Il viaggiatore inglese 9788857224046


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Italian Pages 102 Year 2014

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Il viaggiatore inglese
 9788857224046

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Masolino d'Amico

Il viaggiatore inglese

Ypsilanti District Library 5577

Whittaker Road

Ypsilanti, MI 48197

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Augustus Leopold Egg. The Travelling Compa (particolare), 1802

Birmingham. Birmingham Museums and

© The Bridgeman Art Library

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Masolino d'Amico

Il viaggiatore inglese.

SKIRA

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Collana diretta da Eileen Romano

Design Marcello Francone

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico o altro, senza l’autorizzazione scritta

dei proprietari dei diritti e dell’editore © 2014 Skira editore

Il viaggiatore inglese

Martedì 22 ottobre, le 11 del mattino (ora di Greenwich)

“Benvenuti a bordo del volo British Airways 283 in partenza da Londra Heathrow e diretto a Los Angeles, California. Non effettueremo scali intermedi e la durata del volo è prevista in undici ore e quindici minuti, con arrivo alle tredici e trenta ora locale...” L'annuncio continuò, sciorinando la quota che il velivolo avrebbe raggiunto, la velocità di crociera e altri dati ai quali i passeggeri di una Business Class semideserta non prestarono so-

verchia attenzione. A beneficio di costoro uno steward si accinse tuttavia a mimare stancamente la routine delle procedure da seguire in caso di emergenza. l’aereo cominciò a rullare sulla pista. Pioviccicava. Avendo allacciato la cintura di sicurezza, un giovanotto dalle gambe molto lunghe cominciò nervosamente a trafficare con la sua borsa, dalla quale estrasse un iPad, un taccuino traboccante di foglietti e un fascio di pagine fotocopiate. La sua agitazione contrastava con la placidità del suo vicino di posto, un signore corpulento molto più anziano di lui, con una abbronzatura vistosamente artificiale e capelli di un color mogano scuro e brillante quale di rado si riscontra in natura. Questi lo guardò con aria maliziosa. “A lei non interessa?”, gli disse, indicando lo steward che inascoltato spiegava come allacciarsi il salvagente e indossare, alla caduta, la maschera dell’ossigeno. “Eh...?” farfugliò il giovanotto, imbarazzato quasi fosse stato un bambino colto in fallo. I fogli gli caddero di mano. Si chinò per raccoglierli, ma non aveva calcolato la cintura di sicurezza che lo bloccava. Allora la slacciò e si piegò a recuperare le carte sparse in terra. L’altro ridacchiava.

“Non seguiva la lezione. Ahi, ahi...” Aggiunse alzando un dito indice con finta severità. Ma subito dopo sorrise. “Scherzo! Fa benissimo a non badare a quello lì. Tanto, lo sanno tutti: in caso di emergenza è inutile darsi da fare. Siamo spacciati!” Compiaciuto del suo black humour, il passeggero dai capelli tinti scoppiò in una risata sonora. Sempre un po’ agitato,

il suo vicino abbozzò un sorriso per compiacerlo, ma subito si bloccò sentendo con orrore una musichetta rock che gli usciva dalla tasca. “Oh Dio santo, non l’o)spento.” Rapido e furtivo, ma sempre con gesti convulsi, il giovanotto estrasse un iPhone che continuando a diffondere note si era illuminato e mostrava la faccia di una bella ragazza. Si affrettò a scollegarlo. “La mia fidanzata”, disse per giustificarsi. “Vuole controllare se ce l’ho fatta. Sa, ho deciso di partire all’ultimo momento... È stata una corsa contro il tempo. Non credevo neanche di trovare più un posto.” “È per via del maltempo a New York. Lì non decollavano, quindi hanno cancellato dei voli in partenza dagli States. Per paura dei ritardi, la gente è rimasta a casa... E noi ci godiamo lo spazio extra.” Indicò l’immagine sorridente che l’altro si dilungava a contemplare prima di spegnere definitivamente l’ordigno. “L'ha accompagnato all’aeroporto?” “No, no. Mi aspetta all’arrivo.” “Be?, sulla nostra rotta non ci dovrebbero essere sai Ora si può rilassare.” “Sì. Certo. Ma un po’ è che l’aereo mi fa sempre questo effetto... un po’ è l'emergenza. Detesto fare le cose in fretta.” L’altro emise un mugolio di benevola comprensione mentre accettava dalle mani di un assistente la rituale salvietta imbevuta di vapore caldo e se la premeva sul faccione cordiale. Terminata l'operazione, passò allo champagne che una bionda hostess gli offriva. “Per questo mi piace la Business... il bar è aperto anche prima del decollo.” 8

“A me solo acqua, grazie.” Disse il passeggero più giovane alla ragazza quando costei presentò anche a lui il vassoietto con i bicchieri già colmi. Prima di allontanarsi, la hostess depose delle bottiglie mignon e del ghiaccio sugli appositi appoggi nei braccioli dei sedili. “Alla salute,” brindò il passeggero anziano. Tutti tacquero compunti mentre l’aereo raggiungeva la mas-

sima velocità al suolo. Da ultimo si sollevò di colpo, costringendo gli occupanti della cabina, compresi hostess e steward appollaiati sui loro seggiolini, ad appoggiarsi indietro, sui rispettivi schienali. Il silenzio generale durò fino a quando le cose non ebbero ripresa la posizione consueta. Si accese la scritta che autorizzava a slacciarsi la cintura di

sicurezza. Gli occupanti della Business Class ripresero vita e si riscossero. ; Il giovanotto aprì gli occhi che durante l’ultima fase del decollo aveva tenuto ermeticamente chiusi e vuotò il bicchier d’acqua che aveva continuato a impugnare con forza. Poi si schiarì

la gola e tese la mano al suo vicino. “Mi scusi per prima. Piacere. DeWitt Henry. Terzo.” L’altro la strinse. “Piacere. Nathaniel Cohn. Primo. E ultimo... Nat. Diretto a Hollywood?” “Da cosa lo ha capito?” “La gente dello show business la riconosco a naso. E quelle pagine lì?... Quelli sono dialoghi. Pagine di uno script.” DeWitt Henry III mise i fogli incriminati sotto altri di aspetto diverso, cercando di fare un po’ di ordine. “Be”, sì... sono solo abbozzi, però. Scartati.” “Cosa è lei, scrittore? Attore? Regista? Produttore? O è un semplice executive?... Scusi la mia curiosità. Magari siamo col-

leghi.” “No, si immagini... veramente però non sono nessuna di queste cose... ancora. Diciamo che ci sto provando.”

Dopo una pausa, come temendo di essere stato troppo brusco, DeWitt proseguì. “Lei è del mestiere?” “Altroché. Agente. Quasi in pensione, per la verità... ma in passato nel cinema ho fatto di tutto, compresa la produzione. Quarant'anni sulla breccia... Non mi fa compagnia?” Mr Cohn vuotò la sua bottiglina di whisky dentro un bicchiere già colmo di ghiaccio e si mise a pescare da una vaschetta piena di noccioline. “No, grazie. Cioè sì. Con l’acqua.” “Almeno l’acqua però la beva. In aereo si rischia la disidratazione.”

i

Non troppo propenso a incoraggiare una conversazione ma tuttora un po’ a disagio, il giovanotto dalle gambe lunghe cercò di rimettere ordine tra i fogli che aveva raccattato ammucchiandoli sul tavolinetto insieme con il suo iPad, che accese e si

mise a guardare. Peraltro il silenzio di Mr Cohn durò poco. “Una volta queste ore di volo mi servivano per avvantaggiarmi. Leggevo un’infinità di copioni. Salivo a bordo carico come un somaro... Adesso naturalmente sta tutto dentro quella lì...” Indicò la tavoletta dell’altro. “Ne ho una anch’io, come

tutti del resto. La mia è più piccola, ce l’ho in tasca. Dentro ci potrei portare una biblioteca. Anche se, devo dire la verità, a

leggere in quello schermetto non mi ci sono mai abituato davvero. È come per la pellicola. Uno della mia età accetta volentieri che un film possa stare tutto dentro una penna stilografica, ma nel profondo prova nostalgia per le vecchie pizze di latta piene di pellicola a 35 millimetri, ultrainfiammabili... Idem per le sceneggiature. Vuoi mettere tra leggerle a pezzettini dentro quel coso, e girare i fogli di quelle di una volta, con la copertina di cartone flessibile e in mezzo la feritoia per leggere il titolo... strimpellate dalla tipografia in tre copie, con la carta carbone? Già, ma lei quelle non le avrà nemmeno mai viste.” Mr Cohn sgranocchiò qualche nocciolina, vuotò il suo bicchiere, indicò la bottiglina che la hostess aveva lasciato sul bracciolo del suo compagno. 10

“Diceva sul serio, che beve solo acqua? Perché se la lascia LaPERSO DeWitt Henry III rispose senza distogliere gli occhi dallo schermo del suo iPad. “Prego, prego, gliela cedo volentieri.” Mr Cohn vuotò la mignon nel suo bicchiere, dov’era rimasto ancora un po’ di ghiaccio. “Se la disturbo me lo dica, non faccia complimenti. Magari ha da lavorare.” Reprimendo un sospiro di rassegnazione, il giovanotto chiuse la custodia dell’iPad. “Ma no, non è urgente. Anzi, forse è meglio se smetto di occuparmene per un po’.”

Ci fu una pausa rotta da Mr Cohn, che evidentemente non riusciva a stare zitto. “Mi lasci indovinare. Sta scrivendo una sceneggiatura.”

“Magari ne fossi capace. È proprio questo il punto.” “Va a Hollywood, e non sa scrivere una sceneggiatura?” “Be”, ci vado proprio per questo. Vado a trovare un tale che spero me la scriva lui.” “Un negro, come dicevamo noi una volta? Oggi magari si di-

rà un afroamericano. Nel senso di uno scrittore-ombra.” “Ma no. Un signor scrittore. Anche se di persona non l’ho mai visto.”

“Allora lei è un produttore.” “Vorrei esserlo... Adesso le spiego. Ho provato a fare il regista, ho provato anche a fare lo sceneggiatore. Ora però penso

che la mia vocazione vera sia di fare il produttore. Ossia, essere quello che mette insieme gli autori... che gli dà l’input e li coordina.” “Stiamo parlando di un film?” “Più o meno. Avrei un progetto di serie televisiva...” A questo punto DeWitt Henry si interruppe. “Vada avanti, mi racconti pure. Non abbia paura che possa rubarle l’idea.” 11

“I’idea è difficile che me la rubino. Nel senso che mi sono cautelato... Ho opzionato un paio di libri. Il guaio è che è ancora in uno stato embrionale. Mi stavo documentando, ero già abbastanza avanti, quando mi è capitata questa occasione Vede sni Il giovanotto si sentì improvvisamente incoraggiato a sfogarsi un po’ aprendosi con questo sconosciuto.

“La mia fidanzata... quella che mi aspetta a L.A. Si chiama Saffron... Lei è inglese, € sta facendo uno stage di produzione a L.A. Naturalmente sa tutto del mio progetto... Be’, le è capitato di parlarne con uno scrittore, uno molto importante. Il papà di un’amica che si è fatta lì. Insomma. Lui ha detto che la cosa — FORSE - gli può interessare. Però a condizione che gliene parli io direttamente... non ha tempo né voglia di leggere nulla... e non più tardi di domani. Dopo parte per lo Sri Lanka con un regista a fare dei sopralluoghi, sta via due mesi, e insomma, prendere o lasciare.” “E lei ha preso. Al volo.” “Si capisce. Però il guaio è che non sono ancora pronto.

Cioè, sono preparato, ho letto tutto quello che si poteva leggere e ho preso un sacco di appunti. Ma per essere davvero convincente, prima dovrei mettere tutto un po’ in ordine. E non ne ho avuto il tempo.” “Cos'è, un romanzo?” “No, no, piuttosto una biografia. Di un personaggio stori-

co... inglese.” “Tipo l'ammiraglio Nelson.” “No. Adesso le spiego. Comincio dal principio. Io sono americano, come sente, ma da anni sto in Inghilterra. Per un po’ ho studiato a Cambridge, poi ho lavorato nello spettacolo — cose piccole. Un paio di anni fa mi sono impegnato su un mio progetto. Era una serie televisiva ispirata a quelle sull’Inghilterra del passato, che hanno avuto e stanno avendo tanto successo... Sa, sulla scia di Downton Abbey, per non parlare di tutti quegli adattamenti dei romanzi di Jane Austen. Era la cosa del momento.” 12

“Un momento che dura ancora, direi.” “Sì, la buona vecchia Inghilterra piace sempre. Così cercando uno spunto mi era venuto in mente un personaggio straordinario, uno vissuto davvero, nel Settecento... Lancelot Brown detto Capability. Capability Brown... il nome le dice niente?” “Mai sentito.”

“In Inghilterra è famoso. Fu un grande architetto di giardini, un creatore di paesaggi. Ridisegnò decine e decine di grandi tenute per i massimi signori dell’epoca.” “Ah. E lei è riuscito a vendere un progetto di questo genesed

“Magari. No, neanche per sogno. Troppo caro, troppi costumi, troppe location... andava girato quasi tutto in esterni... ma la vera verità è che non sono riuscito a cavarne una storia.

È lì che ho capito che il mio mestiere non è quello. Non sono un tipo creativo.” “E allora?” “Ecco, ci ho pensato bene. Ho letto e studiato. Alla fine so-

no approdato su un altro personaggio storico, sempre inglese... però vissuto un secolo dopo, nell’Ottocento.” “Sempre in costume.”

“Certo, ma ambienti più facili da ricostruire... Comunque, un’altra success story. Anche qui ci sarebbe un uomo come

Brown, che partendo dal nulla arrivò al massimo del successo. Uno che seppe captare in anticipo su tutti una tendenza del gusto, diciamo un’aspirazione diffusa anche se mai davvero formulata... e assecondarla, ottenendo risultati spettacolari, infinitamente superiori alle sue stesse previsioni e speranze più au-

daci. Come l’altra volta, mi ha incoraggiato il precedente di una serie televisiva inglese, che veramente era partita dall’ America, Mr Selfridge — sull'uomo che fondò a Londra il primo grande magazzino, quello gigantesco che ancora oggi domina Oxford Strect:” “Sì, ho visto qualche puntata. Non che fosse un gran che... E lei ha scritto la storia del suo uomo?” i,

“No, ecco il punto. Questa volta a scrivere una storia non ci ho nemmeno provato. Ho raccolto il materiale - ho comprato i diritti di libri che lo trattano — ma prima di portare la proposta a uno studio e cercare di girare un numero zero voglio avere una storia scritta da un professionista. Uno bravo.”

“Aspetti un momento. Sto morendo di caldo. Mi aiuta a sfilarmi questa?” Senza alzarsi dal posto, il massiccio Mr Cohn si contorse per sfilarsi la giacca, cosa che gli riuscì grazie all’aiuto del suo compagno di viaggio. Rimasto in gilet e maniche di camicia, appese la giacca al gancetto apposito sulla spalliera del sedile davanti al suo e continuò la conversazione. “Ce l’ha già un agente?” Ma Mr Cohn non diede a DeWitt Henry il tempo di mostrare imbarazzo, perché si affrettò ad aggiungere: “Scherzo, scherzo! Si rilassi. Non sto cercando lavoro”. “L'agente ce lo avrei... il mio futuro suocero fa appunto

l’agente. A Londra. Fd è disposto a darmi una mano. Se le cose si mettono come vorrei.”

“E il suo scrittore... sarebbe questo signore di Hollywood che le ha dato appuntamento per domani.” “Adesso le dico il nome.” Il giovanotto sussurrò qualcosa all’orecchio dell’altro. “Nientemeno! Ma è il massimo. È come avere un appunta-

mento con Shakespeare, Arthur Miller e Ben Hecht reincarnati nella stessa persona. E lui la starà a sentire?” “Gliel’ho detto. Mi concederà un’ora di tempo. Dopodiché se la cosa lo stimola, mi dà la sua benedizione. E si va avanti.”

“Più che di stimolare uno così, credo si tratti di fargli vedere un assegno con molti zeri.”

“Io spero che l’idea gli piaccia. Se trova che il progetto sta in piedi, gli offro di entrare in società. Una mezza idea per gli attori e per il regista già ce l’avrei. Con quelli e con un nome come il suo la produzione si combina. Che dice? Le sembro un pazzo?”

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Mr Cohn vuotò quello che rimaneva nel suo bicchiere. “Non lo so. Dipende da quello che ha in mano. Se è la bomba che dice lei...” | “Non ho detto che sia una bomba. Però a me piace... Se vuole glielo racconto.” “Per provare a convincere me?”

“Ci posso provare. Ma appena si annoia, mi fermi.” “Okay. Le sarò sembrato un chiacchierone, ma le assicuro che nel mio mestiere bisogna essere anche buoni ascoltatori. E poi abbiamo ancora quasi undici ore chiusi qua dentro. Magari però non ne parliamo a bocca piena...” La hostess stava ricomparendo con dei vassoi provvisti di piatti di ceramica, bicchieri di vetro e tovaglioli di stoffa, nonché dei menu che furono deposti davanti ai passeggeri. Dopo essersi affrettato ad abbassare il tavolinetto, Mr Cohn sbirciò il suo e le disse prontamente: “Per me il menu di pesce. E lo Chardonnay.” “Per me il menu vegetariano,” disse a sua volta DeWitt. “E acqua senza ghiaccio, per favore.” Dopodiché ciascuno si concentrò sul proprio pasto, e tacque.

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Martedì 22 ottobre, le 12.30 (ora di Greenwich)

“Ancora caffè?” oi Grazie.” “Posso ritirare?” “Faccia pure.” “Caffè, signore?” “Non lo disturbi... Credo che possa togliere anche a lui.” Appesantito dal pasto e soprattutto dal buon vino bevuto, Mr Cohn aveva inclinato il sedile della sua poltrona e se la dormiva beatamente. DeWitt Henry si mise a contemplare lo schermo del suo iPad, ritto sul tavolinetto ora liberato. Qui comparve una pagina scritta con caratteri antiquati, che diceva:

MANUALE

TURISTICO

DI

COOK per PALESTINA

E SIRIA Londra: THOMAS COOK & SON, Ludgate Circus, E.C. SIMPKIN, MARSHALL, & Co. 1876

de,

Il dito del giovanotto fece scorrere le pagine. Quasi subito si fermò su: INFORMAZIONI PER

STAGIONE

PRATICHE

I VIAGGIATORI

PER I VIAGGI

IN ORIENTE.

La PRI-

MAVERA è il periodo migliore per un viaggio in Palestina. I Viaggiatori che intendano visitare la Palestina così come l’Egitto non possono far meglio che scegliere dicembre, gennaio o febbraio per la loro crociera sul Nilo, e marzo o aprile, i mesi più accoglienti dell’anno, per la Palestina. Se questo non risultasse conveniente...

