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Italian Pages 262 [265] Year 2018
BASTILLE Bastille è la collana di saggistica di Edizioni Clichy, che propone libri che si pongano come chiaro obiettivo quello di modiicare o contribuire a modiicare, in un senso democratico, la prospettiva delle cose e l’interpretazione del mondo. Titoli che abbiano anche, come riferimenti ultimi, ideali come la giustizia sociale, l’eguaglianza e l’amore per gli esseri umani. Titoli che si articolano su una curiosità intelligente e sul concetto di «inatteso».
© 2018 Edizioni Clichy - Firenze Edizioni Clichy Via Maggio 13r 50125 Firenze www.edizioniclichy.it Isbn 978-88-6799-471-7
Pippo Russo
Il Primo Sesso Della superiorità estetica e morale della Milf
Edizioni Clichy
Sommario Introduzione Io Tarzan, tu Milf 11 Capitolo 1 Perché Milf 27 Capitolo 2 L'essenza della milfitudine 99 Capitolo3 Milf versus, ovvero: dell'incontro-scontro con altri stereotipi della femminilità 155 Capitolo 4 La possibilità di un'isola 235 Conclusioni 261
Il Primo Sesso
A te che fai come se non ti riguardasse
Introduzione Io Tarzan, tu Milf
Provate a spogliarvi d’ogni traccia di civilizzazione. A scrollarvi di dosso le leggi scritte e le norme morali, gli usi e i costumi, gli schemi di pensiero. Fate come se doveste tornare alla condizione di esseri basici. Individui che non si preoccupano di temperare gli istinti e gli appetiti, e anzi se ne lasciano guidare in cerca di soddisfare il principio di piacere. Già che ci siete, fate un passo ulteriore. Spogliatevi e basta. Sì, proprio nel senso di ignudàtevi, come avrebbe detto Carlo Monni. Liberatevi d’ogni vestimento e siate esseri basici nell’accezione più radicale. Con indosso nemmeno uno straccio né una foglia di ico. E poi immaginate di trovarvi in una situazione altrettanto estrema: sperduti su un’isola deserta. In compagnia d’una sola persona. Dell’altro sesso. 11
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Ebbene, essendo la metà maschile della popolazione che nuda andrà a occupare quello spazio selvaggio, quale migliore compagna di permanenza potreste augurarvi al di fuori di una Milf? Ossia, una Mother I’d Like to Fuck, la igura al centro dell’immaginario maschile da molto prima che questa etichetta venisse inventata. Perché, come qualsiasi altra etichetta, Milf dà nome a una realtà esistente da tempo - praticamente da sempre - non certo nata assieme alla sua denominazione. Le parole e i nomi arrivano sempre dopo, stremate dall’attesa d’essere distillate intanto che la realtà da denominare vive di vita propria. E talvolta se ne stanno lì talmente tanto in attesa della distillazione da inire per nascere vecchie, o comunque inadeguate a una così estenuante gestazione. Non è il caso di Milf. Che, è vero, ha avuto una gestazione lunga come poche altre, ma in compenso è un termine capace di comunicare signiicati molto più ampi di quanti s’immagini di circoscriverne. Potrei già dire che sia una parola-manifesto. Ma sarebbe precoce, perché si inirebbe per esaurire in una battuta l’argomentazione di un libro intero. Bisogna andare per gradi, trattando l’aspetto terminologico (la parola) nel primo capitolo e poi srotolando la serie degli argomenti (il manifesto) nei capitoli che seguono. In questa fase è suiciente afermare che, qualsiasi cosa signiichi il termine Milf, esso denomina un proilo femminile che s’incastra alla perfezione 12
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nell’immaginario del maschio eterosessuale medio. E quanti maschi ordinariamente eterosessuali, avendo come prospettiva una permanenza forse vitalizia su un’isola deserta, sceglierebbero una compagnia femminile diversa? Pochi, forse nessuno. Questa è la tesi che qui viene sviluppata e argomentata. Il maschio naufrago sull’isola deserta, avendone facoltà, sceglierebbe la compagnia di una Milf. E in generale, senza necessità di doversi ritrovare in una situazione estrema, la schiacciante maggioranza dei maschi eterosessuali prova un’attrazione preferenziale per quel proilo femminile. È una convinzione personale, certamente. E proverò a argomentarla in queste pagine. Ma tale personale convinzione è anche suffragata dall’opinione difusa presso la popolazione maschile, per una serie di motivi che cercherò di spiegare, e che contrariamente a quanto si pensi sono legati non soltanto alla dimensione erotica. Ci sono aspetti più profondi, persino più nobili. E in ultima analisi legati al bisogno occulto di tenerezza e arrendimento che ciascun maschio si porta dentro, impiegando tutta una vita nel tentativo di venirci a patti. Sforzo vano. La Milf è anche una proiezione esterna di quel bisogno. E del naufragio che il maschio adulto si porta dentro come ineludibile dimensione esistenziale. Ma poiché ci si trova in fase di premessa è necessario puntualizzare alcuni aspetti preliminari. A cominciare dal pubblico cui questo libro si rivolge. 13
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Sono consapevole del fatto che, per il modo in cui ho argomentato in qui, sto parlando come se mi rivolgessi soltanto a lettori di sesso maschile. E in un certo senso ciò è vero. Parlo da maschio medio che si rivolge a altri maschi medi, e lo faccio mettendo in campo un immaginario che soltanto fra maschi medi può essere riconosciuto. E penso che già questo andrebbe apprezzato. Trovatemi in giro qualcuno disposto a etichettare se stesso come maschio medio, e se riuscite pure a certiicarmelo vi ofro l’apericena. Ma dicendo che parlo da maschio medio come se mi rivolgessi a altri maschi medi, non intendo dire che questo libro sia pensato per non inire in mani femminili. È l’esatto contrario. Qui ci si rivolge soprattutto a una platea femminile, sia pure in modo indiretto. Mi spiego, e lo faccio speciicando due aspetti essenziali. Primo: gran parte del discorso è condotta per uomini e fra uomini. O meglio, per maschi e fra maschi. E tuttavia, il fatto di condurre un discorso per maschi e fra maschi non nasce dall’intenzione di emarginare l’universo femminile. Parlare per maschi e fra maschi è in questo caso un modo per mettere in scena il Teatro della (In)Consapevolezza Maschile, uno psicodramma in cui si entra a propria insaputa e poi non se ne ritrova la via d’uscita. E a quel punto c’è solo da augurarsi che una mano pietosa passi a spegnere le luci di scena. Non so quanti (quante) abbiano una minima idea di quale triste immaginario erotico scaturisca dalle 14
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chiere fra uomini a proposito di sesso e di rapporti con l’universo femminile. Nessuna propensione a migliorare la conoscenza delle cose, nessuna ansia di migliorare la conoscenza di se stessi. Nulla che vada oltre una satiriasi individuale, che s’alimenta nella competizione di gruppo ino all’ipertroia. Un individualismo mal temperato dalla dimensione collettiva. E quando la pièce si conclude ci si sente tutti un po’ più poveri. Costretti a caricarsi quel fardello di fanfaronate che ha portato soltanto a un regresso dell’autostima, oltreché all’accresciuta consapevolezza di non frequentare compagnie fra le più commendevoli. Ebbene, questo parlare per maschi fra maschi, questo Teatro della (In)Consapevolezza Maschile che per lunghi tratti del libro verrà rappresentato, sono elementi messi a disposizione del pubblico femminile che avrà la bontà di leggere. Mettetevi pure comode come se foste dietro un vetro oscurato, e godetevi lo spettacolo. Potrete vedere e sentire cose che andranno oltre la vostra immaginazione. E quando vi ricapita un’occasione del genere? Secondo: qui si parla di maschi e femmine rivendicando l’uso di questi termini, e dando loro la dignità che meritano. Una dignità che sarebbe dovuta, e invece viene negata nel discorso quotidiano. Ho spesso sentito dire che maschio e femmina sarebbero parole deteriori, peggiorative, rispetto alle civilizzatissime uomo e donna. Per marcare la diferenza, e rimarcare la preferenza, si 15
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sostiene che maschio e femmina conterrebbero un retaggio d’animalità, e per questo riporterebbero gli esseri umani alla dipendenza dagli imperativi di natura dopo che per millenni è stato condotto lo sforzo d’emanciparsene. Ergo, l’uomo e la donna sarebbero proili evoluti rispetto al maschio e alla femmina, che dal canto loro andrebbero catalogati come mera umanità sessuata. Da una parte c’è la Natura, con tutto ciò di pre-umano che l’idea di Natura comporta. Dall’altra parte c’è la Cultura, con tutto ciò di umanistico che il concetto di Cultura comporta. Con massima serenità dico che questo ragionamento è una bella coglionata. Frutto d’una malintesa emancipazione che è soltanto ansia di rinnegamento. Si mantenesse un po’ più di contatto con la propria base maschile o femminile, anche nel caso in cui se ne voglia prendere le distanze per sperimentare altri orientamenti di genere, probabilmente ci si troverebbe meno stressati dagli efetti dell’eccesso di civilizzazione. Non è il caso di portare troppo oltre l’argomentazione di questo tema, perché si rischierebbe di mettere in fuga grossa parte dei lettori. Sia maschi che femmine. Mi limito a dire che maschilità e femminilità sono forse i residui approdi terapeutici di questa contemporaneità nevrotica, la riva sicura di qualunque naufragio. E lo so che continuo a tornare sul motivo dell’isola deserta, una suggestione profonda che più avanti 16
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spiegherò. Per il momento mi fermo a dare come assunto lo scenario di partenza: quello della relazione umana essenziale, fra due soggetti sessualmente basici, entro un contesto di natura selvatica. Il maschio nudo, la femmina nuda e tutt’intorno la natura incontaminata, con un orizzonte temporale che potrebbe assorbire l’intera vita dei due soggetti. In questo quadro della situazione inserisco l’assunto senza il quale non s’avvierebbe nemmeno il discorso sviluppato in queste pagine: che il maschio potrebbe essere un maschio qualsiasi, chiunque fra voi, mentre la femmina ha da essere una Milf. Ma chi sono questi due soggetti? E se dovessimo identiicarli come componenti di una diade emblematica, una fra quelle che appartengono all’immaginario condiviso, a quale coppia di personaggi dovremmo accostarli? Sembrerebbe scontato indicare le igure di Adamo ed Eva, coppia biblica anche nel senso della sua nudità, oltreché obbligata a essere coppia per assenza di alternative. Ma indicando questa diade si andrebbe immediatamente fuori strada. I due rappresentano la nudità originaria, non contaminata dal pudore o da altri orpelli della civilizzazione che avrebbero fatto nascere l’esigenza della vestizione. Ma soprattutto c’è che, nella narrazione biblica, Eva nasce da una costola di Adamo. E questa origine, che fa della femmina una parte rispetto al tutto maschile, pone 17
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tivamente una struttura gerarchica del potere fra sessi. Col maschio (nudo) in posizione irriducibilmente dominante poiché la femmina (nuda) ne è un’emanazione. Del tutto diversa è la situazione della diade che si ritrova sull’isola deserta. Essa è in una condizione di totale parità. Ogni struttura culturale e di potere è azzerata, e nello scenario della natura incorrotta s’incontrano due esseri a loro volta naturali. Ma la loro è una naturalità di ritorno, perché si trovano nelle condizioni di negoziare un equilibrio inedito. Il maschio nudo e la femmina nuda, dopo essere stati un uomo vestito e una donna vestita. E la loro vestizione era data non soltanto dal nascondimento della nudità corporea, ma anche dalla sovrastruttura di predisposizioni e atteggiamenti generata dalla civilizzazione, nonché espressa attraverso strumenti di autocontrollo come il pudore, la vergogna, i canoni dominanti dell’estetica corporea, l’ansia del giudizio altrui. Tutta questa sovrastruttura viene annullata dal ritorno allo status di esseri di natura. Un passaggio d’integrale e profondo spogliamento. Ma proprio perché stiamo parlando di spogliamento, ne deriva che la nudità di questi due soggetti sia diversa da quella di Adamo ed Eva. Che era intrinseca, mentre quella del maschio e della femmina che s’incrociano nell’isola deserta è una nudità riacquisita. I due hanno conosciuto il pudore e l’imperativo di coprirsi, e adesso devono rinunciarvi. Devono essere rieducati al ritrovarsi 18
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nudi senza provarne vergogna. Come tornassero bambini nell’innocenza del loro corpo esposto, ma al tempo stesso consapevoli che quell’esposizione reciproca venga fatta da due esseri sessualmente maturi e capaci di desiderio. Considerato tutto ciò, la diade più appropriata è quella formata da Tarzan e Jane. Cioè due personaggi della iction che hanno in comune un rapporto di secondo grado con la primitività. Nella saga inventata da Edgar Rice Burroughs, infatti, Tarzan cresce nella giungla allevato dalle scimmie, ma nasce da una famiglia di nobili inglesi, i coniugi Greystoke, che nella giungla trovano la morte durante gli ultimi anni del Diciannovesimo Secolo. Dunque il suo rapporto con la primitività è originario, ma non genetico. In una remota zona del proprio Io l’uomo-scimmia conserva tracce di civilizzazione. E in determinate condizioni quelle tracce faranno sentire una presenza. Per quanto riguarda Jane Porter, si tratta di un’esploratrice statunitense nata e cresciuta nel pieno della modernità. Scaraventata dentro la natura non addomesticata, e a contatto con Tarzan, scopre che in determinati contesti la civilizzazione si rivela una zavorra. Stiamo dunque parlando di due proili personali che segnano il ritorno indietro rispetto alla civilizzazione. L’uomo-scimmia è cresciuto nella giungla e conosce soltanto il grado di sviluppo nel rapporto fra natura e essere umano che coinci19
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de con la fusione, ma è nato dall’unione di due persone civilizzate. La ricercatrice proviene dal mondo civilizzato, ma sbalzata nello stato di natura è costretta a diventare anche lei un essere di natura. Da queste condizioni si crea un equilibrio fra i due, e si tratta anche di un equilibrio di potere. Ma contrariamente a quanto faccia pensare il contesto in cui la relazione nasce, la distribuzione del potere non è afatto sbilanciata dalla parte dell’uomo-scimmia. Perché sarà anche vero che sia Tarzan, in quel contesto di fusione con la natura, a possedere le abilità e gli strumenti necessari a sopravvivere nelle condizioni estreme - nella diade, l’uomo-scimmia detiene il potere della forza e della protezione dal rischio - ma è altrettanto vero che, nelle fasi di calma, Jane riesca a esercitare inluenza su Tarzan. In qualche misura proietta su di lui un potere pedagogico. Questo momentaneo rovesciamento di potere è il frutto di un istintivo riconoscimento d’umanità che l’uomo-scimmia compie nei confronti della donna civilizzata. Nelle condizioni di vita estreme della giungla, Tarzan individua per la prima volta come proprio simile un essere non appartenente al dominio animale e della natura selvaggia. Lo fa in nome di quella radice umana profonda che porta dentro dalla nascita, e che nessuna alienazione rispetto al dominio dell’umanità può cancellare. È grazie a questo processo di riconoscimento che l’uomo-scimmia compie un pezzo del 20
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percorso verso la condizione umana maschile, cioè quel proilo dell’individualità che non si è lasciato corrompere dalla civilizzazione ma non è più nemmeno pura natura. Però il discorso sarebbe dimezzato se ci si limitasse a illustrarne la parte maschile. Si deve guardare anche al modo in cui la metà femminile della relazione entra in questo schema. E nella fattispecie Jane Porter è protagonista di un ritorno alla natura. Il suo proilo di femmina è il risultato di un rapido processo di de-civilizzazione. Che non è una corsa all’abbrutimento, ma piuttosto adattamento e recupero della parte profonda di sé. Tale recupero è un fatto contestuale, nel senso che non è una rinuncia deinitiva alla civilizzazione, ma soltanto una sua messa fra parentesi richiesta dalle particolari condizioni in cui Jane si trova a vivere: le condizioni della giungla, così aliene per una persona civilizzata. Dal punto di vista di Jane, la relazione viene a strutturarsi in una modalità assolutamente squilibrata perché in quella condizioni la sua dipendenza dall’uomo-scimmia è totale per ragioni di sopravvivenza. Ma al tempo stesso l’esploratrice è il soggetto che permette a Tarzan un ritorno all’originaria natura umana, è colei che gli permette di afrontare un processo di riconoscimento e auto-riconoscimento come creatura diversa rispetto al dominio animale. Se lui detiene il potere della forza che consente la sopravvivenza, lei detiene il potere pedagogico di 21
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restituire l’umanità. Messi a confronto i due poteri, quale dei due vi pare di maggior peso? Chiedo venia se vi ho esposto una noiosa lezione di socio-antropologia. La cosa non si ripeterà. Era però indispensabile per rendere l’idea dell’equilibrio che si crea nel contesto estremo del ritorno alla natura. E anche se il contesto della giungla non è esattamente identico a quello dell’isola deserta, contava ricostruire l’ambientazione in cui i due tipi (maschile e femminile) si trovano a essere unici l’uno per l’altra. E a doversi reciprocamente adattare sapendo che l’altro/a resterà per lungo tempo - e forse per sempre - il solo altro essere umano con cui interagire. Analizzata questa situazione dal punto di vista maschile, il meglio che ci si possa augurare è condividere tale condizione con una Milf. Per ragioni che soltanto in parte hanno a che fare con l’immaginario erotico maschile e con la igura del desiderio incarnata da quello speciico tipo femminile. C’è qualcosa di più profondo. E la diade formata da Tarzan delle scimmie e Jane Porter è assolutamente appropriata per spiegare questo nesso. Ma a patto di manomettere parzialmente la diade, sostituendo la igura speciica di Jane con la igura generica della Milf. E di generalizzare anche la igura di Tarzan, allontanandosi dal personaggio speciico e facendone uno stereotipo del maschio che vive la condizione di selvatichezza ma porta dentro delle tracce di civilizzazione. 22
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Siamo dunque arrivati alla formazione della diade perfetta composta da un maschio e una femmina: Io Tarzan, tu Milf. Il maschio selvaggio per caso, e la femmina che torna allo stato di natura ma nemmeno lì smarrisce una superiore forza pedagogica. Lui costretto a essere forte dalle condizioni di contesto, lei ancor più propensa alla cura perché l’uomo sottoposto a una coazione alla virilità diventa eccezionalmente fragile. E in questo complesso gioco di equilibri fra forza e fragilità si fa strada l’interrogativo cruciale: chi detiene la forza e chi la fragilità? Un interrogativo la cui risposta lei conosce da subito e che lui scopre molto presto. Soprattutto, Tarzan diventa consapevole del fatto che non c’è soltanto un tipo di forza, ma molteplici. Esiste una forza isica, indispensabile per l’adattamento alle condizioni ambientali ostili, pre-antropizzate, dell’isola deserta. Si tratta del tipo di forza che ha nella violenza e nella prevaricazione le sue espressioni estreme, e che (salvo rarissime eccezioni) nella diade maschio-femmina è appannaggio della parte maschile. Ma ci sono altri tipi di forza e di potere, molto più soft. Quelli di carattere morale, pedagogico, afettivo. Tutto ciò che compone il potenziale dell’inluenza, cioè la capacità di convincere senza ricorrere alla coercizione. Rispetto a questi tipi di potere e forza, il primato è molto più incerto. Afermare che siano prerogativa femminile signiicherebbe alimentare 23
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uno stereotipo abbastanza idiota. Sono le singole situazioni (e le diadi in quanto strutture) a stabilire dove stia il primato del potere soft. Ma nello speciico caso di Io Tarzan, tu Milf è pressoché certo vederne assegnato il primato alla parte femminile. E in questo riconoscimento c’è il segreto della preferenza per la Milf da parte del maschio eterosessuale medio. Per spiegare questo segreto, che in ultima analisi rimanda al mito del matriarcato, mi toccherà impiegare un libro intero, speso a sviluppare la tesi centrale: come proilo femminile, la Milf è un tipo superiore sia sul piano estetico che su quello morale. Una superiorità che si aferma all’interno del campo femminile, e poi nel rapporto col genere maschile. È grazie a questo primato guadagnato sul campo che si può assegnare alla Milf l’etichetta del Primo Sesso. Ciò che, senza tentazioni d’irriverenza, richiama l’opera di Simone De Beauvoir, Il secondo sesso. Rispetto alla quale l’interpretazione sulla gerarchia fra generi viene ribaltata. Il libro dell’autrice francese viene speso a analizzare e contestare la posizione subalterna del genere femminile nelle società storicamente osservabili. Rispetto a quest’impostazione del discorso, qui si sostiene che il ruolo femminile sia centrale da sempre, e che nelle società occidentali contemporanee tale primato trovi la massima espressione attraverso la igura della Milf. Il Primo Sesso è qui, e domina il mondo esercitando un potere 24
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soice in ogni senso possibile. Compreso quello carnale. Da questa soicità, dalla sua prorompente avvolgenza, il maschio eterosessuale medio è vinto. Felicemente irretito. E dato ciò per assunto rimane da scoprirne il perché. Proverò a spiegarlo a tutti i maschi che nervosamente fanno «no, no!» col ditino, ma intanto attraverso l’orecchio della mente sentono una vocina che canta «de te fabula narratur». E lo spiegherò anche a tutte le femmine che hanno accettato di sedersi dall’altra parte del vetro oscurato, persuase inine che lo spettacolo possa essere non soltanto godibile, ma anche utile. Lo faccio prendendo in prestito una delle citazioni che proprio Simone de Beauvoir inserisce in epigrafe ne Il secondo sesso. Appartiene a François Poulain De La Barre, ilosofo vissuto fra Seicento e Settecento e che, da uomo, ebbe delle idee straordinariamente avanzate in materia di parità fra sessi. Questa frase dice: «Tutto ciò che è stato scritto dagli uomini sulle donne deve essere considerato sospetto, perché essi sono al tempo stesso giudici e parti in causa». Parole condivisibili. Che possono essere riadattate a questo libro. Nel quale, in apparenza, si parla di un proilo femminile. Ma che in verità scandaglia l’immaginario erotico e sentimentale maschile. Rifacendomi a quanto enunciato da Poulain De La Barre, mi (e vi) chiedo: si può essere immuni dal sospetto se da maschi si parla dell’immaginario erotico maschile? E in questo caso è così dannoso essere al 25
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tempo stesso giudici e parti in causa? Secondo me le risposte sono che sì, si può essere immuni dal sospetto; e che no, non è dannoso essere contemporaneamente giudici e parti in causa se l’oggetto del discorso siamo noi stessi. Parlarne da maschi, senza iningimenti né auto-indulgenze, si può. E per il pubblico di lettrici si tratta di una chance che potrebbe non ripresentasi. Nelle pagine che seguono c’è l’immaginario erotico maschile esibito nella sua trasparenza, con tutte le riserve di non detto che diventano confessione, e inine discorso pubblico. Soltanto adesso, soltanto qui.
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Capitolo 1 Perché Milf
E se fosse soltanto un’invenzione maschile? Quando si parla della Milf questo interrogativo incombe, e molto forte è la tentazione di rispondere sì. I motivi per farlo ci sarebbero pure, a partire dal fatto che il nome non è basato su una caratteristica del soggetto ma è piuttosto un’attribuzione esterna. La Milf non è ciò che è, nel senso che l’etichetta non ne esprime una caratteristica. La Milf è piuttosto ciò che il maschio eterosessuale medio vorrebbe farle. Una proiezione del desiderio. E per comprendere il senso di ciò, basta fare il paragone con molti dei modi che possiamo usare per etichettare una donna. Partendo dal più semplice, potremmo dire che sia bella o brutta. E nel giudicarla secondo il canone estetico applichiamo sicuramente un gusto che può essere personale o condiviso. Ma nel farlo ci basiamo 27
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su caratteristiche isiche e estetiche appartenenti alla persona che giudichiamo. Dunque diamo un giudizio di bellezza o bruttezza partendo dal fatto che quella donna sia esile o prosperosa, che abbia tratti delicati o forti, che abbia una grazia femminea o viceversa mostri una durezza quasi mascolina. Ma quale che sia il caso, troveremo gradevole o sgradevole ciascuna di queste caratteristiche partendo dai nostri canoni estetici e valutativi. Altrettanto vero è che il giudizio si basi su caratteristiche appartenenti alla donna giudicata. La sua prosperosità può piacerci o no, ma è comunque un dato della donna giudicata e non una nostra proiezione, così come la sua esilità. Lo stesso vale per la delicatezza o rudezza dei suoi tratti, e per la sua femminilità o mascolinità. Di volta in volta giudichiamo tenendo come bussola i canoni estetici personali e quelli dei gruppi che in qualche modo ci inluenzano. Sicché potremmo etichettare come più o meno mascolina una donna secondo il nostro criterio per misurare la mascolinità di una donna; e dopo aver usato quel parametro decideremo se la mascolinità di quella donna rientri nei nostri canoni estetici o si spinga un po’ troppo oltre, sempre che si sia attratti dal proilo di donna mascolina anziché sentirsene respinti. Ma rimane che attribuiamo il carattere di mascolinità a quella donna partendo da caratteristiche sue, da noi sottoposte a interpretazione. E potrebbe essere sbagliata la nostra 28
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zione, ma al centro rimane la donna passata in rassegna con l’immagine che proietta su di noi e un suo modo di essere da noi percepito. Potremmo spostarci su un grado più complesso di valutazione di una donna e metterne al centro elementi comportamentali come la l’espansività, o la sensualità, o l’essere seducente. Tutte qualità che attribuiamo a una donna secondo parametri nostri, ma che ancora una volta dipendono dal suo modo di essere e dalla corrispondenza fra questo e i nostri criteri di valutazione, oltreché dalla nostra percezione. E così via potremo giudicare la stronza o l’ingenua, la manipolatrice o la sincera. Fino a giungere ai più oggettivi criteri di classiicazione, come potrebbero essere la bionda, o la mora o la rossa. Tratti a proposito dei quali potrebbe anche esserci l’inganno (è naturale o no?), ma che ancora una volta riguardano l’identità della donna sottoposta a giudizio. Il colore dei capelli è uno di quei connotati che indiscutibilmente appartengono alla donna osservata. Un elemento talmente inequivoco da non dare possibilità di deroghe all’etichettatore. Perché se attribuisco una tonalità bionda a una donna mora o castana, sono semplicemente in errore. La mia attribuzione di connotato si delegittima da sé. Rispetto a questa carrellata di esempi, l’etichetta di Milf va fuori schema. Perché la donna che così viene classiicata è iltrata attraverso un atteggiamento di chi attribuisce l’etichetta, anzi29
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ché attraverso una caratteristica intrinseca. E tale atteggiamento è il desiderio erotico. La donna giudicata è «una con cui vorrei fare sesso». Tale elemento disegna una prospettiva completamente diversa rispetto a tutte le altre modalità dell’etichettamento che sono state citate. E già in prima approssimazione verrebbe da dare ragione a chi sostiene che la Milf sia una igura femminile inesistente, l’ennesima invenzione dell’immaginario maschile. A tale conclusione replico dicendo che è troppo semplice liquidare la faccenda in questo modo. Che il iltro del desiderio erotico sia rozzo e monodimensionale è questione di cui ci sarà modo e tempo per discutere. E si farà anche in tempo a rintuzzare l’assalto di quella vocina che mi pare d’udire, pronta a parlare di un’ennesima variazione sul tema della donna-oggetto. Nossignori, qui a essere oggetto è il maschio eterosessuale medio, che a questa subordinazione si consegna in autonomia e talvolta in piena coscienza. È lui lo strano animale che viene studiato qui come se fosse su un tavolo di laboratorio. E per rendere la massima eicacia al processo d’osservazione bisogna partire proprio dalla parola. Che come sempre esprime contenuti molto più profondi di quanto trasmettano la sequenza dei fonemi e i signiicati supericiali. Per il momento è dunque necessario sofermarsi sul meccanismo d’attribuzione, ciò che porta la 30
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Milf a essere non già un proilo in sé ma una madre che mi piacerebbe scopare. Una formula che è molto meno rozza di quanto si percepisca. La tentazione di archiviarla come una mera espressione di desiderio sessuale sarebbe facile da seguire. E sarebbe una pessima scelta. Perché se invece si va a frugare dentro i contenuti dell’etichetta, come si trattasse di scoprire cosa vi sia dentro una scatola, si scopre uno stato delle cose del tutto diferente. Una stupefacente complessità che è già dentro la parola. Per questo bisogna partire dall’analisi del termine e di tutte le sue sfaccettature. 1.1 Spoon Milf River Bisogna fare una genealogia della Milf. Anzi, la genealogia di Milf. Sì, proprio la genealogia, non la semplice etimologia. Perché non basta ricostruire l’origine della parola e gli eventuali signiicati concorrenti. Si deve andare oltre, tracciare un percorso genetico che vada oltre il vocabolario per delineare lo sfondo culturale e le igure di riferimento. Costruire l’albero delle parentele lontane e di prossimità che portano a elaborare la igura della Mother I’d Like to Fuck e la rendono così popolare nella cultura contemporanea. Un’operazione indispensabile per capire come mai la Milf sia diventato un mito contemporaneo. Ovvio che non si possa non partire 31
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ne della parola. E dunque avviare l’operazione di ricerca genealogica con un passaggio etimologico. Come sempre, le parole mettono in forma la visione delle cose di chi le conia. Oggi noi sappiamo cosa intendiamo dire quando usiamo quel termine, e lo diamo come patrimonio condiviso. Ma, dato ciò per assunto, bisogna fare molti passi indietro e vedere cosa fosse «Milf» prima che arrivassimo a condividere il signiicato su la Milf. Perché la parola esisteva da molto prima, e aveva signiicati diversi. Che adesso sono stati superati dall’imporsi dell’accezione nuova, come già successo per altri vocaboli o formule il cui signiicato è stato rimaneggiato da un diverso uso. Per esempio, il termine inciucio. Nell’originario slang napoletano sta a indicare quel tipo di pettegolezzo prossimo al sobillamento. Qualcosa di simile al concetto del «seminare zizzania». E che invece, dopo l’uso semanticamente sballatissimo che ne fece Massimo D’Alema a metà degli anni Novanta, ha assunto il signiicato universale di «manovra sottobanco», o «intrigo», o «accordo consociativo». E che dire del curioso destino toccato all’etichetta di Grande Fratello? Per mezzo secolo essa ha avuto il signiicato forgiato nelle pagine di 1984, il romanzo di George Orwell pubblicato nel 1948, per denominare la igura del dittatore di Oceania e la sua onnipresenza che si materializza in video anche nelle abitazioni private. Ma dal 1999, anno in cui la Endemol produsse per 32
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il pubblico olandese la prima edizione del reality show he Big Brother, l’etichetta di Grande Fratello ha assunto un signiicato ben diverso. La costruzione di uno show basato sulla vita quotidiana di un gruppo di persone, chiuse dentro uno spazio di convivenza forzata, ne ha modiicato in profondità il signiicato e l’uso. Rimane il riferimento a una struttura pan-ottica del controllo, ma quel controllo prende un tono diverso. Perché, a diferenza di quanto accade nel caso del Grande Fratello orwelliano, quella del Grande Fratello televisivo è una copertura pan-ottica stesa non già a scopo di sorveglianza, bensì di voyeurismo. Anziché un’esigenza di sicurezza, la struttura del controllo è orientata a alimentare e poi soddisfare una curiosità morbosa. La fortuna del format disegnato da Endemol, e la sua successiva esportazione su scala globale, hanno fatto sì che il signiicato televisivo di Grande Fratello diventasse nettamente prevalente rispetto al signiicato letterario. Quell’osservatorio privilegiato sul mutamento culturale che sono i corsi universitari di primo anno mi consente di dire con certezza che, per la generazione dei millennials, il solo Grande Fratello esistente è quello del reality. E che quando costoro si sentono dire che l’origine di questa igura si trova nelle pagine di un libro scritto mezzo secolo prima del format televisivo, reagiscono con un’alzata di spalle. Una analogo destino semantico è toccato alla 33
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parola Milf. Che a partire dagli anni a cavallo fra i secoli Ventesimo e Ventunesimo ha preso il signiicato oggi noto, ma ino a quel momento era stata in circolazione con altre accezioni. Mi è parso utile andare a cercarle, queste accezioni, facendo una sommaria ricognizione via web per tracciare la genealogia del termine Milf. E come punto di partenza, quasi per gioco, mi sono dato proprio i parametri «milf» e «genealogy». Che trascritti nella maschera di ricerca di Google hanno formato una combinazione della cui rozzezza ero pienamente consapevole. Perché, messi uno accanto all’altro, i due termini avevano molta probabilità di formare una combinazione priva di signiicato. E dunque una ricerca web così attivata avrebbe dovuto risolversi in un tentativo andato a vuoto. E invece l’uso di una formula basata su parametri così rozzi ha portato su un sentiero laterale di ricerca, dove è stato possibile efettuare una scoperta inattesa. Il risultato è stato infatti un indice di pagine web dedicate a alberi genealogici familiari. Riguardanti famiglie il cui cognome è Milf. In cima alle 319.000 pagine web messe in ila dal motore di ricerca risulta quella intitolata he Milf Genealogy and Family Tree Page, estratta dal sito www.genealogytoday.com. E accedendo a quella pagina ci s’imbatte nell’anteprima del vasto mondo dei Milf, da intendersi sia come nome di battesimo che come cognome. È soltanto l’inizio d’un percorso guidato via web, che attraverso una 34
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vasta disponibilità di siti a carattere genealogico apre uno squarcio sullo Spoon River dei Milf. Si parte dai soggetti che hanno avuto in sorte questo nome di battesimo. Il primo nominativo proposto dal motore di ricerca è Milf Schmidt. Un signore tedesco nato il 18 aprile 1853 in Frisia Orientale, e deceduto il 5 agosto 1918 in piena Prima Guerra Mondiale. Il sito www.geni.com informa che il signor Milf Schmidt è stato sposato con Johannah Dora Heyen, e che dalla loro unione è nata Wuebke-Lena Schmidt. Un perfetto omonimo si trova dall’altra parte dell’Atlantico. Dal sito www.ancestry.com si apprende che costui è nato nel 1890 a Virden, Contea di Macoupin, Illinois. Questo dato è ricavato dal Censimento statunitense del 1940, e dunque nell’anno della rilevazione demograica nazionale Milf Schmidt aveva un’età di cinquant’anni e stava a capo di una tipica famigliola americana modello Happy Days: una moglie (Nora Schmidt, quarantasei anni all’atto del censimento), una iglia (Blanche Schmidt, ventitré anni) e un iglio (Lawrence Schmidt, vent’anni). Molti dati relativi al Milf Schmidt di Virden coincidono con quelli di un altro Milf Schmidt: oltre al nome e al cognome, l’anno del Censimento e la Contea di Macoupin. C’è però una diferenza: l’altro Milf Schmidt risulta nato nel 1874. Ciò signiica che aveva sessantasei anni quando il Censimento del 1940 è stato efettuato. La sua cittadina è Gillespie Town. 35
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Che, genealogia per genealogia, merita un inciso. Il suo nome deriva dalla igura del giudice Joseph Gillespie, esponente politico locale che è stato anche tra i fondatori del Partito Repubblicano dell’Illinois. Fra gli aneddoti della sua vita pubblica ce n’è uno che l’accomuna a un signore che diventerà presidente degli Stati Uniti d’America: Abraham Lincoln. Il futuro capo di stato non era nativo di quelle parti, ma lì avviò la professione di avvocato (dopo aver condotto una formazione da autodidatta) e la carriera politica. Dell’episodio che coinvolge Lincoln e il giudice Gillespie riferisce il libro Lincoln’s Preparation for Greatness: the Illinois Legislative Years, scritto da Paul Simon. Che a sua volta non è il cantautore noto per i successi musicali ottenuti assieme a Art Garfunkel, ma uno storico della Southern Illinois University nonché ex senatore dell’Illinois, deceduto nel 2003. Riguardo all’episodio che coinvolge Gillespie e Lincoln, esso si veriica nell’anno 1839 e viene raccontato alle pagine 227-9 del libro scritto dal professor Simon. Succede che nell’assemblea rappresentativa dell’Illinois sia in corso il dibattito su un provvedimento voluto dal Partito Democratico, e che se approvato metterebbe sotto pressione il sistema bancario, dato come molto vicino al Partito Whig del futuro presidente Usa. Per evitare che si arrivi a votare, sia Lincoln che Gillespie (che siede nella camera rappresentativa come deputato della Contea di Madison) cercano 36
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di allontanarsi dall’aula così da far mancare il numero legale. Ma scoprono che le porte sono chiuse, e che non è loro possibile allontanarsi. Sicché non trovano di meglio che saltar giù dalla inestra del primo piano. I documenti riferiscono che il tentativo è vano, perché l’aula esprime il voto mentre i due senatori s’afannano a catafottersi di sotto. E davvero, ancora una volta dalle pagine di Lincoln’s Preparation for Greatness rintracciabili via Google Books, merita d’essere riportato l’estratto dall’Illinois State Register, il quotidiano locale che non risparmia di mettere in ridicolo il futuro capo di stato: Mr. Lincoln, [della Contea] di Sangamon, che era stato presente durante l’intera scena, e che pareva lieto delle diicoltà in cui si muoveva l’Assemblea, è sembrato immediatamente preoccupato dopo che lo Speaker ha annunciato il raggiungimento del numero legale. Essendo fallita la cospirazione, Mr. Lincoln è andato in ibrillazione, e avendo tentato inutilmente di uscire dalla porta, bruscamente è montato sulla inestra e è saltato giù, seguito da uno o due altri componenti [dell’Assemblea]. Questa performance ginnica di Mr. Lincoln e dei suoi confratelli volanti [lying brethren] non è avvenuta prima che [i consiglieri] votassero, e di conseguenza l’Assemblea non è stata condizionata dalla loro straordinaria impresa. Non sappiano se questi parlamentari volanti si siano feriti dopo la loro avven37
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tura, e siamo certi che almeno uno di loro ne sia venuto fuori senza danni, poiché è evidente che le sue gambe quasi toccavano terra dalla inestra! 1 Grazie a questa straordinaria performance, Mr. Lincoln diverrà indubbiamente… famoso! Apprendiamo che una risoluzione verrà probabilmente presentata questa settimana nell’Assemblea per veriicare se si possa spostare l’Assemblea dello Stato un piano più su, con la possibilità di andare anche al terzo piano, in modo da evitare che i rappresentanti saltino dalla inestra! Se questa risoluzione passerà, in futuro Mr. Lincoln dovrà andare giù carponi [climb down]. Avete appena avuto una dimostrazione di quanto devastante possa essere, per la gestione del vostro tempo, una ricerca di informazioni via web. Cercando l’ago si rischia di fermarsi a analizzare ogni ilo del pagliaio, e partendo con l’intenzione di rintracciare un singolo dato si torna alla base con una vagonata di contenuti che forse nemmeno serviranno mai e però sono impossibili da ignorare. Il vero laneur è l’utente della rete, e ciò è ormai una verità assodata. E adesso che tocca riportare l’attenzione sull’oggetto d’analisi - la genealogia del termine Milf -, si deve cominciare col constatare la fortuna dei signori Milf Schmidt per essere vissuti in un periodo storico a cavallo con la 1 Il riferimento è al fatto che Abraham Lincoln fosse alto quasi due metri, e che dunque il salto dal primo piano non deve essere stato particolarmente rischioso. Ringrazio Annalisa Sandrelli per la consulenza linguistica e per la deduzione storiograica.
