Il conte generale Ambrogio Clerici

Biografia di Ambrogio Clerici (Costa de' Nobili, 18 novembre 1868 – Milano, 19 luglio 1955), generale e politico it

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Il conte generale Ambrogio Clerici

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IL CONTE GENERALE AMBROGIO CLERICI Enrico E. Clerici Carlo Alfredo Clerici

In copertina Ambrogio Clerici, sottotenente dei bersaglieri nel 1890

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CAPITOLO PRIMO 1868-1885 - 1. Il generale Ambrogio Clerici…chi era costui? – 2. i Clerici una famiglia di fittabili pavesi – 3. Nascita e infanzia – 4. Studi e morte del padre. 1.- «Il generale Ambrogio Clerici chi era costui?» Per la curiosità degli emuli di don Abbondio diciamo che il generale Ambrogio Clerici era un pavese nato a Costa dei Nobili il 18 novembre 1868 dal possidente Domenico Clerici, che nel 1866 aveva combattuto come volontario agli ordini di Garibaldi, e da Cleofe Ticozzi. Nel 1885 entrò come allievo della Scuola Militare di Modena uscendone nel 1887 col grado di sottotenente dei bersaglieri. Dopo aver militato alcuni anni nel 12° reggimento bersaglieri, promosso tenente frequentò (1894-97) a Torino la scuola di guerra: prestò, come tenente, servizio di stato maggiore presso il comando delle divisioni di Novara e di Verona e poi (1904-12) a Roma al Ministero della Guerra, col grado di capitano del corpo di stato maggiore. Col grado di colonnello partecipò alla prima guerra mondiale come sottocapo di stato maggiore della 1ª Armata (1915-17), meritandosi la croce di cavaliere dell’ordine militare di Savoia per aver concorso, nel periodo maggio-luglio 1916, ad arrestare e poi ricacciare il nemico nella zona tridentina. Promosso colonnello brigadiere (1917), rifondò la 4ª brigata bersaglieri che lasciò poco dopo per assumere la carica di capo di stato maggiore della 1ª armata. Nel febbraio 1918 ebbe il comando della 5ª brigata bersaglieri alla testa della quale combatté sugli Altipiani e sul Piave. Nel 1919 fu nominato aiutante di campo generale effettivo di re Vittorio Emanuele III, carica che tenne per quattro anni; nel 1923 assunse il comando della brigata di fanteria Acqui di stanza a Trento. Promosso generale di divisione nel 1924, ricoprì la carica di sottosegretario di Stato per la guerra (1924-25) e quella di primo aiutante di campo del Principe di Piemonte (1925-32). Generale di corpo d’armata nel 1933, senatore del regno nel 1939, Conte nel 1941, presidente dell’Ufficio prigionieri della Croce Rossa Italiana dal 1941 al 1943, sindaco di Zeccone dal 1949 al 1954. Morì a Milano il 19 giugno 1955 e fu sepolto a Costa de’ Nobili. 2.- I Clerici una famiglia di fittabili pavesi Ambrogio Clerici nacque in una tipica famiglia di “fittabili” pavesi e, pur seguendo la carriera militare, egli stesso fu “fittabile” perché partecipò con i fratelli alla gestione di due grandi fondi agrari: quello di Villareggio, che la Famiglia tenne in affitto per cento anni (1844 –1944) e quello di Costa de’ Nobili del quale era comproprietario. Da secoli nella Lombardia irrigua l’agricoltura (basata sulla cultura del grano, del riso, sull’allevamento dei bovini e sulla produzione del formaggio

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e del burro) aveva come protagonisti i “fittabili”. Carlo Cattaneo ebbe a dire1 che la classe dei fittabili è ignota presso le nazioni antiche e la maggior parte delle moderne, i quali piuttostoché agricoltori, sono imprenditori d’industria agraria, poiché sciolti d’ogni manual fatica e d’ogni cura servile dirigono sopra vasti spazi il lavoro dei mercenari, anticipando grandi valori riproduttivi al terreno, e vivendo in mezzo ai rustici come cittadini.

I Clerici erano fittabili sicuramente2 dall’11 novembre 1671, giorno in cui tre fratelli Clerici (Carlo Ambrogio, Giovanni Battista e Baldassare), che erano figli del fu Giovanni Giacomo Clerici, presero in affitto dal monastero della Certosa di Pavia la cascina Manzola, col fondo di pertiche 1264, che si trovava in territorio del comune di Corteolona. L’affitto novennale fu rinnovato dai fratelli Clerici più volte e nel 1691 assunsero anche la gestione di un altro fondo (pertiche 780) che la Certosa di Pavia aveva nel paese di Corteolona. Vennero così a disporre, per la coltivazione, di 2.044 pertiche. Verso il 1710 Carlo Antonio Clerici ( figlio di Carlo Ambrogio Clerici che era morto intorno3 al 1702) si staccò dalla fraterna che conduceva ancora i due fondi a Corteolona e prese in affitto, per suo conto, altri fondi: prima a Mirabello, poi dall’11 novembre 1718 a Torre d’Astari in territorio di Albuzzano, ed in fine dall’11 novembre 1727 a Copiano dove nel 1747 morì. I suoi eredi si divisero nel 1749: mentre il figlio primogenito (Ambrogio Clerici) rimase a Copiano; Giovanni Antonio Clerici con i fratelli don Siro Giuseppe e Pietro Paolo prese in affitto dal Collegio Ghislieri il fondo di cascina Colombara (pertiche 1350) in territorio di Lardirago. Nel 1787 Giovanni Antonio Clerici prese in affitto il fondo di Marzano di proprietà dell’Ospedale San Matteo di Pavia nella cui direzione subentrò il figlio Siro Ignazio e dal 1795 l’abiatico Angelo Francesco Clerici. Questi l’11 novembre 1801 prese in affitto il fondo di Cascina Campane in territorio di San Zenone e nel 1811 acquistò dal Demanio Pubblico del Regno d’Italia il fondo di Costa San Zenone (l’attuale Costa dei Nobili) di pertiche 829 e 14 tavole che nel 1817 ingrandì con l’acquisto di altre quattrocento pertiche. Angelo Francesco Clerici che conduceva direttamente il fondo di Costa affittò nelle vicinanze di Milano anche i fondi di Badile (dal 1820) e di Mairano (dal 1822). Alla morte di Angelo Francesco Clerici (1827) i figli (Girolamo, Pietro e Dionigi) mantennero, per alcuni anni, in comunione la proprietà del fondo della Costa, che Dionigi condusse poi da solo dal 1832 fino al 1846, dopo aver affittato la parte dei fratelli. Girolamo risiedette a Badile gestendo quel fondo fino al 1844, anno in cui prese in affitto il fondo di Villareggio, che i suoi discendenti CARLO CATTANEO, Dell’ Agricoltura inglese paragonata alla nostra, in Saggi di Economia rurale, edizione curata dal professor Luigi Einaudi (Torino, 1939). 2 Fino a questo momento non siamo riusciti a stabilire dove abitassero prima dell’11 novembre 1671. 3 Per la data di morte in mancanza del registro dei morti ci siamo avvalsi del registro dello “stato delle anime”. 1

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condussero fino al 10 novembre 1944. Girolamo nel 1855 acquistò del fondo della Costa la parte del fratello Pietro: il fratello Dionigi si era diviso nel 1846 tenendosi il suo terzo. Nel 1861 Girolamo Clerici che conduceva il fondo di Villareggio, mandò il figlio Domenico (il padre del futuro generale Clerici) a sovraintendere all’azienda agraria posta sul fondo di sua proprietà (pertiche 965). Nel 1877 Girolamo Clerici fece acquistare altro terreno ai figli (Angelo, Carlo, Domenico ed Eugenio) così il fondo della Costa raggiunse la dimensione di 1.892 pertiche. I Clerici, nel periodo 1877-1920, a Villareggio e alla Costa coltivavano 5.312 pertiche. Come gran parte della borghesia lombarda i Clerici non erano rimasti estranei al movimento risorgimentale. Girolamo Clerici aveva visto i figli Achille e Carlo partire volontari al seguito di Garibaldi. Il primo, nel giugno 1848, si era arruolato come volontario nel battaglione della Guardia Nazionale Volontaria Pavese combattendo al seguito di Garibaldi a Luino e a Morazzone dove fu ferito a una mano. Il secondo, Carlo Clerici, dopo aver attraversato in barca il Ticino si era arruolato nel marzo 1859 nei Cacciatori delle Alpi coi quali combattè nel 2° Reggimento a San Fermo, a Varese e allo Stelvio. Nel 1866, nell’imminenza della terza guerra d’indipendenza, Girolamo Clerici nel timore di un arruolamento in massa dei goliardi, aveva richiamato a Villareggio il figlio Eugenio, che studiava legge presso l’Università di Pavia. Il “patriarca” non aveva fatto i conti con un altro suo figlio: Domenico Clerici che, come abbiamo visto, dal 1861 era alla Costa a dirigere il fondo. Questi in una lettera annunciò al padre di essersi arruolato volontario nei garibaldini. Con l’eroe dei due mondi combatté a Bezzecca, fatto prigioniero sul campo di battaglia venne internato in Austria. Al ritorno dalla prigionia riprese la conduzione del fondo e il 21 febbraio 1867 a Marcignago sposò Cleofe Ticozzi, figlia di Ambrogio Ticozzi e di Antonietta Pavesi. Da queste nozze nacque il futuro generale Ambrogio Clerici, secondo di dodici figli che in ordine cronologico furono: Enrico (1867-1946), Ambrogio (1868-1955), Luigi (1870-1943), Gaetano (1871-1965), Achille (1872-1905), Mario I (n. † 1874), Ariberto (1875-1946), Anna (1876-1945), Carlo (1878-1957), Mario II (n. † 1880), Adelaide (1882-1974) e Domenica (1883-1972). 3.- Nascita e infanzia a Costa dei Nobili Circa la data di nascita del futuro generale Clerici vi è discordanza fra quanto annotato nel registro dello stato civile conservato nel Municipio di Costa dei Nobili e quanto riportato nel registro dei battezzati conservato nella Chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria Assunta. Per l’autorità laica Ambrogio Clerici nacque a Costa dei Nobili il 18 novembre 1868 alle ore nove pomeridiane; per l’autorità religiosa il 19 novembre alle ore 10 antimeridiane. La questione non merita un’ulteriore indagine perché con ogni probabilità ci troviamo di fronte a un errore del segretario comunale o del parroco oppure a una sorta di “guerra” fra il potere laico e il potere religioso. 5

Dal momento che in tutti gli atti pubblici (stato di servizio militare, brevetti, regi decreti, ecc.) la data di nascita è il 18 novembre 1868 prendiamo per buona questa. Ambrogio Clerici vide la luce nella casa (posta sulla via principale che allora si chiamava “via della Chiesa”, poi venne chiamata “ via generale Ambrogio Clerici”) che suo bisnonno (Angelo Francesco Clerici) aveva acquistata nel 1811 insieme al fondo. Il neonato venne battezzato nella Chiesa parrocchiale dall’arciprete don Franco Macchi: madrina fu la signora Matilde Bergamaschi Colombani. Ambrogio Clerici, con i fratelli, trascorse i primi anni dell’infanzia a Costa dei Nobili, un piccolo borgo (secondo il censimento del 1861 contava 1.142 abitanti) del basso Pavese vitato4 che sorge su un terreno ondulato che gli permette di essere immune dalle piene dei fiumi Po ed Olona, che scorrono poco distanti. Il paese formato da case basse (un piano terreno e un primo piano) era ingentilito da due monumenti: il castello medioevale che era stato dei nobili Pietra e la Chiesa Parrocchiale, in stile neoclassico, il cui progetto fu fatto alla fine del settecento dall’architetto Leopoldo Pollack, che aveva lavorato al castello di Belgioioso. La casa Clerici aveva una sua dignità: il portone d’ingresso era sormontato da uno stemma5 ed era il centro di una importante azienda agraria. Una casa denominata nei documenti “casa del fittabile”, che era molto spaziosa, costituita da numerosi locali6. Per il paese natale Ambrogio Clerici nutrì sempre grande amore: era al fronte durante la prima guerra mondiale e così, in una cartolina7 indirizzata alla sorella Adelaide, esprimeva il rammarico per non poter essere presente alla festa patronale: Cara Adelaide Non potevo lasciar passare il 15 Agosto, il dì della festa della Costa, senza un saluto affettuoso a tutti Voi. Non rimpiangete però la mia assenza: sono al mio posto e la gioia del ritorno sarà maggiore dopo la lontananza, più essa sarà lunga.

L’amore per la terra natale diveniva, spesso per chi lo stimava, pretesto per battute benevole. Ormai vecchio, lo stesso generale Clerici raccontava che un giorno il maresciallo d’Italia Emilio de Bono rivolgendosi alla Principessa Secondo la distinzione catastale del 1929 la pianura a nord del Po si distingueva in: Alto Pavese, Basso Pavese alla sinistra del Ticino, Basso Pavese Vitato, Lomellina occidentale, Lomellina orientale, Ferrera ed Alagna, Basso Pavese alla destra del Ticino. Il Basso Pavese Vitato comprendeva i comuni di: Badia Pavese, Chignolo Po, Corteolona, Costa de’ Nobili, Inverno, Miradolo, Monticelli Pavese, Pieve Porto Morone, Santa Cristina e Bissone, San Zenone al Po, Spessa, Zerbo. 5 Da testimonianza di Adelaide Clerici (1882-1974) che si ricordava lo stemma ormai sbiadito e diceva che fu coperto dagli imbianchini che rifecero la facciata. Avanziamo l’ipotesi che fosse lo stemma del convento di San Damiano alla Scala, che fu proprietario della casa e del fondo fino a quando fu acquistato nel 1811 da Angelo Francesco Clerici. 6 da inventario redatto nel 1883 ed inserito nel rogito del notaio Tamé di Pavia datato… (illeggibile).a 7 La cartolina porta la data del 15 agosto 1915, in quel tempo Ambrogio Clerici era tenente colonnello e ricopriva la carica di sottocapo di Stato Maggiore della 1^ Armata. 4

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Maria José le disse: «lo sa Altezza Reale che il paese del generale Clerici è così piccolo che non ha nemmeno il cimitero?». Soffermandosi sulla parola “cimitero” Ambrogio Clerici coglieva l’occasione per ricordare la tragica morte dell’amico e il consiglio che gli aveva dato, alla fine del 1942, di ritirarsi dalla vita politica. Questi invece quale membro del gran consiglio del fascismo votò il 25 luglio 1943 contro Mussolini e fu fucilato a Verona l’11 gennaio 1944. 4.- Studi e morte del padre. Quando Ambrogio Clerici raggiunse l’età per frequentare la scuola i genitori lo mandarono col fratello Enrico a Lecco in un piccolo convitto retto da don Stoppani, un sacerdote fratello del celebre abate e geologo Antonio Stoppani. Questo sacerdote teneva presso di sé pochi ragazzi ai quali impartiva i primi rudimenti del sapere. Nel piccolo convitto i pranzi non erano molto abbondanti: i figli di Domenico Clerici erano soliti raccontare che le castagne erano uno dei piatti forti che la perpetua di don Stoppani preparava per la cena. Ambrogio Clerici, dopo le elementari, fu inviato a Vigevano come convittore del Collegio Saporiti8 per frequentare l’istituto tecnico. Chi accompagnava i figli in collegio era Domenico Clerici, il padre, che ogni volta arrivava a casa affranto9. La vita di Ambrogio Clerici fu turbata dalla perdita immatura del padre: Domenico Clerici moriva di polmonite a Costa de’ Nobili il 4 giugno 1883, lasciava la moglie con dieci figli, dei quali uno10 in arrivo. La famiglia fece quadrato! I fratelli di Domenico Clerici (Carlo Clerici, dottor Eugenio Clerici e dottor Angelo Clerici, che era sostituto procuratore generale del Re presso la corte d’appello di Milano) decisero di mantenere in comunione, con la cognata e i nipoti, la proprietà del fondo di Costa de’ Nobili e la gestione delle due grandi aziende agricole di Villareggio e della Costa. Sul fondo della Costa sarebbe rimasta Cleofe Ticozzi aiutata da un agente e con la supervisione dei cognati, mentre il fondo di Villareggio lo avrebbero gestito Carlo ed Eugenio: a fine anno si sarebbero divisi gli utili. Gli orfani poterono così terminare i loro studi. Si laurearono in medicina: Enrico a Pisa il 2 luglio 1892 e Achille a Pavia il 22 novembre 1898; Ambrogio frequentò la scuola militare di Modena divenendo ufficiale nel 1887; Gaetano si laureò a Pavia in chimica il 14 luglio 1894; si laurearono in legge a Pavia: Luigi il 10 luglio 1893, Ariberto il 20 febbraio 1901, Carlo il 15 luglio 1901. Le femmine (Anna, Adelaide, Domenica ) frequentarono le scuole presso il Collegio della Guastalla. La “memoria del padre” sarà sempre presente in Ambrogio Clerici, anche quando ricoprì alti incarichi militari. Così scriveva dal fronte, il 19 Il Collegio Saporiti era stato istituito dal marchese Marcello Saporiti con testamento del 4 novembre 1839. Nel grandioso palazzo, disegnato dall’architetto Moriglia, vi erano scuole elementari, tecniche, ginnasiali e il liceo. 9 Lo raccontava, a uno degli autori, la figlia Adelaide Clerici. 10 Domenica Clerici nacque tre mesi dopo la morte del padre precisamente il 17 ottobre 1883. 8

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agosto 1916, alla sorella Adelaide dopo aver appreso che il fratello Luigi era stato proposto per la medaglia d’argento al valor militare: Anch’io11 pare che abbia fatto molto bene il mio dovere. Oggi mi è stata consegnata la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia…Come vedete la nostra famiglia si comporta bene: dillo alla mamma che la memoria di nostro padre la proteggiamo bene!

Il fratello Luigi, tenente di fanteria e volontario di guerra, era stato proposto, pochi giorni prima, per la medaglia d’argento al valor militare. Medaglia che gli venne concessa con Regio Decreto. 11

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CAPITOLO SECONDO 1885-1914 - 1. Allievo della Scuola Militare di Modena (1885-87). - 2. Sottotenente e tenente nel 12° Reggimento bersaglieri (1887-1894). - 3. Allievo della Scuola di Guerra (1894-97). - 4. A Roma e poi in servizio di Stato Maggiore presso il Comando della divisione di Novara (1897-98). - 5. Il matrimonio (1898). - 6. A Verona (1898-1904). – 7. A Roma, capitano di Stato Maggiore (1904-1912). - 8. A Milano, maggiore del 12° reggimento bersaglieri (1912-14). 1.- Allievo della scuola militare di Modena (1885-87) Terminati gli studi tecnici, il sedicenne Ambrogio Clerici decise di intraprendere la carriera militare. Il 2 ottobre 1885, dopo aver superato l’esame d’ammissione, entrava in qualità di allievo nella Scuola Militare di Fanteria e Cavalleria con sede a Modena. Il corso durava due anni, al termine del quale gli allievi venivano promossi sottotenenti. A Modena il ritmo di lavoro era intenso Di ore di ozio ce n’erano poche, si era sotto da mane a sera con un’ora di libera uscita, previa rivista, che ben presto comprometteva la passeggiata. La domenica le ore di libertà erano due: una nell’immediato pomeriggio e una la sera. Qualche permesso giornaliero e qualche più raro permesso, dato essenzialmente per il teatro12.

Ambrogio Clerici nell’esame di ammissione alla scuola militare si era classificato 151° su 367 allievi, ma con lo studio rimontò ai primi posti: a metà del primo anno era 6° su 360 allievi e alla fine dell’anno 9° su 355 allievi ed ebbe l’incarico di sottocapo classe; a metà del secondo anno era 8° su 317 allievi e alla fine dell’anno 7° su 315 allievi. Per il suo profitto fu nominato “scelto” (10 agosto 1886) , capo scelto alla 9ª compagnia (24 settembre 1886) Ebbe l’autorizzazione a fregiarsi della cifra reale 13. Al termine del secondo anno di corso, dopo aver superati gli esami, Ambrogio Clerici venne sottoposto a visita medica per la designazione al corpo. L’ufficiale medico, dopo aver constatato che gli mancava un centimetro per raggiungere la statura minima richiesta per entrare fra i bersaglieri, salomonicamente sentenziò:« mettiamolo nei bersaglieri, perché è giovane e crescerà!» In vecchiaia Ambrogio Clerici, con aria divertita, raccontava questo episodio, aggiungendo che non raggiunse mai l’altezza prescritta. Detto per inciso erano assegnati ai bersaglieri i migliori per attitudine fisica fra gli allievi che si erano classificati nel primo decimo14.

EMILIO DE BONO, Nell’esercito nostro prima della guerra, ed. Mondadori (Milano, 1931), pag. 78. 13 La cifra reale era portata dal cadetto sulla manica della giacca e consisteva nelle iniziali del nome del Re (Umberto I) intrecciate fra loro e sormontate dalla corona reale. Notizie da una lettera del Comandante dell’Accademia Militare di Modena in data 14 marzo 1978 in A.d.c.C. 14 EMILIO DE BONO, Nell’esercito nostro prima della guerra, Arnoldo Mondadori (Milano, 1931) pag. 79. 12

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2.- Sottotenente e tenente nel 12° reggimento bersaglieri (1887-1894) Con decreto di re Umberto I, in data 3 agosto 1887, l’allievo ufficiale Ambrogio Clerici fu nominato sottotenente e destinato al 12° reggimento bersaglieri. La sede del reggimento era a Vittorio15, qui il 1° settembre 1887 prestò giuramento di fedeltà a re Umberto I e ai suoi reali successori. Nella sua lunga carriera militare Ambrogio Clerici avrà la ventura di essere al diretto servizio sia di re Vittorio Emanuele III, come suo aiutante di campo generale effettivo, sia di S.A.R. il Principe di Piemonte (divenuto re Umberto II), come suo primo aiutante di campo. I suoi sentimenti furono di fedeltà verso la Dinastia ed egli stesso scrisse16 che, durante la repubblica sociale, il generale Gioacchino Solinas Non pretese da me alcun giuramento alla Repubblica giuramento che d’altra parte non avrei prestato sicuramente essendo esso contrario ai miei sentimenti prettamente monarchici.

Al giuramento seguì, lo stesso giorno, la cerimonia del riconoscimento: il sottotenente Ambrogio Clerici con la sciabola sguainata, davanti al 12° reggimento bersaglieri a “presentat’arm”, si era posto alla destra del colonnello comandante che ad alta voce disse: Ufficiali, sottufficiali, caporali e bersaglieri in nome di Sua Maestà il Re riconoscerete Ambrogio Clerici come vostro sottotenente.

Foto 1. Ambrogio Clerici sottotenente bersaglieri L’attuale Vittorio Veneto. Nel 1866 i due paesi di Ceneda e Serravalle vennero unificati e la città prese nome di Vittorio. Nel 1923 prenderà il nome di Vittorio Veneto. 16 Dalla memoria difensiva presentata nel 1945 all’Alta Corte per l’epurazione. 15

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Dopo queste parole la fanfara suonò la marcia d’ordinanza. Sulla vita del sottotenente Clerici al reggimento non disponiamo documenti, possiamo solo immaginarlo ad istruire i suoi bersaglieri, a montare come ufficiale di picchetto, a far manovre nei dintorni di Vittorio che lo videro alla fine dell’ottocento a comandare un plotone di bersaglieri: nel 1918 una brigata di bersaglieri al testa della quale attraversò il Piave. Nel settembre 1890 il 12° reggimento bersaglieri fu trasferito a Roma e venne incaricato di condurre la repressione contro il brigantaggio. Poco dopo (19 aprile 1891) Ambrogio Clerici fu promosso tenente e due anni dopo (19 aprile 1893) diventava aiutante maggiore in seconda. La scelta cadeva su ufficiali che si erano distinti per fermezza di carattere, per buona condotta, operosità, istruzione e conoscenza del servizio. Il compito dell’aiutante maggiore in seconda era quello di dirigere la maggiorità del battaglione. Il tenente Ambrogio Clerici svolse il suo ufficio per più di un anno: lo lasciò nell’ottobre 1894 perché aveva fatto domanda per essere ammesso alla scuola di guerra. Il 12 maggio 1893 il tenente Clerici, durante un’esercitazione in piazza d’armi era caduto da cavallo procurandosi, lo apprendiamo dal suo stato di servizio, una contusione all’articolazione del dito pollice del piede sinistro.

Foto 2. Ambrogio e un suo cavallo

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3.- Allievo della scuola di guerra (1894-97) La scuola di guerra, con sede a Torino in un tetro palazzo posto in via Bogino, aveva il compito di preparare gli ufficiali che dovevano entrare a far parte del corpo di stato maggiore. Il tenente Ambrogio Clerici, dopo aver superato l’esame prescritto, entrò alla scuola di guerra il 1° novembre 1894. I corsi duravano tre anni, durante i quali veniva fatta una severa selezione. Sul ritmo di lavoro che vigeva alla scuola, è interessante rileggere quanto scrissero i generali Emilio De Bono e Eugenio De Rossi: C’era molto da studiare alla Scuola di Guerra. Il programma era vasto; molte le materie, benché non tutte praticamente necessarie; ma la maggior parte contribuivano senza dubbio ad allargare la mente e la cognizione degli ufficiali17. Il primo anno mi fu penosissimo: alle 7 d’inverno bisognava essere a cavallo in maneggio, finivano le lezioni alle 12, per riprendere alle 14 fino alle 19. La sera in casa, alle 21, mi mettevo al tavolino e avanti sino a mezzanotte18. Neanche la domenica libera! Giacché proprio il settimo giorno della settimana era dedicato ad istruzioni pratiche che si facevano fuori della città. E perché popolazione e guarnigione sapessero che neppure nei dì festivi si riposava, a quelle esercitazioni – anche nei mesi del più brumoso inverno- si andava con la copertina bianca al berretto e con la borsa per carte al fianco (comunemente chiamata «la borsa delle fesserie»)19.

La testimonianza di Emilio de Bono è importante perché era entrato alla scuola di guerra un anno prima (1893) di Ambrogio Clerici: per due anni si erano frequentati perché entrambi provenivano dai bersaglieri e si erano già conosciuti al 12° reggimento. De Bono gli aveva presentata la fidanzata ed Ambrogio Clerici in vecchiaia raccontava che l’aveva trovata ben brutta! Arrivò anche alla scuola di guerra la notizia che il 1° marzo 1896 sui colli ad est di Adua il corpo di spedizione italiano venne sconfitto dall’esercito etiopico del negus Menelik. Ha scritto de Bono che quando la notizia arrivò alla scuola di guerra: fummo funestati dal disastro di Adua e come ne soffrimmo! Ma la vita da noi vissuta fu improntata ad una cordialità e ad una camerateria senza pari. Ci fu anche fra noi chi scantinava per carattere; vi era magari anche una discreta orchestra di violini; ma erano di più i «tromboni» e quelli riuscirono a dominare20.

Gli allievi della scuola di guerra, con i loro istruttori, facevano tre campagne: una topografica fra il primo e il secondo anno; una tattica fra il secondo e il terzo; una logistica alla fine dei tre anni. Il 26 agosto 1897 il tenente Ambrogio Clerici terminò i corsi della scuola di guerra classificandosi 18° su 38 idonei, col punteggio di 15,52.

EMILIO DE BONO, op. cit., pag. 90. EUGENIO DE ROSSI, La vita di un ufficiale italiano sino alla Guerra, ed. Mondadori (Milano, 1927), pg. 78. 19 EMILIO DE BONO, op. cit., pag. 89. 20 Op. cit., pag. 93. 17 18

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4.- A Roma e poi in servizio di stato maggiore presso la divisione di Novara (1897-98) Come era nella prassi, dal 21 ottobre 1897 il tenente Clerici frequentò a Roma, presso il comando del corpo di stato maggiore, il corso di esperimento per l’abilitazione ad ufficiale di stato maggiore che durava circa sei mesi. Il corso di esperimento consisteva nel prestare servizio presso uno dei diversi uffici del Corpo di Stato Maggiore, e compiere temporaneamente un certo numero di esercitazioni tattiche sulla carta e sul terreno, sotto la direzione di ufficiali di Stato Maggiore21. Il Corso non era che un prolungamento della Scuola di guerra con qualche completamento e, forse, qualche perfezionamento. Ben poco di ciò che effettivamente vi si elaborava per la preparazione alla guerra capitava sotto i nostri sguardi22.

In quel periodo era capo di stato maggiore dell’esercito il generale Tancredi Saletta. De Bono ha scritto: Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito aveva, anche per i più spregiudicati di noi, qualcosa del mito. Non lo si vedeva quasi mai e quando ci occorreva di passare vicino al suo ufficio si camminava sulla punta dei piedi. Un’impressione che ricevetti allora fu che gli usceri, e quasi quasi i piantoni, ci trattassero con qualche benigna degnazione. L’aria di grandi uomini, di persone superiori ce l’avevano anche i Capi dei vari uffici. Erano colonnelli di Stato Maggiore di indiscutibile capacità e di buona dottrina23.

Il 24 marzo 1898, al termine del corso, il tenente Clerici fu trasferito a Novara per prestare servizio di stato maggiore presso il comando di quella divisione. Il comando di una divisione era formato dal generale di divisione, dal capo di stato maggiore che era il vero deus ex-machina, dagli ufficiali di stato maggiore, dagli applicati di stato maggiore, dagli scrivani e dai piantoni. De Bono scrive24 che: per gli ufficiali di Stato Maggiore il cavallo, il contatto con le truppe, il prendere parte, sia pure come spettatori, alle ordinarie esercitazioni doveva passare in seconda linea di fronte all’ufficio.

Negli uffici c’era molta burocrazia che spesso soffocava la preparazione della guerra. Il tenente Clerici si era fidanzato e in previsione del matrimonio aveva affittato casa a Novara ed aveva acquistato i mobili. Improvvisamente gli arrivò l’ordine di trasferirsi alla divisione di Verona.

EUGENIO DE ROSSI, op. cit., pag. 78. Op. cit., pag. 95 23 Op. cit., pgg. 95-96. 24 DE BONO, op. cit., pag. 101 21 22

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5.- Il matrimonio (1898) Quando morì, nel 1883, Domenico Clerici i suoi fratelli (dottor Angelo, Carlo e dottor Eugenio)per aiutare i nipoti, che in tenera età erano rimasti orfani, decisero di tenere in comunione sia la proprietà del fondo di Costa dei Nobili sia la gestione delle due grandi aziende agricole (Villareggio e Costa). Questo “menage” durò fino alla morte di Angelo Clerici25 che avvenne a Milano il 23 febbraio 1895. Il defunto lasciava quattro figli (Enrica, Elisa, Davide, Arturo) che chiesero di poter addivenire alla divisione dei beni della Fraterna. La divisione fra gli zii Carlo ed Eugenio e i nipoti (figli di Domenico) fu solo un fatto “catastale” perché continuarono a gestire i fondi in comunione. Questa premessa serve per capire quello che avvenne nell’imminenza del matrimonio del tenente Ambrogio Clerici. Il 14 marzo 1897 il tenente Clerici scriveva a suo fratello maggiore (Enrico) di aver intenzione di prendere moglie. La prescelta era Vittoria Villa, sorella del tenente Vittorino Villa, che era stato compagno del tenente Clerici nel 12° reggimento bersaglieri e che poi era passato nei carabinieri. Vittoria Villa era nata a Villanova d’Asti il 12 settembre 1876 dal medico dottore Carlo Villa e da Teresa Paola Cayre. Aveva come Ambrogio Clerici numerosi fratelli e sorelle ed aveva ricevuta un’ottima educazione a Torino come convittrice nel reale istituto nazionale per le figlie dei militari italiani. Ambrogio Clerici nella lettera al fratello definiva la sua scelta opportunissima perché bella signorina, buona sotto tutti i rapporti, con educazione finissima e nello stesso tempo di casa, non lascia nulla a desiderare per riguardo a se stessa e per la famiglia.

Foto 3. Vittoria Villa a Torino nel 1918 25

era andato in pensione col grado di primo presidente di Corte d’Appello. 14

I Villa, famiglia piemontese, erano originari di Chieri dove nel XIII secolo erano già noti ed illustri per antica nobiltà. Da Chieri, verso la metà del secolo XV, un ramo si trasferì a Santena, poi alla fine del XVII secolo a Valfenera d’Asti e un secolo più tardi a Villanova d’Asti. Tutto andava bene: la sposa, la famiglia, ma…il governo di sua maestà il Re d’Italia ci aveva messo lo zampino. La legge n. 554 del 24 dicembre 1896 stabiliva all’articolo 2 che gli ufficiali prima del matrimonio dovessero costituire una rendita in favore della futura sposa e della prole nascitura. Scriveva il tenente Clerici al fratello Enrico: occorrerebbe che io assicurassi con cartelle al portatore o con ipoteca su fondi rustici ed urbani una rendita equivalente di 1200 lire annue…Ed ammesso che la mamma, voi altri e gli zii ammetteste la possibilità di farmi un’ipoteca sulla casa di Milano o sul fondo della Costa per la rendita di 1200 lire, questa potrebbe essermi assegnata effettivamente per sbarcare il lunario, senza pregiudizio dei vostri interessi e del capitale comune?

