La belle époque dell'atomo


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La belle époque dell'atomo

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ROBERTO MAIOCCHI

LA «BELLE ÉPOQUE» DELL'ATOMO Ricerche sulla villoria dell'atomismo nella fisica del primo Novecento

FRANCO ANGELI

Questo libro è stato pubblicato con un contributo del Ministero della Pubblica Istruzione. Alla ricerca ha dato il suo generoso appoggio la Fondazione Maria Giussani Bemasconi per il restauro d'arte e per gli studi umanistici di Varese.

In copertina: Jean Perrin (primo a sinistra, seduto) tra i suoi allievi ( 1924)

Copyright © 1988 by Franco Angeli Libri s.r.l., Milano. Italy I lettori che desiderano essere regolarmente informati sulle novità pubblicate dalla nostra Casa Editrice possono scrivere, mandando il loro indirizzo, alla ··Franco Angeli, Viale Monza I 06, 20127 Milano", ordinando poi i volumi direttamente alla loro Libreria.

INDICE

pag.

Introduzione

7

Parte I - Atomi e scienziati » » » » »

11 75 125 164

» »

»

211 228 240 254 279

Conclusioni



283

Riferimenti bibliografici

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I. 2. 3. 4. 5.

La vittoria dell'atomismo attraverso la manualistica fisica La diffusione nei liquidi e le prove della realtà molecolare Il moto browniano Blu del cielo e vittoria dell'atomismo La teoria dell'opalescenza critica di Smoluchowski

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Parte Il - Atomi e filosofi I. 2. 3. 4. 5.

Mach e l'atomo Duhem e l'atomistica Il problema Ostwald Atomismo e «nouveau positivisme» Osservazioni conclusive alla parte seconda

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» »

Sino ad ora avevo scritto tre libri: uno l'ho dedicato a mia moglie, l'altro al mio primo figlio Federico, l'altro ancora al mio secondo figlio Luca. Questo lo dedico al mio terzo figlio Alberto ,vlario. Penso che in futuro scriverò soltanto articoli.

INTRODUZIONE

Questo libro è diverso, molto diverso da quel che era mia intenzione scrivere parecchi anni fa, quando intrapresi la mia ricerca. lo intendevo, baldanzosamente e presuntuosamente, scrivere una storia della vittoria della concezione atomica della materia all'inizio del '900 e ritenevo il progetto fattibile in base alla considerazione che, poiché moltissimi storici avevan detto la loro sull'argomento, evidentemente vi doveva essere una certa abbondanza di ricerche relative. In effetti trovai una bibliografia sul tema sterminata, ma mi accorsi che essa è incredibilmente squilibrata: mentre sono stati molto studiati la teoria cinetica

dei gas, le scoperte sulle nuove radiazioni, i modelli atomici, la teoria dell'elettrone, tutti quei problemi, in altri termini, che sono stati all'origine della meccanica quantistica, quasi nulla è stato fatto per la ricostruzione di talune vicende dell'atomismo che rimasero confinate nei quadri concettuali della fisica classica. Gli sviluppi straordinariamente interessanti della meccanica quantistica sembrano aver concentrato l'attenzione degli storici su quei temi dai quali scaturì la rivoluzione dei quanti, relegando nell'ombra altri aspetti della battaglia sull'atomistica che non ebbero le medesime conseguenze eclatanti. Eppure la lettura dei documenti dell'epoca mi convinse che proprio quei temi trascurati dalla storiografia furono altrettanto importanti per la vittoria dell'atomismo, se non più importanti, di quelli oggi ben conosciuti. Basta leggere il celeberrimo Les atomes di Perrin, senza dubbio il testo più significativo dell'intera storia dell'atomismo d'inizio secolo, per accorgersi che corpo nero, elettrone, radioattività, così importanti per la successiva fisica atomica, vengono posposti a tanti altri argomenti che il libro di Perrin raccoglie per dimostrare la natura discreta della materia. Il mio progetto originario si mutò allora in uno meno ambizioso: 7