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metà del secolo Ventesimo. In quell’epoca il loro nome di battesimo era strano soltanto tanto quanto molti altri che vengono appioppati all’anagrafe negli Usa. E ancora intorno alla prima metà degli anni Novanta, sentire di qualcuno il cui nome facesse Milf avrebbe richiamato per assonanza Bif Tannen, il bullo della saga Ritorno al futuro. Ma dalla ine degli anni Novanta, per i signori Milf Schmidt, quel nome di battesimo sarebbe stato una condanna. Roba da rivolgersi d’urgenza al servizio anagrafe per cambiarlo, ché altrimenti il riso sgangherato sarebbe stato la colonna sonora delle loro giornate, come se si trovassero al centro di una sit-com. Per questo dico che sono stati fortunati a vivere nella prima metà del Novecento. E si tratta di una fortuna che bacia non soltanto loro. Consultando ancora il sito www.geni.com vengono rintracciate altre persone che hanno avuto in sorte quel nome di battesimo. Vi si trova un Milf Meyer, la cui data di nascita viene stimata lungo un periodo molto ampio, fra il 1853 e il 1913. Un Milf McKen, di cui si sa soltanto che è stato sposato con Grace McKen nonché padre di Allen e Goodale. E c’è pure un Milf Åselund, che a occhio sembrerebbe un cognome norvegese. Così come di stampo nordico appaiono Milf Onnen, Milf Rencken, Milf Broers e Milf Hinrichs, tutti rintracciati grazie a una sommaria ricerca su www.myheritage.com. Altre persone il cui nome di battesimo fa Milf sono reperibili tramite un di39
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verso sito di tema genealogico, www.indmypast. com. C’è una lista molto lunga, buona parte della quale è composta da persone chiamate Milf Schmidt. Uno fra i tanti Milf Schmidt, come riferisce il Social Security Death Index, siora il secolo di vita: nato nel 1889, muore nel 1987 all’età di 98 anni. Dunque scansa di circa un decennio il rischio del ridicolo. La lista viene chiusa da Milf Watson, nato nel 1883 e registrato dal Censimento del 1900 a Jemison, Chilton, Alabama. Milf Villa, le cui origini latine sono evidenti dal cognome, è stato nostro contemporaneo: il Social Security Death Index lo dà nato nel 1956 e prematuramente morto nel 2009. I suoi ultimi anni di vita non devono essere stati facili. Anche perché la combinazione di nome e cognome genera la formula Milfville, nella quale ci si imbatterà più vanti. Tornando su www.geni.com, si rintraccia una Milf Briefs. E la formula, che suona come un’abbreviazione di Milf Brieings, ha qualcosa che per associazione d’idee rimanda a Wikileaks e ai Panama Papers. Immaginate quali verità inconfessabili possano circolare durante i Milf Briefs. Dove saranno i verbali secretati? Tornando su www.indmypast.com si trova il nome di battesimo Milf associato a cognomi germanici o slavi: Milf Laubach (anno di nascita 1875, di Sugarlof, Pennsylvania), Milf Latironic (anno di nascita 1886, registrato/a nel 1913 dalla Philadelphia Passenger List 1800-1948), Milf 40
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Landrum (anno di nascita 1877, presente nelle liste del Censimento Usa 1900), Milf Knezevic (nessuna data di nascita o di morte, ma presente nelle liste di United States-Canadian Border Crossing). Legata al Canada è anche Milf Cecile Leveque, nata nel 1907, residente in Quebec. Su di lei non si ha altre notizie. E dunque, in linea teorica, quando questo libro va in stampa potrebbe essere in vita una Milf di centoundici anni. Se spostiamo il quadrante geograico verso l’Europa troviamo due Milf nell’area di Leeds (Yorkshire, Inghilterra): Milf Martin B Cairns e Milf Martin B Carden. Entrambi nati nel 2005, entrambi registrati presso l’England & Wales Births 1837-2006. E vista la leggerissima sfumatura che distingue i due cognomi, ci sta che si tratti della stessa persona di cui è stata fatta erroneamente una doppia trascrizione nel sito genealogico. Per certo possiamo dire che, quando questo libro va in stampa, circoli per le strade di Leeds almeno un ragazzino di dodici anni il cui nome di battesimo fa Milf. Massima solidarietà. E dunque, tornando al punto da cui sono partito nel descrivere la mia operazione di ricerca semantica, ciò che pareva un primo tentativo di ricerca andato a vuoto perché impostato su parametri verbali grossolani (Milf + Genealogy) ha aperto un percorso inatteso. Talmente interessante da farmi mettere un attimo in secondo piano l’elemento etimologico, per proseguire lungo 41
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quello genealogico. Sicché ho avviato una ricerca su altri siti a tema genealogico. Mi sono servito di quelli a accesso gratuito, per quanto limitato nel tempo, come i già citati www.myheritage. com e www.indmypast.com, oltre che di www. ancestry.org e www.familysearch.org, mentre ho tralasciato quelli a pagamento come www.genealogybank.com e il lugubre www.indagrave.com (trovaunatomba.com). Ho scoperto che Milf è un cognome non così raro, e tuttora difuso. Rimanendo su myheritage.com si ha una prima panoramica, che svela dati sorprendenti. Negli archivi del sito risulterebbero ben 30.936 documenti relativi a persone che fanno Milf di cognome. E nella schermata di sommario sono leggibili altre informazioni. Viene presentata una carrellata dei nomi di battesimo più frequentemente associati al cognome. Fra gli altri, troviamo: Alex Milf, Dan Milf, Daniel Milf, John Milf, Marci Milf, Mary Milf, Robert Milf, William Milf, per giungere a varianti originali come Prunella Jade Milf o Ure Mum Milf. Altre informazioni di carattere generale fornite dalla schermata riguardano la diffusione mondiale del cognome Milf, con tanto di infograia. Risulta che negli Usa sia rintracciabile quasi la metà (47%) delle persone il cui cognome fa Milf. Seguono Gran Bretagna col 16%, Canada con 11%, e un gruppo di paesi con una quota del 5% formato da Belgio, Niger, Bahamas, Irlanda e Francia. 42
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Cambiando portale e andando su indmypast. com, risultano 415 nominativi disposti secondo l’ordine alfabetico del nome di battesimo. La lista è aperta da Adeline Milf, nata nel 1837 e registrata dal Censimento del 1860 come abitante di Jefferson Township, Cass, Indiana. E continuando con la consultazione dell’elenco si scopre che la colonia dei Milf a Jeferson Township è parecchio nutrita. Praticamente si tratta di Milftown. Uno dopo l’altro si ritrova due Daniel Milf: il primo classe 1825, il secondo classe 1857, entrambi registrati dal Censimento del 1860. Di quelle parti è anche John Milf, nativo del 1858 e registrato dal medesimo Censimento quando la sua età è di soli 2 anni. Dagli elenchi demograici dell’Indiana è ricavato anche il secondo nominativo della lista: quello della signora Agnes Milf, classe 1891, registrata dal Censimento del 1920 presso l’anagrafe di Porter. Vien da dire che lo stato dell’Indiana sia una roccaforte dei Milf. Evito di dire che da quelle parti se ne trovi lo zoccolo duro perché si fa presto a trasformare la formula in una battutaccia da ex caserma. Meglio rimanere composti e dire che i Milf dell’Indiana fossero un gruppo di tutto rispetto, magari capace di orientare le contese elettorali locali. Immaginate un po’ quanto potesse essere decisivo assicurarsi il Milf Vote, a quei tempi. Lo so, mi sono lasciato prendere la mano dal cazzeggio e dunque è bene che torni all’analisi. 43
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E riprendendo l’ordine di collocazione in lista si scopre che il primo nominativo maschile è quello di Arch L. Milf, classe 1901, registrato come abitante di Tulsa (Oklahoma) dal censimento del 1930. E da lì in poi è possibile rintracciare nomi di battesimo che conferiscono al cognome Milf un tono da americani medi, come si ricaverebbe sentendo parlare di una Mary Smith o di un John Brown. È così nel caso di Frank Milf, classe 1851, registrato dal Censimento del 1870 come residente di New York City. Troviamo poi una Anna Milf nata nel 1872 e residente a Plymouth, Iowa, stessa località cui appartiene Rosa Milf (classe 1905). Risultano poi generici riferimenti a delle famiglie Milf, come quelle registrate nello stesso anno (1885) presso gli archivi storici del Nebraska e di Middlesex, cittadina del Massachusets. Ma se ne trovano anche per famiglie radicate in Irlanda e rintracciabili attraverso la hom’s Directory 18441900. Vi sono pure casi di persone delle quali mancano le date sia di nascita che di morte, e che vengono registrate grazie a circostanze particolari. Per esempio, David Milf di Washington (Ohio), del quale resta traccia perché nel 1839 il suo nominativo è stato iscritto nel registro United States Marriages. E c’è un John Milf, anch’egli censito senza data di nascita né di morte, di cui veniamo a sapere perché risulta registrato come Civil War Soldier 1861-65. E poi c’è la carrellata dei nomi evocativi o bizzarri. Per esempio, si legge di una 44
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Margareth Milf (nata nel 1860, e registrata dal Censimento del 1920 come cittadina di Monroe, Indiana) e per assonanza viene immediatamente richiamata l’antropologa Margareth Mead. C’è Lina Barthana Milf (classe 1910, inglese del Devonshire), con quel secondo nome che pare un’opportunissima storpiatura. C’è Milhe Milfs, classe 1858, registrato due anni dopo presso il New York Passengers List of Arrivals; e sarà per la combinazione di nome e cognome, o per il fatto che la fonte sia la lista dei passeggeri in arrivo a New York, fatto sta che si pensa immediatamente alla Mille Miglia. Così come c’è qualcosa di musicale in Mills O Milf (nato nel 1874, cittadino dell’Iowa), con quel far tornare alla memoria il motivetto «Candy, oh Candy» a chi è stato adolescente negli anni Ottanta. Ci sono due Milfs Milf (il primo classe 1875 e registrato dal Censimento del 1930 come cittadino di Bevar, Grundy, Iowa; il secondo classe 1892 e registrato dal Censimento del 1920 come cittadino di Plymouth, Iowa), che ai lettori di vecchi romanzi gialli fanno tornare alla memoria un personaggio della serie 87° Distretto, ideata da Ed McBain. Questi si chiamava Meyer Meyer e, come spiegava l’autore, il fatto che il nome raddoppiasse il cognome derivava dal suo essere un iglio indesiderato. Dobbiamo spiegare così la scelta di chiamare Milfs dei ragazzini che di cognome facevano già Milf? Misteri del battesimo. C’è poi una Bertha Milf (nata 1916, 45
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registrata dal Censimento 1920 come cittadina di Porter, Indiana) che rende irresistibile la citazione d’un celeberrimo brano degli Squallor. E l’apice si tocca coi tre nominativi distribuiti fra gli anni di nascita 1867, 1900 e 1901. Il primo è di Lake Mills Town, Jeferson, Wisconsin. Il secondo di Neola, Pottawattamie (con questo nome i redattori del mensile satirico livornese «il Vernacoliere» andrebbero in solluchero), Iowa; il terzo è anch’egli dell’Iowa, ma in questo caso la cittadina è Plymouth. La peculiarità di questi tre soggetti è che il loro nome di battesimo è Otto. Otto Milf. Il che, per il maschio eterosessuale medio, fotografa alla perfezione la condizione di Paradiso in Terra. Lui e otto Milf intorno. Altro che le settantadue vergini promesse dal Corano per l’aldilà. Non c’è partita, nessuno mai farebbe a cambio. 1.2. Prima o dopo AMERICAN PIE? L’esistenza di una così vasta comunità di persone per le quali Milf è soltanto un nome o un cognome segnala quanto casuale sia stato il destino della parola, prima che questa approdasse al signiicato oggi universalmente riconosciuto. Si è avuto un tempo in cui pronunciare quel termine signiicava soltanto appellarsi a una persona e alla sua identità. E vi è almeno un altro signiicato riconosciuto del termine, che fra l’altro ha 46
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la particolarità d’essere un acronimo al pari di Mother I’d Like to Fuck. Si tratta di Moro Islamic Liberation Front e denomina un’organizzazione islamista sorta nelle Filippine da una scissione del Moro National Liberation Front (MNLF). Fondato nel 1984 per contestare gli accordi fra il governo ilippino e il MNLF, che a partire dal 1976 hanno garantito al Fronte Moro delle condizioni di semi-autonomia governativa nella regione di Bangsamoro, per circa un trentennio il MILF si è battuto in difesa dei diritti della popolazione mora islamica di quella stessa regione. Il MILF ha avuto da subito il convinto appoggio del colonnello Muammar Gheddai, che pure è stato fra gli arteici dell’accordo del 1976 fra governo centrale e MNLF, tanto da ospitarne la irma a Tripoli. E se ciò fornisce l’ennesima dimostrazione di quanta doppiezza vi fosse nell’uomo che da dittatore governò la Libia, per un altro verso ofre l’aneddoto su Gheddai che appoggia MILF. E anche in questo caso si rischia di alimentare un campionario di battutacce da commedia sexy Anni Settanta, specie se si ricorda il mito del Bunga Bunga. Comunque sia, a partire dal 2012 il MILF (che per anni è stato etichettato dal governo ilippino come organizzazione terroristica) ha avviato le trattative di paciicazione con lo stato centrale che hanno portato al progressivo disarmo. Tutto ciò avviene in un periodo che registra già la circolazione del termine Milf nell’accezione 47
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di cui ci si occupa in questo libro. Ma giunti a questo punto, dopo averlo evocato a ripetizione, bisogna individuare il momento esatto in cui la parola Milf assume il signiicato che oggi le viene universalmente riconosciuto. Tale passaggio si veriica nell’anno 1999. Cioè in un momento storico del tutto peculiare, perché è il volgere di un secolo e di un millennio. E se si pensa a come nel mondo sarebbero cambiate le cose di lì a due anni, si prova una nostalgia speciale per quel passaggio storico. A guardarlo retrospettivamente si ha l’impressione che allora si stesse vivendo una spensieratezza talmente rotonda da sembrare irresponsabile. Persino usurpata. Davvero non capivamo che stesse covando l’Undici Settembre? A ogni modo, è quello l’anno in cui arriva nelle sale cinematograiche il primo episodio della saga American Pie. Una serie di lungometraggi di genere demenziale, con massiccio uso di volgarità assortite e ironie a senso unico. È al minuto 15’ del ilm che viene pronunciato l’acronimo, e poi ne viene fatto lo spelling che ne chiarisce il signiicato. È una sorta di battesimo, perché grazie al fatto di essere veicolato da un ilm d’ampia difusione globale il termine e il suo signiicato acquisiscono una riconoscibilità immediata. Di tale battesimo si parlerà nel paragrafo seguente, perché adesso bisogna indugiare ancora un attimo sugli aspetti etimologico e genealogico. Il supplemento d’analisi è dovuto al fatto che, nell’opinione comune, 48
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l’accezione di Milf attorno alla quale si ragiona nasca proprio dentro quella scena di American Pie. Come se ino a quel momento non fosse mai esistita. Ma davvero le cose stanno così? Ancora una volta il web si rivela una stupefacente fonte di informazioni. Perché, ci crediate o no, in rete trovate dei forum nei quali si discute dottamente sull’ipotesi che l’attuale signiicato di Milf fosse circolante già prima che American Pie arrivasse nelle sale cinematograiche. E quel che è più, le discussioni sono condotte con una passione ilologica da simposio accademico. L’urgenza d’approfondire il tema è stata quasi immediata, se è vero che c’è un thread di discussione avviato già in data 29 ottobre 2003. A ospitare la discussione è il portale IGN.Com, e il titolo è molto diretto: «Did the term MILF exist before American Pie movie?». A inaugurare la discussione è un (o una) utente che si irma Adv2k1, e lo fa ponendo la questione: Di questi tempi lo sento spesso pronunciare nell’uso comune, e ho curiosità di sapere se circolava da tanto tempo e nessuno lo usava o se è stato introdotto per la prima volta nel ilm? L’indomani, 30 ottobre, Legacy Account risponde sostenendo di non averlo mai sentito pronunciare prima, ma che forse già esisteva e dunque American Pie ha avuto soltanto l’efetto di renderlo popolare. Il 31 ottobre cominciano 49
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a aiorare le versioni opposte. Cypher 50 dice genericamente che il termine esisteva già, e Kalistean conferma sostenendo che era poco usato. E in data 8 novembre 2003 l’utente Patient Alex fornisce un riferimento un po’ più circostanziato: Il mio fratello maggiore diceva questa parola quando io facevo le elementari. Per molto tempo non ho capito cosa signiicasse. Scuole elementari per me era uh... 92? E questo è quanto. Immediata arriva la testimonianza di Dreamcastjames, che per raforzare l’opinione di Kalistean esagera: secondo lui il termine Milf nasce nel 1967. Non speciica cosa lo spinga a fare un’asserzione così netta, e a dare un riferimento temporale talmente preciso. E bisogna aspettare il 29 novembre ainché l’utente Megalofeint ponga la vera questione, e rianimi l’eterna disputa fra nominalismo e realismo: Yea, but American Pie made it what it is today. Ecco il punto, che attorno alla igura della madre che mi vorrei scopare rinverdisce la disputa ilosoica medievale sugli Universali. I nominalisti come Dreamcastjames e Patient Alex si sofermano sull’aspetto nominalista e perciò rimarcano la preesistenza della parola rispetto all’opera 50
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matograica che l’ha resa universale. Invece Megalofeint si soferma sul processo di signiicazione e sulla sua larga condivisione: è stato American Pie a fare della parola Milf ciò che è oggi, e perciò non conta da quanto esista la parola ma quale sia stato il passaggio decisivo ainché questa prendesse l’accezione universalmente condivisa. E allora è indubbio che l’opera cinematograica diretta da Paul Weitz sia stata determinante. Per quale delle due parti in duello si deve optare? In verità, non è decisiva una presa di campo. Continua a essere di maggiore importanza il fatto che il termine Milf e il suo senso possano avere avuto un’esistenza di più lunga durata rispetto al battesimo del 1999. E il seguito del dibattito sul forum alimenta la divisione fra le due fazioni dei nominalisti e dei realisti. Il 1° dicembre 2003 l’utente Donnie-Darko sostiene che Milf fosse già in uso al tempo in cui lui faceva il bagnino (lifeguard at the beach). E pur non speciicando a quando risalga quel tempo, lascia intendere che risalga a parecchio addietro. Aggiunge che poi è giunto «that damn movie» che ha reso il termine «too popular to use». Un altro elemento ilologico, di carattere marcatamente geograico, viene aggiunto il 5 dicembre da Nesper: Che io ricordi, MILF è d’uso comune in Michigan, dove American Pie si svolge, da sempre e continua a esserlo. 51
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Si trattava dunque di slang locale che il blockbuster cinematograico ha reso globale? Seguono alcune opinioni che sostengono la preesistenza di Milf rispetto al ilm (e messa così pare si debba risolvere tutto in un anagramma), e per rivedere un’opinione opposta bisogna aspettare il 25 dicembre. Nel giorno di Natale (ma non aveva di meglio da fare, il dì di festa?) riprende la parola l’utente Legacy Account, cioè il primo che aveva risposto alla domanda di Adv2k1 sostenendo che l’origine del termine sta nell’opera cinematograica. E ribadisce la sua tesi: il termine non esisteva prima di American Pie. Da quel momento la discussione rallenta per un po’, a parte qualche intervento che denota dell’umorismo abbastanza becero. Ma poi il 14 marzo del 2004 irrompe l’utente dastallion1 per dire di aver sentito pronunciare il termine prima che American Pie arrivasse sugli schermi. Racconta di averlo udito ai tempi in cui frequentava la High School. E aggiunge di essersi diplomato nel 1997, due anni prima che il ilm venisse distribuito nelle sale. Oltre un anno dopo, 18 aprile 2005, jonmcc33 lo contraddirà sostenendo di essersi diplomato nel 1996 e di non avere mai udito quel termine. Obiezione francamente sballata, come se a far fede fosse la data del diploma. Invece, in quel 14 marzo 2004 che aveva registrato l’intervento di dastallion1, prende la parola pure senshockey per dire che grazie a Hollywood quel termine è diventato il più eicace di 52
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sempre per classiicare una mamma. Il 19 febbraio 2005 interviene AndyP-IGN per dire che ai tempi in cui frequentava il college, negli Anni Ottanta, dive come Demi Moore e Gloria Estefan erano etichettate così. La discussione si trascinerà ino a maggio di quell’anno, senza che si raggiunga un accordo fra le due opposte posizioni. C’è il tempo per registrare alcune segnalazioni fatte dall’instancabile Lagacy Account. Che dapprima segnala l’esistenza del Moro Islamic Libertion Front e poi s’interroga sulle igure del Dilf e della Gilf. Dove D sta per Daddy o Dad (papà) e G sta per Granny (diminutivo di Grandmother, nonna). Rispetto a queste ultime due proposte bisogna sottolineare due aspetti. Il primo riguarda l’allargamento progressivo della gamma di desiderio sessuale verso altre igure. Che sono qualiicate sia in termini di collocazione nella struttura familiare, sia con riferimento alla fascia anagraica. Questa doppia collocazione vale per «papà» (o babbo), ma soprattutto per «nonna». La igura paterna (Dilf ) è identiicata come tale proprio perché è compresa dentro una struttura familiare che preveda almeno la presenza di un iglio o una iglia, così come avviene nel caso della igura materna (Milf ). Ma la igura paterna richiama anche un aspetto anagraico, perché si rifà all’idea della persona che ha fatto il salto verso la maturità. Ancor più questa associazione funziona nel caso della nonna. Che è una igura percepita a partire dal suo inserimento 53
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nella struttura familiare, e a maggior ragione lo è in termini di riconoscibilità anagraica. Infatti, esclusi i casi estremi di nonne Under 40, quello della Grandmother è un proilo che di norma va a occupare una fascia d’età dai quarantacinque anni in su. Soprattutto nell’epoca delle primipare attempate (ma anche dei primipari riluttanti, giusto per dire le cose nella loro interezza), essere nonne sotto i cinquant’anni è sempre più una rarità. Ecco dunque che il fare della Granny una categoria del desiderio sessuale signiica riferirsi a una fascia anagraica inequivocabilmente matura, molto più di quanto non sia nel caso di Dad. Il secondo aspetto riguarda l’uso della forma intima degli appellativi familiari, rilevabile anche nel caso di Milf. Che nella sua formula maggiormente condivisa sta per Mother I’d Like to Fuck, ma si presenta anche in versioni dal tono più affettivo. A testimoniarlo è la discussione del forum cui s’è appena attinto, nella quale la M di Milf sta per Mum anziché per Mother. L’appellativo mum (o mom) è tanto emotivo-afettivo quanto mother è istituzionale. Si tratta del medesimo scarto che in italiano, come in molte altre lingue, passa fra madre e mamma. Madre è il ruolo, mamma è la persona. Ma quale che sia il riferimento, al ruolo o alla persona, l’iniziale di Milf rimane M. Caso identico per Grandmother e Granny, che fra l’altro non in tutte le lingue presenta questa diferenza fra ruolo e persona. Guardando al caso italiano, 54
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l’appellativo nonna assorbe entrambe le accezioni. E al di là di questo, rimane che G sia l’iniziale tanto per l’appellativo di ruolo quanto per quello di persona. Le cose vanno diversamente nel caso della igura paterna. Che nella lingua inglese ha l’accezione istituzionale in Father, ma poi nella versione afettiva si trasforma in Dad o Daddy a seconda di quanto lo si voglia caricare di vezzeggiativi. Dunque cambia l’iniziale. L’utente Legacy Account usa l’accezione afettiva, e da ciò deriva che l’iniziale sia D e l’acronimo Dilf. Ma avrebbe potuto utilizzare l’accezione istituzionale, e allora l’iniziale sarebbe stata F e l’acronimo Filf. È fuor di dubbio che in termini fonetici Dilf suoni molto meglio del cacofonico Filf. Al di là di queste sfumature, fra l’accezione istituzionale e quella afettiva della igura paterna passa lo scarto della lettera iniziale. Sarà anche questo il motivo per cui non c’è nel vocabolario globale un equivalente maschile di Milf? Probabile. Tornando alla genealogia del termine Milf, e alla sua esistenza prima di American Pie, è possibile reperire ulteriori notizie in un altro forum. A ospitarlo è il portale Reddit, che nella direttrice r/ etimology riporta un dibattito dal tema analogo al precedente: «Did the movie American Pie coin the term milf or did it exist prior?». Si tratta di una discussione molto più recente, e questo dato ci avvisa di quanto l’interesse sul tema ilologico sia di lunga durata. Inoltre la discussione su 55
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Reddit ha il pregio di dare riferimenti veriicabili a proposito della preesistenza di Milf rispetto a American Pie. A lanciare l’interrogativo, in data 2 maggio 2015, è l’utente u/hipnosister. La discussione viene inaugurata alle 10:14 AM di non si sa quale fuso orario, ma si sa per certo che dopo soltanto tredici minuti arriva una risposta che segna un punto molto importante. La irma alle 10:27 AM l’utente why-the, la cui testimonianza scatena un dibattito di straordinario spessore culturale. Scrive why-the: Veniva usato prima. American Pie è stato realizzato nel 1999. Ecco qui un post di Usenet del 1995 L’ultima riga è linkata, e rimanda al post di Usenet che ogni internauta può aprire. Il testo viene comunque riprodotto da why-the nel suo post. A scriverlo, in data 12 gennaio 1995, è un utente che usa come nickname ChiPhiMike. In fondo al post sono menzionati il nome e il cognome reali dell’estensore più alcuni riferimenti sulla sua identità: si tratta di Michael Andreano, di Hoboken, New Jersey. Viene riportata la sua ailiazione al locale Stevens Institute of Technology, e una così sommaria informazione non permette di sapere se Andreano sia uno studente o rivesta altro ruolo nel momento in cui scrive quel post. Si ricava invece la certezza che egli sia un 56
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nente della Chi Phi Fraternity (da cui il nickname), la confraternita degli studenti dell’Istituto. Il suo post è intitolato Fabolous at fourty (Favolose ai quaranta) e si innesta in una discussione dedicata agli ultimi fascicoli della rivista «Playboy». Scrive Andreano: WOW! Ho visto il servizio fotograico nel numero di Febbraio e, ragazzi, sono rimasto impressionato... Queste mamme sono ragazze. Da non credere, specie quella sindacalista che sta davanti; bisogna guardarla due volte... Da queste parti abbiamo una parola per deinire questo, è MILF. Sta per Mother I’d Like to Fuck. Forse avrebbero dovuto intitolare così quella sezione :) Praticamente si tratta di scacco matto in favore della tesi della preesistenza. E ciò avviene grazie all’indicazione di un riferimento certo, con tanto di reperto documentale. Non si parla più per riferimenti vaghi («nel 1992», «nel 1967», o «quando facevo il bagnino»), come avvenuto nel forum di IGN.Com. Stavolta c’è una prova oggettiva che a gennaio del 1995, e dunque quattro anni prima che American Pie venisse commercializzato, il termine Milf nel suo attuale signiicato fosse usato da un utente del web. Inoltre l’utente lo presenta come un termine dotato di una difusione 57
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tomeno locale. E a partire da questo punto fermo si apre una discussione di livello molto alto. Prende la parola l’utente kwyjiboner per elogiare il bel tempo andato in cui le discussioni sul web erano così garbate, al punto che i partecipanti si irmavano con nome e cognome veri. A ruota interviene smileyman per piazzare una polemica abbastanza sterile. Egli sostiene che Usenet non possa considerarsi una rete dalla presa credibile quanto è oggi internet, e questo a suo giudizio toglierebbe forza alla tesi della preesistenza. Argomento bizzarro. Perché comunque non indebolisce l’idea che Milf preesistesse rispetto a American Pie. Semmai, può autorizzare l’interpretazione secondo la quale si trattasse d’un vocabolo di nicchia, a sua volta circolante in un ambiente comunicativo ancora elitario. Il commento di smileyman indirizza per un po’ la discussione su Usenet e sulla sua efettiva utilità come mezzo d’interconnessione di massa, il che non desta il massimo dell’interesse. Ma per fortuna, nel inale di questo scambio, la discussione torna sul focus semantico. All’utente suugakusha, che insiste sul fatto che American Pie popularized il termine, risponde itty53 e sottolinea che l’opinione di suugakusha ignori l’elemento etimology per sofermasi soltanto sulla pop culture. Ribadisco che [la tua] non è etimologia. L’etimologia è lo studio dell’origine di una parola, non lo studio della sua origine popolare. Ovviamente 58
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rican Pie ha popolarizzato la parola, ma non l’ha coniata. Era già nel lessico di almeno uno dei suoi autori. Ma l’intervento che fa impennare il livello qualitativo della discussione arriva subito dopo, e a scriverlo è l’utente gnorm: La fonte autorevole su MILF è Laurel A. Sutton Bitches and Skanky Hobags, da Hall, Buchoz (a cura di), Gender Articulated: Language and the Socially Constructed Self, Routledge, 1995. Sutton aferma che MILF fosse uno degli 87 termini [per denominare] le donne, raccolti fra gli studenti di una classe di linguistica nella primavera del 1992. A usare questo stereotipo erano «gli studenti di college provenienti dalla contea di East Contra Costa, California». Dunque si era partiti da American Pie e si approda nel campo della dotta discussione accademica. Infatti, quello menzionato da gnorm è un saggio molto citato negli studi di socio-linguistica, come si può constatare da una sommaria ricerca sul web. Inoltre, esso è pubblicato in un volume scientiico collettaneo, edito da una delle case editrici di settore più prestigiose al mondo. Il titolo del saggio riporta un paio di irriferibili sconcezze usate nel gergo quotidiano statunitense d’inizio anni Novanta per etichettare le igure 59
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femminili, e nella versione di gnorm è trascritto con leggero errore di battitura. La sua formula integrale è Bitches and Skankly Hobags: he Place of Women in Contemporary Slang. L’autrice è Laurel A. Sutton, una studiosa che all’epoca faceva parte del Berkeley Women and Language Group, della University of California. Adesso, stando a quanto riferisce il suo proilo su Linkedin, lavora nel settore delle ricerche di mercato attraverso una propria agenzia (la Sutton Strategy) e, nel ruolo di copywriter, per un’altra società denominata he Content Bureau. Da quel momento in poi il thread della discussione viene contagiato dal vezzo accademico della citazione delle fonti. Dato per assodato che il termine e il signiicato sono preesistenti a American Pie, ci si soferma sui dettagli di quella che l’utente itty53 deinirebbe la «popularization» del termine: il suo battesimo a oggetto linguistico globale, che avviene in American Pie e di cui ci si occuperà nel prossimo paragrafo. In questa fase, allo scopo di concludere il discorso sulla genealogia di Milf, è il caso di mostrare una vera proposta di albero genealogico. Si tratta di quella avanzata su Visually, un sito che produce contenuti graici. In data 11 marzo 2015 l’utente RJohnP prova anche lui a dare una risposta sull’origine del termine e sulle sue successive derivazioni. E a partire dall’interrogativo costruisce uno schema evolutivo che eicacemente si presta a fungere da albero 60
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genealogico, e a innestarsi nel nostro discorso. Il punto di partenza viene individuato in un anno e in un’altra opera cinematograica. L’anno è il 1967 e, curiosamente, questo dato coincide con quanto sosteneva l’utente Dreamcastjames nel forum di IGN.Com. L’opera cinematograica è Il laureato, tratta dal romanzo di Charles Webb e diretta da Mike Nichols, coi due personaggi della storia, il giovane e irresoluto Benjamin Braddock interpretato da Dustin Hofman e l’irrequieta signora Robinson interpretata da Anne Bancroft. Se ne desumono due indicazioni: che la Miss Robinson, resa nota anche dal brano musicale di Paul Simon e Art Garfunkel (rieccoli...), venga individuata come la capostipite della schiatta delle Milf; e che a essere indicata come archetipica del rapporto fra la igura della Milf e una qualsiasi igura maschile sia una relazione fra una donna matura e un uomo giovane. Quest’ultimo aspetto è alla base di un formidabile equivoco sulla igura della Milf. Equivoco che la vede come cacciatrice e preda, al tempo stesso, di giovani maschi. Il che può essere un banale canovaccio da cinema porno, ma nella realtà costituisce minima parte del tutto. Al di là di ciò, rimane che indicare nella signora Robinson il punto di partenza della Milf Genealogy sia un’opinione e nulla più. Frugando nella letteratura e nella cinematograia universali sarebbe stato certo possibile trovare qualche altra igura non meno signiicativa e altrettanto opina61
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bile. Va aggiunto che il riferimento alla signora Robinson è anche indotto dalle esplicite citazioni che, come verrà illustrato nel prossimo paragrafo, ricorrono nella saga di American Pie. C’è invece qualche spunto d’interesse in più se si guarda ai livelli successivi dello schema, o alle ulteriori ramiicazioni dell’albero genealogico. Sotto il livello originario, occupato dalla signora americana alto-borghese di ine Anni Sessanta, troviamo due nuovi elementi. Di uno si è dato conto poco sopra: il post su Usenet scritto a gennaio 1995 dall’utente ChiPhiMike, o Michael Andreano. L’altro è invece una chicca. Si fa riferimento al magazine «Motorbooty», che ha avuto una vita strana e irregolare, e forse proprio per questo è diventato un oggetto di culto. Fondato nella città di Ann Arbour (Michigan), il magazine rimane in vita nell’arco di tempo che va dal 1987 al 1999. E è davvero curioso che il suo anno di morte sia quello in cui American Pie approda nelle sale cinematograiche. Ancor più curioso è che nel corso di quei dodici anni ne siano stati pubblicati soltanto nove fascicoli. Si tratta di un magazine i cui contenuti principali sono fumetti, ma che dà anche ampio spazio alla musica e mostra una certa sensibilità verso le sub-culture alternative. Secondo l’autore del post graico, «si dice che il magazine Motorbooty abbia usato il termine MILF nel 1990!». Indicazione quantomai vaga, perché si basa sul sentito dire e non indica con precisione 62
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la fonte documentale che pure sarebbe consultabile. Questa formula del «si dice che il magazine Motorbooty...» ricorre in altre pagine web. Non è chiaro se sia stata originata dallo stesso RJohnP, o se piuttosto egli la mutui da altri e contribuisca a farla circolare. Di sicuro, ciò alimenta il lusso di una non-informazione che a forza d’essere ripetuta assume lo statuto di una verità di fatto. Quando vi interrogate su come funzioni il meccanismo delle fake news, fareste bene a pensare non soltanto all’azione di manipolatori e mestatori di professione; sovente basta un contenuto vago, che una volta piazzato sul web e condiviso a ripetizione diventa dato per assunto, ino a trasformarsi in fonte. Qualsiasi internauta può trasformarsi in un abate Vella, e senza nemmeno essere mosso da malafede. Quindi si passa al livello successivo dello schema, e a partire da lì vengono elencati tutti i riferimenti certi e condivisi in materia di genealogia della Milf. C’è lo snodo cruciale, datato 1999, che riguarda il lancio di American Pie. E da lì si difondono tre ramiicazioni. La prima è quella della Celebrity Culture, e riguarda sia l’assegnazione dell’etichetta di Milf a donne del mondo dello spettacolo già famose, sia soprattutto il beneicio che alcune donne del mondo dello spettacolo hanno ricavato dall’essersi viste etichettare a questo modo. L’esempio più eicace è quello della pornostar Lisa Ann, che nel mondo del cinema a 63
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luci rosse è indicata come la Milf quasi per antonomasia, oltre a risultare la pornostar più celebre al mondo nella piena fase della propria carriera (fonte Porn Hub). La igura di Lisa Ann è l’elemento di congiunzione fra la prima e la seconda ramiicazione, che dall’autore dello schema viene indicata nell’Industria del Porno. Per quest’ultima, la igura della Milf è diventata uno stereotipo di straordinario impatto presso il pubblico, specie dal momento in cui il principale canale per la distribuzione dei contenuti hardcore è diventato il web. A dare ulteriore forza a quest’ultimo aspetto, l’autore del post graico menziona alcuni dati statistici che in quel 2015 erano freschi. A fornirli è ancora una volta Porn Hub, uno fra i portali web di riferimento per il settore. Viene riferito che nell’anno 2014 il termine Milf è stato, nel Regno Unito, il terzo più ricercato sul web per quanto riguarda il segmento del porno, e che nello stesso periodo è risultato il quinto più ricercato negli Usa. Come si vedrà più avanti, si tratta di dati che negli anni seguenti verranno migliorati. Inine, c’è la terza diramazione che riguarda i Termini Gergali (Slang Terms). L’autore del post sostiene che l’afermarsi di Milf come termine largamente diffuso ha generato la creazione e/o difusione di termini correlati, connessi a altri proili determinati a partire dalle categorie del desiderio sessuale: quelli già citati di Dilf (o Filf ) e Gilf, ma anche Cougar e Anti-Milf, dei quali si parlerà nel terzo capitolo. 64
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Dovendo tirare le somme dell’operazione condotta da RJohnP, si può dire che certamente sia un tentativo coraggioso. E tuttavia esso si basa su forzature e sempliicazioni. Specie se si guarda ai primi livelli dello schema, appare evidente che l’inserimento di quei contenuti sia basato più sul bagaglio culturale personale dell’utente che su uno sforzo di ricerca storica. E non è un caso che i riferimenti più puntuali e articolati partano da American Pie. A discarico di RJohnP va aggiunto che costruire una credibile genealogia della Milf è un’operazione molto diicile. Provando a farlo sulla scorta di ciò che è stato detto in qui, ci si troverebbe a fare i conti col medesimo segmento mancante. Tracciare la linea di continuità tra Milf inteso come termine onomastico (sia nella forma del nome di battesimo che in quella di cognome) e l’acronimo che veicola il signiicato ormai condiviso a livello planetario, passando per il Moro Islamic Liberation Front e l’utilizzo gergale che precede l’uscita di American Pie nelle sale cinematograiche, porta a confrontarsi con quel medesimo vuoto. Si tratta di un vuoto che proverò a colmare nel prossimo capitolo.
