Intorno ai numeri. Oggetti, proprietà, finzioni utili 8842497096, 9788842497097

"I numeri non esistono - ha scritto un filosofo - il che non vuol dire che non esistano almeno due numeri primi tra

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Intorno ai numeri. Oggetti, proprietà, finzioni utili
 8842497096, 9788842497097

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Bi bl i ot e c ade l l es c i e nz e

Mar i oPi a z z a I nt or noainume r i Ogge t t i , pr o pr i e t à , f i nz i o niut i l i

Br unoMo nda do r i

La collana "Biblioteca delle scienze" è diretta da Eddy Cadi

Volu1ni della collana: Enrico Bellone

I corpi e le cose. Un 1nodello naturalistico della conoscenza Fernando De Felice

Gli incerti confini del cosmo. Dai buchi neri alle 1nacchine del tempo Mauro Dorato

Il software dell'universo. Saggio sulle leggi di natura Giulio Peruzzi (a c. di) Scienza e realtà. Riduzionis1no e antiriduzionis1no nelle scienze del Novecento Mario Piazza

Intorno ai nunzeri. Oggettz� proprietà, finzioni utili

Mario Piazza Intorno ai numeri Oggetti, proprietà, finzioni utili

(D

Bruno Mondadori

Tutti i diri t ti riserva ti ©

2000, Paravia Bruno Mondadori Editori

È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata. L 'editore potrà concedere a pagamento l'autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate a: Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell'ingegno (AIDRO), via delle Erbe 2, 2012 1 Milano, tel. e fax 02-809506. L'editore ringrazia Claudio Piga per l'apporto alla realizzazione del volume. Progetto grafico: Massa & Marti, Milano. La scheda bibliografica è riportata nell'ultima pagina del libro.

Indice

l 20

l. Quasi un'introduzione 1 . 1 La natura dell'implicito 1 .2 Separare . . . (divide et impera)

34 49 51 58

2. 2.1 2 .2 2 .3 2 .4

Numeri e colori "Rappresentazioni azzurre" Sette tipi di bianco (o ventisette tipi di nero) Contare dentro gli aggregati Qualcosa di fisico

79 87

3 . Numeri e insiemi 3 .l Insiemi (senza teoria) 3 .2 Pratiche definitorie (troppi insiemi alla volta) 3 .3 Insiemi e percezioni 3 .4 Intuizioni

94 111 1 19

4. 4.1 4 .2 4 .3

125 129 136

5. 5.1 5 .2 5 .3

69 74

Strutture, posizioni, relazioni L'apparenza della struttura Contare e filosofia: una digressione Relazioni (universalia inter res)

Interludio: numeri e forme Contare in Flatlandia lden=tità (Vedere) cose senza nome

6. Numeri (e altro)

in cerca di una teoria

1 80

6. 1 Oggetti isolati, proprietà in comune 6.2 Connessioni causali (e soprattutto sconnessioni) 6.3 Indispensabilità

1 88 193 2 12

7. 7. l 7 .2 7 .3

145 1 60

Numeri e finzioni Il disordine del discorso Utile, ma falsa Fiction es bene /undatae

227 236

8. Un falso epilogo 8 .l Premi di consolazione 8.2 Rappresentazioni, approssimazioni (9 =e+ 1t+ 7t), definire. Congedo

247

Bibliografia

255

Indice dei nomi

Ai miei genitori, Enrica e Aldo: « ma chi ha voglia di lavorare partorirà il proprio padre» (S. Kierkegaard, Panegirico di Abramo). . . .

Desidero esprimere riconoscenza alle persone che hanno letto tutto o in parte questo libro in forma dattiloscritta, offrendomi saggi consigli: Giovanni Boniolo, C arlo Cellucci , Roberto Cordeschi , Mario De Caro, Mauro Dorato , Giuseppe Longo , Mich el a M assimi, D ario Palladino, Massimo Stanzione.

l.

Quasi un'introduzione Philosophers sometimes mistake features of d i s cou r s e fo r fea t u r e s o f the s u b j ect o f discourse. N. Goodman, The Way the World Is

1.1 La natura dell'implicito

Quando , agenti razionali, scriviamo una dimostra­ zione matematica sulla lavagna o sul nostro compu­ ter, è implicito qualcosa di profondo su cui poggia ogni evidenza inferenziale. Noi diamo, infatti, per impliciti lo spazio geometrico in cui scriviamo la dimostrazione e una nozione di tempo " interno " entro cui la dimostrazione è strutturata. Lo spazio geometrico delimita la rappresentazione della dimo­ strazione (un oggetto finito) , il tempo ci assicura che i diversi pezzi che compongono la dimostrazio­ ne non sono simultanei. Se la dimostrazione non ci convince, il tempo dev'essere rifatto. Lo scolaro che comincia a prendere confidenza con le dimostrazioni geometriche impara a tralascia­ re l'implicito e a maneggiare direttamente l' esplici­ to, usando uno strutnento come il compasso che ha rispetto a lui, per così dire, particolari sottoscopi cognitivi . Quel comp asso con cui egli impara a risolvere alcuni problemi di geometria piana, "ela­ bora " informazioni complessivamente meno rile­ vanti per una percezione dello spazio sensibile (per esempio , esso ignora ogni fenomeno cromatico) , l

