La bella principessa di Leonardo da Vinci. Ritratto di Bianca Sforza 8874611730, 9788874611737

Un ritratto di profilo realizzato su pergamena mostra una giovane abbigliata secondo la moda milanese del XV secolo. Il

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La bella principessa di Leonardo da Vinci. Ritratto di Bianca Sforza
 8874611730, 9788874611737

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Edizione originale Leonardo da Vinci. “La Bella Principessa” The Profile Portrait of a Milanese Woman © 2010 Martin Kemp Edizione aggiornata e riveduta in lingua italiana © 2012 Mandragora. Tutti i diritti riservati. © 2012 Martin Kemp Mandragora s.r.l. piazza del Duomo 9, 50122 Firenze www.mandragora.it Redazione, progetto grafico e impaginazione Michèle Fantoli, Marco Salucci, Paola Vannucchi Traduzione Fabrizio Bagatti, Marco Salucci Collaborazione tecnica Carlo Lorini Consulenza scientifica Francesca Uccheddu Stampato in Italia presso Alpilito, Firenze Confezione: Legatoria Giagnoni, Calenzano isbn 978-88-7461-173-7

Martin Kemp e Pascal Cotte

La Bella principessa di Leonardo da Vinci Ritratto di Bianca Sforza con il contributo di Eva Schwan prefazione di Claudio Strinati introduzione di Nicholas Turner

Mandragora

Prefazione Claudio Strinati

Questo volume offre un’analisi approfondita di un’opera che, a buon diritto, può essere definita straordinaria. Disegnato su pergamena con una tecnica complessa ed estremamente raffinata, il ritratto di profilo di una giovane, abbigliata secondo la moda milanese della fine del XV secolo, è qui esaminato come una possibile nuova opera autografa di Leonardo. Martin Kemp, grande esperto del maestro, ha condotto le proprie ricerche su questo affascinante oggetto e ha coordinato il lavoro di numerosi specialisti provenienti dal campo dell’analisi scientifica e dell’indagine storico-artistica. Qui sono presentate le loro scoperte e in questo consiste l’interesse sostanziale del volume. La Bella principessa è stata sottoposta ad accurate ricerche fisiche e scientifiche da molteplici punti di vista, compresa la datazione al carbonio-14 del supporto del ritratto e un’analisi di tutti gli aspetti della sua esecuzione formale. Il coautore Pascal Cotte, servendosi delle innovative tecniche di elaborazione di immagini multispettrali sviluppate nel suo laboratorio parigino Lumiere Technology, ha potuto indagare i materiali e le tecniche del ritratto in modo da ricostruire in maniera esauriente i pigmenti utilizzati durante l’esecuzione e da identificare i restauri eseguiti nel corso del tempo. Ha poi combinato questi dati per giungere a una ricostruzione virtuale della gamma cromatica dell’opera al momento della sua realizzazione da parte dell’artista. Le ricerche storico-artistiche di Martin Kemp sono state condotte con la massima precisione e accuratezza. L’illustre studioso esplora l’iconografia e il significato più riposto del ritratto, lo stile e la relazione con le opere realizzate da Leonardo e da altri artisti per la corte milanese degli Sforza. Partendo da qui, Kemp giunge a una conclusione basata su un terreno solido e di elevata affidabilità. Kemp, di fatto, riesce a dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il ritratto da lui chiamato La bella principessa va datato alla metà degli anni Novanta del XV secolo, proprio quando Leonardo si trovava al servizio di Ludovico Sforza, duca di Milano. In base alla sua vasta conoscenza della cultura letteraria e artistica della corte sforzesca egli suggerisce, mediante un procedimento di eliminazione, che quest’opera possa rappresentare il 5

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primo ritratto identificabile di una delle principesse Sforza, Bianca, figlia illegittima del duca (in seguito da lui riconosciuta) e della sua amante Bernardina de Corradis. In questo volume si ritrovano una gran quantità di informazioni e deduzioni, compresa un’analisi filologica della tradizione poetica della corte sforzesca. Da qui il lettore può intraprendere un viaggio di scoperta, un’esplorazione che arriva coerentemente alla conclusione che questo può essere solo un autentico capolavoro di Leonardo. Kemp rileva che alla base di questo risultato c’è la grande quantità di prove collegate fra loro. Come egli giustamente fa notare, perfino l’attribuzione della Gioconda, il più famoso ritratto di Leonardo, si basa allo stesso modo su di un insieme di prove piuttosto che su una certezza assoluta. Per quanto molto sia stato detto sulla Bella principessa, non tutti gli interrogativi trovano risposta, compreso dove sia stata nascosta per secoli. Non che ciò sia una sorpresa. Molti aspetti degli studi leonardiani sembrano destinati a rimanere insoluti, proprio perché sono ostacolati da quell’alone di mistero così caratteristico dei grandi maestri. È, infatti, la stessa dimensione enigmatica che ha fatto sorgere fortunate creazioni così fantasiose come Il Codice Da Vinci! Di contro, non c’è niente di fantasioso in questo libro, basato su fatti concreti, dedotti accuratamente e che indicano tutti Leonardo come autore della Bella principessa. Le ricerche scientifiche confermano la datazione del ritratto e ne situano l’origine in un contesto abbastanza preciso. Le conclusioni trovano sostegno nella elevata qualità artistica del ritratto stesso. E in verità va rimarcato come l’espressione del volto, i contorni incisivi ma sottili e la maniera delicata siano tutti altamente leonardeschi. Nel volto, peraltro, si avverte un insieme di malinconia e di forza. Questo libro deve essere letto soprattutto come un vero e proprio contributo di ricerca e di pensiero alle nostre conoscenze del periodo milanese di Leonardo, periodo sul quale c’è ancora molto da imparare. Il ritratto presentato in questo volume costituisce una preziosa aggiunta alla ricostruzione dell’opera di Leonardo.

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Ringraziamenti degli autori

Nel tentativo di offrire una dettagliata analisi storica e tecnica della Bella principessa, gli autori hanno contratto debiti troppo numerosi per poterli enumerare singolarmente. Tuttavia, l’onore della citazione va a Peter Silverman, che ha considerevolmente facilitato lo studio dell’originale e ha permesso l’indagine scientifica eseguita da Lumiere Technology di Parigi. Giammarco Cappuzzo, che ci ha aiutato nelle prime fasi d’indagine, specialmente per la datazione al carbonio. La storica dell’arte Jo Ann Caplin, direttrice di una serie di programmi televisivi dedicati all’arte e alla scienza, ci ha incoraggiato con entusiasmo durante il corso delle ricerche. Martin Kaufman e Madelaine Slaven della Bodleian Library di Oxford hanno contribuito all’identificazione della pergamena. Alessandro Vezzosi, il primo a pubblicare il ritratto, ci ha consentito generosamente di citare il suo parallelo tra la Bella principessa e il Ritratto di giovane donna di profilo conservato tra i disegni di Windsor. Giuliana Barone ha richiamato l’attenzione su un importante testo del Codice Forster. Nathan Flis ha aiutato Martin Kemp a rintracciare e a trascrivere le fonti. Evelyn Welch ha messo generosamente a disposizione il materiale sulla moda femminile della corte sforzesca. Nel corso delle ricerche, numerosi studiosi hanno fornito preziose osservazioni e posto domande ricche di spunti, esprimendo opinioni più o meno meditate, molte delle quali favorevoli all’attribuzione e poche contrarie. Non è qui nostra intenzione presentare una serie di conferme alle nostre ipotesi, ma una menzione spetta a Carlo Pedretti, le cui ricerche, per oltre cinque decadi, si sono rivelate fondamentali per comprendere Leonardo. Egli ha esaminato l’opera e le immagini spettrografiche con Pascal Cotte e la sua immediata e convinta identificazione della Bella principessa come una nuova e importante opera di Leonardo assume particolare importanza. Mina Gregori ha portato una vita di ricerche e di indagini a sostegno dell’attribuzione alla mano di Leonardo. Tra i giovani studiosi, Cristina Geddo, che ha dato il suo contributo agli studi sull’opera come specialista degli allievi di Leonardo, ha fornito un prezioso aiuto discutendo con Pascal Cotte l’ombreggiatura del ritratto effettuata da una mano sinistra e affermando che, a suo giudizio, nessuno 7

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degli allievi milanesi di Leonardo avrebbe potuto realizzarla. Durante i preparativi finali del volume, Claudio Strinati, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ha offerto gentilmente il suo aiuto al progetto contribuendo con la prefazione. Pascal Cotte ringrazia e sottolinea il contributo ricevuto da Eva Schwan, restauratrice dell’Institut National du Patrimoine di Parigi, che ha sostenuto le sue scoperte e ha collaborato al capitolo sul restauro del dipinto. Cotte desidera altresì ringraziare Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale Leonardo da Vinci, per avergli concesso l’opportunità di presentare le proprie scoperte in una conferenza a Roma, e Jean Penicaut, presidente di Lumiere Technology, per il suo contributo allo studio, durante il quale ha potuto toccare con mano per la terza volta un’opera di Leonardo. Per le ulteriori ricerche, qui pubblicate nella terza parte, abbiamo ricevuto l’aiuto determinante di: Jeanne Marchig, Bryan Deschamp, David Roy Edward Wright professore della University of South Florida; Tomasz Ososin´ski, direttore del Dipartimento Libri Rari presso la Biblioteca Nazionale di Polonia; Joanna Waz˙yn´ska, curatrice responsabile della Biblioteca Nazionale di Polonia; Katarzyna Woz´niak, che ci aiutato per tutto lo svolgimento delle nostre ricerche; Antoine Coron, direttore del Dipartimento Libri Rari della Bibliothèque nationale de France; Kathleen Doyle, curatrice dei manoscritti miniati della British Library; John Goldfinch, responsabile degli incunaboli della British Library; Sarah Simblet della Ruskin School of Art presso la Oxford University; Jean Penicaut, presidente di Lumiere Technology; David Murdoch del National Geographic. Le ricerche svolte a Varsavia sono state generosamente finanziate da una sovvenzione del National Geographic. Infine, concludiamo con quello che potrebbe definirsi un “antirigraziamento”. Era sperabile che, in coincidenza con la pubblicazione delle prove raccolte in questo libro, potesse essere allestita una mostra in almeno un museo pubblico di rilievo. Inizialmente numerosi musei di diverse nazioni si sono detti entusiasti dell’idea ma poi, uno dopo l’altro, hanno abbandonato il progetto. Le ragioni addotte erano sempre le stesse: al di là dei problemi di sicurezza e dell’elevato costo assicurativo, vi era la motivazione etica di poter apparire coinvolti o implicati in un processo di vendita. Tuttavia, non è colpa del ritratto se, a questo punto della sua storia, non è di proprietà di un museo pubblico. E dovremmo ricordarci che quasi tutte le opere di Leonardo furono realizzate per committenti privati. In quanto più importante riscoperta di un’opera di Leonardo da oltre un secolo, essa merita sicuramente di essere conosciuta e apprezzata dal più vasto pubblico. È quindi con gratitudine che ringraziamo Excellent Exhibition di Malmö e, in particolare, Mats Rönnegard, per aver allestito la prima apparizione ufficiale del ritratto in un contesto espositivo di rilievo: “And There Was Light: Michelangelo, Leonardo, Raphael. The Masters of the Renaissance Seen in a New Light”.

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Introduzione Nicholas Turner

Dato che, come sembra, sono stato il primo a suggerire seriamente che l’opera di cui tratta questo libro poteva davvero essere di mano di Leonardo e non di un tardo pasticheur, gli autori mi hanno cortesemente invitato a riassumere le vicende che precedono questa entusiasmante scoperta e come l’attribuzione al maestro sia stata sostenuta dai maggiori specialisti del settore. Poco si conosce della provenienza del ritratto e della sua origine. Apparve come «proprietà di una signora» in un’asta di Christie’s del 30 gennaio 1998 (lotto 402), a New York, dedicata ad antichi maestri della pittura e nella quale veniva attribuito alla «scuola tedesca dei primi del XIX secolo». Fra le sue caratteristiche tecniche più peculiari vi era il supporto in pergamena e una gamma insolitamente ampia di materiali fra i quali penna e inchiostro bruno, matita nera, matita rossa e un ampio uso di guazzo. All’epoca il disegno – poiché in effetti di questo si tratta, malgrado abbia l’apparenza di un dipinto (la pergamena era stata adagiata su una tavola di quercia, lavorata estesamente con pennello e guazzo, coperta con uno strato di lacca o di sigillante) – pareva essere passato praticamente inosservato. Doveva tuttavia essere stato esaminato da molti dei principali collezionisti, curatori e mercanti di disegni di antichi maestri che si riuniscono a New York alla fine di gennaio per assistere a quella che è largamente riconosciuta come una delle più importanti aste della stagione. Certo nessuno pareva aver messo apertamente in dubbio l’affermazione di Christie’s, che si trattasse dell’imitazione ottocentesca di un originale rinascimentale italiano per opera di un anonimo artista romantico tedesco. All’asta il lotto venne acquistato dalla mercante d’arte Kate Ganz che lo pagò 21.850 $ (la base d’asta era di 19.000 $). Nove anni dopo, nel gennaio 2007, durante una mostra nella sua galleria di New York, la Ganz lo vendette, con la medesima attribuzione e per la stessa cifra, più uno sconto, a Peter Silverman, che agiva per conto di un collezionista anonimo. La descrizione, allora, recitava chiaramente: «Il ritratto, esito di un attento studio, si basa su una serie di dipinti di Leonardo da Vinci e può essere opera di un artista tedesco che ha studiato in Italia». L’ipotesi che la testa della figura ritratta fosse il risultato 9

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di un insieme di particolari tratti da una serie di dipinti di Leonardo – il che naturalmente non è – non veniva approfondita ulteriormente. Dato che non avevo preso parte alla vendita del 1998 a New York, il mio primo incontro con il ritratto ebbe luogo nell’autunno del 2007, quando me ne venne mostrata una diapositiva a colori e mi venne richiesto un parere da un mercante di Londra, al quale era stata inviata da un collega. Frattanto l’attribuzione era mutata e al momento era indicato come opera di un’anonima mano rinascimentale italiana. Al di là della notevole qualità del ritratto, quello che mi colpì immediatamente (anche solo dalla diapositiva) fu l’esteso tratteggio parallelo eseguito da una mano sinistra (più visibile sullo sfondo, dietro al profilo della giovane, dove crea un ulteriore contrasto con i tratti in risalto della figura). Come ben sappiamo, Leonardo da Vinci è stato l’artista mancino più famoso del Rinascimento. Tanto la maniera quanto le doti creative espresse da quella figura splendidamente idealizzata, a mia opinione, indicavano Leonardo come autore (per quanto straordinaria potesse apparire una tale conclusione). Il fatto che il ritratto sembrasse davvero un’opera italiana della fine del XV secolo sembrava autorizzare una seria ricerca. La mia opinione venne ascoltata cortesemente ma fu ignorata e non sentii più parlare del ritratto per qualche tempo. Quando, nel gennaio 2008, mi imbattei in Peter Silverman nell’ala riservata alla pittura italiana del Louvre, egli mi descrisse un ritratto rinascimentale su pergamena di una giovane di profilo che egli aveva acquistato per un cliente e sul quale aveva lavorato di recente. Capii che doveva trattarsi dello stesso ritratto del quale mi era stata mostrata la diapositiva. Finalmente disponevo di indicazioni precise su quest’opera affascinante e il luogo dove si trovava non era più un mistero. Insistei con Silverman perché non trascurasse Leonardo come autore, sia sulla base dell’ombreggiatura di mano mancina (la “firma” dell’artista) sia per l’elevata qualità generale dell’opera. Dal momento che non sono uno specialista di Leonardo, gli raccomandai di mostrarne un’immagine al maggior numero possibile di esperti dell’artista e, al tempo stesso, di sottoporla un appropriato esame tecnico. Nelle settimane e nei mesi seguenti tentammo, in un profluvio di lettere, email e telefonate, di verificare se l’attribuzione a Leonardo poteva guadagnare consensi oppure no. I primi a essere contattati furono diversi specialisti italiani che lavoravano sulla pittura milanese del XV e del XVI secolo, tra i quali Giulio Bora, esperto della scuole cremonese e di quella milanese, e la dottoressa Cristina Geddo, che aveva lavorato molto sugli allievi milanesi di Leonardo come Giovanni Antonio Boltraffio, Marco d’Oggiono, Giampietrino e il Maestro della Pala Sforzesca. Bora constatò che l’abito della giovane ritratta seguiva lo stile milanese del tardo XV secolo; osservò poi che i motivi geometrici della reticella per i capelli e del corpetto, oltre alla diffusa ombreggiatura di mano mancina, sembravano puntare a favore di Leonardo e non di un suo allievo, ma si mostrò riluttante a sbilanciarsi senza prima aver visto l’opera dal vivo. La dottoressa Geddo si mostrò immediatamente disponibile ad appoggiare l’attribuzione leonardiana (rilasciò poi una dichiarazione in tal senso, datata 2 luglio 2008). Il 5 marzo del 2008, ebbi finalmente l’occasione di studiare il ritratto dal vero e fui confortato dal trovarlo completamente all’altezza delle aspettative suscitate dalla diapositiva. Il timore che tutto sembrasse troppo bello per essere vero venne immediatamente meno di fronte alla bellezza e alla raffinatezza dell’opera. Lo stesso giorno, Mina Gregori, professoressa dell’Università di Firenze e presidente della Fondazione Longhi, esaminò l’opera 10

introduzione

direttamente e affermò, in completa autonomia, che dal suo punto di vista era opera di Leonardo. Nel frattempo, Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale Leonardo da Vinci e uno dei primi esperti di Leonardo contattati in merito al ritratto, non solo ne confermò l’attribuzione ma lo incluse nel proprio libro, Leonardo infinito, pubblicato nel luglio del 2008. Suggerì che si trattasse di un ritratto nuziale di una giovane milanese con i capelli legati con la treccia in voga nel XV secolo, detta “coazzone”. Per stabilire una volta per tutte che la Bella principessa era un’opera del tardo XV secolo e non una sorta di pastiche del XIX, occorreva sottoporla a una serie di analisi scientifiche. Nella primavera del 2008, Silverman assegnò il compito a Lumiere Technology, un laboratorio parigino fondato da Pascal Cotte, specializzato nell’elaborazione di immagini digitali multispettrali e che disponeva di una rilevante esperienza diretta sulle opere di Leonardo. Silverman fu attento a non dichiarare la sua ipotesi sull’autore dell’opera e fu ovviamente entusiasta quando, in seguito, Pascal Cotte gli disse che tutti i dati raccolti convergevano verso un unico risultato: Leonardo. Le scoperte di Lumiere Technology, presentate dettagliatamente in questo volume, vennero pienamente avallate dagli esami di datazione al carbonio-14 sul supporto in pergamena, condotti dall’Institute for Particle Physics della Eidgenössische Technische Hochschule di Zurigo. Nell’estate del 2008, Martin Kemp, uno dei maggiori esperti mondiali di Leonardo, esaminò la Bella principessa e concluse che si trattava di un’importante opera autografa del maestro, motivo per cui intraprese il presente studio. Nei mesi successivi iniziarono ad accumularsi opinioni favorevoli di molti altri specialisti dell’opera di Leonardo e tra di esse quella di Carlo Pedretti. Cominciò quindi gradualmente a prendere forza l’idea che il ritratto fosse realmente opera del maestro. Una volta esclusa su base scientifica la datazione al XIX secolo, la sola altra possibilità da prendere in seria considerazione – ma alla fine respinta – era che la Bella principessa potesse essere opera di uno degli stretti seguaci milanesi di Leonardo. Tuttavia, come sostenuto dalla dottoressa Geddo, lo stile e la maniera del ritratto differiscono in modo significativo da quelli di qualsiasi suo allievo. Per quanto fortemente influenzati dal loro maestro, i seguaci erano senza eccezione destrorsi e ciò escludeva di fatto la loro paternità dell’opera. Sebbene capaci di emulare le forme, lo stile e le tecniche del maestro, non avrebbero potuto copiarne l’ombreggiatura mancina o la scrittura speculare. Nondimeno si è rivelato istruttivo esaminare le opere rimaste di questi allievi, in quanto hanno fornito tracce dei modelli che Leonardo poteva aver avuto a disposizione come fonte d’ispirazione. Prendiamo in esame, per esempio, il Ritratto di Massimiliano Sforza del Maestro della Pala Sforzesca (fig. 1) conservato nella Biblioteca Ambrosiana, uno studio del 1494, forato per lo spolvero, per il bambino che appare nell’angolo inferiore sinistro della pala d’altare dell’artista. Disegnato a punta metallica su carta preparata azzurro chiaro, il ritratto, da un punto di vista formale, mostra una concezione molto simile, in quanto il risalto dato al profilo, anche qui tratteggiato con esattezza, è accentuato dal contrasto delle linee diagonali parallele (chiaramente di mano destrorsa) tracciate lungo la figura. È stato giustamente osservato che questo studio, eseguito con notevole sensibilità nei tratti del volto, ha un contorno molto più rigido e approssimativo, e la resa dei capelli tradisce una mancanza di tridimensionalità, specie nella parte posteriore della testa. In questo esempio, la comprensione istintiva del volume di Leonardo viene sostituita dall’attenzione per la trama della superficie e per il valore decorativo dei riccioli. 11

la bella principessa

1. Maestro della Pala Sforzesca, Ritratto di Massimiliano Sforza. Milano, Biblioteca Ambrosiana, f 290 inf. n. 13.

2. Giovanni Antonio Boltraffio, Modello per la santa Barbara. Milano, Biblioteca Ambrosiana, f 290 inf. n. 7.

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introduzione

Che uno o più modelli realizzati da Leonardo possano essere stati alla base della pratica insolita, e tuttora molto originale, di disegnare ritratti o studi di teste con gessetti colorati, viene suggerito dall’opera di un altro allievo milanese, Giovanni Antonio Boltraffio: per esempio si veda il suo Modello per la santa Barbara (fig. 2), anch’esso conservato all’Ambrosiana. Sebbene la figura femminile sia raffigurata nell’abbigliamento dell’epoca, essa non costituisce un ritratto ma uno studio per la pala d’altare, commissionata all’artista nel 1502 per la cappella di Santa Barbara in Santa Maria presso Celso, a Milano, (e ora conservata alla Gemäldegalerie di Berlino). La donna è raffigurata frontalmente invece che di profilo ma ha la stessa maestosità e la stessa posa della Bella principessa, un analogo senso dei volumi e un’analoga forza nella maniera. Comunque i disegni non sono opera dello stesso autore ed è chiaro che l’artista del Modello, al pari del Maestro della Pala Sforzesca, era destrorso (si veda la marcata ombreggiatura a carboncino dell’abito). Per di più, Boltraffio, nel disegno a gessetti colorati del Modello non fa uso del tratto a penna preciso e rigoroso di Leonardo, e ciò conferisce all’insieme un effetto più soffuso e molto più pittorico. In base a tutti i raffronti tecnici e stilistici, né questo né alcun altro disegno di Boltraffio ha la delicatezza e la raffinezza della Bella principessa. Così come spesso accade, l’opera di un maestro e quella di un allievo rimangono enormemente distanti. In breve, il nuovo straordinario ritratto presentato in questo volume appare opera di Leonardo, il supporto in pergamena risale all’epoca in cui è vissuto e non vi è alcuno dei suoi allievi che abbia avuto la capacità di realizzare un’opera di eguale raffinatezza. Come apparirà chiaro dall’esauriente saggio che segue, vi sono motivi plausibili che spiegano come sia possibile che la Bella principessa sia rimasta nascosta per secoli. C’è solo da rallegrarsi che sia riapparsa per essere apprezzata dagli studiosi e da quanti avranno l’occasione di vederla dal vivo.

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Dallo stile dell’opera all’identità della figura ritratta Martin Kemp

Il disegno

Una giovane dama, o una ragazza alla soglia della maturità, è vestita in modo formale in occasione di un ritratto ufficiale. Il suo abbigliamento è quello di moda negli anni Novanta del XV secolo alla corte milanese. Indossa un abito verde e, sotto, un corpetto rosso. La spalla dell’abito reca uno spacco che rivela un triangolo rosso. Verde, rosso e bianco erano i colori prediletti dagli Sforza, signori di Milano. Attorno allo spacco corre un motivo a nodi continuo e in rilievo. Il fregio centrale alla sommità del motivo è enfatizzato mediante punti ricamati. I capelli castano chiaro della donna, brillanti e strettamente raccolti, sono acconciati in maniera elaborata con una reticella di nastri annodati, bordata anch’essa da un più piccolo motivo a intreccio. L’insieme è tenuto fermo da una sottile fascia collocata precisamente all’attaccatura dei capelli. Fuori dalla reticella, la treccia (il coazzone milanese) è fermata in un cilindro regolare da un filo ben stretto. Sotto a questa legatura, un nastro liscio forma due spirali che continuano ad avvolgere, meno rigidamente, la lunga coda. I particolari sono studiati magnificamente. L’orecchio della donna gioca delicatamente a nascondino con le morbide pieghe dei capelli. La fascia sottile determina una lieve concavità nel profilo della reticella. Al di sotto di ciascuna spirale del nastro che stringe la coda, i capelli si gonfiano leggermente prima di venir nuovamente riafferrati dal successivo avvolgimento. Il profilo del volto è di una delicatezza inesprimibile. Nessun contorno, nessuna convessità, nessun incavo è risolto con una curvatura scolastica e monotona. La linea è così precisa che sembra incisa con uno stiletto e tuttavia conserva un’accesa vitalità. L’uniformità dei lineamenti non scade mai nella banale riproposizione di modelli già conosciuti. I topoi rinascimentali della bellezza femminile, le labbra rosee e gli occhi simili a stelle, sono resi con infinita tenerezza. L’iride dell’occhio pensieroso conserva la trasparenza luminosa di una persona viva e vegeta. Le ciglia, specialmente quelle della palpebra inferiore, sono così sottili quasi a volersi nascondere a un osservatore poco attento. Il bordo del labbro superiore tocca appena, con estrema delicatezza, la curva rosea di quello inferiore. 17

la bella principessa

È avvertibile un attrito tra la fresca innocenza della giovane donna e i doveri di corte a cui il suo abito sembra destinarla – senza, tra l’altro, concederle il tempo di diventare una donna matura, pronta per le responsabilità imposte da un matrimonio aristocratico e per i rischi della maternità. Possiamo essere ragionevolmente certi che la giovane sia destinata a diventare una giovane sposa, promessa in verde età per cementare pubblicamente un’alleanza. Non è difficile osservare romanticamente una simile immagine. È quasi troppo perfetta nel suo portamento raffinato. Questa può essere la sola possibile spiegazione dell’averla attribuita a un plagiario tedesco del XIX secolo, quando apparve all’asta di Christie’s a New York il 30 gennaio 1998.1 Al pari dei preraffaelliti inglesi, i pittori nazareni tedeschi che avevano frequentato Trinità dei Monti a Roma nelle prime decadi del XIX secolo, aspiravano a riportare in vita l’arte del Rinascimento, specialmente quella delle fasi più genuine e “devote”. Artisti come Friedrich Overbeck, Franz Pforr e Peter Cornelius cercavano di far tornare indietro la storia dell’arte di trecento anni. Il ritratto della moglie di Overbeck (fig. 3), collegato al suo dipinto Italia e Germania (1828),2 è un esempio della loro maestria nel disegno. Però, nonostante Overbeck fosse stato capace di disegnare con grande delicatezza, c’è un abisso tra la precisione forzata del suo segno e i vividi contorni del ritratto della Bella principessa.

3. Friedrich Overbeck, Ritratto della moglie dell’artista, Nina, 1828 ca. Oxford, Ashmolean Museum, wa1954.70.128.

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il disegno

Abbiamo a che fare, per motivi che diverranno ampiamente palesi, con un’opera originale e non con l’abile prova di un pasticheur del XIX secolo. Dopo ripetute osservazioni, analisi scientifiche e ricerche minuziose, non ho il minimo dubbio che il ritratto che chiamo la Bella principessa sia un capolavoro di Leonardo. Riconosciuto tale da Nicholas Turner per primo, è stato confermato in fase iniziale come autografo da Carlo Pedretti, Alessandro Vezzosi, Mina Gregori e Cristina Geddo.3 Questo volume rappresenta il primo esame complessivo di questa straordinaria scoperta. Un’opera rilevante di Leonardo rimasta finora ignota costituisce la più rara delle rarità. Negli ultimi cinquanta anni non sono apparsi che pochi disegni di relativa importanza. Si è avuta una congerie di attribuzioni indifendibili e una manciata di contraffazioni di alto livello. La riscoperta più spettacolare ha riguardato, nel 1967, l’attribuzione di due codici, da tempo smarriti, trovati nella Biblioteca Nacional de España.4 Ma nulla di simile a questo disegno è venuto alla luce, almeno fino alla recentissima scoperta del dipinto del Salvator Mundi, “star” della mostra di dipinti di Leonardo alla National Gallery di Londra nell’autunno 2011. In effetti, il termine “disegno” rappresenta una sorta di malinteso poiché le sfumature e i toni splendidamente modulati del ritratto sono stati ottenuti tramite una delicata interazione fra gessetti colorati e penna e inchiostro bruno. Eseguita su una pergamena (o cartapecora), l’opera appare sontuosa e curata in ogni minimo particolare, un “dipinto” a gessetti che evidenzia il massimo grado di abilità tonale, coloristica e formale. Dopo la pubblicazione dell’edizione inglese di questo volume, abbiamo intrapreso ulteriori ricerche per determinare una possibile collocazione originaria del ritratto in un volume rilegato. La possibilità di collegare il ritratto a un volume esistente ci appariva remota, ma D.R. Edward Wright, professore di Storia dell’arte alla University of South Florida, ci ha scritto suggerendo che l’opera poteva aver fatto parte di una delle tre o quattro versioni su pergamena pervenute, splendidamente illustrate, della storia encomiastica di Francesco Sforza scritta da Giovanni Simonetta. Wright indicava specificamente la copia della Biblioteca Nazionale di Varsavia. Come vedremo nella terza parte del libro, la sua ipotesi si è rivelata incredibilmente fruttuosa.

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I materiali utilizzati e l’analisi scientifica

Il disegno è stato eseguito su un foglio di pergamena relativamente ampio (330 × 239 mm), attualmente disteso su un’antica tavola di quercia. Vi è la prova, specialmente nel tratteggio obliquo a sinistra del profilo della donna, che l’artista abbia usato dapprima una matita nera ben appuntita straordinariamente fine e dura. I tratti principali dell’immagine sono stati poi tracciati a penna con gran delicatezza e precisione utilizzando una qualità di inchiostro bruno traslucido che conosciamo bene per essere usato da Leonardo nei suoi disegni. I gessetti colorati, specie la matita rossa (che appare rosa in varie zone) con tracce di nero nelle zone d’ombra, sono stati utilizzati per rendere le tonalità dell’incarnato, con la naturale colorazione della pergamena a fornire la tonalità giallognola. Alcune zone dell’incarnato sono state ritoccate delicatamente con un gessetto bianco. Il colore dei capelli è stato reso con penna e inchiostro bruno su una mistura di matita rossa e gessetto bianco. I particolari del volto, dei capelli, dell’acconciatura e del costume, come le ciglia e i motivi a nodi, sono stati ripassati a penna e inchiostro. Come dimostrato da Pascal Cotte, il rosso e le tonalità di verde dell’abito sono stati ottenuti assai parsimoniosamente e con grande scaltrezza con i gessetti colorati, senza un effettivo utilizzo di pigmento verde. Può darsi che sia stata usata come fissativo della gomma arabica (che, come vedremo, è citata da Leonardo) per far sì che il gesso secco non rischiasse di subire sfregamenti o di trasporsi sulle superfici a contatto. Vedremo anche che nei suoi scritti Leonardo parla di accorgimenti per evitare le sbavature dei gessetti. Dal margine in basso a sinistra è stato prelevato un frammento della pergamena per sottoporlo alla datazione al carbonio all’Institute for Particle Physics di Zurigo (si veda p. 82). Il risultato ha confermato un’elevata probabilità di datazione al 1440-1650, il che diminuisce considerevolmente la possibilità che il ritratto sia un’abile falsificazione. I materiali si confermano pienamente attinenti a quelli in uso attorno al 1500. L’analisi principale è stata eseguita da Pascal Cotte di Lumiere Technology utilizzando il suo esclusivo sistema di elaborazione di immagini multispettrali. Attraverso di esso si registrano dati ottici a una risoluzione senza precedenti attraverso l’intera gamma dello 21

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spettro luminoso, dai raggi ultravioletti, passando per le frequenze della luce visibile, fino alle tre bande degli infrarossi. L’apparecchiatura di Lumiere Technology (fig. 4) è stata utilizzata anche per esaminare la Gioconda 5 e la Dama dell’ermellino.6 I dati agli infrarossi sono stati ottenuti anche mediante trasmissione attraverso l’immagine. La composizione spettrale della luce proveniente da zone specifiche è stata confrontata con la composizione spettrale conosciuta dei pigmenti. Sono state prodotte immagini a falsi colori per evidenziare le differenze nei pigmenti anche in quelle parti soggette a restauro. Sono state ricavate poi immagini a luce radente di lato e dal basso. I dati provenienti dalle diverse scansioni sono stati combinati per ottenere un quadro completo dell’“archeologia” del ritratto. L’opera è stata esaminata anche con i raggi X. Le analisi sono pienamente documentate da Pascal Cotte nella seconda parte. Per il momento, possiamo riassumerne i risultati principali visto che incidono sostanzialmente con la nostra comprensione della realizzazione e dello stato del ritratto: 1. La pergamena e i pigmenti sono stati sottoposti al genere di danni, abrasioni e restauri che ci possiamo aspettare da un oggetto risalente al tardo XV secolo. 2. Le ombreggiature sono state stese originariamente con ampi tratteggi paralleli di mano sinistra, caratteristici della maniera leonardiana (i tratti sono inclinati dall’alto a sinistra verso il basso a destra, spesso, o quasi, di un angolo di 45°). Tale tratteggio nelle immagini a raggi infrarossi è visibile in modo più dettagliato che a occhio nudo. L’ombreggiatura sullo sfondo a sinistra del profilo, a differenza del modo con cui è stato disegnato il volto, sembra partire dal contorno del volto e muovere verso l’alto a sinistra (fig. 5) piuttosto che verso il basso, in modo da ridurre al minimo il rischio di passare sopra al contorno stesso. 3. Le zone della fronte, della guancia e del collo che il pigmento fa apparire opache sono il risultato di una vecchia operazione di restauro per coprire le zone dove lo strato a gessetti sulla superficie si era staccato o danneggiato. 4. Le aggiunte di inchiostro scuro dato a pennello, più evidenti nei capelli, nell’acconciatura e nel costume, provengono dal restauro, e sono state eseguite, ingenuamente e in modi incompatibili con le procedure moderne, per “correggere” l’immagine. È evidente inoltre che i ritocchi sono stati eseguiti da un artista destrorso.

