Il rito, legame tra gli uomini, comunicazione con gli dèi


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Italian Pages [139] Year 1991

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Table of contents :
E. Neumann, A. Portmann, G. Scholem - Il Rito, legame tra gli uomini, comunicazione con gli dei
Erich Neumann - Il significato psicologico del rito
Adolf Portmann - Riti animali
Gershom Scholem - Tradizione e nuova creazione nei riti dei cabalisti
Indice
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Il rito, legame tra gli uomini, comunicazione con gli dèi

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IMMAGINI DEL PROFONDO Collana diretta da Claudio Risé Marie Bonaparte Flyda degli abissi Marie-Louise von Franz

Eugene Monick Phallos

Henry Miller Dipingere è amare di nuovo

Marie-Louise von Franz

Le tracce del futuro

Le fiabe del lieto fine

Aldous Huxley Divorante, irriducibile Perla

Joane Stroud Gai! Thomas L'Intatta

James A. Hall Messaggi dalla tenebra

Quaderni di Psiche L'Io a più dimensioni

Robert L. Stevenson Teatro della notte

Miche! Cazenave Roland Auguet Gli imperatori folli

La Terra Madre e Dea

Gaston Bachelard Poetica del fuoco

William Faulkner Calendimaggio

e nelle leggende

George Sand II crepuscolo delle fate

Quaderni di Psiche II Doppio

Sylvia Brinton Perera La Grande Dea

Marie-Louise von Franz II mondo dei sogni

Joseph Campbell Miti per vivere

Gaston Bachelard Psicanalisi delle acque

Pau! Gauguin L'isola dell'Anima

Quaderni di Eranos II sentimento del colore

Edward F. Edinger I simboli e gli eroi di Jahweh

B.A. Te Paske II rito dello stupro

Franz Cari Endres Annemarie Schimmel Dizionario dei numeri

Marion Woodman Puoi volare, farfalla

Marie-Louise von Franz L'Eterno Fanciullo Gaston Bachelard La terra e le forze Miche! Mirabail Dizionario dell'esoterismo Quaderni di Eranos

Patricia Monaghan

Le donne nei miti

Uwe Steffen Incontro col drago Verena Kast La coppia Erich Neumann La personalità nascente del bambino

Gaston Bachelard Psicanalisi dell'aria Jacques de la Rocheterie La natura nei sogni

Oscar Wilde II Pescatore e la sua Anima

Quaderni di Psiche Eros e Amore

Credo Mutwa lndaba figli miei

Claudio Risé Parsifal

Quaderni di Eranos II rito

Marion Woodman

Lo sposo nascosto

Marie-Louise von Franz Tipologia psicologica

QUESTA COLLANA «L'inconscio si esprime per immagini» usava dire Cari Gustav Jung. Ma a queste immagini, alle immagini dei miti, delle leggende, dei sogni, l'uomo ha guardato sempre meno, complice l'insegnamento scolastico, che ne ha smarrito il valore e la stessa psicologia che, a disagio su questo terreno sottile, preferisce concetti precisi al fluttuante e ambiguo popolo dei sogni e delle fiabe. Smarrendo la pienezza dell'immagine nel vuoto della parola, l'essere umano ha smarrito anche (pur frequentando sempre più gli studi degli analisti) il rapporto con l'inconscio, e ne soffre. Ritrovare dunque queste immagini, presentarle nella loro forza e vitalità, collegarle le une alle altre e tutte alla cultura e alla storia degli esseri umani che le hanno prodotte e rappresentate: ecco la proposta di questa collana. Il presente è il terzo volume di una serie che, all'interno della collana, pubblica periodicamente i testi, finora inediti in Italia, delle Conferenze tenute dal 1933 al 1988 presso la Fondazione Eranos di Ascona, Canton Ticino, da alcuni dei maggiori esponenti della cultura mondiale degli ultimi cinquant'anni.

Informazioni e cataloghi aggiornati possono essere richiesti all'Editore, che sarà lieto di spedirli a chiunque semplicemente invii il proprio nome, cognome, indirizzo a: red edizioni, via Volta 43, 22100 Como, te!. 031-279146.

QUADERNI DI ERANOS Programma di pubblicazione anno 1989 La Terra Madre e Dea Sacralità della natura che ci fa vivere.

Saggi di E. Neumann, K. Kerényi, D.T. Suzuki, G. Tucci. Con un intervento di Rudolf Ritsema. anno 1990 n sentimento del colore L'esperienza cromatica come simbolo, cultura e scienza.

Saggi di S. Sambursky, G. Scholem, H. Corbin, D. Zahan, T. lzutsu. Con un intervento di M. Eliade. anno 199 1 n rito

Legame tra gli uomini, comunicazione con gli dei. Saggi di E. Neumann, A. Portmann, G. Scholem. anno 1992 Le fasi della vita

Saggi di A. )affé, M.-L. von Franz, H. Corbin, A. Portmann.

Claudio Risé, curatore di questa collana, si è diplomato all'lnstitut Uni­ versitaire de Hautes Études lntemationales di Ginevra. È stato inviato speciale di alcuni tra i principali giornali italiani (L'Espresso, Gruppo Cortiere della Sera, La Repubblica). Da più di dieci anni si dedica alla psicologia analitica junghiana, nella quale si è formato a Milano e a Zurigo. Edizioni di red./studio redazionale, via Volta 43 , 22 100 Como, te!. 03 1/279 1 46. © 199 1 . Testi ripresi da 'Eranos )ahrbuch' 19-1950. Traduzione di Rolando Galluppi. Erich Neumann Zur psychologischen Be­ deutung des Ritus; Adolf Portmann Riten der Tiere; Gershom Scholem Tra­ dition und Neuschopfung im Ritus der Kabbalisten . Per tutte le conferenze © 1950, Fondazione Eranos, Ascona, Svizzera. Redazione di Omelia Benzoni. Coordinamento di Paolo Giorno. l edizione: 199 1

QUADERNI DI ERANOS

IL RITO legame tra gli uomini, comunicazione con gli dei E. NEUMANN, A. PORTMANN, G. SCHOLEM

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Eranos

Dal 1933 al 1988 le scienze umane hanno conosciuto nelle giornate di Eranos, che si sono svolte ogni agosto a Casa Eranos ad Ascona, nel Can­ ton Ticino, un luogo di incontro libero e originale. Cari Gustav Jung e la sua antropologia hanno fornito il quadro genera­ le entro il quale quest'attività si è per lo più svolta. A Eranos tuttavia, molti altri protagonisti della cultura degli ultimi cin­ quant'anni hanno presentato alcune delle loro ricerche più nuove. Cari Gustav Jung, appunto, Andreas Speiser, Gerardus van der Leeuw, Gilbett Durand, Aniela Jaffè, Heirich Zimmer, Ernst Benz, Henry Cor­ bin, Jean Servier, Adolf Pottmann, Manfred Porkert, Herbert Read, Jean Brun, Martin Buber, segnarono con la loro presenza la storia.del lavoro, dell'opus, di Eranos. Ma è giusto ricordare anche, per esempio, il filosofo Ernesto Buonaiuti, colpito dalla condanna papale contro il modernismo, cui aveva aderito, e quindi sospeso dall'insegnamento nell'Italia fascista. Oppure lo studioso delle religioni Karl Kerényi, che finì con lo stabilirsi ad Ascona, protetta dalla tempesta nazista. E lo psicanalista Erich Neu­ mann, che continuò a presentare a Eranos i suoi lavori nel cammino che lo portò, esule dalla Germania, alla Svizzera e poi in Israele. Anche Mir­ cea Eliade ha recato per molti anni le sue ricerche a Eranos, prima che una fama ormai consolidata lo portasse agli incarichi universitari occupa­ ti negli ultimi anni negli Stati Uniti . Negli ultimi vent'anni importante è stata la presenza a Eranos di James Hillman che, dopo la separazione dall' Istituto C.G. Jung, ha assunto uno spazio proprio, originale e differenziato, all' interno del movimento jun­ ghiano internazionale. La collana 'Immagini del profondo' ha scelto di pubblicare periodica­ mente nei 'Quaderni di Eranos' i lavori più significativi presentati nelle Giornate di Ascona da questi e altri autori. Il primo volume di questa serie è stato La Terra Madre e Dea. Sacralità della natura che ci fa vivere, che ha pubblicato le relazioni di E. Neumann, K. Kerényi, D.T. Suzuki, G. Tucci, presentate a Eranos su questo argo­ mento. Il secondo volume, dal titolo Il sentimento del colore. L'esperienza cromatica come simbolo, cultura e scienza, contiene i lavori di S. Sambur­ sky, G. Scholem, H. Corbin, D. Zahan, T. lzutsu. Il prossimo volume, quarto della serie, sarà dedicato all' Uomo nelle di­ verse fasi esistenziali e ospiterà le relazioni di A. Jaffé, M .-L. von Franz, H. Corbin, A. Portmann. L'intenzione è quella di offrire al pubblico italiano un patrimonio cul­ turale finora da noi inedito, nato al di fuori dell'ufficialità accademica e dei settarismi intellettuali di volta in volta dominanti. Un materiale ricco, forse anche per questo, di interesse e di attualità.

