Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda 8860561337, 9788860561336

Già socialista, Angelo Tasca (1892-1960) fu tra i fondatori del PCI, poi espulso dal partito per la vicinanza a Bucharin

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Italian Pages 160/163 [163] Year 2009

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Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda
 8860561337, 9788860561336

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Angelo Tasca Il patto germano-sovietico La storia e la leggenda Traduzione commento introduzione Michele Millozzi

eum

Titolo originale: Le pacte germano-soviétique. L’histoire et le mythe Paris, Édition Liberté de la Culture, 1954 Isbn 978-88-6056-133-6 Prima edizione: marzo 2009 © 2009 eum edizioni università di macerata Vicolo Tornabuoni, 58 - 62100 Macerata [email protected] http://ceum.unimc.it Realizzazione e distribuzione: Quodlibet società cooperativa Via S. Maria della Porta, 43 - 62100 Macerata www.quodlibet.it Stampa: Litografica Com, Capodarco di Fermo, Fermo

Indice

Michele Millozzi vii xxix

Introduzione Breve nota sulla traduzione

Angelo Tasca Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda 3 5

Prefazione i. Un morto resuscitato: il patto germano-sovietico

9

ii. Fatti e ideologia nella storia

13

iii. Quando «pecunia non olet»

17

iv. Patto d’amicizia e patto d’aggressione

21 25 27

v. Il silenzio è finalmente rotto vi. Quattro documenti falsi in un colpo solo vii. Un comandante pilota molto furbo

31

viii. I due falsi rapporti di Gaus

35

ix. La cartella di Ribbentrop

39 43 47

x. A proposito di una fotografia xi. Un «sondaggio» di Stalin xii. I tedeschi hanno capito bene

51

xiii. La sostituzione di Litvinov

55

xiv. Una cronologia sbrigativa

61

xv. Trattative parallele

INDICE

VI

67 71

xvi. Errori tecnici e contraddizioni politiche xvii. I due viaggi di Ribbentrop

75

xviii. Il nuovo «club dei salumieri»

79

xix. Gli accordi del 28 settembre

81 85 87

xx. La campagna per la pace xxi. Il Patto, strumento della vittoria xxii. Disfatta francese e Patto

89

xxiii. L’Inghilterra, perno della Resistenza

93

xxiv. «Yankees stay home»

99 103 109

xxv. Le occupazioni del 1939-1940 xxvi. Ieri e oggi xxvii. A quale servizio viene posta la storia?

113

xxviii. A proposito di una polemica Dulles-Molotov

117

xxix. La mobilitazione dei vassalli corre in aiuto

121 125

129

xxx. Storia e politica xxxi. Verità e libertà della cultura

Indice dei nomi

Introduzione

Se si volesse segnalare un momento certo del recupero della figura di Angelo Tasca all’attenzione della storiografia italiana non ci si potrebbe che riferire alla pubblicazione, nel 1985, della sua biografia scritta dallo statunitense Alexander De Grand1. Due elementi sembrano doversi rilevare in questo evento: l’uno, ascrivibile a mera coincidenza, è l’anno di apparizione dell’opera che è lo stesso dell’ascesa di Gorbacev al vertice dell’Unione Sovietica; l’altro, invece, non fortuito ma oggettivo, è costituito dal fatto che sembra essere non casuale che a misurarsi, primo tra tutti, in un’ampia, articolata e documentata ricostruzione biografica del personaggio2 sia stato uno storico non italiano. Però, i due elementi sui quali si è posta l’attenzione giocano, congiuntamente, un ruolo di primo piano nell’accendersi di un interesse diretto, specifico intorno al personaggio Tasca, interesse 1 Alexander De Grand, Angelo Tasca. Un politico scomodo, Milano, Franco Angeli, 1985. Per il «dibatitto storiografico e politico» sull’uomo e la sua opera sviluppatosi tra il 1960, anno della scomparsa di Tasca, e il 1985 appunto, un’efficace sintesi in Daniela Muraca, La “questione Tasca” nella cultura italiana, «Quaderno di storia contemporanea», n. 36, 2004, pp. 47-53. 2 In precedenza, la vicenda biografica di Tasca era stata ricostruita soltanto in un profilo elaborato da Franco Livorsi, Tasca Angelo, in Franco Andreucci-Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, 5 voll., Roma, Editori Riuniti, 1975-1979, vol. V, pp. 15-26, profilo più tardi riveduto. Infatti, lo stesso Franco Livorsi, nel suo La questione Tasca, in Sergio Soave (a cura di), Un eretico della sinistra. Angelo Tasca dalla militanza alla crisi della politica, Milano, Franco Angeli, 1995, p. 199, dichiara che nel 1990, a cinque anni di distanza dall’apparizione dell’opera di De Grand, da lui riconosciuta «fondamentale su Tasca», pubblicava «un nuovo, più breve ma più meditato testo generale» su Angelo Tasca, in Il Parlamento Italiano 1861-1988, voll. XXII, 1920-1922 La crisi dello stato liberale. Da Nitti a Facta, Milano, Nuova Cei, 1988-1993, vol. X, 1988, pp. 270-273, testo nel quale – aggiunge Livorsi – «si potrà agevolmente notare che il tono e il giudizio su Tasca sono ben diversi, e più benevoli».

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che, traducendosi in una rivisitazione a tutto campo del suo «vissuto» porterà poi, in definitiva, alla sua postuma «riabilitazione». Infatti, per un verso, l’avvento di Gorbacev, nel determinare nel giro di qualche anno il crollo del totalitarismo sovietico, determina contestualmente in Italia anche la fine di quell’egemonia culturale marxista3 che all’uomo e alla sua opera aveva decretato l’ostracismo; per un altro e allo stesso tempo, la biografia di De Grand, iniziando a diffondersi nel declinare di quell’egemonia culturale, viene ad assolvere il compito di «apripista» a ulteriori riflessioni storiografiche individuali e collettanee sulla variegata vicenda taschiana ora inquadrate in una nuova prospettiva interpretativa favorita dai tempi mutati, riflessioni tradotte in studi venuti alla luce a partire dalla fine degli anni Ottanta4. 3 Sul cui affermarsi e declinare Gian Biagio Furiozzi, Intellettuali e politica in Italia, in Michele Millozzi (a cura e con introduzione di), Giano bifronte. L’eredità storica del Novecento, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 2001, pp. 65-68. Nell’Introduzione dell’appena apparso Mirella Serri, I profeti disarmati. 1945-1948. La guerra tra le due sinistre, Milano, Corbaccio, 2008, pp. 7-29, l’autrice rende inequivocabilmente conto delle motivazioni politiche alla base della perseguita e conseguita egemonia culturale da parte del Partito comunista, motivazioni così esattamente sintetizzate nella puntuale recensione che al volume ha dedicato Antonio Carioti, «Corriere della Sera», 16 ottobre 2008: «Dal tumultuoso triennio 1945-48, oggetto della ricerca di Mirella Serri, il Pci uscì battuto sul piano politico, relegato in permanenza all’opposizione, ma vincitore sul terreno dell’egemonia culturale, poiché riuscì a legittimarsi come rappresentante principe dell’antifascismo, custode autorizzato della memoria della Resistenza, depositario della più genuina interpretazione della democrazia e dei valori costituzionali. Su chiunque si opponesse a Botteghe Oscure si allungava così l’ombra del sospetto di servire interessi oscuri, se non di cullare progetti autoritari». 4 Anteriormente a questo periodo, oltre al già ricordato profilo di Franco Livorsi di cui alla precedente nota 2, non può non essere menzionato lo studio di Alceo Riosa, Angelo Tasca socialista. Con una scelta dei suoi scritti (1912-1920), Venezia, Marsilio, 1979. Per quelli apparsi a partire dal 1985 e imperniati sulla figura del solo Tasca, ancora Riosa, Angelo Tasca dalla «drôle de guerre» all’«autre Résistence», in Denis Peschanski (a cura di), Vichy 1940-1944. Quaderni e documenti inediti di Angelo Tasca, «Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli», XXIV, 1985, pp. 181-220; David Bidussa, Alla ricerca di Marx. Angelo Tasca e la riflessione sul Marxismo negli anni del fuoriuscitismo (19301934), «Quaderni della Fondazione Luigi Micheletti», n. 3, 1988, pp. 81-119; Idem, Angelo Tasca e la crisi della cultura politica socialista, «Studi storici», a. 33, n. 1, gennaio-marzo 1992, pp. 81-113, corredato da un’«Appendice» che, alle pp. 115-125, riproduce integralmente l’Autobiographie scritta da Tasca nel novembre 1940; Idem, Vichy al plurale. I documenti dell’Archivio Angelo Tasca presso la Fondazione Feltrinelli, in Luigi Cajani-Brunello Mantelli (a cura di), Una certa Europa: il collaborazionismo 1939-1945, «Annali della Fondazione Luigi Micheletti», n. 6, 1992, pp. 117-130; Idem, La «Révolution nationale» comme «réforme intellectuelle et morale». Angelo Tasca vichyssois, pp. 43-102, e La Francia tra «drôle de guerre» e Liberazione nell’Archivio di Angelo Tasca, pp. 103-138,

INTRODUZIONE

IX

Così, a seguire la biografia di De Grand, è il Convegno organizzato nel 1992 a Moretta5 ad indagare sulla vicenda di Tasca o, se si vuole, sul «caso» Tasca, in una ricostruzione a più voci del suo percorso esistenziale procedendo, sulla scia del lavoro di De Grand, ad una ulteriore rivalutazione del personaggio. Comunque, volendo intrattenerci per una rapida riflessione sul «taglio», sull’angolo prospettico di lettura dei due lavori di ricostruzione biografica, va rilevato che sia il sottotitolo dell’opera dello storico statunitense, sia il titolo attribuito agli Atti del Convegno6 provvedono al compito di essenziale inquadramento del Nostro e della sua vicenda. Il primo recita un politico scomodo, il secondo un eretico della sinistra; se la prima definizione ci offre una generica, seppure già significativa approssimazione al personaggio, la seconda, muovendosi ancora sul piano dell’approssimazione, risulta più esplicativa ma ancora non esattamente precisata. In effetti, meglio ancora, Angelo Tasca è stato un eretico della sinistra marxista e, nello specifico della militanza politica, prima l’eretico del comunismo e, poi, del socialismo: eretico per antonomasia ed eretico eccellente7 per la sua statura culturale, per la finezza della sua entrambi in David Bidussa-Denis Peschanski (sous la direction de), La France de Vichy. Archives inédits d’Angelo Tasca, «Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli», XXXI, 1996; Sergio Soave, Angelo Tasca all’Università di Torino, «Quaderni di Storia dell’Università di Torino», n. 6, VII, 2002, pp. 55-72; Daniela Muraca, Il Fondo Angelo Tasca: un archivio fra rivoluzione ed eresia, «Passato e Presente», n. 62, XXII, 2004, pp. 111-128, pure per ulteriori riferimenti di carattere bio-bibliografico del personaggio; Idem, La “questione Tasca” nella cultura italiana, cit., pp. 47-61, e Fra antistalinismo e guerra fredda: il pensiero di Angelo Tasca negli scritti del dopoguerra, «Annali della Fondazione Luigi Einaudi», XXXIX, 2005, pp. 189-217; Emanuel Rota, I “campi di forza” ideologici nel pensiero di Angelo Tasca, “Studi Storici”, a. 43, n. 2, aprile-giugno 2002, pp. 453476, e Angelo Tasca e la scelta collaborazionista in Francia, «Società e Storia», n. 114, 2006, pp. 757-781; David Bidussa, Angelo Tasca. La nascita del fascismo, Milano, Bollati Boringhieri, 2006. 5 Località in provincia di Cuneo, la cui locale Amministrazione, avvalendosi della collaborazione dell’Istituto di studi storici «Gaetano Salvemini» di Torino e dell’Istituto storico della Resistenza di Cuneo e Provincia, ha voluto ricordare con questa iniziativa la figura di Angelo Tasca in occasione del centenario della nascita. 6 Soave, Un eretico della sinistra, cit. 7 Assimilabile per questo, e pure per altre ma «esteriori analogie» dei loro percorsi politici ed esistenziali, ad Ignazio Silone. Entrambi espulsi dal movimento comunista per la loro opposizione a Stalin: Tasca nel settembre del 1929; Silone nel luglio 1931, dopo due anni di inattività militante. Il primo per aver condiviso le posizioni di Bucharin contrario alla collettivizzazione forzata dell’agricoltura; l’altro, già dal 1927, a parere di alcu-

X

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intelligenza, per la sua indipendenza intellettuale, per le sue qualità di storico rigoroso. La sua libertà di pensiero, appunto: il coraggio di aver prima scelto di essere, magari suo malgrado, una sorta di «viaggiatore solitario» all’interno dell’universo marxista (almeno sino a quando vi militò e nel suo ostinato proporsi di socialista anticomunista); poi ancora, in tempi mutati, il suo risoluto schierarsi, militandovi attivamente e intensamente, nel campo delle democrazie occidentali, gli hanno valso quell’ostracismo, di cui sopra si diceva, protrattosi oltre la sua stessa scomparsa. Alla fine, a ben vedere, il «caso» Tasca è però troppo noto per essere qui ripercorso nel dettaglio del suo svolgersi: in questa sede basterà rammentare che, essenzialmente, due erano stati gli eventi nodali della sua vita di politico militante che, sino al 1985, gli avevano cucito addosso, a datare dal novembre 1929, i panni di «eretico» del comunismo internazionale per essere entrato in rotta di collisione con Stalin; e, più tardi, pure quelli di «traditore» della causa della libertà per la sua adesione a Vichy nel 19408 con la conseguente estensione di quella «scomunica» da parte dell’intera sinistra, marxista e non. ni, aveva manifestato la sua posizione antistalinista rifiutandosi di sottoscrivere, senza averne potuto prendere visione, un documento di Stalin mirato a colpire Trotzky, la qual cosa gli costò poi, ovviamente, l’accusa di «trotzkysmo» e l’espulsione. Intorno a queste vicende di Tasca e Silone aleggia, comunque, certa ambiguità di comportamento di Togliatti, in entrambe le circostanze allineatosi alle direttive di Stalin, ambiguità di cui rendono testimonianza Raimondo Luraghi, Testimonianza, in Soave, Un eretico della sinistra, cit., pp. 245-246, per Tasca; Sergio Soave, Senza tradirsi, senza tradire. Silone e Tasca dal comunismo al socialismo cristiano (1900-1940), Torino, Aragno, 2005, pp. 181-182, per Silone; questa notevole opera di ricostruzione delle biografie «incrociate» di Tasca e di Silone, non eludibile per densità e rigore, si intrattiene adeguatamente sulle vicende dell’espulsione dei due alle pp. 111-145, 173-193. Nella rapidità della sintesi imposta da un’opera non specifica sull’argomento, su alcuni individuati aspetti delle vite «parallele» dei due «eretici del partito comunista» pone l’accento sulle diversità, che vede prevalenti sulle analogie, il lontano ma classico Aldo Garosci, Storia dei fuorusciti, Bari, Laterza, 1953, pp. 251-253. 8 Tasca espone le ragioni della sua «definitiva rottura» con il comunismo e dell’adesione al governo di Pétain rispettivamente nel paragrafo 6, «En U.R.S.S.», e nel paragrafo 13, «La défaite et la révolution nationale», della sua Autobiographie, cit., pp. 119, 124-125. L’Autobiographie, citata da più autori in estrapolazioni dall’originale francese o in italiano, è ora disponibile nella sua versione integrale in lingua italiana nella traduzione, effettuata sul testo francese pubblicato da David Bidussa, di Michele Millozzi, Una traduzione: l’Autobiographie di Angelo Tasca, in Rosa Marisa Borraccini-Giammario Borri (a cura di), Virtute et labore. Studi offerti a Giuseppe Avarucci in occasione dei suoi 70 anni, 2 voll., Spoleto, Cisam, 2008, vol. II, pp. 993-1008.

INTRODUZIONE

XI

Questi avvenimenti centrali della vita politica di Angelo Tasca, che già avevano trovato nella biografia di De Grand un primo, parziale giudizio assolutorio, saranno di nuovo oggetto di ulteriore approfondimento al Convegno di Moretta9 dove troveranno una sentenza di pieno proscioglimento tanto più significativa quanto più si consideri la premessa che aveva animato quell’iniziativa seminariale e, cioè, l’intento di «rendere giustizia storica a Tasca»10, riuscendo ad offrire «il miglior quadro globale sulla figura di Tasca a tutt’oggi disponibile»11. Un successivo passo nell’iter rivalutativo di Tasca viene compiuto, nel 1995, da Sergio Soave, già relatore al Convegno di Moretta e curatore degli Atti sopra ricordati, con la riedizione di Nascita e avvento del fascismo, nuova edizione dell’opera a seguire quella lontana del 1965 che si era avvalsa della Premessa «molto attenta», e determinante per la sua fortuna12, di Renzo De Felice. La novità dell’edizione curata da Soave è certamente costituita dalla presenza dell’ampia Prefazione all’edizione italiana, scritta da Tasca nel 1949 ma assente in quella defeliciana, e ancor più, nella prospettiva del nostro discorso, dalla puntuale Prefazione del curatore che legge la vicenda di Tasca «collaborazionista» di Vichy accettando la versione giustificativa fornita dallo stesso 9 Soave, Un eretico della sinistra, cit., passim. In particolare, per la finezza interpretativa che, di fatto, lo porta ad accettare le motivazioni esposte da Tasca nella sua Autobiographie circa la sua adesione a Vichy, Bidussa, Disincanto e inadeguatezza del politico. Angelo Tasca tra Vichy e secondo dopoguerra, in Soave, Un eretico della sinistra, cit., pp. 109-110, dove si legge: «[...] per coloro che, nell’estate 1940, fanno la scelta di rimanere in Francia perché convinti che altre ipotesi siano assolutamente inesistenti – e dunque scegliere di stare deliberatamente con Vichy – immetteva in tre possibili linee politiche e culturali: una politica principalmente vichyssoise e subordinatamente collaborazionista; una politica vichyssoise e collaborazionista; infine una politica antivichyssoise e collaborazionista. Quella di Tasca sarà “una politica di primo tipo”, la qual cosa “non ne diminuisce le responsabilità morali e politiche” ma risulta tanto più comprensibile quanto più Vichy è un fenomeno in gran parte espressione culturale della Francia, ovvero una realtà tutta interna francese, che presume una certa “idea di Francia” [...] In altri termini Vichy rappresenta il confronto tra anime interne alla nazione». 10 Stefano Merli, Contro la guerra e per un’Europa di popoli liberi e solidali. Temi della collaborazione tra Angelo Tasca e Giuseppe Faravelli, in Soave, Un eretico della sinistra, cit., p. 177. 11 Muraca, Il fondo Angelo Tasca: un archivio fra rivoluzione ed eresia, cit., p. 119. 12 Bidussa, “Disincanto” e “inadeguatezza” del politico, cit., p. 167. Al 1950 risaliva la prima edizione italiana dell’opera, le cui caratteristiche sono chiaramente illustrate nella defeliciana Premessa; al 1938 l’edizione originale in lingua francese.

XII

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Tasca nel suo In Francia nella bufera, versione peraltro già accolta, pur con qualche riserva, da De Grand13. Presso Sergio Soave trova, cioè, piena credibilità l’equazione Tasca «collaborazionista» = Tasca «doppiogiochista», secondo quanto sostenuto e provato dallo stesso Tasca14; allo stesso tempo, Soave ci fornisce questa convincente giustificazione della scelta vichyssoise di Tasca ed una sintetica, condivisibile lettura delle inevitabili conseguenze cui si espose il Nostro con la sua adesione al governo di Vichy: Quando la parte non ancora occupata della Francia aveva affidato le sue sorti all’eroe di Verdun, a quel maresciallo Pétain che lo stesso Blum riteneva «il più nobile e il più umano dei nostri capi militari» egli [Tasca] aveva ritenuto un dovere dei socialisti di partecipare a quel tentativo di ricostruzione morale della nazione che, altrimenti, avrebbe potuto assumere la sola dimensione di un paternalismo autoritario, inadatto a muovere nelle coscienze lo spirito di reazione necessario di fronte alla grandezza della catastrofe [...] Pochi mesi dopo, però, la stretta di mano tra Pétain e Hitler, a Montoire, aveva posto Tasca di fronte a una nuova, difficile scelta. Poiché Vichy – questo gli aveva rivelato quell’incontro – non era l’inizio di una reazione, ma di una resa o addirittura di una strisciante collaborazione, il suo posto non poteva essere più là. Fuggire in Africa? [...] Andare in Inghilterra? [...] O rimanere a Vichy, in un incarico burocratico, facendo una sorta di doppio gioco così come gli aveva proposto un gruppo della resistenza belga cui 13 «Non vi è ragione di porre in dubbio l’operato di Tasca con la Resistenza, anche se non risolve del tutto il problema creato dalla sua collaborazione» che, ferma restando la sua avversione alla Germania di cui «non sostenne mai la vittoria», si fondava sull’«anticomunismo», che è l’unico «legame tra Tasca a Vichy e Tasca il resistente. L’ambiguità morale della sua posizione sfuggì a Tasca allora e anche in seguito», così De Grand, Angelo Tasca, cit., pp. 248-249. 14 Angelo Tasca, In Francia nella bufera, Modena, Guanda, 1953. Le «Appendici» IVIII del volume riproducono la documentazione attestante l’attività di agente-informatore al servizio della Resistenza belga-francese di Angelo Tasca, documentazione esibita al processo che egli aveva intentato al giornalista Roger Maria del settimanale comunista «La France Nouvelle» per un articolo del 7 maggio 1949 nel quale, come scrive De Grand, Angelo Tasca, cit., p. 257, Tasca veniva accusato «di essere stato una spia dei nazisti e di aver costruito un’intera carriera sul tradimento». Questo processo, noto agli studiosi di Tasca, si risolse a tutto suo favore nei due gradi del giudizio, nel 1950 e nel 1952. Un’annotazione a margine, ma significativa del contrasto di Tasca con Nenni per la scelta frontista del Partito Socialista, attiene al fatto che, al processo, Nenni testimoniò a difesa di Maria, mentre Salvemini lo fece a sostegno di Tasca. Così, a quel tempo, Salvemini scriverà intorno alla questione su «il Mondo», 28 giugno 1952, citato in Massimo Teodori, Storia dei laici nell’Italia clericale e comunista, Venezia, Marsilio, 2008, p. 250: «L’unica base della voce del suo [di Tasca] tradimento fu l’odio che i comunisti hanno votato a Tasca dal giorno che questi cessò di appartenere alla loro parrocchia».

INTRODUZIONE

XIII

egli avrebbe dovuto settimanalmente consegnare documenti riservati del governo? Tasca aveva scelto quest’ultima possibilità, quella che, insieme al rischio, gli offriva la sensazione di sentirsi più utile alla nuova causa. Con ciò, però, era fatalmente uscito dalla dimensione propriamente politica, si era esposto al disprezzo dei suoi antichi amici e compagni che di quella scelta e di quella doppia vita non potevano cogliere altro che un aspetto esteriore moralmente esecrabile e abietto [...] Del resto non c’era spazio per lui nella sinistra italiana dell’epoca. Non tra i comunisti la cui trasformazione politica e organizzativa s’era arrestata davanti alla persistente dipendenza dall’Unione Sovietica. Né tra i socialisti di Nenni che, secondo lui, avevano a tal punto «prostituito il loro partito» e smarrito il senso della loro autonoma ricerca da «presentare come un trionfo del socialismo e della democrazia gli Stati satelliti sorti a Praga, a Varsavia e altrove»15.

Nel trarre, dunque, una sorta di schematico bilancio delle tematiche relative agli studi sulla tormentata vicenda esistenziale di Angelo Tasca, trova conferma il fatto che l’interesse della storiografia si è prevalentemente sviluppato intorno al militante marxista «eretico», al ritenuto «collaborazionista» di Vichy, al non superato storico di Nascita e avvento del fascismo; e, inoltre, che le indagini che lo hanno riguardato hanno abbondantemente attinto alle carte dello stesso Archivio di Tasca16, inesausto raccoglitore di ogni genere di documento. Un archivio, questo, ricchissimo e, per 15 Sergio Soave, Prefazione a Nascita e avvento del fascismo, Firenze, La Nuova Italia, 1995, pp. XXIII-XXIV. Soave riproporrà in una più approfondita, avvincente trattazione questa sua linea interpretativa in Senza tradirsi, senza tradire, cit., pp. 589614, particolarmente le pp. 590, 598-599, 610, ribadendola poi ancora, in sintesi estrema, nel suo recentissimo Silone e Tasca: previsione, attesa, paura della guerra, in Gian Biagio Furiozzi (a cura di), Le sinistre italiane tra guerra e pace (1840- 1940), Milano, Franco Angeli, 2008, p. 246. Peraltro, già al Convegno di Moretta, il tema della vicenda collaborazionista di Tasca, oltre la specifica trattazione di Bidussa, «Disincanto» e «inadeguatezza» del politico, cit., pp. 107-176, trovava anche ampi spazi marginali (in quanto argomento ricorrente negli interventi in sede di dibattito) ma importanti per l’autorevolezza di coloro che li occupavano, e su questo aspetto era stato espresso, con motivazioni a vario titolo, un giudizio assolutorio come risulta dalle Testimonianze che chiudono il volume degli Atti. Insiste, invece, in un giudizio di condanna di Tasca il recente Rota, Angelo Tasca e la scelta collaborazionista in Francia, cit., che ricorre a toni decisamente duri, dal suono ultimativo, di cui si ha prova, ad esempio, alla p. 776 ove si legge: «Il quadro che emerge dall’attività concreta di Tasca svolta fra il 1940 e il 1944 [...] è quello di un coinvolgimento pieno e senza attenuanti nel progetto politico di Vichy. Si potrebbe anche aggiungere, a completare il quadro, che egli non fece sentire la propria voce ad alcuna delle più criminali attività del regime, compresa la persecuzione degli ebrei». 16 Acquisito sul finire degli anni Cinquanta dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli presso la cui sede si trova a disposizione degli studiosi.

XIV

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gli studiosi, fonte primaria anzitutto per intrattenersi sulle vicende taschiane e, più o meno in relazione a queste, per visitare o rivisitare momenti e aspetti della vita e della storia politica italiana ed europea degli anni tra i due conflitti mondiali, del secondo dopoguerra e dei primi Cinquanta del secolo trascorso17. Sono proprio questi ultimi anni i primi e i più duri del dopoguerra e, per Tasca, il decennio che si snoda tra il 1947 ed il 1956 costituisce il periodo più intenso della sua attività di pubblicista politico che viene a coincidere, in una sorta di «gioco» di sovrapposizione dell’una attività con l’altra, con quella di storico, periodo il cui termine ad quem è però quello che, malauguratamente, di quel fervore segna la non reversibile fine18. Sono quelli gli anni durante i quali Angelo Tasca, «senza partito» e tagliato ormai fuori dalla «possibilità di un’attiva carriera politica», nel clima di contrapposizione dei «poli», si vota alla «battaglia intellettuale contro il comunismo»19, anticomunismo – il suo – di antica data 17 Si tratta, come ne scrive Muraca, La “questione Tasca” nella cultura italiana, cit., p.48, di «un fondo documentario di straordinario valore, non soltanto per la qualità dei materiali ivi custoditi (che ne fanno uno dei più cospicui archivi personali attualmente consultabili) ma anche e soprattutto per l’estensione cronologica, l’eterogeneità e la rarità dei materiali stessi». Peraltro, la stessa studiosa, per una “più completa panoramica e riferimenti bibliografici sull’Archivio Tasca”, rinvia opportunamente al proprio saggio, Il fondo Angelo Tasca: un archivio fra rivoluzione ed eresia, cit. 18 Dal 1956, come scrive De Grand, Angelo Tasca, cit., pp. 263-264, Tasca «incominciò a soffrire seriamente della malattia del sistema nervoso centrale» che aveva iniziato a manifestarsi «intorno al 1950» e che, facendogli attraversare un autentico calvario di «sofferenze e delusioni per l’impossibilità di trovare una cura per la progressiva debilitazione del cervello», lo avrebbe condotto alla morte nel 1960. Non a caso, dunque, a tre anni prima della scomparsa risale la pubblicazione degli ultimi suoi saggi costituiti da Situation du monde communiste à la lumière des événements recents, Paris, Les Amis de la Liberté, 1957; Politica russa e propaganda comunista, Roma, Opere Nuove, 1957, volume quest’ultimo che, come recita la «Nota introduttiva», riunisce «due scritti usciti in francese a sedici mesi di distanza, riferentisi a problemi strettamente connessi e cioè ai legami tra politica russa e la tattica dei partiti comunisti», e, partitamente, Tecnica della propaganda comunista in Europa, è il tema del primo dei due risalente all’agosto del 1956, mentre si colloca all’autunno del 1955 la redazione di Bilancio e prospettive della situazione mondiale; infine, Autopsie du stalinisme, Paris, P. Horay, 1957, la cui versione italiana viene diffusa in Italia da Edizioni di Comunità, Milano, 1958, saggio nato «dalla svolta chrusceviana del 1956», dal rapporto Kruscev al XX Congresso del Pcus, il cui testo Tasca sottopone ad una critica serrata che ne evidenzia omissioni e reticenze e sul quale ha scritto «quasi a caldo un commento tra i più lucidi», come ha sostenuto – interprete di una diffusa opinione – Bruno Bongiovanni, Introduzione a Soave, Un eretico della sinistra, cit., p. 12. 19 De Grand, Angelo Tasca, cit., p. 256.

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ed ora rinvigorito nel clima di animosità ideologica indotto dalla «guerra fredda». Questa sua battaglia si muove di nuovo lungo quella stessa duplice direzione che aveva già percorso nel 1939-1940, all’epoca della stipula dell’accordo nazi-sovietico, noto come Patto Ribbentrop-Molotov o, se si vuole, Hitler-Stalin20: da un lato, Tasca mette al centro della sua polemica il Partito Comunista Francese accusandolo di essere stato allora, in quel 1939-’40, e di continuare ad essere del tutto asservito all’Unione Sovietica21; dall’altro, porta avanti un’altra polemica altrettanto mirata, insistita e variamente intrecciata con la prima e, più in generale, estesa all’u20 O, ancora, Stalin-Molotov, secondo quanto assai di recente ha sostenuto John Lukacs, 22 giugno 1941. L’attacco alla Russia, Milano, Corbaccio, 2008, pp. 63-64, nel senso che «il testo del patto di non aggressione tedesco-sovietico venne stilato da Stalin e Molotov, non da Hitler e Ribbentrop: era dettagliato e perfettamente accettabile da parte dei tedeschi. E, fatto ancora più importante, era stata Mosca a proporre che, oltre al trattato di non aggressione, ci dovesse essere un protocollo segreto per stabilire le «sfere di interesse» delle due potenze, in sostanza la spartizione dell’Europa Orientale. Hitler acconsentì, lasciando mano libera al proprio ministro degli Esteri di occuparsi di quello o di qualsiasi altro aspetto». In effetti, benché diversamente enunciata, questa è la stessa opinione già espressa così da Tasca al capitolo VII del presente volumetto: “Il viaggio di Ribbentrop [del 23 agosto] doveva soprattutto portare a compimento le trattative per il protocollo segreto relativo alle questioni territoriali, protocollo che, per volere di Stalin, doveva costituire «parte integrante» dell’accordo [...] e Hitler [...] non esitò ad ordinare a Ribbentrop di sottoscrivere un accordo «ad ogni costo», ovvero di promettere qualunque cosa potesse «far piacere ai Sovietici»”. Fatta nostra questa coincidente opinione di Lukacs e di Tasca, e volendo a nostra volta raccogliere e rilanciare quel tanto di provocazione insita nello scritto dello storico statunitense, nonché tenendo presente la nota, la totale dedizione, lo stato di assoluta soggezione di Molotov a Stalin (tradotta da Sergio Romano, «Corriere della Sera», 13 aprile 2008, nella sobria ma già inequivocabile qualificazione «fedele servitore di Stalin», ma da Lukacs, ivi, p. 62, nella lapidaria e sprezzante definizione «legnoso leccapiedi di Stalin») potremmo affermare, in linea di paradosso, che si tratta del patto Stalin-Stalin. 21 Si iscrivono in questo itinerario Physiologie du Parti communiste français, Paris, Self, 1948; Les communistes français pendant la drôle de guerre, Paris, Les Iles d’Or, 1951; Les «Cahiers du bolchevisme» pendant la guerre de 1939-1940, Paris, D. Wapler, 1951, tutti pubblicati sotto lo pseudonimo A. Rossi. Che sotto questo nome fittizio si celasse Angelo Tasca era noto ai suoi avversari politici almeno dal 1948, come attestano Jean Bouvier et Jean Gacon, La vérité sur 1939. La politique extérieure de l’U.R.S.S. d’octobre 1939 à juin 1941, Paris, Éditions Sociales, 1953, p. 196, ove scrivono che «le personnage qui opère habituellement dans les officines antisoviétique sous le nome de Rossi se nome en réalité Tasca», rinviando alla «revue France-Urss, avril 1948, n. 32, article de Roger Maria», il giornalista citato in giudizio da Tasca per diffamazione di cui alla precedente nota 14.

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niverso comunista, direttamente rivolta contro l’Unione Sovietica e la sua politica estera mistificatoria e imperialista22. Un eloquente esempio dell’atteggiarsi di Tasca in questa sua «crociata» anticomunista e della vis che imprime e caratterizza le sue opere (ma nel loro sviluppo sempre ricondotta e saldamente ancorata ad un impianto logico-scientifico dettatogli dalla padronanza che ha del metodo storico) può essere rintracciato in questa estrapolazione dall’Avvertenza anteposta all’edizione italiana di Deux ans d’alliance germano-soviétique (Aôut 1939-Juin 1941): Va rilevato anzitutto che la polemica sovietica e comunista continua ad «ignorare» i protocolli segreti dell’agosto-settembre 1939, dopo averne disperatamente e sfacciatamente negata l’esistenza. Da Mosca e dal suo servidorame si continua a scrivere la storia di quel periodo sopprimendo senz’altro quei protocolli e le trattative con Berlino, durate parecchi mesi e che hanno condotto alla loro conclusione. Un opuscolo dei servizi sovietici di propaganda, uscito dopo la pubblicazione americana del 1948 [NaziSoviet Relations (1939-1941)] e basato su quella soppressione, osa intitolarsi: «I falsificatori della storia», di quella storia ch’esso manipola secondo il metodo descritto da George Orwell nel suo ammirevole «1984». Allo stesso metodo truffaldino restano fedeli – e come potrebbe essere altrimenti? – gli articoli dell’Unità e di Rinascita consacrati in questi ultimi mesi al patto germano-sovietico. In tal modo si maschera, eludendone l’esistenza e il testo, il carattere imperialistico di quei protocolli, conclusi tra due potenze imperialistiche – la Germania hitleriana e la Russia sovietica – sulla base della quarta spartizione della Polonia e delle zone egemoniche nell’Europa orientale e balcanica23. 22 In questa prospettiva si collocano Deux ans d’alliance germano-soviétique (Aôut 1939-Juin 1941), Paris, Fayard, 1949, e il volumetto, che si offre qui in traduzione italiana, Le pacte germano-soviétique. L’histoire et le mythe, “Essais et témoignages”, Collection de la revue «Preuves», Paris, Édition Liberté de la Culture, 1954, anche questi pubblicati sotto lo pseudonimo A. Rossi. 23 Angelo Tasca, Due anni di alleanza germano-sovietica (Agosto 1939-Giugno 1941), trad. it. di Aldo Garosci, Firenze, La Nuova Italia, 1951, e 1989 in anastatica, pp. XI-XII. L’Unione Sovietica continuerà a negare l’esistenza dei protocolli segreti sino al dicembre1989 quando Alexandre Iakovlev, presidente della Commissione governativa voluta da Gorbacev per far luce sul Patto, dichiarerà «que Staline et Molotov avaient effacé les traces du protocol secret [evidentemente, e non è soltanto il caso di questo autore, i due protocolli segreti inseriti negli accordi tedesco-sovietici del 28 settembre vengono considerati una sorta di integrazione, di ulteriore specificazione di quello presente nel Patto stilato il 23 agosto], et qu’il était resté inconnu, tant au Soviet Suprême qu’au Bureau politique jusqu’en 1948, date à laquelle il fut publié dans les Etats-Unis», come scrive Guy Durandin, Les protocoles «annexes» du pacte germanosoviétique. Un secret entretenu pendant cinquante ans, in «Historiens & Géographes»,

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Una tale spavalda sicurezza, ostentata da chi si sa essere pure, per acume e rigore, storico di vaglia, non può non allarmare il mondo comunista e, nello specifico, i due diretti antagonisti di Tasca, il Partito Comunista Francese, del quale egli è in grado di smascherare la politica antinazionale24 praticata in ossequio al Patto germano-sovietico sino al giugno 1941, e l’Unione Sovietica tutta protesa, in quel dopoguerra, a far dimenticare o, quanto meno, costretta dalle circostanze, ad offrire la «sua» interpretazione del trattato di non-aggressione e di amicizia che per quasi due anni l’aveva legata alla Germania nazista. Così, com’è stato esattamente rilevato, Tasca «in quanto uno dei primi storici ad affrontare il patto nazi-sovietico e il ruolo del partito comunista francese tra il 1939 e il 1941 era estremamente pericoloso [...] era in condizione di citare e riprodurre documenti e manifesti estremamente compromettenti [...] era quindi solo questione di tempo prima che il Pcf partisse al contrattacco»25. È nota la vicenda che ne seguì, direttamente collegata alla pubblicazione dei volumi di Tasca Physiologie du Parti communiste français nel 1948 e, agli inizi del 1949, dell’appena ricordato Deux ans d’alliance germano-soviétique: l’offensiva subito sferratagli contro passa evidentemente la misura con l’apparizione dell’articolo Un triste personnage de l’antisoviétisme sulle pagine del settimanale comunista «La France Nouvelle» del 7 maggio 194926. n. 382, mars 2003, p. 396; la stessa Commissione, poi, «negli anni della presidenza di Boris Eltsin, ebbe il merito di scavare senza pregiudizi negli archivi del Cremlino e di portare alla luce l’originale del protocollo segreto», come precisa Sergio Romano, 1939: il patto segreto fra la Germania e l’Urss, «Corriere della Sera», 15 settembre 2006. 24 Della quale fornirà poi, in Tasca, In Francia nella bufera, cit., pp. 15-16, questa lapidaria quanto sferzante descrizione: «Ai primi di settembre 1939 [...] il morale del Paese non era buono; i comunisti agivano in Francia come la più attiva delle quinte colonne hitleriane, non perché amici di Hitler, ma perché servi di Stalin; la loro propaganda disfattista aveva ripercussioni gravi nell’esercito e nelle officine». 25 De Grand, Angelo Tasca, cit., p. 257. 26 Si veda la precedente nota 14. Ci permettiamo qui di dissentire circa la traduzione proposta nel libro di De Grand del titolo dell’articolo «Un triste personnage de l’antisoviétisme», titolo troppo alla lettera trasposto in «Un triste personaggio dell’antisovietismo» e che, a nostro avviso, dovrebbe invece tradursi «Un tristo personaggio dell’antisovietismo». Circa, poi, l’atteggiamento sino ad allora tenuto dal Partito Comunista Francese nei confronti degli scritti di Tasca, «di volta in volta oggetto di accese polemiche, oppure deliberatamente ignorati», nello specifico di Physiologie du Parti communiste français e di Deux ans d’alliance germano-soviétique, ecco quanto ne scrive lo stesso Tasca a Giuseppe Faravelli in data 13 maggio 1949: «Per parecchi mesi i

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La querela per diffamazione sporta da Tasca nei confronti dell’autore dell’articolo, Roger Maria, il processo seguitone, la condanna di Maria sembrano concludere, per ora, la prima parte di una serrato scontro politico che, chiuso nei suoi soli risvolti giudiziari nel 1952, non fa invece registrare pause, destinato anzi a riprendere particolare vigore negli anni 1949-1951, e a dipanarsi nella vicenda meno o affatto nota che è all’origine del volumetto di Tasca qui pubblicato in traduzione. Infatti, nelle more della soluzione definitiva dell’azione giudiziaria intentata contro Maria, la personale «battaglia intellettuale» di Tasca contro il comunismo non accenna a placarsi, anzi tende ad intensificarsi: così, nel 1951, proprio nell’anno di intervallo tra la sentenza di primo e di secondo grado di quella lite processuale, egli porta, con la pubblicazione di Une page d’histoire. Les communistes français pendant la drôle de guerre e di Les «Cahiers du bolchevisme» pendant la guerre de 1939-1940, un altro colpo alla credibilità della propaganda del Partito Comunista Francese che continua a sostenere la legittimità della sua linea politica «pacifista» e «resistente» nel periodo del Patto germano-sovietico. È da ritenere, a questo punto, che il problema (resosi nel tempo sempre più assillante considerata l’assiduità e la portata degli attacchi di Tasca) che si era posto al Partito Comunista Francese già a partire dal 1948 fosse quello di ribattere adeguatamente le tesi contenute in quei libri, peraltro diffuse da un intellettuale militante della causa anticomunista della statura culturale27 e della notorietà di Angelo Tasca. Infatti, alla pubblicazione di quella prima opera di Tasca su vicende e atteggiamenti del comunismo francese tra il 1939 ed il 1941, era immediatamente seguita, ad un solo anno di distanza, nel 1949, l’uscita di Deux ans d’alliance germano-soviétique, con l’attacco frontale all’Unione Sovietica per comunisti hanno fatto il silenzio più assoluto sui miei due libri e credo che avrebbero continuato a farlo senza il successo politico del secondo, il quale poi tocca il loro sancta sanctorum, la Russia», stralcio che si legge in Muraca, La “questione Tasca” nella cultura italiana, cit., p. 47, che lo estrae da Pier Carlo Masini-Stefano Merli, Il socialismo al bivio. L'archivio di Giuseppe Faravelli, 1945-1950, «Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli», XXVI, 1988-89, p. 408. 27 Informazioni, considerazioni e riferimenti relativi alla formazione culturale di Tasca sono rintracciabili nel paragrafo 2, «L’Université», della sua Autobiographie, cit., pp. 115-116; Riosa, Angelo Tasca socialista, cit., pp. 12-55; De Grand, Angelo Tasca, cit., pp. 24-35; Soave, Angelo Tasca all’Università di Torino, cit.