Intorno ai numeri

che tuttavia sono più pertinenti al problema.1 Non potrebbe essere altrimenti. A differenza dello scola­ ro, il compasso ha due soli sensori - le punte - e un unico linguaggio, l'angolo. Quando il bambino di età prescolare è invece immerso, ritmicamente, nell'operazione cognitiva del contare oggetti, che cosa dà per implicito oltre un sistema d'articolazione e un rapporto d'attribu­ zione? In altre parole, che cosa significa contare? «La regola del contare non è il contare», direbbe Wittgenstein con un 'allusione un po' pigra .2 Ma allora, qual è la natura di questo qualcosa che ci mette d'accordo nel contare? E in che senso questa concordanza totale sul contare, senza frammenta­ zione di sguardi, senza l'accavallamento degli ogget­ ti in gioco, corrisponde a quel tipo di concordanza pres soché illimitata che ancora Wittgenstein ha chiamato «concordanza della forma di vita» ?3 Ecco che i numeri naturali, i protagonisti della nostra storia, caratterizzabili come quegli enti fami­ liari per i matematici ed elusivi per i filosofi, fanno la loro prima comparsa e nel modo più prevedibile. Per poter parlare /iloso/ica7nente dei numeri occorre 1

La percezione dei colori h a un ruolo decisivo nel determinare i bordi (o contorni) delle superfici. Si consi­ deri anche, in un contesto apparentemente distante come quello pittorico, l'identificazione tra disegno e colore posta da Cézanne alla fine delPOttocento. Su questa geo­ metria crom atica cfr. M . Merleau-Ponty, Il dubbio di Cézanne, in Senso e non senso, il Saggiatore, Milano 1962 , pp. 27-44. 2 L. Wittgenstein, Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, trad. it. di M. Trinchero, Einaudi, Torino 1 988, p. 98. 3 L . Wittgenstein, Ricerche filosofiche, ed. it. a c. di M. Trinchero, Einaudi, Torino 1988, p. 1 1 7 . 2

l.

Quasi un} introduzione

in primo luogo arginare un'emorragia di concetti che copre un territorio sconfinato; in un ideale uni­ verso del discorso si trova di tutto . Una sorta di vigilanza difensiva sembra però garantita dal punto di vista dell'antologia che preserva la /orma prima dell a q u e s tione c i r c a l a n a t u r a del n um e r o : «Ontologia, seu scientia de aliquo et nihilo, ente et non ente, re et modo rei, substantia et accidente».4 E dunque: - che cosa sono i numeri? - oppure, che cosa si potrebbe dire dei numeri? Le due domande sono diverse : la prim a dà per scontata l'esistenza dei numeri, la seconda no . I numeri sono qualcosa o nulla? Sullo sfondo, la que­ stione generale è la seguente: esistono oggetti astrat­ ti, ossia oggetti sconnessi dal mondo spazio-tempo ­ rale di cui siamo parte? Dal 1 884 (anno de I fondamenti deltaritmetica di Gottlob Frege: "numeri anno zero " , si potrebbe dire) ai nostri giorni, la questione della dimensione antologica del numero, entro stili di ricerca eteroge­ nei, fondazionali e non, ha catturato l'interesse pro ­ fessionale e tattico di filosofi, logici e matematici (in quantità decrescente) . Certo, nel suo tentativo di ridurre i numeri a oggetti logici, Frege fallisce. Ma in questo fallimento teoretico egli non assomiglia affatto , per fare solo un esempio, al filosofo che sosteneva che i sogni non hanno una determinata durata, proprio mentre i fisiologi, studiando i sogni con elettroencefalogrammi e misurando il movi­ mento oculare, ne potevano indicare con estrema 4

G.W. Leibniz, Opuscules et /ragments inédits, ed. L . Couturat, Paris 1903 ; rist. an. G . Olms, Hildesheim 1961 , pp. 5 1 1 -5 12 . 3

Intorno ai numeri

precisione l'inizio e la fine.5 È infatti lo stesso Frege che, con il suo rigore formale, offre le armi alla pro­ pria confutazione (paradosso di Russell) , un concet­ to stranamente " nuovo " in filosofia. Un po' per s cherzo si potrebbe anche dire che Frege avesse previsto tutto (come, in certi romanzi di science fic­ tion, il Grande Programmatore di una dittatura tec­ nocratica crea ad arte l'opposizione) . Ma quel che conta osservare, in avvio, è che dal caso di Frege si può estrarre una morale di portata generale: un filo­ sofo che indaga sulla dimensione antologica dei numeri non è minacciato da smentite che siano esterne allo sp azio concettuale in cui opera ( per intenderei, il m atematico in quan to matematico rispetto a teorie filosofiche del numero non può avere lo stesso ruolo del fisiologo rispetto a teorie filosofiche del sogno) . Ovviamente, per il filosofo di professione, ciò dev' essere interpretato come un invito alla p rudenza intellettu ale piuttosto che all'eccessiva audacia, anche se in filosofia, come ha scritto Cartesio, la stravaganza, di per sé, non è mai stata considerata un difetto.