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1.3. Quel grande malinteso su Mammadi-Stifler e il Vero Complesso di Giocasta Dei tanti frammenti di cultura popolare che compongono l’epopea della Milf, ce n’è uno che sta al centro di tutto. Lo si è isolato perché necessita di una trattazione a sé. Come si è accennato, esso si registra circa un quarto d’ora dopo l’inizio di American Pie. E ha come protagonista John Cho, attore e musicista statunitense nativo della Corea del Sud, classe 1972. È lui a pronunciare la frase che cambia la storia del termine Milf e dà nome a un elemento centrale dell’immaginario erotico maschile. Si tratta di una svolta culturale talmente potente da far quasi ritenere che l’essere stato il primo proferitore del termine Milf sia anche il principale motivo della sua fama. Ovvio che le cose non stiano così, e che il signor Cho debba il suo status artistico a una ilmograia di primissimo livello, nella quale spiccano opere dirette da registi quali Barry Levinson, Sam Mendes e Steven Soderbergh. Eppure egli stesso si trovò a scoprire quanto quel passaggio apparentemente residuale di carriera gli abbia aperto le porte della fama e della riconoscibilità sul piano globale. Come ha raccontato nel corso di un’intervista: (...) mi trovavo all’estero per girare un ilm, e avevo dimenticato di aver lavorato in American Pie, non ero consapevole che fosse diventato un così 66
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grande successo. Poi sono tornato in America, e per le strade c’erano dei ragazzi che cantavano «MILF! MILF!» verso di me. Ero davvero confuso, e mi ci è voluto qualche attimo prima che mi rendessi conto di cosa stava accadendo. La relazione fra il proilo pubblico di John Cho e l’uso del termine Milf è talmente intrecciata da essere stata un tema di un’altra intervista, rilasciata dall’attore nel corso di una puntata del Larry King Show andata in onda a maggio 2013. A quattordici anni di distanza dalla realizzazione del ilm, l’attore continua a essere stupito dalla sorte che gli è toccata. Aggiunge che forse quella parola era nell’aria, e aspettava soltanto d’essere pronunciata. Questa è forse la più profonda delle verità che potessero essere dette. È una credibile sintesi fra le posizioni dei realisti e dei nominalisti, e si trova perfettamente in linea con la tesi della distillazione che ho esposto nell’introduzione. Ma cosa dice esattamente il personaggio interpretato da John Cho, in quel passaggio che cambia la storia della cultura popolare? Tutto succede nel corso di una festa privata fra adolescenti. Quattro di loro si fermano a rimirare la foto della padrona di casa, nonché madre dell’organizzatore. Infatti i quattro la chiamano dapprima «madre di Stiler». E per loro è inevitabile chiedersi: «Come può una femmina così produrre un coglione come Stiler?». Un interrogativo 67
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tutt’altro che banale, pieno com’è di motivi e suggestioni da riprendere più avanti. È a quel punto che interviene il personaggio interpretato da John Cho, e esclama: «Quella è una MILF!». E richiesto di spiegare cosa quel termine signiichi, ne fa lo spelling. Da lì parte il coro: «MILF! MILF!», quello che anni dopo uno stralunato John Cho si sentirà indirizzare per strada. Il coro viene ripreso poco dopo, quando il libidinoso adolescente di origini orientali prende a sbaciucchiare la foto incorniciata della signor Stiler. Che ci crediate o no, è tutto qui. Nel resto del ilm, e dell’intera saga di American Pie che somma quattro episodi andati nelle sale cinematograiche più quattro spin-of destinati esclusivamente al mercato dell’home video, il termine non ricorre più. E che un frammento di così minuscola portata abbia inluenzato un così vasto mutamento nel linguaggio popolare globale è la prova più lampante di quanto sostenuto da John Cho: quella parola era nell’aria, aspettava soltanto d’essere catturata e pronunciata. È quasi certo che preesistesse nello slang quotidiano di alcune zone degli Usa. Ma perché diventasse il termine universale che è diventato, ha dovuto aspettare il battesimo celebrato all’interno di un prodotto culturale di massa dalla difusione globale come American Pie. Un battesimo che, a dire il vero, non è avvenuto in modo univoco. Essendo MILF un acronimo costruito su 68
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le tratte dal vocabolario inglese, la sua trasposizione all’interno di altre lingue nazionali non risulta agevole né automatica. Chi conosce la versione italiana del ilm, o va a cercare su youtube la scena in cui il termine viene battezzato, scopre che i traduttori hanno reso l’acronimo in MIMF: Madre che Io Mi Farei. Una formula piuttosto soft, rispetto all’indispensabile scurrilità dell’I’d like to fuck. Ma anche con la traduzione in francese le cose non cambiano. Su youtube ne è disponibile la versione integrale e gratuita, e nel momento cruciale il personaggio interpretato da John Cho, nel riferirsi alla signora Stiler, parla di MBAB. Che sta per Mère Bonne À Baiser. La traduzione in francese recupera il tono forte che si perde in quella italiana (Madre Buona da Scopare), però disperde l’acronimo originale. E ciò dipende dai limiti tecnico-espressivi del cinema come forma d’arte. Nelle forme testuali basta una nota a piè di pagina o un asterisco, per risolvere il problema rimandando a un supplemento di testo. Nel cinema questo non è possibile, e allora bisogna fare i conti con tutto ciò che viene perso per via degli adattamenti. Lost in translation. Fra l’altro, a proposito della versione francese dell’acronimo, il sito web L’Internaute informa che esso fosse già difuso in Francia almeno dal 1995, e dunque quattro anni prima di American Pie. E a questo punto evito di riprendere il discorso etimologico. Si è già dato abbastanza nel paragrafo precedente. 69
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È suiciente rilevare questa ipotesi che parla di una preesistenza persino più signiicativa. Perché parla di un altro acronimo che qualiica, in una lingua diversa dall’inglese americano, lo stesso concetto e il medesimo proilo femminile nato da una proiezione dell’immaginario sessuale maschile. Una volta di più si può dire che la svolta linguistica fosse nell’aria. E invece no, perché in questo caso è qualcosa di più. Ma torniamo al frammento di American Pie che tiene a battesimo il termine Milf e sdogana questa igura del desiderio maschile. Come se ci ritrovassimo davanti a un fermo immagine, facciamo ripartire la scena dal punto in cui l’abbiamo lasciata. Cioè dal momento in cui il personaggio interpretato da John Cho bacia voluttuosamente la cornice che racchiude la foto della signora Stiler. Che di nome fa Jeanine, e è una donna prorompente oltreché divorziata. Bella? Certamente, ma bisogna anche intendersi su quale tipo di bellezza femminile sia il suo. Perché ci sono le bellezze femminili calligraiche, quei volti angelicati che ispirano uno stato di contemplazione e atteggiamenti di quasi venerazione. E poi ci sono le bellezze prorompenti, quelle che ti colpiscono come un uppercut. Come si dice in gergo, fanno sangue. Nel senso che vedersele davanti agli occhi e sentir aumentare la temperatura nelle vene è tutt’uno. Nessun margine per la contemplazione, anche perché non se ne ha il tempo. Non ti 70
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corgi nemmeno che sta per arrivarti addosso, non c’è il tempo che serve al tuo istinto per scansare l’impatto. Per intenderci, è la stessa diferenza che passa fra il mare in bonaccia e la mareggiata. Il mare in bonaccia permette di contemplare l’orizzonte e di far viaggiare la mente. Un ristoro per l’anima che dura inché dura. Invece la mareggiata ci si rovescia addosso senza che fossimo preparati, e cara grazia che non ci trascini pure giù dai moli o dagli scogli. E quando ci si ritrova fradici e glassati di salsedine, resta solo un attimo per cercare di ricordare cosa ci fosse un attimo prima. Mi sono perso qualche fotogramma della mia esistenza, chi ha operato questo Director’s Cut? Ecco, la visione della foto di Jeanine Stiler ha l’efetto di una mareggiata. La posa provocante, lo sguardo profondo, una bellezza di quelle liete di lasciarsi stropicciare, perché proprio la stratiicazione degli stropicciamenti ne è la principale forza d’attrazione. «Ehi maschio, io me la sono vissuta la vita, e tu?». Ecco cosa dice quello sguardo. E so che da molte parti la bellezza di Jeanine Stiler verrebbe etichettata come volgare. Un’opinione che potrebbe anche essere accolta, se si facesse però la cortesia di spiegare il concetto di volgarità associato a questo tipo di bellezza. Perché scavando si scopre che, sovente, a etichettare come volgare una bellezza femminile sono soprattutto altre donne. E allora forse è soltanto un umano istinto di competizione. 71
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Per certo si può dire che Jeanine Stiler sia magnetica. Non una bellezza top, ché anzi in termini di pura estetica si troverebbe molti punti da criticare: lineamenti duri, viso rotondeggiante, trucco un po’ troppo marcato. E anche guardando alla sua silhouette, la signora Stiler susciterebbe le perplessità degli esteti. Mostra infatti quel grado di burrosità che sta proprio sul limitare del cedimento alla grassezza. Basta un ultimo eccesso e quel conine viene oltrepassato, forse senza possibilità di ritorno. E però il vero talento è stare a danzarci, su quel conine. Le virtuose della taglia 40 hanno una minima idea di quale fatica e quanta applicazione servano per essere un tripudio di sensualità all’altezza delle taglie 44/46? Ne avessero una minima idea, la pianterebbero di mostrare quelle faccette mistiche e quelle boccucce a culetto di pettirosso mentre ciucciano dalla cannuccia i loro green smoothie a base di mela, carota e sedano. Perché, avendo la disciplina che serve, è facile essere belle nell’esilità. Basta levare, e agire come un qualsiasi ministro delle inanze da governo tecnico che risolve il problema dei conti pubblici usando il Morsetto Yellen dei tagli lineari. Provate a essere belle non già levando, ma mettendo. Un altro po’, e ancora, e ancora. Ma sempre stando attente a non mettere un po’ più di quanto serva. E a quanto ammonta questo quanto serve? Eh, saperlo! Esistesse la formula, anche voi chiappette-a-sottiletta la usereste, invece 72
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di stare a tirarvela come ninfette sopravvissute a Chernobyl. E invece trattasi di puro empirismo corporeo. Sareste disposte a correre il rischio? Figurarsi. Insistete piuttosto a ciucciare i vostri Green Smoothie e imparate da Jeanine Stiler, che nei suoi -anta deve inliggersi sacriici molto più draconiani dei vostri, per continuare a essere desiderabile mettendo. Da qui il primo saggio della superiorità estetica della Milf, e il motivo del suo essere al centro dell’immaginario erotico alimentato dal maschio eterosessuale medio. La Milf è una donna generosa verso chiunque altro perché è generosa innanzitutto verso se stessa. Tornando alla igura di Jeanine Stiler si può dire che essa, in termini puramente estetici, sia la Milf Emblematica. Gli sceneggiatori di American Pie non avrebbero potuto scegliere meglio dovendo, nel vero senso della parola, dare corpo alla fantasia maschile dopo essere pure riusciti a darle un nome. Ma se si deve allargare il raggio alla valutazione complessiva del proilo di Milf, ecco che la igura di Jeanine Stiler mostra tutti i propri limiti. Che non sono limiti intrinseci ma piuttosto, parafrasando Jessica Rabbit, quelli che gli sceneggiatori di American Pie hanno voluto attribuirle. E nello schema narrativo demenziale, infarcito di ironie becere, la igura di Jeanine Stiler non poteva che essere tratteggiata in modo pecoreccio. Ne sortisce la igura di una donna sessualmente vorace, pronta a far sesso alla prima 73
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occasione, anche con un amico del iglio. I suoi meeting sessuali con l’imbranato Paul Finch (interpretato da Eddie Kay homas) sono uno dei ili conduttori della saga. Il ragazzo che discetta di ilosoia, ma ha scarsissima capacità di attrarre le coetanee, perde la verginità su un tavolo da biliardo dopo essere stato assaltato dall’esuberante signora. Tutto ciò avviene mentre in sottofondo parte come colonna sonora una cover di Mrs. Robinson, e quando il giovane Finch raggiunge l’orgasmo urla: «Mamma-di-Stiler!». La situazione si ripete in American Pie 2, quando Jeanine carica in auto il giovane Finch e lo porta a fare sesso su una collinetta vicino alla spiaggia, intanto che si difonde un’altra volta la cover del brano di Simon e Garfunkel. Ciò che aiuta a spiegare come mai, nel post di Visually in cui RJohnP ricostruisce una genealogia della Milf, venga indicata la signora de Il laureato come capostipite della militudine. La scena è ripresa dall’esterno dell’auto, che si muove ritmicamente intanto che Finch chiama inalmente la signora per nome: Jeanine. Lei invece lo sollecita a chiamarla Mamma-di-Stiler», e a quel punto arriva l’orgasmo con tanto di antifurto dell’auto che entra in azione. Questo non sarà l’ultimo incontro fra la Milf e il giovane che, nonostante l’accumularsi delle esperienze sessuali, non smette d’essere un totale imbranato. Per inciso, alla saga delle avventure sessuali tra Finch e Mamma Stiler va aggiunta un’appendice, 74
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che è una vendetta concessa dagli sceneggiatori a Stiler iglio. Succede nel quarto episodio della saga, American Pie. Ancora insieme. In quell’episodio Steve Stiler, ormai consapevole di ciò che succede fra la madre e l’amico, s’imbatte nella madre di Finch e la scopre licenziosa non meno che la propria. I due iniranno a fare sesso sul campo di Lacrosse, così assecondando una passione giovanile di Mamma-di-Finch per questo sport e soprattutto per i ragazzi che lo praticano. Evitate di scorrere la lista dei commenti al video di questa scena che in versione italiana è presente su youtube. Potreste restare sconcertati non tanto dal livello del dibattito, quanto dal pensare che ciascuno di quegli utenti ha diritto di voto esattamente come voi. Volete davvero avere la misura di quale mondo di merda stiate abitando? Meglio tornare a rilettere sulla igura della Milf e sull’immagine monodimensionale che ne sortisce attraverso la rappresentazione fatta da American Pie. Tanto nella versione Mamma-di-Stiler, quanto in quella più fugace di Mamma-di-Finch, si manifesta il proilo d’una cacciatrice sessuale di giovani maschi, che non va per il sottile nemmeno qualora capiti che quei giovani maschi siano anche amici dei loro iglioli. È questa una versione molto parziale della Milf, buona giusto per la iction porno o per quella demenziale e volgarotta alla American Pie. Una raigurazione per niente ediicante. E l’aspetto non ediicante non sta nel 75
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fatto che la igura così descritta sia contrassegnata da un’esuberanza sessuale pressoché incontrollabile, o che le sue mire si rivolgano a maschi più giovani. Ché se fosse per questi aspetti, allora dovremmo passare in rassegna gli analoghi atteggiamenti maschili, sia in materia di governo degli ormoni che di caccia a femmine acerbe. La comparazione non sarebbe afatto onorevole e perciò, come si dice nel Sud Italia, «meglio levarci subito le mani». È un altro il motivo che rende poco ediicante sifatta rappresentazione della Milf, che è un proilo molto più complesso di quanto vorrebbe la caricatura da cinema XXX Rated o da ilm demenziale. Ridurla al proilo della madre sessualmente disponibile e a caccia di giovani maschi signiica compiere un’opera di mortiicazione. E a subire tale mortiicazione non è la igura della Milf, ma piuttosto l’angusto sguardo di chi ne dà una rappresentazione tanto limitata. La pochezza è come la bellezza: negli occhi e nella mente di chi la guarda. Al di là di questa infelice rappresentazione, c’è che le vicende di Mamma-di-Stiler e Mamma-di-Finch, e l’irresistibile attrazione che le due mamme provano per gli amici dei iglioli, avrebbero meritato d’essere prese un po’ più sul serio. Ovvio che l’atmosfera della saga di American Pie sia quella che è, sicché era impossibile chiedere di spingersi verso terreni minimamente siorati dal raggio della rilessione intellettuale. E tuttavia le avventure sessuali delle mamme con gli amici 76
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dei iglioli possono essere estrapolate, come se si trattasse di fare uno spin-of. Il cui titolo potrebbe essere: Mamma-di-Stiler, Mamma-di-Finch e il Vero Complesso di Giocasta. Una sceneggiatura psicanalitica, ma condotta con tono lieve. Nulla a che vedere con atmosfere soporifere stile di In Treatment, serie tv che già demoliva i testicoli del telespettatore nella versione originale Usa, ma che in compenso nella versione italiana interpretata da Sergio Castellitto glieli afettava à la Julienne. E si tratterebbe di una sceneggiatura cui tocchi pagare il giusto tributo a un segmento di Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, l’opera che ispira il titolo di questo libro. Nello speciico, il segmento coincide col secondo paragrafo della prima parte, dedicato al «punto di vista psicanalitico». Lì Simone de Beauvoir demolisce la psicanalisi freudiana con un argomento tanto semplice quanto incontrovertibile: è totalmente pene-centrica. Tutto un ragionare (maschile) intorno al proprio obelisco. C’è il padre col suo pene fertilizzatore, e c’è il iglio col suo pene rampante in cerca di sovversione. La si sarebbe potuta risolvere con un bel duello di mazze-laser come in Balle spaziali, la parodia di Guerre Stellari. E invece no. Perché nella psicanalisi freudiana, oltreché all’uccisione del padre, bisogna anche lanciarsi alla conquista della madre alimentando una relazione ch’è incestuosa a livello latente. Da lì il complesso di Edipo, che tutti quanti saremmo condannati a vivere in 77
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modo più o meno esplicito. E per carità, non parliamo della crudele sorte toccata alle iglie femmine (formula che è una ridondanza, lo so, ma non c’è modo d’evitarla): per loro ci sono l’invidia del pene nei riguardi del fratello maschio (vedi sopra) e il Complesso di Elettra nei confronti del babbo. Che a sua volta, poveròmo, se soltanto avesse saputo che inseminando andava a scatenare tutto ’sto casino si sarebbe serenamente consegnato alla vasectomia. A ogni modo, coi complessi non ci si ferma a quelli di Edipo e Elettra, né al magistero intellettuale di Sigmund Freud. Perché è stato dato al mondo anche il Complesso di Giocasta. E a teorizzarlo non è stato il padre della psicanalisi, bensì lo svizzero Raymond de Saussure. Che a sua volta era iglio di Ferdinand de Saussure, il padre dello Strutturalismo Linguistico sul cui testo continuano a formarsi intere generazioni di studenti di Lettere e di Lingue Straniere. E dunque viene da dire che anche De Saussure junior dovette avere qualche problema di padre ingombrante. Resta il fatto che il contributo di Raymond de Saussure metta al centro la igura della madre di Edipo, dalla quale vengono distillati gli aspetti relativi al desiderio sessuale della madre nei confronti del iglio. Un desiderio che può essere non soltanto espresso attraverso l’atto incestuoso (che rimane una manifestazione estrema, anche perché neutralizzata dal radicamento di un tabu prima ancora che dai divieti normativi), ma anche sublimato 78
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attraverso ogni altra forma di morbosità nel rapporto fra madre e iglio. Lo stesso De Saussure ne dà un’interpretazione che si distacca dalla prospettiva primaria del rapporto incestuoso, per virare su un costrutto più soisticato. Tale costrutto parla dell’attaccamento morboso della madre verso il iglio particolarmente intelligente, specie se questa condizione si associa a una igura di marito/ padre evanescente o assente. Resta la struttura di un rapporto che si cementa in una claustrofobica diade, e inisce per tagliare fuori tutto il resto del mondo. In casi del genere scattano meccanismi in cui il rapporto di protezione mostra tutta la propria ambivalenza. Perché è evidente che il soggetto protetto sia il iglio e quello proteggente sia la madre. Ma poi, andando appena oltre la supericie, si può scoprire che sia la madre il soggetto maggiormente bisognoso di quel rapporto di protezione. E che l’atto di proteggere l’altro possa essere una risposta alla fragilità personale tanto quanto la ricerca di altrui protezione. Ecco che allora il rapporto di protezione viene a strutturarsi non già come assicurazione data da un soggetto stabile a un soggetto fragile, ma piuttosto come la somma di due diverse fragilità: una fragilità esperta e disincantata che va a sorreggere una fragilità acerba e incapace di autogestione. Ovvio che non sia il caso di dilungarsi sul Complesso di Giocasta, né sulle sue diverse letture psicanalitiche riguardo alle igure della madre narcisista e del cocco di mamma. 79
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Meglio riferirne en passant, fra gli sviluppi più signiicativi, quello che ci porta dritti nello spin-of di cui potrebbero essere protagoniste Mamma-di-Stiler e Mamma-di-Finch. È quello proposto da Eric Berne, il fondatore dell’analisi transazionale, che a proposito del Complesso di Giocasta ha dato una nuova versione: «Una madre che va a letto col idanzato della iglia... quando non ha un iglio col quale esercitare il ruolo di Giocasta». A quest’ultima rappresentazione delle cose non difetta certo arditezza. E viene da dire che, seguendo questa linea di ragionamento, si arriverebbe a sdoganare persino certe condotte di Brooke Logan, il mitico personaggio della soap Beautiful. Ma al di là dell’originale variazione sul tema, la versione presentata da Berne continua a non rompere lo schema della dipendenza materna dal rapporto di protezione attiva verso il iglio maschio. Ciò che continua a fare della madre-Giocasta una igura succube del suo stesso potere di tutela. E proprio qui s’inserisce il potenziale rivoluzionario delle imprese sessuali condotte da Mamma-di-Stiler e da Mamma-di-Finch, che si trovano in una posizione rovesciata rispetto alla mamma-Giocasta descritta da Berne. Quella sofre la mancanza del iglio di sangue e perciò orienta le proprie attenzioni su quel iglio surrogato che è il idanzato della iglia. Che dal canto suo, poveraccia, piglia schiai ovunque si giri: invidia del pene verso il Brother, Complesso di 80
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tra verso il Daddy, e Complesso di Cervia verso la Mom. Altri parenti serpenti ne abbiamo? Invece le due madri di American Pie, a diferenza della madre-Giocasta tratteggiata da Berne, hanno dei igli di sangue. E dunque, fra tutte le soferenze possibili della loro vita quotidiana non c’è quella legata all’assenza di protezione attiva. Piuttosto è vero il contrario: che esse sofrano di dover continuare a erogarla, quella protezione attiva. Quando invece si sarebbero rotte abbastanza di doversi fare ancora carico di quei bambocci invertebrati, di quegli insopportabili eunuchi d’allevamento. In tali condizioni, altro che crisi da carenza di contatto. Mamma-di-Stiler e Mamma-di-Finch sarebbero ben liete di reciderlo una volta per tutte. E non potendo farlo in modo deinitivo, ecco che compiono un gesto di ribellione ch’è anti-freudiano perché ne rovescia del tutto la prospettiva: l’uccisione del iglio. Simbolica come quella del padre, s’intende. E condotta con un atto liberatorio che è pura emancipazione. Portare a letto uno degli amici, e dimostrare al rampollo che un ometto potenzialmente smidollato quanto lui può dare una sonora ripassata alla mamma, dimostrandosi adulto. E quindi che si dia una mossa pure lui a entrare nel mondo degli adulti. Ovvio che lo spin-of di cui siano protagoniste Mamma-di-Stiler e Mamma-di-Finch non troverà mai realizzazione. Non in questa forma e con questi contenuti, almeno. Ché anzi, se mai doves81
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se essere realizzato, il rischio di vedersi servire un prodotto super-trash è reale. Rimane il rammarico per la rappresentazione estremamente parziale che American Pie dà della Milf. Un’immagine di cui verrà data correzione man mano che si andrà avanti in queste pagine. Per adesso bisogna fermarsi ancora sulla igura di Jeanine Stiler. E guardare a quello che è il suo doppio: l’attrice che l’ha interpretata. 1.4. Jennifer Coolidge, Un-desperate housewife Al momento di presentare il personaggio di Jeanine Stiler ho afermato che è la Milf Emblematica per caratteristiche isiche e estetiche, ma che purtroppo il personaggio viene disegnato in modo parziale. E allora è il caso di speciicare, separando le due cose e dando a ciascuna la giusta collocazione. Per prima cosa bisogna mettere da una parte Jeanine Stiler. Che dal canto suo, a un dato momento, prende un percorso alternativo. Intrattenuti tre meeting sessuali con Finch (dopo il tavolo da biliardo e il car sex, nel terzo episodio la location è una vasca da bagno), nel quarto episodio Jeanine cambia target generazionale. In American Pie - Reunion (tradotto in italiano con la formula Di nuovo insieme), Mamma-di-Stiler 82
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de una relazione col padre di Jim Levenstein, il personaggio principale della saga cinematograica nonché amico del iglio di Jeanine. Certo, il suo raggio d’azione e d’attrazione rimane entro la cerchia delle persone riconducibili al iglio, ma almeno il target generazionale cambia drasticamente. Dai igli ai padri. E questo è già un segnale di controtendenza rispetto allo stereotipo della Milf che era stato disegnato. Inoltre, la scena più citata di questo rapporto fra Mamma-di-Stiler e Papà-di-Levenstein raigura una fellatio praticata nel buio d’una sala cinematograica, mentre la vaschetta maxi dei popcorn ballonzola come se fosse un cappello da Mago Merlino. Ribadisco: non è che dagli sceneggiatori di American Pie ci si potesse aspettare tanto di meglio, dunque è inutile formalizzarsi. La seconda cosa da fare è esaminare come caso a sé la igura dell’attrice che presta la igura a Jeanine Stiler, quella che ho etichettato come la Milf Emblematica dal punto di vista del proilo isico: Jennifer Coolidge. Classe 1961, nata a Boston, Jennifer Coolidge deve grossa parte della propria notorietà proprio al personaggio di Mamma-di-Stiler. Ma ha interpretato anche altri ruoli signiicativi, soprattutto in serie televisive come Joey (uno spin-of di Friends) e Glee. Per quanto riguarda la sua dimensione biograica, va segnalato che nell’album di famiglia trova spazio anche il trentesimo presidente degli Stati Uniti, Calvin 83
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Coolidge, che guidò il Paese tra il 1923 e il 1929. Sul piano estetico, Jennifer Coolidge è il modello della Milf sul quale si potrebbe trovare un consenso generalizzato. Nel senso che ciascun maschio eterosessuale medio ha la propria idea a proposito di cosa sia una Mother I’d Like to Fuck, e di quali ne siano le caratteristiche isiche e estetiche. Ma se si deve presentare la igura della Milf che sia un punto di sintesi fra le n versioni di ciascuno, ecco che Jennifer Coolidge si presenta come il più eicace punto d’equilibrio. Sicché pare non essere soltanto un caso che la parola appena battezzata sia anche stata associata a lei. Ma non è ancora tutto. A dare un tocco di grande impatto simbolico, per l’assunzione del ruolo di Milf Emblematica, è un altro passaggio di carriera. Che certo Coolidge dovette vivere come uno smacco, ma che visto dalla nostra angolazione sembra quasi un esito predestinato: la mancata inclusione nella squadra delle Desperate Housewives. Jennifer Coolidge, la mitica Mamma-di-Stiler, è stata in corsa ino all’ultimo momento per assumere il ruolo di Lynette Scavo. Cioè della più sacriicata fra le Casalinghe Disperate della serie televisiva. La brillante pubblicitaria che sposa Tom, un collega di lavoro meno talentuoso di lei, e che per prendersi cura d’una masnada di igli cresciuta ino a cinque decide di mollare la professione. Quel ruolo viene assegnato a Felicity Huffman, che per inciso è anche la meno attraente 84
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delle quattro. E in questo caso il giudizio non è personale, ma ampiamente condiviso. L’unico, se si tratta di stilare l’ordine gerarchico delle Casalinghe Disperate riguardo alla loro avvenenza. Perché quando si tratta di assegnare gli altri tre posti in graduatoria, ci si può imbattere in giudizi sorprendenti. A partire dal mio, che di Desperate Housewives sono stato spettatore assiduo per le prime cinque stagioni. Poi stop, perché le serie televisive non sono come le soap opera. Prima o poi devono arrivare al punto e basta. E invece la pressione a aggiungere una stagione dopo l’altra, per mere e bieche esigenze commerciali, inisce per disarticolare l’architettura della narrazione e ridurla a una penosa burletta. Ciò che si perdona alle soap, che per deinizione non hanno tempo e perciò non richiedono allo spettatore un impegno assiduo in termini intellettuali e emotivi. Ma alle serie televisive no, non lo si perdona. Perché la promessa di qualità è ben altra, e non va tradita per nessun motivo. Esigenze di cassetta comprese. Tornando alla questione della graduatoria, se si desse retta agli indici di popolarità e di copertura mediatico-pubblicitaria assegnati all’attrice che interpreta il ruolo, verrebbe da sé che il primato spetti a Gabrielle Solis, il personaggio cui dà vita Eva Longoria. E invece, per quanto mi riguarda, assolutamente no. Gabrielle Solis-Eva Longoria non è la prima. «Preferisco la carne», diceva un mio compa85
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gno di liceo classico cui rubo la citazione, e Eva Longoria ne è piuttosto avara. Inoltre, se la mettiamo nei termini della pura bellezza, non la trovo nemmeno particolarmente signiicativa. Non mi ispira il senso di contemplazione delle bellezze calligraiche, ma nemmeno fa sangue come una Milf. In molte sue espressioni la trovo pure dozzinale. Una vaiassa appena ripulita, dalla quale non tirerai mai fuori il mood del vicolo dall’anima. Dunque, nella mia classiica personale Gabrielle Solis-Eva Longoria non è la prima. Non credo che ci perderà il sonno, ma non è questo il punto. Il fatto è che l’attrice latino-americana non è nemmeno la seconda in classiica. Si piazza al terzo posto, e cara grazia che non vi sia stato un altro personaggio nella squadra delle Desperate Housewives a farla retrocedere. Perché se si allargasse il raggio agli altri personaggi femminili del serial, ecco che la povera Gabrielle-Eva continuerebbe a retrocedere. Fuori d’ogni dubbio la annichilirebbe Edie Britt, la cougar interpretata dalla britannica Nicolette Sheridan. Che con dodici anni d’età in più (classe 1963 contro classe 1975) straccia Eva Longoria. Ma la surclasserebbe anche Katherine Mayfair, presente a partire dalla quarta stagione della serie e interpretata da Dana Delany. Quest’ultima, con ben diciannove anni in più (1956 contro 1975) maramaldeggia su Eva Longoria, e inoltre mette in mostra una straordinaria igura da Milf nella serie televisiva Body 86
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of Proof. Arrivo a dirvi che persino Mary Alice Young, il personaggio assente della serie, stravince su Gabrielle. Si tratta dell’amica che si suicida, e che con tale gesto estremo fa partire la narrazione della serie lasciando le quattro amiche Disperate a macerarsi nei sensi di colpa. A interpretare quel (non) ruolo è Brenda Lee Strong, l’ex star del serial Dallas nata a Portland (Oregon) nel 1960, quindici anni prima di Eva Longoria. Una di quelle donne per le quali non è esagerato usare il superlativo bellissima. Dunque, buon per Gabrielle-Eva che la squadra delle Casalinghe Disperate si riduca a quattro. E ribadisco che si sta parlando di gusti personali, ma cionondimeno ritengo che Gabrielle Solis rimanga parecchio indietro a Bree Van de Camp, la mamma perfettina e perbenista interpretata dalla splendida rossa britannica Marcia Cross. Che ha dodici anni in più di Eva Longoria e nonostante ciò le strappa il secondo posto. Il primo appartiene invece, e in modo indiscutibile, a Susan Mayer. Il personaggio più irritante dell’intera serie, mirabilmente etichettata come «dramma-dipendente» da una poliziotta stufa di stare a sentirne i piagnistei. Ma volete mettere la bellezza di Teri Hatcher, l’attrice che le presta immagine? Californiana di Palo Alto, classe 1964, Teri Hatcher ha in più di Eva Longoria undici anni e un fascino soverchiante. Si aggiunga che, come personaggio pubblico, ha avuto la forza di parlare coi media degli abusi su87
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biti in giovanissima età da parte di uno zio. Ciò che ha dato un ulteriore tocco di umanità alla sua igura. Mi è parso necessario fare una rassegna delle Desperate Housewives per almeno due motivi. Uno, di minore importanza, riguarda la messa in chiaro dei miei gusti estetici in materia di housewives. Un minimo di parametri bisogna pur darlo, ché altrimenti risulta diicile comprendere l’idea di Milf che l’autore ha in mente. L’altro, davvero indispensabile, sta nel fatto che bisognasse rimarcare quale sia il contesto della storia e dei personaggi in cui Jennifer Coolidge non è stata inserita. Si tratta di quattro personaggi femminili che compongono un campionario abbastanza assortito in materia di pregi, difetti e nevrosi femminili. Di sicuro nessuna di loro comunica l’idea della Milf. Non a me, almeno. Non la comunicano in termini estetici, nel senso che proprio non mi riesce d’applicare l’etichetta di Milf a una delle quattro protagoniste della serie. E anche se si guarda alle gesta, non vi sono passaggi particolarmente signiicativi. L’unico elemento che possa richiamare della militudine sarebbe la relazione extraconiugale di Gabrielle Solis col giovane giardiniere, messa in scena durante le prime due serie. Ma davvero si tratta di una situazione tirata per i capelli, che sa più di schema «moglie insoddisfatta con toy boy». Una variante fra le numerose, che se presa in considerazione per spiegare la 88
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gura della Milf avrebbe il solo efetto di rinforzare lo stereotipo della cacciatrice di giovani maschi. Uno stereotipo che porta fuori strada. Tutto ciò detto, è sensato chiedersi cosa mai ci azzeccasse Mamma-di-Stiler in un contesto come quello di Wisteria Lane, il quartiere residenziale in cui si svolgono le vicende delle Desperate Housewives. E rimarco che proprio alla igura di Mamma-di-Stiler bisogni fare riferimento, e che forse questo elemento è stato decisivo nella scelta di preferirle Felicity Hufman. Ovvio che la mia sia una speculazione, e tuttavia basta fare una veloce rassegna cronologica per rendersi conto che tale speculazione abbia buoni motivi per ritenersi fondata. Negli Usa la prima stagione di Desperate Housewives viene messa in onda nel 2004. E per quanto possano essere stati lunghi i tempi di produzione, diicile pensare che fra il momento della messa in onda e quello del casting siano passati più di due anni. E dunque si andrebbe al 2002. Ma se anche si rimontasse al 2001 perché sono stati impiegati tempi pachidermici, o al 2000 perché quelli della produzione erano proprio dei bradipi con l’artrite, resta che il primo episodio di American Pie sia datato 1999. E dunque Jennifer Coolidge era già Mamma-di-Stiler, nonché prima destinataria dell’etichetta di Milf nella storia universale. E avrebbe continuato a esserlo col secondo episodio della saga datato 2001, e col terzo datato 2003. Poteva, un’attrice così conno89
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tata, assumere il ruolo di una qualsiasi fra le quattro Casalinghe Disperate, tutte quante afette da forme più o meno patologiche di conformismo? Certamente non avrebbe potuto assumere quello di Lynette Scavo, per il quale pure era stata in lizza. Ma ve l’immaginate Jennifer Coolidge nel ruolo della donna che decide di sacriicare la carriera per mettere al mondo un’epidemia di marmocchi? Un falso ideologico, totalmente privo di credibilità. Ma nemmeno i ruoli delle altre tre Casalinghe Disperate sarebbero stati nelle corde di Mamma-di-Stiler. Semplicemente, Coolidge sarebbe stata improponibile per quella iction. Lo era probabilmente per i produttori, che possono avere trovato ingombrante il personaggio Jennifer Coolidge e tutto ciò che si portava dietro dopo American Pie. Inserire nella serie un’interprete così caratterizzata avrebbe creato nel pubblico aspettative ben precise rispetto all’intera storia, con l’efetto di falsare sia il giudizio preventivo che quello ex post. Nel giudizio preventivo, parte del pubblico avrebbe potuto pensare che una iction di cui fosse protagonista anche Mamma-di-Stiler fosse di genere comico tendente al trash, anziché quel mix di commedia e dramma che era nei piani di sceneggiatori e produttori, e perciò avrebbe potuto scegliere di snobbarlo. Nel giudizio ex post, invece, molti spettatori attratti dalla igura di Jennifer Coolidge per come è stata resa nota da American Pie avrebbero potuto 90
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manere delusi da una versione della diva e da un tono della iction del tutto diversi rispetto a quelli attesi. Era dunque inevitabile che le cose andassero come sono andate. Inevitabile e opportuno, per quanto mi riguarda. Perché Jennifer Coolidge non ha nulla a che vedere con l’universo umano e narrativo di Wisteria Lane. Non ha il isico del ruolo, in tutti i sensi. E con questo intendo dire che sia la iction a non essere it per lei, e non viceversa. Fra l’altro, immaginate quale potesse essere l’impatto di Jennifer Coolidge in quel microcosmo formato da Gabrielle Solis, Susan Mayer e Bree Van de Kamp. Penso proprio che si sarebbe trattato di una presenza soverchiante. Le avrebbe oscurate. Ma comunque sia, arruolarla come personaggio di quella iction sarebbe stato inopportuno soprattutto per lei. Che come donna è l’immagine della forza vitale, e non meritava in nessun modo di diventare una Miss Piagnisteo. Una Milf e una Desperate Housewife stanno agli antipodi. 1.5. Un’invenzione maschile? «Guarda che la igura della ninfomane non esiste. È soltanto un’invenzione maschile». Opinione di un’amica raccolta una ventina di anni fa. Visione corretta delle cose? Non sarei ancora in grado di rispondere. Come maschi 91
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inventiamo parecchie cose, e per buona parte implausibili. E dunque ci sta che la igura della donna in preda a inesauribile desiderio sessuale sia davvero soltanto un frutto della nostra immaginazione. Del resto è stato proprio un maschio, che di professione faceva il medico nel secolo Diciottesimo, a coniare il termine. Si chiamava Jean Baptiste Louis de Tesacq, meglio noto come J. T. D. de Bienville, e nel 1771 diede alle stampe un trattato dal titolo La Ninfomania, ovvero: Trattato sul furore uterino. E la formula del furore uterino suona mica male. Il dottor de Bienville le conferì un senso patologico, e invece a me suona come l’espressione d’uno spirito guerriero e vendicativo. Una roba da super-eroina fetish, tipo Wonder Wulva, la iammeggiante vendicatrice d’ogni oppressione femminile perennemente in guerra col suo nemico giurato, il Van Helsing della lotta contro la ninfomania: il dottor Gino Canesten. Ma come ormai avrete capito la mia sanità mentale è quella che è, dunque meglio tornare alla igura della ninfomane e all’ipotesi che si tratti di un’invenzione maschile. Che poi è anche un modo per rispondere all’interrogativo posto in apertura di questo capitolo: e se la Milf fosse un’invenzione maschile? Senza dubbio si può dire che non esista un’altrettanto difusa parola maschile per designare la medesima predisposizione, né una igura difusamente riconoscibile nel discorso quotidiano. Per 92
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una minoranza di persone colte ci sarebbe la igura del satiro, che nella mitologia greca indicava un semidio del corteo di Dioniso, e che nell’accezione moderna è un uomo incapace di controllare gli istinti sessuali e perciò li esprime in modo appariscente e sbracato. Ma quanto è conosciuto questo signiicato di satiro? E quanti usano o sarebbero in grado di spiegare il termine satiriasi? C’è dunque un vuoto nel vocabolario d’uso popolare, che è anche un deicit nella rappresentazione della gamma di igure sessuali circolanti. Magari la soluzione sarebbe chiamare «ninfomane maschio» la igura in questione. I puristi storceranno il muso, ma lo faranno non più di quanto farebbero sentendo parlare di «eunuco femmina». Non potrebbero certo negare l’esistenza di maschi sessualmente tarantolati, nonché teleguidati dalle vibrazioni pubiche come fossero impulsi di un GPS. Personalmente non avrei diicoltà a indicarne una decina, conosciuti nel corso degli anni. Se uno qualsiasi fra costoro venisse etichettato, da parte femminile, come satiro o ninfomane maschio, chi da parte maschile si solleverebbe a confutare questa deinizione? Chi si sentirebbe di sostenere che quella igura sia soltanto un’invenzione femminile? Detto questo, aggiungo che probabilmente l’amica di un tempo intendesse dare un senso più complesso alla sua afermazione. Penso non volesse negare del tutto che esistano donne 93
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dall’insaziabile desiderio sessuale, tanto più che un congruo numero di casi empirici starebbero lì a confermarlo. Più probabile che la sua tesi sulla ninfomane come invenzione maschile guardasse al potere simbolico di etichettamento e stigmatizzazione, che rimane appannaggio maschile. La tesi sarebbe che il dominio maschile nel distribuire le patenti di moralità sessuale rimanga indiscussa. E se il ragionamento è questo, nulla da eccepire sulla sua correttezza. Lo stesso paragone fra la percezione sociale della igura della ninfomane e quella del satiro o ninfomane maschio sta lì a dimostrarlo. La prima si vede appiccicare un’etichetta che è puro stigma, e deve fare i conti con questa connotazione negativa di cui subirà le conseguenze negative soprattutto all’interno delle cerchie relazionali femminili. Al secondo viene invece riservata una certa indulgenza, e anzi in talune cerchie relazionali maschili egli potrebbe vedere accolto questo tratto del carattere come un elemento percepito e narrato positivamente. Ma quale sarebbe la diferenza psicologica e comportamentale fra le igure femminili e maschili della ninfomania? All’osservazione esterna, e fatti salvi tutti i tratti speciici e irripetibili della personalità che ciascuno si porta dentro, nessuna. Per questo non è vero che la ninfomane sia un’invenzione maschile nella stessa misura in cui il satiro o ninfomane maschio non sarebbe un’invenzione femminile. È invece vero che la ninfomane e la 94
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fomania siano due stigmi prodotti dal potere simbolico maschile. E in termini generali, non credo s’inventi mai nulla quando si tratta di etichettare qualcuno o qualcosa. Si tratta solo di afermare delle rappresentazioni della realtà, e imporle da quel momento in poi come se fossero delle verità di fatto, e successivamente una fotograia dell’ordine naturale delle cose. Tenendo conto di tutto quanto è stato detto sulla igura della ninfomane possiamo chiederci a questo punto: ma la Milf è un’invenzione maschile? E per logica conseguenza la risposta sarebbe no, che non c’è invenzione della Milf in quanto igura della sessualità femminile nella stessa misura in cui non c’è stata a proposito della ninfomane. Ma l’interrogativo richiede una risposta più complessa del mero «no». Anche perché, come si è detto all’inizio e come si tornerà a speciicare fra poco, quella di Milf è un’etichetta peculiare. Non ha alcuna relazione con caratteristiche intrinseche del soggetto etichettato, ma piuttosto con una proiezione di desiderio da parte dell’etichettatore. E proprio tale elemento proiettivo autorizzerebbe la tesi dell’invenzione. Se parliamo di una donna qualiicandola come ninfomane, e indipendentemente dal fatto che quell’atto di qualiicarla sia giustiicato dalle circostanze e dagli atti, facciamo comunque riferimento a condotte o a tratti del carattere che riteniamo siano suoi. Se invece parliamo di una 95
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«madre che vorrei scopare» facciamo riferimento all’atteggiamento di qualcun altro verso la donna etichettata, che a sua volta può esserne del tutto inconsapevole. Ecco perché questo è un caso nel quale potrebbe essere corretto parlare di invenzione maschile. Ma neanche stavolta le cose stanno così. Perché sarà vero che la Milf diventa riconoscibile come tale nel discorso pubblico quando qualcuno inine decreta l’esistenza del suo nome, e che a decretare l’esistenza di quel nome sono soggetti maschili, ma è altrettanto vero che, prima di registrare la difusione universale del termine, l’idea di Milf fosse profondamente radicata nell’immaginario erotico maschile. E dunque tutto ciò raforzerebbe la tesi dell’invenzione maschile. Ma anche in questo caso non è così. La igura della Milf, indipendentemente da quale sia l’esatto momento della sua denominazione e da chi sia stato a denominarla, preesiste a qualsiasi attività intenzionale del maschio eterosessuale medio. Ha visto deinire i propri contorni man mano che le forme del desiderio maschile si sono rainate rispetto allo stato indistinto e generico dell’attrazione verso l’altro sesso. Che questa igura femminile venga a maturazione adesso, nella predisposizione maschile a pensarla, è un tema che meriterebbe vasta indagine socio-antropologica. Ma credo che ancora non siano maturi i tempi, perché al momento parlare di Milf signiica ancora riferirsi a un soggetto categorizzato 96
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a partire dal desiderio sessuale, e per di più falsato da una tara che proviene dal cinema porno. Servirà del tempo, prima che si compiano i passi necessari a degniicare il concetto. E forse a quel punto bisognerà anche coniare una parola nuova, ché questa inevitabilmente rimanda a signiicati osé. Qui si può soltanto provare a porre le premesse per il lavoro di ricerca e rilessione, ofrendo delle tesi che altri troverebbero interessanti da approfondire o altrimenti bocciare senza appello. E la tesi che qui assumo rimanda al mito del matriarcato, e alla nostalgia inconsapevole verso quell’ordine sociale forse mai esistito, ma che cionondimeno molti di noi maschi eterosessuali medi ci portiamo dentro. La igura della Milf è il perfetto distillato di quell’immaginario. Dunque non un’invenzione maschile. Piuttosto, una categoria profonda e originaria delle relazioni fra i due sessi, e talmente radicata da imporsi all’immaginario erotico maschile e costringerlo a farsi pensare. La Milf non è un’invenzione maschile. La Milf è l’approssimazione, verbalmente grossolana, della donna nella sua completezza per come noi maschi eterosessuali medi riusciamo a elaborarla. Ma prima di elaborare quella igura, dobbiamo fare esperienza del mondo femminile e percepirne la complessità. Chiamandola Milf non abbiamo creato nulla. Piuttosto, abbiamo speso secoli a cercare la parola per dirlo, e inine abbiamo approntato un acronimo grossolano. 97
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Chiediamo venia, ma più che questo non abbiamo saputo fare.