4. L’analisi multispettrale della Gioconda eseguita da Lumiere Technology al Louvre nel 2004.

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i materiali utilizzati e l’analisi scientifica

5. Le acquerellature marrone chiaro, evidenti nei capelli e in altre zone, rappresentano un problema più complesso, anche perché non ci sono pennellate riconoscibili che possano dare indicazioni precise sullo stile del loro autore. Cotte è incline a ritenere più tarde tutte le acquerellature, ma Leonardo nei suoi disegni utilizzava diffusamente inchiostro acquerellato, motivo per cui tanto Nicholas Turner quanto io stesso siamo propensi a considerarne autografe almeno alcune nei capelli e forse anche quelle esterne al contorno del profilo. 6. Vicino al margine sinistro, all’altezza dell’attaccatura dei capelli della donna, si nota la traccia di un’impronta digitale (fig. 6). 7. Ci sono inoltre chiare tracce che una parte della mano dell’artista, probabilmente la parte esterna del palmo della mano destra, sia stata premuta sullo strato di pigmento del collo della figura. 8. Il colore di base della pergamena preparata è stato lasciato scoperto (o poco coperto) in alcune zone della testa come espediente per conferire colore all’incarnato. Questo effetto è stato utilizzato in particolare nella resa dell’iride dell’occhio. Nello stesso modo è stata ottenuta la lucentezza della zona superiore della capigliatura (fig. 7). 9. I contorni del profilo, del collo e delle spalle rivelano alcuni pentimenti legati alla ricerca del contorno giusto; ci sono anche indizi secondo cui, inizialmente, il contorno posteriore del corpetto sarebbe stato collocato più a destra della sua attuale posizione. 10. I bordi superiore, destro e inferiore del foglio hanno aspetto simile e possono essere originali. Il bordo sinistro è stato tagliato in modo più ineguale e mostra i segni di tre fori di una cucitura. Una doppia incisione storta, verticale, in prossimità del margine in basso a sinistra è la riprova che il coltello è scivolato al momento del taglio (fig. 8). Questa prova indica che una volta il ritratto era rilegato in un manoscritto o in un libro stampato su pergamena, prima di venire asportato e fissato su una tavola. 11. La distribuzione relativamente regolare di fitti follicoli indica che la pergamena è stata ricavata dalla pelle di un vitello.

5. Particolare del tratteggio, eseguito da una mano sinistra, che inizia dal contorno del volto della figura ritratta e muove verso l’alto a sinistra.

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6. Particolare dell’impronta digitale sul margine sinistro della Bella principessa.

7. Particolare di alcune zone dove il colore giallastro della pergamena è stato utilizzato dall’artista per trasmettere la luminosità dei capelli della figura ritratta.

8. Particolare del danno provocato alla pergamena da un coltello scivolato probabilmente al momento dell’asportazione del ritratto dal libro di cui faceva parte.

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i materiali utilizzati e l’analisi scientifica

Leonardo, la pergamena e i gessetti colorati Non si conoscono altre opere di Leonardo su pergamena ma abbiamo prove, finora trascurate, del suo interesse per la realizzazione di immagini colorate su pelle di animale. Non sorprende la sua conoscenza della tecnica di utilizzo della pelle di capretto oleata per il ricalco7 per come era stata descritta da Cennini nel suo Libro dell’arte alla fine del Trecento.8 Tuttavia, il passo più interessante lo si trova nel cosiddetto memorandum di Ligny contenuto nel Codice Atlantico,9 un rapido appunto che utilizza una scrittura criptata facilmente decodificabile per celare l’intenzione di recarsi a Napoli assieme al generale francese Luigi di Lussemburgo, conte di Ligny, viaggio che pare non aver avuto luogo. Leonardo scrive: Piglia da Gian di Paris il modo de colorire a secco e ’l modo del sale bianco e del fare le carte impastate, sole e in molti doppi, e la sua cassetta de’ colori. Impara la tempera delle cornage. Impara a dissolvere la lacca gomma.10

«Gian di Paris» è Jean Perréal, il ritrattista francese, miniatore, disegnatore, intellettuale, poeta e uomo dai molteplici interessi che visitò l’Italia al seguito dei re invasori francesi. Sembra che sia stato a Milano con Carlo VIII nel 1494, con Luigi XII nel 1499 e forse anche in altre occasioni. Il metodo di «colorire a secco» si riferisce ai gessetti colorati, presumibilmente come quelli nella «cassetta de’ colori» di Jean. Leonardo ha intenzione di interrogare il maestro francese sui modi di preparare la superficie per il disegno, mentre il suo desiderio di ottenere singoli fogli doppi e nel maggior numero possibile si riferisce chiaramente al ritaglio di pagine rettangolari dalla pelle irregolare e tesa di un capretto o di un vitello. Intende inoltre chiedere consigli su come realizzare le tonalità di un incarnato e in che modo trattare le lacche colorate utilizzando la gomma come legante. La gomma, o più propriamente gomma arabica, viene estratta dalla pianta di acacia e può essere utilizzata come legante per i pigmenti o anche come fissativo per l’intero foglio. La Bella principessa si adatta bene all’uso della gomma arabica sia come mestica per la pergamena, sia come fissativo per i gessetti. Nel 2010 l’artista Sarah Simblet della Ruskin School of Drawing and Fine Art ha ricostruito sperimentalmente la tecnica leonardiana per alcuni programmi televisivi giapponesi e americani. Ha dimostrato che una base di gomma arabica, colorata con terra d’ombra bruciata per ottenere la giusta tonalità, era compatibile con il ritratto. Le qualità visive del disegno sono state emulate con successo usando inchiostri ferrogallici e gessetti del tipo che Leonardo aveva a disposizione. Il maestro aveva dunque intenzione di indagare proprio quelle tecniche che erano necessarie per creare la Bella principessa e che divergono dalle procedure abituali della miniatura, queste ultime ovviamente ben note a Milano. Una nota su di un legante alla cera per i gessetti colorati è rintracciabile nel secondo dei codici Forster: Per fare punte da colorire a secco, tempera con un po’ di cera e non cascherà. La qual ciera dissolverai con acqua che, temperata la biacca, essa acqua stillata se ne vada in fumo e rimanga la cera sola, e fara’ bone punte. Ma sappi che ti bisogna macinare i colori colla pietra calda.11 25

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Un altro memorandum sulla stessa pagina è datato venerdì 4 settembre, il che identifica l’anno nel 1495. Appare sensato immaginare che Leonardo abbia eseguito le proprie ricerche – e poi le abbia messe in pratica – prima della realizzazione dell’immagine. Anche altri suoi riferimenti a Perréal si collegano meglio alla data più antica (cioè il 1494, quando l’artista francese è documentato a Milano con Carlo VIII). In uno dei suoi tipici elenchi di cose da fare, opere da leggere e persone da consultare, Leonardo si rammenta della «misura del sole promissami da maestro Giovanni franzese».12 Ciò conferma che i loro interessi comuni andavano al di là delle questioni artistiche. Sulla base di prove interne, l’elenco pare risalire agli inizi degli anni Novanta del XV secolo. Un’ulteriore menzione del «maestro Giovanni franzese» si ritrova in uno dei fogli anatomici di Windsor13 ma in questo caso non viene spiegata l’allusione. Il foglio in questione contiene studi databili attorno al 1489, ma la maggior parte delle note sembrano risalire a qualche anno dopo. È allora possibile che il 1494 non sia stata la prima occasione nella quale i due si sono conosciuti: probabilmente è meglio pensare che il gruppo di riferimenti risalga al momento della prima visita documentata di Perréal a Milano. Stranamente Perréal rimane difficilmente inquadrabile come pittore, nonostante la sua notevole fama come ritrattista al servizio di tre re francesi in qualità di valet de chambre.14 Aveva un’età vicina a quella di Leonardo e seguì una carriera non molto diversa. Si interessava di astronomia, come ricorda Leonardo, e fu l’autore e l’illustratore di un poema manoscritto sull’alchimia dedicato a Francesco I, nel quale la Natura rimprovera l’alchimista per non aver seguito la sua guida.15 Il poeta Jean Lemaire de Belges parla dell’interesse di Perréal per la topografia e l’agrimensura a fini civili e militari. Fu attivo inoltre come ideatore di monumenti, feste e cerimoniali. Si può ben immaginare che Jean e Leonardo avessero molto di cui parlare. Lemaire loda a dovere entrambi i maîtres nel suo poema La Plainte du désiré del 1509: all’arte di Leonardo riconosce una «grazia superlativa», mentre ci invita «a vedere la natura con Jean de Paris».16 Tra i disegni ragionevolmente attribuiti a Perréal vi è un ritratto a punta d’argento del conte di Ligny oggi al Musée Condé di Chantilly (fig. 9),17 figura che abbiamo già incontrato come destinatario del famoso promemoria di Leonardo nel Codice Atlantico. Come altri disegni e dipinti attribuiti al maestro, testimonia una certa abilità come ritrattista, anche se di un livello che raggiunge a malapena la grande fama di cui godeva tra i contemporanei. Quello di cui non disponiamo, tuttavia, sono dei ritratti a gessetti colorati chiaramente attribuibili a Perréal. In effetti, sebbene agli artisti francesi sia tradizionalmente attribuita l’invenzione del ritratto a gessetti colorati, gli esempi giunti fino a noi dagli anni Ottanta o Novanta del XV secolo sono purtroppo scarsi. Il pioniere dell’uso dei gessetti colorati sembra essere stato Jean Fouquet, come dimostra uno studio per un ritratto della Bella Agnese conservato alla Bibliothèque nationale de France, che rappresenta la famosa amante di re Carlo VII, Agnès Sorel.18 Conosciamo un buon numero di disegni a colori di Jean Clouet ma risalgono tutti alle decadi successive.19 All’Hermitage di San Pietroburgo si trova un ritratto di Carlo VIII attribuito a Jean Bourdichon (fig. 10)20 che usa tocchi di colore per ravvivare l’immagine disegnata. Può anche darsi che la prassi francese nel tardo XV secolo non si spingesse oltre a un arricchimento molto contenuto del disegno monocromo. 26

i materiali utilizzati e l’analisi scientifica

9. Jean Perréal, Luigi di Lussemburgo, conte di Ligny. Chantilly, Musée Condé, inv. pd397.

10. Jean Bourdichon, Ritratto di Carlo VIII. San Pietroburgo, Hermitage, inv. or-2856.

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Se così fosse, Leonardo prese, come suo solito, una tecnica esistente e la spinse ben oltre il livello raggiunto dai suoi predecessori, colorando la testa in maniera più consona alla pittura che al disegno e aggiungendo strati di colore uno sull’altro per ottenere il rosso e il verde delle stoffe. In effetti, egli stava inventando un originale genere di disegno a gessetti colorati che desse in un certo qual modo l’effetto di una miniatura. Rispetto alla scarsità di disegni francesi a colori risalenti agli anni Novanta del XV secolo, ci sono numerose prove che gli artisti milanesi abbiano adottato la pratica del disegno con varie combinazioni di gessetti colorati.21 Degno di nota è il disegno dalla bellezza commovente, anche se malconcio, della Testa di Cristo conservato a Brera (fig. 11), eseguito, tutto o in gran parte, da un artista destrorso, molto probabilmente Giovanni Antonio Boltraffio.22 Può darsi che per la sua rappresentazione di Cristo, che deve molto alla figura del Cenacolo di Leonardo (anche se non vi è basata direttamente poiché nel disegno Cristo non ha la barba), il disegnatore abbia scelto lo strumento autonomamente; ma è più probabile che l’artista abbia seguito l’esempio proprio di Leonardo, prendendo spunto da un disegno a colori dallo stesso maestro. Ciò starebbe a significare che Leonardo sperimentò tale tecnica attorno al 1497 come preparazione per il dipinto.

11. Giovanni Antonio Boltraffio (?), Testa di Cristo. Milano, Pinacoteca di Brera, inv. Gen. 150.

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i materiali utilizzati e l’analisi scientifica

I gessetti colorati sono stati certamente utilizzati dagli allievi di Leonardo per la ritrattistica. Forse l’esempio più antico è un altro foglio ragionevolmente attribuito a Boltraffio, conservato nella Biblioteca Ambrosiana, raffigurante un giovane con i capelli accuratamente acconciati e un grande cappello (fig. 12).23 Anche questo pare risalire a prima del 1500. Per il suo Ritratto di giovane con il turbante all’Albertina di Vienna (fig. 13), Andrea Solario ha utilizzato un insieme di tecniche simili a quelle di Leonardo nella Bella principessa, con analoga precisione nella realizzazione dei contorni.24 Successivamente, tra gli artisti lombardi, Bernardino Luini ha adottato spesso questa tecnica per i ritratti, come nel suo grazioso disegno Gentildonna con ventaglio, anch’esso conservato all’Albertina (fig. 14).25 Tuttavia, nessuno dei suoi allievi, con la parziale eccezione del Solario, ha emulato quella speciale combinazione leonardiana di precisione nell’uso della linea e di delicata morbidezza. Gli effetti che ottenevano erano nel complesso più generici. L’eccezione più eclatante è il ritratto di profilo di una donna con cappello conservato al Louvre (fig. 15), di non chiara attribuzione.26 Eseguito con gessetti colorati su carta colorata, raffigura una giovane con una collana di perle e un cappello inclinato, decorato con un medaglione di perle. Presenta qualche legame con l’opera del Boltraffio e risale probabilmente al 1500 circa. Si tratta del disegno che per l’aspetto e l’uso dei gessetti mostra la più stretta relazione con la Bella principessa. Con i suoi 442 × 288 mm, è anche sostanzialmente analogo per dimensioni. Che Leonardo stesse spingendo le sue tecniche con i gessetti verso una direzione pittorica è confermato dall’impronta del palmo visibile nel collo della donna (si veda fig. 109), dando per buono che sia intenzionale e non fatta per sbaglio. I suoi dipinti anteriori al 1500 mostrano l’uso intensivo delle dita o della mano per ammorbidire la resa, soprattutto nei toni dell’incarnato.27 In genere, pare aver utilizzato a questo scopo la parte morbida, carnosa, del bordo della mano destra, mentre applicava i materiali con la sinistra. Anche se non era l’unico a sfruttare le dita e le mani per la pittura o l’imprimitura, fu naturalmente quello che le utilizzò in modo più vario ed esteso. È probabile che prima del restauro (o dei restauri) nell’incarnato della Bella principessa fossero visibili più impronte delle mani. In ogni caso, nella sua tecnica, l’impronta superstite gioca un ruolo molto simile alle numerose impronte delle mani nella Dama dell’ermellino, come avremo modo di vedere nella seconda parte di questo volume. In sintesi, guardando oltre le testimonianze pervenuteci sui rapporti tra Leonardo e Perréal, l’uso leonardesco dei gessetti colorati e l’utilizzo che ne fanno i suoi allievi spiegano meglio come il maestro italiano conducesse le stesse ricerche del suo collega francese già prima di realizzare il ritratto della giovane, vale a dire quando Jean Perréal arrivò in Italia con Carlo VIII nel 1494, invece che quando vi fece ritorno con Luigi XII nel 1499. Leonardo poi, come suo solito, portò la tecnica a ben altro livello artistico quando si trattò di applicarla in un’opera vera e propria. Come vedremo, è probabile che la Bella principessa sia rimasta effettivamente “sepolta” in un volume rilegato, più o meno sconosciuto, negli anni successivi alla cacciata di Ludovico Sforza dalla città di Milano nel 1499. Qualsiasi collegamento con Leonardo è andato perduto. Il supporto di legno sembra anteriore all’Ottocento: o il distacco del foglio dal volume e il montaggio si sono verificati molto tempo fa oppure è stata usata una vecchia tavola per conferirgli una conveniente aria di antichità.

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12. Giovanni Antonio Boltraffio, Ritratto di uomo con cappello. Milano, Biblioteca Ambrosiana, f 290 inf. n. 8. 13. Andrea Solario, Ritratto di giovane con il turbante. Vienna, Albertina, n. 243. 14. Bernardino Luini, Gentildonna con ventaglio. Vienna, Albertina, n. 59.

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15. Artista lombardo del XV-XVI secolo, Profilo di donna con cappello. Parigi, Louvre, rf5212.

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Il confronto più ovvio per somiglianza e stile è il Ritratto di giovane donna di profilo di Leonardo nella Royal Library del Castello di Windsor (fig. 16).28 Anche se questo è a punta d’argento su carta, la maniera è assai compatibile. Ciò che più colpisce è il modo in cui i profili della fronte, del naso, delle labbra e del mento in entrambi i ritratti sono stati accarezzati con tratti costanti ma fini degli strumenti da disegno, in modo da risultare ben definiti ma conservando tuttavia una soffusa delicatezza. Nemmeno Boltraffio – il più abile per manualità fra gli allievi diretti di Leonardo – avrebbe potuto raggiungere questo risultato. La struttura delle palpebre, i delicati tocchi da cui traggono origine le ciglia e l’iride luminosa dell’occhio sono estremamente affini in entrambi i ritratti, il che trascende la differenza fra le due tecniche utilizzate (figg. 17 e 18). Il disegno di Windsor in cui la donna porta i capelli e il fazzoletto alla maniera fiorentina risale probabilmente al 1481 circa, a meno che non ritragga una donna fiorentina (forse una domestica) che, proprio in quel periodo, aveva accompagnato Leonardo a Milano. Una sovrapposizione delle due immagini (fig. 19), con lo studio di Windsor in controparte,29 rivela una stretta corrispondenza, in particolare nel modo in cui vengono trattate le proporzioni della testa e del collo, per quanto i lineamenti delle due figure non rispondano a una regola precisa ma mantengano un senso di individualità.30 Pascal Cotte ha osservato che le proporzioni corrispondono strettamente a uno degli schemi prediletti da Leonardo. L’artista ha in mente con precisione un certo ideale classicheggiante a cui si ispira nel modo di tracciare la struttura del profilo (fig. 20). Leonardo procedeva frammentando le porzioni del volto in unità sempre più piccole. È probabile che egli fosse in grado di giudicare le proporzioni a occhio al momento di eseguire effettivamente il disegno. Come suggerito da Pascal Cotte, questa indagine può spiegare anche i cambiamenti apportati al contorno della parte posteriore della testa (si veda fig. 71). Nei taccuini di Leonardo una notevole quantità di spazio è occupata da ricerche sulle proporzioni armoniche che secondo lui caratterizzano i rapporti interni del corpo umano. Sulle proporzioni del volto si sofferma ad esempio in un disegno conservato a Windsor (fig. 21):31 33

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16. Leonardo da Vinci, Ritratto di giovane donna di profilo. Windsor, Royal Library, rl 12505. 17. Particolare dell’occhio della fig. 16.

18. Particolare dell’occhio della Bella principessa.

Lo spazio dalla bocca al di sotto il mento, c-d, sarà la quarta parte del volto, e simile alla larghezza della bocca. Lo spazio fra il mento e sotto la base del naso, e-f, sarà una terza parte del volto, e simile al naso e alla fronte. Lo spazio dal mezzo del naso e sotto del mento, g-h, sarà la metà del volto. Lo spazio dal di sopra del naso, dove principiano le sopracciglia, i-k, al di sotto del mento saranno due terzi del volto.32 35

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½ ¼

19. Sovrapposizione del Ritratto di giovane donna di profilo in controparte e della Bella principessa. 20. Schema delle proporzioni della testa della Bella principessa. 21. Leonardo da Vinci, Studio delle proporzioni umane, particolare. Windsor, Royal Library, rl 12304r.

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Cotte ha inoltre osservato che le proporzioni del foglio sono altresì conformi a una formula fissa, in questo caso un rettangolo √2 (fig. 22), cioè un rettangolo il cui lato maggiore è equivalente alla diagonale di un quadrato il cui lato abbia la stessa lunghezza del lato corto del rettangolo.33 Questo schema di proporzioni era molto apprezzato dagli artisti del Rinascimento e lo si ritrova approssimativamente anche nella Dama dell’ermellino, nella Belle Ferronnière 34 e nella Gioconda (figg. 23, 24 e 25). Il retaggio dell’apprendistato di Leonardo nello studio di uno scultore fiorentino rimane evidente nella Bella principessa, e l’incisiva, ma infinitamente delicata linea del profilo conserva affinità particolari con la tecnica di intaglio delle teste in marmo che aveva appreso da Desiderio da Settignano.35 Nel ritratto della giovane dama milanese (fig. 26), come è stato riconosciuto, il profilo della figura si conforma a quell’ideale fiorentino in modo più esplicito rispetto al disegno di Windsor, forse perché si addiceva maggiormente al suo rango più elevato. L’altro confronto diretto – che inquadra così efficacemente l’intervallo temporale in cui collocare il nostro ritratto – si ha con il Ritratto di Isabella d’Este conservato al Louvre (fig. 27),36 eseguito quando Leonardo si trovava a Mantova nel 1500. Le medesime considerazioni sulla cura del profilo e degli occhi possono essere fatte con altrettanta evidenza in riferimento al disegno di Isabella, in cui per accentuare la verosimiglianza della figura ritratta sono utilizzati anche dei gessetti colorati, sebbene in maniera meno estesa che nel ritratto milanese. Leonardo lasciò una versione del ritratto a Isabella e ne tenne un’altra con sé (probabilmente lo studio conservato all’Ashmolean Museum di Oxford).37 Quando il primo ritratto venne regalato dal marito, Isabella scrisse al pittore chiedendone un altro in sostituzione e insistendo perché ne realizzasse uno «de colore» come le aveva promesso, invece che a matita nera o in «carbono», com’era (del tutto o in parte) l’originale.38 Ciò ha fatto ritenere che Leonardo dovesse eseguire un ritratto dipinto, ma la singolare espressione «de colore» può voler dire che egli aveva promesso di eseguire un disegno più estesamente 22. Rettangolo √2. 23. Leonardo da Vinci, Dama dell’ermellino. Cracovia, Muzeum Czartoryskich.

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24. Leonardo da Vinci, La Belle Ferronnière. Parigi, Louvre. 25. Leonardo da Vinci, La Gioconda. Parigi, Louvre. ­ 26. Leonardo da Vinci, Bella principessa. Collezione privata.

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27. Leonardo da Vinci, Ritratto di Isabella d’Este. Parigi, Louvre, mi 753.

colorato rispetto alla versione del Louvre, sul genere di quello che oggi conosciamo grazie alla Bella principessa. Tuttavia, Isabella si rese conto a malincuore che la realizzazione del nuovo ritratto sarebbe stata improbabile, in quanto difficilmente Leonardo sarebbe tornato a Mantova in futuro.39 La Bella principessa non ha nulla da invidiare ai disegni autografi di Isabella e della figura femminile conservata a Windsor. Anzi, considerato di per sé come un lavoro curato nei minimi particolari, è in effetti da ritenere un’opera di pittura vera e propria. Osservandola direttamente, invece che in un’immagine digitale, fosse anche la migliore, se ne ricava un’impressione di maggiore delicatezza, meno ampollosa nella posa, più sfuggente e più romantica. Le sfumature di tono nell’incarnato sono straordinariamente dolci, anche quando interessate da qualche restauro più tardo. I capelli, pur se accuratamente sistemati, scendono nei caratteristici rivoli leonardiani e l’orecchio sinistro, appena accennato, della giovane stuzzica l’occhio indagatore dello spettatore. Le caratteristiche strutturali della reticella rivelano il suo peculiare senso “ingegneresco”. Abbiamo notato come la sottile fascetta che passa dall’attaccatura dei capelli e intorno alla nuca prema sul 40

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profilo della reticella e come la coda della donna si gonfi leggermente laddove è meno stretta. La fasciatura della coda, il coazzone, potrebbe quasi provenire da uno dei suoi studi di meccanica. I motivi a nodi sul margine del copricapo e sopra l’apertura della manica mostrano che Leonardo aveva una grande conoscenza delle proprietà fisiche di simili intrecci, anche se il restauratore ne ha oscurato in alcuni punti l’effetto realistico. L’elevata rigidità delle spalle e del busto, esasperata in questa zona dai restauri, fa evidente riferimento alla solennità di un busto scolpito o più direttamente alle figure ritratte sulle monete romane. Il maggior professionista di sculture del genere alla corte degli Sforza e degli Este fu Gian Cristoforo Romano. È stato l’autore del superbo busto in marmo della futura sposa di Ludovico il Moro, Beatrice d’Este, conservato al Louvre,40 che probabilmente precede il loro matrimonio avvenuto nel 1491. Romano era rinomato come medaglista e autore di ritratti di profilo a bassorilievo. La sua Medaglia per Isabella d’Este (fig. 28)41 è stata realizzata nella maniera più sontuosa che esista, in oro e circondata da diamanti. Leonardo operava in un mondo che amava i ritratti lussuosi e di grande valore formale. Oltre alla sperimentazione di posizioni non convenzionali della testa e del corpo nella ritrattistica, Leonardo era affascinato dalle potenzialità espressive del tradizionale ritratto di profilo. Nel suo «paragone delle arti», sostiene che il pittore può descrivere a pieno ogni aspetto di un modello attraverso «due mezze figure». Si era poi impegnato incessantemente anche per dare al profilo la capacità di trasmettere la personalità della figura ritratta. È un elemento che si manifesta nei suoi ripetuti schizzi di giovani ermafroditi e nei suoi ossessivi disegni di fisionomie grottesche. Quando arriveremo a esaminare la funzione del ritratto, vedremo anche che c’è una spiegazione per l’orientamento, rivolto a sinistra, del profilo della Bella principessa. Il ritratto di profilo era di gran lunga il preferito dalle

28. Gian Cristoforo Romano, Medaglia per Isabella d’Este. Vienna, Kunsthistorisches Museum.

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famiglie regnanti nelle corti dell’Italia settentrionale, e in particolare presso gli Sforza a Milano. La tendenza degli storici a considerare il profilo come, in qualche modo, retardataire è ingiustificata. Lo si usava per motivi di etichetta.42 Infatti, sembra essere stato obbligatorio per la cerchia più interna della famiglia Sforza e per le loro consorti. Le amanti del duca, Cecilia Gallerani e Lucrezia Crivelli, potevano anche essere ritratte in pose meno convenzionali, ma le principesse esigevano il profilo ufficiale. Che esso fosse ritenuto consono a un’alta carica risulta evidente dai quattro membri della famiglia Sforza inginocchiati nella Pala Sforzesca di Brera (fig. 29).43 Appare anche in altre opere: nel ritratto della nipote di Ludovico Sforza, Bianca Maria, conservato ora alla National Gallery of Art, Washington (fig. 30), probabilmente opera di Ambrogio De Predis,44 al momento del suo contratto di matrimonio, nel 1493, con l’imperatore del Sacro Romano Impero Massimiliano I; nei due ritratti su tavola della moglie di Ludovico, Beatrice d’E-

29. Maestro della Pala Sforzesca, La Vergine col Figlio, i Dottori della Chiesa e la famiglia di Ludovico il Moro (la Pala Sforzesca). Milano, Pinacoteca di Brera.

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lo stile dell’opera, la sua datazione e la moda dell’epoca

30. Ambrogio De Predis, Ritratto di Bianca Maria Sforza. Washington, National Gallery of Art.

ste; nei ritratti appena leggibili aggiunti al grande affresco della Crocifissione di Giovanni Donato Montorfano, di fronte al Cenacolo di Leonardo in Santa Maria delle Grazie.45 Nel 1502, quando Ambrogio firmò il ritratto del marito di Bianca Maria, l’imperatore Massimiliano,46 il profilo era nuovamente il formato preferito. Era anche la modalità di rappresentazione adottata nei manoscritti genealogici illustrati.47 La rappresentazione delle signore Sforza, Bianca Maria e Beatrice d’Este, conferma anche la marcata adesione, negli anni Novanta del XV secolo, alla moda delle code molto lunghe e legate in maniera elaborata. Per ottenere la lunghezza richiesta veniva generalmente aggiunta una treccia posticcia del colore dei capelli della signora, spesso tinti a loro volta. La moda del coazzone sembra abbia avuto origine in Spagna e Beatrice se ne era probabilmente appassionata negli anni giovanili, nella Napoli governata dagli aragonesi.48 A Milano, dal 1491 in poi, Beatrice si guadagnò una notevole reputazione come ispiratrice della moda, e il suo coazzone divenne un tratto distintivo delle signore della corte di Ludovico.49 Sembra che il ritratto di profilo con il taglio di capelli ben in vista in tutta la sua bellezza sia divenuto quello richiesto per una principessa. Il messale compilato per l’arcivescovo Guidantonio Arcimboldi di Milano mostra un gruppo di signore in ginocchio durante l’investitura del 1494 di Ludovico a duca di Milano (fig. 31), in seguito alla morte del nipote (il fratello di Bianca Maria), il giovane 43

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31. Artista lombardo del XV-XVI secolo Investitura di Ludovico Sforza, dal Messale Arcimboldi. Milano, Biblioteca del Capitolo Metropolitano.