una ricerca su quelle vie dimenticate o poco note che condussero gli scienziati a convincersi della reale esistenza di atomi e molecole, lasciando completamente cadere, almeno provvisoriamente, le tematiche meglio conosciute. In questo libro, pertanto, non si parlerà né di Boltzmann, né di Planck, né di J .J. Thomson, né di Rutherford, tantomeno di Bohr o di Heisenberg. Questo non significa, e mi pare sin troppo ovvio dirlo, che questi personaggi non siano stati a mio parere decisivi per la storia dell'atomistica, vuol dire soltanto che in questo libro vengon date per scontate la loro opera e la loro grandezza e si decide di occuparsi d'altro, nella convinzione, che spero risulterà giustificata alla fine della lettura, che anche quest'altro fu importante ed interessante. Ai capitoli dedicati a temi scientifici specifici che ebbero rilevanza

per l'atomistica (diffusione, moto browniano, blu del cielo, opalescenza critica) mi è parso indispensabile anteporre un capitolo in cui tento di comprendere quale fu il pensiero della maggioranza degli scienziati a proposito della reale esistenza degli atomi, poiché il peso degli argomenti, la loro capacità di determinare gli esiti di una discussione razionale non possono essere valutati appieno se non si tien conto del loro effetto sulla intera comunità degli scienziati. Altrettanto indispensabile mi è parso aggiungere una seconda parte nella quale analizzo quelli che a mio avviso furono i più rilevanti aspetti della discussione filosofica sull'atomismo, poiché lo scontro tra atomisti ed antiatomisti fu anche scontro metodologico e filosofico. Le ragioni filosofiche ebbero un peso prevalente senza dubbio sugli antiatomisti, l'atomismo vinse in primo luogo per ragioni scientifiche, ma la comprensione dell'intera vicenda risulterebbe distorta se non si tenesse conto della reciproca influenza che esercitarono scienza e filosofia. Il primo capitolo, con lievi varianti, è stato già pubblicato in «Società e Storia» (e ringrazio la direzione della rivista per avermi concesso di ripubblicarlo qui), tutto il resto è inedito. Ringrazio tutti coloro che hanno letto, in parte o nella sua totalità, il mio manoscritto e mi hanno fornito preziosi suggerimenti; in particolare ringrazio Ludovico Geymonat, Luigi Bulferetti, Franco Della Peruta, Aurelio Macchioro, Francesco Barone, Giorgio Lanaro, Gianni Michel', Enrico Rambaldi, Carlo Maccagni, Enrico Bellone, Luigi Zanzi, Mario Quaranta. Un ringraziamento del tutto particolare va a mia moglie Maria Teresa, senza la quale questo libro sarebbe stato molto più brutto (così come, del resto, la mia vita). Milano, maggio 1987. 8

Parte prima

ATOMI E SCIENZIATI

1. LA VITTORIA DELL'ATOMISMO ATTRAVERSO

LA MANUALISTICA FISICA

1. Introduzione Uno dei capitoli più affascinanti della storia della fisica contempora-

nea è rappresentato dal processo che condusse la comunità dei fisici all'inizio del nostro secolo a convincersi della natura discreta della

materia e a rifondare la propria disciplina assumendo quale concetto portante di tutto l'edificio teorico quello di atomo. La nascita della fisica dell'atomo fu un evento rivoluzionario per gli effetti sconvolgenti che essa produsse non solo sulle scienze fisiche, ma anche su quelle chimiche e biologiche. Vi è stata una rivoluzione, dunque, e su questo è difficile non essere d'accordo. Ma quando avvenne? Quando si innescò il processo destinato a mutare l'intera nostra visione del mondo? Se è difficile rispondere a domande simili a proposito delle rivoluzioni politiche, che pure hanno momenti particolarmente significativi, sicuramente databili, del tipo «la presa della Bastiglia», o «la presa del Palazzo d'Inverno», Io è ancor di più a proposito delle rivoluzioni scientifiche, ove è impossibile rispondere alla domanda «quando?» se prima non si è chiarito «cosa» avvenne, cioè a quale evento si debba pensare allorquando si parla di rivoluzione. È infatti possibile stabilire (ma a volte con qualche rischio) che Lord Kelvin diede una stima delle dimensioni molecolari nel 1870, che la scoperta dei raggi x avvenne nel 1895, che tre anni dopo Smoluchowski pubblicò la propria teoria della conduzione termica, che Einstein trovò la teoria del moto browniano nel 1905, che Perrin la confermò nel 1908, che Keesom confermò la teoria delle fluttuazioni di Srnoluchowski nel 19 Il, che nello stesso anno Millikan determinò la