IL RITO

Il significato psicologico del rito Erich Neumann

Prima di occuparci dell'uomo, e innanzi tutto dell'uomo pri­ mitivo la cui vita è fortemente condizionata dal rito, cerche­ remo di sondare le radici del rito stesso. Per fare questo do­ vremo esaminare brevemente, pur senza avere la competen­ za di Adolf Portmann, quelle manifestazioni degli istinti nel mondo animale che, in qualche modo, già prefigurano il ri­ tuale umano. Non abbiamo certo l'intenzione di cancellare la diversità di fondo che esiste tra il rituale cosciente dell'uomo e quello incosciente degli animali, ma non possiamo neppure esclu­ dere quest'ultimo dalle nostre riflessioni di carattere psicolo­ gico, tanto evidente è la connessione tra le azioni istintive definite 'riti animali' e i riti dell'uomo. Al contrario delle azioni istintive chiaramente mirate, co­ me per esempio la costruzione del nido o l'uccisione della preda per nutrire i piccoli, i riti degli animali sono in genere azioni istintive solo indirettamente finalizzate. Se osservia­ mo, per esempio, la cerimonia di corteggiamento degli uc­ celli, oppure certi girotondi delle scimmie, essi ci appariran­ no come azioni più simboliche che non utilitaristiche, ed è proprio questo che ci autorizza a considerarle come il primo gradino del rituale umano, ossia a definirle 'rito animale'!. Ai fini della comprensione del rito, l'importanza degli istinti animali è però molto più vasta, e soltanto la loro analisi in quanto fenomeno transpersonale ci consente di comprende­ re le modalità e il senso del rito umano. Il normale compor­ tamento istintivo degli animali è guidato dalla coscienza sen9

soriale. Ma se gli istinti individuali che governano il sosten­ tamento e la difesa del singolo potrebbero ancora sembrare originati da un lo nucleare o embrionale, la cosa già cambia per quegli istinti che guidano le metamorfosi di un animale, osservabili, per esempio, nel processo che porta dall'uovo di farfalla al bruco e da questo alla farfalla. Infatti, qui si vede chiaramente come non sia possibile collegare il soggetto de­ gli istinti a un individuo o ad un Io embrionale del singolo essere. Se seguiamo le azioni istintive che determinano una tale trasformazione, diventa sempre più evidente che la singola unità vitale (sia essa uovo, bruco o farfalla) è talmente sovra­ deçerminata dall'istinto che la transpersonalità del mondo istintuale non potrà sfugg ire neppure all'osservatore più sprov­ veduto. C'è da chiedersi, anzi, se qui sia ancora lecito parla­ re di istinto individuale e se sia possibile considerare l'unità formata da uovo, bruco, bozzolo e farfalla come un unico in­ dividuo. Non ci troviamo piuttosto già davanti a una sequenza generazionale omogenea di individui che si sviluppa in una successione di singoli animali, diversi e individualizzati? Questa unità transpersonale non governa soltanto l' evolu­ zione di success ivi esseri mutanti, ma si manifesta anche co­ me soggetto dotato di una chiara visione complessiva riferita alla vita comunitaria di taluni gruppi, quali, per esempio, le api, in cui attua una divisione del lavoro che condiziona re­ ciprocamente l'esistenza dei singoli membri della collettivi­ tà: ape regina, fuchi, operaie, soldati. Quest'ultima proprietà risulta evidente soprattutto in que­ gli istinti che sono posti al servizio della diffusione della spe­ cie e in forza dei quali un singolo essere compie istintivamente atti in previsione di un futuro che non vedrà mai e che si riferiscono a situazioni spesso del tutto estranee al mondo e alle esigenze di chi le compie, mentre sono invece tipiche dell'ambiente in cui dovrà vivere la sua discendenza. Il soggetto di questo sapere transpersonale attivo nell'istinto, dotato di esperienze specifiche e finalizzato direttamente da­ gli istinti, non può essere che il gruppo, o il genere o la spe­ cie. Riferito alle singole individualità, esso è di natura tran10

spersonale, eterna (in quanto supera il tempo e lo spazio in cui vive ogni individuo), cosciente del mondo e del suo fun­ zionamento e onnipotente, perché da esso dipendono vita, morte e rinascita del singolo essere2. Questo 'soggetto' sconosciuto potrebbe essere definito, in termini psicologici, 'Sé di gruppo' , in analogia con l'istanza attiva nel singolo individuo che chiamiamo 'Sé'3. Mentre le azioni istintive dell'animale che sono significa­ tive per la sua individualità devono essere ricondotte al Sé nucleare dell'animale stesso , gli istinti di gruppo, che trascen­ dono l'individuo, possono essere assegnati solo al Sé di grup­ po che, attivo nel singolo, ne oltrepassa tuttavia la ristretta sfera vitale, di ambiente e di tempo4. L'analogia degli istinti pre-rituali con il rito umano consi­ ste nel fatto che, in entrambi i casi, una realtà spirituale col­ lettiva impone la sua forza transpersonale alle azioni del sin­ golo. Il suo carattere cogente e indispensabile alla sopravvi­ venza consente all'istinto, o al rito, di guidare il gruppo, sen­ za che né esso, né i suoi membri, siano minimamente in gra­ do di comprendere il significato dei propri comportamenti. Nel mondo animale gli istinti sono vissuti e seguiti senza giungere al livello di rappresentazione o di riflessione cosciente che caratterizza invece il rito umano. Ma già a questa sfera istintuale, che ordina le parti del mondo elaborandole e sin­ tetizzandole nella psiche animale, possiamo attribuire carat­ teristiche spirituali o pre-spirituali. Essa, quasi come spirito della specie, determina e condiziona l'esistenza di tutti i suoi membri, per ognuno dei quali compie attività di percezione, organizzazione ed elaborazione dei dati del mondo esterno. L'istinto non esprime però soltanto una direttiva d'azione eseguita dall'essere in cui si manifesta, ma rappresenta an­ che una risposta specifica dell'organismo al mondo in cui vi­ ve. È cosl che l'ordine del cosmo viene a riflettersi negli istinti, che reagiscono in modo ordinato all'alternarsi di giorno e not­ te, al cambio delle stagioni e al succedersi delle età, nonché all'ambiente specifico di acqua, aria, terra, clima e paesag­ gio. Proprio per questo gli istinti non sono soltanto sistemi capaci di conferire alla vita organica un ordine corrispondente 11

a quello universale, ma sono sempre anche esperienze poten, ziali del mondo. Il singolo essere, in effetti, non 'possiede' (o non possiede ancora) questa esperienza della totalità che trascende l'indi, viduo, ma, come potremo constatare anche dallo sviluppo del rituale, tutte le successive esperienze della coscienza e del, l'lo si fonderanno proprio sulle potenzialità insite negli istin, ti o negli archetipi in essi attivi. Possiamo infatti constatare come, nella struttura del regno animale, si ritrovi la tendenza a una graduale intensificazio, ne sia delle esperienze sia delle sintesi mondane contenute nella sfera istintuale. Cosl, non c'è dubbio che l'esperienza potenziale attiva nell'istinto delle scimmie antropomorfe, e le porzioni di mondo che i loro istinti sono in grado di riflet, tere e coordinare, siano molto più ampie e complesse della sintesi di mondo e organismo rappresentata, per esempio, da un'ameba5. Per quanto nel mondo animale la direttiva dell'esperienza istintuale sia quasi assoluta e il carattere transpersonale del, l'istinto rafforzi continuamente e in modo mirato la propria immutabilità tramite l'individuo, incontriamo proprio qui i primi accenni a quel nuovo principio della natura che trove, rà poi la sua massima espressione nell'uomo: l'affiliazione della specie all'individuo, con la quale si pone fine all'esistenza esclusivamente inconscia. In base a questo principio, la su, premazia del gruppo viene dapprima sostituita dall'autono, mia individuale, quindi avviene l'affiliazione del Sé di grup, po al Sé individuale e, infine, di quest'ultimo all'Io. Solo nell'uomo emerge una potenzialità del tutto nuova di compiere e di sintetizzare esperienze più ampie di quelle istintuali, anche se ne troviamo già i primi accenni in una certa elasticità degli istinti animali, che consente alcune azioni di adattamento, regolazione e· apprendimento, limitate co, munque all'ambito suindicato. È però sintomatico che que, sta elasticità, relativamente ampia negli animali giovani e al primo apparire degli istinti, tenda poi a irrigidirsi e ad atte, nuarsi, col passare del tempo, provocando una pericolosa scle, rotizzazione del rituale. Infatti, l'estinzione di un genere av, 12

viene molte volte proprio perché lo 'spirito della specie' non è più capace di rispondere creativamente, cioè attraverso nuo­ ve sintesi reattive, ai cambiamenti del mondo. Il fenomeno del rituale umano non solo contiene molte analogie con quello dell'istinto, ma addirittura vi affonda le sue radici e si edifica su di esso. Il suo sviluppo ci conduce dal primitivo rituale di gruppo della preistoria, che si svolge quasi eslcusivamente nell'in­ conscio, sino alle forme più evolute, in cui Ja distanza dall'i­ stinto e la partecipazione della coscienza sono mass ime. Ma anche laddove il rituale si è elevato al livello simbolico, più vicino quindi alla coscienza, esso non è mai un'azione co­ sciente, poiché la sua base archetipica rimane sempre l'ele­ mento predominante. Siamo ben consapevoli della problematicità insita in ogni tentativo inteso a rappresentare il processo generativo del ri­ tuale nell'uomo; ma siamo pronti a correre qualche rischio, pur di avvicinarci a una magg iore comprensione del fenomeno. È stato più volte, e vivacemente, descrittoli quali sentieri avventurosi, pericolosi e lunghi dovevano essere percorsi dal­ l'uomo per giungere alle caverne, usate come luoghi di culto durante l'era glaciale, nelle quali egli ha lasciato le tracce delle sue magiche pitture di animali. L'uomo raggiungeva il luogo sacro dopo essere passato strisciando per stretti cuni­ coli, avere scalato ripide pareti, attraversato a nuoto laghi sotterranei, percorso sentieri stretti e sdrucciolevoli sull'orlo di abissi, dopo essere salito per camini e avere superato spor­ genze rocciose quasi inaccessibili. E tutto questo in un buio pressoché totale, rischiarato appena da qualche fioco lume e con il pericolo quale costante compagno. Che cosa può avere indotto questi primi uomini a esporsi volontariamente a tali e tanti rischi e a cercare simili luoghi di culto? Per semplificare, arriviamo subito al risultato delle nostre ricerche. Siamo qui in presenza dell'archetipo della Via dei Misteri, al cui termine è posto un evento trasformatore che si com­ pie nel luogo sacro, nello spazio centrale, nell'utero della Gran­ de Madre. Questo luogo di trasformazione può però essere

