Il cuore segreto dell'orologio. Quaderni di appunti (1973-85) 8845902641, 9788845902642

Il cuore segreto dell'orologio. Quaderni di appunti

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Italian Pages 200 Year 1987

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Il cuore segreto dell'orologio. Quaderni di appunti (1973-85)
 8845902641, 9788845902642

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Biblioteca Adelphi 186 Elias Canetti

IL CUORE SEGRETO DELL' OROLOGIO

I lettori di Canetti sanno che, nella sua opera, dietro le parti visibili si erge un massiccio in larga misura invisibile: quello degli appunti, che Canetti scrive ormai da decenni. Di questi «appunti» conoscevamo sinora La provincia dell'uomo. E qui si aggiunge II cuore segreto dell'orologio (1987), che comprende gli anni 1972-1985, il periodo in cui Canetti ha scritto i tre volumi della sua autobiografia. Ancora una volta troveremo qui aforismi, immagini balenanti, schegge di ipotesi, romanzi in due righe, riflessioni su scrittori amati e avversati (memorabili gli accenni a Aubrey, a Joubert, a Walser, a Zhuang-zi), osservazioni su un'immensa varietà di temi, infine frammenti di un dialogo serrato con se stesso che permette di intravedere, attraverso preziosi spiragli, le linee di un autoritratto sempre in formazione. Più che mai Canetti è incisivo, aspro, tagliente, spinto da una sorta di furia dell'essenziale. Il tempo, che induce molti ad arrotondare le punte, agisce per lui in senso opposto: ogni elemento subisce una accentuazione e agisce sul lettore come una scossa ravvivante. E, insieme, Canetti sembra qui concedersi scioltezza di respiro e libertà di movimento in ogni direzione, come se in questa forma trovasse il contravveleno alla poderosa concentrazione che esigono da lui, volta per volta, le sue singole opere. Mai come negli «appunti» Canetti tiene fermo a se stesso e si permette di andare contro se stesso, seguendo un'oscillazione concisamente descritta proprio in queste pagine: «Chi obbedisce a se stesso soffoca non meno di chi obbedisce ad altri. Soltanto l'incoerente non soffoca, colui che si dà ordini ai quali si sottrae. Talvolta, in circostanze particolari, è giusto soffocare».

Di Elias Canetti (1905-1994), premio Nobel per la letteratura nel 1981, Adelphi sta proponendo l'opera completa. L'ultimo volume apparso è Party sotto le bombe (2005).

In copertina: Sebastian Stoskopff, Cesto con bicchieri, 1644. Musée de l'Oeuvre Notre-Dame, Strasburgo.

B I B L I O T E C A ADELPHI 186

D E L L O STESSO A U T O R E :

Auto da fé Il frutto del fuoco Il ^oco degli occhi Il Testimone auricolare La coscienza delle parole La lingua salvata La provincia dell'uomo La rapidità dello spirito La tortura delle mosche Le voci di Marrakech Massa e potere Party sotto le bombe Potere e sopravvivenza Un regno di matite

Elias Canetti

IL CUORE SEGRETO DELL' OROLOGIO Quaderni di appunti 1973-1985

ADELPHI EDIZIONI

T I T O L O ORIGINALE:

Das Geheimherz der Uhr Aufreichnungen

1973-1985

Traduzione di Gilberto Forti

Prima edizione: novembre 1987 Terza edizione: maggio 2008

© 1 9 8 7 ELIAS CANETTI LONDON 1 9 8 7 A D E L P H I EDIZIONI S.P.A. MILANO WWW.ADELPHI.IT ISBN 978-88-459-0264-2

IL CUORE S E G R E T O DELL'OROLOGIO

Per Hera Canetti

1973

Il processo dello scrivere ha qualcosa di infinito. Anche se viene interrotto ogni notte, è una stesura unica che si manifesta nella sua f o r m a più vera q u a n d o va in scena senza ricorrere ad artifici, qualunque aspetto questi possano assumere. Ma ciò comporta u n a fiducia nella lingua così com'è, e io mi meraviglio di possedere ancora in grado così elevato questa fiducia. Gli esperimenti linguistici non mi h a n n o mai attirato molto, ne ho cognizione ma li evito q u a n d o sono io a scrivere. La ragione è che la sostanza della vita mi assorbe totalmente. Chi si dedica a esperimenti con la lingua rinuncia alla maggior parte di questa sostanza: tranne una sua minima parte, tutto rimane intatto e inattinto, come se chi scrive continuasse a suonare soltanto con u n mignolo. Perché ti ribelli all'idea che la morte sia già nei-vivi? Non è forse in te? La morte è in me perché devo attaccarla. Questo e

nessun altro è lo scopo per cui ne ho bisogno, per cui sono andato a cercarmela. Collezionisti di ultimi sguardi: Come compiango le persone rassegnate che con la loro morte d a n n o per spacciati tutti quelli che vivono e vivranno. I più profondi pensieri dei filosofi ricordano in qualche m o d o i trucchi dei prestigiatori. Molte cose scompaiono affinché ad un tratto spunti nella m a n o qualcosa. T r e sono i motivi per cui Schopenhauer si lascia corrompere dalla morte: la rendita di suo padre, l'odio per sua madre, la filosofia degli indiani. Si ritiene incorruttibile perché non è un professore. Non vuole ammettere che la corruzione più riarovevole, la corruzione assolutamente irrimediabie è quella operata dalla morte. In questo non è u n avversario utile. Quello che c'è da dire contro di lui è meglio dirlo contro gli indiani. Jacob Burckhardt accettava Schopenhauer, ma non per questo ti ha fuorviato seriamente, tutt'altro. Verso Burckhardt hai un debito molto grande: per il suo rifiuto di ogni sistema dedotto dalla storia; per la sua intima convinzione che nulla era migliorato, essendo al contrario piuttosto peggiorato; per il suo rispetto nei confronti di ogni figura, in contrapposizione a ciò che è concettuale; per il suo caldo interesse verso la vita realmente vissuta, u n interesse alimentato dalla delicatezza della sua rinuncia; 10

per la sua conoscenza dei greci, senza abbellimenti; per la sua resistenza contro Nietzsche, nella quale ho trovato u n precoce avvertimento. L'ombra che offuscava il pensiero di Burckhardt non aveva a che fare con la sfera del sentimento. Il suo entusiasmo si rivolge al singolo. Se certe parti del suo pensiero sono appassite, altre conservano la loro efficacia. Non si deve accettarlo. Non si può respingerlo. Non c'è storico del secolo scorso che io ammiri così illimitatamente. Negli anni della preparazione, q u a n d o leggevo le cose più diverse per allungare la strada che doveva portare a Massa e potere, sembrava che fossi perduto in un oceano di letture. Chi veniva a sapere di questa situazione mi credeva u n maniaco, perfino dagli amici migliori ricevevo cauti consigli. E inutile leggere fonti su fonti, dicevano, anche i grandi libri del passato sono stati già sfruttati mille volte e si riducono ormai a poche intuizioni permanenti. T u t t o il resto è zavorra di cui non ci si deve appesantire. In ogni lavoro impegnativo la cosa che conta di più è scartare il superfluo. Ma io remigavo senza timone nel mio oceano e non mi lasciavo fuorviare. Una giustificazione a questo comportamento non l'avevo, - finché non m'imbattei nella frase seguente: « Può darsi che in Tucidide, per esempio, vi sia u n fatto di alta importanza di cui qualcuno si accorgerà solo tra cent'anni ». Questa frase si trova nell'introduzione alle Considerazioni sulla storia universale. Ciò che di più intimo devo a Burckhardt, la mia giustificazione per quegli anni, è questa frase. 11

Il mettersi in pubblico toglie all'uomo la sua onestà. E ancora possibile una verità pubblica? Perché fosse possibile, il primo presupposto sarebbe questo: sporsi personalmente le proprie domande, e non solo dare ad esse u n a risposta personale. Le d o m a n d e altrui d e f o r m a n o , ci si adatta ad esse, si accettano parole e concetti che si dovrebbero evitare a qualsiasi costo. Dovremmo usare solamente parole che abbiamo riempito di un senso nuovo. Sull'orlo dell'abisso si aggrappa a matite. Salvare l'esagerazione. Non morire da persona ragionevole. In balìa di dèi morti di sete. Sulle separazioni: confessa il gioco perverso che hai sempre giocato con le separazioni. Vivere pericolosamente? Quale vita può essere più pericolosa di quella fatta di separazioni? Chi ha bisogno della propria aria, chi solo in essa riesce a pensare, se la procura col mezzo t r e m e n d o delle separazioni. È quello che ora stai facendo con una creatura in tenerissima età: per stare con i tuoi pensieri, la abitui alle separazioni. Egli cerca di parlare del f u t u r o , si sente un incapace e ammutolisce. Così brave persone, e g u a r d a n o gli altri come se fossero fatti d'aria. 12

È un guaio spiegare i propri appunti, è come riprenderseli indietro. Chi è ossessionato dalla morte diventa colpevole per colpa della morte. Conoscere una persona da tutta u n a vita e passarla sotto silenzio. Assoggettarsi per odiare più esattamente. Che Dio sia morto o no, è impossibile tacerne: c'è stato per tanto tempo. Sempre e solo costruzioni, al posto delle storie che tu non scrivi. Dalle persone che ti, sono più vicine prelevi ciò che servirebbe per cento personaggi. Cercare qualcuno che non si vuol trovare. Stava a guardare lo spettacolo di tutti i suoi personaggi che andavano a rimpiattarsi nella sua giovinezza. Per letteratura universale essi intendono qualcosa che possono dimenticare globalmente. Non pochi personaggi sentimentali s'insinuano come parti molli in personaggi piìi d u r i e lì si tengono abilmente nascosti. 13

Velare l'epilogo o esasperarlo: non c'è altra scelta. Capì l'effetto delle proprie parole tanto da p e r d e r e la favella. Anche se l'hai messo in dubbio, la fama devi averla desiderata. Ma non hai desiderato mille volte di più quell'altra cosa, il ritorno di un morto? E la forza del tuo desiderio non è bastata. Solo i desideri miserevoli, quelli superflui, quelli spudorati, vengono esauditi, m e n t r e i grandi desideri degni di u n u o m o rimangono inesaudibili. Nessuno ritornerà, non c'è mai u n o che ritorni, sono putrefatti quelli che hai odiato e putrefatti quelli che hai amato. Sarebbe possibile a m a r e di piùì Richiamare un morto alla vita p r o f o n d e n d o più amore? E forse nessuno ancora ha amato abbastanza? O basterebbe u n a bugia che sia così grande come la creazione? Le speranze, rinsecchite fino a diventare verruche. Limitare le zone di rispetto che si p r e t e n d o n o per sé. Lasciare libero quanto più spazio è possibile. Ogni volta d o p o il tramonto del sole il ragno si faceva avanti e aspettava che spuntasse Venere. Mi d o m a n d a perché non p u ò fare a meno di bestemmiare. Per presunzione, dovrei dire. Ma non posso fargli pesare il mio giudizio. Odio i 14

giudizi che semplicemente schiacciano e non cambiano nulla. Si trasformava in ogni animale che mostrasse appetito per lui. La muta del lamento degli elefanti: la più commovente di tutte le mute del lamento. L'incorreggibile: anche di f r o n t e alle cento ragnatele che ogni giorno avverte intorno a sé, desidera l'eternità - per chi? Per le vittime o per i ragni? Adesso le stelle brillano come vittime, adesso non sono più niente senza di noi. La generazione che perse il cielo conquistandolo. Strappava le zampe ai ragni e li gettava inermi nelle loro stesse ragnatele. Chi ha troppe parole non può che essere solo. Un paese in cui la lingua cambia ogni dieci anni. Cambiavalute linguistici. Gigantesche ragnatele per uomini. Ai margini gli animali si accucciano cautamente e stanno a guardare gli uomini catturati. 15