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la sua difesa del Patto Ribbentrop-Molotov, ed ancora l’apparizione degli appena sopra ricordati saggi del 1951. La scelta della controazione «politico-culturale» del Partito Comunista Francese puntava alla contestazione e al rigetto della lettura taschiana del Patto germano-sovietico del 1939 con la riproposizione dell’interpretazione fornitane dall’Unione Sovietica. Senza dubbio, questa scelta tematica era sostenuta da certa sua logica di fondo poiché la lettura autoassolutoria sovietica del Patto era pure perfettamente strumentale al compito di autodifesa dell’atteggiamento del Partito Comunista Francese: in altri termini, soltanto attraverso l’affermazione che la politica sovietica perseguita nel biennio 1939-1941 era stata una sorta di temporanea ed astuta mossa tattica voluta da Stalin «costantemente preoccupato» che le sorti della guerra potessero non volgere a favore «della vittoria finale delle democrazie su Hitler»28, già nell’assolvere da ogni responsabilità l’Unione Sovietica e nel nobilitarne anzi l’azione, assolveva e nobilitava, ipso facto, la stessa azione «disfattista» – secondo la definizione di Tasca – perseguita dal comunismo francese nel Paese nello stesso periodo. Veniva così alla luce, nel giugno 1953, La vérité sur 1939. La politique extérieure de l’U.R.S.S. d’octobre 1938 à juin 1941, a fornire la versione (e, considerato il tempo trascorso, la meditata versione) comunista francese della lettura del Patto germanosovietico del 1939 per controbattere, al fine di contenerne la portata politica, le tesi già sostenute da Tasca29 in Deux ans d’alliance germano-soviétique, uno studio questo che – forse percepito anche dal mondo comunista dell’epoca non soltanto come l’opera puramente propagandistica di un «professionel de l’antisoviétisme» – va in realtà ben oltre la strumentale opera di propaganda di un militante intellettuale anticomunista e si propone 28

Si veda la Prefazione. Le quali, come si è visto sopra, poggiavano sull’esistenza, da lui asserita, dei «protocolli segreti di agosto-settembre 1939», esistenza negata nel libro in questione, pp. 196-197, in quanto «il s’agit en réalité d’une assez grossière supercherie, d’un faux», del «faux» costruito da «Tasca, dit Rossi». Considerata l’ammissione di molto successiva (risalente al 1989, come qui da precedente nota 22) dell’esistenza dei protocolli da parte dell’Unione Sovietica suona ironico e, allo stesso tempo, significativo il titolo del capitolo al cui interno si leggono queste affermazioni, titolo che recita «Les Soviétiques ont eu raison». 29

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a tutt’oggi quale saggio storico di non eludibile riferimento e affatto superato30. La «verità sul 1939» si fonda, secondo l’opinione esposta in apertura dell’opera dai due autori Bouvier e Gacon31, sul caposaldo della rivendicazione dell’importanza strategica del Patto in quanto élément déterminant de l’issue favorable de la seconde guerre mondiale; in secondo luogo poi, esso, per il suo carattere peculiare ed esclusivo di trattato di non-aggression, è stato, per un verso, geste d’autodéfense de gouvernement soviétique, qui lui fut imposé par l’hypocrisie et les calculs sordides des gouvernements anglais et français appuyés par les Etats-Unis, per un altro, il a permis à l’URSS de préparer les conditions stratégiques et politiques de sa victoire sur l’Allemagne naziste32. Nel rapporto di acritica e totale soggezione del comunismo internazionale a quello sovietico, sudditanza alla quale non si sottraeva il comunismo francese, tali premesse venivano a prefigurare una smaccata («rozza» nella qualificazione di Tasca) opera di mistificazione e di propaganda nello scoperto appiattimento sulle posizioni dell’Unione Sovietica. E di questo atteggiamento i due autori offrivano una sicura prova proprio nel capitolo della loro opera specificamente dedicato al Patto germano-sovietico: facevano esplicitamente propria e in toto, ripercorrendone pedissequamente le orme, la lettura fornitane già da alcuni anni dall’Unione Sovietica e già contestata da Tasca:

30 Rendono, ad esempio, non dubbia testimonianza del valore scientifico di questo saggio di Tasca, al di là del giudizio di valore implicito nella traduzione italiana che volle farne Aldo Garosci, le valutazioni espresse da Bruno Bongiovanni («uno studio ancor oggi storiograficamente eccellente sul patto Molotov-Ribbentrop e sulle sue conseguenze»), da Franco Livorsi («Inoltre Tasca fece, tra i primissimi, analisi estremamente sottili sulla politica internazionale dell’Urss al tempo del patto Molotov-Ribbentrop»), Paolo Vittorelli (Tasca «seppe scrivere pagine indimenticabili. Come quelle pubblicate nel suo saggio sui documenti relativi all’accordo germanico-sovietico del ’39, il cosiddetto “patto Hitler-Stalin”. È questo certamente uno degli studi più lucidi e chiari usciti a tutt’oggi sull’argomento: Tasca aveva intuito molte delle verità che soltanto ora stanno venendo alla luce con l’apertura degli archivi del Kgb»), in Soave, Un eretico della sinistra, cit., pp. 17, 214, 239. 31 Sulla cui qualifica professionale non oltre specificata di «agrégés de l’Université», bellamente ostentata in copertina per conferire dignità scientifica e, dunque, di tutta credibilità alla pubblicazione, ironizzerà più volte Tasca nel volumetto che qui si propone. 32 Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 9.

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La nota informativa sovietica: Les Falsificateurs de l’histoire, pubblicata nel febbraio 1948, sottolinea che l’URSS si trovava di fronte ad una alternativa: o accettare, nella prospettiva dell’autodifesa, la proposta fattale dalla Germania di sottoscrivere un patto di non-aggressione garantendo così all’Unione Sovietica il protrarsi di un periodo di pace per ancora un certo lasso di tempo, che lo Stato sovietico utilizzerebbe per preparare meglio le sue forze in vista della risposta all’eventuale attacco dell’aggressore; oppure respingere la proposta tedesca del patto di non-aggressione e consentire così ai provocatori di guerra nel campo delle potenze occidentali di trascinare subito l’Unione Sovietica in una guerra contro la Germania, e ciò in una situazione del tutto sfavorevole per l’Unione Sovietica, che si troverebbe completamente isolata. In questa situazione, il governo sovietico si è visto costretto a fare una scelta ed ha firmato un patto di non-aggressione con la Germania. Questa scelta ha costituito un atto saggio e lungimirante della politica estera sovietica nella situazione di quel momento. Questa scelta del governo sovietico ha determinato, in notevolissima misura, l’esito favorevole, per l’Unione Sovietica e per tutti i popoli democratici, della seconda guerra mondiale33.

Dunque, per Tasca, si tratta di un déjà vu, ed egli ha buon gioco nel controbattere le argomentazioni esposte nel volume di Bouvier e Gacon la cui pubblicazione collegava alle esigenze di sostegno dell’azione del Partito Comunista Francese nel dibattito intorno alla costituzione della Comunità Europea di Difesa34. Quelle necessità politiche ed i fini reconditi (la denuncia, in altri termini, di una ricostruzione volutamente distorta e, dunque, strumentale della storia) della «raffazzonata opera di due professori agrégés comunisti», vengono stigmatizzate nella Prefazione, nelle pagine di apertura ed in altre della sua «risposta» a La vérité sur 1939, costituita appunto da Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda. Alla Prefazione e a quelle pagine rinviamo senza fornire ulteriori dettagli, esulando dai compiti di questa Introduzione quello di intrattenerci su questo o altri contenuti del volume di Tasca ai quali il lettore ha accesso diretto, quanto, piuttosto, di rivelarne altri aspetti di un qualche interesse che stanno intorno all’opera e al suo autore. 33 Ibid., pp. 162-163: la traduzione del brano è di chi scrive. Si vedano pure il capitolo XXI e relative note. Corre qui l’obbligo di riferire che, a detta di Durandin, Les protocoles “annexes” du pacte germano-soviétique, cit., p. 394, «un des deux auteurs, Jean Bouvier, a eu l’honnêteté de désavouer par la suite le livre de 1953». 34 Si vedano il capitolo I e, dello stesso, la nota 2.

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E quali sono questi aspetti, per così dire aggiuntivi, che possono utilmente contribuire all’inquadramento di una vicenda poco o affatto nota della militanza intellettuale anticomunista e, allo stesso tempo, della professione di storico di Tasca? Anzitutto, in una non necessaria ma opportuna contestualizzazione della nascita de Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda, va rammentato che la sua pubblicazione si colloca a pieno titolo nel quadro «di quel confronto bipolare politico-culturale» ormai «rubricato sotto la denominazione di “guerra fredda culturale”»35: e, dunque, nella contrapposizione frontale del mondo comunista e anticomunista, gli intellettuali militanti godono ovviamente, da parte dell’uno o dell’altro schieramento di riferimento, di mezzi adeguati a sostenere lo scontro ideologico-politico. Caso emblematico, in questo senso e nel nostro caso, è quello delle case editrici di Bouvier e Gacon, da un lato; di Tasca, dall’altro. La vérité sur 1939 esce per i tipi delle «Éditions Sociales», editrice del Partito Comunista Francese che ospita scritti di Stalin, Thorez, Claude, Baumier, e via dicendo; Le pacte germano-soviétique. L’histoire et le mythe, appare, invece, nella Collana “Essais et témoignages” di «Preuves», la rivista degli intellettuali non comunisti, ex-comunisti e anticomunisti che fa capo al liberale Raymond Aron36. 35

Muraca, Fra antistalinismo e guerra fredda, cit., p. 192. La rivista, pubblicata a Parigi tra il 1951 ed il 1974, nasce quale diretta emanazione del «Congrès pour la liberté de la culture», associazione fondata nel 1950 a Berlino Ovest ma con sede nella capitale francese, con l’intento di contrastare, nel clima di radicalizzazione della «guerra fredda», l’azione intellettuale del comunismo internazionale e, comunque, per opporsi ad ogni forma di totalitarismo, di qualunque estrazione esso fosse. Tra i collaboratori non pochi i nomi illustri dell’antifascismo e dell’anticomunismo; tra i tanti altri ed a puro titolo esemplificativo, Arthur Koestler, George Orwell e Denis de Rougemont, peraltro autore, quest’ultimo, del saggio I nuovi padroni del Cremlino, sorta di Postfazione al libro di Tasca Autopsia dello stalinismo; figuravano poi tra coloro che avevano pubblicato loro scritti sulla rivista, Benedetto Croce e Ignazio Silone che, nel 1956 fonderà insieme con Nicola Chiaromonte «Tempo Presente», rivista anch’essa collegata al «Congrès pour la liberté de la culture», “Congresso” sulla cui ramificazione italiana, Muraca, L’Associazione italiana per la libertà della cultura: il caso italiano e il Congress for Cultural Freedom, «Storiografia», XI, 2007, pp. 139-160. Va in questa sede ricordata un’inchiesta giornalistica statunitense del 1967 che rivelò essere stata la Central Intelligence Agency a favorire la nascita e a finanziare in segreto, attraverso associazioni o Fondazioni di copertura, le iniziative culturali del «Congrès», operazione che ci pare rientrare legittimamente, soprattutto in quel 1950, nelle finalità operative dell’Agency. Che, poi, la CIA, all’epoca così atti36

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Testimonianza, poi, della non consueta capacità di lavoro di Tasca, è costituita dai tempi di elaborazione della sua «risposta» al libro di Bouvier e Gacon, libro che data al 30 giugno 1953 il «finito di stampare», mentre al 28 aprile 1954 è registrata l’uscita de Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda. Ma – si noti bene – il saggio di Tasca è evidentemente già pronto almeno per i suoi due terzi dalla fine del ’53, a sei mesi appena dall’uscita de La vérité sur 1939, dal momento che Preuves ne pubblica la prima parte nel numero del gennaio del ’54 e la seconda, immediatamente a seguire, il mese successivo37; alla stesura della terza parte, suggeritagli da certi riferimenti al Patto Ribbentrop-Molotov richiamato trasversalmente in causa alla Conferenza di Berlino in corso tra il gennaio ed il febbraio 195438, Tasca provvederà proprio in quei mesi, durante i quali maturerà l’idea di accorpare il tutto in un volume, questo volume39. Dunque, tempi assai brevi e non sorprendenti, se si considera la sua professione di pubblicista; tempi la cui brevità resta invece vamente impegnata nell’organizzazione di un fronte intellettuale anticomunista tentando di attrarvi pure elementi della sinistra non comunista, cercasse di sostenere coloro che a quel fronte avevano già aderito, è proprio dimostrato, emblematicamente, dal caso di Angelo Tasca che, tenuto in adeguata considerazione in quanto «esperto del movimento comunista», venne di certo aiutato in vari modi, ed anche economicamente «al tempo della causa contro La France Nouvelle» ed il giornalista Roger Maria, come documentato in De Grand, Angelo Tasca, cit., pp. 261-262. 37 Non sfugge – né può essere diversamente – questa prima, parziale pubblicazione del saggio all’attenzione di Bouvier e di Gacon che su « La Nouvelle Critique», “revue du marxisme militant”, n. 54, aprile 1954, pp. 109-122, e n. 55, maggio 1954, pp. 129143, firmano, a difesa del proprio lavoro, l’articolo M. Rossi et «Preuves» face à la vérité sul 1939, in cui, in apertura, alla p. 109, lamentando che «notre ouvrage La vérité sur 1939 est prise à parler avec une singulière violence verbale par M. Rossi-Tasca», lo accusano contestualmente di essere un rappresentante di primo piano «dans le brain-trust “anti-rouge”», nonché di aver fornito, «dans divers livres parus après cette guerre, à la propagande anti-soviétique et anti-communiste un volumineux arsenal». 38 Si veda il capitolo XXVIII. 39 Questo comportamento conferma quanto sostenuto da Muraca, Fra antistalinismo e guerra fredda, cit., p. 195, ove scrive che «le circostanze della pubblicazione dei saggi taschiani sembrano essere state accuratamente studiate in modo da incidere fattivamente sull’attualità politica internazionale: è il caso, ad esempio, di Deux ans d’alliance germano-soviétique, riconosciuto dalla stessa stampa francese come “un livre qui vient à son heure”». Se quell’opera «appare in concomitanza con la firma del Patto Atlantico», questa, Le pacte germano-soviétique. L’histoire et le mythe, viene pubblicata nel pieno del dibattito sulla costituzione della Comunità Europea di Difesa. Entrambe, comunque, vedono la luce «con il rinnovarsi delle campagne di pace promosse in senso pro-sovietico dal movimento comunista internazionale».

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sorprendente40, (pur tenuta presente la non usuale capacità di Tasca di saper strutturare rapidamente e in modo organico il suo pensiero e di trasporlo, altrettanto rapidamente, sulla carta anche per quanto riguarda suoi scritti più propriamente storici scaturiti dall’attualità politica41) allorché si consideri che sono quelli impiegati per la costruzione e la stesura di uno scritto che, non ideato come saggio storico, diventa tale e di alto livello in corso d’opera, strutturato e fondato su una documentazione anche nuova, e articolato su un’impostazione del tutto diversa rispetto al suo precedente Due anni di alleanza germano-sovietica. In effetti, ad una prima impressione, il carattere prevalente di questo studio di Tasca, l’input che lo muove, è quello della disamina, acuta e dura, a segnare un altr0 momento della sua polemica anticomunista palesemente espressa, peraltro, nell’enunciazione del sottotitolo poi dato al suo volume, La storia e la leggenda: qui, in questa scelta esplicativa, nel forse voluto riecheggiare della tradizione romana delle origini (almeno così ci piace pensare), nel segnalare il «taglio», l’impostazione data al suo lavoro fondato sul confronto di tesi contrapposte, suggerisce aprioristicamente, offrendone però poi ampia dimostrazione nel contenuto del suo testo, quale parte politica frequenti la storia, quale invece, strumentalmente, costruisca leggende spacciandole per storia. Ma, per quanto si diceva sopra, lo scritto nel suo farsi, pur rimanendo fedele alla sua impostazione originaria, evolve sino a collocarsi, nel suo esito finale, su differenti piani di realizzazione e di per40 In quel 1954 Tasca darà pure alle stampe, ancora sotto lo pseudonimo A. Rossi, il più corposo La guerre des papillons. Quatre ans de politique communiste 1940-1944, Paris, Les Iles d’Or. 41 Di cui Tasca fornirà massima prova riuscendo a realizzare il noto e qui già ricordato Autopsia dello stalinismo in tempi ancor più contenuti di quelli utilizzati per Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda. Infatti quell’opera, apparsa nell’edizione francese sotto il consueto pseudonimo A. Rossi, nelle sue due parti essenziali venne portata a compimento in soli quattro mesi e, cioè, tra il luglio 1956 (quando il testo del «rapporto segreto» di Kruscev del 24-25 febbraio al XX Congresso del PCUS venne reso noto dalla stampa statunitense) e l’ottobre dello stesso anno, come recita la sottolineata annotazione «Parigi, luglio-ottobre 1956» apposta in calce all’Introduzione nella quale lo stesso rapporto, peraltro integralmente riprodotto nel volume e corredato da un ricco apparato di note esplicative e di commento, viene sottoposto ad un approfondito e severo esame. Si veda pure, a questo proposito, la parte finale della precedente nota 18.

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cezione: così, Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda, si offre su più possibili approcci di lettura: la recensione, il pamphlet, una corretta ricostruzione storica, una esemplare lezione di metodo. Esso può apparire ed è anche, di fatto, una sorta di integrazione a Due anni di alleanza germano-sovietica ma è, allo stesso tempo un’opera in sé compiuta sul Patto (o, se si volesse, sui Patti germano-sovietici dell’agosto-settembre 193942) ed aggiornata nella versione «integrata» e commentata proposta in questa sede43. Una riflessione conclusiva intende soffermarsi brevemente sul politico Tasca e sullo storico Tasca o, meglio, sulla «fortuna» dell’uno e dell’altro. Fatta eccezione per Nascita e avvento del fascismo, minore attenzione da parte degli studiosi sembra aver avuto il Tasca più propriamente storico, benché altrettanto meritevole di riguardo per il suo provato valore scientifico sia ad esempio – e non soltanto a nostro avviso – il suo Due anni di alleanza germano-sovietica44 (opera rimasta un po’ in ombra, certo spintavi dal clima della «guerra fredda culturale» e, in Italia, dall’ostracismo decretato a Tasca da quell’egemonia culturale comunista di cui si diceva all’inizio) nonché, del tutto ignorato, il qui proposto Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda. Senza dubbio l’attrazione esercitata dal Tasca uomo politico ha una sua comprensibile ragion d’essere, appare del tutto giustificata perché Angelo Tasca percorre tutta la sua vita immerso e da protagonista nella politica attiva sino intorno alla seconda metà degli anni Quaranta. E pure negli anni a seguire, benché dalla politica attiva ormai tagliato fuori, ma non abbandonato dalla passione per la politica ora più che mai consumata sul fronte anticomunista, è – mutuando la definizione da Croce – sull’uomo totus politicus45 che, più o meno strumentalmente, si insiste a catalizzare l’attenzione: la sua figura e la sua azione intellettuale tanto assidua quanto esposta a favore delle democrazie occidentali, continuano ad essere ricondotte e considerate soltanto nella 42

Si vedano la precedente nota 23 e il capitolo iv. Si veda Breve nota sulla traduzione. 44 Si veda la precedente nota 30. 45 Datata 31 dicembre 1945, Una lettera di Croce a Togliatti, in «Rivista di studi crociani», f. II, aprile-giugno 1965, p. 248, citata in Antonio Jannazzo, Il liberalismo italiano del Novecento, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, p. 103. 43

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loro dimensione strettamente politica, relegando in secondo piano e, dunque, oscurando la sua attività di storico46. Rientra in questi parametri di approccio e di valutazione Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda: nel caso specifico di questo scritto, è da ritenere che forse più ancora che in altri, e pure in tempi recenti, il Tasca «politico» abbia fatto da schermo, abbia prevalso e velato il Tasca storico. Il volumetto, benché presente in più biblioteche italiane e pur nel clima di rivisitazione della figura e dell’opera taschiana, pare non essere stato ritenuto meritevole di una qualche attenzione forse proprio perché sbrigativamente considerato una delle tante tappe, e non particolarmente significativa, del «furore» anticomunista di Tasca, e dunque magari ritenuto un prodotto, in un certo senso scontato, del Tasca «politico». Non è da escludere poi, formulando un’altra ipotesi appena affinata, che pur individuato come un parto del Tasca storico, esso sia stato altrettanto sbrigativamente accantonato perché ritenuto, sul piano storiografico, di non particolare valore per la sua particolare struttura pure innegabilmente strumentale alle sue finalità polemiche: ma anche questa eventuale opinione implicherebbe – ci pare – un approccio frettoloso al saggio. E, infine, può essere avvenuto che, pur visto nella prospettiva di saggio storico, lo si sia considerato come un testo scarsamente significativo a fronte del precedente Due anni di alleanza germano-sovietica, ideato e nato come scritto storico vero e proprio: tuttavia, non meno delle precedenti, anche questa ipotetica valuta46 Questo atteggiamento, di norma riservato a tutta l’opera di Tasca, è stato a suo tempo colto e segnalato da Renzo De Felice, Premessa a Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo, 2 voll., Bari, Laterza, 1965, vol. I, p. XI, nello specifico del giudizio riservato a questo volume e ad altri scritti ad esso connessi. Così De Felice alla pagina indicata: «Nel complesso, si può affermare che, sia in occasione della prima edizione francese sia in occasione della prima edizione italiana, la “fortuna” dell’opera di Tasca fu più politica che storiografica, nel senso che una serie di circostanze esterne finirono per mettere l’accento sugli aspetti contingenti (essenziali per la biografia di Tasca, ma secondari per una giusta valutazione della sua opera) piuttosto che su quelli che invece costituiscono il fatto nuovo, peculiare e permanente della sua analisi delle origini del fascismo. Fatto che – del resto – si è verificato, sia pure in misura meno evidente, anche per altri due studi dello stesso Tasca, che per più di un aspetto si ricollegano strettamente a Nascita e avvento del fascismo e che costituiscono la migliore conferma della sua qualità di storico: quello su I primi anni del Partito comunista italiano (in «Il Mondo», 18 agosto-22 settembre 1953) e soprattutto quello Per una storia politica del fuoruscitismo (in «Itinerari», ottobre-dicembre 1954)».

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zione presupporebbe una lettura ancora una volta non proprio attenta del testo. Comunque sia, rimane il piccolo mistero della mancata attenzione in Italia – almeno per quanto a noi risulta – a questo scritto di Tasca alla quale mettiamo fine con la pubblicazione in edizione italiana di questo volume sulle cui differenti e coabitanti «anime» ci siamo già intrattenuti; tra queste, quella propriamente storica si propone – a nostro parere – prevalente sulle altre benché, ad un approccio superficiale, Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda ci spingerebbe ad individuarne l’autore soprattutto nel Tasca «politico». Invero, come si legge nella Prefazione, la sua realizzazione va accreditata al Tasca «storico del comunismo e del fascismo», allo studioso che, prescindendo dalla sua scelta di militanza nel campo delle democrazie occidentali, pone nel suo lavoro di storico quella vis stilistica tanto ingannevole nella prospettiva della valutazione della natura dell’opera, quanto peculiare invece della sua personalità, e quanto, peraltro, generalmente abituale nel contrasto culturale e politico dell’epoca. Che in questa sua affatto o poco nota opera Tasca abbia esercitato al meglio le sue doti di storico, ci pare trovi riscontro proprio nel fatto che, nella trattazione del suo argomento, le sue personali convinzioni politiche non lo condizionano, l’«ideologismo» non lo acceca, non lo prevarica. Il suo obbiettivo è quello «di lottare con ferma determinazione contro la menzogna» (ed in questa «ferma determinazione» trova ulteriore giustificazione la sua vis polemica) poiché Tasca è sì l’uomo politico schierato ma anzitutto, nello specifico del caso, lo studioso intellettualmente onesto teso alla ricerca della verità in quanto «condizione indispensabile di ogni libertà»47; e nella ricostruzione della storia, cui assegna la primaria, ciceroniana funzione dell’ammaestramento, mette in essere quell’equilibrio tra soggettivismo ed oggettività peculiare dello storico di alto profilo. E intorno al metodo, al suo metodo di storico etico-politico, Angelo Tasca ci intrattiene pure didascalicamente più volte in questo Il patto germano-sovietico. La storia e la leggenda. Di questa lezione abbiamo preso atto.

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Si veda la Prefazione.

Breve nota sulla traduzione

Non si vuole qui entrare nel merito delle problematiche, notoriamente complesse, che ruotano intorno al tema della «traduzione». Più semplicemente, nel caso del presente testo trasferito dal francese, il traduttore o, meglio, il traduttore «per caso» che ha inteso misurarsi in questa impresa, vuole piuttosto rendere conto del suo operato informando circa alcuni interventi che ha effettuato nel lavoro di trasposizione. Rientrano nell’ambito delle variazioni tecnico-formali introdotte dal traduttore, il ricorso ad un uso assai più ampio del capoverso che, nel testo originale, gode di scarsa frequentazione; poi, l’abolizione della maiuscola nella denominazione dei mesi e, invece, l’adozione della maiuscola nella parola «paese/i» allorché questo termine allude a «Stato/i» o «Nazione/i»; lo scioglimento, infine, di tutte le sigle (U.S.A., U.R.S.S., C.E.D., R.A.F. , P.C.F., P.C.A. e simili) decisamente sovrabbondanti, ed il cui insistito uso ha forse risposto, nell’autore, ad un criterio di celerità di stesura del suo elaborato. Di più incisiva rilevanza, le variazioni di «carattere integrativo» riguardanti le citazioni bibliografiche, la redazione delle note e la loro collocazione nell’ambito della pagina, nonché il loro stesso «arricchimento»; inoltre, la creazione di altre nuove citazioni, elaborate ed inserite nell’apparato documentario dal traduttore. Le note al testo, di puro rinvio documentario oppure esplicative, che si presentavano variamente redatte e collocate, sono state tutte ricondotte ad una uniforme norma editoriale; laddove prive, sono state integrate degli elementi della citazione d’obbligo prevista dalla norma adottata; quindi, tutte poste, in ovvia corrispondenza numerica e progressivamente enunciate, a fondo pagina.

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È evidente, però, che gli interventi di gran lunga più significativi effettuati su questo scritto sono comunque costituiti e dalla già segnalata espansione delle note elaborate dall’autore e dall’inserimento all’interno dell’apparato documentario originario di un assai cospicuo numero di altre note concepite dal traduttore al fine di offrire al lettore di quest’opera di Tasca ulteriori elementi esplicativi, di verifica, di aggiornamento bibliografico, di commento: dal che consegue che una visitazione effettivamente esaustiva del testo passa di necessità pure attraverso la consultazione di gran parte di queste note “aggiunte”, la cui individuazione (nonchè di quanto altro appare in questa versione italiana quale intromissione del traduttore) è resa possibile al lettore dalla loro collocazione all’interno di [...]. Contestualmente, corre l’obbligo di avvertire che, in quelle note integrative ove appaiono trasposti in italiano brani di opere in lingua inglese o francese non pubblicati in edizione italiana, la traduzione dall’inglese è stata effettuata da Luana Montesi, dal francese da chi scrive. Due ulteriori avvertenze attengono, in primo luogo, alla presenza in questa edizione italiana del volumetto di Angelo Tasca dell’Indice dei nomi, assente nel testo originario e comprendente pure i nomi che compaiono nell’Introduzione e nelle note aggiunte; poi, alla segnalazione che la grafica di copertina del presente volume replica in dimensione ridotta e patinata la copertina dell’edizione originale francesce del 1954 allora realizzata sul più povero cartoncino opaco. Si è ritenuto di riproporre quella lontana copertina e per l’efficacia della sua semplicità metaforica, espressa con gli allusivi colori nero e rosso verticalmente disposti e combacianti, e pure nella sensazione che allo stesso Tasca ne vada attribuita l’ideazione, come è opinione di chi scrive che, per certa avvertita assonanza stilistica e terminologica con il testo, egualmente a lui si debba la stesura della redazionale Prefazione a firma preuves.

Per suggerimenti su questioni relative alla traduzione sono affettuosamente riconoscente ai colleghi Gabriella Almanza, soprattutto, a Diego Poli e a Daniela Fabiani. Per altri aspetti, con lo stesso animo, sono grato al sovrintendente bibliotecario Luigi Verducci, a Luana Montesi e a Riccardo Piccioni, collaboratori alla cattedra di Storia contemporanea, nonché all’amico Giorgio D’Aquino, esperto informatico.

Il patto germano-sovietico La storia e la leggenda

Mosca, 23 agosto 1939: Molotov, Ribbentrop e Stalin al momento della firma del cosiddetto Patto di non-aggressione nel disegno ad acquarello di un anonimo ritrattista.

Prefazione

Questo studio di A. Rossi costituisce la nuova versione, riveduta e notevolmente ampliata, di un suo saggio già apparso in «Preuves» (nn. 36 e 37)* in risposta al libro La Verité sur 1939, raffazzonata opera di due professori «agrégés» comunisti. Si trattava, per i due autori, Jean Bouvier e Jean Gacon, di rendere credibile la leggenda di uno Stalin costantemente preoccupato, all’epoca del patto germano-sovietico, della vittoria finale delle democrazie su Hitler. Alcuni lettori potrebbero pensare che era del tutto superfluo smontare con precisione tanto meticolosa una così rozza operazione di propaganda, e di fornire nel dettaglio, punto per punto, la prova di quanto la storiografia comunista ufficiale resti lontana da ogni interesse di ricerca della verità (e, allo stesso tempo, da ogni sua coerenza interna perché, per essa, la ricostruzione del passato è strumentale alle tattiche, spesso mutevoli, della politica). Ma coloro che non si accontentano di una ricostruzione favolistica ed «impegnata» della storia saranno, per contro, riconoscenti ad A. Rossi per la cura scrupolosa, per il vigile rigore documentario che sono il segno distintivo di tutte le sue opere. Storico del comunismo e del fascismo, dei quali, tra i primi, ha messo in luce le profonde affinità, A. Rossi va oltre il semplice accertamento di una verità, accettata a priori da alcuni, rifiutata * [Invero nei nn. 35 e 36 della rivista. Nel n. 35, a. IV, gennaio 1954, la prima parte del saggio è pubblicata sotto il titolo Une défense du pacte germano-soviétique ed occupa le pp. 25-31; nel n. 36, a. IV, febbraio 1954, la seconda parte reca il titolo L’U.R.S.S. à l’heure de la collaboration ed occupa le pp. 44-52. Il presente volume, già effettivamente “riveduto e notevolmente ampliato” rispetto al testo originario apparso nei due numeri di «Preuves», offre infatti una parte finale – i capitoli XXVII-XXXI – del tutto nuova].

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altrettanto a priori da altri. Egli ci dà una magistrale lezione di ricostruzione critica e ci offre non solo risultati convincenti, ma ci fa pure partecipi del metodo attraverso il quale uno storico intraprende lo studio del passato, individua la verità, elimina le menzogne e contribuisce ad illuminare un’epoca che – anche se assai vicina – è resa di difficile lettura per l’agitarsi di passioni e necessità politiche di giustificazione retrospettiva. Questa lezione ci permette così di comprendere meglio il nostro presente; e, ad esempio, in questa prospettiva ci dimostra come la «campagna per la pace», condotta a suo tempo dai comunisti americani per impedire a Roosevelt di prestare aiuto ai nemici di Hitler, costituisca il preciso precedente, per significato, stile e modo di procedere, delle ulteriori, successive «campagne per la pace» mirate a minare il rapporto solidale del mondo libero. Nei due ultimi capitoli, A. Rossi giunge ad una conclusione di fondamentale importanza: la condizione indispensabile di ogni libertà – e, anzitutto, della libertà della cultura – rimane la ferma determinazione di lottare contro la menzogna, senza farsi scoraggiare dalla sua portata, dalla sua imponenza, dalla sua onnipresenza. Quando vengono divulgate valanghe di scritti tendenziosi e falsi, si deve ribattere instancabilmente, si deve controbattere con l’azione ininterrottta della ricerca storica obbiettiva. Questo lavoro esige onestà intellettuale, paziente opera di acculturazione che non esclude però la polemica vigorosa. «Puntualizzare, ricordare i fatti, tutti i fatti – così conclude Rossi – con il loro peso specifico, la loro effettiva portata e le loro conseguenze, che non sono estranee ai fatti ma ne costituiscono la parte essenziale, è la sola strada… Se si scende a patti con la menzogna, non si può salvare nulla». preuves

i. Un morto resuscitato: il patto germano-sovietico

Da qualche anno il partito comunista francese aveva messo la sordina alle discussioni intorno a due argomenti: i patti germanosovietici dell’agosto e del settembre 1939, e l’asserita «resistenza» comunista contro Hitler sia durante gli eventi bellici del 19391940, sia nel periodo compreso tra l’armistizio e l’attacco tedesco all’Unione Sovietica il 22 giugno 1941. Oggi, però, queste tematiche conoscono di nuovo le luci della ribalta. Si può ben dire che i «falsi documenti patriottici» messi in giro dal partito, ma quasi scomparsi dalla circolazione, sono di nuovo al centro dell’attenzione. Riappaiono e proliferano. Occupano un intero volume1 nel quale essi sono manipolati con un’improntitudine che apparirebbe goffa se il partito non si sentisse spinto, ed in qualche modo rassicurato, dalle possibilità di nuovo offertegli dal momento politico favorevole. Dietro lo schermo protettivo del dibattito in corso sulla costituzione della Comunità Europea di Difesa2, tutto diventa o è ritenuto permesso. Tuttavia 1 Jean Bouvier et Jean Gacon, La Vérité sur 1939. La politique extérieure de l’U.R.S.S. d’octobre 1938 à juin 1941, Paris, Éditions Sociales, 1953 [L’iniziale maiuscola di vérité è di Tasca]. 2 [Appare opportuno qui ricordare che si tratta del disegno della creazione di un esercito comunitario (disegno incoraggiato dagli Stati Uniti e previsto nel Trattato di Parigi del 27 maggio 1952 sottoscritto da Italia, Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Repubblica Federale Tedesca), di una forza militare dell’Europa Occidentale destinata a costituire, nel clima di quegli anni, un argine di difesa dall’Unione Sovietica. Il progetto, nato dall’iniziativa della Francia all’aprirsi degli anni Cinquanta e dopo incontri e colloqui che si succedono nel corso di quattro anni, viene definitivamente accantonato nella tarda estate del 1954 allorché, proprio la Francia si rifiutò di ratificare, affossandolo, il trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa, trattato che sottoposto all’approvazione della sua Camera aveva visto prevalere i voti contrari, con motivazioni differenti, dei due schieramenti politici agli antipodi, quello comunista e quello gollista. Essenzialmente, il rigetto era determinato dal problema del riarmo tedesco e, in qualche modo, specularmente, dalla richiesta francese di garanzie di salva-

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nessuno storico, comunista o non, avrebbe osato avallare con il suo nome un simile guazzabuglio ed una simile serie interminabile di falsi. A questo scopo sono stati mobilitati due dilettanti asserviti. Un vecchio lavoro messo da parte perché inutilizzabile è stato recuperato in tutta fretta e corredato da una prefazione che lo adegua alle esigenze dell’attualità. In questo momento, il partito ha bisogno di dare nuovo smalto al suo blasone «patriottico». Né i comunisti né l’Unione Sovietica hanno tradito la Francia e la democrazia tra l’agosto 1939 ed il giugno 1941. Il loro patriottismo di allora garantisce quello di oggi: si può, dunque, procedere con loro, mano nella mano, con piena fiducia. Per contro gli Stati Uniti, prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale si sono ispirati soltanto a sordidi calcoli. Se l’Unione Sovietica e la sua amicizia con la Francia avessero potuto resistere, nel 1939, alle manovre della classe dirigente anglo-franco-americana, la guerra di Hitler non sarebbe scoppiata e la Francia, vittoriosa insieme con i suoi alleati, non avrebbe subito il martirio dell’occupazione nazista. «Allo stesso modo, oggi, l’amicizia franco-sovietica condannerebbe all’insuccesso l’occupazione americana della Francia ed i piani di guerra del governo di Washington e dei suoi complici»3. Qui risiede il pieno significato e lo scoperto fine di questo pamphlet4, che si vuol far passare per storico, e che, invece, altro non è che un episodio dell’accanita campagna condotta dal partito comunista per imporre il preteso «ribaltamento delle alleanze». Pure la storia è strumentalizzata al raggiungimento di questo obbiettivo: benché essa possa spiegare ogni evento, vi si ricorre non per fare chiarezza, ma per non affrontare mai, neppure per un istante, la questione. Il libro in questione pullula, in ciascuna delle sue circa trecento pagine, di luoghi comuni, di contro-verità o semi-verità, di falsi evidenti e di silenzi prudenti o cinici. Benchè sia facile farlo, occorrerebbero anni per confutarli tutti; ora, però, uno storico non può guardia dei suoi interessi nazionali. Per un’attenta, puntuale ricostruzione di questa vicenda, rinvio d’obbligo è al recente Stefano Bertozzi, La Comunità Europea di Difesa. Profili storici, istituzionali e giuridici, Torino, G. Giappichelli Editore, 2003]. 3 Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 8. 4 [Il corsivo è del traduttore].