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raggiunto soltanto percorrendo un sentiero iniziatico che si snoda attraverso un labirinto pieno di pericoli mortali da cui è precluso ogni orientamento da parte della coscienza. Indubbiamente l'uomo glaciale non ha 'cercato' il luogo del culto, ma lo ha incontrato attraverso il proprio inconscio, o meglio, l'inconscio ve lo ha condotto nel corso di un evento che, come ogni avvenimento originario e fondante, si è svolto contemporaneamente a livello interiore ed esterno. 'Rito' si­ gnifica, prima di tutto, 'percorso' , tanto che ancora oggi usia­ mo il verbo 'compiere' per riferirei tanto al rito quanto al percorso. Probabilmente il gruppo primitivo, o il Grande In­ dividuo che ne era il capo ; che abitava presso il labirinto di gallerie, era affascinato e attratto dalle oscure viscere della montagna, allo stesso modo in cui l'uomo di oggi subisce il fascino e l'attrazione dei buio interiore della propria anima. Ora, questa 'attrazione' è di tipo numinoso, perché il fascino dell'archetipo entra in azione nell'oscurità dell'inconscio ed è là che l'uomo lo avverte da sempre e allo stesso modo. Anche i primi uomini s'inoltrarono verso questa oscurità, seguendo però un percorso 'nel mondo esterno' , se cosl pos­ siamo definire le gallerie all'interno delle montagne. Queste rappresentano ancora oggi per noi il mondo interiore, e tan­ to più dovevano rappresentarlo per questi esseri primitivi che non avevano ancora operato una distinzione netta tra inte­ riorità e mondo esterno. Eccoli, dunque, percorrere il sentie­ ro esteriore/interiore, cosl pieno di rischi e di angosce morta­ li. Soltanto la presenza di un impulso irrazionale può spiega­ re come abbiano potuto superare tante paure e terrori men­ tre vagavano nelle viscere della montagna. La situazione psichica del gruppo nelle caverne corrispon­ de a quella di chi è dominato dall'archetipo della Grande Madre Montagna. L'inclusione nelle profondità della mon­ tagna rappresenta concretamente lo stato di chi è prigionie­ ro di questo archetipo, il cui peso immane domina e deter­ mina a livello inconscio la situazione matriarcale dell'uomo primitivo. L'archetipo esternamente presente della Madre che tutto divora diventa, in questo modo, un'esperienza concre­ ta e una situazione reale che, in un rapporto smisuratamente

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più grande, assomiglia a quella vissuta da un bambino o dal nevrotico in una stanza buia, in una cantina, di notte o pri, ma di addormentarsi, e che riaffiora anche oggi nelle paure della prigione, della morte, dell'essere sepolti vivi, e cosl via. Ma al fascino dell'archetipo (che contiene in eguale misu, attrazione e repulsione, piacere e paura, curiosità e racca, priccio) non corrisponde in questo caso una fuga ma, questo

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è determinante, una penetrazione. L'attrazione esercitata dal buio fa parte dei dati fondamentali dell'uomo e delle premesse più profonde per la formazione della sua coscienza. Insomma, l'inconscio sentiero delle caverne diventa, per questi uomini primitivi, la via verso il profondo, al pari del viaggio notturno per mare e di ogni altro cammino che, dal, la coscienza, porti agli strati più profondi dell'inconscio. Qui opera, pertanto, un impulso verso la coscienza che ri, flette una legge interiore ordinatrice la quale, al pari dell'i, stinto, è depositaria di un sapere superiore, più forte addirit, tura del terrore che emana dall'immagine della terribile Ma, dre Montagna. Ma il gruppo potrà conquistare questo sapere solo a condizione di vincere la propria paura e di seguire il sentiero che conduce nelle tenebre, superando cioè una pro, va, sia interiore sia esterna, che richiede il massimo sforzo e impegno. Nel momento in cui questo sforzo supremo rag, giunge il suo bursting

point (punto di deflagrazione) avviene

un repentino capovolgimento della situazione e la rivelazio, ne del numen. È poi del tutto irrilevante quale sia il motivo immediato che porta alla cristallizzazione dell'archetipo ma, temo: può essere tanto la vista sconvolgente di un picco mon, tano quanto il risultato di un processo interiore. In ogni ca, so, al termine del sentiero hanno luogo un ribaltamento e una trasformazione. Analizzando questa situazione vissuta dai primi uomini al, l'interno della montagna7, si potrebbe dire indifferentemente che essa è tanto la causa quanto l'effetto dell'archetipo. Il risultato importante, conseguente all'impatto di tale situazione con l'archetipo, è costituito dall'emersione di quest'ultimo al livello cosciente. Infatti, a causa della straordinaria ten, sione cui sono sottoposti sia i singoli sia il gruppo, e a segui,

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to dell'esplosione nel bursting point, la proiezione archetipica irrompe come immagine nella coscienza e, in quell'attimo, l'archetipo si svela alla psiche e il luogo rivela la sua 'sacralità' . L'emergere dell'archetipo comporta che il luogo della sua apparizione venga percepito 'come' Grande Madre o come di sua pertinenza, e considerato come un'immagine visibile della situazione archetipica inconscia, celata dietro la paura e il fascino di percorrere il sentiero all'interno della montagnas. In questo punto ha inizio il rituale umano, differente da qualsiasi percorso compiuto soltanto a livello istintivo. Se, infatti, il primo sentiero, sfociato nella rivelazione dell'arche­ tipo, era stato imposto all'uomo dall'inconscio, ora, dopo l'ap­ parizione, l'intero evento può essere rappresentato, cioè por· tato alla coscienza: il luogo della prima rivelazione diventa sede di culto, 'la grotta sacra' , il prototipo di ogni tempio, mentre il sentiero si trasforma nella via dei misteri, da per­ corrersi coscientemente come un labirinto iniziatico che con­ duce al santuario. Il rituale originario di gruppo era vissuto ed eseguito dalla collettività come una configurazione inconscia, e il singolo era come invasato dall'insieme dell'azione rituale, che ese­ guiva impegnandovi tutto il proprio corpo: e, infatti, com­ piere il rito significava in origine 'danzare'. La danza è l'azio­ ne in cui il corpo stesso realizza, come in un inconscio rifles­ so, la figura archetipica che sta alla base del rito: il cerchio, la spirale, il sentiero iniziatico, il labirinto, eccetera. Il singolo danzatore, il gruppo che danza e il sentiero ar­ chetipico danzato, riunendo la sfera esterna e quella interio­ re, formano un'unità vitale simbolica che sta alla base della realtà archetipica del rituale. L'intero processo trasformativo viene attivato con l'ausilio della maschera, del cambiamen­ to rituale della Persona, mediante tatuaggi o abiti da cerimo­ nia, ricorrendo al contatto con il simbolo e in altro modo ancora, mentre la capacità del singolo di compiere il rito è assicurata da azioni preparatorie, da riti d'entrata, da purifi­ cazioni, da periodi di isolamento e simili. In questa fase del rito, il risultato psicologico più impor·

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tante (inizialmente sempre ragg iunto, ma successivamente per­ so) è la realizzazione della totalità del singolo attraverso l'e­ vocazione dell'istanza transpersonale del Sé corporeo, supe­ riore all'lo e trascendente la coscienza9. Mentre, come si ri­ corderà, questo Sé corporeo era già apparso in modo sponta­ neo, in seguito a uno sforzo intenso e ad un impegno totale, ora esso viene evocato intenzionalmente e coscientemente, soprattutto dalla danza carica di intensa emotività. Proprio per questo le molte ore impegnate nei preparativi di ogni danza o festa sono considerate dai primitivi, e a ragione, una dura fatica; mentre mezzi ausiliari quali bevande inebrianti, dro­ ghe, musica e altri hanno lo scopo di integrare il singolo nel gruppo, di mutame lo stato di coscienza e di attivare istanze psicofisiche superiori all'lo. Il Sé corporeo è la prima forma di manifestazione del Sé individuale. Nel rituale di gruppo, esso ha la funzione di so­ stituire l'egoità del singolo e di stabilire il collegamento con il Sé trascendente, vale a dire con il Sé spirituale del gruppo e della specie: gli antenati. Quando, durante il rito, l'uomo invoca e attiva il mondo reale delle potenze numinose, deve trasformare anche la pro­ pria realtà o ricollegarsi a essa. Da un punto di vista psicolo­ gico, infatti, egli sta invocando il proprio livello psichico tran­ spersonale, che può però essere attivato soltanto da un indi­ viduo completamente trasformato e quindi in grado di en­ trare in un collegamento reale con lo strato numinoso del proprio inconscio. La vita di ogni uomo è compresa infatti entro un mondo di potenze che ne determinano l'esistenza con la loro superiorità manifesta e occulta. La dipendenza da forze transpersonali, nonché il fatto di dover ricorrere a esse, costringe l'uomo a rimanere in colle­ gamento con questo livello superiore e reale del numinoso, in cui si svolge la vera vita e da cui viene governata quella terrena. Il rito rappresenta pertanto lo sforzo del singolo, o del gruppo, di rimanere in contatto con il numinoso. Infatti, se si interrompesse la comunicazione con le forze transperso­ nali, l'uomo non potrebbe continuare a esistere e tantome­ no svilupparsi creativamente. Una vita avulsa da tale conte-

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sto di forze risulterebbe irreale e sterile. Soltanto elevandosi al livello della realtà mitica l'uomo può esercitare, attraverso il rito, un influsso su tale sfera. Ma per fare questo ci vuole un potere che sta nel regno dei morti. Antenati e defunti sono le componenti umane del mondo delle potenze superiori e sono essi, quindi, i tramiti a cui ricorrere, gli aiuti da invocare. È nel mondo dei defun­ ti, in questa terra spirituale e degli spiriti dell'umanità, che hanno la loro sede il soggetto transpersonale della specie e tutte le immagini primordiali ed esemplari. È il mondo da cui la stess a umanità proviene e ove, in quanto luogo miti­ co, è accaduto, accade e accadrà ogni cosa reale. Transper­ sonale ed eterno, esso non conosce spazio né tempo; è passa­ to, presente e futuro. L'uomo raggiunge questa sfera superiore solo quando muo­ re. Prima, deve limitarsi a sfiorarla per brevi attimi o in mo­ menti eccezionali dell'esistenza. Ma poiché i vivi e i defunti del gruppo costituiscono un'unità, e gli antenati non sono soltanto, come spiriti, 'totalmente diversi' , ma anche vicini e, per così dire, parte del gruppo, è proprio il loro mondo a fare da ponte verso la sfera numinosa invocata nel rituale. Ecco perché, in ogni iniziazione, bisogna morire, passare cioè attraverso la morte, il Nulla. La funzione creatrice del Nulla non svolge infatti solo un ruolo importante nel misti­ cismo ma, in quanto rappresenta il luogo creativo della psi­ che, si proietta anche in forma mitica come regno dei morti o degli antenati, come cielo o mondo sotterraneo. Perché la vita si rafforzi, il vecchio si rinnovi e il nuovo si realizzi, occorre passare per il paese dei morti, che è anche sorgente di vita: ogni nascita è, infatti, una rinascita, e ognuna di esse è resurrezione e ritorno dal regno dei morti. L'espressione di Novalis: «La vita si rafforza con la morte», non deve essere letta in modo romantico, bensl mitologico. Sacrifici e offerte, feste e invocazioni sono tributati in conti­ nuazione a questo luogo mitico, dove vita e morte sono in­ trecciati indissolubilmente. Ogni iniziazione implica la co­ noscenza di questa sfera transpersonale e della sua legge fon­ damentale, secondo cui ogni vita deve essere compensata con

