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Italian Pages [201] Year 2000
ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI STORICI IN NAPOLI
GIANLUCA
CUNIBERTI
IPERBOLO ATENIESE INFAME
SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO MM
Questo volume è stato pubblicato con il contributo del
EGR.
ISBN 88-15-07834-7
© Copyright 2000 - Istituto Italiano per gli Studi Storici - Napoli
PREMESSA Noto soprattutto per essere stato l’ultimo ostracizzato costretto a lasciare Atene in seguito all'attuazione della procedura dell’ostracismo, Iperbolo è spesso relegato a un ruolo di secondo piano all’interno della vita pubblica ateniese. Sulla sua figura sembra infatti pesare una duplice condanna: l’una, dinanzi alla città, del δῆμος ateniese che ostracizzò il proprio προστάτης, rinnegandone prestigio e autorità, l'altra, di fronte alla storia, da parte delle fonti letterarie antiche che, unanimemente, testimoniano disapprovazione e ostilità nei confronti
di Iperbolo non tanto sul piano politico quanto soprattutto su quello etico!. Questo severo giudizio delle testimonianze letterarie ha una delle sue principali espressioni nella commedia attica antica, fonte allo stesso tempo preziosa e insidiosa: preziosa, perché partecipe dello stesso clima politico in cui Iperbolo agì, ma insidiosa, perché sempre subordina una sua qualche volontà e veridicità di racconto alla ricerca ! Tra i Comici troviamo riferimenti ad Iperbolo in: ARISTOPH., Ach. 846; Ez. 739, 1300 sgg., 1362; Nub. 553, 623, 1065; Vesp. 1007; Pax 681, 921, 1319; Thesm. 837; Ran. 570; CRAT. 209 K.A.; 283 K.A.; Eur. 193 K.A.; 194; 196 K.A.; 207-208-
209-210 K.A.; 252 K.A.; HerMIPP. 8-9-12 K.A.; Purwn. 77 K.A.; Leuco 1 K.A.; Poryzer 5 K.A.; PLar. Com. 182 K.A.; 183 K.A.; 185 K.A.; 203 K.A. Tra le altre fonti letterarie in: Tuuc., VIII 73, 3; Anpoc. fr. 5 (secondo la numerazione di G. DALMEYDA, Andocide Discours, Paris 1930, p. 132); Isocrk., De pace [VIII] 75; THeop. Hisr., FGrHist 115 F 95, 96a, 96b; Anpror., FGrHist 324 F 42; PHIocH., FGrHist 328 F 30; Prur., Arist. 7; Ale. 13, 7; Nic. 11, 6; Hımer., Or. 36, 18 p. 152, 63 Colonna; TuEop. MET., Misc. phil.-hist. 96 p. 608, 4-12 Müller-Kiessling. A que-
ste testimonianze si aggiungano le fonti epigrafiche IG I° 82 e IG I° 85, oltre a tre importanti ostraka recanti il nome di Iperbolo, per i quali vedi T.L. SHEAR, The Campaign of 1938, «Hesperia», VIII (1939), p. 246, fig. 47; H.A. THoMPsoN, The Exca-
vation of tbe Atbenian Agora. Twelftb Season: 1947, «Hesperia», XVII (1948), pp. 186-87, 194, fig. 8; M.L. LANG, Ostraka. Tbe Atbenian Agora, vol. XXV, Princeton,
New Jersey 1991, p. 64, fig. 11.
VII
IPERBOLO
continua di motivi comici e satirici. Infatti, proprio da Aristofane e dagli altri poeti comici, a noi noti solo da frammenti, partì la «légende noire» che condizionò il giudizio di storici antichi e moderni. Quanto alla storiografia moderna, essa ha studiato Iperbolo prevalentemente in relazione all’ostracismo, episodio che vide lo scontro di forze politiche la cui analisi risulta complessa. Al contrario, soltanto uno studio globale sulla figura di Iperbolo può forse contribuire a chiarire questo momento così delicato e significativo della democrazia ateniese. A tale proposito sono purtroppo rimasti isolati gli studi di Ferdinando Camon, a cui sono seguite solo le utili sintesi di Barry Baldwin e Patrice Brun, accompagnate da alcuni contributi contenuti nei più comuni strumenti di carattere prosopografico?.
Il presente lavoro vuole dunque tentare di colmare questo vuoto, con l’intento anzitutto di verificare il giudizio negativo espresso dalle numerose testimonianze antiche e individuare eventuali parzialità che
potrebbero aver alterato l’immagine del demagogo ateniese. Nella dovuta considerazione saranno inoltre tenute le fonti epigrafiche, documenti che con indubitabile obiettività testimoniano una realtà storica
la cui interpretazione tuttavia è spesso difficile. La ricerca storica, volta a ricostruire la figura di Iperbolo, mostrerà infine tutte le proprie potenzialità rivelandosi come una straordinaria occasione di seguire un uomo politico ateniese nella sua formazione, nella sua ascesa sociale e politica, nei suoi immancabili in-
successi. Prima erede di Cleone, poi vittima dell’ostracismo, Iperbolo si trovò ad agire in un clima politico acceso e complesso, sospeso tra la derisione dei poeti comici e i motivi della propaganda politica, tra i facili entusiasmi del popolo e gli accordi segreti delle eterie. ? Sulla biografia di Iperbolo: H. Swononpa, s.v. Hyperbolos, RE, IX, 1914, coll. 254-58; F. Camon, Datazione delle seconde Nubi di Aristofane e della leromnemonia di Iperbolo, «GIF», XIV (1961), pp. 54-62; Ip., Figura ed ambiente di Iperbolo, «Riv. St. Cl.», IX (1961), pp. 182-97; In., La demagogia di Iperbolo, «GIF», XV (1962),
pp. 364-74; Ip., Le cariche pubbliche di Iperbolo,
« GIF», XVI (1963), pp. 45-59; Ip.,
L'ostracismo di Iperbolo, «GIF», XVI (1963), pp. 143-62; B. BALDWIN, Notes on Hyperbolus, « AClass», XIV (1971), pp. 151-56; P. Brun, Hyperbolos, la création
d'une «légende noire», «DHA»,
XIII (1987), pp. 183-98. Rilevanti sono poi i se-
guenti lavori prosopografici: H.A. HorpEN, Onomasticon Aristophaneum, Cambridge
1902 [Hildesheim 1970], s.v. Ὑπέρβολος; I. KIRCHNER, Prosopograpbia Attica, 2, Berlin 1903, pp. 329-31; J.K. Davies, Athenian Propertied Families, Oxford 517.
1971, p.
PREMESSA
Prima di entrare nel merito della ricerca ora presenta mi conceda ancora qualche parola per ringraziare quant. permesso di portare a compimento questo lavoro: anziti maestro prof. Silvio Cataldi, che da anni segue con prezios. pazienti insegnamenti la mia attività di ricerca. Sentitament
altresì ringraziare il prof. Marcello Gigante, il prof. Gennarc dott. Marta Herling e il dott. Stefano Palmieri dell’Istitutc per gli studi storici, che, nell'anno di perfezionamento, hai
possibile il concretizzarsi del progetto di ricerca che si concl questa pubblicazione. Pensate in memoria di mio padre, desidero congedare que pagine accompagnandole con una dedica (che vorrebbe essere p. ciale di quanto queste parole sanno esprimere) a Elisa, alla mia glia, a quanti con il loro amore danno significato al mio lavoro mia vita.
INTRODUZIONE
Iperbolo, μοχθηρὸς ἄνθρωπος.
Da un'analisi lessicale alle prime implicazioni socio-politiche. L'inappellabile e severa condanna che le fonti antiche esprimono nei confronti di Iperbolo è ben testimoniata e sintetizzata da Tucidide che in un solo passo parla del demagogo, dando la notizia della sua uccisione a Samo nel 411 ad opera degli oligarchici. Questi ultimi infatti, «persuasi da Pisandro quando si era recato presso di loro e dai congiurati ateniesi, congiurarono anch'essi, circa in trecento, e si ac-
cinsero ad assalire gli altri in quanto democratici»!. In VIII 73, 3 poi Tucidide aggiunge: Kai Ὑπέρβολόν τὲ τινα τῶν ᾿Αθηναίων, μοχθηρὸν ἄνθρωπον, ὠστρακισμένον où διὰ δυνάμεως καὶ ἀξιώματος φόβον, ἀλλὰ διὰ πονηρίαν καὶ αἰσχύνην τῆς πόλεως ἀποχτείνουσι ... 2.
Esamineremo in seguito il passo tucidideo nella sua interezza; interessa ora porre l’attenzione sui termini pesantemente negativi con i
quali lo storico connota Iperbolo: l'aggettivo μοχθηρός e i sostantivi πονηρία e αἰσχύνη sono contrapposti, almeno obliquamente e per negazione, a δύναμις e ἀξίωμα, venendo così a indicare le caratteristiche
che contraddistinguerebbero Iperbolo in ambito politico ed etico. Per chiarire rilievo e funzione di questi termini è infatti conseguente la necessità di aprire un'indagine lessicale che, partendo anzitutto dalle
! Tuuc., VIII 73, 2. 2 Tuuc., VIII 73, 3. Trad.: «E uccidono Iperbolo, uno degli Ateniesi, un uomo malvagio, ostracizzato non per paura della sua potenza o del suo prestigio, ma per la sua disonestà e perché era la vergogna della città».
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IPERBOLO
due coppie di sostantivi e dal loro ricorrente uso nella storia tucididea?, sappia valorizzare, nella frammentarietà e parzialità delle fonti sul demagogo, ogni indizio utile alla ricostruzione storica. Il sostantivo πονηρία e l'aggettivo πονηρός compaiono in Tucidide nei seguenti passi: πονηρία VI 53, 2; VIII 47, 2; VIII 73, 3 πονηρός VI 53, 2; 89, 5; VII 48, 1; 48, 2; VIII 24, 5; 97, 2 πονηρῶς VII 83, 4
Possiamo anzitutto notare che l'uso del termine & tutto concentrato negli ultimi tre libri dell'opera tucididea e precisamente nel capitolo 53 del sesto libro, dove compaiono sia l'aggettivo sia il sostantivo. In questo capitolo si narra che gli Ateniesi, tornati a Catania dopo che i Camarinesi rifiutarono loro l'accoglienza, vi trovarono la nave Salaminia, giunta da Atene per portare l'ordine di ripartire ad Alcibiade e agli altri soldati denunciati insieme a lui per la violazione dei misteri e per la questione delle erme. Cogliendo lo spunto da questo fatto, Tucidide nei paragrafi 2-5 viene a descrivere le modalità di
svolgimento delle indagini condotte ad Atene dopo la partenza della flotta per la Sicilia. Continuo timore e sospetto condizionavano gli Ateniesi che, secondo lo storico, cosi si comportavano: xai οὐ δοχιμάζοντες ἀνθρώπων
πίστιν
πάνυ
τοὺς μηνυτάς, ἀλλὰ πάντα ὑπόπτως
χρηστοὺς
τῶν
πολιτῶν
ἀποδεχόμενοι,
ξυλλαμβάνοντες
κατέδουν,
διὰ πονηρῶν χρησιμώτερον
ἡγούμενοι εἶναι βασανίσαι τὸ πρᾶγμα καὶ εὑρεῖν fj διὰ μηνυτοῦ πονηρίαν τινὰ καὶ χρηστὸν δοκοῦντα εἶναι αἰτιαθέντα ἀνέλεγχτον διαφυγεῖν4.
Dunque, mossi da πονηρία, e πονηροί essi stessi, sono in questo passo i delatori che fecero sottoporre ad inchiesta cittadini χρηστοί:
netta è l'opposizione fra cittadini onesti e cittadini disonesti. Come aggettivo al grado superlativo il termine ricorre poi in VI 89, 5. Nell'inverno del diciassettesimo anno di guerra (415-14), gli 3 Cf. E.A. BETANT, Lexicon Thucydideum, Genève 1843-47 [Hildesheim 1961]. 4 Tuuc., VI 53, 2. Trad.: «e senza esaminare i delatori, ma accogliendo tutto con sospetto, poiché si fidavano di persone disoneste, prendevano e incarceravano i
più onesti fra i concittadini, ritenendo che fosse più utile trovare le prove del fatto, piuttosto che, per la disonestà del delatore, lasciar fuggire senza processo uno accusato, anche nel caso in cui costui sembrasse essere onesto».
INTRODUZIONE
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Ateniesi a Catania ricostruirono l'accampamento incendiato dai Siracusani e ἢ svernarono; mandarono poi una trireme a Cartagine ed una in Tirrenia nella speranza di ottenere un qualche aiuto. Inviarono inoltre messi ai Siculi e ordinarono a Segesta di mandar loro il maggior numero di cavalli possibile: erano infatti in pieno svolgimento i preparativi per la ripresa della guerra. Anche i Siracusani intensificarono la propria attività diplomatica inviando i loro ambasciatori a Corinto e Sparta. I Corinti «decretarono subito per primi di difenderli con ogni ardore» e anzi unirono propri ambasciatori a quelli siracu-
sani «per persuadere anche gli Spartani a fare più decisamente in Grecia la guerra contro gli Ateniesi e a mandare un aiuto in Sicilia». In quel tempo era giunto a Sparta, chiamato dai Lacedemoni, Alcibiade. Per un’adesione spartana all’invio di aiuti, decisivo fu il suo intervento di fronte all'assemblea dei Lacedemoni. Proprio a questo discorso appartiene VI 89, 4-5: [4] Τοῖς γὰρ τυράννοις αἰεί ποτε διάφοροί ἐσμεν (πᾶν δὲ τὸ ἐναντιούμενον τῷ Svvaστεύοντι δῆμος ὠνόμασται), καὶ ἀπ' ἐχείνου ξυμπαρέμεινεν ἡ προστασία ἡμῖν τοῦ πλήθους.
[5] "Apa δὲ καὶ τῆς πόλεως δημοχρατουμένης τὰ πολλὰ ἀνάγχη ἦν τοῖς παροῦσιν ἕπεσθαι. Τῆς δὲ ὑπαρχούσης ἀχολασίας ἐπειρώμεθα μετριώτεροι ἐς τὰ πολιτικὰ εἶναι. "AAAoı δ᾽ ἦσαν καὶ ἐπὶ τῶν πάλαι καὶ νῦν οἵ ἐπὶ τὰ πονηρότερα ἐξῆγον τὸν ὄχλον᾽ οἴπερ καὶ ἐμὲ ἐξήλασαν ὅ,
In questo passo Alcibiade si difende dall’accusa di essere stato favorevole al δῆμος. Dice di aver aderito al governo del δῆμος per due
motivi: anzitutto per l’odio nei confronti della tirannide, poi perché in una città Snuoxpatovpévn era necessario adattarsi alla situazione". 5 Tuuc., VI 88, 8. $ Tuuc., VI 89, 4-5. Trad.: «Noi siamo da sempre ostili ai tiranni (tutto quello
che si oppone a un dominatore è definito democrazia) e da questo fatto restò a noi la guida del popolo. Inoltre, siccome la città era governata da una democrazia, spesso era necessario adattarsi alla situazione. [5] E riguardo all’agire pubblico cercammo di
essere più moderati di quanto non comportasse la sfrenatezza che vi era. Altri vi erano, in passato e ora, che spingevano la folla alle azioni più disoneste; e costoro cacciarono anche me».
? Interessante a questo proposito è evidenziare la riflessione di Alcibiade secondo cui «è definito δῆμος tutto quello che si oppone a un dominatore». Secondo questa definizione sembrerebbe poter essere detto δῆμος anche un'aristocrazia come quella spartana. Probabilmente è legittimo leggere nelle parole di Alcibiade l'abile considerazione di un oratore che vuole far apparire la propria posizione, presente e
soprattutto passata, vicina a quella dell'uditorio spartano.
XIV
IPERBOLO
Aggiunge però di aver saputo assumere la guida della maggioranza, la προστασία τοῦ πλήθους, derivante dall’ostilità verso i tiranni, ostilità
non soltanto sua, ma tradizionalmente propria degli Alcmeonidi, il cui apporto fu determinante, ad esempio, in occasione dell’espulsione di Ippia, come testimonia lo stesso Tucidide8. Alcibiade poi prosegue definendo il ruolo che aveva saputo svolgere nella politica ateniese: rivendica per sé una certa moderazione, che egli cercò di op-
porre alla sfrenatezza di quelli che «spingevano la folla alle azioni più disoneste». Dall’agire disonesto e spregiudicato di costoro anch'egli fu travolto e costretto così a non poter più tornare ad Atene. Πονηρότερα, ancor più malvagie di quanto già non fossero state precedentemente, sono dunque dette le azioni alle quali la folla è indotta da quegli stessi che, secondo Alcibiade, sono responsabili del proprio coinvolgimento nello scandalo della violazione dei misteri. Il termine, del quale ora si ripercorre ed esamina l’uso, ritorna poi, nella forma di sostantivo, in VIII 47, 2: anche in questo caso,
come nel precedente, è utilizzato da Tucidide in una frase attribuita ad Alcibiade, sia pure non all’interno di un discorso, ma in un messaggio epistolare. Questo capitolo 47 attesta infatti che nell’inverno 412-11, in un contesto e tra circostanze che avremo modo in seguito
di approfondire e chiarire, Alcibiade pensava ad un proprio rientro in patria servendosi dell’amicizia venutasi a creare con Tissaferne. I soldati
ateniesi
a Samo
vennero
a sapere
di questa
sua influenza
presso il satrapo: di conseguenza i trierarchi degli Ateniesi a Samo e i più potenti cittadini, sia per questa notizia sia perché era loro desiderio, si mossero ad abbattere la democrazia. Tucidide aggiunge che lo stesso Alcibiade aveva mandato una lettera «ai più potenti di
loro», ovverosia a quegli stessi δυνατώτατοι (è questo il termine che ricorre in Tucidide) che si fecero promotori, insieme ai trierarchi, del
colpo di stato oligarchico. Lo storico riferisce così il contenuto del messaggio: ᾿Αλχιβιάδου προσπέμψαντος λόγους ἐς τοὺς δυνατωτάτους αὐτῶν ἄνδρας ὥστε uvnσθῆναι περὶ αὐτοῦ ἐς τοὺς βελτίστους τῶν ἀνθρώπων ὅτι éx' ὀλιγαρχίᾳ βούλεται καὶ οὐ πο-
8 Tuuc., VI 59, 4.
INTRODUZIONE
xv
νηρίᾳ οὐδὲ δημοχρατίᾳ τῇ αὐτὸν ἐκβαλούσῃ χατελθὼν καὶ παρασχὼν Τισσαφέρνην φίλον αὖ-
τοῖς ξυμπολιτεύειν3.
Alcibiade preparava il proprio rientro ad Atene e condizione indispensabile perché ciò si potesse verificare doveva essere l'abbattimento di quella democrazia che gli era ostile: questa doveva sembrargli l’unica via percorribile. Forte della sua attuale posizione di stimato consigliere di Tissaferne e del re, prometteva dunque l’aiuto persiano ad una Atene che fosse divenuta oligarchica e avesse permesso il suo ritorno. Le sue parole rivelano espressamente l’intenzione di voler tornare ad Atene, purché ciò avvenisse sotto un governo e una forma di Stato di natura oligarchica. Fu così infatti che Alcibiade si trovò a far propria la promozione di una causa che certo doveva trovare terreno fertile fra i δυνατώτατοι e i βέλτιστοι ateniesi. Non interessa al nostro
scopo valutare la sincerità della fede politica di Alcibiade, alla quale ? Tuuc., VIII 47, 2. Trad.: «... Alcibiade, avendo mandato una lettera ai più
potenti di loro perché facessero menzione di lui ai migliori cittadini di Atene, riferendo che egli, dopo essere tornato in patria e aver fatto di Tissaferne un amico di Atene, voleva vivere da cittadino, insieme a loro, sotto l’oligarchia e non sotto la malvagia democrazia che lo aveva esiliato». Nel trarre considerazioni da questo passo dobbiamo tenere presente che H. van HERWERDEN, Thucydidis Historiae, V, Utrecht 1882, ad loc., ha espunto il sintagma οὐδὲ Snuoxparia considerandolo una glossa en-
trata nel testo; seguono questa congettura E.F. Poppo-I.M. SrAur, Thukydidis de bello Peloponnesiaco libri octo, IV, Leipzig 1882, ad /oc.; H.C. GoopHarT, The Eighth Book of Thukydides’ History, London 1895, p. 70; C. Hupz, Thucydidis Historiae, II, Lipsia 1901, p. 247; J. CrAssEN-J. STEUP (hrsg. v.), Thukydides, VIII, Berlin 1922, ad loc. Non ricorrono invece ad espunzione, accettando il testo tradito, K.W. Κκύσεκ, Thucydidis Historiae, II, Berlin 1858 [rist. anast. Hildesheim-New York 1972], p. 127; H. Stuart Jones-J.E. Powect, Thucydidis Historiae, II, Oxford 19582, ad loc.; R. WeıL (Par), Thucydide. La guerre du Péloponnese, livre VIII, V, Paris 1972, p. 38. Più recentemente A. Anprewes-K.J. Dover (HCT, V, Oxford 1981, p. 107) ritengono che, con l'espunzione del termine in questione, l'espressione risulti più efficace. Di opinione completamente opposta è invece M. CAGNETTA (Due agoni nell'ottavo libro di Tucidide, «QS», XII, 1980, p. 250), che rileva come l’en-
diadi voglia «dare forza all'intonazione antidemocratica cui Alcibiade intende improntare le sue parole per giustificare la propria condotta presente e passata». Cf. inoltre Tuuc., VI 92, 3; Xen., Mem. III 5, 18-20; in tutta l’Atbenaion Politeia dello Pseudo-Senofonte si noti inoltre il ricorrere in parallelo e stretta connessione dei termini πονηρία e Snuoxparia in tutti i loro aspetti morfologici: cf. [Xen.), Ath. Rsp. I
4-5; 7-8; II 19-20. Cf. M. GIGANTE, La Costituzione degli Ateniesi. Studi sullo PseudoSenofonte, Napoli 1953, pp. 27-49, 183-85.
XVI
IPERBOLO
certo non furono pronti a credere molti ateniesi tra cui probabilmente lo stratego Frinico e lo stesso Tucidide !9; è funzionale invece alla nostra ricerca l'uso di πονηρία in relazione e connessione con Snuoxpatia.
Alcibiade esprime la volontà di non voler più vivere «né in malvagità né in democrazia». È implicito che egli non era più disposto ad accettare quella πόλις δημοχρατουμένη alla quale in passato si era adat-
tato e nella quale aveva svolto un ruolo di guida, stando a quanto Alcibiade stesso aveva detto nel discorso di fronte agli Spartani in VI 89, 4. In Atene l'àxoAacia sembrava aver vinto su ogni μετριώτης e
proprio in conseguenza di questo la democrazia ateniese nel suo complesso appariva ad Alcibiade come una πονηρία da condannare e riformare in senso oligarchico; impossibile oltre tutto sarebbe stato un suo rientro in una città che proseguisse in quelle scelte e decisioni prettamente democratiche delle quali l'aristocratico Alcibiade aveva perso il controllo. Ora, l'uso del termine πονηρία come espressione della condanna
verso una certa situazione ateniese è rintracciabile non solo nelle parole messe sulla bocca di Alcibiade, ma anche in altri passi tucididei. In quattro di essi si ritrova l'aggettivo πόνηρα (si noti l’accentazione ritratta) come attributo di tà πράγματα.
Questa espressione è
usata da Tucidide per due volte in VII 48, 1-2, nei paragrafi che riferiscono il parere di Nicia di fronte agli insuccessi del 413, quando Demostene era ormai favorevole ad un ritiro dalla Sicilia. Con τὰ πράγματα πόνηρα viene ad essere qui indicata la situazione ateniese in
Sicilia ormai gravemente compromessa; l’aggettivo ritorna poi al secondo paragrafo quando Nicia esprime la propria speranza che «la situazione del nemico sarebbe stata ancora peggiore, πονηρότερα [di quella degli Ateniesi], se avessero continuato nell’assedio». Analogo nell'uso e nel significato è poi da considerarsi l'avverbio πονήρως presente in VII 83, 3. Così infatti in questo paragrafo appare connotata la situazione in cui si trovavano Nicia e i soldati ateniesi,
attaccati e circondati dai Siracusani e da Gilippo, quando già quelli di Demostene si erano arresi e invitavano Nicia a fare altrettanto: εἶχον δὲ καὶ οὗτοι πονήρως σίτου te xai τῶν ἐπιτηδείων ἀπορίᾳ11. 0 Τηυς,, VIII 48, 4. 1! THuc., VII 83, 3. Trad.: «Anche questi erano a mal partito, in grande difficoltà per la mancanza di cibo e di viveri».
INTRODUZIONE
L'espressione tà πράγματα πόνηρα ritorna poi in VII
2. Nel primo circostanze in di aver avuto lorosi alleati e
dei due passi si trova testimonianza del n cui i Chii presero coraggio per la defezione la possibilità di condividere il pericolo con di essersi accorti che anche gli Ateniesi eran
difficoltà: infatti i Chii τοὺς ᾿Αθηναίους ἠσθάνοντο οὐδ᾽ adtı yovtag ἕτι μετὰ τὴν Σιχελικὴν ξυμφορὰν ὡς οὐ πάνυ πόνηρα βαίως τὰ πράγματα εἴη ... 12.
Interessante è anche il secondo passo sopracitato. Nel 97 dell'ottavo libro Tucidide infatti riporta le decisioni dell'as degli Ateniesi che decretò la fine del governo dei Quattrocent. sediamento di quello dei Cinquemila. Nei paragrafi 2-3 così leg [2] Kai οὐχ fixiota δὴ τὸν πρῶτον χρόνον ἐπί γε ἐμοῦ ᾿Αθηναῖοι φαίνονται τεύσαντες᾽ μετρία γὰρ fj τε ἐς τοὺς ὀλίγους καὶ τοὺς πολλοὺς ξύγχρασις ἐγένετο xai νήρων τῶν πραγμάτων γενομένων τοῦτο πρῶτον ἀνήνεγχε τὴν πόλιν. [3] Ἐψηφίσαντο ᾿Αλχιβιάδην καὶ ἄλλους LET αὐτοῦ κατιέναι καὶ παρά τε ἐχεῖνον καὶ παρὰ τὸ ἐν Σάμῳ
τόπεδον πέμψαντες διεκελεύοντο ἀνθάπτεσθαι τῶν πραγμάτων 15.
Tucidide dunque con un giudizio positivo presenta l’abba mento del regime oligarchico e l’instaurarsi della nuova democra dei Cinquemila timocratica e moderata. Finalmente, sottolinea lo st rico, Atene ha un buon governo e dimostra di saper prendere d buoni provvedimenti per la prima volta da quando i tà πράγματα d. vennero πόνηρα5. 1? Tuuc., VIII 24, 5. Trad.: «(I Chii) sapevano che neppure gli stessi Ateniesi
negavano, dopo il disastro in Sicilia, che la loro situazione fosse assai difficile». 3 Tuuc., VIII 97, 2-3. Trad.: «[2] E soprattutto per la prima volta ai miei tempi gli Ateniesi hanno mostrato di governarsi bene: avvenne infatti una moderata
mescolanza di oligarchia e democrazia e, da quando la situazione era inesorabilmente peggiorata, questi furono i primi provvedimenti che risollevarono la città. [3] Decre-
tarono anche il rientro di Alcibiade e di altri insieme a lui, e avendo inviato messaggi a lui e all'esercito di Samo li esortarono ad occuparsi degli affari pubblici». 14 Cf. G. Donmi, La posizione di Tucidide verso il governo dei Cinquemila, Torino 1969; L. Canrora, Tucidide e il governo dei Cinquemila, «Il pensiero politico», IV (1971), pp. 421-25; G.M. Krrkwoop, Thucydides Judgment of the Constitution of the Five Thousand (VIII, 97, 2), «AJPh», XCIII (1972), pp. 92-103; J. PLEscIA,
Thucydides and the Quest for a Political Blueprint,
«A&R», XXIV (1979), pp. 130-
38. Si notino inoltre i modi e i contenuti con cui Arıstor., Ath. Rsp. 33, 2 è concorde con Tucidide nel giudizio positivo riguardo al nuovo regime.
XVII
IPERBOLO
Nella forma parossitona è evidente che questo aggettivo sviluppa un uso e un significato per lo più concreto, che sottolinea in questo caso la mancanza di viveri e di mezzi: è altresì evidente, tuttavia, che tale «cattiva condizione» è presentata sempre come conseguenza di una sottesa πονηρία morale che, procedendo per parallelo, l'aggettivo solitamente esprime in modo esplicito quando è accentato come parola ossitona, implicando in questo caso tutto il proprio importante ruolo e significato politico. Così sviluppandosi, l’aggettivo πονηρός viene infatti a connotare e descrivere un intero momento della storia politica e costituzionale di Atene. Proprio per questo dunque, dall'esame sinora svolto dell'uso che Tucidide fa del termine, è possibile definire con maggior precisione le caratteristiche e l'ambito cronologico di un periodo che lo storico designa come estremamente negativo. Πονηρά è l'Atene dei delatori (VI 53, 2), 46 ἀκολασία demagogica introdotta da Cleone (VI 89, 5), della democrazia radicale che si
liberò infine di Alcibiade, costringendolo all’esilio: è quella città nella città, che volle la spedizione in Sicilia, venendo a trovare proprio in essa occasione di pesante sconfitta. Πόνηρα vennero così ad essere tutti i πράγματα, tutta la situazione di Atene almeno fino ai Cinque-
mila, i quali, secondo Tucidide, seppero finalmente apportare un miglioramento nel sistema di governo ateniese, conciliando democrazia e oligarchia. Lo storico, nel passo VIII 97, 2 sopracitato, non dice esplicitamente da quando τὰ πράγματα cominciarono a divenire πόνηρα: è noto tuttavia come sia possibile sostenere che, secondo lo storico,
questo processo degenerativo della vita politica inizia con la scomparsa di Pericle, con la quale coincide la fine di un certo modello di democrazia moderata e l'affermarsi di un comportamento violento, che genera discordia, στάσις all'interno della città per la conquista di una posizione di primato da parte dei προστάται τοῦ δήμου e spinge ad una irresponsabile condotta in guerra!?. Questa degenerazione è sinteticamente descritta in II 65, in cui si sottolinea, al paragrafo 11, che
il più grande errore fu la spedizione in Sicilia. Proprio nel periodo del 415-14 è infatti da individuarsi il momento di massima πονηρία: scan-
dalo dell'abbattimento delle erme e della profanazione dei misteri, fe15 Sulla στάσις e il πόλεμος, βίαιος διδάσχαλος, si tenga costantemente presente il giudizio tucidideo di III 82-83.
INTRODUZIONE
XIX
nomeno della delazione, spedizione in Sicilia, accusa ed esilio di Alcibiade sono gli elementi che caratterizzano questi anni, infiammando ed inasprendo la lotta politica. Un tale giudizio & anche testimoniato dal fatto che il termine & presente solo a partire dal capitolo 53 del sesto libro, che narra proprio i fatti del 415-14, anche se la πονηρία
dovette caratterizzare anche gli anni precedenti: essa infatti è attribuita ad Iperbolo che certo non più tardi del 416-15 fu ostracizzato da Atene. Tucidide, formulando in VIII 73, 3 il breve giudizio, ricco
di implicitazioni, sul demagogo, sembra volgersi indietro e così unire alle sorti e al cammino politico di Iperbolo la valutazione ideologica del passato e del destino futuro della democrazia ateniese. In quest'ottica, tutto il periodo postpericleo dovette apparire allo storico πονηρός: tuttavia, all’interno dell'ambito cronologico, disonesto per eccellenza gli dovette sembrare proprio Iperbolo, individuo assunto a simbolo di un malcostume politico generalizzato. Per completare e integrare il quadro sinora tracciato, significativo è anche l'uso dell'altro termine impiegato da Tucidide per connotare negativamente Iperbolo: αἰσχύνη della città. Nell’uso tucidideo è necessario anzitutto distinguere in αἰσχύνη due livelli semantici!6: se
infatti in alcuni passi, come nel nostro, si può intendere questo termine sovrapponendo ad esso il significato di dedecus (disonore, onta, vergogna)!7, altrove il valore di αἰσχύνη appare assumere una sfumatura di significato diversa, vicina al latino verecundia, sentimento di vergogna, ma anche di rispetto e di onore!8. Importante, nel nostro caso, è soprattutto II 37, 3, in cui si esplica la ragione, o una delle ragioni, per cui un uomo può essere colpito da αἰσχύνη. È un passo
dell'orazione di Pericle per i caduti del primo anno di guerra e in questo paragrafo in particolare è attestato, nella mediazione tucididea, l'elogio che il figlio di Santippo rivolge al vivere democratico dei cittadini di Atene, i quali, nei rapporti privati come nella vita pubblica, non violano i νόμοι, «in obbedienza a coloro che sono nei posti di
comando e nel rispetto delle leggi istituzionali (i νόμοι appunto) e, fra 16 Per l'uso e il valore di αἰσχύνη, αἰσχύνεσθαι nell'oratoria politica, cf. AESCHIN., In Tim. [I] 26; Anpoc. F 5 Dalmeyda e l'ampia ricorrenza del termine in De-
mostene. Cf. L. CanroRA, Lessico politico. Oratoria politica e giudiziaria in Atene, «QS»,
IV 8 (1978), p. 296. 1? Tuuc., I 5; Il 37, 3; III 63, 4; V 101; VIII 73, 3.
8 Tuuc., I 84, 3; II 51, 5; IV 19, 3; V 104; V 111, 3.
j
ΧΧ
IPERBOLO
di esse, in particolare di quante sono poste a tutela di chi subisce ingiustizia e di quante, pur essendo non scritte, portano una αἰσχύνη da tutti riconosciuta» nei confronti di chi le infrange!?. Ora, guardando al discorso di Pericle con gli occhi di Tucidide, non ἃ certo difficile scorgere in questo passo il rimpianto per la nobile società civile qui descritta, tutta articolata intorno ai νόμοι tradizionali: non di meno
ne consegue, ancora sottolineata, l'implicita contrapposizione tra l'età
periclea e la democrazia radicale cleoniana e postcleoniana, dialetticamente sintetizzata nello scontro istituzionale tra l'obbedienza e il senso dello Stato conseguente al νόμος e il disordine politico e sociale degli ψηφίσματα,
scontro che Tucidide stesso lascia sottintendere
e
presumere nelle parole di Pericle quale rischio che, dopo la scomparsa dello statista, non si riuscirà ad evitare. L'età periclea si eleva cosi ad
esempio e monito per il tempo presente vissuto dallo storico. Si noti infine che un'importanza particolare & data al passo tuci-
dideo preso ora in esame dal fatto di essere l'unico, oltre a quello relativo ad Iperbolo, nel quale il termine αἰσχύνη sia connesso ad una realtà tutta ateniese2°: gli Ateniesi sono colpiti da αἰσχύνη quando tra-
sgrediscono i νόμοι scritti e non scritti. Resta da considerare l'altra coppia di sostantivi che, contrapposta a πονηρία e αἰσχύνη, indica qualità delle quali, in una prospettiva ora capovolta in negativo, Iperbolo sarebbe privo: δύναμις e ἀξίωμα.
Ad un'analisi lessicografica, ampia e diversificata risulta la frequenza di δύναμις in Tucidide. Dei vari valori semantici che il termine assume (vires corporis aut ingenii, vis, efficacia, copiae, ditio, copia, pre-
tium) interessa alla nostra ricerca, in coerenza con il contesto di VIII 73, 5, la sfera di significato riconducibile ai termini latini potentia e
opes. Posta questa premessa, & possibile rilevare che, nella maggior parte dei casi, δύναμις ἃ riferito a città o popoli?!; per contro sono 1? Cf. Truc., II 65, 7.10-11.
20 Infatti, negli altri paragrafi sopracitati in cui il significato di αἰσχύνη è riconducibile al latino dedecus, il contesto è sempre riguardante una situazione che non coinvolge Atene (ma ad esempio i pirati in I 5) o che vede la città attica solo in relazione ad altre città greche (Plateesi in III 63, 4; Meli in V 101 7! Riferito a città così ricorre: Lacedemoni, Sparta: I 10, 2; 18, 2; Greci: I 15, 2; Epidamno: I 24, 3 e 4; Corcira: I 32, 5; 33, 2; 39, 3; 55, però solo ad alcuni Corciresi); i Greci opposti ad Atene: I 70, 3; Atene: I 93, 3; 121, 3; II 41, 2; 41, 4; 43; 62, 3; 64, 3; III 87, 2; IV 60; 108, 4; V
coinvolta e 111). IV 18, 2; 1 (riferito 72; 77, 3; 14, 3; 44;
INTRODUZIONE
XXI
pochissimi i casi in cui il termine sia usato in relazione a determinate persone singole. In possesso di δύναμις sono infatti detti Agamennone22, Pelope?3 e i tiranni di Sicilia24. E così indicato inoltre il potere che Nauclide e i suoi vogliono ottenere aprendo le porte di Platea ai Tebani e sperando di sbarazzarsi degli avversari (nell'anno 431-30)25. ὁ In passi seguenti a quelli ora citati si vede poi come la δύναμις sia infine attribuita a Pericle26, a Serse?? e, in due circostanze, ad Alci-
biade?8. Volendo chiarire ulteriormente il valore del termine in relazione al giudizio tucidideo su Iperbolo, particolare rilevanza acquistano i tre passi in cui δύναμις ἃ riferita a Pericle e ad Alcibiade, essendo entrambi i personaggi partecipi dello stesso clima politico in cui anche il demagogo si formò e svolse la propria attività pubblica. In VI 16, 2 € Alcibiade stesso a parlare, presentandosi di fronte agli Ateniesi: in questo discorso afferma tra l'altro di aver ormai dimostrato la propria δύναμις grazie alla vittoriosa delegazione che egli mise in gara ad Olimpia, procurandosi la possibilità di esaltare di fronte a tutti i Greci la superiorità di Atene. Altra situazione è invece sottesa in VIII 81, 2: Alcibiade, rientrato a Samo in seguito all’intervento di Trasibulo, pronuncia un discorso in cui, «esagerando, esalta la propria potenza presso Tissaferne»2°; in tal modo egli intende ac95; 104; 105, 2; VI 6, 2; 11, 4; 16, 2; VI 20, 3; 24, 3 e ibidem; 31, 4; 53, 4; 47; 82, 3; 92, 5; VII 28, 3; 42, 2; 56, 2; 77, 7; Medi: I 73, 5; 118, 2; Lesbo: III 3; 9, 2; 39,
2; 39, 3; Siracusa: V 4, 5; VI 6, 2; 21; 34, 8; 37; 78, 5; Peloponneso: VI 17, 1; Sicilia: VI 17, 2. Dal lungo elenco ? tuttavia evidente che, nella storia tucididea, la città potente per eccellenza & senz'altro Atene. 2 Tuuc., I 9. 2 Tuuc., 1 9, 2. 2 THuc., I 17. 3 Tuuc., II 2, 2. 26 Tuuc., II 65, 8.
2 Tuuc., III 56, 5. 28 THuc., VI 16, 2; VIII 81, 2. 2 THuc.,
VIII
81,
2: καὶ ὑπερβάλλων
ἐμεγάλυνε
τὴν
ἑαυτοῦ
δύναμιν
παρὰ
τῷ
Τισσαφέρνει. Sulla vantata amicizia di Alcibiade con Tissaferne, cf. J. HATZFELD, Al cibiade: étude sur l’histoire d’Athenes à la fin du V siècle, Paris 1940, p. 228; E. DELEBECQUE, Sur deux phrases de Thucydide, «REG», LXXVII (1964), pp. 34-49; W.E. ΤΉΟΜΡΞΟΝ, Tissaphernes and the Mercenaries, «Philologus», CIX (1965), pp. 294-97; H.D. WestLAKE, Individuals in Thucydides, Cambridge 1968, pp. 166-67, 238-42;
XXII
IPERBOLO
creditare l'importanza del proprio ruolo di fronte agli oligarchici di Atene e di Samo e allo stesso tempo scoraggiare i Peloponnesi, ponendoli in ostilità con Tissaferne. E anzitutto da notare come in questi passi la δύναμις sia una pretesa vantata da Alcibiade, non un riconoscimento della cittadinanza ateniese: da ciò si può presumere che l'impostazione tucididea indichi
quanto l’autorevolezza e la forza politica e sociale di Alcibiade fossero in discussione e per lunghi tratti non riconosciute, come d'altra parte è facile dimostrare trovandone riscontro nel ripercorrere i principali avvenimenti della vita di Alcibiade stesso. Ben diversa è invece l’attribuzione del termine a Pericle: assai rilevante a questo proposito è II 65, 8, in cui si legge che Pericle dominava il popolo senza tuttavia limitarne la libertà, essendo egli δυνατὸς τῷ te ἀξιώματι καὶ τῇ γνώμῃ,
«potente per dignità e senno»: «infatti, non parlava per lusingare [il popolo], come avrebbe fatto se avesse ottenuto la δύναμις con mezzi illeciti, ma lo contraddiceva anche sotto l’influsso dell’ira, avendo egli
ottenuto il potere per suo merito personale». Significativa è in questa circostanza la presenza, accanto a δύναμις, del termine ἀξίωμα: è proprio la coppia di sostantivi che, in
VIII 73, 3, indica le qualità delle quali Iperbolo sarebbe senz'altro privo, almeno secondo Tucidide. Inoltre è da osservare che, in tutta la
storia tucididea, solamente in questi due passi i sostantivi sono usati all’interno dello stesso paragrafo riferiti ad un unico individuo. È chiaro che viene qui implicitamente a crearsi una netta contrapposizione, espressa ed evidenziata, sia pur allusivamente, nel lessico, fra
Pericle ed Iperbolo. Da quanto già sostenuto consegue che questo non può essere semplicemente considerato come il giudizio contrapposto di Tucidide su due individui, ma piuttosto l'approvazione e la condanna, rispettivamente formulata, in riferimento a due diversi modi di far politica, l'uno, pericleo, degno della grande tradizione politica e democratica di Atene e in grado di guidare la città senza essere condizionato dagli umori del πλῆθος, l'altro, demagogico, degenerazione del primo e in tutto da biasimarsi e condannarsi.
E.F. BLoepow, Alcibiades Reexamined, Wiesbaden 1973, pp. 33-37; D.M. Lewis, Sparta and Persia, Leiden 1977, p. 98; A. Anprewes-K.J. Dover, HCT, V, pp. 10306; D. Kacan, The Fall of tbe Atbenian Empire, Ithaca and London 1990), pp. 73-74.
INTRODUZIONE
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Il termine ἀξίωμα è presente poi altre sette volte nella storia tucididea??: di queste attestazioni interessano al nostro studio soprattutto V 43, 2 e VI 15, 3, dove il riferimento è ad Alcibiade. Il primo
di questi due passi è quello che segna l'ingresso del giovane Alcibiade nella scena politica descritta da Tucidide, che lo definisce: ἀξιώματι δὲ προγόνων τιμώμενος, «onorato per la fama dei suoi antenati». In VI
15, 3 é invece esplicito come sia ormai lo stesso Alcibiade in prima persona ad essere ritenuto degno di onore da parte degli Ateniesi, ὧν γὰρ ἐν ἀξιώματι ὑπὸ τῶν ἀστῶν.
Termina così l’analisi dei passi tucididei in cui si ritrova l’uso dei quattro termini che in VIII 73, 3 vengono a connotare il severo giudizio su Iperbolo. Ripercorrendo i passi sopracitati, appare evidente che Tucidide ha voluto esprimere una condanna non semplicemente morale, ma anche politica nei confronti di un singolo ateniese che, sebbene bollato come
μοχθηρὸς ἄνθρωπος,
doveva essere
rappresentante di spicco di quella classe politica demagogica postpericlea, che ha avuto il suo inizio con Cleone ed è stata responsabile,
secondo
Tucidide,
della
rovinosa
condotta
seguita
da Atene
durante la guerra. L'uso delle due coppie di sostantivi contrapposti (πονηρία xai aiσχύνη / 9óvapig καὶ ἀξίωμα) viene così ad indicare e descrivere non solo un uomo, ma tutta una realtà di Atene che abbiamo vista ben
descritta dall’uso del termine πονηρία e che ora possiamo completare. Iperbolo è αἰσχύνη τῆς πόλεως come lo sono i demagoghi che sulla trasgressione dei νόμοι istituzionali e tradizionali, sugli ψηφίσματα e sulla
possibilità continua di fare nuove e contraddittorie leggi fondano il proprio potere3!. Egli inoltre è privo di δύναμις e ἀξίωμα; è evidente che con l’uso di questi termini Tucidide abbia voluto sottintendere una contrapposizione netta di Iperbolo con Pericle, contrapposizione che ha senso e valore solo se la si pone sul piano ideologico-politico ed economico-sociale. Entrambi gli uomini politici, ai quali Tucidide attribuisce ben diverso rilievo e valore, sintetizzano dunque per lo sto30 THuc.,
I 130; II 37; IV
18; IV 86, 6; V 8, 2; V 43, 2; VI
15, 3. C£. D.
MusTI, ᾿Αξίωσις, ἀξίωμα nel linguaggio di Pericle (Thuc. II 37, 1), in «Quaderni 5 dell'Istituto di Archeologia e Storia Antica dell’Università degli Studi ‘G. D'Annunzio’ di Chieti», Pescara 1995, pp. 11-16. Cf. anche C. BEARZOT, I/ vocabolario del.
l'autorevolezza politica nella Grecia del IV secolo,
« ACD», XXXII (1996), pp. 23-38.
31 Cf. Tuuc., III 37, 3-4; Arıstor., Pol. 1292a 30 sgg.
XXIV
IPERBOLO
rico due modi antitetici di interpretare il ruolo del politico. Ne consegue che il giudizio storico non può essere che opposto: se infatti Tucidide fa di Pericle il discrimen oltre il quale iniziò la sconsiderata e rovinosa condotta politica ateniese, contro Iperbolo invece lo storico
attua una vera e propria damnatio memoriae??, operando in entrambi i casi un processo di idealizzazione che sottolinea in assoluto la positività o la negatività del personaggio. A completare questa parte della ricerca, dopo l’analisi dell'uso tucidideo delle due coppie di sostantivi presenti in VIII 73, 3, merita ora attenzione l'espressione tiva τῶν ᾿Αθηναίων, μοχθηρὸν ἄνθρωπον
con la quale, nello stesso passo, lo storico qualifica Iperbolo, sintetizzando la figura di quest’ultimo in un pesante e severo giudizio morale, che tuttavia, alla luce delle considerazioni sinora svolte, presenta già
evidenti aspetti di una decisa condanna politica. Di particolare interesse risulta essere la presenza del termine μοχθηρός:
questo aggettivo è infatti un hapax nell'opera tucididea,
nella quale inoltre non compare mai neppure il sostantivo μοχθηρία. Pertanto Tucidide in questa occasione fece uso di un termine che non rientrava nelle proprie abitudini lessicali. È presumibile che egli lo
32 Contrapposizione è anche rilevabile tra Pericle e Alcibiade: certo, quanto ad ἀξίωμα, la figura di Alcibiade è avvicinabile a quella di Pericle, tuttavia dalle parole di
Tucidide è possibile rilevare come sia diversa la natura della loro δύναμις: quella di Pericle è vera potenza, fatta di autorità e autorevolezza, conquistata per meriti per-
sonali, quella di Alcibiade è invece una pretesa arrogata da lui stesso, non un riconoscimento della sua città e dei suoi concittadini. Per il complesso problema della figura di Alcibiade in Tucidide cf. PA. BRuwr, Thucidides and Alcibiades, «REG», LXV (1952), pp. 59-96; W. PEREMANS, Thucydides, Alcibiade et l'expedition de Sicile en 415 avant J.C., «AC», XXV (1956), pp. 331-44; E. DELEBECQUE, Thucydide et Alcibiade, Aix-en-Provence 1965; L. SECHAN, Deux grandes figures atbéniennes, Thucydide, Alcibiade, «REG», LXXIX (1966), pp. 482-94; D.J. STEwART, Thucidides, Pausanias and
Alcibiades, «CJ», LXI (1966), pp. 145-52; H.D. WESTLAKE, op. cit., pp. 210 sgg.; S. VAN DE MAELE, Le récit de l'expédition atbénienne de 415 en Sicilie et l'opinion de Thucydide sur le rappel d’Alcibiade, «AC», XL (1971), pp. 21-37; P.P. Τομρκινξβ, Stylistic Characterization in Thucydides. Nicias and Alcibiades, «YCIS», XXII (1972), pp. 181-214; G. Grutiani, Problemi tucididei. Il giudizio su Alcibiade, «NRS», LXI
(1977), pp. 356-66; S. FonpE, The Ambition to Rule. Alcibiades and the Politics of Imperialism in Thucydides, Ithaca and London 1989. Sul tema si percorrano diffusamente W.M. Erus, Akibiades, London-New York 1989; J. pe RoMıLLy, Alcibiade, trad. it., Milano 1997. :
INTRODUZIONE
XXV
trovasse già nelle fonti dalle quali ebbe la possibilità di trarre le notizie riguardanti il periodo in cui lo storico era probabilmente assente da Atene??, Certo un tale giudizio negativo su Iperbolo Tucidide comunque non poteva che condividerlo, essendo coerente alle premesse ideologiche già espresse e funzionale alla propria prospettiva politica. Questa fonte & individuabile con una certa sicurezza (ferme restando le cautele dovute di fronte ad una testimonianza comica) in Aristofane34, nei cui versi Iperbolo è detto: τινα ... ἄνδρα μοχθηρὸν πολίτην.
Oltre alla presenza dello stesso aggettivo e dello stesso caso accusativo in cui l'espressione viene a collocarsi all'interno della frase, importante elemento comune al poeta comico e allo storico & l'indefinito τινα, che sottolinea quanto privo di rilievo fosse il ruolo di Iperbolo all'interno della città di Atene secondo il giudizio comune, e certamente autonomo, di Aristofane e di Tucidide, la cui obiettività o par-
zialità questo lavoro vuole verificare. Nel riprodurre la frase aristofanea tuttavia Tucidide ha introdotto due varianti: ha sostituito ἀνήρ
con ἄνθρωπος e πολίτης con τις τῶν ᾿Αθηναίων. Queste differenze possono essere ritenute non casuali ma piuttosto determinate dalla precisa volontà di sminuire ulteriormente la figura di Iperbolo, percorrendo e suggerendo la via del sospetto sulla veridicità della sua cittadinanza ateniese. Per comprendere meglio il significato e il rilievo da attribuire a questo μοχθηρός può essere utile esaminare l'uso aristofaneo del termine,
Μοχθηρία e μοχθηρός così ricorrono infatti in Aristofane:
? [n questa sede non ritengo opportuno e possibile affrontare i tivi alla questione dell'esilio di Tucidide e alla composizione del libro trattazione completa ed esauriente rimando alla bibliografia relativa mento nodale della biografia tucididea e alle importanti conseguenze minate sulla genesi dell'ultimo libro di quest'opera storica: per una
problemi relaVIII; per una a questo moda esso detersintesi, cf. A.
Gomme-A. Anprewes-K.J. Dover, HCT, III, pp. 584-87, IV, pp. 13 sgg. ** ArıstopnH., Eg. 1304. 3 Cf. O.J. Topp, Index Aristophaneus, [Hildesheim 1962], s.v.; i termini og-
getto d'analisi sono presenti anche nei versi dei poeti contemporanei ad Aristofane, tuttavia la natura frammentaria di queste testimonianze permette soltanto di rilevare la diffusione nell'uso e la comune intenzione di attribuire ad essi significato allo stesso tempo etico e politico: cf. CRAT. 200 K.A.; STRATT. 46 K.A.; Eur. 60 K.A., 278 K.A.; Purrouir. 15 K.A.; PrAT. Com. 180 K.A.
XXVI
IPERBOLO
μοχθηρία: Lys. 1160; Ran. 421; -ᾳ: PL 109; -av: PL 159; μοχθηρός: Av. 493; Pl. 1003; -oó: Eq. 316; -óv: Eq. 1304; μόχθηρε: Ach. 165; Ran. 1175; Pl. 391; μοχθηρούς: Lys. 576;
μοχθηρόν: Th. 781; -à: Ach. 517; μοχθηροτάτους: Ran.
1011.
E rilevante notare che nella maggioranza dei passi indicati il termine (sia esso aggettivo oppure sostantivo) viene ad indicare la parte peggiore, ἡ οἰσπώτη "6, l'untume, della cittadinanza di Atene: la πόλις,
insomma, dei cittadini μοχθηροί. Di questi ultimi possiamo allora individuare e delineare le caratteristiche proprio seguendo il percorso suggerito dai versi sopracitati: disposti a tutto pur di conquistare o mantenere la ricchezza??, essi sono i demagoghi?8, i capipopolo, gli esponenti di una degenerazione non solo politica, ma anche etica??. Sono i piü accesi esponenti del partito della guerra contro cui si oppongono, usando proprio il termine μοχθηρός, Diceopoli4), le navi personificate nei Cavalieri4!, Lisistrata4 e, con loro, il poeta stesso. Allo stesso modo anche l'espressione διὰ πονηρίαν presente in
Tucidide ha una sua possibile fonte nella poesia comica: un puntuale riscontro ἃ senz'altro individuabile in Aristofane e precisamente in Pax 684, là dove Iperbolo ἃ detto πονηρὸς προστάτης. In senso sociale
e politico πονηρός è frequentemente usato da Aristofane come risulta, ad esempio, dal raffronto con versi dei Cavalieri44.
Dall'analisi dei passi ora citati risulta evidente che l'ambito semantico di carattere politico-sociale di μοχθηρός coincide con quello di
πονηρός45. Questo legame sinonimico è già presente anche a livello dei 3% ArıstopH., Lys. 575 (più precisamente si tratta dell'untume della lana pecorina).
7 AnrsTOPH., Pl. 109 e 159. 38 ARISTOPH., Ran. 421, in riferimento ad Archedemo. 39 Di questa degenerazione, in Ras. 1011 e 1175, una certa responsabilità è imputata ad Euripide, detto anch'egli μοχθηρός. 4 ArıstopH., Ach. 517. ^! ArIstoPH., Eq. 1304. 4 ARISTOPH., Lys. 1160. 4
B. BALDWIN, art. cit., p. 151.
4 ArIstoPH., Eg. 181, 186, 336-37, 415.
5 A proposito di questo aggettivo è bene ricordare una caratteristica grammaticale già emersa nei citati esempi tucididei. In attico accanto alla forma ossitona
INTRODUZIONE
XXVII
due sostantivi da cui questi ‘aggettivi derivano: πόνος e μόχθος. Sia πόνος che μόχθος sono infatti termini indicanti fatica, come
anche
ἄθλιος, per i quali si è pensato ad un uso definitosi in connessione alla classe lavoratrice e poi soggetto ad un successivo peggioramento di significato46. Πονηρός è inoltre formato con il suffisso -npo, forma am-
pliata dell'indoeuropeo -ῥο, utilizzato per la formazione di molti aggettivi accentati generalmente sul suffisso (ossitoni): lo stesso suffisso è
evidentemente presente anche nella composizione e struttura linguistica di μοχθηρός. Aristotele 47 distingue sottilmente tra i sostantivi corrispondenti ai due aggettivi: ἡ μὲν [μοχθηρία] συνεχής, ἡ È [axpacia] οὐ συνεχὴς πονηρία, definizione che sembra implicare che πονηρία, rispetto a μοχθηρία, è soltanto termine più vago e più comune*8.
Rimando al capitolo successivo la valutazione dell'accanimento di Aristofane e degli altri poeti comici contro Iperbolo: tuttavia è possibile fin d'ora notare che Iperbolo μοχθηρός rientra, anche in Aristofane, nel disprezzo per un'intera classe politica di cui egli, προστάτης τοῦ δήμου, fu per alcuni anni esponente di spicco. Questo ruolo di capopopolo, certamente svilito all'interno di un giudizio che sempre mantiene la propria negatività, è tuttavia esplicitamente riconosciuto
ad Iperbolo nelle commedie di Aristofane cosi come avremo modo di rilevare approfonditamente in seguito. πονηρός è attestata anche la forma proparossitona πόνηρος. Gli Arecdota Graeca (ed. J.A. CRAMER, I, Oxford 1835, pp. 372-73), s.v. πονηρός riportano: ὁ xatà ψυχὴν óEvτόνως, ὁ δὲ κατὰ σῶμα προπαροξυτόνως. La forma proparossitona dunque si distinguerebbe da quella ossitona anche nel significato, venendo ad indicare affaticato, gravato di pene, miserevole. La forma ossitona esprimerebbe invece il senso morale, inclu-
dendo, aggiungiamo noi, implicazioni di responsabilità e colpa anche individuale. A riguardo tuttavia l'atteggiamento della tradizione non appare costante e si deve altresì tener conto della premessa filologica circa l’indecifrabilità della tradizione antica in materia di accentazione. 4 Cf. L. WinrLey, Parties in Athens during the Peloponnesian War, Cambridge
18992, p. 48.
4 Arıstor., EN 1350b 32. 4 Cf. E. SCHWYZER, Griechische Grammatik, 1. Bd., Allgemeiner Teil. Lautlebre. Wortbildung. Flexion., München 1939?, pp. 380 e 393; A. MEILLET-J. VENDRYES, Grammaire comparée des langues classiques, Paris 19487, p. 381; L. HEILMANN, Grammatica storica della lingua greca, in Enciclopedia classica, sez. IIT, vol. V, t. III, Torino 1963, p. 123; H. Frisk, Griechisches etymologisches Wörterbuch, Lief. 16, Heidelberg 1965, pp. 504-05; P. CHANTRAINE, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, III, A-II, Paris 1968, p. 881; V. Pisani, Manuale storico della lingua greca, Brescia 19732, p. 131.
xxvin
IPERBOLO
Passando in rassegna le altre fonti sul demagogo si possono poi notare altre importanti corrispondenze lessicali. In Plutarco ritroviamo, per designare Iperbolo, i medesimi termini
tucididei.
Tre
volte ricorre μοχθηρία49,
due volte rovnpég?0.
ἀναισχυντία di Plut., Alc. 13, 5 presenta la stessa radice dell’aioyòvn tucididea, della quale puó essere considerata una semplice variante. Anche á&iouo?! è presente in entrambi gli autori. Inoltre in Plut., Ak. 13, 9 Iperbolo è detto φαῦλος e ἄδοξος, in Plut., Nic. 11, 3 ἀδοξία τῆς πόλεως. Questi termini, assenti in Thuc., VIII 73, 3, tuttavia ri-
petono e riproducono, in qualità di sinonimi, significati e nessi del periodo tucidideo (come la già ricordata espressione αἰσχύνη τῆς πόλεως usata dallo storico e parallela a quella ἀδοξία τῆς πόλεως di cui si serve il biografo). Plutarco dunque, secondo l'interesse che contraddistingue tutta la propria ricerca biografica, sottolineò la condanna morale nei confronti di Iperbolo, in conformità a quanto la tradizione a lui precedente unanimemente tramandava. Certamente Tucidide fu fonte di Plutarco, come è dichiarato in Alc.
13, 4, ma il biografo riporta anche le testimonianze di Teofra-
sto?? e dei poeti comici??, in particolare di Eupoli?* e di Platone Comico?^, In Plut., Nic. 11, 10 sono poi citate, come oi πλείονες, altre
fonti: coro? li che Plut.,
fra queste sulla base motivano Ai. 13, 9
si può ritenere di individuare Androzione?$ e Filoancora una volta di precise corrispondenze lessical'attribuzione. Infatti i termini φαῦλος e ἄδοξος di (con la variante ἀδοξία in Plut., Nic. 11, 3), assenti
in Tucidide, Plutarco doveva trarli dai due storici del IV e III secolo:
Androzione dice che Iperbolo fu ostracizzato διὰ φαυλότητα e Filocoro riferisce inoltre che il demagogo ateniese era uno &x τῶν ἀδόξων, colpevole, aggiunge, di μοχθηρία. Altra prova sta nel fatto che Plutarco
4 Prur., Arist. 7, 2; Nic. 11, 6. 50 PLuT., Arist. 7, 3; Ale. 5! Prvr., Ale. 13, 5. 32 PLuT., Nic. 11, 10.
13, 4.
5 PLuT., Ale. 13, 4. % Prur., Nic. 4, 6. 5 Prur., Nic. 11, 7 e Ak. 13, 9. 56 AnproT., FGrHist 324 F 42.
5 PuiLocn., FGrHist 528 F 30.
INTRODUZIONE
xxx
in Alc. 13, 4 e Nic. 11, 3 indica il demotico di Iperbolo, Περιθοίδης,
che ci & altrimenti noto solo dal sopracitato fr. 42 di Androzione. L'esame lessicale sinora svolto intorno ad alcuni termini chiave sembra infine rilevare con sicurezza che le motivazioni originarie della condanna delle fonti nei confronti di Iperbolo furono anzitutto politiche; tuttavia ben presto questa stessa ostilità assunse le caratteristiche di un severo biasimo morale58. Questo confondersi di morale e
politica non deve certo stupirci: esso infatti viene a caratterizzare tutta la propaganda ostile alla democrazia radicale. Si pensi ad esempio alla Costituzione degli Ateniesi dello Pseudo-Senofonte che nella contrapposizione πονηροί-χρηστοί sintetizza il contrasto che caratte-
rizza la vita politica ateniese: l'opposizione tra ὀλίγοι e πλῆθος 5. Nel caso di Iperbolo si forma tutta una tradizione che accentua una condanna genericamente motivata sul piano morale: cosi nasce la leggenda dell'ultima vittima dell'ostracismo, cacciato non perché rappresentasse un pericolo per lo Stato, ma a causa della sua disonesta malvagità. Decisivi per la costituzione di questo orientamento storiogra-
fico furono senza dubbio la commedia attica antica e soprattutto Tucidide, il cui giudizio negativo e lapidario ha pesato fino ai giorni nostri nello sminuire il ruolo di Iperbolo e, anzitutto, nel privare di moti-
vazioni politiche l'ultima attuazione della procedura dell'ostracismo. Proprio per il silenzio delle fonti su Iperbolo uomo politico risulta difficile comprendere e restituire pienamente il ruolo e l'importanza del successore di Cleone: questo tuttavia ci accingeremo ora a proporre, ricostruendo la biografia del demagogo a partire dalle premesse evidenziate da questa analisi lessicale, introduttiva alle fonti e ai problemi che ci apprestiamo a percorrere. 38 Ad un'accezione di μοχθηρός in senso morale ha probabilmente portato l'ampio uso che del termine fa Platone in senso specificamente etico: cf. F. Asrius, Lexicon Platonicum, Darmstadt 1956, s.v.
59 C£. [XeN.], Ath. Rsp. I 1. 4. 6. 9. 14. Per un'analisi lessicale relativa ai termini πονηρός e χρηστός considerati sia singolarmente sia nel loro contrapporsi dialettico cf. M. CAGNETTA-C. PETROCELLI, xovnpóc, « QS», III, 6 (1977), pp. 155-72 e M. CAGNETTA-C.
PETROCELLI-C. ZAGARIA, χρηστός,
« QS », IV, 8 (1978), pp. 323-36. Per
un commento storico al contrasto χρηστοί- πλῆθος nella democrazia ateniese, soprattutto in relazione alla costituzione pseudosenofontea, cf. S. CATALDI, La democrazia ateniese e gli alleati (Ps.-Senofonte, Atbenaion Politeia, I, 14-18), Padova 1984, spec. pp. 13-48.
CAPITOLO
IIOAITHZ TON
I
ABHNAIQRN
L'ambiente familiare in cui Iperbolo nacque e crebbe & principalmente noto dai poeti comici, anche se proprio a proposito delle origini del demagogo queste fonti rivelano, come vedremo, tutta la loro parzialità. Pertanto non possiamo che usare con prudenza le allusioni contenute in questa tradizione, mantenendo lo sguardo e l'attenzione critica orientati secondo le prospettive storiografiche individuate nell'introduzione ora sviluppata. 1. Tra padre e madre: la presunta barbarie. Platone Comico e Polizelo concordano nell’attribuire ad Iperbolo origini straniere anche se poi divergono nell'assegnargli la patria a cui ricondurre queste origini: per il primo dei due poeti il politico ateniese è lidio, per il secondo è invece frigio!. A queste informazioni
deve essere senz’altro riconosciuto un chiaro scopo diffamatorio, dal momento che Lidia e Frigia sono sinonimi di origini da schiavo? come ! Prar. Com. 185 K.A.; Porvz. 5 K.A. Entrambi questi frammenti derivano da ScHot. Luc., Tim. 30, p. 114, 28 R., in cui in riferimento ad Iperbolo è dato di leggere: Πολύζηλος δὲ ἐν Δημοτυνδάρεῳ Φρύγα αὐτὸν εἶναί φησιν εἰς τὸ βάρβαρον σκώπτων. Πλάτων δὲ ὁ κομικὸς ἐν Ὑπερβόλῳ Λυδὸν αὐτόν φησιν εἶναι Μίδα γένος (μῆδον τὸ
γένος Δ), καὶ ἄλλοι ἄλλως. ἔστι δὲ τῇ ἀληθείᾳ Χρέμητος, ὡς Θεόπομπος ἐν τῷ Περὶ δημαγωγῶν (= ΤΗΕΟΡ., FGrHist 115 F 95).
2 Anche Cleone, così come rappresentato da Aristofane (Eg. 6, 44 e passim) nel personaggio di Paflagone, dovette conoscere analoga ingiuria ed attacco politico similmente orientato. Giustamente J. Carcopıno (L’ostracisme athenien, Paris 1935, p.
241) ha osservato che il termine Paflagone rappresenta una doppia ingiuria. L’appel-
2
IPERBOLO
risulta dal confronto con passi di Euripide e Aristofane?. Platone Comico inoltre rimprovera a Iperbolo di non parlare bene la lingua attica, di dire δῃτώμην invece di διῃτώμην, e ὀλίον invece di ὀλίγον: ὁ δ' οὐ γὰρ ἠττίχιζεν,
ὦ Μοῖραι φίλαι,
ἀλλ᾽ ὁπότε μὲν χρείη «διῃτώμην» ἔφασχε «δῃτώμην»,
λέγειν,
ὁπότε δ' εἰπεῖν δέοι
«ὀλίγον», «ὁλίον» ἔλεγεν^.
In realtà, osserva Camon?,
«δῃτώμην e óAiov sono parole non
barbare, ma inflessioni contadinesche di voci attiche». Questo livello linguistico verrebbe allora a individuarsi nella scansione geograficoglottologica operata da Aristofane là dove il poeta comico distingue tre tipi di dialetti attici: uno medio della πόλις, uno un po’ donnesco dell’&om, uno servile e contadinesco$. C'era dunque diversità di dialetto fra le diverse componenti sociali, e tra la gente di campagna e quella di città: in questa realtà composita sono venuti a inserirsi i demagoghi che provenivano dal δῆμος e dalla sua parte più attiva, artigiana, imprenditrice di se stessa e delle proprie merci, ancora residente, almeno in parte, in tutta l’Attica prima della guerra e di quell'inurbazione che fu allo stesso tempo costretta dalle disposizioni pubbliche, ma anche ricca di fascino per l'emergere di nuove occasioni di emancipazione culturale, sociale e politica. Certamente, alle orecchie dei poeti, che utilizzavano il dialetto attico nella forma ritenuta più pura ed elevata (ovvero aristocratica e tradizionale), e agli occhi severi lativo, infatti, insinua anzitutto il sospetto di origine servile in quanto dalla Paflagonia provenivano molti schiavi (come già aveva notato H. νὰν DAELE, Aristophane, I, Paris 1934, p. 82, n. 1); in secondo luogo è inoltre chiara l'allusione al verbo παφλάζειν, «ribollire», che certo doveva richiamare la natura focosa di Cleone (per la quale si veda, ad esempio, ARISTOPH., Ach. 381 sgg.). > Eur., Ale. 675 e AristoPH., Av. 1244. Cf. anche Xen., De vect. II 5, in cui l'autore ricorda che una larga sezione dei meteci era costituita da Lidi, Frigi e Siri.
