniversario del trasferimento della sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) da Washington a Roma, 1976. Bronzo; mm. 61,00. BAV – Medagliere. Fondo Greco 19.

2

Cfr. Giornale di Nuovi Acquisti, vol. III, dal 16 maggio 1953 al 1981, p. 3.

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Il nuovo e attuale Conservatore, Giancarlo Alteri, tra il 1983 ed il 1985 promosse importanti lavori di ristrutturazione, inaugurati personalmente da Giovanni Paolo II, che raddoppiarono le possibilità ricettive, dato il sempre presente problema degli spazi. In questi ultimi anni il Medagliere ha visto crescere ulteriormente le sue raccolte, sia nel settore delle monete sia, e soprattutto, in quello delle medaglie contemporanee, principalmente in seguito a donazioni: quella delle medaglie di Luciano Zanelli, fatta dallo stesso artista; quella delle medaglie di Pietro Giampaoli, fatta dagli eredi del celebre medaglista; quella di monete del mondo occidentale, fatta da Mons. Salvatore Nicolosi; quella delle medaglie dell’artista Pezzetta, fatta dagli eredi, solo per citarne alcune. Le raccolte che ancora oggi si distinguono nel Medagliere Vaticano e ne costituiscono il vanto, sono senza dubbio quella delle monete pontificie, quella delle medaglie pontificie e quella delle monete romane, in modo particolare del periodo della Repubblica. Ma più o meno importanti e ricche di pezzi a volte rarissimi, se non unici, sono pure le collezioni di monete greche, bizantine, medioevali e orientali, soprattutto cinesi. Notevoli sono anche le raccolte delle bolle plumbee pontificie e bizantine, delle tessere plumbee romane; degli oltre diecimila calchi in gesso, in pasta vitrea e in zolfo di medaglie e gemme; delle ottocento gemme romane incise; delle decorazioni pontificie, italiane e straniere. Un posto poi sempre più rilevante sta occupando, nelle stanze del Medagliere, la collezione di medaglie moderne italiane e straniere, che artisti di tutto il mondo e di tutte le tendenze dedicano continuamente, per propria iniziativa o su commissione, al Santo Padre3. Da qualche anno a questa parte, infatti, il Medagliere ha raggiunto una posizione primaria, rispetto a tutti gli altri Medaglieri italiani e stranieri, anche nell’ambito della medaglistica moderna e contemporanea. Posizione, questa, che è testimoniata prima di tutto dalle continue richieste di altri Medaglieri, specializzati anch’essi in medaglistica moderna, di stringere rapporti di collaborazione col Medagliere Vaticano, come: il Museo di Manzù, ad Ardea (Roma); il Museo del Bargello, di Firenze; le Civiche Raccolte Numismatiche del Castello Sforzesco, di Milano; il Museo della Medaglia dell’Accademia Carrara, di Bergamo; la Fondazione “Antica Zecca di Lucca”; il Museo della Medaglia Dantesca, del Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali di Ravenna. Ma la testimonianza, forse, più autentica dell’importanza del Medagliere Vaticano nell’ambito della medaglistica contemporanea vie3 Per le medaglie contemporanee pervenute al Medagliere in questi ultimi anni cfr. pure: G. ALTERI, op. cit., pp. 547 segg.

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ne offerta dalle continue donazioni di medaglie, che molti artisti o i loro eredi in questi ultimi anni hanno fatto, e continuano a fare, al Medagliere Vaticano piuttosto che ad altri Medaglieri italiani o magari stranieri. Così finora ha fatto, per esempio, Giandomenico così la vedova di Anastase; così gli eredi di Pezzetta o quelli del ravennate Bucci; così Grilli o la figlia di Greco. Così, si accingono a fare diversi altri. Donazioni, tutte queste, incentivate principalmente dal fatto che questo Dipartimento della Biblioteca Vaticana, non si limita a chiudere nelle cassettiere le medaglie ricevute in dono; ma le cataloga, le descrive scientificamente e, soprattutto, le mette a disposizione di tutti gli studiosi o gli appassionati del settore. Non solo; di ognuna di queste donazioni viene anche redatto un esauriente catalogo, che va ad arricchire la prestigiosa serie di volumi, che il Medagliere sta dedicando alle sue collezioni, come è avvenuto finora, per citare solo qualche esempio, per le medaglie di Umberto Nobile, per quelle della collezione di Anastase, per quelle della collezione di Zanelli e, ultimamente, per quelle della collezione di Pietro Giampaoli.

Tav. X – Démètre Anastase. Medaglia commemorativa della firma a Roma, il 25 marzo 1957, dei Trattati costitutivi della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM). Bronzo; mm. 81,00. BAV – Medagliere. Fondo Anastase, 6.

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Elenco delle principali pubblicazioni realizzate con le raccolte di monete e medaglie del Medagliere Vaticano G. MORELLO – G. ALTERI, Raffaello e la Roma dei papi. Catalogo della mostra, Roma 1986. G. ALTERI, Maria nelle collezioni numismatiche del Medagliere Vaticano, piccola storia di un grande culto. Catalogo della mostra, Roma 1988. G. ALTERI, Tipologia delle monete della Repubblica di Roma con particolare riferimento al denario. Catalogo della mostra, Roma 1990 (Studi e testi, 337). G. ALTERI, Le medaglie del generale Umberto Nobile. Catalogo della mostra, Roma 1992. G. ALTERI, Medaglie papali del Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra, Roma 1995. G. ALTERI, I sesterzi dei dodici Cesari dal Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra, Roma 1996. G. ALTERI, Monete e medaglie dei cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme da Rodi a Malta, dal Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra, Taranto 1996. G. ALTERI – C. D. YU – G. HONG – F. M. CALVERI, Numismatica cinese dalle origini alla caduta dell’impero dal Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra, Roma 1997. G. ALTERI – M. B. MCGRATH, Monete e medaglie di Sisto IV dal Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra, Roma 1998. G. ALTERI, Aes Grave Librale dal Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra, Roma 1998. G. ALTERI, Il tesoretto dell’Aventino, conservato nei Musei della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra, Roma 1998. G. ALTERI, Monete degli Anni Santi dal Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra, Roma 1999. G. ALTERI – L. D’ARIENZO, Le medaglie pontificie degli Anni Santi, la Sardegna nei Giubilei. Catalogo della mostra, Cinisello Balsamo 2000. G. ALTERI, Dall’oro di ieri all’euro di oggi, breve storia della moneta nel bacino del Mediterraneo, Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra, Roma 2000. G. ALTERI, Mirabilia Urbis in nummis, vedute di Roma sulle monete papali conservate nel Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra, Roma 2001. G. ALTERI, Il volto gentile dell’impero, le auguste e le dive sulle monete romane conservate nel Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra, Roma 2001. G. ALTERI, Summorum Romanorum Pontificum historia nomismatibus recensitis illustrata, ab saeculo XV ad saeculum XX, Città del Vaticano 2004. G. ALTERI, Medaglie barocche di Roma conservate nel Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. Catalogo della mostra, Roma 2004. G. ALTERI, Di alcune emissioni straordinarie coniate durante la repubblica romana. Catalogo della mostra, Città del Vaticano 2005.

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G. ALTERI – A. PAPALIA, Il Fondo Zanelli del Medagliere Vaticano, Città del Vaticano 2006. A. PAPALIA, Il Fondo Anastase del Medagliere Vaticano, Città del Vaticano 2006. G. ALTERI, Tu es Petrus AD MDVI, Città del Vaticano 2006. G. ALTERI – M. PALAZZETTI, Tu es Petrus, il tempio di Pietro nelle medaglie dei papi. Catalogo della mostra, Roma 2007. G. ALTERI – S. GIAMPAOLI, Le medaglie di Pietro Giampaoli, Città del Vaticano 2010.

Elenco delle principali mostre di questi ultimi anni alle quali il Medagliere Vaticano ha partecipato con monete e/o medaglie 1) Mostra 2000 years of Vatican treasures”, tenuta nel 1993 a Denver in Colorado e successivamente spostata a Manila nelle Filippine: 19 medaglie pontificie dal Rinascimento ai giorni nostri, raffiguranti immagini dell’apostolo Pietro e della Basilica Vaticana. 2) Mostra Le architetture del Rinascimento: da Brunelleschi a Michelangelo, allestita nel 1994 a Palazzo Grassi a Venezia: 5 pezzi tra monete e medaglie pontificie rinascimentali. 3) Mostra La malaria, scienza, conoscenza, memoria, tenuta al Castello Baronale di Fondi dal 21 al 30 ottobre 1994: 24 pezzi tra monete e medaglie pontificie e medaglie del Regno d’Italia. 4) Mostra La Regola e la Fama, San Filippo Neri e l’arte, tenuta dal 30 settembre al 10 dicembre 1995 a Roma nel Museo Nazionale di Palazzo Venezia: 10 pezzi tra medaglie pontificie e devozionali. 5) Mostra I Gonzaga, moneta, arte, storia, tenuta a Mantova dal 9 settembre al 10 dicembre 1995: 7 medaglie realizzate per i Gonzaga, duchi di Mantova e del Monferrato. 6) Mostra Dalla Terra alle Genti, la diffusione del cristianesimo nei primi secoli, tenuta dal 30 marzo al 1 settembre 1996 a Rimini: 44 pezzi tra monete romano imperiali e monete battute nelle zecche della Palestina. 7) Mostra tenuta alla Fiera di Viterbo dal 14 al 16 marzo 1997: 16 monete battute dal duca Pierluigi Farnese nella zecca di Castro. 8) X mostra della medaglia e placchetta d’arte, allestita nel Salone Sistino della Biblioteca Vaticana da giugno a ottobre 1997: 60 disegni preparatori e relative medaglie eseguiti nei secoli XVIII e XIX dagli incisori della famiglia Hamerani per i papi. 9) Mostra tenutasi nel 1997 a Parigi sulla storia della basilica Vaticana: 20 medaglie pontificie e 19 monete scelte tra quelle trovate nella tomba di San Pietro. 10) Mostra Henri Matisse, la révélation m’est venue de l’Orient, tenuta a Roma nei Musei Capitolini dal 19 settembre 1997 al 20 gennaio 1998: sei monete in oro, argento e bronzo, coniate da imperatori bizantini. 11) Mostra Adriano e il suo mausoleo, tenuta a Roma nel Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo dal 30 maggio al 10 luglio 1998: 23 monete in oro, argento e bronzo dell’imperatore Adriano.

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12) Mostra Arte e Cultura in Vaticano. Da Giulio II a Clemente VII, tenuta a Bonn al Kunst und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland dal 10 dicembre 1998 a marzo 1999: 15 tra monete e medaglie pontificie. 13) Mostra Piranesi e l’Aventino tenuta a Roma nel Priorato dei Cavalieri di Malta sull’Aventino dal 16 settembre all’8 dicembre 1998: 22 pezzi tra monete e medaglie di Clemente XIII. 14) Mostra Le monete del tempo di Gesù e quadri che raccontano episodi della sua vita, tenuta a Torino da aprile a giugno 1998 in occasione dell’ostensione della Sacra Sindone: 89 pezzi comprendenti monete romane del tempo di Augusto e Tiberio, della dinastia di Erode e dei procuratori romani in Palestina. 15) Mostra Rome / Armenie, deux mille ans de relations, allestita nel Salone Sistino della Biblioteca Vaticana dal 25 marzo al 16 luglio 1999: 11 monete bizantine e 5 medaglie papali. 16) Mostra Botticelli e la Divina Commedia, allestita a Roma dal 20 settembre al 3 dicembre 2000 alle Scuderie Papali al Quirinale: 5 medaglie celebrative di umanisti e personaggi rinascimentali. 17) Mostra Il Volto di Cristo, tenuta al Palazzo delle Esposizioni di Roma dall’8 dicembre 2000 al 16 aprile 2001: 2 monete d’oro bizantine dell’imperatore Giustiniano II. 18) Mostra Carlo Magno a Roma, tenuta nei Musei Vaticani dal 14 dicembre 2000 al 14 marzo 2001: 2 monete battute da Carlo Magno nelle zecche di Milano e Magonza. 19) Mostra I Borgia, l’arte del potere, inaugurata a Roma il 3 ottobre 2002 a Palazzo Ruspoli: un doppio fiorino di camera e una medaglia di Alessandro VI. 20) Mostra Quasi Centrum Europae. Europa kauft in Nürnberg, 1400-1800, tenuta dal 20 giugno al 6 ottobre 2002 al Museo Nazionale di Norimberga: 26 medaglie della serie di restituzione papale realizzata sotto la direzione di Caspar Gottlieb Lauffer nella zecca di Norimberga nel XVIII secolo. 21) Mostra Maestà di Roma, da Napoleone all’Unità d’Italia, tenuta per un periodo compreso da marzo a giugno 2003 alle Scuderie Papali al Quirinale e alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna: 9 medaglie pontificie ed una cardinalizia di epoca neoclassica. 22) Mostra La Sistina e Michelangelo, storia e fortuna di un capolavoro, tenuta dal 24 agosto al 16 novembre 2003 a Rimini poi trasferita dal 30 novembre 2003 al 12 aprile 2004 a Savona: 3 medaglie pontificie, rispettivamente di Giulio II, Leone X e Clemente VII. 23) Mostra Los Reyes Católicos y la Monarquìa de España, tenuta dal 15 settembre al 15 novembre 2004 a Valencia in Spagna: medaglia di Alessandro VI celebrativa delle opere di fortificazione realizzate dal pontefice a Castel Sant’Angelo. 24) Nella mostra celebrativa del quinto centenario di costituzione della Guardia Svizzera Pontificia, inaugurata in Vaticano nel mese di marzo 2006, sono state esposte 3 medaglie e 2 monete di papa Clemente VII. 25) Mostra Petros eni, allestita dal 3 ottobre 2006 all’8 aprile 2007 nel Braccio di Carlo Magno: 11 monete coniate in zecche italiane ed estere tra il IX e il XV secolo ed offerte dai pellegrini sulla tomba di San Pietro, e 4 medaglie pontificie di varie epoche.

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26) Mostra Habemus Papam sulle elezioni pontificie da San Pietro a Benedetto XVI, tenuta dal 7 dicembre 2006 al 7 aprile 2007 nel Museo Lateranense: 4 medaglie pontificie, di Sisto IV, Clemente X, Leone XII e Pio XII, più una medaglia della Sede Vacante del 1550. 27) Mostra allestita da maggio 2008 a giugno 2009 nella Basilica di San Paolo fuori le mura in occasione dell’Anno Paolino: 12 pezzi fra cui monete e medaglie pontificie, una medaglia cardinalizia con la figura dell’apostolo e immagini della basilica eretta in suo onore, più una placchetta dei pellegrini con le figure di san Pietro e san Paolo datata tra il XII e XIII secolo. 28) Mostra Pio XII, l’uomo e il pontificato, allestita tra ottobre 2008 e marzo 2009 prima in Vaticano, quindi in Germania, a Berlino e Monaco di Baviera: medaglie pontificie, della Repubblica Italiana ed emissioni private, per un totale di 20 pezzi. 29) Mostra allestita in Giappone a Nagasaki dal novembre 2008 al gennaio 2009 in occasione della beatificazione di 188 martiri giapponesi: 9 pezzi, fra cui 2 medaglie di Gregorio XIII, una moneta della Sede Vacante 1585 e una medaglia di Sisto V, emesse durante la permanenza a Roma di una delegazione di principi cristiani giapponesi, e 5 medaglie di Pio IX commemorative della canonizzazione nel 1862 di 26 martiri giapponesi. 30) Mostra allestita dall’11 febbraio al 10 maggio 2009 al Braccio di Carlo Magno in Vaticano per commemorare gli ottanta anni di costituzione dello Stato della Città del Vaticano: 28 pezzi tra medaglie e decorazioni pontificie di Pio IX, Pio XI e dei papi successivi alla firma del Concordato, medaglie del Regno d’Italia ed emissioni private.

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II. – I DATI NUMISMATICI ONLINE DEL MEDAGLIERE VATICANO La comunicazione ha lo scopo di evidenziare le modalità ed i criteri funzionali del catalogo elettronico (OPAC) della Biblioteca Vaticana, illustrando la gestione e la ricerca delle schede numismatiche con le relative immagini digitali, in ambiente Web. Con collegamento online all’OPAC, vengono mostrati esempi pratici.

Il progetto di catalogazione informatizzata delle monete e delle medaglie del Medagliere Vaticano, iniziato nel 2001, si connota con una duplice valenza. Da un lato, ha lo scopo di costituire uno strumento elettronico fruibile via Web, in grado di correlare le descrizioni alle immagini digitali, così da consentire l’identificazione e lo studio dei reperti numismatici. Dall’altro si incasella nell’ambito della più ampia realizzazione dei cataloghi in linea della Biblioteca Vaticana i quali, partendo da indici comuni, interrogano archivi elettronici che conservano i dati del patrimonio documentario della Biblioteca: manoscritti, libri antichi e moderni, stampe grafiche e disegni, carte d’archivio. Nel rimandare dall’una all’altra finalità, il metodo adottato si configura nell’adozione di una struttura formale flessibile, tale da consentire alle descrizioni numismatiche del Medagliere l’autonomia descrittiva individuata dalla singolarità numismatica ma garantendo, al contempo, la compatibilità con il complesso descrittivo degli altri beni della Vaticana. Si tratta di una codifica di metadati rappresentativi, comune alle registrazioni bibliografiche ma tale da ricomprendere la descrizione numismatica in ogni sua parte, senza adattamenti limitativi. Il formato di metadati a cui si fa riferimento è il MARC2114che viene correntemente impiegato per l’allestimento di cataloghi elettronici. MARC è l’acronimo di MAchine-Readable Cataloguing, strutturato per la compilazione di registrazioni catalografiche in unità logiche (record) archiviate in basi di dati organizzate secondo uno schema sintattico di riferimento. Quest’ultimo è strutturato secondo un insieme di elementi di dati che definisce fino a 999 caratteristiche peculiari di dati descrittivi e che presenta diverse regole sintattiche. A ciascun elemento della registrazione vie1

Standard proveniente dall’unione delle codifiche MARC nazionali di Stati Uniti, Canada, Regno Unito; pubblicato nel 1999 quale frutto della collaborazione tra Library of Congress, British Library e National Library of Canada. Cfr. .

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ne assegnato uno specifico designatore del contenuto, espresso per mezzo di un codice, riconosciuto in quanto tale dall’elaboratore elettronico. La leggibilità da parte della macchina è resa possibile dall’uso di questi marcatori ovvero campi che qualificano la semantica del dato. Generalmente, i cosiddetti ‘campi’ di una collezione di metadati sono costituiti da informazioni che descrivono le risorse informative a cui si applicano, con lo scopo di migliorarne la fruizione e facilitarne la ricerca e l’accesso nel catalogo elettronico. I metadati infatti permettono il recupero di documenti primari indicizzati attraverso le stringhe descrittive contenute nei record. In questi ultimi vengono rappresentate le caratteristiche più significative o le proprietà specifiche dei dati in questione. Gli elementi descrittivi della scheda numismatica elettronica del Medagliere Nell’applicazione degli standard catalografici, del formato MARC e delle procedure del sistema automatizzato in uso presso la Vaticana, si è tenuto conto, oltre alle specifiche caratteristiche che la descrizione del materiale numismatico presenta, delle richieste del Medagliere, cercando di riportare il più possibile, in ambiente elettronico, il tradizionale modus operandi. Ad esempio, alla rigida applicazione della griglia del formato MARC, si è cercato di far corrispondere una visualizzazione nel Web, nel modo più fedele alla definizione degli elementi numismatici, come si evidenzia nella seguente tabella di riferimento: Campi Marc21

Elemento numismatico

110 245 246 260 300 340 500 510 541 561 591* 592* 598* 600 610

Autorità emittente Nominale / tipo Indicizzazione leggende di dritto / rovescio Zecca Descrizione fisica e dati tecnici Metallo Note Bibliografia Acquisizione Provenienza Condizione Assi Grado di rarità Soggetto persona Soggetto ente

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611 650 651 700 710 920* 921* 922*

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Soggetto congresso / concilio Soggetto topico Soggetto geografico Nome persona / artista Altra autorità emittente Leggenda di dritto [descrizione] Leggenda di rovescio [descrizione] Leggenda su taglio [descrizione]

* Campi locali, accettati dallo standard MARC21, la cui semantica è stata specificata per la descrizione numismatica.

La catalogazione e le immagini digitali Il Medagliere ha avviato un programma di digitalizzazione delle monete e medaglie, condividendo — nelle linee ideali — i principi che stanno conducendo i grandi enti di conservazione di patrimoni documentari alla digitalizzazione dei beni conservati. Il progetto, per ciascun reperto, prevede la fotografia digitale che viene riferita, con legame ipertestuale, alla scheda descrittiva. La consultazione al pubblico dei dati e delle immagini è disponibile on-line nel catalogo WEB della Biblioteca. Le immagini sono fornite con tre livelli di risoluzione (piccola, media e grande) e vi è la possibilità di ingrandire i particolari fino a 5 volte. La qualità di digitalizzazione realizzata non prescinde dagli obiettivi del progetto ovvero la consultazione in Rete, tramite protocolli Internet. Tale attività prevede la produzione di file master ad alta risoluzione per l’archiviazione del bene numismatico e successiva riproduzione a stampa. Dalla cosiddetta master si derivano i file compressi per la pubblicazione nel Web. Il motore di ricerca consente l’interrogazione dei dati numismatici in un duplice percorso: dall’archivio dei dati del Medagliere nonché dal catalogo generale della Biblioteca che integra i dati di tutte le tipologie documentarie. Sicché, in quest’ultima modalità di ricerca le informazioni indicizzate, quali ad esempio quelle relative ad una autorità emittente o ad un soggetto, situano il bene numismatico all’interno del gruppo documentario in cui, sotto quel nome o quel soggetto, esso è registrato. Ad esempio un ducato papale, con l’immagine nel rovescio del Volto Santo, avrà tale definizione come termine classificatorio il quale è impiegato, oltre che nel catalogo del Medagliere, anche come soggetto relativo a stampe e pubblicazioni monografiche.

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Esempio di gruppo documentario sotto la voce di soggetto Volto Santo

È in tal modo offerta agli studiosi una panoramica generale dei materiali disponibili in Biblioteca, corrispondenti al tema dell’interrogazione di ricerca.

Esempio di descrizione (disponibile in Web a http://www.vaticanlibrary.va)

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Immagine del dritto

Immagine del rovescio

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Bibliografia di riferimento M. GORMAN, Metadati o catalogazione? Una falsa alternativa, in Biblioteche oggi 19 (2001), pp. 8-18 [http://www.bibliotecheoggi.it/2001/20010500801.pdf] Library of Congress, MARC Standards, in http://www.loc.gov/marc G. ALTERI – P. CALABRIA – P. MANONI, La Zecca di Roma nel Tardo Antico: esemplari quadrangolari presenti nel Medagliere Vaticano consultabile via Web, in Actas del XV Congreso Internacional de Arqueologia Cristiana, 5-8 maggio 2008 [in corso di stampa, ed. Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana].

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LA SCUOLA VATICANA DI BIBLIOTECONOMIA 1. Per una definizione della Scuola Vaticana di Biblioteconomia «La pépinière du roi». Così, secondo una tradizione non scritta1, amava definire la Scuola Vaticana di Biblioteconomia uno dei suoi professori degli anni ’50 del ’900, Luigi Michelini Tocci2, che fu il primo docente di storia delle biblioteche. Studioso di manoscritti e incunaboli, abile e colto medaglista, egli intendeva riferirsi al vivaio reale coltivato in Parigi non lontano dalla residenza del Lussemburgo. La definizione allude con un velo di ironia garbata a un carattere proprio di questa istituzione: la formazione concreta, quasi vivaistica, di giovani bibliotecari. Vi si coglie anche lo sguardo della cinquecentenaria Biblioteca madre verso questa sua figlia. La Scuola è infatti emanazione diretta della Vaticana, avviata in un particolare frangente storico. Una definizione istituzionale della Scuola danno invece gli ultimi Statuti della Vaticana, emessi nel 1995 e nel 2005, collocandola tra i servizi offerti a vari livelli dalla Biblioteca3. Essa così partecipa a uno dei caratteri 1

Devo la notizia di questa definizione al collega Massimo Ceresa, che ringrazio, a nome di tutti i docenti e dei collaboratori, per avere accolto tra loro anche me che della Scuola non sono stato allievo. Ai docenti e ai tanti allievi sono dedicate queste pagine, nelle quali spero si ritrovino almeno un poco. Un grazie sincero va al card. Raffaele Farina, che, da Prefetto, ha voluto affidarmi la vice direzione, e a mons. Cesare Pasini, che succedendogli, ha voluto che io continuassi. Un grazie a lui anche per aver riletto accuratamente questo testo. 2 M. BUONOCORE, Luigi Michelini Tocci (1910-2000), in Atti della Pontificia Accademia romana di archeologia. Rendiconti 72 (1999/2000), pp. 351-354; P. VIAN, Bio-Bibliografia di Luigi Michelini Tocci (1910-2000), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, IX, Città del Vaticano 2002 (Studi e testi, 409), pp. 501-525: a p. 505 la sua presenza alla Scuola. 3 Statuto e Regolamento della Biblioteca Apostolica Vaticana, Anno Domini MCMXCV, p. 21. In particolare l’articolo 71 dell’ultimo Statuto ricorda la fondazione al 1934, e indica struttura generale e finalità proprie: BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, Statuto. Regolamento. Tabella organica. Mansionario, Città del Vaticano 2005, p. 19, titolo IV, art. 71: «La Scuola di Biblioteconomia, istituita presso la Biblioteca da Papa Pio XI, ha lo scopo essenzialmente pratico di istruire nei moderni metodi di ordinamento e governo delle biblioteche. Essa è articolata in forma di uno o più corsi, al termine dei quali, dopo opportuni esami, viene rilasciato un Diploma di Biblioteconomia. Essa è retta da un proprio Regolamento». Il Servizio Scuole (ibid., pp. 19-20, artt. 70-73) considera anche la Biblioteca e la Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica. La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 429-449.

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indicati di recente come propri della Vaticana: lo spirito di servizio4, che qui diventa concretamente educativo/ formativo a orientamento professionale. In effetti alla Vaticana è sempre stato riconosciuto uno specifico ruolo in merito. Moltissimi ricercatori di discipline filologiche, storiche e paleografiche, soprattutto giovani, si sono formati frequentando la Biblioteca come palestra dei loro studi, oltre che come luogo in cui recuperare dati e materiale prezioso e adatto a singole ricerche. Spesso inviati appositamente dai loro maestri, essi hanno potuto consultare codici e libri antichi o usufruire delle sale di consultazione e di servizi accoglienti, ma anche apprendervi uno stile e una pratica di studio. La Biblioteca è quindi già da sé laboratorio di formazione e i ricercatori interni — scriptores e assistenti — ma anche custodi e restauratori, si sono spesso rivelati maestri di metodo e generosi dispensatori di notizie e suggerimenti. Parrebbe dunque quasi ovvio che la Vaticana in un dato momento della sua storia abbia aperto una scuola di scienze biblioteconomiche con taglio concreto e laboratoriale, e che questa scuola sia riuscita non solo a reggere i tempi, ma ad aggiornarsi con originalità e costante apprezzamento da parte di allievi e specialisti di settore5. Per statuto la Scuola ha regolamento6 e struttura propria7: attualmente direzione e scelta di docenti sono affidate al Prefetto, coadiuvato da un vice direttore che si avvale di una segreteria8. I docenti sono prevalentemente e preferibilmente scelti fra gli addetti della Vaticana, ma possono venire da altre istituzioni9. Il corpo dei docenti forma un consiglio, riunito 4 C. PASINI, From the Origins of the Vatican Library to the Mission of a Library – Dalle origini della Biblioteca Vaticana alla missione di una biblioteca, in Babel Bible and Kor’an from Texts to Contexts. Babele Bibbia e Corano dal testo al contesto. Milano, Biblioteca Ambrosiana – Sala Accademie, August 24th, 2009, ed. by S. DANIELI – M. GUERRINI, Roma 2010, pp. 95-120: in part. pp. 102-104, 116-118; ID., La Biblioteca Apostolica Vaticana e la sua missione – The Vatican Library and its Mission, in Biblioteca Apostolica Vaticana. Libri e luoghi all’inizio del terzo millennio – Vatican Library. Books and Places at the Beginning of the Third Millennium, Città del Vaticano 2011, pp. 19-23: in part. pp. 20-23. 5 A. ALECCI, Le origini della Scuola Vaticana di Biblioteconomia, in Dimensione Biblioteca I, 1, (1983), p. 15-16; A. PERNIGOTTI – P.G. WESTON, La Scuola Vaticana di Biblioteconomia, in Formazione e aggiornamento di archivisti e bibliotecari. Problemi e prospettive. Atti del Convegno, Roma, Università degli studi “La Sapienza”, 2-4 marzo 1989, a cura di A. PRATESI, [Roma] [c1991], pp. 121-135, bibliografia a p. 135; in sintesi A. MANFREDI, La Scuola Vaticana di Biblioteconomia, in Conoscere la Biblioteca Vaticana. Una storia aperta al futuro, a cura di B. JATTA – A. M. PIAZZONI, Città del Vaticano 2010, pp. 119-121. 6 SCUOLA VATICANA DI BIBLIOTECONOMIA, Materie e programmi di insegnamento per l’anno accademico 2010-2011, Città del Vaticano 2010, pp. 13-17. 7 BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, Statuto. Regolamento cit., p. 19, art. 72. 8 SCUOLA VATICANA DI BIBLIOTECONOMIA, Materie e programmi cit., p. 3. 9 L’elenco è pubblicato ogni anno al principio dell’ordine degli studi: BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, Statuto. Regolamento cit., pp. 19, art. 72, e p. 46 art. 93.

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a scadenze costanti, per gli scrutini e per seguire l’andamento della didattica e i rapporti con gli studenti. Questa struttura si è consolidata nel tempo senza che mai venisse meno lo spirito di servizio e lo stile educativo, individuato negli statuti con l’espressione «scopo essenzialmente pratico», che caratterizza la formazione degli allievi e il reclutamento dei professori tra il personale scientifico e professionale della Biblioteca. Il docente è a sua volta un professionista della materia che insegna, per attitudini di ricerca e insieme per l’attività che svolge nel proprio ufficio. Per meglio comprendere questi caratteri propri conviene ripercorrere gli anni della fondazione, pur un po’ in deroga alla prospettiva indicata al convegno di circoscrivere la ricerca al periodo successivo all’ultima guerra mondiale. Basta tuttavia risalire appena di un decennio, nel pieno del pontificato di Pio XI. L’avvio della Scuola è infatti abbastanza noto, lo è molto meno il suo sviluppo. 2. Le origini La Scuola Vaticana di Biblioteconomia nasce come conseguenza del riordino e della catalogazione degli stampati della Vaticana, promossa in Biblioteca a partire dagli anni ’20 del secolo XX, in collaborazione con la Carnegie Endowment e la Library of Congress di Washington D.C. Sono ben note vicende e importanza di questo progetto10, significativo per i tempi e di notevole respiro tecnico e culturale, che ha permesso di riorganizzare i fondi stampati della Vaticana, avviandone in maniera decisiva la catalogazione su schede cartacee, di recente riversate in OPAC con un progetto di conversione retrospettiva altrettanto importante11. La catalogazione su schede comportò infatti una riqualificazione completa del personale addetto agli stampati e spinse, per conseguenza, a pensare una scuola, che mettesse a disposizione l’esperienza accumulata per formare una nuova generazione di bibliotecari, soprattutto presso altri enti ecclesiastici, con l’intento di valorizzare un ingente patrimonio. 10 N. MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library and the Carnegie Endowment for International Peace: the History, Impact, and Influence of their Collaboration (1927-1947), Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 455); in sintesi L. ORLANDI, La sezione catalogo, in Conoscere la Biblioteca Vaticana cit., pp. 69-71. 11 ORLANDI, La sezione catalogo cit., p. 71; la conversione retrospettiva fu avviata all’interno della prospettiva di conversione generale di tutta la cosiddetta rete URBS: A. RITA, L’esperienza di URBS, in Catalogazione retrospettiva. Esperienze nelle biblioteche del Lazio, atti della giornata di studio, Roma, 5 dicembre 1995, a cura di G. MAZZITELLI – P. G. WESTON, Roma 1996, pp. 27-42, ripreso in F. VENUDA, La conversione retrospettiva dei cataloghi cartacei, in Accademie e biblioteche d’Italia n. s. 1,3 (2006), p. 9 e nt. 23.

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Tre sono le figure decisive per l’avvio della scuola, ma anche per la Vaticana di allora: Pio XI che approvò e sostenne il progetto, l’allora pro prefetto Eugène Tisserant, a guida di tutta l’operazione sugli stampati12, e il capo del catalogo, Igino Giordani. Ben noti ruolo e importanza dei primi due, ricerche recenti hanno invece rimesso in evidenza il terzo. Igino Giordani (1894-1980)13 è figura complessa di laico credente e la sua opera va oltre l’attività svolta in Vaticana durante alcuni anni che anch’egli ritenne decisivi per le proprie scelte di vita e per gli incarichi di cui fu investito14. Assunto in Biblioteca dal 1928, quando cioè Luigi Sturzo, di cui era stretto collaboratore, si ritirò in esilio negli Stati Uniti15, Giordani trascorse un periodo di studi biblioteconomici oltre Oceano, da cui tornò perfettamente bilingue, e quindi divenne capo del catalogo, scriptor e in seguito direttore della Scuola, dando impulso decisivo a tutto il progetto sugli stampati16. Fu lui, tra l’altro, a sostenere l’assunzione in Vaticana di un altro celebre esule del fascismo: Alcide De Gasperi17. Anche Giordani, 12 Sulle sue relazioni con la scuola in sintesi PERNIGOTTI – WESTON, La Scuola Vaticana cit., pp. 122-123; un suo scritto in merito è E. TISSERANT, Cité du Vatican. Institution d’une école de bibliothéconomie auprès de la Bibliothèque Vaticane, in Rôle et formation du bibliothécaire, étude comparative sur la formation professionnelle du bibliothécaire, Paris 1933, pp. 346-347. 13 MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 718 ad indicem, con voce dettagliata. 14 I. GIORDANI, Memorie d’un cristiano ingenuo, prefazione di G. GONNELLA, Roma 19813, pp. 77-82, 90-92,93-98. Questa fonte, che dedica diverse pagine all’attività in Vaticana con notizie e riscontri su avvenimenti e personaggi d’allora, non compare nella pur ricca e dettagliata bibliografia riguardante Giordani in MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library, cit., p. 691, 695. Me l’ha segnalata nel corso di un colloquio-testimonianza, il conterraneo dott. Giovani Battista Dadda, stretto collaboratore di Giordani fin negli anni ’60. A lui devo un ringraziamento particolare. 15 I. GIORDANI – L. STURZO, Un ponte tra due generazioni. Carteggio (1924-1958), prefazione di G. DE ROSA, introduzione di P. PICCOLI, Roma – Bari 1987. 16 GIORDANI, Memorie d’un cristiano cit., dedica le pp. 77-98 agli anni della Vaticana; il viaggio di apprendistato negli Stati Uniti è alle pp. 77-82; ne venne anche una consistente produzione di saggi in inglese o in italiano su riviste specializzate di area anglosassone, elencati in MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 681 e 695. Porta la sua firma la seconda edizione del ben noto strumento BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, Norme per il catalogo degli stampati, Città del Vaticano 1939, curato in collaborazioni gli altri tre primi professori della Scuola, Riccardo Matta, Giuseppe Graglia, Nello Vian, e arricchito da appendici tecniche, lessicali, esemplificative, predisposte anche per l’insegnamento. 17 GIORDANI, Memorie d’un cristiano cit., pp. 90-91, riferisce di una cartolina di De Gasperi a Giordani, datata il 2 ottobre 1928, con richiesta di aiuto, e di un episodio ben preciso: «E un giorno mi unii a Filippo Meda e a Longinotti per chiedere al serafico mons. Giovanni Battista Mercati (sic) un posto alla Biblioteca Vaticana per De Gasperi: e facilmente lo ottenemmo». La lettera è edita anche nel Carteggio De Gasperi-Giordani, in appendice a F. MALGERI, Giordani, De Gasperi e la DC, in Igino Giordani, Politica e morale cit., p. 108 nr. 2; un commento a questa dolorosa testimonianza del grande statista e al rapporto di amicizia che ne venne con Giordani e la Vaticana, è Ibid., pp. 94-95. Gli altri nomi coinvolti nel passaggio di De Gasperi in Vaticana sono quelli di Filippo Meda, noto esponente milanese del partito popolare, e del bresciano Giovanni Maria Longinotti, rituratosi poi nel Viterbese; per entrambi cfr. O.

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come De Gasperi, si dimise dalla Vaticana quando fu eletto all’Assemblea costituente. L’attività politica si interruppe per Giordani nel 195318, per approdare ad un impegno educativo ed ecclesiale per lui estremamente coinvolgente19, con una parabola simile ad un altro grande, seppure molto diverso, laico credente, Giuseppe Lazzati20. Entrambi furono accomunati da notevole tensione educativa aperta al cosiddetto impegno secolare del laicato cristiano, che prevedeva non solo una scelta di fede e un’adeguata preparazione dottrinale, ma anche una seria capacità professionale, ritenuta parte della specifica vocazione nel mondo. La Scuola Vaticana nasce appunto anche sotto il segno di questa sensibilità: avviata principalmente per ecclesiastici, essa fu da subito aperta e sempre più frequentata da laici di ogni estrazione, anche non necessariamente credenti e praticanti. Il progetto della Scuola maturò più precisamente tra la primavera e l’estate del 1934, tra l’Italia e gli Stati Uniti, a seguito del secondo viaggio americano di Eugène Tisserant. L’approvazione entusiasta del papa venne nell’estate di quell’anno e subito nell’autunno il corso partì21. Gli obiettivi iniziali sono espressi nella prolusione al primo anno di corso, pronunciata da Tisserant il 13 novembre 193422: CAVALLERI, Longinotti, Giovanni Maria, e A. CANAVERO, Meda, Filippo, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, 1860-1980, direzione scientifica F. TRANIELLO – G. CAMPANINI, II, I protagonisti, s.l., 1982, pp. 314-318, 354-363; i due risultano corrispondenti di Mercati: Carteggi del card. Giovanni Mercati, 1, 1889-1936, a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 413; Cataloghi e inventari dei fondi manoscritti, 7), ad indicem, pp. 642, 645. Una memoria su De Gasperi in Vaticana in N. VIAN, De Gasperi, bibliotecario di passo, in ID., Il leone nello scrittoio, con notizia di A. CIBOTTO, Reggio Emilia 1980, pp. 211-212. Una singolare e affettuosa testimonianza sul card. Mercati è in GIORDANI, Memorie d’un cristiano cit., pp. 94-95. 18 GIORDANI, Memorie d’un cristiano cit., pp. 143-146. 19 Sul piano professionale, Giordani fu ancora per alcuni anni, dopo il 1953, consulente della Biblioteca della Camera dei deputati, anche in questo caso occupandosi dell’aggiornamento dei sistemi di catalogazione. Una scheda su di lui, con bibliografia specifica, a firma di A. S. TRINCHESE, in Dizionario biografico degli italiani, 55, Roma 2000, pp. 207-212. 20 Tra le molte pubblicazioni su di lui, anche in seguito al recente centenario della nascita (1909-2009), rinvio alla recentissima monografia S. FIENI, Giuseppe Lazzati. Un laico fedele, Roma 2011, cui rimando anche per l’ampia bibliografia (pp. 261-282); per il ritiro dalla vita politica nel 1953: ibid., pp. 241-242, ribadito nel ’54 in una lettera a Domenico Dolcini, segretario provinciale della DC di Milano: ibid., p. 242. 21 MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pp. 560-563, dove le vicende sono narrate soprattutto attraverso la testimonianza di Tisserant; ecco il vivo ricordo che ne conservava GIORDANI, Memorie d’un cristiano cit., p. 93: «Intensa era l’attività alla Biblioteca Vaticana, dove, sopra tutto sotto la mia responsabilità, si operò la modernizzazione della catalografia: per essa … fondai, nel 1934, la Scuola Vaticana di biblioteconomia. La proposi a Tisserant, che la propose a Pio XI: e in un paio di giorni fu fatta. Nel 1938, la Scuola contava ormai 80 alunni d’ogni nazione». 22 L’inizio dei corsi in L’Osservatore Romano, 16 novembre 1934, p. 2, cfr. PERNIGOTTI – WESTON, La Scuola Vaticana cit., p. 121.

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Aver cura dei libri, essere bibliotecari, è un dovere speciale al fine di curare quel che resta delle antiche biblioteche annesse a monasteri e chiese, al fine di conservare il materiale rimasto, di accrescerlo, ordinarlo, metterlo in valore. […] Le biblioteche ben tenute contribuiscono molto a fare sacerdoti amanti dello studio e, non temo di dire, più capaci, in conseguenza, di far del bene alle anime. […] La Scuola intende precisamente insegnare a servir meglio i confratelli o gli alunni dei seminari, ad organizzare biblioteche per le opere che necessitano, oppure ad insegnare ad altri come organizzarle.

Felice anche la sintesi da lui proposta sugli elementi che contraddistinguono e motivano una biblioteca moderna: Curare quel che resta delle antiche biblioteche, conservare il materiale, accrescerlo, ordinarlo, metterlo in valore.

Ciò significa stabilire procedure di tutela e restauro del patrimonio librario, di politica delle acquisizioni, di applicazione di una rigorosa normativa catalografica ed efficienti servizi di prestito e informazione bibliografica. Di questo si sarebbe dovuta occupare la Scuola di Biblioteconomia23. Si colgono già così alcune linee di fondo che hanno sempre contraddistinto la Scuola: un approccio a tutte le tipologie di patrimonio librario, l’apprendimento serio e preciso della catalogazione e della strumentazione scientifica connessa, l’attenzione agli studi in biblioteca, condotti anche dai catalogatori24, una metodica direttamente appresa dall’esperienza, l’intento di formare professionisti delle biblioteche, come lucidamente dichiara anche il suo secondo direttore, il Giordani appunto, pochi anni dopo25: La nostra scuola ha un carattere autonomo anche in confronto con le altre scuole di biblioteconomia che ci sono in Italia. Anzi, sin dall’inizio, ci siamo 23

PERNIGOTTI – WESTON, La Scuola Vaticana cit., pp. 121-122. Il prefetto Mercati promosse lo studio personale e l’autoformazione di tutti i dipendenti della Vaticana, non solo degli scriptores, preposti alla catalogazione e alla valorizzazione del patrimonio manoscritto. Lo ricorda GIORDANI, Memorie d’un cristiano cit., p. 94: «Con intelligenza il prefetto, mons. Giovanni Mercati … concedeva ai dipendenti un’ora quotidiana per leggere: così persino i bibliotecari potevano leggere i libri». E ciò corrisponde ad una norma del Regolamento della Biblioteca Apostolica Vaticana Roma 1923, p. 26, riferita agli assistenti, che allora erano i catalogatori degli stampati, e che Giordani chiama genericamente bibliotecari. Tra le loro mansioni, regolate dall’art. V, al comma 5 si legge: «Anche gli assistenti nelle ore di chiusura sono introdotti con agevolezza dal prefetto a compiere studî e lavori proprî privati». Così Giordani poté approfondire gli studi di patrologia, che tanta parte ebbero nella sua formazione spirituale e nelle sue scelte ecclesiali. Un’altra — annoto — affinità culturale con Lazzati, i cui studi di patristica però nacquero e crebbero in ambito accademico. 25 Intenti, finalità e primi passi della Scuola in I. GIORDANI, La Scuola Vaticana di Biblioteconomia, in The Library Quarterly 12/3 (1942), pp. 495-503, il passo citato è a p. 497, ed è ripreso in MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 563 nt. 84. 24

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preoccupati di non creare un duplicato a Roma, dove già vive una scuola di biblioteconomia presso la Regia Università. La scuola dell’università ha un carattere umanistico, comprende studi di paleografia e di storia, ed è più teoretica che pratica. La Scuola Vaticana ha scopi più modesti e sopra tutto più pratici. Perciò somiglia più alle scuole americane per bibliotecari: non per nulla chi l’ha progettata e chi vi insegna, s’è formato nelle scuole americane: nella Library Science School dell’Università di Michigan e nella School of Library Service della Columbia University.

Questo passo risulta ancor più chiaro, se posto in relazione a un primo tentativo, risalente al 1929, di fondare in Vaticano una scuola di biblioteconomia. L’allora prefetto dell’Archivio Segreto, mons. Angelo Mercati, aveva chiesto proprio a Giordani di inserire una classe di biblioteconomia nella ormai affermata Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica26. L’idea si connetteva da vicino, almeno in termini cronologici, ad un’altra importante fondazione, quella della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari, nata nel 1927 accanto alla cattedra di Storia medievale della Sapienza, quindi nell’ambito della facoltà di lettere27. Questo progetto non andò in porto, e la scelta del ’34 fu diversa: la Scuola di Biblioteconomia fu emanazione diretta della Biblioteca, non nacque in ambito universitario con un approccio «più teoretico che pratico», come dichiara Giordani, proprio per «non creare un duplicato a Roma», perché28: In Vaticano a pochi passi dalla Biblioteca, esiste già una fiorente scuola di paleografia e diplomatica, condotta da insegnanti che fanno parte del personale dell’Archivio Segreto Vaticano … Essa fu istituita più di 50 anni or sono, e cioè nel 1884, allo scopo di promuovere e rafforzare gli studi storici.

Idee ben chiare, dunque: il carattere eminentemente pratico e professionale avrebbe contraddistinto la Scuola che nasceva da una Biblioteca in piena attività di rinnovamento catalografico e funzionale, e dotata di una tradizione propria di studi. Tale carattere si ispirò al modello anglosassone in cui si erano formati gli assistenti vaticani addetti al catalogo. Si previde così una forte interazione tra docente e discente, una minore presenza di apprendimento teorico, rispetto a quello pratico: e infatti nei 26

MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pp. 561-562. Sulla Scuola Speciale si veda A. PRATESI, La Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari, in Comitato Nazionale per le celebrazioni del 25° anniversario della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari. Formazione e aggiornamento di archivisti e bibliotecari: problemi e prospettive, a cura di A. PRATESI, Roma 1992, pp. 17-28. 28 GIORDANI, La Scuola Vaticana di Biblioteconomia cit., p. 497, pure ripreso in MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 562 nt. 82. 27

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primi anni essa non ebbe una sede propria29, ma gli allievi operavano, come i tirocinanti di oggi, accanto ai bibliotecari/docenti30. Prese così avvio un «corso breve»31, annuale, cui si accedeva essendo in possesso di licenza liceale, permesso dei superiori (specie per gli ecclesiastici), garanzia di serietà morale e professionale. Tre le materie previste32: Catalogazione, affidata allo stesso Giordani, Organizzazione e servizi (acquisto, gestione, servizio ai lettori), affidata a Giuseppe Graglia33, Bibliografia, affidata a Nello Vian, forse il più longevo tra i professori della Scuola34. Le tre discipline sono rimaste nel tempo i pilastri fondamentali dell’offerta formativa: primo direttore fu il Tisserant; trenta allievi, di cui tre laici, formarono la prima classe, immortalata in fotografia dopo l’udienza pontificia dell’8 maggio 193535. Il 14 novembre 1935 si apriva il secondo corso con 28 allievi36; le schede personali conservate sono in realtà 3137 e si aprono con un nome davvero non ignoto: «Baggio, Sebastiano, sac./da Rosà (Vicenza), 1913». Oltre al futuro cardinale38, tra gli altri nove italiani mi permetto di segnalare almeno due nomi: quelli di Paolo Dalla Torre (1910-1994) e Amedeo Tintori (1912-1998). Ben noto il primo: Paolo Dalla Torre, allora appena laureato, figlio del celebre direttore dell’Osser29 Come mostra una nota organizzativa di Tisserant pubblicata in MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 562 nt. 81. 30 Due immagini dell’allora ufficio catalogo di allora sono riprodotte in ORLANDI, La sezione catalogo cit., p. 69; una delle due anche in A. RITA, La Biblioteca Vaticana nelle sue architetture. Un disegno storico, in Biblioteca Vaticana. Libri e luoghi all’inizio del terzo millennio, Città del Vaticano 2011, p. 104 fig. 32. Per la raccolta degli stampati, Pio XI, ancora ispirandosi al modello anglosassone, volle un nuovo deposito, che con scaffali e travi d’acciaio suddivideva e sfruttava al meglio il corridoio lungo del cortile del Belvedere: RITA, La Biblioteca Vaticana nelle sue architetture cit., pp. 107-108. 31 L’espressione è riferita a Pio XI, che così avrebbe inteso le modalità dell’istituendo corso: MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 561. 32 MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., p. 563. 33 Su di lui MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., ad indicem, p. 718. 34 Nello Vian (1907-2000) alla Scuola insegnò dal ’34 fino al ’60, poi ancora tra il ’79 e l’80, nel ’60 ne fu anche direttore. Si veda l’edizione recente di una silloge di suoi scritti: N. VIAN, Figure della Vaticana e altri scritti. Uomini, libri e biblioteche, a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 424), in particolare la Nota introduttiva (pp. V-XI). 35 MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pl. 26. 36 MATTIOLI HÁRY, The Vatican Library cit., pp. 570-571. 37 Gli allievi dei primi dodici corsi sono stati registrati su schede di formato internazionale, una per ciascun allievo, con nome, cognome, provenienza, data di nascita; dal nono anno di corso (1942-1943) sul verso della scheda è incollata anche una fototessera. 38 Sebastiano Baggio (1913-1993) fu ordinato il 21 dicembre del 1935, nell’anno in cui frequentò la Scuola: vescovo nel 1953 e cardinale nel 1969, fu prefetto della Congregazione dei vescovi dal 1973 e dal 1985 camerlengo di Santa Romana Chiesa: Annuario Pontificio per l’anno 1993, Città del Vaticano 1993, p. 38*; Annuario Pontificio per l’anno 1994, Città del Vaticano 1994, p. 1142.

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vatore Romano, è stato studioso di storia moderna ed esponente di spicco del laicato cattolico italiano39. Il Tintori, originario dell’alto Appennino modenese, fu ordinato sacerdote a Livorno nel 1934 e frequentò la scuola forse in concomitanza con il corso in utroque, seguito a Roma; anch’egli legato alla gioventù di Azione Cattolica e alla FUCI, si segnalò per il suo impegno negli anni della Resistenza: ne scrisse in un volume di memorie sul clero nella guerra partigiana40. Ormai concluso il secondo anno accademico, il 15 giugno 1936 Tisserant e Mercati furono creati cardinali da Pio XI. Mercati rimase in Vaticana e Tisserant passò alla Congregazione delle Chiese orientali: la direzione della Scuola fu direttamente assunta da Giordani, che la tenne fino alle dimissioni dal servizio in Vaticana. 3. Fonti per una storia della Scuola Vaticana di Biblioteconomia È dunque abbastanza agevole cogliere i metodi d’insegnamento e le costanti dell’offerta formativa della Scuola già ai suoi anni iniziali, molto meno nota è l’evoluzione della struttura e dei corsi, che si caratterizzano per una significativa continuità didattica. In settantasei anni di vita si sono tenuti settantaquattro corsi annuali: due sospensioni sono documentate negli anni critici 1943-44, e 1944-4541; corsi regolari si sono invece tenuti durante tutta la recente chiusura per restauri: anzi, in questo periodo, la Scuola ha mantenuto la sua normale attività, in pieno contatto con l’esterno. Frutto della continuità didattica è l’abbondante documentazione raccolta nell’archivio della Scuola, appena riordinato e quindi ancora da esaminare con cura. Grazie ad esso sarà possibile ripercorrere i settantasei anni di storia poggiandosi su solide basi, da confrontare con almeno altre tre fonti: i documenti conservati in altre sezioni dell’Archivio della Biblioteca; gli organi di stampa, ufficiali e ufficiosi, della Santa Sede; un gruppetto di titoli bibliografici specificamente connessi con la Scuola, compresa una rivista di pochi numeri, Dimensione biblioteca, e alcune monografie 39 Su di lui C. PIETRANGELI, P. Dalla Torre, in Studi Romani 42/1-2 (1994), pp. 89-90; V. E. GIUNTELLA, Paolo Dalla Torre, in Archivio della Società Romana di Storia Patria 117 (1994), pp. 279-280; A. PAGLIALUNGA, Ricordo di Paolo Dalla Torre, in Strenna dei Romanisti, Roma 1996, pp. 747-748. 40 A. TINTORI, Memorie dell’Appennino, 1943-1945. Preti nella Resistenza, Modena 1992. Mons. Tintori fu poi cancelliere vescovile, canonico penitenziere, vicario generale della diocesi di Livorno, di cui fu cultore delle memorie e degli archivi: un suo ricordo in Toscana oggi. La settimana di Livorno, 2 nov. 2008, p. II (cfr. diocesi chiesa cattolica, documenti diocesi, 2 novembre 2008). 41 Tale interruzione è documentata anche dall’assenza nell’archivio della scuola delle domande di ammissione: si veda qui a nt. 46.

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risultati del lavoro di riflessione e ricerca condotto dall’impegno comune di studenti e docenti42. L’archivio della Scuola è stato recentemente ricomposto, riordinato e inventariato43, ed è ora custodito parte nell’Archivio della Biblioteca, parte presso la Scuola stessa44. Ad oggi l’archivio è costituito da oltre cinquecento pezzi, organizzati in nove classi45, che danno conto dell’anagrafe degli studenti46, delle presenze47 e dello svolgimento dei corsi48, delle prove scritte e orali degli esami, del conseguimento dei diplomi e della direzione e gestione amministrativa49. Si trova anche documentazione sul contenuto dei corsi, attraverso materiale specifico di singoli professori, ritrovato o consegnato alla Scuola50, o messo a disposizione degli allievi tramite la 42

Dimensione biblioteca. Bollettino dell’Associazione Allievi ed Ex Allievi della Scuola Vaticana di Biblioteconomia 1 (maggio 1983) – 7 (dicembre 1989); P. G. WESTON, A. PERNIGOTTI, La biblioteca nel computer. Come automatizzare?, con la collaborazione di M. GHERA, presentazione di L. E. BOYLE, Città del Vaticano 1990 (La casa dei libri. Quaderni della Scuola Vaticana di Biblioteconomia, 1); La catalogazione derivata. Procedure di ricerca e trasferimento di registrazioni bibliografiche da basi di dati e CD-ROM, a cura di P. G. WESTON, Città del Vaticano 1993 (La casa dei libri. Quaderni della Scuola Vaticana di Biblioteconomia, 2). 43 BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, SCUOLA VATICANA DI BIBLIOTECONOMIA, Titolario di classificazione. Inventario, aggiornato a luglio 2008, a cura di I. BIONDI (d’ora in poi Titolario di clasificazione cit.); BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, SCUOLA VATICANA DI BIBLIOTECONOMIA, Aggiornamento Titolario e Inventario (luglio 2010), a cura di I. BIONDI. Ho qui l’occasione di ringraziare la segretaria, dott. Biondi, per il lavoro compiuto e in particolare per la cura del progetto di risistemazione dell’archivio della Scuola, condotto dopo il trasloco nella nuova sede di Via della Conciliazione. Di questo riordino sono frutto appunto il titolario appena indicato e i suoi aggiornamenti. 44 Sono tutte conservate a scuola anche le Tesine bibliografiche, di cui tra poco si farà cenno: Titolario di classificazione cit., p. 15. 45 Titolario di classificazione cit., p. II-III: I. Domande di ammissione, II. Registri delle presenze, III. Corsi, IV. Tesine bibliografiche, V. Esami, VI. Diplomi, VII. Direzione, VIII. Amministrazione, IX. Associazione Allievi e Ex allievi. 46 Le domande di ammissione vanno dall’a. a. 1934-35 ad oggi, con esclusione dei due soli a.a. 1943-44 e 1944-45, in cui il corso di biblioteconomia non è stato attivato. Di ogni anno si conserva la documentazione spedita dagli allievi per essere ammessi: domande, curricula, lettere di presentazione, fototessere e, negli ultimi anni, anche certificati richiesti. Titolario di classificazione cit., pp. III-IV, 3-6. 47 I registri delle presenze coprono lo stesso arco di tempo delle domande d’ammissione, dall’a.a. 1934-35 ad oggi. Dei primi anni di corso (1934-35 – 1942-43) si conservano i registri con le firme degli allievi e quelli con l’indicazione delle presenze annuali; dall’a.a. 1938-39 all’a.a. 1979-80 sono conservati i registri dei singoli professori che si sono avvicendati nell’insegnamento delle discipline; dall’a. a. 1980-81 all’a.a. 1999-2011 il registro delle presenze è tornato unico per ogni a. a.: Titolario di classificazione cit., pp. IV, 7-11. Ultimamente il rilevamento delle presenze è condotto con un sistema informatizzato. 48 Titolario di classificazione cit., pp. IV-VI, 12-15. 49 Titolario di classificazione cit., pp. 16-23. 50 Oltre a registrare dispense e a materiali relativi a molti docenti, sono state allestite se-

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segreteria (dispense, fotocopie di materiale bibliografico ecc.)51. Un’ultima serie è dedicata all’attività dell’Associazione Allievi e Ex Allievi, che però ha avuto purtroppo vita breve52. Rilevanti sono anche la collezione dei cosiddetti libretti53 e l’archivio delle tesine bibliografiche54. I primi, contenenti l’ordine degli studi pubblicato prima dell’inizio di ciascun corso, si conservano a partire dall’a.a. 1942-43: permettono quindi di ricostruire le proposte formative per ciascun anno accademico e i regolamenti di svolgimento dei corsi. Vi si possono reperire, infatti, il quadro dell’organico (direttore, vice, docenti, segreteria), una sintesi su origini, sviluppo e finalità, l’organizzazione dei corsi, il calendario delle lezioni, i programmi e la bibliografia delle singole discipline55. Una parte cospicua dell’archivio è formata dalle tesine bibliografiche, che sono da sempre parte integrante del corso di Bibliografia: esse costituiscono «la compilazione e la stesura di un lavoro bibliografico che, preparato nel corso dell’anno accademico dagli studenti, verrà esaminato e discusso in sede d’esame»56. Prodotte da ciascuno studente in forma di elaborato scritto, sono state conservate a Scuola e sono in fase avanzata di riordino e censimento: raccolta preziosa per contenuti e metodo, testimonianza degli svariatissimi interessi bibliografici praticati e del rigoroso apprendimento della disciplina. L’archivio documenta il costante e ordinato svolgimento dei corsi e conserva notizie preziose per conoscere la formazione dei moltissimi allievi bibliotecari che hanno frequentato la Scuola, e lo sviluppo delle discipline praticate. Altrettanto utili sono le moltissime notizie ricavabili dai periodici della Santa Sede, nei quali la Scuola compare pressoché da subito: essi attendono ancora uno spoglio bibliografico completo che andrà allestito con attenzione. Ci si riferisce in particolare all’Osservatore romano, in cui sono stati pubblicati bandi di iscrizione e notizie di diplomi; all’Annuario pontizioni specifiche per due di essi, Nello Vian e Paul Canart, di cui si dispone di molto materiale: Titolario di classificazione cit., pp. 29-35. 51 Titolario di classificazione cit., pp. 13-15. 52 Si conserva il materiale relativo all’Associazione Allievi ed Ex-allievi della Scuola Vaticana di Biblioteconomia, dal 1982 al 1994, in particolare: elaborazione di statuti, verbali di consiglio, tessere d’iscrizione, bollettini, ricevute, ma anche copie del bollettino di informazione tra i soci, materiali sull’attività di aggiornamento tramite corsi conferenze su temi specifici, documentati da inviti e anche bobine di registrazione: Titolario di classificazione cit., pp. X, 24-27. 53 Titolario di classificazione cit., pp. 12-13. 54 Titolario di classificazione cit., p. 15. 55 Titolario di classificazione cit., p. V: copia di tutti i libretti disponibili è conservata presso la Direzione della Scuola. 56 SCUOLA VATICANA DI BIBLIOTECONOMIA, Materie e programmi cit., 23.