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una morte. Ecco perché, nel corso dell'iniziazione, quando l'uomo muore simbolicamente come lo, si sacrifica ritualmente una vittima: i due infarti devono giungere insieme nel luogo mortale in cui avverrà la rinascita a cui il rito è finalizzato. L'uomo che durante il rituale indossa la maschera delle po­ tenze con le quali entra in comunicazione, deve conoscere questo vivo morire, perché solo così potrà diventare simile agli antenati e a quelle potenze che, benché si concretizzino nella realtà, non si identificano però mai stabilmente con nes­ suna delle sue manifestazioni. Anzi, esse recedono ogni vol­ ta dalle forme concrete assunte temporaneamente, riprenden­ do la propria natura originaria per poi incorporarsi di nuovo in modo creativo. L'Io attivo nel rituale si ricollega così al Sé che dirige l'a­ zione o, per usare un'espressione di Hegel: «[Il culto] è so­ prattutto un processo di identificazione del soggetto con il proprio essere» IO. L'agire profano potrà anche configurarsi come atto egoico di un singolo qualsiasi, ma un'azione sacra non potrà mai es­ sere eseguita da un individuo che non sia integrato nel grup­ po o nell'inconscio. Infatti, come nell' istinto animale una psiche transpersonale reagisce alla sfera sovraindividuale rap­ presentata, nel caso, dalla natura e dal mondo, così anche nel rito un'entità sovrapersonale (l'unità tra gruppo e Sé cor­ poreo) reagisce a una situazione che vi corrisponde. Di qui la funzione essenziale che ogni rituale collettivo, soprattutto quello originario, è chiamato a svolgere: la reintegrazione del singolo nel gruppo. Se è già avvenuta, l' individualizzazione del singolo deve essere annullata ed eliminata. Nella danza, nel canto, nel cul­ to, il gruppo riacquista quella caratteristica di globalità di cui era inizialmente dotato, e il singolo ha così la sensazione di essere come trasformato e nel contempo di nuovo accolto in una comunità che lo libera dalla sua condizione profana, dall'isolamento. In questo modo egli diventa nuovamente ca­ pace di compiere il rito e viene reintegrato in quella tran­ spersonalità che è la stessa del gruppo. Ecco perché sempre e solo l'iniziato, cioè l'uomo divenuto cosciente, a diversi li-

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velli, della propria transpersonalità, è in grado di compiere il rito; e questo vale in ogni caso, nelle religioni primitive come in quelle evolute, nelle confraternite misteriche come nelle sette religiose. Ma la reintegrazione del singolo nel gruppo non è tutto. A questo primo fenomeno sul piano umano, segue l' integra, zione del gruppo nel mondo del numinoso. L'obiettivo fina, le del rito (da cui dipende anche il suo successo come appor, tatore di grazia e di risultati) è infatti quello di sintonizzare il gruppo con il numinoso, con gli archetipi che dirigono la vita inconscia. È questa la ragione per cui la via dell'integrazione rituale del gruppo nel mondo delle potenze superiori passa cosl spes, so per l' identificazione con gli archetipi. A tal fine, sia che intervenga un antenato, o uno spirito iniziatore, un dio, i defunti o un'altra figura mediatrice, l'obiettivo da realizzare è comunque l'identificazione, o almeno il raccordo, del gruppo con il mondo transpersonale degli archetipi, che governano sia la natura sia il destino umano. Se a formare i contenuti di un simile rituale sono realtà transpersonali come le stagioni , le fasi della vita, o altro, al, lora parliamo di riti della natura. Ess i si differenziano dai pre,riti degli animali, che spesso si svolgono in contesti analoghi, per il fatto che la realtà, inconsciamente attiva nel mondo ani, male, raggiunge nell'uomo la possibilità di un' interpretazio, ne e di una conseguente autocomprensione. I punti di svol, ta, già prefigurati dagli istinti, sono cosl vissuti coscientemente da tutto il gruppo, ovvero dall'umanità intera che, svinco, landosi dall'esistenza naturale inconscia, si avvia progressi, vamente verso uno stato sempre più libero. Ogni volta che l'uomo perviene alla realtà che lo contraddistingue, l'indivi, dualità, nasce anche la consapevolezza della propria diversi, tà dalla natura. Ecco perché registriamo una tendenza gene, ralizzata del rituale umano a staccarsi dagli aspetti naturali, stici dai quali è scaturito in quanto radicato nella vita istin, tuale della specie. Nondimeno, all'ordine naturale continua a corrispondere l'inconscio schema cognitivo degli istinti, norma di compor,

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tamento transpersonale e sempre ricorrente, che elimina a priori ogni eventuale caos che possa derivare da quanto espres-­ so dalla psiche o programmato dall'individuo. L'istinto as­ solve perennemente il suo ruolo armonizzatore con la ragio­ ne e l'ordine naturale. Ma quando l'unione inconscia con la natura, e il conseguente modo di vivere, si interrompono, allora l'uomo incomincia a chiedersi con ansia quale sia il nuovo ordine valido. A questo interrogativo, naturalmente inconscio, la psiche risponde mettendo in campo gli archeti­ pi, che costituiscono la risposta transpersonale e generalmente valida per l'umanità e che ne regolano la vita allo stesso mo­ do dell'istinto, ma non più tramite esso . Infatti, in questa nuo­ va fase, la vita rituale dell'uomo primitivo appare come ordi­ nata da simboli, e il suo precedente inserimento psichico in­ conscio nella natura viene ora sostituito da un ordine rituale interiore, basato sulla struttura archetipica della psiche. La sempre più intensa partecipazione dell'lo, espressione della tendenza evolutiva dell'umanità verso l' individualizza­ zione, si rivela, per esempio, nel fatto che ai riti naturali vie­ ne attribuita una veste magica. L'ordine cosmico naturale, per esempio l'alternarsi del giorno e della notte, viene così sottoposto a un rituale magico da cui emerge, come centro attivo e di individualità, l'uomo. Anche se l'individuo che compie il rituale è orientato ai contenuti della sua magia (il sorgere del sole, la fertilità della terra, le proprietà creative dell'anno nuovo) la sede vera del­ l'effetto rituale non è, ovviamente, il mondo esterno, bensì quello interiore dell'uomo, altrettanto significativo. Come il rituale è costellato dal mondo archetipico psichico, così an­ che il luogo in cui esso dispiega la sua efficacia è sempre la psiche del gruppo che lo compie. Anche se compare già, in qualità di stregone o di guida, un 'Grande Individuo' , è sempre il gruppo a essere non solo destinatario ma anche conduttore del rituale magico: solo un'unità globale, infatti, è capace di attivare, data la sua na­ tura, tanto le potenze transpersonali quanto le energie realiz­ zatrici trascendenti dell'individuo. In questo senso l'unità ori­ ginaria del gruppo è creativa e direttamente divina e solo in

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essa, in quanto totalità (si tratti di una danza, di un pasto sacro, di un'iniziazione o di un altro rito), si verifica la disce­ sa delle potenze invocate. Comunque, premessa di ogni ri­ tuale collettivo è che il singolo sia compiutamente integrato nel gruppo!! . La reale efficacia del rituale si fa però sempre più precaria nella misura in cui l'umanità si libera da questa situazione psichica iniziale e il principio di affiliazione al singolo acqui­ sta un peso sempre maggiore . Infatti, mentre da una parte la sfera della coscienza umana si va ampliando, offrendo cosl un campo sempre più vasto all'arbitrio dell"lo' (in contrasto con le direttive istintuali), dall'altra il singolo perde a poco a poco la possibilità di essere reintegrato nel gruppo. Que­ st'ultimo, ora che si è scisso in tanti individui, sente nuova­ mente un intenso desiderio di ristabilire, attraverso il ritua­ le, l'integrità originaria, perché, con la progressiva individua­ lizzazione, sia il gruppo sia il singolo rischiano di perdere la propria sicurezza cosmica e archetipica e di soccombere a un isolamento carico di pericoli. Mentre, come già ricordato, tramite il rito naturale l'uo­ mo rimaneva comunque collegato all'ordine cosmico istin­ tuale, la situazione cambia radicalmente ora che egli si op­ pone al mondo coscientemente, come Io e singolo. Infatti, divenuto individuo, l'uomo non entra solo nella storia, ma anche nella paradossale situazione dell'imprevedibilità, del kai­

ròs, del momento unico e irripetibile del proprio destino, al­ la cui unicità non corrisponde alcuna reazione istintiva valida. Tale reazione, che all'origine è sempre la 'via giusta' , per­ ché coincide con quella percorsa dalla natura stessa nell'uo­ mo e in ogni essere naturale, con l'individualizzazione diventa sempre più problematica. A questa nuova situazione corrisponde un rituale che po­ tremmo definire provvisoriamente, generando forse qualche incomprensione, 'rituale del destino' . Le potenze numinose, ora, non sono più vissute e sperimentate soltanto nell'ambi­ to di un ordinamento cosmico naturale consolidato, ma si trovano ovunque l'uomo, nella sua unicità, incontri un evento straordinario.