Provando e riprovando La prudenza del filosofo può essere anche garantita dalla tradizionale controparte dell'antologia, l' epi­ stemologia: per ogni inventario antologico c'è una sfid a epistemologica , ci sono costi da sostenere : come conosciamo ''ciò che è " ? Che cosa ci rende sicuri del fatto che un oggetto esiste? Così , nelle 5 Traggo questo e s empio d a R. A . S o rensen, Th e

metaphysics o/ p recisio n a n d scie n tz/ic language , i n " Philosophical Perspectives , , 1 1 (1997) , p. 3 69. Il filo­ sofo è Norman Malcolm. 4

l.

Quasi un 'introduzione

pagine che seguono, temi di antologia ed epistemo­ logia figureranno intrecciati in uno scenario il più possibile unitario. Ma attenzione alle reciproche pressioni, se non contaminazioni: vedremo come e quando bloccare inferenze che hanno premesse epi­ stemologiche e conclusioni antologiche e, viceversa, inferenze che hanno premesse antologiche e con­ clusioni epistemologiche. Compito dell' epistemo­ logia è anche segnalare ogni volta che la cono ­ scenza d i qualcosa presuppone o esige l a cono ­ scenza di qualcos'altro, e pure su questo c i sarà da lavorare. Ne I viaggi di Gulliver, Jonathan Swift ci raccon­ ta della scuola di matematica di Lagado, nell'isola di Balnibarbi: [. . ] dove l'insegnante seguiva un metodo inimmagi­ nabile a noi europei: si vergavano , con i nchiostro composto di tintura cefalica, enunciati e dimostrazio­ ni sopra un'ostia sottile. Lo studente doveva trangu­ giarla a stomaco vuoto e per tre giorni era tenuto a pane e acqua. Quando l'ostia veniva digerita, la tintu­ ra cefalica saliva al cervello convogliandovi anche gli enunciati matematici. Fino allora i risultati si erano dimostrati inferiori all' aspettativa. 6 .

A Lagado , un luogo lontanissimo dall ' Atene di Platone, l'epistemologia della matematica è di fatto un capitolo della chimica: se la matematica si cono ­ sce a forza d i tinture, il lavoro dell'epistemologo consiste nel determinare qual è la tintura che più efficacemente veicola dati matematici nel cervello. Ma d ' accordo , in genere la nostra epistemologia non è sperimentale, ed è inutile accorgersene ora, mal celando sorpresa per la mancanza di prove del 6

J. Swift, I viaggi di Gulliver, intr. e trad. di A. Brilli, Garzanti, Milano 1975 , p. 172 . 5

Intorno ai nu1neri

n ove . L' epis temologia h a inve c e un a p ro p ri a dimensione normativa, potremmo dire disinfettan­ te, che par.e ineliminabile: toglierle la normatività, è stato detto, è come togliere all' Hamlet il Principe di Danimarca. Del resto, l'epistemologo che non vuoi cedere alla prospettiva di Quine di un ' epistemolo­ gia descrittiva, riducibile in sostanza a un «capitolo della psicologia e quindi della scienza naturale» (psicologia ora, non chimica ! ) , può rilevare che la nozione di "esperimento " usata in psicologia cogni­ tiva non sempre è così rigida e metodologicamente rivendicabile. Supponiamo, per esempio, che uno psicologo cognitivo intenda sottoporre a controllo la teoria per cui il bambino, a partire da una certa età, com­ prende che l'ordine con cui si contano gli oggetti è irrilevante per il risultato finale. La verifica più diretta della teoria sembra suggerita da esperimenti di questa forma: prima il cognitivista chiede a dei b ambini di rivelargli il numero di certi oggetti, poniamo il numero dei soldatini di piombo schierati i

Nota per gli a/icionados: il progresso filosofico non va però inteso, à la Wittgenstein, soltanto nel senso per cui diciamo che c'è un progresso nell'espansione di 1t, senza mai arrivare alla fine dell'espansione. N ella storia della filosofia non sono mancati significativi successi epistemo­ logici rispetto a problemi di varia natura, teorici e perfino storici. Per esempio, il perché la matematica è applicabile alla fisica e non vale il viceversa (Tommaso d'Aquino) ; la determinazione della precedenza storica del politeismo sul monoteismo e non l'inverso (David Hume offre una spiegazione rigorosamente epistemologica di ciò) ; oppu­ re, contro il Platone del Teeteto, il perché la conoscenza proposizionale non è sempre definibile come credenza vera giustificata (Edmund Gettier, 1962 ) . Infine, ancora più di recente, la liquidazione della versione più forte della scommessa di Pasca! (Anthony Duff, 1 986) . 6

l.

Quasi un'introduzione

in fila; poi chiede loro di ricontare gli stessi soldatini in un ordine diverso. Ebbene, è assai probabile che alcuni bambini la seconda volta diranno al cogniti­ vista-sperimentatore un numero differente, perché interpretano la richiesta di ricontare i soldatini come un segnale implicito che la loro prima risposta è scorretta . L' esperimento è così vittima di quegli effetti d'interferenza osservatore/misura ben noti in meccanica quantistica. E all'attenzione dell' episte­ mologo non sfugge che il contare e il ricontare sono differenti operazioni cognitive (naturalmente con molto in comune) ; esse sono processi differenti nello stesso senso in cui lo sono il leggere e il rz1eg­ gere (e in generale, l'identificare e il ri-identificare) . 8