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ficio, organo ufficiale della Santa Sede per quanto riguarda cariche, uffici e ruoli, nel quale si ritrova a partire dal 1940 l’organico degli insegnanti e delle discipline di studio, elencati alla fine della voce dedicata alla Biblioteca Vaticana; all’Attività della Santa Sede, pubblicata dal 1948, che, pur non essendo organo ufficiale, è strumento utilissimo per le notizie e i dati di cronaca offerti. È anche facile prevedere che lo spoglio completo dell’Archivio della Biblioteca porterà molte informazioni sulla Scuola e sul suo sviluppo57. Tutto dovrà essere confrontato con il pur utile, ma fragile patrimonio di memorie personali tramandato da allievi e professori. Uno studio esaustivo di queste e altre fonti permetterà di far luce su una storia in cui si intrecciano vicende di giovani bibliotecari e di studiosi passati per la Scuola, e prospettive didattiche di docenti, problematiche istituzionali e riflessioni su una materia, la biblioteconomia, che in questi ultimi settant’anni ha conosciuto fondamentali trasformazioni. 4. Per la ricostruzione degli sviluppi della Scuola: l’offerta formativa Da una prima valutazione emergono, come già accennato, alcuni caratteri educativi propri della Scuola Vaticana di Biblioteconomia: la forte continuità, la più volte citata impostazione metodologica concreta, accompagnata da una buona duttilità ed evoluzione pedagogica. Il profilo dell’offerta formativa e l’evolversi del piano di studi mostrano almeno tre caratteri di rilievo generale. Il primo riguarda la presenza costante di alcune discipline, che potremmo definire i tre pilastri della Scuola: Catalografia, Ordinamento e servizi di biblioteca (Biblioteconomia), Bibliografia; il secondo carattere è costituito da una certa agilità e varietà nel trattare materie e contenuti: i corsi si strutturano modulandosi su più materie in relazione all’evoluzione della formazione biblioteconomica; il terzo carattere risiede nell’approccio a una biblioteconomia che non sia solo “tecnica”, ma anche “umanistica”, secondo lo spirito proprio di una Biblioteca come la Vaticana, in cui la preparazione tecnica si sposa con il rigore filologico e scientifico nel trattare dati e nell’inserirli nei contesti storici, preoccupandosi di fornire agli allievi un’adeguata preparazione culturale di fondo. Tutto ciò ha permesso alla Scuola di stare al passo con i tempi e con il rinnovamento delle discipline insegnate e, d’altra parte, di offrire in momenti decisivi un contributo originale di riflessione alla Va-

57

Ad esempio quella segnalatami dalla dott. Rita riguardante la ristrutturazione della sede della Scuola, inaugurata nel 1977-78, contestualmente al riordino dell’ammezzato oggi sede della sala riviste: si veda qui a nt. 82.

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ticana, non solo attraverso alcuni suoi docenti o allievi, ma in quanto ambiente scolastico che riflette e si confronta con le discipline da trasmettere. L’evoluzione dell’offerta formativa può essere suddivisa in cinque fasi58. Sulle prime quattro ci soffermeremo brevemente in questo paragrafo, sulla quinta abbiamo concentrato la cronaca dell’oggi, cui faremo cenno per conto proprio: 1. 2. 3. 4. 5.

1934-35 – 1939-40: la fondazione 1940-41 – 1959-60: la scuola nella sua prima sede 1960-61 – 1981-82: la scuola nella sua seconda sede 1982-83 – 1998-99: la scuola e la catalogazione informatica 2000-2010: le scelte degli ultimi dieci anni

La prima fase è quella fondativa e va dal 1934-35 al 1939-40. Le basi teoriche e pratiche degli insegnamenti si raggruppano in poche materie, ben collegate alla catalogazione. Questo il prospetto degli insegnamenti per l’anno 1939-4059: — — — —

Catalografia Bibliografia Organizzazione e servizi (Biblioteconomia) Storia del libro

I. Giordani N. Vian G. Graglia L. Donati

La direzione, come si è detto, fu affidata dapprima a Tisserant, poi, dal 1936 fino al 1947, a Giordani60, e i corsi, come ugualmente già detto, non avvenivano in una vera e propria sede61. Un momento di passaggio si colloca tra il 1941 e il 1943, quando, dopo un buon tratto di cammino, la Scuola fu collocata al piano terreno dell’edificio, verso il cortile del Belvedere. Lo ricorda l’epigrafe, oggi purtroppo del tutto delocalizzata62, e lo conferma una bella fotografia appena ripub-

58 Ho cercato di ricostruirle attraverso i dati forniti dall’Annuario Pontificio e dall’Attività della Santa Sede, rapidamente riscontrati su documenti dell’archivio della Scuola. 59 Il corpo docente compare per la prima volta nell’Annuario Pontificio per l’anno 1940, Città del Vaticano 1940, p. 836; ibid., p. 834, si fa cenno della fondazione da parte di Pio XI, alla fine del profilo storico dell’istituzione. 60 Giordani risulta direttore fino al 1947; nell’Annuario Pontificio per l’anno 1940, Città del Vaticano 1947, p. 836, manca il nome sia del direttore che del docente di Catalografia; nel successivo Annuario Pontificio per l’anno 1948, Città del Vaticano 1948, p. 865, Riccardo Matta è docente di Catalografia e manca ancora un direttore. 61 Cfr. qui a p. 436 e nt. 30. 62 L’epigrafe è murata oggi all’ingresso interno all’economato, che attualmente occupa gli spazi a disposizione della Scuola dal 1941: PIVS XII PONTIFEX MAXIMVS / SCHOLAM BIBLIOTHECARIIS INSTITVENDIS / A DECESSORE SVO INCHOATAM / AMPLIFICARI ET EXORNARI IVSSIT / ANNO CHR. SAL. MDCCCCXXXXI / SACRI PRINCIPATVS III.

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blicata63. L’aula fu ricavata al piano terreno dell’edificio costruito da Sisto V per la Biblioteca nel sec. XVI, e nell’immagine fotografica, risalente al 194264, compaiono sulla parete di fondo l’epigrafe di Pio XII e l’arredamento con tavoli provenienti dalla Biblioteca Chigiana. Sotto l’epigrafe il probabile primo nucleo della biblioteca professionale, tuttora conservata presso la Scuola a disposizione di insegnanti e studenti. Il passaggio a una sede stabile è sicuramente indice di consolidamento istituzionale. La Scuola, pur continuando a interagire con la Biblioteca, si caratterizza e si struttura in modo più saldo, aumentando e precisando anche l’offerta formativa. Nella nuova sede il corso procedette in un primo tempo secondo l’ordine degli studi fissato in precedenza; ma già nel 1952 vi fu aggiunta la cattedra di Storia delle Biblioteche, affidata come ricordato più sopra, a Luigi Michelini Tocci65. Si amplia così la proposta culturale offerta, anche sulla scorta degli studi eruditi allora praticati con grandi frutti in Biblioteca. Ecco dunque il prospetto delle materie nel 195666: — — — — —

Catalografia Bibliografia Biblioteconomia Storia del libro Storia delle Biblioteche

G. Graglia N. Vian R. Matta L. Donati L. Michelini Tocci

Al 1954 risale una statistica elaborata alla scadenza dei primi vent’anni di attività: fin’allora gli studenti ammessi risultavano 1165, i diplomati 54367. Il numero medio di alunni per anno era di circa 40, di cui solo la metà arrivavano al diploma68. Nel frattempo dopo le dimissioni di Giordani, la cattedra di Catalografia fu assunta per un biennio da Riccardo Matta (1947-48 – 1948-49) e la direzione rimase vacante fino al 1950, quando 63

RITA, La Biblioteca Vaticana nelle sue architetture cit., p. 114 fig. 45. La collega Andreina Rita l’ha rintracciata in un album fotografico offerto a Pio XII, e ora custodito nell’Archivio della Biblioteca: esso si riferisce al rifacimento degli ingressi e del piano terreno della Biblioteca verso il cortile del Belvedere. Ho qui occasione di ringraziare la dott. Rita per i continui e proficui confronti su questi temi. 65 Ne dà notizia l’Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1952, p. 257: il corso introdotto era semestrale; se ne trova conferma in Annuario Pontificio per l’anno 1953, Città del Vaticano 1953, p. 983. Si veda anche qui a p. 429. 66 Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1956, p. 251; Annuario Pontificio per l’anno 1956, Città del Vaticano 1956, p. 1031. 67 Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1952, pp. 306-307, dedica un certo spazio alla Scuola che in quell’anno festeggiava il suo primo ventennio di attività. 68 Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1957, p. 289: 39 alunni, 17 diplomati; Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1958, p. 236: 41 alunni, 19 diplomati; Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1959, p. 288: 53 alunni, 25 diplomati. 64

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Giuseppe Graglia, divenuto Capo del Catalogo, passò a Catalografia e assunse la guida della Scuola; a Matta fu affidata la cattedra di Biblioteconomia69. *

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Il 24 novembre 1960 si inaugurò la sede ristrutturata e una nuova fase della Scuola: l’apertura fu solennizzata da due autorevoli prolusioni, del card. Tisserant, divenuto nel frattempo bibliotecario, e del prefetto Anselmo Albareda70. Evidente il passaggio a una fase nuova, forse anche dovuto a un forte ricambio generazionale tra gli insegnanti. La scelta formativa ritorna allo standard iniziale delle tre materie principali: Bibliografia, Ordinamento e servizi di biblioteca, che sostituisce Biblioteconomia, Catalografia; i professori si riducono a due, che si alternano nelle discipline. Inizia così un ventennio di attività in cui l’insegnamento fu affidato a pochi, celebri nomi: Niccolò Del Re, Romeo De Maio, Nello Vian, che sostituì De Maio dal 1979. La direzione passò per un’annata di transizione da Graglia a Vian (196071), per tornare nelle mani del prefetto72, e poi per essere assunta nel 1967 da Romeo De Maio73, quindi, nel 1979 da Niccolò Del Re74. Ecco il prospetto delle materie nel 1961-6275: — — —

Catalogazione Bibliografia Ordinamento e servizi

N. Del Re R. De Maio N. Del Re

L’impostazione formativa si orienta dunque verso un approccio di base, attento principalmente alla catalogazione degli stampati, riducendo nell’impianto delle materie l’aspetto per così dire umanistico che era via via emerso negli anni Cinquanta, a seguito degli studi condotti in Vaticana. Lungi però dal rinchiudersi in se stessa, la Scuola si arricchisce di un’esperienza che diventa parte integrante della formazione annuale: le visite ad altre istituzioni e le conferenze di docenti esterni, invitati ad arricchire e ad approfondire particolari temi svolti a lezione. Pressoché ogni anno gli allievi sono condotti all’istituto di Patologia del libro e alla Nazionale di 69

Annuario Pontificio per l’anno 1950, Città del Vaticano 1950, p. 903. Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1960, p. 331. 71 Annuario Pontificio per l’anno 1960, Città del Vaticano 1960, p. 1044; le materie insegnate risultano: Bibliografia (N. Vian), Bibliologia (L. Donati), Catalogazione speciale (libro antico) (L. Michelini Tocci), Catalogazione (N. Del Re). 72 Ibid., p. 1044. 73 Annuario Pontificio per l’anno 1967, Città del Vaticano 1967, p. 1072. 74 Annuario Pontificio per l’anno 1979, Città del Vaticano 1979, p. 1105. 75 Annuario Pontificio per l’anno 1961, Città del Vaticano 1961, p. 1050. 70

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Roma; per le relazioni esterne vengono chiamati nomi notevoli di esperti bibliotecari, storici, filologi: Giuseppe Galasso, Giovanni Pugliese Carratelli76, Enrica Follieri77, Giuseppe De Rosa78, Raoul Manselli79, Pal Arato80. Un segno, questo, di contatti frequenti con altre contigue e comuni realtà, ma anche di un ampliamento dell’offerta formativa. La media degli alunni all’inizio di questa fase è piuttosto bassa e segue nei numeri la fase precedente: va da 35 a 45 iscritti; altrettanto ristretta la media di diplomati: tra i 12 e i 20 l’anno, per poi allargarsi soprattutto, quando, nel 1977-78, si inaugurò negli stessi spazi il restauro dell’aula in cui si tenevano le lezioni fino a pochi anni fa, e che fu attrezzata per 112 posti molto comodi81. Si aumentò così in proporzione anche il numero dei diplomati. *

*

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Un profondo cambiamento si apre dal 1981, sotto la guida di due notevoli studiosi di paleografia e di storia del libro: Paul Canart, allora capo della sezione stampati, che fu direttore della Scuola tra il 1982 e il 1985, e Leonard E. Boyle, paleografo e filologo domenicano, che assunse la direzione in quanto prefetto: scelta, questa, canonizzata negli statuti del 1995 e del 200582. Il ruolo di direttore passerà quindi da Boyle ai successori Raffale Farina e Cesare Pasini, che avranno sempre attenzione particolare a questo organismo. Questa fase nuova, che ha una sorta di gestazione tra il 1981 e il 1983, sotto la guida di Canart, segue il rapido evolversi delle discipline biblioteconomiche dovute alle possibilità offerte dall’informatica. Era infatti necessario superare lo standard tecnico e catalografico proposto nella fase precedente, per aprirsi a un’idea più larga e complessa di biblioteconomia, che si faceva strada anche grazie all’apporto delle nuove tecnologie. Nei piani di studio convergono così due istanze complementari: quella tecnica 76

Entrambi nell’anno 1969: Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1969, p. 937. Nel 1966: Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1966, p. 1096, dove ancora compare tra gli ospiti Giuseppe Galasso. 78 Invitato per la prima volta nel 1969: Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1969, p. 937. 79 Nel 1970: Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1970, p. 970. 80 Invitato per la prima volta nel 1971: Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1971, p. 834. 81 La richiesta di ristrutturazione è dei primi anni ’70, il progetto risale al 1975 e i lavori furono eseguiti tra il 1977 e il 1978: l’inaugurazione per l’avvio dell’anno accademico 1977-78: un cenno in RITA, La Biblioteca Vaticana nelle sue architetture cit., pp. 116. 82 Si veda qui a p. 430 e nt. 8. 77

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e quella erudita e culturale, che si riaffaccia prepotentemente. Il punto di sintesi si colloca sull’apertura alle nuove tecnologie, informatiche e fotografiche, allora davvero sperimentali. Di conseguenza la Scuola si fa portavoce di una visione più complessa dell’entità “biblioteca”. E in quest’ottica essa ha offerto uno specifico contributo al progetto di conversione retrospettiva dello schedario cartaceo della Vaticana, prodotto a partire dagli anni Trenta, formando personale preparato a livello professionale, ma anche elaborando alcune direttrici dell’intero progetto. Ben evidente il confronto dell’elenco delle materie rispettivamente negli anni accademici 1981-82 e 1990-91: Prospetto delle materie nel 1981-8283 — — — — — — —

Il libro manoscritto Storia del libro a stampa Storia delle biblioteche Bibliografia Catalogazione Ordinamento generale e servizi di biblioteca L’automazione e le biblioteche

Prospetto delle materie nel 1991-9284 — — — — — — — — —

Catalografia e classificazione Storia del libro manoscritto Inglese per bibliotecari Storia delle biblioteche e del libro a stampa Museologia Bibliografia Ordinamento generale e servizi di biblioteca Sistemi informatici e tecnologie elettroniche Restauro e conservazione

A. Alecci P. Canart M. Ceresa G. Ciminello G. Morello A. Pernigotti I. Rebernik P. G. Weston P. Tiburzi

Subito si nota l’allargamento sostanzioso dell’offerta formativa, che pur in sintesi abbraccia tutti gli ambiti della vita in biblioteca, dal manoscritto alla stampa moderna. Inoltre emerge poi e prende dignità propria il tema della conservazione, e alcune materie cambiano statuto in ragione dell’evoluzione tecnologica, che entra sempre più prepotentemente nella gestione delle risorse librarie. La ricchezza delle esperienze precedenti non va però perduta: ad esempio continuano i contatti e le visite ad altre istituzioni, che diventano un aspetto consueto della proposta formativa. 83 L’elenco delle materie è dato nell’Attività della Santa Sede, Città del Vaticano 1983, p. 1142, che non riporta i nomi dei docenti; nell’Annuario Pontificio per l’anno 1983, Città del Vaticano 1983, p. 1142, si rimanda ai membri della sezione catalogo. 84 Annuario Pontificio per l’anno 1991, Città del Vaticano 1991, p. 1267.

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Anche il numero degli allievi resta alto, attestandosi a 90/100 per anno, con un’ottima e apprezzata media di diplomati. Nasceva anche l’associazione degli allievi e degli ex allievi, che però, come si accennava, ha avuto vita breve, come pure di breve durata fu l’esperimento di un successivo biennio di alta formazione biblioteconomica, fondato su un curriculum triennale di materie teorico/pratiche. Va detto anche che il riconoscimento giuridico del diploma da parte dello Stato Italiano a seguito dei rinnovi concordatari del 1981 ha sancito importanza e valore della Scuola, già ampiamente guadagnati sul campo, favorendo ulteriormente la partecipazione e le richieste di iscrizione che sono tuttora molto abbondanti rispetto ai posti disponibili. Dalla fine degli anni ’90 in poi la storia discende sempre più nella cronaca, che di suo è cosa delicata, soprattutto rispetto alle istituzioni a servizio dell’educazione. Certamente l’esperienza della Scuola Vaticana degli anni 80-90 ha lasciato un segno importante anche nella storia delle discipline biblioteconomiche e della loro evoluzione. L’approccio concreto ha infatti permesso di formare da subito catalogatori e bibliotecari esperti anche nel nuovo versante delle tecnologie, sperimentando non solo l’approccio alla catalogazione informatica, ma anche il lavoro in rete, per la gestione e il controllo dei dati. Lo sguardo allargato ai tanti aspetti della “dimensione biblioteca” calato in una struttura di corso annuale di base con una formazione iniziale estremamente eterogenea, rischiava di fornire una preparazione generica e troppo poco profonda rispetto alle problematiche emergenti. Da qui venne l’esigenza, poi declinata, di un approfondimento triennale, riservato a gruppi molto meno numerosi di allievi attentamente selezionati. 5. Un rapido sguardo sull’oggi sulle prospettive future Per dare alle nuove necessità formative una risposta, che tenesse conto anche della trasformazione dell’Università italiana e della nascita di nuovi corsi sui beni culturali, a partire dalla direzione dell’allora prefetto Farina, si decise di muoversi su altre strade, avendo comunque presente la preziosa esperienza ereditata, ma ponendosi di fronte a essa con atteggiamento più pensoso, e promuovendo — i tempi erano oramai maturi — un potenziamento tecnologico significativo e rassicurante. Nel 1999 è stata varata una riforma, che in parte cambia i criteri di reclutamento degli studenti. Il consiglio dei docenti ha infatti deciso di ammettere alla frequenza solo candidati in possesso di diploma di laurea o di licenza canonica e, insieme, di ridurre a quarantotto le frequenze annuali, e ciò per migliorare la qualità degli studi e il grado di specializzazione

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della Scuola. Resta dunque il corso annuale che però — a fronte del profondo rinnovamento degli studi in tutta Europa — diviene “post laurea”, puntando così ad una maggiore specializzazione, proprio a partire da una più alta formazione di base richiesta per accedere alla Scuola. È un importante segno dei tempi, che rimane comunque in linea con le prospettive di alta qualificazione professionale da cui la Scuola è partita negli anni ’30 del Novecento. La riduzione del numero di studenti permette inoltre una maggiore attenzione formativa rivolta a ciascuno di essi, e la formulazione di criteri più selettivi nel reclutamento degli allievi consente di innalzare il livello della base e delle proposte educative, sia quelle di impianto più teorico, che quelle più spiccatamente tecniche e concrete. Le due scelte si propongono così di ovviare al rischio, sempre strisciante, della genericità. Una scuola di questo tipo aveva però necessità di spazi adeguati: più adatti ad accogliere la strumentazione necessaria e più funzionali a proporre attività diverse, magari in contemporanea. La nuova sede è stata assegnata alla Scuola dall’anno accademico 2002-2003, grazie all’impegno del suo direttore di allora, don Raffaele Farina, e all’intervento dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Si tratta di una struttura davvero diversa dalle precedenti per disponibilità di spazi e di impianto tecnologico. Collocata al piano terreno nel Palazzo San Paolo in Via della Conciliazione, essa dispone di ambienti più ampi e meglio attrezzati. Un’aula informatizzata di quarantotto posti è la sede principale delle lezioni e permette di operare in ambiente web secondo metodi didattici profondamente rinnovati dall’uso dell’informatica, uso al quale la Vaticana ha offerto negli ultimi anni contributi decisivi con importanti sperimentazioni nel campo della catalogazione e della gestione dei dati. All’aula principale si affiancano così altre due sale per seminari e incontri a numero di partecipanti più ridotto, per favorire anche un confronto più comodo fra studenti e docenti. La relativa distanza dalla Vaticana viene così colmata dalle possibilità “virtuali” delle nuove tecnologie, da frequenti visite nella sede storica e dalla buona volontà dei superiori e dei docenti che assumono un vivace spirito di cammino. Questa nuova condizione per così dire ‘fuori porta’ rispetto alla sede cinquecentesca della Biblioteca Apostolica, non è ormai più un carattere peculiare della Scuola ma si va estendendo ad altri reparti di una Vaticana sempre più complessa. Anche in questo la Scuola si è fatta pioniera di novità: è stata la prima istituzione in sede staccata senza recidere il legame con la sede madre. Ciò ha comportato una minuta riorganizzazione dei corsi e un riordino delle attività, concrete e quotidiane. Si è cercato di tener fede alla doppia prospettiva tecnico / tecnologica e umanistica dell’offerta formativa tipica della Scuola, che ha tenuto vigile

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l’attenzione alla catalogazione in tutte le sue forme: l’approccio a quella dei manoscritti, la pratica a quella degli stampati moderni. Il requisito della laurea ha richiesto una riqualificazione e un adeguamento degli insegnamenti, a partire dalla ridistribuzione delle ore di lezione secondo standard universitari, senza stravolgere l’impianto annuale di fondo. Si è anche tenuto conto di chi si accosta oggi alla nostra Scuola; il pubblico dei laureati è infatti profondamente cambiato e per certi versi più esigente. In modo semplificato si può dire che fanno richiesta di frequentare il corso: laureati o specializzandi alla ricerca di una qualificazione professionale più concreta, bibliotecari o professionisti con il desiderio di aggiornare la propria professionalità, studiosi e ricercatori che hanno a che fare con le biblioteche e vogliono approfondirne senso e competenze. Le richieste di iscrizione raggiungono ancora cifre abbastanza considerevoli, soprattutto rispetto al numero ridotto di posti e ai criteri più selettivi: tuttora giungono in segreteria tra le cento e le centoventi domande l’anno. Nella linea dell’approfondimento, si sono moltiplicati anche i momenti formativi proposti durante l’anno di corso: alle materie d’obbligo si affiancano cicli di seminari volontari per approfondimenti specifici su alcune materie, in particolare sulla catalogazione e sulla bibliografia. Il piano di studi attuale discende dunque dalle prospettive precedenti, attuandole così con una dose maggiore di stabilità. Ecco il prospetto delle materie per l’anno 2010-201185: — — — — — — — —

Bibliografia e documentazione Bibliologia Biblioteca digitale Il libro manoscritto antico, medievale e moderno Ordinamento generale e servizi di biblioteca Principi e metodi di conservazione e restauro Storia delle biblioteche Teoria e tecniche della catalogazione e della classificazione

M. Ceresa A. Rita P. G. Weston F. D’Aiuto86 G. Ciminello C. Federici A. Manfredi A. Galeffi

Il momento della verifica si svolge ora non solo in sede d’esame, ma su più livelli e tempi, e l’interscambio che ne discende tra professori e studenti è davvero un frutto prezioso di questa attività. Si percepisce anche l’aiuto reciproco che gli allievi di estrazione per così dire diversa sanno darsi, quelli più esperti che vengono a perfezionarsi accanto ai più giovani che avviano la loro pratica. La partecipazione viva di tutti trasforma davvero le classi in buone comunità educanti. 85

SCUOLA VATICANA DI BIBLIOTECONOMIA, Materie e programmi cit., p. 3. Per l’anno 2010-2011 il prof. F. D’Aiuto, in congedo sabbatico, è stato sostituito dalla prof. Maddalena Signorini dell’Università di Tor Vergata. 86

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Per ampliare e aggiornare le proposte senza stravolgere i cicli annuali, valorizzando la tradizione pratica dell’approccio biblioteconomico della Scuola, da una decina d’anni sono state istituite, in collaborazione con la Vaticana stessa e con alcune biblioteche amiche, formule certificabili di tirocinio durante e post diploma, molto apprezzate dagli studenti perché finalizzate a sperimentare in concreto specifiche professionali differenti: dal riordino dei fondi, alla catalogazione, al servizio di front office, al reperimento bibliografico. Gli studenti che vi si accostano si trovano pienamente inseriti in un “ambiente biblioteca”, e possono mettere così alla prova qualità e competenze. In prospettiva futura si può quindi sperare che tra qualche anno il diploma verrà concesso non solo una volta superati i ben noti esami, ma anche dopo aver certificato un tirocinio congruo. Va anche migliorando l’organizzazione interdisciplinare alle materie e l’attenzione ad alcuni settori di studio finora considerati solo in parte: ad esempio l’approccio catalografico allo stampato antico. Al centro della formazione restano comunque il libro e il bibliotecario. L’uno non solo nella sua accezione di bene da consultare, conservare, catalogare, ma di veicolo di comunicazione e luogo di incontro fra generazioni, tempi e civiltà diverse. L’altro non solo come tecnico aggiornato, ma anche come lettore appassionato e attento, primo fruitore di ciò che raccoglie, conserva e rende disponibile ad altri lettori.

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ESPOSIZIONI È una tradizione antichissima della Biblioteca Vaticana quella di far vedere, di mostrare, di esporre il patrimonio culturale che ha conservato attraverso i secoli, e questa consuetudine risale ai tempi della sua fondazione. Certamente all’inizio non si trattava di esposizioni vere e proprie come le intendiamo oggi, ma vi era comunque già all’epoca l’idea di esibire, di presentare, di offrire il patrimonio della biblioteca agli studiosi e ai visitatori. Michel de Montaigne, alla fine del Cinquecento, racconta delle sue soste in Vaticano nel suo Diario del viaggio in Italia. Egli descrive minuziosamente queste visite e prende nota di tutti i codici che gli furono mostrati1. Ancora oggi troviamo spesso negli antichi inventari manoscritti, che si trovano nella sala di consultazione della biblioteca, una nota a margine con scritto “si mostra”, accanto ad alcune segnature: era una sorta di indicazione di quali erano i codici più interessanti che venivano fatti vedere ai visitatori2.

Questa consuetudine proseguì nel Seicento e nel Settecento, e nell’Ottocento furono ospitati nella Biblioteca Vaticana per la consultazione anche manoscritti provenienti da altre biblioteche italiane3. Le antiche normative della biblioteca erano molto rigorose e non prevedevano alcuno spostamento di volumi fuori dalla sede, non prendendo ovviamente in considerazione prestiti per esposizioni. Sisto V (1521-1590) aveva ricordato, facendo incidere la frase nella pietra dell’iscrizione collocata all’ingresso del Salone Sistino, che “La Biblioteca Vaticana non autorizza l’estrazione e il trasferimento altrove delle sue opere”. La stessa clau-

1 F. RIGOLOT, Montaigne visite la Bibliothèque Vaticane, in La Vaticana nella Riforma cattolica: crescita delle collezioni e nuovo edificio (1534-1590), a cura di M. CERESA, Città del Vaticano (Storia della Biblioteca Vaticana, 2), la cui uscita è prevista per il 2012. 2 G. MORELLO, Il sonno della ragione genera mostre?, in Predella 4, 16 (2005), p. 99. 3 Era consuetudine che fossero inviati alla Biblioteca Vaticana, per la consultazione, codici appartenenti ad altre biblioteche. Theodor Mommsen, ad esempio, per il Liber Pontificalis, consultò nel 1896 in Vaticano il ms. 490 della Biblioteca Capitolare del Duomo di Lucca.

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 451-475.

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sola fu ripresa più volte dai papi che legiferarono in materia, da Clemente XII4, a Leone XIII5, a Pio XI6. A questo proposito è interessante citare la corrispondenza intercorsa fra Giovanni Mercati, Prefetto della Biblioteca Vaticana dal 1919 al 1936, e il Cardinale Luigi Maglione, Segretario di Stato di Pio XII, circa una richiesta inoltrata dall’ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Bonifacio Pignatti Morano di Custoza, per ottenere nove volumi da esporre nella sezione retrospettiva della mostra Terra d’Oltremare7. L’istanza del Card. Maglione coinvolgeva non solo gli aspetti biblioteconomici della salvaguardia dei manoscritti ma anche problemi di natura politica e diplomatica. Erano in gioco le relazioni fra lo Stato Italiano e la Chiesa, in un momento storico molto delicato che sarebbe sfociato nel secondo conflitto mondiale. Nella sua risposta il Card. Mercati riaffermava l’opportunità di non partecipare all’iniziativa, in primo luogo per osservare le disposizioni della Segreteria di Stato fino ad allora adottate, le quali non consentivano il trasferimento di opere vaticane in Italia o all’estero. In secondo luogo per una serie di validi motivi elencati nella risposta: concedendo questa autorizzazione, si sarebbe dovuto aderire, in seguito, a future ulteriori richieste; per il danno creato alla biblioteca nel privarsi di manoscritti che usualmente erano a disposizione degli studiosi; per i pericoli dovuti allo spostamento, il viaggio e l’allestimento; per l’impossibilità di controllare direttamente i codici durante l’esposizione e infine per non incoraggiare gli altri enti ecclesiastici a spostare collezioni che usualmente erano esposte o si utilizzavano nelle chiese, anche per non favorire i ladri o gli antiquari senza scrupoli. Il Cardinale suggeriva di effettuare dei facsimili, riproduzioni fotografiche e calchi delle opere che “bastino a dare l’idea, il piacere e la cultura al grande pubblico”. Mercati era convinto che il compito della Vaticana e delle biblioteche in generale era la custodia dei libri, dei manoscritti, delle stampe e della loro trasmissione attraverso i secoli,

4 BAV, Arch. Bibl. 224: Sanctissimi Domini Nostri Clementis XII. Pontificis Maximi Apostolicae Literae pro recta administratione et conservatione Bibliothecae Vaticanae ab ipso amplificatae et auctae, Romae 1739. 5 Leone XIII, Regolamento per la Biblioteca, 25 marzo 1885, comma 53: si ribadisce che rimane fermo il pontificio divieto, emanato sin dalla fondazione, di estrarre dalla biblioteca e trasferire altrove — non eccettuate le residenze interne degli officiali — senza esplicita e diretta permissione del Sommo Pontefice qualunque codice o volume, manoscritto o stampato, qualunque scrittura e qualunque capo d’arte e oggetto qualsiasi appartenente alla medesima ovvero ad essa donato. 6 Pio XI, Regolamento della Biblioteca Apostolica Vaticana, 22 aprile 1923, Roma 1923, p. 39. 7 BAV, Arch. Bibl. 237, f. 266r: lettera, 19 maggio 1939, prot. n. 2181.

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e da questo derivava l’impegno primario di garantirne la cura e favorirne consultazione. La funzione fondamentale della biblioteca era ed è quindi quella di salvaguardare e tutelare il suo patrimonio. È comunque importante notare che la chiusura del Cardinal Mercati verso le esposizioni derivava soprattutto da una seria preoccupazione per la difficile situazione politica dell’Italia e dell’Europa, che ebbe ripercussioni gravi e drammatiche a tutti note8; ma certamente si rendeva anche conto, da uomo di cultura qual era, dell’importanza che avevano le mostre come veicolo educativo per una più ampia diffusione della conoscenza e, proprio per questo, durante la sua permanenza in Vaticano, ospitò alcuni importanti eventi, segno evidente delle sue idee in merito. A partire dal 1920 e per gli anni successivi fino al 1970, grazie anche al contributo di José Ruysschaert e di Luigi Michelini Tocci, fu allestita nel Salone Sistino una Esposizione Permanente (Tav. I) dove erano presentati volumi, monete e cimeli conservati nella biblioteca. “I manoscritti più importanti erano custoditi in sette vetrine, che negli anni Cinquanta e Sessanta, divennero quattordici. Fra le opere esposte, solo per citarne alcune, i Virgili tardo-antichi (Vat. lat. 3867, Vat. lat. 3225), il palinsesto del De re publica di Cicerone (Vat. lat. 5757), il Rotolo di Giosué (Vat. gr. 431), il Codice B (Vat. gr. 1209), il Menologio di Basilio II (Vat. gr. 1613), il Dante urbinate (Urb. lat 365), sino agli autografi di Tommaso d’Aquino (Vat. lat. 9851), Enrico VIII (Vat. lat. 3731 A), Martin Lutero (Ott. lat. 3029) e Michelangelo Buonarroti (Vat. lat. 3211)”9. Fu solo nel XX secolo, dopo le enormi distruzioni morali e materiali dei conflitti mondiali, che la riconosciuta importanza degli eventi culturali come strumenti utili per promuovere la protezione dei valori universali dell’umanità e la costruzione di rapporti nuovi nella comunità internazionale spinsero ad affrontare anche la specifica tematica delle esposizioni di opere d’arte vaticane; d’altronde, in occasione della Conferenza dell’Aja, l’intera Città del Vaticano era stata “considerata come uno Stato-bene culturale, uno Stato-arte, uno Stato-bellezza, meritevole di protezione speciale in caso di conflitto armato”10. La riscoperta del senso della storia che si ottiene riproponendo e ren8

BAV, Arch. Bibl. 237, f. 264: “a causa delle incertezze generali dei nostri tempi, senza pace, senza sicurezza dell’indomani, senza sincerità e fede pubblica … nei quali sono periti, cogli uomini e cogli altri beni temporali, anche impareggiabili tesori di arte, di letteratura e di scienze, onde la necessità di custodirli ancor più cautamente”. 9 P. VIAN, Il Cardinale che non amava le mostre. Una lettera di Giovanni Mercati al Card. Luigi Maglione (22 maggio 1939), in Strenna dei Romanisti 69 (2008), p. 728. 10 G. CORBELLINI, Stato della Città del Vaticano — Origini, natura e funzioni, Città del Vaticano 1999, p. 7.

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dendo fruibili al pubblico ciò che uomini e idee del passato hanno realizzato offre certamente un’opportunità di sviluppo e di più ampia conoscenza; per questo le esposizioni sono negli ultimi decenni divenute nel mondo un vero ed efficace mezzo non solo di crescita culturale ma anche di miglioramento dei rapporti fra i popoli, sotto il profilo di una maggiore reciproca conoscenza e con risvolti anche economici e politici. A tutto questo la Santa Sede aggiunge la convinzione che la cultura o, meglio, “le culture” siano un campo aperto all’incontro dell’umanità con il messaggio evangelico. Per questo, il Regolamento relativo al prestito delle Opere d’Arte, di proprietà della Santa Sede che Paolo VI approvò nel 196511, oltre a stabilire nello specifico i criteri e le norme da seguire per salvaguardare l’integrità delle opere richieste, richiama anche la motivazione di carattere religioso e pastorale che preferibilmente deve giustificare la concessione dei prestiti di opere. La normativa riguarda ovviamente non solo le opere d’arte dei Musei o dei Palazzi vaticani ma anche quelle conservate nella Biblioteca. La disciplina internazionale riconosce tutto lo Stato Vaticano (iscritto nella lista del patrimonio mondiale culturale e naturale dell’UNESCO il 31 ottobre 1984 a Buenos Aires) come un “patrimonio morale, artistico e culturale degno di essere rispettato e protetto come tesoro appartenente all’umanità”12. All’inizio, comunque, le iniziative a cui la Biblioteca partecipava erano abbastanza sporadiche e si svolgevano prevalentemente all’interno della propria sede. È, in gioco, del resto, la concezione stessa di biblioteca se essa cioè, senza mettere in discussione il ruolo primario che le è stato attribuito nei secoli, debba considerarsi anche un efficace mezzo di comunicazione e quindi proporsi, con la partecipazione a esposizioni temporanee, a un pubblico molto più vasto. Certamente si tratta di un tema delicato, che si presta a vari spunti di riflessione e le opinioni dei bibliotecari e degli studiosi in proposito sono molto diverse. Certo, il libro e il documento non nascono per essere esibiti e aperti in un solo punto. Inoltre i volumi isolati da un certo contesto difficilmente riescono a trasmettere ciò per cui sono nati.

L’utilizzazione del libro è di norma individuale e nasce per essere letto, analizzato, meditato13. 11

Regolamento Relativo al Prestito di Opere d’Arte di Proprietà della Santa Sede, in Acta Officiorum Segreteria di Stato, 2 luglio 1965, p. 677. 12 CORBELLINI, Stato della Città del Vaticano cit., p. 7. 13 T. PLEBANI, Mostre librarie e documentarie: riflessioni e metodologie di approccio dall’espe-

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Ma la biblioteca dovrebbe essere considerata anche come un deposito culturale da esaminare e da utilizzare nelle sue molteplici ricchezze. Considerando le raccolte librarie, in questo senso appaiono evidenti, anche se si tratta di strutture con funzioni diverse, le analogie con le raccolte museali dove sono conservati centinaia, a volte migliaia di pezzi quasi mai raggiungibili da parte del pubblico14. Così anche il libro da oggetto d’uso, qual è la sua origine, si trasforma in oggetto d’arte che può e deve essere esibito. Le biblioteche, i musei, le gallerie potrebbero, quindi, anche presentarsi come spazi di attività educativa e progettazione culturale e non soltanto come luoghi di conservazione o di ricerca per pochi studiosi. È importante proporsi al grande pubblico poiché ogni libro ha la sua storia, quindi spesso è legato ai personaggi famosi o a qualche episodio particolarmente significativo; offrire dunque, questa serie di informazioni al visitatore aiuta anche a fargli capire che non si tratta di oggetti morti e abbandonati in qualche deposito, ma di opere che hanno avuto una loro vita e continuano ad averla. Padre Leonard Boyle, Prefetto della Biblioteca Vaticana, affermava che “il libro vive e deve continuare a vivere”15. I frequentatori delle mostre, sempre più numerosi, interagiscono, osservano, creano connessioni, leggono e interpretano il percorso espositivo, lo interiorizzano arricchendosi culturalmente e spiritualmente; diventano soggetti attivi e, avvicinandosi alle opere, le trasformano in qualche cosa di attuale e dinamico che continua a vivere in loro nella misura in cui se ne appropriano. Anche se si è spesso attratti dall’aspetto più appariscente, dalle figure spettacolari delle miniature, dai colori, dalle immagini, tuttavia negli ultimi anni vi è un maggiore interesse verso il proprio patrimonio e una maggiore sete di approfondire le proprie conoscenze16; anche perché ci si trova di fronte a una progressiva diversificazione e specializzazione delle esposizioni, le quali hanno un carattere tematico o monografico; sono più selettive e più mirate; gli allestimenti sono molto curati e ci si avvale di architetture di qualità che creano le condizioni affinché la mostra sia percepita come uno spazio coinvolgente. Si deve pertanto sempre tener conto della pluralità e varietà dei visitatori, e la sfida consiste nel riuscire a proporre proposte mirate per le molteplici esigenze individuali. Il patrimonio culturale della Biblioteca Vaticana è il frutto del lavoro delle generazioni che ci hanno preceduto; si tratta di beni non solo marienza sul campo, in Obiettivo conservazione, a cura di M. P. TORRICELLI, Bologna 2002, p. 28. 14 MANFRON, La Biblioteca si mostra: problemi dell’esibire libri, in Bollettino AIB 34 (1994), p. 292. 15 MORELLO, Il sonno cit., p. 100. 16 Ibid., p.104.

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teriali, ma anche e soprattutto spirituali, un’eredità da riconoscere, conservare, divulgare e, se possibile, accrescere. È molto importante quindi “sensibilizzare”, anzi “promuovere” ogni forma di conoscenza: e in questo contesto si possono inserire le mostre temporanee. Sino al 1990 non esisteva un ufficio preposto per le mostre. Era la Segreteria del Prefetto a occuparsi dell’espletamento delle pratiche, e la realizzazione era affidata ai responsabili dei dipartimenti della biblioteca. Con l’aumento delle richieste e con l’utilizzo di procedure sempre più articolate si adottarono criteri prestabiliti, in principio seguendo il modello usato dai Musei Vaticani, poi avvalendosi di metodi più specifici e più adatti ai manoscritti. All’inizio della prefettura di Raffaele Farina fu redatto, nel 1998, il Regolamento per il prestito, approvato dalla Segreteria di Stato e in seguito periodicamente aggiornato17. Nello stesso anno si istituì anche la Commissione per le Mostre, che si riunì per la prima volta il 28 gennaio 1998. Il Vice Prefetto curava l’intera programmazione delle esposizioni. Poi, con l’incremento di questa attività (nel 2000 la BAV ha partecipato a 50 eventi), si affidò la conduzione dell’ufficio a un responsabile; con lo Statuto della Biblioteca del 17 gennaio 2004, infine, fu formalizzata l’esistenza del Servizio Mostre18. Nel corso degli anni, per quanto riguarda le esposizioni, si sono spesso mutate concezioni e forme, ma la Biblioteca Vaticana ha sempre conservato il suo intento primario di farsi propagatrice, attraverso i suoi codici, di un messaggio che fosse un richiamo alle coscienze e alle culture dei popoli. La normativa attualmente in vigore prevede che l’Ente organizzatore debba inviare la richiesta alla Segreteria di Stato e al Prefetto della Biblioteca almeno dodici mesi prima dell’inaugurazione della mostra. La durata complessiva del prestito, anche per più sedi, non può superare i quattro mesi, e non si permette l’uscita di volumi che siano già stati esposti in altre occasioni, se al momento della richiesta non sia intercorso un periodo di tempo di almeno tre anni dall’ultimo prestito. Si limita, di norma, a dodici il numero delle partecipazioni da effettuarsi nell’arco dell’anno, e per ogni iniziativa non si autorizzano più di tre opere (fra manoscritti e stampati) e alcuni oggetti numismatici. Infine non si concedono, per il loro valore e 17 Lettera della Segreteria di Stato, 24/6/1998, prot. n. 433.921. Questa prima stesura fu modificata il 26 marzo 2000, prot. n.1108; il 31 dicembre 2003, prot. n. 3076. La Segreteria di Stato, con gli offici del 7 aprile 2000, prot. n. 471.959 e del 15 gennaio 2004, prot. n. 552.198 ha autorizzato le integrazioni proposte. Nel 2008, prot. n. 2015 si è effettuata l’ultima modifica ed è stata inserita una nuova copertura assicurativa. 18 Statuto Biblioteca Apostolica Vaticana, art. 73, p. 23.

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per lo stato di conservazione, opere anteriori all’XI secolo. La Commissione per le Mostre, che si riunisce quattro volte l’anno, presieduta dal Prefetto, si riserva in ogni caso di escludere oggetti di particolare antichità, rarità, pregio o delicatezza, per preservarli dai rischi e dalle sollecitazioni improprie determinate dal trasporto o dall’esposizione; si è inoltre compilata una lista di opere che, sia per motivi conservativi sia per la loro unicità non possono in ogni caso essere prestate. La normativa in vigore può forse apparire rigida, ma ogni particolare ha la sua ragion d’essere; non si tratta infatti solo di formalità, ma della consapevolezza che l’autorizzazione a partecipare a eventi espositivi deve essere rilasciata tenendo bene in considerazione sia le esigenze di conservazione sia l’importanza della presenza delle opere per la biblioteca stessa, dalla quale non si possono togliere senza produrre vuoti e quindi incidere sul servizio agli studiosi che si aspettano e hanno il diritto di trovarle in sede. Sono sempre valutati tre fattori fondamentali: la tutela, il servizio e la comunicazione; e questi tre elementi sono costantemente verificati19. Al fine di usare ogni precauzione e per non mettere in pericolo l’integrità delle opere si adotta un giudizio critico verso il tipo di esposizione a cui partecipare, analizzando preventivamente le risorse, economiche e umane, che entrano in gioco nella programmazione dell’evento, si esaminano attentamente le finalità che si intendono perseguire e si verifica che le condizioni ambientali dei locali dove saranno esposti i codici siano idonee. La concessione del prestito spetta alla Segreteria di Stato, previo parere favorevole del Prefetto della Biblioteca Vaticana. Il prestito delle opere è vincolato alla stipula di un’apposita polizza assicurativa secondo la formula “chiodo a chiodo”, contro tutti i tipi di rischi (“All Risks”). La polizza è stata elaborata e articolata direttamente dai responsabili della biblioteca in modo da essere il più esauriente possibile e da ridurre al minimo i rischi. Il Prefetto, dopo aver ricevuto la richiesta di prestito, provvede a far aprire una posizione relativa alla manifestazione presso il Servizio Mostre, che svolge il lavoro di raccordo dei diversi settori interessati all’iniziativa, gestendo tutte le fasi operative inerenti alla programmazione, all’organizzazione e agli adempimenti amministrativi necessari. Per ogni opera in uscita viene compilata una scheda conservativa relativa allo stato dell’oggetto e si eseguono, qualora fossero opportuni, lavori di restauro o consolidamento dell’opera per garantirne il trasferimento che viene effettuato sempre da ditte di trasporto specializzate. Si verifica che siano adottati tutti gli accorgimenti indispensabili in merito alle operazio19

MANFRON, La Biblioteca si mostra cit., p. 292.

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ni di presa di consegna, imballaggio, disimballo, controllo e allestimento in arrivo e in partenza, per tutelare il materiale durante spostamenti e permanenze, più o meno prolungate, in ambienti che non siano quelli espositivi o conservativi. Il Servizio Mostre opera in stretta e quotidiana collaborazione con numerosi settori della Biblioteca (il Laboratorio di Restauro, il Laboratorio Fotografico, i singoli Dipartimenti, l’Economato) e anche con vari uffici esterni, come quelli degli enti richiedenti e i relativi curatori dell’esposizione, quelli che si occupano del trasporto e delle assicurazioni, quelli doganali e legali del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, tutti indispensabili supporti per l’attività di tale servizio. La gestione delle esposizioni comporta una complessa serie di procedure e operazioni da svolgersi secondo un cronoprogramma preciso, con predisposizione di numerosa documentazione e vari controlli. Tutti i dati che riguardano le iniziative e i soggetti accolti nella pianificazione annuale, vengono inseriti in un programma informatizzato, che permette di monitorare costantemente l’attività dell’ufficio, l’avanzamento, le scadenze e l’evoluzione delle pratiche. Queste informazioni sono molto utili per ricostruire la storia dei singoli volumi, del loro restauro e dei loro trasferimenti. Per garantire l’applicazione di tutte le condizioni previste dal Regolamento per il Prestito, i codici sono sempre accompagnati da un corriere della biblioteca, che assiste a tutte le operazioni necessarie sia all’andata sia al ritorno, controllando lo stato di conservazione e le condizioni ambientali degli oggetti da esporre20. Traccio ora, a grandi linee, la storia delle esposizioni della Biblioteca. I documenti cartacei, conservati attualmente nell’Archivio del Prefetto e nell’Ufficio Mostre, e la memoria storica dei decani della biblioteca hanno reso in parte possibile la ricostruzione dell’attività espositiva effettuata nel corso degli anni: dalle prime mostre nella Città del Vaticano, presso il Salone Sistino, i Musei Vaticani e il Braccio di Carlo Magno, alla nascita di iniziative che si svilupparono gradualmente in Europa e nel mondo, fino a giungere al sistema moderno di esposizione. Questa presentazione ovviamente non può essere, per motivi di spazio, completa e dettagliata, ma si propone, se pur brevemente, di ricordare alcune manifestazioni organizzate in occasione delle celebrazioni di anniversari, come i centenari di fondazione, i giubilei e circostanze significative, soffermandosi maggiormente sulle esposizioni più antiche forse meno note. Un valido supporto e uno strumento di notevole efficacia per questo 20

Di questo argomento mi sono già interessata: A. D’ALASCIO, L’attività espositiva, in Conoscere la Biblioteca Apostolica Vaticana. Una storia aperta al futuro, a cura di A. M. PIAZZONI – B. JATTA, Città del Vaticano 2010, p. 124.

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viaggio a ritroso, sono stati i cataloghi conservati nella Sala Consultazione. Questi volumi sono importanti poiché rappresentano la memoria scientifica delle singole mostre, anche dopo la fine dell’evento espositivo. I primi cataloghi erano molto semplici, succinti e limitati; costituiti da pochi fogli contenenti l’elenco delle opere esposte, rari testi e scarsamente illustrati; non era quasi mai presente il nome del curatore che soltanto occasionalmente era citato nella lettera di presentazione del Prefetto all’inizio del volume. Nel corso degli anni la veste editoriale è decisamente migliorata grazie anche alla tecnologia informatica e all’utilizzo di immagini ad alta risoluzione, che rendono i volumi più accattivanti. I testi sono diventati più esaustivi, sia nel contenuto sia nella forma, con percorsi tematici e cronologici sempre più scientifici e con approfondimenti critici molto minuziosi. Si effettuano anche numerosi e costanti scambi con le istituzioni culturali di tutto il mondo, così da poter tracciare un profilo storico di quest’attività e offrire al pubblico la possibilità di rivisitare e rivivere le esposizioni. La prima mostra di cui si conserva la documentazione fu quella del 1904: Esposizione Gregoriana aperta nella Biblioteca Apostolica Vaticana; allestita nel Salone Sistino per celebrare il XIII centenario della morte di san Gregorio Magno, presentò una selezione di manoscritti contenenti la vita e gli scritti del santo e alcuni testi, dal X al XIV secolo, con la notazione musicale. Furono esposte non soltanto opere intere ma anche frammenti o poche pagine, e questo perché i codici liturgici, principalmente i corali anteriori al XIII e XIV secolo, non erano all’epoca tenuti in gran considerazione e venivano spesso usati nelle botteghe dei legatori per servire come fogli di guardia e di copertine ad altri volumi21. Nel settembre dello stesso anno la biblioteca partecipò all’esposizione Universale di Saint Louis, negli Stati Uniti. Le opere accompagnate dal Prefetto, Mons. Franz Ehrle, furono spedite con una nave a New York e poi trasferite via terra nella città americana; qui furono ospitate in un ampio padiglione riservato al Vaticano in particolari vetrine di legno intarsiato di cui si conserva, nell’archivio del servizio mostre, il progetto e il disegno. Per l’inaugurazione Papa Pio X inviò come suo rappresentante il Cardinal Francesco Satolli. Nello stesso periodo fu organizzata a Washington una Conferenza delle Biblioteche dove partecipò anche la Vaticana22. Nell’Archivio della Prefettura si sono trovate poche tracce di una rassegna, svoltasi nel 1905 per celebrare il IX Centenario dell’Abbazia di Grot-

21 Catalogo sommario della Esposizione Gregoriana aperta nella Biblioteca Apostolica Vaticana dal 7 all’11 aprile 1904, a cura della Biblioteca Vaticana, Roma, 1904 (Studi e testi, 13). 22 BAV, Arch. Bibl. 195 H. Esposizione Universale di St. Louis (1904).

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taferrata, dal titolo Esposizione Italo-Bizantina23, in cui furono esposti una placchetta in bronzo e un medaglione raffigurante il Salvatore, provenienti dal Museo Sacro Cristiano24. Un’altra mostra, Manoscritti e documenti orientali, preparata in collaborazione con l’Archivio Segreto Vaticano, nel 1935, si effettuò in occasione del XIX Congresso Internazionale degli Orientalisti. La manifestazione, fortemente incoraggiata da Papa Pio XI, fra le molteplici opere esibite proponeva anche la famosa lettera “saracenica” del Gran Khan Güyük, una lettera del califfo Almohade al-Murtada ad Innocenzo IV e una lettera dell’imperatrice di Cina Elena Ningshengcisu; tutti documenti unici per il loro contenuto, la loro scrittura e la loro storia25. Un anno dopo fu allestita, in coincidenza con il V Congresso Internazionale di Studi Bizantini, l’esposizione Manoscritti e documenti bizantini, dove furono proposti importanti codici miniati fra cui il Cosma Indicopleuste (Vat. gr. 699), dell’anno 880, il Rotolo di Giosuè (Pal. gr. 431), del secolo X, il celebre Menologio di Basilio II (Vat. gr. 1613), dell’inizio dell’XI secolo, e la Vita dei Santi (Vat. gr. 1591), dell’anno 965. Tutti questi manoscritti indicano il grande interesse della chiesa per l’Oriente Bizantino, un’attenzione condivisa pienamente dal pontefice Pio XI26. Ha segnato un momento molto importante per la storia della cultura e per la sua particolarità, la rassegna Biblioteche ospiti della Vaticana nella seconda guerra mondiale, realizzata nel 1945. L’esposizione, aperta nel Salone Sistino, raccoglieva cimeli archeologici, raccolte, monete, medaglie e oggetti di antiquariato provenienti da diverse parti d’Italia. Durante la seconda guerra mondiale il Pontefice Pio XII e il Cardinal Giovanni Mercati, Bibliotecario e Archivista di Santa Romana Chiesa, per salvaguardare e tutelare dai bombardamenti e da eventuali razzie il posseduto di biblioteche e archivi di Roma e del Lazio, fecero trasportare e depositare nella Città del Vaticano il loro importante patrimonio storico, letterario e artistico. Le collezioni furono conservate temporaneamente al sicuro fino alla fine del conflitto, e venne data la possibilità ai visitatori di ammirare insieme 23

BAV, Arch. Bibl. 262, ff. 1-2. Il Museo Cristiano e il Museo Profano furono aggregati alla biblioteca rispettivamente nel 1745 e nel 1767. Entrambi questi musei furono affidati nel 1999 ai Musei Vaticani. Annuario Pontificio, Città del Vaticano 2009, p. 1930. 25 Catalogo della mostra di Manoscritti e Documenti Orientali tenuta dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Archivio Segreto in occasione del XIX Congresso Internazionale degli Orientalisti, Città del Vaticano 1935. 26 Catalogo della mostra di Manoscritti e Documenti Bizantini disposta dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e dall’Archivio Segreto in occasione del V Congresso Internazionale di Studi Bizantini, Roma 20-26 settembre 1936, Città del Vaticano 1936. 24

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le 228 opere provenienti dalle biblioteche di Montecassino, Grottaferrata, Frascati, Ariccia, Poggio Nativo, Ponticelli e Roma27. Nel 1950 per il quinto centenario della Fondazione della Biblioteca Apostolica Vaticana si effettuò, in concomitanza con l’Anno Santo, la mostra Miniature del Rinascimento: 160 codici dei più noti miniatori italiani, fiamminghi e francesi che cronologicamente appartenevano, salvo rarissime eccezioni, al periodo compreso fra il pontificato di Eugenio IV (14311447) e quello di Leone X (1513-1521). La mostra ebbe un notevole successo di pubblico e fu visitata da molti pellegrini, turisti locali, nazionali e internazionali, visitatori, spettatori, confluiti a Roma per celebrare l’Anno Santo e rappresentò una vetrina mondiale dell’evoluzione e della custodia delle opere d’arte28. Negli anni ’80-85 le esposizioni si susseguirono a intervalli regolari e con il Prefetto Alphons Maria Stickler, poi Cardinale Bibliotecario, si esibirono nella Città del Vaticano anche codici di altre biblioteche italiane ed europee, e divennero più frequenti i prestiti per mostre internazionali. È interessante notare, in questo contesto, come le prime richieste riguardavano soprattutto oggetti conservati nel Museo Cristiano, che in quegli anni faceva ancora parte della Biblioteca; poi lentamente l’attenzione si rivolse verso i manoscritti, gli stampati e le monete. Una mostra da segnalare ebbe luogo in Germania nel 1986: quella della Biblioteca Palatina di Heildelberg, un evento oggi irripetibile per la dimensione e importanza dei 590 volumi, fra manoscritti e stampati, prestati e per la sua rilevanza scientifica. Per motivi di sicurezza le opere furono scortate dalla polizia italiana fino all’aeroporto di Ciampino, qui un aereo militare della NATO trasportò i manoscritti fino a una base americana in Germania e da lì furono accompagnati dalla polizia tedesca fino ad Heildelberg29. Occupa un posto di rilievo l’esposizione, inaugurata il 30 giugno 1994, nel Salone Sistino, Rotoli del Mar Morto, precedentemente ospitata a Washington, New York e San Francisco30, dove furono proposti 12 frammenti dei rotoli di pergamena e altri oggetti ritrovati negli scavi di Qumran nel 1947, insieme ad alcuni incunaboli e antiche carte geografiche conservate 27 Biblioteche ospiti della Vaticana nella II Guerra Mondiale — Dei cimeli esposti nella Sistina, Città del Vaticano 1945. 28 Miniature del Rinascimento, a cura di L. MICHELINI TOCCI, Biblioteca Apostolica Vaticana 1960. 29 Bibliotheca Palatina, a cura di E. MITTLER, Heiliggeistkirche, Heidelberg 1986. 30 Library of Congress di Washington dal 29 aprile al 1° agosto 1993, New York Public Library, dal 2 ottobre 1993 all’8 gennaio 1994, e a San Francisco, nel M. de Young Memorial Museum, dal 26 febbraio all’8 maggio 1994.