Il dito del giovanotto scivolò, sfogliando. ABBIGLIAMENTO. Quando si viaggia è sempre auspicabile evitare il bagaglio eccessivo. Al tempo stesso è necessario essere bene equipaggiati, specialmente se il viaggio può durare dei mesi. Per i gentiluomini, abiti di tweed leggero, e un vestito di flanella, con uno di stoffa più scura da indossare in circostanze particolari; quest'ultimo naturalmente non è indispensabile, ma taluni preferiscono indossare tenute di questo tipo quando assistono a cerimonie religiose, o fanno qualche visita speciale. Calze di lana e stivali robusti, camicie di flanella o di cotone; pantofole, e scarpe leggere, un impermeabile, un ombrello bianco foderato di verde, cappelli di feltro, o “caschi” con velo interno. Alle signore si raccomanda di portarsi un vestito di lana buona, non pesante; uno o due di tessuto leggero; e uno di seta buono a più usi. Tra gli

ARTICOLI VARI che potrà risultare utile avere con sé si possono menzionare una tazza di cuoio per bere, e un filtro ta-

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scabile, corregge di cuoio, un piccolo scrittoio robusto, col necessario per scrivere, un gomitolo di spago, un buon coltello tascabile multiuso, occhiali verdi, se gli occhi sono minimamente deboli; aghi, filo, fettuccia, bottoni, e altri articoli del genere che verranno in mente a ogni viaggiatore; sapone, una

bussola tascabile, un velo azzurro o verde, come protezione contro non solo la luce del sole, ma anche la polvere; una cassetta botanica, o se non la si trova, un barattolo di latta, in cui

si possano conservare radici, ecc. Filo al magnesio o torce dovrebbero portarsi per incrementare le luci fornite nel buio di tombe, templi, ecc. Di elementi per qualunque “hobby” particolare possa avere il viaggiatore ci si dovrebbe rifornire prima della partenza, come album per schizzi, presse botaniche; sempre in anticipo bisogna rifornirsi se il viaggiatore intende eseguire ricerche geologiche o entomologiche, ecc. Si consiglia di portarsi un buon binocolo da campo o da teatro. SALUTE,

DIETA,

ECC. Contro la DIARREA ci si può a

volte difendere tenendo l’addome al caldo; qui si può ricorrere ai consueti rimedi casalinghi; tintura concentrata di canfora, maranta, acqua di riso, ecc., si possono assumere, mentre bisogna evitare la frutta, la carne, e tutte le sostanze grasse. L’EMICRANIA di solito è la conseguenza dell’esposizione al sole cocente. Un bagno caldo, se si riesce a ottenerlo, e in caso contrario, impacchi freddi, sono i rimedi migliori. In Oriente è sempre opportuno proteggere il collo e la testa con un buon cappello a tesa larga, e veli fluttuanti, in quanto i colpi di sole non sono rari. L’OFTALMIA è straordinariamente diffusa in Egitto, e in qualche misura in Palestina. Alcuni ritengono che sia prodotta dalla sottile polvere di sabbia esalata dal deserto e dal bagliore del sole. È più probabile, nondimeno, che sia da attribuirsi ad altre cause, come l’umidità dell’aria notturna. Il

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primo rimedio da applicare è il costante lavaggio degli occhi con acqua calda; se ciò non ha successo, bisogna rivolgersi alla lozione allo zinco, o a una soluzione di nitrato e argento. Tutti i viaggiatori faranno bene a prendere precauzioni speciali per evitare l’esposizione all’umidità, o al freddo dell’aria

notturna. Se sarà il caso di assumere delle MEDICINE, il viaggiatore dovrebbe scegliere quelle alle quali è avvezzo. In aggiunta, può

essere opportuno segnalare le seguenti: Chinino: il rimedio migliore per la febbre terzana. Lozione oculare allo zinco. Soluzione salina piretia, o Polveri Seidlitz. Un rotolo di cerotto. Una bottiglia di clorodina. Un vasetto di cold-cream. Acqua di Colonia, e qualunque specifico il viaggiatore possa usare abitualmente, come il Bunter’ Nervine per il mal di denti, ecc. MEDICI

EUROPEI

si possono trovare a Gerusalemme...

Da qualche momento Mr Cohn aveva riaperto gli occhi e si sporgeva a sbirciare l’iPad del suo vicino. “E questo è il suo film? O sta progettando una spedizione nel deserto?” “Se lo facessi, sarebbero consigli un po’ antiquati. Comunque sì, ha a che fare con il progetto. È una guida di quasi centocinquant’anni fa. Non che le cose siano tanto cambiate, dopotutto. Legga un po’ qui...” Col dito, DeWitt fece scorrere le pagine fino a una che porse al suo vicino. BAKSHEESH. Dovunque, dall’alba al tramonto, il viaggiatore sarà tormentato da richieste di baksheesh, che è stato defi-

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nito l’alfa e l’omega del viaggio in Oriente. È la prima parola che i bambini imparano a balbettare; sarà probabilmente la prima parola araba che il viaggiatore sentirà al suo arrivo in Palestina, e l’ultima alla sua partenza. La parola significa semplicemente “regalo”, ma viene applicata di solito a mance o tariffe, quali si aspettano tanto i bambini nudi che si affollano intorno al viaggiatore quando costui arriva in un villaggio, quanto gli illuminati funzionari della Dogana o di altre pubbliche istituzioni. Se ogni viaggiatore si facesse una regola di non dare mai baksheesh, se non in cambio di qualche servizio positivo ricevuto, de-

gno della somma in questione, si renderebbe utile sia alla popolazione sia ai viaggiatori futuri. Si ricordi anche che per la maggior parte dei postulanti una piastra o due costituisce una somma enorme.

“Be”, buono a sapersi anche nel 2014. Magari il tono non è proprio politically correct.” “No, e poi in origine la parola non è araba, ma persiana. An-

che se gli arabi hanno certo contribuito alla sua diffusione.” “E questo sarà il suo film... pardon, la sua serie televisiva? Avventure di viaggiatori vittoriani nel deserto e in posti del genere?” “No. Ma vorrei raccontare la storia di colui che le rese pos-

sibili. Le dice niente il nome di Thomas Cook?” “L'agenzia dei viaggi? Thos. Cook & Son... Thomas Cook e figlio. Una grossa impresa.” “Può dirlo forte. Ancora qualche anno fa era il terzo gruppo industriale del Regno Unito, con un fatturato annuo di più di settantacinque miliardi di sterline.” “E appartiene ancora alla famiglia?” “No, è una multinazionale. Negli anni 1920 la vendettero ai belgi. Alla Compagnie des Wagons-Lits. Di chi sia adesso non lo so.” “Tutto creato da quel signor Cook?” 21

“Inventato da lui. Il signor Cook nacque nel 1808, durante le guerre napoleoniche... e morì nel 1892. Ora lei pensi. Nel 1850 il numero dei viaggiatori inglesi che si recavano sul Continente era di poco più di centocinquantamila l’anno. Non esistevano ancora viaggi collettivi organizzati. Il primo lo realizzò Cook nel 1855, e fu l’inizio di una tendenza in crescita esponenziale. Alla fine del secolo il numero degli inglesi che attraversavano la Manica ogni anno era vicino al milione.” “E lei vuole ricavare una storia da questo?” “La storia è la storia di quell’uomo... Thomas and Son, di lui e di suo figlio, se vogliamo. E secondo me è una storia affascinante.”

“In effetti un pochino lei mi ha incuriosito... Voglio dire, mi incuriosisce che riesca a trovare degli spunti in una situazione del genere. Be’, allora, forza. Provi ad affascinare me... come se fossi il suo sceneggiatore. Magari senza entrare troppo nel detta-

glio. Intanto io prendo qualcosa per stimolare l’attenzione.” Senza parere, Mr Cohn aveva premuto un tasto accendendo una luce sopra la sua poltrona. Una sollecita hostess si materializzò quasi immediatamente. “Potrei avere una vodka con del ghiaccio? Inutile tentare lei, signor salutista, immagino”, continuò rivolto a DeWitt Hen-

ry mentre la hostess si allontanava per esaudirlo. “Grazie no... del resto neanche il signor Cook la approverebbe. Era un grande nemico delle bevande alcoliche.” “Poco divertenti i suoi viaggi organizzati, allora”, disse Mr Cohn aprendo la bottiglina prontamente consegnatagli dalla ragazza, vuotandone il contenuto in un bicchiere contenente già del ghiaccio e contemplando poi questo in controluce. “AI contrario... se le dicessi che l’idea dei viaggi gli venne proprio dal bisogno di intrattenere i suoi clienti, beninteso mantenendoli sobri? Ma sto anticipando troppo.” “Cominciamo dall’inizio. Chi era questo signor Cook?” “Era di famiglia molto modesta. Fisicamente piccolo anche se robusto, con due gambette esili e una testa destinata alla calpa:

vizie. Aspetti, glielo faccio vedere. Qui aveva cinquantacinque anni.”

DeWitt premette qualcosa sullo schermo del suo iPad, che quindi porse al vicino. Il signor Cohn contemplò il vecchio ritratto fotografico in bianco e nero di un piccolo signore in palandrana, molto stempiato, che guardava in macchina seduto un po’ scomodamente sul bordo di un seggiolone di legno intagliato, la mano sinistra chiusa a pugno e appoggiata su di una specie di co-

lonnina messa lì dal fotografo per facilitare le lunghe pose. “Non una parte per Brad Pitt.” “No, al contrario. Come vede, era un ometto dall’aspetto insignificante. Anche i suoi modi erano poco chic. Nacque a Melbourne, non in Australia, ma in un villaggio del Derbyshire che così si chiama, a sette miglia appunto da Derby. Il padre era manovale, la madre, analfabeta (anche se col tempo poi si istruì),

‘era figlia di un predicatore di quelli apocalittici, che invocavano fuoco e fiamme sui reprobi. Appartenevano tutti e due a una rigida comunità battista, ossia erano, come si diceva allora, dei non-conformisti, ovvero dei dissenters, dissenzienti. In Inghilterra erano tutti cristiani, ma solo quelli della Chiesa Nazionale Anglicana avevano pieni diritti; imembri delle altre confessioni, fossero quaccheri, presbiteriani, unitariani, congregazionalisti, cattolici ovvero battisti, erano cittadini di serie B.” “Quando non scappavano all’estero, come i puritani del ‘Mayflower’.” “Proprio così. Dovevano pagare le decime alla Church of

England e quindi collaborare a mantenerne il clero ufficiale, cosa che facevano molto malvolentieri. Sì, godevano di qualche autonomia — potevano celebrare i loro matrimoni, per esempio — ma non avevano accesso a cariche importanti. I Battisti, che pra-

ticavano una moralità molto intransigente, credevano nella libera interpretazione individuale delle Sacre Scritture. Chiunque tra loro poteva improvvisarsi predicatore ed esortare il suo prossimo a pentirsi e a temere il fuoco dell’inferno, come il nonno materno di Thomas e in seguito come Thomas stesso. Thomas fu 055)

l’unico figlio di suo padre John Cook, che morì improvvisamente quando il bambino aveva solo tre anni. La vedova si risposò quasi subito con un altro manovale, che venne ad abitare con lei in una casupola poverissima, col pavimento in terra battuta. Poi

anche questo secondo marito morì, non senza averle fatto mettere al mondo altri due maschietti. Così a dieci anni il nostro Thomas Cook dovette lasciare la scuola e mettersi a lavorare, di-

ventando la principale fonte del mantenimento di sua madre e dei fratellastri.” “Non molto spettacolare fin qui.” “È solo l’antefatto. Vediamo...” DeWitt consultò appunti nel taccuino. “Inizialmente sfacchinò negli orti di tale John Robey, occupandosi sia di seminare, potare, sarchiare, scavare, annaffiare, concimare e via dicendo, sia di girare per i mercati del circondario, a dorso di mulo ma più spesso a piedi, a vendere piselli, fagioli e altri prodotti. A quattordici anni riuscì a migliorare un poco la sua condizione, quando venne preso come apprendista da tale John Pegg, che era falegname, il che comportava abitare sotto il tetto di costui. Benché alcolizzato, cosa che alla lunga lo ridusse in miseria, questo John Pegg era un membro eminente della locale Chiesa Battista, e Thomas venne incoraggiato a seguire le lezioni della scuola domenicale; gli altri giorni segava assi per fare gambe di sgabelli. A diciassette anni fu ricevuto ufficialmente nella Chiesa Battista, tramite un battesimo per immersione totale — a febbraio, e tutto vestito! — officiato da un uomo che avrebbe avu-

to importanza per la sua formazione, tale reverendo H. Joseph Foulkes Winks, facondo predicatore e autore nonché stampatore di opuscoli religiosi per il proprio gregge. Il reverendo Winks, che in seguito si distinse soprattutto in campagne per la prote-

zione degli animali e in particolare per l’abolizione dei combattimenti di galli e di cani, e dei crudeli giochi a spese di tori e tassi, iniziò Thomas, almeno si pensa che fu lui, alla professione del tipografo. Questa comportava diversi tipi di manualità, dalla precisione richiesta per collocare con le pinzette le lettere di me24

tallo nei loro binari alla forza necessaria per sollevare le pesanti presse e per trascinare le balle della carta stampata. Era necessaria, anche, una certa familiarità con la lingua, per evitare i

refusi o correggerli.” Il giovanotto alzò gli occhi dal taccuino e si voltò verso l’altro, che colse in atto di soffocare uno sbadiglio. “Ma la sto annoiando. Me lo dica, e smetto subito.” Mr Cohn aveva disteso le gambe e teneva gli occhi chiusi. Pe-

raltro borbottò un diniego. “No, no, niente affatto. Continui. Sono proprio curioso di vedere dove andrà a parare.” “Mi faccia consultare i miei appunti.” DeWitt prese dei foglietti. “Allora. Autodidatta, senza dubbio aiutato e incoraggiato da quel Winks, il nostro Thomas riuscì a farsi nominare, a ven-

.t’anni, predicatore laico per la Chiesa Battista, con un salario annuo di 36 sterline, che anche a quell’epoca erano pochine assai. I suoi compiti erano, cito tra virgolette: ‘recare agli igno-

ranti e ai reietti il Vangelo della salvezza attraverso la fede nel Signore Gesù.’ In pratica si trattava di organizzare riunioni, condurre funzioni, procurare conversioni, diffondere il Verbo, di-

stribuire opuscoli, vendere Bibbie, dare una mano alle scuole domenicali, coprendo una vasta area rurale e protoindustriale in varie contee del Lincolnshire, del Northamptonshire eccetera. Fra un mestiere che richiedeva coraggio, in quanto tra i suoi ascoltatori c'erano spesso sfaccendati inclini a sbeffeggiarlo sonoramente e talvolta addirittura a farlo bersaglio del lancio di 0ggetti. Richiedeva anche una notevole energia fisica; egli stesso, che teneva un accurato registro dei suoi spostamenti, calcolò a un certo punto di avere percorso più di duemila miglia a piedi contro appena cinquecento con altri mezzi di trasporto. Le condizioni dei proletari cui si rivolgeva erano spesso miserabili. Pensi che solo dal recente 1819 era proibito servirsi nei cotonifici di bambini sotto i nove anni di età. Gli orari di lavoro arrivavano a quindici ore al giorno con brevi intervalli. Nel 1842 fu finalZò

mente varata una legge che stabiliva per donne e ragazzi di ambo i sessi impiegati nell’industria tessile un nuovo orario umanitario: solo dieci ore al giorno dal lunedì al venerdì, e otto ore il sabato. L’attività di Thomas fu incessante durante il primo anno, nel quale coprì dozzine e dozzine di cittadine e villaggi, ma nel secondo anno i suoi datori di lavoro, in considerazione dell’ospitalità che tanto spesso riceveva nei suoi giri, pensarono be-

ne di ridurgli il compenso, che passò a 26 sterline. Poco dopo tuttavia anche questo misero appannaggio cessò, perché come con-

seguenza della grande crisi economica del 1831 — Thomas aveva ventitré anni — e dell’epidemia di colera che le tenne dietro, la Chiesa Battista annunciò di non avere più fondi per finanziare i predicatori ambulanti, e lo lasciò all’asciutto. A questo punto il nostro amico decise di stabilirsi in uno di quei villaggetti e di mettersi a lavorare come falegname, e giacché c’era, di sposarsi. Al tempo stesso continuò da solo l’attività di tipografo, e si mise a stampare opuscoli religiosi di cui spesso era l’autore e dai quali non si aspettava alcun profitto.” De Witt fece una pausa, come aspettandosi una reazione. Mr

Cohn si decise ad aprire un occhio e a dire qualcosa. “Ma è una storia straziante. Però c’è il lieto fine, no?”

“Aspetti, vorrei farle notare un dettaglio abbastanza significativo. Le ho detto di quelle cinquecento miglia che Thomas aveva percorso su mezzi diversi dal cavallo di San Francesco. Cos'erano questi mezzi? Erano carrozze, diligenze, cavalli. E il treno? Cera già, il treno? La risposta è sì, un paio di linee ferroviarie in Inghilterra c'erano. Ma a parte che Thomas non avrebbe potuto permettersi il prezzo del biglietto, non servivano ancora le Midlands, ov-

vero il territorio dove lui agiva. Vediamo...” Girò altre pagine del taccuino. “Il primo tratto ferroviario, dell’Inghilterra e del mondo, fu aperto al pubblico nel 1825 e, come una volta si insegnava a scuola, andava da Stockton a Darlington. George Stephenson, che 26

aveva inventato la locomotiva a vapore una decina di anni pri-

ma, aveva raggiunto le dodici miglia orarie già nel 1819. Il secondo tratto collegava Manchester a Liverpool e fu inaugurato nel 1830. Nel viaggio inaugurale la locomotiva travolse e uccise il deputato di Liverpool, tale William Huskinsson.” “Quanti dati, quante notizie. Bravo. Vedo che è... ferratissimo. Ah, ah. Scusi la freddura... Era un bravo studente, ci scommetto.” “Al contrario. Ma questa volta ce l’ho messa proprio tut-

ta. Avevo chi mi spronava... Ma torniamo a noi. Fatto sta che Cook, destinato a diventare il più grande agente di viaggi della storia, era cresciuto in un mondo che sostanzialmente ignorava la rotaia. Ma sul tema delle ferrovie torneremo presto. Adesso devo accennare all’altro grande motore dell’esistenza di Thomas Cook, forse addirittura il principale: quello — glielo avevo anticipato — della promozione della temperanza, ovvero della lotta all’alcolismo.” DeWitt chiuse il taccuino e andò avanti a braccio. “L’alcolismo era una grande piaga sociale in Inghilterra, particolarmente nelle classi lavoratrici. Tutto era cominciato il secolo prima, con la diffusione del gin, importato dall’Olanda e molto facile ed economico da produrre, anche in casa, prassi che diventò comune quando il governo lo gravò di tasse. Inizialmente il gin fu considerato un tonico, quasi una medicina dagli effetti benefici. Ha mai sentito l’espressione Dutch courage, co-

raggio olandese?” “Si dice per l’incoscienza degli ubriachi, no?” “Sì, oggi si dice con disprezzo, ma in origine si diceva con ammirazione, appunto della spavalderia che gli inventori avevano fama di derivare dalla loro bevanda. Ben presto il gin fu la grande consolazione ed evasione dei poveri, nonché fonte di abbrutimento. Per incoraggiare il consumo della più salubre birra, il governo incentivò l’apertura di spacci che solo quella vendevano, ma il risultato non fu troppo positivo. Sono celebri le due acqueforti settecentesche di Hogarth, Gin Lane e Beer Street: la 9.1;

prima con un lercio vicolo popolato di uomini e donne all’ultimo stadio della degradazione alcolica, la seconda con una strada linda e ordinata, frequentata da cittadini sobri e decenti. Ciò malgrado, la diffusione dei cosiddetti gir palaces, mescite di gin, antenati dei pub, fu vastissima in tutta l’Inghilterra. Gli orari di lavoro che le ho esposto poco fa non lasciavano troppo tempo per il diporto; gli operai inglesi prendevano la paga settimanalmente, non mensilmente. Così il sabato sera molti invece di tor-

nare a casa e consegnarla alla moglie si dirigevano immediatamente al pub — negli anni 1860 ce n’erano 20.000 nella sola Londra — e se la bevevano, rincasando in stato di incoscienza e vo-

lentieri malmenando la coniuge che li rimproverava. Non la sto a tediare con l’alcolismo come piaga sociale del. proletariato. Ma le dirò che combatterlo era una missione fondamentale della Chiesa Battista, i cui ideali di sobrietà contem-

plavano anche l’astensione dal tabacco. Conosce la parola teetotaller, ‘astemio’?”

“La parola la conosco, anche se non posso dire di identificarmici.”

“Questa parola, che alla lettera significa ‘ultratotale’, anzi, ‘praticante dell’ultratotalità’, fu inventata per caso nel 1832, durante una riunione tra promotori di una Lega per la Temperanza, aspetti un momento...”