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Gian Galeazzo Sforza.50 Il duca stesso è collocato in un banco a baldacchino a sinistra, mentre gli viene porto il suo gonfalone. L’alfiere è forse Galeazzo Sanseverino, capitano generale delle sue truppe. Otto delle donne mostrano in modo evidente il coazzone e dai copricapi delle figure si evince che almeno altre cinque hanno seguito l’etichetta.51 Le fisionomie dei volti delle dame con il coazzone variano in certa qual misura ma purtroppo non in modo sufficiente da consentire il riconoscimento individuale. Infatti, in questa scala ridotta, lo stesso Ludovico è riconoscibile per la posizione, la statura e il taglio di capelli piuttosto che per una somiglianza dettagliata. I due distinti dipinti di Beatrice d’Este, uno conservato nella Christ Church di Oxford (fig. 32),52 e l’altro agli Uffizi,53 furono probabilmente realizzati al momento del matrimonio di lei con Ludovico il Moro nel 1491.54 La sopravvivenza di versioni strettamente affini non è sorprendente. È probabile che altri ritratti di famiglie regnanti nelle corti dell’Italia settentrionale siano stati realizzati in più versioni.55 Sono molto simili, tranne

32. Ambrogio De Predis (?), Ritratto di Beatrice d’Este. Oxford, Christ Church Picture Gallery.

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che per alcuni piccoli particolari nel costume e per alcune ciocche di capelli che cadono liberamente dall’acconciatura nella versione degli Uffizi. Il ritratto della Christ Church, che in passato era stato considerato una raffigurazione di santa Caterina, appare di qualità leggermente migliore.56 Il coazzone di Beatrice è legato in modo complesso a spirali che si intersecano. I suoi gioielli comprendono due perle molto grandi, una delle quali è infilata nella scollatura del vestito, mentre l’altra pende libera sopra l’orecchio sinistro. Sappiamo che almeno uno dei due gioielli era stato recato in dono da Ludovico alla promessa sposa nell’agosto del 1490. Viene descritto come: una bella collana cum perle grosse ligate in fiori d’oro et uno bello zoglielo da atachare a dicta collana, nel quale è uno bellissimo smiraldo de grande persona, et uno balasso et una perla in forma de un pero.57

Gioielli sontuosi come questi erano notevolmente costosi, almeno quanto una pala d’altare dipinta da uno dei più importanti maestri del tempo. Non è chiaro come fosse stata legata la collana nel ritratto, ma per altri aspetti è comparabile a quella giunta da Milano. Può essere che il gioiello appeso alla fascia per capelli fosse anch’esso un dono di Ludovico e fosse abbinato a uno identico sul lato destro della testa. I colori, verde, rosso e bianco, erano stati concepiti in modo da corrispondere alla livrea di casa Sforza. Per Bianca Maria era stata realizzata una collana di pari livello, come si può vedere nel suo ritratto (si veda fig. 30). Carlo VIII, durante la sua visita alla corte milanese nel 1494, rimase talmente impressionato dallo stile delle dame milanesi guidate da Beatrice, grande cultrice dell’eleganza, che ordinò o acquistò un ritratto della duchessa da inviare a sua sorella, Anna di Beaujeu, duchessa di Borbone. Un membro dell’entourage di Carlo riferì ad Anna l’effetto che Beatrice aveva avuto sul re: Premierement, quand elle arriva elle estoit sur un coursier accoustré de drap d’or et de velours cramoisy, et elle une robbe de drap d’or verd, et une chemise de lin ouvrée pardessus, et estoit habillée de la teste grande force de perles, et les cheveux tortillez et abbatus avec un ruban de soye pendant derriere, et un chapeau de soye cramoisy fait ny plus ny moins comme les nostres, avec cinq ou six plumes grises et rouges audit chapeau, et avoit cela sur la teste, et estoit sur ce coursier en façon qu’elle estoit toute droite, ny plus ny moins que seroit un homme, et estoit avec elle la femme du Seigneur Galleas, et plusieurs autres jusques au nombre de vingt-deux, toutes sur haquenées belles et gorgiaises, et six chariots couverts de drap d’or et de velours verd, et tous pleins de Dames … Le lendemain aprés disner ledit Seigneur les alla voir, là où elle estoit merveilleusement gorgiaise à la mode du pays, laquelle estoit une robbe de satin verd, dont le corps estoit chargé de diamans, de perles, et de rubis, et autant derriere que devant, et les manches bien fort estroites, toutes descoupées en telle façon que la chemise paroissoit. Estoient ces coupes toutes attachées avec un grand ruban de soye grise pendant presque jusques en terre, et avoit la gorge toute nuë, et à l’entour tout plein de perles bien fort grosses, avec un rubi qui n’est gueres moins grand que vostre grand valloy, et de la teste estoit habillée tout ny plus ny moins que le jour d’auparavant, reservé qu’au lieu de chapeau elle avoit un bonnet de velours avec des plumes d’égrette, là où il avoit une bague de deux rubis, un diamant, et 46

lo stile dell’opera, la sua datazione e la moda dell’epoca

une perle en façon de poire, laquelle poire est toute de la sorte de la vostre … Si n’estoit que le Roy vous veut envoyer la peinture d’elle, et la façon dont elle estoit habillée, j’eusse mis peine de la recouvrer pour la vous envoyer. 58

Purtroppo il ritratto, probabilmente eseguito da Charles de Perréal, non ci è pervenuto. Probabilmente era stato realizzato su carta o pergamena per facilitarne il trasporto. Possiamo comunque essere sicuri che il taglio di capelli fosse stato debitamente registrato. Il coazzone, infatti, è stato talvolta adottato dalle donne aristocratiche al di fuori dell’immediato contesto milanese, anche se in nessun altro luogo è stato elevato a tal punto a uniforme di corte. A paragone con le creazioni decorate di perle e pietre preziose indossate da Bianca Maria e Beatrice, i capelli della Bella principessa sono acconciati elegantemente e in maniera ufficiale, ma relativamente modesta per quanto riguarda i materiali. È sorprendente che non indossi gioielli. E il vestito, con la sua semplice apertura triangolare, non ha nessuno dei nastri annodati che adornano i costumi delle altre due signore Sforza. Leonardo ha volutamente semplificato l’abito e gli ornamenti, rispetto agli altri ritratti di corte, forse perché il contesto, come avremo modo di vedere, raccomandava una minore ostentazione. E tuttavia, anche se i ritratti di Bianca Maria e Beatrice a opera di Ambrogio De Predis superano in prodigalità quello di Leonardo, la rappresentazione delle acconciature eseguita da Ambrogio, anche se mostra una certa abilità, non è altrettanto apprezzabile. Infatti, non vi è traccia del senso di plasticità dei materiali che caratterizza la resa di Leonardo. Non ultimo, le fascette che aiutano a mantenere la reticella in posizione sul retro della testa della figure ritratta, nei dipinti di Ambrogio, non interagiscono con il suo contorno, così come l’andamento dei coazzoni è decisamente monotono. L’altro ritratto che ha una stretta relazione con la Bella principessa è un profilo di donna conservato nella Biblioteca Ambrosiana (fig. 33).59 La pettinatura della sconosciuta è simile, anche se ancora più ricca con i suoi ornamenti di perle. La raffinatezza del profilo è superiore allo standard degli allievi di Leonardo, e il fiocco della fascetta che tiene ferma la reticella è splendidamente caratterizzato. Le perle che orlano il copricapo catturano la luce in modo diverso quando si trovano sui capelli rispetto a quando poggiano sulla pelle, il tutto in maniera particolarmente raffinata. Tuttavia, l’esecuzione generale manca della sorprendente vitalità di Leonardo. Anche in questo caso la fascetta aderisce alla reticella senza interessarne i contorni. Per contro, nel cosiddetto La Belle Ferronnière del Louvre, che è tutto o in gran parte dello stesso Leonardo (si veda fig. 24), i capelli raccolti rispondono visibilmente alla costrizione del nastro orizzontale.60 Leonardo curava tali dettagli fisici a un livello eguagliato da pochi altri artisti. L’attribuzione del ritratto dell’Ambrosiana rimane un enigma. Se, come si è ipotizzato, la modella è Anna Sforza, un’altra nipote di Ludovico, l’autore potrebbe essere un affermato pittore che operava fuori Milano (ad esempio, Lorenzo Costa) negli anni successivi al matrimonio di lei con Alfonso d’Este, duca di Ferrara, avvenuto nel 1491. Ciò spiegherebbe perché non si avvicini in modo convincente al lavoro di Leonardo o dei suoi contemporanei milanesi. Tali comparazioni mettono in risalto l’altissimo valore artistico della Bella principessa. Ma dove è possibile ritrovare le stesse qualità in altre opere di Leonardo? È molto difficile determinare su basi stilistiche la data precisa di un disegno come questo, realizzato con 47

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33. Artista ferrarese (?), Ritratto di dama. Milano, Biblioteca Ambrosiana.

grande cura formale ed estremamente rifinito. Un indizio è la tecnica dell’ombreggiatura dello sfondo con andamento obliquo rispetto ai margini della figura per dare il senso di rilievo che Leonardo tanto apprezzava. Egli ha annotato come il contrasto dei bordi, nel tono e colore, fosse vitale per la separazione ottica dell’oggetto dallo sfondo. Il primo uso precisamente databile di bordo ombreggiato simile a quello che vediamo nel ritratto si trova nella serie di studi di un cranio conservati a Windsor, uno dei quali reca la data 1489 48

lo stile dell’opera, la sua datazione e la moda dell’epoca

34. Leonardo da Vinci, Studio di cranio sezionato, particolare. Windsor, Royal Library, rl 19058v.

(fig. 34).61 Infatti, la tecnica potrebbe essere stata specificamente progettata per il disegno anatomico, per dare il senso di un “campione” che si staglia sullo sfondo. È stata utilizzato con grande efficacia anche nel disegno dell’Uomo vitruviano dell’Accademia di Venezia, che quasi certamente nasce negli anni Novanta del XV secolo.62 Se la nota a proposito di Jean Perréal precede la realizzazione del ritratto su pergamena, siamo di fronte a una data non anteriore al 1494. Se il memorandum di Ligny risale al 1499, come di solito si ritiene, Leonardo ha rivisitato in seguito la tecnica dei gessetti su pergamena e la nota è di scarso aiuto per la datazione del ritratto. Il confronto con i disegni del cranio, insieme alla prova dell’acconciatura, indica decisamente una data successiva al 1491. Il motivo a nodi punta anch’esso nella medesima direzione, pur se in modo meno decisivo (figg. 35-39). Nonostante Leonardo fosse rimasto affascinato dai nodi almeno fino dal 1480 e li avesse già usati in precedenza come motivo decorativo (si veda fig. 114) nel suo ritratto della Dama dell’ermellino,63 il loro impiego come ornamenti di primaria importanza sugli abiti delle dame di corte a Milano ricevette una spinta decisiva quando il motivo della “fantasia dei vinci”, adottato poi da Isabella d’Este, fu elaborato dal poeta di corte Niccolò da Correggio nel 1492. I “vinci” sui quali Niccolò esercitò la propria creatività erano i giunchi, che potrebbero essere stati utilizzati nell’intreccio di cesti e di elementi decorativi. Come il filo d’oro intrecciato ai rami d’albero nella Sala delle Asse di Leonardo nel Castello Sforzesco,64 il motivo dei “vinci” allude alla stretta unione che lega insieme gli amanti, così come rivela un gioco di parole col verbo “vincere”. Il 12 novembre 1493, Beatrice chiese alla sorella il permesso di utilizzare il motivo: 49

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35 e 36. “Nodo vinciano” con l’iscrizione academia leonardi vin[ci], particolare e intero. Milano, Biblioteca Ambrosiana, Incs. 9565 e. 37. Particolare del motivo a nodi sulla spalla della Bella principessa. 38 e 39. “Nodo vinciano” con l’iscrizione academia leonardi vi[n]ci, particolare e intero. Milano, Biblioteca Ambrosiana, Incs. 9565 b.

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lo stile dell’opera, la sua datazione e la moda dell’epoca

Non havendo io a memoria se la S.V. ha facto quella fantaxia del passo cum li vincij, quale fu proposta per m. Nicolò da Corigi essendo io cum la S.V., et perché io faria epsa fantasia d’oro masizo per reponerla sopra una camora del veluto morello, quando fosse che la S.V. non l’avesse facta, per portarla el giorno che se sposarà questa ill.ma Ma Biancha.65

Isabella rispose che non l’aveva ancora utilizzato ed era felice che lo facesse la sorella. Dopo il suo debutto in occasione delle nozze di Bianca Maria con l’imperatore nel 1494, la “fantasia dei vinci” entrò a far parte della moda più diffusa alla corte di Milano. Considerato che la “fantasia” giocava col nome stesso di Leonardo, non sorprende che, al momento di progettare un marchio per la propria “Accademia”, egli abbia adottato l’intreccio, creando un disegno virtuosistico intorno a un’iscrizione araldica (figg. 35 e 38).66 I nodi servivano a indicare formalmente, simbolicamente e socialmente le sue personali ambizioni e la sua venerata “scienza” del disegno. Erano l’emblema adatto per un’associazione informale di scambio intellettuale tra colleghi legati da reciproca stima. Nonostante i nodi, l’abito della Bella principessa è abbastanza semplice rispetto a quelli di Beatrice e Bianca Maria. La spiegazione risiede quasi certamente nelle regole suntuarie seguite (e a volte trasgredite) in Italia. Ci si aspettava che una sposa novella vestisse con semplicità dopo la consumazione del matrimonio, per dare dimostrazione di sobrietà. Prima del matrimonio le donne potevano abbigliarsi in modo più lussuoso, così come in seguito, dopo aver partorito.67 Anche il ritratto dell’Ambrosiana, qui identificato con Anna Sforza e, forse, dipinto a Ferrara poco dopo il suo matrimonio, è abbastanza semplice, nonostante Anna si fosse presa la libertà di indossare delle perle. Leonardo, da parte sua, ha ottenuto un buon equilibrio tra decorazione e moderazione, in perfetto accordo con ciò che era giusto e appropriato per una giovane moglie.

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La funzione dell’opera, il contesto poetico e l’identità della figura ritratta

In genere i ritratti rinascimentali traevano occasione da importanti eventi nella vita della persona raffigurata. Vezzosi aveva suggerito, ragionevolmente, che il ritratto fosse stato commissionato per celebrare il fidanzamento o il matrimonio di una giovane donna milanese di alto rango.68 Si poteva anche supporre che fosse stato commissionato nel corso della ricerca di una sposa da parte di un principe straniero. Tanto a Perréal quanto a Hans Holbein il Giovane accadde di venire inviati in missione per documentare l’aspetto di una signora in una città lontana. Eseguito su pergamena, il ritratto sarebbe stato più facilmente trasportabile di uno su tavola. Tuttavia la constatazione che il foglio sembri essere stato asportato da una rilegatura indica una possibilità definibile con maggior precisione. La corte degli Sforza, al suo apice sotto Ludovico il Moro, negli anni intorno al 1490, fu sede di straordinarie cerimonie nuziali e di celebrazioni in occasioni di nascite. Poeti di corte e oratori, come il toscano Bernardo Bellincioni, furono impiegati nella produzione di opere teatrali, versi elogiativi e discorsi eloquenti. Per tali eventi Leonardo produsse una serie di scenografie mozzafiato.69 Nel 1489, in occasione delle prolungate celebrazioni per le nozze del duca di Milano, Gian Galeazzo, nipote di Ludovico, con Isabella d’Aragona, figlia del re di Napoli, Bellincioni compose una serie di versi che vennero recitati nel corso di una cerimonia sontuosa. Il momento più spettacolare dei festeggiamenti arrivò con la magnifica messinscena di un “paradiso” profano, realizzata congiuntamente da Bellincioni e da Leonardo. I resoconti del tempo riportano la meraviglia suscitata dal modo in cui quest’ultimo costruì la volta del cielo come un imponente “mezzo uovo” rivestito internamente d’oro e decorato con una moltitudine di luci stellari.70 Le divinità planetarie sono descritte come ruotanti su un meraviglioso marchingegno nascosto. Eleganti ballerini, accompagnati da una musica soave, si esibivano in una danza. Al momento culminante, l’attore che rappresentava Apollo scendeva graziosamente dal cielo per consegnare alla sposa un libretto di versi in bella calligrafia. La dedica estremamente ricercata cominciava così: 53

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Salve, diletta, gloriosa e bella, Oggi in tuo grembo tanta grazia piove; O lume d’Aragon, di Sforza stella, A te manda il gran tonante Giove, E dice che tu sei la mia sorella.71

La «grazia» che «piove» in grembo a Isabella può fare riferimento alla pioggia d’oro che cade in grembo a Danae quando Giove la conquista. Con abbondanza di fioriture verbali, Apollo consegna debitamente alla cura della sposa i doni spirituali delle tre Grazie e delle sette Virtù, e affida il prezioso libretto alle sue mani delicate. Il dono per Isabella non sembra essere giunto fino a noi. Gli esempi più noti di canzonieri di simile raffinatezza provenienti dalla corte sforzesca sono quelli dedicati da Gaspare Visconti a Beatrice d’Este e a Bianca Maria Sforza. Il manoscritto della Biblioteca Trivulziana di Milano, databile al 1495-1496, e dedicato a Beatrice, è su pergamena violacea, rilegato insolitamente in rame.72 La copia su pergamena apparentemente destinata a Bianca Maria (ora alla Österreichische Nationalbibliothek di Vienna) è stata rilegata in velluto nero con decorazioni in oro ed è posteriore alla morte di Beatrice avvenuta nel 1497.73 Un terzo esemplare, una raccolta manoscritta più informale delle poesie del Visconti (anch’esso alla Biblioteca Trivulziana), è su carta e contiene dediche sia a Beatrice sia a Bianca Maria.74 La poesia rivolta a Bianca Maria, che Visconti aveva accompagnato nel suo viaggio transalpino per raggiungere il marito, ci fa capire l’atmosfera in cui sorgevano questi componimenti: Mentre che vixe l’inclita Duchessa, [Beatrice] anci la mia patrona, anci il mio nume, de scriver talor versi ebbi in costume perché ’l mio stil non dispiaceva ad essa; ma poi che acerba morte l’ebbe oppressa, seccosse l’aqua del mio usato fiume e invan l’ingegno a fabricar presume, tanto ho la fantasia rotta e perplessa. Or che Tua Maiestà m’ha comandato ch’io mandi a te qualche mia cosa nova, mano un libretto a lei già dedicato: apresso a me poco altro se ritrova; prego lo acepti e me, servo fidato, fuor di memoria raro te si mova. Et ance più mi giova a te servir, Regina sempre augusta, ché scio ch’al Duca il mio servire gusta.75

Il canzoniere che segue esalta i piaceri e le traversie d’amore, i capricci della fortuna, la gioia che viene dal cielo e le radiose meraviglie delle signore amate, non ultimi i loro occhi affascinanti. Piene di riferimenti classici a Venere, Marte, Febo e a una congerie di 54

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personaggi mitologici, le poesie di Visconti mettono in campo variazioni apparentemente infinite dei topoi della poesia d’amore italiana del Rinascimento. I ritratti di Leonardo di Cecilia Gallerani e di Lucrezia Crivelli, le amanti di Ludovico, erano essi stessi soggetti di versi elogiativi in stile classico e petrarchesco.76 Quelli per Cecilia, scritti dal collega toscano di Leonardo, Bellincioni, sono concepiti in forma di dialogo tra il poeta e la natura dolente: Di che ti adiri? A chi invidia hai Natura? Al Vinci che ha ritratto una tua stella: Cecilia! Sì bellissima oggi è quella che a suoi begli occhi el sol par ombra oscura. L’onore è tuo, sebben con sua pittura la fa che par che ascolti e non favella: pensa quanto sarà più viva e bella, più a te fia gloria in ogni età futura. Ringraziar dunque Ludovico or puoi e l’ingegno e la man di Leonardo, che a’ posteri di te voglia far parte. Chi lei vedrà così, benché sia tardo, vederla viva, dirà: «Basti a noi Comprender or quel ch’è natura et arte».77

Al ritratto di Lucrezia sono stati associati tre epigrammi latini attribuiti ad Antonio Tebaldeo, trascritti nel Codice Atlantico: bene respondet nature ars docta: Dedisset Vincius, ut tribuit cetera, sic animam Noluit, ut similis magis haec foret; altera sic est. Possidet illius Maurus amans animam. Huius, quam cernis, nomen Lucretia, Divi omnia cui larga contribuere manu Rara huic forma data est. Pinxit Leonardus, amavit Maurus: pictorum primus hic, ille ducum. Naturam et superas hac laesit imagine Divas pictor. Tantum hominis posse manum haec doluit; Illae longa dari tam magnae tempora formae, quae spacio fuerat deperitura brevi. Has laesit Mauri causa. Defendet et ipsum Maurus. Maurum homines laedere Diique timent.78

Questi omaggi letterari abbondano delle consuete figure retoriche: la natura invidiosa, le immagini rappresentate a cui manca solo la parola, la loro immortalità insieme a quella del loro autore, gli occhi come stelle e così via. Difficilmente possiamo considerarli capo55

la bella principessa

lavori poetici, eppure essi danno un quadro perfetto del contesto culturale in cui si muovevano le donne di corte, quel contesto entro il quale i dipinti di Leonardo svolgevano un ruolo rilevante. I poeti erano i suoi avversari diretti, non solo in riferimento al dibattito sui meriti delle varie forme artistiche ma, più concretamente, come rivali di lavoro. Nel suo “paragone delle arti”, Leonardo racconta della rivalità tra un poeta e un pittore che si contendono la considerazione di Mattia I Corvino re d’Ungheria, mecenate di chiara fama, in occasione del suo compleanno: Portando il dí del natale del re Mattia un poeta un’opera fattagli in laude del giorno ch’esso re era a benefizio del mondo , et un pittore gli presentò un ritratto della sua inamorata, subito il re rinchiuse il libro del poeta, e voltossi alla pittura, et a quella fermò la vista con grande admirazione. Allora il poeta forte isdegnato disse: «O re, leggi, leggi, e sentirai cosa di maggior sustanzia che una muta pittura». Allora il re, sentendosi riprendere del risguardar cose mute, disse: «O poeta, taci tu che non sai ció che ti dica; questa pittura serve a miglior senso che la tua, la quale è da orbi».79

Non va considerato come il resoconto di una reale conversazione. Leonardo sta utilizzando la forma del dialogo per alludere in maniera colta all’antico detto di Simonide secondo il quale la pittura è poesia muta e la poesia è pittura cieca. Un esempio appropriato di come un ritratto poteva essere utilizzato in un volume di poesie, servendosi sia di immagini che di parole, ci viene dal lussuoso manoscritto conservato nella British Library, che contiene versi di Pierre Sala, poeta di Lione, in onore della sua amata (e futura moglie) Marguerite Builloud.80 Il manoscritto culmina con un ritratto del poeta stesso (fig. 40), dipinto niente meno che da Jean Perréal. Nella pagina a fronte del ritratto, Perréal ha apertamente imitato la scrittura speculare mancina di Leonardo. L’analogo posizionamento in un ipotetico manoscritto o in un libro stampato su pergamena del ritratto della giovane, rivolta cioè verso un’iscrizione poetica, spiegherebbe il suo orientamento a sinistra. L’intenzione di Leonardo di interrogare Perréal su come

40. Jean Perréal, Ritratto di Pierre Sala, con a fianco la pagina che imita la grafia leonardiana. Londra, British Library.

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ricavare il massimo numero di fogli doppi a partire da una pelle tesa e preparata potrebbe significare che egli aveva ricevuto l’incarico di assemblare il volume in onore della giovane dama. Una unione simile di testo e immagine, come vedremo nell’ultima parte, chiarisce la genesi del ritratto di Leonardo su pergamena. Una volta fornito il contesto cortese e poetico in cui avevano origine i ritratti femminili nella corte di Ludovico, possiamo provare dunque a restringere il campo in vista di una possibile identificazione della figura ritratta da Leonardo? In considerazione dell’impiego molto specifico del formato di profilo e del coazzone, ci sono solo cinque possibilità significative: Beatrice, la moglie di Ludovico, Isabella d’Aragona, moglie di suo nipote Gian Galeazzo, le nipoti Bianca Maria e Anna, e la figlia illegittima Bianca. Di questo quintetto, le prime tre possono effettivamente essere escluse, dal momento che sappiamo che aspetto avevano.81 Non disponiamo invece di un raffronto per Anna, la giovane sposa di Alfonso d’Este, ed è lei che si presenta come possibile modella per la Bella principessa. La quinta possibilità è comunque rilevante. Nell’ottobre del 1489 Ludovico espletò le procedure giuridiche per legittimare Bianca, figlia della sua amante Bernardina de Corradis.82 L’anno successivo Bianca fu promessa in sposa a Galeazzo Sanseverino, il capitano generale dell’esercito di Ludovico. Devono essere stati formalmente congiunti in matrimonio nel 1496, quando Bianca aveva circa tredici o quattordici anni. Galeazzo fu una figura importante a corte, stretto confidente del duca e protettore di Leonardo al quale dette la possibilità di realizzare i suoi studi. Infatti, le stalle di Galeazzo, annesse al suo nuovo palazzo, nel parco adiacente al Castello Sforzesco, misero a disposizione i cavalli che Leonardo utilizzò come modelli nel suo lavoro di ricerca per il monumento equestre a Francesco Sforza.83 Leonardo curò anche la realizzazione di almeno una festa nel palazzo di Galeazzo, per accompagnare una giostra nel 1491, probabilmente come parte delle celebrazioni delle doppie nozze Sforza-d’Este di Ludovico con Beatrice e di Anna Sforza con Alfonso d’Este.84 Galeazzo era il dedicatario del più pregevole dei due manoscritti superstiti del De divina proportione di Luca Pacioli nel 1498, con le notevoli illustrazioni geometriche di Leonardo.85 E si può immaginare che Leonardo, impegnato alla corte del duca in qualità di ingegnere nelle fortificazioni e negli armamenti, abbia lavorato a stretto contatto con il figliastro di Ludovico. Bianca fu argomento di un sonetto di Bellincioni: In lode di messer Galeazzo e sua consorte S’egli è ver quel proverbio che si dice: da’ teneri anni si conosce e vede uno elevato ingegno; oggi si crede che Bianca serà al mondo una fenice, come buon frutto vien dalla radice, dell’ingegno del padre è fatta erede; et il Cielo un tal sposo gli concede, che l’un per l’altro sarà ben felice. Vera elezion, convenïente e bella, fatta dal mio parente Ludovico,

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che nulla cosa a questa coppia manca. Galeazzo mancava a questa stella, a Galeazzo, di virtute amico, mancava solamente al mondo Bianca.86

Dal momento che il poeta morì nel 1492, Bianca all’epoca non poteva avere più di dieci anni. Amatissima dal padre, Bianca divenne amica del cuore di sua moglie, Beatrice d’Este, di lei più grande e che arrivò a Milano nel 1491 all’età di sedici anni (quando Bianca doveva averne nove circa). Nel 1494 Bianca, secondo quanto la lettera citata (si veda p. 46) narra ad Anna di Beaujeu, spiccava decisamente nel corteggio scintillante delle signore milanesi in bella mostra per Carlo VIII. Ma la tragedia incombeva. Il 23 novembre 1496, solo quattro mesi dopo il matrimonio della figlia, Ludovico ricevette la notizia della sua morte, avvenuta a Vigevano in seguito a una fatale «passione de stomacho», forse un gravidanza extrauterina.87 Le cure dei migliori medici di corte si rivelarono inutili. Cominciarono inevitabilmente a circolare voci di avvelenamento. La corte piombò nella costernazione. Niccolò da Correggio espresse il cordoglio generale in forma poetica, per quanto caratterizzata dalla consueta spinta retorica: Duo lustri e più di mezo il terzo un poco Bianca, del Duca figlia, avea perfecti, a con Galeazo i coniugali affecti godeassi, e pari era in lor tede il foco, quando, nel mezo de sì dolce gioco, lasciò la spoglia e andò fra’ spiriti ellecti, contumulate prima in gli uman pecti sua forma e grazia, non contente a un loco. Chi riempì mai sepulcri sì diversi? I sassi han l’ossa e il mondo il nome serba, serban puoi sue virtuti e prose e versi. Sol Galeazo, a cui la messe in erba fu tronca, i fructi suoi vedendo persi, può dir che contra lui Morte fu acerba.88

Nel primo verso Niccolò sottindende che Bianca aveva tredici o forse quattordici anni, al momento della morte. Non conosciamo con precisione la data di nascita di Bianca. Beatrice scrisse alla sorella Isabella, a Mantova, sull’onda dell’emozione: Quantunche sia certa che la S.V. per lettera de lo Ill.mo S. Duca mio consorte serrà avisata de la immatura morte de la Ill.ma M.ma Biancha sua figliola et consorte de m. Galeazo, niente di meno per el debito mio ho voluto anchora mi dargliene notitia, cum dirli che d’epsa morte ne havemo sentito quello cordoglio et affano che extimar se potesse, per el loco quale teneva presso di noi, e N.S. Dio habbia l’anima sua.89 58

la funzione dell’opera, il contesto poetico e l’identità della figura ritratta

Si è ipotizzato che Bianca sia il soggetto del ritratto conservato all’Ambrosiana (si veda fig. 31). Volendo però suggerire un’identità plausibile per quella figura, è forse meglio cercare in casa di Anna Sforza, nipote di Ludovico, che nel 1491 sposò Alfonso d’Este in pompa magna. Anna aveva sei anni più di Bianca e morì anch’essa prematuramente nel 1497 all’età di ventuno anni. Anna rappresenta quindi un’ipotesi molto credibile per il profilo dipinto, in particolare se realizzato da un pittore a disposizione della corte ferrarese, piuttosto che da Leonardo o da qualcuno del suo entourage. La figura del ritratto su pergamena è più giovane e, tenendo conto della precoce maturità richiesta a una sposa di corte, potrebbe avere non più di tredici o quattordici anni, età alla quale si sposò e morì. L’assenza di gioielli celebrativi rispecchia l’abbigliamento richiesto a una dama di corte da poco maritata. Nel 1525 Marcantonio Michiel, nelle sue “schede” manoscritte sulle opere nelle collezioni italiane settentrionali, cita un «retratto in profilo» di Bianca Sforza «de mano de […] Milanese» conservato nella casa di Taddeo Contarini a Venezia. L’immagine, egli ci informa, si estende «alle spalle de Madonna», ovvero ciò che consideriamo un busto. Michiel la descrive come «fiola del signor Lodovico da Milano», ma poi continua dicendo che è anche «maritata nello Imperatore Massimiliano».90 L’errore di Marcantonio è più facilmente spiegabile ipotizzando che avesse visto un ritratto dell’imperatrice, Bianca Maria, e che l’avesse scambiata con Bianca, la figlia del duca (cugina di secondo grado di Bianca Maria). Ma è possibile che abbia commesso l’errore inverso. In ogni caso, è evidente che non sta parlando dell’immagine più famosa di Bianca Maria, il ritratto conservato alla National Gallery of Art di Washington (si veda fig. 30), dal momento che il ritratto che aveva veduto era solo un busto («alle spalle»). Ve ne è una versione del Louvre che mostra una parte più ridotta del corpo, ma non è possibile scambiarla per un busto. Rimane quindi almeno qualche possibilità che il ritratto che appartenne a Contarini fosse quello di Bianca. Se così è, si trattava apparentemente di un dipinto e potrebbe essere stato basato proprio sul disegno di Leonardo. Bianca, come vedremo, è quasi certamente il soggetto ritratto da Leonardo: rappresenta l’esempio perfetto della nobildonna, Sforza o d’Este, che fu oggetto di adulazione poetica, si sposò precocemente e, in ben quattro tristi occasioni, morì prematuramente. Bianca, Anna, Bianca Maria e Beatrice morirono tutte giovani. Il ritratto su pergamena delinea il destino aristocratico di giovane sposa della ragazza, con la stessa efficacia con cui i versi appassionati di un poeta possono ritrarre in bella calligrafia il ruolo ben definito di una dama di corte.

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Le analisi fisiche e scientifiche Pascal Cotte, Martin Kemp, Eva Schwan

Introduzione Martin Kemp

L’insieme delle prove presentate nella prima parte di questo libro si incentra su questioni storico-artistiche di stile, datazione, materiali, funzione, significato, committenza e identificazione della figura ritratta. Abbiamo già incontrato, soprattutto in sintesi, alcuni degli elementi di prova derivati dall’attento esame tecnico fornito da Pascal Cotte. È giunto il momento di svelare la piena portata dei risultati di Cotte, che rappresentano parte integrante della ricerca su cui si fonda questo libro. Nella letteratura storico-artistica, tali risultati appaiono in genere come aggiunte o appendici al testo principale. Qui viene dato loro il dovuto risalto. Ci sono, necessariamente, spiegazioni che contengono alcuni termini tecnici, ma abbiamo cercato di trattarli in maniera tale che anche un non specialista possa seguire il filo del discorso. Documentiamo, in modo più dettagliato di quello abituale, anche le prove riguardanti il restauro del ritratto. A chi non abbia familiarità con elementi tecnici relativi al restauro di opere del passato potrà sembrare che l’immagine della principessa milanese sia stata modificata in modo sostanziale nel corso degli anni. In realtà, l’entità del restauro (o dei restauri), considerato il supporto e la tecnica, è irrilevante nel caso di un lavoro che ha più di 500 anni. Un certo numero di disegni di Leonardo sono stati ritoccati nel corso degli anni, e il processo ha avuto inizio proprio nel suo studio. Il suo allievo più colto, Francesco Melzi, erede dei suoi lavori, ha ripassato alcuni contorni e alcune parti, sbiadite o che avevano subito sfregamenti, dei disegni conservati oggi alla Royal Library di Windsor.91 Osservati a occhio nudo, piuttosto che enfatizzati a dismisura nelle immagini ad alta risoluzione, le ripassature da parte del restauratore (o dei restauratori) della Bella principessa sono abbastanza accettabili, con l’eccezione del costume, e diminuiscono solo relativamente l’effetto conseguito dall’impareggiabile manualità di Leonardo. In poche parole, abbiamo di fronte un’opera di Leonardo, la cui visione non è stata pregiudicata in modo significativo.