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nella Biblioteca Vaticana. L’iniziativa fu promossa dall’Autorità Israeliana per le Antichità e dalla Santa Sede, che per la prima volta, dopo lo scambio degli ambasciatori tra i due Stati, collaborarono per un evento di ampio spessore. I Rotoli sono considerati tra i ritrovamenti di maggiore interesse del ventesimo secolo, e fin dalla loro scoperta hanno monopolizzato l’attenzione del grande pubblico e degli studiosi di tutto il mondo. All’epoca non fu decisione facile consentire che questi manoscritti antichi di 2000 anni viaggiassero attraverso l’Oceano Atlantico nonostante fossero state adottate molte cautele per tutelare questi fragili frammenti e per garantirne la sicurezza. Non di meno, la consapevolezza che fossero portati alla conoscenza del popolo americano di tutte le fedi fece maturare la convinzione della validità di questo progetto31. Con Giovanni Paolo II e la sua evangelizzazione itinerante, il numero delle mostre aumentò considerevolmente, poiché il papa desiderava aprire le porte a tutti coloro che, non avendo la possibilità di venire a Roma, potessero fruire dei capolavori del Vaticano. In occasione delle Giornate Mondiali della Gioventù, a Buenos Aires, Manila, Parigi, Denver, Roma, Toronto e Colonia, nacque la consuetudine, seguita anche dall’attuale Pontefice, di organizzare delle esposizioni dove furono proposte, a rotazione, opere conservate nella Città del Vaticano. Queste manifestazioni riuscirono a coinvolgere giovani di varie etnie e con esperienze culturali molto diverse, provenienti da tutto il mondo, che hanno così avuto l’opportunità di scoprire un patrimonio spesso sconosciuto e ricevere nuovi stimoli per ampliare i loro orizzonti. Tra le proposte più interessanti della Biblioteca, sicuramente vanno ricordate le iniziative curate dal Medagliere Pontificio a partire dagli anni ’90. In proposito merita un cenno la mostra, considerata fra le più importanti di questo tipo, non solo in Vaticano ma nel mondo, svoltasi nel Salone Sistino nel 1990: Tipologia delle monete della Repubblica di Roma, con particolare riferimento al denaro, in cui furono presentate più di 1000 monete di Roma repubblicana32. Un breve riferimento anche alla rassegna Numismatica cinese dalle origini alla caduta dell’Impero33, in cui furono allestite 700 antiche monete cinesi, offerte per la prima volta all’ammirazione degli appassionati 31

Scrolls from the Dead Sea, Library of Congress, Washington D.C. 1993. Tipologia delle monete della Repubblica di Roma (con particolare riferimento al denaro), Salone Sistino, 21 aprile – 30 settembre 1990, a cura di G. ALTERI, Città del Vaticano 1990 (Studi e testi, 337). 33 Numismatica cinese dalle origini alla caduta dell’impero, dal Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana, catalogo della mostra, 3-5 ottobre 1997, Numismatica — Italia, a cura di G. ALTERI – Y. DONG – G. HONG – F. M. CALVERI, Vicenza 1997. 32

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intervenuti alla prestigiosa manifestazione organizzata dall’Ente Fiera di Vicenza. E infine non si può non citare, per l’interesse suscitato e per il suo contributo nel favorire i rapporti culturali fra Santa Sede e Russia, la mostra svoltasi nel 2007, prima presso il Braccio di Carlo Magno e poi trasferita all’Ermitage, dal titolo Tu es Petrus. Il tempio di Pietro nelle medaglie dei Papi34, dove furono presentate 65 medaglie della collezione vaticana. “L’iniziativa organizzata per il cinquecentesimo anniversario della fondazione della Basilica di San Pietro ha restituito alle medaglie, ispirate, volute e a volte persino disegnate dai Pontefici, il ruolo di testimonianza viva nella storia, di strumenti divulgativi e di informazione tra i più coinvolgenti, per l’immediatezza del loro linguaggio e la raffinatezza del loro contenuto artistico”35. È necessario fare un passo indietro e ricordare che nell’ambito della preparazione per le celebrazioni del Giubileo, il Ministero dei Beni Culturali italiano e la Biblioteca organizzarono tre appuntamenti biennali per accompagnare il cammino dei visitatori fino al 2000. Queste rassegne, in un crescendo di spiritualità, portarono all’analisi e all’approfondimento del lavoro secolare degli amanuensi, illustrando i legami della cultura classica con quella cristiana, e rappresentarono un evento importante nella storia delle esposizioni. Una trilogia dedicata al libro e ai testi classici dal Medioevo fino all’Umanesimo: Lettere e Fede (1996/97), Santi e Papi (1998/99) e Cristo e Maria (2000). Nell’ambito del tema Lettere e Fede vorrei ricordare Vedere i Classici, dove furono proposti i preziosi codici della letteratura greco-romana scritti e miniati fra il IV e il XVI secolo. Centocinquantasette esemplari per condurre il visitatore in un viaggio nel tempo tra miniature e colori, figure e libri in un intreccio storico e spirituale tra la natura e la storia. Grazie al prezioso lavoro degli amanuensi e miniatori è stato possibile trasmettere al mondo moderno la letteratura, la filosofia e le scienze dell’antichità36. Per celebrare l’evento, l’Ufficio Filatelico e Numismatico del Governatorato emise nel 1997 una serie di quattro francobolli e un foglietto filatelico Vedere i Classici tratti da codici miniati presentati nell’esposizione: nello specifico dal Reg. lat. 720, Reg. lat. 1480, Reg. lat. 2094 e Vat. lat. 386837. 34 Tu es Petrus, il Tempio di Pietro nelle medaglie dei Papi, catalogo della mostra, Collezioni Numismatiche, Roma 23 febbraio – 22 aprile 2007, a cura di G. ALTERI – M. PALAZZETTI, Roma 2007. Lo stesso catalogo è stato tradotto in lingua russa per la mostra trasferita al Museo dell’Ermitage a San Pietroburgo dal 18 maggio al 22 luglio 2007. 35 Tu es Petrus cit., p. 7: presentazione di Sua Eminenza Raffaele Farina. 36 Vedere i classici. L’illustrazione libraria dei testi antichi dall’età romana al tardo medioevo, Salone Sistino, 9 ottobre 1996 – 19 aprile 1997, a cura di M. BUONOCORE, Roma 1996. 37 Anche per altre esposizioni sono state realizzate delle emissioni filateliche tratte da

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Quindi ancora una volta si fa strada la valutazione del libro come strumento di trasmissione di pensiero; in tale contesto un cenno alla mostra divisa in cinque sezioni, svoltasi nel 2000, I Vangeli dei Popoli38, la quale ha evidenziato, attraverso 164 fra manoscritti e stampati, non solo il profondo significato spirituale e religioso dei Vangeli ma anche il patrimonio di arte e di pensiero che ha guidato il Cristianesimo attraverso i secoli. Gli eventi espositivi possono essere considerati anche come uno spazio e un luogo di incontro educativo e umano nel quale ritrovarsi con altri, confrontarsi direttamente e promuovere scambi interculturali, favorire il dialogo tra culture ed etnie diverse, diventando così luogo di integrazione. In proposito vorrei ricordare l’esposizione svoltasi a Gerusalemme presso l’Israel Museum, nel 2005, intitolata Visiting Masterpieces from the Vatican Library dove sono stati esposti, per la prima volta, quattro rari manoscritti ebraici39. L’evento svoltosi in un clima di serenità, di stima e di apertura è stata un’occasione preziosa per approfondire e intensificare il dialogo reciproco ponendo solide premesse per future collaborazioni. Una cooperazione che nel corso degli anni si è arricchita grazie a scambi assidui, visite e disponibilità vicendevole; in questo spirito la Biblioteca Vaticana nel giugno 2010 ha di buon grado aderito a partecipare, con il prestito di tre manoscritti, alla mostra Illumination: Hebrew Treasures from the Vatican and Major British Collections, organizzata per la riapertura del Museo Ebraico a Londra40. In un clima di intesa e partecipazione vorrei ricordare anche l’esposizione svoltasi a Istanbul, dal 28 maggio al 26 settembre 2010: From Byzantiom to Istanbul 8000 Years of a Capital41. Gli esperti della biblioteca hanno offerto piena disponibilità e assistenza per effettuare la scelta dei manotesti conservati nella biblioteca vaticana. In occasione dei 300 anni della morte di Bernini, nel 1980, è stata emessa una serie di quattro valori. Per la mostra dedicata al bimillenario della morte di Virgilio lo Stato della Città del Vaticano ha emesso, il 23 aprile 1981, due francobolli per commemorare il grande poeta. Per il Bimillenario della morte di Orazio, nel 1992, sono state emesse 5 cartoline postali. Per i 450 anni della morte di s. Ignazio di Loyola, il 16 marzo 2006, sono stati emessi 3 francobolli. Infine, il 20 settembre 2010, in occasione della riapertura della Biblioteca Apostolica Vaticana, è stata emessa una serie di due francobolli. 38 I Vangeli dei Popoli. La Parola e l’immagine del Cristo nelle culture e nella storia, Palazzo della Cancelleria 21 giugno – 10 dicembre 2000, a cura di F. D’AIUTO – G. MORELLO – A. M. PIAZZONI, Città del Vaticano 2000. 39 Rome to Jerusalem — Four Jewish Masterpieces from the Vatican Library, The Israel Museum, Jerusalem, 27 settembre 2005 – 27 gennaio 2006, Gerusalemme 2006. I manoscritti esposti erano: Ross. 498, 554, 555, 556. 40 Illumination: Hebrew Treasures from the Vatican Major British Collections Jewish Museum – London 21 giugno 2010 – 20 ottobre 2010, a cura R. NAVROZOV. Londra 2010. I manoscritti esposti erano: Vat. ebr. 66, Neofiti 1 e Ross. 498. 41 From Byzantion to Istanbul — 8000 Years of a Capital, Sakip Sabanci Museum, Istanbul,

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scritti da presentare, poiché lo scambio di idee, basato sul reciproco ascolto e rispetto, è essenziale nel mondo globalizzato di oggi per dare continuità e concretezza alla comprensione dei popoli. La Biblioteca Vaticana, sempre per tutelare il suo patrimonio e spostare gli originali il meno possibile, autorizza le riproduzioni delle immagini più significative dei testi. A questo scopo si utilizzano stampe fotografiche a colori, diapositive, video e CD, servendosi di mezzi tecnologici sempre più avanzati e in costante aggiornamento. Nella mostra dedicata a Federico di Montefeltro, svoltasi a Urbino nel 2007, è stato realizzato un CD multimediale che ha rappresentato virtualmente l’intera biblioteca del grande mecenate; e pertanto è stato possibile per i visitatori compiere una vera e propria immersione virtuale nella biblioteca originale. Si sono riprodotte copie elettroniche, realizzate con le più sofisticate tecniche digitali, in modo che si potessero sfogliare e leggere i codici in modo “nuovo”, restituendo all’oggetto-libro esposto alcune delle sue caratteristiche originarie perdute nel tempo42. È interessante notare che attualmente il numero maggiore di richieste di prestito proviene dai musei italiani, e questo per i legami culturali, frutto di relazioni antiche e di comunanze storiche; ma un grande interesse si riscontra anche in Germania, dove le mostre sono sempre effettuate con cura, precisione ed efficienza, e pertanto rappresentano una garanzia sia per la tutela sia per la serietà dei progetti scientifici; molte proposte giungono anche dall’Inghilterra, Spagna e Francia. Negli ultimi anni si è creato un vivace ponte culturale con gli Stati Uniti e il Canada, dove le opere della biblioteca sono accolte sempre con grande interesse e curiosità. Inoltre, di frequente, sono organizzate — in collaborazione con altre Istituzioni come i Musei Vaticani, la Fabbrica di San Pietro, la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il Pontificio Comitato per le Scienze Storiche, la Patriarcale Basilica di San Paolo, il Pontificio Consiglio per la Cultura — manifestazioni all’interno della Città del Vaticano proprio per aprire il più possibile a tutti le porte di questo piccolo Stato. Il contributo di una biblioteca come la Vaticana alle esposizioni d’arte che tanto pubblico attirano in tutto il mondo ha una valenza particolare. L’inserimento di materiale librario o numismatico nell’ambito di una mostra costituisce infatti spesso un elemento molto significativo; un manoscritto, ad esempio, offre al pubblico la possibilità di avvicinarsi a un tipo di documentazione che è per molti sconosciuto, e spesso rappresenta un’autentica sorpresa: non solo illustra un quadro storico e culturale di June 5 – September 4, 2010, Istanbul 2010. Opere prestate: Urb. lat. 458; Reg. gr. 1 B (facs.); Pal. gr. 431 (facs.); Barb. lat. 4424 (facs.). 42 MANFRON, La Biblioteca si mostra cit., p. 295.

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cui è testimone, ma è anche un protagonista dell’esposizione in quanto opera d’arte, illustrato con splendide miniature, talvolta realizzate da eccelsi artisti. Così come una medaglia, una stampa, un antico incunabolo possono essere occasione per esplorare secondo percorsi di ricerca diversi un quadro storico e culturale. Il falso antagonismo fra conservazione ed esposizione sta lentamente scomparendo per lasciar posto a un giusto equilibrio, che porta ad esporre oggetti considerati preziosi per la loro bellezza, rarità e originalità, ma per attuare appieno questo proposito è necessaria una programmazione attenta e selettiva. Inoltre attualmente si adottano, in tutte le fasi del trasporto e durante la permanenza nei luoghi espositivi, tecnologie sempre più avanzate e sofisticate in grado di effettuare un monitoraggio costante delle opere per rilevare ogni piccola variazione delle condizioni ottimali e ciò rende i trasferimenti meno traumatici. Questi eventi sono diventati anche un importante veicolo di comunicazione, che passa attraverso il linguaggio dell’edificio, dell’organizzazione delle sale e delle attività di un determinato periodo storico43. Da qui l’esigenza di promuovere progetti che mettano in luce l’evoluzione storicosociale di un territorio, testimoniando, studiando, facendo conoscere e spiegando come uno specifico gruppo umano si sia sviluppato, trasformato e modellato nel corso dei secoli. Ma analogamente è fondamentale presentare la tradizione che, nonostante la rapida accelerazione del tempo dovuta alle nuove tecnologie e conoscenze, rappresenta sempre il filo conduttore della storia; una tradizione che va quindi conservata, rispettata e rivalutata. Si potrebbe quindi affermare che la biblioteca non è esclusivamente un “tempio” della conservazione, né solo luogo di ricerca per gli studiosi specialisti, ma “narratrice di storie” che si dispiegano nel tempo e nello spazio; ben al di là della concezione di un sacrario intoccabile e inaccessibile, essa sa essere luogo che vive e reinveste la tradizione culturale e religiosa restituendo visibilità al passato e alle tradizioni Non più dunque un’entità statica, “semplice” archivio di un patrimonio depositario, ma luogo di una sperimentazione formale che tenta di far dialogare passato e presente, opere e pubblico, coinvolgendo il visitatore nel percorso espositivo anche su un piano emotivo44. 43 R. BARBATA, Il museo come spazio di comunicazione: El Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid, Perugia 2004-2005, p. 89 (tesi di laurea, Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia). 44 C. BORGIOLI, Il Museo verso una nuova identità, Convegno Internazionale di studi, Roma 31 maggio – 1° giugno 2007, 21-22 febbraio 2008, Roma 2009.

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La comunicazione che di se stessa la Biblioteca Vaticana dà al pubblico attraverso l’esposizione delle proprie opere risponde dunque all’esigenza (che è anche uno dei suoi principali compiti) di trasmettere il valore del patrimonio culturale che conserva; lo fa in modo piacevole e stimolante, che coinvolge tipologie di fruitori sempre più numerosi ed eterogenei, svolgendo in tal modo un importante ruolo di crescita culturale e umana. Per questo, in occasione della riapertura della Biblioteca, dopo i lavori di ristrutturazione, si è allestita presso il Braccio di Carlo Magno l’esposizione Conoscere la Biblioteca Vaticana: una storia aperta al futuro45, dove sono state proposte 228 opere fra manoscritti, stampati, stampe e monete. La Biblioteca, attraverso un percorso molto articolato, ricco e dinamico, ha così individuato la possibilità di “mettersi in mostra”, di presentare al grande pubblico una parte del suo patrimonio per essere esplorata secondo percorsi di ricerca diversi e diversamente costruiti, seguendo le proprie curiosità e i propri interessi46. È stata un’occasione importante che ha permesso ai visitatori di entrare, avvalendosi dell’ausilio di mezzi multimediali, in alcune sale della Biblioteca Vaticana, abilmente e suggestivamente ricostruite nell’esposizione; di sfogliare alcuni facsimili dei codici più preziosi per intraprendere un viaggio attraverso secoli, culture, fedi, ideologie diverse senza alcuna discriminazione confessionale o ideologica. Un percorso formativo per dare la possibilità di conoscere realtà inesplorate e diverse dall’ambito in cui abitualmente si opera diventando così motore di speranza, dialogo e pace (Tavv. II-VIII). Concludo questa riflessione con le parole di Giovanni Paolo II: … si può dire quindi che la biblioteca rappresenta uno strumento di catechesi perché per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la Chiesa ha bisogno dell’arte. Essa deve, infatti, rendere percettibile e, anzi, per quanto possibile, affascinante, il mondo dello spirito, di Dio, dell’invisibile47.

45

Conoscere la Biblioteca Apostolica Vaticana cit. MANFRON, La Biblioteca si mostra cit., p. 295. 47 Lettre du Pape JEAN PAUL II aux artistes, 4 aprile 1999, in Acta Apostolicae Sedis XCI, Città del Vaticano 1999, p. 1168. 46

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Tav. I – Esposizione Permanente, Salone Sistino, Città del Vaticano 1920-1970.

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Tav. II – Cristina di Svezia, Salone Sistino, Città del Vaticano 1966.

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TAV. III – Bimillenario Virgiliano, SALONE SISTINO, CITT� DEL VATICANO 1981-1982.

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Tav. IV – Nuovo Mondo, Braccio di Carlo Magno, Città del Vaticano 1993.

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Tav. V – Conoscere la Biblioteca Vaticana: una storia aperta al futuro, Braccio di Carlo Magno, Città del Vaticano, 2010-2011.

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Tav. VI – Conoscere la Biblioteca Vaticana: una storia aperta al futuro, Braccio di Carlo Magno, Città del Vaticano, 2010-2011.

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Tav. VII – Conoscere la Biblioteca Vaticana: una storia aperta al futuro, Braccio di Carlo Magno, Città del Vaticano, 2010-2011.

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Tav. VIII – Conoscere la Biblioteca Vaticana: una storia aperta al futuro, Braccio di Carlo Magno, Città del Vaticano, 2010-2011.

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FOTOGRAFIA Nella Biblioteca Apostolica Vaticana sono conservate molte centinaia di migliaia di volumi stampati, decine di migliaia di antiche stampe e disegni, e uno dei maggiori medaglieri al mondo, con oltre 300.000 fra monete e medaglie. Pur essendoci una così grande ricchezza di opere d’arte e testimoni di cultura, sono la raccolta di stampati antichi e il patrimonio manoscritto che spiccano per valore, pregio e rarità, e che costituiscono il principale campo d’indagine degli studiosi e dei ricercatori che frequentano la Vaticana. I manoscritti ammontano a circa 180 mila, 100 mila dei quali di natura archivistica (provenienti per lo più da alcune grandi famiglie importanti per la storia della Chiesa e della città di Roma, come i Barberini, i Chigi ed altre ancora); l’altra parte è costituita da testi latini, greci, orientali, ebraici ed altro. Con questa eredità incomparabile la nostra si configura come una biblioteca umanistica e quindi universale, per la quale il suo fondatore moderno, il papa Niccolò V, fin dagli inizi ha statuito con generosa sollecitudine lo scopo: “La comune utilità degli uomini di scienza”1. Questo proposito è stato proseguito dai successori di Niccolò V, e oggi la Biblioteca Apostolica Vaticana si configura come un’istituzione di conservazione e di ricerca; deve quindi assolvere a due propositi che talvolta possono sembrare tra loro divergenti. La fotografia può rendere un buon servizio ad entrambi: può riprodurre e quindi aiutare a conservare (e in seguito vedremo con quali requisiti), ma può essere anche di ausilio per analizzare, interpretare e capire una scrittura o un supporto scrittorio. Essa può dunque essere un utile mezzo di documentazione, oppure può mettersi al servizio degli studi. La fotografia e la scrittura condividono una stessa radice etimologica e concettuale: lo scrivere. Scrivendo con la luce — illuminando con un’inclinazione specifica, oppure scegliendo una banda dello spettro elettromagnetico particolare per irradiare un oggetto, ma utilizzando anche filtri di un certo tipo — si possono ottenere risultati sorprendenti. La presente relazione vuole illustrare alcuni esempi in cui la 1 Desidero ringraziare Ambrogio M. Piazzoni, Vice Prefetto della Biblioteca Vaticana, per il generoso aiuto.

La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 477-502.

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fotografia è diventata, sì, strumento di documentazione, ma al contempo mezzo scientifico di indagine e di ricerca nei settori dello studio paleografico, filologico e codicologico. Prima di offrire uno spaccato sulle attuali attività di fotoriproduzione della Biblioteca Vaticana, e specialmente quelli dove la fotografia si mette al servizio degli studi, andiamo un po’ indietro nel tempo per valutare quanto è emerso dalle esperienze nel nostro servizio al fine di ricavarne orientamenti per il futuro. La storia della riproduzione fotografica in Vaticana ha ormai compiuto più di un secolo2. Nel 1907 ebbe inizio un servizio di riproduzione, sia per uso interno sia per i richiedenti, affidato a un fotografo esterno, mentre agli studiosi stessi veniva talvolta concesso il permesso di eseguire riproduzioni con i propri macchinari. Al 1931 risale invece l’acquisto del primo macchinario di riproduzione, un riproduttore Jantsch bianco-su-nero su carta, macchinario che determinò un notevole ribasso dei prezzi per le riproduzioni fotografiche con conseguente aumento delle richieste. Successivamente, grazie alla generosità di papa Pio XI, nel 1937 venne istituito il primo “Gabinetto Fotografico”, provvisto di apparecchi fotografici di varie marche, di una macchina per il microfilm bianco/nero e a colori, di macchine per lastre e diapositive in vari formati, e di un autoriproduttore Siemens. Fin dagli inizi, da parte dei superiori si intuiva una particolare sensibilità per le potenzialità della fotografia applicata agli studi perché, oltre alle due camere oscure che servivano per lo sviluppo e per la stampa, ne fu presto istituita una terza, denominata “laboratorio scientifico”, adibita a esperimenti innovativi di riprese fotografiche con luci ultraviolette, infrarosse e raggi X. Dopo l’ultima guerra mondiale, durante la prefettura di Anselm Maria Albareda, assai attento alle possibilità connesse alle riproduzioni, si intraprese un progetto particolare di conservazione: le distruzioni susseguite agli eventi bellici che avevano coinvolto molte biblioteche europee e che avevano condotto alla definitiva perdita di manoscritti antichi indussero il pontefice Pio XII a creare un deposito di sicurezza oltreoceano di una copia fotografica in microfilm dei manoscritti vaticani. Così, nei primi anni Cinquanta è iniziata una campagna di microfilmatura durata circa un decennio, durante la quale è stato riprodotto circa il 70% dei manoscritti vaticani. La Biblioteca ha reso disponibile la consultazione di tali microfilm presso la Vatican Film Library, sezione della Pius XII Memorial Library, appositamente creata nella Saint Louis University (U.S.A). 2 BAV, Arch. Bibl. 120; A. M. ALBAREDA, Cinque anni nella Prefettura della Biblioteca Apostolica Vaticana (1936-1941), Città del Vaticano 1941, pp. 72-83.

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Tav. I – Laboratorio fotografico anni ’40-’50.

Si consideri che anche allo stato attuale della tecnologia non esiste un supporto più affidabile del microfilm3, il quale sarà sempre leggibile con una lente d’ingrandimento e con una fonte di luce. Infatti, la sua produzione in Vaticana fin da allora non è mai cessata, e tuttora il microfilm bianco/nero — che ha una durata garantita nel tempo molto superiore rispetto al microfilm polìcromo — è considerato la nostra copia di sicurezza. La sua produzione attualmente non avviene più direttamente ma attraverso la migrazione di file digitali su microfilm, al fine di garantire la preservazione dei dati digitali nel lungo periodo e come disaster recovery. Affinché la copia su microfilm sia utile non solo ai fini della conservazione dell’originale e dell’accessibilità del testo ma anche, potenzialmente, agli studi, ci siamo resi conto che una ripresa digitale di alta qualità degli oggetti da archiviare è diventata condizione praticamente imprescindibile perché la qualità del file d’origine si ripercuote sulla leggibilità del dettaglio sul microfilm. L’attuale produzione di microfilm può essere vista quindi, vo3

A. ROTH, Konservierung und Erforschung, in Musica Sacra 128 (2008), p. 318.

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lendo, come una ideale continuazione con valore aggiunto della campagna di microfilmatura del secolo scorso, coniugando, fin dove possibile, i due propositi fondamentali della Biblioteca ai quali abbiamo già accennato: quello della conservazione e quello della ricerca.

Tav. IIa – Urb. lat. 585, f. 30r (dettaglio): file a bassa risoluzione su microfilm.

Tav. IIb – Urb. lat. 585, f. 30r (dettaglio): file ad alta risoluzione su microfilm.

L’attività del Laboratorio Fotografico prosegue nei decenni dagli anni ’60 fino agli anni ’90 con l’utilizzo delle tecnologie analogiche grazie alle quali vengono prodotte molte migliaia di microfilm e di microfiche, di negativi fotografici, di diapositive e di ektachrome per uso di studio, di pubblicazione e di edizione — in collaborazione con società esterne — di pregiati facsimili, fino al passaggio, avviato gradualmente negli anni ’90 e ormai completato, alle tecnologie digitali. Un riferimento importante per l’attività del Laboratorio in quegli anni è stato il Colloquio Internazionale promosso nel 1975 dalla Biblioteca Vaticana in occasione del V° centenario della sua fondazione, attinente alla tutela e alla riproduzione di manoscritti e stampati antichi4, nel quale il tema della riproduzione fotografica veniva esaurientemente affrontato dal punto di vista concettuale, tecnico, finanziario e giuridico e dalle cui considerazioni finali emerge, con lucida lungimiranza, la coscienza della necessità di costituire degli archivi completi di riproduzioni dei manoscritti ai fini tanto della protezione degli originali (infatti un argomento cardine è la “Sicherheitsverfilmung” su 4

Conservation et reproduction des manuscrits et imprimés anciens, Colloque international organisé par la Bibliothèque Vaticane à l’occasion de son V° centenaire 21-24 octobre 1975, Città del Vaticano 1976, (Studi e testi, 276).

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microfilm) quanto della loro diffusione, la necessità di ricerca di standardizzazione dei macchinari e delle tecniche, e l’auspicio di collaborazione per raggiungere pratiche uniformi nonché risultati di qualità eccellente e durevole. Un lavoro particolare di acquisizione ai fini dello studio risale a quegli anni: sono state riprese le note marginali del famoso manoscritto tardoantico Pal. lat. 1631, il cosiddetto “Virgilio palatino”. Si tratta di scritture impresse con una punta a secco sulla membrana le quali, anche se praticamente inesistenti a occhio nudo, sono state rese visibili attraverso un’incidenza radente dell’illuminazione in fase di ripresa. Lo studioso McCormick, lavorando su questo manoscritto nella sala di consultazione, grazie all’incidenza della luce solare radente proveniente dalla finestra si rese conto della presenza di note marginali altrimenti invisibili e ci diede la possibilità di farle apparire in fotografia, sfruttando il medesimo principio fisico che gli aveva permesso di fare tale scoperta5. Scrivendo con la luce, si possono ottenere risultati sorprendenti.

Tav. III – Pal. lat. 1631: scritture impresse a secco.

Permettetemi di compiere un passo “trasversale” e di fare qualche considerazione sull’oggetto “libro manoscritto”: esso rientra tra gli oggetti considerati “beni culturali”. Ma nel sentire comune — e di riflesso nella normativa ufficiale che ne contempla le necessarie forme di tutela, valorizzazione e esplorazione scientifica — esso ha cominciato a fare parte di questa categoria molto più tardi rispetto ad altri oggetti quali possono essere ad esempio i quadri o le sculture. Perché? Il motivo è legato alla sua materialità: il libro non è inscindibilmente connesso al testo che in esso 5 M. MCCORMICK, Five hundred unknown glosses from the Palatine Virgil (The Vatican Library, Ms. Pal. Lat. 1631), Città del Vaticano 1992 (Studi e testi, 343), pp. 4-5.

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Tav. IV – Ross. 206, f. 170v: rifilato.

è contenuto — il testo, vero “bene culturale”, può essere imparato anche a memoria e può esistere in maniera svincolata dal suo supporto, mentre il pezzo materiale del libro di per sé, nell’accezione comune e per molto tempo, non è stato investito di questa stessa importanza. Lo si può facilmente evincere dal fatto che numerosi codici, soprattutto medievali, dopo un rinnovamento della legatura, sono stati rifilati nel tentativo di adattare i fogli alla misura dei nuovi piatti con conseguente taglio delle pagine ed anche, talvolta, di parte del testo e delle decorazioni. Questo ovviamente oggi si traduce in un ostacolo insuperabile agli studi, perché, come è ovvio, ciò che è perso non può essere più indagato. Possiamo incontrare un limite analogo nelle tecnologie di acquisizione fotografica dei beni culturali: nella Vaticana, in passato, il microfilm ve-

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niva memorizzato su un supporto in acetato — ormai sostituito dal poliestere —, un materiale molto instabile e suscettibile a forte deterioramento tale da poter rendere il suo contenuto inaccessibile6; oggi, invece, problemi analoghi si verificano con i file digitali — prevalentemente con quelli compressi, ma non solo — che possono essere oggetto di una perdita di dati in fase di migrazione da un supporto di archiviazione all’altro, quando l’algoritmo di decompressione incontra difficoltà di esecuzione corretta. Anche oggi quindi possiamo essere minacciati da una perdita di oggetti e di dati materiali, perdita che ugualmente si traduce in un impedimento agli studi.

Tav. V – Microfilm in acetato.

Tav. VI – File corrotto.

Vorrei quindi fare a tale proposito una piccola parentesi riguardo alle tecniche di acquisizione digitale, al formato del file da scegliere, e alla cosiddetta “Digital Preservation”, aspetti fondamentali per far sì che un’immagine digitale sia stabile nel tempo e preservata da potenziali danneggiamenti che metterebbero a repentaglio la possibilità di utilizzarla ai fini tanto della conservazione quanto della ricerca. Innanzi tutto, per assicurare durata ed affidabilità nel tempo di una ripresa digitale, è necessario affidarsi agli standard ormai abbastanza assodati della “best practice” relativi alla ripresa fotografica digitale degli oggetti nell’ambito dei beni culturali. Mentre per anni le incertezze su risoluzione, formato, spazio del colore e creazione di profili cromatici7, profondità di bit del colore, calibrazione di monitor e periferiche e altri parametri analoghi inerenti l’acquisizione e la gestione di immagini digita6 Al Colloquio Internazionale del 1975 sulla fotografia, l’acetato è considerato ancora un supporto sicuro: Conservation et reproduction des manuscrits cit. (nota 4), p. 114. 7 La procedura di creazione di un profilo colore è descritta bene in G. TRUMPY – M. VIANI, Rinascimento Digitale. Valutazione dell’impatto dei dispositivi di acquisizione digitale sui manufatti cartacei, in Quaderni di studio 05 (http://www.rinascimento-digitale.it/documenti/valutazione-dispositivi-digitali-manufatti-cartacei.pdf), pp. 48-49, consultato il 15.10.2010.

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li, sono stati davvero grande, fortunatamente ora si è pervenuti a standard relativamente accertati8. Numerosi sono i progetti di ricerca e le istituzioni coinvolte in questo campo di studi9. I progetti nazionali ed internazionali di sviluppo di biblioteche digitali hanno creato un insieme condiviso di linee guida e di standard per la digitalizzazione del patrimonio culturale. I progetti europei MINERVA10 e MICHAEL11, che stanno contribuendo alla realizzazione di Europeana, la Biblioteca Digitale Europea12, sono impegnati in tal senso. Mentre per i parametri propriamente fotografici di applicazione i punti interrogativi sono dunque stati per lo più sciolti13, un dubbio continua a permanere sulla questione del formato del file digitale da adottare, di fondamentale importanza per la conservazione e quindi costantemente argomento di confronto e discussione: conviene veramente scegliere il formato TIF per la conservazione a lungo termine, come attualmente fanno tutte le maggiori biblioteche d’Europa e come consigliano le linee guida più diffuse14, oppure bisogna chiedersi se non si tratti piuttosto di una scelta determinata da consuetudine e probabilmente influenzata da strategie commerciali? Il TIF non è ancora un marchio registrato ma è un formato proprietario, e questo porta con sé una serie di incertezze e di 8 F. LOTTI – M. LUNGHI – G. TRUMPY, Rinascimento Digitale. Digitalizzazione dei beni artistici e documentari. Manuale di procedure per un laboratorio fotografico digitale, in Quaderni di studio 04 (http://www.rinascimento-digitale.it/documenti-procedurelaboratoriofotografico.phtml), consultato il 15.10.2010. 9 DPE (Digital Preservation Europe) (http://www.digitalpreservationeurope.eu); DigItalia (Rivista del digitale nei Beni Culturali) (http://digitalia.sbn.it/genera.jsp); Fondazione Rinascimento Digitale (http://www.rinascimento-digitale.it); Delos (Network of Excellence on Digital Libraries) (http://www.delos.info); Nestor (Kompetenznetzwerk Langzeitarchivierung) (http:// www.langzeitarchivierung.de); OPIB (Osservatorio dei programmi internazionali per le biblioteche e gli archivi) (http://www.opib.librari.beniculturali.it); OCLC + RLG (Research Libraries Group) (http://www.oclc.org/global/default.htm); CLIR (Counsil on Library and Information Resourses) (http://www.clir.org); DigiCULT (Technology Challenges for Digital Culture) (http:// www.digicult.info/pages/index.php). 10 MINERVA (Ministerial Network for Valorising Activities in Digitisation) (http://www.minervaeurope.org). 11 MICHAEL (Multilingual Inventory of Cultural Heritage in Europe) (http://www.michaelculture.org). 12 EUROPEANA (Biblioteca Digitale Europea) (http://www.europeana.eu). 13 RINASCIMENTO DIGITALE, Corso “Digital Imaging: come e perché digitalizzare in 2D per i Beni Culturali” (http://fad.rinascimento-digitale.it/doceboCms/index.php?special=changearea &newArea=83), consultato il 15.10.2010. 14 MINERVA, Manuale di buone pratiche per la digitalizzazione del patrimonio culturale, versione 1.3, a cura del Gruppo di lavoro 6 del Progetto Minerva Identificazione delle buone pratiche e dei centri di competenza, coordinato da BORJE JUSTRELL (Riksarkivet, Svezia), 3 marzo 2004, p. 38.

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dubbi relativi al suo utilizzo a medio e lungo termine. Nella peggiore delle ipotesi potrebbe un giorno essere impossibile la sua apertura se non dietro pagamento di una cifra stabilita dal detentore del marchio, circostanza la quale lo confina nello spazio di un formato di visualizzazione più che di archiviazione15. Interrogativi analoghi esistono sui vari formati RAW, anch’essi proprietari dei rispettivi produttori di fotocamere digitali e quindi già suscettibili a presentare determinate caratteristiche che ne limitano un utilizzo e una conversione sicuri e affidabili nel tempo. Questo formato grezzo della fotocamera come formato di acquisizione consente di intervenire successivamente sui parametri stessi di acquisizione, che non siano propri dell’ottica (come lo sono ad esempio la messa a fuoco e la profondità di campo); si potrà quindi correggere il bilanciamento del bianco, e sarà possibile ottimizzare l’esposizione, il contrasto, la luminosità, la saturazione; esso consente quindi di catturare immagini con regolazioni anche non ottimali di tali parametri16. Purtroppo però in alcuni casi certi formati RAW di vecchia e nuova generazione, essendo proprietari del sistema di acquisizione, sono correttamente decodificabili solo dal firmware specifico delle rispettive macchine digitali. Il formato di compressione JPG invece è un formato open source, il cui numero di byte può tuttavia cambiare ogni qualvolta lo si apre e le cui perdite di informazione si sommano di volta in volta nei successivi salvataggi; quindi non può essere considerato un formato idoneo alla conservazione dei dati digitali. Dall’altro canto, il formato JPG 2000 — che non è un formato libero ma è un ISO-standard — è stato in parte considerato adatto a sopperire al TIF come formato di archiviazione per via di alcune delle sue caratteristiche peculiari, e soprattutto perché è basato sui nuovi concetti di multirisoluzione e perché a parità di peso col JPG fornisce livelli di qualità molto più alti. Il suo decollo lento e la sua poca diffusione, tuttavia, sono tuttora dovuti alla scarsità dei software per la visualizzazione ed elaborazione e all’attuale insufficiente supporto da parte dei maggiori web browser17. 15

Vengono analizzati formati alternativi al TIF (JPEG 2000, PNG, Basic JFIF, TIFF LZW) per la conservazione a lungo termine in R. GILLESSE – J. ROG – A. VERHEUSEN, Alternative file formats for storing master images of digitisation projects, March 7, 2008 (http://www.kb.nl/hrd/ dd/dd_links_en_publicaties/publicaties/alternative_file_formats_for_storing_masters_2_1. pdf), consultato il 15.10.2010. 16 O. Y. RIEGER, Preservation in the Age of Large-Scale Digitization: a white paper, Council on Library and Information Resources CLIR publication 141 (2008) (http://www.clir.org/ pubs/reports/pub141/pub141.pdf), p. 20, consultato il 15.10.2010. 17 Technology Watch Report, JPEG 2000: a practical digital preservation standard ? (http:// www.dpconline.org/docs/reports/dpctw08-01.pdf), consultato il 15.10.2010; F. LOTTI, La qua-

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Tra le caratteristiche di un sicuro e affidabile formato di archiviazione delle immagini digitali dovrebbe quindi essere non solo il fatto che esso deve rispondere ad alcuni requisiti di qualità, quali la possibilità di supportare i 16 bit di profondità di colore — necessari non tanto per la visualizzazione dell’immagine quanto piuttosto per la maggiore precisione negli arrotondamenti dei valori di calcolo nelle elaborazioni — e la facoltà di poter ricevere sia i metadati descrittivi e gestionali sia una filigrana invisibile, e di potere essere compresso senza perdita di qualità18, ma anche e soprattutto la certezza che esso non sia criptato o legato a un diffusore commerciale19. Sotto il nome di “Digital Preservation” invece vanno inserite tutte quelle procedure che, agevolate dall’adozione di standard, permettono la creazione di un’infrastruttura per la conservazione permanente e per la salvaguardia e l’archiviazione corretta del patrimonio digitale nel lungo periodo. Nella Vaticana le immagini digitali di manoscritti, stampati, disegni, stampe, medaglie e monete (ormai centinaia di migliaia in vari formati e risoluzioni), corredate di scala colorimetrica e millimetrica e provviste del profilo colore e dei necessari metadati, vengono archiviate nel server di storage collocato in un ambiente climatizzato. Il backup dei dati viene effettuato a intervalli regolari e prestabiliti mediante copia binaria su un secondo server mirror. Anche alle procedure costanti e adeguate di emulazione e migrazione dei dati — necessarie per l’incombente obsolescenza tecnologica dei supporti di archiviazione — si provvede in modo appropriato mediante il trasferimento degli oggetti da un ambiente tecnico a un altro, più recente, conservando il contenuto, il contesto, l’accessibilità e la funzionalità degli originali. Tornando alla fotografia applicata alle indagini nelle discipline umanistiche, ci rendiamo conto che talvolta consultare vecchie riproduzioni può essere utile ai fini di studio. Già nel 1898, alla Conferenza Internazionale di S. Gallo per il restauro degli antichi codici promossa dal padre Ehrle, Prefetto della Biblioteca Vaticana dal 1895 al 1914, viene ribadita la necessità di eseguire delle riproduzioni fotografiche dei codici20 affinché si lità delle immagini nei progetti di digitalizzazione, in Digitalia 2 (2006), pp. 32-36; P. BUONORA – F. LIBERATI, A Format for Digital Preservation of Images, in D-Lib Magazine 14, 78, 2008 (http://www.dlib.org/dlib/july08/buonora/07buonora.html), consultato il 15.10.2010. 18 DEUTSCHE FORSCHUNGSGEMEINSCHAFT, DFG-Praxisregeln ”Digitalisierung”, April 2009 (http://www.dfg.de/download/pdf/foerderung/programme/lis/praxisregeln_digitalisierung. pdf), pp. 8-9, consultato il 15.10.2010. 19 MINERVA, Linee guida tecniche per i programmi di creazione di contenuti culturali digitali, Edizione italiana 2.0, a cura di G. DE FRANCESCO, Ministero per i beni e le attività culturali, 2006 MINERVA Project, p. 40. 20 M. BUONOCORE, Theodor Mommsen a San Gallo, in Mediterraneo Antico 13,1-2 (2010),

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Tav. VII – Ott. lat. 2057, f. 1r: ossidazione del bianco di piombo.

possano documentare i loro stati di conservazione21 e i risultati degli interventi di restauro eseguiti, propositi successivamente attuati dal Comitato permanente, costituitosi dopo la conferenza, con un codice della Biblioteca Capitolare di Verona22. Infatti i pigmenti di certi inchiostri potevano alterarsi negli anni, rendendo illeggibile una miniatura nel dettaglio: abbiamo qui un esempio di ossidazione del bianco di piombo, comunemente detto biacca, che ha reso indecifrabili i dettagli della miniatura in questo codice ottoboniano (Ott. lat. 2057), mentre in una riproduzione del 1929 tali parti risultano ancora perfettamente integre. Se con un opportuno intervento di restauro le parti ossidate possono essere riportate al loro stato originario, in fotografia non abbiamo purtroppo un procedimento che ci permetta di fare virtualmente lo stesso. pp. 73-120. Mi è gradito ringraziare il collega Marco Buonocore per il prezioso aiuto che mi ha dato nella ricerca sulla storia della riproduzione fotografica nella Biblioteca Vaticana, nonché nella stesura e correzione del presente testo. 21 [F. EHRLE], Della conservazione e del restauro dei manoscritti antichi, in Rivista delle Biblioteche e degli Archivi, 9 (1898), p. 170. 22 [F. EHRLE], Della conferenza internazionale di S. Gallo (1898), ibid., 18 (1907), p. 114.

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Anche il trattamento dei fogli palinsesti con acido gallico, comunemente applicato nel corso del secolo XIX per rendere visibile la scrittura inferiore, può avere reso le scritture sempre più illeggibili per via dell’irreversibile progredire dei processi di ossidazione proprie di questo reagente chimico. Ne è un esempio — ma ce ne sono numerosi altri — il famoso palinsesto ciceroniano Vat. lat. 5757, sulle cui riproduzioni analogiche risalenti agli anni 30 del secolo scorso possiamo riscontrare una leggibilità talvolta molto maggiore rispetto all’originale e a quella deducibile dalle rispettive riproduzioni digitali recenti. In questi casi la fotografia assume la preziosa funzione di portatrice di memoria, fissando uno stato di conservazione precedente di un bene culturale che altrimenti non sarebbe più rinvenibile23. Proprio la considerazione del deperimento progressivo e irreversibile dei fogli pergamenacei trattati con acido gallico è stata, tra l’altro, determinante anche nella programmazione del progetto di ripresa dei palinsesti della Biblioteca Vaticana. La necessità di completare con la massima sollecitudine le acquisizioni delle immagini ha indotto, nella scelta della tecnologia da utilizzare, a evitare sia un sistema di acquisizione multispettrale (che prevede l’acquisizione, oltre che con luce naturale, con diversi tipi di luce invisibile, talvolta anche con l’ausilio di filtri, sovrapponendo ed elaborando successivamente le immagini così ottenute), sia un sistema di ripresa iperspettrale (dove l’analisi a varie lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico visibile e invisibile può essere effettuata in maniera selettiva, “affettando” lo spettro in tante bande contigue e analizzandole in tempo reale)24. Questi due metodi, infatti, richiederebbero da un lato un dispendio di tempo molto ingente e, dall’altro e almeno nel secondo dei casi, anche la presenza di specialisti nelle discipline paleografiche e filologiche durante le fasi di ripresa. È stato perciò scelto un sistema di scansione a luce naturale e a luce ultravioletta a frequenza fissa ad altissima risoluzione mediante dispositivi appositamente costruiti, permettendo di archiviare a mano a mano le immagini generate sebbene l’analisi delle scritture potrà, in qualche caso, avvenire forse anche solo fra molti anni. 23 C. FARAGGIANA DI SARZANA, La fotografia applicata a manoscritti greci di difficile lettura: origini ed evoluzione di uno strumento di ricerca e i principi metodologici che ne regolano l’uso, in El palimpsesto grecolatino come fenómeno librario y textual, Zaragoza 2006, p. 77: “La fotografia […] fissa in immagine un momento esatto dello stadio evolutivo di quella realtà. Vecchie fotografie, per più di un manoscritto, sono sovente documento storico unico e insostituibile di uno stadio di conservazione migliore rispetto all’attuale e del quale sarebbe altrimenti perduta la memoria”. 24 Può essere utile consultare il sito di Rinascimento Virtuale, la pagina web del progetto europeo di ricerca digitale sui palinsesti: http://www.bml.firenze.sbn.it/rinascimentovirtuale/ index.html, consultato il 15.10.2010.

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Questo particolare aspetto ha reso indispensabile l’adozione di una risoluzione molto spinta — e cioè di 1.200 dpi su un formato A4, quindi di una risoluzione spaziale di ca. 10.000 per 14.000 pixel — per poter utilmente fruire delle immagini anche nel prossimo futuro, atteso il costante e rapido progresso tecnologico in questo campo. Si tratta, quindi, di un progetto di lunga lena, dove l’adozione dei migliori standard tecnici ora disponibili è indispensabile. Immagini così grandi in ultravioletto, tuttavia, richiedono un tempo di ripresa molto lungo, e l’altissima risoluzione da un lato aumenta la lettura del dettaglio, dall’altro diminuisce sia profondità di campo sia nitidezza: per questo motivo recentemente sono state effettuate — insieme ai nostri grecisti che sono i principali destinatari di questo progetto — delle prove per un’eventuale riduzione della risoluzione, ma i risultati ci hanno indotto a mantenere la ripresa a 1.200 dpi. Per la decifrazione delle scritture, poi, è di ausilio un software scritto ad hoc che permette di sovrapporre le due immagini, elaborandole e integrandole reciprocamente, al fine di isolare ed estrapolare i diversi strati di scrittura (superiore, inferiore, e — qualora ce ne fosse — anche mediana).

Tav. VIII – Elaborazione degli strati di scrittura in un foglio del palinsesto Vat. gr. 1837.

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Esistono casi in cui il sistema di ripresa a luce ultravioletta alla frequenza fissa di 254 nm del nostro sistema di scansione dei palinsesti ha dato scarsi risultati a causa della presenza molto vistosa di applicazioni di noce di galla sui fogli (ne sono un esempio tipico i due celebri manoscritti di Frontone, l’Ambr. E 147 sup. ed il Vat. lat. 5750 contenenti, nella scriptio inferior, il testo scoperto nonché trattato con reagenti chimici, analogamente al ciceroniano prima menzionato25, da Angelo Mai), che ha reso i fogli molto scuri e praticamente impenetrabili a determinate lunghezze d’onda anche sulla banda dell’invisibile. È stato quindi necessario, con la collaborazione del Gabinetto delle Indagini Scientifiche dei Musei Vaticani, ricorrere comunque alla tecnica multispettrale, eseguendo svariati esperimenti di ripresa mediante l’utilizzo di ulteriori fonti di luce, quali la luce infrarossa e quindi la fluorescenza ultravioletta. Contrariamente a quanto ipotizzato, le riprese sulla banda dell’infrarosso — eseguite con una macchina digitale convertita alla registrazione delle sole lunghezze d’onda infrarosse, e con uno scanner ad altissima risoluzione ad infrarossi — non hanno dato una maggiore leggibilità, mentre le riprese in fluorescenza hanno conseguito ottimi risultati. La fluorescenza è la proprietà di alcune sostanze di riemettere a frequenza più alta le radiazioni ricevute, in particolare di assorbire luce ultravioletta e di emetterla nello spettro del visibile26; l’emissione per fluorescenza dipende dal contributo degli strati esterni dell’opera, ovvero, nel nostro caso, dai composti chimici della noce di galla e dall’inchiostro composto da leganti e pigmenti, e dalle loro interazioni chimiche. Questo principio di assorbimento con la successiva remissione di luce è stato l’approccio giusto che ci ha permesso, lavorando con una macchina digitale da 12 MP corredata da due filtri Kodak Wratten per l’ultravioletto e di una particolare illuminazione fluorescente ultravioletta a 366 nm (si tratta di una lunghezza d’onda che viene chiamata ultravioletto vicino, in grado a indurre fenomeni di fluorescenza visibile in materiali organici e inorganici), di penetrare nello strato oscuro di noce di galla ottenendo di conseguenza una buona restituzione delle scritture sommerse. È stato dunque in questo caso raggiunto un compromesso: l’altissima risoluzione del sistema usuale di scansione è stata sacrificata a favore della migliore leggibilità ottenuta con una macchina digitale di risoluzione molto minore. L’approccio sperimentale, e la costante e vigile 25 Di entrambi i manoscritti parla [EHRLE], Della conservazione cit. (nota 21), p. 7: “Possiamo noi a braccia conserte star a vedere i nostri preziosi palinsesti, come l’unico Ms. del De repubblica di Cicerone, il Frontone, ecc., ed altri del 5° e 6° secolo soggiacere al medesimo triste destino?” 26 Un esempio di ripresa in fluorescenza di palinsesti si trova in http://www.nital.it/experience/fluorescenza.php#uvf, consultato il 15.10.2010.

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ricerca di soluzioni alle problematiche, è dunque — nel nostro come in praticamente tutti i campi — d’obbligo.

Tav. IXa – Ambr. E 147 sup., p. 79 (dettaglio): ripresa con luce ultravioletta.

Tav. IXb – Ambr. E 147 sup., p. 79 (dettaglio): ripresa con fluorescenza ultravioletta.

Quali invece sono le potenzialità della fotografia nelle bande del visibile: può essa rendersi utile allo studio del manoscritto? Certamente sì: tale procedimento può cercare di riprodurlo al meglio, con risoluzione e fedeltà all’originale più alte possibili27, in modo tale da ricavare delle immagini che possano non solo progressivamente sostituire gli originali nello studio “visivo”, ma essere anche adatte a qualsiasi possibile futura necessità di utilizzo (facsimili28, stampe d’arte, riproduzioni per gli studiosi, files multipagina in PDF, immagini da rendere disponibili in Internet o che potranno corredare le relative descrizioni bibliografiche elettroniche dei manoscritti, ed altro ancora), acquisendo in questo modo dei file master utili a rispondere a tutte le necessità di studio e archiviazione a lungo 27 Contrariamente si esprime la DEUTSCHE FORSCHUNGSGEMEINSCHAFT cit. (nota 18), p. 7: “Jedoch gilt für den Master, dass man nicht einfach mechanisch die zu einem Zeitpunkt gerade höchste realisierbare technische Qualität heranzieht. In älteren Dokumenten wird oft explizit oder implizit die Auffassung vertreten, dass der Akt der Digitalisierung so aufwändig sei, dass stets die „höchste technisch machbare“ Qualität angestrebt werden sollte, damit die Digitalisierung „nie“ wieder wiederholt werden müsste. Diese Aussage ist nicht haltbar. Eine nüchterne, wenn auch großzügige Abwägung, welche Formen der Nutzung zu erwarten sind, sollte also ebenso selbstverständlich sein wie die Sorge um langfristig ausreichende Qualität”. Non condividiamo questa posizione, prevalentemente per motivi di conservazione degli originali ma anche tecnici (possibilità economicamente e tecnologicamente sostenibili di archiviazione di dati anche molto grandi). 28 ROTH, Konservierung cit. (nota 3), p. 314: “Für die an solchen Unternehmungen beteiligten Bibliotheken ist die Veröffentlichung von Faksimiles selbst der luxuriösen Art vor allem aus konservatorischen Gründen interessant. Das Original einer Handschrift, von der ein mit großer Sorgfalt hergestelltes und dem Original in allen Details entsprechendes Faksimile vorliegt, wird nur noch in besonderen Ausnahmefällen zur direkten Benutzung ausgegeben.”

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termine. Permettetemi quindi di illustrarvi un esempio di buona ripresa fotografica di un foglio manoscritto pergamenaceo dell’XI secolo — la cronaca di Mariano Scoto, Pal. lat. 830 — dove la qualità dell’immagine, dovuta all’altissima risoluzione nonché alla buona fedeltà cromatica del dispositivo d’acquisizione, permette di esaminare non solo la scrittura nel dettaglio ma anche la rigatura eseguita a secco nonché la foratura al margine del foglio che rende visibili i punti dove la membrana era stata fissata durante l’operazione di rigatura. Vorrei illustrare anche la riproduzione di una pagina di un codice umanistico della Geografia di Strabone, l’Ott. lat. 1448, acquisita con due diversi dispositivi (un dorso digitale da 50 MP e uno scanner ad altissima risoluzione), dove è ben visibile la differenza della resa di un dettaglio minuscolo della miniatura, dettaglio addirittura indistinguibile a occhio nudo, mentre la resa del colore è più fedele nell’immagine acquisita con il dorso digitale. È stato scelto appositamente un foglio contenente del viola, colore molto difficile da riprodurre in fotografia analogica e digitale insieme al rosso, probabilmente perché si tratta di quei colori che sullo spettro elettromagnetico si trovano più vicini a quelli invisibili. Avvalendosi di una buona riproduzione lo studioso avrà anche modo di distinguere il lato pelo della pergamena dal lato carne, mentre la fotografia incontrerà qualche limite quando si tratterà di documentare alcuni aspetti codicologici del manoscritto, quali la fascicolazione, la cucitura, la legatura, la disposizione dei lacci; in quei casi sarà probabilmente necessario fare ricorso all’originale, mentre per indagini di tipo scientifico, quale, ad esempio, l’analisi della composizione degli inchiostri, sarà indispensabile l’utilizzo della strumentazione scientifica specifica.

Tav. Xa – Vat. lat. 3199, f. 27r (dettaglio): ri- Tav. Xb – Vat. lat. 3199, f. 27v (dettaglio): riproduzione del lato carne della pergamena. produzione del lato pelo della pergamena.

Recentemente, la Biblioteca Apostolica Vaticana ha affrontato il tema della digitalizzazione completa dei propri pezzi unici, a partire dai ma-

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noscritti, riprendendo la principale delle raccomandazioni finali del Colloquio Internazionale del 1975, cioè quella inerente alla necessità di costituire archivi completi di riproduzioni dei propri cimeli acquisendo dei master fotografici permanenti, e per il quale le considerazioni appena espresse riguardo alla qualità delle riprese sono state di fondamentale importanza29. Cambiano le tecnologie, ma restano immutati i contenuti. Per gli aspetti tecnici, agevolati da stanTav. XI – Leggìo. dard internazionali, della corretta acquisizione fotografica e dell’archiviazione delle immagini, di inderogabile rilievo per un lavoro così imponente e con delle implicazioni così multiformi, rimando al paragrafo in cui ne abbiamo accennato brevemente, mentre non mi soffermo sugli aspetti inerenti all’implementazione dei metadati, e su quelli economici e gestionali di programmazione, anche se si è trattato di aspetti molto importanti per un progetto di digitalizzazione di massa come questo. Faccio invece un piccolo inciso riguardo alla protezione degli originali durante le fasi di ripresa: la necessità di ottenere immagini di eccellente qualità nel pieno rispetto dell’integrità dell’originale ha indotto a prevedere per entrambe le postazioni di ripresa — un dorso digitale da 50 MP e uno scanner ad altissima risoluzione — dei leggii mediante i quali è possibile acquisire immagini senza dovere aprire il codice a 180° e senza dovere coprire il foglio con il cristallo, in modo tale che sia la tecnologia ad adattarsi ai libri, e non viceversa. La scelta del tipo di “trattamento” da riservare al singolo codice avviene attualmente durante l’esame preliminare al quale ogni manoscritto viene sottoposto dal direttore del dipartimento dei manoscritti prima della fase di ripresa. Oltre all’alta qualità delle riprese e alla creazione di un flusso di lavo29 Al Colloquio Internazionale sulla riproduzione fotografica del 1975 emerge ancora la preoccupazione che la fotografia — volendo con essa trarre delle copie sempre migliori — non aiuti a conservare, ma anzi contribuisca a logorare sempre di più gli originali: Conservation et reproduction cit. (nota 4), pp. 133-134.

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ro razionale ed efficace (indispensabile in un progetto di una tale mole), una delle considerazioni propedeutiche importanti è stata quella relativa al formato di archiviazione da scegliere. L’individuazione e lo studio del formato FITS (Flexible Image Transport System), un formato non proprietario, estremamente lineare e corrispondente ai requisiti di qualità necessari di un formato di archiviazione a lungo termine dei quali già si è detto, in uso ininterrottamente da alcuni decenni per la conservazione di dati utilizzati in astrofisica e medicina nucleare, e costantemente aggiornato dalla comunità scientifica internazionale, ci ha permesso di dare inizio a questo grande progetto di documentazione e conservazione il quale, approntato come un lavoro di alcuni anni e collaborazioni internazionali, ha già superato la fase di sperimentazione (test-bed) e si spera di poter partire definitivamente in un futuro prossimo. Lasciamo da parte il grande progetto di conservazione per fare un accenno a un lavoro particolare di cosiddetto “restauro virtuale”: Il celebre manoscritto del Canzoniere — in parte autografo — del Petrarca del XIV secolo, il Vat. lat. 3195, presenta alcune pagine deteriorate e di ridotta leggibilità, principalmente per evanizione degli inchiostri. Su di esse Furio Brugnolo con uno staff di ricercatori e tecnici ha condotto un’operazione di ripresa speciale con luce ultravioletta e successiva elaborazione dei file, intervenendo sul contrasto, sulla luminosità e su altri parametri, integrando virtualmente le parti di inchiostro mancanti. È però da dire che queste operazioni, per quanto scrupolosamente condotte, lasciano sempre un margine di arbitrarietà: certo, è difficile stabilire quanto le pagine petrarchesche così “ricostruite” siano prossime a quelle originarie: certamente lo sono assai più di quelle attuali30. Il restauro virtuale, proponendosi come uno strumento di integrazione conoscitiva per ottenere informazioni ormai perse o difficilmente desumibili dall’originale, deve comunque, per essere utile, essere condotto con molta prudenza e umiltà, evitando operazioni quali l’integrazione arbitraria dei tracciati grafici; altrimenti si tratta di un’operazione di “ricostruzione” virtuale, più simile a un’operazione di tipo filologico (e interpretativo) che di restauro. Infatti, gli studiosi delle materie scientifiche in questione di solito preferiscono, più che studiare un prodotto poi elaborato in fase di post-produzione dal fotografo o dal grafico, lavorare sui file nativi ad altissima risoluzione. Tornando sul Canzoniere, propongo il confronto tra le riproduzioni analogiche in bianco e nero fatte delle medesime pagine nell’anno 1905, le riprese fotografiche digitali attuali eseguite a quasi un secolo di distanza, nel 2003, e il “restau30 F. BRUGNOLO, Francesco Petrarca, Rerum Vulgarium Fragmenta, Codice Vat. Lat. 3195, Roma – Padova 2003, pp. 7-8.