4 PraT. Com. 183 K.A. Trad.: «Costui infatti non sapeva parlare attico, o care Moire, ma piuttosto, quando occorresse dire διῃτώμην, diceva δητώμην, quando bisognasse dire ὀλίγον, non poteva che dire ὀλίον».
ΣῈ CAMON, Figura, cit., pp. 186-87. $ AristoPH., 706 K.A.: Διάλεκτον ἔχοντα μέσην πόλεως
οὔτ' ἀστείαν ὑποθηλυτέραν οὐτ᾽ ἀνελεύθερον ὑπαγροιχοτέραν.
ΠΟΛΙΤΗΣ ΤΩΝ
ΑΘΗΝΑΙΩΝ
3
e prevenuti della classe politica conservatrice, questi δημοτικοί dove-
vano apparire in tutta la loro persona, compreso il parlare, stranieri di origine ovvero non autenticamente ateniesi, con tutte le implicazioni politiche che questo comportava in termini di cittadinanza e di impegno politico. Anche Andocide unisce la propria voce a quella dei due poeti comici sopracitati per sostenere l’origine servile del demagogo: secondo l'oratore, Iperbolo non poteva godere legittimamente della cittadinanza ateniese perché figlio di uno schiavo pubblico in servizio nella zecca. Questa affermazione non trova tuttavia alcun riscontro nelle
testimonianze tràdite e, come si documenterà ora, essa anzi rivela tutta la forza calunniatrice che ne mosse gli intenti. Proprio per questo la testimonianza andocidea, tramandata da fonte scoliastica, me-
rita di essere letta a riprova del clima in cui la tradizione letteraria volle relegare l'immagine e il ricordo di questo uomo politico: περὶ Ὑπερβόλου λέγειν αἰσχύνομαι, οὗ ὁ μὲν πατὴρ ἐστιγμένος En xai νῦν ἐν τῷ ἀργυροχοπείῳ δουλεύει τῷ δημοσίῳ, αὐτὸς δὲ ξένος ὧν χαὶ βάρβαρος λυχνοποιεῖ7.
In verità, nonostante questa tendenziosa testimonianza,
non è
possibile dubitare del fatto che Iperbolo fosse ateniese. Aristofane lo dice πολίτης, anche se con l’aggiunta, pesantemente negativa, del già esaminato μοχθηρόςϑ. Anche Tucidide sembra non negare la cittadi-
nanza ateniese, dal momento che qualifica il demagogo come «uno degli Ateniesi»?. Androzione e Plutarco inoltre testimoniano e tramandano il demotico di Iperbolo, che così sappiamo essere appartenuto al demo di Peritede!0, Nello stesso frammento di Androzione & poi attestato il nome del padre di Iperbolo, ᾿Αντιφάνης, in una espressione che con efficacia ? Anpoc. fr. 5 Dalmeyda (= Schor. AristToPH., Vesp. 1007). Trad.: «Di Iper-
bolo mi vergogno anche solo a parlarne: suo padre, marchiato a schiavo, è anche ora in servizio alla zecca pubblica, lui invece, essendo straniero e barbaro, fabbrica lucerne». 8 AnrsTOPH., Eg. 1304. ? Tuuc., VIII 73, 3. 0 Anpror., FGrHist 324 F 42; PLut., Nic. 11, 3; Ale. 13, 4. Che Iperbolo fosse del demo di Peritede è confermato da un ostrakon: M.L. LANG, op. cit., n. 307. Cf. L. Piccrrnt, Plutarco. Le Vite di Nicia e Crasso, a cura di M.G. AnceLI BerTINELLI, C. CARENA, M. MANFREDINI e L. Picciriii, Milano 1993, p. 269; D.J. Pun.LIPS, Androtion and the Attbis, Oxford 1994, pp. 154-61.
4
IPERBOLO
sintetizza l’immagine del demagogo che la tradizione storiografica volle consegnare alla memoria dei posteri: Ὑπέρβολος οὗτος ᾿Αντιφάνους ἦν Περιθοίδης, ὃν καὶ ὡστρακίσθαι διὰ φαυλότητα.
Il prezioso dato prosopografico, tramandato dal solo Androzione, ha trovato conferma nel ritrovamento nell’agorà di Atene di tre ostraka recanti la scritta: Ὑπέρβολος ᾿Αντιφάνους !!.
Questa testimonianza archeologica ha definitivamente risolto la discordanza presente nelle fonti letterarie a proposito delle origini e del padre di Iperbolo, il cui nome era invece indicato in Xpéung da
Teopompo!2 e da uno scolio ad Aristofane!3. La fonte scoliastica ora citata attesterebbe anche il supposto nome del fratello di Iperbolo: Xópov!^.
Anche di questa notizia dobbiamo però dubitare, almeno
come diretta conseguenza della dimostrata inattendibilità di questa stessa fonte a proposito delle informazioni riguardanti il padre. E importante tuttavia riportare per esteso il contenuto di questo scolio: esso infatti fornisce una sintetica biografia di Iperbolo dalla quale emergono precise corrispondenze lessicali con le altre fonti a nostra disposizione e probabilmente con quelle di cui poteva usufruire, in maniera più completa, lo scoliaste. Come si avverte chiaramente, le varie citazioni vengono a costituire un vero e proprio romanzo del de1 Cf, T.L. SHEAR, art. cit., p. 246; H.A. THOMPSON, art. cit., pp. 186, 194; M.L. LANG, op. cit, s.v. Circa una precisa identificazione di questo Antifane non sono state avanzate ipotesi dagli studiosi moderni. E possibile avanzare soltanto una semplice osservazione: come risulta da F. WiLEMSEN (Die Ausgrabungen im Kerameikos, «Arch. Delt.», XXIII, 1968, Chron., p. 28) e da R. THoMsEN (The Origin Ostracism. A Syntbesis, Copenhagen 1972, pp. 71, 94), tra i cocci di ostracismo ri-
trovati al Ceramico di Atene uno riporta proprio il nome di un certo Antifane; non sembra però possibile individuare in questo Antifane il padre di Iperbolo in quanto il
coccio attesta anche le lettere iniziali del demotico che risulta diverso da quello di Iperbolo: ᾿Αντιφάνης ἐξ Ἐρί. 12 THeop., FGrHist 115 F 95.
1 ScHor. ARISTOPH., Pax 681b. 14 Entrambi i nomi Xpéyng (da χρεμετίζω «nitrisco») e Χάρων (il mitico Caronte) rivelano origine comica come si può dedurre dal confronto rispettivamente con AristoPH., Eccl. 477 e Ran. 183.
ΠΟΛΙΤΗΣ ΤΩΝ AGHNAIQN
5
magogo che ruota intorno ai luoghi comuni già evidenziati e ad che sottolineremo!^. E probabile che nella formazione di questa grafia eticizzata del demagogo un ruolo importante lo svolse pompo nell'excursus della sua storia dedicato ai demagoghi, dando tarietà alle voci tutte negative della tradizione a lui precedente.
altri bioTeouni-
Ὑπέρβολος VLh: Χρέμητος υἱὸς ἦν NI Lh Ὑπέρβολος, Γ᾽ ἀδελφὸς δὲ Χάρωνος, λυχνοπώλης, φαῦλος τοὺς τρόπους (cf. Androt., FGrHist 324 F 42; Plut., Alc. 13, 9). Οὗτος μετὰ τὴν τοῦ Κλέωνος δυναστείαν 16 διεδέξατο τὴν δημαγωγίαν. “Ar αὐτοῦ πρώτου ἤρξαντο οἱ ᾿Αθηναῖοι φαύλοις παραδιδόναι τὴν πόλιν καὶ τὴν δημαγογίαν πρότερον δημαγω-
γούντων πάνυ λαμπρῶν πολιτῶν (Teopompo?). Προείλετο δὲ τοὺς τοιούτους ὁ δῆμος ἀπιστῶν διὰ πόλεμον τὸν πρὸς Λακχεδαιμονίους τοῖς ἐνδόξοις τῶν πολιτῶν, μὴ τὴν δημοχρατίαν
χαταλύσαιεν (cf. Aristoph., Pax 681-692). Ἐξωστραχίσθη δὲ οὗτος οὐ διὰ δυνάμεως φόβον χαὶ ἀξιώματος, ἀλλὰ διὰ πονηρίαν καὶ αἰσχύνην τῆς πόλεως (cf. Thuc., VIII 73, 3). Ἐν Σάμῳ δὲ διατρίβων ὑπὸ τῶν ᾿Αθήνηθεν ἐχθρῶν ἐπιβουλευθεὶς ἀπέθανε, xai τὸν νεχρὸν αὐτοῦ
εἰς σάχχον βάλοντες ἔρριψαν εἰς τὸ πέλαγος (cf. Theop., VILh!?,
FGrHist.
115
F 964-966).
Iperbolo, al di là di tutte le calunnie d'istanza politica e comica, fu dunque cittadino ateniese e figlio di ᾿Αντιφάνης, ma la questione delle origini e della paternità rivela che in Atene circolava la diceria se55 Avremo modo di vedere confermato come questo «romanzo» del peggiore demagogo di Atene si articoli intorno a quattro momenti: le origini oscure, la successione a Cleone nella προστασία (non per meriti particolari, ma soltanto per essersi trovato in una situazione favorevole), l'ostracismo (anche questo soltanto per la malva-
gità del demagogo e non per la sua autorevolezza), l'uccisione a Samo ad opera di cospiratori giunti da Atene. 16 L’uso del termine δυναστεία può supportare l’individuazione di Teopompo quale fonte di questo segmento: a questo proposito cf. THeop., FGrHist 115 F 328 e cf. A.E. RAuBITSCHEK, Theopompos on Thucydides the Son of Melesias, «Phoenix»,
XIV (1960), p. 93. 17 ScHot. ARISTOPH., Pax 681b. Trad.: «Iperbolo era figlio di Cremete, fratello di Caronte; faceva il venditore di lucerne ed era malvagio nel suo comportamento. Costui dopo il dominio di Cleone assunse egli stesso la demagogia [ovvero la capacità e la funzione di guidare il popolo]. Da lui per primo gli Ateniesi cominciarono ad affidare a uomini malvagi la città e la guida del popolo, mentre prima l’avevano sol-
tanto gli uomini migliori. Il popolo preferì tali individui dal momento che non si fidava, durante la guerra contro gli Spartani, dei concittadini illustri per timore che questi abbattessero la democrazia. Costui, Iperbolo, fu ostracizzato, non per paura
della sua potenza e dignità, ma perché era malvagio e una vera vergogna per la città. Mentre risiedeva a Samo gli fu tesa un’imboscata da parte di nemici giunti da Atene e fu ucciso: il suo cadavere, buttato in un sacco, fu gettato in mare».
6
IPERBOLO
condo la quale il demagogo fosse figlio di uno schiavo straniero, Cremete, e fratello di Caronte. Questi dubbi, o forse calunnie, circa la legittimità della piena cittadinanza di Iperbolo certo dovettero trovare in Platone Comico e Polizelo un prezioso tramite per la loro diffusione all'interno della città di Atene. Furono senz'altro motivazioni politiche quelle che portarono alla nascita di queste perplessità, di cui certo non possiamo valutare la veridicità anche se ne avvertiamo facilmente il fine di screditare il demagogo ed ostacolarlo nella carriera politica. Funzionali a tale discredito sociale e politico dovettero poi risultare gli attacchi satirici contro la madre del demagogo. Se infatti il padre di Iperbolo è solo indirettamente citato per provare le insinuazioni suddette, contro la madre sono invece dirette varie allusioni uni-
formemente presenti nelle fonti comiche!®. Fatta eccezione dei passi aristofanei, il carattere frammentario di queste testimonianze ha tuttavia reso possibili diverse interpretazioni degli studiosi, spesso con il valore di sola ipotesi. Di certo si può comunque asserire che la madre di Iperbolo era aste, ‘cittadina’ ateniese, come risulta da Aristofane!?. Sul suo nome
già i grammatici antichi si trovavano in difficoltà, come attesta uno scolio ad Aristofane che ancora una volta conferma l'ampio interesse esegetico e biografico intorno alla figura del demagogo, una volontà di indagine che appare del tutto analoga, anche se più incerta e difficol. tosa, a quella rivolta verso le personalità di maggior risalto della storia ateniese del V secolo: πολλάκις εἶπον ὅτι προβάλλει ὁ Ὁμηριχὸς ἐν τῷ πρὸς Πολύβιον προτατιχῷ τίς ἡ Ὑπερβόλου μήτηρ. Οὐχ ἔχομεν δὲ εἰπεῖν. Εἰ δὲ χρὴ τὰ τοιαῦτα ζητεῖν, ζητείτωσαν καὶ τὴν ἑξῆς, τὴν Λαμάχον᾽ τὸν γὰρ πατέρα μόνον οἶδα Λαμάχου, Ξενόφαντον 20,
18 HerMIPP. 8-9-12 K.A.; Eur. 196-209 K.A.; AnrsroPH., Nub. 551 sgg.; Thesm. 830 sgg.; 840 sgg.; cf. ScHoL. AristoPH., Nub. 554, 555, 556 e ScHOL. ArıstoPH., Pl. 1037.
19 ARrISTOPH., Thesm. 839 sgg. G. GILBERT, Beiträge zur innern Geschichte Athens im Zeitalter des peloponnesischen Krieges, Leipzig 1877, p. 210, ha sostenuto che, es-
sendo la madre di Iperbolo senz'altro ateniese, anche il padre doveva esserlo. 20 ScHoL. ARISTOPH., Thesm. 840. Trad.: «Più volte sostennero che l'Omerico
nella proposizione contro Polibio proponeva chi fosse la madre di Iperbolo. Noi non sappiamo dirlo. Se però bisogna ricercare tali cose, si indagherà anche riguardo all’al-
tra, la madre di Lamaco: infatti di Lamaco so soltanto il nome del padre, Senofanto».
ΠΟΛΙΤΗΣ TON
AGHNAION
T
Tra i moderni Bergk credette di poter individuare questo nome in un altro scolio ad Aristofane (Nub. 552), dove propose di leggere: Tv
μητέρα
τὴν Vxepßörou,
τὴν Aoxò
ἐν ταῖς ᾿Ἀρτοχόλλισι
τὴν Ὑχερβόλοῦ.
mv δοκοῦσαν Ev un; Αρτοχώλισι
invece di τὴν μητέρα
portando a sostegno di questa ipotesi un'espressione di Esichio, in cui leggiamo: δοχιχῶ. ἀντὶ τοῦ δοχῶ.
Exmie δὲ "Epuiuxxog ἐν ᾿Αρτοχώλισι 21.
Swoboda?? ritenne «überzeugend», convincente, questa conget-
tura e Kirchner propose un simile emendamento anche per un altro scolio in cui corresse la tradizione che riporta προσθεὶς γραῦν μηθύσην, τὴν δοχοῦσαν μητέρα εἶναι τοῦ Ὑχερβόλου.
proponendo προσθεὶς γραῦν μηθύσην, τὴν Aoxó, μητέρα εἶναι τοῦ Yxepfàiov®.
Tuttavia queste congetture perdono almeno in parte il loro valore se si ritiene, seguendo le considerazioni di Kock, che δοχιχῶ sia semplicemente un barbarismo messo sulla bocca della madre di Iperbolo ai fini di caratterizzare comicamente il personaggio?*. Camon?? nota inoltre che la parte dello scolio su cui Bergk congettura è rite-
nuta interpolata proprio nell'edizione del Dübner usata da Bergk stes?! tationum 2 2 24
HesycH. δ 2122, s.v. Δοχιχῶ = HERMIPP. 12 K.A. Cf. Tn. BEnck, Commende reliquiis comoediae Atticae antiquae libri duo, Lipsiae 1838, pp. 308-315. H. Swosopa, art. cit., col. 254, |. 36. Schor. AnisroPH., Nub. 555. Cf. TH. Kock, CAF, I, p. 228. Cf. anche HERMiPP. 10 K.A. In questo caso vi sarebbe un parallelismo con la
caratterizzazione fatta da PLAT. Com.
183 K.A. in cui, come si è già evidenziato, si
biasima Iperbolo proprio perché incapace di parlare bene l’attico. 2 F. CAMON, Figura, cit., p. 189.
8
IPERBOLO
so26, Vi sono dunque legittimi motivi per dubitare di questa correzione e soprattutto, se anche la volessimo accettare, essa non forni-
rebbe molto probabilmente il vero nome della madre di Iperbolo, ma soltanto l’appellativo ridicolizzante sotto cui, nella commedia di Ermippo, era celata l’ironica allusione alla madre del demagogo, secondo l'abitudine comica già notata in riferimento al padre ed al fratello dello stesso demagogo. In rimando a termini quali il verbo δοχέω e il
sostantivo δόκησις, il soprannome Aoxò potrebbe allora indicare, ad ironico commento della personalità della donna, il campo semantico di
«presunzione, far apparire, illusione e falsità» che ben si colloca in un quadro sociale in cui anche le donne avevano parte attiva nello scontro tra parvenues dell'ultima ora e famiglie che invece fondavano il loro prestigio su tradizione e origini antiche. Questo ruolo sociale al femminile a cui si è ora accennato appare confermato proprio dalla descrizione che, della madre di Iperbolo, è possibile delineare in negativo: presentata sulla scena come venditrice di pane?7, pesantemente insultata??, la madre di Iperbolo subì infatti una precisa attenzione satirica da parte dei poeti comici, in particolare nelle ᾿Αρτοπώλιδες di Ermippo. Proprio sulla scena di questa commedia è infatti possibile individuare derisione e volgarità contro questa donna: ora è ridicola perché non sa parlare puro dialetto attico??, ora è presentata lieta per un successo ottenuto dal figlio3°, ora, vecchia ubriaca, è fatta divorare da un mostro marino in una parodia del mito di Andromeda messa in scena διὰ γέλωτα τῶν θεωμένων, ossia per su-
scitare l'ilarità degli spettatori?!. Problematica & soprattutto l'interpretazione di un frammento di 26 Fr. DUBNER, Scholia graeca in Aristophanem cum prolegomenis grammaticorum, Parisiis 1842, p. 435. 7 Così Ermippo nelle ᾿Αρτοπώλιδες (cf. EuP. 209 K.A.). A questa affermazione
riguardo al mestiere della madre di Iperbolo non è certo possibile dare molto credito in quanto rientra in uno schema tipico della satira comica come risulta dal confronto,
ad esempio, con ArıstopH., Ach. 478; Eg. 19, in cui la madre di Euripide è presentata come una venditrice di legumi. 28 Hermipp. 9 K.A.: ὦ σαπρὰ καὶ πασιπόρνη καὶ κάρπαινα. Cf. PHRYN. 34 K.A.; AristoPH., Nub. 555; Thesm. 839 sgg. ? HerMipp. 10 K.A. ? Hermipp. 8 K.A. 31 PHRYN. 77 K.A. = ScHoL. ArıstopH., Nub. 556.
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Eupoli?? di origine scoliastica che sembra instaurare, ἃ mo’ di comica metafora, il confronto tra la madre di Iperbolo e una mia. In realtà questo scolio riporta il confluire di due tradizioni diverse, entrambe relative al Maricante di Eupoli??: infatti, soltanto secondo la prima di queste differenti versioni Eupoli avrebbe paragonato la madre di Iperbolo ad una Aia (τὴν Ὑπερβόλου μητέρα τηλίᾳ εἰχάζει), secondo l’al-
tra invece Eupoli direbbe che le ossa di Iperbolo furono gettate in una τηλία (εἰς τηλίαν φησὶ τὰ τοῦ Ὑπερβόλου
ὀστᾶ ἐμβεβλῆσθαι).
Questa
seconda lezione appare improbabile anche per lo scoliaste stesso che la definisce ancora più difficoltosa, ἀπορώτερον, rispetto alla prima: infatti nel 422-21 a.C., anno di rappresentazione del Μαριχᾶς di Eupoli, Iperbolo era senz'altro in vita, ma questo non può escludere il lugubre scherzo di un autore di teatro alla ricerca spregiudicata di espedienti comici. Anche la prima tradizione, d’altra parte, presenta il problema di individuare il significato, il valore e l’efficacia comica da attribuirsi al termine mAia (crivello, setaccio, banco di lavoro del panettiere ed altro ancora)?*: già lo scoliaste ha individuato questa difficoltà cercando di proporre l'identificazione della τηλία con una σανὶς πλατεῖα (l'ampia tavola su cui i panettieri impastavano, facevano essiccare e probabilmente vendevano il proprio pane), ma ammette di non capire l'allusione comica nel riferire tale oggetto alla madre del demagogo. Se si vuole peró tentare di valorizzare le informazioni ora annotate, sembra in realtà possibile ricomporre tali difficoltà proprio partendo dal ragionamento dello scoliaste. Infatti se τηλία indica la tavola di lavoro del panettiere, il termine in questa accezione sembra rimandare e forse riprendere, in una delle ripetute contaminazioni, il contesto satirico delle Αρτοπώλιδες, Le fornaie, di Ermippo. Iniziando da questo contesto si puó provare ad unire le due versioni presenti nella testimonianza scoliastica: la donna diviene il tavolaccio su cui lavora e da cui vende, e non e difficile supporvi volgari allusioni erotiche, ma soprattutto é immediato comprendere quanto la satira sappia farsi anche ? Eup. 209 K.A. - ScHor. ArıstopH., Plut. 1037 = TzETZ. ad loc. (IV 1, p. 21126). 3 Dal punto di vista della tradizione del testo è evidente notare come neanche lo scoliaste potesse più leggere e citare direttamente la commedia di Eupoli, ma anzi nelle sue parole comparisse già una volontà di ricerca e ricostruzione dei versi e del
contenuto del Maricante. ** Cf. Sum., s.v. tna.
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IPERBOLO
macabra arrivando a promettere morte al figlio per la sua malvagità. Per questo le ossa di Iperbolo sono buttate sulla tnAia, che è la madre
stessa, ossa bianche come i pani, pronte ad essere vendute da una madre spregiudicata e disposta a tutto. Così ancora una volta alla poesia comica sarebbe mancato ogni limite e rispetto in quella ricerca sfrenata di motivi comici, poco originali ma di immediato successo, che suscitò le ire sdegnose di Aristofane. Proprio nei versi e negli attacchi satirici di Aristofane è infatti
particolarmente interessante l'ulteriore presenza della madre di Iperbolo. A questo proposito è necessario almeno accennare ai vv. 551-59 delle Nuvole, sui quali tuttavia ci soffermeremo in seguito in connessione diretta con la figura di Iperbolo. L’anticipazione sintetica è tuttavia necessaria perché in questo passo, che, come si vedrà, appartiene con sicurezza alla seconda redazione delle Nuvole, Aristofane affianca
al demagogo la madre indicando in entrambi il bersaglio facile, privilegiato e soprattutto scontato degli altri poeti comici^, squallidi imitatori e vero obiettivo dell'intervento diretto dell'autore nei versi della propria commedia. Conseguente all'insuccesso delle Nuvo/e nella
loro prima rappresentazione, la dichiarazione aristofanea è ben lontana infatti dall’intenzione di difendere Iperbolo e sua madre, ma piuttosto desidera esprimere da parte del poeta la volontà di tutelare la dignità della propria satira comica nei confronti delle banalizzazioni degli altri poeti, che cercano soltanto le facili risa del pubblico, ripetendo e copiando personaggi e situazioni comiche già usate in altre commedie. Sebbene prevalga dunque la polemica estetica e letteraria, questi versi della parabasi testimoniano tuttavia quanto Iperbolo e sua madre fossero accomunati dalla satira comica e in particolare da quella satira gratuita, volgare, scontata (e quindi apparentemente non politica) contro cui Aristofane muove le proprie pesanti critiche. Le ᾿Αρτοπώλιδες di Ermippo e il Μαρικᾶς di Eupoli sono le due commedie
a cui Aristofane fa esplicito riferimento: dai frammenti sopracitati di queste due opere si è già trovato conferma che in esse erano nume-
rosi, centrali e senz’altro pesanti gli attacchi contro la madre di Iperbolo allo stesso modo come continui e sprezzanti erano quelli contro il demagogo. 35 Eupoli, Ermippo, Comico. i
che sono direttamente citati, e, probabilmente,
Platone
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Ancora più interessante è poi l’altra testimonianza che Aristofane volle dare, nella deformazione comica, della madre di Iperbolo tra i versi delle Teswoforiazuse: Τῷ γὰρ εἰκός, ὦ πόλις, τὴν Ὑπερβόλου
καθῆσθαι μητέρ᾽ ἠμφιεσμένην
λευχὰ καὶ κόμας καθεῖσαν
πλησίον
τῆς Λαμάχου,
xai δανείζειν χρήμαθ᾽, È χρῆν, εἰ Saveicerev τινι χαὶ τόχον πράττοιτο, διδόναι μηδέν᾽ ἀνθρώπων τόχον, ἀλλ᾽ ἀφαιρεῖσθαι βίᾳ τὰ χρήματ' εἰπόντας τοδί"
«"Atia γοῦν εἶ τόχου τεχοῦσα τοιοῦτον τόχον»6,
Questi versi appartengono a un momento particolare della parabasi delle Tesmoforiazuse in cui le donne rimproveravano agli uomini il fatto che le madri degli uomini utili alla città (xpnotoi) non ricevono più
onori di quelle che hanno messo al mondo uomini vili e malvagi (δειλοὶ χαὶ πονηροί). Bisognerebbe, aggiungono, che alle prime fosse riconosciuta la προεδρία, il diritto di sedersi ai primi posti durante le feste e i
giochi, alle seconde, madri di cittadini che in nulla giovano alla città, fosse imposto di sedere, con i capelli tagliati cortissimi a scodella, dietro alle donne che hanno generato gli uomini valorosi: è inconcepibile infatti che la madre di Iperbolo sieda accanto a quella di Lamaco?”. Due sono gli aspetti fondamentali del passo. Anzitutto la madre 36 AnrsTOPH., Thesm. 839-45. Trad.: «E come sarebbe sopportabile, o cittadini, che la madre di Iperbolo, vestita di bianco e con i capelli sciolti, segga accanto alla
madre di Lamaco, e presti denaro ad usura, quando, se fa un prestito a qualcuno e ne esige l'ihteresse, nessuno dovrebbe pagarglielo, ma dovrebbe portarle via a forza il denaro e dirle cosi: ' Te lo meriti proprio l'interesse, tu che hai partorito un figlio così ... interessato». Il riferimento a Lamaco contenuto in questo passo è particolarmente rilevante perché segna, all’interno dell’opera aristofanea, un cambiamento nell’atteggiamento del
poeta nei confronti dello stratego morto in Sicilia nel 414 durante la battaglia contro i Siracusani, come risulta da THuc., VI 101, 6: la morte in battaglia creò una vera e propria tradizione volta a riconoscere a Lamaco una particolare ἀνδρεία (cf. PLAT., Lach. 197c; PLuT., Nic. 15, 1; Alc. 21, 9). Aristofane infatti, dopo aver a lungo schernito e attaccato Lamaco negli Acarzesi e nella Pace, ne fornisce un giudizio positivo non solo a questo v. 941 delle Tesmoforiazuse, ma anche al v. 1039 delle Rane, in cui Lamaco è consacrato ἥρως. Cf. G. Cortassa, L'eroe Lamaco: una palinodia di Aristofane, in La polis e il suo teatro, a c. di E. Corsini, Padova 1986, pp. 233-63; P. CoBETTO GHIGGIA,
Aristopb. Ach. 601 e la presunta gioventù di Lamaco, «Klearchos», CXLIX-CLVI (1996-97), pp. 5-17.
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di Iperbolo è detta usuraia. È possibile dare due interpretazioni di questa indicazione: ritenerla un'ulteriore calunnia alla stregua delle altre già esaminate oppure darle un valore pregnante considerandola, come sembrerebbe ragionevolmente possibile, indizio di ricchezza per la famiglia di Iperbolo, una ricchezza ottenuta con il commercio e l'abilità, o scaltrezza, finanziaria, certamente senza nobili ed antiche
giustificazioni, una ricchezza nuova e «borghese». Un secondo aspetto dei citati versi aristofanei è tuttavia ancora
più rilevante: in essi la madre di Iperbolo è detta «vestita di bianco e con i capelli sciolti». La veste bianca, come risulta dal confronto con un altro passo di Aristofane?®, potrebbe indicare anche in questo caso lutto. Essendo state rappresentate le Tesmoforiazuse nel 411, il lutto potrebbe essere dovuto proprio alla morte del figlio, avvenuta nello stesso anno così come si è già mostrato attraverso la testimonianza di
Tucidide??. In tal caso Iperbolo sarebbe morto non dopo il mese di aprile, quando, alle Grandi Dionisie, furono rappresentate le Tesmzo-
foriazuse, ma immediatamente prima del colpo di stato oligarchico avvenuto in maggio-giugno. Se così i fatti si sono succeduti, trova ulte-
riore fondamento l’ipotesi che successivamente si verrà a valutare e che viene a connettere in modo stretto l’uccisione di Iperbolo con la preparazione del colpo di stato e dell’affermarsi dell’oligarchia. Certo la notizia della morte del demagogo dovette arrivare immediatamente ad Atene e qui circolò con presumibile rapidità e con fini ancora una volta propagandistici. Questa potrebbe essere la giustificazione più probabile per spiegare l'elemento più peculiare di questa testimonianza: con il 411 e le Tesmoforiazuse il nome di Iperbolo ricompare nella poesia comica a noi nota, e non solo in quella di Aristofane, dopo un'assenza che potrebbe perdurare, per quanto è noto, dal. l’ostracismo, venendo a coincidere con la reale impossibilità del demagogo di essere presente ad Atene. La morte di Iperbolo dunque potrebbe spiegare proprio questo improvviso ritorno della satira comica
intorno alla sua figura: il raffronto con la madre di Lamaco, morto valorosamente nel 414, sembrerebbe inoltre supportare questa interpretazione: si instaura infatti una relazione tra le due madri, indicando quale fosse degna di onori da parte della città e quale invece 38 AnrsTOPH., Ach. 1024. 39 'THuc., VIII 73.
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dovesse essere disprezzata in modo tale da non meritare neppure di portare i capelli lunghi, ma piuttosto rasi con un solo ciuffo in mezzo al capo, come gli schiavi. Nel caso invece in cui non si voglia credere che nei versi in esame sia contenuto un riferimento alla morte di Iperbolo resterebbe comunque rilevante avvertire la presenza, nelle rappresentazioni del teatro comico, della figura del demagogo proprio nell’anno del suo assassinio, indizio non trascurabile che l’interesse
dei poeti e del pubblico intorno al demagogo doveva in un qualche modo ricoagularsi, sia pure attraverso la madre, trovando nuova effi-
cacia e riprendendo i motivi satirici già usati in precedenza9. Concludendo il profilo sinora tracciato in relazione alla madre di Iperbolo, è possibile dunque notare che l’attenzione riservata a questa figura femminile dalla satira comica si manifesta spesso come un attacco diretto ad essa e non solo, come avviene in riferimento al padre,
per screditare le origini del figlio. Da questo fatto, piuttosto rilevante ma non evidenziato dalla storiografia moderna, si possono dedurre alcune considerazioni. Il padre risulta essere figura oscura e la commedia sembra non interessarsene, se non in termini utili a rivolgere calunnie al demagogo: i dubbi riguardo alla sua identità erano frequenti e circolavano certamente non solo sulla scena del teatro comico, ma
anche tra il popolo di Atene, il quale dovette dividersi nel ritenere Iperbolo figlio di Cremete v di Antifane e, di conseguenza, nel contestargli o nel riconoscergli i pieni diritti di cittadino. Si può tuttavia concludere che, almeno a partire dall’inizio della carriera pubblica di Iperbolo, il padre non sembra aver svolto alcun ruolo a fianco del figlio: di conseguenza potrebbe essere giustificato postulare che egli fosse già morto in quel periodo o comunque assente da Atene. Assai diverso fu invece il ruolo della madre. È probabile che anche le sue origini fossero oscure: anch’ella doveva provenire dal δῆμος,
dal basso popolo, quello che non parlava un attico puro, ma ricco di inflessioni contadinesche. Accomunata al destino del figlio nell’accanita satira dei poeti comici, ma autonoma e intraprendente per ruolo sociale nonché per personaggio teatrale, la madre di Iperbolo appare
trebbe
4 Questa ripresa dell'interesse intorno ad Iperbolo negli anni 411-10 poessere provato anche dal Δημοτυνδάρεως di Polizelo, datato al 410 da P.
GeissLer (Chronologie der Altattischen Komödie, Dublin-Zürich 1925 [19692], pp. 57 sgg.) sulla base dei riferimenti a Teramene nel fr. 3 K.A. ed allo stesso Iperbolo nel fr. 5 K.A.
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partecipe e sostenitrice dei successi del demagogo, rivelando i tratti di quel ceto, privo di nobili natali, ma di recente ricchezza, costituito da quegli uomini πονηροί le cui madri sono indegne di sedere accanto a quelle dei χρηστοί.
2. La professione: artigianato, demagogia e ricchezza. Come testimoniano ripetutamente le fonti*!, Iperbolo era venditore di lampade, delle quali però era anche, al tempo stesso, il fabbricante: così attesta infatti il termine λυχνοποιός usato da Aristofane nella Pace^? e dallo scoliaste nelle spiegazioni apposte a due versi dei Cavalieri. Infatti se Iperbolo fosse stato soltanto venditore e non fabbricante, non si spiegherebbe la calunnia secondo cui egli, fabbricando le lampade, aggiungeva piombo al rame, imbrogliando così i compratori‘. Diverse interpretazioni sono poi state date ad un verso
di Aristofane secondo cui Iperbolo vendeva le sue lampade in σχάφαι. Ehrenberg ^ interpreta questo passo ritenendo Iperbolo un bottegaio, un venditore al minuto, un χάπηλος. Nella lettura di questo studioso
σχάφη sarebbe un «vassoio a forma di nave» su cui l'artigiano esponeva i propri prodotti. Il termine greco potrebbe peró anche indicare lo scafo della nave o per lo meno della barca e cosi altri storici moderni4 hanno invece pensato di poter considerare Iperbolo un &uπορος, trascurando peró che vi era un termine ben preciso, ναύχληρος, per indicare il commerciante che, per nave, si recava da un luogo al#1 CRAT. 209 K.A.; ArIstoPH., Eg. 739, 1315; Pax 690; Nub. 1065; Scuor. AnisTOPH., Pax 692; Anpoc. fr. 5 Dalmeyda; THeop., FGrHist 115 F 96. 42 AnrsTOPH., Pax 690.
4 ScHoL. ÁnisropH., Eg. 739, 1304. “4 Questa testimonianza di un Iperbolo imbroglione nell'esercizio della propria
professione è contenuta in ScHoL. ARIıSTOPH., Nub. 1065. Tale notizia è, secondo F. CAMON (Figura, cit., p. 190, n. 4), incompatibile con ScHoL. ArIsTtoPH., Eq. 1304, in
cui si afferma che Iperbolo lavorava e produceva le proprie lampade in argilla, non in metallo. Questa contraddizione può essere risolta supponendo che nel suo laboratorio di produzione e vendita fosse ampia la circolazione di merci e si praticassero e com-
mercializzassero lavori in entrambi i materiali. 5 V. EHRENBERG, L’Atene di Aristofane, Firenze 1957, trad. it., p. 179. 4 Cf. per i riferimenti bibliografici V. EHRENBERG, op. cit., p. 178; F. CAMON, Figura, cit., p. 190, n. 1.
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l’altro per vendere la propria merce. Inoltre non vi è alcuna testimonianza che possa far pensare ad un commercio navale svolto direttamente da Iperbolo: piuttosto in questa seconda accezione il termine σχάφη potrebbe forse rimandare ad un’ampia diffusione e commercializzazione delle lampade prodotte da una bottega capace di un giro d’affari piuttosto intenso e quindi occasione di ricchezza per il proprietario, che assume così notevoli caratteristiche imprenditoriali e non solo quelle di un semplice bottegaio. È probabile infatti che in questi opifici lavorassero schiavi-operai sotto la direzione, effettiva o delegata, del padrone dell'attività artigianale o commerciale^". In ogni caso l'essere un venditore & un dato che accomuna ad Iperbolo molti dei successori di Pericle: in questo modo infatti i poeti comici tendono a creare una caricatura del personaggio divenuto pubblico per svilirlo anche nella vita privata. Se Iperbolo è λυχνοπώλης, Cleone
è βυρσοπώλης48, Eucrate
στυππειοπώλης49, Lisicle προβατο-
πώληςὉ, L'identificazione di un personaggio con un preciso mestiere rientra dunque nella caratterizzazione comica della nuova classe politica che in quegli anni si stava imponendo. Artigiani e venditori sono i politici πονηροί, i protagonisti di un nuovo modo di far politica che mira anzitutto alla προστασία τοῦ δήμου. Questa situazione è ben attestata e descritta, spesso con ostilità e sospetto, dalle fonti antiche. Sufficientemente rappresentative e significative possono essere le seguenti testimonianze.
Le ragioni dell'ostilità della Commedia
sono ben espresse dal
frammento 384 K.A. di Eupoli che, ai versi 4-5, manifesta in questi
termini il proprio rimpianto per un'Átene ormai passata, in cui a governare erano uomini provenienti da una gloriosa tradizione familiare e non ambiziosi dell’ultima ora: ἦσαν ἡμῖν τῇ πόλει πρῶτον μὲν οἱ στρατηγοὶ ἐκ τῶν μεγίστων οἰχιῶν, πλούτῳ γένει τε πρῶτοι.
4 Così è attestato per Cleone da ScHor. ArıstopH., Eq. 44, per Nicia da XEN., Vect. IV 14 e per Demostene da AESCHIN., De fais. leg. [II] 93. Cf. C. Mossé, La fin de la démocratie atbénienne, Paris 1962, p. 72. 4 «Mercante di cuoio»: ArıstopH., Eg. 136. * «Venditore di stoppa»: ArIstoPH., Eg. 129. 5 «Mercante di pecore»: ARISTOPH., Eg. 132.
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Particolarmente illuminante è poi un passo di Euripide, poeta estremamente attento e partecipe dei cambiamenti sociali ora descrit-
ti?!, Nei versi dell'Oreste è dato di leggere: ὅταν γὰρ ἡδύς τις τοῖς λόγοις φρονῶν καχῶς πείθῃ τὸ πλῆθος, τῇ πόλει xaxóv μέγα᾽ ὅσοι δὲ σὺν νῷ χρηστὰ βουλεύουσ᾽ dei,
x&v μὴ παραυτίκχ', αὖθίς εἰσι χρήσιμοι πόλει. θεᾶσθαι δ᾽ ὧδε χρὴ τὸν προστάτην 186v0” ὅμοιον γὰρ τὸ χρῆμα γίγνεται τῷ τοὺς λόγους λέγοντι τῷ T ἰωμένῳ 72.
Per comprendere appieno la portata di questi versi, espunti da Kirchoff, è bene tenere in considerazione che nei precedenti vv. 90206, in cui l'assemblea di Argo esprime la propria ostilità ad Oreste, vi può essere un’allusione ad un personaggio contemporaneo di Euripide dietro la descrizione di Oreste come uomo sfrenato nel parlare, tracotante, straniero quanto ad origini (Ἀργεῖος οὐκ Ἀργεῖος), entrato a
forza nella città, persuasivo a tal punto da poter condurre i cittadini in qualche male e disastro. Lo scoliaste ha voluto individuare in questa descrizione un riferimento a Cleofonte, il demagogo che nell’anno di rappresentazione dell’Oreste, 408, era il leader dei democratici e il προστάτης τοῦ πλήθους. Sulla base di questa identificazione la voce verbale ἠναγχασμένος del v. 904 può essere intesa come «entrato a forza nella città», vedendovi contenuta quell’accusa che in modo esplicito è dichiarata da Eschine in questi termini: Κλεοφῶν
δὲ è λυροποιός, ὃν πολλοὶ δεδεμένον ἐν πέδαις ἐμνημόνευον, παρεγγραφεὶς
αἰσχρῶς πολίτης καὶ διεφθαρχὼς νομῇ χρημάτων τὸν δῆμον 5.
51 Il passo che ora considereremo è comunemente ritenuto interpolato e quindi espunto, ma non per questo perde il proprio valore di testimonianza storica. 32 Eur., Or. 907-13. Trad.: «Quando un uomo suadente nel parlare, ma dai
cattivi pensieri persuade la folla, un grande male ne viene alla città; quanti invece danno sempre ottimi consigli sostenuti dalla ragione, in seguito si rendono utili per la
città. In questo modo dunque bisogna vedere e considerare il prostates: infatti la situazione è la medesima per l'oratore e il medico». 5 ArscHIN., De fals. leg. [II] 76. Trad.: «Cleofonte, il fabbricante di lire, che
molti ricordavano con i ceppi ai piedi, che era stato iscritto illegalmente e vergognosamente fra i cittadini e che aveva corrotto il popolo con largizioni».
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Interessa alla nostra ricerca notare che il sintetico giudizio espresso da Eschine contro il demagogo Cleofonte ripete gli stessi schemi satirici ed elementi diffamanti usati dalla Commedia e dall'oratore Andocide nella propaganda contro Iperbolo: il mestiere di artigiano, le origini straniere e in particolare servili?*, la conseguente indebita appartenenza alla cittadinanza ateniese a pieno diritto”, Inoltre, ponendo in relazione questo passo con i citati versi di Euri-
pide, giunge a completamento la descrizione della nuova classe politica sinteticamente avvertita come demagogica.
Questi nuovi protagonisti della scena politica provengono infatti da famiglie oscure, ma hanno un’arma preziosa per imporsi e conquistare il favore del pubblico: l'eloquenza, il mezzo indispensabile per arrivare al successo non solo privato ma anche pubblico, per conquistare la προστασία, come ripeteva proprio in quegli anni l'insegnamento sofistico. Non contano piü le origini e la classe sociale, ma l'abilità e la competenza come dice Pericle, celebrando la democrazia ateniese nel discorso riportato da Tucidide 56. Tuttavia l'oscurità d'origine di questi politici fece sì che si potesse guardare a loro con sospetto e che, su questo stesso sospetto, si potesse fondare la calunnia dei poeti comici. Riesce infine difficile credere,
con Carcopino?",
che Iperbolo
non godesse che di una mediocre ricchezza: la Commedia infatti lo presenta sempre come ricco e le stesse accuse di disonestà avrebbero finito per essere private della loro consistenza se riferite ad un uomo che con la disonestà non si fosse arricchito. Sembra testimoniare e descrivere con precisione le condizioni economiche di questa classe sociale e politica di uomini πονηροί, a cui Iperbolo appartenne, un passo del P/uto di Aristofane: Πολλοὶ μὲν yàp τῶν ἀνθρώπων ὄντες πλουτοῦσι πονηροί, ἀδίκως αὐτὰ ξυλλεξάμενοι᾽ πολλοὶ δ' ὄντες πάνυ χρηστοὶ
πράττουσι καχῶς καὶ πεινῶσιν ... 58.
54 Cf. ArıstopH., Ran. 679 sgg. e 1532. 5 Cf. B. BArpwiN, Notes on Cleophon, «AClass», XVII (1974), pp. 35-38. 56 Tuuc.,
II 57, 1.
57 J. CARCOPINO, op. cit., p. 244. 55 AristoPH., Pl. 502-04. Trad.: «Infatti molti uomini, pur essendo cattivi, sono ricchi, in quanto hanno accumulato beni con l'imbroglio; molti altri invece, pur
essendo gente davvero per bene, se la passano male e soffrono la fame e la povertà».
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È evidente dunque l’attacco contro questi nuovi ricchi e ancor più rimarchevole è notare che l'opposizione πονηροί / χρηστοί, già no-
tata in ambito politico, include nei suoi risvolti sociali anche un con-
trasto economico tra antica e nuova ricchezza con un crescente predominio della seconda sulla prima in seguito alla maggior integrazione della classe artigiana e mercantile, che probabilmente sapeva rivelare maggior slancio e intraprendenza rispetto. all’aristocrazia, la quale si mostrava vicina e fedele alle tradizioni nelle origini e nei modi di relazionarsi in ambito sociale. Questo contrasto, al tempo stesso etico ed economico, è ben espresso da un interessante composto linguistico creato da Cratino, che definisce questi concittadini alla ribalta della vita politica νεοπλουτοπονηροί, sintesi efficace delle nuove categorie
sociali e morali??. Indizio di ricchezza sono poi senz’altro le accuse di disonestà mosse contro Iperbolo. Esse sono ribadite anche da Leucone nei Φράτερες: ἁτάρ,
ὦ Μεγάκχλεες, οἶσθά που Παάπιδος,
Ὑπέρβολος τἀχπώμαθ' ἃ χατεδήδοχε50.
In questi versi, infatti, Iperbolo è accusato di aver sottratto i preziosi vasi portati in Atene da un certo Paàpis, probabilmente un mercante egizio, come interpreta Kock®!.
Prova sicura della ricchezza di Iperbolo potrebbe poi essere la carica di trierarco che Iperbolo avrebbe conseguito e assolto secondo quanto sembrerebbero documentare Eupoli e forse Aristofane92. La trierarchia è infatti prova certa di ricchezza: è noto infatti da Lisia che verso la fine del V secolo una trierarchia costava circa 5000 drac-
59 CRAT. 223 K.A. Cf. G. Bona, Per un’interpretazione di Cratino, in La polis e il suo teatro, cit., pp. 181-211, p. 208; In., Sulle tracce di uno strano viaggio (Cratin. fr. 233 K.-A.), «Eikasmos», III (1992), pp. 137-48.
6 Leuc. 1 K.A. Trad.: «Megacle, del resto tu sai, credo, delle coppe di Paapis, quelle che Iperbolo si è fatto fuori». 61 Ta. Kock, CAF, I, p. 704. V. EHRENBERG (op. cit., p. 215) ricava da questo frammento che in Atene fossero molti gli Egizi; contro questa interpretazione si è espresso F. CAMON (Figura, cit., p. 191). € Eup. 210 K.A.; Arıstopn., Thesm. 873.
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me$3. Tuttavia, come sarà dato di considerare nello studio delle cari-
che pubbliche ricoperte dal demagogo, l'ipotesi di una trierarchia di Iperbolo sembra essere una possibilità assai incerta, se non senz'altro improbabile, stando alle fonti a noi note. 3. La παιδεία e l'esordio a vita pubblica. Volendo considerare il percorso formativo seguito da Iperbolo in relazione e al fine di esordire con successo nella vita pubblica, si devono in primo luogo valutare alcuni versi delle Nzvo/e aristofanee, ovvero quelle parole che il personaggio Socrate pronuncia, con ironia e sicura presunzione, per chiedere a Lesina se sarà possibile educare all'eloquenza giudiziaria Tirchippide, il figlio di Lesina stesso, che gli è appena stato condotto e che ha subito mostrato una dizione pessima e goffa©5. Socrate infatti aggiunge subito dopo che persino Iperbolo è riuscito ad imparare l’arte del dire (o meglio l’arte dei «due discorsi») sia pur con una spesa ingente, un talento. Così nel greco di Aristofane: πῶς ἂν μάθοι ποθ᾽ οὗτος ἀπόφυξιν δίκης ἢ χλῆσιν ἢ χαύνωσιν
ἀναπειστηρίαν;
xaitor γε ταλάντου τοῦτ᾽ ἔμαθεν Ὑπέρβολος $6.
Questi versi di Aristofane possono sembrare ad un primo esame uno dei tanti attacchi che la commedia attica riservò al demagogo Iperbolo, ma, proprio in relazione alla παιδεία, essi possono riflettere un significato più completo. Anzitutto è evidente che la finzione comica ha probabilmente esagerato la spesa sostenuta da Iperbolo per la 9 Cf. Ixs., In Diog. [XXXII] 24-26 e Accept. muner. sine nom. defensio [XXI]
2, che indicano la spesa rispettivamente in 4800 e 5150 dracme. 64 Ripropongo sinteticamente in questo paragrafo quanto già elaborato nel mio
recente contributo Iperbolo φιλόδιχος: la formazione e l'esordio nella vita pubblica, «Sileno», XXII (1996), pp. 57-68. 55 Si tratta della stessa pessima pronuncia per cui è schernito Iperbolo in PLAT. Com.
183 K.A. 55 AnrSTOPH., Nub. 874-76. Trad.: «In qual modo costui potrà imparare a schivare una sentenza o a fare una citazione o l’arte dei paroloni persuasivi? Eppure addirittura Iperbolo l'ha imparato per un talento».
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propria formazione. Platone attesta infatti che un corso di lezioni del sofista Eveno di Paro costava cinque mine, pari a 500 dracme$?. Confrontando tale cifra con le 6000 dracme, equivalenti al talento che sa-
rebbe stato pagato da Iperbolo, non è difficile ritenere che la satira aristofanea non ha voluto perdere l’occasione per colpire il demagogo mostrandolo come un ripetente bisognoso di moltissime lezioni, disperatamente ignorante e rozzo: un discepolo privo di predisposizione na-
turale, frequentante la scuola dei sofisti (anche se non necessariamente la scuola dello stesso Socrate, evitando così di forzare la lettura
del testo e non confondere il personaggio delle Nuvole con il Socrate storico). Nel riferimento alla somma di un talento sono tuttavia pre-
senti indizi, da un lato, della ricchezza di Iperbolo e della sua famiglia, dall’altro, della sua precisa e quasi ostinata volontà di acquisire un'educazione che gli fornisse la competenza e la competitività necessaria ad imporsi nella vita pubblica ateniese di quegli anni. L'indicazione più rilevante è quella tuttavia che appare valorizzare l’informazione
essenziale contenuta
nei versi in esame.
Aristofane in-
fatti, pur mostrando interesse soprattutto per i risvolti comici dell’affermazione, documenta che Iperbolo aveva acquisito una formazione sofistica utile all’azione giudiziaria (ma anche, o forse proprio per questo, politica) fondata su tre elementi: ἀπόφυξις (la scappatoia legale per schivare una condanna, ma anche per ottenere una giusta assoluzione se intendiamo il termine in modo neutro), κλῆσις (la citazione, la querela), e χαύνωσις ἀναπειστηρία (l'enfasi, l'arte dei paroloni persuasivi).
Questi tre termini, pur nella deformazione della poesia comica, indicano caratteristiche importanti non solo della formazione di Iperbolo, ma anche degli strumenti e dei modi che la sua azione politica, intesa come ampia partecipazione alla vita della πόλις, seppe assumere. In particolare, è evidente che Iperbolo non ha avuto nulla della focosa eloquenza di Cleone$8, a cui tuttavia è stato spesso accostato,
6 PraT., Ap. 20 b. 6 Sull'arte oratoria di Cleone cf. ArıstopH., Eq. 137, 218, 256, 274 sg., 285, 304, 311, 430 sg., 487, 626 sgg., 1018, 1030; Pax 313 sg., 757; Vesp. 36, 596, 1034;
HerMIPp. 47 K.A.; PrAT. Com. 236 K.A.; Crar. Tuuc., III 36, 6; Prur., Tib. Gracch. 2.
198 K.A.; PHerecR.
56 K.A.;
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ma che piuttosto ha potuto usufruire della formazione, dispendiosa e prestigiosa, della scuola dei sofisti&?. Α questo proposito e utile e significativo il confronto con la formazione culturale seguita da Alcibiade, che, nato nel 451-50 ed en-
trato nella vita politica intorno alla metà degli anni Venti, condivise con Iperbolo, probabilmente di pochi anni piü vecchio, il medesimo momento storico. Quella di Alcibiade fu infatti una vera παιδεία aristocratica, formatasi alla scuola socratica del Λύκειον, in profondo legame
con Socrate stesso??.
Risulta particolarmente rappresentativo
dei diversi percorsi formativi di Iperbolo ed Alcibiade il confronto tra due testimonianze, quelle di Plutarco ed Eupoli?!. Se da un lato Plutarco attesta l'importanza della musica nell'educazione del giovane Alcibiade (che si rifiuta di suonare il flauto ritenendo indegno di un uomo libero l'uso di uno strumento che sconvolge i lineamenti del viso e impedisce la parola di chi soffia nell'imboccatura), d’altro lato il frammento di Eupoli fornisce una preziosa caratterizzazione di Iperbolo-Maricante: Maricas, qui est Hyperbolus, 6 166) ha stofane, venuto, goghi e attacchi
nibil se ex musice scire
W.R. Connor (New Politicians in Fifth Century Athens, Princeton 1971, p. dubitato che il legame tra Iperbolo e i sofisti, attestato dalle Nuvole di Arisi sia davvero verificato, muovendo dalla considerazione che, se ciò fosse avla Commedia non avrebbe esitato a colpire duramente i rapporti tra demasofisti allo stesso modo in cui Aristofane non ha risparmiato, separatamente, contro Socrate e violenza ed ostilità contro i protagonisti della demagogia
democratica ateniese: Cleone, Iperbolo e Cleofonte. Pur potendo condividere il principio generale da cui prende avvio l’obiezione di Connor, ritengo tuttavia che si possa superare tale difficoltà proprio tornando ad una lettura corretta della testimonianza aristofanea. Essa infatti non può permettere di sostenere un legame profondo e per
questo significativo tra Iperbolo e i sofisti, e ancor meno tra il futuro demagogo e Socrate. Tuttavia consente di determinare la formazione culturale di Iperbolo, rilevandone entità e limiti. Si tratta di una cultura strettamente tecnica volta ad acquisire quegli elementi, soprattutto retorici, ma probabilmente anche giuridici, utili ad imporsi nell’Atene dei processi e delle assemblee, una cultura che nulla ha da condividere con la παιδεία aristocratica e che viene comprata da una classe sociale arricchitasi con il commercio e l’artigianato, forte non del prestigio di una famiglia illustre,
ma della propria notevole disponibilità economica (Cf. R.J. Hopper, Trade and Industry in Classical Greece, Londres 1979, p. 47). Sulla ricchezza della nuova classe politica e sociale dei πονηροί, cf. ARISTOPH., Plut. 502-04, già citato.
70 Cf. Prur., Ale. 4, 1-4; 6, 1-5; 7, 3-6; 16, 2; 16, 7. 7! PLut., Ale. 2.5-7 e Eur. 208 K.A. [= Qumr., Inst. orat. I 10,18). Cf. K. Ross, Literacy and Paideia in ancient Greece, Oxford 1994, pp. 183-213.
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IPERBOLO
nisi litteras confitetur, riprendendo le parole che Aristofane aveva messo in bocca al Salsicciaio ai vv. 188-89 dei Cavalieri: "AM, ὧγάθ', οὐδὲ μουσικὴν ἐπίσταμαι πλὴν γραμμάτων, καὶ ταῦτα μέντοι xaxà xax
72.
Proprio riguardo alla μουσιχή, tratto distintivo della παιδεία ari-
stocratica, è dato dunque di comprendere appieno la differenza che intercorre fra la formazione culturale di Alcibiade, simbolo d’eccellenza degli εὐγενεῖς, e quella di Iperbolo, che certo seppe acquisire una preparazione che superava i rudimenti dell’alfabetizzazione, i γράμpata, ma che rimase sempre un'istruzione tecnica finalizzata a ben precisi fini pratici, quali il sapersi imporre con competenza sia nei dibattimenti processuali sia nelle discussioni politiche dell'assemblea. Fu dunque proprio questa preparazione tecnica a consentire ad
Iperbolo di affermarsi nell'Atene dei processi: egli apprese ad evitare una condanna,
a presentare una citazione,
ad addolcire la voce in
modo da essere persuasivo. In quella stessa città soffocata dalla πολυπραγμοσύνη giudiziaria e politica, da cui tentò di fuggire l'Evelpide
aristofaneo, Iperbolo divenne ben presto protagonista nei διχαστήρια prima che nelle &xxAnoiaı, tanto da meritare l'appellativo di φιλόδικος attribuitogli dallo scoliaste aristofaneo che, nel commento al v. 846
degli Acarnesi, afferma come «Aristofane muova continuamente accuse e calunnie» ad Iperbolo, dicendolo «amante delle liti»: YrépRoXoc τοῦτον ὡς φιλόδικον διαβάλλει συνεχῶς ᾿Αριστοφάνης.
Sono infatti proprio gli Acarnesi di Aristofane a fornire, insieme alle Horai di Cratino, una prima testimonianza dell'attività pubblica
di Iperbolo in anni vicini al suo esordio??. Ai vv. 845-47 infatti leggiamo: 7 AnrsTOPH., Eg. 188-89. Trad.: «Ma, buon uomo, io non ne so davvero nulla
dell'arte delle Muse, fuorché un po’ di alfabeto, e per giunta piuttosto male!». ? Secondo le ὑποθέσεις di tradizione bizantina, la commedia fu rappresentata alle Lenee (gen.-feb.) del 425 sotto l'arcontato di Euthynos. Tuttavia M. Sorpi (La data degli Acarnesi di Aristofane,
« Athenaeum», XXXIII,
1955, pp. 47-54) sostiene
che la commedia fu ampiamente rimaneggiata dal momento che contiene riferimenti a fatti posteriori al 425. La studiosa (art. cit., pp. 52-53) conclude che l’ultima stesura
ΠΟΛΙΤῊΣ ΤΩΝ
ΑΘΗΝΑΙΩΝ
23
χλαῖναν δ᾽ ἔχων φανὴν sia χοὺ ξυντυχών σ᾽ Ὑπέρβολος
δικῶν ἀναπλήσει 7^.
Queste parole sono pronunciate nella finzione comica dei vecchi Acarnesi del Coro che così tributano espressioni di approvazione a Diceopoli: quest’ultimo infatti, conclusa la tregua privata con i Laconi, può ora liberamente commerciare con chiunque, come ha appena fatto con il Megarese, che gli ha venduto le figlie travestite da porcelline, senza timore nei confronti dei sicofanti, ma anzi cacciandoli dal mercato?5. Dice appunto il Coro: «È fortunato quest'uomo. Hai sentito che successo ha la sua trovata? E ne godrà i frutti standosene seduto al mercato. E se un Ctesia o un altro sicofante vi entra, si pentirà di essere venuto a sedersi». Segue un elenco di personaggi pre-
sentati tutti come odiosi e detestabili, ma che Diceopoli saprà cacciare ed evitare: tra costoro vi è appunto Iperbolo con il riferimento sopracitato.
Iperbolo dunque, acquisiti alla scuola dei sofisti gli strumenti per imporsi nella vita pubblica, iniziò la propria carriera con un'attività oratoria di tipo politico-giudiziario. Infatti, possiamo senz'altro pensare che, se il suo esordio fu probabilmente quello di delatore in cause giudiziarie su questioni di diritto privato, tuttavia la motivazione politica non dovette mancare fin dall'inizio. Come per Cleone, al quale l'occasione per mettersi in luce fu offerta dal malcontento diffuso nelle masse popolari in seguito alle devastazioni della guerra?$, anche
per Iperbolo l’attività pubblica ebbe inizio, e poi continuazione, non risale ad un periodo posteriore all'autunno del 424. Se si accettano le argomentazioni della Sordi, non è possibile dunque precisare a quale anno, dal 425 al 423, debba riferirsi un'allusione contenuta negli Acarnesi a meno che non ci si possa appoggiare su altre fonti. Per quanto concerne i vv. 845-47, che contengono il riferimento ad
Iperbolo e che ora prenderemo in esame, ritengo tuttavia che nulla possa far sospettare che non appartengano alla redazione originaria degli Acarnesi: essi infatti sono
ancora lontani dalla satira ricca di contenuti politici che si accanirà contro Iperbolo a partire dai Cavalieri (Lenee 425-24) ed inoltre ben si inseriscono nel clima sociale e politico del 426-25, quando la commedia aristofanea muoveva attacchi contro l'Atene dei sicofanti e dei demagoghi guerrafondai.
^ AristoPH., Ach. 845-47. Trad.: «Potrai passare con un mantello bello pulito e non ti capiterà di imbatterti in Iperbolo pronto ad insudiciarti di processi». 7 ARISTOPH., Ach. 824 sgg. % Cf. PLur., Per. 33, 2; 35, 6.
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IPERBOLO
solo con la militanza politica, ma anche e soprattutto con le azioni giudiziarie contro gli avversari di partito??.
L'accanimento di Diceopoli, e quindi di Aristofane, contro i delatori s'inserisce nella lotta contro l'Atene della guerra e dei processi,
nella quale la delazione rappresenta l’aspetto più evidente di una città soffocata dalla πονηρία. A questo proposito, risulta interessante confrontare il passo ora esaminato, con un altro sempre appartenente agli Acarnesi. Ai vv. 515-19 Diceopoli, in un lungo intervento in cui si rivolge direttamente ai concittadini ateniesi, individua tra le cause della guerra, oltre al decreto pericleo contro Megara, l’azione degli ἀνδράρια μοχθηρά che ἐσυχοφάντει Μεγαρέων tà χλανίσχια. Appare spontaneo individuare tra questi «omiciattoli spregevoli» anche Iperbolo e tale identificazione può essere supportata dalle seguenti motivazioni. Anzitutto abbiamo la presenza di μοχθηρός, termine che, a co-
minciare dall'bapax tucidideo in VIII 73, 3, è quasi il simbolo della leggenda nera che condannò nel mondo antico e condanna nella storiografia moderna il demagogo Iperbolo?8. Soprattutto però appare significativo il riferimento ai xAavioxıa di Megara quali oggetto della denuncia dei sicofanti: il termine, pur al diminutivo, rimanda alla χλαῖνα del v. 845 con la quale Diceopoli,
conclusa la tregua privata, può liberamente andare in giro senza che Iperbolo lo denunci??. Iperbolo dunque puó rientrare a pieno titolo tra questi ἀνδράρια μοχθηρά, di cui, ai vv. 676-91, possiamo cogliere altre caratteristiche: sono ῥήτορες νεανίσχοι (v. 680), che si adoperano per sostenere nei
processi le proprie ragioni d'accusa, νεανίαι (v. 685), che subito colpiscono attaccando con espressioni forbite, trascinano alla tribuna e poi 7 Non c'è nessun motivo di ritenere, come invece ha fatto F. CAMON (La demagogia, cit., p. 367) che nel 425-24 (anno di rappresentazione dei Cavalieri) Iperbolo
lasciasse l’attività giudiziaria per quella politica. I due impegni pubblici non possono essere distinti ed inoltre abbiamo testimonianze sul fatto che anche dopo il 424 Iperbolo svolse attività forense (cf. Arıstopn., Vesp. 1007 e 16. Oltre che in THuc., VIII 73, 3 Iperbolo è detto pevole di μοχθηρία, anche in Arıstopn., Eg. 1304; PLur., LOCH., FGrHist 528 F 30. ? I mantelli di lana erano una merce caratteristica
II 7, 6.
spec. Eur. 193 K.A.). μοχθηρός, o comunque colArist. 7, 2; Nic. 11, 6; Purdi Megara, cf. XEN., Mem.
ΠΟΛΙΤῊΣ ΤΩΝ
AGHNAION
.
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interrogano tendendo tranelli di parole (vv. 685-87). Come risulta evidente, questi giovani protagonisti dell'Atene dei processi si servono abilmente degli strumenti retorici acquisiti alla scuola dei sofisti e fanno di questo il loro successo: tra di essi vi è Iperbolo che già si distingue con un ruolo di spicco tanto da meritare, ribaltando l’ironia comica, di essere citato per nome nel passo degli Acamesi da cui la nostra riflessione ha preso spunto. Non è possibile tuttavia affermare con sicurezza quando Iperbolo abbia iniziato la propria attività oratoria nei processi. Certamente ciò avvenne prima del 426-25, anno di rappresentazione degli Acarnesi: questo stesso anno diviene anche terminus ante quem della
rappresentazione delle Horai di Cratino®°, commedia che, in un frammento, reca un'importante testimonianza?!: (Ὑπερβόλου)
Κρατῖνος δὲ ἐν Ὥραις ὡς παρελθόντος νέου τῷ βήματι μέμνηται xoi
παρ᾽ ἡλιχίαν.
Il frammento, che è qui citato nella forma in cui lo riportano le principali sillogi dei commediografi, è stato messo in dubbio, insieme con l’informazione in esso contenuta, da alcuni studiosi82, i quali, so99 Circa la datazione delle Horai di Cratino e quella dell'inizio dell'attività pubblica di Iperbolo si è venuto a mio avviso a determinare un equivoco che ha generato un errore. Come risulta da J.M. EpMoNps, The Fragments of Attic Comedy, I, Leiden 1957, pp. 113 sgg. e più recentemente da R. KasseL-C. Austin, PCG, IV, Berlin 1983, p. 258, la datazione delle Horai ante 426 è sempre stata fondata proprio sul
riferimento ad Iperbolo nel fr. 283 K.A. che ora prenderemo in esame. Tuttavia, proprio basandosi su questa presunta datazione delle Horai, e non su quella sicura e pro-
bante degli Acarnesi, si è finito per datare ante 426 l'esordio di Iperbolo nella vita pubblica con un evidente errore metodologico: così ha fatto F. Camon, La demagogia, cit., p. 365. Inoltre si può legittimamente dubitare che sia possibile datare le Horai fondando tale cronologia sul riferimento ad Iperbolo contenuto nel fr. 283 K.A. che,
come vedremo, contiene soltanto l'indicazione che Iperbolo raggiunse giovane la tribuna dei processi, ma non dice, né può far supporre, che questo avvenne contemporaneamente alla commedia di Cratino, legittimando così la stessa datazione: in realtà la presenza del verbo μέμνηται e del participio aoristo παρελθόντος sembrano indicare
la posteriorità della commedia rispetto all’inizio dell'attività giudiziaria di Iperbolo. 5! CnAT. 283 ΚΑ.
(= ScHot. Luc., Tim. 30, p. 115,
5 R.).
9 H. MÜLLER-STRÜBING, Aristophanes und die historische Kritik, Leipzig 1873 [1980], p. 394; TH. Kock, CAF, 1, 91 (nota al fr. 262 di Cratino) e H. Swosopa, art. cit., col. 255. Cf. anche I. KircHNER, PA, 2, 330. Contra F. Camon (La demagogia,
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IPERBOLO
spettando una corruttela nel testo, hanno proposto la seguente correzione: νέον («di recente») invece di νέου («da giovane»), al fine di eliminare la contraddizione con uno scolio ad Aristofane, in cui troviamo attestato che Iperbolo non sarebbe riuscito ad emergere nella vita politica fino alla morte di Cleone83. Di difficile interpretazione resta poi l'espressione xai παρ᾽ ἡλικίαν di cui problematico è precisare significato e ruolo sintattico. Per valutare filologicamente e storicamente questa testimonianza occorre tuttavia considerarla all’interno e nella completezza del testo da cui il frammento comico proviene: (de Hyperbolo) Κρατῖνος δὲ ἐν Ὥραις (fr. 283 K.A.) ὡς παρελθόντος νέου τῷ βήpan μέμνηται καὶ παρ᾽ ἡλικίαν καὶ ᾿Αριστόφανης Σφηξὶ (cf. v. 1007) καὶ Εὔπολις Πόλεσι (fr. 252 K.A.).
Si tratta di uno scolio a Luciano84 dal quale provengono in testimonianza diretta due frammenti comici, chiaramente attribuiti alle Horai di Cratino e alle Poleis di Eupoli, ai quali si aggiunge l'analogo riferimento alle Vespe aristofanee. La natura della testimonianza dello scoliaste appare evidente: il commentatore antico intende fornire cit., pp. 365-66), il quale ha ritenuto non necessaria tale correzione adducendo mo-
tivazioni, non tutte egualmente probanti. Tra di esse appaiono convincere quelle presenti là dove lo studioso nota che la contraddizione con lo scolio ad ArISTOPH., Nub.
624 è soltanto apparente, perché, mentre il frammento comico afferma semplicemente che Iperbolo «è salito ancora giovane sulla tribuna oratoria», lo scolio ad Aristofane dice che Iperbolo «non si è messo in luce finché Cleone fu in vita». Lo scoliaste infatti potrebbe aver voluto semplicemente dire che fin dopo la morte di
Cleone Iperbolo non assunse nessuna importante carica e per questo non si distinse in modo particolare dagli altri cittadini: questo però non esclude affatto che prima potesse essere uno dei molti ῥήτορες giovani presenti ad Atene, così come risulta da alcune testimonianze di Aristofane (cf. AristoPH., Ach. 678-80, 685 sgg.). Non è pos-
sibile invece seguire Camon nel giustificare il frammento di Cratino basandosi su Eupoli (fr. 252 K.A.). Come ora vedremo, entrambi derivano da uno stesso scolio a Luciano che attribuisce a tutti e due un unico testo: se dunque si sospetta una corruttela, non possiamo ritenere corrotto solo il frammento di Cratino e non anche quello di
Eupoli, e tanto meno possiamo utilizzare uno dei due frammenti per difendere o criticare la forma tràdita dell’altro. 9 ScHoL. ARISTOPH., Nub. 624: (Iperbolo) οὐδέπω γὰρ διέπρεπε Κλέωνος En ζῶντος. Metà γὰρ τὸν ἐχείνου θάνατον ἠξιώθη. Cf. supra n. 82. ^ Scuor. Luc., Tim. 30, p. 115, 5 R.
