Il mondo secondo Star Wars 8883502779, 9788883502774

L'umanità si divide in tre tipi di persone: quelli che vanno pazzi per Star Wars, quelli cui piace, e infine tutti

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Italian Pages 213 [111] Year 2018

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Table of contents :
Copertina
Sintesi
L'Autore
Frontespizio
Copyright
Dedica
Indice
Prefazione
Ringraziamenti
Introduzione. Cosa ci insegna Star Wars
Episodio I: Io sono tuo padre
Il viaggio eroico di Lucas
Episodio II: Il film che non piaceva a nessuno
Da possibile flop a icona del nostro tempo
Episodio III: I segreti del successo
Star Wars: qualità, tempismo o fortuna?
Episodio IV: Tredici chiavi di lettura
A proposito di cristianesimo, Edipo, politica, economia e Darth Jar Jar
Episodio V: Padri e figli
Potete essere redenti, soprattutto se vostro figlio vi ama davvero
Episodio VI: Libertà di scelta
Destino e profezie non contano
Episodio VII: Ribelli
Perché gli imperi cadono e i resistenti (e i terroristi) insorgono
Episodio VIII: La costituzione come Star Wars
Una storia a episodi
Episodio IX: La forza e il monomito
A proposito di magia, di Dio e del racconto preferito dell’umanità
Episodio X: Star Wars è il nostro mito
Nota bibliografica
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Il mondo secondo Star Wars
 8883502779, 9788883502774

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Il mondo secondo Star Wars L’umanità si divide in tre tipi di persone: quelli che vanno pazzi per Star Wars, quelli cui piace, e infine tutti gli altri. Questo libro si rivolge a tutt’e tre i gruppi. Se andate pazzi per Star Wars, se siete certi che sia stato Ian Solo a sparare per primo, se sapete tutto ciò che c’è da sapere su parsec, Biggs Darklighter, Boba Fett e il generale Hux, è possibile che abbiate voglia di saperne di più sulle improbabili origini della serie, sul suo successo totalmente imprevisto e su ciò che essa può realmente insegnare in fatto di padri, libertà e redenzione. Se quei film vi sono soltanto piaciuti, può darsi che vi interessi capire cosa dicono a proposito del destino, dei viaggi eroici e di come fare, nel momento decisivo, la scelta giusta. Se invece Star Wars proprio non vi piace, e non sapete nulla dell’ammiraglio Ackbar o di Mace Windu, magari sarete curiosi di capire come abbia fatto a diventare un fenomeno culturale di tali proporzioni, quali sono le ragioni della sua incredibile risonanza, come mai la saga abbia ancora una forza d’attrazione tanto duratura, e in che modo essa getti un fascio di luce sull’infanzia, sul complicato rapporto tra bene e male, sulle ribellioni, sul cambiamento politico e sulle costituzioni.

Cass R. Sunstein è Robert Walmsley University Professor alla Harvard Law School, dove ha istituito e tuttora dirige il Program on Behavioral Economics and Public Policy. Dal 2009 al 2012 è stato amministratore dell’Office of Information and Regulatory Affairs della Casa Bianca. Fra i suoi libri vanno ricordati Nudge. La spinta gentile (scritto con Richard H. Thaler), Semplice. L’arte del governo nel terzo millennio e, pubblicato da Egea UBE, Effetto Nudge. La politica del paternalismo libertario.

Cass R.

Sunstein

Il mondo secondo Star Wars

Titolo originale: The World According to Star Wars Copyright © 2016 by Cass R. Sunstein All rights reserved First published by Dey Street Books Questo libro non è autorizzato né approvato da Lucasfilm Ltd Per l’edizione in lingua italiana: Copyright © 2016 EGEA Università Bocconi Editore Traduzione: Marco CupellaroEGEA S.p.A. Via Salasco, 5 - 20136 Milano Tel. 02-58365751 - Fax 02-58365753 [email protected] - www.egeaeditore.it Tutti i diritti sono riservati, compresi la traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione, la comunicazione al pubblico e la messa a disposizione con qualsiasi mezzo e/o su qualunque supporto (ivi compresi i microfilm, i film, le fotocopie, i supporti elettronici o digitali), nonché la memorizzazione elettronica e qualsiasi sistema di immagazzinamento e recupero di informazioni. Per altre informazioni o richieste di riproduzione si veda il sito www.egeaeditore.it Date le caratteristiche di Internet, l’Editore non è responsabile per eventuali variazioni di indirizzi e contenuti dei siti Internet menzionati. Prima edizione: settembre 2016 ISBN 978-88-238-7889-1

A mio figlio Declan

Difficile a dire. Sempre in movimento è il futuro. Yoda È l’avventura più grande: decidere la propria vita strada facendo. È quello che facciamo tutti. È possibilità infinita. Lawrence Kasdan

Nota dell’Editore sui nomi dei personaggi Nelle pagine che seguono alcuni personaggi di Star Wars vengono chiamati con nomi di volta in volta diversi. Per capirne i motivi occorre risalire al 1977, quando l’adattamento italiano del primo film, Guerre stellari (in seguito divenuto l’Episodio IV della saga), modificò i nomi di alcuni personaggi, per motivi in parte tecnici e in parte artistici: i principali casi sono Darth Vader (che in italiano divenne Dart Fener), Han Solo (Ian Solo), Leia (Leila), i droidi C-3PO (D-3BO) e R2-D2 (C1-P8) e Chewbacca (Chewbecca). Questa scelta fu confermata per gli altri due film della trilogia «classica» (Episodi V e VI), mentre nella trilogia prequel (Episodi I, II e III) per i due droidi furono usati i nomi originali. L’ultimo film, uscito nel 2015 (settimo episodio della saga), utilizza invece i nomi originali per tutti i personaggi. Nelle traduzioni italiane dei romanzi fin dall’inizio furono usati, per volontà della Lucasfilm, i nomi originali (con eccezioni per i due droidi). Lo stesso è accaduto nei giochi di ruolo, mentre nelle varie edizioni a fumetti furono seguiti criteri misti; nella saggistica o nelle interviste a Lucas prevale invece, ma non sempre, il nome originale. Nella presente traduzione si è scelto di utilizzare di volta in volta il nome originale o quello italiano in base al contesto e alle eventuali citazioni vicine: anche se negli ultimi anni Internet ha favorito la diffusione del nome originale, i personaggi di cui sopra sono ancor oggi ben noti al grande pubblico con il loro nome italiano, utilizzato nei film più celebri e abbandonato davvero solo con l’Episodio VII. Probabilmente nei prossimi anni, con l’uscita degli Episodi VIII e IX e il possibile ridoppiaggio dei vecchi film (di cui si parla da quasi vent’anni), la situazione cambierà ancora. Un grazie a Gian Paolo Gasperi, traduttore di molti romanzi, fumetti e i giochi ispirati all’universo di Star Wars, per i numerosi suggerimenti offerti.

Indice

Prefazione Ringraziamenti Introduzione. Cosa ci insegna Star Wars EPISODIO I

Io sono tuo padre Il viaggio eroico di Lucas EPISODIO II

Il film che non piaceva a nessuno Da possibile flop a icona del nostro tempo EPISODIO III

I segreti del successo Star Wars: qualità, tempismo o fortuna? EPISODIO IV

Tredici chiavi di lettura A proposito di cristianesimo, Edipo, politica, economia e Darth Jar Jar EPISODIO V

Padri e figli Potete essere redenti, soprattutto se vostro figlio vi ama davvero EPISODIO VI

Libertà di scelta Destino e profezie non contano EPISODIO VII

Ribelli Perché gli imperi cadono e i resistenti (e i terroristi) insorgono EPISODIO VIII

La costituzione come Star Wars Una storia a episodi EPISODIO IX

La forza e il monomito A proposito di magia, di Dio e del racconto preferito dell’umanità EPISODIO X

Star Wars è il nostro mito

Nota bibliografica

Prefazione L’umanità si può dividere in tre gruppi: quelli che adorano Star Wars, quelli cui Star Wars piace e tutti gli altri. Ho provato a leggere a mia moglie alcune pagine di questo libro, soprattutto i brani che mi parevano più divertenti, finché lei una sera mi ha detto, con compassione mista a esasperazione: «La verità, Cass, è che Star Wars non mi piace!» (lo sapevo già, ma non so come l’avevo dimenticato). Quando ho iniziato a scrivere questo libro ero tra coloro cui Star Wars piace. Ma ormai ho abbondantemente superato la soglia dell’amore. E comunque, questo libro si rivolge a tutt’e tre i gruppi. Se adorate Star Wars – se per voi è chiaro che a sparare per primo è stato Ian Solo, se sapete già tutto su parsec, Biggs Darklighter, Boba Fett o il generale Hux – forse avrete voglia di saperne di più sulle improbabili origini della saga, sulle ragioni del suo successo in gran parte inatteso e su ciò che i film insegnano sul rapporto padrifigli, sulla libertà o sulla redenzione. Se Star Wars vi piace, magari sarete interessati a capire che cosa può insegnarci sul destino, sui viaggi eroici e sulle scelte nei momenti decisivi. Se invece questi film non vi piacciono proprio, se dell’ammiraglio Ackbar, di Finn o di Mace Windu non sapete nulla, sarete forse curiosi di capire i perché di un fenomeno culturale di tali dimensioni, di tutta la sua risonanza, di una forza d’attrazione così duratura, e come esso proietti luce sulla fanciullezza, sul complicato rapporto tra bene e male, sulle ribellioni, sul cambiamento politico e sulle costituzioni. In quel sogno delirante che è Auspici d’innocenza, William Blake scrive d’aver visto «un mondo in un granello di sabbia». Star Wars è un granello di sabbia che contiene un mondo.

Ringraziamenti Questo libro non è nato da un piano maturato nel tempo: se anni fa qualcuno mi avesse detto che avrei scritto un libro su Star Wars non gli avrei creduto. Tra la prima idea e l’uscita del libro è trascorso meno di un anno. Mia moglie e io eravamo a cena a casa delle nostre amiche Jenna Lyons e Courtney Crangi; verso fine serata Courtney ha preso, quasi casualmente, un vecchio dvd del film Una nuova speranza, consigliandomi di vederlo con Declan, mio figlio, che allora aveva cinque anni. Avevo visto Una nuova speranza decenni prima, e rivederlo era l’ultimo dei miei pensieri. In quel periodo Declan sembrava molto più interessato al baseball che alle astronavi, ed era ancora troppo piccolo per fantasticare su droidi, blaster o Lord Vader. Vedere il film con lui mi sembrava una battaglia già persa, ma ci ho provato lo stesso, quasi per gioco (e per cortesia verso Courtney). Naturalmente, a Declan il film è piaciuto moltissimo, e anche a me. In poco tempo abbiamo visto anche gli altri cinque film (ma La vendetta dei Sith solo in parte, perché è una visione abbastanza forte per un bambino). La mia ossessione è iniziata così. Grazie ancora, Courtney. Da decenni propongo agli studenti di legge (o forse dovrei dire che li imploro) di aiutarmi in progetti di ricerca su temi come l’Administrative Procedure Act, le riforme regolatorie, il valore statistico della vita umana o le regole standard nella legislazione per la tutela dell’ambiente. Sono sempre stato abbastanza fortunato da trovare adesioni, ma nel caso di questo libro la risposta è stata davvero senza precedenti, travolgente. Uno speciale ringraziamento a Declan Conroy, Lauren Ross e Christopher Young: sono dei veri Cavalieri Jedi. Grazie di cuore anche a David Jaher, Jacob Gersen, Martha Nussbaum, L.A. Paul, Richard Thaler e Adrian Vermeule per aver letto e commentato in tutto o in parte il manoscritto.

Ringrazio in modo particolare Vermeule perché, oltre ai molti scambi d’idee, ha anche scritto un saggio-recensione su Star Wars uscito sulla rivista online The New Rambler Review, da lui diretta. È da quel seme che è cresciuto questo libro (il saggio si trova all’indirizzo http://newramblerreview.com/book-reviews/fictionliterature/how-star-wars-illuminates-constitutional-law-andauthorship). Ringrazio Sarah Chalfant, la mia bravissima agente, per il sostegno, la guida e l’entusiasmo che mi ha trasmesso. Star Wars non era il più scontato dei temi per un professore di diritto, e l’incoraggiamento di Sarah mi ha davvero sorpreso. Sono anche in debito verso i membri di un gruppo di lettura alla Harvard Law School, presso il quale ho tenuto nel 2015 un corso sul tema dell’imprevisto e della serendipità. Anche se il tema non era Star Wars, inutile dire che se ne è parlato molto (guarda caso…). Mia moglie, Samantha Power, non è una grande appassionata di Star Wars, ma ha visto con me Il risveglio della Forza e le è piaciuto. Ha sopportato pazientemente un gran numero di conversazioni su Luke, Leila, Obi-Wan, Dart Fener e così via, e non ha perso il buon umore mentre Declan, Rian e io guardavamo i film al computer (se si è sentita tagliata fuori non lo ha dato a vedere). E sono rimasto sorpreso che abbia condiviso il mio entusiasmo per questo progetto, leggendo per intero una prima stesura del libro e offrendomi una grande quantità di consigli generali e di interventi puntuali che mi hanno molto aiutato a reimpostare e migliorare il manoscritto. La Forza scorre impetuosa nella famiglia di Samantha (probabilmente grazie a midi-chlorian degni di Anakin), e io sono davvero fortunato di esserne parte. Julia Cheiffetz era e resta il miglior editor di sempre. Ha una brillante creatività, è divertentissima e ha tanta capacità visionaria. Mi ricorda George Lucas: ha standard elevatissimi e non si accontenta mai. So bene che questo libro non è neanche lontanamente all’altezza dei suoi meriti; in ogni caso, i suoi sforzi l’hanno migliorato enormemente. Ciò che funziona in questo libro si deve anche a una copilota come Julia.

Il posto preferito in assoluto di mio padre penso fosse Marblehead, in Massachusetts. Lui adorava Preston Beach, la pesca, il tennis, i suoi figli e il gelato soft, che non smetteva di stupirlo. In tutta la mia vita non l’ho mai visto arrabbiato: nemmeno una volta. Morì appena compiuti sessant’anni, e non poté conoscere i miei tre figli. Con le spalle larghe e forti e l’immancabile ampio sorriso non ha mai conosciuto la vecchiaia. In lui non c’era nulla di Dart Fener, né di Kylo Ren; c’era un pizzico di Obi-Wan, ma soprattutto tanto Ian Solo: era un grande seduttore. Quando ero bambino mi fece vedere le medaglie ricevute durante la Seconda guerra mondiale: e anche se da lui non ho mai ricevuto una spada laser, ora quelle medaglie le ho io. Grazie, papà.

Introduzione. Cosa ci insegna Star Wars Tutti gli dei, tutti i paradisi, tutti i mondi, sono dentro di noi. Joseph Campbell1

Il marchio Star Wars ha incassato – fino all’inizio del 2016 – 30,2 miliardi di dollari, di cui 6,25 miliardi vengono dal box office, poco meno di 2 miliardi dai libri e 12 miliardi circa dai giochi2. Una cifra superiore al Pil di una novantina di paesi, compresi Islanda, Giamaica, Armenia, Laos e Guyana. Se Star Wars fosse uno stato e gli incassi fossero il suo Pil, si piazzerebbe più o meno a metà classifica tra i 193 stati presenti sul pianeta. Non meriterebbe un seggio all’Onu? Enormi, e per giunta in rapida crescita: con lo spettacolare successo del Risveglio della Forza, i ricavi stanno addirittura esplodendo. Ma i numeri raccontano solo una parte della storia. «Quantificare tutto non puoi»: è Yoda a dirlo? Nella politica e nella cultura Star Wars è ovunque. Negli anni Ottanta l’iniziativa di difesa strategica di Ronald Reagan era stata ribattezzata «Guerre stellari». E nel dicembre del 2015, appena uscito il Risveglio della Forza, il presidente Obama si è accomiatato da una conferenza stampa dicendo: «Ok, ora vi saluto, devo tornare a Star Wars». E quella stessa settimana Hillary Clinton, nel corso del dibattito tv tra i candidati democratici alla presidenza, ha concluso con l’augurio: «Che la Forza sia con voi». In quegli stessi giorni, il candidato repubblicano Ted Cruz twittava: «La Forza… vi chiama. Lasciatela entrare, sintonizzatevi stasera su #CNNDebate». Ispirato ai western e ai fumetti degli anni Sessanta, votato alla libertà e temerariamente ottimista, Star Wars è trasversale agli schieramenti politici e profondamente americano.

Al tempo stesso, la saga ha un richiamo universale. L’ossessione non è certo confinata agli Stati Uniti. Verso la fine del 2015 ho tenuto un ciclo di conferenze a Taiwan, incontrando tra gli altri il presidente della Repubblica e i giudici costituzionali. Abbiamo parlato di diritti umani, di regolamentazione dei mercati, di economia mondiale e delle complicate relazioni tra Taiwan e la Cina; ma tutti volevano parlare anche di Star Wars. La saga va molto forte in Francia, Germania, Italia, Nigeria e Gran Bretagna. È amatissima in Israele, Egitto e Giappone, e ha invaso anche l’India. In Cina fino al 2015 era vietata, ma anche lì ormai la Forza si è risvegliata. In tutta la storia umana non c’è mai stato un fenomeno simile. E ormai, con i social media, Star Wars è venerato da una platea di seguaci talmente vasta da andar oltre la nozione di culto per estendersi né più e né meno al genere umano. Tempo fa ho provato a fare una ricerca su Google: inserendo i termini «Star Wars» sono venuti fuori 728 milioni di pagine, contro 107 milioni per «Beatles», 119 per «Shakespeare», 69 per «Abraham Lincoln», 323 per «Steve Jobs» e 232 per «Taylor Swift». A conferma della versatilità di Star Wars, ecco la prima voce che emerge cercando «Star Wars» su Twitter: «Distruggi la fame con i cioccolatini ripieni al burro di noccioline Star Wars Death Star». Forse non adorate Star Wars, e magari non vi piace nemmeno. Ma anche se non siete un fan della saga, sono pressoché certo che ne sapete già parecchio. Della Forza avete già sentito parlare, è ovvio. Probabilmente avete anche sentito nominare Dart Fener. E magari, in un momento difficile, anche voi vi sarete detti: «Aiutami, Obi-Wan Kenobi. Sei la mia unica speranza». Star Wars unisce: innanzai tutto le persone. Non importa se vivete a Berlino o a New York, a Londra o a San Francisco, a Seattle o a Parigi: Dart Fener lo riconoscete tutti, e anche il Millennium Falcon (o sbaglio?). Nel 2015 i rapporti tra Stati Uniti e Russia non erano certo cordiali, e tra Putin e Obama c’era molta tensione: ma appena uscito il Risveglio della Forza un importante personaggio russo mi ha detto che anche nel suo paese la saga è amatissima e tutti la conoscono: e mentre lo

diceva ha fatto un largo sorriso infantile, come a dire che, alla fine, siamo tutti esseri umani. E poi, Star Wars unisce le generazioni. Penso ai miei figli. Rian ha tre anni e stravede per Dart Fener, e Declan, sei anni, brandisce spesso e volentieri la sua spada laser. Anche Ellyn, che è adulta ma vide il primo film della saga con me all’età di sette anni, quando è uscito Il risveglio della Forza mi ha mandato un messaggino: «Ai titoli di testa mi veniva da piangere… la prima volta che non lo vedevamo insieme!» È tanto ormai che i miei genitori non ci sono più. Ma mia madre era appassionata di fantascienza e adorava Star Wars, uscito nel 1977 (più tardi reintitolato Una nuova speranza). Mio padre invece quando lo vide rimase un po’ interdetto: era stato ufficiale di marina nella Seconda guerra mondiale, e negli anni Quaranta aveva prestato servizio nel Pacifico; sapeva maneggiare le pistole (era un po’ come se avesse combattuto nella «Guerra dei cloni»…), amava giocare a tennis, guidare belle auto e andare a pesca, e non aveva dimestichezza con spade laser e droidi: però aveva la mente aperta, e seppe cogliere il fascino del film. Aveva una salute di ferro degna di un Wookiee, ma appena compiuti i sessanta si ammalò di un tumore al cervello. Morì quattro anni dopo l’uscita di Una nuova speranza, senza poter conoscere i nipoti Ellyn, Declan e Rian. Ogni cultura ha i suoi riti e le sue tradizioni. C’è Babbo Natale, naturalmente, e anche il Coniglietto di Pasqua e la Fatina dei dentini. Ma non c’è nulla che regga il confronto con un bambino che guarda per la prima volta Star Wars. Le luci si abbassano, lo schermo si riempie delle lettere d’oro tanto amate, la musica di John Williams annuncia lo spettacolo, la meraviglia e lo stupore la fanno da padroni; la stanza si popola di fantasmi. È bello vederli. Star Wars riporta in vita i morti. Star Wars è il nostro moderno mito Quando uscì Una nuova speranza gran parte degli addetti ai lavori aveva previsto un fiasco. La casa di produzione non credeva nel film. Non piaceva quasi a nessuno. Gli attori lo consideravano ridicolo. Il suo creatore, George Lucas, temeva una catastrofe. Tutto ciò suggerisce delle domande. Come ha

fatto Star Wars ad avere tanto successo? È davvero così speciale? Perché la sua forza d’attrazione resiste tanto a lungo? Come è potuto diventare il nostro mito moderno? Cosa può insegnarci in fatto di cultura, psicologia, libertà, storia, economia, ribellioni, comportamenti, diritto? E di cuore? Sono queste le domande cui cercherò di rispondere. Come una poesia o un romanzo, anche Star Wars dà spazio a varie interpretazioni. È una critica degli imperi e un’appassionata difesa della democrazia, oppure l’opposto? È dalla parte della Luce, o in realtà segretamente innamorata del Lato oscuro? La Forza è Dio, o è qualcosa dentro di noi? La saga parla del cristianesimo? Che cos’ha da dire sul genere e sulla razza? E sul capitalismo? Sull’importanza della lealtà? Sui motivi per cui la storia procede a zig zag? Star Wars è una delle versioni moderne di un racconto universale: il Viaggio dell’Eroe. Lucas ne era pienamente consapevole. La sua principale fonte d’ispirazione fu l’Eroe dai mille volti, il libro di Joseph Campbell («il mio Yoda», lo definì Lucas) che parla delle tappe dell’esistenza umana come elemento comune a un gran numero di miti3. Sono Viaggi dell’Eroe, per esempio, le storie di Gesù, Buddha, Krishna e Maometto – ma anche di Spiderman, Superman, Batman, Jessica Jones e Luke Skywalker (e di Anakin, Rey e forse Finn e Kylo). Il Viaggio dell’Eroe suscita in noi echi profondi, poiché attinge alle zone più recondite della psiche umana. Non importa chi siete: quella storia è anche la vostra storia (ve ne renderete conto). Ma Star Wars è anche molto sensibile all’enorme potere di entrambi i lati della Forza. Mostra quanto sia difficile, per ognuno di noi, scegliere tra la Luce e il Buio. (Se pensi che sia facile ti illudi. E soprattutto, non stai vivendo in modo pieno la tua vita. Qualsiasi essere umano deve fare i conti, prima o poi, con il Lato oscuro: fallo anche tu, provaci, non rinviare il momento). Inoltre, la saga ha da dire cose importanti – sia pure in una forma semplificata – sulle repubbliche e sugli imperi, evidenziando le fragilità di entrambi; quanto alle

ribellioni, il loro successo dipende spesso da microdecisioni e da fattori apparentemente irrilevanti. Star Wars è ossessionato dal complicato rapporto tra padri e figli maschi, e da ciò che sono disposti a fare gli uni per gli altri, specialmente quando in gioco c’è la vita stessa. Su questo tema la saga offre lezioni potenti e durature. E tra non molto parlerà anche delle figlie (dopo Il risveglio della Forza non ci sono dubbi, ci siamo quasi…). I genitori, guardando i film insieme ai figli (piccoli o grandi che siano), si divertono, ma non solo: apprendono e percepiscono qualcosa d’importante sulla natura del loro legame. Liberi di scegliere Star Wars rivendica con forza la libertà di scelta. Ogni volta che ti trovi in difficoltà o a un bivio sei libero di scegliere. È la lezione più profonda della saga, la svolta nel Viaggio dell’Eroe, la principale ispirazione: la libertà di scelta esiste anche quando sembra tutto perduto e la vita ci appare bloccata. È il tema del perdono e della redenzione: non è mai troppo tardi per essere perdonati, la redenzione è sempre possibile. Come ha detto con stupore infantile il grande sceneggiatore Lawrence Kasdan, che ha lavorato con Lucas all’Impero colpisce ancora e al Ritorno dello Jedi, e con Abrams al Risveglio della Forza: «È l’avventura più grande: decidere la propria vita strada facendo. È quello che facciamo tutti. È possibilità infinita. A volte non sappiamo come faremo a cavarcela nei prossimi cinque minuti, eppure già sappiamo che ce la faremo. È un’affermazione di forza vitale»4. Molti pensano che i film di Star Wars parlino del destino, di profezie inappellabili. Ma in realtà – come dice Yoda – «Impossibile da vedere il futuro è». È questo il messaggio nascosto, la vera magia di Star Wars – e la base del suo omaggio appassionato alla libertà umana. La nostra roadmap In questo volume toccherò molti argomenti; per esempio: la natura dell’attaccamento umano; se è vero che il tempismo è tutto; come stilare la graduatoria dei sette film della saga; perché Martin Luther King era un conservatore; in che modo i

ragazzini hanno bisogno della madre; i meccanismi dell’immaginazione creativa; la caduta del comunismo; la Primavera araba; l’evoluzione dei diritti umani; se Il risveglio della Forza sia stato un trionfo o una delusione; quali siano i limiti dell’attenzione umana; e se Star Wars sia davvero migliore di Star Trek. Se amate le roadmap, eccone una. Gli Episodi I, II e III parlano di come Lucas arrivò alla saga di Star Wars e perché Una nuova speranza ebbe uno strepitoso successo, contro ogni previsione. Gli Episodi IV, V e VI analizzano i tanti, intriganti significati della saga, e le lezioni che offre sui propri temi chiave: la paternità, la redenzione e la libertà. Gli Episodi VII e VIII si occupano invece delle tesi dei film su politica, ribellioni, repubbliche, imperi e costituzioni. Gli Episodi IX e X parlano di magia, di comportamenti, della Forza, e dei motivi per cui Star Wars è un capolavoro senza tempo. ………………………………. 1. Joseph Campbell, The Power of Myth, Anchor, New York 1988, trad. it., Il potere del mito. Intervista di Bill Moyers, Guanda, Parma 1990, p. 62. 2. «Star Wars Total Franchise Revenue», Statistic Brain Research Institute, http://www.statisticbrain.com/star-wars-total-franchise-revenue/(verif. 14.2.2016) 3. Joseph Campbell, The Hero with a Thousand Faces, New World Library, Novato, CA, 2008 (ed. orig. 1949), trad. it., L’eroe dai mille volti, Lindau, Torino 20122. 4. Adam Roger, «Star Wars’ Greatest Screenwriter Wrote All Your Other Favorite Movies Too», Wired, 18 novembre 2015, http://www.wired.com/2015/11/lawrencekasdan-qa/

EPISODIO I

Io sono tuo padre Il viaggio eroico di Lucas Divergevano due strade in un bosco ingiallito, e spiacente di non poterle fare entrambe uno restando, a lungo mi fermai una di esse finché potevo scrutando là dove in mezzo agli arbusti svoltava. Robert Frost1

Molti pensano che le opere importanti nascano come un grande disegno dalla mente di un autore che ha immaginato fin dall’inizio ogni cosa in un piano dettagliato: a volte l’autore è una persona, per esempio William Shakespeare, Leonardo da Vinci, Jane Austen, George Washington, Steve Jobs, Joanne Rowling, altre volte un’entità collettiva come Wall Street, il Congresso, il mercato, la Cia, Hollywood. La verità è che i grandi autori tendono a improvvisare. Hanno delle idee, fanno scoccare delle scintille, ma non hanno nulla che somigli neanche lontanamente a un grande disegno. Decidono lì per lì, proprio come Luke, Ian, Anakin e Rey. E dopo un po’ l’opera inizia a muoversi per conto proprio in direzioni impreviste: sembra quasi che personaggi e trame si mettano da soli a raccontare la loro storia. Per quanto l’autore possa avere una vaga idea della meta ultima – una sorta di Gps interno, o un’immagine finale –, spesso è il suo stesso lavoro a uscire dal percorso prestabilito, in un modo che finirà per soddisfare anche lui. A volte rimarrà spiazzato dalla forma che assume il progetto. Lungo il tragitto incontrerà varie biforcazioni, e ogni volta sceglierà una strada e scarterà le altre. È così che funziona la creatività. Gli studiosi dei comportamenti hanno coniato l’espressione «fallacia della pianificazione», per indicare il fatto che quando si deve realizzare un progetto s’immaginano tempi molto più brevi di quelli effettivi. Come hanno scritto i grandi psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky, «scienziati e scrittori tendono notoriamente a sottostimare il tempo richiesto per completare un progetto, anche quando hanno una precedente esperienza significativa di insuccessi nel rispetto delle scadenze previste»2. Se parlate con qualsiasi studente di liceo alle prese con una tesina, con qualsiasi amministrazione municipale impegnata nella realizzazione di un progetto, con qualsiasi ingegnere lavori alla costruzione di un qualche Millennium Falcon, vedrete facilmente la fallacia della pianificazione all’opera. Ma nel campo dell’immaginazione creativa questo fenomeno si manifesta anche in un altro modo, particolarmente interessante, che potremmo chiamare mito della preveggenza creativa. Chi crea si trova spesso a dover fare scelte sul momento, ad andare in direzioni molto diverse da quelle che immaginava all’inizio; ed è impossibile pianificare tutto questo in anticipo. Tutto questo vale anche per Star Wars. È una grande lezione sia per i personaggi sia per gli spettatori. Luke, un ragazzo di campagna, che diventa maestro Jedi? Ian Solo che smette di fare il solista? Dart Fener che viene redento? Finn che aiuta la Resistenza? Una umile scavenger, una rottamatrice, come Rey che brandisce la celebre spada laser di Luke? Chi l’avrebbe mai detto? «Volevo fare Flash Gordon» Nel corso degli anni George Lucas ha dato versioni diverse sulla nascita di Star Wars. Una è questa: Dobbiamo tener presente che all’inizio Guerre stellari doveva essere un unico film, il quarto episodio di una serie concepita per la mattina del sabato. Era il «dopo» di un «prima» che nessuno ha mai visto. La storia era pensata come la tragedia di Darth Vader. Iniziava con questo mostro che mandava tutti per aria, poi verso metà il cattivo si rivelava in realtà una persona come tutte le altre, e si capiva che il vero eroe era suo figlio. Quindi avevamo un cattivo che si trasformava in un eroe ispirato da suo figlio. Tutto era pensato come un unico film, ma dovetti

suddividerlo in più film perché non avevo abbastanza soldi per realizzarlo tutto insieme: sarebbe durato cinque ore3. Ed ecco un’altra testimonianza di Lucas, leggermente diversa: La serie di Star Wars nacque come un solo film; ma siccome diventava sempre più lungo, decisi di prendere i vari atti e ricavare da ciascuno un film. […] L’idea iniziale era imperniata su un padre e un figlio, e su un fratello e una sorella gemelli. Il nocciolo della storia era in questo rapporto […] Quando iniziai Star Wars pensavo di fare un solo film, molto lungo4. Nell’introduzione ai romanzi della prima trilogia Lucas offre anche una ulteriore versione: Sin dall’inizio, ho concepito Guerre stellari come una serie di sei film, o due trilogie. […] Quando scrissi la sceneggiatura originale di Guerre stellari, sapevo che Darth Vader era il padre di Luke Skywalker; il pubblico no. Sapevo anche che questa rivelazione, se e quando fossi riuscito a portarla sullo schermo, sarebbe stata sconvolgente […]5 In realtà, tutta la storia di come Lucas arrivò a Star Wars è molto più complicata e al tempo stesso più interessante. Nelle prime versioni Star Wars non era affatto concepito come la tragedia di Darth Vader. Quell’inizio in cui entrava in scena un mostro non c’era, e non c’era neanche l’ombra di un figlio eroe e di un padre nel ruolo del cattivo. Il Darth Vader (Dart Fener nel doppiaggio italiano) che conosciamo noi fu creato da Lucas parecchio tempo dopo l’idea di partenza del film, mentre all’inizio era solo una figura di secondo piano. Quando Lucas dice che la storia di Star Wars è «la tragedia di Darth Vader» non ha torto: ma per arrivare a questo risultato ci mise un sacco di tempo. L’evoluzione dell’arco narrativo della prima trilogia mostra una combinazione – tipica di Lucas – di ossessione, visione, altissimi standard e ricerca a oltranza del meglio, il tutto condito da una notevole dose di genio. Lucas non ha mai amato scrivere: ha una mente visiva, ma non ha la penna facile. Per scrivere il copione di Una nuova speranza gli ci vollero anni. Fu un’esperienza penosa, una specie di tortura: ogni giorno si chiudeva per ore in una stanza e si costringeva a scrivere. Arrivò a odiare quella situazione, ad autodenigrarsi e a strapparsi (letteralmente) i capelli. Ma alla fine questo maestro della visualità è riuscito a scrivere un’opera che è una vera icona. In partenza Lucas aveva idee estremamente vaghe e astratte. All’inizio degli anni Settanta parlò pubblicamente di un progetto intitolato «Le guerre stellari»: una sorta di «western ambientato nello spazio», o «un film di fantascienza tipo Flash Gordon»6. Disse di essere «un grande appassionato di Flash Gordon e un convinto sostenitore delle esplorazioni spaziali». Nel 1973 dichiarò che «Star Wars è un misto di Lawrence d’Arabia, i film di James Bond e 2001 Odissea nello spazio. […] Gli alieni sono gli eroi, e gli homo sapiens, naturalmente, i cattivi»7. Ma le cose andarono in tutt’altro modo. In un primo momento Lucas provò ad acquistare i diritti per produrre un film su Flash Gordon in versione aggiornata, ma non poté permetterselo. Racconta uno stretto collaboratore di Lucas, Gary Kurtz: «Cercammo di comprare da King Features i diritti su Flash Gordon, ma il costo era proibitivo. Volevano troppo denaro e troppo controllo. Allora decidemmo di ripartire da zero, facendo qualcosa di nuovo». Lo ha confermato Lucas: «Volevo fare Flash Gordon. Volevo acquistare i diritti da King Features, ma mi chiesero un sacco di soldi, più di quanto potessi permettermi»8. La stesura andò avanti a singhiozzo. La prima sinossi fu ultimata nel maggio del 1973, e la prima bozza del testo venne fuori un anno dopo9. Né l’una né l’altra somigliavano granché a quello che sarebbe poi diventato Una nuova speranza. «Scrissi la prima versione di Star Wars, ne discutemmo e mi resi conto che quel testo mi ripugnava. Lo buttai via e ne cominciai un altro, poi cestinai anche quello. La cosa si ripeté quattro volte: ogni versione era diversa dalle altre»10. Ancora dopo aver abbozzato la trama essenziale di Una nuova speranza, Lucas non aveva in mente né il percorso narrativo della saga, né la «tragedia di Darth Vader». Secondo la maggior parte delle ricostruzioni, Una nuova speranza era stato pensato come un film a sé: Guerre stellari, non «Episodio IV». Racconta Kurtz: «Avevamo in programma di fare Star Wars, e poi Apocalypse Now e una black comedy alla M*A*S*H»11. Alla fine Star Wars divenne davvero un racconto di padri e figli, la storia di un padre eroico che trova l’ispirazione (e la redenzione) nel figlio. Ma a Lucas queste splendide idee vennero in mente piuttosto tardi: e quando arrivarono, tutto cambiò. Xenos, Thorpe e il Principe dei Berberi

In una delle primissime fasi del processo di stesura, Lucas produsse un lungo elenco di (formidabili) nomi, che in parte vennero scartati12. Eccone alcuni: Imperatore Ford Xerxes Terzo Xenos Monroe Mace Valorum Biggs Cleg Han Solo, «leader del popolo Hubble» Thorpe Roland Lars Kane Anakin Skywalker, «re dei Berberi» Luke Skywalker, «principe dei Berberi». C’erano anche un pianeta di ghiaccio, Norton III, un mondo-giungla, Yavin, abitato da Wookiee (alti un metro e ottanta), e un pianeta desertico, Aquilae13. All’inizio Lucas aveva chiara in mente una sola scena: una sorta di combattimento aereo nello spazio in cui le navi «si sarebbero inseguite gettandosi una contro l’altra come i caccia della Seconda guerra mondiale, come uccelli selvatici»14. Con tutti quei nomi che gli volteggiavano in testa, Lucas produsse un soggetto intitolato Journal of the Whills. È un testo avvolto nel mistero: le testimonianze sono discordi sia sulla lunghezza sia sui contenuti. A quanto pare si trattava soltanto di due pagine, che iniziavano così: «Questa è la storia di Mace Windy, rispettato Jedi-Bendu di Ophuchi, narrataci da C.J. Thorpe, apprendista padawaan del famoso Jedi»15. «C.J.» stava per «Chuiee Two Thorpe di Kissel. Mio padre è Han Dardell Thorpe, primo pilota sul famoso incrociatore intergalattico Tarnack». (C’è un Chuiee, ma non è uno Wookie! C’è Han, anche lui pilota, ma non è Solo! E c’è Kissel – non Kessell –, ma della rotta di Kessell non si parla ancora!)16. Mace Windy era stato «signore della guerra del Presidente dell’Alleanza dei Sistemi indipendenti […]. Secondo alcuni era persino più potente dell’Imperatore dell’Universo. […]. Paradossalmente, fu la paura dei suoi compagni […] a condurre alla sua sostituzione […] e alla sua espulsione dalle forze reali»17. In questo breve testo Mace e C. J. vivono la loro «più grande avventura»: sono «guardiani durante una spedizione di generatori a fusione portatili diretta a Yavin», e vengono «convocati sul desolato secondo pianeta di Yoshiro da un misterioso corriere del Presidente dell’Alleanza»18. Nella storia di partenza di Lucas c’era più o meno questo. Tutto qui. Non è affatto chiaro perché per i nostri eroi questa misera cosa sia l’avventura della vita. All’inizio Lucas aveva in mano ben poco: ma era ispirato. Come accade spesso a chi si prepara a una grande impresa, era come se avvertisse una sorta di solletico, o di prurito. Mace e C.J. non erano destinati alla grandezza: ma il prurito c’era, e bisognava placarlo. Battibecchi tra burocrati Quando vide questa storia l’agente di Lucas si trovò davvero spiazzato. Allora il regista si mise al lavoro su un nuovo progetto, per il quale attinse largamente a un film giapponese del 1958, La fortezza nascosta di Akira Kurosawa. La prima bozza era ricalcata proprio su questo film. La narrazione di Kurosawa si basava sulla prospettiva di due contadini che bisticciano; è un’epoca di guerra civile, e nella prima scena i due camminano senza meta in un paesaggio desertico. È un’idea brillante e, come ha riconosciuto lo stesso Lucas, i due celebri droidi R2-D2 (nella versione italiana C1-P8) e C-3PO (in italiano D-3PO) sono direttamente ispirati alla coppia di Kurosawa. Ecco un breve assaggio del primo testo di Lucas: «I due bisbetici burocrati, terrorizzati, cercano di allontanarsi dalla battaglia, si lanciano dalla fortezza spaziale e compiono un atterraggio di fortuna su Aquilae»19. Il trattamento di Lucas (quattordici pagine) era talmente simile alla Fortezza nascosta da rasentare il remake, tant’è vero che Lucas pensò di acquistare i diritti sul film. In questa versione, «Le Guerre stellari» (come ancora le chiama Lucas) non sono ambientate «tanto tempo fa in una galassia lontana lontana…» ma, all’opposto, in un remoto futuro: «È il

trentatreesimo secolo, un periodo di guerra civile nella galassia. Una principessa ribelle, insieme alla famiglia, ai servitori e al tesoro del clan, è inseguita»20. Al seguito della principessa c’è poi un generale dal nome familiare: Luke Skywalker. Le peregrinazioni di questi personaggi avvengono nel bel mezzo di una battaglia tra un Impero e le forze ribelli. In una scena il generale Skywalker, armato con una spada laser, uccide un bullo che se la stava prendendo con un ragazzino sceso, insieme ad altri ribelli, nella taverna di un porto spaziale (ci ricorda qualcosa?). In un’altra scena il generale Skywalker e i ribelli s’impadroniscono di una flottiglia di caccia stellari. Spacciandosi per ranger imperiali riescono a individuare le prigioni di Alderaan, capitale dell’Impero. Liberano la principessa, e alla fine si svolge una solenne cerimonia in cui la principessa si rivela una sorta di dea. Sembra di leggere Star Wars, ma R2-D2 e C3-PO non ci sono ancora: mancano sia la maggior parte dei personaggi che ben conosciamo, sia ovviamente la trama ormai familiare. Nelle prime fasi della sceneggiatura Darth Vader è un semplice generale, una figura secondaria, e finisce per saltare in aria. Ancora verso la fine della stesura, Lucas non aveva ancora immaginato che Darth Vader (Dart Fener nel doppiaggio dei film in italiano) fosse il padre di Luke: e nemmeno cercava di tenersi la strada aperta per una soluzione del genere. In realtà, per Lucas Darth Vader non era affatto il padre di Luke. Ed è un mito (anche se un buon mito) che il nome Darth Vader sia nato per assonanza con Dark Father21. Una fiaba Per inciso, in alcune delle prime stesure compaiono due robot dall’aria familiare. Anche i loro nomi, ArTwo Deeto e SeeThreePio, sono già quasi identici ai nomi dei droidi che tutti conosciamo. E conversano in un modo ci sembra di conoscere: ArTwo:

Sei un filosofo sciocco e inutile. […] Dai! Torniamo a lavorare; il sistema va bene.

SeeThreePio:

Mucchio di grasso sovrappeso. Smettila di seguirmi. Vattene. Vattene22.