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carica dell'elettrone con il metodo della goccia d'olio, che Wilson nel 1912 mise a punto la propria camera a nebbia, ecc., ma quali di questi eventi fu l'apice della curva rivoluzionaria? Quale rappresentò la «presa del Palazzo» in cui si erano asserragliati gli antiatomisti? Ognuno di questi eventi, e di molti altri che si potrebbero citare, trovò osservatori che lo giudicarono decisivo, «cruciale», capace, quasi da solo, di sbaragliare il campo dei nemici dell'atomo, ed alcuni esempi di questa disparità di valutazioni si vedranno più avanti, cosicché è possibile, appellandosi a questo o quel testimone, sostenere le tesi storiografiche più differenti, fissando la data più significativa nel 1870 (I), nel 1895 (2), o nel 1905 (3), o nel 1908 (4), o nel 1912 (5), ecc. Anche se si adotta una griglia più larga, rinunciando a fissare una data precisa ed accontentandosi di stabilire, supponiamo, un margine di tolleranza di un decennio, l'ambiguità non scompare. Ad esempio, molto si è discusso se il massimo sostenitore dell'atomismo, Boltzmann, fosse o meno un isolato al momento della sua tragica morte, nel 1906. La tesi prevalente è che egli fosse veramente isolato. Ancor molto recentemente Flamm ha scritto che fu «la tragedia della vita di Boltzmann quella di non aver assaporato la gloriosa vittoria delle sue idee [... ] egli morì oppresso dalla cupa visione che il lavoro della sua intera vita era destinato all'oblio» (6). Ma esistono forti argomenti, io credo, per sostenere che nel 1906 già da oltre un decennio ad operare nell'isolamento non era Boltzmann, ma il suo grande avversario, Ostwald. Per limitarsi a citare solo il documento più noto, si possono richiamare le parole con cui Ostwald raccontò il suo celeberrimo scontro con Boltzmann avvenuto al convegno dei naturalisti tedeschi di Lubecca nel settembre del 1895 (7): Nel corso della discussione mi trovai di fronte ad una serrata oppos1zwne. Il mio solo sostenitore e compagno di battaglia fu G[eorg] Helm [... ] ma egli si allontanò da me a causa della sua avversione ad una concezione realistica dell'energia [... ). Fu quella la prima volta che mi trovai personalmente a confrontarmi con una tale unanime banda di categorici avversari; successivamente ripetei più volte questo genere di esperienza (8). I. 2. 3. 4. 5. 6. altri, 7. 8.

Cfr. Buchdahl ( I 959-60), p. 130. Cfr. Nye (1976), p. 267. Clark (1976), p. 100 e ss. Cfr. Van Melsen (1960), p. 148. Cfr. Holton (1983), p. 33. Flamm (1983), p. 255. La lesi dell'isolamento di Bohzmann è condivisa, tra gli da Post (1968), Elkana (1974), Tagliaferri (1985), p. 109. Su questo momento della storia dell'atomismo cfr. Hiebert (1971). Ostwald (1926-7), 2, p. 180.