La cosa più insopportabile è limitarsi: stare t r o p p o in compagnia di qualcuno che vigila sui propri confini. Può trattarsi di qualcuno la cui onestà coincide con i suoi confini e che protegge il suo spazio non solo dall'inquietudine ma anche dalla malvagità. Ma serve poco dirsi queste cose: per colui che è in cerca del a verità anche la limitatezza più p u r a è un tormento. Egli corre come u n forsennato lungo i confini e maledice il loro spessore. Bonificare la palude dell'autocompiacimento. Uno che da solo sarebbe invincibile. Ma s'indebolisce attraverso le alleanze. Se si possa ammettere u n torto q u a n d o si disprezza colui al quale lo si è fatto. Boccioli, compositi come cattedrali. Si costruirono u n nuovo firmamento e si misero in salvo. L'economia nascosta dell'esitare, che ha funzionato per tutta u n a vita senza che lui stesso l'avesse compresa. Questo esitare è il peso del suo pensiero, che senza di esso sarebbe aria vuota. Nelle persone n o n gli va quello che h a n n o dimenticato. Gli va quello di cui si ricordano. 16

Il Codex Atlanticus, che contiene i fogli degli schizzi di Leonardo, sarà riprodotto fedelmente in dodici volumi, in 998 esemplari. « Per la legatura occorrono le pelli di circa 12.000 vacche, perché ogni pelle basta solo per u n volume ». Il terribile non sono le contraddizioni, bensì il loro graduale svigorire. Come diventa caldo il suo alito q u a n d o è tra giovani ascoltatori! Adesso si accontenterebbe anche di u n ritorno che una volta gli sembrava spregevole. L'unica cosa che non si vendica di lui sono gli appunti. Quadri cangianti: il q u a d r o di un g r a n d e pittore che dopo qualche tempo si trasforma in quello di u n altro pittore. Metamorfosi segrete e incontrollabili: non si sa mai quel che p u ò succedere con u n quadro. Che cosa sarà delle immagini dei d e f u n t i che ti porti negli occhi? Come fai a lasciarle a qualcuno? È già difficile s o p p o r t a r » il proprio autocompiacimento. Ma quello degli altri! La qualità catastrofica di Dio era la sua grandezza. 17

Il nobile truffatore si schermì: non aveva alcun merito. Q u a n d o K., parlando di qualcuno, dice « ricco », la faccia gli si trasfigura e di colpo egli somiglia a u n cane da corsa. Quasi diventa bello, q u a n d o dice « ricco », e la sua corsa per arrivare alla ricchezza non sarebbe da meno. La d o n n a ammirata che risponde a ogni sguardo con aria così seria, da p a d r o n a del destino, come se qualcuno le avesse indirizzato una preghiera. Da parte sua rimane muta. Se a p p e n a sorride, per lei è finita. Se esaudisce le preghiere t r o p p o in fretta, la sua gratitudine distrugge la sua bellezza. Quello è attaccato alle sue vecchie opere come a civiltà tramontate. Il piccolo borghese, travestito da cavallo ingordo di zucchero. Questo è un aforisma, dice, e si affretta a richiudere la bocca di scatto. Nella sua settimana introduce d u e giorni senza giornali, ed ecco, le ultime notizie d u r a n o di più. Potrebbe anche essere che Dio n o n d o r m a e che invece si tenga nascosto per paura di noi.

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Nella vecchiaia i sensi diventano vischiosi. Filosofi nei quali si finisce incasellati: Aristotele. Filosofi con i quali si reprime: Hegel. Filosofi per enfiarsi: Nietzsche. Per respirare: Zhuang-zi. Detti smemorabili. A Goethe è riuscito di evitare la morte. Riempie di freddezza il fatto che gli sia riuscito fin troppo bene; di ammirazione, il fatto che o g n u n a delle sue testimonianze di vita è importante. La mia tristezza non è mai scevra di collera. T r a gli scrittori sono u n o che s'infuria. Dimostrare non voglio niente, ma sempre credo con impeto e predico ciò in cui credo. E per questo che ho bisogno di Stendhal? Mi riconosco nella sua libertà e nel suo smisurato amore per gli uomini. Ma lui crede soltanto per sé, tutte le cose possibili, ogni volta qualcosa di diverso, e poiché io non ne sono capace, poiché mi tormenta sempre la stessa cosa e vorrei infonderla in tutti, lo ammiro non già come modello, bensì come una specie di Io migliore quale non sarò mai veramente, neanche per u n istante. Lui è più naturale, non si fa illusioni sul successo, per lui la fama non è in discussione né è motivo di vergogna. Senza essere u n calcolatore, vede ciò che sarebbe bene per lui. E rapido, annota molte cose, le mette da parte. Una voltS credevo di fare anch'io così.

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Non saprei più enumerarli, tutti i miei morti. Se ci provassi, ne dimenticherei la metà. Sono tanti, sono dappertutto, ho sparso morti su tutta la T e r r a . Così tutta la T e r r a mi è patria. Quasi non c'è paese che io debba ancora procurarmi, i morti h a n n o provveduto per me. Q u a n d o scrivi la tua vita, in ogni pagina dovrebbe esserci qualcosa di cui mai u n u o m o abbia ancora sentito parlare. U n a m u n o mi piace: ha le stesse cattive qualità che io mi conosco, ma non pensa a vergognarsene. Si vede che sei composto di alcuni spagnoli: Rojas (che ha scritto la Celestina), Cervantes, Quevedo. In te c'è qualcosa di ciascuno. Stendhal è piuttosto italiano, attraverso Ariosto e Rossini. Perfino in Napoleone ha visto un italiano. Mi sarebbe piaciuto molto sentir parlare Stendhal in italiano. Stendhal mi vivifica in qualsiasi momento, in qualsiasi disposizione di spirito. E lecito farsi rianimare in questo modo? Forse bisognerebbe lasciarsi eccitare soltanto da qualcosa di nuovo, da qualcosa che sorprenda. Forse questo sarebbe legittimo, a tutto il resto è attaccato un sapore di medicina. « Q u a n d o Solone piangeva la morte di suo figlio e u n o gli disse: "Cosi non ottieni niente" egli rispose: "Proprio per questo piango, perché non ottengo niente" ». 20

Forse si sente che i morti ci sono ancora, ma in pochissime parole, e chi conoscesse queste parole potrebbe udire i morti. In te l'immaginazione si va spegnendo a poco a poco, e tu diventi sobrio e pratico. Non è superfluo, perché è stato molto difficile diventare così.

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1974

Si riteneva saggio perché il giorno d o p o la pensava diversamente. Il sogno del p u n t o e virgola. Bellissima è la rianimazione del passato: essendo dimenticato da tanto tempo, adesso il passato diventa più vero. Si p u ò continuamente dimenticarlo di nuovo, si può intensificare la verità? Per diventare piìi orgoglioso si faceva o f f e n d e r e continuamente. A quante cose ti sei sottratto per non diminuire il peso della morte!

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Nove anni tra Braunschweig e Bonn: in f o n d o la stessa cosa. Finora la brutalità di Hochzeit non l'ho mai sperimentata sul palcoscenico, altrimenti sarei stato sbranato dalla muta. Il vecchio che alla fine si mostra sulla scena, con protervia, forse anche con fermezza, il contrario di Bock:* quanto basta per svergognare molti dei dissenzienti. Questo non aggiunge niente al testo. A Bonn, per la prima volta, mi è venuta voglia di buttarmelo dietro le spalle. Non posso, corrisponde troppo esattamente, ha conservato - in altro m o d o la sua validità; e non ha la minima importanza se l'autore si sente offeso dal cattivo uso del testo o dall'accoglienza che gli è riservata. I visi luminosi degli innamorati: in pubblico, così come li vedo, o si corteggiano a vicenda o sono nel pieno della loro felicità. Non li vedrò q u a n d o si lasciano. Sei ossessionato dagli animali. Perché? Perché non sono più inesauribili? Perché noi li abbiamo esauriti? Su una singola persona, quale è realmente, si potrebbe scrivere u n libro intero. Anche così n o n sarebbe esaurita, e non si finirebbe mai di parlarne. Ma se si va a vedere come si giudica u n a persona, come la si evoca, come la si trattiene nella memoria, si arriva a un'immagine molto piìi semplice: ci sono alcune qualità, poche, per le quali quella persona si * Il dottor Bock è uno dei personaggi di Hochzeit [Nozze], il primo lavoro teatrale di Canetti, rappresentato per la prima volta a Braunschweig nel 1965 e di nuovo a Bonn nel 1974 [NAT.].

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impone e si distingue nettamente dalle altre. Si esagerano queste qualità a scapito delle restanti, e non appena si sia dato loro u n nome esse svolgono u n a parte decisiva nel ricordo che conserviamo di quella persona. Esse sono ciò che si è impresso più profondamente in noi, sono il carattere. O g n u n o porta in sé u n certo n u m e r o di caratteri che f o r m a n o il suo patrimonio di esperienza e determinano quella che per lui è l'immagine complessiva dell'umanità. Di questi tipi non ce ne sono poi troppi, vengono tramandati e si ereditano di generazione in generazione. Col tempo p e r d o n o il loro spicco e diventano luoghi comuni. Un avaraccio, si dice, un cretino, u n pazzo, u n invidioso. Sarebbe utile inventare caratteri nuovi, che ancora non siano consumati e ci riaprano gli occhi sul loro significato. La tendenza a vedere gli uomini nella loro difformità è una tendenza elementare che andrebbe coltivata. Né essa deve lasciarsi scoraggiare dal fatto che in una persona completa c'è molto di più di quanto entri in u n o di questi caratteri. Si desiderano persone molto difformi, n o n si vorrebbe averle tutte uguali, anche se lo fossero.

Non pochi dei nuovi « caratteri » che ho inventato possono essere considerati schizzi per figure romanzesche, altri sono l'inizio di un'introspezione. Al primo sguardo si scopre qualche conoscente, al secondo si scopre se stessi. Nell'atto di scrivere n o n mi resi conto neanche una volta che pensavo a me stesso. Ma q u a n d o ebbi messo insieme il libro con i suoi cinquanta caratteri * - scegliendoli tra quelli che avevo scritto in n u m e r o assai superiore - , mi riconobbi con stupore in venti di essi. Così ricca è la n a t u r a di cui siamo composti, e così apparirebbe di * Il libro è Der Ohrenzeuge [Il testimone auricolare], pubblicato da Canetti nel 1974 [N.d.T.].

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volta in volta ognuno di noi se uno solo di questi elementi di cui siamo costituiti fosse spinto coerentemente all'estremo. Come molti animali, i caratteri appaiono minacciati di estinzione. Ma in realtà il mondo ne pullula, occorre solo scoprirli per poterli vedere. Siano perfidi o comici, è meglio che non scompaiano dalla superficie terrestre. Da quando sentiamo parlare di milioni di anni, per il tempo è finita. Vienna mi è di nuovo così vicina come se non ne fossi mai partito. È Karl Kraus ad attirarmi? Successo è lo spazio che si occupa nel giornale. Successo è la spudoratezza di un giorno. La bambina non ha ancora paura di nessuna persona. Neanche di qualche animale ha paura. Ha avuto aaura di una mosca e, per alcune settimane, della una. « Adesso ha paura delle mosche. Se una le si avvicina troppo, si mette a piangere. Si rannicchia sgomenta in un angolo, mentre sulle pareti del suo lettino la mosca passeggia bella grassa ». Si è liberi solo quando non si vuole niente. A che scopo si vuole essere liberi? La sua gratitudine fa girare la testa alle persone, ed esse aprono le fauci.