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un'indicazione che egli stesso ricava interpretando il contenuto di passi delle tre commedie e non vuole riportare la citazione esatta dei versi. Le parole riportate dallo scolio non pretendono dunque in nessun caso di essere veri e propri versi di uno dei tre poeti, ma piuttosto una sintesi di contenuto comune a tutte le fonti citate. Se poi verifichiamo l’attendibilità di questa interpretazione e lettura dello scoliaste basandoci sull’unica di queste commedie a noi giunta per intero, le Vespe aristofanee, allora possono sorgere altri legittimi dubbi. Nelle Zoijxec, infatti, vi è un'unica allusione ad Iperbolo al v. 1007 quando Schifacleone, che vuole guarire il padre Filocleone dalla mania dei tribunali e dei processi, si rivolge al genitore dicendogli di non prendersela se non andrà più a fare il giudice: tra cene, conviti e feste trascorrerà felicemente il resto della vita ed Iperbolo non lo prenderà più in giro con i suoi inganni: κοὐχ ἐγχανεῖταί σ᾽ ἐξαπατῶν Ὑπέρβολος.
Come è evidente, in questi versi non è contenuta allusione al-
cunaal fatto che Iperbolo sia salito ancora giovane sulla tribuna oratoria: possiamo dunque legittimamente congetturare che forse non vi alludeva neanche Eupoli nelle Po/eis85. Si può infatti supporre che lo scoliaste abbia forse voluto semplicemente indicare, a supporto della notizia fornita da Cratino, altri due passi in cui ci fossero riferimenti all'attività giudiziaria di Iperbolo oratore, ma che non sottolineavano l'elemento della giovane età. Analizzando infatti il testo dello scolio, la struttura sintattica del periodo consente di preferire l’attribuzione del suo contenuto letterale a Cratino: il testo dello scolio vede anticipato e messo in evidenza il nome di Cratino in qualità di soggetto con successivo verbo al singolare, lasciando invece a conclusione della frase i riferimenti ad Aristofane ed Eupoli, quasi a voler dire «confronta». Sulla base di questa ipotesi e di altre che ora aggiungeremo si può allora provare a considerare genuino frammento delle Horai di Cratino soltanto le seguenti parole: Κρατῖνος δὲ ἐν Ὥραις ὡς παρελθόντος νέου τῷ βήματι μέμνηται.
A queste farebbe seguito la seconda
8 Le Poleis sono state rappresentate probabilmente alle Dionisie del 422, cf. R. Kasse-J. Austin, PCG,
5, pp. 422-25; L.C. SronEv, Dating and re-dating Eupolis,
«Phoenix», XLIV (1990), pp. 18-20.
28
IPERBOLO
parte di commento e di confronti, καὶ παρ᾽ ἡλικίαν καὶ ᾿Αριστόφανης Σφηξὶ καὶ Εὔπολις Πόλεσι, da intendersi come un'esplicitazione e una
ulteriore definizione della prima proposizione, dove παρελθόντος νέου è chiarito con l’aggiunta καὶ παρ᾽ ἡλικίαν e viene istituito dallo scoliaste il confronto con le Vespe di Aristofane e le Poleis di Eupoli quali testimoni
di Iperbolo,
giovane
ῥήτωρ,
anzi troppo
giovane
ῥήτωρ,
come potrebbe implicare proprio l'espressione καὶ rap’ ἡλιχίανϑὁ6, Lo scoliaste dunque vorrebbe dire: «Cratino nelle Horai ricorda che Iperbolo arrivó giovane sulla tribuna dei processi e [su questa stessa tribuna] durante i primi anni dell'età adulta (oppure, e forse meglio: ' nonostante, in contrasto con la giovane età’) ce lo ricordano sia Aristofane nelle Vespe sia Eupoli nelle Poleis». Questa interpretazione permetterebbe di superare le difficoltà del testo senza individuare elementi corrotti e da emendare. In particolare, oltre a sciogliere i problemi relativi al nesso νέος καὶ παρ᾽ ἡλικίαν che non ha altra attestazione in tutta la lingua greca??, risolverebbe coerentemente il problema della paternità tra Cratino ed Eupoli riguardo al contenuto dello scolio, attribuendo il frammento al solo Cratino e non anche ad Eupoli. Inoltre tale soluzione giustificherebbe il riferimento dello sco-
% Volendo individuare l’esatto valore dell'espressione xap' ἡλικίαν, che comunque potrebbe essere una glossa penetrata nel testo per spiegare νέου, bisogna anzi-
tutto osservare che tale nesso presenta un uso tutt’altro che comune nella prosa e nella poesia in lingua greca a noi pervenuta, attestato quasi esclusivamente in Plutarco (cf. D. WrrrENBACH, Lexicon Plutarcheum, 2, Oxford 1830 [Hildesheim 1962], pp.
750-51). Infatti, oltre che in questo autore, troviamo soltanto altre due attestazioni del nesso παρ᾽ ἡλικίαν, delle quali una è in Menandro (Monosticha 690 Meineke, FCG, 4, 360) e l'altra, particolarmente significativa, nelle argomentazioni finali dell'orazione Contro Alcibiade pseudo-andocidea ([Anpoc.], C. Alcib. [IV] 39), quando Alci-
biade stesso è accusato di aver compromesso e corrotto i giovani, «comportandosi da impudente, facendo loro disertare le palestre e conducendo una vita non adatta all'età», ovvero παρὰ τὴν ἡλικίαν πράττων. Tra i valori semantici attribuibili alla preposizione παρά quando questa regge l’accusativo, quello preferibile in questa circostanza
pare possa oscillare tra l'accezione temporale, assai diffusa, di «durante, in» e quella traslata di «nonostante, a dispetto di, in contrasto con», ben attestata in Plutarco (Arat. 4, 1; Ant. 88, 5; Cic. 41, 5; Fab. 12, 5; Them. 2, 3) e confermata in modo
decisivo dal passo citato dell’orazione Contro Alcibiade tramandata dalla tradizione manoscritta nel corpus andocideo. È ben attestato invece νέος ἡλικίην in Hpr. III 134 e ἡλικίᾳ νέος in THuc., V 43, 2.
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liaste alle Vespe di Aristofane e non porterebbe a dover postulare un errore nella citazione dello scoliaste stesso88. Volendo provare a quantificare in termini di età l'aggettivo νέος e l'espressione rap’ ἡλιχίαν, si può notare anzitutto come entrambi in-
dichino un'età compresa tra i venti e trent'anni, il periodo successivo all'efebia, quando si iniziava ad essere cittadini ateniesi a pieno titolo con tutti i diritti e doveri che ne derivavano*?. In secondo luogo l'età dell'esordio di Iperbolo nella vita pubblica si puó definire portando a compimento il ragionamento che, muovendo dagli Acarnesi, ha interessato le Horai di Cratino. A conclusione infatti non sembra potersi dubitare che Iperbolo abbia iniziato giovane la propria presenza nella vita pubblica dal momento che gli anni 426-24 lo vedono affermato protagonista delle 5ixo1?9, sicofante temuto ed odiato, sì da poterne dedurre che fu proprio il βῆμα dei tribunali a conoscere l’ingresso nella vita pubblica del figlio di Antifane. Possiamo altresì ritenere che tali inizi vadano collocati verso la fine degli anni Trenta: ricevuti, o ® Ben diversa è invece l'interpretazione se si preferisce considerare corrotto νέου e correggerlo in νέον: bisognerebbe allora anche espungere παρ᾽ ἡλικίαν, considerando tale espressione come una glossa di νέου introdotta nel testo per spiegare l'ag-
gettivo divenuto tale in seguito a corruzione. Infatti, se si corregge νέου senza espungere παρ᾽ ἡλικίαν, l'intervento volto ad emendare il testo appare inutile ed ingiustifi-
cato in quanto non si risolve la possibile contraddizione con lo scolio al v. 624 delle Nuvole. Tuttavia non sembrano esservi adeguati motivi per un intervento così sostanziale sul testo ed è più opportuno il tentativo volto a provare la notizia nella forma tramandataci dalla tradizione, cercando di collocarla coerentemente all’interno della biografia di Iperbolo. 8 Possiamo individuare questo ambito d’età confrontando AristoPH., Nub. 1058-59 e Xen., Mem. I 2, 35, che mostrano inoltre con evidenza quanto fosse vivace
il dibattito sui νέοι e la loro partecipazione alla vita pubblica nell'Atene dei sofisti e di Socrate. È poi utile considerare anche Truc., V 43, 2, in cui Alcibiade, all’inizio dell'estate del 420 e quindi all'età di trent'anni circa, è detto ἡλιχίᾳ νέος, pur con la limitazione ὡς ἐν ἄλλῃ πόλει: cf. A. Anprewes-K.J. Dover, HCT, IV, pp. 48-49. Cf. anche Anisror., Aib. Rsp. 53, 4, in cui si fa riferimento alle 42 classi della milizia regolare dai 18 ai 60 anni chiamandole appunto ἡλικίαι, ma cf. anche THiuc., III 67, 3; VII 60, 3; VIII 1, 2; VIII 75, 5; Lys., Epitaph. [II] 49. Per il valore dei termini
νέος ed ἡλιχία all’interno delle scale d’età cf. 5. CATALDI, Un regolamento ateniese sui misteri eleusini e l'ideologia panellenica di Cimone, in Studi sui rapporti interstatali nel mondo antico, Pisa 1981, pp. 95, 98-99, 116. Particolarmente significativo è PLUT.,
Mor. 7544, che indica l’nAıxia quale l'età matura posta a conclusione della seguente successione: βρέφος, παῖς, ἔφηβος, μειράχιον e quindi γενόμενος ἐν ἡλικίᾳ.
® Oltre ai già citati passi degli Acarnesi cf. anche Arıstopn., Eq. 1363.
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meglio «comprati» dalla scuola dei sofisti i necessari rudimenti retorici e giudiziari, Iperbolo si sarebbe inserito nell'Atene dei processi venendo ben presto ad assumere un ruolo di rilievo, che è attestato a partire dal 426-25, ma che non si può escludere fosse già operante negli anni immediatamente precedenti. A ben riflettere, da quanto detto sugli ἀνδράρια μοχθηρά citati negli Acarnesi di Aristofane, possiamo forse rilevare un zerminus post quem nell'anno presunto del decreto ateniese contro Megara (432-31 circa)?!, atto che accese definitivamente il clima politico e sociale ad Atene e nel mondo greco, preparando e accelerando i tempi che dovevano poi portare alla guerra del Peloponneso. Da questo momento si determinarono in Atene le condizioni che facilitarono l'affermarsi degli ἀνδράρια μοχθηρά (per usare
le parole di Aristofane) e tra di loro anche di Iperbolo, che in quel periodo di tempo doveva essere poco più che ventenne con una data di nascita che si può così individuare nel 454-53 circa. Dalla formazione alla scuola dei sofisti e da queste prime esperienze di sicofante e di φιλόδιχος nei processi nacque dunque il demagogo e il protagonista di quell'intensa vita politica che accompagnò Atene fino alla fine della guerra e che ora proveremo a seguire ancora una volta sulla scorta dei versi della derisione comica e delle lacunose testimonianze storiche.
91 Sul decreto contro Megara e la sua datazione cf. G.E.M. De Svr. Cnorx, The
Origins of tbe Peloponnesian War, London 1972, chap. VII, The Megarian decrees, pp. 225-89 (con le appendici XXXV-XLIII, pp. 381-98); R.P. Lecon, The Megarian Decree and the Balance of Greek Naval Power, «CPh», LXVIII (1973), pp. 161-71; PH.
GAUTHIER, Les ports de l'empire et l'agora atbénienne: à propos du «decret mégarien», «Historia», XXIV (1975), pp. 498-503; A. FRENCH, The Megarian Decree, «Historia», XXV (1976), pp. 245-49; T.E. Wick, Thucydides and the Megarian Decree, «AC», XLVI (1977), pp. 74-99; S. CATALDI, Recenti studi sulle relazioni interstatali nel mondo greco, « ASNP», VII, 4 (1977), pp. 1414-33; E. Bar-Hen, Le décret mé-
garien, «SCI», IV (1978), pp. 10-27; M. Sorpi, I/ decreto di Pericle contro Megara, in Studi Rittatore Vonwiller, 2, Como 1980, pp. 507-11; B.R. MacDoNALp, The Megarian Decree, «Historia», XXXII (1983), pp. 385-410; P.A. SrAprER, Plutarch, Charinus, and the Megarian Decree, «GRBS», XXV (1985), pp. 351-72. Penetranti osservazioni sul decreto megarese sono state formulate recentemente da E. BADIAN, Thucydides and the Outbreak of the Peloponnesian War, in From Plataea to Potidaea. Studies in the History and Historiography of the Pentecontaetia, Baltimore-London 1992, pp. 125-62, in particolare pp. 144-45, 154-55, 230 n. 43.
CAPITOLO
II
DA ®IAOAIKOZ A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ: ASCESA DI UN DEMAGOGO
1. Σχωπτόμενος ἐν τοῖς θεάτροις".
Secondo quanto si è già osservato nel capitolo precedente, è ora conseguente la possibilità di tracciare le linee esplicative dell’attacco operato dalla poesia comica contro Iperbolo, più volte sottolineato. La prima allusione al demagogo è, per quanto è noto, quella contenuta, e già considerata, nelle Horai di Cratino, rappresentate probabilmente tra il 428 e il 426. Da quegli anni le allusioni, che diventano sempre più spesso vera e propria satira comica, si fanno più numerose e vio-
lente. Intere commedie vengono scritte contro il demagogo: inizia poli che nel 421 scrive contro di lui il Mapıxäg, lo segue Platone mico che, senza mezzi termini o velate allusioni, ma piuttosto con tira esplicita e diretta, intitola una propria commedia Ὑπέρβολος,
EuCosaEs-
1 Prur., Ale. 13, 4. 2 La stessa sorte sarà destinata, sempre da Platone Comico, anche a Cleofonte, il demagogo e prostates che tante affinità mostra con Iperbolo nella caratterizzazione comica. Infatti dall'elenco delle commedie scritte da Platone Comico, tramandato da Sum. s.v. Πλάτων κομικχός, risulta anche un Κλεοφῶν, confermato da alcuni frammenti attribuibili a questa commedia. La presenza, tra le commedie di Platone Comico, di titoli riportanti non un'allusione, ma il preciso riferimento ad un cittadino ateniese con l’esplicita citazione del nome mostra un clima di pressante accanimento e calunnia contro singoli protagonisti della vita politica invisi ai poeti comici; questo atteggiamento fece sentire necessario ed urgente l’intervento del legislatore con provvedimenti di censura che purtroppo sono in parte oscuri nei contenuti e nei modi di attuazione. In questo contesto vengono infatti a collocarsi i decreti di Morychides del
440 a.C. e di Syrakosios del 415 a.C., la cui efficacia è tuttavia difficile da valutarsi.
22
IPERBOLO
sendo rilevante il valore testimoniale dei versi comici, è utile ed opportuno, prima di considerare le tappe della carriera pubblica di Iperbolo, fornire il prospetto cronologico delle fonti comiche relative al demagogo: ante 426
Cratino, Horai;
Lenee 426-25
Aristofane, Acamesi;
Lenee 425-24
Aristofane, Cavalieri;
Dionisie 424-23
Cratino, Pytine (primo classificato); Aristofane, Nuvole (terzo classificato);
Lenee 423-22
Aristofane, Vespe;
Dionisie 422-21
Aristofane, Pace (secondo classificato?); Leucone, Frateres (terzo classificato);
Lenee 422-21
Eupoli, Maricas;
post 421
Aristofane, Nuvole II (mai rappresentate);
post Maricantem - ante Nubes II 420-19?4
Ermippo, Artopolides;
post Maricantem - ante Hyperboli ostracismum Platone Comico, Iperbolo*;
post 416
Platone Comico, fr. 203 K.A.®;
Cf. AnisToPH., Av. 1297 cum scholio e cf. H.A. HOLDEN, op. cit., s.v. Συραχόσιος; P. GEISSLER, op. cit., p. 17; M.G. Bonanno, La Commedia, in Storia e civiltà dei greci, III, Milano 1979, p. 313; A.H. SoMMEnsTEIN, The Decree of Syrakosios, «CQ», XXXVI (1986), pp. 101-08; J.E. ArkiNsoN, Curbing the Comedians: Cleon versus Aristopbanes and Syracosius’ Decree, «CQ», XLII (1992), pp. 59-64; C. Carer, Comic
Ridicule and Democracy, in Ritual, Finance, Politics. Atbenian Democratic Accounts Presented to David Lewis, ed. by R. Ossorne-S. HornBLOWER, Oxford 1994, pp. 69-83; G. MASTROMARCO, Teatro comico e potere politico nell’Atene del V secolo a.C. (Pseudo-Senofonte, Costituzione degli Ateniesi, II 18), in Storia, poesia e pensiero nel mondo antico. Studi in onore di M. Gigante, Bari 1994, pp. 451-58; L. CANFORA, Ath. Pol. II 18 e la censura sul teatro, in L'Atbenaion Politeia dello Pseudo-Senofonte, a
cura di M. GIGANTE e G. MappoLi, Perugia-Napoli 1997, pp. 108-22. 3 Primo fu Eupoli con i Κόλαχες, gli Adulatori. * P. GEISSLER, op. cit., p. 46. 5 Ibid., p. 49 sgg. 6 Questo frammento, che contiene un riferimento a Iperbolo ostracizzato, è
considerato come appartenente alla commedia Iperbolo da S. BiaNcuETTI, L'ostraci-
DA ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ
A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
ASCESA
412-11
Aristofane, Tesmoforiazuse;
411-09
Polizelo, Demotindareo;
Lenee 406-05
Aristofane, Rane.
DI UN
DEMAGOGO
33
Da questa scansione cronologica si possono dedurre alcune considerazioni preliminari. Anzitutto il periodo in cui la Commedia si accanisce maggiormente contro Iperbolo corrisponde agli anni in cui il demagogo svolse la propria attività politica in un ruolo di preminenza. È poi importante rilevare che l’anno 422-21 svolge un significativo ruolo di discrimen all'interno della satira comica che, proprio a partire da questo momento,
si volge in derisione gratuita, senza
preoccupazione alcuna di motivare il proprio attacco: si tratta dell'anno della pace di Nicia, che ha segnato la sconfitta del partito della guerra, e allora la satira politica contro i perdenti puó farsi caricatura tesa soltanto a suscitare le grasse risate di un pubblico che vuole, con la derisione, prendersi la propria rivincita contro chi lo ha illuso prospettandogli la «bella avventura», ricca di promesse, della guerra. L'assenza di testimonianze comiche su Iperbolo negli anni che vanno dall'ostracismo al 412-11 potrebbe essere forse spiegata con il fatto che questo periodo coincide esattamente con quello dell'ostracismo del demagogo. Questa puó tuttavia non essere l'unica ipotesi interpretativa: questi anni coincidono in gran parte anche con il lungo
silenzio a cui la tradizione, che ha conservato solo undici delle quarantaquattro commedie attribuite al poeta dagli editori alessandrini, ha costretto la voce di Aristofane proprio negli anni che vanno dalla Pace, o se vogliamo dalle Nuvole II, fino agli Uccelli, commedia rappresentata alle Dionisie del 414 e che non contiene riferimenti diretti ad Iperbolo, ormai ostracizzato. Di lui descriveremo ora la carriera politica, percorrendo criticamente le sicure e talora possibili testimonianze circa le cariche che il demagogo avrebbe ricoperto nella sua ricerca di preminenza e successo nella vita pubblica.
smo di Iperbolo e la seconda redazione delle Nuvole di Aristofane, «SIFC», LI (1979), pp. 221-48, spec. p. 237, che conseguentemente data questa commedia di Platone Comico nel 418-17, ovverosia nell'anno che, secondo la studiosa, vide l'ostracismo di
Iperbolo.
34
IPERBOLO
2. Anno 425-24: Iperbolo nei Cavalieri di Aristofane. Anno decisivo nella carriera pubblica di Iperbolo dovette essere senz'altro il 425-24, l'anno di rappresentazione dei Cavalieri di Aristofane, quando, come recita uno scolio alla medesima commedia, ap-
pare evidente che Iperbolo era già entrato nella vita politica". Non abbiamo comunque motivo di ritenere che proprio in quest'anno, in cui certamente si verificò una svolta nella biografia del venditore di lucerne capace di assurgere a demagogo, l'attività forense di φιλόδιχος
fu abbandonata per intraprendere quella politica di δημαγωγός. Le due attività infatti non possono essere distinte, ma anzi si legano l'una all'altra in una correlazione in cui l'azione politica è integrata da quella giudiziaria contro gli avversari. Inoltre consistenti testimonianze portano a concludere che, anche dopo il 424, Iperbolo svolse attività forense?, continuando a manifestare la propria φιλοδικία come
sicofante temuto ed odiato. Si può piuttosto pensare che pressappoco in questi anni il demagogo abbandonò l’esercizio diretto della propria professione artigianale, e soprattutto la vendita in prima persona delle lucerne, per dedicarsi completamente alla politica, sicuro delle proprie ricchezze basate probabilmente su un consolidato laboratorio artigianale e su ampi mercati commerciali, che non richiedevano più la sua costante e diretta presenza!9. La provenienza dal δῆμος, tanto rimproverata e rinfacciata dalla
satira comica, forniva ora un vantaggio a Iperbolo: sapere bene che il popolo, spesso sospettoso nei confronti dei nobili, voleva anzitutto che la politica fosse condotta sempre nel proprio interesse. Così infatti era già accaduto per Cleone e accadrà ancora per Androcle e Cleofonte, secondo quella linea di continuità che unisce i demagoghi che si succedono alla προστασία τοῦ δήμου e che perseguono un progetto politico ben evidenziato dal filosofo Platone in due passi che si ? ScHoL. λιτείαν.
ARISTOPH.,
Eq.
1363:
φαίνεται δὲ
ὁ Ὑπέρβολος ἤδη εἰσβὰς εἰς τὴν πο-
8 Contra F. Camon, La demagogia, cit., p. 367. ? Cf. Arıstopn., Vesp. 1007; Eur. 193 K.A.
10 Queste considerazioni possono ricavarsi da ARISTOPH., Eg. 1315, là dove la presenza della voce verbale ἐπώλει al passato conferma che Iperbolo aveva ormai cessato la vendita diretta delle proprie lucerne.
DA
ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ
A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
ASCESA
DI UN
DEMAGOGO
35
rivelano fondamentali per comprendere il rapporto fra δημαγωγία e δημοχρατία all'interno del contesto ateniese!!. Ritornando alla testimonianza dei Cavalieri di Aristofane, essa
attesta con sicurezza, come si vedrà subito appresso, che Iperbolo nel 425-24 era pienamente immerso nella vita pubblica ateniese quale protagonista della scena politica proprio secondo l'orientamento demagogico ora espresso. I versi aristofanei permetteranno inoltre di po-
stulare che l'attività politica del fabbricante di lucerne possa aver avuto inizio e svolgimento anche intenso prima di quest'anno, anche se, secondo quanto abbiamo sinora esaminato, le testimonianze relative ad Iperbolo ed anteriori a questa data sono difficilmente valutabili a causa delle difficoltà evidenziate soprattutto in relazione ad una corretta e precisa interpretazione e collocazione delle Horai di Cratino.
Quanto la figura di Iperbolo sia presente nei Cavalieri, ovvero nella commedia di Aristofane che più di ogni altra è volta alla critica dell'Atene dei demagoghi, è ben attestato anche dall'esegetica antica testimoniata dagli scoliasti, la quale si dimostrò particolarmente attenta nel riconoscere, dedurre o mettere in evidenza ogni riferimento al demagogo, spesso spingendosi oltre i limiti consentiti da una corretta lettura. Questo,
ad esempio, è accaduto nel commento
scolia-
stico al verso 149, che segna l’ingresso in scena del Salsicciaio Agoracrito, invitato ad entrare dal primo dei due servi con l’appellativo σωτὴρ τῇ πόλει καὶ νῷν. Il commento scoliastico relativo a questo passo,
dopo aver svolto interessanti considerazioni su particolari tecnicodrammatici riguardanti l’entrata in scena del Salsicciaio, aggiunge: τοῦτον (Agoracrito) δὲ οἱ μὲν Κλεώνυμον, οἱ δὲ Ὑπέρβολον, οἱ δέ φασιν
Εὔβουλον εἶναι. Questa identificazione, peraltro già offerta con incertezza dallo scoliaste, è senz'altro improponibile: essa infatti è assolutamente inconciliabile con i passi dei Cavalieri nei quali è fatto esplicito riferimento ad Iperbolo in un modo tale da non lasciar dubbi riguardo al fatto che si tratti di un’altra persona rispetto al Salsicciaio. Certa è invece l’allusione ad Iperbolo colta sempre da uno sco11 Cf, PrAT., Gorg. 513 a-c; Rsp. VI 493 d. Cf. sul tema D. MustI, Demokratia.
Origini di un'idea, Roma-Bari 1995, pp. 57-62, 175-97.
36
IPERBOLO
liaste e contenuta ai vv. 733-40, dove il Salsicciaio, contrapponendosi a Paflagone di cui si dice rivale, così si presenta al Demo, che gli chiede chi egli sia: ᾿Αντεραστὴς τουτουί ἐρῶν πάλαι σου βουλόμενός
τέ σ' εὖ ποεῖν,
ἄλλοι τε πολλοὶ καὶ καλοί τε χἀγαθοί.
735
Ἀλλ᾽ οὐχ οἷοί τ᾽ ἐσμὲν διὰ τουτονί. Σὺ γὰρ ὅμοιος εἶ τοῖς παισὶ τοῖς ἐρωμένοις" τοὺς μὲν καλούς τε χἀγαθοὺς οὐ προσδέχει, σαυτὸν δὲ λυχνοπώλαισι καὶ νευρορράφοις,
καὶ σκυτοτόμοις καὶ βυρσοπώλαισιν 12 δίδωςP.
Giustamente due scoli al verso 739 avvertono del facile riferi-
mento ad Iperbolo: Sch. 739a. Λυχνωπόλῃσι: δι’ Ὑπέρβολον. καὶ αὐτὸς γὰρ δημαγωγὸς ἦν λυχνοποιὸς ὦν. Sch. 739b. λυχνοπώλαισιν] διὰ τὸν Ὑπέρβολον λέγει, ὃς ἦν λυχνοποιός.
In questo passo aristofaneo si ripete un luogo comune della satira contro i demagoghi, proprio della Commedia antica in generale, ma specifico in modo particolare dei Cavalieri: il demagogo è identificato con la precisa classe professionale da cui proviene e che lo appoggia e sostiene nell’ascesa politica. Analogo atteggiamento lo si ritrova in un altro passo di Aristofane in cui troviamo conferma di quanto fosse importante il sostegno di quanti attendevano al medesimo mestiere, ma anche di tutti quelli che, svolgendo attività artigianali o di commercio, si riconoscevano in una stessa linea ed azione politica. Così infatti
il Salsicciaio controbatte a Paflagone, rivolgendosi ora a lui ora a Demo:
12 ScHoL.
ARISTOPH.,
Eg.
740a:
σχυτοτόμοις καὶ βυρσοπώλαισι:
Κλέωνι καὶ Av-
σικλεῖ.
13 ARISTOPH., Eq. 733-40. Trad.: «Sono il suo (di Cleone) rivale in amore: da tempo sono innamorato di te e voglio farti solo del bene; e, insieme a me, molte altre ottime persone. Ma non ne siamo capaci a causa di costui. Tu infatti sei simile a quei
ragazzi che hanno molti corteggiatori: non vuoi le persone per bene, ma ti concedi ai mercanti di lucerne, ai ciabattini, ai calzolai ed ai mercanti di cuoio».
DA ®IAOAIKOZ
A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
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DI UN
DEMAGOGO
37
ἐπίσχες ἐν ταῖς ἀσπίσιν᾽ λαβὴν γὰρ ἐνδέδωχας.
Οὐ γὰρ σ᾽ ἐχρῆν, εἴπερ φιλεῖς τὸν δῆμον, &x προνοίας ταύτας ἐᾶν αὐτοῖσι τοῖς πόρπαξιν !^ ἀνατεθῆναι.
Ἀλλ᾽ ἐστὶ τοῦτ᾽ ὦ Δῆμε μηχάνημ᾽, iv’ ἣν σὺ βούλῃ τὸν ἄνδρα χολάσαι
850
τουτονί, σοὶ τοῦτο μὴ ᾿'χγένηται.
Ὁρᾷς γὰρ αὐτῷ στῖφος οἷόν ἐστι βυρσοπωλῶν νεανιῶν᾽ τούτους δὲ περιοικοῦσι μελιτοπῶλαι καὶ τυροπῶλαι᾽ τοῦτο δ᾽ εἰς Ev ἐστι συγχεχυφός,
ὥστ᾽ εἰ σὺ βριμήσαιο καὶ βλέψειας ὀστραχίνδα, νύχτωρ καθαρπάσαντες ἂν τὰς ἀσπίδας θέοντες τὰς ἐσβολὰς τῶν ἀλφίτων ἂν καταλάβοιεν ἡμῶνP.
855
Il v. 855 contiene un prezioso riferimento al gioco del coccio, descritto da Platone Comico
nella commedia
dal titolo Zupnaxia!®:
esso è una chiara allusione alla procedura dell'ostracismo e dovrà essere tenuto nella dovuta considerazione all’interno dello studio di questa istituzione in relazione ad Iperbolo. Il passo aristofaneo attesta infatti quanto quest'istituzione democratica,
nel 425-24,
fosse ormai
lontana dalla funzione originaria di salvaguardia dal pericolo di tirannide, ma si offrisse piuttosto come uno strumento decisivo per risolvere la lotta e la contrapposizione politica e per determinare a chi spettasse la fiducia del δῆμος: forse già allora si pensava ad una applicazione dell'ostracismo contro il demagogo piü importante del momento, Cleone, ma questo non dovette essere possibile perché, come
avverte il Salsicciaio, quel Paflagone, προστάτης τοῦ δήμου, godeva di un troppo forte appoggio popolare dei ceti artigiani e commerciali, pronti anche alla rivolta armata pur di difendere l'uomo della democrazia radicale". Questo passo dunque conferma quanto fosse importante per que14 Senza imbracciature infatti gli scudi non erano utilizzabili. Cf. Crrrias, 88 B 37 (D.-K.). 13 ArıstopH., Eg. 847-57. Trad.: «Fermati D, sugli scudi: ecco che mi hai of-
ferto presa! Se davvero ami Demo, non dovevi permettere che gli scudi fossero appesi deliberatamente con le imbracciature. Ma questo, o Demo, è uno stratagemma: se anche volessi punire costui, non ti sarebbe possibile. Vedi quale schiera di giovani
cuoiai gli è accanto; e attorno a loro stanno venditori di miele e venditori di formaggio. Raccolti tutti insieme cospirano: e se tu dessi segno di impazienza e facessi il viso di chi gioca ai ... cocci, di notte correrebbero a rubare gli scudi e occuperebbero le vie
d’accesso ai nostri granai». 16 PrAT. Com. 168 K. A. U Cf. ScHoL. ArIsToPH., Eg. 855.
28
IPERBOLO
sti nuovi personaggi della politica ateniese quel sostegno e consenso politico che, nato all’interno della propria corporazione professionale, si estendeva poi in particolare a quella cospicua parte di cittadini dediti alla lavorazione e produzione artigianale, oltre che al commercio: un tale appoggio non dovette mancare neanche ad Iperbolo, anzi probabilmente fu determinante in questi inizi di carriera. Ponendo in relazione questa base popolare su cui poggia il consenso politico ottenuto dai demagoghi con l'impossibilità, denunciata dal Salsicciaio, di sottoporre Paflagone-Cleone al «gioco dei cocci», ovvero all’ostracismo, si viene inoltre a delineare un’interpretazione politica volta a definire come antidemocratica la natura del consenso e della supremazia del προστάτης τοῦ δήμου: infatti, proprio l'inattuabilità dell'ostracismo, istituzione sentitamente democratica, o meglio il fatto di non ac-
cettare di essere sottoposto al giudizio del δῆμος derivante dall'attuazione di questa procedura, costituisce di fatto l'accusa, funzionale agli
intenti del Salsicciaio, di seguire un comportamento politico che a parole si definisce democratico, ma nei fatti si rivela finalizzato alla sola affermazione del proprio personale potere e successo. Continuando a percorrere i Cavalieri di Aristofane, è possibile
trovare un altro esplicito riferimento ad Iperbolo al v. 1363, a conclusione del seguente alterco fra il Salsicciaio e Demo: An. Αλ.
αἰσχύνομαί τοι ταῖς πρότερον ἁμαρτίαις. ἀλλ᾽ οὐ σὺ τούτων αἴτιος, μὴ φροντίσῃς, ἀλλ᾽ ol σε ταῦτ᾽ ἐξηπάτων. Νυνδὶ φράσον᾽
1355
ἐάν τις εἴπῃ βωμολόχος ξυνήγορος" «οὐχ ἔστιν ὑμῖν τοῖς δικασταῖς ἄλφιτα,
εἰ μὴ χκαταγνώσεσθε ταύτην τὴν δίχην᾽»
1360
τοῦτον τί δράσεις, εἰπέ, τὸν ξυνήγορον;
Δη.
ἄρας μετέωρον ἐς τὸ βάραθρον 15 ἐμβαλῶ, ἐχ τοῦ λάρυγγος ἐκχρεμάσας Ὑπέρβολον !9.
18 Il burrone a cui si allude è quello, fuori dalle mura di Atene, in cui venivano gettati i corpi dei condannati a morte per crimine contro lo Stato ateniese. Lo ricorda Senofonte (Heil. I 7, 20), attestando che questa esecuzione era prevista dal decreto di Cannonos (sul quale cf. anche ArIstoPH., Ecc/. 1089), promulgato al tempo di Cli-
stene e in vigore almeno MacDoweıı,
fino al primo decennio del quarto secolo. Cf.
D.H.
The Law in Classical Athens, London 1978, pp. 179-81, 271, n. 410.
19 ARISTOPH., Eq. 1355-63. Trad.: «Demo - Mi vergogno per gli errori fatti in precedenza.
DA
ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ
A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
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La presenza del nome di Iperbolo in questo contesto, pur non fornendo alcuna precisa informazione circa il ruolo concreto svolto dal demagogo all'interno della vita democratica ateniese in quest'anno 425-24, attesta tuttavia che egli era già ben presente sulla scena pubblica della politica e con un ruolo di primo piano; solo così infatti si può spiegare questa prima satira del tutto gratuita e non sostenuta,
almeno apparentemente, dal contesto, primo attacco di una serie che si farà lunga e insistente negli anni appresso, accompagnando il demagogo in ogni vicenda, in ogni successo o insuccesso della sua carriera
pubblica. Anzitutto dobbiamo chiederci perché in questi versi il poeta calibri la propria battuta finendo per destinare il riferimento comico proprio a Iperbolo e servendosi del nome del demagogo quale aprosdöketon per «peso, pietra»29. Evidentemente le risa del pubblico dovevano essere suscitate da due aspetti. Il primo era certamente la sorpresa alla quale si univa, in secondo luogo, l'effetto di attesa generato dalla posizione del nome di Iperbolo posto soltanto a fine verso e che assicurava e accresceva l'efficacia della sortita satirica. Con grande divertimento dei suoi spettatori il poeta non perde l'occasione per un motto di spirito che risulta riuscito proprio perché inaspettato: sarà Iperbolo stesso, non la solita pietra, a tirar giù nel burrone il corpo del βωμολόχος ξυνήγορος condannato
dal popolo,
dopo che questo,
convinto dal Salsicciaio, si sarà finalmente ribellato ai sorprusi di Paflagone e dei suoi uomini. In realtà solo a un primo esame quest’uso di Iperbolo a fini comici può sembrare gratuito: le motivazioni squisitamente politiche di questa satira sono in realtà da rintracciarsi in un altro passo dei Cavalieri, in cui esplicitamente e con centralità & tirato in causa Iperbolo. Infatti, per conoscere quale fosse e con quale modalità si svolgesse l'attività pubblica del demagogo intorno al 425-24, & fondamenSal. - Non ci pensare: non era tua la colpa, ma di quelli che t'ingannavano così. Ora rispondi: se un buffone di accusatore pubblico dicesse: 'Signori giudici, non avrete la farina se non emetterete sentenza di condanna in questo processo’, tu cosa gli faresti a questo accusatore pubblico? Dimmelo. Demo - Lo sollevo per aria, gli appendo al collo Iperbolo, e lo getto nel baratro.»
20 Così rileva giustamente anche il commentatore antico, cf. ScHoL. ARISTOPH., Eg. 1363b: Ὑπέρβολον ἀντὶ τοῦ λίθου.
40
IPERBOLO
tale l'esame dei versi aristofanei che pongono alla nostra attenzione la questione relativa a una possibile carica di stratego ricoperta da Iperbolo in un momento prossimo alla rappresentazione dei Cavalieri: Φασὶν ἀλλήλαις ξυνελθεῖν
τὰς τριήρεις εἰς λόγον,
xoi μίαν λέξαι τιν' αὐτῶν, ἥτις ἦν γεραιτέρα᾽ «Οὐδὲ
πυνθάνεσθε
ταῦτ᾽, & παρθένοι,
Φασὶν
αἰτεῖσθαί τιν᾽ ἡμῶν
τὰν τῇ πόλει;
ἑκατὸν εἰς Καρχηδόνα,
ἄνδρα μοχθηρὸν πολίτην, ὀξίνην2: Ὑπέρβολον"» ταῖς δὲ δόξαι δεινὸν εἶναι τοῦτο χοὐχ ἀνασχετόν,
καί τιν᾽ εἰπεῖν, ἥτις ἀνδρῶν ἄσσον οὐκ ἐληλύθει᾽ «'Arotporar, οὐ δῆτ᾽ ἐμοῦ γ᾽ ἄρξει ποτ᾽, ἀλλ᾽ ἐάν με χρῇ, ὑπὸ τερηδόνων σαπεῖσ᾽ ἐνταῦθα καταγηράσομαι.»
«Οὐδὲ Ναυφάντης γε τῆς Ναύσωνος, οὐ δῆτ᾽, ὦ θεοί, 2 È difficile cogliere nella sua pienezza il valore dell'aggettivo ὀξίνης, «acido,
acescente», con cui è qui appellato Iperbolo. Cf. ScHoL. AnrsroPH., Eq. 1304a: lo scoliaste vede nell'aggettivo un riferimento alla produzione artigianale delle ὀξίδες, le
ampolle atte a contenere aceto, contraddicendosi però quando deve ammettere che tuttavia Iperbolo è detto dalle fonti antiche fabbricatore di lucerne e non di questi recipienti per l'aceto. È possibile piuttosto cercare riscontri ad una spiegazione che
individui un significato coerente con l’orientamento del verso, volto a presentare Iperbolo in modo inequivocabilmente negativo e spregiativo. Il termine ὀξίνης è in-
fatti usato soprattutto per indicare il vino inacidito, sia come attributo di οἶνος (cf. THEOPHR., Hp. 9, 20, 4), sia come sostantivo (cf. THEOPHR., Hp. 9, 11, 1). In Aristofane ha solo un'altra attestazione, in Vesp. 1082, dove indica l'acuto sdegno (ὀξύνης
θυμός) con cui le vespe combatterono. Senz'altro diverso è l'uso nel passo ora esaminato, nel quale si può ritenere che il poeta abbia voluto mostrare Iperbolo proprio come
un vino inacidito, fattosi aceto: per Aristofane le parole del demagogo dovevano essere acide almeno quanto il vino inacidito è aspro al gusto. Il riferimento all’olvog ὀξίνης, se
correttamente individuato, potrebbe permettere un'ulteriore deduzione: Iperbolo sarebbe vino divenuto aceto in un'allusione che potrebbe permettere di congetturare per
il demagogo un recente passato in cui il giovane prometteva qualità apprezzabili (il vino buono), contrapposto ad un presente del tutto deprecabile (il vino inacidito): Iperbolo dunque, proprio nel 424, potrebbe aver dato un'ulteriore svolta alla sua azione politica in senso radicale e bellicista, svolta che è ovviamente disprezzata da Aristofane. Per la presenza del termine nella commedia si vedano anche Crar. 199 K.A.; Pur.oumrp. 14 K.A.; Hermipp. 88 K.A. (=Phor. p. 339, 22). Si può inoltre aggiungere che, considerando un possibile significato traslato del termine, potrebbe essere pertinente porre in relazione ὀξίνης con gli ambiti semantici dell'aggettivo ὀξύς
e la forma verbale παροξύνων: in questo caso il termine aristofaneo potrebbe indicare l'individuo «che incita il popolo suscitando sdegno», il demagogo insomma, come si può evincere dal confronto con Prur., Nic. 11, 4; 12, 6 (in riferimento allo stesso
Iperbolo e a Demostrato, sempre per sottolinearne l'atteggiamento demagogico).
DA ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ
A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
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εἴπερ ἐκ πεύχης γε χἀγὼ καὶ ξύλων ἐπηγνύμην. "Hv δ' ἀρέσχῃ
ταῦτ᾽ ᾿Αθηναίοις, χαθῆσθαί μοι δοχῶ
εἰς τὸ Θησεῖον πλεούσας ἢ ᾿πὶ τῶν σεμνῶν θεῶν 22. Οὐ γὰρ ἡμῶν γε στρατηγῶν ἐγχανεῖται τῇ πόλει᾽ ἀλλὰ πλείτω χωρὶς αὐτὸς ἐς κόρακας, εἰ βούλεται,
τὰς σκάφας, ἐν αἷς ἐπώλει 23 τοὺς λύχνους, καθελκύσας»24.
3. La strategia e il «grande disegno» contro Cartagine. È questione dibattuta dagli studiosi moderni se Iperbolo sia stato stratego. La notizia circa una possibile strategia del demagogo sembra potersi desumere proprio dal passo dei Cavalieri sopra riportato, ma sono state indicate anche altre fonti annoverate spesso come importanti a questo proposito: 1) Scuor. Arıstopn., Ach. 846: Ὑπέρβολος" ... ἦν δὲ στρατηγὸς ᾿Αθηναίων. 2) SchoL. ArisroPH., Pax 1319: στρατηγὸς φιλοπόλεμος εἴρηται δὲ παρ᾽ ὑπόνοιαν.
22 Queste divinità sono le Erinni. Il Theseion, luogo in cui erano conservate le ossa di Teseo (cf. PLuT., Thes. 36; Cim. 8), e il santuario delle Eumenidi erano ἄσυλα,
rifugi inviolabili, dove trovavano asilo gli schiavi e tutti coloro che erano perseguitati dai potenti: cf. AristoPH. 577 K.A. 2 L’uso del tempo imperfetto sembra confermare che nel 424 Iperbolo aveva
ormai abbandonato l’esercizio diretto della propria professione: la bottega, ormai ben avviata e sviluppata, doveva proseguire senza l’apporto diretto del proprietario. 2 AristorH., Eq. 1300-15. Trad.: «(Coro) Dicono che le triremi si siano riu-
nite per parlare l'una con l'altra e ‘Non sapete, fanciulle, quello che cittadino, l’acido Iperbolo, chieda Ad esse questo fatto sembrò essere
che una succede cento di terribile
di loro, quella che era più anziana, disse: in città? Si dice che un tale, un pessimo noi per una spedizione contro Cartagine”. ed intollerabile, e una, che non si era mai
avvicinata agli uomini, disse: ‘O dio che allontani ogni male, egli non comanderà mai su di me, ma, qualora fosse proprio necessario, invecchierò qua, marcita dai tarli’. ‘E
non comanderà neppure su Naufante, la figlia di Nausone, o dei, se è vero che anch’io sono fatta di pece e legno. Ma se gli Ateniesi prendono questa decisione, penso che dobbiamo andare a sederci supplici nel tempio di Teseo o in quello delle Dee Severe. Non si prenderà gioco della città comandando su di noi; ma, se vuole, se ne
navighi pure da solo ... alla malora, mettendo a mare le ceste in cui vendeva le lucerne'».
42
IPERBOLO
3) Arıstopn., Nub. 1065-66: Ὑπέρβολος δ᾽ οὐχ τῶν λύχνων πλεῖν ἢ τάλαντα πολλὰ εἴληφε διὰ πονηρίαν, ἀλλ᾽ οὐ μὰ AC οὐ μάχαιραν 25. 4) Eur. 207 K. A. (= ScHot. AESCH., Pers. 65):
Εὔπολις £v Μαριχᾷ (μαρίκα codd.) πεπέρακεν μὲν ὁ περσέπτολις ἤδη Μαρικᾶς (xapixac codd.)?6.
Basandosi proprio sul passo delle Nuvole citato al punto 3, Swoboda?" sostiene di poter concludere che Iperbolo avrebbe aspirato alla strategia, ma non sarebbe riuscito ad ottenerla. Sempre contro un effettivo impegno di Iperbolo nella carica di stratego si è schierato anche Carcopino?8. Lo studioso francese preferisce intendere il termine στρατηγός usato dallo scoliaste di Aristofane nella sua accezione più vasta e generica. Talvolta infatti la voce στρατηγός indica semplicemente il capo di una armata. Così è usata ad esempio da Diodoro??, che qualifica in questo modo Cleone: in questo caso essa non può certamente essere intesa in senso specifico in quanto, come lasciano de-
durre Tucidide?? ed Aristofane?!, Cleone non fu stratego durante le operazioni di Pilo, alle quali si riferisce il passo diodoreo, ma raggiunse tale carica soltanto nel 424-25. Tuttavia è bene ricordare che, in contesto ateniese, il termine & senz'altro piü attestato nel suo si25 Trad.: «Iperbolo, quello delle lucerne, grazie alla sua disonestà s'è arraffato un bel gruzzolo di talenti: altro che spada, per Zeus». È da notare come anche in questo caso l'introduzione dell'annotazione satirica contro il demagogo sia stata particolarmente cercata e voluta dal poeta: per certi versi essa appare persino forzata.
26 A TH. Kock (CAF, I, p. 311) sembra di poter individuare in questo verso l’inizio della parodo e forse di tutta la commedia. Come riferisce lo scoliaste questi versi di Eupoli ripetono, riferendoli a Maricante, AEscH., Pers. 65-67, dove infatti è dato di leggere i seguenti versi corali: πεπέραχεν μὲν ὁ περσέπτολις ἤδη
βασίλειος στρατὸς εἰς ἀντίπορον γείτονα χώραν.
Trad.: «L'armata regale, che devasta la città, già è passata alla terra vicina della
sponda opposta». 7 H. Swosopa, art. cit., col. 256. 28 J. CARCOPINO, op. cit., pp. 244-45, riprendendo un'ipotesi di SEELIGER (in
Neue Jahrbücher für Philologie, CXV, 1877, p. 745). 5 Diop., XII 63, 4. 30 Tuuc., IV 27-41.
3! ARISTOPH., Nub. 581 sgg.
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gnificato specifico, indicando così quel magistrato che, eletto ogni anno per xewotovia??, viene a far parte, con gli altri strateghi, del
collegio a cui spettava anzitutto il comando della flotta e dell’armata, ma le cui funzioni si estesero ben presto anche al di là degli affari di guerra??,
Prima di esaminare altre posizioni della storiografia moderna riguardo alla strategia di Iperbolo, è importante esaminare e studiare le fonti antiche, cercando di ricavare da esse tutte le notizie utili a chiarire, se non a risolvere, il problema.
Non è opportuno soffermarsi troppo sulle testimonianze dei due scoli agli Acamesi?4 e alla Pace33. Come spesso accade per questa specifica categoria di fonti, non abbiamo alcun elemento per non ritenere che questa notizia sia stata semplicemente dedotta dallo scoliaste 32 Arıstor., Ath. Rsp. 61, 1; cf. PJ. Ruopes,
A Commentary on tbe Atbenaion
Politeia, Oxford 1981, pp. 676-89. > Sulla strategia e la procedura di elezione cf. A. HauvETTE-BESNAULT, Les stratèges atheniens, Paris 1855, pp. 123 sgg.; C. Cori, s.v. Stratégos, in CH. DAREMBERG-E. ϑάσιμο, Dictionnaire des Antiquités grecques et romaines, IV, Paris 1911, p. 1523; W. SCHWAHN, s.v. Strategos, RE, Suppl. VI (1935), coll. 1971 sgg.; H.T. Wape-
Gery, Strategoi in tbe Samian
War (With an unpubl. Inscription, «CPh»,
XXVI
(1931), pp. 309-15; FW. Lenz, The Atbenian Strategoi of the Years 441-440 and 433432, «TAPhA», LXXII (1941), pp. 226-32; C. HicNETT, A Historical Commentary of the Atbenian Constitution, Oxford 1952, pp. 347 sg.; M.H. JAMESON, Seniority in the
Strategia, «TAPhA», LXXXVI (1955), pp. 63-87; K.J. Dover, Aéxatog αὐτός, «JHS », LXXX (1960) pp. 61-77; D.M. Lewis, Double Representation in the Strategia, «JHS», LXXXI (1961), pp. 118-25; E.S. SrAvELEY, Voting Procedure at the Election of Strategoi, in Ancient Society and Institutions, Oxford 1966, pp. 275-88; In., Greek and Roman Voting and Elections, London 1972, pp. 87-88; C.W. Fornara, The Atbe-
nian Board of Generals from 501 to 404, «Historia Einzelschriften» 16, Wiesbaden 1971; PJ. Bickneiı, Studies in Athenian Politics and Genealogy, «Historia Einzelschriften» 19, Wiesbaden 1972, pp. 107 sg.; N.G.L. HAMMOND, Studies in Greek
History, Oxford 1973, pp. 348 sg.; M. PrÉnaRT, A propos de l'élection des stratéges atbeniens, «BCH», XCVIII (1974), pp. 125-46; E. RuscHENBUSCH, Die Wahl der Strategen im 5. und 4. Jh. v. Chr. in Atben, «Historia», XXIV (1975), pp. 112-14; R. DeveLIN, The Constitution of Drakon, « Athenaeum», LXII (1984), pp. 301-09, spec. p. 304; G.R. STANTON, The Tribal Reform of Kleistbenes the Alkmeonid, «Chiron», XIV (1984), pp. 4-17, spec. p. 15; R. DEvELIN, Atbenian Officials 684-321 B.C., Cambridge 1989, pp. 3-4; D. HAMEL, Athenian Generals. Military Authority in tbe Classical Period, Leiden 1998, spec. pp. 115-57. 34 ScHoL. ARISTOPH., Ach. 846. ? SCHOL. ARISTOPH., Pax 1319.
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dopo la lettura del verso dei Cavalieri? in cui tuttavia non è presente il sostantivo στρατηγός, ma la voce verbale στρατηγῶν. Non è possibile
inoltre seguire Carcopino nel ritenere generica l’accezione data dallo scoliaste al termine στρατηγός: infatti le espressioni στρατηγὸς 'A0nναίων e στρατηγός φιλοπόλεμος confermano che lo scoliaste si riferiva
proprio alla carica pubblica e sottolineava che Iperbolo svolse questa funzione con un orientamento alquanto bellicistico (φιλοπόλεμος ap-
punto). Stando alle fonti antiche pervenute fino a noi e considerando il metodo di lavoro scoliastico, soltanto dal passo dei Cavalieri già ricordato?? lo scoliaste poteva ricavare, anzi dedurre le informazioni suddette, ovvero strategia e bellicismo di Iperbolo, che in seguito vengono quindi associate al nome dello stesso demagogo quando esso ricorre nelle altre commedie di Aristofane. Se dunque uno studio lessicale e semantico deve essere svolto, esso non può avere come oggetto il sostantivo στρατηγός, esito soltanto di una probabile deduzione dello scoliaste, ma piuttosto, come faremo, il verbo otpamyto. Inoltre è chiaro che non possiamo più considerare questi due scolii come fonte primaria: questo non vuol dire svilirne l’importanza, bensì esprimere l’esigenza di ripercorrere e valutare il ragionamento logico che potrebbe aver portato lo scoliaste alla conclusione di cui sopra si è riferito. Portata a termine questa va-
lutazione, sarà possibile allora seguire o contestare l'ipotesi di Iperbolo στρατηγός formulata nello scolio.
i
Proseguendo l’esame delle fonti antiche, risultano essere apparentemente contraddittorie le testimonianze di Aristofane?? e di Eupoli??. La prima attesta che Iperbolo si arricchì non con la spada (ossia combattendo), ma con la sua disonestà; nella seconda invece Eu-
poli definisce Iperbolo «distruttore di città», sottolineando così una sua presunta indole belligerante. La difficoltà di conciliare il presunto contrasto tra i due passi4° deriva tuttavia da un'interpretazione non completamente corretta. Infatti, iniziando dall'esame dei versi delle Nuvole, riteniamo
che Aristofane non dica che Iperbolo non si sia mai servito della 3 37 38 ? 4
Arıstopn., Eg. 1313. ArıstopH., Eq. 1300-1315. AnrsrOPH., Nub. 1065-1066. Eur. 207 K.A. Questa difficoltà è stata rilevata da F. Camon, Le cariche, cit., p. 46.
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spada e certo neanche il contrario, cioè che se ne sia servito in una qualche occasione. Il poeta sostiene semplicemente che il demagogo non si arricchì con la spada, vale a dire combattendo: il termine μάχαιρα, che rimanda direttamente al coltello portato vicino alla spada
dagli eroi omerici^!, oltre che a quello usato anticamente per compiere i sacrifici di animali^?, non può portare ad intendere l'espressione come un'indicazione che Iperbolo non si arricchì con la guerra, ma piuttosto esso suggerisce che il demagogo non ottenne ricchezze con una partecipazione diretta alla guerra come comandante e combattente in prima persona.
Appare cosi evidente che questo passo, teso a sottolineare ancora una volta la πονηρία di Iperbolo fornendo allo stesso tempo testimo-
nianza della sua ricchezza, non e affatto decisivo non solo riguardo alla strategia, ma anche riguardo ad una piü generica partecipazione
ad un'azione militare: infatti ὃ onesto e corretto sostenere che esso lascia aperta ogni possibile interpretazione. Di certo si può rilevare come questi versi sottolineino quanto, in una situazione prolungata di
guerra quale era quella ateniese in quegli anni, la ricchezza derivasse dalla scaltrezza, o se vogliamo dalla disonestà, nel saper sfruttare il
momento difficile e non dall'abilità strategica o da un'eventuale gloria militare: questa considerazione aristofanea non può tuttavia escludere che Iperbolo abbia avuto un ruolo attivo e non soltanto propositivo all'interno della conduzione della guerra, ruolo attivo che tuttavia non sembra trovare alcuna conferma nelle fonti in nostro possesso e che quindi non solo non è comprovabile, ma forse neanche proponibile. Sicuramente si può soltanto asserire che Iperbolo sul campo di battaglia né ottenne successi né subì insuccessi, sui quali certo le nostre fonti non avrebbero potuto o voluto tacere. Resta da esaminare il frammento di Eupoli: in esso Maricante, cioè Iperbolo, è definito περσέπτολις, «distruttore di città». Come si
è già osservato, l’espressione ricalca il v. 65 dei Persiani di Eschilo per + Hom., IZ XVIII 597. 42 Hom., I/. III 271; XIX 252; ArisroPH., Pax 948. Nel significato di « pugnale, spada» il vocabolo è bene attestato a partire da Erodoto (VI 75) e poi negli autori attici. 4 È proprio questa motivazione che ha spinto Aristofane a porre a confronto, attraverso le rispettive madri, Iperbolo πονηρός e Lamaco, morto gloriosamente in battaglia, ai versi già considerati di Thesm. 839-45.
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colpire con sferzante ironia il demagogo, dicendolo nuovo vastator urbium, mentre il pubblico ben sapeva che Iperbolo le città le distruggeva soprattutto a parole, ma non sapeva o poteva farlo nei fatti. Infatti, la ripresa, operata da Eupoli, di un'espressione tragica eschilea all’interno di un contesto comico tende a creare una ridicola immagine di Iperbolo. Erano stati l’esercito persiano e, con esso, il suo re Serse a presentarsi alla Grecia come terribili distruttori di città. Il poeta comico allora sembra voler indicare in Iperbolo un «novello Serse»: il demagogo, vivace sostenitore della propaganda guerrafondaia, dovette certo proporre, nei propri abili discorsi, imprese militari grandiose quanto utopiche e il poeta sembra ricordare a lui e al pubblico quale sia la fine, di persiana memoria, a cui portano i sogni di guerra. Per quanto concerne i propositi bellicisti avanzati da Iperbolo, & noto unicamente il progetto, indicato dal poeta come proposto dal demagogo, di una grande spedizione navale addirittura contro Cartagine: al di là
delle valutazioni, che subito appresso affronteremo, sulla consistenza e le possibilità di questa impresa nel suo specifico, si puó senz'altro pensare che lo scontro con la più potente città dell'Occidente doveva essere il culmine e la sfida più eclatante di un vasto progetto imperialistico, in cui certo la Sicilia, ormai da anni al centro dell'attenzione prudente di Atene, aveva un ruolo determinante. Rilevante è poi il fatto che l'allusione comica connetta Iperbolo con l'ambiente medopersiano, nemico per eccellenza. Un parallelo a questa criptica connes-
sione del demagogo con il mondo barbarico & infatti individuabile nell'accusa, mossa ad Iperbolo e già precedentemente considerata, di non essere cittadino ateniese, ma piuttosto di origine lidia o frigia, comunque barbaro: tutti riferimenti che rimandano al vicino Oriente persiano e potrebbero forse equivalere, in anni di guerra, ad un'accusa di tradimento, mossa contro chi non vorrebbe in realtà la gloria di Atene, ma la sua rovina.
Seguendo l’uso e la storia del termine περσέπτολις, si può inoltre trovare un altro prezioso precedente all'attestazione di Eupoli. E Aristofane a fornirci l'indicazione di περσέπολις, forma analoga di mepσέπτολις, riferendola ad Atena. Il poeta comico infatti tramanda l'esi-
stenza di un canto che recitava: Παλλάδα περσέπολιν δεινάν, Atena terribile, che distruggi le città^*. ^ ArıstopH., Nub. 967.
Questo
componimento
vocale,
ἄσμα,
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rappresenta, secondo le parole messe in bocca al Discorso Giusto, un esempio, di antica tradizione, dei modi attuati dall’apxaia παιδεία nel-
l'educare i giovani al tempo in cui regnavano giustizia e moderazione, τὰ Sixara καὶ σωφροσύνη: era lo stesso maestro ad insegnarlo mantenendo inalterata l'armonia ereditata dai padri (ἐντειναμένους τὴν
ἁρμονίαν)45. Il canto di Atena περσέπολις, la cui popolarità è suggellata e assicurata dalla citazione comica, viene assunto dunque a sim-
bolo di una tradizione educativa e sociale antica che ora, ai tempi di Aristofane, doveva apparire irrimediabilmente corrotta: esso si inserisce dunque in quella satira operata con continuità dalla commedia attica contro il degrado etico dei tempi presenti, degrado che coinvolgeva in primo luogo la gioventù, aristocratica e borghese, in una comunanza che doveva sembrare addirittura assimilare, ad esempio, il
nobile Alcibiade al venditore di lucerne Iperbolo. Accertata dunque con sicurezza la natura ironica della definizione di Eupoli, questa testimonianza non solo non appare in contrasto con quella di Aristofane precedentemente considerata, ma, proprio come quest’ultima, mostra di esaurire la propria forza ed efficacia
nell’attacco satirico e nei suoi riflessi socio-politici senza fornire alcun elemento decisivo per la soluzione della questione circa la strategia. Certo, se da una parte Iperbolo fu soltanto a parole devastatore di città, dall’altra era del tutto ammissibile che uno stratego non ottenesse successi militari o non si trovasse direttamente impegnato in im-
prese belliche ad ampio raggio. Per prendere dunque una posizione circa questo problema bisogna ritornare al passo citato dei Cavalieri di Aristofane6, Anzitutto si può notare come dal dialogo delle triremi non risulti che Iperbolo chiese la strategia, mentre invece è attestato che chiese «cento navi»
per una spedizione militare in Occidente e addirittura contro Cartagine. Come è stato osservato4?, questa notizia sembrerebbe smentire
quanto invece vorrebbe sostenere il già citato Swoboda, ovverosia che Iperbolo nel 425-24 avesse aspirato alla strategia, ma senza ottenerla: di tale aspirazione infatti nulla trasparirebbe dalle fonti. 4 Cf. AristoPH., Nub. 961-68. % AnrsTOPH., Eg.
1300-15.
41 Cosi J. Carcopino (op. cit., pp. 244-45), seguito in questa affermazione da F. Camon, Le cariche, cit., pp. 46-47.
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Centrale per la discussione è dunque il verso 1313 e in particolar modo
il termine στρατηγῶν,
che, come già osservato,
merita atten-
zione particolare, in quanto costituisce l’unico vero indizio per sostenere o rifiutare l'ipotesi della carica di stratego per Iperbolo. È possibile anticipare che, almeno per quanto concerne l’uso del termine all’interno delle opere aristofanee tramandateci dalla tradizione, nulla può farci pensare ad un significato diverso da quello di «essere stratego».
Aristofane usa il verbo στρατηγέω in quattro altri passi oltre che
in Eq. 1313: essi certamente non lasciano dubbi sul significato del termine, ma anzi lo arricchiscono nelle sue gamme semantiche. Passandoli rapidamente in rassegna, si noti come la voce verbale ricorra anzitutto negli stessi Cavalieri al v. 288, dove Paflagone, litigando con il Salsicciaio, si rivolge a lui dicendogli: διαβαλῶ σ᾽ ἐὰν στρατηγῇς48.
Il termine ritorna poi nella Pace al v. 450, all’interno di un serrato scambio di battute tra Trigeo ed Ermes in cui i due biasimano e
maledicono coloro che preferiscono la guerra: si augura così ogni tipo di disgrazie per chi ricerca e trae un qualche interesse o vantaggio da
una continuata azione bellica, per chi brama di fare il tassiarco, per il fabbricante di lance, per il commerciante di scudi e, infine, anche per chi desidera fare lo stratego: EP.
Kel τις στρατηγεῖν
TP.
1 δοῦλος αὐτομολεῖν παρεσχευασμένος, ἐπὶ τοῦ τροχοῦ γ᾽ ἕλχοιτο μαστιγούμενος45.
βουλόμενος
μὴ ξυλλάβοι,
Altra attestazione ricorre poi nelle Rare, là dove, al verso 1195,
si parla di Edipo e della sua sciagurata vicenda. Dioniso, ironicamente, così commenta: .. εὐδαίμων ἄρ' ἦν, ei χἀστρατήγησέν γε pet Ἐρασινίδου 70.
48 ARISTOPH., Ε4. 288. Trad.: «Ti calunnierò se sarai stratego».
4 AnrsTOPH., Pax 450-52. Trad.: «Er. - E se qualcuno, per desiderio di fare lo stratego, non ci dà una mano... Tr. - Sia disteso sulla ruota sferzato come uno schiavo intenzionato a fuggire». 50 ARISTOPH., Ran. 1194-95. Trad.: «Certo sarebbe stato felice se fosse stato stratego insieme con Erasinide». Erasinide era uno dei comandanti della flotta delle
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Volutamente lasciato per ultimo senza rispettare l’ordine cronologico, resta ora da esaminare il v. 586 delle Nuvo/e, posto da Aristofane all’interno del passo in cui il poeta stesso biasima i propri spettatori per aver, nonostante tutto, eletto a stratego per l’anno 424-23
Paflagone-Cleone: per la sua importanza questo passo merita di essere letto e analizzato approfonditamente nella sua interezza. Così infatti il coreuta del I semicoro, che impersona le Nuvole, si rivolge agli spettatori, rimproverando la città che non offre loro né libagioni né sacrifici, nonostante esse, le Nuvole, la proteggano?!: ὦν "Hv yàp tj τις ἔξοδος μηδενὶ ξὺν νῷ, τότ᾽ ἢ βροντῶμεν ἢ ψακάζομεν. Εἶτα τὸν θεοῖσιν ἐχθρὸν βυρσοδέψην Παφλαγόνα
ἡνίχ᾽ ἠἡρεῖσθε στρατηγόν, τὰς ὀφρῦς ξυνήγομεν χἀποιοῦμεν δεινά, βροντὴ δ᾽ ἐρράγη èv ἀστραπῆς.
‘H σελήνη 8 ἐξέλειπε τὰς ὁδούς, ὁ δ᾽ ἥλιος 2 Arginuse, condannato a morte in seguito alle accuse di Teramene, che allontanò da sé
ogni responsabilità. Sul processo delle Arginuse cf. A. ANpREwES, The Arginousai Trial, «Phoenix», XXVIII (1974), pp. 112-22; B. BaLDwIN, Notes on Cleopbon, cit., pp. 35-47; J.T. RoBERTS, Arginusae Once Again, «CW», LXXI (1977), pp. 107-11; M. Sorpi, Teramene e il processo delle Arginuse, « Aevum», LV (1981), pp. 3-12; L. CANFORA, Il processo degli strateghi, in Sodalitas, Scritti in onore di A. Guarino, Napoli 1984, pp. 495-517; G. NÉMETH, Der Arginusen-Prozess, «Klio», LXI (1984), pp. 51-57. 5! AnrsTOPH., Nub., 579-87. 52 I. KIRCHNER (in «RhM», XLIV 1889, pp. 154-56) ha affermato che questi
versi 584-85 alludono all'eclissi di luna dell'ottobre 425 e all’eclissi di sole del marzo 424:
tuttavia,
come
osserva
G.
MaAsTROMARCO,
Commedie
di Aristofane,
Torino
1983, p. 376, una più corretta ricostruzione degli avvenimenti del 424 permette di ritenere che l'elezione degli strateghi fu precedente all’eclissi di marzo. B. Rocers, Aristophanes, London 1916 (con trad. e note), ad locum, ha inoltre osservato che le nuvole non hanno nulla a che fare con un'eclissi. L'interpretazione più convincente
appare quella di H.B. Mavon, The Strategoi at Athens in the Fifth Century. When did they enter on Offices?, «JHS», LIX (1939), pp. 63-64, n. 3: i giorni in cui fu eletto
stratego Cleone furono eccezionalmente negativi quanto a condizioni atmosferiche, le nuvole oscurarono per giorni la luna e il sole. A conferma di questa interpretazione G. MASTROMARCO, op. cit., p. 377 aggiunge che gli imperfetti ἐξέλειπεν (v. 584) ed ἔφασχεν (v. 586) sembrano confermare che « Aristofane alluda ad un lungo periodo di
perturbazioni atmosferiche piuttosto che ad un’eclissi, che è fenomeno limitato nel tempo». Decisivo in questo contesto è tuttavia il confronto con Arısrtor., Ath. Rsp.