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Tav. XIa – Vat. lat. 3195, f. 39r (dettaglio): riproduzione del 1905.

Tav. XIb – Vat. lat. 3195, f. 39r (dettaglio): riproduzione del 2003.

Tav. XIc – Vat. lat. 3195, f. 39r (dettaglio): restauro virtuale eseguito sulla riproduzione del 2003.

ro virtuale” eseguito su quest’ultime, confronto che documenta il vistoso e progressivo danneggiamento del testo nel corso del tempo. Abbiamo,

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anche qui, nuovamente un esempio della fotografia quale portatrice di memoria storica 31. Il materiale papiraceo, probabilmente il più antico fra quelli librari nonché spesso il più delicato e fragile presente in Biblioteca, può essere letto e decifrato in maniera adeguata avvalendosi di digitalizzazioni ad altissima risoluzione ottenute tramite uno scanner planetario con una risoluzione di 400 dpi su un formato di 50 x 70 cm. Nella nostra biblioteca, che già possiede numerosi e importanti papiri, questo argomento è diventato ancora più attuale dopo la recente acquisizione del Papiro Bodmer XIVXV, testimone di storia e di fede e manoscritto più prezioso attualmente posseduto dalla Vaticana32.

Tav. XII – Scanner planetario.

L’alta risoluzione delle immagini dei papiri è indispensabile per ottenere ingrandimenti molto spinti, ingrandimenti necessari per gli specialisti che lavorano sulla forma, il ductus e il tratteggio delle singole lettere. Le scansioni possono successivamente essere analizzate dal papirologo tra31

FARAGGIANA DI SARZANA, La fotografia cit. (nota 23), pp. 76-80. R. FARINA, La Biblioteca Apostolica Vaticana riapre con una rinnovata coscienza della propria identità, in L’Osservatore Romano del 18 settembre 2010. 32

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mite l’ausilio di programmi appositi in grado di spostare e di ricomporre virtualmente i singoli frammenti. Passiamo ad una rapida panoramica sullo studio delle filigrane: La filigrana, marchio di fabbrica della “Cartiera” produttrice, ricavata inserendo tale marchio nella forma contenente la pasta di stracci, salvo alcune eccezioni non è collocata nel mezzo della forma ma al centro di una delle sue metà. Nel caso di un formato in-folio la filigrana è quindi collocata al centro di una delle due carte del fascicolo, in un formato in-quarto è posta al centro lungo la linea di cucitura dei fascicoli, mentre in un formato in-ottavo essa si trova ancora lungo la linea di cucitura ma nell’angolo superiore o inferiore a seconda dell’orientamento dei fascicoli. La nostra esperienza, per ora, si limita alle riprese fotografiche che si avvalgono di un’illuminazione specifica della pagina con la filigrana, illuminazione che permette di fare apparire la trasparenza dei tratti che costituiscono la marca d’acqua; tale trasparenza è stata successivamente rafforzata per mezzo di elaborazioni eseguite con i programmi di fotoritocco professionale. La ripresa è relativamente facile quando il marchio non è coperto da scrittura e diventa più complessa quando filigrana e scrittura si intersecano. Bisogna precisare che finora la ripresa delle filigrane è in una fase sperimentale e quindi i risultati che ora presentiamo non sono da ritenere definitivi perché il lavoro di acquisizione può essere ancora perfezionato, richiedendo ancora una ricerca più approfondita dal punto di vista tecnico. Un ingente problema tanto di conservazione quanto di riproduzione presentatosi negli ultimi decenni riguarda i volumi cartacei manoscritti e stampati, ed è costituito dall’abbondante utilizzo fatto durante i secoli e fino al XX, di inchiostro ferrogallico; il suo uso in Occidente fu quasi universale, sia nei manoscritti sia nella stampa di xilografie e in generale in quella tipografica. Le spiccate proprietà acide e ossidanti dell’inchiostro ferrogallico, tuttavia, possono portare ad un deterioramento della cellulosa della carta del supporto, fino al punto da rendere illeggibile il testo33. Insieme agli opportuni interventi di restauro, ci si può avvalere di una ripresa con luci infrarosse che a determinate lunghezze d’onda riesce a penetrare lo strato superficiale delle macchie e che quindi può essere utile al recupero del testo corroso34; lo stesso irraggiamento ha dato buoni ri33 P. VIAN, Il Dipartimento Manoscritti, in Conoscere la Vaticana. Una storia aperta al futuro, a cura di A. M. PIAZZONI – B. JATTA, Città del Vaticano 2010, p. 43: “Contrariamente a quanto si può credere, i manoscritti più a rischio non sono quelli medievali e umanistici ma le innumerevoli scritture fra Cinque- e Settecento minacciate dall’acidità degli inchiostri che corrodono i supporti cartacei”. 34 Un esempio di utilizzo dell’infrarosso nel restauro di dipinti si trova in http://www.nital.it/experience/ir-restauro2.php:, consultato il 15.10.2010.

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sultati nel recupero di testi attaccati da muffe o bruciati dal fuoco, e nella decifrazione di ostraca e papiri35. In futuro quindi si spera di potere attrezzare il Laboratorio di una macchina digitale modificata alla sola registrazione delle lunghezze d’onda sulla banda dell’infrarosso, la quale, insieme all’utilizzo degli opportuni filtri, potrà fungere da strumento sperimentale d’indagine e di recupero di testi che presentano queste tipologie di problematiche, continuando così l’antica tradizione, che risale agli anni Trenta, della presenza di un “laboratorio scientifico” adibito ad esperimenti di riprese fotografiche con luci nelle bande dell’invisibile.

Tav. XIII – Arch. Barb. Computisteria 86, ff. 153v-154r: danneggiamenti derivanti da inchiostro ferrogallico.

L’attività del Laboratorio, ovviamente, durante gli ultimi anni non è stata incentrata solamente a progetti particolari di ricerca, ma soprattutto è proseguito il lavoro regolare di acquisizione di immagini di pagine manoscritte e stampate, di stampe, disegni e carte geografiche, di monete e medaglie per gli studiosi. Anche se nei decenni sono cambiate le forme 35 A. BÜLOW-JACOBSEN, Infra-red Photography of Ostraca and Papyri, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 165 (2008), pp. 175-185.

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— il Laboratorio adesso si avvale esclusivamente di tecnologie digitali — non sono mutati i contenuti, e cioè l’attività di riproduzione posta al servizio sia della conservazione sia della ricerca, tenendo bene presente anche esigenze di economia e praticità. Attualmente il Laboratorio provvede a fornire immagini particolari ad alta risoluzione, riproduzioni in b/n su CD-Rom, stampe digitali in b/n e a colori, ristampe da microfilm e fotocopie per i richiedenti. Ricavando dal passato intendimenti per il futuro dobbiamo considerare che oggi abbiamo abbandonato l’utilizzazione delle diapositive 35 mm come base per le scansioni, le microfiche sono “passate di moda” o, nella migliore delle ipotesi, convertite in digitale; il microfilm viene prodotto partendo da file ad alta definizione, le prime digitalizzazioni degli anni ’90 oggi sono considerate di scarsa qualità e non vengono più prese in considerazione per esperirvi degli studi o per trarvi delle copie stampate. Infatti, delle riproduzioni dei decenni passati solamente il microfilm memorizzato su poliestere e le ektachrome di grande formato rimangono ancora oggi valide basi per attuali e future utilizzazioni. Una nuova frontiera negli studi dei manoscritti attraverso le loro riproduzioni è costituita da software in grado di individuare e abbinare singole lettere manoscritte quasi identiche, nonché miniature dallo stesso contenuto, dando quindi la possibilità, agendo su un intero database conte-

Tav. XIV – Ricerca di una stringa di testo.

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nente numerosi codici, di risalire ad uno scriba o allo stile iconografico di uno scriptorium. Le immagini in TIF devono essere prima indicizzate e scomposte nei loro componenti attraverso un procedimento di pattern matching, creando di ogni immagine alcune immagini parziali che vengono prese a campione e dalle quali il software estrae, attraverso algoritmi, parti di testo e di miniature poi classificate. Dopodiché il software confronta le parti estrapolate con le altre pagine indicizzate. Nel caso della ricerca di scritture simili i processi di confronto avvengono sul tratto, sullo spessore, sull’interlinea, quindi sulla forma geometrica di una stringa di testo (e non su una singola lettera). Nel caso della ricerca di miniature e decorazioni di medesimo contenuto l’analisi avviene sugli oggetti geometrici presenti nel disegno e sui colori. Questa applicazione, già in uso nei settori della sicurezza e della geo-cartografia, adesso per la prima volta sta trovando impiego anche nei beni culturali, dove è stata valutata positivamente in relazione all’utilità per la ricerca. Permettetemi di fare qualche considerazione finale: la fotografia, come

Tav. XV – Ricerca di immagini.

abbiamo visto, può rendere un buon servizio per la documentazione e, in casi specifici e mediante l’utilizzo dell’attrezzatura idonea e di accorgimenti particolari e sempre adottando un approccio sperimentale privo di

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preconcetti, anche per gli studi. Dobbiamo essere però coscienti del fatto che la fotografia di un manoscritto è sempre diversa dal manoscritto perché non ne è che un’interpretazione! Difatti, le collezioni di riproduzioni fotografiche di beni culturali costituiscono ormai esse stesse dei materiali culturali esistenti, per così dire, in parallelo al materiale originale che riproducono. Dal punto di vista pratico, emerge dalle nostre esperienze, sia recenti sia lontane nel tempo qui illustrate, un dato certo, vale a dire che ciò che davvero ci dà la possibilità di sfruttare una riproduzione fotografica, analogica oppure digitale, ai fini dello studio è da un lato la sua corretta acquisizione e archiviazione che la mette al riparo da possibili corruzioni nel tempo, e dall’altro l’altissima qualità — cioè quella che oggi consideriamo tale! —, due aspetti che permetteranno di rispondere adeguatamente alla duplice sfida conservazione e ricerca. Chi lavora nel campo della riproduzione sa che la macchina fotografica perfetta non esiste: ma si può trovare un buon compromesso tra la qualità che un dispositivo di acquisizione riesce a dare e la tutela dell’originale durante le fasi di riproduzione, raggiungendo un risultato che, quando verrà interpretato da uno studioso con la sua intelligenza, cultura e intuizione, potrà dare accesso a nuove conoscenze. In quest’ottica sono di vitale importanza il confronto e la collaborazione interdisciplinari tra fotografi, restauratori e studiosi sia in Biblioteca sia anche, per quanto riguarda la nostra disciplina, in una cornice più ampia, a livello nazionale e internazionale, un auspicio già espresso dai bibliotecari e conservatori partecipanti al Colloquio Internazionale del 197536. Uno studioso mi ha detto recentemente riguardo all’utilizzo delle riproduzioni per le ricerche scientifiche: “Non so che cosa cercherò sulle vostre immagini, perché non so che cosa vi troverò”37. Il futuro della nostra disciplina, quindi, rimane aperto, un “work in progress” al servizio della promozione della cultura, cultura intesa — in coerenza con il pensiero degli antichi fondatori della Biblioteca — in senso umanistico e quindi universale: libri e persone che li leggono.

36 “I partecipanti […] auspicano che le biblioteche estendano e intensifichino la propria collaborazione, nella prospettiva di raggiungere una pratica uniforme in materia” [Conservation et reproduction cit. (nota 4), p. 360]. 37 Ringrazio il collega Antonio Manfredi per gli spunti e le riflessioni.

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CONSERVAZIONE E RESTAURO Il contributo concentrerà la sua attenzione sulla storia del restauro degli ultimi 60 anni, periodo in cui si è assistito in tutta Europa ad un cambiamento radicale dell’etica stessa che è alla base del restauro librario. Tale cambiamento è stato prodotto dall’evolversi dei sistemi d’indagine storica: la Storia diventa storia della Civiltà, della Cultura, un processo dai mille aspetti; non si privilegia più esclusivamente l’aspetto filologico ed estetico delle manifestazioni culturali. Nel nostro ambito si va, così, oltre l’aspetto testuale del libro, oltre l’aspetto artistico del supporto e della coperta: si riconosce al volumen la dignità di manufatto archeologico da preservare nella sua interezza. Ciò ha implicato un approccio nuovo al restauro librario e nel nostro Laboratorio, in quanto strettamente collegato alla Biblioteca, una sfida in più, dal momento che ci si è trovati di fronte alla necessità di conciliare la conservazione del manufatto in quanto tale, in quanto bene archeologico, con l’esigenza di renderlo consultabile: si sono dovuti quindi affrontare giorno per giorno problemi specifici, diversi da quelli degli Istituti di ricerca. Certo, mi auguro che col tempo la dicotomia tra conservazione e consultazione si riduca riuscendo a coinvolgere gli utenti in una sorta di corresponsabilità nella salvaguardia del libro. Analizzeremo gradualmente tutto ciò, ma prima di entrare nello specifico dell’argomento in esame, ritengo utile aprire una breve parentesi sulle origini del nostro Laboratorio di restauro, che, nato intorno al 1890, è uno dei più antichi d’Europa interni ad una Biblioteca1. Il Laboratorio fin dalle sue origini si è dedicato prevalentemente alla cura della collezione manoscritta, appartenente tanto alla Biblioteca quanto all’Archivio Segreto, che ha allestito poi un suo laboratorio intorno agli anni ’60 del XX secolo. Il Laboratorio sin dal 1908 è stato coinvolto nella soluzione dei problemi posti dal restauro delle collezioni delle più impor1

Á. NÚÑEZ GAITÁN, Il laboratorio di restauro della Biblioteca Apostolica Vaticana, in 75° Congresso mondiale dell’IFLA, Roma 31 agosto – 2 settembre 2009, cfr. “http://www.ifla.org/ files/pac/Satellite” Meeting Rome 2009/IFLA-PAC. La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 503-521.

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tanti biblioteche ecclesiastiche; ha inoltre collaborato lungo tutto il XX secolo con prestigiosi Istituti stranieri per il restauro di importanti items, quali i manoscritti copti della Pierpont Morgan Library e i papiri latini di Catalogna2. Il Laboratorio della Biblioteca è stato voluto da papa Leone XIII, in collaborazione con Padre Franz Ehrle, figura centrale nel restauro librario, dal momento che diede l’avvio ad un nuovo modo d’intendere la conservazione del libro. Prefetto dal 1895 al 1914 e Cardinale Bibliotecario di S.R.C. dal 1929 al 1934, Padre Ehrle avvertì forte la preoccupazione per gli effetti dei trattamenti utilizzati durante tutto il XIX secolo, quali ad esempio l’applicazione ai fogli palinsesti di una soluzione a base di noce di galla, che permetteva sì di far venire in luce la scriptio inferior ma che con la sua acidità danneggiava fortemente il supporto scrittorio (Tav. I) Altrettanto fu preoccupato per gli esiti della velatura in carta dei manoscritti cartacei corrosi dagli inchiostri metallotannici che, degradandosi rapidamente, rendeva rigido il supporto e, ingiallendo, rendeva impossibile la visione dello scritto (Tav. II) Egli arrivò alla conclusione che il restauro non poteva evolversi senza lo studio scientifico delle cause di deterioramento e senza la verifica della validità, della durata e della reversibilità dei materiali impiegati. Coinvolse nella ricerca le più importanti Istituzioni europee e si fece promotore della Conferenza Internazionale di San Gallo (1898), che è considerata il punto di partenza del restauro librario moderno3. Da essa emersero infatti diverse fondamentali indicazioni, riprodotte qui di seguito nella traduzione letterale4: 1) La conferenza fa voti che venga compilata una lista dei codici più antichi ed importanti, i quali sembrano destinati a certa rovina. 2) La conferenza fa voti che i codici, compresi nella suddetta lista, vengano fotografati affinché il loro stato presente rimanga fissato e conservato. 3) La conferenza nomina un comitato permanente al quale assegna i lavori seguenti: — che compili la lista menzionata nel n. 1. — che aiuti il lavoro fotografico indicato nel n. 2. 2 J. RUYSSCHAERT, Problemi di restauro di ieri e di oggi della Biblioteca Vaticana, in La tutela del patrimonio bibliografico: norme, problemi e prospettive. Atti del Convegno (Abbazie benedettine di Padova, Praglia e Carceri, 21-23 settembre 1984), Padova 1985, p. 39. 3 M. BUONOCORE, Theodor Mommsen a San Gallo, in Mediterraneo antico 12, 2009, c.d.s. 4 P. FURIA, Storia del restauro librario dalle origini ai nostri giorni, Roma 1992, pp. 48-49.

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— che studi i diversi metodi di restauro e raccomandi i più proficui. — che comunichi per mezzo della stampa sui metodi di restauro proposti nella Conferenza. — che si metta, per i lavori suddetti impostigli, in relazione con bibliotecari e tecnici. — che cerchi di ottenere dai governi i mezzi e i fondi necessari per i suddetti lavori. 4) Considerando che la rovina dei Codici procede soltanto lentamente, la Conferenza raccomanda che fino a che metodi sicuri per il restauro siano indicati, cioè al più tardi fino all’autunno 1899, non si faccia uso per il suddetto restauro se non di tali metodi, i quali promettano la più grande sicurezza e non pregiudichino l’applicazione di metodi migliori i quali nel seguito potranno essere scoperti. I risultati delle ricerche che seguirono, ottenuti col supporto dei chimici, portarono all’individuazione di alcune nuove modalità di restauro, in particolare il consolidamento delle pergamene e dei palinsesti con gelatina all’aldeide formica e la velatura delle carte con velo di seta (crêpeline) applicato con pasta di farina addizionata con allume5 (Tav. III) Entrambe le soluzioni apparentemente efficaci per l’epoca, si sono poi rivelate non idonee: il consolidamento irrigidiva e rendeva lucida la pergamena; il velo di seta, che pure garantiva una buona trasparenza e offriva un valido supporto alle carte, risultava essere troppo spesso e modificava completamente la resa al tatto del foglio; inoltre l’adesivo usato presentava nell’allume una componente fortemente acida. Negli stessi anni e più precisamente all’interno del regolamento del 1923, vennero anche specificate le modalità di trattamento delle legature, in particolare si legge: “gli si rimetta l’antica legatura, salvo che non sia più capace o di contenerlo senza danno o di proteggerlo. In tali casi essa venga conservata e posta accanto al codice, se abbia pregio di antichità o di arte o di note” — in questi anni si costituì infatti il fondo legature6 — “e se recente e comune, se ne levino i dossi colle armi del Papa e del Cardinale Bibliotecario e si trasportino sull’interno della nuova legatura”7. Il lavoro era eseguito da abili artigiani, che trasmettevano le loro conoscenze da maestro ad apprendista, perpetuando la tradizione, secondo una prassi formalizzata nello stesso regolamento, ove si legge “il capo restauratore agisca con riguardo che ciascuno apprenda l’arte intera, senza 5

FURIA, Storia del restauro cit., p. 46. Fondo istituito verosimilmente sin dall’inizio del ‘900, ad opera di Stanislas Le Grelle, scrittore aggiunto onorario, e da Paolo Federici, custode. 7 Regolamento della Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1923. 6

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riserve: dato poi il lavoro ad uno, pur governandolo e verificando alla fine, glielo lasci terminare da solo”. Bisogna anche sottolineare il fatto che ciascun lavoro era documentato in registri cartacei, con brevi informazioni sulle operazioni eseguite. Facciamo ora un salto cronologico per illustrare il periodo oggetto della nostra analisi ed arriviamo quindi al secondo dopoguerra. Il Laboratorio occupava già l’attuale sede, situata sotto la Galleria Lapidaria ed il Museo Chiaramonti dove esisteva, come racconta nel suo diario Carlo Iori (restauratore dal 1931 al 1968), “un grande locale adibito a magazzino, a cui, nel 1930, furono aperte quattro grandi finestre per dare luce agli ambienti e fatti altri lavori di adattamento per renderlo atto ad ospitare il Laboratorio”. Continua poi: “anche l’attrezzatura interna fu migliorata, furono costruiti tre grandi tavoli di metri 3 per 1 e mezzo aventi ognuno tre posti di lavoro con cristalli smerigliati sui piani, da potersi illuminare al di sotto con lampade tubolari e lavorare di restauro in trasparenza” (Tav. IV). Il numero dei dipendenti per la prima volta raggiunse le 9 unità, così come rimane tutt’oggi. Dalle fonti documentarie8 e dai racconti degli anziani, sembra che le modalità di restauro siano rimaste a lungo pressoché identiche a quelle proposte da Padre Ehrle. Rimane testimonianza materiale di interessanti lavori di restauro della pergamena, quali ad esempio il Borgh. 26: il risarcimento delle lacune è stato realizzato con straordinaria maestria, effettuando dei veri e propri intarsi con l’applicazione di toppe in pergamena e della pellicola trasparente ottenuta dal peritoneo bovino (curlo) (Tav. V). Nel 1958, il Laboratorio vide un nuovo ammodernamento dei locali: si decise di abbassare il pavimento di 40 cm in modo da togliere i tre gradini di accesso ed aumentare la cubatura dell’ambiente. Inoltre tutta l’attrezzatura in legno venne sostituita da quella metallica, che conserviamo ancora oggi e che si è rivelata molto robusta tanto da aver resistito egregiamente all’usura di tutti questi anni. Dopo poco, nel 1964, divenne Vice Prefetto Padre Josè Ruysschaert, che rimase in carica per 20 anni. Eccelso latinista, uomo di grande personalità, instaurò un rapporto diretto e continuato con il Laboratorio di restauro, divenendone di fatto il responsabile, modificando così la tradizione precedente che ne affidava la guida al Prefetto, come esplicitamente statuito nel 1923. Questo nuovo rapporto fu formalizzato nel regolamento del 1977, che sancì la creazione della Sezione Manoscritti, ne affidò la 8

Fogli manoscritti e dattiloscritti, conservati all’interno dell’archivio del laboratorio.

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guida al Vice Prefetto, che di conseguenza divenne il responsabile del Laboratorio9. Monsignor Ruysschaert perseguì con determinazione una delle indicazioni date dalla conferenza di San Gallo, ripresa ed avvalorata dalla conferenza Conservation et reproduction des manuscrits et imprimés anciens10, organizzata all’interno della Biblioteca nel 1975: essa raccomandava appunto di destinare i codici alla riproduzione fotografica per registrarne lo status quo. A questo scopo egli propose che tutti quanti i volumi che si sarebbero dovuti scucire per restauro, fossero ricuciti su fettucce, in modo da garantirne una struttura più morbida e facilitarne la riproduzione fotografica, che allora imponeva al libro un’apertura forzata a 180°. Ciò agevolò il lavoro dei fotografi ma non tenne in giusta considerazione la storicità del manufatto e la meccanica del libro. Sappiamo infatti che un dorso troppo morbido comporta problemi di conservazione tanto della legatura quanto del supporto scrittorio. Il sistema venne quindi abbandonato col nuovo secolo. In questi anni si era ormai consolidata la pratica di lavare le carte danneggiate da inchiostro metallotannico, in modo da offrire loro una sorta di deacidificazione. Fu adottato il velo sintetico, di nylon, che dette ottimi risultati per la velatura di manoscritti cartacei, in particolare per i volumi gravemente danneggiati (Repertorio Jacovacci; Tav. VI) o per i volumi di grandi dimensioni quali i Corali. Insieme all’uso della gelatina e della colla di farina (a cui veniva aggiunto l’allume e il sublimato corrosivo di mercurio), continuò saltuariamente l’uso delle colle sintetiche: venne usata la celluloide (nitrocellulosa) sciolta in acetone per consolidare i volumi in pergamena, colpiti da attacco microbico (Arch. Cap. S. Pietro B.72; Tav. VII); la stessa fu usata anche per consolidare le miniature e per effettuare riparazioni veloci di strappi e tagli sia dei fogli pergamenacei sia dei cartacei. Arriviamo quindi all’ultimo quarto del XX secolo, che segna un momento di accelerazione nel processo di cambiamento, cui ho fatto cenno nelle prime righe. Nel 1976, Albert Gruys definì il raggio di azione della codicologia, disciplina nata pochi anni prima, affermando che questa dovesse esaminare il codice manoscritto come monumento culturale nel suo contesto storico11. 9

W. SCHULZ, Leggi e disposizioni usuali dello Stato della Città del Vaticano, II, Roma 1982 (Utrumque ius, 8), pp. 108-111 e 520-539. 10 Conservation et reproduction des manuscrts et imprimés anciens. Colloque International organisé par la Bibliothèque Vaticane à l’occasion de son Ve centenaire, 21-24 octobre 1975, Città del Vaticano 1976 (Studi e testi, 276). 11 A. GRUYS, Codicologica I, Leiden 1976, pp. 27-33.

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Il lungo dibattito culturale, che si tenne in Italia in quegli anni, fece in modo che si ottenesse la qualifica di “Bene Culturale” per tutti i reperti materiali testimoni di una civiltà e così, dal 1975, la gestione del patrimonio librario, fosse esso antico o moderno, venne affidata al nuovo Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali: tappa molto importante per la salvaguardia del nostro patrimonio. Il dibattito culturale era fervido: le pubblicazioni e le conferenze aumentarono in misura esponenziale. La consapevolezza che si andava acquisendo, da parte di codicologi e bibliologi, sulla natura del libro innescò la volontà di affrontare indagini ancora più approfondite e trovare metodologie di intervento meno invasive, che tutelassero sia il testo sia il libro nel suo complesso. Ci si rese quindi conto dell’urgenza di avvalersi dell’aiuto delle scienze esatte, di cui aveva già intuito l’importanza Padre Ehrle un secolo prima. Maturò l’esigenza di un confronto che portò alla conferenza di Erice del 1992, Ancient and Medieval Book Materials and Techniques, i cui atti furono pubblicati dalla Biblioteca Vaticana nella collana «Studi e testi»12. La dottoressa Maria Lilli Di Franco, allora direttrice dell’ICPL, già dal 1977 aveva intuito la necessità di istituire corsi di formazione per restauratori, che fornissero anche nozioni di Codicologia, di Biologia e Chimica e a tale scopo aveva istituito prima i corsi biennali presso l’Istituto, poi, dal 1992, i corsi triennali della Scuola Europea di Restauro e Conservazione di Spoleto. Progetto pilota in Europa. In questo quadro così ricco e vivace bene si inserì la straordinaria personalità di Padre Leonard Boyle, Prefetto della Biblioteca Vaticana dal 1984 al 1997 e il prezioso lavoro di Monsignor Paul Canart, capo del Dipartimento Manoscritti dal 1985 e Vice Prefetto dal 1993 al 1998. Quest’ultimo in particolare partecipò attivamente al dibattito con le sue numerose pubblicazioni in materia. Dai suoi tanti scritti vorrei in particolare estrapolare quanto detto all’interno della Conferenza La legatura dei libri antichi tra conoscenza, valorizzazione e tutela, tenutasi a Parma nel 1989. Egli osservava come il lavoro di équipe tra tecnici e storici fosse auspicabile non solo per rilevare correttamente i dati attinenti al codice, ma anche come mezzo di indagine basato sull’esperienza empirica ovvero sulla riproduzione materiale del processo di manifattura. Toute science recourt à des hypothèses, soumises à vérification expérimentale. […] Et voilà que des particularités déjà relevées mais qui semblaient 12 Ancient and medieval book materials and techniques (Erice, 18-25 september 1992), a cura di M. MANIACI – P. F. MUNAFÒ, Città del Vaticano 1993 (Studi e testi, 357-358).

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une simple curiosité prennent un sens. […] Par contre, il peut arriver que telle procédure reconstituée sur croquis s’avère concrètement irréalisable13.

All’interno dello stesso contributo aggiungeva poi: L’expérience — je parle de la mienne — montre que le codicologue qui se fait observateur souffre de ne pas être un praticien de la reliure. De là l’intérêt de protocoles d’observation détaillés et précis, préparés et expliqués de conserve par des techniciens et des historiens de la reliure14.

Tutto quanto detto dimostra che in quegli anni erano ormai acquisite e riconosciute tanto le specifiche competenze per ogni settore (quello del codicologo, del chimico prestato al restauro e del restauratore), quanto la necessità del dialogo e della collaborazione tra le parti, in modo tale da non perdere di vista una visione d’insieme del manufatto. In questa prospettiva, Monsignor Canart ritenne di non dover intervenire in prima persona nel dettare delle linee guida all’interno del Laboratorio, ma insistette sulla necessità di una documentazione, la più dettagliata possibile, e stimolò il Laboratorio in questo senso. Il primo esperimento in tale direzione si concretizzò nel 1996 con il restauro del Reg. lat. 711, a cui collaborarono il Dottor Ambrogio Piazzoni, in quanto rappresentante del personale scientifico, ed il signor Arnaldo Mampieri, in qualità di restauratore. Del restauro rimane una dettagliata descrizione scritta e fotografica, di cui oggi possiamo avvalerci: il volume aveva subito in passato forti danni da umidità nella parte superiore e centrale del corpo del libro, e presentava la pergamena raggrinzita e spiegazzata e le pagine incollate le une alle altre. Il restauro fu realizzato inumidendo leggermente il supporto con una soluzione idroalcolica, distaccando gradualmente le pagine tra loro, distendendo i fogli prima con una leggera pressione delle mani e poi facendoli asciugare tra pesetti e infine ricollocando i pezzi, nella posizione indicata dal Dottor Piazzoni (Tav. VIIIa-b). Dopo pochi anni, nel 2000 lo stesso Dottor Piazzoni, divenuto Vice Prefetto e l’allora Prefetto Don Raffaele Farina, decisero di affidare la guida del Laboratorio ad una persona che potesse facilitare il dialogo tra le diverse professionalità coinvolte nel restauro e la scelta cadde su Kostanti13 P. CANART, Legatura e codicologia, in La legatura dei libri antichi tra conoscenza, valorizzazione e tutela. Convegno internazionale (Parma, 16-18 novembre 1989), a cura di A. DI FEBO – M. L. PUTTI, Roma 1990-1991 (Bollettino dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro, 44-45), p. 81. 14 CANART, Legatura e codicologia cit., pp. 77-78.

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nos Choulis, docente di restauro dei materiali archivistici e librari presso L’Istituto tecnologico di Atene. Si andava contemporaneamente rafforzando il dialogo tra le diverse tradizioni ed esperienze che convivevano nel Laboratorio. Confronto non sempre facile, ma sempre estremamente proficuo ed interessante in considerazione delle straordinarie esperienze professionali che maturano nell’affrontare un patrimonio librario qual è quello della Biblioteca Vaticana. Il Dottor Choulis ha lasciato l’incarico dopo tre anni ma il lavoro è proseguito secondo l’impronta da lui data e oggi si sono concluse alcune iniziative: — Con i lavori di questi ultimi tre anni, il Laboratorio ha raddoppiato la sua superficie ed è stato completamente ristrutturato. — Il lavoro di depolveratura e disinfestazione, cui la Biblioteca destina da sempre grandi energie, è da dieci anni affidato a una squadra di operatori specializzati, che puliscono ciclicamente tutti i fondi stampati, tramite aspirapolvere con filtro ad acqua ed HEPA; mentre l’intervento di disinfezione, lì dove necessario, è effettuato tramite atmosfera anossica in buste polibarriera. — È stato realizzato un Data Base che permette la registrazione, con un buon grado di dettaglio, delle caratteristiche originali di ciascun manufatto, il suo stato di conservazione e tutte le fasi del restauro con i materiali e i prodotti usati, informazione quest’ultima molto utile per eventuali futuri restauri. Dobbiamo considerare che la documentazione è sempre stata fatta sin dal 1890, prima su registri poi su schede cartacee, ovviamente con diversi gradi di accuratezza, perché si è stati sempre consapevoli che ogni restauro, anche il più cauto, comporti una perdita d’informazioni. Tutto il pregresso rientrerà gradualmente nello stesso Data Base. — Si sta provvedendo a sistemare in cartelle e a catalogare tutte quelle parti che non sempre vengono riutilizzate, quali la cucitura, l’indorsatura, talvolta i capitelli, che saranno poi destinate al Fondo Legature. Per quanto riguarda il restauro vero e proprio cerchiamo di muoverci su due binari principali: Il primo mira ad approfondire le nostre conoscenze sui singoli manufatti con corsi di aggiornamento e con il graduale allestimento di una nostra biblioteca specialistica, in modo da poter rispettare il più possibile l’unicità del manufatto. Ci rendiamo infatti conto che, come insegna Christopher Clarkson, uno dei massimi rappresentanti del restauro inglese, il concetto di “bello” e

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di “funzionale” cambia nel tempo e che quindi bisogna affrontare lo studio ed il restauro dei codici con l’idea guida che il restauratore adatti le proprie tecniche a quelle adottate dall’artigiano medievale nell’originario processo di manifattura, in modo da capirne le scelte e da rispettarne il lavoro, piuttosto che modificare il codice secondo i propri criteri moderni. Sulla scorta di questo insegnamento vogliamo intervenire il meno possibile, riconoscere l’importanza delle asimmetrie, dei rammendi, delle irregolarità dei margini, insomma della vera personalità ed identità del libro e ricordarci sempre che ogni manoscritto è un unicum. Esemplari, a questo proposito, le parole di Piccarda Quilici: “non si insisterà mai troppo sulla necessità di evitare interventi radicali di restauro, se non in casi indifferibili: sostituire una cucitura può sembrare forse un fattore irrilevante ai fini della conservazione di un volume, ma in realtà si priva la sua legatura di un elemento fondamentale di identificazione”15, ed aggiunge “l’essenza stessa della legatura nasce da precise motivazioni storiche e capire questo è il primo passo per arrivare ad una loro giusta conservazione”16. Il secondo binario su cui ci stiamo movendo è rappresentato dall’impegno ad adottare progressivamente prodotti, materiali e tecniche sempre più idonei, individuati anche grazie al lavoro di collaborazione con il gabinetto di ricerca scientifica dei Musei Vaticani, nella persona del dottor Ulderico Santamaria. Si tratta di un’opportunità straordinaria per capire le modifiche fisiche, chimiche e quindi molecolari che apportiamo ai manufatti durante il nostro lavoro, e quindi per trovare nuove soluzioni che siano sempre meno invasive tanto per il supporto scrittorio quanto per la legatura. Solo a titolo di esempio vorrei illustrare quanto si sta facendo sui fogli pergamenacei del Vat. gr. 1522, un lezionario bizantino dei Vangeli datato al X secolo, al quale devono essere rimosse le velature di metà ‘800 e consolidati i pigmenti delle miniature. Ebbene, per essere meno invasivi e rispettare il più possibile l’originale, prima di decidere la natura dell’intervento, sono state fatte adeguate indagini chimiche per capire l’entità delle trasformazioni apportate al supporto scrittorio nel momento in cui viene inumidito con soluzioni idroalcoliche a diverse percentuali. È stata rilevata la misura del solco della rigatura, in modo da essere sicuri di non modificare con lo spianamento un elemento codicologico di grande 15 P. QUILICI, Breve storia della legatura d’arte dalle origini ai nostri giorni. III. Legature d’eta romanica e gotica, in Il bibliotecario 10 (1986), p. 98. 16 EAD., Breve storia della legatura d’arte dalle origini ai nostri giorni. IV. Il Rinascimento: legature italiane, ibid. 14 (1987), p. 61.

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rilevanza. Si è individuata la natura chimica dei pigmenti tramite analisi XRF, in modo da scegliere il consolidante più idoneo (Tav. IX). Credo che si tratti di un bell’esempio di cooperazione tra codicologi, chimici e restauratori, di cui essere soddisfatti, anche se dopo aver ripercorso la storia del Laboratorio, mi rendo conto che come noi ci troviamo oggi a riflettere sui pregi e i difetti del passato, anche il nostro lavoro sarà in futuro oggetto di analisi e discussioni. Ed è proprio nell’ottica di un sempre più aperto e vivace confronto che ho proposto questo mio breve contributo, nella speranza di aprire le porte alla collaborazione con le altre istituzioni a livello nazionale ed internazionale, così come avrebbe voluto Padre Ehrle.

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Tav. I – Palinsesto trattato con soluzione di noce di galla, Vat. lat. 5766.

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Tav. II – Velo di carta, Reg. lat. 997.

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Tav. III – Velo di seta (crêpeline), Vat. lat. 5034.

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Tav. IV – Il Laboratorio di restauro nel 1948.

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Tav. V – Risarcimento delle lacune in pergamena, Borgh. 26.

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Tav. VI – Velo di nylon, Ott. lat. 1549 (III).

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Tav. VII – Celluloide e curlo, Arch. Cap. S. Pietro B.72.

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TAV. VIIIA – I ��. 22V-23R ���Reg. lat. 711 �RIM A

���R��TA�R�.

TAV. VIII� – I ��. 22V-23R ���Reg. lat. 711 ���� I�R��TA�R�.

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Tav. IX – Consolidamento di una miniatura, Vat. gr. 1522.

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SERVIZI INFORMATICI Questo intervento è volto a fornire una visione globale dello sviluppo informatico nella Biblioteca Apostolica Vaticana in questi ultimi 25 anni e di come queste risorse, con la collaborazione di tutto il personale, siano state messe al servizio della comunità scientifica e della Santa Sede. Il nostro dicastero apre le porte all’informatica tra il 1984 ed il 1985, sotto l’egida dell’allora prefetto P. Leonard Boyle, che può considerarsi senza dubbio il fondatore di questa nuova frontiera all’interno della Biblioteca Apostolica Vaticana. Durante i primi anni, lo staff preposto allo sviluppo informatico dedica le sue attenzioni all’aspetto organizzativo e al confronto tra le scelte operate dalle altre biblioteche già informatizzate in quel periodo. Uno dei sistemi proposti era composto da un hardware di tipo MAIN FRAME quadri processore, prodotto da una società canadese di nome GEAC, con un suo sistema operativo di nome ZOPL cioè una soluzione “key hand” Il loro pacchetto hardware e software, racchiuso nel sistema il GEAC 8000 F, era utilizzato da altri grandi realtà sia europee, come la British Library, sia americane, come la Library of Congress, ed in Italia anche dall’Istituto Universitario Europeo, a Fiesole. È in questa direzione che la commissione di allora, presieduta dal prefetto Leonard Boyle, fa convergere la sua scelta e dà inizio all’avventura della catalogazione informatica. Nei primi mesi del 1986 anche la Libera Università Maria Santissima Assunta decide di collegarsi al nostro Geac 8000F, gettando le basi per quello che sarebbe poi diventato il catalogo condiviso. Dopo circa cinque anni di utilizzo di questo sistema, la Vaticana inizia la sua collaborazione con diversi istituti: American Academy, British School, Istituto Danese, Istituto Norvegese, Svenska Institutet i Rom. Dapprima si fanno incontri soltanto esplorativi, ai quali seguono poi i primi contatti informali tra i cinque Istituti ed il Prefetto della Biblioteca Vaticana, il quale il 3 aprile 1990 li invita a prendere visione del sistema da noi utilizzato. I cinque Istituti, accettano l’offerta di utilizzare il server della Biblioteca Vaticana e di usufruire del know how informatico del suo CenLa Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 523-540.

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tro Elaborazione Dati (CED) per costituire una rete comune e dare inizio, così, all’automazione dei propri cataloghi. Nel 1990 le cinque biblioteche riunite in un consorzio intorno alla Biblioteca Apostolica Vaticana, sotto il patrocinio dell’Unione Internazionale degli Istituti di Archeologia e Storia dell’Arte, fondano la RETE URBS e solo nel 1992 a loro si unisce anche la Libera Università Maria Santissima Assunta. Via via il gruppo diviene più numeroso, anche grazie all’inserimento di altri Istituti, dapprima come osservatori e partecipanti a gruppi di studio, poi come veri e propri membri: è il caso, ad esempio, dell’École Française de Rome e dell’Accademia Olandese. Nel 1993 la Vaticana dà inizio al suo progetto di catalogazione retrospettiva e lascia il sistema operativo ZOPL della GEAC per passare al sistema operativo UNIX, rimanendo però nell’applicativo di catalogazione e visualizzazione dei dati bibliografici della GEAC ADVANCE. Nel 2001 il CED consolida ed implementa i server dedicati al sistema operativo UNIX, realizzando le prime esperienze di WEBOPAC in collaborazione con la soc. ARCHIMED.

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Nel 2004 il CED si evolve ed il suo asset, da sistema dedicato esclusivamente alla catalogazione bibliografica, comincia ad evolversi in un sistema erogante servizi, quindi non solo processi di catalogazione ma anche gestione di procedure amministrative, organizzazione del personale, pubblicazione di OPAC qualificati, attenzione e sviluppo della conservazione di fondi digitali. Gli obiettivi finora condivisi con la rete URBS divergono fino alla completa separazione nel 2007. Nel 2006 il CED comprende già un sistema di catalogazione, un sistema di servizi economici, un sistema di server farm dedicato alle dorsali locali e alle connessioni ad Internet ed un sistema di protezione con due livelli di firewall, e muove i primi passi verso concetti di data storage e macchine virtuali. Nel 2009 la Biblioteca Vaticana, grazie al coordinamento dei servizi informatici, amplia i servizi offerti agli studiosi, così come le attività di sviluppo e ricerca, sia per quanto concerne l’applicazione ai beni librari della scienza dell’informazione, sia in considerazione della soglia tecnologica raggiunta nell’ambito della biblioteconomia contemporanea. In piena

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sinergia con il CED, esso sviluppa e rende operativa la attuale infrastruttura informatica della Biblioteca, all’interno della quale coesistono 26 server in ambiente operativo Unix, linux, e circa 200 client in ambiente operativo Microsoft. I server applicativi sono per la maggior parte delle virtual machine, e sono deputati a: servizi amministrativi, monitoraggio dei varchi, processi di accessione e gestioni studiosi, catalogazione, visualizzazione dati bibliografici, policy di security e, nelle sale di consultazione, controllo e ricerca delle clip associate ad eventi. Per colmare le lacune derivanti dall’impossibilità di avere una sala operativa in grado di analizzare i filmati prodotti dalle telecamere installate, in collaborazione con la Soc. Seret, è stato sviluppato un software in grado di consentirci una ricerca della clip video selezionandola per arco temporale, per gate di accesso, per utente e per record bibliografico. Con l’utilizzo di queste procedure siamo in grado di evidenziare, tra centinaia di clip, quelle che abbiamo intenzione di analizzare a causa di un particolare evento.

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Oltre alle virtual machine appena descritte, il CED ha implementato le sue risorse con un data storage da 2 Petabyte per processi di archiviazione digitale. L’immagine seguente è relativa al nuovo data center che la Vaticana, in collaborazione con diverse ditte del settore, ha progettato. Ora gli sforzi sono concentrati principalmente sull’aspetto economico dell’impresa tentandone la realizzazione. Quest’ultimo aspetto merita un particolare interesse, dal momento che coinvolge i concetti di sopravvivenza del dato digitale a vantaggio della salvaguardia dell’originale, il cui continuo utilizzo non ne garantirebbe la consultazione alle generazioni future. Proprio a garanzia di questo aspetto, la Biblioteca Vaticana è da due anni al lavoro in un progetto di conservazione digitale che ha individuato, in modo esaustivo, tre obbiettivi convergenti e fondamentali. Il primo obiettivo è stato quello di procedere alla creazione di un gruppo di lavoro di esperti, provenienti da diverse realtà operative (Finmeccanica, Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Tor Vergata, soc. Autonomy, Biblioteca Vaticana). Questo gruppo di esperti ha analizzato il formato FITS, utilizzato da oltre 60 anni per processi di conservazione digitale in ambito astronomico e adottato negli ultimi 5 anni in ambito medico per l’archiviazione di risonanze magnetiche nucleari (RMN) e tomografie assiali computerizzate (TAC).

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Questo formato, progettato negli anni ’60 dalla NASA per l’archiviazione dei dati relativi a tutte le missioni spaziali, è di dominio pubblico ed i suoi codici-sorgente sono aggiornati e resi disponibili nell’ambito della comunità scientifica, caratteristiche fondamentali che hanno fatto convergere su di lui il nostro interesse, preferendolo a formati proprietari come JPG2000, TIFF. I passi successivi allo studio ed alla realizzazione della documentazione, a testimonianza della validità di questa scelta, ci hanno portato alla conclusione che il formato possa essere proposto come standard ISO alla commissione internazionale, per la conservazione di qualsiasi oggetto di natura digitale. A seguito di questa scelta, si sta lavorando per avere a disposizione una piattaforma scalare che contempli tutte le risoluzioni possibili, sia nelle archiviazioni delle immagini che nei video, ed il tutto andrà a corredo della certifica ISO 9001. Il secondo obiettivo ha coinvolto lo stesso gruppo di lavoro, spostando il suo interesse ad un progetto di fattibilità che contempli la digitalizzazione di tutti i manoscritti della Biblioteca Vaticana, la loro conservazione

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e la loro divulgazione. Questo studio ha portato alla realizzazione di un progetto di testbed, con l’intento di fare un’analisi completa e verificare ogni capillare funzionalità. Tale lavoro di analisi è terminato a febbraio del 2011 e si è rilevato un importantissimo banco di prova, sia per le tecnologie di acquisizione sia per quelle di conservazione, ma soprattutto per la gestione dei tempi e delle modalità di lavoro relative agli operatori di acquisizione e ai tutor di controllo della qualità. Il terzo obiettivo riguarda la collaborazione tra i nostri paleografi e la società AUTONOMY, nello sviluppo di un software che sia in grado di riconoscere ed analizzare, secondo la logica binaria, la calligrafia utilizzata nei nostri manoscritti, applicando questo concetto di ricerca nel database del posseduto digitale archiviato. Questo sistema di riconoscimento puo’ estendersi anche ad immagini o parti di esse presenti nelle miniature e dovrebbe consentirci di individuare i copisti che hanno fisicamente realizzato il manoscritto e gli incisori ed illustratori che ne hanno curato le miniature. Lascio ai paleografi le considerazioni sugli utilizzi ed i benefici che il mondo accademico potrebbe trarre dallo sviluppo di questa nuova frontiera di ricerca. L’immagine seguente ci riporta tristemente alla contorta realtà informatica ed è un riassunto dello schema infrastrutturale della rete necessaria a governare tutte le risorse che, speriamo, in un futuro non troppo lontano, ci consentiranno di tentare la realizzazione dei progetti appena descritti. Coordinamento : — È stato istituito nel 2005 e cura le attività di promozione e di applicazione dei sistemi informatici della Biblioteca, in stretto collegamento con tutti i Dipartimenti, gli Uffici ed i Servizi. — Definisce le specifiche funzionali e strutturali ovvero il modello logico-concettuale di riferimento per la programmazione nello sviluppo di software. — Studia gli aspetti funzionali, di gestione ed interoperabilità negli ambiti catalografico, amministrativo e biblioteconomico, con particolare riguardo alla gestione di basi dati, servizi Web, formati catalografici, per i quali è parte attiva in gruppi di lavoro ed organismi internazionali quali IFLA ed ISO, per la stesura di principi e standard per le comunità delle biblioteche e degli archivi. LUCIANO AMMENTI I processi informativi operanti nella realtà della Biblioteca Vaticana per la gestione del patrimonio librario sono molteplici e fra loro interdi-

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pendenti. E concetti quali “catalogo elettronico” o “sistema informatizzato di biblioteca” non sono più, allo stato attuale, declinati al singolare in quanto moltiplicatisi nell’ambito di una progettazione volta — in un senso, a specializzare la descrizione bibliografica in distinte strutture proponendo, come diremo, archivi di dati separati per tipologia documentaria. Ma tale progettazione è tuttavia finalizzata, in altro senso, alla realizzazione di un sistema di comunicazione tra le diverse fattispecie informatiche che gestiscono la varietà degli insiemi di dati, nel quadro di un’unica organizzazione complessa. Per quanto riguarda il complesso organismo dei sistemi in uso, è possibile individuare tre ordini concettuali entro cui ricomprendere l’attualità informatica della BAV: i cataloghi ed i sistemi di descrizione bibliografica, i sistemi amministrativi e di sicurezza, i sistemi in fase di sviluppo. Questa relazione ha l’intento anche di illustrare la realtà di queste applicazioni ma, oltre a proporne una visione d’insieme, si vuole porre l’accento sulle problematiche relative all’interazione di tali ambienti eterogenei. Per quanto riguarda i cataloghi ed i sistemi di descrizione bibliografica, è importante dire che i processi informativi operanti nella realtà della Biblioteca Vaticana per la gestione del patrimonio librario sono molteplici e fra loro interdipendenti. E concetti quali “catalogo elettronico” o “sistema informatizzato di biblioteca” non sono più, allo stato attuale, declinati al singolare in quanto moltiplicatisi nell’ambito di una progettazione volta — in un senso, a specializzare la descrizione bibliografica in distinte strutture proponendo, come diremo, archivi di dati separati per tipologia documentaria. Ma tale progettazione è tuttavia finalizzata, in altro senso, alla realizzazione di un sistema di comunicazione tra le diverse fattispecie informatiche che gestiscono la varietà degli insiemi di dati, nel quadro di un’unica organizzazione complessa. L’attività di catalogazione descrittiva curata nei rispettivi tre Dipartimenti della Biblioteca — Manoscritti, Stampati e Gabinetto Numismatico — è determinata da una multiforme organizzazione informatica, i cui piani si differenziano per struttura concettuale ed iter procedurale. Volendo ripercorrere, molto rapidamente, le tappe evolutive delle banche dati bibliografiche in Vaticana, rileviamo che il primo archivio elettronico di dati, costituitosi nel 1985, riguardava la catalogazione della accessioni correnti degli stampati, con l’applicazione di un set di metadati, studiato dalla Library of Congress e diffuso in ambiente statunitense: il ben noto USMARC. Formato di dati, ora evolutosi nel MARC21, anch’esso di origine anglo americana ma largamente utilizzato nelle più diverse comunità bibliografiche internazionali. Allora, la scelta di partire con l’infor-

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matizzazione del catalogo degli stampati secondo una normativa standard costituiva di per sé, in Vaticana, carattere di innovazione. Il passo successivo si compiva nei primi anni ’90 del ventesimo secolo, con la conversione retrospettiva del catalogo storico degli stampati nel catalogo elettronico comprendente le registrazioni di tutte le collezioni di stampati: monografie e periodici, fatta eccezione per gli incunaboli. Ancora sul filo del tempo, dopo tale significativa prima fase, si procedeva tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio all’informatizzazione del Gabinetto delle Stampe, con la catalogazione descrittiva dei materiali visivi (stampe grafiche, matrici, incisioni, disegni ed originali d’arte, foto, materiale cartografico antico). Anche l’allestimento del catalogo del Gabinetto delle stampe si avvaleva del profilo strutturale del MARC21 (specifico per i materiali visivi), all’interno del sistema informativo degli altri stampati ma con l’impiego di un qualificatore, quale codice di localizzazione costantemente indicato per marcare tutti gli esemplari conservati presso il Gabinetto delle Stampe. Tale codice ha una funzione di restrizione e funge, come detto, da qualificatore per la selezione di dati e costruzione di un archivio, solo logicamente distinto ed offerto alla consultazione del pubblico come catalogo individuale.

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Successivamente, con la diffusione del Web e la realizzazione del sito della Vaticana si realizzava il passaggio ad un motore di ricerca e ad una fruizione dei dati non solamente testuali (come le schede catalografiche) bensì integrata da informazioni visive. Il catalogo si arricchiva in tal modo della digitalizzazione delle stampe mediante dispositivo di collegamento tra le schede bibliografiche ed i file d’immagini delle opere descritte. Pochi anni dopo, nel 2001, si avviava l’attività di catalogazione informatica delle collezioni del Dipartimento del Gabinetto di numismatica, come abbiamo avuto modo di dire ieri, più diffusamente. Per quanto riguarda la conformazione dei cataloghi, sempre in relazione alla formalizzazione dei dati, l’ultima tipologia di materiale documentario espresso nel formato MARC21, è costituita dall’inventario degli incunaboli (di prossima pubblicazione nel Web) che, con la medesima tecnica di indicizzazione, si propone come banca dati comprensiva della descrizione bibliografica di tipo ‘short title’. Le quattro realtà documentarie fin qui menzionate si presentano in modo omogeneo, caratterizzandosi, pur nella loro diversità descrittiva, con il comune denominatore costituito dalla condivisione della medesima codifica di dati. Mentre per quanto riguarda la costituzione dei cataloghi elettronici dei

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manoscritti e dei complessi documentari archivistici ci riferiamo ad un altro tipo di trattamento informatico e catalografico in relazione, sia al formato dei dati (non più il MARC21), sia all’architettura di sistema. A partire dal 2002 è operante un progetto di conversione retrospettiva dei cataloghi ed inventari cartacei dei fondi manoscritti. La catalogazione elettronica si conforma agli elementi stabiliti nel formato di codifica emanati dal Consorzio internazionale TEI (Text Encoding Iniziative) — specifico per la descrizione dei manoscritti e pertanto, da un punto di vista gestionale, è stata progettata una banca dati in grado di gestire in linguaggio XML tale metadato. Il sistema, ideato dal Coordinamento dei servizi informatici della Vaticana è denominato InForMA (Informatics For Manuscripts and Archives) che registra i dati sui manoscritti e sulle carte di archivio le cui descrizioni sono formalizzate nel medesimo linguaggio XML ma secondo il modello archivistico dello standard EAD (Encoding Archival Description). Il sistema infatti può gestire distinte collezioni di dati ovvero documenti che fanno riferimento a schemi di metadati diversi, consentendone al contempo sia una gestione separata (vari formati per fattispecie differenti) che correlata — come ad esempio nei casi della condivisione delle liste di voci di autorità (per nomi, titoli e descrittori semantici) e dei collegamenti fra schede bibliografiche e file di immagini digitali. Tornando al catalogo dei manoscritti, uno degli aspetti più innovativi riguarda l’ordinamento dei risultati di una ricerca poiché propone una ricomposizione automatica per segnatura di tutto il complesso informativo

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inerente un medesimo codice manoscritto ovvero la descrizione dei compositi, le singole descrizioni interne per locus e le citazioni bibliografiche. Il sistema è disegnato per gestire descrizioni testuali (negli alfabeti latino e “non latino” rispettando lo standard Unicode ISO 10646) e documenti visuali. Per ciascuna di queste tipologie di dati, esso propone maschere di inserimento che traducono la complessa sintassi XML negli elementi dei dati — trattati, però, in linguaggio naturale. Tali elementi comprendono la descrizione interna ed esterna del codice, le informazioni a carattere generale e sulla storia del manoscritto così come informazioni relative a dati di ordine amministrativo.

Liste di autorità indicano le voci controllate per nomi (ad esempio di autori, glossatori, illustratori, copisti, dedicatari, eccetera), titoli e descrittori semantici che compaiono nelle descrizioni, integrando negli indici bibliografici le forme varianti e le note a carattere storico-bibliografico di riferimento. Per quanto riguarda il trattamento dei dati riferiti ai fondi archivistici, la sintassi XML rende EAD totalmente svincolato da specifiche tanto

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hardware quanto software, garantendone (come del resto in ogni “open source”) accessibilità e durata. Ma oltre a tale aspetto tecnico, la scelta di EAD nella gestione dei dati archivistici della Vaticana è motivata, in prima istanza, dalla sua adattabilità nella descrizione di fondi documentari disomogenei e dalla sua prerogativa nel rispettare il vincolo archivistico e gerarchico tra le singole unità descrittive. Inoltre assicura l’identificazione univoca del contesto di provenienza di ogni singolo documento, tenuto conto dello specifico livello di descrizione della documentazione Per entrambe le collezioni di dati si propongono diversi percorsi di ricerca. In particolare, nella ricerca combinata per parole-chiave, è possibile qualificare gli attributi associati a ciascun elemento preso in conto nell’interrogazione. Veniamo ora agli sviluppi futuri per la gestione dei cataloghi elettronici della BAV. È previsto significativo rinnovamento nelle funzionalità di ricerca e, più approfonditamente, di concezione informatica di gestione di formati multipli e scambio di dati tra sistemi informativi. È infatti allo studio un nuovo modello d’interazione tra metadati e OPAC che verrà ultimato e proposto al pubblico a partire dall’estate 2011. Si tratta di un motore in grado di gestire ricerche multi-base: a partire da un’unica interrogazione, e proponendo, in un unico ordine, una lista di risultati ‘ibridi’, corrispondenti a descrizioni provenienti da banche dati diverse. Per meglio precisare: non si intende realizzare uno strumento di ricerca federata che, tipicamente, produce una moltitudine di contenuti aggregati e filtrati, provenienti da diversi OPAC (mediante l’applicazione del protocollo Z39.50) bensì la rappresentazione, in un’unica struttura, di tutti di documenti disponibili (stampati, manoscritti, carte d’archivio, eccetera) corrispondenti ai termini di ricerca inseriti. La costruzione di tale strumento ha posto il problema della differenza strutturale di dati disomogenei, gestiti in banche dati diverse, non solo per tipologia documentaria ma anche per fattispecie informatica, in relazione agli ambienti operativi e alle caratteristiche delle basi di dati (p.e.: relazionale per gli stampati, nativa XML per manoscritti ed archivi). E nella progettazione un ruolo ancor più rilevante è dato dalla gestione dei diversi formati (che nell’interazione tra i diversi insiemi di dati comporta un’elaborata procedura d’indicizzazione che deve tenere conto di tutti gli elementi presenti. Il nuovo motore offrirà nuove funzionalità di ricerca. Oltre a quelle tradizionali di tipo ‘precoordinato’ (scorrimento di indici, combinazione di parole chiave, filtri di ricerca, ecc.) saranno integrati strumenti — come si suol dire — di tipo ‘postcoordinato’. Per fare alcuni esempi: l’associa-

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zione di categorie e concetti analoghi attraverso un reticolo automatico di collegamenti che propongono allo studioso i documenti disponibili del medesimo autore o del medesimo editore in altra lingua, altra edizione o altro supporto ecc.; tecniche di scorrimento di liste di risultati mediante il raffinamento progressivo attraverso categorie, proprietà e attributi (faceted browsing). Ed ancora, ricerche per logica fuzzy1 che consente l’analisi del termine ricercato nelle sue distinte parti (radice, prefissi, suffissi, ortografie varianti, ecc.) così da suggerire allo studioso che compie una ricerca altri risultati affini nonché l’interrogazione implicita con i termini di ricerca indicati, oltre i cataloghi della Biblioteca, presso altre banche dati bibliografiche, come ad esempio sui periodici elettronici full-text in sottoscrizione. Venendo ora ai sistemi amministrativi e di sicurezza, vediamo come i dati bibliografici sono ulteriormente implicati nell’interazione con i nuovi sistemi di sicurezza che li assumono in funzione di un concetto di identificazione di un patrimonio librario da tutelare. Facciamo dunque riferimento all’interazione dei metadati bibliografici con il sistema di sicurezza denominato Pergamon, che gestisce l’identificazione remota in radiofrequenza, anch’esso progettato nell’ambito della Vaticana. Pergamon si configura come un sistema integrato e polifunzionale che applica i principi della tecnologia RFID ai metodi di elaborazione, archiviazione, trasmissione dei dati secondo la prassi e le normative proprie della biblioteconomia. Alla base dell’architettura di sistema vi è il principio dell’associazione di un chip RFID, posto all’interno del libro, con i contenuti bibliografici (descritti nell’OPAC) di ciascuna unità inventariale, localizzata mediante la segnatura. Il passaggio di un volume munito di chip RFID attraverso i dispositivi di rilevazione in radiofrequenza, posti a delimitare gli accessi alle sale di lettura, dei magazzini e delle porte di uscita, avviene mediante l’associazione dell’ “oggetto libro” — ovvero unità fisica inventariale — con i dati provenienti dall’OPAC. Le ragioni che sottendono l’identificazione a distanza del patrimonio librario sono diverse. In primis vi è senz’altro la sicurezza, stante il controllo del movimento dei volumi in uno spazio vigilato e dunque Pergamon funge da sistema antitaccheggio. 1 Logica polivalente (letteralmente ‘sfumata’), estensione della logica booleana ovvero la categorizzazione in sotto ranghi di una variabile continua

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Ma questa non è che la funzione di base. Infatti, oltre all’implicazione dei dati bibliografici attraverso la lettura dei chip associati, vi è da considerare un altro aspetto. La radiofrequenza gestisce tutte le tessere degli studiosi (al cui interno vi è un chip RFID) e, più in generale, di tutti i badge assegnati ai frequentatori della Biblioteca (dipendenti, collaboratori, visitatori, eccetera) che vengono tracciati al passaggio dei rilevatori presenti negli ambienti della Biblioteca. È stato dunque installato un complesso di strumentazioni di controllo per la registrazione del movimento dei volumi (ad esempio quando sono spostati per essere fotografati o restaurati), così da poterne ricostruire il percorso, ricollegandolo alle persone che se ne sono fatte carico. Un inciso indispensabile: tali dati sono memorizzati per un certo tempo in Pergamon il quale è un sistema locale e come tale è accessibile solamente ad uso interno. Pertanto, nessuna informazione circa l’anagrafica delle persone o dei dati relativi ai volumi, viene trattata al di fuori di questo ambito e tanto meno è registrata nella memoria dei chip. Si rispettano rigorosamente le normative sulla privacy, con particolare riguardo alla direttiva europea 95/46/ CE, in linea con le specifiche raccomandazioni per l’RFID nelle applicazioni di biblioteca, espresse nei principi noti come

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fair information practices emanati dall’American Library Association Intellectual Freedom Committee che, precisamente, indicano di evitare l’inserimento di dati personali, seppur criptati, nelle etichette RFID. Tornando alla descrizione delle caratteristiche più significative di Pergamon, da un’interfaccia di ricerca è possibile ricavare — sempre con finalità interne — informazioni sui passaggi ai varchi delle persone con la lista dei volumi. Di questi ultimi, il sistema fornisce l’intera scheda di dettaglio bibliografico residente nell’OPAC. In altre parole, è possibile tracciare il movimento dei libri: quando un volume è stato consultato o prestato, quando e con quale utente ha attraversato un varco, per quante volte e in quale giorno e ora. La partenza della ricerca può consistere anche in un’interrogazione per segnatura o per selezione di dati bibliografici di una pubblicazione di cui si intenda controllarne la circolazione. Consideriamo in ultimo l’applicazione in radiofrequenza vista come sistema mediano, tra l’interrogazione di archivi di dati descrittivi ed altri servizi offerti agli studiosi. Tra questi, citiamo ad esempio la realizzazione di un’applicazione che, a partire dalla lettura in radiofrequenza della tessera dello studioso, consente i servizi legati alla consultazione dei manoscritti: la lettura degli inventari digitalizzati, la ricerca delle copie digitali di manoscritti, le richieste di consultazione e di deposito in lettura che uno studioso può riservare per più giorni al suo nominativo. Per queste funzioni è implicata l’interazione di tre sistemi: il database dell’anagrafica degli studiosi che comunica con Pergamon — deputato all’assegnazione dei badge RFID ed il registro elettronico dei manoscritti il quale regola tutto il flusso di distribuzione: dal prelievo al deposito, alla consegna allo studioso dei manoscritti richiesti. Concludendo, sul tema dell’interazione e sugli sviluppi futuri, sono in fase di sviluppo i protocolli di comunicazione tra il catalogo dei manoscritti e la base di dati relativa ai dati amministrativi dell’Ufficio Mostre che gestisce il prestito delle opere richieste a fini espositivi così come l’interazione dei dati della banca dati delle schede di conservazione e restauro con il catalogo dei manoscritti (anch’essa realizzata in XML nel sistema InForMA) di cui vediamo una lista degli elementi di ricerca. Nel primo caso si tratterà ad esempio di segnalare, all’interno delle schede descrittive del catalogo, le date entro cui il manoscritto in mostra non sarà disponibile alla consultazione. Lo stesso avverrà per la comunicazione dei dati relativi alla disponibilità o meno di un manoscritto non consultabile poiché in fase di restauro. PAOLA MANONI

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Bibliografia di riferimento EAD – Descrizione archivistica codificata, a cura di G. MICHETTI, Roma 2005. INTERNATIONAL ORGANIZATION FOR STANDARDIZATION, ISO28560: Information and documentation — RFID in libraries, 1: Data elements and general guidelines for implementation, Ginevra 2011. M. GRAVES, Designing XML databases, Upper Saddle River 2002. LIBRARY OF CONGRESS, MARC Standards, in . P. MANONI, Gestire le collezioni in radiofrequenza, in Biblioteche oggi 3 (aprile 2007), pp. 43-48. P. MANONI, RFID and cultural assets in bibliographic databases: the experience of the Vatican Library, in Current research in information sciences and technology proceedings of the I International conference on multidisciplinary information sciences and technologies (Merida, October 25-28 2006), II, Badajoz 2006, pp. 565-569. P. MANONI, The Vatican Library web-based application for managing manuscript metadata stored in native XML databases, ibid., pp. 570-575. F. PALAZZO, RFID project management in libraries in 20th annual “Computers in libraries”, Washington D.C. 2005, pp. 125-126. TEXT ENCODING INITIATIVE, TEI Manuscripts Special Interest Group, in .

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EDITORIA* 1“Non

importa quanto sia umile la tua libreria, né quanto modesta la stanza che adorna. Chiudi la porta di quella stanza dietro di te, isolandoti da tutti i pensieri del mondo esterno; tuffati nella rassicurante compagnia dei grandi morti e così avrai varcato il portale magico per giungere in quel bel paese dove la preoccupazione e l’apprensione non ti possono più seguire. Ti sei lasciato alle spalle tutto ciò che è volgare e tutto ciò che è sordido. In questo paese si trovano i tuoi silenziosi nobili compagni, che aspettano in fila. Percorri le file con lo sguardo. Scegli il tuo uomo. A quel punto non devi far altro che porgergli la mano e andrete via insieme in quel mondo di sogni. Certamente ci sarebbe qualcosa di lugubre in una fila di libri se non fosse che la familiarità ha affievolito la nostra percezione di questa sensazione. Ognuno di essi è un’anima mummificata, imbalsamata nella * Alla collega Claudia Montuschi il grazie per la pazienza dimostrata nel leggere queste mie pagine (vd. anche M. CERESA, L’attività editoriale, in Conoscere la Vaticana. Una storia aperta al futuro, a cura di A. M. PIAZZONI – B. JATTA, Città del Vaticano 2010, pp. 115-118). Per non appesantire le note con i titoli delle collane della Biblioteca Apostolica Vaticana a cui necessariamente farò riferimento indico qui di seguito le sigle adoperate come si evince dall’ultimo Catalogo delle pubblicazioni della Biblioteca Apostolica Vaticana 2010 (ringrazio Ambrogio M. Piazzoni e Tiziana Pozzessere per avermi permesso di consultare il catalogo ancora in bozze): AGI = Corpus des actes grecs d’Italie du sud et de Sicile; AVB = Bibliografia dell’Archivio Segreto Vaticano; AP = Acta Romanorum Pontificum; API = Index Actorum Romanorum Pontificum; AVI = Inventari dell’Archivio Segreto Vaticano; CIB = Codices ex ecclesiasticis Italiae bybliothecis selecti; CLD = I codici latini datati della Biblioteca Apostolica Vaticana; CM = Codices manuscripti recensiti; CPV = Collezione paleografica vaticana; CS = Capellae Apostolicae Sixtinaeque collectanea acta monumenta; CV = Codices e Vaticanis selecti. Series maior; CVm = Codices e Vaticanis selecti. Series minor; DR = Documenti e riproduzioni; ES = Exempla scripturarum; HIC = Studia et textus historiae iuris canonici; MCV = Monumenta cartographica Vaticana; MIa = Monumenta iuris canonici. Series A; MIb = Monumenta iuris canonici. Series B; MIc = Monumenta iuris canonici. Series C; MM = Corpus manuscriptorum musicalium; MSc = Museo Sacro della Biblioteca Apostolica Vaticana. Cataloghi; MSg = Museo Sacro della Biblioteca Apostolica Vaticana. Guide; MSi = Museo Sacro della Biblioteca Apostolica Vaticana. Inventari e Studi; MV = Medagliere della Biblioteca Vaticana; MVQ = Quaderni del Medagliere della Biblioteca Vaticana; PR e Pra = Le piante maggiori di Roma; SBV = Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana; SG = Studia Gratiana; SGR = Studi Gregoriani; SPV = Studi e documenti per la storia del Palazzo Apostolico Vaticano; SPVt = Studi e documenti per la storia del Palazzo Apostolico Vaticano. Tavole; ST = Studi e testi; V = Pubblicazioni varie; Vb = Cataloghi di mostre; Vd = Titoli isolati. La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 541-567.

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tela cerata, nel sarcofago di cuoio e nell’inchiostro di stampa. La copertina di ogni vero libro avvolge l’essenza concentrata di un uomo. Le personalità degli scrittori sono ormai svanite in ombre leggerissime, così come i loro corpi in polvere impalpabile, eppure ecco i loro stessi spiriti ai tuoi ordini”. Sono parole, nella traduzione di Silvia Franceschetti, di un libro del 1907, forse poco noto ai più, di Arthur Conan Doyle: Through the Magic Door (Oltre la porta magica)1. E la Biblioteca Vaticana, scrigno prezioso di documenti dell’umano sapere, ancora lontana dall’essere pienamente escussa, con il suo meraviglioso posseduto librario manoscritto e a stampa (ma non solo), concede a piene mani a tutti noi l’opportunità, per riprendere il pensiero di Conan Doyle, di isolarci con tranquillità d’animo e riposo della mente dal mondo esterno, di dimenticare il passato, di godere del presente, di prepararci al futuro2. Come è stato ampiamente sottolineato nelle relazioni di questo triduo convegnistico (a cui rimando il lettore per ulteriori e più approfondite analisi in merito a quanto indicherò cursoriamente in queste mie pagine), la Vaticana, a motivo della ricchezza ed unicità del materiale che preserva, rimane infatti luogo quasi mitico e perciò ineludibile d’incontro e di dialogo fra le diverse prospettive culturali, un eccezionale e stimolante crocevia per il sempre continuo rinnovamento degli studi finalizzati alle indagini sulla tradizione, sulla fortuna, sulla storia dei testi, con evidenti e fin troppo utili ricadute nella metodologia critica e storiografica. Dinanzi a questo sconfinato oceano di cultura, si avvertì, sul finire dell’Ottocento, la necessità di offrire alla comunità intellettuale uno stabile ancoraggio dove insistere e un sicuro orientamento verso cui dirigersi, quasi una sorta di carta geografica costellata di tutti i necessari approdi e strumenti utili per farla “parlare”, per consentirci serenamente di dialogare con lei. Quell’illuminato sodalizio costituito dal pontefice Leone XIII e dal prefetto della Vaticana Francesco Ehrle, in perfetta consonanza con quegli “hommes illustres” loro predecessori3, recuperando il meglio delle passate esperienze nonché adattando alle proprie necessità ecdotiche modelli di altre scuole, prime fra tutte quelle francese e tedesca, diede l’avvio a edizioni, repertori bibliografici, cataloghi, collectanea, miscellanee, raccolte di scritti ed altro, con l’obiettivo di consentire, grazie ad una vera e propria “attrezzatura bibliografica”, per riprendere un felice sintagma 1

P. 5. Ibid., p. 82. 3 Cfr. ora G. LE THEC, Dialoguer avec des hommes illustres. Le rôle des portraits dans les décors de bibliothèques (fin XVe – début XVIIe siècle), in Revue française d’histoire du livre, n.s., 130 (2009), pp. 10-16. 2

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formulato da Igino Giordani nel lontano 19304, una comoda esplorazione del ricchissimo patrimonio documentario. Dal secondo dopoguerra, in perfetta linea con le direttive programmatiche di fine Ottocento, la Vaticana ha sempre cercato di continuare nel solco tracciato da quei venerati maestri senza tralasciare i necessari e doverosi aggiornamenti. Quando si parla di Biblioteca Vaticana il pensiero subito corre alla serie maior dei cataloghi dei fondi manoscritti5 che dopo varie esperienze videro nei monumentali contributi di Augusto Pelzer degli anni 1931-1933 (CM 17) e di André Wilmart degli anni 1937-1945 (CM 20, 23) i maggiori traguardi, che costituiscono ancora oggi i modelli a cui si guarda con venerata ammirazione. Ad essi, infatti, hanno fatto sempre riferimento i cataloghi dei manoscritti che si sono venuti ad elaborare nel secondo dopoguerra, quantunque le nuove istanze metodologiche avessero invitato gli scriptores vaticani ad aggiornare le varie sezioni della recensio, soprattutto quella relativa alla res codicologica; e nonostante si possa condividere l’obiezione quasi sistematicamente mossa sulla lentezza di questa operazione recensoria, i cataloghi della Vaticana rappresentano un traguardo di incontestabile spessore scientifico universalmente ammirato a cui, di certo, non potrà essere attribuito il limite di un rapido invecchiamento6. Nel 1947 uscì, a distanza di dieci anni dal primo, il secondo tomo dei codices Coptici curato da Arnold van Lantschoot (CM 24); nel 1950 Robert Devreesse e Ciro Giannelli continuarono la catalogazione del Fondo Vaticano Greco (Vat. gr. 604-866; CM 27-28); nel 1956 uscì a firma di Umberto Cassuto il primo catalogo dei Vaticani Hebraici (Vat. ebr. 1-115; CM 30); due anni dopo Valentino Capocci diede inizio alla recensio dei Barberiniani Graeci (Barb. gr. 1-163; CM 31); tra gli anni 1947 e 1955 Giovanni 4

I. GIORDANI, L’attrezzatura bibliografica della Biblioteca Vaticana, in Acc. Bibl. Italia 4 (1930), pp. 5-14. 5 Mi permetto di rinviare al mio contributo (da cui ho tratto molto per la stesura della prima sezione del presente lavoro), ove si potrà recuperare altra bibliografia, Scriptorium Vaticanum: passato e presente, in Zenit e Nadir II. I manoscritti dell’area del Mediterraneo: la catalogazione come base di ricerca. Atti del Seminario Internazionale. Montepulciano, 6-8 luglio 2007, a cura di B. CENNI – C. M. F. LALLI – L. MAGIONAMI, Montepulciano (SI) – Roma 2007, pp. 63-78. 6 A tale proposito si veda, oltre ad A. PETRUCCI, La descrizione del manoscritto. Storia, problemi, modelli, Roma 1984, pp. 30-31 (cito dalla prima edizione), L. BOYLE, Prefazione a: A. M. PIAZZONI – P. VIAN, Manoscritti Vaticani Latini 14666-15203. Catalogo sommario, Città del Vaticano 1989 (Studi e testi, 332), pp. v-ix. Ancora trovo scritto: “The Vatican Library is the oldest of the great European collections of medieval Latin manuscripts, a library whose very catalogues are monuments of intellectual history” (D. WILLIMAN – K. CORSANO, Early provenances of Latin manuscripts in the Vatican Library. Vaticani latini and Borghesiani, Città del Vaticano 2003 [Studi e testi, 405], p. v).

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Battista Borino affrontò la schedatura di 300 codici del Fondo Vaticano Latino Vat. lat. 10701-11000 (CM 26, 29); nel 1959 José Ruysschaert diede alla luce il catalogo dei Vat. lat. 11414-11709 (CM 33), che recensiva i 296 manoscritti entrati in Vaticano nel 1912 con Pio X, inizialmente appartenuti al Collegio Romano, in parte (Vat. lat. 11414-11615) di Marco Antonio Muret (1526-1585), in parte (Vat. lat. 11616-11709) di Girolamo Lagomarsini (1698-1773); l’anno precedente Marie-Hyacinthe Laurent aveva schedato altri 132 codici (Vat. lat. 1135-1266; CM 32) (l’indice uscì solo dieci anni dopo a firma di Marie-Madaleine Lebreton [CM 38]); nel 1961 Ciro Giannelli poté descrivere altri 61 codici del Fondo Vaticano Greco (Vat. gr. 1684-1744; per la scomparsa dell’autore gli addenda e gli indici furono elaborati da Paul Canart [CM 35]); nel 1968 Sesto Prete curava la recensio dei primi 150 codici del Fondo Barberiniano Latino (Barb. lat. 1-150; CM 37). Ma Paul Canart, nel suo imponente catalogo dei Vat. gr. 17451962, edito in due tomi tra il 1970 e il 1973 (CM 39), per dare maggiore organicità e più immediata intelligenza alla pars tertia, la suddivideva in undici sottosezioni coniando le seguenti classificazioni: materia, fasciculi, chartariarum officinarum signa, schema linearum, scriptura, ornatus, annotationes, possessores, notae antiquiores, bibliographia e integumentum. D’altro canto Salvatore Lilla, nella praefatio al suo ventennale labor longus et inenarrabilis edito nel 1985 (CM 40), che lo aveva impegnato nella descrizione dei 93 codices Columnenses del Fondo Vaticano Greco (Vat. gr. 2162-2254), a cui ha fatto seguire nel 1996 quello dei Vat. gr. 2644-2663 (CM 46), scriveva (p. v): quae regulae quantum rei codicologicae expositioni prosint, nullum virum doctum in librorum manuscriptorum disciplina versatum effugere poterit. Negli anni 1988-1989, infine, Peter Schreiner ha continuato la descrizione dei Vat. gr. 867-932 riprendendola da dove si era fermato cinquant’anni prima Devreesse (CM 43), e Joseph Mogenet quella dei Barberiniani Graeci iniziata trent’anni prima da Capocci, le cui enarrationes, tuttavia, furono completate da Julien Leroy; gli addenda e gli indices portano la firma di Paul Canart (Barb. gr. 164-281; CM 45). Le metodologie descrittive vennero, pertanto, sempre aggiornate sulla base di quanto il progresso scientifico consentiva di acquisire: dalle minime notazioni relative alla facies e al cultus si era passati a vere e proprie dissertationes sempre più aggiornate e dense di informazioni; come quelle che ci ha trasmesso Claudio Leonardi nel suo catalogo del 1987 dei codici Vat. lat. 2060-2117 latori in gran parte dell’Aristotele Latino (CM 42), un catalogo arricchito da un indice quadripartito curato da Ambrogio Maria Piazzoni e Paolo Vian riservato agli initia operum, ai verba quibus textus aliquis desinit, agli initia secundorum foliorum e ai sempre presenti nomina et res. Mi sia inoltre consentito ricordare l’importante catalogo, redatto

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sempre in latino ma per la collana Studi e testi (su cui tra breve darò informazioni), dei manoscritti del Fondo Borghese edito nel 1952 da Annaliese Maier (ST 170), che poi, nel 1961, ma questa volta per la series maior, curò la recensio dei codici Vat. lat. 2118-2192 (CM 36): esso offre un importante spaccato di quella che era stata la biblioteca dei papi di Avignone, fondata da Giovanni XXII ed arricchita in particolare da Pierre Roger, poi papa Clemente VI; allo stesso modo quelli di José María Llorens degli anni 1960 e 1971 per i fondi musicali della Cappella Sistina (ST 202) e Cappella Giulia (ST 265) (da integrarsi con la bella ricerca del 2000, apparsa come volume ottavo nella collana Beiträge zur Geschichte der Kirchenmusik, di Bernhard Janz, Der Fondo Cappella Sistina der Biblioteca Apostolica Vaticana. Studien zur Geschichte des Bestandes). Segnalo, infine, che tre colleghi, entrati proprio quest’anno 2011 nel collegio degli scriptores della Biblioteca Vaticana, hanno intrapreso, sempre per la series maior, la descrizione delle seguenti sezioni: Antonio Manfredi i Vat. lat. 4195-4256 (Bibbia, Padri della Chiesa e autori medievali), Claudia Montuschi i Vat. lat. 47264774 (testi liturgici; vd. ST 462, pp. 191-230) e Timothy James Janz i Vat. gr. 1288-1421 (codici di Fulvio Orsini; rammento che la descrizione dei manoscritti latini appartenuti ad Orsini, ora Vat. lat. 3195-3453, era stata iniziata intorno alla metà degli anni Trenta del secolo passato da Augusto Campana: si conservano le sue autografe descrizioni di 53 di questi cimeli orsiniani, tutte in latino — infatti era stato previsto una catalogo per la series maior — attualmente compattate in un contenitore che costituisce il codice Vat. lat. 153217). Appare naturale che un programma descrittivo così impostato non possa che confermare, come peraltro da tempo ormai riconosciuto, che la series maior dei cataloghi vaticani ancora molto tempo dovrà aspettare perché possa giungere alla sua felice conclusione, ben sapendo che (per riprendere quanto formulato da Emanuele Casamassima oltre quarant’anni fa) “la descrizione analitica che risponda a tutti i quesiti del ricercatore, che definisca il valore del manoscritto in quanto copia, testimone della tradizione, rappresenta in realtà, per tutti, la meta ultima cui deve mirare il catalogatore”8. Ecco perché la Biblioteca Vaticana, parallelamente a quella serie che costituisce il fiore all’occhiello della sua plurisecolare tradizione, si è attivata affinché venissero messi a disposizione dell’utente, tra opzioni estreme e modelli intermedi, cataloghi sommari e supporti in7 M. BUONOCORE, Augusto Campana e la Biblioteca Apostolica Vaticana, in Quaderni della Rubiconia Accademia dei Filopatridi 18 (1996) [1998], pp. 39-47. 8 E. CASAMASSIMA, Note sul metodo della descrizione dei codici, in Rassegna degli Archivi di Stato 23 (1963), p. 195.

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formatici del posseduto non ancora esplorato o disponibile solo attraverso inventari manoscritti in gran parte redatti negli anni precedenti al 1880. Nacque così il catalogo dei codici Vat. lat. 14266-15203 del 1989 curato da Ambrogio Maria Piazzoni e Paolo Vian, che dava inizio alla sottocollana Cataloghi sommari e inventari dei fondi manoscritti sempre per Studi e testi (ST 332): esso, redatto in lingua italiana, recensisce le accessioni dal 1964 di manoscritti in alfabeto latino, quasi tutti posteriori al XVI secolo e in gran parte di eterogenea tipologia: stampati postillati, raccolte epistolari e di corrispondenza, manoscritti di natura sostanzialmente archivistica, diari e carte personali, codici relativi alla storia della Vaticana e della catalogazione dei suoi fondi, strumenti di lavoro scientifico e soggetti di carattere propriamente artistico. Di fronte ad un insieme così variegato di testimoni gli autori hanno giustamente seguito per la recensio un modello flessibile che armonizzasse fin dove possibile tutte le necessità volte a far emergere gli elementi specifici del manoscritto9. D’altronde adattamenti alle leges vaticane erano stati già introdotti nel catalogo in tre volumi pubblicati tra il 1939 ed il 1960 da Luigi Berra in occasione della descrizione — per la series maior — dei 977 codici che costituiscono il Fondo Ferrajoli (CM 22, 25, 34); da Luigi Fiorani e Marie-Madaleine Lebreton nel 1985, allorché fu approntato, in lingua italiana, il catalogo dei codici Vat. lat. 11266-11326 (CM 41), testimoni autorevoli dell’indagine svolta, tra il 1598 ed il 1603, dalla Congregazione dell’Indice, tesa a verificare lo stato e la consistenza del posseduto librario, manoscritto e a stampa, delle biblioteche conventuali e monastiche allora esistenti in Italia. In lingua italiana è il catalogo dei Comboniani Aethiopici di Osvaldo Raineri (CM 47), a cui dobbiamo anche la descrizione dei 112 manoscritti etiopici, ora costituenti il Fondo Raineri, donati il 9 dicembre 1997 dallo stesso autore, pubblicati nel 1998 nel volume miscellaneo dedicato a Leonard Boyle (ST 385; pp. 485-548): altre volte, infatti, si è avuta la possibilità di editare cataloghi ed inventari sommari di codici vaticani in riviste o volumi miscellanei, sia interni sia esterni, a partire, ad esempio, da Paul Horn che nel 1897 per la Zeitschrift der deutschen Morgenländ (51 [1897], pp. 1-65) ha descritto i codici vaticani persiani e turchi, per arrivare ad Adolphe Hebbelynch ed Eugène Tisserant, che hanno catalogato, nel volume quinto dei Miscellanea Francesco Ehrle del 1924 (ST 41), il primo i manoscritti copti (pp. 3582), il secondo quelli arabi del Fondo Borgia (pp. 1-34), oppure ad Arnold van Lantschoot che ci ha offerto nel primo volume dei Collectanea in onore 9 Vd. anche P. VIAN, Frammenti e complessi documentari nei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana, in Archivi e archivistica a Roma dopo l’Unità: genesi storica, ordinamenti, interrelazioni. Atti del Convegno, Roma, 12-14 marzo 1990, Roma 1994 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 30), pp. 408-410.

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di Anselmo Maria Albareda del 1962 (ST 219) la descrizione dei codici vaticani etiopici (pp. 453-512). Ed anche chi scrive ha necessariamente dovuto modulare di nuovo le leges vaticane in occasione della descriptio (questa volta in latino ma sempre per la series maior) dei 51 codici Vat. lat. 9734-9782 (CM 44) latori delle carte di Girolamo Amati, scriptor Graecus della Vaticana dal 1804, le quali riguardano soprattutto le antichità classiche e l’epigrafia di Roma e della Campagna Romana. In questa sede posso inoltre annunciare che da alcuni anni ho intrapreso, con le medesime modalità di descrizione della mia precedente esperienza, e sempre per la series maior, la recensio dei 152 codici di Gaetano Marini (1742-1815), che costituiscono i codici Vat. lat. 9020-915110. Unitamente a questo imponente programma la Vaticana ha continuato, sia autonomamente sia in collaborazione, la pubblicazione di volumi tematici del patrimonio manoscritto (ricollegandosi in questo modo all’iniziativa intrapresa nel lontano 1908 da Marco Vattasso, che dedicò ampie cure al recupero dei codici petrarcheschi della Vaticana: ST 20), consentendo così la possibilità del confronto con numerosi testimoni non ancora recensiti nella serie dei cataloghi maggiori (un censimento, quello di Vattasso, che trovò negli anni 1975 e 1976 il naturale ed inevitabile supplemento nei lavori di Élisabeth Pellegrin nella rivista Italia Medievale e Umanistica: Manuscrits de Pétrarque à la Bibliothèque Vaticane. Supplément au catalogue de Vattasso). Proprio lo scorso 2010 ha visto la luce il quinto, ed ultimo, volume dell’impresa finalizzata al censimento dei manoscritti latori delle opere dei classici latini della Biblioteca Vaticana (Vd 1; I. II (1-2). III-IV: Les manuscrits classiques de la Bibliothèque Vaticane), fortemente voluta dalla stessa Pellegrin, pubblicata a partire dal 1975, ma che affonda i suoi preliminari di schedatura nel lontano 1938: si tratta di un solido e robusto strumento di ricerca che ci consente di interrogare quanto della tradizione latina classica è trasmesso dai nostri manoscritti. Ma non posso non ricordare l’inventario dei manoscritti persiani e turchi del 1948 (ST 136) e del 1953 (ST 174) di Ettore Rossi, che prende le mosse addirittura dai repertori degli Assemani ed Angelo Mai, quello dei manoscritti arabo-islamici del 1965 (ST 242) di Giorgio Levi Della Vida, che aggiorna con le nuove acquisizioni il suo precedente lavoro del 1935 (ST 67), quello di Arnold van Lantschoot, sempre del 1965 (ST 243), riservato ai fondi siriaci, quello di Paul Canart sui manoscritti greci dell’Archivio del Capitolo di San Pietro del 1966 (ST 246); ed inoltre i primi due volumi degli anni 1986-1987 del catalogo dei manoscritti di diritto romano e canonico promosso e diretto 10 Vd. quanto scrivo in Tra i codici epigrafici della Biblioteca Apostolica Vaticana, Faenza (BO) 2004 (Epigrafia e antichità, 22), pp. 86-92.

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da Stephan Kuttner dell’Institute of Medieval Canon Law e da Reinhard Elze del Deutsches Historisches Institut di Roma (ST 322, 328), a cui ha fatto eco il recente contributo di Francesca Macino (ST 446), che ha descritto i manoscritti dal VI al XIII secolo delle Istituzioni di Giustiniano. Di grande importanza è stato il Catalogo dei manoscritti slavi della Biblioteca Vaticana, curato nel 1985 da Aksinija Dzurova (Vd 2), uscito in concomitanza della mostra — e relativo catalogo — Tre alfabeti per gli Slavi, allestita nella Biblioteca Vaticana per l’undicesimo centenario della morte di san Metodio (Vb 30). Quindi la descrizione sommaria dei codici di storia della Chiesa Vat. lat. 4106-4193 di Thomas M. Izbicki, apparsa nel quarto volume dei Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae (ST 338: pp. 89129); gli scrutini operati sui testimoni di Lucano da Renato Badalì11, di Tibullo da Rossella Bianchi12, di Plauto da Alba Tontini13; i miei censimenti sui codici vaticani di Orazio (Vb 44), catalogo collegato alla mostra Orazio in Vaticano tra IX e XVI secolo (Salone Sistino, 27 novembre 1992 – 15 maggio 1993), di Properzio, di Seneca e di Ovidio14 e su quelli di Rodolfo Lanciani, quest’ultimo apparso in cinque volumi tra gli anni 1997-2002 (V 35). Ancora: i primi due volumi (e speriamo che presto si potranno offrire al pubblico gli altri) dei codici latini datati, che hanno visto la firma, il primo, pubblicato nel 1997, di José Ruysschaert, Adriana Marucchi ed Albina C. de la Mare (CLD 1), il secondo, del 2007, di Elisabetta Caldelli (CLD 2). Nella collana Studi e testi vennero ospitati i cataloghi dei manoscritti coranici di Carlo Alberto Anzuini del 2001 (ST 401), dei manoscritti Cerulli etiopici portato a compimento nel 2004 da Osvaldo Raineri sulla base delle schede dello stesso Enrico Cerulli (ST 420), dei manoscritti ebraici pubbli11 I codici romani di Lucano, in Bollettino del comitato per la preparazione dell’Edizione nazionale dei classici, n. s., 21 (1973), pp. 3-47; 22 (1974), pp. 3-48; 23 (1975), pp. 15-89 (come ha specificato Mario De Nonno nella sua relazione, su 86 codici censiti, 79 sono conservati presso la Biblioteca Apostolica). 12 Tibullo: manoscritti e libri a stampa. Catalogo della mostra (Biblioteca Apostolica Vaticana, maggio-ottobre 1984), Biblioteca Vaticana 1984 (= rist. corr. in Atti del Convegno internazionale di studi su Albio Tibullo, Roma – Palestrina, 10-13 maggio 1984, Roma 1986, pp. 381-415. 13 Censimento critico dei manoscritti plautini, I: Biblioteca Apostolica Vaticana, in Mem. Lincei, s. 9°, 15 (2002), pp. 267-534. 14 Rispettivamente: Codices Horatiani in Bibliotheca Apostolica Vaticana (Bis millesimus annus Horatianus), Città del Vaticano 1992: Properzio nei codici della Biblioteca Apostolica Vaticana, Assisi 1995; Per un iter tra i codici di Seneca alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Primi traguardi, in Giornale Italiano di Filologia 52 (2000), pp. 17-100 (da aggiornarsi con: La presenza dell’opera di Seneca nei codici della Biblioteca Apostolica Vaticana tra Medioevo e Umanesimo, in La obra de Séneca y sua pervivencia. Cinco estudios, a cura di J. SOLANA PUJALTE, Córdoba 2008 [Ciclos de filología clásica, 5], pp. 73-105); Aetas Ovidiana. La fortuna di Ovidio nei codici della Biblioteca Apostolica Vaticana, Sulmona 1994.

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cati nel 2008 per le cure di Benjamin Richler della National and University Library di Gerusalemme (ST 438), gli inventari dei ricchissimi autografi del Fondo Ferrajoli e di Paolo VI, nonché il primo volume del carteggio del cardinale Giovanni Mercati, curati tra il 1990 ed il 2003 da Paolo Vian (ST 336, 351, 354, 377, 393, 413). Posso annunciare in questa sede che sono in corso di stampa i tre volumi dedicati ai codici miniati del Fondo Rossiano: si tratta del primo traguardo di un ambizioso progetto ideato e curato da Silvia Maddalo (che si era già interessata nel 2003 alla tradizione figurata del notissimo De balneis Puteolanis di Pietro da Eboli: ST 41415), finalizzato all’analisi di tutti i manoscritti miniati della Vaticana16; non a caso la Vaticana si è fatta promotrice della pubblicazione in due volumi, apparsi tra il 2005 ed il 2009, dell’opera La miniatura in Italia, a cura di Antonella Putaturo Donati Murano ed Alessandra Perriccioli Saggese (V 36), come, nel 1975, dei tre monumentali volumi The corpus of the miniatures in the manuscripts of Decretum Gratiani di Anthony Melnikas (SG 16-18 = V 28) [Marta Pavón Ramírez ci ha consegnato nel 2007 la sua tesi di dottorato discussa presso il Department d’Història de l’Art de l’Università di Barcellona Manuscritos de derecho canónico iluminados: las Decretales de Gregorio IX de la Biblioteca Apostólica Vaticana]. Sono state quindi ben salutate quelle iniziative pubblicate da altri enti dedicate al censimento del nostro patrimonio manoscritto (a partire dal sempre attuale Iter Italicum di Paul Oscar Kristeller), come, tra le tante, le seguenti: nella collana Corpus philosophorum Medii Aevi, lo scrutinio del 1985 dei manoscritti vaticani di Egidio Romano, primo traguardo della sezione degli Opera Omnia dedicato ai Prolegomena curato da Barbara Faes De Mottoni e Concetta Luna, a cui seguì nel 1993 quello di Francesco Del Punta e di Concetta Luna sui 22 codici dedicati al De Regimine principum; Manuscripts in the Vatican Library relating to the Carmelite Order, Roma 1994 (Bibliotheca Carmelitana Manuscripta. Series I), di Joachim Smet O.Carm.; Iter Vaticanum Franciscanum. A Description of some one hundred Manuscripts of 15 Vd. anche S. MADDALO, I Bagni di Pozzuoli nel Medioevo, in Bains curatifs et bains hygiéniques en Italie de l’Antiquité au Moyen Âge, a cura di M. GUÉRIN-BEAUVOIS – J.-M. MARTIN, Rome 2007 (Collection de l’École Française de Rome, 383), pp. 79-92; S. MADDALO – S. SANSONE, Il De Balneis Puteolanis di Pietro da Eboli nel ms. 236 della Biblioteca Palatina di Parma, in Forme e storia. Scritti di arte medievale e moderna per Francesco Gandolfo, a cura di W. ANGELELLI – F. POMARICI, Rende (CS) 2011, pp. 403-414. 16 Si vd. in generale La catalogazione dei manoscritti miniati come strumento di ricerca. Esperienze, metodologia, prospettive. Atti del Convegno internazionale di studi, Viterbo, 4-5 marzo 2009, a cura di S. MADDALO – M. TORQUATI, Roma 2010 (Istituto Storico Italiano per il Medio Evo. Nuovi studi storici, 87) (presentazione del volume con ampi riferimenti a questa impresa, in cui sono intervenuti, tra gli altri, Francesca Flores D’Arcais e Stefano Zamponi, si è tenuta il 18 novembre 2010 a Viterbo presso la Sala delle Assemblee di Palazzo Brugiotti).

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the Vaticanus Latinus Collection, Leiden – New York – Köln 1996 (Studien und Texte zur Geistesgeschichte des Mittelalters, 50), di Girard J. Etzkorn, O.F.M.; Repertorium Nazianzenum. Orationes. Codices Civitatis Vaticanae, V, Paderborn 1996 (Studien zur Geschichte und Kultur des Altertums. Reihe 2, Forschungen zu Gregor von Nazianz; N. F., 12), di Justin Mossay e Lorenz Hoffmann; l‘impresa editoriale promossa da Margaret T. Gibson, Lesley Smith e Joseph Ziegler con i Codices Boethiani (A Conspectus of Manuscripts of the Works of Boethius), che ha previsto per il volume terzo del 2001 lo scandaglio dei testimoni italiani e del Vaticano, curato da Marina Passalacqua ed altri collaboratori; il secondo volume del Censimento dei codici dell’epistolario di Leonardo Bruni dedicato ai Manoscritti delle biblioteche italiane e della Biblioteca Apostolica Vaticana, curato nel 2004 da Lucia Gualdo per l’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, con un’appendice di lettere inedite o poco note a Leonardo Bruni di James Hankins; I manoscritti della Vita Sancti Pauli Primi Eremitae di san Girolamo conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Lublin 2005, curato da Bazyli Degòrski. E non si dimentichino mai i fondamentali censimenti vaticani di Birger Munk Olsen, a cui tutti noi quotidianamente attingiamo, presenti nei volumi L’étude des auteurs classiques latins aux XIe et XIIe siècles e nelle sette rassegne Chronique des manuscrits classiques latins (IXe-XIIe siècles) apparse tra il 1994 ed il 2007 nella Revue d’histoire des textes. L’altra grande impresa editoriale, anch’essa legata alla figura di padre Ehrle, è quella di Studi e testi giunta, dopo 111 anni, con questo volume di Atti al n. 468. Quanta strada è stata percorsa da quel sommesso e timido Antonio Flaminio, figura minore dell’Umanesimo italiano, con cui Marco Vattasso, studiandone la silloge poetica trasmessa dall’autografo Vat. lat. 2870, aveva dato inizio nel 1900 alla collana (ST 1) ! Obiettivi e finalità di questa prestigiosa pubblicazione sono stati ampiamente discussi nel corso degli anni in occasione di specifiche ricorrenze, come nelle prefazioni del primo e del quarto volume delle Tavole e Indici della stessa collana (strumenti quanto mai utili per potersi serenamente muovere nella sconfinata messe di notizie veicolate; ST 100, 200, 323, 400) e, soprattutto, nei due volumi — ormai vere e proprie rarità editoriali — usciti nel 1947 e nel 1950 I libri editi dalla Biblioteca Vaticana. 1885-1947 (V 17), Nel Cinquantesimo di Studi e Testi. 1900-1950 (V 20), quest’ultimo pubblicato, coincidenza ha voluto, in occasione dell’Anno Santo del 1950. Chi avesse curiosità potrà consultare anche i due codici Arch. Bibl. 252 e 254: una serie di lettere trasmesse all’allora prefetto Anselmo Maria Albareda da parte di studiosi e personalità della cultura nazionale ed internazionale a cui era stato inviato in omaggio una copia di queste pubblicazioni, da cui, oltre alle scontate espressioni di circostanza, si evince il sentito apprezzamento per l’attività

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editoriale della collana Studi e testi degna della tradizione scientifica della Biblioteca17. Non abbiamo certo la pretesa in questa sede di regestare tutti i complessi e variegati traguardi che la collana fino ad ora è riuscita a conseguire, una collana che definirei una sorta di “giardino incantato” dove si potrà anche incorrere, talvolta, in qualche cespuglio spinoso. Molte delle pubblicazioni apparse nel secondo dopoguerra costituiscono continuazioni a programmi editoriali precedentemente intrapresi e rimodulati in base alle nuove esigenze scientifiche. Penso, tra i numerosi ed autorevoli titoli che mi si affollano nella mente, alle Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV (impresa conclusasi nel 2005 con il volume postumo di Maurizio Rosada; ST 58, 60, 69, 84, 96, 97, 98, 112, 113, 128, 148, 161, 162, 324, 425), una iniziativa che aveva visto in Giuseppe Toniolo e Giulio Battelli ideatori, propugnatori e pietre angolari indiscussi; agli Initia Patrum Graecorum di Chrysostomus Baur del 1955 (ST 180-181), un repertorio in qualche modo gemello, nella compilazione, agli Initia di Marco Vattasso degli anni 1906-1908 dedicati agli scrittori ecclesiastici latini (ST 16-17), a cui seguirono, con ulteriori miglioramenti formali e sostanziali, quelli in sei volumi degli anni 1960-1966 di Enrica Follieri riservati alla produzione letteraria di età bizantina (ST 211-215bis). Sulla stessa lunghezza d’onda, per cui tutti noi abbiamo la consapevolezza del vantaggio di quanto le ricerche possano trarre da simili e fondamentali strumenti di lavoro, sono i dodici volumi di Fabio Carboni apparsi negli anni 1977-1994 riservati ai componimenti in lingua italiana dei secoli XIII-XX (ST 277, 288, 297299bis, 330, 334-335, 370-372); e poi infine le recenti monografie dedicate agli indici dei componimenti trasmessi dai canzonieri romanzi, provenzali e italiani (ST 387, 388, 431; vd. anche ST 444, 454). La Biblioteca Vaticana ha quindi sempre agevolato nella ricerca chiunque avesse come obiettivo quello di escudere il patrimonio ivi conservato al fine di facilitarne il confronto: ulteriore esempio di questa politica sono gli inventari, veramente formidabili, di tutti i manoscritti liturgici latini propriamente detti, cioè quelli serviti al culto o a esso destinati, pubblicati in cinque anni tra il 1968 ed il 1972 da Pierre Salmon (ST 251, 253, 260, 267, 270): l’opera, anche in questo caso, si collegava a pionieristiche esplo-

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Così ad esempio scriveva il “nostro” Alessandro Pratesi in data 27 dicembre 1950: “Rev. mo Padre, ho molto gradito il volumetto pubblicato per il cinquantenario di «Studi e Testi»: una strenna veramente elegante e degna della tradizione della Biblioteca Vaticana. Nel ringraziarLa del cortese pensiero è caro rivolgerLe i più sentiti auguri e porgerLe i miei ossequi. Dev.mo Alessandro Pratesi” (Arch. Bibl. 254, f. 75r).

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razioni vaticane come quelle di Hugo Ehrensberger del 189718 e di Henry Marriot Bannister del 1913 (CV 12). Potrei a lungo incuriosire il lettore regestando questa meravigliosa collana: potrei indicare quelle monografie dedicate a edizioni dei nostri codici, alla ricostruzione di antiche biblioteche — un filone di ricerca avviato proprio da Giovanni Mercati nel 1938 (ST 75) e dallo stesso continuato nel 1952 in merito alle biblioteche Sforziana ed Angelica di Roma (ST 164) — come quelle della Badia Fiorentina di Rudolf Blum nel 1951 (ST 155), della Abbazia di Nonantola di Giuseppe Gullotta nel 1955 con tavola di concordanza ed indice dei manoscritti di José Ruysschaert (ST 182-182bis), della Regina Cristina di Svezia nel 1964, un inventario — basato su quanto aveva censito Bernard de Montfaucon nel primo tomo della sua Bibliotheca bibliothecarum manuscriptorum nova – a cui si erano dedicati Stanislas Le Grelle, Jeanne Bignami Odier, Franca De Marco, José Ruysschaert e Vittorio Bergomas (ST 238), di Celso Cittadini nel 1970 di Maria Clara Di Franco Lilli (ST 259), di Niccolò V nel 1994 di Antonio Manfredi (ST 359), di Marcello II Cervini nel 2001 di Paola Piacentini (ST 404), del cardinale Henry Stuart Duca di York nel 2007 di chi scrive (ST 440). Potrei indicare quanto si siano accresciute le conoscenze sulle modalità di incremento dei nostri fondi, a cominciare dal lavoro del 1965 di Robert Devreesse sui fondi greci dalle origini a Paolo V (ST 244), a cui sono coniugate le splendide ricerche di Paul Canart del 1979 (ST 284) e di Salvatore Lilla del 2004 (ST 415) o quella di Mark L. Sosower, Donald F. Jackson e Antonio Manfredi del 1998 sul Fondo Greco riordinato dopo il Sacco di Roma del 1527 (ST 427), sui fondi latini del 1966 della quasi onnipresente Jeanne Bignami Odier in merito al Fondo Ottoboni (ST 245), di Christine Maria Grafinger degli anni 1993 e 2002 in merito ai prestiti avvenuti nei secoli XVI-XVIII (ST 360, 406-407), di Paola Orsatti del 1966 sui fondi del Museo Borgiano (ST 376), di Daniel Williman e Karen Corsano del 2003 sulla provenienza dei manoscritti confluiti nel Fondo Vaticano Latino e Borghesiano (ST 405), di Jeannine Fohlen del 2008 sulla storia del Fondo Vaticano Latino al tempo di papa Eugenio IV (ST 452), sull’indice dei codici latini del 1533 di Niccolò Maiorano e Fausto Sabeo curato nel 2009 da Antonio Manfredi ed Assunta Di Sante (ST 457), lavoro che si collega al precedente scrutinio sui fondi greci. Sono tutte tessere di un mosaico che, quantunque lontano dall’essere pienamente realizzato, ben ci fanno comprendere la tessitura della formazione della Vaticana; la Guida curata da Paolo Vian e Francesco D’Aiuto (ST 466-467) finalmente sarà in grado di svelarci ulteriori tasselli in ag18

Libri liturgici Bibliothecae Apostolicae Vaticanae manu scripti, Friburgi Brisgoviae 1897.

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giunta a quanto le ricerche di Jeanne Bignami Odier del 1973 (ST 272), di Christine Maria Grafinger del 1996 (ST 373) e di Nicoletta Mattioli Háry del 2009 (ST 455) ci hanno trasmesso. Proprio in questi ultimi anni, inoltre, sono apparse pubblicazioni di vario taglio con le medesime finalità: da I cardinali bibliotecari di Santa Romana Chiesa: la quadreria nella Biblioteca Apostolica Vaticana del 2006 (Dr 7), a Le «Effigies. Nomina et Cognomina S.R.E. Cardinalium» nella Biblioteca Apostolica Vaticana del 2008 (DR 8), fino al volume curato da Antonio Manfredi Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), splendida “ouverture” di un’impresa editoriale programmata in sette volumi sulla storia della Biblioteca (SBV 1), a cui fa da importante corollario la documentata ricerca condotta da Maria Alessandra Bilotta sulla Curia, il Laterano e la produzione manoscritta ad uso del papato nel Medioevo tra i secoli VI-XIII (ST 465). La Biblioteca Vaticana, per confermare ulteriormente il riconoscimento sempre a lei tributato di punto di eccellenza per il progresso degli studi ed il conseguente beneficio intellettuale, ha voluto anche offrire al pubblico, sempre nella collana Studi e testi, quanto la dinamica scientifica nei settori di ricerca ad essa pertinente promuoveva e avviava; nacquero così, anche per onorare coloro che avevano consegnato tutta la propria vita di studio all’istituzione pontificia, intesi come veri e propri patriarchi della cultura internazionale, le quattro miscellanee, già menzionate, in onore di Francesco Ehrle (ST 37-42) del 1924, di Giovanni Mercati (ST 121-126) del 1946, di Anselmo Maria Albareda (ST 219-220) del 1962 e di Eugène Tisserant (ST 231-237) del 1964: sono collectanea in cui a vario titolo e in vario modo parteciparono i più insigni studiosi del momento e costituiscono ancora oggi punto di riferimento bibliografico indiscusso; in tempi recenti si sono voluti ricordare anche i settantacinque anni del prefetto Leonard E. Boyle (ST 385), dedicandogli nel 1998 un volume singolo della nostra rivista (su cui fra breve tornerò). Per cercare, inoltre, di non disperdere i preziosi risultati conseguiti da coloro che hanno servito con onestà e competenza la Biblioteca Vaticana, consentendo a tutta la comunità scientifica di potersi serenamente confrontare con la eterogenea categoria di documenti ivi conservati e svelandola così in tutta la sua preziosità, si sono volute editare raccolte di articoli e saggi, spesso pubblicati in riviste estranee alle specifiche discipline o in volumi talvolta di non facile reperibilità; un’operazione che già era stata iniziata nei primi anni della collana con le Opere minori di Giovanni Mercati raccolte in occasione del suo settantesimo anno tra il 1937 ed il 1941 (ST 76-80), che videro un volume di aggiornamento ed indici nel 1984 (ST 296): hanno visto così la luce, nel secondo dopoguerra, il nono volume delle Note agiografiche di Pio Franchi de’ Cavalieri del 1953 (ST 175) a cui seguirono nel 1962 i suoi Scritti agio-

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grafici (ST 221-222, 223), gli Scritti teologici etiopici di Enrico Cerulli del 1958 e 1960 (ST 198, 204), gli Analecta liturgica di André Wilmart del 1974 (ST 273), la raccolta di sedici contributi di Joseph-Marie Sauget sulla letteratura cristiana siriaca ed araba del 1998 (ST 389), gli studi di paleografia e codicologia del 2008 di Paul Canart (ST 450-451). Ugualmente nel secondo dopoguerra la collana ha cominciato ad ospitare gli atti di convegni svolti o in Vaticano o altrove ma sempre attinenti alla tradizione manoscritta e a stampa del suo posseduto. Veramente innovativo fu quello tenuto nell’ottobre 1975, dedicato alla elaborazione delle strategie di tutela e delle tecniche di conservazione e di restauro dei manoscritti e degli stampati, idealmente congiunto a quanto padre Ehrle aveva promosso nel 1898 a San Gallo (ST 276)19; a questo illuminato traguardo seguì la pubblicazione degli atti del convegno tenuto ad Erice nel settembre 1992, su cui poi tornerò. Fino ad arrivare agli atti del convegno internazionale di studi tenuto a Sarzana nell’ottobre del 1998 per celebrare il sesto centenario della nascita di Niccolò V (ST 397); di quello dedicato all’Inquisizione dello stesso anno (ST 417); di quello che raccoglie una serie di saggi che affrontano “i fecondi paradossi e le aporie dell’immagine di Cristo nel processo della sua formazione”, esito di un convegno internazionale organizzato nel marzo 2001 dalle biblioteche Hertziana e Gregoriana e della relativa mostra Il Volto di Cristo tenuta presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma (ST 432); di quello di Macerata del 2006 intitolato Libri, biblioteche e cultura degli ordini regolari nell’Italia moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice (ST 434), in cui è stata annunciata l’edizione integrale in più volumi curata da Roberto Rusconi dei codici Vaticani descritti da Lebreton — Fiorani sopra ricordati (l’ambizioso programma editoriale Le biblioteche degli Ordini regolari in Italia alla fine del secolo XVI con relativa “banca dati” elaborata dalle Università di Macerata e di “Roma Tre” nell’ambito del progetto di ricerca Inchiesta della Congregazione dell’Indice dei libri proibiti, 1597-1603 fu presentato il 28 ottobre 2009 presso la Sala “Crociera” della Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma dallo stesso Rusconi, da Rosa Marisa Borraccini e 19 Sul Convegno di S. Gallo come punto di riferimento sono i contributi (spesso tradotti per altre riviste) dello stesso Ehrle: Über die Erhaltung und Ausbesserung alter Handschriften, in Centr. Bibl. 15 (1898), pp. 17-33; Die internationale Konferenz in St. Gallen am 30. September und 1. Oktober 1898 zur Beratung über die Erhaltung und Ausbesserung alter Handschriften, ibid., 16 (1899), pp. 27-44; Die Vorsorge für die Erhaltung unserer handschriftlichen Schätze im Lehrplan der historischen und philologischen Seminarien, ibid., pp. 533-538; In Sachen der internationalen Konferenz von St. Gallen (1898), ibid. 26 (1909), pp. 245-263. Vd. anche i due resoconti (La Conferenza internazionale di S. Gallo. Per il restauro degli antichi codici) pubblicati ne L’Osservatore Romano, a. XXXVIII, di martedì 11 – mercoledì 12 ottobre 1898 (n. 230) e di mercoledì 12 – giovedì 13 ottobre 1898 (n. 231). Vd. anche infra alla nota 28.

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da Giovanna Granata; proprio sulla base dell’inventario di Lebreton e Fiorani e sugli esiti del convegno del 2006 sono cominciate ad essere pubblicate vere e proprie edizioni di settori specifici di quei manoscritti recensiti: ricordo da ultimo la monografia curata da Pietro De Leo, Rita Aiello e Rita Fioravanti Il patrimonio librario della Certosa dei Santi Stefano e Brunone e sue dipendenze alla fine del XVI secolo, un’opera promossa dal Comitato nazionale per le Celebrazioni del IX centenario della morte di san Bruno di Colonia, che si basa sui ff. 22r-151v del codice Vat. lat. 11276); di quello riservato alla figura di Angelo Colocci e gli studi romanzi (ST 449), pubblicazione nata a seguito dei due incontri svoltisi presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Riscrivere e riusare: Angelo Colocci e le Origini della poesia europea (maggio 2002) ed Altre novità su Angelo Colocci e la poesia italiana delle Origini (marzo 2003). Fino al convegno di cui ora pubblichiamo gli atti, ove, oltre a compiere un bilancio delle ricerche condotte dalla Biblioteca Vaticana negli ultimi decenni, soprattutto nel secondo dopoguerra, nei vari ambiti scientifici, si è cercato di ripercorrere l’esperienza dei suoi diversi e articolati Dipartimenti, Sezioni e Servizi20. Giova precisare, inoltre, proprio per quel rapporto naturale, non solo di vicinanza, con l’Archivio Segreto Vaticano, fortemente sancito dalla “triade gloriosa dei Mercati” per riprendere un’espressione di Giuseppe Schirò21, che nella collana furono anche ospitati lavori che consentivano felici incursioni nel patrimonio oceanico di quella istituzione: dopo i tre volumi della serie Inventari dell’Archivio Segreto Vaticano pubblicati tra il 1932 ed il 1964 in cui operarono studiosi del calibro di Bruno Katterbach, Pietro Sella e Marie-Hyacinthe Laurent (AVI 1-3), ricordiamo i tre volumi Sussidi per la consultazione dell’Archivio Vaticano apparsi i primi due tra le due guerre, il terzo nel 1947 (ST 45, 55, 134), gli Inventari dei libri presenti nelle varie serie archivistiche realizzata da Pietro Guidi nel 1948 (ST 135), gli scrutini di Angelo Mercati operati nei fondi Instrumenta, Miscellanea e Archivio Concistoriale del 1951 (ST 157), studioso a cui, per gli ottant’anni, furono dedicati nel 1952 Miscellanea ove scrissero archivisti in rappresentanza di diversi paesi (ST 165), il lavoro del 1951 di Karl August Fink Das Vatikanische Archiv. Einführung in die Bestände und ihre Erforschung (V 23). Si ricordi anche che i volumi IV e V dei Mélanges Eugène Tisserant del 1964 (ST 234-235) vennero interamente dedicati agli “Archives Vaticanes”. Questo interesse per le fonti prettamente archivistiche è ben testimoniato inoltre dalla pubblicazione dei primi otto volumi 20 Su cui vd. ora F. ARDUINI, Pro communi doctorum virorum commodo, in Biblioteche oggi dicembre 2010, pp. 52-53. 21 G. SCHIRÒ, Commemorazione di Silvio Giuseppe Mercati, in Rend. Pont Acc. Rom. Arch. 37 (1964-1965) [1966], p. 48.

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della Bibliografia dell’Archivio Vaticano degli anni 1962-2001 (AVB 1-8), in cui emerge nuovamente il magistero di Giulio Battelli, e dalle due collane Acta Romanorum Pontificum (AP 1-9) ed Index Actorum Romanorum Pontificum (API 1-7), quest’ultima nata per accogliere i lavori seguiti al progetto elaborato da Franco Bartoloni di censire i documenti pontifici a partire da Innocenzo III fino a Martino V escluso, compresi gli atti emanati dal concilio di Costanza (la collega Isabella Aurora è prossima alla pubblicazione del suo volume sui documenti di Puglia e Basilicata per i Regesta Actorum Pontificum). Voglio ricordare che l’interesse della Vaticana verso quello specifico settore rivolto alla storia letteraria del periodo classico dei glossatori e alla storia dogmatica della disciplina canonistica nasce e si sviluppa con Alfons Maria Stickler, prima Prefetto della Vaticana poi Cardinale Bibliotecario. Egli, tra l’altro, a motivo dei suoi scandagli sul Decretum Gratiani e sulla Riforma Gregoriana, ebbe la cura personale delle due collane Studia Gratiana (SG 1-29) e Studi Gregoriani (SGR 1-14), curò l’avvio della collezione Monumenta Iuris Canonici (per cui vedi infra), e, nel 1955 si fece anche promotore della costituzione della collana Studia et Textus Historiae Iuris Canonici, inaugurata con il volume Coacción eclesiástica y Sacro Romano Imperio a firma del suo allievo Rosalio José Castillo Lara, futuro cardinale e presidente, tra l’altro, dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica; tale collana nel 1966 ha visto di Brian Edwin Ferme il prezioso traguardo Canon Law in late medieval England. A study of William Lyndwood’s Provinciale with particular reference to testamentary (HIC 8). Analogamente a quanto indicato per i manoscritti, anche per le fonti della Sezione Archivi sono stati pubblicati cataloghi ed inventari sommari, come il lavoro di Jochen Johrendt del 2010 riservato ad un consistente numero di pergamene dell’Archivio del Capitolo di S. Pietro (ST 460), quello di Luigi Cacciaglia sull’ archivio del monastero dell’Incarnazione detto delle «Barberine»22, e gli ultimi due traguardi editi nei nostri Miscellanea XVI e XVII del 2009 e del 2010, quello di chi scrive sulla Raccolta Francesco Foucault di Daugnon (ST 458, pp. 7-151) e quello di Luigi Fiorani sul Fondo Salviati (ST 462, pp. 29-101). E se per i fondi manoscritti, a motivo della loro inesauribile ed irrepetibile testimonianza, si è avuta e si avrà attenzione privilegiata offrendo allo studioso analoghi strumenti di ricerca e di confronto, anche per il patrimonio a stampa l’attenzione non è stata di minor peso. A quanto già 22

L. CACCIAGLIA, L’archivio del monastero dell’Incarnazione detto delle «Barberine» (16391907), in Vite consacrate. Gli archivi delle organizzazioni religiose femminili. Atti dei Convegni di Spezzano (20 settembre 2006) e di Ravenna (28 settembre 2006), a cura di E. ANGIOLINI, Modena 2007 (Atti dei Convegni del Centro studi interregionale sugli archivi ecclesiastici, 11), pp. 303-326.