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Prosciugato da Karl Kraus, inaridito. T u t t o il tempo, che non ho più, sprecato per lui. Nella desolante disposizione di spirito in cui mi trovavo da ieri, ho letto Karl Kraus. H o letto il monologo del Criticone nel quinto atto degli Ultimi giorni dell'umanità, ho letto diverse pagine del Necrologio, mi sono sottoposto lungamente, e questa volta senza pregiudizi, all'effetto della «lingua corazzata». Essa mi ha afferrato e rinvigorito, mi ha ridato una forza che nella mia rigidità cadaverica avevo dimenticato; finalmente rivivo ciò che mi accadde cinquanta e quarantacinque anni fa: l'interiore articolarsi e temprarsi per opera di Karl Kraus. A u n tale effetto contribuisce l'articolarsi stesso di queste frasi, l'inesorabilità della loro lunghezza, il loro n u m e r o senza fine, l'imprevedibilità, l'assenza di u n fine globale; ogni frase è fine a se stessa, e l'unica cosa importante è fare agire la loro regolarità su noi stessi fintanto che è possibile avvertire la loro emozione. Sembra che a questo si sia meglio predisposti se si parte da u n a propria emozione, qualunque sia il suo carattere. Non si possono leggere f r e d d a m e n t e le frasi corazzate di Karl Kraus. Né si possono leggere a f f r o n t a n d o l e con intelletto analitico. Lo spirito curioso è leggero, il vero sapere si acquista solo a p r e n d o le ali al volo, non è possibile pervenire al sapere con la mediazione di Karl Kraus. Il sapere gli è indifferente perché non si lascia condannare. Karl Kraus regala intuizioni, e q u a n d o queste intuizioni riusciamo a viverle con la nostra emotività, egli rafforza in noi lo slancio impetuoso contro ciò che non vogliamo. E importante sapere ciò che si deve n o n volere, ma bisogna saperlo con orrore e con forza. Si potrebbe d a r e a tutto questo la definizione annacquata di « leggi morali ». Definite così, adoperate così, esse h a n n o qualcosa di noioso 26

che le r e n d e inefficaci. Le frasi corazzate di K. K., se ad esse ci si avvicina in u n o stato di disperazione, di concitazione, di debolezza, vengono percepite come se risuonassero dal roveto a r d e n t e o sul Sinai. La cosa singolare è che K. K. non ha proprio nulla di deiforme, e ha tuttavia l'assolutezza dell'ingiunzione che una volta apparteneva soltanto alla religione. L'assoluto si è secolarizzato e si è impadronito della minaccia di Dio senza riflettere su ciò che fa; l'assoluto minaccia, castiga, è inesorabile. È questo un aspetto dello scrittore satirico che in nessun testo si p u ò studiare così bene come in Karl Kraus. Ciò dipende dal fatto che il più g r a n d e e peculiare oggetto della sua riprovazione è stata appunto la G r a n d e Guerra; dipende dal fatto che nessuno meglio di lui ha capito la natura della m o d e r n a guerra tecnica, così perfettamente e in tutte le sue sfaccettature; dal fatto che l'ha avversata con uguale vigore dal principio alla fine, e non già da convertito della sconfitta, come la maggior parte degli altri. Per odio contro la guerra egli ha a u g u r a t o la sconfitta alla sua propria parte (se mai un'espressione simile si potesse usare nel suo caso) fin dall'inizio, come certi profeti; la parte alla quale egli si sentiva veramente affiliato era quella delle vittime, includendo tra queste gli uomini come gli animali. Sarebbe puerile aspettarsi che u n a tale azione si potesse c o n d u r r e senza pathos. Noi che abbiamo ottimi motivi per diffidare del pathos non possiamo rimproverare retroattivamente il pathos proprio a lui o addirittura volerlo eliminare. Se mai esiste u n pathos legittimo, questo è il suo. Il suo non a p p a r e in nessun caso u n pathos a vuoto: anche q u a n d o si rivolge contro oggetti m e n o convincenti per noi, è sempre pervaso di u n a passione senza uguali e può apparire teatrale solamente a coloro che non h a n n o udito Karl Kraus con le proprie orecchie.

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Non è possibile ricuperare se stessi. Non posso avere ventidue anni un'altra volta. Non posso riportarmi sotto l'imperio della vecchia forza che per me, allora, aveva 'apparenza della libertà e mi metteva le ali. Se leggo oggi le lettere di Karl Kraus, esse sono 3er me qualcosa di nuovo. Non mi è consentito eggerle con gratitudine. Posso solamente fare il tentativo di c o m p r e n d e r e che cos'è quest'uomo che scrive. Devo ascoltarlo come se fossi la d o n n a alla quale queste lettere sono indirizzate, e non semplicemente io. Sono sempre più convinto che le mentalità sorgono dalle esperienze di massa. Ma gli uomini h a n n o colpa delle loro esperienze di massa? Non vi incorrono assolutamente indifesi? Come dev'essere fatto un u o m o per potersene proteggere? Ecco quello che veramente m'interessa in Karl Kraus. Bisogna forse poter f o r m a r e masse proprie per essere immuni dalle altre? Paralisi intellettuale del padre: il figlio che comincia a parlare è tanto più notevole di lui. Joubert, il più lieve, il più delicato dei moralisti francesi, quello che mi è più caro. J o u b e r t è nato là dove in questo secolo è stata scoperta la grotta di Lascaux. Io sono stato dalle parti di Montaigne, sono arrivato non lontano da Montesquieu e se avessi fatto ancora u n po' di strada sarei arrivato a Montignac da J o u b e r t . « U n seul beau son est plus beau qu'un long parler».

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1975

Non farti falsificare il passato più lontano dalle lettere che ad esso risalgono. La noce dell'omissione. « Più di u n cavallo fuggito e ricatturato, che portava su di sé non solo i marchi a fuoco ma anche i segni della sella, preferì combattere fino alla morte piuttosto che rassegnarsi di nuovo alla signoria degli uomini ». Il paese senza frateUi: nessuno ha più di un figlio. Non riesce a scoprire u n a vita esauriente e perciò scrive la propria. Le difficoltà dell'ira permanente. 29

Ridire la stessa cosa, nella f o r m a della giovinezza. Tornitore di dubbi. Come se si potesse sapere di quale buona azione è capace una persona, q u a n d o non si sa n e m m e n o di quale cattiva azione egli sia capace. Quale cosa tralasciata da u n pezzo ti sta piombando addosso all'improvviso! Non perdi niente a r e n d e r e manifesta la tua giovinezza: tra le frasi di ciò che ricordi si fa avanti ciò che hai trascurato, e tu ti arricchisci di tutto ciò che avevi perduto. Non resta altro da fare che ingannare le celebrità insieme alla celebrità. Nessuno ha u n amico per tutto ciò che egli è: questa sarebbe corruzione. Si p u ò vivere soltanto se, con u n a certa frequenza, non si fa quello che ci si propone. L'arte consiste nel proporsi la cosa giusta da non fare. Chi obbedisce a se stesso soffoca non m e n o di chi obbedisce ad altri. Soltanto l'incoerente n o n soffoca, colui che si dà ordini ai quali si sottrae. Talvolta, in circostanze particolari, è giusto soffocare. 30

Dai salti interiori di un u o m o dipende quanto spazio egli ha in sé per passare da u n a cosa all'altra. Lo spirito vive del caso, ma deve saperlo afferrare. Lasciare u n u o m o in balìa delle lingue del mondo. Egli diventa più saggio arricchendosi di tutto ciò che è incomprensibile. Si guarda bene dall'elevare l'oscurità a virtù. E p p u r e la avverte d a p p e r t u t t o intorno a sé. I respiri non si lasciano condensare in conclusioni. Il m o n d o che diventa sempre più vecchio e insieme più vasto; e il f u t u r o si contrae. La rivolta dell'alfabeto.

,

T r a t t a t o di ^otX.oamnesia.

Espiazione per i nuovi nessi che ha introdotto nel mondo. Obiezioni contro la propria gratitudine, una f o r m a più raffinata di sopravvalutazione di se stessi. Un paese in cui gli uomini esplodono con u n a piccola detonazione. Poi sono scomparsi senza lasciare traccia: nessun residuo. 31

È circondato da personaggi sempre più stupidi, e tutti sono lui stesso. So di non aver fatto niente. A che serve dirsi che molti non sanno di sé neanche questo? Potrebbe essere che in lui la storia fosse più viva che negli storici. La storia era la sua disperazione, e tale è rimasta. Sei m e n o credibile di Kafka perché vivi già da tanto tempo. Ma p u ò darsi che i « giovani » cerchino in te u n aiuto contro il flagello della morte che infuria nella letteratura. Essendo u n o che di a n n o in a n n o disprezza sempre più la morte, puoi servire a qualcosa. Si p u ò anche essere u n nulla assoluto, si p u ò aver fallito nel m o d o più miserevole, e tuttavia servire a qualcosa grazie a una sola coerenza. Sarebbe meraviglioso trovare ancora u n fratello che l'ha detto con la stessa durezza. Il ritratto di mio padre, che n o n era più in vita, sopra i letti della casa di Vienna, nella Josef-GallGasse: u n pallido ritratto che non ebbe mai alcun significato. In me era il suo sorriso, in me e r a n o le sue parole. N o n ho mai visto u n ritratto di mio p a d r e che n o n trovassi assurdo, mai u n a sua parola scritta alla quale avrei potuto credere. 32

In me egli fu sempre accresciuto dalla morte. T r e m o al pensiero di ciò che sarebbe diventato per me se fosse vissuto. Così tu contrapponi la morte a te stesso, come se essa fosse il senso, la magnificenza e l'onore. Ma essa lo è soltanto perché non deve essere. Lo è perché io innalzo il morto contro di lei. La morte accettata non ha alcun onore. Nessuna morte mi ha ancora tolto l'odio nei casi in cui ho veramente odiato. Forse è anche questa una forma di non-accettazione della morte. « Il mio campo visivo, che è in f o n d o la mia ragione di vita». Da u n a lettera di Jacob Burckhardt Non è più capace di lodare e non ha più voglia di vivere. Di quali disprezzi era fatta la sua vita! Sgomento, poiché essi lo h a n n o abbandonato. Ansietà, perché non li sente più. Ipocrita nel pensare: ogni volta che una verità si affaccia minacciosa, egli si nasconde dietro un pensiero. Cristo in croce, e accanto a lui sono appesi i ladroni. La loro compassione l'uno per l'altro. Tanto, tanto, e tutto vuole esserci. Misterioso il po33

sto che le cose riescono a trovarsi: tante compenetrazioni, e tutto conserva la sua consistenza. C'è un pensiero che meriterebbe di non essere ripensato? Chi indaga su se stesso finisce, lo voglia o no, con l'indagare su tutto il resto. I m p a r a a vedere se stesso, ma all'improvviso, solo che abbia guardato onestamente, gli a p p a r e tutto il resto, che non è m e n o ricco di quanto fosse lui stesso, e anzi, in quanto coronamento finale, ancora più ricco. Questa diffidenza verso tutto ciò che è stato pensato, solo perché ha in sé la sua conclusione e la sua spiegazione! Mi ricordo del m o d o in cui pronunciava la parola « c o n s u m o » : voluttuosamente, così come ancora oggi molti dicono « ricco », forse anche un po' come un intenditore di vini e insieme come se augurasse al consumo la tisi (in inglese: « he is consumptive »). Ma quest'ultima ipotesi non era del tutto credibile, per via della lingua rossa che intanto spuntava fuori e dava una leccata alle labbra. Per lui « consumo » rimaneva una parola chiave, e lui non la scomponeva mai sul serio. Una parola spaventosamente straniera, ossia troppo perspicua nella sua lingua personale. Persone che d o p o la bomba atomica sono capaci di dire « obiettivamente ».

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Un m o n d o senza anni. Il Kitsch della sensibilità esibita. Casi complicati erano spesso risolti da dotti uomini di legge: per esempio, q u a n d o u n o schiavo apparteneva a d u e padroni ed era dichiarato libero da u n o dei due. Persia Osservare il declino nel quale si manifesta la vecchiaia, annotarlo senza emozione né esagerazione. Infiacchirsi di tutte le passioni, ma soprattutto di quella per l'eternità. L'« immortalità » diventa molesta e inquietante. Potrebbe d i p e n d e r e dal fatto che si abbandonerà soltanto qualcosa di dubbio e di cui si farebbe a m e n o volentieri. Più disprezzo per sé, ma non è abbastanza doloroso. Ci si augura di viaggiare, di muoversi, ma senza cambiare posto. Reazioni più d u r e alle offese, si è più intrattabili. Le infatuazioni si attenuano, il loro impeto si riduce. La memoria si blocca. Ma è ancora lì tutta intera. Anche le cose più dimenticate si ripresentano, ma q u a n d o vogliono loro. Capovolgere il cuore, finché non se la sente più di farsi sentire. Spegnersi al m o m e n t o prestabilito, ma essere sicuri che poi ci si riaccende.