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L’elaborazione di immagini multispettrali Pascal Cotte

Quando il proprietario di quella che oggi chiamiamo la Bella principessa portò il disegno a Lumiere Technology per sottoporlo a scansione utilizzando il nostro innovativo sistema di elaborazione di immagini multispettrali – un sistema di ripresa che produce una serie di immagini digitalizzate a una risoluzione e una precisione di colori senza precedenti, ciascuna per una diversa banda, o canale, spettrale – tutto ciò che sapevamo era che il ritratto era stato venduto come opera di un anonimo artista tedesco del XIX secolo. Anche se completamente all’oscuro della sua possibile attribuzione a Leonardo da Vinci, ci fu subito chiaro che sarebbe stato davvero utile sottoporlo a un approfondito esame scientifico utilizzando gli stessi metodi precedentemente impiegati per la sua Gioconda e per la sua Dama dell’ermellino. Il sistema di ripresa multispettrale di Lumiere Technology Fin dal 1998 Lumiere Technology ha sviluppato apparecchi fotografici per catturare immagini digitali di materiale d’archivio: in quell’anno il laboratorio depositò il primo dei suoi due brevetti di dispositivi ad alta risoluzione per la digitalizzazione di documenti a grande formato.92 La principale difficoltà tecnica che i precedenti sistemi di elaborazione di immagini multispettrali dovevano affrontare non era legata alla fotocamera in sé, ma al metodo di illuminazione richiesto. Secondo il metodo di fabbricazione precedente, queste fotocamere necessitavano di un’intensità luminosa solitamente incompatibile con le dimensioni e la fragilità delle opere d’arte a due dimensioni. Per illuminare con metodi tradizionali una tela di 12 metri quadrati, per esempio, erano necessari 130.000 watt di potenza! Il sistema brevettato Lumiere Technology ha risolto questo problema con uno specifico sistema di illuminazione che concentra la luce solo laddove è necessario per catturare l’immagine, senza compromettere l’integrità complessiva dell’opera. Con questo sistema, che richiede solo 2400 watt di potenza, la pittura assorbe pochissima 71

la bella principessa

energia luminosa (in effetti meno di 50 lux/ora, che è il livello generalmente accettato per le esposizioni di disegni). Nell’aprile 2000 il progetto CRISATEL, finanziato dall’Unione Europea, ha approvato l’uso della nostra camera multispettrale e il suo sistema di illuminazione per l’archiviazione e la digitalizzazione del patrimonio pittorico.93 Dopo la digitalizzazione della Gioconda nell’ottobre 2004 (si veda fig. 4), seguita da quella della Dama dell’ermellino nel settembre 2006, abbiamo iniziato a produrre il nostro sistema di ripresa. Da allora è stato utilizzato in collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, tra cui il Van Gogh Museum di Amsterdam, il Kröller-Müller Museum di Otterlo, il Musée des Beaux-Arts de Lille, l’Art Institute di Chicago, il Cleveland Museum of Art e il Muzeum Czartoryskich di Cracovia. Come avviene l’elaborazione di immagini multispettrali Il colore è un fenomeno visivo derivante da come i raggi della luce, cioè la radiazione elettromagnetica, vengono assorbiti, riflessi o rifratti dalla superficie di un oggetto. Poiché la quantità di radiazioni emessa varia da una sorgente luminosa a un’altra, i colori vengono percepiti in modo diverso: un oggetto non produce gli stessi colori alla luce del giorno, per esempio, rispetto a quando lo si osserva alla luce di una lampada al tungsteno o di una luce al neon. Non siamo in presenza di una “scala” quanto di una gamma infinita di colori. Per comprendere e documentare questo fenomeno nel caso di un dipinto o di un disegno, abbiamo bisogno di ricostruire le curve di riflettanza spettrale della miscela di pigmenti che compongono la sua superficie pittorica. Questo è esattamente il processo che si verifica utilizzando una fotocamera multispettrale che si serve di tredici diversi filtri per misurare la luce riflessa dai vari strati del dipinto. A questo punto, elaborando i dati di riflettanza spettrale per ciascuno dei circa 240 milioni di pixel presi singolarmente, a prescindere dal tipo di illuminazione, si può calcolare con estrema precisione come ogni colore venga percepito dall’occhio umano.94 Si può poi continuare simulando digitalmente come apparirebbe il dipinto sotto ogni condizione di luce.95 Questa tecnica rappresenta una rivoluzione nella storia della fotografia perché risolve un problema che ha afflitto la disciplina per oltre un secolo: il conseguimento del colore reale. Ora disponiamo di un’esatta misura scientifica per ciascun pixel. Nella fotografia tradizionale (sia essa digitale o in gelatina d’argento), i dati dei colori sono limitati da due fattori: da un lato, dal sistema convenzionale RGB (rosso-verde-blu) dei colori primari utilizzati per registrare l’impressione e, dall’altro, dalle sorgenti luminose utilizzate. Un fotografo che si trova a New York non ha a disposizione la stessa luce di un suo collega che opera a Madrid o a Parigi, ragion per cui le loro fotografie non sono scientificamente comparabili. Tuttavia i vantaggi della scansione e dell’analisi multispettrale non si esauriscono qui: il sistema ci permette di esaminare aspetti dell’opera invisibili a occhio nudo. La superficie può essere scansionata con una luce nel vicino ultravioletto (NUV), le cui lunghezze d’onda sono troppo brevi per essere distinte dall’occhio umano, e, all’altra estremità dello spettro elettromagnetico, non con uno ma con tre livelli di luce nel vicino infrarosso (NIR) le cui lunghezze d’onda sono più lunghe di quelle della luce percepibile. In ciascun caso mantenendo la stessa definizione, forniamo ulteriori informazioni sull’opera 72

l’elaborazione di immagini multispettrali

pittorica. La ricostruzione degli spettri in banda larga consente di identificare i pigmenti e le miscele in modo non distruttivo (cioè senza prelevare campioni). Infine, poiché la camera multispettrale di Lumiere Technology è sincronizzata con un innovativo sistema di illuminazione – in cui la luce viene concentrata da uno specchio ellittico e proiettata come un raggio filiforme lungo la superficie – si mantiene l’omogeneità spaziale dell’illuminazione, mentre resta minima la quantità totale di luce a cui viene esposta l’opera. La digitalizzazione della Bella principessa Vediamo come questa tecnologia multispettrale possa venire applicata alla digitalizzazione di un’opera d’arte, in particolare al ritratto della Bella principessa. Il ritratto è stato digitalizzato a una risoluzione di 1008 dpi, ottenendo una straordinaria definizione di 1570 pixel/mm2. Per fare un paragone, una comune fotocamera professionale, a seconda del modello, è in grado di registrare a non più di 100 pixel/ mm2. Ogni pixel misura soli 25 µm. Con questo nuovo livello di risoluzione, diventano perfettamente visibili le minime sfumature e i più minuti dettagli, come la craquelure più sottile o più marcata, la texture della superficie granulosa del gessetto o della grafite e perfino le impronte digitali. La profondità di campo è maggiore di 2 mm. In un’unica sessione di scansione durata solo un’ora, l’opera è stata misurata e catturata in tredici bande spettrali (fig. 41). Durante tale processo la fotocamera multispettrale ha registrato e generato circa 24 GB di dati:96 • un’immagine nell’ultravioletto vicino (con lunghezze d’onda da 380 a 420 nm); • nove immagini a luce visibile (da 440 a 760 nm, con incrementi di 40 nm); • tre immagini nell’infrarosso vicino (a 800, 900 e 1000 nm, con incrementi di 100 nm); • un’immagine a infrarossi a luce radente; • un’immagine pancromatica a luce radente. In base a questi dati, sono state ricavate dieci ulteriori immagini generate automaticamente dal computer (fig. 42), la cui natura verrà spiegata nelle pagine seguenti. Queste includono: • un’immagine a infrarossi in falsi colori (“tipo I”, con lunghezza d’onda fino a 1050 nm); • un’immagine a infrarossi in falsi colori (“tipo I”) a luce radente; • un’immagine negativa a infrarossi in falsi colori (“tipo II” con filtro blue-cut, a infrarossi di 1050 nm); • un’emissione all’infrarosso; • un’immagine a colori reali alla luce del giorno (D65: illuminante standard, corrispondente alla luce diurna all’ombra con temperatura equivalente di colore di 6500 K); • un’immagine a colori reali D65 a luce radente; • un’immagine simulata dell’opera con il pigmento rimosso (non applicabile alla Bella principessa); • una mappa del restauro (si veda fig. 92). 73

la bella principessa

400 nm

440 nm

480 nm

520 nm

560 nm

600 nm

640 nm

680 nm

720 nm

760 nm

False Color 800 nm

900 nm

1000 nm

Real Color D65

41. Le tredici immagini multispettrali della Bella principessa, e le due scansioni a infrarossi in falsi colori e a colori reali a luce diurna.

42. Dieci ulteriori immagini della Bella principessa generate dal software del sistema di elaborazione di immagini multispettrale.

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l’elaborazione di immagini multispettrali

43. Immagine multispettrale digitalizzata finale della Bella principessa; le crocette ai lati permettono di allineare i dati delle tredici scansioni. Il disco semicircolare in alto è un riferimento di riflettanza Spectralon®.

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Combinando questi due insiemi di dati, è stata costruita un’immagine digitale completamente nuova, con una risoluzione di 240.000.000 di pixel reali che copre l’intero spettro luminoso: in altre parole, al limite delle leggi fisiche dell’ottica (fig. 43).97 Immagini a infrarossi Per anni, le fotografie a infrarossi e le riflettografie sono state utilizzate per studiare la pittura, inizialmente sotto forma di stampe in gelatina d’argento, poi come immagini digitali sullo schermo. Il loro scopo è sempre stato quello di produrre un’immagine che “contenesse” informazioni supplementari, in particolare mostrando quel che c’è al di sotto dei vari strati di colore, dal momento che molti pigmenti, opachi alla luce ordinaria, divengono trasparenti agli infrarossi. L’alta definizione non era considerata importante per questo tipo di immagini e di solito era sufficiente una singola acquisizione a infrarossi (a una lunghezza d’onda standard). A differenza di queste fotografie, le immagini multispettrali a infrarossi presentano cinque vantaggi: • non viene generata una sola immagine all’infrarosso ma tre, catturate a tre differenti lunghezze d’onda; • questo fornisce immagini a tre diverse profondità al di sotto della superficie pittorica; • è possibile calcolare le differenze tra i tre infrarossi (veda Emissione a infrarossi); • gli infrarossi sono standardizzati su tutta la superficie, il che significa che il grado di trasparenza dei pigmenti alla luce degli infrarossi può essere misurato e che i pigmenti possono venire identificati; • l’alta risoluzione consente di rivelare i dettagli minimi del substrato (come la presenza di disegni sottostanti) e, poiché le misurazioni sono standardizzate, può essere effettuata una dettagliata comparazione scientifica con altri dipinti, con benefici ulteriori per l’identificazione della paternità e per lo studio delle campagne di restauro. Immagini a infrarossi a luce radente La luce radente è indispensabile per lo studio del rilievo della superficie e della struttura dello strato di pigmento, ma l’acquisizione di un’immagine a infrarossi a luce radente è ancora più utile in quanto rivela la trama dei restauri e il modo in cui sono stati realizzati, così come le zone che sono state ripassate. Questo nuovo tipo di immagine è diventata possibile solo con lo sviluppo dell’elaborazione di immagini multispettrali, che ha aumentato significativamente la gamma di strumenti investigativi a disposizione per studiare la struttura fisica di dipinti e disegni. Immagini a infrarossi a falsi colori La vista umana è in grado di ricevere la parte dello spettro luminoso che va dal blu al rosso, da circa 400 nm (viola) a 750 nm (rosso). Un’immagine a falsi colori (fig. 44) 76

l’elaborazione di immagini multispettrali

44. La Bella principessa, ricostruzione a falsi colori del “tipo II”.

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permette all’occhio di vedere in colore lunghezze d’onda che normalmente sarebbero invisibili, come gli infrarossi (oltre i 750 nm). Essa infatti simula un’estensione della vista umana fino alle lunghezze d’onda degli infrarossi. Il termine “falsi colori” è stato a lungo utilizzato dalla Kodak per descrivere due tipi di speciali di pellicole a colori, sensibili ai raggi infrarossi (che indichiamo con “tipo I” e “tipo II”), che convertono o invertono i colori. Purtroppo questo tipo di fotografie avevano il difetto di essere molto sfocate e imprecise proprio nella resa dei colori. Emissione a infrarossi L’espressione “emissione a infrarossi” viene utilizzata per analogia con “emissione a raggi X”. Essa permette di distinguere dettagli in materiali con poca o nessuna trasparenza ottica. Gli infrarossi penetrano lo strato pittorico del dipinto, il quale può nascondere un disegno sottostante. L’emissione a infrarossi viene calcolata sottraendo la luminosità dello strato pittorico visibile agli infrarossi più forti. Questo dà risultati osservativi molto pertinenti e che si sono rivelati decisivi nel caso del presente studio (fig. 45). Vantaggi dell’analisi multispettrale Lo studio o l’analisi di immagini dalla risoluzione e dalla definizione così eccezionalmente elevata offrono allo studioso un’arma non indifferente, una carta vincente, se così vogliamo dire. Alcune ore trascorse davanti a un grande schermo di computer, muniti di immagini prodotte da una fotocamera multispettrale, possono avere un valore incalcolabile nell’integrare informazioni raccolte in un tradizionale laboratorio di restauro. L’alto grado di sofisticazione e di estrema precisione delle immagini multispettrali consente uno studio approfondito delle caratteristiche fisiche dell’oggetto, riducendo la necessità di un ulteriore contatto diretto, poiché l’opera viene maneggiata solo una volta durante la sessione iniziale di scansione. Le immagini multispettrali e il sistema di digitalizzazione Lumiere Technology hanno apportato numerosi cambiamenti nella disciplina e prodotto numerosi vantaggi: • immagini perfettamente chiare a risoluzione eccezionalmente elevata; • colori normalizzati (standardizzati) a un livello unico di precisione; • una vasta gamma spettrale, con immagini a infrarossi e a infrarossi a luce radente fino a 1050 nm (invece degli 850 nm possibili con una pellicola); • informazioni più pertinenti e significative. Con questo nuovo metodo di indagine è nata la stampa colorimetrica. Le opere d’arte possono essere comparate su un’accurata base scientifica. Inoltre, con la ricostruzione digitale, si possono esplorare molteplici combinazioni di dati da diversi punti di vista e per scopi diversi. Le immagini a falsi colori del “tipo II” (per esempio la fig. 44) ne rappresentano un buon esempio: gli infrarossi sono presentati in blu, il che è estremamente utile per lo studio degli interventi di restauro. 78

l’elaborazione di immagini multispettrali

45. Immagine a infrarossi della Bella principessa.

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Il supporto

La Bella principessa è stato eseguito su un grande foglio (330 × 239 mm) di pergamena (o cartapecora, per usare il termine più generico riferito alla pelle degli animali), successivamente fissato su un pannello in legno di quercia. La pergamena Il supporto è probabilmente una pelle di vitello a grana fine. È caratterizzata da piccole irregolarità naturali, molte delle quali sono state smussate nel processo di raschiamento o di strofinamento, in cui la pelle viene frizionata con un abrasivo (figg. 46 e 47). Il ritratto è stato disegnato sul cosiddetto “lato pelo”, perché il “lato carne” avrebbe avuto un aspetto più morbido e granuloso. Come ha osservato Martin Kemp nella prima parte di questo studio, questa è l’unica opera conosciuta di Leonardo su pergamena che ci sia pervenuta, anche se gli scritti dell’artista rivelano il suo dichiarato interesse per l’uso dei gessetti su questo supporto.

46 e 47. Particolari a luce radente della pergamena che evidenziano irregolarità e macchie naturali.

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Per datare la pergamena, ne è stato rimosso un piccolo campione in prossimità del bordo. Lo si è sottoposto ad analisi al carbonio-14, che ha fornito una probabilità del 95,4% di datazione in un arco di tempo tra il 1440 e il 1650 (fig. 48).98 Questo arco temporale conferma che il ritratto avrebbe potuto essere stato realizzato durante la vita di Leonardo, a sostegno della datazione, proposta da Kemp, della metà degli anni Novanta del XV secolo ed eliminando di fatto la possibilità che si tratti di un pastiche del XIX secolo. Il supporto in legno Il pannello di quercia su cui è stata fissata la pergamena ha quattro biette (fig. 49), legate a un intervento intrapreso per rafforzarlo e renderlo più stabile laddove si era spaccato. Attualmente non sappiamo quando sia stato effettuato questo intervento. Tuttavia l’iniziativa di rendere più resistente il supporto dimostra che un ex proprietario si era adoperato per tutelare il ritratto. Per fortuna si è trattato solo di un restauro localizzato e non di un’intelaiatura o di un trasferimento su un altro supporto. Intorno ai margini del pannello ligneo c’è un bordo di carta caratteristico dei lavori di alcuni restauratori e corniciai.

48. Risultati della datazione al carbonio-14 della pergamena della Bella principessa.

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il supporto

Il supporto originario in pergamena La presenza di quel che resta di tre fori d’ago lungo il margine sinistro del foglio (figg. 50 e 51) dimostra che esso proveniva in origine da un manoscritto o da un libro stampato su pergamena. Prima e durante il periodo rinascimentale, i volumi erano composti da alcuni fogli piegati chiamati quaderni, cuciti insieme con del filo. Il pezzo di pergamena su cui è stata disegnata la Bella principessa è stato asportato in modo evidente dalla rilegatura con un coltello: si scorgono segni di taglio di circa 6 cm di lunghezza a pochi millimetri dal bordo in basso a sinistra (fig. 52). Non sarebbe stato possibile farli con un paio di forbici e si trovano esattamente sulla piega del foglio, sotto il foro d’ago più basso.

49. Verso della tavola in quercia su cui è fissata la pergamena.

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50. I cerchi e le frecce individuano nella Bella Principessa tre fori che suggeriscono come un tempo il disegno fosse stato rilegato in un libro stampato o in un manoscritto.

51. Particolare del foro d’ago centrale. 52. Particolare del segno del coltello sotto il foro d’ago inferiore che evidenzia come il ritratto sia stato asportato dal libro stampato o dal manoscritto originale.

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il supporto

53. Particolare agli infrarossi con le tracce di supposte prove a penna vicino al bordo sinistro della pergamena.

Ulteriori prove fisiche sul supporto Oltre ai fori d’ago, sono emerse diverse altre sorprese sul recto della pergamena, comprese le tracce di un’impronta digitale e di una piccola area con segni di penna lungo il bordo sinistro del supporto: sono entrambi dello stesso inchiostro del disegno principale. Considerata la sua importanza, l’impronta digitale verrà trattata in dettaglio in una sezione a parte (si veda pp. 121-126). La presenza di prove di penna – una superficie di 4 × 7 mm situata al centro del lato sinistro (fig. 53) – è risultata visibile agli infrarossi. Sono certamente tratti originari, tracciati senza dubbio da Leonardo, come possono confermare l’orientamento mancino, l’analisi spettrale dell’inchiostro e la finezza delle linee stesse. Questi tratti di prova servivano all’artista per essere sicuro che la penna scorresse senza intoppi? Se è così, non sorprende che li abbia relegati all’estremità della pagina (sapendo che sarebbero stati coperti una volta che il libro fosse stato rilegato). Purtroppo, essendo stato fissato su un pannello in legno, il distacco dal quale sarebbe pericoloso, il verso della pergamena della Bella principessa non è visibile. Sarebbe interessante scoprire se vi si trovano ulteriori elementi di prova, per esempio un testo, iscrizioni, prove a penna, impronte digitali ecc.

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La tecnica

Quando il ritratto ci è stato inizialmente sottoposto, veniva descritto come un acquerello, un disegno colorato o, in alternativa, come un disegno realizzato con pastelli a cera, gessetti o pastelli a olio. Nessuno era perfettamente sicuro della tecnica impiegata. Che essa non fosse stata finora individuata con precisione era quasi sicuramente dovuto ai restauri intervenuti nel tempo, che mascheravano i materiali utilizzati nel disegno originario. Come già sottolineato, il ritratto era stato disegnato sul lato pelo della pergamena invece che sul più ruvido lato carne. Ciò forniva un indizio importante perché alcune tecniche possono essere impiegate solo sul lato carne, sul quale assumono un aspetto specifico. La tecnica originaria: matita nera, matita rossa e gessetto bianco (“à trois crayons”), con aggiunte di penna e inchiostro Le immagini multispettrali ci hanno permesso di identificare con precisione la tecnica utilizzata nel ritratto. Esso è stato eseguito con la tecnica generalmente definita “à trois crayons”, vale a dire con pezzetti finemente appuntiti di gessi naturali di colore nero, rosso e bianco. Questa tecnica è stata combinata con la penna e l’inchiostro, in particolare nelle zone del tratteggio. La penna e l’inchiostro è una delle tecniche preferite di Leonardo, come la matita rossa (del cui uso egli potrebbe essere stato un pioniere). Anche se in genere viene associata a periodi successivi (in particolare al Settecento), la tecnica à trois crayons è stata utilizzata per i ritratti a partire dal Rinascimento. Per avere la massima efficacia richiede un supporto di una tonalità che faccia risaltare il bianco. Nei primi tempi, gli artisti hanno spesso sfruttato il colore naturale della pergamena, mescolandovi sopra matita rossa e gessetto bianco per restituire il tono dell’incarnato. Nella Bella principessa, i contorni e le ombre di base sono stati eseguiti a matita nera e poi ripassati a penna e inchiostro bruno, secondo una tecnica, ancora una volta, tipica 87

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di Leonardo. Un particolare all’incrocio tra il corpetto e la scollatura della figura ritratta (fig. 54) presenta tracce di tutti e tre i gessetti stesi sui mezzitoni color carne della pergamena. Il modo in cui l’artista ha sfruttato il supporto risulta particolarmente evidente in un altro particolare, l’occhio, dove il tono dorato originario della pergamena trasmette il colore ambrato dell’iride (fig. 55).

54. Particolare della scollatura, con la tecnica à trois crayons (le frecce indicano le tracce del gessetto bianco, della matita rossa e della matita nera originari). 55. Particolare dell’occhio, con la pergamena lasciata del colore naturale per rendere il colore ambrato dell’iride.

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la tecnica

I colori del ritratto Se la tecnica di base à trois crayons usa solo tre colori (nero, rosso e bianco), possiamo chiederci in che modo l’artista ha reso gli occhi color ambra della figura, il costume verde, rosso e giallo (fig. 56) o il castano dei capelli. Per ragioni colorimetriche, il verde può essere ottenuto stendendo del pigmento nero su uno sfondo di colore giallo (fig. 57).99 Questa caratteristica ottica è stata sfruttata da Leonardo per ottenere un effetto molto particolare. Ha descritto i toni del verde applicando progressivi tocchi di matita nera (senza dubbio mescolandoli a volte con il dito o il bordo della mano) alla superficie giallastra della pergamena. Questa ipotesi è avvalorata dalle caratteristiche fisiche del gesso nero utilizzato, un pezzo di ampelite, con la sua lunghezza d’onda dominante di 582 nm, che corrisponde alla lunghezza di un’onda che dà sul verde. Il corpetto della donna ritratta appare ora del colore naturale della pergamena. Originariamente, invece, sarebbe stato rosso, ma lo strato di matita rossa era troppo sottile o troppo sfumato. Ve ne sono tracce ancora visibili ai bordi della rifilatura (fig. 58), ma la maggior parte è andata perduta a causa dell’abrasione della superficie o per essere venuta a contatto con l’umidità. Infatti la sanguigna è un’argilla colorata con ossido di ferro che si scioglie facilmente in acqua, provocando la dispersione del pigmento. In realtà il corpetto doveva un tempo essere più simile alla zona in rosso meglio conservata che sbuca attraverso l’apertura sulla manica del vestito verde. Naturalmente, tracce di matita rossa appaiono anche nella lavorazione del viso e delle labbra. Per ottenere il castano naturale dei capelli è stata utilizzata una miscela di matita rossa e di matita nera sul giallo della pergamena. Purtroppo, le tre aree colorate del costume, verde, “gialla” (come appare ora) e rossa, così come il castano dei capelli, non rappresentano più in maniera del tutto esatta i colori originari del ritratto. I pigmenti sono stati ricoperti da acquerellature verde oliva, gialle e marroni che sono state aggiunte successivamente.

56. Particolare del vestito nei colori con cui si presenta attualmente: giallo, verde e rosso.

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la bella principessa

57. Ricostruzione di laboratorio del passaggio del giallo al verde applicandolo su di uno sfondo nero o mescolandolo con del colore nero.

58. Particolare del bordo superiore del corpetto, con lievi tracce di matita rossa.

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la tecnica

I ripassi a penna e inchiostro Dopo aver utilizzato la matita nera per i contorni principali e le ombre, Leonardo ha aggiunto ombre ulteriori e ha ripassato alcuni particolari a penna e inchiostro: • laddove l’inchiostro originario si è sbiadito, la sua trasparenza (fig. 59: frecce rosse) lascia intravedere le tracce di matita nera (fig. 59: frecce nere); • tratti di penna coprono il gessetto originario, come è dimostrato dalle ciglia superiori: quelle di sinistra sono a matita nera (fig. 60: in grigio), mentre quelle più a destra mostrano ritocchi a penna (fig. 60: in nero); • in un altro particolare (fig. 61), il gessetto bianco lascia trasparire i punti in cui il tratto della penna ha superato il contorno;

59. Particolare del tratteggio originario a matita nera (frecce nere) e a penna e inchiostro bruno (frecce rosse).

60. Particolare dell’occhio della figura ritratta a infrarossi: le ciglia a matita nera in alto a sinistra sono state rinforzate a penna e inchiostro più a destra e lungo la palpebra inferiore.

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• i tocchi di inchiostro, spesso ondulati e di spessore variabile, sembrano “seguire” il ritmo e l’inclinazione dei tratti a gessetto sottostanti (figg. 61 e 62); • il contorno del viso è stato quasi completamente ripassato con l’inchiostro. Queste immagini multispettrali rivelano due tipi distinti di ripasso. I tratti tenui, finemente amalgamati (fig. 62: freccia rossa) sono originari. I tratti più scuri e più pesanti (fig. 62: freccia nera) appartengono al ritocco di un restauratore: hanno esattamente lo stesso carattere dei ripassi a penna presenti nel motivo a intreccio dell’abito della figura ritratta. Chiaramente, sarebbe utile sapere quale tipo di strumento l’artista o il restauratore abbiano utilizzato per applicare l’inchiostro. Si immagina che Leonardo usasse una penna d’oca con un unico pennino appuntito, ma su questo aspetto sono necessarie ulteriori ricerche.

61. Particolare della fronte con i tratti a penna che si sovrappongono al gessetto bianco.

62. Particolare della fronte con i deboli segni a penna del tratteggio (freccia rossa) e quelli più marcati di un restauro successivo (freccia nera).

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la tecnica

Il tratteggio con la mano sinistra Gli esperti hanno riconosciuto da tempo che il singolo tratto di penna o di gessetto costituisce una sorta di firma dell’artista, in quanto ne traduce i processi mentali. Chi sa leggere questo tipo di calligrafia può riconoscere il percorso creativo di un artista. Il tratteggio nella Bella principessa è altamente peculiare perché si può notare, sia a occhio nudo sia con le immagini multispettrali, che i tratti sono inclinati a sinistra di un angolo di circa 45°. Questa è la prova incontestabile che l’artista era mancino (o almeno ambidestro). Si può scorgere più facilmente l’inclinazione dei tratti in alto e a sinistra sullo sfondo, laddove le ombreggiature realizzate con il tratteggio hanno la funzione di far emergere la testa e il profilo della figura. Qui, per non oltrepassare il contorno del viso, i tratti si spostano dal basso a destra, dove sono più ampi, verso l’alto a sinistra, assottigliandosi nella parte finale (fig. 63). L’immagine a infrarossi (fig. 64) è ancor più rivelatrice. Essa mostra che il tratteggio con la mano sinistra non si limita all’ombreggiatura dello sfondo. La lavorazione dei tratti del viso è stata effettuata per mezzo di simili tratteggi finemente accostati. Come prevedibile, nelle zone d’ombra la densità dei tratteggi aumenta. Inoltre, in queste aree la penna si muove da sinistra in alto verso destra in basso (vale a dire l’opposto dell’ombreggiatura dello sfondo), come era consuetudine nei disegni di Leonardo. I tratti di mano sinistra a matita nera e matita rossa sul volto appaiono ben visibili: sono disegnati con la medesima angolazione, la stessa regolarità e spaziatura di quelli dello sfondo. Il fatto che si trovino in tutto il viso e il collo indica che il lavoro è stato interamente eseguito da un artista mancino. Tocchi di gessetto bianco sono evidenti anche in superficie: il loro orientamento mancino è un po’ meno evidente, dal momento che l’artista ha sfumato il gesso bianco in polvere per ammorbidire o amalgamare le zone di maggiore luminosità (fig. 65).

63. Particolare dell’ombreggiatura di mano sinistra presente sullo sfondo, al di sopra della testa, in prossimità dell’acconciatura.

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64. Particolare a infrarossi che mostra l’ampio uso del tratteggio con la mano sinistra sul collo della figura ritratta.

65. Immagine agli ultravioletti della Bella principessa in cui sono ben visibili i passaggi di gessetto bianco. 66. Pentimenti nella Bella principessa (immagine a infrarossi a 1000 nm). 67. Pentimenti nel Ritratto di giovane donna di profilo.

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la tecnica

Pentimenti Le tre immagini a infrarossi permettono un’esplorazione approfondita degli elementi sottostanti lo strato pittorico visibile. A questa risoluzione il recupero di tratti ormai invisibili quali sono i pentimenti è straordinario. Ci permette di rivivere il processo creativo di Leonardo, come se fossimo testimoni dei momenti in cui quest’uomo dalle doti eccezionali era colto da lampi di puro genio. Ci sono piccoli aggiustamenti, lungo il profilo del viso, del collo e della spalla della Bella principessa (fig. 66), simili a quelli rintracciabili sulla fronte, sul naso, sulla bocca, sul collo e sul mento del Ritratto di giovane donna di profilo (fig. 67). A giudicare dai pentimenti nelle labbra e nel mento presenti in vari disegni di Leonardo, sia a gessetto che a inchiostro (figg. 68, 69 e 70),100 sembra che l’artista vi svolga una ricerca di caratterizzazione espressiva quasi sistematica, perseguita ovviamente anche nella Bella principessa. Oltre a ciò, le immagini rivelano cambiamenti molto significativi relativi alla reticella dei capelli e alla linea delle spalle del costume della giovane (fig. 71). Cancellature Oltre ai pentimenti, esistono altre prove di ripensamenti dell’artista. L’immagine a luce diurna rivela che la pergamena ha una tonalità più leggera sullo sfondo in alto a destra, dietro la testa della figura ritratta. Inoltre, questa zona è solcata da striature verticali e orizzontali ancora più leggere (fig. 72). Questi tratti corrispondono alla collocazione originaria della testa e della reticella, che è stata modificata nel corso dell’esecuzione del ritratto

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68, 69 e 70. Alcuni disegni di Leonardo che dimostrano la sua tendenza a ritornare più volte sulla linea del mento. Busto di fanciullo di profilo. Windsor, Royal Library, rl 12519. Busto di giovane di profilo, particolare. Windsor, Royal Library, rl 12432r. Busto di giovane di profilo. Windsor, Royal Library, rl 12557.

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71. Diagramma dei pentimenti nella Bella principessa.

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(si veda fig. 71). Le linee a matita nera che individuano la struttura iniziale della reticella sono state probabilmente cancellate con un pezzo di mollica di pane, il metodo in uso all’epoca di Leonardo. Dal punto di vista tecnico non è chiaro se i tratti chiari derivino dall’atto concreto dello sfregamento o siano emersi da una reazione chimica tra la mollica e la pergamena. In entrambi i casi sono ancora perfettamente visibili e testimoniano il percorso creativo dell’artista e lo sforzo impiegato per stabilire la corretta mise en page. È incredibile che le prove di questo processo siano ancora visibili dopo cinquecento anni, nonostante le vicissitudini che l’opera ha attraversato dalla sua creazione a oggi.