Si trattava di elargire la rendita di 1200 lire annue finché Ambrogio Clerici era tenente, che sarebbe scesa a 800 lire con la nomina a capitano, onere che si estingueva con la nomina a maggiore. Mentiremmo se dicessimo che non si discusse, alla fine gli zii Carlo ed Eugenio Clerici garantirono la rendita al nipote. Come prescriveva il regolamento re Umberto I, il 23 agosto 1898, autorizzò il tenente Ambrogio Clerici a contrarre matrimonio. Questo fu celebrato a Villanova d’Asti il 6 settembre 1898 dal parroco don Luigi Lanfranco: testimoni (per lo sposo) fu il capitano Luporini e (per la sposa) il cugino onorevole Tommaso Villa, che fino a qualche mese prima era stato Presidente della Camera dei Deputati. 6.- A Verona (1898-1904) Dopo il viaggio di nozze, il tenente Ambrogio Clerici prese servizio di stato maggiore presso il comando della divisione di Verona, dove era stato trasferito da Novara con regio decreto in data 11 agosto 1898. Verona, in quell’epoca, era strategicamente molto importante perché città di confine con l’Austria, che occupava il Trentino. Nonostante l’alleanza che legava l’Italia agli Imperi Centrali, l’esercito italiano accarezzava l’idea di muovere guerra all’Austria per avere Trento e Trieste. La lunga permanenza a Verona permise al tenente Clerici di acquisire una profonda conoscenza dello scacchiere trentino, conoscenza che gli sarà utilissima di lì a poco meno di venti anni quando, allo scoppio della prima guerra mondiale, si troverà a Verona come sottocapo di stato maggiore della 1ª Armata. Con regio decreto 28 luglio 1902 il tenente Clerici fu promosso capitano. Come stabiliva il regolamento chi prestava servizio di stato maggiore doveva per un certo periodo prestare servizio presso un

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reggimento. Il capitano Clerici fu assegnato (D.M. 1902) al 6° reggimento bersaglieri. Come capitano Ambrogio Clerici comandò una compagnia. Compito che allora era anche quello di educatore delle giovani leve. Comandante il colonnello Ettore Mambretti, un pavese nato a Binasco. 7.- A Roma capitano di Stato Maggiore (1904-12). Con regio decreto 1° dicembre 1904 Ambrogio Clerici fu nominato capitano del corpo di stato maggiore. Si trattava di un corpo scelto formato solo da ufficiali che si distinguevano dal bavero della giubba di velluto azzurro come quello dei generali, dai gradi e dall’aquila d’oro sul berretto. Siamo nel periodo così detto della belle epoque popolato da ufficiali brillanti e da eleganti dame, ciò nonostante caratterizzato da profondi conflitti sociali. L’ammutinamento della corazzata Potëmkin, avvenuta in Russia nel 1905, non poche perplessità dovette suscitare anche nell’ambiente dello stato maggiore italiano. Il capitano Clerici fu assegnato alla divisione di stato maggiore che operava presso il Ministero della Guerra. Quanto scrisse il maresciallo de Bono può servire a capire in quale situazione si trovò ad agire: Il Comando del Corpo di Stato Maggiore aveva come un’appendice nella Divisione Stato Maggiore del Ministero della Guerra. Anche qui vi facevano turno sempre gli stessi ufficiali e anche questi erano considerati e ritenuti come potenze dagli altri miseri mortali. La luce dei due astri di prima grandezza: Capo di Stato Maggiore dell’Esercito e Ministro si riverberava un poco sui diretti dipendenti. Ma, perché non dirlo, tra Comando del Corpo e Divisione S.M. c’era sempre qualche contrasto. Il Comando del Corpo, che non subiva le oscillazioni del Ministero, e che perciò rappresentava, o doveva rappresentare la continuità del lavoro e dell’indirizzo, mal sopportava una certa superiorità che l’organo ministeriale responsabile voleva imporre. Beghe, piccole beghe, che, in fondo si risolvevano in contrasti di persone ed in invidiuzze di poco conto. Di positivo c’è questo: che né la vita degli ufficiali addetti al Comando del Corpo, né quella degli appartenenti al Ministero era comoda e tanto meno allegra e per sopportarla occorreva una buona dose di ambizione; ma ancora più di sacrificio26.

Il capitano di stato maggiore Ambrogio Clerici lavorò al ministero della guerra per otto anni consecutivi. Ricoprì l’incarico di sottocapo di stato maggiore dell’intendenza d’armata; fu poi capo sezione presso la scuola di guerra. Arrivarono le prime onorificenze italiane ed estere: il 17 luglio 1904 la repubblica francese lo nominò cavaliere della Legion d’honneur; il 27 dicembre 1906 fu nominato cavaliere dell’ordine della corona d’Italia; l’11 febbraio 1911 Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria e re d’Ungheria, lo nominava ufficiale dell’ordine di Francesco Giuseppe; l’imperatore del 26

Op. cit., pgg. 96-97. 16

Giappone gli concedeva il 7 maggio 1910 la croce di 4ª classe dell’ordine del sacro tesoro imperiale. Nell’Esercito serpeggiava molto malcontento tanto che il Parlamento, con legge 6 giugno 1907, n. 287 istituì la Commissione d’inchiesta per l’Esercito alla quale furono dati poteri uguali a quelli spettanti ai magistrati inquirenti. La Commissione, presieduta dal senatore Rinaldo Taverna, era formata da sei deputati e sei senatori. Il capitano Clerici fu distaccato presso la Commissione e al termine dei lavori, che durarono dal 1906 al 1910, Re Vittorio Emanuele III lo nominò di motu proprio (regio decreto 26 giugno 1910) ufficiale dell’ordine della corona d’Italia. Copia del decreto gli fu inviata ( 6 luglio 1910) accompagnata da una lettera del ministro della guerra generale Paolo Spingardi nella quale si leggeva: S.M. il Re, con forma di motu proprio, si è degnato di conferire alla S.V. la croce di uffiziale dell’Ordine della Corona d’Italia in considerazione dei distinti servizi da Lei resi nel tempo in cui Ella rimase destinato presso la Commissione d’inchiesta per l’Esercito. Il Presidente della Commissione nel darne notizia, ha espresso il desiderio che Le sia fatta conoscere tutta la soddisfazione della Commissione stessa per lo zelo, la buona volontà e l’intelligenza dimostrata nel disimpegnare gli incarichi che alla S.V. vennero affidati. Ben volontieri Le comunico le lusinghiere espressioni che la Commissione Le ha rivolto ed assai mi compiaccio dell’onorificenza meritatamente conseguita, di cui accludo il diploma. Il Ministro (Paolo Spingardi)

Da tempo lo stato maggiore italiano desiderava riscattare la sconfitta subita in Abissinia nel 1896; il generale Alberto Pollio, nel 1909, aveva studiato un progetto per la costituzione di un corpo di spedizione col compito di invadere la Libia occupata dai Turchi. Il 28 settembre 1911 il ministro degli esteri marchese Antonio di San Giuliano, inviava l’ultimatum alla Turchia. Era la guerra! Il capitano Ambrogio Clerici in questa occasione, come già nel 1895, non ebbe la ventura di partecipare alla guerra coloniale: tuttavia lavorò per la riuscita della spedizione meritandosi, con motu proprio di re Vittorio Emanuele III, la croce di cavaliere dell’ordine dei santi Maurizio e Lazzaro “in considerazione – si legge nel diploma - di particolari benemerenze acquistate durante la campagna di guerra italo-turca”. Abbiamo inizialmente scritto che la famiglia Clerici era una famiglia di solide tradizioni agrarie. Ambrogio Clerici, pur avendo abbracciato la carriera militare, aveva voluto restare in comunione con i fratelli per gestire il fondo di Costa de’ Nobili e dal 1907 quello di Villareggio27. Con una scrittura privata i figli di Domenico Clerici avevano costituito formalmente la “Fraterna Clerici”28 e stabilito che alla direzione (quotidiana) delle due Nel 1907 gli zii Carlo ed Eugenio Clerici, pur vivendo a Villareggio, avevano ceduto la gestione di Villareggio. 28 Prima del 1907 c’erano stati lunghi periodi di comunione di beni senza però essere formalizzata. 27

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aziende agrarie erano preposti i fratelli dottor Gaetano (per la Costa) e dottor Ariberto (per Villareggio). Alla fine dell’anno si sarebbero divisi parte degli utili. Il documento portava la firme: di Anna Clerici; Adelaide Clerici; Domenica Clerici; del dottore Enrico Clerici aiuto medico dell’Ospedale Maggiore di Milano; del capitano di stato maggiore Ambrogio Clerici; dell’avvocato Luigi Clerici giudice presso il Tribunale di Monza; del dottore in chimica Gaetano Clerici che abitava a Costa de’ Nobili; del dottore in legge Ariberto Clerici che dal 1901 abitava a Villareggio; dell’avvocato Carlo Clerici che aveva studio a Milano in via Pasquirolo 6. 8.- A Milano maggiore nel 12° reggimento bersaglieri. Con regio decreto 31 marzo 1912 Ambrogio Clerici fu promosso maggiore e destinato a prestare servizio temporaneo presso il 12° reggimento bersaglieri, che aveva sede a Milano in corso San Celso. Ritornava, come comandante di battaglione, al reggimento che lo aveva visto sottotenente e poi tenente dal 1887 al 1894. Il maggiore Clerici prese alloggio con la moglie in via Tasso, 9 affittando un appartamento29 nel caseggiato di proprietà dei cugini Albertario. Nell’aprile 1913 assunse il comando del 12° reggimento il colonnello Eugenio De Rossi, che così ebbe a scrivere del maggiore Clerici: per mia fortuna mi destinarono il maggiore D.G., un ligure energico e un altro maggiore (n.aa.= Clerici) proveniente dallo S.M. in servizio temporaneo, eccellente persona, piccolotto ma pieno di ginger, perfettamente all’unisono con le mie idee. Questi due ufficiali mi furono anche amici e mi facilitarono moltissimo il comando; peccato che all’entrare in guerra li persi30.

Le truppe di stanza a Milano erano, in quel periodo, impiegate spesso per il “servizio di ordine pubblico”. Durante i numerosi scioperi31 i sindacalisti tenevano i loro comizi sul viale di Porta Ludovica e più volte il battaglione bersaglieri era costretto a stazionare nei dintorni. A Pieve Emanuele il maggiore Clerici, dove era giunto con i suoi bersaglieri, aveva preso la parola per calmare la folla irritata con il parroco. Con un discorsetto era riuscito a far ragionare i dimostranti, tanto che a distanza di anni, Domenica Clerici raccontava l’episodio che aveva visto protagonista il fratello. L’8 agosto 1914 il maggiore Clerici lasciò il comando del battaglione perché con regio decreto fu fatto rientrare nel corpo di stato maggiore.

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Dal 1970 l’appartamento è di proprietà di uno degli autori. DE ROSSI 31 DE ROSSI pagg. 250-253. 30

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CAPITOLO TERZO 1914-1918 1.- Sottocapo di Stato Maggiore della Prima Armata (1915-17). - 2. Comandante della Quarta Brigata Bersaglieri (1917). - 3. Capo di Stato Maggiore della Prima Armata (1917-18). - 4. Comandante della Quinta Brigata Bersaglieri. 1.- Sottocapo di Stato Maggiore della prima Armata L’assassinio dell’arciduca ereditario austriaco Francesco Ferdinando, compiuto a Sarajevo il 28 giugno 1914 da due sudditi serbi, fu la scintilla che fece scoppiare la prima guerra mondiale. L’Italia, alleata con gli imperi centrali, il 2 agosto 1914 dichiarò la propria neutralità: il nuovo capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Luigi Cadorna, pensando ad una conferma dell’alleanza con Germania ed Austria compilava una «Memoria sintetica sulla radunata a nord-ovest e sul trasporto in Germania della maggior forza possibile». Dovette ricredersi perché il governo Salandra era dell’opinione di far guerra all’Austria e così di fretta e furia dovette preparare una “Memoria riassuntiva circa una eventuale azione offensiva verso la Monarchia Austro-Ungarica durante l’attuale conflagrazione”. Nel paese si formò una forte corrente interventista che voleva che si dichiarasse guerra all’Austria per liberare Trento e Trieste. Era una guerra che il maggiore Ambrogio Clerici sentiva: la sua famiglia era interventista perché aveva una solida tradizione garibaldina rappresentata ancora da Carlo Clerici (zio di Ambrogio) che nel 1859 aveva combattuto contro gli austriaci agli ordini di Garibaldi nel 2° reggimento Cacciatori delle Alpi. Il maggiore Ambrogio Clerici l’8 agosto 1914, lasciato il 12° reggimento bersaglieri, fu destinato a Roma dove per tre mesi prestò servizio presso il comando del corpo di stato maggiore che aveva sede a Palazzo Baracchini in via XX Settembre. Contribuì a studiare nel dettaglio il piano offensivo contro l’Austria. Il 3 dicembre 1914 fu trasferito presso l’ufficio del comandante designato della 1ª armata (tenente generale Roberto Brusati32), che aveva sede a Palazzo Brera. Il generale Brusati era un generale ordinato e tutto il suo comando era retto con quell’ordine, con quella misura, con quella precisione33. In caso di guerra all’Austria la 1ª Armata doveva disporsi sul fronte trentino schierando il III Corpo d’Armata dal confine svizzero al Lago di Garda e il V Corpo d’Armata dal lago di Garda a Val Cismon compresa. Fu un periodo intenso, di lavoro preparatorio fatto di diagrammi, grafici, studi sulle carte geografiche: partecipò ai lavori della commissione presieduta 32

Roberto Brusati (1850-1935) era stato prima comandante del corpo d’armata di Torino. Dal 1914 era senatore del regno. Era fratello del generale Ugo Brusati che dal 1902 era primo aiutante di campo generale di re Vittorio Emanuele III. 33 ANGELO GATTI, Uomini e folle di guerra, Arnoldo Mondadori editore (Milano, 1929), pag. 187. 19

dal generale Annibale Gastaldello che aveva il compito di preparare i piani di attacco contro l’Austria. Nel piano strategico dello stato maggiore, in caso di guerra all’Austria, la prima armata doveva schierarsi sul fronte Trentino con atteggiamento di difesa strategica accompagnata da tutte quelle offensive tattiche parziali che valessero a migliorare la nostra situazione34

Nonostante questa direttiva lo stato maggiore della 1ª Armata studiò in tutti i suoi particolari il disegno di un attacco contro il fronte orientale del campo trincerato di Trento35.

Nell’imminenza del conflitto Ambrogio Clerici fu promosso tenente colonnello ed ebbe “ufficialmente” l’incarico di sottocapo di stato maggiore della prima armata. Sopra di lui, gerarchicamente, c’erano il comandante dell’armata: generale Roberto Brusati; e il capo di stato maggiore: conte generale Paolo Ruggeri Laderchi. In un’armata, dal sottocapo di stato maggiore dipendevano il comando d’artiglieria d’armata, il comando del genio d’armata, la direzione collegamenti. Il colonnello Clerici dovette sovrintendere alla mobilitazione e alla radunata di migliaia di uomini e di mezzi Un ufficiale così lo descrive36: -Ella è assegnata all’Ufficio informazioni – mi dice tre ore dopo il tenente colonnello Clerici sottocapo di Stato Maggiore dell’Armata, un uomo più piccino di me, dalla voce tagliente, dagli occhi azzurro-grigi - freddi ma penetranti - dai movimenti vivaci e quasi a scatto.

Il comando della prima Armata dava molta importanza all’ufficio informazioni. Troviamo testimonianza nelle memorie37 del generale Tullio Marchetti: Io avevo a disposizione a Brescia un’automobile militare e quasi quotidianamente andavo a Verona per abboccarmi col gen. Roberto Brusati, comandante la 1ª Armata che conoscevo bene da quando lavoravo a Milano a palazzo Brera. Ero anche in vera intimità col suo Sotto Capo di S.M. ten. Col. Clerici Cav. Ambrogio, due ufficiali che avevano ben compreso l’importanza dell’ufficio informazioni.

Poco prima delle ostilità il comando della 1ª armata si era trasferito a Verona nel castello scaligero. In quei giorni Vittoria Villa, moglie di Ambrogio Clerici, scriveva alla cognata Adelaide Clerici: LUIGI CADORNA, La guerra sulla fronte italiana, ed. Treves, volume I, pag. 91. SCHIARINI, pag. 26, nota 1. 36 CESARE PETTORELLI LALATTA, I.T.O. (informazioni Truppe Operanti)- Note di un Capo del Servizio Informazioni d’Armata (1915-18), Casa Editrice Giacomo Agnelli (Milano, 1934-XII), pag. 23. 37 TULLIO MARCHETTI, Ventotto anni nel servizio informazioni militari, collana del Museo trentino del Risorgimento (Trento, 1960), pag. 80. 34 35

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se credi di scrivergli l’indirizzo è: Tenente Colonnello Clerici, Corpo d’Armata Territoriale – 5° Verona. Non mettere indicazioni della carica che occupa e benché non sia di una importanza capitale, però egli preferisce che non si dica ad estranei la città e l’ufficio dove si trova.

Alla 1ª armata, forte di 160 mila uomini, 612 pezzi d’artiglieria (204 campali e 408 grossi), era stato affidato il fronte trentino: dallo Stelvio alla Croda Grande. Allo scoppio della guerra le truppe della 1ª armata conquistarono Borgo Val Sugana, importanti posizioni verso l’altopiano di Lavarone, in Val d’Adige arrivarono a Ala e in Valle d’Arsa fino a Valmorbia. Le decisioni importanti si prendevano a Verona dove presso il castello Scaligero sulle rive dell’Adigetto, che si stacca là pieno di melma dal fiume sonoro, c’era il palazzo del comando della 1ª Armata, dove era stato ai suoi tempi il generale Radetzky. Tutte le mattine, alla stessa ora, il generale Brusati arrivava col suo passo rapido. Entrava nell’ufficio, una grande sala che dava sul giardino, e, metodicamente metteva a posto intorno a sé i piccoli oggetti della scrivania. Il capo di Stato Maggiore che era allora il generale Ruggeri Laderchi, e il sottocapo, che era il tenente colonnello Clerici, e più spesso questi che quelli, andavano a dargli relazione di ciò che era successo di notte. Il generale ascoltava senza interrompere, aguzzando gli occhi intelligenti contro l’ufficiale: e gli avvenimenti, che si erano svolti tinti di sangue sui monti e nelle valli lontane, là dentro cadevano a terra, come aquile alle quali avessero tagliate le ali. Quando la relazione era finita, il generale dava pacatamente i suoi ordini chiari, brevi, senza slanci38.

Per il tenente colonnello Ambrogio Clerici c’era “molto lavoro, ma sopportato con molta serenità e buon umore” così aveva scritto il 28 giugno 1915 alla madre. Le sue parole trovano conferma nel giudizio che di lui diede un ufficiale suo collaboratore: il colonnello Clerici, l’impareggiabile nostro sottocapo di Stato Maggiore, l’uomo che non conosceva né riposi né soste ed era sempre pronto giorno e notte, senza mai perdere serenità e prontezza di decisione ad ogni evenienza39.

Lo stesso ufficiale in un altro suo libro scrive40: appena rientrato dalle ricognizioni in linea, scrivevo tutte le mie impressioni presentandole subito, sotto forma di promemoria, al sottocapo dello stato maggiore dell’armata. Egli approva la mia sincerità, lo vedo, perché poi gli stessi, rafforzati qua e là da segnacci rossi e blu, passavano subito nell’ufficio del comandante l’armata.

Il 21 ottobre 1915 Ambrogio Clerici venne promosso colonnello, mantenendo l’incarico di sottocapo di stato maggiore della 1ª armata. Era cambiato invece

ANGELO GATTI, Uomini e folle di guerra, ed. Mondadori (Milano, 1929) pgg. 186-187. CESARE PETTORELLI LALATTA, L’occasione perduta, Carzano 1917, ed. Mursia (Milano, 1968) pag. 60, nota 1. 40 CESARE PETTORELLI LALATTA, I.T.O. (informazioni Truppe Operanti)- Note di un Capo del Servizio Informazioni d’Armata (1915-18), Casa Editrice Giacomo Agnelli (Milano, 1934-XII). 38 39

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il capo di stato maggiore: il conte 41generale Paolo Ruggeri Laderchi, l’11 agosto 1915, lasciò l’incarico al generale Andrea Graziani42 notoriamente animato da spirito offensivo, ma anche irrequieto, autoritario, impulsivo, durissimo con i dipendenti, poco propenso a dare importanza alle perdite43.

Cadorna voleva che la 1ª armata stesse sulla difensiva, ma questo compito andava stretto al suo Comando soprattutto ora che il capo di stato maggiore era il generale Andrea Graziani. Del resto il generale Brusati era fiero che ogni giorno su una grande carta d’Italia, dove in colore azzurro era dipinto il terreno che la 1ª Armata aveva strappato all’Austria, si potesse aggiungere un altro pezzettino d’azzurro.44 L’Armata dall’inizio della guerra aveva ridotto, combattendo, a poco a poco il confine da 380 a 213 chilometri. Cadorna ebbe a dire45: al principiare della guerra, la 1ª Armata aveva fatto meglio delle altre, e si era affermata con fortuna in luoghi di capitale importanza. Le menti e gli animi di tutti i suoi componenti, capi e soldati, furono lanciati dai primi giorni verso l’offensiva, così fruttifera e gloriosa. La difensiva fu considerata, benché nessuno lo confessasse, come una meno degna forma transitoria, da abbandonare non appena si potesse.

La conquista delle linea di Borgo Val Sugana, avvenuta nell’agosto 1915 con l’occupazione dell’Armentera e del Salubio, dimostrò che il comando della 1ª armata stava “studiando” un’offensiva in direzione di Trento. Cadorna scrisse subito una lettera nella quale disapprovava l’azione e disse che per l’obiettivo Trento occorrevano uomini e mezzi che l’armata non aveva e che lui non poteva inviare. Nel settembre 1915, a Verona, si presentò46 al comando della 1ª armata il tenente Cristofaro Baseggio per sottoporre il progetto della costituzione di una “Compagnia autonoma esploratori” col compito, nell’ambito della 15ª divisione, di eseguire imprese ardite e azioni di sorpresa. Messosi a rapporto dal generale Graziani e dal colonnello Clerici li trovò subito favorevoli, tanto che convinsero il comandante dell’armata, generale Brusati, della bontà del progetto. Nell’ottobre 1915 il comando della 1ª armata fece pervenire alla 15ª divisione l’ordine di costituire a Strigno la compagnia autonoma esploratori arditi.

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Paolo Ruggeri Laderchi nato a Codogno nel 1862, ufficiale di artiglieria nel 1880, era stato addetto militare in Turchia e in Russia. Nel 1912 aveva comandato la brigata Basilicata. 42 Andrea Graziani nato a Bardolino (Verona) nel 1864 era stato insegnante alla scuola di guerra, nel 1914 aveva comandato l’11 reggimento bersaglieri e poi la brigata Jonio. 43 EMILIO FALDELLA, La Grande Guerra, Longanesi & C. (Milano, 1965) volume I. 44 ANGELO GATTI, Uomini e folle di guerra, Arnoldo Mondadori (Milano, 1929), pag. 187. 45 ANGELO GATTI, Uomini e folle di guerra, Arnoldo Mondadori (Milano, 1929), pag. 178. 46 CRISTOFARO BASEGGIO, Compagnia della Morte, Istituto Editoriale Veneto (Venezia, 1929). 22

Foto 4. Valsugana 1915. In ispezione. Il colonnello Clerici, per poter dalla sua scrivania prendere decisioni, si recava spesso in prima linea per vedere la topografia del teatro dei combattimenti, sentire il polso delle truppe, vedere le opere di fortificazione. Scriveva alla sorella il 13 luglio 1915: Cara Adelaide, ieri recatomi su in alta montagna, proprio in prima linea, ho trovato il figliolo del lattaio di Sorlama47, bersagliere Maganza Luigi. Sta benone, si gode il fresco e mi incarica di salutare la sua famiglia. Così pure mi ha scritto Maria Mascheroni per avere notizie di suo marito. Sta benone, anch’egli- el Beli- sta al fresco e in buona salute. Anch’io mi trovo benissimo nonostante certe sgambate sui monti e certe sudate da non dire. Bacia la mamma, Domenica e Gaetano e tu abbiti un abbraccio dal tuo Imbros Dovunque vado, Costa io vedo!

Nonostante il lavoro il colonnello Clerici si occupava dei suoi compaesani che erano sotto le armi e che direttamente o tramite la sorella Adelaide gli si rivolgevano. Alla sorella precisava48: per i figlioli della Costa che fanno il loro dovere mi interesso ed assicura pure tutti che veglio su di essi, nei limiti del giusto. Quelli che sono con me stanno tutti bene.

Si avvicinava il primo Natale di guerra e il colonnello Clerici scriveva il 1° ottobre 1915 alla sorella Adelaide: Chi sa che a Natale possa avere qualche giorno di licenza e venirlo a passare con voi. Non è però il momento di pensare a queste cose, perché, come ho scritto a Vittoria, il 47 48

Frazione di Costa de’ Nobili. Il 6 maggio 1916. 23

rivedervi è per me un momento di debolezza ed oggi non è tempo di debolezze, ma di energie sovraumane.

A Natale non venne a casa come apprendiamo da una lettera del 16 dicembre 1915: Sono tanto contento di sapere che la mamma sta bene: ho tanta volontà di rivedervi. Il Natale lo passerò “sulle vette più guzze dell’Alpi “ in mezzo alle truppe. Verrò più tardi, verso il 10 o 11 Gennaio.

Il 24 gennaio 1916 comunicava: non ho potuto venire a casa in licenza, perché impegnato in lavori d’ufficio - spero però di venire per qualche giorno ai primi di febbraio.

Lo stato maggiore della 1ª Armata si era lamentato spesso col comando supremo per la scarsità dei mezzi a disposizione, in particolare modo per l’artiglieria insufficiente e per il frequente cambio di reparti che venivano sostituiti con truppe stanche che provenivano dall’Isontino. L’ufficio informazioni dell’armata verso marzo registrò gran movimento di truppe austriache: il 22 marzo il comando della 1ª armata chiese al comando supremo che gli fossero inviati dei rinforzi perchè vi era “probabilità di un attacco nemico dall’altipiano di Lavarone”. Cadorna che si trovava a Londra fece rispondere che si arrangiassero perchè in conformità alle direttive più volte ripetute dal Comando Supremo e che hanno informato concetto sistemazione difensiva su codesta fronte in caso offensiva nemica contro la fronte 1ª armata codesto comando dovrà assicurare difesa facendo assegnamento su sole forze e mezzi di cui dispone.

Il comando della 1ª armata considerava necessari l’invio di rinforzi: questo era il tema delle riunioni che il generale Brusati teneva con i suoi diretti collaboratori: il capo di stato maggiore (generale Graziani), il sottocapo (colonnello Clerici), il comandante dell’artiglieria (generale Marciani). Fu preparata una lettera, datata 6 aprile 1916, nella quale si diceva: danno per certo un concentramento molto rilevante – non ancora cessato - di artiglierie e di carreggi nella regione Altipiani.

e Cadorna rispose che “era convinto che un attacco a fondo non avrebbe avuto luogo.” e poi volle sostituire il capo di stato maggiore dell’Armata. A questo proposito ha scritto il generale Marchetti: A mezzo aprile, primo siluro lanciato da Udine. Arriva inaspettato all’Armata il maggior generale conte Albricci, quale nuovo Capo di Stato Maggiore che deve prendere il posto del buon Graziani, che va ad un comando di truppe. Il Graziani era fra i maggiormente convinti dell’imminente offesiva nemica, concetto negativo per il Comando Supremo, e stimava molto l’Ufficio Informazioni dell’Armata, lodandone i risultati L’Albricci era nuovo all’Armata e proveniva dal Comando Supremo. Certamente arrivava col bagaglio informativo preso ad Udine e le sue idee in fatto di offensiva nemica erano logicamente lo specchio fedele di 24

quanto si pensava in proposito al Comando Supremo. La mia spontanea impressione fu che lo avessero mandato per raddrizzare le gambe ai cani49.

Eppure il servizio informazioni dell’armata continuava a registrare un crescente rafforzamento delle truppe austriache. Il maggiore Pettorelli Lalatta scriveva50: ne parlo continuamente col nostro Sottocapo col. Clerici, che si moltiplica per rimediare alle nostre deficienze organiche.

Anche Albricci dovette riconoscere di fronte all’evidenza che una offensiva in grande stile era imminente. Il colonnello Clerici contribuì a preparare le “Direttive per il caso di un’energica offensiva avversaria.” che aveva concordato col capo di stato maggiore dell’armata (gen. Albricci) e che il comandante (gen. Brusati) aveva fatte sue con quelle aggiunte ed integrazioni del caso che gli erano proprie. Vi si stabiliva che la difesa ad oltranza dovesse essere fatta sulla linea raggiunta dalle truppe, in poche parole sulla fronte d’attacco del settore sud-est del campo trincerato di Trento. Un arretramento su posizioni “forse” più sicure era impensabile senza gravi conseguenze. Nonostante la minaccia austriaca il comando della 1ª armata non sospese le operazioni offensive dallo Stelvio alla Valsugana nella speranza di spiazzare il nemico. Fu inviato un dirigibile che fece seri danni alla stazione ferroviaria di Trento; in Valsugana (12-17 aprile) fu occupata la linea del Monte Carbonile-San Osvaldo; fu conquistato l’Adamello (12-14 maggio). Negli ultimi giorni del mese di aprile anche Cadorna cominciò a sentire puzza di bruciato e fece una ricognizione sulla fronte della 1ª armata, precisamente in Valsugana, e a suo vedere riscontrò che il comando della 1ª armata, che egli stesso definì “buono”, non si era attenuto, nell’organizzazione difensiva della fronte, alle sue disposizioni perché aveva spesso costituito le prime linee troppo vicine allo schieramento nemico, rafforzandole a scapito di quelle arretrate ed aveva collocato le artiglierie troppo vicine alla prima linea in assetto offensivo. In verità le disposizioni di Cadorna erano contraddittorie perché con lettera del 24 febbraio 1916, dando disposizioni per la linea dell’Armentera, aveva scritto che si doveva: conferirsi la massima saldezza possibile sia nell’organizzazione sia nell’armamento poiché le sorti della difesa dipendono appunto, nel primo tempo, dalla capacità di resistenza che questa linea potrà fornire, senza di che a ben poco gioverebbe l’aver munito fin d’ora le linee successive.

Come affermerà, un paio d’anni dopo il generale Brusati davanti alla commissione d’inchiesta che lo assolse, in Valsugana le truppe erano sulla linea prescritta da Cadorna e in Val Lagarina non si poteva arretrare per non 49

TULLIO MARCHETTI, op. cit., pag. 172. CESARE PETTORELLI LALATTA, I.T.O. (informazioni Truppe Operanti) - Note di un Capo del Servizio Informazioni d’Armata (1915-18), Casa Editrice Giacomo Agnelli (Milano, 1934-XII), pag. 92. 50

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lasciare i fianchi scoperti. Lo stesso Cadorna dovette riconoscere che molti lavori erano stati fatti bene e che molti altri non si erano potuti eseguire a causa della molta neve che in quell’inverno era caduta. Il generale Antonino Di Giorgio ebbe a scrivere51: fu errore gravissimo l’avere attribuito alla deficienza dell’assetto difensivo, la sconfitta del 1916, e il disastro di Caporetto. Fu per questo errore che adottammmo negli schieramenti le linee continue che portano allo sparpagliamento delle forze e alla difesa passiva. Si dimenticò che dove c’è truppa che si batte e densità sufficiente le posizioni si tengono anche senza grandiose organizzazioni. Dove la truppa è insufficiente per numero o per qualità a nulla servono, anche se perfette, le organizzazioni difensive.

L’8 maggio 1916 Cadorna “silurò” il generale Roberto Brusati perché nei provvedimenti presi per far fronte ad un attacco austriaco in Trentino, ha dimostrato la corda e si è rivelato nel suo vero valore. Teme le responsabilità, rigetta tutto sui comandanti di corpo d’armata, non ha mai forze che gli bastino, perde la serenità e la calma52.

la decisione del Capo non piacque al comando dell’armata, e nemmeno al colonnello Clerici, perché Brusati era considerato un lavoratore e di “buon senso” che “dopo aver ascoltato i consigli di chi credeva capace prendeva la migliore decisione53”. Di lui aveva scritto Angelo Gatti: era un singolare uomo, scettico e scrupoloso, freddo e forse silenziosamente ambizioso; acuto, netto e in fondo, simpatico per la vasta e indifferente benevolenza con cui trattava uomini e cose54.

51

In risposta al quesito 11° del questionario della commissione d’inchiesta istituita nel 1918. Il testo trovasi nel libro di ANTONINO DI GIORGIO, Ricordi della Grande Guerra (1915-1918), Fondazione G. Whitaker (Palermo, 1978), pag. 49. 52 Lettera dell’8 maggio 1916 alla figlia Carla. LUIGI CADORNA, Lettere famigliari, Mondadori (Milano, 1967). 53 ANGELO GATTI, Caporetto, Società Editrice il Mulino (Bologna, 1964), pag. 16. 54 ANGELO GATTI, Uomini e folle di guerra, Arnoldo Mondadori (Milano, 1929), pag.187. 26

Foto 5. Il comando della I Armata Il generale Roberto Brusati fu sostituito col conte generale Guglielmo Pecori Giraldi che giunse a Verona la notte fra il 9 e il 10 maggio. Il generale Pecori Giraldi scrisse55: Arrivai a Verona alla mezzanotte e mezzo. Stazione completamente deserta e non illuminata. Vi trovai il Capo di Stato Maggiore generale Albricci e il Sottocapo di Stato Maggiore colonnello Clerici: furono molto sorpresi di vedermi arrivare con una semplice valigia, senza seguito e con poco bagaglio. La prima cosa che dissi, vista l’ora tarda e i conversari che si erano iniziati, fu: «Andiamo a letto: domattina, dopo aver dormito parleremo di tutto dettagliatamente e vedremo come sia la situazione.»

La mattina del giorno 10 il nuovo comandante riunì tutto il comando dell’armata che era formato da una sessantina di ufficiali che lo coadiuvarono “volonterosamente ed intelligentemente” durante l’offensiva austriaca che si scatenò solo cinque giorni dopo. Nelle prime ore del giorno 15 maggio 1916 le artiglierie austriache entrarono in azione fra il Garda e la Valsugana, costringendo le truppe italiane ad arretrare. Lo scopo dell’offensiva austriaca, che prese il nome di Strafexpedition, era quello di sfondare la fronte italiana all’altezza degli Altipiani per scendere in pianura fra Schio e Vicenza. Davanti alla minaccia austriaca il comando della 1ª armata fu portato da Verona a Vicenza dove fu sistemato a Palazzo Trissino. Gli spettava un compito immane: coordinare l’azione di truppe che erano costrette, dalla potenza del fuoco nemico, ad abbandonare posizioni, “costituire comandi, Da una conferenza del maresciallo d’Italia Guglielmo Pecori Giraldi, tenuta nella sede della Cassa di Risparmio di Firenze l’11 giugno 1933. 55

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ripartire la fronte salvando il più possibile la compagine organica56”. Il generale Pecori Giraldi ebbe solo quattro giorni per orientarsi, ma era affiancato in modo egregio dal comando della 1ª armata diretto dal generale Albricci (capo di stato maggiore) coadiuvato dal suo vice il colonnello Clerici (sottocapo di stato maggiore), due ufficiali che per il loro comportamento meritarono, entrambi, di essere decorati con l’ordine militare di Savoia. All’inizio dell’offensiva austriaca il generale Pecori Giraldi indirizzò alle sue truppe questo ordine del giorno, che era controfirmato dal colonnello Clerici: Soldati della I Armata, Pare si presenti la desiderata occasione di venire attaccati dal nemico. Persuasi che ogni sforzo sarà fatto per ributtarlo vittoriosamente, rammento che Patria, Esercito ed Alleati ci guardano fiduciosi. Sarò lieto di poter premiare il valore, l’attività e lo spirito di sacrificio; ma sarò altrettanto inesorabile nel punire gli atti di debolezza o qualsiasi mancanza al proprio dovere. Confido appieno che i Comandanti ciascuno nella propria sfera di azione, sapranno fermamente volere ed efficacemente ottenere che le energie di tutti sieno poste in opera col massimo vigore. Il Ten. Gen. Comandante dell’Armata Pecori Giraldi Il Colonn. Sottocapo di S.M. A. Clerici

Il giorno 23 maggio Cadorna con alcuni ufficiali del Comando Supremo si stabilì a Vicenza, alloggiato a Villa Camerini, per sovraintendere alla difesa che toccava però alla 1ª Armata. Furono portati in linea quasi quattrocentomila soldati e mille quattrocento cannoni. Il colonnello Clerici racconterà a Marinetti57, il padre del futurismo: Un reggimento granatieri che passeggiava a Roma alle ore 6 pomeriggio era in treno alle ore 10 di sera e l’indomani a mezzogiorno combatteva sul Cengio. Avevo - dice600 camions a Vicenza che coi i chauffeur addormentati dalla stanchezza portarono tutte le truppe in linea.