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Una testimonianza importante: « Un uomo mi disse che secondo lui i bianchi, q u a n d o m u o r e u n o dei loro» non si preoccupano e non si agitano quanto i boscimani per la morte di uno dei loro. "Di bianchi ce ne sono molti," diceva "di boscimani così pochi" ». Lorna Marshall « Per esempio, noi dobbiamo assolutamente provvedere affinché i maiali abbiano u n a morte serena, perché altrimenti là qualità della carne risente di un così alto tasso di adrenalina nel sangue ». U n o dei più aggiornati allevatori di suini della Danimarca Sempre più spesso egli si s o r p r e n d e a pensare che non c'è salvezza per il genere umano. E un tentativo di sottrarsi alla responsabilità? A ogni esibizione si riduce il valore di ciò che eri. Descrivere un individuo che si fa logorare dai festeggiamenti, finché di lui non rimane più nulla. Neutralizzazione mediante l'ammirazione. Si viene lavati a fondo, stirati, non viene lasciata u n a sola qualità negativa; perfino chi n o n ha occhi finisce con l'essere celebrato per il suo sguardo radioso, e chi è impastato di maligna diffidenza sparge intorno a sé solo atti di bontà. Lui sta seduto al finestrino dello scompartimento e illumina il paesaggio. Uno scrittore che cerca sempre il centro, - è davvero u n o scrittore? Fa il mediatore, m o d e r a tutto ciò che gli arriva, qualunque cosa, p u r di tenersi d e n t r o la 36

propria cornice. Una vita che si isola così p u ò sapere realmente qualcosa della vita degli altri? Le sue opere così ben tornite mi riescono penose. Mai che mi faccia inorridire. Riesce sempre a tranquillizzare il lettore. Gli manca il guizzo, la forza lacerante, gli manca l'avvilimento e il f u r o r e , gli manca l'eccesso e l'ossessione. La sua ironia è gradevole, il suo umorismo non passa mai il segno. Gli piace essere scarno, e crede che sia u n pregio. 11 vero estimatore se ne sta per conto suo, altrimenti la sua stima non vale niente. Una figura così singolare come Robert Walser nessuno avrebbe potuto inventarla. E più radicale di Kafka, che senza di lui non ci sarebbe mai stato, che lui ha contribuito a creare. Le complicazioni di Kafka sono quelle del suo ambiente. La sua tenacia è quella della costrizione. Diventa taoista per sottrarsi a se stesso. La fortuna di Walser f u il p a d r e fallito. E taoista per natura, non ha bisogno di diventarlo come Kafka. Il suo vero destino è la sua bella scrittura. Ci sono certe cose che in questa non si possono scrivere. La realtà si adatta alla bellezza della scrittura. Fintanto che questa gli porta fortuna, può vivere scrivendo. Q u a n d o questa scrittura viene meno, lui vi rinuncia. È possibile che nei decenni di Herisau ne abbia paura. Robert Walser mi appassiona sempre di più, specialmente nella sua vita. E tutto ciò che io non sono: inerme, incolpevole e - con una puerilità affascinante - veritiero. 37

È veritiero senza correre dietro alla verità: egli diventa la verità solo girandole intorno. Non sono gli arabeschi vittoriosi e assennati di T h o m a s Mann, il quale sa sempre ciò che ha in mente e vi gira intorno solo per finta. Walser si augura l'assennatezza e non p u ò averla. Si vuole piccolo, ma non sopporta di essere accusato di piccolezza. Giornali regolabili, sempre gli stessi. Glorificazione attraverso la satira. Questo indistruttibile senso di durata che nessuna morte, nessuna disperazione, nessuna passione per gli altri, migliori (Kafka, Walser), p u ò m e n o m a r e : non posso farci niente. Posso soltanto annotarlo con riluttanza. Ma è vero che solo qui, al mio tavolo, davanti alle foglie degli alberi, il cui movimento mi eccita da vent'anni, soltanto qui sono me stesso; solo qui questa sensazione è intatta, la mia sicurezza spaventosamente meravigliosa, e forse io devo averla per non abbassare le armi davanti alla morte. Il sommo sacerdote, banale nei suoi concetti, mi spiega che in u n a vita precedente sono vissuto in Cina. H o u n trasalimento, e per alcuni giorni la Cina mi ripugna. A questo G., che incontri qua e là, u n a volta ogni d u e mesi, tu dici le cose più personali e senti subito, 38

già mentre le dici, quanto poco corrispondano alla verità. Dipende dal fatto che lui, scrittore in altri tempi, è diventato prete, u n bellissimo prete. Ha trovato una strada per arrivare ai morti e su di essa fa assegnamento. Ciò che per te è un assillo, per lui è una séance. Conosco soltanto una liberazione: il fatto che ciò che è minacciato rimanga in vita; e in questo attimo di liberazione non mi d o m a n d o quanto breve o quanto lunga sarà la sopravvivenza. A volte è sopraffatto dalla sensazione che c'è ancora tempo per tutto. D u n q u e non sarebbe disperato neanche nella vita eterna? Potresti trovare scampo solo in un diverso atteggiamento di f r o n t e alla morte. Non troverai mai scampo. L'accecamento * era il mezzo usato a Bisanzio per togliere ogni potere. Ma Dandolo, il doge di Venezia, il vero conquistatore e poi p a d r o n e di tre ottavi di Bisanzio, era cieco. Mi sono insopportabili gli scrittori che collegano sempre tutto con tutto. Amo gli scrittori che si limitano, quelli che scrivono, per così dire, al di sotto della propria intelligen* In tedesco, Die Blendung. E questo, Die Blendung, il titolo originale di Auto da fé, il grande romanzo di Canetti [A^.is?.?".].

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za, t h e cercano di ripararsi dal loro raziocinio, che se ne defilano, ma senza buttarlo via o perderlo. O quelli per i quali il raziocinio è nuovo, qualcosa che h a n n o acquistato o scoperto molto tardi. C'è chi si fa illuminare da cose di poco conto, all'improvviso: meraviglioso. C'è chi è incessantemente illuminato da cose « importanti »: tremendo. Uno viene condannato a rileggere tutte le proprie lettere. H a appena cominciato, e gli viene u n co po. Cerca di conquistarsi la mia inimicizia, inutilmente: non p r e n d o più sul serio il suo odio. Stupore per ogni vita: è forse misericordia? Cose che si sono pensate in fretta e dette così alla buona, senza neanche rifletterci u n a seconda volta, — è lecito metterle accanto ai risultati che derivano da decenni di meditazioni e indagini? Di incommensurabile gli è rimasta una cosa, u n a sola: la pazienza. Ma tutto ciò che è nuovo è necessariamente f r u t t o dell'impazienza. Vuoi colpirlo al cuore? Quale? È illusoria l'idea che con la vecchiaia subentri una maggiore tolleranza. Non si è diventati più magnanimi, soltanto sensibili ad altro.

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Ogni offesa rimane. Ma lui non sa dove. Egli esplora il passato come se esso non fosse modificabile. I profeti sentono la minaccia che Dio tiene sospesa sugli uomini e che a loro, i profeti, a p p a r e giusta. Oggi, poiché gli uomini si minacciano da sé, i profeti sono smarriti.

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1976

Ognuno deve ricominciare da capo a fare i conti con la morte. Qui non ci sono regole tramandate che si possano riprendere. L'ultimo essere umano in cui tutti gli dèi ripongono la loro speranza. Che sarà di loro quando l'avranno perduto? Il vaglio della propria autocoscienza. La storia della propria giovinezza non può ridursi a un catalogo di ciò che è diventato importante nella vita successiva. Essa deve contenere anche la dissipazione, il fallimento e lo sperpero. Si è impostori se si scopre nella propria giovinezza soltanto quello che si sapeva già prima. Ma si può dire che ogni velleità perduta avesse un senso? A me sembra veramente importante ogni essere 42

umano, nessuno escluso, che sia ancora presente nella memoria. Mi tormenta il fatto di lasciarne sprofondare alcuni senza parlare di loro. Molte cose non le trovo più, da altre distolgo gli occhi. Su quante vie bisognerebbe ancora provare? Come p u ò succedere che soltanto nell'angoscia io sia pienamente me stesso? Sono stato educato all'angoscia? Soltanto nell'angoscia mi riconosco. Una volta superata, essa diventa speranza. Ma è angoscia per altri. H o amato le persone per la cui vita sono stato in angoscia. La parola «Colchide»: molto presto. Senza « Colchide », Medea non avrebbe significato niente per me. Il nesso tra questi nomi lo sento ancora oggi come vero e ammaliante. Trovo invece poco illuminante il fatto che all'inizio Odisseo abbia preso forma in me attraverso Polifemo e Calipso. Anche Nausicaa aveva avuto la sua importanza, m e n t r e per il n o m e Penelope ho provato antipatia per tutta la mia giovinezza. Credo che dipenda dai nomi stessi, non dalle storie che ad essi si collegano. Nel caso di Polifemo ha avuto comunque il suo peso il fatto che per lui Odisseo si trasformasse in Nessuno. Menelao, a causa del suo nome, mi sembrava ridicolo non m e n o di Paride. Tiresia lo trovavo stupendo. Voglio esplorare i nomi àeWOdissea e trovare le loro origini in me. C'è qualcosa che si potrebbe chiamare un'etimologia privata e dipende dalle lingue che u n bambino conosce nei suoi primi anni. Gilgames ed Enkidu erano per me parole irresisti43

bili, ma mi sono venute incontro q u a n d o avevo ormai diciassette anni. E possibile che in questo caso abbiano avuto il loro peso le preghiere ebraiche che da bambino recitavo ma non comprendevo. Dovrei raccogliere tutte le parole spagnole che, essendo state le mie prime parole, sono rimaste per me importanti. Il periodo di Zurigo segnò un allontanamento da tutto il m o n d o neolatino, almeno nelle sue f o r m e parlate. Il latino non poteva supplire, lo sentivo come una lingua artificiale, ed era soprattutto il verso latino, con la sua arbitraria dislocazione delle parole, a suscitare la mia avversione. La prosa di Sallustio mi piaceva e servì da preparazione all'autore latino che poi mi entrò tutto quanto nel sangue: Tacito. Non imparai il greco, e f u questa la più g r a n d e delusione dei miei anni di scuola. La sentii come una colpa intellettuale: avrei dovuto dimostrare più puntiglio, non dovevo lasciarmi precludere la via greca. T r a i personaggi romani amavo i Gracchi, in quanto frate li. Farebbe parte della storia della mia giovinezza anche l'impegno con cui mi soffermo su nomi e vocaboli in quanto tali. Solo attraverso il dialetto svizzero sono stato interamente convertito al tedesco. All'inizio del periodo viennese, a causa della guerra, rimase predominante la mentalità inglese. A Rustschuk: la parola «Stambol». I nomi delle piante: calabazas, merengenas, manazas; criatura (bambino), mancebo, h e r m a n o , ladrón; fuego, manana, entonces; culebra (serpente), gallina (da questa parola la successiva simpatia per i Galli); zinganas (zingari). Nomi: Aftalion, Rosanis, poi Adjubel. Un termine spregiativo usato dal n o n n o era « corredór » (per indicare, chi non faceva che correre su e giù senza mai fermarsi). Pronunciava questa parola con tale disprezzo che presto fui affascinato dalla 44

parola in sé, dal movimento che essa racchiudeva e dalle persone che vivevano in u n moto perpetuo. Mi sarebbe piaciuto diventare u n « corredór », ma non osavo esserlo. II tedesco ebbe d a p p r i m a qualcosa di terrificante, per il m o d o in cui fui costretto a impararlo. L'orgoglio per esserci riuscito nonostante tutto f u presto offuscato dall'abuso che di questa lingua venne fatto d u r a n t e la guerra. Attraverso una canzone, quasi l'unica allora, mi affezionai a « Dohle » (corvo), u n a parola che ancora oggi mi è cara. L'interesse per gli uccelli, che in seguito diventò u n a passione, ebbe la sua origine proprio nella parola « Dohle ». « Polen », che in quei versi faceva rima con « Dohlen », « sterb ich in Polen », diceva il testo, — diventò un paese misterioso.* Lo svizzero f u per m e - venivo da Vienna in piena guerra - la lingua della pace. Ma era u n a lingua forte, con espressioni vigorose e contumelie assai caratteristiche, e quindi questa « pacificità » non aveva niente di tiepido e fiacco: la lingua menava colpi, ma il paese era in pace. L'inglese rimase per m e intoccabile, perché mio padre l'aveva studiato con tanto entusiasmo. Lui pronunciava le parole con fiducia, come fossero persone alle quali credeva. C'è voluto parecchio tempo prima che arrivassi al convincimento che n o n c'è una lingua brutta. Oggi ascolto ogni lingua come se fosse l'unica, e q u a n d o vengo a sapere di u n a lingua che sta per morire ne resto scosso come se si trattasse della morte della Terra. Non c'è niente che sia paragonabile alle parole. * «... ma la canzone che mi piaceva di più cominciava con le parole: Drilben am Wiesenrand hocken zivei Dohlen ["Sul limitare del prato stanno appollaiati due corvi"] e, se non sbaglio, seguitava così: Sterb ich in Feindesland, sterb ich in Polen ["Muoio in terra nemica, cado in Polonia"] ». E. Canetti, La lingua salvata, trad. it., Adelphi, Milano, 1 9 8 6 \ p. 126 [NAT.].