Notate niente? ArTwo parla! Ed ecco cosa ha detto Lucas a proposito di una delle stesure di questa fase: «Poi ci ho aggiunto questa cosuccia: “Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, avvenne un’avventura incredibile”. Insomma, è diventata una fiaba». Nelle prime bozze di quella che poi sarebbe divenuta Una nuova speranza, Darth Vader non aveva un ruolo da protagonista e Lucas non aveva ancora minimamente immaginato un atto di redenzione. Quell’episodio era la fiaba di Luke, non di Darth Vader. L’idea della redenzione venne fuori abbastanza tardi, finendo per trasformare quella fiaba in un racconto incredibilmente coinvolgente sulla libertà di scelta e sul rapporto padri-figli. Ancora nelle prime bozze del Ritorno dello Jedi Darth Vader non viene redento, ma anzi ridimensionato a un ruolo trascurabile: il nuovo preferito dell’Imperatore è il Moff Tiaan Jerjerrod. Inoltre, nelle prime fasi Lucas non aveva ancora neanche lontanamente immaginato che Palpatine potesse essere un Signore dei Sith. E che dire del Journal of the Whills, che Michael Kaminski definisce «forse l’elemento più curioso ed enigmatico di tutta la storia di Star Wars, talmente avvolto di leggenda e mistero da diventare una sorta di Sacro Graal»?23 In realtà il Journal of the Whills non esiste – a parte quel piccolo frammento iniziale –, né è mai esistito. Ma sembrava dare a tutto il progetto una base più solida, una sorta di forza di gravità, anche senza Flash Gordon. «Non ditelo a nessuno» Con la scena «Io sono tuo padre» Lucas decise di spostare Star Wars su una nuova traiettoria narrativa che si adattava (abbastanza) bene al lavoro precedente, ma al tempo stesso lo ripresentava in una luce totalmente diversa, che nemmeno lui inizialmente aveva previsto. In un’intervista di poco successiva all’uscita di Una nuova speranza Lucas disse di avere in mente un sequel che narrasse «la storia di Ben Kenobi e del padre di Luke e di Darth Vader quando erano giovani cavalieri Jedi. Vader uccide il padre di Luke, poi si scontra con Ben Kenobi, proprio come succede in Star Wars, che quasi lo uccide»24. Lucas ha detto varie volte che «nella sua mente Vader era sempre stato il padre di Luke»25, ma in altre occasioni ha dato una versione leggermente diversa. Ecco cosa scrisse agli autori della (bellissima) serie tv Lost: «Non ditelo a nessuno […] Quando Star Wars uscì per la prima volta,

nemmeno io sapevo dove sarebbe andato a parare. Il trucco è far credere che sia stato tutto pianificato»26. Ancora più eloquente è l’ammissione fatta da Lucas nel 1993: «Quando stai creando qualcosa di quel genere, i personaggi prendono il sopravvento […] e iniziano a raccontare storie che non c’entrano con quello che stai facendo… Allora devi capire come rimettere a posto i pezzi, così che il tutto abbia senso»27. Per inciso, è una cosa che gli autori dicono spesso: i personaggi «prendono il sopravvento» e sembrano mettersi da soli a «raccontare storie» che hanno una loro dinamica e coerenza indipendentemente dalle intenzioni dell’autore; man mano che la loro vita va avanti imboccano strade non previste, e anche chi li ha creati ha la sensazione che essi ormai si muovano autonomamente. Anche William Blake, parlando delle sue opere, scrisse che «sebbene le definisca mie so che non lo sono», e definì il processo di scrittura come una sorta di dettatura, «priva di premeditazione e persino contro la mia volontà»28. Brividi lungo la schiena Quali sono i meccanismi dell’ispirazione? Come fa una buona storia a prendere improvvisamente una piega diversa, a volte molto più vera e profonda? Molti creativi vivono quel momento come una sorta di clic, o di colpo di fulmine: da quel momento in poi la narrazione (o la musica, o l’edificio, o il paesaggio) va in un’altra direzione. Un attimo prima non ne avevano il minimo sentore, ma nel momento in cui accade se ne accorgono molto chiaramente. Proviamo allora a capire, con il grande aiuto di Chris Taylor, cosa accadde a Lucas29. Lucas ebbe un’ispirazione improvvisa mentre scriveva la scena madre dell’Impero colpisce ancora. Decise che Dart Fener avrebbe detto a Luke: «insieme potremo governare la galassia, come padre e figlio». Per l’immaginazione di Lucas queste parole ebbero l’effetto di una scossa, di un brivido lungo la schiena. E se Fener avesse inteso quella frase in senso letterale? Questo finalmente «spiegava di botto perché tutti, da zio Owen, a Obi-Wan, a Yoda, erano stati così preoccupati per l’evoluzione di Luke e per il fatto che potesse diventare come suo padre»30. Improvvisamente, tutto aveva un senso nuovo. Non importava che si trattasse di una spiegazione post factum, che quelle preoccupazioni in precedenza non avessero avuto nulla a che fare con Dart Fener: accade spesso che il presente getti nuova luce sul passato e lo faccia apparire diverso da come ci sembrava fino a quel momento. Non sarebbe la prima volta. Questa è una supposizione: magari a Lucas l’idea di Fener padre di Luke era venuta anche prima. Come in molte opere di letteratura, anche nella saga di Star Wars, i momenti «Io-sono-tuopadre», accompagnati dai brividi lungo la schiena, hanno un ruolo decisivo, portano con sé cambiamenti e svolte che, pur mantenendo (sufficiente) continuità con la vicenda precedentemente narrata, la modificano e la rendono più interessante. Ma questi momenti per Lucas furono una bella sfida, in quanto chiedevano agli spettatori di rileggere in modo radicalmente diverso le scene già viste. Se la reazione del pubblico fosse stata di incredulità – non un oh-mio-Dio!, ma un cosadiavolo? –, l’effetto «Io-sono-tuo-padre» non ci sarebbe stato, anzi sarebbe stato esattamente l’opposto, facendo crollare tutto. Se per esempio Dart Fener avesse detto «Io sono tuo figlio», o «Io sono il tuo gatto», o «Io sono Abramo Lincoln», o magari «Io sono C1-P8», il risultato sarebbe stato, ovviamente, un pasticcio. E naturalmente tutti avrebbero pensato: ma che diavolo? Occorreva creare nello spettatore un sussulto di genuino stupore, un momento di sconcerto e incredulità, che sfociassero poi in una sorta di reverente «ora-tutto-ha-un-senso». Quel sussulto doveva produrre una specie di rivelazione: l’idea che uno schema, per quanto imprevisto, ci fosse davvero. I migliori momenti «Io-sono-tuo-padre» sono quelli in cui chi guarda ha l’impressione che tutto sia preordinato e stia in piedi. I buoni thriller mystery funzionano esattamente così. Ne è un esempio L’amore bugiardo di Gillian Flynn. Un meccanismo che è stato elevato a vera e propria arte da un eccellente autore di storie mystery come Harlan Coben. Anche lo splendido romanzo Possessione di A.S. Byatt ha diversi momenti così. E naturalmente Shakespeare in questo è stato davvero il più grande dei maestri Jedi. Se gli spettatori riescono a rileggere le scene precedenti in modo tale che il momento «Io-sonotuo-padre» appaia loro comprensibile e anzi, con il senno di poi, addirittura inevitabile, l’indispensabile senso di coerenza della storia è salvo. Naturalmente le storie possono andare in

molte direzioni diverse senza per questo perdere quel senso di coerenza, e ciò vale anche per Star Wars. I migliori momenti «Io-sono-tuo-padre» sono quelli che per lo spettatore non solo sono imprevedibili, ma a posteriori gli sembrano addirittura inevitabili: come se le cose non potessero che andare così. «Da un certo punto di vista» Il momento «Io-sono-tuo-padre» dell’Impero colpisce ancora pose però a Lucas un serio dilemma: nel primo film Obi-Wan Kenobi aveva detto a Luke che Dart Fener aveva «ucciso suo padre». Aveva mentito? In tal caso il pubblico aveva diritto a una spiegazione: perché un sant’uomo come Obi-Wan aveva mentito al giovane Luke? Lucas ama molto più la parte visiva che le trame, ma la soluzione che escogitò in questo caso fu davvero brillante. Nel Ritorno dello Jedi mise in bocca a Obi-Wan questa spiegazione: «Tuo padre fu sedotto dal Lato oscuro della Forza. Cessò di essere Anakin Skywalker e divenne Dart Fener. Quando ciò accadde, tutto il bene che era in tuo padre venne distrutto. Quindi quello che ti dissi era vero, da un certo punto di vista». Alle orecchie di qualcuno una simile spiegazione suonerà come un abominio, un grande imbroglio: «da un certo punto di vista» si può leggere come una confessione di mendacità. Non è forse una cosa da Sith? Non diventereste sospettosi se a dirvelo fosse un leader politico o il vostro coniuge? Eppure è una brillante via d’uscita, ha abbastanza senso da salvare la coerenza della storia. Naturalmente a suo tempo Obi-Wan, parlando di uccisione, non aveva inteso la cosa in senso metaforico ma letterale. Ma l’uccisione metaforica era sufficientemente coerente; e per certi versi, davvero formidabile. E anche se Obi-Wan non aveva detto proprio tutta la verità… beh, in fondo Luke era giovane, e magari avrebbe avuto difficoltà a metabolizzare la rivelazione. Per inciso, il cancelliere Palpatine, avrebbe messo le parole di Obi-Wan in una sorta di specchio oscuro, dicendo al giovane Anakin che «il concetto del bene è un punto di vista»: i Sith sono dei relativisti morali. Gemelli e innamorati E che dire di Luke e Leila, che a quel punto diventavano fratelli gemelli… Per Lucas quel particolare momento «Io-sono-tuo-padre» fu particolarmente impegnativo, dal punto di vista della coerenza narrativa. Lo ha detto acutamente lo stesso Mark Hamill: «Sembrava davvero un goffo tentativo di far passare in secondo piano la faccenda di Vader»31. Ma il giudizio di Hamill è troppo severo. La mossa non nascondeva il problema di Darth Vader, ma funzionava – e risolveva un bel po’ di problemi. Mentre scriveva Una nuova speranza e L’Impero colpisce ancora, sicuramente Lucas non aveva neanche ipotizzato che Luke e Leila fossero gemelli. Tutt’altro: ai suoi occhi erano tutto fuorché fratelli, come indica anche l’innegabile tensione sessuale. Intervistato poco dopo l’uscita di Una nuova speranza, Lucas aveva detto: «Chissà con chi finirà per mettersi [Leila]? Per ora dico solo che Luke sembra esserle più devoto di Han»32. Un dettaglio eloquente è che secondo le prime sceneggiature, e lo stesso responsabile del casting, Luke era di qualche anno più grande di Leila. Nell’eccellente versione romanzata di Una nuova speranza, scritta da Alan Dean Foster insieme a Lucas, e talvolta piuttosto voluttuosa, Luke, di fronte all’ologramma di Leila, è «affascinato dalla bocca sensuale che ripeteva continuamente il brano del messaggio»33; e la prima volta che incontra di persona la principessa, la guarda rapito e balbetta: «Sei ancora… più bella… di quanto…»34. Così si conclude il romanzo35: Frastornato dalle acclamazioni, Luke non pensava al suo possibile avvenire con l’Alleanza né alle eventuali scorribande avventurose con Han Solo e Chewbacca. Nei suoi pensieri c’era posto solo per la bella Leia Organa. Wow! Ricordiamo anche che Lucas, dopo aver finito Una nuova speranza, pensava di scrivere un paio di librisequel, e aveva annunciato: «Nel secondo libro voglio che Luke baci la principessa. Sarà un Via col vento ambientato nello spazio. A Leia Luke piace, ma Han è Clark Gable. Beh, magari Leia conquisterà Luke, perché voglio che Han parta»36. E naturalmente c’è quella scena nell’Impero colpisce ancora dove Luke e Leila si baciano – e non è certo il tipo di bacio che si scambiano di solito due gemelli. Vi si accapona la pelle?

È vero, secondo alcune annotazioni forse Luke aveva una sorella: ma non era Leila, questo è certo. Mentre iniziava a lavorare all’Impero colpisce ancora Lucas scrisse dell’«intenzione di far avere una sorella gemella a Luke dall’altra parte della galassia: là nascosta per la sua incolumità, anche lei sta seguendo l’addestramento per diventare Jedi»37. Può bastare a smentire l’idea che Luke e Leila fossero pensati fin dall’inizio come gemelli. Il «goffo tentativo» di cui parla Hamill è legato soprattutto al fatto che nell’Impero colpisce ancora, quando Obi-Wan definisce Luke «la nostra ultima speranza», Yoda risponde che «ce n’è un’altra». Su questa battuta di Yoda Lucas in seguito ha detto che «prima di Guerre stellari ci sono ben sei ore di vicende; in quelle sei ore quel “qualcun altro” compare abbastanza chiaramente, e dopo il terzo film ancora più chiaramente»38. Non si capisce bene cosa intendesse Lucas con queste parole: forse pensava a una sorella, ma non certo a Leila, che nelle sei ore del prequel compare a malapena e di sfuggita. Forse quest’enigmatica e intrigante osservazione di Lucas serviva anche ad «aumentare nel pubblico la percezione della precarietà di Luke: la storia non ha bisogno di lui?»39 Sì, non lo si può escludere, ma sicuramente c’era anche un motivo di ordine pratico: non si sapeva ancora con certezza se Mark Hamill era disposto a partecipare ai sequel; in caso contrario sarebbe servito «qualcun altro» che ne prendesse il posto. Inoltre, la frase apriva la possibilità che gli Episodi VII, VIII e IX fossero incentrati sulla sorella gemella di Luke (a proposito, il ruolo di Lando Calrissian, impersonato da Billy Williams, fu introdotto anche per timore che Harrison Ford non volesse proseguire: in tal caso Calrissian avrebbe potuto sostituire Ian nella parte del contrabbandiere spaziale; e sappiamo che quando Harrison Ford accettò di continuare, per Williams fu una grande delusione). È vero che Lucas pensò a più riprese a quella terza trilogia (ma su questo punto non è stato sempre coerente). In ogni caso, quando scrisse Il ritorno dello Jedi aveva perso interesse a fare altri film: sia lui che gli attori ne avevano abbastanza. Come sciogliere allora l’enigma del «c’è-qualcunaltro», e al tempo stesso il triangolo amoroso tra Ian, Luke e Leila? La soluzione di Lucas fu di mettere in chiaro che l’altra persona era Leila; e che due dei personaggi di quel triangolo in realtà erano fratelli, addirittura gemelli. Ovviamente la componente sessuale tra i due, in Una nuova speranza e nell’Impero colpisce ancora, creava qualche problema. Ma, come si è detto, la soluzione di Lucas consisté nel far finta di nulla. E per convincere tutti che quel legame di parentela era plausibile ci andò giù pesante, mettendo in bocca a Leila, al momento della rivelazione, la battuta: «Lo so. È come se… se l’avessi sempre saputo». Se persino Leila l’aveva sempre saputo, il calcolo di Lucas era che agli occhi di chi guardava quel rapporto di consanguineità apparisse non come una bizzarra deviazione dai film precedenti che toglieva coerenza alla storia, ma come un fatto credibile e addirittura preordinato. «Sei cresciuto bene, Luke» In teoria la trama, a partire dalle idee iniziali di Lucas, avrebbe potuto svilupparsi in anche altre direzioni. Per la maggior parte si tratta di alternative poco convincenti: se per esempio fosse venuto fuori che il padre di Luke era Obi-Wan, oppure che era stato davvero ucciso quando Luke era ancora in tenera età, la storia sarebbe stata sicuramente meno interessante. La brillante sceneggiatrice Leigh Brackett produsse una nuova stesura di quello che poi sarebbe stato L’Impero colpisce ancora, ma morì poco dopo. Aveva fatto un magnifico lavoro (oggi consultabile online)40. Brackett figura giustamente tra gli sceneggiatori del film, che si è basato ampiamente sul suo copione. L’Impero colpisce ancora è sicuramente anche di Brackett: su questo non c’è dubbio. Ma tra la soluzione scelta da lei e quella definitivamente scelta da Lucas ci sono alcune intriganti differenze. Nella versione di Brackett Luke incontra, grazie ai buoni uffici di Obi-Wan Kenobi, il suo defunto padre, che ora è un Fantasma di Forza. Questo padre è esattamente l’opposto di Dart Fener: Brackett lo descrive come un «uomo alto, di bell’aspetto». Conoscerlo è per Luke un’esperienza sconvolgente. Ecco il dialogo: Skywalker:

Sei cresciuto bene, Luke. Sono fiero di te. Tuo zio ti ha mai detto che hai una

sorella? Luke:

Mia sorella? Ho una sorella? Perché zio Owen non me ne ha mai parlato?

Skywalker:

Sono stato io a chiederglielo. Quando capii che l’Impero stava vincendo decisi di allontanarvi entrambi, per la vostra incolumità, spedendovi in due posti diversi. Luke:

Lei dov’è? Come si chiama?

Skywalker:

Se te lo dicessi Darth Vader potrebbe estrarre quell’informazione dalla tua mente e prendere lei in ostaggio. È presto, Luke. Quando sarà il momento… Luke, vuoi prestare dinanzi a me giuramento come cavaliere Jedi? Luke pronuncia il suo voto solenne: «Io, Luke Skywalker, giuro sul mio onore e sulla fede nell’Ordine dei Cavalieri di usare la Forza solo a fin di bene, respingere sempre il Lato oscuro e dedicare la mia vita alla libertà e alla giustizia. Che mi sia tolta la vita se dovessi venir meno a questa promessa, ora o in futuro». Il giuramento, come tutta la scena, è banale. La svolta «Io-sono-tuo-padre» voluta da Lucas rese tutto meno altisonante, più incisivo, in una parola migliore (del resto, anche Lucas conosceva il Lato oscuro). Ma questo non impedisce di chiedersi se la scelta di Lucas sia stata la migliore in assoluto. Alcune possibili alternative sarebbero state ottime. Pensiamo per esempio (senza per questo volersi accodare al coro di critiche ai prequel, sottovalutati e spettacolari) alle scene d’amore tra Anakin e Padmé, sicuramente perfettibili: Anakin Skywalker: Padmé:

Perché sono tanto innamorata.

Anakin Skywalker: Padmé:

No, no, perché io sono tanto innamorato di te.

Allora l’amore ti ha reso cieco?

Anakin Skywalker: Padmé:

Sei così… bella, Padmé.

[ride] Beh, non era questo che volevo dire.

Ma forse è così. […]

Anche quest’altra battuta di Padmé non è il massimo: «Abbracciami. Come facevi sul lago, a Naboo. Quando non esisteva nient’altro che il nostro amore. Né politica, né complotti, né guerre». È giusto riconoscere che nelle scene più ammirate Lucas è pressoché insuperabile (durante la prima trilogia in lui scorreva davvero la Forza, fu un periodo straordinario): ma se avesse sempre trovato la strada migliore in assoluto sarebbe strano. Luke e Leila, nella storia raccontata da Brackett, non sono fratello e sorella. Leila ha delle scene d’amore con Luke e altre con Han. Alla fine opta per Han, lasciando Luke a una matura e rassegnata solitudine. Anche questa strada avrebbe potuto dare risultati interessanti. Oppure, chissà, Luke avrebbe potuto avere una sorella gemella su un altro pianeta: sarebbe stata una sorta di scossa elettrica per la trama. Se questa fosse stata la soluzione prescelta, e se fosse diventata canonica, magari oggi molti di noi, sentendo parlare della versione «Luke-e-Leilagemelli», esclamerebbero «Che schifo!», o «Che stupidaggine!». Lo ha osservato saggiamente Skrillex, che è un uomo di musica: «Il futuro è casuale. E noi siamo come esploratori […] Non possiamo vederlo: possiamo solo andare dove non siamo mai stati»41. Naturalmente anche J.J. Abrams, con Il risveglio della Forza, ha fatto una serie di scelte originali, evitando (a volte per un soffio) altre possibili direzioni42. E poi, le trame degli episodi successivi, l’VIII e il IX, non sono ancora prestabilite. È giusta l’osservazione del critico cinematografico Anthony Lane, a proposito di Abrams: «Odio dirlo, ma ha un forte senso critico, che non deve assolutamente mancare a chi crea, e a maggior ragione a chi ricrea»43. «Non mi piace e non credo sia vero» Vediamo ora un classico esempio di scelta, effettuata in tempo reale, nella costruzione narrativa di Star Wars. Il dialogo che segue si colloca a un passaggio cruciale nella stesura del Ritorno dello Jedi. E mostra una chiara divergenza artistica tra Lucas, che allora era all’apice del suo stato di grazia, e Lawrence Kasdan, uno degli sceneggiatori più brillanti (e secondo me profondi) degli ultimi cinquant’anni44. È uno scontro tra due autentici maestri Jedi, che esprimono due visioni radicalmente diverse della storia, e anche del cinema: Kasdan:

Credo che dovresti uccidere Luke e far prendere il comando a Leila.

Lucas:

Non si può uccidere Luke.

Kasdan:

Okay, allora uccidi Yoda.

Lucas:

Non si può uccidere Yoda. Non c’è bisogno di uccidere qualcuno. È un prodotto degli anni Ottanta. Non vai in giro ad ammazzare le persone. Non è bello… Kasdan: Lucas:

No, ti sbagli. Sto solo cercando di rendere la storia più incisiva. […]

Per me ti alieni il pubblico.

Kasdan:

Dico solo che il film avrebbe più spessore emotivo se si perdesse qualcuno che si ama lungo la strada: il viaggio avrebbe un impatto maggiore. Lucas:

Non mi piace e non credo sia vero.

Kasdan:

Okay, allora basta così.

Lucas:

Ho sempre odiato queste cose nei film, quando vai avanti e uno dei personaggi principali rimane ucciso. Questa è una favola. Vuoi che tutti vivano felici e contenti e che non accada niente di brutto a nessuno. […] La cosa fondamentale, tutta l’emozione che sto cercando di suscitare alla fine del film, sta nel sentirsi davvero sollevati, emotivamente e spiritualmente, e avere sensazioni positive sulla vita. È la cosa migliore che possiamo fare. A mio avviso, in questa discussione è Lucas a vincere per KO. «Non mi piace e non credo sia vero». Parole sante, come sacrosanto è l’ordine in cui Lucas le pronuncia: «Non mi piace» viene prima di «non credo sia vero» e contribuisce a chiarirlo. Se qualcosa non ti piace tenderai a non crederci. È l’idea di fondo del motivated reasoning di cui parlano gli psicologi. Non mi piace ciò che dice Kasdan, e nemmeno credo sia vero. Eppure, Yoda alla fine muore (più o meno). E nel Risveglio della Forza Kasdan realizza il suo desiderio, ammazzando Han Solo. Come ha spiegato nel 2015: «Ho sempre spinto per far morire qualche personaggio importante, perché questo conferisce gravitas alla storia. Se ogni volta tutti ne escono bene, significa che non c’era alcun pericolo. Ci dev’essere un prezzo da pagare»45. «Scelto Kasdan ha». Con tutto il rispetto: scelta sbagliata! Quando ha visto morire Han Solo [nel Risveglio della Forza] una mia amica è rimasta letteralmente sconvolta: «Sono distrutta, non voglio più vedere questi film». E alla fine della proiezione si è chiusa in bagno a piangere per dieci minuti. Anch’io, pur non essendo distrutto, pur avendo tutta l’intenzione di vedere i prossimi film, ho sempre detestato veder morire un protagonista. Parsec E poi, c’è la battuta immortale di Ian Solo sul Millennium Falcon: «è la nave che ha fatto la rotta di Kessel in meno di dodici parsec!»46 È una frase inconfondibile, che nella sua totale originalità ci è ormai persino familiare: «in meno di dodici parsec» suona reale, anche se un parsec misura la distanza, non il tempo. La battuta non avrebbe molto senso, se non c’è un minimo di fantasia47. Ma nello stesso tempo Solo parla una lingua che ci è irriducibilmente estranea. Che cos’è «la rotta di Kessel?» La battuta, che Harrison Ford pronuncia con il giusto autocompiacimento, coglie molto bene la ricetta della saga: quella «specie di effervescente senso di vertigine» che Lucas indica come la principale caratteristica dei film (e che disorienta anche lui, che ha tutt’altro temperamento)48. La versione romanzata è molto meno efficace: «È la nave che ha fatto la rotta di Kessel in meno di dodici standard time parts!» Visto? Star Wars è solo un granello di sabbia, ma dentro c’è davvero un mondo. ………………………………. 1. «La strada non presa», in Conoscenza della notte e altre poesie, trad. di Giovanni Giudici, Torino, Einaudi 1965. 2. Daniel Kahneman e Amos Tversky, «The Availability Bias», in Daniel Kahneman et al. (a cura di), Judgment Under Uncertainty: Heuristics and Biases, Cambridge University Press, Cambridge 1982, p. 415. 3. Anwar Brett, «Interview with George Lucas», http://www.bbc.co.uk/films/2005/05/18/george_lucas_star_wars_episode_iii_interview.shtml (24 settembre 2014).

BBC,

4. Intervista a Lucas in Star Wars Definitive Edition Laserdisc, 1993, cit. in Michael Kaminski, The Secret History of Star Wars, Legacy Books Press, Kingston, Ontario, 2008, p.10; cfr. anche Chris Taylor, How Star Wars Conquered the Universe, ed. rivista e

ampliata, Basic Books, New York 2015, trad. it., Come Star Wars ha conquistato l’universo, Multiplayer, Terni 2015, ebook pos. 4140. 5. George Lucas, «Introduction», in Donald F. Glut, Star Wars V: The Empire Strikes Back, Del Rey Books, New York 1980, trad. it. di G.P. Gasperi, L’Impero colpisce ancora, in La Trilogia classica, Sperling & Kupfer, Milano 19992, p. 139. 6. J.C. Macek III, «Abandoned “Star Wars” Plot Points Episode IV: A Family that Slays Together Strays Apart», Pop Matters, 22 giugno 2015, http://www.popmatters.com/feature/194139-abandoned-star-wars-plot-points-episode-iv-the-family-that-slays-tog/. 7. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., ebook pos. 4014. 8. George Lucas: Interviews, a cura di Sally Kline, University Press of Mississippi, Jackson, 1999, p. 219. 9. Jan Helander, «The Development of Star Wars as Seen Through the Scripts by George Lucas» (1997), http://hem.bredband.net/wookiee/development/. 10. Kline (a cura di), George Lucas: Interviews, cit., p. 57. 11. « Did Star Wars’ Become a Toy Story? Producer Gary Kurtz Looks Back», Hero Complex, 12 agosto 2010, http://herocomplex.latimes.com/movies/star-wars-was-born-a-long-time-ago-but-not-all-that-far-far-away-in-1972-filmmakersgeorge-lucas-and-gary-kurtz-wer/. 12. J.W. Rinzler, The Making of Star Wars, Del Rey Books, New York 2007, p. 8. 13. Michael Kaminski, The Secret History of Star Wars, cit., p. 45. 14. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 3744. 15. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., p. 8. 16. Ibid. 17. Ibid. 18. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 3789-3790. 19. Kaminski, The Secret History of Star Wars, cit., p. 51. 20. Ibid., p. 52. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 4498-4499. 21. La migliore analisi su questo punto si deve a Kaminski, The Secret History of Star Wars, cit., pp. 469-486. Si noti però che fu lo stesso Lucas a dire che «“Darth” è una variante di dark, e “Vader” di father. Insomma, è “Dark Father”, il “Padre oscuro”». Gavin Edwards, «George Lucas and the Cult of Darth Vader», Rolling Stone, 2 giugno 2005, http://www.rollingstone.com/movies/news/george-lucas-and-the-cult-of-darth-vader-20050602. 22. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 4073. 23. Kaminski, The Secret History of Star Wars, cit., p. 447. 24. Paul Scanlon, «An Interview with George Lucas», Rolling Stone, 25 agosto 1977, http://www.rollingstone.com/movies/news/thewizard-of-star-wars-20120504, trad. it., «Star Wars, l’intervista del ’77 a George Lucas. Quando tutto ebbe inizio», in Rolling Stone, 16 dicembre 2015, http://www.rollingstone.it/musica/interviste-musica/star-wars-intervista-1977-george-lucas/2015-12-16/#Part1. 25. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 8063 26. «George Lucas Relates to “Lost”: ‘The Trick is to Pretend You’ve Planned the Whole Thing Out in Advance», Hero Complex, 18 maggio 2010, http://herocomplex.latimes.com/movies/lost-george-lucas/. 27. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 8063 28. H.L. Jackson, Those Who Write for Immortality, Yale University Press, New Haven, CT, 2015, pp. 169, 171. 29. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit.; e Kaminski, The Secret History of Star Wars, cit., da cui ho appreso moltissime cose. 30. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 8085. 31. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 8919. 32. Così nel documentario del 1977 The Making of Star Wars, https://www.youtube.com/watch?v=FSuDjjlIPak. 33. George Lucas, Star Wars: A New Hope, in The Star Wars Trilogy, Ballantine Books, New York 2002, Una nuova speranza, trad. it. di G.P. Gasperi, in Trilogia classica, cit., p. 34. 34. Ibid., p. 93. 35. Ibid., p. 138. 36. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., p. 107. 37. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 7912. 38. Kline (a cura di), George Lucas: Interviews, cit., p. 96. 39. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 8935. 40. Leigh Bracket, STAR WARS Sequel, http://scyfilove.com/wp-content/uploads/2010/05/Star-Wars-The-Empire-Strikes-BackBrackett-Draft.pdf (verif. 14 febbraio 2016). 41. Ryan Bradley, «Economists, Biologists, and Skrillex on How to Predict the Future», New York Times Magazine, 10 novembre 2015, http://www.nytimes.com/2015/11/15/magazine/economists-biologists-and-skrillex-on-how-to-predict-the-future.html. 42. Phil Szostak, The Art of Star Wars: The Force Awakens, Abrams, New York 2015. 43. Anthony Lane, Star Wars: The Force Awakens Reviewed, New http://www.newyorker.com/culture/cultural-comment/star-wars-the-force-awakens-reviewed.

Yorker,

18

dicembre

2015,

44. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 8981-9009; J.W. Rinzler, The Making of Star Wars: Return of the Jedi, Del Rey Books, New York 2013, p. 64. 45. Joanna Robinson, «Star Wars Writer Explains Why The Force Awakens Leaves So Many Questions Unanswered», Vanity Fair, 21 dicembre 2015, http://www.vanityfair.com/hollywood/2015/12/star-wars-force-awakens-who-are-reys-parents. 46. Kline (a cura di), George Lucas: Interviews, cit., p. 120.

47. Sono stati fatti molti tentativi creativi di dare un senso alla battuta. Quello che preferisco è che Ian prende una scorciatoia. Un’analisi di quest’aspetti è in http://scifi.about.com/od/starwarsglossaryandfaq/a/Star-Wars-Faq_Why-Did-Han-Solo-Say-He-MadeThe-Kessel-Run-In-12-Parsecs.htm 48. Scanlon, «Star Wars, l’intervista del ’77 a George Lucas. Quando tutto ebbe inizio», cit.

EPISODIO II

Il film che non piaceva a nessuno Da possibile flop a icona del nostro tempo E c’è anche quel tizio enorme che va in giro vestito da cane. Era ridicolo. Harrison Ford

Il successo della saga di Star Wars era scontato? Era predestinato? Ne siamo certi? Guerre stellari (poi reintitolato Una nuova speranza) fu da subito un successo spettacolare. Il primo giorno (il 27 maggio 1977) il film era in programmazione in sole 32 sale, ma in nove di esse batté il record1, ivi compresi quattro dei cinque cinema di New York in cui veniva proiettato2. Era un mercoledì, eppure l’incasso totale di quel giorno fu di 254.809 dollari3, ossia 8.000 dollari per sala: al Mann’s Chinese Theater di Hollywood (oggi TCL) incassò 19.358 dollari4 e all’Astor Plaza di Manhattan 20.322 dollari5. Nel primo weekend di programmazione Una nuova speranza non fu primo per incassi, ma si fermò a 2,5 milioni di dollari contro i 2,7 de Il bandito e la «Madama»6. Ma occorre precisare che le gesta dell’intramontabile bandito Burt Reynolds in quel fine settimana vennero proiettate in 386 sale, contro le 43 sale di Una nuova speranza7. Il film continuò a far furore tutta l’estate. Intere cittadine si mobilitarono in massa per assistervi. Un esempio per tutti: a Benton County, Oregon, a pochi mesi dalla sua uscita lo aveva visto addirittura metà della popolazione8 (verrebbe da chiedersi: e l’altra metà?). Con il crescente propagarsi della sorpresa nel pubblico, anche la presenza del film nelle sale si estese, toccando il livello massimo a metà agosto, quando fu proiettato in 1.100 cinema in tutti gli Stati Uniti9. E continuò a richiamare pubblico molto a lungo: il film rimase in programmazione ininterrottamente per più di un anno in ben 42 cinema10. I cinema dovettero ordinare nuove locandine perché le vecchie finivano per consumarsi, nel senso letterale del termine11. Naturalmente Una nuova speranza fu un successo travolgente anche dal punto di vista finanziario. A settembre per Twentieth-Century Fox era già diventato il maggior successo di sempre12; grazie agli incassi del film la quotazione borsistica della casa produttrice in poco tempo balzò da 6 a 27 dollari13. E in pochi mesi il film spodestò Lo squalo come campione d’incassi di tutt i tempi14. Quando fu ritirato dalle sale aveva incassato ben 307 milioni di dollari15. Questa cifra corrisponde al 240 per cento dei 128 milioni incassati dal secondo film di maggior successo di quell’anno, Incontri ravvicinati del terzo tipo16, sei volte più degli incassi del quinto film – Quell’ultimo ponte, che raccolse 50,8 milioni di dollari – e diciotto volte più del film piazzatosi decimo in quello stesso 1977: a Kingdom of the Spiders, che incassò 17 milioni17. Se si aggiungono poi gli incassi generati dalle successive riproposizioni del film, gli incassi al botteghino di Star Wars si possono stimare in un miliardo e mezzo di dollari al valore attuale (al netto cioè dell’inflazione)18: oltre 600 milioni più di Avatar19, e circa 700 milioni più del Pil delle Samoa20. (Solo gli incassi, aggiustati all’inflazione, di Via col vento superano quelli di Una nuova speranza; che a sua volta batte senza difficoltà Tutti assieme appassionatamente, E.T. l’extra-terrestre, Titanic, I dieci comandamenti e Lo squalo). Anche i sequel e i prequel hanno avuto un successo analogo. Alla prima uscita nelle sale L’Impero colpisce ancora toccò i 209 milioni d’incasso21, e tutti i successivi film di Lucas hanno ampiamente superato i 200 milioni22. La minaccia fantasma è probabilmente il film peggiore, ma delle due trilogie è quella con i ricavi (non aggiustati all’inflazione) più alti. E anche quando sono aggiustati all’inflazione (come sarebbe giusto fare), mantiene un impressionante diciottesimo posto nella classifica di tutti i tempi, solo due posti sotto Il ritorno dello Jedi e cinque sotto L’Impero colpisce ancora. E comunque La minaccia fantasma è migliore di quanto si dica: basti pensare alla fantasia straripante di scene come la corsa degli sgusci o la tremenda lotta con Darth Maul. Sul piano finanziario Star Wars promette di restare ancora a lungo uno Jedi, a giudicare da come sta andando il Risveglio della Forza. Agli inizi del 2016 risultava l’undicesimo film di maggior successo di tutti i tempi in termini di incassi aggiustati all’inflazione, mentre della saga di Star Wars

solo Una nuova speranza aveva fatto meglio. Nel primo weekend il film ha incassato su scala mondiale circa 517 milioni di dollari, di cui 238 milioni in Nordamerica (120 milioni nella prima giornata intera di programmazione e 57 milioni nella sola serata della prima). Per contestualizzare queste cifre, il precedente record nordamericano apparteneva a Jurassic World con 208 milioni23. In precedenza il detentore del record per il primo weekend di programmazione era Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato con 87,5 milioni di dollari, mentre il film che ha ottenuto gli incassi più alti di sempre – Avatar – nel suo primo weekend si era fermato (negli Stati Uniti) alla cifra, relativamente «normale», di 85 milioni. Il risveglio della Forza è stato il film più veloce nel raggiungere la soglia del miliardo di dollari d’incassi: solo dodici giorni24. Ma questi sono solo numeri e non colgono nemmeno lontanamente l’impatto culturale complessivo della serie. In termini economici Avatar ha avuto un successo enorme, ed è davvero un film eccellente, ma riuscite a ricordare anche solo una battuta o una scena del film? Magari vi sarà anche rimasto impresso qualcosa di Titanic, del Mago di Oz o di Via col vento, ma onestamente, non conta: i tempi sono cambiati – il campione è Star Wars. Il film è famoso in tutto il mondo: lo conoscono presidenti, senatori, giudici della Corte suprema, e naturalmente anche vostro figlio e i vostri genitori. Se volete rompere il ghiaccio con qualcuno che non conoscete, provate a nominare Star Wars: è molto meglio del tempo, funziona quasi sempre (con una eccezione rivelatrice: recentemente sono stato a cena con una famiglia di profughi siriani, gente meravigliosa, genitori e cinque figli, eppure nessuno di loro ne aveva mai sentito parlare). Subito dopo l’uscita del Risveglio della Forza ero a Copenaghen per un ciclo d’incontri su questioni di politiche pubbliche e regolamentazione, e i miei ospiti mi hanno chiesto di parlare anche di Star Wars. E anche in America il tema che teneva banco ai party natalizi non era né la corsa presidenziale, né Hillary Clinton, né le ultime notizie sulla riforma sanitaria di Obama né i rapporti con la Russia: era il risveglio della Forza. «Non piaceva a nessuno» All’inizio, racconta Lucas, «nessuno pensava che sarebbe stato un successo del genere»25. Quando uscì Una nuova speranza molti addetti ai lavori erano convinti che si trattasse di un bidone. Per tutta la durata della produzione «alla Fox sul progetto regnava l’apatia», e molti dirigenti erano «totalmente sfiduciati riguardo al film o al regista»26. La loro unica speranza era «che la cosa finisse». Un dettaglio eloquente è che quando le risorse cominciarono a scarseggiare, Lucas dovette attingere ai guadagni che aveva ricavato da American Graffiti (che era stato un altro successo del tutto inaspettato). Senza quell’infusione di liquidità personale il progetto avrebbe seriamente rischiato di crollare. Il pessimismo generale non dipendeva solo dall’apprensione per la novità di tutto il progetto (Droidi?! La Forza?! Un vecchio di nome Obi-Wan?! Impersonato da Alec Guinness?! Spade laser?). E anche quando il board della Fox vide finalmente un primo montaggio, «niente applausi, nemmeno un sorriso. […] Eravamo davvero depressi»27. Ancora nelle ultime fasi, lo stesso Lucas «pensava che il film non avrebbe avuto successo». Tutti alla Fox la vedevano così: «Il consiglio d’amministrazione non ci credeva neanche un po’»28. La conferma è che a Natale uscì un solo trailer, che fu riproposto soltanto una volta, a Pasqua. Incredibilmente, la Fox sembrava convinta che il film non valesse (in senso letterale) la pellicola su cui era stampato29: fece tirare meno di cento copie, il che creò grandi problemi quando il film iniziò a richiamare folle. Uno dei più ottimisti, Lucas, immaginando che ai giovani potesse piacere, previde 16 milioni d’incassi, che era più o meno la media dei film Disney30; secondo lui le possibilità di superare significativamente questa soglia erano «una su un fantastiliardo»31. «Quel tizio enorme vestito da cane» Persino dopo il travolgente successo, Lucas continuò a ripetere: «Mi immaginavo solo di andare in pari, il resto ancora non me lo so spiegare»32. Marcia Lucas, all’epoca sua moglie e stretta collaboratrice, prevedeva che New York, New York di Martin Scorsese (per cui aveva collaborato al montaggio) avrebbe fatto meglio33. Persino le sale cinematografiche, che per mestiere dovrebbero sapere cosa piace alla gente, rimasero caute. La Fox confidava in 10 milioni di anticipi, ma ne ottenne un misero milione e

mezzo. Lo studio pensava che il film più promettente di quell’estate fosse L’altra faccia di mezzanotte, e per costringere le sale a proiettare il film di Lucas le avvertì che dovevano prendere entrambi. Eppure l’operazione di marketing rischiò di naufragare. Se non lo fece, è anche merito del lavoro instancabile di Charley Lippincott. Amico di Lucas e convinto fautore del progetto, Lippincott promosse aggressivamente il film per riuscire a piazzarlo in quelle 32 sale: non erano molte, ma tra esse c’era il grande e prestigioso Coronet di San Francisco, che al momento del lancio si sarebbe rivelato molto importante. Subito dopo l’uscita di Una nuova speranza Lucas e la moglie andarono in vacanza alle Hawaii. La scelta di quella meta non era ispirata solo al desiderio di riposare: dopo le prime recensioni temevano di «aver fatto uscire un flop»34, e nelle remote Hawaii sarebbero potuti «fuggire da quello che Lucas era certo sarebbe stato un disastro»35. Nel 2015 lo stesso Lucas ha raccontato che neanche i suoi amici «ci credevano minimamente. Non ci credeva nemmeno il consiglio [della Fox]. […] Non piaceva a nessuno»36. Gli attori la pensavano allo stesso modo. Come spiega Anthony Daniels (sì, proprio lui, D3BO…), «Sul set tutti pensavano di lavorare a un fiasco totale»37; e Harrison Ford citò l’esempio di «quel tizio enorme che va in giro vestito da cane. Era ridicolo»38. Anche secondo David Prowse, che impersonava Dart Fener (ma la voce, com’è noto, era di James Earl Jones), «la maggior parte di noi era convinta che stessero girando una montagna di spazzatura»39. Mark Hamill ricordava: «di aver pensato a quanto fosse difficile rimanere seri recitando questa roba. Alec Guinness seduto vicino a un Wookie: c’è qualcosa che non va»40. Lo avrebbe confermato, a distanza di anni, anche Carrie Fisher: «Non si prevedeva che il film andasse così bene; nessuno si aspettava nulla di simile»41. Il progettista del suono, Ben Burtt, pensava che il successo durasse al massimo due settimane: «La cosa migliore che potessi immaginare […] era che saremmo riusciti ad avere un tavolo alla convention di Star Trek dell’anno successivo»42. Persino dopo le folle immense dei primi giorni Lucas continuava a dire: «I film di fantascienza hanno quel gruppetto di appassionati del genere che vanno a vedere qualsiasi cosa la settimana in cui esce il film. Aspettate e vedrete»43. Come scrisse Paul Young, «nessuno si aspettava» l’ammirazione della critica e l’entusiasmo del pubblico all’uscita di Una nuova speranza44. Insomma, sembra che fosse impossibile prevedere il formidabile successo finanziario e culturale del film e dei relativi diritti. Come mai nessuno capì ciò che stava per succedere? Non sarebbe proprio questo il mestiere degli studi cinematografici e dei loro esperti? ………………………………. 1. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., p. 294. Nel corso di quel weekend il numero delle sale in cui si proiettava il film salì a 43. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 6474. 2. Rinzler, ibid. 3. Rinzler, ibid., p. 295. 4. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 6327. 5. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., p. 294. 6. Michael Coate, «The Original First-Week Engagements of “Star Wars”», in 10mm, http://www.in70mm.com/news/2003/star_wars/ (verif. 3 febbraio 2016). 7. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 6474 8. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., p. 304. 9. Michael Zoldessy, «Celebrating the Original Star Wars on Its 35th Anniversary», Cinema Treasures blog, 25 maggio 2012, http://cinematreasures.org/blog/2012/5/25/celebrating-the-original-star-wars-on-its-35th-anniversary. 10. Ibid. 11. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., p. 304. 12. Rinzler, ibid. 13. Ibid., p. 302. 14. Ibid., p. 300. Nel 1975 Lo squalo aveva incassato al botteghino 260 milioni di dollari. Jaws Gross, Box Office Mojo, http://www.boxofficemojo.com/movies/?id=jaws.htm (verif. il 2 novembre 2015). 15. Star Wars Gross, Box Office Mojo, http://www.boxofficemojo.com/movies/?page=releases&id=starwars4.htm (verif. il 2 novembre 2015). 16. «Top-U.S.-Grossing Feature Films Released in 1977», IMDb, sort=boxoffice_gross_us&title_type=feature&year=1977,1977 (verif. il 4 gennaio 2016). 17. Ibid.

http://www.imdb.com/search/title?

18. «All Time Box Office», Box Office Mojo, http://www.boxofficemojo.com/alltime/adjusted.htm (verif. il 9 novembre 2015). 19. Ibid. 20. Fonte: Samoa, World Bank, http://data.worldbank.org/country/samoa (verif. il 4 gennaio 2016). 21. The Empire Strikes Back Gross, Box Office Mojo, http://www.boxofficemojo.com/movies/?page=releases&id=starwars5.htm (verif. il 2 novembre, 2015). 22. Si veda Star Wars Franchise Gross, Box Office Mojo, http://www.boxofficemojo.com/franchises/chart/?id=starwars.htm (verif. il 2 novembre 2015). 23. Tre’vell Anderson e Ryan Faughnder, «“Star Wars: The Force Awakens” Now Holds Record for Largest Opening Weekend Ever», Los Angeles Times, 20 dicembre 2015, http://www.latimes.com/entertainment/envelope/cotown/la-et-ct-star-wars-the-forceawakens-weekend-box-office-20151220-story.html. 24. Brook Barnes, «“Star Wars: The Force Awakens” Shatters Box Office Records», New York Times, 20 dicembre 2015, http://www.nytimes.com/2015/12/21/movies/star-wars-the-force-awakens-shatters-box-office-records.html. 25. Scanlon, «Quando tutto ebbe inizio», cit. 26. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., p. 36. 27. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 5431. 28. Kirsten Acuna, «George Lucas Was Convinced “Star Wars” Would Be a Disaster Until This Phone Call in 1977», Business Insider, 18 aprile 2015, http://www.businessinsider.com/when-george-lucas-knew-star-wars-was-a-hit-2015-4. Lucas aveva però un tifoso nell’allora presidente di Twentieth Century Fox, Alan Ladd jr. Un altro suo convinto sostenitore era il suo amico regista Steven Spielberg. Cfr. ibid. e Frank Pallotta, «How Steven Spielberg Made Millions Off ‘Star Wars’ After a 1977 Bet with George Lucas», Business Insider, 26 marzo 2014, http://www.businessinsider.com/george-lucas-star-wars-bet-made-steven-spielberg-millions-2014-3. 29. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 6362 30. Ibid., pos. 5476. Cfr. anche Scanlon, «Star Wars, l’intervista del ’77 a George Lucas. Quando tutto ebbe inizio», cit. 31. Kline (a cura di), George Lucas: Interviews, cit., p. 81. 32. Scanlon, «Star Wars, l’intervista del ’77 a George Lucas. Quando tutto ebbe inizio», cit. 33. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 5476. 34. Mike Musgrove, «Review: “How Star Wars Conquered the Universe”, by Chris Taylor», Washington Post, 10 ottobre 2014, https://www.washingtonpost.com/entertainment/books/review-how-star-wars-conquered-the-universe-bychristaylor/2014/10/09/6cd5afa2-32bc-11e4-8f02-03c644b2d7d0_story.html. 35. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 6504. 36. Susana Polo, «Stephen Colbert and George Lucas Talk Star Wars, Wooden Dialogue, and Howard the Duck», Polygon, 18 aprile 2015, http://www.polygon.com/2015/4/18/8448685/stephen-colbert-george-lucas-tribeca-talk. 37. When Star Wars Ruled the World, andato in onda in tv su VH1, 18 settembre 2004, https://www.youtube.com/watch? v=1CGnXUEWFbIth. 38. Ibid. 39. Gavin Edwards, «The Many Faces of Vader», Rolling Stone, 2 giugno 2005, http://www.rollingstone.com/movies/features/themany-faces-of-vader-20050602?page=2. 40. When Star Wars Ruled the World, cit. 41. Carrie Fisher, «The Arrival of the Jedi», Time, http://content.time.com/time/specials/packages/article/0,28804,1977881_1977891_1978545,00.html.

31

marzo

2003,

42. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 5132-5133 43. Polo, «Stephen Colbert and George Lucas Talk Star Wars», cit. 44. Paul Young, «Star Wars (1977)», in John White e Sabine Haenni (a cura di), Fifty Key American Films, Routledge, London e New York 2009, pp. 177, 180.