Il 22 maggio 1916 scrisse alla sorella Adelaide: sto bene nonostante l’aggravio di lavoro. Da un anno di distanza i nostri vicini tentano di premerci, ma spero che non riusciranno in alcun modo. Qui tutti fanno il loro dovere e bene. Io ringrazio la mamma di avermi costruito saldo.

Furono giorni durissimi, ognuno segnato da conquiste austriache: il 26 maggio cadde il Monte Cimone, il 27 forte Ratti, il 29 fu occupata Arsiero, il 30 il margine orientale della conca di Asiago e il 3 giugno cadde il monte Cengio. Nelle memorie del generale Tullio Marchetti si parla del colonnello Clerici durante la Strafexpedition. Il Marchetti - comandante del servizio 56 57

Bencivenga FILIPPO TOMMASO MARINETTI, Taccuini 1915-27, ed. Il Mulino (Bologna ), pag. 256. 28

informazioni della 1ª armata - l’11 giugno 1916 aveva compilato un bollettino nel quale risultava che il nemico avrebbe allentata la sua pressione: portò il bollettino al colonnello Malladra58, perché lo comunicasse al generale Pecori Giraldi Il col. Malladra, seduto al tavolo: io in piedi. Lo lesse attentamente, mi guardò al di sopra degli occhiali e con voce nasale mi disse, in tono parecchio dubitativo:«Sarà…ci crede Lei?» Mi accorsi di picchiare la testa non proprio contro un muro, ma quasi! Subito portai copia del bollettino al colonnello Clerici, sottocapo di S.M. dell’Armata, il quale dopo averlo letto, compresane l’eccezionale importanza mi pregò di salire subito a Villa Camerini, dove abitava il generale Cadorna con la sua segreteria e consegnare ivi altra copia dello stesso.

Il 25 giugno gli Austriaci, dopo vari attacchi sempre respinti dalle truppe italiane, si ritirarono per rendere più salda la loro posizione, facendo così sfumare il piano di Cadorna che voleva attaccarli alle ali per imbottigliare il centro che si era spinto troppo innanzi. Alla 1ª armata, però, non fu possibile riprendere tutto il terreno perduto perché Cadorna le tolse truppe e artiglieria che poco dopo utilizzò per la battaglia di Gorizia. L’operato del colonnello Clerici, durante la Strafexpedition, emerge dalla motivazione che accompagnava la croce di cavaliere dell’ordine militare di Savoia concessagli, di motu proprio, da re Vittorio Emanuele III con regio decreto in data 12 agosto 1916: Quale sottocapo di Stato Maggiore di un’Armata durante l’offensiva austriaca diede prova di somma abilità per la pronta ed efficace messa in azione dei mezzi a disposizione dell’Armata prevenendo sovente con opportuni provvedimenti le intenzioni del Comandante. Con fidente calma e mai doma energia seppe anche eccitare le attività di tutti i dipendenti recando in tal modo efficace contributo all’azione dell’Armata nell’arrestare, poscia ricacciare il nemico (Vicenza 15 maggio15 luglio 1916).

Nelle carte del maresciallo Pecori Giradi c’è una lettera che colonnello Clerici in qualità di sottocapo di stato maggiore indirizzò al comandante della 1ª armata per perorare la causa di un generale che secondo lui si era battuto bene. Leggiamo: (stemma reale) COMANDO SUPREMO DEL R. ESERCITO Eccellenza, La ringrazio, certo ha capito perfettamente tutto, né io mi attendevo da Lei parole scritte- Insistetti io allora con scritti, perché io sono tale che quando mi sono convinto che alcuno meriti, mi adopero per lui senza riguardi per altri. Fu Mambr.59 che fece a Sc.60 scrivere la lettera. Intendiamoci non gli disse di scriverla, ma gli fece chiaramente intendere che se ne andasse, e S. ebbe allora un attacco di fegato e si dette ammalato. Giuseppe Malladra nel 1916 aveva una mansione fuori organico di sovraintendenza sugli uffici operazioni e informazioni della prima Armata. 59 Generale Mambretti 58

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M.ti voleva avere ai suoi ordini Vial., che godeva la sua piena fiducia fin da quando lo ebbe brigadiere. Se Lei, Generale e Generale per davvero, leggesse tutti gli scambi telefonici fra le Brigate (compresa quella dei Gr61.) e la divisione, di quei giorni tremendi, Ella si renderebbe conto positivo dei meriti di comandante di S. il C.te, che penso è un buon generale (e forse miglior generale di divisione e di Corpo d’Armata che non di Brigata) non reggevano quanto ha retto sulle posizioni. E poi e poi…Morrone se fosse sincero dovrebbe riconoscere i meriti di S. che gli fu di prezioso aiuto nel Comando del XIV Corpo d’Armata. Generale mi creda suo dev.imo A. Clerici

Il periodo che seguì la Strafexpedition fu caratterizzato da un certo assopimento bellico da parte del comando della 1ª armata costretto da Cadorna ad accantonare ogni velleità “offensiva” e a dedicarsi alla creazione di un colossale sistema difensivo che comprendeva oltre alla fronte vera e propria (dallo Stelvio all’Altipiano di Asiago) anche quella parte del Varesotto e del Comasco che confinava con la Svizzera. Certamente si combatteva: il 10 settembre 1916 cominciò l’offensiva italiana sul Pasubio, caposaldo della difesa sulla linea delle Prealpi Venete Occidentali. Quale era il clima al Comando della 1ªArmata? Invitando il lettore al “beneficio d’inventario, trascriviamo quanto scrisse il generale Angelo Gatti62, il 19 maggio 1917, nel suo Diario: Beltrami, e Terziani che è con lui, mi raccontano cose mirabolanti dell’armata. In tutto l’inverno, per 5 o 6 mesi, Pecori non è mai disceso da Villa Clementi, dove abita, a Vicenza al comando. Ogni giorno, mattina e sera, due automobili conducono alla villa quegli ufficiali del comando che mangiano con Pecori. E questi, mi ha detto Beltrami, non ha in tutta la villa una carta da 100.000 della sua zona: che dico! Non una carta al 500.000. Una cosa scandalosa, e tale da far rimpiangere assai il Brusati (…). Io credo che Pecori Giraldi sia stato una persona molto intelligente. Diceva lui stesso: sordo sono, cieco anche, ma stupido no. Soltanto che era, fondamentalmente, un egoista. Cascasse il mondo, tutto andava bene, se il posto su cui egli era, restava intatto. I dispiaceri lo hanno, se non abbattuto, certo un po’ scosso: ma al principio della guerra, nonostante Bir Tobras e la sua messa addirittura a riposo, per opera di De Felice, era ancora in gamba. Ma l’affare del Trentino, troppo gravoso per lui, gli diede il tracollo. Allora, secondo me, pensò alla sua salute: e si ritirò nella Villa Clementi, aspettando gli avvenimenti. Il bello è che Cadorna, per un gran pezzo, non si accorse di nulla. E’ un gran ingenuo, in fondo. Quando il 5 aprile di quest’anno, andò per la prima volta in Trentino, trovò che le cose della 1ª armata andavano male. Allora, diede, secondo lui una terribile remenata al Pecori:«lo ha trattato come si tratta un sottenente». Io ho domandato a Beltrami, se gli fosse parso che Pecori avesse avuto impressione dalla rimenata. Mi rispose che se ne infischiava. Una sera ebbe una lettera di rimprovero dal Capo: ebbene mangiò col miglior appetito, come se nulla fosse stato. Albricci fu assolutamente una delusione. Era andato con una grande fama: dal primo giorno vide tutto disperato. Lui e Lequio, Ricci Armani,…vedevano la 60

Il generale Arcangelo Scotti quello che Lussu chiamava il generale Leone. Granatieri 62 ANGELO GATTI, Caporetto, dal diario di guerra inedito, Società editrice Il Mulino (Bologna, 1964) pag. 16-17. 61

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salvezza soltanto nel ritirarsi al piano. Stava delle ore sul canapè, nervoso, irascibile, dicendo che le cose andavano malissimo. Un giorno diede l’ordine di ritirarsi dall’altipiano, e di lasciare anche le ultime difese di esso. Terziani e Berti presero su di sé di trattenere l’ordine fino al mattino seguente, e poi la cosa fu smorzata, e l’ordine trattenuto; ma se si fosse obbedito subito all’Albricci, un disastro si sarebbe aggiunto. Chi fece bene, in quelle circostanze, fu il colonnello Clerici. Dice Terziani che egli solo, di tutto il comando, era a contatto con i comandanti delle truppe, in modo da sentire il polso di esse: e così poteva rimediare, inviare soccorsi, ecc. Ascoltava molto ciò che diceva il col. Mattei, capo di S.M. del V corpo, e faceva. Bessone, nervosissimo, non faceva che bestemmiare.

Qualche esagerazione c’era nelle considerazioni dei due ufficiali perchè parlarono “ a caldo”! Pecori Giraldi non era poi così immobile perché il 24 febbraio 1917 il colonnello Clerici scriveva al fratello Enrico dicendogli: ho tardato a rispondere ai figlioli e a Lina, perché in tutta la settimana sono stato sempre in giro per la fronte con Sua Eccellenza (Pecori Giraldi).

In vecchiaia il generale Clerici ricordava di aver partecipato, nell’ambito del comando della 1ª armata, all’ideazione della strada del Pasubio che in brevissimo tempo (dal 6 febbraio al 20 agosto 1917) fu costruita per un percorso di 6.100 metri di cui 4.000 scavati nella roccia. 2.- Comandante della quarta brigata bersaglieri (1917) Il 23 marzo 1917 il colonnello Ambrogio Clerici fu nominato colonnello brigadiere, grado che era stato creato durante la guerra per gli ufficiali generali che avevano il comando di una brigata. Il 1° aprile il colonnello brigadiere Clerici assunse il comando della quarta brigata bersaglieri che doveva essere rifondata. Nella zona ad est di Vicenza, tra Bertesina e Casa Latino, affluirono il 14° e il 20° reggimento bersaglieri destinati alla costituzione della brigata. Qui provetti ed agguerriti elementi accanto ai vigorosi giovani della classe 1897 intraprendono un intenso periodo d’istruzione e di allenamento63.

Il generale Clerici trova il tempo di scrivere ai nipoti: Ecco il primo esemplare della prima cartolina della 4ª Brigata bersaglieri, che dedico a voi, angioletti del mio cuore, come augurio per la Brigata e per voi! Tanti baci Aff.imo zio Bogio

MINISTERO della GUERRA, Riassunti storici dei corpi e comandi nella guerra 1915-18, volume IX “I bersaglieri”, ed. Libreria dello Stato. 63

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Foto 6. Il cavallo lo forniva la famiglia Nell’aprile 1917 il generale Foch venne a Vicenza in visita alla 1ª armata: l’8 aprile, accompagnato dai generali Pecori - Giraldi ed Albricci, si recò alla Bertesina dove fu accolto dal colonnello brigadiere Clerici che gli presentò la 4ª brigata bersaglieri. Il 20 aprile 1917 la moglie del generale (Vittoria Villa) scriveva64 da Torino alla cognata per informarla della partenza della brigata per la prima linea: Mia cara Adelaide pensando che Ambrogio non avrà avuto tempo di scrivervi per il molto lavoro ti avverto che egli deve lasciare oggi la Bertesina per andare colla sua brigata in linea più avanzata. Potete immaginare l’emozione che mi ha procurato questa notizia per quanto aspettata e quanto ora sono cresciute le mie ansie. Ottavio65 mi ha scritto che è stato a salutarlo e che lo ha trovato benissimo e raggiante fra i suoi bersaglieri…

L’avvocato Carlo Clerici, allora tenente nel XLIV battaglione della milizia territoriale, descrive la serenità del fratello: 64 65

Lettera in A.d.c.C. Ottavio Villa fratello di Vittoria Villa Clerici: era agente di cambio a Genova. 32

ieri fui a Cogollo ai piedi dei monti ove è Ambrogio colla sua brigata che tiene la linea sotto il Cimone, sono stato a trovarlo e sta bene, è un generalino perfetto.

Nei primi giorni di maggio il generale Cadorna ordinò al colonnello brigadiere Clerici di lasciare il comando della 4ª brigata bersaglieri perché lo aveva nominato capo di stato maggiore della prima armata. Capo di stato maggiore della prima armata (1917-18)

Foto 7. Lo stato maggiore della I Armata Il colonnello brigadiere Ambrogio Clerici il 13 maggio 1917 scriveva66 alla sorella: Cara Adelaide, Grazie per la tua lettera affettuosa. Mi occuperò di tutti. Mi hanno tolto ai miei bersaglieri per restituirmi qui al comando dove ero prima, con l’incarico di capo di S.M. dell’Armata.

Il generale Gatti, nel suo Diario, ci svela il retroscena che portò alla nomina del colonnello brigadiere Clerici che lo fece il numero due (dopo il comandante: il generale Guglielmo Pecori Giraldi ) di una armata che combatteva dallo Stelvio all’Assa. Il 5 aprile 1917 il generale Cadorna andò nel Trentino e trovò “che le cose della 1ª Armata andavano male 67”. In seguito a questa visita agli inizi del maggio 1917 tutto lo Stato Maggiore del 1ª armata 66 67

Lettera in A.d.c.C. GATTI, op. cit, pg. 16. 33

venne mutato68: il generale Albricci (capo di stato maggiore) andò a comandare la 5ª divisione, il colonnello Bessone (sottocapo di stato maggiore) un reggimento d’artiglieria, Beltrami al IX corpo d’armata. Il colonnello brigadiere Ambrogio Clerici sostituì il generale Albricci; sottocapo fu nominato il colonnello Delfino De Ambrosis al quale succederà poi il colonnello Mario Asinari di Bernezzo. Un soldato69 di Costa de’ Nobili, che il generale Clerici aveva sistemato al comando dell’armata scriveva70: sono proprio tranquillo trovandomi proprio qui vicino al Signor Generale mi pare di essere qui in casa sua, il giorno 27 per pura combinazione avremo fatto 200 metri di strada, io da una parte e lui dall’altra, ma essendo nel cuore della città non mi fidai andarci a parlare, gli o fatto il saluto, me lo rese e via, tante volte me lo trovo nell’ufficio del suo Sottocapo dove porto telegrammi, ma silenzio.

Il colonnello brigadiere Clerici nel suo nuovo incarico, come era successo quando era sottocapo di stato maggiore, ci mise tutto il suo impegno e il suo entusiasmo. Nell’estate 1917 si presentò all’Italia un’occasione che, forse, avrebbe potuto anticipare di parecchi mesi la fine della guerra. Si trattava di quello che viene definito il sogno di Carzano., che ebbe nel maggiore Cesare Pettorelli Lalatta il protagonista e nel colonnello brigadiere Clerici un convinto sostenitore. La notte del 12 luglio 1917 un soldato dell’esercito austriaco raggiunse le linee italiane: era un sottufficiale del quinto battaglione della Bosnia che, per incarico del suo comandante il maggiore Ljudevich Pivko, portò un piano la cui attuazione avrebbe permesso agli italiani di conquistare il posto avanzato di Castellare ed attraversare il ponte che portava a Carzano senza trovare resistenza perché il territorio era presidiato da truppe decise a ribellarsi all’impero austro-ungarico. Per decidere sui dettagli dell’azione il maggiore Pivko desiderava conferire personalmente con un ufficiale italiano. Il maggiore Cesare Pettorelli Lalatta, addetto all’ufficio informazioni della 1ª armata, decise di andare all’appuntamento: come segnale convenzionale fece sparare due colpi di granata contro la base del campanile di Carzano. La notte del 15 luglio 1917 il maggiore Pettorelli Lalatta si incontrò col maggiore Pivko che gli consegnò un plico con diversi schizzi dello schieramento austriaco. Il 29 luglio il maggiore Pettorelli Lalatta si recò a rapporto dal comandante dell’armata (generale Pecori Giraldi) presente il colonnello brigadiere Clerici nella sua qualità di capo di stato maggiore. Nel Diario71 scrive: 29 luglio. Il generale Pecori Giraldi, il nostro comandante d’armata, mi ha fatto chiamare: il tono di sicurezza del bollettino settimanale di informazioni sul nemico e i dati così precisi che esso conteneva non gli sono sfuggiti. Gli ho raccontato come e da GATTI, op. cit., pg. 15 e 16. Gaetano Brambilla 70 lettera indirizzata ad Adelaide Clerici il 28 novembre 1917. In A.d.c.C. 71 in CESARE PETTORELLI LALATTA, l’occasione perduta (Carzano 1917), ed. Mursia (Milano, 1967), pg. 55. 68 69

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chi avevo ricevuti dati così precisi e gli ho esposto anche quali erano le mie intenzioni per il futuro: la sua meraviglia e la sua incredulità hanno ceduto a mano a mano il campo alla più viva soddisfazione. Il buon colonnello (brigadiere) Clerici, che assisteva, mi ha detto un «bravo» così di cuore e così affettuoso che ne sono rimasto commosso. Mi sono permesso di pregarli del più assoluto riserbo anche con gli altri comandi: c’è di mezzo, oltre che la pelle mia e Pivko, la possibilità di mandare tutto a monte.

Il colonnello brigadiere Clerici vi vide la possibilità di un’azione che, se ben condotta, avrebbe potuto portare fino al Brennero. Nel suo Diario72 il maggiore Pettorelli Lalatta scriveva: 7 agosto. Oggi giornata calma. Il colonnello (brigadiere) Clerici mi ha chiamato nel suo ufficio per essere orientato in tutti i particolari sui miei rapporti con Pivko. Anch’egli continua a mostrarsi entusiasta del mio progetto, vuole anzi, quando suonerà l’ora, partecipare direttamente all’azione. Magari! E’ di buona razza, generoso, e conosce il terreno meravigliosamente bene. Sono sicuro che ha volontà e fegato per arrivare al Brennero.

C’era però un ma…la Valsugana era territorio di competenza della 6ª armata, anche se il comando della 1ª armata vi aveva per i compiti strategici completa giurisdizione73: bisognava informare il comando supremo. Il 4 settembre 1917 il generale Cadorna convocò il maggiore Pettorelli Lalatta che gli espose il piano. Cadorna lo congedò ripromettendosi di comunicare il nome del generale che doveva guidare l’azione. Il Pettorelli Lalatta nel suo diario scriveva: 7 settembre, notte…Chi sarà il generale scelto a comandare la divisione destinata all’azione di sorpresa? Speriamo sia in gamba. Sia uno che osi. Ecco, io vorrei Di Giorgio, mi piace come soldato, mi piace come generale. E con lui, il mio buon colonnello Clerici, tutto nervi e tutto fuoco, e il generale Andrea Graziani, il padrone della Valsugana, e Zoppi e Viora, i due generali dei reparti di arditi. Con loro si potrebbe arrivare al Brennero: chi li fermerebbe?

Cadorna chiese al colonnello Tullio Marchetti74, comandante dell’ufficio informazioni della 1ª armata, di indicargli una terna di generali per scegliere quello cui affidare il comando della divisione di testa. Il colonnello Marchetti fece i nomi dei generali Andrea Graziani, Antonino Di Giorgio, e del colonnello brigadiere Ambrogio Clerici. Cadorna, nonostante i consigli, scelse Zincone75 un generale che non conosceva il terreno e poco fiducioso dell’impresa. La notte fra il 18 e il 19 scattò l’azione. Il maggiore Pettorelli Lalatta raggiunse, in territorio nemico, il maggiore Pivko e gli uomini a lui fedeli: narcotizzarono la guarnigione austriaca di Carzano. Da parte italiana si commisero errori notevoli: se il generale Zincone avesse lanciato con decisione i suoi uomini, certamente avrebbe raggiunto il successo sfruttando Idem, pag. 65. Idem, pag. 60 nota 1. 74 Generale TULLIO MARCHETTI, Memorie, pg. 255. 75 Attilio Zincone (1869-1939) colonnello brigadiere nel 1917. 72 73

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la sorpresa. La divisione si mosse a passo di lumaca, snodandosi timorosa nei camminamenti invece di avanzare celermente all’aperto. Dopo alcune ore gli osservatori austriaci si accorsero dei movimenti italiani, la sorpresa svanì e di fronte a una debole reazione del nemico il generale Zincone ordinò la ritirata. Svaniva così ingloriosamente il sogno di Carzano! Dalla metà del settembre 1917 la fronte della 1ª armata subì dei mutamenti: - perse la giuridizione sia sul tratto della fronte dallo Stelvio al Garda, tenuta dal III corpo d’armata, che passò alle dipendenze del Comando Supremo; sia sulla fronte di Val di Brenta, tenuta dal XVIII corpo d’armata, che passò alla 4ª armata. - ritornò ad avere competenza sul settore degli altipiani perché la 6ª armata venne sciolta. Dopo questo riassetto dipendevano dalla 1ª armata: -il comando truppe altipiani affidato al generale Armano Ricci Armani che aveva giurisdizione sul: • XX corpo d’armata: comandato dal generale Giuseppe Francesco Ferrari; • XXII corpo d’armata: comandato dal generale Pietro Gatti; • XXVI corpo d’armata: comandato dal generale Augusto Fabbri; -V corpo d’armata: schierato dallo Zugna al Posina al comando del generale Gaetano Zoppi; -X corpo d’armata: schierato nel bacino Posina-Astico al comando del generale Paolo Morrone, che sarà sostituito poco dopo dal generale Emilio Sailer. -XXIX corpo d’armata: schierato dal Garda alla regione Zugna al comando del generale Vittorio De Albertis. *** Il 24 ottobre 1917 colonne tedesche sfondarono, nella conca di Caporetto, la fronte del IV e XXVII corpo d’armata. Per l’esercito italiano fu un momento tragico: re Vittorio Emanuele III a Peschiera, con animo fermo, convinse gli alleati che l’esercito italiano non doveva ritirarsi ulteriormente, ma prendere posizione lungo la riva destra del Piave. Con la stessa fiducia del suo Re il colonnello brigadiere Clerici svolse il gravoso lavoro. Spesso andava ad accogliere i treni con le truppe che venivano dalla rotta di Caporetto, qualche volta partiva dai vagoni un colpo di fucile o di pistola76. Nel novembre 1917 l’onorevole Teso e il consigliere di stato Antonio Morconi si consultarono con le autorità vicentine per decidere il da farsi in caso di rottura della fronte sui monti. Ebbero anche un lungo colloquio col colonnello brigadiere Clerici. Il 15 novembre il generale Diaz emanò un’ordinanza che imponeva alle amministrazioni pubbliche di rimanere al loro posto.

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Testimonianza ad uno degli autori dell’avvocato Carlo Clerici (1878-1957). 36

Il capo di stato maggiore sottopose, il 7 novembre, alla firma del capo dell’armata, generale Pecori Giraldi, una relazione, che venne presentata al comando supremo, nella quale si faceva presente che i 118 battaglioni disponibili erano insufficienti e che ne erano necessari altri 88 battaglioni e 400 bocche da fuoco. La sera del 9 novembre gli austriaci attaccarono sull’altipiano di Asiago con l’intento di scendere a Bassano, ma Le brigate «Toscana», «Mantova», «Pisa», i bersaglieri del 5° Reggimento e i Reparti d’assalto, in ammirevole e perfetto accordo colle artiglierie di ogni specialità, di ogni calibro, hanno mostrato che l’antico valore è più che mai vivo nella truppe della 1ª armata77.

Poi, per cercare di completare il successo conseguito nell’alto Isonzo, il feldmaresciallo conte Franz Conrad von Hötzendorf decise di attaccare la Meletta di Gallio, una delle vette che chiudono a nord-est l’altipiano di Asiago. Il primo attacco venne sferrato il 12 novembre 1917: il comando della prima armata optò per la difesa ad oltranza che durò da novembre a dicembre. Durante la notte fra il 4 e il 5 dicembre per le truppe italiane la situazione divenne disperata78. Il generale Boriani, comandante della 29ª Divisione, dopo essersi accordato col comando del XX corpo d’armata, decise di ripiegare sulla linea Sasso Rosso- Buso di Gallio. Poco dopo il generale Armano Ricci Armani (comandante delle truppe altipiani) chiamò al telefono il comando della 1ª armata per segnalare il ripiegamento. Il colonnello brigadiere Ambrogio Clerici, nella sua qualità di capo di stato maggiore dell’armata, ordinò di revocare l’ordine di arretramento e di predisporre per l’alba un nuovo contrattacco dicendo che avrebbe inviato come rinforzo la brigata di fanteria Verona79. Fra Clerici e il generale Ricci Armani vi fu una violenta discussione80 alla fine della quale il generale Ricci Armani chiese un ordine scritto firmato dal generale Pecori Giraldi, comandante dell’armata. Questi dormiva, come di consueto a Villa Clementi, lontano dal comando della sua armata…la situazione richiedeva una rapida decisione, cosicchè il colonnello brigadiere Clerici compilò l’ordine falsificando la firma del generale Pecori Giraldi, che del resto nel suo ordine del giorno indirizzato alle truppe il 3 dicembre aveva scritto:” occorre perservare tenacemente fino all’ultimo, abbarbicandosi ai nostri monti, dai quali il nemico non deve discendere.” L’ordine redatto quella notte dal capo di stato maggiore dell’armata diceva: Necessità stabilire situazione in Val Miela e verso Badonecchie s’impone in modo assoluto per garantire possesso Melette che devono mantenersi qualsiasi costo. Venga predisposto per alba domattina nuovo contrattacco con forze adeguate, massimo vigore di condotta, cooperazione tutte artiglierie possibili. Sia preveduto 77

Dal proclama del conte generale Guglielmo Pecori Giraldi. BEPI BOCCARDO, Melette 1916-1917, Gino Rossato Editore ( Novale di Valdagno, 1994) pagg. 241-242. 79 AMEDEO TOSTI, Il maresciallo d’Italia Guglielmo Pecori Giraldi e la 1ª Armata, Tipografia Vincenzo Bona (Torino, 1940) pag. 138. 80 Testimonianza dell’avvocato Carlo Clerici. 78

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anche il caso peggiore che il nemico riesca incanalarsi Val Vecchia, preparando in opportune posizioni reparti di fanteria, mitragliatrici, azioni di batterie per sbarrare discesa forze avversarie ed avvolgerle.

Le truppe italiane riuscirono a resistere fino a mezzogiorno del giorno seguente: costrette a cedere la Meletta di Gallio riuscirono però a trincerarsi sul limitare dell’Altipiano. La difesa ad oltranza della Meletta di Gallio, ordinata la notte fra il 4 e il 5 dicembre 1917, da alcuni considerata “incredibile81“, era dettata dalla preoccupazione che una ritirata precipitosa permettesse agli Austriaci di irrompere in Val di Brenta. Non bisogna dimenticare un altro elemento: il colonnello brigadiere Clerici era per la difesa ad oltranza sulle montagne, fatta non cedendo al nemico nemmeno un palmo di terreno, e aveva l’idea che il generale Ricci Armani volesse ritirarsi senza opporre una strenua resistenza. Era notorio che Ricci Armani, generale molto valido, apparteneva a quella schiera di generali che “vedevano la salvezza soltanto nel ritirarsi in piano 82 ” per affrontare in pianura il nemico. Era una visuale strategica che aveva avuto il suo teorizzatore nel generale Agostino Ricci83 che, come scrisse Cadorna, considerava le Alpi come elemento ritardatore e separatore del nemico, e si doveva cercare di battere questo agli sbocchi delle valli con manovre per linee interne84.

La scelta strategica di difendere le Melette per più di un mese con gravi perdite ha dato luogo, dopo la guerra, a molte discussioni. Bisogna riconoscere che servì a dimostrare ai nemici imbaldanziti dal successo, ai diffidenti alleati, e al mondo che il Soldato italiano, da solo, sapeva ancora combattere e, se necessario, morire per la Patria85.

Non era ancora finita! Il generale Conrad il 22 dicembre 1917 sulla fronte tenuta dalla 2ª divisione (generale Nigra) scatenò il III Corpo d’armata austriaco: vi fu una furiosa battaglia che durò fino a tutto il giorno di Natale. Il colonnello brigadiere Clerici, che coordinava con animo fermo all’attività dell’armata, scriveva86 il 10 dicembre 1917 alla sorella Adelaide: nonostante il lavoro, io sto bene e ho grande fiducia in tutto, malgrado tutto. Dì al nostro amato paese che tutti abbiano altrettanta fede e vedrete che le cose andranno a finire bene. 81

BEPI BOCCARDO, Melette 1916-1917, Gino Rossato Editore (Novale, 1994). ANGELO GATTI, Caporetto, Il Mulino (Boligna, ), pag. 17 83 il generale Agostino Ricci (1832-1896) aveva scritto importanti opere. “Appunti sulla difesa d’Italia”; “Le piazze di Piacenza e Stradella nella difesa nord-est d’Italia”; “La nostra difesa interna della Valle del Po”. 84 LUIGI CADORNA, La guerra alla fronte italiana, Fratelli Treves Editori (Milano, 1921) nota 1 a pag. 219. 85 BOCCARDO, op. cit., pag. 258 86 Lettera in A.d.c.C. 82

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La storiografia attribuisce il merito dell’organizzazione della resistenza fatta dalla 1ª armata alla fine del 1917 unicamente al generale conte Guglielmo Pecori Giraldi. Nessuno lo contesta! Ma sia concesso ricordare che, a soli tre mesi dai fatti, il consiglio comunale di Vicenza volle esprimere la propria riconoscenza “anche” al generale Clerici. Il Sindaco di Vicenza (commendatore Muzani) il 15 maggio 1918 sul monte Barco, rivolgendosi pubblicamente al generale Pecori Giraldi, gli diceva: Accanto a Voi, Eccellenza, non potevamo dimenticare il fedele e pronto e prezioso cooperatore Vostro, il generale Ambrogio Clerici che con Voi nel maggio 1916 e nel dicembre 1917 diresse su questi monti la difesa di Vicenza. Due anime che ardevano come un’anima sola; due cuori che pulsavano di un battito solo; due menti illuminate dalla medesima luce87.

Lo stesso generale Clerici prendendo la parola poco dopo sottolineò che la sua “modesta” opera si era svolta all’ombra e sotto, il fulgido riflesso dell’alto e possente impulso di Sua Eccellenza, il Comandante della prima Armata,

ma aggiungeva un elogio agli ufficiali che componevano il comando della 1ª armata: frutto, l’opera mia, di collaborazione sincera, affettuosa, costante ed intelligente data in ogni momento, in ogni minuto, da tutti i bravi ufficiali del Comando della prima Armata con vera abnegazione e spirito di sacrificio nel compimento del loro dovere.

Era un discorso degno di un Capo!!! Nel dicembre 1917 erano passati alle dipendenze della 1ª armata i resti di sei reparti d’assalto della 2ª armata. Vennero con cattiva fama: li concentrarono nella zona Debba-Longara e cercarono di “normalizzarli” allontanando dal comando il colonnello Bassi perché come scrisse uno di loro non avevano mai visto arditi prima d’allora; non sapevano cosa fossero le truppe d’assalto, ignoravano candidamente il nostro spirito, i nostri metodi, la nostra vita, e credevano in buona fede che fossimo avanzi di galera, rifiuti della società, macellai e nello stesso tempo carne da macello, uomini bestiali e sanguinari, reparti di disciplina. Si ricredettero presto e ciò torna ad onore del comando della 1ª Armata88.

Il colonnello brigadiere Ambrogio Clerici non piccola parte ebbe in questo “ricredimento”89: del resto nel 1915 era stato favorevole all’istituzione della “Compagnia Autonoma Esploratori Arditi” da parte del tenente Cristoforo Baseggio. Il 20 dicembre 1917, dopo aver passato in rivista i reparti d’assalto, prese la parola iniziando il suo discorso con queste parole: 87

De Mori, pag. 459 PAOLO GIUDICI, Reparti d’assalto, Alpes (Milano, 1928). 89 GIORGIO ROCHAT, Gli arditi della grande guerra, Editrice Goriziana ( Corte Sant’IlarioGorizia, 1990), pg. 61. 88

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Arditi delle fiamme nere! Una superba fama vi precede: fama di insuperabili guerrieri cui nessun nemico sa resistere.

Fu un discorso importante perché disse ufficialmente che i reparti d’assalto non sarebbero stati sciolti. Ambrogio Clerici parlò per circa mezz’ora, tenendo il più alto elogio dei Reparti d’Assalto, magnificandone le virtù, esaltandone le leggendarie imprese. Poi terminò invitando ad inneggiare al Re. Un urlo altissimo si levò da duemila bocche nell’aria decembrina: “viva il Re” seguito immediatamente da un altro, parimenti alto: “viva il colonnello Bassi”. Nel secondo grido era chiarissima la protesta degli Arditi contro l’ingiustizia fatta al loro capo. Il generale dovette capirlo, capì certamente e chi in quel momento lo fissò lesse sul viso di lui la espressione d’intimo compiacimento per la fedeltà e l’amore che quei soldati serbavano al loro condottiero90.

Tra il 27 e il 31 gennaio 1918 spettò alla 1ª Armata dimostrare che, con la conquista del monte Valbella, di Col del Rosso e di Col d’Echele l’esercito italiano aveva superato la crisi di Caporetto e ritrovato l’animo delle antiche battaglie. Il Tosti ha scritto 91 che: mirabile sotto ogni aspetto fu la preparazione di questa azione: dalle previdenze logistiche all’accumulo delle munizioni; dallo schieramento delle artiglierie, alle disposizioni, in gran parte ispirate a concezioni nuove, per l’impiego di esse, dalle cure materiali per le truppe, da mesi soggette a disagi materiali irreparabili oltreché al logorio delle recenti azioni, dall’opera efficace di propaganda militare.

In tutto questo non poca parte ebbero il colonnello brigadiere Ambrogio Clerici ed altri ufficiali del comando della 1ª armata. come riconobbe il generale Schiarini che scrisse92: Giustizia vuole che qui sia fatta menzione di coloro i quali collaborarono in modo più diretto e utile a creare tale assetto: e cioè il brigadier generale Clerici, capo di Stato Maggiore, fedele, operoso ed intelligente interprete ed esecutore del pensiero del comandante; ed accanto a lui del colonnello De Antoni, comandante del Genio dell’Armata, del generale d’Havet e dei colonnelli Guidetti A. e Ferraro L. rispettivamente comandanti del Genio dei Corpi d’Armata 5°, 10° e 29°.