72. Particolare dell’area della pergamena dietro alla testa della figura, con le striature che testimoniano i pentimenti circa la posizione iniziale della reticella.

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I restauri Pascal Cotte

in collaborazione con Eva Schwan

Nel corso della sua esistenza, la Bella principessa è stata sottoposta a cospicue operazioni di restauro, come ci si può aspettare per un’opera di tale complessità tecnica e, in genere, per ogni opera risalente a questa epoca. Ma poiché Leonardo era così innovativo e audace nell’esplorazione di nuove tecniche, molte delle sue opere hanno sofferto più di quelle di altri suoi contemporanei (si pensi alle pitture murali del Cenacolo o alla perdita della Battaglia di Anghiari). Anche lo stato di conservazione della Dama dell’ermellino presenta problemi di portata paragonabile a quelli della Bella principessa. E già nel XVI secolo, il suo erede e allievo Melzi si permise una “devota vandalizzazione” dei disegni oggi conservati a Windsor, senza comunque comprometterne l’effetto visivo generale. Danni o alterazioni della superficie a gesso I disegni à trois crayons sono particolarmente suscettibili all’abrasione superficiale, quindi non sorprende che vi siano stati danneggiamenti nel supporto originario della Bella principessa. Le immagini riprese a luce radente mostrano evidenti sfaldature e perdite, in particolare nella parte superiore della guancia, nella fronte, nel mento e nel collo. Le perdite sono concentrate nei passaggi eseguiti a gessetto bianco (figg. 73 e 74). Il gessetto bianco, oltre a essere friabile, viene applicato con poco legante, motivo per cui non riesce ad aderire bene al supporto, soprattutto se quest’ultimo è liscio o duttile come la pergamena. Laddove nel ritratto il bianco si è scrostato, emergono i tratti di matita nera e di matita rossa. L’erosione, lo sfregamento e le perdite di natura più generale sono chiaramente visibili alla luce radente (fig. 74), a ultravioletti (si veda fig. 65) e a infrarossi (si veda fig. 45). È importante analizzare e conoscere queste zone danneggiate attraverso le immagini multispettrali, perché oggi non è facile distinguere i colori originari attraverso uno studio 99

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diretto a occhio nudo. Ciò è particolarmente evidente nel corpetto dell’abito della giovane. Dato che una quantità così rilevante di matita rossa è venuta via o si è sfaldata, ora prevale la tonalità gialla della pergamena, e ciò compromette la possibilità da parte nostra di leggere e interpretare correttamente il lavoro (indebolendo, per esempio, l’allusione ai colori verde, rosso e bianco prediletti dagli Sforza).

73. Particolare a luce radente del mento diurna con le perdite dello strato di gessetto originario.

74. Particolare a luce radente diurna della parte alta della spalla e del collo con le perdite dello strato di gessetto originario.

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75. Particolare a luce radente diurna del corpetto con evidenti macchie e abrasioni superficiali.

Danni o alterazioni dell’inchiostro originario Gli inchiostri ferrogallici sono dispersi in un legante (in genere la gomma arabica) che normalmente provoca il loro assorbimento da parte del supporto (tradizionalmente la carta). Al contrario, i pigmenti privi di legante restano in superficie, formando una crosta polverosa che non aderisce bene e si sfalda molto facilmente. Purtroppo nella Bella principessa buona parte dell’inchiostro utilizzato in origine non è stato assorbito dal supporto perché, nel nostro caso, non è entrato in diretto contatto con la pergamena, ma è stato applicato in gran parte sullo strato di gesso già steso per ripassare o definire meglio alcune zone. Ciò ha portato quasi sicuramente alla perdita dei tratti di inchiostro insieme a quelli di gessetto. Ulteriori modifiche all’aspetto originario dell’inchiostro sono state causate dalla tendenza di quest’ultimo a schiarirsi e a diventare più trasparente nel tempo, a volte fin quasi a scomparire nel nulla.101 Mappa del restauro Con l’aiuto delle immagini multispettrali standardizzate e mediante un confronto incrociato dei falsi colori a ultravioletti e a infrarossi è possibile ricostruire una mappa dei restauri (fig. 76). Questa mappa è essenziale per lo studio sull’attribuzione del ritratto in quanto consente allo storico dell’arte o agli esperti di distinguere chiaramente tra i materiali utilizzati in origine e i pigmenti aggiunti successivamente da un restauratore (o da più restauratori). Infatti, in questo caso, i restauri come il ritocco e il ripasso delle linee originarie e del tratteggio sono pesanti ed eccessivamente enfatici se messi a confronto con la maniera di Leonardo; in alcune zone arrivano a compromettere la lettura dell’opera. In buona parte della guancia e della fronte è evidente la presenza di un sottile strato di pigmento rosa. Questo ritocco è stato applicato a pennello utilizzando un sistema di tratteggio. Il restauratore aspirava ovviamente a emulare la maniera di Leonardo, ma, ahimè, nessun restauratore avrebbe potuto raggiungere lo stesso grado di raffinatezza. 101

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76. Mappa a colori delle zone della Bella principessa che hanno subito restauri.

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Restauri dell’inchiostro I ripassi a penna e inchiostro effettuati durante il restauro sono facili da riconoscere. Abbiamo individuato l’inchiostro usato sia dall’artista sia dal restauratore (o dai restauratori) come un tipico inchiostro ferrogallico (se ne veda l’analisi spettrale alle pp. 111117), anche se non siamo in grado di determinarne l’esatta composizione. Quello del restauro è molto più scuro di quello originario, che è sbiadito e sfocato. Ciò si manifesta particolarmente agli infrarossi, perché l’inchiostro usato dal restauratore ne assorbe una quantità maggiore. Nel motivo a nodi sulla spalla è possibile distinguere gli sforzi del restauratore per ritoccare le linee di contorno, i particolari e i tratteggi, come è evidente nell’immagine a luce diurna (fig. 77). Occasionalmente la trasparenza dell’inchiostro nelle zone ridisegnate permette ai tratti originari a matita nera di mostrarsi, rivelando che il disegno originario è molto più regolare. Il tratto del restauratore è esitante, a volte è tremante e dallo spessore irregolare. E comunque non sempre la lettura a occhio nudo risulta agevole. Nelle immagini multispettrali invece è ampiamente evidente il contrasto tra il tratteggio più affannoso, meno coerente e meno logico, dell’intervento successivo e la maniera vivace, precisa, raffinata e armoniosa di Leonardo, in cui ogni tratto sembra avere un ruolo o significato precisi. Nella mappa del restauro (si veda fig. 76) i ripassi più tardi sono visualizzati in rosso nel motivo a nodi del vestito e nel tratteggio del collo. È importante notare che gli interventi posteriori sono opera di una persona che lavora con la destra. Il movimento dei tratti, a differenza di quelli di Leonardo, inizia con un posizionamento dello strumento da disegno (pennello o penna) piuttosto timido, perfino incerto; continua poi con una linea più spessa con molti tremolii nervosi, per poi restringersi di nuovo nel tratto finale (fig. 78). Vale la pena di richiamare l’attenzione su un’altra differenza essenziale fra il tratteggio originario e quello del restauratore. Quello più tenue, vale a dire i tratti originari sotto il

77. Particolare della spalla a luce diurna con indicati dalle frecce rosse i punti in cui il motivo a nodi è stato successivamente ritoccato a inchiostro.

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gessetto bianco del volto, proseguono sullo sfondo (fig. 79: frecce nere), mentre quello del restauro si arresta appena prima del contorno del mento oppure in alcuni casi si estende goffamente sul gessetto bianco (fig. 79: frecce bianche). I contorni originari con inchiostro ferrogallico sono stati rafforzati in maniera mirata durante il restauro e, ancora una volta, appaiono molto più scuri rispetto a quelli originari. Il trattamento è molto più pesante e incerto e spesso tradisce o si discosta dal disegno originario, come si vede nelle labbra (fig. 80), nei capelli (fig. 81), nei motivi decorativi (fig. 82) e nel contorno del vestito (fig. 83). Restauro dello strato a gessetto Come già notato, ci sono ampi ritocchi di colore rosa. Il pigmento è mescolato con un legante, ma non vi è segno di craquelure, il che potrebbe evidenziare l’utilizzo di gomma arabica. Questi ritocchi interessano vistose aree del volto e del collo, originariamente disegnate à trois crayons. Agli ultravioletti, il pigmento del ritocco più tardo si presenta

78. Particolare agli infrarossi con indicati i ritocchi successivi a inchiostro (frecce nere). 79. Confronto fra il tratteggio posteriore (frecce bianche), che inizia solo al contorno, e i tratti originari (frecce nere) che muovono dal volto verso lo sfondo. 80. Particolare del labbro inferiore che mostra il ritocco a inchiostro del contorno eseguito dal restauratore.

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81. Particolare della sommità del capo che mostra il ritocco a inchiostro dei capelli eseguito dal restauratore.

82. Particolare dell’abito che mostra il ritocco a inchiostro del motivo a nodi eseguito dal restauratore.

83. Particolare dell’ornamento dell’abito che mostra il ritocco a inchiostro del contorno eseguito dal restauratore.

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come una serie di macchie grigiastre compatte (figg. 65 e 84), in contrasto con l’originario gessetto bianco, molto chiaro, e con i toni scuri della matita nera e della matita rossa. È questa la zona di restauro più estesa e quella dove viene maggiormente intaccata l’originaria lavorazione del volto e il suo sottile gioco di luci e ombre. Il pigmento rosa è una miscela di biacca e lacca di robbia (si veda a pp. 111-117 e fig. 97). Esso copre le perdite più rilevanti dello strato a gessetti, anche se queste rimangono visibili a luce radente, nonostante la perizia con cui nel processo di restauro è stato applicato il colore (fig. 85). I danni sono abbastanza visibili anche ai raggi X (fig. 86), per quanto lo strato di rosa sia a base di biacca, che normalmente è troppo opaca per esserne penetrata. Possiamo escludere

84. Particolare della guancia agli ultravioletti: le zone che appaiono grigiastre sono quelle restaurate mediante l’uso di un pigmento rosa opaco.

85. Particolare della guancia a luce radente che mostra le perdite avvenute in superficie. 86. Particolare ai raggi X con le aree che presentano perdite e abrasioni.

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87. Particolare a infrarossi del collo della figura ritratta che mostra le pennellate date da un restauratore destrorso.

in ogni caso la possibilità che il rosa contenga pigmenti anacronistici come il bianco di zinco o di titanio poiché questi assorbono in maniera insufficiente gli ultravioletti.102 La comparsa di aree danneggiate ai raggi X può essere spiegata dal fatto che il restauratore ha applicato il pigmento rosa con un pennello, con un sistema di tratteggio molto sottile che cerca di seguire l’orientamento della penna e dei tratti a gessetti di Leonardo. Queste pennellate sono visibili, per esempio, in una foto del collo a infrarossi (fig. 87): quasi tutte rivelano un leggero movimento verso destra, un ulteriore indizio che il restauratore era destrorso. Restauro dei capelli e della reticella La mappa del restauro (si veda fig. 76) è codificata a colori: le aree ritoccate dei capelli vengono indicate in colore rosa, mentre quelle della reticella sono segnate in verde. L’intervento in queste aree, eseguito con una miscela di ocra rossa e terra d’ombra a base d’acqua, mostra lo stessa mancanza di raffinatezza degli altri restauri. • Il disegno dei capelli realizzato a penna, matita nera e matita rossa è stato coperto da una coloritura a inchiostro e acquerello che, tuttavia, consente spesso il riemergere del disegno originario (fig. 88). Le acquerellature più scure sembrano essere state aggiunte in seguito; • durante il restauro (o i restauri) è stato anche ripassato il motivo intrecciato del bordo della reticella: la distinzione tra le linee originarie e quelle del restauratore appaiono evidenti in un’immagine a luce diurna (fig. 89).

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88. Particolare dei capelli che mostra i ritocchi eseguiti fra i nastri annodati (frecce rosse) e i passaggi originari a matita rossa e a matita nera (area cerchiata).

89. Particolare della decorazione a intreccio della reticella, con indicati i ritocchi (frecce rosse) e i tratti originari a penna (frecce bianche).

Restauro del vestito verde Il verde del vestito della giovane è stato interamente rielaborato con una sospensione diluita di pigmento verde (indicata in viola sulla mappa del restauro, fig. 92), andando a modificare il colore originario, che sarebbe stato molto diverso. La trasparenza di questa acquerellatura ci permette di immaginare come doveva apparire originariamente questa zona, ma l’area, più che altrove, è gravemente danneggiata da abrasioni, strappi, graffi ed escoriazioni (fig. 90). Ciò spiega senza dubbio un intervento così significativo. Oltre all’acquerellatura verde, che distorce l’equilibrio originario del colore, vi è ancora una volta un marcato ritocco a inchiostro nel motivo a nodi (si veda fig. 75), che copre la delicatezza e la raffinatezza del disegno originario. 108

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90. Particolare con le acquerellature di verde date sull’abito della figura (frecce rosse) per nascondere i danni subiti dalla pergamena, come per esempio alcune grinze (freccia bianca).

Restauro del corpetto rosso Come già detto, originariamente il corpetto sarebbe stato dello stesso rosso della parte visibile della veste sotto la manica tagliata, ma il danno in questa zona (come per il vestito verde) è così esteso che inizialmente noi – come anche chi ha eseguito il restauro – abbiamo supposto che la scollatura doveva essere gialla. È stato solo quando le immagini multispettrali, specialmente quelle a luce radente, hanno evidenziato le poche tracce rimaste di matita rossa (fig. 91) che è apparso chiaro il colore rosso originario. Anche in questo caso, il contorno del vestito è stato ripassato a penna dal restauratore piuttosto goffamente ed egli ha ulteriormente applicato al corpetto una sottile acquerellatura gialla.

91. Particolare del corpetto che mostra il ritocco a inchiostro del contorno (frecce nere), le acquerellature di giallo aggiunto (frecce gialle), e tracce della matita nera originaria (frecce rosse).

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92. Mappa dei campioni scelti per l’analisi spettrografica. Legenda dei campioni di pigmento virtuale analizzati 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

colore naturale della pergamena pigmento rosa, tipo 1 (chiaro) pigmento rosa, tipo 2 (scuro) pigmento rosa, tipo 3 (più scuro) acquerello rosso dei capelli acquerellatura marrone nella bordura della reticella per i capelli acquerellatura bruno verdastro dei capelli rosso delle labbra rosso originario della guancia tracce di rosso originario della guancia rosso scuro originario alla base del naso bianco sotto l’occhio gessetto bianco sul mento gessetto bianco sulla spalla tratto nero sul contorno del naso

16 17 18 19 20

tratto nero dell’iride dell’occhio tratto nero del collo tratto nero del bordo del labbro inferiore tratteggio della parte alta del naso inchiostro di tratteggio della curva del naso 21 rosso del corpetto sotto all’apertura nella manica 22 verde scuro del vestito 23 giallo del corpetto 24 gessetto nero della treccia 25 verde dei capelli (microrganismi) 26-30 inchiostro dell’impronta digitale 31-33 inchiostro delle presunti prove a penna 34-40 inchiostro dell’originale ombreggiatura a tratteggio

L’analisi spettrale dei materiali Pascal Cotte

L’analisi spettrale consente di identificare i pigmenti e le loro miscele per ogni singolo pixel di tutta la superficie di un’opera d’arte senza prelievo di campioni fisici. Nel caso della Bella principessa, sono stati scelti per l’analisi quaranta punti campione virtuali: venticinque dello stesso ritratto (numerati in nero nella fig. 92) e altri quindici (numerati in bianco) per analizzare accuratamente l’inchiostro sullo sfondo (l’ombreggiatura originaria tratteggiata dall’artista, l’impronta digitale e i presunti tentativi a penna). Confrontando la curva spettrale di ciascun campione virtuale con la banca dati dei pigmenti puri compilata dal gruppo di Ottica e Arte dell’Institut des Nanosciences di Parigi (Université Pierre et Marie Curie)103 e, per più complesse combinazioni, con l’archivio delle declinazioni di colore messo insieme da Lumiere Technology,104 siamo stati in grado di stabilire la composizione dei materiali utilizzati sia nel disegno originale sia nel restauro (o nei restauri) successivo. Le caratteristiche fisiche dei materiali – il loro aspetto, la grana, la viscosità e la luminosità – così come le tracce dei danneggiamenti e delle perdite hanno fornito elementi di prova altrettanto utili per confermarne l’identificazione.105 Analisi del gessetto bianco I campioni nn. 12 e 13 hanno rivelato una curva molto ondulata (fig. 93), un risultato che potrebbe essere spiegato da interferenze causate dalla sua granulosità. I pixel della fotocamera sono vicini per dimensioni (25 µm) alle particelle del gessetto. È stato effettuato un confronto con un gessetto bianco con legante a base di olio, e l’ondulazione si è confermata pur presentando onde più piccole. La curva spettrale mostra un forte assorbimento alle lunghezze d’onda più basse, il che conferisce a questo gessetto bianco il suo caratteristico aspetto friabile. Il bianco del gessetto è meno chiaro della biacca. 111

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Analisi della matita nera Il campione n. 24 ha mostrato una curva spettrale vicina allo zero (fig. 94), totalmente piatta, da 450 a 900 nm, tipica degli elevati livelli di carbonio. La matita nera è probabilmente ampelite, un’argillite a grana fine nera il cui colore deriva dalla grande quantità di impurità di carbonio.106 Conosciuto anche come “gessetto italiano”, è stato spesso utilizzato in Italia nel corso del XV secolo insieme con la matita rossa. La lunghezza d’onda dominante dell’ampelite è di 582 nm (vicina al verde), il che sottolinea l’effetto “verderame” sul vestito.107 Analisi della matita rossa La presenza di ossido di ferro è chiaramente visibile nella curva dei campioni nn. 9 e 10 (fig. 93): l’aumento registrato nella curva intorno ai 760 nm è tipico dell’ematite rossa. L’aspetto polveroso e farinoso visibile nei macrodettagli conferma che si tratta di una roccia terrosa a grana fine. La matita rossa, o “sanguigna”, raccoglie un gruppo di pigmenti terrosi rosso sangue (da cui deriva il nome). È disponibile nelle tonalità chiara, scura e bruciata. È fabbricata da rocce contenenti ossido di ferro. Leonardo menziona questo materiale duro o di media durezza nel cosiddetto memorandum di Ligny (si veda a p. 25), in riferimento alla tecnica che lui chiama «colorire a secco». Lo ha impiegato nel suo Ritratto di Isabella d’Este conservato al Louvre (si veda fig. 27). La tecnica sembra essere stata utilizzata dapprima in Francia, per quanto furono Leonardo e i suoi allievi a svilupparla considerevolmente. La sua popolarità culminò nella Francia del XVIII secolo, dopo di che declinò. Analisi dell’inchiostro Si distinguono due tipi di inchiostro (fig. 95): • l’inchiostro originario (campioni nn. 26-40), facilmente riconoscibile per il suo tono leggermente rossastro e per la trasparenza (come anche per la tecnica con cui sono applicati i tratti stessi, che hanno un orientamento sinistrorso e sono più abili e regolari); • l’inchiostro del restauro (campioni nn. 15-20), più denso e più scuro, con tratti tremolanti, irregolari e più goffi. In tutte le curve spettrali dell’inchiostro, originario o posteriore, la presenza di ferro è indicata dal lieve sbalzo ai 750 nm (fig. 95: freccia gialla) tipico del solfato di ferro. Anche se non possiamo identificarne la composizione chimica precisa – ci sono più di centocinquanta ricette per fabbricare l’inchiostro – in entrambi i casi si tratta di una miscela ferrogallica, l’ingrediente principale del classico inchiostro nero, che è generalmente composto da acido gallotannico (estratto dalle galle o dalla corteccia della quercia) mescolato con solfato ferroso e gomma arabica. Quasi tutte le ricette del XV secolo descrivono questo tipo di inchiostro.108 112

l’analisi spettrale dei materiali 93 e 94. Le curve spettrali della luce riflessa dai campioni virtuali.

1 Pergamena 2 Rosa 3 Rosa scuro 4 Rosa molto scuro 5 Capelli rossi 6 Capelli castani 7 Capelli verde-castano 8 Labbra rosse 9 Gessetto rosso sul volto 10 Gessetto rosso sul volto 11 Gessetto rosso sul naso 12 Gessetto bianco sull’occhio 13 Gessetto bianco sul mento 14 Gessetto bianco sul collo 15 Nero sul naso 16 Nero sull’occhio 17 Nero sul collo

18 Nero sulle labbra 19 Nero profondo 20 Nero profondo 21 Rosso sul vestito 22 Verde sul vestito 23 Giallo sul vestito 24 Nero sul vestito 25 Macchia verde

95. Curve spettrali dei campioni di inchiostro originario (27, 31, 39) e di quello usato nel ritocco successivo (20).

27 Impronte digitali 31 Prove a penna 39 Inchiostro originale 20 Inchiostro usato nei restauri

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Purtroppo esso non è molto stabile. Il ferrogallico parte come un nero violaceo scuro, ma scolora presto nel marrone, fino a scomparire del tutto o a trasformarsi in un giallo pallido. Può essere anche molto corrosivo e distruggere il supporto (in particolare la carta) a causa dell’ossidazione dell’acido fenico. La trasformazione dell’inchiostro ferrogallico nel corso del tempo potrebbe spiegare perché il restauratore abbia sentito il bisogno di ripassare i dettagli originari a penna e il tratteggio dell’ombreggiatura. Le curve spettrali dei due inchiostri sono molto diverse: • l’inchiostro del restauro (campione n. 20) assorbe maggiormente la luce infrarossa e nessuno dei campioni supera il 30% a 1000 nm; • l’inchiostro originario (campioni nn. 27, 31 e 39) è più trasparente ai raggi infrarossi e permette di intravedere la pergamena: i suoi valori a 1000 nm sono sempre superiori al 30%. La presenza di una “gobba” a 640 nm è una caratteristica tipica della sua composizione, anche se non siamo ancora stati in grado di identificare l’elemento chimico che lo provoca (fig. 95: freccia rossa). La curva spettrale dell’inchiostro dell’impronta digitale (campione n. 27) è identica a quella dei presunti tentativi a penna (n. 31) e a quella dello stesso disegno originale (n. 39). Ciò fornisce la prova scientifica che tutti e tre sono stati fatti nello stesso momento e con lo stesso inchiostro. Avendo osservato che i tentativi a penna sono opera di una mano sinistra, tutto lascia pensare che sia stata la stessa mano a produrre la macchia dell’impronta digitale. Infine, le curve spettrali ottenute dall’inchiostro della Bella principessa sono state confrontate con quelle degli inchiostri campionati su due fogli manoscritti su pergamena databili con sicurezza al XV secolo (fig. 96). Le curve hanno coinciso perfettamente. Sebbene gli inchiostri non possano essere scientificamente datati nello stesso modo in cui ciò è possibile per la pergamena o il legno (le stesse ricette hanno continuato a essere utilizzate per secoli), questa analisi permette almeno di concludere che l’inchiostro originario del ritratto è del tutto compatibile con una datazione alla fine del XV secolo. Analisi del verde utilizzato nel restauro Il software multispettrale ha rilevato una notevole quantità di un pigmento verde oliva, probabilmente terra verde di Boemia (campione n. 22), ma le differenze nelle distribuzioni metameriche e colorimetriche risultano troppo elevate per poterlo identificare con precisione. L’analisi di questo strato di acquerellatura verde è stato compromesso dai pigmenti sottostanti, perché è stato applicato in maniera molto leggera. Analisi del rosa utilizzato nel restauro La lacca di robbia (campione n. 2) è stata identificata tramite il software di formulazione del colore per pigmenti (fig. 97),109 applicando la teoria della riflettanza di Kubelka-Munk110 e la soluzione dell’equazione del trasferimento radiativo (ETR) utilizzando in questo caso il modello N-flux (n=6).111 114

l’analisi spettrale dei materiali

Pergamena A

Pergamena B

96. Campioni virtuali di inchiostro delle pagine di due manoscritti del XV secolo che sono stati sottoposti ad analisi spettrale. 97. Analisi computerizzata della lacca di robbia mediante il software Colibri della Ciba.

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98. Microrganismo verde (largo solo 200 µm) scoperto nei capelli della figura ritratta.

99. Ricostruzione virtuale dei colori originari della Bella principessa.

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l’analisi spettrale dei materiali

Questa è una possibilità di ottenere una colorazione rosa. Anche se applicata in strati molto leggeri, è molto opaca e capace di mascherare le tracce di matita nera e matita rossa nelle aree con delle lacune. Analisi della tinta marrone Come nel caso della matita rossa, la curva spettrale del campione n. 6 ha rivelato tracce di ossido di ferro, seppure in minor misura. Ciò indica la presenza di ocra scuro o di terra d’ombra. I tratti marrone scuro più pesanti sono più tardi. I tratti più diluiti sono più difficili da attribuire con certezza a Leonardo invece che al restauratore. Analisi di una casuale “macchiolina” verde La risoluzione molto elevata delle immagini multispettrali elaborate consente di distinguere e analizzare ulteriori materiali dello strato pittorico. Il campione n. 25 (fig. 98) evidenzia una macchiolina che ha una vivace curva spettrale di colore verde brillante. La lunghezza d’onda dominante è di 515 nm, che può apparire fluorescente. La macchia è quindi costituita da una sorta di microrganismo, con ogni probabilità un’aflatossina G (una micotossina prodotta dalla muffa del genere Aspergillus parasiticus), di cui sappiamo che presenta una fluorescenza verde brillante.112 Ricostruzione virtuale dei colori originari È stata realizzata digitalmente una ricostruzione di quello che poteva essere l’aspetto originario del ritratto (fig. 99) basata sulle seguenti ipotesi: • la pergamena, deterioratasi nel corso di cinque secoli, sarebbe stata più luminosa; • tutti i colori erano probabilmente meno sporchi, meno grigiastri; • il verde è stato ricavato da un pezzo di ampelite (lunghezza d’onda dominante 582 nm) su uno sfondo giallo; • il rosso del corpetto è stato ottenuto con ematite su sfondo giallo; • tutto il corpetto sarebbe stato reso con il medesimo rosso.

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100. La Bella principessa ai raggi X.

L’esame ai raggi X

Com’è noto, i raggi X (una forma di radiazione con lunghezze d’onda inferiori anche alla luce ultravioletta) hanno la capacità fisica di penetrare gli oggetti. Vengono assorbiti dai materiali densi e dalle particelle pesanti (come le ossa, il piombo o altri metalli) e appaiono di colore bianco su pellicola fotosensibile. L’esame ai raggi X può essere molto utile e fornire numerose informazioni per lo studio e la conservazione dei dipinti, ma nel nostro caso non ha apportato nuovi risultati significativi (fig. 100).113 A differenza dell’elaborazione di immagini multispettrali, il problema dei raggi X è che non sono standardizzati e quindi sono suscettibili di interpretazioni diverse. Poiché il gesso bianco (calcite o carbonato di calcio) non assorbe i raggi X in misura rilevante, nella radiografia le zone luminose del volto della figura sarebbero dovute apparire grigie. Invece, nel nostro caso appaiono molto bianche, il che indica la presenza di una notevole quantità di materiale denso nelle aree a gessetto: ciò sembra contraddire tutte le prove fisiche fin qui prese in esame. In realtà la risposta non deriva dal materiale del ritratto, originale o tardo che sia, ma dal tempo di esposizione ai raggi X. Nel tentativo di creare un’immagine leggibile, piuttosto che misurata con precisione, il tecnico ha sovraesposto la lastra. Questa spiegazione è confermata dal fatto che alcuni dettagli appaiono totalmente saturi, di colore bianco brillante. Quello che la radiografia rivela con precisione sono le perdite della superficie gessosa – visibili come zone scure o macchie sulla guancia bianco brillante e nelle aree della fronte – essendo coperte queste da un unico strato molto sottile di pigmento rosa, mescolato con la biacca, che è fin troppo leggero per assorbire una parte rilevante di raggi X. Le grandi strisce verticali bianche che seguono le venature del legno sono dovute probabilmente a qualche preparato o a un collante applicato quando la pergamena è stata sistemata sul pannello di quercia.

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101. Il punto in cui si trova l’impronta digitale sulla Bella principessa.

Le impronte digitali Pascal Cotte e MARTIN KEMP

Nell’edizione inglese del libro era stato inserito uno studio condotto da Paul Biro relativo a un’impronta digitale rilevata in prossimità del margine superiore sinistro della pergamena (figg. 6 e 101). L’impronta veniva confrontata con un’altra ritrovata nell’incompiuto San Girolamo penitente, conservato nella Pinacoteca Vaticana: se ne potevano dedurre alcune significative analogie. Malgrado non lo si fosse mai dichiarato, molti commentatori si sono concentrati su questa circostanza come prova decisiva dell’attribuzione a Leonardo. Nella presente edizione del volume non ci siamo rivolti direttamente al lavoro di Biro non perché esso non rappresenti una valida linea di ricerca, ma perché, valutando l’indagine nel suo complesso, manca ancora una banca dati sufficientemente affidabile delle impronte digitali di Leonardo suddivise per le tecniche da lui utilizzate. L’impronta digitale sulla Bella principessa è piuttosto leggera e non presenta nemmeno una caratteristica essenziale come la spirale che si trova sul polpastrello del dito. In sostanza, possiamo dire che le impronte rilevabili nei suoi dipinti e disegni non hanno finora fornito il tipo di prove che risulterebbero decisive in un’aula di tribunale. Si spera che in futuro sia possibile condurre una ricerca davvero esaustiva per verificare fino a che punto le impronte digitali possano rappresentare una prova di attribuzione nella sua opera. Secondo il nostro punto di vista ha una rilevanza più diretta il fatto che Leonardo, in molte delle sue opere, abbia usato le dita e soprattutto il bordo del palmo della mano come strumento per dipingere. Solo alcuni altri artisti dell’epoca, come Giovanni Bellini e Albrecht Dürer, si erano serviti delle dita e delle mani, ma l’utilizzo che ne ha fatto Leonardo è stato insolitamente esteso e, come vedremo, si presenta con aspetto ricorrente specialmente nella rappresentazione dell’incarnato. Sembra infatti che a Leonardo piacesse servirsi della mano per far sì che i colori stesi simulassero l’aspetto della carne. 121

la bella principessa

Le impronte esaminate in digitale Il termine dattiloscopia indica la scienza che studia i dattilogrammi che riproducono le creste e le pieghe presenti sul derma papillare della punta delle dita. Oggi come oggi la maggior parte delle indagini di polizia comprendono un capitolo sulle impronte digitali a integrare le prove e le testimonianze raccolte. In certe condizioni le impronte vengono addirittura elevate al rango di prove incontrovertibili. Rintracciare le impronte digitali su un’opera d’arte può costituire un valido aiuto per l’identificazione dell’autore. È ragionevole supporre che, identificata un’impronta digitale su di un’opera, anche nel caso in cui l’opera in questione non sia stata realizzata dall’autore, egli l’abbia almeno vista e toccata. Così, scoprire quella che potrebbe essere un’impronta digitale sulla Bella principessa durante l’analisi delle immagini multispettrali ad alta risoluzione, ha generato una grande sorpresa e anche un grande entusiasmo. Rimane tuttavia il fatto che per condurre questa analisi e questo confronto occorre un’impronta digitale di riferimento, un’impronta incontestabile della mano dell’autore che si cerca di identificare. Nell’ottobre del 2004 è stata scansionata la Gioconda con la fotocamera multispettrale e nel settembre del 2007 un’analoga indagine è stata condotta anche sulla Dama dell’ermellino, su invito della Fondazione Czartoryskich di Cracovia, in Polonia (fig. 102). Nel corso delle due analisi sono stati registrati oltre 12 gigabyte di dati ad alta risoluzione. Immagini senza precedenti sia in termini di definizione sia in termini di qualità dell’informazione scientifica. Il grado di dettagliatezza ha permesso di evidenziare senza alcun dubbio anche le tracce più leggere, come quelle derivanti da un’impronta digitale, e anche, come vedremo in seguito, le impronte che si trovano sotto lo strato pittorico superficiale. Dopo l’analisi di questi due capolavori si può affermare senza dubbio che Leonardo utilizzava il palmo della mano e le dita per dipingere.