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Capitolo 2 L’essenza della milfitudine
Rimane ancora da capire cosa sia una Milf. Fin qui molto si è discettato sull’origine della igura a partire dall’accidentato percorso che ha portato a deinirne il nome. Però non è stata tracciata una lista delle caratteristiche essenziali, che permettano di distinguere la Milf dai molti altri proili femminili prodotti in tempi recenti dalla smania d’etichettamento. L’unico punto fermo sta nel fatto che tale proilo sia l’efetto di una proiezione dell’immaginario erotico maschile, anziché basarsi su caratteristiche intrinseche del soggetto etichettato. In realtà, una caratteristica intrinseca ci sarebbe e andrebbe rintracciata nella prima lettera dell’acronimo: la M di Mother o Mum. Dunque per deinizione la Milf sarebbe una madre, e ciò signiica che la donna cui viene attribuito questo nome debba aver già messo al mondo dei igli. 99
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Ma in verità nemmeno questo connotato è sicuro. Se si guarda al modo allegro di distribuire l’etichetta ci si accorge che il prerequisito della maternità non viene osservato in modo rigoroso. E nemmeno io, francamente, lo trovo così tassativo. Forse sarebbe più corretto sostenere che una donna venga etichettata come Milf perché si ritiene abbia un’età da madre. Un’interpretazione che mi pare già più corretta. E se si prende per buona questa interpretazione, ecco che viene a sparire l’ultimo parametro oggettivamente veriicabile per l’applicazione del proilo di Milf ai casi concreti. Inoltre, il richiamo al concetto di età da madre inserisce un ulteriore elemento di complicazione. Perché si tratta di un concetto che al giorno d’oggi è fra i più aleatori. Abbiamo visto slittare talmente in avanti l’età della prima maternità da meravigliarci quando ci imbattiamo in una mamma under venticinque. Quanta fretta, ragazza! Non avevi da spendere meglio gli anni più belli della tua gioventù, tra curricula consegnati come messaggi in bottiglia alle agenzie di lavoro interinale, stage non pagati trascorsi alla fotocopiatrice, e porno-meeting via Kik? Ecco, prendete come riferimento proprio una giovane madre ventenne, igura che oggi suona tanto anacronistica. Vi pare che un soggetto del genere possa essere etichettato come Milf? A me sembrerebbe di no. Piuttosto, una madre ventenne di oggi dà idea d’essere la persistenza di un tempo tramontato, un 100
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mento di presente archeologico. Può mai, questa soldatessa di un Esercito della Salvezza Demograica, essere una Mother I’d Like to Fuck? Penso che anche il più rozzo fra i ninfomani maschi si farebbe venire qualche scrupolo davanti a tale interrogativo. Come si fa a concupire una di queste madonnine post-moderne? Per meglio rendere l’idea di quanto complessa sia la questione del Prerequisito di Maternità aggiungo una citazione cinematograica. È tratta da Luna di Fiele, il ilm diretto da Roman Polansky tratto dal romanzo di Pascal Bruckner. Inserita in un lungometraggio datato 1992 (sette anni prima di American Pie), essa raigura un passaggio nel quale l’impenitente seduttore Oscar, interpretato da Peter Coyote, aggancia al supermercato una mamma con bambina imbracata nel carrello della spesa. La porta a casa e lì avviene la seduzione, rafigurata attraverso una scena che al cultore dell’erotismo cinematograico rimane ben impressa: il primissimo piano della mamma, ancora vestita e a faccia in giù, che si morde l’indice per non gemere di piacere, e così facendo evita di richiamare l’attenzione della piccola che poco distante siede beata sul pavimento a spargere intorno le caramelle dalla borsa. A spiccare in quel breve primo piano è l’espressione segnata dal vasto conlitto interiore della donna, che ancora nel pieno dell’atto sessuale si trova combattuta fra la debolezza della carne e la forza dello spirito. Con la debolezza che si 101
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dimostra più forte della forza, e con la forza che seppur vinta non rinuncia a alimentare il senso di colpa. La donna che si concede quell’avventura fugace può essere etichettata come Milf? Assolutamente no. Della Milf presenta giusto la M, che dovrebbe essere il prerequisito di militudine e invece ne è soltanto una variabile secondaria. Più probabile si tratti d’una Desperate Housewife, di una donna insoddisfatta della routine matrimoniale e del ruolo materno, e per questo vulnerabile alle lusinghe d’un seduttore casuale. E forse nemmeno con la predeterminazione di cedere a quelle lusinghe, nel senso che non è questione d’essere coscientemente predisposta a lasciarsi travolgere dalla seduzione inattesa. La vera questione è scoprire che, al presentarsi di quella seduzione, la propria capacità di resistenza sia zero. E quel subitaneo cedere è il motivo del conlitto interiore che devasta la donna, e la priva della pienezza di godimento. Piacere e colpa come trama e ordito. Nulla che possa essere associato alla igura della Milf. Ma lasciamo da parte la citazione cinematograica e torniamo alla nostra ipotetica mamma ventenne. Mettiamo a confronto la sua igura con quella della vostra procace collega trentacinque-quarantenne che è un tripudio di carnalità e la esibisce liberamente, con piena spensieratezza. I vostri colleghi la etichettano come una Milf, e inine lo fate pure voi. E però c’è un però: 102
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la donna non ha mai avuto igli. O forse li ha da qualche parte, nel senso che appartengono a una sua vita precedente che nel frattempo è stata stratiicata come sotto una diversa era geologica. Dunque è legittimo etichettarla come una Milf, se le manca il Prerequisito di Maternità? Penso sia questa la vera questione dirimente. E poiché sin dall’inizio si è dato per assunto che si stia parlando d’una igura nata per attribuzione dall’esterno di caratteristiche identiicanti, e non per identiicazione fatta a partire da caratteristiche intrinseche, allora non è una forzatura insistere lungo questa via e guardare alla rappresentazione piuttosto che alla realtà oggettiva. E sono ben consapevole che andando avanti di questo passo il ragionamento rischi d’essere eccessivamente apodittico, cioè fondato su categorie di verità che si legittimano da sé quando invece dovrebbero esse stesse sottoposte a vaglio preliminare. Ma credo pure che ciò sia inevitabile, laddove ci si trovi a analizzare le rappresentazioni collettive. Che sono oggetti molto delicati da trattare, e producono verità di fatto perché sono credute senza essere mai state seriamente veriicate. Ciò è quanto avviene a proposito della Milf e del modo in cui il maschio eterosessuale medio utilizza questa etichetta per qualiicare una donna. Gliela attribuisce a partire dalla propria elaborazione riguardo a cosa sia una Milf, e in questo senso le conferisce quella M dell’acronimo senza curarsi che sussista il Pre103
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requisito di Maternità. E potete dare per certo che costui non conferirà mai quell’etichetta alla neo-mamma ventenne. Ma allora, se non sussiste nemmeno quell’unico connotato oggettivamente veriicabile qual è il Prerequisito di Maternità, come facciamo a identiicare la igura della Milf? La risposta è che possiamo farlo per ragionevoli approssimazioni. E che se proprio dobbiamo individuare un requisito, esso va indicato nell’avvio di una Seconda Vita. 2.1. Le gioie della Second Life La Milf non è semplicemente una madre che si concede licenze carnali. È piuttosto una donna che ha maturato una consapevolezza delle proprie scelte, a partire da quelle che riguardano le frequentazioni maschili e i loro eventuali sviluppi sessuali. Ma questo processo di maturazione richiede che si sia attraversata una prima fase della vita, in cui si matura un bagaglio di esperienze determinante per il modo con cui si accede alla seconda. Può cambiare il mood in relazione al carattere personale, o al peso delle esperienze maturate e al modo in cui sono state elaborate, o alla presenza di opportunità che consentano davvero di avvertire quel passaggio della biograia personale come se fosse una nuova stagione della vita. Di 104
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sicuro si arriva a quella soglia portandosi dentro un disincanto ch’è una tassa cui a nessuno è possibile sottrarsi. Non è detto che si debba smettere di sognare il meglio, ma per certo si ha consapevolezza che quel meglio costi il rischio di pesanti disillusioni, e che in ultima analisi siano proprio i sogni le fonti delle più dure soferenze esistenziali. Questo è il senso dell’approdo a una nuova fase della vita che dovremmo imparare a classiicare in modo diverso, rispetto ai modi soliti. Continuiamo a parlare d’una concatenazione di passaggi che portano dall’adolescenza alla gioventù, e poi alla maturità ino a approdare all’età di mezzo, e successivamente alla terza età e a quelle che succedono. Tutto un ordine sequenziale che disegna il percorso biograico come trama unitaria. Ma nel frattempo il nostro tempo privato e quello sociale sono cambiati, e contestualmente sono cambiate le stagioni della vita personale. Guardando al modo in cui avviene tale cambiamento, scopriamo che il modello di scansione del tempo biograico e di quello sociale descritto poco sopra perde presa rispetto a una realtà in mutamento. Dimostra d’essere già storia benché non ancora messa deinitivamente alle spalle. A avvicendarlo è intervenuto un nuovo modello spurio, del quale si può dare per strutturata soltanto la prima fase. Essa è data dal percorso che va dall’infanzia alla maturità e passa attraverso tappe intermedie costituite da adolescenza, gioventù e età adulta. La durata 105
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di questa prima fase varia, dato che può esaurirsi entro i venticinque anni così come prolungarsi verso il limitare dei quaranta. E da lì in poi si apre un’altra fase, che a diferenza della precedente non ha una struttura precisa e tipizzabile. Perché da quest’altra parte non si assiste più allo snodarsi di una nuova sequenza per tappe, scandita dal succedersi della mezza età, e poi della terza età, e quindi anche della quarta e di tutte le successive che volessimo numerare pur di esorcizzare il processo d’invecchiamento. E anzi, è proprio la questione dell’invecchiamento a essere cruciale per comprendere il senso del mutamento. Il suo conine viene spostato sempre più avanti, e smette di coincidere con la boa della piena maturità. Guardando al modo in cui sono cambiati il tempo biograico e il tempo sociale nella contemporaneità è possibile spiegare con maggiore eicacia il sorgere della igura della Milf. Soggetto che proprio qui e proprio adesso, nell’epoca che stiamo attraversando, si ritrova a essere denominato e riconosciuto come tale. Il mutamento in questione pone le condizioni per cui, a una prima fase strutturata del tempo biograico individuale e di quello generazionale ne succeda una seconda totalmente luida, in cui le tappe successive vengono colpite da rarefazione. E per carità, non mi si parli d’un tempo biograico e generazionale «liquido», ché ho smesso di avere Zygmunt Bauman nella rosa dei sociologi di riferimento da ben prima che diventasse il Fabio Volo 106
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delle scienze sociali. Più corretto dire che, esaurita la prima fase del tempo biograico individuale, si apra lo spazio della Second Life. Questa denominazione richiama alla memoria un ambiente virtuale che nella seconda parte degli Anni Zero era di grande tendenza, uno spazio relazionale alternativo che pareva andare incontro a una straordinaria espansione. E quanto allora fosse potente quella suggestione posso testimoniarlo personalmente, poiché proprio in Second Life sono ambientati ampi stralci del mio terzo romanzo, La memoria dei pesci, pubblicato nel 2010. Era un tempo in cui gli enti territoriali come le Regioni inauguravano uici virtuali in Second Life, e si cominciavano a sperimentare forme di didattica a distanza viste come il futuro della formazione a ogni livello. Vennero persino messi in commercio manuali per spiegare a neoiti e recalcitranti il corretto uso del nuovo ambiente virtuale. Poi, con una rapidità che rimane tuttora inspiegabile, Second Life ha fatto crash. Così come nel medesimo periodo è accaduto a My Space, il social network che pareva dovesse contendersi il primato con Facebook e invece adesso è una nicchia semi-dimenticata del web. Accedere oggi in Second Life signiica ammirare le rovine d’un futuro anteriore un po’ troppo ambizioso per poter reggere. Al di là d’ogni considerazione sulle sue fortune come ambiente relazionale completamente 107
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tuale, rimane intatta la suggestione suscitata da Second Life riguardo all’idea di una seconda vita, e dunque della rifondazione di se stessi. E tuttavia bisogna fare un distinguo. Nel caso di Second Life si trattava di vita al quadrato, che veniva ridisegnata online intanto che la vita oline proseguiva senza esserne contaminata più di tanto. Nell’ambiente virtuale ciascun utente era il proprio avatar, una versione di se stesso esteticamente eccellente perché scelta da una gamma di modelli isici maschili e femminili costruiti secondo canoni estetici estremamente esigenti, oltreché spiccatamente androgini. Rispetto a quel modello, la Second Life che si aferma nella contemporaneità non è la vita al quadrato da ambiente virtuale. Essa è profondamente radicata nella vita reale. Soprattutto, non è «l’altra vita», bensì «la vita dopo». Un’esistenza conseguente, perché legata a tutto ciò che si è veriicato nella precedente, ma capace di svilupparsi con gradi accentuati d’autonomia. È il nuovo corso di tempo biograico individuale e generazionale della post-maturità. Il che non signiica un regresso, né cedere alla tentazione della de-responsabilizzazione. Piuttosto si aferma un atteggiamento diverso, guidato da un’estetica del disincanto che è una preziosa risorsa. L’aver vissuto ino alla maturità sarà pur servito a qualcosa, e la principale utilità è quel bagaglio di esperienze che permette di separare con maggiore avvedutezza le cose positive da quelle negative. 108
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È così che nell’epoca contemporanea viene rivoluzionato il vasto spazio biograico della post-maturità. Quello spazio che nel vecchio modello di percorso biograico era segnato dall’ingresso uiciale nell’invecchiamento, e che invece adesso va classiicato come un nuovo inizio. Tale inizio richiede una discontinuità del soggetto dal se stesso che era stato ino all’esaurirsi della fase precedente. Nessun rinnegamento, nessuna abiura. Soltanto la serena presa di coscienza che la vita di una persona sia fatta di stadi successivi, e che giunti a un dato momento ci si debba liberare dei precedenti come fossero diventati zavorre. Questo nuovo tipo di consapevolezza individuale è caratteristica delle società odierne, e l’efetto di diversi fattori. In primo luogo, i progressi della medicina e della farmacologia, che hanno non soltanto esteso la speranza di vita ma ne hanno anche migliorato la qualità. Si vive più a lungo e si invecchia più tardi. E quello scorcio di vita strappato all’invecchiamento è pervaso d’una vitalità diversa. Frutto d’un processo di enhancing, termine inglese di cui in italiano non riusciamo a tradurre appieno la complessità. Esso indica l’azione di sviluppare, in qualcuno o qualcosa, delle potenzialità in lì rimaste inespresse. Dunque non il semplice miglioramento o incremento, ma l’ottimizzazione di potenzialità dormienti. Non serve aggiungere, basterebbe sviluppare e far rendere quello 109
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che c’è ma non viene sfruttato. La Second Life di cui parlo si basa esattamente su questo principio di enhancing: essa è pervasa di potenzialità esistenziali che in epoche di poco precedenti non trovavano espressione, e che anzi non venivano nemmeno percepite. A impedire che lo fossero provvedeva una scansione del tempo biograico e generazionale dalla quale non rimanevano margini. Invece adesso ci si ritrova con una dotazione supplementare di tempo della vitalità, che giunge nel bel mezzo d’un passaggio biograico dove quel supplemento può essere goduto in modo più consapevole. Messo al riparo dal rischio della dissipazione che nelle fasi della pre-maturità è una presenza costante. In secondo luogo, si difonde un atteggiamento più disincantato nei confronti dei legami sentimentali di lunga durata e della loro indissolubilità. Anche in questo caso non è soltanto una questione di quantità, ma soprattutto di qualità e di predisposizione. Ci si separa di più, si divorzia di più, e parimenti si sciolgono con maggior frequenza i legami di fatto. E tutto ciò riguarda l’aspetto statistico del fenomeno. A questo si aggiunga che la rottura dei vincoli sentimentali di lunga durata è un evento ormai normalizzato. Ciò non signiica che abbia smesso d’essere un passaggio soferto. Ma certamente esso ha sulla vita delle persone un impatto meno destabilizzante rispetto a quanto accadesse ancora una trentina di anni fa. 110
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Anzi, usando una buona dose di cinismo si può dire che la ine del legame sentimentale di lunga durata faccia ormai parte dell’orizzonte di coppia nel momento stesso in cui si decide d’intraprendere la relazione. Una predisposizione, quest’ultima, che un tempo sarebbe stata considerata insana e invece oggi è un segno di realismo. Terzo e ultimo fattore, l’afermazione d’una socialità di tipo rivoluzionario, plasmata dall’uso delle tecnologie dell’interconnessione e dalla difusione dei social network. Questo speciico aspetto è il più enhancing fra quelli citati: ha l’effetto di sviluppare un potenziale di socialità che in lì era rimasto latente per assenza di un canale d’espressione. Ma ha impatto anche sulla personalità di ciascun utente, che è anch’essa enhanced perché si vede ofrire possibilità d’espansione. Invero, le conseguenze di tale espansione di personalità sono non sempre beneiche. In molti casi la parte latente della personalità e della sua socialità avrebbe fatto meglio a rimanere tale. Ma questo è un altro discorso. Piuttosto, va rimarcato un altro aspetto: quello dell’impatto che il nuovo modello di socialità, strutturato attraverso le relazioni mediate dal web, ha avuto sulla nostra percezione della realtà e sul ventaglio delle opportunità. Un aspetto, questo, che segna uno scarto netto fra la vasta popolazione che ha vissuto il più ampio salto tecnologico nella storia dell’umanità e la quota (al momento minoritaria) di popola111
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zione i cui componenti vengono etichettati come nativi digitali. Questi ultimi stentano a capire il motivo dell’atteggiamento che noi nativi analogici abbiamo nei confronti delle nuove tecnologie dell’interconnessione. Loro se le sono trovate belle e pronte, e sono cresciuti dentro un ambiente comunicativo che era già stato strutturato con la presenza di questi mezzi di comunicazione e con le relative forme di socialità. Per noi nativi analogici non è così. Siamo passati da una lunga (per alcuni molto lunga) fase in cui non esisteva nemmeno la telefonia portatile, e nella quale la comunicazione era vincolata alla stanzialità. Per ricevere una comunicazione bisognava essere reperibili presso un luogo isico dotato d’indirizzo stradale e di una linea telefonica. Quella che adesso chiameremmo «linea telefonica issa» e invece allora era linea telefonica e basta. La difusione della telefonia cellulare, e il suo passaggio dall’originaria condizione di canale comunicativo d’élite a canale comunicativo di massa, hanno impresso una prima e decisiva spinta verso la rivoluzione comunicativa che ha riplasmato le relazioni sociali e le modalità d’azione individuali. E a imprimere un’altra potente scossa è stata la difusione di internet, passata rapidamente anch’essa da oggetto d’élite a oggetto di massa. La sua penetrazione nelle pratiche della vita quotidiana è stata talmente profonda da spingere giuristi e sociologi a reclamare che l’accesso alla rete venga classiicato come 112
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un nuovo diritto di cittadinanza. Sia la telefonia cellulare che internet hanno svincolato la comunicazione a distanza dalla stanzialità, per ricollocarla in uno spazio virtuale che al tempo stesso è ovunque e in nessun luogo. E questo cambiamento sarebbe già stato sconvolgente abbastanza, per noi nativi analogici, se anche fosse rimasto l’unico. E invece di cambiamenti sconvolgenti ne sono intervenuti altri. Il principale riguarda la nuova domanda di socialità che dalla rete è stata generata e a cui la rete stessa ha dato risposta, in un ciclo perfetto che parte dal produttore e al produttore ritorna mentre il consumatore rimane al centro del cerchio. La ragione della vertiginosa difusione dei social network sta tutta qui. E per chi è nativo analogico è stato un ulteriore ampliamento dell’orizzonte di possibilità. La sommaria descrizione di come la rivoluzione tecnologica abbia avuto impatto sulla personalità e sulla socialità di noi nativi analogici ha già fornito un quadro esauriente. Ma esso va completato col richiamo a un ulteriore elemento: il fatto che una rivoluzione di così vasta portata sia anche avvenuta in un lasso di tempo esageratamente breve. C’è chi nel 1995 aveva vent’anni e poteva ritrovarsi ancora a telefonare da una cabina in strada utilizzando i gettoni SIP in zinco; e vent’anni dopo, quarantenne nel 2015, inviava note vocali via Whatsapp o efettuava video-chiamate via Facebook. Potranno mai capire, i nativi 113
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digitali, quale sconvolgimento possa essere stato questo abissale salto tecnologico per la vita personale e sociale del soggetto in questione? E avere un minimo di comprensione per il feticismo che molti fra noi mostrano verso le nuove tecnologie, che invece a loro risultano così scontate? In poco meno di trent’anni ci siamo trovati a metabolizzare un mutamento che in altre epoche sarebbe maturato lungo un periodo di due-tre secoli. Sarà anche per questo che continuiamo a avere un atteggiamento infantile di fronte a molte cose che trent’anni fa nemmeno avremmo immaginato di desiderare, e che invece adesso consideriamo indispensabili. Tutto ciò fa sì che il vasto territorio biograico della post-maturità sia una Seconda Vita. Il ricominciare da capo nel quale possiamo esprimere un vitalismo rigenerato. Ovvio che non tutti ci si arrivi nelle condizioni di goderselo, questo surplus di vitalismo. Molti vi approdano in condizioni di grave incertezza economica, o portandosi dietro un bagaglio di disillusioni gravoso da smaltire. Ma in termini generali rimane indubbio che le generazioni post-mature di oggi si vedano ofrire l’opportunità di una Second Life. Una condizione probabilmente irripetibile perché tipica delle coorti che attraversano i grandi mutamenti sociali e ne vengono a loro volta attraversate. In questa Second Life trova spazio la possibilità di vivere una nuova stagione dell’edonismo: nei progetti di vita, nei consumi, 114
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nei comportamenti, nei rapporti sentimentali, nella sessualità. Ci si approda dopo aver sdrammatizzato pressioni come quelle che vengono dalle ambizioni di carriera, dalle relazioni familiari e di coppia, dai ruoli genitoriali. Una sdrammatizzazione che può avvenire per motivi opposti: sia perché le cose sono andate nel modo in cui si auspicava andassero, e allora si può dare libero corso all’appagamento; e sia perché sono andate al di sotto delle aspettative, e allora il miglior modo per esorcizzare la delusione è passare oltre. Resta il fatto che s’intraprende la Seconda Vita con l’animo di chi si concede un nuovo inizio. Un percorso che vale per qualsiasi individuo, quali che siano il sesso biologico e l’orientamento sessuale. E a questo punto, dopo averla presa così alla larga, si può tornare a mettere la igura della Milf al centro del discorso e capire perché mai il Prerequisito di Maternità non sia indispensabile. 2.2. L’Inno alla Libertà Torniamo al paragone fra la mamma ventenne e la vostra procace collega trentacinque-quarantenne. E riprendiamo la tesi secondo cui la mamma ventenne non verrebbe mai etichettata come una Milf, nonostante sia portatrice di due caratteristiche per esserlo: il ruolo di madre, e l’essere desiderabile abbastanza per suscitare l’intenzione 115
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dell’I’d like to fuck. Il sussistere di queste due caratteristiche non è suiciente, perché vi ritrovereste comunque innanzi a una giovane donna che ino a un paio di anni prima frequentava il liceo e adesso allatta un pupo in fasce. E non so a voi, ma a me pare che serva una robusta dose di paccianesimo per etichettare come Milf un soggetto del genere. Spostate invece lo sguardo sulla vostra collega trentacinque-quarantenne. Quella così esuberante da indurre a scambiare l’esuberanza per facile disponibilità. E sarà proprio questa immagine di facile disponibilità a farla bollare come troia da quella comunità di lingue-tranciapollo che è un qualsiasi ambiente lavorativo. In realtà, scavando appena oltre la supericie, si scopre che a darle della troia sono innanzitutto le colleghe, indispettite da quell’esuberanza di comportamento che vorrebbero fosse anche la loro. Peccato che non possano permettersela, e che se anche potessero non sarebbero capaci di esibirla. E a giudicarla troia saranno anche quasi tutti i colleghi maschi eterosessuali. Quelli ai quali non l’ha data nonostante i loro reiterati tentativi. Invece i rarissimi che avranno avuto il piacere, taceranno. Un po’ perché non vogliono giocarsi la possibilità di avere un’altra occasione (che invece, nove su dieci, non ricapiterà), e un po’ perché tengono famiglia e dunque la minima fanfaronata potrebbe essere un boomerang. Da più parti potrete sentire etichettare questa donna come una Milf. E se così viene etichettata, 116
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vorrà dire che così viene percepita e così rimarrà. Da sempre la forza della rappresentazione sopravanza la forza della realtà. E la donna etichettata come Milf rimarrebbe tale anche qualora si scoprisse che non soddisi il Prerequisito di Maternità. Perché magari è notorio a tutti che la vostra procace collega trentacinque-quarantenne non ha igli. O se li ha se n’è persa traccia. E dunque è come se non ne avesse, stando al medesimo principio di sopra secondo il quale la rappresentazione trionfa sempre sulla realtà. Magari ha avuto igli da un primo matrimonio o da una lunga unione di fatto, e adesso di quella relazione è sparita ogni traccia. Figli compresi. E quest’ultimo aspetto, quello dei igli che dopo la dissoluzione d’una lunga relazione di coppia rimangono col padre anziché con la madre, è cosa ancora troppo diicile da accettare, a dispetto dei progressi nella mentalità e nei costumi. E dunque, al suo posto, non lo nascondereste pure voi un dettaglio del genere? Oppure, semplicemente, la donna in questione ha deciso di non avere igli. Ciò che a mio giudizio è di per sé una scelta di maternità come diritto negativo, ossia diritto di non fare qualcosa. Se una donna si confronta con l’opzione di diventare o meno madre, e a un dato momento decide di non diventarlo, dobbiamo considerarla del tutto aliena all’esperienza della maternità? L’interrogativo non mi sembra capzioso poiché qualsiasi scelta in materia di maternità è una scelta che comporta il pensa117
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re da madri, indipendentemente dal fatto che poi lo si diventi. E forse la vostra collega trentacinque-quarantenne è passata da questa lacerazione, fatta di dubbi e pressioni d’ogni tipo. Voglio essere madre o no? Perché voglio esserlo e perché voglio non esserlo? Voglio esserlo adesso o più avanti? E se più avanti, quando vorrò esserlo, sarà troppo tardi? Ma se devo esserlo adesso, è una scelta o una pressione? E voglio esserlo con quest’uomo? E se sì, quest’uomo ci sarà ancora quando avrò deciso di esserlo? O per avere la certezza d’essere madre con lui devo farlo per forza adesso che non sono sicura di volere sia lui? E se decido di non esserlo, quante persone deludo? Ma forse che per non deludere tutte queste persone devo deludere me stessa facendo una scelta di cui adesso non sono convinta? La lista degli interrogativi potrebbe continuare ancora a lungo, e esprimerebbe tutte le dimensioni della lacerazione interiore. E è molto probabile che la sua esuberanza sia fatta dell’impasto di quella lacerazione. Forse è l’ingrediente che ha permesso di produrre una malta speciale, e adesso le dà una solidità che le comari d’uicio e i galletti spennacchiati da pausa cafè non avranno mai. Vorrebbero, senza confessarlo, avere la libertà di spirito mostrata da quella collega trentacinque-quarantenne. Ma quale che sia il suo rapporto con la maternità, rimane che questa donna venga considerata una Milf e rappresentata come tale. E a 118
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nare questa percezione è il fatto che le venga attribuito di trovarsi nella propria Second Life. È questa la sua vera forza. Si è lasciata molte cose alle spalle, ma non è solo quello. C’è soprattutto che con tutte le cose della vita di prima è venuta a patti, e adesso può andare avanti senza paura di guardarsi indietro. E cosa ci sarà mai lì dietro, oltre a un grande punto interrogativo sulla presenza o meno di igli? Forse un matrimonio già archiviato, o una lunga relazione di fatto conclusa in modo burrascoso. E forse entrambe le cose, una dopo l’altra o magari in contemporanea. E magari nel presente c’è il trovarsi in una relazione complicata (formula resa popolarissima da Facebook), oppure una condizione di singletudine rivendicata come il più grande patrimonio che potesse capitare. La donna in questione potrebbe anche vivere una relazione stabile, matrimoniale o di fatto che sia. Ma non la lascia trasparire. Del resto, mica bisogna portarsi in giro l’impegno relazionale come se fosse un cartello appeso al collo. E inoltre quella stabilità relazionale potrebbe venire dal fatto che si sia passati oltre qualcosa, e che a quella cosa sia stata messa una pietra sopra. In una coppia si trova sempre il modo d’inliggersi delusione reciproca. E da lì in poi si può anche ripartire più forti, con la convinzione di non avere accanto il/la partner senza macchia e senza paura, ma piuttosto una persona afetta da onesta cazzoneria e disposta a scambiare l’indulgenza. E 119
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poi c’è tutta un’altra vasta gamma di esperienze relazionali che vanno oltre quelle di coppia. Le sorellanze morbose con le amiche di una vita che a un dato momento si sono interrotte a causa d’un imperdonabile tradimento, i rapporti con la famiglia di sangue che richiedono sempre una gestione tempestosa, e le traversie degli anni della maturità oltrepassate col sorriso sulle labbra. La vostra collega trentacinque-quarantenne è espressione di questo complesso stato di cose. E tutto ciò le conferisce un atteggiamento scanzonato verso la vita. Adesso è una donna colma di un’energia vitale mai provata. Forse lo sa, forse lo è soltanto e senza stare a curarsene. Ma indipendentemente dalla consapevolezza, questa donna ha una marcia in più. Ciò ne fa una Milf. La etichettate come troia? Vi risponderà rivolgendovi il compatimento che vi siete meritati. E lo stesso compatimento rivolgerà a chi, cogliendola single, cercherà d’ingabbiarla dentro un altro rapporto di coppia. Ciò che lei scaccerà via come se fossero i sintomi di ricaduta in una grave malattia del passato. Perché questa è in ultima analisi la vera cifra della Milf. Può darti molte delle cose che tu possa desiderare, anche molte più di quelle che immagineresti di bramare. Ma a patto di non intaccare quel senso di libertà irriducibile che la Second Life le ha regalato. Ecco un punto sul quale merita fare un ulteriore approfondimento, prima di passare oltre. La 120
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libertà che viene dalla Seconda Vita ha una qualità e una foggia diverse rispetto a quelle della Prima Vita. La libertà della Prima Vita è destinata a essere alienata. Invece nella Seconda Vita c’è una libertà riconquistata, e in quella riconquista c’è anche la presa di coscienza che l’atto d’alienarla fosse stata la più immane sciocchezza della Prima Vita. E adesso che in modo insperato è stata riconquistata, chi mai sarebbe così idiota da alienarla una seconda volta? M’è capitato di ragionare attorno a questo tema con un ex collega (non speciico se di giornalismo o di università) rimasto vedovo e solo in età prossima alla pensione. Una persona di straordinaria pochezza umana, come per l’ennesima volta dimostrò quando si trovò a parlare di questo tema. Raccontava i goi tentativi di riavvicinarsi al mondo femminile, condotti con una modalità d’azione da single che ormai gli era doppiamente desueta. Perché i lunghi decenni di legame coniugale avevano azzerato ogni rudimento nelle modalità d’approccio. E perché durante quei decenni le cose erano cambiate in modo radicale rispetto alla sua capacità d’assorbire. Un duplice gap dagli efetti catastroici, nel momento di riprovare a stringere relazioni con l’altro sesso. Formula, quest’ultima, che di norma trovo idiota come poche altre. Ma che in questo caso è d’uso assolutamente legittimo, perché per il soggetto in questione ogni essere umano di sesso femminile era 121
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davvero un soggetto collocato in un modo alieno. E non c’era verso di fargli capire che la vera rivoluzione sessuale si sta vivendo in questo tempo, e non certo alla ine degli anni Sessanta. Lo stravolgimento è tutto in quelle donne che vivono un vitalismo inatteso, nel pieno della loro Second Life. Certo, nel caso che riguardava il mio collega attempato si parla di donne la cui età va dai cinquantacinque circa in su, e dunque appartenenti a una fascia anagraica che si colloca più in avanti rispetto a quella delle Milf. Ma rimane identico il principio della Second Life, la vita dopo che è l’approdo a una libertà non più negoziabile. Nello speciico, si tratta di donne che si sono felicemente liberate delle scorie lasciate dai ruoli di moglie/ compagna e di madre, e che laddove possibile hanno scansato l’incombenza d’essere nonne. Che fanno esperienza della post-maturità come una giostra delle opportunità sulla quale non avrebbero immaginato di salire. E che scoprono di poter essere ancora piacenti e desiderabili, anche grazie al progresso delle tecnologie cosmetiche e a qualche aiutino di chirurgia estetica. Che possono concedersi un tempo libero inalmente privo di tare e non strappato ai doveri. E che quel tempo libero possono dedicarlo a attività sociali e culturali, ai viaggi che non avevano mai avuto tempo d’intraprendere, o anche all’ozio illimitato qualora ne sentano il bisogno. Che riscoprono di provare desiderio e d’essere desiderate a loro volta, 122
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come non capitava da prima d’entrare nel cerchio della monogamia. Che possono concedersi una sessualità spensierata, come per molte fra loro non era stato possibile in gioventù perché erano tempi molto più severi in termini di moralità e perché troppo presto erano arrivati i igli. E che, se proprio vogliono osare tutto l’osabile, possono togliersi lo sizio di pagare un gigolò e fare almeno una volta nella vita quello che i coetanei maschi (sposati o no) fanno da una vita intera andando a mignotte. E a questo punto, guardando a donne così pienamente comprese nella libertà incondizionata della Second Life, sarebbe stato da chiedere a quel poveraccio: ma perché mai una donna così dovrebbe legarsi alla caviglia un relitto umano come te? Perché mai dovrebbe farsi trascinare da capo dentro una monogamia da mondo in bianco e nero, fatta di minestre col dado la sera, di mutande con striscio da lavare e calzini fallati da rammendare? Di certe patologie post-monogame, come darsi alla caccia d’una donna che faccia da vedova bianca a un vedovo grigio, dovrebbero farsi ormai carico i servizi sociali e il volontariato di quartiere. Ma al di là del caso speciico, e dell’avere dovuto riportare un esempio legato a una fascia anagraica non proprio conforme, resta che esso riafermi la vera essenza della Milf: il suo essere un proilo da Seconda Vita, quale che sia il percorso esistenziale che porta a quell’approdo e senza es123
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sere tassativi sul Prerequisito di Maternità. E su questo aspetto si fonda la superiorità morale della Milf: su un atteggiamento di distacco dalle ansie di ruolo e dalle piccinerie competitive, sul riiuto dell’imperativo di monogamia che è innanzitutto negazione dell’ansia di possesso. Quell’ansia che aveva ossessionato la lunga fase della vita culminata con la piena maturità, e che era determinata dagli imperativi e da un senso del dover essere. Invece la Milf è la negazione del dover essere. Lei è ciò che le viene naturale essere. Libertà calata dentro un senso della responsabilità individuale il cui valore primario è il rispetto di se stessa e della propria femminilità. Il che non signiica egoismo o autoreferenzialità. È piuttosto la premessa per un atteggiamento massimamente altruistico. Soltanto un altissimo rispetto di se stessi porta a un altissimo rispetto verso gli altri. E la Milf è una donna che tocca il più alto grado di autostima e rispetto verso se stessa. 2.3. Miss Raquel Welch versione Manuel Fantoni Molto si è detto a proposito di cosa sia una Milf, e molti punti fermi sono stati issati. Si è detto che non è un’invenzione maschile, ma la proiezione di un’alta igura femminile nell’immaginario del maschio eterosessuale medio. Si è 124
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aggiunto che non può essere rinchiusa dentro un mero proilo da immaginario erotico, e che anzi è una igura della femminilità molto selettiva in termini di relazioni e di comportamenti sessuali. Si è sottolineato che essa non debba sottostare a un Prerequisito di Maternità, ma che piuttosto a connotare il percorso biograico è l’accesso nella Second Life. E si è data qualche indicazione a proposito delle sue caratteristiche isiche e estetiche. Ma rimangono da dire cose essenziali, e proprio l’elemento isico-estetico è fra queste. Del resto, se prima d’ogni altra cosa è l’aspetto esteriore a determinare che una donna venga etichettata come Milf, allora è proprio su quell’elemento che bisogna insistere. Si deve tracciare un’estetica di massima. E non è per caso che ho messo in coda la trattazione di questo elemento. Perché fra tutti è il più soggettivo e sfuggente. Sicché mi si vorrà perdonare se traccio un proilo estetico della Milf a partire da quella che è l’idea mia, e da lì in poi andrò per approssimazioni. Partirei da un’altra delle igure cui sono stati associati i crismi della Mother I’d Like to Fuck. Nel capitolo precedente si è parlato difusamente di Mamma-di-Stiler, alias Jennifer Coolidge. E si è fatto cenno a Lisa Ann, che è la Milf per eccellenza del cinema porno. È utile sofermarsi un attimo sulla sua igura, in una fase che ci vede ancora in cerca di deinire l’esatto proilo estetico della Milf. Per prima cosa va rilevato che la signora ri125
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sulta iscritta all’anagrafe come Lisa Ann Corpora. E per quanto si possa essere temperati, davanti a quel cognome la battutaccia rischia d’essere inevitabile. Mettiamoci sopra un bell’omissis e andiamo avanti. Lisa Ann è nata a Easton (contea di Northampton, Pennsylvania) il 9 maggio 1972. Dalla sua pagina di Wikipedia si apprendono cose interessanti. Nelle vene ha sangue per tre quarti italiano e per un quarto franco-canadese. E ha avuto una vita da romanzo, precocemente vocata a fare dell’eros spinto una professione. Già a sedici anni si esibisce da spogliarellista nei locali notturni della sua città, e per poterlo fare deve falsiicare la carta d’identità. E nel percorso da spogliarellista precoce a simbolo della militudine porno segue una traiettoria prodigiosa, tale da richiedere tre o quattro vite anziché un paio di decenni. Sempre dalla lettura della pagina di Wikipedia si viene a sapere che la giovane Lisa Ann Corpora pratica l’arte dello spogliarello in pubblico perché deve pagarsi il college. In quel periodo, che si conclude con l’inizio dei Novanta, studia per conseguire la specializzazione in assistenza odontoiatrica. Purtroppo, diversamente da Nicole Minetti, non ha possibilità di completare gli studi e le tocca darsi al cinema porno. Inaugura nel 1994 la carriera che le ha dato la fama mondiale, ma dopo soli tre anni è costretta a interromperla per un sospetto di contagio di AIDS. E in quella fase che la vede fuori dai set del cinema hardcore torna a esibirsi 126
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da spogliarellista in Pennsylvania. Scongiurata la paura del contagio, Lisa Ann torna nel mondo del porno. In un primo tempo nel ruolo di manager e poi come attrice. È quello il passaggio in cui si aferma nel ruolo di Milf, e la fama le dà anche la possibilità di fondare un’agenzia per la selezione di nuovi talenti. Nel 2008 acquisisce della notorietà supplementare grazie alla parodia porno di Sarah Palin, l’ex governatrice dell’Alaska nonché candidata alla vicepresidenza degli Usa che aianca John McCain nella corsa contro Barack Obama. Chi non ha visto quelle performance si è davvero perso qualcosa, indipendentemente dall’atteggiamento che si abbia nei confronti del porno. A Lisa Ann vengono attribuiti cinquecentoquarantasette ilm come attrice e cinquantaquattro come regista. Non so se in queste cifre vi sia dell’esagerazione, ma di sicuro c’è che a leggere la lista dei titoli presenti nella pagina di Wikipedia s’impieghi almeno un quarto d’ora. Chi volesse prendersi la briga di vedere anche soltanto quelli della lista, dovrebbe concedersi un anno sabbatico. E comunque sia, la igura di Lisa Ann spicca per molti altri motivi. Un’intervista rilasciata al quotidiano inglese «he Guardian» nel gennaio 2016 ce la mostra in una veste inattesa: consulente di Fantasy Football, la versione del Fantacalcio adattata al football americano. L’intervistatore ce la racconta in questo ruolo, che Lisa Ann svolge due volte alla settimana attraverso le frequenze di 127
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Sirius XM Satellite Radio. Il titolo ammiccante, pieno di sensi non doppi ma unici (Lisa Ann does Fantasy) non tragga in inganno: non è lo show radiofonico condotto dalla pornostar col solo scopo di accalappiare la facile audience, ma un programma in cui la conduttrice mostra una vera competenza sportiva e interagisce con gli ascoltatori dando giudizi caratterizzati da grande perizia. Lisa Ann è infatti una grande appassionata di sport, in particolar modo di basket e football, e dalle notizie biograiche si scopre che non avrebbe disdegnato di fare il mestiere dell’agente di atleti. Avrei voluto succedesse per il solo gusto di vederle prendere nel calcio globale il ruolo di Jorge Mendes. Che fra l’altro, prima di diventare quello che è adesso, è stato un gestore di locali notturni nel nord del Portogallo, e su quell’accezione di «locali notturni» è stata costruita una certa aneddotica. E prima ancora era stato anche proprietario di un negozio di videonoleggio. Chissà se avrà mai dato a noleggio i vhs porno di Lisa Ann? Pensate a quanto migliore sarebbe stato il mondo con Lisa Ann manager di Cristiano Ronaldo e Jorge Mendes coninato a Viana do Castelo, a noleggiare i dvd di Cicciolina e Moana Mondiali. Purtroppo i mondi ideali rimangono tali. Tornando a Lisa Ann, è stata anche e a suo modo impegnata in campagne sociali. Nel 2010, per dare il proprio contributo di sensibilizzazione sul tema dell’HIV e della sua difusione, annuncia che 128
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rerà soltanto scene hard in cui i partner indossino il proilattico. E in seguito lancia una campagna per de-stigmatizzare l’interracial sex, nel contesto della quale propugna il principio dell’eguale accesso al lavoro nel mondo del porno indipendentemente dal colore della pelle. Al suo attivo c’è anche una campagna per il riconoscimento dei diritti previdenziali ai lavoratori del porno, e per l’avviamento al post-carriera. Perché i problemi dei professionisti dell’hardcore sono gli stessi dei professionisti dello sport, e nel dire questo parlo tremendamente sul serio. Essendo legati entrambi i proili lavorativi alla piena performatività isica, sono anche esposti all’agire di un elemento che in altri proili lavorativi ha incidenza relativa: l’usura corporea e estetica. Così come gli atleti e le atlete perdono competitività man mano che dall’età di trent’anni si viaggia verso i quaranta, così un/a professionista del porno perde l’immagine di desiderabilità con l’avanzare dell’età, e con una progressione che è anche meno regolare e prevedibile di quanto avvenga per i professionisti dello sport. E a quel punto si pone il problema di trovare una nuova collocazione nel mondo del lavoro per soggetti che molto diicilmente potranno usare il bagaglio di competenze acquisito nella carriera della prima vita. Ciò che in qui è stato detto a proposito di Lisa Ann permette di mettere in mostra una igura molto più ricca e complessa di quanto la si 129
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percepisca collocandola entro il mero proilo da pornostar. E dicendo più ricca e complessa mi astengo dall’aggiungere più ediicante, perché dal mio punto di vista non c’è alcunché d’inediicante nell’essere una pornostar. Esistono forme molto più sottili e socialmente ben accette di vendersi corpo e anima che invece trovo desolanti. Piuttosto rimprovererei dell’altro a Lisa Ann. Per esempio, l’essersi sottoposta a un intervento di mastoplastica riduttiva quando nel 2014 decide di chiudere la carriera nel mondo del porno, ciò che ha creato disappunto doppio: per la conclusione della carriera e per la diminuzione di quel prosperio. Fortuna che rispetto a una di queste due decisioni abbia avuto un ripensamento. Nel 2018 Lisa Ann ha deciso di tornare sui set a luci rosse. E almeno c’è la certezza d’avere un buon motivo per ricordare il 2018. Come sia scaturita l’attribuzione a Lisa Ann del ruolo di Milf per eccellenza dei cinema porno, non saprei dire. Avrebbero potuto esserci altre degnissime candidature, come per esempio quelle di Phyllisha Anne, o di Ava Devine. Ma poco importa, vuolsi così colà dove si puote. Né mi sogno di mettere in discussione la legittimità di questa corona. Aggiungo che con quella testa, quella determinazione, e soprattutto quella igura, la signora Lisa Ann avrebbe potuto eccellere in qualsiasi ruolo: concessionaria d’automobili, o agente immobiliare, o ragioniera di una ditta d’insaccati, 130
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avrebbe comunque espresso il meglio di sé. Dunque, nulla quaestio riguardo al suo primato di militudine porno. E tuttavia questo primato è anche un limite. Perché se si guarda al ruolo sociale della Milf, e al suo essere una igura della femminilità presente nel profondo dell’immaginario erotico maschile, ecco che l’immagine da porno-Milf si fa dannosa per Lisa Ann. Per carità, in termini isico-estetici ci siamo - eccome! - ma rimane la tara di cui si è detto nel primo capitolo a proposito di Mamma-di-Stiler, e che nel caso di Lisa Ann risulta pure aggravata: la Milf ridotta a vorace creatura sessuale e nulla più è soltanto una caricatura della militudine. Bisogna dunque cercare altre igure di riferimento. Capaci di associare, a una prorompente sessualità e a una isicità di quelle che fanno sangue, anche una consapevolezza e un saper stare al mondo sganciati dalla dimensione erotica. E dunque quale altro simbolo di militudine potrebbe essere indicato? Per rispondere bisogna tornare sulle caratteristiche isiche della Milf, o almeno su quelle che ritengo lo siano. Cominciamo dall’età, che dovrebbe essere quantomeno dai trenta in su. Il che non signiica tagliare fuori le under trenta. Ci sono quelle che portano dentro la militudine come una promessa sbandierata. La si potrebbe rintracciare pure negli atteggiamenti d’una studentessa universitaria di primo anno, che ben in carne si piazza per tutto il corso a fare la front-bencher col prospe131
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rio in mostra anche in pieno febbraio. E la militudine non sta in quel poggiare il prosperio sul banco assieme allo smartphone e al quaderno degli appunti, ma nella totale naturalezza della posa. Imbarazzo zero, malizia quanto basta. «Ce le ho e me le devo portar dietro, e allora me le porto dietro nel modo che mi pare. Qual è il problema?». Nessuno, ci mancherebbe altro. Fosse sempre questo l’atteggiamento, vivremmo tutti quanti più rilassati. Va da sé che ogni riferimento a circostanze e persone reali è puramente come vi pare. La igura della Milf in crisalide dà lo spunto per aggiungere un’altra caratteristica a mio giudizio indispensabile: la generosità delle forme. E sono consapevole che su questo punto speciico impongo i miei gusti, ma così è. Ovvio che non escludo sussista militudine in donne dalla silhouette più essenziale, ma se la si mette sul piano delle preferenze continuo a optare per la carne. Aggiungo che quella carne debba avere il giusto grado di soicità e cedevolezza. E ribadisco che questo connotato è il più diicile da ottenere e mantenere. L’esempio di Jennifr Coolidge continua a essere fondamentale: un tripudio di prosperosità giunto al limite massimo oltre il quale vi è la grassezza. Muoversi senza danni lungo questo limite comporta d’essere massimamente esigenti nei confronti di se stesse, un faticoso oscillare tra vizio e virtù. Ma inché si riesce a mantenersi su quel margine è tutta salute. Sia personale che 132
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collettiva. L’elemento della soicità sollecita anche un dubbio: la candidata alla militudine che faccia ricorso al ritocchino estetico può ancora essere considerata una Milf? Domanda legittima, poiché il soggetto in questione potrebbe possedere tutti i requisiti escluso quello della cedevolezza. Cosa rispondere? Che in linea di massima avrei preferenza di no. Ma non si può non considerare che fra le opportunità della Second Life c’è anche quella di tornare a piacere e a piacersi grazie all’ausilio della chirurgia estetica. E dunque l’eccezione al requisito della soicità è ammessa. Esposte quelle che a mio avviso sono le caratteristiche isiche di massima della Milf, è il momento di svelare quale sia per me una igura di donna esistente e riconoscibile. La risposta è nella foto di copertina: Jo Raquel Tejada, meglio nota come Raquel Welch. Che a dire il vero nella mia immaginazione si presenta in modo diverso rispetto a come è immortalata lì. E in questo senso devo dare ragione all’amica scrittrice Susanna Schimperna, che via Facebook ha dissentito sulla militudine dell’attrice statunitense. Specie se la si deve ricavare da quello scatto, che la raigura troppo giovane rispetto all’età mediamente attribuita a una Milf. Obiezione legittima, sui cui contenuti bisogna dare un veloce chiarimento che chiama in ballo il direttore editoriale di Clichy, Tommaso Gurrieri. Costui ha la straordinaria virtù di simulare la veglia mentre è seduto dietro la scrivania 133
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di redazione, e intanto si gode serene dormite a occhi aperti. E però in queste condizioni di falsa veglia gli capita di avere dei colpi di sonno geniali. Così è stato nel caso di questa copertina, che gli ho commissionato chiedendo ospitasse una foto di Raquel Welch. E lui nel dormiveglia ha eseguito, recuperando questa foto molto bella e inserendola in una copertina molto ben costruita soprattutto nella combinazione dei colori. E davanti a un risultato così ben riuscito, con quale animo avrei potuto dirgli che la Raquel Welch della copertina non fosse esattamente quella immaginata? Bisogna sempre diidare di quelli che dormono a occhi aperti. Ti fregano regolarmente. Comunque sia, la Raquel Welch elaborata come Milf viene da altre suggestioni. In primis quelle stimolate dalla visione di foto e sequenze cinematograiche in cui l’attrice statunitense appare in versione molto più prorompente. Per esempio nel ruolo di Loana, la donna primitiva del ilm Un milione di anni fa. E ecco che ci si spinge verso l’idea di primitività così prossima a quella dell’isola deserta da cui si è partiti. Quell’immagine di Raquel Welch ha la forza della femminilità incorrotta, la pura selvatichezza che se potesse giudicare le forme della civilizzazione lo farebbe usando le categorie di alienazione e repressione. Ma vi sono molte altre versioni di Raquel Welch, corrispondenti a una sua età più matura, che ne fanno il simbolo di militudine da 134
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me distillato nel corso del tempo. Fra tutte spicca quella di Hannie Caulder, la protagonista di un lungometraggio del 1971 cui dà il titolo, e che nel sottotitolo viene indicata come he irst lady gunighter (la prima pistolera). Nell’edizione italiana quel titolo si trasforma in La texana e i fratelli Penitenza. Non è stata la prima né l’ultima volta che la versione italiana di un ilm prende un titolo desolante, con quel riferimento forzoso alla igura femminile (la texana) che è evidentemente ammiccamento al pubblico maschile degli anni Settanta. Poteva anche andare peggio. Per dire, nello stesso anno il ilm di genere exploitation diretto da Lee Frost (pseudonimo di David Kayne) e intitolato nella versione originale statunitense Chain Gang Women, diventava nell’edizione italiana Violentata davanti al marito. Del resto, se si facesse un approfondimento sull’immaginario erotico circolante in quel decennio, per come è possibile ricostruirlo attraverso l’iconograia e la semantica, se ne ricaverebbero indicazioni sul modo in cui siamo cambiati e su quanto la igura femminile sia stata de-reiicata rispetto a allora. La texana Raquel Welch, che da bomba sexy impugna la pistola nei disegni dei cartelloni di Hannie Caulder, è un simbolo erotico che ammicca in modo esplicito al pubblico maschile e a un immaginario sessuale costruito a esclusivo uso e consumo di quel pubblico. Se poi si guarda alla foto che correda i cartelloni circolati negli Usa, con Raquel-Hannie 135