DeWitt sfogliò rapidamente il taccuino. “... A Preston nel Lancashire, ossia dalle parti del nostro Thomas Cook. I promotori, poi passati alla storia come ‘I Sette di Preston’, erano uomini influenti, cui si associarono indu-

striali come John Horniman (quello del tè), James Barlow (del cotone), eccetera, preoccupati per l’andazzo che minacciava la salute e le condizioni economiche dei lavoratori. La loro crociata era per l’abolizione appunto totale di ogni bevanda alcolica. Avevano cominciato chiedendo la soppressione del gin, ma in seguito giacché c’erano aggiunsero anche la birra, il sidro, il vino e tutto il resto. Agli aderenti veniva chiesto di firmare il Pledge, ovvero il giuramento di astenersi dal bere alcol 28

assolutamente e per tutta la vita. Thomas firmò questa dichiarazione il primo gennaio del 1833, poco dopo avere impiantato la sua bottega di falegname a Market Harborough, e due settimane prima di sposarsi. Come molti altri, in precedenza si

era astenuto dal versare il brandy sul Christmas pudding il giorno di Natale.” DeWitt si fermò per bere un bel sorso d’acqua. “Mi perdoni se le faccio una domanda personale... ma l’ha firmata anche lei?” “No, no, io sono astemio per ragioni soprattutto sportive.

Faccio le maratone, l’ultima è stata quella di New York.” “Complimenti.” “E poi mi piace l’acqua... Lusso che al tempo di Thomas Cook molti non abbienti non avevano. Nel senso che non gli arrivava direttamente in casa.” —_ —“Ecome facevano il tè?” “Ne facevano poco... Il tè era molto caro, sa, lo beveva so-

lo chi se lo poteva permettere. Diventa popolare lentamente via via che il prezzo si abbassa, durante l’Ottocento.” “Adesso faccio la parte del suo sceneggiatore. Cosa abbiamo finora? Un giovane predicatore bruttino, senza troppo suc-

cesso, che fa il falegname e stampa foglietti edificanti... in un contesto di proletari ubriachi. Brrr... gli ubriachi al cinema possono essere insopportabili. Ma ha detto che si è sposato. Una bella storia d’amore?” | “Non saprei. Dalle fotografie non ti viene in mente proprio Angelina Jolie. Però non era una donnetta qualunque, anzi pare che alla lunga si sia rivelata un’ottima amministratrice. Aspetti, gliela faccio vedere. Ho anche lei.” Porse a Mr Cohn il tablet, su cui ora compariva l’immagine, anche questa in bianco e nero, di una signora magra, dall’aria severa, con una sottana larghissima a molte balze. Come prima il marito, era in posa seduta in una poltroncina, che però dietro l’ampia gonna scompariva, e appoggiava la sinistra su un apposito sostegno. 29

“E poi, cosa che certo attirò Thomas, era molto pia. Thomas la conobbe che insegnava in una scuola domenicale, e si sintonizzarono subito sulla morigeratezza e sulla sobrietà dei costumi. Nei primi anni ebbero solo un figlio (più un altro che morì subito), John, o John Mason... il primo nome era quello del nonno paterno, il secondo, il cognome della madre. John Mason Cook, che è il Son della ditta, diventerà un personaggio notevole anche lui. Ma come avrebbe dichiarato in seguito, la sua non fu un’infanzia felice, per via dell’austerità impostagli dai genitori e dello scarso contatto con il padre, che impegnato com’era in tante attività aveva poco tempo per la famiglia.” “Ma quali erano tutte queste attività?” “Faceva sgabelli, ma soprattutto si dedicava alla propaganda della sua religione e in particolare di quello che da noi, in America, ottant'anni dopo sarebbe stato chiamato Proibizionismo. Pubblicava a sue spese tutti questi volantini e opuscoletti edificanti, a un certo punto li contò ed erano molte migliaia. E li diffondeva come meglio poteva. Ed era molto presente nelle iniziative della Lega per la Temperanza... Cominciando dalla sua stessa bottega, con disappunto del fratellastro minore Simeon, che lavorava per lui e che ogni tanto avrebbe gradito un po’ di birra leggera. Thomas invece parlava ai lavoratori per esortarli a non bere affatto. Non aveva paura di niente, era capace di mettersi davanti al pub e apostrofare quelli che uscivano, a costo di essere preso a male parole... o peggio. Una volta gli tirarono un osso, un pezzo di gamba di cavallo, che lo prese sul collo e lo fece stramazzare lungo disteso in un vicolo. Però non era un tipo

mansueto. Si rimise in piedi, inseguì l’assalitore e lo fece processare e condannare a pagare una multa.” “Insomma, un fanatico. Ma è simpatico uno così?”

“Facciamo parlare i fatti. E arriviamo al vero inizio della storia, per il quale c’è una data precisa, il 9 giugno 1841. A questo punto il nostro Thomas ha trentatré anni... “Come Gesù Cristo, altro falegname con vocazione alla predica.” 30

“Eh...? Sì, ed è diretto a piedi verso Leicester, per una riunione pubblica degli aderenti alla Temperanza; lui è il segretario della branca locale dell’associazione. Deve percorrere quindici miglia ovvero venticinque chilometri, e calcola di farlo in quattro ore; a piedi per risparmiare le tariffe dei mezzi pubblici. Si porta l’acqua, il pane e una cappa impermeabile. Alla riunione prenderà parola un personaggio importante, tale Lawrence Heyworth di Liverpool, direttore della Midland Railway — nel frattempo la ferrovia era arrivata anche nelle Midlands - e sostenitore della Temperanza. Giunto a circa metà del cammino, proprio mentre passava davanti alla chiesa di Kibworth Harcourt, Thomas — come avreb-

be scritto in seguito — ebbe un lampo di genio. Improvvisamente pensò che una gita in treno per i sostenitori della Temperanza sarebbe stata ‘una cosa magnifica”, e che così, cito le sue pa-

role, ‘le forze recentemente sviluppate delle ferrovie e della locomozione si sarebbero potute mettere al servizio della promozione della Temperanza”.” DeWitt fece una pausa significativa. Ma Mr Cohn non sembrava troppo impressionato. “Tutto qui?”

“Aspetti un momento. Thomas Cook rimuginò la sua idea durante tutto il resto del tragitto, poi quando fu sul palco durante l’incontro prese la parola e propose per un incontro successivo di mettere gli Amici della Temperanza su di un treno speciale, che li portasse da Leicester a Lougborough e ritorno. La proposta fu accolta con entusiasmo generale. Il giorno dopo Thomas chiese un incontro con il segretario della Midland Countries Railway Company, e gliela illustrò. Tenga presente che allora le linee ferroviarie stavano spuntando come funghi, qua e là nel Paese, ciascuna a opera di una compagnia indipendente. Quello accettò di buon grado. Gli parve una buona occasione per fare propaganda alla linea, e promise un prezzo speciale. Così il 5 giugno 1841 circa cinquecento passeggeri — inutile dire che Thomas Cook aveva redatto, stampato e affisso o altrigl

menti distribuito manifesti e volantini per pubblicizzare l’iniziativa — si riunirono alla stazione di Campbell Street, a Leicester, per salire sul treno speciale. La spedizione era una tale novità che i ponti dove sarebbe passato il treno erano gremiti di curiosi. Il prezzo per quell’andata-ritorno, ventidue miglia complessive, fu di uno scellino per gli adulti e la metà per i bambini. Il treno era composto da una vettura di seconda classe e nove di terza. Le vetture di terza erano scoperte e non avevano sedili; in pratica erano carri bestiame, alla mercé sia delle possibili intemperie, sia dei vapori di carbone emanati dalla locomotiva. A bordo c’era anche una banda di suonatori in divisa, con

stendardi; un’altra banda era schierata in attesa del convoglio alla stazione di Loughborough. I cinquecento gitanti, tutti rigorosamente astemi, cantarono inni durante il tragitto e una volta arrivati ascoltarono discorsi sull’importanza della temperanza. A Loughborough garrivano bandiere bianche con ricami rosa e la scritta ‘Non bere vino né bevande forti’. Quando il corteo dei gitanti giunse alla piazza del mercato trovò ad aspettarlo una delegazione della locale Lega della Temperanza cattolica. Arrivarono con altri mezzi altri escursionisti, da Derby e da Nottingham... alla fine ci furono circa 3000 persone, che sfilarono cantando e portando cartelli in lode della Temperanza prima di partecipare a un grandioso picnic sotto gli alberi del parco, con pane e prosciutto cotto dello Yorkshire. Più tardi furono serviti tè, biscotti e panini. Si fecero innocenti giochi collettivi tipo moscacieca e salto alla quaglia. Si ballò e, come ho già detto, si ascoltarono parecchi discorsi. Sta tutto sui giornali locali dell’epoca, se vuole glieli cito.” “Grazie, non c’è bisogno.” “C'erano ovviamente donne e bambini, compreso il Son — John Mason Cook, che allora aveva sette anni. C'era anche il fratellastro nonché dipendente di Thomas, Simeon, che in quella occasione ebbe una conversione tipo San Paolo sulla via di Damasco, e rese felice il suo principale nonché fratellastro decidendosi ad abbracciare la Temperanza anche lui.” dÀ

“Sì, buffo, divertente, ma...” “Ma si rende conto della portata della scoperta di quel-

l’ometto? Una scoperta doppia, dall’importanza inestimabile. Rifletta un momento. Primo. L’ometto capisce che per impedire alla gente di ubriacarsi molto più che minacciarla di fiamme infernali serve trovarle uno svago alternativo. Organizzarle un modo più soddisfacente di impiegare il suo scarso e prezioso tempo libero. Proporle qualcosa che la intrattenga e se possibile la istruisca. Secondo. Scopre che l’attrattiva più potente esercitata sull’uomo è il viaggio. Su tutti gli uomini! Andare in un altro posto... così, per diletto. Per curiosità. Fino a quel momento e da secoli avevano potuto farlo solo i ricchi. La gente comune non si spostava. Non ne aveva la possibilità e non si permetteva nemmeno di sognarlo. In un’isola come l’Inghilterra molti morivano senza avere visto il mare nemmeno una volta nella vita. Adesso improvvisamente arriva il treno, che rende possibile andare velocemente in un altro luogo e tornare indietro. Certo, ci sono delle complicazioni — e costa caro. Ma ecco che arriva chi ti propone di mettere questo nuovo mezzo a tua disposizione, occu-

pandosi di tutti i dettagli, a partire dal prezzo scontato... Lo stesso Cook probabilmente non aveva idea del successo immediato e grandioso che la sua iniziativa avrebbe riscosso.” “Ho capito. Poi però se ne rese conto... capì che quell’atti-

vità aveva un futuro, ci si specializzò, e fece un sacco di quattrini. E addio temperanza...” “Se la vuole ridurre all’osso, la possiamo raccontare anche così. Ma la storia è molto più articolata... e la cosiddetta temperanza vi rimase in primo piano per sempre, o almeno finché

Thomas Cook ebbe voce in capitolo.” “Ma fu veramente lui l’inventore dei viaggi organizzati?” “Questo non si può dire, sin dai loro primi inizi le compagnie ferroviarie avevano incoraggiato gite collettive con tariffe speciali. Sempre episodicamente, però, in funzione di una circostanza particolare. Thomas Cook fu il primo a farne degli even33

ti quasi ricorrenti, non solo, ma come egli stesso in seguito or-

gogliosamente affermò, fu anche il primo a dar loro pubblicità - questo grazie alla sua seconda attività di tipografo, che si rivelò preziosa: gliene ho dato già un anticipo prima, quando le ho mostrato quella guida per turisti, che è di circa trentacinque anni dopo questi esordi. Fu anche il primo a condurle personal mente, mettendosi alla testa delle spedizioni e potendo così controllarne quasi tutti gli aspetti. Comunque la sua diventò una professione vera e propria solo quattro anni dopo, nel 1845. Il periodo intermedio fu per così dire di assaggio e di sperimentazione. Tanto per comincia-

re, un paio di mesi dopo quella prima memorabile gita Thomas Cook cambiò ancora una volta residenza e mestiere: si stabilì infatti a Leicester, che era una città in grande espansione — collegata a Londra mediante una linea ferroviaria diretta! — nonché una roccaforte dei cosiddetti non-conformisti, o contestatori del primato della Chiesa di Stato; e accantonando gli attrezzi del falegname, e avendo trovato non si sa come qualche soldo, aprì una vera e propria tipografia specializzata sia in testi religiosi e pe-

riodici per promuovere la temperanza, sia in manuali pratici di giardinaggio, altra sua specialità. Suo figlio John, che a questo punto aveva dieci anni, alternava lo studio e la preghiera impostigli con il lavoro nella tipografia. Alcuni titoli parlano da sé. The Cottage Gardener; Leicestershire Almanack (con indirizzi delle chiese dissenzienti e orari delle funzioni); Temperance Messengers; Children's Temperance Magazine; Anti-Smoker; Progressive Temperance Reformer. Al tempo stesso continuò a organizzare

e a condurre gite e raduni di convertiti alla Temperanza, senza alcun profitto personale, e sempre ottenendo condizioni speciali dalle varie compagnie ferroviarie; tra le mete ci furono Nottingham, Derby, Birmingham e altri luoghi dove i teetotallers andavano forte. Nel frattempo la qualità dei viaggi su rotaia migliorava. Fondamentale fu il Railway Regulation Act del 1844 promosso da Gladstone, che introduceva misure di sicurezza, imponeva un calmiere delle tariffe e proibiva le carrozze senza 34

tetto, anche se non arrivava a istituire a bordo i gabinetti (che non ci furono prima del 1880). Il primo vero salto di qualità nell’organizzazione professionale di un viaggio tutto compreso il nostro uomo la fece, le dicevo, quattro anni dopo la prima memorabile gita, ovvero nell’estate del 1845, quando organizzò, questa volta non a solo beneficio dei membri della Lega della Temperanza, ma proponendola al pubblico più vasto, una grandiosa escursione collettiva della durata di più giorni, e della lunghezza di ben 170 miglia ovvero 285 chilometri. Più di 300 tra uomini, donne e bambini ve-

stiti con i loro abiti migliori pagarono 15 scellini per la prima classe o 10 per la seconda. Niente terza classe, il viaggio era troppo lungo per i vagoni scoperti che ancora vigevano.” “Ma non erano cifre un po’ alte per dei proletari?” “Certo, i suoi clienti a questo punto erano anche borghesi. Ma il discorso fatto per i proletari vale anche per loro. Anche per i borghesi di allora un viaggio era un’esperienza eccezionale, che furono felici venisse loro proposta. Questa comitiva tirata a lucido, insomma - con le donne avvolte negli strabordanti vestiti dell’epoca, crinoline, maniche a sbuffo, scialli, scomodissime sui

posti risicati nelle panche di quei treni — salì a bordo alla stazione di Leicester alle cinque del mattino e guadagnò Liverpool, dove con un supplemento di quattro scellini le veniva proposto o di prendere un battello e visitare gli Straits fino ai castelli di Caernarvon e Bangor nel Galles, ovvero di partecipare a una scalata collettiva del monte Snowdon, guadagnato con altri mezzi di trasporto. La pubblicità orchestrata dallo stesso Cook aveva suscitato una tale aspettativa che molti biglietti furono rivenduti al doppio del loro prezzo; due settimane dopo, lo stesso viaggio fu replicato per venire incontro alle richieste di altre 800 persone. Dopo la sosta a Liverpool, la spedizione continuava su di un altro treno per Nottingham e Derby, dove salirono altri passeggeri, portando il totale a circa 1200. Questo se-

condo treno attraversò le valli dello Yorkshire e del Lancashire fino a Manchester, per quindi ritornare indietro fino a LiverBI

pool. L’arrivo di una tale massa di gitanti nel Galles fece sensazione, quei luoghi poco frequentati non avevano mai visto tanti inglesi tutti insieme, e ci furono difficoltà per trovare guide locali in grado di farsi capire. Un’impresa simile mise in luce il genio organizzativo dell’ometto. Pensi che per coprire tutto il percorso vendendo un biglietto unico bisognava mettere d’accordo tre compagnie diverse — la Midland Railway, con cui Cook aveva fatto l’accordo principale e spartiva i profitti, quindi la Manchester & Leeds, e infine la Liverpool & Manchester. A quanto pare Cook intascò una commissione del 5 per cento su ciascun biglietto a prezzo ridotto; ma naturalmente dal suo utile vanno dedotte le spese di pubblicità e di stampa, compresa una guida-manuale per i passeggeri, prima di una serie che ben presto sarebbe diventata caratteristica della sua ditta e di cui le ho già fatto assaggiare un campione. Sua fu anche la scelta delle mete, luoghi ricchi anche di collegamenti con fatti storici, che le sue guide mettevano abilmente in rilievo; e ovviamente era lui a decidere i

punti di sosta, di ristoro e di pernottamento, con ampia preferenza per i cosiddetti Temperance Hotel, là dove esistevano. Dove non esistevano, cominciò addirittura a pensare di crear-

ne. Uno se l’era già ricavato in casa, dove affittava stanze appunto chiamandole così, Temperance Hotel. Invece che pensione o locanda. A questo punto però deve scusarmi un momento.”

DeWitt Henry si alzò in piedi — era così alto che per un momento parve dovesse toccare il tetto dell’abitacolo —, si stirò, e

rimanendo accanto alla poltrona cominciò ad alzarsi e ad abbassarsi sulla punta dei piedi. “Esercizi per la circolazione. Lei non li fa? Fa male restare seduti e immobili per tante ore di fila.” “Non si preoccupi per me, sono abituato. Non ho mai alzato un dito in vita mia a meno che non fosse strettamente necessario. E di recente ho avuto una soddisfazione. Ero al Coliseum, a sentire l’Oro del Reno tradotto in inglese. Ebbi un mancamen36

to... un preinfarto, ma niente di serio, non si preoccupi. Chiesero

se c’era un medico in sala, si presentò subito un signore molto gentile, che come venne fuori era medico sportivo, del Chelsea o dell'Arsenal, ora non mi ricordo, comunque di un club di Londra. Lei segue il football? O non si è ancora anglicizzato fino a questo punto? A farla breve, questo signore mi ausculta, anche con lo stetoscopio — era attrezzatissimo — e poi mi domanda:

‘Lei ha fatto molto sport?’. ‘Purtroppo no’, dico io. E lui: ‘Perché dice purtroppo? Lei ha un cuore in ottime condizioni. Vedesse come sono ridotti certi atleti, alla sua età”.” Ridacchiando tra sé, Mr Cohn scartò un cioccolatino che

aveva conservato dal vassoio del pranzo. Dal canto suo, DeWitt Henry eseguì ancora da fermo qualche blando esercizio di stretching e quindi riprese il suo posto. “Per concludere questa fase del mio racconto, che per la verità sarebbe ancora agli inizi... e sempre se non si è annoiato...” l’altro succhiava il suo cioccolatino senza dire nulla, e DeWitt, incoraggiato, continuò.

“Quel memorabile lungo viaggio fino a Liverpool e Manchester con tanto di escursioni collaterali mostrò al nostro Thomas Cook che convegni della Temperanza a parte, esisteva nel Paese un diffuso interesse per questo tipo di iniziative. Già si sentiva sempre più spesso usare per indicare chi vi partecipava

la parola ‘turista’. Prima, nel secolo precedente, la parola ‘turista’ si era usata piuttosto per i gentiluomini impegnati nel fatidico Grand Tour in Europa, quando visitare le città d’arte italiane e le corti delle capitali francesi, austriache e via dicendo era considerato indispensabile per l’istruzione di un membro della classe dirigente. Adesso i cosiddetti turisti erano persone meno privilegiate, e non si spingevano così lontano; ma nutrivano pur sempre legittime curiosità.