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ogni deformazione delle parole mi affligge, quasi che le parole fossero creature sensibili al do ore. Uno scrittore che non si r e n d a conto di questo è per me un essere incomprensibile. Ma una lingua in cui non sia riconosciuto il diritto di creare parole nuove è esposta al pericolo di soffocare: mi opprime. Il formarsi della ritualità nella bambina: tutto deve ripetersi esattamente nel m o d o a lei noto, nello stesso arnbiente, con le stesse persone, nella stessa forma. È presa da accessi di collera se qualcosa in u n a certa procedura viene modificato. Da parecchio tempo si dimostra molto sensibile ai nomi. A una denominazione nuova, scherzosa, reagisce come a un insulto. Si dibatte e comincia a piangere. Ripete il nome che conosce e che le piace, p r e t e n d e che si usi quello. Non si calma se n o n q u a n d o lo sente pronunciare. Il n o m e familiare la placa, e allora ridiventa tranquilla, come se nulla fosse accaduto. In lei le emozioni si susseguono rapidamente, senza lasciare tracce visibili. Ma in realtà niente le sfugge, e all'improvviso viene f u o r i a sorpresa con cose che ha udito o osservato mesi prima e di cui da allora non si è più parlato. A volte mi fa uscire dalla sua stanza. « Lui deve andare nella sua stanza » dice. Visto che l'ho sempre accontentata senza fare obiezioni, accresce le sue pretese: cerca di vietarmi l'anticamera, il corridoio, come se io avessi diritto soltanto a u n a stanza, alla mia stanza e basta. Sulle prime dice « no » a tutto, e questo no è diventato per lei un vero divertimento. Le piace dire cose di cui sa che sono false, ti guarda tutta tesa e aspetta. Q u a n d o poi qualcuno se ne esce con u n enfatico « falso », ride estasiata. Per lei è u n o spasso sentire che u n a cosa è « falsa », e una gioia verificare il falso su di noi . 46

Cristianesimo degli animali: pietà per gii uomini. Dio è stato interrotto dall'uomo. Là si lavano nel sangue ed è per questo che tengono degli schiavi. Ripugnanza per il peso degli altri, per la loro semplice massa corporea. E la propria, a chi ripugna? La benevolenza verso gli esseri umani non è altro che autocompiacimento? Per farla scomparire basterebbe che avessero u n orecchio in meno? Fino a che p u n t o questa benevolenza d i p e n d e dal fatto che essi ci somigliano? L'alunno delle Parche. Il filo del Ragno Nero. Una fede che non conosce cielo, per la quale il cielo non è ancora stato strappato via dalla terra. L'ultima proposta di Klaus Mann: suicidio in massa degh scrittori (dei grandi nomi). In questa massa lui solo avrebbe potuto somigliare a suo padre. La voglia di morire l'ha fin da bambino, l'ha da suo padre. H o visto Klaus M a n n u n a sola volta, parlava di letteratura americana, a Vienna. Ogni frase gli era già fuggita via prima che l'aves47

se pronunciata, sembrava molto disinvolto e, proprio per questo, infelice. Non diceva niente che n o n fosse stato già detto, tutte le frasi gli sembravano già occupate, perciò le buttava da parte e se ne cercava delle altre. Queste altre le aveva ancora in bocca e già le riconosceva per vecchie. Ciò che capiva a f o n d o era proprio questo, la provenienza delle sue frasi. T u t t a la sua disinvoltura stava nel fatto che le frasi gli fuggivano via. Avrebbe dato volentieri la vita per accollarsi una frase che fosse sua. La vita, perché allora non avrebbe voluto morire. Ma non gli era dato di riconoscere frasi che fossero sue. Forse ne aveva qualcuna, ma non se ne accorgeva, si accorgeva soltanto delle altre, continuamente. Pili tardi, a una riunione, tutti eravamo seduti, ma non si p u ò dire che lui stesse seduto, scivolava avanti e indietro, schizzava in piedi, correva via, si rivolgeva ora a questo ora a quello, lo guardava di sfuggita e parlava a qualcun altro senza però vedere neanche quest'altro, sembrava che non volesse vedere nessuno, per quante cose vedesse. Nulla di ciò che diceva restava nell'orecchio dell'ascoltatore, quasi non restava neanche in lui, figurarsi se poteva rimanere negli altri: non credo che da solo si comportasse diversamente; era, penso, sempre con molti e con nessuno. È troppo vecchio per amarsi. Non ha occhi per sé. Li ha per tutto il resto. Di Eraclito è rimasto così poco che lui, Eraclito, è sempre nuovo. Non venire a capo di nulla, iniziare e lasciare in sospeso; o n o n sarà semplicemente un'astuta ricetta 48

dell'uomo anziano che tiene aperte mille cose per non conchiudersi} Le migrazioni liberatorie di popoli che si sono estinti, che proprio d u r a n t e l'esodo sono morti come i lemming, mi appassionano più di tutte le credenze che si sono affermate. Non rinuncio al pensiero che da u n singolo mito si possa d e d u r r e sulla natura del mito più di quanto si ottenga dalla d e f o r m a n t e catalogazione comparata di u n gran n u m e r o di miti. Se Dio fosse l'Indefinito, tu saresti disposto a diventare u n suo seguace? Fintanto che non mette una frase d o p o l'altra, crede di scrivere la verità. Scoperta di u n documento vecchio di cinquantamila anni. Crollo della storia. Il suo sodalizio segreto con i morti che non h a n n o ancora rinunciato alla speranza. Di nascosto li invita e li sfama. Ma insieme si f a n n o avanti dei morti che lui non conosce affatto, sono i morti di altri, e dicono apertamente: nessuno si preoccupa di noi, - e lui n o n ha cuore di respingerli e li fa mangiare con i suoi, i quali accettano volentieri. S'interrogano l'un l'altro, sorgono nuove amicizie, da morti si è meno schizzinosi che in vita e ci si accontenta del fatto che anche quelle sono state persone, forse si spera 49

ant lie di a p p r e n d e r e qualcosa di nuovo sulla propria situazione. Che tipo questo B., che p r e t e n d e di disciplinare la morte mediante il suicidio. Se prima non ha convinto tutti che la cosa migliore è la morte, lui non si ammazza. La cosa più importante: conversare con gli idioti. Ma devono essere veramente tali, non già idioti di tua nomina. Sono troppi. Si m u o r e per la p r e p o n d e r a n z a dei morti. Una parte di lui è vecchia, un'altra non è ancora nata. Lo tiene in vita tutto ciò che non ha visto e di cui ha conoscenza. Riconciliare u n sogno. Parlava sempre d'amore e non permetteva a nessuno di avvicinarsi. Filosofia dei punti nodali. Condensazione senza falsificazione. Quel suo amico che vuole tutto chiaro e tondo e perciò si attiene alla morte. 50

La povertà delle f o r m e in cui esistiamo e l'infinita multiformità delle creature. Anche solo a e n u m e r a r e tutto ciò che esiste n o n basta una vita. Ma volerlo poi anche conoscere! Il coraggio di dire e ridire sempre la stessa cosa, finché non si può più cancellarla. Il nuovo sprofonda in lui come in u n a palude. Il suo spirito come acquitrino. Nessuno che mi aiuti, io non mi sono permesso di avere un Dio. Adesso possono p r o p o r m i tutti i loro dèi e avere ragione. Io invece non volevo aver ragione, io volevo scoprire come si sussiste da soli. L'ho scoperto? Capisco benissimo che u n o possa odiarsi. Quel che non capisco è che u n o odii se stesso e gli altri. Se lui davvero si odia, non dovrebbe dargli sollievo già il fatto che loro non sono lui? Parla con te stesso in qualsiasi modo, sei anche tu u n personaggio, ma sappi e non dimenticare mai che tu sei solo uno tra innumerevoli altri personaggi, ciascuno dei quali avrebbe da dire tante cose come te. La lode dev'essere usata per riconoscere quello che non si è.

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La determinatezza dei primi incontri: entusiasmo o ostracismo. Per una persona nuova non posso mai mettere in campo tiepidezza o freddezza. L'incontro è il mio vulcano. Uno non si riconosce più e tuttavia continua a respirare. Si è buscato un calcio che l'ha spinto verso la luce. È felice? Sempre più spesso mi attira l'esplorazione delle parole che porto in me: mi vengono in mente a una a una, da lingue diverse, e allora non c'è nulla che io desideri di più che poter riflettere a lungo su una, una sola di queste parole. Me la tengo davanti, la rigiro, la maneggio come una pietra, ma una pietra meravigliosa: la terra in cui giaceva sono io. Si dava la mancia da sé, dalla destra alla sinistra. Ha cominciato a scrivere le sue lettere d'addio. Si riserva alcuni anni per finire. Laggiù si possono regalare fino a vent'anni della propria vita, non di più. E un vero sacrificio, perché uno non sa quanti anni gli restano. Ogni amore si misura sul numero degli anni regalati. Complicazioni dello scambio. Rammarico per gli anni regalati quando un amore finisce. Prodighi e avari, tutto si misura in anni. Potenti che tentano di accaparrarsi anni con qualsiasi mezzo. Genitori che mendicano anni per i propri figli. Figli che tengono in vita i 32

genitori con i loro regali. Regali di compleanno come elisir di lunga vita. Gli onori lo f a n n o arrossire di vergogna. Gli onori lo colpiscono al cuore. H a bisogno di altri onori per superare questa vergogna. Incantare un animale fino a trasformarlo in uomo. Le frasi che cerca sono quelle che nessuno ha ancora masticato.