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L'atomista Boltzmann ancora isolato nel 1906, dunque, oppure l'antiatomista Ostwald già isolato nel 1895? Il lecito margine di incertezza è assai grande. La difficoltà prima da cui nasce questo problema storiografico, così come tutti quelli similari (quando vinse la concezione copernicana? quando vinse la teoria darwiniana?), consiste nell'inevitabile riferimento che occorre fare alla «comunità scientifica», cioè ad un insieme estremamente articolato, variegato, differenziato, quando non spaccato al proprio interno. Da questo insieme composito si possono pescare testimonianze anche fortement_e di~ergenti c~e. se prese isolatamente, si prestano a sorreggere tesi storiografiche altrettanto divergenti. __Occorre dare per scontato che l'affermazione di una teoria nella comunità scientifica avviene attraverso una pluralità di percorsi, compreso quello che, secondo il celebre detto di Planck, passa per la morte degli avversari irriducibili, e che pertanto una sensata risposta agli interrogativi che sopra si sono posti non potrà mai essere semplice ed univoca, ma dovrà sempre tener conto della totalità complessa che scaturisce dall'indagine sui singoli cammini di scienziati o di gruppi di scienziati. Una linea di ricerca aggiuntiva, non certo sostitutiva, a quella ora indicata mi pare possa essere rappresentata dall'indagine sui manuali. L'utilità dello studio dei manuali non deriva certo dal fatto che in essi si rispecchi una comunità scientifica omogenea e compatta, un paradigma dominante nettamente definito. Questi concetti, lo si è appena detto, sono mitici, privi di reale valore storiografico, e la pluralità di componenti presenti nella comunità degli scienziati si riflette in un pluralismo di impostazioni manualistiche. Tuttavia resta pur vero che sul manuale le polemiche e le spaccature vengono nella stragrande maggioranza dei casi ovattate, sfumate, e traspare di preferenza ciò su cui vi è sufficiente accordo tra gli addetti ai lavori. Inoltre il manuale è il testo che forma la cultura di base non solo dell'uomo colto, che per il resto della sua vita si limiterà a seguire i progressi della scienza da uditore, ma anche dello scienziato (e questa è considerazione che ha particolare valore per il XIX secolo) il quale si occuperà professionalmente di settori specialistici, a volte molto ristretti, con taglio rigidamente sperimentalista, senza più ritornare a considerare i più generali principi teorici della scienza. Almeno per questi motivi mi pare che lo studio dei manuali possa risultare di qualche interesse per la raccolta di informazioni sulla cultura più diffusa, più comune (anche se non da tutti condivisa) in un dato periodo e perciò possa contribuire a mettere a fuoco alcuni tratti di quel complesso oggetto che è una comunità scientifica.

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Nelle pagine seguenti prenderò in esame, certo senza pretese di completezza alcuna, i manuali di fisica dell'800 e dei primi anni del '900, nonché alcuni libri con carattere divulgativo, che sovente svolgono la stessa funzione del manuale su argomenti delimitati. Quel che dovrebbe risultare da questa lettura è l'immagine che si ebbe nella «cultura media» di coloro che a vario titolo si interessavano di fisica della rivoluzionaria affermazione della struttura atomica della materia, nonché elementi per valutare se un concetto come quello di ., tra di loro differenti per un fattore costante. Dalla lettura di questo la\'Oro (e dalle conversazioni con Langevin) Perrin trasse la convinzione che il nucleo della teoria di Einstein fosse il principio di equipartizione e che tale principio fosse anche il nucleo di ogni spiegazione cinetica. Per questo motivo Perrin nel maggio pensava di aver provato sperimentalmente l'ipotesi di Einstein, anche se la sua prova verteva sulla ripartizione esponenziale in altezza delle particelle anziché sui loro movimenti su un piano orizzontale, argomento di cui trattavano i lavori di Einstein. Ciò dimostra come sovente accada che nel reinterpretare la teoria di un altro studioso, uno scienziato possa considerare

come nocciolo, nucleo fondamentale della teoria stessa un aspetto che nel pensiero del padre legittimo è rimasto decisamente in ombra. \la se si poteva ritenere provato il principio di equipartizione in forza delle misure di Perrin, ciò non significava che, con questo, si dovesse ritenere provata la teoria di Einstein nella sua interezza. Restava da provare non solo il nucleo ma anche tutte le conseguenze che da quel nucleo Einstein aveva tratto, in primo luogo la formula per lo spostamento. A questo compito si era già applicato Vietar Henri, ma le risultanze furono largamente deludenti.