Con decorrenza 1 marzo 1918, per decisione del Comando Supremo, alla 1ª armata venne tolta la giurisdizione dell’altopiano che fu affidata alla ricostituita 6ª armata. Poco prima Ambrogio Clerici lasciava la 1ª armata nel cui comando aveva lavorato per quasi tre anni: come sottocapo di stato maggiore dal maggio 1915 al marzo 1917 e come capo di stato maggiore dal maggio 1917 al febbraio 1918. Di questo periodo gli era rimasto un ricordo: in vecchiaia a chi era reduce da vacanze passate in Trentino chiedeva notizie sulla Osteria 90

DE MORI, pg. 416. TOSTI, op. cit., pg. 156. 92 POMPILIO SCHIARINI, L’Armata del Trentino (1915-18), Arnoldo Mondadori editore (Milano, 1926) pag. 248 nota 1. 91

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dell’antico termine. Certamente sarebbe stato molto contento di leggere il racconto93 che, qualche anno dopo la sua morte, scrisse Mario Rigoni Stern. Comandante della quinta brigata bersaglieri (1918-19) Alla fine del febbraio 1918 al colonnello brigadiere Ambrogio Clerici fu assegnato il comando della 5ª brigata bersaglieri: si trattava di riordinarla per poterla portare in prima linea al più presto. Vicino a Vicenza, precisamente nella zona tra Santa Caterina di Lusiana-Polegge-Cresole-Caldogno, erano confluiti i bersaglieri del 5° e 19° reggimento. Il 1° marzo il colonnello brigadiere Clerici assunse ufficialmente il comando della brigata: espose il giorno stesso il suo programma in una conferenza che tenne a palazzo Curti davanti a tutti gli ufficiali dei due reggimenti. Come aiutante di campo di brigata94 scelse il capitano Domenico Galante: si instaurò un ottimo rapporto di stima che durò oltre la guerra, come vedremo in seguito. Nella brigata si lavorò sodo e non molto tempo dopo arrivò l’ordine di partire per l’Altopiano dei Sette Comuni: era stata assegnata alla 12ª divisione fanteria (comandata dal generale Sigismondo Monesi95) che doveva operare nell’ambito del X Corpo d’Armata (generale Enrico Caviglia96), che pur facendo parte della 1ª Armata, concorreva direttamente alla difesa dell’altopiano che era affidata alla 6ª armata (generale Montuori) che schierava un corpo d’armata britannico (48ª e 23ª divisione).

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Il racconto si intitola “Amore di confine” e si trova nella raccolta (con identico titolo) pubblicata dall’editore Einaudi (Torino, 1986). 94 L’aiutante di campo di brigata dipendeva direttamente ed esclusivamente dal generale, i cui ordini poteva comunicare verbalmente ai comandanti delle truppe i quali dovevano eseguirli. 95 Il generale Sigismondo Monesi (1862-1955), patrizio di Modena. 96 Enrico Caviglia (1862-1945), maresciallo d’Italia. Nel 1918 comandava il X Corpo d’Armata che lasciò il 23 giugno 1918 per assumere il comando dell’8ª Armata. 41

Foto 8. A riunione con i comandanti di reggimento nel 1918 Il 27 marzo 1918 il 5° reggimento bersaglieri si trasferì a Carrè di Chiuppiano; il giorno seguente il 19° reggimento bersaglieri raggiunse Zanè, Corte e Centrale. Il 2 e 3 aprile la brigata si portò tra monte Panocchio, monte Bisibollo, Sculazzon per assumere il 4 aprile la difesa del settore Val d’AsticoVal d’Assa per fronteggiare gli austriaci della 6ª divisione cavalleria appartenente al III Corpo d’Armata. La vicina 48ª divisione britannica, schierata alla destra doveva affrontare la 6ª divisione fanteria. A gomito con i bersaglieri della 5ª brigata c’erano gli Inglesi della 143ª brigata, poco più in là i francesi della 23ª divisione con i quali il generale Clerici aveva avuto da dire perché occupavano una zona che gli poteva servire nel caso di un arretramento strategico. Il colonnello brigadiere Clerici, dopo aver posto il comando della brigata sul monte Barco, assegnò al 5° reggimento bersaglieri il compito di presidiare il tratto della fronte compreso fra Val Barco, saliente Monte Belmonte, rovescio di monte Panocchio e al 19° reggimento bersaglieri il tratto della fronte compresa tra malga Cava, Cima Ardè, Capitello del Ripavo, Punta Corbin - Monte Cengio, testata Val Silà.

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Foto 9. Ambrogio al lavoro Il bersagliere Francesco Losco scrisse97 di quel tempo: rimpiangevo con nostalgia i bivacchi con i miei camerati bersaglieri, in compagnia di un fiasco con l’etichetta “vino Chianti”, mentre si cantava “dove sei andato ” e “sul ponte di Bassano ”.

Ambrogio Clerici si recava spesso in prima linea, così sessanta anni dopo il bersagliere Luigi Vitali98 ricordava: nel mese d’aprile ho avuto la combinazione di parlare col generale Clerici: eravamo nelle trincee della Val d’Assa, lui è venuto a fare un giro d’ispezione e in quell’ora io ero di sentinella. Quando è stato vicino a me si è fermato e mi ha interrogato con parole buone, parlava come fosse un amico, ha voluto sapere di che distretto ero e io ho risposto distretto di Lodi e lui mi ha fatto ridere siccome era il mese delle viole mi ha detto se mi piacerebbe andare per viole insieme alle ragazze e io mi sono messo a ridere.

Il 23 aprile 1918 reparti del 19° reggimento bersaglieri eseguirono, con esito favorevole, un colpo di mano recandosi a Pedevala sorprendendo una piccola guarnigione nemica. Oltrepassati i reticolati irruppero nella casa occupata dal piccolo presidio, impegnando con esso viva lotta e riuscendo a infliggergli gravi perdite99. Nello stesso periodo pattuglie del 5° reggimento bersaglieri compirono un fortunato colpo di mano su Poggio Privel. I componenti della pattuglia, arrampicatisi su per un canalone roccioso, penetrarono nella linea avversaria e catturarono alcuni prigionieri. In questa azione il tenente Renato

In seguito ad annuncio pubblicato, nel 1964, su “la Domenica del Corriere” aveva risposto (21 ottobre 1964) il bersagliere Francesco Losco (in A.d.c.C. cassetta n. 38). 98 in seguito ad annuncio pubblicato nel 1978 su “Famiglia Cristiana” aveva scritto (19 maggio 1978) il cavaliere di Vittorio Veneto Luigi Vitali da Santo Stefano Lodigiano. 99 l’episodio venne citato nel bollettino di guerra del 25 aprile 1918. 97

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Ricci meritò la medaglia di bronzo al valor militare con questa motivazione100: Di notte, guidava una piccola pattuglia attraverso terreno impervio, e con difficile e audace operazione, scalate alcune rocce, balzava per primo in un posto avanzato nemico, costringendone alla resa i difensori (Val d’Assa, 24 aprile 1918).

I bersaglieri della quinta brigata oltre a compiere azioni di pattuglia lavoravano alacremente per la costruzione di nuove strade e per dare una solida difesa al settore che presidiavano. *** Nel maggio 1916 quando il Comando della 1ª Armata si era trasferito a Vicenza l’allora colonnello Clerici si era fatto portare in Vescovato per parlare col Vescovo della città. Si era trovato di fronte monsignor Ferdinando Rodolfi, nativo di San Zenone Po, paese a due chilometri da Costa dei Nobili, che era figlio di una amica (Esther Guazzoni Rodolfi) della madre (Cleofe Ticozzi Clerici). Ne era nata una collaborazione stretta101. Nel maggio 1918 il generale Clerici si era accorto che le chiese di Cesuna e di Tresché Conca erano in una zona che poteva essere occupata dagli austriaci: volle salvare le campane. Ordinò102 al tenente Angelini, comandante della 822ª compagnia mitraglieri, di togliere le campane dai due campanili e di portarle a Vicenza dal Vescovo con una sua lettera nella quale, fra l’altro, si leggeva che i bersaglieri della 5ª Brigata aveva agito per conservare le campane al culto della religione e al culto della Patria. Queste campane sono sacre perché suonarono i loro rintocchi e squillarono la loro voce, qui sull’Altopiano di Asiago, su questo estremo lembo del nostro territorio e parve agli ascoltatori di oltre confine che quella fosse la voce di richiamo della Patria della grande Madre vigile che non dimentica i figli strappati al suo affetto, gementi sotto l’oppressione tirannica103.

Monsignor Ferdinando Rodolfi, nel prendere in consegna le campane, scriveva104: Scendono esse dall’estremo lembo della Patria libera, per dire a noi l’audacia meravigliosa e il sentimento squisito dei loro salvatori, e per assicurare che esse potevano essere ritirate in seconda linea, finchè lassù, in faccia allo straniero, vi sono delle sentinelle vigili, delle anime credenti, dei cuori di bronzo come i bersaglieri del generale Clerici. Essi devono ora compiere l’opera: contenere e ricacciare l’invasore, perché le campane dell’Altopiano tornino presto lassù a cantare l’inno della liberazione e della pace. 100

SANDRO SETTA, Dallo squadrismo alla Repubblica Sociale Italiana, Il Mulino (Bologna, 1986), pag. 18. 101 ENRICO E. CLERICI, 1918: il Vescovo sanzenonese, il generale costese e le campane del vicentino, articolo in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria (Pavia, 1997), pgg. 481-484. 102 Lettera del cavaliere Bertinotti del in A.d.c.C. 103 GIUSEPPE DE MORI, Vicenza nella guerra 1915-18, Rumor (Vicenza, 1931), pag, 171. 104 idem 44

*** Il 15 marzo 1918 il Consiglio Comunale di Vicenza aveva deciso di conferire la cittadinanza onoraria al generale Guglielmo Pecori Giraldi e di donare al generale Ambrogio Clerici una medaglia d’oro con inciso sul “recto” lo stemma di Vicenza e nel “verso” queste parole: AL GENERALE AMBROGIO CLERICICAPO DI STATO MAGGIORE DELLA 1ª ARMATA VICENZA MEMORE E RICONOSCENTE ANNO 1916-18

Appena apprese la notizia si affrettò a scrivere al sindaco di Vicenza questa lettera: COMANDO V BRIGATA BERSAGLIERI

19 marzo 1918 Illustre Signor Sindaco, La notizia della deliberazione dell’on. Giunta Municipale mi commuove, sia per il lusinghiero attestato di amichevole stima datomi da Vicenza, sia per il gentile pensiero col quale si volle benevolmente accomunare la mia modesta opera a quella altamente meritoria di S.E. il tenente generale Pecori-Giraldi, illustre e bene amato Comandante della I Armata. In un anno di vita comune ho conservato un vero culto per Vicenza, per questa insigne città dell’arte e della gloria, per questa eroica “Terra Vicentina” nobile e fiera rappresentante della grande Madre Italia, in prima linea: culto, che ha avuto una eco viva e sincera nel cuore degli ufficiali del Comando della I Armata – miei infaticabili, zelanti ed intelligenti collaboratori: che si trasfuse nell’animo “cremisi” dei bersaglieri della IV Brigata, quando ebbi l’onore di fondarla a Bertesina, lo scorso anno, e che recentemente si mostrò degna di Vicenza a Monte Val Bella: culto, che sarà senza dubbio molla potente animatrice dello spirito bersaglieresco della V Brigata bersaglieri - figlia anch’essa di Vicenza - che ben presto avrà l’ambito posto in prima linea, a difesa più diretta della “Terra Vicentina”. Voglia illustre Commendatore, rendersi interprete presso i suoi colleghi, presso tutti i cittadini di Vicenza, cui mi legano vincoli di affetto e di gratitudine, dei miei sentimenti di viva riconoscenza ed assicurarli che la modesta opra mia e la vibrante anima delle due Brigate Bersaglieri che ebbero l’onore dei natali in terra vicentina, continuerà sempre tutta, vigile ed alacre “Pro Patria Vicenza”. Col massimo ossequio Colonnello brigadiere A. Clerici

Il 18 maggio 1918 le autorità civili e religiose della città di Vicenza salirono in prima linea sul Monte Cengio occupato dai bersaglieri del generale Clerici per consegnargli la medaglia d’oro. Era presente anche il generale Pecori Giraldi che ricevette la pergamena che attestava il conferimento della cittadinanza onoraria di Vicenza. Scriveva “Il Corriere Vicentino105” che, dopo la consegna della medaglia, il generale Clerici pronunciò questo discorso106: 105

Del 19 maggio 1918. 45

Eccellenza, Signori, Bersaglieri! Non ho parole per ringraziare Vicenza dell’onore fattomi, per l’atto spontaneo generoso col quale la città volle premiare la modesta opera mia, svolta all’ombra e sotto il fulgido riflesso dell’alto e possente impulso di Sua Eccellenza il Comandante della prima Armata, frutto, l’opera mia, di collaborazione sincera, affettuosa, costante ed intelligente data in ogni momento, in ogni minuto, da tutti i bravi ufficiali del Comando della prima Armata con vera abnegazione e spirito di sacrificio nel compimento del loro dovere. Dovere che è il faro luminoso della nostra vita, che mai si è sentito così vivo come ora, all’indomani del giorno in cui parve definitivamente sopito in Italia: dovere che ricorre dalla Nazione all’Esercito e dall’Esercito alla Nazione con ritmo continuo, quotidiano, ad ogni ora, inesistente; nobile fiamma alimentatrice di virili propositi: dovere che dice a me di curarti fino allo scrupolo o bersagliere e guidarti nel miglior modo nei cimenti, a te di seguirmi senza fine; che alla Nazione ordina di servire il combattente e di nutrirlo di fede e di costanza; al combattente di proteggere la Patria sino al sacrificio della vita: dovere che ci tiene uniti, avvinti ad un sol patto, la difesa del sacro suolo d’Italia dall’insidia straniera. E questa difesa, o bersagliere, o si compendia oggi per noi nella difesa di Vicenza, l’eroica città che conobbe gli orrori della dominazione straniera, che seppe gli eroismi del 1848, eroismi di cui questa venerata bandiera porta il supremo simbolo d’onore: questa città insigne nell’arte, nella gloria, nel patriottismo, che nelle ansie del maggio 1916, or fanno due anni, alle truppe accorrenti sull’Altipiano, seppe riaccendere l’animo con fede inconcussa e lo ricordano molti di voi che fecero parte allora della nobile schiera, accorrente: questa forte città che – avanguardia della Patria verso il nemico - sempre fu alla testa di tutta la Nazione nelle manifestazioni patriottiche in pro del combattente. Ricorda o bersagliere e le virtù di Vicenza ti siano da sprone a mirabili atti! E ricorda altresì: qui, sino a queste balze, fin qui ha potuto segnare l’orma del suo piede pesante il tracotante straniero invasore nel maggio 1916 e di qui ha potuto spingere il suo sguardo impuro sulla nobile terra Vicentina che giace in ampia, soleggiata ed adorata distesa ai piedi del monte; tutta avvolta nel nastro argenteo dei suoi fiumi l’Astico e il Brenta. Fin qui osò arrivare, ma di qui fu energicamente respinto. Pel sangue degli eroi che ci precedettero quassù, per le umili ammonitrici croci sparse sull’Altipiano, che il nostro cuore circonda di quotidiane cure amorose: per i tesori d’arte e di affetto che la terra vicentina racchiude laggiù: ricorda bersagliere, che qui, sul Cengio o si vince o si muore – di qui si scende o con la palma del martirio o con la palma della vittoria; i colori di Vicenza, il bianco e il rosso, qui oggi si intrecciano col verde del cordone delle tue trombe e insieme fanno il nostro adorato tricolore, che ti fascia l’anima o bersagliere, l’anima cremisi di virili cimenti, e ti dice: « Vicenza riposa tranquilla e fidente perché tu vegli per Lei!» Ricorda o bersagliere e non dimenticare il motto della tua brigata: “Frangar non flectar”. Il bersagliere “si spezza non si piega”. Illustre Commendatore, Sindaco di Vicenza, conserverò fra i ricordi più cari questo pegno della stima di cui Vicenza volle benevolmente onorarmi: grato a tutti loro che vollero aggiungere all’atto generoso la forma gentile che va diritta al cuore: la consegna in mezzo ai bersaglieri che amo sopra ogni altra cosa al mondo: quassù su questi monti dove il dovere e l’amore di Patria ci avvolgono col loro bacio di purissima fiamma! Dica ai suoi concittadini la mia gratitudine e li assicuri che l’anima della quinta brigata, vibrante di affetto patriottico, di entusiasmo virile per ciò che codesta adorata bandiera rappresenta, veglia sulla soglia della Patria ed sia sicura che qui 106

Il testo integrale si trova in “Corriere Vicentino” del 19 maggio 1918. 46

non si passa: dica a tutti che i bersaglieri della quinta brigata fusa l’anima loro coi colleghi delle altre armi, stretti intorno al loro comandante, con piena fiducia in chi sta alla testa dell’Armata sapranno difendere la nobile terra vicentina da qualunque insidia, colla tenacia di propositi, colla fermezza d’animo di cui già la quinta brigata diede prova indubbia alla Bainsizza e a Globna. E a Lei Eccellenza, Monsignor Vescovo di Vicenza cui mi legano rapporti di amicizia antica e di ammirazione profonda, che sa sempre accomunare in ogni suo atto Patria e Religione, i bersaglieri della quinta brigata rinnovano la promessa che i sacri bronzi discesi per virtù di forza e di ardire bersaglieresco dai pericolanti campanili di Teschè e di Cesuna, per sottrarli all’ira iconoclasta nemica, ritorneranno fra breve ad ascendere la strada del Costo per suonare a distesa sull’Altopiano l’inno della Vittoria. E così sia.

Il Corriere della Sera nel riferire della cerimonia aggiungeva che: il nome del generale Clerici è simbolo di serietà, di fermezza, di intelligenza e di valore.

I riconoscimenti al generale Clerici vennero pure dalle nazioni alleate. Il 20 maggio 1918 il comandante delle truppe francesi in Italia gli cingeva il collo con l’insegna di commendatore della Legion d’honneur107 dandogli il tradizionale abbraccio, poi davanti al neo commendatore sfilarono tre battaglioni dell’esercito francese preceduti dalla musica e dalla bandiera del reggimento108. Filippo Marinetti, il padre del futurismo, il 3 giugno 1918 si recò in visita alla quinta brigata bersaglieri e così nel suo Diario109 ha scritto: Il monte Barco è pieno di cannoni. I 149 colle lunghe volate tese vestite di fogliame e di paglia sembrano agili donne negre seminude in sciolte vestaglie d’oro. Altri 149 sembrano buffali grondanti che escono da un fiume giallo. I 152 da marina sporgono sui fianchi delle grosse manovelle come belle gambe nude di negre. Entriamo dal generale Clerici comandante la 5ª Brigata Bersaglieri. E’ celebre popolare adorato dai suoi soldati. Gentilissimo munifico. E’ molto ricco e generoso. Il colonnello brigadiere Clerici era sottocapo di Stato maggiore della 1ª Armata durante la 1ª offensiva Austriaca nel Trentino. A colazione Clerici racconta. Noi avevamo allora - dice Clerici - 250.000 uomini dallo Stelvio al Cordevole su 350 chilometri!!! Circa 600 cannoni in gran parte vecchi! In undici giorni abbiamo compiuto il prodigio di avere 700.000 uomini e 2.000 cannoni. Un reggimento granatieri che passeggiava a Roma alle ore 6 pomeriggio era in treno alle ore 10 di sera e l’indomani a mezzogiorno combatteva sul Cengio. Avevo - dice - 600 camions a Vicenza che coi chauffeur addormentati dalla stanchezza portarono tutte le truppe in linea. Si sentiva il pugno Cadorniano ! A tavola il capitano dei bersaglieri Galante mi manifesta la sua anima futurista. Era studente a Bologna quando noi abbiamo occupato militarmente l’Università per 3 giorni. Il generale Clerici ci riconduce in automobile a Malga del Costo.

Ambrogio Clerici nel 1904 era diventato cavaliere. Ne diede notizia il Corriere della Sera del 21 maggio 1918. 109 FILIPPO TOMMASO MARINETTI, Taccuini 1915-27, edizioni il Mulino (Bologna, 1987) pag. 256. 107 108

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Il generale Clerici come scrive Marinetti era “adorato dai suoi soldati”. Lo dimostra la lettera110 che il suo antico aiutante di campo gli scrisse il 10 gennaio 1941: Eccellenza, ieri sera il Ministro Ricci111 mi ha intrattenuto in un cordiale ed amichevole colloquio. E alla vigilia della sua partenza per assumere il Comando di un reparto combattente (naturalmente di bersaglieri) ha voluto ricordare il nostro amatissimo Generale, e mi ha dato incarico di farVi pervenire il nostro memore devoto e affettuoso saluto. Non vi so dire Eccellenza con quale commozione abbiamo evocato ricordi lontani, ma sempre vivi al nostro spirito di combattenti; ne so esprimere tutto il fervore delle nostre anime verso il nostro Generale. Vi prego, Eccellenza, di gradire questa nostra testimonianza di infinita devozione e di credere alla mia fedele affettuosità Galante

Per la sua brigata il generale Clerici lavorava molto e non schivava i pericoli. Il 10 giugno scriveva alla sorella Adelaide: La guerra va bene. Non abbiate timore per me e dopo tutto se anche mi capitasse qualcosa ho vissuto abbastanza, più di quello che ha vissuto nostro padre, per andare all’altro mondo soddisfatto. Qualche cartolina di tanto in tanto potrò inviarvela, di più non posso promettere perché dalle sei fino alle 13 e dalle 14½ alle 21 e poi – spesse volte anche di notte sono in ballo. E francamente se non si balla adesso domando io quando dovremo aspettare a farlo! Per i tuoi raccomandati vedrò di interessarmi: ma ora è difficile anche il pescarli! Saluta tutti, abbraccia la mamma, fratelli e sorelle e tu abbiti un bacio Affez. Imbros 10 giugno Non so se Vittoria sia arrivata: grazie delle gentilezze che le riservate. Se arrivata abbracciala da parte mia.

L’8 giugno 1918 la quinta brigata bersaglieri cedeva alla brigata Casale la difesa del settore e scendeva a riposo nella zona compresa fra Chiuppano e Zanè. Il 15 giugno il generale Clerici era in treno per andare in licenza quando i carabinieri lo avvisarono che qualcosa stava succedendo. Fece marcia indietro e arrivò in tempo per raggiungere la sua brigata che aveva avuto ordine di andare in linea. Era successo questo: fanterie austriache, favorite dalla nebbia, erano riuscite a sorprendere e a rompere la linea alla confluenza del Ghelpac con l’Assa tenuta dalla 48ª divisione britannica. Gli austriaci erano arrivati fino a Buco Cesuna sulla strada che da Asiago per Val Cornaglia scendeva a Vicenza. Il maresciallo Caviglia, allora comandante del X Corpo d’Armata, raccontò112:

Copia della lettera si trova nel fascicolo di Ambrogio Clerici presso A.d.S. Renato Ricci (1896-1956) era nel 1941 ministro delle Corporazioni. Durante la Repubblica Sociale fu comandante della Milizia. 112 ENRICO CAVIGLIA, Diario, editore Casini (Roma, 1952), pag. 6. 110 111

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ordinai a San Martino di far fuoco sul Gelpac e alla 12ª divisione di occupare la testata di Val Cornaglia con la promessa di inviare come rinforzo, su autocarri, la brigata bersaglieri (Clerici).

Il generale Clerici arrivò in tempo per raggiungere i suoi bersaglieri in marcia: in vecchiaia ne elogiava la abilità, che fu riconosciuta anche da Lord Cavan, il comandante delle truppe inglesi in Italia. Re Giorgio V d’Inghilterra lo nominò, con brevetto datato 5 novembre 1918, honorary companion dell’ordine di san Michele e di san Giorgio: divenne sir Ambrogio Clerici. Un eco di quel che era successo lo troviamo nella lettera che il 26 giugno 1918 che aveva scritta alla sorella Adelaide: Io sono qui in attesa di vedere cosa fa il nemico: sa vot ! Ad ogni modo i miei bersaglieri sono più che mai pronti a fare il loro dovere, con morale e fede altissimi. Ringrazia Domenica113 per le £. 50 che mi ha inviato per i miei bersaglieri; ne farò due premi per i più meritevoli e bisognosi, sicuro d’interpretare così il suo pensiero generoso e gentile. E la mamma come sta? Sono proprio stato malcontento che il richiamo improvviso mi abbia impedito di rivederla, ma spero che quando le cose saranno sistemate, io potrò riprendere la licenza e stavolta filare diritto da voi.

Il 20 giugno 1918 giunse la promozione a brigadiere generale114 e il 10 luglio fu decorato con la croce al merito di guerra dal comandante del X corpo d’armata: il generale Giovanni Cattaneo, che aveva sostituito il generale Enrico Caviglia che era andato a comandare l’8ª armata. Il 14 agosto 1918 la quinta brigata bersaglieri è di nuovo in linea per presidiare il consueto settore Val d’Assa-Astico. Il bersagliere Francesco Losco115 ha scritto: mi ricordo che di notte salimmo da Zanè diretti ad Asiago per dare il cambio alla brigata Casale – mostrine gialle – arrivammo poco prima dell’alba in prima linea…alle nostre spalle avevamo le batterie inglesi site nei pressi di Campiello. Dopo aver dato il cambio ai fanti in prima linea, verso l’albeggiare i “Signori dirimpetto” ci gridavano motteggiando “chiricchirichi”.

La notte fra il 23 e il 24 settembre i bersaglieri della quinta brigata effettuarono116, sotto l’imperversare di un violento temporale, un brillantissimo colpo di mano su Cima Tre Pezzi, riuscendo a penetrare profondamente nella posizione, infliggendo al presidio nemico gravissime perdite e catturando 30 prigionieri e 2 mitragliatrici. Le perdite dei bersaglieri furono di cinque uomini, mentre i feriti furono trentasei. Nell’azione il tenente Renato Ricci meritò un’altra medaglia di bronzo con questa motivazione117: 113

Domenica Clerici (1883-1972) sorella del generale. Il grado di brigadiere generale era stato creato nel 1918 e poi sostituito, nell’ordinamento Bonomi, dal grado di generale di brigata. 115 Lettera del 21 ottobre 1964 116 L’azione venne menzionata nel bollettino n. 1220 del Comando Supremo in data 24 settembre 1918. 117 SANDRO SETTA, op. cit., pag 18. 114

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Comandante di un plotone d’assalto, sempre in testa ai suoi uomini, con sicura fede nel successo, li guidava, con insuperabile ardore, attraverso le intricate difese nemiche (Cima Tre Pezzi-Altipiano di Asiago, 23-24 settembre 1918.

Il 3 ottobre 1918 la quinta brigata bersaglieri, sostituita in prima linea dalla brigata Valtellina, scese a riposo nella zona fra Tombolo e San Giorgio in Bosco, dove rimase acquartierata fino al 21 ottobre, giorno in cui si trasferì su camions a Montebelluna, per poi raggiungere nella notte del 24 ottobre Volpago. La quinta brigata bersaglieri era stata assegnata come rinforzo alla VIII Armata, comandata dal generale Enrico Caviglia, che nell’imminenza della battaglia (che passerà alla storia come battaglia di Vittorio Veneto) aveva avuto il compito, assegnatole dal comando supremo, di avanzare oltre Piave, fronte a nord-est, mirando essenzialmente a raggiungere con la massima celerità la regione a nord di Vittorio, per intercettare la principale arteria di rifornimento della 6ª Armata nemica (Vittorio-Sacile)118

Facevano parte della ottava armata l’VIII, il XVIII il XXII e il XXVII corpo d’armata. La quinta brigata bersaglieri, comandata dal generale Clerici, con la brigata Casale (generale Fedele) faceva parte della 12ª divisione fanteria (comandata dal generale Sigismondo Monesi) ed era stata posta a disposizione del XXII corpo d’armata comandato dal generale Giuseppe Vaccari. La quinta brigata bersaglieri all’inizio della battaglia era collocata dietro il XXII Corpo d’Armata a nord del Montello, come forza di sfruttamento. Poco prima dell’azione119 l’autista (Storino) del generale Clerici era stato ferito, così il generale si rivolse al sergente Pietro Tozzi, che era stato con lui come telegrafista al comando della 1ª Armata e lo aveva seguito quando era passato a comandare la 5ª brigata bersaglieri. Il sergente Tozzi cercò il fratello che fece d’autista al generale Clerici fino al febbraio 1919. Il giorno 26 ottobre, sul Piave in piena, furono gettati alcuni ponti: del XXII corpo d’armata riuscì a passare la 57ª divisione (gen. Cicconetti); la quinta brigata bersaglieri, che si trovava a circa due ore di marcia dal fiume120 venne fatta avanzare, ma il passaggio le fu impedito perché l’artiglieria nemica nel frattempo distrusse il ponte.. La notte fra il 28 e il 29 ottobre il grosso della quinta brigata bersaglieri passò il Piave sul ponte di Fontana del Buoro che la 5ª compagnia pontieri aveva ripristinato sotto il fuoco nemico. Sarà su questo ponte che il bersagliere Bertinotti vedrà il generale Clerici a colloquio col generale Monesi. Quella notte :”si videro ad un tratto spegnersi i riflettori del Colle della Tombola e tacere le batterie di Collalto.121”: questo conferma quanto testimoniato dal

Dall’ordine di operazione del Comando Supremo in data 21 ottobre 1918. Episodio raccontato nella lettera di Pietro Tozzi datata 29 settembre 1964. In A.d.c.C. 120 ENRICO CAVIGLIA, Le tre battaglie del Piave, Arnaldo Mondadori (Milano, 1936), pag. 136. 121 Luigi Gasparotto, Rapsodie (Diario di un fante), Fratelli Treves Editori (Milano, 1925). 118 119

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bersagliere Bertinotti che riferì che quando la 5ª brigata bersaglieri passò sul ponte l’artiglieria austriaca aveva cessato di sparare. Il colonnello Ugo Cavallero, che - come capo dell’ufficio operazioni del comando supremo - era stato l’ideatore del piano che portò allo sfondamento sul Piave, scriveva in un suo taccuino122: notte sul 29: Tutte le teste di ponte vengono alimentate e possono estendersi fino a unirsi in una striscia continua dalla quale all’alba del 29 parte l’azione di sfondamento. Violentissima e rapida, l’azione di rottura sfocia subito nel successo: il XVII corpo conquista Valdobbiadene, il XXII dilaga in Valmarone, l’VIII marcia su Vittorio.

La passerella gettata Fontana del Buoro non era completa tanto che la quinta brigata dovette passare a guado un tratto del Piave. Su questo passaggio abbiamo due testimonianze. Il bersagliere Giorgio Bertinotti riferisce123: il 29 poi è toccato a noi che abbiamo passato il resto del fiume a guado. In testa alla passerella c’era il generale Clerici e il comandante della divisione gen. Monesi con tutti gli ufficiali superiori.

Un bersagliere (Francesco Losco) che militava anch’egli nella quinta brigata scrive124: alla battaglia di Vittorio Veneto andammo sul Montello e di lì ci dirigemmo verso il Piave, che guadammo vestiti – diretti verso la Piana della Sernaglia.

Il generale Clerici, dopo aver guadato anch’egli il Piave, condusse velocemente i suoi bersaglieri verso Sernaglia, che occuparono il 29 ottobre, e verso Refrontolo, che occuparono il giorno 30 ottobre contribuendo allo sfondamento delle seconde posizioni, tenute dal II Corpo d’armata austriaco, nella conca di Soligo. Il generale Vaccari, comandante del XXII corpo d’armata, nell’ordine del giorno (30 ottobre 1918) citò come meritevoli di ricordo (oltre alla divisione d’assalto e ai superbi arditi del 72° reparto fiamme rosse) «i prodi della bellissima brigata del generale Clerici». Questi da Refrontolo scrisse una cartolina al fratello Enrico insieme al dottor Rossi, che era capitano medico della 5ª brigata bersaglieri e che nella vita civile era stato assistente presso la divisione medica San Fedele dell’ospedale maggiore di Milano diretta dal primario medico dottor Enrico Clerici, 30 ottobre 1918 Caro Enrico, Passato il Piave fra l’esultanza delle popolazioni ed il nostro vivo entusiasmo: proseguiamo insieme verso i confini naturali. Baciami i zuschini125, per i quali la Patria va diventando sempre più grande e più completa: un abbraccio a te, saluta Lina e famiglia Celada. 122

CARLO CAVALLERO, Il dramma del maresciallo Cavallero, Arnoldo Mondadori Editore (Milano, 1952), pag. 34. 123 In A.d.c.C. lettera del 5 aprile 1979. 124 A.d.c.C. 51

Imbros Saluti affettuosi felice ed orgoglioso di essere qui partecipe della gloria Rossi

Il nemico era in rotta! Il 1° novembre la quinta brigata bersaglieri raggiunse Gai-Tovena. Scrisse il bersagliere Francesco Losco: attraversammo un paesino, Tovena, ed in una notte scura sostammo in un campo fino all’albeggiare, solo al mattino ci accorgemmo di aver dormito insieme a molti cadaveri nemici.

Con l’armistizio di villa Giusti terminarono in Italia le ostilità, ma la guerra continuava sul fronte francese e la quinta brigata si tenne pronta per partire per la Francia cosa che non avvenne perché l’11 novembre i plenipotenziari dell’esercito germanico, nella foresta di Compiègne, firmarono l’armistizio. Da Pieve di Soligo il 7 novembre 1918 il generale Clerici scriveva alla sorella: Cara Adelaide Grazie infinite per la tua buona lettera che mi è giunta graditissima, qui in un comunello di montagna, del Bellunese, dove la mia brigata sta in attesa degli avvenimenti, dopo i recenti combattimenti del Piave. Per fortuna, sono qui salvo e sano e sto benone dopo varie peripezie. Abbiamo passato il Piave fra i primi, abbiamo visto gli orrori della dominazione austriaca e dove abbiamo potuto abbiamo castigato. Ora fo’ il fittavul: coi bersaglieri dissodo terreni ed aiuto queste misere popolazioni nella semina del frumento ed in altri lavori agricoli, nei quali i miei bersaglieri sono maestri. E disinfetto, pulisco questi poveri paesi, spogliati di tutto ed immersi nella miseria e nel sudiciume. Ed ho attivato la scuola e ho scritto a Vittoria che mi mandi quaderni e penne e gesso e sapone che da un anno questa gente non vede. E mentre scrivo, la piazza del paesello è gremita di gente, bersaglieri e cittadini di ogni età e sesso, colla bocca e gli occhi spalancati davanti al teatro dei burattini, gestito dai miei bersaglieri: rappresentazioni autentiche, con intermezzo infuocato di fanfara, colle quali cerco di far dimenticare a questa povera gente le umiliazioni e le spoliazioni austriache. Ho scritto a Roma per il nostro maresciallo. Per l’Asiani non sono riuscito a nulla: ormai colla guerra di movimento mi riesce difficile intervenire. Saluta tutti, spero per i fest de S. Imbros di venire a casa ed allora vi conterò tutti i momenti epici dell’avanzata! Bacia mamma, Gaetano, fratelli e sorelle tu abbiti un abbraccio da Imbros

L’11 novembre lasciata Pieve di Soligo la 5ª brigata bersaglieri andò a Cervignano. Il 21 novembre il generale Clerici scriveva alla sorella Adelaide: Grazie per le tue lettere. Sono contento che zio Eugenio126 migliori. Io sono qui a Cervignano sulla via di Trieste. Giorni orsono fui a Trento, in breve gita: passando ho

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I nipoti: i figli del fratello Enrico. Dottor Eugenio Clerici (1845-1919). 52

vista intatta la tua chiesetta di Roncegno, quest’anno in estate vi torneremo tutti insieme. Saluta tutti affettuosamente, a te un abbraccio e tanti auguri a zio Eugenio Imbros Carluccio127 è a Trento

Il 17 novembre era andato a Fiume, Gasparotto infatti lo menziona128 nel gruppo dei generali che parteciparono alla presa di possesso della città: Oggi, finalmente saremo a Fiume. Le truppe muoveranno da Castua a mezzogiorno. Entreranno a Fiume alle quindici, per la quale ora si spera che i croati sgombrino. L’ordine è di entrare in qualunque ipotesi. Brr! (…). Alle ore dieci arriva la notizia che i croati e i serbi se ne vanno. Bene. Alle undici e mezzo arriva notizia che non se ne vanno. Male! La città dovrà essere presa a«viva forza.» A mezzogiorno muovono le truppe d’occupazione divise in quattro colonne: granatieri, cavalleria Piemonte Reale, artiglieria da montagna, autoblinde della 10ª squadriglia. (…) Si scende a Dolcie, a Blecici, a San Nicolò. Qui gli uomini sono tutti sulla strada; visi di donne alle finestre socchiuse(…). Dalla città arriva il maggiore Mercalli che riferisce che i Serbi domandano tre giorni di tempo per partire.(…) A Plasse San Nicolò, a pochi passi da Fiume sopraggiunge un’automobile con ufficiali inglesi e alti marinai italiani. C’è anche l’ammiraglio Rainer. Si capisce subito che si vuol tirare in lungo. Ma il generale San Marzano risponde con un «no» secco. (…). Finalmente si riparte; in testa una punta di sedici granatieri col maggiore Campolieti, subito dopo il gruppo dei generali e degli ufficiali: San Marzano, Anfossi, Dina, Liberati, Facci, Camastra, Clerici…129. Alle tre e trenta la pattuglia di punta tocca i giardini pubblici. Trecento metri davanti a noi, nei pressi della stazione, stanno schierate le truppe serbe e czeche. (…) Che accadrà? A un tratto appare la testa di un immenso corteo che agita tricolori. Sono gli Italiani di Fiume che vengono incontro ai fratelli e dividono colle loro bandiere le due opposte schiere.