Contare o leggere? Il bambino all'inizio può indirettamente assimilare il contare al leggere: quando legge, il suo occhio segue un percorso obbligato, di sola andata, da sini­ stra a destra sulla superficie di qualcosa. Analoga­ mente, egli ha imp arato a contare seguendo un ordine unidirezionale. In effetti, il contare e il leggeIl caso presentato è effettivamente emerso quando alcuni cognitivisti si sono chiesti perché non quadravano certi dati sperimentali di una ricerca sull' abilità numerica infantile. Cfr . R. Gelman, E. Meck, S . Merkin, Young children 's numerica/ competence, in " Cognitive develop­ ment " , l (1986) , pp. 1 -29. Si noti anche che per il bambi­ no il passaggio dal contare insiemi piccoli (fino a cinque elementi) al contare insiemi più grandi può essere discon­ tinuo, ossia implicare una differente strategia. Cfr. M . Hughes, Children a n d number, Blackwell, Oxford 1987, p. 28. TI secondo capitolo del libro mostra come la com­ petenza numerica dei bambini sia maggiore di quanto sostenuto da Jean Piaget. 8

7

Intorno ai numeri

re sono entrambe operazioni progressive. Non si possono salta re le lettere altrimenti le parole ci apparirebbero diverse o incomprensibili O' ebraico non scrive le vocali, ma non le può saltare) , non si possono saltare gli oggetti da contare, altrimenti ci riferiremmo a un altro insieme: ogni lettera fa riferi­ mento alle lettere precedenti, spazializzate (anche se possiamo percepire complessivamente una parola senza la consapevolezza di aver prima identificato le sue lettere) , e ogni oggetto occupa quel posto parti­ colare in riferimento agli oggetti già contati : il numero esprime - forse è - una posizione. Non è allora banale la comprensione del bambi­ no che l'ordine del conteggio è irrilevante ai fini del risultato finale, che quest'ordine sowertibile è solo una p o s s ibilità p ermutazion ale . N el p ercepire nuove porzioni di realtà, nel confrontarsi con qual­ cosa di contabile o di leggibile che attraversa lo spa­ zio , egli può cogliere una differenza: l'ordine di apparizione (o l'ordine d'appello) degli oggetti non modifica il numero complessivo degli oggetti, men­ tre l'ordine di apparizione delle lettere in una sezio­ ne orizzontale determina (fissa) una volta per tutte le parole. «È come se le parole pronunciate scivolas­ sero dentro di noi mentre leggiamo»:9 lo " scivolare" presuppone una convivenza cristallizzata dei segni in gioco. Esiste così un senso chiuso dell'ordine e un senso aperto. Ancora un a differenza: leggere un testo significa leggere le sue copie ortograficamente corrette (a meno di leggere il testo originale) ; invece non contiamo le copie degli oggetti, ma gli oggetti stessi. 9 L . Wittgenstein, Ricerche filosofiche, cit. , sivo è mio.

8

p.

90. TI cor­

l.

Quasi un'introduzione

Contare ((intransitivo" e {(transitivo" Di solito il bambino afferma di saper contare quan­ do ha imparato a pronunciare nel giusto ordine i nomi dei primi numeri naturali (egli precisa di saper contare fino a 10 o fino a 100) , senza che dietro que­ sti suoni declamatori ci sia un riferimento a oggetti specifici. Questo tipo di contare, chiamato dai filo­ sofi della matematica " contare intransitivo" , esprime un'operazione acontestuale, di natura essenzialmen­ te linguistica: a ogni suono particolare è riconosciuto un valore linguistico distintivo e quindi isolabile dalla serie. 1 0 In questo modo, il bambino piccolo si appropria della serie dei numeri naturali, come fosse una filastrocca che esprime, con fatale meccanicità, lo scorrere del tempo: il 5 è quel numero che si rag­ giunge prima del 6 e dopo il 4 . La serie ha un passato e un futuro: i numeri sono legati fra loro attraverso una relazione temporale (del resto il contare del bambino nel gioco a nascondino indica il tempo necessario a nascondersi) . Il " contare transitivo" è invece il misurare insie­ mi finiti, misurare il mondo. È il contare oggetti discreti, il processo enumerativo: l'assegnazione di un numero progressivo agli elementi di un insieme (ma di fatto, agli oggetti assegniamo numerali di un linguaggio, non numeri) . 1 1 Quindi, si sceglie di con­ tare un insieme I di oggetti, ma, a rigore, non si 10

Il contare intransitivo come vera e propria esecuzione non si esprime solo a livello fonematico, ossia a livello di suoni pronunciati (pure mentalmente) , ma anche trascri­ ven do le stringhe di lettere (o le cifre) . 11 n linguaggio, tuttavia, non è una condizione necessaria per il contare transitivo. In Nuova Guinea, esiste una tribù che, pur disponendo di un linguaggio elaborato, conta attraverso parti del corpo ordinate serialmente: il