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fasciata da un vestito disegnato apposta per esporne le forme e circondata dai tre cei, si scopre che al giorno d’oggi un’immagine così correderebbe un dvd porno. Che poi anche il pubblico femminile fosse esposto a quell’iconograia, e dovesse sorbirsela come un elemento dato e ineludibile, è un altro rilesso di quale fosse allora la microisica del potere nella squilibratissima relazione fra maschile e femminile. E questa femminilizzazione dei ruoli e caratteri cinematograici maschili, con la donna che si faceva pistolera, ne veniva a essere un’ennesima declinazione. Ma vista retrospettivamente è stata anche l’inizio d’un mutamento culturale che riplasmerà nel profondo il modo di pensarsi delle nostre società attraverso la divisione tra maschile e femminile. In quel senso proprio il cinema western d’inizio anni Settanta segna un passaggio cruciale. Fin lì i ruoli da spietati pistoleri, quelli che catalizzano lo sviluppo della sceneggiatura, erano stati monopolio maschile, mentre alle igure femminili venivano riservati ruoli complementari di carattere emotivo-afettivo. Si trattava di una struttura narrativa molto rigida, fondata su stereotipi che vent’anni dopo sarebbero stati messi in ridicolo dall’ennesimo capolavoro da regista-attore protagonista irmato da Clint Eastwood: Gli spietati (1992), un ilm di cui la critica non ha colto abbastanza l’intento parodistico. Clint Eastwood demoliva il mito dei pistoleri machos e 136
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giosi, riducendoli a una masnada di pusillanimi fanfaroni. E restituiva una dignità alle prostitute da saloon, e alla loro ribellione contro un mondo maschile in cui la pistola, il coltello e il pene erano indiferentemente armi d’ofesa, da usarsi con una ferocia perennemente fuori misura. Ma quando Raquel Welch-Hannie Caulder arrivava sugli schermi, questo tipo di elaborazione era molto di là da venire. Però forse Hannie Caulder ne è stata il prodromo, e in ogni caso si tratta di un mutamento che nel suo sviluppo va spiegato. L’arruolamento di dive femminili per svolgere ruoli da protagonisti in un mondo simbolico e in un contesto narrativo dominati dal maschile, come quello del western, è certamente in prima battuta un’altra declinazione di un dominio che si basa anche sul controllo delle leve simboliche. Le categorie narrative sono maschili, e sono gestite e manipolate da uomini. E in questa struttura di potere simbolico, un’altra dimostrazione del controllo totale è quella di conferire caratteri da maschi in un mondo maschile a igure femminili. Dovrebbe essere la massima dimostrazione di controllo e dominio sul piano simbolico, e invece proprio lì parte un rovesciamento dell’immaginario che usa quella forza maschile come elemento della sua debolezza. Tecnica e ilosoia del Ju Jitsu (usare la potenza dell’avversario come arma a suo danno) per ribaltare l’equilibrio fra sessi. Ovvio che sul momento questo processo di mutamento 137
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non potesse essere percepito. Arruolare le bellissime del cinema per far svolgere loro il ruolo da maschiacce del West pareva un’ulteriore trovata da dare in pasto a un pubblico il cui gusto era orientato in termini maschili. E lo dimostra il fatto che il caso di Raquel Welch-Hannie Caulder non sia stato isolato, in quel tempo. Nel medesimo anno è stato infatti prodotto in Francia un altro western diretto da Christian-Jaque, pseudonimo di Christian Maudet. Il titolo del ilm è Le pistolere, e almeno in questo caso la sua traduzione italiana non forza la formula originaria. Le due protagoniste del lungometraggio sono Brigitte Bardot e Claudia Cardinale. E se uno pensa al fatto che nel 1971 si potesse ammirare tre bellezze quali Brigitte Bardot, Claudia Cardinale e Raquel Welch, gli viene da chiedersi cosa sia andato storto se i sex symbol di oggi sono le federichepellegrini o le scarlettejohanson. Erano bellissime e recitavano da donne forti, consapevoli del fatto che anche la loro insolita forza da donne in un mondo da uomini fosse un alimento di nuovo tipo per l’immaginario erotico maschile. Toccava loro essere sexy anche nel momento d’essere violente, battere una nuova pista del feticismo che in quel momento storico si esprimeva attraverso una simbologia dalle tinte fortissime. E proprio il cinema era uno specchio di quanto forti fossero quelle tinte. Per esempio, la galleria di cartelloni dei B movie, specie quelli horror, era tutta una esibizione 138
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del corpo femminile feticizzato, sempre seminudo e sottoposto a abuso maschile. Una tale iconograia era tipica non soltanto dei ilm di cassetta. I lettori più attempati ricorderanno i manifesti di Soldato blu, il ilm di Ralph Nelson tratto dal romanzo di heodore V. Olsen. Arrivato sugli schermi nel 1970, e basato su un reale evento storico (il massacro di Sand Creek del 1864) il ilm, il cui messaggio proponeva una controstoria rispetto alla narrazione consueta sul conlitto fra cowboy eroici e civilizzatori e indiani cattivi e selvaggi, ha un senso e un contenuto estremamente impegnati. Ma a dispetto del proilo così elevato dell’opera cinematograica, la cartellonistica del ilm esibiva in misura principale un disegno feticistico della donna indiana nuda e inginocchiata, ripresa di spalle con le mani legate dietro la schiena. Ancora una volta un’immagine di soggiogamento, confezionata per ammiccare all’idea di erotismo come conquista efettuata con la forza. Fra l’altro c’è da segnalare un dettaglio curioso. Una ricerca sul web permette di scoprire che del disegno in questione esistono due versioni. Una è quella circolata in Italia, con la donna indiana ripresa di schiena in posizione perfettamente frontale, e le mani poco dimensionate per nascondere un lato B da sogno, al punto da provocare le prime e misteriose scosse erotiche a un ragazzino cinquenne. Un’altra è più castigata. La postura della donna indiana è leggermente di sbieco, le trecce sono al139
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lungatissime ino in fondo alla schiena, e le mani sono insolitamente grandi con dita sgranate e affusolate modello Edward Mani di Forbice. Ciò fa sì che in questa immagine il culo (ma sì, dai!) sia molto meno visibile. Come se vi fosse stata applicata sopra la pecetta così in voga all’epoca. E a dire il vero, in quei casi, era la pecetta stessa a dare un surplus di attrattività carnale. Quella striscia nera, che sovente veniva applicata su immagini in bianco e nero, dava un tocco ulteriormente sordido alla scena raigurata. E per chi dal sordido si lascia afascinare, si trattava di un richiamo al quadrato. La pruderie è soltanto sessuomania perseguita con altri mezzi. È in questo clima culturale e d’immaginario che s’innesta Hannie Caulder (o La Texana e i fratelli Penitenza), ilm che ha fra le proprie peculiarità quella di essere uno spaghetti-western ma diretto da un regista statunitense (Burt Kennedy). In quel lungometraggio Raquel Welch comunica un’immagine di portentosa femminilità, che può essere letta su diversi piani. C’è quello immediato della donna che, dopo avere assistito all’omicidio del marito e essere stata stuprata dagli assassini, diventa pistolera per vendetta e va a caccia dei tre banditi. E con riferimento a questo passaggio, non si può non notare con quale leggerezza lo stupro venisse raigurato in quel contesto narrativo che era anche un più generale contesto culturale. Era una sequenza drammatica, ma non più di 140
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to. Solo un passaggio della narrazione che andava esposto senza farla tanto lunga sulla sua scabrosità. Oggi il regista userebbe certamente un’altra sensibilità. Ma c’è anche un piano meno diretto, che riguarda quella dimensione di Seconda Vita in cui Hannie Caulder si ritrova scaraventata. In quella nuova condizione la donna dimostra di saper badare egregiamente a se stessa intanto che porta a termine i propositi di vendetta. Se la sbriga in un mondo da uomini come se fosse un uomo, ma comincia a afermare uno stile diverso. È pur sempre una donna, per di più d’irresistibile bellezza. Inevitabile che anche nel gesto di maggior violenza ci metta una sensualità che non potrebbe scrollarsi di dosso nemmeno se volesse. Le conseguenze simboliche sono profonde, perché da lì in poi le igure stereotipe vengono riplasmate. Il machismo del cowboy così come la subalternità della donna nel Far West. Come per tutti i processi di mutamento culturale e simbolico, la dinamica si snoda lentamente, ma anche in modo non arginabile. Una volta avviato, il meccanismo è inarrestabile. Raquel Welch, attraverso Hannie Caulder, incarna questo mutamento culturale che dopo un lungo snodarsi porterà a individuare e denominare la igura della Milf. E come nel caso della Milf si tratta in apparenza di un’invenzione maschile. E invece Hannie Caulder è un’epifania, la rivelazione di una nuova espressione della femminilità dalla quale il maschio eterosessuale medio viene 141
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catturato. Una donna forte e libera. Non ancora colma di quella giocosità che appartiene alla Milf, anche perché il personaggio in questione vive in un contesto violento e da quella violenza è forgiato. Impossibile che si liberi della venatura drammatica. Ma per il resto si intravedono in lei tutti i connotati di quella femminilità tipici della Milf, a cominciare dalla Second Life come linea liminale di una nuova consapevolezza. L’illustrazione del perché Raquel Welch sia identiicata da me come il simbolo della Milf non è ancora completa. Le due igure di Loana e Hannie Caulder contengono elementi che perfettamente si integrano nel proilo della Mother I’d Like to Fuck. Ma c’è un’ulteriore suggestione che mi porta a associare il proilo di Raquel Welch alla igura della Milf, e questa suggestione è particolare per tre motivi. La prima particolarità sta nella diversa fase del mio ciclo di vita in cui questa suggestione arriva rispetto alle precedenti: se le prime due appartengono all’infanzia, la terza arriva nell’adolescenza. La seconda particolarità riguarda il fatto che se nell’infanzia Raquel Welch colpisce l’immaginazione per mezzo delle igure di Loana e Hannie Caulder, nell’adolescenza va a segno direttamente, in quanto Raquel Welch. La terza peculiarità è quella davvero più originale e consiste nel fatto che la Raquel Welch di questa circostanza si manifesti in absentia. La diva non appare in immagine ma attraverso il racconto che 142
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ne viene fatto. Succede nel ilm Borotalco (1982), diretto e interpretato da Carlo Verdone. Nella parte iniziale del ilm c’è una lunga sequenza che ha due motivi per essere mitica. Innanzitutto, l’apparizione di una giovanissima Moana Pozzi, giusto per rimanere in tema di bellezze d’un tempo oggi inarrivabili. E poi la igura di Manuel Fantoni, il sedicente architetto che è rimasto una igura mitica per chiunque abbia visto il ilm. Personaggio interpretato da Angelo Infanti, ma originariamente disegnato per Vittorio Gassman, l’architetto racconta all’allampanato protagonista della storia una serie di aneddoti e sbandiera rapporti d’amicizia con divi del mondo dello spettacolo, prima di gettare la maschera e svelarsi per quello che è: un millantatore che ha raccontato «‘n sacco de fregnacce». Non è un architetto di fama internazionale, non ha vissuto nessuna delle picaresche avventure che ha raccontato, non ha conosciuto o incontrato nessuno dei personaggi da jet set. Non si chiama nemmeno Manuel Fantoni, nome e cognome usati perché suonano molto bene e danno un’aura ulteriormente carismatica al personaggio. Quando a ine sequenza arrivano in casa i carabinieri per arrestarlo come piccolo trufatore, gli notiicano il provvedimento come Cesare Cuticchia. Un nome e un cognome che in efetti suonano molto meno evocativi rispetto a Manuel Fantoni. Dentro quel «sacco de fregnacce» raccontate dal falso architetto al vero 143
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tontolone Sergio Benvenuti (il personaggio interpretato da Carlo Verdone) ce n’è una che riguarda Raquel Welch. Fantoni-Cuticchia ne parla intanto che si sottopone a un massaggio efettuato da Moana Pozzi, sicché pensate un po’ quale situazione da Nirvana stesse vivendo nel mix fra sensazioni del corpo e immagini della mente. Racconta dei «du’ meloni» della diva statunitense con gesto eloquente, e dei capezzoli che come «du’ chiodi» che potrebbero essere usati per appendere i quadri. E a questo punto nella platea di lettrici serpeggerà qualche disappunto nel constatare un linguaggio così categorizzante in termini sessuali, tanto a rischio d’essere accusato di sessimo in questo tempo che comincia a eccedere in political correctness. Alle oltranziste chiederei indulgenza. In fondo si tratta di un frammento cinematograico del 1982, e vi posso assicurare che nei convegni fra maschi eterosessuali in Anno Domini 2018 si sente di molto peggio. Aggiungo che nelle parole del millantato architetto c’è della venerazione per quel tripudio di femminilità. Descrivere una donna così è anche un modo per desiderarla, e si tratta di un desiderio abbastanza rispettoso. Ma quale che sia la valutazione che si voglia dare di queste parole, rimane l’impatto che quest’immagine in absentia di Raquel Welch ha avuto sulla mia immaginazione. E non mi si chieda di spiegare il perché di questa persistenza. Credo sia roba da psicanalisi. Posso soltanto constatarne l’efetto, 144
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che dice di una Raquel Welch come igura radicata nel desiderio erotico, pronta a essere sublimata nell’idea di militudine. Lei gradirebbe, se sapesse? Rispondo che temo non gliene possa fregare di meno. Aggiungo che se anche volesse spendere una sessantina di secondi del suo tempo per prendere in considerazione le parole del falso Manuel Fantoni e il mio ragionamento, probabilmente se ne sentirebbe lusingata. È abbastanza donna di mondo per sapere che gli uomini desiderano così. Che bisognerebbe idarsi molto più di quanti parlano estasiati dei «du’ meloni», anziché di quelli che nei proili dei social per scambisti piazzano foto-proilo in cui vengono raigurati calici di vino e rose rosse, con tanto di testi smielati sul «penetrare l’essenza» di una donna. Tanto poi si sa quale sia l’essenza che vogliono penetrare. E è altrettanto donna di mondo per comprendere che il ritrovarsi identiicata come un simbolo di militudine, se argomentato in questo modo, è un’attestazione di stima. Concludo questo paragrafo ammettendo d’essere consapevole che i parametri scelti e l’argomentazione sviluppata per afermare l’idea di militudine, e farla coincidere con la igura di Raquel Welch, sono del tutto personali. E che da chiunque potrebbero essere confutati e contro-argomentati con la proposta di modelli alternativi. Aggiungo che questo libro lo scrivo io, e dunque avrò pure la libertà d’esprimere la mia sull’idea di 145
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militudine e sulle relative igure ispiratrici. E mi verrebbe da parafrasare l’improvvido leader piddino Piero Fassino, per dire che chiunque avesse da sostenere idee diverse sul tema ci scriva sopra un libro e poi ne riparliamo. Ma visto come è andata a inire a lui, me la tengo per me. 2.4. Il pezzo che manca: la Vixen Il quadro dei riferimenti simbolici della militudine è ormai ricco e ben dettagliato. Si è avuto cura di sradicare l’idea che la Milf sia una igura esclusivamente sessuale, si è issato un punto fermo nel concetto che si tratti di un proilo da Second Life, ne sono state indicate caratteristiche morali e estetiche, e inine è stata indicata in Raquel Welch una igura che dall’autore può essere tratteggiata come un simbolo estetico di militudine. Ritengo però che manchi ancora un elemento per poter dire che il quadro sia completo. E questo elemento va individuato nella igura della Vixen, per come è stata portata sugli schermi cinematograici dal regista statunitense Russell Albion Meyer, meglio noto al grande pubblico come Russ Meyer. Personaggio eclettico nel mondo della produzione di immagine e comunicazione, Meyer è stato un documentarista e cineasta che a partire dagli anni Sessanta divenne un autore di culto nel genere sexploitation. È opinione 146
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condivisa che il suo he immoral Mr. Teas (1959) abbia inaugurato l’industria del porno negli Usa. Le immagini di nudo femminile, inserite in una pellicola dotata di plot e non dentro una produzione documentaristica, assestarono un colpo durissimo al Codice Hays, che a partire dagli anni Trenta aveva governato i contenuti delle produzioni cinematograiche attraverso l’applicazione di regole morali rigidissime. Dunque non si esagera sostenendo che Russ Meyer sia stato un paladino della libertà d’espressione, oltreché un innovatore in termini stilistici. E ciò aiuta a spiegare come mai egli sia diventato un regista di culto, con un’aura di rispettabilità non iniciata dall’avere inaugurato un ilone scabroso come quello del porno. Che in realtà, nel suo caso, è più softcore che hardcore. La ilmograia di Russ Meyer è molto ricca, e tutti quanti i suoi titoli sono riconoscibili per via di uno stile espressivo particolare che può essere sintetizzato isolando tre caratteristiche. La prima è il mix tra sesso e violenza. Due elementi narrativi che, detto senza alcun cinismo, sono un infallibile richiamo per una fascia molto vasta di pubblico, e non necessariamente la più disimpegnata. Inoltre va sottolineato che questo mix fra sesso e violenza viene sempre convertito dal tono drammatico a quello giocoso. La cupezza e il senso d’immoralità non appartengono ai ilm di Russ Meyer, che anzi difondono in ogni 147
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ma un potente messaggio di liberazione sessuale. La seconda caratteristica di questi ilm si appunta sui proili isici delle attrici scelte per impersonare i ruoli: tutte maggiorate. È questo l’elemento che più di tutti rende riconoscibili i lavori cinematograici di Russ Meyer. Il panorama di seni enormi è la regola in quei lungometraggi. Tanto da spingere Paul A. Woods, autore di un saggio sul cinema di Meyer, a scegliere per il titolo un geniale gioco di parole: he very breast of Russ Meyer (2004). Quelle pellicole sono un inno alla femminilità prosperosa e impudica, capace di imporsi innanzitutto attraverso l’esuberanza isica e da lì in poi grazie a una sfrontatezza che non ammette misure. La terza e più importante caratteristica è quella tratteggiata in un altro libro dedicato alla ilmograia di Russ Meyer. Il volume in questione è stato scritto da Jimmy McDonough e ha come titolo Big bosoms and square jaws: the biography of Russ Meyer, king of the sex ilm (2005). In questo volume l’autore sostiene la tesi secondo cui i ilm di Meyer contengano elementi e messaggi che comunicano un’idea di empowerment femminile: un atteggiamento quasi mai subalterno dei personaggi femminili nei confronti dei personaggi maschili, il fatto che negli scontri fra donne e uomini iniscano per prevalere sempre le prime, e soprattutto l’afermazione del desiderio sessuale femminile come un diritto da esprimersi in piena libertà. Fra 148
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l’altro, con grande acutezza, McDonough sottolinea come questa afermazione di una centralità delle igure femminili avvenga in un quadro rappresentativo e narrativo costruito a beneicio di un pubblico maschile. I ilm del genere sexploitation sono indiscutibilmente prodotti per andare incontro ai gusti di un platea formata da maschi adulti. In linea di principio, dunque, dovrebbero essere l’ennesima occasione di sfruttamento e merciicazione del corpo femminile a beneicio di consumatori di sesso maschile, e invece proprio qui si veriica il rovesciamento di forze che è uno dei pilastri della militudine. Le protagoniste dei ilm di Russ Meyer si muovono perfettamente a loro agio in un’arena tutta maschile, e anziché subirne le regole e le strutture di potere vi si ribellano. Fino a espugnarle imponendo una femminilità pienamente consapevole e autodeterminata. La galleria delle attrici che hanno animato i ilm di Meyer è ricchissima di igure dalla femminilità impetuosa, sopra le righe. Da Raven De La Croix all’anagrafe Lynn Christie Ann Martin, a Lorna Maitland all’anagrafe Barbara Popejoy, da Lori William a Alaina Capri, ino alla nippo-americana Tura Satana, che all’anagrafe faceva Tura Luna Pascual Yamaguchi. Ciascuna di loro dà un contributo a deinire un proilo femminile inventato proprio da Russ Meyer per i suoi ilm: il proilo della Vixen. Un termine che purtroppo non trova traduzione in italiano, e anche questo è un 149
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dettaglio signiicativo. La Vixen è la femmina della volpe, e l’accostamento all’animale che fonda la sopravvivenza sull’astuzia anziché sulla forza è massimamente indicativo per descrivere una certa idea di femminilità. Altrettanto emblematico è che l’anno d’approdo di quell’opera nelle sale cinematograiche sia il 1968. Inoltre, Vixen! è il titolo di quello che assieme a Faster Pussycat! Kill! Kill! è il ilm più famoso del regista californiano. La storia, raccontata secondo i canoni del softcore, mette al centro le vicende di Margot Vixen Palmer. Il personaggio, interpretato dalla prosperosa Erica Gavin (all’anagrafe Donna Graf), è una donna dall’insaziabile desiderio sessuale. E giusto per rimanere agli schematismi che la lingua nazionale esprime perché collegata a pregiudizi e categorie culturali, merita d’essere sottolineato che la pagina in italiano di Wikipedia dedicata al ilm deinisce ninfomane la signora Margot. La pagina in inglese la deinisce invece sultry and sexually assertive (calda e sessualmente esplicita), il che ne dà ben altra immagine. Inutile ribadire quanto detto in chiusura del precedente capitolo a proposito della ninfomania. Basta sottolineare che tutto sta nel diverso modo di denominare la singola realtà, e che il potere di denominazione è uno dei più schiaccianti fra quelli in circolazione. A ogni modo, l’incontenibile sessualità della Vixen Margot viene raccontata con un tono satirico che disinnesca immediatamente qualsiasi tentazione di 150
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etichettare moralisticamente il personaggio. E il taglio grottesco che pervade l’intera opera colpisce non soltanto la protagonista della storia, ma anche tutti gli altri personaggi. Lo smisurato desiderio sessuale viene de-stigmatizzato e, oltre a essere rappresentato come un diritto a esternare a proprio modo la sessualità personale, diventa anche il motore di una vicenda in cui i personaggi maschili sono grotteschi il doppio. Così raigurata, la Vixen è una straordinaria intuizione che va oltre le sceneggiature dei ilm di Russ Meyer. È una donna che assume una nuova consapevolezza dopo essersela guadagnata al termine di duri conlitti col mondo maschile. E una volta raggiunta questa afermazione la Vixen esce dallo schermo e prende a difondere il proprio stile espressivo e il senso d’un ruolo sociale della donna che ne mette in discussione la subalternità. Inoltre, la sua prosperosità isica è perfettamente in linea con una certa immagine della militudine. Sicuramente con quella che io riconosco. Al di fuori d’ogni dubbio, quello della Vixen è un proilo da pre-Milf. Segna uno stato d’avanzamento verso la Milf che ha già compiuto molta parte del percorso, ma che ancora si trova a scontare le tare di un’epoca in cui l’equilibrio di potere fra sessi è nettamente più sbilanciato di quanto sia adesso. I corpi e le gesta delle Vixen occupano la scena durante una fase storica culturalmente molto meno aperta rispetto a oggi. È 151
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anche per questo che esse si portano dentro una vena di drammatico. La giocosità e la pienezza di vita espresse dalle creature dei ilm di Russ Meyer s’innestano in quadri narrativi per niente idilliaci, a loro volta espressione di un clima sociale e culturale in cui le strutture del potere maschile sono ancora salde e incontrovertibili. I ilm del regista californiano cominciano a circolare per le sale cinematograiche a ine anni Cinquanta, l’epoca della famigliola medio-borghese riprodotta nel già citato Modello Happy Days (ma anche il Modello Peyton Place, versione molto meno apologetica del medesimo oggetto), e prendono a sidare gli stereotipi sessuali ingaggiando una battaglia che passa attraverso il Sessantotto e contribuisce a cambiare il costume sessuale negli Usa. Quando l’ultimo ilm di Russ Meyer giunge sul mercato cinematograico (Beneath the Valley of the Ultra-Vixens, 1979) siamo già sulla soglia degli anni Ottanta, e durante un trentennio si è registrata un’evoluzione dei costumi e della morale pubblica alla quale le eroine di queste opere cinematograiche hanno dato un rilevante contributo. Ma nel contribuire a questa evoluzione di mentalità la Vixen deve afrontare passaggi anche molto crudi. Il mood complessivamente giocoso delle storie rappresentate sullo schermo fa sì che quei passaggi vengano sdrammatizzati dal meccanismo narrativo, e inoltre da essi partirà il riscatto personale della donna che smette d’essere oggetto 152
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per imporre la propria soggettività. Ma riscatto e soggettività arrivano comunque a prezzo di subire l’esperienza traumatica. Proprio qui sta lo speciico dell’afermazione di soggettività che la Vixen realizza. L’esperienza dell’abuso viene usata come molla di fortiicazione interiore, e genera un’ansia di sovvertimento. Alla violenza del potere maschile, le eroine dei ilm di Russ Meyer rispondono non con una mera restituzione di violenza, ma col rovesciamento della situazione. Il trauma subito mette in moto uno schema di revenge. Ma quando poi arriva il momento di vendicarsi e restituire il torto subìto, tutto quanto avviene come se non si trattasse soltanto di saziare un’esigenza di riscatto personale. La Vixen si fa giustizia soprattutto per afermare un diverso modo di fare giustizia. È questo il senso più profondo di quell’operazione culturale di empowerment che Jimmy McDonough vede condotta attraverso i ilm di Russ Meyer. La Vixen è un rompighiaccio rispetto alla morale consolidata del tempo, e attraverso la crepa aperta dalla sua azione comincia a emergere la Milf come igura suprema della consapevolezza femminile. Una igura ormai liberata dall’ansia di non trovare ascolto nell’afermazione dei propri diritti all’autodeterminazione erotica, alla libertà sessuale esibita, alla rivendicazione di un immaginario sessuale non più subalterno rispetto a quello maschile, alla singletudine come condizione scelta anziché 153
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subita. La Milf è una Vixen del tempo di pace, ma se necessario non avrebbe diicoltà alcuna a recuperare in cantina l’anima pugnace.
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Capitolo 3 Milf VERSUS, ovvero: dell’incontro-scontro con altri stereotipi della femminilità
Mi è stato necessario più di mezzo libro per disegnare un proilo dettagliato della Milf. E non è detto che sia riuscito nell’intento, né che non siano stati tralasciati elementi meritevoli d’essere menzionati. Comunque sia, esaurita la fase analitica dedicata alla deinizione del proilo di Milf, bisogna aprire quella del confronto fra la Milf e il mondo concreto. Che a sua volta è popolato da una miriade di altre igure tipizzate, ridotte come la Milf al rango di categorie immediatamente riconoscibili. Se facessimo soltanto un attimo mente locale scopriremmo che, al di fuori di quelle appartenenti alla nostra cerchia di relazioni immediate, nel nostro modo di classiicare la realtà non esistono quasi più le persone, ma piuttosto i tipi umani attraverso la cui 155
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siicazione riusciamo a renderci più leggibile la realtà. Non è questa la sede per abbozzare una lista dei tipi umani, tanto più che sarebbe un lavoro lunghissimo. Ci si limita a tracciare una lista di altri tipi femminili, in massima parte creati dalla medesima propensione maschile a denominare da cui nasce l’acronimo Milf. Tutti quanti hanno il pregio di inquadrare distintamente delle caratteristiche femminili (anagraiche, sociali, culturali, temperamentali, esperienziali, sessuali), distribuite in proili riconoscibili. E poiché questo libro è dedicato a dimostrare la superiorità estetica e morale della Milf, penso sia una giusta scelta costruire dei confronti fra il tipo della Mother I’d Like to Fuck e tutti gli altri che sono stati selezionati. Come se si trattasse d’una serie di match disputati dentro un’arena che non ammette il pareggio. E mi si perdoni se da qui in poi il capitolo sembrerà un cartellone stagionale intitolato Milf Versus, come se fosse una tournée agonistica. Ciò che rischia di far scadere in burla, portandolo su un terreno da Celebrity Deathmatch, il discorso che in qui s’è sforzato di mantenere un contegno. Ma è un rischio che vale la pena correre. Match n. 1: Milf vs Teen Le immagini dello spot pubblicitario 156
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sentano la cosa con un’eicacia che mille parole non conterrebbero. Si tratta di una reclame della Renault Twingo, passato in tv nell’inverno 2012. Raigurava una madre alla guida del nuovo modello messo sul mercato dalla casa automobilistica francese. La donna recupera la iglia all’uscita da scuola, e dopo averla fatta montare in auto si appresta a ripartire. Ma a quel punto nota qualcosa fuori posto. Chinandosi per sistemare la borsa di scuola sul piano dell’auto, la ragazzina scopre il fondo schiena. E lì spicca un tatuaggio nuovo di zecca di cui la signora nulla sapeva. La madre mostra disappunto. Severamente chiede alla iglia cosa le sia saltato in mente, e quella si ritrae immediatamente e si predispone a subire il cazziatone. Invece succede che la madre cambi espressione, da severa a maliziosa. Si china anche lei, tira giù la zip posteriore dei pantaloni e mostra sul fondo schiena un tatuaggio molto più esteso e vivace. E a quel punto esclama: «Questo è un tatuaggio!». La scena si chiude con la risata liberatoria di madre e iglia che scioglie la tensione. Si tratta di uno spot che trovo splendido, e che nella versione italiana è circolato con durata inferiore di un paio di secondi rispetto a quella internazionale. La versione in lingua inglese disponibile su youtube mostra per intero il movimento con cui la madre si porta le mani dietro la schiena e poi si china prima di tirare giù la zip. E quell’ondeggiamento è assolutamente la parte più 157
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sensuale dell’intero spot. Magari nella versione italiana è stata tagliata proprio per questo, e fra poco capiremo perché. Inoltre, mentre compie la manovra di spogliamento, la madre dice alla iglia: «Quello non è un tatuaggio». E questa frase è propedeutica all’esclamazione udibile anche nella versione italiana: «Questo è un tatuaggio!». Lo spot appartiene a un’articolata campagna pubblicitaria dell’allora nuovo modello Twingo. Il titolo della campagna è Modern Times, e rappresenta situazioni che coinvolgono persone della stessa famiglia ma di generazioni diverse. E la caratteristica delle situazioni rappresentate è che, fra le due parti in scena, a mostrare maggiore apertura mentale è quella da cui meno ce la si aspetterebbe. Nella scena rappresentata si vede una madre che osa più della iglia e mostra maggiore sensualità. E lo schema della più elevata apertura mentale della persona più anziana rispetto a quella più giovane si ripete negli altri casi in cui i due personaggi coinvolti sono femminili. C’è un’altra situazione che vede la mamma alla guida e la iglia seduta sul lato passeggero. Al semaforo le due si fermano davanti a un locale, dove è in programma uno spettacolo erotico la cui protagonista si chiama Lola. E guardando l’immagine del cartellone si scopre che Lola è la ragazza seduta sul lato passeggero. Ancora una volta, sulle prime la madre rimane sconcertata. Ma poi si apre in un sorriso e dice alla iglia: «Ma come? Hai trovato lavoro e non 158
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mi hai detto nulla?». La terza situazione coinvolge nonna e nipote, e anche in questo caso la giovane sta seduta sul lato passeggero. Alla ragazza squilla il telefono, e mentre lo sila dalla borsa fa scivolare giù un preservativo. Imbarazzo iniziale, poi la nonna raccoglie il condom e dice alla nipote: «Non ricordavo che ti piacesse la fragola». E già ce ne sarebbe di che rimanere spiazzati, ma non inisce lì. Perché quando la nipote tende la mano per farsi restituire il proilattico, la nonna anziché restituirlo se lo tiene e lo caccia dentro il reggiseno. Della campagna pubblicitaria Twingo intitolata Modern Times sono reperibili almeno altri tre spot. Uno raigura la madre che in abito da sera rientra in casa molto tardi, e sulla soglia si sila le scarpe per fare meno rumore possibile. E invece, quando oltrepassa la porta, trova il iglio in cucina a attenderla mentre sorseggia del cafè e le fa una reprimenda. E poi ci sono quelli che raigurano i padri, immancabilmente privati della loro virilità. Uno di questi mette in scena il padre vestito da Drag Queen mentre fa la coda insieme ai«colleghi» fuori da una discoteca. Passa di lì il iglio alla guida di un’auto carica di amici, e dopo l’imbarazzo iniziale invita il padre a montare su per fare un giro. E inine c’è la mattina delle nozze, col padre e la iglia che si dirigono verso la chiesa. I due arrivano a braccetto davanti all’altare dove già lo sposo è in attesa, e lì la iglia bacia il padre sulla guancia augurandogli ogni felicità nella nuova 159
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vita coniugale. Altro che complessi di Edipo e di Elettra: qui c’è tutta una struttura narrativa della psicanalisi che viene mandata in vacca. Di questi spot soltanto i primi due hanno una versione in lingua italiana. E a dire il vero io ricordo di aver visto passare in tv soltanto quello del tatuaggio. Ho scoperto lo spot di Lola in lingua italiana grazie a youtube, ma forse sono stato distratto qualche settimana mentre viaggiava per il sistema dei media. Tutto ciò detto, se vi chiedete come mai la campagna Modern Times abbia avuto una difusione così limitata in Italia, potete trovare risposta leggendo su youtube i commenti in italiano postati sotto il video della mamma e della iglia tatuate. Eccone una selezione, coi frammenti riportati in modo testuale e senza alcun intervento di editing: SPOT DISEDUCATIVO ! VERGOGNA a tutte le reti che lo trasmettono semplicemente diseducativa !!! Poveretta quella donna che ci ha messo la faccia per interpretare quel ruolo da madre adolescente mai cresciuta ! grande esempio per i giovani.. ! se avessero messo un padre probabilmente qualcuno si sarebbe scandalizzato di piu’ ! Ma signori, da quando avere un tatuaggio è diseducativo?? Da quando una mamma con un tatuaggio non sa educare la propria iglia?? Più passa 160
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il tempo e più mi rendo conto di come l’Italia sia rimasta al medioevo!!! O.o diseducativa, un disastro pedagogico: i genitori devono fare i ì genitori non gli amici! queste cose si vedono perchè menti deboli hanno vissuto i tentativi dei loro genitori nell’educarle come pure e sadiche angherie: il che signiica che pur invecchiando non hanno capito niente, e non si sono prese il disturbo di maturare tanto così! ma voi quando crescevate volevate un antagonista o una igura solida..pur anche da mettere in discussione?se volevate rimanere single dovevate evitare i igli.. Ovviamente in un paese così retrogrado non poteva essere ben accolto (lo spot è francese). Abituati a veline, culi, vagine, seni in tv sbattuti in faccia i poveretti si scandalizzano se una donna mostra un innoquo tatuaggio. Ma cosa ci vede di sbagliato o diseducativo o provocativo in questa pubblicità? me lo spiegate ? Sinceramente io nn vi vedo nulla di male. Dimostra soltanto una madre in linea con i tempi che corrono e non all’antica. Povera italia ma quanto indietro sei?!?!? Cmq a me l’auto piace, è sempre un auto che puoi avere a prezzi contenuti altro che quei quadricicli del cavolo che te li trovi anche sulle strade extraurbane e sono uno schifo di design e sono un pericolo pubblico 161
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Se la mamma è una grande mignotta la iglia come puo uscire???? @xxx ti faccio una semplice domanda il tatuaggio sul culo a cosa serve??? e poi basta pensare tra 40 anni tutte vecchie con il tatuaggio sul culo o altre parti del corpo..io nn rovinerei mai la mia bellissima e preziosa pelle con una stronzata del genere Ribadisco il concetto: inutile che vi facciate illusioni, il Paese reale è questo. E nel Paese reale c’è ancora gente che s’indigna davanti alla igura di una mamma così esuberante, pubblicamente rappresentata come una donna che si curi d’essere ancora seducente né abbia paura di mostrarsi così ai igli. Poi magari, come si vedrà più avanti, stiamo parlando dello stesso Paese che cerca assiduamente porno-mamme sui portali hardcore del web, e questa altro non è se non l’ennesima dimostrazione di quanto radicato sia il doppio moralismo del carattere nazionale. Ma torniamo allo speciico dello spot e dei suoi contenuti per riprendere il tema del confronto fra i due tipi femminili. Un confronto a proposito del quale mi espressi attraverso i social proprio dopo aver visto per la prima volta passare in tv lo spot della Twingo. Scrissi più o meno che quello spot è la dimostrazione d’una legge incontrovertibile: Milf batte sempre Teen 10-0. E quando parlo di teen, cioè di adolescenti, so di avviarmi su un 162
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reno parecchio scivoloso. Si parla di minorenni, e dunque si preigura una situazione in cui ragazze (ma anche ragazzi) di minore età vengono messe al centro di uno schema del desiderio sessuale. Per cui igurarsi quanto si rischi l’osso del collo, in un paese che considera diseducativo uno spot in cui viene rappresentata una mamma che esibisce alla iglia un tatuaggio appena sopra il culo. Viviamo tempi in cui abbiamo inventato paure nuove per orrori vecchi come il mondo. E come se volessimo cancellare tutto il tempo in cui eravamo stati tanto distratti da considerare normali quegli orrori, adesso facciamo scattare la mannaia su ogni espressione che si presume porti una qualche indulgenza verso quell’orrore vecchio diventato paura nuova di zecca. Ci siamo resi conto che l’abuso e la violenza sui minori sono crimini specialmente abbietti, e se ce ne siamo resi conto signiica che la nostra sensibilità sul tema si è elevata al punto tale da renderci particolarmente esigenti. Fino a sconinare nell’eccesso, e astenerci dall’esprimere qualsiasi atteggiamento che possa essere interpretato come un cedimento all’abiezione. Qualche tempo fa mi trovai a rilettere su un interrogativo: al giorno d’oggi potrebbe essere scritta un’opera come Lolita di Vladimir Nabokov? E mi fa piacere che di recente altri si siano posti lo stesso interrogativo, perché signiica che si tratta di un tema sul quale si comincia a difondere una sensibilità. Allo stesso modo, mi chiedo 163
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se oggi possa ancora essere scritto e cantato un brano musicale bellissimo come Lella. Che parla di una fattispecie di crimine oggi denominata femminicidio. E ancora una volta sottolineo che l’avere denominato come femminicidio la violenza mortale esercitata sulle donne a partire da un senso malato dell’attaccamento signiica avere fatto un gigantesco passo avanti in termini di civilizzazione. Continua a sembrarmi impossibile, avendo superato i cinquant’anni d’età negli anni Dieci del Ventunesimo secolo, di averne avuti quindici quando nel 1981 veniva abolito dal Codice Penale l’orrore dell’articolo 587, quello intitolato «Omicidio e lesione personale a causa di onore». Leggere il testo di quella norma provoca ancora brividi gelidi: Chiunque cagiona la morte del coniuge, della iglia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’ofesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona, che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la iglia o con la sorella. Se il colpevole cagiona, nelle stesse circostanze, alle dette persone, una lesione personale, le pene stabilite negli articoli 582 e 583 sono ridotte a un terzo; se dalla lesione personale deriva la morte, la pena è della reclusione da due a cinque anni. 164
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Non è punibile chi, nelle stesse circostanze, commette contro le dette persone il fatto preveduto dall’articolo. Un articolo del codice penale tutto scritto al maschile. Che mette al centro, con l’eccezione di quel generico e neutrale «coniuge», soltanto igure femminili (la iglia e la sorella, col coniuge-moglie a fare da sottinteso) come potenziali esecutrici di condotte ritenute «contrarie all’onore». Condotte portatrici di un vulnus alla reputazione ritenuto talmente grave da attenuare la sanzione penale contro l’omicida. Adesso il testo del Codice Penale, all’articolo 587, recita: Abrogato dalla L. 5 agosto 1981, n. 442. Ogni volta che leggo questa formula penso al 5 agosto del 1981. Penso proprio al giorno in sé, e provo a immaginare cosa stessi facendo nelle ore in cui il Senato della Repubblica cancellava dal Codice Penale non soltanto l’articolo 587, ma anche due altri articoli particolarmente odiosi per ilosoia e conseguenze. Il 544, che permetteva l’estinzione del reato di corruzione di minorenne qualora intervenisse un matrimonio riparatore (ma non sentite quanto orrenda suoni adesso, la formula «matrimonio riparatore?»). E il 592, del quale basta menzionare il titolo: Abbandono di un neonato per causa di onore. Molto probabile che in quelle ore fossi in spiaggia a San Leone, mattina o 165
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riggio che fosse, a godermi l’estate fra la Quinta Ginnasiale e la Prima Liceo Classico. E cosa ne sapevo che ino a qualche ora prima fosse possibile scannare per ragioni d’onore una moglie, o una sorella, o una iglia, e cavarsela con una pena più mite rispetto a quella da irrogarsi per un normale omicidio? Non ero cosciente di vivere un tempo in cui persistesse sifatta barbarie. E adesso che questa consapevolezza è stata acquisita, mi pare impossibile essere vissuto quindici anni in un Paese che prevedeva attenuanti per il delitto d’onore. Mi è toccato divagare per rendere al meglio l’idea, e prima di tornare al punto devo completare il periplo della divagazione per non lasciare incompiuto il ragionamento. Il senso del mio argomentare è che Lella viene scritta e cantata per la prima volta nel 1975, un’epoca in cui la violenza nei confronti delle donne era molto più quotidiana e normalizzata di quanto sia adesso, e che per di più, in determinate e estreme condizioni, le conseguenze penali potessero essere attenuate dagli efetti della norma sul delitto d’onore. Se al giorno d’oggi siamo arrivati a dare una rilevanza speciale a questo tipo di delitti, tanto da elaborare una nuova parola e una nuova fattispecie di reato, ciò è dovuto anche al fatto di essere passati da quei tempi e di averne preso le distanze, che è signiicato anche prendere le distanze da noi stessi e da come eravamo stati. Ma quest’accresciuta sensibilità è motivazione suiciente per imbrigliare la 166
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libertà d’espressione e la creatività artistica? È un quesito scomodo, ma che prima o poi bisognerà pur afrontare se non si vuol correre il rischio di vedere un giorno mettere al rogo le copie di Lolita o i cd in cui sia presente la traccia di Lella. E allo stesso modo, quando l’onda emotiva si sarà un minimo rafreddata, bisognerà trattare con una punta di discernimento il moto di ribellione contro le molestie sessuali nel mondo dello spettacolo. Un moto di ribellione a proposito del quale sono totalmente d’accordo, soprattutto se lo si estende dallo speciico del mondo dello spettacolo al generale delle relazioni di lavoro e dei luoghi in cui vi siano condizioni di asimmetria nelle relazioni di potere fra uomini e donne. Mi è capitato più volte di sentirmi a disagio da uomo fra uomini che ritengono di potersi prendere delle licenze nei confronti delle donne presenti. E certo si è trattato di licenze esclusivamente verbali, anche perché diversamente mi sarei opposto a che le cose andassero oltre. Ma proprio perché di cose «soltanto verbali» si trattava, penso a quanta fatica quotidiana avrei dovuto afrontare se mi fossi trovato nei panni di una donna. Se provo fastidio per le cose «soltanto verbali», igurarsi quanta soferenza per tutto ciò che va oltre. E oltre il limite delle cose «soltanto verbali», che davvero è il livello basic, c’è uno spazio sterminato di abusi potenziali e reali. E tuttavia, premesso questo mio essere consapevole di quanto capillari e normalizzate siano le pratiche 167
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di molestie e abusi, dico che quest’ondata di ribellione rischia di imporre un eccesso di segno opposto. Forse si tratta di una conseguenza inevitabile, vista la portata della piaga. Si è taciuto talmente tanto e talmente a lungo da rendere impensabile che la prima fase di piena possa essere regolata. Ma quando sarà arrivato il momento in cui il massimo della temperatura emotiva si sarà stemperato, si potrà cominciare a afrontare la questione col discernimento che anche questo dossier richiederebbe. E per prima cosa ci si renderà conto che, se è giunto il momento di fare delle molestie e degli abusi sessuali un tema di pubblico dibattito e altrettanto pubblica indignazione, ciò è merito innanzitutto di una presa di coscienza che è non soltanto femminile, ma sociale. Perché a difonderla saranno stati anche uomini che non hanno mai molestato o abusato, ma anche quelli che l’hanno fatto in modo contenuto e senza mai oltrepassare un segno, o che inine l’hanno fatto e se ne sono profondamente pentiti. Anche i fenomeni più turpi hanno una loro scala di complessità. Ho avviato questa lunga argomentazione sul mutamento dei costumi perché necessitava essere chiari a proposito dell’uso delle parole e delle rappresentazioni sociali. Un uso che può essere condizionato dal mutare del clima culturale e dalla sensibilità nei confronti di determinate realtà. E la chiarezza s’impone riguardo all’uso della parola che etichetta il tipo contrapposto alla 168
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Milf in questo paragrafo: Teen. Che, ribadisco, è adolescente e dunque minorenne. Quanto adolescente e quanto minorenne, dipende dai casi. E i casi possono essere scabrosi, senza che tuttavia si giunga a un’opinione univoca. Le legislazioni a proposito di età del consenso sono parecchio variegate, e le fattispecie attenuanti e/o aggravanti per quello che riguarda i rapporti fra una persona (molto) maggiorenne e una minorenne rendono ulteriore complessità alla questione. Per quanto mi riguarda, dico che un’ampia diferenza d’età comporti inevitabilmente le condizioni del plagio, specie se una delle due persone coinvolte è al di sotto della maggiore età. Dunque i «molto maggiori» farebbero bene a astenersi dal correre dietro alle Teen, e senza guardare al fatto che sia legale o meno. E potreste scommettere sul fatto che questa posizione trovi ampio consenso. Salvo poi imbattersi nel doppio-moralismo di chi separa le prese di posizione teoriche e universali dai comportamenti pratici e personali. O in chi, per difendere un capo di governo con la passione per le minorenni, vi spacca il capello in venticinque su età del consenso e consapevolezza dell’utilizzatore inale. Terreno scivoloso, si è detto. Ma anche funambolici pattinatori sull’olio. Del resto anche nel cinema porno, cioè un contesto nel quale non si va certo per il sottile, ci si è posti il problema. È vero che esiste un lorido genere Teen, ma se poi si va a guardare chi siano 169
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le interpreti si scopre che son tutte maggiorenni isicamente minute, e magari acconciate con le treccine giusto per creare l’efetto Cappuccetto Rosso. E a quel punto si crea una scissione che non riguarda nemmeno più la realtà e la inzione, ma la inzione e il simulacro. Perché in un’opera di inzione si consuma pure un inganno, laddove si spaccia per Teen una donna che proprio non lo è. E dunque si porrebbe un problema che sarebbe al tempo stesso morale e legale: qualora il porno che utilizza minorenni fosse reato, per conigurarsi il reato bisogna che venga impegnata in scene di sesso esplicito un/a vero/a minorenne, o è suiciente rappresentare una situazione in cui un/a into/a minorenne fa sesso con uno o più maggiorenni? Si badi che questo non è un arzigogolo dell’autore, ma una seria questione di rapporto fra arte e vita, e tra inzione e realtà, di cui si è avuta anche un’applicazione concreta. Il caso si concretizzò con la realizzazione dell’opera cinematograica Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci (1972). Una storia torbida come da tradizione dei B movie cui si è fatto cenno in precedenza. Esigenze di sceneggiatura richiedevano che uno dei personaggi femminili, interpretato da Barbara Bouchet, si mostrasse nuda a un ragazzino molto minorenne. Una passaggio che immediatamente richiamò l’attenzione della censura, dato che per le leggi dell’epoca era proibito inserire attori minorenni in scene scabrose. Fulci 170
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dovette renderne conto in tribunale, e spiegando l’escamotage usato riuscì a scagionarsi da ogni accusa. Raccontò infatti che nelle scene in cui il ragazzino venne ripreso con inquadratura frontale, egli non aveva di fronte la presenza nuda di Barbara Bouchet. E dunque, in quei casi, non sussistevano le condizioni per la violazione della legge. Invece per le scene girate in controcampo, con l’attrice sullo sfondo e la igura del ragazzino ripresa di spalle, fu impiegato un uomo di statura molto bassa (un tempo si sarebbe detto «un nano», ma oggi le esigenze di correttezza politica non consentono) amico dei produttori. Si trattava di Domenico Semeraro, che purtroppo quasi vent’anni dopo fu vittima di un’eferata vicenda di cronaca nera. Dunque, il fatto che nelle scene scabrose non vi fosse efettiva compresenza di un minore e di una donna voluttuosamente nuda bastò a evitare che scattassero i requisiti per la colpevolezza. Ma rimane irrisolto il problema della coerenza simbolica. La scena racconta comunque del coinvolgimento d’un minore, e il senso comunicato allo spettatore rimane intatto. Perché chi assiste al ilm ha l’impressione che quello lì sia un vero minore. E non ci si può appellare al fatto che si tratti di una inzione, perché se nell’opera di inzione fosse stata inserita un’inquadratura in cui inequivocabilmente fossero compresenti e riconoscibili una Barbara Bouchet nuda e l’attore minorenne, sarebbe scattata la violazione della 171
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norma. E invece nella inzione viene esercitata una inzione al quadrato, grazie all’utilizzo di un simulacro di bambino: l’adulto che ha la statura d’un ragazzino parecchio minorenne. L’aneddoto dimostra una volta di più quanto agevole sia aggirare i divieti e prendersi befa delle guardianie morali. E nel medesimo solco si inseriscono tutti quei produttori di contenuti porno che, non volendo rinunciare a trattare il genere Teen ma dovendo al tempo stesso imporsi un surplus di cautela, preferiscono utilizzare la formula barely legal, «appena maggiorenne». Un altro modo per alludere. Resta intatta una constatazione: esistono schiere di uomini cui piacciono le Teen. Che le mettono al centro dei loro desideri, e sarebbero pronti a giocarsi la reputazione oltreché la fedina penale per correre dietro a quell’impeto. E dire ciò non signiica essere d’accordo. Semplicemente, se ne prende atto. Gli adulti che desiderano le Teen esistono e continueranno a esistere. Tanto più in un’epoca che vede gli adulti prolungare il percorso verso la maturità e le adolescenti farsi donne molto più velocemente di un tempo. Cosa posso commentare rispetto a ciò? Preferisco riprendere lo spot Twingo e utilizzarlo per dire come la penso. Guardate le due protagoniste, mamma e iglia. O meglio, Milf e Teen. La Teen, che avrà un’età di più o meno quindici anni, è indiscutibilmente carina. Promette bene, ha tutto per diventare una donna molto bella. Invece 172
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la Milf dello spot non ha davvero nulla che rubi l’occhio. Non si può dire che sia una brutta donna, ma certamente non è una di quelle che spingano a voltarsi per guardarle. Inoltre è vestita in modo ordinario e non ha un ilo di trucco, e è evidente che questa medietà sia un efetto ricercato da chi ha concepito lo spot. Ma poi, nel momento decisivo, è la Milf a sprigionare un’audacia e una sensualità che annichiliscono la Teen. Col sorriso che mostra la malizia vissuta, con gli ammiccamenti che sono un surplus di pedagogizzazione, con la sinuosità dell’ondeggiamento che la giovinetta dovrà apprendere mangiando quintali di duro pane, col gesto secco di svestire il fondo schiena che vale la visione in loop della sequenza, e con quel brano di pelle denudata e tatuata che è una sentenza deinitiva. È 10-0, e sarebbe inutile cercare rivincite perché verrebbe fuori un’altra goleada. Bisognerebbe ne tenessero conto tutti quei maschietti eterosessuali che insistono nella caccia alla Teen. Sarebbe molto più salutare per loro se la smettessero di correre dietro alle Lolite. E non tanto perché sia una cosa legalmente a rischio e moralmente discutibilissima. Ma proprio perché non sanno cosa si perdono preferendo una Teen a una Milf. E forse se lo meritano pure, di perdersi questo tripudio di vitalità.