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1977

Nulla è cambiato in me, e p p u r e talvolta esito a pronunciare il n o m e del nemico. Vivere la morte di u n animale, ma in quanto animale. Essere così attaccati alla vita, - è avarizia? Se è la vita di altri, - è più che mai avarizia? Egli va in cerca di obiezioni contro il convincimento fondamentale della sua esistenza. È questo, proprio questo convincimento, la peggiore di tutte le schiavitù? Sarebbe più facile considerare ogni f o r m a di vita alla stregua di u n d o n o che p u ò essere ripreso indietro? In m o d o che u n o non abbia diritto a nulla, così come nulla gli appartiene di diritto? Q u a n d o si è raggiunta u n a certa età, non si p u ò prescindere dagli effetti della propria azione, sia 54

che questi non ci siano e perciò si finga di disprezzarli, sia che ci siano, e tanto da temerli. Che non si possa fare nessuno che ci esaudisca! Sacrificare certe parole, - se questa fosse la salvezza? Per non dimenticare il loro dolore, si p r e n d e a morsi. Escogitare u n m o d o di scomparire che sconfigga la morte. « Ci si addormenta, » dice alla bambina « ma non ci si risveglia più ». « Io mi risveglio sempre » dice la bambina allegramente. Ma adesso si p u ò pensare benissimo che tutta la magnificenza scompaia di colpo. Dov'è allora la ribellione, dove? Dove è tutto, insieme alla rassegnazione, con Dio e con la sua volontà. Ultimi spasimi nella scrittura. Vuole trovare parole che nessun essere u m a n o dimentichi. Devono a p p a r t e n e r e a chiunque le scaraventi contro la morte. Q u a n d o arrivi alla tua resa dei conti, devi considerare anche questo: La modificazione causata dalla prossimità della 55

morie - anche se è una prossimità presunta - , l'intensità, la serietà, la sensazione che conta solamente la propria essenzialità e che questa dev'essere vera fino in fondo, che non è lecito dire nulla di impreciso, perché non si avrà più un'occasione per correggersi. Se poi si riuscisse davvero a rinviare la morte tanto da n o n avvertirne più la prossimità, - dove andrebbe a finire allora questa serietà} Che cosa potrebbe essere ancora l'essenziale, e ci sarebbe qualcosa che si avvicini a questo essenziale, che lo uguagli? Questa resa dei conti è un debito da onorare. Non posso scomparire senza averlo onorato. E l'unica cosa che a me non possa essere di alcuna utilità. Questa resa dei conti n o n p u ò aggiungere nulla alla forza di quel sentimento contro la morte. Come apologia, potrebbe soltanto indebolirlo. Con una difesa, e sarebbe u n a difesa, non è possibile ottenere un effetto pari a quello di u n attacco senza quartiere. In questa resa dei conti, solo in essa, sarei ancora ciò che ho cercato di essere per tutta la mia vita: senza fini, senza vantaggi, senza mire, senza mutilazioni, libero, per quanto p u ò essere libero u n essere umano. Chi si è aperto t r o p p o presto all'esperienza della morte non p u ò piti richiudersi davanti a essa: u n a ferita che diventa come u n polmone attraverso il quale si respira. « Guai all'uomo il cui n o m e è più g r a n d e della sua opera ». Precetto dei padri 56

Non spiegare niente, non chiarire niente. Da' qualcosa da fare a quelli che avessero voglia di rompersi il capo. Il nuovo piacere; il rifiuto di ogni esibizione pubblica. Ognuno si appoggia troppo a qualcuno che però incespica anche lui. E se contasse soltanto la tenerezza che si suscita nei posteri? Soltanto il respiro da essi ricordato, soltanto le parole non confuse? Ho riflettuto abbastanza sulla sopravvivenza? Mi sono troppo concentrato su un aspetto particolare, quello connesso con la natura del potere, e in questa smania ho trascurato altri aspetti, forse non meno importanti? C'è qualcosa cui si possa pensare, in generale, senza lasciar fuori la maggior parte delle cose? Non è così, lasciando fuori l'essenziale, che sono nate tutte le invenzioni e tutte le scoperte? Forse è questo uno dei motivi principa i per cui scrivo la mia vita con la massima completezza possibile. Dovrei mettere i pensieri nella culla della loro origine, perché appaiano più naturali. Può darsi che così io dia loro un accento diverso. Non voglio correggere niente, ma voglio ricuperare la vita che accompagna quei pensieri, richiamarla e farla rifluire in essi. Il cosmo disamato. Il cosmo dissipato. 57

Dai Pensieri diversi di Wittgenstein: « Non posso inginocchiarmi per pregare, perché ho, p e r così dire, le ginocchia rigide. Avrei paura del dissolvimento (del mio dissolvimento), se mi ammorbidissi ». « L'ambizione è la morte del pensiero ». « I filosofi dovrebbero salutarsi dicendo: Fa' con comodo! ». « Per i filosofi c'è comunque più erba nelle valli della stupidità che sulle n u d e alture dell'intelligenza ». Il suicida che vuole sottrarsi alla propria fama. Per il robivecchi che non è mai soddisfatto di ciò che trova in se stesso, anche la ripugnanza e la debolezza e il fallimento completo meritano un'annotazione; e anche se nessuno ne avrà mai sentore, - insultarsi gli dà un'illusione di forza. Nella letteratura è importante che molte cose siano taciute. T u t t o dipende da u n particolare: si deve sentire che chi tace sa molto più di quanto non dica, e che non tace per limitatezza, bensì per saggezza. Non c'è niente di più impressionante dell'improvviso ammutolire di un u o m o che in altri tempi sapeva dire molte cose. Non mi riferisco all'ammutolire della saggezza, là quale tace per senso di responsabilità. Mi riferisco all'ammutohre della delusione, la quale ritiene inutile la propria vita come tutto il 58

passato. Mi riferisco alla vecchiaia, la quale non è diventata qualcosa di più di tutto ciò che è stato prima; alla vecchiaia che preferirebbe non aver vissuto, perché si sente sminuita, non dilatata. I giorni sono diventati gocce, o g n u n o per conto suo, nulla più si coagula, un anno come u n bicchiere pieno a metà. Quello che è portentoso in Goethe è la sua suddivisione. Si sottrae continuamente, sfugge a ogni stagione della sua vita e riesce non solo ad attuare le sue metamorfosi al m o m e n t ^ giusto, ma anche a servirsene. Usa il nuovo che è in lui e si rivolta contro il vecchio solamente nelle metamorfosi che al vecchio restano troppo legate. C'è in lui qualcosa di eminentemente pratico che non trascura nulla e nulla lascia inutilizzato: tanto più stupefacente perché egli rimane sempre u n poeta e nasconde il poeta. Mai u n poeta è stato m e n o dissipatore, ed è proprio il gesto dell'uomo parsimonioso ciò che infastidisce di più u n lettore avanti negli anni. Per l'autodistruzione ha un odio pari soltanto a quello per la dissipazione. Parlò il patriarca Giacobbe: « Vale di più essere straniero che accogliere stranieri ». Saggezza dei padri Pericolo che si venga f u o r i con i pochi pensieri nuovi affacciatisi alla mente, che non se ne ammettano altri e che così si operi in u n m o n d o insufficiente che a suo m o d o è altrettanto sbagliato dell'altro, quello che si voleva correggere. 59

Più breve, più breve, finché rimane una sillaba con la quale è detto tutto. E p p u r e il vero libro di cui è debitore a se stesso sarebbe più lungo dei Karamazov. « Perciò devono esservi stati uomini che alla vista di u n filo di seta bianco si lamentavano, non p o t e n d o sottrarsi al pensiero che ben presto quel filo avrebbe cambiato colore; e altri devono essersi afflitti all'idea che a u n crocevia la strada si divide ». Kenkò, Momenti d'ozio Minuetto dei sospetti. Cambia i tuoi nemici! Nella musica nuotano le parole che di solito camminano. Io amo l'andatura delle parole, le loro strade, le loro fermate, le loro stazioni; diffido del loro scorrere. Si può leggere u n autore, sempre lo stesso, senza mai stancarsi; si p u ò venerarlo, ammirarlo, lodarlo, innalzarlo al cielo, conoscere a memoria e recitare continuamente o g n u n a delle sue frasi; e tuttavia non esserne n e m m e n o sfiorati, come se egli non avesse chiesto niente al lettore e addirittura non avesse detto niente. Le sue parole servono all'autoesaltazione del lettore, per il resto n o n significano niente. Il tono particolare degli appunti, come se tu fossi u n u o m o filtrato.

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T u t t e le capacità di un individuo dovrebbero condurlo alla venerazione dei migliori. Lasciar depositare il subitaneo. T u t t o ciò che non hai capito affiora in seguito nella sua ambiguità. Tacere sulla morte. - Per quanto t e m p o resisti? A cena le domandai se le sarebbe piaciuto capire la lingua degli animali. No, a lei non sarebbe piaciuto. Alla mia d o m a n d a : Perché no?, ebbe una breve esitazione e poi disse: Affinché n o n abbiano paura.

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1978

John Aubrey, interessato fin da giovane a ogni attività artigianale, ma nello stesso tempo anche alle tradizioni orali di un m o n d o anteriore ai libri. Non respinge nulla di d ò che viene raccontato, presta orecchio a tutto, anche a storie di spiriti e fantasmi, non si stanca mai di ascoltare racconti. Agli altri deve tutto, al p a d r e e alla m a d r e niente, è attaccato ai suoi maestri purché siano abbastanza preparati^ per lui a p p r e n d i m e n t o ed esperienza sono tutto. E il tempo della spaccatura dell'Inghilterra (nel diciassettesimo secolo), la guerra civile infuria nel paese. A lui non interessa la gente deWunico libro perché ama tutti i libri. Il passato è per lui qualcosa di tangibile, in esso si imbatte d u r a n t e la caccia e scopre così il preistorico luogo di culto di Avebury. Ha la curiosità dell'uomo moderno, ma nel secolo in cui la modernità inventava se stessa e non si era ancora ridotta a u n a caricatura. Questa curiosità si rivolge a tutto, non fa distinzioni, ma la curiosità più grande è quella per le persone, - a Aubrey sta a cuore ciò che determina le differenze tra loro, ed è incredibile il n u m e r o di persone che egli ci tramanda. 62

Ciò che annotava sugli u o m i n i era s e m p r e u n inizio: lasciava spazio p e r aggiunte che potevano venire in u n secondo tempo. Poteva essere u n a frase sola o si arrivava a cento, o g n u n a trasmetteva qualcosa di concreto e di singolare. Ciò che oggi qualsiasi imbecille r e n d e spregevole sotto f o r m a di aneddotica era la ricchezza di Aubrey. Basti pensare a questo singolo volume,* pieno di notizie su circa centocinquanta persone, in cui c'è più sostanza che in venti romanzi. A u b r e y n o n era capace di p o r t a r e a t e r m i n e qualcosa, ed era questo il suo vero talento. U n a parte di questo talento sarebbe d a a u g u r a r e a tutti, anche a coloro che h a n n o preso l'abitudine di concludere i p r o p r i lavori. Nel suo caso si arrivava a u n p u n t o tale che di lui n o n esiste p r o p r i a m e n t e n e a n c h e u n libro. T a n t o più eccitante è rimasto tutto ciò che egli ha a n n o t a to. Quello che nei libri invecchia più in fretta sono le rifiniture. I n A u b r e y tutto rimaneva fresco. O g n i notizia si regge di p e r sé. Si avverte la curiosità con cui è stata accolta. A n c h e sulla carta continua a suscitare curiosità. È u n a notizia eccitata, p e r c h é n o n serve a nient'altro, è fine a se stessa, anzi n o n è n e a n c h e questo, n o n è altro che se stessa. Aubrey, che r a d u n a d a tutte le parti le innumerevoli notizie che registra, è u n anti-collezionista. N o n cataloga, n o n riordina. Vuole s o r p r e n d e r e , n o n vuole catalogare. E qualcosa che forse ricorda ciò che oggi è il c o n t e n u t o di u n giornale, m a è tutt'altro. Perché Aubrey è solo, u n singolo individuo che r a d u n a le notizie; e n o n le destina a u n solo giorno. Al contrario, vuole conservarle. Ciò che lo riempie di collera è che le cose v e n g a n o distrutte o dimenticate. Così si m u o v e instancabilmente e riesce nell'impresa di f a r coinci* Si veda, nella traduzione di J.R. Wilcock, John Aubrey, Vite brevi di uomini eminenti, Adelphi, Milano, 1977 [N.d.T.].