44, 4, in cui si afferma che le elezioni degli strateghi avvenivano dopo la sesta pritania, allorquando ci fossero «i presagi favorevoli», e in seguito alla decisione preliminare, προβούλευμα, del Consiglio, che evidentemente aveva come pregiudiziale, forse
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τὴν θρυαλλίδ᾽ εἰς ἑαυτὸν εὐθέως ξυνελκύσας οὐ φανεῖν ἔφασχεν ὑμῖν, εἰ στρατηγήσει Κλέων. "AA ὅμως εἴλεσθε τοῦτον᾽ ... 53
Questo passo?*, oltre ad attestare chiaramente al verso 586 l'uso del verbo στρατηγέω con il significato di «essere stratego», «essere
eletto stratego», confermando le altre attestazioni appena esaminate, unica, i presagi favorevoli ora citati: cf. P.J. RHopEs, Commentary, cit., pp. 536-37. Alla luce di questo importante passo aristotelico l’allusione aristofanea può leggersi quale un diretto riferimento a presagi sfavorevoli, individuabili in condizioni atmosferiche straordinariamente negative, che non sono state tenute in considerazione nella loro valenza profetica e anzi sono state trascurate procedendo comunque alle elezioni degli strateghi e in particolare all'assegnazione di tale carica a Cleone. Così
definita l'esegesi puntuale del testo di Aristofane, rimangono tuttavia aperte due possibilità di lettura tra le quali non è possibile compiere oggettivamente una scelta. Aristofane infatti potrebbe aver voluto ricordare le cattive condizioni meteorologiche presenti al momento delle elezioni degli strateghi vedendovi un collegamento con la propria esperienza: sia il poeta che le Nuvole hanno cercato di avvertire i concittadini
ateniesi, ma sono stati entrambi disattesi. Tale interpretazione potrebbe spingersi oltre, individuando nelle circostanze atmosferiche dell'elezione di Cleone il vero e proprio motivo ispiratore che ha dato avvio alle Nuvole suscitando il nascere dell'opera comica. Questa possibile lettura tuttavia lascia spazio anche ad un'altra ipotesi esegetica: Aristofane, fatto proprio il motivo delle Nuvole quali protagoniste corali della sua commedia, ha attribuito agli agenti atmosferici l’ira e l'indignazione che in realtà
non furono meteorologiche, ma strettamente propagandistiche, tutte proprie del pocta e della parte politica anticleoniana. Ritenuta vera questa seconda ipotesi, sarebbe del tutto inutile interrogarsi se al tempo dell'elezione di Cleone vi fu un'eclissi o violente perturbazioni atmosferiche: non sarebbero avvenute né l’una né le altre e tutte sarebbero da ricondursi ad un'invenzione poetica che sola cercò, con i Cavalieri, di impedire l'elezione di Cleone e, a elezione avvenuta, non poteva che rimproverare i concittadini conferendo alle Nuvole le proprie indignate parole. 5 ARISTOPH., Nub. 579-87. Trad.: «Se c'è infatti una spedizione per nulla meditata, noi ci mettiamo a tuonare o a fare cadere la pioggia. E poi, quando vi apprestavate ad eleggere stratego Paflagone il cuoiaio, inviso agli dèi, noi aggrottammo le
ciglia e scatenammo il finimondo: tuoni rimbombarono tra i lampi; la luna deviò dal suo corso; improvvisamente il sole ritirò la sua lanterna e affermò che non si sarebbe fatto vedere da voi, se Cleone fosse stato eletto stratego. E ciò nonostante, lo eleggeste...».
54 È evidente che questi versi appartengono alla prima redazione delle Nuvole: infatti ben si collocano nel 424-23 soprattutto alla luce dei versi seguenti a quelli citati, i quali invitano ad incriminare «quel gabbiano di Cleone» e metterne «il collo nella gogna» (vv. 591-92). Non traspare quindi nessun accenno al Cleone, ormai caduto in disgrazia, della cosiddetta seconda parabasi (vv. 518-62).
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permette forse di trarre un’interpretazione che, nella misura in cui potesse essere accettata, potrebbe risultare funzionale al nostro discorso.
È possibile infatti rilevare che il poeta attribuisce alle Nuvole, al Sole e alla Luna un comportamento che certo è stato anche della sua poesia: ammonire la città, avvisarla, metterla in guardia da imprese azzardate, da uomini corrotti, come appunto Cleone. Certo, in questi
versi si mette in evidenza che i fenomeni atmosferici hanno cercato di avvertire gli Ateniesi, esprimendo il proprio disappunto per un'eventuale elezione di Cleone a stratego: tuttavia, ha fatto altrettanto anche lo stesso Aristofane che, già nei Cavalieri, aveva posto in rilievo tutto quanto di negativo vi fosse nella figura di questo demagogo. Il Coro biasima la città per aver comunque voluto eleggere stratego Cleone: sicuramente però al biasimo delle Nuvole si aggiunge forte quello del poeta, che, pochissimo tempo dopo la rappresentazione dei Cavalieri, aveva visto eleggere a stratego proprio quel Paflagone cuoiaio contro cui si era accanito.
Alla luce di quanto detto, i vv. 579-80 meritano di essere riletti:
«Se c'è una spedizione per nulla meditata, noi ci mettiamo a tuonare o a fare cadere la pioggia». Questi versi non vanno infatti genericamente interpretati, come fa Mastromarco55, ritenendoli, pur corretta-
mente, espressione della credenza secondo cui «gli dei, per manifestare la propria contrarietà a che un avvenimento pubblico avesse luogo, provocassero delle perturbazioni atmosferiche?$»: in essi è piuttosto avvertibile una precisa allusione, confermata dal successivo riferimento a Cleone, al fatto che l’elezione degli strateghi non poteva avvenire se il tempo non era sereno. Certo Aristofane pratica una lettura parziale di quello che era un dispositivo di legge volto probabilmente anche a fini pratici (ad esempio, facilitare la partecipazione all'assemblea): la religione si piega così al servizio della politica e il mondo divino è tirato in causa nell’esprimere, attraverso i fenomeni atmosferici, vere e proprie scelte politiche, come, nel caso dell'elezione degli strateghi, quando si cerca di impedire che uomini ritenuti
5 G. MASTROMARCO, op. cit., p. 376, n. 83. Nello stesso senso G. Gumorızzı, in Aristofane. Le Nuvole, a cura di G. Gumorızzı, Introduzione e traduzione di D.
Dex Corno, Milano 1996, pp. 265-66. 5 Cf. AristoPH., Ach. 170-71.
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corrotti siano eletti e possano portare avanti con autorità i propri progetti bellicisti. Nel riferimento
generico
a una spedizione
μηδενὶ ξὺν νῷ po-
trebbe allora rientrare il progetto, certo audace, per non dire irragionevole, di un’ ἔξοδος contro Cartagine e questo progetto potrebbe benissimo venirsi a collocare in una tentata scalata alla strategia. Come nel caso di Cleone, anche riguardo all'avventata proposta di Iperbolo Aristofane reagì e lo fece proprio con Eg. 1300-15, che stiamo in
prima analisi esaminando. Anche nella personificazione delle Nuvole, che tuonano e fanno cadere la pioggia contro le ἔξοδοι μηδενὶ ξὺν νῷ,
è allora da vedersi una funzione analoga e parallela a quella che Ari-
stofane, con la sua poesia, ebbe contro le avventate imprese di guerra, tra le quali una campagna militare, che avesse come obiettivo ultimo addirittura Cartagine, doveva essere certo la più utopisticamente esa-
gerata. Una lettura dei Cavalieri, che tenga conto dell'interpretazione data al passo delle Nuvo/e sinora considerato, permette dunque di rintracciare, all’interno della commedia dedicata alla derisione del Paflagone, tracce di un vivace dibattito politico per l’elezione degli strateghi, dibattito al quale l’opera aristofanea, attaccando Cleone (eletto poi stratego per il 424-23), sicuramente partecipò, anche se questo non fu certo il proposito primario di questa commedia. I Cavalieri furono rappresentati alle Lenee del 425-24: sappiamo che queste feste e competizioni teatrali si celebravano nel dodicesimo giorno del mese di Gamelione (gennaio-febbraio). Come
si è già osservato, Aristotele?”
attesta che l’elezione degli strateghi avveniva dopo la sesta pritania, quindi dopo dicembre: ne consegue che elezione alla strategia e rappresentazione dei Cavalieri dovettero essere vicine nel tempo. In verità, dal punto di vista cronologico, si potrebbe pensare che l'elezione
possa essere avvenuta anche prima del 12 di Gamelione: è certo tuttavia che non abbiamo elementi per sostenere che essa avvenisse immediatamente dopo la sesta pritania. A ulteriore sostegno dell’ipotesi che vuole la prossimità e successione cronologica di commedia ed elezione, appare comunque decisivo notare che nei Cavalieri non vi è menzione od allusione alcuna a Cleone stratego per il 424-23, fatto sul
quale la commedia aristofanea, se l’elezione fosse già avvenuta, non 5 ArIstTOT., Ath. Rsp. 44, 4.
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A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
ASCESA
DI UN
DEMAGOGO
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avrebbe certamente taciuto, almeno in un riferimento, così come non
tacque successivamente il poeta nelle Nuvole. Inoltre, le lunghe procedure preliminari fanno pensare che per l’elezione si andasse ben oltre il 12 di Gamelione e d’altra parte non vi erano motivi di urgenza per compiere l'adempimento: la commedia poi avrebbe certamente perso forza e utilità, anche agli occhi dello stesso poeta, se fosse stata rappresentata ad elezione avvenuta. In ogni caso l’elaborazione e la stesura della commedia, non potendo certo coincidere con la data di rappresentazione, deve essere senz'altro collocata prima di tale elezione. Un indizio della prossimità delle elezioni a stratego lo possiamo forse ricavare anche da Eg. 288, già citato: «Ti calunnierò, qualora tu sia stratego» (che può essere legittimamente interpretato: «qualora tu, alle prossime elezioni, venga eletto stratego»). Quanto sia attuale nei Cavalieri la problematica della strategia, trova conferma anche nel verso 573, in cui il Coro
loda i tempi passati in cui un cittadino, una volta eletto stratego, svolgeva tale carica e si impegnava nella guerra disinteressatamente, per
amore della patria senza ricevere alcun beneficio materiale, e biasima invece il momento presente in cui l'impegno in guerra è subordinato al ricevere privilegi, quali il vitto gratuito a spese dello Stato. Qualora si accetti, come ora si propone, di calare i Cavalieri al-
l'interno di questa lotta politica per l'elezione degli strateghi, decisiva per la determinazione della condotta in guerra, il participio otpaτηγῶν, riferito ad Iperbolo in Eg. 1313, può essere letto e interpretato in quello che, con qualche probabilità, incomincia a delinearsi come il suo pieno significato. Infatti, dal momento che l’elezione a stratego avveniva per χειροτονία, è evidente che i candidati, per favorire la propria elezione, non dovettero rinunciare agli strumenti della propaganda: tra questi, presentare un progetto militare sbalorditivo era certo un modo efficace per colpire l'opinione pubblica e proprio di questo Iperbolo si servì in un clima estremamente sensibile alla politica bellicista. Prima di formulare in maniera conclusiva un'interpretazione circa la presunta strategia di Iperbolo, è bene valutare due aspetti della questione. Il primo lo possiamo sintetizzare in due interrogativi riguardo a Cartagine, ovvero quanto fosse proponibile o piuttosto utopistico nel 424 una simile proposta di impresa militare e, ancora, se un tale progetto sia da attribuirsi ad Iperbolo o alla consueta esagera-
54
IPERBOLO
zione della satira comica. Quanto al secondo aspetto bisognerà invece
esaminare quali siano le possibili ricostruzioni delle liste degli strateghi degli anni 425-24 e 424-23 per vedere se, in uno di questi, possa inserirsi l'eventuale strategia di Iperbolo. Anzitutto possiamo rilevare che i due unici riferimenti a Cartagine presenti nelle opere di Áristofane a noi pervenute appartengono
entrambi ai Cavalieri. Infatti, oltre al v. 1303, Cartagine ricorre anche al precedente v. 174: siamo qui all'inizio della commedia e il primo Servo si rivolge al Salsicciaio, prospettandogli un futuro di potenza, che lo porterà ad avere il potere su ogni cosa di Atene, sull'agorà, sui porti, sulla Pnice, sulla βουλή, sugli strateghi e, soprattutto, sui commerci, che certo erano argomento di sicuro interesse per Cleone, Iper-
bolo e tutto il loro entourage. Così leggiamo ai vv. 173-79: OL A'
"En νῦν τὸν ὀφθαλμὸν xapáBaAX εἰς Καρίαν τὸν δεξιόν, τὸν δ᾽ ἕτερον εἰς Καρχηδόνα.
ΑΛ.
Εὐδαιμονήσω
OI. Α'
Οὔκ, ἀλλὰ διὰ σοῦ ταῦτα πάντα πέρναται᾽
γ᾽, εἰ διαστραφήσομαι.
γίγνει γάρ, ὡς ὁ χρησμὸς οὐτοσὶ λέγει, ἀνὴρ μέγιστος 58.
Caria e Cartagine sono dunque presentate come i due estremi
dell’area geografica interessata dai commerci ateniesi e, come osserva
Mastromarco??, è verosimile che si alluda a mire espansionistiche ateniesi verso le due regioni: sappiamo di certo, da Tucidide (III 19, 1-2), che nel 428 si svolse una campagna in Caria, nella quale perse la vita, insieme a molti altri dell'esercito ateniese, Lisicle a causa di un
attacco dei Cari e degli Aneìti. Riguardo a Cartagine altre informazioni utili possono venirci sempre da Tucidide$9. Possiamo rilevare in-
58 ArıstopH,, Eq. 173-79. Trad.: «I Servo - Ora volgi l'occhio destro verso la Caria, e l'altro verso Cartagine.
Salsicciaio - Sarò certo felice se avrò gli occhi strabici! I Servo - Ma no, di tutta questa roba puoi far commercio. Come dice questo oracolo, tu diventi un uomo potente». 39 G. MASTROMARCO, op. cit., p. 229, n. 27.
9 Per i rapporti tra Atene e Cartagine, cf. M. Treu, Athen und Karthago und die thukydideische Darstellung, «Historia», III (1954), pp. 41-57; K.F. STROHEKER, Die kartbager Gesandschaft in Atben 406 v.C., «Historia», III (1954), pp. 163-71;
DA
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A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
ASCESA
DI UN
DEMAGOGO
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fatti che fin dall'epoca delle colonizzazioni la Grecia dovette far i conti ad Occidente con Cartagine$!, ma, stando almeno al racconto di Tucidide, fu soprattutto nei precedenti e nello svolgimento della spedizione in Sicilia del 415-14 che il confronto con Cartagine si fece piü serrato. Ben cinque dei sei passi tucididei contenenti riferimenti a
Cartagine sono concentrati nel sesto libro dell'opera dello storico: da essi si possono ricavare le seguenti notizie. Nell'estate del 415 la conquista di Cartagine, unita e conseguente a quella della Sicilia, sembra rientrare nelle speranze e nei progetti ambiziosi di Alcibiade*2, che, in seguito, davanti all'assemblea dei Lacedemoni, sosterrà proprio di essere salpato per la Sicilia al fine di assoggettare anzitutto i Sicelioti e dopo di loro gli Italioti e infine per fare anche un tentativo contro l'impero cartaginese e Cartagine stessa$?. Tuttavia sappiamo anche che gli Ateniesi, giunti in Sicilia, cercarono di stipulare un trattato di amicizia con Cartagine, mandandovi una trireme nella speranza di ot-
R. VATTUONE, L'alleanza tra Atene e Cartagine alla fine del V sec. a.C. (IG P. 47 + SEG. X, 136), «Epigraphica», XXXIX (1977), pp. 41-50; W. Huss, Geschichte der Karthager, München 1985 (Handbuch der Altertumswissenschaft, III, 8), p. 106; L.J. SANDERS, Punic Politics in the Fiftb Century B.C., «Historia», XXXVII (1988), pp. 72-89. Su Cartagine che interviene in Sicilia in aiuto di Segesta cf. V. MERANTE, Swi
rapporti greco-punici nel Mediterraneo occidentale nel VI sec. a.C., «Kokalos», XVI (1970), pp. 93-138, spec. pp.
100-01; L.M.
Hans, Kartbago und Sizilien. Die Ent-
stebung und Gestaltung der Epikratie auf dem Hintergrund der Beziehungen der Karthager zu den Griechen und den nichtgriechischen Völkern Siziliens (6.-3. Jh. v. Chr.), Hildesheim 1983, pp. 6 sgg.; P. BARCELÓ, Zur karthagischen Ueberseepolitik im VI. und V. Jahrhundert v. Chr., «Gymnasium», XCI (1989), pp. 13-37, spec. p. 20. 6 Da Tuuc., I 13, 6 è nota ad esempio la vittoria dei Focesi contro i Cartaginesi in una battaglia navale decisiva per la colonizzazione di Marsiglia: Φωκαῆς te Μασσαλίαν οἰχίζοντες Καρχηδονίους ἐνίκων ναυμαχοῦντες.
ἋΣ Tuuc., VI 15, 2: καὶ μάλιστα στρατηγῆσαί τε ἐπιθυμῶν καὶ ἐλπίζων Σιχελίαν τε 8v αὐτοῦ καὶ Καρχηδόνα λήψεσθαι.
6 Tuuc., VI 90, 2. Utile è il confronto con Drop., XII 83, 6: in questo passo Nicia sconsiglia la spedizione in Sicilia dicendo che, se Cartagine aveva già combattuto parecchie volte per prendere la Sicilia senza riuscirci, Atene, la cui forza ed egemonia erano di gran lunga inferiori, era nell'impossibilità di portare a termine l'im-
presa con successo: cf. D. Kacan, The Peace of Nicias and the Sicilian Expedition, New York 1981, p. 170. Rilevante è poi Prur., Ale. 17, 2-4, in cui sono i giovani e gli adulti ateniesi, e non il solo Alcibiade, a considerare la Sicilia base di lancio per la lotta contro Cartagine e per il dominio di tutto il mare: cf. PLur., Nic. 12, 1-2; Ale. 17, 2-3.
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IPERBOLO
tenere un qualche aiuto$4^. Da parte ateniese, e soprattutto di Alcibiade, vi fu dunque l’audacia, certo demagogica, di prospettare un confronto militare diretto con Cartagine, ma a questa si aggiunse sem-
pre la consapevolezza della forza dell’impero cartaginese: ne derivò un conseguente rispetto, o forse paura, sentimenti ai quali ben presto dovette forzatamente ricondursi la spedizione in Sicilia, rivelatasi subito tanto difficile da spegnere ogni velleitario entusiasmo. Analogo timore e rispetto doveva però essere anche dei Cartaginesi nei confronti di Atene: lo sappiamo dalle parole di Ermocrate in Tucidide (VI 34, 2). L'esponente della parte più moderata di Siracusa consiglia di mandare ambasciatori anche a Cartagine, che forse sarebbe disposta a dar loro aiuto dal momento che i Cartaginesi «vivono sempre nella paura che gli Ateniesi vadano un giorno ad assalire la loro città».
Quel αἰεί, «sempre», permette di pensare che ormai da anni si avesse sentore tra i Cartaginesi di un pressante interesse ateniese non solo
sulla Sicilia o genericamente sull’Occidente, ma direttamente su Cartagine stessa95,
Sulla base di queste testimonianze aristofanee e soprattutto tu-
cididee sembra plausibile che la proposta di una guerra direttamente contro Cartagine sia probabilmente ricca di contenuti demagogici in particolare nell'indicazione del suo obiettivo: essa appare tuttavia indicativa della volontà di spingere l'opinione pubblica verso un consistente impegno militare ad Occidente.
vocatoria può nel panorama sembra perciò il successo di fiducia nella
Proprio come proposta pro-
quindi essere collocata con credibilità ed attendibilità politico interno ed esterno ad Atene nel 425-24 e non essere un’esagerazione della satira comica. Infatti, dopo Sfacteria certo dovette diffondersi un clima di euforica classe dirigente dell'Atene democratica: il suo leader
€ TuHuc., VI 88, 6.
9 È importante notare sin da ora come debba essere tenuta nella dovuta considerazione l'ipotesi secondo cui proprio Alcibiade nel 415 avrebbe raccolto l'eredità di Iperbolo circa la guerra contro Cartagine, subordinandola però ad un'eventuale e precedente conquista della Sicilia. % Per l’analisi delle mire ateniesi verso Occidente fin dai tempi di Pericle, cf. S. Caraıoı, Prospettive occidentali allo scoppio della guerra del Peloponneso, Pisa 1990, passim, spec. pp. 114-17; In., I rapporti politici di Segesta e Alice con Atene nel V secolo a.C., in Seconde giornate internazionali di studi sull'area elima (Gibellina, 22-26 ottobre 1994). Atti, Pisa-Gibellina 1997, pp. 303-56, spec. pp. 305 sgg.
DA ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ A IIPOZTATHE:
ASCESA DI UN DEMAGOGO
57
Cleone era il cittadino del momento e questo può aver spinto anche gli uomini del suo seguito, o quelli, come Iperbolo, che almeno gli erano vicini per orientamento politico, a osare nel proporre un’impresa,
nella cui possibilità di riuscita almeno una parte della città cominciava a
credere, rassicurata nella sua fiducia dal pensiero dei numerosi vantaggi che la guerra poteva portare, fiducia però che sarà ben presto abbandonata”. Tale proposta sembra dunque acquistare all'interno della biografia di Iperbolo un'importanza tutta particolare68. Essa segna infatti, in modo eclatante, il passaggio da un ruolo di sicofante φιλόδικος a quello di δημαγωγός, che cerca quel consenso popolare che può assicurargli una posizione politica di primo piano forse anche in competizione con lo stesso Cleone, che mai mostrò di interessarsi alla
politica e all'espansione occidentale. Proporre addirittura Cartagine come obiettivo finale della spedizione può infatti rappresentare la volontà di fare un passo oltre Cleone: è possibile allora immaginare la richiesta di Iperbolo inserita in un discorso e in un contesto simili a quelli che portarono a Cleone l’incarico per Sfacteria. In questa prospettiva anche Iperbolo chiederebbe di intervenire al posto degli strateghi ritenuti inetti, che sarebbero questa volta quelli impegnati in Sicilia, i quali da È a poco avrebbero fallito accettando una pace che in patria sembrò a tutti gli effetti un’ignobile resa rispetto alle fiduciose prospettive ed aspirazioni di successo secondo le quali tutto era possibile$?. In connessione al problema della strategia e in linea con il presente ragionamento, resta peró ancora da vedere se il progetto di Iper-
bolo fosse una reale proposta militare o un semplice slogan propagandistico: a questo proposito sarebbe importante cercare di collocare in un preciso momento l'intervento di Iperbolo volto a promuovere, pro-
babilmente in assemblea, una tale impresa.
47 Cf. S. CarALDI, La democrazia, cit., p. 70: «Fallito con il congresso di Gela,
il tentativo di inserirsi negli affari di Sicilia e dell'Italia meridionale, passata l’esaltazione di Pilo, con il disastro di Delio nell'autunno del 424 e la spedizione di Brasida in Tracia, finì col prevalere la linea politica dei χρηστοί, con l'appoggio della classe
media». 55 Cf. F. Camon, La demagogia, cit., pp. 367 sgg. 65 Cf. Tuuc., IV 65, 4.
58
IPERBOLO
Dobbiamo osservare che l'interesse ateniese verso l'Occidente si intensifica con l’estate 427, quando parte per la Sicilia la spedizione di Lachete?°, Certamente nei mesi e negli anni successivi, fino all'estate 424, quando, in seguito alla pace voluta da Ermocrate, le navi ateniesi ripartirono dalla Sicilia?!, si discusse ad Atene sul potenziare o meno la presenza militare sull'isola. Sappiamo che questo avvenne,
ad esempio, nell'inverno del 426-25 quando gli Ateniesi, convinti dagli alleati di Sicilia, decisero di allestire quaranta navi da inviare in loro aiuto sotto la guida degli strateghi Pitodoro, Sofocle ed Eurimedonte’2. Il primo di questi partì subito, con poche navi, sul finire dell'inverno; a primavera inoltrata partirono invece per la Sicilia gli altri
due con la flotta nel frattempo allestita??. Il numero di quaranta navi aiuta a capire l'eclatante portata di una richiesta di cento navi e per di più contro Cartagine, città alla quale mai si accenna nella storia tucididea rivolta a questi anni di guerra?4. Decisivo dovette essere senz'altro l'anno 425-24 nel corso del quale essenzialmente due episodi sono da evidenziarsi perché utili a chiarire il momento storico in questione: anzitutto il successo di Cleone, che, raccogliendo, sia pure costretto dalla situazione, la sfida di Nicia e facendo prigionieri gli Spartiati a Sfacteria, risolve favorevolmente la crisi di Pilo?5; in secondo luogo, la conclusione, nell'estate del 424, della presenza del-
l’esercito ateniese in Sicilia, con il rientro degli strateghi ad Atene e la loro conseguente condanna (Pitodoro e Sofocle all'esilio, Eurimedonte
ad una multa in denaro) «perché, sebbene fosse stato in loro potere 70 Sulla prima spedizione in Sicilia cf. S. Mazzarino, Tucidide e Filisto nella prima spedizione in Sicilia, «BSC», IV (1939), pp. 5-72; H.D. WESTLAKE, Athenian Aims in Sicily 427/424 B.C., «Historia», IX (1960), pp. 301-15, spec. p. 305, n. 1; G.
Scuccimarra,
«RSA»,
XV
Note
sulla
prima
spedizione
ateniese
in Sicilia
(427-424
a.C.),
(1985), pp. 23-52; S. CATALDI, Prospettive, cit., passim; S. CAGNAZZI,
Tendenze politiche ad Atene. L'espansione in Sicilia dal 458 al 415 a.C., Bari 1990, pp. 41-70; S. CATALDI, I processi agli strateghi ateniesi della prima spedizione in Sicilia e la politica cleoniana, «CISA», XXII (1996), pp. 37-63. 71 Tuuc., IV 65, 2. 72 Tuuc., III 115, 3-6.
? THuc., IV 2, 2. 24 Per comprendere quanto eccessiva dovette sembrare la proposta avanzata da Iperbolo si pensi anche alle sessanta navi che si decise di allestire per la spedizione del 415-14 sempre in Sicilia: cf. Tuuc., VI 8, 2. 75 Tuuc., IV 27 sgg.
DA
ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ
A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
ASCESA
DI UN
DEMAGOGO
59
assoggettare la Sicilia, si erano lasciati corrompere ed erano ripartiti»?6. Il secondo di questi fatti è probabilmente da leggersi come conseguenza del primo, o meglio di quel clima di fiducia che seguì la vittoria di Cleone portando alla contestazione nei confronti degli strateghi ufficiali del 425-24, strateghi che Cleone, affiancato dal solo Demostene?/, dimostrò di superare nella condotta di guerra?8. Questo clima di fiducia è ben descritto da Tucidide (IV 65, 4) che così spiega
la situazione in cui avvenne la condanna dei tre strateghi appena tornati dalla Sicilia: «Così, per la prosperità in cui si trovavano, gli Ateniesi pensavano che niente avrebbe dovuto opporsi ai loro piani, ma che avrebbero dovuto compiere le imprese possibili come quelle difficili, con preparativi sia grandi sia insufficienti. Era causa di tutto ciò l'insperata fortuna della maggior parte delle loro imprese, la quale forniva vigore alle loro speranze». Nell’affermazione che anche le imprese più difficili (tà ἀπορώτερα leggiamo nel greco) sembravano possibili è dato scorgere quell’entusiasmo che portava la maggior parte degli Ateniesi a ritenere alla propria portata la conquista della Sicilia, e spingeva certo i più audaci e radicali a pensare a Cartagine quale oggetto di mire espansionistiche. Come appare evidente, il peso e la portata del progetto di Iperbolo, che deve quindi inserirsi in questo clima di entusiasmo e di fiducia successivo a Sfacteria, vanno ora visti in connessione con la questione della strategia. A questo proposito è opportuno considerare
le liste degli strateghi e a questo fine sono indispensabili gli studi di
16 Tuuc., IV 65, 3. © Tauc., IV 29, 1. 78 Certamente Cleone seppe servirsi del proprio successo a Pilo e Sfacteria anche nella successiva propaganda politica e, in questa azione, fu centrale la contestazione agli strateghi del 425-24, anche perché era in gioco proprio l'elezione a questa magistratura per l'anno 424-23, nel quale infatti Cleone divenne stratego, vedendo
cosi ufficialmente riconosciuto il suo successo a Pilo. Questa linea di propaganda tutta orientata contro gli strateghi traspare bene da ArIstoPH., Eg. 742-43, in cui Pafla-
gone, su richiesta del Salsicciaio, espone una delle circostanze in cui seppe far del bene al popolo, cosi dicendo: .. τῶν στρατηγῶν ὑποδραμόντων éx Πύλου, πλεύσας, ἐκεῖσε, τοὺς Λάχωνας ἤγαγον.
Trad. «... Quando gli strateghi si sono defilati da Pilo, io ho fatto vela in quel luogo, e ho condotto qui i Laconi».
60
IPERBOLO
Fornara?? e di Develin80, Stando alla fonte aristofanea due anni devono essere presi in considerazione: il 425-24 e il 424-2381.
Si noti anzitutto che la lista degli strateghi può considerarsi completa dei dieci nomi per l’anno 425-24 ed è tutta confermata con sicurezza da Tucidide: Demodoco
Tuuc., IV 75, 1
Nicia
Tnuuc., IV 27, 5; IV 53, 1
Nicostrato
Tuuc., IV 53, 1
Lamaco
THuc., IV 75, 1
Sofocle
THuc., IV 65, 5
Pitodoro
THuc., IV 65, 3
Demostene
Tuuc., IV 29, 1
Autocle
THuc., IV 53,1
Eurimedonte
THuc., IV 65, 3
Aristide
TuHuc., IV 50, 1; IV 75, 1.
Più controversa e comunque incompleta di un nome è invece la lista per l'anno 424-23: Nicia
Tuuc., IV 119, 2
Cleone
AnisTOPH., Nub. 581
Tucidide
Tuuc., IV 104, 4
Nicostrato
THuc., IV 119, 2
Ippocrate
Tuvc., IV 66, 3
Lamaco
THuc., IV 75, 282
7 C.W. FORNARA, op. cit., pp. 59-60. 80 R. DEVELIN, op. cit., pp. 129-33.
8 J. CARCOPINO, op. cit., p. 247 esclude la possibilità che Iperbolo sia stato stratego in quest'anno adducendo a motivo il fatto che il demagogo nel 424-23 avrebbe
ricoperto la carica di ieromnemone, incompatibile con quella della strategia: cf. ArıstoT., Ath. Pol. 30, 2. In realtà si potrà rilevare che anche la datazione della carica di ieromnemone può essere soggetta a discussione. 82 Nel caso di Lamaco, dal confronto tra THuc., IV 75, 1 e IV 75, 2, non sem-
bra così sicuro che si possa parlare di due strategie diverse nei due anni consecutivi 425-24 e 424-25: questa ipotesi infatti si basa sulla troppo generica locuzione contenuta in IV 75, 2 «non molto tempo dopo». Hanno cosi escluso Lamaco dalla lista
DA ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
Demostene
Tuuc., IV 66, 3
Autocle
THuc., IV 119, 2
Eucle
THuc., IV 104, 4.
ASCESA
DI UN DEMAGOGO
61
Camon®, non disponendo del posteriore lavoro di Fornara e basandosi soltanto sullo studio del Gilbert84, che vuole incompleta la lista del 425-24 e invece completa (e sovrabbondante) quella del 424-
23, conclude sostenendo che non è possibile escludere, ma neanche — se ne deduce — affermare con certezza, che Iperbolo, se è stato stratego, lo sia stato nel 425-24 e non l’anno successivo. Inoltre, con-
traddicendosi almeno in parte, aggiunge che, se anche per tale anno la lista fosse stata completa (cosa che si è verificata, secondo la convin-
cente esegesi e ricostruzione storica di Fornara), tale argomento non avrebbe valore decisivo, in quanto non sappiamo se gli strateghi siano sempre stati dieci. Secondo Camon, dunque, non si può affermare con sicurezza quando una lista degli strateghi sia completa oppure no: di certo allora si può dire soltanto che essa è incompleta quando contiene meno di dieci nomi. Si tratta insomma di valutare il problema dell'elezione di strateghi straordinari fuori collegio®’. Anzitutto però
bisogna evidenziare che Camon dimentica di rilevare che, se questa sua obiezione circa la completezza della lista degli strateghi è valida degli strateghi dell’anno 424-23 sia J. BELOCH, Griechische Geschichte, 112, Strassburg 1916, pp. 264-65 sia M.F. PomeLLO-P. ZANCAN, Lista degli strateghi ateniesi, «RFIC», V (1927), p. 365, contra C.W. FORNARA, op. cit., p. 60. Il primo importante lavoro sulle liste degli strateghi (G. GILBERT, op. cit., pp. 264-65) presenta per questo stesso
anno una lista di ben tredici nomi, che comprende anche Lamaco: essa tuttavia non è affidabile presentando diversi errori dovuti ad un errato intendimento della cronologia all'interno del racconto tucidideo. Su Lamaco stratego e sull'ipotesi di elezioni
supplementari, cf. P. COBETTO, art. cit., pp. 12-14, nn. 38-40. 9 FE. ΟΑΜΟΝ, Le cariche, cit., p. 47. 9^ G. GILBERT, op. cit., p. 195.
55 La questione è stata sollevata da A. HAUVETTE-BESNAULT, op. cit., p. 82; recente contributo al problema è poi quello di C. W. FORNARA, op. cit., pp. 74-75, cf.
anche p. 20, n. 34. La fonte antica a noi più preziosa circa la strategia, l'Atbenaion Politeia di Aristotele, non dà informazioni a proposito. Tucidide tuttavia attesta alcuni casi di elezioni di strateghi fuori collegio, ad esempio nella circostanza della morte di Lamaco, quando il popolo elesse non uno, ma due strateghi, Demostene ed
Eurimedonte, destinati a raggiungere Nicia rimasto solo (THuc., VII 16). Di preferenza gli eletti a tale carica straordinaria sono detti αἱρηθέντες e non χειρονηθέντες: cf.
Tuuc., VI 8, 3; VII 16, 2; Drop., XI 81, 4.
62
IPERBOLO
per l’anno 425-24, essa deve aver valore in egual modo anche per il 424-23. Su queste basi pertanto non è possibile preferire, tra i due anni, l'uno all'altro, come invece sembra fare, sia pure con prudenza,
Camon: in entrambe le date infatti vi sarebbe potuta essere teoricamente una strategia straordinaria di Iperbolo. Comunque sia, solo nel 424-23 potrebbe esserci stata, stando alle liste prima formulate, una strategia ordinaria del demagogo, dal momento che in quest'anno, e non nel precedente, manca almeno un nome all’elenco ricostruibile degli strateghi. . Tutto questo porta a una prima conclusione: senz'altro Iperbolo non fu stratego ordinario nel 425-24. Ne deriva che, accanto all'eventualità che Iperbolo non sia stato affatto stratego, rimangono aperte
tre possibilità: strategia straordinaria nel 425-24, strategia ordinaria nel 424-25, strategia straordinaria nel 424-23. Anche quest'ultima eventualità è però da rifiutarsi: essa infatti non potrebbe mai essere testimoniata da quella che si è stabilita come unica e reale fonte a nostra disposizione, ovvero Aristofane (Eg. 1313) giacché una strategia straordinaria non può ovviamente collocarsi cronologicamente prima dell'entrata in carica degli strateghi ordinari dello stesso anno. Pertanto, la testimonianza dei Cavalieri, essendo sicuramente datata la
rappresentazione della commedia, colloca il riferimento ad una possibile strategia di Iperbolo (o ad una sua candidatura alla strategia) senza dubbio parecchi mesi prima di ogni eventuale strategia straordinaria dell’anno 424-23, carica che comunque non sembra attestata,
e quindi motivata nella sua straordinarietà, da alcuna fonte. Da tre si riducono allora a due le possibilità a cui rivolgere la nostra attenzione: strategia straordinaria nel 425-24, ordinaria nel 424-23. Per poter proseguire nella valutazione intrapresa è necessario
tornare ad un più stretto confronto con Aristofane (Eg. 1300-15) e con le informazioni in esso contenute. Un esame puntuale di questo testo, sopra riportato nella sua interezza, permette di trarre le seguenti considerazioni:
1) vv. 1300-01: «Dicono che le triremi si siano riunite e parla-
vano l'una con l'altra; ...». Tutto l'episodio delle triremi, con l'uso degli infiniti aoristi, & collocato nel passato rispetto al momento pre-
sente della rappresentazione della commedia. Nella scansione tempo-
rale proposta e ricreata dalla rappresentazione scenica questo po-
DA
ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ
A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
ASCESA
DI UN
DEMAGOGO
63
trebbe permettere di riferire il contenuto dei versi ad un momento non necessariamente contemporaneo, ma anzi anteriore alle Lenee del 425-24 (febbraio); inoltre merita attenzione il contesto in cui è inse-
rito l’intero passo, collocato al termine di un intervento corale (Parabasi II), che inizia al v. 1264, subito dopo la proclamazione, da parte del Demo, della vittoria del Salsicciaio Agoracrito nel confronto con Paflagone. Particolarmente rilevanti sono i vv. 1274-75: λοιδορῆσαι
τοὺς πονηροὺς οὐδὲν ἐστ᾽ ἐπίφθονον,
ἀλλὰ τιμὴ τοῖσι χρηστοῖς, ὅστις εὖ λογίζεται 86,
In questi versi il poeta non solo giustifica, ma anzi legittima il proprio accanimento contro i πονηροί. Seguono quindi tre esempi di tale satira, «onore per i χρηστοί». Il primo è contro ᾿Αριφράδης πονηρός, attaccato non solo qui (vv. 1280-89), ma anche in Vespe 1280-83 e in Pace 883-85, come inventore di turpi attività erotiche$7;
il secondo & invece contro Cleonimo (vv. 1290-99), figura ben presente nei versi di Aristofane e biasimata ora come spendaccione e gaudente, ora come delatore, ora come ladro88. Il terzo esempio è poi co-
stituito proprio dai vv. 1300-15, volti a dimostrare la πονηρία di un altro cittadino, Iperbolo μοχθηρός 85.
2) vv. 1303-04: «Si dice che un tal cattivo cittadino, l’acido Iperbolo, richiese cento di noi per una spedizione contro Cartagine». 86. AristoPH., Eq. 1274-75. Trad.: (Coro) «Insultare i cattivi non è una colpa; ma — a ben pensarci — è un onore alla gente perbene». 8 A.H.
SOMMERSTEIN,
Notes on Aristophanes’ Wasps, «CQ»,
XXVII
(1977),
pp. 261-77, spec. p. 276, fondandosi su Arıstor., Poet. 1458b, lo ritiene un commediografo e così spiega l'accanimento di Aristofane contro quello che sarebbe un suo rivale. Più convincente giustificazione dell’attacco aristofaneo è stata data da E. DeGANI, Arifrade l'Anassagoreo, «Maia», XII (1960), pp. 190-217, che, basandosi su una testimonianza di Eschine Socratico, conservata da Ateneo (220b), prova che Arifrade
fu discepolo di Anassagora, rappresentante di quell'elemento progressista del popolo, e in particolare della gioventù, tanto osteggiato da Aristofane. 88 Cf. AristoPH., Ach. 88, 844; Eq. 1293, 1372.
89 Considerando questo passo nel suo contesto appare sicuro che Aristofane usi il termine μοχθηρός come sinonimo di πονηρός; inoltre trova ulteriore conferma la va-
lenza politica dei due termini, venendo entrambi a contrapporsi in modo unitario a χρηστός. Per l'analisi e il commento di questi termini, in confronto con THuc., VIII 73, 3, si veda supra quanto esposto nell'Introduzione.
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IPERBOLO
La richiesta delle cento navi è detta provenire da un cittadino qualunque (τις) e per giunta μοχθηρός. A questo proposito è lecito domandarsi: se Iperbolo in quest'anno 425-24 fosse stato stratego, non sarebbe stato qualificato in questo verso come στρατηγός piuttosto che τις πολίτης» L'ovvietà della risposta conferma ulteriormente quanto d’altra parte è già stato dimostrato, ovvero che Iperbolo non fece cer-
tamente parte del collegio degli strateghi ordinari del 425-24. Dai versi in questione risulta inoltre evidente che il demagogo non solo
propose una spedizione, ma ne chiese anche il comando, qualora fosse stata presa una decisione favorevole a tale impegno militare: le navi infatti dicono di essere state richieste per la spedizione personalmente
da Iperbolo, che quindi non si sarebbe limitato a promuovere propagandisticamente l'impresa di guerra. 3) Le navi, che potrebbero rappresentare i ricchi navarchi oppure anche i rispettivi trierarchi, esprimono cosi esplicitamente la loro ostilità e il loro rifiuto a tale progetto che una di loro, ai vv. 1311-12,
aggiunge: «Ma qualora queste cose siano gradite agli Ateniesi, ritengo che dobbiamo correre a sederci supplici nel tempio di Teseo o in
quello delle Dee Severe». Possiamo dedurre che Iperbolo presentò questa proposta davanti all'assemblea ateniese, chiedendo che si deci-
desse a proposito. Solo così comprendiamo la paura delle navi che temono che tale proposta piaccia ai concittadini di Iperbolo: infatti, in
caso di approvazione da parte dell’assemblea, a chi si fosse rifiutato di partecipare alla spedizione ufficialmente decretata, non sarebbe restato che cercare rifugio in un luogo inviolabile, quale appunto il tempio di Teseo o quello delle Eumenidi. È ben possibile che Iperbolo, in un momento in cui era in pieno svolgimento la spedizione in Sicilia del 427-24, cercasse di introdurre la discussione circa un’adesione più radicale alla guerra in un’assemblea, quella ateniese, che era chiamata in quei tempi a valutare le possibilità e i limiti dell'impegno a Occi-
dente?®. Si è visto precedentemente come l’audacia e la portata della % Per capire quale potesse essere la vivacità di queste discussioni in assemblea basti pensare al dibattito, successivo nel tempo, ma presumibilmente analogo per contenuti, che precedette la spedizione in Sicilia del 415-14: cf. Tuuc., VI 8 e sgg. In
rcaltà di questo eventuale dibattito assembleare nel 425-24 non abbiamo alcuna menzione nelle fonti: tuttavia, per gli anni 427-24, cioè nel periodo in cui Atene era di-
rettamente impegnata in Sicilia, ἃ legittimo supporre, con un certo margine di sicu-
li
DA ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ
A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
ASCESA
DI UN
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DEMAGOGO
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“ὦ
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proposta di Iperbolo suggeriscano di collocarla non prima del successo di Cleone a Sfacteria: infatti prima di questo avvenimento un tale disegno sarebbe stato ridicolo e soprattutto non avrebbe potuto in nessun modo sperare di essere supportato da cospicui consensi. Se così fosse, possiamo allora giungere a proporre una ricostruzione dei fatti in cui Iperbolo, richiedendo il comando su cento navi, cercherebbe di
rinnovare la vincente esperienza di Cleone, al quale era stato affidato il comando della flotta e dell'esercito impegnato a Pilo. E proprio considerando la vicenda e il successo militare di Cleone, Tucidide?! per-
mette di comprendere con chiarezza che in quella circostanza non si può parlare di strategia straordinaria, ma semplicemente di conferimento 461} ἀρχή suprema specificamente per un compito preciso, risolvere la crisi di Pilo. Analogo potere sembra voler chiedere Iperbolo, il demagogo che si stava affermando come l'a/ter ego di Cleone. Sulle linee di questa interpretazione, tale passo permette allora un importante chiarimento: la decisione, a cui la cittadinanza sarebbe chiamata, non riguarderebbe una strategia straordinaria, ma la proposta, da parte di Iperbolo, di guidare una spedizione decisa e decisiva in Occidente. 4) v. 1313: «Non
si farà beffe della città, comandando
su di
noi?2». Per la ricostruzione storica intrapresa è questo il passo saliente: esso infatti potrebbe rappresentare l’unica prova riguardo ad un'eventuale strategia di Iperbolo. Nell'interpretazione del participio στρατηγῶν non bisogna dimenticare che, tra i vari valori che esso può
assumere, ben attestato nell'uso sintattico del greco antico & quello condizionale: puó dunque anche intendersi «qualora, quando sia rezza (e proprio basandoci sulla generale gestione ateniese delle vicende di guerra e in particolare sull'esempio, cronologicamente seguente, dei fatti del 415-14), che nel la-
voro dell'assemblea fosse centrale la valutazione circa la possibilità di aumentare o interrompere l'intervento ad Occidente: cf. THuc., III 115, 3-6, il quale informa che
su] finire del 426 le città siceliote alleate mandarono ambasciatori ad Atene per chiedere rinforzi ed esprimere il proprio scontento per l'andamento della guerra, sicché
verso la fine dell'inverno l'assemblea decise di sostituire, nel comando supremo in Sicilia, il prudente Lachete con Pitodoro. Cf. S. CATALDI, I processi agli strateghi, cit., pp. 42 sgg. *! 'THuc., IV 27 sgg. 92 ArıstopH., Eq. 1313: Οὐ γὰρ ἡμῶν ye στρατηγῶν ἐγχανεῖται τῇ πόλει.
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IPERBOLO
eletto stratego», tanto più che una tale lettura trova una sua possibile conferma nella presenza della voce verbale ἐγχανεῖται al futuro. Cercando di trarre alcune conclusioni da quanto sinora esposto, sembra possibile eliminare, riguardo alla strategia di Iperbolo, l’incer-
tezza presente nella storiografia moderna, che, con più o meno convinzione, ritiene per lo più probabile, anche se non certa, tale carica, salvo poi aggiungere che comunque questa strategia del demagogo, se
svolta, non ha avuto affatto un ruolo importante nella carriera pubblica del demagogo?. In base alle considerazioni sinora svolte nei confronti di ciò che veramente è centrale nel passo aristofaneo, ovve-
rosia la proposta di un forte impegno ad Occidente con un'imponente spedizione, si può ritenere di escludere ogni eventualità circa una strategia di Iperbolo negli anni 425-24 e 424-2394. Niente infatti può portare a pensare per il 425-24 una situazione che legittimasse la ne-
cessità di ricorrere ad una strategia straordinaria (ad esempio la morte di uno stratego) e quindi non resterebbe che considerare, se mai, l'eventualità di una strategia ordinaria per il 424-23, strategia che, considerata
la datazione,
più volte ricordata,
dei Cavalieri
(Lenee
424), non potrebbe comunque essere effettiva, ma piuttosto in fieri. Se è corretto il valore condizionale attribuito a στρατηγῶν e qualora si
accetti la lettura dei Cavalieri sinora svolta e che vede riflesso in tale commedia l’acceso clima dell’elezione degli strateghi per l’anno 42423, allora è conseguente pensare che i versi aristofanei al centro di questo ragionamento siano indice del timore che Iperbolo in tale anno potesse essere eletto stratego, fatto però che, stando alle fonti a noi note, probabilmente non avvenne, o meglio ancora non vi è alcun documento che possa consentire di sostenere che l’elezione del 424 ab9 E. CAMON, Le cariche, cit., pp. 46-48; W.R. Connor, op. cit., pp. 145-46; P.
BRUN, art. cit., pp. 189-90; contra B. BALDWIN, art. cit., pp. 153-54; cf. A. ANDREWESKJ. Dover, HCT, V, pp. 257-58. % P. Brun (art. cit., p. 190) ritiene che non si possa escludere che Iperbolo sia stato stratego fra il 422 e il 417, anni nei quali l'impegno militare di Atene fu molto
ridotto: questo giustificherebbe il fatto che il nome di Iperbolo non è connesso a nessuna impresa militare. Così facendo la studiosa considera le testimonianze scoliastiche
sopracitate come indipendenti da ArıstopH., Eg. 1313, il che a mio avviso non è comprovabile se si pensa in generale alle abitudini compilative e di ricerca degli sco-
liasti e nello specifico alla conseguente impossibilità di individuare la fonte dello scoliaste in questione.
DA ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
ASCESA
DI UN DEMAGOGO
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bia premiato l’audace e ambizioso promotore di una nuova e radicale politica imperialistica verso Occidente.
4. Tra Nuvole I e Nuvole II: /a προστασία τοῦ δήμου.
Se i Cavalieri avevano consentito ad Aristofane di ottenere gli allori della vittoria, gli agoni comici delle Dionisie del 423 costrinsero il poeta ad una amara sconfitta. Le sue Nuvole infatti si classificarono soltanto al terzo posto: primo risultó invece Cratino con la Πυτίνη, «La Damigiana», secondo Amipsia con il Kövvog?’. Come affermano alcune delle óxo0£cti;?5 che la tradizione esegetica antica ha affiancato alle Nuvole, Aristofane si risentì non poco di questa sconfitta e, sicuro nei propri convincimenti circa il significato e 1] ruolo della sua arte poetica, procedette ad un rifacimento della commedia, in cui non
risparmiava biasimo per quanti continuavano a preferirgli altri poeti, negandogli quella preminenza che ormai egli riteneva di aver meritato?/, Questa seconda versione delle Nuvole, mai rappresentata stando alle notizie a noi giunte?8, è quella tramandata dai manoscritti bizantini e l'unica quindi a noi disponibile. Infatti, nel testo tràdito di questa commedia, vi è almeno una sezione della parabasi (vv. 518-62) che certamente non può appartenere alla versione rappresentata nel 423: il verso 553 contiene un esplicito riferimento al Maricante di Eupoli, che sappiamo essere stato rappresentato alle Lenee del 421. Secondo gli esegeti antichi, il cui contributo è stato conservato dalla ὑπόθεσις VII Coulon, appartengono al rifacimento della commedia l’intera parabasi, il passo in cui il Discorso Giusto 95 Questa notizia è attestata 41} ὑπόθεσις VI Coulon della stessa commedia ari-
stofanea (Coulon = V. CouLoN, Aristophane, texte établi par V. Coulon et traduit par H. van DAELE, II, Paris 1924). % Cf. le ὑποθέσεις VI e VII Coulon. 97 Cf. AnrsTOPH., Nub. 518 sgg. Analoghe considerazioni ritroviamo anche in ARISTOPH., Vesp. 1043-50, sempre espresse dal poeta che si sente tradito dal proprio
pubblico in seguito alla sconfitta delle Nuvole. Sulla stratificazione cronologica della duplice redazione delle Nuvole cf. recentemente E.C. Koprr, The Date of Aristophanes, Nubes II, «AJPh», CXI (1990), pp. 318-29; H. TARRANT, Clouds I: Steps towards Reconstruction, « Arctos», XXV (1991), pp. 157-81. 9 Cf. ὑποθέσεις VI e VII Coulon; ScHoL. ArISTOPH., Nub. 552.
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IPERBOLO
discute con l’Ingiusto e, infine, il brano in cui viene incendiato il
Pensatoio, la casa di Socrate??. Strettamente connessi con il problema delle Nuvo/e II sono i riferimenti ad Iperbolo contenuti in questa commedia. Infatti, ritro-
viamo cinque volte nelle Nuvole il nome di Iperbolo: tre di queste, rispettivamente ai vv. 551, 557, 558, sono all’interno della sezione
della parabasi da ricondursi a Nuvole II; una quarta volta poi il nome del demagogo compare al v. 623, dunque sempre nella parabasi; infine una quinta citazione si trova al v. 1065, dove si è già evidenziato il riferimento ad Iperbolo che, non con la spada, ma con la πονηρία,
seppe guadagnare molti talenti. Considerando queste citazioni al fine di un'analisi precisa della figura del demagogo, appare centrale soprattutto lo studio dei versi corali 518-626 e in particolare dei vv. 545-62 e 623-26.
La parabasi delle Nuvole si apre con il poeta che, per bocca del corifeo, presenta la propria commedia agli spettatori con la speranza di incontrare un pubblico σοφός, in grado di riconoscere ed apprez-
zare tutte le qualità che la poesia aristofanea sa portare in sé e che rendono il commediografo sicuro del proprio valore e della propria superiorità. Prive delle solite volgarità ovvie e banali, le Nuvole sono dette commedia σώφρων, «savia, casta»!
esempio della grandezza
di un’arte poetica della quale il poeta così continua la difesa, appunto nei vv. 545-62: Κἀγὼ μὲν τοιοῦτος ἀνὴρ ὧν ποιητὴς οὐ χομῶ, οὐδ᾽ ὑμᾶς ζητῶ ξαπατᾶν δὶς καὶ τρὶς ταῦτ᾽ εἰσάγων,
545
ἀλλ᾽ αἰεὶ καινὰς ἰδέας εἰσφέρων σοφίζομαι
οὐδὲν ἀλλήλαισιν ὁμοίας καὶ πάσας δεξιάς" ὃς μέγιστον ὄντα Κλέων᾽ ἔπαισ᾽ εἰς τὴν γαστέρα
xobx ἐτόλμησ᾽ αὖθις ἐπεμπηδῆσ᾽ αὐτῷ χειμένφ᾽ οὗτοι È, ὡς ἅπαξ παρέδωχεν λαβὴν Ὑπέρβολος,
550
τοῦτον δείλαιον κολετρῶσ' ἀεὶ καὶ τὴν μητέρα. Εὔπολις μὲν τὸν Mapıxäv
πρώτιστον παρείλχυσεν
ἐχστρέψας τοὺς ἡμετέρους Ἱππέας καχὸς xoxàxc, προσθεὶς αὐτῷ γραῦν μεθύσην τοῦ κόρδαχος οὔνεχ', ἣν
559
9 Sulla consistenza dei mutamenti apportati a questa seconda redazione, come già detto mai rappresentata, cf. F. Turato, I/ problema storico delle Nuvole di Aristofane, Padova 1972, pp. 14-15, n. 30. 100 AnrsTOPH., Nub. 537.
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Φρύνιχος πάλαι πεπόιηχ᾽, fiv τὸ κῆτος ἤσθιεν 101,
Εἶθ᾽ Ἕρμιππος αὖθις ἐποίησε εἰς Ὑπέρβολον, ἄλλοι 7 ἤδη πάντες ἐρείδουσιν εἰς Ὑπέρβολον, τὰς εἰχοὺς τῶν ἐγχέλεων τὰς ἐμὰς μιμούμενοι. Ὅστις οὖν τούτοισι γελᾷ, τοῖς ἐμοῖς μὴ χαιρέτω. ἫΝν È ἐμοὶ καὶ τοῖσιν ἐμοῖς εὐφραίνησθ᾽ εὑρήμασιν,
560
εἰς τὰς ὥρας τὰς ἑτέρας εὖ φρονεῖν δοχήσετε 102,
Questa sezione della commedia appartiene senz'altro alla seconda redazione delle Nuvole. Due chiari riferimenti permettono di dedurre e confermare con sicurezza questa datazione. Si considerino anzitutto i vv. 549-50. In essi il poeta rivendica a se stesso il merito del violento attacco mosso contro Cleone, alludendo evidentemente all'operazione, poetica e politica al tempo stesso, attuata con i Cavalieri nel 424. Subito però Aristofane si affretta a
precisare di aver saputo svolgere con senso della misura il proprio ruolo di poeta comico e satirico anche in questa circostanza, evitando di accanirsi ancora contro il demagogo dopo che questo morì, fatto che avvenne nell’autunno del 422, come è puntualmente attestato da Tucidide 193, Analogo atteggiamento di Aristofane nei confronti di Cleone ormai defunto è riscontrabile anche nella Pace ai vv. 648-56, in cui Tri-
geo così interrompe Ermes, che biasima l’Atene corrotta e rovinata da demagoghi guerrafondai e in particolar modo dal cuoiaio Cleone:
101 Puryn. 77 K.A. 102 ArıstopH., Nub. 545-62. Trad.: «ed io, che sono un poeta di tanto valore, non mi dó arie (lett.: non porto i capelli lunghi), e non cerco di ingannarvi, portando in scena le stesse cose due, tre volte; ma tento di ideare sempre nuove trovate, mai simili le une alle altre, e tutte ingegnose. Fui io a colpire Cleone al ventre, quando era
potente, ma non ebbi cuore di saltargli di nuovo addosso quando ... stese le gambe. Costoro, invece, una volta che Iperbolo ne diede motivo, si sono messi a pestare quel disgraziato e sua madre. Il primo fu Eupoli, trascinando sulla scena il Maricante: aveva riadattato malamente i nostri Cavalieri, lo scellerato, aggiungendovi una vecchia ubriaca, che balla il cordace — una vecchia trovata di Frinico: quella che il mostro marino divorava. E poi fu la volta di Ermippo che scrisse una commedia contro Iperbolo, ed ormai tutti si accaniscono contro Iperbolo, imitando la mia immagine delle anguille. Perciò chi ride di queste cose, non gioisca delle mie; ma, se vi compia-
cete di me e delle mie trovate, per l'avvenire avrete fama di persone assennate». 19 'THuc., V 16, 1.
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Παῦε xa$', & δέσποθ' Ἑρμῆ, μὴ λέγε, ἀλλ᾽ Ea τὸν ἄνδρ' ἐχεῖνον οὗπέρ tor εἶναι χάτω᾽
οὐ γὰρ ἡμέτερος ἔτ᾽ ἔστ᾽ ἐχεῖνος ἀνὴρ, ἀλλὰ σός.
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"AtT ἂν οὖν λέγῃς ἐχεῖνον,
xei πανοῦργος ἦν, ὅτ᾽ ἔζη, καὶ λάλος καὶ συχοφάντης καὶ κύχηθρον καὶ τάραχτρον,
ταῦθ᾽ ἀπαξάπαντα νυνὶ
655
τοὺς σεαυτοῦ λοιδορεῖς 104,
L'autunno del 422 si colloca dunque come primo sicuro termine post quem per la datazione delle Nuvole II. Possiamo trarre una conferma dai versi seguenti, in cui il poeta ribadisce il peculiare e superiore valore della propria poesia, portando ad esempio anche il caso di Iperbolo: contro quest’ultimo, scrive Aristofane, si sono accaniti senza tregua tutti i poeti comici, in una satira volgare e gratuita che
coinvolgeva non solo il demagogo, ma anche la madre. È bene notare subito che questa critica mossa da Aristofane ai propri colleghi appare
ben lontana dal fine di voler difendere Iperbolo da attacchi esagerati o ingiusti; essa in realtà si rivela immediatamente come presa di po-
sizione da parte del poeta all’interno delle considerazioni, riguardanti il ruolo della poesia comica, che caratterizzano questa parabasi. In tale orizzonte comprendiamo così le esplicite accuse mosse ad Eupoli, che, a dire di Aristofane, iniziò questo accanimento, grossolano e banale, dei poeti comici contro Iperbolo, portando in scena il Maricante. Questa commedia di Eupoli fu rappresentata molto probabilmente nel 422-21. Questo è infatti quanto è possibile dedurre dalle testimonianze antiche, tra le quali emerge anzitutto una testimonianza scoliastica!05, che attesta la seguente notizia: ἐκεῖ δὲ (in Maricante) ὁ Εὔπολις ὡς τεθνηχότος Κλέωνος μέμνηται. Un altro scolio alle Nuvole, questa volta al v. 553, conferma la medesima informazione: xai ἐν τῷ Μαριχᾷ προτετελεύτηχε Κλέων.
La morte di Cleone, dunque, è il sicuro termine post quem anche per la commedia eupolidea, esattamente come per le Nuvole II di Ari14 ARISTOPH., Pax 648-56. Trad.: «Basta, basta, Ermes signore: non parlare;
quell'uomo lascialo dove si trova, là sotto. Non è più nostro, ma tuo. Tutte le ingiurie che rivolgi contro di lui, che da vivo era un farabutto, un parolaio, un sicofante, un
agitatore, un fomentatore di disordini, ora le rivolgi contro i tuoi sudditi». 105 ScHoL. ArIstoPH., Nub. 549b = Eur. 211 K.A.
DA
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stofane. Il fatto che i versi della citata parabasi aristofanea facciano riferimento al Maricante stabilisce la dovuta successione cronologica tra le due opere, secondo quanto è ben precisato dagli scoli aristofanei e soprattutto da quello a Nub. 553, in cui si nota come Callimaco (fr. 454 Pf.), a dire di Eratostene (fr. 97 Str.), abbia ricordato che alcuni commentatori φέρουσιν ὕστερον τρίτῳ Ereı τὸν Mapixàv τῶν Νεφελῶν,
ovvero «collocano la rappresentazione del Maricante al terzo anno dopo le Nuvole». L'uso del numerale ordinale può rimandare con buone probabilità ad un calcolo inclusivo, che permette di risalire al 422-21 e più precisamente alle Lenee del 422-21, in quanto è possibile escludere le Dionisie dello stesso anno poiché sappiamo che a tali agoni comici Eupoli partecipò con gli Adulatori, Κόλακες, che conseguirono la vittoria, lasciando la Pace di Aristofane al secondo posto e i Membri della fratria, Φράτερες, di Leucone al terzo. Certamente il Maricante fu commedia scritta espressamente contro Iperbolo: lo testimonia il citato v. 553 delle Nuvo/e e lo conferma uno scolio alle Rane!%:
Ὑπέρβολον
δέ, εἰς ὃν xai Εὔπολις ἔγραφε τὸν
Μαριχᾶν (così anche Tzetz. ad loc., IV 3, p. 853, 5 Kost.). L'esplicita
identificazione del personaggio Maricante con Iperbolo è invece rilevata da Quintiliano 107; Maricas, qui est Hyperbolus, nibil se ex musice scire nisi litteras confitetur. Questa importante citazione di Quintiliano, oltre a testimoniare che al retore latino era disponibile una conoscenza della commedia di Eupoli più ampia della nostra, conferma come veritiera l'accusa mossa da Aristofane!°8 al poeta del Maricante di aver imitato e copiato i Cavalieri!°?, Infatti le parole che Quinti96 ScHoL. ARISTOPH., Ran. 569. 107 Qumr.
I 10, 18 = Eur. 208 K.A.
108 Nub. 554. 19 Cf. F, Perusino, Aristofane e il Maricante di Eupoli, un caso di contaminatio nella commedia attica del V secolo, «RFIC», CIX (1981), pp. 407-15, che
mette bene in luce come i vv. 553-56 delle Nuvole siano partecipi di una violenta polemica letteraria che coinvolse i tre massimi esponenti della commedia attica (Cratino, Aristofane ed Eupoli) e che possiamo così sintetizzare: Cratino, dopo gli attacchi subiti nella parabasi dei Cavalieri (vv. 526 sgg.), insinuò, nella Πυτίνη, che i Ca-
valieri non erano tutta opera di Aristofane, ma che anche Eupoli aveva contribuito αἱ successo di questa commedia (cf. ScHor. ArıstoPpH., Eq. 531). La parabasi delle Nyvole II nega e rovescia contro Eupoli l'accusa di Cratino. In queste notizie trova con-
ferma l'ipotesi che proprio la polemica letteraria costituisca l'aspetto e la funzione
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liano riferisce come dette da Maricante nella finzione comica rical-
cano esattamente Eg. 188-89, in cui è dato di leggere: .. Οὐδὲ μουσικὴν ἐπίσταμαι πλὴν γραμμάτων.
Un'ulteriore conferma di un Maricante riadattamento indebito dei Cavalieri si può ricavare dal riferimento a Cleone presente nel fr. 192 K.A. ai vv. 135-36, nei quali, pur fra pesanti lacune materiali, leggiamo: Κλέων παφλί
παφλάζεινί
Se è vero che l’identificazione Maricante-Iperbolo non può essere data per scontata soltanto sulla base di Quintiliano, tuttavia la si
può ritenere a buon diritto alquanto probabile. Le fonti infatti sono chiare ed unanimi nel ritenere che Iperbolo fu il negativo e beffeggiato protagonista di questa commedia; inoltre, il nome del demagogo è senz'altro quello che ritorna di gran lunga più frequentemente di
qualsiasi altro nei frammenti del Maricante a noi conservati dalla tradizione: è pertanto plausibile il fatto che il titolo della commedia alluda e si riferisca al protagonista stesso. È utile a questo proposito anche l’analisi del termine Mapwxàc. Su questo vocabolo così si esprime Esichio, s.v. Mapwùv: Maprxiv κίναιδον. οἱ δὲ ὑποχόρισμα καιδίου ἄρρενος βαρβαριχόν 110,
Gli studi moderni!!! hanno saputo individuare in questo vocabolo la traslitterazione di un’antica parola persiana marika-1!2, il cui prevalente dei versi delle Nuvole che stiamo esaminando: il riferimento ad Iperbolo va dunque letto in quest'ottica, lontano pertanto da un recupero, volutamente polemico e politico, dell'immagine del demagogo da parte di Aristofane. 110 Trad.: «Maricante: dissoluto. Secondo alcuni vezzeggiativo straniero di un giovane schiavo maschio». 111 A.C. Cassio, Old Persian MARIKA-. Eupolis Marikas and Aristophanes Knights, «CQ», XXXV (1985), pp. 38-42; J.D. Morgan, MAPIKAZ, «CQ», XXXVI
(1986), pp. 529-31.
12 R.G. KENT, Old Persian. Grammar, 109, 138-40.
Texts, Lexicon, New Haven
1953, pp.
DA
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significato conobbe un’evoluzione che lo portò dall’originario valore di «ragazzo, piccolo uomo» ad un allargamento semantico anche in senso peggiorativo con le connotazioni di «uomo di condizione ser-
vile» o comunque «uomo malvagio e disonesto». All’interno di queste categorie interpretative si possono comprendere con precisione i va-
lori legati all’uso eupolideo del termine, rilevando con immediata evidenza come questo vocabolo implichi livelli semantici che, in un compiuto parallelismo, si adattano perfettamente al ritratto che la satira comica spesso ha fatto di Iperbolo, additandolo come πονηρός, μοχθη-
ρός, φαῦλος e imputandogli molto spesso origini straniere e servili. Iperbolo-Maricante acquista così connotazioni del tutto simili a quelle di Cleone-Paflagone: certo non è casuale che questo avvenne proprio nell’anno che vide salire Iperbolo alla προστασία e acuirsi, in puntuale corrispondenza, l'accanimento della commedia contro il demagogo!!3. Ermippo, con le ᾿Αρτοπώλιδες, e probabilmente Platone Comico 114 sono gli altri poeti che Aristofane accomuna a Eupoli: purtroppo, non è possibile precisare le date delle commedie in questione con riferimenti a fatti o personaggi storici che non siano Iperbolo e per113 Un aspetto importante non è stato rilevato dai commenti e dagli studi relativi al passo delle Nuvole da cui muovono queste nostre considerazioni: Aristofane, al di là delle critiche relative alla suddetta questione di polemica letteraria, non considera affatto ingiustificato l'attacco della commedia contro Iperbolo. Si ricava con evidenza questa interpretazione da una corretta comprensione del v. 551 delle Nuvole, in cui leggiamo che «costoro (i poeti comici rivali) si sono messi a calpestare questo disgraziato e sua madre, ὡς ἅπαξ παρέδωχεν λαβὴν Ὑπέρβολος», vale a dire «una volta
che Iperbolo ne diede motivo», e non «dopo che Iperbolo diede loro appiglio una volta» (come invece intende e traduce R. CANTARELLA, Le Commedie di Aristofane, III, Milano 1954, ad v.; per l'uso e l'accezione della locuzione ὡς ἄπαξ cf. ad esempio
DzM., De corona [XVIII], 151). Aristofane indica dunque una precisa responsabilità di Iperbolo in questa situazione: non dobbiamo dunque stupirci che il poeta partecipi pesantemente, prima e dopo le Nuvole, a quella stessa satira comica della quale critica, nella parabasi in esame, la banalità, la ripetitività, la volgarità, ma non certo la scelta di Iperbolo e sua madre quali obiettivi di continui ed accaniti attacchi polemici. E possibile poi ritenere che la λαβή offerta dal demagogo non sia da individuarsi in un preciso episodio della vita di Iperbolo (si potrebbe altrimenti pensare al momento della proposta della spedizione contro Cartagine oppure a quello del riconoscimento e dell'assunzione della προστασία τοῦ δήμου) quanto piuttosto in quella πονηρία che caratterizza, secondo Aristofane, ogni azione di Iperbolo commerciante, sicofante e de-
magogo. 114 All’Iperbolo di Platone Comico può infatti alludere ArIstOPH., Nub. 558.