102. L’analisi della Dama dell’ermellino a Cracovia.

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le impronte digitali

Molti storici dell’arte indicano la presenza di impronte digitali in altre opere di Leonardo da Vinci, la Madonna del garofano, conservata alla Alte Pinakothek di Monaco e, naturalmente, il San Girolamo penitente nella Pinacoteca Vaticana. Probabilmente il maggior numero di impronte, quasi venti, si ritrova proprio in quest’ultima opera, tra cui una particolarmente leggibile, chiara ed evidente (figg. 103 e 104). Infine, vi sono molte impronte sui manoscritti e sui disegni di Leonardo, ma è difficile dire se appartengano a lui perché i documenti sono stati maneggiati da un gran numero di persone che li hanno classificati e, talvolta, annotati e numerati; è probabile che siano principalmente riferibili a Melzi, suo allievo e assistente. Le impronte sulla Dama dell’ermellino Abbiamo trovato due tipi di impronte sulla Dama dell’ermellino: delle dita e del palmo della mano (fig. 105). Non disponiamo di scritti di Leonardo in cui egli suggerisca l’utilizzo delle dita o del palmo per dipingere. Inoltre non sappiamo esattamente quale ne fosse la funzione. Possiamo comunque ipotizzare che egli si servisse abilmente della mano per ombreggiare le luci e le ombre, soprattutto nelle tonalità dell’incarnato, come si può vedere nelle immagini qui riprodotte (figg. 106 e 107). L’altra spiegazione possibile è, come accennato in precedenza, che egli attribuisse grande importanza alla resa della consistenza del materiale rappresentato, e quindi trovasse più che naturale utilizzare la propria pelle per rendere l’aspetto carnoso dell’epidermide. Infine si può anche immaginare che si servisse della mano per sfumare quelle pennellate che non esprimevano con sufficiente precisione l’effetto ricercato. Ma in quest’ultimo caso sembra allora strano trovare impronte solo nell’incarnato e non sui capelli, il vestito o il panneggio. A volte le impronte sono visibili a occhio nudo, a volte occorre far uso di mezzi tecnici altamente sofisticati, come la fotocamera multispettrale integrata da un’elaborazione dei dati tramite software specifici (fig. 108). Le impronte digitali sulla Bella principessa Anche sulla Bella principessa sono stati ritrovati due tipi di impronte digitali. Una, come si è visto precedentemente, si trova in prossimità del margine del disegno, in alto a sinistra, mentre vi sono anche impronte del palmo della mano nel collo della figura. Sono maggiormente visibili a una riflettografia agli ultravioletti, in quanto essa fa emergere l’immagine della superficie del disegno che si trova a diretto contatto con la gomma arabica applicata a protezione (fig. 109). La funzione di queste impronte del palmo della mano è probabilmente diversa da quella sopra menzionata. Infatti la natura dell’opera, la sua destinazione e il metodo di esecuzione sono radicalmente diversi rispetto alla Dama dell’ermellino. Qui abbiamo un disegno su pergamena da raccogliere in un volume, che utilizza materiali in polvere, i gessetti. La destinazione sconsigliava ovviamente l’uso dei colori a olio: il contatto fra le pagine non era consigliabile. L’uso dei gessetti per il tratteggio in combinazione con il 123

la bella principessa

103. La posizione dell’impronta digitale sul San Girolamo penitente. 104. Particolare dell’impronta rilevata sul San Girolamo penitente.

105. La posizione delle impronte sulla Dama dell’ermellino.

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le impronte digitali

metodo à trois crayons non consente di ottenere superfici lisce e sfumate. È quindi probabile che Leonardo si sia servito della mano per sfocare le linee tracciate con i gessetti. Analisi e confronto delle impronte digitali Le impronte del palmo sono provocate da un movimento della mano. Nessun paragone perciò è di fatto possibile. Le linee di circa 0,5 mm lasciate dalla pelle sono compatibili con la mano di un uomo ma non offrono alcuna possibilità di identificazione. Rimane quindi l’impronta digitale nell’angolo in alto a sinistra della pergamena.

106. Le impronte digitali sulla Dama dell’ermellino evidenziate in rosso, nell’analisi digitale.

107. Le impronte sul vestito blu della Dama dell’ermellino evidenziate in rosso nell’analisi digitale.

108. Particolare del volto della Dama dell’ermellino con un’area rettangolare evidenziata digitalmente per porre in rilievo le impronte del palmo della mano.

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la bella principessa

109. Particolare dell’impronta del palmo presente sul collo della Bella principessa.

Nello studio precedente,114 sono stati evidenziati otto punti di confronto con l’impronta del San Girolamo, a dimostrazione dell’alta probabilità di una quasi perfetta corrispondenza. Senza fornire prove inconfutabili (la scienza forense ha stabilito come regola che occorrono dodici corrispondenze per costituire una prova) lo studio ha almeno evidenziato queste forti analogie. È stata interpellata la comunità scientifica e, nella più totale trasparenza, sono state fornite tutte le misurazioni multispettrali, nude e crude e senza alcuna modifica. I quarantadue esperti consultati, senza mettere in discussione la conclusione dello studio precedente, hanno affermato che è impossibile esprimere un qualsiasi parere sulla validità come prova dell’impronta digitale rintracciata. Lo scarso contrasto delle linee e il loro tracciato troppo vago e troppo parziale non consentono un’analisi obiettiva. Inoltre, la differente tipologia dei materiali utilizzati per il San Girolamo, rispetto all’inchiostro della Bella principessa, non offre le garanzie necessarie per un confronto scientifico. Conclusione Il metodo scientifico di analisi delle impronte digitali si è effettivamente scontrato con due difficoltà che non hanno permesso di ottenere un risultato convincente. Tuttavia esso attesta che impronte del dito e del palmo della mano sono presenti sulla Bella principessa. Questo ci dice che abbiamo a che fare con un artista dotato di grande abilità, un artista mancino che ha dato prova della propria maestria e che ha lavorato alla corte degli Sforza alla fine del XV secolo.

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Un ulteriore confronto con la Dama dell’ermellino Pascal Cotte

Il ritratto di Leonardo dell’amante di Ludovico Sforza, Cecilia Gallerani, conservato al Muzeum Czartoryskich di Cracovia, universalmente conosciuto come la Dama dell’ermellino, è senza dubbio il più noto ritratto del maestro, dopo la Gioconda. Dopo essere stati invitati dal principe Czartoryskich e dalla sua fondazione per digitalizzare il lavoro con la nostra fotocamera multispettrale, ci siamo trovati in una posizione unica e privilegiata per utilizzare i dati acquisiti al fine di valutare altre opere di Leonardo da un punto di vista scientifico, tecnico e formale. Il confronto tra gli occhi Per Leonardo l’occhio è l’elemento cardine dell’espressione umana: «l’occhio è finestra dell’anima».115 Leonardo ha condotto numerosi esami anatomici dell’occhio, è stato il pioniere di un metodo molto originale di dissezione del bulbo oculare facendolo bollire nell’albume d’uovo, e ne ha progettato un modello in vetro di grandi dimensioni allo scopo di verificare le proprie teorie sulla sua ottica interna.116 Durante tutta la carriera ha dedicato numerosi disegni dettagliati all’aspetto e al funzionamento di questo organo. Leonardo conosceva l’anatomia e il funzionamento interno dell’occhio umano. Lo rivela il modo in cui ha rappresentato questo strumento ottico, proprio come un architetto elabora la struttura di un edificio. Nei suoi ritratti, sia disegnati che dipinti, la funzione fisiologica di ogni parte dell’occhio – l’iride, la pupilla e la palpebra – è determinata in modo rigoroso. Sia nella Dama dell’ermellino sia nella Bella principessa, per esempio, nonostante le differenze tra i materiali usati, gli elementi dell’occhio sono realizzati secondo una logica precisa e analoga (figg. 110 e 111): • l’angolo esterno della palpebra (1); • l’accostamento del bordo della palpebra inferiore con il bordo inferiore dell’iride (2); 127

la bella principessa

110. Particolare degli elementi dell’occhio nella Dama dell’ermellino.

111. Particolare degli elementi dell’occhio nella Bella principessa.

• la piega della palpebra superiore (3); • il contorno dell’iride (4); • le ciglia inferiori (5); • le ciglia superiori (6). Per quanto tali somiglianze possano sembrare ovvie e comuni, in realtà il modo in cui ciascun artista le tratta è più personale di quanto si possa immaginare, e la loro combinazione è unica. In Leonardo, per esempio, la parte inferiore dell’iride dell’occhio coincide sempre esattamente con il bordo della palpebra inferiore, ed è sorprendente notare come pochi ritrattisti dedichino altrettanta cura alla resa delle ciglia inferiori.

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un ulteriore confronto con la dama dell’ermellino

Confronto tra i motivi dell’intreccio La conoscenza e la comprensione che Leonardo aveva dell’ingegneria, dell’architettura e della matematica emergono in alcuni particolari di carattere fortemente logico e geometrico presenti nella sua opera, come si può notare, per esempio, negli intrecci e nei motivi a nodi che troviamo negli abiti delle figure ritratte. Da questo punto di vista, il confronto con la Dama dell’ermellino è istruttivo: i motivi a nodi mostrano non solo un identico modo di rappresentare i cappi (figg. 112 e 113) ma anche la medesima abilità e intelligenza nel renderne la prospettiva in quanto la decorazione segue le curve dell’abito e sfuma sullo sfondo. Questo elemento è molto importante perché conferma che siamo in presenza di due opere realizzate con lo stesso spirito creativo, la stessa idea di perfezione e un identico modo di curare ogni particolare, anche il più minuto. Possiamo ammirare come si dilettasse a dipingere intrecci di grande complessità e motivi a nodi ininterrotti nei particolari della Dama dell’ermellino (fig. 114), della Gioconda (fig. 115) e della Bella principessa (fig. 116). Il suo innato perfezionismo lo ha addirittura portato a dipingere le ombre proiettate dai fili e dai nastri. Giorgio Vasari sottolinea a riguardo (si vedano le figg. 35, 36, 38 e 39): Oltreché perse tempo fino a disegnare gruppi di corde fatti con ordine, e che da un capo seguissi tutto il resto fino a l’altro, tanto che s’empiessi un tondo, che se ne vede in istampa uno difficilissimo e molto bello, e nel mezzo vi sono queste parole: leonardus vinci accademia.117

113. Particolare del motivo a intreccio nella reticella della Bella principessa.

112. Particolare del motivo a intreccio nell’abito della Dama dell’ermellino.

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la bella principessa

114, 115 e 116. Particolari di intrecci rispettivamente nella Dama dell’ermellino, nella Gioconda, e nella Bella principessa.

119. Particolare del contorno nella Bella principessa.

117 e 118. Particolari dei contorni nella Dama dell’ermellino.

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un ulteriore confronto con la dama dell’ermellino

Confronto tra i contorni Fu solo dopo aver effettuato lunghi studi sull’ottica e sulla luce che Leonardo da Vinci mise per iscritto le proprie conoscenze sulla pittura (riunite alcuni anni dopo la sua morte nel Trattato della pittura), compresa la tecnica con cui migliorare la qualità dei contorni mediante l’uso del colore: Delli colori d’equal perfezzione, quello si dimostrerà di maggior eccellenzia che fia veduto in compagnia del colore retto contrario. Retto contrario è ’l pallido col rosso, il nero col bianco, benché né l’un né l’altro sia colore; azzurro e giallo come oro, verde e rosso. Ora attendi se tu voi fare un’eccellente oscurità, dàlle per paragone un’eccellente , e così la eccellente bianchezza farai con la massima oscurità; e ’l pallido farà parere il rosso di più focosa rossezza che non parrebbe per sé in paragone del paonazzo; e questa tal regola sarà più distinta al suo loco. I colori che si convengano insieme, cioè il verde col rosso, o pagonazzo, o biffa, e il giallo con l’azzurro. Se vedrai un corpo che la parte aluminata campeggi e termini in campo oscuro, la parte d’esso lume che parirà di maggior chiarezza fia quella che terminerà co’ l’oscuro in d, e se detta parte aluminata confina col campo chiaro, il termine d’esso corpo aluminato parrà men chiaro che prima.118

In tutti e tre i particolari qui illustrati le linee di contorno vengono realizzate con una tonalità intermedia invece che con una più scura. La pelliccia bianca dell’animale nella Dama dell’ermellino risalta sul vestito blu della donna mediante un tratto azzurro (figg. 117 e 118), e il marrone della treccia della Bella principessa è separato dallo sfondo uniforme mediante un tratto sottile in una tenue sfumatura di marrone (fig. 119). Probabilmente questo è l’inizio dell’indagine sulla tecnica dello sfumato che Leonardo avrebbe perfezionato per il resto della sua carriera. Bisogna stare attenti tuttavia a non confondere la maniera qui utilizzata per contrastare con forza i contorni con la tecnica, successiva, dello sfumato vero e proprio. È stato scientificamente provato che quest’ultimo si basa sull’attenuazione dei passaggi di colore attraverso l’uso di velature,119 una tecnica che Leonardo perfezionò negli anni e che culminò nel suo capolavoro, la Gioconda.

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Nuove scoperte Martin Kemp e Pascal Cotte

La Bella principessa e la Sforziade di Varsavia MARTIN KEMP e Pascal Cotte

Le prime due parti di questo volume presentano un resoconto delle prime fasi delle ricerche effettuate sul ritratto. La fase finale qui descritta è successiva all’edizione inglese e i risultati rappresentano una sorta di sorpresa, giacché hanno fornito una prova consistente a sostegno della datazione, dell’identificazione della figura ritratta e dell’utilizzo dell’opera che avevamo ipotizzato. Hanno anche conferito un nuovo significato ai dati fisici a cui abbiamo fatto riferimento nella seconda parte. Il primo proprietario La prima novità riguarda la storia del ritratto prima della messa all’asta da Christie’s a New York. La persona che aveva commissionato la vendita era stata Jeanne Marchig che, da anni, vendeva numerose opere d’arte di proprietà del marito, Giannino Marchig, pittore e restauratore oggi scomparso. Il ricavato delle vendite veniva devoluto a sostegno di opere di beneficenza a favore degli animali. Giannino Marchig aveva lavorato a Firenze e poi a Ginevra, dove si era trasferito negli anni 1953-1954. Anche se il ritratto aveva una bella cornice italiana (poi rimossa da Christie’s), Marchig lo aveva ugualmente conservato in una cartella. Alcuni anni dopo la morte del marito, la signora Marchig lo aveva appeso a una parete del proprio studio. Giannino Marchig operava a livello internazionale come stimato restauratore e nel 1976 lavorò all’importante campagna di conservazione di una delle due principali versioni della Madonna dei fusi di Leonardo, allora proprietà Wildenstein, a New York.120 Egli era del parere che il ritratto appartenesse a Domenico Ghirlandaio, il che era plausibile, considerate le affinità con i raffinati profili con cui Ghirlandaio ritraeva le dame dell’aristocrazia fiorentina.121 Il fatto che Marchig possedesse il ritratto prima di trasferirsi a Ginevra toglie di mezzo la possibilità che si tratti di un falso realizzato in tempi recenti e reso possibile dalla conoscenza delle moderne analisi tecniche dei dipinti di Leonardo. 135

la bella principessa

La pergamena, come abbiamo già detto, a un certo punto della sua storia fu fissata su una vecchia tavola di quercia (si veda fig. 48) e poi riparata in due occasioni con piccole biette. Jeanne Marchig ha identificato la coppia di biette di legno incolore come accomunabili a quelle fatte a mano da Giannino. Sembra probabile che la pergamena fosse stata fissata alla tavola subito dopo la rimozione dalla sua rilegatura e molto tempo prima che egli ne entrasse in possesso. Sul retro vi sono due timbri doganali che riportano «DOUANE CENTRALE / EXPORTATION [?] / PARIS». Sembra che etichette di questo tipo siano state introdotte nel 1864 anche se non ci è chiaro quando cessarono di essere utilizzate. È probabile che sia avvenuto non più tardi degli inizi del Novecento. In ogni caso, i bolli testimoniano la presenza della tavola in Francia, presumibilmente con il ritratto attaccato e probabilmente incorniciato (come indicano le strisce di carta marroni intorno ai margini). Non è chiaro se sia stato per un certo periodo di proprietà di un francese oppure se sia stato importato soltanto temporaneamente. Il collegamento polacco Le più importanti scoperte che troviamo in questa parte del libro fanno riferimento alla storia più antica del ritratto. Considerati i tre fori lungo il margine sinistro della pergamena, abbiamo suggerito che l’opera fosse stata originariamente rilegata in un manoscritto o in un libro stampato su pergamena, molto probabilmente uno dei lussuosi volumi di poesia encomiastica offerti in occasioni di particolare importanza alle principesse della corte degli Sforza. Come accennato in precedenza, è stato grazie a D.R. Edward Wright che siamo riusciti a stabilire il collegamento tra la Bella principessa e una delle versioni note della Sforziade di Giovanni Simonetta, stampate su pergamena e riccamente miniate. La copia indicata da Wright era quella conservata presso la Biblioteca Nazionale di Varsavia (fig. 120). L’opera encomiastica di Simonetta, scritta alla metà degli anni Settanta del XV secolo nel contesto di una campagna per legittimare la successione degli Sforza ai Visconti di Milano, venne tradotta dal latino da Cristoforo Landino e stampata da Antonio Zarotto nel 1490.122 Wright è in procinto di pubblicare uno studio completo sulla funzione, l’iconografia, la datazione e la probabile storia delle tre versioni della Sforziade, insieme con l’analisi di un frammentario frontespizio conservato agli Uffizi. Egli dimostrerà che le carte di incipit miniate da Giovanni Pietro Birago nella Sforziade della Bibliothèque nationale di Parigi, della British Library e degli Uffizi sono state realizzate in occasione di importanti nascite all’interno della famiglia Sforza, mentre la copia di Varsavia contiene chiare allusioni al matrimonio tra Bianca Sforza e Galeazzo Sanseverino. La carta di incipit di Varsavia (fig. 121), miniata anch’essa da Giovanni Pietro Birago, comprende una ricca serie di riferimenti araldici e di altro tipo ai Visconti, agli Aragona, agli Sforza (fra cui i tre anelli intrecciati riferiti a Bianca) e a Galeazzo (il vello di Gedeone su cui cade la rugiada). In particolare, nel divertente tableau alla base della pagina, una serie di putti “cresciuti” privi di ali (quasi dei nani dall’aspetto bambinesco) recita una piccola allegoria in cui il “moro” seduto al centro (Ludovico) viene omaggiato da un insieme di personaggi, tra cui una giovane moresca con i capelli biondi che fa il suo ingresso al braccio di un giovane: entrambi rappresentano in modo chiaro Bianca e Galeazzo. Birago si è pale136

la bella principessa e la sforziade di varsavia

120. La copertina della Sforziade conservata a Varsavia.

semente dilettato a realizzare una sciarada di personaggi dall’aspetto infantile. Le iscrizioni alludono al divino sacramento del matrimonio e alla fecondità della sposa, quest’ultima sottolineata dai coniglietti. La storia della Sforziade di Varsavia, per molti anni conservata nella celeberrima biblioteca della famiglia polacca Zamojski, è oggi oggetto di ricerca da parte di Katarzyna Woz´niak.123 Si spera che riesca a identificare la data in cui con grande probabilità è avvenuto il distacco del foglio di pergamena con la Bella principessa. Abbiamo intrapreso un attento studio tecnico della struttura e della rilegatura del libro di Varsavia, seguito da dettagliate verifiche sui volumi di Parigi e Londra. Queste indagini hanno evidenziato la legatura del primo e del secondo quaderno dei volumi e il modo in cui sono stati progettati, con alcune pagine lasciate vuote per ospitare gli incipit miniati e altri elementi che avrebbero adattato le sezioni di apertura di ogni volume ai loro originali dedicatari. Infatti, nel caso del libro di Varsavia, è possibile dimostrare che sono stati rimossi un foglio completo e una carta, e che a tutti gli effetti la pergamena del ritratto corrisponde esattamente alle caratteristiche fisiche dei fogli rimanenti del primo quaderno. La corrispondenza più notevole è quella esistente tra i fori nella pergamena del ritratto e quelli del libro. In base a essa pare quasi certo che il ritratto sia stato concepito per la Sforziade realizzata per il matrimonio di Bianca e Galeazzo nel 1496.

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121. Carta di incipit miniata da Giovanni Birago della Sforziade conservata a Varsavia.

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Foliazione e fori Sul bordo sinistro della Bella principessa, come abbiamo evidenziato, vi sono le tracce di tre fori in parte occupati da colla e restauri (si veda fig. 51). La carta è stata asportata da una lama affilata, dal momento che si può notare un’incisione di circa 6 cm di lunghezza sul lato sinistro, dove la lama è scivolata durante il tentativo di separarla dal foglio di appartenenza (si veda fig. 52).124 La Sforziade di Varsavia, come quelle di Parigi e di Londra (figg. 122 e 123), è stata stampata su pergamena, ed è stata prodotta con ogni evidenza su commissione e pertanto si distingue dalle altre edizioni del libro. Le pergamene originarie sono state rilegate in quaderni di 4 fogli (cioè 8 carte e 16 pagine), con l’eccezione dell’ultimo quaderno, che ha solo 2 fogli. I 26 quaderni sono stati numerati dallo stampatore. Essi sono etichettati come a, b, c, d, e, f, g, h, i, k, l, m, n, o, p, q, r, s, t, u, x, y, z, &, C e R e il recto di ciascuna delle prime quattro carte in ciascun quaderno successivo al primo è segnata con i, ii, iii e iv per aiutare il legatore a mettere i fogli nell’ordine giusto. Non c’è la numerazione delle pagine con i numeri arabi, che sarebbe divenuta di uso comune solo in seguito. Nel primo quaderno, come vedremo, la situazione è un po’ differente in quanto sono stati inclusi due fogli vuoti che stessero a fronte della carta di incipit miniata da Birago e di altre eventuali miniature.

122. Carta di incipit miniata da Giovanni Birago della Sforziade conservata a Parigi.

123. Carta di incipit miniata da Giovanni Birago della Sforziade conservata a Londra.

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la bella principessa

Dato che è ovviamente impossibile smontare il volume di Varsavia, abbiamo usato in modo innovativo la macrofotografia per determinare l’esatta sequenza dei fogli nel primo quaderno (figg. 124 e 125). Scattando settanta macrofotografie con un diverso punto focale per ogni decimo di millimetro, è possibile ottenere, utilizzando il metodo di mappatura profonda che sovrappone le aree di ciascuno scatto, un’immagine finale che risolve i problemi di profondità di campo. Con una sola sessione fotografica di circa cinque minuti, questo metodo permette di ottenere dettagli fino a una risoluzione di 4 µm su un campo visivo di 20 × 14 mm. Utilizzando questa tecnica è possibile rintracciare inequivocabilmente il profilo di ciascuna carta e evidenziarlo con un colore, in modo da illustrare la legatura dei primi due quaderni e determinare da quale punto possano essere stati rimossi fogli piegati o carte singole. (fig. 126). Ogni foglio piegato è contrassegnato da uno specifico colore.

124. L’analisi macrofotografica della legatura della Sforziade di Varsavia.

125. L’immagine a mappatura profonda risultante dalla sovrapposizione di 70 macrofotografie della Sforziade di Varsavia.

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la bella principessa e la sforziade di varsavia carta 1 carta 2 carta 3 carta 4 carta 5 mancante?

126. L’attuale rilegatura dei primi due quaderni. Le linee tratteggiate indicano i bordi non visibili dalla fotografia. Le linee punteggiate indicano la carta asportata, corrispondente alla carta 1 (in giallo).

carta 6 carta 7 carta 8 carta 9 carta 10 carta 11 carta 12 carta 13

Si può notare che il primo quaderno è composto attualmente da cinque carte, ovvero da due fogli piegati e un foglio iniziale separato. La carta 1 non ha alcuna controparte, ovvero la carta 6 è mancante. La carta 1 è stata incollata sulla carta 2 vicino alla rilegatura. Tutti i quaderni successivi consistono di 4 fogli (8 carte o 16 pagine). L’attuale carta 6 è la carta di incipit miniata da Birago all’inizio del secondo quaderno (fig. 127). Ciò ammette la possibilità che la carta precedente, che costituiva con la carta 1 un unico foglio, fosse stata arricchita con il ritratto di profilo, come nella nostra ricostruzione digitale (fig. 128). A questo stadio la nostra ricostruzione è provvisoria, visto che al momento opportuno occorrerà tener conto della probabilità che il primo quaderno, come tutti gli altri, fosse originariamente composto da quattro fogli piegati. È evidente che i ritratti si adattano visivamente e fisicamente a questa posizione, ma occorrono indicazioni più concrete per confermare l’ipotesi. Il primo compito è stato quello di verificare le dimensioni del ritratto rispetto alle carte del libro. A questo scopo abbiamo presentato alla Biblioteca un esatto facsimile della Bella principessa, che abbiamo delicatamente inserito (fig. 129) nel libro aperto, il più vicino possibile alla rilegatura. Le dimensioni del foglio del ritratto differiscono appena dalle carte del libro. Le dimensioni dei fogli di pergamena variano tra i 33 e i 33,4 cm di altezza e tra i 23,1 e i 23,6 cm di larghezza. Quelle della Bella principessa sono di 33,2 cm (± 0,5 mm) di altezza e 23,8 cm (± 0,5) di larghezza. La misurazione della larghezza delle carte del libro è ostacolata dall’inacessibilità del margine interno della rilegatura. Possiamo quindi dire che le dimensioni attuali del ritratto e delle carte sono molto simili. Tuttavia, come vedremo, dobbiamo tener conto della possibilità che le carte del libro e il ritratto siano stati tagliati nel corso del procedimento di rilegatura. Il secondo compito è stato quello di controllare la corrispondenza tra i fori nel ritratto e quelli nella cucitura del libro. Qui abbiamo riscontrato una differenza evidente. Le attuali cuciture del volume comprendono cinque fori, mentre sono visibili solo tre fori lungo il margine sinistro della Bella principessa. Tuttavia questi tre fori si trovano in precisa corrispondenza con quelli rispettivi del libro. La nostra sovrapposizione digitale dei tre fori del libro con quelli del ritratto (fig. 130) è visivamente convincente, anche perché i fori non sono disposti a intervalli perfettamente regolari. Il diverso numero di fori di cucitura può 141

la bella principessa

127. Le attuali cc. 5v-6r nella Sforziade di Varsavia.

128. L’ipotesi di ricostruzione del volume con il ritratto della Bella Principessa collocato a c. 6r.

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la bella principessa e la sforziade di varsavia

129. Pascal Cotte e Martin Kemp verificano la corrispondenza del facsimile della Bella principessa con le pagine della Sforziade di Varsavia.

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130. Sovrapposizione digitale della Bella principessa con i fori della rilegatura della Sforziade.

derivare dalla maniera imprecisa in cui è stato tagliato il margine sinistro del ritratto, o da due fori intermedi aggiunti quando in seguito il libro fu nuovamente rilegato secondo la maniera utilizzata dagli Zamojski. La prima spiegazione è la più probabile. Nel misurare le distanze tra i fori e comparando queste distanze tra il libro e il ritratto abbiamo rintracciato quattro potenziali fonti di errore. Le misure delle cuciture nell’incunabolo sono state prese con un semplice righello, delicatamente posto sulla superficie della pergamena. Si suppone che la precisione non possa essere maggiore di 1 mm, sebbene possa essere verificata con l’ausilio delle immagini digitali. In secondo luogo, le dimensioni della pergamena tendono a variare anche in relazione all’umidità e lo stato di conservazione del ritratto e del libro non sono gli stessi. In terzo luogo, la Bella principessa è incollata a un supporto rigido in legno e la colla ha giocato un ruolo determinante nel contrarre le dimensioni della pergamena, che è ormai raggrinzita. In quarto luogo, non è possibile ottenere con precisione le dimensioni e la localizzazione precisa dei fori nel ritratto. I bordi sono sfilacciati e frastagliati. Tenendo conto di tutto ciò, è improbabile che i margini di errore risultino inferiori a ± 1,5 mm. 143

la bella principessa

131. Misurazione dello spessore di un foglio di pergamena tramite un micrometro.

Nel libro la lunghezza complessiva (misurata a mano e in digitale) delle distanze 1 e 2 (si veda fig. 130) è di 11,23 cm mentre l’intervallo equivalente nel ritratto è di 11,06 cm (con una una discrepanza di 0,17 cm). La lunghezza complessiva delle distanze 3 e 4 del libro è di 11,76 cm, corrispondente a 11,47 cm nel ritratto (con una una discrepanza di 0,29 cm). Le divergenze misurate rientrano nei margini di errore. Più significativa è la variazione di queste lunghezze all’interno del libro e del ritratto, che è circa di mezzo centimetro (0,53 cm e 0,41 cm rispettivamente). Questa variazione indica che gli spazi tra i fori di cucitura sono stati realizzati a occhio, senza essere misurati con precisione. La corrispondenza di tale irregolare spaziatura dei fori tra ritratto e libro è molto significativa. I fogli di pergamena Il passo successivo è stato quello di confrontare lo spessore della pergamena della Bella principessa con i fogli della Sforziade. I fogli di pergamena sono ottenuti tramite un processo laborioso e complesso di progressiva rasatura della pelle di un vitello (oppure di un capretto o di un agnello) accuratamente scelta, fino a ottenere lo spessore desiderato. In questo caso la pelle utilizzata è quella di un vitello. Anche all’interno di un lotto di fogli preparati nello stesso momento lo spessore può risultare piuttosto variabile, come si può notare nella macrofotografia del bordo dell’incunabolo. Lo spessore dei fogli può essere misurato con precisione mediante un micrometro (fig. 131). Lo spessore di diversi lotti di pergamena può variare notevolmente, se non altro in base alla sua destinazione d’uso. Un foglio del XV secolo raggiunge una misura di 0,24 mm. Un foglio di pergamena moderna si aggira intorno ai 0,36 mm. Lo spessore della pergamena della Bella principessa è di 0,14 mm. Questa misura è conforme a quella dei fogli 4 e 5 della Sforziade, di 0,12 mm e 0,14 mm. La carta 1, misurata con la macrofotografia è 0,12-0,14 mm. Lo spessore della pergamena del ritratto è quindi del tutto compatibile con quello dei fogli del libro di Varsavia. 144

la bella principessa e la sforziade di varsavia

Oltre allo spessore dei fogli, possiamo confrontare le varie superfici mediante la spettrometria, che ci permette di giudicare se le due pergamene sono compatibili per la loro colorazione superficiale. Abbiamo misurato lo spettro di riflessione diffusa della luce emessa dalla pergamena della Sforziade di Varsavia (fig. 132), nonché da diversi tipi di pergamene di varie epoche, e abbiamo accertato che presentassero somiglianze all’apparenza, al tatto e nella consistenza. Sulla Bella principessa sono stati misurati sei punti, per lo più ai margini del foglio, in aree che appaiono prive di pigmenti applicati da Leonardo o dai restauratori (fig. 133: in rosso da V1 a V6). Ogni foglio presenta una caratteristica curva spettrale. Si vedrà che nel libro di Varsavia le curve della carta 1r-v variano sensibilmente rispetto a un pezzo di pergamena di oggi o a un foglio del XV secolo (fig. 134)125. La variazione tra recto e verso nella Sforziade si spiega con la differenza tra il lato del pelo e il lato carne della pelle lavorata. Nel mettere a confronto la curva prodotta dalla pergamena del ritratto con quella dei fogli del libro abbiamo dovuto tenere conto del probabile rivestimento di gomma arabica. È stata condotta una nutrita serie di test per valutare gli effetti della gomma arabica sulla pergamena. Su di una pergamena di oggi sono stati applicati da uno a quattro strati di gomma arabica, poi anticati artificialmente tramite l’esposizione a una lampada a raggi ultravioletti. Su questa base siamo stati in grado di sottrarre l’effetto del rivestimento di gomma per arrivare alla corretta curva della pergamena del ritratto. Questa corrisponde molto da vicino a quella della carta 1v (la cui superficie proseguiva nel foglio rimosso). Il dato delle curve spettrali è dunque interamente coerente con l’ipotesi che il ritratto sia stato realizzato su di un foglio appartenente al lotto di pergamene utilizzate per la stampa della Sforziade di Varsavia, e che questo pezzo di pergamena corrispondesse un tempo all’altra metà del foglio tagliato dell’attuale carta 1. Come vedremo, la seconda parte di questa ipotesi troverà conferma alla luce di quanto abbiamo successivamente osservato nella Sforziade di Parigi e in quella di Londra.

132. Pascal Cotte misura con lo spettrometro la Sforziade di Varsavia.

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la bella principessa

133. Mappa delle zone della Bella principessa utilizzate per la misurazione dello spettro di riflessione diffusa della luce emessa dalla pergamena.