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dere quello che vale per la novità e quello che vale per l'eternità. Egli dice ogni volta più di quanto voglia dire. Come può uscirne? Deve ridurre se stesso o le frasi? Con molto ritardo è arrivato alle sue antiche radici aeree. Una resta di cane, in preda alla disperazione, mi chiede del suo padrone. - Devo dirgh la verità? È andato a rimpiattarsi in Dio. È il luogo dove più gli piace aver paura. Uomini che hanno sempre vissuto da cospiratori: prima o poi gli antichi segreti montano loro alla testa e gonfiandoli come palloni li riempiono di tutto ciò che in passato non potevano rivelare. Nulla è più orribile dell'unicità: oh, come s'illudono tutti questi sopravvissuti! Le cose più spaventevoli non le afferra più: esse hanno allentato la presa. Si siede su una sporgenza ben precisa, in bilico tra il pericolo e l'esaltazione: lì, in nessun altro luogo, si sente in diritto di scrivere.

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Il giorno messo all'asta. L'anziano amanuense, il suo alfabeto bucherellato. Disprezzo di Dio per la sua creazione mal riuscita. Una creazione che è messa a foraggio, - come può mai riuscire? Si stirò fino a diventare fil di ferro e s'intrecciò fino a diventare gabbia. Se tu avessi viaggiato di più, sapresti di meno. Preparare opinioni, preparare la pasta. Poseidone, parola magnifica. Tuono del mare salvifico. Presto il bambino ebbe pietà di tutti i nomi degli animali. « La sorte più triste, secondo l'attestazione di Tespesio, toccava alle anime che già credevano di avere scontato la pena e ora venivano nuovamente ghermite. Erano le anime di coloro la cui pena ricadeva sui figli e sui discendenti... « Tespesio ne vide alcune alle quali si erano attaccate, come api o pipistrelli, molte anime di discendenti che le rodevano stridendo, rabbiose ed esasperate per i patimenti sofferti a causa loro ». Plutarco, / ritardi della punizione divina 65

Diventare vago, celare l'opinione, dire tutto all'indrca, degenerare a oracolo. Le visite gli ricordano se stesso. In lui la curiosità si attenua: adesso potrebbe cominciare a pensare. Ormai va solamente sotto i ponti che ha costruito lui stesso, in ogni altro luogo lo incalza l'angoscia. Forse è loro concesso, prima che la rovina li travolga, stabilire il numero di tutte le stelle future. L'uomo al quale chiese la strada indicò quattro direzioni diverse. Riscrivere una lettera, dopo chi sa quanti anni. La matita si apre strade vigorose attraverso la palude della vecchiaia. La manta non s'impantana mai e non si perde d'animo. Egli continua a leggere solo per finta, ma ciò che scrive è reale. I pensieri che si presentano quando se ne ha bisogno, lui li respinge da sé e li stiva nel sacco delle cose utili. 66

I pensieri che spuntano all'improvviso, senza che se ne scorga un motivo o un senso, egli cerca di fissarli prima che risprofondino per conto loro: sono ciò che ha di più prezioso. Ma sempre più numerosi, questo deve ammetterlo, sono i pensieri che hanno il loro motivo soltanto nell'angoscia. Come può mai analizzarli? Vale il loro peso? Dare vita ai concetti, col veleno. Giornali, per dimenticare il giorno prima. Morì in ossequio alle ultime volontà del suo denaro. Glorificava la guerra e raggiunse l'età di cento anni. Un bambino che si schiude e si chiude come un bocciolo. Tanto spazio, tanto spazio, e lui soffoca. Un'intelligenza scarna nella sua lingua. Nelle altre ingrassa. Adesso è all'incirca tutto ciò che ha detestato. Gli manca solamente di invocare la morte. Anche il ricordo diventa rancido. Affrettati! 67

Da quando c'è un bambino, egli ha ancora più tempo. Inventare un uomo della preistoria, i suoi suoni, la sua lingua, isolarlo fintanto che è sicuro di sé; poi immetterlo tra i contemporanei e farne il loro signore. Così fu. Uno che raccatta le proprie lacrime, le riunisce in uno scatolino e le offre in vendita, come medicamento - contro che cosa? Uno che può tutto se lo si tiene alla distanza di un braccio, ma non è capace di nulla se lo si fa avvicinare di più. Abolita l'eternità, chi ha ancora voglia di vivere? Gli oggetti del tuo pensiero sono forse fissati per sempre? Non ci sono oggetti nuovi? Ci sarebbero, ma tu ne diffidi. Il suo stato d'animo è quello di uno che abbia in sé dieci prigionieri e un uomo libero, che è il loro guardiano. Vive per disturbare se stesso. Vorrebbe tacere ma poter ancora ascoltare e, senza morire, diventare muto. 68

Frasi che l'hanno colpito al cuore, frasi che non può permettersi. Pericolo della longevità: che si dimentichi ciò per cui si è vissuto. Un suono che non si spegne mai. Hai dimenticato che ti sei occupato del potere, che ogni altra impresa ti sembrava indegna; che nell'occupartene non hai pensato al successo o all'insuccesso, che sentivi di doverlo fare malgrado la certezza dell'insuccesso? Affermazione, successo, vittoria erano per lui le parole più odiose. Adesso gli sono diventate indifferenti. Dorme? Hatem la Colomba Così grande era in Hatem lo spirito di carità che un giorno, a una donna che venne a porgli una domanda e nello stesso istante si lasciò sfuggire un vento, egli disse: « Parla più forte, sono duro d'orecchio ». Questo disse affinché la donna non avesse a vergognarsi. Essa alzò la voce, ed egli rispose alla domanda. Fintanto che questa donna rimase in vita, quindici anni circa, Hatem si finse sordo affinché nessuno dicesse alla vecchia che lui in verità non lo era. Quando lei f u morta, riprese a rispondere prontamente alle domande. Fino a quel giorno diceva a chiunque gli rivolgesse la parola: « Parla più forte ». Perciò Hatem fu chiamato la Colomba. Farid ad-Din Attàr, nell'edizione a cura di Arberry 69

Sarebbe bello stare tranquillamente nei vecchi luoghi, e altrettanto bello stare in quelli nuovi che per molto tempo si è desiderato vedere. Ma la cosa piìi bella sarebbe avere la sicurezza che non necessariamente essi andranno in rovina quando noi non ci saremo più. Non riesco a capire questa preoccupazione per il mondo quale io l'ho conosciuto. Ne sono stato dunque così soddisfatto, è un mondo che ho forse approvato? No, mai, ma supponevo che esso avesse in sé il potere di correggersi e quindi di conservarsi. Non so da dove traessi questa fede infantile. So soltanto che a poco a poco mi è stata tolta, tenacemente, inesorabilmente. So anche che sono diventato tremendamente modesto. A volte, quando sono tormentato da timori di catastrofi, dico a me stesso: forse tutto rimarrà quanto meno così com'è, forse non peggiorerà. Questo è ormai il massimo a cui posso spingermi, e io maledico questo miserevole risultato di una vita. Di giorno posso ancora dirlo a me stesso, di notte ormai odo soltanto le voci dell'annientamento. Questa sensibilità per ciò che deve venire e da cui non ci si può proteggere, non con speranze, non con dubbi. Una persona che non sa rinunciare a una stanza in cui ha abitato, - come potrà mai rinunciare a una persona? Un mondo senza muta del lamento. 70

Il passato diventa in tutti i casi troppo bello. Proviamo a far raccontare da qualcuno il passato più tremendo: non appena l'avrà raccontato, sarà troppo bello. La gioia e il compiacimento di essere ancora vivi dopo simili esperienze ne colorano la descrizione. Non vuole più pensieri che addentano. Vuole pensieri che alleviano il respiro. L'ultimo libro che egli legge: inimmaginabile. La seggiolina che la piccola si trascina dietro. Dovunque possa essere d'intralcio, lì ci si siede sopra. Aspetta un po', fin quando arriva qualcuno: lo guarda in faccia, si alza, solleva la seggiolina e ricomincia a trascinarla fino alla prossima soglia. Parole come avamposti. Il « vivere pericolosamente » di una volta, che strano suono ha oggi! Come se qualcuno si facesse beffe dei vecchi pericoli. Inquietudine delle maree: noi. Da quando dimentica tutto, sa molto di più. « Ella si chiuse in una stanza dove aveva dei quadri, e chiese anche ad essi l'elemosina ». Mateo Alemàn, Guzmàn de Alfarache 71

PPIIP

Per timore di complicazioni egli rimase analfabeta. Si è fatto a pezzi a furia di scrivere. Egli lavora per paura delle proprie mani. Pericolosa la disponibilità verso la morte: significa non concedersi mai una difesa contro la morte. Se invece non le diamo corda, in nessun caso, se consideriamo un peccato metterla sulla bilancia, se la vietiamo agli altri con lo stesso rigore con cui la vietiamo a noi stessi, allora siamo esposti a ogni sua minaccia come se venisse per la prima e unica volta. Non possiamo dire a noi stessi: in un modo o nell'altro, comunque vada, io accetto, non dipende da me come finirà, non so se ci sia qualcuno lassù a decidere: qualunque cosa succeda, io non posso farci niente, io la morte non sono andato a cercarla, quando viene è fatta, perché non posso resisterle, la volontà ci sarebbe, la volontà di oppormi è forte, ma quel che deve succedere è più forte di me, non esiste una forza capace di misurarsi con la morte. Nessuno di questi discorsi ti è permesso. La carne della tua anima è aperta e grezza, e tale rimane fintanto che essere in vita ha per te un significato, e un significato per te lo avrà sempre. Quale arma ti resta, dunque? C'è qualche scudo che tu possa mettere davanti ai tuoi e a te stesso, un nobile discorso, una magnanima rinuncia, un sublime perdono per il torto che in te viene fatto a tutti loro, un pensiero che lo trascenda, un ritorno di cui è data una mezza certezza, una promessa e una fiducia nella promessa, un'indipendenza dal corpo che marcisce o si consuma tra le fiamme, un'anima di cui con le narici dilatate si possa fiutare la presenza, un sogno che duri, una mano nel sonno, una 72

L

confessione che sia commisurata alla minaccia, niente, non c'è niente, né ti placa il fatto che tu non dica nulla, nulla, perché la speranza che potresti ingannarti mai e poi mai potrà essere soffocata. Lasciare tracce: troppo poco. Nella nuova vita, che cominciò a settantacinque anni, egli dimenticò la morte di suo padre. Non può piìj dire « human », tanto la cosa gli riesce impegnativa. Vangustia della natura è racchiusa nella sua massiccia forza di moltiplicazione. La natura soffoca se stessa, e noi siamo soltanto suoi allievi quando soffochiamo noi stessi. A volte ha la sensazione di avere occhi finti, innestati da Dio. Ognuno vuole amici potenti. Ma loro ne vogliono di più potenti. Ecco, viene fuori. Che cosa? Ciò che ha sempre temuto di pensare. Che tutto debba finire con una dichiarazione d'amore alla morte? Anche lui ricupera la viltà contro la quale ha sempre combattuto risolutamente? Si aggrega anche lui ai salmisti della morte? Diventa più debole di tutti coloro di cui gli ripugnava la debolezza? Canterà le lodi dello sfacelo che gli riempie il ventre, e ne farà la legge del suo 73

spirito? Ritratterà tutte le parole che sono state il senso e l'orgoglio della sua vita, e si convertirà alla chiesa della morte, l'unica chiesa salvifica? È possibile, tutto è possibile, non c'è miserabile tradimento di se stessi che non sia una volta diventato verità: così anziché la storia delle parole, devono valere esse stesse, le parole, indipendentemente da tutto ciò che fu dopo o prima. Quando leggo le parole di questa lingua per me nuova, le mie parole stesse si riempiono di freschezza e vigore. Le lingue trovano la loro fonte di giovinezza l'una nell'altra. Egli vuole a tutti i costi che io assesti a Freud il colpo decisivo. Potrei anche farlo, visto che in fondo questo colpo decisivo sono io. Non esiste massacro che protegga dal prossimo massacro. L'uomo che perde la memoria e per il quale tutte le persone che conosce si trasformano in qualcosa d'altro. Non appena le frasi sciamano via da lui, egli si sente più leggero. Scrivere fino a quando, nella felicità dello scrivere, non si crede più alla propria infelicità.