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Match n. 2: Milf vs Soccer Mom Eccovi servito un match della mammità, una di quelle situazioni che vengono buone apposta per mettere in discussione una igura elevata sul piedistallo della santità: quella della mamma, appunto. Messi qui a confronto sono due tipi di madre: la Milf e la Soccer Mom, cioè la Mamma del Calcio che come igura stereotipa sorge anch’essa negli Usa. Della Milf sapete ormai tutto o quasi. La Soccer Mom è invece una igura che va deinita, a beneicio di chi non ne avesse sentito mai parlare. Si tratta di un proilo di cui si comincia a parlare a metà degli anni Novanta. L’accreditata deinizione, riportata fra l’altro dalla pagina di Wikipedia, parla di una donna bianca suburbana di classe medio-borghese che ha igli in età scolare e se ne prende cura in modo assiduo e onnipresente. Di quell’onnipresenza fa parte anche lo scarrozzare i igli dalla scuola ai campi sportivi per consentir loro di conciliare studio e attività isica. Fra l’altro, una delle caratteristiche della Soccer Mom è quella di farsi carico dei igli d’altre mamme nello svolgimento del servizio taxi. Macchinate di adolescenti trasportati da una parte all’altra della città per essere puntuali all’allenamento o alla partita. Per tale motivo le mamme che rientrano in questo proilo sono regolarmente alla guida di un SUV o di un mini-van. La igura delle Soccer Mom prende a 174
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re mitizzata in occasione della campagna per le elezioni presidenziali Usa del 1996. Succede durante la convention del Partito Repubblicano, e a riferirne è un articolo irmato da E. J. Dionne Jr. per il «Washington Post». Datato 21 luglio e intitolato Clinton swipes the GOP’s lyrics, l’articolo è rintracciabile sul web. Vi si racconta la frustrazione che serpeggia nel partito conservatore Usa, coi delegati consapevoli di dover assistere alla sicura sconitta del loro candidato (il senatore Bob Dole, veterano della Seconda Guerra Mondiale) contro il presidente uscente Bill Clinton, e perciò costretti a usare argomenti velleitari. In particolare, Dionne si soferma sulle tesi esposte da Alex Castellanos, uno dei consulenti della comunicazione arruolati dalla campagna del senatore Dole. Riferendosi alla spregiudicatezza post-idoleogica di Clinton, capace di annettersi temi e slogan tradizionalmente appartenenti al conservatorismo statunitense, Castellanos si soferma sulle politiche in favore delle famiglie che il programma democrat mette sul piatto e accusa il presidente in carica d’inseguire il voto delle Soccer Mom. E subito dopo questa enunciazione viene esposta la deinizione di Soccer Mom, che è la stessa riportata dalle pagine di Wikipedia in tutte le lingue. Non si capisce se essa sia stata enunciata in questa formulazione da Castellanos, o se sia piuttosto una rielaborazione fatta da Dionne e da lì in poi assunta da tutte le fonti che la riportano. Ma qua175
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le che sia l’autore della deinizione, resta che dalla convention repubblicana in poi la igura della Soccer Mom diventi oggetto di dibattito e analisi. Come riferisce ancora la pagina di Wikipedia, quel nome era già circolante prima che fosse popolarizzato nell’estate del 1996, e ciò riproduce il meccanismo che è stato già visto all’opera con la popolarizzazione del termine Milf. Sul tema delle Soccer Mom vengono scritti pensosi articoli pubblicati da testate come il «New York Times», il «Boston Globe» e lo «Slate Magazine». Quest’ultimo ospita nell’ottobre del 1996 un commento del suo political editor Jacob Weisberg, intitolato Soccer Mom Nonsense. L’autore, che ammette d’essere stato uno statunitense appassionato di calcio nel tempo in cui il soccer era una pratica «esoterica», spende parole molto acute sul perché di quell’improvvisa attenzione per la igura della Soccer Mom. Un frammento di quell’articolo merita di essere riportato: Se la locuzione «soccer mom» è diventata rapidamente parte del lessico politico, forse il motivo è che questa locuzione è abilmente posizionata all’intersezione di diverse tendenze - il sorgere del calcio come svago della classe media, i ritmi di vita esigenti delle donne lavoratrici, la diferenziazione dei sobborghi urbani, la popolarità del Dodge Caravan, e altro ancora. Ma c’è ancora qualcosa di intrinsecamente fuorviante in questa categoria, così come per 176
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siasi altra categoria. Si pensava che il risultato delle elezioni del Congresso tenute nel 1994 2 fosse stato determinato dallo stereotipo dell’elettore repubblicano costruito dai media, l’Uomo Bianco Arrabbiato, che ama le armi da fuoco e la birra e odia il governo e i liberals. Cosa è successo, ci si potrebbe chiedere, al Maschio Bianco Arrabbiato? Sarà morto per un incidente di caccia? Si sarà dato al Prozac? E che ne è degli elettori che nel 1992 hanno votato Ross Perot, quelli che sono, per deinizione, il più ampio blocco di voto luttuante del Paese? Perché non decideranno le elezioni [presidenziali]? Il concetto secondo cui vi sarebbe un gruppo demograico che determina il risultato di ciascuna elezione (…) è utile per consulenti politici e giornalisti. Ma come suggerisce la volatilità di queste categorie, esse sono in genere dei cliché che mettono opacità molto più di quanto facciano chiarezza. Il dato che rimane è il riferimento a una igura di madre rappresentativa di un mutamento culturale che attraversa la società statunitense degli anni Novanta. Un fenomeno cui forse è stata data più enfasi di quanto la sua reale portata meritasse, ma che comunque segnala un proilo femminile rispondente alla realtà concreta: quello della mamma iperattiva e molto premurosa nella gestione dei igli. Ma il mutamento culturale cui 2 Un voto che, dopo soli due anni di presidenza Clinton, segnò la schiacciante afermazione del partito Repubblicano e del suo leader allora in ascesa, l’ultra-conservatore Newt Gingrich .
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si far riferimento riguarda non soltanto la igura materna. Spicca anche la difusione del calcio in una società nazionale che ino alla ine degli anni Ottanta lo aveva snobbato ritenendolo un gioco alieno alla propria cultura. E invece negli anni Novanta prende a difondersi in modo massiccio, soprattutto come disciplina sportiva di base. Con in più una speciicità: contrariamente a quanto avvenga nei paesi europei e latino-americani, che ne sono stati i tradizionali terreni di sviluppo, negli Usa il calcio come pratica sportiva trova una vasta difusione presso la popolazione femminile. Questo particolare connotato del suo radicamento ha in una prima fase raforzato il senso di alienità del «gioco più bello del mondo» presso il pubblico statunitense. Ancora nelle settimane precedenti i Mondiali di calcio del 1994 disputati proprio negli Usa, il calcio veniva spregiativamente etichettato come «sport per donne e per latinos». Una frase che pare fatta apposta per segnalare la mancanza di una M all’acronimo WASP. Quest’ultimo sta per White, Anglo-Saxon, Protestant, e indica il gruppo etno-culturale che dalla fondazione della First New Nation si è imposto come dominante tanto in termini politico-economici quanto in termini culturali. In realtà l’acronimo WASP dà per sottinteso la M di Male (maschio). La frase spregiativa rivolta ai gruppi sociali che negli Stati Uniti degli anni Novanta s’appassionavano al soccer ne è conferma. E 178
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tuttavia, al di là dell’odiosa vena di suprematismo che quelle parole trasudano, rimane indiscusso il fatto che negli Usa il calcio si sviluppi per impulso della vasta maggioranza di popolazione non (M) WASP. E che in questa ampia fascia demograica l’apporto delle donne sia determinante, tanto in termini di pratica diretta quanto di avviamento delle nuove generazioni alla pratica sportiva. In questo senso potrebbe essere esteso il ritratto dell’Uomo Bianco Arrabbiato tracciato da Jacob Weisberg, con l’aggiunta dei suoi gusti sportivi alle caratteristiche citate: certamente il baseball e il basket, ma anche o soprattutto una disciplina straordinariamente machista come il football e un’altra con elevato potenziale di violenza come l’hockey su ghiaccio. Rispetto a discipline come le ultime due, in cui si rilette un’idea di virilità particolarmente spiccata e forse anche caricaturale, il calcio è un gioco agonisticamente stemperato. E che a promuoverne la difusione siano le mamme degli anni Novanta è indice, dal punto di vista di osservatori dalla mentalità spiccatamente conservatrice, di un mutamento culturale radicale rispetto al mitizzato Spirito Americano. Sono gli anni in cui il politologo statunitense Andrei S. Markovits scrive un saggio ripreso in Italia da «Micromega», intitolato Perché negli Stati Uniti non c’è ancora il calcio. Il titolo richiama esplicitamente un saggio pubblicato nel 1906 da Werner Sombart, e intitolato Perché negli Stati Uniti non 179
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c’è il socialismo?. Markovits tornerà sul tema con un volume pubblicato nel 2001 e scritto assieme a Steven L. Hellerman. Il titolo contiene già la tesi, molto afascinante: Ofside: Soccer and American Exceptionalism. E il riferimento all’Eccezionalismo Americano, letto attraverso la diidenza verso lo sport più difuso a livello globale, è una chiave di lettura feconda da molti punti di vista. Lo è in particolare per il punto di vista che ci interessa qui, quello del carattere culturalmente e antropologicamente rivoluzionario che per la società Usa ha avuto la difusione del calcio come sport praticato in modo capillare a livello di base, nonché capace di rosicchiare quote di mercato e di pubblico agli sport professionistici tradizionalmente americani. E il fatto che quel processo di mutamento fosse trainato dall’attivismo di donne, per di più impegnate nel ruolo di mamme, faceva avvertire a certi settori della società Usa che quello fosse un mutamento che stava cambiando l’equilibrio del potere fra maschile e femminile. Il dibattito sulla igura delle Soccer Mom avrà vita breve, e la retrospettiva sul suo sviluppo lascia comunque un senso di nostalgia perché esso avveniva in un’epoca pre-Undici Settembre. Lo shock dell’attentato alle Torri Gemelle ha avuto, fra i tanti efetti, quello di spazzare via un clima sociale non ossessionato da esigenze di sicurezza e controllo. Sostenere che ciò signiichi un ritorno indietro rispetto ai progressi nel riequilibrio 180
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del potere fra sessi, sarebbe una forzatura. Ma di sicuro la società Usa è molto meno spensierata di quanto fosse nei giorni in cui si discettava delle Soccer Mom. Che sono state anch’esse fatte oggetto d’attenzione da parte del mondo del porno. E vi pregherei di non minimizzare questo dato, o credere che sia soltanto una issa personale. L’industria dell’hardcore basa le sue maggiori o minori fortune su una capacità di iutare il mercato che dovrebbe essere presa a esempio nelle scuole di marketing. Per gli operatori del porno è questione di sopravvivenza essere sempre sintonizzati sull’immaginario erotico difuso e sulle sue evoluzioni. E in proposito ricordo un’interessante discussione privata col regista hard iorentino Silvio Bandinelli, tenuta poco prima che lui decidesse di spostarsi a vivere e lavorare in Spagna per via dell’inasprimento iscale determinato nel 2008 dalla cosiddetta Porno Tax. In quella circostanza, e con massima serietà, mi venne raccontato che in quel periodo andasse forte il ilone «incesti», con grande proliferazione di DVD sul tema del sesso in famiglia. E vedrete che di questo speciico aspetto si tornerà a parlare nella parte inale del libro. Mi anticipò anche quale potesse essere un successivo sviluppo tematico, che andasse a coprire una nicchia inesplorata di mercato. Non dico di quale nicchia si tratti, sia per una questione di lealtà verso l’amico e sia perché compierei qualcosa di simile alla rivelazione di segreto industriale. 181
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Tanto più che quel ilone non è stato ancora sfruttato, e dunque non vorrei mai dare un’imbeccata ai concorrenti dell’amico Silvio. Posso però rivelare che l’idea di quel nuovo ilone fosse venuta dalle lettere giunte alla casa di produzione di Silvio, scritte da utenti del porno che non trovavano ancora soddisfatte determinate fantasie. Piaccia o no, anche in quel settore c’è un lavoro sulle esigenze di mercato e sui mutamenti di gusto dei consumatori. E dunque la presenza di un ilone Soccer Mom nei portali del porno è un indicatore del quale tenere conto. Bisogna tenere altrettanto in conto il fatto che si tratti di un ilone piuttosto limitato, sia in termini di contributi disponibili che di arco temporale della produzione video. Nel mondo del porno la Soccer Mom si manifesta e s’inabissa in modo rapido. Rimangono titoli espressivi come I scored a Soccer Mom, ma ciò fa parte del folklore porno. Piuttosto, è un altro l’elemento di rilevo che viene dall’interpretare questa igura attraverso la chiave di lettura della pornograia. C’è infatti che l’hardcore sia il solo, vero terreno comune fra la Milf e la Soccer Mom. Che per il resto sono due proili femminili pressoché agli antipodi. L’incolmabile distanza si svela proprio se si prende in esame quello che dovrebbe essere il principale tratto comune, e invece si rivela il segno più netto di distanza: il Prerequisito di Maternità. Che come si è visto non è indispensabile 182
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per la igura della Milf, e invece lo è per la Soccer Mom. Inoltre, anche se si desse per assunto che siano entrambe delle madri, lo sono in modo totalmente diverso. La Milf si è afrancata dalle ansie da madre protettiva. Il che non ne fa una madre irresponsabile, né tanto meno anafettiva. Piuttosto, è probabile che abbia formato dei igli maggiormente capaci di badare a se stessi. L’esatto contrario della Soccer Mom, che per come viene fuori dalle varie descrizioni è una sorta di Supermamma. Completamente dedita ai igli e alle loro esigenze, rispetto alle quali la sua vita personale viene trasformata in una variabile (molto) dipendente. Di più: la Soccer Mom è dedita non soltanto ai igli suoi, ma anche ai loro amichetti e dunque igli d’altri. Una madre marsupiale, totalmente schiacciata dai meccanismi della Prima Vita e senza alcuna consapevolezza che possa esservi una Second Life. Forse lo scoprirà nel momento in cui avrà capito che tanta sollecitudine verso le sue creature è eccessiva, un male verso loro ma soprattutto verso se stessa. Ho pensato proprio questo quando ho visto davanti a me una Soccer Mom. Ne esistono anche in Italia, non crediate si tratti d’uno stereotipo tutto americano. Era un pomeriggio d’inizio primavera, e me ne stavo a leggere un libro al parco di Campo di Marte, quello appena dietro la Curva Fiesole e il settore di Maratona dello stadio Franchi di Firenze. Vidi una madre sui 183
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quaranta-quarantacinque anni, che andava verso il campo d’allenamento portando in spalla la sacca dell’abbigliamento sportivo del igliolo. Questi aveva circa quindici anni, era già alto sul metro e ottanta e le camminava dietro, pienamente preso dallo spippolamento del cellulare. L’impeto di prenderlo a calci in culo fu forte. Ma non era afar mio, e comunque metà razione sarebbe toccata anche alla mamma. Perché in ogni iglio c’è l’imprinting dei genitori, e se viene fuori un rampollo talmente coglione da lasciare alla madre l’incombenza di portargli la borsa da calcio, dovrà pur esserci qualche colpa da parte di lei. Soltanto un gesto di ribellione da Milf avrebbe potuto estrarre quella madre dalle catene d’essere una Soccer Mom. Per esempio, un felice incidente con l’allenatore Under 30 del igliolo, un atto di ribellione da Vero Complesso da Giocasta per come è stato descritto nel primo capitolo, quando si è parlato di Mamma-di-Stiler e Mamma-di-Finch. Fantasie da iction di pessima qualità. Ma quanto sarebbe necessario che accadessero, a volte. Match n. 3: Milf vs Cougar Ma non staremo usando due nomi diversi per etichettare la medesima realtà? È l’interrogativo più frequente, ogni volta che si mette a paragone la igura della Milf con quella della Cougar. Che 184
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a sua volta, quando si tratta di deinirla, dimostra d’essere un proilo molto più sfuggente di quanto non sia la Mother I’d Like to Fuck. La parola è la versione inglese di puma, il felino denominato anche coguaro. Una specie aggressiva e potenzialmente pericolosa per l’essere umano. Ne deriva un’ovvia associazione d’idee alla caccia e all’istinto predatorio. Esattamente ciò che viene attribuito alla Cougar in termini di atteggiamento verso la sessualità e i rapporti col mondo maschile. Ma descritto in tali termini il proilo rimane vago. E se si deve mantenere entro lo schema simbolico della caccia, allora bisogna deinire in modo più compiuto le caratteristiche anagraiche sia delle predatrici che dei predati. Da questo ulteriore approfondimento si arriva a delineare in modo meno approssimativo la igura della Cougar. Si concorda sul fatto che si tratti di una donna adulta, di età compresa fra i trenta e i cinquantacinque anni, nonché dedita alla ricerca di uomini più giovani di lei. Molto più giovani, a dirla tutta. Invero, il proilo appena delineato riduce di poco la vaghezza. La stessa fascia anagraica è talmente ampia da essere quasi onnicomprensiva. E poiché i proili così deiniti hanno un carattere analitico, cioè individuano delle caratteristiche astratte che poi devono essere riscontrate nei casi concreti, ecco che la confusione aumenta. La Cougar potrebbe essere una Soccer Mom sulla via della redenzione, ma anche una Granny che 185
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si rimette in pista. Ma sia la Soccer Mom che la Granny appena menzionate potrebbero tranquillamente essere etichettate come Milf, a seconda di quale ne sia il comportamento e lo stile. E allora qual è la sfumatura decisiva? Per coglierla bisogna compiere anche in questo caso un rapido percorso etimologico e individuare l’origine della parola. Si scopre che il termine ha come luogo d’origine il Canada occidentale. Dove, a partire da un momento imprecisato, si cominciò a diffondere il fenomeno delle donne mature che solitarie frequentavano bar e altri luoghi pubblici in cerca di compagnie maschili. Con preferenza per uomini più giovani. E che il Canada sia la culla delle Cougar è testimoniato anche dal fatto che proprio lì nasca il primo sito di incontri specializzato per questo target di donne, cougardate.com. Come nel caso di Milf e Soccer Mom è la mega macchina della comunicazione e dello spettacolo a rendere popolare un termine slang. E su questo piano il termine Cougar beneicia di uno sdoganamento molto più incontrastato di quanto avvenga per Milf e Soccer Mom. Il suo proilo sociale e quello morale vengono rappresentati in termini complessivamente positivi. Invece alla Milf tocca scontare la tara di un’etichetta troppo caratterizzata in termini di desiderio sessuale, e questo è proprio paradossale. Perché se davvero il parametro è quello della propensione al comportamento sessuale, allora la Cougar è molto più 186
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ta della Milf. La Cougar è cacciatrice sessuale per scelta e convinzione, sono i suoi atteggiamenti e comportamenti a valerle l’etichetta. Invece la Milf è una donna fatta oggetto del desiderio di altri, quando di per sé potrebbe anche essere un modello di morigeratezza sessuale. Quanto alla Soccer Mom, essa viene identiicata come un proilo di donna troppo schiacciata sul ruolo di mamma, e troppo identiicata politicamente con la svolta culturale dell’America clintoniana, per giovarsi di un riconoscimento univocamente positivo. Invece la Cougar gode di un’immagine complessivamente positiva. Frutto di un mood molto Sex and the City, la iction in cui non a caso viene individuato il personaggio che nel più universale dei modi viene identiicato con questo proilo femminile: Samantha Jones, la donna sessualmente più attiva e disinibita della combriccola, interpretata da Kim Cattral. Sugli efetti, non tutti beneici, di Sex and the City rispetto alla costruzione di una rinnovata idea di consapevolezza femminile, bisognerebbe scrivere un saggio a sé. Magari per dire che quattro piacenti, e abbastanza established, donne newyorchesi non sono esattamente un campione credibile e universalizzabile di donna emancipata. C’è un sostrato di benessere personale e sociale, in quelle igure, che è diicile da replicare nella vita quotidiana di un quartetto di amiche scelto a caso. Per non dire della location: New York, la metropoli che ci è così familiare 187
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quand’anche non ci si sia mai messo piede in vita propria. Un costrutto mentale col quale abbiamo familiarizzato più che con molti quartieri periferici delle città in cui viviamo. Ma sarebbe più che mai un discorso lungo, quindi meglio troncarlo sul nascere. Più opportuno sofermarsi sulla complessiva accettazione della igura di Samantha, che anche grazie al tono lieve della narrazione che domina Sex and the City viene afrancata da ogni ombra di giudizio morale riguardo ai comportamenti. Come sempre dovrebbe essere. Non so se sia corretto dire che il successo della Cougar come proilo della sessualità femminile sia un segnale da accogliere positivamente, come se fosse il rilesso di un progresso della mentalità difusa. Piace pensarlo, ma temo che dietro questa positiva accoglienza vi siano anche altri motivi molto meno cristallini. Un meccanismo simile a quello che indusse numerose sociologhe e antropologhe statunitensi, di formazione femminista, a interrogarsi sull’improvvisa attenzione che nel loro Paese si appuntava sullo sport femminile. Tutto a un tratto si registrava un rilievo mediatico verso le campionesse che quasi pareggiava quello dedicato ai colleghi maschi, e tutto ciò era accompagnato da campagne comunicative che esaltavano la femminilità attraverso lo sport. E guardando al fatto che la narrazione di questo nuovo trend sociale fosse orchestrata soprattutto dagli spot pubblicitari della Nike, le intellettuali femministe ebbero 188
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pochi dubbi nel decodiicare il senso che secondo loro si muoveva dietro l’operazione: non un efettivo movimento di empowerment, ma un nuovo fronte di sfruttamento capitalistico esercitato attraverso l’induzione di falsa coscienza. E chiedo venia di avere usato un linguaggio da seminario della sinistra extraparlamentare, ma è solo una parentesi. Bisognava pur rendere l’idea che un’apparente dinamica di empowerment può essere soltanto un’altra e più sottile forma di assoggettamento. In efetti la igura della Cougar è stata talmente istituzionalizzata da ritrovarsi messa al centro di show e opere di iction. È del 2007 l’opera cinematograica Cougar Club, diretta da Christopher Daddy. E a seguire, con inizio nel 2009, viene inaugurata la sitcom Cougar Town, che ha come attrice protagonista la più bella fra le ragazze della banda di Friends: Courtney Cox. La serie va avanti per sei anni e suscita reazioni contrastanti. Successo di pubblico e avversione spesso feroce da parte della critica. Grace Dent, del «Guardian», stroncandola arriva a deinirla «una versione di Desperate Housewives al risparmio». Ma l’eredità di maggior rilievo lasciata da Cougar Town è la totale confusione a proposito del proilo femminile che cerca di descrivere. Le donne-puma (o giaguare, secondo la sciatta traduzione italiana) rappresentate nella sit-com così come in altre opere di iction sono troppo tirate a lucido, troppo estetizzate per essere realistiche. 189
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E mostrano un’età troppo distante dai cinquantacinque e troppo vicina ai trenta per essere rappresentative dell’intera categoria cui pretendono di fare un riferimento. O più semplicemente c’è che viene dimostrato quanto sostenuto all’inizio del paragrafo: aprire un arco anagraico così ampio fa perdere qualunque signiicato al tentativo di classiicazione. In questo modo la igura della Cougar è più un’estetica erotica che un modello realistico. E questa estetica erotica si allontana da ogni realtà veriicabile. E dunque, cosa dire del match fra Milf e Cougar? Rispondo che non vedo proprio come si possa svolgere un match per il quale non esistono le regole d’ingaggio. E queste regole d’ingaggio non esistono perché uno dei contendenti non ha un’identità deinibile. Dopo tutto ciò che si è detto, rimane ben poco di utile per identiicare la Cougar. L’unico elemento certo è quello della donna che dopo essere entrata nella sua Second Life si dedica all’assidua caccia di maschi d’età (molto) inferiore. Ebbene, l’essere nella fase della Second Life è una caratteristica che non appartiene giusto alle due categorie messe in precedenza a confronto con la Milf: la Teen per ovvie ragioni anagraiche, e la Soccer Mom per via di una condizione esistenziale da cui non riesce ancora a afrancarsi. Tutte o quasi le altre categorie che passeremo in rassegna sono invece nel pieno della loro Seconda Vita. E tutte quante troverebbero cosa buona e 190
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giusta concedersi l’avventura col maschio molto più giovane, senza per questo farne una monomania. Più si cerca la Cougar, più si scopre che non è mai esistita al di fuori della narrazione e del puro intrattenimento. Con in più un dato di fondo che è una sentenza di Cassazione: la Cougar, quand’anche la si assumesse come un proilo realmente esistente, è una donna che si trova a gestire un insopprimibile sottofondo d’infelicità. È una donna libera da vincoli sentimentali e liberissima nei comportamenti sessuali. Ma quasi sempre il suo desiderio più profondo è quello di tornare alla monogamia, o quantomeno alla stabilità sentimentale. La Milf ha oltrepassato quest’ansia. Può anche tornare alla monogamia, o non esserne mai uscita, ma ciò non sarà efetto di una paura della singletudine. Sarà stata una sua scelta di piena consapevolezza. La Milf sa sempre scegliere. Match n. 4: Milf vs Gilf Una Gilf? È una Milf che non si è dimenticata dei suoi anni migliori. Che ovviamente sono quelli della militudine. Basterebbero queste poche parole per inquadrare il proilo della Gilf (Granny I’d Like to Fuck) e sgomberare il campo da ogni competizione. C’è quasi sempre una linea di continuità fra le due igure, una è l’evoluzione dell’altra. E questo nesso è dato innanzitutto dal 191
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meccanismo di denominazione, che è prodotto dal desiderio maschile. Ma non sarebbe giusto liquidare la questione in così poche battute. Si deve costruire un minimo di confronto fra le due igure che vivono a proprio agio la Second Life. Certamente a proprio agio ci si trova la Milf, che a quella fase della biograia personale è approdata con un percorso d’auto-consapevolezza. Ma altrettanto è per la Gilf, che magari ha fatto pure in tempo a concedersi una hird Life. Ci sta che anche la Seconda non sia stata così memorabile da meritarsi d’essere seppellita da una nuova rottura, ma ciò non fa che raforzare l’idea di un comune atteggiamento verso la vita e le sue nuove possibilità. Ciò che conta è saper fare tesoro dei vari passaggi esistenziali e convertirli in risorse. Indipendentemente dalle rotture fra la Prima Vita e tutte quelle che seguono, il patrimonio di esperienze è garanzia di fortiicazione e consapevolezza sia per la Milf che per la Gilf. Ci si libera di vincoli e zavorre, ma si mantiene come cosa cara ogni singolo evento. Anche il più triste. Per far comprendere l’importanza della continuità oltre le rotture, che è il principale tratto comune fra Milf e Gilf, cito un esempio. Che a qualcuno potrebbe risultare inappropriato. Mi rifaccio a una dichiarazione della pornostar scafatese Valentina Nappi, rilasciata nel 2013 nel corso del Grande Cocomero, un programma Rai condotto dal dj Linus. In quella circostanza la 192
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ventitreenne Valentina Nappi, parlando del suo futuro, disse: «Spero di diventare una bella Milf». Un proposito spiazzante, ma soltanto in apparenza. Perché comunica l’idea dell’identità sessuale come strumento di auto-determinazione, e in quanto tale da viversi in modo consapevole come scelta di vita. Dunque ha un senso che la giovane professionista delle performance sessuali XXX Rated pensi a se stessa e al modo in cui sarà dopo. Senza alcuna paura dell’invecchiamento, e anzi guardando agli anni che passano come a una stratiicazione di se stessi foriera di evoluzione. Del resto, stiamo parlando di un personaggio capace di rompere tutti gli schemi. Una donna che dice di «non lavorare da pornostar, ma di esserlo», che esprime concetti mai scontati sulla sessualità, e che accetta la sida di tenere un blog sul sito web di «Micromega». Da quella tribuna ha trovato modo di litigare furiosamente col ilosofo-tronista Diego Fusaro, e al termine di un post ha esternato la volontà di «squirtare in faccia» al leader della corrente dandy-marxista. Per quanto mi riguarda, non esplicito per quale delle due parti prendo campo. Mi limito a dire che fra pornograi strutturali e sovrastrutturali preferisco di gran lunga i primi. E aggiungo che una squirtata di Valentina Nappi meriterebbe più degni bersagli. Tornando alla citata dichiarazione rilasciata dalla pornostar durante la puntata del Grande Cocomero, essa ci comunica il senso di una continuità desiderata, 193
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lungo il percorso della consapevolezza sessuale. E se in questo c’è una coerenza, è automatico pensare che la futura Milf Valentina Nappi possa desiderare d’arrivare a essere una Gilf. Cioè una donna per la quale l’ampia stratiicazione di età non è stata compromettente per l’auto-consapevolezza sessuale, per la capacità di sentirsi e essere desiderabile. E che ciò avvenga o no dopo essere stata una Milf, non cambia l’atteggiamento verso la vita e la sessualità. I due proili sono in piena sintonia, e in buona parte dei casi sono anche in successione biograica. Ne consegue che un match Milf vs Gilf abbia poco senso. Non ci sarebbe quel minimo indispensabile di temperatura agonistica. Tutt’al più sarebbe un’amichevole. Match n. 5: Milf vs Anti-Milf Va benissimo essere «anti», mostrarsi in opposizione a qualcosa. Si tratta di una legittima opzione e si ha piena libertà di darvi corso, a patto che non si trascenda, che non si sconini nell’aggressività e nella negazione dell’altro. Ma prima di essere «anti» bisognerebbe anche intendersi su cosa signiichi e su quale sia il corretto modo di esserlo. Perché c’è un modo attivo di essere anti-qualcosa, che può sfociare nell’aperta ostilità. E c’è invece un modo intrinseco di essere «anti», che signiica essere la negazione di qualcosa pur 194
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non facendo nulla di deliberato per esserlo. In entrambi i casi si parla di Anti-Milf, ma i signiicati sono diversi. C’è l’Anti-Milf così etichettata perché ha perso ogni traccia di desiderabilità. E forse ha perso essa stessa il senso del desiderio. Una donna che ha mollato, e nemmeno si cura del fatto di dimostrare un’età maggiore rispetto a quella reale. Un velenoso commento sul web ha battezzato questo tipo di donna «Mother I wouldn’t…» («Madre che non mi vorrei…», eccetera eccetera). Purtroppo si tratta di un proilo ancora molto difuso, che inquadra un tipo femminile incapace di afrancarsi dalla Prima Vita. E se si tratta di una libera scelta, compiuta da donne che ritengono di star bene nella vita che fanno, nessun problema. Diverso il discorso nel caso in cui il decadimento venga vissuto come un dramma e porti a una progressiva perdita di autostima. In una situazione del genere l’Anti-Milf sofre, e può arrivare a disprezzare se stessa. Ma le manca la forza di uscire da quel loop. A partire da un dato momento la sua vita è una sequela di tentativi di cavarsene fuori che regolarmente si risolvono nella rinuncia. La militudine sarebbe un approdo di salvezza. E non tanto perché garantirebbe chissà quali mirabolanti gesta sessuali, ma perché restituirebbe un livello accettabile di autostima. Ma innanzitutto le servirebbe uscire dalla Prima Vita. E forse questo tipo di Anti-Milf non avrà mai la forza di farlo. 195
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E poi ci sono quelle che decidono di essere contro la igura della Milf e contro la militudine. Un’avversione che un po’ è invidia e parecchio è frutto di malinteso. L’invidia è la medesima che prende a bersaglio la vostra collega d’uicio trentacinque-quarantenne descritta nel secondo capitolo, e che le viene destinata dalle altre colleghe. Quelle che vorrebbero fare come fa lei, ma poiché non possono allora le fanno una colpa di non avere loro il coraggio e la libertà che ha lei. Il malinteso sta nell’assumere la declinazione monodimensionale della Milf, anziché coglierne le innumerevoli sfaccettature che provo a descrivere in queste pagine. L’equivoco è molto diicile da dissipare, anche perché talvolta chi manifesta un atteggiamento Anti-Milf ci mette anche uno zelo che siora l’integralismo. Ne è esempio un post pubblicato sul blog Candy Snatch, che pure è uno spazio gestito da un’autrice che si deinisce «sexy blogger e recensora di oggetti erotici». E per capire quale sia il tenore dei suoi scritti basta citare quello datato 8 maggio 2017 e intitolato: How I became a Hotwife. Vi si racconta di come avvenne la prima volta in cui la blogger conobbe il fenomeno del cuckolding. Fu con un ex partner, una sera che lei s’apprestava a uscire con le amiche e lui non poteva accompagnarla. Al telefono l’uomo di Candy prese a fare allusioni sulla desiderabilità di lei quando andava in giro per locali da sola. E dunque sulla 196
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bilità che avrebbe sprigionato quella sera, e sulle attenzioni che avrebbe attirato mentre lui era distante e impossibilitato a esercitare il controllo. E Candy si stupiva del fatto che quell’uomo, di norma così geloso e possessivo, giocasse col fuoco delle sue stesse ossessioni. Lo scorrere della serata rese chiaro che lui fosse eccitato, e che la gelosia fosse stata trasformata da fonte di energia negativa in fattore d’eccitamento. L’ambivalenza tipica del cuckolding, che è un atteggiamento prevalentemente maschile. E per Candy fu una sorpresa scoprire che quell’uomo, in lì così dominante, mostrasse un lato da lei percepito come debole. La debolezza del suo partner, dal punto di vista di Candy, stava nell’arrendersi alle sue stesse ossessioni. Come se fosse stato gettare la spugna durante una battaglia troppo al di sopra delle proprie forze. In realtà, individuare un segno di debolezza nel desiderio del cuckold di subire il tradimento è un errore madornale. Perché quel desiderio ha un signiicato esattamente opposto. Esso è la più perfetta sublimazione del controllo maschile, poiché riconduce sotto la propria giurisdizione pure il rischio del tradimento commesso dalla partner e i suoi efetti demolitori per l’autostima virile. La donna che crede di dominare il suo cuckold non ha capito d’essere passata dal guinzaglio a catena al guinzaglio di cachemire. Il collo sotto strattone rimane il suo. Ma al di là di quali siano i labirinti della sessualità maschile, e di 197
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quali conseguenze possano avere per i fragili equilibri di coppia, bisogna tornare alla nostra Candy e allo spiazzamento che provò quando conobbe quel lato nascosto del suo partner. Uno spiazzamento che però venne convertito in opportunità di esplorare territori inattesi della sessualità. Da lì nasce l’evoluzione che porterà la blogger (o quantomeno il personaggio pubblico che la blogger pretende di rappresentare attraverso il suo diario online) a essere una Hotwife, cioè una moglie dedita a una sessualità esuberante. La sommaria illustrazione di questo post ha avuto lo scopo di inquadrare le idee di Candy, la sua generosissima apertura mentale e il suo stile espressivo che si conferma per come lo anticipano le note di presentazione del blog: outspoken (esplicito). Perciò si rimane non poco sorpresi dallo scoprire che la blogger abbia un atteggiamento radicalmente avverso verso la igura della Milf. Un’avversione che viene esternata in un post datato 23 novembre 2017, il cui titolo non lascia dubbi: DON’T CALL ME MILF!!!. Il testo riferiva di una discussione ingaggiata il giorno prima dalla stessa Candy attraverso il suo account Twitter @ CandyReviews. La blogger aveva twittato un testo in cui si dichiarava contraria al termine Milf, ma questa sua presa di posizione aveva suscitato reazioni negative per lei inattese. In particolare, nel post in questione Candy prende una posizione drasticamente avversa rispetto all’idea che il 198
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mine Milf possa essere un complimento. E spiega in quattro punti questo suo convincimento, che essa stessa deinisce Anti-Milf. In primo luogo, c’è che a suo giudizio lo status di madre debba essere separato dall’idea di sessualità. E va sottolineato che nel sostenere ciò Candy fa riferimento a se stessa, evitando accuratamente di universalizzare una tesi che sarebbe risultata debolissima per eccesso di assertività. Ma anche questa formulazione prudenziale mostra gravi debolezze, che emergono con chiarezza se si riporta in modo integrale il primo capoverso: Il principale motivo della mia posizione Anti-Milf è che, nella mia mente, il mio status di madre è totalmente separato dalla sessualità. Non potrebbero essere più distanti nella mia testa. Come ho scritto nel mio tweet, è una bella cosa che tu voglia scoparmi, ma potresti lasciare i miei igli fuori da questo? Un testo che gronda animosità, e che forse proprio perché troppo emotivo inisce col perdere di vista la complessità del tema trattato e dell’elaborazione mentale che presuppone. Come ho cercato di mettere in evidenza, il Prerequisito di Maternità non è tassativo perché una donna venga etichettata come Milf. Inoltre, nella mente dell’etichettatore la dimensione della motherhood è talmente sublimata da far sì che della presenza 199
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di igli si possa fare a meno. La Milf è una madre generica, e i suoi igli sono ombre dissipate. L’argomento di Candy è completamente fuori bersaglio, e l’impeto con cui difende i propri igli (che magari sono ipotetici anche loro e si riducono a un’arma retorica da blogger) è quasi da mamma cinghiale. In secondo luogo, a giudizio della blogger la categoria della Milf e fortemente connotata dall’età matura. E ciò comporterebbe che il riferimento alla militudine contenga un messaggio latente per niente generoso nei confronti della donna così denominata. Come se le si dicesse: «Mi piaci nonostante che tu sia una madre». Ciò che la porrebbe in partenza nella condizione di subire una condiscendenza maschile. Purtroppo ancora una volta Candy è assertiva, oltreché ofuscata dal suo anti-milismo. Scambiare per atteggiamento difuso una propria percezione negativa è un errore grossolano. Anche perché il messaggio latente potrebbe essere invece: «Mi piaci proprio perché sei una madre». Peraltro, Candy si arrotola su se stessa e sulle proprie argomentazioni quando passa a illustrare il terzo motivo del suo anti-milismo. A suo giudizio il termine e l’immaginario sotteso portano le tracce di un cultural downgrading (atteggiamento culturalmente diminutivo) per tutte le donne over trenta, che si vedono fatte oggetto di desiderio e fantasia erotica nonostante l’età. 200
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tre, sostiene la blogger, l’uso del termine Milf si starebbe ormai espandendo a qualsiasi donna over trenta, indipendentemente dal fatto che essa sia una madre. Ancora una volta è il caso di riportare il frammento d’anti-milismo: Se mi trovi attraente allora dimmi questo, se vuoi scoparmi dimmi questo. Avrai più probabilità di successo di quante ne avresti dicendomi che vorresti fare sesso nonostante io abbia igli. Per me questa cosa non è assolutamente un complimento, e anzi suona dispregiativa. È come essere una seconda scelta, e chi diavolo vuole esserlo? Ribadisco quanto sostenuto nel commento al punto precedente: che Candy abbia avversione per il concetto di Milf può starci e è un suo pieno diritto, ma quando poi si tratta di argomentare la sua avversione e afermare il motivo per cui tutti quanti dovremmo stigmatizzare la parola e il concetto, ecco che il discorso della blogger si fa debole. In particolare c’è quest’ossessione per l’elemento della maturità che meriterebbe il lettino dell’analista. Che la Milf venga etichettata come tale a partire dall’appartenere alla fascia anagraica over trenta è un dato di fatto. Che ciò corrisponda automaticamente a un atteggiamento di condiscendenza da parte dell’etichettatore («farei sesso con te nonostante che tu sia over»), o che debba far sentire la donna etichettata come una 201
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da scelta, sono salti logici efettuati da Candy, ma non certo elementi scontati nelle situazioni concrete. Ossia, può darsi esistano uomini che quando si rivolgono alla Milf in quanto Milf lo fanno a partire dall’elaborazione di pensiero illustrata da Candy. Per di più, se capita che un uomo rivolga a una donna frasi del genere «farei sesso con te nonostante» o «ti trovo attraente nonostante», costui dimostra d’essere evoluto come un gibbone. Si taglia fuori da sé. A proposito, mi torna in mente una scena iniziale del ilm Storia d’amore con i crampi (1995), diretto e interpretato da Pino Quartullo. Il protagonista si trova in una situazione da cena elegante con una donna evidentemente più matura di lui. Si capisce che è il primo appuntamento, e lui per rompere il ghiaccio dice che la trova molto attraente nonostante la diferenza d’età. E a quel punto scatta il rimprovero della donna. Che non è una sconosciuta al primo appuntamento con un uomo più giovane, ma la titolare di un’agenzia specializzata in appuntamenti per donne mature cui vengono proposti dei gigolò. Per il personaggio interpretato da Pino Quartullo si tratta di un test di adeguatezza al ruolo, e già alla prima mossa egli si rivela assolutamente inadeguato. La boss gli dice che rimarcare il dato della diferenza d’età è in nessun caso un complimento, e serve soltanto a far sentire più vecchia la cliente. E francamente basta avere un paio di neuroni funzionanti per arrivare alla medesima conclusione, senza avere bisogno di 202
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una boss che ti istruisca. Lo stesso vale per controbattere a quanto detto da Candy. Se un uomo è così idiota da dire «mi piaci nonostante la diferenza d’età», egli fa un pessimo servigio innanzitutto al genere maschile. E in ogni caso, il gibbonismo del maschio in questione non è certo indice del carattere deteriore della militudine. Aggiungo e ribadisco che molti uomini possono avvicinarsi alla Milf e provare attrazione per lei proprio perché è Milf. E se l’approccio avviene secondo tale modalità, quella del maschio per la Milf è una primissima scelta. In casi del genere, come la mettiamo col downgrading di cui parla Candy? Il punto più interessante è il quarto perché costruisce un parallelo fra la igura materna declinata in termini di sessualità come Milf e quella paterna declinata in termini di sessualità come Daddy. Che possiamo tradurre in «papà», per non dire «Papi», che nei termini della Storia d’Italia vista dall’Alcova rende molto meglio l’idea. Anche questo segmento va riportato testualmente: Nel corso degli scambi che ho avuto su Twitter a proposito del mio tweet, uno dei temi che mi sono stati sollecitati da alcuni follower maschi era: «Sta’ a sentire, cosa ne pensi delle donne che chiamano il loro partner Daddy, con signiicato sessuale? Non è forse la stessa cosa?». No. Assolutamente non lo è. Essendo una donna che a suo tempo ha avuto dei Daddies, rischierei di passare da ipocrita. Ma sarebbe 203
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to [equiparare le due cose]. Daddy è un termine usato da una [donna] sottomessa per riferirsi al suo maschio dominante [to her male Dom]. È un’alternativa a Master o Sir, e è utilizzata di norma da coppie Dominante/sottomessa [D/s couples] (…). Il termine Daddy non si riferisce al maschio in quanto genitore, è piuttosto una forma di status o di rispetto acquisiti. MILF [invece] mi si riferisce speciicamente in quanto genitore. Le coppie del Daddy’s Dom scelgono questa forma, la trovano di loro gradimento. È una decisione consensuale all’interno della coppia. Non mi piace essere chiamata Milf. Usare il mio status di madre come schema di riferimento per la mia sessualità è una cosa che non voglio. Francamente trovo mal posta tanto l’obiezione quanto la spiegazione. E l’equivoco continua a fondarsi tanto sul Prerequisito di Maternità quanto sul voler vincolare la igura della Milf alla struttura familiare. Che sia efettivamente una madre o no, la Milf si è afrancata da quel vincolo. È una donna mentalmente e sessualmente libera. E quest’ultimo aspetto della libertà sessuale deve intendersi nella duplice accezione della libertà nella sessualità e della libertà dalla sessualità. Continua a essere una donna altamente desiderabile indipendentemente dal suo status familiare e dal suo curriculum sessuale. Cosa ci sarebbe di degradante in questo? Va a inire che il solo elemento davvero fondato e degno di menzione, in questa sorta di Manifesto Anti-Milf che il 204
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post di Candy Snatch pretende di essere, è l’ultimo frammento. Che è dedicato all’aspetto semantico e contiene solide verità: Guardando alle interazioni su questo tema ho scoperto che c’è un’ovvia divisione di genere. Non c’è una sola donna che abbia detto d’apprezzare il termine Milf. Ciascuna ha detto di trovarlo denigratorio o insultante. Alcuni uomini concordano col mio punto di vista, altri invece si dichiarano a favore [del termine Milf ]. Comunque sia, dato che è universalmente detestato dalle persone cui intende riferirsi, forse è arrivato il momento di eliminare [la parola] Milf dal nostro vocabolario. E al di là del fatto che è falso vi sia universale detestazione verso il termine Milf da parte delle donne così etichettate, tutto ciò che viene detto a proposito del suo carattere generalmente (e non universalmente) denigratorio corrisponde a realtà. Intendo dire che una parola è l’uso che se ne fa, e purtroppo l’uso del termine Milf continua a essere associato a signiicati negativi. E questo è, in ultima analisi - ma quanta libidine c’è nell’usare la formula «in ultima analisi»? Ti fa sentire Karl Marx anche se scrivi peggio di Federico Moccia -, il solo argomento davvero spendibile dalla fazione Anti-Milf. Del resto, se così non fosse, non sarei arrivato a scrivere in qui quasi 43.000 parole e oltre 272.000 battute spazi inclusi per sostenere la tesi contraria. Allontanare dalla parola l’aura ne205
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gativa sarà un compito diicile. E nel frattempo la sua percezione come insulto viene addirittura sancita in Italia dalla sentenza di un tribunale della Repubblica, che ravvisa nel termine Milf gli estremi della difamazione. La sentenza, emessa dal Tribunale di Ivrea e scaricabile in pdf al link http://www.blogstudiolegaleinocchiaro.it/ wp-content/uploads/2015/04/70433.pdf, è stata disposta dal giudice Luca Fadda in data 28 gennaio 2015. La vicenda è la conseguenza di un altro procedimento giudiziario, una causa di lavoro che dopo essersi risolta ha come conseguenza un’altra causa per difamazione. Quest’ultima è originata da un post scritto nella propria bacheca Facebook da un dipendente d’azienda che aveva avuto un contenzioso coi suoi datori di lavoro. Il giudice del lavoro gli aveva dato ragione e imposto all’azienda che il lavoratore venisse reintegrato. Dal canto suo, l’azienda si era uniformata a metà alla decisione del giudice: lavoratore reintegrato nei ranghi e nello stipendio, ma invitato a starsene a casa. Dopodiché il reintegrato scrive su Facebook questo soave aggiornamento di stato: Grazie Coglioni!!!! Beccare Cash stando a casa a grattasi il cazzo!! Very thanks!! Il pacco è riveder colleghe milf arrapate con sti bacetti... odiose! Non vedono cazzo dall’89... Cacciate sti 100 a qualche gigolò... Mortacci vostre.