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cursoriamente nelle righe precedenti si è fatto cenno, ricordo l’inventario parziale dei libri stampati del Fondo Palatino del 1953 di Giovanni Mazzini (V 23), poi ampliato da Ilse Schunke nei tre volumi del 1962 (ST 216-218), nel 1978 i due volumi di Harold Jones dedicato agli stampati del Fondo Barberini di autori spagnoli, portoghesi o ibero-americani (ST 281; analogo scandaglio fu anche fatto per i fondi manoscritti: ST 280), nel 1996 quello riservato da Yu Dong ai libri e documenti missionari in lingua cinese (ST 366). Traguardo veramente prezioso e quanto mai desiderato si ebbe con il catalogo in quattro volumi di William J. Sheehan del 1997 sugli incunaboli della Vaticana (ST 380-383): studiosi come Luigi Zappelli, Luigi Gramatica, Tommaso Accurti e Luigi Michelini Tocci con criteri e metodi diversi si erano confrontati con questo specifico posseduto librario a stampa, senza tuttavia giungere alla conclusione; l’inventario consegnatoci da padre Sheehan (un “access list”, con descrizione bibliografica nella forma di uno “short title” e riferimenti a taluni cataloghi), un lavoro che definirei quasi sisifeo durato dieci anni, ci permette ora di identificare e localizzare tutte le copie presenti nelle nostre varie collezioni, il che consentirà agli studiosi più approfondite ricerche. E non è poco! (Con vera soddisfazione constato come in questi ultimi anni abbiamo la possibilità di dominare importanti collezioni di queste preziose edizioni a stampa conservate nelle biblioteche, grazie alla pubblicazione di pregevoli cataloghi condotti secondo collaudate norme descrittive. Da ultimo ricordo almeno il Katalog der Inkunabeln und Postinkunabels der Stiftsbibliothek Einsiedeln bis 1520, a cura di G. MÜLLER, Basel 2010). Nel 1987 il prefetto Alfons Stickler ed il viceprefetto José Ruysschaert, unitamente a chi scrive, diedero vita alla rivista intitolata Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae giunta al XVII volume (ST 329, 331, 333, 338, 365, 385, 396, 402, 409, 416, 423, 430, 433, 443, 453, 458, 462): si era infatti avvertita l’esigenza di non far disperdere, fin dove possibile, in altre pubblicazioni lavori che avessero come interesse precipuo l’analisi dei fondi della Vaticana, dando così modo agli studiosi di contare su una pubblicazione corrente; vennero ospitati contributi di varia natura, di tematiche assai divergenti (il volume V — ST 365 — ebbe ad esempio un taglio tematico riservato al Fondo Palatino), ma i cui risultati dimostrano ancora una volta quali novità la Biblioteca Vaticana sia in grado di concederci a piene mani. Quanto fino ad ora discusso — tanto altro avrei potuto indicare ma i limiti di spazio mi hanno costretto ad enucleare solo alcuni dei tanti titoli possibili — conferma ancora una volta il rapporto veramente sincero che la Vaticana intesse con il suo pubblico consentendogli sempre, nei limiti delle norme vigenti, il dialogo con quanto possiede.

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Ma vi è di più. Per venire incontro agli studiosi, per dare loro modo di potersi orientare con adeguata conoscenza nello sconfinato mare delle pubblicazioni, dei titoli bibliografici utili alla descrizione dei codici, conoscenza che di anno in anno è resa sempre più difficile a motivo del moltiplicarsi di edizioni, di monografie e di riviste, della crescita esponenziale degli studi, la Vaticana dal 1970 diede inizio a sussidi bibliografici che, lo posso dire con serenità di giudizio e senza timore di essere smentito, ci sono invidiati da più parti, a motivo proprio della complessità e ricchezza del patrimonio manoscritto e a stampa censito23. Nel 1970 videro la luce i Sussidi bibliografici per i manoscritti greci (ST 261), che nel titolo si allineava alla già evocata serie Sussidi per la consultazione dell’Archivio Vaticano nata nel 1962: curati da Paul Canart e Vittorio Peri, essi furono costruiti nonché ampliati ed aggiornati sulla base di quanto Giovanni Mercati aveva preso a compilare per suo uso personale. La fortuna scientifica ed editoriale che ebbe quel repertorio, per quanto “limitato” ai soli manoscritti greci, fu di sprone a proseguire nel progetto, questa volta, però, da estendersi a tutti i fondi nonché cercando nei limiti del possibile di mantenere periodicità e non solo occasionalità. Hanno visto così la luce fino ad ora quattro volumi di Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana, che, coprendo gli anni 1968-2000, hanno permesso agli studiosi un fondamentale confronto con quanto era stato scritto sui nostri fondi soprattutto in riviste e volumi miscellanei apparsi nel corso di quel periodo cronologico (ST 318-319, 342, 379, 426). Parallelamente a queste ricerche si è voluto dare inizio ad un progetto parallelo che grazie alla disponibilità di Leonard Boyle vide nel 1994 il suo primo traguardo. Nel 1994, infatti, uscì a cura di chi scrive la Bibliografia retrospettiva dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (ST 361), che aveva lo scopo di recuperare informazioni sui fondi, fatta eccezione per quelli greci anteriori all’anno 1968, per i quali rimanevano sempre fondamentali i già menzionati Sussidi. Mi ero infatti domandato se fosse stato necessario, e con quali modalità d’operazione, avviare analoga ricerca censoria su quanto era stato pubblicato prima, appunto, del 1968. Il volume del 1994 (ST 361), come quello uscito quest’anno (ST 464), offre un’ulterio23

Voglio almeno ricordare, a questo proposito, la preziosa pubblicazione della Bibliografia dei manoscritti in scrittura beneventana promossa dall’Università degli studi di Cassino – Dipartimento di filologia e storia – Scuola di specializzazione per conservatori di beni archivistici e librari della civiltà monastica, giunta al volume 18 (2010). Per altre biblioteche o fondi speciali esistono repertori di grande utilità, come, ad esempio, Bibliografia dei manoscritti sessoriani, a cura di V. JEMOLO et al., Roma 1987 (Sussidi eruditi, 41); M. T. RODRIQUEZ, Bibliografia dei manoscritti greci del Fondo del SS. Salvatore di Messina, Roma 2002 (Testi e studi bizantino-neoellenici, 12); C. PASINI, Bibliografia dei manoscritti greci dell’Ambrosiana (1857-2006), Milano 2007 (Bibliotheca erudita, 30).

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re chiave di accesso al tesoro della Santa Sede permettendo di scandagliare informazioni troppo presto dimenticate ma che mantengono ancora la loro dignità scientifica, nonché ragionare con lucidità, a seconda degli interessi maggiormente privilegiati, su quanto è stato scritto in merito, dal momento che i repertori trasmettono in filigrana anche uno spaccato della storia che ha animato il dibattito scientifico tra Ottocento e Novecento. Posso in questa sede anche annunciare che per il decennio 2001-2010 Massimo Ceresa sta curando l’immissione dei dati nel catalogo on line della Biblioteca (http://www.mss.vatlib.it/gui/html/index.jsp), così come Claudia Montuschi e Piergiorgio Parodi stanno operando in riferimento ai Cataloghi di mostre allestite in Italia e all’estero. Per l’una e per l’altra iniziativa si valuterà in seguito l’eventuale edizione a stampa dei dati raccolti. L’editoria della Biblioteca Vaticana ne esce, opinione credo comunemente condivisa, pienamente promossa (ricordo per inciso che numerosi volumi della collana Studi e testi e di quella riservata ai cataloghi dei manoscritti hanno avuto numerose ristampe anastatiche): la sensibilità sempre dimostrata nel mettere a disposizione di tutti strumenti di ricerca trova i suoi antenati, lo sappiamo, nel mondo antico, ove si cercava sempre di fornire all’utente cataloghi e tutto ciò che potesse concorrere alla conoscenza del patrimonio conservato nelle biblioteche. Dalle relazioni precedenti abbiamo constatato anche quanto altro la Vaticana ci offre, quante piste di ricerca ancora sono da perseguire, quante domande ancora ci poniamo. D’altronde è luogo ormai comune considerare la Biblioteca Vaticana luogo di conservazione di quello che della tradizione passata altrove non sia posseduto, dove, come amava ripetere Rodolfo Lanciani, “tutto si conserva per l’eternità”24. Ecco perché, unitamente a quanto fino ad ora si è detto, la Vaticana, da intendersi perciò anche come istituto di ricerca per innovazione e sistematicità, si è ulteriormente attivata affinché nulla fosse taciuto del suo patrimonio: in questi ultimi decenni sono nate infatti altre collane, anche in coedizione, che consentono di navigare con serenità e sicurezza esplorando ed indagando sempre più nel dettaglio nelle grandi raccolte vaticane, che costituiscono per natura e per eterogeneità delle morfologie, uno degli strumenti principi della nostra cultura, facendo in tal modo emergere una serie di dati su cui mai prima di ora si era avuta la sensibilità di ragionare. Sono nati, allora, i Capellae Apostolicae Sixtinaeque collectanea acta monumenta rivolti soprattutto alla storia del collegio della 24

Così Giuseppe Lugli nella commemorazione del primo centenario della nascita di Rodolfo Lanciani tenuta il 20 giugno 1945 (vd. il verbale in Rend. Pont Acc. Rom. Arch. 21 [1945-1946], p. 12; il testo integrale della commemorazione è alle pp. 33-37).

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Cappella Papale e di conseguenza alla storia di altre istituzioni musicali che mantenevano con il collegio romano profonde relazioni (CS 1-11); strettamente connesso a questa iniziativa è il volume di Rita Andolina e Susanna Greco sui codici musicali di Santa Maria Maggiore, con cui si è data vita nel 1995 alla collana Bibliothecae Apostolicae Vaticanae corpus manuscriptorum musicalium (MM 1). Veniamo poi al Corpus des actes grecs d’Italie du sud e de Sicile, nato con l’intento di pubblicare i testi documentari in lingua greca provenienti dall’Italia meridionale e dalla Sicilia, fortemente sponsorizzato da Silvio Giuseppe Mercati e Ciro Giannelli, i quali prepararono trascrizioni preliminari di 55 atti contenuti nel Fondo Aldobrandini (Vat. lat. 13489); dopo la loro scomparsa, l’allora prefetto Alfons Raes incaricò André Guillou di ultimare il lavoro; nacque così il primo volume della collana (1967), con riproduzioni fotografiche, trascrizioni diplomatiche e commenti; seguirono poi altri cinque volumi, sempre a cura di Guillou, usciti tra il 1968 ed il 2009, contenenti testi per lo più provenienti dalle collezioni della Vaticana ma anche da altre biblioteche (AGI 1-6): un censimento veramente utile, di cui recentemente ha fatto tesoro Annick Peters-Custot25. Quindi i cinque volumi Monumenta cartographica Vaticana realizzati da Roberto Almagià tra gli anni 1944 e 1960 (MCV 1-5), in cui sono riprodotte le carte geografiche generali e regionali italiane dal XIV al XVII secolo conservate sia nella Biblioteca sia nello Stato della Città del Vaticano, come quello del 1952 (MCV 3) dedicato alla Galleria delle Carte Geografiche26. Ricordo per inciso che lo stesso Almagià nel 1956 pubblicò e commentò con dottrina e raffinatezza d’analisi 53 tavole che riproducevano piante e vedute di Roma e del Vaticano dal 1300 al 1676 a sostegno della ricerca effettuata anni prima da Franz Ehrle ed Hermann Egger (SPVt 1) [proprio questa medesima collana nel 2006 ha ospitato l’edizione numerata della cartella con Piante e vedute della Basilica di San Pietro in Vaticano per le cure di Barbara Jatta (SPVt 2)]. Ancora: gli Studi e documenti per la storia del Palazzo Apostolico Vaticano, con cui si sono voluti offrire alla comunità scientifica strumenti indispensabili per meglio conoscere la formazione dello Stato Vaticano e dei suoi principali edifici, a cominciare dai fondamentali lavori degli appena ricordati Ehrle ed Egger degli anni 1933-1935 (SPV 2, 4), per continuare con quello di Gioacchino De Angelis d’Ossat sulla geologia del Monte Vaticano del 1953 (SPV 1), per arrivare al tanto atteso contributo, pubblicato postumo nel 25 Les grecs de l’Italie méridionale post-byzantine (IXe-XIVe siècle). Une acculturation en douceur, Paris – Rome 2009 (Collection de l’École Française de Rome, 429). 26 Per cui ora vedi La galleria delle Carte geografiche in Vaticano a cura di L. GAMBI – A. PINELLI, pubblicato nella collana Mirabilia Italiae di Franco Cosimo Panini editore (Modena 1997).

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1992, di Ferdinando Castagnoli sulla topografia antica del Vaticano (SPV 6), a cui fa da complemento ora la preziosa ricerca del 1991 di Paolo Liverani27, per concludersi, al momento, con il catalogo della mostra allestita nella ricorrenza dei Patti Lateranensi tenuta presso il Braccio di Carlo Magno dall’11 febbraio al 10 maggio 2009: 1929-2009. Ottanta anni dello Stato della Città del Vaticano (SPV 7). Le tre serie, infine (Corpus glossatorum [MIa 1-5], Corpus collectionum [MIb 1-9] e Subsidia [MIc 1-13], cioè i Proceedings dei numerosi congressi internazionali di diritto canonico medievale), dei Monumenta iuris canonici in collaborazione con l’Institut of Medieval Canon Law, che hanno visto in Stephan Kuttner prestigioso riferimento, autore in anni lontani (1935 e 1937) di due fondamentali contributi (ST 64, 71), il secondo dei quali inteso come vero e proprio Prodromus Corporis glossatorum, al cui insegnamento il già ricordato Alfons Stickler dal 1936 al 1940 presso l’Università Lateranense tanto dovette. Inoltre, per comprendere meglio la storia di alcuni Dipartimenti della Biblioteca e la formazione del loro patrimonio, sono state attivate, nonché di recente ulteriormente corroborate, specifiche collane, come quelle intitolate, per il Gabinetto Numismatico, Medagliere e Quaderni della Biblioteca Vaticana (MV 1-5; MVQ 1-3), per il Gabinetto delle Stampe, Le piante maggiori di Roma riprodotte in fototipia (PR 1-7; PRa 1-4) che ha visto nel 2007 la Pianta monumentale di Roma per il grande Giubileo dell’anno Duemila, incisione calcografica originale della Roma del Duemila, incisa ad acquaforte e bulino su rame, con disegni di contorno alla pianta realizzati da Riccardo Tommasi Ferroni (PR 7). Infine le tre collane (Cataloghi, Guide e Inventari e studi) riservate alla ricca collezione archeologica del Museo Sacro della Biblioteca fin quando la stessa ne è stata titolare (MSc 1-6; MSg 1-7; Msi 1-4; si veda anche l’importante contributo di Giulia Fusconi del 1994 sulla fortuna di quell’eccezionale opera pittorica d’epoca romana conservata in questo museo, nota a tutti come Nozze Aldobrandini: ST 363). E poi ancora da segnalare la nutrita serie di cataloghi (Vb 1-71) pubblicati in occasione di mostre (l’ultimo relativo a quella inaugurata proprio in coincidenza con l’apertura del nostro convegno: Conoscere la Biblioteca Vaticana. Una storia aperta al futuro [Vb 71]), molti dei quali, per contenuto e forma, costituiscono vere e proprie monografie tematiche costantemente utilizzate in tutti i percorsi bibliografici: in particolare vorrei almeno indicare quelli di fine secolo XX (Liturgia in figura del 1995 [Vb 52], Vedere i classici del 1996 [Vb 54], Diventare Santo del 1996 [Vb 56], I Vangeli dei popoli del 2000 [Vb 57]), in cui immagini e testo scritto si com27 La topografia antica del Vaticano per la collana Monumenta Sanctae Sedis (volume 2) promossa dai Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie.

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penetrano, si interrogano vicendevolmente, si supportano e si avvicinano, permettendo al lettore una comoda serie di raffronti e confronti. Potrei fermarmi. Ma voglio concludere segnalando le due serie dei Codices e Vaticanis selecti phototypice expressi nati nel lontano 1899 con l’edizione del venerando codice virgiliano Vat. lat. 3225 ed ora giunti al volume 102 (Incun. V. 122: Aeneas Silvius in Europam) per la serie maior (CV 1-102), al volume 13 (Borgiano Illirico 12: Apocalisse di Radosav o patarina) per la serie minor (CVm 1-13). Fu sempre padre Ehrle a dare avvio a questa collana, a seguito di quanto egli era riuscito ad ottenere all’indomani della conferenza internazionale di San Gallo, già menzionata. In linea, infatti, con le risoluzioni ivi ratificate, padre Ehrle in prima persona si era fatto interprete in particolare del procedimento che vedeva nella riproduzione dei manoscritti maggiormente danneggiati prima che venissero sottoposti alle delicatissime operazioni di restauro un efficace e pratico strumento di salvaguardia. Ecco come è nata questa collana. Sarà bene ricordare che per celebrare il Quinto Centenario della fondazione ‘sistina’ della Biblioteca Vaticana, la Vaticana, unitamente ad una mostra inaugurata da Paolo VI il 20 giugno 1975, volle organizzare quel colloquio internazionale nei giorni 21-24 ottobre (ne abbiamo fatto cenno in precedenza), a cui parteciparono rappresentanti di sedici paesi di ventidue biblioteche specializzate nella conservazione dei manoscritti e degli stampati rari. In previsione di questo appuntamento, tra i mesi di gennaio 1974 e luglio 1975 erano state inviate, riprendendo proprio le dinamiche organizzative del convegno di S. Gallo, cinque circolari ed un questionario nei quali veniva fatta richiesta di come si potessero estendere le modalità delle tecniche di riproduzione dei preziosi cimeli per assicurare loro una migliore diffusione ed una più ecumenica conoscenza che non ne compromettesse nel futuro la conservazione. Ed infatti proprio nel saluto dell’allora cardinale bibliotecario Antonio Samorè indirizzato a Sua Santità Paolo VI, in occasione dell’udienza accordata il 23 ottobre 1976 ai membri del convegno, si faceva riferimento a quanto Ehrle aveva indetto nel 1898. A questo illuminato traguardo circa vent’anni dopo seguì la pubblicazione degli atti del convegno tenuto ad Erice nel settembre 1992, finalizzato ad armonizzare le esperienze e le esigenze di quanti erano preposti alla gestione dei beni culturali e di quanti attendevano al lavoro scientifico e didattico: non per nulla, sempre pensando alla Vaticana come crocevia d’incontro e di dialogo fra le diverse prospettive culturali e metodologiche, il convegno nacque in collaborazione con l’Istituto Centrale per la Patologia del Libro (ST 357-358). Ancora una volta la Biblioteca Vaticana era diventata ‘Eckstein der Wissenschaften’ come ebbe a sottolineare Theodor Mommsen a conclusione della Conferenza di San Gallo di cui era

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stato Presidente d’onore28. Su questa medesima lunghezza d’onda vanno annoverate le seguenti collane: Codices ex ecclesiaticis Italiae bybliothecis selecti phototypice expressi, nata nel 1913 (CIB 1-9); Collezione paleografica vaticana anch’essa iniziata all’indomani delle risoluzioni prese a San Gallo con le miniature della Bibbia del Reg. gr. 1 [a tale proposito ricordo che nel 1988 ne fu approntato il facsimile dalla Casa Editrice Belser: Die Bibel des Patricius Leo: Codex reginensis graecus I B. Einführung von SUZY DUFRENNE und PAUL CANART (CV 75). È uscito proprio quest’anno 2011 (ST 463) un ricchissimo volume di commento a tale venerando cimelio curato da Paul Canart: La Bible du Patrice Léon. Codex Reginensis Graecus 1. Commentaire codicologique, paléographique, philologique et artistique, con contributi dello stesso Canart (Notice codicologique et paléographique), Cyril Mango (The Epigrams), Suzy Dufrenne (Les miniatures) ed Irmgard Hutter (Les légendes des miniatures; The Decoration)] e del Salterio Pal. gr. 381 del 1905 (CPV 1), con i ritratti e le gesta dei duchi di Urbino desunti dalle miniature dei manoscritti del Fondo Urbinate del 1913 (CPV 2), poi, dopo lunga stasi, riattivata nel 1989 con la monumentale pubblicazione del Pontificale del cardinale Ferry de Clugny vescovo di Tournai per le cure di Antoine De Schryver, Marc Dykmans e José Ruysschaert (CPV 3); Exempla scripturarum iniziata nel 1928, che ha potuto mettere a disposizione nel 1998 per merito di Paul Canart, André Jacob, Santo Lucà e Lidia Perria le necessarie tavole di supporto e complemento all’impresa censoria di Enrica Follieri del 1969 (ES 4-5); infine Documenti e riproduzioni, collana iniziata nel 1971 da Lucia Guerrini con l’analisi dei marmi antichi presenti nei disegni di Pier Leone Ghezzi (DR 1), collana che nei due volumi degli anni 1992 e 1999 si è voluta interessare alla ricchissima collezione di tessuti islamici della collezione Pfister (DR 4-5) ed in quello del 2005 all’affascinante vicenda del codice di Terenzio Vat. lat. 3868 per le cure di David H. Wright (DR 6), fino al volume del 2010 che riproduce i disegni tratti dal codice Cappon. 237 (DR 11) di Manuela Gobbi e Simonetta Prosperi Valenti Rodinò. Nella sua secolare storia fatta di esperienze e di progetti finalizzati al programma editoriale, con alterne vicende ma con risultati degni della massima considerazione, la Biblioteca Apostolica Vaticana si è sempre sforzata di mettere a disposizione dell’utenza internazionale le varie modalità descrittive del proprio posseduto, in perfetta sintonia con gli auspici di quelle insigni personalità del passato, che, a dispetto della moda dei tempi, fanno ancora la storia di questa istituzione culturale univer28 Per cui rimando al mio lavoro Theodor Mommsen a San Gallo, in Mediterraneo antico 13, 1-2 (2010), pp. 73-120.

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salmente ammirata. Gli studiosi, è stato scritto di recente29 (ed è pensiero che si ricollega al saluto che Paolo VI indirizzò al cardinale Tisserant in occasione dei suoi ottant’anni, come ha ricordato mons. Cesare Pasini ad inizio del convegno), somigliano più di quanto non si creda agli esuli della Bibbia i quali, per raggiungere una inimmaginabile terra promessa, si condannano a percorrere per lunghi tempi le vie riarse delle inchieste e della ricerca, correndo il rischio di perdere, se non proprio il traguardo, di certo le oasi per un momento di pausa e per il sospirato refrigerio; questo perché gli studi ad alto livello sollecitano indagini meticolose nei fondi di archivio, ingiungono riscontri di carte e confronti con pubblicazioni di difficile lettura, per cui si è costretti spesso a doversi muovere su uno scacchiere posto ben oltre i limiti della propria città, della propria nazione, del proprio continente. Chi mi ha preceduto ha potuto meglio valutare nello specifico il significato scientifico delle pubblicazioni della Vaticana, apprezzare quale sia stata la testimonianza per il progresso della nostra cultura, approfondire lo spessore umano degli studiosi che si sono in questi anni avvicendati e il loro costruttivo e rispettoso confronto di idee e posizioni. Dallo scrutinio da me operato su questo settore particolare di ricerca, la Vaticana ha dimostrato anche attraverso l’editoria, e mi auguro continui a farlo nel prosieguo della sua storia gloriosa, di essere testimone importante nel diffondere la cultura sempre a servizio del progresso delle scienze storiche in generale. Ma a fronte di questo enunciato mi interrogo sul destino del libro stampato versus i rapidi progressi dell’informazione multimediale, sulla formazione di “biblioteche digitali”30, sui vari dispositivi di letture, sulla fortuna delle edizioni critiche digitali31, sull’irresistibile ascesa dell’ebook 29 Riprendo R. L. GUIDI, Fratel Enrico Trisoglio: un uomo, un maestro, in E. TRISOGLIO, San Gregorio di Nazianzo. Un contemporaneo vissuto sedici secoli fa, a cura di R. L. GUIDI – D. PETTI, Cantalupo (TO) 2008 (Studia Taurinensia, 26), p. 47. 30 Di grande interesse è Digital Scriptorium: Now and Tomorrow, un prezioso strumento per l’accesso ad alcune delle collezioni manoscritte più importanti degli Stati Uniti, condotto da Consuelo W. Dutschke (Rare Books and Manuscripts Library, Columbia University, New York), su cui vd. ora F. TONIOLO, Miniatura on-line, in Rivista di storia della miniatura 14 (2010), pp. 214-216. Sulle modalità finalizzate alla conservazione digitale dei documenti mediante l’ausilio delle nuove tecnologie gestionali dell’informatica vd. anche il recente lavoro di G. MANZANO, Conservare il digitale. Metodi, norme, tecnologie, Milano 2011. 31 Vd. ora, ad esempio, tra i numerosi titoli: V. LOMIENTO, Codifica e trattamento automatico dei dati nelle discipline umanistiche, Bari 2004 (Guide. Temi e luoghi del mondo antico, 16); Poesia latina nuova e filologia. Opportunità per l’editore e per l’interprete. Atti del Convegno internazionale. Perugia, 13-15 settembre 2007, a cura di L. ZURLI – P. MASTANDREA, Roma 2009 (con la relazione introduttiva di P. FEDELI, Verso l’edizione critica elettronica: alcune riflessioni, pp. 1-15); P. CHIESA, Sul controllo filologico delle edizioni critiche digitali, in Filologia mediolatina 17 (2010), pp. 325-346; M. DI MARCO, Il latino dopo l’avvento dell’informatica, in

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o dell’iPad32, approdi, confessiamolo, ormai inevitabili e quanto mai utili per facili e veloci ricerche (con la sparizione della dimensione fisica del libro e con la drastica riduzione dell’ingombro nelle biblioteche)33; “Quintiliano avrebbe amato l’iPad?” si domanda provocariamente Armando Massarenti34; sempre di più mi preoccupano l’integralismo tecnologico, coloro che sposano il progresso per forza, coloro che tentano di liberare il libro dai vincoli delle pagine. Sposo in pieno, insomma, il pensiero di James H. Billington bibliotecario della Library of Congress35. Voglio, perciò, esser ancora nella condizione di poter condividere quanto Francesco Petrarca scriveva intorno al 1436 a Giovanni dell’Incisa (Anchiseo) in merito alla librorum inquisitio (fam. 3.18.3 [17-22]): “Libris satiari nequeo. Et habeo plures forte quam oportet sed sicut in ceteris rebus, sic in libris accidit: quaerendi successus avaritie calcar est. Quinimo, singulare quiddam in libris est: aurum, argentum, gemme, purpurea vestis, marmorea Il nostro Latino: risorse del latino e latino come risorsa. Atti del Convegno, Roma, Biblioteca Angelica, 5 maggio 2008, a cura di C. FINI – M. PANETTA, Roma 2010, pp. 29-44; Les historiens et l’informatique. Un métier à réinventer. Études réunies par J.-PH. GENET – A. ZORZI, Rome 2011 (Collection de l’École française de Rome, 444). Ricca di spunti è stata la relazione di R. ANTONELLI, Il testo fra autore e lettore presentata a Roma (Accademia Nazionale dei Lincei) il 2 febbraio 2011 in occasione dell’apertura del Convegno Internazionale Fra autore e lettore: la filologia romanza nel XXI secolo fra l’Europa e il mondo. 32 Non posso non indicare che proprio il 2 febbraio di quest’anno a New York, così apprendo dai giornali, è stato illustrato The Daily, il primo quotidiano pensato e distribuito solo per l’iPad. A presentarlo, al Guggenheim Museum, è stato Rupert Murdoch, numero uno di News Corp ed editore, tra gli altri, di importanti quotidiani come il Wall Street Journal, il New York Post ed il Times di Londra; con lui, uno dei dirigenti della Apple, Eddy Cue, vice presidente per i servizi internet. Gli investimenti iniziali sono stati stimati in 30 milioni di dollari circa. Il direttore si chiama Jesse Angelo e viene dal New York Post e il quotidiano ha uffici a New York e a Los Angeles. Tra i cento giornalisti assunti molti sono ex blogger. The Daily verrà aggiornato solo poche volte al giorno e verrà “consegnato” sull’iPad, attraverso iTunes, ogni mattina, al costo di 99 centesimi a settimana o 40 dollari all’anno, e secondo le stime dovrebbero essere circa 800 mila gli utenti “fissi”. Gli articoli, divisi in sei sezioni principali, non saranno solo testuali, ma saranno corredati da immagini e video. Non mancheranno, poi, i contenuti interamente multimediali e una funzione per la audio-lettura delle notizie. Aggiungo, inoltre, che domenica 27 novembre 2011 a Roma, presso il Centro Bibliografico dell’Ebraismo Italiano “Tullia Zevi”, si è svolto il Convegno Dalle rotative all’iPad: tradizione e futuro nella stampa ebraica. 33 A proposito del “futuro dell’editoria digitale” ricordo che il 3 febbraio 2011 a Milano presso l’Hotel Nhow si è tenuto il primo workshop internazionale (If book then) ideato e realizzato da Bookrepublic e 4IT Group, rivolto ad editori, autori, agenti letterari, distributori, librai e tutti coloro che lavorano nella filiera editoriale, a cui ha partecipato, tra gli altri, Peter Brentley, direttore esecutivo di “The Digital Library Federation” (cfr. anche il sito http://www. ifbookthen.com). Vd. da ultimo anche S. FERRI, I difetti dell’ebook, in Il Sole 24 Ore, domenica 9 ottobre 2011, p. 30. 34 In Il Sole 24 Ore, domenica 27 marzo 2011, p. 28. 35 Ripreso da A. OLSCHKI, Memorie digitali: rischio estinzione, in La Bibliofilía 106 (2004), p. 91.

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domus, cultus ager, picte tabule, phaleratus sonipes, ceteraque id genus, mutam habent et superficiariam voluptatem; libri medullitus delectant, colloquuntur, consulunt et viva quadam nobis atque arguta familiaritate iunguntur”36 (“Non riesco a saziarmi di libri. E sì che ne posseggo un numero probabilmente superiore al necessario; ma succede anche coi libri come con le altre cose: la fortuna nel cercarli è sprone a una maggiore avidità di possederne. Anzi coi libri si verifica un fatto singolarissimo: l’oro, l’argento, i gioielli, la ricca veste, il palazzo di marmo, il bel podere, i dipinti, il destriero dall’elegante bardatura, e le altre cose del genere, recano con sé un godimento inerte e superficiale; i libri ci danno un diletto che va in profondità, discorrono con noi, ci consigliano e si legano a noi con una sorta di familiarità attiva e penetrante”37). Sono certo che ben congruente risulterebbe anche con le pubblicazioni della nostra istituzione quanto ebbe a scrivere un Maestro recentemente scomparso, il quale, ponendosi quelle stesse domande che anche io e forse tutti noi quotidianamente ci poniamo, rimaneva convinto che, sfogliando un libro correttamente pubblicato, subito si avverte come le sue pagine e le sue immagini continuino ad offrire un indispensabile sussidio per coloro che si adoperano a tener viva e a perfezionare un’attività di studio, che, al pari delle opere del genio e dell’ingegno a cui quelle stesse pagine sono specificamente rivolte, concede necessario alimento alla nostra humanitas38. Non per nulla proprio nel 2010 è stato riproposto per le cure di Stephan Füssel il prezioso Manuale tipografico di Giambattista Bodoni nella ristampa postuma del 1818 basato sulla prima edizione del 1788, tipografo che, enunciando il suo programma, affermava che l’unità 36

Ed. ROSSI I (1933), p. 139. Francesco Petrarca: lettera a Giovanni Anchiseo, Milano 1967, pp. 15-16. 38 G. PUGLIESE CARRATELLI, Il libro non verrà mai meno, in La città e la parola scritta, Milano 1997, pp. 465-466 [cfr. anche Boll. Arte 93 (2008) [2009], pp. v-vi). Su questo pensiero vd. ora A. MARCONE, Giovanni Pugliese Carratelli (Napoli 1911 – Roma 2010), in Rivista storica italiana 122 (2010), p. 788. Segnalo anche la recente disamina di A. SPADARO, Il volto del libro. Tra «giudizio critico» e «giudizio universale», in La Civiltà Cattolica 2011, III (quaderno 38673868 [6-20 agosto 2011]), pp. 266-276. A questo proposito non posso fare a meno di ricordare la meritoria attività di Robert Darnton, Direttore della Biblioteca Universitaria di Harvard, e, soprattutto, il suo saggio Il futuro del libro, trad. di A. BOTTINI, Milano 2011 (Saggi. Nuova serie, 67) [tit. originario: The Case for Books: Past, Present, and Future, New York 2009]. L’illustre studioso proprio nei giorni 6-8 giugno è stato “keynote speaker” al secondo forum mondiale della cultura Unesco «Il libro domani: il futuro della scrittura», ospitato nella villa reale di Monza, dove si è discusso in merito all’economia dell’ebook e all’editoria digitale in rapporto a quella tradizionale. Di Darnton vd. anche lo stralcio della sua illuminante lezione Libri & lettura presentata a Milano il 6 giugno in occasione del ciclo di conferenze Pensiero digitale. Leggere e scrivere nel terzo millennio pubblicata in Il Sole 24 Ore, domenica 5 giugno 2011, pp. 10-11. Vd. ora anche G. MARZANO, Conservare il digitale. Metodi, norme, tecnologie, Milano 2011. 37

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del progetto, l’accuratezza, la pulizia, il buon gusto e l’eleganza dovevano essere il fondamento per la bellezza del carattere a stampa; oppure proprio in questo anno Alexandre Dumas de Rauly e Michel Wlassikoff con prefazione di Étienne Robial hanno dedicato una interessante monografia (Futura. Une gloire typographique, Parigi 2011) sulla fortuna culturale avuta dal carattere tipografico Futura diffusosi con l’appellativo Europa ideato dall’artista e tipografo tedesco Paul Renner nel 1927; e contemporaneamente hanno visto la luce il libro di Andrea De Pasquale La fucina dei caratteri di Giambattista Bodoni (Mirabilia Palatina, 3) ed il bel romanzo storico Il maestro di Garamond della scrittrice Anna Cuneo, un affascinante e ben documentato sopralluogo ai primordi della stampa. Dal 22 marzo al 3 luglio di quest’anno, infine, abbiamo potuto godere del fascino emanato dalla mostra “Gallimard 1911-2011. Un siècle d’édition” (curata da Virginie Meyer e Alban Cerisier), tenutasi a Parigi presso la Bibliothèque de France per ricordare la prestigiosa figura di Gaston Gallimard, la sua casa editrice e la collana della “Pléiade”39. Si continui, pertanto, a varcare la porta magica della nostra biblioteca, vera e propria “porta della conoscenza”40, si continui ad insistere in questa oasi, tappa privilegiata e naturale refrigerio del lungo e faticoso iter della conoscenza, si continui a dialogare con gli scaffali, si continui ad aggirarsi tra le pieghe dei fogli di un manoscritto o delle pagine di uno stampato, si continui ad interrogare il passato per cercare di migliorare il nostro futuro: come ha sempre fatto, la Vaticana, una sorta di grande teatro della memoria41, in cui quel cultus e quella humanitas di cui parlava Cesare ad esordio del De bello Gallico felicemente si sposano, cercherà anche con il suo programma editoriale, quale testimone delle vicende e delle speculazioni intellettuali dell’uomo, di offrire solidi ancoraggi e sicuri strumenti a coloro che, isolandosi con tranquillità d’animo e riposo della mente dal mondo esterno, avranno il desiderio di scrutinare e scandagliare il suo irripetibile patrimonio documentario.

39 Vd. S. LUZZATTO, Gallimard, il secolo in veste bianca, in Il Sole 24 Ore, domenica 15 maggio 2011, p. 12. 40 Riprendo dal titolo del recente volume (The Gate of Knowledge. Philosophical Hall of the Strahov Library, Prague 2010) che ci consegna la guida alla magnifica biblioteca del monastero di Strahov (Praga). 41 Vd. C. GUIDUCCI BONANNI, La memoria è il futuro dei libri, a cura di L. NANNIPIERI, Pisa 2011.

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CONCLUSIONI Il tema di questo nostro convegno era unitario e ben delimitato: due aspetti precisi attorno alla Biblioteca Apostolica Vaticana, il suo essere un luogo di ricerca e il suo porsi al servizio degli studiosi, con un arco temporale limitato agli ultimi cinquanta/sessanta anni; tuttavia ogni intervento ha trattato il tema in una prospettiva diversa e anche i limiti cronologici sono stati spesso superati e ciò conduce già a rilevare che la varietà è stata certamente una caratteristica del nostro incontro. Anche la difficoltà di svolgere il proprio tema nella mezz’ora programmata è stata lamentata da molti, segno probabilmente che i temi assegnati erano tutti importanti e impegnativi. Una varietà significativa, dunque. Mi perdonerete allora se non farò, come talvolta capita nelle conclusioni dei convegni, un resoconto di quanto è stato detto per ogni disciplina; sarebbe un riassunto inadeguato e inutile, anche perché voi tutti avete già ascoltato i relatori; cercherò piuttosto di individuare alcune linee comuni, attorno alle quali, se possibile, trarre qualche conclusione. Premetto che discutendo tra noi e progettando questo convegno, ci eravamo detti di voler evitare ogni aspetto celebrativo, o peggio auto-celebrativo. Ma dall’insieme delle relazioni una qualche celebrazione è pur arrivata. Tanti aspetti positivi sono stati messi in rilievo e molti elogi sono stati fatti alla Vaticana. E questo non può che farci piacere, ovviamente. Ma vengo subito ad alcune note costanti, praticamente ribadite in tutte le relazioni della prima parte, che anche voi avrete notato: la ricchezza delle collezioni e la funzione determinante dell’attività editoriale. Le collezioni, anzitutto. Del senso di ammirazione che si prova davanti a quanto raccolto in Vaticana abbiamo sentito sin dall’inizio, in una citazione di Paolo VI che Mons. PASINI ha richiamato; e di ricchezza del patrimonio hanno parlato tutti, ciascuno per la disciplina di cui si è occupato; una ricchezza fatta certo di quantità (PAOLO VIAN ha parlato di “gigantismo”), ma anche di qualità. Quanti codices unici o quanti testimoni che si trovano nelle prime righe di uno stemma codicum ha ricordato MARIO DE NONNO trovarsi nell’ambito della filologia classica, e quanti per gli studi bizantini ricordati da PETER SCHREINER, e osservazioni simili abbiamo La Biblioteca Apostolica Vaticana luogo di ricerca al servizio degli studi, Città del Vaticano 2011 (ST 468), pp. 569-576.

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ascoltato praticamente per ogni disciplina fino a sentirci dire da ROBERTO ANTONELLI, e giustamente, che senza alcuni dei codici che conserviamo la poesia italiana del ‘200 sarebbe nota solo a metà, o da VALENTINO PACE che la storia della miniatura non si potrebbe scrivere senza la Vaticana, o da ELISABETH KIEVEN che il barocco romano ed europeo non si capirebbe senza i fondi archivistici Chigiani. Accanto all’ammirazione di Paolo VI, che noi tutti condividiamo, personalmente provo anche un’altra, apparentemente opposta, sensazione, che vi devo confessare. Come ogni studioso, anch’io ho una certa conoscenza nell’ambito dei miei studi e, più o meno vagamente, controllo anche altri temi. Ma devo dirvi che talvolta, attraversando i lunghi corridoi dei nostri depositi, mi imbatto non in un libro, ma in un’intera parete di libri dei quali non capisco nemmeno il titolo, perché trattano argomenti di cui veramente non so nulla o perché sono scritti in una lingua che non so nemmeno quale sia; e allora provo un senso di profondo sconforto davanti alla mia ignoranza, e la ricchezza di quel che la Biblioteca conserva mi par quasi schiacciarmi. Ma questo senso, alla fine, mi riconduce di nuovo all’ammirazione, e mi fa pensare alle infinite possibilità di questa creatura umana, così fragile ma insieme così aperta, e direi anzi votata, alla conoscenza. Qui è raccolto “tutto ciò che di buono, di bello, di nobile l’uomo ha prodotto”, come anche Sua Santità Benedetto XVI ha voluto ricordarci nel messaggio inviato al congresso, sottolineando poi che nulla di quanto è veramente umano è estraneo alla Chiesa e che l’apertura all’umano non è rivolta solo al passato ma anche al presente. Le grandi collezioni, tuttavia, la quantità e la varietà di ciò che conserviamo non sono un nostro merito; sono opera dei nostri predecessori, le abbiamo ereditate senza fatica. Non basta, non basta che noi ne siamo i custodi; abbiamo il dovere, ma anche il piacere, anche il desiderio di metterle a frutto. È qui che si gioca il nostro ruolo. Quella ricchezza di materiale, lungi dallo schiacciarci con la sua mole, deve piuttosto spingerci a guardarlo, a studiarlo, a farlo studiare. Dobbiamo creare le condizioni perché tutto ciò possa avvenire. E questo si verifica anche attraverso l’attività editoriale della Biblioteca, che ho detto poco fa essere un’altra nota costante del nostro convegno. Almeno un cenno alla collana degli “Studi e testi” (che MARCO BUONOCORE ha definito “stabile ancoraggio”) è stato presente in tutte le relazioni della prima parte, e ripetutamente sono state richiamate varie altre iniziative, dai cataloghi dei manoscritti alle edizioni di facsimili, alle altre varie collane. E da ultimo ce ne ha parlato diffusamente anche MARCO BUONOCORE. La pubblicazione di libri non avrebbe senso se non si volesse “far conoscere”, se non si volessero divulgare i risultati di una ricerca o fornire strumenti

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per ricerche a venire. Questa espressione, “fornire strumenti alla ricerca”, è stata utilizzata da CATERINA TRISTANO con riferimento alle riproduzioni fotografiche che nell’ambito della paleografia hanno avuto e continuano ad avere un ruolo determinante. Ma vale anche per molto altro. Più in generale, infatti, le pubblicazioni della Vaticana hanno la pretesa non solo di dar conto di ricerche effettuate, ma vogliono svolgere un “ruolo propulsore”, vorrebbero non solo dare risposte a una domanda, ma suscitare altre domande che richiedano altre risposte, e così via, in un percorso virtuoso che conduca sempre a un accrescimento delle conoscenze. Caratteristica, in questa direzione, è la produzione dei cataloghi di manoscritti, che ogni catalogatore vorrebbe redigere in forma più ampia, perché si trova fra le mani materiale che glielo consentirebbe; qualche volta diventa davvero un esercizio quasi di “ascesi monastica” (per riprendere quel che Mons. PASINI ci ha ricordato a proposito della dedizione del ricercatore) porsi dei limiti in un catalogo, che tuttavia sono finalizzati a dare ad altri la possibilità di partire da lì per ulteriori approfondimenti; è il plurisecolare –letteralmente– dibattito sull’opportunità di redigere cataloghi di manoscritti sommari o analitici, che anche in Vaticana, come ci ha ricordato PAOLO VIAN, non è stato risolto univocamente ma con la compresenza di entrambe le modalità. Fin qui abbiamo parlato di oggetti, quelli posseduti e quelli prodotti dalla Vaticana. Ma il grande e più fecondo ambito di indagine va oltre, e raggiunge le persone. Quelle che sono legate alla nostra Biblioteca a vario titolo, da colui che fa parte dell’istituzione, al collaboratore, al frequentatore, al lettore lontano, al semplice curioso che oggi visita il nostro sito. E su questo tema abbiamo sentito riecheggiare tanti nomi che fanno parte della nostra storia, studiosi e studiose che hanno dedicato anni o addirittura decenni della loro vita a… a fare che cosa? A studiare e decifrare tratti di inchiostro in lingue che ormai nessuno più parla? A chiedersi perché mai il fascicolo di un manoscritto sia formato in un certo modo? A cercare di capire dove e quando quel foglio è stato redatto? A indagare fra le pieghe di una pergamena per vedere se c’è o no una nota di cancelleria? È questo che si fa nella nostra Biblioteca? O non è piuttosto l’incontro con altre persone, con gli uomini che quelle parole hanno scritto, che quel libro hanno rilegato, che quel foglio hanno messo sotto il torchio di stampa? Perché la biblioteca, ogni biblioteca, è un luogo di incontro tra persone lontane nel tempo e nello spazio, che tuttavia possono comunicare fra loro. Ma la Vaticana ha qualche cosa di speciale; forse è un genius loci come suggeriva AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI, una qualità particolare, come se in quel luogo, in questo luogo, si respirasse un’atmosfera diversa, un’aura, come ha detto ROBERTO ANTONELLI, che gioca un ruolo ispiratore, di scambio di

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idee e di suggestioni. E non solo con gli uomini del passato, ma anche con i nostri vicini, con gli altri frequentatori della Vaticana. E di tante connessioni, e di tanti incontri più o meno casuali fra studiosi abbiamo sentito il ricordo in questi giorni. Anche se, in realtà, forse di casualità si può parlare solo se si dà uno sguardo superficiale. Nel profondo si possono vedere strade che si incrociano perché hanno qualche punto di riferimento comune, punto di riferimento che, ancora una volta, sta in ciò che la Vaticana raccoglie e conserva. Qualche volta, mentre ascoltavo nelle relazioni i vari riferimenti all’epoca precedente quella che era a tema del nostro incontro, mi è venuto il pensiero che la sottolineatura di quel che è stato fatto nella prima metà del secolo scorso, che noi tutti consideriamo una specie di età dell’oro, fosse in realtà un segnale che noi oggi siamo solo degli epigoni, abbastanza incapaci; che i grandi lavori e le più importanti iniziative scientifiche siano state pensate e realizzate solo dai nostri predecessori; ma poi ho anche ascoltato indicazioni più confortanti. MARIO DE NONNO ha parlato di un “elenco sterminato” di lavori e di studi sulla storia del testo che hanno trovato la loro origine nella Vaticana negli ultimi cinquant’anni; ARNALDO MORELLI ha individuato i vari campi degli studi di storia della musica che hanno fornito nuove e promettenti piste di ricerca proprio negli ultimi decenni; GIANFRANCO FIACCADORI ha fatto i nomi di coloro che nella seconda metà del secolo XX hanno contribuito a ridisegnare i confini metodologici degli studi orientalistici e ha parlato di una circolazione di uomini e di idee dentro e attorno alla Vaticana; AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI ha sottolineato che la sistematicità e la riflessione sono le caratteristiche proprie delle attività della nostra biblioteca, che si distingue nella capacità non solo di intraprendere ma anche di mantenere e sostenere le iniziative di ricerca; JEAN-NOËL GUINOT ha detto che la Vaticana è un luogo di ricerca non solo perché la serve ma anche perché la suscita; VINCENZO FERA ha parlato di una progettualità della Biblioteca per la valorizzazione del suo patrimonio; IRENE FOSI ha ricordato quanto la messa a disposizione di nuove fonti susciti nuove domande; ANTONIO MANFREDI ha mostrato come la nostra Scuola di Biblioteconomia abbia disseminato conoscenze e competenze; e altro ancora. Tutto questo, ho detto, è confortante. Ma non perché questo ci faccia mettere l’animo in pace (e non sto qui a dirvi del senso di inadeguatezza che provo quando penso a tanti miei predecessori scriptores e Vice Prefetti!) ma anzi perché questi esempi ci spronano e ci invitano pressantemente a darci da fare anche noi. E quanto ci sarebbe da dire su questo nostro “darci da fare”. Alcuni esempi li abbiamo sentiti, alcuni progetti sono alle porte o già in corso. Dalla catalogazione degli incunaboli del progetto BAVIC di cui ci ha parla-

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to ADALBERT ROTH, alle prospettive di studio che nascono dai nostri progetti nell’ambito della fotografia, e abbiamo visto — IRMGARD SCHULER ce lo ha mostrato questa mattina — quali meraviglie si possono realizzare con le nuove tecnologie digitali. Nuove tecnologie: quanto siano ormai non solo utili ma indispensabili in Biblioteca ce lo hanno detto LUCIANO AMMENTI e PAOLA MANONI, del Coordinamento dei Servizi Informatici della Vaticana, un ufficio che contribuisce in modo determinante non solo alla gestione ma anche al rinnovamento che consente di mantenerci adeguati a ciò che ci viene richiesto. Tanto potremmo ancora dire, tanti pensieri suscitati dal nostro convegno. Ma cerco ora di arrivare a qualche conclusione proponendo due antinomie che mi sono sembrate in un certo senso il “succo” scaturito dai discorsi di queste giornate: quella tra uso e conservazione e quella tra ricerca e divulgazione. Spesso i bibliotecari, anche se meno degli archivisti, sono accusati di essere troppo “gelosi” del materiale che custodiscono, e di volerselo quasi tenere per sé, rendendo difficile o addirittura impossibile il loro uso ad altri, percepiti come “estranei”. Ebbene, anche da quanto è emerso da questo convegno, mi pare di poter affermare che la Biblioteca Apostolica Vaticana è, sì, “gelosa” del patrimonio che custodisce; anzi, molto gelosa: prova ne è il fatto che non se ne vuole in alcun modo separare e fa di tutto per conservarlo, e nel migliore dei modi, come abbiamo sentito da MARTA GRIMACCIA a proposito delle attività del laboratorio di restauro. Ma questa gelosia ha una motivazione, che coincide con la sua finalità: la Vaticana vuole infatti continuare a conservare bene il proprio materiale con un fine preciso, che è quello di poterlo mettere oggi e domani a disposizione di chi sia interessato. E ben venga dunque questa gelosia: se non ci preoccupassimo di conservare con cura, direi quasi di manutenere, i nostri libri e i nostri oggetti, difficilmente riusciremmo a trasmetterli alle prossime generazioni. Non si tratta di un patrimonio privato a nostra disposizione, ma di qualcosa che appartiene all’umanità intera e verremmo meno a un impegno importante se non ce ne curassimo. Questo emerge con chiarezza dalla nostra storia, sia da quella antica sia da quella degli ultimi decenni dei quali ci siamo occupati in questi giorni; e molti relatori lo hanno ricordato. Non possiamo disperdere o lasciar deperire ciò che il passato ci ha trasmesso, perché dobbiamo a nostra volta trasmetterlo al futuro. Ben venga dunque quella “gelosia” che ci spinge in questa direzione. I libri tuttavia sono vivi solo se vengono letti e, se così non è, una biblioteca si trasforma in un deposito di cadaveri, mentre la nostra Biblioteca non è affatto “un cimitero”, come ancora il Prefetto ci ricordava citando Paolo VI.

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Non possiamo rinunciare a utilizzare, cioè a studiare con ogni cura, quel che abbiamo sotto gli occhi e i nostri predecessori ci hanno trasmesso; oggi è infatti insieme il passato di domani e il futuro di ieri. Anche noi siamo “nel futuro”, e abbiamo il diritto (vorrei quasi dire il dovere) di migliorare le nostre conoscenze, di profittare delle testimonianze dell’ingegno, del lavoro, della fede, della passione, della fantasia delle generazioni che ci hanno preceduto. Ma questo pone un problema, perché l’utilizzazione stessa di ciò che conserviamo, anche se fatta con la massima attenzione e cura, si traduce inevitabilmente, talvolta più talvolta meno, in un “consumo”, in un’accelerazione del deperimento (che, in ogni caso, dobbiamo ricordarlo, è insito in tutto ciò che appartiene a questo mondo). Faccio un solo esempio, che ci coinvolge tutti. Un manoscritto o uno stampato si conserva bene e molto a lungo in alcune condizioni ambientali, che riguardano la luce, la temperatura e l’umidità. Nel deposito dei manoscritti della Vaticana, dove c’è buio, la temperatura è attorno ai 18-20 gradi centigradi e l’umidità relativa è al 50%, i nostri codici stanno benissimo; se potessimo lasciarli così durerebbero ancora per molti e molti secoli. Se li prendiamo anche semplicemente per leggerli, abbiamo bisogno di luce, e noi stessi siamo stufette umidicce a 36°C; in pratica non rispettiamo nessuna delle tre condizioni ambientali ottimali. Insomma, anche la Biblioteca Vaticana si trova davanti al perenne e costante problema di ogni biblioteca: quello di trovare un giusto equilibrio tra conservazione (e dunque possibilità di trasmissione) di ciò che conserva e l’uso (e dunque il consumo) del proprio patrimonio. Si tratta ovviamente di un problema alla lunga irresolubile, e non possiamo immaginare una “immortalità” per i nostri libri, e nemmeno per le nostre medaglie o monete, di cui tanto ci hanno raccontato ERMANNO ARSLAN e GIANCARLO ALTERI, che essendo di metallo dureranno più a lungo. Nella ricerca di un equilibrio, le tecnologie moderne possono contribuire a indicare una strada percorribile, che renda possibile quello che possiamo definire uno “sviluppo sostenibile”. In questa direzione si muove ad esempio la realizzazione di copie fotografiche di cui ci ha parlato IRMGARD SCHULER, copie arrivate a un tal grado di raffinatezza che consentono non solo una precisa replica dell’originale ma perfino, per così dire, un suo miglioramento, quando attraverso la strumentazione digitale si può andare oltre quello che gli occhi mostrano al naturale: ingrandimenti impensabili con una lente, possibilità di lettura che supera i danni del tempo, che va oltre le macchie di acido, che fa vedere ciò che altri avevano cancellato. È una prospettiva ormai attuale quella di poter studiare un manoscritto anche attraverso una loro buona copia digitale: se ad esempio posso effet-

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tuare la lettura e la trascrizione di un testo utilizzando la copia e prendere in mano l’originale solo per lo studio codicologico o per qualche controllo finale, avrò “consumato” di meno quel manoscritto e gli avrò, per così dire, allungato la vita. Immaginiamo tutto questo moltiplicato per i nostri manoscritti e per i nostri studiosi. Si tratta solo di un esempio, ma forse può indicarci una conclusione che possiamo trarre da questo convegno, con una risposta a quella prima antinomia di cui ho detto, quella tra uso e conservazione. E veniamo alla seconda antinomia, il dilemma tra la ricerca e la divulgazione, in altre parole tra l’approfondimento e la diffusione delle conoscenze. Fin quando si parla di divulgazione attraverso l’attività editoriale, non pare si pongano molti problemi; da più di un secolo la Biblioteca pubblica libri, e personalmente sono molto interessato alla questione, perché, come sapete, al Vice Prefetto è affidata la guida della Commissione editoriale della Vaticana e dunque in qualche modo è lui a essere il responsabile delle pubblicazioni; e so bene quanto tempo e quanto impegno questo incarico richieda. Anche la divulgazione attraverso le copie non pone troppi problemi; anche questa è un’attività antica, e abbiamo sentito richiamare in questi giorni i casi di Bernard de Montfaucon e di Charles Burney che nel XVIII secolo avevano avuto il permesso di trarre copie dai nostri manoscritti, e da più di un secolo sono in uso gli strumenti fotografici; ho detto che non pone troppi problemi, ma qualcuno ne ha posto negli anni scorsi, quando si è dovuto riprendere più volte un codice per fotografarlo ogni volta con sistemi nuovi (prima in bianco e nero, poi a colori, poi con apparecchi digitali), oppure per fotografare particolari o pagine intere, a seconda dei diversi interessi dei richiedenti. Oggi una migliore organizzazione del lavoro consente di fotografare una sola volta, e poi di trarre eventuali particolari dalla riproduzione stessa, senza più riprendere l’originale. Diverso è invece il discorso quando ci riferiamo ad attività che a prima vista non sono caratteristiche della nostra Biblioteca, come l’attività espositiva di cui ci ha riferito AMALIA D’ALASCIO. A dire il vero, anche questa fa parte della storia della Vaticana, visto che a più di un secolo fa risale la mostra che si allestì nel Salone Sistino in occasione del centenario della morte di Gregorio Magno. Ma oggi certamente quest’attività è molto cresciuta. E lo stesso problema si pone anche quando si decide, come è successo con l’avvio della serie di volumi sulla storia della biblioteca, di realizzare pubblicazioni che abbiamo definito di divulgazione, anche se di “alta” divulgazione.

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La sfida è difficile: si tratta di trovare un linguaggio comprensibile anche a chi non è direttamente addetto ai lavori senza perdere i contenuti, senza diluirli fino a farli scomparire. La mostra che si è inaugurata in questi giorni al Braccio di Carlo Magno, che molti di noi hanno già visitato, è intitolata significativamente “Conoscere la Biblioteca Vaticana” perché in realtà è proprio la conoscenza quella che ci sta a cuore, ma ci rendiamo anche tutti conto che la conoscenza non può essere separata dalla sua comunicazione. Per tentare una risposta anche all’antinomia tra ricerca e divulgazione mi pare che si debba ancora riflettere su quanto è più volte emerso in questo convegno. Lo stato degli studi superiori e universitari e il generale regresso delle discipline umanistiche che PAOLO VIAN ha posto fra le probabili cause della diminuzione dei frequentatori della Vaticana negli ultimi decenni non può certo essere contrastato dalle biblioteche di ricerca, che sono solo il punto di arrivo finale; è piuttosto compito delle scuole e delle agenzie educative di ogni grado. Ma avvicinare gente lontana, che non sa con precisione nemmeno che cosa sia una biblioteca, e tanto meno una biblioteca di ricerca come la nostra, mostrare ai ragazzi e ai giovani studenti che cosa siamo, indicare loro la possibilità di più profondi sviluppi del pensiero e della conoscenza, forse questo può contribuire, anche se in forma ridotta, a diffondere una sensibilità e una consapevolezza che potranno portare frutti in futuro; e forse questo può essere fatto proprio da una biblioteca, e ancor meglio dalla nostra biblioteca. Come avrete capito, non ho una vera risposta da offrirvi. In altre occasioni mi è capitato di dover trarre le conclusioni di un convegno; e spesso ho concluso con un punto interrogativo. Consentitemi di fare così anche oggi. Non potrebbe anche questo metodo della “divulgazione” contribuire a far cambiare rotta a quello che MARIO DE NONNO ha definito “disincentivante atteggiamento odierno” verso gli studi umanistici?