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perdere tutto il suo tempo a rovistare nella spazzatura. Gli sarà sufficiente intrattenersi su alcuni aspetti significativi di questa operazione strategica storico-politica: a quibusdam disce omnes. Anzitutto, qualche parola sul metodo usato dai due pseudostorici. Negli ultimi nove anni s’è accumulata una già enorme bibliografia, d’interesse e valore differente, della quale Bouvier e Gacon non hanno avuto notizia o che hanno volutamente ignorato. Due Paesi, Gran Bretagna e Italia, hanno avviato la pubblicazione dei loro documenti diplomatici che coprono già una parte del periodo in questione. In verità, ciò che non si può rimproverare ai nostri autori è di aver trascurato gli archivi francesi perché sono rimasti chiusi dal tempo della pubblicazione del Livre Jaune nel 1939 e, a questo proposito, auspichiamo vivamente che il veto posto alla loro apertura da certi uffici del Quai d’Orsay possa essere tolto al più presto. Quanto ai documenti sovietici, senza i quali ogni ricostruzione storica dei nostri tempi non potrà che restare sempre approssimativa, non esiste alcuna speranza di una loro integrale pubblicazione. Proprio Mosca, nel 1948, ha pubblicato, in due volumi, una selezione di Documenti «riguardanti la vigilia della seconda guerra». Ma si tratta di documenti della Wilhelmstrasse caduti nelle mani delle truppe o dei «servizi»5 d’occupazione in Germania. Nessuno di questi documenti riguarda le trattative segrete germano-sovietiche. Vengono pubblicati soltanto quelli che possono essere utilizzati – a ragione o a torto – contro gli Occidentali. Benché attinti da stesse fonti documentarie, identiche a quelle che hanno consentito agli Occidentali di dare inizio alla pubblicazione degli Archivi tedeschi, Mosca non ha avanzato nessuna riserva sulla loro autenticità. I documenti tedeschi sono visti con sospetto soltanto quando rischiano di costituire un impaccio alla politica dell’Unione Sovietica; essi diventano paragoni di verità quando – a ragione o a torto – sembrano giustificarla. I nostri autori sguazzano liberamente in questa sterminata documentazione dal momento che non la tengono in alcuna considerazione.

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[Le virgolette sono del traduttore].

ii. Fatti e ideologia nella storia

Bouvier e Gacon, del resto, per attingere a questa documentazione, oppure, più spesso, per farne a meno, ricorrono all’ideologia. A che pro affannarsi a precisare i fatti, nel loro generale complesso e in dettaglio, dal momento che tutto è stato spiegato? Le guerre – la prima come la seconda guerra mondiale – sono guerre imperialiste. In effetti, sulla prima guerra mondiale esiste un’intera biblioteca di storia; basti ricordare, in questa sede, la grande opera di William Langer1. I nostri autori non si curano di accendere la loro lanterna: per le origini della prima guerra mondiale a loro basta Lenin. Per la seconda, i comunisti, indottrinati da Mosca avevano già concluso, tra il 1939 ed il 1941, che considerato il carattere «imperialista» della guerra, bisognava opporvisi: in quel periodo, questa fu la giustificazione «teorica» della posizione presa dall’Internazionale Comunista, della diserzione del segretario generale del Partito Comunista Francese Maurice Thorez2 e del sabotaggio politico e materiale organizzato dai vari partiti aderenti all’Internazionale contro Francia e Inghilterra. Ma i nostri autori non potevano prendere atto di questi fatti: poiché non potevano spiegarli con il «patriottismo», l’ordine era di ignorarli. Per contro, essi potevano invece spiegare l’atteggiamento degli Occidentali nel 1939 ricorrendo ad una variante della dottrina dell’imperialismo: «Ora – affermano – possiamo comprendere meglio ciò che è avvenuto […] nel 1939, alla luce dell’o1 [Il riferimento è a An Encyclopaedia of World History, Boston, Houghton Mifflin Company, 1948]. 2 [Chiamato alle armi il 3 settembre 1939, disertava in ottobre e si rifugiava a Mosca; amnistiato da De Gaulle, rientrerà in Francia soltanto nel 1944].

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ANGELO TASCA

pera di Stalin, “I problemi economici del socialismo in Unione Sovietica”»3. Questo libriccino è stato pubblicato a Mosca alla vigilia del XIX Congresso del Partito comunista russo: che sarebbe accaduto ai nostri due «storici» se Stalin fosse morto un anno prima, nel marzo 1952? Non avrebbero mai compreso a fondo ciò che era accaduto nel mondo nel 1939. Non sarebbero rimaste loro neppure le «conferenze educative» di Auguste Lecoeur4 poiché anche lui ha attinto le sue conoscenze dalla stessa fonte. La categoria dell’«imperialismo» è perfettamente strumentale alle loro tesi. Infatti, da un lato il ricorso a questa categoria permette loro di spiegare tutta la politica degli Stati Uniti che, com’è noto, in quanto paese dei «monopoli» impongono questa loro linea politica; dall’altro, l’imperialismo non tocca, non riguarda affatto l’Unione Sovietica. Il sillogismo è dunque inattaccabile: la guerra è causata dall’imperialismo capitalista; l’Unione Sovietica non è un paese capitalista; dunque l’Unione Sovietica non ha nulla a che fare né con l’imperialismo, né con la guerra: «È chiaro che l’Unione Sovietica non è per nulla “responsabile” delle lotte imperialiste nell’espansione capitalista. Le guerre mondiali sono il prodotto del sistema capitalista mondiale e delle crisi di questo sistema»5. Nel 1914 l’Unione Sovietica non esisteva e la guerra è scoppiata; l’Unione Sovietica esisteva nel 1939 ma, poiché la guerra aveva carattere imperialista, non vi entrò: gli eventi del 1914 provano il presupposto ideologico, il presupposto ideologico spiega i fatti del 1939. Tuttavia i fatti sono ribelli, fastidiosi e indiscreti. Ci sono degli storici, certamente ottusi, che attribuiscono loro soverchia importanza. Dovrebbero finirla con queste riprovevoli abitudini; i nostri autori ci invitano a librarci in excelsis. A tal fine ci espongono una teoria della ricostruzione storica disinteressata quanto quella di un filosofo della storia: «Un atto diplomatico, un fatto storico isolati – quali che siano – ad esempio la sconfitta di Ems del luglio 1870, o l’attentato di Serajevo del giugno 1914 – oppure, aggiungiamo noi, il patto del 23 agosto 1939 – non possono mai essere di per sé la “causa” di una guerra […] Non si debbono confonde3

Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., pp. 111-112 [in effetti, pp. 110-111]. Ibid., p. 283. 5 Ibid., p. 164. 4

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re la genesi e le origini profonde della guerra (di carattere imperialista) con le particolari circostanze diplomatiche che stanno intorno allo scoppio delle operazioni belliche»6. È evidente che questa «filosofia» non frequenta tali altezze e profondità se non per minimizzare, nello svolgersi degli avvenimenti, il peso e la specificità del patto germano-sovietico dell’agosto 1939. Ora, però, una guerra – non la guerra in genere, ma una guerra o un’altra – è sempre potenziale finché non scoppia. Il «casus» che la determina è pure l’effetto della saturazione di eventi politici, economici, diplomatici e militari. È possibile che una guerra non si sarebbe scatenata se un certo fatto, o certi fatti, non si fossero prodotti; è possibile però che sarebbe avvenuta egualmente pure in assenza di quei fatti, ma in presenza di un’altra catena di fatti che sfoci anch’essa nella catastrofe. È nel contesto delle cause o delle condizioni generali che lo storico deve collocarsi, e non rifugiandosi in una ricostruzione favolistica al cui interno tutto è scritto a priori7, sottoponendo i fatti, tutti ed ognuno, alla riflessione, alla valutazione, all’effettivo loro concatenarsi. Ricorrere all’ideologia quando i fatti la contraddicono, e ciò al fine di attenuarli o di sbarazzarsene, è una forma di truffa – e non soltanto nella frequentazione della storia.

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Ibid., pp. 164-165. [Il corsivo è del traduttore].

iii. Quando «pecunia non olet»

Dopo che il loro libro era stato portato a termine, Bouvier e Gacon, in un’appendice1, si premurano di citare alcuni passi del quarto volume della serie dei documenti diplomatici tedeschi che alcune commissioni di storici pubblicano contemporaneamente a Washington, a Londra e a Parigi2. Il modo di procedere adottato dai due pseudo-storici è peculiare della costruzione di prefabbricate certezze per i loro più o meno ingenui lettori. Noi ci limiteremo qui ad esaminare il metodo usato relativamente all’indagine sui rapporti economici tra Francia, Gran Bretagna e Germania, da un lato, e tra Germania e Unione Sovietica, dall’altro, nel periodo che va dal Patto di Monaco all’occupazione di Praga. I nostri autori pescano alcuni brani dalla gran massa di documenti per provare che Gran Bretagna e Francia avevano avviato con Berlino delle trattative economiche alle quali avrebbero voluto assegnare un significato politico che esse non hanno assolutamente avuto e che i fatti stessi smentiscono. Infatti, queste trattative sono state interrotte dopo il 15 marzo 1939; a quella data, il governo britannico, sorpreso dai fatti di Praga, annulla la visita che il presidente del «Board of Trade»3 doveva fare a Berlino. La lettera dell’ambasciatore Henderson che comunica a Ribbentrop questa decisione è presente nella raccolta dei Documenti, ma i nostri autori si guardano bene dal parlarne. 1 [Si tratta della prima delle due «Appendici» al volume che reca il titolo À propos d’un ouvrage récent ed occupa le pp. 299-308; circa la seconda, dal titolo Le discours de Staline du 10 mars 1939, si veda la nota 4 del capitolo XI]. 2 Archives secrètes de la Wilhelmstrasse, Paris, Plon, 1953. 3 [Camera di Commercio].

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Per quanto riguarda la politica anglosassone tra l’ottobre 1938 ed il marzo 1939, politica sulla quale si possono esprimere critiche assai fondate senza che ci sia bisogno di ricorrere a falsificazioni, sono disponibili già da qualche tempo due volumi di Documents on British Foreign Policy4 ai quali la Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale ha dedicato assai di recente, nel gennaio 1954, un saggio acuto ed equilibrato. Questi volumi erano disponibili già da due o tre anni prima della pubblicazione di questo pamphlet5 comunista: i suoi autori avrebbero avuto tutto il tempo di consultarli ed utilizzarli, ma se ne sono guardati bene. Relativamente, poi, alle trattative economiche tra Germania ed Unione Sovietica nello stesso periodo, un intero capitolo di documenti è loro riservato nel volume delle Archives che essi asseriscono di analizzare6. Ma non una parola su questo argomento. La cosa si spiega facilmente poiché essi avrebbero dovuto riconoscere che, subito dopo Monaco, per la Germania il momento diventa favorevole per «concludere con la Russia il nuovo trattato commerciale preparato già da tempo»7; che la Germania si dispone a rinnovare all’Unione Sovietica un credito di 200 milioni di marchi, con l’impegno di ulteriori, reciproci scambi8; che, l’11 gennaio 1939, l’ambasciatore sovietico a Berlino Merekalov annuncia il consenso del suo governo alla ripresa delle trattative commerciali interrotte nel marzo 1938 e propone che i colloqui si aprano «il più presto possibile, e a Mosca, perché lì saranno più rapidi e fruttuosi»9. Su tutto ciò un silenzio ermetico; nulla sulla missione dell’addetto commerciale Schnurre nel gennaio 1939 che, già in viaggio per Mosca, viene richiamato a Berlino sul finire del mese10: peraltro, questa interruzione del viaggio di Schnurre delude non poco i suoi interlocutori sovietici che contavano su un importante risultato positivo dell’incontro. Che i Sovietici avessero interesse a 4

Tomi III e IV, London, Her Majesty’s Stationery Office, 1950, 1951. [Il corsivo è del traduttore]. 6 Archives secrètes, cit., pp. 548-579. 7 Ibid., p. 553. 8 Ibid., pp. 560-561. 9 Ibid., p. 566. 10 Ibid., pp. 569-570. 5

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riprendere e a sviluppare gli scambi commerciali con la Germania non era una novità poiché la loro interruzione, nel 1938, era avvenuta soltanto per iniziativa di Berlino. I colloqui termineranno qualche mese dopo i fatti di Praga e costituiranno l’avvio per la stipula di un patto germano-sovietico ormai scontato. Nel suo discorso del 31 maggio 1939 al Soviet Supremo, Molotov rivendicava il pieno diritto dell’Unione Sovietica «a non rinunciare a intrattenere rapporti commerciali con Paesi quali la Germania e l’Italia»; le trattative con la Germania stavano per riprendere; si decideva di firmare «un patto vantaggioso per entrambe le parti»11. I rapporti commerciali germanofranco-britannici si arenavano e saranno abbandonati; per contro gli stessi rapporti germano-sovietici andranno a buon fine. Alla luce di tutto ciò, sembra difficile fornire la «prova» della politica franco-britannica di allontanamento dall’Unione Sovietica e della politica sovietica di intransigenza nei confronti della Germania. In realtà, per i nostri «storici» comunisti, il denaro da investire negli scambi progettati ma non realizzati tra gli ambienti economici anglo-franco-tedeschi costituisce il massimo della vergogna; non ha odore, invece, il denaro che corre effettivamente tra i governi di Berlino e di Mosca.

11 [Jane Degras,] Soviet Documents on Foreign Policy, 3 voll., Oxford, University Press, 1953, vol. III, p. 337.

iv. Patto d’amicizia e patto d’aggressione

I fatti si vendicano anche di coloro più disposti a dimenticarli o a farli dimenticare. I nostri autori, Bouvier e Gacon, dedicano una parte del loro libro «alla spiegazione e alla celebrazione»1 del patto germano-sovietico del 23 agosto. Poiché non si riesce a farlo dimenticare lo si celebra. Ma la celebrazione è impudente ed il culto difficile. Essi procedono per tappe successive creando un pasticcio che offre il vantaggio di far piombare il lettore non informato in una inestricabile confusione mentale. Anzitutto corre loro l’obbligo di dimostrare che tra l’Unione Sovietica e la Germania hitleriana non c’è mai stato se non un puro e semplice patto di non-aggressione che non ha dato luogo ad alcuna spartizione di territori e che non è mai diventato un trattato di amicizia. Che diavolo, la parola «amicizia» non figura affatto nell’accordo ufficiale reso pubblico nella giornata del 24 agosto, né vi figura la parola «spartizione». Alcuni storici, certamente falsi testimoni, asseriscono con sicurezza che, nella stessa circostanza, Hitler e Stalin si sono spartiti una parte dell’Europa orientale e che quella spartizione fu sancita con un protocollo segreto. Per contro, i nostri autori proclamano, senza battere ciglio, che quel protocollo non è mai esistito. Ciò negando, vengono però a trovarsi di fronte ad una grossa difficoltà perché il patto del 23 agosto non è stato il solo concluso a Mosca a quell’epoca. Infatti, circa un mese dopo, e sempre a Mosca, ne veniva firmato un secondo, reso noto il 28 settembre, sotto il titolo «Patto d’amicizia e di delimitazione di confini». Questa volta, è innegabile che si trattasse di un patto di amicizia e la «delimitazione di 1

Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 9.

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confini» alludeva scopertamente ad una spartizione. E al testo reso pubblico erano state peraltro aggiunte più clausole segrete. Per quanto riguarda gli accordi del 23 agosto, i due «storici» hanno dunque soppresso il protocollo segreto2; su quelli del 28 settembre, hanno effettuato un black-out totale. Nel loro libro è scomparso tutto, sia il testo reso pubblico, sia i documenti aggiunti: non vi sono gli accordi della fine di settembre, né vi si fa menzione del secondo viaggio di Ribbentrop a Mosca. La storia del 1939 è ricostruita con questa enorme lacuna. In un libro che ha la pretesa di rivelare «la verità sul 1939», il lettore deve ignorare che Ribbentrop a Mosca ha raggiunto con Stalin e Molotov un secondo accordo, circa sette [leggasi cinque3] settimane dopo il primo incontro. Uno degli avvenimenti più importanti della storia contemporanea è stato fatto sparire completamente: i nostri storici lo hanno soffocato nel silenzio. George Orwell viene qui superato. Ci occuperemo più avanti degli accordi del 29 settembre 1939. Occupiamoci ora della questione del protocollo segreto del 23 agosto che riguarda direttamente la natura degli accordi tra Berlino e Mosca e della ragione per la quale se ne nega l’esistenza. Se il protocollo è esistito, la natura di quegli accordi, per ammissione stessa di coloro che non vogliono sentirne neppure parlare, non è più la stessa. Nel corso delle conversazioni susseguitesi da aprile all’agosto 1939 tra i diplomatici tedeschi e sovietici, o tra i loro delegati, il tema degli interessi territoriali dei due Paesi torna spesso, ma non si parla di «protocolli segreti» se non a partire dai primi giorni di agosto. È uno degli interlocutori tedeschi che sembra aver usato per primo questa locuzione: l’addetto commerciale Schnurre. Egli propone al suo partner russo, Astakhov, di introdurre delle pre2 [Così, insistentemente, ne ribadiscono la non esistenza Bouvier e Gacon in M. Rossi et «Preuves» face à la véritè sur 1939, cit., p. 129: «Nous avons vu, dans le précédent numero de La Nouvelle Critique, ce qu’il en est de l’imposture du “protocol secret” – soi-disant signé le 23 août a Moscou – et ce qu’il en est des méthodes “historiques” de Tasca-Rossi»]. 3 [Si tratta, in tutta evidenza, di un lapsus già presente nella prima parte del saggio pubblicato in «Preuves», n. 35, a. IV, gennaio 1954, cit., p. 27, e qui non corretto. Per altri due casi simili di «svista» cronologica, si vedano la nota 1 del capitolo XXIV e la nota 4 del capitolo XXVIII].

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messe di carattere politico nel preambolo del trattato commerciale, oppure «in un protocollo segreto»4. Astakhov gli risponde dopo una settimana che il governo di Mosca, dopo aver preso in esame la questione, non riteneva opportuno mettere insieme un testo politico con uno commerciale5. La qual cosa non sorprende perché, già dal 20 maggio, Molotov aveva precisato a Schulenburg che il suo governo non poteva accettare di riprendere negoziati commerciali se, preliminarmente, non si fissavano le necessarie «basi politiche»6. Era nelle intenzioni dell’una e dell’altra parte costruire su basi sicure. Hitler e Ribbentrop sono ben consapevoli che Mosca non si accontenterebbe di un semplice patto di non-aggressione. Inoltre, ad Hitler, che aveva già deciso di attaccare la Polonia il 25 agosto, necessita che il patto sia firmato prima, e da qui la furia7 frenetica dei negoziatori tedeschi. Soltanto un protocollo segreto può fissare le definizioni territoriali del patto, soprattutto per quanto riguardava la Polonia, la cui sorte sarebbe stata decisa qualche giorno più tardi, Polonia alla quale i due Paesi erano egualmente interessati. Il 17 agosto, Molotov convoca l’ambasciatore von Schulenburg: prima gli legge e poi gli consegna una nota elaborata insieme con Stalin sul criterio da seguire nelle trattative, sottolineando che il patto di non-aggressione doveva essere definito con «il contemporaneo accordo su un protocollo particolare che fissava gli interessi delle parti firmatarie […] protocollo che farebbe parte integrante del patto»8. Tedeschi e Sovietici dovevano predisporre, ciascuno per proprio conto, un progetto per questo protocollo. Ma Berlino ha fretta. Non si può più procedere per tappe. Tutto deve esser concluso in non più di qualche giorno: il protocollo che deve soddisfare pure gli interessi sovietici nell’area del Baltico e in Polonia può essere firmato in tempo utile per la Germania soltanto se lo stesso Ribbentrop si reca «immediatamente» a Mosca. 4

Julius Schnurre, Memorandum ancora inedito, [del] 3 agosto. Schnurre, Memorandum, [del] 10 agosto, in [Raymond James Sontag-James Stuart Beddie, edited by,] Nazi-Soviet Relations (1939-1941), Washington, The Department of State, 1948, p. 44. 6 Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., p. 6. 7 [In italiano nel testo]. 8 Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., p. 60. 5

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Peraltro, il 19 agosto un’altra comunicazione sovietica ribadisce che il protocollo deve essere firmato contemporaneamente al patto di non-aggressione: è questa, infatti, la pietra angolare del nuovo ordine di relazioni che si stabiliscono tra i due Paesi, tra i due regimi. Questo protocollo costituisce non solo la base per i successivi accordi del 29 settembre 1939, ma Molotov vi fa esplicito riferimento nei colloqui che ha con Hitler e Ribbentrop a Berlino nel novembre 19409. Sull’argomento sono state ormai pubblicate decine di documenti sulla cui autenticità non vi sono dubbi di sorta: senza quei protocolli, la stessa storia della Germania, dell’Unione Sovietica e dell’Europa nel corso di circa due anni e mezzo sarebbe un enigma indecifrabile.

9 [Per un’analitica disamina di questi incontri William Shirer, Storia del Terzo Reich, 2 voll., Einaudi, Torino, 1962, vol. II, pp. 1226-1234].

v. Il silenzio è finalmente rotto

Per molti anni nessuno ha parlato dei protocolli segreti del 1939. Un’allusione alla loro esistenza è stata fatta da Hitler nel messaggio indirizzato al «popolo tedesco» e al partito nazista il 22 giugno 1941, il giorno in cui le divisioni della Wehrmacht varcavano la frontiera sovietica. Voleva darne giustificazione1. In quella circostanza ammetteva – con un linguaggio assai ben dosato – che una delimitazione delle zone di interesse tedesco e sovietico era stata effettuata e che «un particolare accordo era stato concluso nell’eventualità in cui l’Inghilterra fosse riuscita effettivamente a trascinare la Polonia in guerra». Per il resto, il testo dei protocolli fu a lungo ignorato; la loro stessa esistenza rimaneva una pura ipotesi che nessuno poteva o voleva verificare. Il bubbone è scoppiato al processo di Norimberga. Nella seduta del 25 marzo 1946, l’avvocato Seidl, difensore di Rudolf Hess, depositava l’affidavit2 di Gaus, consigliere giuridico della Wilhelmstrasse, che aveva accompagnato Ribbentrop a Mosca e che aveva 1 [Il proclama del Führer al Popolo tedesco, in Adolf Hitler, Discorsi di guerra, prefazione di Roberto Farinacci, Roma, Ronzon Editore, 1941, pp. 309-317. Alla sola p. 312 il seguente, unico passo di riferimento al Patto germano-sovietico: «Mentre la Germania, nella primavera del 1940, conformemente allo spirito del così detto Patto di amicizia, ritirava la sue Forze armate ben lontano dal confine orientale ed anzi sguarniva gran parte di questi territori, incominciava nel contempo dall’altra parte dei confini l’ammassamento di forze russe in misura tale che non poteva essere interpretato se non come una premeditata minaccia contro la Germania». Il dittatore nazista ne aveva però parlato diffusamente ed in termini entusiastici quasi due anni prima, il 6 ottobre 1939, all’indomani della capitolazione della Polonia, nel suo Discorso pronunciato dinnanzi al Reichstag convocato in seduta straordinaria, Ibid., pp. 15-55, e, nello specifico dell’alleanza germano-sovietica, pp. 32-35, 42-43]. 2 [Istituto presente nel diritto anglosassone consistente in dichiarazione scritta giurata resa ad autorità autorizzata a riceverla e con valore di prova testimoniale da leggere in dibattimento con il consenso dei patroni delle parti].

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preso parte attiva alla stesura del patto e del protocollo segreto. Il rappresentante sovietico dell’accusa Rudenko si oppose formalmente alla lettura del documento. L’avvocato Seidl, per contro, dichiarò che se non se ne fosse data lettura, si sarebbe visto costretto a citare come testimone lo stesso Molotov… Questa minaccia spinse il tribunale ad autorizzare qualche giorno dopo la lettura dell’affidavit di Gaus. Rudenko vi si oppose di nuovo – come era solito fare ogni volta che la difesa provava a ricordare l’esistenza del protocollo segreto – e questa volta ricorrendo ad una singolare argomentazione: «Vorrei semplicemente richiamare l’attenzione del Tribunale sul fatto che noi non ci occupiamo di questioni che riguardano la politica dei Paesi alleati, ma che facciamo il processo ai grandi criminali di guerra». Ora, l’attacco di Hitler alla Polonia, in quanto rubricato quale crimine di guerra, figurava tra i principali capi d’imputazione contro i gerarchi nazisti che avevano tutto l’interesse a ricordare che il «crimine» era stato perpetrato da entrambi i Paesi. A questo proposito, così dirà Ribbentrop al processo: «Se qui si parla di aggressione, allora entrambi i Paesi sono colpevoli»3. Vera o falsa che fosse, questa dichiarazione doveva essere presa in considerazione dai giudici, che non potevano farlo senza tener conto del protocollo segreto. Così quest’ultimo entra nel processo a tutti gli effetti. Il Tribunale non può più ignorarlo. Almeno tre fra i principali estensori o ispiratori tedeschi del patto – dopo la decisione del Tribunale di rinunciare a convocare Molotov… – forniranno sul protocollo, oralmente o con testimonianza scritta, abbondanti particolari: Ribbentrop, il Segretario di Stato Weiszaecker e il consigliere Gaus. Il testo dei protocolli segreti, quello del 23 agosto come quello del 28 settembre apparve sulla stampa. Per quanto è a mia conoscenza, il Manchester Guardian è stato il primo a pubblicarlo4. In seguito, pure alcuni altri giornali lo riprodussero. Il 14 ottobre 1946, C.P. Mayhew, sottosegretario britannico agli Esteri, dichiarava alla Camera dei Comuni che «la Gran Bretagna era in 3 Procès de Nuremberg, vol. X, pp. 13-15, 201-204, 325-327. L’affidavit di Gaus è stato pubblicato integralmente in Nazi Conspiracy and Aggression, Washington, 1948, Supplement B, pp. 134-143. 4 Numero del 30 maggio 1946. L’articolo del giornale liberale britannico venne riprodotto in «Une semaine dans le monde» del 29 giugno 1946.

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possesso del testo dell’accordo segreto germano-russo», testo che era stato scoperto in Wilhelmstrasse5. Pochi episodi della storia sono oggi tanto solidamente certi quanto l’esistenza dei protocolli; alcuni partecipanti a quel viaggio a Mosca hanno aggiunto ulteriori testimonianze su fatti la cui verità non è più contestabile6.

5

«Le Monde», 16 ottobre 1946. Oltre l’affidavit Gaus nonché la qui successiva nota 18 [nota 3 del capitolo VIII della presente edizione], è necessario ricordare in particolare l’opera dell’interprete ufficiale della Wilhelmstrasse Paul Schmidt, Sur la scène internationale, Paris, Plon, 1951, p. 205, e quella recentissima di Gustave Hilger, il solo che ha assistito a tutti i colloqui svoltisi a Mosca (Gustave Hilger-Alfred Meyer, The Incompatible Allies, New York, Macmillan, 1953, p. 305). I testi dei protocolli segreti di agosto e settembre sono ora riportati nel volume III (già citato nella precedente nota 21 [nota 11 del capitolo III della presente edizione]) dei Soviets Documents on Foreign Policy, pp. 360-361, 378379. 6

vi. Quattro documenti falsi in un colpo solo

Il patto del 23 agosto preoccupa a tal punto i nostri autori che intendono sì «celebrarlo», ma soltanto dopo averlo separato dal protocollo che gli conferisce il suo significato reale e dopo averlo corredato di tutta una serie di documenti falsi. Ecco, allora, che quattro di essi ci sono serviti in un colpo solo. Si tratta di un rapporto attribuito al pilota che condusse a Mosca Ribbentrop ed i suoi collaboratori tedeschi, di due rapporti del consigliere giuridico Gaus ed uno dello stesso Ribbentrop a Hitler. Questi quattro «documenti» sono dei falsi clamorosi e grossolani. Essi sarebbero stati trovati a Berchtesgaden1; a questo proposito non ci viene però fornito alcun altro preciso riferimento. Un giornale del Loiret, La Nouvelle République, avrebbe pubblicato queste «rivelazioni sensazionali» nel suo numero del 22 aprile 19472. Va precisato che si tratta de La Nouvelle République du Centre-Ouest, quotidiano regionale che ha sede a Tours e che, in tutte le sue edizioni dipartimentali (ivi compresa quella del Loiret), ha iniziato lo stesso giorno la pubblicazione dei documenti. Questi erano stati forniti al giornale dall’agenzia Coordination, che aveva legalizzato la sua posizione giuridica depositando lo statuto all’inizio del marzo 1947, qualche settimana prima delle «rivelazioni», e firmati da un certo André Guerber, personaggio sul quale desidereremmo avere qualche informazione per non lasciare nell’ombra le sue notevoli capacità professionali. C’è da 1

[Il noto rifugio di montagna di Hitler sulle Alpi Bavaresi, ai confini con l’Austria]. Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 156, nota 2 [Così in traduzione pure formalmente pedissequa: «Si veda: “Rivelazioni sensazionali”, di André Guerlen in “La Nouvelle République d’Orléans”, 22 aprile 1947». Per effetto di un probabile refuso il cognome citato è errato; quello giusto è infatti, come scrive esattamente Tasca nel testo, Guerber]. 2

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dire, intanto, che Coordination ha in seguito abbandonato le sue prestigiose tradizioni storiche e si contenta oggi di passare informazioni a giornali come Radar, Rêves, Détective, Horoscope e via dicendo. Quando, per la prima volta, su Preuves, mi sono preoccupato di denunciare le truffe commesse o avallate dai nostri due autori, avevo letto soltanto qualche passo dell’articolo da loro citato. Ma poi, non senza difficoltà, ho potuto risalire alla fonte, cioè consultare per intero e far fotografare gli articoli de La Nouvelle République. Mi sono così accorto che i due «agrégés»3 (professori in quale disciplina?) avevano battuto un record, falsificando il documento falso del 1947 attraverso sapienti, strumentali amputazioni del testo. Per mancanza di spazio, ci spiace non poterci occupare, come sarebbe opportuno, della prima parte dell’articolo del 22 aprile del 1947 per fornire una completa informazione ai nostri lettori4. Ci limitiamo ad annotare soltanto che, dopo aver vissuto un solo giorno, i quattro documenti scomparvero dalla circolazione; malgrado la loro «eccezionale» importanza, nessuno ha osato riprenderli in considerazione; dopo un’eclissi di sei anni Bouvier e Gacon li ripescano e danno loro una rilevanza di primo piano effettuando, attraverso essi, l’analisi del patto germano-sovietico5. Occorreva l’improntitudine degli autori e la pressione su loro esercitata dal Partito comunista perché osassero resuscitarli. Esaminiamo allora il loro bel lavoro. 3

[Le virgolette sono del traduttore]. Parte che non è stata neppure riportata dai nostri Autori; nell’articolo, inoltre, anche la cronologia vi è stata molto maltrattata: alla data del 21 agosto 1939, la delegazione anglo-francese si sarebbe trovata a Mosca «da più di tre settimane», mentre vi era arrivata l’11 agosto ed i colloqui erano iniziati il giorno successivo; dobbiamo tralasciare altre «perle» simili a questa [Va tuttavia qui segnalato che l’errata cronologia, esattamente stigmatizzata da Tasca, non è fatta propria da Bouvier e Gacon che, a p. 121 della loro opera, correttamente scrivono: «la missione anglo-francese parte 11 giorni dopo il 25 luglio e arriva a Mosca l’11 agosto». Sui tempi di percorrenza di questo viaggio, eloquente l’opinione di Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. I, pp. 775-776, che scrive: «Non si può dire che le missioni militari anglo-francesi furono inviate a Mosca con grande sollecitudine. In aereo esse sarebbero giunte in un giorno. Partirono invece a bordo di una lenta nave, un piroscafo per merci e passeggeri, che per raggiungere l’Unione Sovietica impiegò lo stesso tempo che sarebbe occorso alla Queen Mary per arrivare in America. La missione salpò per Leningrado il 5 agosto e non fu a Mosca che l’11. Era troppo tardi. Hitler li aveva già battuti»]. 5 [Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., pp. 156-161]. 4

vii. Un comandante pilota molto furbo

i documento falso. L’Oberführer delle S.S. Baur1 sarebbe stato il comandante dell’aereo che ha portato a Mosca Ribbentrop ed i suoi collaboratori tedeschi2 in occasione del loro primo ed unico viaggio, perché il secondo, com’è avvenuto per la guerra di Troia, non c’è mai stato… Egli racconta nel «documento confidenziale», pubblicato a firma di Guerber e poi ripreso dai nostri autori, che il mattino del 23 agosto «mi giunge un messaggio in codice: era destinato al signor von Ribbentrop. Si trattava delle ultime istruzioni del Führer. Decifrai subito il messaggio che diceva: 1° Il Führer ordina al signor von Ribbentrop di raggiungere ad ogni costo un accordo con i Sovietici. 2° Promettere al governo di Mosca tutto ciò che vorrà. 3° Non intavolare negoziati sulla Romania dovendo essere trattata la sola questione polacca. 4° Concludere al più presto un accordo economico con l’Unione Sovietica. Il ministro degli Esteri tedesco si era seduto accanto a me nella carlinga. Gli passai il documento. Mi ringraziò e chiamò a sé i suoi più stretti collaboratori»3. 1

[Hans Baur era il pilota personale di Hitler]. Per rendere più interessante il loro racconto, i due falsari precisano che si trattava dell’aereo personale di Hitler, il Condor «Grenzland» [Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 157]. Si trattava più semplicemente di un aereo quadrimotore Condor FW 200, come si legge in Schmidt, Sur la scène internationale, cit., p. 201 [Sotto il profilo squisitamente storiografico la questione così posta appare scarsamente significativa; peraltro, a detta di Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. I, cit., pp. 826-827, i velivoli che «atterrarono a Mosca a mezzogiorno del 23 agosto» furono «due grandi aerei da trasporto Condor con a bordo la numerosa delegazione tedesca»]. 3 «La Nouvelle République du Centre-Ouest», 22 aprile 1947. 2

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Questo comandante pilota è un uomo sorprendente. Il cifrario utilizzato per i messaggi a Ribbentrop era uno dei più segreti della Wilhelmstrasse. L’S.S. Baur lo conosceva tanto bene che poté «decifrarlo rapidamente» e passarlo al ministro. Egli sa con certezza che queste sono le ultime istruzioni di Hitler a Ribbentrop prima del suo arrivo a Mosca; ne ha conservato il testo e sente il bisogno di riprodurlo per coloro che lo hanno inviato. Disgraziatamente per questo falsario e per i suoi complici, si possiede il testo delle «ultime istruzioni» di Hitler a Ribbentrop nella mattinata del 23 agosto. Esse sono state inviate in codice cifrato non a Baur, che si trova sull’aereo, ma all’ambasciata tedesca di Mosca, ove Ribbentrop le trovò al suo arrivo. Ne abbiamo già pubblicato la parte essenziale circa cinque anni or sono4. Eccone qui la sua integrale riproduzione: comunicazione telefonica da salisburgo Berlino 23 agosto 1939 r.m.422/39 Ambasciata di Mosca Telegramma cifrato Cifrario segreto N°201 urgente al ministro degli esteri del reich Il Führer desidera vivamente che, nel quadro delle conversazioni in corso, sia specificato che, una volta concluso l’accordo tra Germania e Russia sui problemi dell’Europa Orientale, questi ultimi siano considerati come appartenenti esclusivamente alla sfera d’interesse della Germania e della Russia. weiszäcker 4 Deux ans d’alliance germano-soviétique, Paris, A. Fayard, 1949, p. 49 [Anche questo libro venne pubblicato da Tasca sotto lo pseudonimo A. Rossi (l’iniziale del nome è sciolta nell’Opac della Biblioteca Nazionale di Francia in «Amilcare»; in «André», invece, da Muraca, Fra antistalinismo e guerra fredda, cit., p. 195) ma, nella sua traduzione italiana operata da Aldo Garosci, l’autore viene indicato con il suo vero nome ed il titolo integrato con il sottotitolo diacronico che nel presente volumetto Tasca sistematicamente omette. Così la prima di copertina dell’edizione italiana: Angelo Tasca, Due anni di alleanza germano-sovietica (Agosto 1939 – Giugno 1941), Firenze, La Nuova Italia, 1951, e 1989 in anastatica. Nell’edizione italiana, il documento in argomento è inserito, in copia fotostatica dell’originale in tedesco e in traduzione, tra le pp. 48-49].

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E questo testo fu decifrato all’interno della stessa ambasciata ove Ribbentrop si era recato subito dopo aver lasciato l’aeroporto. L’accordo germano-sovietico per un patto di non-aggressione era già stato raggiunto definitivamente con la lettera di Stalin ad Hitler del 21 agosto5; il viaggio di Ribbentrop doveva soprattutto portare a compimento le trattative per il protocollo segreto relativo alle questioni territoriali, protocollo che, per volere di Stalin, doveva costituire «parte integrante» dell’accordo. I colloqui furono condotti con molta circospezione da entrambe le parti, e Hitler, anche se già incalzato dalla programmata avventura polacca, non esitò ad ordinare a Ribbentrop di sottoscrivere un accordo «ad ogni costo», ovvero di promettere qualunque cosa potesse «far piacere» ai Sovietici. I falsari hanno inventato di sana pianta questi due punti del «messaggio» per provare, come Bouvier e Gacon, loro degni imitatori del 1953, che a) nulla di importante era avvenuto prima del 23 agosto; b) ogni iniziativa partiva da Berlino. Relativamente ad un terzo punto, era nelle loro intenzioni provare che i colloqui si erano svolti sulla sola questione polacca e su null’altro. A questo punto, è evidente il motivo per cui i falsari del 1953 passano sotto silenzio questa parte del «rapporto» dei falsari del 1947. Sei anni dopo la tesi da loro sostenuta è che sia stato concluso un semplice patto di non-aggressione e che dunque nulla era stato convenuto circa la sorte della Polonia. Il documento falso del 1947 diventava imbarazzante. Quanto alla Romania, i falsari del 1947 ignoravano che, nei colloqui del 23 agosto, i negoziatori sovietici avevano sollevato la questione della Bessarabia, e che il protocollo segreto consegnava loro questa provincia. Infatti, l’articolo 3 recita: «Per quanto concerne l’Europa del Sud-Est, si sottolinea, da parte sovietica, l’interesse per la Bessarabia. Da parte tedesca, viene dichiarato il totale disinteresse politico per questa regione»6. 5 Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., p. 69; Soviet Documents on Foreign Policy, cit., vol. III, cit., pp. 358-359. 6 Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., p. 78; Soviet Documents on Foreign Policy, cit., vol. III, cit., p. 361; e pure Hilger-Meyer, The Incompatible Allies, cit., p. 303.