γ4
IPERBOLO
tanto non si può giungere a datare queste opere teatrali contro Iper-
bolo, se non ponendole tra le due redazioni delle Nuvole aristofanee. Tuttavia possiamo forse precisare meglio questo periodo e limitarlo all'arco di tempo che va dall'anno successivo al 421, data di rappresentazione del Maricante, all'anno precedente il 417-16, quando, nella ricostruzione storica che andremo a proporre, sarebbe stato ostracizzato Iperbolo. Per quanto riguarda il termine post ques è infatti noto da Aristofane!!5 che fu Eupoli a iniziare l'accanimento satirico contro Iperbolo e che lo seguirono prima Ermippo e poi altri poeti, tra cui Platone Comico. D'altra parte, non possiamo dimenticare che nello stesso anno del Maricante, il 421, altre due commedie, rappresentate alle Dionisie, contenevano riferimenti ad Iperbolo: i Frateres di Leucone
e la Pace di Aristofane,
a testimonianza di un
clima satirico e politico ormai diffuso e trasversale nella poesia comica e nell’orientamento ideologico dei vari autori. Per quanto invece attiene al termine aste quem individuato nell'ostracismo di Iperbolo, esso va riferito alla scelta generalmente accettata di considerare la redazione di Nuvole II anteriore all'allontanamento del demagogo da Atene, dal momento che nei versi aristofanei non si fa riferimento alcuno all'attuazione di tale procedura, nonostante che le allusioni polemiche ad Iperbolo siano ampie e insistite. À questo proposito non sembra possibile il tentativo volto a seguire l'ipotesi della Bianchetti!!é, che sostiene con argomenti non sufficientemente convincenti
una datazione per Nuvole II posteriore al 418-17, data in cui la studiosa ritiene si sia svolto l'ostracismo.
Questa
conclusione sarebbe
conseguente alla possibilità di individuare nella parabasi affermazioni capaci di lasciar dedurre un preciso momento storico e una ben determinata atmosfera politica: quella dell'ostracismo. La Bianchetti vede infatti nello stretto legame che il poeta suggerisce tra Cleone e Iperbolo, e soprattutto nel tono di «pietà e commiserazione» usato nei confronti del secondo, cui fino ad allora Aristofane era stato ostile, un'indicazione che Iperbolo stava subendo in quel momento una sorte amara e nefasta, tale da accumunarlo a Cleone: questa disgrazia occorsagli non sarebbe stata certo la morte, ma l'ostracismo. Simbolo di questa compassione di Aristofane per Iperbolo dovrebbe essere l'ag115 ARISTOPH., Nub. 555-60. 116 S. BIANCHETTI, art. cit., pp. 226-58.
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gettivo δείλαιος con cui il poeta lo indica al v. 552 e che è usato, specialmente nella tragedia "17, a sottolineare la pietà per chi è vittima di sventure irrimediabili. La Bianchetti ritiene poi di poter cogliere un altro indizio ai vv. 553 sgg., in cui, con attenta e precisa analisi, in-
dividua due diversi piani temporali nei riferimenti ai poeti che hanno portato sulla scena Iperbolo attaccandolo: infatti, nelle allusioni al Μαριχᾶς
di Eupoli e alle ᾿Αρτοπώλιδες
di Ermippo,
Aristofane
usa
espressioni verbali al passato, rapgiAxvoev ed ἐποίησεν, come se queste commedie costituissero un antecedente in contrapposizione ad un presente in cui ἄλλοι ... πάντες épeidovo εἰς Ὑπέρβολον. Appare tuttavia
forzata soprattutto l’interpretazione data dalla studiosa relativamente all'immagine delle anguille presente al v. 559, in cui il poeta fa riferimento ai vv. 864-67 dei Cavalieri, nei quali così il Salsicciaio si ri-
volge a Paflagone: «Tu fai proprio come il pescatore di anguille: quando lo stagno è calmo non prende nulla, ma se mescola il fango sottosopra, allora fa una buona pesca: anche tu fai la tua pesca se metti a soqquadro la città». Ora, come è già stato evidenziato, nelle Nuvole questa immagine è ricordata in termini volti a biasimare i poeti che si accaniscono contro Iperbolo senza originalità, «imitando l'immagine delle anguille», ma la Bianchetti suggerisce di cogliere in questo riferimento un’allusione ad una situazione in cui con torbidi intrighi ogni uomo politico manovra cercando il proprio vantaggio. Se questo è certamente quanto l’immagine suggerisce all’interno dei Cavalieri, la medesima immagine non sembra invece rinnovare la stessa efficace denuncia nelle Nuvole, in un passo in cui al poeta interessa soltanto affermare l’originalità delle proprie invenzioni poetiche. Inoltre, proprio nelle Nuvole, la similitudine aristofanea è ripresa senza alcuna nuova caratterizzazione e peculiarità politica e non appare in
grado di sottintendere alcun riferimento ad un episodio specifico della vita politica quale sarebbe stato l’ostracismo: al più si può rilevare la sola e generica accusa contro la prassi politica demagogica. Tra le argomentazioni della Bianchetti certamente condivisibile è la distinzione dei due livelli temporali presenti nei versi di Aristofane: tuttavia il riferimento in base al quale distinguere le relazioni di anteriorità e contemporaneità non deve essere l’ostracismo di Iperbolo ma il tempo di scrittura dei versi in questione, ovvero la stesura di 11? Cf. ad esempio SoPH., Oed. Tyr. 1347.
76
IPERBOLO
Nuvole II. Aristofane viene così a distinguere tra commedie precedenti di alcuni anni e altre opere teatrali che stanno andando in scena proprio mentre il poeta sta procedendo, pieno di risentimento verso il pubblico e i colleghi poeti, alla revisione del testo delle Nuvole. Questo particolare accanimento contro Iperbolo, mostrato dalla commedia negli anni immediatamente precedenti a Nuvole II, trova spiegazione in alcuni versi della Pace: EP. TP. EP. ΤΡ.
"En νῦν ἄκουσον οἷον ἄρτι μ᾽ ἤρετο᾽ ὅστις χρατεῖ νῦν τοῦ λίθου τοῦ V τῇ πυχνί. Ὑπέρβολος νῦν τοῦτ᾽ ἔχει τὸ χωρίον. Αὕτη, τὶ ποιεῖς; Τὴν χεφαλὴν ποῖ περιάγεις; ᾿Αποστρέφεται τὸν δῆμον ἀχθεσθεῖσ᾽ ὅτι οὕτω πονηρὸν προστάτην ἐπεγράψατο. 'AAX οὐχέτ' αὐτῷ χρησόμεθ᾽ οὐδέν, ἀλλὰ νῦν ἀπορῶν ὁ δῆμος ἐπιτρόπου καὶ γυμνὸς ὧν τοῦτον τέως τὸν ἄνδρα περιεζώσατο.
ΕΡ.
Πῶς οὖν ξυνοίσει ταῦτ᾽ ἐρωτᾷ τῇ πόλει.
ΤΡ. ἘΡ.
Εὐβουλότεροι γενησόμεθα.
TP.
"On τυγχάνει λυχνοποιὸς div. Πρὸ τοῦ μὲν οὖν
Τρόπῳ τίνι; ἐψηλαφῶμεν ἐν σχότῳ τὰ πράγματα, νυνὶ δ᾽ ἅπαντα πρὸς λύχνον βουλεύσομεν 118,
Questi versi testimoniano, pur con l'ironia e l'ostilità a cui certo Aristofane non potè e non volle rinunciare, che, dopo la morte di Cleone, a Iperbolo fu riconosciuto il prestigioso ruolo di προστάτης 118 ARISTOPH., Pax 679-92. Trad.:
«Er. - Ascolta che altro mi ha chiesto poco fa: ‘Ora chi domina la tribuna della Pnice?’
Tr. - Ora ἃ Iperbolo ad occupare quel posto. [Rivolgendosi a Pace] ἘΠῚ tu, che fai? Dove volgi la testa? Er. - Si gira indietro disdegnando il popolo, disgustata che s'è scelto un capo così spregevole. Tr. - In futuro non ci serveremo mai più di costui; ma adesso il popolo è privo di una guida e nudo: si è messo costui a mo’ di cintura, per ora! Er. - Vuole sapere come la città potrà trarre giovamento da questa situazione. Tr. - Diventeremo più illuminati nei consigli. Er. - E in che modo?
Tr. - Si dà il caso che costui sia un fabbricante di lucerne: sino adesso brancolavamo nel buio; ora, invece, prenderemo ogni decisione alla luce ... della lucerna».
DA ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ
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DEMAGOGO
TI
τοῦ δήμου 115, il difensore e il rappresentante degli interessi del δῆμος, colui che, con la propria personalità ed influenza, sapeva dirigere e condizionare, più o meno da vicino, i dibattiti dell'assemblea 29. Certo Iperbolo dovette raggiungere tale importante riconoscimento in un momento a lui non particolarmente favorevole. È l’anno della pace di Nicia e Aristofane celebra questo momento con la commedia intitolata ad Εἰρήνη. Ed è proprio Εἰρήνη che, nei versi sopracitati, si volta
sdegnata alle parole di Trigeo, il quale la informa circa Iperbolo e il fatto che proprio lui ha assunto la προστασία di un δῆμος che, morto Cleone, si è ritrovato γυμνός. Trigeo quindi libera la Pace, mentre il partito che la sostiene conclude la συμμαχία cinquantennale con
Sparta: è la sconfitta di Iperbolo e della politica guerrafondaia. Così Aristofane sottolinea e ribadisce l'accaduto: Πολλῶν γὰρ ὑμῖν ἄξιος Τρυγαῖος ᾿Αθμονεὺς ἐγώ, δεινῶν ἀπαλλάξας πόνων τὸν δημότην [ὅμιλον)
χαὶ τὸν γεωργικὸν λεών, Ὑπέρβολόν τε παύσας 121].
1? O. REvERDIN, Remarques sur la vie politique d'Atbénes au V siècle,
«MH»,
II (1945), p. 210, ha individuato otto nomi a cui i contemporanei hanno riconosciuto
il titolo di προστάτης: Cleone, Iperbolo, Androcle, Cleofonte, Archedemo, Trasibulo, Archino e Agirrio. E bene ricordare che Tuuc., II 65, 5 riconosce a Pericle il prestigio della προστασία in questi termini: ὅσον τε γὰρ χρόνον προύστη τῆς πόλεως (cf. F. CAMON, Le cariche, cit., p. 47), nei quali tuttavia è da ravvisarsi una /eadership politica di natura ben diversa da quella degli altri demagoghi. Pericle infatti è detto προστάτης della πόλις, ovvero dell’intera comunità dei cittadini, e non del δῆμος. In tal
modo Tucidide riafferma dunque quella che, a suo dire, è la più rilevante differenza tra l’esperienza politica periclea e quella dei successivi demagoghi di matrice cleo-
niana. 120 Cf. F. CAMON, Le cariche, cit., pp. 55-58; P. BRUN, art. cit., p. 189, la quale
sostiene che il termine προστάτης puó essere considerato sinonimo di quello di δημαγωγός, che non appare che alla fine del V secolo: cf. ΜΙ. Fıney, Atbenian Demagogues, «P&P», XXI (1962), pp. 3-24; W.R. ConNOR, art. cit., pp. 110-11. Cf. anche SchoL.
ArıstopH.,
Eg.
1127, in cui si legge: προϊστάμενος τοῦ δήμου, τουτέστι
δημαγωγός. 121 ARISTOPH., Pax 918-23. Trad.: «Certo. Io, Trigeo di Atmone, ho acquisito molti meriti presso di voi: da tremende fatiche ho liberato i cittadini e i contadini, soprattutto togliendo di mezzo Iperbolo». Cf. Arıstopn., Pax 1319. Il verbo παύσας
è propagandisticamente drastico nel denunciare la fine, l'annientamento, certo non
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IPERBOLO
Aristofane, nei versi ora citati della Pace, non perde dunque occasione per continuare a sminuire, e poi decretare fallito e concluso, il ruolo politico di Iperbolo: evidenzia soprattutto che il popolo avrebbe scelto
costui
come
proprio
προστάτης
unicamente
perché,
morto
Cleone, era privo di una guida e non aveva altri a cui rivolgersi. Lo scolio al v. 681, in una sua parte, fornisce invece una diversa interpretazione dell’assunzione della προστασία da parte di Iperbolo: Προείλετο δὲ τοὺς τοιούτους ὁ δῆμος ἀπιστῶν διὰ πόλεμον τὸν πρὸς Λακεδαιμονίους τοῖς ἐνδόξοις τῶν πολιτῶν, μὴ τὴν δημοχρατίαν χαταλύσαιεν 122,
Nelle due diverse interpretazioni della medesima situazione politica sembrano potersi individuare con sicurezza le opposte posizioni, nei confronti di Iperbolo, degli ὀλίγοι e del δῆμος. Un analogo condizionamento ideologico ha probabilmente determinato l’assenza del nome di Iperbolo nella lista dei προστάται ateniesi compilata dalla scuola aristotelica 125, in cui la storia della vita politica ateniese di VI e V secolo è sintetizzata nell’opporsi in successione dei vari capi del δῆμος a quelli degli γνώριμοι, In particolare, l’autore della πολιτεία sot-
tolinea come dopo Pericle il popolo non scelse più il proprio προστάτης tra le persone «per bene», gli ἐπιεικεῖς, provocando così una inevitabile degenerazione politica e sociale; su queste basi quindi si afferma che, morto Pericle, si distinsero Nicia alla guida degli ottimati e Cleone a capo del δῆμος: a loro succedettero Teramene e Cleofonte. Come si può osservare anche da questa estrema sintesi, per quanto riguarda la προστασία τοῦ δήμου
vengono
omessi gli anni che vanno
dal 421 al 411 e sono dimenticate non solo le figure di Iperbolo e di Androcle, ma anche quella di Alcibiade, personaggio del quale non può certamente essere messo in dubbio il rilievo politico: è questa una probabile conseguenza dell’ispirazione oligarchica della fonte dalla fisico, ma senz'altro politico, di Iperbolo. Interessante è inoltre la scansione della po-
polazione ateniese, liberata da Iperbolo, in cittadini e contadini: sembra mostrare i diversi interessi che muoveva il «partito della pace». 122 ScuoL. AristoPH., Pax 681. Trad.: «il popolo scelse tali individui (i demagoghi, con esplicito riferimento a Cleone e Iperbolo) perché non si fidava, durante la guerra contro i Lacedemoni, di quanti, tra i cittadini, erano illustri, temendo che ro-
vesciassero la democrazia». 123 AnrsTOT., Ath. Rsp. 28.
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quale l’autore di questa Costituzione degli Ateniesi attinse abbondantemente 124, ma è anche un indizio della confusione istituzionale e politica presente nel decennio che seguì la morte di Cleone, una complessità di esegesi storica che non poteva permettere all’autore della πολιτεία di individuare in modo chiaro una bipolarità di personaggi e di fazioni nello scontro politico.
5. Iperbolo ieromnemone. ...8v8 ὧν λαχὼν YrépBodog τῆτες ἱερομνημονεῖν χἄπειθ' dp’ ἡμῶν τῶν θεῶν τὸν στέφανον ἀφῃρέθη᾽ μᾶλλον γὰρ οὕτως εἴσεται κατὰ σελήνην ὡς ἄγειν χρὴ τοῦ βίου τὰς ἡμέρας 125.
Questi versi, pronunciati dalle Nuvole nella commedia che da esse prende il nome, contengono un ulteriore riferimento ad Iperbolo: attestano infatti la notizia che il demagogo ricoprì la carica di ieromnemone. Non sembrano esserci giustificati motivi per dubitare di questa importante informazione, anche se essa non è confermata da nessun'altra fonte. Restano tuttavia da chiarire alcuni problemi relativi alla datazione di tale carica, al motivo per cui Iperbolo fu «privato della corona»!2% e alle perplessità mosse dallo scolio tramandatoci dalla tradizione manoscritta per quanto concerne i versi aristofanei ora citati. Infatti, proprio con questa testimonianza scoliastica deve confrontarsi ogni analisi che voglia affrontare in modo completo ed esauriente il problema della ieromnemonia del demagogo. E anzitutto utile riportare in breve alcune informazioni relative alla figura degli ieromnemoni, utili poi a chiarire il ruolo svolto da
124. Cf. PT. RHopES, Commentary, cit., pp. 551-57. 125 AristoPH., Nub. vv. 623-26. Trad.: «Per questo noi dee abbiamo privato della corona Iperbolo che quest'anno era stato sorteggiato ieromnemone: così capirà che i giorni della vita bisogna regolarli sul ciclo lunare».
126 Iperbolo poteva
avere la corona
essenzialmente per due motivi:
come
θεωρός, cioè reduce dall'oracolo delfico (cf. Eur., Hipp. 806 sgg., SoPH., Oed. Tyr. 83 sg.; ARISTOPH., PZ 21), o come magistrato per essere distinto dagli altri cittadini per
meriti speciali.
80
IPERBOLO
Iperbolo in qualità di funzionario dell'anfizionia delfica!27. Gli ieromnemoni, «coloro che conservano le memorie delle cose sacre» 128, erano funzionari d'ordine religioso, esclusivamente o principalmente custodi delle cose sacre, oi τῶν τοῦ θεοῦ ἱερῶν προεστήχεσαν 129, Venivano eletti in numero di due da ognuno dei dodici «popoli» facenti parte dell'associazione religiosa che si riuniva non solo intorno al culto di Apollo a Delfi, ma anche attorno a quello di Demetra alle Termopili. Costituivano dunque un collegio di ventiquattro funzionari che rappresentavano
al consiglio
anfizionico
i rispettivi
«popoli».
In
realtà, probabilmente già nel V secolo, ma senz'altro a partire dal IV130, essi divennero espressione e rappresentanza di una singola città, che poteva essere quella che aveva l'assoluta preminenza in seguito
a sinecismo
(come
Atene
nel caso degli Ioni dell'Attica)
o,
quando le città appartenevano ad una federazione, quella che riusciva ad imporre i propri rappresentanti secondo meccanismi di alternanza probabilmente non codificati e che comunque non ci sono noti: nei documenti ufficiali gli ieromnemoni rimanevano indicati e qualificati con il nome del popolo che rappresentavano e non con quello della città. Si ignorano inoltre i modi con cui ciascuna città procedeva all'elezione dei suoi ieromnemoni. Sembra in ogni caso chiaro che non ci fosse una regola uniforme: la procedura d'elezione e la durata del 12] Tra gli studi relativi all'anfizionia delfica, hanno dedicato una specifica attenzione
alla ieromnemonia:
A.
BoucHf-LECcLERO,
s.v. Hieromnemones,
naire des Antiquités Grecques et Romaines, cit., II]-1, Paris 1900, pp.
in Diction-
175-77;
G.
Roux, L'ampbictionie, Delphes et le temple d'Apollon au IV siècle, Lyon 1979, pp. 24-36 e passim. 128 L’interpretazione etimologica del termine ieromnemone (per la quale cf. PLuT., Quaest. conv. I 1; Anisror., Pol. VI 5, 4, p. 1321 b; HEsvcH,, s.v.) rimanda
ad un'epoca di legislazione non scritta e conferma l'antichità dell'anfizionia delfica e di questa carica all'interno di essa. 129. Scuor. ARISTOPH., Nub. 624.
130 A partire dal IV secolo disponiamo di ampie testimonianze letterarie, ma soprattutto archeologiche ed epigrafiche che permettono di ricostruire, anche mediante preziose liste dei funzionari, l'attività dell'anfizionia: cf. G. Daux, Chronolo-
gie delphique, Paris 1945; In., Remarques sur la composition du Conseil ampbictyonique, «BHC», LXXXI (1957), pp. 95-120; In., Les empereurs romains et l'amphictyonie pylaeo-delphique, «CRAI»,
1975, pp. 348-62; In., La composition du Conseil am-
phictyonique sous l'Empire, in «Recueil Plassart», Paris 1976, pp. 59-79; cf. anche P. DE LA COSTE-MESSELIERE, Liste amphictyoniques du IV siècle, «BHC», LXXIII
(1949), pp. 201-47.
DA
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mandato variavano da città a città e anzi probabilmente mutarono nel tempo anche all’interno della stessa città. In base a due iscrizioni di Delfit31, dalle quali risulta che uno stesso ateniese, Apemantos, fu ie-
romnemone sotto i due arcontati successivi di Theolytos (328-27) e di Kaphis (327-26), si è avanzata l'ipotesi che ad Atene tale carica avesse
la durata di due anni. In realtà le ampie lacune delle liste non permettono di suffragare questa congettura, che appare azzardata: piü verosimile sembra l'ipotesi di un mandato annuale!?2, È noto inoltre che non solo i mandati non erano tutti della stessa durata, ma non
ricoprivano neanche lo stesso periodo dell'anno: ciascuna città infatti nominava i propri ieromnemoni secondo il proprio calendario. I Delfi e gli Ateniesi entravano probabilmente in carica alla sessione d'autunno del Consiglio anfizionico, i Dori del Peloponneso, gli Eubei e i Beoti alla sessione di primavera!??. La composizione del Consiglio, dunque, variava sempre a ciascuna sessione: un ieromnemone beota, ad esempio, non incontrava mai piü di una sola volta un determinato collega di Delfi. Questo continuo cambiamento impediva agli ieromnemoni di svolgere un ruolo incisivo e continuato all'interno del Consiglio e soprattutto negava ogni concertata collaborazione fra ieromnemoni di città diverse, limitando dunque l'incarico ricevuto da tali funzionari a una semplice rappresentanza degli interessi della propria città. Nel cercare comunque di definire meglio questo ruolo, & possibile anzitutto evidenziare che essi erano gli unici componenti ufficiali del Consiglio anfizionico, titolari della ψῆφος ἱερομναμονική, del di-
ritto del voto, simbolo di una funzione che Libanio155 definisce in tre parole: κάθηται, δικάζει, ψῆφον φέρει, «siede, giudica, vota», aggiun-
gendo come essi, in sintesi e conclusione, siano i χύριοι τῶν ψήφων, «i detentori legali del diritto di voto». Tuttavia, come ad ogni giudice,
anche per gli ieromnemoni era necessario che un'inchiesta seria e puntuale precedesse il loro giudizio: tale raccolta di informazioni non poteva certo essere svolta da questi funzionari che non ne avevano il tempo, data la brevità e la provvisorietà della loro carica, e molto 131 12 15 134
FD III 5, 57A, 4 e FD III 5, 58. 59. Cf. P. DE LA CosTE-MESSELIERE, art. cit., p. 230, n. 4. Cf, FD III 3, 214 e 295. LiB., Orationes 64, p. 424 Reiske.
82
IPERBOLO
spesso neanche le capacità, specie se eletti per sorteggio. Istruire un caso, preparare l’inchiesta, esporla davanti agli ieromnemoni era il ruolo di un'altra importante carica, quella dei πυλάγοροι o ἀγορατροί,
due termini sinonimi, entrambi derivanti dal verbo ἀγορεύειν, «parlare in assemblea», che si distinguono unicamente per via dei documenti che ce ne riportano l'attestazione: il primo infatti è attestato unicamente nei testi letterari!35 e appartiene presumibilmente al vocabolario ionico, attico e della koine, il secondo invece compare soltanto nelle iscrizioni delfiche di terzo secolo 136 ed è probabilmente il termine ufficiale usato negli atti pubblici sanciti dall’anfizionia. Dunque la funzione dei πυλάγοροι era principalmente quella di assistere lo ieromnemone in qualità di esperti e specialisti, che, proprio per questa loro competenza specifica, si distinguevano e svolgevano un ruolo più decisivo di quello dei colleghi preposti a giudicare. Almeno ad Atene i πυλάγοροι non erano estratti a sorte, ma eletti per alzata di mano, per χειροτονία, come per tutte le cariche richiedenti una competenza particolare!??, Il loro numero probabilmente non era fisso, ma variava a seconda dell'importanza o della natura dell’affare che doveva essere indagato. Essendo loro specifico compito presentare al Consiglio le questioni da discutere, peculiare qualità di questa vera e propria figura professionale doveva essere l’eloquenza e un’ottima formazione culturale. Per questo furono spesso eletti πυλάγοροι personaggi politici di primo piano: Temistocle nel 479-78138, Iperide nel 345-44 o 34443139 e Demostene nel 341-4014, Come anche gli ieromnemoni, di35 Hpr.
VII
213-214;
Dem.,
De corona
[XVIII]
149;
AescHn.,
In Ctesiph.
[III] 113-15, 124; PLuT., Themist. 20; ScHoL. AristoPH., Nub. 623; HARPOCRAT., 5.9. πυλαί. Alla forma πυλάγοροι viene affiancata quella πυλαγόραι. 136 FD, III 2, 68, 1. 66 sgg.; III 4, 365, 1. 4, 6; Sy/2, 436, 1. 8, 11; 444 A, 1.5. 77 AEscHIN., In Ctesiph. [III] 114: χειροτονηθεὶς (Demostene) γὰρ dp ὑμῶν πυλάγορος. DEM., De corona [XVIII] 149: προβληθεὶς πυλάγορος οὗτος (Eschine), τρίων ἢ τεττάρων
χειροτονησάντων
αὐτόν.
Estratti
a sorte erano
invece
gli ieromnemoni,
come si ricava da ArISTOPH., Nub. 623-26, secondo una procedura normale ad Atene,
viste le funzioni di giudice che lo ieromnemone svolgeva: con l'estrazione a sorte infatti la democrazia ateniese scelse tradizionalmente i propri giudici al fine di garantire imparzialità e obiettività ed evitare l'interesse privato nell'azione pubblica. 58 PLuT., Them. 20. 29 Dem., De corona [XVIII] 134-36; De falsa legat. [XIX] 209. 19 ArscHIN., In Ctesiph. [III] 113. Dal medesimo passo di Eschine veniamo a sapere, a riprova dell'importanza del ruolo svolto dai πυλάγοροι, che chi voleva pesare
DA
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sponevano anch'essi di personale amministrativo, in particolare di un segretario, il γραμματεύς.
Prima di concludere questo excursus, utile a comprendere il ruolo assunto
da chi era sorteggiato
ieromnemone,
è ancora importante
chiarire le modalità, i tempi e i luoghi in cui il Consiglio svolgeva le proprie funzioni. Il collegio anfizionico degli ieromnemoni si riuniva ciascun anno «alle date stabilite dagli antenati», ἐν τοῖς τεταγμένοις χρόνοις ὑπὸ τῶν προγόνων 141, in due sessioni ordinarie: la sessione autunnale, ὀπωρινὴ πυλαία, nel mese di Bucatio, secondo mese dell’anno delfico equivalente a Gamelione (settembre-ottobre), e la sessione di
primavera, sei mesi più tardi, nel mese di Bisio. Ciascuna sessione comportava due riunioni del Consiglio, l'una alle Termopili o Pile, l'altra a Delfi142. Era poi prevista l'eventualità di sessioni straordinarie! o, nei casi più gravi, la convocazione dell'assemblea plenaria dell'anfizionia, 1᾿ ἐκκλησία τῶν ᾿Αμφικτιόνων, composta da ieromnemoni, πυλάγοροι e tutti i cittadini dei dodici «popoli» presenti sul luogo della sessione per sacrificare o consultare l'oracolo. Fornite queste informazioni circa la ieromnemonia e l'anfizionia delfica, utili ad esaminare in modo più completo il problema specifico di Iperbolo ieromnemone, è possibile tornare al passo delle Nuvo/e dal quale ha preso inizio la digressione sinora svolta. Ai vv. 623-26 Aristofane, avversando in aperta polemica la riforma del calendario proposta dall'astronomo Metone!4, fa parlare il Coro che si compiace di
clandestinamente sulle deliberazioni del Consiglio tentava di corrompere un mλάγορος e non un ieromnemone. 141 AgscHIN., In Ctesiph. [III] 126: purtroppo queste date non ci sono note con più precisione.
42 AESCHIN., In Ctesipb. [IIT] 126; Paus. VII 24, 4. 19 AEscHIN., In Ctesiph. [IIT] 124-26.
14 Metone
propose un provvedimento
volto a eliminare le divergenze fra
tempo reale, solare e lunare, e tempo del calendario; in particolare suggerì di sostituire al periodo della Octaeteride (ciclo di otto anni) il periodo detto Enneadecaete-
ride (ciclo di diciannove anni): egli infatti considerò che diciannove anni solari erano uguali a 235 mesi lunari, di cui 110 di 29 giorni e 125 di 30. Il ciclo proposto da Metone doveva così comprendere 6940 giorni, suddivisi in 12 anni comuni e 7 intercalari in un’alternanza che ci è ignota. La riforma di Metone (cf. THEOPHR., De signis 4; Vrrruv., De architectura IX 6, 5, p. 214 Krohn) fu proposta nel quarto anno della 86* Olimpiade, ovvero nel 433-52 a.C., come è noto da Diop., XII 36, ma certo finì
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IPERBOLO
aver privato della corona Iperbolo, ieromnemone anfizionico!45, cosicché impari che i giorni bisogna contarli secondo la luna. L’episodio a cui questi versi fanno allusione è oscuro. Ad alcuni è sembrato possibile desumere che Iperbolo, sostenitore della necessità di riformare il calendario κατὰ θεόν, abbia visto annullare il proprio mandato di ieromnemone proprio in seguito all’attuazione della riforma da lui auspicata e che instaurava
un nuovo
calendario
«civile»,
κατὰ xputa-
νείαν 146,
Anzitutto è bene evidenziare la situazione caotica in cui, in quegli anni in particolare, si trovava il calendario, o meglio, i calendari
di Atene. L’anno ateniese era infatti scandito secondo tre diversi calendari!47; quello basato sull'effettiva osservazione delle tre fasi lunari, detto anche κατὰ θεόν "48, che serviva da calendario regolamenper essere adottata solo più tardi, probabilmente dopo la fine della guerra del Peloponneso. 15 Soltanto H. Heppıng, s.v. Hieromnemones, RE, VIII 2, 1913, coll. 1490-96,
ha messo in dubbio, ma senza argomenti convincenti, che in questo passo lo ieromnemone sia quello anfizionico; cf. W.J.M. STARKIE, Aristophanes, Clouds, London 1911, ad locum e p. 329.
1 Così ipotizza W. Roux, op. cit., p. 24, aggiungendo che in quella circostanza la riforma del calendario avrebbe implicato anche una nuova estrazione a sorte degli ieromnemoni, secondo la data fissata dal calendario riformato: l'esito di questa nuova elezione per sorteggio avrebbe tolto a Iperbolo la carica precedentemente riconosciutagli. 147 Cf. W.K. PrrrcHert-O. NEUGEBAUER, The Calendars of Athens, Cambridge
Mass. 1947, pp. 20 sgg. 94 sgg. W.K. PnrrcHETT, Calendars of Athens again, «BCH», LXXXI (1957), pp. 271-301; B.L. Van DER WAERDEN, Greek astronomical Calendars and their Relation to tbe Atbenian civil Calendar, «HS», LXXVII-LXXX (1958-60), pp. 168-80; W.K. PnrrcugTT, The Atbenian lunar Month, «CPh», LIV (1959), pp. 151-80; In., Ancient Athenian lunar Month, «Univ. of California Publicat.
in Class. Archaeology», IV (1963), pp. 310 sgg.; A.E. SAMUEL, Greek and Roman Chronology, München 1972, pp. 57 sgg.; W.K. PRITCHETT, The Calendar of the Athenian civic Administration, «Phoenix», XXX (1976), pp. 337-56. 148 Su questo tipo di calendario si veda W.K. PrricHETT, Ath. Cal, cit., pp. 313 sgg.; Ip., The Calendar, cit., pp. 337 sgg., in cui l'autore ribadisce la propria convincente interpretazione secondo cui l'espressione κατὰ θεόν equivale a κατὰ σελήνην, contro la sorpassata teoria di B.D. Mrnrrr (Atbenian Financials Documents in the Fifth-Century, Ann Arbor
1932, pp.
142-49; In., The Athenian
Year, Berkeley-Los
Angeles 1961, pp. 38 sgg.), che sosteneva invece l'equivalenza dell'espressione xatà θεόν con il ciclo temporale e la calendarizzazione proposta dall’astronomo Metone. Per il ciclo di Metone e la sua applicazione in Grecia, cf. W.B. Dinsmoor, The
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DI UN DEMAGOGO
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tare e rappresentava la norma astronomica sulla quale però potevano essere apportate delle variazioni, che venivano così a determinare un secondo calendario, quello κατ᾿ ἄρχοντα 145. In quest'ultimo l'arconte era libero di operare manipolazioni di ogni genere, di aggiungere o sottrarre giorni, addirittura di intercalare mesi!59, determinando cosi in modo diverso le date delle cerimonie e delle festività ateniesi: entrambi questi calendari, quello κατὰ θεόν e quello xat ἄρχοντα, iniziavano il primo di Ecatombeone e comprendevano dodici o tredici mesi a seconda che l’anno fosse ordinario o intercalare. Il terzo calendario, detto invece conciliare o pritanico!5!, durava all’incirca, come si ri-
cava da IG I? 369a-n, quanto un anno solare, cioè 366 giorni suddivisi in dieci pritanie (sei di trentasette giorni, quattro di trentasei).
Il
turno delle pritanie era totalmente indipendente dal calendario lunare e quindi il calendario pritanico non coincise mai, almeno fino al IV secolo, con quello κατὰ θεόν e neppure con quello κατ' ἄρχοντα, ma la sua durata venne a coincidere grosso modo con quella di un anno solare, 366 giorni, in cui le dieci tribù si alternavano nel detenere la
pritania. La simbiosi di questi due calendari indipendenti, quello lunare e quello pritanico, rende ragione delle difficoltà di datare con precisione il periodo dell’anno in cui si svolgevano i momenti salienti della vita democratica ateniese, quali ad esempio le elezioni alle varie
cariche e la procedura dell’ostracismo, scandite dal calendario pritanico, oppure le feste Dionisiache, regolate invece da quello religioso. Archons of Atbens in the Hellenistic Age, Cambridge Mass. 1931, pp. 332 sgg.; EJ. BICKERMANN,
McGrecor,
La
cronologia
«AJPh»,
LXX
nel mondo
antico,
(1949), pp. 422-24
Firenze
1963,
(recensione
pp.
a W.K.
12
sgg.;
M.
PRITCHETT-
O. NEUGEBAUER, op. cit.); A.E. SAMUEL, op. cit., pp. 58-60. 14 Per questo calendario e la sua relazione con quello κατὰ θεόν, cf. W.K. PRITCHETT, Calendar, cit., pp. 271 sgg.; In., Ath. Cal, cit., p. 330 sgg.; W.K. Prrr-
CHETT-B.L. VAN DER WAERDEN, Thucydidean Time-reckoning and Euctemon's seasonal Calendar, «BCH», LXXXV (1961), pp. 18 sgg. 19 Ad Atene abitualmente si intercalava il sesto mese dell'anno, Poseideone: cf. E.J. BICKERMANN, op. cit., p. 29; A.E. SAMUEL, op. cit., pp. 58-59; conosciamo tut-
tavia casi di intercalazione anche per altri mesi: Gamelione (IG II? 1487, 1. 54), Antesterione (IG II? 844, 1. 33), Ecatombeone (IG I? 78).
51 Cf, M. GIFFLER, The Introduction of independent conciliar Year,
« AJPh»,
LX (1939), pp. 347 sgg.; W.K. PRITCHETT, Calendar, cit., p. 271 e sgg.; In., Anc. Atb. Cal., cit., pp. 311-12, 355 sgg.; In., The Calendar, cit., pp. 337-48; PJ. Bick-
NELL, op. cit., pp. 28 sgg.; A.E. SAMUEL, op. cit., pp. 62-65.
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IPERBOLO
Per determinare la relazione che intercorre tra i due diversi modi di computare i giorni dell’anno, basterebbe riuscire ad individuare la data di inizio dei due calendari: l’anno civile, che si basava sull’osservazione delle fasi lunari, iniziava con il novilunio successivo al solstizio d’estate; questa data, che corrispondeva al 1 Ecatombeone del calendario lunare propriamente detto, coincideva dunque con il primo giorno di Ecatombeone del calendario civile. Dal IV secolo in poi in questo stesso giorno veniva fatto cadere il primo giorno anche del calendario pritanico o conciliare, ma sappiamo che per il V secolo la situazione era più complessa e l’inizio del calendario conciliare non era coincidente con il primo giorno di quello civile o κατ᾽ ἄρχοντα 152, Da questa breve esposizione risulta evidente quanto attuale e vivace dovesse essere ad Atene la problematica e la discussione relativa ad una riforma del calendario: dibattuti dovevano essere senz’altro i criteri da adottare per l'attuazione di tale riforma. La tradizione che voleva le feste religiose in determinati giorni, il ciclo lunare, quello solare, le esigenze relative all'andamento dell'anno civile (elezioni alle varie cariche, durata dei conseguenti mandati) dovevano rappresentare aspetti difficilmente conciliabili in uno stesso calendario e finirono così per creare forti confusioni e contrasti quando si dovevano determinare le date di quegli appuntamenti, religiosi e politici, che richiedevano la partecipazione del cittadino alla vita pubblica. Insoffe-
renza e contestazione circa questo stato di cose emergono bene da Aristofane, non solo nel passo citato, ma anche ai vv. 414-15 della Pace, la commedia aristofanea rappresentata alle Dionisie del 422-21, in cui appunto leggiamo: Ταῦτ᾽ ἄρα πάλαι τῶν ἡμερῶν παρεκλεπτέτην καὶ τοῦ χύχλου παρέτρωγον ὑφ᾽ ἁμαρτωλίας 153.
Questi versi, alludendo al ciclo intercalare, esprimono per bocca
di Ermes il disappunto di fronte al disordine del calendario ateniese che impedisce il regolare adempimento delle festività religiose e sottrae agli dei olimpici le dovute offerte. Nei versi immediatamente precedenti Trigeo spiega ad Ermes come sia interesse delle divinità legate 152 Cf. A.E. SAMUEL, op. cit., p. 64. 75 AnrsrOPH., Pax vv. 414-15. Trad.: «Perciò dunque da tempo (la Luna e ü Sole) ci sottraevano i giorni e rosicchiavano il ciclo con l'imbroglio!».
DA
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ai fenomeni celesti ed atmosferici, quali Elios e Selene, favorire i Persiani rispetto ai Greci: i primi infatti sacrificano unicamente al Sole e alla Luna!?*, i secondi invece soprattutto alle divinità olimpiche; ne consegue che una vittoria dei Persiani sui Greci permetterebbe a queste divinità del cielo di appropriarsi anche delle offerte destinate agli dei dell'Olimpo. In base a queste considerazioni di Trigeo, Ermes può fare l'esclamazione sopra citata, accusando il Sole e la Luna di «sottrarre i giorni e rosicchiare il ciclo» per negare a lui e agli altri dei le dovute offerte. Confrontando questo passo con quello delle Nuvole che è primariamente in nostro esame, osserviamo come entrambi, cri-
ticando il ciclo intercalare, pongano anzitutto in rilievo il fatto che vengono negate offerte alle divinità, le quali mostrano di risentirsene. Questo particolare, certamente non secondario, ma spesso non sufficientemente evidenziato nella prassi esegetica, dovrà essere tenuto
ben presente nell'analisi puntuale dei vv. 623-26 delle Nuvole, che ora, dopo le necessarie informazioni relative alla ieromnemonia e al calendario ateniese, è possibile affrontare. Per quanto riguarda i versi aristofanei relativi ad Iperbolo ieromnemone, il primo e forse unico lavoro della storiografia moderna che risponda ad una certa completezza, pur discutibile nelle conclusioni, è quello di Camon!55, Lo studioso rileva anzitutto che, per una determinazione dei termini cronologici ante e post quem in cui collocare tale pubblico ufficio di Iperbolo, bisogna in qualche modo superare quella che è la difficoltà peculiare delle Nuvole e in particolar modo di questa parabasi: il sovrapporsi di stesure diverse 156 e l'impossibilità di individuare 4 priori quali sezioni appartengano alle πρῶται Νεφέλαι e quali alle δεύτεραι e, conseguentemente, di stabilire se un fatto, a cui 15 C£, Hor., I 131, 1-3: «I Persiani non innalzano statue, templi, altari ... Sacrificano al Sole, alla Terra, al Fuoco, all'Acqua, ai Venti: solo a queste divinità sa-
crificano fin da tempo immemorabile ». 55 E, CAMON, Datazione, cit., pp. 54-62. 156 Ibid., cit., p. 55, n. 8, ritiene possibile che le redazioni delle Nuvole siano state tre e non due: la prima nel 424-23, la seconda nel 423-22, la terza nel 422-21 (a
quest'ultima comunque apparterrebbe sempre la parabasi). Questa ipotesi permetterebbe di salvare la testimonianza della ὑπόθεσις IV Coulon, la quale data la seconda redazione ἐπὶ τοῦ ᾿Αμεινίου ἄρχοντος, cioè nel 423-22. Tuttavia nel testo non sembra
possibile trovare traccia di questa triplice stratificazione: & pertanto da considerarsi più probabile che la ὑπόθεσις in questione fornisca un dato derivato da un'errata interpretazione dell’esegeta antico: cf. S. BIANCHETTI, art. cit., pp. 221-48.
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IPERBOLO
si allude nella commedia, sia accaduto prima o dopo il 423. Partendo da questa riflessione generale senz'altro opportuna, Camon procede nella sua analisi considerando, forse troppo precipitosamente, la sezione della parabasi a cui appartengono i versi in esame come facente parte soltanto della nuova redazione delle Nuvo/e. Partendo da questa premessa, data per scontata, ma che si vedrà non esserlo affatto, viene stabilito di conseguenza il termine post quem della datazione della ie-
romnemonia di Iperbolo: il 422, data che si & visto derivare dagli elementi storici testimoniati ai vv. 549-50 e 553 (morte di Cleone e av-
venuta rappresentazione del Maricante di Eupoli)!57. Secondo Camon dunque la ieromnemonia di Iperbolo & non soltanto posteriore al 42425, ma anche certamente non anteriore al 422-21: a partire da quest'anno dunque deve essere rintracciato il termine ante quem. Queste
considerazioni sembrerebbero poter trovare conferma nell'interpretazione che Camon dà dello scolio al v. 624. Lo studioso ritiene infatti
che sia possibile respingere l'obiezione dello scoliaste che sembra dubitare del fatto che Iperbolo «in quell'anno», τῆτες 158, sia stato ie-
romnemone: Οὐδεὶς ... ἱστορεῖ ἐν ἐχείνῳ τῷ ἔτει ἱερομνήμονα εἶναι Ὑπέρβολον, ἐν © αἱ Νεφέλαι ἐδιδάχθησαν 159.
Camon!€? commenta questo scolio notando, con una lettura ed interpretazione personale e funzionale alle premesse poste, che esso non dice che Iperbolo non fu mai ieromnemone, ma che non lo fu 17 Già W. ScHMID-O. STAHLIN, Geschichte der Griechischen Litteratur, I, 4, München 1946, p. 247 n. 5, avevano ricondotto a Nuvo/e II la notizia della ieromnemonia; contra H. SwoBoDa, art. cit., col. 256, che data questo pubblico ufficio di
Iperbolo nel 425-24. Hanno proposto invece una datazione nell’anno 424-23 G. BusoLr, Griechische Geschichte, III°, Gotha 1904, p. 1184 e soprattutto J. CARCOPINO,
op. cit., p. 247, il quale vede nel fatto che Iperbolo fosse ieromnemone nel 424-23 un’ulteriore prova in base alla quale in quello stesso anno il demagogo non poteva essere stratego per l'ovvia incompatibilità delle due cariche in uno stesso arco di tempo. 158 Questo è il termine che compare in ArIstoPH., Nub. 624 e che lo scoliaste spiega come equivalente di ἐν ἐχείνῳ τῷ ἔτει (ma un codice dà ἐν τῷδε τῷ Eta), notando come anche i Dori abbiano una simile espressione, σατές: οἱ δὲ Δωριεῖς σατές φασιν. La voce ricorre anche in ArıstopH., Ach. 15 e Vesp. 400.
159 ScuoL. ARISTOPH., Nub. 624. Trad.: «Nessuno ... narra che Iperbolo sia stato ieromnemone in quell’anno in cui furono rappresentate le Nuvole». 160 E, CAMON, Datazione, cit., p. 55 n. 16.
DA
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nell'anno della rappresentazione delle prime Nuvole. Lo studioso si spinge poi ben oltre, supponendo che lo scoliaste disponesse delle liste di quanti avevano assunto la ieromnemonia e potesse così notare che il nome di Iperbolo non compariva per l’anno 424-23. In realtà, l’espressione οὐδεὶς ἱστορεῖ non sembra che possa lasciar pensare alla consultazione delle liste dei pubblici funzionari dell’anfizionia delfica, piuttosto appare credibile e coerente la sola interpretazione che riconduce tale espressione all'impossibilità, da parte dello scoliaste, di ritrovare nelle altre fonti letterarie disponibili la notizia attestante la ieromnemonia di Iperbolo. Se infatti, come pensa Camon, lo scoliaste avesse potuto disporre di tali liste, non avrebbe certo mancato di segnalare in quale anno il demagogo svolse tale pubblica carica, a meno che Iperbolo non avesse mai fatto lo ieromnemone (ma Camon lo esclude). Si potrebbe infine supporre che lo scoliaste, pur avendo alcune liste, fosse privo proprio di quella relativa all'anno in cui Iperbolo esercitò l’incarico: a questo punto tuttavia le condizioni, i presupposti e i distinguo diventerebbero davvero troppi. È quindi più economico e produttivo ritenere che l'obiezione dello scoliaste derivi semplicemente dalla considerazione che nessun'altra fonte gli tramandava questa notizia. A importante riprova di quanto affermato sembra potersi addurre la considerazione che lo scoliaste aggiunge subito
appresso alla frase sopracitata: οὐδέπω γὰρ διέπρεπε Κλέωνος En ζῶντος.
Questa è infatti l’unica giustificazione che lo scoliaste adduce a sostegno dell’obiezione sinora esaminata, motivazione che non deriva dalla consultazione di fonti specifiche come le liste, ma da una deduzione personale desunta dalle testimonianze a lui note, le quali sembravano permettere di congetturare che, finché Cleone rimase in vita, Iperbolo non si distinse nella vita pubblica con un ruolo di primo piano, secondo il luogo comune, forse troppo spesso dato per scontato, che vuole Iperbolo prima subalterno, poi successore di Cleone: un topos storiografico che viene così a negare ogni dialettica e ogni opposizione all’interno della parte democratica in relazione alla conquista dei favori del πλῆθος e del conseguente riconoscimento della προστασία,
Avendo
dunque ritenuto di poter individuare nella. morte di
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IPERBOLO
Cleone un sicuro termine post quem, Camon passa poi a ricercare il termine ante quem e lo fa prendendo spunto dalla notizia che vuole Iperbolo privato della corona, cioè impossibilitato ad esercitare per un anno intero la magistratura per la quale fu sorteggiato. Lo studioso pensa a quale potrebbe essere stato l'evento straordinario capace di portare una simile conseguenza e così ritiene di poter individuare tale causa in una riforma del calendario ateniese, volta probabilmente a togliere una tantum un mese in modo da correggere gli errori e le differenze tra tempo reale e calendario civile. Camon, basandosi sugli studi di cronologia condotti da Keil!6! e oggi superati, ritiene che l’unico anno in cui fosse possibile togliere un intero mese sia il 42221, un anno bisestile, al quale sarebbe stato tolto il mese intercalare: si sarebbe cioè saltato un intero ciclo lunare passando da una fase a quella corrispondente successiva, ad esempio da un novilunio al novilunio seguente. Tuttavia, per poter riconoscere che questo sia stato il motivo che privò Iperbolo della corona, bisogna ancora presupporre che proprio il mese tolto avrebbe dovuto vedere la partecipazione del demagogo al Consiglio anfizionico e soprattutto che non fosse previsto alcun meccanismo di recupero per la riunione consiliare andata perduta in anticipo o posticipo rispetto al mese sottratto: in caso contrario, non si capisce quale consistente danno avrebbe colpito Iperbolo con il venir meno di un mese, per giunta intercalare, alla durata della carica. A riprova del fatto che il 422-21 sia stato un anno mutato da intercalare in ordinario, Camon fornisce un’ulteriore testimonianza, traendola da Tucidide 162, Risulta infatti dallo storico che nell'anno in cui fu firmata la pace di Brasida (423) il mese di Elafebolione nel calendario ateniese corrispondeva al mese di Gherastio nel calendario spartano; due anni più tardi invece, quando fu firmata la pace di Nicia, il mese di Elafebolione del calendario ateniese corrispondeva a quello di Artemisio del calendario spartano!63; poiché Artemisio precede Gherastio nel calendario lacedemone, bisognerebbe concludere, 161 B, Kerr, Das System des kieistenischen Staatskalenders, «Hermes», XXIX (1894), pp. 322, 346-47, 358-59; In., Athens Amtsjabre und Kalendersjahre in V
Jabrundert, «Hermes», XXIX (1894), pp. 32-81. Dei calcoli cronologici di Keil già dubitò KJ. BeLocH, GG , 112, Strassburg 1916, pp. 229-32. 162 Tuuc., IV 118, 12. Cf. B.D. MERITT, op. cit., p. 111. 14 Tuuc., V 19, 1.
DA
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sempre secondo Camon, che tra il 423 e il 421 fu tolto un mese dal calendario attico!®*, Il fatto poi che i vv. 401 sgg. della Pace possano alludere ad una situazione anteriore alla riforma sarebbe ulteriore conferma che l’anno privato di un mese possa essere stato il 422-21. A conclusione del ragionamento sinora sintetizzato tale anno verrebbe dunque ad essere la data in cui collocare non solo la ieromnemonia di Iperbolo, interrotta per la riforma del calendario, ma anche la seconda
redazione delle Nuvole, dal momento che il τῆτες presente al v. 624 assicura che la data di composizione coincide con quella in cui il demagogo fu sorteggiato a ricoprire tale carica195. Le conclusioni a cui Camon giunge e che vogliono il 422-21 quale data della ieromnemonia di Iperbolo e delle Nuvole II sono state contestate dalla Bianchetti!66, In particolar modo, la studiosa ritiene forzati due punti chiave della ricostruzione storica di Camon: l’interpretazione dello scolio al v. 624 e la riforma del calendario nel 42221. Infatti, ad un esame dello scolio ci si accorge che l’espressione ἐν ᾧ ai Νεφέλαι ἐδιδάχθησαν si riferisce senz'altro alla prima stesura delle Nuvole, se è vero che la seconda non fu mai rappresentata!67. Questa
testimonianza inoltre può essere semplicemente intesa nel senso, già sopra proposto e condiviso, che nessuna fonte (οὐδεὶς ἱστορεῖ) ricordava questa carica di Iperbolo, per la quale in effetti Aristofane è l'unica testimonianza. Non contraddice poi l'opinione dello scoliaste, che allude alla posizione di preminenza assunta da Iperbolo soltanto dopo la morte di Cleone, ammettere che nel 424-23 egli abbia rivestito una carica non politica, ma eminentemente religiosa e per di più assegnata per sorteggio. La Bianchetti ritiene dunque di poter datare la ieromnemonia di Iperbolo nel 424-23168, intendendo questa parte della parabasi appartenente alla prima redazione delle Nuvo/e16?. 164 Così anche M.F. McGregor,
The last Campaign of Kleon and Athenian Ca-
lendar in 422/1 B.C., «AJPh», LIX (1938), pp. 147-49.
165 Camon è poi tornato sul problema della ieromnemonia di Iperbolo in Le cariche pubbliche, cit., pp. 49-51. 166 S. BIANCHETTI, art. cit., pp. 221-32. 167 Cf. C.F. Russo, Nuvole non recitate e Nuvole recitate, in Sonderdruck aus Studien zur Textgeschichte und Textkritik, Kóln und Opladena 1959, pp. 231-51. 168 Come già era stato fatto da H. SwoBobA, art. cit., col. 256; G. BusoLr, op. cit., IIP, p. 1184; J. CARCcOPINO, op. cit., p. 247. 19 Cf. anche B.D. MERITT, Ath. Fin. Doc., cit., pp. 149-50.
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IPERBOLO
Se tali considerazioni colgono nel segno, l'affermazione «privammo Iperbolo della corona» non va dunque interpretata, con Camon, come effetto di una ipotetica riforma del calendario. Gli studi di cronologia antica hanno infatti sottolineato l'impossibilità di periodicizzare con un minimo di regolarità i cicli degli anni intercalari, osservando come gli Ateniesi, almeno nel V secolo, fossero assai poco sistematici in fatto di calendari. Inoltre bisogna osservare che, se il motivo per cui Iperbolo dovette lasciare la carica prima del tempo fosse stato una riforma del calendario, cioè per una causa indipendente dalla volontà del demagogo che anzi ne sarebbe stato danneggiato, non si capirebbe il tono delle Nuvole, le quali vogliono punire Iperbolo per qualcosa che egli stesso ha compiuto e che sembra aver arrecato danno agli dei. Dai versi della parabasi sembra infatti potersi ricavare che la colpa di Iperbolo sia in relazione proprio con il caos regnante nel calendario ateniese: proprio questo dovette essere causa ultima di errori o omissioni commessi durante l’esercizio della carica
dell’anfizionia delfica. Ne consegue che l’espressione «così imparerà che i giorni della vita bisogna regolarli secondo il ciclo lunare» perde di efficacia se la riferiamo soltanto ad una riforma di cui Iperbolo, senza responsabilità, sarebbe stato addirittura vittima. Inoltre, le lamentele di cui le Nuvole si fanno portavoce lasciano intendere che nessuna riforma del calendario era stata ancora adottata: anzi è fortemente sottolineata la sfasatura e il contrasto tra i diversi calendari che regolavano la vita politica e religiosa dei cittadini di Atene. I vv. 607-23 descrivono chiaramente la situazione: le Nuvole dicono di aver incontrato la Luna, la quale ἃ in collera con gli Ateniesi perché, nonostante tutti i favori e le attenzioni che essa rivolge loro, non tengono il conto esatto dei giorni; si affaccendano in processi quando dovrebbero dedicarsi ai sacrifici e cosi gli dei, che si vedono defraudati di banchetti sacri e feste religiose, se la prendono con lei, la Luna. E chiaro che questi versi alludono al fatto che spesso per riallineare il calendario civile con quello lunare si doveva procedere a manomissioni del calendario stesso, spostando o annullando le date delle festività religiose. Dalla descrizione di questa caotica situazione del calendario nasce il riferimento ad Iperbolo, collegato ai versi precedenti dal significativo nesso ἀνθ᾽ ὦν: «per queste cose, per questi motivi», conclude il poeta, Iperbolo & stato privato della corona. Esaminando dunque i vv. 623-26 inseriti nel loro contesto, & possibile rilevare che probabil-
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mente il motivo più plausibile che spieghi una responsabilità e una colpa del demagogo ieromnemone, più difficilmente una vera e propria interruzione della carica, è quello a cui si è già accennato: Iperbolo, nell’esercitare il proprio ruolo nel consiglio anfizionico, commise errori ed inadempienze legate a problemi cronologici difficilmente risolvibili e presenti non solo all’interno di Atene, ma, come si è evidenziato, anche nelle relazioni con le altre città dell’anfizionia delfica. Più precisamente, egli finì per far prevalere il calendario della vita civile su quello religioso-lunare, che sembrò soccombere nel confronto, e per questo le Nuvole lo privarono della corona: ancora una volta appaiono delinearsi dunque i termini di una opposizione tra tradizione e innovazione che doveva esplicarsi anche nell'organizzazione del calendario della vita pubblica ateniese e che poneva nuovamente su fronti diversi il ruolo civico di Iperbolo e i versi di Aristofane, simboli di opposte fazioni. Il tono compiaciuto tenuto dalle Nuvole in questi versi appare inoltre ben lontano da quello di commiserazione con cui il poeta biasima ai vv. 551-62 i propri colleghi per il crudele accanimento contro il demagogo. Il confronto dei due passi rivela infatti un atteggiamento diverso di Aristofane nei confronti di Iperbolo: se entrambi appartenessero alla seconda redazione delle Nuvole apparirebbe contraddittotio il comportamento del poeta ehe prima critica chi con ostinazione muove attacchi contro quell'uomo che poi egli stesso, a pochi versi di distanza, non perde occasione di colpire. E possibile tuttavia addurre anche un altro motivo che convince a ritenere i versi della ieromnemonia di Iperbolo appartenenti non alla seconda, ma alla prima redazione della commedia aristofanea. Osservando la struttura di tutta la parabasi, è agevole notare come in essa sia possibile individuare sezioni che forniscono indicazioni precise anche per la datazione. Anzitutto è noto che i vv. 518-62 appartengono senz'altro a Nuvole II: essi contengono infatti i riferimenti alla morte di Cleone e al Maricante di Eupoli. In essi, come si è visto, il poeta difende le proprie scelte poetiche, portando ad esempio la dignità e la misura da lui tenute nella satira contro Cleone (vv. 549-50) e Iperbolo (vv. 551-59), al contrario dei suoi colleghi poeti. Segue un’invocazione a Zeus (vv. 563-74) in una strofe in metro corale senza indicazioni storiche. Dal v. 575 al v. 594 si apre la sezione, già considerata in riferimento alla strategia, in cui le Nuvole biasimano gli Ateniesi
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per aver eletto stratego Cleone senza aver dato ascolto ai presagi negativi mandati dal cielo con violente perturbazioni atmosferiche: il riferimento a Cleone stratego non può lasciar dubitare che questa sezione appartenga alla prima redazione del 424-23, in caso contrario la collocazione dopo la morte di Cleone la priverebbe in modo ingiustificato della propria attualità satirica e la porrebbe in incomprensibile contraddizione con il contenuto della sezione notata ai vv. 518-62. In corrispondenza alla precedente strofe, ai vv. 595-606 segue l’antistrofe con le invocazioni ad Apollo, Artemide, Atena e Dioniso di Delfi!70, La parabasi si chiude con i vv. 607-26, in cui due sono i riferimenti storici: il disordine dei calendari (che provoca l’ira della Luna e degli dei) e la ieromnemonia di Iperbolo, elementi entrambi
che tuttavia non forniscono chiari e sicuri indizi per la datazione. Deve essere quindi in primo luogo stabilito, almeno in termini di probabilità, se quest'ultima sezione appartenga alla prima o alla seconda redazione delle Nuvole. Sufficienti motivi portano a considerare questa parabasi divisa in due grosse sezioni: soltanto la prima (vv. 518-62) sarebbe stata aggiunta da Aristofane dopo l’insuccesso del 423, la seconda invece (vv.
563-626) risalirebbe alla prima redazione!"!. Infatti il passo contenente il riferimento ad Iperbolo ieromnemone mostra continuità con i vv. 575-94 dedicati a Cleone e sicuramente datati al 424-23: in entrambi questi passaggi è presente un rimprovero rivolto sempre agli
Ateniesi e mosso ora dalle Nuvole per l'elezione di Cleone a stratego, ora dalla Luna, ma sempre per bocca delle Nuvole, per il disordine del calendario ateniese che sottrae offerte alle divinità olimpiche!?2. Si consideri inoltre che, dividendo la parabasi in queste due parti, ve170 Nel quinto secolo varie testimonianze mettono in relazione con Delfi anche Dioniso, cf. ÁEscH., Eumen. 24. Due crateri di fine quinto secolo raffigurano a Delfi Apollo e Dioniso insieme. Cf. H.W. Parke-D.E.W. WormeLL, The Delphic Oracle, 1,
The History, Oxford 1956, pp. 11-12. 171 È possibile avanzare riserve per la strofe e l’antistrofe d’invocazione alle divinità: essendo queste prive di indicazioni storiche, non si possono escludere rielaborazioni successive alla prima redazione anche se l’impianto appare originario e coe-
rente con la seconda sezione, quella datata alla versione comica realmente rappresentata. 172 Forse non è un caso che in strofe e antistrofe siano invocate proprio queste divinità, se si considera che sono proprio loro ad essere chiamate in causa ai vv. 576 sgg. e soprattutto al v. 617.
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niamo a creare una simmetria tra il riferimento a Cleone e a Iperbolo contenuto nella prima sezione e quello, diverso, ma pur sempre rivolto ad entrambi, presente nella seconda: qualora si accetti questa stratificazione cronologica, Aristofane, nei versi riconosciuti come ap-
partenenti a Nuvo/e II, spiegherebbe e giustificherebbe il tono dei giusti e dovuti attacchi satirici mossi contro Cleone ed Iperbolo nella propria poesia, e quindi anche e forse soprattutto in riferimento a Nuvole I e più precisamente alla parabasi originaria, ponendo così distinzioni di critica letteraria e di polemica personale nei confronti degli attacchi volgari, gratuiti e ripetitivi espressi dagli altri poeti contro i medesimi demagoghi. Per questi motivi appare dunque più cauto e motivato ritenere
che Iperbolo sia stato ieromnemone nell'anno di rappresentazione delle prime Nuvole, cioè nel 424-23. Rimangono comunque da spiegare i particolari e le modalità del procedimento o dell'avvenimento che sottrasse la corona e forse l’incarico ad Iperbolo. A questo proposito è bene anzitutto rilevare che le dee Nuvole nella commedia si arrogano tutto il merito di aver'sottratto la corona al demagogo per insegnargli a regolare i giorni secondo il ciclo lunare: questo particolare sembra escludere che l'interruzione della carica sia stata dovuta a un procedimento
di sfiducia, di ἀποχειροτονία da parte dell'assemblea.
Partendo da questo presupposto è possibile avanzare una coerente interpretazione. Le Nuvole sono le dee delle perturbazioni atmosferiche: pertanto, come già evidenziato per l'elezione degli strateghi, il clima poteva esercitare un'influenza sullo svolgimento della vita pubblica proprio con cattive condizioni atmosferiche, considerate presagio nefasto. Si può allora tentare di supporre che nel cattivo tempo sia da individuare la causa che portò ad annullare il sorteggio di Iperbolo a ieromnemone oppure, con maggior verosomiglianza, ad interrompere un qualche adempimento connesso a tale carica o lo svolgimento di un preciso atto pubblico. Tale interruzione potrebbe essere avvenuta tra la sessione d’autunno e quella di primavera del Consiglio anfizionico e forse Iperbolo potrebbe aver preso parte solo alla prima e non alla seconda. È noto infatti che l’attività degli ieromnemoni non si limitava ai brevi periodi in cui il Consiglio si radunava, ma probabilmente continuava anche nella patria di appartenenza con un lavoro di mediazione tra le esigenze della propria città e le direttive anfizioniche, fornendo un punto di riferimento per le questioni religiose.
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È possibile tuttavia tentare anche un’altra interpretazione, forse semplicistica, ma da non escludersi e anzi possibile perché coinvolge direttamente il demagogo nel fenomeno atmosferico: Iperbolo, partecipando ad una cerimonia religiosa tenuta senza il rispetto del calendario lunare, fu privato, da un colpo di vento, della corona che simboleggiava l’ufficio dello ieromnemone. In questo caso, si alluderebbe solamente ad un episodio buffo, ma anche di cattivo augurio, indizio di colpe e responsabilità da parte di Iperbolo secondo le linee già individuate: con una tale interpretazione si escluderebbe l’allusione ad un decadimento di Iperbolo dalla ieromnemonia. Se datiamo nel 424-23 la ieromnemonia di Iperbolo, si viene inoltre ad escludere la possibilità, avanzata da Camon!?3, che in qualità di ieromnemone e non di buleuta, come è normalmente ritenut0174, Iperbolo abbia avanzato le proposte di legge contenute in IG I? 82 concernenti gli addetti al culto di Efesto175. I punti salienti delle norme delle quali Iperbolo sarebbe stato il proponente sono le seguenti: gli addetti al culto, ἱεροποιοί, devono essere estratti a sorte èx τῶν δικαστῶν (ll. 19-20); devono essere pagati καθάπερ οἱ δικασταί e
ricevere la loro paga dai pubblici tesorieri (ll. 22-23); anche il Consiglio deve scegliere dieci ἱεροποιοί, uno da ciascuna tribù; gli addetti
devono darsi da fare affinché la processione riesca nel migliore dei 173 F. CAMON, Datazione, cit., p. 60; Ip., Le cariche, cit., p. 54. In realtà Camon
non rileva una contraddizione interna ai termini in cui egli stesso imposta la questione: da un lato sostiene che Iperbolo fu ieromnemone nel 422-21, poi collega all'attività di ieromnemone il contenuto di IG I? 82, ammettendo che l'epigrafe è sicuramente datata nel 421-20. 174 Cf. U. van WILAMOWITZ MOELLENDORF, Aristoteles und Atben, I, Berlin 1893 [Berlin-Zürich-Dublin 1966], p. 129, n. 11 e p. 228, n. 87; H. SwoBobA, art.
cit., col. 256; cf. anche G. Daverıo, I proponenti dei decreti ateniesi dal 469/8 al 410/9. Studio prosopografico, « Acme», XXI (1968), pp. 141-42. 75 IG P 82 - I? 84; SEG X 93; SEG XXV 35; SEG XXVI 20; cf. S.L. ΚουMANOUDIS, ψηφίσματα ἀττιχά, «AE» (1883), pp. 167-72; J.K. Davrzs, Demostbenes on Liturgies: a Note, «JHS», LXXXVII (1967), pp. 33-40, spec. pp. 35-36; F. SoKOLOWSKI (recueil de), Lois sacrées des cités grecques, Paris 1969, pp. 26-28, n. 13;
W.E. TuoMPsoN, The Inscriptions in tbe Hepbaisteion, «Hesperia», XXXVIII (1969), pp. 114-18; H.B. MarTINGLY, The protected Fund in the Atbenian Coinage Decree, «AJPh», XCV (1974), pp. 280-85; E.B. Harrison, Alkamenes’ Sculptures for the Hephaisteion, I: The Cult Statues, «AJA», LXXXI (1977), pp. 137-78 (in particolare pp. 139-41,
n.
15); W.E.
Tuompson,
The protected Fund of Athena
«AJPh», XCVIII (1977), pp. 249-51 (contra Mattingly).
and Hephaistos,
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modi, e devono avere la facoltà di multare, o punire in modo anche più grave, chiunque sia di disturbo (ll. 26-30); devono prendersi cura della lampadodromia delle gare atletiche, affinché lo spettacolo riesca simile a quello delle feste di Prometeo (ll. 32-35); uno ἱεροποιός deve
curare il registro delle gare. Come è possibile notare sin da questa breve sintesi dei contenuti, è evidente e notevole nel nostro contesto mettere in rilievo il carattere δημοτικός dei provvedimenti proposti: in particolare, l'estrazione a sorte e la riscossione di una paga «come i giudici» sono i simboli della tutela posta a garantire la partecipazione del δῆμος alla vita pubblica dell'Atene democratica 176,
La datazione di queste proposte è sicura: 421-20177, Il nome di Iperbolo come proponente deriva invece da integrazione. Nell'epigrafe infatti alla quinta linea si legge soltanto: ... ttov ερχε bune ..., letto e integrato:
176 Suggestivo, ma certo allo stato attuale non dimostrabile, potrebbe essere supporre un significato politico e di propaganda dietro l'intero contenuto religioso e sociale sotteso alle solenni feste Efestie regolamentate da queste innovative disposizioni, quasi fosse possibile individuare una riappropriazione popolare in relazione a queste celebrazioni. Significativo potrebbe essere soprattutto il riferimento alla corsa con le fiaccole in onore di Efesto, modellata su quella delle Panatenee e delle Prometee, ma distinta da quest'ultime, pur mantenendo tale corsa il sicuro riferimento ΑἸ] ἔρις tra Efesto, dio del fuoco e delle tecniche artigianali,
e Atena, oltre che alla
genesi di Erittonio (Hpr., VIII 98, 2; Nonn., Diorys. 13, 172-79; 2, 319; 13, 173; 27, 111-17; 317-23; 29, 336-39; 33, 123-25; 39, 206; 41, 63-64; 48, 956; POLEMON, fr. 6 Preller= HARPOCR. s.v. Λάμπας; cf. ArıstopH., Ran. 131; ApoLLon., FGrHist 244 F 147; Istrus, FGrHist 334 F 2; Scuor. Dem. LVII 43). Per la bibliografia sul mito di Efesto, Atena e le festività a loro dedicate in Atene cf. L. PRELLER, Griechi-
sche Mythologie, Berlin 1894, pp. 182-83; K. KERÉNYI, Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano 1963, pp. 116-17; M.P. Nu.sson, Geschichte der Griechischen Religion, München 1967, p. 443; S.J.E. Des PLACES, La religion grecque, Paris 1969, pp. 97, 104;
W. BURKERT, Jason, Hypsiphyle, and New Fire at Lemnos. A Study in Myth and Ritual, «CQ», XX (1970), pp. 1-16; Ip., Griechische Religion der Archaischen und Klassischen Epoche, Stuttgart-Berlin-Köln-Mainz 1977, pp. 224-25; H.W. PARKE, Festivals of tbe Athenians, cit., pp. 33-50; F. BRoMMER, Hephaistios, Mainz 1978; N. RoBERTson, The Origin of Panathenaea, «RhM» (CXXVIII), 1985, pp. 231-95. Per cogliere appieno il ruolo delle Efestie e delle altre principali feste religiose nella democrazia ateniese si facciano interagire le testimonianze epigrafiche di IG I° 82 e IG I? 1138, ll. 7-11 con quelle letterarie di [KEN.], Ath. Rsp. III 4 e Anpoc., De myst. [I] 132. 177 Il nome dell’arconte ᾿Αριστίων è infatti individuabile e ricostruibile con cer-
tezza grazie alle linee 3 e 5 dell'epigrafe.