Il 22 novembre 1918 la quinta brigata bersaglieri fu posta alla dipendenze della III Armata, comandata da S.A.R. il Duca d’Aosta che volle passarla in rassegna avendo al suo fianco il generale Clerici. Prima di andare, con la sua brigata, a presidiare l’Istria il generale Clerici aveva parlato, sul piazzale della basilica d’Aquileia, ai suoi ottomila bersaglieri e raccontava, dopo molti anni, ridendo di aver detto che per le ragazze erano disponibili ottomila e uno bersaglieri130. I bersaglieri della quinta brigata, mentre erano diretti in Istria poterono vedere solo dall’alto la città di Trieste. Il generale Clerici pose il comando della brigata a Buie e dislocò in varie località (Capodistria, Pirano, ecc) le varie compagnie. Nel dicembre 1918 Vittoria Villa scriveva alla suocera Cleofe Ticozzi per aggiornarla sugli spostamenti del marito: Ambrogio sta benissimo, come saprete è in Istria in un paesetto che si chiama Buie; e uno dei suoi ufficiali venuto a trovarmi mi ha detto che mai come ora egli è stato 127

Il nipote Carlo Clerici che nel 1918 era sottotenente del 9° Reggimento artiglieria da campagna. LUIGI GASPAROTTO, Rapsodie (Diario di un Fante ), Fratelli Treves Editori (Milano, 1925) pag. 459. 129 Puntini nel testo 130 Racconto che il generale aveva fatto, nel 1952, ad uno degli autori reduce da una gita a Trieste fatta con l’Istituto Zaccaria dei Padri Barnabiti. 128

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bene e allegro e soddisfatto. Egli si occupa con tutto lo slancio del suo gran cuore dei nuovi Italiani che abitano i paesi presidiati dai suoi bersaglieri ed è in cambio adorato da tutti. Non può uscire di casa senza avere uno stuolo di bambini che lo attorniano. Siamo state in questi tempi molto occupate per riuscire a preparare doni per l’albero di Natale che egli e tutti gli ufficiali della 5ª Brigata offriranno ai bambini poveri dell’Istria.

Durante la permanenza a Buie si verificò una epidemia di colera: per premiare l’opera assistenziale svolta dal generale Clerici il Ministero dell’Interno, con Regio Decreto in data 14 aprile 1921, gli concesse la medaglia d’argento per i benemeriti della Sanità Pubblica. Il Consiglio Comunale di Buie invece, quale ringraziamento per l’opera di ricostruzione, gli concesse la cittadinanza onoraria.

Foto 10. Piana del Piave, ottobre 1918. Il generale Clerici decora un soldato.

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CAPITOLO QUARTO (1919-1932) - 1. Aiutante di campo generale di Re Vittorio Emanuele III (1919-23). - 2. A Trento comandante della brigata di fanteria Acqui (1923-24). - 3. Sottosegretario di stato alla guerra (1924-25). – 4. Primo aiutante di campo di S.A.R. il Principe di Piemonte (1925-32). 1.- Aiutante di campo generale di Re Vittorio Emanuele III (1919-23). Re Vittorio Emanuele III arrivò improvvisamente a Buie per ispezionare la quinta brigata bersaglieri. Quel giorno il generale Clerici era a letto con febbre molto alta: appena seppe della presenza del Sovrano si alzò e raggiunse la sede del Comando131. Il Re dovette apprezzare il gesto, che veniva da un generale che aveva conosciuto durante la guerra, perché poco dopo, con decreto 9 marzo 1919, lo nominava suo aiutante di campo generale in sostituzione del tenente generale conte Giulio Merli Miglietti.

Foto 11. Buie 1919. Il Re a colloquio col generale Clerici ispeziona la V Brigata Bersaglieri. La Corte del Re d’Italia132 era costituita da una Casa civile e da una Casa Militare. La Casa Civile era formata dal ministro della real casa, dal prefetto di palazzo, dal grande scudiero, dal gran cacciatore, dal segretario generale presso il ministero della real casa, dal primo mastro delle cerimonie di corte, dai mastri delle cerimonie di corte e dal medico del Re. La Casa Militare del Re era formata da un primo aiutante di campo generale (che nel 1919 era il tenente generale Arturo Cittadini133), da due aiutanti di campo generali (carica che ricoprì il generale Clerici) e da cinque aiutanti campo (colonnelli o maggiori). Facevano parte della casa militare del Re Episodio raccontato ad uno degli autori dall’avvocato Carlo Clerici (1878-1957). Nel volume XI dell’Enciclopedia Treccani voce Corte. 133 Il 21 ottobre 1917 era diventato primo aiutante da campo generale del Re subentrando al generale conte Ugo Brusati, che aveva ricoperto l’incarico dal 4 giugno 1902 al 21 ottobre 1917. 131 132

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anche gli aiutanti di campo “onorari” categoria che comprendeva sia gli aiutanti che avevano prestato effettivo servizio sia quei generali e quegli ufficiali superiori che erano stati nominati “aiutanti onorari” a puro titolo. Negli anni ‘30 il generale Augusto Villa134, cognato del generale Clerici, era stato nominato aiutante di campo generale onorario di re Vittorio Emanuele III. Avevano una loro Corte sia la Regina, composta di numerose dame e gentiluomini di corte, sia i Principi Reali maggiorenni. Il compito del generale Clerici era quello di assistere il Re, con un turno di quindici giorni al mese avvicendandosi con l’altro aiutante di campo generale che fu, prima il contrammiraglio conte Guido Biscaretti di Ruffia135 e dal 21 dicembre 1920 il contrammiraglio Vittorio Molà136. La carica di aiutante di campo generale effettivo durava quattro anni: era un osservatorio molto importante, perché oltre ad accompagnare il Re in occasione di visite e di cerimonie, aveva il compito di intrattenere le personalità che dovevano essere ricevute in udienza dal Sovrano. Vi era poi il lavoro d’ufficio che il primo aiutante di campo assegnava. Nell’Archivio del Quirinale abbiamo trovato un appunto (datato 7 giugno 1922) del generale Arturo Cittadini che assegnava al generale Clerici una pratica pervenuta dal ministero della guerra relativa ad un reclamo del generale di brigata Giovanni Marietti. Una delle tante pratiche. Il generale Clerici fu subito ben impressionato della vita a corte, lo apprendiamo dalla lettera che scrisse allo zio dottore Eugenio Clerici, qualche giorno dopo aver preso servizio al Quirinale: (figura del piccolo stemma) CASA MILITARE di Sua Maestà il Re 19 aprile 1919 Caro zio, Io sto benissimo qui: sto abituandomi a fare il Signore! Ma vi ingannereste se credeste che qui si faccia una vita diversa dalla nostra: c’è tanta affabilità e tanta signorile ospitalità nei nostri Reali, e l’etichetta è così bandita che uno si trova subito a suo agio. Appena arrivato sono stato a pranzo con Loro: dopo vi fu conversazione fino alle dieci, ora in cui generalmente le LL.MM. vanno a letto. Fummo quindi congedati e in noi rimase la dolce impressione della visita. E’ una vera bella famiglia: la principessa Jolanda è una figura slanciata, molto elegante, somiglia molto alla madre: è un’amazzone intrepida ed abilissima, molto appassionata per i cavalli. La Principessa Mafalda è di indole più tranquilla e più mite, una figura bionda che assomiglia un po’ a Vittoria: monta anch’essa a cavallo, ma senza passione. Una biricchina interessantissima è la principessa Giovanna di gioconda spensieratezza. Gioca tutto il giorno appena lo possa fare.

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Augusto Villa era nato a Villanova d’Asti nel 1873. Sottotenente d’artiglieria nel 1893. Fu addetto militare a Berna, durante la guerra mondiale Promosso generale nel 1926 tenne il comando dell’artiglieria del Corpo d’Armata di Milano e dal 1932 fu addetto militare a Washington . 135 Divenne poi ammiraglio. Fu capo del dipartimento marittimo della Spezia e poi di Napoli. Ricoprì la carica di Presidente del Consiglio Superiore di Marina. 136 Ammiraglio di squadra nel 1926. 56

Il Principe ereditario è un bellissimo figliolo: molto alto m. 1,65 a soli 14 anni e mezzo, è molto assennato per la sua età e studia moltissimo: ha poca passione per il cavallo, ma in compenso ne ha molta per lo studio. Rassomiglia molto alla regina e diventerà un bellissimo uomo, dallo sguardo penetrante e dal cuore ottimo. Di tutto, ma specialmente della semplicità e affabilità loro ho riportato una ottima impressione. Ed ogni qualvolta li avvicino, l’impressione migliora sempre. La Regina è di una bontà incalcolabile: coi feriti ed ammalati degenti qui al Quirinale è insuperabile.

Il generale Clerici ebbe la ventura di essere al servizio del Re in uno dei periodi più critici della storia d’Italia. Il 22 giugno 1919 alla sorella Anna, che gli annunciava la morte dello zio Eugenio Clerici, scriveva: non posso muovermi purtroppo da Roma, perché sono di servizio e l’altro generale è assente ed in questi giorni di crisi non posso assentarmi in ogni modo.

La situazione economica era drammatica: la svalutazione della moneta cartacea era accompagnata da un crescente aumento del costo della vita. I combattenti, dopo il congedo, si trovavano di fronte al problema della rioccupazione e dell’adattamento alla vita civile. Certamente era un periodo politicamente agitatissimo. Il 23 marzo 1919 a Milano erano stati fondati i Fasci di Combattimento. Il 19 settembre 1919 Gabriele d’Annunzio marciò su Fiume. Col poeta andò137 anche un battaglione del 5° reggimento bersaglieri che faceva parte della quinta brigata bersaglieri il cui comando il generale Clerici aveva lasciato da poco In vecchiaia ricordava la cosa come una “grana” che, con la chiamata al Quirinale, si era evitata. Nel dicembre 1919 il generale Clerici accompagnò a palazzo Montecitorio Re Vittorio Emanuele III che tenne il discorso inaugurale della XXV legislatura: assistette allo sgarbo dei deputati socialisti, che uscirono dall’aula prima che il Sovrano parlasse. Ai piedi del trono il generale Clerici assisterà, anche, all’apertura della XXV (11 giugno 1921) e XXVII (1929) legislatura. I “rossi”(socialisti) e i “bianchi” (cattolici) proclamarono una serie massiccia di scioperi che paralizzarono il paese: gli operai dell’Italia settentrionale, nel settembre 1920, occuparono le fabbriche. I “rossi”, rispolverando la loro avversione al militarismo, compirono atti ostili contro l’esercito: i ferrovieri si rifiutavano di trasportare le truppe, nelle strade gli ufficiali in divisa venivano insultati e spesso aggrediti. Il generale Clerici aveva notizia di numerosi scioperi che, soprattutto alla Costa, rendevano difficile la conduzione dell’azienda agraria anche perché era diretta dal fratello dottor Gaetano, che non aveva, per carattere, quel polso che era necessario in un momento così difficile. Da San Martino 1920 i fratelli Clerici decisero di affittare il fondo di loro proprietà e di gestire solo il fondo di Villareggio. SANDRO SETTA, Renato Ricci – dallo squadrismo alla Repubblica Sociale, il Mulino (Bologna, 1986), pg. 18. 137

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Contro le angherie sia dei “rossi” che dei “bianchi” c’era lo squadrismo fascista che i Clerici, come gran parte degli agrari, foraggiò138. Lo ricaviamo da un libro mastro139 dove troviamo annotato in vari punti: 4 aprile 1921 - per abbonamento giornale fascista il Popolo 27 agosto 1921 - ai fascisti di Lardirago

£. 30

£. 900

25 giugno 1922 - ai fascisti di Torre del Mangano

£. 1.600

5 agosto 1922 - per soggiorno fascisti a Pavia £. 100 - per il fascista di Belgioioso ferito £. 55.

In tre riprese i Clerici diedero ai fascisti 175 lire per i loro gagliardetti. Il generale Clerici ebbe modo di parlare con i Presidenti del Consiglio (Bonomi, Giolitti, Nitti, Facta). Oltre che con i Ministri che venivano in udienza dal Sovrano. Accompagnò re Vittorio Emanuele III all’estero in visita di stato: in Belgio e in Danimarca. Come vuole la prassi ricevette le decorazioni dei due regni: commendatore di prima classe dell’ordine di Daneborg e gran croce della corona del Belgio. Quando era venuto in Italia il principe Hiroito140 era stato decorato con la 2ª classe dell’ordine del Sol Levante. In quella occasione, dopo che il principe Hiroito parlò, il generale Clerici tradusse il discorso… chiaramente l’avevano concordato. Poco tempo dopo un professore universitario gli chiese di tradurgli un testo, ma il generale dovette confessargli divertito la sua ignoranza del giapponese. Anche re Vittorio Emanuele III concesse onorificenze al suo aiutante di campo nominandolo: il 24 novembre 1919 commendatore dell’ordine della corona d’Italia; il 2 gennaio 1921 cavaliere ufficiale e il 29 giugno 1922 commendatore dell’ordine dei santi Maurizio e Lazzaro. Lo scontro fra squadre “rosse” e fasciste caratterizzò il 1921 e il 1922: i vari governi che si erano succeduti si trovarono nell’impossibilità di portare nel paese la pace e l’ordine. Nell’ottobre 1922 i fascisti si radunarono a Napoli, dove decisero di marciare su Roma per impadronirsi del potere. Il consiglio dei ministri, convocato d’urgenza il 26 ottobre, deliberò di chiamare a Roma Vittorio Emanuele III, che si trovava a San Rossore di ritorno dalla visita ufficiale in Belgio. Il presidente del consiglio, onorevole Luigi Facta, spedì un telegramma, che arrivò a San Rossore alle sei del mattino del giorno 27 ottobre, mentre Vittorio Emanuele III si preparava per andare a caccia: 138

ENRICO E. CLERICI, Una famiglia di fittabili e lo squadrismo fascista, articolo in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria (Pavia, 1985), pagg. 259-261. 139 A.d.c.C. (fondo: Villareggio). 140 Poi imperatore del Giappone. 58

Il Re affidò il telegramma da decifrare al primo aiutante di campo generale Cittadini, ma ogni minuto compariva alle spalle del generale e allungava gli occhi per leggerne via via il contenuto. La continua presenza del Sovrano metteva Cittadini in imbarazzo e gli impediva di lavorare speditamente. Per risolvere la delicata situazione l’aiutante di campo di servizio, generale Clerici, consigliò a Sua Maestà di andare ugualmente a caccia e l’assicurò che avrebbe provveduto a fargli recapitare nei boschi il testo decifrato. Il Re se ne andò. Ma, quella mattina non toccò il fucile, era impaziente e spesso rivolgeva lo sguardo verso il sentiero che conduceva alla villa. Quando ebbe il telegramma fra le mani lo lesse attentamente, poi ordinò di preparargli il treno reale perché intendeva rientrare a Roma in serata141.

Per far prima si decise di prendere il DD1, cioè il treno che transitava da Pisa alle 14,10. Il Sovrano era accompagnato dal ministro della Real Casa conte Mattioli Pasqualini, dal primo aiutante generale di campo generale Cittadini, dagli aiutanti di campo brigadiere generale Clerici e comandante Moriondo142.

Scrive de Vecchi143 che Durante il viaggio il generale Clerici che simpatizzava apertamente per Mussolini suggerì come unica soluzione della crisi fosse la creazione di un governo fascista. Il Re lo ascoltò e gli disse:«prima tenterò la composizione di un ministero Salandra e se Salandra legittimamente non riuscirà affiderò l’incarico al signor Mussolini. Dato il veto dei popolari per Giolitti, ogni altra soluzione stabile è impossibile.»

La simpatia del generale Ambrogio Clerici nei riguardi del fascismo era dovuta alla speranza che questo movimento riportasse l’ordine nel Paese: come generale e come combattente non poteva sopportare gli insulti che venivano dai “rossi” rivolti all’esercito, e come agrario era contrariato per gli scioperi che i sindacati “bianchi” e “rossi” avevano indetti nel dopoguerra nelle aziende agrarie di Villareggio e di Costa de’ Nobili di cui era, con i fratelli, comproprietario. La conferma di quanto sosteniamo lo troviamo scritto144 nei ricordi del deputato sardo Cocco-Ortu: mi trattenni a discorrere coi due aiutanti di campo: generale Clerici e contro o vice ammiraglio Moriondo, tentando di farli parlare, per conoscere quale era il pensiero del Quirinale. Non ebbi alcun dubbio che fosse filo-fascista. Infatti mi rievocarono i ricordi dei giorni in cui i socialisti spadroneggiavano: gli insulti agli ufficiali, l'occupazione delle fabbriche, ecc.

Al suo arrivo a Roma il Sovrano venne accolto dal presidente del consiglio onorevole Facta e dopo un breve colloquio andò a Villa Savoia con gli aiutanti

CESARE M. de VECCHI di VAL CISMON, Mussolini vero, in settimanale “Il Tempo” n. 49 del 1959 (V puntata). 142 In “Il Resto del Carlino” del 28 ottobre 1922.143 DE VECCHI, articolo citato. 144 Nella rivista Il Ponte (settembre-ottobre 1951), pg. 1070-1074. 141

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campo. Durante la notte la situazione divenne critica. Il dottore Efrem Ferraris, capo gabinetto del ministro dell’interno, ebbe a scrivere145: si infittivano nei grandi fogli che tenevo dinanzi a me i nomi che andavo notando delle prefetture occupate, le indicazioni degli uffici telegrafici invasi, dei presidi militari che avevano fraternizzato coi i fascisti fornendoli di armi, di treni che le milizie requisivano carichi di armati verso la capitale.

Quello che successe a Villa Savoia durante la notte sarà difficile stabilirlo. Secondo de Vecchi146 Nella notte fra il 27 e il 28, il generale Clerici fu chiamato al telefono dalla Presidenza del Consiglio. Dal Viminale si lamentavano perché l’apparecchio del generale Cittadini non rispondeva. Dissero a Clerici in tono preoccupato:«La preghiamo di invitare il generale a mettersi subito in comunicazione con la Presidenza…» Clerici sul momento non credette a quanto gli dicevano poiché sapeva che il generale Cittadini teneva il telefono sul comodino per rispondere a eventuali chiamate notturne del Sovrano. Data la situazione, però si alzò e andò alla ricerca di Cittadini. Lo trovò a letto e appena in camera diede un’occhiata all’apparecchio che era al solito posto, ma col ricevitore staccato.«Hanno cercato dalla Presidenza – disse il Clerici - la pregano di chiamare.» Poi indicò la cornetta e fece atto di riagganciarla. Cittadini gli fermò la mano.«La lasci com’è – disse - deve restare così. Se dal Viminale chiamano ancora, risponda che non mi hanno trovato.» L’ordine era stato dato dal Re il quale voleva che il governo compisse il proprio dovere senza scaricare la responsabilità delle sue reazioni sulle spalle del Capo dello Stato.

Fin qui la ricostruzione fatta dal conte Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon in base, come egli afferma, a quanto gli raccontò in seguito il generale Clerici. Antonino Repaci nel suo documentatissimo libro “ la marcia su Roma “ sostiene147 che il “racconto del Clerici è assolutamente falso, oltreché assurdo “ perché il generale Arturo Cittadini “ partecipò al Consiglio dei Ministri” che si tenne alle 5 del mattino del 28 ottobre. Sulla falsità (del racconto del generale Clerici) – scrive il Repaci148- è sufficiente contrapporre le testimonianze fra le quali quella del monarchico (intelligente ed onesto ) Efrem Ferraris.” Il Repaci a sostegno della sua tesi (secondo la quale il Re sapeva, ed avvallò con la presenza del generale Cittadini, la decisione dello stato d’assedio votato dal consiglio dei ministri) riporta solo alcune frasi del racconto del Ferraris tralasciandone altre di estrema importanza. Scrive il Ferraris149 che alle cinque del 28 ottobre al Viminale, mentre stavano arrivando i ministri arrivò anche il generale Cittadini, primo aiutante di campo del Re, per avere notizie precise da recare a S.M. Conferì con Facta e poi venne da me per avere i dettagli delle avvenute occupazioni fasciste in provincia. Non mi parve eccessivamente preoccupato e mi disse anzi:«Per ora la situazione non mi pare ancora allarmante». 145 EFREM FERRARIS, La marcia su Roma veduta dal Viminale, edizione Leonardo (Roma, 1946), pag. 95. 146 DE VECCHI, articolo citato. 147 ANTONINO REPACI, La marcia su Roma, edizione Canesi ( Roma, 1963), volume I, pag. 508. 148 ANTONINO REPACI, op. cit., pg. 509. 149 FERRARIS, op. cit., pgg. 100-101.

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«Io mi permetto di non condividere questo ottimismo» risposi. Si trattenne un altro poco, mentre io mano a mano gli segnalavo le notizie, naturalmente sempre peggiori, che giungevano; e poi tornò a Villa Savoia. Intanto il Consiglio dei Ministri aveva iniziato.

Secondo quanto dice il Ferraris, il generale Cittadini non partecipò al consiglio dei ministri anche se si trovò al Viminale mentre questo stava riunendosi: del resto non si capisce a quale titolo avrebbe dovuto parteciparvi. Quando uscì il volume del Repaci, in famiglia se ne discusse poi prevalse l’opinione delle “colombe” o peggio del “tirar tardi“. Si poteva almeno scrivere al Repaci per contestargli l’accusa di falso formulata non sui fatti, ma su basi ideologiche: certamente lo urtava il fatto che il generale Clerici avesse consigliato il Re a formare un governo con i fascisti. Il consiglio dei ministri decise di decretare lo stato d’assedio. Alle nove l’onorevole Luigi Facta, accompagnato dal segretario Paoletti, giunse al Quirinale per essere ricevuto dal Re: preceduto dal generale Clerici il presidente raggiunse lo scrittoio al quale sedeva Vittorio Emanuele e porse subito al Sovrano la busta gialla che aveva fra le mani. L’udienza fu brevissima; durò appena dodici minuti, dopo di che Facta uscì rosso in viso e sconvolto; camminava con la testa bassa a passi corti e frettolosi: non aveva più la busta. Alla fine del colloquio, il Sovrano chiamò il generale e gli mostrò la busta che era aperta sulla scrivania. « Dentro – disse il Re - c’è un decreto di stato d’assedio in tutto il territorio nazionale.» Clerici allungò il collo per vedere se il documento fosse stato firmato. Il sovrano che aveva notato le occhiate del suo aiutante di campo, estrasse il foglio e glielo mostrò.«E’ in bianco come mi è stato portato – disse- le gravi crisi del 1898 quando Re Umberto concesse lo stato d’assedio contro i socialisti mi sono servite di ammaestramento. Io ho deciso che durante il mio Regno non firmerò decreti di stato d’assedio se non in casi d’eccezionale gravità. Ne firmai uno all’epoca del terremoto di Messina, era una misura che si limitava al breve spazio della città devastata, aveva una durata ben definita e colpiva ladri, rapinatori, saccheggiatori. Il caso attuale è diverso. La gente che marcia verso Roma è assai meno armata dei socialisti del 1898 e viene avanti portando bandiere tricolori. Io credo che una situazione del genere si può contenere con mezzi ordinari se non addirittura con i comuni mezzi politici150.»

In molte zone d’Italia si verificarono sanguinosi scontri. Dino Grandi, capo di stato maggiore del quadrunvirato fascista, allorché seppe che a Bologna si verificavano conflitti sanguinosi, si rivolse al generale Clerici, col quale era in amicizia fin dai tempi della guerra. Scrive151 Grandi: Telefono al generale Clerici per domandargli di essere autorizzato a telefonare dal Quirinale a Bologna. Clerici sconsiglia dal Quirinale e suggerisce di farlo dal Viminale: egli stesso telefonerà a Taddei, ministro degli Interni. Corro al Viminale. Le guardie di Polizia, preavvisate, spostano i cavalli di frisia.

Il Re ordinò al generale Cittadini di convocare Mussolini al Quirinale: alle 11,15 del giorno 30 ottobre 1922 il generale Clerici lo introdusse in udienza dal Sovrano. Mussolini ritornò la sera stessa per presentare la lista dei 150 151

DE VECCHI, articolo citato. DINO GRANDI, Il Diario della Marcia su Roma, in “Epoca”, 15 ottobre 1972, pg. 82. 61

ministri del suo governo e il 31 ottobre davanti al Quirinale sfilarono in corteo i partecipanti alla marcia su Roma. Il 5 aprile 1923 il generale Ambrogio Clerici terminava, dopo quattro anni, il suo servizio a corte. Ricevette il titolo di aiutante di campo generale onorario di Sua Maestà il Re e il Sovrano lo nominò grande ufficiale dell’ordine della corona d’Italia. Nella visita di congedo il Re gli consegnò una sua fotografia con dedica e gli chiese quale brigata avrebbe desiderato comandare: quella con sede a Trento o quella con sede a Palermo ? Il generale Clerici disse di aver optato per il comando della brigata Acqui che aveva sede a Trento. Il Re sorridendo gli disse152: «ci avrei scommesso!». Per la conquista di Trento, infatti come abbiamo visto, il generale Clerici aveva combattuto con entusiasmo e molto lavoro.

2.- A Trento comandante della brigata di fanteria Acqui (1923-24). Trento per il generale Ambrogio Clerici rappresentava certamente moltissimo. Quanti studi strategici aveva fatto per la sua conquista sia in pace, quando era ufficiale addetto alla divisione di Verona (1898-1902), sia in guerra quando rivestiva la carica di sottocapo (1915-17) e di capo di stato maggiore della prima armata (1917-18). Aveva conosciuto Cesare Battisti, il simbolo dell’irredentismo trentino, quando questi era stato chiamato a Verona, presso l’ufficio Informazioni della 1ª Armata, che aveva bisogno di lui per la compilazione di alcune monografie, nelle quali sia raccolto in forma sintetica tutto il materiale relativo alla conformazione del terreno, alla rete delle comunicazioni, ai vari fattori logistici, agli apprestamenti difensivi della zona compresa fra lo Stelvio e Passo Rolle153.

Nella città di Battisti il generale Clerici, con la moglie Vittoria154, prese alloggio, per tutto il tempo che vi rimase, presso l’Hotel Mayer. Il 1° maggio 1923 assunse il comando della brigata di fanteria Acqui, la cui fondazione risaliva al 1703 e che nel corso dei secoli si conquistò gloria sui campi di battaglia. Il generale Clerici subito incaricò il principe Nicola Brancaccio, storico militare, di scrivere la storia della brigata. Dal momento che il generale Angelo Modena era temporaneamente assente assunse anche, ad interim, il comando della divisione di Trento. In questa veste il 3 giugno 1923, in occasione della festa dello Statuto, presiedette la parata militare. Il quotidiano “Nuovo Trentino 155“ così descrisse la cerimonia: Episodio raccontatoci dalla moglie del generale contessa Vittoria Clerici Villa. LEGIONE TRENTINA, Martiri ed eroi Trentini della guerra di redenzione, presso la Tipografia Editrice Mutilati ed Invalidi (Trento, 1925), pgg. 43-44. 154 Al seguito c’era la cameriera di Vittoria: Ida Mugnai, nata a Laterina, che rimase al suo servizio per più di sessanta anni. 155 Del giorno 5 giugno 1923. 152 153

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Alle 9,30, mentre i cannoni del Dos Trento sparavano a salve arrivò il generale Clerici. Il gen. Clerici, reso il saluto alle truppe e alle autorità, pronunciò elevate parole ricordando l’odierna data sacra alla libertà. « Mi è sommamente gradito – egli dice – distribuire in questo giorno le medaglie al valore in questa eroica Trento, fra la fraternità della popolazione e dell’esercito » Incita la truppa e la cittadinanza a perseverare sulla via del dovere, dovendo formare cittadini e soldati un esercito solo. Ricorda e esalta l’esempio dei prodi che immolarono la loro vita per la patria, fulgido esempio per le generazioni future. Prorompono gli applausi. Quindi il gen. Clerici legge a voce alta le motivazioni. Alla premiazione segue la rivista, terminata questa il generale Clerici rivolge un saluto alle autorità, alle rappresentanze, alla cittadinanza e inneggia a Trento fieramente e degnamente romana. Dopo la rivista militare, l’Associazione Nazionale fra Madri e Vedove dei Caduti volle concedersi l’ambito onore d’offrire al comandante interinale della divisione il generale Clerici la medaglia dell’Unità d’Italia. La signorina Teresina Chiesa, presidente dell’Associazione suddetta, presentava di sua mano la medaglia, che fu accolta con vivo piacere dall’illustre generale.

Nel Museo della Guerra di Rovereto si trova appesa una sua fotografia con questa dedica: Trento 5 maggio 1923 - Gen. Clerici dopo lunghi anni di ansiosa attesa e di trepidanza, alfine in terra trentina redenta e libera

Il 23 luglio 1923 il generale Clerici si recò a Bezzecca per decorare con la medaglia d’oro la madre del tenente Federico Guella, un trentino che il 28 dicembre 1915 era caduto combattendo nei pressi di Castel Dante (Rovereto) alla testa di un plotone del 114° reggimento fanteria che, dopo un intenso bombardamento dell’artiglieria nemica, aveva trascinato all’attacco al grido di “Savoia”156.

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LEGIONE TRENTINA, Martiri ed Eroi Trentini della guerra di redenzione, Tipografia Editrice Mutilati ed Invalidi (Trento, 1925), pagg. 212-214. La copia in possesso degli autori ha un timbro della “Legione Trentina” con questa dedica scritta a penna: ”Al Generale di Divisione Ambrogio Clerici che i Volontari Trentini onora della sua stima e del suo affetto offre la Legione Trentina G. Cristofolini”. Segue la dedica la firma del compilatore del volume “Oreste Ferrari”. 63

Foto 12 e 13. A Bezzecca, il 23 luglio 1923, decora con la medaglia d’oro la madre del tenente Federico Guella, caduto nel 1915 (Archivio Ingegner Paolo Guella) A Trento il generale frequentava un circolo di trentini, che lo avevano accolto come uno di loro. Fra questi vi era Giulio Ferrari, che in gioventù era stato a Reims per imparare come vinificavano i francesi e che ritornato a Trento aveva fondato una casa che produceva lo spumante che prese il suo nome. Quando nel 1925 il generale Clerici ritornò a corte propose al prefetto 64

di palazzo di usare per i brindisi lo spumante Ferrari, che aveva apprezzato durante la permanenza trentina. Il 26 giugno 1924 Ambrogio Clerici fu nominato generale di divisione e convocato telegraficamente a Roma dal ministro della guerra, generale Antonino di Giorgio. Così il generale Clerici descrisse157 l’incontro: esposi al Ministro il desiderio di essere destinato al comando della divisione militare di Milano, posto che si era allora reso vacante. Mi rispose seccatamente che io non potevo esporre alcun desiderio, perché ero già comandato al Ministero, quale Sottosegretario di Stato.

3.- Sottosegretario di Stato alla guerra (1924-25) Dopo l’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, avvenuta il 10 giugno 1924 per mano dei criminali fascisti (Volpi, Malacria, Putato e Viola), tutti campioni dello squadrismo più sfrontato e criminale, l’opinione pubblica rimase profondamente scossa e perfino molti fascisti, in ogni parte d’Italia, s’erano tolto il distintivo dall’occhiello e molti iscritti alla Milizia non risposero agli appelli158. Lo stesso Mussolini venne accusato in senato di essere l’autore morale dell’assassinio ed i partiti, che fino a quel momento lo avevano appoggiato, erano sul punto di abbandonarlo, se non ché il 29 giugno il Duce licenziava tre Ministri (Gentile, Carnazza, Corbino) e li sostituiva con i liberali Casati e Sarocchi e col cattolico filofascista Nava. Mussolini, inoltre, per dimostrare all’opinione pubblica di avere intenzione di mutare indirizzo politico, il 30 giugno obbligò un numeroso gruppo di sottosegretari a rassegnare le dimissioni. Il 1° luglio i nomi dei nuovi sottosegretari di stato erano ancora sconosciuti perché scriveva un cronista del quotidiano torinese “La Stampa”159: Mussolini mantiene il massimo riserbo intorno al nome dei nuovi sottosegretari. Quanto alla guerra pareva che il sottoportafoglio dovesse toccare all’onorevole Lanza di Trabia invece stasera si assicura che a quel posto sarebbe designata una persona estranea alla politica. Un deputato fascista rompendo solo a metà il riserbo impostogli aggiungeva trattarsi di un noto generale il cui nome sarà appreso con compiacimento dentro e fuori il Ministero.

Con queste lusinghiere parole di presentazione il generale Clerici si accingeva ad assumere la carica di sottosegretario alla guerra. Il 2 luglio 1924 l’Agenzia Stefani comunicava: Su proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri Sua Maestà il Re ha accettato le dimissioni dei sottosegretari in carica e ha nominato i seguenti sottosegretari di Stato: presidenza: dep. SUARDO; interni: dep. GRANDI; giustizia: Dalla memoria difensiva presentata dal senatore Ambrogio Clerici all’Alta Corte di Giustizia. 158 SALVATORELLI e MIRA, Storia d’Italia nel periodo fascista, ed. Einaudi (Torino, 1956), pgg. 311-316. 159 La Stampa del 1° luglio 1924. 157

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dep. MATTEO-GENTILI; guerra: gen. CLERICI; colonie: dep. CANTALUPO; finanze: dep. SPEZZOTTI; istruzione: dep. BALBINO; lavoro: dep. SCIALOJA; poste: dep. CARUSI; ferrovie: dep. PANUNZO; lavori pubblici: dep. PELLION.