EPISODIO III

I segreti del successo Star Wars: qualità, tempismo o fortuna? In ultima analisi siamo tutti esseri sociali: se non potessimo fare affidamento gli uni sugli altri la nostra vita sarebbe non solo insopportabile, ma anche senza significato. Ma questa nostra dipendenza reciproca ha anche delle conseguenze impreviste: una di queste è che – se è vero che le persone non prendono le decisioni in modo autonomo, e quindi questo o quello mi piace in quanto piace anche agli altri –, prevedere i successi diventa non difficile ma addirittura impossibile, per quanto bene si riescano a conoscere i gusti individuali. Duncan Watts1

Perché alcuni prodotti culturali (film, libri, programmi tv, politici, idee…) hanno successo e altri no? Nel rispondere a questa domanda parleremo in primo luogo del fenomeno Star Wars, ma cercheremo anche di trarre qualche lezione più generale sul successo e l’insuccesso dei prodotti, e anche delle persone. Vi propongo tre ipotesi sul successo. Qualità La prima ipotesi è che il successo dipenda essenzialmente dalla qualità intrinseca. Che cioè Star Wars, grazie alla forza, al coraggio e all’originalità che lo distinguono, fosse inevitabilmente destinato a sfondare. Semplicemente troppo grande. Anche se quasi nessuno l’aveva capito in anticipo, un’eccezione fu Steven Spielberg, che se ne innamorò immediatamente. Beh, Spielberg ha quasi sempre ragione, e l’ebbe anche in questo caso. Ecco come Lawrence Kasdan ha cercato di sintetizzare la grandezza di Star Wars: «divertente, delizioso, marpione… alle fine, non ci facciamo troppe domande»2. Quando un lavoro vale davvero, è inevitabile che si faccia strada – tanto più se è anche marpione. Film, libri, musica, arte: nessun mistero su cosa funziona o non funziona. Shakespeare, Dickens, Michelangelo, Mozart, Frank Sinatra, i Beatles, Taylor Swift: tutti chiaramente predestinati al successo. Un mondo in cui Amleto o Re Lear facciano fiasco non è neanche immaginabile (forse qualcuno riesce a immaginare un mondo in cui Taylor Swift non piace… ma se è così, peggio per lui). La qualità è condizione necessaria e sufficiente del successo. Influenze sociali La seconda ipotesi è che la qualità intrinseca sia condizione necessaria, ma non sufficiente del successo: un film, un libro o un’opera d’arte per farsi notare hanno bisogno di influenze sociali e casse di risonanza. C’è un sacco di roba formidabile, là fuori, di cui nessuno ha mai sentito parlare. Alcune scintille diventano incendi, altre si spengono. Molto spesso quello che conta davvero è che scatti il cosiddetto «effetto bandwagon»: una cosa inizia a piacere perché tutti pensano che piaccia. In questa logica, George Lucas fece un grande film, forse anche due o quattro, ma a suo favore agì un gigantesco «effetto bandwagon» (per J.J. Abrams, con Il risveglio della Forza, è stato tutto molto più facile, perché un brand è un brand…). Forse sarebbe bastato un minimo scarto del destino e nessuno avrebbe mai sentito parlare di Lucas, di Dickens o di Frank Sinatra – e magari nemmeno di Mozart, Shakespeare e Taylor Swift. Naturalmente, se si vuol verificare quest’ipotesi bisogna essere molto precisi nell’uso di espressioni come «influenze sociali» o «casse di risonanza». Ma l’idea di base è che, anche se il tuo prodotto è grande, potrebbe comunque non andare lontano (guardatevi attorno, gli esempi non mancano di certo). Tempismo

La terza ipotesi è che ciò che conta ai fini del successo sia il rapporto tra un prodotto e la cultura nel momento in cui esce quel prodotto. A volte un artista e un film toccano una corda particolarmente sensibile: è questa la condizione necessaria e al tempo stesso sufficiente del successo. Sì, è vero, quell’artista o quel film sono formidabili: ma se non toccassero quella corda nessuno si accorgerebbe di loro. Ci sono tanti altri artisti e film favolosi, ma se la cultura non è ancora pronta a recepirli, o se il loro momento è già passato, fanno fiasco. Ciò che occorre per arrivare al successo è la risonanza culturale. Da questo punto di vista George Lucas toccò sicuramente la corda giusta. Il primo film della saga, quando uscì, non era ancora intitolato Una nuova speranza, eppure tutti lo videro per quello che era davvero: una nuova speranza. Lucas lo aveva fatto per i giovanissimi (quattordici anni al massimo) e il film parlava al bambino che è in ognuno di noi, e che chiedeva attenzione in quel momento. Dopo il grande scompiglio degli anni Sessanta – l’assassinio dei fratelli Kennedy, di Martin Luther King e di Malcolm X – quello che la gente voleva era proprio una nuova speranza. Lucas gliela consegnò su un’astronave d’argento. Secondo alcuni, contribuì al successo anche il fatto che l’Impero potesse essere visto come una metafora degli Stati Uniti, o per lo meno dell’amministrazione Nixon (come lo stesso Lucas suggerì). Mentre per altri contribuì al successo il fatto che il film uscisse sul finire della Guerra fredda: in quegli anni veniva naturale associare l’Impero all’Unione sovietica. E nel 1983 Reagan definì l’Urss «l’impero del male» (solo una coincidenza?). Per fare altri esempi, non è certo un caso che Harry Potter e The Hunger Games abbiano sfondato nel primo e nel secondo decennio di questo secolo. Dopo gli attacchi dell’11 settembre la gente voleva un intrattenimento imperniato, nel primo caso, sull’ansia diffusa per il male (Voldemort uguale Osama Bin Laden?), e nel secondo sul sogno di un manipolo di eroi che combattono per la libertà. Star Wars, Harry Potter e The Hunger Games avevano in comune una cosa: erano in sintonia con lo Zeitgeist, lo «spirito del tempo». Harry Potter mostrava che i buoni potevano farcela, bastava un pizzico di magia. The Hunger Games combinava i generi fantascienza e avventura (tradizionalmente roba da ragazzini) con una spiccata nota romantica (tradizionalmente roba da ragazzine), e faceva leva sulle ansie in fatto di tecnologia e di sorveglianza. Le storie che hanno successo possono essere formidabili, buone o magari pessime, ma ciò che conta davvero è che entrino in risonanza con la cultura del momento. Quale di queste tre ipotesi è quella giusta? Sugar Man Per rispondere a questa domanda prendiamo un altro film, che non ha nulla a che fare con le astronavi e con i droidi (di cui torneremo a parlare molto presto, vi chiedo solo un momento di pazienza). Nel 2012 l’Oscar per il miglior documentario è andato a Searching for Sugar Man. Il protagonista del film è un cantautore di Detroit, Sixto Rodriguez, detto Sugar Man, che all’inizio degli anni Settanta aveva pubblicato due album. Era bravo, secondo alcuni pazzesco, ma probabilmente fino a oggi non l’avevate mai sentito nominare. I suoi album non si vendevano, e la casa discografica lo mollò. Saggiamente, Rodriguez smise di incidere dischi e si cercò un lavoro. Divenne addetto alle demolizioni. I suoi album finirono nel dimenticatoio. Rodriguez entrò a far parte della schiera infinita di coloro che hanno provato a realizzare un sogno artistico, ma si sono resi conto che la concorrenza è dura e pochissimi ce la fanno. Rodriguez era un padre di famiglia, viveva una vita semplice al limite della povertà, faceva l’operaio, ma continuò a lottare. Rodriguez aveva abbandonato la carriera musicale e non aveva la minima idea dello spettacolare successo che stava avendo da tutt’altra parte. In Sudafrica. Qui lo consideravano addirittura un gigante, una leggenda al livello dei Beatles o dei Rolling Stones: il suo nome veniva pronunciato solennemente e con venerazione, parlavano di lui come della «colonna sonora della nostra vita» e i suoi album avevano venduto, dagli anni Settanta in poi, centinaia di migliaia di copie. I fan sudafricani facevano congetture sulla sua misteriosa uscita di scena: perché aveva smesso improvvisamente d’incidere dischi? Girava addirittura voce che si fosse ucciso dandosi fuoco sul palco. Searching for Sugar Man parla del contrasto tra la carriera artistica abortita dell’oscuro demolitore di Detroit e la fama della misteriosa icona rock sudafricana. Il film viene facilmente letto come una straordinaria fiaba tratta dal mondo reale: una storia davvero insolita, anzi, come si dice, da non credersi. Ma la vicenda è meno eccezionale di quanto si

pensi, e offre secondo me delle lezioni importanti sulle chiavi del successo e dell’insuccesso in campo culturale, e anche su quella che è stata la vera spinta di Una nuova speranza. Iniziamo col riconoscere che il successo di solito non può prescindere da una certa qualità: se Rodriguez avesse davvero scritto brutte canzoni, non avrebbe mai sfondato in Sudafrica. Ma molto spesso per avere successo la qualità non basta (e questo è quanto, sulla prima ipotesi). Nella maggior parte dei casi, il fattore decisivo di un forte impatto culturale sono le dinamiche sociali. E per spostare quelle dinamiche a proprio favore non basta l’abilità, ma occorre anche una certa dose di fortuna (lo stesso vale per il successo dell’Alleanza ribelle nel Ritorno dello Jedi, e per quello dell’Imperatore nella Vendetta dei Sith). Ma chi è che trasmette entusiasmo, e a chi? Esattamente quanto, dove e quando? Queste dinamiche possono trasformare l’operaio demolitore in un’icona rock, e fare la differenza tra successo sensazionale e fiasco totale. Se le comprendiamo, ci renderemo conto che successo e fallimento a volte sono impossibili da prevedere. In risonanza con la cultura del momento A questo punto, forse, preferirete passare alla terza ipotesi, e avventurarvi a spiegare il successo di Sugar Man con la cultura sudafricana degli anni Settanta. Forse con le sue canzoni di protesta sulla libertà e l’esclusione Rodriguez toccava una corda molto sensibile, in un paese lacerato dal dibattito sull’apartheid. È possibile che in Sudafrica Rodriguez avesse trovato un pubblico – in prevalenza giovane e bianco – che verso di lui aveva una predisposizione speciale, forse unica. Ma magari tutto questo non è vero. In fondo, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta c’erano tanti ottimi artisti che scrivevano canzoni di protesta, libertà ed esclusione (più o meno tutti i cantanti di allora lo facevano): eppure l’unico a sfondare in Sudafrica fu Rodriguez. Come mai? Non è facile sostenere – senza il senno di poi – che Rodriguez e il Sudafrica fossero fatti l’uno per l’altro. Lo stesso si può dire di molti prodotti che raggiungono un successo spettacolare. A posteriori possiamo costruire un sacco di storie assolutamente plausibili, secondo cui «non poteva che andare così»: dopo gli anni Sessanta il mondo era pronto per Star Wars, dopo gli attacchi dell’11 settembre era pronto per Harry Potter, e anche per Mad Men, per The Hunger Games e per Taylor Swift. Dopo la crisi finanziaria L’amore bugiardo non poteva che diventare un bestseller, e la riproposizione di Mad Max era inevitabilmente destinata a un successo strepitoso. È vero, questi ultimi due esempi sono senza senso. Ma è proprio quello che sto dicendo: è sempre possibile ricostruire gli eventi in modo da dimostrare che le cose dovevano andare così – ma chissà se è vero. Allora forse anche nel caso di Una nuova speranza – un po’ come accaduto a Sixto Rodriguez in Sudafrica – sono state le dinamiche sociali a catapultare quel prodotto verso un successo pazzesco? È possibile che, se il destino fosse stato leggermente diverso, anche il film sarebbe andato incontro alla stessa sorte di Rodriguez negli Stati Uniti, finendo per soccombere a dinamiche sociali sfavorevoli e diventare l’ennesimo flop di una lunga serie di film e serie di fantascienza, a volte splendidi? (Un esempio perfetto è la serie tv Awake, lanciata nel 2012 e interrotta dopo la prima stagione: era intelligente, e anche divertente, ma non ha mai funzionato. Come mai Awake non ha mai trovato il suo Sudafrica?) Il Music Lab Qualche anno fa i sociologi Matthew Salganik, Duncan Watts e Peter Dodds si sono occupati dell’intrigante questione del successo o insuccesso dei prodotti culturali3. Essi sono partiti dal fatto che chi vende libri, film, programmi tv e canzoni spesso incontra grandi difficoltà nel predire se funzioneranno o no: proprio come accadde a tutti i poveretti che avevano annunciato il flop di Una nuova speranza. Alcuni prodotti culturali ottengono un successo enorme, o molto al di sopra della media; e ciò farebbe pensare, semplicemente, che un tale successo sia dovuto a una chiara superiorità di quei prodotti rispetto agli altri. Ma allora, se sono tanto superiori, perché è così difficile fare previsioni? Ecco una prova concreta della difficoltà che gli stessi addetti ai lavori incontrano nel capire come andrà. Nel 1996 il manoscritto del primo libro su Harry Potter fu respinto da almeno dodici editori. Alla fine Bloomsbury accettò di pubblicarlo, ma offrì all’autrice, J.K. Rowling, un acconto irrisorio (1500 sterline). A oggi la serie ha venduto oltre 450 milioni di copie nel mondo. Perché

nanche uno di quei dodici editori seppe immaginare quel successo? Come mai non si scatenò un’asta per accaparrarsi quel manoscritto? Per analizzare da cosa dipende il successo o l’insuccesso dei prodotti culturali, Salganik e i suoi colleghi crearono il Music Lab: un mercato musicale simulato, su un sito web realmente esistente. Il sito dava la possibilità di ascoltare quarantotto canzoni, proposte da gruppi sconosciuti. Per esempio uno dei pezzi, eseguito da una band che si chiamava Calefaction, era intitolato Trapped Inside an Orange Peel (effettivamente il peggior titolo che io conosca); un altro era Separation Anxiety, proposto dagli Hydraulic Sandwich. I ricercatori selezionarono poi a caso metà dei 14.000 visitatori del sito, invitandoli a entrare a far parte di un gruppo, detto «giudizio indipendente», e chiedendo loro di ascoltare dei brevi spezzoni dei brani e decidere se scaricarli o no. Sulla base di quei 7000 visitatori, il team di Salganik poteva farsi una chiara idea di quali brani piacessero davvero. I restanti 7000 visitatori furono invece inseriti in un altro gruppo, detto «influenza sociale», identico all’altro, a parte un dettaglio: i membri di uesto gruppo potevano vedere, per ogni pezzo, quante volte era stato scaricato dagli altri. Ed ecco la parte veramente ingegnosa dell’esperimento: i membri del gruppo «influenza sociale» furono suddivisi a caso in otto sottogruppi, e ciascuno di loro poteva vedere solo il numero di download del proprio sottogruppo. Inevitabilmente i punteggi iniziali di download ottenuti dai vari pezzi variavano a seconda dei sottogruppi: per esempio, in un determinato sottogruppo Trapped Inside an Orange Peel poteva conquistare molti consensi nei primi ascoltatori, e in un altro sottogruppo poteva partire malissimo. La domanda che si poneva l’indagine era se i numeri iniziali avessero una qualche importanza nel predire come si sarebbe piazzato questo o quel brano nella hit parade finale del Music Lab. Si potrebbe pensare che la qualità vinca sempre, e che quindi la popolarità di ciascun pezzo, misurata dal piazzamento nella classifica dei download, fosse grosso modo la stessa sia nel gruppo «giudizio indipendente» che negli otto sottogruppi di «influenza sociale». Come dire (la nostra prima ipotesi) che Una nuova speranza era destinato al successo. Ma nell’esperimento del Music Lab le cose non andarono affatto così. Trapped Inside an Orange Peel in qualche caso divenne una hit pazzesca, altre volte fu un misero flop, a seconda di quanti erano stati a scaricarla inizialmente e se lo si sapeva o no. Tutto insomma dipendeva dalla popolarità iniziale. In pratica ogni brano, o quasi, poteva andare incontro alla sorte di Rodriguez in Sudafrica o di Rodriguez negli Stati Uniti, a seconda se era piaciuto o no ai primi visitatori del sito. Ma con una precisazione: i pezzi che nel gruppo «giudizio indipendente» erano in cima alla classifica di solito andavano bene anche nei gruppi «influenza sociale», mentre i pezzi che nel gruppo «giudizio indipendente» erano ultimi difficilmente ottenevano successi spettacolari nei gruppi «influenza sociale». Ma, a parte questi casi estremi, agli altri brani poteva accadere di tutto. Ecco una prudente e umile lettura di questi risultati. Alcuni prodotti sono davvero destinati al successo, e altri al flop. Se un’opera è davvero eccezionale, sfonderà comunque: Mozart, Shakespeare e Dickens erano destinati al successo (e lo stesso si può dire di Una nuova speranza). Se invece una canzone non vale nulla, farà flop: se il talento non c’è, il successo puoi scordartelo. Ma esiste anche un’ampia fascia di canzoni che possono andare molto bene o molto male, delle quali è semplicemente impossibile sapere in anticipo come andranno. Nel caso della musica, tutto sembra dipendere dalle influenze sociali: ossia, da una sorta di «attacco dei cloni» ambientato nella vita reale. Questa lettura dell’esperimento del Music Lab è plausibile, ma troppo prudente (lo pensano anche Salganik e soci). Certo, canzoni, film e libri pessimi difficilmente funzioneranno. Ma forse neanche i migliori sono predestinati al successo. Quasi nulla lo è. In fin dei conti, il Music Lab era un esperimento rigidamente controllato. Riguardava solo quarantotto pezzi, mentre sui mercati reali il numero di prodotti è enormemente maggiore. E su quei mercati giocano un ruolo importante anche fattori come l’attenzione dei media, il consenso della critica, il marketing e il product placement nel mondo reale. Nel caso di Una nuova speranza, ricordiamo il ruolo fondamentale svolto da Charley Lippincott per dare al film una forte spinta iniziale. Fin qui non siamo ancora arrivati a una conclusione definitiva, ma la seconda delle ipotesi iniziali – quella che il successo di Una nuova speranza sia dipeso dalla fortuna, sotto forma di influenze sociali favorevoli – inizia ad apparire piuttosto sensata.

Il cuculo Torniamo ora a J.K. Rowling, e prendiamo la piccola saga del Richiamo del cuculo, giallo scoppiettante con un grande cuore, pubblicato nel 2013 e firmato dallo sconosciuto Robert Galbraith. Il romanzo ebbe qualche recensione molto buona, ma non vendette granché. Successo di critica ma fiasco commerciale, sembrava destinato a entrare nella lunga schiera dei casi letterari alla Rodriguez: ottimo, forse eccellente, ma non fece centro; chissà, forse anche Galbraith avrebbe smesso di scrivere per diventare un muratore addetto alle demolizioni. Ma dopo qualche tempo fu fatto trapelare un piccolo dettaglio: «Robert Galbraith» era (è) J.K. Rowling! In men che non si dica, Il richiamo del cuculo fece il suo ingresso nella classifica dei bestseller. Senza la magia del nome di Rowling quel libro non sarebbe mai entrato in quella lista, pur meritandolo. È chiaro che non è un caso analogo al Music Lab: il motivo per cui è esploso non è che è piaciuto agli early adopters. Ma non è neanche del tutto diverso dal Music Lab: a prescindere dalla qualità, il romanzo aveva bisogno di una qualche spinta sociale, e a darla è stata la magia di quel nome (aggiungiamo che se il libro fosse stato pessimo, avrebbe avuto difficoltà a emergere nonostante il nome: in altre parole, ci vuole anche la qualità). Galbraith/Rowling successivamente pubblicò altri due romanzi. Certo sono ambedue fantastici, tutti dovrebbero leggerli. Hanno avuto un successo, che non avrebbero avuto senza il nome di Rowling. Ancora poco convinti? Allora riflettete su un nuovo, malizioso esperimento di Salganik e Watts, basato sul precedente Music Lab4. Rispetto al precedente, qui gli studiosi hanno invertito le cifre effettive dei download, facendo credere ai partecipanti che i pezzi meno popolari fossero i più popolari e viceversa: se è vero che tutto dipende dalla qualità ci si poteva attendere che i pezzi peggiori finissero anche stavolta in fondo alla classifica, e i migliori nelle prime posizioni. Siamo sicuri che sia andata così? Tutt’altro. Invertendo i dati Salganik e Watts sono riusciti a trasformare i flop in successi, mentre la maggior parte delle canzoni fino a quel momento più ascoltate è finita agli ultimi posti. Anche qui, come nel precedente esperimento, la lezione è che le persone badano molto a ciò che sembra piacere agli altri, e che l’informazione sulla popolarità o meno di una canzone può fare una grande differenza. Rimane il piccolo problema che le canzoni migliori in assoluto (misurate, ancora una volta, dall’effettiva popolarità nel gruppo di controllo) hanno ottenuto anche in questo caso ottimi piazzamenti: le influenze sociali non sono riuscite a farle scendere in classifica. Tutto questo è molto suggestivo, ma viene da chiedersi se valga anche nel mondo reale. Immaginate che qualcuno abbia prodotto un pessimo film, Star Cars, di cui appena uscito si sia parlato molto. Anche nel breve periodo, quel film fallirà. Robert Galbraith aveva scritto un romanzo formidabile, eppure più di tanto non vendeva, finché non venne fuori che era un libro della Rouling. «Scritto sull’acqua» Nomi come William Wordsworth, John Keats, Jane Austen e William Blake si possono annoverare sicuramente tra i grandi della letteratura, mentre è altrettanto sicuro che non lo siano nomi come George Crabbe, Robert Southey, Barry Cornwell, Leigh Hunt e Mary Brunto. Ma l’importante studio di H.J. Jackson sulla reputazione letteraria indica con molta chiarezza che anche tra i grandissimi il caso e l’imprevisto giocano un ruolo fondamentale5. Ai loro tempi Wordsworth, Crabbe e Southey erano considerati sullo stesso piano in termini di qualità percepita; e lo stesso facevano con Keats, Cornwell e Hunt, o con Austen e Brunto. Se qualcuno avesse chiesto ai contemporanei quali di quei nomi sarebbero stati celebri nel XXI secolo, non ci sarebbe stata affatto convergenza di opinioni su Wordsworth, Keats e Austen. Jackson nota che Keats è forse il poeta più amato di tutti i tempi, eppure poco prima di morire era convinto che la sua ricerca quasi disperata di celebrità letteraria si fosse risolta in un totale fallimento, al punto che sulla sua lapide volle che fossero incise soltanto queste parole: «Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua»6. In quello stesso periodo Cornwell aveva molto successo: tutti lo consideravano il grande poeta, mentre Keats era trattato con «indifferenza e persino con ostilità»7. Nel ripercorrere il cammino dell’improbabile ascesa di Keats nei decenni successivi alla morte, Jackson scrive: «Si direbbe che la sua fama sia dipesa non tanto dall’azione di determinati individui, quanto da quella di gruppi e reti di persone che la pensavano allo stesso modo e che iniziavano a

produrre su piccola scala quel chiacchiericcio collettivo che pian piano si trasforma nel brusio della celebrità»8 (forse a Keats accadde la stessa cosa che a Rodriguez in Sudafrica?). In termini di mera qualità poetica, i pregi e difetti di Cornwell coincidono sostanzialmente con quelli di Keats (forse a Cornwell accadde la stessa cosa che a Rodriguez negli Usa?). L’interessante conclusione di Jackson è che tra Cornwell e Keats «le differenze di celebrità sono legate in gran parte ad aspetti personali e accidentali»9. Allora bisogna quanto meno cercare di svelare l’«enigma del successo riscosso da Barry Cornwell nello stesso pubblico che rifiutava Keats»10: i contemporanei, infatti, non solo apprezzavano Cornwell molto più di Keats, ma ritenevano Hunt, oggi dimenticato, superiore a entrambi; se invece prendiamo gli addetti ai lavori, è singolare che Wordsworth, Coleridge e Byron fossero unanimi nel reputare Cornwell il migliore dei tre. Per quanto riguarda invece i cambiamenti della reputazione nel tempo, Jackson afferma che a rafforzare l’immagine di uno scrittore sono soprattutto gli effetti di cassa di risonanza11. Ai loro tempi Mary Bruton e Jane Austen venivano poste più o meno sullo stesso piano, ma dopo la morte la prima è gradualmente scivolata nell’oscurità. Jackson sottolinea, e dimostra, che ciò che «è accaduto a Brunton – il graduale offuscarsi e spegnersi della sua fama – sarebbe potuto facilmente accadere ad Austen»12. Anche Blake, per molto tempo ignorato (sebbene magnifico), uscì dall’oblio letterario attraverso un’operazione di recupero molto improbabile e complessa: da vivo i suoi lavori «erano praticamente sconosciuti»13. La conclusione di Jackson è che «a lungo termine la sopravvivenza dipende più da circostanze esterne ed elementi casuali che dal valore letterario intrinseco»14. Può anche darsi che i grandi della letteratura siano davvero superiori ad altre figure oggi dimenticate, ma non è detto che ciò sia vero in assoluto. Con una piccola o grande spinta, anche Crabbe, Hunt o Bruton potrebbero essere annoverati tra i grandi: forse sono davvero l’equivalente di Rodriguez a Detroit o dello sconosciuto autore del Richiamo del cuculo. La «saggezza della folla» Torniamo ora al Music Lab, e cerchiamo di spiegare cosa è accaduto in quel contesto. Come vedremo, ci si baserà direttamente sul successo della saga di Star Wars. Effetti di rete Ci sono cose che a volte è meglio godersi da soli: per esempio una passeggiata al sole o una tazza di caffè. In altri casi il piacere della fruizione solitaria discende da un senso di colpa: se per esempio guardiamo un programma tv particolarmente insulso e preferiamo che non ci sia nessuno nei paraggi. Ma a volte il valore di un bene dipende proprio dal fatto che a usarlo sono in molti. Non serve a nulla avere un telefono se non l’ha nessun altro. Facebook va forte proprio proprio perché lo usano in tanti. Se Facebook non fosse riuscito a creare una rete avrebbe fatto flop. Quando il valore di un bene aumenta con il numero degli utilizzatori, parliamo di effetti di rete. Star Wars è molto diverso da un telefono, ma si avvantaggia a sua volta grandemente degli effetti di rete. Rientra tra quei prodotti culturali che val la pena di conoscere a prescindere dal loro valore intrinseco: di esserne informati abbastanza da poterne parlare con altri; non è piacevole tenere lo sguardo fisso nel vuoto perché il nostro interlocutore ha appena fatto una battuta azzeccata – che noi non siamo in grado di capire – su Kylo Ren o Ian Solo, sull’imperatore Palpatine o su Rey, o magari su Chewbecca. Se pensate che la gente ami e conosca Star Wars, probabilmente vi conviene fare altrettanto. La ragione è soprattutto una: che non volete essere esclusi, volete sentirvi parte del gruppo. Come scrive Arion Berger, «partecipare a un’estasi collettiva è divertente»15. È proprio ciò che è accaduto con Star Wars. Lo spiega Ann Friedman: «Alle fine mi sono resa conto che sarei andata a vedere Il risveglio della Forza perché lo avrebbero fatto tutti i miei amici, e tutti gli amici dei miei amici. Ero nella morsa di un fenomeno sempre più raro: un vero evento culturale di massa»16. Il primo teaser del Risveglio della Forza nelle prime 24 ore dopo la sua uscita è stato visualizzato 88 milioni di volte: record di tutti i tempi. Possiamo esser certi che molti di coloro che l’hanno cliccato erano interessati, più che a vedere quel trailer in sé, a essere in grado di parlarne con gli altri. Come nota Berger, Star Wars è «contemporaneamente un oggetto di culto e un fenomeno straordinariamente popolare»17: davvero un bel colpo, in un’epoca di frammentazione

culturale. E anche un’operazione di valore sociale: in un’epoca così se ne sente addirittura il bisogno. Valanghe informative Una spiegazione importante riguardo ai meccanismi del successo in campo culturale (che vale anche per Una nuova speranza e il Risveglio della Forza) si sintetizza in un termine abbastanza sgraziato: valanghe informative. Ci sono troppi prodotti e troppe idee, perché qualcuno riesca a metterli in graduatoria. Per quali motivi abbiamo scelto di leggere proprio quel romanzo? E perché siamo ben disposti, o addirittura entusiasti, verso questo o quel politico? Tipicamente ci basiamo su ciò che gli altri pensano, o crediamo pensino. E quando molta gente pensa o fa una determinata cosa, probabilmente quella stessa cosa riguarda anche noi. Per renderci conto di come funziona questo tipo di effetto valanga immaginiamo un gruppo di lettura di sette persone che vogliono prendere insieme una decisione sul prossimo libro da leggere. E supponiamo che ciascuno di loro, a turno, dichiari le proprie preferenze. Ognuno ascolta cosa dicono gli altri membri del gruppo. Leila parla per prima, e propone di leggere il nuovo libro di Robert Galbraith. A questo punto Finn ha sentito cosa dice Leila, e se quel libro lo incuriosisce è probabile confermi il giudizio di lei. In realtà forse Finn non sa che cosa scegliere, ma si fida di Leila, e si limita a dirsi d’accordo con lei: dài, proviamo Galbraith. Tocca ora a Luke parlare. Supponiamo che sia Leila che Finn si siano pronunciati per Galbraith. Luke, in base alle poche informazioni che ha, pensa che probabilmente il libro non sia un granché (si sbaglia, perché il romanzo di Galbraith/Rowling è formidabile, ma non è questo il punto). Eppure, anche Luke potrebbe far finta di niente e accodarsi a Leila e Finn: non per vigliaccheria, ma perché in fin dei conti è probabile che sia Leila sia Finn abbiano elementi a sostegno del loro giudizio. A meno che Luke non sia convintissimo della propria idea, tenderà a seguire la strada tracciata da Leila e Finn. Se lo fa, Luke contribuisce a creare la valanga. Sì, se avesse motivo di pensare che Leila e Finn stiano dando un giudizio infondato potrebbe anche opporsi; ma se non ha motivi sufficienti per crederlo, probabilmente si dirà d’accordo con la loro proposta. A questo punto tocca a Ian, seguito da Chewbecca, Biggs e Rey. Se i primi tre, Leila, Finn e Luke, hanno suggerito di leggere Galbraith, ciascuno dei restanti membri del gruppo probabilmente darà la stessa indicazione, anche se avesse qualche motivo di pensare che una scelta diversa sarebbe migliore. Il punto è che il giudizio espresso da Leila, che ha parlato per prima, ha innescato un processo in cui varie persone vengono coinvolte nell’effetto valanga: il risultato è che tutto il gruppo finirà per scegliere Galbraith (come vedremo, spesso nascono proprio in questo modo i movimenti politici, incluse le rivolte e le resistenze). Naturalmente l’esempio è fittizio e artificioso. Ma la tesi di fondo è chiara: ognuno di noi apprende dagli altri, e se ad alcuni sembra che certe cose piacciano, probabilmente lo stesso varrà anche per noi – o, quanto meno, varrà se non abbiamo motivi sufficienti per diffidare degli altri, né una valida ragione per pensare che sbaglino. Le valanghe informative sono fragili, e quando spingono le persone dalla parte sbagliata tendono facilmente a sfaldarsi; se i membri del nostro piccolo gruppo di lettura convergono su un libro che non vale nulla, presto se ne accorgeranno, e dissuaderanno anche altri gruppi dal leggerlo. Il passaparola si sparge in fretta, e ciò rende le valanghe non solo inevitabili, ma anche molto vulnerabili. Il successo di Una nuova speranza è stato grandemente favorito da una valanga informativa. Ma se non fosse stato un film formidabile, la spinta si sarebbe esaurita presto, come una moda passeggera. Valanghe reputazionali A volte si ascoltano le opinioni degli altri soprattutto per sapere se un prodotto vale. Ma in altri casi ciò che interessa davvero è conquistarsi l’approvazione del prossimo, o quanto meno evitarne la disapprovazione: per questo ci si accoda a ciò che pensano e fanno gli altri. Se la maggioranza sembra entusiasta per un brano musicale o un film appena usciti, ci mostreremo a nostra volta entusiasti, o quanto meno ascolteremo quel pezzo o andremo a vedere quel film. Alla base di questo fenomeno c’è il conformismo. Le cosiddette valanghe reputazionali si formano quando le persone, pur ritenendo di sapere cosa è (probabilmente) giusto, seguono la corrente perché tengono a salvaguardare l’opinione positiva

che gli altri hanno di loro. Supponiamo che Boba Fett reputi il nuovo film Star Cars spettacolare, e che Kylo si dica d’accordo con Boba non perché la pensa davvero così, ma solo perché vuole evitare di essere giudicato male da Boba. Se Boba e Kylo dicono che Star Cars è bellissimo, Rey forse deciderà di non contraddirli pubblicamente, e magari si fingerà persino d’accordo: non perché ritenga il loro giudizio corretto, ma perché non vuole affrontare la loro ostilità o giocarsi l’opinione positiva che essi hanno di lei. È evidente che questo processo può mettere in moto una valanga a favore di Star Cars. Una volta che Boba, Kylo e Rey fanno fronte comune sull’argomento, difficilmente il loro amico Poe li contraddirà, anche se in cuor suo pensa che si sbaglino. L’opinione evidentemente condivisa di Boba, Kylo e Rey trasporta informazioni; la loro opinione potrebbe essere vera. Ma anche se Poe ha ragione di credere che si sbaglino, potrebbe non voler contraddirli pubblicamente. E il suo silenzio contribuirà a creare una pressione reputazionale su chi viene dopo di lui. Famosi per essere famosi Torniamo dunque alle nostre tre ipotesi iniziali sui motivi del successo di Una nuova speranza. Purtroppo non sono in grado di decidere quale sia la migliore, perché ognuna di esse ha validi argomenti a proprio favore. Il più bel film mai visto? Iniziamo dalla qualità. Che il film fosse speciale lo si vide subito. Nessuna ricostruzione può negare questo dato di fatto. Anzi, ad alcuni piacque prima ancora che uscisse. Abbiamo visto che i dirigenti della Fox avevano una posizione ambigua, ma uno di loro, Gareth Wigan, durante una proiezione privata arrivò a commuoversi, e definì Una nuova speranza «il più bel film che abbia mai visto»18. In un’altra anteprima, poche settimane dopo, Steven Spielberg parlò subito del «più bel film mai fatto»19. Il pubblico si dimostrò subito entusiasta: questo suggerisce che la scintilla fu accesa dall’apprezzamento delle sue qualità, piuttosto che dale influenze sociali. Alla prima proiezione pubblica gli spettatori applaudirono fin dalle prime battute, e andò avanti così fino all’ultimo titolo di coda20. Come abbiamo visto, il film ebbe fin dai primi giorni un successo spettacolare. Al Coronet, dove Lippincott aveva tanto brigato per piazzare il film, la fila girava attorno all’isolato. Così descrisse la scena il direttore della sala: «Anziani, giovani, bambini, gruppi di Hare Krishna. Si portano le carte per giocare mentre sono in coda. Abbiamo giocatori di dama, giocatori di scacchi, gente con visi dipinti e pieni di lustrini. Gente strana come non mi era capitato di vedere prima, e gente fatta di erba e LSD»21. All’Avco di Los Angeles il direttore dichiarò che nel weekend del Memorial Day erano rimaste fuori ben cinquemila persone. E, prima ancora della fila, gli aspiranti spettatori avevano dovuto sfidare il traffico paralizzato: praticamente era impossibile arrivare ai cinema in auto22. In generale, le prime recensioni furono esageratamente positive, e in alcuni casi addirittura estatiche23. L’influentissimo critico cinematografico del New York Times, Vincent Canby, parlò della «più bella, complessa e dispendiosa serie cinematografica mai realizzata»24. La recensione del San Francisco Chronicle definì Star Wars «l’opera visivamente più spettacolare dai tempi di 2001: Odissea nello spazio», giudicandola «umanamente intrigante in fatto di grandezza e confini»25. Joseph Gelmis di Newsday andò ancora oltre, esaltando Guerre stellari come «uno dei più grandi film d’avventura mai realizzati», autentico «capolavoro di intrattenimento»26. Le riviste ad alta tiratura pubblicavano articoli non solo sul film, ma anche sul fenomeno Star Wars. «Ogni notiziario in TV aveva dedicato un servizio alla folla in coda per vedere questo film incredibile»27. Una nuova speranza ottenne ben dieci nomination agli Oscar, tra cui quella come miglior film: ne uscì con sette premi. A distanza di decenni, vari registi ricordano che quando videro il film se ne sentirono letteralmente travolti. Ridley Scott racconta che quando andò a vedere Star Wars ne rimase «talmente impressionato che [gli] venne voglia di sparar[si]»28. Peter Jackson parlò di «una delle esperienze più emozionanti della [sua] vita»29. Forse il più colpito fu Saul Zaentz, produttore che avrebbe vinto tre premi Oscar, che fece uscire a tutta pagina su Variety una lettera aperta, congratulandosi con Lucas e il suo team per aver «dato vita a un film perfetto […] tutto il mondo si rallegrerà con voi»30. Fu così che Jonathan Lethem espresse le sensazioni di tutta una generazione31:

Durante l’estate del 1987 andai a vedere Star Wars – il primo film – ben ventuno volte […] ma che cosa accadde davvero nel segreto di quella esperienza? Quali emozioni si annidavano in quello stravagante tempio di Horus? Cosa diavolo avevo in mente? […] Ero sempre stato un fan di Star Wars. Era difficile superare il grande Lethem, ma Todd Hanson ci riuscì, scrivendo: Era semplicemente chiaro come il giorno… una verità lapalissiana che non richiedeva giustificazione, un assiomatico dato di natura: Star Wars era meglio di qualsiasi altra cosa vista fino allora. Era semplicemente evidente, i ragazzini non dovevano nemmeno dirselo, lo sapevano, lo sentivano, tutto qui. Non era semplicemente la cosa migliore, ma di gran lunga la migliore: dieci, venti volte migliore della cosa migliore che avessimo mai visto. […] Faceva apparire insignificante qualsiasi cosa al secondo posto – anzi, non lo vedevamo neanche più, il secondo posto: era lì, da qualche parte, dopo la fine della pagina32. Forse il film era davvero predestinato al successo. Ricordiamo gli esperimenti del Music Lab: il gruppo di «giudizio indipendente», i cui membri prendevano decisioni senza conoscere le opinioni altrui. Anche vedendo il film in condizioni d’isolamento, senza avere la minima idea di cosa pensavano gli altri o di cosa dicevano le recensioni, Una nuova speranza avrebbe avuto comunque ottime possibilità di ottenere quell’enorme successo. Ma a questo punto dovremmo chiederci come avrebbero fatto, in quel caso, le persone a sapere dell’esistenza del film. Si potrebbe ragionevolmente rispondere che Una nuova speranza ricorda molto i pezzi in cima alla classifica del Music Lab: avrebbe sfondato comunque, a prescindere totalmente da ciò che accadeva all’inizio. Era troppo originale, troppo grande, troppo strabiliante. Un club esclusivo? Forse è vero, ma consideriamo anche la seconda ipotesi. Alcuni studiosi, incluso lo scienziato sociale Duncan Watts (coautore degli articoli di Music Lab), ritengono che non esista niente destinato al successo. Persino il più grande capolavoro deve essere aiutato dalle influenze sociali. Senza nessuna esclusione: persino i lavori di Shakespeare e di Leonardo da Vinci. Così Una nuova speranza sarebbe stata aiutata da vari fattori: una valanga informativa, il momento giusto, una valanga reputazionale, e infine gli effetti di rete. Il giorno della prima di Star Wars la recensione del Washington Post previde che il film avrebbe avuto una «popolarità travolgente», un consenso capace di «emulare la straordinaria popolarità dello Squalo», che all’epoca era stato il maggior successo di sempre33. E appena cinque giorni dopo l’uscita, Time Magazine definì Star Wars «il miglior film dell’anno»34. Un punto a favore della seconda ipotesi. Il successo si autoalimentò. Dopo il primo weekend i servizi sulla popolarità di Star Wars e sulle incredibili file che si formavano fuori dei cinema rimbalzavano da un notiziario all’altro, in tutto il paese35. A giugno Variety raccontò che le compagnie telefoniche erano subissate di chiamate di gente che chiedeva i numeri di telefono dei cinema in cui si proiettava Star Wars36. Gli operatori dei call center, dovendo rispondere a cento telefonate l’ora, furono costretti a imparare a memoria i numeri telefonici delle sale37. Ci furono anche effetti di rete nel senso letterale del termine. Di solito l’anchorman di CBS Walter Cronkite – la voce d’America – non si occupava di film, e tanto meno di film in cui si parlava di cose come la rotta di Kessel o i Cavalieri Jedi. Eppure, in quelle settimane d’inizio estate Cronkite dedicò spazio a Star Wars38. Come si è visto nell’esperimento del Music Lab, la popolarità iniziale stimolava un ulteriore interesse. Secondo J.W. Rinzler, che si può quasi considerare lo storiografo ufficiale di Star Wars, le enormi file che continuarono a formarsi tutta l’estate per vedere Una nuova speranza erano dovute «soprattutto alla comunicazione interpersonale»39. L’intrigante e brillante analisi di Chris Taylor è che «c’era stato sufficiente passaparola nella comunità fantascientifica da attirare folle di spettatori per la prima settimana», mentre «le ottime recensioni richiamarono gente nella seconda e nella terza settimana», e «i servizi sulle dimensioni delle folle portarono la gente del dopo Memorial Day»40. È una perfetta descrizione della classica valanga. Scrive Taylor che Star Wars era «molto più del semplice incasso al botteghino. Era famoso per essere famoso»41. Gli effetti di rete iniziali, di cui parla lo stesso Taylor, meriterebbero un libro a parte. Coloro che vedevano il film, «i beninformati, conoscevano i nomi buffi e i tormentoni. Erano entrati in un club esclusivo che sapeva cos’era “la Forza”, anche se ognuno aveva una teoria

differente riguardo a cosa fosse in realtà»42. Stephen Colbert racconta che dopo aver visto Star Wars sia lui sia i suoi amici tornarono a scuola profondamente convinti che «nulla fosse più lo stesso»43. Diamo di nuovo la parola ad Ann Friedman: «[il film] offre a pubblici frammentati una possibilità di ricordare la sensazione che si prova a esser parte di qualcosa di più grande, che va al di là dei confini culturali e generazionali. […] È bello, ogni tanto, mettere la testa fuori dalla propria nicchia e sperimentare qualcosa che sia davvero universale»44. Il film perfetto per quel momento? Ma si può dire che Star Wars fosse collegato allo spirito del tempo? Che avesse una risonanza speciale con la propria epoca? Che Lucas, consapevolmente o no, avesse dato al pubblico proprio ciò che il pubblico chiedeva più d’ogni altra cosa? Sono in molti a pensarlo. Secondo una certa linea interpretativa, il film arrivò in un momento in cui l’opinione pubblica americana, scossa da una serie di fatti deprimenti, aveva enorme bisogno di essere rincuorata da qualche mito. Il critico cinematografico A.O. Scott dà voce a un’idea molto diffusa quando sottolinea che il successo del film «rappresentava quello che appare il prodotto inevitabile delle forze demografiche e sociali»45. Taylor nota che il giorno dell’uscita di Star Wars l’indice Dow non era mai stato così basso da sedici mesi a quella parte, Nixon era in tv intervistato da David Frost e «i segni della guerra [del Vietnam] erano ovunque»46. E il teologo David Wilkinson sottolinea come il declino dell’economia del paese, le nascenti preoccupazioni ecologiche, i ricordi ancora freschi del Vietnam, il protrarsi delle minacce della Guerra fredda, il Watergate e lo stallo del programma spaziale avessero creato un clima maturo per il successo di Star Wars47. Nel documentario Star Wars: The Legacy Revealed, la giornalista Linda Ellerbee ricorda che «in America non c’era ottimismo […] Eravamo cinici e delusi, il prezzo del petrolio era alle stelle, [e] il governo ci aveva lasciato in mezzo a una strada»48. Newt Gingrich ricorda che «il paese era alla disperata ricerca di un vero cambiamento. Poi arrivò Star Wars, e rispolverò un mito di fondo: che esistono il bene e il male, e che il male va sconfitto»49. In effetti, in un momento in cui un presidente andava in tv per incoraggiare gli americani a «fare sacrifici» e a «vivere con parsimonia»50, non era difficile pronosticare una calorosa accoglienza per una fantastica avventura che si svolgeva tanto tempo fa in una galassia lontana lontana… O forse no. La spiegazione culturale che si richiama allo Zeitgeist, allo spirito del tempo, potrebbe essere semplicemente un modo di arrampicarsi sugli specchi. Non possiamo escluderlo. Per capirlo facciamo un piccolo test: Alla luce della particolare situazione degli Stati Uniti alla fine di maggio del 1977, Una nuova speranza era destinato al successo perché… [riempire qui]. Per riempire lo spazio tra parentesi quadre, potreste citare l’economia: borsa, inflazione, tasso di disoccupazione. Potreste evocare la situazione internazionale: Guerra fredda, Unione sovietica, Cina, Cuba. Potreste parlare del Watergate e delle sue conseguenze. Potreste ricordare il movimento per i diritti civili. E potreste citare la tecnologia, al di là dell’entusiasmo e dell’ambivalenza che suscita. Si può ragionevolmente sostenere che Una nuova speranza abbia improvvisamente parlato di tutte queste cose, e che proprio per questo fosse destinato al successo. Nessuna di queste spiegazioni si può considerare sbagliata. Il problema è che nemmeno si può dimostrare che sia giusta. Provate infatti a ripetere il test cambiando data e film: dicembre 2015, Il risveglio della Forza. Sarebbe facile riempire lo spazio tra parentesi quadre citando l’effetto della Grande recessione del 2008, l’ascesa dello Stato islamico, la nuova sensibilità verso la tecnologia o la polarizzazione della politica. La gente aveva bisogno di tirarsi un po’ su, e Il risveglio della Forza ha fatto proprio questo. Ma questa spiegazione è giusta, o è semplicemente verosimile, o addirittura una leggenda? Per rispondere, immaginiamo che Una nuova speranza, o qualcosa di molto simile, con i dovuti adattamenti allo stato corrente della cinematografia, fosse uscito nel 1957, 1967, 1987, 1997, 2007, 2017 o 2027. Sarebbe stato un successo o un fiasco? Io dico un successo. Ma se è così, qualsiasi studente in gamba scriverebbe un ottimo tema intitolato Alla luce della particolare situazione degli Stati Uniti alla fine di maggio del… [specificare l’anno], Star Wars era destinato al successo perché… [riempire qui]. In qualsiasi momento, quale che fosse lo «spirito del tempo», era molto probabile che Una nuova speranza si rivelasse un successo sensazionale.

Insomma: ogni volta che affermiamo che un prodotto ha avuto successo perché è arrivato al momento giusto, potremmo avere ragione, come potremmo invece sbagliarci, non offrendo alcuna spiegazione. Perché il rischio di questo tipo di spiegazioni che ricorrono al perfetto tempismo è molto più alto quando si parla di libri, musiche e film. In questi casi non possiamo fare affidamento su esperimenti randomizzati: ed è facile dire che un’opera ha avuto successo a causa di una crisi economica, o viceversa a causa di un periodo di crescita, di movimenti civili di protesta, di un attacco terroristico. Facile sì, ma è anche giusto? Per concludere… Ricapitoliamo. Alcuni prodotti culturali sono, nel mondo reale, gli equivalenti dei vincitori dell’esperimento del Music Lab. In un certo senso, hanno avuto fortuna. A posteriori possiamo dire che il loro successo era inevitabile: sia perché si tratta di ottimi prodotti, sia perché tutti (o molti) pensano che lo siano. Ma all’inizio qualsiasi prodotto ha bisogno di una forte spinta, senza la quale rischierebbe di fare la fine di Sixto Rodriguez negli USA o di Robert Galbraith, quando nessuno sapeva chi fosse. Una nuova speranza ebbe questa spinta iniziale. Poco dopo l’uscita era già «famoso per essere famoso», e la gente voleva andare a vederlo perché sembravano andarci tutti. È stata questa la sua fortuna, fin dal 1977. E Il risveglio della Forza è stato molto avvantaggiato dagli effetti di rete: in un mondo balcanizzato, la gente lo vede perché non vuole rimanere tagliata fuori. Star Wars è un po’ come La Gioconda di Leonardo – famosissima, e di indiscutibile bellezza, ma beneficiaria di una norma culturale («questo lo devi vedere») che era lontana dall’essere inevitabile. Alcuni prodotti hanno avuto successo perché sono arrivati nel giusto momento culturale. Bob Dylan è straordinario, secondo me è addirittura un genio, ma il suo talento e il suo gusto erano specificamente adattati ai primi anni Sessanta. Blowin’ in the Wind, A Hard Rain’s A-Gonna Fall e Like a Rolling Stone sono brani perfettamente calati nella loro epoca. All’inizio degli anni Quaranta o Cinquanta sarebbero probabilmente parsi brutti, o terribilmente confusi, mentre negli anni Settanta o Ottanta i primi due sarebbero sembrati troppo ingenui e il terzo superato. È vero, Dylan è un genio, e per giunta è un camaleonte o addirittura un mutaforma. Probabilmente avrebbe tirato fuori qualcosa di geniale anche se fosse nato qualche decennio prima o qualche decennio dopo. Ma pur essendo un genio, ha avuto bisogno di un bel po’ di fortuna, e di effetti di rete, per arrivare al successo che ha avuto. E non c’è dubbio che la sua peculiare sintonia culturale con il suo tempo sia stata fondamentale per il successo del particolare Bob Dylan che noi conosciamo. Forse invece Una nuova speranza è semplicemente troppo abbagliante perché sia necessario, o utile, ipotizzare un qualche legame con la cultura del suo tempo. Pensiamo per esempio alla scena iniziale, con lo Star Destroyer imperiale, così immenso da sembrare reale mentre ci sorvola. Agli spettatori veniva spontaneo applaudire. E per tutto il film avevano tanti altri motivi per battere le mani. Erano davvero colpiti. E ancor oggi lo sono. Sì, certo, Guerre stellari è stato aiutato dagli effetti valanga e dagli effetti di rete. Ed era in sintonia con la cultura di fine anni Settanta. Ma sarebbe esploso comunque. Era troppo ben fatto. ………………………………. 1. Duncan Watts, «Is Justin Timberlake a Product http://www.nytimes.com/2007/04/15/magazine/15wwlnidealab.t.html.

of

Cumulative

Advantage?»