Si trattava di proporre loro nuove mete e di rendergliele appetitose. In questo Cook era bravo, non dimentichiamo che si era fatto le ossa cercando di far sembrare desiderabile l’astinenza. Quale poteva essere, tra quelli raggiungibili, un luogo che ave37

va colpito la fantasia generale così tanto da creare in molti il desiderio di visitarlo?” “Già, quale?” “La Scozia. In quel momento lì, a metà Ottocento, la Scozia. Nella storia dei rapporti dell’Inghilterra con il suo vicino e confinante c’erano stati vari periodi, dopo quello iniziale, nella prima metà del Cinquecento, durante il quale lo Stato scozzese, più compatto e agguerrito di quello inglese, rappresentò una mi-

naccia continua, domata solo dopo molte guerre. Poi naturalmente agli inizi del Seicento ci fu l’unione, quando il re scozzese Giacomo Stuart salì al trono lasciato libero dalla sua defunta prozia Elisabetta. Però a metà del Settecento la Scozia provò a emanciparsi un’altra volta, e a mettere sul trono il nipote dello spodestato Giacomo II, ultimo degli Stuart. La ribellione fu soffocata nel sangue — battaglia di Culloden, 1746 — e da allora la Scozia fu un territorio lontano e, con l’eccezione di qualche erudito a Edimburgo e di un paio di buone Università, abbastanza selvaggio. Ma ecco che arriva il Romanticismo con tutto il suo bagaglio di miti celtici, fiabe, storie avventurose; e non solo in In-

ghilterra, ma in tutta Europa scoppia la moda per il Nord pittoresco, misterioso e indomabile. A parte il popolarissimo poeta-contadino Robert Burns, due scrittori scozzesi incarnarono so-

prattutto questa moda: George MacPherson, il poeta che falsificò i canti di un bardo gaelico mai esistito a nome Ossian — tradotti in mezzo mondo, sarebbero diventati una lettura prediletta persino da Napoleone. E Sir Walter Scott, l'avvocato di Edimburgo autore di una serie di romanzi appassionanti, grandissima parte dei quali ambientati nel suo territorio. Le Highlands, i laghi, le isole, le cornamuse, il tartan, la pesca del salmone nei torrenti...”

“Il whisky, ma forse qui andiamo fuori tema...” “Lasciamo stare il whisky; ma whisky a parte, quelli furono i richiami su cui Thomas Cook contò per il suo progetto successivo. Ci fu anche l’aiuto involontario di una turista partico38

lare, nientemeno che la regina Vittoria, che pochi anni dopo aver visitato le Highlands si comprò in Scozia la tenuta di Balmoral e ci fece costruire quel castello in stile pseudobaronale dove i reali vanno in villeggiatura ancora oggi. In uno dei primi numeri del periodico ‘Excursionist’, che pubblicò a partire dal 1851, Cook si appellò allo snobismo dei suoi compatrioti scrivendo, ora glielo leggo, un momento solo...” DeWitt rintracciò un foglio fotocopiato. “La nostra buona Regina... puntini puntini... è in prima

fila nelle gite a scopo di escursione, che incoraggia col suo esempio Regale.” Ecco. Dunque concepì, appunto, una serie di escur-

sioni nella lontana quanto intrigante Scozia, precedute da opportuni contatti con le ferrovie locali, e naturalmente da un manuale, Guida per un Viaggio in Scozia, che si autodefiniva, leggo ancora... ‘estremamente utile per coloro che si avvalgano di un privilegio quale nessuna generazione precedente si è mai vi-

sta offrire — l’occasione di viaggiare da Leicester a Glasgow e ritorno, coprendo una distanza di circa 800 miglia per una ghinea!’ Così, punto esclamativo.” “Insomma, era fatta. In pratica la sua storia finisce qui.” “No, anzi, comincia adesso. Tanto per dirne una, quella prima spedizione in Scozia si rivelò un mezzo disastro, dalle cui conseguenze un uomo meno tenace forse non si sarebbe più ripreso.”

“Me lo racconti. Le sconfitte rendono gli eroi un po’ più umani.”

“Fin dagli inizi Cook cercò di programmare ogni dettaglio delle sue spedizioni, ma in quel caso gli imprevisti si rivelarono eccessivi, benché prima di lanciare la sua iniziativa egli stesso avesse fatto ben due ricognizioni in Scozia. La maggiore difficoltà da superare era che tra l’Inghilterra e la Scozia non esisteva un contatto ferroviario diretto. Per fruire delle linee scozzesi, che aderirono volentieri al suo programma concedendogli le solite facilitazioni, bisognava prima portare i viaggiatori oltreconfine, e questo poteva avvenire solo per nave. Così in un primo momento

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Thomas pensò di far arrivare i suoi gitanti in treno fino a Newcastle, e qui di imbarcarli sui piroscafi che li portavano a Leith, ossia praticamente a Edimburgo...” Dalla tasca del panciotto Mr Cohn stava estraendo una scatola di latta contenente mentine. La offrì al giovanotto, che fece di no con una mano, quindi si infilò in bocca una mentina e cominciò a succhiarla. Però ascoltava, come la sua osservazio-

ne confermò. “Lungo la costa orientale.” “Sì. Però i vascelli che svolgevano servizio regolare su questa tratta erano troppo piccoli per gli almeno 500 passeggeri che

Cook prevedeva. Allora decise di compiere la traversata lungo la costa opposta, quella occidentale, portando in treno i gitanti a Fleetwood, imbarcandoli qui fino a Ardrossan in Scozia, e fa-

cendoli quindi procedere in treno fino a Glasgow. A tale scopo noleggiò un battello più grande, e fu deliziato quando dopo avere passato brutti momenti - perché malgrado la sua campagna pubblicitaria le prenotazioni scarseggiavano — negli ultimi giorni si raggiunsero i previsti 500 passeggeri. Qui cominciarono i guai. Come al solito, si partiva da Leicester, e non essendo all’epoca i treni dotati di servizi, durante il lungo tragitto fino a Fleetwood erano previste parecchie soste. Ma come poi scrisse

un viaggiatore indignato al “Leicester Chronicle”, che pubblicò il suo sfogo, vediamo... il 4 luglio 1846, i passeggeri furono trattati come forzati espulsi dal paese, perché a Manchester i poliziotti impedirono loro di scendere dal treno, e la cosa si ripeté sedici miglia dopo, a Parkside, mentre a Preston, dove secondo il programma ufficiale si sarebbe potuto ottenere un tè (sia pure pagando uno scellino), la fermata fu troppo breve perché la cosa potesse verificarsi. Leggo. ‘Il signor Cook è un adepto della Temperanza”, tuona l’articolista, ‘un sostenitore del principio dell’ Astinenza Totale, e a quanto pare desiderava che coloro che egli aveva così vergognosamente imbrogliato praticassero l’astinenza totale anche loro... costui avrebbe quasi meritato di essere scaraventato fuori bordo, nel suo elemento favorito. Guardiamoci 40

contro suoi ulteriori tentativi di abbindolare il pubblico con i Treni Escursione.” “Accidenti.” “Ma quello che era successo nel viaggio in treno non era ancora nulla rispetto a quanto accadde sul piroscafo. Qui i gitanti avevano creduto che nel loro biglietto fosse compresa la cabina. Invece scoprirono non solo che le cabine comportavano un pagamento extra, ma che nemmeno ce n’era un numero sufficiente. Così molti dovettero rassegnarsi a fare la traversata sul ponte, di notte e con un mare che si rivelò cattivo. Un altro viaggiatore scrisse indignato, ‘io ho avuto il piacere di passare la notte con un asse bagnato come letto e una borsa da viaggio come cuscino!’. Proteste e richieste di risarcimento continuarono per 1 mesi a seguire. Peraltro, in Scozia il programma si svolse poi con

soddisfazione dei partecipanti, secondo linee collaudate: banda ad accoglierli a Glasgow, visita della città, trasferimento in treno a Edimburgo, dove un notabile, l’editore William Chambers,

altro sostenitore della Temperanza, offrì loro un intrattenimento musicale; e spedizioni in vari luoghi, non fino alle Highlands — non ancora — ma nell’Ayrshire, sul Loch Lomond, alla casa natale del poeta Burns. Anche se negli anni seguenti Thomas Cook avrebbe organizzato parecchi altri ‘Tartan Tours’ con esito molto più soddisfacente, quella fu una batosta memorabile, dalla quale faticò a riprendersi, e sulle cui conseguenze immediate abbiamo abbastanza pochi dettagli, perché nei suoi scritti autobiografici lui tende a minimizzarla. Sta di fatto che poco dopo quel viaggio fu costretto a dichiarare bancarotta e a mettere in vendita persino i mobili di casa... pare che gli nuocesse anche la concorrenza di un nuovo editore specializzato nella Temperanza, John Cassell, fondatore di una ditta che esiste ancora. Questa concorrenza lo costrinse a sospendere la pubblicazione del “National Temperance Magazine”, che era il periodico di punta della sua editoria. In attesa di rimettersi in piedi, per un paio di anni tirò avanti con altre attività. Una che lo impegnò moltissimo benché non 41

gli rendesse nulla fu la propaganda per la liberalizzazione del prezzo delle granaglie, grande e dibattuta questione nazionale. Le vecchie leggi impedivano la libera concorrenza e mantenendo artificialmente alto il prezzo delle granaglie penalizzavano molti coltivatori diretti; gli aderenti alla Lega della Temperanza protestavano inoltre perché l’avena, il luppolo e via dicendo invece di essere adibiti a sfamare la popolazione erano tolti dal mercato e trasformati in bevande alcoliche. Da ultimo le esecrate Corn Laws furono abolite a furor di popolo. Thomas aveva collaborato alla causa con appassionate orazioni settimanali davanti a pubblici numerosi e plaudenti. In un’altra epoca questo avrebbe potuto persino aprirgli una carriera in Parlamento.”

In mancanza di meglio, Mr Cohn continuava a succhiare mentine. Senza interrompere l’operazione, bofonchiò: “Perché in un’altra epoca?”. “Perché a quel tempo i parlamentari non erano stipendiati, in Parlamento ci andava solo chi se lo poteva permettere... A parte questo impegno nella politica, in quel paio di anni di crisi (del resto c’era recessione in tutta Europa, stava arrivando il famoso 1848!) Thomas si ridusse a organizzare gite collettive in carrozze e altri mezzi a trazione animale: un passo indietro rispetto alle sue ambizioni ferroviarie, e un passo che lo costringeva a scegliere mete relativamente vicine. Però anche qui fu lungimirante, perché per primo si inventò di portare i suoi clienti a visitare grandi dimore storiche, Chatsworth dei duchi del Devonshire e simili, che i proprietari cominciavano ad aprire al pubblico a pagamento, in certi giorni fissi della settimana o del mese — inaugurando quella che ai nostri tempi sarebbe diventata una prassi comune. Finito chissà come (le ripeto, non lo sappiamo) il periodo buio, ricominciarono i viaggi in Scozia, tra cui

rimase memorabile uno nel quale il gruppo condotto da Thomas Cook in persona percorse a qualche giorno di distanza nientemeno che l’itinerario seguito dalla carovana della coppia reale, Vittoria e Alberto, impegnata in una ampia escursione per le Highlands. Queste spedizioni continuarono ad affermarsi come 42

una sua specialità ancora per diversi anni, ossia fino a quando quelle compagnie ferroviarie non cominciarono ad averne abbastanza e a sabotargliele, arrivando ad annullare del tutto ogni accordo con lui. Questo avvenne nel 1862; nel frattempo almeno in un punto le rotaie scozzesi si erano congiunte con quelle inglesi, anche se per un po’ i viaggiatori una volta giunti al confine continuarono a dover scendere e attraversare un certo ponte a piedi. Naturalmente, organizzava anche gite di altro tipo. Nel 1849 trasportò a Londra, per esempio, un buon numero di spettatori a vedere quella che fu una delle ultime esecuzioni capita-

li pubbliche... Di novembre, alle prime luci del mattino, nel carcere di Horseman Lane, a Southwark. Furono impiccati insieme due coniugi, tali Manning, che avevano assassinato un vicino

per derubarlo. Venne ad assistere una folla di trentamila persone, tra cui Charles Dickens, che poi scrisse una lettera al ‘Times’

in cui denunciava indignato la disumanità della cosa e il contegno della gente. La marmaglia aveva schiamazzato, cantato e ballato tutta la notte davanti alla prigione con il patibolo allestito, intonando anche, riferì lo scrittore, ‘negro melodies’, dice proprio così, come ‘Oh, Susannah?, con le parole cambiate in ‘Mrs Manning...” Mr Cohn rabbrividì. “Che orrore. Era ancora così arretrata, la civilissima In-

ghilterra?” “Be”, c'era anche un’Inghilterra che guardava al futuro e al progresso. Il che ci porta adesso al primo vero, grande e incontestabile successo di Cook come megaorganizzatore di viaggi collettivi. Questo avvenne in occasione della Grande Esposizione del 1851. Ha mai sentito parlare di quell’evento?” “L’Esposizione per cui fu costruito il leggendario Crystal Palace?? “Proprio quella. Per qualche aspetto fu il raduno più grandioso di tutta la storia d’Inghilterra fino a quel momento. Il suo ideatore e massimo promotore era stato il principe Alberto, che 43

come saprà era tedesco e aveva visto qualcosa di analogo, anche se più in piccolo, a Francoforte. Doveva essere e fu l’apoteosi della nuova Età Industriale. Il concetto era in pratica di ospitare a Londra una rassegna di tutto quello che si produceva nel mondo, con un occhio particolare alle invenzioni e alle innovazioni, e di mostrare come la Gran Bretagna fosse all’avanguardia. Venne esposto di tutto, dai vagoni ferroviari ultimo modello ai telai di più recente concezione, dalle opere d’arte — queste per la verità a condizione che contenessero un interesse scientifico, per esempio lo sfoggio di tecniche nuove come i tappeti medievaleggianti dell’architetto Augustus Pugin — alle cucine a gas, dalle macchine da cucire, specialità americana, alla carne in

scatola brevettata in Australia, agli apparati per la fotografia e la stampa della pellicola. Come scrisse Cook stesso nel suo periodico ‘Excursionist’ — fondato per l’occasione (il primo numero uscì tre giorni dopo l’inaugurazione dell’Esposizione, e continuò poi ininterrottamente fino alla Seconda guerra mondiale), primo al mondo dedicato esclusivamente ai viaggi e al turismo — l’Esposizione non andava visitata come ‘uno spettacolo o un luogo di divertimenti, ma come una grande Scuola di Scienza, di Arte, di Industria, di Pace e Fratellanza Universale.”

Ecco qualche dato.” DeWitt si ripassò le cifre su di un appunto che aveva sfilato dal suo taccuino. “Parteciparono 7381 espositori britannici e

6556 stranieri, e furono esposti un totale di 112.000 oggetti, 38.000 dei quali dentro quel cosiddetto palazzo di cristallo che dopo essere stato spostato da Hyde Park a Sydenham (al suo posto sorse l’enorme monumento al principe Alberto quando questi prematuramente morì) continuò a essere ammirato come una delle meraviglie della tecnica moderna ancora per molti decenni, finché un incendio non se lo portò via. Lo aveva costruito un architetto geniale, Joseph Paxton, come una serra gigantesca fatta con 1060 colonne di ferro e 300.000 pannelli di vetro fissati mediante 200.000 listelli — tutto prefabbricato, e messo in opera in appena otto mesi. Era un padiglione lungo poco

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meno di seicento metri e largo centoventi, nonché alto più di trentacinque, abbastanza da contenere le grandi querce di quella zona del parco. Questa serra colossale era comunque soltanto il centro di vari luoghi espositivi dove c’era letteralmente di tutto, i cosiddetti ‘panorami’ (erano vedute circolari, dipinte, per dare a chi ci si trovava dentro l’illusione di un paesaggio), e poi diorami, ippodromi con esibizioni equestri, isole gastronomiche, baracche, venditori di souvenir, musicisti da strada, incontri di pugilato. Per l’occasione furono costruiti, era la prima volta, rudimentali gabinetti pubblici dove si accedeva pagando un penny: viene da qui la frase che a Londra si sente dire anco-

ra oggi, ‘vado a spendere un penny’, quando a New York magari le signore dicono, ‘vado a incipriami il naso’. Mancava una cosa sola, ma proprio questa mancanza entusiasmò il nostro uo-

mo: le bevande alcoliche. Circolavano solo acqua tonica Schweppes, limonata e ginger beer. Né la morigeratezza finiva qui. Si vendevano infatti Bibbie e si distribuivano opuscoli religiosi, si osservava il riposo domenicale, e le statue nude furono pudicamente coperte. Aspetti un momento... qui potrei anche farle una citazione raffinata. Sa, mentre facevo le mie ricerche ho chiesto aiuto an-

che a un professore di Cambridge che mi aveva dato retta un’altra volta. Lui mi ha risposto che di queste cose non si intendeva affatto, però a proposito della Grande Esposizione mi ha segnalato una descrizione contemporanea di cui adesso vorrei leggerle un paio di brani... se non è stanco.” “Una descrizione di chi?” domandò rassegnato Mr Cohn. “Pensi, di un ragazzo di diciannove anni che in seguito sarebbe diventato famoso con lo pseudonimo di Lewis Carroll. Questo ragazzo, Charles Dodgson, visitò la Grande Esposizione ai primi di luglio del 1851, accompagnato da quattro delle sue zie, e subito scrisse una lettera a sua sorella Edith manifestando

tutto il suo entusiasmo per quello che aveva visto. Le leggo solo l’inizio.” DeWitt tirò fuori un foglio fotocopiato e lesse. 45

“Credo che la prima impressione che provi quando entri sia di smarrimento. Sembra una specie di paese delle fate. A perdita d’occhio in ogni direzione non vedi altro che colonne da cui pendono scialli, tappeti, ecc., con lunghi viali di statue, fontane, baldacchini, ecc., ecc., ecc. La prima cosa che si vede entrando

è la Fontana di Cristallo, elegantissima, alta tirando a indovinare una decina di metri, fatta per intero di vetro e riversante get-

ti d’acqua su più bacini comunicanti: questa si trova a metà della navata centrale e da qui puoi guardare fino in fondo a entrambe le estremità di questa navata, e dei due transetti laterali. Il centro della navata consiste soprattutto di una lunga fila di statue colossali, alcune di grande magnificenza. Quella che è considerata la più bella, credo, è l’Amazzone con la Tigre. L’Amazzone è a cavallo, e una tigre sta azzannando il collo del cavallo sul davanti. Devi spostarti di lato per vederle il viso, e dall’altro per vedere quello del cavallo. Il muso del cavallo è veramente meraviglioso, ed esprime terrore e dolore con una preci-

sione tale, che quasi ti aspetti di sentirlo gridare. Lei si bilancia all’indietro per colpire la tigre con una lancia, e la sua espressione è di ferma determinazione senza la minima paura...’” DeWitt avrebbe continuato volentieri la sua citazione, ma,

forse avvertendo un piccolo calo di interesse nel suo interlocutore, si interruppe, si raschiò la gola e tornò all’argomento principale. “Ehm! Dunque, Thomas Cook. Il nostro uomo fu avvicinato già diversi mesi prima dell’apertura dell’Esposizione, che avvenne il primo maggio 1851, da alcuni promotori dell’evento, che lo coinvolsero distogliendolo da altri progetti assai ambiziosi che stava cominciando ad accarezzare e sui quali torneremo tra poco. Tali progetti furono momentaneamente accantonati, così come gli stessi viaggi in Scozia furono ora sospesi per sei mesi,

quando il Napoleone dei viaggi organizzati — qualcuno già lo chiamava così — dedicò tutta la sua attenzione alla nuova e straordinaria incombenza. Anche qui le do dei numeri. Sono preparatissimo.”