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Dopo questo post il dipendente viene licenziato per giusta causa, e ricorre un’altra volta in Tribunale per far revocare il provvedimento. Risultato: il giudice gli dà torto, e con la motivazione che illustrerò fra poco riconosce la legittimità del licenziamento. Ma prima di darne conto devo fare alcune premesse. Premessa n. 1: lo dico sempre che per accedere ai social bisognerebbe afrontare test psico-attitudinali. Premessa n. 2: il frammento citato è riportato testualmente nella sentenza di un tribunale della Repubblica, e leggerlo nel bel mezzo delle formule in giuridichese dà un efetto d’impareggiabile straniamento. Premessa n. 3: uno che scrive usando questa forma andrebbe condannato a prescindere, senza stare lì a approfondire i contenuti della vicenda. Ma tutto ciò premesso, va sottolineato che uno dei motivi principali di rigetto delle richieste presentate dall’incauto dipendente è l’uso del termine Milf, che viene ritenuto difamatorio. Questo è il passaggio cruciale della sentenza: Invero la volgarità dei commenti lasciati in visione per 15 giorni all’intero pubblico di Facebook appare ictu oculi e non sembra meritare molte argomentazioni, se non quella relativa all’acronimo Milf («madre che mi vorrei scopare», secondo il sito Wikipedia citato dall’attore): la locuzione, lungi dal de207
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scrivere «avvenenti signore dai 40 anni in su» (vds. Pagina 6 dell’atto introduttivo) è ormai divenuta sinonimo di pornostar al termine della carriera, con evidente caratterizzazione negativa, sia in relazione all’attività del soggetto, sia all’età avanzata in relazione alla professione medesima. Egregio giudice Fadda, mi permetta di dissentire in parte da ciò che ha scritto. Non ho alcun dubbio che l’intento con cui il termine Milf è stato usato in quel post di Facebook sia ofensivo e perciò difamatorio. Mi trova invece in totale disaccordo con la deinizione che lei dà di Milf. Le farò avere una copia di questo libro. Distinti saluti. Match n. 6: Milf vs Hotwife Si tratta di un confronto che non era previsto nella lista dei Milf Versus. Mi è stato ispirato dalla lettura del blog Candy Snatch e merita un breve passaggio. A renderlo necessario è il fatto che una blogger disposta a deinire se stessa «moglie calda» (e in quanto tale, predisposta alle licenziosità sessuali) trovi al tempo stesso insopportabile sentirsi dare della Milf. Come se una Hotwife non potesse essere al tempo stesso una Milf. Aggiungo che, connotazione per connotazione, mi pare molto più spersonalizzante quella della 208
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moglie bollente che quella della madre desiderata. La Hotwife esprime se stessa e la sua sessualità a partire dal ruolo coniugale. Lei per prima ne è pienamente cosciente, e l’essere moglie aggiunge il quid determinate al suo essere «hot». Sia che la sua verve sessuale si esprima nell’extraconiugalità, sia che trovi spazio nella complicità col marito. Dal canto suo la Milf è una donna consapevole di se stessa, sulla quale altri proiettano un desiderio che intercetta il suo ruolo di madre. Un ruolo che peraltro, come detto più volte, può rivelarsi insussistente, così come altrettanto insussistente può rivelarsi quello di moglie. Da qualunque parte la si rigiri, trovo che questa contrapposizione abbia poco senso. Match n. 7: Milf vs Monella Questo match viene da una suggestione particolare, e ha anche la peculiarità di mettere per la prima volta il termine Milf in contrapposizone con una parola italiana. La suggestione viene dalla igura della Monella, per come viene rappresentata nel cartellone di un vecchio ilm diretto da Tinto Brass e intitolato, appunto, Monella (1998). Quell’immagine è un inno alla malizia femminile. La ragazza ripresa da dietro mentre sfreccia in bici, con la gonna sollevata sulla schiena a mostrare un lato B da esposizione al Louvre. Quel lato B 209
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appartiene a Anna Ammirati, attrice protagonista del lungometraggio. E osservandolo non si può che confermare il buon gusto di Tinto Brass nella scelta delle attrici protagoniste e dei relativi lati B. Dettaglio anatomico, quest’ultimo, cui il regista è cultore dichiarato. Un’autorità mondiale alle cui scelte cedo volentieri la guida. Del resto, come ormai dovrebbe essere chiaro, nel bipolarismo maschile fra culo e tette sono schierato col secondo partito. E aggiungo che il bipolarismo in questione non è mica di quelli da bande ferocemente contrapposte. È roba da consociativi. Per intenderci, non una cosa come Beatles vs Rolling Stones, che se eri per gli uni dovevi detestare gli altri. È più una cosa del genere Genesis vs Pink Floyd, che preferisci gli uni ma ami anche gli altri (io sto dalla parte dei Genesis). Tornando alla igura della Monella, essa esprime un mix d’ingenuità e malizia che porta dentro la piena gioia di vivere la sessualità. In questo c’è una coincidenza caratteriale con la Milf, che passa oltre ogni pressione morale in tema di sessualità. E sotto questo aspetto non si tratta di essere immorali (cioè, andare contro una certa idea condivisa di moralità del comportamento) o amorali (cioè, mettere fra parentesi quell’idea condivisa di moralità comportandosi come se fosse una dimensione irrilevante), ma piuttosto di avere consolidato dei propri convincimenti morali riguardo al tema della sessualità. E se questi convincimenti 210
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sono derogatori rispetto all’opinione comune, il problema sarà dell’opinione comune. Aggiungo che fra le due igure può esservi anche un nesso genetico, nel senso che la Milf potrebbe essere stata una Monella da giovane, o che la Monella sia instradata per essere una Milf. Ciò che distingue le due igure è l’essere o no dentro la propria Second Life. La Milf ha stratiicato un passato che è fatto anche di esperienze negative. Invece la Monella deve ancora approdare alla Seconda Vita, e soprattutto rischia di arrivarci in modo traumatico perché afronta con troppa spensieratezza anche le circostanze che richiederebbero prudenza. Per il resto, non vi è alcun senso di antagonismo fra i due proili. La Milf potrebbe essere una zia giovane della Monella. E ne sarebbe anche la più preziosa delle guide. Match n. 8: Milf vs Mannequin Su questo confronto mi sono espresso en passant quando ho parlato del titanico sforzo compiuto dalla Milf per mantenere la forma isica burrosa che la rende così attraente. Guardavo a Jennifer Coolidge alias Mamma-di-Stiler, alle sue forme generose e appena un’unghia al di qua della grassezza, e le confrontavo coi culetti a sottiletta di tutte le issate della taglia 40. Ci torno su brevemente perché il concetto va ribadito. I due proili 211
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sono pressoché agli antipodi. Da una parte c’è la bellezza calligraica, talmente prossima alla perfezione da suscitare un senso d’intangibilità: chi mai rischierebbe di danneggiare una igura così fragile. Dall’altra parte c’è invece la bellezza vissuta, quella che fa sangue. Chi ama la contemplazione pura e le cene a base di sedano e numero due fettine di bresaola, si accomodi dalla parte delle Mannequin. Io preferisco le donne che ridono in modo largo e poi s’incazzano, e che quando ti perdonano sanno perché lo fanno. Match n. 9: Milf vs IHT Per una volta posso inventarlo io un acronimo: IHT, che sta per In Her Twenties (ragazza nei suoi vent’anni). Indica la donna giovane (e possibilmente bella) in età compresa fra i venti e i trenta. Che è anche il decennio, fra quelli compresi nell’età adulta, maggiormente caratterizzato da mutamenti profondi. Si entra nei vent’anni da post-adolescenti e si approda ai trenta da donne mature. E nel mezzo succede gran parte delle cose che forgiano la Prima Vita. Poi il limitare dei trent’anni determina se debba esservi continuità o rottura, e dunque se ci s’incammini verso la Second Life. Ma quali che siano le scelte personali, ciò che qui interessa è la forza d’attrazione che le donne collocate «nei loro venti» esercitano nei 212
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confronti degli uomini «nei loro quaranta e passa». Un’attrazione che non valuto né critico. Dico che, al di fuori dei romanzi di Federico Moccia e di qualche altro spazio antimaterico in cui vi possa capitare d’essere risucchiati, i rapporti con una donna molto più giovane d’età hanno probabilità di essere molto faticosi, sotto ogni aspetto. Certo, può esserci la botta d’adrenalina iniziale che fa sembrare più fresco e veloce ogni aspetto della vita quotidiana. Ma alla lunga la diferenza d’età pesa, eccome. E non mi riferisco soltanto all’aspetto sessuale. Quello può essere il meno. Il mix di esperienza (maschile) e maliziosa freschezza (femminile) ha discrete probabilità di funzionamento. Purché si tenga presente che l’orologio biologico di entrambi viaggia per conto proprio. E che, dal punto di vista maschile, c’è un tempo in cui si è nelle condizioni d’essere accusati di molestie sessuali, e un altro in cui si rischia seriamente d’essere tacciati di modestie sessuali. Comunque sia, non è questo il problema. Il vero problema è l’ossessione che uno/a ha di uniformarsi alla condizione anagraica dell’altro/a. Uno sforzo un po’ triste e un po’ ridicolo. Così è per l’uomo maturo che voglia adeguarsi al contesto generazionale della partner IHT. Per lui sarà un continuo oscillare fra il gofo tentativo giovanilista di mettersi allo stesso livello di lei e della cerchia di amici, e la tentazione di esercitare una suprema saggezza che però rischia di cacciarlo immediatamente ai 213
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margini. Ma non meno complessa è la situazione della donna IHT. Che anzi può trovarsi in condizioni di disagio ben maggiore. Quel disagio l’ho visto da vicino, e nel descriverlo temo di renderlo riconoscibile alle persone interessate. Per questo mi si perdonerà se me ne sto sul vago, e dico di una bella donna IHT che s’innamora di un uomo dall’età doppia. Sin dall’inizio è lei a doversi adeguare al mondo di lui. Agli amici di lui che potrebbero essere tutti quanti gli zii di lei. A discorsi di persone che hanno igli quasi coetanei di lei. E nel corso di poco tempo l’ho vista cambiare. I primi tempi era fresca e scanzonata. Proprio bella, all’inizio di quel suo nuovo amore. Poi l’ho rivista dopo una pausa di due anni. Abbigliata e atteggiata come una signora di una quindicina d’anni più anziana. Meno attraente di come l’avessi vista l’ultima volta, e questo è ovviamente un giudizio personale. Non saprei dire se si trovasse più a proprio agio in quel suo nuovo modo di essere. La cosa sicura è che quel cambiamento fosse giunto per scelta propria. E nell’atteggiamento così compunto, quasi puntuto e tanto lontano dalla freschezza mostrata ino a un paio di anni prima, c’era anche la pressione di un dover essere che forse continuava a richiederle un estenuante training autogeno. Era felice? Non so, le auguro di esserlo stata e di esserlo tuttora. E però, mi si lasci dire: perché tanta dissipazione? Riconosco che nel descrivere quest’ultimo 214
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esempio mi sono lasciato condizionare dalle impressioni personali. Credo però di non essere andato distante dal rappresentare la realtà. E nel citarlo ho inteso dire che, per l’uomo che vuol provare l’esperienza del ringiovanimento (o del bimbominkismo di ritorno), non c’è miglior soluzione che trovare rifugio nella Milf. Lo farà sentire più adulto o più bambino, e capirà sempre quando sarà il momento giusto. Avrà pazienza al cospetto di molestie & modestie, ché tanto ne ha dovute afrontare tante delle une e delle altre. E poi se ne andrà quando deciderà lei, ma facendo in modo che lui mantenga l’illusione di scegliere. In fondo, basta così poco per fare contento un uomo IHF (In His Fourties/Fiftees). Match n. 10: Milf vs Femen Faccio bene a costruire questa contrapposizione? Penso di sì, ma sono pronto a accettare le critiche. So bene di allestire un match fra due proili femminili che bellamente si ignorano. E non perché siano reciprocamente ostili, o perché mostrino l’uno verso l'altro un senso di superiorità. Semplicemente, c’è che appartengono a mondi troppo diversi. Lo dico mantenendo la mia preferenza per la Milf, che è preferenza a prescindere, e confessando al tempo stesso una certa fascinazione per la Femen. Che sono portatrici di un proilo 215
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minile peculiare e circoscritto, nonché iglio di un tempo in cui le forme della protesta devono essere altamente spettacolari per avere una chance di venire percepite. Le Femen, gruppo di attiviste nato in Ucraina e presto capace di espandere il raggio dell’azione e della protesta al di fuori dei conini nazionali, lo fanno con una modalità dall’impatto assicurato. Si denudano in pubblico e mostrano il corpo segnato da scritte dedicate al motivo della protesta. Le cause di mobilitazione sono diverse. Le prime proteste vennero inscenate contro la massiccia difusione della prostituzione in Ucraina, ma poco a poco le campagne si sono diversiicate e proiettate oltre il perimetro nazionale. E così si è passati dall’azione in Piazza San Pietro per contestare il Vaticano a quella a Parigi presso la Torre Eifel per prendere posizione contro la condizione delle donne nell’Islam, ino a arrivare ai raid di Milano contro il mondo della moda e di Davos contro i potenti dell’economia globale. Il programma politico delle Femen mira innanzitutto a costituire un movimento femminista in Ucraina, per poi difondere una nuova soggettività femminile sul piano globale. E questa nuova soggettività viene afermata col rovesciamento di segno e di signiicato che viene conferito alla nudità del corpo femminile. Che viene fatta oggetto di riappropriazione e rivendicata attraverso l’uso di uno stile aggressivo. Il messaggio è tanto semplice quanto diretto: il corpo nudo non viene esibito 216
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per piacere agli uomini, ma per afermare un principio di libertà e autodeterminazione delle donne. E se tutto ciò deve passare attraverso una dinamica della sovversione, quale maggiore sovversione di quella per cui la nudità femminile non è determinata dagli uomini, bensì subita? Salta una condizione fondamentale del dominio maschile, e con essa un ordine consolidato. In questo senso l’esibizione corporea delle Femen è anti-pornograica. Non è al servizio di un’industria del desiderio, non cerca d’essere commerciata. Il corpo della donna è convertito da oggetto in arma, e come tale viene puntato addosso a quella stessa platea (prevalentemente maschile) che lo aveva feticizzato. All’improvviso il nudo femminile diventa un elemento intimidatorio per il pubblico maschile, e ciò costituisce un rovesciamento di segno fra i più potenti che sia dato immaginare. Proprio mettendola sul piano del rovesciamento si capisce quanta ainità vi sia tra la Milf e la Femen. Entrambe sono igure femminili della sovversione, e l’atto di ribaltare l’ordine e condurlo sotto il proprio controllo avviene giusto sul terreno che ino a poco prima era stato quello del più evidente soggiogamento: la sottomissione del corpo femminile alla manipolazione maschile. Ma ciononostante, l’incontro fra i due proili femminili della sovversione non avviene. Ribadisco che si tratta di mondi troppo distanti. Peccato. C’è da aggiungere che tra Milf e Femen 217
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sano delle diferenze molto caratterizzanti. Le Femen sono giovani, nel pieno della loro Prima Vita. E vi sono talmente calate dentro da agire come se non ve ne possano essere altre, di vite. Prima o poi arriverà anche per loro una Second Life, ma per adesso sono troppo concentrate su quella in corso per poter pensare al dopo. Un’altra diferenza rilevante è il tipo di isicità che le Femen esprimono, così distinta da quella della Milf. Ciò che impressiona è l’essenzialità delle loro forme. Fisici asciutti, seni mai esagerati. Quest’ultimo dettaglio ha sollecitato l’inevitabile freddura del sito web satirico Lercio.it, datata 12 giugno 2016: «Femen si fanno aumentare il seno di due taglie per protestare con più veemenza». A Lercio la si può perdonare, per tutte le gioie che quotidianamente ci regala. Fra l’altro il titolo ironizza su un dato reale, ossia sul fatto che la sobrietà mammaria sia una caratteristica delle attiviste del movimento. Ma che ciò sia anche un limite, direi proprio di no. E se ve lo dice un minnòmane come me, potete dare un certo valore al giudizio. Trovo che le Femen siano donne d’una bellezza spigolosa, attraenti in un modo sui generis. E in quel modo sui generis non può che incastonarsi un seno dalle proporzioni non esagerate. Mi chiedo anche se quel particolare dettaglio isico sia un requisito indispensabile per la militanza nel gruppo. Al di là di ciò, resta che esso sia un altro punto di distinzione rispetto alla igura della Milf, cui invece 218
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viene associata una certa prosperosità. E in linea generale c’è che la diferenza più marcata fra la Milf e la Femen stia nel fatto che la seconda incarni un proilo femminile da guerriglia permanente, impegnato in una battaglia aperta contro una struttura d’ordine ancora fortemente venata di maschilismo. Dal canto suo la Milf è impegnata sul medesimo fronte, ma a diferenza della Femen non assume atteggiamenti e comportamenti da conlitto sempre aperto. Sa che non sono necessari, e che il corso del mutamento è già in atto. I clamorosi atti dimostrativi possono dare un aiuto a accrescere la consapevolezza del problema, che però è di per sé in via di soluzione. È una questione di tempo, certo. Ma il tempo non ha mai fatto paura alla Milf. Sta dalla sua parte, e lei lo sa. Match n. 11: Milf vs Prej Questo non è un match contro un’altra categoria femminile. Piuttosto è la lotta per l’afermazione di un diritto all’esistenza e alla dignità, dopo che è giunto il passaggio dell’auto-consapevolezza. Uso il termine Prej da intendersi come diminutivo di Prejudice, pregiudizio. E so bene che mi sto allargando un po’ troppo con l’inglesorum, coniando fra l’altro etichette che linguisticamente potrebbero far torcere le interiora pure alla buonanima di Benny Hill. Di ciò sono 219
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consapevole, e anzi lo faccio a bella posta. Ci si impone l’uso dell’inglese in ogni dove, e ci tocca biascicarlo alla meno peggio. Almeno prendiamoci la libertà di storpiarglielo e restituirglielo in una forma a loro incomprensibile. Che almeno imparino a parlarlo in modo potabile, quando si rivolgono ai non anglofoni. A ogni modo, l’elemento del pregiudizio è il vero ilo conduttore di tutti i match che ho passato in rassegna in questo capitolo, e pone al centro la questione della sessualità femminile. Una sfera che, indipendentemente dai tipi e dai proili presi in esame, continua a essere plasmata dall’immaginario erotico maschile. E certamente diversi passi avanti sono stati compiuti per ricondurre quest’ordine del discorso anche sotto un controllo femminile. Ma altrettanto indiscutibile è che molta strada rimanga da compiere per afermare quantomeno la pari dignità di una narrazione alternativa al femminile, e per rimuovere ogni possibile incrostazione di pregiudizio. L’impatto di questi pregiudizi giunge soprattutto sull’universo maschile. Ma nemmeno quello femminile ne è immune. E c’è una confusione delle lingue che crea sconcerto e drammatizzazione ulteriori. Per rendere l’idea della complessità sottesa e degli equivoci possibili racconto un episodio, e attorno a esso spiego tutte le dimensioni di questo Milf vs Prej. Tutto avvenne intorno a un mio post su Facebook, pubblicato nei giorni in cui Emmanuel 220
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Macron era da poco diventato Presidente della Repubblica in Francia. E come spesso accade nei social network, fra i tanti possibili temi di discussione intorno al nuovo Monsieur le President prevaleva quello più aperto alle beceraggini: la moglie Brigitte Marie-Claude Trogneaux, di ventiquattro anni più anziana. Ovvio che le battutacce abbondassero, e in questo clima ritenni di dire la mia opinione. Scrissi che le Presidenziali francesi del 2017 hanno segnato una svolta epocale perché per la prima volta nella storia ci si ritrova non una First Lady ma una First Milf. Un po’ voleva essere una battuta, e in tal senso poteva anche essere poco riuscita; ma molto voleva anche essere una cosa seria, perché quella frase fotografa una situazione reale. Qualcuno la prese a ridere. Qualcun altro, in versione porno-dotto, precisò che vista l’età della signora Macron sarebbe stato più corretto parlare di Granny. E poi ci fu un contatto donna che se la prese come se avessi rivolto un insulto personale a lei o a qualcuno della sua schiatta. Mi diede pubblicamente del troglodita o qualcosa del genere, e non mi lasciò possibilità di replicare perché mi bloccò. Purtroppo per lei, a quel tempo avevo due proili di Facebook. In seguito uno mi è stato chiuso per violazione delle regole sul copyright. Motivo: durante i primi tempi di permanenza su Facebook avevo caricato dei video prelevati da youtube (e dunque già pubblici), e qualche anno dopo sono cominciati gli avvisi di rimozione di 221
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quei materiali. E avviso dopo avviso il mio proilo è entrato in zona rossa, senza che mi sia stato suiciente dedicare un pomeriggio intero a rimuovere quei video. Fino a che, una domenica pomeriggio di gennaio 2018, mi sono trovato disattivato quel proilo. Cinquemila contatti e nove anni d’attività Facebook cancellati con un clic. Quanto sono simpatici, mister Zuckerberg e i suoi sgherri. Comunque sia, quando sono stato insultato dalla tizia per aver dato della Milf alla signora Macron, di proili Facebook ne avevo ancora due. Perciò ho usato il secondo per scrivere in privato alla tizia e dirle che poteva pensarla come le pareva sul tema Milf e su di me, ma col cazzo che le avrei lasciato l’ultima parola. E dopo aver ricambiato in rima baciata le sue carinerie l’ho bloccata a mia volta e lasciata lì a farsi il fegato marcio. A carognata, carognata e mezza. Perché ho raccontato questo aneddoto? Perché penso che aiuti a illustrare una condizione di doppio pregiudizio rispetto alla igura della Milf, e in generale rispetto alla sessualità della donna post-matura. Da una parte ci sono i pregiudizi di chi afronta il tema mostrando gradi di beceraggine che vanno dal moderato al quadrupede. Quelli purtroppo andranno messi in conto ancora per molto tempo, non ci se ne libera certo pigiando un tasto reset. Dall’altra parte c’è invece il pregiudizio di chi continua a pensare che il termine Milf possa essere usato soltanto con signiicato spregiativo. Tale idea preconcetta ha 222
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estrazione prevalentemente femminile, e è riscontrabile in atteggiamenti come quelli espressi nel post di Candy Snatch o dall’esagitata facebookiana. È con quest’ultimo tipo di pregiudizio che intendo confrontarmi. Se ho scritto questo libro, uno dei motivi principali è riscattare la igura della Milf non soltanto agli occhi della platea di lettori maschi. C’è infatti una quota di lettrici che su questo tema recalcitra. Direi che sia anche una quota minoritaria, se devo dar retta agli indici di consenso e dissenso che ho riscontrato nei mesi in cui scrivevo queste pagine e a altri dati demoscopici di cui si darà conto più avanti. Sia ai lettori in maggioranza beceri che alle lettrici in minoranza recalcitranti vorrei far comprendere che in queste pagine si rivendica un diritto alla deinitiva dignità della Milf. Il che non signiica soltanto dissipare quell’aura d’incombente pornograia. C’è in ballo molto di più, e proprio la igura della Première Dame di Francia (la deinisco così, ché nessuno più abbia a adontarsi o schiumare bile via web) mi facilita il compito di spiegare cosa intendo. Ma per efettuare una spiegazione davvero compiuta devo partire da una lunga e argomentata citazione letteraria. Il riferimento è al romanzo La lettera d’amore, scritto dall’autrice statunitense Cathleen Schine e pubblicato per la prima volta nel 1995, con approdo sul mercato italiano nel 1996. Si tratta di uno di quei casi in cui il titolo rischia di essere penalizzante per la difusione del libro. Si 223
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legge quella formula e si è portati a pensare che si tratti dell’ennesimo romanzo rosa. Che di per sé non sarebbe nemmeno motivo per snobbare un libro, dato che anche il genere del romanzo rosa può mettere in campo alte prove di scrittura e valenti analisi della realtà sociale. Piuttosto, a frenare l’intenzione di leggere un libro con un titolo del genere è il fatto che scrivere e cantare d’amore è quanto di più inlazionato vi sia nel nostro immaginario. Uno degli schemi più banali per raccontare il mondo. È stato questo il motivo che per qualche tempo mi ha frenato dal leggere il romanzo di Schine. Nonostante il successo di pubblico e di critica, e a dispetto del fatto che l’editore italiano sia Adelphi, garanzia di qualità. Poi per fortuna ho letto. E ho scoperto uno di quegli oggetti che mi provocano il medesimo efetto suscitato da Il giovane Holden in Jerry Fletcher, il personaggio principale interpretato da Mel Gibson nel ilm Ipotesi di complotto. Nel lungometraggio diretto da Richard Donner, e messo in circolazione nel 1997, il protagonista è un tassista ossessionato dalle teorie del complotto. A forza di vedere cospirazioni ovunque, va a inire che in una di queste ci si ritrovi coinvolto sul serio. È braccato dalla CIA e riesce a sfuggire inché può, ma poi viene localizzato perché proprio non resiste alla sua tentazione più forte: comprare l’ennesima copia del romanzo di J. D. Salinger. Una debolezza di cui è ben consapevole chi lo sta 224
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braccando, e per questo ha messo sotto controllo elettronico la vendita d’ogni singola copia del libro. Mi riconosco perfettamente nella igura di colui che sente il bisogno di ricomprare (anche soltanto per regalarlo) un libro già posseduto e letto a ripetizione, ma pure un album musicale reso indispensabile per scandire il tempo di vita, o il dvd e la copia virtuale di un ilm amato all’ossessione. La lista non è nemmeno così ristretta. In cima si piazzano La morte di Carlos Gardel dello scrittore portoghese António Lobo Antunes, A map of the world di Pat Metheny, e Magnolia, nella sua duplice veste di ilm imperdibile diretto da Paul homas Anderson e di colonna sonora che mi ha permesso di scoprire l’immensa Aimee Mann. E a seguire ci sono altri titoli. I romanzi Un complicato atto d’amore di Miriam Toews, Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig, Ci sono bambini a zig-zag di David Grossman e La lingua perduta delle gru di David Leavitt. I ilm Gente comune diretto da Robert Redford e Pensavo fosse amore invece era un calesse di Massimo Troisi. Gli album Running on empty di Jackson Browne e Crosby & Nash del 2004. E in questa lista entra con pieno diritto La lettera d’amore di Cathleen Schine. Perché? Forse lo capisco meglio adesso che parlo di Milf e cerco di spiegare i motivi per cui in tale proilo femminile non si debba riscontrare alcunché di deteriore. Scopriamo sempre a qualche tempo di 225
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distanza quali siano le opere d’arte e d’ingegno che ci segnano. E io, a molto tempo di distanza, mi sono ritrovato scavato dentro dalla storia di Helen, la libraia quarantaduenne che vive e lavora in una cittadina della provincia statunitense chiamata Pequot. Serenamente divorziata, madre di una ragazzina di undici anni, Helen vede interrotto il proprio tran tran quotidiano da una bellissima lettera d’amore che trova nella cassetta della posta. Non ne sono chiari il mittente né il destinatario. E la prima reazione di Helen, nel leggere quelle parole, è pensare che una lettera così bella non possa essere stata scritta per lei. Come se si sentisse profondamente inadeguata a essere destinataria di tanta bellezza. Ammetto di non avere dato particolare attenzione a questo passaggio, quando lessi per la prima volta il romanzo di Schine. Perché mi colpisse è stato necessario rileggerlo una quindicina di anni dopo. E quando l’ho riletto mi sono commosso, senza aver ancora capito perché. Tornando alle vicende di Helen, esse raccontano di come la difidenza iniziale lasci il posto alla voglia di credere che quella lettera sia stata davvero scritta per lei. E da lì cominciano le speculazioni su chi possa averle scritto quelle parole, ma poi avviene anche il passaggio più importante della storia. La lettera inisce nelle mani di Johnny, un ventenne studente di college che passa l’estate lavorando in libreria. Anche Johnny crede che la lettera sia indirizzata a lui, ma a diferenza di Helen è convinto di sapere 226
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chi l’abbia scritta: la stessa Helen. A partire da questo equivoco nasce fra i due una relazione amorosa piena di slancio ma anche segnata dalla mancanza di futuro. Lo sanno entrambi, soprattutto lei. A rendere impossibile ogni prospettiva fra Helen e Johnny è non soltanto la netta diferenza d’età (lei potrebbe essergli madre), ma anche altri due fattori che colmano lei di sensi di colpa: il fatto che Johnny sia iglio dei migliori amici di lei, ciò che le farebbe sentire anche di tradire la iducia di due persone care; e il fatto che Helen abbia una iglia undicenne, ai cui occhi rischierebbe di sentirsi una madre snaturata. Dunque, tutte le colpe stanno dalla sua parte. E non si tratta di colpe che vengano da atti intrinsecamente immorali, ma piuttosto dal modo in cui altri percepirebbero quegli stessi atti. Il torto sta nel giudizio, non nell’atto. E in questo caso, il torto è essere donna matura nonché madre. Dov’è la giustizia in tutto ciò? Ma nonostante questo travaglio interiore di lei, e il fatto che alla lunga le tensioni fra i due amanti dissolvano l’idillio, spicca il tono sereno con cui la storia fra i due viene raccontata. Non c’è un solo passaggio in cui s’avverta qualcosa d’immorale nella relazione fra la matura libraia e il giovane iglio degli amici di lei. E questa mancanza di un senso d’immoralità non è soltanto frutto dell’atteggiamento che la scrittrice adotta verso la vicenda narrata. Piuttosto è proprio la relazione in sé, con la sua quotidianità, a comunicare al lettore 227
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un senso di normalità. Si parla di due persone che si amano. Che ci provano, ma poi prendono atto che non funziona e allora si lasciano. Una normalissima storia d’amore. Come dicevo, soltanto molto tempo dopo avrei capito quanto La lettera d’amore mi abbia scavato dentro. Ma di un suo efetto mi accorsi immediatamente dopo aver chiuso il libro e averlo riposto nello scafale: da quel giorno ho eliminato dal mio vocabolario la parola tardona. Che tutto sommato è una delle parole meno ofensive in circolazione fra quelle da indirizzare a una donna. Ma che in realtà contiene i germi di un pregiudizio dagli efetti molto più umilianti di quelli portati dall’insulto più pesante. Un pregiudizio a proposito del diritto all’innamoramento e alla sessualità da parte della donna matura. Il contenuto semantico dell’aggettivo bolla questo diritto come se si trattasse di una deroga rispetto a un tempo di vita che si pensa debba rispettare dei canoni ben precisi. Come se vi fossero fasi della biograia personale in cui è appropriato cercare la iamma dell’innamoramento e saziare le esigenze carnali, e altre in cui farlo signiica essere fuori dal proprio tempo e dal proprio raggio d’azione. Quasi fosse caccia di frodo. E il pregiudizio si fa ancora più pressante se la donna che sconina va a caccia di uomini più giovani di lei. Ciò che aggiunge un’aura d’immoralità a un’attività già etichettata come anomala. Ma dove sta l’anomalia, e dove 228
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l’immoralità? Nelle pagine de La lettera d’amore questo doppio interrogativo è presenza costante e sottintesa. Si parla dell’amore fra una persona matura e una persona da poco uscita dall’adolescenza come se fosse una cosa ordinaria. Anzi, per dirla in modo più preciso: come se la persona matura fosse un uomo e quella da poco uscita dall’adolescenza fosse una donna. Eccolo qui il punto di svolta. Il lettore lo scopre man mano che avanza fra le pagine e sente che qualcosa non funziona. E quando decide di interrogarsi su cosa non stia funzionando, ci arriva. Si rende conto che il libro parla della relazione amorosa e carnale fra una donna matura e un uomo di cui potrebbe essere madre, eppure nemmeno per un attimo la narrazione usa i toni cupi e gli atteggiamenti censori che dovrebbero accompagnare una situazione come questa. E lì, su quel dovrebbero, il lettore inalmente capisce cosa davvero non stia funzionando e gli provochi quel senso di stranezza: è lui, con la sua mentalità, a non funzionare. Perché mai dei toni cupi e degli atteggiamenti censori dovrebbero essere usati per raccontare l’amore fra una donna matura e un uomo che potrebbe esserle iglio? A quel punto si apre la crepa nei convincimenti del lettore. Una crepa che man mano si allarga, e da quel momento ridisegna l’ediicio dei pregiudizi e delle interpretazioni stereotipe. Da lì iltra un nuovo modo di vedere la questione del diritto 229
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moramento e alla sessualità da parte della donna matura. Anche quando quel diritto si associ all’eventualità che l’uomo desiderato e amato sia molto più giovane di lei. Penso che adesso sia chiaro il motivo per cui ho sviluppato questa lunga citazione de La lettera d’amore. Si tratta di un romanzo che stravolge l’ordine del discorso su un tema, quello della sessualità e della vita sentimentale delle donne mature, a proposito del quale continuano a dominare atteggiamenti molto restrittivi. Le donne che oltrepassano i quaranta hanno libertà d’innamorarsi d’un uomo molto più giovane, e di desiderarlo, e inine di farci sesso e costituire con lui coppia stabile? Possono concedersi tutte queste facoltà al riparo da qualsiasi interdetto sociale, così come hanno libertà di farlo i loro coetanei uomini? Interrogativi che inalmente vengono posti, e da qui in poi non possono più essere elusi. Si è sollecitati a prendere posizione in senso conservatore o in senso progressista, ma comunque non ci si potrà astenere. C’è un altro fattore di grande rilievo, da prendere in considerazione dopo la lettura del romanzo di Cathleen Schine. Esso giunge in libreria, e immediatamente diventa un best seller globale, nel 1995. Cioè quattro anni prima che American Pie arrivi nelle sale cinematograiche, e che in conseguenza di ciò il termine Milf e il relativo proilo femminile vengano divulgati nel loro signiicato oggi universalmente riconosciuto. La 230
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rivendicazione di cui si fa portavoce la libraia quarantaduenne di Pequot, ossia il diritto della donna matura di avere un amore con un uomo molto più giovane, precede di poco - se si misura il tempo sociale col passo delle epoche - l’irrompere dell’esuberante Jeanine Stiler, la mamma che se decide di saltare addosso a un amico del igliolo non sta lì a indugiare. Intendo con questo dire che Helen sia una Milf ante litteram? Rispondo che il punto non è questo. Certo, la libraia di Pequot ha tutti i requisiti per essere una Milf. Ha l’età da parametro, è una madre, è anche una donna libera da vincoli coniugali e grazie alle esperienze compiute nel corso del romanzo compie il salto verso la propria Second Life. Forse, della Milf, la signora Helen non ha esattamente i tratti isico-estetici, anche perché viene descritta come una donna ordinaria e non granché appariscente. Ma ribadisco che la sostanza della questione è un’altra, e non riguarda l’ipotesi che la protagonista de La lettera d’amore sia o meno etichettabile come una Mother I’d Like to Fuck. L’aspetto davvero cruciale è che tanto la libraia di Pequot quanto la Milf siano le tappe successive di un percorso d’emancipazione i cui antecedenti sono la Vixen e Hannie Caulder. Ma anche la pornostar Lisa Ann che si batte per i diritti delle maestranze nell’industria del porno. Tutte igure della sovversione, donne che ingono di soggiacere alle regole immutabili dell’immaginario erotico maschile ma 231
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poi cominciano a sabotarlo. Ne mandano in tilt i codici e i signiicati, e poi prendono a ridisegnare il perimetro del campo. Donne che cambiano il piccolo mondo delle cose quotidiane, e il mondo grande dei processi culturali, dopo avere avuto la forza di cambiare se stesse. È in questo talento per il ribaltamento paciico di un ordine sordo al mutamento il vero senso della superiorità morale. Vincere le battaglie quotidiane evitando lo scontro, avvolgere con la persuasione anziché logorarsi nella contrapposizione. E essere disposte a cambiare ma senza sacriicare alcunché di se stesse. Di questo vasto processo di mutamento culturale la Milf è l’espressione più avanzata e compiuta. È anche destinata a essere oltrepassata da un proilo femminile maggiormente adeguato al tempo che verrà? Probabile. E se ciò dovesse avvenire, sarà soltanto per il meglio. Sarebbero da chiudere qui l’ultimo match della serie Milf versus e l’intero terzo capitolo. Ma rimane in sospeso la questione della Première Dame. Che è spinosa, ma se non l’afrontassi inirei per risultare elusivo. E allora meglio andare dritti al punto e dire che la signora Brigitte ha vissuto all’ennesima potenza il dramma e le lacerazioni della libraia di Pequot. Da quarantenne si è innamorata di un giovanotto sedicenne, che per di più era anche un suo studente. E basta mettere in ila questi elementi della situazione per avvertire l’incombere d’un senso di torbido. 232
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Che può anche avere motivo d’essere, a patto di tenere a mente che non meno torbida dovrebbe essere la sensazione provata nel caso in cui la igura di docente quarantenne fosse maschile e quella di studente sedicenne fosse femminile. E invece quante volte veniamo a sapere di professori che hanno amato e poi sposato una delle loro giovani studentesse? Senza che ciò turbi il nostro senso morale. E allora torniamo pure alla matura signora Brigitte e all’adolescente Emmanuel, che a quel tempo non stavano afatto vivendo una relazione torbida, ma una vera storia d’amore. Certiicata come tale dal fatto che abbia resistito a tempeste e ostacoli d’ogni tipo, e inine sia giunta ai giorni nostri. Con lei che vive la metà dei suoi sessanta e lui da poco oltre i quaranta. Aveva diritto, questa donna, di amare un uomo molto più giovane di lei? Intendo dire, ce l’aveva quando lui era minorenne e nessuno immaginava potesse diventare uno degli uomini più potenti del mondo, e lei era una donna matura e una madre, nonché moglie d’un banchiere? Perché adesso è facile dire che sì, lei abbia tutto il diritto. Se anche non lo avesse avuto, se l’è preso grazie al peso che le viene dall’essere un personaggio pubblico di quella dimensione. E invece io intendo chiedere se ce l’avesse a quel tempo, il diritto d’amare l’adolescente Emmanuel. E se l’avessero entrambi, il diritto d’amarsi reciprocamente. Per quanto mi riguarda, sono tutte domande a cui non rispondo sì. E a 233
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cui non rispondo nemmeno no. Sono domande a cui proprio non rispondo perché non andrebbero nemmeno formulate. Le trovo ofensive, sia per i diretti interessati che per la mia intelligenza. Piuttosto, bisognerebbe avere la forza e il coraggio di guardare senza pregiudizi a storie come questa. Giunto al termine di questa lunga evoluzione dovrei allora ribadire che la signora Brigitte è la First Milf di Francia? Per carità! Me ne guardo bene. Ché se anche lo dicessi con tutte le buone intenzioni - e le mie buone intenzioni nell’uso del termine Milf dovrebbero essere ormai chiare - l’impatto sarebbe comunque tosto. E ci mancherebbe che dovessi provocare una protesta da parte dell’ambasciata francese. Tanto più che metterei altre persone in imbarazzo. A partire da Annick, la mia collega francese di università con cui condivido l’impegno accademico e la stanza in Dipartimento a Firenze. Per non dire del mio editore, che i francesismi se li porta nei nomi della casa editrice e delle diverse collane. Fosse mai che, non appena rimetta piede a Parigi dopo l’uscita di questo libro, il povero Tommaso avesse a trovarsi manganellato da les lics. Preferisco continuare a averlo seduto alla scrivania, che dorme a occhi aperti e mi appioppa le copertine dei libri come piacciono a lui. Sicché opto per chiudere il capitolo con un rispettoso saluto alla signora. E ossequi al consorte.