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᾿Αρισ]τίων ἦρχε, Ὑπέρβολος εἶπε.
Per colmare questa lacuna dell’epigrafe non sono stati proposti coerenti al contesto epigrafico e contenutistico: quindi, anche se, su base epigrafica, non si può precisare il numero delle lettere mancanti, il nome di Iperbolo è comunemente accettato come colui che propose queste misure relative al culto di Efesto, sebbene con una qualche cautela, sempre dovuta di fronte ad ogni pur probabile integrazione; possiamo ritenere comunque che il demagogo fece queste proposte in veste di buleuta e non di ieromnemone, anche se certo l’esperienza acquisita durante l’esercizio della carica anfizionica dovette essere senz'altro determinante alla redazione di queste proposte di legge. Infine, pur tra le difficoltà dovute alle pesanti lacune materiali, il prescritto dell'epigrafe sembra altresì escludere la possibilità, proposta
dalla Bianchetti!?8, che tali provvedimenti siano stati avanzati da Iperbolo in qualità di προστάτης τοῦ δήμου nell'atto di intervenire nell'assemblea per correggere con uno ψήφισμα il provvedimento di legge in discussione. 6. Iperbolo buleuta. Abbiamo or ora accennato al ruolo di buleuta che sarebbe stato ricoperto da Iperbolo. Oltre a IG I’ 82, appena esaminato, vi sono anche altri elementi che lasciano effettivamente pensare che Iperbolo abbia potuto adempiere anche a tale incarico, indispensabile per influire in modo decisivo sulla vita politica della città. L’assemblea infatti non era riunita in modo permanente, lo era invece la βουλῆ, soprattutto attraverso le sue pritanie. I cittadini che entravano a far parte del Consiglio erano sorteggiati; tuttavia è intuibile che i politici si adoperassero, senza apparentemente trasgredire le disposizioni di legge, per venire sorteggiati o addirittura per diventarne membri senza sorteggio, come è storicamente documentato!??, Il sorteggio si praUS Art. cit., p. 244. 179 AESCHIN, In Ciesiph. [III] 62 accusa Demostene di essere diventato membro delia βουλή senza essere stato sorteggiato né come membro regolare né come sosti-
tuto.
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ticava non solo per i buleuti, ma anche per i sostituti!8, ed è probabile che non fossero pochi quelli che nel ruolo di sostituto ponevano la propria speranza di entrare nella βουλή, essendo possibile che colui che era eletto in prima istanza fosse poi eliminato!?!, Una situazione del genere sembra risultare da un frammento dell’Iperbolo, la commedia che Platone Comico intitolò e dedicò all’attacco satirico contro il demagogo: (A) εὐτυχεῖς, ὦ δέσποτα. (B) τί & ἐστί; (A) βουλεύειν ὀλίγου λαχες πάνυ. ἀτὰρ οὐ λαχὼν ὅμως ἔλαχες, ἣν νοῦν ἔχῃς (Β) πῶς ἣν ἔχω νοῦν; (A) ὅτι πονηρῷ καὶ ξένῳ
ἐπέλαχες ἀνδρί, tolsero yàpt ἐλευθέρῳ. (B) ἄπερρ᾽ ᾿ ἐγὼ 5 ὑμῖν τὸ πράγμα δὴ φράσω Ὑπερβόλῳ βουλῆς γάρ, ἄνδρες, ἐπέλαχον 182,
In questo dialogo uno schiavo si rivolge al proprio padrone, che per poco non è stato estratto come membro effettivo della fovA e che è tuttavia tra i primi a poter essere integrato nel Consiglio come so-
stituto. Con sicure e sferzanti parole il servo tranquillizza prontamente il padrone dicendogli che può considerarsi già in carica, dal momento che potrà senz’altro subentrare a quello che è un individuo πονηρός e ξένος, certamente non ἐλεύθερος: da queste brevi frasi emerge implicitamente con evidenza che lo schiavo consiglia di denunciare come illecita l'elezione di Iperbolo per far sì che venga sostituito, azione che, nella battuta finale, il padrone sembra intraprendere. Tutti i cittadini, infatti, prima di entrare in carica dovevano essere sottoposti a Soxuacia!83 e, se non potevano dimostrare i re180 HARPOCRAT. 5.2. ἐπιλαχών.
181 Cf. PT. RHopzs, The Athenian Boule, Oxford 1972, pp. 4, 7 sgg. 12 Prar. Com. fortunato,
o signore».
182 K.A. (= ScHoL. ArıstopH., Thesm. 808). Trad.: (A) «Sei (B) «Perché?»
(A) «Ti è mancato
poco ad essere estratto a
sorte come buleuta, tuttavia pur non essendo stato estratto, sei estratto lo stesso, se fai attenzione».
(B) «Come
se faccio attenzione?» (A) « Perché sei il sostituto di un
uomo malvagio e straniero, nientaffatto libero» ... (B) «Va via: ora vi spiegherò la
faccenda: sono stato estratto sostituto di Iperbolo al Consiglio». 18) AESCHIN., In Ctesiph. [III] 14, 15; Dem., In Leptin. [XX] 90; HARPOCRAT. s.v. δοχιμασθείς. Cf. Arıstor., Ath. Rsp. 45, 3-4; 55, 2-5; cf. PJ. Ruones, The Athenian Boule, cit., pp. 178 sgg.; In., Commentary, cit., pp. 542-45.
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quisiti richiesti, anzitutto comprovata cittadinanza e sicure origini ateniesi, erano esclusi dall'incarico, nonché ovviamente dalla piena cittadinanza. Questo
frammento
di Platone
Comico,
attestando
con buone
probabilità la notizia che vuole Iperbolo buleuta, conferma anche che tutta la campagna diffamatoria, già rilevata, volta a sottolineare falsamente le origini barbare e la πονηρία di Iperbolo, non era certo fine a se stessa, ma finalizzata a rendere difficile e ad intralciare il cammino politico del demagogo, mettendo in dubbio il suo pieno diritto di cittadinanza. Resta incerto quando sia possibile datare questa BovAzia di Iperbolo: tale problema è strettamente connesso con quello della datazione dell’Iperbolo di Platone Comico, per il quale, come si è visto, non si può che ipotizzare un periodo che va dal 421 al 417-16, a seconda che si includano o si escludano da questa commedia il frammento relativo all’ostracismo del demagogo. Tuttavia, individuando nei provvedimenti per gli addetti al culto di Efesto una proposta avanzata da Iperbolo in qualità di buleuta!84, è possibile dedurre l’importante conseguenza che il demagogo fece parte del Consiglio dei Cinquecento proprio nell’anno 421-20, in cui è datato il decreto riportato in IG I’ 82. Questa considerazione porta poi ad altre due possibili deduzioni: la prima è quella, ovvia, di individuare l’importanza e il rilievo politico che il sorteggio a tale carica dovette dare ad Iperbolo nel 421-20, ovvero agli inizi della propria προστασία. La seconda consiste invece nel datare nel medesimo anno anche l’Iperbolo di Platone Comico. A questo proposito non si può comunque escludere che il fr. 182 K.A. del medesimo commediografo possa riferirsi ad una seconda elezione di Iperbolo a buleuta, che potrebbe essere avvenuta negli anni successivi al 421-20. Sappiamo infatti da Aristotele!85 che si poteva far parte del Consiglio due volte, ma non di più. Tuttavia il contesto espresso dal frammento, che delinea il tentativo di invalidare l'elezione di Iperbolo per prenderne il posto, si colloca bene nelle circostanze di un’estrazione a buleuta per la prima volta: se si trattasse 184 P. BRUN, art. cit., p. 189 n. 55; cf. anche R. Miss, The Atbenian Empire, Oxford 1972, p. 343, n. 3. 15 AristoT., Ath. Rsp. 62, 3. Cf. PJ. RHones, The Athenian Boule, cit., p. 696; In., Commentary,
cit., pp. 3-4, 242-45.
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infatti di un ritorno del demagogo all’esercizio di tale carica, non si capirebbe la forte speranza nutrita dallo schiavo di veder escludere Iperbolo in seguito all'esame al quale erano sottoposti i consiglieri prima di entrare in carica. L’aver già superato in una prima circo-
stanza la δοχιμασία avrebbe dovuto infatti deludere le speranze di poter escludere Iperbolo, quando quest’ultimo fosse sottoposto per la seconda volta al giudizio del Consiglio. 7. IG P 85. Un altro importante documento epigrafico 18° fornisce un fondamentale apporto alla ricostruzione della figura di Iperbolo. Si tratta di un'iscrizione mutila su tutti i lati e che, proprio per le gravi lacune materiali, si presenta di difficile interpretazione. Essa tuttavia attesta in modo inequivocabile alla linea sesta il nome di Iperbolo quale proponente, dinanzi all'assemblea del δῆμος, di un emendamento
al de-
creto iscritto nella parte superiore della pietra e andato perduto. Purtroppo non & possibile dedurre dall'epigrafe il contenuto preciso di questo ψήφισμα. Un'attenta ricostruzione dell'iscrizione è stata proposta da Woodhead187 con integrazioni consistenti, ma convincenti, che
permettono di restituire un senso coerente al decreto e all'emendamento. Il provvedimento principale tratterebbe di beni confiscati e venduti all'incanto dolosamente e del successivo invito a pranzo nel Pritaneo per coloro che denunciarono l'accaduto. L'intervento di Iperbolo sarebbe invece volto a determinare un rapido e preciso iter procedurale al fine di trattare e concludere tutte le questioni relative al suddetto decreto entro scadenze piuttosto ravvicinate, indicate ora in dieci ora in cinque giorni e che possono forse far pensare ad una fine imminente dell'anno conciliare. Proprio nelle indicazioni di questa procedura compaiono i riferimenti alle pritanie di due tribù, l'Eantide (1. 7)
el'Egeide (l. 10). Osserva Woodhead che, poiché nell'anno con186 IG D 85 = IGI? 95. 1? A.G. WoopHEAD,
IG I? 95 and the Ostracism of Hyperbolus, «Hesperia»,
XLVIII (1949), pp. 79-83, confermato su basi paleografiche da M. McGrecor, The Genius of Alkibiades, «Phoenix», XIX (1965), pp. 27-46. Contra S. BIANCHETTI, art. cit., pp. 225-33.
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ciliare la designazione delle tribù che si succedevano alla pritania avveniva per sorteggio progressivo 188, soltanto la decima pritania poteva essere conosciuta in anticipo, quando,
alla nona pritania, era possi-
bile, per esclusione, individuare il nome della tribù che ancora doveva assolvere all’incarico. Sulla base di questa considerazione lo studioso aggiunge che, riguardo alle due pritanie citate nell’epigrafe, si può ipotizzare che si tratti di due pritanie passate, oppure che una sia quella in carica e l’altra una pritania passata o futura: in quest’ultimo
caso si tratterebbe della nona e della decima pritania. Per Woodhead quella in carica al momento dell'emendamento di Iperbolo doveva essere necessariamente la decima pritania, desumendo questo dalla prossima fine dell’anno pritanico che sarebbe sottesa alle ravvicinate scadenze che Iperbolo avrebbe imposto con il suo emendamento. Dal confronto con IG I’ 84 è possibile individuare nel 418-17 un anno in cui la tribù Egeide ricoprì la decima pritania e la tribù Eantide una precedente (non però la nona che fu ricoperta dalla tribù Pandionide). Proprio sulla base di questo raffronto lo studioso individua un elemento utile a motivare la datazione dell'emendamento di Iperbolo proprio nel 418-17. A sostegno di questa data è poi fondamentale l’integrazione proposta, con sufficiente certezza, da Woodhead alla 1. 12, in seguito all'esame diretto dell'iscrizione: ἐπὶ ᾿Αντιφ[ῶντος ἄρχοντος].
L'individuazione del nome dell’arconte, integrato con un notevole margine di probabilità, permette, insieme alle considerazioni sinora svolte sulla successione delle pritanie, di datare il provvedimento proposto da Iperbolo nel 418-17, anno in cui Antifonte fu appunto arconte!8?, Questa datazione implica poi un'importante conseguenza: l'iscrizione viene a testimoniare che Iperbolo alla fine del 418-17 era ancora presente ad Atene con la conseguente determinazione del termine post quem per l'ostracismo del demagogo. Questa iscrizione tuttavia permette di evidenziare anche un altro 188 Cf. PJ. Ruopes, The Athenian, cit., p. 19. 189 Cf. S. CATALDI, Note prosopografiche a IG P, 11: Antifonte, in Ἰστορίη. Studi offerti dagli allievi a Giuseppe Nenci in occasione del suo settantesimo compleanno, a c.
di S. AressanDrì, Galatina 1994, pp. 57-87, in particolare pp. 70-71 sull'emendamento proposto da Iperbolo.
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importante aspetto. Essa è infatti l’unica sicura testimonianza dell’attività di Iperbolo προστάτης all'interno dell’èxxAnoia, l'unica prova di un ruolo continuo e puntuale volto a tutelare il δῆμος in ogni dibattito e provvedimento di interesse pubblico e generale: come già il decreto religioso tramandatoci da IG I’ 82, anche il contenuto di questa epigrafe mostra Iperbolo quale legislatore serio e competente, un vero tecnico della legge, lontano dall'immagine denigratoria offertaci dai poeti comici.
8. La trierarchia.
Prima di concludere questa fase della ricerca volta a ricostruire, in base alle testimonianze a noi note, i momenti significativi della graduale ascesa di Iperbolo alla ribalta della vita pubblica ateniese nel decennio fino al 417, resta ancora da considerare un’ultima carica che Iperbolo avrebbe ricoperto: la trierarchia, considerata, forse troppo precipitosamente, come «un fatto storicamente sicuro» 199,
Anche per la trierarchia le fonti vengono dalla poesia comica: sono Aristofane!?!, in versi già precedentemente considerati per il riferimento in essi contenuto alla madre di Iperbolo, ed Eupoli!??. Entrambe queste testimonianze in realtà contengono un riferimento alla
trierarchia, ma in esse la connessione di tale carica con Iperbolo è tutt'altro che esplicita. Nel frammento di Eupoli, anzi, ogni pur minima allusione al demagogo appare del tutto assente, come si evince chiaramente dalla lettura dei versi comici in questione: ὅτι δὲ xai toic τριηράρχοις παρείποντο ταμίαι δεδήλωκεν Εὔπολις ἐν Μαριχᾷ 195.
1? E. CAMON, Le cariche, cit., pp. 51-53; da ultimo P. BRUN, art. cit., p. 188,
che dice Iperbolo «certainement trérarque»; cf. J.K. Davızs, op. cit., p. 517. 7! ArıstopH., Thesm. 857 sgg. 12 Eup. 210 K.A. Dal canto suo Swoboda (art. cit., col. 256) riferisce alla trie-
rarchia anche il fr. 207 K.A., sopra considerato tra le fonti utili a definire la questione della strategia del demagogo.
1? Eup. 210 K.A. Trad.: «Eupoli nel Maricante ha mostrato che i tesorieri persuasero scaltramente anche i trierarchi». E chiaro che nulla permette di dedurre da questa semplice affermazione una prova della trierarchia di Iperbolo.
104
IPERBOLO
Anche i versi delle Tesmoforiazuse possono lasciar spazio a legittimi dubbi: l'allusione alla figura del trierarco è presente all’interno di un confronto tra la donna degna di onori, che ha generato un uomo utile alla città, tassiarco o stratego, e quella che invece ha messo al mondo
un δειλὸν καὶ πονηρὸν ἄνδρα ... ἢ τριήραρχον πονηρὸν ἢ κυβερ-
νήτην κακόν 194, Il raffronto prosegue opponendo la madre di Lamaco a quella di Iperbolo: le due donne sono così portate ad esempio e sintesi dell'opposizione precedentemente illustrata tra le madri dei cittadini χρηστοί (come appunto Lamaco) e quelle di uomini πονηροί (come
Iperbolo). Individuare in questo passo aristofaneo una prova della trierarchia di Iperbolo appare sinceramente forzato: il riferimento alla madre del demagogo non basta per motivare l’identificazione di Iperbolo con il τριήραρχος πονηρός, menzionato peraltro accanto a un xv-
βερνήτης κακός 155. Anche a proposito della trierarchia!9 dunque dobbiamo ripetere dubbi ed esitazioni già espresse nei confronti della possibilità che Iperbolo sia stato stratego: per entrambe queste cariche bisogna ammettere che, ad una valutazione attenta e corretta delle fonti, non è
possibile né sostenere né escludere che Iperbolo abbia ricoperto gli importanti ruoli di stratego e di trierarco!97, La difficoltà di definire i problemi e le incertezze relative all'elezione di Iperbolo a tali pub1% ARISTOPH., Thesm. 836-37.
15 A chi sostiene tale identificazione si potrebbe infatti obiettare che, se si vuole individuare nel trierarco un riferimento ad Iperbolo stesso, non vi è motivo, se
non l'inverosimiglianza, di escludere la possibilità di rilevare e sostenere la medesima allusione anche nel riferimento al χυβερνήτης. 196. Sui trierarchi cf. ARISTOPH., Eg. 912-18 cum Scbol; [XEN.], Atb. Rsp. III, 4; [DEM.], In Lacr. [XXXV], 48; Dem., C. Boeot. I (XXXIX), 8; Arıstor., Ath. Rsp. 61, 1 (cf. PJ. Ruones, A Commentary, cit., pp. 677 sgg.); cf. M. Awrr, Athens and the Sea. A Study in Athenian Sea-Power, Bruxelles 1965, pp. 103-15; J. MorrIson-R.
WiLLIAMS, Greek Oared Ships, Cambridge 1968, pp. 260-65; B. JonpAN, The Atbeniam Navy in tbe Classical Period, Berkeley-Los Angeles-London
1975, pp. 61 sgg.;
J.S. MorrIson-J.F. CoArEs, The Athenian Trireme. The History and Reconstruction of an ancient Greek Warsbip, Cambridge 1986, pp. 108-09, 118-27, 130-32. 197 La strategia e la trierarchia sono due delle poche cariche rimaste elettive nell'Atene democratica. Almeno fino alla strategia di Cleone del 424, esse erano prerogativa degli uomini dell'aristocrazia e dei ceti agiati (cf. S. CarArpr, La democrazia ateniese, cit., pp. 129-32): segue con evidenza da questa considerazione l'importanza che rivestirebbe nella carriera pubblica di Iperbolo il poter dimostrare che il demagogo assunse e svolse tali pubbliche funzioni.
DA ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ
A TIPOZTATHE:
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DI UN
DEMAGOGO
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blici incarichi non deve comunque portare a sminuire l'importanza del demagogo nella vita politica ateniese: si & visto infatti come ad Iperbolo debba comunque essere riconosciuto un ruolo di primo piano, che egli seppe guadagnarsi attraverso una carriera e un'ascesa politica che, da protagonista φιλόδιχος del βῆμα giudiziario, lo vide divenire προστάτης tob δήμου, attraverso l'esercizio di importanti cariche, quali
quelle di ieromnemone e di buleuta, nelle quali seppe dimostrare tutta la propria preparazione e competenza giuridica e politica. A conclusione dell'intero capitolo e dell'esame storico, sinora svolto, delle testimonianze antiche significative al fine di definire l'attività pubblica di Iperbolo, deve ancora essere considerato un frammento di Eupoli che, pur conservando incertezze circa la possibilità di individuarvi uno specifico riferimento ad Iperbolo, tuttavia esprime un'utile sintesi della strategia, dei mezzi e delle tappe dell'ascesa politica del nostro o di un altro demagogo. Si tratta del frammento 99 K.A. rivendicato ai Demi di Eupoli da Van Leeuwen!?5, nel quale, ai vv. 23-34, il poeta attacca un demagogo, accusandolo per l'origine straniera, la scarsa familiarità con la parlata attica, l'affannosa ricerca di una fratria in cui potersi iscrivere, le relazioni con una compagnia di giovani incuranti della vita politica (almeno nel senso della più tradizionale virtù civica) e profondamente corrotti, ai quali il demagogo si appoggia, spingendo avanti, a proprio interesse, gli amici di questa
vera e propria eteria. Si aggiunge poi l’accusa di muovere intrighi e tacite manovre per la strategia e di essere in qualche modo responsabile della spedizione a Mantinea nel 418. Così nei versi di Eupoli 1°: 19 J.
Van
LEEUWwEn,
De
Eupolidis
Demorum
fragmentis
nuper
repertis,
«Mnem.», XL (1912), pp. 126-31, spec. p. 129. In generale sulla commedia di Eupoli, sulla sua datazione e sul frammento ora in esame cf. I.C. STOREY, art. cit., pp. 24-27, che data i Demi nel 416, respingendone la datazione al 412 (P. GEISSLER, op. cit., pp. 54 sgg.). 19 Cf. F. SanTORI, Le eterie nella vita politica ateniese di VI e V secolo a.C.,
Roma 1967, pp. 105-07. Eup. 99 K.A., trad.: «... e ritiene di aver diritto di parlare in assemblea, mentre fino a ieri non c'era qui da noi una fratria che lo volesse; non
parlerebbe neppure attico se non provasse vergogna di fronte agli amici, ... gente oziosa, pronta a prostituirsi e senza dignità ... ma avrebbe dovuto andarsene chinato
il capo ... al mestolo [probabile allusione erotica]; gli amici dell’eteria di costoro ... ora s'avvicina, strisciando, alla carica di stratego e simile a feccia ...; non vi ricordate
106
IPERBOLO ... 1 κἀξιοῖ δημηγορεῖν,
χθὲς δὲ καὶ πρώην παρ᾽ ἡμῖν φρατέρων ἔρημίος fiv χοὐδ᾽ ἂν ἠττίχιζεν, εἰ μὴ τοὺς φίλους ἠισχύνίετο, τῶν ἀπραγμόνων γε πόρνων χοὐχὶ τῶν σεμνῶν [... ἀλλ᾽ ἔδει νεύσαντα χωρεῖν εἰς τὸ χινητήρ[τον᾿ τῆς ἑταιρίας δὲ τούτων τοὺς φίλους ἐσχί... ταῖς στρατηγίαις δ᾽ ὑφέρπει καὶ τρυγωιδοί...
εἰς δὲ Μαντίνειαν ὑμᾶς οὗτος οὐ μέμ[νησθ' ὅτι τοῦ θεοῦ βροντῶντος ὑμῖν οὐκ ἐῶντίας ἐμβαλεῖν
εἶπε δήσειν τοὺς στρατηγοὺς πρὸς βίαν [ἐν τῶι ξύλωι; ὅστις οὖν ἄρχειν τοιούτους ἄνδρας αἰἱρεῖταί ποτε une πρόβατ'᾽ αὐτῶι τεχνοῖτο μήτε γῆ x[apróv φέροι.
Dalla valutazione di questo frammento, che ripete luoghi comuni della satira comica contro i demagoghi (origini straniere, incapacità di parlare il puro dialetto attico sono accuse che accomunano, ad esem-
pio, Iperbolo a Cleofonte), derivano importanti considerazioni relative all'attestazione di un’eteria di giovani guidata da un demagogo e
all’accusa di responsabilità nella sconfitta di Mantinea, unita a quella di aspirare con sotterfugi alla strategia: purtroppo tutte le rilevanti conseguenze determinate da queste informazioni sono di difficile valutazione a causa dell’impossibilità di determinare con sicurezza l'identificazione del demagogo in questione. Varie sono le soluzioni proposte. Si è pensato a Siracosio???, Cleofonte??!, Androcle202, Demostrato2%, Archedemo2% e, con buone ragioni, anche a Iperbolo20, che fu costui a dirvi di legare tuono divino, vi impedivano di qualche volta messo a capo di porti frutto». 200 A. KGRTE, Fragmente
a forza gli strateghi alla gogna dal momento che, al irrompere verso Mantinea? Chiunque dunque sia una tali uomini, a costui non nasca bestiame né la terra einer Handschrift der Demen des Eupolis, «Hermes»,
XLVII (1912), pp. 298-302, spec. pp. 299-300.
20 CHR. JENSEN, Zu den Demen von Eupolis, «Hermes», LI (1916), p. 341. 202 J. M. EpMoNpS, The Cairo and Oxyrbyncbus fragments of tbe AHMOI of Eupolis, «Mnem. », s. III, VIII (1940), pp. 1-20; In., The Fragments of Attic Comedy, I,
Leiden 1957, pp. 346-47. 20) F, SARTORI, Una pagina di storia ateniese in un frammento dei «Demi» eupolidei, Padova 1975, spec. pp. 17-30; L. Pıccmuuı, in Plutarco. Le vite di Nicia e Crasso, cit., p. 277.
20 5. CATALDI, I proponenti del trattato tra Atene e Segesta e le correnti politiche ateniesi, «Kokalos», XXXVIII (1992), pp. 14-15.
205 W, SchMid, Zu Eupolis’ Afuot, «Philologus», XCIII (1939), pp. 414-16; W.
DA
ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ
A ΠΡΟΣΤΑΤΗΣ:
ASCESA
DI UN
DEMAGOGO
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Anche se rimane estremamente incerto chi debba essere riconosciuto nel demagogo del frammento di Eupoli, è fin troppo facile e seducente, forse, nel nostro contesto propendere per l’identificazione con Iperbolo: essa tuttavia appare in generale la più convincente. Se la parlata attica facile a criticarsi per le imperfezioni nella pronuncia e il sospetto di origini servili o comunque straniere non possono essere indizi riferibili al solo Iperbolo, gli altri particolari addebitati, quali accuse, al demagogo ben si adattano, da un punto di vista cronologico e di coerenza di propositi e di azione, al ritratto e al contesto politico di Iperbolo sinora descritti, completando entrambi con logica consequenzialità. Se infatti si ripercorre l’itinerario di affermazione politica e sociale di Iperbolo possiamo facilmente immaginare il demagogo all'affannosa ricerca di una fratria in cui poter essere iscritto a pieno titolo al rango di cittadino, premessa indispensabile per partecipare attivamente e passivamente alla vita politica e condizione di non facile accesso per chi proveniva dal πλῆθος e a fatica poteva dimostrare i propri natali (essendo forse costretto, o piuttosto disposto per possibilità economiche, anche a «comprarne» le prove e il riconoscimento): il dubbio sull’autenticità della propria cittadinanza ateniese dovette caratterizzare tutta la vita civile di Iperbolo, come è ben attestato dalla satira comica, e fu certo questo il mezzo utilizzato dagli avversari per ostacolare, e a tratti impedire, la sua partecipazione diretta alla vicenda politica. Credibile e coerente è poi pensare ad Iper-
bolo come colui che aspira alla strategia ed è pronto ad ogni intrigo e mezzo di propaganda per ottenerla (come d’altra parte ogni altro uomo politico democratico o oligarchico in quegli anni precedenti e seguenti la spedizione in Sicilia): questa informazione, unita all’accusa di responsabilità nella spedizione a Mantinea20%, si inserisce e si arSCHMID-O. STÄHLIN, op. cit., I, 4, p. 128 n. 6. Cf. LC. Storey, art. cit., p. 27; cf.
anche per il contesto storico dei Demi eupolidei: W.G. Forrest, An Athenian Generation Gap,
« YCS», XXIV
(1975), pp. 37-52, spec. p. 41.
206 Il demagogo responsabile della spedizione a Mantinea (418) sembra non poter essere altri che Iperbolo, il quale, προστάτης τοῦ δήμου, aveva certamente in quell'anno prestigio tale da poter sostenere la spedizione e divenirne quindi responsabile dell'insuccesso. Cronologicamente prematura appare invece l'attribuzione ad Androcle e Cleofonte. Inoltre & forse possibile individuare indizi che potrebbero consentire
di postulare, pur con ogni cautela, anche una partecipazione di Iperbolo alla battaglia di Mantinea. In quella sconfitta potrebbe infatti individuarsi il pericolo in riferi-
108
IPERBOLO
monizza perfettamente con quanto già descritto di Iperbolo circa la sua aspirazione alla strategia e suggerisce, assumendo la forza di preziosa e unica testimonianza, il peso politico che il demagogo seppe assumere nuovamente dopo i due forti momenti pacifisti segnati dalla pace del 421 e dal fallimento della spedizione in Sicilia nel 413. Nel
contempo dunque si vengono così a spiegare, sottolineando il ruolo eminente di Iperbolo, i due momenti conclusivi della vita del demagogo, che saranno ora al centro della nostra analisi: il periodo che, a chiusura di un aspro scontro politico, lo vide infine ostracizzato e quello immediatamente seguente, trascorso a Samo fino alla sua uccisione nel 411. L’identificazione con Iperbolo non sembra inoltre che debba costringere ad alzare dal 412 all'anno dell'ostracismo la datazione dei Derzi di Eupoli: il frammento anzi potrebbe attaccare Iperbolo ostracizzato e costretto al soggiorno a Samo, avvalorando l’ipotesi che dall’isola il demagogo abbia continuato a suggerire e promuovere le azioni politiche della democrazia radicale ateniese attraverso quegli amici e sostenitori che il frammento eupolideo suggerisce costituire una vera e propria eteria democratica. Ed è certamente quest’ultimo uno dei particolari più rilevanti della testimonianza comica quando essa sia letta alla luce dell’identificazione con Iperbolo: il προστάτης τοῦ δήμου, successore di Cleone, avrebbe avuto la capacità di formare intorno a sé un gruppo solidale di amici, sostenitori e promento al quale la madre del demagogo ringrazia gli dei ed esulta perché il figlio ne è stato salvato, così come abbiamo già letto nel fr. 8 K.A. di Ermippo: φέρε νῦν ἀγήλω τοὺς θεοὺς ἰοῦσ' ἐγὼ χαὶ θυμιάσω
τοῦ τέχνου σεσωσμένου.
La sconfitta in battaglia e soprattutto la viltà di essersi salvato potrebbero poi trovare un riflesso nel confronto, operato attraverso le rispettive madri, con Lamaco,
morto valorosamente in battaglia, e dare così ulteriore significato ai vv. 839-45 delle Tesmoforiazuse (per chiarire il ruolo di Lamaco quale eroe da opporsi a Iperbolo, cf. L. BunELLI BERGESE, Eroi di professione, in Ἱστορίη, cit., pp. 37-43). Inoltre, se questo contesto fosse corretto, ne conseguirebbe un abbassamento al 418-17 della data-
zione delle Artopolides a cui il fr. 8 K.A. appartiene. Sul contesto della battaglia di Mantinea cf. Tuuc., VI 64-74. La possibilità di individuare in Iperbolo colui che fu indicato come responsabile della sconfitta di Mantinea consentirebbe altresì di spiegare gli anni immediatamente precedenti l'ostracismo. Iperbolo infatti, dopo l'insuccesso di Mantinea, potrebbe aver visto mettere in discussione la propria προστασία, soprattutto nel confronto con Alcibiade: l'ostracismo poté allora sembrare al demagogo l'occasione per riappropriarsi di tutta la propria autorevolezza sul πλῆθος, ma nel confronto degli ostraka fu il proponente stesso a soccombere.
DA
ΦΙΛΟΔΙΚΟΣ
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DEMAGOGO
109
tetti, in grado di condizionare lo sviluppo dell’azione politica nella direzione voluta dalle proprie intenzioni. L'aspetto più interessante da notare è la composizione di questa eteria: gli ἑταῖροι erano giovani corrotti e privi di sincero interesse politico, se non per vanagloria o per calcolo personale
(τῶν ἀπραγμόνων
γε répvov).
Non
è difficile
scorgere nei termini della denotazione etica l'emergere di quella contrapposizione vecchi-giovani già evidenziata nell'iter formativo e politico che accomuna in parte Iperbolo ed Alcibiade: si trova infatti conferma di come questa opposizione sociale si sia politicamente colorata nelle due parti in termini rispettivamente oligarchici e democratici, o meglio di tradizione opposta a corruzione e degenerazione etica e politica. In particolare, trova conforto la possibilità, già prospettata, che per Iperbolo, così come per Alcibiade, il consenso politico dipendesse in prima istanza dai giovani scontenti e tagliati fuori dalla tradizione politica ateniese e che anche per Iperbolo, che pur poteva contare su una προστασία riconosciuta ma soggetta agli umori del δῆμος, la sicu-
rezza e il successo dell’azione politica dovesse fondarsi sul sostegno offertogli dai componenti dell’eteria. Iperbolo ed Alcibiade avrebbero dunque a conti fatti la medesima base di consensi, pronti ad attivarsi per la propaganda e la puntuale azione politica. Tra questi ἑταῖροι di Iperbolo sarebbe poi conseguente individuare Androcle e, nei primi momenti di vita pubblica, Cleofonte, gli uomini che porteranno avanti l'azione democratica rispettivamente durante l'ostracismo e dopo la morte del demagogo, sottolineando, in linea con l'orientamento che sembra possibile intravedere negli ultimi anni di Iperbolo, la difesa delle istituzioni democratiche contro manovre di riforma e di restaurazione in senso oligarchico. Partendo dunque da questa suggestione e piü sicuri dell'importanza del ruolo politico ricoperto da Iperbolo, potremo ora affrontare in termini più precisi lo scontro politico che portó all'ostracismo.
CAPITOLO
III
YIIEPBOAOZ NZTPAKIEMENOZ 1. 'E£oo1paxíc0n διὰ μοχθηρίαν.
Accertata dunque nel capitolo precedente la presenza di Iperbolo ad Atene alla fine del 418-17 sulla base soprattutto dell’esame e dello studio di IG I? 85, resta ora da considerare l'episodio già ripetutamente indicato come caratterizzante l'immagine del demagogo Iperbolo elaborata dalle fonti antiche e dalla storiografia moderna, che sempre vengono a connettere essenzialmente, se non esclusivamente, con l’ostracismo il ruolo e l'azione politica dell'infame fabbricante di lucerne. Stando a quanto è stato sinora rilevato in questo lavoro di ricerca, è necessario anzitutto premettere e precisare il punto di partenza della nostra analisi, almeno dal punto di vista della definizione cronologica e del relativo contesto sincronico che viene conseguentemente a determinarsi: la datazione di questo ostracismo potrà essere fatta risalire o all'anno 417-16 o a quello 416-15 !, in ogni caso tra la sesta e l'ottava pritania?. ! Per la bibliografia riguardante i problemi relativi alla storia e alle procedure di attuazione dell'ostracismo ateniese si rimanda ad A. MARTIN, Bulletin de bibliographie thématique et critique - L'ostracisme athénien, «REG», CII, 1 (1989), pp. 124-25. È
evidente inoltre che con le datazioni ora proposte si escludono tutte le ipotesi che hanno datato l'ostracismo di Iperbolo anteriormente alla primavera 416. Al 419-18 hanno pensato: H. MÜLLER - STRÜBING, op. cit., pp. 412-13; G. GILBERT, op. cit., pp. 231, 234; H. Zursore, Nochmals der letzte Ostrakismos, «Hermes», XIII (1878), pp. 141-44; H. NEUMANN, Die Politik Athens nach dem Nikiasfrieden und die Datierung des Ostrakismos des Hyperbolos, «Klio», XXIX (1936), pp. 36-49; hanno proposto invece il 418-17: J.K. BeLocH, GG, II’, Strassburg 1914, pp. 350-51; H. SwoBopa, art. cit., col. 257; G. BusoLt-H. Swosopa, Griechische Staatskunde, «Handbuch der
112
IPERBOLO
Iniziando l'esame delle testimonianze antiche? che informano relativamente a questo importante momento della biografia di Iperbolo e della vita politica ateniese, ἃ rilevante e immediato notare che una sola di queste fonti proviene dalla commedia attica, in controtendenza evidente rispetto alla distribuzione sinora osservata tra le fonti che hanno riferito circa il demagogo. Si tratta del frammento 203 K.A. di
Platone Comico, tramandato da Plutarco* proprio in relazione al. l'ostracismo di Iperbolo: καίτοι πέπραγε τῶν τρόπων
μὲν ἄξια,
αὐτοῦ δὲ καὶ τῶν στιγμάτων ἀνάξια᾽ οὐ γὰρ τοιούτων οὔνεχ᾽ ὄστραχ᾽ ηὑρέθη5.
Questi versi attestano con l’immediatezza propria dei versi comici che, fin dai primi momenti seguenti l’attuazione della procedura di ostracismo, si formò una tradizione negativa volta a ribadire la πονηρία del demagogo quale unico motivo che portò alla concretizzazione di tale provvedimento proprio contro Iperbolo. L’individuazione di questa causa certo non può stupire, soprattutto se in riferi-
mento a Iperbolo, ed inoltre essa si presenta perfettamente in linea con il giudizio sulla προστασία del demagogo già espresso nei versi di Aristofane®, Altertumswiss.», II, München 1926, p. 886; J. CarcOPINO, op. cit., pp. 191-95; T. LENSCHAU, s.v. Phaiax, RE, XIX (1938), col. 1534; O. REINMUTH, s.v. Ostrakismos, RE, XVIII (1942), coll. 1638-1684; J. HATZFELD, of. cit., pp. 114-18; C. HIGNETT,
op. cit., pp. 395-96; G. DE Sanctis, Storia dei Greci, II, Firenze 1954, p. 303; più recentemente, S. BIANCHETTI, art. cit., pp. 232-35. Gli anni successivi al 415 sono
poi senz'altro da escludersi, perché in tale periodo aveva già lasciato Atene alla volta della Sicilia Alcibiade, il cui ruolo è irrinunciabile e senz'altro di primo piano nella vicenda dell'ostracismo del demagogo. ? Cf. AristoT., Ath. Rsp. 43, 5 e Purtocu., FGrHist 328 F 30; cf. Ρ]. Ruopes, A Commentary, cit., pp. 269-71. > PLar. Com. 203 K.A.; THuc., VIII 73, 3; TuEop., FGrHist 115 F 96b; AnpROT., FGrHist 324 F 42; PruLoch., FGrHist 328 F 30; PLuT., Ale. 13, 7; Nic. 11, 6; Arist. 7.
* Prur., Nic. 11, 6.
5 PLAT. Com. 203 K.A. Trad.: «(Iperbolo) ha avuto una punizione degna dei suoi modi, ma inadatta a lui e agli schiavi suoi pari; non per gente di tal risma infatti si escogitò l'ostracismo». 6 ARISTOPH., Pax 681-92.
YITEPBOAOY OXTPAKIZMENOZ
Tuttavia
in
riferimento
all’ostracismo
115
la
motivazione
della
πονηρία appare ancor più urgente nel contesto interpretativo fornito
dalle fonti: quest'ultime, infatti, fin dalle parole dei contemporanei Platone Comico e Tucidide”, sembrano affrettarsi a fornire una spiegazione del perché una persona di così insignificante rilievo umano e politico sia stata «onorata» della procedura di ostracismo, un'istituzione che, pur con la negatività dell'esilio, finiva per dichiarare, affermandone la pericolosità, il ruolo straordinario di un vero protagonista della vita cittadina. Nel caso di Iperbolo era dunque necessario spiegare, nell'immediata vicinanza dell'ostracismo, che in quella circostanza non si puniva un uomo troppo potente, ma un cittadino ecce-
zionalmente malvagio, stravolgendo dunque un'istituzione eminentemente politica in una procedura di sommaria giustizia penale senza dettaglio del capo di accusa, senza processo. Con questa chiave di lettura ne deriva che o l'ostracismo di Iperbolo deve aver stravolto l'istituzione clistenica o l'istituzione clistenica & stata ribaltata nei suoi intendimenti per poter ostracizzare Iperbolo: la ricerca di una spiegazione in questa duplice direzione deve aver mosso tutto l'interesse storiografico ed erudito sull'argomento a tal punto che appare legittimo pensare che, in entrambi i casi, la motivazione della πονηρία, o della μοχθηρία, o an-
cora della φαυλότης, sia stata individuata come causa di questo ostracismo non solo dopo la sua applicazione per spiegarne l'attuazione, ma anche precedentemente ad essa per motivarne l'esigenza. Infatti, questo orientamento valutativo circa l'ostracismo di Iperbolo dovette presto divenire proprio del giudizio storiografico, che così cominciò a riflettere sull'episodio senza più mostrarsi in grado di ripensarlo, ma anzi stereotipandolo in poche informazioni sempre ripetute quale patrimonio antichistico ed antiquario a proposito di un'istituzione, l'ostracismo, di sicuro interesse fin dall'epoca antica. Particolare credito e forza a questa lettura della storiografia antica dovette certo venire da Tucidide che, negando ogni importanza alla figura del demagogo, attesta che quest'ultimo fu ostracizzato οὐ διὰ δυνάμεως xai ἀξιώμᾶτος φόβον, ἀλλὰ διὰ πονηρίαν xai αἰσχύνην tfjg πόλεως. Seguono in-
fatti questo giudizio Androzione? e Filocoro, pronto il primo a scrivere ? Tuuc., VIII 73, 3. * AnproT., FGrHist 324 F 42: ... ὃν καὶ ὠστρακίσθαι διὰ φαυλότητα. Cf. P. HarDING, Androtion and the Atthis, Oxford 1994, pp. 155-59.
114
IPERBOLO
che Iperbolo fu ostracizzato διὰ φαυλότητα, mentre il secondo, in modo più articolato, così commenta: μόνος δὲ Ὑπέρβολος ἐκ τῶν ἀδόξων ἐξωστρακίσθη διὰ μοχθηρίαν τρόπων, οὐ 6v ὑποψίαν τυραννίδος" μετὰ τοῦτον δὲ κατελύθη τὸ ἔθος, ἀρξάμενον νομοθετήσαντος Κλεισθένους, ὅτε τοὺς τυράννους κατέλυσεν, ὅπως συνεχβάλοι xai τοὺς φίλους αὐτῶν.
Queste fonti dunque, alle quali, come si vedrà in seguito, va aggiunto anche Plutarco, continuano la tradizione comica e quella storiografica tucididea, e ad una voce con esse vengono così a sottolineare che Iperbolo non fu ostracizzato perché costituisse una reale minaccia per la vita democratica ateniese, ma in quanto era cittadino μοχθηρός e la sua malvagità era fonte di vergogna per tutti: il fatto poi
che proprio un uomo come Iperbolo fosse colpito dal provvedimento d'ostracismo viene a determinare, nel giudizio di Filocoro, una delegittimazione e un abbandono della procedura clistenica, nata per al-
lontanare dalla città quanti, forti della propria potenza e del proprio prestigio, potessero cospirare per la tirannide. Date queste premesse, è ora nostro obiettivo valutare e definire attendibilità, dettaglio cronologico e caratteristiche delle notizie circa questo ostracismo, informazioni accomunate dalla lettura storica che, in un quadro politico dal clima acceso e complesso, vuole priva di prestigio la figura di Iperbolo e sminuita di significato la stessa istituzione clistenica. 2. Teopompo. La testimonianza di Teopompo!? si differenzia almeno in parte da quelle sopracitate, soprattutto per quanto riguarda il livello di informazioni contenute, livello che appare unico ed isolato nei collegamenti rintracciabili tra le fonti. Si tratta di una notizia tramandata da uno scolio ad Aristofane in cui si legge: ? Purocu., FGrHist 328 F 30. Trad.: «Tra i concittadini privi di prestigio il solo Iperbolo fu ostracizzato per la malvagità dei suoi modi e non per il sospetto di tirannide: dopo costui l’istituzione fu sciolta (abbandonata o abolita?), dal momento che questa procedura aveva avuto inizio per volontà legislativa di Clistene quando quest’ultimo abbattè i tiranni, al fine di scacciare anche i loro amici». 10 Tugop., FGrHist 115 F 96b.
ΥΠΈΡΒΟΛΟΣ
QETPAKIEMENOZ
115
θεόπομπος δέ φησι καὶ τὸν νεχρὸν αὐτοῦ καταποντωθῆναι, γράφων ὅτι ἐξωστράχισαν τὸν Ὑπέρβολον BE Em ... 11.
Questo frammento appartiene al decimo libro delle Storie Filippiche di Teopompo e in particolare ad un lungo excursus sui demagoghi contenuto in questo stesso libro!2. Dai frammenti che la tradizione ha potuto salvare attraverso le citazioni si può intuire con chiarezza che questa digressione doveva costituire un pesante attacco contro la democrazia ateniese del quinto e del quarto secolo, con spunti di polemica contemporanea rivolta a criticare ambienti politici e intellettuali di Atene: in particolare, Teopompo nota le conseguenze socio-economiche della demagogia ateniese, che, in un clima di corruzione sempre maggiore, condiziona i rapporti tra democrazia e circo-
lazione di χρήματα, nonché le relazioni tra Atene e gli alleati. I frammenti superstiti dell'excursus forniscono una serie di ritratti per lo più tendenziosi e moralistici, probabilmente anche a causa del modo in cui gli autori più tardi, in base agli interessi propri e della propria epoca, hanno selezionato le loro citazioni dal testo di Teopompo!. Riguardo al frammento in questione, tralasciando per ora i riferimenti al soggiorno samio che vide l’assassinio del demagogo, crea difficoltà l'interpretazione
dell'espressione
ἐξωστράκισαν
τὸν Ὑπέρ-
BoAov ἕξ ἔτη, che ha dato adito a diverse ipotesi!4. Infatti la notizia che «ostracizzarono Iperbolo per sei anni» appare in netta contraddizione con quella che vuole la durata dell’ostracismo fissata in dieci anni!5, anche se da un frammento di Filocoro risulterebbe che il periodo durante il quale l’ostracizzato doveva rimanere in esilio era originaria!! Scpor. ARISTOPH., Vesp. 1007. Trad.: «Teopompo dice che il suo cadavere fu gettato in mare, là dove scrive che ostracizzarono Iperbolo per sei anni ...» (il testo greco non sembra permettere altre traduzioni nel tentativo di intendere l’espressione ἐξωστράχισαν
τὸν Ὑπέρβολον
BE ἔτη: come
si vedrà,
ogni altra interpretazione
deve postulare o una corruttela o un'imprecisione brachilogica nel testo e nel pensiero storico teopompeo).
V Cf. C. FERRETTO, La città dissipatrice. Studi sull'excursus del libro decimo dei Philippika di Teopompo, Genova 1984, spec. pp. 16-22, 85-96. 3 I frammenti sicuramente attribuibili a questo excursus concernono Temistocle, Cimone, Pericle, Tucidide di Melesia, Cleone, Iperbolo, Callistrato, Eubulo.
1 Cf. anche H. MÜLLER-STRÜBING, op. cit., pp. 411-13. 3 PLar., Gorg. 516 d; Prur., Nic. 11, 1; Cim. 17, 3; [Anpoc.], C. Ai. [IV], 4; ScHot. AristoPH., Vesp. 947.
116
IPERBOLO
mente di dieci anni, ma fu poi ridotto a cinque!®. Un tentativo di conciliazione fra il frammento di Filocoro e quello di Teopompo è stato operato da Camon!?, che intende l'espressione usata dallo scoliaste per esprimere il contenuto teopompeo in questi termini: «ostra-
cizzarono Iperbolo, il quale visse in esilio sei anni». Lo studioso poi considera falsa l'affermazione di Filocoro relativa alla durata quinquennale dell’ostracismo, in quanto contrasta con tutta la tradizione precedente. Ammette però che essa potrebbe essere stata fraintesa: forse Filocoro intendeva riferirsi alla reale durata dell’ostracismo di Iperbolo e voleva indicare che Iperbolo rimase in esilio cinque anni. A questo punto del ragionamento, tuttavia, Camon non rileva che quanto da lui stesso accennato potrebbe portare a conciliare i cinque anni di Filocoro con i sei indicati da Teopompo: sarebbe sufficiente, infatti, postulare che il primo fece ricorso ad un computo esclusivo, il secondo invece ad uno inclusivo. Lo studioso conclude infine queste considerazioni rilevando che la testimonianza di Teopompo colloca l'ostracismo di Iperbolo nella primavera del 417, data però che contrasta in modo inconciliabile con quanto attesta la fonte epigrafica IG I° 85 sopra esaminata e che vuole il demagogo ancora ad Atene nell’anno attico 418-17. In realtà la notizia contenuta nella testimonianza di Teopompo non sembra affatto escludere la possibilità che Iperbolo sia stato ostracizzato nel 417-16 e così appare ricomponibile il contrasto con l'epigrafe: infatti, sempre accettando l'interpretazione data da Camon al passo teopompeo secondo cui il numero sei si riferirebbe al numero di anni passati in esilio, si può risalire al 416 con un computo inclusivo, e non esclusivo, degli anni che vanno dall’attuazione della procedura di ostracismo alla morte a Samo nel 41118.
16 PunocH., FGrHist 328 F 30. Cf. Diop., XI 55, secondo cui l'ostracismo sarebbe sempre durato cinque anni. Si tengano presenti inoltre i casi di cittadini ostra-
cizzati che poterono rientrare in patria prima della scadenza dei termini: cf. ARrstoT., Ath. Rsp. 22, 8 (cf. S.M. Bunsrzm, The Recall of the Ostracizated and the Themistocles Decree, «CSCA», IV, 1971, pp. 95-111; B.M. LAvELLE, A Note on the First Three Victims of Ostracism (Αθηναίων Πολιτεία, 22, 4), «CPh», LXXXIII, 1988,
pp. 131-35) e THrop., FGrHist 115 F 88. 1 E, CAMON, L'ostracismo, cit., p. 154. 18 A.E. RAUBITSCHEK, Kimos Zurückberufung, « Historia», III (1954), pp. 379-
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Diversa interpretazione è stata tentata da Raubitschek19, il quale ha osservato che sei anni durò non il soggiorno di Iperbolo a Samo, ma il periodo in cui egli fu il προστάτης τοῦ δήμου, dalla morte di Cleone (estate 422) fino all’ostracismo, fissato dallo studioso al 415. Il
testo di Teopompo, incompleto e corrotto andrebbe così integrato: ἐξωστράκισαν τὸν Ὑπέρβολον 85 Em «δημαγωγήσαντα vel πρωτεύσαντα
vel προστάντα αὐτῶν», e alluderebbe quindi al periodo precedente all'ostracismo e non a quello successivo. Raubitschek trova poi completamento alla sua ipotesi in un altro frammento di Teopompo in cui si dice che Cleone fu capopopolo per sette anni?°, sicché i tredici anni successivi alla morte di Pericle videro l'avvicendarsi di due capipopolo che tennero il potere l'uno sette anni (429-28 - 422-21), l'altro sei (422-21 - 416-15). Come osserva tuttavia Connor?!, la ricostruzione
di Raubitschek si basa su due ipotesi difficilmente dimostrabili, ovvero: 1) che il racconto riportato dallo scoliaste lucianeo?2, secondo cui Cleone fu per sette anni προστάτης τοῦ δήμου, sia veramente da ricondursi a Teopompo; 2) che Teopompo abbia fatto uso del calcolo esclusivo degli anni, anziché del più comune calcolo inclusivo?3, Inoltre, la congettura proposta da Raubitschek risulta forzata e guidata, senza supporti nel testo se non la difficile comprensione, dall'esigenza di eliminare, con una nuova lettura del frammento di Teopompo, il principale ostacolo alla datazione dell'ostracismo nel 415, sostenuta dallo studioso, ma assolutamente inconciliabile con una notizia che attesti in sei anni la durata dell'esilio del demagogo ostracizzato. Raubitschek?^ infatti perviene a datare il provvedimento contro Iperbolo 80, riconosce che, in generale ed anche in Teopompo, il calcolo inclusivo degli anni è più comune di quello esclusivo. 1 A.E. RAUBITSCHEK, Theopompos on Hyperbolos, «Phoenix», IX (1955), pp. 122-26.
2 Tueop., FGrHist 115 F 92: Κλέων δημαγωγὸς ἦν ᾿Αθηναίων προστὰς αὐτῶν ἑπτὰ Em.
21 W.R.
Connor,
Theopompus
and Fifth-Century Athens,
Cambridge
Mass.
1968, pp. 61-64; cf. In., The new Politicians, cit., pp. 79-84. 2 ScHot. Luc., Tim. 30. 23 Sul calcolo inclusivo ed esclusivo cf. anche F. JacoBv, Atthis, Oxford 1949, p. 189; S. MAZZARINO, I/ pensiero storico classico, III, Bari 1966, pp. 412-60, spec. n.
555; G. Mappoti, Cronologia e Storia, Perugia 1973, p. 15. 2 A.E. RAUBITSCHEK, The Case against Alcibiades (Andocides IV), «TAPhA»,
118
IPERBOLO
nel 415 sulla base dello studio svolto sulla quarta orazione andocidea Contro Alcibiade, che egli, difendendo la tesi dell’autenticità, considera composta da Andocide e pronunciata da Feace proprio in occasione del complesso e acceso momento politico che precedette la votazione d'ostracismo volta infine a cacciare Iperbolo25. Se dunque, conclude Raubitschek, la situazione storica descritta nell'orazione è
quella che vide la sconfitta di Iperbolo, l'ostracismo non può che collocarsi nel 415, in quanto nella Contro Alcibiade è contenuta un'esplicita menzione della presa di Melo?6, che determina dunque un preciso termine post quem?!.
A questa tesi di Raubitschek, Hignett?8 ha mosso giustificate obiezioni. Anzitutto, nel discorso dello Pseudo-Andocide non è mai nominato Iperbolo: le sole persone minacciate dall'ostracismo sono Alcibiade, Nicia e l'«oratore» (Feace). Inoltre, dal momento che l'ostracismo verrebbe a collocarsi nei momenti immediatamente precedenti alla spedizione in Sicilia, appare strano che Tucidide, il quale dà un ampio resoconto dei dibattiti precedenti alla partenza della XXIX (1948), pp. 207-10; Ip., Ostracism, in Actes du deuxième Congrés International d’Epigraphie grecque et latine, Paris 1952, pp. 59-74. 25 Contra A.R. Burn, A Biographical Source on Phaiax and Alkibiades ([Andokides] IV and Plutarch’s Alkibiades), «CQ», IV (1954), pp. 138-42, che riconosce nell’orazione pseudo-andocidea una composizione di scuola ispirata da Teofrasto; S. FERABOLI, Lingua e stile dell'orazione «Contro Alcibiade» attribuita ad Andocide, «SIFC», XLIV (1972), pp. 5-37, che sulla base di un'analisi formale del testo nega la paternità andocidea. 26 [Anpoc.], C. A&. [IV] 22-23. 7 Cf. W.D. FunLEv, Andokides «Hermes»,
CXVII
(1989), pp.
IV (‘Against Alkibiades'):
Fact or Fiction?,
138-56 e soprattutto [Anpocme],
Contro Alcibiade,
Introduzione, testo critico, traduzione e commento a c. di P. CoseTTo GHIGGIA, Pisa 1995 (con prefazione e note critiche di S. CATALDI), che si qualifica come lo studio
più esaustivo sulla IV orazione del corpus andocideo, affiancato ora dal recentissimo Pseudo-Andocide, Contro Alcibiade. Introduzione, traduzione e commento storico a cura di F. Gazzano, Genova 1999. Su Feace recentemente G. VANOTTI, La carriera
politica di Feace, in Hesperìa 5. Studi sulla Grecità in Occidente, a c. di L. Braccesi, Roma 1995, pp. 121-43; L. Pıccmuus, Feace di Acarne riesaminato, «Kokalos», XLI (1995), pp. 3-22. 28 C. HIGNETT, op. cit., pp. 395-96. Conseguentemente alle considerazioni ora
esposte, lo studioso aggiunge che la questione siciliana non deve aver avuto un ruolo significativo nel muovere ed esasperare il conflitto politico che ha portato all'ostracismo.
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119
flotta per l'Occidente, non abbia fatto alcuna menzione all'episodio che vide Iperbolo ostracizzato. A queste critiche Raubitschek?? ha risposto ribattendo che il discorso Contro Alcibiade si riferisce al tempo che precedette l'accordo fra Alcibiade, Nicia e Feace, attestato, come si vedrà, da Plutarco: in quel momento Iperbolo non correva alcun pericolo di essere ostracizzato e per questi motivi non & menzionato nell'orazione??, Quanto a Tucidide, lo storico, secondo lo studioso, avrebbe omesso volontariamente il ricordo dell'ostracismo, che gli appariva un fatto di cronaca e non di storia. Tuttavia, nonostante la coerente ricostruzione storica proposta
da Raubitschek, la datazione dell'ostracismo così a ridosso della spedizione in Sicilia rimane non convincente: resta infatti preferibile la sua collocazione nella primavera del 416?!, soprattutto in quanto permette di conservare la testimonianza di Teopompo nella forma tràdita e senza integrazioni di alcun tipo. Per fare un passo oltre rispetto alla ricostruzione proposta da Camon, & possibile aggiungere che la datazione 417-16 permette di conciliare le testimonianze di Teopompo e di Filocoro, facendo coincidere nell'intervallo 417-16 - 412-11 il periodo di sei anni indicati dal primo (calcolo inclusivo) e quello di cin-
que anni del secondo (calcolo esclusivo). Questa coincidenza di date mantiene già di per sé tutta la sua credibilità se si pensa che con questi termini gli storici abbiano voluto semplicemente indicare la durata dell'ostracismo di Iperbolo dall'attuazione della procedura (417-16) all'assassinio del demagogo (412-11): essa tuttavia acquista una suggestione tutta particolare se si prova a dare pieno credito alla testimo-
nianza di Filocoro, almeno in parte confortata, come già indicato, da Diodoro, ritenendo che la durata dell'esilio dell'ostracizzato sia stata
ridotta istituzionalmente a cinque anni. Giusta questa seconda tesi, l'assassinio di Iperbolo sarebbe avvenuto alla scadenza del riodo da trascorrere lontano da Atene e conseguentemente non rebbe difficile individuare nella volontà di impedire il rientro del
ipopesade-
29 A.E. RAUBITSCHEK, Philinos, «Hesperia», XXIII (1954), p. 68. 30 Convincentemente P. CoBETTO (op. cit., p. 65 e nn. 224 e 226, p. 179 n. 66)
individua tuttavia un possibile riferimento ad Iperbolo nel πολίτης «πονηρός» (con il limite interpretativo dovuto all'integrazione congetturata), citato a mo’ d'esempio dallo Pseudo-Andocide (C. Alc. 5) al fine di criticare l'istituzione dell'ostracismo ne-
gandone ogni utilità. 31 Cf. A.G. WooDHEAD., art. cit., pp. 78-83; P. COBETTO, op. cit., p. 63.
120
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magogo (quando a voler rientrare era anche Alcibiade) la principale causa dell’omicidio stesso.
3. Plutarco.
Le maggiori informazioni relative alle circostanze e ai modi in cui si attuò la procedura di ostracismo contro Iperbolo sono note da Plutarco, che in tre diversi passi tratta dell’episodio, dando però del medesimo avvenimento un'esposizione che aggiunge particolari ogni volta diversi e talvolta contraddittori, che tuttavia riflettono la violenta disputa politica in corso ad Atene qualche tempo prima della
spedizione in Sicilia?2. Plutarco affronta il problema dell'ostracismo di Iperbolo anzitutto nella biografia dedicata ad Aristide??. In quest'opera il biografo, dopo aver presentato come la procedura dell’ostracismo fosse nata per allontanare il cittadino che, in virtù della sua eccessiva importanza e autorità, si fosse reso troppo pericoloso per la vita democratica di Atene, spiega dapprima che tale provvedimento degenerò a tal punto che cominciarono a essere sottoposti ad ostracismo anche uomini
?? Cf. R. VATTUONE, Gli accordi fra Atene e Segesta alla vigilia della spedizione in Sicilia del 415 a.C., «RSA», IV (1974), pp. 23-53. Cf. J. Smart, Atbens and Egesta, «HS», XCII (1972), pp. 128-46; P. ANELLO, Segesta e Atene, in Atti delle Gior-
nate internazionali di Studi sull’Area Elima, 1, Pisa-Gibellina 1992, pp. 63-98; F. RavioLA, Tucidide e Segesta, in Hesperia 5. Studi sulla Grecità in Occidente, a c. di L. Braccesi, Roma 1995, pp. 75-119; S. CATALDI, I proponenti del trattato tra Atene e
Segesta, cit., pp. 1-31; In., Note prosopografiche, cit., pp. 57-75; In., I rapporti politici di Segesta e Alicie, cit., pp. 303-56. Irrinunciabile rimane poi il confronto con J. CARCOPINO, op. cit., pp. 191-251; F. Camon, L'ostracismo, cit., pp. 143-51; C. Fuqua, Possible Implication of tbe Ostracism of Hyperbolus, « TAPhA», XCVI (1965), pp. 165-79, che articolando il quadro storico sostiene anch'egli la datazione 416 per l'ostracismo. Recentemente infine cf. PJ. Rnones, The Ostracism of Hyperbolus, in Ritual, Finance, Politics, cit., pp. 85-98 (anche in relazione alla Contro Alcibiade pseudoandocidea); P. SIEwERT, Il ruolo di Alcibiade nell’ostracismo di Iperbolo, in Aspira-
zione al consenso e azione politica: il caso di Alcibiade, Seminario interdisciplinare di Storia e Epigrafia greca, Chieti 12-13 marzo Alessandria 1999, pp. 19-27.
” Prur., Arist. 7, 2-4.
1997, a cura di E. LuPPINo-MANES,
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,
121
ἀγεννεῖς e πονηροί 4 come Iperbolo, che fu l'ultimo ostracizzato e segnò la fine del meccanismo di espulsione creato da Clistene. Plutarco aggiunge poi un importante particolare: Iperbolo fu ostracizzato in se-
guito ad un accordo tra Alcibiade e Nicia, i due antagonisti della politica ateniese contro cui originariamente era indirizzato l'ostracismo. In seguito all'esito della votazione, il popolo, avendo vista derisa e svilita l'istituzione clistenica?, rinunciò definitivamente ad essa e l’abolì 36. 3 Il plurale usato da Plutarco può suggerire che Iperbolo non sia stato l'unico cittadino πονηρός ad essere sottoposto a votazione d’ostracismo (come d'altra parte,
secondo quanto si vedrà poco appresso, confermano i cocci ritrovati che includono, ad esempio, anche Cleofonte): tuttavia fu senz'altro l’unico ad essere effettivamente ostracizzato. L'inizio di tale degenerazione dell’istituzione dell’ostracismo può individuarsi con una certa precisione nei versi di Aristofane già considerati (Eg. 847-57), là dove si prospetta la possibilità di minacciare d’ostracismo («il gioco dei cocci») Cleone stesso, ma allo stesso tempo si riconosce la forza del demagogo, che potrebbe reagire contro tale istituzione anche con la violenza e l’usurpazione. Già dai tempi di Cleone dunque l'istituzione clistenica appare in evoluzione, insieme a tutto l'apparato democratico, ma di questo fatto la tradizione antica & apparsa non accorgersi finendo così per stupirsi, insieme al δῆμος ateniese, dell'ostracismo del προστάτης.
Questo
provvedimento è stato così valutato in stretti termini moralistici, estranei alla procedura d’espulsione, senza che si sia saputo cogliere la più volte sottolineata natura politica dei termini tucididei e della Commedia antica. 35 Un'analisi del discredito provocato ai danni dell’istituzione democratica dalla condanna di Iperbolo è compiuta da G.A. LEHMANN, Überlegungen zur Krise der attischen Demokratie im Peloponnesischen Krieg: vom Ostrakismos des Hyperbolos zum Thargelion 411 v. Chr., «ZPE», LXIX (1987), pp. 33-73, spec. 41-52. 9 [n realtà, in seguito all'ostracismo di Iperbolo, non pare che si sia verificata,
con un atto formale, una vera e propria abolizione di tale istituzione. Non sembra inoltre opportuno pensare che il motivo che portò al suo abbandono sia semplicemente ed unicamente da individuarsi nella πονηρία dell'ultimo ostracizzato, la quale
avrebbe svilito il valore del provvedimento. Questa spiegazione rientra infatti nella tradizione ostile ad Iperbolo, che condiziona ogni riferimento al demagogo. W.R. Connor-].J. KeANEY (Theophrastus on tbe End of Ostracism, « AJPh», XC, 1969, pp. 313-19, spec. 318-19) hanno proposto una spiegazione che si fonda su contenuti specificamente politici, sostenendo, sul confronto con ScHoL. ARISTOPH., Eg. 855, che l'ostracismo era uno strumento adatto alla democrazia, sicché il suo declino coincise
con quello della democrazia. Gli studiosi notano che Alcibiade e Iperbolo l'istituzione doveva apparire in più di venti anni non si concretizzava un ostracismo. guente fallimento della democrazia ne decretarono di
probabilmente già ai tempi di decadenza, visto che ormai da Il disastro in Sicilia e il consefatto la fine, anche se formal-
mente l'istituzione rimase, come attesta ARISTOT., Ath. Rsp. 45, 5. Sempre secondo
122
IPERBOLO
Analoghe notizie sono ripetute da Plutarco nella Vita di Nicia, con l'aggiunta però di altre importanti informazioni. In particolare il biografo si sofferma a descrivere in questi termini la figura di Iperbolo: ὥς που καὶ τότε διαστὰς ὁ δῆμος δίχα χώραν ἔδωχε τοῖς ἱταμωτάτοις καὶ πανουργο-
τάτοις, ὧν ἦν καὶ Ὑπέρβολος ὁ Περιθοίδης, ἄνθρωπος ἀπ᾽ οὐδεμιᾶς τολμῶν δυνάμεως, ἀλλ᾽ ἀπὸ τοῦ τολμᾶν εἰς δύναμιν προελθὼν καὶ γενόμενος, 5v ἣν εἶχεν ἐν τῇ πόλει δόξαν, ἀδοξία τῆς πόλεως. Οὗτος ἐν τῷ τότε χρόνῳ τοῦ μὲν ὁστράχου πόρρω τιθέμενος ἑαυτόν, ἅτε δὴ τῷ χύφωνι μᾶλλον προσήχων, ἐλπίζων δὲ θατέρου τῶν ἀνδρῶν ἐχκπεσόντος αὐτὸς ἀντίπαλος τῷ λειπομένῳ γενέσθαι, καταφανὴς ἦν ἡδόμενός τε τῇ διαφορᾷ καὶ παροξύνων τὸν δῆμον ἐπ᾽
ἀμφοτέρους7,
Questo passo assume un rilievo particolare nella nostra ricostruzione della figura e del ruolo di Iperbolo: esso infatti, pur in linea con il giudizio negativo espresso da tutta la tradizione delle fonti antiche, riconosce la giusta rilevanza politica assunta dal προστάτης τοῦ δήμου. Ammette così che Iperbolo ἀδύνατος raggiunse la δύναμις ed ebbe δόξα nella città, pur diventando allo stesso tempo ἀδοξία τῆς πόλεως. L'importanza del ruolo di Iperbolo è anche implicita nella notizia che fu lo
stesso προστάτης a proporre di attuare la procedura d’ostracismo, inConnor e Keaney, altro importante motivo dell'abbandono di tale procedura dovette essere la diminuzione del numero dei cittadini presenti in Atene, che rese difficile il raggiungimento del quorum: di seimila votanti, necessario perché l'ostracismo potesse attuarsi (cf. PLUT., Arist. 7, 6 e PrirocH., FGrHist 328 F 30): sulla questione se i
seimila voti siano il quorum: necessario perché la votazione fosse valida o se invece siano la maggioranza da ottenere affinché il candidato venga ostracizzato, cf. F. JAcopy, FGrHist, III, b, I, pp. 316-17; A.E. RauBIrscHEK, Philochoros Frag. 30 (Jacoby), «Hermes», LXXXIII, 1955, pp. 119-20; R. THOMSEN, op. cit., pp. 66-67, n. 23; G.A. LEHMANN, Der Ostrakismos-Entscheid in Atben: von Kleistbenes zur Ara des
Themistocles, «ZPE», XLI (1981), pp. 85-99, spec. pp. 95-97 (che riprende la tesi già sostenuta da J. CArcopıno, L'ostracisme, cit., p. 237); H.B. MarrINGLY, The Practice of Ostracism at Athens, « Antichton», XXV (1991), pp. 1-26; L. PiccirIti, Plutarco.