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DeWitt prese un altro foglietto. “Quando alla fine si fecero i conti, la Grande Esposizione, che rimase aperta circa sei mesi, ovvero 140 giornate, era sta-

ta visitata da più di sei milioni di persone, corrispondenti a circa un quinto della popolazione totale delle Isole Britanniche; consideriamo pure che molti ci tornarono più volte, a cominciare dalla regina stessa, che vi fece ben quaranta apparizioni. Di questi, 165.000 scesero dalle Midlands e passarono per l’organizzazione di Cook. Il quale, coadiuvato per l’occasione dal figlio diciassettenne John (che ancora non lavorava abitualmente con lui), pensò questa volta proprio a tutto. In primo luogo, dopo i soliti contrasti con compagnie ferroviarie in conflitto tra loro spuntò un prezzo di favore, cinque scellini, per l’andata-ritorno. Poi concepì una martellante campagna pubblicitaria nelle zone che controllava, affiggendo manifesti, distribuendo opuscolie persino mandando in giro John per paesi e cittadine con una banda musicale. Promosse anche per i lavoratori dei Savings Club, ovvero iniziative per far loro risparmiare poco per volta, con trattenute sulla paga settimanale, la sommetta necessaria a pagarsi la spedizione. Mise in vendita il succitato nuovo periodico, l’‘Excursionist’, dove sfoggiò tutta la sua enfasi un po’ ingenua da autodidatta. Pensò ad alloggiare gli escursionisti, per un prezzo che andava dai due scellini al Ranelagh Club (bed and breakfast) a uno scellino per un posto letto in dormitori ovvero persino nelle cuccette di una nave ormeggiata al

ponte di Vauxhall. Procurò mezzi di spostamento urbano come omnibus, carrozze e carrozzoni; cercò invano di ottenere che

fosse abbassato l’alto prezzo di ingresso — cinque scellini, ma dopo il primo mese scesero a uno solo; e condusse personalmente molte visite di gruppo, compresa una speciale per 3000 bambini. Londra non aveva mai visto una simile calata di visitatori da tutta la nazione, e inizialmente il ‘Times’ e altri organi manifestarono preoccupazioni per l’ordine pubblico, tanto che quando il prezzo dell’ingresso fu ridotto si temette un’invasione incontrollata di artigiani e operai dal Nord, e il duca di 47

Wellington dichiarò che per mantenere l’ordine in città servivano almeno quindicimila soldati. Ma le folle si comportarono benissimo e lo stesso ‘Times’ finì per congratularsi con la disciplina e il contegno manifestati per l’occasione dalle ‘classi industriali’, che per una volta si erano mischiate con i ranghi superiori. Dal canto suo, Thomas Cook fu fiero del suo operato. Come scrisse in seguito, leggo ancora: ‘Vedevo operai uscire

dalle fabbriche a Bradford al suono di una banda musicale, pagare un biglietto cinque scellini, e con pochissimi altri soldi in tasca partire il sabato sera per passare la domenica e il lunedì a Londra, e tornare al lavoro il martedì mattina. Così la popolazione dello Yorkshire imparò a viaggiare...” “Una rivoluzione sociale, e Cook come suo profeta.” “Può dirlo sul serio, sa? C’è una cosa di cui oggi fatichiamo a renderci conto... specie noialtri americani. Anche perché oggi

ne sopravvive appena il ricordo. Voglio dire, la profonda divisione in classi di quel Paese. Oggi ridiamo quando guardiamo una serie televisiva come Downton Abbey, che si svolge nel primo Novecento, quando ancora era inconcepibile che, mettiamo, un commerciante fosse invitato a cena in una casa aristocratica...”

“E i camerieri sono snob come i loro padroni.” “Nel secolo precedente, nella cosiddetta età vittoriana, le

divisioni erano addirittura insormontabili. I lettori del ‘Times’ si sentivano minacciati dall’idea di incontrare un fruttivendolo o un sarto dentro un luogo da loro frequentato. Ma i viaggi di Cook fanno accadere proprio questo. Portano i lavoratori, i plebei,

dentro posti che prima erano loro inaccessibili, frequentati com’erano solo dalla borghesia colta. Li mettono a contatto diretto con i loro superiori... e viceversa.

Si cita la testimonianza di un gentiluomo — non un aristocratico, figuriamoci, ma un professionista, un avvocato o qual-

cosa del genere — il quale racconta come in Italia, durante un viaggio in treno di quelli di Cook, si fosse trovato in uno scompartimento con un altro turista inglese come lui, un signore espansivo che gli si rivolgeva cordialmente, mettendolo in un certo di48

sagio perché lì per lì lui l’aveva scambiato per un operaio (‘mechanic’, dice), e quindi non sapeva come prenderlo. Per fortuna

poi sfogliando un libro che costui gli aveva passato, vide che il suo nome era preceduto dall’appellativo di ‘Maggiore’. Allora, sollievo: il suo atteggiamento cambiò completamente.” “Era un militare, quindi ci si poteva avere un rapporto so-

Ciale” “Precisamente. Vede ora dove vorrei andare a parare? Sì,

da adesso in avanti la storia di Thomas Cook e del figlio è una storia di successi, un allargamento della ditta a macchia d’olio, con pochissima suspense — sappiamo già come va a finire. Ma

quello che mi interesserebbe riuscire a raccontare è la portata, appunto, sociale di questo sviluppo. Dagli operai malnutriti che si rompono le ossa sulle panche del treno e poi sui lettucci del dormitorio pur di vedere la Grande Esposizione e le meraviglie del futuro... fino ai viaggiatori di venticinque anni dopo, quelli della guida alla Terrasanta — la stavo leggendo prima nell’iPad... a proposito, anche nelle guide la Cook si specializzò. Alcune erano dei veri capolavori... ecco, quelle guide fanno vedere come il turista inglese fosse diventato a un certo punto l’avanguardia di un movimento di massa, e di una rivoluzione del costume.” “Molto interessante, anche se non so quanto spettacolare.” “Quanto sia spettacolare non lo so neanche io, ma se non si

è ancora troppo stufato, qualche speranza me la posso permettere. Vuole che vada avanti? O preferisce vedersi un bel film? Può tirare fuori quello schermetto. Ce ne offrono una vasta scelta.” “I film sugli aerei, per carità! Tagliano tutte le scene più interessanti tipo sesso e violenza, o aeroplani dirottati, o che esplodono per una bomba messa dai terroristi. No grazie. Preferisco sentire le avventure del suo tipetto... almeno fino a quando non ci daranno il tè. Il mio pranzo era pessimo, spero che il suo fosse meglio... Del resto questa è la British Airways, rassegnamo-

ci. Il tè però di solito è di prim’ordine. L’ultima volta c'erano persino degli scones appena fatti, o almeno, chissà, scongelati

con grande perizia.” 49

“Va bene, è lei che me lo chiede. Continuo... Vado per sommi capi. Dunque, dopo la parte avuta nella Grande Esposizione Thomas Cook si considerò giustamente un uomo arrivato. Continuò a guidare personalmente le spedizioni nella prediletta Scozia — più di sessanta, pare — in una ebbe anche un incidente sgradevole, quando fece sparare a un’aquila reale che voleva imbalsamare e la stampa sacrosantamente lo attaccò per vandalismo. Alla lunga comunque come le avevo anticipato le ferrovie scozzesi lo fecero fuori e si misero loro a gestire gli itinerari che proprio Cook aveva inventato e reso popolari. Lui si vendicò apren-

do a Londra, davanti a un’altra grande esposizione — la International Exhibition a South Kensington, dove ora sono quegli enormi musei — un chiosco chiamato The Scotch Court, dove si vendevano gioielleria celtica, tessuti di tweed, shortbread scozzese, scialli, pugnaletti e sottanini, insomma souvenir tipici; il

primo del suo genere. Anche questa Esposizione, dove Cook portò più di ventimila visitatori, lo stimolò a nuove iniziative, tra cui l’allestimento a Londra di un bed and breakfast per 200 persone alla volta, stanze ‘perfettamente pulite e prive di insetti nocivi’, con un minimo di due letti e un massimo di sei. Ma qui siamo già nei primi anni 1860, sto correndo troppo. Mi faccia andare per ordine. Vediamo...” DeWitt girò indietro qualche pagina del taccuino. “In precedenza aveva organizzato anche gite in Irlanda, paese meno romantico della Scozia e per di più ancora in ginocchio

dopo la tremenda carestia che lo aveva colpito, ma pur sempre discretamente pittoresco... Blablabla... Questo è meno interessante... Ah, si diede anche a iniziative civiche. A Leicester, che

era ancora la sua base — ma verso la fine degli anni 1850 prese casa anche a Londra — costruì un sontuoso Palazzo della Temperanza, con una galleria per 1700 persone e un palco per l’orchestra, biblioteca, sala per le conferenze, locali per attività sociali (compresa, qui venne a un compromesso, una smoking room

per i fumatori), e lì accanto un Temperance Hotel per clienti rigorosamente astemi — ma niente paura, c'erano due pub a poca 50

distanza. Anche in seguito ebbe modo di dimostrare la sua sollecitudine per la collettività, come nel terribile inverno del 1855, quando alleviò le sofferenze dei poveri di Leicester distribuendo per parecchie notti consecutive, racconta egli stesso, circa 15.000

galloni ovvero 65.000 litri di ‘minestra di qualità superiore’. Ma ormai la sua professione principale era quella dell’agente di viaggio, al punto che chiuse la sua tipografia, pur continuando a scrivere e a stampare altrove guide turistiche e letteratura affine. Convogliò masse di visitatori a eventi locali come la Grande Fiera della Cipolla di Birmingham nel 1852; lo stesso anno si attivò per il solennissimo funerale di Stato che fu decretato a Londra al vecchio Duca di Wellington, una processione dal Chelsea Hospital alla chiesa di St. Paul con feretro trainato da dodici cavalli parati a nero e seguito dal cavallo del Duca con la sella vuota e i classici stivali infilati nelle staffe con la punta all’indietro. Mezzo milione di fedeli sudditi calarono sulla capitale per unirsi ai londinesi al seguito e lungo le strade.” “Questa può ricostruirla con il digitale.” “Sarebbe comunque un po’ caro... Poi... ecco, ci siamo. Nel 1855 Thomas decise di estendere il suo raggio d’azione al Continente, e compì spedizioni in Francia e in Belgio per tastare il terreno e prendere contatto con le ferrovie locali, che inizialmente non furono troppo incoraggianti. Ad ogni modo, quella estate l’‘Excursionist’ offrì una spedizione di due settimane nell’Europa settentrionale, a condizione che si raggiungesse un numero mi-

nimo di 50 nipolo si Bruxelles, Reno fino

partecipanti. Le adesioni ci furono, e l’intrepido marecò in battello ad Anversa e proseguì in treno a Aix-la-Chapelle, Colonia, poi di nuovo in battello sul a Magonza, e quindi di nuovo sul treno fino a Mann-

heim, Francoforte, Heidelberg, Baden-Baden, Strasburgo, Pari-

gi, e ritorno. I turisti di Cook erano sbarcati! In seguito il condottiero descrisse le nuove difficoltà che aveva dovuto superare per questo giro in luoghi di cui non parlava la lingua e dove vigevano infinite barriere doganali. Leggo ancora lì dove deplora ‘i fluttuanti tassi di scambio delle valute; le infelici e irregolari apSI

parizioni di monete e banconote; il conglomerato di franchi, centesimi, talleri, grotschen d’oro e d’argento, pfennig, fiorini e kreutzer; l'inevitabile perdita in ogni transazione...’. Questo dei continui cambi di valuta sul Continente rimase a lungo un problema serio. La Cook lo risolse quando riuscì a emettere delle cosiddette circular notes, ossia dei traveler’s checks.” “Prima non esistevano?” “In teoria sì, già alla fine del Settecento la London Credit Exchange Company li aveva inventati. Cook rilanciò la prassi un secolo dopo, a partire dal 1872. Ma torniamo a quelle prime spedizioni in Europa. A Parigi mise in guardia il suo gregge contro certe tentazioni del posto: ‘il can-can è danzato da esecutrici pagate, ed è nell’insieme una sfrenatezza troppo innaturale e forzata’. ‘Le signore faranno meglio a evitare i cafés sul lato settentrionale dei Boulevard, tra il Grand Opéra e la Rue Saint-Denis’. Una gita successiva propose a un ristretto gruppo di appassionati il campo di battaglia di Waterloo. Ce ne fu poi un’altra a Parigi, dove Cook fece tesoro delle esperienze precedenti. Finanziariamente però il gioco non valeva la candela, tanto da fargli rinunciare a una terza. La verità era che per fare un profitto bisognava pensare in

grande, molto in grande, come nessuno si era mai azzardato a fare. Ecco dunque pochissimi anni dopo...” DeWitt girò qualche pagina del taccuino. “Nel maggio 1861 - vent’anni dopo la fatidica gita in treno a Loughborough - ecco lo sbarco nella Ville Lumière di ben 1673 turisti Cook, tutti insieme, e di varia estrazione: 200 veni-

vano dalle cotoniere di Bradford, alcuni erano cockney purosangue, molti non si erano mai spinti prima più in là della contea di appartenenza. Il viaggio era stato pubblicizzato come ‘La Grande Escursione Internazionale a Parigi”, all’appetitoso prezzo di andata-ritorno da Londra di una ghinea. La novità era tale, che la spedizione fu seguita da un giornalista e da un fotografo dell’‘Illustrated London News”. In effetti per la prima volta si poté parlare non della gita di un gruppo, ma quasi di una vera di

e propria calata in massa. Cook stesso avrebbe raccontato con fierezza la sorridente e un po’ sorpresa condiscendenza con cui l’imperatore francese Napoleone III e la sua consorte Eugenia accolsero l’applauso di una imprevista folla di inglesi non troppo distinti che li avevano visti passare in carrozza lungo gli Champs-Élysées. Ma ancora più del consolidarsi di queste massicce calate in Francia, il senso della velocità con cui il turismo allargato si stabilisce negli anni 1860 lo dà l’esplosione come meta di escursioni della Svizzera. Quando Thomas pensò alla Svizzera come sostituto della Scozia dalla quale era ormai stato escluso, rimase egli stesso sorpreso della prontezza con cui le sue proposte furono accolte. Anche la curiosità per la Svizzera, o meglio, per le montagne svizzere, era nata con il Romanticismo. Prima dell’ammirazione clamorosamente manifestata da Byron e Shelley durante il loro famoso soggiorno, nessuno le aveva frequentate, e meno di tutti la popolazione locale, che si spingeva in alto solo per necessità. Ma durante l’Ottocento l’aspirazione a un contatto con la natura inviolata — conseguenza, anche, della rea-

zione alle brutture dell’urbanizzazione venuta con la rivoluzione industriale — si diffuse, e come al solito si diffuse partendo proprio dall’Inghilterra, e dalle classi superiori. Fu inglese e molto esclusivo il primo Alpine Club, fondato nel 1857, che avrebbe avuto tra i suoi membri illustri intellettuali come Matthew Arnold, John Ruskin e Leslie Stephen, il padre di Virginia Woolf, il quale ne fu presidente per alcuni anni. La voga dilagò presto anche altrove: il primo Club Alpino austriaco è del 1862, quello svizzero e quello italiano sono del 1863, quello tedesco del ?69, quello francese del ’74. Ma se le masse - chiamiamole masse; diciamo, i borghesi, commercianti, professionisti, medici, impiegati dell’editoria e via dicendo — avevano messo secoli per seguire le tracce della loro classe dirigente, ovvero degli aristocratici o semplicemente dei molto ricchi, e avventurarsi a loro volta in Francia e in Italia, questa volta presero possesso della Svizzera in un batter d’occhio. Poco dopo esserci sbarcato, Cook DÒ

stesso avrebbe detto, cito: ‘Quello che richiese decine di anni in Scozia sembra si sia ottenuto in Svizzera con un colpo solo; qui i ‘Cook’s Tours’ sono già tra le Istituzioni della Confederazione’. Nel 1863 condusse un primo contingente di circa 150 avventurosi, con molte signore ancora incerte se indossare la crinolina o indumenti più agili, da Dieppe a Ginevra, e di qui attraverso Chamonix fino ad arrampicarsi su vette una volta considerate inaccessibili. Alla fine dell’anno i gitanti erano stati più di 500, dopodiché i numeri crebbero vertiginosamente. Non c’era ancora un sistema di ferrovie molto articolato, ma il Paese era piccolo, e Thomas lo occupò capillarmente dividendo i suoi turisti in piccoli gruppi e mandandoli in varie destinazioni, dappertutto trovando locandieri e albergatori inaspettatamente prontissimi, anzi, addirittura ansiosi di sfruttare questa nuova possibilità di guadagno. Non è esagerato dire che proprio con Cook la Svizzera diventò un grande richiamo turistico internazionale, e lo dimostra la reazione di quegli spiriti eletti che pochissimo tempo prima avevano creduto di averne l’uso esclusivo. Ruskin, che aveva esaltato le Alpi come un Eden perduto, un punto di contatto tra il cielo e la terra, lamentò l’invasione di gente incolta che non possedeva gli strumenti per apprezzarle. Lo fece con toni addirittura apocalittici, senta qui. ‘I rivoluzionari francesi trasformarono le cattedrali di Francia in stalle; voi avete trasformato

le cattedrali della terra in ippodromi. Il vostro unico concetto di piacere è scarrozzarvi dentro vagoni ferroviari lungo le loro navate, e mangiare sui loro altari... le stesse Alpi, che i nostri poeti amarono con tanta reverenza, voi le guardate come pali insaponati dentro un recinto degli orsi, sui cui vi arrampicate per

poi scivolare giù con strilli di piacere.’ Anche il severo Leslie Stephen denunciò i ‘viaggiatori cockney”, rallegrandosi per l’esistenza, ancora, di ‘innumerevoli valli che non hanno ancora chi-

nato le ginocchia davanti a Baal, sotto forma di Mr Cook e dei suoi turisti’. Un altro grande snob come Henry James osservò il fenomeno con un disappunto meno perentorio, cercando di farsene una ragione. Quanto al nostro Cook, non soltanto non si 54

fece smontare dalle critiche, ma già un anno dopo la sua occupazione della Svizzera, vale a dire nel 1864, passò al capitolo successivo e quasi logico per chi aveva varcato le Alpi: ossia alla discesa in Italia.” A questo punto DeWitt Henry fece una pausa, riscuoten-

dosi dall’enfasi dalla quale si era lasciato trascinare. Mr Cohn ne approfittò per inserirsi. “Non vorrei farle rimettere i piedi sulla terra proprio ora che si sta librando a queste altezze. Ma noto un certo movimento che mi porta a suggerire una pausa di riflessione.” Infatti la hostess era di ritorno e spingeva un carrello dall’aria promettente. Mr Cohn si affrettò ad abbassare nuovamente il vassoio dallo schienale della poltrona davanti a lui.

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Martedì 22 ottobre, le 17.30 (ora di Greenwich)

Da un po’ di tempo il metro e ottantanove di DeWitt Henry si aggirava per la cabina semivuota eseguendo qualche esercizio sul posto per non perdere il tono muscolare. Mr Cohn invece se ne stava a occhi chiusi con l’auricolare collegato alla presa nel bracciolo, immerso nell’ascolto di qualche brano di musica. Quando tuttavia il giovanotto si avvicinò e si calò nuovamente nella sua poltrona, Mr Cohn aprì un occhio, nascondendo bene una piccola punta di sconforto. “Non sto dormendo,” ammise.