9

Intorno ai numeri

conta I: si contano gli oggetti in l; la cardinalità del­ l'insieme è espressa dal numero assegnato all'ultimo oggetto considerato , dove " ultimo " può riferirsi a qualsiasi oggetto dell'insieme che sia contato dopo gli altri. 1 2 Dato un insieme di n elementi, ci sono n ! ( n fattoriale) possibili modi di contare i suoi ele­ menti (modo di contare: l'ordine arbitrario in cui si raggiungono tutti i termini della serie) . Un insieme di oggetti è finito: se può essere messo in corrispondenza biunivo­ ca con un segmento iniziale dei numeri naturali, qua lunque cosa siano i numeri naturali e per qualunque interpretazione di essi; oppure, senza -ricorrere ai numeri, se non può essere messo in corrispondenza biunivoca con una sua parte propria. In entrambi i casi, dire che un insieme è finito signi­ fica impegnarsi antologicamente su funzioni (per­ tanto un filosofo che non crede n eli' esistenza di funzioni potrebbe replicare: " come posso credere che un insieme è finito, se per me l'esistenza di fun­ zioni è tutt'altro che accertata? " ) . pollice e le altre quattro dita della mano, il polso, l ' avan­ braccio, il gomito e così via. Cfr. G. B. Saxe, Body parts as numerals: A developmental analysis of numeration among remote Oksapnzin village populations in Papua, New Guinea, in "Child Development" , 52 ( 1 98 1 ) , pp . 3 06-3 16. 12 Chiaramente, la cardinalità dell'insieme potrebbe esse­ re determinata anche da un'ipotetica mente superiore (o da un cosiddetto "idiot savant" ) che contasse simultanea­ mente (ossia con un solo colpo d'occhio) tutti gli elementi dell'insieme. Una mente normale non riesce a percepire più di sei elementi nel medesimo campo visivo. Questo contare " simultaneo " , che non richiede attenzione , è chiamato nella letteratura subitizing, dal latino subitus. 10

l.

Quasi un} introduzione

Il contare transitivo comporta la possibilità teo­ rica di un'enumerazione infinita: altrimenti, anche il distributore automatico di bibite, il cui contare non va oltre un numero finito di monete, avrebbe l a nostra capacità d i contare. (Per Noam Chomsky è proprio il fatto che siamo capaci di operare con sistemi che sono sia discreti, sia infiniti, a differen­ ziare la specie umana dalle altre.) In effetti, impa ­ rando a contare i n modo intransitivo , impariamo virtualmente a generare un numero infinito di paro­ le e, per ognuna di queste parole, le operazioni arit­ metiche ci permettono di formare un catalogo ine­ sauribile di sinonimi.

Contare numeri Ma non possiamo avere la certezza che il contare intransitivo esista. Forse, quando contiamo intransi­ tivamente stiamo contando transitivamente i nume­ ri. (Già Socrate nel Teeteto osserva che per una per­ sona è possibile contare «o da sé con se stesso i numeri che ha in sé o qualche altro degli oggetti esterni che hanno un numero». ) 13 Come operazione contestuale, il contare transiti­ vo presuppone dunque il riferimento diretto a oggetti (unità differenziabili) . È rispetto alla diversa natura di questi oggetti che emerge la pervasività del numero , nel senso che la contabilità degli ogget­ ti non è una condizione sufficiente per la loro esi­ stenza. È così owio che è quasi imbarazzante segna­ lario: si possono contare oggetti che si offrono allo sguardo, ma anche, senza alcun vincolo di presenza , oggetti che s'immaginano o si ricordano (anche s e i ricordi sono irreali, sotto l'ipotesi di Russell che il 13

Platone, Teeteto, 198 c. 11

Intorno ai numeri

mondo esiste da cinque minuti) . Senza il minimo abuso, possiamo contare ogni cosa che può essere un oggetto di pensiero: anche un oggetto impossibi­ le ( nel senso di impossibile da realizzare in tre dimensioni) come una stella a otto punte (figura a) , o un vuoto qualificato come «un coltello senza lama cui manca il manico», un coltello cui manca tutto per esistere (figura b) .

Fig. b

Fig. a

E se il mondo è composto da un oggetto unico, di

esso contiamo le parti discrete che s'immettono sulla scena una dopo l' altra, in tante serie, interrotte e ricominciate, senza che nessuna estrometta le altre. Quando contiamo, i numeri non sono misteriosi.

Un intermezzo lockeano Quasi a garantire un equilibrio saltato, John Locke coglie una differenza essenziale tra il nostro uso dei numeri e quello degli altri oggetti, una differenza utile anche a spiegare il richiamo, in filosofia della matematica, del formalismo, la tesi che identifica i numeri con segni di un linguaggio umano. Locke si 14

14 Si fa talvolta risalire il formalismo all'introduzione di Raffaele Bombelli (nel XVI secolo) dei numeri "immagina-

12

l.