Angolo della Sforziade di Varsavia 1 verso

Pergamena attuale

Centro della Sforziade di Varsavia 1 recto

La Bella principessa

Pergamena del XV secolo

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134. Dati della misurazione della curva spettrale di una pergamena attuale, di un foglio del XV secolo, della Sforziade di Varsavia e della Bella principessa.

la bella principessa e la sforziade di varsavia

La Sforziade nella Bibliothèque nationale de France Il testo del libro conservato a Parigi è esattamente identico a quello della copia di Varsavia. Variano invece le miniature delle pagine di incipit e dei capilettera (figg. 135 e 136). Nel primo quaderno del libro di Parigi vi è un foglio completamente bianco e uno stampato solo sul secondo verso (figg. 137 e 138). È anche leggermente più grande. I fogli misurano 350 × 245 mm rispetto ai 334 × 236 mm della copia di Varsavia. Non sembra che i bordi irregolari della copia di Parigi siano stati tagliati e forniscono quindi un’indicazione probabile delle dimensioni originarie delle carte del libro di Varsavia e quindi del ritratto stesso: entrambi possono essere stati più lunghi di 16 mm. Il taglio del ritratto, forse mentre veniva rilegato nel libro, potrebbe spiegare il troncamento del motivo a nodi nell’abito della figura ritratta vicino al margine inferiore del foglio. La versione di Parigi presenta una rilegatura posteriore con un sistema a 7 fori di cucitura. In occasione di questa rilegatura sono stati utilizzati come risguardi alcuni fogli stampati di grande formato, probabilmente risalenti al XVIII secolo. Dal confronto dei primi quaderni delle versioni di Parigi (fig. 138) e di Varsavia (fig. 139), è evidente che in questa manca del tutto un foglio bianco; abbiamo notato, infatti,

135 e 136. I capilettera miniati nelle Sforziadi di Parigi e Varsavia.

137. Le pagine vuote anteposte alla pagina di incipit nella Sforziade di Parigi.

147

la bella principessa

che la pagina era stata asportata. Ciò significa che il primo quaderno del libro conservato a Varsavia comprendeva originariamente quattro fogli piegati, secondo quanto ci immaginavamo. Quindi il ritratto sarebbe stato collocato sul recto della carta 8, con il verso, lasciato bianco, ad affiancare la miniatura di Birago. Lo stesso ritratto sarebbe stato affiancato a una carta vuota (7v). La singola carta incollata all’inizio del quaderno potrebbe originariamente aver costituito l’altra metà del foglio del ritratto (cc. 1 e 8) o degli altri fogli vuoti (cc. 2 e 7). La prima ipotesi appare la più probabile. In entrambi i casi le pagine bianche a fronte sono state introdotte per evitare la pressione delle miniature sulle pagine del testo stampato. In quello che è ora il primo quaderno del libro di Varsavia non si notano infatti segni di trasferimento di pigmenti alle pagine stampate. Da ciò si comprende come all’artista sia stato affidato un foglio bianco e gli sia stato chiesto di eseguire il ritratto sulla metà destra, in modo da apparire sul recto nel volume rilegato. La posizione del ritratto può essere così ricostruita (fig. 140). La mancanza di margini, che a prima vista pare eccezionale, può essere paragonata alle splendide miniature in stile mantegnesco nel manoscritto della Passione di san Maurizio ad Albi e della Geografia di Strabone a Parigi.126 C’è un pizzico di ironia in questa collocazione. Come Wright ha fatto notare, il ritratto segue immediatamente una lettera di dedica a Ludovico di Francesco Dal Pozzo, detto il Puteolano, il quale sostiene polemicamente la superiorità storica della parola scritta, come esemplificato nel ritratto letterario di Francesco Sforza del Simonetta, rispetto a qualsiasi immagine che possa aspirare a svolgere lo stesso scopo. Leonardo avrebbe gradito molto la BIANCA

REC TO VERSO

BIANCA

Quaderno A

TESTO A I TESTO A II

BIANCA TESTO TESTO TESTO

TESTO TESTO BIANCA BIANCA

TESTO BIANCA BIANCA

Miniatura TESTO B II TESTO B III

Quaderno B

TESTO

TESTO B IIII

TESTO TESTO TESTO TESTO

TESTO TESTO TESTO TESTO

TESTO TESTO TESTO TESTO

138. Ricostruzione della foliazione della Sforziade di Parigi.

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carta carta carta carta carta carta carta carta carta carta carta carta carta carta carta carta

la bella principessa e la sforziade di varsavia MANCANTE BIANCA

REC TO VERSO

Quaderno A

TESTO A I TESTO A II

TESTO TESTO TESTO

TESTO TESTO

TESTO TESTO

BIANCA BIANCA

La Bella principessa

BIANCA

Miniatura TESTO B II

Quaderno B

TESTO B III TESTO B IIII

TESTO TESTO TESTO TESTO

TESTO TESTO TESTO TESTO

TESTO TESTO TESTO TESTO

carta carta carta carta carta MANCANTE MANCANTE carta carta carta carta carta carta carta carta

139. Ricostruzione della foliazione della Sforziade di Varsavia. 140. Ricostruzione della Bella principessa nella Sforziade di Varsavia.

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la bella principessa

sfida, nel contesto della polemica presente nel suo «paragone delle arti», in cui insisteva sul fatto che un committente esigente si sarebbe sentito rappresentato con più immediatezza da un dipinto che da un qualsiasi testo scritto.127 La Sforziade conservata a Londra La versione della British Library è l’unica che conserva la propria splendida copertina originale (fig. 141). Realizzata in velluto rosso, è ornata con borchie in vermeil agli angoli, e con una grande borchia centrale che raffigura, a niello, le lanterne di Genova, città su cui Ludovico Sforza aveva regnato dal 1488. Nel tondo della carta di incipit miniata da Birago, Ludovico indossa lo stesso emblema bene in vista sul petto. Sul bordo destro della copertina vi è una testa di moro realizzata a niello su uno scudo d’argento al quale manca la flangia a cerniera che era presente nella chiusura originaria. I segni sopra e sotto lo scudo testimoniano la presenza di due ulteriori chiusure. Anche se il libro conserva la copertina originale, è stato rilegato successivamente con un sistema a cinque fori di cucitura, in modo diverso dai libri di Varsavia e Parigi. Le dimensioni delle carte sono le stesse della versione di Parigi, il che conferma l’identica dimensione originaria dei fogli in tutte e tre le copie. La foliazione dei primi due quaderni corrisponde a quella del libro di Parigi e a quella che abbiamo ricostruito del libro di Varsavia. Tuttavia vi si ritrova una spessa carta supplementare di pergamena bianca davanti alla carta 1r, e un’altra vuota dopo la 8v. Presumibilmente fanno parte del medesimo foglio (fig. 142). Che il foglio dopo la 8v sia stato inserito in seguito appare evidente dal fatto che lo scudo nella carta di incipit miniata da Birago aveva depositato alcuni pigmenti sulla 8v. Anche nel foglio inserito si possono notare alcuni minori trasferimenti di pigmento dalla carta di incipit. Possiamo dunque confermare la coerenza della foliazione delle tre versioni della Sforziade stampata su pergamena, con l’eccezione considerevole della copia di Varsavia in cui nel recto della carta 8 fu inserito un ritratto di Bianca Sforza, di cui questa particolare versione dell’opera celebrava il matrimonio. Conclusioni e conseguenze Dalle dettagliate indagini tecniche si possono trarre le seguenti conclusioni: • i parametri meccanici, lo spessore e le dimensioni dei fogli del libro di Varsavia corrispondono strettamente a quelli della Bella principessa; • i fori nella rilegatura del libro di Varsavia sono particolarmente coerenti con quelli della Bella principessa, in particolare per quanto riguarda la loro spaziatura irregolare; • i dati spettrografici del libro di Varsavia e del ritratto sono molto simili; • l’attuale carta 1 (carta 2, nella nostra ricostruzione) è isolata e incollata. Non trova controparte nel quaderno allo stato attuale; • le versioni di Parigi e di Londra sono organizzate e rilegate allo stesso modo, con alcune pagine vuote nel primo quaderno, per limitare i danni dovuti all’eventuale trasferimento di pigmento dalle pagine con le miniature. 150

la bella principessa e la sforziade di varsavia

141. La copertina della Sforziade di Londra. 142. Ricostruzione della foliazione dei primi due quaderni Sforziade di Londra.

carta supplementare

BIANCA REC TO

BIANCA

BIANCA

TESTO «Epistola» TESTO A I «Proemio»

Quaderno A

VERSO

TESTO A II

TESTO TESTO

TESTO TESTO BIANCA BIANCA

TESTO TESTO BIANCA BIANCA

Miniatura TESTO B II

Quaderno B

TESTO B III TESTO B IIII

TESTO TESTO TESTO TESTO

TESTO TESTO TESTO TESTO

TESTO TESTO TESTO TESTO

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carta carta carta carta carta carta carta carta carta supplementare carta carta carta carta carta carta carta carta

la bella principessa

• le versioni di Parigi e di Londra offrono una solida base per la ricostruzione del primo quaderno nella versione di Varsavia; • un intero foglio piegato e una carta mancano nella versione di Varsavia. L’analisi tecnica supporta con decisione l’ipotesi che il ritratto fosse originariamente la carta 8 della Sforziade di Varsavia, collocata dopo i testi introduttivi e prima della carta di incipit 9r miniata da Birago. Confermiamo quindi che la datazione del ritratto al 1496 e l’identificazione del personaggio con Bianca sono molto probabili. Anche l’attribuzione del ritratto a Leonardo è fortemente avvalorata. Di fatto vengono a cadere le affermazioni che si tratti di un falso moderno, di un pastiche del XIX secolo o di una copia di un Leonardo perduto. Sappiamo che Leonardo ebbe stretti rapporti con Galeazzo Sanseverino, marito della giovane sposa. Progettò feste per il palazzo di Galeazzo, si servì dei cavalli della scuderia del comandante militare e, nel 1498, realizzò le miniature su pergamena per la prima versione del De divina proportione di Luca Pacioli, dedicato a Galeazzo. Non è quindi difficile visualizzare il contesto in cui a Leonardo venne commissionato un ritratto da realizzare in tempi brevi per un libro molto speciale. La sua risposta ha consistito, come suo solito, nella ricerca di una tecnica originale che fosse diversa da quella utilizzata tradizionalmente nella realizzazione di miniature e che gli permettesse di ottenere un’immagine di grande espressività. Così Leonardo ha arricchito e trasformato la tecnica à trois crayons sulla quale aveva in precedenza chiesto consigli a Jean Perréal che, come abbiamo ricordato, era stato a Milano con il re di Francia nel 1494. Il ritratto su pergamena della Bella principessa, dopo aver iniziato il suo viaggio nel 1998 come pastiche tedesco del XIX secolo, è oggi una delle opere di Leonardo di cui conosciamo il maggior numero di dettagli in termini di patronato, soggetto, datazione, ubicazione originaria, funzione e innovazione tecnica.

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Riflessioni conclusive sul valore delle prove raccolte MARTIN KEMP

Nessuno dei singoli elementi raccolti “prova” in modo definitivo che il ritratto di donna di profilo realizzato a gessetti colorati su pergamena, esaminato nel dettaglio in questo libro, sia stato eseguito da Leonardo da Vinci alla metà degli anni Novanta del XV secolo, o che il soggetto raffiguri Bianca Sforza. Allo stesso modo in cui non una sola prova dimostra che la Gioconda conservata al Louvre sia un’opera di Leonardo raffigurante Lisa Gherardini (moglie di Francesco del Giocondo), avviato nel 1503 e terminato molto più tardi. In effetti, è stata proposta almeno un’altra ipotesi sul soggetto della Gioconda e sono state avanzate molte teorie sull’identità della figura femminile ritratta. La posizione ormai certa del ritratto di Mona Lisa del Giocondo nel novero dei dipinti autografi di Leonardo dipende da un insieme di motivi interdipendenti, e, non ultimo, da come il dipinto influisce sulla nostra concezione complessiva dell’opera dell’artista. Infatti, una qualsiasi opera considerata nuova e importante per affermarsi deve incidere sensibilmente e nel lungo periodo sulla totalità del patrimonio superstite di un artista. I criteri di stile e la tecnica, insieme agli esami tecnici, indicano che si tratta di un lavoro in tutto e per tutto riferibile a Leonardo. Il contesto del ritratto può essere individuato all’interno della corte degli Sforza in base alla funzione del disegno e all’acconciatura della figura ritratta. Esso si colloca in un mondo cortigiano contraddistinto dalla rivalità tra scrittori e pittori. L’identificazione della figura ritratta può essere ristretta a Bianca, la figlia illegittima di Ludovico. Possiamo vedere che il supporto e il materiale utilizzato hanno subito esattamente il tipo di danno e di restauro che ci aspetteremmo da un lavoro che ha più di 500 anni. Siamo stati in grado di rilevare un’esecuzione in larga parte di mano mancina, persino negli strati sottostanti a quelli che possiamo discernere a occhio nudo. Le impronte digitali sono emerse secondo i metodi che siamo arrivati a riconoscere come caratteristici del lavoro di Leonardo. Infine abbiamo portato alla luce la prova importantissima della recisione del ritratto dal foglio di pergamena della copia della Sforziade commissionata per celebrare il matrimonio di Bianca con Galeazzo Sanseverino nel 1496. 153

la bella principessa

In ultima analisi l’insieme delle prove raccolte – stilistiche, storiche o tecniche – dovrebbe trasmettere una solida sensazione generale che il ritratto sia di Leonardo e apportare qualcosa di nuovo alla nostra attuale conoscenza della sua figura e della sua opera. Mi sembra che la Bella principessa svolga questo compito in modo assolutamente convincente, rivelando una dimensione finora sconosciuta della sua attività alla corte di Ludovico Sforza. È il suo primo ritratto di una principessa Sforza di cui veniamo a conoscenza e si aggiunge ai dipinti delle due amanti del duca. È stato eseguito con una tecnica che non avevamo ancora incontrato nella sua opera, ma che è strettamente connessa con il suo interesse per l’artista francese Jean Perréal. Il ritratto mostra la capacità leonardiana di calarsi in un contesto molto particolare, quello di un libro stampato su pergamena, in cui era richiesto un tipo di bellezza estremamente formale. Rivela una nuova sfaccettatura della disputa con la schiera dei poeti di corte che erano suoi collaboratori e rivali. Mostra soprattutto un’originalità palpitante e una perfezione esecutiva che si adatta del tutto alla giovane età e alla delicatezza della figura ritratta. La donna di profilo è un’importante aggiunta al corpus di Leonardo, sia che la si voglia considerare un’opera di pittura vera e propria a inchiostro e gessetti sia che la si voglia considerare un disegno. All’interno del genere, apparentemente rigido, del profilo dimostra una raffinatezza grafica e una bellezza poetica inarrivabile per i suoi allievi. Leonardo ha dato vita alla giovane con tenerezza infinita, superando i limiti delle effusioni dei poeti di corte e dei logorroici ritratti degli storici, raggiungendo così un risultato desiderato ardentemente. Si tratta di un ritratto superbo di una superba figura femminile. Come direbbero i poeti, la Bella principessa testimonia la vittoria di Leonardo da Vinci sull’effimera bellezza della natura invidiosa e sulle impietose devastazioni del tempo. Si tratta, credo, di un’immagine destinata a regalare grande diletto al pubblico delle prossime generazioni.

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Note

1 Si veda Old Master Drawings. I. Italian and Spanish Schools, New York 1998, lotto 402, ripr. a colori. 2 Si veda Catalogue of the Collection of Drawings in the Ashmolean Museum, Oxford. V. German Nineteenth-Century Drawings, a cura di C.J. Bailey, Oxford 1987, n. 94, ripr. Il cartone per il dipinto del 1828 (olio su tela, Monaco, Neue Pinakothek, waf 755) si trova anch’esso a Monaco (1812-1815 ca., matita nera su nove fogli di carta, Staatliche Graphische Sammlung, Kunststiftung Ernst von Siemens, n. 2001:12); si veda anche L’Âge d’or du romantisme allemand. Aquarelles et dessins à l’époque de Goethe, catalogo della mostra (Parigi, Musée de la vie romantique, 2008), a cura di H. Sieveking et al., n. 74, ripr. a colori. Anche se non è preparatorio per il dipinto di Monaco, il disegno dell’Ashmolean Museum proviene chiaramente dallo stesso periodo della carriera di Overbeck. 3 Sull’argomento si vedano A. Vezzosi, Leonardo infinito: la vita, l’opera completa, la modernità, Reggio Emilia 2008; C. Geddo, Il “pastello” ritrovato: un nuovo ritratto di Leonardo?, «Artes», 14, 2008-2009, pp. 63-87; . 4 Si fa riferimento ai mss. 8936 e 8937 della Biblioteca Nacional de España; si veda The Manuscripts of Leonardo da Vinci at the Biblioteca Nacional of Madrid, a cura di L. Reti, 5 voll., New York 1974. 5 Ripr. a colori in F. Zöllner, Leonardo da Vinci 1452-1519. Tutti i dipinti e disegni, 2 voll., Köln 2011 (1a ed. Köln 1999), I, tav. XXV. Per le analisi di Lumiere Technology, si veda . 6 Ripr. a colori in Zöllner 2011, cit., I, tav. XIII. 7 Si veda Leonardo da Vinci, Libro di pittura, a cura di C. Pedretti, trascrizione critica di C. Vecce, 2 voll., Firenze 1996, I, § 72. L’opera riproduce gli scritti raccolti nel codice Urbinate latino 1270 della Biblioteca Apostolica Vaticana (XVI sec.). 8 Si veda Cennino Cennini, Il libro dell’arte, a cura di F. Frezzato, 5a ed., Vicenza 2009. 9 Si veda Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano, trascrizione diplomatica e critica di A. Marinoni, 12 voll., Firenze 1975-1980, VIII, c. 669r; Il memorandum di Ligny è datato convenzionalmente al 1499, ma le circostanze meglio si adattano alla spedizione sostanzialmente infausta di Carlo VIII a Napoli nel 1494. 10 Ibidem. Il seguito dell’appunto è di significato oscuro. 155

la bella principessa

11 Il brano si trova in I codici Forster del Victoria and Albert Museum di Londra, edizione nazionale dei manoscritti e dei disegni di Leonardo da Vinci, trascrizione diplomatica e critica di A. Marinoni, 3 voll. Firenze 1992, II, c.159r; si veda anche The Literary Works of Leonardo da Vinci. Compiled and edited from the Original Manuscripts by Jean Paul Richter, commentati a cura di C. Pedretti, 2 voll., Oxford 1977, I, pp. 359-360. 12 La nota si trova nel Codice Atlantico, ed. 1975-1980, cit., VII, c. 611a. 13 Si tratta del disegno di Windsor segnato rl 19019r (Note sui sensi e sul sistema nervoso), penna e inchiostro, Windsor, Royal Library; si veda anche K. Clark, C. Pedretti, The Drawings of Leonardo da Vinci in the Collection of Her Majesty the Queen at Windsor Castle, 3 voll., London 1968, III, p. 10, ripr. 14 Si veda l’eccellente studio di T. Tolley, Jean Perréal, in The Grove Dictionary of Art, London-New York 1996, XXIV, pp. 471-472; si veda anche R. de Maulde de la Clavière, Jean Perréal dit Jean de Paris. Sa vie et son œuvre, «Gazette des beaux arts» XXXVII, 14, 1895, pp. 265-278 e XXXVIII, 15, 1896, pp. 58-70 e 240-252; A. Vernet, Jean Perréal, poète et alchimiste, «Bibliothèque d’Humanisme & Renaissance», III, 1943, pp. 214-252; J. Dupont, A Portrait of Louis XII attributed to Jean Perréal, «Burlington Magazine», LXXXIX, 1947, pp. 235-239; G. Ring, An Attempt to Reconstruct Perréal, ivi, XCII, 1950, pp. 255-260; P. Pradel, Les autographes de Jean Perréal, «Bibliothèque de l’École des Chartes», CXXI, 1963, pp. 132-186; C. Sterling, Une peinture certaine de P. Perréal enfin retrouvée, «L’Œil», CIII-CIV, 1963, pp. 2-15 e 64-65. 15 Esemplari manoscritti del poema di Perréal sono Pierre Sala, Petit livre d’amour, 1500 ca., Londra, British Library, Stowe 955, cc. 1-34, e Jean Perréal, Les Remonstances de Nature à l’alchemiste errant, 1516 ca., Parigi, Bibliothèque Sainte-Geneviève, inv. 3220. 16 Si veda Jean Lemaire de Belges, La Plainte du désiré, Lyon, per Jean de Vingle, 1509; in Œuvres de Jean Lemaire de Belges, a cura di J. Stecher, 4 voll., Louvain 1882-1891, III (1885), p. 162: Besognez donc, mes alumnes moderns, / mes beaux enfans nourris de ma ma melle, / toy Leonard qui as graces supernes, / Gentil Bellin dont les loz sont eternes, / et Perusin que si bien couleurs mesle, / et toy Jean Hay [Fouquet], ta noble main chomme elle? / Vien voir Nature avec Jean de Paris / pour luy donner ombrage et esperits. 17 Ripr. in S. Béguin, I disegni dei maestri. V. Il Cinquecento francese, Milano 1970, fig. 1. 18 Jean Fouquet, Portrait d’Agnès Sorel, 1422 ca., matita nera, matita rossa e gessetto bianco, Parigi, Bibliothèque nationale de France, Département des estampes, Rés Na 21, c. 28; si veda Jean Fouquet: peintre et enlumineur du XV e siècle, catalogo della mostra (Parigi, BnF, 2003), a cura di F. Avril, Paris 2003, p. 151, ripr. a colori. Per questi primi ritratti a gessetti si evita il termine “pastelli” che meglio si adatta allo strumento così denominato e perfezionato nel XVIII secolo. 19 Ripr. a colori in P. Mellen, Jean Clouet. Complete Edition of the Drawings, Miniatures and Paintings, London 1971, p. 28. Clouet parlò nel 1511 di realizzare un ritratto disegnato a «demi-couleurs», ivi, p. 26. 20 Ripr. a colori in Le dessin français des XV e et XVI e siècles dans les collections du Musée de l’Ermitage, catalogo della mostra (San Pietroburgo, Hermitage, 2004-2005), a cura di I. Novosselskaya, Sankt Peterburg 2004, p. 22. 21 Si veda G. Bora, in I leonardeschi. L’eredità di Leonardo in Lombardia, Milano 1998, p. 102. 22 Si veda anche P.C. Marani, Leonardo e i leonardeschi nei musei della Lombardia, Milano 1990, ripr. a colori. Questo ritratto è stato considerato a lungo come uno dei più bei disegni di Leonardo ma è chiaro che la maggior parte di quanto vediamo attualmente se non tutto quanto, non è stato disegnato con la mano sinistra. È stato suggerito che possa trattarsi di un disegno originale di Leonardo poi completamente rielaborato. 23 Ripr. a colori in Leonardo da Vinci: Master Draftsman, catalogo della mostra (New York, Metropolitan Museum of Art, 2003), a cura di C. Bambach, New York 2003, n. 128. 156

note

24 Ripr in Bora 1998, cit., tav. 4.12. 25 Ripr. a colori in Leonardo da Vinci: Master Draftsman 2003, cit., n. 131. 26 Si veda L. Cogliati Arano, Un disegno del Boltraffio, «Arte Documento. Rivista di storia e tutela dei beni culturali», III, 1989, pp. 128-129. 27 Le impronte digitali si possono osservare direttamente nel ritratto di Ginevra de’ Benci (olio e tempera su pioppo, Washington, National Gallery of Art, inv. 2326), ripr. a colori in Zöllner 2011, cit., I, tav. VII, nella Dama dell’ermellino e nella versione della Vergine delle rocce di Londra (olio su pioppo parchettato, Londra, National Gallery, inv. 1093), ripr. a colori ivi, tav. XVI. 28 Si vedano Clark-Pedretti 1968, cit., I, pp. 88-89, ripr., e Zöllner 2011, cit., II, tav. 187, ripr. a colori. 29 Ringrazio Alessandro Vezzosi per la sovrapposizione. 30 L’effetto dei due profili è curiosamente simile al disegno di piccole dimensioni di Leonardo che si trova alla Biblioteca Ambrosiana di Milano in cui vengono sovrapposti i profili di due figure (Testa di donna o di giovane, penna e inchiostro marrone e tracce di punta metallica, Milano, Biblioteca Ambrosiana, f 274 inf. 14); ripr in Marani 1990, cit., pp. 54-55. 31 Si vedano Clark-Pedretti 1968, cit., I, pp. 17-18, ripr.; Zöllner 2011, cit., II, tav. 233, ripr. a colori. 32 Windsor, Royal Library, rl 12505, trascritto in Leonardo da Vinci. Studi di natura dalla Biblioteca Reale nel Castello di Windsor, catalogo della mostra (Milano, Castello Sforzesco, Sala delle Asse, 1982), a cura di C. Pedretti, Firenze 1982. 33 Da uno scambio di email tra gli autori, giugno 2009. 34 Ripr. a colori in Zöllner 2011, cit., I, tav. XV. 35 Per Leonardo e le prime sculture si veda K. Weil-Garris Brandt, Leonardo e la scultura, XXXVIII Lettura Vinciana (Città di Vinci, Biblioteca Leonardiana, 18 aprile 1998), Firenze 1999. 36 Si vedano Léonard de Vinci: dessins et manuscrits, catalogo della mostra (Parigi, Musée du Louvre, 2003), a cura di F. Viatte, Paris 2003, n. 61, ripr.; F. Viatte, Léonard de Vinci. Isabelle d’Este, Paris 1999; D.A. Brown, Leonardo and the Ladies with the Ermine and the Book, «Artibus et Historiae», XI, 1990, pp. 47-61; Zöllner 2011, cit., I, tav. XXI, ripr. a colori. 37 Si fa riferimento al disegno di Leonardo a matita nera, Oxford, Ashmolean Museum, Parker II (1956) 19; si veda Viatte 1999, cit., fig. 19. Per il disegno del Louvre a quello dell’Ashmolean Museum si veda M. Kemp, J. Barone, I disegni di Leonardo da Vinci e della sua cerchia nelle collezioni della Gran Bretagna, Firenze 2010. 38 Si veda Leonardo da Vinci. I documenti e le testimonianze contemporanee, a cura di E. Villata, Milano 1999, n. 191: «Quando fusti in questa tera, et che ne retrasti de carbono, ne promettesti farni ogni mo’ una volta de colore. Ma perché questo saria quasi impossibile, non havendo vui commodità di transferivi in qua». 39 Isabella di conseguenza mutò la richiesta in quella di un Cristo giovane. 40 Gian Cristoforo Romano, Beatrice d’Este, marmo, Parigi, Musée du Louvre, m.l. 10; si veda “La Prima Donna del Mondo”: Isabella d’Este, Fürstin und Mäzenatin der Renaissance, catalogo della mostra (Vienna, Kunsthistorisches Museum, 1994), a cura di S. Ferino-Pagden, Wien 1994, tav. 4, ripr. a colori. 41 Ripr. a colori in “La Prima Donna del Mondo” 1994, cit., tav. 120. 42 Si veda lo studio di P. Tinagli, Women in Italian Renaissance Art: Gender, Representation, Identity, Manchester 1997, pp. 60-62. 43 Si veda P.C. Marani, Leonardo e i leonardeschi a Brera, Firenze 1987, pp. 75-80. 44 Si veda National Gallery of Art, Washington. Catalogue of the Italian Paintings, a cura di F. Rusk Shapley, 2 voll., Washington 1979, I, pp. 380-382; II, tav. 275. L’attribuzione ad Ambrogio De Predis del ritratto di Bianca Maria viene data come sicura, ma questo artista è stato utilizzato 157

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come “rifugio” per diversi profili di donne milanesi e la sua opera ha ancora un gran bisogno di essere studiata con chiarezza. 45 Sull’argomento si veda L. Steinberg, Leonardo’s Incessant Last Supper, New York 2001, p. 144. 46 Ambrogio De Predis, Ritratto di Massimiliano I, 1502, olio su tavola, Vienna, Kunsthistorisches Museum, gg 4431. 47 Si veda, ad esempio, il manoscritto con la genealogia dei principi d’Este nella Biblioteca Estense Universitaria di Modena, alfa l.5.16, già Ital.720. 48 Si veda R.M. Anderson, Hispanic Costume, 1480-1530, New York 1979, p. 163. 49 Si veda E. Welch, Art of the Edge: Hair and Hands in Renaissance Italy, «Renaissance Studies», XXIII, 3, 2008, pp. 241-268. Ringrazio Evelyn Welch per il suo contributo alla conoscenza della moda nella corte sforzesca. Si veda anche G. Butazzi, Note per un ritratto: vesti e acconciatura della Dama con l’ermellino, in Leonardo: La Dama dell’ermellino, catalogo della mostra (Roma, Palazzo del Quirinale, 1998; Milano, Pinacoteca di Brera, 1998; Firenze, Palazzo Pitti, 1998-1999), a cura di B. Fabjan, P.C. Marani, Milano 1998, pp. 67-71. 50 Si veda il Messale Arcimboldi, ms., 1494 ca., Milano, Biblioteca del Capitolo Metropolitano, ii-d-01-013, c. 1r. 51 Sono acconciate con coazzoni di minor pregio due delle figure femminili inginocchiate nella pala d’altare attribuita al Maestro della Pala Sforzesca (Vergine, Gesù Bambino, quattro santi e dodici fedeli, 1490-1495 ca., olio su tavola, Londra, National Gallery, inv. 4444). 52 Ripr. in J. Byam Shaw, Paintings by Old Masters at Christ Church Oxford. Catalogue, Oxford 1967, n. 156. 53 L’opera è attribuita ad Alessandro Araldi e individuata come Ritratto di Barbara Pallavicino, olio su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 8383; si veda Byam Shaw 1967, cit., tav. 31. 54 Per l’iconografia di Beatrice d’Este si veda F. Malaguzzi-Valeri, La corte di Lodovico il Moro. III. Gli artisti lombardi, Milano 1913, pp. 26-30. 55 Ad esempio, una versione del profilo di donna con uno sfarzoso insieme di perle conservato all’Ambrosiana (si veda infra, nota 58), ridipinto apparentemente come una santa Caterina, si trova all’Ashmolean Museum (copia da Ambrogio De Predis, Ritratto di donna sconosciuta, olio su tela, Oxford, Ashmolean Museum, wa 1945.63); si veda A Catalogue of the Earlier Italian Paintings in the Ashmolean Museum, a cura di C. Lloyd, Oxford 1977, pp. 96-98, n. a713, ripr.; una versione della Bianca Maria Sforza di Washington, raffigurante la donna solo fino alla parte alta della spalla, si trova al Louvre (attribuita a Bernardino dei Conti, Bianca Sforza, moglie di Massimiliano I, olio su tavola, Parigi, Musée du Louvre, rf 2086), si veda Catalogue sommaire illustré des peintures du musée du Louvre. II. Italie, Espagne, Allemagne, Grande-Bretagne et divers, a cura di A. Brejon de Lavergnée, D. Thiébaut, Paris 1981, p. 152, ripr. 56 Si veda Byam Shaw 1967, cit., pp. 92-93. 57 La descrizione del gioiello si trova in Malaguzzi-Valeri 1913, cit., I, p. 37. 58 La citazione è tratta da Guillaume de Jaligny et al., Histoire de Charles VIII, roy de France … où sont décrites les choses les plus mémorables arrivées pendant ce règne, depuis 1483 jusques en 1498, a cura di Théodore Godefroy, A Paris, de l’imprimerie royale, par Sebastien Mabre-Cramoisy, Paris 1684, pp. 709-710: «Inizialmente, quando arrivò, [Beatrice] cavalcava un destriero coperto da una gualdrappa di broccato d’oro e velluto cremisi, mentre lei indossava un abito di broccato verde e oro al di sopra di una camicetta di lino ricamata; in testa aveva ricchi ornamenti di perle; i suoi capelli erano attorcigliati e legati da un nastro di seta che penzolava; portava anche un cappello di seta cremisi, di fattura molto simile ai nostri, con cinque o sei piume rosse e grigie. Così acconciata stava ben diritta sul suo cavallo, né più né meno di un uomo. Con lei c’era la moglie del signore Galeazzo e molte altre dame, non meno di ventidue, tutte in sella a splendide cavalle; c’erano anche sei carrozze coperte di broccato d’oro e di velluto verde, tutte piene di dame … Il giorno successivo, 158

note nel pomeriggio, il signore andò a trovarle; [Beatrice] era meravigliosamente bella, vestita com’era secondo la moda del paese, ovvero con un vestito di raso verde dal corpetto tempestato di diamanti, perle e rubini, sia davanti che dietro, e dalle maniche molto strette, tagliate in modo da lasciare fuoriuscire la camicia: questi spacchi erano legati con nastri di seta grigia che pendevano quasi fino a terra. Il petto era scoperto, e intorno al collo portava una collana di perle molto grosse, con un rubino grande quasi quanto il vostro “grand Valois”. La testa era acconciata più o meno come il giorno prima, se non che al posto del cappello indossava un berretto di velluto con ciuffi di piume e un fermaglio con due rubini, un diamante e una perla a forma di pera, quest’ultima molto simile alla vostra … Se non fosse che il re vuole inviarvi il ritratto di lei, in cui si vede anche come era vestita, ne avrei cercato uno per inviarvelo io stesso». 59 Ripr. a colori in Zöllner 2011, cit., I, p. 98. 60 Sono propenso a mantenere l’identificazione della donna come l’amante di Ludovico, Lucrezia Crivelli, e a datare l’opera al 1497 ca. Di recente è stato suggerito da Jacqueline Musacchio che un profilo, attribuito ad Ambrogio De Predis, di una signora relativamente matura (olio su noce, Londra, National Gallery, ng 5752), che indossa una cintura ornata da una fibbia con testa di moro, sia Lucrezia, ma non è abbigliata secondo la moda successiva al 1491. Si può più plausibilmente identificarla con Bernardina de Corradis, amante di Ludovico e madre di Bianca. Si veda Art and Love in Renaissance Italy, catalogo della mostra (New York, Metropolitan Museum of Art, 2008-2009; Fort Worth, The Kimball Art Museum, 2009), a cura di A. Bayer, New York 2008, p. 34. 61 Ripr. a colori in Zöllner 2011, cit., II, tav. 258; gli altri studi sono segnati rl 19057r, rl 19057v, rl 19058r e rl 19059r (ripr. a colori ivi, tavv. 260, 259, 257 e 261 rispettivam.). Per il tema del contrasto dei bordi in Leonardo si vedano particolarmente Leonardo da Vinci, Libro di pittura, ed. 1996, §§ 250-261; Kemp 1989, cit., pp. 72-73; Id., In the Beholder’s Eye: Leonardo and the “Errors of Sight” in Theory and Practice [Hammer Prize Lecture], «Achademia Leonardi Vinci», V, 1992, pp. 153-162. 62 Leonardo da Vinci, Le proporzioni del corpo umano secondo Vitruvio (L’uomo vitruviano), punta metallica, penna e lumeggiature su carta, 344 × 245 mm. Venezia, Gallerie dell’Accademia, inv. 228; ripr. a colori in Zöllner 2011, cit., II, tav. 246. 63 Per l’analisi tecnica del ritratto di Cecilia si vedano D. Bull, Two Portraits by Leonardo: Ginevra de’ Benci and the Lady with the Ermine, «Artibus et Historiae», XIII, 1992, pp. 67-83; Leonardo: La Dama 1998, cit., pp. 83-90. 64 Ripr. a colori in Zöllner 2011, cit., I, tav. XIX. 65 La lettera è riportata in A. Luzio, R. Renier, Delle relazioni di Isabella d’Este Gonzaga con Ludovico e Beatrice Sforza, «Archivio storico lombardo», s. 2, XVII, 1890, pp. 383-388: 383. 66 Si veda Leonardo e l’incisione: Stampe derivate da Leonardo e Bramante dal XV al XIX secolo, catalogo della mostra (Milano, Castello Sforzesco, Sala Viscontea, 1984), a cura di C. Alberici, Milano 1984, p. 22. 67 Siamo estremamente grati a D.R. Edward Wright della University of South Florida per la segnalazione. Si vedano C. Kovesi Killerby, Sumptuary Law in Italy 1200-1500, Oxford, 2002; D. Hughes, Sumptuary Laws and Social Remations in Renaissance Italy, in The Italian Renaissance. The Essential Readings, a cura di P. Findlen, London 2002, part. pp. 130, 136, 144-145. 68 Si veda Vezzosi 2008, cit., p. 138. La sua indicazione che la modella ritratta sia Bianca Maria Sforza non trova riscontro alla luce del ritratto conservato a Washington. 69 Si veda M. Angiolillo, Leonardo: feste e teatri, Napoli 1979. 70 Ivi, pp. 43 sgg. Il termine “paradiso” era usato genericamente per indicare una qualsiasi immagine ricostruita dei cieli, religiosa o secolare, e perfino dell’inferno, sull’onda delle grandi invenzioni del Brunelleschi nel primo Rinascimento fiorentino. Ringrazio Alessandra Buccheri per l’informazione sui “paradisi”.