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Inoltre, i tedeschi sapevano assai bene che il patto di nonaggressione non avrebbe potuto essere firmato se le richieste sovietiche relative alla Polonia, ai Paesi Baltici e alla Bessarabia non fossero state soddisfatte. Quanto alle questioni economiche (punto 4), un primo accordo era già stato raggiunto il 20 agosto; esse non saranno dibattute in occasione del primo viaggio di Ribbentrop mentre occuperanno uno spazio importante nell’incontro di fine settembre 1939. Il rapporto del «comandante pilota» si conclude peraltro con annotazioni più che mai comiche. A suo dire, mentre l’aereo era in fase di atterraggio sull’aeroporto di Mosca avrebbe sentito con le sue orecchie Ribbentrop esclamare rivolto ai suoi collaboratori e a voce così alta da coprire i rumori dell’aereo: «La partita che ci accingiamo a giocare si presenta difficile. Si tratta di sopire la diffidenza dei Sovietici che, domani come oggi, resteranno i nostri nemici. Un giorno la svastica sventolerà qui al posto della falce e martello»7. L’orecchio dell’S.S. Baur è un vero microfono: «Alle 12,31 atterrammo. Ribbentrop stringeva a sé una cartella di cuoio rossiccio; egli disse al barone von Dornberg: “I Sovietici non dovranno assolutamente sapere ciò che porto con noi”. Von Dornberg rise, ma Ribbentrop restò serio»8. Come ormai risulta da molteplici testimonianze, queste dichiarazioni non corrispondono affatto allo stato d’animo di Ribbentrop al suo arrivo a Mosca. Ribbentrop per mesi aveva mantenuto, sui suoi piani e su quelli di Hitler, un silenzio più che prudente, assoluto; non aveva mai confidato nulla ai suoi collaboratori. La sua dichiarazione ad alta voce nella cabina dell’aereo verso il quale stavano avvicinandosi gli ospiti sovietici e, a terra, dopo essere disceso dall’aereo, sarebbe stato, da parte sua, il tradimento di un segreto di Stato. Ribbentrop era un convinto fautore dell’accordo con il Kremlino, accordo che doveva costituire per lui uno straordinario successo personale. Ma le parole riportate nel presunto documento Baur non sono soltanto assurde; esse sono false, perché tutto il documento è falso. 7 Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 157 [citazione che gli autori hanno estratto da «La Nouvelle République du Centre-Ouest», 22 aprile 1947, cit.]. 8 [Per questa citazione, Tasca torna ad attingere direttamente a «La Nouvelle République du Centre-Ouest», 22 aprile 1947, cit. La sottolineatura di «non» è nel testo].

viii. I due falsi rapporti di Gaus

ii e iii documento falsi. Dei due pretesi «rapporti » di Gaus, uno riguarda la prima conversazione del 23 agosto, quella svoltasi nel pomeriggio. Gaus vi descrive l’incontro di Ribbentrop con Stalin [leggasi Molotov1] e l’arrivo di Stalin nella stanza della riunione. I falsari sono qui presi con le mani nel sacco: Gaus non era presente; egli ha partecipato soltanto alla seconda riunione, quella iniziata la sera e prolungatasi sino al mattino del 242. I nostri autori non potevano ignorare questo fatto anche se non hanno letto i verbali del processo di Norimberga, né l’affidavit, l’unico esistente, di Gaus. E ciò perché essi citano soltanto cinque righe di un’intervista dello stesso Gaus, pubblicata da Gaston Oulman su Le Monde, nel 19493. Infatti, in questa intervista Gaus dichiara che non ha assistito al primo colloquio di Ribbentrop con 1 [Sembrerebbe trattarsi di un lapsus di Tasca già rilevabile nella prima parte del saggio pubblicato su «Preuves», n. 35, a. IV, gennaio 1954, cit., p. 29, imputabile, con tutta probabilità, ad una sua insistita distrazione. Infatti così Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 159, traducono il racconto di Gaus: «Fummo introdotti in un ufficio. Lì c’era Molotov. Ci stringemmo assai freddamente la mano e subito iniziò la conversazione [...] Ma all’improvviso sopraggiunse un nuovo personaggio [...] L’uomo che avevamo di fronte altro non era che Stalin»]. 2 Al primo incontro, durato tre ore, erano presenti, per parte tedesca, soltanto Ribbentrop, von Schulenburg e Hilger nella veste di interprete. [Sull’assenza di Gaus al primo colloquio pure Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. I, cit., p. 829]. 3 «Le Monde», 19 febbraio 1949 [ma in Bouvier et Gacon, «Le Monde», 29 febbraio 1949]. In questa intervista, Gaus precisa che dopo il primo incontro con Stalin e Molotov, all’ambasciata tedesca si tenne una riunione nella quale furono redatti «minuziosamente ma rapidamente» i protocolli degli accordi segreti; furono così già pronti prima del secondo incontro, che fu quasi interamente a loro dedicato. In una nota, Gaston Oulman, insiste sulla sicura autenticità dei protocolli [Queste le cinque righe dell’intervista citate da Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 157: «Senza profferire parola, frase o commento i Russi cercavano di incoraggiare la nostra azione contro la Polonia. Non si parlava affatto di guerra ed essi ci lasciavano ai nostri pensieri»].

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Stalin e Molotov, colloquio che il suo presunto «rapporto» descrive con tanta dovizia di particolari. Il falso è stato dunque utilizzato consapevolmente. C’è ora pure la testimonianza precisa di Hilger che, lui sì, ha assistito al primo incontro del pomeriggio del 23. Non c’è stato l’ingresso più o meno spettacolare di Stalin nel corso della conversazione già iniziata. Quando i negoziatori tedeschi furono introdotti nella stanza della riunione, Stalin era già lì, in piedi vicino a Molotov4. Il secondo «rapporto» di Gaus è fatto della stessa farina. Riguarda la riunione della sera e della notte. Vale la pena estrapolarne un passaggio che prova essere, questo rapporto, un falso e porta allo scoperto la ragione per la quale Bouvier e Gacon se ne sono serviti. Molotov avrebbe dichiarato con fermezza: «È fuori questione che si possa concludere un patto di amicizia. C’è troppa differenza tra i nostri rispettivi punti di vista»5. E ciò perché si doveva dimostrare che non c’era mai stato un trattato di alleanza tra l’Unione Sovietica e la Germania hitleriana… Le differenze di punti di vista che Molotov avrebbe rilevato potevano essere di due specie: differenze ideologiche e differenze di interessi. Le differenze ideologiche non hanno minimamente influito nei rapporti tra Sovietici e Tedeschi. I negoziatori, prima, Molotov poi, così come i dirigenti dell’Internazionale comunista, hanno spiegato nel corso di circa due anni che la differenza ideologica non doveva costituire un ostacolo ad una stretta collaborazione russa con la Germania hitleriana6. Peraltro, le trattative intercorse tra Germania e Unione Sovietica dimostravano che, sul piano dei rispettivi interessi, la concilia4 Hilger-Meyer, The incompatible Allies, cit., p. 301 [Questo il passo in questione come risulta in traduzione italiana dal testo citato: «Quando von Ribbentrop, accompagnato dal Conte Schulenburg e da me, entrò al Cremlino per la prima volta il 23 agosto, era convinto che avrebbe prima trattato con Molotov da solo, e che la presenza di Stalin sarebbe subentrata in una successiva tappa dei negoziati. Rimase quindi molto sorpreso quando, entrando nella stanza, trovò Stalin accanto a Molotov. Fu una mossa calcolata per prendere alla sprovvista il ministro degli esteri, ma anche per lasciar intendere che la trattativa si sarebbe dovuta concludere in quel preciso momento o mai più»]. 5 Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 160. 6 Si vedano i riferimenti in Rossi, Deux ans d’alliance germano-soviétique, cit., pp. 96-97 [pp. 84-85 nell’edizione italiana]; e pure in Idem, Les Cahiers du Bolchevisme pendant la campagne 1939-1940, Paris, D. Wapler, 1952, pp. XV-XVIII.

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zione era perfettamente possibile. Il bottino, per entrambe, le parti, sarebbe stato cospicuo. Molotov lo riconoscerà anche nel 1940, in occasione del suo primo colloquio con Hitler a Berlino. Infatti, dopo aver espresso l’opinione che «sarebbe nel comune interesse della Germania e dell’Unione Sovietica collaborare e non combattersi», Molotov dichiarava che aveva ricevuto da Stalin «precise istruzioni»; e tutto ciò che avrebbe detto «corrispondeva esattamente alle opinioni di Stalin». Egli condivideva, dunque, come lo stesso Stalin, «il parere del Führer secondo il quale entrambe le parti avevano tratto vantaggi sostanziali dall’accordo germano-russo»7. Le ideologie non erano tenute in alcun conto; gli interessi coincidevano. È inutile insistere oltre il necessario sull’analisi di questi documenti falsi, perché di documenti falsi si tratta.

7 Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., p. 232 [Così, a questo proposito, il recentissimo John Lukacs, 22 giugno 1941. L’attacco alla Russia, Milano, Corbaccio, 2008, p. 65: «Il fatto stesso di un’alleanza con Hitler e le sue prospettive, che erano di natura territoriale, riempivano di soddisfazione Stalin: l’Unione Sovietica avrebbe riconquistato quelle terre dell’Europa orientale, un tempo possesso dell’impero russo, che il predecessore di Stalin, Lenin, aveva perduto»].

ix. La cartella di Ribbentrop

iv documento falso. Poiché l’S.S. Baur e Gaus non bastano a fornire materiale sufficiente alla loro tesi, i falsari non esitano affatto a chiamare in causa lo stesso Ribbentrop. Inventano di sana pianta un rapporto che questi avrebbe inviato a Hitler la sera stessa del 23 agosto1. Però non c’era un filo diretto né dall’ambasciata, né dal Kremlino (dove si trovava Ribbentrop) con Berchtesgaden; le comunicazioni telefoniche, le sole possibili per i negoziatori pressati dal desiderio di chiudere le trattative, dovevano passare attraverso la Wilhelmstrasse, a Berlino, che le ritrasmetteva a Hitler. La stessa strada era seguita in senso inverso. Non c’è alcuna traccia di un rapporto di Ribbentrop sulla riunione del pomeriggio2. Del resto, oggi si sa che, in quella riunione, l’accordo era già stato definito nelle sue linee essenziali3: i suoi collaboratori videro Ribbentrop tornare raggiante all’ambasciata. Gaus precisa nel suo affidavit: «Il ministro degli Esteri rientrò assai soddisfatto, e dicendosi certo che il patto che i Tedeschi s’erano sforzati di raggiungere sarebbe stato concluso». Paul Schmidt prese parte ad una breve cena tra le due riunioni – quella del pomeriggio e quella della 1 [In effetti Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 159, parlano di un non meglio specificato «message», né indicano il mezzo ed il momento dell’invio]. 2 [È, però, fatto non controverso che, alla fine della prima riunione di circa tre ore del pomeriggio del 23, Ribbentrop si mise in contatto con Hitler. Controverso è invece il mezzo utilizzato per il contatto: secondo Tasca, Due anni di alleanza germano-sovietica, cit., p. 35, «Ribbentrop telefona a Hitler»; secondo Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. I, cit., p. 827, «Ribbentrop informò Hitler con un telegramma “urgentissimo”»]. 3 [L’interruzione del colloquio del pomeriggio ed il contatto stabilito da Ribbentrop con Hitler riguardava una questione di secondaria importanza per Hitler ma, come scrive Tasca, Due anni di alleanza germano-sovietica, cit., p. 35, “essenziale per Stalin”, e cioè la richiesta da parte dell’Unione Sovietica di inserire nella sua sfera di influenza sul Baltico i due piccoli porti lettoni di Libau e Windau].

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sera – e udì il suo ministro esclamare più volte: «Tutto procede magnificamente con i Russi. Raggiungeremo certamente un accordo questa sera stessa»4. Non c’è stato alcun rapporto scritto da Ribbentrop dopo le firme della notte tra il 23 e il 24 agosto. Ribbentrop lasciò Mosca alcune ore dopo la firma degli accordi (le firme furono apposte nelle prime ore del mattino del 24, ma il Patto fu datato 23); egli pensava di recarsi a Berchtesgaden per fare di persona il suo rapporto ad Hitler. Durante il viaggio, l’aereo prese però la strada per Berlino perchè Hitler aveva lasciato Berchtesgaden per portarsi nella capitale per incontrarvi quanto prima il suo ministro che, così, poté vederlo nel pomeriggio dello stesso 24 agosto. Del «rapporto» di Ribbentrop, i nostri Autori citano soltanto qualche riga secondo la quale Stalin avrebbe accolto i negoziatori tedeschi dicendo: «Non ignoriamo che il vostro obiettivo finale è quello di attaccarci»5. Queste parole non sono mai state pronunciate nel corso dei colloqui di Mosca: ogni testimonianza autentica dei partecipanti lo esclude, così come l’atteggiamento assunto negli scambi di vedute tra gli interlocutori soprattutto dopo la metà di agosto. Non difendiamo l’inverosimile, peraltro spinto sino all’assurdo; il documento non è soltanto inverosimile, è falso. La cartella di Ribbentrop, che ha già avuto una sua parte nel «rapporto» dell’S.S. Baur, avrebbe contenuto un documento indicato soltanto con tre lettere D.D.D. Non si tratta di una nuova marca di insetticida, ma della più «sensazionale» delle «rivelazioni» di Guerber, rivelazioni dalle quali i nostri due autori hanno estratto il fior fiore dei loro falsi. A dire il vero, essi hanno ritenuto opportuno tacere su D.D.D. Forziamo il loro riserbo e la loro modestia trascrivendo, da La Nouvelle République, alla quale li rinviamo, le proposte segrete che Ribbentrop avrebbe portato nella sua borsa a Mosca, per sottoporle a Stalin. Hitler voleva: a) un patto d’amicizia di 25 anni tra il Reich e la Russia; b) una dichiarazione di guerra alla Francia e all’Inghilterra; c) ottenere dalla Russia mano libera in Polonia, in Romania, in Bulgaria, in Jugoslavia e in Grecia; 4 5

Schmidt, Sur la scène internationale, cit., 204. Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 159.

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d) proporre a Mosca un accordo commerciale sulla base di oltre 6 miliardi di marchi (la Russia doveva consegnare petrolio, ferro, manganese e 500.000 lavoratori). In contropartita, il Reich avrebbe fornito alla Russia manufatti e fertilizzanti; e) infine, il Reich si dichiarava pronto ad accettare il controllo sovietico sull’India. Guerber sottolinea che nessuna di queste clausole è stata accettata dai Sovietici. Ciò è tanto più vero quanto più nessuna di queste clausole è stata fatta oggetto di una qualche discussione nell’agosto-settembre 1939 tra Berlino e Mosca. Dunque, esse sono da considerarsi una maldestra buffonata. La proposta di un patto di non-aggressione della durata di 25 anni (di un patto di amicizia si parlerà soltanto a settembre) era già stata ufficialmente avanzata da Ribbentrop il 18 agosto, ed i Russi avevano risposto il 19 limitando la durata del patto a 5 o 10 anni6. Non si è mai posta la questione, né da parte tedesca, né da parte sovietica, di una dichiarazione di guerra della Russia a Francia e Inghilterra. Era nelle intenzioni di Hitler proporre la pace alla Francia e all’Inghilterra dopo aver liquidato la Polonia, e sulla base dei vantaggi che il patto tedesco-sovietico aveva garantito ai due contraenti; e Stalin lo incoraggerà su questa strada. La Germania non ha chiesto mano libera per Polonia, Romania, Bulgaria, Jugoslavia, Grecia; persino per la Polonia, le decisioni furono prese dopo alcuni incontri succedutisi tra agosto e settembre. Stalin, da parte sua, chiese carta bianca, ma per la Polonia orientale, i Paesi Baltici e la Bessarabia. È inutile proseguire nell’analisi. Questa è la conclusione: nessun «documento» pubblicato da La Nouvelle République va al di là di una grossolana falsificazione. Si potrebbe facilmente sfidare i nostri «storici», che se ne sono serviti ben sapendo che si trattava di documenti falsi, ad esibirne uno soltanto. Si potrebbe, al più, mostrarli in una esposizione di falsi, come quella che la Biblioteca Nazionale ha organizzato di recente. È attraverso simili modi di procedere o altri, come vedremo più avanti, derivanti da una totale malafede, che le nuove generazioni debbono conoscere la Verità7 sul 1939. 6 7

Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., pp. 62, 66. [L’iniziale maiuscola è di Tasca].

x. A proposito di una fotografia

Dopo i loro numerosi exploits in fatto di falsi e di imbrogli, i nostri due Autori, che abbiamo già visto e vedremo ancora all’opera, si impegnano nell’ingannare, nel confondere le tracce, come talvolta fanno i borseggiatori inseguiti che cercano di salvarsi gridando «Al ladro!». Essi mettono in dubbio l’autenticità delle firme di Ribbentrop e di Molotov che, nella fotografia della quale mi sono servito per illustrare il libro che ho pubblicato nel marzo 19491, si trovano sotto le ultime righe del protocollo segreto del 23 agosto 19392 . Ho estratto questa fotografia dal numero del 25 gennaio 1948 dell’edizione settimanale d’oltremare del NewYork Times, giornale assai serio la cui cautela non poteva essere messa in discussione. Non avevo dunque alcun motivo di dubitare dell’autenticità delle firme raffiguratevi. In effetti, siamo di fronte a due questioni del tutto distinte: quella delle firme nella fotografia del New-York Times e quella 1 Rossi, Deux ans d’alliance germano-soviétique, cit., p. 53 [Nell’edizione italiana la copia fotostatica in questione è inserita tra le pp. 64-65. Peraltro, rileva Muraca, Fra antistalinismo e guerra fredda, cit., p. 194, è nel costume metodologico di Tasca «corredare quasi sempre i i propri scritti della riproduzione fotografica dei documenti più significativi, allo scopo dichiarato di poter consentire al lettore di “constater lui-même combien sont justifiées les conclusions auxquelles nous sommes parvenus”»]. L’edizione inglese di questo libro è apparsa nel 1950 a Londra presso Chapman e Hall senza alcuna illustrazione; per questo motivo, non abbiamo potuto apportare a quel testo la benché minima modifica. 2 [Così Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., pp. 195-196: «Tutti i professionisti dell’antisovietismo hanno preso in molta considerazione un “protocollo segreto” riguardante la Polonia che sarebbe stato annesso al patto del 23 agosto. Sarebbe stato trovato dagli Inglesi a Berlino [...] In seguito la stampa antisovietica ne ha diffuso quello che definisce il testo integrale in copie fotostatiche [...] Una semplice prova che si tratta di un documento falso: l’asserita firma di Molotov alla fine del protocollo è in caratteri latini, mentre ogni firma autentica del Ministro degli Esteri sovietico è evidentemente in caratteri cirillici. Ma c’è di più: dal momento che i falsari hanno male

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dell’autenticità stessa del protocollo. Ora, Bouvier e Gacon hanno volutamente mirato a confondere le due questioni; essi si sono interessati alle firme per negare l’esistenza stessa del protocollo segreto del 23 agosto. Anche se una perizia calligrafica avesse provato che le firme erano state apposte da uno zelante giornalista, della famiglia del genere dei Bouvier e dei Gacon, ciò avrebbe provato soltanto che l’esemplare pubblicato dal New-York Times non era né l’originale, né una copia dell’originale. Ma la prova dell’autenticità del protocollo stesso era stata effettuata assai prima della pubblicazione della fotografia nel supplemento settimanale del New-York Times, poiché risaliva almeno al 1946. Il testo incontestabile del protocollo è stato ufficialmente acquisito agli atti del processo di Norimberga, a seguire l’affidavit di Gaus, attraverso una pubblica dichiarazione del governo britannico e inserito nella raccolta degli atti del Dipartimento di Stato americano3. Un altro inganno, e madornale, ci è poi servito nel libro dei nostri due gentlemen. La raccolta originale dei documenti tedeschi pubblicati a Washington nel 1948 (Nazi-Soviet Relations) non viene da essi mai citata. Si servono invece (peraltro assai raramente) di un’altra raccolta che sostengono essere una traduzione francese della raccolta originale4. Essi affermano, come una delle prove che negano l’esistenza del protocollo del 23 agosto, che questa traduzione «non osa neppure inserirlo»5. Questa affermazione si basa su due menzogne. La pubblicazione francese, che essi si ostinano a chiamare Livre Blanc, contiene soltanto un terzo dei documenti pubblicati a Washington (circa 94 su 260). Ma la scelta fatta dagli editori francesi è ancora più sospetta6. È davvero assai strano che nella loro pubblicazione accordato i loro violini, si pubblicano in caratteri latini firme differenti a seconda del falso utilizzato. Ciò avviene, per esempio, allorché si mettano a confronto la falsa firma apparsa su Carrefour del 4 febbraio 1948 e quella del personaggio che abitualmente opera nelle fucine antisovietiche sotto il nome Rossi ma il cui vero nome è Tasca». I corsivi sono nel testo]. 3 Si vedano [nella presente edizione] le precedenti pp. 21-22. 4 [Jean Sendy, La vérité sur les rapports germano-soviétiques [de 1939 à 1941], Paris, Éditions France-Empire, 1948]. 5 Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 196. 6 [Al di là dell’inconfutabile confronto numerico dei documenti contenuti nelle due pubblicazioni, confronto già di per sé significativo, analoghe perplessità sulla selezio-

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non compaiano i protocolli segreti, sia quelli del 23 agosto, sia quelli del 28 settembre (si noti che mentre vi si propongono i trattati ufficiali che tutta la stampa aveva pubblicato all’epoca, vi si omettono per contro i protocolli segreti che costituivano, tra tutti, i documenti più importanti). Vi mancano, poi: la maggior parte dei colloqui con Astakhov; il documento del 9 aprile 1940 nel quale Molotov auspicava il successo dell’offensiva a Occidente che i Tedeschi avevano appena cominciato a scatenare7, e quello del 18 giugno successivo, nel quale Molotov si congratulava con Hitler per la vittoria conseguita8, e via dicendo. La selezione dei documenti fatta in questo modo è un autentico sabotaggio della pubblicazione americana; resta da stabilire se si è agito così per motivi di opportunità politica oppure per lanciare in fretta e furia un lavoro raffazzonato per un mero motivo commerciale. Poiché non abbiamo molta simpatia per la «caccia alle streghe» vogliamo accettare questa seconda spiegazione*. Ma Bouvier e Gacon sapevano che questa edizione era stata ampiamente mutilata e sapevano pure che non si trattava affatto del Livre Blanc americano, al quale non si sono mai riferiti. ne del materiale documentario e sulla cura del cosiddetto Livre Blanc erano già state espresse alla sua uscita nella rivista del Ministère de l’Éducation Nationale «Persée», n. 3, a. 1948, vol. 13, pp. 275-279. Così E[leuthère] N[icolas] Dzelepy, recensore dell’opera, nella pagina di apertura: «Vengono pubblicati in francese i documenti segreti della Wilhelmstrasse in precedenza pubblicati dal Dipartimento di Stato (Nazi-Soviet Relations, The Department of State, 1948). L’edizione americana era già una selezione di documenti diplomatici riguardanti questo periodo. L’edizione francese lo è ancora di più. È certamente vero che l’editore francese ci garantisce che non si è permesso di operare alcun taglio ai documenti che pubblica. Si è preso però la libertà di non pubblicarne alcuni, e tra i più importanti»]. 7 [Si tratta del giorno dell’ultimatum di accettazione della «protezione da parte del Reich» a Danimarca e Norvegia]. 8 [Il giorno successivo alla richiesta di armistizio, seguita alla disfatta della Francia, avanzata da Pétain alla Germania]. * La Casa editrice «France Empire» si è risentita del severo giudizio che ho espresso nella rivista Preuves sulla pubblicazione in francese dell’antologia di documenti estratti dal Livre Blanc americano. Questa casa editrice, come si legge nella prefazione, era stata guidata «dalla sola preoccupazione di fornire rapidamente al pubblico francese una traduzione di questi documenti inediti e necessari alla comprensione della storia più recente». Ma una raccolta dalla quale vengono esclusi i documenti più importanti che figurano nel vero Livre Blanc americano non contribuisce certamente alla comprensione della storia più recente, anzi. La prova ci viene fornita appunto dai due «storici» comunisti che prendono pretesto proprio dalla mancata presenza nell’antologia dei protocolli segreti per negarne l’esistenza.

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Le conclusioni che essi hanno tratto relativamente all’assenza di questo o di quel documento nella traduzione francese sono dunque arbitrarie e ispirate da una malafede non difendibile.

xi. Un «sondaggio» di Stalin

Per preparare la celebrazione del Patto germano-sovietico, i nostri autori cercano di sbarazzarsi di tutti gli avvenimenti che l’hanno preceduto tra il marzo e l’agosto 1939: per togliere di mezzo ciò che può essere d’intralcio alla loro tesi ed anche per piegarli al loro scopo. Seguiamoli allora nei loro più importanti tentativi, che riguardano: a) il discorso di Stalin nel marzo 1939; b) il siluramento di Litvinov all’inizio di maggio; c) la cronologia delle trattative tra Mosca e Berlino; d) i colloqui a tre anglo-franco-russi. I nostri autori sostengono che il discorso pronunciato da Stalin il 10 marzo 1939 al XVIII Congresso del partito comunista non avrebbe affatto costituito un «invito implicito» alla Germania1; esso proverebbe invece che l’Unione Sovietica era «pronta ad un accordo leale con Francia e Inghilterra, ma non a intrighi di cui sarebbe rimasta vittima»2. Quando Stalin prende la parola al congresso di Mosca è ancora assai risentito per l’accordo di Monaco dal quale la Russia è stata esclusa. Monaco ha senza dubbio rappresentato per la Russia un atto ostile, nel quale essa poteva vedere l’innescarsi di un 1 [Così Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., pp. 58-59: «In effetti, il discorso ufficiale di Stalin era proprio un chiaro avvertimento rivolto ai “pacifisti” di Parigi e di Londra. Ora, si dice, che sarebbe stato un “invito implicito” alla Germania! È in questo modo che lo intendono alcuni autori, ad esempio Tasca, detto Rossi, che va al di là dei limiti della cattiva fede nella sua opera: Deux ans d’alliance germano-sovietique». Il corsivo è nel testo]. 2 Ibid., p. 317.

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pericolo, benché i partners del settembre 1938 non si siano proposti di stipulare un’alleanza antisovietica, anche se in certi ambienti europei ci si pensava. Ma, tra l’ottobre 1938 ed il marzo 1939, la situazione evolve: prima, subito dopo Monaco, lentamente; più rapidamente e decisamente dopo il gennaio 1939, cioè dopo l’insuccesso dei tentativi di Hitler di piegare la Polonia al suo volere. Stalin si rende conto che la strategia della politica hitleriana all’Est avrà il suo più importante contraccolpo ad Ovest. Per un paradosso soltanto apparente, ma che ha una sua logica ben ancorata nella storia europea del nostro tempo, Monaco avrebbe favorito un riavvicinamento germano-sovietico a spese della Polonia, e perciò, di conseguenza, delle potenze occidentali. Nella primavera del 1939, sia la stampa di Berlino, sia quella di Mosca abbandonano i loro attacchi reciproci, in precedenza assai frequenti e assai violenti. Il vento si è placato. Tuttavia Stalin non può sentirsi soddisfatto: vorrebbe far decisamente imboccare all’Unione Sovietica la via della pace, della pace a suo vantaggio, beninteso. Gli è necessario, però, saggiare le intenzioni della Germania; i sondaggi effettuati da alcuni emissari sovietici risultano utili ma non sufficienti, e allora decide di assumere personalmente l’iniziativa. Con il discorso del 10 marzo Stalin ribadisce le posizioni bolsceviche più ortodosse: il tono non è più quello che aveva usato Litvinov a Ginevra nel periodo delle situazioni di allerta seguite al 1933. Non si parla più del «fronte delle democrazie», ma della riproposizione della classica analisi rivoluzionaria della situazione mondiale che presenta oggi più che mai l’antinomia ben nota: i Paesi capitalisti in grave crisi e la Russia in piena espansione. La crisi economica e sociale spinge i Paesi capitalisti a combattersi; queste sono le loro «contraddizioni» che caratterizzano la situazione e ne determinano gli sviluppi3; tuttavia, coloro che sperano di spingere la Germania contro la Russia si sbagliano di grosso: la Germania non è più attratta dal miraggio delle pianure ucraine, ma solo animata dalla volontà di liquidare il trattato di Versailles: «La Germania, gravemente provata dalla prima guerra impe3 Stalin effettuerà la stessa analisi e cercherà di trarne le stesse conclusioni al XIX Congresso del partito, nell’ottobre 1952, allorché si tratterà di preparare daccapo, mutatis mutandis, un «rovesciamento delle alleanze».

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rialista e dal trattato di Versailles, si è alleata con il Giappone e l’Italia ed ha voluto l’espansione del suo territorio in Europa, la restituzione delle colonie che le erano state tolte dai vincitori»4. È dunque per questo motivo che «i Tedeschi, piuttosto che spingersi ancor più verso Est, contro l’Unione Sovietica, si sono rivolti, lo vedete bene, verso Ovest e reclamano le colonie». I Paesi occidentali se lo sono davvero voluto – afferma Stalin tra l’altro – per la loro politica di non-intervento, di neutralità, malgrado la schiacciante superiorità delle loro forze. Il piano tedesco di unire l’Ucraina sovietica alla piccola Ucraina subcarpatica è una frottola divertente sulla quale egli ora fa dell’ironia5; pure il famoso «Patto anticomintern» non è altro che una «mal riuscita commedia di camuffamento» della quale i tre Stati del «triangolo» (Germania, Italia e Giappone) si sono serviti per preparare «una guerra contro gli interessi dell’Inghilterra, della Francia, degli Stati Uniti». Stalin è davvero tanto certo che il pericolo tedesco si è definitivamente orientato verso le democrazie occidentali? Ostentare questa quasi-certezza di fronte al pericolo è per lui anche un modo per esorcizzarlo. Ma la sua fiducia sottintende un appello. Per questo motivo orienta decisamente la sua politica verso la pace e su questi punti egli fissa gli impegni del partito comunista e dell’Unione Sovietica in politica estera: I.

Continuare la politica di pace e di consolidamento dei rapporti economici. II. Essere cauti e non permettere agli istigatori alla guerra, usi a far tirare fuori le castagne dal fuoco dagli altri, di trascinare il nostro Paese in qualche guerra. 4 [Questo ed i successivi passaggi del discorso sono estrapolati dal resoconto ufficiale riprodotto nell’edizione francese di Joseph Staline, Les questions du léninisme, Paris, Éditions Sociales, 1947, 2 voll. Un ampio estratto di questo discorso, corredato da brevi interventi di raccordo tra le parti, costituisce la seconda «Appendice» del volume di Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., ed occupa le pp. 309-317; le estrapolazioni effettuate da Tasca si leggono in questo volume alle pp. 310, 314317]. 5 Qualche giorno dopo, Hitler avallerà in qualche modo le affermazioni di Stalin, quando, subito dopo l’occupazione della Cecoslovacchia, consentirà l’annessione dell’Ucraina subcarpatica da parte dell’Ungheria, la qual cosa sopprimeva il preteso «Piemonte ucraino».

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III. Aumentare

in tutti i modi il potenziale bellico dell’Armata rossa e della nostra Marina. IV. Rafforzare i legami internazionali di amicizia con i lavoratori di tutto il mondo interessati al mantenimento della pace e dell’amicizia tra i popoli»6. Nessuna interpretazione, sia pure «dialettica», può togliere a queste conclusioni il loro effettivo significato: la Russia vuole restare in pace con tutti i Paesi e con loro concludere affari «per un periodo così lungo che essi non cercheranno di arrecare danno ai suoi interessi»; la Russia diffida di tutti i provocatori che volessero trascinarla «in qualche guerra»; per sostenere questa politica di pace, l’Unione Sovietica dispone di due mezzi: l’incremento della sua potenza militare ed il sostegno del proletariato internazionale, cioè dei partiti comunisti. Peraltro, quest’ultima linea politica di pace è così enunciata in un altro passaggio dello stesso discorso, «per il sostegno ai popoli vittime di aggressioni che lottano per la loro indipendenza nazionale»; ma, da un lato, questo impegno non è citato tra i quattro indirizzi del partito relativi alla politica estera; dall’altro, esso esprime un «sostegno» generico senza indicarne limiti e modalità7. In primo piano c’è dunque la volontà di perseguire la pace ed una politica autonoma mirata e tener fuori la Russia dalla «seconda guerra imperialista», cioè dalla guerra alla quale stanno inevitabilmente avviandosi i Paesi «capitalisti».

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Staline, Les questions du léninisme, cit., p. 595. In un discorso pronunciato il 31 maggio 1939 al Soviet Supremo, Molotov ricorda le testuali parole usate da Stalin il 10 marzo, ed afferma che esse «si adattano perfettamente alla Cina e alla sua lotta per l’indipendenza nazionale» (Soviet Documents on Foreign Policy, cit., vol. III, cit., p. 340). Si trattava, nello specifico, della Cina e della sua lotta alla quale i Russi erano direttamente interessati, perché la resistenza cinese avrebbe tenuto il Giappone lontano dai confini sovietici; un simile «sostegno» sarebbe stato fornito dall’Unione Sovietica alla Cina nell’intento di evitare, per quanto possibile, un conflitto aperto con il Giappone. 7

xii. I tedeschi hanno capito bene

Il discorso di Stalin del 10 marzo presentava ancora alcuni aspetti poco chiari e Berlino si chiede se non ci sia qualcosa «di nuovo all’Est». I nostri Autori negano ciò con insistenza e categoricamente; sull’argomento essi ignorano, o falsano, o sopprimono riferimenti e testimonianze1. Che Stalin, con il suo discorso, abbia voluto far intendere alla Germania che era incline ad imboccare una nuova strada, non può essere messo in dubbio. I Tedeschi non hanno percepito subito tutta l’importanza del discorso di Stalin2, sul quale, però, stanno riflettendo. Del resto, in quel momento hanno preoccupazioni più urgenti: quattro giorni dopo il discorso pronunciato da Stalin, il presidente cecoslovacco Hacha è stato convocato a Berlino da Hitler che, il 15 marzo, fa il suo ingresso a Praga. Da parte loro, gli Alleati, colti di sorpresa dal fulmine a ciel sereno di Praga, non prestano al discorso di Stalin la necessaria attenzione. In ogni caso, a Berlino non erano però sfuggiti i toni insoliti, significativi, del padrone della Russia. Nel corso dei colloqui di Mosca, nella notte tra il 23 e il 24 agosto, Ribbentrop ricorderà a Stalin che «il suo discorso pubblico della scorsa primavera conteneva una frase3 che, sebbene non menzionasse la Germania, venne interpretata da Hitler come significativa del fatto che Stalin ed il governo sovietico consideravano possibile ed auspicabile raggiungere una migliore intesa con la Germania». Stalin rispose breve1 [Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., pp.58-63, per la loro lettura del discorso di Stalin]. 2 [Si veda la nota 8 del capitolo XIII]. 3 Quella contro i «provocatori di guerra», al punto 2 dei doveri assegnati da Stalin al partito comunista in politica estera; si vedano [nella presente edizione] le precedenti pp. 45-46.

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mente: «Questa era proprio la mia intenzione». Gaus, che assisteva alla conversazione, l’ha riportata nel suo affidavit4. Alla fine di quella riunione, si fecero molti brindisi di cui si parla pure nel memorandum ufficiale del sotto-segretario di Stato Hencke sulle conversazioni di quella notte al Kremlino: «Molotov levò il bicchiere in onore di Stalin facendo osservare che era Stalin che – con il suo discorso del marzo di quest’anno, che era stato ben inteso in Germania – aveva portato al rovesciamento delle relazioni politiche» tra i due Paesi5. I nostri due Autori tentano di far passare questo brindisi come una mera «formula di cortesia»6; ma le parole di Molotov erano volutamente rivolte a Stalin, perché Stalin si era personalmente incaricato del «brindisi »in onore di Hitler7. Se poteva sussistere un qualche dubbio sull’importanza politica delle parole di Molotov in onore di Stalin, lo stesso Molotov si è incaricato di dissiparlo, poiché ha ripetuto queste parole una settimana dopo – il 31 agosto – nel suo discorso davanti al Soviet Supremo, chiamato a ratificare il patto del 23 agosto. Riferendosi al rapporto di Stalin al XVIII Congresso, e dopo aver citato testualmente i due primi punti sugli impegni del partito8, Molotov aggiunge: «Come vede4

In Nazi Conspiracy and Aggression, cit., Supplement B, cit., pp. 141-142. Mémorandum Hencke, Mosca, 24 agosto, in Nazi- Soviet Relations (1939-1941), cit., pp. 75-76. 6 [Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 61]. 7 Alzando per primo il bicchiere, Stalin aveva così brindato ad Hitler: «So bene quanto il popolo tedesco ami il suo Führer: posso dunque bere alla sua salute». Nella sua opera, Maurice Baumont, La Fallité de la Paix (1918-1938) [Paris, P.U.F., 1951,] 3a ed., t. II, p. 866, ha tenuto in considerazione, in modo sobrio e preciso il discorso di Stalin del marzo e del brindisi di agosto. Si veda invece come i nostri Autori, hanno tentato di falsificare le conclusioni di Baumont a p. 61, nota 1, del loro libro. [Così Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., alla pagina indicata: «Beaumont dedica al discorso del 10 marzo due righe e mezzo a pagina 822 – che nulla dicono sul contenuto del discorso – e sei righe a pagina 866 nelle quali cita, naturalmente, le “castagne dal fuoco”, e nient’altro che questo, la qual cosa gli permette di ritenere, interpretando il discorso, che Stalin “sembra indicare ai tedeschi un nuovo orientamento”[...] Ed è sorprendente che Beaumont non tenga conto che si tratta di una formula di augurio che pare essere stata pronunciata da Molotov (ma l’autore non cita la fonte) nel corso di un brindisi seguito alla firma del patto del 23 agosto. Perché c’è differenza di valore documentario tra un discorso pronunciato al congresso del Partito Comunista bolscevico ed una formula di cortesia». Virgolette, corsivi e parentesi tonde sono nel testo. Per quanto riguarda la questione delle «castagne dal fuoco», si veda la nota 8 del capitolo XIII]. 8 Si vedano [nella presente edizione] le precedenti pp. 45-46 5

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te, il compagno Stalin affermava in quelle conclusioni che l’Unione Sovietica era intenzionata a consolidare relazioni economiche con tutti 9 i paesi. Allo stesso tempo, egli ci metteva in guardia contro i provocatori di guerra che, perseguendo il loro esclusivo interesse, cercavano in tutti i modi di trascinare il nostro paese in guerre con altri paesi […] Possiamo ora constatare che, soprattutto in Germania, queste dichiarazioni del compagno Stalin sono state correttamente intese e che ne sono conseguite concrete decisioni. La conclusione del patto sovietico-tedesco di non-aggressione dimostra che la lungimiranza politica del compagno Stalin è stata brillantemente confermata»10. A questo punto, per tutti gli storici in buona fede, la questione è chiusa; è del tutto inutile fornire altre prove11.