Quasi un) introduzione

chiede perché non possiamo usare i numeri «senza le parole o i caratteri o qualche altro segno esterio­ re», mentre siamo capaci di pensare il bianco o il nero, un uomo o un cavallo «senza l'uso di nessun nome o segno, col far rivivere semplicemente le loro ide e». 1 5 Per il filosofo inglese questo dipende dal fatto che l'idea di unità è così semplice (senza diffe­ renza, né gradi) , e «così esattamente simile a tutte le idee di unità», che le idee di unità ripetute «non sarebbero mai distinte, ma formerebbero un cumulo disordinato e caotico, se io non avessi parole o segni, come uno, due, tre ecc. , per conoscerle, determinar­ le e disporle nell'ordine dovuto». 16 Anche se Frege farebbe notare che il numero non può essere tante unità sovrapposte, qui interessa il ruolo davvero insostituibile che parole e segni numerici assumono, attraverso la generatività del linguaggio, nel sistema dei rapporti tra ciò che è osservabile (forme disco n­ tinue) e ciò che è riferibile (la quantità) . L'immenso successo dei numeri è garantito dal­ l' essere coestensivi con particolari oggetti spazio­ temporali (i numerali) . In fondo, i numeri non sono altro che il significato dei numerali. Se qualcuno ci ri" , usati per fornire radici numeriche a equazioni come K = - l e da lui ritenuti meri simboli. Tuttavia - ha preci­ sato J esseph - nella concezione di Bombelli i nume ri immagin ari si oppongono ai numeri " reali " , ossia ai numeri che simboli non sono. Più corretto è allora far risalire il formalismo, che considera tutti i tipi di numeri alla stregua di simboli o segni, al vescovo Berkeley. Vedi D . M. Jesseph , Berkeley )s Philosophy o/ Mathematics, Chicago University Press, Chicago 1993 , pp. 1 1 8- 122 . 15 J . Locke , Saggio sult in telligenza umana. Seco n do abbozzo, intr. di C.A. Viano, Laterza, Roma-Bari 1984 , pp. 1 1 8- 1 19. 16 Ibid. 13

Intorno ai numeri

dice che " otto più sei fa tredici", non pensiamo che sta usando, come Humpty Dumpty, un particolare linguaggio- in cui il suo " tredici" significa il nostro " quattordici" (o nel quale il suo " sei" significa il nostro " cinque") , ma pensiamo, più economicamen­ te, che egli sta sbagliando a eseguire la somma tra due numeri che noi e lui chiamiamo allo stesso modo. 1 7

Contare i simboli In proposito occorre osservare che la scelta dei numerali è meno neut rale di quanto s p e s s o si ammetta. Possiamo utilizzare - si dice - i numerali arabi o romani, o magari stringhe finite di barre: l, Il, 111, 1111 ...

Tuttavia, il fatto saliente è che i numerali, come vet­ tori d'informazione quantitativa, non devono obbli­ garci a contare. Supponiamo infatti che un giorno, in risposta alla domanda: " quanti?", si arrivi a usare i. numerali: l, Il, 111, 1111 ...

Per esempio, se domandassimo a qualcuno quante persone si trovano nella stanza in cui siamo entrati, la sua risposta (scritta) non sarebbe "32 " , ma: 11111111111111111111111111111111

Per afferrare tale risposta dovremmo contare le Humpty Dumpty è il "filosofo del linguaggio" incon­ trato da Alice in Through the Looking-Glass: «Quando io uso una parola, disse Humpty Dumpty con un certo sde­ gno, quella significa ciò che io voglio che significhi. Né più né meno». L. Carroll, Alice nel paese della 1neraviglie. Attraverso lo specchio, intr. , trad . e note di M. Graffi, Garzanti, Milano 1989, p. 2 1 9. 17

14

l.

Quasi un'introduzione

barre che il numerale contiene, dovremmo srotolar­ lo. Ma, allora, se per questa operazione consumia­ mo parecchio tempo e l'errore non è improbabile, non sarebbe per noi preferibile contare direttamen­ te le persone nella stanza?

A proposito di spazio In qualsiasi caso, si contino oggetti percettualmente vicini o remoti, oppure eventi distribuiti nel tempo ( che, metaforicamente, nel tempo occupano posti differenti) , o anche suoni - se ci orientiamo tra eventi acustici seriali - contare significa ( almeno) riconoscere e separare tra loro certe configurazioni. Vale a dire: assegnare agli oggetti un contorno, o un confine, proprio come in alcuni quadri di Cézanne gli oggetti sono contornati da tratti turchini. Per questa ragione è così difficile contare le onde, le amebe, le nuvole, nonché i nostri pensieri (è quindi falsa l'osservazione di Locke per cui «un uomo può contare i suoi pensieri così bene come le cose sulle quali riflette») . Generalmente, la differenza tra il contare oggetti concreti e il contare oggetti astratti è che il contorno dei secondi è arbitrario, sicché è arbitraria la sua assegnazione. Vale inoltre il princi­ pio del contorno (materiale) : i contorni sono più pic­ coli delle cose che separano. A ciascun oggetto materiale x, circoscrivibile, viene associato un posto p nello spazio (un indiriz­ zo) : un posto non occupabile finché x permane in quella posizione. Ma, in questo periodo, p risulta non occupa (to/bile) unicamente da un qualsiasi oggetto div erso da x , o p p u r e p n on è 18

18

J. Locke, op. cit. , p. 1 17 . 15

Intorno ai numeri

occupa(to/bile) anche da un oggetto identico a x? Insomma, se un tavolo occupa un posto, quanti altri identici favoli possono occupare nel medesimo istante la stessa regione di spazio? Chi può garantir­ ci, in altre parole, che davanti a noi non si trovino infiniti tavoli perfettamente sovrapposti ? ( C osì come, grazie al programma di grafica del nostro computer, possiamo «incollare» ripetutamente una parola su se stessa, ed essa ci appare sullo schermo sempre unica, nonostante gli strati sovrapposti) . Il problema, probabilmente spurio, non risiede nel segreto di fabbricazione del tavolo , ma nelle proprietà fondamentali dello spazio e della materia. Anche se sappiamo poco sullo spazio e sulla mate­ ria, ne sappiamo abbastanza per presumere che la posizione occupata da un oggetto in un certo tempo rappresenta una regione di spazio proibita per altri oggetti dello stesso tipo (la statua di bronzo e il bronzo della statua occupano lo stesso spazio, ma sono oggetti di tipo diverso, suscettibili di diverse descrizioni) . Anche quando impariamo a vedere i colori , questa spartizione del territorio rim ane implicita: "il giallo e il blu si escludono a vicenda" vuoi dire che i due colori non possono occupare contemporaneamente (per uno stesso osservatore) la medesima regione di spazio . D ' altro canto, una teoria implicita non è mai verificata, o è verificata senza che ce ne accorgiamo, e il senso comune è il sedimento di teorizzazioni millenarie. 19