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Capitolo 4 La possibilità di un’isola
Prima o poi ci si doveva tornare sull’isola. E spiegare il perché della suggestione di partenza, e cosa mai c’entri con la igura della Milf. Ho rimandato ino all’ultimo momento utile. E forse è stato proprio perché, man mano che procedevo con la scrittura, mi rendevo conto che non fosse così semplice indicare il nesso fra la suggestione e la lunga ode alla Milf. E adesso che non posso proprio più sottrarmi al dovere di spiegare, sale la tentazione di tornare indietro e manipolare lo scritto facendo sparire ogni traccia di isole deserte e tarzanismi. Ma sarebbe una grave scorrettezza. E inoltre, il senso d’inadeguatezza di adesso viene dal fatto che giunto allo scorcio inale del libro m’accorgo di doverne quasi scrivere un altro. Si tratta di tirare fuori qualcosa che confusamente è dentro, come è stato fatto per ogni singola 235
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gina che avete letto ino a qui. La scrittura è il più formidabile strumento d’auto-analisi, tenete sempre in mente questa verità. Sicché seguitemi nel naufragio verso quest’isola deserta. Che nasce più o meno con l’avvio delle fantasie sessuali, all’inizio dell’adolescenza. È quello il periodo in cui si comincia a fantasticare sul sesso, che per forza di cose è in prima battuta un’esperienza immaginata. E pensando retrospettivamente a quel passaggio, che è appartenuto a ognuno di noi, sorge la curiosità di ricostruire quel modo d’immaginare il sesso senza conoscerne nemmeno le nozioni basic. Esistesse un meccanismo capace di riprodurre quelle fantasie come se fossero ile temporanei, di quelli che appaiono sul desktop con icone trasparenti e tag gerogliici, ci sarebbe di che divertirsi, e forse anche di che imbarazzarsi. Ma più di tutto si proverebbe tenerezza verso se stessi. Appunto, la tenerezza. Tenetela ben presente, intanto che sprofondo in quell’isola deserta come se si trattasse di un approdo auto-analitico. Era un’epoca in cui la sessualità si scopriva in primis attraverso l’immaginazione, e poi arrivavano le esperienze che mettevano nella condizione di confermare o (più spesso) confutare tutto quanto era stato fantasticato. Suppongo che oggi non avvenga più così. Il contesto culturale in cui i pre-adolescenti di oggi si approssimano alla sessualità è caratterizzato da una tale normalizzazione della pornograia da non lasciare quasi spazio alle 236
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tasticherie. Il che, ovviamente, non signiica che si sia al riparo dall’elaborare idee ingenue e distorte. Cambia però che, oggi, un pre-adolescente può accedere senza fatica a un portale di porno online gratuito, e dopo aver dichiarato d’essere maggiorenne (basta cliccare sulla casella «sì») fruire della sterminata gamma di sesso che un pre-adolescente dei miei tempi nemmeno avrebbe immaginato. Gli esperti dei processi della crescita individuale raccontano che una così precoce esposizione alla pornograia abbia già profondamente strutturato un paesaggio mentale in cui la sessualità è elaborata senza alcun brivido della scoperta. Soprattutto c’è che anche le varianti più estreme della sessualità vengono percepite come normalizzate, disponibili a chicchessia in quei giganteschi mall del sesso elettronico. Come si trattasse di scegliere fra un videogame e un altro. Ciò è un bene o è un male? Temo che un bene non sia, poiché bisognerebbe avere sempre un lasso di tempo suiciente per stratiicare ogni esperienza, ciò di cui invece i pre-adolescenti di oggi non dispongono. Ma è altrettanto vero che il mio ragionamento si basa su uno schema della crescita individuale, a sua volta, ormai obsoleto. Il paesaggio tecnologico, culturale e umano che si sviluppa intorno al pre-adolescente di oggi è completamente cambiato. Si tratti o no di un fatto negativo, bisogna prendere atto che così stanno le cose. E che la prima generazione di nativi porno-digitali sarà comunque 237
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portatrice di modi propri d’elaborare l’esperienza della sessualità. Anche rispetto a quelli giungerà un punto d’equilibrio e consapevolezza. Ma torniamo alle fantasie erotiche di un pre-adolescente, e poi adolescente, del periodo a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. Un’epoca in cui la pornograia era davvero vietata ai minori, e dove una delle prove di crescita era riuscire a imbucarsi in un cinema a luci rosse da minorenne, traendo in inganno il cassiere riguardo alla propria età apparente. Una delle principali caratteristiche di quelle fantasie erotiche è che esse venissero accese, come si trattasse d’un macchinario, soprattutto in un momento preciso: la notte, quando si andava a dormire e nel tempo che precedeva il sonno. In quel lasso di tempo che durava a seconda della stanchezza lasciata in eredità dal giorno, si poteva fantasticare di incontri sessuali con le ragazze messe al centro dei desideri di quel periodo. E si poteva sognare, a palpebre chiuse e occhi della mente aperti, di sesso come d’innamoramento. Non sempre le cose erano scisse. Non so se dicendo questo io stia a fare chissà quali rivelazioni, o se piuttosto stia raccontando una delle cose più scontate al mondo. Né saprei dire se anche i pre-adolescenti e gli adolescenti di oggi abbiano tale abitudine. Di sicuro c’è che questa modalità del desiderio erotico pre-sonno fosse a quel tempo molto difusa, non certo un’esperienza personale. Se ne parlava fra amici, e uno fra loro raccontò 238
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che segnava su un quaderno i nomi delle ragazze cui dedicare le fantasie erotiche serali. Fosse mai che se ne scordasse qualcuna. Però non ha mai speciicato dove tenesse quel quaderno, né quante pagine avesse riempito. A me bastava tenere a mente quelle da cui mi sentivo attratto. Il rischio che me ne scappasse qualcuna di mente non sussisteva. Piuttosto avevo un problema diverso. Una questione di autostima. Diciamo che per un certo periodo fui abbastanza sigato nei rapporti con le ragazze. Càpita, e magari in seguito ci si rifà. Ma se ci ripenso, dico che doveva essere proprio una mancanza di iducia nei miei mezzi a penalizzarmi. Lo si capisce dalla fantasia dell’isola deserta, che era lo sfondo di molte immaginazioni erotiche della prima adolescenza. Perché sì, per me all’epoca la fantasia erotica doveva avere pure uno sfondo. Non bastava ci fosse una ragazza al centro della scena mentale, dovevo pure allestire tutta quella cazzo di scenograia. Fra l’altro, pare che non sia nemmeno un vezzo tanto peculiare. Ricordo di aver letto qualcosa del genere in un’intervista rilasciata da Dustin Hofman, che riappare qui dopo essere stato menzionato a proposito della igura di Mrs. Robinson. L’intervista venne concessa a «Playboy» e pubblicata, nell’edizione italiana, in un fascicolo dell’autunno 1979. Me lo ricordo bene perché era l’anno della quarta ginnasio e perché in copertina spiccava Bo Derek, a quel tempo etichettata come la donna più bella 239
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del mondo. E nella scelta di dedicare la copertina all’attrice statunitense c’era non soltanto l’intenzione di rendere omaggio a una bellezza cristallina, ma anche un’evidente esigenza pubblicitaria. Perché giusto in quelle settimane circolava per le sale cinematograiche il ilm 10, diretto da Blake Edwards, di cui la bellissima era l’attrazione principale. In un passaggio della lunga intervista, Dustin Hofman si sofermò a parlare con l’intervistatrice a proposito della diferenza fra le fantasie erotiche maschili e quelle femminili. Vado a memoria e dunque potrei fare una sintesi manomessa dai meccanismi imperfetti del ricordo, ma sono sicuro di riportare in maniera corretta la teoria espressa dal divo. Egli sostenne che le fantasie erotiche delle donne siano più spicce e pratiche, cioè che si focalizzino immediatamente sull’elemento carnale se questo è il centro della situazione immaginata. E che invece gli uomini abbiano un modo più complesso di pensare la situazione erotica, perché non basta vi sia dentro una partner, ma devono anche essere deiniti il tempo in cui tutto avviene, e la circostanza, e il contesto spaziale. E detto con tutta franchezza, mi pare che Dustin Hofman abbia detto una cacata pazzesca. Per presunzione e pigrizia intellettuale a un tempo. Non ho proprio idea di come un uomo possa pretendere di conoscere l’immaginario erotico femminile al punto tale da cavarne delle regole generali. Una presunzione che mi richiama alla 240
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mente quanto scrisse Erica Jong in Paura di volare, a proposito della descrizione dell’orgasmo femminile fatta da David Herbert Lawrence ne L’amante di Lady Chatterley. E cosa diamine può saperne un uomo delle sensazioni profonde che l’orgasmo femminile trasmette? Aggiungo che, anche con riferimento all’immaginario erotico maschile, Dustin Hofman abbia compiuto una bella forzatura. Descrivere il proprio mondo mentale e i propri meccanismi del fantasticare è un conto, pretendere di universalizzarli è altra cosa. Cionondimeno, rimaneva di buono nella sua tesi quel riferimento ai contesti di spazio e tempo come elementi indispensabili per costruire una fantasia erotica che funzioni. Un elemento nel quale riconosco la mia antica suggestione dell’isola deserta, ma senza alcuna tentazione di universalizzarlo. Dunque torno all’isola, situazione nella quale mi ritrovavo con la ragazza desiderata. Io e lei da soli, senza alternative. Soprattutto per lei, e in questo elemento stava il segno della mia mancanza d’autostima. Quale altra condizione mi avrebbe permesso di fare di lei la mia donna? Adesso ne rido, ma a suo tempo questo deicit di autostima doveva essere una cosa perniciosa. Perché non bastava trovarsi su un’isola deserta, come condizione per rendere credibile la fantasia. Serviva ben altra articolazione della storia per renderla credibile. Per dire, come diamine ci s’era initi su quell’isola deserta che poi poteva anche 241
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essere un deserto di città? E cosa aveva provocato quel nostro essere da soli, senza traccia d’altri esseri umani? A quel punto l’arzigogolo si faceva labirintico. Doveva esserci stata perlomeno una calamità naturale (minchia, l’autostima!), che aveva sterminato il genere umano e chissà come aveva risparmiato soltanto noi due. E a quel punto, anziché essere giunti al dunque, s’inaugurava la successiva sega mentale. Perché va bene la calamità naturale che stermina tutti salvo me e lei. Ma proprio tutti-tutti? Non potevo risparmiare qualcuna delle persone care? Magari i parenti, e qualcuno fra gli amici più afezionati, ma a patto che fossero salvi in un luogo discretamente fuori dalla portata (diciamo una decina di migliaia di chilometri) per non intaccare la solitaria diade fra me e l’amata. E però c’era un altro però. Ok salvare le persone care a me, ma allora come facevo a non concedere lo stesso diritto a lei? Che fra l’altro rischiava d’essere distratta dagli inconsolabili lutti. Bisognava darle un bonus d’una ventina di parenti e amici da mettere in salvo, purché anche costoro se ne stessero a distanza di sicurezza. Magari si poteva imbarcare entrambi i gruppi su una nave da crociera e spedirli verso l’altro emisfero. Roba che il Dustin Hofman così assertivo quanto a comparazioni fra immaginario erotico maschile e immaginario erotico femminile, se avesse saputo di queste mie elucubrazioni, mi avrebbe mandato immediatamente gli infermieri. Ma inine il 242
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solo risultato di questi complicatissimi costrutti mentali era che m’addormentavo ben prima d’arrivare a siorare il gomito della ragazza desiderata. Più che fantasie erotiche, quelle erano micro-sceneggiature da disaster movie che non arrivavano nemmeno a un quinto della trama. E mi chiedo com’è che non sia successo mai, durante un sogno notturno vero (e non una fantasia pre-sonno), che una delle ragazze desiderate mi sia apparsa nuda e imbronciata a braccia conserte, per chiedermi: «Ehi ciccio, ma qui quand’è che si tromba?». Cosa c’entra questo complicato costrutto mentale con la igura della Milf? Poco e tanto. Di sicuro non erano Milf le ragazze che desideravo allora. Erano giovanissime quanto me, e all’epoca il concetto di Milf era ben lontano da venire. Certo, auguro loro che almeno qualcuna sia diventata una Milf. Farebbe la gioia di chi le vive accanto, ma soprattutto la propria. Più appropriato fare riferimento all’isola deserta, e a quel desiderio di naufragio che forse ogni uomo si porta dentro. E sì, è vero, adesso anch’io come Dustin Hofman mi sto prendendo il rischio della generalizzazione intanto che parlo di suggestioni mie. Ma è quello che sto facendo dall’inizio di questo viaggio intorno alla igura della Milf, e quantomeno evito d’essere assertivo. I dubbi me li tengo, ma dubitando dico quello che penso. Del fatto che in fondo ogni maschio desideri il naufragio sono pienamente convinto. Dove per naufragio intendo la rottu243
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ra dei riti quotidiani, dei vincoli, delle coazioni a ripetere, e soprattutto delle responsabilità. Probabile che il medesimo desiderio alberghi anche in ogni femmina, ma non mi sento di afermarlo. Vista da questa parte, un ritorno alla naturalità e alla nudità originaria è un’aspirazione più difusa di quanto si creda. E il denudamento comprende anche liberarsi dai malintesi obblighi a tenere posizioni di forza e fermezza. Ci se ne vorrebbe sgravare, e dentro quella zavorra da lasciarsi dietro c’è anche l’incombenza d’essere la parte forte nel rapporto col mondo femminile. Un obbligo, travestito da destino e diritto, che non ha mai avuto ragion d’essere. E che adesso giunge al suo capolinea per manifesta anti-storicità. Certo, una reale parità delle opportunità e dei poteri è ancora da raggiungere, e lungo rimane il cammino da compiere. Ma se si guarda a come stavano le cose ancora il 5 agosto del 1981 - quando non me ne stavo su un’isola deserta ma su un’afollata spiaggia siciliana, e soltanto poche ore prima vigeva ancora in Italia un articolo del Codice Penale grazie al quale si poteva scannare una moglie/iglia/sorella e poi giovarsi dell’onore come attenuante -, beh, allora dico che sono stati compiuti passi enormi. E che altri ne verranno spiccati perché, fortunatamente, la dinamica avviata è irreversibile. Ma intanto che da parte femminile si avanza, da parte maschile si dilata la voglia di arrestare il cammino. Il potere e l’emancipazione femminili viaggiano col passo 244
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spedito dell’ottocentista, il potere e la presunzione di supremazia maschili arrancano col passo del maratoneta bolso, il morso del dolore al ianco e la vista annebbiata. Perché insistere se non ce la fai più? A volte è la desistenza il vero atto di forza. Bisogna capire quando il tuo limite smette d’essere una frontiera che puoi sidare per trasformarsi in una prescrizione. Forse per il maschio eterosessuale, nelle società che hanno raggiunto i più alti gradi di sviluppo e benessere, quel limite è prossimo a essere toccato. Si scopre di vivere un’epoca in cui il ricorso alla corporeità di un uomo non è nemmeno più indispensabile per procreare, mentre continua a esserlo il ricorso alla corporeità di una donna. Una coppia di donne desiderose di maternità può rivolgersi a una banca del seme, senza avere la minima necessità d’imbattersi nell’identità del donatore; e invece una coppia di uomini desiderosi di paternità non può fare a meno di un corpo femminile e di un utero, e dunque di una persona dell’altro sesso identiicabile e riconoscibile. E dunque da cosa dovrebbe essere ancora legittimata, questa pretesa di supremazia maschile? Desistere, desistere, desistere. E poi negoziare un nuovo equilibrio, basato su una diversa armonia. Come se fosse trovarsi su un’isola deserta, e lì avere la compagnia di un solo altro essere umano. Di sesso femminile. E giunto lì, in fondo a un naufragio, è davvero tutto azzera245
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to. Non sei Tarzan perché le condizioni dello stato di natura non le hai mai vissute, e forse davanti a quel banco di prova ti dimostri più inadeguato di quanto succeda alla tua compagna femminile d’avventura. E non sei nemmeno il marinaio Gennarino Carunchio. Che, travolto da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, dà sfogo sull’isola sperduta a una repressa ansia di rivalsa classista. Perché la Rafaella Pavoni Lanzetti che naufraga insieme a lui, una bbottàna indushtriale e pure nòddica, era la parte dominante prima che giungesse la disavventura. Ma quell’asimmetria di potere c’entrava niente con le identità di genere. Derivava piuttosto dal fatto che lei fosse moglie di un ricco industriale, e dunque avesse il denaro per pagare a lui i servizi lavorativi che gli permettevano di campare. E poiché il denaro è potere, fra i tanti aspetti di quella relazione di dominio c’era pure la facoltà di azzerare la virilità di lui, e fare come se lui non esistesse. Succedeva quando lei e le amiche prendevano il sole in topless sullo yacht davanti al marinaio, facendo come se lui non esistesse e inischiandosene del fatto che potesse essere scosso dall’elettricità del desiderio. Una ferita non soltanto per la virilità da maschio siculo che Gennarino Carunchio si porta dentro, ma soprattutto per la dignità della persona che si vede trattata da non-persona. «Come un animale», le rinfaccia quando comincia a sgranare il rosario delle rivalse, o come un essere 246
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to davanti al quale non si prova alcun pudore né imbarazzo per la propria nudità. No, non sei Gennarino Carunchio nemmeno davanti a quella nudità femminile, perché è il segno stesso di quella nudità femminile a cambiare, così come cambia lo sguardo maschile. Sullo yacht le donne si mettevano nude davanti ai marinai come l’avrebbero fatto davanti ai propri animali domestici o alla seggiola su cui appoggiare i vestiti, e il loro corpo esibito a quel modo era un segno d’umiliazione per quegli uomini trattati come sub-umani. E quando il marinaio e una delle donne si ritrovano sull’isola deserta, lui fa di quell’episodio uno dei motivi di rivalsa. Lì la nudità della signora Rafaella si trasforma man mano in un segno di comunanza, e dunque di pari dignità, poi di complicità erotica e inine di unione. Se invece sei tu a ritrovarti sull’isola deserta con un corpo nudo di donna davanti a te, allora quel corpo è una visione che d’improvviso ti semina dentro il disagio. Perché ha cambiato segno, e non è più una igura del desiderio ma l’irruzione dello stato di necessità. E dentro quello stato di necessità vedi non più un corpo reiicato, ridotto a oggetto di feticismo dal tuo desiderio. Quello è un corpo reale, fragile quanto il tuo dentro lo stato di necessità. Che prova lo stesso freddo del tuo corpo, e come il tuo corpo si ustiona sotto il sole e ha bisogno di riparo. Impegnato anch’esso nella ricerca della sopravvivenza. 247
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Scopri pure che è un corpo ancora bellissimo. Molto più di come l’aveva elaborato la macchina del tuo desiderio. Solo che adesso ha una bellezza diversa. Risalta nelle avversità, nella fatica. Un’estetica ruvida. Non c’è make-up a correggerla, non ci sono efetti speciali a donarle quell’immagine desiderabile che però è frutto di desiderio altrui e non proprio. E davanti al magnetismo selvatico di quel corpo bello al naturale, senza trucchi né compromessi, scopri che a reiicarlo avevi contribuito anche tu. E che la tensione di molte donne verso la silhouette agognata è solo in parte aspirazione, mentre per altra (e forse preponderante) parte è pressione esterna. Il corpo nudo di Rafaella Pavoni Lanzetti sullo yacht è mezzo d’alienazione per i pescatori il cui sguardo vale nulla, e dall’approdo sull’isola giunge il riscatto da quell’alienazione perché quel corpo stesso viene normalizzato. Anche il corpo della tua compagna d’isola è normalizzato, ma stavolta è lei che esce dall’alienazione. Perché ti mostra il suo aspetto isico per come avrebbe dovuto piacerti, senza la pesantezza degli estetismi di cui aveva dovuto farsi carico per piacere (a te o a chicchessia) fuori dall’isola. «Così sono, e così sarei sempre stata se non avessi dovuto fare a tutti i costi qualcosa per piacerti. E invece, adesso, o ti piaccio così o nulla». Ti ritrovi dentro una situazione come questa, e scopri il ribaltamento. Non hai più nemmeno il potere della forza, perché tanto cosa te ne fai 248
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della forza in una situazione come quella? In tale situazione, la miglior cosa che tu debba augurarti è imbatterti in una Milf. Per molte ragioni. Innanzitutto perché tanto ha vissuto, e dentro tutto quel vivere ha ainato una capacità di adattamento certamente superiore alla tua. Puoi star sicuro che sarà molto più Tarzan, e molto più Gennarino Carunchio, di quanto potresti essere tu nella sida dell’adattamento allo stato di natura. Poi perché la sua bellezza vissuta, priva di soisticherie, ha già una sua naturalezza nel mondo civilizzato. È donna vera già nella vita di tutti i giorni, come la mamma che guida la Twingo, e questa sua caratteristica spiccherà in quelle condizioni che la faranno essere vera al massimo. E ancora, perché se vuoi una donna che sappia essere desiderabile sempre, anche nelle condizioni più aspre, soltanto la Milf potrà darti questa garanzia. E non per caso è il proilo femminile più agognato. Non soltanto dai giovani in cerca della donna esperta che sappia maneggiarne con cura gli ormoni, come vorrebbe lo stereotipo da ilm porno. Ma anche dai maschi adulti. E dai maschi maturi, che magari una Milf ce l’hanno accanto ma desiderano quella d’altri. Perché, nella mentalità prevalente, qualunque donna potrebbe essere una Milf tranne la propria; e allora questa mancanza di percezione e consapevolezza ti costerà cara, perché lei diventerà la Milf di un altro. Mica per fartela pagare, ma proprio perché così avrà scelto. 249
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Ma soprattutto, devi augurarti di avere accanto una Milf nell’isola deserta perché essa è per eccellenza il ruolo del ribaltamento delle situazioni nell’equilibrio di potere fra maschile e femminile. E se tu sei su quell’isola deserta, è perché hai deciso di desistere. Se proprio devi mollare, allora fallo al cospetto di una donna che sa cavarsela abbastanza anche per te, oltre a farlo benissimo per se stessa. Perché poi, quando ti sarai arreso, lei t’inviterà a stare seduto come farebbe con uno scolaretto recalcitrante nonché tardo di comprendonio, e ti farebbe passare in rassegna un po’ di quei ribaltamenti. A cominciare dal video del brano musicale di Fergie, M.I.L.F. $ (da leggersi Milf Money), con quella tempesta di giochi di parole e nonsense che destruttura deinitivamente l’idea del maschio cacciatore e consegna agli atti la rappresentazione di un nuovo potere femminile. Si tratta di 3’ 40” di pura sovversione durante i quali l’immaginario erotico maschile viene ridicolizzato, praticamente demolito. Perché le parole e la musica del brano intonato dalla ex cantante dei Black Eyed Peas accompagnano sequenze in cui viene passato in rassegna uno scenario apparentemente consono all’immaginario maschile. Donne bellissime, tutte quante dive dello spettacolo: Amber Valletta, Kim Kardashian, Alessandra Ambrosio, Chrissy Teigen, Ciara. Appaiono in video discinte in vario grado, e impegnate 250
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le attività più disparate. Fare ginnastica all’aria aperta. Potare una siepe. Servire la colazione in giardino ai igli. Allattare al seno un neonato. O semplicemente, spalancare la porta di casa e piazzarsi sul patio come se ci si fosse appena svegliate, ma con indosso una vestaglia di seta e una lingerie da notte super hot. All’inizio della sequenza pare d’assistere a una riproduzione di Wisteria Lane, ma bastano pochi secondi per capire che quelle donne sono tutt’altro che delle Desperate Housewives. Piuttosto, siamo dentro la quinta di un mondo dominato dalle donne, e di tale svolta è emblema la igura di Amber, che posa vicino a un cartello piantato sul prato in cui se ne annuncia la candidatura a sindaco di Milfville. Ecco come si chiama il luogo attraversato dall’unico uomo in circolazione durante quella prima sequenza. Una igura scelta come se fosse un simbolo d’anti-virilismo, quella che potrebbe incarnare l’immagine del Maschio Omega rispetto all’idraulico, identiicato nell’immaginario spicciolo come il Maschio Alfa: la igura del lattaio. È lui, he Milkman che però viene ribattezzato Milfman, in un continuo gioco di parole fra Milk (latte) e Milf che rende vertiginoso il ritmo dei doppi sensi. Tanto più che la dicitura impressa sulla bottiglia del latte converte l’acronimo MILF in «Mom’s I’d like to follow». Il desiderio non è più scoparle, ma seguirle come se fossero loro a conoscere la via. E per il povero lattaio-Milfman, che circola alla guida del 251
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furgone lungo le strade di Milfville, quella silata di donne sexy in modo quasi insolente è motivo di straniamento. Il tragitto compiuto sul furgone dovrebbe essere un’oasi, il sogno che qualsiasi maschio eterosessuale medio nemmeno s’azzarderebbe a tracciare perché sarebbe un eccesso. Anche nel desiderio deve esserci una misura che lo ancori alla realtà. Eppure quel paradiso in terra non gli comunica nemmeno per un istante un senso d’idillio, o l’idea di avere a disposizione una sterminata gamma di opportunità. Perché le bellissime casalinghe di Milfville esprimono una carnalità da Femmine Alfa il cui efetto è intimidatorio, non soltanto per il lattaio. Sono donne che ti sidano apertamente, e chiamale pure Milf perché lo sono davvero. Totalmente a proprio agio dentro una consapevolezza sessuale priva di compromessi. E in questa posa incarnano la perfezione estetica femminile che appartiene all’immaginario erotico maschile, ma ne sono al tempo stesso la sua negazione perché di quell’immaginario avviene uno spossessamento. L’esproprio Militario. E se si guarda a questa operazione da Blitzkrieg, a questo sbaragliamento della controparte in soli tre minuti e quaranta secondi di videoclip, si capisce quanto i decenni d’analisi femministe sulla necessità di de-oggettiicare il corpo della donna abbiano sbagliato nell’approccio e soprattutto nelle soluzioni. Tutto un recriminare su sfruttamento, umiliazione, merciicazione, 252
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gradazione e ogni altro tipo di abiette manipolazioni compiute ai danni della donna attraverso la rappresentazione pubblica del suo corpo e della sua sessualità, che convergevano nell’indicare la soluzione in una guerra a quella rappresentazione pubblica. Un muro contro muro da cui sono scaturiti risultati men che modesti, se è vero che la pubblica esibizione del corpo e della sessualità della donna cresce senza posa e continua a essere determinata da un immaginario maschile. E invece, quanto più proicuo sarebbe stato prendere quel tipo di pubblica rappresentazione e usarlo da dentro per manipolarlo, e farlo ritorcere contro coloro che lo determinano o ne fruiscono. Viene da dire che sarebbe stato necessario usare una tattica da cavallo di Troia, ma temo che in questo caso l’onomastica sia inopportuna. Meglio parlare di una destrutturazione dall’interno, esattamente ciò che succede col resto e il video di M.I.L.F. $, la cui complessità di signiicati è stata splendidamente illustrata dalla giornalista colombiana Angélica Gallón S. in un articolo dal titolo Te explicamos todo lo que no entiendes sobre la leche en MILF$ («Ti spieghiamo tutto ciò che non comprendi a proposito del latte in MILF$»), pubblicato dal sito web di Univision. E in efetti il riferimento al latte e al Milk Money è l’aspetto simbolicamente più evocativo del testo . Il «denaro per il latte» è inteso infatti in diversi modi. Può essere la paghetta quotidiana che veniva data ai ragazzi253
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ni perché comprassero il latte mentre andavano a scuola, e di cui sovente venivano rapinati dai più bulli fra i coetanei. Ma ancor più accreditato è il signiicato che riguarda le piccole somme di denaro accantonate dalle mamme per fare fronte alle emergenze; un comportamento tipico da madre di famiglia old style, e era anche per tale motivo che quegli accantonamenti venivano etichettati come «denaro per il latte». Una discussione su Quora fa riferimento a un signiicato più marginale, ma egualmente indicativo perché consente di completare un quadro di riferimento. Secondo questa versione il Milk Money è quello che veniva guadagnato per il solo fatto di esibire il seno a degli uomini. Tutti i signiicati elencati permettono di capire quale potente sovversione giunga col passaggio dal Milk Money al Milf Money. Lo dice bene Angélica Gallón S., nel passaggio inale del suo articolo dedicato al messaggio sociologico contenuto nel videoclip: Allo stesso modo di Beyoncé sul tema della razza, e come ha fatto recentemente Jennifer Lopez col suo manifesto femminista, anche Fergie crede che il pop abbia la funzione di lanciare una rivoluzione fra le donne, di liberarle da idee tradizionaliste e di conferire loro potere, e stavolta la sua scommessa riguarda tutte queste madri che non hanno smesso di essere belle, né di guadagnare il denaro che serve a mantenere e alimentare i loro igli. 254
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Un grande salto, rispetto all’idea di famiglia in cui la madre si prendeva carico del Milk Money intanto che il padre era male breadwinner (alla lettera, il maschio che si guadagna il pane). E merita d’essere sottolineato che la giornalista colombiana usi un termine inesistente in italiano, tanto da richiedere la locuzione «conferire potere» per consentirne la traduzione: empoderar, da empoderamento. Termine che corrisponde perfettamente all’inglese empowerment, tirato in ballo da Jimmy McDonough nel libro sui ilm di Russ Meyer a proposito dell’impatto sociale della Vixen. Adesso è l’epoca del Milf Money, donne che continuano a essere madri senza perdere un’oncia di prorompente sensualità e senza l’ombra di un partner nei paraggi. La versione contemporanea del Mito del Matriarcato, Bachofen in versione musica pop. Il Primo Sesso, con buona pace di quanto sostenesse Simone de Beauvoir. Di questa svolta la Milf è igura d’avanguardia, e attraverso il videoclip costruito intorno al brano di Fergie comunica una leadership estetica e morale che fa piazza pulita anche degli stereotipi a proposito delle Mother I’d Like to Fuck. A cominciare da quello che la vede privilegiare gli uomini più giovani e esserne a sua volta privilegiata. Lo si vede in una sequenza successiva, ambientata dentro un’aula di liceo. Lì l’esplosiva insegnante manovra gli studenti (tutti maschi) come fossero marionette. Sarebbe una perfetta situazione da 255
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ilm porno, proprio di quelli con Lisa Ann protagonista, e invece la professoressa del videoclip continua a comandare il coro dei docili studenti. Uno stereotipo che se ne va, intanto che l’immaginario maschile viene ridicolizzato. Svanisce l’idea che la Milf preferisca il Toy Boy, ma altrettanto si fa piazza pulita del fatto che i maschi in età da Dilf (Daddy I’d Like to Fuck) preferiscano le Teen o le IHT. Menzogna malriuscita. Anche loro preferiscono le Milf, e ne andranno a caccia nonostante possa succedere che ne abbiano una in casa. E che la Milf abbia stravinto nelle preferenze erotiche è un dato di fatto che viene certiicato dalle statistiche pubblicate anno per anno dal portale Porn Hub a proposito delle preferenze dei suoi utenti. Si tratta di cifre che nel complesso rovesciano molti dei convincimenti più radicati. Per esempio, che il consumo di pornograia riguardi un pubblico pressoché esclusivamente maschile. Falso. Le cifre relative all’anno 2017 dicono che il 26% degli utenti è costituito da donne, e che il loro accesso avviene in larghissima maggioranza (79%) da smartphone e tablet, mentre invece gli uomini continuano a privilegiare il desktop (55%). Si tratta di un pubblico in crescita, come confermano le statistiche di un altro portale specializzato (xHamster), che a livello globale ha fatto segnare un +2,4% nel 2017. Tornando ai dati di Porn Hub, la categoria favorita dalle utenti è Lesbian, e si tratta di una preferenza nettamente 256
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preponderante presso il pubblico femminile delle due Americhe e di gran parte d’Europa (con la notevole eccezione delle tedesche, per le quali la categoria privilegiata è Teen). Se ne deve dedurre pure che il traino dell’utenza femminile sia decisivo per fare di Lesbian la categoria più ricercata in termini assoluti. E subito dietro Lesbian è data in grande ascesa la categoria Hentai, che in giapponese signiica genericamente «perversione» e viene rappresentata attraverso cartoni animati manga e 3-D. Ma a seguire troviamo la categoria Milf, e a ruota altre tre categorie a sfondo familiare che richiamano esplicitamente il sesso incestuoso: Step Mom (matrigna), Step Sister (sorellastra) e Mom. E en passant viene da fare una considerazione: peccato non sia ancora vivo il grande antropologo francese Claude Lévi-Strauss, che chissà se e come avrebbe rivisto la sua teoria sul tabù dell’incesto. Rimane il dato che la igura delle madri (e delle consanguinee in generale) abbia un potenziale d’attrazione erotica che lascia sconcertati. E che ci fa vedere quanto, nel segreto della maschera di ricerca, possa darsi corso alle fantasie più inconfessabili, che se lasciate libere di scorrazzare ci ricondurrebbero dritti nella più tribale delle pre-modernità. Fantasie erotiche da società ancora imbevuta di un’ideologia da famiglia patriarcale. A proposito delle quali è bene intendersi. Privilegiare queste categorie, da parte dell’utenza del porno, è un giocare con le perversioni che 257
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non signiica di per sé abbandonarsi a esse. Tra il consumare un’opera di iction che rappresenta un comportamento proibito e l’essere pronti a adottare quel comportamento ce ne corre. Resta però indiscutibile che, rispetto a tali tendenze borderline dell’immaginario sessuale, il piazzamento in classiica della categoria Milf rappresenti un argine. Lo è per il pubblico maschile, da cui dipendono (e da chi altri, se no?) gli altissimi indici fatti registrare dalle categorie Step Mom, Step Sister e Mom. E lo è anche con riferimento alla sezione degli utenti italiani di Hub Porn, presso i quali l’opzione Milf è seconda soltanto alla generica categoria «Italian». Lo è persino riguardo al segmento del pubblico femminile, che nel nostro paese mostra un certo apprezzamento per i video che hanno come protagonista la Mother I’d Like to Fuck. Essa, quand’anche fosse considerata come madre, ha nulla d’incestuoso perché rimane madre e donna d’altri. È, semplicemente, una donna che sa cosa vuole. E sa che deve continuare a sovvertire. Simbolo di un nuovo ordine di matriarcato, quando invece le mamme/matrigne/sorellastre sono la persistenza perversa del potere patriarcale. Per questo la Milf sovverte a ripetizione il signiicato dell’acronimo, e te ne dà tutte le dimostrazioni mentre continui a startene seduto come uno scolaretto. Milf può diventare Man I Love Fishing, formula secondo la quale l’uomo è come un pesce che abbocca, o Mother in Love with 258
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ness. Un’inarrestabile valanga di rovesciamenti di senso, a monte dei quali sta il rovesciamento da cui tutto inizia. Quello che avviene quando il maschio viene schienato dalla Milf attraverso l’uso del medesimo meccanismo erotico che credeva di potere usare ancora per dominare il corpo e la sessualità femminili. Come nel video di Fergie. Lei è lì come tu la desideri. Bella, esplosiva, discinta, schietta, e anche zoccola quanto si deve. Tutto come volevi tu. E allora come potrai mai lamentarti, se quella donna che ha «tutto come volevi tu» sovverte l’ordine? E se usa gli strumenti di seduzione come strumenti di sovversione? Semplicemente, lamentarti non puoi. Perché non sei stato capace di controllare la macchina dei tuoi desideri, non ne sei stato all’altezza. Desistere è la via più dignitosa per fare i conti con l’inatteso senso d’inadeguatezza. Forse l’unica. È l’isola quella desistenza. Da vivere accanto alla migliore compagnia femminile possibile. La compagnia di una Milf. Che non aveva mai avuto intenzione di schienarti, e rovesciare il tuo mondo costringendoti a guardarlo dal basso in alto. Ma poiché non le hai dato alternativa, l’ha fatto. E adesso non vuole stravincere. Le è bastato dimostrare che non c’è da essere superiori o inferiori, né sovraordinati e subordinati. C’è da vivere e da capirsi. Ciascuno con la propria nudità. E guardarsela reciprocamente, senza giudicarla. Lei c’è per il tuo bisogno di essere in due, e sa quando 259
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lasciarti alle tue solitudini. Ma non credere mai che valga solo per te. Anche lei ha le sue, di solitudini. E può succedere che decida di prenderle sul serio e lasciarti lì, solo e naufrago per davvero. Vedi di non dimenticarlo mai.
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Conclusioni
Ma adesso mi rivolgo a voi. Sì, proprio a tutte voi che siete state dietro lo specchio segreto a godervi lo spettacolo. Spero che ne sia valsa la pena, e che questo Teatro della (In)Consapevolezza Maschile abbia soddisfatto le vostre aspettative. Diversamente, mi scuso per avervi fatto perdere tempo cincischiando analisi un po’ pretenziose e parecchio velleitarie, di cui avreste potuto fare a meno. A mia discolpa, e per quanto possa servire, vi assicuro che ci ho messo le migliori intenzioni. Che poi si possa mettere le migliori intenzioni nel fare le peggiori cazzate, è altro discorso. Vi pregherei però di sciupare un altro paio di minuti del vostro tempo prima di tornare alle vostre faccende. Avete visto messo in scena l’immaginario erotico del maschio eterosessuale medio. E mi rendo conto che nel dirla così io mi assuma 261
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una certa dose di presunzione. Pretendo di rendere universali delle rappresentazioni che invece hanno molta probabilità d’essere personali. E rispetto a questo equivoco m’interrogo tuttora che ho quasi concluso la stesura e mi appresto a consegnare. E tuttavia, se siete rimaste ino alla ine dietro lo specchio segreto, vorrà dire che qualcosa da raccontarvi ce l’avevo. Qualcosa che avevate curiosità di sentire. Anche soltanto per avere la possibilità di dirne male, dopo. C’è stato un attimo in cui vi siete chieste il perché di questa curiosità? Risponderete che no, non ve lo siete chiesto. Ne potrei dedurre che foste troppo attente a seguire la linea zigzagante del mio ragionamento, e per questo mi potrei sentire gratiicato nell’intelletto e nell’ego. Ma temo che le cose non stiano esattamente così. E se ci ragionate, vi renderete conto di saperlo benissimo. E sapete pure che a catturarvi è stato l’inganno. All’inizio di questo libro era stato stipulato un patto comunicativo con voi. Vi era stato promesso che si sarebbe parlato dell’immaginario erotico maschile come se fosse un discorso fra maschi. E per buona parte è stato davvero così. Un’analisi nel profondo dell’immaginario erotico del maschio eterosessuale medio, messa a vostra disposizione senza iltri né mediazioni. Ma poco a poco avete visto che si parlava anche di altro. Si parlava di voi. Del modo in cui è cambiato la percezione 262
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maschile della femminilità. E di come, pur con tutti i (nostri) limiti, questo cambiamento stia generando efetti positivi. Che questi cambiamenti positivi siano o no da rappresentarsi attraverso la igura della Milf è cosa opinabile. Ma di sicuro essi sono avvenuti. E a gran parte del mondo maschile mettono addosso molta meno paura di quanto s’immagini. Molta meno, forse, di quanta ne mettano addosso a voi. Era anche questo il senso di tutte le cose dette in qui, intanto che si parlava di Milf. E adesso che ve ne tornate a casa, ripensate alle parole di quel personaggio di Le menzogne della notte, il romanzo di Gesualdo Bufalino, vincitore del Premio Strega 1988. Che credeva d’essersi vestito da volpe, ma inine scopriva d’essere entrato in un covo di faine. Vi rimarrà il dubbio che, dietro lo specchio segreto, a essere osservate foste voi.
Per contattare l’autore: email: [email protected] Facebook: pipporussobis; @pipporusso1965; Twitter: @pippoevai
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Stampa: Baroni e Gori - Prato Marzo 2018