7. La crisi dell'estate 11 18 maggio I 908, una settimana dopo la «prova» di Perrin, Henri presentò all'Académie i risultati di esperimenti da lui compiuti per controllare la formula per À, (98). La tecnica sperimentale impiegata

9ì. Langcvin (1908). 98. Hcnri (1908a).

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era altamente sofisticata per l'uso di una raffinata apparecchiatura di ripresa cinematografica al microscopio presente nel laboratorio di François-Frank. Le riprese di Henri dimostravano finalmente l'ipotesi del disordine, dell'indipendenza del movimento di ogni particella da quello delle particelle vicine, dimostravano altresi l'impossibilità di parlare di velocità della particella, perché le curve descritte erano esempi di curve «continue senza derivata». Le misure degli spostamenti risultavano in buon accordo con la formula di Einstein per quel che riguarda la proporzionalità tra spostamento e radice quadrata del! 'intervallo di tempo, ma la misura dello spostamento medio risultava di 0,62 µ, contro il valore teorico di O, 16 µ, cioè circa quattro volte troppo grande. Che dire di questi risultati? Ancora una volta ci si trova di fronte ad una «osservazione» di portata controversa. Per Kerker e Furth (99), ad esempio, si trallò di una prova favorevole alla teoria di Einstein, e Svedberg nel 19!0 usò i dati pubblicati da Henri per dimostrare come essi si accordassero con i suoi e come entrambi i gruppi di risultanze confermassero la teoria di Einstein (100) (si ricordi che i dati di Svedberg erano 5 o 6 volte troppo grandi e quelli di Henri «solo» 4 volte); per coloro che seguono Perrin, come Clark, si trattò al contrario di una smentita (IO!). Henri fu nel complesso pessimista: «Risulta dunque dalle nostre esperienze che la formula di Einstein non dà il valore esalto dello spostamento» (102). Circa due mesi dopo, il 6 luglio, Henri presentò una seconda memoria (103) nella quale dava notizia di esperienze ancor più problematiche per la teoria di Einstein: sempre con riprese cinematografiche dimostrava che l'aggiunta di alcali o acidi all'acqua rallentava notevolmente i movimenti browniani (prima che avvenisse la coagulazione). Ciò è in contrasto con la teoria di Einstein perché per questa il fluido interviene solo attraverso il coefficiente di viscosità e l'aggiunta di piccole quantità di sostanze chimiche che non alterino sensibilmente il coefficiente di viscosità non dovrebbe perciò produrre alcun rallentamento (!04). I lavori di Henri fornirono l'occasione per un altacco più generale

99. Fiirlh (1973), pp. 102-3, Kcrkcr (1976), p. 203. 100. Svcdbcrg (1910). 101. Clark (1976), p. 97. 102. Henri (1908a), p. 1026. 103. Henri (1908b). 104. I rallcn1amen1i misurati da Hcnri sono assai sensibili: l'aggiunta di I /32 Ji HCI all'acqua neutra provoca un rallentamento del moto browniano di circa 9 volte!

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[ , spkgs,;one dnetka, opernto con una memo,;, del 13 luglio da ~uclaux ( 105). Questi interpreta le misure di Svedberg e Henri come dimostrazione della esistenza di un accordo «assolutamente insoddi1 ~acentc» tra la teoria di Einstein e l'esperienza e, dopo aver criticato 5 nchc le esperienze di Perrin, parte da questo riscontrato fallimento ~el programma di spiegazione cinetica per opporgli il programma nato dallo studio dei colloidi, che differisce dal precedente perché prende in considerazione sia l'influenza delle particelle sul mezzo circostante, sia la funzione svolta dalle cariche elettriche .. con una memoria del 21 settembre (106) Perrin rispose all'attacco che Duclaux aveva rivolto al suo programma personale, senza dire nulla a proposito della teoria di Einstein, ma i lavori di Henri e Duclaux a\evano scosso notevolmente la fiducia che si poteva nutrire verso quella teoria e Perrin non poteva fare a meno di rispondere nello specifico.