19 Per il Wittgenstein del Tractatus (6.375 1 ) è un'impossi­ bilità logica che due colori siano a un tempo in un stesso luogo del campo visivo , ossia è un fatto «escluso dalla struttura logica del colore». Nelle Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, egli scriverà invece che que­ sto fatto «ce l'insegna l'immaginazione», cit., p. 150.

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Potremmo provare a dire, allora, che la percezio­ ne dello spazio ( do v e ? ) è anteriore alla domanda: " Quanti oggetti di tipo x?" alla quale, da Platone in poi, il numero , come misura della pluralità, deve fornire una risposta univoca. Invece la domanda: " Quanti oggetti contiene la mia scrivania?" - senza la specificazione di questi oggetti, l 'isolamento di un 'unità di misura - ammette innumerevoli risposte valide.20 Ma imbroglieremmo le carte se parlassimo di pura e s emplice " percezione � ello s p azio " . Infatti, non è lo spazio, "invisibile e senza forma", a essere percepibile (poiché lo sp azio è " soltanto" una rappresentazione matematica della realtà circo­ stante) , ma sono gli oggetti collocati nello spazio a esserlo. Lo spazio non può essere incontrato in uno stato indipendente dalle cose; la nostra conoscenza dello spazio è "parassitaria" sugli oggetti. Lo spazio non è neppure un certo insieme 5 (Kant direbbe un ricettacolo) : dicendo che un oggetto x è nello spazio, non intendiamo dire che x appartiene a 5 come fosse un suo elemento. E il tavolo, evidentemente, non è una proprietà dello spazio: non possiamo dire che lo spazio è "tabulare". Dunque, se il contare non è ancorabile allo spa­ zio prescindendo dagli oggetti che ci portano dentro lo spazio, resta da chiarire la relazione tra il contare e il percepire oggetti; è sufficiente allora osservare 20 In gergo filosofico , si dice che i concetti " oggetto " ,

" cosa " , " entità" (ma anche " verde " ) non sono sortali, ossia non forniscono specifici principi d'individuazione ( a differenza, per esempio, dei concetti " spillo" , " elefante " , "pianeta" ) . S e chiedo a qualcuno di contare il "verde" in un luogo, le risposte possibili sono molteplici. Soltanto se specifico quali oggetti verdi contare posso ricevere una risposta definita. 17

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che il contare un oggetto presuppone la sua identifi­ cazione, mentre, come ci ha mostrato anche la lette­ ratura - da Omero a Proust - il percepire un ogget­ to non equivale a identificarlo. Ciò che possiamo ribadire è che rispetto al nostro conteggio lo spazio sta fuori (e certamente presiede in un senso matema­ tico, strutturale) , mentre gli oggetti stanno dentro. Riguardo allo spazio , il bambino si comporta come un piccolo leibniziano: egli sa, senza averlo appreso da nessuno (ancora una forma dell'implici­ to) , che lo spazio fra le cose non è una cosa, tant'è che egli conta gli oggetti materiali, inventariabili come materia qualificata, piuttosto che gli sp azi (materia inqualificata, non materia) che separano gli oggetti. Il contare gli intervalli tra gli oggetti equi­ varrebbe - in un rovesciamento gestaltico figura­ sfondo come nelle Fughe di Bach o nelle illustrazio­ ni in bianco e nero di Rubin - a una distribuzione di ruoli per cui gli oggetti materiali sono l'inqualifi­ cato che ha il compito d'isolare spazi qualificati.2 1 E a suo modo, il bambino è un piccolo eleatico se è vero, come c'informa Platone, che gli eleatici [ ] sostengono drasticamente che è soltanto ciò che offre qualche resistenza e contatto, definendo identici corpo e essere; se invece qualcuno degli altri dirà che c'è qualcosa privo di corpo, lo disprezzeranno total­ mente e non vorranno ascoltare nient'altro da lui. (So/ista, 246 b) . . .

2 1 Generalmente, per oggetto materiale s ' intende un oggetto fisico composto di materia topologicamente con­ nessa. Non tutti gli oggetti fisici sono dunque materiali: un campo gravitazionale non è composto di materia, un gas è composto di materia sconnessa. Per semplicità, nel corso del libro, " fisico" , "materiale" ( " concreto " ) saranno però usati intercambiabilmente. 18

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Quasi un) introduzione

Nel corso del libro vedremo se vi sono buone ragio­ ni, sia antologiche che epistemologiche, per difende­ re la tesi eleatica secondo cui gli oggetti concreti sono gli unici costituenti della realtà. La questione se l'esistenza spazio-temporale sia il solo genere di esi­ stenza, è centrale per la filosofia della matematica.