Le Vite di Nicia e Crasso, cit., pp. 267-68. ” Prur., Nic. 11, 3-4. Trad.: «E in questo modo, anche allora, il popolo, diviso in due fazioni, diede spazio ai più violenti e sfrontati: tra di essi c'era Iperbolo
del demo di Peritede, un uomo che non si sentiva audace perché deteneva qualche potere, ma arrivato al potere per la propria audacia e divenuto, proprio per il credito di cui godeva in città, discredito per la città stessa. Costui, poiché si riteneva in quel momento al sicuro dall'ostracismo, visto che era piuttosto adatto alla gogna, nella speranza di diventare, una volta che uno dei due [Alcibiade o Nicia] fosse stato ostracizzato, l'antagonista di chi rimaneva, era evidentemente contento della disputa e aiz-
zava il popolo contro entrambi».
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citando il popolo contro Nicia e Alcibiade?8: egli infatti, forte della propria posizione di prestigio e di guida all'interno dell’&xxAncia, si sentiva al sicuro da tale provvedimento e pensava di trarre vantaggio dalla cacciata di uno dei due rivali, che si dividevano i maggiori consensi presso l'opinione pubblica??. Quello che piü interessa a questo punto del nostro ragionamento ἃ tuttavia evidenziare che il ruolo di προστάτης svolto da Iperbolo era effettivo, pieno, capace davvero di guidare le decisioni dell'assemblea in ogni circostanza e soprattutto nei momenti più importanti del calendario assembleare, appuntamenti politici tra i quali la votazione preliminare d'ostracismo alla sesta pritania doveva avere un significato primario. Confermando quanto scritto nella Vita di Aristide, subito appresso Plutarco aggiunge che Nicia e Alcibiade, accortisi delle intenzioni di Iperbolo, si accordarono, unirono le proprie fazioni, στάσεις, e ottennero facilmente che ad essere ostracizzato fosse Iperbolo. Infine, dopo aver asserito che a partire dall'ostracismo di Iperbolo l'istituzione cli38 Da AristoT., Ath. Rsp. 43 conosciamo la prassi che portava all'attuazione
della procedura di ostracismo: nell’assemblea della sesta pritania si metteva ai voti se per quell’anno si dovesse ricorrere all'ostracismo oppure non si ritenesse necessario avviare la procedura (Cf. PJ. Rnones, Commentary, cit., pp. 526-27). Essendo com-
pito dell’exsAncia pronunciarsi su questo importante aspetto della vita democratica ateniese, è facile pensare che il προστάτης avesse un ruolo importante nel proporre l'ostracismo e nel sollecitare, se non condizionare, il risultato della votazione, che per-
metteva o negava l'avvio della procedura d'ostracismo. Contestualmente si ricordi tuttavia che, secondo quanto esposto da Carcopino (op. cit., pp. 37-110, spec. 58, 62) sulla base dell'esame delle fonti più importanti sull'ostracismo, Aristotele e Filocoro, non vi è alcun elemento che possa far pensare che, durante l’emyzipotovia e ancor di
più nell’dotpaxopopia vera e propria, si tenessero discorsi nell'assemblea da parte degli ostracizzabili, che avrebbero portato così all'implicita composizione di una lista di candidati. È però probabile che la seduta preliminare non fosse soltanto una votazione asettica, senza la vivacità dialettica essenziale alla vita democratica ateniese. Si può invece coerentemente pensare che proprio il προστάτης potesse avere un ruolo nell’invitare il popolo ad attuare la procedura, motivando tale proposta con l’indicazione conseguente del pericolo che minacciava la democrazia e che giustificava il ricorso all'ostracismo: se così non fosse, bisognerebbe negare un qual-
siasi ruolo al προστάτης in una delle sedute assembleari più importanti dell’anno civile ateniese. ? Cf. Prur., Nic. 11, 3: «c'era un forte contrasto, in seguito al quale si opponevano i giovani e quelli che volevano la guerra contro i fautori della pace e gli anziani: gli uni avrebbero votato per questo [Alcibiade], gli altri per quello [Nicia]».
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stenica risultò così svilita da essere abbandonata, il biografo conclude il capitolo con la seguente considerazione: Οὐκ ἀγνοῶ δ' ὅτι Θεόφραστος (fr. 139 W.) ἐξοστραχισθῆναί φησι τὸν Ὑπέρβολον Φαίακος, οὐ Νικίου, πρὸς ᾿Αλκιβιάδην ἐρίσαντος, ἀλλ᾽ οἱ πλείονες οὕτω γεγράφασιν 40.
Feace è chiamato in causa anche nella Vita di Alcibiade, in cui
Plutarco testimonia chiaramente che la lotta politica non era solamente tra Nicia e Alcibiade, ma aveva come protagonista anche Feace
quale ostinato avversario di Alcibiade. A proposito dell'ostracismo si attesta così l’esistenza di due tradizioni diverse: l’una che voleva che l'accordo per ostracizzare Iperbolo fosse avvenuto tra Alcibiade, che riunì le diverse στάσεις, e Nicia; l'altra invece che sosteneva un'intesa tra Alcibiade e Feace, i quali avrebbero unito le loro ἑταιρίαι2, * Prur., Nic. 11, 10. Trad.: «Non ignoro che Teofrasto sostiene che Iperbolo fu
ostracizzato quando Feace, e non Nicia, era in lotta con Alcibiade, ma la maggior parte degli storici hanno narrato i fatti così, come li ho esposti». La veridicità della testimonianza di Teofrasto è stata negata da G. GILBERT (op. cit., pp. 231-33), che rifiuta a Feace un ruolo nella vicenda: contra, fin dal secolo scorso, H. ZURBORG, art. cit., pp. 141-44.
*! Prur., Aic. 13: anche in questo passo non manca il giudizio su Iperbolo, beffeggiato dai poeti comici, sfrontato ed impudente, sempre pronto ad umiliare e calunniare i cittadini onesti e in vista. 42 Negli ἔνιοι, a cui Plutarco (Alc. 13, 4) attribuisce questa seconda versione dei
fatti, ἃ probabilmente da individuarsi Teofrasto, già citato dallo stesso autore e in rife-
rimento ai medesimi avvenimenti in Nic. 11, 10 (Cf. W.R. Connor-].]. KEANEY, art. cit., pp. 313-19). Plutarco mostra di preferire il resoconto che individua in Alcibiade e Nicia i veri protagonisti dello scontro politico in un primo tempo, e dell'accordo contro Iperbolo in un secondo momento. Il biografo giunge a questa conclusione probabilmente anche sulla base di Tucidide, sicura fonte di Plutarco che lo cita espressamente in Ale. 6, 3 e 13, 4: infatti nell'opera tucididea a Feace è riservato un ruolo secondario, essendo ricordato unicamente in THuc., V 4-5, in riferimento alla sua missione in Sicilia alla ricerca di alleanze contro Siracusa. Cf. H. Zursorc, Der Lezte Ostrakismos, «Hermes», XII (1877), pp. 198-206, secondo cui la tradizione plutarchea circa Nicia e
Alcibiade potrebbe derivare dall'excursus sui demagoghi di Teopompo. Nella Vita di Alcibiade Plutarco tuttavia sembra riconoscere la difficoltà di individuare con esattezza i contendenti: δῆλον ἦν ὅτι ἑνὶ τῶν τριῶν (Alcibiade, Nicia e Feace) τὸ ὄστραχον ἐποίσουσι (Al. 15, 7). Il biografo lascia riconoscere che ogni combinazione circa i tre
nomi di Alcibiade, Nicia e Feace appartenne fin dall'antichità al solo campo delle ipotesi che, senza notizie precise, potevano essere formulate per spiegare il controsenso dell’ostracismo del demagogo al posto dei veri candidati all'ostracismo, ovvero dei personaggi più in vista del momento, individuati nelle tre personalità già ricordate. In questo esercizio, non solo storiografico, ma anche retorico ed erudito, viene ad inserirsi
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125
Nonostante le informazioni contenute nei passi ora esaminati possano sembrare almeno apparentemente contraddittorie, è necessario tuttavia indagare la possibilità di individuare e definire almeno a tratti un quadro storico coerente nel quale si possano inserire a fon-
damento le testimonianze di Plutarco e delle altre fonti antiche.
4. L’öotpaxopopia e le trame politiche ad essa sottese.
Un importante contributo, utile a chiarire questo preciso momento storico, va ricercato nello studio degli ostraka, i cocci su cui, nella votazione, venivano indicati i nomi dei candidati che si volevano
ostracizzare e che sono stati ritrovati in gran numero negli scavi archeologici all'Agorà e al Ceramico. In base agli studi più recenti‘, possono essere ricondotti alanche l’orazione Contro Alcibiade pseudoandocidea di sicura matrice retorica di quarto secolo (cf. P. Coserro CHIGGIA, op. cit., pp. 69-121). Essa infatti attesta il coinvolgimento di Alcibiade, Nicia e Feace nell’evento politico e, tacendo di Iperbolo, cerca di riprodurre la fase precedente all'accordo politico che finì per ostracizzare il demagogo, ponendo in evidenza due temi certamente cari all’erudizione dei secoli successivi agli avvenimenti ora descritti: 1) la riflessione sull’ostracismo, sulla sua utilità e sulla sua
decadenza e fine; 2) il giudizio su Alcibiade ben presente nell’oratoria attica a partire dall'inizio del quarto secolo (cf. E. Branco, L'attualità di Alcibiade nel dibattito politico ateniese all'inizio del IV secolo a.C., «RSA», XXIV, 1994, pp. 7-23; Ean., Atene «come il sole», Alessandria 1994, pp. 5-16, 118). Non concordo invece con l’amico Co-
betto (op. cit., p. 64), quando propone, in un quadro attentamente ricostruito e legittimamente motivato, che detta orazione si possa riferire come ambientazione storica ad una procedura d’ostracismo svoltasi nel 415, ovvero nell’anno successivo a quella di Iperbolo del 416: non sembra infatti, anche solo per criteri di economicità nella coerenza storica, che vi siano sufficienti motivi per postulare la scansione dei fatti in due diverse procedure d’ostracismo. Si può preferire l'integrazione dei contenuti della Costro Alcibiade nel quadro storico plutarcheo (senza ovviamente sostenere ancora l'identificazione di questa orazione con quella citata da PLUT., Alc. 13, 1-3, in un testo inficiato da troppi interrogativi filologici), attribuendone le imprecisioni e le confusioni cronologiche (compreso il riferimento ai fatti di Melo del 416-15) alla non autenticità andocidea e alla difficoltà, riconosciuta dallo stesso Plutarco, di metter luce nelle
oscure andare ricerca mentd?
vicende dell'ostracismo del 416, ferma l'impossibilità, già nel quarto secolo, di oltre le congetture che rappresentavano tuttavia parte del fascino erudito della su questi avvenimenti incerti per datazione e soprattutto modalità di svolgiA. RooBAERT, L'apport des ostraka à l'étude de l'ostracisme d'Hyperbolos,
126
IPERBOLO
l'ostracismo di Iperbolo, o ad ostracismi, per altro non noti, vicini negli anni, trenta ostraka, che riportano i seguenti nomi*: Alcibiade (5, Agorà), Charias Paianieus 4 (1, Agorà), Myrrhinikos* (1, Agorà), Cleofonte 4? (8, Agorà), Feace (4, Agorà; 1, Ceramico), Hippokles Menippou* (2,
«AC», XXXVI
(1967), pp. 524-35; E. VANDERPOOL, Ostracism at Athens, Cincinnati
1970, pp. 3-36; R. THOMSEN, op. cit., pp. 70-83, 94-101; D.J. PHius, Observations on some Ostraka from tbe Atbenian Agora, «ZPE», LXXXIII (1990), pp. 123-48; M.L.
Lang,
op.
cit, passim;
H.B.
MarrINGLY,
The
Pratice,
cit., pp.
25-25;
P.
SIEWERT, art. cit., pp. 20-22. * E indicato tra parentesi per ciascun nome il numero dei cocci individuati e il loro luogo di ritrovamento. Per la bibliografia specifica riguardo a ciascun caso vd. D J. PHILIPS, art. cit., pp. 127-129 e M.L. LANG, op. cit., s.v. 4 Cf. I. KIRCHNER, PA 15324.
46 Non è stato sinora possibile proporre alcuna identificazione; il coccio è stato datato in questo momento storico su basi epigrafiche e paleografiche: cf. D.J. PrurLIPS, art. cit., p. 128, n. 27.
4 Cf. E. VANDERPOOL,
Kleophon,
«Hesperia»,
XXI
(1952), pp.
114-15.
La
storiografia moderna ha dato grande rilievo ai cocci riportanti il nome di Cleofonte.
Essi,
tra l’altro, attestano il suo patronimico,
che altrimenti non
sarebbe
noto. È stato possibile così conoscere che il padre di Cleofonte fu Kleippides, stratego nel 428 (cf. Tuuc., III 3, 2) e candidato anch'esso all'ostracismo (cf. F. WILLEMSEN, Ostraka, «MDAI(A)», LXXX, 1965, pp. 100-26, spec. pp. 121-22; R. THOMSEN, op. cit., p. 76 n. 115): questo ha permesso anche di riconoscere un suo possibile fratello in Philinos Kleippidou, il cui nome compare anch'esso su di un coccio. Sulla base sempre di questi cocci si & pensato di poter individuare, già nel periodo dell'ostracismo di Iperbolo, un importante ruolo di Cleofonte a fianco di Iperbolo (contra cf. ARISTOPH., Thesm. 805; Arıstor., Ath. Rsp. 28, 3; Driop., XIII 53, 2, dai quali risulta invece evidente che Cleofonte non avrebbe cominciato la sua carriera politica se non dopo la fallita spedizione in Sicilia e in ogni caso non si sarebbe imposto prima del 410): i legami familiari prima evidenziati possono in realtà far pensare ad una persecuzione sistematica contro la famiglia del futuro demagogo (cf. F. CAMoN, L'ostracismo, cit., pp. 149-51; A. ROOBAERT, art. cit., pp.
532-34, che avanza l'ipotesi che il coinvolgimento di Cleofonte nell'ostracismo che condannò Iperbolo possa essere dovuto non al rilievo politico già assunto dal futuro προστάτης, ma ai rancori personali contro la sua famiglia. R. Hanns, Ostraka and the Law of Ostracism. Some Possibilities and Assumptions, «JHS», LXXIX (1959), pp. 69-79, spec. pp. 73-74, ha pensato che gli ostraka di Cleofonte si possano riferire ad una procedura d’ostracismo precedente o successiva a quella che allontanò Iperbolo, della quale non sarebbe rimasta notizia perché invalidata dal mancato raggiungimento del quorum. 48. Stratego nel 413-12 (THuc., VIII 13): cf. I. KircHNER, PA 7620.
YIIEPBOAOZ
NZTPAKIEMENOT
127
Agorà; 1, Ceramico), Iperbolo4° (3, Agorà), Krates Athmoneus?? (1, Agorà), Nicia?! (1, Agorà), Phileriphos?? (1, Ceramico), Philinos Kleippidou? (1, Agorà).
Da questi dati l'insieme delle persone coinvolte nella procedura d'ostracismo appare estremamente composito. Probabilmente i rancori personali, e non soltanto le ostilità politiche, svolsero un ruolo importante nel determinare la presenza sui cocci di alcuni dei nomi sopra riportati e forse di molti altri ancora, non piü attestabili con i reperti epigrafici. Certamente poi non è possibile trarre considerazioni dal numero dei cocci ritrovati per ciascun nome, visto che la casualità dei ritrovamenti e la scarsità del loro numero complessivo, in confronto al quorum di seimila cocci necessari alla validità della procedura, negano al campione pervenutoci ogni possibilità di rappresentare l'andamento della votazione d'ostracismo del 416, ferma restando inoltre l'impossibilità di ricondurre con sicurezza tali cocci all'evento che cacciò Iperbolo e non ad un altro di poco precedente, o forse anche seguente, che si concluse con un nulla di fatto per il mancato raggiungimento del quorum o che comunque nessuna fonte a noi nota ritenne degno di ricordare (è notevole infatti che non sia stato testimoniato dalle fonti antiche nessun caso di votazione d’ostracismo annullata per aver mancato la quota seimila: questo può lasciar pensare che un tale evento non sia veramente mai accaduto, e questo ci farebbe dubitare 4 Si è già osservata l'importanza dei cocci recantiil nome di Iperbolo nell’attestare e confermare l’esatto patronimico e demotico del demagogo. Da essi tuttavia è stata tratta un’altra importante considerazione: la cura con cui soprattutto due di
questi cocci sono stati scritti cocci contro Iperbolo fossero votazione, propagandando in προστάτης, secondo una prassi
ha fatto pensare a T.L. SHEAR, art. cit., p. 246, che i già stati preparati in anticipo e poi distribuiti in sede di questo modo presso il popolo la condanna del proprio che è stato dimostrato essere comune, come suggerisce
il ritrovamento di un gran numero di ostraka di Temistocle riconducibili a sole quattro mani diverse (cf. E. VANDERPOOL, op. cit., p. 11; D.J. PHiLIPs, art. cit., pp. 13340). Questa ipotesi ben si inserisce nel contesto, descritto da Plutarco, del complotto
delle eterie alleatesi contro Iperbolo e che certo potrebbero aver preparato questa ampia campagna di ostilità al demagogo nel periodo che intercorse tra la προχειροτονία
favorevole allo svolgimento della procedura d'ostracismo e l'attuazione vera e propria della votazione finale che cacciò Iperbolo. 5 Cf. D.J. PuiLLiPs, art. cit., pp. 129-33.
31 Cf. ibid., pp. 126-28.
3 Cf. W. Peek, Kerameikos, III, Berlin 1941, pp. 78-81. 5 Fratello di Cleofonte, cf. I. KircHNER, PA 14300.
128
IPERBOLO
sul valore di quel guorum, oppure che non sia stata affatto una circostanza rara, ma anzi comune, e quindi priva dell'eccezionalità che le avrebbe fatto meritare la menzione nella tradizione storiografica o antiquaria).
In ogni caso deve essere valorizzata in questa sede soprattutto la presenza di cocci attestanti i nomi di Iperbolo, Alcibiade, Nicia e Feace, testimonianze epigrafiche che permettono di individuare una conferma del racconto plutarcheo nella versione che estende anche a Feace un ruolo nella lotta politica anteriore all'ostracismo, ovvero in uno scontro complesso, che puó essere ricostruito nei termini che andremo a proporre. L'ostracismo di Iperbolo va infatti collocato in un clima di forte inquietudine sociale e politica oltre che di grande instabilità susseguente alla sconfitta di Mantinea (agosto 418)54 e che si protrasse, almeno fino alla sfortunata spedizione in Sicilia, in una continua dialettica e in un ostinato scontro tra i leaders delle diverse fazioni che si opponevano nella lotta e nell'intenso confronto politico. In questa situazione non si ha difficoltà a ritenere sicura la netta opposizione tra Nicia e Alcibiade, sostenuti dalle rispettive eterie??, quale è attestata dai passi di Plutarco da cui necessariamente deve partire la nostra ricostruzione storica. Non è possibile inoltre ricostruire e restituire con pienezza in questa sede il ruolo che certamente ebbe Feace nella vicenda e che comunque non può essere ridotto a quello di «uomo di paglia» di Nicia56: si può però asserire con evidenza che, per la missione in Sicilia del 422 e per i legami personali e familiari con l'isola
dell'Occidente??, Feace costituiva un referente obbligato per la conduzione di una politica di intervento in Sicilia, verso la quale tuttavia, fallito il proprio tentativo diplomatico, Feace stesso doveva mante* Tuuc., V 74. » Cf. G. M. CALHOUN, Athenian Clubs in Politics and Litigation, Austin 1913,
p. 139; F. SARTORI, Le eterie, cit., pp. 79-98. Sul ruolo dell'eterie nell'ostracismo importante è anche la testimonianza della citata orazione Contro Alcibiade (4). Sulle eterie nell'anno successivo all'ostracismo cf. ora J.F. McGrEw, Politics on the Margins: the Atbenian Hetairiai in 415 B.C., «Historia», XLVIII (1999), pp. 1-22.
56 Così J. CaRcOPINO, op. cit., p. 227; J. HATZFELD, op. cit., p. 114 n. 5; in modo più cauto F. Camon, L'ostracismo, cit., pp. 144-49. 5 Cf. I. Kirchner, PA, I, pp. 334-35; J.K. Davies, APF, pp. 521 sg.; J.D.
SMART, art. cit., p. 142 n. 7; P. CoBETTO, op. cit., pp. 41-44.
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129
nere un atteggiamento di notevole prudenza e, probabilmente, anche di opposizione. Appare dunque legittimo supporre che l’importanza di Feace nella controversia politica tra Alcibiade, Nicia ed Iperbolo si specificasse sul piano delle relazioni personali con la Sicilia?8, allora prepotentemente rientrata nel dibattito politico??. Proprio su queste stesse prospettive d’impegno in Occidente Alcibiade potrebbe invece essersi trovato in posizioni vicine a quelle di Iperbolo: anzi l’ostracismo del demagogo potrebbe aver rappresentato successivamente l'occasione per far proprio il demagogico disegno occidentale, che, come si è già esposto, Iperbolo aveva proposto nel 424, probabilmente nello scontro politico per la strategia, e che, passati gli anni del successo del partito della pace, tornava ad essere attuale$9. Date queste premesse, si possono ora ripercorrere i momenti che
portarono all'ostracismo. Anzitutto ἃ certo che fu Iperbolo a proporlo, tra la sesta e l'ottava pritania del 417-16. Segui l'accordo tra Alcibiade e Nicia che portò alla momentanea ricomposizione, in un'unica strate-
gica alleanza contro Iperbolo, delle opposizioni guidate dai due principali protagonisti della dialettica politica e interne non tanto al popolo ma piuttosto alla classe dirigente εὐγενής, minacciata dalla demagogia inaugurata da Cleone. Proprio in questa prospettiva si unirono le varie eterie, in particolare quella δημοτική di Alcibiade con quelle democratico-moderate e oligarchico-moderate, rispettivamente di Nicia e Feace, le quali dovevano trovarsi vicine per orientamento poli-
tico, anche e soprattutto in relazione alle prudenti ambizioni occidentali che esse opponevano ai facili entusiasmi dei progetti demagogici della grande spedizione militare. In questa complessa operazione politica, volta a creare un fronte compatto capace di far ostracizzare Iperbolo, un ruolo determinante ebbe certamente Alcibiade, che, come leggiamo in Plutarco, prese direttamente e in prima persona l’iniziativa: 58. [Anpoc.], C. Alc. [IV], 41 potrebbe attestare che Feace fece diversi viaggi in
Sicilia prima del 415. >” Cf. R. VATTUONE, art. cit., pp. 23-53. Il confronto sull'opportunità di un intervento in Sicilia dovette poi certamente divenire centrale con la prolungata presenza ad Atene degli ambasciatori di Segesta, che giunsero non più tardi dell’autunno 416 (cf. Tuuc., VI 2-3). € Cf. M. BarEsTRAzzi, Note sulla figura di Alcibiade: il suo ambiente e la spedizione in Sicilia, in Πλοῦς ἐς Σιχελίαν, Alessandria 1992, pp. 27-30.
130
IPERBOLO
συνήγαγε τὰς στάσεις εἰς ταὐτὸν ὁ ᾿Αλχιβιάδης, καὶ διαλεχθεὶς πρὸς τὸν Νικίαν τῷ Ὑπερβόλῳ χάτω τὴν ὀστραχοφορίαν Étpewev$t.
Il giovane ambizioso e ribelle di quell’Atene che poteva vantare antenati illustri dovette probabilmente accorgersi della necessità di recuperare in questa occasione almeno una parte del favore ormai negatogli dai circoli oligarchici, che vedevano in lui il discendente degenere degli Alcmeonidi e il sostenitore di una politica estera imperialistica, la quale avrebbe portato nuove rovine economiche, soprattutto al grande ceto fondiario. La conseguenza più immediata di questo accordo fu la riconferma alla strategia per l'anno 416-15 sia di Nicia che di Alcibiade, già strateghi nel 417-16 e in molti degli anni precedenti. È probabile che la proposta di attuare la procedura dell’ostracismo avanzata da Iperbolo avesse tra i suoi scopi più immediati proprio quello di impedire questo monopolio e controllo della strategia eser-
citato da Nicia fin dall'anno 428-299? e da Alcibiade a partire dal 420-196, con la sola eccezione forse del 418-17. Sappiamo infatti che l'ostracismo, almeno nella sua fase preliminare della προχειροτονία, avveniva senz'altro prima dell'elezione degli strateghi, che si svolgeva nella pritania, successiva alla sesta, in cui i presagi fossero favorevo1164; questa successione delle due procedure all'interno del calendario pritanico doveva garantire nell’istituto democratico la possibilità di evitare imposizioni autoritarie attraverso quella carica, la strategia,
che più di ogni altra poteva favorire il concretizzarsi di tali ambizioni. Proprio di questo importante strumento, che avrebbe dovuto garan-
tire la democrazia dalle ingerenze di singoli troppo potenti, Iperbolo 6 Prur., Al.
13, 7. Trad.: «Alcibiade riunì le diverse fazioni in una sola e,
essendosi accordato con Nicia, fece ricadere l’ostracismo su Iperbolo». La /eadership di Alcibiade nella coalizione contro Iperbolo è chiara: in gioco era infatti prima di tutto la προστασία e il controllo del δῆμος che risultò poi essenziale per la spedizione in Sicilia e che lo stesso Tucidide riconosce ad Alcibiade, individuandone il motivo
principale per cui fu colpito dallo scandalo per la profanazione dei misteri e costretto all’esilio (cf. THuc., VI 28, 2; 89, 4). Per quanto riguarda Nicia e i suoi rapporti con
Iperbolo cf. Himer., Or. 36, 18 p. 152, 63 Colonna; THeon. MET., Misc. phil.-hist. 96 p. 608, 4-12 Müller-Kiessling. Cf. L. PrccirILLI, Nicia fra astuzie, ricatti e corruzioni, «MH», LIV (1997), pp. 1-8, spec. 4-5. 62 Tuuc., III 51, 1; III 91.
9» PLuT., Nic. 10, 3 sgg.; Al. 15, 1; cf. Tuuc., V 43-44. 4 Arıstor., Ath. Rsp. 43, 5; 44, 4.
ΥΠΕΡΒΟΛΟΣ
ὨὩΣΤΡΑΚΙΣΜΕΝΟΣ
131
volle servirsi per ribadire la propria προστασία con il proposito, almeno esteriore, di tutelare gli interessi del δῆμος. A questo proposito non sono stati sufficientemente sottolineati due importanti aspetti della narrazione di Plutarco: anzitutto, il fatto che Iperbolo si sentisse assolutamente al sicuro dalla procedura d'ostracismo, tanto da essere lui stesso a proporla&; in secondo luogo, la sorpresa e il divertimento che presero il δῆμος alla notizia che ad essere ostracizzato era stato Iperbolo, seguiti dal rammarico nel vedere svilita tale istituzione dal coinvolgimento di un uomo πονηρός (nel sottolineare sia il divertimento che il rammarico e certo forte nel testo plutarcheo la mediazione comica e propagandistica)56. I due fatti sono in stretta connessione. Come scrive lo stesso Plutarco$?, l’ostracismo era strumento creato per colpire quanti si distinguevano per
δόξα e δύναμις, come era accaduto per Aristide, Tucidide di Melesia e gli altri ostracizzati in una, almeno apparente, coerenza e omogeneità con i fini istituzionali della procedura. Iperbolo invece era ἀδύνατος, μοχθηρός,
ἀνάξιος,
πονηρός,
φαῦλος
e ἄδοξος:
essere
sottoposto
ad
ostracismo sarebbe stato quasi un onore per lui, un controsenso®®. La sicurezza di non essere minacciato dall'ostracismo doveva derivare proprio dalle considerazioni ora esposte e testimoniate per intero da Plutarco, ma che, per essere comprese appieno, devono essere storicizzate e restituite al loro valore politico originario, private di quella forte connotazione morale che Plutarco invece accentua. L'ostracismo del προστάτης τοῦ δήμου doveva essere operazione contraddittoria in se stessa e contraria allo spirito δημοτιχός del provvedimento: certo consono al ruolo di capopopolo era proporre l'ostracismo, ma non subirlo. Qualcosa dunque dovette mutare in quest'occasione venendo a negare al προστάτης l'appoggio del proprio δῆμος. In questo motivo va dunque rintracciata la causa della caduta in disuso dell'istituzione clistenica, e non nella πονηρία dell'ultimo ostra-
cizzato: con la cacciata di Iperbolo l'ostracismo mostra di aver perso il proprio compito di tutela e garanzia della democrazia, e quindi del δῆμος, contro i δυνατοί. Almeno dal racconto plutarcheo, risulta evi6 PLur., Nic. 11, 4; Ale. 13, 6. 6 Prur., Nic. 11, 6-7. 6 PLur., Nic. 11, 6; Ak. 13, 6.
68 Così è descritto l’ostracismo di Iperbolo nei passi in esame delle biografie plutarchee di Nicia e di Alcibiade.
132
IPERBOLO
dente che le eterie aristocratiché, i cui esponenti di spicco erano i veri e tradizionali obiettivi minacciati dall’ostracismo, seppero creare un forte: dissenso contro Iperbolo, probabilmente manovrando quella massa dei cittadini che era maggiormente lontana dagli entusiasmi demagogici, gli Ateniesi delle campagne, i contadini, che maggiormente subivano i danni della guerra?. L'ostracismo vide dunque le eterie coalizzate contro la demagogia e mostrò la capacità di controllo politico sul πλῆθος esercitata dai δυνατοί, che, se seppero superare le divisioni e i contrasti interni per osteggiare il demagogo, ben presto tuttavia rinnovarono le proprie precedenti posizioni, contrastanti soprattutto in rela-
zione alla politica occidentale, quando ormai Alcibiade poteva fare esclusivamente proprio il «grande disegno» che spingeva in Sicilia i sogni imperialistici di Atene. Giungendo al termine dell'analisi di questo momento essenziale alla comprensione dell’immagine storiografica del demagogo Iperbolo, resta infine da segnalare che questo ostracismo, svoltosi nelle modalità ora descritte, non è stato valorizzato nella possibilità, che esso offre, di dirimere, se possibile definitivamente, la questione circa i seimila voti necessari per convalidare la procedura quale guorum o quale numero dei voti richiesti contro un solo individuo. La testimonianza di Plutarco orienta infatti verso l’interpretazione, d’altra parte già prevalente nella storiografia moderna, che vuole individuare in seimila il quorum totale dei votanti. Se così non fosse, la risultanza di seimila voti contro una stessa persona sarebbe stata plebiscitaria rispetto al numero complessivo dei cittadini presenti nell'assemblea ateniese e non sarebbe conciliabile con nessuno dei seguenti elementi della narrazione plutarchea: 1) Iperbolo propose l'ostracismo pensando così di disfarsi di uno
dei propri nemici, Nicia, Alcibiade e, in parte, Feace, approfittando della lotta tra di loro: se fossero stati necessari seimila voti contro un solo cittadino per rendere effettivo l'ostracismo, sarebbe stato inutile proporlo in un panorama politico frammentario che garantiva soltanto un'inevitabile dispersione di voti; 2) seimila voti contro il solo Iperbolo appaiono come una prospettiva politica francamente improbabile: sarebbe stato un plebiscito di enormi proporzioni rispetto al corpo civico, un vero ribaltamento 9 Cf. AristoPH., Pax 918-25.
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dei favori popolari, avvenuto in pochi giorni contro il προστάτης, un totale fallimento dell’azione e del progetto politico del demagogo; inoltre non si spiegherebbe la sorpresa che colse il δῆμος quando venne a sapere l’esito della votazione: se esso stesso avesse voluto in maniera determinante e senza esitazioni la cacciata di Iperbolo, non si spiegherebbe la sorpresa, che sembra invece indicare una votazione dall’esito incerto fino al completamento delle operazioni di scrutinio; 3) la strategia politica ideata da Alcibiade e condivisa da Nicia, forse da Feace, di ribaltare contro Iperbolo l’ostracismo appare opportuna solo nell’ipotesi che qui si sostiene: se infatti fosse stato necessario raccogliere seimila voti contro un solo cittadino, i vari esponenti politici avrebbero potuto sentirsi al sicuro in base alla probabile dispersione di voti già ricordata e per loro sarebbe stato più facile soprattutto operare in direzione di tale diversificazione del voto, tanto più che Iperbolo viene indicato come un concittadino non pericoloso per potere politico. Se invece, giusta l'ipotesi, seimila fosse stato il quorum, il progetto politico di ostracizzare Iperbolo appare l’unico che fosse allo stesso tempo realizzabile e in grado di allontanare il pericolo da Alcibiade e Nicia: superata infatti la fase preliminare della προχειροτονία, era troppo rischioso puntare sul mancato raggiungimento del quorum e, di fronte all’inevitabilità che qualcuno fosse ostracizzato, non restava che ribaltare l'esito della votazione contro chi l'aveva proposta e poteva contare, nell’assemblea, su un sostegno popolare forte ma emotivo e volubile. In conclusione appare chiaro nel percorso ora esposto, che non è possibile comprendere pienamente le questioni storiografiche inerenti l'ostracismo se non partiamo dall'interesse che mosse le fonti a formulare e tramandare tali notizie: solo così infatti possiamo tracciare a linee chiare il contesto nel quale la tradizione non si è fatta scrupolo di negare ad Iperbolo il proprio ruolo di /eader democratico, accentrando tutta l’attenzione sul giudizio negativo unanimemente riconosciuto contro il demagogo dalle fonti antiche e che vede sempre più accentuate le caratteristiche di una condanna morale. In tal modo il ritratto del demagogo si inseriva bene nella necessità di spiegare l'inopinato ostracismo del προστάτης e l'abbandono conseguente dell'istituzione, confermando così l'atteggiamento preconcetto che da un lato privò Iperbolo dell’importanza che certo ebbe ad Atene nel decennio dal 426 al 416 e dall’altro insistette su un generico bia-
134
IPERBOLO
simo della figura di demagogo, che accompagnò Iperbolo stesso fino alla sua morte. 5. L'uccisione di Iperbolo a Samo””.
Le fonti antiche ricordano la presenza di Iperbolo a Samo soltanto in riferimento αὐτὸν
τὸν
χρόνον
all'episodio della sua uccisione,
τοῦτον
Svrep
οἱ τετραχόσιοι
avvenuta ὑπ᾽
Evviotavto?!,
quale
primo atto compiuto dai congiurati samii persuasi da Pisandro ad abbandonare la causa democratica. Nulla invece si può desumere circa le modalità che portarono Iperbolo a Samo dopo l'avvenuta votazione con i cocci che lo aveva espulso da Atene??. Oscuro è inoltre ciò che Iperbolo possa aver fatto dall’ostracismo al momento della sua uccisione: a questo proposito, tuttavia, le caratteristiche dell’istituzione clistenica lasciano supporre che il demagogo, anche lontano dalla patria, possa aver continuato a curare i propri interessi commerciali e
probabilmente a dialogare, se non ad agire, con quanti, in patria, gli erano vicini nella lotta politica. Partendo da questi presupposti, non resta quindi che analizzare, nelle testimonianze antiche, l'epilogo della % Ripropongo in questo paragrafo parte delle considerazioni sviluppate nel mio contributo La presenza ateniese a Samo e le uccisioni di Iperbolo e Androcle nell'Ottavo libro di Tucidide, «Annali dell'Istituto italiano per gli studi storici», XIV
(1997), pp. 53-80. ^! THuc., VIII 73, 1. Questa indicazione cronologica data l'uccisione di Iperbolo intorno al 22 del mese di Targelione (8 giugno), giorno in cui, secondo Aristotele
(Ath. Rsp. 32, 1), entrarono in carica i Quattrocento, dopo che la βουλῆ era già stata sciolta il 14 di Targelione (fine maggio).
72 Insidioso ed insoluto rimane il problema dei limiti territoriali di residenza che il cittadino ostracizzato era tenuto a rispettare: a proposito cf. ARISTOT., Ath. Rsp. 22, 8 e PunocH., FGrHist 328 F 30. Cf. R. Goossens, Le texte d’Aristote. Constitution d'Atbénes, XXII, 8, et l'obligation de résidence des Atbéniens ostracisés, «CE», XX (1945), pp. 125-38, spec. 129-33; A.E. RAUBITSCHEK, Theophrastos on Ostracism, «C&M», XIX (1958), pp. 102-05; F. CAMON, L’ostracimo, cit., pp. 15859; ΤΊ. Ficuerra, Residential Restrictions on tbe Athenian Ostracized, « GRBS», XXVIII (1987), pp. 281-305. AI di là di questo aspetto importante per chiarire l’ef-
fettiva portata del provvedimento di ostracismo, risulta evidente che il soggiorno di Iperbolo a Samo fu pubblicamente dichiarato e conosciuto, ufficialmente approvato fin dal suo inizio, e non sollevò quindi alcun problema riguardo a questi stessi limiti territoriali, che sono da ritenersi perfettamente rispettati.
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vita di Iperbolo con l’occhio attento a individuarvi indizi utili a tracciare un profilo dell’attività del demagogo negli anni compresi tra il 416 e il 411. Il punto di avvio di questo momento della ricerca non può che essere individuato ancora una volta in Tucidide. Lo storico infatti così descrive l'avvenimento che portò alla morte del demagogo: xai Ὑπέρβολόν τὲ τινα τῶν ᾿Αθηναίων, μοχθηρὸν ἄνθρωπον, ὠστραχισμένον οὐ διὰ δυνάμεως καὶ ἀξιώματος φόβον, ἀλλὰ διὰ πονηρίαν καὶ αἰσχύνην τῆς πόλεως, ἀποχτείνουσιν μετὰ Χαρμίνου τε ἑνὸς τῶν στρατηγῶν καί τινων τῶν παρὰ σφίσιν ᾿Αθηναίων, πίστιν διδόντες αὐτοῖς, καὶ ἄλλα per αὐτῶν τοιαῦτα ξυνέπραξαν, τοῖς te πλέοσιν ὥρμηντο ἐπιτίθεσθαι 75.
Come si è già mostrato nell'avvio del presente lavoro, questo
passo tucidideo fu determinante nel creare la tradizione negativa che relegò il demagogo ad un ruolo secondario sulla scena politica ateniese, privando il suo stesso ostracismo di serie motivazioni politiche e limitandolo ad una poco rilevante condanna contro tug τῶν ᾿Αθηναίων, ostracizzato non per la propria δύναμις e ἀξίωμα, bensì per
la sua πονηρία, motivazione che di per sé in nulla potrebbe lasciar pensare ad un individuo che pur era stato capace di assumere la προστασία τοῦ δήμου nella difficile successione a Cleone. Conseguentemente,
l’analisi storiografica antica e moderna non ha valorizzato la presenza a Samo di Iperbolo, negando al προστάτης τοῦ δήμου, ormai ostracizzato da alcuni anni, un ruolo determinante nelle vicende samie ed ate-
niesi degli anni 412-11. In realtà, come sarà dato modo di vedere, esistono fondati presupposti per desumere che l’assassinio del demagogo λυχνοποιός sia rientrato a pieno titolo tra le fasi di attuazione del progetto politico che portò all’affermazione oligarchica ad Atene e, sia pure in modo provvisorio e parziale, a Samo, finendo così per valorizzare, proprio nel momento della sua eliminazione, ruolo e contenuto dell’azione di Iperbolo anche negli anni successivi all’ostracismo. Tornando al passo ora citato, è anzitutto rilevante il fatto che l'uccisione di Iperbolo sia presentata in Tucidide come il primo atto Tuuc., VIII 73, 3. Trad.: «E, grazie all'aiuto di Carmino, uno degli strate-
ghi, e di alcuni Ateniesi che si trovavano presso di loro, uccidono Iperbolo, uno degli Ateniesi, un uomo malvagio, ostracizzato non per paura della sua potenza o del suo prestigio, ma per la sua disonestà e perché era la vergogna della città: con questo
intendevano dare loro una prova di buona fede; con costoro compirono poi altre imprese di tal genere e si apprestavano ad assalire i democratici».
136
IPERBOLO
compiuto dai congiurati samii e soprattutto come l’unico degno di nota: le altre azioni sono sintetizzate nella generica espressione ... καὶ ἄλλα per αὐτῶν τοιαῦτα ξυνέπραξαν, recante, con il nesso per αὐτῶν, la
sola informazione che lo stratego Carmino e τινες τῶν παρὰ σφίσιν ᾿Αθηναίων, anche dopo l’assassinio del demagogo, continuarono a so-
stenere le azioni dei trecento Samii che si accingevano a portare l’assalto definitivo ai propri concittadini rimasti fedeli alla democrazia. In secondo luogo, l’uccisione di Iperbolo risulta caratterizzata da un altro importante contenuto. Sempre secondo Tucidide, essa sarebbe avvenuta per dare agli Ateniesi, ed in particolare a quelli presenti a Samo, una prova di fedeltà: il personaggio ucciso, dunque, doveva rivestire un ruolo non secondario se il suo omicidio arrecava agli autori credito e stima da parte dell'Atene oligarchica. Seppure implicitamente, il breve passo tucidideo riconosce dunque ad Iperbolo una certa capacità rappresentativa dell'ideale democratico radicale anche dopo l’ostracismo e durante il soggiorno a Samo. Ad ulteriore conferma di quanto sinora esposto, esaminando più attentamente l'azione che porta alla morte di Iperbolo all'interno degli eventi offerti dalla narrazione tucididea, si possono aggiungere ulteriori notazioni volte a valorizzare ed a integrare le informazioni e i significati del soggiorno samio di Iperbolo. Infatti, la successione degli avvenimenti relativi alla congiura oligarchica & scandita in Tucidide dalle azioni e dai movimenti di Pisandro, personaggio la cui trattazione connette in un continuum narrativo
fatti accaduti in tempi e luoghi diversi. Pisandro?^ infatti compare nel 14. È bene ricordare in questo contesto il passato democratico di Pisandro, così come lo ricorda ANpoc., De syst. [I] 27, da cui si apprende che costui fu tra gli in-
quisitori nel processo agli Ermocopidi e autore del decreto che fissava un premio in denaro per i delatori. Risulta dunque essere una caratteristica di questo tentativo oli-
garchico il fatto di attingere le proprie forze dal contesto democratico e di coinvolgere tra le proprie file esponenti dell'esperienza demagogica ateniese, dividendola nella ricerca di una soluzione vantaggiosa della guerra: lo stesso avviene anche a Samo, dove la provenienza democratica dei trecento congiurati & evidenziata in THuc., VIII 73, 2. Inoltre, tale estrazione democratica e demagogica dei sostenitori
di quello che sarà un vero e proprio colpo di stato fu determinante, insieme all'ambita ricchezza persiana, per assicurare una certa partecipazione e un concreto sostegno
dell'óxAog alla causa digarchica. Su Pisandro cf. L. BIELER, A political Slogan in ancient Athens, in
« AJPh»,
«AJPh», LXXV
(1954), pp. 131-46; M.H. Jameson, Sopbocles and the Four Hun-
LXXI
(1951), pp. 181-84; A.G.
WoopHzAp,
Peisander,
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testo dello storico quando a Samo l’assemblea dei congiurati, οἱ δὲ ξυλλεγέντες τῶν ἐν τῇ ξυνωμοσίᾳ, composta dai trierarchi e dai più potenti cittadini ateniesi?^, lo invia insieme ad altri ad Atene per discutere, nonostante l'opposizione di Frinico?6, del ritorno di Alcibiade e dello scioglimento della democrazia e per rendere così Tissaferne amico di Atene, secondo le promesse fatte dallo stesso Alcibiade prima per lettera? e poi con un colloquio personale con alcuni degli Ateniesi della flotta stanziata a Samo?8. Giunto ad Atene, Pisandro prosegue la propria azione sui due fronti già intrapresi a Samo: da un lato convince il δῆμος a seguire la scelta oligarchica come l’unica via di salvezza, superando le opposizioni dei sostenitori della democrazia e dei nemici di Alcibiade??, dall'altro riunisce ed attiva le ξυνωμοσίαι per abbattere la democrazia®°, non fidandosi della capacità e della volontà di riforma in senso oligarchico dell'assemblea del δῆμος. Nella medesima occasione ἃ
dred, «Historia», XX (1971), pp. 541-68; W.J. McCoy, The «Non-Speeches» of Pisander in Thucydides, Book Eight, in The Speeches in Thucydides. A Collection of original Studies with a Bibliography, ed. by PH.A. SrADTER, Chapel Hill 1973, pp. 7889; A. BLanc-J. TAILLARDAT, Aristophane, Thesmophories v. 366: τῆς χώρας οὔνεχα et l'ambition des oligarques dans l'biver de 412-411, «RPh», LX (1986), pp. 183-86; L. Whsockr, Aristophanes, Thucydides b. VIII and the political Events of 413-411 B.C., «Eos», LXXVI (1988), pp. 237-48. 5 Così si deduce da Tuuc., VIII 47, 2 e 48, 2-3, dove, nella determinazione degli eventi, è evidente la distinzione tra ὁ ὄχλος e ol ξυνιστάντες τὴν ὀλιγαρχίαν: tutta
l'azione di Pisandro, almeno fino all'avvenuto colpo di stato, si muove come vedremo sul duplice fronte del δῆμος e delle eterie oligarchiche, accattivandosi entrambi con abili manovre e promesse. 76 Tuuc., VIII 47, 4-7. 7 Tuuc., VIII 47, 2.
7$ Tuuc., VIII 48, 1. Appare considerevole e rilevante l’affermazione che apre questo paragrafo: καὶ ἐκινήθη πρότερον ἐν τῷ στρατοπέδῳ τοῦτο (ovvero la possibilità di abbattere la democrazia e far rientrare Alcibiade) καὶ ἐς τὴν πόλιν (Atene) ἐντεῦθεν
ὕστερον ἦλθεν. Essa infatti sottolinea come la proposta oligarchica si sviluppi in ambiente tutto ateniese, dapprima tra l’esercito, ma poi in breve tempo in Atene stessa. Il coinvolgimento dei cittadini samii avviene dunque soltanto in un secondo momento, quello già descritto in VIII 73, quando Atene decide di volgere ad oligarchia tutti i propri alleati.
? THuc., VIII 53-54, 2. Tra questi nemici di Alcibiade possiamo senz'altro includere Androcle. 80 'THuc., VIII 54, 4.
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IPERBOLO
inviato, con altri dieci ateniesi, a trattare con Alcibiade e Tissaferne?!, ma senza successo, viste le richieste esagerate avanzate da Alcibiade stesso allo scopo di rendere gli Ateniesi colpevoli del mancato accordo. Pisandro, irato per l'inganno subìto, torna così a Samo: come si può in-
ferire dal confronto dei riferimenti cronologici interni a Tucidide, tale rientro nell'isola va collocato tra la fine dell'inverno e la primavera del 41182. Particolarmente rilevante risulta essere il paragrafo che descrive la breve permanenza a Samo di Pisandro e degli altri dieci ambasciatori: Ἐπειδὴ γὰρ οἱ περὶ τὸν Πείσανδρον πρέσβεις παρὰ τοῦ Τισσαφέρνους ἐς τὴν Σάμον ἦλθον, τά τε ἐν αὐτῷ στρατεύματι ἔτι βεβαιότερον κατέλαβον καὶ αὐτῶν τῶν Σαμίων προυτρέψαντο τοὺς δυνατωτάτους ὥστε πειρᾶσθαι μετὰ σφῶν ὀλιγαρχηθῆναι, καίπερ ἐπαναστάντας αὐτοὺς ἀλλήλοις ἵνα μὴ ὀλιγαρχῶνται δ,
È dunque soltanto in questo momento che la spinta oligarchica ateniese, sostenuta soprattutto da Pisandro, coinvolge i cittadini samii ed in particolare i più potenti tra di loro nel tentativo di istituire l’oligarchia: non a caso questo avviene solo quando gli oligarchici ateniesi, una volta rinunciato ad Alcibiade ed all’aiuto che ne poteva derivare, decidono di avviare un preciso piano che vuole volgere ad oligarchia i regimi di tutte le città alleate ad Atene84 e quindi anche di Samo. Questa esperienza oligarchica samia si caratterizza dunque come di stretta dipendenza ateniese proprio perché ha la sua anima e la sua spinta in Atene e non in Samo stessa, la quale è presumibile che sia rimasta anche in questo momento di forte sentimento democratico, come dall'altra parte attesta l'importante affermazione circa la rivolta che avrebbe già impedito in precedenza ai Samii di essere retti da un regime oligarchico). 31 Tuuc., VIII 54, 2.
8 C£, Tuuc., VIII 61, 1; 63, 5. 9 Tuuc., VIII 63, 3. Trad.: «Infatti, dopo che Pisandro e gli altri ambascia-
tori, andati via da Tissaferne, tornarono a Samo, presero ancora più saldamente il controllo sull’esercito e volsero i più potenti dei Samii a cercare di instaurare l’oligarchia insieme con loro, sebbene tra i cittadini di Samo vi fosse già stata una rivolta per impedire il successo del tentativo oligarchico». ** THuc., VIII 64, 1.
*5 Il tessuto sociale democratico era inoltre garantito a Samo dalle severe misure restrittive prese contro l'oligarchia dopo 1" ἐπανάστασις democratica del 412: 200 cittadini uccisi, 400 condannati all'esilio, divisione delle loro terre e case, esclusione
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Ora, proprio l'espressione καίπερ ἐπαναστάντας αὐτοὺς ἀλλήλοις
ἵνα μὴ ὀλιγαρχῶνται risulta essere centrale per la nostra analisi. Il problema essenziale sta nell'identificare a quale ἐπανάστασις democratica faccia qui riferimento Tucidide: certamente non può essere quella descritta in VIII 73, sia perché cronologicamente posteriore e quindi inconciliabile con la forma verbale ἐπαναστάντας all’aoristo, sia perché tale azione non è definibile ἐπανάστασις in senso stretto, in quanto non può essere considerata una rivolta democratica ad un regime oligarchico, ma piuttosto una reazione ad un tentativo di colpo di stato oligarchico in un contesto sostanzialmente democratico. L'identificazione più evidente è invece con l'énaváctacig democratica del 412, che è indicata con questo termine dallo stesso Tucidide6 ed alla quale rimanda direttamente la forma verbale ἐπαναστάντας usata dallo storico nel paragrafo in esame. Rapportando tra di loro i due brevi passi della narrazione tucididea, non sembra infatti che vi siano sostanziali
motivi per dubitare della loro conciliabilità e per postulare così un terzo momento di azione democratica tra i due descritti da Tucidide87. Inoltre, proprio accettando la coincidenza tra VIII 21 e l'episodio accennato in VIII 63, 3 si puó completare l'analisi del paragrafo sopracitato e valorizzare maggiormente l'informazione contenuta nella proposizione finale ἵνα μὴ ὀλιγαρχῶνται, che esprime l'obiettivo dell'insurrezione del δῆμος. Anzitutto, questa notazione & perfettamente
coincidente con quella di VIII 21, dove 1᾿ἐπανάστασις ὑπὸ τοῦ δήμου è toig δυνατοῖς, ovvero contro i potenti, gli oligarchici. Proprio questa coincidenza di contenuti permette di precisare il contesto storico in cui avvenne l'episodio: la proposizione finale sembra infatti riferirsi ad un regime oligarchico in potenzialità di realizzarsi e non già pienamente realizzato, cioè ad una minaccia oligarchica presente e concreta, ma che, appena sviluppatasi, non ha ancora compiutamente concretizzato tutta la propria capacità di riforma della πόλις in senso oligarchico. Questa ulteriore considerazione reca dunque in sé una nuova possibilità di lettura della realtà samia sino all'estate del 412, da ogni diritto dei γεωμόροι rimasti e divieto al δῆμος di contrarre matrimonio con le
figlie di costoro. Inoltre, la profonda spinta ateniese nel tentativo oligarchico del 411 ἃ anche attestata dalla completa assenza di un orientamento filospartano, probabilmente presente invece nel moto oligarchico attivo nel 412.
8 Tuuc., VIII 21. 8? Tuuc., VIII 21, 73.
140
IPERBOLO
portando un contributo risolutivo ad una questione ampiamente discussa, che divide la storiografia moderna nel considerare la situazione politica interna a Samo tra il 439 e il 41288: Samo ebbe, anche prima del 412 e forse già dal 43989, una πολιτεία democratica?? e Tucidide?!, riferendo dei fatti del 412, ha esposto la reazione democratica ad un colpo di stato oligarchico e filospartano che si stava imponendo anche a Samo dopo la disfatta ateniese in Sicilia, così come è attestato da Diodoro??, nel quale tuttavia l'eccessiva sintesi ha reso confuse e semplificate le informazioni tràdite. Tornando a seguire i movimenti di Pisandro, notiamo che egli, quando successivamente torna ad Atene, trova ormai compiuto quasi
ogni aspetto del progetto antidemocratico secondo le istruzioni da lui stesso lasciate alle eterie oligarchiche durante la sua precedente permanenza nella città attica. Tra le azioni compiute dai congiurati, una sola tuttavia risulta descritta ed evidenziata da Tucidide: l'omicidio di Androcle, perpetrato per fare un favore ad Alcibiade, ma anche a causa della δημαγωγία dell'assassinato, essendo egli in quel momento
ad Atene il προστάτης τοῦ δήμου.
Significativamente, proprio nelle circostanze e nelle modalità dell'uccisione di Androcle si possono individuare alcune significative analogie con l'episodio della morte di Iperbolo.
*5 Ampio è il dibattito storiografico moderno che verte sulla difficoltà di definire la situazione politica samia dopo il 439, cercando indizi nel silenzio tucidideo per sostenere o contraddire Dion., XII 28, 3-4, secondo cui Pericle instaurò a Samo la
democrazia, una volta domata la rivolta. Per una sintesi dello stato attuale del problema e la corrispondente bibliografia cf. A. Anprewes-K.J. Dover, HCT, V, pp. 44-47 e G. SHipLey, A History of Samos 800-188 B.C., Oxford 1987, pp. 120-22. Cf.
anche S. Cararpr, Symbolai e relazioni tra le città greche nel V secolo a.C., Pisa 1983, pp. 379-80, nn. 31-34 e D. Musm, Storia Greca, Bari 1990”, p. 362. 89 Data significativa nell'esperienza democratica samia è da ritenersi anche il 424, quando, secondo THuc., IV 75, 1, Anea accoglie fuorusciti samii d'ispirazione
oligarchica favorevole a Sparta. Cf. U. FANTASIA, Samo e Anaia, in Serta Historica Antiqua, Roma 1986, pp. 113-43. % Cf. Drop., XII 28, 3-4. 91 Tauc., VIII 21. %2 Τγχορ., XIII 34, 2. 9 Così infatti lascia dedurre l’espressione τοῦ δήμου μάλιστα προεστῶτα usata dallo stesso Tucidide in VIII 65, 2.
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Anzitutto, gli omicidi dei due demagoghi avvengono quasi contemporaneamente, forse a distanza di pochi giorni, come si puó de-
durre dalle indicazioni cronologiche contenute nei capitoli ora in questione, d'opera In Samo,
nonostante la loro distanza, probabilmente voluta, nel piano dell'esposizione tucididea. secondo luogo, entrambi i fatti si verificano, ad Atene come a durante l'assenza di Pisandro, ma sempre dietro sua istiga-
zione: & lui infatti che, prima di partire, esorta all'oligarchia le eterie ateniesi cosi come i trecento Samii che tradiscono la causa democratica.
Anche Tucidide, pur riconoscendo ad Androcle un ruolo politico che sembra invece negato, almeno esplicitamente, a Iperbolo, qualifica analogamente i due demagoghi, ricorrendo in entrambi i casi all'aggettivo indefinito τις, che sembra volto a sminuire l'importanza di questi stessi personaggi, presentandoli come dei perfetti sconosciuti.
Tuttavia, proprio lo storico finisce per riconoscere implicitamente la centralità di Iperbolo ed Androcle in tali vicende: il fatto che queste siano le uniche notizie circa le numerose azioni terroristiche, in particolare assassinii, compiute dai congiurati per preparare l'affermazione dell'oligarchia, conferma l'importanza emblematica attribuita a queste due esecuzioni da Tucidide, che in tal modo ammette la rile-
vanza politica dei personaggi assassinati, ritenendoli degni di essere ricordati. In particolare, si noti la somiglianza sintattica e di contenuto riscontrabile nei paragrafi tucididei in esame, i quali ripetono un medesimo schema logico e semantico, articolato in cinque elementi: 1. Nome del demagogo VIII 65, 2: Kai γὰρ 'AvópoxA£a τε VIII 73, 3: Kai Ὑπέρβολόν τε.
2. Brevi indicazioni sul personaggio 2.a VIII 65, 2: nva τοῦ δήμου μάλιστα προεστῶτα VIII 73, 3: nva τῶν ᾿Αθηναίων, μοχθηρὸν ἄνθρωπον.
2.b VIII 65, 2: öorep καὶ τὸν ᾿Αλχιβιάδην ... ἐξήλασε VIII 73, 3: ὠστραχισμένον ... διὰ πονηρίαν καὶ αἰσχύνην τῆς πόλεως.
142
ΙΡΕΚΒΟΙΟ
3. Verbo VIII 65, 2: ἀποχτείνουσιν VIII 73, 3: ἀποκτείνουσιν.
4. Cause e finalità dell’uccisione?* VIII 65, 2: τῆς te δημαγωγίας Evexa καὶ οἰόμενοι τῷ ᾿Αλκιβιάδῃ χαριεῖσθαι
VII 73, 3: πίστιν διδόντες αὐτοῖς.
5. Altre azioni simili seguite all’uccisione VIII 65, 2: καὶ ἄλλους τινὰς ἀνεπιτηδείους ... τῷ αὐτῷ τρόπῳ ... ἀνήλωσαν VIII 73, 3: καὶ ἄλλα per αὐτῶν τοιαῦτα ξυνέπραξαν.
Può ancora essere notato come tutte e due le morti dei demago-
ghi generino una sorta di vuoto di προστασία: se questo è evidente nel clima di confusione, paura e diffidenza che viene a crearsi nel δῆμος di Atene dopo l’uccisione di Androcle?5, analogo smarrimento è riscontrabile nel δῆμος samio, quando quest’ultimo, resosi conto del pericolo di un'insurrezione oligarchica, chiede l'aiuto degli strateghi Leone e Diomedonte, della loro flotta ed in particolare di Trasibulo e Trasillo. 94. In entrambi i casi la finalità è quella di fornire una prova evidente della propria fedeltà e del proprio impegno nella scelta oligarchica: condizione indispensabile è dunque la scelta di un personaggio di rilievo della democrazia quale vittima dell’azione omicida. 9 Tuuc., VIII 66 e spec. 66, 5, dove tra οἱ τοῦ δήμου che ὑπόπτως προσῇσαν
possiamo supporre che vi possa essere anche il futuro προστάτης Cleofonte, il cui ruolo politico dunque assumerebbe rilievo soltanto dopo il 411. Per le fonti antiche su Cleofonte, cf. H.A. HorpEN, Onomasticon Aristopbaneum, cit., s.v. Κλεοφῶν; I. Kır-
CHNER, PA, cit., pp. 577-78; M.L. Lanc, Ostraka, cit., pp. 90-91. Cf. E. VANDERpooL, Kleophon, cit., pp. 114-15; In., The Ostracism of tbe elder Alkibiades, « Hesperia», XXI (1952), pp. 1-8; M.S. Warman-I. SUTHERLAND-C. MACDONALD (ed. by),
From Pericles to Cleophon. A Source Book and Reader in Athenian Politics, London 1954; N. VALMIN, Diobelia und Theoricon, «Opuscola Atheniensia. Acta Inst. Athen.
Regni Sueciae», s. 4* IX Lund Gleerup, VI (1965), pp. 171-206; M.M. Barros DE ALBUQUERQUE, Aristöphanes, As Räs 730, πυρρίαις,
« Euphrosyne», n.s., II (1968), pp.
143-50; R. RENAUD, Cleophon et la guerre du Péloponnése,
«LEC», XXXVIII (1970),
pp. 458-77; Α.1. ÙpeLEVIC, La Prébistoire du coup d'État oligarchique de 404 à Athènes, in La Societé antique et l'État, éd. par. É.D. FroLov, Leningrad 1986, pp. 84-90
fin russo: n.v.]; A.I. ÙpeLEVIC, Les préparatifs de l'oligarchie de 404, in La ville et l'État dans le monde antique: problèmes du developpement bistorique, éd. par. É.D. FroLov, Leningrad 1987, pp. 79-97.
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143
Questa evidente connessione tra Androcle e Iperbolo, almeno al momento della loro morte, invita a postulare ulteriori contatti tra i due personaggi. Particolarmente suggestiva è l’ipotesi, allo stato attuale della ricerca non dimostrabile, che vi possa essere stato Iperbolo
dietro ad Androcle
ed al suo intervento,
forse decisivo,
per
l'incriminazione di Alcibiade nello scandalo dei misteri eleusini?s: in questo caso i fatti del 415-14 andrebbero letti come una risposta ed una vendetta della demagogia ateniese che, dopo aver subito l'ostracismo del proprio /eader, attacca e cerca di eliminare dalla scena politica Alcibiade, probabilmente con l'intenzione di riappropriarsi della grande spedizione in Sicilia. Le fonti antiche a noi pervenute non ci permettono tuttavia di individuare con sicurezza in Iperbolo, costretto alla lontananza da Atene, il promotore di uno scontro politico che, dopo l'ostracismo, si fa ancora piü acceso, assumendo come cen-
trale la questione dell'impegno militare verso l'Occidente. Comunque sia, alcune considerazioni possono essere avanzate con una certa sicu-
rezza.
. La scelta di Iperbolo di soggiornare a Samo, dopo essere stato vittima del provvedimento di ostracismo, non appare certamente casuale: essa anzi risponde ad un preciso progetto politico, che puó anche stupire se si pensa all'efficacia strategica che tale scelta ha mostrato con il trascorrere degli eventi. Questo risulta ancor piü evidente se si considera la testimonianza delle Storie Filippiche di Teopompo tràdita da uno scolio ad Aristofane: ὁ δὲ (Iperbolo) καταπλεύσας εἰς Σάμον καὶ τὴν οἴχησιν αὐτοῦ ποιησάμενος ἀπέθανε,
xai τούτου τὸν νεχρὸν εἰς ἀσκὸν ἀγαγόντες εἰς τὸ πέλαγος χατεπόντωσαν 57,
Tale attestazione va integrata con l’altro frammento teopompeo da ricondursi al medesimo passaggio dell'excursus sui demagoghi:
% Cf. Anpoc., De myst. [I] 27 e PLUT., Aic. 19; per queste e altre fonti antiche su Androcle cf. I. Kirchner, op. cit., p. 66; A. ANpREWES-KJ. Dover, HCT, p. 161. ” Tueop., FGrHist 115 F 96b = ScHoL. Arıstopn., Vesp. 1007. Trad.: «Iper-
bolo, essendo approdato a Samo e ἢ avendo stabilito la propria dimora, morì: [i suoi assassini], messo il suo cadavere in un sacco, lo gettarono in mare».
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IPERBOLO Θεόπομπος
δὲ πάλιν ἐν δεκάτῳ Φιλιππιχῶν
ἐν Σάμῳ
φησὶν ἐπιβουλευθέντα ὑπὸ τῶν
᾿Αθήνηθεν ἐχθρῶν ἀναιρεθῆναι (sc. τὸν Ὑπέρβολον), τὸ SÈ vexpóv αὐτοῦ εἰς σάχχον βληθὲν ῥιφῆναι εἰς τὸ πέλαγος98.
Grazie a queste notizie la fonte tucididea può essere integrata con ulteriori importanti informazioni. Anzitutto, Iperbolo si è diretto a Samo subito dopo il suo ostracismo, Îì ha preso casa ed è rimasto fino al momento della sua uccisione. In secondo luogo, riguardo all'omicidio del demagogo, Teopompo tramanda due importanti particolari: il primo concerne le modalità caratterizzanti l’azione degli assassini, il secondo invece permette di chiarire l'identità e la provenienza degli autori e dei mandanti del delitto. Veniamo infatti a sapere da Teopompo che gli uccisori del demagogo posero il cadavere in un sacco e lo gettarono in mare: vollero
quindi far sparire la vittima, ed insieme la prova, del loro delitto, mantenendo una segretezza che accomuna gli autoridi questa uccisione con quelli che uccisero Androcle, i quali agirono appunto χρύφα, di nascosto. A Samo, come ad Atene, l’azione degli oligarchici è caratterizzata dall'intenzione di sfruttare l'effetto sorpresa, mantenendo in gran segreto ogni preparativo adottato dalle eterie e cercando cosi di superare l'ostacolo dell'inferiorità numerica. Possiamo allora immaginare il cadavere di Iperbolo, ritrovato sulla spiaggia là dove il mare lo ha restituito: forse & stato proprio questo ritrovamento ad allarmare la Samo democratica, che cosi si accorse delle trame oligarchiche e preparó il contrattacco cercando l'aiuto della flotta ateniese??. La principale notizia apportata da Teopompo è tuttavia il secondo particolare a cui si è accennato, quello relativo ai responsabili del delitto: Iperbolo fu tolto di mezzo, ucciso (ἀναιρεθῆναι) quale vit-
tima di una cospirazione mirata proprio contro di lui ad opera dei nemici provenienti da Atene (ἐπιβουλευθέντα ὑπὸ τῶν ᾿Αθήνηθεν ἐχθρῶν).
Questa informazione permette di integrare il testo tucidideo!0 ]à % Tueop., FGrHist 115 F 96a=ScHot.
Luc., Tim. 30, p. 115, 8 R. Trad.:
« Teopompo nel decimo libro delle sue Storie Filippiche racconta che a Samo Iperbolo, essendogli stata tesa un’insidia da parte dei nemici giunti da Atene, fu ucciso; buttato quindi il suo cadavere in un sacco lo gettarono in mare». 9 Così può lasciar pensare 1᾿ αἰσθόμενοι, riferito da THuc., VIII 73, 4 ai πλέονες
di Samo. 10 Tuuc., VIII 73, 3.
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dove indica come autori materiali dell'omicidio i trecento congiurati samii aiutati dallo stratego Carmino e da alcuni ateniesi presenti presso di loro. Inoltre, mettendo così in correlazione le due testimonianze antiche di Tucidide e Teopompo, si può individuare con maggior chiarezza e precisare nei confenuti il progetto politico nel quale venne ad inserirsi l'omicidio di Iperbolo. Essenziale alla comprensione dei fatti del 411 è capire l'origine e la natura della cospirazione samia. Teopompo conferma che essa fu ispirata e promossa da cittadini ateniesi che vi presero parte anche in maniera diretta unendosi ai trecento congiurati samii, a loro volta persuasi proprio da un ateniese, Pisandro. Inoltre, & possibile determinare essenzialmente in due punti il programma politico della congiura samia. Il primo di questi & chiarissimo nella sua evidenza ed & quello di insediare a Samo, come in tutte le altre città alleate di Atene, governi oligarchici 191, Il secondo invece è la spinta, nata dalle medesime sollecitazioni oligarchiche ateniesi, ad allearsi con Sparta con l'intenzione di provocare il disfacimento della Lega navale: cosi infatti possiamo dedurre dalle parole con cui, in Tucidide, i democratici samii descrivono il pericolo imminente e lo presentano agli strateghi Leone e Diomedonte e ad altri ateniesi presenti a Samo scongiurandoli di non lasciare che Samo defezioni da Atene!°2, La defezione dall’alleanza con l'Atene democratica fu dunque fin dall'inizio un preciso intento del progetto politico che gli oligarchici vollero imporre nelle città alleate ed infine ad Atene. In realtà puó apparire contraddittorio che gli Ateniesi promuovessero e contribuissero alla defezione degli alleati da Atene stessa, ma, considerando il succedersi degli eventi, non lo e affatto. Negli anni dopo la fallita spedizione in Sicilia, defezione voleva dire anzitutto non seguire piü Atene nella guerra contro
Sparta e cercare invece un accordo con la città lacedemone, passando così dalla sua parte. Considerata all’interno di Atene, questa azione oligarchica consisteva nel fare defezionare Atene da Atene stessa: l’Atene oligarchica voleva defezionare dall'Atene democratica per giungere alla fine della guerra e venire così ad una pace, anche «svenduta», con Sparta. Queste considerazioni portano a rilevare come l’obiettivo dell'accordo con Sparta, che si esplicò poi, a colpo di stato 101 Tuuc., VIII 64, 1; 65, 1. 1? "THuc., VIII 73, 4.