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Un rituale del destino nasce quando il singolo o il gruppo sono investiti da una crisi esistenziale di natura imprevedibi, le (come, per esempio, una guerra, una carestia, una malat, tia, la sterilità del suolo), oppure origina da un contesto par, ticolare di un evento numinoso esteriore o interiore, a cui l'uomo reagisce con un sacrificio, una preghiera o un'altra azione rituale. Con l'inizio della storia umana in generale e del destino individuale in particolare, anche il numinoso abbandona dun, que il suo posto legato alla natura per trasformarsi in numen attivo, invocabile ovunque. In altri termini: dal momento che l'uomo vive il mondo nella sua unicità e nel kairòs, nel, l'attimo fatale, anche il numinoso si manifesta in questo nuovo ambito, trasformato in numen che appare all'uomo in modo imprevedibile. L'interrogativo circa la giusta via da seguire in una situa, zione critica si trasforma così nella ricerca del numen compe, tente la cui presenza invocare nel rito, ovvero, in termini psicologici, dell'archetipo adatto e dell'atteggiamento con, forme alla 'soluzione' della congiuntura critica. Se il caratte, re eccezionale di un tale contesto è affrontato individualmente con un rituale altrettanto eccezionale, adatto alle esigenze specifiche, ci troviamo in presenza dell'attività antropocen, trica di un lo che, sentendosi invocato, risponde e intervie, ne nel processo, tentando di partecipare alla formazione del destino. Ma l" invocazione' , parte essenziale di ogni rito, è sempre insieme appello e difesa. A essere invocata è la ma, nifestazione dell'archetipo, la cui 'apparizione' significa che la sua immagine si innalza come il sole sull'orizzonte della coscienza. Questo simbolismo comporta per l'uomo la dupli, ce possibilità di prendere coscienza dell'archetipo sotto una forma rappresentativa e di 'fissarlo' in un'immagine, premes, sa indispensabile per un'eventuale difesa nei suoi confronti. Il fatto che l'archetipo compaia sempre e ovunque nel corso dell'evoluzione umana, dimostra che esso, al pari dell' istin, to, si afferma e si ripete nella psiche dell'uomo con la carat, teristica di una necessità. E altrettanto si può dire del rituale e della sua costellazione archetipica.

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Come l'animale che, se disturbato durante l'esecuzione dei suoi atti istintivi, ricomincia sempre da capo, dato che è in grado di eseguire la sequenza dell'istinto solo nella sua totali, tà, anche l'uomo può compiere il rito soltanto nella sua in, terezza. Ogni interferenza nell'ordine interno di un rito è ritenuta altamente pericolosa, e colui che ne disturba lo svolgimento con un errore anche minimo, un semplice starnuto, un pie, colo inciampo o altro, spesso viene addirittura ucciso, e il rito, seppure duri più giorni, deve essere iniziato di nuovo. La meticolosità cogente con cui la sacra azione del rituale viene eseguita, si basa soprattutto sul fatto che il rapporto con l'archetipo è ritenuto, a ragione, altamente pericoloso. Controllando strettamente il rituale si 'controlla' anche l'ar, chetipo, e il fatto di ammetterlo solo all'interno di un asset, to formale molto rigido e preordinato consente all'uomo di difendersi dai pericoli che esso rappresenta. In quest'ottica, il rituale non è soltanto, come è stato dimostrato da Carl Gu, stav Jung in relazione al simbolo, un trasformatore di ener, gia, bensl rappresenta anche una protezione valida della co, scienza debole , in quanto agisce come un sistema di dighe contro le tendenze straripanti dell'archetipo. Ma oltre a ciò, nel corso dell'evoluzione del rito emerge un altro momento, che dimostra ancora più chiaramente il motivo della cogente meticolosità del rituale: l'apparizione del vettore coscienziale del rito, cioè del significato che que, st'ultimo assume per la coscienza, e che è strettamente lega, to alla minuziosa osservanza di ogni suo particolare. Il rito e il simbolismo che gli è proprio diventano infatti compren, sibili solo dopo innumerevoli ripetizioni nel corso di molti anni, e la spiegazione del loro significato inconscio (che si rivolge tuttavia alla coscienza) potrà emergere soltanto quando ogni particolare, anche se incomprensibilmente, sarà stato ri, spettato con la massima accuratezza e serietà e tramandato ed eseguito fedelmente per un periodo di tempo molto lungo. Sin dall'inizio fa parte del rituale umano una sorta di co, sciènza che lo accompagna e lo osserva, da noi definita 'ma, triarcale', e che rappresenta il primo rudimento di quella che

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sarà la successiva coscienza patriarcale astratta. Essa è stret­ tamente collegata con l'inconscio collettivo ed è madre sia del rituale sia dei simboli e del mito. Non appena, però, co­ mincia a trasparire il carattere potenzialmente spirituale del­ l'azione, sino allora rimasto inconscio, tanto l'archetipo quanto il simbolo incrementano ulteriormente la propria efficacia e l'uomo perviene a un nuovo livello significativo della pro­ pria vita. Mentre la coscienza matriarcale era ancora notevolmente passiva e indipendente dall'Io, limitandosi a riflettere come in uno specchio gli archetipi e i simboli, l'Io, che ora è au­ mentato di intensità, inizia quel processo di elaborazione dei contenuti archetipici e simbolici che sarà caratteristico della coscienza patriarcale attiva. Fintanto che il rituale è compiuto passivamente e il contributo della coscienza è ridotto al mi­ nimo esso è caratterizzato dalla cogente tendenza ripetitiva di un istinto. Ma con il progredire della partecipazione co­ sciente e dell' individuazione dell'uomo, non solo l'efficacia, ma anche la ripetibilità del rituale entrano in crisi13. Infat­ ti, ogni tentativo di iterazione deve recuperare dalle tenebre dell' inconscio, in cui è ripiombata, la situazione originaria del rito. Ma in che modo? L'lo, infatti, non è capace di 'ri­ costruire' a livello cosciente e di propria iniziativa l'evento accaduto inizialmente. Il processo istintivo inconscio può ripetersi all'infinito, senza perdere di efficacia, perché non entra mai a far parte della coscienza individuale. Ma quando l'evento emerge a livello della coscienza personale e investe l'lo, questo processo in­ conscio diretto dall' istinto si interrompe. Per ricreare la si­ tuazione nella sua costellazione archetipica originaria biso­ gna ora ripercorrere coscientemente tutto l'itinerario, appunto sotto forma di rito. L'avvenimento originario e costitutivo del rito, a prescin­ dere dall'effettivo svolgimento dei fatti, si verifica sempre nel luogo e nel momento mitico, e il rituale di gruppo, eseguito e compiuto nella condizione di totalità, costituisce il gradi­ no più elementare di realizzazione del mondo archetipico. Ma già con l'arricchimento simbolico e l'intensificata rappresen-

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tazione a livello cosciente, il carattere elementare del com, pimento del rito si attenua e viene sostituito, in parte, dal processo di interiorizzazione, un modo diverso di definire la presa di coscienza rispetto all'azione. Il progressivo incremento della coscienza sposta l'accento sempre più dall'azione cor­ porea alla visione, e di qui a una cosciente 'introiezione' in un processo che, al suo termine, rende superflua, o addirittu­ ra elimina, ogni azione esterna. Significato, specie ed effetto del rituale sono pertanto sempre relativi a una costellazione psichica globale, determinata dalla èoscienza e dall' inconscio e dalla relazione tra i due sistemi. Se, in reazione a una situazione reale oppure spontaneamen­ te, ad attivarsi è soltanto l' inconscio, siamo in presenza di un processo psichico che stimola la personalità in modo istin­ tivo; al contrario, se si attiva solo la sfera cosciente, senza che vi corrisponda un movimento inconscio, avremo un'a­ zione rituale incapace di attivare la personalità globale e quindi del tutto inefficace sotto il profilo psicologico. Quando studiamo lo sviluppo del rituale, dobbiamo quin­ di distinguere diverse fasi a seconda del grado di sviluppo at­ tribuibile alla psiche umana. All' inizio, e più vicino al pre, rituale degli animali perché per lo più inconscio, sta il ritua­ le di gruppo dei primitivi. A esso fanno seguito i rituali che acquistano, sviluppandosi, una ricchezza rappresentativa sem­ pre più grande e sono accompagnati da simboli e miti che favoriscono una presa di coscienza sempre più ampia. L'archetipo, ora diventato psichicamente attivo, dapprima si limita a trasmettere questo suo moto al gruppo impegnato nel rito originario, senza peraltro abbandonare la sua 'non rappresentabilità' ma realizzando, comunque, la prima fase della propria presentazione. Mentre la presa di coscienza di questo primo stadio avviene ancora prevalentemente all'in­ terno del sistema psichico definito come 'coscienza matriar­ cale' , il processo di apparizione dell'archetipo, la sua epifa, nia, assume forme sempre più evidenti e differenziate in un gran numero di simboli. Ne consegue un processo analogo di arricchimento e di differenziazione del rituale, in cui ora fanno la loro comparsa i gruppi dei simboli tipici dell'arche-