(2007),

2. Adam Rogers, «The Force Will Be With Us. Always. – Star Wars and the Quest for the Forever Franchise», Wired, http://www.wired.com/2015/11/building-the-star-wars-universe/ (verif. 13 febbraio 2016). 3. Matthew J. Salganik et al., «Experimental Study of Inequality and Unpredictability in an Artificial Cultural Market», Science, 311, 854, 10 febbraio 2006, https://www.princeton.edu/~mjs3/salganik_dodds_watts06_full.pdf. 4. Matthew J. Salganik e Duncan J. Watts, «Leading the Herd Astray: An Experimental Study of Self-fulfilling Prophecies in an Artificial Cultural Market», Social Psychology Quarterly, 71:4, 338, 2008, http://www.princeton.edu/∼mjs3/salganik_watts08.pdf. 5. H.J. Jackson, Those Who Write for Immortality: Romantic Reputations and the Dream of Lasting Fame, Yale University Press, New Haven, CT, 2015. 6. John Keat’s Tombstone, Keats-Shelley House, http://www.keats-shelley-house.org/en/writers/writers-john-keats/john-keatstombstone (verif. 13 febbraio 2016). 7. Jackson, Those Who Write for Immortality, cit., p. 149. 8. Ibid., p. 117. 9. Ibid., p. 155. 10. Ibid., p. 161. 11. Ibid., p. 131.

12. Ibid., p. 95. 13. Ibid., p. 168. 14. Ibid., p. 218. 15. Arion Berger, «A Night Out at the Memeplex», in Glenn Kenny (a cura di), A Galaxy Not So Far Away, Henry Holt, New York 2002, p. 64. 16. Ann Friedman, «Why Did I Pay $30 to See “Star Wars”?», Los Angeles Times, http://www.latimes.com/opinion/op-ed/la-oe-1223-friedman-star-wars-mass-culture-20151223-story.html.

23

dicembre

2015,

17. Berger, «A Night Out at the Memeplex», cit., p. 66. 18. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., p. 247. 19. Ibid., p. 256. 20. Ibid., p. 288. 21. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 5478. 22. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., p. 297. 23. Per una rassegna di giudizi positivi ibid., p. 296. 24. Vincent Canby, «A Trip to a Far Galaxy That’s Fun and Funny», New York Times, 26 maggio 1977, https://www.nytimes.com/books/97/08/24/reviews/guinness-starwars.html. 25. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 5749. 26. Joseph Gelmis, «Superb Sci-Fi», Newsday, 27 maggio 1977, http://www.newsday.com/entertainment/movies/star-wars-newsdays-original-1977-movie-review-1.7922952. 27. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 6496. 28. «“Star Wars”: Their First Time», New York Times, 28 ottobre 2015, http://www.nytimes.com/interactive/2015/10/28/movies/starwars-memories.html. Cfr. anche Rinzler, The Making of Star Wars, cit., p. 298, che passa in rassegna le reazioni dei registi al film. 29. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., p. 298. 30. Ibid. 31. Jonathan Lethem, «13, 1977, 21», in Kenny (a cura di), A Galaxy Not So Far Away, cit., p. 1. 32. Todd Hanson, «A Big Dumb Movie About Space Wizards: Struggling to Cope with The Phantom Menace», ibid., p. 181. 33. Gary Arnold, «“Star Wars”: A Spectacular Intergalactic Joyride», Washington http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2005/04/06/AR2005040601186.html.

Post,

25

maggio

1977,

34. Cfr. Time, 30 maggio 1977, http://content.time.com/time/covers/0,16641,19770530,00.html. 35. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., pp. 195-196. 36. Ibid., p. 297. 37. Ibid. 38. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 6535. 39. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., p. 297. 40. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 6545. 41. Ibid., pos. 6553. 42. Ibid., pos. 6551. 43. Star Wars: The Legacy Revealed, trasmesso in tv su History Channel, 28 maggio 2007. 44. Friedman, «Why Did I Pay $30 to see “Star Wars”?», http://www.latimes.com/opinion/op-ed/la-oe-1223-friedman-star-warsmass-culture-20151223-story.html. Per un punto di vista più accademico si veda Cass R. Sunstein e Edna Ullmann-Margalit, «Solidarity Goods», Journal of Political Philosophy 9, n. 2, giugno 2001, p. 129. 45. A.O. Scott, «“Star Wars”, Elvis, and Me», New York Times, 28 ottobre 2015, http://www.nytimes.com/2015/11/01/movies/starwars-elvis-and-me.html?hp&action=click&pgtype=Homepage&module=photo-spot-region®ion=top-news&WT.nav=topnews&_r=1&mtrref=www.nytimes.com&assetType=nyt_now. 46. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 5727. Taylor aggiunge che Star Wars «coincise con livelli record di uso di marijuana tra gli studenti delle scuole superiori: secondo le statistiche governative, il trend raggiunse l’apice nel 1978 e da allora è andato diminuendo». Ibid. pos. 6380. 47. David Wilkinson, The Power of the Force, Lion, Oxford 2000, pp. 67-69. 48. Star Wars: The Legacy Revealed, cit. 49. Ibid. 50. Il rapporto sull’energia presentato il 2 febbraio 1977 dall’allora presidente Jimmy Carter (Report to the American People on Energy), si trova in https://www.youtube.com/watch?v=MmlcLNA8Zhc.

EPISODIO IV

Tredici chiavi di lettura A proposito di cristianesimo, Edipo, politica, economia e Darth Jar Jar C’è stato un risveglio. Lo hai percepito? Snoke

Star Wars non è un programma politico o un testo religioso, e non pretende di pensare per noi. Ci stimola alla riflessione, e si può interpretare in modi diversi e persino contrapposti. Certo, la Forza è un campo di energia (in fondo, lo sappiamo tutti…). Ma di che tipo? C’entra qualcosa con Dio o con qualche altra entità spirituale, oppure sono gli uomini a crearla, o ancora fa parte della natura? Che rapporto c’è, esattamente, tra il lato chiaro e quello oscuro della Forza? E cosa significa «ristabilire l’equilibrio» nella Forza? La saga di Star Wars non è certo imperscrutabile come 2001: Odissea nello spazio di Kubrick (insopportabile, e pseudoprofondo). Ma qualsiasi Viaggio dell’Eroe ha molteplici significati, e questa è proprio una delle caratteristiche migliori di Star Wars. Se la serie fosse più didascalica o chiusa risulterebbe molto meno interessante, e anche molto meno ricca di echi culturali. Quando un’opera è «a struttura aperta», gli atti interpretativi – compresi quelli di chi prosegue il testo che egli stesso ha iniziato – sono di tipo creativo. Non sono fatti solo di scavo e ricerca, ma anche di scelta. Naturalmente qualsiasi interpretazione deve tener conto del materiale di partenza: non avrebbe senso dire che Star Wars parla, per esempio, dei problemi della spesa pubblica, del cambiamento climatico o dell’aumento del salario minimo. Ma gli interpreti hanno un notevole grado di libertà nel leggere quel testo in un modo che tenga conto dei loro interessi. Con scuse e un saluto a Wallace Stevens, ecco tredici modi di leggere Star Wars. La maggior parte trova riscontri plausibili nei film. Alcune di queste chiavi di lettura sono un po’ pazze, ma ugualmente brillanti, e per certi versi le migliori di tutte. 1. Cristianesimo Si può sostenere che il vero tema della saga non sia la «tragedia di Darth Vader»: in quest’ottica Star Wars sarebbe un racconto d’ispirazione cristiana sul tema del sacrificio e dell’amore. In fin dei conti Anakin Skywalker è venuto al mondo attraverso una nascita virginale. Non ha padre umano. È una figura simile a Cristo: muore per i peccati dell’umanità, che incarna e simboleggia. Lucas, ispirandosi al «monomito» di Campbell, avrebbe dato vita a una versione particolarmente fantasiosa della vita di Gesù, che qui assume il ruolo di peccatore, incapace di resistere a Satana fino al momento estremo in cui sacrifica tutto per il figlio (e simbolicamente per tutti i figli). Ricordiamo che nel caso di Anakin la mela di Satana è la promessa dell’immortalità (per le persone che ama). È così che il serpente lo seduce, convincendolo a perdere la sua stessa anima (un patto faustiano). Ma sacrificando la propria vita Anakin sconfigge il grande tentatore e si riprende l’anima. Amando suo figlio e uccidendo Satana riporta la pace nel mondo (non a caso la parola «pace» compare nel crawl iniziale sia di Una nuova speranza che del Risveglio della Forza. E ovviamente Cristo è il Redentore). Star Wars sarebbe insomma una storia cristiana. «Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!» (Prima Lettera ai Corinzi 13,13). Oppure Cristo è Luke: il Figlio. Passa gli anni della gioventù in un posto che è l’equivalente di un deserto (la fattoria), poi se ne va e finisce per sacrificare la propria autonomia – in un certo senso la propria vita – per il bene dell’umanità. Forse Star Wars ha persino una Trinità: Anakin, Padmé e Luke. La serie offre dunque una nuova, provocatoria versione della narrazione biblica in cui Luke somiglia indubbiamente a Gesù (anche se riesce a evitare qualsiasi forma di crocifissione), mentre è il Padre a morire due volte (nel duello con Obi-Wan, e poi di nuovo in quello con Luke e l’Imperatore) e a risorgere altrettante volte (la prima nella propria armatura, soccombendo al peccato, e la seconda come peccatore pentito e salvato). Gli echi teologici sono innegabili in Star Wars. Il cristianesimo aleggia costantemente sulla saga, appare tutt’uno con essa, sembra essere intessuto nella sua stessa fibra. Come stupirsi perciò

che esistano tanti libri con titoli come Il Vangelo secondo Star Wars, Star Wars Jesus e Cercando Dio in una galassia lontana lontana? 2. Jedi Edipo Ma può anche darsi che il cristianesimo non c’entri nulla. Star Wars si può leggere in tutt’altro modo: come una storia profondamente edipica di padri, figli e madri perdute. Se è così, il riferimento giusto non è la Bibbia: è Freud. Forse c’è un nascosto influsso sessuale, e Star Wars parla di diversi tipi di desiderio. Anakin, privo di padre, è alla disperata ricerca di una forte figura paterna, verso cui ha un atteggiamento inevitabilmente ambiguo. Questa figura dapprima è Qui-Gon Jinn, poi Obi-Wan e infine l’Imperatore. Anakin, il figlio simbolico, diventa il responsabile della morte sia di Qui-Gon sia dell’Imperatore, e cerca in tutti i modi di uccidere Obi-Wan. Prende una cotta per Padmé, che è molto più grande di lui, una figura decisamente materna. «Sei uno strano bambino», gli dice lei la prima volta che s’incontrano. E dopo parecchio tempo, quando ormai è cresciuto: «Sei rimasto lo stesso bambino che ho conosciuto a Tatooine». È proprio il modo in cui le madri vedono i propri figli (e anche lei s’innamora di lui!). Il cammino di Anakin verso il Lato oscuro inizia solo nel momento in cui viene uccisa sua madre. In un certo senso lui ne è innamorato. Del resto, non accade a tutti i figli maschi d’innamorarsi della madre? In questa prospettiva, la «tragedia di Darth Fener» è una complessa e penetrante (anche se inquietante) rielaborazione psicologica della storia narrata da Sofocle. Anche la vicenda di Luke si può leggere in chiave edipica. Luke non ha padre né madre, e passa la gioventù in una sorta di ambivalente ricerca di entrambe queste figure. Deve scegliere tra vari candidati alla paternità, che si contendono, spesso aspramente, la sua devozione filiale: lo zio Owen, Obi-Wan, Yoda, Dart Fener e l’Imperatore. Ed è significativo che Luke si possa considerare responsabile della morte di ognuno di loro, escluso uno (il vecchio Yoda è l’eccezione, anche se ambigua). Lui è Edipo. Ma stavolta Edipo ha perso sua madre perché suo padre, in un certo senso, l’ha uccisa. È questa la sua tragedia. L’indispensabile precisazione è che Luke ama – e redime – il suo Padre Oscuro, ma la redenzione arriva solo dopo che ha cercato di ucciderlo, e ci è anche andato vicinissimo. In questa versione la rielaborazione dell’Edipo re impone che nel figlio l’amore trionfi sull’ira. Il perdono vince su tutto. Indipendentemente dalla questione se Edipo sia Anakin o Luke, questi echi freudiani contribuiscono a spiegare la forza d’attrazione di Star Wars. Sarà anche Flash Gordon, ma le correnti psicologiche sottostanti sono decisamente complesse. E naturalmente non dimentichiamo che anche Kylo Ren uccide suo padre Han (Ian Solo): il tema edipico emerge indiscutibilmente anche nel Risveglio della Forza. 3. Femminismo Da un punto di vista femminista Star Wars è terribilmente imbarazzante o meravigliosamente ispirato? Non c’è dubbio che Il risveglio della Forza sia decisamente dalla parte dell’uguaglianza tra i sessi: l’eroina è chiaramente Rey, che (novello Luke) assesta dei sonori colpi al Lato oscuro (basti pensare all’espressione che ha quando affronta Kylo). Poi ci sono il generale Leia (Leila), il capitano Phasma e tante altre donne ai posti di comando. Invece, la trilogia iniziale e i prequel si possono anche leggere come fantasie maschili. Chi sono i duri? I maschi – c’è da chiederlo? Se la Forza è dentro di te ti senti potente, soffochi la gente con due dita, spari e uccidi con la spada laser (che è decisamente fallica, più si allunga e meglio è). Per gli uomini di una certa età, poi, la scena più memorabile di tutta la saga è quella del Ritorno dello Jedi in cui Leila è prigioniera, legata e in bikini: decisamente retrogrado – per non dire di peggio. Però anche in questo caso si direbbe che il riscatto ci sia: in fin dei conti Leila strangola il carceriere con la sua stessa catena. È questa la vera scena di redenzione della saga? Nelle prime due trilogie la Principessa Leila e Padmé Amidala sono figure importanti. Si possono considerare tra i personaggi fondamentali, che sottolineano il significato profondo della saga. Negli anni Settanta Leila era decisamente avanti rispetto ai tempi. È tutto tranne che una damigella in pericolo: è un – anzi, il più importante – condottiero, ed è lei a dare il via alla ribellione. Alcuni la considerano un’icona femminista. Ha una leadership naturale: è sempre lei la più brillante, la più accorta, la più determinata e la più valente. Sa sparare, e non esita a farlo. Il

capo è quasi sempre lei. Non sorprende che nel Risveglio della Forza abbia il rango di generale. Sarebbe una forzatura leggere la prima trilogia in chiave femminista, ma si può ragionevolmente sostenere che quei primi film, per quei tempi, da un punto di vista femminista, erano corretti, e anche ispirati: e a loro volta hanno ispirato moltissime donne. Nei prequel la tanto criticata Padmé è salda come una roccia. Nessun altro riesce a vedere le cose con la stessa chiarezza (peccato che il copione le assegni battute non sempre efficaci). E anche lei ha leadership: è regina, poi senatrice. Coglie fin dall’inizio ciò che accadrà alla Repubblica. Gli uomini invece – Anakin, Luke, Ian – sono sostanzialmente degli sprovveduti. A prescindere dal giudizio che si dà delle prime trilogie, nell’Episodio VII la vera forza che si risveglia è l’uguaglianza tra i sessi. Rey è il personaggio più forte, e anche il migliore: il più interessante, divertente, acuto, complicato, e sensibile alla Forza. Non abbiamo ancora capito di chi sia figlia, ma una cosa è certa: è in tutto e per tutto una Skywalker. 4. Thomas Jefferson, un Cavaliere Jedi Non è difficile leggere la saga come una narrazione profondamente politica che sottolinea l’ineluttabilità delle insurrezioni. Dalla versione romanzata di Una nuova speranza: «Non sono ancora arrivati a compiere certi atti per la paura di nuove rivolte. Quando avranno tolto definitivamente quella minaccia… beh, ci sono due cose che gli uomini non sono mai stati capaci di dominare: la curiosità e la cupidigia. Quanto alla prima, gli alti ranghi dell’Impero non ne hanno molta»1. C’è una notevole assonanza con le considerazioni di Thomas Jefferson sull’instabilità: «Una piccola insurrezione, di tanto in tanto, è una cosa buona e così necessaria nel mondo politico come i temporali in quello fisico. Previene la degenerazione del governo e alimenta una generale attenzione per la cosa pubblica»2 (Ribellione: forse Lucas aveva letto Jefferson?). In quest’ottica il vero tema conduttore della saga è jeffersoniano: il valore della ribellione e dell’autogoverno, la superiorità delle repubbliche sugli imperi. L’Impero e il Primo Ordine detestano l’instabilità, che considerano una forma di caos, e vogliono l’ordine, inteso come assenza di scelta. È questa, almeno in parte, anche la chiave di lettura di Lucas: l’Imperatore era una specie di Richard Nixon, i ribelli erano simili ai vietnamiti e l’Impero era ciò che rischiavano di diventare gli Stati Uniti di lì a un decennio. Abrams prosegue il discorso jeffersoniano, con il conflitto tra il Primo Ordine e la Resistenza. Nonostante la sua effervescente vertigine, Star Wars forse ha anche un messaggio molto più serio: il pubblico tenga d’occhio i leader politici, vigili attentamente su di loro. Il nocciolo secondo me è proprio questo. La saga contrappone costantemente ordine e libertà, e si capisce chiaramente che simpatizza per la seconda. L’accento sulla scelta individuale (di Luke, Ian, Anakin, Rey, Finn) si rispecchia puntualmente nella visione politica di Star Wars. 5. Ordine sì, caos no Ma si potrebbe anche sostenere un’idea del tutto opposta, secondo cui i veri cattivi sono gli Jedi: confusi, caotici, incapaci di offrire stabilità. L’eroe segreto forse è proprio Palpatine, l’Imperatore: possibile che sia questo il cuore tenebroso della saga, la parte cui vanno le sue vere simpatie? Se quest’idea vi sembra avventata, sappiate che essa trova parecchi autorevoli sostenitori, soprattutto dal 2002. In questa prospettiva, la situazione durante la Repubblica era in preda al disordine e i Cavalieri Jedi non erano in grado di assicurare l’ordine, di cui gli esseri umani hanno assoluto bisogno. Una parte della tensione dei film deriva dall’innegabile fascino di un leader forte, capace di riunire il popolo salvandolo dal caos. È proprio questo che i leader forti dicono di fare, come mostrano gli esempi di Vladimir Putin o della sorprendente candidatura presidenziale di Donald Trump nel 2015-2016. (Potreste obiettare: ricordatevi di Hitler! Ma vi risponderebbero: e George Washington?). Gli Jedi si sono rivelati miseramente incapaci di ristabilire l’ordine, mentre l’Imperatore ci è riuscito. Il risveglio della Forza si gioca tutto sulla tensione tra ordine e caos, e segretamente è favorevole al primo; da questo punto di vista il settimo film sarebbe in linea con le due trilogie precedenti. Ecco il parere di un osservatore:

Non fate confusione: l’imperatore Palpatine è un dittatore, sì, ma uno relativamente benevolo, alla Pinochet. La sua è una dittatura con cui la gente può fare affari. Riscuote le tasse e garantisce la sicurezza dei cieli. Cerca di fermare il crimine organizzato (le rotte del contrabbando gestite dagli Hutt). L’Impero non ha alcuna ricaduta pratica negativa sulla vita quotidiana del cittadino medio che rispetta le leggi3. E una dichiarazione ancora più forte: La speranza per il futuro non è l’Alleanza ribelle: è l’Impero. L’Impero è attrezzato meglio dell’Alleanza per dare pace e prosperità in questa tormentata galassia. […] Combattendo, sovvertendo e alla fine distruggendo l’Impero, i ribelli hanno lasciato ai loro figli una società caotica, primitiva, tecnologicamente arretrata, che è quasi certamente destinata, entro una generazione, a soccombere all’anarchia4. Sì, sarà anche brillante, ma l’idea che Star Wars sia a favore dell’Impero sembra anche a me sostanzialmente pazza (è vero, Il risveglio della Forza crea qualche complicazione, ma sostenere che il Nuovo Ordine rimetta a posto le cose è proprio una forzatura). 6. Guerre stellari e comportamenti Da decenni economisti comportamentali e psicologi cognitivi analizzano i modi in cui le azioni umane si discostano dalla razionalità perfetta. Non è certo una rivelazione che gli uomini non siano computer e che quando decidono il da farsi non quantifichino gli obiettivi né calcolino le probabilità statistiche. Però di solito non siamo neanche esseri totalmente irrazionali. Gli studiosi del comportamento hanno dimostrato che siamo influenzati da bias prevedibili. I maestri Jedi che hanno scoperto questi bias hanno avuto per questo almeno cinque premi Nobel per l’economia: il più celebre è Daniel Kahneman, autore dello splendido Pensieri lenti e veloci: molti venerano questo autore come una sorta di Yoda del mondo reale («niente nella vita è tanto importante quanto pensiamo che lo sia nel momento in cui lo pensiamo»: ecco un saggio delle sue lezioni di vita. Vale la pena di rifletterci su)5. Quelli che seguono sono alcuni esempi di bias prevedibili. Siamo troppo sicuri di noi stessi («La Resistenza non ha alcuna possibilità contro il Primo Ordine; è giunta la sua fine!»). Tendiamo a concentrarci sull’oggi e sul domani, non sul mese prossimo o sull’anno prossimo (bias del presente). Ostentiamo un ottimismo irrealistico6 (è stato dimostrato che il 90 per cento di coloro che guidano sono convinti di guidare meglio della media; per la serie «tutto sta andando come avevo previsto»). Tendiamo all’inerzia, e quindi al rinvio. Quando valutiamo i rischi non usiamo statistiche, ma euristiche semplici, o decidiamo a lume di naso (tipo: ci sono stati ultimamente atti di criminalità nelle vicinanze? l’Impero ha già attaccato un pianeta uguale al mio?). I nostri giudizi sono sistematicamente orientati all’autoprotezione (una cosa è giusta se va bene per me!). Il fastidio che ci procura una perdita è molto maggiore della gratificazione che ci provoca un equivalente guadagno (avversione alle perdite). È per questo che i giocatori di golf preferiscono puntare al par (meno rischioso) che al birdie (un bogey è una perdita, e le persone odiano perdere). E non sorprende che se si vuol convincere qualcuno a risparmiare energia con soluzioni a basso consumo conviene porre l’accento non tanto sui possibili guadagni se adotta quelle soluzioni, quanto sui soldi che ci rimette se non le adotta7. È un dato di fatto che lo sviluppo della scienza comportamentale moderna sia iniziato alla fine degli anni Settanta: lo stesso periodo in cui uscì Una nuova speranza. Una coincidenza e basta? In realtà non lo è affatto. Star Wars è una raccolta di casi sui bias comportamentali. Dart Fener e l’Imperatore Palpatine sono influenzati da ottimismo irrealistico e bias di autoprotezione: non hanno alcun dubbio che tutto andrà come sperano. E nei momenti decisivi quest’eccesso di fiducia in se stessi li induce a commettere gravi errori (lo stesso problema di Snoke). Ma Star Wars sa bene che i bias comportamentali non colpiscono solo chi si schiera con il Lato oscuro. Anche uno dei nostri eroi, Ian Solo, tende all’ottimismo eccessivo: D-3PO:

Signore, la possibilità di navigare con successo in un campo di asteroidi è circa una su tremilasettecentoventi!! Ian:

Non t’ho chiesto pronostici.

Naturalmente per quella volta Ian se la cava. Ma Dart Fener e Palpatine no. I bias ottimistici possono tornare utili in un momento difficile: vi è mai capitato? (Ma nel Risveglio della Forza

l’ottimismo irrealistico tipico di Ian crea un enorme problema, ed è un peccato che lui non se ne renda conto). Sia Luke sia Rey tendono all’inerzia e al suo parente prossimo, il «pregiudizio dello status quo»: la tendenza cioè a preferire che le cose restino uguali, anche quando sarebbe un’ottima idea cambiare. È a causa della propensione all’inerzia e allo status quo che Luke, all’inizio della saga, rifiuta di accompagnare Obi-Wan ad Alderaan. Ed è lo stesso motivo per cui Rey non vuole prendere la spada laser di Luke. La buona notizia è che la Forza scorre potente negli Skywalker, così possono vincere i loro bias comportamentali: in fondo la Forza non serve proprio a questo? Non è proprio questo quello che Star Wars vuole dirci? Star Wars sarebbe un ottimo testo per un intero corso di economia comportamentale. Forse è proprio questa la chiave di lettura più azzeccata della saga (o forse anche questa idea è frutto di un bias). 7. Tecnologia Star Wars si può anche leggere come una fiaba morale sugli effetti disumanizzanti che la tecnologia ha su di noi. O almeno, questo era ciò che pensava Lucas, ossessionato dall’influenza della tecnologia. Una nuova speranza inizia con la scena dei droidi. In un certo senso sono loro i narratori: la loro umanizzazione è uno dei motivi del loro fascino. Nel Risveglio della Forza BB-8 ha lo stesso ruolo svolto da C1-P8 in Una nuova speranza: i due somigliano a dei simpatici animali da compagnia, o a fratellini più piccoli che non si staccano da noi neanche un minuto. (Sarebbe stato interessante dar loro una caratterizzazione inquietante, ma Star Wars non segue mai questa strada: BB-8 che si comporta da mascalzone?! Forse farebbe paura). In ogni caso, la disumanizzazione provocata da macchine, o da parti di macchine, è un tema molto presente in tutta la saga. Nel 1962 Lucas fu vittima di un incidente di moto quasi mortale. Ecco come lo racconta: «Quando andavo al liceo l’unica cosa che mi interessava davvero era diventare un pilota da corsa. Ebbi un bruttissimo incidente […] Fui investito da un’auto che sfrecciava a quasi 150 all’ora […] Rischiai seriamente di morire»8. Furono le macchine ad aiutare a tenerlo in vita. Non so se l’attenzione di Lucas per la simbiosi uomo-macchina si debba a questa personale esperienza, ma non c’è dubbio che Star Wars abbia una grande sensibilità al riguardo. Dart Fener è spaventoso anche perché è un po’ uomo e un po’ macchina. Come accadde è ObiWan a spiegarlo a Luke nel Ritorno dello Jedi: «Quando tuo padre si trascinò fuori da quel lago di fuoco, la trasformazione si era impressa per sempre in lui… era Darth Vader, di Anakin Skywalker non restava traccia. Irrimediabilmente volto al lato oscuro. Sfregiato. Tenuto in vita soltanto da un macchinario e dalla sua tetra volontà…»9. È un dato di fatto, ma anche un simbolo: soccombendo al Lato oscuro Anakin perde gran parte della sua umanità: un monito profetico per coloro che vivono in un’epoca di macchine (a proposito, avete già controllato le mail?). Non sorprende che a riportare pace e giustizia nella galassia sia un giovane contadino venuto da un luogo sperduto. 8. Jedi e jihad È possibile che i Jedi combattessero una sorta di jihad? Che i Ribelli in realtà siano terroristi? Forse il vero tema della trilogia originale è la radicalizzazione di Luke Skywalker10, e si tratta di un case study su come funziona l’estremismo (ricordate le casse di risonanza). All’inizio Luke è un ingenuo ragazzotto di campagna senza convinzioni religiose. È isolato e non ha radici: un ottimo target per estremisti in cerca di reclute. Intraprende così un «oscuro viaggio nel fondamentalismo religioso e nell’estremismo»11. È un giovane disamorato e per molti versi smarrito, in cerca di non sa bene cosa. E s’imbatte per caso in Obi-Wan Kenobi: palesemente un fanatico religioso, che professa idee decisamente radicali sulla Forza. «Appena incontra Luke, ObiWan gli chiede di lasciare la famiglia e unirsi a lui, poi gli dice una bugia sconvolgente – che a uccidere suo padre è stato l’Impero –, sperando in tal modo di spingerlo a votarsi alla jihad»12. Obi-Wan riesce nell’impresa. Porta pian piano Luke a credere nella sua causa estremista, e nel frattempo lo convince anche ad abbracciare le sue radicali idee religiose. Per completare la trasformazione di Luke, «recita una preghiera Jedi mentre si suicida. Quale altro gruppo vi viene in

mente che urla preghiere prima di un attentato suicida?»13 E alla fine anche Luke diventa un vero e proprio terrorista. Va bene, anche questa è un’idea pazza. 9. Il Lato oscuro: «dalla parte del Diavolo» Va detto chiaro e tondo, senza reticenze: Dart Fener ruba la scena a tutti gli altri personaggi. La figura davvero memorabile della saga è lui, e non c’è nessuno che possa minimamente tenergli testa. Una nuova speranza, L’Impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi incantano maggiormente lo spettatore quando Dart Fener compare sullo schermo. Mentre quando non è presente tendono a perdere interesse (lo si nota particolarmente nel Ritorno dello Jedi). All’ultimo Halloween mio figlio Declan, che ha sei anni, si è mascherato da Dart Fener, e come lui tanti altri ragazzini. Quanti, secondo voi, erano mascherati da Luke Skywalker? E ne avete mai visto uno vestito come ObiWan? È vero, Luke è piacevole, è un bravo ragazzo e diventa uno Jedi. Ma non esiste neanche un ragazzino che dopo aver guardato Star Wars dica: «Voglio essere come Luke!» È troppo serio. E poi non conquista nemmeno la ragazza: è sua sorella… Ian Solo è molto più ganzo: è il mio preferito. È una canaglia. Ma è anche all’antica, e questo è un problema. Negli anni Settanta era ancora agli anni Cinquanta. E oggi è fermo agli anni Settanta. Harrison Ford lo impersona splendidamente, ma è comunque ingiusto chiedersi se sia un nerd in un ruolo cool? Dart Fener, invece, non invecchia mai. È tirato a lucido, grande, capace di strangolare qualcuno per i suoi pensieri. E poi se ne frega di tutto. È ovvio che Kylo Ren lo idolatri (e che dopo Il risveglio della Forza siano usciti tanti giocattoli ispirati a Kylo: anche mio figlio ne ha avuto uno per Natale). In un brillante saggio Lydia Millet definisce Dart Fener «la figura più erotica della famiglia Star Wars, l’unica tragica: ed è questa la sua terribile bellezza»14. È aristocratico, «posato, elegante e di buone maniere». Ed è «l’unica domanda che Star Wars ponga al suo pubblico, l’unico vero mistero». Le caratteristiche che lo distinguono sono padronanza, freddezza e autorità. «La carica erotica» di Dart Fener, aggiunge Millet, «nasce dal fatto che ottiene sempre ciò che vuole» (verissimo). Diciamo la verità, con Dart Fener il Lato oscuro è molto sexy. Riguardo a una delle opere più religiose mai scritte in inglese – il Paradiso perduto di Milton –, William Blake ha sentenziato: «La ragione per cui Milton scrisse sugli angeli e su Dio mentre era ai ferri, e libero quando scrisse dei Demoni e dell’Inferno, è che era un vero Poeta e, senza saperlo, dalla parte del Diavolo»15. Blake aveva ragione: Milton adorava l’energia e il carisma di Satana. E poi Milton era un vero poeta e aveva un forte senso della libertà: per questo conobbe e apprezzò il Lato oscuro. Anche Blake era un vero poeta, e fece visita al Lato oscuro. «Piuttosto uccidere un bimbo nella sua culla che nutrire desideri non perseguiti». Oppure: «Abbastanza! O troppo!». E ancora: «Le tigri nell’ira sono più sagge dei cavalli obbedienti al sapere». «Coloro che comprimono il desiderio sono quelli il cui desiderio è abbastanza debole da poter essere incarcerato». E poi (in tema Star Wars): «Senza Contrari non c’è progressione. Attrazione e repulsione, ragione ed Energia, Amore e Odio, sono necessari all’umana esistenza». George Lucas era «dalla parte del Diavolo»? Non esattamente. Alla fin fine anche lui, come Luke, era un bravo ragazzo. Ma le sue tentazioni le ebbe. Quando scrisse Una nuova speranza pensava al suo quasi-omonimo, ma a catturare la sua immaginazione fu Dart Fener: e fu così che il Signore dei Sith prese il controllo della storia. Per alcuni lo stesso Imperatore ha un indubbio richiamo satanico: è un seduttore, è molto bravo, ed è colmo di una sorta di cupidigia, che ai fini della tensione narrativa non guasta. Il miglior film della saga (L’Impero colpisce ancora, naturalmente!) è proprio quello in cui «le forze del bene sono in rotta e il male trionfa»16. E poi, è giusto ripeterlo: «Dart Fener è il fulcro, il punto focale, il centro emotivo della saga di Star Wars»17 Come Blake e Milton, anche Lucas ha conosciuto l’attrazione del Lato oscuro. E ha seguito il richiamo. «Alla gente», ha detto una volta, «i cattivi piacciono perché sono forti e non badano alle regole»18. Ma in quest’attrazione c’è qualcosa di ancor più primordiale. Come quando Palpatine

sussurra ad Anakin, in modo quasi erotico: «Lo so, lo sento. Oh, sì, percepisco l’ira che è in te. Essa ti fa inflessibile. Moltiplica la tua forza». O quando lo stesso Palpatine dice: «Bene. Percepisco la tua ira». O ancora, quando Luke si batte con il padre, come avvolto in un sogno: «E in quel livido momento, il lato oscuro s’insinuò in lui»19. Star Wars vs. Star Trek: una divagazione È meglio Michael Jordan o LeBron James? (Jordan, perché sarebbe disposto a strapparti il cuore). Abraham Lincoln o Franklin Delano Roosevelt? (FDR, perché salvò il paese due volte, e perché era allegro anziché malinconico, il che lo rende tipicamente americano). Meryl Streep o Julianne Moore? (Difficile dirlo, sono quasi alla pari, ma alla fine Moore, perché dimentichi sempre che recita). I Beatles o i Rolling Stones? (Gli Stones, perché conoscono il Lato oscuro). Immanuel Kant o John Stuart Mill? (Sicuramente, sempre, il garbato e lucido Mill). Taylor Swift o Adele? (Swift, di gran lunga, perché è maliziosa e spassosa, e perciò non diventa mai sdolcinata). Ronald Reagan o Barack Obama? (Obama, ma sapevate già che avrei risposto così). Star Wars o Star Trek? A favore del capolavoro di Gene Roddenberry c’è tanto da dire. Prendiamo uno dei primi episodi, The Enemy Within (in italiano Il duplicato), che offre la sua versione del conflitto tra la Luce e il Lato oscuro. A causa di un malfunzionamento del teletrasporto il capitano James Tiberius Kirk viene trasformato in due persone: una buona e l’altra malvagia. Il Kirk cattivo è aggressivo, persino violento; è furioso, crudele ed egoista. Vuole avere tutto ciò che desidera quando lo dice lui. È fuori controllo. Viene da pensare che il Kirk vero sia quello buono, non quello cattivo. Ed è proprio questa la reazione che le scene iniziali vogliono incoraggiare. Ma non è così. Come dice il Kirk buono, la sua controparte «È come un animale. Un animale brutale e istintivo. Eppure sono io. Io!» In realtà i due Kirk sono entrambi parte integrante dell’essenza di Kirk, della sua «kirkità»: senza il suo lato palesemente malvagio il capitano è titubante, paralizzato, passivo, debole, sbiadito… una specie di fantasma. Lo spiega McCoy al Kirk buono: «Abbiamo tutti il nostro lato oscuro. Ne abbiamo bisogno! È metà di quel che siamo. Non è veramente brutto. È umano». È vero, e per certi versi è più sottile, e migliore, di tutto ciò che Star Wars ha da dire sul tema. Buono a tale riguardo anche un passaggio di Frame of Mind (in italiano Schegge di realtà), un episodio di Star Trek: The Next Generation: «A volte fa bene esplorare i lati oscuri della psiche. “Sii padrone della tua ombra”, diceva Jung… Non aver paura dei tuoi lati oscuri. Usali per divertirti». La prima serie si fa amare di più, ma se devo scegliere l’episodio migliore in assoluto di Star Trek il mio voto va a The Inner Light (Una vita per ricordare), di The Next Generation. Il capitano Jean-Luc Picard viene trasportato sul pianeta Kataan, dove la moglie lo convince che i suoi ricordi di quando comandava un’astronave sono una sorta d’allucinazione dovuta a una malattia. Il suo vero nome è Kamin, ha una moglie che adora, un figlio e una figlia (alla quale dice: «Vivi ora. Vivi ogni momento come se fosse il più prezioso. Quel momento non tornerà mai più»). Su Kataan vive la sua vita, invecchia, e ha un pronipote. La sua vita è piena, calma e buona. Ma alla fine impara che tutto il suo mondo è condannato e sarà presto distrutto dalle crescenti radiazioni solari. Consapevoli di questa tragica realtà, i capi di Kataan mettono in una sonda alcuni cimeli della loro cultura e la lanciano nello spazio. Sperano disperatamente che la sonda finisca per trovare qualcuno che venga così a sapere della loro specie, per evitare che ne scompaia totalmente il ricordo. Nei suoi ultimi momenti come Kamin, dopo aver vissuto la sua vita per quelli che sembravano essere decenni, Picard capisce. È disperato e sbalordito: «Oh, sono io, è così? Sono quello… Quello che trova la sonda». Ciò che rende particolarmente bello quest’episodio è la capacità di cogliere quanto le nostre epoche, le nostre culture e le nostre vite individuali siano preziose e al tempo stesso effimere (a Kataan erano gli anni Sessanta? Oppure gli anni Novanta? O magari il decennio attuale?). In un breve arco di tempo Picard/Kamin riesce a vedere se stesso come un giovane, un marito, un genitore, un nonno, un vecchio e un uomo prossimo alla morte. In un certo senso, ha di fronte a sé tutti i suoi io. E tutto è reso ancora più toccante dal fatto che stiamo parlando di una civiltà ormai totalmente scomparsa. Una vita per ricordare non è affatto marpione, ma arriva direttamente al cuore. Lo fa anche Star Wars, vedremo come, ma mai in modo comparabile a Una vita per ricordare.

In termini visivi Star Wars è infinitamente migliore. È di gran lunga più entusiasmante; dà un senso di profondo stupore che Star Trek visivamente non ottiene mai. Star Wars ha un continuo senso di mistero. A differenza di Star Trek ti induce a collegare i puntini. È più cool, e più impressionante. Star Trek è molto più letterario, e infatti molti dei suoi episodi migliori sono stati scritti da romanzieri. Ti fa riflettere, molto più di Star Wars, su questioni di lungo periodo. Star Wars è un po’ come una serie di dipinti; Star Trek si avvicina più a una serie di novelle. Quando sono al massimo, sono entrambi splendidi. Qual è migliore? I filosofi parlano d’incommensurabilità per indicare, sostanzialmente, il fatto che dal punto di vista qualitativo noi valutiamo le cose con unità di misura differenti, e ciò c’impedisce di metterle davvero in classifica. Sicuramente mille dollari sono meglio di cinquecento, ma cosa è meglio: una bella montagna, una grande prestazione atletica, una cena in un magnifico ristorante con chi ci vuol bene davvero, una canzone emozionante o una certa somma di denaro? In realtà ognuna di queste cose viene valutata su una scala diversa dalle altre. Se proprio ci tieni puoi anche provare a metterle tutte in fila, ma devi tenere a mente che tra esse ci sono differenze qualitative. Star Wars e Star Trek sono buoni in modi diversi, e in tutta onestà, non si può dire davvero quale dei due sia in cima alla classifica. Ma Star Wars è meglio. «Dalla tua concentrazione viene la tua realtà» L’interpretazione di un testo o di un fatto si accompagna spesso a uno sforzo per mostrare che tutto si tiene: insomma, cerchiamo bene e sicuramente troveremo. Per interpretare si cercano i copioni, e si fa di tutto per mettere insieme dettagli rivelatori, non importa se apparentemente irrilevanti. Un’inflessione della voce, un sorriso con una sfumatura strana, una risata fuori luogo, una virgola messa lì, la scelta dell’articolo «il» anziché «un», un plurale invece di un singolare: tutti particolari che sembrano svelare un piano – e finalmente non stiamo più brancolando nel buio. Ecco qualche esempio. Perché il capo del Dipartimento di Giustizia, il Procuratore Generale degli Stati Uniti, era all’estero proprio nel giorno in cui ad Atlanta ci fu un omicidio a sfondo razziale? Per quale motivo Obi-Wan Kenobi, un attimo prima di essere colpito da Darth Vader, sorride? Voleva morire? (forse!). O era passato al Lato oscuro? (ma fatemi il piacere…). In Una nuova speranza C-3PO e R2-D2, che trasportano i progetti della Morte Nera, vengono catapultati dalla nave spaziale di Leila su una capsula di emergenza, che stranamente atterra proprio nello stesso luogo dove hanno vissuto, in momenti diversi della saga, Luke, Anakin, C3PO e R2-D2. Possibile che sia solo una coincidenza? Quante possibilità c’erano che accadesse? I teorici del complotto sono maestri in quest’arte. Adorano fare questo tipo di domande. Sono convinti che la cosa importante sia trovare documenti, pieni di indizi nascosti («Tutto sta andando come avevo previsto». «La verità è là fuori». Fine della partita per Bush, per Obama, per Putin, per il papa). Trascurano persino più di quanto non facciamo noi che in larga misura ciò che accade dipende da fatti accidentali o arbitrari. Che siano o no pazzi, non sono né ottusi né ignoranti. Anzi, sono quasi sempre dei veri specialisti: sanno montagne di cose, setacciano una mole enorme di documenti, individuano schemi e connessioni («aha!») e alla fine proclamano che i loro sospetti erano fondati. Non vi conviene mettervi a discutere con loro, perché ne sanno molto più di voi. Date un’occhiata a qualsiasi scritto significativo sull’assassinio di John F. Kennedy, o sugli attentati dell’11 settembre, o su ciò che accadrà nei prossimi episodi di Star Wars, e capirete subito cosa voglio dire. Nei casi migliori, questi scritti dimostrano soprattutto grande padronanza di un’arte esclusivamente umana: quella di collegare dei puntini apparentemente casuali in modo da formare una figura. 10. Ian è un padawaan Anche i patiti di Star Wars brillano quando si tratta di collegare i puntini e vedere cosa viene fuori. Un esempio: Ian Solo sarebbe in grado di usare la Forza, ma non lo sa. Come avrebbe fatto, del resto, a sfuggire a tutti quei cacciatori di taglie? E senza la Forza, come avrebbe potuto schivare il

colpo sparatogli a bruciapelo da Greedo? (Lasciamo tra parentesi la questione, tutt’altro che irrilevante, se a sparare per primo sia stato Greedo, oppure Ian). E quando Ian si vanta di aver «girato questa galassia in lungo e in largo» e poi aggiunge «nessun campo di energia mistica controlla il mio destino», per quale motivo Obi-Wan sorride in quel modo, come se la sapesse lunga? Non sarà che Obi-Wan ci sta rivelando un piccolo segreto, e cioè che anche Ian Solo è a sua volta una specie di padawaan? Forse questo dettaglio getta nuova luce su ciò che accade tra lui e Kylo nel Risveglio della Forza. Forse ciò che vi abbiamo visto non è esattamente ciò che crediamo di avervi visto. 11. Un altro fratello! Nel 2015 qualcuno ha iniziato a fare congetture sulla possibilità che Luke e Leila abbiano un fratello. Il presunto indizio sta nell’opening crawl del Risveglio della Forza, in cui leggiamo che Leila ha «un bisogno disperato di trovare suo fratello Luke e ottenere il suo aiuto nel ristabilire pace e giustizia nella galassia». L’indizio consisterebbe nel fatto che il nome di Luke non è preceduto e seguito da una virgola. Di qui la teoria: «Il suo nome è un’informazione non necessaria, visto che Leila ha un solo fratello: perciò andrebbe accompagnato da virgole»20. Insomma, senza quelle due virgole prima e dopo il nome, la precisazione che il fratello di Leila si chiama Luke sembrerebbe insinuare che Leila abbia anche un altro fratello: come se dicesse «suo fratello Snoke» proprio per distinguerlo da «suo fratello Boba». (Chissà…). 12. Star Wars buddhista Date un’occhiata a Yoda nell’Impero colpisce ancora: seduto, avvolto nel suo mantello… somiglia proprio a Buddha! I Jedi sono buddhisti? Sicuramente sottolineano l’importanza di mantenere il distacco, trascendendo la paura e l’odio per approdare a una sorta di serenità. Proviamo a confrontare la celebre battuta di Yoda, «La paura conduce all’ira, l’ira all’odio, l’odio conduce alla sofferenza», con l’idea di Buddha: «C’è la sofferenza/C’è una causa della sofferenza/Ci può essere fine alla sofferenza/Le otto vie portano alla fine della sofferenza». Non ci vuol molto a riconoscere quelle otto vie nel modello dell’istruzione che Yoda dà a Luke (a partire da una visione di cosa sia la realtà e quale sia la via della trasformazione). I Jedi ricordano molto un ordine buddhista, e la relazione tra maestro e padawaan sembra ricalcata sul rapporto insegnante-allievo tipico del buddhismo. Si pone l’accento sulla consapevolezza, sul porre attenzione, sull’idea di vivere nel presente, non nel passato o nel futuro. Una nuova speranza, e gli insegnamenti di Obi-Wan, si possono leggere proprio in questa logica di attenzione al presente. Al momento decisivo, quando Luke usa la Forza per distruggere la Morte Nera, la chiave sta proprio nel vivere nel presente. Del resto, non c’è bisogno di avventurarsi in congetture. Nella Minaccia fantasma Qui-Gon raccomanda costantemente ad Anakin di «porre attenzione». Per esempio: Obi-Wan:

Ma il Maestro Yoda ha detto di porre attenzione al futuro.