146
IPERBOLO
avvenuto, nella costruzione del muro a Eetionea per favorire l’ingresso dei nemici19^, fosse già presente fin dalla progettazione del tentativo oligarchico, progettazione che nasce ad Atene e a Samo per coinvolgere gran parte delle città della Lega grazie ai movimenti di Pisandro e dei suoi uomini. Tale scelta filospartana deve essere nata, al segno della necessità, in un momento preciso, probabilmente dopo l'impossibilità di giungere ad un accordo con Alcibiade e Tissaferne: essa tuttavia fu tenuta segreta dalle eterie oligarchiche al δῆμος ateniese e soprattutto a quella cospicua parte di esso concentrata nella flotta ateniese a Samo, la quale certo non poteva condividere la resa a Sparta. Forse fu proprio la scoperta di questa spinta defezionistica a provocare, o almeno sollecitare, la rottura tra la flotta ateniese a Samo, tenacemente democratica, e l’Atene che subiva passivamente la svolta oligarchica: il primo esito di tale spaccatura politica all’interno di Atene fu allora proprio la duplice partecipazione ateniese, divisa tra le due parti opposte, alla vicenda samia del 411. Alla luce di quanto sinora osservato, è evidente la possibilità di concludere affermando la centralità dell'omicidio di Iperbolo all'interno di questi fatti. Proprio come l’uccisione di Androcle, anche l’uccisione di Iperbolo fu decretata dalle eterie ateniesi che certamente avevano a Samo personalità di spicco, presenti nell'isola tra gli strateghi, i trierarchi e gli opliti della flotta!9^. Inoltre, non si dovrebbe escludere che, proprio per l'omicidio di Iperbolo e le altre azioni simili, fossero giunti appositamente da Atene altri congiurati oligarchici che potrebbero avere invitato i trecento Samii a commettere questo ed altri delitti per dar prova della loro fedeltà. In ogni caso è comun-
que possibile connettere la cospirazione contro Iperbolo, operata dai nemici provenienti da Atene e attestata da Teopompo, con l’indicazione tucididea che vuole nei trecento Samii gli autori materiali dell'omicidio. Se ne ricava che Iperbolo non fu ucciso soltanto per dar prova di fedeltà alla causa oligarchica, ma che questo è stato soltanto il fine ultimo che mosse le mani dei sicari samii: Iperbolo in realtà fu assassinato perché ritenuto ancora pericoloso dai suoi nemici ateniesi. 19 Tuuc., VIII 90, 3. 104 Tra gli Ateniesi presenti a Samo che assumono la causa oligarchica si possono avanzare soltanto due nomi, Pisandro e lo stratego Carmino: certamente però essi devono aver avuto un certo seguito dal momento che, soltanto più tardi, dopo l'insediamento dei Quattrocento, l’esercito appare compatto nella sua opposizione.
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147
Ne consegue che l’ostracismo non aveva cancellato in madrepatria la sua presenza dalla scena politica. Purtroppo, a causa delle lacunose testimonianze antiche, spesso
consapevolmente avare di informazioni oggettive riguardo ai demagoghi, si può soltanto supporre il ruolo assunto da Iperbolo dopo il suo ostracismo, avvenuto, secondo quanto esposto, tra la sesta e l'ottava pritania del 417-16 (gennaio-febbraio 416). Ciò nonostante, stando alle considerazioni sinora svolte, il demagogo potrebbe aver avuto un peso rilevante in tutte le vicende che vanno dal 415 al 411. Senz'altro strategica fu la sua scelta di dirigersi a Samo: essa si rivela un vero e proprio esempio di abilità e lungimiranza politica ed inoltre attesta un'ulteriore conferma alla tesi che Samo in quel momento avesse un governo democratico; in caso contrario, sarebbe incomprensibile la scelta, da parte del demagogo, di un ambiente a lui ostile, in cui sarebbe stato improbabile assumere un ruolo di prestigio. Possiamo altresì pensare che da Samo Iperbolo abbia potuto fiancheggiare e forse guidare l'azione di Androcle volta a delegittimare Alcibiade, non tanto per vendicarsi del responsabile dell'ostracismo, quanto piuttosto per privarlo della strategia nella spedizione in Sicilia: far fallire la spedizione poteva essere l'unico modo per riappropriarsi poi della Jeadership bellicista. L'occasione per portare a compimento questo progetto giunse puntualmente allo spostarsi della guerra ad Oriente di Atene. Samo divenne allora il baricentro dell'impegno militare ateniese: proprio Iperbolo potrebbe aver preparato questo momento guidando l’iravaotao democratica che, nel 412, impedì a Samo di cadere nelle mani degli oligarchici e di defezionare da Atene. Egli infatti potrebbe aver approfittato dell’arrivo della flotta ateniese a Samo, che durante l'énaváctacig era presente sull’isola con sole tre navi ed era parte rappresentativa di quel πλῆθος che in passato aveva costituito la base del consenso del demagogo in Atene: Iperbolo era tra l'altro l'unico personaggio che poteva vantare una presenza di ben cinque anni fra il δῆμος samio insieme al passato di προστάτης del δῆμος ateniese. Proprio per questi motivi egli cadde vittima di una cospirazione che voleva eliminare in lui un personaggio che, trovandosi in una posizione
determinante per i movimenti politici e militari di quel momento, poteva unire nella sua persona i principali baluardi democratici, al tempo stesso samii ed ateniesi, contro l'affermarsi di un'oligarchia disposta a svendere al nemico spartano l'esperienza democratica di Atene.
148
IPERBOLO
6. Conclusione.
Apertasi con il riferimento a Tucidide quale spunto per una riflessione sui termini con i quali la tradizione connota il personaggio di Iperbolo, la nostra ricerca si è ora conclusa sul medesimo passo tucidideo, che si eleva a simbolo e sintesi della leggenda nera sul demagogo, ultimo ostracizzato da Atene. Anzi, le poche parole che lo storico ha dedicato ad Iperbolo hanno inaugurato la condanna morale, e ben presto non più strettamente politica, che percorre, sempre più intensa, le fonti letterarie a partire dal quarto secolo, sì da determinare una progressiva e sempre maggiore incomprensione del ruolo di Iperbolo nel contesto politico ateniese. Teopompo, Filocoro e Plutarco si pongono in linea di continuità con il giudizio tucidideo, del quale è possibile seguire il ricorrere dei termini etici in un cammino di indagine semantica che conferma la dipendenza da Tucidide, il quale a sua volta riflette, se non direttamente certo nell'atmosfera culturale e so-
ciale in cui vive, l'accanimento dei poeti comici contemporanei al demagogo e ne condivide l’orientamento politico. Se tuttavia il giudizio negativo espresso da Tucidide ha influenzato le posizioni storiografiche successive, ancora più pesante per le sue conseguenze deve essere stato il silenzio sotto cui lo stesso storico ha fatto passare ogni indicazione relativa all'impegno e alla carriera pubblica di Iperbolo. In questo modo finì per attuarsi una vera e propria damnatio memoriae, spesso ridottasi ad un giudizio sommario di condanna verso una figura per troppo tempo ritenuta a torto di secondo piano. Questo lavoro di ricerca ha voluto ricostruire, attraverso un continuo confronto e un esame contestualizzato delle fonti a noi note, la biografia di Iperbolo per accertare e poi sostenere quale sia stata l’importanza del demagogo nella vita politica ateniese in anni complessi e allo stesso tempo appassionanti quali quelli che vanno dal 426 al 411. I due testi epigrafici hanno mostrato assai bene i contorni di questa figura: si è potuto così individuare un uomo pubblico esperto della legge e della prassi democratica, un serio professionista della parola e della politica, che ha saputo prepararsi alla partecipazione civica anche con una certa formazione culturale, strettamente tecnica, volta ad
assumere i principali precetti retorici e giuridici. Attraverso le testimonianze della poesia comica è stato possibile ricostruire alcuni mo-
YIIEPBOAOZ QETPAKIEMENOZ
149
menti ed episodi della vita pubblica di Iperbolo, utili a tracciare le linee generali di una carriera politica che lo porta da φιλόδιχος nei processi ἃ προστάτης nell’&xxAncia, e che lo vede ora aspirare alla strate-
gia, pensando alla grande spedizione in Occidente, ora partecipare al Consiglio anfizionico come ieromnemone, ora proporre decreti quale buleuta, sempre e in ogni occasione accompagnato da una violenta sa-tira che si accanisce contro di lui senza tregua ripetendo modelli comici e lessicali tipici degli attacchi contro i demagoghi. Recuperando infine l’importanza della figura di Iperbolo, è venuta da sé una revisione delle circostanze dell’ostracismo, che ha dimostrato i limiti della motivazione della πονηρία, intesa in termini di con-
danna morale, quale causa politicamente determinante per il coinvolgimento di Iperbolo nell’attuazione della procedura clistenica. Concludendo, è da ritenersi perciò superata la leggenda dell'infame malvagità di Iperbolo, della quale si sono evidenziate le peculiarità e le motivazioni politiche e non quelle connotazioni etiche che portarono Cicerone !° a paragonare ad Iperbolo C. Servilio Glaucia, «il più disonesto da che mondo è mondo», homo simillimus Atbeniensis Hyperboli, cuius improbitatem veteres Atticorum comoediae notaverunt.
195 Cic., Brut. 62 (225).
INDICE DELLE FONTI CITATE AESCHYLUS Eumenides
ANDROTION, FGrHist 324 F 42 von. 1, xxv
24
94 n. 170.
Persae 65 65-67
45. 41.
3, 113 n. 8.
i ' AESCHINES De falsa legatione [n] 76 16 n. 53. 93 15 n. 47.
ApoLLoporus, F 147
FGrHist 244 97 n. 176.
ARISTOPHANES Acharnenses 15
88 n. 158.
In Ctesiphontem {m]
88
63 n. 88
14, 15
99 n. 183.
165
XXVI.
62 113 113-15 114 124 124-26 126
98 82 82 82 82 83 83
170-71 381 sgg. 478 515-19 517 676-91 678-80
51 n. 56. 2 n. 2. 8 n. 27. 24. XXVI e n. 40. 24. 26 n. 82.
n. n. n. n. n. n. nn.
179. 140. 135. 137. 135. 143. 141 e 142.
{ANDOCIDES] C. Alcibiadem
n. 56,
xxIX, 3 n. 10, 5, 112 n.
24.
24, 26 n. 82.
685-87
25.
115 n. 15. 119 n. 30.
824 sgg. 844
23 n. 75. 63 n. 88.
22-23
118 n. 26.
845
24.
39 41
28 n. 86. 129 n. 58.
845-47 846
22-25 e nn. 73-74. VI n. 1.
4 5
[1v]
680
685
ANDOCIDES De mysteriis [1] 27
136 n. 74, 143 n. 96.
132 97 n. 176. Fragmenta Fr. 5 Dalmeyda vn n. 1, 3 n. 7, 14 n. 41.
1024
12 n. 38.
Aves 493
XXVI.
1244
2 n. 3.
1297 Ecclesiazusae 477 1089
32 n. 2. 4 n. 14. 38 n. 18.
152
INDICE
DELLE
FONTI
CITATE
Equites 6 19 44
1 n. 2. 8 n. 27. 1 n. 2.
1300-15 1303 1303-04
41 n. 24, 44 n. 37, 47 n. 46, 52, 62, 63. 54. 63.
129
15 n. 49.
1304
XXV n. 34, xxv1e
132 136 137 173-79 174 181 186 188-89 218 256 274 sgg. 285
15 n. 50. 15 n. 48. 20 n. 68. 54 e n. 58. 54. XXVI n. 44. XXVI n. 44. 22en. 72, 72. 20 n. 68. 20 n. 68. 20 n. 68. 20 n. 68.
288
48 e n. 48, 53.
1160
304
20 n. 68.
Nubes
311 316 336-57 415 450 sg. 487 526 sgg. 573 626 sgg. 733-40 739 742-43 847-857 855 864-67 912-18 1018 1030 1264 1274-75 1280-83 1280-89 1290-99 1293 1300 sgg. 1300-01
20 n. 68. XXV. XXVI n. 44. XXVI n. 44. 20 n. 68. 20 n. 68. 71 n. 109. 53. 20 n. 68. 36 e n. 13. VII e n. 1, 14 n. 41. 59 n. 78. 37 n. 15, 121 n. 34. 37. 75. 104 n. 196. 20 n. 68. 20 n. 68. 63. 63 e n. 86. 62. 63. 63. 63 n. 88. vi e n. 1. 62.
518 sgg. 518-62 518-626 557 545-62 549-50 551-59 551 551 sgg. 551-59 551-62 552 553 553 sgg. 553-56 553-60 554 555 557 558 559 563-74 563-626 575-94 576 sgg. 579-80
1311-12 1313 1315 1355-1363 1362 1363 1372 Lysistrata 575 576
n. 41,
3 n. 8, 24 n. 78. 64. 44 n. 36, 48, 53, 62, 65 e n. 92, 66 n. 94. 14 n. 41, 34 n. 10. 38 n. 19. va € n. 1. 29 n. 90, 38. 63 n. 88. XXVI n. 36. XXVI. XXVI, XXVI e n. 42.
67 n. 97. 50 n. 54, 67, 93, 94. 68. 68 n. 100. 68, 68 e n. 102. 69, 88, 93. 93. 68, 73 n. 113. 6 n. 18. 10, 93. 93. 7, 75. vr e n. 1, 67, 70, 71, 88. 75. 71 n. 109. 74 n. 115. 71 n. 108. 8 n. 28. 68. 68, 73 n. 114. 75. 93. 94. 93, 94. 94 n. 172. 51.
INDICE
519-87 581 581 sgg. 584 584-85 586 591-92 595-606 607-25 607-26 617 625 623-26,
49 n. 51, 50 n. 53. 60. 42 n. 51. 49 n. 52.
49 n. 52. 49 e n. 52, 50.
50 n. 54. 94, 92. 94. 94 n. 172. va e n. 1, 68.
68,
79
88 19 47 46 29
21
79 n. XXVI XXVI XXV. 17 n. XXVI.
1003
n.
125,
82
137, 83, 87, 90, 92.
624 874-76 961-68 967 1058-59 1065 1065-66 Pax 313 sg. 401 sgg. 414-15 450 450-52 648-56 679-92 681 684 690 751 883-85 918-23 921 948 1319 Plutus 109 159 391 502-04
DELLE
n. n. n. n. n.
n.
158, 91. 66. 45. 44. 89.
VII e n. 1, 14 n. 41, 68.
42, 44 n. 38.
FONTI
153
CITATE
Ranae 131 183
97 n. 176. 4 n. 14.
421
XXVI e n. 38.
570 679 sgg. 1011 1039
VI n. 17 n. XXVI 11 n.
1175
XXVI e n. 39.
1194-95 1195 1532
48 n. 50. 48. 17 n. 54.
1. 54. e n. 39. 37.
Thesmophoriazusae 781
XXVI.
805
126 n. 47.
830 sgg.
6 n. 18.
836-37 837 837 sgg. 839 spp. 839-45
104 ῃ. 194. vo n. 1. 103 n. 191. 6 n. 19, 8 n. 28. 11 n. 36, 45 n. 43, 108
840 sgg. 873 941 Vespae 36 400 596 1007
6 n. 18. 18 n. 62. 11 n. 57.
n. 206. 20 n. 68.
91. 86 e n. 153.
48. 48 n. 49. 70 e n. 104. 5, 76 n. 118, 112 n. 6. VII n. 1. XXVI. 14 n. 41, n. 42. 20 n. 68. 63. 77 n. 121, 132 n. 69. VI n. 1. 45 n. 42. Vil n. 1, 77 n. 121. 126. e n. 37. e n. 37. 58, 21 n. 69.
20 88 20 va
n. n. n. e
68. 158. 68. n. 1, 24 n. 77, 26,
27, 34 n. 9.
1034 1043-50 1280-83 1082 Fragmenta 571 K.A. 706 K.A.
20 n. 68. 67 n. 97. 63. 40 n. 21. 41 n. 22. 2 n. 6.
ARISTOTELES Atheniensium Respublica 22,8 116 n. 16, 134 n. 72. 28 78 n. 123. 28, 3 126 n. 47. 30, 2
60 n. 81.
154 32,1 33,2 43 43, 5 44, 4 45, 3-4 53,4 55, 2-5 61, 1 62, 3
INDICE
DELLE
134 n. 71. xvi n. 14. 123 n. 38. 112 n. 2, 121 "n. 36, 130 n. 64. 49 n. 52, 52 n. 57, 130 n. 64. 99 n. 183. 29 n. 89. 99 n. 183. 43 n. 32, 104 n. 196. 100 n. 185.
Etbica Nicomachea 1350b 32 Xxvil n. 47 Poetica 1458b
63 n. 87.
Politica 1292a 30 sgg.
xx
1321b
80 n. 128.
CALLIMACHUS Fr. 454 Pf.
71.
Contra Boeotum I [xxxix] 8 104 n. 196. De corona [xvm] 134-36 82 n. 139. 149 82 n. 135, 82 n. 137. 151 73 n. 113. In Leptinem [xx] 90 99 n. 183. (DEMosTHENES] In Lacritum
[xxxv]
48
104 n. 196.
Dioporus 116 n. 16.
xum 53, 2
61 n. 85. 140 nn. 88 e 90. 83 n. 144. 42 n. 29. 55 n. 63. 140 n. 92. 126 n. 47.
ERATOSTHENES Fr. 97 Str.
71.
xn 36 xi 63, 4 xm 83, 6 xm 34, 2
ÁTHENAEUS 63 n. 87
CITATE
x155 xı 81 xu 28, 3-4
n. 31
220b
FONTI
Cicero Brutus 62 (225)
EuPoris 60 K.A. 99 K.A. 192 K.A. 193 K.A.
149 n. 105.
CRATINUS 198 K.A. 199 K.A.
20 n. 68. 40 n. 21.
200 K.A.
xxv n. 35.
209 K.A. 225 K.A. 285 K.A.
VII n. 1, 14 n. 41. 18 n. 59. VII n. 1, 25 n. 80e 26.
CRITIAS 88 B D..K.
37 n. 14.
DEMOSTHENES De falsa legatione [x1x] 209 82 n. 139.
81,
194 K.A. 196 ΚΑ. 196-209 ΚΑ. 207 K.A.
XXV n. 35.
105 e n. 199. 72. VII n. 1, 24 n. 9. vu n. 1. vit n. 1. 6 n. 18.
n. 77,
34
von. 1, 42, 44 n. 38, 103 n. 192.
208 K.A.
va n. 1, 21 n. 71, 71 n.
209 K.A.
107. von.1,8n. 32.
210 K.A.
vu n. 1, 18 n. 62,
211 ΚΑ.
nn. 192 e 195. 70 n. 105.
27,9
n. 103
INDICE
252 K.A. 278 K.A. 384 K.A. EURIPIDES Alcestis 675
DELLE
vu n. 1, 26 e n. 82. xxv n. 35. 15.
Σιν.
ἐπιλαχών
5.0. λάμπας s.v. πυλαί
HoMzRus Ilias ni 271 xvin 597
45 n. 42. 45 n. 41.
xix 252
45 n. 42.
IsocRATES De pace [vii]
79 n. 126.
75
16. 16 n. 52.
Istrus, FGrHist 334
HARPOCRATIO s.v. δοχιμασθεῖς
155
CITATE
2 n. 3.
Hippolytus 806 spg. Orestes 902-06 907-13
FONTI
99 99 97 82
n. n. n. n.
183. 180. 176. 135.
VII n. 1.
F2
97 n. 176.
Leuco 1 K.A.
vii n.1, 18 n. 60.
LIBANIUS Orationes
64, p. 424 Reiske 81 n. 134. HERMIPPUS
ὃ ΚΑ.
9 ΚΑ. 10 K.A. 12 K.A. 47 K.A. 88 K.A.
vii n.
1, 6 n.
18, 8 n.
Accep. muner. sine nom. defensio [xx1]
vit n. 1, 6 n. 18, 8 n. 28. 7 n. 24, 8 n. 29.
2
va n. 1, 6 n. 18, 7 n. 21.
49 In Diog. 24-26
20 n. 68. 40 n. 21.
HERODOTUS
1131, 1-3 m 134 νι 75
va 213-14 vni 98, 2
Lysias
30, 108 n. 206.
87 28 45 82 97
n. n. n. n. n.
154. 87. 42. 135. 176.
19 n. 63.
Epitapb. [n] 29 n. 89. [xxxu] 19 n. 63.
MENANDER
Monosticha 690 Meineke
28 n. 86.
Nonnus Epic. Dionysiaca 2, 319
97 n. 176.
HiMERIUS Orationes
13, 13, 27, 27, 29, 35, 39,
97 97 97 97 97 97 97
36, 18 p. 152,
41, 63-64
97 n. 176.
48, 956
97 n. 176.
HesvcHıus $.9. Δοχιχῶ 5.0. Μαριχᾶν 5.v. ἱερομνήμων
63 Colonna
7 n. 21. 72. 80 n. 128.
vri n. 1, 130 n. 61.
172-79 173 111-17 317-23 336-39 123-25 206
n. n. n. n. n. n. n.
176. 176. 176. 176. 176. 176. 176.
156
INDICE
PAUSANIAS vii 24, 4
DELLE
83 n. 142.
PHERECRATES 56 K.A.
20 n. 68.
PHiLocHorus,
FGrHist 328 vi n. 1, xxvm n. 57, 24 n. 78, 112 nn. 2 e 5,
F 30
114 n. 9, 116 n. 16, 122 n. 56, 134 n. 72.
FONTI
CITATE
PLUTARCHUS Alcibiades 2, 5-7 4, 1-4 6, 1-5 6, 3 7, 3-6 13 13, 1-3 13,4
40 n. 21. xxv n. 35.
Puorius
p. 339, 22
40 n. 21. COMICUS
34 K.A. 77 K.A.
8 n. 28. vii n. 1, 8 n. 31, 69 n. 101.
PLaTO
Apologia 20b
20 n. 67.
Gorgias 513a-c
35 n. 11.
516d Laches
115 n. 15.
197c
11 n. 37.
Respublica vi 493d
35 n. 11.
PLaTo CoMiCUS 168 K.A. 180 K.A. 182 K.A. 183 K.A.
236 K.A.
124 n. 42. 21 n. 70. 124 n. 41.
125 n. 42. xve nn. 50e53, 3 n. xxvi e n. 51. 131 nn. 65 e 67.
14 K.A. 15 K.A.
185 K.A. 203 K.A.
21 n. 70.
10, 31 n. 1, 124 n. 42.
PHILONIDES
PHRYNICHUS
21 n. 71. 21 n. 70.
vii n. 1, 112 n. 5, 124 13,9 15,1 16, 2 16, 7 17, 2-3 17, 2-4 19 21,9 Antonius 88, 5 Aratus 4,1 Aristides
n. 42, 130 n. 61. xxvi e n. 59, 5.
130 n. 63. 21 n. 70. 21 n. 70. 55 n. 63. 55 n. 63. 143 n. 96. 11 n. 37. 28 n. 86. 28 n. 86. vi n. 1, 112 n. 2.
xxvii 120 n. XXVIII 122 n.
n. 49, 24 n. 78. 33. n. 50. 36.
28 n. 86. 37 n. 16 xxv n. 35. vu n. 1, 99 n. 182, 100.
VII n. 1, 2 n. 4, 7 n. 24, 19 n. 65. vi n. 1, 1n. 1. vi n. 1, 32, 112 e nn. 3 e5. 20 n. 68.
17, 3
41 n. 22. 115 n. 15.
Fabius Maximus 12, 5 Nicias
4
10, 5 sgg. 11 11, 1
28 n. 86. XXVIII 130 n. 122 n. 115 n.
n. 54. 63. 37. 15.
INDICE
11, 3
xxvm,
11,4
39. 40 n. 21, 131 n. 65.
11, 6
3 n. 10,
DELLE
123 n.
vr n. 1, xxvm n. 49, 24 n. 78, 112 nn. 3 e 4,
11, 6-7
131 n. 67. 131 n. 66.
11, 7 11, 10
XXVII n. 55. xxvin e n. 52,
40 12, 1-2 55 12, 6 40 15,1 11 Pericles 33,2 23 35,6 23 Themistocles 2, 3 28 20 82 Theseus 36 41 Tiberius Gracchus 2 20 Moralia
e n. n. n.
124 nn.
42. 63. 21. 37.
n. 76. n. 76. n. 86. n. 135, 82 n. 138.
n. 68.
29 n. 89.
Quaestiones convivales
1 1 (612)
80 n. 128.
PoLEMON
fr. 6 Preller
97 n. 176.
PoLYZELUS 3 K.A.
13 n. 40.
5 ΚΑ.
va n. 1, len.
40. QUINTILIANUS 21 n. 71. 71 n. 107.
SCHOLIA in AESCH., Pers. 65 42 e n. 26.
157
in ARISTOPH., Ach, 678-80
25 n. 82.
685 sgg. 846
25 n. 82. 22, 41, 43 n. 34.
in ARISTOPH., Av. 1297 33 n. 2. in ARISTOPH., Eq. 44 15 n. 47.
149 531
35. 71 n. 109.
739
14 n. 43.
739a 739b
36. 36.
740a 855 912-18 1304 1127 1304a 1363
36 e n. 12. 37 n. 17, 121 n. 36. 104 n. 196. 14 n. 43, n. 44. 77 n. 120. 40 n. 21. 34 n. 7, 39 n. 20.
549b
70 n. 105.
552 553 . 554-555-556 555 556
6, 67 n. 98. 70. 6n. 18. 7 n. 23. 8 n. 31.
623 624
82 n. 135. 26 nn. 82-83, 29 n. 88, 80 n. 129, 88 e n. 159.
1065
14 n. 44.
1065-66 41. in ARISTOPH., Pax
1, 15ἡ.
681 681b
78 e n. 122. 4 n. 13, 5 n. 17.
692
14 n. 41.
1319 41, 43 n. 35. in ARISTOPH., Pi. 1037
Institutio oratoria
I 10, 18 I 10, 18
CITATE
in AnrsTOPH., Nub.
n. 22.
Amatorius
754d
FONTI
6 n. 18, 9 n. 32.
in ARISTOPH., Ran. 569 71 n. 106. in ARISTOPH., Thesm. 808 840 in ARISTOPH.,
947
99 n. 182. 6 n. 19. Vesp.
115 n. 15.
158
INDICE
1007
DELLE
3 n. 7, 115 n. 11, 143 n. 97.
in DEM.
FONTI
CITATE
Fragmenta fr. 139 Wimmer
124.
LVI
43 in Luc., Timon
97 n. 176.
30, p. 114, 28 Rabe ] n. 1.
30, p. 115, 5 Rabe 25 n. 81, 26 n. 84. 117 n. 22. 30, p. 115, 8 Rabe 144 n. 98. SOPHOCLES
Oedipus Tyrannus 83 sgg. 1347
79 n. 126. 75 n. 117.
STRATTIS 46 K.A.
XXV n. 35.
SUIDA sv. mia 9 n. 34. s.v. Πλάτων κομικός 31 n. 2.
THeporus MET.
Misc. phil.-hist. 96 p. 608, 4-12 M.-K. vo n. 1, 130 n. 61. 'THEoPoMPus, FGrHist 115 F 88 116 n. 16. F 92 117 n. 20. F 95 van.1,1n.1,4n. 12. F 96 14 n. 41. F 96a VII n. 1, 5, 144 n. 98. . F 96b vin n. 1, 5, 112 n. 3, 114 n. 10, 143 n. 97. F 328 5 n. 16. THEOPHRASTUS
Historia plantarum 9, 20, 4 40 n. 21. 9,11,1 40 n. 21. De signis tempestatum 4 83 n. 144.
THUCYDDES 15 19 19, 2
1 10, 2 113, 6
115,2 117 118,2
1 24, 132, 133, 139, 155, 1 70,
3-4 5 2 3 1 3
I 72
173,5 177,3 184, 5 193, 3 1 118, 2 1 121, 3 1130 n n π m
2,2 37 37,3 41, 2
xix n. 17, xx n. 20.
xxi n. 22. XXI n. 23. xx n. 21.
55 n. 61. XX n. 21. XXI n. 24. xx xx xx xx xx xx xx xx ΧΧΙ
n. n. n. n. n. n. n. n. n.
21. 21. 21. 21. 21. 21. 21. 21. 21.
xx n. 21. xix n. 18. xx n. 21. ΧΧΙ n. 21. xx n. 21. xxm n. 30. XXI n. 25.
xxm n. 30, 17 n. 56. xix e n. 17. xx n. 21.
m 41, 4
xx n. 21.
u 43 n 51,5
xx XIX xx xx
u 62, 3 π 64, 3
n n m m n
65,5 65, 7.10-11 65, 8 65, 11 à
n. n. n. n.
21. 18. 21. 21.
77 n. 119. xx n. 19. XXI n. 26. xxn.
XVIII. XXI n. 21.
126 n. 47.
m 3,2 m 9, 2
XXI n. 21.
m 19, 1-2
54.
m 36, 6
20 n. 68. xxi n. 3].
m 37, 3-4
INDICE
m 39, 2 m 39, 3 ni 51, 1
m 56, 5 nt 65, 4
πι 67, 3 m 82-83 m 87, 2 m 91
m 115, 3-6 ιν Iv iv Iv
2, 2 18 18, 2 19, 3
IV 27 sgg. Iv 27, 5 Iv 27-41 ιν 29, 1
Iv 50, 1 Iv 53,1 ιν 60 Iv 65,2
ιν 65, 3 ιν 65, 4 Iv 66, 3 IV 75, 1
Iv 75,2 Iv 86, 6 IV 104, 4
IV 108, 4 IV 118, 12 IV 119, 2 v4,5 ν 4.5 ν 8 ν 14,3 ν 16,1 ν 19,1 ν 43,2
ν 43.44 ν 44 ν 74 ν 95
ν 101
DELLE
XXI n. 21. XXI n. 21. 130 n. 62. XXI n. 27. xix n. 17, xx n. 20. 29 n. 89. xvin n. 15. xx n. 21. 130 n. 62. 58 n. 72, 65 n. 90. 58 n. 73. xxi n. 30. xx n. 21. XIX n. 18.
58 n. 75, 65 n. 91. 60. 42 59 60. 60. xx 58 59 57 61. 60
n. 30. n. 77, 60.
n. n. n. n.
21. 71. 76, 60. 69, 59.
e n. 82, 140 n. 89.
60 e n. 82. xxıun. 30. 61. xx n. 21. 90 n. 162. 61. XXI n. 21. 124 n. 42. xxm n. 30. XX n. 21. 69 n. 103. 90 n. 163. xxIx e n. 30, 28 n. 87, 29 n. 89. 130 n. 63. xx n. 21. 128 n. 54. XXI n. 21. XIX n. 17, xx n. 20.
FONTI
159
CITATE
v 101, 3 v 104
xix n. 17. xix n. 18, xxr n. 21. XXI n. 21. xx n. 20. xix n. 18. 129 n. 59. XXI n. 21. 61 n. 85.
64 n. 90. 58 n. 74. XXI n. 21. 55 n. 62. xxii e n. 30. XXI n. 21, xxi e n. 28. XXI n. 21. XXI n. 21. XXI n. 21. XXI n. 21. XXI n. 21. 130 n. 61. XXI n. 21.
xx n. 21. 56. xxt n. 21. XXI n. 21. XXI n. 21. XII e n. 4, XVII-XIK. XIV n. 8. 108 n. 206. XXI n. 21. XXI n. 21. 55 n. 64. xm n. 5. XVI, 130 n. 61. xm e n. 6 XII, XVII. 55 n. 63 xv n. 9 XXI n. 21. 11 n. 37.
61 n. 85. XXI n. 21. XXI n. 21. XII. XII.
160
INDICE
DELLE
FONTI
CITATE
vo 48, 1-2 va 48, 4
XVI. XVI.
TZETZES Iv 1 p. 211a6
9n. 32.
vi 56, 2
XXI n. 21.
Iv 3, p. 853,5
11.
va vo va va vni vni vm
29 n. 89. XXI n. 21. XVI e n. 11. XII. 29 n. 89. 126 n. 48. 139 e nn. 86 e 87, 140 n. 91.
60, 3 77,7 85, 3 83, 4 1, 2 13 21
VITRUVIUS De architectura IX 6, 3 p. 214 Krohn 83 n. 144. XENOPHON Hellenica
vm 24, 5
XII, XVII e n. 12.
1 7, 20
38 n. 18.
vui 47, 2 vm 47, 4-7
xn, xiv, XV n. 9, 137 nn. 75 e 77. 137 n. 76.
Memorabilia n 7,6 m 5, 18-20
24 n. 79. xv ἢ. 9.
vm 48, 1
137 n. 78.
De Vectigalibus
vm 48, 2-3 vm 48, 4 vm 53-54, 2
137 n. 75. xv n. 10. 137 n. 79.
I 2, 35 13 ιν 14
vm 54, 2
138 n. 81.
vm 54, 4 vm 61, 1
137 n. 80. 138 n. 82.
[ΧΈΝΟΡΗΟΝ] Atheniensium Respublica
vm 63, 3
138 nn. 82 e 83, 139.
11. 4. 6. 9. 14
xxix n. 59
vm 64, 1
138 n. 84, 145 n. 101.
m4
97 n. 176, 104 n. 196.
vm 65, 1
145 n. 101.
vm 65, 2
140 n. 93, 141, 142.
vm 66
142 n. 95.
FD
vm 66, 5 vm 73
142 n. 95. 12 n. 39,
2, 68, 66 seg. 3,214
82 n. 136. 81 n. 133.
3, 295
81 n. 133.
4, 365, 4, 6 5, 37A, 4 5, 58, 59 IG P 78 82
82 n. 136. 81 n. 131. 81 n. 131.
137
134 n. 71, 139,
vm 73, 2 vi 73, 3
n.
29 n. 89. 2n.3. 15 n. 47.
IscRIZIONI 78,
139 n.
87. xi n. 1, 136 n. 74. va n. 1, xre n. 2, xi, xx e n. 17, xx, xxu, xxu, xxiv, xxvm, 2n. 9,5, 24 en. 78, 63 n. 89, 112 n. 3, 113 n.7, 135 n. 73, 141, 142,
(=
Fouilles de Delphes) m
85 n. 150. vu n. 1, 96 e nn. 173 e 175, 97 n. 176, 98,
va 73, 4
144 n. 100. 144 n. 99, 145 n. 102.
vu 75, 3 vii 81, 2
29 n. 89. xxi e nn. 28 e 29.
85
va n. 1, 101 e n. 186, 111, 116.
vni 90, 3
146 n. 103.
369
85.
vm 97, 2 vm 97, 2-3
XI, XVII, XVIII. xvi n. 13.
I? 1138
97 n. 176.
84
100, 102.
103.
INDICE
DELLE
FONTI
161
CITATE
II? 844 1487 SEG
85 n. 150. 85 n. 150.
SylP
x 93
96 n. 175.
436, 8, 11 444 A, 5
xxv 35 xxvi 20
96 n. 175. 96 n. 175. 82 n. 136. 82 n. 136.
INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI
ἀδοξία, ἄδοξος, xvi, 114, 122, 131. ἀδύνατος,
Androcle, 34, 77 n. 119, 78, 106, 107 n.
122, 131.
206, 109, 137 n. 79, 140-42, 143 en.
Agamennone, XXI. ἀγεννεῖς,
96, 144, 146, 147. Andromeda, 8. Androzione, xxvm-xxrx, 3-4, 113. Anea, 140 n. 89. Aneiti, 54. anfizionia delfica, 80 e nn. 127, 128 e
121.
Agirio, 77 n. 119. agorà, 54, 125-27.
ἀγορατροί, 82. αἰσχύνεσθαι, XIX n. 16. αἰσχύνη, XI, xix e n. 16, xx e n. 20, xXII, xxvi, 5, 113, 135, 141. ἀχολασία, XVI, XVII.
Alcibiade, xr, xr e n. 7, xiv e n. 9, xv € n. 9, xvi, xvu n. 13, XVII, xix, xxr e n. 29, xxrt, xxii e n. 32, xxiv n. 32,
21, 22, 28 n. 86, 29 n. 89, 47, 55 e nn. 63, 56 n. 65, 78, 108 e n. 206, 109, 112 n. 1, 118-20, 121 122 e n. 37, 123 e n. 39, 124 e 42, 126, 128-29, 130 e n. 131 e n. 68, 132-35, 137 e 79, 138, 140-43, 145.47.
e n. 36, e nn. 40 61, 130, nn. 78 e
Alcmeonidi, xıv, 130. alleanza/e, 124 n. 42, 129, 145. alleato/i, xvi, 57, 64 n. 90, 115, 137 n. 78, 138, 145.
ambasciatore/i, xir, 56, 65 n. 90, 129 n. 59, 138 e n. 83.
Amipsia, 67. ἀνάξιος,
131.
Anassagora, 63 n. 87. Andocide,
3, 17.
[Anpoc.]
Contro
118,
Alcibiade,
119 e n. 30,
55. ἀνδράρια, 24, 30.
125
28
n. 42,
n.
86,
128 n.
130, 82-83, 89, 92-93.
Antifane, ᾿Αντιφάνης, 3, 4 e n. 11, 5, 13, 29.
Antifonte, ᾿Αντιφῶν, 102. anziano/i, 40 n. 24, 123 n. 39. ἀξίωμα, XI, XX, XXII, XXIV € n. 22, XXVII, 5, 113, 135.
Apemantos, ieromnemone, 81. Apollo, 80, 94 e n. 170. ἀπόφυξις, 20. ἀποχειροτονία, 95.
Archedemo, 77 n. 119, 106. Archino, 77 n. 119. arconte, arcontato, 22 n. 73, 80, 85, 97 n. 177, 102.
Arginuse, 49 n. 50. Argo, 16. Arifrade, 63 e n. 87. Aristide, 60, 120, 131. 'Apic tiov, arconte, 97 e n. 177, 98. aristocratico, xvi, 4, 21 e n. 69, 22, 47, 132. aristocrazia, xm n. 7, 18, 104 n. 197.
Aristofane, vm, xxv e n. 35, xxvr-Xxvit, 1 n. 2, 3-4, 6, 7, 10, 11 n. 37, 12, 1819, 21 n. 69, 24, 26 e n. 82, 30, 39 n. 21, 40 n. 21, 42, 44, 45 n. 43, 46-48,
164
INDICE
DEI
NOMI
E DELLE
49 n. 52, 51, 54, 63 e n. 87, 63 n. 89, 69-70, 71 n. 109, 73 e n. 113, 74, 7677, 86, 90, 93, 95, 112, 114, 121 n. 34, 143. Commedie Acarnesi, 11 n. 37, 22 e n. 73, 24, 25 e n. 80, 29 e n. 90, 30, 32, 43.
Cavalieri, 14, 22 e n. 73, 24 n. 77, 3236, 38-40, 41, 43, 47, 48, 50 n. 52, 51-54, 62, 66, 67, 69 n. 102, 69, 71 e n. 109, 72, 75.
Nuvole, 10, 19, 20, 21 e n. 69, 28 n. 88, 32-33, 42, 44, 49 e n. 52, 50 n. 54, 51-53, 67-70, 71 e n. 109, 73 n. 113, 74-76, 79, 83, 87 e n. 156, 88 e nn. 157 e 159, 89, 90-91, 93-95. Pace, 11 n. 37, 14, 32-33, 45, 48, 69. 71, 74, 76, 71-78, 86, 91.
Pluto, 17. Rane,
11 n. 37, 33, 48, 71.
Tesmoforiazuse, 11-12, 33, 104, 108 n. 206.
Uccelli, 33. Vespe, 26-29, 32.
Personaggi: Acarnesi, coro, 23. Demo, 36, 37 n. 15, 38, 63.
Diceopoli, 23-24. Dioniso, 48. Discorso giusto, 47, 67. Discorso ingiusto, 67.
Edipo, 48. Ermes, 48, 70 e n. 104, 86-87.
Evelpide, 22. Filocleone, 26. Lesina, 19. Luna, 51, 86 n. 153, 87, 92-94.
Megarese, 23. Nuvole, coro, 49 e n. 52, 50 n. 52, 51,
79, 92.95.
Pace, 76.
Paflagone, 1 n. 2, 35-39, 48-50 e n. 53, 52, 59 n. 78, 63, 73, 75. Salsicciaio Agoracrito, 22, 35-39, 48, 54, 59 n. 78, 63, 75.
COSE
NOTEVOLI
Schifacleone, 26. Socrate, 19, 68.
Tirchippide, 19. Trigeo, 48, 69, 77 n. 121, 86-87. Aristotele, xxvi, 52, 61 n. 85, 100, 123
n. 38, 134 n. 71. Artemide, 94. assassinio,
13, 115, 119, 135-136,
141.
assemblea/e, xut, xvi, 16, 21 n. 69, 22, 51, 55, 57, 64 e n. 90, 77, 82-83, 95, 98, 101, 123 e n. 38, 132-135,
137.
Atena, 47, 94, 97 n. 176. Attica, 2, 80. Autocle, 60-61.
barbaro, barbarie, 1-2, 3 n. 7, 46, 100. Βάρβαρον, 1 n. 1. βέλτιστοι, XIV, xv. Beoti, 81. Βουλεία, 100.
Brasida, 57 n. 67, 90. Βουλή, 54, 98 e n. 179, 99, 134 n. 71.
buleuta/i, 96, 98 e n. 179, 99 e n. 182, 100,
105, 149.
calendario/i, 83 e n. 144, 84 e nn. 146 e
148, 85 n. 149, 85-87, 90-96, 130.
Callimaco, 71. Callistrato, 115 n. 13. Camarinesi, xr. Cannonos, decreto di, 38 n. 18. Caria, 54 e n. 58. Cari, 54. Carmino,
stratego,
135
e n.
73,
136,
145, 146 n. 104. Caronte, 4 n. 14, 5. Cartagine, Kapynóov, xim, 39, 41 n. 24, 46, 47, 52-54 e nn. 58, 60e 55 e nn.
62 e 63, 56 e n. 65, 57-58, 59, 63, 73 n. 113. Cartaginesi, Χαρχηδονίοι, 55 n. 61, 56. Catania, XII, XIII. Ceramico, 4 n. 11, 125-27.
Charias Paianieus, 126. Chii, xvi e n. 12. Cicerone, 149. Cimone,
115 n. 13.
INDICE
Cinquemila, xvo-xvm. cittadinanza, xxu, xxv, 100,
DEI
NOMI
3, 5,
17,
E DELLE
65,
107.
Cleofonte,
16 e n. 53, 17, 21 n. 69, 31
n. 2, 34, 77 n. 119, 78, 106, 107 n. 206, 109, 121 n. 34, 127 e n. 47, 127
n. 53, 142 n. 95. Cleone, Κλέων, VII,
XVIH,
XX,
xxix, 1 n. 2,2 η. 2, 5en.
XXII,
15, 15 en.
47, 20 e n. 68, 21 n. 69, 23, 26 e nn. 82-83, 27, 34, 37.38, 42, 49
e n. 52,
50 nn. 53 e 54, 51-54, 57, 58-59 e n. 78, 60, 65, 69 e n. 102, 70-75, 74, 76, 77 e n. 119, 78 e n. 122, 79, 88, 89.
91, 93-95,
104 n. 197,
108,
115 n.
15, 117, 121 n. 34, 129, 135.
Cleonimo, 63. Clistene, 38 n. 18, 114 e n. 9, 121. colpo di stato, xiv, 12, 136-137 nn. 74 e 75, 139-40, 145. commercio/i, commerciale/i, 12, 14-15,
21 n. 69, 34, 36-38, 54 e n. 58, 134.
commerciante, 14, 48, 73 n. 113. commerciare, 23. congiura, 136, 144. congiurati, xi, 134, 135, 136 e n.
74,
18, 26 n. 82, 27-28, 71 n. 109.
35. Pytine, 32, 67, 71 n. 109.
Cremete, 5, 13. Ctesia, 23. decreto/i, 24, 30 e n. 91, 31 n. 2, 38e n. 18, 101-03, δείλαιος, 75.
17,
75,
128,
131,
136
n.
74. δημαγωγέω, 5. Snuayoyia, 5, 35, 140, 142. δημαγωγός, 1 n. 1, 34, 36, 57, 77 n. 120. Demetra, 80.
democratici,-che,-a,-o, XI, XVI, xxu, 16, 38, 57, 89, 96, 104 n. 197, 107-09, 114, 120, 121 nn. 34 e 35, 122 n. 38, 123 n. 38, 129-30, 134, 135 n. 73, 136 n. 74, 138 e n. 85, 139.41, 14447. democrazia, vm, xm n. 6, xiv, xv e n. 9, XVI, XVII e n. 13, XVIO-XX, xxix, 5, 17,
37, 78 n. 122, 82 n. 137, 97 n. 176, 108, 115, 121 n. 36, 123 n. 38, 13031, 136, 137 e n. 78, 140 nn. 88 e 89, 141 n. 94.
XIII, XVI.
δῆμος, vir, xm e n. 7, 2, 5, 13, 15, 34, 37-38, 73 n. 113, 75, 77 e nn. 119 e
120, 78, 97, 98, 101-05, 105, 107 n. 206, 109, 117, 121 n. 34, 122, 123 e n. 38, 130.335, 135, 137 e n. 75, 139, 140 n. 93, 141, 142 e n. 95, 146, 147. 61 e n. 85, 82, 98 n. 179.
84, 90, 91-92,
Horai, 22, 25 e n. 80, 26-29, 31-32,
136 n. 74, 149.
delatore, 23, 136 n. 74.
demagogico,
Demostene, xvi, xix n. 16, 15 n. 47, 59,
94-96. Cratino,
Delfi, 80-81, 83, 94 e n. 170. Delio, 57 n. 67, demagogia, 5 n. 17, 14, 20 n. 69, 115, 129, 132, 143.
δημοχρατουμένη,
140, 90, 93, 95, 149.
125-126,
165
Demodoco, 60.
Corcira, xx n. 21. Corinti, xm. Corinto, xil. 79 nn.
NOTEVOLI
δημοκρατία, xv e n. 9, xvi, 5, 35, 78.
137, 141, 145, 146. consiglio, 96, 98-100. consiglio anfizionico, 80-81, 82-83 e n.
corona,
COSE
Demostrato, 40 n. 21, 106. δημοτικός, - oi, 3, 97, 129, 131. δίκαι, 23, 29. διχασταί, 38, 96. δικαστήρια, 22. δίχη, 38.
Diodoro, 42, 119, 140. Diomedonte, stratego, 142, 145. Dionisie, 12, 27 n. 85, 32-33, 67, 71, 73, 85-86. Dioniso, 94 e n. 170. δοκιμασία, 99-101.
166
INDICE
DEI
NOMI
E DELLE
δόξα, 122, 131. Dori, Δωριεῖς, 81, 88 n. 158. δύναμις, XI, ΧΧ-ΧΧΙν e n. 32, 5, 113, 122,
131-35. δυνατός, xxn, 131-57, 139.
COSE
NOTEVOLI
εὐγενεῖς, 22, 129. Eumenidi, tempio di, 41 n. 22, 64. Eupoli, xxvm,
10 n. 35, 15, 18, 21, 2€
n. 82, 27-28, 41 n. 26, 44-47, 71 n. 109, 74, 103, 107. Demi, 105 e n. 198, 108.
δυνατώτατοι, xm, xv, 138.
Eantide, tribù, 101-02.
Kolakes-Gli adulatori, 32 n. 3, 71.
Eetionea,
Maricante, 9 e n. 33, 10, 21, 31-32, 42
efebía, Efestie, Efesto, Egeide,
146.
29. 97 n. 176. 96, 97 e n. 176, 98, 100. tribà, 101-02.
149. eloquenza, 17, 19, 82.
e n. 26, 45, 67, 69 n. 102, 70-71, 72e n. 110, 73-75, 88, 93, 103 n. 193. Poleis, 26, 27 e n. 85, 28. Eurimedonte, 58-60, 61 n. 85. Euripide, xxvi n. 39, 2, 8 n. 27, 16-17. Oreste, 16. Euthynos, arconte, 22 n. 73. Eveno di Paro, 20.
ἔνδοξοςοι, 5, 78. ἐπανάστασις, 138 e n. 85, 139, 147.
ἡλικία, 25-26, 28 e n. 86, 29 e n. 87, 29 nn. 88-89.
Epidamno, xx n. 21.
Feace, 118-19, 124 e nn. 40-42, 126-28,
egizio/i, 18 e n. 61. &xxAncío/a,
22,
83,
103,
123
e n.
38,
ἐπιεικεῖς, 78. ἐπιχειροτονία, 123 n. 38.
129 e n. 58, 130, 132-133.
Erasinide, 48 n. 50. Eratostene, 71.
Erinni, 41 n. 22. Erittonio, 97 n. 176. erme, mutilazione delle, ΧΙ, xvın. Ermippo,
7, 10 n. 35, 69 n. 102, 74.
Artopolides, 7, 8 e n. 27, 9-10, 32, 73, 75, 108 n. 206.
federazione, 80. Filocoro, xxvm, 113-16, 119, 123 n. 38, 148. φιλόδικος, φιλοδιχία, 22, 30-31, 34, 57, 105,
149.
flotta, xu, 42, 48 n. 50, 58, 64,
Ermocrate, 56, 58.
fratria, 105-07. Frigia, 1. Frigio/i, 1, 2 n. 3, 46.
Erodoto, 45 n. 42. Eschilo
Frinico, xvı, 137. Frinico, poeta comico, 69 n. 102.
Ermocopidi, 136 n. 74.
Gela, 57 n. 67.
Persiani, 45.
Gilippo, xvi.
Eschine, 16-17, 82 n. 140. Eschine Socratico, 63 n. 87. Esichio, 7, 72.
giovane/i, 24, 26 e n. 82, 26-27, 28 e n. 86, 29, 37 n. 15, 40 n. 21, 47, 55 n.
ἑταῖροι, 109.
eteria/e, ἑταιρίαι, va, 105-06,
63, 72 n. 110,
109, 124,
127 n. 49, 128 e n. 55, 129, 132, 137 n. 75, 141, 144, 146.
Eubei, 81. Eubulo, 115 n. 13. Eucle, 60-61. Eucrate,
15.
118,
137, 142, 144-47. Focesi, 55 n. 61.
105-106,
109,
123
n.
39, 129. Bioventü, 47, 62 n. 87. giudice/i, 27, 38 n. 19, 81-82 n. 137, 97. γνώριμοι, 78.
γραμματεύς, 85. Grecia, 46, 55, 84 n. 148. Greci, 86.
INDICE
DEI
NOMI
E DELLE
Hippokles Menippou, 126. ieromnemonia, -e/i, 60 n. 81, 79 e n. 125, 80 e nn. 127 e 128, 81, 82 e nn.
COSE
NOTEVOLI
167
Meli, xx. Melo, 118. Menandro, 28 n. 86.
137 e 140, 83-84 e nn. 145 e 146, 87, 88 e n. 157, 88 e n. 159, 89, 91e n. 165, 91-96 e n. 175, 98, 105, 149.
meteci, 2 n. 3. Metone, 83 e n. 144, 84 n. 148.
elezione degli ieromnemoni 80, 81, 84
n. 61, 143. Moire, 2 n. 4. μοχθηρία, - óc, XI, XXIII-XXV, XXVI e n. 39, XXVII, XXVIII, XIX n. 58, 3, 24 e n. 78, 30, 40, 63 n. 89, 64, 73, 111, 113-14,
n. 146. ἱερομνημονεῖν, 79. ieponotoi, 96-97.
Ioni, 80.
Iperide, 82.
131, 135, 141. Morychides, 31 n. 2.
Ippia, xiv. Ippocrate, 60. Italia, 57 n. 67. Italioti, 55. Kaphis, arconte, 81.
Myrrhinikos, 126. Nauclide, xxr. Naufante, 41 n. 24. Nausone, 41 n. 24.
Kleippides, 126 n. 47. χλῆσις, 20.
Krates Athmoneus, χυβερνήτης,
misteri (parodia dei), xm, xiv, xvın, 130
127.
104 e n. 195.
Lacedemone/i, Λακεδαιμόνιοι, xr, xx n. 21, 55, 78 e n. 122, 145. Lachete, 58, 65 n. 90. Laconi, 25, 59 n. 78. Lamaco, 6 e n. 20, 11 e nn. 26 e 37, 12, 45 n. 43, 60 e n. 82, 61 n. 85, 104,
navarchi, 64. nave/i, xr, xxvi, 14, 47, 58 e n. 74, 6465, 147. νεανίαι, 24, 57. νεανίσκοι, 24. νεοπλουτοπονηροί,
18.
véoc, 25, 26, 27, 28 e nn. 86e 87, 29 nn. 88 e 89. Nicia, xvi, 15 n. 47, 55 n. 63, 58-60, 61
n. 85, 78, 118-19,
121, 122 e n. 37,
108 n. 206. Lega navale, 145-46. Lenee, 22 n. 73, 32, 52, 63, 66-67, 71. Leone, stratego, 142, 145. Lesbo, xxt n. 21.
νόμος, Ot, XIX-XX, XXIII.
Leucone (Frateres), 18, 32, 71, 74.
ξένος, 99.
Libanio, 81. Lidia, 1. Lidio/i, 1, 2 n. 5, 46.
ξυνωμοσίαι,
Lisia, 18. Lisicle, 15, 54. Luciano, 26 e n. 82.
149. oligarchia, oligarchico/i, xr, xIv-xvI, xvn
Mantinea, 105-107 e n. 206, 128. Marsiglia, 55 n. 61. Medi, xxi n. 21.
Megacle, 18 n. 60. Megara, 24 e n. 79, 30 e n. 91. Megarese, 23.
123 e n. 39, 124 e nn. 40 e 42, 127-
29, 130 e n. 61, 151 n. 68, 132-33. Nicia, pace di, 35, 77, 90. Nicostrato, 60.
137.
Occidente, 46-47, 55, 56 e n. 66, 58, 64 e n.
90,
65-67,
118,
128-129,
143,
n. 13, xvm, xxr, 12, 78, 107-09, 129. 130, 135, 136 e n. 74, 137 e nn. 75e
78, 138 e nn. 85 e 85, 140 e n. 89, 141, 142 n. 94, 143-45, 146 e n. 104, 147. ολιγαρχία, - &w, XIV, 137 n. 75, 138-139. ὀλίγοι, XVI, xxix, 78.
168
INDICE
DEI
NOMI
E DELLE
Olimpia, xxr. Olimpo, 87.
COSE
NOTEVOLI
Peritede, demo, xxvm, 3 n. 10, 4, 122 e
Omerico, 6 n. 20. omicidio/i, 120, 136, 141, 144-46. oracolo delfico, 79 n. 126, 83.
n. 37. περσέπτολις, 42, 45-47. Persiani, 87 e n. 154. persiano, 45-46, 72, 136 n. 74.
Oreste, 16. ostracismo, VI-VII,
Phileriphos, 127. Philinos Kleippidou, 126 n. 47, 127.
15, 33
XXIX,
n. 6, 33,
4 n.
37-38,
11, 5 n.
74-75,
85,
100, 102, 108 n. 206, 108-09, 111 e
n. 1, 112enn.le5,
113-15, 116 e n.
16 (durata dell’ostracismo), 117, 118 e n. 28, 119 e n. 30, 120, 121 nn. 34 e 36, 122 e n. 37, 123 e n. 38, 124 e n.
42, 125 e n. 42, 126 n. 47, 127 e n. 49, 128 e n. 55, 129, 130 e n. 61, 151 e n. 68, 132-35, 134 e n. 72, 135-36,
143-44, 147, 149. votazione 120 n. 34, 121, 125, 127 n.
49, 128, 132.
quorum votanti 121 n. 36, 126 n. 47,
127, 132-33. ostracizzare, ostracizzato, VII, XI n. 2, 32
n. 6, 75, 108, 113, 114 e n.9, 115 e n. 11, 116 e n. 16, 122, 125, 129, 131,
119, 133,
121 n. 34, 134 n. 72,
135 n. 73, 148. ostraka, vu n. 1, 4, 108 n. 206,
112,
125, 126 n. 47, 127 n. 49.
ὀὁστραχίζω, xt, 3, 5, 111, 113 n. 8, 11415, 117, 135, 141.
ὀστρακχοφορία, 123 n. 38, 125, 130. ὄχλος, xir, 136-137 nn. 74 e 75.
Paàpis, 18 e n. 60.
Paflagonia, 2 n. 2. παιδεία, 19, 21 e n. 69, 22, 47. παιδίον, 72. Panatenee, 97 n. 176.
Pandionide, 102.
Pile, 83. Pilo, 42, 57 n. 67, 58, 59 n. 78, 65. Pisandro, xi, 134, 136 e n. 74, 137 e n. 75, 138 e n. 83,
140-41,
145-46 e n.
104. Pitodoro, 58-60, 65 n. 90. Platea, ΧΧΙ. Plateesi, xx. Platone, xxıx n. 58, 20, 34. Platone Comico, xxvm, 1-2, 6, 10 n. 35, 31 n. 2, 37, 73 e n. 114, 74, 112-13. Κλεοφῶν, 31 n. 2. Ὑπέρβολος, 31, 32 e n. 6, 99-100. Συμμαχία, 37. πλῆθος, Χιπ-χιν, XXI, xxix, 16, 89, 107,
108 n. 206, 131, 147. Plutarco, xxvm, 3, 21, 28 n. 86,
112,
114, 119-120, 121 e n. 34, 122-25, 124 e n. 42, 125 e n. 42, 127 n. 49, 128-30, 131 e n. 68, 132, 148. Pnice, 54, 76 n. 118.
Polibio, 6 n. 20. πολιτεία, 34 n. 7, 79, 140.
πολίτης, 1, 3, 64. Polizelo, 1, 6, 13 n. 40, 33. xoAunpayuocóvn, 22. movnpia/òc, XI-XII, XIV, XV e n. 9, XVI-XX, ΧΧΠῚ, XXVI e n. 45, XXVII, XXVII, xxIX, 5, 11, 14, 15, 17-18, 21 n. 69,
24, 42, 45, 63, 68, 73 e n. 115, 76, 99-100, 104, 112-15, 119 n. 30, 121 ε
Pelope, xxi. Peloponnesi, xxn. Peloponneso, xxt n. 21, 81.
πόνηρος, XXVI n. 45.
Peloponneso, guerra del, 30, 84 n. 144. Pericle, xvm-xxıv e n. 32, 15, 17, 56 n. 66, 77 n. 119, 78, 115 n. 13, 117, 140 n. 88.
pritaniafe, 49 n. 52, 52, 85, 98, 111, 123 e n. 38, 129-30, 146.
nn. 34-36, πονηρότερα,
Pritaneo,
131,
135,
141, 149.
XIII-XIV, XVI.
101.
προβούλευμα, 49 n. 52.
102,
INDICE
DEI
NOMI
E DELLE
processofi, xt n. 4, 21 n. 69, 22, 23e n. 74, 24, 25 e n. 80, 27, 28, 30, 58 n. 19, 92, 113, 148. processuale, 22. προεδρία, 11. Prometee, 97 n. 176. Prometeo, 97. προστασία, XII, XIV, 5 n. 15, 15, 17, 34,
66, 73 e n. 113, 77 e n. 119, 78, 89, 100, 108 n. 206, 109, 112, 130 e n. 61, 131,
135, 142.
προστάτης, VII, XVIII, XXVI, xxvi, 16 e n. 52, 31 e n. 2, 38,
120, 108, 126 140,
77-78, 98, 117, 121 n. n. 47, 127 142 n. 95,
rpoxeiporovia,
76, 77 nn.
119 e
103, 105, 107 n. 206, 34, 122, 123 e n. 38, n. 49, 131-33, 135, 147-49.
127 n. 49, 130, 133.
Pseudo-Senofonte, XXIX.
Atb
Pol,
xv
n.
9,
πυλάγοροι, 82 e nn. 135, 137 e 140. Quattrocento, xvn, 134 n. 71, 146
n.
COSE
NOTEVOLI
169
Sicilia, Σικελία, xrr-xmr, xvi, xvi n. 12, xvi, xxt 62-63, 56 70, 58 e 112 n. 1,
n. 21, 11 n. 37, n. 65, 57 e n. n. 74, 59, 64 e 118-20, 121 n.
46, 55 e nn. 67, 58e n. n. 90, 108, 36, 124 n.
42, 126 n. 47, 128, 129 e nn. 58 e 59, 130 n. 61, 132, 140,
143, 145-47.
sicofante/i, 23 e n. 73, 23-24, 29-30, 34, 56, 70 n. 104, 73 n. συκοφαντεῖν, συκοφάντης, Siculi, xm. Σικελικῆν, XVII. sinecismo, 80. Siracosio, 106. Siracusa, xxI n. 21, 56, Siracusani, xm, xvt, 11 Siri, 2 n. 3. Socrate, 19, 20, 21 e n.
113. 24, 70.
124 n. 42. n. 37. 69, 29 n. 89, 67.
sofisti, 20, 21 e n. 69, 23, 25, 29 n. 89, 30. sofistico/a, 17, 20. Sofocle, stratego, 58-60.
104. Quintiliano, 71-72.
Sparta,
fitop/opgc, 24, 26 n. 82, 28. retorici, 21 n. 69, 24, 29.
Spartano/i, xm n. 7, xvi, 5 n. 17, 147. Spartiati, 58.
Salaminia, nave, xit.
στάσις, εἰς, xv n. 15, 123-24, στέφανος, 78, 79 e n. 126.
Samio/i, 134, 135-56, 137 n. 78, 138-41,
145, 146-47. 108,
115-17,
134 e n. 72,
135, 136 e n. 74, 137-38 e nn. 83- 85, 140 e nn. 88 e 89, 141, 143 e n. 97, 144 e nn. 98.99, 145, 146 e n. 104,
147. schiavo/i, 1, 2 n. 2, 3 e n. 7, 5, 12, 15, 41 n. 22, 48 n. 49, 72 n. 110, 99-101, 112 n. 5. Segesta, xm,
xx
n.
21,
77,
140
n.
89,
129.
straniero/afi, 1, 3 n. 7, 5, 16-17, 73, 99
Samo, xi, xiv, xvI n. 13, XXI-XXD, 5 nn.
15 e 17,
xm,
145-46.
129 n. 59.
Senofanto, 6 e n. 20. Senofonte, 38 n. 18. Serse, xxt, 46. Servilio Glaucia, C., 149. Sfacteria, 57, 58, 59 e n. 78, 65. Sicelioti, 55, 64 n. 90.
n. 182, 105-06. strategia, 41-45, 47, 51-53, 57, 59, 60 e nn. 81-82, 61 n. 85, 65-66, 95, 103 n. 192, 104 n. 197, 105-08, 129-30, 147, 149.
strategia straordinaria 62, 65, 66. stratego/hi, 11 n. 37, 40, 41-42, 48 e nn. 48, 49 e 50, 49 e n. 52, 50e n. 53, 51-54, 57-58, 59 e n. 78, 60 nn. 8182, 60-62, 64, 66 n. 94, 87 n. 157, 94-95, 103-04, 126 nn. 47 e 48, 130, 134 n. 73, 135, 142, 145, 146.
elezione degli strateghi 52-53, 58 n. 78, 61, 66, 95, 130. liste degli strateghi 53, 59, 60 e n. 82, 61. strateghi straordinari 61 e n. 85.
170
INDICE
στρατηγός οϊωμέω,
DEI
NOMI
E DELLE
15, 41-44, 48-50, 53,
64, 65 e nn. 92 e 94, 66, 106, 135. συμμαχία, 77.
Syrakosios, 31 n. 2. tassiarco, 48, 104. Tebani, xxr. Temistocle, 82, 115 n. 13, 127 n. 49. Teofrasto, xxvm, 118 n. 25, 124 e nn. 40 e 42. Teopompo, 4-5, 114, 115 n. 11, 116, 117 e n. 18, 119, 124 n. 42, 143, 144
e n. 98, 145, 146-48. Teramene,
13 n. 40, 49 n. 50, 78.
Termopili, 80, 83. tesorieri, 96, 103 n. 193.
Theolytos, arconte, 81. Theseion, tempio di Teseo, 41 n. 22, 41 n. 24, 64. timocratica, XVII.
tiranni, xm n. 6, xiv, xxi, 114 n. 9. tirannide, xir, 37, 114 e n. 9. Tirrenia, xm. Tissaferne, xv e n. 9, xxr, 137, 138 e n. 83, 146.
Tracia, 57 n. 67. Trasibulo, xxt, 77 n. 119, 142. Trasillo, 142. trattato, 55. tribù, 85, 96, 101-02. tribunale/i, 27, 29, 100.
COSE
NOTEVOLI
trierarchia, 18, 102, 103 e nn. 192 e 195, 104 e n. 197. trierarco, -chi, xiv, 18-19, 64, 103 e n. 193, 104 e nn. 195 e 196, 137, 146. trireme/i, 41 n. 24, 47, 56, 62. Tucidide, xı-xn, xıv-xvı, xvm e n. 14, XVID-XX, XXII, XXII, xxiv e nn. 32, XXV e n. 33, xxvi, xxvm-xxrx,
3, 12,
17, 42, 54-56, 59-60, 61 n. 85, 65, 77 n. 119, 90, 113, 118-19, 124 n. 42, 130 n. 61, 135-39, 140 e n. 93, 141, 145, 148.
Tucidide di Melesia, 115 n. 15, 131. τυραννίς, 114. τύραννος, xim, 114. uccisione, xt, 5 n. 15, 12, 108, 134 e n.
71, 136, 140-41, 144, 146. voto, 81, 123 n. 38, 132, 133. Zeus, 93.
φαῦλος, xxvii, 5, 73, 131. φαυλότης, 113 e n. 8. Χάρων, 4 e n. 14, 5 e n. 15, 6. χαύνωσις ἀναπειστηρία, 20.
χειροτονία, 43, 53, 82 e n. 137, 82 n. 137. Χρέμης, 4 e n. 14, 5 e n. 15, 6. χρηστοί, xir, xxix, 11, 14, 18, 57 n. 67, 63 e n. 89, 104. ψήφισμα, - τα, Xx, xxm, 98, 101. ψῆφος, 81.
INDICE
Premessa
VII
Introduzione.
XI
I. Πολίτης τῶν ᾿Αθηναίων 1. Tra padre e madre: la presunta barbarie. - 2. La professione: artigianato, demagogia e ricchezza. - δ. La παιδεία e l’esordio a vita pubblica. II. Da φιλόδικος a προστάτης: ascesa di un demagogo 1. Σχωπτόμενος ἐν τοῖς θεάτροις. - 2. Anno 425-24: Iperbolo nei Cavalieri di Aristofane. - 3. La strategia e il «grande disegno» contro
31
Cartagine. - 4. Tra Nuvole I e Nuvole II: la προστασία τοῦ δήμου. - 5.
Iperbolo ieromnemone. - 6. Iperbolo buleuta. - 7. IG I° 85. - 8. La trierarchia. III. Ὑπέρβολος ὡστραχισμένος 1. Ἐξωστραχίσθη διὰ μοχθηρίαν. - 2. Teopompo. - 3. Plutarco. - 4. L'óc:spaxoeopia e le trame politiche ad essa sottese. - 5. L'uccisione
111
di Iperbolo a Samo. - 6. Conclusione. Indice delle fonti citate Indice dei nomi e delle cose notevoli
151 »
163
FINITO NELLO
DI STAMPARE STABILIMENTO S. BIAGIO
NEL
MESE
«ARTE DEI LIBRAI
DI SETTEMBRE
TIPOGRAFICA» - NAPOLI
MM
S.A.S.