8. La controffensiva dell'autunno. Fase 1: la legge di Stokes Le critiche rivolte alla teoria di Einstein e quelle alle esperienze di Perrin avevano un aspetto comune: la critica alla possibilità di applicare la legge di Stokes alle particelle ultramicroscopiche, applicazione che era fondamentale tanto nei lavori di Einstein quanto nel ragionamento di Perrin. Dubbi a proposito della liceità di questa applicazione erano stati espressi già da Langevin (107), che pure non aveva saputo farne a meno, e Henri si era chiesto: «Abbiamo il diritto di applicare la legge di Stokes agli spostamenti nell'acqua di granuli di Iµ di diametro? È possibile che questa legge non si applichi a granuli tanto piccoli», e ave\a indicato nell'uso illecito della legge di Stokes la causa probabile del disaccordo riscontrato tra la formula di Einstein e i propri dati (108). Duclaux aveva ripreso l'idea di Henri sottolineando che «l'applicazione della legge di Stokes sembra assai azzardata» (109). Effettivament:! l'applicazione della legge di Stokes alle particelle ultramicroscopiche di cui si occupavano i lavori di Einstein e di Perrin

10,. 106. 107. IOH. IOlJ.

Dudaux (1908). Per rin ( 1908c). Langcvin (1908), p. 533. Hcnri (1908a). p. 1026. Dudaux (1908), p. 132.

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rappresenta l'estensione di una legge ben oltre i suoi limiti riconosciutt' di applicabilità, estensione che finisce per sottomettere a tale legg un oggetto che ha ben poco a che vedere con l'oggetto di cui origina~ riamente_ la le~ge i?t_endeva p~rlare. Innanzi tutto la le~ge di Stokcs poteva nteners1 venf1cata sperimentalmente solo per partJcelk di quai. che millimetro di raggio e applicarla a ordini di grandezza del micron era una mossa estremamente azzardata. In secondo luogo la leggc presuppone una sfera che si muove in un mezzo continuo, mentre nel modello cinetico il mezzo circostante è discontinuo ed opera sulla sfera non con forze continue ma con urti irregolari. In terzo luogo nella legge compare la velocità con cui la particella si muove nel fluido ma le ricerche sul moto browniano avevano ormai chiarito che le veJO: cità che si possono misurare (i cui valori sono sostituiti nella formula alla variabile v) non sono affatto le velocità di spostamento delle particelle. Nel caso delle misure di Perrin, inoltre, si aggiunge\ ano altre due difficoltà: egli applica la legge ad una nube di particelle della emulsione che sta lentamente depositandosi entro un tubo capillare, ma la legge è definita per la singola particella, non per una nube, e presuppone l'esistenza di un fluido indefinito, non di una porzione di fuido ristretta entro la angusta cavità di un tubo capillare. Applicare la legge di Stokes in queste condizioni era veramente un «azzardo», e senza dubbio eccessiva fu la disinvoltura con cui questa operazione venne compiuta. Queste difficoltà erano ben presenti a Perrin che affrontò il problema in una nota del 7 settembre 1908: Lu loi de