Qui-Gon Jinn:

Ma non a scapito del presente.

E Qui-Gon aggiunge: «Ricordati, concentrati sul momento. Percepisci, non pensare. Usa il tuo istinto». Qui Star Wars pare non aver nulla a che fare con il cristianesimo: semmai è buddhista. Non stupisce che un membro ordinato della comunità buddhista di Thích Nhất Hạnh, Matthew Bortolin, abbia scritto addirittura un volume sull’argomento, intitolandolo The Dharma of Star Wars21. 13. Darth Jar Jar Ecco un’operazione di collegamento dei puntini particolarmente ardita ma curiosamente credibile, che alla fine del 2015 è diventata addirittura virale: Jar Jar Binks sarebbe in realtà un Signore dei Sith, Darth Jar Jar («Cerca dentro di te. Tu sai che è vero»…). Secondo un utente del sito reddit.com che si firma Lumpawaroo, Jar Jar Binks «non era – come tutti pensano – un inconsapevole strumento politico nelle mani di Palpatine: anzi, probabilmente lui e Palpatine collaboravano sin dall’inizio, ed è possibile che Palpatine fosse un servo di Binks nelle due trilogie». Secondo questa lettura, originariamente Lucas aveva pensato di dare a Jar Jar Binks, in tutti e tre i prequel, un ruolo di primo piano simile a quello di Yoda. Jar Jar si comporta come uno sciocco, un

buffone o un idiota, ma la saprebbe lunga: sarebbe stato lui a tirare le file dietro le quinte, manovrando come voleva il maestro Jedi. E Lucas avrebbe cambiato idea solo perché molti detestavano Jar Jar, non lo potevano soffrire e vedevano nell’invenzione di quel personaggio una forma di razzismo. È vero, tutto questo suona campato in aria. Ma Lumpawaroo aveva elaborato la sua teoria in modo talmente accurato, diligente e convinto che alla fine risultava plausibile. Di qui la nascita di un sito web su questo tema, darthjarjar.com. Giusto o no, resta il fatto che Lucas dovette intervenire pubblicamente, per sconfessare questa interpretazione prima che prendesse seriamente piede. Chissà se oggi continuerebbe a negarla? Il mondo è alla deriva Alan Moore, il grande autore di graphic novel, si è dedicato per anni allo studio delle teorie complottiste. Ecco la sua conclusione: La principale cosa che ho imparato riguardo alle teorie del complotto è che chi le formula crede nel complotto perché è più confortante. La verità è che il mondo è in preda al caos: non è in mano agli Illuminati, ai Banchieri ebrei o agli Alieni grigi. La verità è molto, molto peggiore: il controllo non ce l’ha nessuno. Il mondo è alla deriva22. Sarà forse vero che Lee Oswald era stato a Mosca, o che l’11 settembre un sacco di ebrei di New York non andarono al lavoro… Sì, potremmo cominciare a mettere insieme tasselli o collegare puntini. Ma non è il caso: dettagli che sembrano rivelatori spesso non rivelano un bel niente. Gli psicoanalisti aiutano un sacco di gente, ma anche essi trascurano la casualità e la serendipità. Pretendono di trovare schemi nei sogni, nei pensieri e nei comportamenti, anche quando sono loro a creare quegli schemi. Pensano di riuscire a far combaciare i pezzi, e i migliori di loro in questo danno prova di straordinaria abilità. Rientrano a loro modo tra i teorici del complotto. A loro favore, diciamo che avendo studiato Freud sanno molto bene che a volte un sigaro è solo un sigaro. Ma se ho sognato (o dico di aver sognato) di essere un Cavaliere Jedi, e magari la settimana prima avevo avuto un terribile diverbio con mio padre, non è il caso di partire lancia in resta e dichiarare che quel particolare sogno rivela un qualche fatto psicologico importante. Certo, fare congetture è lecito. Potete anche provare a dimostrare che voglio sentirmi più potente di mio padre, o che cerco di evitarlo, o che vorrei tanto essere un Cavaliere Jedi e ucciderlo. Ma magari non è affatto vero. Anche i critici letterari ricordano molto i teorici del complotto. Shakespeare in diversi passaggi importanti del Lear ha usato la parola «natura», e subito dopo la parola «potenza»: ma non per questo possiamo dire che Re Lear sia una favola moraleggiante sull’indomita potenza della natura e la debolezza umana. Se analizziamo in dettaglio i testi di Shakespeare riusciremo anche a trovarvi dei messaggi in codice dietro i quali si celano idee politiche sovversive: sull’argomento è stato scritto un intero libro. Anzi, forse a scrivere i drammi di Shakespeare non fu nemmeno Shakespeare: potrebbero essere stati Bacone, Edward de Vere o Christopher Marlowe. Se cerchiamo bene nei testi ne troveremo anche le prove: esistono molti libri che procedono su questa linea. Il mio preferito è Bacon Is Shakespeare di Edwin Durming-Lawrence. Quasi ogni capitolo finisce con tre parole in carattere maiuscolo BACONE È SHAKESPEARE. In questa prospettiva vale la pena di ricordare anche Codice Genesi. Leggendolo scopriremo che la Bibbia è piena di messaggi nascosti che magari si possono trovare (ipotesi) estrapolando dal testo della Genesi una lettera ogni cinquanta23. Se ci proviamo rimarremo sorpresi: scopriremo i nomi di rabbini celebri, con tanto di data di nascita e di morte, e magari qualche importante profezia su eventi futuri. Forse la Bibbia ha previsto l’Olocausto, l’ascesa del comunismo, gli attentati dell’11 settembre o Il risveglio della Forza. Un sacco di gente è stata abbindolata, nel 1997, da chi sosteneva che la Bibbia conterrebbe davvero un codice di questo tipo. Ma era solo una bufala. La spiegazione di tutto ciò va cercata nel campo della percezione visiva. Il nostro cervello è predisposto per riconoscere schemi anche quando non esistono nella realtà (questo fenomeno è chiamato «apofenia» o patternicity)24. Ecco un esempio: che cosa riconoscete in questa foto della superficie di Marte?

È un volto? O uno stormtrooper? Macché! È solo un sasso.

………………………………. 1. George Lucas, Una nuova speranza, in Trilogia classica, cit., p. 22. 2. Lettera di Thomas Jefferson a James Madison, 30 gennaio 1787, http://founders.archives.gov/documents/Jefferson/01-11-02-0095. 3. Jonathan V. Last, «The Case for the Empire», Weekly Standard, 15 maggio 2002, http://www.weeklystandard.com/article/2540. 4. Joe Queenan, «Anakin, Get Your Gun», in Kenny (a cura di), A Galaxy Not So Far Away, cit., p. 115. 5. Galen Strawson, «Thinking, Fast and Slow by Daniel Kahneman – Review», Guardian, 13 dicembre 2011, http://www.theguardian.com/books/2011/dec/13/thinking-fast-slow-daniel-kahneman. Il cit. volume di Daniel Kahneman è Thinking, Fast and Slow, Farrar, Straus and Giroux, New York 2011, trad it., Pensieri lenti e veloci, Mondadori, Milano 2012. 6. Il miglior testo su questo tema è Tali Sharot, The Optimistic Bias, Pantheon Books, New York 2011. 7. Sull’avversione per le perdite cfr. Eyal Zamir, Law, Psychology, and Morality: The Role of Loss Aversion, Oxford University Press, Oxford e New York 2014. 8. Tina Burgess, «George Lucas’ Near-Death Experience: One Moment in Heaven, a Lifetime on Earth», Examiner, 7 novembre 2012. 9. James Kahn, Il ritorno dello Jedi, in Trilogia classica, cit., p. 296. 10. Comfortably Smug, «The Radicalization of Luke Skywalker: A Jedi’s Path to Jihad», Decider, 11 diccembre 2015, http://decider.com/2015/12/11/the-radicalization-of-luke-skywalker-a-jedis-path-to-jihad/. 11. Ibid. 12. Ibid. 13. Ibid. 14. Lydia Millet, «Becoming Darth Vader», in Kenny (a cura di), A Galaxy Not So Far Away, cit., pp. 133-134, 136. 15. William Blake, The Marriage of Heaven and Hell (1790 circa), trad. it., Il matrimonio del paradiso e dell’inferno, Asterios, Trieste 2013, da cui sono tratte le citazioni che seguono (La voce del diavolo e Proverbi dell’inferno, ibid., pp. 19, 26, 28, 14, 16). 16. Tom Bissell, «Pale Starship, Pale Rider: The Ambiguous Appeal of Boba Fett», in Kenny (a cura di), A Galaxy Not So Far Away, cit., p. 15. 17. Joe Queenan, Anakin, Get Your Gun, ibid., p. 114. 18. Gavin Edwards, «George Lucas and the Cult of Darth Vader», Rolling http://www.rollingstone.com/movies/news/george-lucas-and-the-cult-of-darth-vader-20050602.

Stone,

2

giugno

2005,

19. Kahn, Il ritorno dello Jedi, in Trilogia classica, cit., p. 347. 20. Kevin O’Keeffe, «There’s Either an Error in the New “Star Wars” Crawl or a Big Surprise for Luke and Leia», Mic, 24 dicembre 2015, http://mic.com/articles/131224/there-s-either-an-error-in-the-new-star-wars-crawl-or-a-big-surprise-for-luke-andleia#.AzDuakWXE. 21. Matthew Bartolin, The Dharma of Star Wars, Wisdom, Boston 2005. 22. Lance Parkin, Magic Words: The Extraordinary Life of Alan Moore, Aurum Press, London 2013, p. 324. 23. Michael Drosnin, The Bible Code, Simon and Schuster, New York 1997, trad. it., Codice Genesi, Rizzoli, Milano 1997. 24. Michael Shermer, «Patternicity: Finding Meaningless Patterns in Meaningless Noise», Scientific American, 1 dicembre 2008, http://www.scientificamerican.com/article/patternicity-finding-meaningful-patterns/.

EPISODIO V

Padri e figli Potete essere redenti, soprattutto se vostro figlio vi ama davvero «Su, venite e discutiamo – dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana». Isaia 1-18 Voleva che mi mettessi a fare un lavoro così. «Non ci penso nemmeno», risposi. Aveva un negozio che vendeva macchine per ufficio. Glielo dissi di nuovo: «Non ho la minima intenzione di fare un lavoro in cui ogni giorno dovrò fare la stessa cosa»1. George Lucas

Mio figlio Declan, ammiratore di Dart Fener, e destinatario della mia dedica, ha sei anni. Tre anni fa, con la nascita di sua sorella Rian, ebbi la netta sensazione che Declan – che è molto legato a sua madre – si sentisse minacciato, o che gli venisse tolto qualcosa d’importante. Poche settimane dopo mi ritrovai a cantare a Declan una canzoncina che veniva dal profondo del mio inconscio e riusciva a essere stupida e offensiva al tempo stesso. Era un solo verso, ripetuto all’infinito, con un misto di spensieratezza e di assoluta certezza: «Per i bambini ci sono i papà, e per le bambine le mamme». Declan mi fece subito capire che la filastrocca non gli piaceva o non la riteneva vera. Ripeté la stessa cantilena, cambiando le parole: «Per le bambine ci sono i papà, e per i bambini le mamme». Al che ribadii: «Declan, mi sa che sei stanco. Sembri confuso, canti con le parole sbagliate. Hai dormito bene, stanotte?» E lui replicò prontamente: «Papà, mi sa che lavori troppo. Sembri confuso, canti con le parole sbagliate. Hai dormito bene, stanotte?» Ogni volta che andavo fuori per lavoro, appena tornavo a casa lo prendevo subito in braccio: «Declan, non ci crederai, è stato incredibile! Stavo nella mia stanza d’albergo in California, guardavo il telegiornale, e ho visto una pubblicità in cui si vedeva un sacco di gente che cantava: “Per i bambini ci sono i papà, e per le bambine le mamme”. Hai visto, è proprio vero!» E lui mi rispondeva: «Papà, mentre non c’eri guardavo in tv una partita di baseball, e ho visto una pubblicità in cui tutti si mettevano a cantare: “Per le bambine ci sono i papà, e per i bambini le mamme”. Sembri proprio confuso. Sei stanco?» Ancor oggi Declan finge di non amare quella canzoncina, ma in realtà ha sempre saputo che senso avesse. Originariamente era: «Hai una sorellina, tua madre ha molto da fare con lei, ma per te c’è tuo padre». Oggi il significato è molto più semplice: «Per te ci sono io». Ho dei validi motivi per credere che Declan la veda così. Ogni volta che mia moglie e io ceniamo fuori e rientriamo tardi, lo troviamo che dorme nel nostro letto. E appena lo prendo in braccio per riportarlo nella sua cameretta mi metto a fischiettare una cantilena. Dorme profondamente, ma ogni volta sorride. Rian ha tre anni, e ha sentito tante volte quella filastrocca, in tutt’e due le versioni. A volte si diverte a cantare: «Per le bambine ci sono i papà, e per i bambini le mamme». Qualche volta canta, con lo stesso gusto: «Per i bambini ci sono i papà, e per le bambine le mamme». Le due versioni sono entrambe vere: non si contraddicono, ma si completano. Rian è una ragazzina sveglia e sa perfettamente di cosa si parla. Rimpianti Provate a chiedere a un qualsiasi adulto: «Qual è il tuo rimpianto più grande?»

Ci sono buone probabilità che vi sentiate rispondere: «Non sono stato abbastanza buono con i miei genitori». E ciò è ancora più probabile se il vostro interlocutore ha perso i genitori, o se con loro si è perso di vista, o semplicemente ha rapporti difficili: in tutti questi casi, dire quella frase fa particolarmente male. E anche chi è stato un ottimo figlio, o un’ottima figlia, pensa quasi sempre di non esserlo stato abbastanza e si sente assalire dal rimpianto. E mentre parla ha le lacrime agli occhi (come le ho io mentre scrivo queste righe). In tutti questi casi, pensiamo a cosa significherebbe se un genitore defunto tornasse dall’aldilà e ci dicesse: «Sei stato il miglior figlio che potessi desiderare, e non devi avere rimpianti, neanche per un attimo. Ti voglio bene». O, se questo è irrealistico, che ci dica semplicemente: «Certo che ci scontravamo. Succede a tutti! Nessuno è perfetto, e tanto meno io. Abbiamo tutti e due fatto errori. Benvenuto fra la razza umana. Sei sempre il mio bambino, ti tengo nel cuore, e so che lo stesso fai tu. Ti voglio bene». Se si chiede a qualcuno qual è il suo rimpianto più grande, ci sono buone probabilità di sentirsi rispondere anche un’altra cosa, specialmente se quel qualcuno è già avanti negli anni: «Non sono stato abbastanza bravo come genitore». Chi ha figli adulti non si chiede mai «perché non ho lavorato di più» o cose simili. Ma sicuramente pensa: «Se potessi ricominciare da capo sarei un genitore migliore». E se si è allontanato dal figlio, o semplicemente ha con lui rapporti difficili, quell’idea gli fa particolarmente male. E anche se è stato un ottimo genitore, dentro di sé sarà convinto che avrebbe potuto fare molto di più. In questi casi, pensiamo a cosa significherebbe per quel genitore se il figlio facesse un salto a casa sua, a costo di prendere un aereo, e gli dicesse: «Ciao! Lo so che mi volevi bene, me lo facevi sentire ogni giorno, e anche ora lo sento. Non avere rimpianti, neanche per un attimo. Naturalmente non eri perfetto, ma per me sei stato il miglior genitore del mondo». O se questo è esagerato, basterebbe anche solo: «Non sei stato il miglior genitore che esista, e nemmeno io sono stato il miglior figlio, ma non è mai troppo tardi. Ti voglio bene. Che ne dici se mangiamo qualcosa insieme?» È uno dei temi più profondi di Star Wars: i padri, i figli, e la redenzione. A suo modo, Star Wars continua a ripetere che «per i bambini ci sono i papà». Ma sottolinea che l’amore paterno è davvero indispensabile, e aiuta a capire quanta strada debba fare un figlio, o una figlia, per conquistarlo. «Un terribile scontro» Sicuramente ogni ragazzino o ragazzina, almeno in qualche occasione, ha visto suo padre come una sorta di Dart Fener: grande, alto, spaventoso, la voce potente e profonda, incommensurabilmente forte, e virtualmente violento. Per ogni figlio o figlia, suo padre è Jedi e Sith: è Obi-Wan Kenobi, gentile, buono, rassicurante, ma è anche Dart Fener, possente e spaventoso. Naturalmente, ogni padre rappresenta una miscela unica di tutte queste cose. Ma quasi ogni padre, almeno agli occhi di suo figlio, sembra in grado di passare al Lato oscuro con estrema facilità; e dato il suo immenso potere appare capace di qualsiasi cosa. Nella prima trilogia Lucas è riuscito veramente a cogliere la sostanza primordiale del rapporto padre-figlio; e anche se il suo racconto parla a ciascuno di noi, ci ha offerto qualche indizio sulle proprie motivazioni. Lucas aveva con George senior un rapporto problematico, doloroso e carico di delusioni, imposizioni e divieti. Il padre era «un tirannico uomo d’affari, della destra estrema», e «chi conosce bene Lucas ha sempre detto che il tormentato rapporto tra Darth e Luke rispecchia, per molti versi, quello tra George e suo padre»2. Per quel che ne sappiamo, Lucas padre non cercava di convincere il figlio a passare al Lato oscuro o a governare l’universo insieme, ma insisteva affinché lasciasse perdere i sogni ed entrasse in affari, come lui. «Mio padre voleva che lavorassi nel settore della cancelleria; per lui avrei dovuto mandare avanti un negozio di macchine per ufficio. […] Quando gli dissi di no ne rimase davvero sconvolto»3. Tutte le testimonianze confermano che su questo punto i rapporti erano pessimi, e i due finirono addirittura per allontanarsi (pensiamoci un attimo, un allontanamento tra genitori e figli, anche se temporaneo, è terribilmente doloroso… ci sono passato).

Ecco il racconto di Lucas, oggettivo ma spavaldo: «Quando compii diciott’anni avemmo un terribile scontro: lui voleva che mi dedicassi al commercio, e io dissi di no»4. Ed ecco cosa dice suo padre: «Mi battevo perché lasciasse perdere quel maledetto mondo del cinema»5. Dopo tanti anni, nelle parole di George senior si sente ancora la stessa foga di allora: «… quel maledetto mondo del cinema». Non c’erano spade laser, e nessuno ci rimise una mano. Ma ogni figlio anela all’approvazione di suo padre; e Lucas dovette proprio sudarsela. Lo dice in modo toccante: «Una sola cosa devi fare nella vita: rendere i tuoi fieri di te»6. E ogni figlio anela a capire chi i suoi genitori siano davvero. Ci riusciremo mai? Non ne sono così sicuro… Una volta Lucas disse di sé e di Spielberg: «Quasi tutti i nostri film parlano di padri e figli. Guardando uno qualsiasi dei nostri film è impossibile non rendersene conto: non importa se il film parla di Darth Vader o di E. T.»7 – un’affermazione importante, per uno che ha fatto tanti film, i più celebri dei quali sembrano parlare di pianeti e droidi. Poi, con tono più intimo e sommesso, Lucas aggiunse: «I tuoi ce la mettono tutta per fare la cosa giusta. Non ce l’hanno con te. Non ci tengono affatto a essere come Darth Vader»8. Alla fine Lucas riuscì a riconciliarsi con il padre, anche se ci vollero anni. In queste sue parole c’è tanto dolore, e tanto sforzo di comprensione: «ai suoi occhi ero solo un late bloomer, un ragazzino immaturo che non combinava niente di buono, ma lui viveva per vedermi arrivare al successo. E io gli ho dato l’unica cosa che vuole qualsiasi genitore: che il figlio se la passi bene, che se la sappia cavare. Era tutto ciò che voleva. E l’ha avuto»9. Non è un caso che dopo Il ritorno dello Jedi Lucas abbia mollato Star Wars e il cinema. Lo fece per un’unica ragione: ci teneva a essere un buon padre. Rimase senza lavorare per vent’anni, e si dedicò ai figli10. Nel 2015 gli chiesero cosa avrebbe voluto leggere sul suo necrologio, e lui rispose senza esitazione: «È stato un grande papà»11. Il dono di Luke Le prime due trilogie potrebbero anche intitolarsi «La redenzione di Anakin Skywalker». La redenzione è il risultato di un forte attaccamento, che di solito chiamiamo amore. È per amore che Anakin soccombe al Lato oscuro: non sopporta di perdere chi ama. È il cuore a inguaiarlo. L’attaccamento è anche il motivo per cui Anakin sceglie di tornare alla Luce: non sopporta di veder morire suo figlio. In ultima analisi Star Wars mostra che senza amore non c’è redenzione12. È il messaggio più forte della saga, ed è anche il vero motivo per cui dei film zeppi di droidi e spade laser riescono a parlare all’io più profondo dello spettatore. La redenzione è legata a doppio filo al perdono. Puoi essere redento se vieni perdonato – e soprattutto se ti perdoni. Luke perdona suo padre. (È una lezione per tutti i figli: se Luke riesce a perdonare il peggior cattivo di tutta la galassia – perché suo padre questo è, né più e né meno –, sicuramente ogni genitore può essere perdonato; ed è anche una lezione per chi tiene il broncio: lascia perdere…). Alla fine – o un attimo prima – Luke è disposto a elargire a Dart Fener il dono supremo del perdono: e così lo redime. Come spiega Lucas, Dart Fener «redime se stesso solo grazie all’amore, alla compassione dei suoi figli, che continuano a credere in lui anche se è un mostro»13. In questo senso Star Wars – pur non essendo confinato a una determinata religione – può essere considerato un racconto autenticamente cristiano. Nel Risveglio della Forza Han Solo ha verso suo figlio Kylo lo stesso atteggiamento di Luke verso il padre (che per inciso è anche nonno di Kylo). È vero, in questo caso non finisce bene. Ma aspettiamo: la mia previsione è che nella terza trilogia si preparino altre redenzioni, e per più di un personaggio (state a vedere…). «Ma morirai» In Una nuova speranza Anakin è il personaggio satanico, l’incarnazione del male. Si salva solo perché suo figlio insiste nel vedere il bene in lui e sceglie di amarlo, e perché alla fine anch’egli

sceglie di ricambiare quell’amore. Come dice Martin Luther King, «Nel peggiore degli esseri umani esiste una parte di bene, e nel migliore una parte di male. Quando lo scopriamo, siamo meno propensi a odiare i nostri nemici»14. Spesso è dal riconoscimento di questa verità che nasce la riconciliazione personale. E lo stesso accade in politica: è così che all’odio segue il riavvicinamento, è così che, come ben vide Nelson Mandela, oppressore e oppresso si riconciliano nella comune cittadinanza. La scena della redenzione è preceduta da uno scontro all’ultimo sangue tra padre e figlio (ogni figlio maschio la desidera, e al tempo stesso ne è terrorizzato, odia quest’idea). Verrebbe da pensare che vinca Dart Fener, come nell’Impero colpisce ancora: è molto più grande di Luke, e sembra anche molto più forte. Ma grazie all’istruzione avuta di Yoda, Luke ha la meglio. Fener indietreggia, e sulle scale mette il piede in fallo. Luke è in posizione di vantaggio, può tentare l’affondo. Ma proprio quando intravede la vittoria rifiuta di proseguire. «Non ti combatterò, padre», gli dice con voce da adolescente. Ma Fener, baritonale e minaccioso, continua a provocarlo: «Sei incauto ad abbassare la difesa». E intuisce che per minacciare Luke può usare la sorella, Leila: «Obi-Wan è stato saggio a nasconderla. Ora il suo fallimento è completo. Se tu non passerai al Lato oscuro, forse lei lo farà». È a questo punto che Luke cede all’ira, al Lato oscuro, e con la spada laser mozza al padre la mano, all’altezza del polso: è una sorta di evirazione. Ora Fener è alla mercé del figlio. L’Imperatore incita Luke, ma lui resiste, rifiuta ciò che sta per diventare. Desiste dal parricidio: «Avete fallito, altezza. Sono uno Jedi, come mio padre prima di me». Perciò l’Imperatore cerca di ucciderlo colpendolo con le sue saette. Luke, come Gesù, implora: «Padre, ti prego!» E in extremis Fener ascolta la preghiera del figlio, solleva da terra l’Imperatore e lo scaglia nell’abisso, salvando il figlio. Ma Fener sta morendo. Ecco la scena della redenzione: Dart Fener: Luke:

Luke, aiutami. Toglimi la maschera.

Ma morirai.

Dart Fener:

Niente può impedirlo, ormai. Per una sola volta… Lascia che ti guardi con i miei veri occhi. [Luke toglie la maschera a Dart Fener, un pezzo alla volta. E sotto la maschera Luke vede il volto di un vecchio pallido, impaurito, calvo: è suo padre, Anakin. Anakin ha lo sguardo triste, poi sorride debolmente a Luke]. Anakin: Ora va, figlio mio. Lasciami. Luke:

No… Ti porto con me. Non ti lascerò qui. Devo salvarti.

Anakin:

L’hai già fatto, Luke. Avevi ragione. Avevi ragione nei miei riguardi. Dì a tua sorella… che avevi ragione. [Anakin sorride, chiude gli occhi ed esala l’ultimo respiro] Per essere una fiaba, è buona. Anzi eccellente. Ecco un bel passo dalla versione romanzata: «Quel ragazzo era buono ed era suo figlio… quindi doveva esserci del bene anche in lui. Rivolse a Luke un altro sorriso e, per la prima volta, provò affetto per lui. E per la prima volta, dopo tanti, tanti anni, ritrovò l’affetto anche per se stesso» (uno dei motivi per cui amiamo gli altri è che ci aiutano ad amare noi se stessi: è quello che Luke dona ad Anakin, e che Han vorrebbe donare a Kylo)15. La qualità del dialogo è un po’ deludente. Lucas padroneggia i miti e ha una spettacolare fantasia visiva: ma le emozioni non sono il suo forte. Ama il montaggio, ma non gli piace lavorare con gli altri (nei prequel non ci sono che droidi, interi eserciti di droidi ovunque, droidi e nient’altro). È rimasto celebre il commento di Harrison Ford: «George, questa roba la puoi scrivere, ma non la puoi recitare»16. Lucas riconosce le sue difficoltà con i dialoghi. Una volta lo ammise: «Credo di essere un pessimo autore»17. E in un’altra occasione: «Sono il primo a riconoscere di non saper scrivere i dialoghi […] Dipende anche dal fatto che non mi piacciono»18. Come disse Harrison Ford in un’intervista, quando si tratta di «raccontare le situazioni umane, George non è particolarmente bravo… è il minimo che si possa dire»19.

Ma nella prima trilogia, al momento decisivo, ce l’ha fatta. Lucas ha raccontato questa particolare situazione meglio di chiunque altro. Sapeva perfettamente ciò che faceva. E non ha deluso nessuno. Lucas ha attinto a molte fonti. La principale fonte del viaggio di Luke è L’eroe dai mille volti di Campbell20. Tutta la saga si ispira a questo libro. Ma l’idea di un padre che si sacrifica, ripudiando la ragione di una vita e morendo per salvare il figlio, è tutta di Lucas, è totalmente originale. È la ciliegina sulla torta di «Io-sono-tuo-padre». «L’attaccamento è proibito», anzi no! Il pericolo dell’attaccamento sembra essere il tema principale dei prequel. Come dice Anakin, «L’attaccamento è proibito. Il possesso è proibito». E Yoda: «Lascia andare la paura, e il distacco male non potrà farti»21. Influenzato chiaramente dal buddhismo, Lucas ha narrato la storia di un uomo che si volge al male perché non riesce a «lasciar andare» sua madre e la donna amata. A spingere Anakin alla rovina è il terrore della perdita. E naturalmente il tema è centrale anche nella storia di Luke, che è imprudente, e vulnerabile al Lato oscuro, perché anch’egli terrorizzato all’idea di perdere le persone che ama: «I suoi amici erano in grave pericolo, e naturalmente doveva andare a salvarli»22. Ancora Yoda: «Esercitati a distaccarti da tutto ciò che temi di perdere». E anche: «Al lato oscuro la disperazione appartiene»23. Il motivo? «Anche la disperazione è attaccamento: è una morsa sul dolore». La tesi è chiara: troppo attaccamento rende vulnerabili. È questo che intende Yoda con la celebre battuta: «La paura conduce all’ira, l’ira all’odio, l’odio conduce alla sofferenza». Il distacco è la via migliore, e l’unica sicura, in quanto evita scelte disastrose. Quando Dart Fener minaccia di perseguitare Leila, Luke, preso dall’ira, per poco non viene meno ai suoi obblighi come Cavaliere Jedi; cosa che accade invece ad Anakin, che è incapace di distacco, in quanto cerca disperatamente un modo per riportare in vita Padmé. «La sua rovina», dice Lucas, «è il troppo amore»24. Se i Sith ottengono la loro vendetta, è solo perché Anakin teme la morte: non la sua, ma quella di coloro che ama. È la paura che lo porta a prendere decisioni catastrofiche. A favore del distacco parlano grandi correnti filosofiche, sia occidentali sia orientali, come lo stoicismo e il buddhismo, che dedicano ampio spazio ai rischi che la paura della perdita comporta. E i film di Star Wars attingono pesantemente a quelle tradizioni. Come scrive Martha Nussbaum, «secondo gli stoici non si deve mai essere a lutto», e «Cicerone porta a esempio le parole di un padre che così commentava l’eventualità che suo figlio muoia: “Ho sempre saputo di aver messo al mondo una creatura mortale”»25. Eppure, nel Ritorno dello Jedi Anakin deve la redenzione non alla serenità e al distacco, ma al loro opposto: non vuol veder morire suo figlio, e per questo uccide l’Imperatore (con buona pace degli stoici, «scelto Anakin ha»). Nonostante gli insegnamenti di Yoda, alla fine a redimere Anakin non è il distacco ma la paura della perdita – l’amore. Anakin sceglie, e si redime, rimanendo del tutto coerente con il suo precedente io, facendo leva sulle stesse caratteristiche che lo avevano portato al Lato oscuro. Nel trattare questo tema, la Forza era chiaramente con Lucas: è il suo momento di grazia, dal punto di vista narrativo. La Redenzione di Anakin Skywalker trascende la battaglia personale di un qualsiasi individuo. Il suo vero tema è universale. Con l’innocenza e la bontà, con la sconfinata capacità di perdonare e con la semplice forza della loro fede e speranza, i figli redimono i genitori, e nel far questo danno il meglio di sé. E, come ogni figlio in fondo al cuore sa bene, per salvarlo ogni genitore quasi certamente sceglierebbe di rischiare la propria vita: dovesse anche affrontare l’Imperatore. E quando fa questa scelta, la Forza sarà con lui. Mi piace e credo sia vero. ……………………………….

1. «In Case You’ve Ever Wondered About George Lucas’ Parenting Philosophies…», Oh No They Didn’t!, 20 maggio 2008, http://ohnotheydidnt.livejournal.com/23697573.html?page=4. 2. Kline (a cura di), Interviews, cit., p. 219. 3. Shawn Schaitel, «The Mythology of STAR WARS», YouTube, 14 maggio 2014, https://www.youtube.com/watch? v=YpiEk42_O_Q («In questa intervista del 1999 Bill Moyers parla con George Lucas di come la saga di Star Wars sia stata influenzata dall’idea del monomito, o Viaggio dell’Eroe, di Joseph Campbell e da altre idee di origine mitologica e religiosa»). 4. Kline (a cura di), Interviews, cit., p. 199. 5. Ibid., p. 221. 6. Schaitel, «The Mythology of STAR WARS». 7. «In Case You’ve Ever Wondered About George Lucas’ Parenting Philosophies…», cit. 8. Ibid. 9. Ibid. 10. Ibid. 11. «George Lucas Reveals What He Hopes His Obituary Says», CBS News, 15 http://www.cbsnews.com/news/star-wars-creator-george-lucas-kennedy-center-honors-directing-career/. http://usatoday30.usatoday.com/life/movies/news/2008-05-20-lucas-father-issues_N.htm

dicembre Leggibile

2015, su

12. Cfr. Schaitel, «The Mythology of STAR WARS», cit. 13. Jim Windolf, «Star Wars: The Last Battle», Vanity Fair, 31 gennaio 2005, http://www.vanityfair.com/news/2005/02/starwars-george-lucas-story. 14. Martin Luther King Jr., «Loving Your Enemies», discorso del 25 dicembre 1957; anche in Martin Luther King, jr., Strength to Love, Fortress Press, Minneapolis, MN, 1977, pp. 50-51, trad. it., La forza di amare, SEI, Torino 2002. 15. Il ritorno dello Jedi, in Trilogia classica, cit., p. 366. 16. Kyle Buchanan, «It Took Almost 40 Years, But Harrison Ford Is Now a Star Wars Fan», Vulture, 11 luglio 2015, http://www.vulture.com/2015/07/after-38-years-harrison-ford-is-a-star-wars-fan.html. 17. Kline (a cura di), Interviews, cit., p. 110. 18. Ian Freer, «Star Wars Archive: George Lucas 1999 Interview», Empire, http://www.empireonline.com/movies/features/star-wars-archive-george-lucas-1999-interview/.

December

11,

2015,

19. Kline (a cura di), Interviews, cit., p. XII. 20. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit. 21. Matthew Stover, Star Wars: Episode III: Revenge of the Sith, Random House, New York 2005, trad. it. di G.P. Gasperi, La vendetta dei Sith, Sperling & Kupfer, Milano 2005. 22. L’Impero colpisce ancora, in Trilogia classica, cit., p. 228. 23. La vendetta dei Sith, cit. 24. Edwards, «George Lucas and the Cult of Darth Vader», cit. 25. «An Interview with Martha Nussbaum», Philosophy for Life, 5 febbraio 2009, http://www.philosophyforlife.org/aninterview-with-martha-nussbaum/.

EPISODIO VI

Libertà di scelta Destino e profezie non contano Ognuno di noi, ogni giorno, può scegliere se essere o non essere un eroe. Può aiutare qualcun altro, offrirgli compassione, trattarlo con dignità, oppure no. George Lucas1

Di’ dunque, sventola ancora la nostra bandiera adorna di stelle sulla terra dei liberi e la patria dei coraggiosi? Sono i due versi più celebri dell’inno nazionale americano. E le parole più importanti di questi versi sono «sulla terra dei liberi». (Ascoltatele come se non le aveste mai sentite prima). Una nuova speranza fu girato negli Stati Uniti poco dopo la fine degli anni Sessanta, ai tempi del movimento per i diritti civili, dell’Unione Sovietica e del Watergate. La libertà – l’ideale nazionale – sembrava gravemente minacciata da più parti. Il movimento per i diritti civili mostrava che molti americani non erano realmente liberi. E quando uscì il film, il ricordo delle parole di Martin Luther King era ancora fresco: Risuoni la libertà dalle stupende colline del New Hampshire. Risuoni la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York. Risuoni la libertà dai possenti Allegheny della Pennsylvania. Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve. Risuoni la libertà dai dolci pendii della California. Ma non soltanto. Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia. Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà. Agli occhi di molti, Lucas compreso, l’amministrazione Nixon era un serio pericolo: desiderava, anzi non vedeva l’ora, di usare il sistema fiscale per colpire i suoi avversari politici, creare un «elenco dei nemici», corrompere e minacciare, persino effettuare intercettazioni ai danni del Partito democratico. Sembrava che gli Stati Uniti rischiassero di perdere la libertà, o addirittura di rinunciarvi spontaneamente? Nel 1974 Nixon si dimise, nel pieno di una campagna per l’impeachment che avrebbe quasi certamente portato alla sua destituzione. L’ombra dell’amministrazione Nixon si stagliava non solo sulle origini di Star Wars, ma anche sull’accoglienza che ebbe il film. Un altro dato cruciale sullo sfondo era, naturalmente, l’interminabile conflitto tra Stati Uniti e Unione Sovietica. La definizione di «impero del male» fu coniata da Ronald Reagan nel 1983, e forse si ispirò proprio a Star Wars. Ma già negli anni Settanta erano in molti a considerare l’Europa orientale una sorta di carcere e gli Stati Uniti un baluardo di libertà, in una Guerra fredda il cui esito era molto incerto. Chi la pensava così, per quanto allarmato da Nixon, era convinto che le istituzioni americane difendessero la libertà e fossero una conquista fragile e preziosa: il comunismo poteva forse ancora vincere? Star Wars, contrapponendo l’Alleanza Ribelle all’Impero, esalta la libertà politica, che è una delle principali differenze tra la Luce e il Lato oscuro della Forza. Ma nello stesso tempo Star Wars è alla ricerca di qualcosa di più grande e profondo. Di qualcosa che riguarda la condizione umana. Parla dell’esistenza individuale, non solo delle istituzioni politiche. Prende chiaramente posizione su un grande tema filosofico. Ci ricorda che la libertà di scegliere, anche quando ce ne dimentichiamo, rimane intatta. Anche se tuo padre vuole che lavori con lui; anche se il tuo Yoda ti dice di rimanere a Dagobah; anche se sei un soldato

del Primo Ordine e il capitano ti chiama a rapporto: tutto dipende ancora da te. Libertà e pilota automatico Di Star Wars Lawrence Kasdan ha detto: «Risveglio della Forza, Nuova speranza, Impero… questi film parlano di realizzare quello che abbiamo dentro. Sono storie in cui ciascuno si può ritrovare. Quando arrivi alla mia età stai ancora cercando di capirlo: sembra incredibile, ma è così. Chi sono? Che ci sto a fare? Ho realizzato il mio potenziale? Sono ancora in tempo? È di questo che parla Star Wars»2. Questa chiave di lettura di Kasdan aiuta a spiegare l’accoglienza entusiastica avuta dai film almeno quanto gli effetti speciali, le creature fantastiche e la splendida musica. Pensate a Luke, Ian, Anakin, Rey, Finn, Kylo: ognuno di loro, nei momenti chiave, si pone le stesse quattro domande di Kasdan. Luke accompagna Obi-Wan ad Alderaan. Ian salva la pelle a Luke. Anakin uccide l’Imperatore. Finn diserta dal Primo Ordine. Rey prende la spada laser di Luke. E Kylo… beh, sì, è cattivo, ma anche lui in fin dei conti fa una libera scelta (anche i Sith rispettano la libertà di chi sceglie tra la Luce e il Lato oscuro). Qualunque cosa siamo – magari un ragazzo di campagna, uno scavanger, uno Stormtrooper –, viviamo tutti gran parte della vita con una specie di pilota automatico. È come se fossimo incatenati alla nostra condizione: la fattoria, un conflitto, un rapporto difficile, un lavoro che non ci piace… Non ci poniamo quasi mai le domande di Kasdan. Eppure dovremmo porcele. È liberatorio, e appena lo facciamo cambia davvero tutto. È così per Finn, e lo stesso vale, in modo diverso, anche per Ian. I film sono molto divertenti, ma pongono domande serie. Bruce Springsteen in Long Time Comin’ canta: «Ho avuto anch’io dei figli / E se avessi un solo desiderio in questo mondo abbandonato da Dio, bambini/ Sarebbe quello che i vostri errori fossero i vostri / E che i vostri peccati fossero i vostri»3.

Abbiamo sempre libertà di scelta: questo è uno dei messaggi più importanti di Lucas, ribadito anche dai suoi successori. Chi ama Star Wars lo sente forte e chiaro. È un’idea molto semplice, perciò su questo punto possiamo andare avanti spediti. Filosofia e libero arbitrio Naturalmente la questione dell’esistenza del libero arbitrio è molto dibattuta a livello accademico. Noi siamo liberi di scegliere? Oppure ha ragione il determinismo, è vera l’idea che quella libertà in realtà non esiste? Una parte del dibattito si sviluppa sul piano empirico, e cerca soprattutto di capire se le scelte individuali siano determinate o no dall’ambiente di vita. Buona parte degli studi comportamentali indica che l’ambiente influisce davvero: il fatto che ciascuno di noi risparmi o spenda, dimagrisca, si comporti con onestà o sia felice dipende da piccoli dettagli del contesto sociale. La nostra vita si svolge all’interno di una sorta di «architettura delle scelte» che può avere un’influenza determinante su ciò che scegliamo (le condizioni meteorologiche sono un esempio di questo tipo di architettura, e lo sono anche i rumori, i colori, e le dimensioni dei font tipografici). Si può dire lo stesso se mi innamoro, se passo al Lato oscuro o se uccido mio padre anziché redimerlo? Sembra una posizione estrema, ma forse è proprio così. In ambito filosofico, invece, le discussioni si sviluppano soprattutto a livello teorico. Secondo una certa linea di pensiero il libero arbitrio esiste quando facciamo scelte in linea con i nostri valori profondi, quelli che accettiamo in seguito a una riflessione. Se decido di fare l’avvocato, di smettere di fumare o di essere più gentile sul posto di lavoro, sto esercitando liberamente la mia volontà. È qui che il filosofo Harry Frankfurt introduce una distinzione tra ciò che voglio (per esempio fumare una sigaretta, dormire un po’ più a lungo, cedere al Lato oscuro) e ciò che «decido di volere», «voglio volere» (per esempio smettere di fumare, lavorare di più, passare alla Luce). Per Frankfurt esercito il libero arbitrio quando agisco in base ai miei desideri di secondo livello. In

quest’ottica, la libertà sembra essere strettamente legata a un ideale di autocontrollo. È una posizione controversa, che non tutti accettano. Rispetto a questo dibattito filosofico Star Wars ha due cose da dire. Innanzi tutto dà sostanzialmente ragione a Frankfurt: nei momenti chiave gli eroi della saga agiscono in base ai loro valori profondi; rispondono alle domande di Kasdan, scelgono in autonomia, e in tal modo esprimono la loro libertà. In secondo luogo, il libero arbitrio esiste davvero: in ogni momento – più o meno importante – noi decidiamo cosa fare della nostra vita; possiamo troncare una relazione, lasciare un lavoro, aiutare qualcuno, cercare di salvare una vita (magari proprio la nostra). Film che parlano di Luke Skywalker e Obi-Wan Kenobi non possono certo sciogliere nodi di cui si discute da molto tempo in ambito accademico. Ma il messaggio che mandano è chiaro – e, tra parentesi, giusto. «Anakin dice sì e Luke dice no» I prequel di Star Wars vengono spesso stroncati. Ed è anche comprensibile, poiché non sono neanche lontanamente all’altezza della trilogia iniziale. Ma sono comunque belli, e anche terribilmente ben fatti. A modo loro, sono splendidi film. Ma la cosa più importante è che nella vicenda della seconda trilogia si rispecchiano in pieno le scelte fatte nella prima. Il tema di fondo è, in entrambe, la libertà di scelta. Lucas ne era assolutamente consapevole: «Luke è alle prese con le stesse questioni di Anakin, e si ritrova in pratica nelle stesse situazioni. Ma Anakin dice sì, e Luke dice no»4. Nell’Attacco dei cloni le visioni della madre che soffre (che ricordano le visioni simili di Luke) portano Anakin a trascurare l’incarico di proteggere Padmé. Anakin torna a casa per salvare la madre e ignora la raccomandazione del patrigno, secondo cui farebbe meglio a considerarla morta. E non riuscendo a salvarla compie una scelta fatidica, nel senso letterale del termine: sguaina la spada laser e uccide tutti coloro che ritiene responsabili della sua morte.

Nella Vendetta dei Sith Anakin (come Luke) deve decidere la sorte di un nemico sconfitto. Luke risparmia Anakin. Anakin invece prende una strada diversa: istigato dall’Imperatore, sceglie di uccidere il conte Dooku. È una scena carica di pathos, se si è dell’umore giusto. Palpatine: «Bene, Anakin, bene. Eh, eh, eh. Uccidilo. Uccidilo ora». La replica di Anakin è fiacca: «Non dovrei». Ma lo fa ugualmente, poi si giustifica: «Non ho saputo frenarmi». Un punto a favore di Frankfurt: Anakin è preso nella morsa dei suoi desideri immediati e non sa fermarsi, anche se il suo desiderio di secondo livello è un altro («Non dovrei»). Nella scena chiave dei prequel abbiamo dunque una situazione palesemente capovolta rispetto al Ritorno dello Jedi: Anakin salva Palpatine (Darth Sidious) da Mace Windu, che poi viene ucciso da Palpatine senza che lui intervenga. «Devi scegliere»: con queste fatidiche parole il Signore dei Sith aveva chiesto ad Anakin di aiutarlo perché Windu stava per avere la meglio. È in quel momento che Anakin sceglie Palpatine, e cede al Lato oscuro. Ecco il momento culminante: Anakin Skywalker:

[sconvolto per aver ucciso Mace Windu] Che cosa ho fatto? Darth Sidious:

Hai compiuto il tuo destino, Anakin. Diventa mio apprendista. Impara a usare il lato oscuro della Forza. Anakin Skywalker:

Farò tutto ciò che… chiedi. […] Aiutami a salvare Padmé dalla morte. Non posso vivere senza di lei. Darth Sidious:

Ingannare la morte è un potere che solo uno ha conquistato. Ma se uniamo le forze riusciremo a scoprire il segreto. Anakin Skywalker:

Affido tutto me stesso ai tuoi

insegnamenti. Darth Sidious:

Eh… Bene. Bene. Ah… La Forza è potente in te. Un potente Sith tu diventerai. D’ora in poi sarai chiamato con il nome di Dart… Fener. Anakin Skywalker:

Grazie, mio maestro.

Darth Sidious:

Alzati.

Nei momenti decisivi il destino e le profezie sono solo rumori di fondo. Sidious parla di «destino», ma Anakin ha fatto chiaramente una scelta («Affido tutto me stesso ai tuoi insegnamenti»). A volte i personaggi di Star Wars si trovano a un bivio, intravedono le conseguenze delle diverse strade che si aprono davanti a loro, e prendono una decisione. Come ribadisce Padmé, «C’è sempre una scelta». Forse la voce di Padmé riecheggia nella mente di Anakin decenni dopo, quando sceglie di salvare Luke (figlio di entrambi) dall’Imperatore? Mi piace pensarlo. Hai tante occasioni per tenere gli occhi aperti In Una nuova speranza Leila, quando Ian non torna e sembra aver abbandonato la ribellione, commenta: «Ciascuno deve seguire la propria strada […]. Nessuno può sceglierla per un altro»5. E nello stesso film Obi-Wan consiglia a Luke: «Devi fare quello che tu pensi sia giusto, naturalmente». Anche Lucas lo pensa: «La vita ti spinge in direzioni strane. Hai tante occasioni in cui devi aprire gli occhi» e fare le tue scelte6. Lucas lo ha detto sulla sua vita, ma direbbe lo stesso di Star Wars e dei personaggi della saga. Nella trilogia classica Dart Fener invita Luke: «Questo è il tuo destino. Unisciti a me e insieme potremo governare la galassia come padre e figlio. […] È l’unica strada». Sbagliato! È la stessa cosa che l’Imperatore dice a Luke: «È inevitabile. […] Questo è il tuo destino. Tu, come tuo padre, ora sei… mio!»7. Ancora una volta: sbagliato! Sono le scelte che perdono Anakin e che poi lo redimono, e che spingono Ian a schierarsi (più o meno) dalla parte dell’Alleanza ribelle e a fare di Luke uno Jedi. Sono delle scelte a portare Finn nella Resistenza e a fare di Rey un futuro Cavaliere Jedi. «Siamo noi», dice Lucas, «ad avere il controllo sul nostro destino. […] Davanti a noi abbiamo tante possibili strade»8. Ecco cosa dice Kasdan in una intervista del 2015:

La mia battuta preferita, tra tutte quelle che ho scritto per i Predatori [dell’Arca perduta], è la risposta di Indy a Sallah che gli ha appena chiesto come farà a riprendersi l’Arca [che stanno portando via su un camion]: «Non lo so. In qualche modo mi arrangerò». È la storia della vita di ciascuno di noi. Per Indiana Jones è un momento drammatico: salta su un camion e poi salta a cavallo. Ma anche tu ed io ci arrangiamo allo stesso modo. Ecco come scelgo di comportarmi così. Ecco cosa sono disposto a fare per vivere, e cosa non sono disposto a fare. Anche noi ci arrangiamo, decidiamo la nostra vita strada facendo. È un’idea potentissima, perché è davvero entusiasmante9. Proprio così. ………………………………. 1. Intervista con Bill Moyers del 1999, accessibile su http://billmoyers.com/content/mythology-of-star-wars-george-lucas/.

Internet,

2. Adam Rogers, «Star Wars’ Greatest Screenwriter Wrote All Your Other Favorite Movies Too», Wired, 18 novembre 2015, http://www.wired.com/2015/11/lawrencekasdan-qa/. 3. I got some kids of my own / Well if I had one wish in this god forsaken world, kids / It’d be that your mistakes would be your own / Yea your sins would be your own. 4. Windolf, «Star Wars: The Last Battle» cit. 5. Una nuova speranza, in Trilogia classica, cit., p. 116. 6. Freer, «Star Wars Archive», cit. 7. L’Impero colpisce ancora, in Trilogia classica, cit., p. 246, e Il ritorno dello Jedi, ibid., p. 342. 8. Schaitel, «The Mythology of STAR WARS», cit. 9. Rogers, «Star Wars’ Greatest Screenwriter Wrote All Your Other Favorite Movies Too».

EPISODIO VII

Ribelli Perché gli imperi cadono e i resistenti (e i terroristi) insorgono Finn: Han Solo, il generale della Ribellione? Rey: No! Il contrabbandiere!

Star Wars non è un trattato politico, ma ha certamente un messaggio di natura politica. In fin dei conti contrappone un Impero e una Repubblica, poi un Primo Ordine e una Resistenza. Gli eroi sono dei ribelli che vogliono riportare pace e giustizia nella galassia. È uno dei motivi del richiamo universale della saga. Qualunque siano le vostre idee politiche, ovunque voi viviate, probabilmente anche voi avete un Imperatore e simpatizzate per i Ribelli o per la Resistenza: forse il vostro Imperatore è l’insegnante o il capufficio, e magari i leader politici del vostro paese vi ricordano Palpatine, il partito d’opposizione somiglia alla Resistenza, e voi siete seguaci di uno Skywalker. (Negli Stati Uniti molti vedevano John F. Kennedy – e anche Reagan e Obama – come una specie di Luke). George Lucas quando fece Star Wars pensava chiaramente alla politica. L’Imperatore Palpatine era ricalcato su Richard Nixon, e il Vietnam fu uno sfondo importante della sua fiaba. Ecco cosa dice al riguardo1: Smisi di pensare ad Apocalypse Now e mi misi a lavorare a Star Wars. Mi sentivo molto coinvolto da Apocalypse Now, erano quattro anni che ci lavoravo, ci tenevo moltissimo, ma non riuscivo a farlo decollare… A un certo punto molto del mio interesse per quel film si riversò su Star Wars. Pensai che se non ero ancora riuscito a fare Apocalypse Now era solo perché parlava della Guerra del Vietnam: allora provai a trasferire alcuni di quegli spunti, che tanto m’interessavano, in uno space fantasy. Fu così che venne fuori un grande impero tecnologicamente avanzato che dava la caccia a un gruppetto di combattenti per la libertà… C’era un piccolo paese indipendente, tipo il Vietnam del Nord, minacciato da un paese vicino, o da una ribellione nelle province fomentata da una banda di gangster sostenuti dall’impero… L’impero è come l’America tra una decina d’anni: i gangster di Nixon hanno assassinato l’Imperatore, sono saliti al potere truccando le elezioni, hanno creato disordini incitando alla rivolta razziale, aiutando gruppi di ribelli e lasciando crescere i tassi di criminalità fino al punto in cui il popolo accetta ormai di buon grado uno Stato di polizia che ambisce a un «controllo totale». Il popolo è spremuto da tasse, bollette e costi di trasporto insopportabili. Non c’è dubbio che Star Wars critichi il potere centrale, e che il suo cuore ribelle stia dalla parte di chi resiste. Lucas disse di aver fatto Una nuova speranza «in un periodo in cui Nixon puntava a ottenere un terzo mandato o a far cambiare la Costituzione per potersi candidare la terza volta; questo mi portò a riflettere sul modo in cui le democrazie si trasformano in dittature: non a come vengano rovesciate da colpi di stato o cose del genere, ma come la democrazia stessa si trasformi in tirannia»2 (in realtà Nixon non aveva mai cercato di farsi rieleggere per la terza volta o di far cambiare la Costituzione, ma Lucas è un narratore nato). In anni più vicini a noi Lucas tornò sull’argomento raccontando di un viaggio in Europa, dopo l’uscita della Vendetta dei Sith. Era «con una decina di giornalisti: i corrispondenti russi erano convinti che il film fosse sulla Russia, e gli americani che parlasse di Bush. Allora spiegai che in realtà il film parla di Roma, e anche della Rivoluzione Francese e di Napoleone»3. In quest’ottica si può affermare che i prequel parlano dell’avvento dei tiranni e del crollo delle democrazie: di quel genere di macchinazioni che portano al potere i dittatori, e di come cadono le repubbliche. La vendetta dei Sith offre una sintetica ricostruzione della fine della libertà, ben compendiata in una battuta di Padmé Amidala: «È così che muore la libertà. Sotto scroscianti applausi» (tra poco riparleremo della Germania nazista). In tema di politica e di morte delle repubbliche, Star Wars ci narra una storia chiaramente decifrabile, e ci ammonisce sulla necessità che i cittadini vigilino contro i tanti aspiranti imperatori che cercano di accumulare potere alle spalle del popolo. È il motivo per cui il messaggio politico di Star Wars viene apprezzato in tanti paesi diversi, e continuerà a esserlo.

Come ha spiegato in un’intervista J.J. Abrams, Il risveglio della Forza «è nato da una serie di conversazioni su ciò che sarebbe potuto accadere se i nazisti si fossero rifugiati tutti in Argentina e si fossero riorganizzati lì. Cosa ne sarebbe venuto fuori? Avrebbero formato un gruppo come il Primo Ordine, che guardava all’Impero con ammirazione, come a un’opera rimasta incompiuta? Darth Vader sarebbe stato un martire? Avrebbero cercato di finire il lavoro?»4. È questa l’idea ispiratrice della terza trilogia. Una commissione che dibatte su un’invasione Star Wars è ossessionato dalla divisione dei poteri. Parla di repubbliche e imperi, ma in realtà contrappone i sistemi democratici al fascismo. Il tema è centrale nei prequel, ma è presente già nella prima trilogia. Quali sono i vincoli al potere esecutivo e ai cancellieri (quelli che di solito chiamiamo presidenti)? In quali condizioni il titolare di una carica esecutiva cercherà di conquistare l’autorità suprema? Il potere legislativo è più democratico degli altri poteri dello stato? E quand’è che viene meno? L’Imperatore Palpatine riesce a cumulare il potere solo grazie alle incessanti e assurde baruffe tra i membri del potere legislativo repubblicano. Sono quei conflitti a consentire la sua ascesa al potere (che esercita un indubbio fascino su alcuni americani del XXI secolo, costretti ad assistere agli stessi conflitti). Padmé aveva colto il problema: «Non sono stata eletta per vedere il mio popolo soffrire e morire mentre la vostra commissione dibatte su quest’invasione». E Anakin: «Ci vuole un sistema in cui i politici si siedano intorno a un tavolo e discutano i problemi, stabiliscano cosa fare per il bene comune, e poi agiscano». Ma, ribatte Padme, che fare se non ci riescono? «E allora», replica Anakin, «bisogna costringerli». «Un decreto per sciogliere il Parlamento» La questione è squisitamente politica. Star Wars è totalmente contrario alla concentrazione del potere esecutivo in un’unica persona. Tutti i film della saga sono coerenti su questo punto. Ecco, nella Vendetta dei Sith, il commento a margine di un passaggio cruciale nell’ascesa al potere dell’Imperatore: «Il Senato ha ceduto così tanto potere che è difficile dire dove finisca la sua autorità»5. Oppure l’annuncio dato dal generale Tarkin in Una nuova speranza: «Il Senato Imperiale non ci creerà più nessuna preoccupazione, signori. Ho appena ricevuto notizia che l’Imperatore ha sciolto il Consiglio definitivamente»6. Per scrivere gli episodi della seconda trilogia Lucas si mise a studiare il tema della transizione dalle democrazie alle dittature. «Perché […] dopo la morte di Cesare il Senato fece dietrofront e affidò il governo al nipote? […] Perché la Francia, dopo essersi sbarazzata del re e di tutto il vecchio sistema, cambiò strada e mise [al potere] Napoleone?»7. Lucas osservava: È la stessa cosa che accadde in Germania con Hitler… È un fatto ricorrente, quando una democrazia si trasforma in dittatura: le cose sembrano andare sempre più o meno allo stesso modo, i problemi si somigliano, e ci sono sempre minacce esterne che impongono un maggior controllo. C’è un organo democratico – un senato – che non funziona a dovere, perché tutti litigano e la corruzione domina8. Palpatine è chiaramente ricalcato su Hitler: in Germania l’ascesa del Führer trovò conferma nel momento in cui egli chiese e ottenne pieni poteri che lo affrancavano dal dover chiedere l’autorizzazione del potere legislativo. Hitler pretese quei poteri durante una crisi drammatizzata dall’incendio della sede del Reichstag (il potere legislativo). Ecco un agghiacciante resoconto giornalistico del 2 febbraio 1933, che sembra tratto da Star Wars, ma è reale: Come si legge nella Deutsche Allgemeine Zeitung, giornale vicino al governo, il presidente Paul von Hindenburg ha accordato al nuovo cancelliere tedesco Adolf Hitler il potere discrezionale di sciogliere il Parlamento e governare la Germania per decreto senza coinvolgere il Parlamento. Il presidente von Hindenburg ha firmato il decreto per sciogliere il Parlamento: il provvedimento dovrebbe entrare in vigore prima di martedi prossimo, giorno in cui è convocato il Parlamento9. Nell’Attacco dei cloni Mas Amedda avverte: «La situazione è critica. Il Senato deve conferire al Cancelliere poteri speciali […]». E Palpatine, nel ricevere quei poteri, assicura: «È stato con grande riluttanza che ho accettato questa carica. Io amo la democrazia. Io amo la Repubblica. I poteri che mi conferite saranno da me rimessi al risolversi di questa crisi». Ma sì… Delegare il potere

Molti ordinamenti giuridici – per esempio negli Stati Uniti e in Germania – creano ostacoli al potere di governare per decreto. Nel sistema legale americano esiste la cosiddetta «dottrina della non delega», comunemente interpretata come divieto per il Congresso di conferire al presidente l’autorità di fare ciò che vuole. Il Congresso non può autorizzare il presidente a governare per decreto: non può varare una legge secondo cui «il Presidente è autorizzato a emanare leggi a sua discrezione». In alcune occasioni, tuttavia, è stato obiettato che il presidente stava facendo proprio questo. Durante la presidenza di George W. Bush, molti hanno sostenuto che con la guerra al terrorismo l’esecutivo avesse assunto, per motivi di sicurezza nazionale, prerogative di tipo imperiale, ingerendosi nella sfera della privacy individuale; secondo loro il presidente Bush governava essenzialmente per decreto. Ed effettivamente il vicepresidente Dick Cheney era più o meno passato al Lato oscuro (o peggio): Ma dobbiamo anche lavorare su una sorta di lato oscuro, se così lo si vuol chiamare. Dobbiamo passare del tempo tra le ombre del mondo dell’intelligence. Molto di ciò che va fatto va fatto in silenzio, senza discussioni, usando fonti e metodi disponibili alle nostre agenzie d’intelligence, se vogliamo avere successo. È questo il mondo in cui si muove questa gente, e perciò è vitale per noi usare fondamentalmente qualsiasi mezzo a disposizione per raggiungere il nostro obiettivo10. Da notare le parole chiave «usare fondamentalmente qualsiasi mezzo a disposizione per raggiungere il nostro obiettivo». E in effetti, alcuni difensori dell’amministrazione Bush sono andati molto vicino a sostenere che quando il paese affronta una grave minaccia alla sicurezza, il presidente può fare qualunque cosa ritenga necessario per proteggerlo. Compreso il potere di governare per decreto? Ci andiamo vicini. Anche sotto la presidenza Obama si è detto che la situazione di stallo al Congresso ha permesso all’esecutivo di operare in un modo che ricorda quello di Palpatine, esercitando – con il pretesto delle discordie parlamentari – poteri imperiali. Cambiamento climatico, riforma dell’immigrazione, controllo del possesso di armi, politica economica: in questi e altri ambiti, poiché il Congresso non interveniva, lo ha fatto il presidente. Lo ha detto egli stesso: «Voglio lavorare con il Congresso per creare lavoro e opportunità per il maggior numero possibile di americani. Ma se il Congresso non agisce, lo farò da solo»11. E così è stato. In questi casi siamo di fronte a un uso lodevole del potere esecutivo volto ad aiutare il popolo, oppure all’affermazione di un potere imperiale? Ho lavorato per quasi quattro anni nell’amministrazione Obama, e sono fermamente convinto che la risposta sia la prima, ma alcuni sono di tutt’altro parere. All’inizio del XXI secolo il Congresso è stato spesso paralizzato dai conflitti. L’influente senatore Dick Durbin, democratico, ha appoggiato l’unilateralismo del governo: «Il presidente ha detto più volte di voler fare tutto ciò che è nei suoi poteri per chiudere Guantanamo prima della fine del mandato. I repubblicani in Congresso continuano a fare tutto il possibile per impedirlo. Penso che stiamo arrivando a un punto in cui il Congresso dà soltanto prova di ostinazione, non fa altro che muovere obiezioni a qualsiasi raccomandazione del presidente; tocca a quest’ultimo prendere decisioni nell’interesse del paese […]»12. Il senatore Durbin stava forse capitolando a un imperatore? Personalmente non lo credo. Ma a rispondere a questa domanda non può essere Star Wars. È vero, la saga offre delle verità durevoli: la libertà è un bene, l’oppressione è un male, e chi riveste cariche pubbliche non può torturare né soffocare nessuno. Speriamo solo che per capirlo non serva Star Wars. La saga tocca però anche un altro punto, più sottile, che riguarda la natura e il destino delle ribellioni. Molti ribelli all’inizio sono animati da nobili ideali, ma una volta al potere quell’idealismo si dissolve e lascia il posto a qualcosa di molto diverso: pragmatismo? Sete di potere? Desiderio di tenersi aggrappati al potere? Ne è un esempio eccellente, con la sua storia cruenta, la Rivoluzione Francese. Alcuni degli eroi della Primavera araba non si sono rivelati amici della democrazia. E Padmé si chiede: «Se la democrazia che pensavamo di servire avesse cessato di esistere? E la Repubblica fosse diventata il male stesso che noi volevamo distruggere?» Parliamo allora delle ribellioni. Ribelli conservatori

Che cos’hanno in comune Martin Luther King e Luke Skywalker? Sono entrambi ribelli, e dello stesso tipo: ribelli conservatori. Se siete a favore di una rivoluzione molto probabilmente siete pronti a seguirli su questo terreno. I ribelli conservatori possono essere estremamente efficaci, in quanto fanno leva sui sentimenti più profondi della gente ricollegandosi al passato, a ciò che le è più caro. Ci sono persone – come Leila Organa – ribelli per natura. Ogni volta che un paese è governato dai Sith, o comunque dai malvagi o dai corrotti, loro potrebbero pensare che la ribellione sia una grande idea. Potrebbero persino mettere in gioco il proprio avvenire per amore della causa. Ma nemmeno i ribelli vogliono ripartire da zero. Ciò vale sia per gli individui che per le società. Naturalmente ci sono persone che vogliono distruggere tutto e ricominciare da capo, perché questa è la loro natura e perché è forse proprio quello che i loro obblighi morali richiedono. Ma di solito gli esseri umani preferiscono proseguire un racconto già avviato: ritengono che le pagine che si stanno scrivendo non sono una nuova storia, ma solo un nuovo capitolo, che si pone in continuità con il passato, o quanto meno con la sua parte migliore (che magari lo aveva addirittura profetizzato o preordinato). Ciò non vale soltanto per i George Lucas o per gli Skywalker, ma per gli autori di «episodi» di tutti i tipi. Ricordiamo le parole di un grande pensatore conservatore, Edmund Burke (che non era certo un ribelle), contro le conseguenze delle «fantasie e mode passeggere» che rischiano di «spezzare la catena di continuità del bene comune»: una prospettiva tragica, secondo Burke, un tradimento di uno dei più profondi bisogni umani, indispensabile elemento di stabilità sociale. Burke parla di questa prospettiva con grande coinvolgimento: «Le generazioni non potrebbero più ricollegarsi a quelle che le hanno precedute. Gli uomini diventerebbero poco più che mosche, la cui vita dura il breve spazio di un’estate»13. Soffermiamoci ancora un momento su queste idee. Burke presenta le tradizioni come un tessuto connettivo che trascende i limiti del tempo. Quel tessuto aiuta a dare significato alla nostra vita e offre agli esseri umani la cosa che più si avvicina alla stabilità. Naturalmente è un’idea conservatrice; ma la continuità è apprezzata (o richiesta) anche da chi conservatore non è. È uno dei motivi per cui piace tanto il baseball: collega padri e figli, crea un ponte tra le generazioni. È la stessa cosa che fa Star Wars, uno dei motivi dell’incredibile longevità della saga: la ritualità. Nei film di Star Wars i ribelli chiedono il ritorno alla Repubblica. Sono loro, in un certo senso, gli epigoni di Burke, i veri conservatori. Agiscono in difesa delle proprie tradizioni. I rivoluzionari semmai sono Palpatine o i seguaci del Primo Ordine. Luke, l’Alleanza Ribelle, la Resistenza vogliono tornare allo status quo precedente, o meglio a una sua versione idealizzata: cercano ispirazione guardando all’indietro. È un riflesso ancestrale. Martin Luther King era un ribelle: sicuramente uno Skywalker, con un pizzico di Ian Solo e un bel po’ di Obi-Wan. Voleva un cambiamento profondo, ma conosceva bene la forza del legame intergenerazionale. Contribuì a scrivere nuovi capitoli, ma rivendicò sempre la continuità con la tradizione. Ecco per esempio cosa diceva nel celebre discorso sul boicottaggio degli autobus a Montgomery: Se noi siamo nel torto, allora è nel torto la Corte Suprema di questa nazione. Se noi siamo nel torto, la Costituzione degli Stati Uniti è nel torto. Se noi siamo nel torto, Iddio onnipotente è nel torto. Se noi siamo nel torto, allora Gesù di Nazaret era solo un sognatore utopista, che non ha mai fatto i conti con la realtà. Se noi siamo nel torto, la giustizia è una menzogna. L’amore non ha alcun significato14. Rivoluzioni impreviste, grandi e piccole Uno dei personaggi di primo piano della splendida versione romanzata di Una nuova speranza è Biggs, un amico di Luke che nel film compare solo di sfuggita. All’inizio del romanzo Biggs si rivolge a Luke parlando come uno che vorrebbe ribellarsi, ma ammette sinceramente di non sapere da che parte cominciare. Non sa nemmeno dove siano le basi ribelli, se ci siano davvero o come fare per contattarle. Ecco il passaggio chiave: «Lo so che è un’impresa ardua», ammise Biggs con riluttanza. «Se non riuscirò a mettermi in contatto con loro…» Negli occhi di Biggs brillò una luce strana, che lo faceva sembrare più maturo e… «Farò quel che posso da solo»15.

Biggs ha un cuore ribelle. E non è certo l’unico, nel mondo di Star Wars. Il generale Tagge, che ha «una certa genialià perversa», ha capito la sfida che l’Impero ha davanti a sé: «Molti di voi non si sono ancora resi conto che l’Alleanza Ribelle è ben equipaggiata e organizzata. Dispongono di ottime navi, di piloti perfino migliori. E, quel che conta di più, sono spinti da qualcosa di ben più potente di qualunque motore: il loro perverso fanatismo reazionario. Sono più pericolosi di quanto crediate»16. La parola chiave è «fanatismo»: è questo a spingere persone comuni a fare cose non comuni. Obi-Wan ha colto molto bene la sensibilità dei rivoluzionari: «Ricordati, Luke: la sofferenza di un solo uomo è la sofferenza di tutta l’umanità. Le distanze non contano di fronte all’ingiustizia. Se non lo si fermerà in tempo, il male divorerà tutti, che gli si siano opposti o no»17. È il credo profondo dei veri ribelli: quando c’è un’ingiustizia la distanza per loro non conta, ed è per questo che decidono di resistere. L’idea che il male ci riguardi tutti fu compendiata dal pastore protestante Martin Niemöller, oppositore di Adolf Hitler rinchiuso per quasi otto anni nei campi di concentramento, in un celebre passo, tante volte ripreso e parafrasato: Prima vennero per i socialisti, e io non alzai la voce, perché non ero un socialista. Quindi vennero per i sindacalisti, e io non alzai la voce, perché non ero un sindacalista. Quindi vennero per gli ebrei, e io non alzai la voce, perché non ero un ebreo. Quindi vennero per me, e non era rimasto più nessuno che potesse farsi sentire per me18. Spesso i leader politici vengono sorpresi, e anche spiazzati, dalle ribellioni. Tanto tempo fa, in una galassia davvero lontana, l’Imperatore Palpatine non immaginava certo che Luke avrebbe resistito alle sue lusinghe, che Dart Fener gli si sarebbe rivoltato contro e che i ribelli non si sarebbero piegati. Nel 1770 gli inglesi non si aspettavano certo il vigore e l’impegno con cui gli americani avrebbero sostenuto la loro rivoluzione. Nel 1990 pochissimi immaginavano che nel gennaio del 1992 l’Unione Sovietica avrebbe cessato di esistere. Nel 2009 il mondo non aveva il minimo sentore che di lì a un anno sarebbe arrivata la Primavera araba. L’ultimo esempio è particolarmente eloquente, sia perché recentissimo, sia perché ha colto di sorpresa praticamente tutti. Nonostante le enormi capacità d’intelligence dei governi, nessuno aveva la più pallida idea di ciò che si stava preparando. Il Foreign Office britannico ha ammesso di non aver saputo «prevedere che una scintilla in Tunisia, scoccata nel dicembre 2010, avrebbe innescato una tale ondata di protesta»19, precisando comunque che «nessun altro attore della politica internazionale, analista accademico o gruppo d’opposizione nell’area l’aveva pronosticata». Stati Uniti e Canada hanno a loro volta riconosciuto che la novità era totalmente sfuggita ai loro analisti20, e che «la grande maggioranza degli specialisti accademici del mondo arabo, come chiunque altro, fu colta alla sprovvista»21. Com’è stato possibile? Secondo Jeff Goodwin, della New York University, la sorpresa è stata inevitabile22: Sappiamo che in Tunisia, a partire dal dicembre [2010], si è verificato qualcosa di simile a un «effetto bandwagon rivoluzionario», innescato da un evento in apparenza insignificante: un venditore ambulante di provincia si era immolato perché la polizia gli impediva di lavorare. L’esempio dell’insurrezione tunisina, culminata nella precipitosa fuga dal paese del dittatore Ben Ali, ha contribuito a dare il via anche in Egitto a un «bandwagon rivoluzionario», estesosi ben presto alla Libia e ad altri paesi in cui l’opposizione ai regimi esistenti era diffusa e le soglie di propensione rivoluzionaria relativamente basse (cosa molto difficile da prevedere). Il fatto che la rivoluzione non abbia coinvolto anche Algeria, Arabia Saudita, Giordania e altri paesi arabi indica che in quei paesi le soglie di propensione rivoluzionaria erano semplicemente poco favorevoli allo scoppio di insurrezioni di massa – anche se, lo ribadisco, nessuno avrebbe potuto prevedere dove e fino a che punto si sarebbe diffusa la Primavera araba. Sembra un po’ complicato. Proviamo allora a dipanare la matassa. Cecità Uno dei motivi per cui i vari imperatori Palpatine in giro per il mondo sono ciechi di fronte ai cambiamenti è che di solito tendono a isolarsi e a circondarsi di collaboratori terrorizzati che offrono loro un quadro a tinte rosa, rassicurandoli che tutto va bene, che tutti li amano (o li temono) e che tutto sta andando come previsto. Un altro motivo è che anche gli imperatori, come la maggior

parte degli esseri umani, tendono a essere troppo sicuri di sé e irrealisticamente ottimisti, e che ciò che pensano è condizionato dalle loro motivazioni. In generale, gli uomini tendono a credere a ciò cui vogliono credere, e a non credere ciò che vogliono non credere («Questo non mi piace e io non ci credo»). Gli imperatori vogliono credere che la gente sia soddisfatta di loro e non in collera, che l’eventuale collera sia ristretta a pochi e che un’eventuale ribellione dettata dalla collera, se anche si diffondesse, potrebbe essere bloccata con le armi. Il malcontento dei cittadini è una verità scomoda, e i capi tendono a ignorarla. Non c’è bisogno di essere un Signore dei Sith per essere convinti che una ribellione sia destinata all’insuccesso. Il fatto più sconcertante è che i leader politici non sono gli unici incapaci di prevedere l’eventualità di un successo della ribellione: nella maggior parte dei casi è un errore che fanno tutti o quasi. Perché? Abbiamo già accennato a una delle spiegazioni: il modo di vedere le cose dipende dalle dinamiche sociali, e queste ultime sono difficili da prevedere. Una causa o un’idea non sono molto diverse da una canzone, da un libro o da un film. Le persone possono seguirle, e persino sacrificare a esse la propria vita, a causa di ciò che pensano che gli altri pensino. Un tentativo di ribellione può andare incontro alla stessa sorte di Sixto Rodriguez negli Stati Uniti, o a quello di Sugar Man in Sudafrica. Tutto dipende da ciò che ognuno di noi pensa che gli altri pensino. Ecco uno dei dialoghi tra Obi-Wan e Luke, in Una nuova speranza: Ben Obi-Wan Kenobi:

[a Luke] Dovrai imparare le vie della Forza se devi venire con me ad

Alderaan. Luke Skywalker:

Alderaan? Ma io non ci vengo ad Alderaan. Devo tornare a casa. È tardi. Sono già nei guai così. Ben Obi-Wan Kenobi:

Ho bisogno del tuo aiuto, Luke. Anche lei ne ha bisogno. Sto diventando troppo vecchio per questo genere di cose. Luke Skywalker:

Non posso essere coinvolto. Ho del lavoro da fare. Non pensare che mi piaccia l’Impero, anzi lo detesto. Ma non ci posso fare niente in questo momento. Ed è lontanissimo da qui. Ben Obi-Wan Kenobi:

Sembra di sentire tuo zio.

Come molti potenziali ribelli, anche Luke sottolinea tre cose: 1) deve lavorare, 2) il problema c’è, ma lui non può farci nulla, 3) è molto distante dai posti dove si può fare qualcosa. Notiamo anche che le sue obiezioni sono abbastanza fiacche. Luke non ama particolarmente il suo lavoro, e anzi gli piacerebbe andarsene da qualche altra parte, lontano da lì. Ecco un altro bel passo dalla versione romanzata di Una nuova speranza: «Biggs ha ragione, non riuscirò mai ad andarmene da qui. Lui va a unirsi alla Ribellione contro l’Impero mentre io resto qui ad ammuffire in questa fattoria della malora»23. Una della domande è se Luke possa fare realmente qualcosa riguardo all’Impero. La sensazione d’impotenza può sicuramente scoraggiare a impegnarsi. Ma se i Luke del mondo si sentono ragionevolmente sicuri che anche altri si ribelleranno la loro riluttanza potrebbe dissolversi. A volte molto dipende dall’eventualità che i potenziali ribelli siano influenzati da qualcosa di molto simile ai primi download dei brani musicali proposti nell’esperimento del Music Lab. Valanghe insurrezionali Secondo la politologa dell’Università della California, Los Angeles Susanne Lohmann, una ribellione che sfocia in vaste iniziative di protesta si può descrivere come una valanga informativa, il cui sviluppo si articola essenzialmente in tre fasi24: 1.

la gente prende costose iniziative politiche per esprimere l’insoddisfazione verso il regime esistente;

2.

il pubblico coglie i segnali informativi dati dall’estendersi, nel corso del tempo, del movimento di protesta;

3.

se le azioni di protesta rivelano la natura malevola del regime, quest’ultimo perde il sostegno del pubblico e crolla.

Ciò descrive relativamente bene i modi e le ragioni della caduta dell’Impero. (Naturalmente la descrizione non è perfetta, ma vi chiedo ancora un po’ di pazienza.) Nel modello di Lohmann le

società sono composte da vari gruppi, caratterizzati da soglie d’iniziativa diverse. Un gruppo è formato da coloro che sono pronti a ribellarsi a prescindere da ogni altra considerazione. Sono quelli che odiano lo status quo, che hanno coraggio da vendere e che sono decisi a cambiare le cose anche se nessun altro lo è: potremmo chiamarli le Principesse Leila. Un esempio è l’amico di Luke, Biggs: «Luke, non aspetterò che l’Impero mi chiami sotto le armi. Contrariamente a quello che dicono gli organi di informazione ufficiali la Ribellione sta dilagando. E io voglio essere dalla parte giusta… la parte in cui credo»25. Un secondo gruppo è quello di coloro che detestano lo status quo, ma si ribellano solo quando raggiungono un certo livello di malcontento e di collera: chiamiamoli i Luke («Vengo con te a Alderaan»). Un terzo gruppo è formato da chi è insoddisfatto dallo status quo, ma si ribellerà solo se avrà la sensazione che la ribellione possa avere successo. Queste persone a volte fingono di disinteressarsene o di badare solo ai loro interessi concreti, ma in fondo in fondo simpatizzano per la ribellione: sono gli Ian. Poi ci sono gli apatici, la cui decisione se ribellarsi o continuare a sostenere il regime dipende dall’aria che tira: chiamiamoli i Naboo. Infine, un quinto gruppo appoggia il regime, e continuerà a farlo anche quando monteranno le proteste: sono i Sith. In quest’ottica il successo di una ribellione dipende in larga parte dalle dinamiche sociali e dalla forza del segnale inviato dai ribelli. Se le Principesse Leila sembrano sufficientemente numerose, e se l’Impero sembra passarsela sufficientemente male, anche i Luke e gli Ian si schiereranno con la ribellione; e se ci saranno abbastanza Luke e Ian, anche i Naboo li seguiranno. Naturalmente i Sith resteranno fedeli al regime – anzi, in parte sono il regime –, ma si ritroveranno isolati e finiranno per perdere il potere. Che cosa pensa davvero la gente? In una società fortemente repressiva – che è poi il caso in cui una ribellione appare maggiormente giustificata – è estremamente difficile capire l’effettiva diffusione del malcontento, perché le persone non diranno ciò che pensano realmente: magari, come Luke, odiano chi comanda e si augurano un cambiamento, ma sanno bene che parlare è rischioso, e perciò celeranno sia le loro preferenze che le loro convinzioni. In pratica, nessuno saprà cosa pensa davvero l’opinione pubblica; c’è una maggioranza silenziosa. Incidentalmente, è proprio questo uno dei motivi che rendono inattendibili i sondaggi d’opinione nei paesi autoritari. Le persone a volte si dichiarano soddisfatte del governo anche quando sono profondamente scontente. Ecco un piccolo aneddoto in proposito. Alla fine degli anni Ottanta andai a Pechino per tenere un breve corso di diritto americano (per quel che ricordo non ci capitò mai di parlare di Star Wars, che del resto in Cina fino al 2015 non si poteva vedere). Al momento della prova conclusiva chiesi ai miei trenta studenti di descrivere in una breve relazione che cosa potevano imparare gli Stati Uniti dal sistema giuridico cinese o, viceversa, che cosa la Cina poteva imparare dal sistema giuridico statunitense. Ogni studente era libero di scegliere l’uno o l’altro aspetto, e io ero curioso di vedere cosa ne sarebbe venuto fuori. Con mia grande sorpresa, quasi tutti rifiutarono di fare il compito. La spiegazione me la diede uno di loro, imbarazzatissimo: «Abbiamo paura che ciò che scriviamo finisca in mani sbagliate». In pratica mi stavano dicendo che avrebbero potuto avere problemi con le autorità. Naturalmente erano fedeli al loro paese, e in privato erano anche disposti a sollevare dubbi su ciò che faceva il governo (e anche su ciò che facevano gli Stati Uniti); ma non erano disposti a mettere per iscritto quei dubbi, per timore di andare incontro a qualche sanzione. Il punto, elaborato estesamente dall’economista Timur Kuran nel suo straordinario libro Private Truths, Public Lies26 è proprio questo. Se le persone nascondono le proprie preferenze e convinzioni, prevedere le ribellioni diventa difficile e persino impossibile: la gente potrebbe essere soddisfatta del proprio governo, oppure disapprovarlo in parte o magari detestarlo profondamente. Dal momento che ciò che i cittadini dicono non coincide con ciò che pensano, essi si troveranno in una situazione che è stata definita di ignoranza pluralistica, ossia non avranno la minima idea di come la pensano gli altri. Ma se qualcuno (le Principesse Leila) inizia a esprimere apertamente la propria insoddisfazione e volontà di ribellarsi, gli altri (i Luke) forse penseranno che una ribellione potrebbe anche riuscire, in quanto è possibile che in molti siano disposti a protestare. Se le cose stanno così, il mondo può risultarne sconvolto.

L’imprevedibilità delle ribellioni dipende soprattutto dalle dinamiche sociali legate agli effetti valanga, ma anche dal fatto che nessuno sa cosa la gente pensi davvero dello status quo. Polarizzazione di gruppo Non abbiamo discusso a sufficienza le dinamiche interne della ribellione: che cosa porta le persone a ribellarsi? Una ragione è che sono scontente o che se la passano proprio male, magari a causa di ciò che i loro leader fanno, o di quello che invece mancano di fare. Un’altra è che, come Leila o Biggs, hanno un forte senso di rancore e ingiustizia subita (questo era senz’altro il caso della Guerra d’indipendenza americana, della Rivoluzione francese, della lotta contro l’apartheid in Sudafrica e della Primavera araba). Magari ritengono l’Impero responsabile della morte dei propri zii e zie. Il malcontento generalizzato (per ristrettezze economiche o senso di umiliazione, sfruttati dai leader dei rivoltosi) può senza dubbio provocare una ribellione, ed è altrettanto chiaro che una radicalizzazione può anche essere l’effetto di certi eventi precipitanti, soprattutto quando la tirannia ci colpisce da vicino. Ho accennato all’euristica della disponibilità: la gente stima le probabilità a lume di naso. Se recentemente è stato commesso un atto criminale nel vostro quartiere, o se qualcuno nella vostra famiglia si è ammalato di cancro, potreste avere un’esagerata percezione del rischio del crimine o del cancro. Spesso le ribellioni sono alimentate a causa di un particolare evento: l’uccisione di un civile innocente, la condanna di un dissidente, l’abuso di potere da parte di funzionari delle entrate. Ma uno dei principali motivi per cui scoppiano le ribellioni è la polarizzazione di gruppo: un fenomeno che aiuta a spiegare non solo l’avvento della Repubblica o il ritorno dello Jedi, ma anche la nascita degli Imperi e le vendette dei Sith. La polarizzazione di gruppo si verifica quando un certo numero di persone che la pensano in modo simile, trovandosi a parlare quasi esclusivamente tra loro, finiscono per condividere una versione ancora più radicale delle loro idee iniziali27. Supponiamo che un gruppo di amici su Facebook stia discutendo, per esempio, se il presidente Obama è bravissimo o pessimo, se il cambiamento climatico è un grave problema o no, oppure se J.J. Abrams abbia fatto un magnifico lavoro o invece abbia rovinato tutto. Se la maggior parte di loro parte dall’idea che Obama sia in gamba, che il cambiamento climatico sia un problema serio e che Abrams abbia rovinato tutto, le loro conversazioni avranno l’effetto di renderli più uniti e sicuri di sé e di rinsaldare ulteriormente le loro idee iniziali. È uno schema ricorrente, confermato da molti studi sociali. Se chiudete in una stanza un gruppetto di ribelli e li mettete a parlare della ribellione, la discussione li porterà ad assumere posizioni più estreme. La Rivoluzione Americana fu favorita da questo meccanismo, e lo stesso è avvenuto nel caso della Rivoluzione reaganiana o dell’elezione di Obama, nel 2008. Se un qualsiasi gruppo – non importa se di Jedi o di Sith – si pone la fondamentale domanda «Perché ci odiano?», la risposta che darà sarà probabilmente molto influenzata dal fenomeno della polarizzazione di gruppo. Ne consegue che se, per esempio, a discutere è un gruppo i cui membri tendono ad approvare la prosecuzione di uno sforzo bellico, alla fine essi tenderanno a sostenere la guerra ancor più entusiasticamente; se i membri del gruppo hanno trovato deludente Il risveglio della Forza, parlandone tra loro finiranno per sentirsene ancor più delusi; se pensano che il controllo sul possesso delle armi sia assolutamente necessario e che gli Stati Uniti debbano rafforzarlo, discutendone quasi soltanto tra loro saranno ancora più convinti di quest’idea; se infine sono ostili e diffidenti verso gli Stati Uniti, scambiare opinioni con chi la pensa come loro li renderà ancora più ostili e diffidenti: un fenomeno, quello dell’atteggiamento antiamericano, che nel caso dei francesi è stato specificamente studiato e documentato. Se a Parigi si riuniscono delle persone che non amano affatto gli Stati Uniti, è probabile che discutendo tra loro finiscano per diventare decisamente antiamericani. L’ascesa del terrorismo è strettamente legata alla polarizzazione di gruppo. I terroristi in linea di massima non sono poveri, poco istruiti o malati di mente. È allettante ma sbagliato dire che se eliminassimo la povertà e promuovessimo l’istruzione faremmo piazza pulita del terrorismo. Molti terroristi non sono poveri e hanno un’istruzione elevata (e, contrariamente a una lettura distorta della trilogia iniziale di Star Wars che abbiamo già menzionato, Luke non era un terrorista: ma tipi alla Luke – giovani, brillanti, aggressivi, che bazzicano altri giovani come loro – cadono effettivamente vittima di quel Lato oscuro). Il terrorismo è il risultato di reti sociali – soprattutto casse di risonanza – in cui chi la pensa in un certo modo si trova a parlare quasi esclusivamente con

quelli come lui. Spesso le teorie del complotto nascono così. Ma la polarizzazione di gruppo è un meccanismo che favorisce anche le ribellioni animate da buone intenzioni. Perché i gruppi si polarizzano A che cosa sono dovuti questi fenomeni? Le possibili spiegazioni sono due. La prima si basa sullo scambio d’informazioni. L’idea di base è molto semplice: le persone vengono influenzate dalle informazioni in possesso degli altri, e dalle argomentazioni degli altri; in un gruppo con una propensione iniziale per una certa direzione, il «pool d’informazioni» sarà inevitabilmente sbilanciato in quella stessa direzione. Se i membri di un gruppo tendono a pensare che l’Impero sia un regime tirannico o che gli Stati Uniti stiano conducendo una grande campagna contro l’islam e cerchino di uccidere e umiliare i musulmani in quanto tali, nel gruppo tenderanno a prevalere le argomentazioni in tal senso. Il gruppo sarà meno esposto alle argomentazioni di segno opposto, semplicemente a causa della distribuzione iniziale delle posizioni nel gruppo stesso. Se le persone ascoltano, l’effetto del dibattito interno al gruppo sarà di rafforzare ulteriormente l’idea prevalente iniziale. Il fenomeno è generale. Se in un gruppo la maggior parte delle persone tende a credere che i prequel di Star Wars siano scadenti, le argomentazioni contro i prequel (tipo: puah, Jar Jar Binks!) tenderanno a prevalere su quelle a loro favore (tipo: guarda come si muovono quelle astronavi!). Che il pool d’informazioni influenzi in questo senso le opinioni individuali è un’idea ampiamente confermata dai fatti (e secondo me è per questo che i prequel vengono sottovalutati). La seconda spiegazione ha invece a che fare con le influenze sociali. In questo caso l’idea fondamentale è che le persone si preoccupano di ciò che gli altri pensano di loro, e per questo tendono a cambiare posizione. Supponiamo che vi troviate in un gruppo in cui tutti sono convinti che Star Trek sia molto meglio di Star Wars, o che gli Stati Uniti siano esposti a gravi e imminenti minacce terroristiche, o che il cambiamento climatico non sia affatto un problema grave, come alcuni sembrano essere assolutamente convinti. Ascoltando le opinioni altrui è probabile che modificherete almeno un po’ la vostra: non volete certo essere giudicati immorali o sciocchi dagli altri membri di quel gruppo. A questo punto è facile capire in che modo le influenze sociali contribuiscano a scatenare una ribellione: se i ribelli parlano sempre tra loro, nessuno dei membri del loro gruppo vorrà essere giudicato incline al compromesso o a lasciarsi abbindolare dall’Impero. I movimenti per i diritti civili nascono, e si rafforzano, esattamente con lo stesso meccanismo. Negli anni Settanta il movimento femminista fu stimolato dalle influenze sociali. All’inizio del XXI secolo il successo imprevisto degli sforzi per promuovere i diritti LGBT ha avuto moltissimo a che fare con la polarizzazione di gruppo. Quando, nel 2015, la Corte Suprema ha chiesto agli stati di riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso, di fatto ha ratificato un consenso sociale emergente, reso possibile dalla polarizzazione di gruppo. Un ultimo aspetto. Molte persone di solito non sono totalmente sicure delle proprie idee, e tendono perciò a esprimerle in una versione più sfumata, per timore di essere emarginate o ostracizzate. Molte altre invece sono più sicure di quanto non vogliano dar a vedere – per timore di essere giudicate stupide – e tendono a moderare le idee che esprimono in pubblico. In tutti e due i casi, le dinamiche di gruppo possono spingere queste persone verso posizioni più estreme. Nel momento in cui trovano in altre una conferma delle proprie idee, si sentono più sicure di sé e tendono a essere meno moderate. Così si creano i ribelli. Un esempio è proprio il Luke Skywalker degli inizi. Stare «al proprio posto» Anche le valanghe reputazionali hanno un ruolo importante nelle ribellioni. Alcuni si uniscono ai ribelli non perché importi loro qualcosa della ribellione, ma per compiacere amici e conoscenti. Altri evitano di ribellarsi perché non vogliono mettere a repentaglio la loro reputazione, ma per la stessa ragione, quando le cose cambiano, finiscono per schierarsi dalla parte dei ribelli. Naturalmente, anche gli effetti di rete possono avere un ruolo fondamentale nella decisione di ribellarsi a qualsiasi tipo di impero: nel momento in cui la ribellione si diffonde, parteciparvi diventa molto più galvanizzante. Si ha quasi l’impressione di entrare in un club assolutamente speciale, il migliore mai visto nella storia. Il punto importante è che molti sono poco convinti delle loro preferenze politiche, non sono ben sicuri di come davvero la pensano. Magari pensano che il regime attuale sia accettabile, o addirittura ottimo, ma a volte basta un fatto nuovo, o il racconto di altri, per persuaderli a cambiare idea. Le

loro preferenze potrebbero dipendere semplicemente dal fatto che il sistema politico esistente appare ineluttabile, che sembra non ci si possa far nulla. A molti non fa piacere l’idea che i leader siano corrotti o tirannici, o anche solo scorretti o incompetenti: ma anche se non c’è un Dart Fener che ci prende per il collo, sembra più facile vivere la propria vita e far finta che tutto vada bene o sia quanto meno passabile. È questo che spesso spinge le persone a considerare lo status quo una condizione accettabile, o comunque un’opzione migliore delle alternative. Il grande storico Gordon Wood, nell’illustrare la fisionomia gerarchica della società americana prima della Rivoluzione, scrive che «molti individui di condizione particolarmente modesta mostra[van]o un’“aria contrita” […]. Le persone comuni […] sapevano stare al loro posto e di buon grado camminavano mentre l’alta società cavalcava e ben di rado esprimevano il desiderio di cambiare di posto con i loro superiori». A detta di Wood «non si comprenderà mai la peculiarità di quel mondo premoderno finché non si capirà in quale misura molte persone comuni accettavano serenamente la propria modesta condizione»28. Ciò che voglio dire, molto semplicemente, è che quando una ribellione si fa strada la gente sarà meno incline ad «accettare serenamente la propria modesta condizione»: quell’«aria contrita» cesserà di essere parte della vita, e diventerà simbolo di oppressione. Attenti, imperatori, ovunque voi siate. Farfalle ovunque Al grande maestro della fantascienza Ray Bradbury si deve un celebre racconto, «A Sound of Thunder» su quello che oggi si chiama «effetto farfalla»: se in un certo momento fosse stata uccisa una farfalla, le cose sarebbero andate in modo diverso? Avrebbero potuto sopravvivere i dinosauri? Supponiamo per esempio che i genitori di Hitler, o di Ronald Reagan, o di Barack Obama, non si fossero mai conosciuti, o anche solo che quel giorno fossero stati troppo stanchi per arrivare a concepire il loro celebre figlio. Una deviazione minima, e tutto avrebbe preso un’altra piega: niente Hitler, o Reagan, o Obama. E se anche lasciamo da parte il concepimento, possiamo facilmente trovare tanti eventi e coincidenze – lì lì per non accadere – che erano necessari per tutti e tre i personaggi. Poiché le catene causali sono estremamente complesse, e ogni evento ha come proprie condizioni necessarie moltissimi altri eventi, il concetto di effetto farfalla non è affatto campato in aria: se quel giorno il cane di quella persona fosse stato male, se un altro giorno quell’altra persona anziché uscire fosse rimasta a casa, magari tutto sarebbe andato in un altro modo. Le farfalle che cambiano il mondo sono ovunque. E sono loro a definire le nostre vite. Prendiamo George Lucas. Voleva tanto iscriversi all’accademia d’arte, ma suo padre faceva di tutto per scoraggiarlo. Allora pensò di studiare antropologia alla San Francisco State University. Ma un suo amico d’infanzia, John Plummer, che andava alla University of Southern California, gli suggerì di fare domanda lì, alla scuola di cinema: «c’è una scuola di fotografia […] sono sicuro che ti piacerà»29. Lucas si convinse a fare il test di ammissione, e lo superò: e questo dettaglio cambiò ogni cosa. Lo ammette: «Sono arrivato lì per un colpo di fortuna»30. E c’era una bella sorpresa: non era una scuola di fotografia, ma «una scuola di cinema. Pensai: “Cosa? Posso andare al college e imparare a fare film? Pazzesco!”»31. Senza John Plummer, e quell’incontro, non ci sarebbe mai stato Star Wars. Nel 1972, in un saggio sulla «Prevedibilità» che ebbe grande fortuna, il meteorologo Edward Lorenz sviluppò il ragionamento che portava alla conclusione dell’effetto farfalla. La domanda di partenza era se «il battito d’ali di una farfalla può scatenare un uragano in Texas», ossia a enorme distanza da dove si trova la farfalla. Il discorso di Lorenz si fondava sulla sua osservazione empirica di come anche una variazione apparentemente minima nella simulazione al computer di un modello meteorologico possa stravolgere completamente il tempo a lungo termine: in linea di principio il battito d’ali di una farfalla in Brasile poteva davvero produrre un enorme cambiamento delle dinamiche meteo in Texas. La lezione più generale è che poiché i sistemi naturali e sociali interagiscono, e poiché cambiamenti apparentemente minimi possono generare effetti giganteschi, fare previsioni accurate può essere difficile o addirittura impossibile. Per citare l’esperto di previsioni Philip Tetlock, una donna che abita nel Kansas potrebbe rendersi conto che «le azioni di un oscuro abitante della Tunisia hanno portato a proteste, che hanno portato a sommosse, che hanno portato al

rovesciamento di un dittatore, che ha portato a proteste in Libia, che hanno portato a una guerra civile, che ha portato all’intervento della NATO del 2012, che ha portato suo marito a schivare per un pelo il fuoco della contraerea sorvolando Tripoli»32. Qualcosa di simile si può dire a proposito delle vicende di Star Wars. In Una nuova speranza Ian Solo sceglie di abbandonare una ribellione le cui prospettive gli appaiono molto incerte e di andarsene per la sua strada. «Solo» di nome e di fatto, non si sente affatto parte di una squadra. Leila detesta questo comportamento, ma ammette che Ian «deve seguire il suo cammino. Nessuno ha il diritto di cambiarlo» (un motivo ricorrente nella saga). Nel momento cruciale Ian sceglie di tornare, e salva Luke dal padre che sta per ucciderlo. Alla fine Ian è meno «Solo» di quel che sembrava: ma soprattutto, senza quella scelta Luke e la ribellione avrebbero fatto una brutta fine. E poi, ancora a proposito di Ian Solo e di battiti d’ali che cambiano i destini: Harrison Ford a trentacinque anni faceva il falegname e recitava solo quando gliene capitava l’occasione. Ma il caso volle che passasse negli uffici dove Lucas stava facendo gli incontri per il casting di Star Wars: lo aveva chiamato quel giorno Vic Roos, un direttore del casting, perché lì serviva una porta nuova. Lucas conosceva già Harrison: gli aveva dato una particina in American Graffiti; tuttavia per quella «cosuccia spaziale»33 si era ripromesso di non ingaggiare alcun attore che avesse recitato in quel film. Ma s’imbatté nell’attore-falegname proprio al momento giusto, e decise di dargli una possibilità. È pressoché impossibile immaginare Star Wars senza Harrison Ford che impersona Ian Solo: eppure c’è mancato poco. Come ha raccontato Roos: «Harrison aveva fatto un sacco di lavoro di falegnameria per me, aveva bisogno di soldi, aveva dei figli e non era ancora una grande star del cinema. […] Il caso volle che, il giorno in cui stava lavorando, Lucas fosse là. Fu una serendipità»34. Le campagne politiche Per molti L’attacco dei Cloni, tra tutti i film della saga è il peggiore, e anche quello di minor successo (anche se a me piace… Perché non lo riguardate? Almeno la impressionante scena iniziale…). In ogni caso, il crawl iniziale dice qualcosa di interessante sulla politica e sulle campagne politiche: C’è grande agitazione nel Senato della galassia. Molte migliaia di sistemi stellari hanno dichiarato la loro intenzione di staccarsi dalla Repubblica. Il movimento separatista, capeggiato dal misterioso conte Dooku, sta rendendo arduo al limitato numero di Cavalieri Jedi mantenere la pace e l’ordine nella galassia. La senatrice Amidala, ex regina di Naboo, fa ritorno al Senato della Galassia per votare su una questione cruciale: la fondazione di un ESERCITO DELLA REPUBBLICA in appoggio ai Jedi in difficoltà… Ecco un altro modo per descrivere la situazione. La galassia è investita in pieno da una valanga. I vari sistemi solari non agiscono autonomamente, ma si regolano ciascuno in base a ciò che fanno gli altri. Se qualche sistema uscirà dalla Repubblica, altri lo seguiranno: la valanga crescerà, e con essa la pressione secessionista. Il conte Dooku lo ha capito e cerca di sfruttare la situazione. I Jedi non ce la fanno a tenere sotto controllo tutta quell’inquietudine che si autoalimenta. La senatrice Amidala spera non solo di creare un ESERCITO DELLA REPUBBLICA, ma anche di riuscire a fermare la valanga. In campo elettorale gli effetti valanga hanno un ruolo decisivo: possono creare o distruggere i candidati in un attimo. Nel 2008 il candidato Barack Obama ha chiaramente beneficiato di valanghe sia informative che reputazionali. Anch’egli (come Una nuova speranza nel momento in cui uscì) ha guadagnato, grazie alla sua popolarità, ancor più popolarità; e la sua collaudata abilità nel raccogliere fondi lo ha aiutato ad attrarre altri finanziatori. Invece il repubblicano Scott Walker (lo ricordate ancora?) è stato vittima, nel 2015, di una valanga negativa. All’inizio Walker sembrava favorito per la nomination repubblicana, e molta gente che di solito ci azzecca lo vedeva già come nuovo presidente. Ma qualcuno ha cominciato a dire che era un perdente: allora ha cominciato a farsi strada l’idea che lo fosse davvero, e la situazione in poco tempo è precipitata. È successa la stessa cosa che capita a chi cerca lavoro, ma non riesce a trovarlo per il semplice fatto che lo ha perso: appena tutti hanno capito che gli altri non stavano più finanziando Walker, quest’ultimo ha cominciato ad avere serie difficoltà a finanziarsi, e a quel punto la sua campagna si è letteralmente sgretolata. (Non si contano i candidati promettenti che hanno avuto in passato, e quelli che avranno in futuro, esperienze simili).

Naturalmente il successo di Obama e l’insuccesso di Walker non sono dipesi solo da effetti valanga. Obama era un candidato estremamente forte, mentre Walker ha rivelato una debolezza sorprendente. Ma è impossibile comprendere gli strepitosi successi del primo e il crollo del secondo senza tener conto di effetti valanga analoghi a quelli che hanno giocato a favore di Star Wars. Nel successo di un uomo politico conta molto anche la polarizzazione di gruppo. Uno dei metodi che funzionano consiste nel riunire i propri sostenitori (magari anche solo online). Le persone si contagiano a vicenda, raggiungendo livelli di entusiasmo sempre più alti, mettendoci tempo e denaro. Tra l’altro, questi stessi effetti aiutano a capire come mai i sondaggi su scala nazionale contino molto meno di quanto dicano gli esperti. Poiché le primarie creano effetti valanga, non è poi così importante che un certo candidato sia in vantaggio di cinque, dieci o quindici punti nei sondaggi: è importante solo se contribuisce a innescare tempestivamente un effetto valanga. Negli Stati Uniti i candidati farebbero bene ad avere in mente questo pensiero: sto correndo per diventare presidente dello Iowa (e poi del New Hampshire). All’inizio di una campagna, proprio come quando esce un film o un libro, la cosa più interessante è capire quando un effetto valanga, negativo o positivo, inizia ad accelerare. Simili accelerazioni, per la loro stessa natura, non sono prevedibili, ma nel momento in cui s’innescano sono assolutamente inconfondibili. Arriva un momento in cui quello che fino a poco prima sembrava assolutamente ipotetico, o semplicemente possibile, diventa praticamente certo, e finanziatori ed elettori affluiscono in massa verso l’uno o l’altro candidato. Dopo che il gregge si è accodato, in tanti diranno che quell’esito era il risultato inevitabile della biografia, dei punti di forza e delle idee del candidato vincente, oppure che il successo è dipeso da un qualche profondo legame con la cultura o con lo Zeitgeist. Ma quella sensazione d’inevitabilità, come per i best seller, anche in questo caso è un’illusione. Molto probabilmente il vincitore ha avuto la meglio soprattutto perché è riuscito a fare la stessa cosa di George Lucas e della Principessa Leila: gestire, e innescare, degli effetti valanga a proprio vantaggio. La classifica dei film di Star Wars Ma ora basta con la politica. Le influenze sociali aiutano a spiegare le valutazioni date dei diversi film di Star Wars? Non c’è alcun dubbio che, come accade con tante opere d’arte e d’intrattenimento, nei confronti di questi film i giudizi sia dei critici sia della gente comune tendano a polarizzarsi in una direzione o nell’altra. Si formano valanghe sia in «salita» sia in «discesa». Quando è uscito Il risveglio della Forza, si è avuta immediatamente la sensazione che Abrams avesse creato qualcosa di veramente splendido e spettacolare. Quella sensazione è stata rafforzata dal fatto che i primi spettatori entusiasti parlavano soprattutto tra loro. Forse Abrams aveva fatto il miglior film in assoluto di Star Wars, o magari il secondo miglior film dopo L’Impero colpisce ancora… Dopo un po’ c’è stato il prevedibile contraccolpo, non appena qualche tipo in gamba e qualche guastafeste hanno fatto notare che Il risveglio della Forza attinge abbondantemente a Una nuova speranza e al Ritorno dello Jedi, e che sembra privo di originalità e coraggio, e anche del genio e della voglia di rischiare tipici di Lucas (il quale ha a sua volta versato benzina sul fuoco, sottolineando la mancanza di originalità del film). Si è innescato così un processo di polarizzazione di gruppo contro Il risveglio della Forza e, in alcuni ambienti, anche di riconsiderazione e rivalutazione dei prequel. La mia personale opinione è che con Il risveglio della Forza Abrams abbia fatto un magnifico lavoro. È un film veloce, e incredibilmente avvincente. E Rey è favolosa. Il film non ha nulla di sbagliato o imbarazzante, e propone dei nuovi, splendidi misteri. Sa miscelare bene vecchio e nuovo come raramente accade. Per farlo c’è voluta un’abilità immensa. È vero, è in larga parte un remake, ma va bene così: un rilancio può anche essere un remake. Non ha nulla dell’originalità di Lucas, ma è terribilmente ben fatto. Concludiamo questa parte, dedicata alle ribellioni e alle influenze sociali con una classifica obiettiva e ragionata dei vari film, non influenzata minimamente dai fattori sociali visti in precedenza: 1.

L’Impero colpisce ancora (voto: A+)

2.

Una nuova speranza (voto: A+)

3.

Il ritorno dello Jedi (voto: A)

4.

La vendetta dei Sith (voto: A–)

5.

Il risveglio della Forza (voto: A–)

6.

L’attacco dei cloni (voto: B–)

7.

La minaccia fantasma (voto: C+)

Sicuramente questa scelta suscita alcune domande. L’Impero colpisce ancora e Una nuova speranza sono indiscutibilmente in cima alla classifica, ma Una nuova speranza è stato il primo film, e il più originale, ed è quello che dà il via a tutto. E poi è quello che presenta tutti gli enigmi. Forse va al primo posto? È giusto chiederselo. Ma è anche vero L’Impero colpisce ancora approfondisce tutto, ed è lì che si trova «Io sono tuo padre». Nel film non c’è praticamente scena che non sia brillante; inoltre, c’è la battuta di Leila «Ti amo, Ian», e lui che risponde «Lo so»; e poi ci sono quegli straordinari «camminatori» o «quattropodi», «i veicoli terrestri più pesantemente corazzati in dotazione all’Esercito imperiale» (il nome tecnico è AT-AT, che sta per All Terrain Armored Transport, ossia trasporto corazzato per ogni terreno). Quanto alla scelta tra Il ritorno dello Jedi, Il risveglio della Forza e La vendetta dei Sith, è duro scegliere. Il risveglio della Forza è il più teso e quello con meno difetti, perciò non sarebbe assurdo piazzarlo al terzo posto in classifica: sbagliato, ma non assurdo. La vendetta dei Sith ha dei momenti incredibili. Come abbiamo visto, il capovolgimento del Ritorno dello Jedi è brillante, forse il migliore in assoluto dal punto di vista visivo. Il passaggio di Anakin al Lato oscuro è toccante; lo scontro finale tra Obi-Wan e Anakin è pazzesco. E tra Il risveglio della Forza e La vendetta dei Sith, in realtà è un testa a testa, e il secondo vince per un’incollatura. Il ritorno dello Jedi poteva essere più corto (ha troppi riempitivi), e perciò è comprensibile chiedersi se non siano meglio Il risveglio della Forza o La vendetta dei Sith. Ma alla fine la risposta è chiara. Nelle sue parti migliori Il ritorno dello Jedi svetta su tutto, e la scena della redenzione è un trionfo. Non si discute. ………………………………. 1. Rinzler, The Making of Star Wars, cit., pp. 7-8, 17. 2. «The Oppression of the Sith», Star Wars Modern, 18 febbraio 2010, http://starwarsmodern.blogspot.com/2010/02/communistmanifesto-turns-160-neocons.html. 3. «George Lucas Interview», Boston.com, http://www.boston.com/ae/movies/lucas_interview/ (trascrizione dell’intervista con George Lucas di Ty Burr). 4. Erin Whitney, «Kylo Ren of “Star Wars: The Force Awakens” Was Inspired by Nazis… Sorta», Huffington Post, 25 agosto 2015, http://www.huffingtonpost.com/entry/kylo-ren-the-force-awakens-nazis_55dca490e4b04ae49704973c. 5. La vendetta dei Sith, cit. 6. Una nuova speranza, in Trilogia classica, cit., p. 26. 7. David Germain, «Sci-Fi Themes Hit Closer http://articles.latimes.com/2005/may/16/entertainment/et-starwars16.

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Home»,

L.A.

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maggio

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8. «Cannes Embraces Political Message in “Star Wars”», Associated Press, 16 maggio 2005, http://www.today.com/id/7873314/ns/today-today_entertainment/t/cannes-embraces-political-message-star-wars/#.Voay4JMrJp9. 9. «Hitler Empowered to Dissolve Parliament; Rule by Decree; State Ouster of Cohn Accomplished», Jewish Telegraphic Agency, 2 febbraio 1933, http://www.jta.org/1933/02/02/archive/hitler-empowered-to-dissolve-parliament-rule-by-decree-state-ouster-of-cohnaccomplished. 10. Dan Froomkin, «Cheney’s “Dark Side” is Showing», Washington Post, 7 novembre 2005, http://www.washingtonpost.com/wpdyn/content/blog/2005/11/07/BL2005110700793.html. 11. President Barack Obama, «Weekly White House Address», 17 maggio 2014, https://www.whitehouse.gov/the-pressoffice/2014/05/17/weekly-address-working-when-congress-won-t-act. 12. Karoun Demirjian, «Democrats Hint They Are Ready for Obama to Shut Down Gitmo Alone», Washington Post, 11 novembre 2015, https://www.washingtonpost.com/news/powerpost/wp/2015/11/11/democrats-hint-they-are-ready-for-obama-to-shut-downgitmo-alone/. 13. Edmund Burke, Reflections on the Revolution in France, a cura di L. G. Mitchell, Oxford University Press, Oxford-New York 2009, p. 95 (ed. orig. 1790); trad. it. di M. Respinti, Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, Roma, Ideazione, 1998. 14. Martin Luther King Jr., «The Montgomery Bus Boycott», 5 dicembre 1955, http://www.blackpast.org/1955-martin-luther-king-jrmontgomery-bus-boycott. 15. Una nuova speranza, in Trilogia classica, cit., p. 21. 16. Ibid., p. 25. 17. Ibid., p. 54. 18. «Martin Niemoller: First They Came for the Socialists», Holocaust Encyclopedia, http://www.ushmm.org/wlc/en/article.php? ModuleId=10007392. La citazione riportata è una delle tante versioni ispirate al celebre sermone di Niemöller [N.d.T.]. 19. Foreign Affairs Committee, House of Commons, «British Foreign Policy and the “Arab Spring”: Second Report of Session 201213,» Report No. HC 80, 13 (UK). Per una breve sintesi sulle insurrezioni in Tunisia, Egitto e Libia, cfr. ibid., 16.

20. Cfr. «U.S. Intelligence Official Acknowledges Missed Arab Spring Signs», Los Angeles Times, World Now blog, 19 luglio 2012, http://latimesblogs.latimes.com/world_now/2012/07/us-intelligence-official-acknowledges-missed-signs-ahead-of-arab-spring-.html; Stephanie Levitz, «Arab Spring Caught Canada by Surprise: Government Report», Huffington Post, 6 maggio 2013, http://www.huffingtonpost.ca/2013/05/06/arab-spring-canada-government-report_n_3224719.html. 21. F. Gregory Gause III, «Why Middle East Studies Missed the Arab Spring: The Myth of Authoritarian Stability», Foreign Affairs, luglio/agosto 2011, https://www.foreignaffairs.com/articles/middle-east/2011-07-01/why-middle-east-studies-missed-arab-spring. 22. Jeff Goodwin, «Why We Were Surprised (Again) by the Arab Spring», Swiss Political Science Review 17 (2011), pp. 452, 453. 23. Una nuova speranza, in Trilogia classica, cit., p. 32. 24. Susanne Lohmann, «The Dynamics of Informational Cascades: The Monday Demonstrations in Leipzig, East Germany, 198991», World Politics 47 (ottobre 1994), p. 42. 25. Una nuova speranza, in Trilogia classica, cit., p. 21. 26. Timur Kuran, Private Truths, Public Lies, Harvard University Press, Cambridge, MA, 1997. 27. Cfr. Cass R. Sunstein, Going to Extremes, Oxford University Press, Oxford e New York 2009. 28. Gordon S. Wood, The Radicalism of the American Revolution, Alfred Knopf, New York 1991, pp. 29-30, trad. it., I figli della libertà. Alle radici della democrazia americana, Giunti, Firenze 1996, pp. 41-42. Corsivo aggiunto. 29. Polo, «Stephen Colbert and George Lucas Talk Star Wars», cit. 30. Kline (a cura di), Interviews, cit., p 65. 31. Polo, «Stephen Colbert and George Lucas Talk Star Wars», cit. 32. Philip E. Tetlock e Dan Gardner, Superforecasting: The Art and Science of Prediction, Crown, New York 2015, p. 10. 33. Kline (a cura di), Interviews, cit., p. 92. 34. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 5138.

EPISODIO VIII

La costituzione come Star Wars Una storia a episodi La natura dell’ingiustizia è tale che non sempre siamo capaci di riconoscerla nel nostro tempo. Le generazioni che scrissero e approvarono la Carta dei diritti e il Quattordicesimo emendamento non presumevano di conoscere con precisione i confini della libertà in tutte le sue dimensioni, e pertanto hanno affidato alle generazioni future uno statuto che tutela il diritto di ogni persona di godere della libertà man mano che se ne apprende il significato.[…] La Corte, come tante altre istituzioni, si è basata su presupposti che sono definiti dal mondo e dall’epoca di cui essa è parte. Anthony Kennedy, giudice della Corte suprema degli Stati Uniti

Star Wars si sofferma ampiamente su tematiche come il rapporto tra padri e figli, la libertà di scelta, le possibilità di redenzione, la ribellione. Ma sembra non avere molto da dire, almeno in modo diretto, riguardo alle costituzioni. Sì, è vero, è per la separazione dei poteri (di solito vede negli imperi un male e nelle repubbliche un bene) e detesta i parlamenti litigiosi. E si direbbe dalla parte dei diritti umani: i torturatori non ne escono certo bene, e l’uccisione di innocenti viene condannata. Ma se siete interessati allo studio delle costituzioni, Star Wars non fa al caso vostro: vi conviene andare a Broadway a vedere Hamilton, e soprattutto leggere un classico come The Creation of the American Republic, 1776-1787 di Gordon Wood. Eppure, a uno sguardo più attento la saga di Star Wars ci dice varie cose sulle costituzioni: non sui contenuti, ma sulle modalità di creazione, e sulle libertà e i vincoli dei giudici. Il diritto costituzionale è pieno zeppo di momenti «Io-sono-tuo-padre»: zig zag, retromarce, scelte impreviste, semi che generano narrazioni completamente nuove. È come se i giudici costituzionali scrivessero gli episodi di un racconto tenendo conto dei precedenti, che non possono cambiare, ma comunque con ampi margini di creatività. Oggi gli americani hanno diritti diversi da quelli che avevano fino a pochi decenni fa. Negli anni Quaranta il governo poteva limitare la libertà d’espressione se la riteneva pericolosa: chi avrebbe immaginato che dagli anni Settanta in poi la Costituzione sarebbe stata interpretata come fondamento di una salda libertà di espressione che dà a chiunque il diritto di dire ciò che vuole? Alla fine degli anni Cinquanta la discriminazione sessuale era parte integrante dello stile di vita americano e la Costituzione

non la ostacolava in alcun modo: chi avrebbe immaginato che a partire dagli anni Ottanta la stessa Costituzione sarebbe stata interpretata in modo tale da proibire quella discriminazione? Nel 2000 l’idea che la Costituzione tutelasse il diritto di sposarsi tra persone dello stesso sesso era considerata un’affermazione radicale, estrema: eppure nel 2015 la maggioranza dei giudici della Corte Suprema ha sentenziato esattamente questo. In ciascuno di questi esempi, la Corte Suprema non ha certo dato vita a una nuova narrazione, ma si è riallacciata a un discorso preesistente. Non poteva far altro: le era precluso ripartire da zero. Poteva scrivere gli «episodi» numero XX, XXX e XL, non una storia totalmente nuova. Potremmo dire che il racconto della Costituzione non è predefinito: gli autori dei primi capitoli non avevano modo di prevedere ciò che sarebbe accaduto più tardi. Perciò chi è venuto dopo di loro ha dovuto fare delle scelte. Al pari di Lucas e Abrams, anche i giudici più potenti, i giudici costituzionali, hanno un ruolo creativo, fanno scelte a partire dagli «episodi» già scritti (quelli che si chiamano i precedenti). A loro tocca decidere come proseguire la saga. Un breve avvertimento: per spiegare questa conclusione, scenderò più nei dettagli, anche perché il diritto costituzionale è il mio lavoro. Ma c’è anche un altro motivo. Nel 2016, con la prematura scomparsa del giudice Antonin Scalia, negli Stati Uniti si è aperta un’accesa discussione su cosa significhi interpretare la Costituzione. La discussione si intensifica particolarmente ogni qual volta nella Corte Suprema c’è un seggio vacante, ma rimane importante anche a prescindere. Un motivo, a mio avviso, sta nel fatto che i membri della Corte, compresi quelli di nomina più recente, hanno il grande privilegio di prendere decisioni sulle trame dei nuovi «episodi». Hanno un ruolo che ricorda molto quello di George Lucas, di J.J. Abrams e dei loro successori. Che la questione abbia a che fare con la privacy, la libertà di parola, l’uguaglianza tra i sessi, le armi o i poteri del presidente, la risposta richiederà sempre obbedienza verso il passato, ma anche una valutazione su come esso possa risplendere di una luce migliore. Quando discordiamo sulle sentenze della Corte Suprema, i nostri ragionamenti vertono su come scrivere al meglio un nuovo episodio. Sono pienamente consapevole che su questo punto il mio ex collega all’Università di Chicago, il giudice Scalia, non sarebbe d’accordo con me. Il giudice Scalia mi piaceva e lo ammiravo, e rendo omaggio alla sua memoria; ma in campo giuridico a volte anche i maestri Jedi sbagliano. Infinite possibilità Per capire cosa voglio dire, possiamo partire dal fatto che l’universo espanso di Star Wars, e le fantasie e reazioni degli appassionati, sono pieni

zeppi di ipotesi di tipo «what if?». Questo modo di procedere per congetture, per «e se…?», ha molto senso anche nel campo giuridico, e ciò vale anche per quella parte del diritto che ha a che fare con l’interpretazione della Costituzione: insomma, sia in Star Wars sia nel diritto costituzionale le cose potrebbero essere anche molto diverse da come sono. Uno degli esempi più complessi ed elaborati è Star Wars Infinities: una serie composta da tre graphic novel, in ciascuno dei quali una minima deviazione spinge la storia che ben conosciamo su binari totalmente inediti. Sono racconti davvero eccellenti, che aiutano a capire quanto sia azzeccato parlare di «infinite» possibilità. E se Luke non fosse riuscito a distruggere la Morte nera? Che cosa sarebbe successo? È il punto di partenza di una delle storie narrate da Star Wars Infinities. E se Luke fosse stato ucciso dal mostro enorme che incontra sul pianeta Hoth? Cosa avrebbero fatto in tal caso Ian e Leila? Ecco lo snodo da cui parte un’altra delle storie. Anche gli addetti ai lavori della saga si sono trovati coinvolti in qualcosa di molto simile a Star Wars Infinities. Quando Lucas provò a scrivere la sua versione degli episodi VII, VIII e IX, la Disney la rifiutò. A quel punto gli autori del Risveglio della Forza, J.J. Abrams e Lawrence Kasdan, cominciarono a battere nuove strade. All’inizio Abrams si rivolse a uno degli sceneggiatori più quotati del momento, Michael Arndt, ma quello che ne venne fuori ancora non lo convinceva, e Abrams e Kasdan finirono per produrre una ulteriore versione (di cui Arndt risulta coautore). Una domanda intrigante cui spero un giorno verrà data una risposta: come sarebbero stati gli episodi di Lucas? Ferme restando le prime due trilogie, si potrebbero immaginare molte differenti versioni dell’Episodio VII1. Ci si potrebbe per esempio riallacciare alla fine del Ritorno dello Jedi, raccontando con ritmo placido, lineare e piacevole la sperata restaurazione della Repubblica, Ian e Leila felicemente sposati e con quattro figli, per i quali Luke diventa una sorta di divertente zio con poteri speciali (beh, suona tutto un po’ noioso…). Oppure si potrebbe immaginare un Episodio VII di segno diametralmente opposto: scopriamo che Dart Fener e l’Imperatore Palpatine sono vivi, e tutto ciò che è accaduto alla fine del Ritorno dello Jedi in realtà era solo un sogno di Luke. Questa versione si ricollegherebbe alla conclusione dell’Impero colpisce ancora (terribile… il pubblico si sentirebbe tradito!). O ancora, potremmo immaginare un Episodio VII collocato due anni prima del Ritorno dello Jedi: Ian e Leila si lasciano perché lei non riesce a superare la sua potente e ossessiva attrazione romantica per suo fratello: non le resta che provare a convincere Luke che al cuore non si comanda (bah…). Un’ulteriore alternativa sarebbe quella di un Episodio VII ambientato cinque anni dopo Il ritorno dello Jedi: Luke ha sviluppato poteri enormi ed è irresistibilmente attratto dal Lato oscuro (potenzialmente interessante… si

riallaccerebbe in modo plausibile alle tentazioni nelle ultime scene del Ritorno, che in tal modo apparirebbero in una luce totalmente nuova). Nel vero Episodio VII, invece, Abrams e Kasdan hanno scelto la strada di replicare sostanzialmente Una nuova speranza. Devo dire che il tutto funziona molto bene (anche se personalmente preferisco il Luke del Lato oscuro). Ma il punto è che all’inizio il progetto di Abrams e Kasdan era significativamente vincolato, ma con infinite opzioni. E questo vale anche per i giudici. Seguire le regole Come fanno i giudici a risolvere le controversie costituzionali? Ovviamente si può rispondere semplicemente che leggono la Costituzione: sono loro a doverci dire cosa c’è scritto (non stanno mica giocando). Vista in questo modo, la Costituzione è un po’ come il Journal of the Whills, a parte il fatto che la Costituzione esiste davvero e il Journal no. Negli Stati Uniti i politici repubblicani sostengono un punto di vista simile. I giudici dovrebbero semplicemente seguire la legge. Talvolta è proprio così. La Costituzione americana stabilisce che chi viene eletto presidente deve aver compiuto almeno trentacinque anni; e dice chiaramente che di presidente ce ne può essere uno solo, non due o tre, e che il Congresso è formato da un Senato e da una Camera dei Rappresentanti, e che i membri della Corte Suprema sono nominati a vita. Alcune parti importanti sono davvero prestabilite, non c’è altro da fare che aderire a ciò che è scritto. Ma alcune delle principali disposizioni costituzionali sono ambigue o aperte. Prendiamo per esempio la parola «libertà». Che significa esattamente questo termine? La libertà di cui parla la Costituzione include il diritto di usare contraccettivi? Di abortire? Di sposare una persona del proprio sesso? Di brandire una spada laser? La Costituzione tutela la «libertà di parola». Significa anche che abbiamo il diritto di minacciare? Di corrompere i membri del Primo Ordine? Di usare trucchi mentali Jedi? Di commettere spergiuro? Di gridare «al fuoco» in un teatro pieno di gente? Di reclutare qualcuno per compiere atti terroristici? La Costituzione vieta agli stati di negare a chiunque una equal protection of the laws. Questa disposizione mette al bando la segregazione razziale? Proibisce la discriminazione basata sull’orientamento sessuale? Preclude iniziative per realizzare attivamente le pari opportunità? Per rispondere a queste domande alcuni adottano un particolare metodo (così faceva per esempio il defunto giudice della Corte Suprema Antonin Scalia). Si chiedono: che cosa significavano quelle disposizioni all’epoca in cui furono approvate? Seguendo questa logica i giudici possono semplificarsi molto il compito, fingendo di entrare in una sorta di macchina del tempo e provando a immaginare che cosa intendevano dire coloro che

si autodefinivano «Noi, il Popolo» al momento dell’approvazione di una certa norma costituzionale. Così facendo, potremmo giungere alla conclusione che la «libertà di parola» non includeva il diritto di giurare il falso, o che la clausola di equal protection non avesse nulla a che fare con la discriminazione in base all’orientamento sessuale. È come se il Journal of the Whills esistesse davvero e noi cercassimo di immaginarne il significato chiedendoci cosa intendesse dire Lucas mentre lo scriveva. Nel caso del diritto costituzionale, la corrente di cui faceva parte il giudice Scalia propone un approccio analogo. È una logica che però la Corte Suprema ha più volte energicamente respinto. Una delle ragioni è di carattere storico. Il punto è se la Costituzione fosse originariamente intesa come una declaratoria di regole molto dettagliate, oppure come un corpus di principi generali il cui significato si presumeva destinato a cambiare nel corso del tempo. Se la risposta giusta è la seconda, l’approccio di Scalia si smentisce da sé, ovvero il significato iniziale della Costituzione era proprio che l’elemento decisivo non fosse il significato iniziale! Alcuni storici sostengono che l’originalismo è incompatibile con il senso originale. Di fatto è possibile che coloro i quali avevano ratificato la Costituzione rifiutassero l’originalismo e favorissero qualcosa di simile a nuovi episodi. C’è poi un’altra ragione, di tipo pragmatico: siamo davvero sicuri che abbia senso cercare d’interpretare gli ampi enunciati costituzionali chiedendosi cosa significassero oltre due secoli fa? È forse il modo migliore di capire «libertà di parola» o «punizione eccezionale e crudele» chiedere che cosa la gente avrebbe pensato di queste frasi nel 1789? Per coloro che sostengono la tesi della living Constitution, ossia che la Costituzione è qualcosa di «vivente», è chiaro che quell’approccio non ha senso2 e che i giudici sono sicuramente legittimati a interpretare le norme costituzionali come un dato mutevole, destinato a evolvere nel corso dei decenni. Essi ritengono che le società imparano con il tempo, e che il senso costituzionale può riflettere quell’insegnamento. Ma allora, se il significato della Costituzione cambia, che cosa devono fare i giudici? Basarsi sui risultati delle elezioni? Affidarsi al proprio giudizio morale? Orientarsi su un consenso sociale in evoluzione? Provare a prevedere il futuro? O magari lasciare semplicemente che il governo federale e i governi degli stati decidano come ritengono più opportuno, fin tanto che le loro decisioni non sono palesemente contrarie alla Costituzione? Forse Star Wars ha da dire qualcosa in merito? Il diritto come racconto a più mani In un brillante libro sul ragionamento giuridico3 il teorico del diritto Ronald Dworkin propone l’interessante metafora del chain novel, il romanzo come

opera collettiva, a più mani. Supponiamo (in questo esempio ridotto all’essenziale, che è mio e non di Dworkin) che dieci persone vengano incaricate di scrivere una storia, e che ciascuna si veda assegnare un capitolo. Ackbar scriverà il capitolo uno, immaginando per esempio che Marjorie sia in viaggio per affari, e si trovi seduta, sul volo New YorkBerlino, accanto a John, che lavora per la CIA. A questo punto subentra Kylo che scrive il capitolo due, raccontando nel dettaglio il dialogo tra Marjorie e John; nella trama ideata da Kylo, nel corso della conversazione tra i due – entrambi divorziati – scoccano molte scintille romantiche. Tocca ora a Poe scrivere il terzo capitolo: come sarà? Dworkin sottolinea che se Poe vuol essere fedele all’incarico ricevuto, farà del suo meglio per migliorare il romanzo che sta nascendo, tenendo conto dei capitoli precedenti. Se nel capitolo di Poe viene fuori che John in realtà è Jabba the Hutt, la storia perderà di coerenza (a meno che Poe non sia davvero in gamba…). Di fatto Ackbar e Kylo, pur avendo scritto i rispettivi capitoli nel modo più semplice e astratto possibile, hanno posto al capitolo di Poe dei vincoli. E tuttavia, nell’ambito di quegli stessi vincoli, Poe avrà comunque molte opzioni, alcune chiaramente migliori di altre. Se decide che la reciproca curiosità di Marjorie e John si dissolve improvvisamente e ciascuno di loro si rimette a leggere il giornale, la trama non andrà lontano. Se Marjorie è in trattativa con la National Security Agency riguardo alla protezione della privacy, allora la storia potrebbe essere interessante. Dworkin usa la metafora della narrazione a più mani per dirci molte cose sull’interpretazione in generale, e sull’interpretazione giuridica in particolare. E ha ragione. La Costituzione proibisce programmi per promuovere attivamente le pari opportunità? Impone agli stati di riconoscere i matrimoni omosessuali? Per rispondere a domande di questo tipo, i giudici dovranno analizzare le sentenze precedenti e chiedersi qual è la risposta che meglio illuminerà quelle sentenze, o che metterà la Costituzione esistente nella miglior luce possibile. Saranno loro a scrivere il prossimo episodio. Il diritto costituzionale è essenzialmente questo. «Non mi piace e non credo sia vero», e le costituzioni Ricordate la discussione tra Lawrence Kasdan e George Lucas: è giusto o no far morire un protagonista? Quel dibattito trova molti paralleli nel diritto costituzionale. Poniamo per esempio che un giudice proponga un’evoluzione: per esempio una sentenza che estende il diritto alla privacy fino a includere la poligamia. La possibile motivazione è che, se la privacy ha un qualche significato, ognuno deve poter sposare quante persone vuole. Un altro giudice si dice in disaccordo (come Lucas: «Non mi piace e non credo sia vero»), e argomenta che, secondo le passate sentenze, il diritto alla privacy include il diritto di essere sposato con una persona alla volta, non con più

persone contemporaneamente. Un altro ancora interviene, dichiarando che la tutela della poligamia è una splendida idea: non solo è in sintonia con i precedenti, ma rappresenta anche il miglior seguito possibile della narrazione avviata da quei precedenti. Uno scettico risponde che un matrimonio poligamo distruggerebbe il senso stesso dell’istituzione matrimoniale, che i precedenti volevano invece salvaguardare. I giudici discutono, dissentono e alla fine votano. Il diritto costituzionale funziona così. Un ottimo esempio storico è quello della libertà di parola. Per molti, compresi vari avvocati, è come se l’attuale legislazione sulla libertà di parola nascesse da un qualche Journal of the Whills: come se quella legge venisse ricavata dalla «bobina» contenente l’interpretazione originaria del testo o gli impegni di James Madison. Ma non è così: lo si vede nell’esempio della pubblicità commerciale. Fino al 1976 la Corte Suprema non aveva mai sentenziato che il Primo Emendamento tutelasse questa forma di espressione. Ma in quell’anno, in uno di quei momenti salienti alla «Io-sono-tuo-padre», la Corte decise che invece sì, le tutele del Primo Emendamento valgono anche per la pubblicità commerciale: e così facendo rivendicò la continuità con una tradizione proprio nel momento in cui, con quella sentenza, modificava profondamente la tradizione stessa: «Partiamo da numerose affermazioni già consolidate o mai messe seriamente in discussione. […] Ed è esattamente questa la scelta – tra il rischio di reprimere l’informazione e il rischio di abusarne – che il Primo Emendamento compie per noi»4. Siamo proprio sicuri che il Primo Emendamento abbia fatto questa scelta? Affermandolo, la Corte ha gettato una nuova luce – e costretto a reinterpretare – tutto ciò che c’era stato prima. Fino al 1976 il Primo Emendamento non era mai stato intepretato in questo senso. In quasi due secoli la Corte non aveva mai sostenuto che il Primo Emendamento operasse una scelta tra freni all’informazione e possibili abusi, in riferimento alla pubblicità commerciale. Al contrario, aveva sempre detto che gli organi politici possono regolamentare questa forma di espressione nei modi che reputano opportuni. Insomma, nel 1976 la Corte ha fatto una scelta che ricorda quella di Lucas sulla trama (si veda il cap. 1): ha riaffermato la continuità proprio nel momento in cui introduceva un’audace novità. Alla luce di questa recente tutela della libertà di espressione in campo commerciale, potremmo azzardare una interpretazione radicalmente nuova della tradizione di libertà di espressione, a lungo incentrata sulla espressione politica, volta a garantire agli americani la possibilità di dire ciò che vogliono riguardo ai leader e al governo. Nel 1976, quando questa storia era ormai molto avanti, la Corte ha erroneamente aggiunto un nuovo capitolo – sulla pubblicità commerciale –, in modo tale da compromettere e destabilizzare quella tradizione. Tutelare su queste basi la pubblicità commerciale è stato un vero passo falso.

In realtà le cose sono molto più complicate: creatività e capovolgimenti hanno un ruolo molto più ampio. Di fatto, la libertà di espressione politica non era inizialmente tutelata. Ancora a metà del XX secolo esistevano molte e varie forme di censura, che non erano ritenute contrarie alla Costituzione. Ai governi era consentito di punire l’espressione qualora la ritenessero pericolosa, anche quando quell’espressione non creava alcun pericolo evidente e immediato. Ancora nel 1963, se il governo era seriamente intenzionato a punire il dissenso, chi si esprimeva fuori dal coro correva gravi pericoli5. Oggi la libertà di espressione politica è molto tutelata. Ma questa tutela è il risultato di una fase breve, recente e luminosa, costellata di sentenze del tipo «Io-sono-tuopadre», tra cui spiccano in particolare quelle del 19646 e del 19697. Nel 1964 la Corte, richiamandosi al Primo Emendamento per impedire il ricorso alla legge contro la diffamazione, espose un’affermazione che imponeva un ripensamento di tutto ciò che c’era stato fino a quel momento: «la cappa di paura e intimidazione che grava su coloro che esprimono critiche in pubblico crea un’atmosfera che soffoca il diritto di critica previsto dal Primo Emendamento»8 (È vero? Forse sì, anche se ricordiamo che, in un universo parallelo come quelli che abbiamo imparato a conoscere con Star Trek, la Corte non lo riteneva vero)9. Lo stesso commento si può fare non solo riguardo al Primo Emendamento, ma anche in relazione a molti altri ambiti del diritto costituzionale. Prendiamo la segregazione razziale: inaccettabile, come qualsiasi altra forma di discriminazione basata sulla razza – eppure questo principio è un prodotto degli anni Cinquanta10. È vero, la Clausola di eguale protezione delle leggi (Equal Protection Clause) risale alla fine della Guerra di Secessione, ma sostenere che le attuali leggi sulla eguale protezione derivino direttamente dal testo della Clausola è una grande forzatura, alla stregua della battuta di Leila quando le dicono che Luke è suo fratello: «È come se l’avessi sempre saputo». La libertà religiosa, come la si intende oggi, è un portato degli anni Sessanta11. Il divieto di discriminazione basata sul sesso risale agli anni Settanta12. I forti vincoli a favore di programmi per la promozione delle pari opportunità sono un prodotto degli anni tra Novanta e Duemila13. Ma la cosa forse più sorprendente di tutte è che la Corte suprema non ha garantito il diritto individuale di possedere armi, fino al XXI secolo14. In ognuno di questi casi, avvocati e giudici si danno molto da fare per riallacciarsi a un qualche Journal of the Whills: eppure quel testo non esiste. Nelle costituzioni non c’è nulla d’inevitabile: senza l’esistenza di movimenti sociali e di sentenze contingenti (che ci portano a fare «la cosa migliore che possiamo fare»), gli Stati Uniti avrebbero avuto interpretazioni costituzionali radicalmente differenti e radicalmente differenti diritti costituzionali: e se le cose fossero andate così, quegli ordinamenti alternativi non ci sembrerebbero più sorprendenti e meno prestabiliti di quelli che abbiamo davanti agli occhi.

«Originalismo»15. Mentre scriveva Una nuova speranza Lucas, come sappiamo, non aveva idea degli ulteriori sviluppi della storia nell’Impero colpisce ancora e nel Ritorno dello Jedi. Che senso avrebbe avuto se Lucas e i suoi collaboratori e successori avessero scritto gli episodi successivi basandosi sulla domanda: Qual era stata l’intenzione originaria di Lucas? Quell’intenzione non esisteva, su alcuni temi centrali della saga, e dunque non aveva senso andarla a cercare: nel caso di altri temi invece esisteva, ma (come capì lo stesso Lucas) andava in una direzione sbagliata. Nel caso del diritto costituzionale, per giunta, il problema è enormemente aggravato sia dalla grande distanza temporale tra l’intenzione originaria e i problemi correnti, sia dall’emergere di circostanze impreviste di tanti tipi (il telefono, la televisione, Internet, i cambiamenti di ruolo di uomini e donne). In ogni fase della sua storia il diritto costituzionale sembra essere avvolto da un alone d’inevitabilità: come se la narrazione prevalsa fino a quel momento fosse programmata o predestinata, o desunta da un qualche Journal of the Whills. Molti sostenitori dell’originalismo, palesemente preoccupati di preservare lo status quo costituzionale, si autonominano Jedi e fanno di tutto per dimostrare che ampie porzioni del diritto attuale discendono dalle intenzioni iniziali, incuranti del fatto che esse risalgono, a seconda dei casi, agli anni Cinquanta, o agli anni Ottanta, o addirittura ai primi anni del XXI secolo o all’anno scorso. Questi giuristi affermano per esempio che la Clausola di eguale protezione, introdotta all’indomani della Guerra di Secessione, vieta la segregazione razziale, la discriminazione sessuale e persino la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale. Essi sottolineano che dopo la fondazione degli Stati Uniti il principio della libertà di parola fu inteso in modo da creare intenzionalmente qualcosa di molto simile alle ampie tutele di cui oggi beneficiano gli americani. Altri giudici invece, a loro volta autonominatisi Jedi, fanno la stessa affermazione senza rimanere ancorati all’intenzione originaria, dicendo di voler far emergere i criteri ispiratori delle norme che stanno interpretando16 o di volerne esplicitare la logica interna. Non credeteci: gli autori del diritto costituzionale – Jedi o Sith –, proprio come gli autori di Star Wars, nascondono la vera natura dei loro processi creativi. In che ordine guardare i film? Nel diritto costituzionale la sequenza degli episodi è stabilita dal tempo. Se una questione viene posta nel 2019 la Corte Suprema non può esaminarla nel 1971. Ma nel caso dei film di Star Wars lo spettatore è libero di scegliere. O quanto meno, lo è se sta presentando la saga ai figli o agli amici, o se è lui ad accostarvisi per la prima volta partendo da zero.