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Volgere l'angoscia in speranza. T r u f f a o prodezza dello scrittore. Cerca, fintanto che vi sia in te ancora qualcosa da trovare, ricorda, abbandonati di buon grado al ricordo, non lo disprezzare: è quanto di meglio, quanto di più veritiero tu possieda, e tutto ciò che nel ricordo trascuri è perduto e per sempre passato. Frasi in una sola parola. Frasi interminabili. Per un anno non ha più usato un solo aggettivo. Il suo orgoglio, la sua prodezza. L'effetto paralizzante della lettura dei primi quaderni di appunti. È meglio, è più giusto ricordare liberamente. Le vecchie stampelle sono d'intralcio al ricordo, gli s'infilano nei raggi delle ruote. De Maistre vive di pochissimi pensieri. Ma come ci crede! Anche se li ripete mille volte, lui non si annoia mai. Per due giorni, la settimana scorsa, mi sono totalmente immerso in de Maistre. Ma non l'ho sopportato, ne sono schizzato fuori, e adesso mi domando che cosa sia successo in quei due giorni. Mi sono modificato io? Lui? Su di lui, adesso, so in realtà molto di più, tanto che mi è venuto completamente in odio; forse non potrò più leggerlo; neanche, come in passato, per odiare i suoi pensieri. Si è vissuti invano? Dipende da ciò che sarà del

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mondo. Se il mondo divora se stesso, si è divorati con il mondo. Se esso si salva, si è dato un piccolo contributo a questa salvezza. Si assopisce sempre prima del prossimo pensiero. Vuole forse sognarlo? Montaigne, colui che dice «io». « I o » in quanto spazio, non in quanto status. Essa mi ha domandato che cosa io ami della letteratura francese oltre a Stendhal. Con mio stupore mi è venuto in mente per primo il nome di Joubert. Sensibilità della domanda. La quale già si vergogna della risposta. L'ultimo albero, un'ipotesi affliggente come l'ultimo uomo. In queste lacerazioni sono io tutto intero. Senza di esse sarei mutilato. Nei libri che ricordiamo c'è tutta la sostanza di quelli che abbiamo dimenticato. Fastidio causato da ogni esibizione nel mondo esterno, e più ancora dalle testimonianze a posteriori di un simile avvenimento (come fotografie, volumi che dovrebbero presentare qualcuno). Come vive un attore, che cosa gli rimane di séì 76

Ciò che ti colpisce in ogni animale è la tua irraggiungibilità. Forse l'animale potrebbe divorarti, ma mai esaurirti. La parola « animale » - tutta l'inaccessibilità dell'uomo in quest'unica parola. Le cose non saranno mai più le stesse, da quando sono state toccate le stelle. A quali mai cose che sono già nel cavo della sua mano può dunque rinunciare l'uomo? « Un istante in questo mondo è piti prezioso di mille anni nel prossimo ». Nuri, in Farid ad-Din Attàr Non esiste una morte degna. Ci sono, per gli altri, delle morti che si fanno dimenticare. Ma sono anch'esse indegne.

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1979

L'« Aiace » di Sofocle. Perplesso davanti aìYAiace. C'è dentro molto più di quanto io afferri. Che gli animali siano massacrati e torturati è qualcosa che conta per noi, non per il poeta. In tutti i casi conta il disonore, poiché gli animali sono inermi, contro di loro non c'è eroe che si batta. Due grandi momenti. Odisseo vede e sente ciò che Aiace ha in animo di fargli. Lui, vittima predestinata della follia di Aiace, ne vede gli effetti con i suoi occhi. Il secondo momento è quello in cui Aiace rinsavisce e riconosce la vera natura delle sue vittime: l'eroe non è più che un macellaio. Ma questi due momenti sono di tale potenza che tutto il resto impallidisce al loro confronto. La contesa per la sepoltura, la nobiltà di Odisseo, come è insignificante tutto questo rispetto all'odio di Ajace, il quale dichiara davanti a Odisseo, senza poterlo vedere, ciò che intende fargli! Odisseo che ha paura della furia di Aiace, che confessa alla dea la propria paura - stupendo! Si potrebbe anche dire che egli procura una tomba al morto Aiace perché ha avuto paura di lui! Ma no, il

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suo è solo un ossequio alle usanze funebri! Tutto qui, ed è per questo che egli appare in qualche modo rassegnato alla morte. Aiace: la personificazione visibile del massacratore. La battaglia come follia. La paura dell'eroe (Odisseo) davanti al massacratore che pensa di colpire lui. L'ignominia del massacratore che ritorna in sé, il suo harakiri. La lotta per l'onore di una tomba che si vorrebbe negargli. Se in quest'ultima parte della tragedia c'è qualcosa che delude, è perché l'eroe è ormai smascherato, è solo un massacratore, e quindi una tomba onorevole non ha più credibihtà. Lo spettacolo della furia di Aiace ha aperto troppe cose che non si possono più chiudere. (Meschina e debole la parte della dea). La vera massa del dramma è costituita dal bestiame, la preda di guerra che viene massacrata. Spaventosa la follia di Aiace, che in questo bestiame Vede i greci. Poi l'arroganza del potente nelle parole di Agamennone. Infine l'intervento conciliatore di Odisseo, il quale invoca gli onori della sepoltura per Aiace. Il suo intervento nasce dalla consapevolezza di ciò che sono in realtà tutti questi eroi: egli ha visto all'opera il massacratore e tuttavia vorrebbe per sé una sepoltura. E ad Aiace egli concede ciò che augura a se stesso e lo dice espressamente al cospetto di Agamennone. Ma fa anche qualcosa di più: si ritira dal sepolcro perché la sua presenza riuscirebbe intollerabile ad Aiace. Sinistra la scena della riapparizione delle vittime mancate di Aiace: la sfilata comincia con Odisseo e termina con Menelao e Agamennone. La scena somiglia un po' a una risurrezione. Le presunte vittime della follia omicida dimostrano di essere ancora in vita. Le torture inflitte al bestiame perché gli animali hanno preso il posto degli uomini. Stanchezza della

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guerra, dopo la carneficina. Aiace - dovrà tornare a casa? Come si presenterà a suo padre? I padri predicano la lotta, nella battaglia è l'onore del guerriero. Molto immediata e genuina la parte di Tecmessa, la «donna-preda». Perduti i genitori, distrutta la sua patria, Tecmessa si aggrappa all'uomo di cui divide il giaciglio, all'uomo che per lei è genitori, patria e marito, tutto. La lamentazione, l'onnipotenza del lamento, i gridi del lamento. Meraviglioso l'inizio: Odisseo va in cerca della traccia, si muove come un cacciatore sulle orme della selvaggina per arrivare all'autore del massacro, sul quale corrono voci. Atena, misera dea, che gli mostra come non si possa fare a meno di lei: meglio lei che tutto quel cercare. È stata lei a mandare su Aiace la follia, perché al suo aiuto egli ha osato rinunciare. UAiace è quanto mai singolare per la frattura che contiene, per la sua incompiutezza, per la sua divisione in due parti, col suicidio al centro. La battaglia, il massacro è la parte principale, raffigurata come follia. La seconda parte tratta soltanto degli onori funebri tributati all'autore del massacro. (Si potrebbe pensare che Sofocle, essendo stato lui stesso comandante in guerra, sia talmente spaventato alla visione di un Aiace che massacra, uccide, tortura, da sentirsi in dovere di aiutarlo a ottenere gli onori funebri: una sorta di espiazione, si direbbe, per la verità della battaglia di cui Sofocle è stato testimone). Si libera una volta per sempre di tutti i grandi uomini e si procura di soppiatto il destino del più piccolo. La lontananza: in passato un nastro trasportatore tra loro, adesso una disperazione paralizzante. Colleziona particolari morti di sete.

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Non voglio sapere che cos'ero; voglio diventare quel che ero. Nutrire curiosità per tutti i tipi umani possibili e immaginabili ancora non è un merito. Dare spazio a tutti loro ancora non è un merito. La grande capacità di cambiare ancora non è un merito. Una razza verde o una azzurra da aggiungere alle nostre razze è un desiderio insensato. Quando i popoli disimparano a brulicare. Se lui quel giorno non fosse caduto morto, - sarebbe diversa la tua fede? E così immutabile come quella che hai adesso? Da che cosa dipende ciò in cui si crede, e così fortemente da contagiarne gli altri? Si può vivere con una fede contagiosa? Egli dice a se stesso verità che diventano tali solo quando le mette su carta. Le dice per sé, in qualcuno degli innumerevoli quaderni che finiranno nel fuoco. Lo sa, e tuttavia le parole che scrive lo placano come se per esse vi fosse ancora la vecchia prospettiva, ormai perduta da un pezzo, di sussistere. Scrivere senza bussola? Io ho sempre l'ago in me, ed esso indica sempre il suo Nord magnetico, la fine. Ha vestito d'aria la speranza.

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Spavento per la tremenda verità delle opere giovanili. A una verità così incisiva non si giunge mai più nella vita. Si fanno più complimenti. Egli si aggrappa a Dio, la grande vecchia campana. Ma le nuove grandi campane sono migliori? Il suo sapere piagnucoloso. Scuse che non destano alcun sospetto? Vivere in un paese dove tutti i nomi sono sconosciuti. Fammi ritornare in segreto, senza che nessuno lo sappia. Le ore si rattrappiscono. Ciascuna è più breve. Di tutti i destini il più spaventoso: diventare di moda prima di morire. « Ai giornalisti non dico mai la verità ». William Faulkner Sempre più numerosi sono i vecchi che cercano di dargliela a intendere, e lui non fatica a coglierli in flagrante. Ancora non coglie in flagrante se stesso.

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Stanze come una falsa pelle: ci stiamo dentro e ne vorremmo uscire. Trattenne il respiro e fiorì. Il consumatore di Dio e la sua fame. Una frase non dovrebbe riuscire a chiunque? Raccogliere le frasi di coloro ai quali non riesce nient'altro. Tutti i pensieri che ha avuto si dimettono. Difendersi dalla ragionevolezza. Abbandonarsi ai giornali; evitarli. Flusso e riflusso dell'insicurezza. Ciò che lascia in lui l'impressione più profonda, ancora più profonda che non il primo sbarco sulla Luna, è la fotografia dell'eruzione vulcanica su Jo, la Luna di Giove. Con la fotografia di Nixon sulla Luna quello sbarco è diventato incredibile. La fotografia del vulcano attivo rende vera la Luna di Giove. Géricault, figlio niente affatto ribelle di un padre ricco. Quando il pittore muore precocemente, a trentatré anni, si scopre che il patrimonio del padre è sfumato. E il padre è stato colpito da demenza senile. Il figlio obbediente ha lasciato il padre privo di ogni assistenza.

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T u continui ad annotare ciò che conferma i tuoi pensieri, - faresti meglio a registrare ciò che li contraddice e li insidia! Sviluppare il ragionamento da mille punti, non da uno solo. Non occorre conoscere ogni sillaba di un filosofo per sapere in che cosa ci riesce inaccettabile. Forse lo sappiamo nel modo migliore dopo alcune delle sue frasi, e poi sempre meno bene. È importante scoprire per tempo la sua rete e sfuggirle prima di doverla stracciare. La retorica altrui e l'avversione che suscita ci servono a trovare la strada per uscire dalla nostra. Così incerta è la sopravvivenza della Terra che ogni impresa e ogni pensiero che la presuppongono sono diventati un folle gioco d'azzardo. Quanti anni ci sono voluti perché tu arrivassi all'incertezza! E non è neanche la luminosa epoche degli scettici, la tua incertezza è nera. Morì con queste parole sulle labbra: « Finalmente non so nulla ». Ha paura di raccontare qualcosa di nuovo. Consapevolezza della fine: insopportabile tirchieria! 84

Pensa molto. Leggi molto. Scrivi molto. Di' la tua opinione su tutto, ma tacendo. Puoi toccare impunemente i tuoi anni remoti? Quando dirà finalmente: « Basta! Basta con la vita eterna!»? Dici sempre la stessa cosa. Troppo semplice. Non puoi per una volta dire il contrario? Un centenario, vestito delle sue decorazioni, se le toglie tutte e va in giro nudo.