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tipo emergente. Il rituale si fa sempre più complesso e pieno di simbolismi e assume aspetti progressivamente più concreti sotto forma di cerimonie, di luoghi ed edifici di culto, eccetera. A questo stadio, in cui il rito è caratterizzato dalla possibi� lità di essere rappresentato e recepito coscientemente, ne se� gue un altro, dove il rito si collega a un mito e che potrem� mo definire come 'interpretazione' dell'evento rituale. Con la comparsa del mito (sia che racconti le origini del rito, sia che fornisca una spiegazione del mondo numinoso che in es� so appare, sia che celebri gli antenati o gli eroi che per primi lo eseguirono) il rituale assume forma storica ed entra nella coscienza umana come un'azione avente senso compiuto. Questo collegamento tra rito e mito è un elemento por� tante dello sviluppo della coscienza, presente anche in ogni simbolo che riemerge dall'inconsciol4, e svolge un notevole ruolo creativo sin dagli albori dell'umanità. Il carattere ma� gico del rito si attenua nella stessa misura in cui cresce l'au� tointerpretazione del rituale e la sua interpretazione da patte del mito. Ambedue gli aspetti continuano però a costituire un'unità inscindibile, anche se a predominare sono ora gli elementi individuali in via di evoluzione verso il livello co� sciente. Rituali così sviluppati e complessi sono in genere inseriti in religioni evolute, sono cioè attribuibili a una fase dell'u� manità in cui lo sviluppo della coscienza è già piuttosto ele� vato, anche se la compattezza originaria tanto del gruppo che della psiche è sul punto di scomparire. Azione rituale, simbolo che si autorappresenta e interpre� tazione mitica formano insieme l'unità religiosa in cui l'uo� mo prende coscienza del complesso degli effetti archetipici del rituale e, nella rappresentazione simbolica dell'azione, egli giunge a confrontarsi con se stesso, in un atteggiamento tipi� co di chi ha raggiunto ormai la piena coscienza. L'umanità conquista così non soltanto un rapporto nuovo con il mondo (come natura, per esempio), ma entra anche

in relazione cosciente con il transpersonale. Ormai, dopo aver percorso la realtà superiore del numinoso dapprima incon� sciamente, quindi emotivamente e infine coscientemente,

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l'uomo conosce non solo quel mondo, ma anche se stesso e il proprio Sé. E in quanto ha scoperto la caratteristica trnns· personale dell'essere, se ne serve nel rituale per vivere la pro­ pria esistenza in questa nuova dimensione. Il ruolo chiave dell'intero processo è svolto dal simbolo, che illumina e riflette tutti i contenuti e i significati dell'a­ zione rituale. Lungi dal dover essere considerato soltanto co­ me un effetto emozionale che investe l'intera personalità, il simbolo rappresenta anche il punto d'avvio di una dinamica della coscienza al termine della quale tutta la sfera psichica dell'uomo assumerà caratteristiche di trasparenza. Simbolo e mito, in quanto strutture archetipiche, supera­ no di gran lunga le capacità elaboratrici della coscienza e non sono, in linea di principio, riconducibili alla sfera razionale; nondimeno, il loro potere formativo e intensificante della co­ scienza stessa è stato, per i primi uomini, di un'importanza inestimabilet5. Il mondo unitario dell'uomo primitivo, dove elementi mitici, simbolici, religiosi, artistici e sociali sono strettamente intrec­ ciati, si basa sul carattere spirituale del rito, che fa di ogni uo­ mo un 'iniziato'. In questa fase, l'esperienza trnnspersonale del singolo è strettamente legata alla realtà da lui vissuta al­ l'interno del Sé di gruppo. Ma quando cominciano ad avviar­ si i processi di individuazione, di ampliamento e di diff eren­ ziazione della coscienza, per l'uomo diventa sempre più diff i­ cile conservare la realtà esistente nel rito collettivo originario. Le reazioni a queste difficoltà, che ora investono il rituale, si muovono in varie direzioni, ma vogliamo esplicitarne solo due. La prima consiste nell'accentuare il carattere rigenerati­ vo del rituale e nel tentare di ricostruire il collegamento con la situazione originaria; la seconda porta invece, attraverso il rafforzamento dell'istanza cosciente e dell'individuazione, alla totale scomparsa del rito. Ogni essere istintivo partecipa al carattere esterno trnnsper­ sonale della specie, in quanto ne è parte integrante. Quando però, col graduale progredire del processo di individualizzazio­ ne, l'uomo comincia a sciogliersi da questa partecipazione in­ conscia, ecco affacciarsi i problemi della morte e della perso-

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nalità assoluta. Si apre così una situazione conflittuale in cui l'uomo, mentre da una parte ha conquistato una sua sfera pro­ fana, in cui conduce una vita ormai individuale, dall'altra ha perso però la dimensione transpersonale tipica di chi fa parte di un gruppo e della specie. Questo conflitto viene ricompo­ sto dallo sviluppo di forme religiose superiori, dove il processo di affiliazione diventa autocosciente nell'uomo e sfocia nei ri­ ti misterid, in cui il singolo, o come 'anima immortale' o sot­ to qualche altra forma, vive una nuova esperienza di collega­ mento o di identificazione con il Sé trascendente. Il rituale rappresenta il movimento del mondo archetipico verso l'uomo, il quale accoglie questo movimento e vi corri­ sponde con la propria azione. Ma con lo sviluppo della perso­ nalità, muta necessariamente anche la relazione tra uomo e rito. Quest'ultimo si avvia all'autoscioglimento, dovuto al pro­ gressivo affermarsi del vettore coscienziale per cui l'energia del mondo archetipico, prima attiva nel rito, si riversa ora in una nuova forma della vita umana, realizzando la propria spiritua­ lità nella graduale presa di coscienza, da parte dell'individuo, delle sue basi archetipiche simboliche. Non vogliamo indagare oltre su quanto l'uomo sia stato ar­ ricchito da questo percorso rituale. Ma poiché dovremo occu­ pard subito della degenerazione del rito e tentare di compren­ dere le tendenze antiritualistiche insite nell'umanità, voglia­ mo ancora una volta ricordare che rito, simbolo e mito costi· tuiscono insieme le sorgenti, prossime all'origine, di ogni vita psichica piena e completa. L'affermazione della coscienza segna la fine del rito colletti­ vo originario. Ma soltanto una volta che sia stato riconosciu­ to il carattere necessario di questo processo di dissoluzione si potrà comprendere a pieno il significato della fase successiva dello sviluppo dell'uomo moderno, consistente nel rinnova­ mento dell'azione rituale attraverso il processo di individua­ zione. Proprio a questo sarà dedicata la seconda parte della nostra conferenza. Nel corso dello sviluppo dell'umanità, il ruolo dell'individuo diventa sempre più importante e si avvia quel processo dia-

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lettico tra gruppo e singolo creativo che, al suo termine, ve, drà il rituale collettivo integrato e sostituito dal rito fondato dal singolo. Già la fase di arricchimento del rituale e, in misura ancora maggiore, quella della narrazione mitica, dipendono in mi, sura notevole dalla presenza di forti personalità creative, in cui prendono forma i miti e i riti. Si accentua così ulterior, mente la differenziazione all' interno del gruppo, la cui con, dizione originaria democratica, quando l'efficacia del rito sca, turiva dalle capacità rituali di tutti i suoi componenti, è defi, nitivamente superata da individui e gruppi di 'esperti' in ma, teria divina, che ora assumono funzioni di rappresentanza e di gestione dei rapporti con la sfera numinosa 'in nome e per conto' della comunità. Possiamo qui evidenziare solo alcuni dei motivi molto com, plessi che spingono verso questa fatale specializzazione. Già le diversità iniziali esistenti tra individui fanno sl che dal gruP' po emergano alcune personalità più dotate a cui sono affida, ti i compiti di stregone, profeta, governante e che vanno co, sì a occupare un posto preminente nella vita della collettivi, tà. La tendenza alla specializzazione viene però ulteriormen, te accentuata dall'evoluzione del rituale verso modalità sem, pre più complesse, accompagnate da altri aspetti di crescen, te differenziazione nell'ambito religioso. Il fattore decisivo e determinante del fenomeno è però rap, presentato dalla necessità che il singolo, mentre da un lato si appropria dell'esistenza e di un mondo individuali, dall'al, tro paghi questo acquisto con un progressivo distacco dalla partécipation mystique con il gruppo e con il mondo che vi è collegato. L'individualizzazione del singolo viene cioè a es, sere compensata dall'enucleazione e dal rafforzamento di nuove istanze aventi la funzione di rappresentare il gruppo nei rap, porti con la sfera numinosa. Questo, in sintesi, il processo che produce la fatale, seppu, re necessaria, differenziazione all' interno dell'umanità e la se, parazione dell' individuo creativo dai sacerdoti, casta d'ora in poi predestinata ai rapporti con il numinoso. Il contesto psichico della situazione creativa, da cui emer,

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gono nuovi simboli e riti, o il mito, è caratterizzato da un coinvolgimento intenso di tutta la personalità, cioè da un rapporto molto stretto tra lo e Sé e tra coscienza e mondo archetipico. Questa condizione, che abbiamo definito di totalità, non solo produce il rinnovarsi della comparsa del numinoso, ma recepisce anche il vettore coscienziale insito nel nuovo fe­ nomeno, costringendo l'individuo, coinvolto emotivamen­ te, a un confronto personale e cosciente molto drammatico. Il sacerdote , al contrario, in quanto esponente di una ca­ sta, 'rappresenta' (pensiamo , per esempio , al re rituale egizia­ no), ed essendo un organo collettivo non è necessariamente coinvolto nell'azione rituale con la propria psiche. Tutto questo è tanto facilmente comprensibile per noi quan­ to è catastrofico per l'individuo. Gestore del rituale in luogo del gruppo, il sacerdote diventa così uno strumento imperso­ nale della collettività (anche se egli preferirà sempre consi­ derarsi piuttosto strumento della divinità), di cui garantisce la vita, amministrando, come suo rappresentante, la realtà eterna del rito. Ma tutta la problematica accumulatasi sin qui si rivela ora nella crescente faticosità di rappresentare il rito, accompagnata da un processo degenerativo interno al rito stes­ so, causato dallo sgretolamento delle condizioni essenziali che stanno alla base della sua realtà.