Stokes et le mouvement brownien (110). Il contenuto di questa memoria costituisce un «controllo sperimentale diretto» ( 111) della validità della legge di Stokes anche per particelle ultramicroscopiche. Dare la prova pratica che la legge di Stokes funziona anche in condizioni tanto dissimili da quelle per cui c,sa era stata concepita non risponde certo all'interrogativo teorico circa i motivi per cui questa stranezza possa avvenire, ma Perrin non i.· 1urbato da questo dubbio teorico, non lo affronta, anzi l'anno succc,si\O affermerà che la prova sperimentale «dispensa dal cercarne una giustificazione teorica» ( 112), cosa su cui molti teorici non furono OV\ ia mente d'accordo (113). 110. Perrin ( 1908b). 111. lvi, p. 476. 112. Pcrrin (1909a), p. 69. 113. Le misure di Perrin posero il problema di riconsiderare la legge di ~,,,~es ;dia luce della 1coria cinerica dei gas e vari au1ori si occuparono dell'argomcn11•. >. L'impiego dei modelli raffigurativi costringe per Duhem la scienza ad essere una forma di strumentalismo; al contrario, la termodinamica generalizzata appare ai suoi occhi in grado di evolvere verso una scienza non puramente strumentale ma realista, non verso una classificazione inevitabilmente artificiale, bensì verso una «naturale». Da questo punto di vista è da rovesciare completame·nte la visione di Duhem critico dell'atomismo in nome dello strumentalismo. Duhem sostenne che gli atomi non esistono perché-la teoria atomistica è solo uno strumento unicamente nella sua discussione sull'atomismo in chimica, per quel che riguarda invece la fisica egli criticò l'atomistica, nella forma specifica che essa aveva assunto all'inizio del secolo, in nome del realismo: se si vuol essere realisti non si può accettare la teoria modellista raffigurativa della nuova atomistica. Questo atteggiamento duplice non costituiva nel pensiero duhemiano una contraddizione. Egli sostenne al contempo la tesi che le teorie sono strumenti (e con questa criticò l'atomistica in chimica) e la tesi che, rifiutando il modellismo strumentalista, si può raggiungere una teoria fisica strumentalista sì, ma non puramente artificiale (e con questa tesi criticò l'atomistica in fisica). La Théorie physique fu scritta fondamentalmente per dimostrare come si potessero integrare gli argomenti più raffinati dello strumentalismo in un quadro realista. L'atomismo in chimica errava perché scambiava per realtà quel che era solo uno strumento, l'atomismo in fisica sbagliava in quanto imboccava la via di un modellismo strumentalista che precludeva, o comunque ritardava, la possibilità di edificare una teoria con portata realista. A questa convinzione Duhem rimase fedele per tutta la vita, mai vide la necessità di mutarla o comunque di ripensarla, nonostante i continui trionfi delle concezioni atomistiche. Gli interventi di Duhem sul tema divennero col passare del tempo sempre più rari e sommari. Forse l'intervento più ampio degli ultimi anni della sua vita è un brano del 1913, nel quale Duhem torna a caratterizzare la «scuola neoatomista» con l'impiego del metodo modellista e sintetizza le proprie opinioni in merito espresse nell'arco di vent'anni: Di questi modelli, cari ai fisici della scuola inglese, non abbiamo mai negato l'utilità; essi prestano, crediamo, un aiuto indispensabile agli spiriti più ampi che profondi, più adatti a immaginare il concreto che a concepire l'astratto. Ma verrà senza dubbio il tempo in cui, a causa della loro complicazione crescente, queste rappresentazioni, questi modelli cesseranno di essere degli

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aiuti per il fisico e li si considererà piuttosto come degli intralci imbara~zanr Abbandonando allora questi meccanismi ipotetici, egli separerà con cura / essi le leggi sperimentali che hanno aiutato a scoprire, senza pretendnc di spie~ gare queste leggi, cercherà di classificarle secondo il metodo che noi abbiarn analizzato, di comprenderle in una energetica modificata e resa più a111pia (IS~