La scelta del generale Ambrogio Clerici non era da attribuirsi solamente a un motivo tecnico. Crediamo sia da prendersi in considerazione l’interpretazione che ci fornisce Cesare Rossi160: (Mussolini) va a pescare addirittura a Villa Savoia il nuovo Sottosegretario alla Guerra, il generale Clerici, aiutante di campo di Sua Maestà proprio per dare un pegno di subordinazione e di controllo alla Corona.

Tesi che è stata accolta anche dallo storico Renzo de Felice nella sua monumentale biografia161 di Mussolini. Il modo col quale Mussolini procedette alla nomina dei nuovi sottosegretari fu oggetto di critica da parte di qualche giornale. “Il Mondo” scriveva162: Tale nomina è incostituzionale perché contraria al decreto del 14 novembre 1901, n. 466 così chiamato decreto Zanardelli che dice:« Si debbono deliberare in consiglio dei ministri le nomine di Presidente e Vicepresidente del Senato, dei Senatori, dei Sottosegretari, dei governatori di colonie.» Non è stato tenuto dopo il rimpasto nessun consiglio dei Ministri, dunque la nomina è illegale e deve considerarsi come non avvenuta.

La questione andò a finire in niente: i nuovi sottosegretari, il 5 luglio, prestarono giuramento nelle mani del presidente del consiglio, onorevole Mussolini. Ministro della guerra era dall’aprile 1924 il generale di corpo d’armata Antonino Di Giorgio163, un valoroso soldato siciliano dal carattere difficile e insofferente dei compromessi, che aveva un suo progetto di riforma dell’esercito e voleva farlo approvare dal parlamento. Il generale Clerici subentrò all’onorevole Carlo Bonardi, un avvocato bresciano che aveva ricoperto la carica di sottosegretario di stato alla guerra dal 31 ottobre 1922 al 3 luglio 1924. Ambrogio Clerici si sistemò a palazzo Vidoni e costituì la sua segreteria particolare che per legge164 era formata da un segretario, da un archivista e da un impiegato d’ordine con mansioni di copista.

CESARE ROSSI, Trentatré vicende mussoliniane, ed. Ceschina (Milano, 1958), pg. 401. RENZO DE FELICE, Mussolini il fascista, Giulio Einaudi Editore (Torino,1966) pg. 655. 162 Il Mondo del 3 luglio 1924. 163 Antonino Di Giorgio (1867- 1932) comandante di brigata nel 1916, di divisione nel 1917. Promosso generale di corpo d’armata si batté valorosamente sul Grappa e sul Piave meritandosi la croce dell’ordine militare di Savoia. Un suo profilo biografico si trova nel libro: ANTONINO DI GIORGIO, Ricordi della grande guerra (1915-1918), Fondazione G. Whitaker (Palermo, 1978). 164 Art. 2 del R.D.-L. 10 luglio 1924, n. 1100. 160 161

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I generali Di Giorgio e Clerici, pur essendo entrambi sostenitori di un governo forte, si trovarono subito d’accordo nel difendere l’esercito dalle intrusioni fasciste. Scrisse165 il generale Clerici che né il Ministro né io eravamo iscritti ai fasci, non solo, ma entrambi eravamo decisamente contrari alla politica nell’Esercito, ritenendola nociva al sentimento di disciplina.

Il ministro della guerra scrisse una circolare con la quale invitava gli ufficiali, che ricoprivano cariche amministrative, a dimettersi. Sull’argomento l’onorevole Ettore Mazzucco interrogò il generale Clerici che, alla Camera dei Deputati, dai banchi del Governo, nella seduta del 19 dicembre 1924 così gli rispose166: …ho dovuto recentemente intervenire nel caso di un ufficiale superiore in servizio attivo permanente che da quattro anni esercitava le funzioni di sindaco e per di più di un comune che non era quello dove il suo reggimento era di guarnigione. Spero si tratti di un caso isolato. Ma se per avventura altri casi vi fossero, si provveda di urgenza e mi si riferisca. Tranne a coloro che sono investiti di mandato parlamentare, a nessun altro ufficiale in servizio attivo permanente deve essere consentito di far politica. E deve essere ben diffusa fra gli ufficiali dell’esercito la coscienza che il tipo dell’ufficiale politicante è il tipo che maggiormente ripugna alla natura della nostra istituzione. Onorevole Mazzucco, anzi, onorevole amico Mazzucco in quarant’anni noi non abbiamo mai fatta politica!

Era la verità, ma poteva suonare (nessuno lo colse) come un “distinguo” dal generale Di Giorgio che la politica l’aveva fatta: era stato deputato nella 24ª e 25ª legislatura e nella legislatura in corso (27ª) era stato eletto deputato per la circoscrizione della Sicilia. Nel 1923 Mussolini aveva istituita la M.V.S.N. (Milizia volontaria per la sicurezza nazionale) e nel 1924 la aveva trasformata in forza armata. Il generale Clerici ebbe a scrivere167 qualche anno dopo: nell’agosto 1924 il Ministro ebbe ad opporsi violentemente all’idea di dare alla Milizia il munizionamento regolare del soldato: «con ciò – esclamava- la Nazione diventa prigioniera del Fascismo!» Ed io ero dello stesso avviso fermamente solidale con lui. Ricordo al riguardo che il Ministro dietro richiesta di Mussolini, perché la Milizia fosse dotata di munizioni come l’Esercito si recò personalmente da lui, ebbe un vivace alterco e disse a me di essere riuscito a concedere solo la dotazione di un caricatore per milite, cioè cinque cartucce e neppure pallottole, ma a mitraglia.

Se scorriamo l’indice alfabetico168 degli atti del parlamento relativi all’attività parlamentare dei deputati nella legislatura XXVII169 troviamo che alla Camera il sottosegretario Clerici fece una dichiarazione per la morte dell’ex-deputato 165 Dalla memoria difensiva presentata dal senatore Ambrogio Clerici all’Alta Corte per l’epurazione. 166 CAMERA dei DEPUTATI, Discussioni, 19 dicembre 1924, pgg. 1819-20. 167 Dalla memoria difensiva presentata da Ambrogio Clerici all’Alta Corte per l’epurazione. 168 Edito dalla Tipografia della Camera dei Deputati (Roma, 1929). 169 Dal 24 maggio 1924 al 21 gennaio 1929.

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Ernesto Mirabelli, rispose in aula a otto interrogazioni dei deputati Barbiellini-Amidei, Barnaba, Bertacchi, Mazzucco, Sansanelli e diede trentatre risposte scritte alle interrogazioni di diversi deputati. Essere sottosegretario di Stato voleva dire anche andare ad inaugurare monumenti, mostre e fare discorsi. Andò per cerimonie e inaugurazioni a Fiume, ad Imperia, a Milano. Nell’agosto 1924 il comune di Villanova d’Asti concesse al generale Clerici la cittadinanza onoraria: nel paese della moglie, fin dal 1899, era solito passare alcuni periodi della licenza. Trovandosi in vacanza a Gressoney il 12 agosto 1924 andò in udienza dalla Regina Margherita che gli fece omaggio di una sua fotografia con questa dedica: A Sua Eccellenza il generale di Divisione Ambrogio Clerici Margherita 12 agosto 1924 Gressoney

Dal momento del suo ingresso al ministero della guerra il generale Clerici aiutò il ministro a stendere il progetto di riforma dell’esercito che questi aveva in animo di attuare col consenso di Mussolini. Il generale Di Giorgio si era posto al lavoro, con pochi ufficiali a lui devoti, evitando di ricorrere allo Stato Maggiore e di dare pubblicità alcuna ai suoi progetti: per conservare loro quell’impronta personale che gli pareva essenziale170.

Di Giorgio e Clerici, non sappiamo chi dei due influenzò l’altro, cominciarono a diffidare del colonnello Ottorino Carletti perché lo ritenevano un referente di Roberto Farinacci. Non si trattò di cosa da poco perché Vittoria Villa, la moglie del generale Clerici, ancora a distanza di quaranta anni raccontava l’accaduto come di una “grana” che aveva angustiato non poco il marito. Il colonnello Ottorino Carletti, che era capo di gabinetto del Ministro Di Giorgio, fu “messo alla porta” nel dicembre 1924. Canevari ha scritto171 che questa “sostituzione” alienò a Di Giorgio la simpatia di Farinacci, che di lì a poco diventerà segretario del partito fascista, grande amico del colonnello Carletti. Di Giorgio dovrà dimettersi, mentre Carletti qualche anno dopo entrerà nel senato del regno. Con l’approvazione di Mussolini, il generale Di Giorgio presentò al Senato tre diversi disegni di legge: 1° ordinamento del Regio Esercito; 2° modificazioni alle vigenti disposizioni sul reclutamento del Regio Esercito; 3° organizzazione della nazione per la guerra. 170 GIORGIO ROCHAT, L’Esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini, editore Laterza (Bari, 1967), pagg. 525-26. 171 E. CANEVARI, La guerra italiana. Retroscena della disfatta, Tosi (Roma, 1968), volume I, pag. 127-28.

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La riforma, della quale i generali Di Giorgio e Clerici, erano accesi sostenitori era contenuta in questi tre disegni di legge. La riforma proposta poteva così sintetizzarsi: la ferma militare doveva essere ridotta ai quattro mesi estivi; in questo periodo l’Esercito avrebbe avuta piena attività, negli altri mesi i reggimenti, ad eccezione di quelli preposti a presidio delle frontiere, sarebbero stati ridotti a quadro, conservando ufficiali e sottufficiali e un minimo di truppa per il disbrigo dei compiti indispensabili e la manutenzione dei materiali. La discussione si svolse in Senato dal 30 marzo al 2 aprile 1925. I generali Diaz, Giardino, Caviglia, Pecori Giraldi, Cadorna ed altri si schierano contro il progetto. Vittoria Villa ricordava da aver assistito al dibattito nelle tribune di Palazzo Madama, e di aver provato un certo imbarazzo, avendo a fianco la moglie172 del generale Giardino, quando fra questi e suo marito, che sedeva al banco del governo, ci fu uno scambio di dure battute a denti stretti. Il 1° aprile durante il dibattito Di Giorgio aveva fatto cenno alle speculazioni politiche che avevano animato gli oppositori al suo progetto e se ne era uscito con questa frase: l’esercito è quello che deve essere né fascista né antifascista, ma semplicemente esercito regio e italiano, come dice il suo nome glorioso e intemerato.

Nella tarda mattinata del 2 aprile il generale Di Giorgio ricevette una lettera di Mussolini nella quale gli comunicava (…) tenuto conto delle indecisioni degli amici del Governo e della opposizione manifestatasi in Senato, io oggi eviterò il voto, e chiederò che il Senato mi dia il tempo necessario per approfondire la questione. Così la sorte del progetto non resta pregiudicata.

Di Giorgio scrisse, come risposta a Mussolini, una lettera con le dimissioni che così giustificò: resterei al mio posto senza il prestigio e l’autorità necessarie per continuare a tenerlo, come finora l’ho tenuto.

Mussolini il 4 aprile gli scriveva: Caro Di Giorgio, Sua Maestà al quale ho comunicato le sue dimissioni Le ha accettate e io ho assunto l’interim della Guerra. Credo che sia – per il momento- la soluzione migliore. Anche perché dimostra che non ci sono stati nella grande battaglia al Senato né vincitori né vinti.

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Margherita John Rusconi. 69

Il generale Clerici immediatamente presentò le sue dimissioni da sottosegretario di stato al nuovo ministro della guerra. Mussolini gli inviò questo biglietto173 scritto di suo pugno: Prendo atto delle Vostre dimissioni, ma Vi ordino di rimanere in carica sino all’arrivo del vostro successore. Mussolini.

Il sottosegretario Clerici collaborò col ministro Mussolini per poco più di un mese: in vecchiaia lo ricordava come un ministro decisionista che capiva le cose al volo col quale partecipò alle riunioni per la costituzione dell’Arma Aeronautica. Il 4 maggio 1925 il Consiglio dei Ministri nominò sottosegretario alla guerra il generale Ugo Cavallero. Il 18 maggio il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, onorevole Suardo, inviava questa lettera al generale Clerici: Mi pregio trasmetterle l’unita copia autentica del decreto, in data 4 maggio 1925, col quale S.M. il Re ha accettato le dimissioni della S.V. onorevole rassegnate dalla carica di Sotto Segretario di Stato per la Guerra.

Lo scambio delle consegne fra i generali Clerici e Cavallero avvennero al Ministero della Guerra ai primi di giugno. Della visita di congedo, che fece a Mussolini, il generale Clerici scriverà174: espressi il desiderio di essere destinato alla divisione di Ravenna, l’unica che era allora scoperta: mi rispose che io dovevo rimanere a disposizione…, ma l’indomani “Il Messaggero” nel trafiletto che dava la notizia dell’eventuale nomina di un sottosegretario di Stato agli Esteri, faceva il mio nome fra i probabili designati. Corsi subito dal conte Suardo, allora Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio gli mostrai il giornale e gli feci notare che se la notizia corrispondesse a verità, io lo pregavo di far presente a Mussolini che io non intendevo assolutamente assumere qualsiasi altra carica politica. Mi rispose che fino a quel momento non c’era nulla di vero, ma che al caso avrebbe fatto presente la mia ferma decisione contraria. Tranquilizzato me ne andai in licenza a Villareggio.

Poco prima di lasciare Roma aveva ricevuto175 la visita del generale Arturo Cittadini, primo aiutante di campo generale del Re, che gli aveva chiesto esplicitamente se avesse intenzione di ritornare nell’esercito ed il generale Clerici anche a lui disse che era contrario ad assumere altre cariche politiche. Cittadini sembrò soddisfatto, ma non gli svelò quel che bolliva in pentola.

Il biglietto non l’abbiamo trovato fra le carte del generale Clerici, che lo trascrisse nella memoria difensiva che presentò nel 1945 all’Alta Corte di Giustizia. 174 In memoria difensiva presentata dal generale Ambrogio Clerici all’Alta Corte per l’epurazione. 175 Episodio raccontatoci da Vittoria Villa contessa Clerici. 173

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4.- Primo aiutante di campo di S.A.R. il Principe di Piemonte (1925-1932). Dalle nozze di Re Vittorio Emanuele III con Elena di Montenegro nacquero cinque figli: un maschio (il principe Umberto) e quattro femmine (le principesse: Jolanda, Mafalda, Giovanna, Maria). Sua Altezza Reale Umberto di Savoia176, erede al Trono d’Italia, portava il titolo di Principe di Piemonte: nel 1912 fu affidato al capitano di vascello Attilio Bonaldi che, come vice-governatore ne diresse l’educazione; Nel 1921, come voleva la tradizione di Casa Savoia, entrò nell’arma di fanteria e nel 1925, raggiunta la maggiore età, gli fu costituita una propria Casa Militare con la quale prese dimora nella Reggia di Torino. La casa militare del Principe Ereditario177 era formata da un primo aiutante di campo (generale di divisione) e da quattro ufficiali d’ordinanza effettivi (capitani o maggiori: due dell’Esercito, uno della Marina, uno dell’Aeronautica). Con Regio Decreto 7 agosto 1925 il generale di divisione Ambrogio Clerici venne incaricato delle funzioni178 di primo aiutante di campo di S.A.R. il Principe di Piemonte. La scelta del generale Clerici non era casuale: il Principe Ereditario usciva dalla tutela dell’ammiraglio Bonaldi ed acquistava una maggiore autonomia andando a vivere lontano dai genitori. I Sovrani d’Italia vollero affidare il figlio al generale Clerici che conoscevano bene perché era stato per quattro anni (1919-1923) a Corte come aiutante di campo generale del Re. Ambrogio Clerici scrisse179 in luglio mi fu recapitata (a Villareggio) la notizia che in settembre avrei dovuto assumere la carica di primo aiutante di campo generale di S.A.R. il Principe di Piemonte e che dovevo recarmi a Torino per la preparazione degli alloggiamenti nel Palazzo Reale di detta città e per la costituzione della Casa.

L’11 novembre 1925 il Principe Ereditario proclamò ufficialmente la maggiore età e prese possesso del palazzo reale di Torino, dove si stabilì con la casa militare formata dal primo aiutante di campo (generale di divisione Clerici) e da quattro ufficiali d’ordinanza ( capitano di stato maggiore Tullio Sovera; tenente di vascello Sesto Sestini; capitano dell’aeronautica Piero Giberti; capitano di cavalleria conte Santorre de Rossi di Santa Rosa). Dei rapporti fra il giovane Principe e il generale Clerici, ormai anziano, non si sa molto. Il giornalista Alessandro Porro, in un suo articolo180, 176

Umberto di Savoia (1904-1983) divenne nel maggio 1946 re Umberto II. Legge 11 marzo 1926, n. 395 (in G.U. n. 61 del 15 marzo 1926): “Costituzione della Casa Militare di S.A.R. il Principe Ereditario Umberto Nicolò Tomaso Giovanni Maria di Savoia, Principe di Piemonte”. 178 La nomina ad aiutante di campo effettivo avvenne con Regio Decreto 3 aprile 1926, ed ebbe efficacia dal 15 settembre 1926. Il decreto nulla innovava, cambiava solamente lo stato giuridico da facente funzioni ad effettivo. 179 Memoria difensiva. 180 ALESSANDRO PORRO, Il mistero delle tre sorelle, articolo apparso nel 1961 sul settimanale “Grazia”. 177

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lascerebbe capire che il generale Clerici non apprezzasse molto le brigate allegre che attorniarono da subito, nei momenti di riposo, il Principe Ereditario. Scrive il Porro che dal 1928 il Principe Umberto: sta più in caserma che a casa, ma l’unico ad essere soddisfatto di questo mutamento è il generale Clerici.

Il Principe Ereditario destinava parte del suo appannaggio in beneficenza ed al generale Clerici che protestava, perché gli era difficile far quadrare il bilancio, era solito rispondere. “Caro Generale la Divina Provvidenza provvederà181.” Riproduciamo due lettere scritte a mano dal Principe e ritrovate nelle carte del generale Clerici: Caro Generale, Le mando le 60 suppliche di cui Le ho parlato questa mattina. Desidererei avere le risposte prima di partire per Roma per fare in modo che per Natale tutti possano essere accontentati. Con tanti saluti Umberto

Nella seconda lettera, da datare sicuramente 1929, il Principe Ereditario scriveva: PALAZZO DEL QUIRINALE

Caro Generale, Le famose L. 12.000 furono date al Reggimento con Dispaccio Ministeriale in data 27 marzo 1929, n. 1712. Abbia la bontà di parlarne – nel senso che Le dissi a Torino – a S.E. il Ministro al quale porti anche – La prego - i miei saluti. Grazie Umberto

Il generale Clerici era l’orecchio e l’occhio del suo Principe: intuiva, ascoltava, riferiva e provvedeva. Il conte Santorre de Rossi di Santa Rosa ha scritto182: Sono stato ufficiale d’ordinanza di S.A.R. il Principe di Piemonte dal 15 settembre 1925 al 15 settembre 1929 e di conseguenza, per quattro anni, vicino al generale Ambrogio Clerici al quale ero molto devoto e affezionato. Ho sempre ammirate le qualità e le doti non comuni del suo Avo. Intelligente, attivo, con molto buon senso, generoso, gentile, comprensivo. Avendomi dimostrata sempre stima e fiducia ho avuto modo di constatare la sua rapida soluzione di certe situazioni difficili e delicate.

Il generale Clerici prima di rispondere a una lettera o concedere un’udienza faceva prendere informazioni ed aprire un fascicolo. Questo archivio si trova a Torino. Uno degli archivisti (commendatore Eraldo Paci), che lavorò per il generale Clerici, ha scritto183: 181 182

Episodio riferitoci dal conte Santorre de Rossi di Santa Rosa. Lettera del 31 agosto 1974 in A.d.c.C. (fondo Casa Reale di Savoia). 72

Nel 1925, quando si costituì la “Casa Militare” io avevo da poco terminato il servizio di leva e venni assunto a Torino come impiegato (gruppo C) addetto all’Archivio ed ho avuto in quei primi anni molti contatti con il compianto generale Clerici, ma limitati ovviamente a richieste di pratiche in corso e fascicoli già agli atti, etc. Ricordo bene però che sotto la sua figura di burbero militare celava una grande umanità; gli abbiamo voluto tutti bene; era attivissimo ed un esempio per tutti. Conservo la fotografia con dedica che egli, prima di lasciare, nel novembre 1932, la importante carica volle donare come gradito ricordo ai suoi collaboratori.

Se si sfogliano i giornali italiani dal 1925 al 1932, si trova spesso negli articoli, che parlano dell’attività di S.A.R. Umberto di Savoia, questa frase: ”il Principe Ereditario accompagnato dal generale Ambrogio Clerici”, seguita dalla cronaca di cerimonie pubbliche (inaugurazioni, visite, celebrazioni, ecc.). Nulla era lasciato al caso: il generale Clerici voleva che ogni cosa fosse prevista nel dettaglio. In vecchiaia il generale raccontava delle numerose ragazze che facevano ressa per avvicinare il Principe e che ad una di queste, che voleva baciarlo, le disse scherzosamente: ”il bacio lo dia a me, che poi io lo darò a Sua Altezza Reale.” Raccontava anche un curioso episodio: durante i funerali della Regina Margherita si accorse che il Principe tratteneva a stento le risa, contrariato si guardò attorno per capire il motivo e vide il principe Victor Bonaparte184 che si era presentato, per distrazione, con i pantaloni del pigiama da camera (blu) indossati sopra la marsina con cravatta bianca e decorazioni. Lo fece circondare dagli ufficiali d’ordinanza delle corti principesche, che lo portarono in un luogo appartato per fargli indossare i pantaloni regolamentari che un cameriere aveva portati in fretta e furia. Le autorità fasciste qualche problema lo crearono al generale Clerici. La Federazione fascista di Torino non era favorevole al Principe. Vi era poi Mussolini che lo faceva tenere d’occhio perché non desiderava che Umberto di Savoia venisse a contatto con elementi antifascisti. Nel periodo dicembre 1925-gennaio 1926 il generale Clerici venne ripreso due volte dal Duce.185 La sera del 2 dicembre 1925 il capo di gabinetto della prefettura di Torino faceva recapitare a palazzo reale copia di questo telegramma: GAB. 396 – Voglia rimettere quanto segue S.E. il Generale Clerici stop Caro Clerici bisognava evitare assolutamente che il Principe Ereditario fosse ospite Firenze di quel Serristori186 la cui fama disfattista est notoria stop Per questo io non volli che Sua Maestà il Re di Spagna fosse ospite del Serristori e tanto più mi rammarico che sia 183

A.d.c.C.: lettera in data 6 marzo 1978 Il principe Victor Napoleon Bonaparte (1862-1926) era figlio di S.A.I. il principe Napoleon Bonaparte e di S.A.R. la principessa Clotilde di Savoia, figlia di Re Vittorio Emanuele II. 185 Quanto riportato si conserva nell’Archivio del Quirinale (fondo “Casa Militare del Principe di Piemonte”). Le fotocopie, ora in A.d.c.C., ci furono inviate, nel luglio 1982, dal Presidente della Repubblica, onorevole Sandro Pertini, tramite il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, dottore Antonio Maccanico. 186 Conte Umberto Serristori, Senatore del Regno. 184

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stata sorpresa la sua buona fede suscitando in tutta Firenze una viva emozione stop Cordiali saluti. MUSSOLINI.

Immediatamente il generale Clerici così replicava a Mussolini: Eccellenza, sono dolente che l’invito a pranzo nel palazzo Serristori abbia contrariato gli intendimenti di VE e suscitato in Firenze una emozione, che era bene evitare. Ignoravo il precedente diniego, durante la visita del Re di Spagna, cui V.E. accenna nel suo telegramma, ed il motivo che l’aveva determinato. L’invito attuale venne qui rivolto dalla Contessa e dal Conte Tozzoni187 (cerimoniere di Corte) dopo che la dama Contessa Guicciardini188 aveva fatto presente l’impossibilità in cui era di dare un pranzo, a si breve distanza di tempo, trovandosi ancora in campagna. Il non accettare stavolta sarebbe stato difficile, visto che l’invito veniva da un funzionario di Corte: solo conoscendo il precedente, avrei potuto evitarlo! Gli onori di casa vennero infatti assunti dalla Contessa e dal Conte Tozzoni, presente il Conte Serristori e le dame di Corte e di palazzo di Firenze, assente la Contessa Serristori e figlia. A me spiace molto di avere – sia pure involontariamente- agito dirò così…in contrattempo: e tanto più sono dolente in quanto V.E. conosce la mia silenziosa e profonda devozione per Lei e per la causa della Patria, che Ella così potentemente personifica: Persona e causa che io cerco con ogni mio passo di servire fedelmente, anche nelle intenzioni. Voglia, V.E., gradire queste spiegazioni che, se non giustificano l’avvenuto, mi auguro possano riuscire non sgradite. Con la massima devozione devotissimo suo Gen. A. Clerici

L’appunto del Duce non era cosa da poco! Il generale Clerici subito aveva scritta questa lettera al conte Mattioli Pasqualini, ministro della real casa, perché informasse il Re dell’accaduto: 2 Xbre 1925, ore 20,15 Eccellenza, a seguito del telegramma con cui io informavo codesto ufficio sullo svolgimento delle varie cerimonie del 29 9bre a Firenze-Vecchio, mi corre l’obbligo di segnalare a V.E. un fatto nuovo, che è bene Ella conosca per informarne, se crede S.M. il Re. S.A.R. il Principe di Piemonte la sera del 29 Novembre andò a pranzo a Palazzo Serristori, invitato dalla contessa e dal conte Tozzoni. Ciò è dispiaciuto a S.E. il Presidente del Consiglio, che me lo ha fatto sapere, sia pure in termini molto cordiali, soggiungendo che sarebbe stato bene evitare di andare in casa del conte Serristori “noto disfattista, ecc.” citandomi anzi un precedente diniego da lui opposto per un invito fatto al Re di Spagna. Precedente da me ignorato. Per la storia l’invito è avvenuto così. S.A.R., qualche giorno prima di andare a Firenze, mi espresse il desiderio di andare a pranzo la sera del 29 Novembre, a Firenze, dalla Contessa Guicciardini, che altre volte l’aveva invitato e mi incaricò di scrivere a Tozzoni per sentire se la Contessa Guicciardini era disposta ad aderire. Il conte Tozzoni mi telegrafò il venerdì che la Contessa era in campagna, con la casa a Firenze chiusa e quindi nella impossibilità materiale di dare un pranzo a sì breve 187

I conti Tozzoni, famiglia di Imola, erano imparentati con i conti Serristori. Contessa Augusta Guicciardini nata dei conti Orlandini del Beccuto, dama di Corte della Regina Elena e moglie del conte Paolo Guicciardini, gentiluomo di S.M. la Regina. 188

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distanza di tempo: soggiungeva che la Contessa Tozzoni e lui sarebbero stati ben onorati di avere l’Augusto Principe a pranzo in detta sera. Fatto in questi termini, l’invito venne accettato – né si poteva fare a meno ormai - ed il pranzo ebbe luogo alla presenza delle Dame di Firenze e rispettivio mariti: Contessa e Conte Guicciardini con figliolo e nuora – Marchese e Marchesa Ginori – Duchessa e Duca Strozzi – nonché il conte Serristori e genero – assenti la contessa Serristori e la figlia, in quel giorno a Parigi. Gli onori di casa vennero fatti dai conti Tozzoni. Tutto questo io ho fatto presente a S.E. Mussolini, la sera stessa del giorno in cui mi pervenne la sua lamentela, premesso che l’invito era pervenuto da un funzionario di Corte e che non poteva essere declinato senza offendere gratuitamente. La cosa è terminata così. Ne ho voluto informare V.E. per doverosa notizia e perché S.M. il Re ne sia edotto, prima che altri gliene parlino. Oggi S.A.R. il Principe di Piemonte è andato a Vigone per l’inaugurazione del parco della rimembranza: solita accoglienza entusiastica! Prego porgere a S.M. il Re i miei devoti profondi omaggi. Distinti saluti Gen. Clerici

L’eco del pranzo di Palazzo Serristori si era appena spento, quando Mussolini fece un altro rimprovero al generale Clerici per aver permesso al Principe Ereditario di partecipare, il 23 gennaio 1926, a Torino presso la scuola di guerra, a una conferenza tenuta dal professore Pietro Silva189 sul tema: “Il Mediterraneo e la rinascita italiana”. Alla conferenza oltre al Principe Ereditario parteciparono il generale Triscornia, comandante del Corpo d’Armata, e le principali autorità civili e militari. Su “il Giornale d’Italia” del 24 gennaio 1926 si leggeva: l’oratore alla fine della sua conferenza è stato salutato da calorosissimi applausi e il Principe Ereditario si è congratulato vivamente con lui.

In un articolo, apparso sul giornale “La Tribuna”, la presenza del Principe alla conferenza fu criticata con queste parole: …Il prof. Pietro Silva, degno compagno di Gaetano Salvemini nella nefanda campagna rinunciataria per la Dalmazia e che, fino a questi ultimi tempi, è stato sempre in prima linea in ogni manifestazione anti-fascista, è uomo tale che dovrebbe ormai sentire il pudore di non tentare indirettamente “inserzioni”. In ogni modo è per lo meno strano che autorità politiche e militari di una grande città ignorino i precedenti del detto professore e giungano perfino a consigliare d’intervenire all’augusto Erede della Corona. Ripetiamo: la cosa è tanto enorme che vogliamo sperare possa essere smentita; chè, se fosse vera, sarebbe tale da richiamare le autorità competenti a provvedere che simili cose non abbiano mai più a ripetersi.

La critica della Tribuna non sfuggì a Mussolini che aveva l’abitudine di leggere, armato di lapis rosso e blu, ogni giorno attentamente i quotidiani. Il Duce scrisse subito di suo pugno questa lettera al generale Clerici: 189

Pietro Silva (1887-1954) storico che insegnò alla facoltà di Magistero dell’Università di Roma. Scrisse fra l’altro:”Il Mediterraneo dall’unità di Roma allo impero italiano”. 75

Caro Generale, Mi permetta di dirle che trovo inaudito il fatto del Principe Ereditario uditore di una conferenza del Prof. Silva. Costui è un vile rinunciatario, un disfattista di vecchia data, un frenetico aventiniano che si rallegrava della mia malattia, un perfido nemico del Fascismo. Se abbiamo perduto la Dalmazia lo si deve anche a questo intimo amico di Salvemini. Questo lo dico schiettamente come è mio costume e Le accludo un ritaglio della Tribuna, per mostrarle la disastrosa impressione prodotta da questo episodio. Colgo l’occasione per mandarLe i miei più cordiali saluti Mussolini Roma, 26 gennaio 1926.

Il generale Clerici non era certamente persona che si facesse intimorire. Il 29 gennaio 1929 spediva questa lettera al Presidente del Consiglio: Eccellenza, La ringrazio per la franca e cordiale sua lettera personale oggi ricevuta e solo mi dispiace vivamente di essere incorso un’altra volta nel suo biasimo. Ma V.E. mi deve permettere che dica anch’io francamente la mia parola. L’invito a intervenire con S.A.R. alla conferenza del Prof. Silva mi pervenne dal Comandante della Scuola di Guerra la sera del 20 gennaio per il successivo giorno 23. Dalle informazioni risultava: 1° - Che il detto professore era personalmente conosciuto da S.A.R. perché insegnante dell’Accademia Navale, era stato presentato a Lui nel 1922 e poscia era stato imbarcato sulla stessa nave dal luglio all'ottobre dell'anno successivo; che egli era anzi autore della relazione sulla crocera compiuta, libro di cui nel 1923 fece omaggio al Principe. 2° Che il Prof. Silva ricopriva e ricopre la carica di insegnante all’Istituto Superiore di Magistero in Roma. Da notare che l’invito alla conferenza proveniva dal massimo nostro ateneo militare e l’invito era esteso a tutti gli ufficiali del presidio: e come ufficiale S.A. è intervenuta. La conferenza ha avuto luogo in locale prettamente militare, con pubblico esclusivamente militare; fu una sintesi completa della Storia d’Italia in rapporto con le vicende del Mediterraneo, in cui il conferenziere ha sciolto un inno alla rinascita d’Italia, senza il benché minimo accenno politico. La sera stessa e l’indomani i giornali politici di qui ne parlarono tutti favorevolmente; nessun commento di sorta ha suscitato nell’opinione pubblica né il nome del conferenziere né la conferenza, segno evidente che qui nessuno, né autorità né giornali politici, né pubblico erano al corrente dei gravi addebiti mossigli a Roma. Francamente come potevo io escludere l’intervento di S.A. alla conferenza del Prof. Silva, quando non avevo nessun sospetto di accusa e quando a Roma stessa egli copre un ufficio statale in un istituto da cui si diffonde la coltura in Italia? Si obietta: non dovevate ignorare! Occorre che l’Amministrazione Centrale si convinca che alla periferia l’opera nefasta di questi gregari dell’Avventino – se non è messa in evidenza - non giunge affatto o giunge talmente attenuata che il ricordo svanisce presto; solo si conoscono i massimi esponenti che la stampa addita ad un giusto disprezzo. Ho voluto che V.E. conoscesse appieno come si è svolta questa pratica, affinché non creda che io faccia le cose alla leggera e soprattutto perché tengo a dichiararLe ancora una volta che nei miei atti ho sempre di mira il servire fedelmente la causa della Patria e V.E. che così potentemente la personifica.

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Le giustificazioni del generale Clerici convinsero Mussolini che subito gli scrisse questo biglietto: Caro Generale, Le sue spiegazioni sono esaurienti. Glielo dico colla stessa semplice schiettezza con la quale le ho mandato la prima lettera. Ma riconfermo il mio giudizio sul Prof. Silva. Cordiali saluti Mussolini Roma 30 gennaio 1926.