Ecco perché incontriamo ovunque innumerevoli tentativi di ricostruirne la situazione originaria attraverso una reintegrazio­ ne del singolo nel gruppo e perché parti notevoli di culture, religioni e culti nascono dallo sforzo esercitato in questo senso. Ma la primitiva situazione unitaria di rito, mito, arte e realtà sociale ora non esiste più: l'arte, i miti e il resto si sono trasfor­ mati in addobbi, feste solenni, rappresentazioni in forma di dramma mitico o di teatro , tentativi tutti più o meno co­ scienti dei sacerdoti di 'commuovere' un popolo ormai irri­ mediabilmente profano. Questi sforzi , tendenti a ripristinare un'atmosfera rituale, non sono però che palliativi, mentre la real­ tà

è costituita dalle manifestazioni e dalle celebrazioni di massa

e, in misura sempre crescente, dalle rappresentazioni sacre. Nella conferenza tenuta l'anno scorso qui a Eranos, Jung

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ha parlato della •, decaduta dal suo ran� go, privata della sua luce e cacciata nell'esilio cosmico da dove, proprio come la luna, essa risplende solo di luce riflessa. Alla spiegazione talmudica, che si riferisce unicamente al� l'indicazione della luna come «luminare piccolo» nel raccon� to della creazione del Genesi, si aggiungeva, da parte dei ca� balisti, il riferimento alle varie fasi di essa, che parevano in� dicare come, prima della redenzione messianica, la luna (e pertanto la stessa Shekkinah), se da una parte riacquistava l'intera sua luminosità, dall'altra ricadeva comunque in uno stato di completa oscurità e mancanza . Solo nella redenzio� ne la luna riacquisterà il suo stato originario, come si può leggere anche in Isaia (30, 26). Nel frattempo, secondo i ca� balisti, nessun evento cosmico meglio di questo periodico rim� picciolimento della luna sembrava riconnettersi all'esilio di ogni cosa, all'imperfezione e all'impurità di tutto il creato. Si incontravano così qui, in modo quanto mai concreto e significativo, due momenti che avrebbero dominato in se� guito il mondo della cabala: la decadenza, rappresentata dal� l'esilio, e la rigenerazione della luce dopo la sua quasi com� pleta sparizione, garanzia del futuro ristabilimento di tutte le cose al momento della redenzione. Ma poiché il giorno del novilunio non poteva essere facilmente spogliato della sua caratteristica festosa, si introdusse a Safed, inizialmente nel� la cerchia di Mosé Cordovero, il digiuno nel giorno imme� diatamente precedente, dedicandolo espressamente alla me� ditazione sui due grandi temi dell'esilio e della redenzione. Curioso, per non dire sorprendente, è il fatto che nei testi autentici più antichi della cabala luriana non si trovi il men che minimo accenno a questo giorno e al relativo digiuno, 125

contrariamente alle molte congetture in merito64. Invece già Abramo Galante, discepolo di Cordovero, riferisce che a Sa, fed è usanza comune (intorno al 1560) che in quel giorno digiunino uomini, donne e scolari e passino l'intera giornata in preghiere penitenziali, confessando i propri peccati e fustigandosi65. Anche il nome di «Piccolo giorno della ricon, ciliazione» è documentato per la prima volta in questa cer, chia66. Non è chiaro se questo nome derivi dalla circostan, za della penitenza mensile per i peccati o dal parallelo tra il capro espiatorio, cacciato nel deserto nel giorno della ri, conciliazione, e la vittima sacrificate espiatoria del giorno di novilunio, consistente anch'essa, come ricordato prima, in un capro. Le liturgie, molto complesse, elaborate per questa giorna, ta, riflettono tutte l'unificazione dei vari motivi ora illustra, ti, che devono trovare espressione in questo giorno. «lo sono la luna e tu sei il mio sole»: queste parole, tratte da una fra le tante preghiere, rappresentano il motivo conduttore che sarà ripetuto in innumerevoli variazioni67. E poiché la scom, parsa totale della luna rappresentava la discesa nell'abisso delle tenebre dell'esilio e l'espressione di tutti i suoi terrori, pro, prio questo punto più basso costituiva, secondo l'opinione di alcuni cabalisti, il momento più adatto per i devoti •>. Sempre dello stesso gruppo di immagini fa anche parte il rito che segue. Soprattutto nell'anno bisestile, nel periodo invernale, si digiunava il lunedì e il giovedì di determinate settimane per 'cancellare' , mediante speciali preghiere e pe­ nitenze, la macchia che l'uomo aveva arrecato alla propria vera immagine a causa di polluzioni o masturbazioni. Questo rito si chiama Tiqqun Shovavim, perché le lettere iniziali dei capitoli della Tarah letti nella sinagoga in quella circostanza formano la parola shovavim, che significa 'i degeneri' , con evi­ dente riferimento a quei 'figli degeneri' dell'uomo75 che il rito doveva ricondurre entro la sfera del sacro. Lilith non soltanto partecipa alle pratiche sessuali illegitti­ me, ma anche minaccia l'unione coniugale dell'uomo con la propria donna perché, pure in quel frangente, cerca di in­ trodursi nella sfera riservata a Eva. Per questo si praticava diffusamente un rituale raccomandato dallo Zohar e avente per obiettivo di tenere lontano Lilith dal talamo coniugale: «Nell'ora in cui l'uomo si unisce alla moglie, egli dovrà ri­ volgere il suo pensiero alla santità del Signore e dire: Avvolta nel morbido velluto, sei tu qui! Via, via! Non entrare e non uscire! Nulla di te, e nulla nella tua parte! Indietro, torna indietro, il mare infuria E le sue onde ti chiamano76 Ma saldamente mi afferro alla parte santa e avvolto mi sono nella santità del Re.

Dovrà quindi avvolgere la propria testa e quella della moglie in un panno e spruzzare più tardi acqua limpida intorno al letto.»77 In questa tipologia rituale, evidentemente riferita alla sfe­ ra sessuale, si rivelano i lati più tenebrosi del ritualismo ca­ balistico, che vi riflette le angosce esistenziali e le emozioni più profonde dell'uomo. Ma anche se non più radicati in su­ blimi sfere mistiche, bensì in ambiti dichiaratamente mitici, gli influssi e gli effetti di questi riti non devono essere giudi130

cati inferiori a quelli di riti di altro genere, dove gli studiosi della cabala non hanno rivolto la loro attenzione all"altra parte' ma al sacro e alla sua realizzazione sulla terra.

[Conferenza tenuta alla Fondazione Eranos di Ascona, Canton Ticino, Svizzera, nell'agosto 1950.]

NOTE l . Erubin, 2 1b. 2 . M . de Leon Sefer ha-Rimmon, Manoscritto, British Museum, Add. Or . 26, 920f 47b e Zohar I, 19b. 3. Nel suo commento al libro Yetsirah, I, 6. 4 . «l comandamenti sono ess i stessi ka11od., cioè, nella loro essenza, una componente del pleroma divino; 11edi il commento di Azriel alla Agga­ doth del Talmud, Tishby, 1943 . 5 . Citazione dal primo capitolo del libro Yetsirah. 6. M. Recanati Ta'ame ' ha-Mitswth, Basilea 158 1 , fol. 3a. 7. Nel commento di M . Recanati alla Tarah leggiamo un passo formula­ to in modo del tutto analogo: «L'intera forma dell'uomo, nelle sue mem­ bra e nella sua struttura, è fatta secondo la forma dell'uomo celeste. Ora, poiché le membra dell'uomo sono disposte secondo l'intento della crea­ zione [cioè nel senso dell'ordine cosmico), esse saranno un'immagine e un ttono per le membra celesti ed egli aumenterà in esse l'energia e il deflusso dal Nulla primordiale (afissatrh ha'-ayin); altrimenti [in caso di abuso) egli produce l'effetto esattamente opposto. E questo è il significa­ to segreto del versetto [Levitico 24, 20]: 'Se uno causa un danno all'uo­ mo, cioè al suo archetipo celeste, dovrà subire anch'egli lo stesso danno'•. 8 . Shulhan 'Arukh di Rabbi I. Luria Shulhan Arukh, 1 68 1 , fol. 3 1d. 9 . Zohar, II, 2 15b. 10. Vedi su queste idee G. Scholem Majar Trends in ]ewish Mysticism, 1 946, pagg. 63-67 ; trad. it. Le grandi correnti della mistica ebraica, Il Me­ langolo, Genova. 1 1 . Ci sono alcuni libri che sviluppano i comandamenti della Tarah co­ me membra dello shi'ur kamah. 1 2 . Vedi H .L. Gordon The Maggià of Qaro, New York 1 949. 1 3 . Vedi Y. Qaro Maggià Mesharin, Vilna, 1 879, fol. 39, per un'interpre­ tazione dettagliata del rituale del capro espiatorio nel giorno della ricon­ ciliazione e della progressiva conflittualità delle due parti, quella 'santa' e quella 'impura' . 14. Berlino, 1925 . 1 5 . Isacco il Cieco, cit. in Me'ir ibn Sahula; Be'ur al commento alla To­ rah di Nahamide, Varsavia, 1875, fol. 32d; Zohar I, 233a e II, 2 1 6b. 16. Vedi M. Buber Die chassidische Buecher, 1 928, p. 35 1 . Srranamente Buber trae dal racconto una conseguenza che è totalmente opposta a quella delle fonti da cui è citato.