Questo brano di Duhem può essere letto in due maniere antitetiche Da un lato esso può venire citato come una clamorosa svista di un~ scienziato obnubilato da pregiudizi filosofici e incapace di cogliere le reali tendenze vincenti della scienza a lui contemporanea; dall'altro lato credo si possa rintracciare in esso una certa capacità profetica. A me pare che, se la critica all'atomistica in relazione alla chimica di Duhem non era altro che una riedizione, sia pure raffinata, di idee ottocentesche, quella imperniata sull'analisi del modellismo meccanicista in fisica coglieva un problema decisivo per gli sviluppi teorici della fisica novecentesca, problema sul quale Duhem seppe vedere più chiaramente della maggior parte degli atomisti. lo ritengo sia un errore contrapporre l'antimodellismo duhemiano agli sviluppi della fisica atomica del '900. Questa contrapposizione ebbe un senso in un periodo determinato e ristretto, grosso modo finché Duhem fu in vita, ma poi cessò di avere un senso. Nei primi anni del nostro secolo la fisica atomica fu effettivamente modellista, nel senso che impiegò in modo massiccio e con funzioni euristiche importantissime modelli visualizzanti, con scopi di raffigurazione concreta, e in quanto tale parve a Duhem inaccettabile, un «colpo di coda» del meccanicismo di derivazione inglese. Nel giro di pochi anni, però, la fisica atomica si liberò dalla propria dipendenza dai modelli per configurarsi sempre più come teoria matematica priva di rappresentazioni concrete tratte dal mondo abituale della fisica cla!>sica. In questo abbandono dei modelli si evidenziò il più grande dramma della fisica teorica del nostro secolo: il riconoscimento della impossibilità di continuare a far uso dell'apparato concettuale della fisica classica. E questo abbandono del modellismo raffigurativo non si risolse, al di là di talune enunciazioni filosofiche di alcuni protagonisti della vicenda, nell'avvicinamento ad una filosofia fenomenista, ma piuttosto avvenne seguendo la strada ipotetico-deduttiva che Duhern aveva indicato alle teorie fisiche. Non c'è da stupirsi se uno storico della meccanica e dell'atomismo (nonché studioso del grande «nemico» di Duhem, Boltzmann) come Dugas sostenne nel 1937 che la meccanica

18. Duhem (1913), p. 740.

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quantistica era una teoria conforme ai dettami epistemologici di Duhc111- Come giustamente osservava Dugas, la credenza diffusissima che l'epistemologia duhemiana sia incompatibile con la meccanica quantistica si fonda su di un fraintendimento del concetto di modello. È vero infatti che anche nelle versioni più mature la meccanica quantistica fa ampio uso di considerazioni modellistiche, ma i modelli di cui si tratta sono modelli matematici, non raffigurativi, sono equazioni, non disegni (19). Contro i modelli intesi in questa accezione Duhem non sviluppò alcuna critica, anzi sottolineò che la ricerca dì analogie matematiche, cioè l'uso di una equazione come modello per la costruzione di un'altra equazione, è il più. potente strumento euristico a· disposizione del ricercatore. La polemica di Duhem fu sempre rivolta contro i modelli che raffigurano, che soddisfano i bisogni di rappresentazione concreta, ma egli mai criticò, anzi sovente esaltò i modelli matematici, astratti. La confusione su questo punto è all'origine della opposizione che comunemente vien fatta in ambiente anglosassone, ad opera soprattutto della Hesse (20), tra Duhem e Campbell, con conseguente sopravvalutazione di quest'ultimo. I modelli che Campbell esalta nel suo celebre libro Physics: the elements sono modelli matematici, ma sull'impiego di questi modelli anche Duhem era pienamente d'accordo. La differenza tra i due autori, a questo livello, è unicamente terminologica: ciò che Campbell chiama modello è chiamato da Duhem analogia (21). In definitiva, sebbene l'opposizione di Duhem all'atomismo derivasse anche da convinzioni metodologiche, gli sviluppi della fisica atomica dopo Duhem sono approdati ad una teoria che non pare affatto in contraddizione con la visione duhemiana di quello che deve essere una buona teoria scientifica. Questo non fu compreso quasi da nessuno e, sul piano della storia, ciò che pesò fu semplicemente il rifiuto di Duhem della teoria atomica, rifiuto che spinse la comunità scientifica a dimenticarlo. t 9. Oltre a sollolineare la nozione di modello quale rappresentazione astraila e simboli(a in semo duhemiano presente nella meccanica quantistica, Dugas individua altri punti ,ui quali la metodologia di Duhem trova conferma nella nuova meccanica: 1) la teoria parte dall'esperienza e arriva all'esperienza, ma nell'intervallo il teorico deve ,o