Spazio mentale Lo sp azio non è soltanto quello euclideo , in cui immergiamo le nostre inferenze sulla realtà - chi a­ mat a "mesoscopica " (intermedia tra la realtà delle galassie e la realtà subatomica) - ma è anche quello "non euclideo " per eccellenza, cioè il nostro spazio mentale. Il cercare a ritroso in questo spazio è dato dal gio co volontario della memoria, strutturat a come narrazione, l a quale isola il dettaglio che spor­ ge dallo sfondo , conta a suo modo oggetti o eventi passati, e poi attenua, attraverso immagini appro­ priate, i possibili effetti di sorpresa innescati dal conteggio: la memoria, essendo finita, tende a nor­ malizzare (non a caso la memoria è anche conside­ rata una forma di " fare" ) . È naturale allora domandarsi, complessivamen­ te, qual è la relazione contratta tra i numeri e questo sp azio mentale , se i numeri esistono com e entia mentis, come rappresentazioni mentali che abitano uno spazio privato, accessibile solo " dall'interno" . Una risposta negativa alla domanda è stata forni­ ta da Frege. Egli per primo nota e descrive l'inva­ sione . d ei numeri, oggetti extramentali, sul piano della logica , un po' come l'invasione dei marziani sulla Terra, descritta da Orson Welles in una celebre trasmissione radiofonica del 193 8. Frege ha tentato di arginare quella sorta di fluidità non controllata e in senso stretto indefinibile che porterebbe a sovrap 19

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porre gli ambiti disciplinari della psicologia e della filosofia. A suo dire, sono prop rio le infiltrazioni della psicologia nella filosofia (e nella logica) a osta­ colare, mediante un'avvolgente rete d'illusioni con­ cettuali, una «collaborazione feconda» tra filosofia e matematica. L'aritmetica, scrive F rege, non è psico­ logia più di quanto non lo sia l'astronomia, la quale istituzionalmente studia pianeti piuttosto che idee di pianeti. All'interno di una rigida separazione dei percorsi di ricerca oltre i quali una disciplina sconfi­ nerebbe nell'altra, l'oggetto proprio della psicologia è identificato nel pensare, mentre l' oggetto della filosofia è identificato nel pensiero. Il pensiero (il senso di un enunciato assertorio ) è impersonale, costante, atemporale, aspaziale, indipendente dal nostro pensarlo. 22 1.2 Separare

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(divide et impera)

Eppure, non è vergognoso per la scienza di essere tanto all'oscuro su di un oggetto [il numero l] che le sta così vicino e che pare così semplice? Né vi è da farsi illusioni: non sapendo definire il numero uno, tanto meno si saprà dire che cosa sia un intero in generale. 2 3

22 Cfr. Logica ( 1 897 ) in G. Frege, Scritti postumi, ed. it. a c. di E. Picardi, Bibliopolis, Napoli 1 986, pp. 23 1 -262 . F rege rimanda a un p asso d i Richard Dedekind in Che cosa sono e a cosa servono i numeri? ( 1 888 ) , dove per "pensiero " s ' intende qualcosa che è indipendente dal pensare. 2 3 G. Frege, I fondamenti dell'aritmetica, in Logica e arit­ metica, a c. di C . Mangione, Boringhieri, Torino 1 965 , p . 2 12 . 20

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«S ep arare lo psicologico dal logico , il soggettivo d al l ' o ggettivo » . F rege o b i e t t a al m a t e m ati c o S chlomilch che, se i numeri naturali avessero una re altà psicologica, rappresentazionale, sarebbero es clu sivamente personali: il mio 2, il tuo 2, il suo 2 . Ogni numero, fluttuante, dovrebbe essere etichetta­ to da un aggettivo possessivo che ne specifichi la "provenienza " , rendendo problematica, per non dire ingestibile , qualsiasi operazione aritmetica . Come riconoscere la parte residuale, non computa­ bile, perfino " inconscia " del numero? Ecco prende­ re forma uno scenario inquietante, da fantascienza: "nuovi" numeri 2 con nuove generazioni, potrebbe­ ro far diventare un giorno il prodotto 2 x 2 uguale a 5 (I fondamenti, § 27 ) . A parte questa finzione spontanea, leggermente ansiosa, la generale ma concreta proposta di Frege ne I fondamenti dell'aritmetica consiste nel «cercare il significato delle parole, considerandole non isola­ tamente, ma nei loro nessi reciproci»24 ( da un punto di vista musicale, ossia in un codice non verbale, ciò è come dire che la stabilità di una nota dipende dal suo contesto ritmico) . Attivato questo principio del contesto, destinato sia a delimitare che a orientare i punti di vista, per chiarificare contestualmente il concetto di numero occorre polarizzare l' attenzione sulle proposizioni specifiche in cui appaiono i termini numerici: per esempio, "la quinta sinfonia di Beethoven ha quat­ tro movimenti" . Così ci accorgiamo che «l' attribu­ zione di un numero contiene sempre un'affermazio­ ne intorno a un concetto» ( § 46) : è un concetto a essere il portatore [Tra·g er] di un numero. Sono i 2 4 Ivi, p. 2 1 9. 21

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con cetti a dirci che c o s a contare. 25 D a questo momento la domanda costante di Frege non sarà: " Che cos 'è un numero ? " , ma: " Quando si ha lo stesso numero? " .26 Un'altra confusione è però in agguato: