Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino 8845926443, 9788845926440

Ci sono prosatori che proprio nelle lettere raggiungono una sorta di perfezione assoluta: riuscendo, nel breve volgere d

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Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino
 8845926443, 9788845926440

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Biblioteca Adelphi 583

Cristina Campo

IL MIO PENSIERO NON VI LASCIA Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino

Biblioteca Adelphi 583 Cristina Campo

IL MIO PENSIERO NON VI LASCIA Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino

Ci sono prosatori che proprio nelle lette­ re raggiungono una sorta di perfezione assoluta: riuscendo, nel breve volgere di una frase, a toccare vertici di bellezza e di intensità. Che la Campo sia uno di essi lo hanno dimostrato le Lettere a Mita e Caro Bui: e questo terzo pannello dell’episto­ lario, che raccoglie le lettere scritte agli amici del periodo fiorentino, ne è una conferma. Nel 1956 Cristina è costretta ad abbandonare Firenze per Roma; e gli an­ ni romani saranno costantemente pervasi dal ricordo struggente di quel giardino in­ cantato che era la cerchia degli «amici d’infanzia»: Piero Draghi, Mario Luzi, Anna Bonetti, Venturino Venturi, Giorgio Orelli. A tutti loro scrive dal suo «esilio» parole di nostalgico affetto («C’è con voi­ altri, nell’aria, gusto di latte»); ma il più rimpianto è senza dubbio Gianfranco Dra­ ghi, quel Gian che guarda ai suoi stessi «fa­ ri» (i più luminosi: Hofmannsthal e Simone Weil), lo scrittore e poeta di cui ammi­ ra la personalità e l’opera, l’amico che «co­ nosce sempre, sottilmente, il disegno del tempo, e trova la parola magica da inci­ dervi». A lui una Cristina ancora dolente per una pena d’amore chiede di assicurar­ le «che la felicità esiste», ma anche di im­ pegnarsi a favore di Danilo Dolci (come sta facendo lei stessa) ; con lui parla di Ro­ ma, che va scoprendo con meraviglia, del­ le sue letture (Montaigne, Lawrence, ra­ matissimo Auden, ma anche Pasternak, e Il Gattopardo), dei suoi momenti bui e del­ l’importanza della loro amicizia nella sua vita. Per ogni corrispondente la Campo trova un’intonazione diversa, quella che ritiene la più opportuna, la più esatta ma sempre (che assuma il timbro argenti­ no della Pisana o quello più cupo della Do­ natrice Portinari) la sua voce suona alle nostre orecchie con una giustezza e una limpidezza incomparabili.

«Vivere, certo, mio caro amico. Non c’è nulla di più - nulla di meno - da fare. Quanto ad esser felici, questo è il terribil­ mente difficile, estenuante. Come porta­ re in bilico sulla testa una preziosa pago­ da, tutta di vetro soffiato, adorna di cam­ panelli e di fragili fiamme accese; e conti­ nuare a compiere ora per ora i mille oscu­ ri e pesanti movimenti della giornata sen­ za che un lumicino si spenga, che un cam­ panello dia una nota turbata».

Le lettere contenute in questo volume copro­ no un arco temporale che va dal 1952 al 1965. Di Cristina Campo (pseudonimo di Vittoria Guerrini, 1923-1977) sono apparsi presso Adelphi Gli imperdonabili (1987), La Tigre As­ senza (1991), Sotto falso nome (1998), Lettere a Mita (1999) e Caro Bui (2007).

In copertina: Un ritratto di Cristina Campo.

*°o

BIBLIOTECA ADELPHI

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DELLA STESSA AUTRICE:

Caro Bui Gli imperdonabili La Tigre Assenza Lettere a Mita Sotto falso nome

CRISTINA CAMPO

Il mio pensiero non vi lascia LETTERE A GIANFRANCO DRAGHI E AD ALTRI AMICI DEL PERIODO FIORENTINO

A cura e con una Nota di Margherita Pieracci Harwell

ADELPHI EDIZIONI

© 2011

ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO www.adelphi.it ISBN 978-88-459-2644-0

INDICE

In limine: la vita ritrova un senso

Lettere a Gianfranco Draghi (con tre lettere a Laura)

11

parte prima

Lettere ad altri amici del periodo fiorentino

15

parte seconda

note

119

191

Nota al testo

193

Note

197

« Quando vedrai cielo e terra oscurarsi, tuffa le mani nell’acqua» di Margherita Pieracà Harwell

263

IL MIO PENSIERO NON VI LASCIA

IN LIMINE: LA VITA RITROVA UN SENSO1

12 novembre [1943] Ore 8

Papà carissimo, la mia calligrafia stessa dovrebbe apparirti diversa, stasera! Quando siamo entrate in casa ieri nel pomerig­ gio, M [inet] ed io, ho avuto per un attimo la sensazione di naufragare nel nulla. Mi pareva superiore alle mie for­ ze vivere ancora in una casa e in una stanza dove avevo tanto amato e creduto ed atteso, ora che non credo e non aspetto più nulla, ora che amo soltanto ciò che ho perduto. Se tu sapessi papà che cosa è passato in me in questi due ultimi mesi! Altro che saccheggio, che bombarda­ mento! Negli ultimi giorni di Careggi, avrai notato, mi ero calmata: e sai perché? Perché avevo deciso di rinun­ ciare, una volta per tutte. A che? Non saprei dirti esatta­ mente, ma... a tutto; al futuro, a quell’ardente proten­ dersi in avanti che finora era stato il mio atteggiamento naturale. Avevo deciso di farmi spiritualmente «vieille fille » - e credo che lo fossi già un poco. 1. Mi è sembrato che il miglior « introito » a questa raccolta potes­ se essere la lettera al padre scritta da Cristina alla fine del 1943. M.P.H.

11

Ma iersera, trovando la tua lettera, tutto il sangue mi è affluito al cuore: sono certa che mi crederai se ti dico che mi sono inginocchiata e ho ringraziato il Signore. (Avevo tanta paura che non tornassi, Papà caro, ieri se­ ra da Fiesole!). E adesso sento e vedo che tutto non è ancora perduto - che si può ancora sentirsi vivi e cioè volere qualcosa. Papà non dubitare: scriverò, scriverò bene. Certo finora la giovinezza (starei per dire l’infan­ zia, perché fino a questo settembre io sono stata assolu­ tamente, integralmente nella piena infanzia, bambina dalla testa ai piedi) lavorava per me, spingeva la mia mano sulla carta come il sangue nelle vene. E ora ho tanto sofferto che non so se potrò parlare distintamen­ te agli altri: se rileggo i miei ultimi appunti mi sembra­ no così soli e chiusi! Però voglio tentare tutto, Papà caro; e vedrai che, a Dio piacendo, non ti deluderò. Ho tante tante cose da dire! Quasi direi da salvare-, tutta la tragica bellezza di ciò che è passato in noi e vicino a noi - cose che io sola sento di aver visto e sentito fino alla soffe­ renza e che assolutamente non devono morire. « Rapi­ sci la luce alle fauci del serpente »... Ti ricordi di Glavina? Ora mi sembra che il puro insegnamento di Carossa sia la mia guida. Papà caro davvero non credi che i miei appunti siano inutili e pallidi?... Ora brucio dal desiderio di sapere da te (quando avrai il tempo e la bontà di indicarmeli) quei brani che ti sono sembrati ermetici e (un brivido mi percorre la spina dorsale!) di reminiscenza france­ se! Lungi da me, lo sai, l’idea di aver fatto questo co­ scientemente e ancor più lungi l’idea di essere pura da tutte quelle influenze. Forse la mia abitudine al solilo­ quio, quel modo di scrivere «a chiave» che avevamo Anna ed io, scrivendo quasi sempre l’una per l’altra, disorienta il lettore, anche il più fine ed attento - anche il mio Papà. Ma voglio sapere di quali brani si tratta per­ ché devo subito subito riparare a ciò, e mai più ricadér­ vi. Anelo a conoscere i miei punti deboli e conoscerli attraverso te sarà tanto più bello.

12

I Preludi sono fermi per ora. Mi è ancora così difficile riportarmi a quei giorni verdi e oro, adesso che ho la mente piena di castelli in rovina, d’incendi e di bagliori notturni. Ma tutto ti farò leggere che io trovi degno di essere letto. lersera dopo cena ebbi ancora un attacco, una crisi delle solite. Ma la superai presto, rileggendo le tue ri­ ghe. Scriviamoci ancora, vuoi? Segretamente e senza mai parlarne, neppure fra noi. Bisogna trovarne il tem­ po. Che Dio ti benedica, mio caro.

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PARTE PRIMA

LETTERE A GIANFRANCO DRAGHI (CON TRE LETTERE A LAURA)

1

[Firenze,] sabato [estate-autunno 1952]

Caro Gianfranco la sua lettera mi ha fatto bene, ma non creda me ne avesse fatto meno la frase «incriminata». A me piace pensare, e voglio credere che questo periodo difficile sia per me un momento di malattia, un cedimento del­ le dighe nervose ad altre forze. Mi è più facile, se penso questo, sperare che, ricostruite le dighe, tutto il resto possa ritrovare i suoi limiti. Perciò ha fatto bene a dirmi così, e oggi a parlarmi di sé come di chi conosca tutto questo. Io non posso che ringraziarla. Mi auguro di rivedere presto lei e Laura e di conosce­ re « la Luna » - l’astro maggiore, penso, della nuova fe­ lice costellazione. Tante care cose a tutti e tre da

Vittoria

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2

[Firenze,] Santo Stefano ’52

Caro Gianfranco, rispondo subito alla sua cara lettera. Non solo per­ ché voglio augurare il Buon Anno alla vostra piccola famiglia, ma perché non vorrei mai farla soffrire, come la nostra amica Anna. La quale, in morbido mantello grigio e camicetta ro­ sa, è venuta l’antivigilia di Natale. E - perdoni - s’è pre­ sa il suo sermone natalizio. Molto lievemente e affettuo­ samente ho accennato anche a lei; e assai più affettuosa­ mente che lievemente Anna s’è battuta il petto: non s’era mai resa conto, non aveva mai capito. Tutto s’è svolto nel modo più leggero, come sempre dovrebbero svol­ gersi le cose importanti. Anna ha parlato di voi delizio­ samente. Gianfranco, «spirito puro, intero», Laura... diffìcile riferire le parole; aH’improwiso era nella stanza una Laura di circa 2 metri e 10 e guardava benevolmen­ te un’Anna sul metro e 60. Infine, tutto perfettamente bene, come intendiamo noi. Cari amici, sono contenta che siate al mondo e che vostro figlio si chiami Bernardo: è proprio il nome che gli avevo imaginato. Ho sentito la vostra mancanza per Natale, sebbene mai come quest’anno mi sia sembrato un giorno qualunque. La mia vita continua a andare in bricioli, per Natale un solo attimo di gioia, quando Luzi mi ha detto (dopo 10 giorni di silenzio) che non vole­ va rendermi il Riccardo II, che così si doveva scrivere su Shakespeare. Anche se sbaglia, anche se non scriverò il libro, è stato bello. Me l’ha detto nella nebbia, davanti a un distributore di benzina e a Leone Traverso, alla mezzanotte del 24 dicembre. Ora vi abbraccio e vi regalo il nome che più amo: Ad­ dio, cari Draghi Pergolesi Vittoria 18

Le lettere del M[archese] d[i] V[illanova] sarebbero una trentina, tutte su per giù della lunghezza di questa.

3

[Firenze,] 23 ott. [1952-1954?]

Caro Gianfranco, la cosa più importante che m’ab­ bia detto iersera (e forse da quando ci conosciamo) è di aver scelto Hofmannsthal come modello della sua vita. Non le ho detto niente lì per lì, era difficile. Ma ora che è notte tardi e piove sulla luna, vorrei ringraziarla dal profondo del cuore. Non poteva dire una cosa più bella. (Posso aggiungere che non si scelgono certe figu­ re a modello se quelle figure, in qualche modo, non hanno già scelto noi?). Questa splendida luna intrisa d’acqua la dia a Laura da parte mia, per favore. A Cailleux il vento, a lei tutti i suoni che porta nell’ottobre. Con grande affetto VG

4

[Firenze, marzo? 1953-1954?]

Caro Gianfranco, è vile, dopo la sua ultima, scriverle questa lettera; vile il ridursi a doverlo fare. Non so neppure se avrò la pa­ zienza, la resistenza di attendere la sua risposta. Ho re­ sistito tutti questi mesi, tutte queste ultime indescrivibi­ li settimane per una forza che era oltre la mia: restiamo al classico paragone di Munchhausen che si regge da solo per il codino. Ora, da quattro giorni questa forza è 19

spezzata - Munchhausen è caduto nel burrone e s’è scoperto un pover’uomo come tutti gli altri. Forse il tempo, schiacciante; forse un casuale (rimasto il più ca­ suale - e più ridicolo) incontro con L[eone] T traverso] - Ma infine: l’ultimo filo della gomena è saltato. Dicia­ mo il penultimo poiché ancora le scrivo. Non tocco ci­ bo da ieri (sono le 4 del pomeriggio) anche questa not­ te l’ho trascorsa in piedi, leggendo e comparando testi sacri (m’ero messa in testa di scrivere su S. Giovanni Evangelista) e verso mattina, bocconi sul letto, ho pian­ to senza ritegno. ler l’altro avevo cominciato per lei un’altra lettera, volevo chiederle qualcosa che ancora mi pareva importante - poi, dopo aver pianto a lungo nel pomeriggio ed essermi addormentata in piena luce - tra i gattini che miagolavano, gli uccelli che cantava­ no, le serve che sbattevano tappeti e i treni che correva­ no per la loro strada - dopo mi sono detta che non era importante, che forse non sono più in grado di affron­ tare neppure una buona notizia. Temo di trovarmi a quello stadio del digiuno che è già al di là del bisogno di cibo - d’essermi, per così dire, già digerita il cuore. Non si tratta di fatti particolari - solo, l’uomo non può vivere senza un qualunque orizzonte. « La trahison - di­ ce S.W. negli ultimi Cahiers - est horrible surtout parce qu’elle prive les étres de leur passé ». Niente alle spalle - e va bene. Ma niente dinanzi, anche. E niente, nell’at­ timo. L’alpinista (Mùnchhausen) caduto nel crepac­ cio, tra due pareti, vietato ogni movimento. E di conti­ nuo, come un sinistro uccello, plana e rotea su tutto ciò una presenza poco lontana - incubo e lacerazione; sic­ ché per non vederla mi devo gettare sempre di nuovo su un dolore ancora più acuminato: un'assenza che tra­ passa il cuore come una spada. E questo ogni giorno, ogni ora. E difficile. Ho visto padre Giovanni e gli ho confessato ogni co­ sa. Non ha trovato (sia lodato Iddio) formule consola­ torie - se n’è andato come sotto una grossa pietra, cre­ do abbia molto sofferto. Naturalmente non una sillaba 20

di rimprovero per la mia condotta nei riguardi di - (e naturalmente ciò mi ha fatto molto riflettere su ogni secondo di questa mia condotta). Padre Giovanni mi ha spinta a scrivere su S. Giovanni Evangelista (un’idea assurda che m’era venuta) e ne ho scritto qualche pagina infatti. Ma solo in questi giorni ho sentito interamente, vivamente e con strazio le imagini meravigliose del Salmista e di Giobbe: « I miei gior­ ni se ne vanno come pula al vento, i miei giorni furon dispersi come i grani dal seminatore ». Fuga vertigino­ sa, per chi si trovi inchiodato al suo male, di ogni possi­ bilità di far buon uso del tempo. E questa, le giuro, è proprio l’ultima Croce. Mi credevo molto, molto più forte. Ma torniamo (S.W. dice che il dolore è comico, ed io non ho parole per scusarmi di questa farsa) torniamo all’inizio di questa lettera... ... Perdoni le cancellature, caro amico. Evidente­ mente quanto volevo dirle non va. La prego non mi scriva nemmeno lei parole consolatorie - sul mio valo­ re, il valore della sofferenza ecc. Nemmeno della cam­ pagna mi parli: stavo per andarci quando è nato un ostacolo anche per questo. E allora? Mi dica di Laura e Bernardo - mi assicuri, infine, che la felicità esiste. An­ che se per me è troppo tardi, mi farà bene pensarlo. Ciao.

Vittoria

5

[Firenze, 5 o 8 luglio 1953] Um Gottes willen, Gianfranco, wann, wann, wann werden die Staatsprùfungen enden? Lei che sa tutto, mi risponda per carità.

SuaV.G. 21

P.S. Ho detto a L[eone] T[raverso] di parlare a Be­ tocchi del suo libro. (L’ho visto per la strada; L.T. non, disgraziatamente, il libro).

Decido di non impostare la cartolina come tale. E m’inchino alle tre Cariti dell’ultima « Posta » (ed al loro Apollo). Quella Fiammetta, d’una malinconia così acu­ minata. Quella medianica Lidia. E quella piccola Meri­ ni vacillante tra approssimazione e folgorazione, com­ movente. Bello perfino l’unico errore - estremamente « congenitale » all’articolo. (Scusate la libertà, ma sono reduce dalla lettura di un racconto di Maccioni - che credevo, fin qui, mi considerasse almeno una donna, se non proprio una sorella).

Ragazzi! Ho scoperto un editore in cerca di manoscritti. Brut­ to ceffo, meridionale, chiede «Lei scrive bene?». Uno dice « Sì »; « Lei è presuntuoso » risponde. Stampa libri di Luigi Russo. Ha adottato come emblema il ritratto di Saffo di Ercolano, rovinandomi così la copertina dell’Antologia. Si può trovar di peggio? Appena tornerete ci andiamo. (Così, si deve vivere). Quando si è scoperto che non l’acqua scorre sotto i ponti, ma i ponti saltano sopra l’acqua. (E così si deve sognare).

6

[Firenze, 17 luglio 1953] Gianfranco, oggi con un vestito nuovo e un Maccioni nuovissimo (capelli al vento, camicia aperta) ho voluto cercare un po’ quel tal Leoni che dispone della sua infanzia. Uo­ mo affettuoso, franco. Trova al libro alcuni difetti ma:

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« Palla bianca, decisamente palla bianca! ». Di Lei: « Un signore, uno che fa sul serio. Poi, arriva con certi angeli custodi...». (Io subito: «Gli angeli si meritano»). Le scriverà, farà il possibile. «Il grosso guaio è Betocchi». Così, domani, io marcerò su questi.

Vittoria L. collaborerà al nostro giornale. (« Gli voglio bene », dice).

6 bis

Laura, non ti ho detto quanto mi abbia colpita, nella tua Let­ tera d’Estate, il nome di Cristina. Nessun altri che te avreb­ be potuto scoprirlo, ricordarlo, e usarlo in quel modo: in quel decasillabo solitario e bello « Qualche volta Cristina mi prende-»

che è come la danza di una cascata nella solitudine. [Ma non] ti ho detto niente. Ciao

Cristina

7 [Firenze,] 29 luglio [1953]

Cari, ho visto Betocchi; armatevi di pazienza: non ha letto ancora niente e quando avrà letto non sarà ancora fini­ ta: occorrerà il capriccio di uno dei V[allecchi], e quel­

23

lo del caso (piombi inattivi, o spazio disponibile tra i romanzi, o non so cosa ancora). Consiglio G.F. di pre­ parare impeccabilmente le 3 Taverne per il Sentiero: pestare i piedi a V. (anche se accetta Infanzia) sarebbe molto bello. Perdonate le brevi cartoline. G.F. si renderà conto di tutto se imaginerà al posto di Infanzia una « menschliche Seele ». Si declina al deserto puro. (In questi giorni, oltre tutto, è morto qualcuno di cui un giorno cercherò di narrare la storia: la piccola Orsolina che G.F. temeva tanto. Riderete se vi dico che ne ho sofferto un attacco di cuore!). Ciao, ragazzi. Tutto quel che potevo dire og­ gi di voi, l’ho detto. V.

8

[Firenze,] 8 agosto [1953]

Caro Draghi, lei mi ha scritto due biglietti squisiti. Vorrei dirle del secondo, con quei pensieri sugli animali, atroci anche in me fin dall’infanzia. Si finirà mai di meditarne e sof­ frirne? Della morte di O[rsolina] vi avevo scritto a lun­ go - tutto era già un racconto fin dall’inizio - ma nessu­ na parola mi è parsa poi abbastanza pura. Vegliando per due notti intere l’agonia di O., leggevo di quando in quando Confucio - e davvero soltanto quello scorcio - tra la grande ricerca e la piccola lotta - mi sembrava adeguato, silenzioso abbastanza. Non badi la prego a Bartolini (gli ho scritto per Era­ smo, stanca di attendere che lo facesse lei). Tutto è « esercitazione »; anche il Clavicembalo ben temperato e le acqueforti di Goya. La « narrazione nel sangue » c’è e ci sarà sempre, se anche le possa accadere di compiacer­ si

si in questo o quel pezzo di bravura. Non si tormenti, dunque. Di Vallecchi sinceramente non so dirle niente. Vi è tale incoerenza di gente e di modi là dentro che ne può uscire qualsiasi cosa. Ma passeremo al di là di loro se occorra. Mi prepari le tre Taverne per l’autunno - net­ te, tirate a lucido. A Ravagli avevo già mandato io tutti i numeri della «P[osta] L[etteraria] » sicché avrà visto ciò che lei può fare. (La prego di mandare a me gli ar­ retrati - non ho più neanche una copia delle Note sulla pittura). A me R[avagli] non ha più scritto. lersera è arrivato, inatteso e caparbio, Remo Fasani. Siamo stati insieme (rida, ha ragione!) da mezzanotte alle tre e mezzo, mangiando pere cotte. Mille volte ho rimpianto la vostra assenza. Fasani mi ha ascoltata rac­ contare di voi con quella sua adesione che è come un’onda limpida sulla pietra durissima - (lei del resto già lo conosce un poco). Mi ha fatto sentire il palmo delle bellissime mani: era duro come un legno non piallato - lui veniva direttamente dalla falciatura che è durata un mese (tutta in montagna) e l’ha quasi stron­ cato. « Per fortuna falcio bene: potessi scrivere su Dan­ te come posso falciare!». Gli ho chiesto perché non avesse mai risposto alle mie, alle nostre lettere. «Per­ ché erano lettere che volevano solo una risposta ». Vi spedisco a parte un opuscolo di Danilo [Dolci]. Da quando lessi il Filottete non avevo più sofferto tanto. È meraviglioso individuare così chiara la forza che può tramutare una statistica in una tragedia greca - con tut­ ta la sua enorme, monocorde potenza. (Non so se sap­ piate che Danilo sta per sposare Vincenzina, la donnina delle lettere, vedova di un pescatore e madre di cinque bambini. A voce vi dirò la passione (non in senso amo­ roso ma religioso) di quel ragazzo abbandonato da tutti per questa sua decisione - abbandonato persino da suo padre e sua madre. Se volete scrivergli, accennando ve­ latamente all’evento, farete un gran dono anche a me,

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che non ho potuto, anche in questa occasione, offrirgli altro aiuto che la mia immensa adesione). E ora, Gianfranco, la saluto di tutto cuore, e offro un dito sostenitore a Bernardo e un augurio che il putto d’intaglio gotico sia ritornato a compiere i suoi miraco­ li tra voi due. (... Eine menschliche Seele, era la mia, semplicemente. Sì, avrei avuto bisogno di lei - e tanto che spesso mi sono chiesta se non l’avrei visto capitare qui da un momento all’altro. Con lei a Firenze tutto sarebbe forse andato diversamente. Ora è finito - e giungo a dire « grazie al Cielo » - finito come la vita di un animale in­ nocente. Non parliamone più, per favore). Vi abbraccio tutti V. Cris.

9

[Firenze,] 26 die. [1953]

Caro Gianfranco, cara Laura grazie di cuore per il vostro augurio che ricambio con tenerezza. La vostra assenza si fa più sensibile (vi parrà strano) ora che è qui Margherita - il cerchio di mani amiche vorrebbe chiudersi e per ora deve restare aper­ to... In fretta vi mandiamo la nota di M[argherita]. Per l’articolo di Norsa dovrei sapere domani (se il mio tele­ gramma vi è giunto in tempo) quanto spazio potete con­ cedergli. Per ora è un infante rachitico, dalla grossa testa e dal corpo stento. Dio voglia che domani - Domenica un po’ di musica ne favorisca la crescita. Ma temo che questa (poiché una riduzione della testa sembra impos­ sibile) finisca per esorbitare dai limiti concessi. Nel caso - poiché nessuno può e deve essere mutila­ to - si potrebbe eliminare la bibliografia? E, in caso estremissimo, il cliché? Perdonate queste apprensioni 26

mai nella mia vita ho sofferto tanto per un compito da eseguire - nemmeno il primo giorno di scuola, alle pri­ me aste (e vomitai tutto il giorno per la disperazione). Vi abbraccio con Bernardo; siate felici miei cari V. Il titolo del dramma è Pietra oscura.

10

[Firenze,] 28 mattina [dicembre 1953] Carissimo, avevo lavorato di gran lena in questi giorni (con la bronchite ecc.) e mi pareva di riuscire almeno in parte quando mi ha presa il dubbio dello spazio. E non avevo torto. Il mio articolo non si può ridurlo (senza rifarlo inte­ ramente, e allora in tutt’altra chiave) a meno di cinque e mezzo-.sc? cartelle. Con Margherita abbiamo tentato e ri­ tentato: una riduzione è impossibile, ci vuole un altro articolo (questo era tutto un ciclo di citazioni progressi­ ve, come Riccardo II) e, mi perdoni, caro amico, nel mo­ mento io non posso farcela un'altra volta. Così avevo già di­ sposto tutto in modo da farle avere per questa volta I Co­ lorì e il cliché di Van Gogh (la nota di M[argherita] l’ha già lei, vero?) - quando G[abriella] Bemp[orad], che doveva consegnarmi l’Hofm[annsthal] domani sera (24 ore per rivederevina. traduzione già fatta) s’impenna nella nota maniera e sbatte [il] ricevitore su richieste e Colorì. Non so se in 24 ore l’attacco freudiano possa calmarsi (il mio, di cuore, non credo); se questo, come spero, avver­ rà, le spedirò tutto martedì - tanto Luzi, da buon Taoista, non ha il minimo senso del tempo, e la pagina, per quel che lo riguarda, potrebbe uscire, ugualmente gra­ dita, il mattino del suo 75° compleanno. Se invece il « complesso » seguita ad infuriare e neanche Margherita 27

riesce a deporvi compresse fredde - non vedo altra solu­ zione che saltare una settimana, come Lei già pensava di fare per Natale - e incaricare un altro (Gerola?) dell’arti­ colo di fondo. Mi perdoni caro amico (formula di mera cortesia perché le giuro che ho tentato il possibile). Te­ lefonerò io a Gerola, dicendo che quel Norsa della malo­ ra non manda, non risponde, non c’è, e lei mi ha incari­ cato di telefonare a lui (perdoni l’impossibile stile, sono le 8 di mattina e ho tossito tutta la notte). Lei sa che se posso un miracolo lo faccio - quanti ne conosce la « Po­ sta»! - ma questa volta... Naturalmente non lascerò pas­ sare inavvertito un momento di grazia (che naturalmen­ te non mi verrà per Luzi - tutta la notte ho scritto, felicis­ simamente, intorno a Marlowe ! ) ma lei sa in quale modo mi abbia sempre atterrito questo compito e come solo per lei mi ci fossi piegata. In linea di massima nella (avve­ nire) pagina di omaggio io scriverei semplicemente in alto su una sola riga: « questa pagina è dedicata a M [ario] L[uzi] » (non aggiungerei neanche «vincitore ecc. », ma suppongo che Jannaccone non Le consentirà questa de­ licatezza) . Poesia in alto, al solito posto, cliché in basso (id. id.) il resto tutto normale, con Luzi al centro e la biblio­ grafia, se c’entrerà, al posto del «Crivello », da un lato e in posizione trascurabile (bisognerebbe fare una pagina intimamente sincera). Ma il materiale, anche con Gero­ la in fondo, mi è sempre parso troppo... Ci starà? Affet­ tuosamente sua V.

Non faccia in nessun caso saltare Marcucci: è forse la sola cosa a cui M.L. possa tenere (taoismo permetten­ do) . Semmai il cliché e la bibliografia.

28

11

[Firenze, tra il 26 dicembre 1953 e il 9 gennaio 1954] Caro Gianfranco, ecco il numero pronto, condito e salato. Il cliché glielo spedisce stasera Anna Bonetti. Le avrei mandato anche una poesia di Li Po, ma prima di tutto con questo materiale e il threnos per Dylan Thom­ as dovreste essere a posto - e poi perché è ora di finirla con i tócdel Sign. Jannaccone che se non si mette all’oc­ chiello la poesiola settimanale non può uscire neanche - come questa volta - col manto di un imperatore. Cer­ chi lei di riformare quella gente, dica loro che sono pro­ vinciali-. nulla offende più la gente che il loro stesso no­ me. (La canzoncina del Villanova è tanto carina, ma ci ha fatto un po’ sorridere anche dell’indulgenza natali­ zia del redattore). Hofm[annsthal] è, come le avevo detto, circa 7 car­ telle normali (quelle di G[abriella] B[emporad] sono ristrette come il consommé). Se potessimo fidarci del proto, scriveremmo solo a lui le raccomandazioni d’u­ so: ma bisogna dire a lei di vegliare sulle correzioni di H[ofmannsthal] - tutte nello stesso carattere del testo, anche quelle segnate in maiuscolo - e alle virgolette di Margherita, che vanno semplici, tipo apostrofo, se no viene un caos. Anche il titolo dell’Hofm. va sorvegliato. G.B. non sa ancora con chi ha da fare e ha trascurato di specificare. I Colori va scritto grande, H[ugo] v[on] H [ofmannsthal] più piccolo, sottotitolo in calzoncini corti. Scusi!!! Non ne possiamo più! V.

Mille grazie per l’esemplare composizione di Fiaba e mistero.

29

12

[Firenze, prima del 20 marzo 1954]

Caro Gianfranco, preferirei, come le ho detto, che la noticina su Alexia Mitchell non comparisse in fondo, ma al solito posto, nel carattere in cui venivano stampate le note della Me­ rini. Ma se lei crede che così si rischino troppi errori, faccia pure come crede. A me non sembra un articolo da fondo - solo vorrei essere certa che non vi fossero troppi errori. In questo senso la prego di scrivere ajannaccone - il testo inglese ha bisogno di un’accurata cor­ rezione di bozze. La prego anche di inoltrare questo mio biglietto a Rizzardi, di cui ignoro l’indirizzo. Certo lei ha occasio­ ne di scrivergli. Con affettuosa amicizia sempre sua V. P.S. Con questa nota, esce anche la poesia di A[nna] M[aria] C[hiavacci]? In questo caso mi avverta perché sa che vorrei evitare... E allora darei ad altri la nota.

13

[Firenze, 19 luglio 1954]

Caro Gianfranco, grazie del caro ricordo e della tele­ fonata. Mi scriva qualcosa sulle sorti della «Posta». Sa­ rebbe davvero il caso, se non tutto arrivasse in tempo, di ritardarla di una settimana piuttosto che rifar tutto daccapo. Vorrei anche pregarla di farmi riavere il cli­ ché di Venturi quando l’abbiate usato: - a lui che è tan­ to povero farebbe comodo, credo. Mille cose care e 30

buon lavoro e buon riposo estivo. (Saluti da R[emo] F[asani] e da Margherita] P[ieracci]).

Vittoria

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[Firenze, 30 luglio 1954] Caro amico, le sue gentili parole mi hanno un po’ consolata. Ero amareggiatissima per quella mancanza di spazio (tra il 7° e 1’8° pensiero) che toglieva al mio diario il suo - sia pur piccolo - fuoco centrale... Mi rin­ cresce che l’artìcolo di P[ier] F[rancesco] M[arcucci] fosse così stanco. Non era possibile, in quei giorni, chie­ dergli di più. Se troverò un po’ di tempo scriverò anch’io qualche riga su Piero - me l’ha chiesto anche Traverso, ricordando il libro con amore. Mi scriva di voi, del suo lavoro, di Urio. Un saluto aff.so anche da Margherita] e da Fasani.

Vittoria

15 [Firenze, 4 agosto 1954]

Caro Gianfranco, mi scusi: ha avuto notìzie, poi, dell’uomo di Vimercate? Altrimenti potrei chiedere a Cambon (le descriverò il nostro incontro) il favore di indagare. Grazie ancora, cari amici e tante cose affet­ tuose. Vittoria

Suofratello è con lei 1 31

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[Firenze, agosto 1954] Carissimo Gianfranco la ringrazio di tutto, e delle ricerche di quel po­ veruomo sopratutto. Oggi mi rivolgerò al mio ami­ co poliziotto per vedere di saper qualcosa da Vimercate. Perdoni se anche stavolta sarò « laconica ». Sono stata diversi giorni ammalata - in ogni senso - e usci­ rò stasera per la seconda volta unicamente per vedere Masini. Margherita, grazie a Dio, è quasi sempre a Fi­ renze. Non sta neppur lei molto bene e Padre G[iovanni Vannucci] le ha sconsigliato il viaggio a Trappe­ to - forse intuendo, con la sua estrema delicatezza, che abbiamo gran bisogno una dell’altra. Caro G., mi perdoni: ho dimenticato di avvertire Fasani che si fer­ masse a Urio - ma è partito da un giorno all’altro per Poschiavo, dopo le complicazioni che lei immagina. Devo scrivergli di venire più tardi - fra due o tre set­ timane? E lontano Poschiavo? Quando vi farebbe pia­ cere? Dica a Laura mille cose affettuose e mi scriva di voi. Da Margherita] e da me i più cari saluti.

Vittoria

17 [Roma, 15 settembre 1955]

Cari amici, sono partita senza dirlo a nessuno; mi avrebbe fatto troppo male; e poi non ero certa di resi­ stere qui più di 2 giorni. Per ora ho resistito 1 settima­ na. La città è adorabile, la casa deliziosa. Ma io mi cerco senza trovarmi, e piango spesso senza ragione, e non scrivo. Tutti vengono a Roma di questi tempi; voi no? 32

Ne sarei felicissima; ora anche Margherita è più vicina e potremmo vederci tutti, sul mio fiume. Dedico questa cartolina a Laura; somiglia tanto alla poesia che mi de­ dicò una volta! Scrivetemi, vi prego. Vi abbraccio con i piccoli.

Vittoria

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[Roma, tardo autunno 1955]

Caro Gianfranco, grazie per il Suo espresso. Non ho ricevuto nulla da Firenze; qui la posta va irregolarmente per la confu­ sione fra coni e Collegio musicale che si scambiano le lettere. Scriva all’indirizzo che le segno qui dietro. Non conosco il «Popolo di Milano». Suppongo che sia un buon giornale e la ringrazio di cuore per la pro­ posta. Ma per ora non ho niente di nuovo e non vedo che cosa si potrebbe inventare. Forse qualcosa già uscita sulla « Posta »? Fiaba e mistero, per esempio (con qualche correzione e variazione posteriore)? O l’arti­ colo su Misia Sert uscito nel defunto e dimenticato « Giovedì »? A me piacerebbe scrivere qualcosa di nuo­ vo - sulla Woolf o su Morgan, ma tra Casini e Scheiwiller (tutti e 2 a Roma!) non posso permettermi distra­ zioni. Mi dica Lei. E grazie sempre per la cara amicizia - di cui sentirò l’assenza e la presenza. Tante cose care a tutti e 4. Vittoria

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19 [Roma, 1956?]