Innanzi tutto, vediamo due opzioni abbastanza ovvie: il «release order», ossia una sequenza basata sull’ordine cronologico di uscita dei film (4, 5, 6, 1, 2, 3, 7), oppure l’«episode order», ossia la visione che segue la numerazione degli episodi (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7). Per i suoi sei film, Lucas raccomanda assolutamente questa opzione, l’«ordine per numero di episodio», a favore del quale parla soprattutto la logica. Puoi assistere agli eventi a mano a mano che accadono, e tutti mantengono (abbastanza) senso. Un altro vantaggio di questa soluzione è più sottile: alla fine della Vendetta dei Sith Anakin è appena diventato Dart Fener, e questo rende molto più drammatica la sua apparizione in Una nuova speranza, in cui all’improvviso lo vediamo come Dart Fener a pieno titolo, Dart Fener in tutto… È un altro momento «wow». L’«Episode Order» però presenta secondo me un problema non da poco: si perde l’effetto sorpresa del momento migliore di tutta la serie, il famoso «Io sono tuo padre». Se avete già visto gli Episodi 1, 2 e 3, sapete già che Dart Fener è Anakin Skywalker, ossia il padre di Luke. E vi perdete i vari misteri ed effetti di Una nuova speranza (chi è Obi-Wan? che cos’è la Forza?). Insomma, nella visione basata sul numero di episodio, a perdere molto del loro fascino sono proprio i due film migliori. Per questo tra le due opzioni principali la migliore è l’ordine cronologico di uscita dei film. Alcuni però hanno proposto alternative più creative. Che ne dite di 4, 5, 1, 2, 3, 6, 7? Provate per un momento a pensarci. Questo approccio ha il vantaggio non solo di salvaguardare l’effetto della scena «Io sono tuo padre», ma anche d’iniziare il racconto dai misteri dei due episodi meglio riusciti, facendo dei prequel una sorta di flashback, che alla fine del 5 ti lascia appeso al «cliffhanger», al burrone narrativo con cui finisce quell’episodio. A quel punto tutto viene reimpacchettato e confluisce nel vero finale, che è anche il migliore, prima di dare inizio alla terza trilogia. Non è affatto una cattiva idea. Una modifica piccola ma sovversiva è il cosiddetto «ordine Machete»: 4, 5, 2, 3, 6, 7. In questo caso tagli un episodio – La minaccia fantasma –, e non ti perdi granché. Tagli Anakin bambino, che non è grave; sebbene La minaccia fantasma abbia i suoi momenti chiave, non è davvero necessaria per lo sviluppo della trama. Il «Machete Order» è un’ottima idea (ma io ho un debole per la Minaccia fantasma, anche se è il meno riuscito degli episodi). Naturalmente ci sono altre possibilità. Che dire dell’«ordine random»: 6, 4, 3, 1, 7, 2? Forse sì, ma se li avete già visti tutti, o se siete ubriachi. E dell’«episode order all’inverso»: 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1? Beh, magari se volete sottoporvi a una sorta di rompicapo, o se volete relegare la parte peggiore alla fine. La sentenza? La cosa migliore è seguire l’ordine d’uscita. ……………………………….

1. «We Ask 10 Sci-Fi Authors to Write Star Wars: Episode VII», Popular Mechanics, 21 maggio 2014, http://www.popularmechanics.com/culture/movies/g1523/we-ask-10-sci-fi-authors-to-writestar-wars-episode-vii/. 2. Si veda per esempio David A. Strauss, «Do We Have a Living Constitution?», Drake Law Review, 59 (2011), p. 973. 3. Ronald Dworkin, Law’s Empire, Belknap Press, Cambridge, MA, 1985, pp. 229-239, trad. it., L’impero del diritto, Milano, Il Saggiatore, 1994. 4. «Virginia State Board of Pharmacy v. Virginia Citizens Consumers Council», 425 U.S. 748, 761, 770 (1976). 5. Si veda per esempio «Dennis v. United States», 341 U.S. 494 (1951), che è stata ritenuta valida fino a «Brandenburg v. Ohio», 395 US 444 (1969). 6. «New York Times Co. v. Sullivan», 376 U.S. 254 (1964). 7. «Brandenburg v. Ohio», cit. 8. «Sullivan», 376 U.S. 278. 9. «Mirror Universe», Wikia, http://en.memory-alpha.org/wiki/Mirror_universe (verif. 4 gennaio 2016). 10. Cfr. «Brown v. Board of Education» (Brown I), 347 U.S. 483 (1954). 11. Cfr. «Engel v. Vitale», 370 U.S. 421 (1962). 12. Cfr. «Califano v. Goldfarb», 430 U.S. 199 (1977). 13. Cfr. «Grutter v. Bollinger», 539 US 306 (2003). 14. Cfr. «District of Columbia v. Heller», 554 U.S. 570 (2008). 15. Esistono molte varianti dell’originalismo. Qui mi riferisco a quella di cui prende le parti Antonin Scalia in A Matter of Interpretation, Princeton University Press, Princeton, NJ, 1998, e non a quella sostenuta da Jack Balkin in Living Originalism, Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, MA, 2012. L’idea sostenuta da Balkin è sostanzialmente in linea con quanto affermo qui. 16. Si può leggere in questo modo Stephen Breyer, Active Liberty, Knopf, New York 2005, che tuttavia, a mio avviso, propone un ragionamento più sottile.

EPISODIO IX

La Forza e il monomito A proposito di magia, di Dio e del racconto preferito dell’umanità I miti sono fioriti tra gli uomini in tutti i tempi, in tutte le regioni della terra, e al loro vivificante afflato si deve tutto ciò che l’attività fisica e intellettuale dell’uomo ha prodotto. Joseph Campbell1

Credere che un essere umano, o una creatura come Yoda, possa far levitare degli oggetti è sicuramente azzardato, non è vero? Eppure, padroneggiando la Forza si possono fare cose strabilianti. Alcuni esempi: •

controllare le menti deboli;



estrarre informazioni dalla mente altrui (forse vale solo per il Lato oscuro);



percepire dove si trova una cosa senza vederla;



leggere il futuro;



colpire o uccidere un nemico con l’energia emessa dalla punta delle dita (forse vale solo per il Lato oscuro);



guidare gli sgusci con grande abilità (in modo veloce e preciso, senza schiantarsi);



percepire dove si trova una persona (in particolare un proprio familiare o un’altra persona che padroneggia la Forza);



soffocare una persona;



sollevare in aria una persona e scagliarla a distanza;



sollevarsi in aria e ruotare su se stessi a tutta velocità;



far levitare gli oggetti (in particolare le spade laser);



usare con destrezza le spade laser in combattimento;



avvertire le perturbazioni nella Forza provocate da grandi eventi (come l’esplosione di un pianeta);



poter risuscitare dopo la morte (forse vale solo per il Lato luminoso);



lanciare missili nelle fessure della Morte Nera per farla esplodere (il pilota più abile della galassia, Poe Dameron, ci riesce anche se non padroneggia la Forza).

Esiste, al di fuori dell’universo di Star Wars, qualcuno che sappia fare cose simili? Sicuramente pubblicitari e politici sanno controllare le menti deboli (il loro motto potrebbe essere «Questi non sono i droidi che state cercando»). Esiste tutta una letteratura su quelli che potremmo definire trucchi mentali Jedi. Molti studiosi nel campo della psicologia e dell’economia comportamentale hanno dimostrato che, presentando delle alternative in un determinato modo, o sottolineando determinate caratteristiche di una situazione, possiamo indurre qualcuno a vedere e fare tutto ciò che noi vogliamo: insomma, per riuscire a manipolare l’attenzione altrui non si deve per forza essere uno Jedi.

Un piccolo esempio: se dite a delle persone (con la stessa malattia) che il 90 per cento dei pazienti che si è fatto operare è vivo dopo dieci anni, è molto probabile che anche quelle decideranno di farsi operare. Ma se raccontate invece che il 10 per cento di quello stesso gruppo che si è fatto operare dopo dieci anni è morto, è molto probabile che rifiuteranno l’operazione. Ovviamente «il 90 per cento è vivo» significa esattamente lo stesso di «il 10 per cento è morto». Descrivere un problema è un modo di «incorniciarlo» e una cornice può essere un’efficace trucco mentale. Nel 2015 due premi Nobel, George Akerlof e Robert Shiller, hanno pubblicato un libro importante dal titolo inconsueto: Phishing for Phools2. L’idea di fondo è che esistano i phishermen e i phools: i primi sono una sorta di pescatori particolarmente abili nel raggirare e adescare i secondi, che fanno la parte degli sprovveduti. Maestri nell’arte del phishing, della manipolazione e dell’inganno, possono vendervi carte di credito, mutui ipotecari, tabacco, alcolici e cibi poco salutari. Questi soggetti non sono assimilabili ai Sith, e sono sicuramente molto diversi dai Cavalieri Jedi, ma una cosa hanno in comune con entrambi: il potere di controllare ciò che gli altri vedono. Un concetto ben espresso, ancora una volta, da Obi-Wan: «Gli occhi a volte ingannano. Non fidarti di loro». Per dire la stessa cosa in un altro modo, gli studiosi del comportamento (il più noto è Daniel Kahneman) distinguono tra «pensiero veloce» (associato al cosiddetto «sistema 1» del cervello) e «pensiero lento» (associato al «sistema 2»)3. Il sistema 1 è rapido, intuitivo, emotivo: vede un grosso cane e si spaventa, oppure vede un gadget di Star Wars e sente immediatamente il bisogno di acquistarlo. Il sistema 2 è riflessivo e raziocinante: vede il cane e capisce che quasi certamente non è pericoloso; e prima di acquistare di un gadget tende a dire «ho già ottantuno gadget di Star Wars, possono bastare». I Cavalieri Jedi sono molto abili nel parlare al sistema 1 in modo da influenzare gli altri e spostarli nella direzione che vogliono. Ecco un piccolo aneddoto. Declan ama molto i giocattoli, e ogni volta che passiamo davanti a un negozio non sta nella pelle. Qualche mese fa gli ho spiegato dei nostri sistemi 1 e 2. Una settimana dopo siamo passati per caso davanti a un negozio di giocattoli, e mi ha chiesto: «Papà, ma io ce l’ho il sistema 2?» Un’analisi fondamentale di tipo psicologico si trova nel volume Le armi della persuasione di Robert Cialdini4, che propone sei tipi di trucchi mentali Jedi. Uno di questi è la reciprocità. Le persone tendono a ricambiare i favori, e quando offriamo loro per esempio uno sconto, del denaro in contanti o magari qualcosa di simbolico, probabilmente ci daranno qualcosa in cambio. Un altro principio è la prova sociale: se si ritiene che siano in molti a pensare o fare una certa cosa, gli altri tenderanno a imitarli (un buon modo per cambiare i comportamenti di qualcuno è dire che altri stanno già facendo quella cosa). Un altro è la scarsità: le persone si sentono attratte dalle cose che sembrano difficili da ottenere o scarse. Riconoscere gli schemi D’accordo, forse tutto questo non è ancora roba da Jedi. Ma pensiamo ai grandi atleti, che sembrano in grado di vedere anche ciò che sembrerebbe impossibile: è come se avessero «gli occhi anche dietro la testa». Prendiamo Tom Brady, il quarterback dei New England Patriots che riesce a vedere i difensori anche quando sono fuori del suo campo visivo. Nel basket molti giocatori passano la palla «a occhi chiusi»: non per nulla Magic Johnson aveva questo soprannome. Nel baseball i lanciatori hanno tempi di reazione eccezionali quando la palla viene ribattuta direttamente verso di loro.

Nel tempo libero amo giocare a squash, che è simile al tennis ma si gioca al chiuso. La palla può raggiungere i 270 chilometri l’ora. Ho avuto la fortuna di far pratica con alcuni dei migliori giocatori al mondo, e devo dire che hanno una capacità davvero sovrannaturale di prevedere i colpi degli avversari: un momento fa erano qui, e ora sono esattamente dove sta arrivando la palla. Conosco una grande giocatrice di squash che per un certo periodo era diventa quasi cieca a un occhio. Eppure questo non incise più di tanto sul suo gioco, lei sapeva dove andava la palla. E alcune abilità atletiche fanno ancora più impressione quando sono parte di una cultura diversa dalla nostra: date un’occhiata allo sport del chinlone (chiamato anche cane ball o mystic ball), praticato in Birmania, e ditemi se non sembra di essere in Star Wars. E non dimentichiamo che tante persone sanno guidare incredibilmente bene veicoli che si spostano ad alta velocità (come le auto o gli aerei). Tra parentesi, questa capacità di un’atleta di vedere cose che in apparenza non ci sono si spiega con il cosiddetto riconoscimento degli schemi: che è forse la principale capacità dei Jedi (e dei Sith). Avvertire la Forza in effetti vuol dire saper riconoscere uno schema dove gli altri vedono semplicemente un’immagine sfuocata. È grazie a questo che sapete esattamente cosa fare; che non vi serve un computer per sparare e colpire esattamente quella fessura quasi invisibile della Morte Nera; e che potete «fidarvi del vostro istinto». Quelle sensazioni dipendono dal vostro intuito, che è addestrato a vedere cose che altri non vedono. Non è solo roba da Jedi: accade davvero. Nella pallacanestro come nel baseball o nel calcio e nello squash, per esempio, gli atleti davvero completi riescono a riconoscere immediatamente uno schema là dove noi vediamo solo confusione: sono come i grandi giocatori di scacchi – un rapido sguardo alla scacchiera e sanno esattamente cosa accadrà. Il bianco dà scacco matto in quattro mosse. Nessuna magia: non occorre avvertire dentro di sé la Forza. È un risultato che nasce dalla pratica e della ripetizione, e che consente di riconoscere al volo i molteplici aspetti di una situazione. Grazie alla pratica, i grandi atleti hanno un «sistema 1» molto ben addestrato, che li fa somigliare a Jedi. Come dice Obi-Wan a Ian: «Nella mia esperienza la parola fortuna non esiste, mio giovane amico… esistono solo coincidenze di diversi fattori che possono favorire gli eventi che ci riguardano»5. Se tutto questo vi sorprende, pensate a come avete imparato a guidare l’auto. La prima volta eravate disorientati. Quanto si deve pigiare sull’acceleratore? Che fare se un’altra auto si inserisce nella vostra corsia? Ci sono moltissime decisioni da prendere, ogni minuto. Ma dopo un po’ diventa la cosa più facile che esista. E il motivo è che quegli schemi ci sono diventati familiari e ormai li riconosciamo al volo. Per qualcuno il futuro non è nebuloso Nessuno può vedere il futuro: probabilmente anche voi siete di quest’idea. Eppure, come hanno mostrato Philip Tetlock e Dan Gardner, alcune persone sono davvero dei «superprevisori», hanno cioè una straordinaria capacità di visualizzare ciò che sta per accadere6. Questo tipo di Jedi generalmente si trova d’accordo con le seguenti affermazioni, che potremmo considerare parte di una sorta di Codice Jedi del mondo reale: •

non c’è nulla di inevitabile;



anche grandi avvenimenti, come la Seconda guerra mondiale o l’11 settembre, sarebbero potuti andare in modo molto diverso;



bisogna tener conto dei fatti che smentiscono le proprie convinzioni;



è più utile dedicare attenzione a chi non è d’accordo con noi che a chi è d’accordo.

Quegli stessi Jedi, invece, dissentono totalmente da queste idee: •

nella nostra vita individuale il caso raramente ha un ruolo importante;



per prendere decisioni la miglior guida è l’intuito (scusaci, Obi-Wan, ma «fidati del tuo istinto» non sempre è un buon consiglio);



bisogna tener fede alle proprie convinzioni anche quando vengono smentite da fatti.

È importante sottolineare che le capacità dei super-previsori non hanno nulla a che vedere con la capacità di avvertire la Forza o simili: in realtà, essi sono molto bravi ad analizzare le probabilità, e le singole componenti dei possibili percorsi futuri, fino a capire che cosa è davvero più probabile; sanno che «nebuloso è il futuro», ma sono anche incredibilmente abili nel capire da dove vengono le nubi, e quante sono. Allo stesso tempo, alcuni poteri dei Jedi sembrano davvero andar oltre le capacità umane: la Forza dà loro abilità sovrannaturali. La Forza è notoriamente descritta da ObiWan con parole cariche di mistero: «È un campo energetico creato da tutte le cose viventi. Ci circonda, ci penetra. Mantiene unita tutta la galassia». Nessuno può far levitare oggetti o risuscitare dopo essere morto. E dunque, ammesso anche che una cosa chiamata Forza esista, resta il fatto che la maggioranza delle persone non sa usarla. O magari sì?! Il gorilla scomparso Qualche anno fa mi trovai con una trentina di persone in un’aula di college davanti a un maxischermo. Un mio amico, Richard, ci chiese di guardare un breve video in cui si vedevano persone che si lanciavano a vicenda palloni da basket. Avevamo un piccolo compito: contare il numero dei passaggi di palla. La cosa era tutt’altro che facile: 45 secondi dopo avevo già perso il conto, ma continuai a contare. Il video durò circa 82 secondi. Alla fine, Richard ci chiese quanti passaggi avevamo contato. Furono in pochi a dare la risposta giusta. Poi Richard ci chiese: «A proposito, avete visto il gorilla?». Tutti risero. Beh, non proprio tutti. Uno dei presenti alzò la mano: «Io sì». All’epoca ero certo che il tizio che aveva alzato la mano scherzasse. Ma Richard non si stupì: «Riguardate il video». Naturalmente il gorilla c’era davvero, più o meno a metà del video: si batteva il petto e dopo nove secondi spariva. Tutto chiaro come il giorno, niente di occulto o di misterioso. Eppure, quasi nessuno di noi se n’era accorto. Tempo fa ho raccontato queste cose alla mia figlia maggiore, Ellyn, poi le ho mostrato il video. Ellyn lo ha guardato, poi mi ha chiesto: «E il gorilla dov’è?». A quanto pare, a volte non vediamo il gorilla neanche dopo che ci hanno avvertito! La maggior parte dei gruppi che partecipano a questo esperimento se la cava un po’ meglio del mio gruppo: di solito più o meno la metà dei partecipanti non vede il gorilla. Ma metà sono molti. Christopher Chabris e Daniel Simons, gli ideatori dell’esperimento, riportano una conversazione che in queste occasioni si verifica spesso7: Q: Mentre contavi hai notato nulla di insolito? A: No. Q: Hai notato qualche elemento diverso, oltre ai giocatori? A: Be’, c’erano degli ascensori e delle S dipinte sul muro, delle quali, però, non so indicare il significato. Q: Hai notato qualcun altro, oltre ai giocatori?

A: No. Q: Non hai per caso visto un gorilla? A: Un… che ?!? L’esperimento del gorilla scomparso è davvero interessante, poiché ci dice una cosa importante sulla natura e i limiti dell’attenzione umana, e dunque anche sul meccanismo dei trucchi mentali Jedi. Noi esseri umani abbiamo una limitata «ampiezza di banda» mentale, e per questo ci concentriamo solo su alcuni aspetti di ciò che vediamo. Il termine tecnico è cecità da disattenzione, ed è questa (più o meno) la cosa che Obi-Wan, Luke e Rey sfruttano a loro vantaggio. È la nostra scarsa ampiezza di banda a impedirci di notare cose che abbiamo davanti agli occhi – e a esporci alla manipolazione. Inoltre, non siamo consapevoli di questo nostro limite. Come scrivono Chabris e Simons, «della realtà che scorre davanti ai nostri occhi, noi registriamo di gran lunga meno di quanto crediamo»8. Il risultato è che non c’è bisogno di essere un Jedi o un Sith per dirottare dove si vuole l’attenzione degli altri. Lo sanno molto bene gli illusionisti di professione. Come spiega il borseggiatore e prestigiatore Apollo Robbins, «Ciascuno di noi ha per così dire un certo numero di gettoni mentali da spendere»9: una volta che li ha esauriti, «la vittima non riesce più a concentrarsi su altre cose che stanno accadendo in quel momento. A quel punto il gioco è fatto! E il portafogli non c’è più». Per farci «spendere» quei «gettoni mentali», ovvero per assorbire «una parte dell’ampiezza di banda del cervello», Robbins usa le battute. L’idea, spiega, consiste nell’impegnare «i due addetti alla vigilanza» che il nostro cervello ha a disposizione: bisogna distrarre queste due metaforiche guardie, costringendole a confabulare tra loro su cosa è meglio tenere d’occhio, e ciò renderà il furto molto più facile. Prestigiatori e illusionisti sono abilissimi a distrarre lo spettatore dalla vera causa di quel gioco di prestigio, portandolo a concentrare la sua attenzione su qualcos’altro. Per Robbins «l’attenzione è come l’acqua: scorre; è liquida; potete creare dei canali e sperare che prenda quella strada»10. Yoda non avrebbe potuto dire più o meno la stessa cosa, tipo «come acqua l’attenzione scorre»? Un Jedi del XX secolo Ma i Fantasmi di Forza esistono davvero? È mai esistito, nel XX secolo, un Cavaliere Jedi capace di far tornare qualcuno dall’oltretomba? Ce n’è stato addirittura più d’uno? In un libro affascinante – The Witch of Lime Street – David Jaher racconta come funziona la magia, e forse parla anche di qualcosa di molto simile alla Forza11. Negli anni Venti, spiega Jaher, alcuni dei maggiori pensatori al mondo erano convinti che si potesse entrare in comunicazione con i defunti. Sir Arthur Conan Doyle – il creatore di Sherlock Holmes, archetipo del detective in grado di scoprire qualsiasi falsificazione e trucco – aveva perso un figlio nel corso della Prima guerra mondiale ed era uno spiritista convinto: secondo lui la morte era qualcosa di «non necessario». Nel 1918, in un libro che ebbe molta popolarità, La nuova rivelazione12, Conan Doyle si schierò risolutamente dalla parte dello spiritismo. Il libro era dedicato «A tutti i coraggiosi: uomini e donne, semplici o dotti, che per settant’anni hanno avuto la forza morale di affrontare il ridicolo e i pregiudizi della società per farsi testimoni di una verità universale». Dopo questo libro Conan Doyle dedicò al tema, tra il 1919 e il 1930, altri dodici libri. Negli anni Venti Scientific American aveva già un’eccellente reputazione per la sua opera di diffusione dei risultati della ricerca scientifica. Nel 1922 Conan Doyle sfidò la rivista, e il suo direttore Orson Munn, a studiare in modo serio i fenomeni paranormali.

L’idea parve particolarmente intrigante a uno dei principali collaboratori della testata, James Malcolm Bird (già professore di matematica alla Columbia University). A novembre di quell’anno Scientific American bandì un concorso, ampiamente reclamizzato, offrendo un premio di cinquemila dollari a chiunque fosse riuscito a fornire prove inconfutabili dell’esistenza di «fenomeni medianici» in stile Jedi, come la capacità di far librare in aria degli oggetti in una stanza chiusa. Fino a quel momento, dichiarava sobriamente l’annuncio, non si era stati «in grado di raggiungere una conclusione certa sulla validità delle affermazioni dei sensitivi» riguardo a tali fenomeni. Nessuno dei candidati iniziali superò la prova: furono tutti colti in fallo dalla commissione esaminatrice. Nel frattempo però stava conquistando grande notorietà internazionale una tale Mina Crandon, che un amico (esprimendo il pensiero di molti) definì una «ragazza stupenda», probabilmente la donna più affascinante che abbia mai conosciuto. Questa nuova celebrità sembrava in grado di far levitare oggetti (come tavoli e sedie) e di parlare con i defunti, e in particolare con suo fratello Walter. A Londra Mina Crandon si esibì davanti a vari esaminatori, facendo sollevare e volteggiare un tavolino. Lei e il marito divennero grandi amici di Conan Doyle, che disse di non avere alcun dubbio sui suoi «effettivi e vasti» poteri. Bird invitò la Crandon a partecipare al concorso di Scientific American. E lei accettò la sfida, spostando oggetti, generando rumori in più luoghi e facendo da tramite con il suo congiunto Walter. Nel luglio del 1924 la rivista pubblicò un intervento di Bird, che – chiamandola con lo pseudonimo «Margery» per tutelarne la privacy – disse che «la probabilità di autenticità [era] molto maggiore rispetto a tutti i precedenti casi esaminati dalla commissione». L’articolo ebbe grande risonanza. Il New York Times titolò: «Margery supera tutti i test come medium», e il Boston Herald annunciò: «Quattro dei cinque commissari scelti per assegnare il premio assicurano: è vera al cento per cento». Ci volle Harry Houdini, il celeberrimo illusionista, per smascherare Margery. Ricordate Ian quando parla con Luke della Forza («sono soltanto dei semplici trucchi e delle idiozie»)? Houdini osservò da vicino la Crandon in varie occasioni, cercando di capire come facesse a produrre i suoi sensazionali effetti, e dichiarò non senza ammirazione che era riuscita a escogitare «il più “abile” trucco che io abbia mai visto, convertendo tutti gli scettici». Poi, in un libretto pubblicato nel novembre del 1924, Houdini spiegò con precisione, con tanto di minuziosi disegni, come la medium riuscisse abilmente, complice il buio, a muovere gambe, testa e spalle per produrre i suoi clamorosi effetti. Ma i tanti tifosi della signora Crandon non si lasciarono convincere dalla spiegazione del celebre illusionista, presentandolo non solo come un uomo di ristrette vedute, ma accusandolo di essere a sua volta un impostore. Conan Doyle disse che Houdini era prevenuto e disonesto; quest’attacco distrusse la loro amicizia. Ancora anni dopo, Conan Doyle continuava a dirsi «assolutamente certo che [fosse] stato smascherato Houdini, non certo Margery». Come fece Margery ad abbindolare tante persone, tra cui persino alcuni grandi pensatori del suo tempo? La risposta è: usava una sorta di trucco mentale Jedi basato su una eccezionale abilità nel manipolare l’attenzione. Prendiamo la testimonianza di uno degli esaminatori, lo psicologo di Princeton Henry McComas, che descrisse con stupore a Houdini quelle esibizioni sovrannaturali, assicurando di aver visto ciascuna di esse con i propri occhi. McComas racconta anche della sprezzante risposta di Houdini: «Lei dice di aver visto, ma non ha visto un bel niente. E ora, cosa vede?»: e all’improvviso dalle mani dell’illusionista spuntava mezzo dollaro, per sparire un attimo dopo. La grande rivale di Houdini non confessò mai. Persino quando era ormai prossima alla morte, e ormai vedova da due anni, un ricercatore le disse che a quel punto forse

svelare al mondo i suoi metodi l’avrebbe fatta sentire meglio. Negli occhi di lei ricomparve l’antico bagliore; sorrise appena e rispose: «Perché non prova a indovinare?» Naturalmente questa è la miglior risposta possibile: e comunque, non c’è dubbio che Mina Crandon usasse un gran numero di gorilla invisibili. Concentrando l’attenzione degli spettatori su determinati aspetti e distogliendola da altri, riusciva a far vedere loro esattamente quello che lei voleva (per la serie: «Questi non sono i droidi che state cercando»). Nudge da Jedi e nudge da Sith Il mio amico Richard Thaler ed io abbiamo analizzato in un libro l’idea di nudge, o «spinta gentile»: una modalità d’intervento con cui istituzioni private o pubbliche possono indirizzare le persone in certe direzioni senza intaccarne minimamente la libertà di scelta. Un esempio di nudge è il GPS, che ci indica la strada migliore per arrivare dove siamo diretti. Un altro è il reminder (tipo «non dimenticare la tua spada laser»). Un altro è il segnale di pericolo («occhio a quell’asteroide sulla destra»), o anche la semplice informazione. Se diciamo a qualcuno che quella è la norma sociale (per esempio che «la gente di solito tende a evitare il Lato oscuro») stiamo usando un nudge, e lo stesso facciamo quando «inquadriamo» una situazione in modo tale da favorire un certo tipo di comportamento (tipo «il 90 per cento delle persone che cercano di imparare a usare la Forza ci riesce nell’arco di tre mesi»). In tutto il mondo i governi si sono dimostrati molto interessati a questa tecnica. Nel 2010 in Gran Bretagna è stato creato un Behavioural Insights Team, e gli Stati Uniti hanno fatto lo stesso nel 2014, istituendo il Social and Behavioral Sciences Team. Strutture analoghe sono state create anche in Australia, Germania e Olanda. Questi team non usano trucchi mentali Jedi, ma fanno leva sulle scoperte dell’economia comportamentale e della psicologia al fine di migliorare l’azione di governo. Si possono distinguere due tipi di nudge: quelli aperti e trasparenti e quelli che tendono a rimanere occulti. L’indicazione delle calorie su un’etichetta, o l’avviso sui pericoli legati al fumo, sono esempi di nudge totalmente aperti: non hanno nulla di nascosto o di oscuro. Ma se i cibi salutari vengono collocati sullo scaffale all’altezza degli occhi e gli altri confinati in posizioni meno visibili, qualcuno potrebbe credere che il rischio di manipolazione esiste. La pubblicità subliminale è ancora peggiore: in questo caso non ci si rende conto di essere influenzati. Sia i Jedi che i Sith sanno usare sia il nudging trasparente che quello occulto; e li usano entrambi. Sebbene la Forza dia loro la possibilità d’influenzare le menti deboli, essi sembrano obbedire a una sorta di vincolo etico: vogliono che le persone scelgano, liberamente. Non sappiamo con certezza se Obi-Wan, Yoda, Dart Fener o l’Imperatore siano in grado d’influenzare la mente di Luke senza il suo consenso, ma sicuramente vogliono che scelga una determinata via. Come con Faust, il Lato oscuro vuole impossessarsi dell’anima di Luke, ma dev’essere lui a rinunciarvi, di sua volontà. Quando autografa una copia del nostro libro, Nudge, Richard Thaler aggiunge sempre una raccomandazione: «Nudge for Good». È importante che il nudging venga usato «a fin di bene», perché chi comprende i meccanismi della psicologia umana ha davvero molte possibilità di nuocere agli altri, usando contro di loro le loro stesse intuizioni. È proprio questo che fanno a volte le imprese private. E anche i cattivi politici. I phishermen non si possono equiparare ai Sith, ma usano i nudge, e non certo a fin di bene. Un mito antico raccontato in modo nuovo

La Forza non ha però a che fare solo con la psicologia, con i bias comportamentali o con la magia. È molto più oscura e misteriosa. Richiede un «salto della fede»13. «Le vie della Forza Vivente», dice Qui-Gon, «vanno al di là della nostra comprensione». È assolutamente vero: ma le vie di George Lucas sono molto trasparenti, almeno su questo aspetto. Lucas aveva, e ha, un grande interesse per le religioni, e ha cercato di trasmettere un messaggio spirituale. Una volta, a otto anni, chiese a sua madre: «Se Dio è uno solo, perché le religioni sono tante?»14. Da allora quella domanda ha continuato ad affascinarlo. Scrivendo Star Wars, ha spiegato, «volevo arrivare a un’idea di religione basata sulla premessa che esista un Dio, e che esistano il bene e il male. […] Io credo in Dio, e credo nella ragione e nel torto»15. Star Wars attinge consapevolmente a una molteplicità di tradizioni religiose. Lucas pensa che essenzialmente dicano tutte la stessa cosa. Su questo punto è estremamente chiaro: con questi apporti «sta raccontando un mito antico in modo nuovo»16. Abbiamo visto come su questi temi Lucas sia stato fortemente influenzato da Joseph Campbell, il suo «ultimo mentore»17. Campbell sosteneva che molti miti, e molte religioni, hanno le proprie radici in un’unica narrazione, che scaturisce dall’inconscio. In questa idea di Campbell, Lucas si può dire trovò la risposta alla domanda di quand’era bambino: Dio esiste, e tutte le religioni Lo venerano. Per Campbell, miti apparentemente disparati sono derivati (o forse nati) dal «monomito», che ha caratteristiche ben identificabili. In estrema sintesi, nel monomito l’eroe è chiamato (dalle circostanze, o da qualcuno in difficoltà) a lanciarsi in una qualche avventura. Lì per lì rifiuta l’idea, adducendo paure, abitudini e la propria inadeguatezza. Ma alla fine si sente costretto a seguire la vocazione, e lascia la sua casa. Affronta gravi pericoli, chiede un aiuto sovrannaturale, che di solito gli arriva da un rugoso vecchietto o vecchietta (pensiamo a Obi-Wan o a Yoda). Supera varie prove d’iniziazione, in cui rischia la vita, ma sopravvive. Affronta una serie di tentazioni malvagie (talvolta provenienti da una figura satanica) e supera anche queste (con enormi difficoltà). Si riconcilia con suo padre – e finisce per assumere sembianze religiose, quasi divine. È l’apoteosi. Ha sconfitto i nemici più temibili, e torna a casa circondato dal giubilo generale. Naturalmente in questo schema sono compendiati molti miti e tradizioni religiose, e anche innumerevoli opere prodotte della cultura di massa (Matrix, Batman, Spider Man, Jessica Jones e Harry Potter sono solo cinque possibili esempi, e anche molti albi a fumetti – e i relativi film – hanno una trama analoga). Anche il viaggio di Luke narrato nella prima trilogia di Star Wars obbedisce allo stesso schema. Ecco cosa dice Lucas: «Quando ho fatto Star Wars ho consapevolmente cercato di ricreare i miti e i motivi della mitologia classica»18. Nel Viaggio dell’Eroe rientra anche gran parte della storia di Anakin narrata dalla trilogia prequel – sia pure con la tremenda variante che il protagonista, anziché salvatore, si trasforma in mostro; eppure alla fine sarà proprio lui a rivelarsi il salvatore ultimo, il Prescelto per riportare l’equilibrio nella Forza. Perciò anche il viaggio di Anakin, se si prendono i sei episodi nel loro insieme, rientra a pieno titolo nel modello. Campbell rimase molto colpito dalla trilogia iniziale di Star Wars: «Sai, pensavo che la vera arte si fosse esaurita con Picasso, Joyce e Mann. Ora so che non è così»19. Dice ancora Lucas: «Nel caso di Star Wars [il tema] era la religione. Si è cercato di mettere tutto in una forma facilmente accettabile da chiunque, per evitare di scivolare nell’approccio contemporaneo in cui diventa oggetto di discussione. Ed è andato in tutto il mondo»20. Lo straordinario e continuo successo di Star Wars è che prende una storia familiare – radicata in diverse culture e in diverse menti – la colloca in ambientazioni non familiari, ma totalmente sconosciute, la rende fresca ed effervescente, e vi aggiunge una quantità

di sviluppi imprevisti ed emozionanti, in questo modo consentendo che una serie di film per ragazzi tocchi il cuore degli uomini. Per il nostro mito moderno, che è insieme ricerca spirituale e psicodramma, la redenzione è sempre possibile, tutti possono essere perdonati e la libertà non è mai un’illusione. ………………………………. 1. Campbell, L’eroe dai mille volti, cit., p. 11. 2. George Akerlof e Robert Shiller, Phishing for Phools: The Economics of Manipulation and Deception, Princeton University Press, Princeton, NJ, 2015, trad. it., Ci prendono per fessi. L’economia della manipolazione e del’inganno, Mondadori, Milano 2016. 3. Daniel Kahneman, Pensiero lento e veloce, cit. 4. Robert Cialdini, Influence: The Psychology of Persuasion, William Morrow, New York 1984, trad, it., Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Giunti, Milano 1995. 5. Una nuova speranza, in Trilogia classica, cit., p. 79. 6. Cfr. Philip Tetlock e Dan Gardner, Superforecasters, cit. 7. Christopher Chabris e Daniel Simons, The Invisible Gorilla: How Our Intuitions Deceive Us, Crown, New York 2009, trad. it., Il gorilla invisibile, Il Sole 24 Ore, Milano 2012, pp. 19-20. 8. Ibid., p. 21. 9. Mariette DiChristina, «How Neuroscientists and Magicians Are Conjuring Brain Insights», Scientific American, 14 maggio 2012, http://blogs.scientificamerican.com/observations/how-neuroscientists-and-magicians-are-conjuringbrain-insights/ 10. Adam Green, «A Pickpocket’s Tale», The http://www.newyorker.com/magazine/2013/01/07/a-pickpockets-tale.

New

Yorker,

7

gennaio

2013,

11. David Jaher, The Witch of Lime Street: Séance, Seduction and Houdini in the Spirit World, Crown Publishers, New York 2015. Le diverse citazioni nelle pagine che seguono provengono da questo avvincente volume. 12. Arthur Conan Doyle, La nuova rivelazione, Sellerio, Palermo 1993. 13. Schaitel, «The Mythology of STAR WARS», cit. 14. Ibid. 15. Ryder Windham, Star Wars Episode I: The Phantom Menace Movie Scrapbook 11, Random House, New York 1999. 16. Schaitel, «The Mythology of STAR WARS», cit. 17. Ibid. 18. Ibid. 19. Taylor, Come Star Wars ha conquistato l’universo, cit., pos. 9373. 20. Trent Moore, «George Lucas Tries to Explain the Real Meaning of the Star Wars Saga», Blastr, 27 ottobre 2014, http://www.blastr.com/2014-10-27/george-lucas-tries-explain-real-meaning-star-wars-saga.

EPISODIO X

Star Wars è il nostro mito Nata come replica di Flash Gordon, Star Wars è un po’ come un ricordo d’infanzia, come il primo bacio, come un regalo di Natale. È un po’ come l’aria. Star Wars è qui, e ci rimarrà. Il tempismo è tutto, e la fortuna conta eccome. Nel 1977 non c’è dubbio che fosse il momento giusto per una fiaba ottimista piena di eroi, eremiti, droidi e spade laser. Dopo gli assassini, i disordini e il malessere gli Stati Uniti avevano bisogno di tirarsi su, e Una nuova speranza fece proprio questo. E il rilancio della serie, nel 2015, è stato sicuramente favorito dal gusto evidente per la nostalgia (sequel, sequel, sequel…) che caratterizza il nostro tempo, e dal bisogno impellente di buone notizie. Un cast di personaggi familiari ha aiutato la gente a ricollegarsi alla propria gioventù, ai genitori (vivi o morti), e anche ai propri figli. Dopo la Grande recessione, e nel mezzo delle minacce terroristiche, Rey, Finn, Poe e la Resistenza (e anche Han Solo, pure se muore) erano irresistibili. E poi, di solito a tutti piacciono le cose che piacciono agli altri. Quando c’è un gran trambusto la maggior parte di noi vuol sapere che succede. C’è un profondo bisogno di conoscenza ed esperienza condivise1. Le nazioni desiderano celebrazioni ed eventi che possano essere condivisi, e a fornirli sono i film, la tv e lo sport. L’uscita di un nuovo film di Star Wars è una festa nazionale. Alla fine, non è così importante se il film è buono! Se un nuovo episodio della saga ci mette in comunicazione con milioni di altre persone nella nostra città, e persino con gente di tanti altri paesi, beh, è una cosa che riempie il cuore. In un mondo frammentato, costellato di nicchie e di casse di risonanza, Star Wars offre qualcosa di prezioso: tessuto connettivo. Giovani o vecchi, democratici o repubblicani, tutti abbiamo una nostra idea su chi è stato a sparare per primo (Ian

o Greedo?), sul valore dei prequel o sulle vere motivazioni di Rey e Kylo. Star Wars ha tanto da dire su imperi e repubbliche, ed è direttamente ispirato alla caduta di Roma e all’avvento del nazismo. Le sue tesi semplici ed essenziali sui difetti degli imperi trovano risonanza in tanti paesi. Ma Star Wars non è didascalico. È femminista? (Sì, più o meno.) Parla di cristianesimo? (Sì.) È buddhista? (A volte ci prova, ma no, proprio no.) Possiamo interpretarlo in tantissimi modi; incoraggia il disaccordo e le ossessioni. La Forza rimane qualcosa di misterioso, ma ognuno di noi è in grado di riconoscere la Luce, e anche il Lato oscuro. Star Wars sa bene che nel cuore dell’uomo ci sono sia l’una sia l’altro. Lucas non era schierato dalla parte del Diavolo, e nemmeno Abrams lo è, ma entrambi conoscono bene il fascino del male. Magari Star Wars sarà un po’ troppo serio per William Blake, che trascorse tanto tempo nel Lato oscuro: ma anche lui l’avrebbe apprezzato. Star Wars rappresenta – e stimola – alcuni dei sentimenti più profondi dei figli per i genitori e dei genitori per i figli. Coglie la forza irresistibile di quei sentimenti, e anche la loro ambivalenza. Quando un padre o un figlio assistono alla scena in cui Dart Fener salva Luke, o vedono Kylo che uccide Han, torniamo alla tragedia greca, a Freud e all’essenza dell’uomo. Joseph Campbell – che Lucas considera il suo Yoda – amava i film di Star Wars; ed è stato lui a porre l’accento sul bisogno della gente di «provare l’estasi di essere vivi: alla fine tutto si riduce a questo, e quegli spunti ci aiutano a ritrovarla dentro di noi»2. Star Wars contiene proprio quel genere di spunti. Star Wars è una space opera, ma i suoi momenti migliori sono intimisti, non hanno a che fare con navi, esplosioni o strane creature, con repubbliche e ribellioni. In quei momenti c’è un essere umano che vede, e sottolinea, il buono che c’è in un altro essere umano, anche dopo gesti terribili. È tutto a tu per tu. Il perdono, ancor più della clemenza, è «due volte benedetto: perché benefica chi lo riceve come chi lo dispensa»3. Con un pizzico di fortuna, e con la scelta di amarsi a dispetto di tutto, insistere sul perdono può condurre alla

redenzione, che a volte si realizza in gesti di spettacolare coraggio. Anche se parla continuamente di destino, Star Wars insiste sulla libertà di scelta. È la sua lezione più grande. Le persone, grazie alla loro autonomia, possono cambiare il percorso apparentemente inevitabile della storia, e rimettere a posto le piccole e le grandi cose. Un ragazzo di campagna può scegliere di andare ad Aldaraan. Un contrabbandiere che pensa solo ai fatti propri può scegliere di tornare per salvare i suoi amici, con un solo colpo («Yu-huu! […] Non hai nessuno dietro, ora. Facciamo saltare quest’affare e andiamo a casa!»). Uno stormtrooper con il casco sporco di sangue può scegliere di disertare il Primo Ordine e aiutare un prigioniero dallo sguardo dispettoso che risulterà essere il pilota più abile di tutta la galassia. E una scavenger può scegliere di salvare il piccolo droide BB-8 e scoprire che la spada laser più famosa della galassia spetta a lei. Star Wars è ancestrale, ed è una fiaba, ma non è assolutamente una mera ripetizione del monomito di Campbell. È molto più superficiale, ma anche molto più profondo. È Flash Gordon, è un western, ed è un albo a fumetti. Apparentemente esalta il destino, ma il suo vero tema è la strada che si biforca davanti a te, e la decisione che devi prendere su due piedi. È una storia di modi spicci e riflessi pronti, molto americana. Ma sa essere universale, poiché si concentra sulla caratteristica più essenziale della condizione umana: la libertà di scelta, e sullo sfondo un futuro oscuro. Star Wars rende il giusto omaggio alla capacità di mantenere serenità e distacco. Ma ha un cuore ribelle che sceglie l’attaccamento a coloro cui teniamo davvero, anche a costo di affrontare i fulmini dell’Imperatore in persona. Nel momento decisivo i figli salvano i padri. Sono cresciuti. E proclamano ad alta voce la loro scelta: «Sono uno Jedi, come mio padre prima di me». ………………………………. 1. Si veda. Michael Chwe, Rational Ritual: Culture, Coordination, and Common Knowledge, Princeton University Press, Princeton, NJ, 2013.

2. Ep. 2: «Joseph Campbell and the Power of Myth – “The Message of the Myth”», Moyers & Company, 8 marzo 2013, http://billmoyers.com/content/ep-2-josephcampbell-and-the-power-of-myth-the-message-of-the-myth/. 3. William Shakespeare, Il mercante di Venezia, atto 4, scena I http://www.liberliber.it/mediateca/libri/s/shakespeare/il_mercante_di_venezia/html/ testo.htm.

Nota bibliografica Su Star Wars sono usciti innumerevoli libri e articoli, molti dei quali estremamente interessanti e validi. Qualsiasi selezione è in qualche modo ingiusta. Mi limito perciò ai riferimenti rivelatisi più utili a questo mio lavoro: Michael Kaminski, The Secret History of Star Wars. The Art of Storytelling and the Making of a Modern Epic, Kingston (Ontario, Canada), Legacy Books Press, 2008, che è anche una lettura estremamente divertente; Chris Taylor, How Star Wars Conquered the Universe. The Past, Present and Future of a Multibillion Dollar Franchise, ediz. riveduta e ampliata, Basic Books, New York 2015, trad. it., Come Star Wars ha conquistato l’universo, Multiplayer Edizioni, Terni 2015, che è anche una eccellente soluzione per chi preferisce fare riferimento a un unico testo; infine, le ampie e bellissime ricostruzioni di J.W. Rinzler, The Making of Star Wars. The Definitive Story Behind the Original Film, Del Rey/Random House, New York 2013 (ed. orig. 2007); The Making of Star Wars: The Empire Strikes Back. The Definitive Story, Del Rey/Random House, New York 2013 (ed. orig. 2010), e The Making of Star Wars: Return of the Jedi. The Definitive Story, Del Rey/Random House, New York 2013. Molte delle interviste, bellissime e davvero illuminanti, di George Lucas sono raccolte in George Lucas: Interviews, a cura di Sally Kline, University Press of Mississippi, Jackson 1999. Su alcuni dei temi qui affrontati mi sono avvalso di tutta una serie di studi di scienze sociali che peraltro non menzionano mai Star Wars (il che rasenta lo scandalo…). Una brillante riflessione sull’imprevisto, la storia e le influenze sociali si trova in Duncan J. Watts, Everything Is Obvious: Once You Know the Answer, Crown Business/Random House, New York 2011, che è stato una importante fonte d’ispirazione per gran parte di questo lavoro. Sul tema delle esperienze collettive il principale riferimento è il sintetico, ma profondo volume di Michael Suk-Young Chwe, Rational Ritual.

Culture, Coordination and Common Knowledge, Princeton University Press, Princeton-Oxford 2001. Sulle scienze comportamentali è fondamentale la lettura di Daniel Kahneman, Thinking, Fast and Slow, Farrar, Straus and Giroux, New York 2011, trad. it., Pensieri lenti e veloci, Mondadori, Milano 2012, e Richard H. Thaler, Misbehaving. The Making of Behavioral Economics, Norton, New YorkLondon 2015. Sugli effetti valanga informativi l’analisi di partenza si deve a S. Bikhchandani, D. Hirshleifer e I. Welch, «A Theory of Fads, Fashion, Custom, and Cultural Change as Informational Cascades», Journal of Political Economy, vol. 100, n. 5, ottobre 1992. La polarizzazione di gruppo è esaminata da Cass R. Sunstein, Going to Extremes. How Like Minds Unite and Divide, Oxford University Press, Oxford 1999. Sul diritto costituzionale come opera collettiva a episodi la lettura d’obbligo rimane Ronald Dworkin, Law’s Empire, Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (Mass.) e London, 1986, trad. it., L’impero del diritto, Il Saggiatore, Milano 1989.