Naturalmente il generale Clerici aveva voluto che dell’incidente fosse informato il Re. Aveva scritto al generale Arturo Cittadini, primo aiutante di campo generale, che poco dopo gli inviò questa lettera: Roma, 29 gennaio 1926 Caro Clerici, Ho avuto l’onore di dare visione a S.M. il Re della tua lettera 27 corrente relativa al noto articolo della “Tribuna”. Mi do premura di assicurarti che la Maestà Sua ha preso conoscenza delle esaurienti illustrazioni da te fornite sui particolari dell’episodio da cui l’articolo trasse origine. Qui nessuno ha pensato di dare alla cosa un’importanza od un seguito qualsiasi. Converrà quindi non parlarne più. Con tanti saluti cordialissimi. Aff.imo Cittadini

Le autorità fasciste avrebbero voluto sorvegliare più da vicino il Principe Ereditario: nel 1927 tentarono190 di inserire nella sua Casa Militare un ufficiale della Milizia (M.V.S.N.) come quarto ufficiale d’ordinanza. Circolava già il nome del conte Annibale Brandolini d’Adda191. La notizia dell’intrusione fascista non rallegrò il generale Clerici per due motivi: perchè avrebbe dovuto mandare via uno dei due ufficiali d’ordinanza provenienti dall’esercito e poi per la poca stima che aveva per la milizia che considerava forza di serie B più favorevole al regime che alla dinastia. Alla larga i fascisti dalla Corte del Principe! C’era già la federazione fascista di Torino che faceva la “fronda” contro il Principe: il colonnello Carlo Nicolis di Robilant era il federale attorniato da due vice (Scarampi e Valentino). Ha scritto Richelmy192: i fascisti più zelanti mormoravano parole di denigrazione; i gerarchi spiavano ogni suo atteggiamento ed ogni sua parola e guardavano con dispetto e sospetto alle dimostrazioni di cui era oggetto. Dava particolare fastidio che egli non nascondesse la sua amicizia verso giovani notoriamente antifascisti, a molti dei quali evitò seri guai. Riuscì a liberare dal carcere un giovane avvocato che gli era simpatico per la sua brillante facondia. Un altro giovane su cui pendeva la minaccia d’arresto ospitò a palazzo reale fino a che fu superato il pericolo. 190

LUIGI FEDERZONI, 1927: Diario di un ministro del fascismo, Passigli Editore (Firenze, 1993), pag. 39. 191 Conte Annibale Brandolini d’Adda (1899-1961) che aveva sposato la principessa donna Laura Boncompagni Ludovisi. 192 CARLO RICHELMY, Cinque Re, storia segreta dei Savoia, Gherardo Casini Editore (Roma, 1952), pgg. 252-253. 77

Bastava poco ai fascisti per trovare lo spunto per criticare il Principe di Piemonte. Nel Diario di Federzoni193 troviamo registrato sotto la data del 15 aprile 1927: Volpi mi ha ripetuto il racconto, fattogli a Milano dall’onorevole Alfieri, di un piccolo spiacevole incidente accaduto, credo il 27 marzo, a Torino. In un teatro, presente il Principe ereditario, furono suonate la Marcia Reale e Giovinezza. Sua Altezza, che aveva ascoltata la prima in piedi, sedette alle prime note della seconda.

Apriti cielo! Dell’episodio se ne occuparono un deputato (onorevole Dino Alfieri) e ben due ministri: quello delle finanze (il conte Giuseppe Volpi di Misurata) e quello delle Colonie (onorevole Luigi Federzoni). Un'altra difficoltà il generale Clerici la ebbe nell’organizzare la visita del Principe Ereditario a Cremona, che era la città dove spadroneggiava Roberto Farinacci, che era anche il federale della città e il proprietario del giornale “Regime Fascista”. La richiesta della visita fatta da Farinacci rientrava nel disegno che questi, dal capodanno del 1927, stava mettendo in pratica per cancellare i cattivi ricordi della sua passata faziosità, con l’assumere un atteggiamento accentuatamente monarchico, anzi dinastico. Quanto più l’odiato rivale Balbo si avvolge nell’equivoco del filorepubblicanesimo proprio e dei propri amici, tanto più, per istintiva antitesi, Farinacci poggia a destra. Ed ecco il caloroso telegramma augurale di Capodanno a Sua Maestà il Re; ed ecco le esplicite dichiarazioni di lealismo fatte a tempo addietro a Roberto Forges Davanzati194.

Il programma, voluto da Farinacci, prevedeva che il Principe Ereditario partecipasse a una Messa per i Caduti da celebrarsi nel cimitero. Il vescovo di Cremona (monsignor Giovanni Cazzani), che non era in buoni rapporti con Farinacci, se ne ebbe a male e scrisse una lettera all’arcivescovo di Torino, cardinale Gamba, perché la Messa fosse celebrata nel Duomo. L’arcivescovo di Torino aveva subito scritto al generale Clerici, inviandogli la lettera del Vescovo di Cremona. Il generale Clerici si attivò presso il Prefetto, che poco dopo gli fece pervenire un telegramma col quale gli comunicava che per ragioni di itinerario e di ordine S.E. il Vescovo desisteva dalla richiesta di far celebrare la Santa Messa in Duomo anziché al cimitero, ed esprimeva solo il pensiero che S.A.R. il Principe di Piemonte visitasse il Duomo durante il suo soggiorno in Cremona. Mi pregio comunicare a Vostra Eminenza che la visita stessa è stata fissata per ore 18,30 e La prego di gradire i miei distinti ossequi195.

***

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LUIGI FEDERZONI, op. cit., pag. 170. LUIGI FEDERZONI, op. cit., pag. 72. 195 Lettera del generale Clerici al cardinale Gamba. 194

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Nell’Archivio della Curia Arcivescovile di Torino196 ci sono parecchie lettere che il generale Clerici indirizzò dal 1925 al 1929 al cardinale Gamba, arcivescovo di Torino. La prima lettera è un invito per la presentazione degli auguri: Torino, 24 dicembre 1925 Sua Altezza Reale il Principe di Piemonte riceverà la Eccellenza Vostra al Real Palazzo il primo giorno dell’anno alle ore 10,55. Con distinta osservanza Il primo aiutante di campo di S.A.R. il Principe di Piemonte Generale di divisione A. Clerici

Il 2 ottobre 1926 il generale Clerici scriveva all’Arcivescovo : Eccellenza, Ho avuto l’onore di riferire a Sua Altezza Reale il Principe di Piemonte il desiderio espresso dal Comitato Francescano che l’Altezza Reale si compiaccia intervenire alla funzione religiosa che si svolgerà alle ore 17 del 4 corrente nella Chiesa San Giovanni. L’Augusto Principe che ha gradito il cortese invito, mi ha affidato l’incarico di comunicarLe che ben volontieri assisterà a detta cerimonia dalla Tribuna Reale, e di ringraziarLa altresì del gentile pensiero. Adempio con la presente all’ufficio connessomi e mi valgo con molto piacere della circostanza per porgerLe, Eccellenza, gli atti della mia più deferente considerazione. Il Primo Aiutante di Campo di S.A.R. il Principe di Piemonte Generale di Divisione A. Clerici

Molte lettere che il generale Clerici scrisse al cardinale Gamba erano per chiedere, per conto del Principe di Piemonte, la celebrazione di funzioni religiose. Il 29 ottobre 1927 scriveva: Eminenza, Per il genetliaco di S.M. il Re, che cade il giorno 11 novembre p.v., S.A.R. il Principe di Piemonte desidera che nella Chiesa di S. Filippo venga cantato un solenne Te Deum alle ore 17, dato che tale funzione non può avere luogo nella Chiesa Metropolitana, causa i lavori di restauro in corso. L’Augusto Principe sarà molto lieto se V. Em. vi interverrà ed ancor più se Ella stessa potrà celebrare la Sacra Funzione.

Col tempo, fra il generale Clerici e il cardinale Gamba, si era instaurato, sia pure dietro il formalismo, un certo “affiatamento”: il generale Clerici le lettere indirizzate al Cardinale le scrisse interamente a mano. Nel maggio 1928 l’arcivescovo di Torino gli scriveva per evitare che un suo Parroco avesse grane dai fascisti e così il generale Clerici gli rispose: 196

A.A.T. 14.13/1 cardinale Giuseppe Gamba. 79

Eminenza, Non ho mancato di interessarmi al Rev. Monsignor Luigi Pagano, Priore Parroco di S. Andrea in Bra, che V. Em. mi presentava con il suo gradito biglietto, e mi è gradito comunicare a V. Em. che nessun provvedimento è in corso a di lui carico ed egli non verrà in alcun modo molestato. Debbo però far presente a V. Em. che mi è stata rappresentata l’opportunità di consigliare il Reverendo Pagano di desistere dalle manifestazioni politiche che hanno provocato l’attuale stato di cose, perché è certo che egli ha manifestato pubblicamente le sue idee contrarie al fascismo e al Governo, tanto da essere ritenuto in tutto il paese come l’esponente dell’antifascismo locale. E’ stato anche rilevato che il Rev. Pagano invitato a cooperare alla battaglia del pane dal Podestà di Bra, respinse la lettera d’invito, dichiarando di non condividere l’idea, ed inoltre egli con qualche altro atto ha confermato i suoi sentimenti contrari al fascismo ed al Governo. Prego Vostra Eminenza di voler far riservato uso delle informazioni predette e di voler accogliere gli atti del mio devoto ossequio Devot. Gen. Clerici

Il cardinale Gamba il 19 ottobre 1929 scriveva al generale Clerici per chiedere l’autorizzazione del Principe perché una commissione potesse esaminare le reliquie di San Maurizio. Due giorni dopo il generale rispondeva: Torino, 21 ottobre 1929. Eminenza, In risposta alla Sua lettera del 19 corr. Sono lieto di informare V. Em. che il Ministero della Real Casa, al quale venne segnalata la domanda dell’Em. V. diretta a S.A.R. il Principe di Piemonte, ha ora fatto conoscere che S.M. il Re si è degnato di dare il suo Sovrano consenso a che venga eseguito il confronto delle reliquie di San Maurizio conservate nella Sindone.

*** Nel gennaio 1928 il Principe Ereditario, accompagnato dal generale Clerici e dai capitani Tullio Sovera e Piero Giberti, intraprese un lungo viaggio che lo portò in Somalia e in Terra Santa. Il 27 gennaio il Principe col seguito si imbarcò a Taranto. La prima tappa (31 gennaio) fu ad Alessandria d’Egitto, dove alle ore 10 il Principe è sbarcato accompagnato dal ministro Paternò e dal generale Clerici197.

197

La Stampa, 1 febbraio 1928. 80

Foto 14. Alessandria d’Egitto. Il generale Clerici è il primo a sinistra. Il giorno seguente la comitiva reale partì per il Cairo dove in serata partecipò a un banchetto di gala offerto da re Fuad198 nel Palazzo Reale. Il Sovrano egiziano insignì il Principe Ereditario e concesse al generale Ambrogio Clerici il gran cordone dell’ordine del Nilo.

Foto 15. Il Cairo, 1 febbraio 1928. Il generale Clerici, a destra con il Principe di Piemonte, lascia il palazzo reale. Nei giorni successivi la comitiva reale fece alcune escursioni nei luoghi storici e visitò le piramidi; il 13 febbraio con treno speciale giunse in Eritrea. Due giorni dopo il Principe

198

Fuad I, re d’Egitto dal 1922 al 1936. 81

accompagnato dal sottosegretario Bolzon, dal governatore Gasperini e dal generale Clerici ha lasciato Terrenei per partecipare nella riserva tra il Gasc e il Setit ad una partita di caccia grossa199.

Il 20 febbraio il Principe col seguito giunse all’Asmara, il 22 ad Adua, il 23 a Massaua, il 29 a Mogadiscio, il 3 marzo risale l’Uebi Scebeli per visitare il Villaggio Duca degli Abruzzi. Durante la permanenza in Somalia il Principe Ereditario partecipò ad una battuta di caccia grossa che nella “Illustrazione Italiana200” fu così descritta: la piccola carovana di cacciatori – costituita da sei persone oltre il Principe e fra queste il governatore de Vecchi e il generale Clerici – giunge sul luogo dove si aggirano gli elefanti. Scorto dalle belve, il gruppo viene caricato da due pachidermi inferociti, che si lanciano in linea retta, con la proboscide verticalmente alzata e con furiosi barriti di guerra. Il terreno è completamente nudo e piatto, senza appiglio di un solo albero. I cacciatori si gettano immediatamente bocconi e quando i due elefanti sono a circa cento metri, il capo caccia invita brevemente: «Altezza a Voi!» Come si sa l’elefante è vulnerabile soltanto dietro l’orecchio e in una piccola zona della spalla. A quella indicazione il Principe si leva in piedi calmo e sorridente, avanza di alcuni passi, imbraccia il fucile e fa fuoco. La belva colpita con freddo calcolo alle spalle, rotola a terra. L’altro elefante è abbattuto dal tiro degli altri sei cacciatori alzatisi a loro volta.

Il 24 marzo il Principe di Piemonte, col seguito, lasciò la Somalia diretto in Palestina dove il 3 aprile visitò il villaggio di Nazareth e il lago di Tiberiade. In un articolo pubblicato su “la Stampa” del 4 aprile 1928 troviamo scritto: un corteo di macchine Fiat si è mosso stamane da Gerusalemme alle sette. Nella prima hanno preso posto S.A.R. il Principe Umberto col console generale on. Pedrazzi, il generale Clerici e padre Diotallevi, nelle altre si sono accomodati il seguito ed alcuni invitati.

Il 6 aprile il Principe Ereditario, vestito di nero, percorse la via Crucis avendo come seguito “soltanto l’on. Pedrazzi e il gen.Clerici”. Il giorno successivo il Principe Umberto si recò col seguito ad Amman per far visita a Re Feisal. Il 14 aprile il viaggio ufficiale terminò con lo sbarco a Taranto. *** Nel settembre 1929 il Principe di Piemonte ordinò al conte Santorre de Rossi di Santa Rosa di preparare i documenti perché doveva accompagnarlo in Germania: questi informò subito il generale Clerici, che preoccupato esclamò: “auguriamoci che Sua Altezza Reale non si fidanzi con qualche Principessa tedesca!” Il conte di Santa Rosa ha raccontato201:

199

La Stampa, 16 febbraio 1928. Illustrazione Italiana, febbraio 1928. 201 Lettera in A.d.c.C. (fondo Casa Reale di Savoia). 200

82

nel settembre 1929 siamo partiti da Torino: S.A.R., io e due autisti. Dopo tre giorni di sosta a Francoforte una bella mattina siamo partiti per il nord. Sua Altezza non mi disse nulla fino a quando entrati in Belgio mi disse:«Andiamo a trovare una anziana contessa amica di Sua Maestà la Regina.» Presso l’anziana contessa si trovava S.A.R. la Principessa Maria José con la quale il Principe si fidanzò.

Nell’ottobre 1929 il Principe Umberto, accompagnato dalla sua casa militare, si recò a Bruxelles per chiedere ufficialmente la mano della principessa Maria José. Ormai vecchio il generale Clerici, in famiglia, faceva un parallelo fra il cerimoniale della corte italiana e quello della corte belga, e diceva che il primo era molto rigido, ma dava una maggiore sicurezza per l’incolumità dei membri della famiglia reale. A sostegno della sua affermazione raccontava che quando, nell’ottobre 1929, il Principe di Piemonte arrivò alla stazione di Bruxelles non c’erano cordoni di truppa cosicché la folla poté far ressa intorno al Principe. Preoccupato per l’incolumità del suo Principe il generale Clerici chiese al prefetto di polizia che per la cerimonia d’omaggio alla tomba del Milite Ignoto fosse messo un cordone di truppa. Fu accontentato. Caso volle che un giovane antifascista, Fernando de Rosa, sparasse un colpo di rivoltella contro il principe Umberto, mentre stava deponendo una corona sulla tomba del Milite Ignoto: l’attentatore fallì il bersaglio. Poco dopo l’attentato il generale telegrafava al Quirinale per riassicurare il Re. Il timore di un attentato contro i Reali era sempre presente nel generale Clerici, come in tutti gli appartenenti alla corte italiana: vi era ancora il ricordo dell’attentato di Bresci a re Umberto I. La principessa Maria José, che si era accorta di questo timore, una volta durante un soggiorno a Cortina d’Ampezzo gli fece recapitare questa lettera202 scritta con calligrafia contraffatta: Un amico fidato ti avverte che domani a l’Albergo Tre Croci ci sarà una persona con cattive intenzioni! Pensa alla tua responsabilità. Apri bene i tuoi occhioni cerulei. T…203

202 203

In A.d.c.C. (fondo Casa Reale di Savoia) firma illeggibile. 83

Foto 16. Il generale Ambrogio Clerici accompagna la Principessa di Piemonte (Roma 1930) Di ritorno dal Belgio il generale Clerici trovò sulla sua scrivania questa lettera di scuse che la madre dell’attentatore di Bruxelles gli aveva indirizzata: Il generale Clerici venne incaricato dal Principe di contattare le autorità religiose per la scelta della chiesa nella quale si sarebbe dovuto celebrare il matrimonio. Il 28 ottobre 1929 scriveva al conte Cesare de Vecchi di Val Cismon, ambasciatore di sua maestà il Re d’Italia presso la Santa Sede, questa lettera204: …Nell’occasione permettimi, cara Eccellenza, che io ritorni sull’argomento della Chiesa in cui si dovrà celebrare il matrimonio. Ti posso assicurare in modo positivo che S.A.R. predilige una delle due basiliche: Santa Maria Maggiore e San Giovanni in Laterano. Ad ogni modo Sua Altezza Reale fa affidamento sul suo tatto e sulla sua influenza personale in Vaticano per risolvere la questione che tanto Gli sta a cuore. D’altronde un atto di accondiscendenza di Sua Santità, in tale grandiosa circostanza, avrebbe la virtù d’influire in maniera benefica sugli animi di tutti.

Il conte de Vecchi rispose205 al generale Clerici dicendogli che c’erano poche speranze perché i desideri del Principe fossero accolti. Le difficoltà nascevano proprio là dove era più difficile combatterle; cioè provenivano dal Capo Supremo il quale era sordo alle richieste di Santa Maria Maggiore e di San Giovanni in Laterano e consigliava, scartati il Pantheon e Santa Maria degli Angeli, un’infinità di piccole chiese minori non adatte al solenne avvenimento.

Dopo questa risposta il generale Clerici si rivolse al cardinale Gamba affinché intercedesse presso il Pontefice, che fu irremovibile. Visto l’atteggiamento del Sommo Pontefice, i Sovrani decisero che il matrimonio del figlio si celebrasse nel cappella palatina del Quirinale. 204 205

De Vecchi di Val Cismon, in “il Tempo” idem 84

Quando il Principe Ereditario soggiornava a Roma il generale Clerici, che lo accompagnava, alloggiava in una suite che si trovava nella cosi detta Panetteria nel complesso del Quirinale. Nel novembre 1929 la casa militare, per curare i preparativi delle nozze del Principe Ereditario, si doveva trasferire a Roma. Il generale Clerici, il 3 novembre, scriveva al dottor Vittorio de Sanctis, segretario generale della real casa, questa lettera: Caro De Sanctis In occasione delle nozze di Sua Altezza Reale il Principe di Piemonte, la Segreteria dell’A.S.R. avrà a Roma non poco lavoro che richiederà più di un funzionario. Durante i brevi soggiorni dell’Augusto Principe alla Capitale l’ufficio è sempre stato impiantato nel salottino dell’alloggio a me destinato in Panetteria, e sebbene un poco a disagio il servizio normale è stato disimpegnato, ma non sarà possibile in occasione delle nozze svolgere tutto il lavoro in quel solo ambiente. Nel Quirinale non vi è alcuna possibilità di sistemazione; mi rivolgo perciò a te chiedendo ospitalità al Ministero. Si potrebbero avere tre stanze al primo piano ristringendo per qualche giorno gli impiegati della Ragioneria? Ti ringrazio di quanto potrai fare e ti stringo cordialmente la mano Aff. A. Clerici

La richiesta venne accolta come testimonia la lettera che il 13 novembre 1929 il dottor De Sanctis indirizzò al generale Clerici: gli mise a disposizione tre stanze della divisione quarta (ragioneria) del ministero della real casa. Il 7 dicembre il generale Clerici accompagnò in Vaticano il Principe Umberto e le Principesse Giovanna e Maria. In una fotografia, apparsa su “l’Illustrazione Italiana”, il generale venne fotografato nel cortile di San Damaso un po’ accigliato…la spiegazione certamente è da attribuirsi al braccio di ferro per la chiesa. Il Principe al termine dell’udienza privata presentò al Pontefice i membri del suo seguito. Nella Cappella Palatina, l’8 gennaio 1930, il cardinale Pietro Maffi206, che era originario di Corteolona, celebrò il matrimonio fra Umberto di Savoia e Maria José del Belgio.

206

Pietro Maffi nativo di Corteolona (paese a due chilometri da Costa dei Nobili) era nel 1930 arcivescovo di Pisa. 85

Foto 17. Roma, Cappella Palatina, 8 gennaio 1930. Nozze dei Principi di Piemonte La Principessa era giunta in treno a Roma il 5 gennaio accompagnata dai genitori: il re Alberto e la regina Elisabetta del Belgio. Alla stazione di Trastevere il Principe Umberto volle fare una sorpresa alla fidanzata e fece fermare il treno salendovi col generale Clerici che teneva in mano un mazzo di rose207. Alla stazione Termini i fidanzati furono accolti dal Re e dalla Regina d’Italia. Il matrimonio fu fastoso e i festeggiamenti durarono diversi giorni. Le decorazioni, come accade in simili circostanze, furono distribuite senza parsimonia. Il 7 gennaio Re Alberto dei Belgi, padre della sposa, insigniva il generale Clerici del gran cordone dell’Ordine di Leopoldo “voulant donner – si legge nel decreto “un témoignage particulier de Notre haute beinveillance”. Il giorno seguente Vittorio Emanuele III lo nominava cavaliere di gran croce decorato del gran cordone dell’Ordine della Corona d’Italia. Mentre fervevano i preparativi per le nozze reali, il generale Clerici fu avvertito che la madre (Cleofe Ticozzi) si stava spegnendo a Villareggio. Per evidenti ragioni di servizio non poté lasciare Roma che alcuni giorni dopo il matrimonio, appena in tempo per vedere ancora in vita la madre che spirò il 13 gennaio. Molti giornali italiani diedero la notizia della sua scomparsa: arrivarono a Villareggio molti telegrammi di condoglianze fra i quali quello del Re: la Regina ed io mandiamo a Lei e ai Suoi le nostre più vive condoglianze. Vittorio Emanuele.

Così il Principe Ereditario telegrafava al suo aiutante di campo: 207

La Stampa del 6 gennaio 1930. 86

Sono molto vicino a Lei caro generale e ai Suoi fratelli in questi tanto tristi momenti. La Principessa si unisce a me nell’esprimere le più profonde condoglianze. Aff.imo Umberto.

***

Foto 18. Il principe Umberto il 9 gennaio 1930 alle corse di Villa Glori per il "Premio Principe di Piemonte". A sinistra il generale Clerici. Fra le carte del generale Clerici si sono trovate alcune lettere208 che alcuni membri della famiglia reale gli indirizzarono. Nel marzo 1930 il Principe Ereditario si era ammalato. S.A.R. Emanuele Filiberto, duca d’Aosta, se ne interessò presso il generale Clerici. Certamente per affetto e forse…perché nella successione al trono veniva subito dopo il Principe Umberto. Così scriveva il glorioso comandante della III Armata: Torino 26.III.30 (VIII) ore 15,40 Carissimo Clerici, Solo stamane alle 11 sono venuto a conoscenza indisposizione mio carissimo e amatissimo nipote. E così…chiedere notizie precise e sicure a Lei mio carissimo. Ho anche saputo che SM il Re sarebbe qui. Potrei passare un momento da Lei onde tutto sentire e sapere per conoscere come stanno le cose? Agli ordini (sic!) sempre aff.imo E.d.S. Mi telefoni il mio numero particolare è 52870. 208

Ora in A.d.c.C. (fondo Casa di Savoia). 87

Un'altra lettera è quella che Giovanna di Savoia, zarina dei Bulgari. Leggiamo: Da Sofia lì 12-III-1931 Caro Generale, Le scrivo per chiederLe un grande favore. Vorrei che mio Fratello raccomandasse in modo speciale XY209 Prima era impiegato alla Singer, ma ora non più. Ha famiglia e ha bisogno di lavorare. In guerra era ufficiale di fanteria. Mia sorella Calvi conosce la famiglia. Del resto io non so dirle altro (sono così lontana!) ma mi farebbe piacere che questo poveretto trovasse lavoro. Lo raccomando a Lei, generale. La prego lo dica pure a mio fratello. Mi dispiace disturbarla ma io ormai in Italia non posso fare nulla!… Mi ricordi a sua moglie e la saluti tanto per me. Grazie caro generale. Le mando tutti i miei più cordiali saluti. Sua sempre aff.ima Joanna

S.A.R. Ferdinando di Savoia, duca di Genova, che come ammiraglio risiedeva a Venezia scriveva questa simpatica lettera al generale Clerici: Venezia, 30 agosto 1932, X Eccellenza Soltanto ora, di ritorno da una breve licenza, trovo la cortese Sua lettera. Dato che la contessa Morosini210 ha invitato anche me al pranzo che darà la sera del 3, se le LL.AA.RR. non avessero nulla in contrario, Le direi di venire anche Lei a pranzo all'Ammiragliato la sera del 4. La pregherei di farmi sapere cosa avranno deciso in merito. Poiché le LL.AA.RR. visiteranno l’Arsenale vorrei pregarli di venire a colazione da me dopo la visita. Vorrebbe Lei chiedere se accettano? Secondo il regolamento durante la permanenza delle LL.AA.RR. a Venezia noi dobbiamo indossare la divisa di gala invernale. Qui fa un caldo infernale e veramente soffocante. Non potrebbe S.A.R. mandarci l’ordine di indossare la divisa di gala estiva? Felice di presto vederla, Le mando, caro generale, i miei saluti più cordiali. Suo aff.imo Ferdinando di Savoia ***

Con decreto 16 giugno 1931 Vittorio Emanuele III conferì al generale Clerici la medaglia mauriziana per merito militare di dieci lustri di regolare servizio militare. La medaglia era stata istituita da Re Carlo Alberto con regie magistrali patenti in data 19 luglio 1839 per premiare i militari che avevano servito a lungo nell’esercito. Il decreto magistrale del 25 marzo 1920 aveva disposto che la medaglia fosse coniata col bronzo dei cannoni tolti al nemico nella guerra 1915-18. La consegna della medaglia al generale Clerici avvenne il 10 settembre 1931 nel palazzo reale di Torino alla presenza del Principe Ereditario, e

209 210

Abbiamo omesso il nome Contessa Annina Morosini (1864-1954), moglie del conte Michele Morosini. 88

dell’onorevole Paolo Boselli211, primo segretario del Gran Magistero dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro che pronunciò questo discorso: Altezza Reale, Signor Generale Nel decreto del 12 agosto 1916 l’Augusto Sovrano Vi nominava di motu proprio Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, l’opera vostra in guerra è segnalata “per la fidente calma e mai doma energia”. Per verità queste espressioni rispecchiano la Vostra carriera militare, rappresentano la mente e l’animo onde sempre l’avete proseguita con singolare onore. La Vostra indomabile energia si temprò e si esercitò vigorosamente per più lustri da sottotenente a maggiore nell’arma dei Bersaglieri la cui tromba suona i memorabili ardimenti e la cui ala suscita il genio popolare amico dei forti e dei ferventi. La Vostra indomabile energia nell’ora delle maggiori prove operò pronta ed efficace, unita a somma abilità, eccitando l’attività di tutti i dipendenti. Sottotenente nel 1887, Generale nel 1918 Voi, nato a Costa de’ Nobili, foste e siete nell’Esercito Italiano uno di quei gagliardi della gente pavese che sentono la Storia della Loro Terra, ora potente, ora triste, ma fortissima e desta sempre, di quelli Italiani della gente pavese che combattendo per le rivendicazioni nazionali sentirono ispiratrice sublime l’epopea dei Cairoli. La Vostra “calma fidente” che significa natura salda, ingegno chiaro, sicuro, sagace, ben addotrinato, dimostrò perizia, competenza ed acume nei diversi ordini degli Uffici di Stato Maggiore, che continuamente lodato avete compiuti, e segnatamente per importanti, ripetute funzioni nel Ministero della Guerra, dalle quali emersero rilievi, avveduti, consigli di effettivo, generale vantaggio per l’istituzione che alla vita del Paese dà presidio e gloria. Alle vostre qualità d’intelletto e di opera si aggiunse incomparabile ventura nel marzo 1919, allorquando Sua Maestà il Re Vi elesse Suo Aiutante di Campo Effettivo e ancora le qualità Vostre si erudirono e si acuirono nella Reggia del Re delle Vittorie e della Sapienza, nella Reggia dove splendono e valgono le virtù che più intimamente si stringono allo spirito e toccano il cuore dei popoli. Sottosegretario di Stato per il Ministero della Guerra negli anni 1924 e 1925, Voi avete veleggiato, con illuminata dignità, nelle agitatissime onde Governative e Parlamentari. Ne corse intero un anno da che sceglieste separarvene e foste elevato nella carica di Primo Aiutante di Campo di S.A.R. il generale Umberto Principe di Piemonte, alla cui presenza è grande onore per me consegnarVi a nome di Re Vittorio Emanuele III la Grande Medaglia Mauriziana che a Voi spetta in conformità degli ordinamenti coi quali fu istituita cento anni or sono dal Re auspice appassionato, campione eroico, martire costante del Risorgimento Italiano. Bene entra con Voi questa medaglia come affermazione e come promessa nella giovane Reggia del valore, del vivido intelletto, della cortesia che sfavilla, della grazia che avvince, dov’è felicità Vostra diuturnamente ammirare le certissime e ammiratrici virtù che assicurano la continuazione della presente felicità, all’avvenire d’Italia sabaudamente intrepida, romanamente risorta e al Genio Italiano favori e letizie fiorenti per il culto squisito che nella Patria di Dante altamente si accese. Voi nella Guerra liberatrice valorosamente operaste. Io prego Sua Altezza Reale di cingere al Vostro collo questa medaglia. Mentre Egli vorrà compiere simile atto che corona l'odierna Vostra esaltazione, sentiamo dinanzi all’immagine di Emanuele Filiberto, voce di secoli eroici, noi vediamo fulgori inestinguibili di future gesta italiane.

211

Paolo Boselli (1838-1932), deputato nel 1870 era stato Presidente del Consiglio dei Ministri durante la 1ª guerra mondiale. 89

Dopo il discorso del Senatore Boselli, il Principe Ereditario decorò con la medaglia mauriziana il generale Clerici e cingendogliela intorno al collo gli disse: ”generale gliela metto ben stretta212 perché se l’è meritata.” Le autorità presenti poi firmarono il verbale di consegna. Seguì un pranzo nel Palazzo Reale. *** Un’ostensione della Sindone era prevista in concomitanza con le nozze del Principe Ereditario, ma la morte dell’arcivescovo di Torino il cardinale Gamba, avvenuta il 26 dicembre 1929, aveva indotto Re Vittorio Emanuele III a ritardare l’ostensione fino all’avvento del nuovo arcivescovo che fu monsignor Maurilio Fossati. L’ostensione fu fatta a Torino dal 3 al 24 maggio 1931. Re Vittorio Emanuele III incaricò il Principe di Piemonte a rappresentarlo in tutte le cerimonie, così il generale Clerici, quale suo aiutante di campo, ebbe modo di essere uno spettatore privilegiato. Nel pomeriggio del 3 maggio 1931 nella Reale Cappella della Santa Sindone, dopo i Reali Principi e le Reali Principesse, sarà ammesso a baciare genuflesso il Santo Lino. Parteciperà poi alla processione fino in Duomo dietro al Principe Ereditario che al suo fianco aveva monsignor Giuseppe Beccaria, il Cappellano Maggiore di Sua Maestà. Sempre accompagnando il Principe Ereditario, il generale Clerici sarà presente in Duomo, il 24 maggio alle ore 16 alla chiusura della solenne ostensione e il giorno dopo alle ore 10,30 nella Cappella della SS. Sindone, all’arrotolamento della reliquia nella custodia. Il generale Clerici, come abbiamo visto, per ragioni del suo ufficio spesso doveva contattare l’arcivescovo di Torino. Questo avvenne anche col successore del cardinale Gamba che era monsignor Maurilio Fossati. Così gli scriveva: Torino, 18 ottobre 1932-X Eccellenza Reverendissima, Ho l’onore di informare V.E. Rev.ima che giovedì 20 corrente alle ore 10 avranno luogo nella Reale Basilica di Superga i funerali di S.A.I. il Principe Luigi Napoleone. S.A.R. il Principe di Piemonte – che rappresenterà S.M. il Re - mi ha dato il gradito incarico di rivolgere invito a V.E. Rev.ima di voler assistere alla Funzione e di impartire alla Salma l’assoluzione solenne accompagnandola al Tumulo per l’estrema benedizione. Prego l’E.V. Rev.ima di voler accogliere i miei devoti sentimenti di ossequio Devot. Gen. A. Clerici ***

212

Raccontatoci dalla moglie del generale. 90

Il 4 ottobre 1932 i Principi di Piemonte si recarono al Vittoriale per far visita a Gabriele d’Annunzio, Principe di Monte Nevoso. Non era stato facile per il generale Clerici combinare l’incontro: i rapporti fra Umberto di Savoia e D’Annunzio, tra il 1927 e il 1930, “non furono affatto buoni e dettero più di una preoccupazione a Mussolini213” e certamente qualche grattacapo lo diedero al generale Clerici. Tramite Piero Giberti, che era ufficiale di ordinanza del Principe di Piemonte ed era in buoni rapporti con d’Annunzio perché durante la guerra aveva combattuto nella stessa squadriglia, Umberto di Savoia aveva fatto promettere al Poeta che si sarebbe recato in visita al Vittoriale. D’Annunzio, senza consultarsi preventivamente, invitò il Principe per domenica 11 settembre 1927. Declinando l’invito a nome del Principe, il generale Clerici gli rispondeva così: Eccelso Comandante Ho consegnato subito la sua lettera a S.A.R il Principe di Piemonte, il quale è dolente di non poter rinviare le due cerimonie di Mondovì e di Peveragno, che lo tengono impegnato per tutta la giornata di domenica 11 c.m. Trattasi di inaugurazione di due monumenti ai caduti, fissate per il mattino e per il pomeriggio di domenica: due funzioni alle quali accorreranno tutti i fedeli della sua provincia natia. Ella comprenderà benissimo come l’Augusto Principe non possa ora ritirare la promessa fatta. S.A.R. vuole che io Le invii i suoi vivissimi ringraziamenti e che Le rinnovi la promessa di venire a visitare quanto prima il Vittoriale. Voglia gradire, nostro amato Comandante, gli omaggi devoti di un ammiratore Devot. gen. A. Clerici214

D’Annunzio di questo rifiuto se ne ebbe a male215, infatti in una lettera (3 giugno 1928) scriveva ad un amico che Umberto di Savoia Avendo in altri tempi annunziato più volte la sua visita mi fece sapere di esserne impedito per recarsi ad inaugurare non so che brutto monumento a Peretola o Roccacannuccia.

Il 25 maggio 1928 il podestà di Salò, avvocato Belli, si era recato a Torino dal generale Clerici che gli aveva garantita la partecipazione del Principe Ereditario all’inaugurazione del monumento dei caduti, cerimonia che doveva svolgersi a Salò il 24 giugno. Il 28 maggio 1928 l’avvocato Belli scriveva216 al generale Clerici per invitare ufficialmente il Principe Ereditario e per precisare il programma della cerimonia che prevedeva fra l’altro una visita al Vittoriale: ore 12,00 imbarco sul piroscafo di S.A. colle autorità e crociera sul lago durante la colazione che si svolgerà pure sul piroscafo (in caso di burrasca la colazione si 213

Carteggio d’Annunzio-Mussolini 1919-1938, a cura di Renzo de Felice ed Emilio Mariano, ed. Mondadori, pag. 420. 214 Originale in A.D.V. 215 In Carteggio curato da de Felice pag. 421 216 La minuta della lettera si trova nell’Archivio Comunale di Salò 91

effettuerà al Grand Hotel Gardone). Dalle 13,30 alle 16 Sua Altezza sbarcherà a Gardone sia per un breve riposo al Grand Hotel, sia per l’eventualità di accesso al Vittoriale con il comandante Gabriele d’Annunzio.