9

La sottolineatura nel resoconto ufficiale è di Molotov. Soviet Documents on Foreign Policy, cit., vol. III, pp. 366-367. 11 Si veda Rossi, Deux ans d’alliance germano-soviétique, cit., pp. 19-21 [pp. 3436 nell’edizione italiana]. 10

xiii. La sostituzione di Litvinov

È opinione dei nostri Autori che il discorso di Stalin nel marzo intendeva essere soltanto un avvertimento agli Anglo-Francesi; la sostituzione di Litvinov, agli inizi di maggio, non avrebbe comportato nessun nuovo indirizzo della politica estera sovietica1.«Era, quel discorso, un modo per avvertire ancora una volta Londra e Parigi che il ricorso a furberie non conveniva»2. Insomma, Stalin non avrebbe pensato più di tanto, con il cambiamento del responsabile del Narkomindiel, a favorire l’intesa con la Germania. A Mosca, però, le rappresentanze diplomatiche si interrogano: William Seeds, l’ambasciatore inglese, ritiene possibile che, con quella sostituzione, l’Unione Sovietica voglia imboccare la via dell’isolamento internazionale, come gli pare dedursi dal discorso di Stalin3; Tippelskirch, temporaneo sostituto di Schulenburg, vi legge una logica conseguenza della «linea» fissata da Stalin il 10 marzo4; l’ambasciatore italiano Rosso, con il suo abituale acume, collega anch’egli il provvedimento che ha esautorato Litvinov allo stesso discorso e alla volontà di Stalin di evitare che la Russia sia trascinata «nelle complicazioni di una manovra antitotalitaria»5. La sera stessa del 5 maggio, l’incaricato d’affari sovietico Astakhov, affrontando con Schnurre la questione dell’allontanamento di Litvinov, «cerca di sapere indirettamente se questo fatto non avrebbe determinato un cambiamento» della posizione tedesca 1 Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 81 [e p. 150, pagina qui consultabile per il riferimento citatorio in questione alla nota 14 del capitolo XIV]. 2 Ibid., p. 150 nota. 3 Documents on British Foreign Policy, cit., 3a série, vol. V, pp. 412-413. 4 Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., pp. 2-3. 5 Rapporto del 6 [leggasi 5] maggio, pubblicato da Mario Toscano, L’Italia e gli accordi tedesco-sovietici dell’agosto 1939, Firenze, Sansoni, 1952, pp. 25-27.

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nei riguardi dell’Unione Sovietica6. Qualche giorno dopo, è da parte tedesca che si chiede ad Astakhov se ci sarebbe stato un nuovo indirizzo nella politica estera sovietica. Astakhov risponde che ciò sarebbe dipeso dagli altri Paesi, «e soprattutto dalla Germania»7. Hitler ed i suoi collaboratori sono in crescente agitazione: l’uscita di scena di Litvinov li ha colpiti «come un colpo di fulmine»; Hitler convoca d’urgenza il suo ambasciatore a Mosca, Schulenburg, ed il suo addetto militare, Koestring. Ma Schulenburg non può presentarsi subito, perché è trattenuto a Teheran per i festeggiamenti in onore dello Scià, ed il generale Koestring si trova in missione in Estremo Oriente. È dunque un altro diplomatico, Hilger, che si reca a Berchtesgaden per fornire la sua versione sul significato da attribuire alla sostituzione di Litvinov. Hitler non si fida completamente di lui, perché lo considera un «mezzo-russo», assai propenso alla collaborazione con Mosca. Hilger, nel ricordargli il discorso di Stalin nel marzo, ritiene che il padrone del Kremlino abbia voluto così reagire alle pericolose pressioni di Litvinov mirate ad un accordo con Inghilterra e Francia8. Hitler 6

Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., p. 3. Ibid., p. 4. 8 Hilger-Meyer, The Incompatible Allies, cit., pp. 295-296 [«Hitler aprì la discussione chiedendo le ragioni che potevano aver portato Stalin a congedare Litvinov. Io risposi che era mia ferma convinzione che lo avesse fatto perché Litvinov aveva fatto pressione per un accordo con l’Inghilterra e la Francia. Stalin era invece convinto che le potenze occidentali cercassero nell’Unione Sovietica un alleato che togliesse loro le castagne dal fuoco in caso di guerra. Hitler non disse nulla ma diede a von Ribbentrop un’occhiata che indicava che la mia spiegazione gli sembrava sensata. La sua seconda domanda sondò ulteriormente la questione: secondo la mia opinione Stalin avrebbe potuto, in determinate circostanze, essere disponibile a un accordo con la Germania? Fui tentato di fornire a Hitler un riepilogo delle relazioni tedesco-sovietiche a partire dal 1933 e di ricordargli quanto spesso il governo sovietico, durante i primi anni del suo mandato, avesse espresso il desiderio di mantenere delle relazioni amichevoli. Ma non feci più che menzionare il discorso di Stalin del 10 marzo nel quale il leader sovietico aveva dichiarato che non c’erano motivazioni evidenti per un conflitto tra Germania e Unione Sovietica. Rimasi abbastanza sorpreso quando né Hitler né von Ribbentrop riuscirono a ricordare ciò che Stalin aveva detto nel discorso benché l’ambasciata di Mosca ne avesse fornito a suo tempo una dettagliata relazione». Meno convincente appare la lettura della vicenda che attribuisce a Hitler una già maturata, piena consapevolezza di ciò che ai suoi occhi doveva rappresentare la destituzione di Litvinov, lettura offerta da Lukacs, 22 giugno 1941, cit., p. 27, dove scrive: «Il 3 maggio Stalin liquidò Maxim Litvinov, il commissario agli Esteri ebreo, sostenitore di un’alleanza della Russia con Francia e Inghilterra, sostituendolo con Vjaãeslav Molotov, all’epoca uno dei suoi più intimi consiglieri. Hitler ne conosceva il significato». In questa affermazione di Lukacs non privo di significato sembra poter essere invece il richiamare l’origine ebraica di Litvinov, forse a sottintendere che, nella prospettiva staliniana mirata alla captatio bene7

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finirà così per convincersi che il Kremlino intendeva cambiare le sue relazioni con la Germania e ritiene che ciò «si sia verificato a partire dall’allontanamento di Litvinov e si sia palesato ancor più chiaramente in seguito»9. Raggiunto a Teheran dalla convocazione di Hitler, Schulenburg parte in aereo per Monaco il 9 maggio. Prima di partire ha un colloquio con l’ambasciatore italiano che informa immediatamente il suo governo di quanto Schulenburg gli ha confidato: «Il conte Schulenburg mi ha detto che le dimissioni di Litvinov erano giunte del tutto inattese, benché l’ultimo discorso di Stalin (quello del 10 marzo) lasciasse prevedere un qualche cambiamento nella politica estera dell’Unione Sovietica. Ha aggiunto che non osava azzardare alcuna previsione, ma che da molto tempo l’Unione Sovietica cercava un riavvicinamento alla Germania; se ciò non era ancora avvenuto, la colpa era da attribuirsi alla Germania»10.

volentiae di Hitler, l’Unione Sovietica intendeva dimostrargli di allontanare e il ministro degli affari esteri ostile ad un accordo con la Germania e, allo stesso tempo, di prendere le distanze dall’«ebreo»]. 9 Hitler lo disse il 22 agosto ai suoi generali e lo scrisse il 25 a Mussolini. 10 Dispaccio dell’8 maggio pubblicato da Toscano, L’Italia e gli accordi tedescosovietici dell’agosto 1939, cit., pp. 28-29 [L’ambasciatore è Luigi Petrucci. La parentesi all’interno della citazione è inserita da Tasca].

xiv. Una cronologia sbrigativa

Si diceva un tempo che la cronologia era un occhio della storia. La storia dei nostri Autori è quanto meno orba perché, tra l’altro, con la cronologia si ingarbugliano; il succedersi degli avvenimenti scompare in un continuo scontro, il loro concatenarsi viene meno dal momento che ogni evento imbarazzante viene soppresso. E ciò avviene perché essi vogliono «dimostrare» che i Russi si sono rivolti verso la Germania in quanto ultima loro risorsa perché non erano riusciti, malgrado la loro buona volontà, a raggiungere un’intesa con gli Anglo-Francesi. In precedenza, a loro parere, non è avvenuto nulla d’importante ed è soltanto all’ultimo momento che Stalin si sarebbe deciso ad aprire la porta del Kremlino ai Tedeschi che vi bussavano invano da mesi. Se i Sovietici hanno aperto delle trattative con i Tedeschi, in parallelo con quelle che erano in corso con gli Anglo-Francesi, «ciò accadde soltanto dopo il 12 agosto»1. A dire dei nostri Autori, il primo contatto tra Tedeschi e Russi ebbe luogo il 17 aprile in occasione di una visita dell’ambasciatore sovietico Merekalov al segretario di Stato Weiszaecker, alla Wilhelmstrasse2. Si sa, invece, che contatti precedenti c’erano stati3 tra alcuni agenti sovietici ed esponenti del mondo industriale e militare tedeschi. Uno degli agenti, incaricato di «sondare il terreno in Germania», fu un certo David Kandelaki: tracce della sua 1

Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 154. [Ibid., p. 148. In questo caso Bouvier e Gacon fanno propria un’affermazione di Churchill. «Il 17 aprile 1939, per la prima volta da quando ha assunto il suo incarico, rileva Churchill, l’ambasciatore sovietico a Berlino fa visita a von Weizsaecker, il segretario di Stato agli Affari Esteri»]. 3 Rossi, Deux ans d’alliance germano-soviétique, cit., pp. 17-18 [p. XIV nell’edizione italiana]. 2

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attività sono state rivelate da un rapporto della Commissione americana incaricata di effettuare ricerche ed interrogatori in Germania dopo il 1945, ed attualmente depositato al Dipartimento di Stato. Kandelaki era un georgiano, amico di gioventù di Stalin4; rappresentante commerciale dell’Unione Sovietica a Berlino, aveva condotto nel 1936-1937, per ordine di Stalin, trattative segrete per concludere ad ogni costo un accordo con la Germania. Hitler, a quel tempo, respinse le proposte del Kremlino5. Kandelaki riprenderà i suoi tentativi a Berlino agli inizi del 1939, riuscendo ad entrare in più stretti rapporti con la Wilhelmstrasse. Prima dell’incontro Merekalov-Weiszaecker del 17 aprile 1939, c’erano stati altri sondaggi reciproci tra Tedeschi e Sovietici: subito dopo la conclusione dell’accordo anglo-polacco del 6 aprile, Ribbentrop incaricò uno dei suoi collaboratori, Peter Kleist, di prendere contatto con i diplomatici dell’ambasciata sovietica a Berlino; in occasione di un ricevimento offerto da Astakhov, Kleist, parlando con lui, si sentì dire: «Decidiamoci dunque a condurre una politica d’intesa, piuttosto che scontrarci frontalmente a tutto vantaggio dei tre ladroni»6. In quella circostanza non fu aggiunto altro; ma, alcuni giorni dopo, lo stesso Astakhov incon4 Sull’argomento si veda Boris Souvarine, Staline, Paris, Plon, 1940, pp. 46, 60 [pp. 83, 102 nell’edizione italiana, Adelphi, Milano, 1983]. 5 [Ibid., edizione italiana, pp. 743-744: «Invano D. Kandelaki, il caucasico mandato a Berlino come ambasciatore commerciale, incaricato da Stalin di una missione segreta, moltiplicava le avances, gli inviti e i sondaggi; il Führer faceva orecchio da mercante»; sulla stessa linea interpretativa, Christopher Andrew-Oleg Gordievskij, La storia segreta del KGB, Milano, Rizzoli, 1991, pp. 253-254; Lukacs, 22 giugno 1941, cit., p. 92, specifica che Kandelaki, «tra il 1935 ed il 1937 incontrò Stalin diciotto volte, cosa decisamente insolita»]. Walter Krivitsky, Agent de Staline, Paris, Éditions Coopération, 1940, pp. 39-40. Parlando di quest’opera, pubblicata a New York e a Londra prima di essere tradotta in francese, André Pierre, ne sottolineava la grande importanza in un articolo apparso ne «L’Oeuvre». Il racconto di Krivitsky dimostrava come Stalin «permettendo ai partiti comunisti dell’Occidente di perseguire una politica fortemente anti-hitleriana e di far mostra del loro patriottismo, trasse in inganno le democrazie occidentali che disprezzava e si sforzò di trovare un accordo con il dittatore tedesco di cui ammirava la forza» (1° gennaio 1940). 6 Peter Kleist, Entre Hitler et Staline (1939-1945), Paris, Plon, 1953, pp. 9-13 [Le pagine segnalate da Tasca includono l’intero paragrafo dal titolo «Stalin tasta il terreno»; la citazione specifica si legge alla p. 11, ed è così preceduta: «Astakov incominciò a dirmi, con un linguaggio particolarmente forbito ma con chiarezza esemplare, che era sciocco da parte della Germania e dell’Unione Sovietica combattersi perché “si spacca il capello in quattro” sotto il profilo ideologico invece di elaborare insieme, come spesso si verifica nella Storia, le linee di una grande politica»].

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trando Schnurre nel corso di un pranzo, en passant 7 gli disse: «Non crede anche Lei che le trattative economiche in corso tra i nostri due Paesi potrebbero essere utili per normalizzare e pure per migliorare in modo soddisfacente le nostre relazioni politiche?». L’interlocutore tedesco si chiese poi quale fosse l’intento reale di quell’approccio al quale egli aveva risposto cortesemente, ma senza sbilanciarsi8. L’incontro ufficiale del 17 aprile sarebbe stato voluto dall’ambasciatore sovietico Merekalov per sollecitare presso la Wilhelmstrasse la consegna degli ordini sovietici fatti alla fabbrica Skoda, ordini non evasi in seguito all’occupazione di Praga9. I nostri Autori sostengono che il capo dell’ufficio politico del Ministero degli Esteri Weiszaecker rispose che «la Germania non poteva rispettare i contratti Skoda», cosicché «i colloqui sono stati interrotti il 17 aprile. E riprenderanno il 22 luglio»10. Del resto, sottolineano i nostri maldestri maneggioni, se l’Unione Sovietica insisteva per farsi consegnare le armi, era perché «mirava semplicemente ad indebolire il potenziale militare tedesco»11. Ora, Merekalov, recandosi alla Wilhelmstrasse, non era affatto incaricato di «indebolire il potenziale militare tedesco». Anzitutto perché le forniture sollecitate, come egli stesso ha dichiarato, «avevano un’importanza irrilevante»12. Perché, allora, le richiedeva a Weiszaecker? Era soltanto un «criterio mirato a verificare» se i Tedeschi erano «effettivamente interessati a coltivare ed incrementare i rapporti economici con la Russia». Poiché Weiszaecker fa notare al suo interlocutore che le voci di un qualche accordo anglo-franco-sovietico non crea7

[Il corsivo è del traduttore]. Kurt Assmann, Deutsche Schicksalsjahre, Wiesbaden, Brockhaus, 1950. A proposito di questo incontro, Assmann – all’epoca a capo dell’Ufficio storico della Marina del Reich – ricevette le confidenze di von Ritter, che giocò un ruolo importante nei negoziati tedesco-sovietici. 9 [Così, sull’argomento, Nikita Kruscev, Kruscev ricorda, Milano, Sugar, 1970, p. 149: «Avevamo con la fabbrica cecoslovacca di materiale bellico Skoda un contratto in base al quale essa doveva fornirci cannoni antiaerei. Si trattava di ottimi cannoni da 88 millimetri, che venivano fabbricati sul modello di alcuni che avevamo già acquistato dalla Skoda. In base al contratto avremmo dovuto ricevere anche un certo numero di cannoni da 205 millimetri. Quando Hitler occupò la Cecoslovacchia, la Skoda sospese le forniture»]. 10 Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., pp. 148-149. 11 Ibid., p. 149. 12 [Si veda la successiva nota 13]. 8

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vano un clima favorevole alla fornitura di materiale alla Russia, Merekalov ne approfitta per spostare la conversazione sul versante politico ed afferma: «La politica russa ha sempre percorso un cammino coerente. Le differenze ideologiche non hanno per così dire esercitato alcuna influenza sulle relazioni russo-italiane e, nel passato, non hanno costituito un ostacolo neppure per quanto riguarda la Germania. La Russia dei Soviets non ha voluto sfruttare contro la Germania i disaccordi che oggi esistono tra essa e le democrazie occidentali, né lo ha mai desiderato. La Russia non vede ragione alcuna per non intrattenere con la Germania normali relazioni che potrebbero progressivamente migliorarsi». Weiszaecker non rifiutò affatto di rispettare il contratto sovietico con la Skoda; per il momento lasciò la questione in sospeso per riflettervi più a fondo ma, poco dopo, Schnurre poteva informare Astakhov che la richiesta del 17 aprile di Merekalov sull’adempimento del contratto era stata accolta favorevolmente e che erano già state impartite adeguate istruzioni al riguardo13. Anche soltanto su questo incontro del 17 aprile, i nostri Autori riescono a mettere insieme almeno cinque «inesattezze»: 1) insinuando che Mosca voleva indebolire il potenziale militare tedesco, mentre si trattava della consegna di un modesto quantitativo; 2) passando sotto silenzio il fatto che Merekalov voleva soltanto sondare le intenzioni tedesche sui rapporti economici con l’Unione Sovietica; 3) affermando che Weiszaecker aveva rifiutato l’adempimento del contratto; 4) sostenendo che il colloquio si era limitato alla sola questione Skoda, mentre la sua ultima e più importante parte – quella che abbiamo appena ricordato – era stata dedicata al problema delle relazioni politiche e nella prospettiva di un riavvicinamento russotedesco; 5) che si ebbe l’interruzione dei colloqui dopo il 17 aprile. 13 Memorandum Schnurre, del 10 maggio, in Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., p. 3 [Così Kruscev, Kruscev ricorda, cit., p. 149: «Hitler intervenne personalmente, ordinando alla società di eseguire la commessa. I dirigenti della Skoda obbedirono e ci consegnarono un certo numero di cannoni da 205 millimetri, non sufficiente però ad alterare sensibilmente l’equilibrio»].

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Va ancora sottolineato che il testo della conversazione Merekalov-Weiszaecker figura pure nell’edizione francese del Livre Blanc; i nostri gentlemen non potevano dunque ignorarlo: si sono limitati a falsarlo. Per evitare – per quanto possibile – di raggiungere il massimo della noia e la nausea che induce la continua constatazione di tale modo di procedere, in questa sede non insisteremo per ristabilire tutta l’esatta cronologia degli incontri tedesco-russi ed il significato di ciascuno di essi. Segnaleremo soltanto alcune delle più disinvolte libertà che si sono prese gli «storici» comunisti: a) essi si limitano a registrare che «il 20 maggio, Schulenburg fa visita a Molotov» senza aggiungere altro14: ora, si tratta di un incontro d’importanza fondamentale, perché Molotov ne approfitta per puntualizzare che non avrebbero potuto esserci accordi economici tra i due Paesi se non si fossero prima gettate le preliminari, necessarie «basi politiche»; b) il 15 giugno, l’incaricato d’affari russo, Astakhov, fa pervenire alla Wilhelmstrasse, tramite l’ambasciatore di Belgrado a Berlino la dichiarazione che, a fronte di tutte le possibilità che si presentavano all’Unione Sovietica, quest’ultima avrebbe preferito un riavvicinamento alla Germania: «Se la Germania si impegnava a non attaccare l’Unione Sovietica, o a stringere con essa un patto di non-aggressione, l’Unione Sovietica si sarebbe astenuta con tutta probabilità dal concludere un accordo con l’Inghilterra». Questo documento, che figura anche nell’edizione francese del Livre Blanc, è stato ignorato. 14

[Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 150, che effettivamente nulla aggiungono sul colloquio Schulenburg – Molotov ma colgono l’occasione per fornire, nella specifica nota di riferimento, questa loro versione sul cambiamento al vertice del Ministero degli Esteri sovietico: «Il 3 maggio Molotov aveva sostituito Litvinov alla responsabilità del Commissariato del popolo agli Affari esteri. Non si trattava, come si è affermato con molta precipitazione, del segnale di un “cambiamento” della politica sovietica. Affidando l’incarico a Molotov il governo di Mosca intendeva dimostrare che i più alti dirigenti dello Stato assumevano in prima persona la responsabilità dell’azione diplomatica. Si trattava di sottolineare il carattere determinante dei colloqui con l’U.R.S.S.; si trattava di porre in evidenza il carattere di serietà di ogni conversazione con i capi sovietici; attraverso questa sostituzione, si trattava di avvertire ancora una volta Londra e Parigi che il ricorso a furberie con i paesi socialisti non conveniva»].

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c) È falso che i contatti di Mosca «con Berlino vengono interrotti dalla metà di giugno a fine luglio»15. I contatti sono stati interrotti dal 30 giugno unicamente da Hitler, irritato dalla lentezza con la quale Mosca conduceva le trattative economiche16. d) È falso che le trattative «vengono riprese soltanto il 22 luglio, ed esclusivamente sul piano economico»17: i contatti furono mantenuti a Mosca da Hilger, e a Berlino da Schnurre. Il 22 luglio Mikoyan fece annunciare ufficialmente a Mosca che le trattative economiche con la Germania erano state riprese «di recente»; in verità, Hilger lo aveva incontrato prima, il 10 luglio18, e l’annuncio del 22 non sarebbe stato dato se non fossero stati fatti progressi sul piano politico.

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[Ibid.]. [Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. I, cit., pp. 760-761; in quest’ultima pagina l’«irritata» lettera con la quale Hitler «ordinò che i colloqui coi russi venissero interrotti»]. 17 [Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 150]. 18 Documents diplomatiques italiens, t. XII, p. 403. 16

xv. Trattative parallele

Per quanto straordinaria la cosa possa apparire, la diplomazia sovietica viene del tutto assolta dai suoi zelanti servitori; esce dalla vicenda nuda e pura come Venere dalle acque. La diplomazia russa è «la diplomazia della sincerità»1, «gioca a carte scoperte, mentre la diplomazia anglo-francese è ipocrita»2; la buona fede «fu dalla parte di Mosca, la cattiva dalla parte di Londra e Parigi»3. Sui colloqui anglo-franco-sovietici si conoscono, ad oggi, soltanto i documenti pubblicati dal Foreign Office che, con il loro sesto volume, arrivano sino ai primi giorni dell’agosto 1939. Si sarebbe del tutto privi di documenti da parte del Quai d’Orsay se Georges Bonnet non ne avesse pubblicato qualcuno nella sua opera Fin d’une Europe4. Quanto ai documenti sovietici, sono al di là da venire. 1

Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 39. Ibid., p. 75. 3 Ibid., p. 89. 4 George Bonnet, Fin d’une Europe, Genève, Éditions du Cheval Ailé, 1948, in particolare il capitolo X. Si veda in «Appendice II», il testo dell’accordo politico francoinglese-sovietico cui si era giunti il 24 luglio 1939 [Puntuale la citazione bibliografica. Tuttavia, il capitolo X dell’originale versione svizzera dell’opera compare invece sotto il numero IX nell’«unica traduzione italiana autorizzata», Milano, Rizzoli, 1951, capitolo che reca il titolo «Negoziati anglo-franco-russi», pp. 158-190. Inoltre, in questa edizione italiana, il «testo dell’accordo politico franco-inglese-sovietico cui si era giunti il 24 luglio 1939» non figura in nessuno dei cinque «allegati» che costituiscono l’«Appendice di documenti» del volume. Peraltro, il documento in questione, nella sua stesura definitiva, quella appunto del 24 luglio, non è riportato neppure all’interno del libro di Bonnet che riproduce invece soltanto il testo inizialmente elaborato da Francia ed Inghilterra e consegnato il 14 aprile del 1939 all’ambasciatore russo a Parigi perché venisse sottoposto all’attenzione dell’Unione Sovietica che, come esattamente afferma Tasca più avanti, di quel documento chiederà nei mesi a venire più e differenti modifiche. Questo il testo originario dell’accordo come si legge alla p. 162 della traduzione italiana sopra ricordata del libro di Bonnet: «Nel caso in cui Francia e Inghilterra si trovassero in stato di guerra con la Germania, in seguito all’azione da esse com2

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Non appena i colloqui tripartiti furono avviati per iniziativa di Londra, il loro congegno si mise faticosamente in moto. Ma quando sembravano avviati sulla strada giusta, si trasformarono, per i Franco-Inglesi, in una specie di corsa ad ostacoli, perché i Russi ponevano di volta in volta nuove condizioni che rimettevano tutto in discussione5. Non possiamo, né vogliamo qui ricordare le tappe di questo cammino; la diplomazia francese e inglese lo percorse – soprattutto quella inglese – con una sorta di rassegnata disperazione anche perché quello era un cammino obbligato. Il rappresentante straordinario che Londra aveva inviato a Mosca, William Strang, si diceva stanco oltre misura dei cavilli sovietici, ma aggiungeva che «tutti i mezzi sono buoni pur di poter porre un argine alle ambizioni di Hitler»6. Il fallimento dei colloqui non era da imputarsi ad errori tecnici benché abbiano contribuito a rendere più pesante l’atmosfera ed abbiano lasciato a Stalin un’eccessiva libertà di manovra. Da parte franco-inglese, e inglese soprattutto, l’errore più grave fu quello di credere che la semplice manifestazione della volontà di resistere a nuove aggressioni tedesche avrebbe indotto Hitler a non muoversi; a Londra si riteneva che Hitler avrebbe rinunciato all’attacco alla Polonia sapendo che, questa volta, l’Inghilterra era determinata a giungere sino alla guerra. Era, questa opinione, illudersi sull’ormai maturata decisione di Hitler, che aveva soppesato ed piuta per dare aiuto alla Romania e alla Polonia, vittime di un’azione non provocata, l’U.R.S.S. darebbe loro immediatamente aiuto e assistenza. Nel caso in cui cui l’U.R.S.S. si trovasse in stato di guerra con la Germania, in seguito a un’azione compiuta per dare aiuto e assistenza alla Romania e alla Polonia, vittime di un’aggressione non provocata, la Francia e l’Inghilterra le verrebbero immediatamente in aiuto e le darebbero assistenza. I tre governi si consulteranno senza indugio sulla modalità di tale assistenza nell’uno e nell’altro caso contemplati e prenderanno tutte le disposizioni per assicurarne la piena efficacia». Per le modifiche richieste dall’Unione Sovietica, la successiva nota 5]. 5 [«Il governo sovietico chiederà volta a volta: che l’Inghilterra e l’U.R.S.S. si diano reciprocamente la loro garanzia; che i Paesi baltici siano inclusi nell’accordo nonostante il formale rifiuto del loro governo; che gli Stati che non hanno riconosciuto l’U.R.S.S. ne siano esclusi; che l’assistenza sia data agli Stati vittime tanto di un’aggressione diretta quanto indiretta ed esigeranno una definizione larghissima di questa formula [...] Ma che cosa bisognerà intendere per “aggressione indiretta”? Il progetto sovietico del 4 luglio propone questa definizione: “È il caso di un colpo di Stato interno, o di un cambiamento politico favorevole all’aggressione”». Bonnet, Fin d’une Europe, cit., pp. 163, 173 dell’edizione italiana, nonché l’incipit del successivo capitolo XVI]. 6 Documents diplomatiques italiens, cit., t. XII, cit., p. 535 (alla data del 28 luglio).

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accettato tutti i rischi ivi compreso quello di una guerra con le democrazie occidentali, decisione di guerra connessa alla sola condizione di poter prima «neutralizzare» la Russia. Londra e Parigi non si resero conto, quasi sino all’ultimo minuto, che se uno dei termini dell’alternativa era quello di fermare ogni ulteriore tentativo di espansione tedesca, l’altro termine non poteva che essere la guerra. La strategia politica e diplomatica occidentale risentì perciò degli effetti della mancanza di una visione sufficientemente precisa e lucida della situazione e della vera posta in gioco. La «doppiezza», che gli era congeniale7, non fu impiegata da Stalin come un mezzo fine a se stesso, ma come strumento di una politica mirata a salvaguardare i suoi personali interessi e quelli della Russia così come egli li vedeva nel futuro prossimo. Stalin vuole evitare la prova della guerra al suo Paese e al suo regime: non nutre grande fiducia negli Anglo-Francesi e teme Hitler. D’altra parte, ormai da mesi, non è più del tutto certo che Hitler abbia rinunciato ai suoi progetti antisovietici e teme che gli riservi un colpo mancino. Stalin promuove, sollecita le proposte tedesche, ma rimane prudente; intende impegnarsi definitivamente soltanto se sarà sicuro di poter avere sotto controllo la situazione. Né guarda con eguale interesse ad un accordo con l’Inghilterra e la Francia o a quello con la Germania. Tra la possibilità di stipulare il primo, che può trascinarlo in guerra e che non gli riserva alcun profitto immediato, ed il secondo, che lo lascia fuori da una guerra sempre più certa e che gli garantisce straordinari vantaggi – la Polonia orientale, i Paesi baltici, la Bessarabia – preferisce di gran lunga il secondo. Peraltro, l’accordo con la Germania rientra nella tradizione politica dell’Unione Sovietica dopo il 1917: se Stalin ha dovuto rinunciarvi per qualche tempo dopo il 19338, non ha mai però 7 [Questa opinione di Tasca risulta condivisa e così espressa dal biografo del dittatore sovietico Robert Conquest, Stalin. La Rivoluzione, il Terrore, la Guerra, Milano, Mondadori, 2002, p. 8: «Ma il suo [di Stalin] attributo più impressionante rimane la capacità di ingannare gli altri, spesso personaggi politici o intellettuali esperti, riguardo ai suoi scopi e ai suoi obbiettivi»]. 8 [In seguito all’ascesa al potere di Hitler che sopprimeva il partito comunista tedesco da ritenersi, peraltro, responsabile di quell’ascesa, come afferma pure Conquest, Stalin, cit., p. 196, per «l’ordine ricevuto di non collaborare con i socialdemocratici o con chiunque altro contro i nazisti»].

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smesso di perseguirla. Ma, dal momento che un riavvicinamento alla Germania non è stato ancora definitivamente acquisito, deve procedere con molta cautela per non trovarsi in una posizione di isolamento molto pericolosa: deve procedere per tappe successive e fare la scelta definitiva su basi sicure. In ogni caso, nella seconda metà di marzo, e dopo aprile soprattutto, la situazione è diventata per Stalin assai meno preoccupante: nelle sue mani sono capitate ottime carte. Entrambi gli schieramenti dei futuri belligeranti avanzano, non egualmente consapevoli, sulla strada della guerra: ed entrambi richiedono il suo aiuto; i Franco-Inglesi non hanno nulla da offrirgli in cambio del grosso rischio che gli farebbero correre; la Germania si presenta con un sacco pieno di regali in cambio di una semplice neutralità ed un minimo di complicità. Stalin ha ora la prova che la sua previsione del 10 marzo relativa alla possibilità di una guerra tra i soli Paesi «capitalisti» è di gran lunga la più probabile. L’Inghilterra, per la garanzia data alla Polonia il 31 marzo9, e confermata il 6 aprile10 insieme con le altre fornite a Grecia e Romania11, garanzie alle quali si era associata la Francia, ha messo in moto un meccanismo che non le lascia altra scelta se non un’altra capitolazione o la guerra. Da parte sua, Hitler ha denunciato il 26 aprile l’accordo navale con l’Inghilterra ed il patto del 1934 con la Polonia. Stalin non dà molta importanza alle garanzie date da Londra e Parigi; non ha alcun interesse a salvaguardare l’integrità territoriale della Polonia, né quella della Romania. Peraltro, le trattative francoinglesi con la Turchia, condotte nello stesso periodo, vanno contro le mire sovietiche sul Mar Nero e sugli Stretti, e Mosca farà subito quanto le è possibile per impedire che giungano a buon fine. Inoltre, in questo senso, serie rassicurazioni vengono date a Stalin da parte tedesca. 9

[Espressa quel giorno da Chamberlain nel suo discorso ai Comuni]. [La garanzia unilaterale britannica del 31 marzo evolveva nella stipula di un accordo, firmato a Londra dal ministro degli esteri polacco Józef Beck, di aiuto reciproco nel caso di minaccia all’indipendenza dell’uno o dell’altro Paese]. 11 [Il 13 aprile 1939, in seguito all’invasione italiana dell’Albania, avvenuta con il consenso della Germania, e ritenuta, a ragione, propedeutica ad un’ulteriore iniziativa bellica dell’Italia fascista contro Grecia e Jugoslavia avviata il successivo 28 ottobre 1940]. 10

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Nel definire a maggio il «Patto d’Acciaio» con l’Italia, Ribbentrop ha posto la più grande attenzione per eliminarvi tutto ciò che potesse rivolgersi contro la Russia; il «Patto d’Acciaio» è nei suoi motivi ispiratori e nelle sue finalità, decisamente, unicamente anti-occidentale. È per questa ragione che Berlino non voleva fare di un patto germano-italiano-giapponese un’alleanza volta contro l’Unione Sovietica – come allora voleva il Giappone – e per questa ragione il patto non è stato fatto12. Il «Patto d’Acciaio» lo ha sostituito e non ha costituito impedimento alla conclusione del patto germano-sovietico che – paradossalmente – si è inserito nel suo solco.

12 Si veda Mario Toscano, Le origini del Patto d’Acciaio, Firenze, Sansoni, 1948, di gran lunga il miglior studio sull’argomento [Nello specifico della questione, il riferimento è alle pp. 66-77 dello studio citato; la p. 77 così si chiude: «Interessante, infine, nella conversazione Ribbentrop – Attolico (ambasciatore italiano a Berlino), l’accenno al patto di non aggressione russo-tedesco, sia pure come contropartita di un ipotetico patto decennale franco-inglese-germanico-italiano», ipotetico in quanto, come si legge alla p. 75, «costruzione» elaborata al solo fine di «far colpo su Tokio»].

xvi. Errori tecnici e contraddizioni politiche

Alla proposta britannica del 15 aprile a Mosca di unirsi in una dichiarazione congiunta per l’aiuto da dare alla Polonia e alla Romania nel caso fossero state vittime di un’aggressione, l’Unione Sovietica rispose il 17 o 18 aprile proponendo un patto di aiuto reciproco assai più ampio comprendente, oltre i tre principali contraenti (Inghilterra, Francia, Unione Sovietica), tutti gli stati confinanti con la Russia, dagli Stati baltici al Mar Nero1. Ma questa controproposta, con un quadro di alleanze così allargato, andava molto al di là di quello che si proponeva la diplomazia britannica desiderosa di limitare i suoi impegni sul continente, e si scontrava con la diffidenza della Polonia circa ogni partecipazione sovietica. È impossibile stabilire se un’accettazione di massima delle proposte russe ed i colloqui che sarebbero seguiti avrebbero portato ad un mese di ulteriori trattative con lo stesso risultato negativo. È un fatto che non può essere passato sotto silenzio che lo stesso giorno in cui Mosca formulava la sua controproposta, il suo ambasciatore a Berlino, Merekalov, veniva mandato alla Wilhelmstrasse per sondare il terreno per un eventuale riavvicinamento alla Germania2. Sembrerebbe però certo che uno svolgimento più rapido di quei colloqui, pur sfociando egualmente in un fallimento, avrebbe avuto il vantaggio di fornire alle democrazie occidentali la possibilità di valutare più esattamente la situazione adeguandovi la loro politica con maggior efficacia. L’Inghilterra e la Francia, ormai coinvolte, dovevano tener conto, nei loro colloqui con i Sovietici, di molteplici fattori: il 1 2

Soviet Documents on Foreign Policy, cit., vol. III, cit., p. 329. Si vedano [nella presente edizione] le precedenti pp. 55-58.

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ritardo della loro preparazione militare, l’opinione pubblica strattonata in direzioni opposte, il rifiuto dei Paesi baltici, della Polonia e della Romania di lasciar entrare l’Armata Rossa nei propri territori nel timore di non vederla più andarsene. Inoltre, Mosca non aveva preso alcun contatto diretto con gli Stati «garantiti» per vincere la loro diffidenza; non si è a conoscenza, relativamente a tutto il periodo dei colloqui, di una sola dichiarazione, di un solo gesto, da parte sovietica, che li abbia rassicurati. Il problema riguardava soltanto Inghilterra e Francia; se c’erano delle difficoltà, dovevano esse soltanto incaricarsi di superarle: Mosca non intendeva aiutarle in nessun modo. Le cause del lento procedere dei colloqui ed il loro fallimento finale dovevano essere cercate nella contraddizione profonda della politica dei governi interessati, negli equivoci che comportava, nell’impossibilità di poter conciliare effettivamente la prospettiva politica3 di Stalin nel suo discorso del 10 marzo e quella che aveva suggerito alle democrazie occidentali la precipitosa concessione di «garanzie» ad un certo numero di Paesi minacciati dalla potenza hitleriana4. L’affermazione comunista secondo la quale Stalin avrebbe concluso l’accordo con la Germania in quanto conseguenza dei contatti presi a Londra da Wohltat, rappresentante personale di Hitler, o dall’ambasciatore Dirksen soprattutto in luglio e all’inizio di agosto del 1939, non ha fondamento alcuno. Senza dubbio, c’era all’interno dello stesso governo e di alcuni ambienti inglesi una minoranza che, forte della sua influenza su Chamberlain, voleva arrivare ad ogni costo ad un accordo con la Germania. Ma un’attenta lettura dei documenti tedeschi pubblicati dai Sovietici ed estratti da «Archives Dirksen»5 prova senza possibilità di equivoco che anche il gruppo «germanofilo» (Sir Horace Wilson, Lord Halifax ed altri) ha dovuto subordinare la possibilità di questo accordo alla rinuncia da parte della Germa3

Si veda [nella presente edizione] la precedente p. 49. Si veda «Figaro Littéraire», 4 e 11 ottobre 1952, ove abbiamo analizzato fattori soggettivi ed oggettivi che hanno in definitiva impedito l’allineamento tra Londra, Parigi e Mosca. 5 Ministère des A[ffaires] E[trangères] de l’U.R.S.S., Moscou, 1948, t. II, Documenti e dati riguardano la vigilia della seconda guerra mondiale [Per l’esatta citazione bibliografica, si veda la nota 4 del capitolo XXVII]. 4

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nia ad ogni aggressione verso altri Paesi6. Nella relazione finale di valutazione complessiva della sua missione a Londra, Dirksen sottolinea la svolta radicale indotta sulla politica inglese dagli eventi di Praga; in un rapporto del 18 agosto, egli scrive: «Contemporaneamente all’improvviso mutamento di rotta in politica estera verificatosi dopo il 15 marzo, si è verificato un repentino mutamento morale. Oggi, sulla base degli impegni che ha assunto, l’Inghilterra vuole mettere alla prova la sua forza e far fronte agli impegni presi con i trattati, e recuperare così la sua reputazione politica […] e superare il suo complesso d’inferiorità»7. Ma da questi documenti risulta anche che la «crescente delusione» provocata in Inghilterra dall’atteggiamento tenuto dai Russi nei colloqui, nel corso dei quali posero condizioni «sempre più onerose», rafforza l’orientamento favorevole ad un tentativo di riavvicinamento alla Germania8.

6

Ibid., pp. 67, 120. Ibid., pp. 172-178, 142. 8 Ibid., p. 181, e soprattutto p. 195. 7

xvii. I due viaggi di Ribbentrop

Quando Ribbentrop arrivò a Mosca, i colloqui per un’alleanza militare degli Anglo-Francesi con i Sovietici erano sull’orlo del fallimento almeno dal 17 agosto, giorno in cui il maresciallo Vorochilov ne aveva richiesto il rinvio al 21. Vorochilov sapeva che non sarebbero stati più ripresi seriamente, che erano stati virtualmente sotterrati. Stalin, lasciando ai militari il compito di guadagnare alcune ore, aveva già definito con Hitler, prima della partenza del suo ministro, le linee essenziali dell’accordo in vista del quale era stato deciso il viaggio. Il protocollo segreto del 23 agosto1 fissava la linea di demar1 [Costituente parte integrante del patto di non-aggressione che «entra in vigore al momento della sua firma». Eccone, di seguito, il testo completo pubblicato da Tasca, Due anni di alleanza germano-sovietica, cit., p. 37, che lo estrae da Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., p. 78: In occasione della firma del trattato di non aggressione tra il Reich tedesco e l’U.R.S.S., i rappresentanti sottoscritti delle parti hanno discusso, durante una conversazione altamente confidenziale, il problema della delimitazione delle sfere di influenza di ciascuna delle due parti in Europa orientale. Tale conversazione è pervenuta alle seguenti conclusioni: 1) Nel caso di un cambiamento politico territoriale nei territori appartenenti agli Stati Baltici – Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania – la frontiera settentrionale della Lituania formerà la linea di demarcazione delle sfere d’interesse tra la Germania e l’U.R.S.S. Le due parti riconoscono gli interessi della Lituania sul territorio di Vilno. 2) Nel caso di un mutamento politico territoriale nei territori appartenenti allo Stato polacco, le sfere di interessi tra la Germania e l’U.R.S.S. saranno delimitate approssimativamente secondo una linea che segue i fiumi Narew, Vistola e San. La questione di sapere se è desiderabile, nell’interesse delle parti, di mantenere uno Stato polacco indipendente, e di come dovrebbero essere fissate le frontiere di questo Stato, non potrà essere risolta in modo definitivo che nel corso dei futuri sviluppi politici. In ogni caso, i due governi risolveranno questa questione mediante amichevole intesa. 3) In ciò che riguarda l’Europa sud-orientale, l’U.R.S.S. sottolinea l’interesse che essa ha per la Bessarabia. La Germania dichiara che non ha interessi politici in questa regione.