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71 I versi si trovano in Bernardo Bellincioni, Rime, edizione a cura di P. Fanfani, 2 voll., Bologna 1876-1878, II, pp. 218-219. 72 Il codice è il Trivulziano 2157 e si trova a Milano nella Biblioteca Trivulziana; si veda Gasparo Visconti, I canzonieri per Beatrice d’Este e per Bianca Maria Sforza, a cura di P. Bongrami, Milano 1979, pp. XXXIII-XXXIV. Bongrami fornisce un’analisi dettagliata della composizione e del testo dei manoscritti. 73 La copia è il codice 2621 che si trova a Vienna, nell’Österreichische Nationalbibliothek; si veda anche Visconti, I canzonieri, ed. 1979, cit., pp. XXIV-XXV. 74 L’esemplare è il codice 1093 conservato a Milano, nella Biblioteca Trivulziana; si veda anche Visconti, I canzonieri, ed. 1979, cit., pp. XIX-XXIII. 75 Il sonetto è riportato ivi, p. 3. 76 Per Leonardo e la poesia di corte si veda M. Kemp, Leonardo da Vinci: Science and Poetic Impulse, «Journal of the Royal Society of Arts», CXXXIII, 1985, pp. 196-214. 77 Il sonetto è in Bellincioni, Rime, ed. 1876-1878, cit., I, p. 72. 78 Il Codice Atlantico, ed. 1975-1980, cit., VI, c. 456v: «Quanto felicemente l’arte corrisponde qui alla natura! Leonardo da Vinci avrebbe potuto, come suo solito, raffigurare l’anima [di Lucrezia]. Ma ci ha rinunciato, cosicché il dipinto potesse essere una corretta similitudine, in quanto solo l’amante Mauro [il Moro = Ludovico il Moro] possiede la sua anima.» | «Lei che vedi si chiama Lucrezia e a lei gli dei hanno dato tutto con mano generosa. Come è rara la sua bellezza! Leonardo dipinse lei, Mauro l’amò: l’uno, il primo tra i pittori, l’altro, tra i principi.» | «Sicuramente con la sua immagine il pittore ha offeso la Natura e gli dei che stanno nei cieli. Commuove che la mano dell’uomo sia capace di tanto e che la bellezza destinata a morire in fretta abbia avuto vita eterna. Lo ha fatto per volontà di Mauro, per Mauro che lo protegge. E tutti, dei e uomini, temono l’ira di Mauro». 79 Il passo si trova in Leonardo da Vinci, Libro di pittura, ed. 1996, cit., § 27. 80 Per Sala si veda J. Pernetti, Recherches pour servir à l’histoire de Lyon, 2 voll., Lyon 1757, p. 378. 81 Conosciamo Isabella d’Aragona, moglie di Gian Galeazzo, dal busto in marmo dipinto opera di Francesco Laurana e conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna (marmo dipinto e applicazioni di cera, Vienna, Kunsthistorisches Museum, kk 3405). 82 A. Giulini, Bianca Sanseverino Sforza figlia di Ludovico il Moro, «Archivio storico lombardo», s. 4, XXXIX, 1912, pp. 233-252. 83 Si vedano gli studi conservati alla Royal Library: rl 12294 (Zampa anteriore sinistra di cavallo), penna e inchiostro e carboncino, ripr. a colori in Zöllner 2011, cit., II, tav. 252, e rl 12319 (Cavallo di profilo), punta metallica, penna e inchiostro su carta preparata azzurra, ripr. a colori ivi, tav. 251. 84 Si veda I manoscritti dell’Institut de France, trascrizione diplomatica e critica di A. Marinoni, 12 voll., Firenze 1986-1990, C, c. 15v. Leonardo annota che Salaì rubò del denaro ad alcuni servitori che stavano provando dei costumi da selvaggi: «Item a dì 26 di gennaio seguente, essendo io in casa di messer Galeazzo da Sanseverino a ’rdinare la festa della sua giostra, e spogliandosi certi staffieri per provarsi alcune veste d’omini salvatichi ch’a detta festa accadeano, Iacomo s’accostò alla scarsella d’uno di loro, la qual era in sul letto con altri panni, e tolse quelli dinari che dentro vi trovò». 85 Una delle due copie superstiti del manoscritto si trova nella Biblioteca Ambrosiana di Milano; si veda comunque Luca Pacioli, Divina proportione opera a tutti gl’ingegni perspicaci e curiosi necessaria…, Venetiis, impressum per probum virum Paganinum de paganinis de Brixia, 1509, ed. anastatica a cura di A. Marinoni, Milano 1982. 86 Il sonetto si trova in Bellincioni, Rime, ed. 1876-1878, cit., I, p. 41. 87 Si veda Giulini 1912, cit., p. 238. 160

note

88 Il componimento si trova in Niccolò da Correggio, Opere, a cura di A. Tissoni Benvenuti, Bari 1969, p. 174. 89 Si veda Luzio-Renier 1890, cit., p. 639. 90 Il testo del manoscritto di Marcantonio Michiel, conservato alla Biblioteca Marciana di Venezia, è stato pubblicato per la prima volta da Jacopo Morelli, in Notizia d’opere di disegno nella prima metà del secolo XVI, Bassano 1800; si cita dalla seconda edizione rivista e aumentata a cura di G. Frizzoni, Bologna 1884, p. 166. 91 Si veda Clark-Pedretti 1968, cit., I, p. XVII. 92 Brevetti depositati da Pascal Cotte e Marcel Dupouy: brevetto Francia n. 98 13291 (brevetto per uno strumento per la digitalizzazione in alta risoluzione di documenti di grande formato), ottobre 1998; brevetto JumboLux, Stati Uniti, n. US6.603.582 B1 (brevetto per uno strumento per la digitalizzazione in alta risoluzione di documenti di grande formato), 6 agosto 2001. 93 Si veda P. Cotte, M. Dupouy, CRISATEL High-resolution Multispectral System, in PICS 2003. Image Processing, Image Quality, Image Capture Systems Conference, atti del convegno (Rochester, 13 maggio 2003), Rochester (NY) 2003, pp. 161-165. 94 Si veda P. Cotte, D. Dupraz, Spectral Imaging of Leonardo da Vinci’s Mona Lisa: an Authentic Smile at 1523 dpi with Additional Infrared Data, in IS&T (International Science and Technology) Archiving 2006, atti del convegno (Ottawa, 23-26 maggio 2006), Ottawa 2006, pp. 228-235. 95 Si veda A. Ribes Cortes, Analyse multispectrale et reconstruction de la réflectance spectrale des tableaux de maître, tesi di dottorato, Parigi, École Nationale Supérieure des Télécommunications 2003; A. Ribes Cortes et al., Color and Spectral Imaging with the CRISATEL Acquisition System, in PICS 2003, cit., pp. 215-219. 96 Tutte le frequenze sono state ricostruite utilizzando un’interpolazione polinomiale classica di terzo grado. La calibrazione rivela un valore efficace massimo di 4,8 per la configurazione e una deviazione ∆E2000 di 1,27. 97 Legge di diffrazione della luce, disco di Airy e criterio di Rayleigh a N=8 e lunghezza focale di 210 mm. 98 Ringraziamo Giammarco Cappuzzo per aver predisposto la datazione al carbonio-14 eseguita all’Institute for Particle Physics (IPP) dell’Eidgenössische Technische Hochschule (ETH) di Zurigo. 99 François Pérégo e Pascal Cotte hanno messo insieme una raccolta di 45 pigmenti storici in uso tra l’epoca di Leonardo e il XVII secolo, con caratteristiche variabili dovute alla quantità di legante, all’applicazione su un fondo nero oppure su uno bianco e alla mescolanza con biacca o carbone animale. 100 Ripr a colori in Zöllner 2011, cit., II, tavv. 150, 184 e 203. 101 È importante menzionare il progetto europeo di ricerca InkCor che include le più recenti scoperte sull’inchiostro ferrogallico; si veda A. Stijnman, Historical Iron-gall Ink Recipes. Art technological Source Research for InkCor, «Journal of Paper Conservation IADA Reports», V, 3, 2004, pp. 14-17. 102 Si veda J. Couvert, Historique, repères chronologiques et méthodes d’identification des blancs de plomb, de zinc et de titane, «Mémoires. La Lettre Mensuelle (La chronique de l’Université, UCL)», ottobre 2001, 103 Si veda G. Latour et al., Determination of the Absorption and Scattering Coefficients of Pigments, «Applied Spectroscopy», LXIII, 2009, pp. 604-610. 104 Attualmente, questa raccolta è circoscritta solamente a un arco temporale che va dall’antichità fino al XVII secolo. 105 Si veda M. Elias et al., The colour of ochres explained by their composition, «Materials Science and Engineering: B», CXXVII, 2006, pp. 70-80. 161

la bella principessa

106 Si veda F. Pérégo, Dictionnaire des matériaux du peintre, Paris 2005, p. 57. 107 Ibidem. 108 Ivi, p. 321. 109 Il software utilizzato è Colibri, prodotto dalla Ciba. 110 Si vedano P. Kubelka, F. Munk, Ein Beitrag zur Optik der Farbanstriche, «Zeitschrift für technische Physik», XII, 1931, pp. 593-601; P. Kubelka, New Contributions to the Optics of Intensely Light-Scattering Materials, «Journal of the Optical Society of America», XXXVIII, 1948, pp. 448457 e 1067. 111 Si veda S. Chandrasekhar, Radiative Transfer, New York 1960, p. 393. 112 Jacques Berthier e Gerard Valla del Laboratoire de Mycologie dell’Université Claude Bernard Lyon 1 dichiarano: «Infine, dobbiamo sottolineare un’importante proprietà fisica delle aflatossine B1, B2, G1, G2, dell’ocratossina A, della patulina e dello zearalenone; queste tossine sotto l’azione dei raggi UV emettono a lungo una fluorescenza caratteristica. In particolare, l’aflatossina B ha una fluorescenza blu, mentre quella dell’aflatossina G è verde. Questa caratteristica è essenziale per la progettazione di metodi di rilevazione e di analisi». 113 Gli autori ringraziano Giammarco Cappuzzo per l’organizzazione dell’analisi del dipinto ai raggi X. 114 Si veda P. Biro Fingerprint examination, in M. Kemp, P. Cotte, La Bella Principessa, New Masterpiece by Leonardo da Vinci, London 2010, pp. 156-173. 115 Si veda Il Codice Atlantico, ed. 1975-1980, cit., IV, c. 327v. 116 Si veda I manoscritti dell’Institut de France 1986-1990, cit., D, c. 3v. 117 Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori, et architettori … riviste et ampliate, 3 voll., in Fiorenza, appresso i Giunti, 1568; ed. in Id., Le Vite … nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di R. Bettarini, commento secolare di P. Barocchi, 6 voll., Firenze 1966-1987, IV, p. 18. 118 Le citazioni sono tratte da Leonardo da Vinci, Libro di pittura, ed. 1996, cit., I, § 258, § 190, § 253, § 745; le citazioni si trovano anche in Kemp 1989, pp. 72-73. 119 M. Elias, P. Cotte, Multispectral Camera and Radiative Transfer Equation Used to Depict Leonardo’s Sfumato in the Mona Lisa, «Applied Optics», XLVII, 2008, pp. 2146-2154. 120 M. Kemp, T. Wells, Leonardo Da Vinci’s Madonna of the Yarnwinder. A Historial and Scientific Detective Story, London 2011. 121 Per questo e altri ritratti di profilo del tardo XV secolo si veda Tinagli 1997, cit., pp. 47-83. 122 Giovanni Simonetta, Commentarii rerum gestarum Francisci Sfortiae. La Sforziade, in Milano, presso Antonio Zarotto, 1490. Per la copia conservata a Varsavia, segnata Inc. f 1347, si veda:. Altre due copie si trovano rispettivamente a Parigi, presso la Bibliothèque nationale de France (département des Imprimés, Réserve, Vélins 724), e nella British Library di Londra (G 7251), mentre agli Uffizi sono conservati alcuni frammenti numerati 843 e 4423-4430. Sull’argomento si vedano anche M. Evans, New Light on the Sforziada Frontispieces of Giovanni Pietro Birago, «British Library Journal», XIII, 1987, pp. 232-247, in cui l’autore ricostruisce il frontespizio degli Uffizi; E. McGrath, Ludovico il Moro and His Moors, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», LXV, 2002, pp. 67-94. 123 I risultati delle ricerche di Katarzyna Woz´niak sono in corso di pubblicazione nel bollettino della Biblioteca Nazionale di Polonia, insieme a uno studio di D.R. Edward Wright e un nostro resoconto completo sulle indagini tecniche, che sono state filmate da National Geographic. 124 Le immagini in alta risoluzione di questo particolare e gli altri esami tecnici sono disponibili anche su Internet, nel sito di Lumiere Technology, . 125 Le misurazioni del libro di Varsavia e di una pergamena moderna sono state ottenute tramite 162

note

uno spettrometro; quelle del ritratto e di un foglio del XV secolo, tramite la fotocamera multispettrale di Pascal Cotte. 126 Un ritratto di profilo dell’uomo d’arme e letterato veneziano Jacopo Marcello, che fu al servizio di Francesco Sforza. appare a c. 38v della Vita e passione di san Maurizio dello stesso Marcello, Parigi, Bibliothèque de l’Arsenal, ms 940. Il ritratto non ha bordature ma reca un’insegna in basso. La stupenda Geografia di Strabone conservata alla Bibliothèque municipale d’Albi, MS 77, accoglie immagini senza bordature raffiguranti Guarino che offre la propria traduzione a Marcello e quest’ultimo che offre il manoscritto al re René d’Anjou (cc. 3v-4r). Marcello e Francesco Sforza furono membri fondatori dell’Ordine del crescente, il cui patrono era il “moro” san Maurizio; Ludovico ne divenne in seguito gran maestro. In entrambi i manoscritti le immagini sono spesso attribuite al giovane Giovanni Bellini. Un ritratto di profilo del giovane Massimiliano Sforza appare, con minime bordature, a c. IV, nel suo “libro per l’educazione”, Milano, Biblioteca Trivulziana, inv. 2167, assieme a un ritratto analogo di Ludovico a c. 52v. Per questi e altri manoscritti paragonabili o libri a stampa miniati si vedano J.J.G. Alexander, Italian Renaissance Illuminations, London 1977; The Painted Page. Italian Renaissance Book Illumination 1450-1550, catalogo della mostra (Londra, Royal Academy of Arts, 1994-1995; New York, Pierpont Morgan Library, 1995), a cura di J.J.G. Alexander, München 1995. 127 Kemp-Cotte 2010, cit., p. 77.

163

Elenco delle illustrazioni

1. Maestro della Pala Sforzesca (attivo in Lom­bardia dal 1490 al 1520 ca.), Ritratto di Massimiliano Sforza, punta metallica su carta preparata grigio blu forata per lo spolvero, 205 × 155 mm. Milano, Biblioteca Ambrosiana, f 290 inf. n. 13.1 2. Giovanni Antonio Boltraffio (1467-1516), Ritratto di donna (la cosiddetta Isabella d’Aragona): modello per la santa Barbara, matita nera, carboncino, gessetti di vari colori, acquerellature bianche su carta preparata, 205 × 183 mm. Milano, Biblioteca Ambrosiana, f 290 inf. n. 7.1 3. Friedrich Overbeck (1789-1869), Ritratto della moglie dell’artista, Nina, 1828 ca., matita su carta, 205 × 183 mm. Oxford, Ashmolean Museum, wa1954.70.128. Ashmolean Museum, University of Oxford.

4-8, 18, 20, 22, 26, 37, 41-47, 49-56, 58-67, 71-102, 104-120, 124-142 e pp. 16, 60-66. Pascal Cotte © Lumiere Technology. 9. Jean Perréal (1455 ca.-1530 ca.), Luigi di Lussemburgo, conte di Ligny, 1493 ca., punta d’argento su carta, 200 × 137 mm. Chantilly, Musée Condé, inv. pd397. © RMN-GP (Domaine de Chantilly)/Franck Raux.

10. Jean Bourdichon (1457 ca.-1521), Ritratto di Carlo VIII, matita nera, matita rossa, 181 × 129 mm. San Pietroburgo, State Hermitage Museum, inv. or-2856. 11. Giovanni Antonio Boltraffio (?), Testa di Cristo, 1494 ca., matita nera, matita rosso scura e pastello su carta verde pallido, con ampi ritocchi in matita rossa e matita nera con pennello, tempera e bistro, 400 × 320 mm. Milano, Pinacoteca di Brera, inv. Gen. 150.2 12. Giovanni Antonio Boltraffio, Ritratto di uomo con cappello, carboncino, gessetti di colore bianco, marrone, giallo ocra e rosso su carta preparata color crema, 537 × 407 mm. Milano, Biblioteca Ambrosiana, inv. f 290 inf. n. 8.1 165

la bella principessa

13. Andrea Solario (1465 ca.-1524), Ritratto di giovane con il turbante, matita nera, penna e inchiostro, pennello e tracce di lumeggiature di biacca, 374 × 246 mm. Vienna, Albertina, n. 243. 14. Bernardino Luini (1481 ca.-1532), Gentildonna con ventaglio, 1520-1525, matita nera, matita rossa, gessetti giallo, marrone e bianco, 414 × 284 mm. Vienna, Albertina, n. 59. 15. Artista lombardo del XV-XVI secolo, Profilo di donna con cappello, gessetti colorati a sfumo, rinforzato con gessetto bianco su matita nera e matita rossa, 442 × 288 mm. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, rf5212. © RMN/Jean-Gilles Berizzi

16 e 17. Leonardo da Vinci (1452-1519), Ritratto di giovane donna di profilo, 1485-1490 ca., punta d’argento su carta rosata, 320 × 200 mm. Windsor, Royal Library, rl 12505.3 19. Vinci, Museo Ideale Leonardo da Vinci. Elaborazione immagine © Alessandro Vezzosi e Agnese Sabato.

21. Leonardo da Vinci, Studio delle proporzioni umane, 1490 ca., penna e inchiostro marrone, 265 × 215 mm. Windsor, Royal Library, rl 12304r.3 23. Leonardo da Vinci, Dama dell’ermellino, 1488-1490, olio su noce, 54,8 × 40,3 cm. Cracovia, Muzeum Czartoryskich, inv. 134. 24. Leonardo da Vinci, Ritratto di donna (La Belle Ferronnière), 1490-1495 ca., olio su noce, 63 × 45 cm. Parigi, Musée du Louvre, Département des Peintures, inv. 778. © RMN/Hervé Lewandowski.

25. Leonardo da Vinci, Monna Lisa (La Gioconda), 1503-1514 ca., olio su pioppo, 77 × 53 cm. Parigi, Musée du Louvre, Département des Peintures, inv. 779. © RMN/Hervé Lewandowski, Thierry Le Mage.

27. Leonardo da Vinci, Ritratto di Isabella d’Este, 1500 ca., matita nera e matita rossa su carta, 630 × 460 mm. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, mi 753. © RMN/Thierry Le Mage. ­ 28. Gian Cristoforo Romano (1470 ca.-1512), Medaglia per Isabella d’Este, 1498-1500 ca., oro, ornato con pietre preziose e smalto, diam. 69 mm. Vienna, Kunsthistorisches Museum, mk 6833 bb. © KHM Wien. 29. Maestro della Pala Sforzesca, Madonna col Bambino, i Dottori della Chiesa, Ludovico il Moro, Beatrice d’Este e i figli (Pala Sforzesca), 1494-1495, olio su tavola, 230 × 165 cm. Milano, Pinacoteca di Brera, Reg. cron. 451.2 30. Ambrogio De Predis (1455-dopo il 1508), Ritratto di Bianca Maria Sforza, 1493 ca., olio su tavola, 51 × 32,5 cm. Washington, National Gallery of Art, Widener Collection, inv. 1942.9.53. Per gentile concessione della National Gallery of Art, Washington.

31. Artista lombardo del XV-XVI secolo, Investitura di Ludovico Sforza, 1494 ca., dal Messale Arcimboldi. Milano, Biblioteca del Capitolo Metropolitano, inv. ii-d-01-013, c. 1r. Per gentile concessione della Biblioteca della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano.

166

elenco delle illustrazioni 32. Ambrogio De Predis (?), Ritratto di Beatrice d’Este, olio su tavola, 51 × 34,5 cm. Oxford, Christ Church Picture Gallery, jbs 156. Per gentile concessione del Governing Body della Christ Church, Oxford.

33. Artista ferrarese del XV-XVI secolo, Ritratto di dama, 1485-1500, tempera e olio su tavola, 51 × 34 cm. Milano, Pinacoteca Ambrosiana, inv. 100.1 34. Leonardo da Vinci, Studio di cranio sezionato, 1489, penna, inchiostro marrone e tracce di pietra nera, 183 × 130 mm. Windsor, Royal Library, rl 19058v.3 35 e 36. “Nodo vinciano” con l’iscrizione academia leonardi vin[ci]. Milano, Biblioteca Ambrosiana, Incs. 9565 e.1 38 e 39. “Nodo vinciano” con l’iscrizione academia leonardi vi[n]ci. Milano, Biblioteca Ambrosiana, Incs. 9565 b.1 40. Jean Perréal, Ritratto di Pierre Sala, primo quarto del XV secolo, dal Petit Livre d’Amour di Pierre Sala. Londra, British Library, Stowe 955, c. 17r. © British Library Board.

48. Zurigo, ETH Institute of Particle Physics. © IPP. 68. Leonardo da Vinci, Busto di fanciullo di profilo, 1495-1500 ca., matita rossa, 100 × 100 mm. Windsor, Royal Library, rl 12519.3 69. Leonardo da Vinci, Busto di giovane di profilo, 1485 ca., penna e inchiostro, 137 × 82 mm. Windsor, Royal Library, rl 12432r.3 70. Leonardo da Vinci, Busto di giovane di profilo, 1517-1518, matita nera, 193 × 149 mm. Windsor, Royal Library, rl 12557.3 103. Leonardo da Vinci, San Girolamo penitente, 1480 ca., dipinto su tavola, 103 × 74 cm. Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca, inv. 40337. © Musei Vaticani, Città del Vaticano. Foto P. Zigrossi.

121. Giovanni Pietro Birago (1471-1513), carta di incipit dalla Sforziade di Giovanni Simonetta. Varsavia, Biblioteca Nazionale, Inc. f 1347, c. 6r. 122. Giovanni Pietro Birago, carta di incipit dalla Sforziade di Giovanni Simonetta. Parigi, Bibliothèque nationale de France, département des Imprimés, Réserve, Vélins 724, c. 9r. © BnF. 123. Giovanni Pietro Birago, carta di incipit dalla Sforziade di Giovanni Simonetta. Londra, British Library, g 7251, c. 9r. © British Library Board.



1 © Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Foto DEA/Veneranda Biblioteca Ambrosiana. 2 Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. È vietata ogni ulteriore riproduzione con



qualsiasi mezzo. 3 The Royal Collection Trust © HM Queen Elizabeth II 2012.

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Indice dei nomi

Aragona, Isabella d’ 53, 54, 57 Arcimboldi, Guidantonio 43 Beaujeu, Anna di 46, 58 Bellincioni, Bernardo 53, 55, 57 Bellini, Giovanni 121 Birago, Giovanni Pietro 136, 139, 141, 148, 150, 152 Boltraffio, Giovanni Antonio 10, 13, 28, 29, 33 Bora, Giulio 10 Bourdichon, Jean 26 Builloud, Marguerite 56 Carlo VII, re di Francia 26 Carlo VIII, re di Francia 25, 26, 29, 46, 58 Cennini, Cennino 25 Clouet, Jean 26 Contarini, Taddeo 59 Cornelius, Peter 18 Corradis, Bernardina de 57 Correggio, Niccolò da 49, 59 Costa, Lorenzo 47 Crivelli, Lucrezia 42, 55 Dal Pozzo, Ludovico 148 De Predis, Ambrogio 42, 47 Desiderio da Settignano 38 Dürer, Albrecht 121 Este, Alfonso d’ 47, 57, 59 Este, Beatrice d’ 41, 43, 45, 46, 47, 49, 51, 54, 57, 58, 59

Este, Isabella d’ 38, 40, 49, 51, 58 Fouquet, Jean 26 Francesco I, re di Francia 26 Gallerani, Cecilia 42, 55, 127 Ganz, Kate 9 Geddo, Cristina 10, 11, 19 Gherardini, Lisa 153 Ghirlandaio, Domenico (Domenico Bigordi) 135 Giampietrino (Giovan Pietro Rizzoli) 10 Giocondo, Francesco del 153 Giocondo, Lisa del v. Gherardini, Lisa Gregori, Mina 10, 19 Holbein, Hans, il giovane 53 Landino, Cristoforo 136 Lemaire de Belges, Jean 26 Luigi di Lussemburgo, conte di Ligny 25, 26 Luigi XII, re di Francia 25, 29 Luini, Bernardino 29 Maestro della Pala Sforzesca 10, 11, 13 Marchig, Giannino 135 Marchig, Jeanne 135, 136 Marco d’Oggiono 10 Massimiliano I, imperatore del Sacro Romano Impero 42, 43, 59 Mattia I Corvino, re di Ungheria 56 Melzi, Francesco 69, 99, 123 Michiel, Marcantonio 59 Montorfano, Giovanni Donato 43

169

la bella principessa Overbeck, Friedrich 18 Pacioli, Luca 57, 152 Pedretti, Carlo 11, 19 Perréal, Jean 25, 26, 29, 47, 49, 53, 56, 57, 152, 154 Pforr, Franz 18 Romano, Gian Cristoforo 41 Sala, Pierre 56 Sanseverino, Galeazzo 45, 57, 58, 136, 137, 152, 153 Sforza, Anna 47, 51, 57, 58, 59 Sforza, Bianca 57, 58, 59, 136, 137, 150, 152, 153 Sforza, Bianca Maria 42, 43, 47, 51, 54, 57, 59 Sforza, Francesco 19, 57, 148 Sforza, Gian Galeazzo 45, 53, 57

Sforza, Ludovico (il Moro) 29, 41, 42, 43, 45, 46, 47, 53, 55, 57, 58, 59, 127, 136, 148, 150, 153, 154 Silverman, Peter 9, 10, 11 Simblet, Sarah 25 Simonetta, Giovanni 19, 136, 148 Simonide di Ceo 56 Solario, Andrea 29 Sorel, Agnès 26 Strabone 148 Tebaldeo, Antonio 55 Turner, Nicholas 19, 23 Vasari, Giorgio 129 Visconti, Gasparo 54, 55 Woz´niak, Katarzyna 137 Wright, David Roy Edward 19, 136, 148 Zarotto, Antonio 136

170

Indice

Prefazione di Claudio Strinati Ringraziamenti degli autori Introduzione di Nicholas Turner

5 7 9

dallo stile dell’opera all’identità della figura ritratta di Martin Kemp

Il disegno I materiali utilizzati e l’analisi scientifica Lo stile dell’opera, la sua datazione e la moda dell’epoca La funzione dell’opera, il contesto poetico e l’identità della figura ritratta

17 21 33 53

le analisi fisiche e scientifiche

di Pascal Cotte, Martin Kemp, Eva Schwan

Martin Kemp, Introduzione 69 Pascal Cotte, L’elaborazione di immagini multispettrali 71 Il supporto 81 La tecnica 87 Pascal Cotte in collaborazione con Eva Schwan, I restauri 99 Pascal Cotte, L’analisi spettrale dei materiali 111 L’esame ai raggi X 119 Pascal Cotte e Martin Kemp, Le impronte digitali 121 Pascal Cotte, Un ulteriore confronto con la Dama dell’ermellino 127

nuove scoperte

di Martin Kemp e pascal cotte Martin Kemp e pascal cotte, La Bella principessa e la Sforziade di Varsavia Martin Kemp, Riflessioni conclusive sul valore delle prove raccolte

135 153

Note 155 Elenco delle illustrazioni 165 Indice dei nomi 169

Finito di stampare nell’aprile 2012.