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INDICI a cura di

Marco Buonocore Maria Gabriella Critelli Ambrogio M. Piazzoni

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INDICE DEI MANOSCRITTI E DELLE FONTI ARCHIVISTICHE

Alba Iulia, Biblioteca Batthyáneum ms. R.II.1 217, 250 tav. III Athenai, Εθνική Βιβλιοθήκη της Ελλάδος ms. 1 36 Bamberg, Staatsbibliothek ms. Lit. 1 patr. 61 (HJ.IV.15)

221 34

Bari, Museo Diocesano e Cattedrale Exultet 3

110

Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz lat. 4° 364 29 lat. fol. 416 89 lat. Qu. 364 91 theol. lat. fol. 485 95 Bologna, Biblioteca Universitaria 2412

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Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Angelini 356, 358, 387 Arch. Barb. 354, 372, 373, 374, 388 Arch. Barb. Colonna di Sciarra 373 Arch. Barb. Computisteria 86 498 tav. XIII Arch. Bibl. 26 53 Arch. Bibl. 115 A 3, 7 Arch. Bibl. 117 383, 387 Arch. Bibl. 118 383 Arch. Bibl. 118 A 383 Arch. Bibl. 118 B 383 Arch. Bibl. 118 C 383 Arch. Bibl. 118 D 383 Arch. Bibl. 118 E 383 Arch. Bibl. 120 478 Arch. Bibl. 121 383 Arch. Bibl. 162 357, 359 Arch. Bibl. 195 H 459 Arch. Bibl. 204 3, 5 Arch. Bibl. 211 3-4 Arch. Bibl. 224 452 Arch. Bibl. 237 452, 453

Arch. Bibl. 252 550 Arch. Bibl. 254 550, 551 Arch. Bibl. 262 460 Arch. Cap. S. Maria Regina Coeli 373 Arch. Cap. S. Pietro [Arch.] 372, 373, 556 Arch. Cap. S. Pietro [Mss.] 131, 366, 388 Arch. Cap. S. Pietro A.1 224 Arch. Cap. S. Pietro A.24 235 Arch. Cap. S. Pietro A.25 235 Arch. Cap. S. Pietro A.26 235 Arch. Cap. S. Pietro A.27 235 Arch. Cap. S. Pietro A.29 367 Arch. Cap. S. Pietro B.63 237, 265 tav. XVIII Arch. Cap. S. Pietro B.66 238 Arch. Cap. S. Pietro B.72 507, 519 tav. VII Arch. Cap. S. Pietro B.76 241 Arch. Cap. S. Pietro B.78 246 Arch. Cap. S. Pietro B.79 (Antifonario della Basilica di S. Pietro) 120, 275, 290 tav. I Arch. Cap. S. Pietro B.80 279 Arch. Cap. S. Pietro C.105 126 Arch. Cap. S. Pietro C.107 126 Arch. Cap. S. Pietro C.108 75 Arch. Cap. S. Pietro C.110 231 Arch. Cap. S. Pietro C.129 240, 268 tav. XXI Arch. Cap. S. Pietro C.132 243 Arch. Cap. S. Pietro D.182 (Ilario Basilicano) 100-101, 127 Arch. Cap. S. Pietro E.15 240 Arch. Cap. S. Pietro F.11 275 Arch. Cap. S. Pietro F.18 231, 275 Arch. Cap. S. Pietro F.22 275 Arch. Cap. S. Pietro G.3 246 Arch. Cap. S. Pietro H.25 30 Arch. Chig. 372, 373, 374 Arch. Circolo S. Pietro 373 Arch. Colonna 372 Arch. Costaguti 372 Arch. F.U.C.I. 352, 373, 388 Arch. Frascati 373 Arch. Gatti 352, 356, 389

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Arch. Martire 373 Arch. Patetta 556 Arch. Salviati 372, 556 Autogr. Ferr. 364, 549 Autogr. Paolo VI 356, 364, 549 Autogr. Patetta 376, 388 Barb. gr. 129, 353, 354, 355, 356 Barb. gr. 1-163 363, 543 Barb. gr. 164-281 363, 544 Barb. gr. 167 56 Barb. gr. 181 56 Barb. gr. 192 56 Barb. gr. 242 56 Barb. gr. 320 214 Barb. gr. 325 54 Barb. gr. 329 54 Barb. gr. 372 (Salterio barberini) 214 Barb. gr. 520 228 Barb. gr. 584 56 Barb. lat. 129, 353, 354, 355, 356, 366, 370 Barb. lat. 1-2 87 Barb. lat. 1-150 544 Barb. lat. 160 109 Barb. lat. 311 244 Barb. lat. 570 86, 218-219, 252 tav. V Barb. lat. 587 (Bibbia di S. Cecilia in Trastevere) 78, 223, 256 tav. IX Barb. lat. 592 (Exultet di Montecassino) 109, 120, 224 Barb. lat. 613 (Bibbia di Belbello) 85, 369 Barb. lat. 1262 235 Barb. lat. 2724 (Chronicon Vulturnense) 74, 107, 227 Barb. lat. 3953 205, 240 Barb. lat. 4076 240 Barb. lat. 4077 240 Barb. lat. 4406 215, 223 Barb. lat. 4407 215 Barb. lat. 4424 465 Barb. lat. 4882 198 Barb. or. 307, 353, 354, 355, 356, 366 Bonc. 353, 366 Borg. ar. 112 371, 436 Borg. ebr. 366 Borg. gr. 27 228 Borg. ill. 12 562 Borg. ind. 388 Borg. lat. 366 Borg. lat. 425 (Messale di Alessandro VI) 119-120

Borg. mess. 1 (Codex Borgia) 85 Borg. sir. 310-311 Borg. sir. 39 132, 310 Borg. sir. 54 371 Borg. sir. 55 371 Borg. sir. 60 132, 311 Borg. sir. 135 371 Borg. sir. 165 371 Borgh. 353, 363, 366, 545, 552 Borgh. 26 75, 506, 517 tav. V Borgh. 130 239 Borgh. 370 235 Borgh. 372 75 Capp. Giulia 388, 545, 559, 560 Capp. Giulia I.1 281 Capp. Giulia I.2 281 Capp. Giulia I.3 281 Capp. Giulia XIII.27 277, 295-296 tavv. VI-VII Capp. Giulia XVI.1-3 232 Capp. Giulia XVII.2 245 Capp. Sistina 545, 559, 560 Capp. Sistina 14 279 Capp. Sistina 51 279 Cappon. 237 563 Cappon. 354 366 Carte Belli 356 Carte d’Abbadie 352, 356, 388 Carte Filippi 352, 356, 388 Carte Francia 356 Carte Stefani 352, 356, 388 Carte Wilmart 352, 388 Carteggi De Luca 356 Carteggi Mercati 364, 549 Carteggi Mercati f. 9529rv 165, 173-174 tavv. I-II Carteggi Mercati f. 12271r 166, 175 tav. III Carteggi Toniolo 356 Carteggi Villari 356, 388 Cerulli et. 316, 356, 364, 548 Cerulli pers. 316, 356 Chig. 55, 353, 355, 356, 366 Chig. A.IV.5 109 Chig. A.IV.74 233 Chig. A.VI.164 229 Chig. B.VIII.126 75 Chig. C.VI.174 231 Chig. C.VI.177 (Breviario di Farfa) 229 Chig. C.VIII.234 277, 292-294 tavv. III-V Chig. E.V.131 235

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Chig. E.VII.206 235 Chig. E.VIII.245 367 Chig. L.IV.106 195 Chig. L.V.176 203-204 Chig. L.VI.213 202-203 Chig. L.VIII.296 80, 246 Chig. L.VIII.305 201, 204 Chig. M.VI.137 244 Chig. M.VIII.158 242 Chig. Q.IV.10 298, tavv. X-XI Chig. Q.IV.29 286, 297 tav. IX Chig. Q.VIII.206 297 tav. VIII Chig. R.VI.41 51 Comb. 129, 356, 358, 363, 389, 546 Comp. Ott. 352, 372, 388 De Marinis 352, 354, 388 Dep. A-E 360, 376, 387 Dep. B 388 Ferr. 366, 388, 546 Ferr. 1-977 546 Ferr. 737-977 363 Indirizzi 374-375, 377 Lasc. Pastor 352, 388 Lasinio 352, 356, 388 Microf. 388 Moschetti 352, 356, 389 Neofiti 307, 366 Neofiti 1 (Targum palestinese) 124, 464 Neofiti 55 132, 137, 301 Not. Orange 373 Ott. gr. 55, 354 Ott. gr. 39 126 Ott. gr. 398 132, 135 Ott. gr. 448 125 Ott. lat. 354, 366, 552 Ott. lat. 62 241 Ott. lat. 74 (Evangeliario di Enrico II) 86-87, 220-221, 225, 253 tav. VI Ott. lat. 119 235 Ott. lat. 269 244 Ott. lat. 296 226 Ott. lat. 356 231 Ott. lat. 1406 108 Ott. lat. 1420 239, 266 tav. XIXa Ott. lat. 1448 492 Ott. lat. 1549 518 tav. VI Ott. lat. 1661 168 Ott. lat. 1732 167 Ott. lat. 1829 32 Ott. lat. 2057 487 e tav. VII Ott. lat. 2110 244

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Ott. lat. 2229 359 Ott. lat. 3029 453 Ott. lat. 3112-3119 282 Ott. lat. 3133 235 P.I.B. 356, 358, 387 P.I.O. 356, 358, 386 Pagès 356, 358, 386 Pal. gr. 55, 354, 356, 557 Pal. gr. 4 54 Pal. gr. 46 54 Pal. gr. 138 54 Pal. gr. 248 54 Pal. gr. 371 56 Pal. gr. 381 563 Pal. gr. 381 B 214 Pal. gr. 431 (Rotolo di Giosué) 118, 214, 453, 460 Pal. lat. 354, 356, 366, 367, 557 Pal. lat. 3-5 (Bibbia atlantica palatina) 223 Pal. lat. 5 78 Pal. lat. 24 29, 90, 94-97, 115 tav. I Pal. lat. 46 218 Pal. lat. 50 (Evangeliario di Lorsch) 85, 118, 217 Pal. lat. 68 135 Pal. lat. 110 243 Pal. lat. 112 243 Pal. lat. 143 119 Pal. lat. 187 104 Pal. lat. 506 243 Pal. lat. 537 241, 269 tav. XXII Pal. lat. 621 235 Pal. lat. 622 235 Pal. lat. 623 235 Pal. lat. 624 235 Pal. lat. 625 235 Pal. lat. 626 235 Pal. lat. 629 235-236, 263 tav. XVI Pal. lat. 830 492 Pal. lat. 871 (Biblia pauperum) 118 Pal. lat. 899 (Historia Augusta del Petrarca) 31 Pal. lat. 909 107 Pal. lat. 921-1078 367 Pal. lat. 927 230 Pal. lat. 1071 232-233 Pal. lat. 1079-1339 367 Pal. lat. 1340-1458 367 Pal. lat. 1341 221 Pal. lat. 1362 242 Pal. lat. 1461-1914 367

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Pal. lat. 1538 239 Pal. lat. 1547 31, 43 tav. IV, 105 Pal. lat. 1564 (Corpus agrimensorum) 217 Pal. lat. 1615 30 Pal. lat. 1631 (Virgilio palatino) 22, 89, 94, 481 e tav. III Pal. lat. 1671 239 Pal. lat. 1677 239 Pal. lat. 1817-1818 367 Pal. lat. 1820 32 Pal. lat. 1822 367 Pal. lat. 1876 367 Pal. lat. 1890-1897 367 Pal. lat. 1967 195 Pal. lat. 1993 242 Pantheon 373 Pap. Bodmer 356 Pap. Bodmer VIII (P72) 122, 355 Pap. Bodmer XIV-XV (P75) 122, 123, 355 Pap. Vat. copt. 9 128 Patetta 366, 388 Perg. Veroli 388 Perosi 355, 356 Pont. Coll. Et. 356, 358, 387 Raineri 43, 315, 356, 546 Ravalli 352, 356, 389 Reg. gr. 55, 354, 356 Reg. gr. 1 (Bibbia di Leone patrizio) 119, 214, 465, 563 Reg. lat. 354, 356, 366, 543, 552 Reg. lat. 9 105 Reg. lat. 12 (Psalterium Buriense) 221222, 255 tav. VIII Reg. lat. 13 109 Reg. lat. 16 234 Reg. lat. 95 127 Reg. lat. 124 217, 251 tav. IV Reg. lat. 309 112, 219 Reg. lat. 316 (Sacramentarium Gelasianum) 85, 119, 120, 121, 126, 218 Reg. lat. 317 (Missale Gothicum) 219 Reg. lat. 438 (Martirologio di Reichenau) 119, 219 Reg. lat. 441 221 Reg. lat. 538 242, 502 tav. XVI Reg. lat. 711 509, 520 tav. VIIIa-b Reg. lat. 720 463 Reg. lat. 977 235 Reg. lat. 997 514 tav. II Reg. lat. 1039 235 Reg. lat. 1283 B 29, 90-91, 95

Reg. lat. 1480 239, 463 Reg. lat. 1489 195 Reg. lat. 1500 239 Reg. lat. 1501 243 Reg. lat. 1505 (Roman de Troie) 239 Reg. lat. 1517 195 Reg. lat. 1628 239 Reg. lat. 1669 22 Reg. lat. 1703 112 Reg. lat. 1725 195 Reg. lat. 2077 96 Reg. lat. 2094 463 Ross. 56, 356, 366, 549 Ross. 3 (Modi orandi sancti Dominici) 119 Ross. 206 482 tav. IV Ross. 215 276, 291 tav. II Ross. 235 229 Ross. 276 247 Ross. 304 241 Ross. 307 235 Ross. 308 235 Ross. 379 244 Ross. 457 239 Ross. 498 464 Ross. 500 221-222 Ross. 554 246, 464 Ross. 555 464 Ross. 556 464 Ross. 595 235 Ross. 617 224 S. Anastasia 373 S. Angelo in Pescheria 373 S. Maria in Cosmedin 373 S. Maria in Via Lata 373 S. Maria Magg. 366 SS. Incarnazione 372 Urb. ebr. 354, 356, 366 Urb. gr. 56, 129, 354, 356, 357 Urb. gr. 2 214 Urb. gr. 35 34 Urb. gr. 80 56 23 Urb. gr. 82 Urb. gr. 102 36 Urb. gr. 111 35 Urb. gr. 133 56 Urb. lat. 129, 354, 356, 357, 366, 563 Urb. lat. 1-2 (Bibbia urbinate) 119, 369 Urb. lat. 3 218 Urb. lat. 10 (Evangeliario di Federico da Montefeltro) 85 Urb. lat. 11 236

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Urb. lat. 110 (Messale di Mattia Corvino) 85 Urb. lat. 159 236 Urb. lat. 165 75 Urb. lat. 293 104 Urb. lat. 355 239 Urb. lat. 356 238 Urb. lat. 365 (Dante urbinate) 453 Urb. lat. 366 205-206 Urb. lat. 458 465 Urb. lat. 585 226, 480 e tav. IIa-b Urb. lat. 597 234 Urb. lat. 603 239-240, 267 tav. XX Urb. lat. 1146 30 Urb. lat. 1154 29, 42 tav. III Urb. lat. 1370 235 Urb. lat. 1371 235 Urb. lat. 1375 235 Urb. lat. 1390 235 Urb. lat. 1415 109 Urb. lat. 1616 235 Vat. ar. 388 Vat. ar. 366 318 Vat. ebr. 129, 366 Vat. ebr. 1-115 363, 543 Vat. ebr. 7 535 Vat. ebr. 9 246 Vat. ebr. 66 464 Vat. estr.-or. 388 Vat. et. 547 Vat. et. 295-299 316 Vat. gr. 128, 356 Vat. gr. 1 34-35, 46 tav. VII Vat. gr. 3 53 Vat. gr. 4 53 Vat. gr. 7 38 Vat. gr. 16 53 Vat. gr. 42 33 Vat. gr. 44 33 Vat. gr. 57 53 Vat. gr. 65 35 Vat. gr. 70 51 Vat. gr. 73 36 Vat. gr. 87 51 Vat. gr. 90 35 Vat. gr. 93 21 Vat. gr. 96 21, 40 tav. I Vat. gr. 101 56 Vat. gr. 111 53 Vat. gr. 121 53 Vat. gr. 123 51

Vat. gr. 124 Vat. gr. 126 Vat. gr. 129 Vat. gr. 131 Vat. gr. 133 Vat. gr. 136 Vat. gr. 137 Vat. gr. 141 Vat. gr. 151 Vat. gr. 152 Vat. gr. 163 Vat. gr. 164 Vat. gr. 166 Vat. gr. 167 Vat. gr. 168 Vat. gr. 169 Vat. gr. 173 Vat. gr. 209 Vat. gr. 210 Vat. gr. 225 Vat. gr. 226 Vat. gr. 230 Vat. gr. 235 Vat. gr. 246 Vat. gr. 267 Vat. gr. 283 Vat. gr. 305 Vat. gr. 315 Vat. gr. 330 Vat. gr. 346 Vat. gr. 370 Vat. gr. 386 Vat. gr. 387 Vat. gr. 402 Vat. gr. 429 Vat. gr. 431 Vat. gr. 433 Vat. gr. 492 Vat. gr. 495 Vat. gr. 506 Vat. gr. 517 Vat. gr. 542 Vat. gr. 543 Vat. gr. 575 Vat. gr. 597 Vat. gr. 604-866 Vat. gr. 610 Vat. gr. 611 Vat. gr. 628 Vat. gr. 633 Vat. gr. 634

583 36, 51, 47 tav. VIII 33-34, 51 35 51 51 51 51 35 53 53 51, 56 51 56 53, 54, 56 56 56 53 53 51 51 51 51 228 53 51 51 53 53 53 53 53 53 53 54 53 453 53 54 53 53 51 53 51 53 53 363, 543 51 51 53 56 53

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Vat. gr. 636 53 Vat. gr. 639 54 Vat. gr. 641 53 Vat. gr. 643 53 Vat. gr. 646 53 Vat. gr. 658 53 Vat. gr. 699 127, 128, 214, 460 Vat. gr. 706 53 Vat. gr. 712 56 Vat. gr. 716 53 Vat. gr. 722 56 Vat. gr. 723 53 Vat. gr. 749 (Giobbe vaticano) 220 Vat. gr. 756 230 Vat. gr. 778 54 Vat. gr. 789 54 Vat. gr. 790 56 Vat. gr. 807 51 Vat. gr. 827 56 Vat. gr. 841 125 Vat. gr. 864 51 Vat. gr. 866 228 Vat. gr. 867-932 363, 544 Vat. gr. 952 54 Vat. gr. 977 56 Vat. gr. 981 53, 56 Vat. gr. 989 35 Vat. gr. 1005 60 Vat. gr. 1007 51 Vat. gr. 1029 51 Vat. gr. 1040 51 Vat. gr. 1041 51 Vat. gr. 1068 54 Vat. gr. 1075 52 Vat. gr. 1089 132 Vat. gr. 1091 51 Vat. gr. 1115 53 Vat. gr. 1151 53 Vat. gr. 1153 51 Vat. gr. 1158 (Tetravangelo di Innocenzo VIII) 214 Vat. gr. 1162 (Omelie mariane di Giacomo di Kokkinobaphos) 120, 214 Vat. gr. 1174 53 Vat. gr. 1202 63 Vat. gr. 1208 (Praxapostolos di Innocenzo VIII) 214 Vat. gr. 1209 53, 61, 118, 120, 121, 122, 123, 141, 453 Vat. gr. 1288 32-33, 45 tav. VI Vat. gr. 1288-1421 545

Vat. gr. 1298 36 Vat. gr. 1312 23, 27 Vat. gr. 1335 35 Vat. gr. 1432 56 Vat. gr. 1485 53 Vat. gr. 1485-1683 363 Vat. gr. 1522 511-512, 521 tav. IX Vat. gr. 1554 228 Vat. gr. 1591 460 Vat. gr. 1613 (Menologio di Basilio II) 53, 119, 214, 369, 453, 460 Vat. gr. 1666 220 Vat. gr. 1672 54 Vat. gr. 1684-1744 363, 544 Vat. gr. 1744 54 Vat. gr. 1745-1962 363, 544 Vat. gr. 1816 54 Vat. gr. 1825 33 Vat. gr. 1837 489 tav. VIII Vat. gr. 1890 56 Vat. gr. 2008 136 Vat. gr. 2020 228 Vat. gr. 2061 A 21, 32 Vat. gr. 2138 (Evangeliario di Capua) 228 Vat. gr. 2162-2254 363, 544 Vat. gr. 2291 33 Vat. gr. 2306 21, 32 Vat. gr. 2644-2663 363, 544 Vat. iber. 1 (Tetravangelo georgiano) 313 Vat. ind. 388 Vat. indocin. 388 Vat. lat. 129, 130, 353, 356, 366, 388, 543, 552 Vat. lat. 20 234, 262 tav. XV Vat. lat. 36 (Bibbia di Manfredi) 232, 260 tav. XIII Vat. lat. 39 233 Vat. lat. 41 (Vangeli di S. Lorenzo) 218 Vat. lat. 42 (Vangeli di Monreale) 230 Vat. lat. 50-51 (Bibbia del duca di Berry) 241 Vat. lat. 80 109 Vat. lat. 82 105 Vat. lat. 83 (Salterio-innario ambrosiano) 105, 219 Vat. lat. 84 (Salterio di Nonantola) 230 Vat. lat. 120 234 Vat. lat. 251 127 Vat. lat. 375 233, 261 tav. XIV Vat. lat. 451 243 Vat. lat. 645 219

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Vat. lat. 681 245 Vat. lat. 731 241 Vat. lat. 732 241 Vat. lat. 738 241 Vat. lat. 745 241 Vat. lat. 747 241 Vat. lat. 784 241 Vat. lat. 785 241 Vat. lat. 787 241 Vat. lat. 807 241 Vat. lat. 989 77 Vat. lat. 1135-1266 363, 544 Vat. lat. 1155 246 Vat. lat. 1202 (Codex Benedictus) 119, 225, 257 tav. X Vat. lat. 1274 229 Vat. lat. 1339 229 Vat. lat. 1365 235 Vat. lat. 1366 235 Vat. lat. 1367 235 Vat. lat. 1368 235 Vat. lat. 1369 235 Vat. lat. 1370 235 Vat. lat. 1371 235 Vat. lat. 1372 235 Vat. lat. 1373 235 Vat. lat. 1374 235 Vat. lat. 1375 235 Vat. lat. 1376 235 Vat. lat. 1389 236 Vat. lat. 1390 234, 235 Vat. lat. 1430 75, 236 Vat. lat. 1434 235 Vat. lat. 1455 246 Vat. lat. 1456 238 Vat. lat. 1493 37-38 Vat. lat. 1512 37 Vat. lat. 1592 239 Vat. lat. 1596 113 Vat. lat. 1645 238 Vat. lat. 1647 239 Vat. lat. 1650 241 Vat. lat. 1801 34 Vat. lat. 1860 238, 245 Vat. lat. 1873 30 Vat. lat. 1908 243 Vat. lat. 1917 242 Vat. lat. 1960 242 Vat. lat. 1989 80 Vat. lat. 2060-2117 363, 544 Vat. lat. 2063 77

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Vat. lat. 2106 241 Vat. lat. 2118-2192 363, 545 Vat. lat. 2145 245 Vat. lat. 2193 239 Vat. lat. 2194 238, 243, 270 tav. XXIII Vat. lat. 2386 75 Vat. lat. 2491 235 Vat. lat. 2492 235 Vat. lat. 2493 235 Vat. lat. 2494 235 Vat. lat. 2495 235 Vat. lat. 2534 238 Vat. lat. 2538 238 Vat. lat. 2761 239 Vat. lat. 2836 37, 104 Vat. lat. 2870 550 Vat. lat. 2969 30 Vat. lat. 2971 242 Vat. lat. 2972 242 Vat. lat. 3110 77, 239 Vat. lat. 3137-11527 365 Vat. lat. 3195 (Canzoniere del Petrarca, autografo) 24, 72, 76, 207-209, 360, 494-496 e tav. XIa-c Vat. lat. 3195-3453 24, 545 Vat. lat. 3196 (Canzoniere del Petrarca, minute) 72, 76, 207, 209-210 Vat. lat. 3197 205 Vat. lat. 3199 (Dante del Petrarca) 205206, 492 tav. Xa-b Vat. lat. 3206 195 Vat. lat. 3207 195 Vat. lat. 3208 195 Vat. lat. 3211 453 Vat. lat. 3213 204 Vat. lat. 3214 205 Vat. lat. 3225 (Virgilio vaticano) 23, 27, 72, 84, 90, 91, 95, 165, 215, 248 tav. I, 453, 562 Vat. lat. 3226 (Terenzio bembino) 27-28, 41 tav. II, 84, 90, 95, 165, 171 Vat. lat. 3227 30, 108 Vat. lat. 3228 30 Vat. lat. 3245 77 Vat. lat. 3256 (Virgilio augusteo) 89, 90, 91, 93, 165 Vat. lat. 3262 108, 112 Vat. lat. 3277 31 Vat. lat. 3305 216, 222 Vat. lat. 3313 37, 107 Vat. lat. 3314 30

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Vat. lat. 3317 107, 112 Vat. lat. 3320 107 Vat. lat. 3340 226-227, 254 tav. VIIb Vat. lat. 3368 32 Vat. lat. 3402 25 Vat. lat. 3529 235 Vat. lat. 3550 244, 271 tav. XXIV Vat. lat. 3550-3552 244-245 Vat. lat. 3552 244 Vat. lat. 3548 85, 221, 254 tav. VIIa Vat. lat. 3731 A 453 Vat. lat. 3741 226 Vat. lat. 3747 (Pontificale di Bonifacio IX) 247, 272 tav. XXV Vat. lat. 3781 120 Vat. lat. 3784 (Exultet di Montecassino) 224 Vat. lat. 3793 79, 196-199, 202-203 Vat. lat. 3806 (Sacramentario Rocca) 221 Vat. lat. 3835-3836 (Omiliario di Agimondo) 126 Vat. lat. 3864 30 Vat. lat. 3867 (Virgilio romano) 23, 84, 89, 90, 91, 94, 97, 165, 215-216, 453 Vat. lat. 3868 (Terenzio vaticano) 24-25, 215, 216, 249 tav. II, 463, 563 Vat. lat. 3870 30 Vat. lat. 3908 82 Vat. lat. 3964 167 Vat. lat. 3966 167 Vat. lat. 3973 109 Vat. lat. 4106-4193 548 Vat. lat. 4195-4256 545 Vat. lat. 4216 (Bibbia di Fonte Avellana) 230 Vat. lat. 4217 A 224 Vat. lat. 4218 224 Vat. lat. 4220-4221 224 Vat. lat. 4726-4774 545 Vat. lat. 4747 246 Vat. lat. 4766-4767 241 Vat. lat. 4770 136 Vat. lat. 4776 238 Vat. lat. 4803 200 Vat. lat. 4823 197, 203 Vat. lat. 4831 198 Vat. lat. 4922 230, 259 tav. XII Vat. lat. 4928 108 Vat. lat. 4929 31 Vat. lat. 4932-4933 246 Vat. lat. 4939 (Chronicon di S. So-

fia di Benevento) 108, 227, 258 tav. XI Vat. lat. 4993 235 Vat. lat. 5034 515 tav. III Vat. lat. 5170 25 Vat. lat. 5216 25 Vat. lat. 5232 102 Vat. lat. 5232 195 Vat. lat. 5318 277-278 Vat. lat. 5319 78, 275 Vat. lat. 5465 86 Vat. lat. 5729 (Bibbia di Ripoll) 119, 132, 134, 222 Vat. lat. 5750 28, 90, 96-97, 116 tav. II, 490 Vat. lat. 5757 28, 84, 91, 488, 453 Vat. lat. 5758 104 Vat. lat. 5763 104 Vat. lat. 5766 513 tav. I Vat. lat. 5895 243 Vat. lat. 5949 227 Vat. lat. 5951 104 Vat. lat. 5958 32 Vat. lat. 5974 230 Vat. lat. 6069 242 Vat. lat. 6082 226 Vat. lat. 6435 242, 266 tav. XIXb Vat. lat. 6925 22 Vat. lat. 7223 (Codex Claromontanus) 86 Vat. lat. 7793-7801 (Bibbia dell’Aracoeli) 231 Vat. lat. 8183 245 Vat. lat. 8222 A 37, 48 tav. IX Vat. lat. 8487 (Regestum Farfense) 229 Vat. lat. 8541 (Legendarium Hungaricum) 237, 264 tav. XVII Vat. lat. 8562 126 Vat. lat. 8563 126 Vat. lat. 9020-9151 547 Vat. lat. 9734-9782 363, 547 Vat. lat. 9820 (Exultet di S. Pietro in Benevento) 84, 85, 109, 220, 226 Vat. lat. 9851 453 Vat. lat. 9882 104 Vat. lat. 9916 100 Vat. lat. 10220 (Biblia Aprutina) 245-246 Vat. lat. 10293 120 Vat. lat. 10404 224 Vat. lat. 10405 (Bibbia di Todi) 224 Vat. lat. 10510 224 Vat. lat. 10511 224 Vat. lat. 10696 33, 72

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Vat. lat. 10701-11000 544 Vat. lat. 10876-11000 363 Vat. lat. 10914 165 Vat. lat. 11266-11326 363, 546 Vat. lat. 11276 555 Vat. lat. 11414-11615 544 Vat. lat. 11414-11709 363, 544 Vat. lat. 11458 32, 44 tav. V Vat. lat. 11616-11709 544 Vat. lat. 12958 (Bibbia del Pantheon) 78, 85, 224 Vat. lat. 13489 560 Vat. lat. 14266-15203 546 Vat. lat. 14430 A-B (Bibbia di de Gaulle) 245, 355 Vat. lat. 14666-15203 364 Vat. lat. 14675 535 Vat. lat. 14701 241 Vat. lat. 15321 24, 545 Vat. mus. 388 Vat. mus. 440 288 Vat. pers. 366, 546 Vat. pers. 4 313 Vat. sir. 623 32, 302 Vat. turc. 388, 546 Escorial (El), Real Biblioteca e.III.23 T.II.8

Grottaferrata, Biblioteca della Badia Ζ.α.XLIII

21

Heidelberg, Universitätsbibliothek Pal. gr. 23

33

Lisboa, Biblioteca Nacional 10991 (Colocci-Brancuti) London, British Library Add. 18720 Add. 30337 Cotton Claudius B IV POxy. I, 30 (olim Pap. 1532) POxy. IV, 668 (olim Pap. 745) POxy. XXIV, 2401 Royal 2.B.VII Lucca, Biblioteca Capitolare ms. 490

200 236 224 24 88-89 88-89 91 241 451

Lucca, Biblioteca Statale (già Governativa) ms. 1275 221 Madrid, Biblioteca Nacional 10186 Manchester, John Rylands Library 473 [recto] + 527 [verso]

206 96-97

203 30

Milano, Biblioteca Ambrosiana E 147 sup. 28 490-491 e tav. IXa-b

Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana plut. 9.28 127 plut. 28.30 36 plut. 39.1 (Virgilio mediceo) 90, 91, 94, 97, 167 plut. 41.10 209 Redi 9 79

Montecassino, Archivio dell‘Abbazia 280 134 Nuove Acquisizioni 1 (olim «Frammento Sabatini») 74-75, 107

Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale Banco Rari 217 79 Firenze, Biblioteca Riccardiana 1005

206

Firenze, Istituto Papirologico «G. Vitelli» P.S.I. Od. 5 [inv. 66+67] 89

München, Bayerische Staatsbibliothek Clm 343 219 Clm 6407 101 Nachlaßsammlung, Krumbacheriana I (Ehrle, Franz) 62, 63, tav. I Nachlaßsammlung, Krumbacheriana I (Mercati, Giovanni) 64, 65 tav. II Nachlaßsammlung, Krumbacheriana I (Ratti, Achille) 66, 67 tav. III

Forlì, Biblioteca Comunale Collezione Piancastelli, Autografi non romagnoli. Poliziano A.

166

Napoli, Biblioteca Emanuele III IV A 3 PHerc 1475

Göttingen, Universitätsbibliothek Theol. 231

221

Orléans, Bibliothèque municipale ms. 192

Nazionale

Vittorio 32 97 29, 90

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588

INDICE DEGLI ESEMPLARI A STAMPA

Paris, Bibliothèque nationale de France gr. 1807 34 lat. 6 132 lat. 18 236 lat. 40 232-233 lat. 2630 127 lat. 3253 234 lat. 4521 75 lat. 8907 127 lat. 10318 86 lat. 12135 218 Suppl. gr. 384 33

Sinai, Μονὴ τῆς Ἁγίας Αἰκατερίνης Sinaiticus gr. 1186

127

Troyes, Bibliothèque municipale ms. 2273

225

Udine, Biblioteca Capitolare ms. 1

221

Venezia, Biblioteca Marciana it. 529

203

Ravenna, Biblioteca Comunale Classense ms. 203 166

Wien, Österreichische Nationalbibliothek 2160 100, 127 P. Vindob. K 10157 125

Roma, Biblioteca Angelica ms. 1474

Wolfenbüttel, Herzog-August Bibliothek Guelf. 64 (Weiss.) 104

232

INDICE DEGLI ESEMPLARI A STAMPA Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Catal. Italia. II. Grottaferrata. 1 357 Inc. V.122 562 R. I 361 Stamp. Barb. 354, 361

Stamp. Barb. AAA.IV.16-17 Stamp. Cappon. Stamp. Cerulli Stamp. Pal. York

85 361 316 361 373, 552

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INDICE DEI NOMI I nomi fino all’età umanistica, quelli dei papi e dei santi sono, in linea di massima, nella forma latina. Aaron, Pietro 278 Abbadie, Arnauld d’ 316, 321 Abramo 234 Abstemio, Lorenzo 167 Accurti, Tommaso 167, 172, 557 Addamiano, Antonio 281 Aegidius de Viterbo, card. 124 Aeschylus 33 Agathangelus Armeniacus 307 Agathias scholasticus 53 Agati, Maria Luisa 35 Agnes, s. 195 Ago, Renata 178 Agustín, Antonio 27 Aiello, Rita 555 Aigrefeuille, famiglia 241 Alazard, Florence 180 Albani, Alessandro 273 Albareda, Anselmo Maria, card. 29, 59, 134 160, 163, 307, 308, 314, 354, 359, 394, 443, 478, 547, 550, 553 Albarello, Carlo 217 Alberti, Giovanni Battista 34 Albertus Magnus, s. 152 Alcuinus Turonensis 101, 139 Aldobrandini, famiglia 389 Alecci, Antonio 430, 445 Alessandri, impiegato Dataria Apostolica 388 Alexander Magnus 227 Alexander VI (Rodrigo Borja), papa 181, 414 Alexander VII (Fabio Chigi), papa 188, 190, 412 Alexander, Jonathan James Graham 219, 222, 229, 237, 240, 245, 247, 324 Alexius Comnenus Iohannis II Comneni, filius 214 Algeri, Giuliana 243 Alighieri, Dante 118, 195, 197, 198, 203, 204, 205, 206 Allacci, Leone 52, 54, 205, 356

Allier, Jeanne-Marie 316, 321 Almagià, Roberto 157, 560 Al-Murta¬à, Abû Üafú ‘Umar b. Abí Ibrâhím 460 Alteri, Giancarlo 348, 417, 428, 462, 463, 574 Altichiero 243 Alvarez, Francisco 315 Aly, Wolfgang 21 Amalarius 136 Amati, Girolamo 547 Ambrogio di Baldese 238 Ambros, August Wilhelm 280 Ambrosius Mediolanensis, s. XIV Ammannati, Giulia 90 Ammenti, Luciano 573 Ammianus Marcellinus 29 Ammirati, Serena 32 Amphoux, Christian-Bernard 121 Anastase, Démètre 418, 418 Andaloro, Maria 230 Andolina, Rita 560 Andor, Eszter 163 Andreas Cretensis, s. 136 Andretta, Stefano 184, 187 Andrist, Patrick 121, 122 Anfray, Francis 321 Angelelli, Walter 549 Angelini, Piervaleriano 321 Angelini, Sandro 316, 321, 358 Angiolini, Enrico 556 Anna Comnena, Alexii I Comneni filia 53 Annibaldi, Claudio 286, 287 Antinori, Aloisio 182 Antolini, Bianca Maria 285 Antonelli, Roberto 197, 199, 200, 209, 210, 565, 570, 571 Antoni, Carlo 325 Antonio di Coluccio Salutati 204 Anzuini, Carlo Alberto 131, 318, 321, 548 Apicius, Caelius 30 Apollonius Rhodius 33

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INDICE DEI NOMI

Appel, Carl 209 Appianus 36 Apuleius 238, 239, 243 Arato, Pal 444 Arcimboldi, Giuseppe (Arcimboldo) 242 Arduini, Franca 555 Arechi II, principe di Benevento 106, 227 Arena, Maria Stella 111 Argyriou, Asterios 139 Ariosto, Ludovico 209 Aristides, Publius Aelius 36 Aristophanes 33 Aristophanes Byzantius 34 Aristoteles 36, 152, 239, 544 Arslan, Ermanno 574 Asor Rosa, Alberto 197, 199, 209 Assemani, Giuseppe Simonio (Yûsuf as-Sim‘âní) 311, 333, 547 Assemani, Stefano Evodio (Isýifân ‘Awwâd) 273, 547 Assfalg, Julius 139 Asterius, Flavius Turcius Rufius Apronianus 90, 91 Athala Bobiensis abbas, s. 104 Athanasius Alexandrinus, s. 122 Athanasius Calceophilus 139 Atlas, Allan 277 Augustinus, Aurelius, episcopus Hipponensis, s. VIII, 104, 243 Aurora, Isabella 556 Avagliano, Faustino 108 Avalle, D’Arco Silvio 202 Averroes: cfr. Ibn Rušd, Abû l-Walíd Muüammad b. Aümad Avesani, Rino 72, 165, 166, 169, 383, 391 Avril, François 231, 240, 241, 244 Ayres, Larry M. 223 Badalì, Renato 25, 26, 548 Baggio, Sebastiano 436 Bagnoli, Martina 102, 244 Baini, Giuseppe 280 Balboni, Dante 136, 375, 383 Baldi, Giovanni Elia 345 Baldi Randi, Paolo 409, 410 Baldini, Sebastiano 285 Balicka-Witakowska, Ewa 319, 321 Bandelier, Adolph Francis Alphonse 179 Bannister, Henry Marriot 274, 552 Barbata, Rossella 466 Barberi, Francesco 328, 354

Barberini, famiglia 26, 284 Barberini, Antonio, card. 413 Barbi, Michele 201, 204, 206 Barbieri, Giuseppe 328 Barbo, Marco, card. 171 Bargellini, Marco 359, 361 Barlaam 244 Barlaam Calaber (Barlaam de Seminaria) 137 Bârlea, Octavian 371 Baroffio, Giacomo 120, 275, 276 Baron, Hans 167 Baronci, Giuseppe 287, 355 Barozzi, Giovanni 154 Barré, Henri 136 Bartholomaeus Brixiensis 75 Bartòla, Alberto 239, 313, 321 Bartoletti, Guglielmo 93 Bartoletti, Vittorio 34 Bartoli Langeli, Attilio 78, 80, 102 Bartoloni, Franco 556 Baschet, Jérôme 234 Basile, Tania 160 Basilius I, imp. 56, 60 Basilius Magnus, s. 53 Bassus, Caesius 29 Bataillon, Louis Jaques 75 Batllori, Miguel 179 Battaglini, Fabiano 55 Battelli, Giulio 72, 75, 156, 308, 321, 551, 556 Battus, pastore ovidiano 113 Baur, Chrysostomus 139, 551 Bausi, Alessandro 299, 315, 316, 319, 321, 322, 325, 335 Beccadelli, Francesco 315 Becchi, Fruttuoso 206 Beckby, Herman 33 Becker, Michael 186 Beit-Arié, Malachi 318, 326, 366 Bekker, Immanuel 54 Bellomo, Manlio 367 Belloni, Gino 76, 207 Bellosi, Luciano 240 Belting, Hans 220 Bembo, Bernardo 27 Bembo, Pietro 27, 165, 205, 206, 209 Benati, Daniele 245 Benedictus, s. 225 Benedictus XIV (Prospero Lorenzo Lambertini), papa 282

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INDICE DEI NOMI

Benedictus XV (Giacomo Della Chiesa), papa 410, 412 Benedictus XVI (Joseph Ratzinger), papa XIII, 14, 118, 570 Benedikter, Martin 69 Berg, Knut 230 Bergeron, Réjean 74 Bergomas, Vittorio 552 Bernabò, Massimo 216, 220 Bernardi, Gabriella 236 Bernardi, Marco 171, 198 Bernini, Gian Lorenzo 464 Berra, Francesco Luigi 363, 390, 391, 546 Berry, Jean, duc de: cfr. Jean de Valois, duca di Berry Berschin, Walter 87, 217, 223 Bertalot, Ludwig 164, 166 Bertelli, Carlo 23, 103, 216, 230, 233, 243 Bertòla, Maria 53, 167 Bertolini, Ottorino 108 Bertoni, Giulio 201 Bertram, Martin 365 Bertrand de Deux (o de Déaulx), card. 237 Bessarione, Giovanni, card. 50 Besseler, Heinrich 276 Bessette, Lisa 222 Bettarini, Rosanna 207 Betz, Gert 237 Bianca, Concetta 81, 143, 144 Bianca di Francia 239 Bianchi, Francesco 410 Bianchi, Lino 280 Bianchi, Rossella 25, 26, 170, 548 Bianconi, Lorenzo 283 Bidawid, Raphaël J. 138 Biedl, Artur 21 Bierbrauer, Katharina 118, 217, 218, 219, 229 Bignami Odier, Jeanne 26, 52, 58, 131, 133, 143-147, 150, 151, 152, 153, 154, 155, 157, 190, 275, 305, 314, 316, 317, 322, 373, 390, 552, 553 Billanovich, Giuseppe 31, 32, 104, 164, 166, 199, 202, 365 Billington, James H. 565 Bilotta, Maria Alessandra 229, 231, 241, 246, 553 Binder, Helmut 398 Bini, Daniele 234 Biondi, Ilaria 438

591

Bischoff, Bernhard

19, 20, 73, 84, 86, 95, 105 Bishop, William Warner 358, 361, 365 Bizos, Marcel 35 Blaauw, Sible de 137 Blackburn, Bonnie J. 278 Bloch, Herbert 29, 103, 134, 220, 225 Blondus Flavius 165 Bloxam, Mary Jennifer 277 Blum, Rudolf 171, 552 Blumenshine, Gary B. 139 Bobolenus Bobiensis abbas, s. 104 Boccaccio, Giovanni 195, 198, 203, 204, 205, 206, 245 Bodmer, Daniel 180 Bodoni, Giambattista 566 Boe, John 275 Böhne, Winfrid 217 Boethius, Anicius Manlius Torquatus Severinus 27 Bogaert, Pierre 121, 122 Bolino, August C. 376 Bollati, Milvia 237, 243 Bologna, Corrado 171, 198 Bologna, Ferdinando 233, 245 Bombaci, Alessio 314, 315, 333 Bonatti, Franco 180 Bonaventura de Balneo Regio, card., s. 7 Bonfigli, Girolamo 157 Bonicatti, Maurizio 228 Bonifacius VIII (Benedetto Caetani), papa 157 Bonnet, Anne-Marie 223 Bonnier, Åke 403 Bonora, Elena 182 Borghesi, Bartolomeo 346 Borghezio, Gino 2, 276, 317, 328 Borghi, Giuseppe 190 Borgia, Stefano 190, 311, 313, 320 Borgioli, Cristina 466 Borino, Giovanni Battista 129, 169, 363, 390, 391, 543-544 Borraccini, Rosa Marisa 189, 554 Borriero, Giovanni 201 Borromeo, Agostino 188 Boskovits, Miklós 238, 240, 241 Bosson, Nathalie 128 Bott, Gian Casper 230 Bottini, Adriana 566 Bourdelot, Jean 27 Bouton, Philippe 276

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INDICE DEI NOMI

Boyle, Leonard Eugene 73, 75, 100, 114, 119, 120, 130, 139, 164, 170, 207, 213, 309, 364, 394, 396, 397, 399, 402, 438, 444, 455, 508, 523, 524, 543, 546, 553, 558 Bozzacchi, Giampiero 316, 322 Bracciolini, Poggio 30, 31, 32, 77 Bracke, Wouter 32 Bräm, Andreas 245 Braga, Gabriella 74, 75 Brancario, Jacomo 157 Branchi, Mariapia 230 Branner, Robert 234 Brauner, Mitchell P. 279 Brenk, Beat 220, 224, 225 Brentley, Peter 565 Brice, Catherine 183 Brieger, Peter H. 238 Brinkmann, Bodo 120 Brogiolo, Gian Pietro 103 Brou, Louis 145 Brown, Virginia 19, 20, 84, 104, 106, 107, 108 Bruckner, Albert 92 Brüning, Rainer 398 Brugnoli, Giorgio 22 Brugnolo, Furio 76, 205, 207, 208, 494 Brunelli, Giampiero 181 Bruni, Leonardo 550 Brunus, s. 555 Bucci, Giannantonio 418 Buchthal, Hugo 230, 233 Bülow-Jacobsen, Adam 498 Büttgen, Philippe 326 Bulferetti, Luigi 88 Bullough, Donald A. 101 Buonarroti, Michelangelo 453 Buonocore, Marco XIII, 22, 24, 25, 57, 60, 82, 84, 112, 113, 129, 132, 164, 165, 170, 172, 192, 196, 213, 216, 239, 246, 299, 312, 313, 322, 324, 363, 364, 366, 368, 369, 372, 392, 429, 463, 486, 487, 543, 545, 547, 548, 552, 556, 557, 558, 563, 570 Buonora, Paolo 486 Burke, Jill 182 Burkhart, Peter 235, 236 Burney, Charles 273, 575 Burns, William Harris 125 Burrus, Ernest J. 179 Bury, Michael 182

Busch, Werner Busonero, Paola Bux, Nicola Buzi, Paola

223 31, 70 226 311, 322

Cacciaglia, Luigi 556 Cadioli, Alberto 210 Caesar, Caius Iulius 30, 567 Caffiero, Marina 178, 172 Cahn, Walter 222, 223 Caillet, Jean-Pierre 217 Calabretta, Leonardo 52 Calabria, Patrizia 428 Calandra, Endimio 187 Caldelli, Elisabetta 82, 169, 548 Calecas, Manuel 51, 60 Calenzio, Generoso 357 Calleri, Marta 82 Calveri, Francesco Maria 462 Calzona, Arturo 223, 230 Cametti, Alberto 280 Campana, Augusto 24, 27, 30, 32, 37, 69, 70, 72, 82, 162, 163, 164, 165, 166, 167, 168, 158, 390, 391, 394, 545 Campanelli, Maurizio 27 Campanini, Giorgio 433 Campari, Roberto 223 Camplani, Alberto 125, 319, 322 Canal, Pilar de la 412 Canart, Paul 26, 35, 57, 59, 119, 120, 121, 122, 129, 131, 132, 228, 312, 313, 322, 355, 356, 363, 364, 368, 383, 390, 392, 439, 444, 508, 509, 544, 547, 552, 554, 558, 563 Canavero, Alfredo 433 Canfora, Luciano 30, 76 Canova, Antonio 346 Cantatore, Flavia 181 Capaccioni, Andrea 358 Capecelatro, Alfonso, card. 357 Capocci, Valentino 129, 363, 390, 543, 544 Capogallo, Giovanni 243 Cappelletto, Rita 29, 30 Capponi, Gino 190 Capriotti Vittozzi, Giuseppina 313, 322 Carafa, Alfonso 185 Carandini, Silvia 182 Carboni, Fabio 210, 285, 551 Cardinale, Flavia 285 Cardona, famiglia 277 Carile, Antonio 88

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INDICE DEI NOMI

Carlini, Antonio 35 Carlo I, re d’Ungheria 237 Carlo V, re di Francia 239 Carolla, Pia 36 Carolus I, Magnus, imp. 217, 219 Carrai, Stefano 203 Carrannante, Antonio 161 Carusi, Enrico 169, 369 Carusi, Paola 322 Casagrande Mazzoli, Maria Antonietta 70, 105 Casamassima, Emanuele 73, 78, 88, 102, 197, 545 Casimiri, Raffaele 278, 280 Cassarino, Mirella 301, 322 Cassée, Elly 237 Cassuto, Umberto 129, 304, 318, 322, 363, 543 Castagnoli, Ferdinando 561 Castiglione, Baldassarre 171 Castillo Gómez, Antonio 80 Castillo Lara, Rosalio José, card. 556 Castiñeiras, Manuel 222, 230 Cattin, Giulio 275, 276 Catullus, Caius Valerius 32 Cau, Ettore 105 Caubet Iturbe, Francisco Javier 135 Cavalcanti, Guido 204 Cavalleri, Ottavio 433 Cavallo, Guglielmo 27, 32, 35, 61, 70, 88, 90, 92, 94, 97, 98, 99, 100, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 110, 112, 120, 170, 220, 224, 226, 228 Ceccarini, Emilio 319 Ceccherini, Irene 79 Cencetti, Giorgio 72, 91, 92, 97, 102 Cenni, Benedetta 364, 543 Ceresa, Massimo 57, 132, 313, 322, 323, 358, 368, 429, 445, 448, 451, 541, 559 Cerisier, Alban 567 Cerulli, Enrico 131, 134, 139, 305, 307, 308, 314, 315, 323, 329, 333, 335, 364, 548, 554 Chabod, Federico 351 Chahine, Charbel C. 323 Chambers, Mortimer 34, 171 Chance, Jane 151 Channel, Barbara J. 375 Charisius, Flavius Sosipater 38 Chartier, Roger 70, 110

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Chavasse, Antoine 119, 126 Cherubini, Paolo 73, 78, 82, 88, 218, 226 Chiabò, Maria 181 Chiesa, Paolo 564 Chigi, famiglia 26, 298 Chigi, Agostino 171, 192 Chigi, Fabio: cfr. Alexander VII (…), papa Chigi, Flavio 284, 285 Chionides, Nikolaos P. 132 Chirico, Teresa 283 Chiti, Girolamo 281 Chodorow, Stanley 155, 156 Choulis, Kostantinos 510 Chrétien de Troyes 195 Christys, Ann 301, 323 Chrysococces, Georgius 51, 53 Cian, Vittorio 162, 171 Ciardi Dupré Dal Poggetto, Maria Grazia 240 Cibotto, Antonio 433 Ciccone, Genuino 199 Cicero, Marcus Tullius 28, 30, 77, 84, 107, 118, 243, 453 Cicognara, Leopoldo 347 Ciminello, Giuseppe 445, 448 Cinagli, Angelo 415 Cino da Pistoia 198 Ciriaco d’Ancona 72, 167 Cittadini, Celso 190, 205, 552 Ciula, Arianna 73 Clarkson, Christopher 510 Clemens V (Bertrand de Got), papa 241 Clemens VI (Pierre Roger), papa 545 Clemens VII (Robert de Genève), papa Avinionensis 241 Clemens IX (Giulio Rospigliosi), papa 284 Clemens X (Emilio Altieri), papa 344 Clemens XII (Lorenzo Corsini), papa 452 Clugny, Ferry de 563 Cogliati Arano, Luisa 243 Colocci, Angelo 171, 197, 198, 200, 201, 205, 206, 210, 555 Columbanus Bobiensis abbas, s. 104 Commer, Franz 274 Comparetti, Domenico 199 Conan Doyle, Arthur 542 Condello, Emma 78, 100, 105, 218, 222, 227, 228, 233, 246 Connolly, Thomas 275 Constantinus VII, Porphyrogenitus, imp. 36, 60

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INDICE DEI NOMI

Contessi, Angela 400 Conti, Alessandro 234, 235, 237 Contini, Gianfranco 201, 207, 208, 209, 210 Contini, Riccardo 299, 304, 323 Corbellini, Giorgio 453, 454 Corelli, Arcangelo 283 Corsano, Karen 543, 552 Corso, Giorgia 245 Cosma (o Cosimo) di Monserrato (Cosme de Montserrat) 50 Cosmas Indicopleustes 120, 127, 214 Costamagna, Giorgio 73, 78, 88, 102 Costantini, Fabrizio 200 Coury, Elaine M. 28 Coutts, Catherine M. 107 Cozza-Luzzi, Giuseppe 61 Cramer, John Anthony 54 Cremer, Heinrich 85 Crescimbeni, Giovanni Mario 205 Cristina, regina di Svezia 26, 53, 345 Cristys, Ann 301 Crivello, Fabrizio 220 Croce, Benedetto 161 Croce, Giuseppe Maria 303 Cuneo, Anna 567 Curzi, Gaetano 242, 247 Cydonius, Demetrius 56, 60 Cydonius, Prochorus 60 Cyrillus Alexandrinus, s. 53, 125 D’Accone, Frank 285, 286 Dachs, Karl 221 Dadda, Giovanni Battista 432 Daddi, Bernardo 239 D’Agostino, Marco 35, 228 Dain, Alphonse 19 Dainelli, Giotto 316 D’Aiuto, Francesco 15, 38, 86, 119, 213, 301, 302, 313, 324, 325, 351, 369, 448, 464, 552 D’Alascio, Amalia 458, 575 D’Alessandro, Paolo 37-38 Dalla Torre, Paolo 436-437 Dalli Regoli, Gigetta 233 Dal Pra, Mario 202 Daly, Lowrie J. 375 D’Amico, Rosa 236 D’Ancona, Alessandro 199 D’Ancona, Cristina 301, 324, 326 Daniel, fratelli Pierre e François 27 Danieli, Silvano 430

D’Arelli, Francesco 335 Dares Phrygius 239 Darnton, Robert 566 Dauvillier, Jean 328 David, Cédric 231, 243 Day, John D. 313, 336 Dean, Jeffrey 279 De Angelis d’Ossat, Gioacchino 560 Debenedetti, Santorre 209, 210 De Benedictis, Cristina 240 De Donato, Vincenzo 108 De Floriani, Anna 233 Defosse, Pol 73 De Francesco, Giuliana 486 De Gasperi Alcide 432-433 de Gaulle, Charles 355 Degenhart, Bernhard 238, 239, 240, 241, 242, 243, 244, 245 Degli Innocenti, Mario 79 Degl’Innocenti, Antonella 237 Degòrski, Bazyli 550 De Gregorio, Giuseppe 100 De la Mare, Albinia Catherine 32, 77, 548 Delebecque, Édouard 35 De Leo, Pietro 555 Del Garbo, Dino 204 D’Elia, Pasquale M. 318 Delisle, Léopold 84, 145 Della Casa, Giovanni 191, 388 Del Lago, Giovanni 278 Della Valle, Mauro 230 dell’Incisa, Giovanni (Anchiseo) 565 Dell’Omo, Mariano 24, 111, 222 111 Delogu, Paolo Del Punta, Francesco 549 Del Re, Niccolò 443 De Luca, Giuseppe 164, 170 De Luca, Nuccia 148 De Maio, Romeo 186, 383, 391, 392, 443 De Marco, Franca 552 De Marinis, Tammaro 354 Demosthenes 51 Denifle, Heinrich Seuse 152, 153 Denifle, Heinrich 151, 152 De Nonno, Mario 29, 37, 107, 548, 569, 572, 575 De Paolis, Paolo 29, 107 De Pasquale, Andrea 318, 319, 324, 567 De Robertis, Domenico 203 De Robertis, Teresa 77, 88, 93 Derolez, Albert 73

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INDICE DEI NOMI

De Rosa, Giuseppe 432, 444 Derosa, Luisa 233 De Rossi, Gian Bernardo 318 de Rossi, Giovanni Battista 161, 191, 356 De Rossi, Nicolò 195, 205 De Rubeis, Flavia 107 De Salvo Fattor, Salvatore 282 De Schryver, Antoine 563 Desideri, Giovannella 208 Desiderius Casinensis abbas: cfr. Victor III (…), papa Destrez, Jean 75 Devoti, Luciana 70, 75, 235 Devreesse, Robert 32, 51, 52, 128, 133, 135, 138, 169, 363, 387, 390, 543, 544, 552 De Witt, Theodor 274 De Wulf, Maurice 152 Diamilla, Demetrio 347 Di Branco, Marco 301, 324 Di Cerbo, Valentino 313, 324, 368 Dictys Cretensis 239 Diddi, Cristiano 301, 324 Dieten, Jan Louis van 56 Díez Macho, Alejandro 124 Di Franco Lilli, Maria Clara 190, 508, 552 Diller, Aubrey 36 Dilts, Mervin R. 133, 368 Di Marco, Michele 564 Di Natale, Maria Concetta 232 Dinkha, Samuel 318, 336 Dio Cassius 32 Diodorus Siculus 51 Diogenes Laertius 21 Dionisotti, Carlo 70, 160, 161, 163, 164, 165, 169, 199 Dionysius Areopagita 53 Dionysius Halicarnassensis 27, 51 Di Paola, Marco 368 Di Sante, Assunta 368, 552 Di Stefano, Giuseppe 80 Ditchfield, Simon 178, 187 Dodwell, Reginald 24, 25 Dölger, Franz 60 Doignon, Jean 127 Dolbeau, François 25, 366 Dolcini, Domenico 433 Dolezalek, Gero R. 365 Dominicus, s. 119 Donati, Lamberto 119, 167, 172, 441, 443 Donato, Giuseppe 281

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Donato, Maria Pia 187 Donatus, Tiberius Claudius 37 Dondaine, Antoine 241 Dondarini, Rolando 229 Donizo Canusinus 230 Dorandi, Tiziano 21 D’Oria, Filippo 106 Douteil, Herbert 220 Draguet, René 306, 324 Dubowy, Norbert 286 Ducrot, Ariane 279 Dufrenne, Suzy 119, 563 Dugan, James Lee 321 Duhem, Pierre 148 Dumas de Rauly, Alexandre 565 Dummer, Jürgen 36 Dunning, Albert 283 Du Pouget, Bertrand 238 Durand, Guillaume 75 Durante, Sergio 282 Dutschke, Consuelo W. 564 Duval-Arnould, Louis 107, 139, 311, 313, 324, 334, 383, 391, 393 Dykmans, Marc 137, 153, 154, 171, 183, 563 Dàurova, Aksinija 548 Ebied, Rifaat Y. 335 Eggenberger, Christoph 215 Egger, Hermann 152, 560 Egidi, Francesco 199 Egidio Romano 549 Ehlers, Widu-Wolfgang 31 Ehrensberger, Hugo 274, 552 Ehrle, Franz, card. XI, 50, 52, 58, 59, 61, 62, 63, 69, 83, 87, 151, 152, 153, 157, 163, 357, 387, 388, 397, 459, 486, 487, 490, 504, 506, 508, 512, 542, 550, 553, 554, 560, 562 Ehrmann-Herfort, Sabine 283, 288 Eisenlohr, Erika 113 Eleen, Luba 234 Eleuteri, Paolo 59 Elisabetta II, regina d’Inghilterra 118 Elliott, James Keith 121 Elze, Reinhard 136, 154, 156, 365, 548 Emiliani, Andrea 236 Enckell Julliard, Julie 223, 229, 230 Engelhardt, Markus 281, 288 Enrico VIII, re d’Inghilterra 453