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cazione della quarta spartizione della Polonia, linea denominata «dei tre fiumi»2 che, in settembre, i due eserciti invasori, quello sovietico e quello tedesco, avrebbero raggiunto o sulla quale avrebbero ripiegato. Quando si era recato a Mosca la prima volta Ribbentrop aveva trovato in ambasciata un messaggio di Hitler che gli ordinava di specificare bene, una volta raggiunto l’accordo sui problemi dell’Europa Orientale, che quelle questioni fossero trattate «come esclusivamente riguardanti la sfera di interessi della Germania e della Russia»3 e, dunque, senza tenere in considerazione le democrazie occidentali. Infatti, relativamente alla Polonia, il patto «d’amicizia e di confini» firmato a Mosca il successivo 28 settembre avrebbe poi stabilito che la linea di demarcazione tra le due zone era considerata definitiva dalle due potenze, e che esse si sarebbero opposte «ad ogni ingerenza di un’altra potenza in questa decisione». Si capisce bene, a questo punto, perché i due storici-robots del Partito Comunista Francese abbiano nascosto l’esistenza degli accordi resi pubblici e di quelli segreti di settembre. Agli inizi di aprile, Hitler, falliti i suoi tentativi, effettuati a gennaio e a marzo, di convincere la Polonia, era deciso ad attaccarla, a strapparle con la forza quanto essa non aveva voluto cedere4. Per raggiungere il suo obbiettivo al minor prezzo, egli si propo4) Questo protocollo sarà applicato dalle due parti con rigorosa segretezza. Mosca, 23 agosto 1939 Per il Governo tedesco: Von Ribbentrop Per il Governo dell’U.R.S.S.: V. Molotov]. 2

[Però, come specifica Tasca, Due anni di alleanza germano-sovietica, cit., p. 38, «una leggera modifica viene apportata al protocollo a vantaggio della Russia, che l’ha sollecitata, fin dal 25 agosto: il fiume Pissa farà parte, a nord, della linea di demarcazione, che diviene così “dei quattro fiumi”, mutamento registrato sotto forma di nota addizionale firmata il 28 agosto»]. 3 Telegramma cifrato n° 201, del 23 agosto 1939, di Berlino all’Ambasciata tedesca di Mosca; si veda [nella presente edizione] la precedente p. 28. 4 [La richiesta tedesca, com’è noto, riguardava la «restituzione» di Danzica, ed il proposito di costruire un’autostrada ed una linea ferroviaria attraverso il corridoio polacco. Per una dettagliata, efficace ricostruzione dell’incontro del 5 gennaio tra Hitler e Józef Beck, il ministro degli esteri polacco, e di quello del 21 marzo tra Ribbentrop e Joseph Lipski, l’ambasciatore polacco a Berlino, Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. I, cit., pp. 706-707, 712-713].

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neva di isolare l’avversario, sottraendogli ogni speranza di appoggio diplomatico e soprattutto di aiuto militare dall’Est. In questo disegno va rintracciata l’origine del patto germanosovietico e delle trattative che l’hanno preceduto e che, iniziate nell’aprile 1939, sono state intensificate verso la fine di luglio e in agosto. Stalin ed i capi moscoviti erano ben consapevoli della volontà determinata, quasi parossistica di Hitler di scatenare l’offensiva contro la Polonia sin dalla firma del patto del 23 agosto. Essi sapevano bene che la situazione «evolveva verso il conflitto armato»; le lettere di Hitler e di Ribbentrop li pressavano a concludere l’accordo, poiché la crisi era imminente e la Germania era decisa a «salvaguardare i suoi interessi ricorrendo ad ogni mezzo»5. E a tal punto che il consigliere Gaus, redattore di parte tedesca del patto del 23 agosto, si diceva certo che «l’importanza dell’accordo dipendeva, in ultima analisi, dal fatto della nostra invasione della Polonia»6.

5

Lettera di Hitler a Stalin in data 20 agosto. Interview, in «Le Monde», 19 febbraio 1949.

6 Gaus,

xviii. Il nuovo «club dei salumieri»

Stalin, Hitler, Molotov e Ribbentrop hanno agito, nell’agosto e nel settembre 1939, come un «club di salumieri», per ricorrere alla famosa espressione utilizzata da un giornalista francese in occasione degli accordi di Monaco1. Il protocollo segreto del 23 agosto lasciava in sospeso la questione «se era auspicabile, nell’interesse dei due contraenti, tenere in vita uno Stato polacco indipendente». Stalin si oppose fermamente a questa ipotesi. Sin dal 19 settembre informava i Tedeschi che aveva «accantonato la sua originaria idea di lasciar in vita una parte della Polonia» e si pronunciava per la spartizione pura e semplice2. L’idea di una spartizione integrale era stata di Stalin, ed il secondo viaggio di Ribbentrop, effettuato su invito di Mosca, ebbe luogo per fissare le condizioni ed i dettagli dell’operazione. Si decise dunque la spartizione, e su questa base fu costruita l’amicizia russo-tedesca, «cementata con il sangue», come telegrafava Stalin a Ribbentrop nel dicembre 1939, ringraziandolo degli auguri inviatigli per il suo compleanno3. I nostri «storici» di parte accusano ora l’Inghilterra di avere, subito prima dell’attacco alla Polonia, «complottato» contro quel Paese. Invero, l’Inghilterra (e non soltanto Chamberlain) avrebbe voluto evitare la guerra, se intanto un accordo tra Berlino e 1

[Gabriel Péri in «Humanité», 29 settembre 1938. Il giornalista aveva a sua volta mutuato la nota espressione riferita ai firmatari dei trattati di pace di Trianon e Versailles applicandola al caso cecoslovacco]. 2 Rossi, Deux ans d’alliance germano-soviétique, cit., pp. 76-79 [pp. 55-57 nell’edizione italiana]. 3 [Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. II, cit., pp. 1021-1022, sostiene, invece, che il destinatario del telegramma fosse Hitler cui Stalin ricambiava i ricevuti «auguri natalizi». Comunque sia, questo aspetto appare di scarso rilievo storiografico].

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Varsavia su Danzica ed il Corridoio avesse potuto allontanarla. La dichiarazione inglese di tutela della fine di marzo e l’accordo di reciproca assistenza del 6 aprile lasciavano alla Polonia, nell’applicazione dei punti ove poteva ritenere minacciati i suoi interessi nazionali, una garanzia che soltanto alcuni ritennero eccessiva. Il solo a dichiarare di «non voler morire per Danzica» fu Marcel Déat4. Il trattato ufficiale di assistenza anglo-polacco fu definitivamente confermato il 25 agosto e fece esitare Hitler per qualche giorno5. Negli stessi giorni a Londra era stato firmato un protocollo segreto del quale è necessario ricordare due punti essenziali: la tutela britannica era valida soltanto contro la Germania e non contro la Russia, accogliendo così la richiesta sovietica del 17 aprile che chiedeva che l’aiuto britannico alla Polonia fosse limitato alla sola aggressione tedesca6; inoltre, la garanzia britannica citava esplicitamente Danzica tra i territori la cui violazione avrebbe costituito un casus belli. Ora, sin dal 26 luglio, cioè un mese prima della firma del patto di assistenza anglo-polacco, il negoziatore sovietico Astakhov dichiarava ai diplomatici di Hiltler che «Danzica doveva tornare a far parte del Reich in un modo o nell’altro, e che la questione del Corridoio doveva anch’essa essere comunque risolta in favore del Reich»7. Mosca sapeva perfettamente all’epoca, come in precedenza, che i rapporti germano-polacchi erano peggiorati per questi due problemi e che Berlino, decisa a risolverli in suo favore, non poteva farlo se non ricorrendo alla guerra. Far sapere ad Hitler che l’Unione Sovietica concordava sulle due rivendicazioni «in un modo o nell’altro» e «comunque», significava incoraggiarlo alla guerra. Nel corso dei due anni della collaborazione russo-tedesca, Mosca ed i comunisti non hanno mai rimproverato all’Inghilter4

[Faut-il mourir pour Dantzig? è il titolo dell’articolo pubblicato ne «L’Oeuvre», 4 maggio 1939, dal noto dissidente socialista, poi aderente alla repubblica di Vichy e ministro nel governo Laval]. 5 [Ricostruisce egregiamente le vicende ed il clima dei rapporti anglo-tedeschi nonché lo stato d’animo e le reazioni di Hitler in quelle circostanze Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. I, cit., pp. 838-847]. 6 Soviet Documents on Foreign Policy, cit., vol. III, cit., p. 329, punto 4. 7 Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., pp. 32-36.

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ra di aver voluto tener lontano la Polonia dal cammino che portava alla guerra, ma di avercela spinta. Tra le molteplici prese di posizione in tal senso, ci limiteremo qui a ricordare il discorso che Florimond Bonte tentò di pronunciare alla Camera il 30 novembre 1939 (e fatto pubblicare clandestinamente dal suo partito), discorso nel quale l’attuale direttore di La France Nouvelle accusava gli «imperialisti anglo-francesi» di aver spinto la Polonia «a respingere un accordo consensuale riguardante il Corridoio e Danzica».

xix. Gli accordi del 28 settembre

Gli accordi firmati da Ribbentrop all’epoca del suo secondo viaggio a Mosca sono stati molteplici e complessi. Essi comprendono almeno sette documenti: un patto ed una dichiarazione resi pubblici non appena firmati; due protocolli segreti ed uno confidenziale; uno scambio di lettere sulle questioni economiche, di cui una è stata resa nota e l’altra è rimasta segreta1. Il patto reso pubblico è quello denominato «d’amicizia e di confini»: esso divide la Polonia in due zone ad est e ad ovest di una linea di demarcazione precisata su una carta geografica ed un regolamento attuativo allegati. Questa linea è la stessa già definita nel protocollo segreto del 23 agosto e sulla quale, dopo qualche incidente subito rientrato, si sono attestate, l’una di fronte all’altra, la Wehrmacht e l’Armata Rossa. La dichiarazione resa pubblica riguarda – come vedremo più avanti – la campagna per la pace che Hitler e Stalin annunciano e che vogliono portare avanti in perfetto accordo. Dei due protocolli segreti, il primo chiude la trattativa aperta a Mosca il 19 settembre e conclusa con uno scambio, con il quale Stalin incamera il terzo Paese baltico, la Lituania, cedendo alla Germania il «governatorato» di Lublino ed una parte di quello di Varsavia2, abitato soprattutto da ebrei che grazie a questo 1 Ibid., pp. 105-109, e si veda Rossi, Deux ans d’alliance germano-soviétique, cit., capitolo V [pp. 60-62 nell’edizione italiana]. 2 [Ibid., p. 61 nell’edizione italiana, pagina nella quale è riprodotto il seguente testo integrale dell’accordo che, come quello del 23 agosto, Tasca estrae da Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., p. 107: «Il paragrafo n. 2 del protocollo segreto del 23 agosto 1939 è modificato nel senso che il territorio dello stato lituano ricade nella sfera di interessi dell’U.R.S.S., mentre, l’altra parte del distretto di Lublino e parte del distretto di Varsavia ricadono nella sfera di interessi della Germania. Non appena il governo dell’U.R.S.S. si sarà indotto a prendere misure speciali sul territorio lituano per la protezione dei suoi interes-

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scambio conosceranno presto i «piaceri» loro riservati dai carnefici nazisti. Con il secondo protocollo segreto, i due Paesi dichiarano che «non tollereranno nei loro rispettivi territori nessuna azione di protesta polacca che riguardi il territorio dell’altra parte. Essi soffocheranno sul nascere nel loro territorio di competenza ogni iniziativa di questo genere e si terranno reciprocamente al corrente delle misure appropriate adottate a tal fine»3. In questo modo vengono gettate le basi per la collaborazione tra Gestapo e Ghepeu contro l’insorgere di un’eventuale «resistenza» polacca. Il protocollo confidenziale riguarda invece gli abitanti di nazionalità tedesca e sovietica rimasti tagliati fuori dalle rispettive patrie dalla linea di demarcazione e che volessero rientrarvi. Lo scambio reso pubblico di lettere tra Ribbentrop e Molotov sulle questioni economiche dà notizia dei negoziati mirati ad incrementare il volume degli scambi tra i due Paesi; la fornitura di materie prime dell’Unione Sovietica alla Germania e di manufatti industriali della Germania all’Unione Sovietica. Un’altra lettera, rimasta confidenziale, garantisce alla Germania mezzi di trasporto adeguati all’accresciuto scambio di merci; l’Unione Sovietica mette a disposizione della Germania le ferrovie del territorio ex-polacco del quale si è appena impadronita, cosicché il transito delle merci rumene sia garantito con la frequenza necessaria. Le stesse misure saranno adottate dall’Unione Sovietica per quanto concerne il transito sulla rete ferroviaria russa delle merci provenienti dall’Iran, dall’Afghanistan e dall’Estremo Oriente. Va qui ricordato che l’utilizzo dei treni siberiani per le importazioni tedesche (specialmente di cauciù) provenienti dai Paesi dell’Asia Orientale e pure dall’America latina, continuerà ininterrottamente sino alla vigilia dell’offensiva della Wehrmacht contro l’Unione Sovietica4. si, la frontiera attuale tra la Germania e la Lituania sarà rettificata in modo da stabilire una frontiera naturale e semplice, così che il territorio lituano a sud-ovest della linea segnata sulla carta annessa appartenga alla Germania. Inoltre, si dispone che gli accordi economici attualmente in vigore tra la Germania e la Lituania non dovranno essere ostacolati dalle misure dell’Unione Sovietica di cui sopra è fatto cenno». Per il «paragrafo n. 2 del protocollo segreto del 23 agosto 1939», si veda la nota 1 del capitolo XVII]. 3 [Ibid., p. 62, protocollo estratto anch’esso da Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., p. 107]. 4 Rossi, Deux ans d’alliance germano-soviétique, cit., pp. 126-127, 208-209 [pp. 93-95, 170-171 nell’edizione italiana].

xx. La campagna per la pace

Con la dichiarazione congiunta del 28 settembre – anch’essa scomparsa nei dimenticatoi comunisti – la Germania e l’Unione Sovietica manifestavano l’intenzione di «prodigarsi insieme» per mettere fine allo stato di guerra tra il III Reich ed i Franco-Britannici. Se questi ultimi non si piegavano alla volontà solennemente espressa a Mosca, era un fatto che l’Inghilterra e la Francia si assumevano «la responsabilità della continuazione della guerra»1. È in seguito a questa dichiarazione che il gruppo parlamentare comunista francese, battezzato «operaio e contadino»2, consegnò alla Camera il 1 ottobre 1939 la famosa lettera al presidente Herriot che determinò il provvedimento disciplinare nei confronti dei deputati di quel gruppo. Qualche giorno dopo Thorez disertava, non certamente per battersi meglio contro Hitler, com’è stato sostenuto più tardi ma, come egli stesso ebbe a dichiarare all’epoca, per guidare la campagna contro la guerra nella quale il suo Paese si era impegnato. In effetti, l’Unione Sovietica a quella guerra non partecipava affatto e voleva soltanto aiutare Hitler a concluderla al più presto in considerazione dei profitti che i due contraenti del patto del 23 agosto ne avevano già tratto e degli altri che si sarebbero assicurati nell’Europa orientale e balcanica. È a partire da questo 1 [Questo comunicato congiunto si legge nella sua quasi totale integrità in Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. II, cit., p. 976, che così lo introduce: «Oltre a firmare il trattato tedesco-sovietico di amicizia e delle frontiere con le sue clausole segrete che spartivano fra i due Paesi l’Europa orientale, Molotov e Ribbentrop a Mosca, il 28 settembre, confezionarono e firmarono una clamorosa dichiarazione pacifista»]. 2 [Era questa la nuova denominazione assunta dal Partito comunista francese in seguito alla sua messa al bando del 26 settembre 1939].

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momento, e in progressione crescente sino alla disfatta, che i comunisti francesi (e con essi Mosca) hanno lanciato la parola d’ordine pace subito, rialzando così la bandiera che Marcel Déat aveva lasciato cadere3. È chiaro che i comunisti francesi non si sarebbero assunti da soli la responsabilità di una presa di posizione politica di tale importanza internazionale costituita dalla lettera inviata al presidente Herriot. Con quella lettera si esigeva la convocazione del Parlamento perché le proposte di pace che la Germania stava per avanzare (e che Hitler, in effetti, avanzerà nel suo discorso del 6 ottobre al Reichstag) venissero prese in considerazione. Ora, all’inizio dell’ottobre del 1939, si trovava a Parigi l’ambasciatore sovietico in Belgio, Rubinin che, per conto del suo governo, seguì sul posto, nella capitale francese, i primi passi della «campagna per la pace» decisa a Mosca alla fine di settembre. Una comunicazione che riassumeva la sua opinione fu trasmessa a Léon Blum ed è attraverso quest’ultimo che è arrivata a noi. Si tratta di un documento assai importante, perché prova di quali argomentazioni si avvalevano i diplomatici sovietici per coinvolgere in questa campagna gli uomini di governo francese, ed in particolare quelli socialisti. Alcuni passi dei «suggerimenti» di Rubinin basteranno. Così, infatti, allora scriveva l’emissario di Stalin: «Perché non volete addivenire all’idea, voi, la Francia, con noi, l’Unione Sovietica e la Germania, di concludere subito la pace alla luce della situazione attuale? Perché non potreste, voi, stato democratico, raggiungere – con il nostro aiuto – un accordo con un regime totalitario dal momento che noi, bolscevichi, abbiamo potuto intrattenere nel corso di venti anni vantaggiose relazioni con l’Italia fascista ed ora con la Germania hitleriana?» Le argomentazioni di Rubinin sono piuttosto tutte rivolte contro l’Inghilterra che è la «sola a guadagnarci con la guerra», e il cui regime capitalista è per i lavoratori più temibile dei «fascismi tedesco e italiano che eliminano il loro capitalismo»4. 3

[Si veda la nota 4 del capitolo XVIII]. [Queste argomentazioni di Rubinin riflettono esattamente il pensiero di Stalin che, a quanto afferma Lukacs, 22 giugno 1941, cit., p. 87, «vedeva gli inglesi come il prototipo dei capitalisti e degli imperialisti, peggiori dei tedeschi, che invece rispettava». Da tale convinzione derivava che l’Inghilterra fosse ritenuta dall’Unione Sovietica «il nemico principale», come è pure attestato da Andrew-Gordievskij, La storia segreta del KGB, cit., p. 300 ove si legge: «Nell’ambito delle operazioni estere del servizio segreto, la Gran Bretagna aveva avuto un’alta priorità sin da quando erano stati costituiti il Dipartimento del 4

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Rubinin rientra poco dopo a Bruxelles e sollecita un incontro con l’ambasciatore degli Stati Uniti in Belgio, Joseph E. Davies5, per illustrargli la questione dei rapporti germano-sovietici. Dopo aver giustificato con l’inaffidabilità anglo-francese la firma del patto del 23 agosto, Rubinin suggerisce che sarebbe necessario riportare la pace in Europa, accettando lo statu quo (beninteso, quello deciso dagli accordi di Mosca) che una conferenza dei belligeranti avrebbe dovuto avallare. A questo proposito egli chiede pure quale sarebbe la reazione dell’opinione pubblica americana e, poiché Davies protesta contro lo statu quo fondato sulla forza bruta dell’aggressione, Rubinin taglia corto a queste considerazioni, affermando che «in ultima analisi, la guerra in corso è un conflitto tra l’Impero britannico, che cerca di dominare il mondo, e la Germania, che rivendica il diritto di espandersi in condizioni di parità»6. È la giustificazione che Mosca ed i partiti comunisti al suo servizio forniranno della seconda guerra mondiale per due anni circa, sino a quando l’attacco della Wehrmacht all’Est li costringerà invece a scoprirne all’improvviso il carattere «democratico»7. La «campagna per la pace» lanciata da Hitler e appoggiata da Stalin con ogni mezzo e modo possibile a partire dalla fine del settembre 19398 non è stata per l’Unione Sovietica una mossa temporanea e soltanto formale. L’Unione Sovietica vi ha impegnato a fondo i partiti comunisti e le sue molteplici «diplomazie»; vi ha servizio segreto estero della Ceka [a partire dal 1920] ed il Quarto Dipartimento, predecessore del Servizio informazioni militari sovietico. Gli Stati Uniti, invece, furono considerati di secondaria importanza fino ad un anno prima della seconda guerra mondiale»]. 5 [Già ambasciatore degli Stati Uniti a Mosca tra il novembre 1936 e il giugno 1938]. 6 Joseph Davies, Mission à Moscou, Montreal, Editions de l’Arbre, 1944, pp. 400-402 [pp. 324-326 nell’edizione italiana, Roma, Donatello de Luigi Editore, 1945, 2a. ed.]. 7 [Si veda la nota 7 del capitolo XXIV]. 8 [A questo proposito e a titolo esemplificativo, qui di seguito qualche estrapolazione dal già ricordato Discorso pronunciato dinnanzi al Reichstag del 6 ottobre 1939 in Hitler, Discorsi di guerra, cit., pp. 50-52. «Se l’Europa ha interesse alla calma e alla pace, allora gli stati Europei devono essere grati alla Russia e alla Germania per il fatto di essere pronte a fare di questo focolaio di disordine una zona di sviluppo pacifico, assumendosi la responsabilità di sopportare i relativi sacrifici [...] Il secondo compito, ai miei occhi di gran lunga più importante, consiste nel creare non solo il convincimento, ma il sentimento consapevole della pacificazione europea [...] La premessa più importante per un vero rifiorire dell’economia europea ed anche extra-europea è la realizzazione di una pace assolutamente garantita e di un senso di sicurezza dei singoli popoli»].

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riposto la garanzia più solida dei suoi accordi con la Germania, dei quali dovevano fare le spese le democrazie occidentali. Il 28 settembre Germania e Unione Sovietica avevano dichiarato che gli accordi presi tra i due Paesi relativamente all’Europa orientale non solo riguardavano esclusivamente essi soltanto ma costituivano un fatto compiuto ed irreversibile. La «campagna per la pace» non doveva nuocere alla vittoria tedesca; doveva piuttosto valorizzarla nel quadro di un accordo generale. Ribbentrop volle ricordare le conversazioni di agosto-settembre 1939 a Mosca nel discorso tenuto il 24 ottobre a Danzica, per smentire le «invenzioni» della propaganda inglese che annunciava da mesi la rottura della collaborazione russo-tedesca. Il 19 ottobre aveva fatto sottoporre dall’ambasciatore von Schulenburg all’attenzione di Stalin le linee del discorso che intendeva pronunciare a Danzica sui rapporti tra i due Paesi. Stalin approvò l’impostazione del discorso, ma chiese che, nel caso in cui le parole che egli stesso aveva pronunciato dovessero essere citate testualmente, lo fossero in questi termini: «Una Germania forte è condizione preliminare assolutamente necessaria per la pace in Europa; dal che consegue che l’Unione Sovietica ha tutto l’interesse all’esistenza di una Germania forte. L’Unione Sovietica non può dunque approvare le potenze occidentali che vorrebbero invece creare le condizioni per un indebolimento della Germania. Questo è il motivo fondamentale della comunanza di interessi tra Germania e Unione Sovietica»9. Stalin dixit10.

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Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., pp. 124-127. [In latino nel testo].

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xxi. Il Patto, strumento della vittoria

Oggi i comunisti forniscono del Patto del 1939 un’interpretazione analoga a quella che avevano dato all’epoca della sua stipula: allora avevano iniziato col negarlo, poi a falsarne il contenuto e, infine, a giustificarlo completamente1. I nostri autori mettono insieme la mutilazione del Patto con la sua esaltazione. Il testo, che hanno separato dai protocolli segreti e di cui hanno soppresso una buona metà, quello della fine di settembre, diventa, debitamente sfrondato e falsato, un’opera provvidenziale. In tal modo risulta che Stalin ha previsto e voluto tutto sin dall’inizio, ed è dunque grazie al Patto che la Germania è stata sconfitta e la Francia liberata. A questo livello di glorificazione l’opera dei nostri due «storici» diventa… fantascientifica. Ma è necessario seguirli nel loro delirio per affrontare alcuni nodi essenziali della nostra storia trascorsa e di quella futura. I nostri «storici» sostengono che il patto dell’agosto 1939 sarebbe stato voluto da Stalin per meglio preparare la vittoria sulla Germania2. Ammesso pure che gli accordi di Mosca, quelli resi pubblici e quelli rimasti segreti, abbiano davvero determinato la disfatta della Germania e la vittoria delle democrazie, resta da provare che Stalin li abbia conclusi per questo fine. 1 Abbiamo esposto la progressione delle argomentazioni avanzate nel 1939 nel nostro Physiologie du P.C.F., Paris, Self, 1948, pp. 97-102. 2 [Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., pp. 163-164, fanno proprio il pensiero di Stalin riportando un ampio stralcio del discorso da lui pronunciato alla radio il 3 luglio 1941, discorso che ha poi trovato la sua versione scritta in Staline, Sur la grande guerre de l’Union Soviétique pour le salut de la patrie, Moscou, Éditions en langues étrangères, 1946, stralcio che così si chiude: «Cosa abbiamo guadagnato nel concludere con la Germania un patto di non-aggressione? Abbiamo garantito per un anno e mezzo al nostro paese la possibilità di preparare le nostre forze per resistere nel caso in cui, come si è verificato, la Germania fascista ci avesse attaccato malgrado il patto. Ciò ha costituito un buon guadagno per noi e una buona perdita per la Germania fascista»].

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Nel giugno 1940, il maresciallo Pétain ha firmato l’armistizio ma si è rifiutato di spostare il suo governo nel Nord Africa. Nelle polemiche ancora aperte sulle conseguenze di queste decisioni, si è anche sostenuto che esse avevano esercitato un’azione positiva sull’esito della seconda guerra mondiale poiché evitarono l’attacco tedesco nell’Africa del Nord, attacco il cui successo avrebbe seriamente compromesso le iniziative militari britanniche in Libia e in Egitto, avrebbe deciso la sorte di Malta ed avrebbe impedito lo sbarco del novembre 1942. Se la bilancia della storia era andata spostandosi verso quelle decisioni, ciò non significava affatto che il maresciallo Pétain, con il suo comportamento del giugno 1940, si era preoccupato di salvare con la Francia, l’Inghilterra e la democrazia… In nessun momento Stalin, con la stipula del Patto, ha inteso contribuire alla vittoria anglo-francese. Al contrario, Stalin ed il Patto hanno rischiato di comprometterla in modo irreparabile, cosa che sarebbe avvenuta se non fossero intervenuti eventi del tutto sfuggiti all’iniziativa ed al controllo dei capi del Kremlino. La situazione militare degli anni 1939-1941 si è segnalata in negativo per la disfatta delle Fiandre e, in positivo, per la vittoriosa resistenza dell’Inghilterra e per l’intervento degli Stati Uniti nella guerra. Stalin e il Patto hanno affrettato la disfatta francese del maggio-giugno 1940, hanno lasciato l’Inghilterra quasi isolata e pericolosamente minacciata tentando di impedire l’aiuto che l’America cercava di portarle.

xxii. Disfatta francese e Patto

Il Patto ha anzitutto garantito ad Hitler la guerra su un solo fronte, condizione che egli ed i suoi generali ritenevano indispensabile per vincerla rapidamente. Trotzky, in un articolo del gennaio 1940, ironizzava su quei commentatori politici che ritenevano troppo caro il prezzo pagato da Hitler a Stalin al momento degli accordi sulla spartizione dei territori dell’agosto-settembre 1939: «Garantirsi sul fronte orientale alla vigilia della guerra – scriveva Trotzky – era per Hitler questione di vita o di morte». L’annientamento della Polonia nel giro di qualche settimana e la complicità russa offrivano ad Hitler la possibilità di muoversi su due prospettive egualmente rassicuranti: gli Occidentali, demoralizzati dalla defezione della Russia e dalla catastrofe polacca, si sarebbero rassegnati al fatto compiuto ed avrebbero accettato le sue proposte di pace; se queste fossero state rifiutate, la Germania avrebbe potuto concentrare tutte le sue forze contro loro ed imporre la sua volontà con una guerra rapida e vittoriosa ad Ovest. Hitler continuò a guardare con ottimismo questo quadro anche quando, prima di sferrare l’attacco alla Polonia, dovette prendere atto del rifiuto di Mussolini di entrare subito in guerra. Il 26 agosto 1939 inviò al Duce una lettera nella quale così riassumeva le ragioni che gli consentivano di affrontare con fiducia i possibili rischi di una guerra generalizzata: «Né la Francia, né l’Inghilterra possono aspettarsi ad Ovest alcun risultato positivo, perché ad Est, una volta sconfitta la Polonia, la Germania, grazie ad un accordo stipulato con la Russia, disporrà di tutte le sue forze. E poiché non c’è alcun dubbio sulla nostra superiorità

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aerea, non esiterò affatto a risolvere la questione dell’Est, pur con il rischio di complicazioni ad Ovest»1. Hitler non sbagliava nelle sue previsioni. La «calma all’Est» garantita da Mosca permise al Reich di lasciare sguarnito il fronte sovietico durante la campagna delle Fiandre e di spostare sul fronte occidentale la quasi totalità delle sue divisioni. Tra il settembre 1939 ed il maggio 1940, i comunisti francesi praticarono, su larghissima scala, il disfattismo all’interno del Paese e al fronte e, per quanto fu loro possibile, il sabotaggio dello sforzo bellico. Ma il Patto ebbe per la Francia conseguenze ancora più gravi; esso spostò a destra l’asse politico del Paese, e non solo spinse i comunisti a mobilitarsi attivamente contro la guerra, ma fece emergere orientamenti politici sino ad allora soffocati, mise le sinistre in una posizione di inferiorità morale, impedì ogni adesione popolare alla guerra, il cui clima divenne sfavorevole alla formazione di un’efficace unione nazionale. I comunisti mentono quando sostengono di essersi opposti alla guerra perché era una guerra «reazionaria»; la loro opposizione fu determinata essenzialmente dal brusco voltafaccia sovietico. Ma, se l’errata, cattiva conduzione politica della guerra, accentuandone l’impopolarità, contribuì essa stessa alla disfatta, è il Patto dell’agosto 1939 che ne porta, sotto questo profilo, la responsabilità principale.

1 Hitler e Mussolini. Lettere e documenti, Milano, Rizzoli, 1946, p. 15 [edizione italiana con Introduzione e Note di Vittorio Zincone]. Questa lettera non figura però nella traduzione francese (Paris, 1946) della loro corrispondenza. La «questione dell’Est» di cui parla Hitler è quella della Polonia.

xxiii. L’Inghilterra, perno della Resistenza

Dopo la disfatta l’Inghilterra, come dirà Churchill, si trovò «completamente nuda» di fronte alla minaccia dell’invasione tedesca. Ma l’impegno e la determinazione della Royal Air Force fecero fallire i piani di Hitler che dovette rinunciare a mettere in ginocchio l’Inghilterra. Nell’estate del 1940 è stata l’Inghilterra a vincere la battaglia più importante per l’esito militare della seconda guerra mondiale. Se la Gran Bretagna non avesse avuto in quel momento un magnifico sussulto d’orgoglio, niente avrebbe ostacolato il dominio nazista in Europa; non ci sarebbe stato né lo sbarco in Algeria, né Stalingrado. È l’Inghilterra che ha salvato l’Europa e la stessa Russia nel secondo semestre del 1940 e, senza essa, l’Unione Sovietica non sarebbe sopravvissuta al «provvidenziale» Patto dell’agosto 1939. Stalin, che riteneva di aver previsto e calcolato tutto, non aveva però immaginato che una sconfitta franco-britannica avrebbe lasciato l’una di fronte all’altra Germania e Unione Sovietica e, senza il «miracolo» della resistenza inglese, quest’ultima in balia della Wehrmacht. Il Patto ha consentito a Stalin soltanto di guadagnare tempo perché la vittoriosa resistenza inglese ha tenuto aperto, malgrado il Patto, un fronte di guerra in Occidente. L’ossessione della conquista dell’Inghilterra domina, tra il 1940 e la fine del 1941, la politica e la strategia militare di Hitler e le conseguenze di questa ostinazione si protrarranno sino alla fine della guerra. Infatti, già intorno alla metà del giugno 1940, i capi sovietici iniziano a valutare i pericoli di un crollo dell’Inghilterra; per sottrarsi al pericoloso isolamento internazionale al quale questo evento li avrebbe condannati, accettano subito le proposte di Mussolini che vuole inserire l’Italia nel circuito germano-sovieti-

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co creato nel 1939. Molotov, nei suoi colloqui con Augusto Rosso, l’ambasciatore italiano a Mosca, accenna ad un accordo che garantisca all’Unione Sovietica l’egemonia nel Mar Nero e sugli Stretti a fronte di un’egemonia italiana nel Mediterraneo da realizzarsi soprattutto a spese della Francia1. C’è dietro questa mossa sovietica la speranza di indurre l’Inghilterra ad un accordo, la qual cosa sembra aver esercitato una certa influenza sulla decisione di Hitler di arrestare l’avanzata delle truppe corazzate verso Dunkerque2; c’è pure, nel clima di continui ondeggiamenti, il desiderio di non creare una situazione irreparabile con l’Inghilterra che indusse Hitler a rinunciare, poco dopo l’armistizio con la Francia, a portare la guerra nell’Africa del Nord3. 1 Si veda il testo delle conversazioni Molotov-Rosso in Mario Toscano, Una mancata intesa italo-sovietica nel 1940 e 1941, Firenze, Sansoni, 1953 [I testi dei colloqui, che si svolsero il 30 dicembre 1940, il 17 gennaio ed il 24 febbraio 1941, si leggono rispettivamente alle pp. 85-93, 115-119, 130-133. Come rileva esattamente Tasca, le conversazioni ruotano tutte, principalmente e sin dal primo di questi incontri, intorno al tema che egli indica. Così, ad esempio, Toscano alla p. 91: «Passando ad altro argomento Molotov ha abbordato la questione che evidentemente gli stava più a cuore, e cioè quella degli Stretti. Molotov – Gradirei ora chiedervi un chiarimento. Potete precisarmi che cosa significhi esattamente nel pensiero italiano la frase “preminenza italiana nel Mediterraneo”? Ambasciatore – Mi pare di avere già risposto a questo quesito al principio della nostra conversazione quando mi avete chiesto il significato delle parole “preminenza degli interessi sovietici nel Mar Nero”. Il loro senso generale mi sembra ovvio: significano che l’Italia è il Paese coi maggiori interessi nel Mediterraneo, come l’U.R.S.S. lo è nel Mar Nero. L’interesse sovietico per gli “Stretti del Mar Nero”, locuzione “ripetutamente usata da Molotov” nel corso di quel primo colloquio, è connesso “soprattutto ai problemi di sicurezza nazionale dell’U.R.S.S.” poiché “tutte le aggressioni dal sud contro la Russia sono avvenute attraverso gli Stretti”, in occasione della “guerra di Crimea, e più recentemente per gli attacchi dell’Inghilterra nel 1918 e della Francia nel 1919”»]. 2 [Nella ridda di ipotesi interpretative dell’evento, questa avanzata in via di probabilità ma privilegiata da Tasca, è adombrata pure da Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. II, cit., p. 1122: «Benché alcuni ne dubitino, può anche darsi che Hitler trattenesse le sue forze corazzate davanti a Dunkerque per risparmiare alla Gran Bretagna una grave umiliazione e facilitare in tal modo le trattative di pace»]. 3 Nel quadro di questa preoccupazione, non può essere passato sotto silenzio il rifiuto opposto dal governo di Vichy all’intimazione di Hitler del 15 luglio 1940 [con la quale si chiedeva che le basi navali nell’Africa del Nord venissero concesse alla Germania. Così Robert Paxton, Vichy 1940-1944. Il regime del disonore, Milano, Mondolibri, 2000, p. 76: «Pétain scrisse a Hitler che, dal momento che la Francia aveva dimostrato la sua lealtà all’armistizio, oltre ad altre precedenti prove, era rimasto “dolorosamente sorpreso” nel ricevere «nuove richieste» in “flagrante contraddizione” con l’armistizio firmato appena tre settimane prima»].

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È per isolare l’Inghilterra e spingerla a capitolare che Hitler tenta, nel novembre 1940, al momento dei colloqui di Berlino con Molotov, di convincere la Russia ad aderire, quale quarto componente, al patto germano-giapponese-italiano concluso un mese e mezzo prima. Alla fine del 1940, Stalin accettò in linea di principio questa alleanza ma, mentre Hitler voleva attrarlo con la sola spartizione dei territori asiatici che sarebbero stati disponibili con la sconfitta «sicura» dell’Impero Britannico, Stalin voleva invece aggiungere a questi eventuali benefici (l’espansione a sud di Baku e verso il golfo Persico) quelli di un ulteriore avanzamento territoriale nei Balcani e in Finlandia. È a fronte di queste richieste relative all’Europa, che Hitler si oppose e decise la guerra all’Est. Tra la fine del novembre 1940 e il gennaio 1941, Stalin cercò di indurre il suo alleato tedesco a puntualizzare e a concludere l’accordo di spartizione del mondo a spese dell’Inghilterra4, ma Hitler aveva ormai elaborato il «Piano Barbarossa». Del resto, se i capi sovietici non si spinsero con maggior determinazione nell’avventura del Patto quadripartito, insistendo per farne parte in cambio di sostanziali vantaggi in Europa e in Asia, è perché l’eredità era sì allettante, ma la fine dell’Inghilterra non era affatto sicura, né la sua successione aperta. Infatti, l’argomento principale impiegato da Hitler per indurre l’Unione Sovietica ad accettare il suo piano – che la guerra contro l’Inghilterra era in effetti già vinta – non riuscì a convincere del tutto Stalin e Molotov, perché l’Inghilterra resisteva e continuava la guerra. Dunque, la spartizione desiderata da tutti comportava ancora alcuni rischi; Stalin e Molotov, per correrli, chiesero un prezzo assai alto che Hitler non era disposto a pagare. Così, pure la relativa prudenza dei calcoli staliniani fu una conseguenza della resistenza inglese. Quella resistenza esercitò la sua influenza anche su un altro partner di Hitler, su Franco; essa costituì uno dei fattori che indussero il Caudillo a non intervenire attivamente nella guerra accanto alla Germania, come aveva per un momento progettato nell’e4 Si vedano le proposte sovietiche inviate a Berlino il 26 novembre 1940 ed il sollecito di Molotov in data 17 gennaio 1941 in Nazi-Soviet Relations (1939-1941), cit., pp. 258-259, 270-271.

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state del 1940 dopo la disfatta franco-inglese del giugno5. Peraltro, anche lo smacco inflitto dagli Inglesi all’offensiva del maresciallo Graziani sul confine egiziano, insieme con la pressione economica anglo-americana esercitata sulla Spagna, contribuì ad imporre a Franco una politica di non intervento.