Caro Gianfranco, le ho fatto spedire molti numeri di quel giornaletto per studenti, con relative « smentite alle accuse » ecc. Abbia la cortesia di mandarli lei a quegli amici che mi diceva perché ho perduto la cartolina con gli indirizzi. E mi saluti De Sanctis. Mi faccia poi mandare due copie del libretto di Piero: una la vuole Erba (che non lo aveva mai sentito nominare) una la ragazza greca che traduce poesie italiane. Spero di scriverle presto l’esito del suo pezzo all’«Approdo» - ancora non ne so niente (ma ci vado domani o giovedì). Mille care cose da Vittoria Grazie dei giornali. Ma volevamo I Colorì. Che orrore questa cartolina.

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Roma 28. III. [? primavera 1956?]

Miei cari amici, vorrei sapervi ringraziare di essere stati qui. Mi avete portato tante cose dimenticate: il passato, la freschezza, la fedeltà e la sorpresa. Davvero non ricordavo più che esistessero persone giovani «come me» (cioè che io fossi ancora giovane come loro); e cocktails di belle stoffe, garofani scarlatti, cappellini tenerissimi (come dolci per bimbi) e cerchi d’occhi sorridenti e belli, in­ torno a un piatto d’insalata russa. Ho preso una cotta persino per vostro padre. Abbia­ te pazienza. Ero come un contadino al villaggio o un ergastolano in licenza-premio. 34

Mi avete lasciato un vuoto assai concreto, ma anche un lembo di sorriso che non finisce, per ora. Tornate presto. Vi abbraccio tutti [e] tre, con i vostri piccoli figli e nipoti e il nonno e la nonna e il signore inglese che ci guardava atterrito... Cristina

Da quanto tempo Fiammetta Pergolesi non mi man­ da un messaggio?

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[Roma, giugno 1956] Carissimo Gianfranco, veda se le è possibile far affiggere questo appello all’università o parlarne ai ragazzi. Le Università di Pa­ lermo, Bari, Bologna, hanno già risposto con centinaia di firme. Le unisco anche l’adesione collettiva dell’Organismo rappresentativo di Bari - una testimonianza così ci basterebbe. Ma presto, per favore. (Lo scopo? Una campagna che Malaparte tenta di fare perché all’Onu l’Italia si de­ cida a votare per Cipro. Si tenta di fare anche un comitato). Affettuosamente se pure in fretta

Cristina

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[Roma,] 1° agosto (ahi!) [1956]

Legga un po’ questa lettera: e mi dica se è possibile aver rapporti con un uomo che scrive in questo modo. 35

Non ci ho capito un’acca. (Lei che conosce l’antefatto può dirmi quale acca mi converrebbe capire o se nessun’acca vale la pena di esser capita?). Ieri è stata qui M.; e abbiamo parlato di Gianfranco Draghi come del solo uomo elegante (nel senso leopar­ diano) in circolazione di questi tempi. M. è stata fidanzata col vecchio per qualche ora, qual­ che giorno, non so. Poi lui ha incontrato un amico che gli ha detto la moglie giovane essere pericolosa (per la salute, naturalmente, non per altro) e ha disdetto tut­ to. Ora le scrive proponendo incontri a Firenze, lonta­ no da sguardi «pesantemente interrogativi» (la sua mammina) o « invidiosi » (gli amici libertini). La lettera nella quale invitava M. a Napoli (un mese fa, per dichia­ rarsi) era scritta in latino. Diceva di volerla vedere da sola «non domo mea sed in platea». Infatti la portò a Posillipo. Abbia pazienza Gianfranco se qui smetto. Non resisto a certa cronaca per oltre 10 righe. La sola cosa seria è il dolore di M. Non era mai stata... a Posillipo, mi capisce. Io non so che fare per lei. Vorrei che lavorasse. Che tutta questa energia senza più oggetto non andasse perduta o non si ritorcesse contro di lei. Io qui comincio a resistere male. Mi ha presa qualche momento il terrore del contagio (ho una certa tenden­ za naturale a camminare sui cornicioni della ragione) e poi sono stanca oltre ogni parola. Ma se mia madre mi­ gliorasse niente avrebbe importanza. Sono impaziente di leggere la Taverna stampata. Ho voglia di un mondo impossibile come il suo. Per M. e per me le sue piccole lettere squisite sono state uno dei pochissimi aiuti. Ancora grazie Gian­ franco. A tutti voi l’affetto di Cristina M. va al mare con la Madre... a Napoli. Dice che non è stata lei a decidere così. Ma visto che è lei che paga... A 36

Napoli, al Vomere, capisce. Bene. Olì) (|)povTÌ