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INDICE DEI NOMI

Enzensberger, Hans 106 Ephraem, librarius Constantinopolitanus 36 Erhart, Peter 92 Ermatinger, Charles J. 375 Esbroeck, Michel van 312 Espagne, Franz 274 Ettlinger, Gerard H. 126 Etzkorn, Girard J. 550 Euclides 51 Eudemus Argivus 38 Eugenius IV (Gabriele Condulmer), papa 171, 461, 552 Euringer, Sabastian 307 Eusebius Caesariensis 122 Eustasius, librarius 227 Evans, Helen C. 214 Évieux, Pierre 125 Fabbri, Paolo 286 Fabre, Paul 404 Fabricius, Johann Albert 54 Facchini, Giuseppe 359, 361 Fachechi, Grazia Maria 216, 227, 234, 238 Faes De Mottoni, Barbara 549 Fagiolo dell’Arco, Maurizio 182 Fagiolo, Marcello 181, 246 Falluomini, Carla 104 Fanelli, Vittorio 198 Fantoni, Marcello 180 Faraggiana di Sarzana, Chiara 488, 496 Farenga, Paola 81 Farina, Raffaele, card. 1, 123, 207, 318, 378, 394, 397, 400, 429, 444, 447, 456, 463, 496, 509 Farrugia, Edward George 330 Fatouros, Georgios 56 Feci, Simona 178 Fedeli, Paolo 26, 564 Federici, Carlo 359, 448 Federici, Paolo 505 Federici, Vincenzo 107 Federico da Montefeltro, duca di Urbino 85, 87, 159, 234, 313, 314, 465 Feininger, Laurence 281 Felix Urgellensis 139 Fellerer, Gustav 280 Feo, Michele 165, 166, 168 Fera, Vincenzo 160, 162, 165, 172, 572 Ferme, Brian Edwin 556 Fernández de Córdoba, famiglia 277

Ferrari, Anna 200, 201 Ferrari, Mirella 28, 104 Ferraù, Giacomo 172 Ferreri, Luigi 22 Ferri, Sandro 565 Ferron, Ernesto 55 Festa, Giovanni Battista 199 Festa, Nicola 64 Festus, Sextus Pompeius 32 Fesulani, Bindo 154 Fiaccadori, Gianfranco 303, 304, 312, 319, 324, 325, 328, 331, 572 Fieni, Sabrina 433 Filliozat, Jacqueline 300, 325 Filocamo, Gaia 277 Fini, Carla 565 Fink, Karl August 555 Fiorani, Luigi 129, 189, 363, 364, 372, 546, 554, 555, 556 Fioravanti, Rita 555 Firpo, Massimo 178 Fischer, Joseph 23 Flaminio, Antonio 171, 550 Flamm, Christoph 281 Flores D’Arcais, Francesca 549 Flusin, Bernard 50 Fogg, Sam 319, 325 Fohlen, Jeannine 25, 29, 133, 171, 309, 325, 366, 368, 552 Folena, Gianfranco 196 Follieri, Enrica 58, 60, 136, 444, 551, 563 Fonkiç, Boris L. 50 Fontana, Maria Vittoria 242 Forcella, Vincenzo 366 Forchielli, Giuseppe 235 Formica, Marina 178 Forte, Antonino 329 Fortunatianus, Atilius 29 Foscolo, Ugo 206 Fosi, Irene 181, 188, 572 Foucault di Daugnon, Francesco 556 Fradejas Rueda, José Manuel 233 Fraenkel, Eduard 39 Fragnito, Gigliola 181 Franceschetti, Silvia 542 Franceschi, Caterina 368 Franceschini, Ezio 110 Francesco da Barberino 240 Franchi de’ Cavalieri, Pio 23, 32, 56, 57, 58, 59, 61, 134, 169, 357, 553 Franchi dell’Orto, Luisa 246

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INDICE DEI NOMI

Francopulo, Giorgio 38 Frascarelli, Dalma 182 Frescobaldi, Girolamo 284, 286, 297 Fridericus II, imp. 221, 232, 239, 246 Frontinus, Sextus Iulius 239 Fronto, Marcus Cornelius 28 Frosini, Giovanna 244 Frova, Carla 181 Frugoni, Chiara 80, 246 Füssel, Stephan 565 Fulgentius Ruspensis, s. 101 Fumagalli, Giuseppe 55 Fumagalli, Vito 230 Fusconi, Giulia 561 Fust, Johann 85 Fyrigos, Antonis 137 Gabrieli, Francesco Gadea Raga, Alejandro Gaignard, Hervé Galassi Paluzzi, Carlo Galasso, Giuseppe Galeffi, Agnese Galenus, Claudius Galilei, Galileo Galland, Bruno Gallavotti, Carlo Gallicet, Ezio Gallimard, Gaston Gallo, Franco Alberto Galuzzi, Alessandro Gambi, Lucio Gamillscheg, Ernst Gao, Hong Garbarino, Giovanna Garbini, Giovanni Gardthausen, Victor Garitte, Gérard Garofalo, Salvatore Garrison, Edward B. Gasparini, Armido Gatti, Andrea Gatti, Edoardo Gatti, Guglielmo Gattucci, Adriano Gautier, Paul Gebhard, Verena Gelao, Clara Gellius, Aulus Genet, Jean-Philippe Gengaro, Maria Luisa

299, 302, 325 400 303, 325 156 444 448 51, 75 149 33, 134 33 23 567 289 158 560 59 462 23 325 59 306, 307, 325, 371 135 229, 231 358 331 389 389 168 64 246 233 94, 95, 96, 97 565 243

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Gentile, Giovanni 306 Gentile, Sebastiano 124, 228, 233 Georgius sacerdos, librarius 244 Georgius Acropolita 51, 56 Georgius Monachus 53 Georgius Trapezuntius 168 Germano, Anna 323 Geyer, Angelika 215 Ghera, Michela 438 Ghezzi, Pier Leone 282, 563 Giacomo da Lentini 201 Gialdroni, Giuliana 275 Gialdroni, Teresa M. 275 Giampaoli, Pietro 417, 418 Giandomenico, Sergio 418 Giannelli, Ciro 21, 128, 129, 132, 137, 301, 325, 363, 390, 543, 544, 560 Giannini, Massimo Carlo 178 Gianturco, Carolyn 283 Giardina, Andrea 30 Gibson, Margaret T. 113, 550 Giessauf, Johannes 58 Gigante, Marcello 26 Gilbert, Maurice 308, 325 Gilissen, Léon 76, 114 Gilles-Raynal, Anne-Véronique 25, 366 Gillesse, Robert 485 Gilmont, Jean-François 313, 325 Giordani, Igino 394, 432, 433, 434, 435, 436, 441, 442, 543 Giordano, Silvano 268 Giorgio il Nuovo: cfr. Giyorgis Üaddis (Óirgis al-muzâüim) Giovanni da Gaibana 237 Girard, Aurélien 178 Girardi, Elisabetta 156 Giuntella, Vittorio Emanuele 437 Giusti, Martino 156 Giyorgis Üaddis (Óirgis al-muzâüim) 315 Gmeinwieser, Siegfried 281 Gnoli, Gherardo 335 Gnudi, Cesare 236, 237 Gobbi, Manuela 563 Godefridus de Fontibus (Godefroid de Fontaines) 152 Goedeke, Karl 209 Golinelli, Carlo 230 Gollob, Eduard 54 Gonnella, Guido 432 Gorman, Michael 428 Gotor, Miguel 186

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INDICE DEI NOMI

Goulet-Cazé, Marie-Odile 110 Gousset, Marie-Thérèse 231, 235, 244 Gozzi, Marco 281 Grabar, André 220, 228, Graciotti, Sante 132, 137, 301, 325 Graf, Georg 312, 364 Grafinger, Christine Maria 1, 53, 54, 61, 133, 190, 305, 313, 326, 390, 552, 553 Grafton, Anthony 170 Graglia, Giuseppe 432, 436, 441, 442, 443 Gramatica, Luigi 557 Gran Khan Güyük 460 Granata, Giovanna 311, 326, 555 Grat, Félix 84 Gratianus, monachus 235 Graves, Mark 540 Grébaut, Sylvain 307 Greco, Emilio 416, 418 Greco, Susanna 560 Gregori, Mina 240 Gregorius I, Magnus, papa, s. 220, 459, 575 Gregorius IV, papa 217 Gregorius IX (Ugolino di Anagni), papa 236 Gregorius X (Tedaldo Visconti), papa, b. 154 Gregorius Illuminator, s. 307 Gregorius Nazianzenus, s. 139 Gregorius Thaumaturgus, s. 53 Grilli, Angelo 416 Grimaccia, Marta 573 Grimaldi, Giacomo 157 Grossatesta, Roberto 152 Gruys, Albert 507 Guala, Gennaro 361 Gualdo, Lucia 550 Gualteruzzi, Carlo 191 Guardia, Milagros 222 Guérin-Beauvois, Marie 549 Guerrini Mauro 430 Guerrini, Lucia 563 Guest, Gerald B. 218 Guglielmo di Berardo da Gessopalena 245 Guicciardo da Frignano 168 Guida, Saverio 182 Guidi, Michelangelo 301, 326 Guidi, Ignazio 408 Guidi, Pietro 156, 555 Guiducci Bonanni, Carla 567 Guidi, Remo Luigi 564 Guilelmus Alvernus (Guillaume d’Auvergne) 241 Guillou, André 139, 560

Gullotta, Giuseppe Gutas, Dimitri Gutenberg, Johann Guyot, Bertrand G.

552 301, 326 85 75

Haberl, Franz Xavier 274, 280 Hadoardus Corbiensis 30 Hale, William Gardner 32 Hambis, Louis 328 Hamerani, famiglia 344 Hamilton, Alastair 311, 326 Hammond, Frederick 284 Hankins, James 550 Hanselmann, Jan F. 217 Hansen, Inge Lyse 107 Hanssens, Jean Michel 136, 310, 326 Harlfinger, Dieter 59 Haussherr, Reiner 233 Hebbelynch, Adolphe 546 Heidecker, Karl 92 Heinsius, Nicolas 27 Heiricus Autissiodorensis 31 Henricus II, imp., s. 86 Henricus IV, imp. 230 Henricus VII, imp. 244 Herodotus 51, 300 Heyberger, Bernard 178 Hilarius Pictaviensis, s. 99, 100, 101, 127 Hissette, Roland 313, 325, 326, 327 Hoffmann, Annette 236 Hoffmann, Lorenz 550 Hoffmann, Philippe 110, 228, Holcomb, Melanie 222 Holford-Strevens, Leofranc 277 Holtz, Louis 29, 107 Homerus 22 Honigmann, Ernest 139 Horaist, Bruno 375 Horatius, Quintus Flaccus 25, 30, 112, 239, 464, 548 Horn, Paul 546 Houghton, Edward F. 277 Hout, Michael Petrus Josephus van den 28 Hrabanus Magnentius Maurus 217 Hubert, Marie-Clotilde 103 Hucke, Helmuth 275 Huglo, Michel 275 Huinot, Jean-Noël 572 Üunayn ibn Isüaq al-‘Ibâdí 318 184 Hurtubise, Pierre Hutter, Irmgard 120, 563

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INDICE DEI NOMI

Hyginus, Caius Iulius

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Iacobini, Antonio 231 Iacobus Coccinobaphensis monachus 120, 214 Ibn Rušd, Abû ’l-Walíd Muüammad b. Aümad 313 Ignatius Loyola, s. 11, 464 Ijsewijn, Jozef 25, 169 Ildericus Casinensis 107 Incisa della Rocchetta, Giovanni 186 Ineichen, Gustav 196 Inglese, Giorgio 206 Inguanez, Mauro 156 Innocentius III (Lotario dei conti di Segni), papa 556 Innocentius IV (Sinibaldo Fieschi), papa460 Innocentius VIII (Giovanni Battista Cibo), papa 399 Innocentius X (Giovanni Battista Pamphili), papa 224, 413, 414 Innocentius XI (Benedetto Odescalchi), papa, b. 178, 416 Iohannes XXII (Jacques Duèze), papa 545 Iohannes XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli), papa, b. 5-6, 14, 355, 416 Iohannes II Comnenus, imp. 214 Iohannes, s. 226, 234 Iohannes Chortasmenus 56 Iohannes Chrysostomus, s. 51, 53, 135, 137, 228 Iohannes Cinnamus 56 Iohannes Damascenus, s. 51, 53, 54 Iohannes de Rupescissa 146, 152, 153 Iohannes mansionarius (Iohannes de Matociis) 31 Iohannes Paulus II (Karol Wojtyáa), papa, b. 10-13, 14, 374, 417, 462, 467 Iohannes Scotus Eriugena 218 Iohannes Scylitzes 51 Iohannes Vlessentop 82 Iohannes Zonaras 51 Iori, Carlo 506 Iosaphat 244 Iosephus Rhacendyta 53 Irigoin, Jean 23, 35, 74 Irmscher, Johannes 36 Irwin, Robert 299, 327 Isaac, Heinrich 277, 295, 296 Isidorus Kioviensis (Ruthenus), card. 50, 60, 162 Isocrates 35

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Iulianus Aeclanensis 135 Iulius II (Giuliano Della Rovere), papa 181, 399 Iustinianus I, imp. 22, 34, 236, 548 Iustinus Martyr, s. 10 Iuvenalis, Decimus Iunius 90, 96, 97 Izbicki, Thomas M. 548 Jachmann, Günther 25 Jackson, Donald F. 368, 552 Jacob, André 59, 109, 228, 563 Jacono, Carmela 52 Jacopo da Verona 306 Jaçov, Marko 179, 327 Jacquemart de Hesdin 241 Jaitner, Klaus 169 Jander, Owen H. 287 Janeck, Axel 230 Janz, Bernhard 279, 545 Janz, Timothy James 394, 545 Jatta, Barbara 15, 313, 323, 352, 398, 430, 458, 497, 541, 560 Jean de Boulogne 241 Jean de Toulouse 241 Jean de Valois, duca di Berry 239, 241 Jeanneret, Christine 286, 288 Jedin, Hubert 164 Jemolo, Viviana 558 Jensen, Kristian 172 Jeppesen, Knud 278, 280 Jesse, Angelo 565 Jeudy, Colette 25, 366 John, James J. 20 Johrendt, Jochen 556 Jonathan Clericus, librarius 218 Jones, Harold Grover 190, 557 Jullien de Pommerol, Marie-Henriette 146 Justrell, Borje 484 Kade, Otto Kaiser-Minn, Helga Kallas, Elie Kantner, Leopold M. Karsten, Arne Kashnitz, Rainer Kasser, Rodolphe Katterbach, Bruno Kauffmann, Claus Michael Kellman, Herbert Kelly, Thomas Forrest Kendall, Keith H.

280 217 318, 327 282 185 222 123 555 244 277 109, 225, 275 156

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INDICE DEI NOMI

Kessler, Herbert L. Kieven, Elisabeth Kim, Soo Jung Kissing, Franz Kitzinger, Ernst Klein, Peter K. Kleinlogel, Alexander Koch, Walter Koehler, Wilhelm König, Eberhard Koller, Alexander Korolewskij, Cyrille Koyré, Alexandre Krafft, Fritz Kraye, Jill Kresten, Otto Kristeller, Paul Oscar

215 570 120, 275, 276 411 215 229 34 103 217, 225 120, 240, 241 184 303 151 77 187 79 159, 163, 167, 376, 549 Krohn, Ernst C. 375 Kropp, Manfred 315, 319, 327 Krumbacher, Karl 49, 50, 54, 55, 58, 60, 66 Künzle, Paul 134, 390, 391 Kuttner, Stephan 154-156, 158, 365, 548, 561 La Brasca, Frank 180 Labriola, Ada 246 Lachmann, Karl Konrad Friedrich Wilhelm 55, 198 Lackner, Franz 79 Ladislao I, re d’Ungheria 237 Ladner, Gerhart B. 157 La Farina, sorelle 412 Lagomarsini, Girolamo 544 Laharie, Muriel 242 Lakmann, Marie-Luise 123 Lalli, Chiara Maria Francesca 364, 543 Lamalle, Edmond 388 Lambertini, Roberto 158 Lambruschini, Luigi, card. 185 Lana, Italo 23 Lanci, Michelangelo 388 Lancia, Federico 232 Lanciani, Rodolfo Amedeo 548, 559 Landau, Peter 155 Landi, Stefano 283 Landolfi, Annalisa 208 Lanfranchi, Maria Enrica 311, 326 Lanfranco, Giovanni Maria 278 Langella, Rigel 335 Langlois, Charles-Victor 144

Lanzoni, Francesco 134 La Plante, Harry 376 Lardet, Pierre 107 La Rocca, Maria Cristina 101 Latella, Fortunata 198 Latini, Brunetto 195 Laurent, Marie-Hyacinthe 129, 139, 157, 169, 171, 363, 383, 387, 388, 390, 391, 394, 544, 555 La Via, Stefano 283 Lazarev, Viktor Nikitic 214 Lazarus, s. 109 Lazzati, Giuseppe 433, 434 Lebon, Joseph 125 Lebreton, Marie-Madaleine 129, 189, 363, 364, 544, 546, 554, 555 Le Déaut, Roger 124, 125, 135 Léfort, Louis-Théophile 307 Le Grelle, Stanislas 346, 347, 348, 505, 552 Leichtentritt, Hugo 280 Lemerle, Paul Emile 34 L’Engle, Susan 218 Lentini, Anselmo 107, 134 Leo I, Magnus, papa, s. 126 Leo VI Sapiens, imp. 60 Leo X (Giovanni de’ Medici), papa 171, 414, 461 Leo XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci), papa 130, 170, 172, 362, 397, 407, 409, 410, 452, 504, 542 Leonardi, Claudio 110, 129, 237, 363, 391, 544 Leonardi, Lino 79, 203 Leopardi, Giacomo 209 Leopold, Silke 283 Leroy, Julien 129, 137, 138, 363, 544 Le Thec, Guy 542 Leturia, Pedro 179 Levi Della Vida, Giorgio 131, 300, 303, 304, 305, 306, 307, 308, 317, 323, 327, 364, 371, 547 Levillain, Philippe 375 Levita, Elia ben Aser ha-Levi 124 Lewis, Bernard 300, 327 Liberati, Franco 486 Lietzmann, Johannes 58 Li Gotti, Ettore 276 Lilla, Salvatore 26, 34, 60, 129, 132, 139, 363, 391, 393, 544, 552 Lindgren, Lowll 286, 287 Lionnet, Jean 284, 286

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INDICE DEI NOMI

Lippmann, Friedrich 284, 285 Liutprandus, rex Langobardorum 106 Liuzzi, Ferdinando 276 Liverani, Paolo 561 Livius, Titus 29, 88, 94, 95, 243 Llorens, José María 278, 545 Loenertz, Raymond-Joseph 56 Lombardi, Giuseppe 81 Lomiento, Vincenzo 564 Longhi, Roberto 303 Longinotti, Giovanni Maria 432-433 Longo, Carlo 188 Longo, Valentina 219, 230 Lorenzen, David N. 178 Lorenzi, Giovanni 171 Lorés Otzet, Immaculada 222 Lotharius I, imp. 218, 219 Lotti, Franco 484, 485 Lowe, Elias Avery 19, 84, 95, 96, 103, 106, 107, 108 Lowinsky, Edward E. 278, 281 Luca, s. 219, 226 Lucà, Santo 59, 228, 563 Lucanus, Marcus Annaeus 25, 94, 95, 548 Lucarelli, Franco 75 Lucco, Mauro 242 Luciani, Antonio G. 81 Lucianus Samosatensis 35, 51 Lucifer Caralitanus 101 Luckhardt, Jochen 230 Ludovicus I, Pius, imp. 216, 217 Ludwig, Friedrich 276 Lünig, Johann Christian 183 Lugli, Giuseppe 559 Luisi, Francesco 281, 288 Luisier, Philippe 319, 327 Luna, Concetta 549 Lunghi, Maurizio 484 Lupprian, Karl-Ernst 317, 328 Lusini, Gianfrancesco 332 Lutero (Luther), Martin 453 Luzzatto, Maria Jagoda 34, 35 Luzzatto, Sergio 567 Macarius Macres Maccarrone, Michele Maccavino, Nicolò McCormick, Michael Macfie, Alexander Lyon Macino, Francesca McKitterick, Rosamond

139 158, 161 283 22, 481 299, 328 22, 548 112

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McNamara, Martin 135 Macrobius, Ambrosius Aurelius Theodosius 112 Maddalo, Silvia 123, 181, 231, 238, 244, 365, 549 Maddoli, Gianfranco 331 Madonna, Maria Luisa 181, 246 Maffei, Scipione 152 Maggi, Mauro 329 Magionami, Leonardo 82, 364, 543 Magistrale, Francesco 106, 107 Maglione, Luigi, card. 452 Magnaldi, Giuseppina 30 Magrini, Sabina 231, 234, 245 Mai, Angelo, card. 37, 125, 161, 490, 547 Maier, Anneliese 129, 147-151, 153, 154, 155, 157, 158, 169, 363, 545 Maierù, Alfonso 149, 151 Maiezza, Concetta 230 Mainini, Lorenzo 210 Maiorano, Niccolò 552 Makris, Georgios 60 Malak, Yuýanná 388 Malaspina, Ermanno 30, 31 Malato, Enrico 195 Malena, Adelisa 187 Malgeri, Francesco 432 Mallet, Jean 108 Mallon, Jean 72, 88, 91, 95 Mamone, Sara 286 Mampieri, Arnaldo 509 Mancho, Carles 222 Mancinelli, Fabrizio 219 Mandò, Pier Andrea 75 Manetti, Agnolo 31 Manetti, Daniela 35 Manetti, Giannozzo 31 Manfredi, Antonio 1, 15, 82, 87, 133, 159, 164, 171, 180, 234, 239, 302, 331, 368, 394, 430, 448, 501, 545, 552, 553, 572 Manfredus, rex Siciliae 232, 246 Manfron, Anna 455, 457, 465, 467 563 Mango, Cyril Maniaci, Marilena 78, 213 Mann, C. Griffith 319, 325, 326 Manoni, Paola 404, 540, 573 Manselli, Raoul 444 Manuzio, Aldo 288 Manuzio, Paolo 288 Manzano, Gilberto 564

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Manzari, Francesca

INDICE DEI NOMI

231, 232, 239, 240, 241, 242, 245, 247 Manzini, Luigi 184 Marazzi, Federico 107 Marazzoli, Marco 285 Marcadella, Giovanni 233 MarcellusII (Marcello Cervini), papa 171, 552 Marcocci, Giuseppe 188 Marcone, Arnaldo 566 Marcovich, Miroslav 21 Marcus, s. 219, 226 Margiotti, Fortunato 178 Mariani Canova, Giordana 239, 242, 243 Marianus Scotus 492 Marichal, Robert 72, 92 Marinetti, Sabina 208 Marini, Gaetano 369, 547 Mariotti, Scevola 37 Marotta, Sergio 331 Marpicati, Paolo 239 Marrani, Giuseppe 203 Marshall, Peter 37 Martellotti, Guido 171 Martialis, Marcus Valerius 98 Martianus Capella 37, 112 Martimort, Aimé-George 137 Martin, Jean-Marie 59, 108, 227, 549 Martin, Victor 123 Martinelli Tempesta, Stefano 35 Martin-Hisard, Bernadette 59 Martini, Carlo Maria 121, 122 Martini, Cecilia 326 Martini, Emidio 64 Martini, Giovan Battista 274, 278 Martinoli, Livia 367 Martinus V (Oddone Colonna, di Genazzano), papa 180, 241, 344, 556 Martinus Turonensis, s. 217 Marucchi, Adriana 25, 81, 169, 366, 548 Marzano, Gilberto 566 Marx, Hans Joachim 283 Masai, François 94 Massarenti, Armando 565 Massé, Henri 328 Mastandrea, Paolo 564 Matera, Vincenzo 108 Matta, Riccardo 432, 441, 442, 443 Matteo de Planisio 244 Matthaeus, s. 226 Mattioli, Raffaele 325

Mattioli Háry, Nicoletta 303, 328, 357, 358, 361, 365, 378, 398, 431, 432, 433, 434, 435, 436, 553 Maurilius, s. 243 Maurus, discipulus s. Benedicti, s. 119, 225 Maximus Confessor, s. 53 Mazzini, Giovanni 557 Mazzitelli, Gabriele 431 Mazzucchi, Carlo Maria 33, 36 Meda, Filippo 432-433 Medaglia, Silvio M. 22 Medica, Massimo 234, 235, 236, 237, 238 Medici, Lorenzo de’ 170, 203 Meiss, Millard 238, 241 Mejía, Jorge María, card. 11, 318 Melasecchi, Beniamino 326 Meley Mulugetta 315, 328 Melnikas, Anthony 235, 549 Menander 302 Menas, patricius 34, 36 Mendelsohn, Daniel 370 Meneghetti, Maria Luisa 210 Menniti Ippolito, Antonio 181 Mercati, Angelo 144, 156, 435, 555 Mercati, Giovanni, card. XI, 3, 19, 23, 26, 28, 34, 50, 51, 52, 57, 60, 64, 65, 104, 133, 135, 138, 161, 162, 163, 165, 166, 167, 168, 173, 174, 175, 199, 308, 314, 357, 364, 369, 387, 432-433, 434, 437, 452, 453, 549, 460, 552, 553, 555, 558 Mercati, Silvio Giuseppe 555, 560 Merlo, Grado Giovanni 4, 355 Mersch, Margit 236 Meschini, Anna 33 Methodius, s. 548 Metzger, Wolfgang 367 567 Meyer, Virginie Miano, Vincenzo 152 Michael Italicus 64 Michelini Tocci, Luigi 24, 86, 117, 172, 218, 383, 416, 429, 442, 443, 453, 461, 557 Michelino da Besozzo 243 Michetti, Giovanni 540 Miglio, Luisa 79 Miglio, Massimo 81, 82, 181 Migne, Jacques Paul 54 Milkau, Fritz 54 Miller, Clement A. 278 Minazzato, Marta 243

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INDICE DEI NOMI

Mischiati, Oscar 276 Mistruzzi, Aurelio 408, 412 Mitchell, John 107 Mittler, Elmar 213, 461 Mochi Onori, Lorenza 288 Modigliani, Anna 81 Modigliani, Ettore 208 Mogenet, Joseph 21, 129, 363, 544 Molnar, Antal 178 Mommsen, Theodor 351, 451, 562 Monaci, Ernesto 197, 199, 200, 208, 210 Monciatti, Alessio 244 Monda, Antonio 370 Monneret de Villard, Ugo 134, 304, 305, 306, 327, 328 Montaigne, Michel de 451 Monteverdi, Angelo 201 Montfaucon, Bernard de 53, 58, 552, 575 Monti, Carla Maria 238, 239 Montini, Giovanni Battista: cfr. Paulus VI (…), papa Montuschi, Claudia 1, 182, 394, 541, 545, 559 Moore, John 36 Moraes, George 388 Morelli, Arnaldo 288, 572 Morelli, Giorgio 285 Morelli, Giuseppe 28, 29 Morelli, Marcello 110 Morello, Giovanni 86, 123, 213, 233, 237, 313, 321, 234, 335, 445, 451, 455, 464 Morerod-Fattebert, Christine 146 Mores, Francesco 4, 355 Moroncini, Francesco 209 Moroni, Ornella 191 Moschetti, Cesare M. 389 Moschetti, Guiscardo 389 Mossay, Justin 550 Motta, Franco 178 Mottola, Francesco 108, 228, Mozzarelli, Cesare 180 Mrkonjiò, Tomislav 317, 328 Müller, Gebhard 557 Mueller, Joers 155 Müntz, Eugène 404 Mütherich, Florentine 215, 217, 221, 233 Mulla, Paul (Ali Mehmet Mulla-Zâde) 320 Munari, Franco 37 Mundò, Anscari Manuel 132, 222 Munk Olsen, Birger 550

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Murano, Pecia 75 Murata, Margaret 283, 284, 286, 287, 288 Muratova, Xenia 218 Murdoch, Rupert 565 Muret, Marco Antonio 544 Murgia, Charles E. 107 Mussini, Massimo 223 Muzio di Cambio 245 Mystoxides, Andrea 54 Nannipieri, Luca 567 Nardi, Bruno 151 Nasalli Rocca, Emilio 156 Natalini, Terzo 72 Navrozov, Robin 464 Nees, Lawrence 218 Neri da Rimini 236 Neri, Filippo, s.: cfr. Philippus Nerius, s. Nesselrath, Heinz-Günther 55 Nestorius Constantinopolitanus 138 Neunheuser, Burchardus 119, 218 Neveux, Bruno 145, 147 Newton, Francis 106, 107, 224 Nibby, Antonio 355, 356 Niccoli, Niccolò 30, 77 Niccolini, Batista 206 Niccolò da Bologna (Niccolò di Giacomo di Nascimbene) 237 Nicephorus Blemmyda 53 Nicephorus Gregoras 51 Nicetas Choniates 56 Nicetas Paphlagon 125 Nico Ottaviani, Maria Grazia 181 Nicolaj Petronio, Giovanna 72, 88, 92, 97, 103, 107 Nicolaus, s. 134 Nicolaus III (Giovanni Gaetano Orsini), papa 231, 232 Nicolaus V (Tommaso Parentucelli), papa 15, 51, 85, 170, 171, 180, 354, 404, 477, 552, 554 Nicolosi, Salvatore 417 Niehoff, Franz 230, 237 Nietzsche, Friedrich 39 Nilgen, Ursula 223 Nilus Ancyranus, s. 139 Ningshengcisu, Elena, imp. della Cina 460 Niutta, Francesca 81 Nobile, Umberto 418 Nocca, Marco 323 Nogara, Bartolomeo 165, 169 Nolhac, Pierre de 26, 27, 166

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Nordenfalk, Carl Novacki, Edward Novati, Francesco

INDICE DEI NOMI

218, 235 275 161

Ockeghem, Johannes 292, 293, 294 Oderisius Casinensis abbas, s. 226 Offner, Richard 240 Oliva, Anna Maria 181 Olivieri, Alessandro 64 Olschki, Alessandro 565 Omont, Henri Auguste 52 Opicinus de Canistris 242 Origenes 53, 138 Orimina, Cristoforo 244 Orlandelli, Gianfranco 75 Orlandi, Luigina 431, 436 Orlando di Lasso 274 Ornato, Ezio 70, 74 Orofino, Giulia 78, 106, 108, 109, 213, 223, 226, 227, 228, 232, 233, 244 Orosius, Paulus 226 Orsatti, Paola 190, 306, 311, 328, 329, 552 Orsini, Fulvio 22, 24, 26, 27, 32, 545 Orsini, Giordano 30 Orsini, Latino Malabranca 154 Orsini, Paolo 238 Osborne, John 220 Ostrow, Stephen F. 182 Ottaviano, Silvia 22 Otto I, imp. 227 Ottoboni, famiglia 26 Ottoboni, Pietro 283 Ovidius Naso, Publius 25, 113, 239, 548 Pace, Valentino 102, 218, 219, 226, 227, 228, 229, 230, 231, 232, 234, 244, 246, 570 Pachymeres, Georgius 53 Pacificus, archidiaconus Veronensis 101, 168 Pacino di Bonaguida 246 Packovski, Angela 282 Pächt, Otto 240, 244 Pagano, Sergio 187 Paglialunga, Arcangelo 437 Palazzetti, Michele 463 Palazzo, Eric 221 Palazzo, Frank 540 Palladius, Rutilius Taurus Aemilianus 239 Palma, Marco 31, 74, 79, 88, 105, 106, 107 Pandoni, Giannantonio, detto il Porcellio 27

Panetta, Marina 565 Pankhurst, Richard 328 Paoli, Andrea 358 Paolino Veneto 227, 242 Paolo da Lagni 178 Paolucci, Antonio 321 Paravicini Bagliani, Agostino 59, 149, 391, 392, 571, 572 Parentucelli, Tommaso: cfr. Nicolaus V (…), papa Paretti, Luca 30 Parisi, Susan 285 Parkes, Malcom 110, 113 Parodi, Massimo 148, 149 Parodi, Piergiorgio 559 Paroli, Lidia 111 Parroni, Piergiorgio 31 Partsch, Susanna 240 Paschini, Pio 171 Paschke, Franz 36 Pasi, Silvia 238 Pasini, Cesare XI, 2, 16, 117, 375, 394, 398, 429, 430, 444, 558, 564, 569, 571, 573 Pasini, Pier Giorgio 236 Pasquali, Giorgio 19, 20, 55, 70, 85, 202 Pasqualini, Marcantonio 284 Pasquini, Elisabetta 274 Passalacqua, Marina 550 Pasternak, Nurit 318, 326, 366 Pastor, Ludwig von 180, 193 Pastore, Stefania 188 Pastore Stocchi, Manlio 204 Patetta, Federico 171, 376 Patrizi Piccolomini, Agostino 183 Pattin, Adriaan 151 Paulus, s. 105, 126 Paulus III (Alessandro Farnese), papa 278, 414 Paulus V (Camillo Borghese), papa 185, 414, 552 Paulus VI (Giovanni Battista Montini), papa VIII, X, 7-10, 11, 12, 14, 121, 122, 191, 372, 374, 388, 395, 454, 549, 562, 564, 569, 570, 573 Pauly, August Friedrich von 37 Pavón Ramírez, Marta 549 Pavone, Sabina 178 Payne, Philip B. 122 Pecere, Oronzo 31, 70, 90, 106, 108, 109, 111

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INDICE DEI NOMI

Pellegrin, Élisabeth 25, 169, 366, 547 Pellegrini, Marco 180, 185 Pelliot, Paul 317, 328, 329 Peltzer, Augusto 69, 87, 144, 145, 150, 151, 152, 153, 157, 169, 543 Pennacchietti, Fabrizio 314, 329, 335 Pennington, Kenneth 155, 156 Peretti Alessandro, card. 413 Pérez Martín, Immaculada 119, 369 Peri, Vittorio 52, 57, 132, 134, 138, 139, 301, 309, 312, 313, 322, 329, 368, 391, 392, 558 Pernigotti, Attilio 430, 432, 433, 434, 438, 445 Pernoud, Régine 230 Perosi, Lorenzo 355, 388 Perotti, Niccolò 162, 163, 165 Perrat, Charles 72 Perria, Lidia 34, 36, 37, 59, 324, 563 Perriccioli Saggese, Alessandra 243, 244, 245, 549 Persius, Aulus Flaccus 90, 96, 97, 98 Pertusi, Agostino 60, 163 Perusco, Camillo 126 Peruzzi, Marcella 329 Pescini, Ilaria 93 Petau, Alexandre e Paul 27 Peters-Custot, Annick 560 Petitmengin, Pierre 52, 133 Petrarca, Francesco 27, 31, 118, 161, 163, 165, 171, 195, 198, 203, 204, 205, 207, 208, 210, 239, 565 Petrocchi, Giorgio 205, 206 Petrucci, Armando 30, 31, 71, 73, 76, 78, 79, 80, 88, 92, 93, 102, 103, 105, 107, 111, 197, 208, 209, 364, 543 Petrucci, Livio 207 Petrus, papa, s. 126 Petrus, diaconus Casinensis 134 Petrus Damianus, card., s. 109 Petrus de Candia 152 Petrus de Ebulo 549 Petrus de Vineis (Pier delle Vigne) 195 Petrus Lombardus 245 Petti, Donato 564 Pezzetta Enore 417, 418 Pfeiffer, Rudolf 26, 55 Philippus Nerius, s. 186, 187 Photius, patriarcha Constantinopolitanus 52 Piazzoni, Ambrogio Maria XIII, 1, 2, 15,

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86, 119, 129, 130, 133, 139, 213, 247, 313, 323, 335, 352, 363, 364, 365, 369, 392, 430, 458, 464, 477, 497, 509, 541, 543, 544, 546 Piccoli, Fausta 243 Piccoli, Paolo 432 Piccolomini, Enea Silvio: cfr. Pius II (…), papa Pico della Mirandola, Giovanni 170 Piemontese, Angelo Michele 300, 312, 313, 329 Pieraccioni, Dino 70 Pieralisi, Alessandro 355 Pieralisi, Sante 355 Pierleoni, Gino 55 Pietrangeli, Carlo 437 Pietrobelli, Pierluigi 282 Pietschmann, Klaus 279, 280 Pignatti Morano di Custoza, Bonifacio 452 Pindarus 23, 27, 33 Pinelli, Antonio 560 Pinto, Pasquale Massimo 35 Pirrotta, Nino 276, 283, 286 Pisano, Stephen 121, 122 Pistilli, Pio Francesco 247 Pistolesi, Francesco 182 Pitassi, Maria Cristina 188 Pitoni, Giuseppe Ottavio 281, 388 Pius II (Enea Silvio Piccolomini), papa 171, 412, 414 Pius VII (Barnaba Chiaramonti), papa 346 Pius IX (Giovanni Battista Mastai Ferretti), papa, b. 374, 375 Pius X (Giuseppe Melchiorre Sarto), papa, s. 357, 388, 459, 544 Pius XI (Achille Ratti), papa 1, 2-3, 4, 5, 14, 50, 66, 67, 169, 303, 305, 309, 354, 371, 387, 395, 397, 399, 412, 413, 429, 431, 432, 433, 436, 437, 441, 452, 460, 478 Pius XII (Eugenio Pacelli), papa 2, 3-5, 14, 414, 416, 441, 442, 452, 460, 478 Pizzamiglio, Luigi 410 Pizzorusso, Giovanni 178 Platania, Gaetano 178 Platina (Bartolomeo Sacchi, detto il) 81, 82 Plato 35, 51 Plautus, Titus Maccius 25, 30, 548 Plebani, Tiziana 454 Pletho, Georgius Gemistus 53

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INDICE DEI NOMI

Plinius, Caius Caecilius Secundus 112 Plotzek, Joachim M. 85, 222, 224 Plutarchus 22, 51 Poggi, Vincenzo 309, 330 Poliziano, Angelo 27, 28, 30, 31, 170, 204 Poljakov, Fedor B. 50 Pollard, Graham 75 Polo, Marco 317 Polybius 36, 51 Pomarici, Francesca 549 Pomata, Gianna 187 Pompilio, Angelo 287 Pontani, Filippo Maria 33 Pontico Virunio 165 Pop, Sever 327, 371 Porphyrio, Pomponius 30 Porphyrius, Publilius Optatianus 217 Poulle, Emmanuel 73, 103 Poumarède, Géraud 178 Praloran, Marco 216 Pratesi, Alessandro 23, 28, 70, 73, 80, 88, 90, 94, 95, 97, 102, 106, 110, 233, 430, 435, 551 Premierfait, Laurent de 80 Prete, Sesto 28, 95, 129, 171, 544 Priscianus Caesariensis 107, 222 Probst, Veit 367 Prodenzani, Simone 211 Prodi, Paolo 180 Propertius, Sextus Aurelius 25, 548 Prosperi, Adriano 181, 189 Prosperi Valenti Rodinò, Simonetta 563 Proverbio, Delio Vania 299, 300, 302, 314, 316, 319, 320, 322, 327, 330, 331, 334, 394 Pruccoli, Enzo 165 Ps.-Epiphanius Cyprius vel Constantiensis, s. 139 Ps.-Dionysius Areopagita 139 Ptolomaeus, Claudius 21, 23, 118 Pucelle, Jean 240 Pugliese Carratelli, Giovanni 103, 223, 300, 306, 331, 444, 565 Pulsoni, Carlo 206 Puntoni, Vittorio 64 Putaturo Donati Murano, Antonella 238, 549 Qawesýos, monaco etiope Quaglioni, Diego Questa, Cesare Questenberg, Jacob Aurelius

315 81 28, 30 167

Quilici, Piccarda 511 Quintavalle, Arturo Carlo 217, 219, 225, 227, 229, 230, 231 Quintilianus, Marcus Fabius 565 Radding, Charles M. 102 Radiciotti, Paolo 93 Raes, Alfons 7, 309, 310, 326, 383, 394, 560 Raffaelli, Renata 28 Rafti, Patrizia 207 Raineri, Osvaldo 129, 131, 134, 307, 308 313, 314, 315, 316, 318, 319, 323, 325, 327, 331, 332, 363, 364, 546, 548 Rajna, Pio 199 Rambaldi, Enrico I. 325 Rampolla del Tindaro, Mariano, card. 357, 411 Ranaldi, famiglia 356 Ranaldi, Alessandro 52 Ranaldi, Domenico 52 Randi di Bagnocavallo, Lorenzo Ilarione, card. 375, 409, 411 Ranieri, Concetta 81 Ranieri, Ruggero 358 Ranke, Leopold von 184 Rascaglia, Maria 179 Rath, Erich von 54 Ratti, Achille: cfr. Pius XI (…), papa Ravalli, Pietro 389 Raw, Barbara Catherine 222 Reardon, Colleen 285 Rebernik, Ivan 445, 448 Reeve, Michael 31 Regni, Marina 322 Regogliosi, Mariangela 82 Reig, Daniel 299, 332 Reinhardt, Wilhelm 178, 185 Renner, Paul 567 Reynolds, Christopher A. 279 Rhoby, Andreas 49 Riamond, Pierre-Jean 25, 366 Ribuoli, Riccardo 28 Ricci, Lanfranco 308, 310, 316, 332, 333 Ricci, Marco 111 Ricci, Matteo 314 Riccioni, Francesca 227 Richard, Marcel 125 Richler, Benjamin 129, 318, 326, 366, 549 Rieger, Oya Y. 485 Righetti Tosti-Croce, Marina 231 Rigolot, François 451

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INDICE DEI NOMI

Rilliet, Frédéric 139, 311, 313, 333, 334 Riou, Yves-François 25, 366 Rita, Andreina 358, 361, 431, 436, 440, 442, 444, 448 Ritzerfeld, Ulrike 236 Rius Serra, José 156 Rizzo, Silvia 30, 32, 172 Robert, Jacques 124 Roberto di Taranto 245 Roberts, Colin Henderson 98 Robertus de Usetia (Robert D’Uzès) 152 Robial, Étienne 567 Robinson, James M. 123 Rocchi, Antonio 357 Rodriquez, Maria Teresa 558 Rog, Judith 485 Roger, Pierre: cfr. Clemens VI (…), papa Romanini, Angiola Maria 231, 232 Romanò, Angelo 209 Romano, Serena 216, 223 Romanus, Caius Iulius 38 Rome, Adolphe 21 Romeo, Carlo 109 Romualdus Salernitanus 109 Roncaglia, Aurelio 201, 202, 276 Ronconi, Alessandro 20 Rosada, Maurizio 156, 551 Rose, Gloria 284 Ros-Fábregas, Emilio 277 Rospigliosi, Giulio: cfr. Clemens IX (…), papa Rossi, Ettore 131, 314, 315, 333, 547 Rossi, Marco 243 Rossi, Vittorio 162, 201, 566 Rossini, Orietta 82 Rostirolla, Giancarlo 280, 281, 282 Rota, Giovanni 325 Roth, Adalbert 280, 393, 478, 491, 573 Rotondi, Giuseppe 171 Rouse, Richard Hunter 75 Rowland, Ingrid 171 Rück, Peter 113 Ruffatti, Alessio 287, 288 Ruffin, conte 412 Ruini, Cesarino 281 Rullo, Alessandra 231 Rurale, Flavio 179 Rusconi, Roberto 180, 189, 554 Russo, Carlo Ferdinando 70 Russo, Francesco 52 Russo, Paolo 288

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Ruysschaert, José 23, 24, 26, 32, 52, 81, 86, 129, 134, 145, 147, 159, 169, 275, 305, 307, 308, 313, 314, 322, 333, 356, 360, 363, 383, 387, 389, 390, 392, 394, 453, 506, 507, 544, 548, 552, 557, 563 Ryan, John Joseph 155 Sabbadini, Remigio 22, 162 Sabeo, Fausto 552 Sacchi, Bartolomeo: cfr. Platina Saguì, Lidia 111 Said, Edward W. 299, 333 Saint-Exupéry, Antoine de 355 Salama II, Aethiopiae metropolita 307 Salimbene da Parma 195 Sallustius, Caius Crispus 29, 90, 95, 96, 97 Salmon, Pierre 136, 137, 275, 551 Salutati, Coluccio 77, 208, 239 Salvadori, Giulio 197 Samaran, Charles 114, 144 Samir, Khalil 312, 333 Samorè, Antonio, card. 562 Sandberger, Adolf 274 Sanfilippo, Matteo 179 Sangalli, Maurizio 182 Sanguineti, Federico 190 Sansone, Salvatore 549 Santagata, Marco 207 Santamaria, Ulderico 511 Santamaura (S. Maura), Giovanni 52 Santi, Francesco 110 Sanudo, Marino, detto Torsello 227, 242 Sapeto, Giuseppe 312 Sargent, Steven 148 Sarmant, Thierry 346 Satolli, Francesco, card. 459 Satta, Salvatore 199 Sauerländer, Willibald 229 Sauget, Joseph-Marie 132, 139, 137, 309, 311, 315, 319, 332, 333, 334, 391, 392, 554 Savoca, Giuseppe 208 Sbordone, Francesco 21, 22 Scaraffia, Lucetta 187 Scarcia Piacentini, Paola 25, 82, 171, 190, 366, 552 Schadt, Hermann 236 Schefers, Hermann 118, 217 Schena, Olivetta 181 Schenker, Adrian 132, 135,

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INDICE DEI NOMI

Schenkeveld, Dirk Marie 38 Schiffer, Elisabeth 49 Schimmelpfennig, Bernhard 154 Schindler, Dietrich 196 Schirò, Giuseppe 555 Schmid, Anne 216 Schmidt, Peter Lebrecht 31 Schmidt Arcangeli, Catarina 242 Schmitt, Annegrit 238, 239, 240, 241, 242, 243, 244, 245 Schmitt, Jean-Claude 119 Schnettger, Matthias 283 Schnitzler, Hermann 221 Schöffer, Peter 85 Schreiner, Peter 50, 56, 60, 64, 129, 363, 544, 569 Schuba, Ludwig 367, 241 Schütze, Sebastian 288 Schuler, Irmgard 573, 574 Schulz, Winfried 395 Schulze, Hendrik 288 Schunke, Ilse 557 Schwartz, Eduard 125 Secret, François 160 Segre, Cesare 209, 210 Seider, Richard 96, 97 Seidler, Sabina M. 186 Sella, Pietro 156, 157, 555 Sella, Quintino 351 Semeraro, Cosimo 397 Seneca, Lucius Annaeus 25, 29, 31, 105, 238, 239, 548 Serafini, Camillo 348, 407, 408, 410, 411, 412, 413, 414, 415 Servius 107, 112 Sesini, Ugo 276 Sesti, Emanuela 237 Settis, Salvatore 112 Severus Antiochenus 125, 139 Sferra, Francesco 313, 334 Sheehan, William John 172, 313, 334, 404, 557 Sherr, Richard 279, 280 Shooner, Hugo Vincentius 75 Shurgaia, Gaga 299, 301, 313, 334, 335 Shurghaia, Tamar 334 Sibilio, Francesco 347 Sickel, Theodor von 84 Sidarus, Adel Y. 313, 335 Signorini, Maddalena 76, 208, 448 Signorotto, Gianvittorio 180, 183

Silbiger, Alexander 286 Simocatta, Theophylactus 56 Simon, Jean 308, 309 Simone Camaldolese 238 Simone de Grymnis 168 Simonetta, Marcello 324 Sinatora, Gregorio 52 Singleton, Charles Southward 238 Siraisi, Nancy 187 Sirat, Colette 74 Sirinian, Anna 324 Sirleto, Guglielmo, card. XI, 52, 56 Sisinnius, patricius 216 Sixtus IV (Francesco Della Rovere), papa 159, 305, 414 Sixtus V (Felice Peretti), papa V, 181, 442, 451 Skeat, Theodore Cressy 98 Smet, Joachim 549 Smith, Lesley 550 Smith, Marc H. 103 Smulders, Pieter Frans 127 Solana Pujalte, Julián 548 Solfaroli Camillocci, Daniela 188 Solinas, Francesco 288 Sophocles 33 Sosower, Mark L. 133, 171, 368, 552 Spadaro, Antonio 566 Spagnolo, Luigi 206 Spataro, Giovanni 278 Speciale, Lucinia 120, 221, 223, 224, 225, 227, 229 Spellman, Francis Joseph, card. 6 Speyer, Wolfgang 37 Spezzaferro, Luigi 181 Spotti, Alda 230 Stäblein, Bruno 275 Stamm, Heide 237 Staraz, Elena 88 Starr, Pamela 279 Stefaneschi, Jacopo 240, 246 Steinberg, Justin 79, 197 Steininger, Christine 103 Steinweg, Klara 240 Stella, Aldo 184 Stelzer, Winfried 58, 84 Sterling, Charles 240 Stevenson, Henry, senior 55 Stevenson, Henry, iunior 407, 409 Stevenson, Thomas B. 215

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INDICE DEI NOMI

Stickler, Alfons Maria, card. 144, 235, 394, 399, 461, 556, 557, 561 Stiegemann, Christoph 213 Stock, Fabio 239, 243 Storey, Wayne H. 76, 201, 207 Stork, Hans-Walter 119 Stornajolo, Cosimo 56, 120, 357 Strabo 21, 32, 53, 492 Strohmaier, Gotthard 301, 335 Stuart, Henry 192, 552 Sturzo, Luigi 432 Sucato, Tiziana 276 Suetonius, Caius Tranquillus 243, 245 Supino Martini, Paola 76, 83, 93, 102, 223, 226, 229, 244 Surmann, Ulrike 85, 217, 221 Sutton, Kay 240 Sylla, Edith 151 Szirmai, John A. 316, 335 Tabacchi, Stefano 181 Taddey, Gerhard 398 Taft, Robert F. 310, 321, 323, 335 Takata, Tokio 328 Tallgren Tuulio, Oiva Johannes 201 Tamburini, Elena 286 Tamburini, Filippo 375 Tanturli, Giuliano 77 Tarchnišvili, Michael 139 Tasso, Torquato 171, 359 Tedeschi, Salvatore 316 Tedros Abraha 135, 313, 317, 332, 335 Temple, Elzbieta 222 Terentius, Publius Afer 9, 69, 118, 165, 222 Tessieri, Pietro 347, 348 Tessitore, Fulvio 299, 335 Teule, Herman 335 Theobaldus Casinensis abbas 112 Theocritus 33 Theodoretus Cyrensis 53, 125, 126, 138 Theodorus Meliteniotes 60 Theodorus Mopsuestenus 135, 138 Theodorus Prodromus 53 Theodorus Studites, s. 53, 56, 137 Theon Alexandrinus 21 Theophanes Cerameus 53 Theophanes Confessor 53, 54, 56 Theophrastus 21, 32, Theophylactus Achridensis 53 Thévenaz Modestin, Clémence 146 Thibaut, André 108

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Thomas Aquinas, s. 7, 51, 75, 242, 453 Thompson, Douglas F.S. 32 Thucydides 33, 34, 51, 155 Tibullus, Albius 25, 170, 548 Tiburzi, Piero 445 Tihon, Anne 21 Tilliette, Jean-Yves 25, 366 Timpanaro, Sebastiano 107, 161 Tintori, Amedeo 436-437 Tiridate III, re di Armenia 307 Tisserant, Eugène, card. XI, 7, 8, 9, 134, 163, 144, 145, 302, 303, 304, 305, 306, 307, 308, 309, 314, 317, 328, 354, 371, 378, 432, 433-434, 436, 437, 441, 443, 546, 553, 564 Tittoni Monti, Maria Elisa 181 Tjäder, Jan-Olof 88, 92, 97, 99 Tolles, Thomas G. 375 Tomei, Alessandro 240, 245 Tommasi Ferroni, Riccardo 561 Toneatto, Lucio 217 Toniolo, Federica 219, 234, 242, 564 Toniolo, Giuseppe 551 Tonneau, Raymond 138 Tontini, Alba 25, 26, 548 Tordella, Piera Giovanna 322 Torquati, Michela 231, 235, 238, 365, 549 Torre, Angelo 178 Torricelli, Maria Pia 455 Tortelli, Giovanni 82, 164 Tosone, Lorella 358 Toth, Istvan Gyorgy 179 Toubert, Hélène 232 Traniello, Francesco 433 Traube, Ludwig 82 Treu, Kurt 36 Treu, Michael 64 Trinchese, Stefano 433 Trisoglio, Enrico 564 Tristano, Caterina 82, 109, 571 Trivellone, Alessia 230 Troncarelli, Fabio 73, 100 Tronzo, William 233 Trumpy, Giorgio 483, 484 Tucci, Giuseppe 306, 317, 335 Turner, Eric Gardner 98 Turrel Rodack, Madeleine 179 Turyn, Alexander 33, 59 Ubaldini, Federico Ucciardello, Giuseppe

198, 204, 205, 209 38

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INDICE DEI NOMI

Uhlig, Siegbert 316, 322, 325, 333, 335, 336 Ullman, Berthold Louis 164 Urbanus VII (Giovanni Battista Castagna), papa 413, 414 Urbanus VIII (Maffeo Barberini), papa 186, 190, 284 Ursicinus, Veronensis ecclesiae lector 101 Ursus, episcopus Beneventanus 107 Vahlquist, Fredrik 403 Vaiani, Elena 326 Valadier, Giuseppe 344 Valadier, Luigi 344 Vale, Giuseppe 156 Valenzano, Giovanna 242 Valerius Flaccus, Caius Setinus Balbus 31 Valerius Maximus 242 Valla, Lorenzo 34 Vandelli, Giuseppe 203 Van de Vyver, Emile 151 van Heck, Adrianus 155 van Lantschoot, Arnold 131, 306, 307, 308, 310, 316, 336, 387, 390, 391, 394, 543, 546, 547 Vattasso, Marco 33, 169, 171, 547, 550, 551 Vauchez, André 146 Vayer, Lajos 237 Vegetius, Flavius Renatus 239 Velati, Mauro 6 Velmans, Tania 236 Vendittelli, Laura 111 Vendola, Domenico 156 Venturino de Prioribus 155 Venuda, Fabio 431 Vergiani, Vincenzo 313, 334 Vergilius, Publius Maro 69, 107, 112, 118, 165, 464 Verheusen, Astrid 485 Vernet, André 145 Verrando, Giovanni Nino 229 Vespasiano da Bisticci 87 Vespasianus, Titus Flavius, imp. 408 Vetere, Benedetto 225 Veth, Wilhelms Johan 166 Vezin, Jean 33 Vian, Nello 169, 172, 186, 301, 358, 359, 383, 432, 433, 436, 441, 442, 443, 439 Vian, Paolo 1, 4, 5, 6, 15, 20, 50, 52, 129, 130, 133, 139, 160, 165, 169, 172, 191, 237, 302, 336, 351, 352, 353,

355, 358, 363, 364, 369, 374, 392, 429, 433, 436, 453, 497, 543, 544, 546, 549, 552, 569, 571, 576 Viani, Matteo 483 Victor III (Desiderius Casinensis abbas), papa, b. 223, 224, 226 Vigili, Fabio 171 Villani, Giovanni 246 Villari, Pasquale 192 Villari, Susanna 160 Villoison, Jean Baptiste Gaspard d’Ansse de 54 Virgili, Lavinio 280 Visceglia, Maria Antonietta 183 Visconti, Carlo Ludovico 348 Visconti, Giangaleazzo 243 Visconti, Giovan Battista 191 Vita Spagnuolo, Vera 285 Vitali, Pietro Maria 346 Vitolo, Giovanni 108, 228 Voci, Anna Maria 192, 280 Vogel, Cyrille 154, 136 Vogel, Maria 59 Vogeler, Georg 88 Vogt, Ernst 50, 55 Voicu, Sever Juan 123, 139, 299, 301, 302, 335, 336, 368, 393 Volbach, Wolfgang Fritz 231 Vollmar, Edward R. 375 Volpe, Carlo 236 Volpicelli, Maria Letizia 283 Volpini, Raffaello 158 Vongrey, Felix 220 Vorgusto Bobiensis abbas 104 Vossius, Gerard Iohannes 27 Waetzoldt, Stephan Wagendorfer, Martin Walafridus Strabo Walker, Thomas Walz, Dorothea Wandelbertus Prumiensis Wang, Zhihuan Wassilowsky, Günther Watt, John W. Wazbinski, Zygmunt Weaver, W. Weber, Christoph Weiner, Andreas Weis, Markus Weiss, Robert

215, 223 171 109, 112 286 233, 367 119, 219 69 267 301, 336 185 286 186 218 241 164

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INDICE DEI NOMI

Wemhoff, Matthias Weninger, Stefan Weston, Paul Gabriele

213 307, 336 430, 431, 432, 433, 434, 438, 445, 448 Whittington, Karl 242 Willemsen, Carl Arnold 233 Williman, Daniel 543, 552 Wilmart, André 144, 146, 157, 543, 554 Wilson, E. Jan 318, 336 Winkler, Heinz-Jürgen 277, 280 Wirth, Karl August 118 Wissowa, Georg 37 Witte, Karl 190 Witzenmann, Wolfgang 284, 285 Wixom, William D. 214 Wlassikoff, Michel 565 Wolf, Gerhard 242 Wolf, Hubert 267 Wolf, Johannes 276 Wollesen, Jens 221 Wolska-Conus, Wanda 127 Wood, Robert 84 Wormald, Francis 222 Wright, Cyril Ernest 102 Wright, David Herndon 23, 25, 215, 216, 563 Wu, Ching-hsiang 69

Wuttke, Dieter Xenophon Yu, Clara Dong

611 77 35, 51 313, 317, 318, 336, 462, 557

Zabughin, Vladimiro Zacarias, Johanna Zaffagno, Elena Zamponi, Stefano

162 215 239 75, 76, 77, 83, 101, 102, 207, 549 Zanelli, Luciano 415, 417, 418 Zanichelli, Giuseppa 220, 230, 234, 246 Zappelli, Luigi 557 Zarri, Gabriella 181, 187 Zchomelidse, Nino Maria 220 Zeller, Bernhard 92 Zeno, Jacopo 167 Zerbi, Piero 158 Ziegler, Joseph 550 Zigabenus, Euthymius 53 Zimei, Enrico 200 Zimmermann, Karin 367 Zoega, Georg 311, 333 Zoerle, Achille 148 Zorzi, Andrea 565 Zurli, Loriano 564

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TIPOGRAFIA VATICANA

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