5

[Conferma assai recente a questa asserzione si trova in Gennaro Carotenuto, Franco e Mussolini, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2005, p. 76, ove si sostiene che «tra giugno e settembre del 1940, la baldanza del Caudillo è massima» ma, «già da settembre 1940 – lo spazio di un’estate dunque – constatando la capacità difensiva e controffensiva britannica, l’atteggiamento del dittatore diviene più prudente»].

xxiv. «Yankees stay home»*

Tra il settembre 1940 ed il luglio1 1941, Mosca si è attenuta con inflessibile continuità alla linea politica fissata con gli accordi del Patto concluso con Hitler. Non è vero che con tale comportamento Stalin volesse soltanto guadagnare tempo per correre in seguito, al momento opportuno, in aiuto delle democrazie minacciate; Stalin s’impegnò piuttosto per circa due anni per impedire la loro vittoria. Che questa condotta comportasse dei rischi per la stessa Russia, non occorre sottolinearlo. È certo, infatti, che l’assenza, la neutralità assoluta degli Stati Uniti avrebbe lasciato l’Unione Sovietica in balia di Hitler. Senza l’Inghilterra e senza l’America, Hitler avrebbe attaccato probabilmente la Russia poco dopo la vittoria del maggiogiugno 1940 in Occidente o, al più tardi, nei primi mesi del 1941: in entrambi i casi l’offensiva tedesca contro una Russia isolata * In inglese nel testo. 1 [Poiché l’«operazione Barbarossa» scatta – com’è nella comune conoscenza – alle 3,30 del 22 giugno, singolare appare questo «juillet», già presente nella seconda parte del saggio pubblicato in «Preuves», n. 36, a. IV, febbraio 1954, cit., p. 48, e qui ribadito. A questo proposito è possibile formulare due ipotesi. La prima, banalmente, rinvia al mero errore materiale nella correzione delle bozze già nel saggio, bozze poi non più rivisitate; la seconda, decisamente più azzardata ma plausibile, tiene invece presente la possibilità che quell’apparentemente errato riferimento cronologico sia stato volutamente espresso da Tasca in considerazione del fatto che tra il 22 giugno ed il 3 luglio, pure per l’autoisolarsi di Stalin tra il 27 giugno ed il 2 luglio, l’Unione Sovietica vive in una situazione di totale disorientamento dalla quale uscirà, appunto, nella giornata del 3 luglio con il noto discorso radiofonico di Stalin. Un’analitica descrizione del clima caotico nel quale si dibattono i vertici politici e militari in quei giorni si trova in Richard Overy, Russia in guerra 1941-1945, Milano, Il Saggiatore, 2000, pp. 89-95; altri dettagli di quella situazione in Andrea Graziosi, L’URSS di Lenin e Stalin. Storia dell’Unione Sovietica 1914-1945, Bologna, il Mulino, 2007, pp. 471-474; ed ancora, pure per lo specifico delle reazioni psicologiche di Stalin, Lukacs, 22 giugno 1941, cit., pp. 108-111, 130-135].

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avrebbe avuto successo, anche se la Russia non fosse stata attaccata alle spalle dal Giappone2. Ora, per circa due anni, Stalin mobilitò i partiti comunisti, tutta la propaganda ed ogni mezzo di influenza di cui disponeva sullo scenario internazionale per impedire l’intervento dell’America nella guerra e per impedire anche l’aiuto americano all’Inghilterra. Mosca denunciò insistentemente, sino al giugno 1941, la violazione della neutralità americana nella guerra ed il «criminale responsabile», Roosevelt. Alla fine dell’ottobre 1939, il Segretario dell’Internazionale comunista, Dimitrov, nell’impartire disposizioni ai partiti comunisti, li invita a diffidare della «borghesia americana» che «sotto la maschera della neutralità, incoraggia l’estensione della guerra europea: «quella borghesia funge in effetti da fabbrica di armi per l’Inghilterra e per la Francia». Che orrore! Non si tratta, da parte sovietica e del comunismo internazionale, soltanto di una non ben definita aspirazione pacifista: la campagna antiamericana deve concentrarsi contro gli accorgimenti che Roosevelt mette gradualmente in moto per aiutare le democrazie in guerra. Lo stesso Molotov, nel suo discorso del 31 ottobre 1939, deplora che l’America abbia deciso di togliere l’embargo sull’esportazione delle armi. Qualche giorno prima, il 25 ottobre, il segretario del Partito Comunista Americano, Foster aveva dichiarato che «la lotta per impedire la fine dell’embargo sugli armamenti era un aspetto vitale della lotta del popolo americano per tener fuori l’America dal conflitto»; il giorno successivo al discorso di Molotov, il Daily Worker, l’organo comunista americano, condannava anch’esso la fine del blocco, perché «essa aiuta gli imperialisti anglo-francesi». Non soltanto il Partito Comunista Americano è mobilitato contro Roosevelt e la sua politica, ma i partiti comunisti di tutto il mondo ordinano ai loro propagandisti di coinvolgere gli immigrati negli Stati Uniti (italiani, tedeschi e via dicendo) nella campagna scatenata da Mosca. 2 [Il trattato di reciproca neutralità di durata quinquennale stipulato dall’Unione Sovietica con il Giappone il 30 aprile 1941 testimonia della preoccupazione di Stalin di premunirsi circa l’eventualità di un attacco giapponese, a seguire quello iniziale tedesco, che avrebbe costretto l’Unione Sovietica a battersi su due fronti].

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L’obbiettivo è, se possibile, impedire il piano militare che Roosevelt stava cercando di mettere in piedi: da qui la campagna contro l’aumento dei crediti militari e contro l’istituzione del servizio militare obbligatorio. Mosca si impegna, allo stesso tempo, a scoraggiare le aspettative che possono nutrirsi in Europa sul possibile intervento delle forze armate americane, come era avvenuto nel 1917. Nel gennaio 1940, i comunisti diffusero un manifesto con queste parole: «Gli Americani non verranno!», a firma Mr. e Mrs. America. Il 6 aprile, anniversario della dichiarazione americana di guerra contro la Germania nel 1917, ecco quanto scrive l’editoriale dell’organo comunista americano: «Non ci sarà un nuovo 6 aprile […] Migliaia di Americani sfileranno nelle loro città, porteranno striscioni con la scritta: Gli Americani non verranno». Gli slogans di queste manifestazioni saranno: «Non portare alcun aiuto, sotto forma di prestiti, di crediti, o di altro genere, a nessuno degli stati belligeranti […] Opporsi al bilancio preventivo di spese per la guerra, e del conseguente impoverimento del Paese, del governo Roosevelt. Opporsi alla politica estera del presidente Roosevelt che ha fatto degli Stati Uniti un arsenale a disposizione dei guerrafondai stranieri»3. Il 10 maggio inizia la battaglia delle Fiandre. Il giorno dopo il Partito Comunista Americano dichiara: «Affamate la guerra e nutrite l’America. Non permettete che l’America partecipi a questa guerra criminale» e, all’inizio di giugno, si oppone al «progetto del presidente Roosevelt di far costruire 50.000 aerei al costo di 5 miliardi di dollari». Queste campagne «pacifiste» aderiscono perfettamente all’atteggiamento che assumono, ciascuno al proprio livello di competenza e di azione, il governo di Mosca e la stampa sovietica, tanto le Izvestia, quanto la Pravda. Esse continuano e si intensificano. Il Partito Comunista Americano si fa portavoce delle posizioni isolazioniste e «scioviniste», come fanno peraltro tutti i partiti comunisti – e anzitutto quello francese – ogni volta che ciò può essere utile, in una certa situazione e sin tanto che essa dura, alla politica estera dell’Unione Sovietica. 3 «Daily Worker», 6 aprile 1940. Numerosi estratti di articoli e discorsi della propaganda comunista sono proposti in appendice al libro di William Bullit, Le Destin du monde, Paris, Self, 1948. Abbiamo così potuto consultare i giornali comunisti pubblicati negli Stati Uniti dai gruppi etnici immigrati.

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Così, quando le comunicazioni marittime dell’Inghilterra sono minacciate, il Partito Comunista Americano grida al «colpo di stato», denuncia il «cinismo» di Roosevelt che il 2 settembre 1940 ha consegnato a Churchill cinquanta cacciatorpediniere americane; la campagna contro la rielezione di Roosevelt (di cui a Berlino, con illusoria speranza, si attendeva la sconfitta) è condotta con stessi toni e stesse argomentazioni sia dai comunisti, sia dagli isolazionisti americani. Gli uni e gli altri denunciano il «complotto criminale» di Roosevelt che tradisce ed inganna il popolo americano, così come Wilson che l’aveva tradito e ingannato nel 1917. Tra il marzo e l’aprile 1941, comunisti e compagni lavoratori4 organizzano un «Congresso per la pace» per far fallire i «piani di guerra» di Roosevelt. Lo scenario è lo stesso che, dieci anni dopo, sarà utilizzato a Stoccolma, a Varsavia, a Vienna, e via dicendo, contro i «piani di guerra» di Eisenhower: cortei di donne, di giovani, petizioni, delegazioni e cose simili. I comunisti diventano indomiti patrioti e «progressisti». Il proclama del loro partito, lanciato dal Comitato centrale americano il 29 aprile 1941, si chiude con questa serie di esortazioni: «Uscite dalla guerra e restate fuori dalla guerra imperialista. Nessun convoglio militare, nessuna spedizione armata. Gli Americani non interverranno. Spezziamo l’alleanza militare anglo-americana». Le stesse parole d’ordine verranno riprese nel proclama del 2 giugno successivo, venti giorni prima dell’attacco della Germania all’Unione Sovietica. Lo sforzo maggiore dei comunisti americani fu effettuato contro il varo della cosiddetta legge «Prêt-Bail» finalmente promulgata l’11 marzo 19415. Questa legge è stata giustamente definita 4

[In inglese e in corsivo nel testo]. [Letteralmente «Prestiti-Affitti», come suona pure nella enunciazione inglese, «Lend-Lease Act». Questa legge veniva a modificare, estendendone la portata, la precedente «Cash and Carry», «Paga e porta via», che regolava le forniture di viveri e materiali degli Stati Uniti alla Gran Bretagna. La proposta di modifica, avanzata dal Presidente Roosevelt e approvata a grande maggioranza dal Congresso, consentì all’America di «costruire, vendere, prestare, trasferire, noleggiare o permutare» armamenti a tutti quei Paese la cui difesa, «a giudizio del Presidente», era necessaria alla sicurezza degli Stati Uniti”. Questa legge, abrogata nel settembre 1945, se per un verso costituì un contributo determinante alla vittoria degli Alleati nella seconda guerra mondiale, per un altro offrì agli Stati Uniti la possibilità di uscire definitivamente dalla depressione economica avviatasi con la crisi di Wall Street e caratterizzante gli anni Trenta]. 5

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da Stettinius come uno degli strumenti decisivi ai fini della vittoria contro Hitler; peraltro, dopo il 22 giugno 1941, l’Unione Sovietica si è largamente avvalsa delle opportunità offerte da quella legge6 che consentì all’America di diventare «l’arsenale delle democrazie». Ma sino a quel momento, il Partito Comunista Americano e Mosca fecero del loro meglio per impedire l’approvazione di quella legge. La campagna di propaganda sovietica e del comunismo internazionale contro ogni iniziativa di Roosevelt è stata condotta sotto l’egida del Patto germano-sovietico e nella logica della politica che ne derivava. Gli «storici» comunisti pretendono ora di leggere il Patto come «l’elemento determinante per l’esito favorevole della seconda guerra mondiale»7; in verità, il Patto ha contribuito alla disfatta del 1940 e ai tentativi di isolare l’Inghilterra e di impedire che quest’ultima fosse aiutata dall’America. La vittoria è egualmente arrivata, ma nonostante il Patto, e in seguito alla sua rottura per iniziativa unilaterale di Hitler.

6 [A partire dall’agosto 1941. A questo aspetto dedica ampio spazio proponendo fondate e significative considerazioni Overy, Russia in guerra, cit., pp. 203-207]. 7 Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 9 [che, subito a seguire, aggiungono: «Il Patto, mossa tattica di autodifesa del governo sovietico che le era stata imposta dall’ipocrisia e dai sordidi calcoli dell’Inghilterra e della Francia con l’appoggio degli Stati Uniti, ha consentito all’Unione Sovietica di predisporre le condizioni strategiche e politiche della sua vittoria sulla Germania nazista»].

xxv. Le occupazioni del 1939-1940

Gli «storici» comunisti giustificano ora la guerra del 19391940 contro la Finlandia e soprattutto le occupazioni del 19391940 (Polonia, Paesi baltici, Bessarabia, Bucovina) affermando: «Ovunque l’Unione Sovietica, grazie ai territori recuperati, getta le basi della vittoria del maggio 1945»1. Niente avalla questa tesi. Per quanto concerne la Finlandia, il cui fine, nel 1941, fu quello di recuperare i territori perduti in base al trattato che Mosca le aveva imposto nel marzo 19402, va sottolineato che l’offensiva più importante fu condotta dall’armata al comando di von Leeb partendo da sud-ovest, e non dall’istmo della Carelia. Pure i territori occupati dall’Unione Sovietica grazie al Patto di agosto-settembre 1939 giocarono un ruolo del tutto secondario nella resistenza russa di fronte all’avanzata della Wehrmacht, dal momento che questa resistenza fu organizzata soltanto al di qua 1 Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, p. 185 [Paesi «recuperati» in quanto, a vario titolo, riconducibili al dominio o al controllo dell’impero russo, prima, e dell’Unione Sovietica, poi, Paesi che, con la fine della prima guerra mondiale, avevano riacquistato la loro indipendenza. I Trattati di pace avevano allora restituito piena sovranità alla Polonia e agli stati baltici, antiche province dell’impero russo, costituitisi in stati nazionali. La Bessarabia, anch’essa incorporata nell’impero russo dal 1812, era stata invece annessa alla Romania, e pure la parte settentrionale della Bucovina, regione di appartenenza dell’impero austro-ungarico; al momento della dissoluzione di quest’ultimo, era stata dichiarata annessa dal Parlamento ucraino alla Repubblica democratica di Ucraina; era stata poi assegnata anch’essa, con il Trattato di Sèvres, alla Romania]. 2 [Esito della guerra russo-finnica scoppiata nel novembre 1939 per il rifiuto opposto dalla Finlandia alla richiesta avanzata dall’Unione Sovietica per la cessione di due basi militari e dell’istmo di Carelia, ritenuto di vitale importanza per la difesa di Leningrado, guerra sulla quale si rimanda, per una sua efficace sintesi, a Overy, Russia in guerra, cit., pp. 71-72. Il Trattato di pace impose alla perdente Finlandia di cedere i territori richiesti].

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del nuovo fronte sovietico che la Wehrmacht sfondò qualche giorno dopo l’inizio della sua offensiva. Minsk fu raggiunta il 24 giugno, Riga il 27, Lwow il 29, Tarnopol il 3 luglio, Vitebsk il 10 e Smolensk fu occupata il 16. Il ruolo militare dei territori acquisiti grazie al Patto fu dunque insignificante; la Wehrmacht superò quasi d’un balzo circa 400 km portandosi in tempi brevissimi sulla «linea Stalin», e sfondandola in più punti3. La stessa considerazione vale per quanto riguarda l’avanzata delle truppe rumene in Bessarabia. La macchina bellica tedesca subì le prime battute d’arresto nel corso delle grandi battaglie d’accerchiamento iniziate dalla Wehrmacht dietro la «linea Stalin». Milioni di soldati russi caddero prigionieri in queste battaglie, ma la Wehrmacht non riuscì ad annientare, come si era proposta nei piani che aveva predisposto nel dicembre precedente, l’esercito sovietico, salvatosi in parte ritirandosi verso Est. L’avanzata fulminea delle divisioni corazzate tedesche rese più problematica la strategia dell’offensiva che, peraltro, si scontrò in più punti con una resistenza accanita: quell’avanzata portata troppo in profondità si sarebbe rivelata fatale per la Germania, trattandosi di uno spazio situato tra l’antica frontiera russa ed il Volga. Questo territorio giocò un suo importante ruolo nel rallentare l’avanzata tedesca, ma ciò non grazie ai «territori occupati» dall’Unione Sovietica nel 1939-1940. L’offensiva tedesca, programmata per il 15 maggio4, fu rinviata in seguito agli avvenimenti in corso in Grecia e in Yugoslavia. 3 [Costruita tra il 1934 ed il 1937, si snodava per circa 2.500 Km. sfruttando i percorsi del Dnieper e del Dniester negli intervalli dei quali erano stati installati capisaldi difensivi; prendeva il via dal lago Peipus, dal confine russo-estone, per giungere sino ad Odessa sul Mar Nero. Lo sfondamento della «linea Stalin» veniva annunciato il 12 luglio 1941. Overy, Russia in guerra, cit., pp. 75, 80-81, per una convincente spiegazione della fragilità di questo sbarramento difensivo, fragilità dovuta alla decisione presa da Stalin «quattro giorni dopo la resa francese» di «spostare in avanti le nuove zone di difesa dell’Unione Sovietica fino alla frontiera della Germania e dei suoi alleati»]. 4 [Secondo quanto stabilito dal «comunicato n. 21», segretissimo, del Quartier Generale del Führer in data 18 dicembre 1940 ed «intitolato “operazione Barbarossa”» che si legge in Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. II, cit., p. 1236. Tuttavia questa decisione di Hitler «di liberare il mondo «una volta per tutte» dalla minaccia sovietica, con un attacco a sorpresa programmato per il maggio 1941», come scrive Overy, Russia in guerra, cit., p. 77, risale ai primi giorni del luglio 1940, subito a seguire le occupazioni sovietiche della seconda metà del giugno, di cui alla successiva nota 8].

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A questo proposito, in uno dei migliori studi di sintesi sulla seconda guerra mondiale si legge: «La resistenza delle popolazioni balcaniche e degli Inglesi5 a Creta influì in maniera decisiva su tutto l’andamento della guerra perché risparmiò a Mosca di subire la sorte di Atene, di Belgrado e di altre capitali»6. Hitler fu costretto a spostare la data dell’attacco dal 15 maggio al 22 giugno7. Se le armate tedesche fossero giunte sul fronte Tula-Borodin-Volokolamsk-Kalinin cinque settimane prima del 10 novembre, tutto induce a ritenere che la sorte di Mosca sarebbe stata da loro segnata secondo il piano prestabilito. Pur senza considerare il fatto che le occupazioni sovietiche dell’estate 19408 rafforzarono in Hitler la volontà di finirla con la Russia, è evidente che quelle occupazioni «preventive» poco protessero l’Unione Sovietica ed accrebbero invece il numero dei suoi nemici. Nei colloqui di Berlino del novembre 1940, Molotov espresse con tutta chiarezza l’intenzione dell’Unione Sovietica di impadronirsi di tutta la Finlandia, d’imporre il controllo sovietico alla Bulgaria, di far togliere la garanzia di tutela che durante l’«arbitrato di Vienna» la Germania e l’Italia avevano dato su ciò che restava della Romania, di indurre la Turchia a riconoscere le rivendicazioni sovietiche sul Mar Nero e sugli Stretti9. 5 L’Inghilterra non poté impedire l’occupazione tedesca della Grecia, ma la resistenza opposta costituì una preziosa azione di ritardo per il piano strategico tedesco. Churchill rivendicò a ragione la necessità dell’invio a Creta di alcune divisioni trasferite dal fronte egiziano, anche se quelle divisioni vennero purtroppo a mancare al maresciallo Wavell in occasione della prima offensiva di Rommel. 6 Guido Gigli, La seconda guerra mondiale, Bari, Laterza, 1951, p. 201. 7 [Più ampiamente Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. II, cit., p. 1265, che rende ragione dell’affermazione di Tasca. «Il feldmaresciallo Friedrich Paulus [...] testimoniò a Norimberga che la decisione di Hitler di distruggere la Jugoslavia fece rinviare di circa “cinque settimane” l’inizio dell’“operazione Barbarossa”. Il giornale della marina da guerra parla di un periodo uguale. Il feldmaresciallo von Rundstedt, che guidò in Russia il gruppo degli eserciti del Sud, dopo la guerra disse in un interrogatorio che, a causa della campagna dei Balcani, “noi cominciammo con un ritardo di almeno quattro settimane”, e aggiunse che “tale ritardo fu pagato assai caro”». Va tuttavia rilevato che le fonti cui attinge Shirer sono le stesse abitualmente usate da Tasca]. 8 [Il 17 giugno era stata la volta di Estonia, Lettonia e Lituania; il 28 giugno, della Bessarabia e della Bucovina settentrionale]. 9 [L’incontro, voluto dalla Germania, ebbe luogo il 12 e 13 novembre con Ribbentrop e Hitler. Per un’accurata ricostruzione del clima delle conversazioni, concluse con la reiterata (in quanto già adombrata in una lettera del precedente 12 ottobre di Ribbentrop a Stalin) proposta tedesca all’Unione Sovietica di entrare nel Patto Tripar-

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Gli appetiti sovietici furono portati a conoscenza dei Paesi interessati proprio attraverso Berlino; da ciò conseguì che la Finlandia considerò la guerra contro l’Unione Sovietica come una necessità della propria difesa nazionale; i patrioti dei Paesi baltici ed i partigiani della Galizia non dettero tregua nel giugno-luglio 1941 alle truppe sovietiche accelerando la loro fuga; la Bulgaria respinse il patto di non-aggressione propostole da Mosca; la Romania intervenne a fianco della Germania per riprendersi la Bessarabia e il suo esercito varcò il Dnistier; la Turchia si rifiutò per tutta la durata della guerra di uscire dalla propria neutralità. Dunque, i piani sovietici del novembre 1940 si posero nel solco degli accordi di agosto-settembre 1939 e quegli accordi non hanno in effetti portato alcun significativo vantaggio militare all’Unione Sovietica; anzi, al contrario, le resero più impegnative le condizioni della guerra.

tito con Germania, Italia e Giappone Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., vol. II, cit, pp. 1226-1234; pp. 1234-1236; poi Tasca, Due anni di alleanza germano-sovietica, cit., capitolo X, «La corsa verso la guerra», pp. 147-177, per una ancor più allargata ed articolata disamina e dell’incontro e dei motivi che lo ispirarono, nonché delle richieste sovietiche per l’adesione al Patto Tripartito comunicate il 26 novembre all’ambasciatore tedesco a Mosca, ovviamente qui sintetizzate da Tasca].

xxvi. Ieri e oggi

Il 9 febbraio 1946, Stalin, nel suo discorso «elettorale» affermò che la seconda guerra mondiale contro i Paesi dell’Asse, aveva assunto «sin dall’inizio il carattere di una guerra liberatrice, antifascista»1, carattere che sarebbe stato rafforzato dall’intervento dell’Unione Sovietica. In effetti, questa guerra «di liberazione» ha rischiato di essere persa tra il 1939 ed il 1941, poiché l’Unione Sovietica in questo periodo ha fatto di tutto per isolare la Francia dall’Inghilterra e l’Inghilterra dagli Stati Uniti. Questa sua politica è stata perseguita sotto l’egida del Patto con la Germania sino al 22 giugno 1941 e niente autorizza a ritenere che non sarebbe continuata se la Germania non avesse «violato» il Patto, cosa che Stalin non ha cessato di rimproverarle. Sino alla vigilia della rottura che, stando alle parole di Molotov, l’Unione Sovietica non aveva «meritato»2, Stalin si prodigò in 1 [La stessa citazione, e nella stessa, generale linea interpretativa di Tasca, si trova in Paolo Spriano, I comunisti europei e Stalin, 2a ed., Torino, Einaudi, 1983, pp. 106107, che così scrive: «Di tutta l’epoca staliniana, un periodo per il quale si può misurare con particolare evidenza come ogni affermazione “di principio”, ogni richiamo alla dottrina, siano in realtà escogitati per suffragare una svolta immediata, è il periodo che si apre nella seconda metà del settembre 1939 e si chiude bruscamente il 22 giugno 1941 [...] Lo stesso Stalin provvederà personalmente a smentire la validità del giudizio formulato nell’epoca della “neutralità” sovietica, allorquando la seconda guerra mondiale veniva definita come guerra imperialistica tal quale la prima. Dirà Stalin nel 1946 che “la seconda guerra mondiale prese sin dall’inizio un carattere di guerra antifascista e di liberazione, uno dei quali era il ristabilimento delle libertà democratiche”». Il noto discorso pronunciato a Mosca il 9 febbraio 1946 con il titolo Come abbiamo vinto, si legge pure in Giuseppe Boffa, Per conoscere Stalin, Milano, Mondadori, 1970, pp. 389-404]. 2 Grígoire Gafenco, Préliminaires de la guerre à l’Est, Fribourg, Egloff, 1944, p. 247 [p. 260 nell’edizione italiana Preliminari di guerra all’Est, Milano, Mondadori, 1946].

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ogni modo per evitarla dando prova alla Germania di rinnovate premure3. Se la guerra contro i Paesi dell’Asse ha potuto continuare ed evolvere positivamente, ciò avvenne contro la volontà di Stalin e indipendentemente da essa: Stalin è stato travolto da eventi che non aveva né previsto, né desiderato4. Tra il settembre 1939 ed il giugno 1941, i soli bersagli contro i quali Stalin ordinò di tirare sono state le democrazie occidentali. Abbiamo appena visto con quale zelo Mosca si sia impegnata per impedire che gli Stati Uniti intervenissero per salvare l’Inghilterra e per entrare in guerra contro Hitler. In Francia, nei mesi di giugno e luglio del 1940, i tentativi di collaborazione del Partito Comunista Francese con Hitler, per tramite dell’ambasciata tedesca di Parigi, sono stati fatti in nome della comune lotta contro l’Inghilterra5; a quell’epoca, l’Humanité rispondeva agli appelli del generale De Gaulle, che voleva «far combattere i Francesi per la City», con la parola di Cambronne6, e questa posizione fu abbandonata soltanto quando l’Unione Sovietica fu attaccata dall’esercito tedesco. Peraltro, tutti i partiti comunisti si attennero a quella linea politica prima dell’offensiva tedesca. Di recente l’Humanité ha presentato una serie di citazioni sotto il titolo L’Unione della nazione, imperativo fermo della politica del P.C.F.7 per fornire la prova della... coerenza di questa linea politica. Il quotidiano comunista citava un estratto della dichiarazione del Comitato Centrale, datato 15 maggio 1941, per provare che, anche prima del 22 giugno di quell’anno, il Partito Comunista Francese aveva già assunto una posizione «di resistenza». Si tratta del manifesto del primo «Fronte Nazionale» lanciato dal parti3 Rossi, Deux ans d’alliance germano-soviétique, cit., pp. 205-214 [pp. 170-182 nell’edizione italiana. Però, nella pluralità del richiamo citatorio «rinnovate premure», il paragrafo «Collaborazione economica fino alla fine», pp. 170-171; le pagine successive per le iniziative di carattere politico]. 4 [Come pure dimostra il comunicato ufficiale della «Tass» del 14 giugno 1941, citato in Graziosi, L’URSS di Lenin e Stalin, cit., p. 447, comunicato che recita «La Germania sta osservando i termini del patto di non aggressione tanto strettamente quanto l’Unione Sovietica [...] Le voci circa l’intenzione tedesca di rompere il patto e attaccare l’Urss sono prive di ogni fondamento»]. 5 Rossi, Physiologie du P.C.F., cit., pp. 395-410; Idem, Les comunistes françaises pendant la «drôle de guerre», Paris, Ile d’Or, 1951, chapitre XXV: Du défaitisme à la collaboration. 6 «Humanité», 1° luglio 1940. 7 «Humanité», 11 novembre 1953.

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to nella seconda metà di maggio, dopo i colloqui di Darlan con Hitler a Berchtsgaden8; questo manifesto, dal cui contesto è stato estrapolato il passo che segue9, è ispirato, da cima a fondo, dalla volontà di «lasciare il nostro Paese fuori dalla guerra di rapina» alla quale si abbandonano gli stati imperialisti rivali; vi si fissa questo «primo obbiettivo»: «non permettere che il popolo francese, le risorse del nostro Paese e il nostro stesso territorio siano coinvolti nella guerra tra Germania e Inghilterra»; vi si chiede pertanto «di perseguire senza tentennamenti una politica mirata alla pace al fine di tenere la Francia fuori dalla guerra»10. Ci si potrebbe chiedere per quale motivo Mosca ed il Partito Comunista Francese invochino la costituzione del «Fronte Nazionale», sia per impedire la guerra contro Hitler, sia per coalizzarsi contro Hitler quando diventò nemico della Russia. È un fatto che espressioni come queste: unione di masse, di popolo, della nazione sono essenzialmente formule di organizzazione, il cui contenuto politico varia, assume significato differente di volta in volta, a seconda delle circostanze, e che dunque – come si è verificato alla metà del 1941 – se gli interessi dell’Unione Sovietica lo esigono, «può essere ribaltato completamente». Queste formule sono quelle peculiari di un partito che, perseguendo o la presa del potere, oppure esercitando su esso la massima pressione politica possibile, vuole coinvolgere in questo suo fine il maggior numero possibile di forze sociali che, determinate8 [L’ammiraglio François Darlan, figura di primo piano nella storia della Repubblica di Vichy, già «sorta di ministro permanente della Marina dal 1926 al 1939», dal febbraio 1941 vice presidente del Consiglio dei ministri e titolare di più dicasteri, tra cui quello degli Esteri, si recò a Berchtesgaden l’11 maggio. Sul personaggio e la sua azione politica sino alla scomparsa avvenuta il 24 dicembre 1942 in seguito ad un attentato, Paxton, Vichy 1940-1944, cit., passim; Tasca, In Francia nella bufera, Modena, Guanda, 1953, passim]. 9 Questa frode è stata applicata dal Partito Comunista Francese a tutte le pubblicazioni politiche che aveva diffuso tra il settembre 1939 ed il giugno 1941. 10 Il testo integrale si legge in Cahiers du Bolchevisme, 2° e 3° trimestre 1941, pp. 21-27 [Il manifesto è perfettamente in linea con il piano politico perseguito dall’ammiraglio Darlan con la firma, il 28 maggio 1941, dei Protocolli di Parigi, esito del suo incontro dell’11 maggio con Hitler. Nei Protocolli, come scrive Paxton, Vichy 19401944, cit., p. 120, «il governo di Vichy, e Darlan in testa, vollero vedere la premessa di un largo accordo negoziato tra i due Paesi che avrebbe permesso alla Francia di trovare una via d’uscita alle restrizioni dell’armistizio e di assumere volontariamente un ruolo neutrale nella “nuova Europa”»].

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si le circostanze adeguate per raggiungere l’obbiettivo prefissosi, possono essere spronate e mobilitate. I limiti politici di queste «adunate» possono, a piacimento, essere ampliati o ristretti nell’intento di trarne comunque il massimo vantaggio, sia per conquistare nuove posizioni, sia per abbattere gli ostacoli che si frappongono alla conquista. I «fronti» sono «nazionali» soltanto quando portano nuovi benefici all’Unione Sovietica e soltanto in quest’ottica. Nell’autunno 1939, quando aderì alla «campagna per la pace» lanciata da Hitler, Stalin non esitò affatto a sostenere e a far sostenere dai comunisti belgi la politica estera del re Leopoldo III11, spingendoli ad avvicinarsi ai «Rexistes»12 in nome dell’«interesse nazionale belga». Sino al giugno 1941, si registra una perfetta coincidenza di vedute tra i comunisti ed i «progressisti» statunitensi ed i movimenti isolazionisti per realizzare la più ampia unione possibile in nome degli «interessi nazionali» del popolo americano, unione che si oppone alla politica interventista di Roosevelt. Verso la fine del 1942, Stalin sostiene la politica di Darlan perché ritiene che il rappresentante di Vichy possa lì realizzare nel modo migliore l’«unione nazionale» nella guerra anglo-russa-americana contro i Paesi dell’Asse. Oggi, Mosca tenta di stimolare e di manovrare il sentimento nazionale in Francia per farne un’arma contro la Comunità Europea di Difesa; allo stesso tempo, in Germania, e soprattutto nella Germania orientale, tiene vivo il ricordo di vicende storiche che 11 [Già dal marzo 1937, all’indomani della violazione tedesca del Trattato di Locarno con l’occupazione militare della Renania e a fronte della mancata reazione di Francia e dell’Inghilterra, il sovrano belga aveva spostato il suo Paese su una posizione di rigorosa neutralità]. 12 [Su questo argomento così, più diffusamente, Tasca, Due anni di alleanza germano-sovietica, cit., p. 87: «In Belgio, il gruppo parlamentare comunista denuncia al principio di ottobre 1939 le “sollecitazioni urgenti del governo inglese, tendenti a trascinare il Belgio nella guerra” e invita il governo belga ad associarsi all’Unione Sovietica per “ristabilire la pace”; il loro partito giunge a felicitare i Rexisti di Degrelle per il loro contegno ostile a qualsiasi concessione agli Anglo-Francesi». La fonte utilizzata da Tasca in questa circostanza è «l’organo comunista edito a Bruxelles» «Le Monde», 7 ottobre 1939. Il belga Léon Degrelle, invocando la necessità di un rinnovamento spirituale del Belgio, aveva fondato nella seconda metà degli anni Trenta un partito, il Rex, che era ben presto scivolato su posizioni di estrema destra e, a partire dal maggio 1940, su posizioni collaborazioniste].

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possono risultare utili a suscitare un movimento di opinione antifrancese: ad esempio, la guerra del 1813 contro Napoleone è la prova che le guerre fatte da Germania e Russia alleate sono sempre vittoriose: bisogna dunque celebrare la battaglia di Lipsia. I comunisti tedeschi s’indignano perché sono stati cambiati i nomi delle strade intitolate a Sedan, il cui nome «appartiene al popolo tedesco, alla nuova Germania democratica» perché quel nome è il simbolo della guerra vittoriosa per l’unità nazionale tedesca13 che Mosca sostiene in ogni modo laddove questa ricordata unità può tornare utile ai suoi piani. Gli «storici» comunisti hanno scoperto che, con la stipula del Patto germano-sovietico, l’Unione Sovietica mirava a «sfruttare le contraddizioni del momento che laceravano il mondo capitalista»14. Ma essi spiegano l’adozione di questa linea politica in quanto imposta a Mosca da quelle eccezionali circostanze e per questo motivo la giustificano. In realtà, si tratta di una linea costante nella politica di Mosca dopo l’ottobre 1917, e che tutti i leaders15 bolscevichi hanno messo in pratica, da Lenin a Trotzky, da Stalin a Malenkov. È questa una strategia politico-militare che mira in modo del tutto naturale ad impedire la costituzione di un’alleanza «nemica», oppure a scioglierla ove si sia già costituita. L’obbiettivo è sempre lo stesso: l’espansione territoriale dell’Unione Sovietica a spese di Paesi ancora indipendenti. Le occupazioni sovietiche del 1939-1941 sono state giustificate dai comunisti alla ricerca di un alibi «patriottico» in quanto determinate dalla volontà di creare le condizioni necessarie alla vittoria delle democrazie. Abbiamo già visto, anche in questa sede, che non è stato così. Nel momento in cui avvennero, i comunisti inneggiarono a quelle occupazioni come a vittorie dell’Armata Rossa che faceva trionfare il «socialismo» attraverso la «liberazione» e l’annessione di nuovi territori. In effetti, l’interpretazione vera della natura imperialistica di quelle occupazioni è stata data dallo stesso Molotov 13 Una documentazione su questo sfruttamento sovietico e, più in generale, comunista dell’esasperato patriottismo tedesco è fornita dal volumetto di Werner Kersting, Nationalarmee in rotem Licht, pubblicato di recente nella Germania occidentale [Bonn, Bundesministerium für gesamtdeutsche Fragen, 1952]. 14 [Bouvier et Gacon, La vérité sur 1939, cit., p. 167]. 15 [Il corsivo è del traduttore].

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nel suo discorso del 6 novembre 1939 al Soviet di Mosca. L’importante era, affermò, che in quelle occasioni «il mondo capitalista aveva dovuto cedere terreno», aveva dovuto «ridursi un po’, e indietreggiare, mentre l’Unione Sovietica […] aveva ingrandito i suoi territori e la sua popolazione». Quelli erano e quelli rimangono l’atteggiarsi ed il modo di muoversi della politica sovietica i cui metodi d’azione possono variare senza però mai escludersi completamente l’un l’altro: l’area d’influenza del «socialismo» deve ampliarsi, e questo ampliamento deve corrispondere ad un mondo articolato sul modello sovietico e controllato dall’Unione Sovietica, mentre il mondo contrapposto, quello capitalista, s’indebolisce, soprattutto per le sue contraddizioni che l’Unione Sovietica si adopera a rendere sempre più gravi e a sfruttare politicamente.

xxvii. A quale servizio viene posta la storia?