“Per carità. Non la voglio disturbare.” “Nessun disturbo. Piuttosto, riflettevo su quanto mi ha raccontato finora.” Mr Cohn si tolse gli auricolari. SB “Interessante, divertente. Ma francamente, se lo chiede a me, non so quanto vendibile. Ci sono dei risvolti? Questi viag-

gi in Italia, per esempio. Portano a qualcosa?” “Be’, un po’ glielo avevo anticipato. Sì... sociologicamente, almeno. Dalla Svizzera cominciò a far scendere piccoli gruppi di turisti, che poi si fecero più nutriti. Cominciarono nel 1864... come al solito, con una comitiva ridotta, e molte difficoltà da superare. Una volta, per varcare il passo del San Gottardo, durante il ritorno — niente treni in questo tratto — ci vollero nove diligenze e 432 cavalli più non si sa quanti buoi per issarle nei punti più ardui, più 108 uomini per i settanta turisti. In quell’anno la combinazione Svizzera più Italia ne coinvolse complessivamente circa 1100. L’anno prima al passaggio del Moncenisio si era ribaltata proprio la diligenza dove viaggiavano Cook padre e figlio. Fu un ribaltamento dolce, al rallentatore... 97

e quando i due uscirono fuori strisciando, si trovarono davanti un cane San Bernardo con tanto di fiaschetta di cognac attaccata al collare. Lo respinsero inorriditi.” “Era astemio anche il figlio?” “Più ancora del padre, lui lo era dalla nascita... anche se poi, quando diventò importante, cominciò ad apprezzare i buoni sigari. Pensi che quando si fece un suo ufficio a Fleet Street, la strada dei giornali, aprì anche lì accanto un bar per astemi, a fare la concorrenza a tutti quei pub. Ma date le abitudini dei suoi vicini della carta stampata, dovette chiuderlo ben presto. Ma torniamo ai viaggi in Italia. Prima di inaugurare il servizio naturalmente il nostro era stato in ricognizione a Torino, Milano, Firenze, Venezia, e poi a Livorno e a Genova. Una volte due spedizioni, una fino a Firenze e a Livorno, dove molti fecero il bagno di mare, e una fino a Roma e Napoli, con visita al Colosseo, alle catacombe, a Pompei e al Vesuvio. Nel ’66 era con un gruppo sui laghi quando Venezia fu evacuata dalle truppe austriache alla fine di quella Guerra dell’Indipendenza italiana, e poté offrire ai suoi gitanti l’ingresso in pompa magna di re Vittorio Emanuele II. Malgrado l’Unità appena compiuta, anche se non del tutto, l’Italia era ancora un Paese abbastanza selvaggio. Sulle strade consolari non ancora servite dalla ferrovia

il popolo di Cook veniva scortato dall’esercito. E il suo giornale, '‘Excursionist’, lo esortava a non affrontare il viaggio senza

essersi provvisto della ‘Keating’s Persian Insect Destroying Powder’. Le leggo l'annuncio: ‘Impareggiabile per la distruzione di pulci, blatte, germi, mosche, scarafaggi, moscerini, zanzare, tarme da pelliccia, e di ogni altra specie di insetto in qualunque stadio di metamorfosi. Un piccolo quantitativo collocato nelle pieghe di una sopraccoperta distruggerà gli insetti... Indispensabile ai Viaggiatori per ferrovia o battello a vapore così come ai frequentatori delle spiagge’. In questi Paesi i suoi clienti si sentivano più sperduti e tendevano a non allontanarsi l’uno dall’altro, e a guardare a lui co58

me a una specie di cane pastore, cui lasciavano tutte le decisioni. Ritornavano bambini. Lui, che conosceva bene i suoi polli, anticipava ogni loro necessità, comprese quelle culinarie — a quell’epoca le popolazioni nordiche guardavano la dieta mediterranea con sospetto. La gratitudine del gregge si manifestava spesso con dei doni, una volta un forziere fiorentino intagliato a mosaico, un’altra addirittura un pianoforte. A Roma naturalmente la fede protestante di Thomas apprezzava poco le sontuose cerimonie papali, e meno ancora il modo con cui la città salassava i pellegrini. Durante la Settimana Santa del 1867 l’albergo che aveva prenotato per il suo gruppo gli diede buca, ma il condottiero reagì da par suo, affittando per una bella somma un palazzo storico, quello stesso che aveva ospitato l'ambasciata inglese ai tempi di Enrico VIII. Non per questo cessò di indignarsi davanti alla sporcizia e al disordine della Città Eterna e anche alle assurde pratiche igieniche imposte agli stranieri contro la minaccia del colera. Come scrisse in seguito al ‘Times’, ora le leggo: ‘To stesso e i miei amici trovammo spesso che fosse una farsa orribile essere rinchiusi e affumicati a Montalto, Civitavecchia, Ceprano e in

altre stazioni di confine, fino a restare quasi soffocati dallo sgradevole vapore, per poi, una volta entrati in città, vedere e inalare il fetore di mucchi di vegetali marciti in molte strade, le mura delle traverse nere di sudiciume e coperte di ragnatele, rivelatrici di uno stato di oltraggiosa e pericolosa stagnazione’.” “Capisco. Un po’ di colore locale. Riuscì a civilizzare l’Italia come aveva fatto con la Svizzera?” “Molto meno, ma portò un po’ di ordine anche qui, per esempio ottenendo dagli albergatori e dalle ferrovie di rispettare il prepagato... A convertire Roma non arrivò, però grazie al-

la sua iniziativa nel 1873 vi fù aperta la prima Missione Battista, che è lì ancora oggi.” Seguì una pausa. Poi fu Mr Cohn a parlare. “Pensavo. Non ha qualcosa di divertente sui rapporti di questi turisti con la popolazione locale? Come gli hooligans al seguito delle squadre di calcio un secolo dopo.” DI

“Be’, quello che è divertente, ma anche qui non so quanto spettacolare, è l’atteggiamento non tanto degli indigeni, ma piuttosto degli inglesi-bene nei confronti di questi cockney che in-

vadevano in massa luoghi privilegiati. Una volta le montagne erano inaccessibili e avvicinarvisi era una vera avventura; adesso erano a disposizione di tutti grazie alla facilitazione delle strade di accesso, dei mezzi di trasporto, dei luoghi di accoglienza e via dicendo. Più a sud, queste frotte di curiosi occupavano i musei, le cattedrali e le piazze delle città monumentali. Ovviamente era un processo inevitabile, ma nei primi tempi si cercò di ostacolarlo, anche con proteste un po’ comiche. A questo proposito si citano sempre gli articoli di Charles Lever, che era uno scrittore brillante, possiamo dire un umorista, irlandese di origine. Lever aveva studiato medicina, ma poi i suoi romanzi erano piaciuti, e così si era dedicato alla narrativa e al giornalismo di colore, stabilendosi a Firenze. Fece anche un po’ di carriera nelle istituzioni consolari — fu viceconsole a La Spezia, dove peraltro si recava il meno possibile, e poi console a Trieste. Nelle sue corrispondenze dall’Italia Lever, non che fosse il solo, attaccò

Cook e i suoi turisti con una violenza che sfiorava la diffamazione. Altri avevano parlato dei ‘Vandali di Cook”, delle ‘Orde di Cook” e simili. Senta ora Lever.” DeWitt tirò fuori un altro dei suoi fogli, e lesse: “‘Quest’uomo intraprendente e privo di scrupoli [il nostro Thomas] stipula un contratto per trasportare i turisti, sfamarli,

alloggiarli e intrattenerli. Così, eccoli dovunque sono riunioni, spettacoli teatrali, sculture, legno intagliato, affreschi, bucati [chissà poi cosa c’entrano i bucati!], e roulette. In una parola, costoro vanno ‘sistemati’ nella maniera più completa, senza null’altro chieder loro se non il pagamento di tot sterline; e tutti i dettagli della strada o della locanda, del teatro, della galleria o del museo saranno accuratamente affrontati da questo personaggio provvidenziale, il cui nome certo dovrebb’essere Barnum.” Costui, aggiunse, inonda l'Europa di ‘tutto quanto è basso, volgare e ridicolo’. Commentando l’aspirazione di tanta gentuccia a recar60

si all’estero in queste spedizioni, un periodico snob come la ‘Pall Mall Gazette’ spiegò che servendosi ‘delle facilitazioni offerte da Mr Cook’, quei viaggiatori improvvisati si atteggiavano a gentiluomini come degli squattrinati che per pavoneggiarsi facciano imitare degli abiti eleganti da un sartino da quattro soldi. Combattivo come sempre, Thomas rispose agli attacchi di Lever pubblicando un opuscolo in cui confutava i suoi argomenti e attaccava lui personalmente. ‘Costui vorrebbe riservare statua e mon-

tagna, dipinto e lago, luogo storico e bellezza naturale’, scrisse, ‘alle cosiddette classi superiori, e a quei dottori irlandesi con lauree tedesche che vogliono esserne i leccapiedi e i parassiti. Io non vedo alcun peccato nell’introdurre le meraviglie naturali e artistiche a tutti quanti.’ Se le interessa ancora, ho un’altra citazio-

ne più lunga, questa a favore di Cook. Vado?”. “Sentiamo anche questa.” “Da un articolo uscito su un altro giornale, il ‘Morning Star'. ‘Il solo tema su cui si continua perpetuamente a battere è la volgarità e l’impertinenza di gente che presume di viaggiare con tre-

ni speciali, o con biglietti di andata ritorno a prezzo scontato, o in compagnia, o in qualsiasi modo non sia grandioso, costoso e solitario. Egli [ossia, colui che scrive] si indigna davanti all’in-

solenza di gente simile nell’osare di invadere i sacri luoghi del continente che, in virtù di un precedente soggiorno delle durata di un paio di settimane, è giunto a considerare un suo possedimento

esclusivo. Costui non può più godersi le montagne o i castelli, le gallerie di quadri o i ghiacciai, le cattedrali o i laghi, perché questa gente cockney o operaia insiste nel venirli a guardare. Leggendo i suoi sarcasmi indignati, si penserebbe che il Louvre fosse la sua residenza privata, che la Mer de Glace fosse sua per diritto di nascita, che il Duomo di Milano fosse stato costruito da uno dei suoi nobili antenati, che il Lago Maggiore fosse un laghetto nella sua magione.” “Si lamentavano degli inglesi... che avrebbero detto oggi, con i giapponesi e i cinesi? O i russi? Per non parlare degli americani?” 61

“Be’, anche gli americani si appoggiarono molto a Cook quando cominciarono a venire in Europa in grandi numeri...

Questo accadde dopo la fine della Guerra di Secessione, e coincise con il miglioramento dei servizi durante la traversata.” “E inglesi in America non ne portò?”

“Certo. Cominciò a pensarci seriamente nel 1864, l’anno in cui convinse il figlio a lavorare stabilmente con lui. In precedenza come si è visto John era subentrato a dare una mano parecchie volte, in caso di necessità, e se l’era sempre cavata be-

nissimo. Però i due non si prendevano, il padre era autoritario e tendeva a non pagare il figlio, mentre il figlio obbediva malvolentieri — aveva sempre un certo risentimento per la severità con

cui era stato allevato — ed essendo un uomo molto pratico, non approvava la finanza allegra del padre, compresi i grandi sconti che faceva ai correligionari. Si era quindi messo per conto proprio, prima impiegandosi presso una compagnia ferroviaria — la

Midland, che abbiamo incontrato tante volte — poi mettendo su una tipografia nel cuore di Londra, a Fleet Street. Anche Thomas del resto aveva ormai la sua base principale a Londra, in un edificio dove tanto per arrotondare aveva allestito anche un negozio per viaggiatori, dove si vendevano attrezzi adatti alle sue spedizioni: valigie, plaid, binocoli, caschi, guide, filtri per l’acqua, quella polvere insetticida che ho citato prima. Quando John accettò di mettersi con il padre venne ad abitare con la moglie al piano di sopra di questo negozio.

Ma dicevamo dell’ America. Ora che aveva qualcuno in grado di prendere il timone della ditta durante la sua assenza, Thomas si concesse un lungo viaggio di esplorazione negli Stati Uniti. Come avrà capito, era un viaggiatore instancabile, che guardava

tutto e provava tutto dal punto di vista delle persone cui poi avrebbe segnalato la parte migliore della sua esperienza. Era anche, come ben sappiamo, spartano. Per la traversata non scelse una nave di lusso, bensì una vecchia carretta piena di topi e di scarafaggi, che non per nulla solo quattro anni dopo sarebbe affondata senza lasciar traccia. Sbarcò a New York, dove si mise

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immediatamente in contatto con esponenti locali della Chiesa Battista e della Lega della Temperanza, dopodiché si lanciò in un viaggio di più di seimila chilometri per gran parte del Paese e nel Canada. A quell’epoca le ferrovie americane erano più lente di quelle europee ma per il resto erano molto più progredite, e Thomas apprezzò i servizi a bordo offerti dal signor Pullman, ovvero gabinetti, cuccette, distributori di acqua fresca, tutte co-

se ancora inconcepibili in Inghilterra e altrove. Fu a Toronto, in Pennsylvania, alle cascate del Niagara, a Chicago, a Detroit, nel Massachusetts, e prima di tornare stabilì accordi con albergatori e compagnie ferroviarie, così che meno di sei mesi dopo pro-

prio suo figlio John guidò una prima, sparuta truppa di audaci in alcuni di quei luoghi e altri ancora, come Washington, Mammoth Cave nel Kentucky e i campi di battaglia della Virginia, dove crani e ossa dei caduti biancheggiavano ancora al sole.” “Un’altra conquista.” “Veramente le cose non andarono così lisce. Quando sbarcò a sua volta, John ebbe la sgradita sorpresa di scoprire che gli americani avevano mangiato la foglia e che si stavano organizzando per conto loro. Tanto per cominciare, faticò per far rispettare gli accordi presi da suo padre, ai quali adesso le compagnie ferroviarie facevano orecchi da mercante. A favorire ripensamenti e malintesi c’era anche il fatto che le comunicazioni non erano quelle di adesso. Il primo cavo telegrafico sotto l’Atlantico fu messo solo allora, nel 1866, quindi i telegrammi con l’Inghilterra erano nella loro infanzia e i messaggi si scambiavano solo per lettera, per di più scritta a mano: le prime macchine da scrivere si diffusero solo alla fine degli anni 1870. Dopo quella spedizione insomma i Cook rinunciarono all'America per diversi anni, finché non si adeguarono e si presero un partner america-

no, col quale gli affari prosperarono ma poi inevitabilmente si finì per litigare... Tuttavia questo per ora non ci interessa.” “No, non esageriamo con i dettagli.” “Comunque va detto che grazie a tutta la pubblicità che Cook era riuscito a farsi negli Stati Uniti, furono gli americani 63

a cercarlo quando cominciarono a venire in Europa in grandi numeri. Per chi voleva vedere la Francia, la Svizzera, l’Italia o la

stessa Inghilterra non c’era nessuno di altrettanto affidabile... Ma stiamo arrivando a quello che fu il coronamento dei sogni del nostro uomo, quello che egli stesso riconobbe come il punto d’arrivo di tutta la sua carriera e della sua stessa esistenza — beninteso, anche se la crescita esponenziale della sua impresa non si fermò certo lì. Voglio dire, lo sbarco in Terrasanta. L’idea di vedere la Terrasanta e poi di portarci pellegrini Thomas Cook l’aveva coltivata fin dai primissimi tempi in cui aveva cominciato a occuparsi di organizzare escursioni. Vedere Gerusalemme e gli altri luoghi santi era sempre stata l’aspirazione di ogni cristiano: il pellegrinaggio dei pellegrinaggi. Non sarà un caso che il primo grande testo della letteratura inglese, I racconti di Canterbury, racconti appunto un pellegrinaggio, e si svolga tra turisti del Trecento, diretti alla tomba di un santo, per la verità cattolico, Thomas Becket. E la persona più in vista della spedizione, in quanto la più loquace, la famosa Comare di Bath, una maniaca medievale di questi viaggi organizzati, è già stata in Terrasanta ben tre volte... A proposito, qui mi viene in mente un argomento cui non avevo ancora accennato e che forse è importante. Una piccola precisazione. Mi dica cosa ne pensa.” “Cosa posso pensarne io non ha importanza, lei non perda

di vista che non deve fare colpo su di me, ma su quello sceneggiatore... E se posso darle un consiglio, stia attento alle divagazioni. Magari mentre lei divaga quello si ricorda di avere un appuntamento urgente.” “Sta tentando di scoraggiarmi?”

Ma Mr Cohn, intrappolato nel sedile dalla sua stessa mole unita all’indolenza naturale, aveva poche possibilità di sottrarsi. “Per carità, ci mancherebbe. Dica, dica. Sentiamo questo argomento.”

“Ma proprio le donne. Quei viaggi di Cook in fondo furono una grande tappa nell’emancipazione femminile. Perché le 64

donne vi parteciparono sin dall’inizio con molto entusiasmo, e anzi spesso per non dire quasi sempre nei gruppi erano in mag-

gioranza. Anche donne sole, si rende conto? Che tenevano dei diari, molti dei quali sono rimasti, vere miniere di notizie. All’epo-

ca era molto audace per una donna anche solo uscire per strada senza compagnia. Ma ben presto si vide che proprio nelle spedizioni di Cook, dove la moralità era sempre in primo piano, la signora sola, protetta com'era dall’organizzazione e dalla sua fama di assoluta rispettabilità, non era oggetto di chiacchiere. Senza contare che trovava occasioni di fare amicizia con persone congeniali.” “Niente contatti con bagnini muscolosi o con aitanti cammellieri, come nei viaggi organizzati di oggi.” “Figuriamoci! Proprio Cook batté molto su questo punto nelle sue campagne pubblicitarie, insistendo anche sulla tenacia, sulla resistenza e sul coraggio delle sue escursioniste, che come dice da qualche parte, spesso si dimostravano più forti e ardite, cito, ‘di molti uomini effeminati’.” “Buon per loro. Ma mi diceva della Terrasanta.” “Cook, che fin dai primi tempi considerava i suoi viaggi occasioni di istruzione e di miglioramento, non solo per uscire dal vizio dell’alcol ma anche per allargare i propri orizzonti, pensava ovviamente che ia visita dei luoghi santi con tutte le loro reminiscenze bibliche sarebbe stata un’esperienza incomparabile per qualunque cristiano. Non per nulla quella guida di cui le ho mostrato un paio di pagine, e che è un capolavoro del suo genere, ha pronta una citazione della Bibbia per quasi ogni posto dell’itinerario. L’occasione per il primo viaggio in Palestina la diede la fine della guerra di Crimea, con la sconfitta dei russi e la vittoria dell’Impero Ottomano, appoggiato tra gli altri dagli inglesi. Come parte delle concessioni che fece a questi ultimi, il Sultano, che dominava anche in Palestina, allargò la tolleranza per i seguaci di religioni non islamiche, ossia per i cristiani e per gli

ebrei, in particolare per i protestanti anticonformisti, britanni65

ci o americani, le cui attività in precedenza erano state proibite. E poi le strade erano un po’ migliorate, anche se la maggior parte del percorso andava fatta a cavallo, e si doveva dormire in tenda. La prima spedizione che Cook mise insieme consisteva in una sessantina di ardimentosi, ciascuno dei quali aveva pagato trenta sterline, divisi in due gruppi. Costoro sbarcarono avventurosamente a Jaffa, un porto troppo angusto per le grandi navi, in scialuppe a remi, sfidando il mare mosso. Per loro era pronta una carovana di sessantacinque cavalli, ottantasette muli da carico, tende, lettini e cucine da campo. I letti erano di ferro e avevano materassi morbidi e lenzuola pulite, e gli assistenti arabi tiravano fuori tappeti, asciugamani e bacini per le abluzioni. L'arrivo a Gerusalemme fu preceduto da due giornate a cavallo, di otto ore l’una. Non tutti i viaggiatori erano provetti cavallerizzi e molti cadevano spesso di sella, ma nessuno si diede per vinto, anche se i dragomanni, ovvero gli accompagnatori ufficiali, avevano l’abitudine di sparare in aria senza preavviso, con spavento delle cavalcature. Ci furono ovviamente degli incidenti. Ci fu un furto con destrezza, parecchi napoleoni d’oro e altri oggetti furono trafugati durante la notte senza che nessuno dei viaggiatori si svegliasse. Ci fu persino un decesso. Una certa Mrs Samuel, che era molto anziana, spirò placidamente prima di un’alba, e il suo cadavere fu allontanato in una portantina per non sembrare tale ed essere sepolto senza dare nell’occhio. La carovana visitò Gerusalemme, Betlemme e Ge-

rico. Cook stesso si immerse nelle acque del Giordano e le bevve, anche se disapprovò l’iniziativa di altri turisti che ci riempirono delle bottiglie riservandosi di adoperarle in futuro per battesimi e altri riti. Anche nei luoghi santi Cook si manteneva ligio ai severi principi della sua fede battista, e accettava malvolentieri l'ospitalità di istituzioni cattoliche o anglicane, così come disprezzava la vendita, già allora fiorente, di finte reliquie e di altri souvenir davanti alle chiese. Quella fu solo la prima di una serie di spedizioni nelle quali l’organizzazione diventò sempre più efficiente. Col tempo prese 66

piede, tra quelle riservate a dei gruppi particolari, una alla quale Thomas tenne sempre in modo speciale, i cosiddetti ‘Biblical Educational and General Tours’ specificamente per ‘Ministri del Culto, insegnanti delle scuole domenicali e altri impegnati nella promozione dell’istruzione sulle Sacre Scritture’. Queste particolari spedizioni si concentravano sui Luoghi Santi, sulle missioni e sulle scoperte di scavo più recenti. Ogni turista aveva a porta-

ta di mano una Bibbia, un libro di inni sacri, una guida e una carta geografica; e durante il tragitto a piedi, o su mulo, asino o cavallo si cantava in coro, inni inglesi o salmi di Davide.” “Fa venire voglia anche a me. Li offrono ancora, questi Tours?”