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1 7 . È provato che la versione qui utilizzata costituisce la fonte più antica e recepita dal cabalista l. di Acco, (1300 circa), dal suo maestro prove­ niente dalla Germania, Yehuda ha-Darshan Ashkenazi: Me 'iTath 'E1Ul'Jim , Manoscritto Leida Wamer 93 fol. 158a. M. Cordovero l'ha a sua volta recepita da l. di Acco a Safed, dandole quindi una larga diffusione. 18. Traduz. ted. di A. Gruenwedel in 'Baesler Archiv' ,V, 1916, pag. 159. 19. H. Vita! Sh'ar ha-kawanoth, Gerusalemme, 187 3 , fol. 47a. Questa prassi radicale è sviluppata in un passo dello Zohar (III , 1 20b), dove si dice che l'orante, in questo momento di rapimento supremo •si consegna all'albero della morte• e deve essere pronto a morire. 20. Vedi G. Scholem Der Begriff der Kawwanah in der altem Kabbalah in 'Monatsschrift fuer Geschichete und Wissenschaft des Judentums' , vol. 78, 1934, pagg. 5 1 7/5 1 8 . 2 1 . 'Eranos Jahrbuch' , 1949, pagg. 322-333. 22. Rielaborazione di un estratto della parte degli scritti di H. Vita! rela­ tivi al rituale fatta nel 1637 da J. Zenach di Damasco. 23. Fu stampato sei volte tra il 17 3 1 e il 17 63 . Era stato composto a Ge­ rusalemme alla fine del secolo XVII, sembra da un cabalista italiano. 24. Il testo è inedito. Uso il Manoscritto Wamer 24 di Leida, dove fun­ ge da introduzione al Sefer ha-Shem , fol. 23 7 . 25 . Sefer ha-Malbush ve-Tiqqun me 'd ha-Tsedakoh per esempio, Manoscritto British Museum, Margoliouth, 752 fol. 92-93 . 26. Vedi Odi di Salomone 39, 7 che mostra come l'uso linguistico di Pao­ lo nella Lettera ai Romani 13, 14 abbia un'origine ebraica. 2 7 . Vedi M. N inck Die Bedeutung des Wassers im Kult und Leben der Al­ ten, 192 1 . 28. L'interpretazione del fenomeno del sosia da parte di H.L. Held nel suo libro Das Gespens t des Golem, 192 7 , non è fondata. In merito allo sviluppo del tema del Golem IJedi G. Scholem, voce 'Golem' nell'Enci­ clopedia ]udaica, vol. VII, 193 1 , col. 50 1-507 . 29. Nella Pseudo-Saadyia al Yetsirah è documentato il trapasso dall'im­ magine reale a quella più concreta della leggenda. 30. Ediz. Przemysl, 1 888, fol. lSd segg. 3 1 . Zohar I Sa, e III, 98a. C'è una correlazione molto interessante fra questi passi e gli scritti ebraici di M. de Leon; vedi Sod Hag Shavouth, Manoscritto Schocken Kabb. 14, fol. 87a. 32. Nagara ZemiToth Ysrael, Venezia 1599, fol. 1 14a segg. 33. Vedi M. Zobel Der Sabbath , Berlino, 1935 , pagg. 59 e 64. 34. Trattato Kethuboth, fol. 62b. 35 . Questo simbolismo è in contraddizione con il pensiero di Simone ben Yohai nel Midrash antico, che definiva il sabato e la comunità d'I­ sraele due sposi e intendeva la santificazione dei dieci comandamenti nel sabato come la stipulazione di un matrimonio con 'santificazione' della Sposa/Sabato. Vedi M. Zobel Der Sabbath, cit. , pag. 49. 36. In base a una locuzione talmudica (Ta'anith 29a), usata tuttavia in quella sede per caratterizzare profumi solo particolarmente gradevoli, •come un campo di meli•. 37 . Nelle pagine che seguono utilizzo soprattutto la descrizione del rito contenuta nel Shulhan Arukh di J. Luria e nello Hemdath Yamin, l. Non è questa la sede per un'analisi dello sviluppo delle singole parti del rito, ,

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analisi che lascia ancora molto a desiderare nella letteratura ebraica. 38. Ho potuto utilizzare solo in parte la traduzione, spesso troppo libera, di E. Mueller, riprodotta da M. Zobel, dt. , pag. 19 1 . 39. La nona Sefirah, Yesod, 'il fondamento' , è associata agli organi ses· suali maschili e femminili. 40. Il pesce è un simbolo della fecondità. La diffusa usanza di mangiare pesce il venerdì sera è collegata all'altra, di compiere l'unione coniugale durante quella notte. 4 1 . Dalla 'Sapienza' l'essenza delle anime esce su trentadue sentieri. I tre rami simboleggiano la Grazia, la Giustizia e l'Amore che rende egua· li; le tre 'colonne' il mondo delle Sefiroth, da cui provengono le anime. 42 . Nello Ze'ir Anpin significa 'brevanime' , cioè intollerante, in contra· sto con 'longanime' , attributo di Dio. Luria lo interpreta in un senso stret· tamente letterale come •colui che ha il volto piccolo•. È comunque la divinità, nella sua infinita metamorfosi e crescita, come signore della Shekkinah. 43 . lnyanè Shabbatai Zevi, ed. Freimann, 1 9 1 3 , pag. 94. Di qui si com· prendono le istruzioni del libro Hemdath Yamin e l'importante ruolo di questo pasto nel movimento hassidico. 44. Berakhot 3a. 45 . La notizia di Hai si ricollega forse a un'analoga raccomandazione nel Sedder EUyahu Rabbah, Friedmann, p. 96. 46. Vedi le prove nell'edizione dei Responsi di Maimonide, a cura di A. Freimann, n. 25, pag. 2 1 . 47 . I l libro anonimo di etica Sefer hn-Yashar è stato attribuito a diversi autori. Il passo si trova nel cap. 3 dell'edizione di Cracovia del 1586, fol. Sa. 48. Midrash hn-Ne 'elam a Ruth, in Zohnr Hadash, Varsavia 1884, fol. 87d e in Zohnr III 23a, 1 7 lb e passim. Viene qui utilizzata la connessione eti· mologica delle parole Gabriel (Forza di Dio), ge11er (gallo) e geliUTah (forza). Nell'uso linguistico dello Zohnr si intende sempre la forza della potestà giudiziale. Sempre nello Zohnr III, 1 72a si legge che l'angelo Gabriele, durante il giorno, annota le azioni degli uomini, per poi leggerle a mezza· notte, dopo il suo «Canto del gallo celeste•. Se le dita dei suoi piedi non fossero fatte irregolarmente e non lo paralizzassero (un motivo, questo, che non ho incontrato altrove) •in quest'ora egli brucerebbe il mondo con la sua fiamma.. 49. I 10b, 77b; III 22b. 50. III (Zohnr Hadash 53b). 5 1 . Già M. Recanati (1300 circa) ha dato un'esatta interpretazione del passo dello Zohnr III 284b, nel suo commento alla Tarah, Venezia 1545 , fol. 1 79b. 5 2 . Soprattutto nei due passi principali Zohnr Hadash a Ruth 87d e Zohnr II 195b/196a. 53. I 4a. Vedi anche Zohnr Hadash, fol. 47d. 54. III 1 7 2b. L'immagine delle due lacrime deriva da un passo del Tal­ mud, Beraktoh 59a. 55. Tutti questi particolari sono in Zohnr II 195b. 56. Zohnr III, 284a. 5 7 . Nel Midrash hn-Ne 'elam a Ruth, Zohnr Hadash, fol. 87d. 58. Per esempio in S. ben Adreth di Barcellona (1300 circa) e in A. ben

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Yechiel di Toledo (1 320 circa). A torto un'osservazione di F.l. Baer in Die ]uden im christlichen Spanien, I , pag. 474, è stata interpretata da alcuni nel senso che già nel 1378 a Saragozza fosse stata fondata un'associazione allo scopo di coltivare questo rito. 59. S. Assaf (a cura di) Briefe aus Safed in 'Kovez'al Yad', III, Gerusalem· me, 1940, pag. 1 2 2 . 60. La forma class ica d i questo rito, diffusasi po i i n tutta Europa, è quel· la più volte stampata in N. Hannover Sha'are ' Zion, Praga 1662 . Vedi an· che J. Zemach Nagid u-Metsaweh, 1 7 1 2 , fol. Sb (le citazioni che seguono provengono da queste due fonti), e H. Vita! Pri'Ets Hayyim, cap. 1 7 . 6 1 . Vedi in proposito G. Scholem in 'Zion', vol. 14, 1949, pagg. 50, 59-60. 62. Vedi il saggio di A. Abeles Der Ideine Versoehnungstag, Vienna 191 1 , la cui elaborazione necessiterebbe comunque d i alcune correzioni. 63 . Trattato Hullin 60b. 64. Gli scritti autentici di H. Vita!, di suo figlio S. Vita! e di ) . Zemach ignorano l'argomento. 65 . I testi sono in S. Schechter Studies in ]udaism, vol. II, pagg. 294 e 300. 66. Dapprima da E. de Vidas, amico di Cordovero, che scriveva a Safed nel 1575 . Vedi il suo Reshith Hokhmah (Porta della Santità), cap. 4. H . d e Silva Pri Hadash a Grab Hayyim, par. 4 1 7 , afferma, m a più d i cento anni dopo, che il nome fu introdotto dallo stesso Cordovero. 67 . In J. Fiammetta, 'O Boker, Venezia, 1741 , fol. Sa. 68. Herrulath ]amin (Al novilunio), vol. II, Venezia, 1763 , fol. 1 2a. 69. Vedi S. Buber (a cura di) Midrash Tanhuma, I , p. 20 e Zohar II, 231b. 70. Nello scritto lggereth ha-Kodesh (1300 circa), di ) . Gikatilla, più tardi attribuito a M. Nahmanide. 7 1 . A. Sabba Tseror ha-Mor, Venezia 1527 , fol. Sa. 72. Herrulath Yamin (1 763), vol. Il, fol. 98b. Una spiegazione analoga già negli scritti di H. Vita!, per esempio in Sha'ar ha-kawanoth, Gerusalem· me, 1873, fol. 56b/c. 73. Ma'alxzr Yabbok , Mantova, 1623 , fol. 66-67 della II parte (capp. 29-30). 74. J.J. Schudt ]uedische Merkwuerdigkeiten, vol. IV, appendice pag. 43 . 7 5 . Espressione già usata da J. Luria per indicare queste creature demo­ niache del desiderio; t1edi Sh'ar Ruah ha-kodesh, 1 9 1 2 , fol. 23a. 76. Lilith risiede in effetti negli abissi del mare. 7 7 . Zohar III, 19a. Gershom Scholem (Berlino 1897 · Gerusalemme 1982) è il più completo studioso israeliano della mistica ebraica, che a lui deve la sua sistemazio· ne scientifica e la soluzione di numerosi problemi interpretativi, di carat­ tere sia storico sia teorico. Oltre a essersi dedicato a un imponente lavo­ ro di classificazione, Scholem è giunto alla scoperta di fonti inedite. La sua produzione si sviluppa in più di cinquecento titoli. Di O. Scholem red edizioni hanno pubblicato il saggio I colori e la loro simbologia nella tradizione e nella mistica ebraica nel secondo volume dei 'Quaderni di Eranos' , Il sentimento del colore.

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Indice

9 Il significato psicologico del rito di Erich Neumann

53 Riti animali di Adolf Portmann

89 Tradizione e nuova creazione nei riti dei cabalisti di Gershom Scholem

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Immagini del profondo periodico bimestrale, numero 42/9 1 registrato con il numero 29/86 presso il Tribunale di Como direttore responsabile: Maurizio Rosenberg Colomi finito di stampare nel mese di settembre 1 99 1 d a Roma Print, Paderno Dugnano (MI)