Per impedire che la «linea generale» della politica sovietica venisse smascherata nel suo contenuto reale e nella sua continuità – attraverso sotterfugi e adeguamenti tattici – Mosca ed i comunisti mobilitano la storia, e abbiamo già visto in qual modo. Il metodo adottato nella costruzione del libro di cui ci siamo sin qui occupati è lo stesso che riscontriamo ogni giorno sulla stampa comunista, su Humanité anzitutto, ed applicato indifferentemente sia agli avvenimenti del presente, sia a quelli del passato. Sarebbe davvero un peccato non segnalare, almeno in questa sede, qualcuno dei più recenti exploits del giornale. Qualche mese fa è stato pubblicato a Londra il VI volume dei Documents on British Foreign Policy che copre il periodo che va dai primi giorni del giugno 1939 (dopo la conclusione dell’accordo anglo-polacco) sino all’inizio delle trattative militari tripartite di Mosca. Le vicissitudini diplomatiche dei colloqui anglo-francosovietici occupano, insieme con la crisi di Danzica e le reazioni polacche, la maggior parte del volume. Ora, in mancanza di fonti sovietiche e di una pubblicazione francese ufficiale su questi eventi, i documenti del Foreign Office assumono grandissima importanza ed è indispensabile studiarli accuratamente. Essi non modificano – ci sembra – il quadro generale che abbiamo già qui tratteggiato in alcune pagine1. L’Humanité si è guardata bene dall’effettuare un qualche esame di questi documenti, e si è invece limitata a riprendere, peraltro a suo modo, due articoli che a quei documenti aveva dedicato un collaboratore del Manchester Guardian2. Così il quotidiano 1

Si vedano [nella presente edizione] le precedenti pp. 61-69. Alan Taylor, Moscow Mission in 1939, in «Manchester Guardian», 20-21 ottobre 1953. 2

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comunista ha pubblicato un trafiletto sotto questo titolo: «Il Foreign Office ammette: Londra e Parigi hanno la responsabilità del fallimento dei colloqui anglo-franco-sovietici dell’estate 1939», spiegando di seguito: «L’Unione Sovietica ha pubblicato documenti ufficiali che forniscono la prova che i governi inglese e francese non volevano, a quel tempo, raggiungere un accordo con l’Unione Sovietica, perché l’intento di questi governi era quello di indirizzare l’aggressività nazista contro l’Unione Sovietica. È questa la ragione per cui sabotarono i colloqui che si susseguirono a Mosca sino all’agosto 1939. Ed ecco che ora il Ministero degli Affari Esteri britannico è costretto a confermare la tesi giusta dell’Unione Sovietica»3. Prima menzogna: l’Unione Sovietica non ha pubblicato alcun documento ufficiale che provi che Londra e Parigi volevano spingere Hitler contro l’Unione Sovietica. In nessuno dei documenti apparsi sino ad oggi, neppure nei documenti tedeschi estratti dagli «Archivi Dirksen», e pubblicati a Mosca4, c’è l’ombra di una prova, di un qualche indizio che permetta di attribuire questa intenzione ai governi inglese e francese. Seconda menzogna: in nessun momento e sotto nessuna forma, il Foreign Office ha riconosciuto come vera la «tesi sovietica»; nessuno dei documenti pubblicati nel volume che cita l’Humanité autorizza una simile affermazione. Il Foreign Office non ha riconosciuto alcunché; il Foreign Office non ha confermato nulla. Terza menzogna: le affermazioni fatte dall’Humanité non sono affatto del Foreign Office, ma del giornalista del Manchester Guardian; puntando sull’equivoco attraverso un grossolano gioco di parole, il quotidiano comunista presenta quella che è soltanto l’interpretazione dello stesso giornalista come ammissioni ufficiali del Foreign Office. Quarta menzogna: nel testo dei due articoli del giornalista in questione, sebbene sia egli assai critico nei confronti della politica britannica dell’epoca, non c’è una parola che parli di una qualche volontà o velleità anglo-francese di scatenare la Germania 3

«Humanité», 16 novembre 1953. [Documents et matériaux se rapportant à la veille de la deuxième guerre mondiale: les Archives de Herbert von Dirksen (1938-1939), 2 t., t. II, Moscou, Ministère des Affaires Etrangères de l’U.R.S.S., 1948. Nel tomo I dell’opera è raccolta una documentazione relativa al 1937 e a parte del 1938]. 4

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contro l’Unione Sovietica; gli errori che denuncia non sono affatto da lui ricondotti al voluto sabotaggio delle trattative da parte anglo-francese. Di fronte alle due versioni, quella di una unilaterale responsabilità degli Anglo-Francesi e quella di una unilatelare responsabilità dei Sovietici, Taylor afferma: «I documenti pubblicati, in gran parte del tutto nuovi, non confermano né l’una, né l’altra tesi». Non intendiamo qui discutere la conclusione cui è giunto Taylor: ci limitiamo a constatare che né il Foreign Office, né il giornalista lettore del volume che raccoglie i documenti, né gli stessi documenti avallano direttamente o indirettamente le «imprudenze», le «ammissioni», le «confessioni» che l’Humanité loro attribuisce. Il fatto che il quotidiano comunista metta in qualche modo insieme quattro menzogne, alcune delle quali rasentano la truffa, prova soltanto che la menzogna è diventata per i comunisti una sorta di droga della quale hanno talmente abusato che debbono ricorrervi con dosi sempre maggiori. I comunisti pianificano tutte le loro azioni. Tutto è preventivamente misurato e calcolato nella loro propaganda e nelle loro iniziative; le menzogne sono le loro armi impiegate con la stessa disinvoltura di altri mezzi o espedienti. Due giorni dopo la pubblicazione del trafiletto dell’Humanité, il quotidiano comunista belga la riprendeva presentandola sotto questo titolo: «Il ministro degli Affari Esteri britannico finalmente lo ammette: nel 1939, i governi occidentali non volevano raggiungere un accordo con l’Unione Sovietica per permettere ad Hitler di attaccarla. Inghilterra, Francia e Stati Uniti oggi ripropongono questa politica ponendo ostacoli alle trattative con Mosca»5. Si vede così chiaramente per quale motivo i comunisti ricorrono alla manipolazione della storia: «provare» che al momento attuale le democrazie occidentali non vogliono venire a patti con l’Unione Sovietica, così come non lo volevano nel 1939. Così, le menzogne relative al 1939 riescono utili per costruirne altre recentissime adeguate al 1953.

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«Le Drapeau Rouge», 18 novembre 1953.

xxviii. A proposito di una polemica Dulles-Molotov

Il 2 febbraio 1954, nel corso della Conferenza di Berlino1, Foster Dulles decideva di ribattere ad un provocatorio discorso che Molotov aveva pronunciato il giorno prima accusando le potenze occidentali di tramare non ben definite aggressioni contro l’Unione Sovietica2. Il Segretario di Stato americano, in quella circostanza, ha così testualmente ricordato a Molotov che il di lui giudizio e quello di Mosca non sempre erano risultati infallibili: «Molotov si sbagliava nell’ottobre 1939, quando accusava la Francia e la Gran Bretagna di essere gli aggressori ed incensava la Germania hitleriana in quanto nazione amante della pace […] Potrebbe essere che Molotov abbia torto, oggi come allora, circa le intenzioni del mondo occidentale»3. Dulles alludeva scopertamente al discorso che lo stesso Molotov aveva pronunciato al Soviet Supremo riunito a Mosca nella 1 [Incontro in più sedute di Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e Francia a livello di ministri degli esteri nelle persone di Foster Dulles, Molotov, Eden, Bidault per esaminare le possibili soluzioni delle questioni internazionali per il ristabilimento di una pace durevole, incontro sul quale quotidianamente e puntualmente riferiscono gli inviati Luigi Barzini jr. e Pietro Solari sul «Corriere della Sera» nei numeri di fine gennaio e primi febbraio 1954]. 2 [«Dulles è poi passato a ribattere l’accusa di Molotov che le Potenze occidentali stiano tentando di formare un blocco militare diretto contro l’Unione Sovietica [...] “Ma io respingo come interamente false – ha proseguito Dulles con forza – le affermazioni del signor Molotov che il Congresso degli Stati Uniti abbia mai stanziato cento milioni di dollari per attività sovversive nei Paesi satelliti dell’Unione Sovietica”», così Pietro Solari, «Corriere della Sera», 3 febbraio 1954]. 3 [Pressoché identiche le parole che si leggono sul «Corriere della Sera», 3 febbraio 1954, cit.].

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seduta del 31 ottobre 1939, quando non erano ancora trascorse sei settimane dalla firma del patto del 23 agosto [leggasi 28 settembre4], discorso nel quale così, tra l’altro, aveva detto: «Alcuni vecchi orientamenti che abbiamo perseguito pure di recente […] sono chiaramente superati ed ormai del tutto impraticabili […] Per esempio, ora sappiamo che nel corso di questi ultimi mesi concetti quali “aggressione”, “aggressore”, hanno assunto un nuovo concreto contenuto e nuovo significato […] Se li si vuole oggi applicare alle grandi potenze europee, appare evidente che la Germania si trova nella situazione di uno Stato che vuole la fine più rapida possibile della guerra e vuole la pace mentre l’Inghilterra e la Francia che, appena ieri, si schieravano contro l’aggressione, sono invece decise a continuare la guerra e contrarie alla conclusione della pace. Come si vede, i ruoli si sono invertiti»5. Dulles si permise così di ricordare a Molotov le lodi tributate da lui e da Stalin ad Hitler in occasione dei colloqui d’agosto-settembre 1939 a Mosca6. Molotov si guardò bene dal rispondere 4 [Ancora una «distrazione» cronologica di Tasca. Per altri due casi, in qualche modo analoghi a questo, si vedano la nota 3 del capitolo IV e la nota 1 del capitolo XXIV]. 5 Il testo integrale di questo discorso di Molotov è stato pubblicato dal Partito Comunista Francese nel gennaio 1940 in una edizione clandestina dei Cahiers du Bolchevisme. Abbiamo pubblicato la copia fotostatica di questo numero dei Cahiers e del discorso in Rossi, Les Cahiers du Bolchevisme pendant la campagne 1939-1940, cit. In questo discorso Molotov rimproverava Francia e Inghilterra non solo di continuare la guerra, ma di perseguire fini assurdi e criminali, e tra gli altri, il totale disarmo della Germania hitleriana. A quest’ultimo proposito così, testualmente, Molotov nel discorso in questione: «I rapporti della Germania con gli altri Stati borghesi dell’Europa occidentale negli ultimi anni sono stati determinati anzitutto dal desiderio della Germania di spezzare le catene del trattato di Versailles, i cui registi sono state l’Inghilterra e la Francia, aiutate attivamente dagli Stati Uniti […] Le relazioni dell’Unione Sovietica poggiavano su altra base […] Noi siamo sempre stati dell’opinione che una Germania forte è una condizione necessaria per la pace duratura in Europa. Sarebbe ridicolo pensare che si possa semplicemente mettere fuori combattimento la Germania e non tenerla in alcuna considerazione» [Appare opportuno qui segnalare che lo stesso brano estrapolato dal discorso di Molotov e riportato nel testo da Tasca è pure riprodotto in Spriano, I comunisti europei e Stalin, cit., p. 110. Spriano, peraltro, su questo atteggiarsi della politica estera sovietica, che addita nella Francia e nell’Inghilterra «i veri responsabili della continuazione della guerra», esprime, pp. 109-110, questo esplicito e critico giudizio: «Da questo momento la motivazione ufficiale della politica estera sovietica, almeno a stare ai discorsi di Molotov, batte insistentemente su questo tasto. Fino all’assurdo, quanto ad accorgimenti e a giustificazioni ideologico-politiche»]. 6 Si vedano [nella presente edizione] le precedenti pp. 48-49.

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alle allusioni e alle precisazioni di Dulles, attenendosi alla tattica consueta della diplomazia sovietica che ignora ogni questione che possa metterla in difficoltà7.

7 [A questo riguardo, l’opinione espressa in linea generale da Tasca, appare essere, nello specifico della circostanza narrata, la stessa formulata da Luigi Barzini jr. che sul «Corriere della Sera», 29 gennaio 1954, scrive: «Per due giorni, Dulles, Eden e Bidault si sono sforzati di mostrare in tutti i modi al ministro sovietico che la conferenza a cinque non li interessava, che la Cina non era, secondo loro, un Paese amante della pace [...] Dopo di che il tetragono ministro degli Esteri sovietico riprendeva il discorso come se non fosse accaduto nulla [...] La seduta fu tolta fra la perplessità di tutti. Un diplomatico inglese più tardi ci ha detto: “I Sovietici non vivono nel nostro mondo. Non sentono quello che si dice. Parlano seguendo il filo del loro ragionamento e nulla li smuove fino alla fine. Sembra qualche volta di parlare con dei sordi”»].

xxix. La mobilitazione dei vassalli corre in aiuto

Altri, tra gli asserviti, si sono fatti carico di affrontare la spinosa controversia. Ad esempio, Pierre Courtade nell’Humanité1. Pierre Courtade è diventato famoso grazie ad un articolo su Action2, un settimanale comunista che oggi non si pubblica più, sul quale aveva spiegato, con una buona dose di arroganza, che i comunisti francesi tenevano un atteggiamento assolutamente coerente nel subordinare tutto agli interessi della politica estera dell’Unione Sovietica. Sullo specifico punto degli sgradevoli trascorsi ricordati da Dulles a Molotov, ecco quanto scrive Courtade: «Dulles ha naturalmente alluso al trattato germano-sovietico, ciliegina sulla torta di ogni menu di questo tipo. Probabilmente egli ignora che chiunque abbia riflettuto seriamente sulla questione sa bene che la firma del trattato di non-aggressione, seguito al sabotaggio dei governi di Parigi e di Londra delle trattative militari con Mosca nella primavera del 1939, ha permesso all’Unione Sovietica di guadagnare tempo prezioso per raggiungere la vittoria comune. Se si tratta di una semplice questione temporale, Dulles dovrebbe ricordare che gli Stati Uniti sono entrati in guerra dopo l’Unione Sovietica e soltanto dopo aver tentato, sino all’ultimo momento, di comprare la neutralità del Giappone». Lasciamo stare la «vittoria comune» per la quale l’Unione Sovietica si sarebbe sacrificata, nel 1939, sino al punto di… concludere un patto di non-aggressione ed un patto di amicizia che 1

Pierre Courtade, Corrispondenza da Berlino, «Humanité», 3 febbraio 1954. [Giornale al quale collabora tra il 1944 ed il 1946 quando, chiamatovi da Maurice Thorez, passerà a «Humanité» ove curerà la rubrica di politica internazionale sino alla sua morte avvenuta nel 1963]. 2

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implicavano la spartizione dell’Europa orientale con la Germania. Abbiamo già in questa sede liquidato la favola di un patto voluto da Stalin con Hitler, per… favorire la vittoria delle democrazie, ma che in realtà mise quasi in condizione di essere sconfitte3. È una vecchia storia che Courtade arricchisce di nuovi argomenti che valgono ancora meno. È certamente vero che l’Unione Sovietica è entrata in guerra prima degli Stati Uniti; ma Courtade dimentica di dire che, nella circostanza, non è stato Stalin ad entrare in guerra contro Hitler, ma Hitler contro Stalin che, sino alla vigilia dell’attacco della Wehrmacht, ha fatto di tutto per evitarla4. Da parte sua, il governo degli Stati Uniti ha messo ben presto assai più di un dito nell’ingranaggio della guerra aiutando in ogni modo l’Inghilterra nella resistenza alla Germania, resistenza, quella inglese, che costituì il fattore essenziale della vittoria «comune» su Hitler5. E se Roosevelt non poté intervenire direttamente ancora prima, il motivo va ricercato nel fatto che doveva tener conto di un’opinione pubblica interna restia se non ostile che Mosca ed i comunisti, appoggiando gli «isolazionisti», tentavano di indirizzare contro ogni sorta di partecipazione americana alla guerra6. Il secondo argomento di cui si serve Courtade per dirottare l’attenzione, è, sotto il profilo storico, un falso grossolano, mirato a rimescolare le carte o a truccarle. Mai, nel periodo di cui si parla, gli Stati Uniti hanno tentato di «comprare la neutralità giapponese» a spese degli interessi primari delle Nazioni Occidentali, senza dimenticare che, malgrado le forti pressioni dei quadri istituzionali del Paese (soprattutto della Marina), Roosevelt ed il suo staff non hanno ceduto alla tentazione di abbandonare l’Europa a se stessa per concentrare l’attenzione sugli interessi americani in Asia, alla cui difesa l’opinione pubblica statunitense era assai più sensibile. È vero invece che, il 26 luglio 1939, gli Stati Uniti denunciano il trattato commerciale nippo-americano in vigore dal 1911; nel 3

Si vedano [nella presente edizione] le precedenti pp. 85-86. Rossi, Deux ans d’alliance germano-soviétique, cit., pp. 205-209, i paragrafi «Vaines tentatives soviétiques d’éviter la guerre»; «Collaboration économique jusqu’au bout» [pp. 167-171 nell’edizione italiana]. 5 Si vedano [nella presente edizione] le precedenti pp. 89-92. 6 Si vedano [nella presente edizione] le precedenti pp. 93-97. 4

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marzo 1940, rifiutano di riconoscere il governo filo-giapponese di Nanchino; il 10 luglio 1940, il Congresso vota la legge sull’incremento delle forze navali nel Pacifico; in settembre, un decreto di Roosevelt vieta l’esportazione di petrolio in Giappone; in ottobre, un altro decreto vieta quella dell’acciaio; il 26 maggio 1941, la possibilità di accedere ai benefici «Prêt-Bail» viene estesa alla Cina in guerra contro il Giappone e infine, il 26 luglio, vengono bloccati tutti i crediti giapponesi negli Stati Uniti. In altre parole, l’America praticava una politica che non poteva non portare alla guerra contro il Giappone. Il ministero Kenoye offrì a Washington l’uscita dallo stesso Patto tripartito (concluso nel settembre 1940) se gli Stati Uniti, a loro volta, avessero abbandonato al suo destino la Cina, che era allora quella di Tchang Kai Chek. Con la crisi del ministero Kenoye che portò al potere il generale Tojo, favorevole alla guerra «verso i mari del Sud», cioè contro l’Inghilterra e gli Stati Uniti, i rapporti nippo-americani peggiorarono ancora e, nei colloqui dell’ultimo momento per i quali Tokio aveva inviato un rappresentante straordinario presso Roosevelt, gli Stati Uniti, invece di «comprare la neutralità giapponese», tolsero a Tokio ogni illusione sul loro atteggiamento esigendo, per ogni possibile accordo, «il ritiro preliminare di tutte le forze militari navali, aeree e di polizia giapponesi dalla Cina e dall’Indocina». Qualche giorno dopo, l’ammiraglio Yamamoto dava la risposta del suo governo a Pearl Harbour. Ma cosa faceva la Russia in quello stesso periodo? Dopo aver risolto il problema della frontiera mongolo-manciuriana, soluzione resa possibile dalla vittoria dell’Armata Rossa al lago Khassan7, Mosca iniziò, nell’autunno 1939, i colloqui per un nuovo accordo commerciale con il Giappone, accordo del quale Molotov esalta le fauste prospettive nel suo discorso del 31 ottobre 1939. Il 13 aprile 1941 Stalin firmava con il Giappone un Patto di non-aggressione; una dichiarazione allegata al Patto abbozzava pure una spartizione delle zone d’influenza: i due Paesi 7 [Peraltro, la sconfitta lì subita dall’esercito giapponese ad opera del generale Zukov nell’estate del 1939 avrebbe contribuito, come scrive Graziosi, L’Urss di Lenin e Stalin, cit., p. 121, «a convincere il Giappone a rivolgere la sua attenzione a sud, determinando il corso della guerra in Asia»].

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si impegnavano a rispettare «l’integrità territoriale e l’inviolabilità», l’uno, della Repubblica Mongola, l’altro, della Manciuria8. In definitiva, Mosca riconosceva il controllo giapponese sulla Manciuria, già territorio cinese. Dal punto di vista degli interessi dell’Unione Sovietica, il Patto dell’aprile 1941 era giustificato; ma, dal punto di vista degli interessi americani, non è da escludere che un accordo con il Giappone, concluso in tempo utile, sarebbe stato anch’esso giustificato. Ma Roosevelt non volle fare ciò che Stalin fece senza esitare.

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Soviet Documents on Foreign Policy, cit., vol. III, cit., p. 487.

xxx. Storia e politica

Nella prefazione del loro libro, i due «storici» al servizio della propaganda comunista non hanno nascosto il fine politico immediato al quale speravano di far servire il loro corposo pamphlet1; si sono applicati in ogni modo adeguato alle loro capacità, invero troppo scarse per cancellare la storia ma più che sufficienti per falsarla, per favorire alcune campagne politico-propagandistiche del loro partito. Del resto, solo a questo miravano perché questo era tutto ciò che il partito voleva da loro. C’è da dire, poi, che il partito li ha mobilitati per tenere una serie di conferenze in una sorta di tour de France 2, le cui tappe sono state organizzate dall’Associazione France-Union Soviétique, conferenze nelle quali le loro «rivelazioni» sul Patto germano-sovietico, così come le avevano confezionate nel loro libro, dovevano portare all’affossamento della Comunità Europea di Difesa. La stampa comunista, soprattutto in provincia, ha fatto ogni possibile pubblicità al libro. L’imbroglio3 che mutua dal libro e di cui questa pubblicistica si serve, spiega assai chiaramente perché questo «usignolo», questa notizia vecchia e senza valore è stata rinfrescata in tutta fretta e messa in circolazione. Abbiamo avuto modo di leggere alcuni esemplari di siffatta letteratura. Ad esempio, il quotidiano comunista di Marsiglia La Marseillaise-Dimanche4, dopo aver garantito che «nella costruzione della loro tesi, gli autori utilizzano le fonti con il più rigoroso metodo della storia scientifica» – la qual cosa farebbe per1

Si veda [nella presente edizione] la citazione letterale alla precedente p. 6. [Il corsivo è del traduttore]. 3 [In italiano nel testo]. 4 Supplemento al numero del 1° novembre 1953. 2

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dere ogni speranza nella storia e nella scienza, se c’entrassero qualcosa – si affretta ad aggiungere: «Ma quest’opera si pone inoltre un obbiettivo davvero vitale relativamente alla lotta in corso del nostro popolo per la pace5 contro il riarmo dei revanscisti nazisti, per l’amicizia franco-sovietica, contro la subordinazione alla diplomazia bellicista dell’imperialismo dominante, che è oggi quello americano». Il vero obbiettivo del libro, il fine «vitale» è dunque «strumentale», non certamente per il contributo che porta alla storia ma per quanto può giovare alle attuali campagne politiche del partito. Il quotidiano del partito comunista belga Le Drapeau Rouge (si dice che la verità non conosce confini e la menzogna, ahimé, neppure) dopo elogi sperticati che vorrebbero far passare il libro in questione per un libro di storia, vi rintraccia altri e particolari meriti che tiene a sottolineare: «Gli autori dell’opera effettuano precisazioni su un aspetto tra i meno noti, ma assai importante della questione: le responsabilità della diplomazia americana nella politica che innescò lo scoppio della seconda guerra mondiale. È questo, peraltro, un risvolto della questione che risulta particolarmente interessante in queste ore in cui il governo americano ha scopertamente ripreso, per il suo tornaconto, il folle piano d’impadronirsi del mondo ed entra in combutta con i revanscisti di Bonn per ricominciare una nuova guerra nazista»6. L’articolo apparso sul giornale belga non è firmato e presenta tutte le caratteristiche di un articolo preconfezionato in serie per la stampa. Le falsità, già fatte proprie nel 1947 da La Nouvelle République du Centre-Ouest, vi sono largamente utilizzate. I fatti del tutto accertati circa la collaborazione tedesco-sovietica, per due anni sigillata dal Patto dell’agosto 1939, sono presentati come «frottole». A coloro che possono ancora essere impressionati dalle «balle» del viaggio di Ribbentrop a Mosca in agosto, il Drapeau Rouge suggerisce di «leggere il resoconto che gli inviati tedeschi hanno fatto di questo loro viaggio», e cita il rapporto inviato da Ribbentrop ad Hitler ed il rapporto di Gaus, entrambi arci-falsi, costruiti pezzo per pezzo per le necessità della causa7. I fatti ed i 5

[La sottolineatura del corsivo è nel testo]. Numero del 4 novembre 1953. 7 Si vedano [nella presente edizione] le precedenti pp. 25-37. 6

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documenti diventano «frottole», mentre menzogne e falsi sono spacciati per documenti. Inoltre, appare significativo il fatto che, nelle recensioni del libro pubblicato dai comunisti, così come nel libro stesso, non si trovi alcun riferimento al secondo viaggio di Ribbentrop a Mosca, quello di fine settembre 1939, che ha sancito la spartizione della Polonia, che ha fissato un ampio piano di scambi economici e di favori tra Berlino e Mosca, e che ha concertato quella campagna hitlero-staliniana per la pace che fu, in effetti, lanciata contemporaneamente all’inizio dell’ottobre 1939. Questo perfetto allinearsi dei grandi, medi e piccoli organi di stampa sulle stesse falsità, sugli stessi tagli, sulle stesse strumentalizzazioni politiche, dimostra come la «storia» scritta dai comunisti è organizzata, controllata, tenuta al guinzaglio, così come tutte le altre attività del partito. La scuola elementare e l’Università sono anch’esse coinvolte in questa operazione. In L’École et la Nation8, pubblicazione comunista di stretta osservanza, un insegnante elementare presenta il libro sotto il titolo Un importante contributo alla causa della pace; egli afferma che il libro «è particolarmente meritevole di essere conosciuto dai maestri»; si compiace del fatto che «un ampio spazio è stato dagli autori dedicato alla perspicacia politica del Partito comunista francese e del suo segretario generale Maurice Thorez», e così conclude: «Dopo aver letto questo libro, nessun dubbio deve più sussistere nella mente del lettore intellettualmente onesto sulla correttezza della politica estera dell’Unione Sovietica». Il lettore del libro forse è onesto, ma il libro ed i suoi autori…

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Numero del novembre 1953.

xxxi. Verità e libertà della cultura

L’Università non sembra aver preso questo libro sul serio. È vero che i suoi due autori si presentano come professori «agrégés», ma non si capisce bene se di storia o di giochi di prestigio… Se costoro insegnano da qualche parte, speriamo che abbiano abbastanza rispetto per la propria professione da non consigliare ai giovani loro affidati la lettura delle loro manipolazioni prive di ogni scrupolo intellettuale. È uscita in Francia una rivista comunista, La Pensée, sedicente «rivista del razionalismo moderno» che fa una grandissima pubblicità al libro in questione e in un’inserzione così lo definisce: «Una sensazionale ricostruzione completa e documentata». Come può il «razionalismo» avallare questa rozza mentalità che si alimenta degli inganni evidenti che il libro propone e sfrutta, e nel quale in ogni passaggio viene abbattuto il confine tra verità e menzogna, tra realtà e favola? Che dire di una «ricostruzione completa» nella quale gli eventi tra i più importanti della politica mondiale del 1939, cioè a dire il secondo viaggio di Ribbentrop a Mosca e gli accordi pubblici e segreti che ne sono derivati, sono completamente omessi? È possibile che i nostri «agrégés» ricordino le ventuno condizioni per l’adesione all’Internazionale Comunista, ma è certo che hanno trascurato, diventando comunisti, le ventuno regole cartesiane «per l’orientamento dello spirito»1 ed i «precetti» contenuti nel Discorso sul metodo. Del resto, cosa resterebbe della «storia» e di tutta la propaganda comunista – della quale la prima non è altro che una parte – se gli intellettuali ed i politici prendessero, come Cartesio, «la salda e inflessibile decisio1

[Il riferimento è all’opera Regulae ad directionem ingenii].

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ne di non mancare, neppure per una sola volta di osservare quei precetti»?2 La lotta per la libertà della cultura è lotta per la verità, cioè mirata a garantire le condizioni nelle quali la verità può essere cercata, raggiunta, difesa. Quando la menzogna è tollerata o legittimata per ignoranza o per convenienza, quando si gode del diritto di prescrizione, è la verità che viene bandita. E se alla verità si nega il diritto di cittadinanza, si pongono le basi di un regime dove non vi è più posto per la libertà3. Non è soltanto la «verità storica» a risentirne; è la politica tutta di un Paese che corre il rischio di essere falsata. Se, per esempio, nello studio dei problemi della politica estera francese si falsano i fatti che possono far luce sul contenuto e sul significato della politica sovietica e del movimento comunista, la politica francese diventa soltanto improvvisazione, degna del «popolo delle scimmie» descritto da Kipling4. La politica, rotti i legami con i fatti, diventa avventura. A partire da quel momento, ogni scelta, qualsivoglia essa sia, è destinata a fallire perché sono state soppresse le garanzie valide per effettuare una scelta. Puntualizzare, ricordare i fatti, tutti i fatti, con il loro peso specifico, con la loro effettiva portata e con le conseguenze che hanno innescato, che non sono estranee ai fatti ma ne costituiscono parte intrinseca, questa soltanto è la strada. Soltanto dopo aver operato così, è possibile assumersi le responsabilità, e l’audacia nelle decisioni a questo punto non è altro che la manifestazione di un maturato giudizio. Se si scende a patti con la menzogna, niente si salva. Una menzogna detta per caso, in un momento di smarrimento, può distruggere la vita di un uomo, come avviene nel romanzo di Johann 2 [La citazione, estratta dalla “Parte Seconda” del Discorso sul metodo, introduce le quattro «regole» o «precetti» fissati da Cartesio]. 3 [Sull’«equazione verità-libertà che muove l’azione antistalinista taschiana» (ma – a nostro parere – in quanto dichiarazione di principio coerentemente perseguito), Muraca, Fra antistalinismo e guerra fredda, cit., pp. 193-194]. 4 [Ne Il libro della giungla. A questa stessa metafora, estesamente esplicitata ma utilizzata in altra direzione, riferita cioè all’atteggiarsi ed ai comportamenti della piccola borghesia urbana italiana nel primo dopoguerra, era già ricorso Antonio Gramsci, Il popolo delle scimmie, in «L’Ordine Nuovo», 2 gennaio 1921. Non è possibile stabilire se il ricorso a questo traslato da parte di Angelo Tasca costituisca una singolare coincidenza oppure il riecheggiare consapevole o meno della sua memoria].

IL PATTO GERMANO-SOVIETICO. LA STORIA E LA LEGGENDA

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Bojer5: una menzogna volutamente costruita e utilizzata per «ragion di Stato», quando non ve n’è più motivo e quando lo Stato vacilla, può distruggere una nazione, anche una grande nazione.

5 [Il riferimento è a La potenza della menzogna, romanzo norvegese apparso nel 1903, poi tradotto nelle lingue neolatine].

Indice dei nomi

Almanza, Gabriella XXX Andreucci, Franco VII n Andrew, Christopher 56 n, 82 n Aron, Raymond XXII Assmann, Kurt 57 n Astakhov, Georgij 18, 19, 41, 51, 52, 56 e n, 58, 59, 76 Attolico, Bernardo 65 n Avarucci, Giuseppe X n Barbarossa, “operazione” e “piano” 91, 93 n, 100 n, 101 n Barzini, Luigi jr. 113 n, 115 n Baumier, Jean XXII Baumont, Maurice 48 n Baur, Hans 27 e n, 28, 30, 35, 36 Beck, Józef 64 n, 72 n Beddie, James Stuart 19 n Bertozzi, Stefano 6 n Bidault, Georges 113 n, 115 n Bidussa, David VIII n, IX n, X n, XI n, XIII n Blum, Léon XII, 82 Boffa, Giuseppe 103 n Bojer, Johann 127 Bongiovanni, Bruno XIV n, XX n Bonnet, George 61 e n, 62 n Bonte, Florimond 77 Borraccini, Rosa Marisa x n Borri, Giammario X n Bouvier, Jean XV n, XX e n, XXI e n, XXII, XXIII e n, 3, 5 n, 6 n, 7, 9, 10 n, 13, 17 e n, 18 n, 25 n, 26 e n, 27 n, 29, 30 n, 31 n, 32 e n, 35 n, 36 n, 39 n, 40 e n, 41, 43 n, 45 n, 47 n, 48 n, 51 n, 55 n, 57 n, 59 n, 6o n, 61 n, 85 n, 97 n, 99 n, 107 n Bucharin, Nikolaj IX n Bullit, William 95

Cajani, Luigi VIII n Carioti, Antonio VIII n Carotenuto, Gennaro 92 n Cartesio, Renato 125, 126 n Chamberlain, Neville Arthur 64 n, 68, 75 Chiaromonte, Nicola XXII n Churchill, Winston 55 n, 89, 96, 101 n Claude, Henry XXII Conquest, Robert 63 n Courtade, Pierre 117 e n, 118 Croce Benedetto XXII n, XXV e n D’Aquino, Giorgio XXX Darlan, François 105 e n, 106 Davies, Joseph E. 83 e n Déat, Marcel 76, 82 De Felice, Renzo XI, XXVI n De Gaulle, Charles 9 n, 104 De Grand, Alexander VII e n, VIII, IX, XI, XII e n, XIV n, XVII n, XVIII n, XXIII n Degras, Jane 15 n Degrelle, Léon 106 n Detti, Tommaso VII n Dimitrov, Georgij 94 “Dirksen Archives”, 68, 110 e n Dirksen, Herbert von 68, 69 Dornberg, von 30 Dulles, John Foster 113 e n, 114, 115 e n, 117 Durandin, Guy XVI n, XXI n Dzlepy, Eleuthère Nicolas 41 n Eden, Anthony 113 n, 115 n Einaudi Luigi, fondazione IX n Eisenhower, Dwight 96 Eltsin, Boris XVII n Fabiani, Daniela

XXX

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INDICE DEI NOMI

Facta, Luigi VII n Faravelli, Giuseppe XI n, XVII n, XVIII n Farinacci, Roberto 21 Feltrinelli Giangiacomo, fondazione VIII n, IX n, XIII n, XVIII n Foster, William 94 Franco, Francisco 91, 92 n Furiozzi, Gian Biagio VIII n, XIII n Gacon, Jean XV n, XX e n, XXI, XXII, XXIII e n, 3, 5 n, 6 n, 7, 9, 10 n, 13, 17 e n, 18 n, 25 n, 26 e n, 27 n, 29, 30 n, 31 n, 32 e n, 35 n, 36 n, 39 n, 40 e n, 41, 43 n., 45 n, 47 n, 48 n, 51 n, 55 n, 57 n, 59 n, 60 n, 61 n, 85 n, 97 n, 99 n, 107 n Gafenco, Grégoire 103 n Garosci, Aldo X n, XVI n, XX n, 28 n Gaus, Friedrich 21, 22 e n, 23 n, 25, 31 e n, 32, 35, 40, 48, 73 e n, 122 Gigli, Guido 101 n Gorbacev, Michail VII, VIII, XVI n Gordievskij, Oleg 56 n, 82 n Gramsci, Antonio 126 n Graziani, Rodolfo 92 Graziosi, Andrea 93 n, 104 n, 119 n Guerber, André 25 e n, 27, 36, 37 Guerler, André 25 n Hacha, Emil 47 Halifax, Irwin lord 68 Hencke, Andor 48 e n Henderson, Nevile 13 Herriot, Éduard 81, 82 Hess, Rudolph 21 Hilger, Gustave 23 n, 29 n, 31 n, 32 e n, 52 e n, 60 Hitler, Adolf XII, XV e n, XVII n, XIX, XX n, 3, 4, 5, 6, 17, 19, 20, 21 e n, 22, 25 e n, 26 n, 27 n, 28, 29, 30, 33 e n, 35 e n, 36, 37, 41, 44, 45 n, 47, 48 e n, 52 e n, 53 e n, 56 e n, 57 n, 58 n, 60 e n, 62, 63 e n, 64, 68, 71, 72 e n, 73 e n, 75 e n, 76 e n, 79, 81, 82, 83 e n, 87, 88 e n, 89, 90 e n, 91, 93, 97, 100 n, 101 e n, 104, 105 e n, 106, 110, 111, 114, 118, 122 Iakovlev, Alexandre Jannazzo, Antonio

XVI

n

XXV

n

Kandelaki, David 55, 56 e n

Kenoye, ministero 119 Kersting, Werner 107 n Kipling, Rudyard 126 Kleist, Peter 56 e n Koestler, Arthur XXII n Koestring, Ernst August 52 Krivitsky, Walter 56 n Kruscev, Nikita 57 n, 58 n Kruscev, rapporto XIV n, XXIV n Langer, William 9 Laval, governo 76 n Lecoeur, Auguste 10 Leeb, Wilhelm Ritter von 99 Lenin, Nikolaj 9, 33 n, 93 n, 104 n, 107, 119 n Leopoldo III, re del Belgio 106 Lipski, Joseph 72 n Litvinov, Maksim 43, 44, 51, 52 e n, 53, 59 n Livorsi, Franco VII n, VIII n, XX n Lukacs, John XV n, 33 n, 52 n, 56 n, 82 n, 93 n Luraghi, Raimondo X n Malenkov, Georgij 107 Mantelli, Brunello VIII n Maria, Roger XII n, XV n, XVIII, XXIII n Marx, Karl VIII Masini, Pier Carlo XVIII n Mayhew, C.P. 22 Merekalov, Aleksej 14, 55, 56, 57, 58, 59, 67 Merli, Stefano XI n, XVIII n Meyer, Alfred 23 n, 29 n, 32 n, 52 n Micheletti Luigi, fondazione VIII n Mikoyan, Anastas 60 Millozzi, Michele VIII n, X n Molotov, Vjaãeslav XV e n, XVI n, XIX, XX n, XXIII, 2, 15, 18, 19, 20, 22, 31 e n, 32 e n, 33, 39 e n, 41, 46 n, 48 e n, 49 n, 52 n, 59 e n, 72 n, 75, 80, 81 n, 90 e n, 91 e n, 94, 101, 103, 107, 113 e n, 114 e n, 117, 119 Montesi, Luana XXX Muraca, Daniela VII n, IX n, XI n, XIV n, XVIII n, XXII n, XXIII n, 28 n, 39 n, 126 n Mussolini, Benito 53 n, 87, 88 n, 89, 92 n Napoleone I, imperatore dei Francesi 107 Nenni, Pietro XII n, XIII

INDICE DEI NOMI

Nitti, Francesco Saverio

VII

n

Orwel, George XVI, XXII n, 18 Oulman, Gaston 31 e n Overy, Richard 93 n, 97 n, 99 n, 100 n Paulus, Friedrich von 101 n Paxton, Robert 90 n, 105 n Péri, Gabriel 75 n Peschanski, Denis VIII n, IX n Pétain, governo X n Pétain, Henri-Philippe XII, 41 n, 86 Petrucci, Luigi 53 n Piccioni, Riccardo XXX Pierre, André 56 n Poli, Diego XXX Ribbentrop, Joachim von XV e n, XIX, XX n, XXIII, 2, 13, 18, 19, 20, 21, 22, 25, 27, 28, 29, 30, 31 e n, 32 n, 35 e n, 36, 37, 39, 47, 52 n, 56, 65 e n, 71, 72 e n, 73, 75, 79, 80, 81 n, 84, 101 n, 122, 123, 125 Riosa, Alceo VIII n, XVIII n Ritter, Karl von 57 Romano, Sergio XV n, XVII n Rommel, Erwin 101 n Roosevelt, Franklin Delano 4, 94, 95, 96 e n, 97, 106, 118, 119, 120 Rossi, A., pseudonimo di Angelo Tasca XV n, XVI n, XIX n, XXIII n, XXIV n, 3, 4, 18 n, 28 n, 32 n, 39 n, 40 n, 43 n, 49 n, 55 n, 75 n, 79 n, 80 n, 104 n, 114 n, 118 n Rosso, Augusto 51, 90 e n Rota, Emanuel IX n, XIII n Rougemont, Denis de XXII n Rubinin, Evgueni 82 e n, 83 Rudenko, Roman 22 Rundstedt, Karl Rudolf Gerd von 101 n Salvemini, Gaetano XII n Salvemini Gaetano, istituto di studi storici IX n Schmidt, Paul 23 n, 27 n, 35, 36 n Schnurre, Karl 14, 18, 19 n, 51, 57, 58 e n, 60 Schulenburg, Friedrich Werner von 19, 31 n, 32 n, 51, 52, 53, 59 e n, 84 Seeds, William 51 Seidl, Alfred 21, 22 Sendy, Jean 40 n

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Serri, Mirella VIII n Shirer, William 20 n, 26 n, 27 n, 31 n, 35 n, 60 n, 72 n, 75 n, 76 n, 81 n, 90 n, 100 n, 101 n, 102 n Skoda, fabbrica 57 e n, 58 e n Silone, Ignazio IX n, X n, XIII n, XXII n Soave, Sergio VII n, IX n, X n, XI e n, XII, XIII n, XIV n, XVIII n, XX n Solari, Pietro 113 n Sontag, Raymond James 19 n Souvarine, Boris 56 n Spriano, Paolo 103 n, 114 n Stalin, Joseph IX n, X e n, XV e n, XVI n, XVII n, XIX, XX n, XXII, 2, 3, 10, 13 n, 17, 18, 19, 29, 31 e n, 32 e n, 33 e n, 35 n, 36, 37, 43 e n, 44 e n, 45 e n, 46 n, 47 e n, 48 e n, 49, 51, 52 e n, 53, 55, 56 e n, 62, 63 e n, 64, 68, 71, 73 e n, 75 e n, 79, 82 e n, 83, 84, 85 e n, 86, 87, 89, 91, 93 e n, 94 e n, 100 e n, 101 n, 103 e n, 104 e n, 106, 107, 114 e n, 118, 119 e n, 120 Stalin, “linea” 100 e n Stettinius, Edward 97 Strang, William 62 Taylor, Alan 109 n, 111 Tchang Kai Check, 119 Teodori, Massimo XII n Thorez, Maurice XXII, 9, 81, 117 n, 123 Tippelskirch, Werner 51 Togliatti, Palmiro X n, XXV n Tojo, Hideki 119 Toscano, Mario 51 n, 53 n, 65 n, 90 n Trotzky, Lev X n, 87, 107 Verducci, Luigi XXX Vittorelli, Paolo XX n Vorochilov, Kliment 71 Wavell, Archibald 101 n Weiszäcker e Weiszaecker, Ernst von 22, 28, 55 e n, 56, 57, 58, 59 Wilson, Horace sir 68 Wilson, Woodrow 96 Wohltat, Helmuth 68 Yamamoto, Isoroku 119 Zincone, Vittorio 88 n Zukov, Georgij 119 n