“Aggiunga che in Palestina, come del resto in tutti i Paesi islamici, il consumo di bevande alcoliche era ufficialmente vietato:

altra prerogativa che senza dubbio allargava il cuore al nostro uomo. Che il viaggio in Terrasanta rimanesse il grande fiore all’occhiello di Thos. Cook & Son lo mostra anche un dato di fatto simbolico. Fu proprio in Terrasanta che il Son, John Mason, contrasse l’infezione che lo portò alla tomba nel 1899 - suo padre era morto anni prima, dopo essersi ritirato da tempo. Si am-

malò dopo aver condotto una di quelle spedizioni per un ospite di grande riguardo, nientemeno che il Kaiser Guglielmo II, pare proprio per aver bevuto l’acqua locale invece del vino, a differenza di tutto il resto della comitiva.” “Se l’era cercata”, borbottò Mr Cohn domandandosi se fosse il caso di ordinarsi ancora qualcosa al bar. Ma il suo interlocutore ignorò quella sommessa richiesta di tregua e continuò implacabile. “La premessa del primo viaggio in Palestina era stata l’apertura di un altro luogo che sarebbe diventato fondamentale negli itinerari di Cook, vale a dire l'Egitto. L'Egitto, che era stato a lungo sotto l’influenza francese, aveva visto da qualche anno una crescita degli interessi inglesi, soprattutto degli industriali del cotone, che erano venuti qui a cercare la materia prima la cui importazione dagli Stati Uniti era stata sospesa durante la

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Guerra Civile. Ma i francesi dominavano ancora, ed era con

capitali in gran parte loro che stava per compiersi un’opera fondamentale, ovvero la riattivazione del canale di Suez, in origine scavato dai faraoni e adesso riprogettato dall’ingegnere Ferdinand de Lesseps, cugino, guarda caso, di Eugenia, in origine contessa di Teba e di Montijo, e ora moglie dell’imperatore Napoleone III. La solenne inaugurazione del nuovo Canale, che avrebbe risparmiato parecchie settimane di navigazione alle navi dirette in Estremo Oriente e in Australia, era prevista per il 17 no-

vembre 1869, e la sua attesa nei mesi precedenti diventò febbrile. Cook non poteva perdersi un simile avvenimento epocale, e presentò per tempo un programma adeguato. Questo prevedeva la partenza in treno dall’Inghilterra il 3 novembre per arrivare a Brindisi e ripartirne in nave l’8, con l’intenzione di sbarcare a Alessandria il 12 e quindi di guadagnare, di nuovo, in treno Port Said, all’imbocco del Canale. Prezzo, 35 sterline in prima

classe, 28 in seconda, con possibilità di estendere la gita alla Palestina. Quando il fatidico 17 arrivò, sulla banchina principale di Port Said si ergevano tre padiglioni per i visitatori in attesa degli ospiti illustri, tra cui l’imperatore d'Austria, il principe ereditario di Prussia e l’imperatrice di Francia — il marito, Napoleone III, sofferente delle sue coliche renali, era rimasto a Parigi. Ci furono solenni cerimonie religiose, una cattolica per

la Francia, una musulmana per l’Egitto, e il giorno dopo sessantotto imbarcazioni sfilarono in pompa magna nel canale, con in testa un brigantino, ‘L’Aigle’, in cui si trovavano l’imperatrice Eugenia e il progettatore Lesseps. Seguivano nei loro

yacht il Kedivè, ossia il viceré, dell’Egitto, l’imperatore Francesco Giuseppe, il principe di Prussia, il principe Enrico d’Olanda... e naturalmente Thomas Cook, sull'America’, che era un piroscafo australiano. Una volta viste le acque del Mar Rosso, Cook e i suoi raggiunsero per strada ferrata il Cairo, dove furono ospiti di vari festeggiamenti, anche se come Thomas stesso scrisse in seguito, ‘lo champagne e altri vini che venivano 68

serviti gratis ebbero poca presa sulla mia piccola spedizione astemia’. Morigerato come sempre, Thomas girò alla larga anche dal teatro, un teatro nuovo di zecca, dove per l’occasione davano un’opera italiana.” “Aspetti, questa la so anch’io. L’Aida di Verdi, composta apposta per l’inaugurazione del Canale.” “Ahimé, la devo contraddire. Di Verdi sì, ma quella volta diedero il Rigoletto. L’Aida forse non era ancora pronta, non so. Ma andò in scena al Cairo solo due anni dopo, nel ’71. Quello che conta comunque fu la presenza di Thomas Cook e l’efficienza della sua organizzazione, in quel momento in cui l’Egitto guardava con grande interesse al turismo internazionale e cercava di attirare visitatori. Le autorità locali ne furono colpite al punto che l’anno dopo il Kedivè affidò proprio alla Thos. Cook & Son il controllo esclusivo della navigazione sul Nilo. In cambio, la Cook doveva impegnarsi a noleggiare le imbarcazioni, che continuavano ad appartenere al Kedivè, e ad assumersi le spese di questo traffico che dopo la Sfinge e le Piramidi consentiva ai turisti di spingersi dal Cairo verso le meraviglie del Sud, Luxor e Karnak, fino ad Assuan.” Mr Cohn aveva premuto un tasto e in alto, in corrispondenza della sua poltrona, si era accesa una lucetta. Accorse una hostess che sollecitamente la spense. “Non so lei, mio giovane amico”, disse a DeWitt Mr Cohn,

“ma sentendo parlare di quei luoghi mi è venuta una sete terribile.” Rivolgendosi alla ragazza, proseguì: “Non è che potrei avere una birra? Anche due, se le bottiglie sono quelle piccole. Coors, se è in dotazione. Altrimenti una europea”. Premurosa co-

me sempre, la hostess si allontanò per eseguire. Intanto DeWitt stava districandosi tra i suoi foglietti. “Oddio, a proposito dell’Egitto ho saltato un episodio abbastanza gustoso... dell’anno prima. Lo vuole sentire?” “Mi dia un momento.” La hostess era tornata con una Heineken già stappata, che Mr Cohn le tolse di mano. 69

“Grazie, va bene anche questa... Niente bicchiere, preferisco così.” Presa una bella sorsata, si rivolse al giovanotto. “Dica, dica pure. La ascolto.” “Thomas aveva già organizzato un viaggio in Egitto nel 1868, ossia l’anno prima dell’apertura del Canale, quando molti europei già scendevano in quei luoghi, attirati dalla risonanza dei lavori per la grande impresa. In particolare erano calati dall’Inghilterra il Principe e la Principessa di Galles, ospitati con tutti gli onori dal Kedivè, il quale per l’occasione regalò al Principe una bella mummia che costui passò in seguito al British Museum. Anche il Principe e la Principessa dopo aver visto le Piramidi e la Sfinge partirono per una lussuosa crociera lungo il Nilo, una crociera di varie settimane, in una imbarcazione riforni-

ta di ogni ben di Dio, e soprattutto, ci dicono, di 3000 bottiglie di champagne e 4000 di bordeaux. Cook e il suo gruppo erano su altre due imbarcazioni che a loro volta risalivano il fiume, a qualche distanza da quella con i reali. Sarà stata una coincidenza, ma già in Scozia abbiamo visto che Thomas non si faceva scrupolo di stuzzicare lo snobismo dei suoi clienti offrendo loro l’occasione di vedere da vicino membri della famiglia reale, o comunque di condividere le loro esperienze a distanza ravvicinata. Sta di fatto che al seguito della spedizione dei reali c’era un giornalista molto famoso, William Howard Russell, uno che si era fatto una reputazione con i suoi dispacci dalla guerra di Crimea, dove denunciava senza nessun pelo sulla lingua le malefatte dei generali inglesi. Ora, davanti a quella che gli parve tracotanza da parte dei turisti, Russell ebbe la stessa reazione del console scrittore Lever. Forse questo episodio dovevo metterlo prima... comunque mandando al ‘Times’ le sue cronache della gita del Principe e signora, Russell scrisse, leggo... ‘Ecco che si alza una nuvola di fumo da un vapore a poppavia! Sono arrivati i turisti di Cook! I loro vaporetti sono nella nostra scia. I turisti sono dappertutto. Alcuni si bagnano sulle spiagge; altri hanno dei copricapo eccen70

trici... [qui salto] Un altro giorno, e il Principe e la Principessa sarebbero stati alla loro mercé!” Quanti punti esclamativi, no? Andando avanti, Russell spiega che per quella gente ignorante i monumenti dell’Egitto non hanno importanza, quello che con- . ta è far comunella con i loro futuri re e regina. In seguito quello stesso anno Russell pubblicò addirittura un libro sul suo viaggio con gli eredi al trono, in cui c’è questo passo, abbia ancora un momento di pazienza, secondo me può servire, glielo leggo. Ecco. ‘Cosa non si potevano permettere i Turisti di Mr Cook, sca-

tenati lungo il fiume all’inseguimento del Principe e della Principessa? Alcuni dei nostri compagni erano venuti da Brindisi con la carovana britannica, di cui ci fecero descrizioni che non ci incoraggiarono a volerla conoscere più da vicino. Gente rispetta-

bile — degna — intelligente — tutto quello che volete; ma tutti abbagliati dalla prospettiva di mettere il Principe e la Principessa di Galles con le spalle al muro dentro una Piramide, o di raggiungerli nel Deserto, o di dar loro la caccia nei recessi di una rovina — rapiti davanti all’idea di riuscire ad apostrofarli nel Tempio di Karnak.”” DeWitt si alzò in piedi, si sgranchì ed eseguì quasi automaticamente qualcuno dei suoi strani esercizi di stretching. Dal canto suo, Mr Cohn non fece nessun tentativo per incoraggiarlo a continuare la conversazione. Silenziosamente, si rilassò nella sua

poltrona e chiuse gli occhi. Ma quasi subito la voce dell’altro lo riscosse. DeWitt era ripartito come continuando un argomento che aveva rimuginato tra sé e sé. “Però... se la Palestina fu il coronamento della carriera di Thomas Cook, il grande fuoco d’artificio finale fu il suo giro del mondo. Dopo, niente fu più come prima.” “Già, capisco. Il giro del mondo non poteva mancare.” “Non poteva mancare, specie dopo l’apertura del Canale di Suez. E non mancò. Il giro del mondo in 222 giorni. Otto mesi.” “Non in ottanta giorni.” “Guardi che quello immaginario di Jules Verne e quello di Cook sono collegati. Intanto l’anno è lo stesso, 1872. Quando 71

Cook decise di intraprendere il suo, naturalmente ne diede notizia prima di partire, e durante il viaggio continuò a mandare a casa lettere con le cronache dettagliate delle sue tappe, lettere che uscirono puntualmente sul ‘Times’. Ora, pare che a Verne l’idea del romanzo gliela diede proprio l'annuncio di quello di Cook, che aveva visto passando davanti alla vetrina degli uffici della Cook a Parigi, sul Boulevard Haussmann. Detto fatto, Verne scrisse a tambur battente e il libro uscì mentre il viaggio di Thomas era ancora in corso. Ma non le pare significativo che il protagonista del Giro del mondo in 80 giorni sia inglese?” “Già. Phileas Fogg. Ma perché ha detto che dopo niente fu più come prima?”

“Perché quel viaggio sancì in certo modo il passaggio di consegne al figlio John, che nel frattempo era diventato partner a tempo pieno. John prima incoraggiò il padre a fare quel viaggio, e poi approfittò della sua assenza prolungata per riorganizzare la ditta, anche sotto l’aspetto finanziario. Fece il colpo di trasferire la sede londinese in un palazzo grandioso, cinque piani a Ludgate Circus, ingressi su quattro lati, e dentro anche un ufficio postale, un ufficio del telegrafo, una sala di lettura, banchi per le prenotazioni e via dicendo. Una sede così ormai era doverosa, c'erano filiali in molte altre città anche all’estero, come Parigi, Venezia e via dicendo. Ma al suo ritorno Thomas non la prese affatto bene... troppo lusso! E insinuò addirittura sospetti su come il figlio si era finanziato. Sospetti totalmente infondati, come si dimostrò. Il suo naturalmente non era stato un viaggio

solo di piacere, perché come al solito le informazioni che aveva raccolto furono subito usate per organizzarne altri. Così com’era stata la prima, la Cook fu a lungo la leader di questa specialità del turismo. Alla morte del fondatore nel 1892, la ditta aveva or-

ganizzato il giro del mondo più di venti altre volte, coinvolgendo circa 1000 viaggiatori. La prima tariffa tutto compreso era stata di 300 ghinee. Vuole che le sintetizzi quel primo viaggio di Thomas, il quale come al solito guidava un piccolo gruppo di intrepidi? Tenga 7A

presente che, benché avido di queste esperienze, il nostro soffrì di mal di mare tutta la vita. Quella volta le cose gli andarono malissimo all’inizio, su una nave che partì da Liverpool il 26 settembre e che dovette affrontare violente tempeste sull’Atlantico. Thomas le subì con cristiana rassegnazione, e quando si sentì meglio regalò ai passeggeri una conferenza su affari e diporto. Sbarcato a New York, attraversò il Continente passando per il Niagara, Detroit, Chicago, Salt Lake City, San Francisco, in tutto 170 ore di treno che rinnovarono la sua ammirazione per il

comfort delle ferrovie americane. La traversata del Pacifico fino in Giappone, ventiquattro giorni, andò meglio di quella atlantica. Il Giappone gli piacque assai, anche qui i treni erano efficienti, l’albergo era inglese al cento per cento, le città erano pulite. Sul mare della Cina soffrì un po’ di costipazione, risolta da ‘un paio delle pillole lassative per famiglia di Mr Turner’. Ma la Cina lo deluse, specie Shanghai con le sue stradine fetide e maleodoranti e i suoi mendicanti deformi. Saltata Canton, sfiorata appena Hong Kong, a Singapore apprezzò la vista di un car-

tellone pubblicitario del Temperance Star. Celebrò il Natale con i compagni di viaggio a bordo di un piroscafo nel Golfo del Bengala, compiacendosi dell’assenza ‘di vino vecchio o di altri cordiali a stimolare e a far uscire di senno i bevitori’. Toccata Ceylon, prese terra a Madras, dove si celebrava l’anno nuovo con cerimonie sia indù sia cattoliche, cosa che lo indusse a tornare prontamente a bordo. Dedicò quindi cinque giorni alla visita di Calcutta, dove come altrove in India apprezzò in modo particolare l’opera dei missionari battisti. In seguito noleggiò con i suoi seguaci un vagone ferroviario che fece attaccare a vari treni, procedendo o sostando a suo piacimento e percorrendo nell’insieme più di tremila chilometri. Dappertutto rimase inorridito davanti alle immagini religiose nei templi, abomini ‘superiori a ogni mia concezione di idolatria’, ‘scene di immondizia e oscenità, con tori, pavoni, scimmie e altri innominati oggetti di cul-

to.” Ad Agra approvò il Taj Mahal. Ad Allahabad i fachiri indù gli richiamarono i frati mendicanti che aveva visto a Roma, per 4

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quanto almeno qui la religione proibiva l’uso dell’alcol. Ma a Bombay guardò con disgusto donnacce e venditori di bevande alcoliche offrire la loro mercanzia senza ritegno, e può darsi che un membro della spedizione, guardato da Thomas con sospetto, ne diventasse cliente. Costui era un certo Mr Wicks, unico del

gruppo con cui Thomas non andasse d’accordo. Degli altri, quattro erano ‘teetotaller’. Un altro ancora era un irreprensibile giudice che finito il viaggio sposò una delle signore turiste conosciute a bordo. Dall’India si passò al Mar Rosso, e di lì il ritorno fu relativamente breve, anche se all’arrivo Thomas scoprì che il figlio gli aveva sostanzialmente fatto le scarpe.” DeWitt fece una pausa. Raccolse i fogli da cui aveva letto, piegandosi sul suo interlocutore per non dover alzare troppo la voce, e si raggomitolò nella sua poltrona. Mr Cohn non reagì, ma tacque per un po’. Poi disse: “Mi lasci riflettere un momento”. Si rimise gli auricolari e mosse la rotellina sul bracciolo in cerca di una qualche musica. DeWitt Henry si rassegnò a prendersi una pausa anche lui. In silenzio si mise a riordinare i suoi fogli.

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Martedì 22 ottobre, le 13.30 (ora della Costa Occidentale)

L'aereo aveva ormai iniziato la discesa verso la Città degli Angeli. Gli assistenti di bordo cominciavano a fare pulizia, recuperando bicchieri e tovaglioli, e le bottiglie di birra vuote dal tavolinetto di Mr Cohn. La luce che entrava dai finestrini era di pieno giorno. Mr Cohn indossava gli auricolari, ma, benché evidentemente

assonnato, non sembrava più immerso nell’ascolto della musica come fino a poco prima. Questo incoraggiò il suo giovane vicino a tornare alla carica. Delicatamente DeWitt sfiorò un gomito dell’altro, che aprì gli occhi e lo guardò con una muta espressione di domanda. Il giovanotto era in preda a una certa inquietudine, in parte ma non soltanto dovuta al suo disagio quando i sussulti dell’aeromobile gli ricordavano di trovarsi ancora sospeso nell’etere. “Mi scusi ancora, è stato di una pazienza incredibile e non so come ringraziarla. Parlando con lei mi sono un po’ preparato al discorso che devo fare domani. D’altro canto, più cose mi vengono in mente, più sono incerto su quali valorizzare. Perdoni se glielo chiedo, tanto tra mezz’ora saremo arrivati e dopo non la scoccerò più... Un esperto come lei, che idea si è fatta?” Preso un po” alla sprovvista, Mr Cohn non sapeva come rispondere. “Be’, del materiale valido c’è... ci sono degli spunti... Ecco, forse manca un punto di arrivo. Finisce con la morte di Cook?... Dove ci eravamo fermati?”

“Ci eravamo fermati quando Thomas Cook si ritira. Il fatto è che in un certo senso la mia storia finisce qui. Non quella HÒ

della ditta, che dopo non fa che crescere e allargarsi e in pratica conquista il mondo... Di lui, del capostipite, non resta più molto da dire. Quando tornò da quel suo giro del mondo passò praticamente lo scettro del comando al figlio... non senza rammarico, ma insomma. I due litigarono ancora, poi lui si mise in disparte, nella sua Leicester. Intervenne ancora qualche volta nelle faccende della ditta, fece opere di beneficenza... rimase un uomo modesto e frugale, lontano dalle luci della ribalta. Compì altri viaggi in Terrasanta, invecchiò, si ammalò, diventò cieco. Finalmente morì nel 1892, un po’ meno di vent'anni dopo che la Cook and Son era in pratica diventata la Son and Cook.” DeWitt fece una pausa, rimuginando tra sé.

“Certo, dopo ci sarebbe la storia del figlio. Che non è male neanche quella.” Mr Cohn obiettò debolmente: “Stiamo per arrivare, quella forse me la racconterà un’altra volta”. Ma l’altro non badava al poco tempo rimasto, o forse apprezzava l’occasione per convogliare altrove le energie nervose che altrimenti si sarebbero concentrate sulla sua ansia per l’atterraggio.

“Sarebbe un grande personaggio anche il figlio, ma completamente diverso. In un certo senso, con più appigli per fare spettacolo.” L'altro sospirò rassegnato. “Diverso come?”

“In mille modi. Thomas era un idealista, per certi versi quasi un mistico; un populista che aveva sempre preso le parti dei deboli; fisicamente, un plebeo privo di distinzione. E badava poco al denaro. John invece era alto, aitante, elegante, sempre az-

zimato; mondano; grande uomo d’affari e grande condottiero. Era anche un capo che non guardava in faccia a nessuno, esigentissimo sul lavoro, e molto energico coi dipendenti. E benché capisse che non tutte le operazioni dovevano necessariamente finire in attivo — alcune servivano come propaganda e per diffondere il nome della ditta - era molto attento agli aspetti eco76

nomici. Sotto la sua direzione la Cook smise di essere un’impresa familiare e diventò una vera industria...” DeWitt rifletteva mentre parlava, come rivolgendosi a se stesso. “Certo, sotto alcuni aspetti fondamentali il suo atteggiamento fu agli antipodi di quello di suo padre. L'iniziativa di Thomas era nata a beneficio delle classi più umili... suscitata dal desiderio di farle uscire dall’abbrutimento e di consentire loro certi passatempi che erano solo dei ricchi, come appunto il viaggio. Invece John fece un’inversione di rotta a 180 gradi. A partire dagli anni 1880 rivolse le sue offerte piuttosto ai cosiddetti benestanti, che erano una clientela molto più appetitosa. Tra l’altro nell’Inghilterra imperiale di quell’epoca la ricchezza si era distribuita meglio, e c’era molta più gente disposta a spendere e a trattarsi bene. Così certi annunci che John cominciò a diramare suonano come il contrario della prassi paterna. Sul solito ‘Excursionist’ si diceva ora che la Cook avrebbe ridotto il numero delle comitive e le avrebbe rese più agili, per combattere l’affollamento in treni e piroscafi, su cui erano giunte lamentele; si parlava di numeri limitati e di spedizioni selezionate; di guide scelte, di compagni di viaggio particolarmente colti e raffinati. Quasi smentendo direttamente la prassi del passato, John arrivò a dichiarare che adesso la Cook avrebbe evitato luoghi come la Brighton estiva, ‘troppo frequentata da gitanti’.” “Diventò un servizio per i ricchi.” . “Be?, i ricchi, che prima si organizzavano da soli, trovaro-

no molto conveniente affidarsi a loro. E John era beato quando faceva il conto di quanti clienti illustri lo cercavano, compresi aristocratici e membri di famiglie reali di mezzo mondo. Fu anche un modo per distinguersi da una concorrenza che stava diventando numerosa. In quegli anni infatti si aprirono parecchie agenzie rivali, almeno una delle quali, facente capo a un certo Henry Gaze, gli diede parecchio filo da torcere. Henry Gaze arrivò ad avere novantaquattro filiali sparse per il mondo contro le ottantaquattro (più ottantacinque agenzie) di Cook. Alla lunga pe77

rò non resse al duello, e nel 1903 fece bancarotta. John si muo-

veva coi tempi, era sempre il primo a capire dove tirava il vento. Sempre negli anni ottanta si lasciò convincere ad aggiungere

alla Cook un settore bancario, particolarmente utile per le transazioni all’estero, con le questioni di cambio e via dicendo. Ben presto questa banca crebbe fino a diventare un’asse portante della ditta.” DeWitt Henry si fermò e guardò Mr Cohn, che a sua volta lo guardava rassegnato, ma con l’aria di dire: “Tutto qua?”. “Lo so, lo so... niente di troppo emozionante. Però due o tre storie succose nella carriera di John ce le avrei. Anzi, ne avrei molte di più... posso provare a riferirgliene un paio? Svelto svelto?” “Provi un po”. Se ci riesce...”

“Be’, una sontuosa sarebbe quella dell’Egitto... Da sola potrebbe riempire un volume. Allora. La Cook come abbiamo visto aveva il monopolio delle crociere sul Nilo, dove gestiva tutta la navigazione, cosa che le aveva concesso il Kedivè e che non era cambiata quando, appunto agli inizi degli anni ottanta, dopo un’ennesima guerra, l’Egitto era diventato un protettorato inglese. Ora, sotto l’amministrazione dell’Egitto, dunque sotto la responsabilità degli inglesi, c’era il Sudan, di cui però gli inglesi avevano poca voglia di occuparsi e quindi ne avevano lasciato l’amministrazione agli egiziani. In questi anni il Sudan fu travolto da una guerra santa islamica condotta da un leader spirituale che si proclamò il Mahdi... come lei saprà, il Mahdi, il nome vuol dire ‘guidato da Dio’, è un messia atteso, soprattutto dai Sunniti — un redentore che verrà a liberare il mondo e a ristabilire la giustizia. L'armata guidata da costui annientò le forze dell’esercito egiziano mandate a fermarla e minacciava la capitale Khartoum, dov'erano asserragliati i soldati egiziani superstiti. L'Egitto fece pressioni sull’Inghilterra perché la aiutasse a sbarazzarsi di questa minaccia, ma il gabinetto di Gladstone era contrario a nuove guerre imperialiste. Sperando di cavarsela con poco, Gladstone inviò dunque, quasi da solo, il famoso generale Charles Gordon, già eroe di imprese in Cina, che 78

vi

i

Èfi

proprio le imbarcazioni di John Cook portarono a destinazione, risalendo il Nilo fino ad Assuan e poi a Koroslo. A Khartoum il Generale organizzò l’evacuazione delle autorità militari, sempre servendosi dei vaporetti e della collaborazione di John. Ma nei mesi seguenti le truppe del Mahdi cominciarono ad accerchiare Khartoum, rendendo questo traffico lungo il Nilo molto complicato. Gordon, che a differenza di Gladstone voleva sconfiggere ed eliminare il Mahdi, telegrafava in patria chiedendo rinforzi, e l’opinione pubblica gli era favorevole; si paventava un effetto-domino, un Sudan occupato dagli islamici poteva in seguito comportare la caduta dell’Egitto e la perdita del Canale di Suez. Mi segue?”

“... Sì. Ma la Cook che c’entra?” “Ci arrivo subito. Alla fine, dopo molti contrattempi e in-

decisioni, si decise di mandare questi rinforzi... e John Cook fu incaricato di organizzare il trasporto di ben 18.000 soldati con tanto di approvvigionamento e di armi. Ho qui le cifre...” DeWitt mostrò uno dei suoi foglietti. “Ma gliele risparmio... tranne qualcuna. Da Glasgow ad Alessandria e poi da Alessandria su per il Nilo ci vollero prima 28 piroscafi, poi 6000 vagoni ferroviari, infine 27 vaporetti e 650 barche a vela. Fu l’unica volta nella storia che un’organizzazione privata gestì il trasporto di un esercito inglese. ... Che gliene pare?” “Potrebbe fare un film solo con questo.” “Glielo dicevo. Dunque, dopo essersi dannato per procurare il carbone necessario, che la burocrazia dell’esercito tardava a fornire, lo stesso John fece il viaggio per rendersi conto, portandosi dietro uno dei suoi figli più giovani, il diciassettenne Bert. I due impiegarono settimane di disagi su un’imbarcazione traballante per superare le cosiddette cataratte e arrivare quasi in vista della città assediata, in avanscoperta rispetto alle truppe. Poi tornarono subito indietro, il che fu una fortuna per loro. Perché come tutti sanno, due giorni prima dell’arrivo di quei

soccorsi Khartoum cadde, il generale Gordon fu ammazzato con tutti i suoi uomini, e la popolazione della città fu fatta schiava. Tae)

La reazione a Londra fu di orrore. I giornali cambiarono l’acronimo con cui si alludeva a Gladstone, il cui governo cadde subito (dopo qualche mese naturalmente tutto tornò come prima). Prima i giornali lo chiamavano con la sigla GOM, Great Old Man, il Grande Vecchio. Ora diventò

MOG, Murderer of Gor-

don — l’Assassino di Gordon.” “E l’esercito trasportato da Cook che fece?” “Niente. Traccheggiò, e poi fu spostato in Afghanistan con altri incarichi urgenti. Il Mahdi morì per conto suo l’anno dopo e la sua guerra finì lì. Ma l'Inghilterra non dimenticò, e nel 1896 il generale Kitchener fu mandato a riconquistare il Sudan, cosa che avvenne due anni dopo, con adeguato sterminio dei superstiti seguaci del Mahdi. Anche Kitchener coinvolse John Cook, ma i due non andarono d’accordo, tanto che pare che il rancoroso generale bloccò la nomina di John a Sir, cui John avrebbe tanto tenuto. Ma glissiamo. Quello che conta è che tra le due guerre Cook era diventato quasi un secondo re dell’Egitto. Dopo la guerra del Mahdi, quando le crociere turistiche ricominciarono, aveva avuto il permesso di armare una flotta tutta sua, e si era fatto costruire delle imbarcazioni moderne e mol-

to fastose.” DeWitt tacque, riprendendo fiato. Benché ormai avesse la testa solo all’arrivo imminente, Mr Cohn si sentì in dovere di ma-

nifestare un qualche interesse. “Egitto a parte... altri episodi?” “Ci sarebbe molto da raccontare sulle imprese di John Cook in India... In sintesi, il nostro si diffuse in tutto il subcontinen-

te, e diventò così affidabile che non solo organizzò le spedizioni in Europa di molti maragià, con tutto il pittoresco contorno di aneddoti (carovane di bauli, stuoli di concubine, animali al seguito, alberghi occupati e vuotati dei mobili per accendere fuochi sui tappeti)... ma, cosa questa clamorosa, si vide incaricare nientemeno che del trasporto dei pellegrini indiani diretti alla Mecca. Un bel contrasto con le convinzioni religiose in cui era stato allevato! Però bisogna dire che la sua fu un’attività prov80

videnziale, in quanto da secoli il pellegrinaggio alla Mecca, soprattutto quello dei meno ricchi, era stato reso rischioso e disagevole quasi quanto le traversate atlantiche degli schiavi in catene. Trafficanti privi di scrupoli imponevano ai pellegrini condizioni miserabili e li taglieggiavano in ogni modo. John Cook accettò di gestire questo traffico, del quale ebbe per un po’ il monopolio assoluto. Lo fece, bisogna dirlo a suo merito, più per spirito umanitario che per profitto, e non gli dispiacque quan-

do alla lunga dovette cederne parte all’inevitabile concorrenza, che tra l’altro si approfittò del fatto che lui i suoi clienti li trattava addirittura troppo bene, e quindi trovò facile offrire minore comfort, e prezzi più bassi.” Mr Cohn guardava lo schermo luminoso dove un tracciato mostrava la rotta dell’aeroplano, che ormai stava per toccare la meta. Consultò anche l’orologio. “Aveva detto due episodi.” “Ne aggiungo un terzo e poi basta. La funicolare del Vesuvio! Ne ha mai sentito parlare?”

“Quella della canzone? La conosco persino io... ‘Funicolì funicolà...’” “Sì. La canzone era stata composta per l’inaugurazione dell’impianto originale, nel 1880. Lo aveva costruito un ingegnere

ungherese specializzato nei tram. C’era un binario unico, le vetture portavano quindici persone a viaggio e impiegavano dodici minuti per percorrere una salita di trecento metri. L’inconve-

niente era che per arrivare da Napoli alla stazione di partenza ci volevano quattro ore di carrozza, il che limitava l’afflusso dei turisti. John Cook ammirò l’impianto quando fece anche lui quella gita, nel 1882. Anni dopo seppe che la società di gestione della funicolare era pesantemente indebitata e pensò di intervenire sovvenzionandola, ma ben presto trovò più semplice acquistarla e ristrutturarla. Mise vetture più leggere ma in grado di trasportare ventiquattro passeggeri, introdusse un sistema di cremagliera, e i visitatori aumentarono... l’anno era il 1897. Ben presto però John cominciò a essere boicottato dalle 81

guide del Vesuvio, che gli chiesero un bonus annuale, e al suo rifiuto sabotarono la funicolare, incendiando la stazione e gettando uno dei vagoni dalla scarpata. John però non si arrese, e ricostruì ogni cosa. Commissionò anche la costruzione di una ferrovia elettrica lunga sette chilometri, dalla città ai piedi del Vesuvio. Questa fu finita solo nel 1903, quando John era ormai

morto da qualche anno. Ma fu un gran successo, e la spettacolare salita fino al cratere del vulcano si impose come uno dei piatti forti delle offerte Cook in tutto il mondo; tra i turisti che la usarono ci furono il re inglese Edoardo VIII e il Kaiser Guglielmo II. Ai piedi della funicolare la Cook costruì anche un albergo, l’Hermitage. Peccato che poco dopo, nel 1906, un’eruzione del Vesuvio distrusse la parte alta dell’impianto e sotterrò nella cenere tutto il resto.” Lo speaker stava incitando i passeggeri ad allacciare le cinture di sicurezza e a ripiegare i tavolinetti davanti a loro. DeWitt si rassegnò a obbedire, e quindi tacere, a chiudere gli occhi e ad aspettare il temuto momento, cercando di dominare il suo crescente stato di irrequietezza.

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Martedì 22 ottobre, le 14.35 (ora della Costa Occidentale)

Il nastro per la riconsegna dei bagagli girava lentamente davanti ai passeggeri in attesa di recuperare i loro effetti. “So cosa sta pensando”, disse DeWitt a Mr Cohn, che veramente non sembrava pensare a nulla se non fissare i colli che gli passavano davanti, sempre gli stessi da qualche tempo, in attesa di un nuovo scarico che potesse far apparire il suo. “Lei pensa che dando tutto questo spazio agli sviluppi di John Cook, la storia così singolare di suo padre perde interesse. Infatti non so mica se sia il caso di metterceli, dopotutto... Non le sto chiedendo un parere”, aggiunse in fretta. “Ma così, se la diverte, mi piacerebbe se quando avrà tempo - dopo, dopo, quando saremo arrivati e ci saremo separati — desse un’occhiata a queste due paginette fotocopiate. Sono prese dalla Guida Cook alla Palestina e alla Siria, quella che le ho fatto vedere all’inizio... È del 1876 e secondo me segna il culmine della ascesa di Thomas Cook & ‘Son al momento dell’uscita di scena del fondatore. Pensavo for-

se di concludere qui, prima che il figlio entri in scena. La ragione è anche che... Oh, mi scusi...”

L’iPhone che il giovanotto aveva riattivato stava suonando il suo motivo rock. DeWitt lo estrasse dalla tasca, guardò l’immagine della bella ragazza che lo chiamava, si affrettò a rispondere. “Saffron! Sì, tesoro, sono arrivato sano e salvo. Già fatto tutto... ho solo bagaglio a mano, ti vengo subito incontro... Corro, corro!... Un bacio.” Spense e prima di avviarsi rapidamente verso l’uscita mise un paio di fogli in mano a Mr Cohn. “Saffron mi aspetta... ecco, li guardi pure... se ha qualche suggerimento mi chiami, ci ho messo anche il numero del cellulare... altrimenti grazie comunque... lei mi è stato di grande aiuto...” 83

DeWitt corse via.

Rimasto solo, Mr Cohn afferrò la grossa sacca che finalmente gli stava passando davanti e la tirò giù dal nastro. Poi la mise in piedi sulle rotelle e si avviò anche lui, ma lentamente,

verso l’uscita. Mentre camminava si rese conto dei due fogli che gli erano rimasti in mano. Passando accanto a un bidone per la raccolta della carta, ce li buttò dentro.

Se invece li avesse aperti, avrebbe letto:

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& SON

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WEST

END

446, West Strand (davanti all’Hotel e alla Stazione di Charing Cross)

[1876] 88

vete

Nota

Se dopotutto Mr Cohn avesse provato la curiosità di controllare le informazioni dategli dal suo compagno di viaggio, avrebbe potuto consultare, tra molta letteratura: Brendon, Piers, Thomas Cook — 150 Years of Popular Tourism, London 1991; Hamilton, Jill, Thomas Cook - The Holiday-Maker, London 2005; Pudney, John, The Thomas Cook Story, London 1953; Swinglehurst, Edmund, Cook* Tours: The Story of Popular Travel, London 1982,

più la riproduzione anastatica di Cook'’s Tourists' Handbook for Palestine and Syria (1876), Legacy Reprint Series, Kissinger Publishing (USA), s.d.

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Indice

CE ASII PISA

Martedì 22 ottobre, le 11 del mattino (ora di Greenwich) Martedì 22 ottobre, le 12.30 (ora di Greenwich) Martedì 22 ottobre, le 17.30 (ora di Greenwich) Martedì 22 ottobre, le 13.30 (ora della Costa Occidentale) Martedì 22 ottobre, le 14.35 (ora della Costa Occidentale)

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Nota

Titoli già pubblicati

Anne Sinclair, 21, rue La Boétie

Giulia Mafai, La ragazza con il violino Alberto Tonti e Andrea Kerbaker, Let it Beatles (2 ed.)

Leon Hendrix con Adam Mitchell, Jimi Hendrix, mio fratello Arte e mistero. Dieci inquietanti racconti, a cura di Enrico Badellino Carlo Lucarelli, Strane storie

Masolino d’Amico, Il giardiniere inglese (3 ed.) Lella Ravasi Bellocchio, Come una pietra leggera. Giochi di sabbia che curano Giuseppe Sgarbi, Lungo l’argine del tempo. Memorie di un farmacista Luca Scarlini, Siviero contro Hitler. La battaglia per l’arte Teodoro Gilabert, Blu K. Storia di un artista e del suo colore

Lion Feuchtwanger, I fratelli Oppermann

Finito di stampare nel mese di giugno 2014 a cura di Skira, Ginevra-Milano

Printed in Italy www.skira.net

Masolino d’Amico, giornalista, scrittore. sceneggiatore e traduttore, è stato ordinario di Lingua e Letteratura Inglese all’Università di Roma ed è autore di numerosi saggi. Ha curato, tra le altre, edizioni di opere di Swift, Wilde, Shakespeare e tradotto Lawrence, Hemingway, Woolf, Stevenson. Con Skira-ha pubblicato con successo Il giardiniere inglese (2013).

Made in Italy

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06-11 MIN

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Masolino d’Amico torna a parlare di cultura anglosassone soffermandosi su un grande personaggio: Thomas Cook, il fondatore della prima agenzia di viaggi, considerato l'inventore del

turismo moderno. Fervido battista, fanatico sostenitore della Lega della Temperanza, associazione filantropica che combatteva l’alcolismo,

il giovane Cook, pur di tenere i suoi accoliti lontano dalla bottiglia, cominciò a organizzare raduni con canti e preghiere. Nel

1841, sfruttando le nuove possibilità offerte dal treno, ideò un'escursione cui parteciparono 540 persone. Il successo fu

tale che decise di programmare viaggi sempre più lontani: la Scozia, Londra, la Svizzera alla scoperta delle montagne,

la

Francia, l’Italia, l'Egitto, la Terra Santa, perfino gli Stati Uniti. DeWitt Henry III, lo studente simpatico e un po’ goffo già

protagonista de // giardiniere inglese, torna in questo racconto agile e brillante, con cui Masolino d’Amico ci offre un nuovo e gustosissimo spaccato su una civiltà magistralmente

padroneggiata.

ISBN 978-88-572-2404-6