Tutto era pronto! Il generale Clerici, però, aveva posta una condizione: doveva essere d’Annunzio ad invitare formalmente il Principe Ereditario. Il Poeta non accettò la condizione anzi se la prese, come emerge in una lettera scritta ad un amico217 … ora (Umberto) farebbe a me una visita di circostanza, trovandosi a Salò. Considerandomi io come una “sovranità” molto più alta esigo l’osservanza del cerimoniale. Non si può venire da me se non domandandomi licenza, e muovendo dalla sede senza far soste, neppure nel viaggio di ritorno. Io non posso ammettere se non un ”omaggio” e anche l’obbedienza militare, essendo io di grado più alto guadagnato sul campo di battaglia. Ho scritto chiaro. Col tuo tatto evita che io faccia rispondere da una persona di servizio che ”non ricevo.”

Il contenuto di questa lettera fu portato a conoscenza di Mussolini, che ordinò al Prefetto di Brescia di ordinare al Podestà di Salò di rinviare l’inaugurazione del monumento dei Caduti e di conseguenza annullare la visita del Principe Ereditario. Dopo un certo periodo di “gelo” fu lo stesso Mussolini a caldeggiare un ravvicinamento fra d’Annunzio e il Principe Ereditario. Infatti, nell’aprile del 1930, il generale Clerici ricevette nel Palazzo Reale di Torino due uomini di fiducia del Poeta (Manzutto e Rizzo) coi quali mise a punto i particolari della visita che il Principe Ereditario avrebbe fatta al Vittoriale. Doveva svolgersi l’11 maggio 1930: prevedeva, a Salò, l’inaugurazione del monumento dei Caduti (finalmente!) e poi la visita al Vittoriale. All’ultimo momento d’Annunzio ritirò il suo consenso. Secondo Rizzo il Poeta, in questa sua decisione, fu influenzato da Salvatore Lauro che gli ha insinuato, fra l’altro, che Egli fautore della Vittoria, unito al Monarca di domani e al segretario del Partito fascista – al Vittoriale – poteva considerarsi “finito”.

La cerimonia prevista a Salò si svolse ugualmente, ma il giorno prima il generale Clerici scrisse al Poeta questa lettera218: Illustre e caro Comandante, Restituisco il “documento” dopo averne fatto “prenderne conoscenza”. E confermo: la visita al Vittoriale viene rinviata, pur venendo a Salò per l’omaggio ai Caduti, cerimonia improrogabile. Ma permetti che, con la usata mia franchezza militare ti dica che egoisticamente io sono rimasto mortificato e deluso per il rinvio. La visita al Vittoriale avveniva secondo le preventive intese con Rizzo e Manzutto. Sbarcavamo al Vittoriale, eravamo tuoi ospiti: la visita precedeva il rito di Salò, l’omaggio a te – prode soldato miracolosamente sopravvissuto ai tuoi rischi audaci – 217 218

Carteggio d’Annunzio-Mussolini, cit., pag. 421. Originale in A.D.V. 92

era unito all’omaggio reso ai Caduti delle Giudicarie e tutto era suggellato dal rombo dei motori del lago – dove si correva la tua coppa – rombo che a noi soldati, avrebbe ricordato la voce di altri motori, resi celebri dalla tua gloria. E dopo, raccolti nella solitudine del Vittoriale, nelle ore vespertine, dalle 17 alle 19, le note armoniose di Monteverdi avrebbero coronato degnamente la giornata. Io, egoisticamente non so davvero consolarmi della rinunzia, convinto che nessuna visita poteva essere più cordiale e bella di quella di domenica. Se - come mi fu riferito in ritardo dal tuo messaggero- desideravi la visita solo a “cinque occhi” non avevi che a telegrafarmelo! Spero sarà per un’altra volta, nel silenzio più assoluto! Ricambio e rinnovo cordiali saluti Aff.imo A. Clerici Torino, 10 maggio 1930

Il generale Clerici, certamente autorizzato dal Poeta, nella lettera gli “dà del tu”: si conoscevano fin dai tempi della guerra e si davano del “tu”, poi il generale era passato diplomaticamente al “lei” per ritornare con questa lettera al “tu”. Se alla fine del 1930 i rapporti fra il Principe di Piemonte e il Principe di Monte Nevoso migliorarono fu certamente merito di Piero Giberti che riferì a d’Annunzio che la Principessa Maria José aveva espresso parole di ammirazione per lui. Questo fece colpo sul Poeta che scrisse al generale Clerici di voler regalare alla Principessa di Piemonte degli spartiti di Monteverdi. Il 31 gennaio 1931 il generale Clerici così gli rispondeva ritornando a dargli del “lei”219: Illustre Comandante e Principe, Piero Giberti mi ha consegnato il memento ed io sono fiero di poter raccogliere il mandato e dare le indicazioni da Lei così gentilmente richieste. S.A.R. la Principessa di Piemonte possiede undici fascicoli della serie n° uno di Monteverdi. Ignoro di quanti fascicoli consti la serie, ma sono convinto che la sua idea squisitamente geniale e gentile di voler completare la raccolta riuscirebbe oltremodo gradita. La prego di continuare a volermi bene come gliene voglio io e di credermi con fede immutata ed immutabile Aff.mo camerata A. Clerici Torino 19 gennaio 1931

Il 4 ottobre 1932, finalmente, i Principi di Piemonte poterono far visita al Poeta. Il giorno dopo sul “Corriere della Sera” apparve questo articolo firmato da Orio Vergani: I Principi – che erano accompagnati dai Marchesi di Sant’Albano, dal gen. Clerici e dal capitano d’aviazione Pirotti – sono giunti a Desenzano alle 15,5 con un treno speciale provenienti da Torino. Gabriele d’Annunzio era venuto loro incontro da Gardone. Il Poeta portava all’occhiello dell’abito borghese, accanto al distintivo dei Mutilati, la medaglia d’oro al valor militare e il distintivo dell’aeronautica. (…) Sullo storico «Mas 95», che era pilotato dal tenente Edmondo Turci, ufficiale di ordinanza del Comandante, uno dei trenta della Beffa di Buccari, hanno preso posto, coi Principi, solamente Gabriele d’Annunzio e il suo aiutante di volo. La corsa del rapidissimo scafo guerriero, armato ancora con due siluri e con le due 219

Originale in A.D.V. 93

mitragliatrici dev’essere stata in qualche momento emozionante perché sul lago era calato un fortissimo vento improvviso, che ha sollevato onde di burrasca tali da sorpassare la prora del Mas. Ma i Principi hanno manifestato, a più riprese, il loro desiderio di proseguire nella corsa, mentre il Comandante ricordava la vicenda di guerra e le imprese marine dell’imbarcazione. La rapidissima corsa si è conclusa nel piccolo porto di Sirmione, dove i Principi sono scesi, riconosciuti immediatamente dalla popolazione, che ha improvvisato loro una manifestazione entusiastica. Da Sirmione a Gardone il passaggio dell’automobile di Gabriele d’Annunzio, che recava i Principi al Vittoriale, è stato salutato con grandiose dimostrazioni. Mentre Umberto e Maria di Savoia sostavano, per un’ora circa, nello studio del Poeta, una luce di fiaccole accese, nella valletta del Riotorto, annunciava imminente la visita alla nave Puglia. La sera era calata rapidamente. Dal cielo annuvolato scendeva una lieve pioggia insistente: ma l’inclemenza della giornata non ha fatto desistere i Principi dal pellegrinaggio alla prora della nave sacra al sacrificio di Tommaso Gulli Seguendo il Poeta che procedeva a capo scoperto, il Principe che era pure a capo scoperto, è sceso alla luce delle fiaccole, per il tortuoso sentiero della valle che divide la Priora dal Colle delle arche. I portatori delle fiaccole hanno sostato all’ingresso della nave e la visita s’è così compiuta al chiarore militaresco delle luci di bordo. Più tardi le persone del seguito si sono ritirate; e sono restati nel Vittoriale, col Poeta, solamente i Principi, per un pranzo intimo cui è seguito un concerto del quartetto del Vittoriale, con l’esecuzione di musiche di Boccherini e Debussay. Umberto e Maria di Savoia, che avrebbero dovuto partire alle 22,30 hanno voluto trattenersi anche più a lungo col Poeta. S’è conclusa, così, a tarda ora della notte, nella intimità d’una serata di musica e di poesia, la giornata dei Principi al Vittoriale.

Durante la visita, d’Annunzio diede ad ogni componente del seguito principesco una sua fotografia con dedica. Su quella destinata al generale Clerici vi aveva scritto: Al mio generale Clerici amico in guerra e in pace – ora e sempre Gabriele d’Annunzio 4 ottobre 1932

e nel consegnargliela, rivolgendosi ai Principi, aveva detto:” i Clerici sono gente di polso” Aveva raccontato della visita medica220 che nel 1925 gli aveva fatta il fratello del generale, il professor Enrico Clerici, che era Primario Medico dell’Ospedale Maggiore di Milano.

220

Lo stesso d’Annunzio parlò di quella visita in una lettera. 94

Foto 19. Gabriele D’Annunzio, in una foto di Guelfo Civinini, con dedica al generale Clerici *** Il fascismo teneva sempre d’occhio il Principe di Piemonte. Ha raccontato nel suo libro 221Ugo Guspini, che lavorava all’ufficio intercettazioni telefoniche, che a Torino i numeri corrispondenti a personaggi dell’aristocrazia erano inseriti col preciso intento di venire a conoscenza, attraverso indiscrezioni e pettegolezzi, di particolari piccanti che riguardavano l’allora principe ereditario Umberto di Savoia, che in quel tempo risiedeva a Torino. Fu proprio in seguito ad una intercettazione telefonica che Mussolini poté venire a conoscenza di una delicata situazione che, riferita a Vittorio Emanuele, provocò l’immediato trasferimento del principe di Piemonte a Napoli.

Il Principe, che il 4 febbraio 1931 era stato nominato generale, fu incaricato di comandare la 25ª brigata di fanteria di stanza a Napoli. Il generale Clerici, per il trasferimento, affrontò un intenso periodo di lavoro. Il giorno della partenza, all’orario fissato, il Principe non si trovava222: il generale Clerici, che in fatto d’orario non transigeva, si arrabbiò non poco e sguinzagliò, per cercarlo, gli ufficiali della Casa Militare. Fu trovato in preghiera nella cappella del Cottolengo. 221 222

UGO GUSPINI, L’orecchio del regime, ed. Mursia, pag. 105. Era solita raccontare l’episodio la contessa Vittoria Clerici Villa, la moglie del generale. 95

A Napoli il Principe col suo seguito prese alloggio nel Palazzo Reale. L’entusiasmo dei Napoletani, per natura monarchici, salì alle stelle. Di questo soggiorno il generale Clerici, in vecchiaia era solito raccontare, che quando passeggiava i proprietari dei ristoranti lo avvicinavano per pregarlo di portare nel loro locale i Principi Reali. Ammetteva divertito che era un “serio problema” scegliere il ristorante, perché i proprietari esclusi, incontrandolo gli facevano ognuno una “sceneggiata”. Arrivò per il generale Ambrogio Clerici il momento di andare in pensione. Il giorno prima (17 novembre 1932) del compimento del sessantaquattresimo anno di età dovette lasciare il suo incarico di primo aiutante di campo del Principe di Piemonte che aveva tenuto per più di sette anni. Re Vittorio Emanuele III gli esprimeva la sua riconoscenza nominandolo di motu proprio, con decreto 18 novembre 1932, cavaliere di gran croce, decorato del gran cordone, dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e “primo aiutante di campo generale onorario di S.A.R. il Principe di Piemonte”.

Foto 20. Villareggio 1932. Ambrogio si dedica ai cavalli, sua antica passione.

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CAPITOLO QUINTO (1932-1943) - 1. A Torino generale di corpo d’armata in ausiliaria. – 2. Senatore del Regno (1939). - 3. Addetto alla Famiglia Reale (1940). - 4. Presidente dell’ufficio prigionieri della Croce Rossa Italiana (1941-43) 1. - A Torino generale di corpo d’armata in ausiliaria (1932-1939). Nel momento in cui andava in pensione il generale Clerici un piccolo cruccio lo ebbe: fu la mancata promozione a generale di corpo d’armata. Nel 1945 scriveva223: fui collocato in congedo col grado che avevo di generale di divisione e con relativa pensione perché nello scrutinio di detto anno (1932) non fui dichiarato idoneo al grado di generale di Corpo d’Armata.

L’inidoneità, ufficialmente era motivata dal fatto che non aveva esercitato per il periodo prescritto il comando di una divisione. Il generale Clerici attribuì224 la mancata promozione, invece, al voto negativo del “Ministro della Guerra Mussolini e Sottosegretario di Stato generale Cavallero. “ coi quali aveva avuto delle prese di posizione. Il generale Clerici andò a risiedere a Torino (in via Galliano, 12) dove aveva in affitto una bella casa. Sul suo biglietto da visita si leggeva: generale di divisione Ambrogio Clerici aiutante di campo gen. onorario di S.M. il Re primo aiutante di campo gen. onorario di S.A.R. il Principe di Piemonte

Nella città sabauda queste titolature avevano una loro importanza! Dovette presto cambiare biglietto da visita perché il 22 luglio 1933 arrivò la promozione a generale di corpo d’armata in posizione ausiliaria: pur restando in congedo doveva rimanere a disposizione del Ministero della Guerra, che poteva in ogni momento richiamarlo in servizio, cosa che avvenne – come vedremo- nel giugno 1940. Al grado di generale di Corpo d’Armata spettava il trattamento di “Eccellenza”225. Era Consigliere del Consiglio di Amministrazione del “Reale Istituto Nazionale per le figlie dei Militari Italiani” ed era membro onorario della Congregazione della Santissima Annunziata226. Con la moglie si assentava spesso da Torino: soggiornava a Villareggio, dove aveva in società con i fratelli la gestione di quella azienda agraria; a Villanova d’Asti dove la famiglia della moglie usufruiva del castello Dalla memoria difensiva presentata dal senatore Clerici all’Alta Corte per l’epurazione. In memoria difensiva, ecc. 225 Altro Clerici che ebbe diritto al trattamento di Eccellenza fu Luigi Clerici (1870-1943), Presidente di Sezione della Suprema Corte di Cassazione. 226 Fondata il 25 gennaio 1563. 223 224

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che Alfonso Villa conte di Villarampari aveva acquistato e d’estate villeggiava a Gressoney. Il Re invitava spesso il suo “vecchio” aiutante di campo a soggiornare al Quirinale e a San Rossore : una fotografia lo mostra nella residenza toscana (presumiamo intorno al 1937) mentre gioca a bocce col maresciallo Pietro Badoglio, osservati dal Principe di Piemonte. Il 26 settembre 1935 S.A.R. il Principe Umberto di passaggio da Villanova d’Asti gli faceva recapitare questo biglietto227: Carissimo generale! Fermo per pochi minuti a Villanova penso a Lei e alla Signora e a tutti i Villa e mando tanti affettuosi saluti. Suo UMBERTO

Nel luglio 1939 a Villareggio, dove non c’era il telefono, recapitarono dal posto telefonico di Certosa di Pavia l’avviso di una chiamata su appuntamento richiesta dalla Casa Militare di S.A.R. il Principe di Piemonte. Il generale Clerici non c’era, vi andò la moglie Vittoria. Il Principe Umberto chiese se il generale potesse rappresentarlo al matrimonio del conte Erasto Calvi di Bergolo228 con donna Maria de Vargas Machuca, principessa d’Ischiatella. Naturalmente Vittoria Villa diede l’assenso. Quando lo comunicò al marito questi disse che non ne aveva voglia. C’è da immaginarsi la scenetta che del resto in vecchiaia Vittoria raccontò, più volte ad uno degli autori di questo libro, dicendo: «come si faceva a dire di no al Principe, dopo avergli detto di si ?» La ragione, aggiungeva con un sorriso, stava nel fatto che per l’Esercito era stata di recente adottata una nuova divisa bianca che rimpiccioliva il già piccolo generale al quale toccava dare il braccio alla “alta” contessa Calvi di Bergolo, colei che nasceva Sua Altezza Reale Principessa Jolanda di Savoia. Alla fine della fiera il 26 luglio 1939 il generale Clerici assolse al suo compito: rappresentò il Principe Ereditario, fotografie ce lo mostrano dare il braccio alla Principessa all’uscita della Chiesa. Il Mastro delle Cerimonie faceva pervenire al generale Clerici e alla moglie l’invito per tutte le cerimonie che riguardavano la Dinastia. Lo testimonia un appunto scritto da Vittoria Clerici Villa che in un foglio le elencò: In queste cerimonie Vittoria Clerici indossava l’abito bianco di Corte ( bianco col velo bianco) e il generale Clerici, la divisa con i gradi di generale di Corpo d’Armata.

227 228

In A.d.c.C. era fratello del conte Carlo Calvi di Bergolo, cognato di S.A.R. il Principe di Piemonte. 98

Foto 21. Il generale Ambrogio Clerici accompagna la Principessa Jolanda Calvi di Bergolo il 26 luglio 1939 2.- Senatore del Regno (1939). Lo Statuto Albertino, che fu la carta costituzionale del Regno d’Italia, prevedeva che il Parlamento fosse costituito da una Camera (Camera dei Deputati) eletti ogni cinque anni e da un Senato (Senato del Regno) composto, in numero non limitato, da persone nominate a vita dal Re, aventi quarant’anni compiuti e scelti fra ventun categorie indicate dall’articolo 33. Fra queste categorie la quattordicesima indicava gli ufficiali generali di terra e di mare. Nel 1939 erano state fatte 13 “infornate” con 211 nomine a Senatore del Regno: i militari erano in numero elevato (30 generali e 14 ammiragli). Questa affluenza di militari era stata voluta da Mussolini, in previsione dell’entrata in guerra dell’Italia, per neutralizzare la possibile opposizione ai suoi disegni da parte dei senatori “civili”. Re Vittorio Emanuele III, con regio decreto 12 ottobre 1939, nominò senatore del Regno il generale di corpo d’armata Ambrogio Clerici. L’Assemblea ne convalidò la nomina il 14 novembre e il 21 dicembre 1939, accompagnato dai senatori Emilio de Bono e Mario Nomis di Cossilla, fu introdotto nell’aula di Palazzo Madama per prestare il giuramento di rito. La XXX Legislatura era iniziata il 23 marzo 1939 e durò fino alla caduta del fascismo quando fu chiusa col decreto-legge 9 agosto 1943, n. 705. Il Senato del Regno fece 22 riunioni pubbliche, 4 comitati segreti e 480 riunioni di commissioni legislative. Appena entrato in Senato ogni senatore doveva compilare un modulo229 sul quale indicare tre commissioni nelle quali avrebbe gradito lavorare: la presidenza del Senato lo avrebbe assegnato ad una di queste dopo 229

Esistente nel suo fascicolo al Senato della Repubblica. Fotocopia in A.d.c.C. 99

aver ottenuto il consenso del Duce. Il generale Clerici scrisse: 1. Forze armate, 2. Agricoltura, 3. Africa Orientale. Il 6 marzo 1940 fu nominato membro della Commissione delle Forze Armate alla cui attività partecipò assiduamente come si può rilevare dalla consultazione degli “Atti della Commissione”, pubblicati dal Senato del Regno, infatti lo troviamo spesso in veste di relatore di numerose proposte di legge. Ribadì più volte il principio che “non c’è grado senza relativo impiego230”: e questo non doveva piacere a certi fascisti (in verità non tutti) che amavano la burletta. Nella 23ª riunione, tenutasi l’8 gennaio 1941, si oppose a che gli ex-consiglieri nazionali231 ricevessero il grado di sottotenente ad honorem. Nel riassunto232 del suo discorso leggiamo: L’Oratore dichiara di non essere mai stato favorevole alla concessione di gradi onorari nell’esercito. Si oppone a che il grado venga concesso a chi ha cessato la carica perché gli sembra che non si debbano fare concessioni a chi non ha sentito il dovere di chiedere l’ammissione ai corsi Allievi Ufficiali di complemento né da giovane né dopo esser stato chiamato a ricoprire un’alta carica e aspira all’onore del grado, solo dopo aver cessato la carica.

Il generale Clerici, nel 1940, non si oppose “apertamente” alla dichiarazione di guerra: tuttavia poco prima del conflitto avvicinò in Senato il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, in quell’epoca Capo di Stato Maggiore Generale di tutte le Forze Armate, per fargli presente l’impreparazione dell’Esercito, al che Badoglio seccato gli rispose di non interessarsi della cosa233. A Palazzo Madama il generale Clerici portò il contributo della sua lunga esperienza militare. Negli Atti del Senato troviamo traccia di un suo significativo intervento svolto il 17 maggio 1940, alla vigilia dell’entrata in guerra, durante la seduta comune delle Commissioni degli Interni, della Giustizia e delle Forze Armate dove era in discussione il disegno di legge riguardante “l’organizzazione della nazione per la guerra “. Dopo la relazione introduttiva svolta dal senatore Giuseppe Guadagnini il generale Clerici chiese la parola. Il suo discorso lo troviamo così sunteggiato: CLERICI. Non ha nulla da eccepire circa la sostanza del disegno di legge in esame. Intende solo rivolgere due raccomandazioni ai Ministri competenti, e particolarmente a quelli della Guerra e degli Interni, perché possano eventualmente tenerle presenti quando saranno fissate le norme di esecuzione della legge; le sue osservazioni infatti riguardano in particolare modo il regolamento per l’esecuzione della legge. La prima concerne la collaborazione fra autorità militare e autorità civile. Ritiene che non sia opportuno dettare norme uguali sia per la zona di guerra propriamente detta (nella quale è compresa la zona di operazioni che è quella in cui effettivamente si svolgono azioni belliche) sia per il resto del territorio nazionale. Nella zona di guerra tutto deve essere determinato dalla autorità militare; ad essa Intervento fatto il 6 marzo 1940 nella 8^ riunione della Commissione Forze Armate del Senato del Regno 231 Così si chiamavano i Deputati da quando la Camera dei Deputati assunse la denominazione di Camera dei Fasci e delle Corporazioni. 232 In Atti della Commissione delle Forze Armate del Senato del Regno. 233 Episodio narrato dallo stesso generale Clerici in famiglia. 230

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spetta l’ultima parola, pur procedendo nei limiti del possibile d’intesa con le autorità civili ed amministrative. Nel resto del territorio invece è spiegabile una collaborazione fra autorità civile e autorità militare, senza emergenza dell’una sull’altra (Approvazioni). L’altra raccomandazione riguarda lo sgombro preventivo obbligatorio della popolazione civile. Ricorda quanto si è potuto constatare nel settembre ultimo scorso, quando in alcune zone d’Italia le autorità locali consigliarono lo sgombero della popolazione. Fiumane di gente affollarono le stazioni ferroviarie, treni, autocorriere, si servirono di auto private e di altri mezzi di trasporto per allontanarsi dalla propria residenza che, in qualche caso, distava più di 100 chilometri dalla frontiera. A suo parere lo sgombero preventivo deve essere limitato alla zona ove si prevede che si svolgeranno le operazioni: nelle altre località non è da consigliarsi per parecchie ragioni. Anzitutto con la grande autonomia che hanno ora gli aeroplani non è facile trovare zone in cui questa gente possa considerarsi più sicura che nella propria residenza. In secondo luogo, proprio nell’immediato periodo prebellico in cui i mezzi di trasporto devono essere posti a disposizione dell’Esercito e le strade devono essere lasciate quanto più è possibile libere per il passaggio delle truppe e del materiale bellico, si va incontro al notevole inconveniente che gli uni e le altre vengano ad essere congestionati dall’esodo della popolazione civile. Nel settembre scorso spesse volte la popolazione civile fu avviata proprio verso quelle località in cui si doveva raccogliere truppe e stabilire comandi di tappa, determinando così gli inconvenienti che tutti possono facilmente immaginare. Quindi anche nei riguardi dello sgombero della popolazione civile la decisione deve essere riservata all’autorità militare. Secondo il suo parere lo sgombero deve essere limitato alla sola zona di operazione, lasciando nel resto del territorio ampia libertà di residenza alla popolazione. In guerra tutta la popolazione è mobilitata e deve formare una massa compatta con l’esercito: è preferibile che rimanga nelle retrovie perché la sua presenza è di notevole conforto alle truppe che vanno o ritornano dalla prima linea, le quali non devono sentire di avere il vuoto alla spalle (Approvazioni ) L’oratore ricorda il comportamento eroico della cittadinanza di Vicenza durante la guerra 1915-18; il nemico era a meno di 35 chilometri dalla città, eppure nessuno si mosse; i cittadini dettero sempre alle truppe l’ausilio morale della loro fermezza d’animo e per questo al comune di Vicenza fu concessa la croce di guerra. (Applausi ) PRESIDENTE. Riconosce giuste le osservazioni del senatore Clerici; siccome però non toccano il contenuto del disegno di legge non possono dar luogo ad alcun emendamento e valgono invece come raccomandazione al Governo, il quale potrà tenerle nel debito conto quando provvederà alla compilazione del regolamento per l’esecuzione della legge. MARAVIGLIA. Si associa pienamente alle conclusioni del senatore Clerici che, del resto, ritiene rispecchiano il pensiero della Commissione. Crede quindi che le raccomandazioni possano essere rivolte al Governo a nome dell’intera Commissione. (Approvazioni ) PRESIDENTE. La Commissione con i suoi unanimi applausi ha mostrato chiaramente il suo consenso col pensiero esposto dal senatore Clerici.

Nel Senato del Regno il generale Clerici trovò come funzionario l’avvocato Domenico Galante: questi col grado di capitano nel 1918 era stato il suo aiutante di campo. I loro rapporti erano stati sempre ottimi come dimostra questa lettera: Roma, 20 febbraio 1941 XIX 101

Cara Eccellenza, Mi è gradito rimetterVi, qui uniti, due distintivi da Senatore. Il f.f. di Segretario Generale del Senato che, per dovere del suo Ufficio, ha il piacere di inviarVeli, Vi rivolge vivissima preghiera di voler concedere al Vostro vecchio Aiutante di campo, il permesso di farVene modestissima personale offerta. Egli si lusinga che, quando Voi Vi vedrete insignito di questo distintivo, avrete, forse, occasione di ricordarVi un po’ più spesso di lui, che, ancora e sempre e più che mai, si sente legato al suo amato Generale da vincoli di sincero affetto, di viva ammirazione e di immutabile devozione. Galante Eccellenza Generale Ambrogio CLERICI Senatore del Regno = TORINO=

Il 16 luglio 1943 si tenne la 48ª riunione della Commissione per le Forze Armate: sarà l’ultima alla quale partecipò il generale Clerici perché, in seguito agli eventi del 25 luglio 1943, il Senato del Regno cessò i suoi lavori perché la XXX Legislatura, che era iniziata il 23 marzo 1939, fu chiusa dal governo Badoglio con decreto del 2 agosto 1943. I Senatori avendo una carica vitalizia rimanevano tali in attesa che si aprisse la nuova legislatura che era prevista per dopo la guerra, invece il Senato del Regno sarà soppresso formalmente con la legge 3 novembre 1947. Il 6 agosto 1943 il grande ammiraglio Paolo Thaon de Revel, duca del Mare, fu nominato presidente del Senato in sostituzione del dimissionario conte Giacomo Suardo. L’11 agosto 1943 il senatore del regno conte Guido Visconti di Modrone aveva indirizzato a Re Vittorio Emanuele III una lettera234 per chiedergli di abdicare. Thaon de Revel, venutone a conoscenza, preparò un ordine del giorno235 per esprimere tutta la solidarietà verso il Sovrano: lo firmò, con altri duecento senatori, anche il generale Clerici. Questa firma fu il suo ultimo atto da senatore del Regno! Il Presidente del Senato consegnò l’ordine del giorno nell’udienza reale del 6 settembre 1943. 3. Addetto alla Famiglia Reale (1940). Il 1° gennaio 1940, per raggiunti limiti d’età (aveva da poco compiuto 71 anni) il generale Clerici fu trasferito nella riserva. Nel giugno 1940, poco prima dello scoppio della guerra, Re Vittorio Emanuele III gli scrisse una lettera autografa nella quale gli diceva che desiderava affidargli la Famiglia Reale durante la sua assenza. Questa lettera non si è trovata! Abbiamo interpellato parecchie persone perché lo stesso generale aveva detto (intorno al 1954), ad uno degli autori, che era a Villanova d’Asti con altre carte: la lettera non è saltata fuori, sarebbe bastata 234

GUIDO VISCONTI di MODRONE, Il mio esilio nella terra di Guglielmo Tell, (Milano, 1948) pgg. 14-18. 235 Presso l’archivio del Senato non si trova copia di questo ordine del giorno. Ne parla G. Perticone, La Repubblica di Salò, edizione Leonardi, pag. 167. 102

una fotocopia!!! Negli anni ’60 la moglie del generale ebbe a dire che il marito era stato chiamato al Quirinale per volontà della regina Elena che voleva, durante il conflitto, una sorta di “aiutante di campo”. Una cosa è certa: nello stato di servizio troviamo scritto che l’8 giugno 1940 venne richiamato in temporaneo servizio e destinato a disposizione del ministero della Real Casa, posizione ufficializzata con dispaccio del Ministro della Guerra (Gabinetto Ufficiali Generali) n. 1126 del 15 giugno 1940. La sera del 10 giugno 1940, giorno in cui fu dichiarata la guerra, re Vittorio Emanuele III partì per la zona d’operazioni. Qualche giorno dopo il generale Clerici chiese, come raccontò negli anni ’50, udienza al Duce per trattare della sicurezza dei Reali anche perché una bomba francese236 era stata sganciata nei pressi di Villa Savoia il 12 giugno 1940: fu consigliato di portare i Reali a San Rossore. Poco dopo il rientro del Re dal fronte francese fu posto in congedo il 21 luglio 1940. 4. Presidente dell’ufficio prigionieri della croce rossa italiana. Il 5 aprile 1941 l’avvocato Domenico Galante, segretario generale del Senato del Regno, scriveva questa lettera al generale Ambrogio Clerici: Eccellenza Il Capo Gabinetto della Presidenza del Consiglio mi ha pregato comunicarVi il desiderio dell’Eccellenza Russo di vederVi al più presto, possibilmente nei primi giorni della settimana…

Ricevuta la lettera, non poco sorpreso, il generale Clerici la sera stessa partì in treno da Torino per Roma: al suo arrivo nella capitale incaricò il segretario generale del Senato di fissare un appuntamento con l’onorevole Russo. L’udienza si svolse al Viminale alle ore 13 del 9 aprile. Così il generale Clerici riferì237 il colloquio avuto col sottosegretario alla presidenza del consiglio: (Russo) mi disse subito, complimentandosi, che io dovevo trasferirmi a Roma per assumere la carica di Presidente dell'Ufficio Prigionieri di Guerra sito in Roma via Puglie 6. Risposi negativamente...Egli ribatté che non c’era più da far nulla perché il decreto era stato firmato238 e soggiunse: «ma come da Corte non ti hanno detto nulla?» Risposi che io abitavo a Torino e mancavo dalla Corte da circa un anno e non avevo ancora visto nessuno, che ad ogni modo essendo nella riserva io non potevo essere richiamato senza il mio consenso. Allora sorridendo Russo mi disse che il mio nome era stato indicato a Mussolini da S.M. il Re e che il mio richiamo dipendeva da questa designazione.

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Gli autori di questo libro possiedono un frammento della bomba, che fu donato al generale Clerici, sul quale era stata applicata una targhetta in oro con incisa la scritta: «Villa Savoia - Guerra 1940 - 12 giugno 1940». 237 Memoria difensiva presentata dal generale Ambrogio Clerici all’Alta Corte per l’epurazione. 238 Il Decreto al quale alludeva l’onorevole Russo era stato firmato da Mussolini il 1° aprile 1941 (cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 26 maggio 1941, n. 122). 103

La designazione del generale Clerici era stata voluta dalla Regina Elena che dopo, aver raccolto voci sul cattivo funzionamento dell’Ufficio Prigionieri, si era recata in incognito nel locale dove si fornivano informazioni al pubblico. Qui la Sovrana assistette ad uno spiacevole episodio: la madre di un soldato, che era prigioniero, aveva pregato l’impiegato di aiutarla a compilare un modulo, questi la trattò male. La Regina Elena, non riconosciuta, si offrì di darle aiuto: fatto ritorno a Villa Savoia fece pressione sul Re perché il generale Clerici, sostituisse il senatore Giuseppe de Michelis, alla presidenza. Quando il Sottosegretario gli rivelò che era stato il Re a designarlo il generale Clerici non fece più nessuna resistenza. Qualche anno più tardi scriverà239: a tale rivelazione mi inchinai e chiesi quanto tempo mi si concedeva per ritornare a Torino e disporre per il trasferimento mio e della famiglia a Roma. (L’on. Russo) mi lasciò un margine di due giorni.

Prima di partire per Torino ebbe un colloquio col senatore Giuseppe Mormino, presidente della Croce Rossa Italiana, per discutere della ristrutturazione dell’Ufficio e per chiedere il richiamo in servizio. L’11 aprile il senatore Mormino gli scriveva: Caro Clerici, in relazione a quanto da te prospettatomi nell’ultimo colloquio, ti informo che ne ho personalmente conferito con l’Eccellenza Russo, il quale mi ha assicurato il suo interessamento per una favorevole soluzione quale da te desiderata.

Il generale Clerici, poco propenso a risiedere stabilmente a Roma, rispondeva con questo telegramma240: Senatore Mormino – Presidente Generale Croce Rossa – Roma. Ringrazioti ricambio auguri migliore soluzione sarebbe sostituirmi definitivamente con altro senatore residente Roma. Saluti generale Clerici.

Desidero irrealizzabile. Il 16 aprile il Sottosegretario alla Guerra, generale Guzzoni, così gli scriveva: Conformemente alla proposta fatta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in relazione alla vostra nomina a membro della commissione interministeriale per i prigionieri di guerra, si è dato corso al decreto ministeriale col quale dal 20 aprile corrente siete richiamato in servizio temporaneo con lo stipendio annuo lordo di lire 40.200. Il provvedimento anzidetto sarà pubblicato sul B.U. appena esaurite le procedure prescritte. Il Sottosegretario di Stato (Guzzoni)

239 240

Dalla memoria citata il telegramma fu spedito da Torino il 13 aprile 1941 alle ore 11,45. 104

La Croce Rossa Internazionale allo scoppio della guerra aveva istituito a Ginevra l’Agence des Prisonniers de guerre ed ogni Stato belligerante era stato invitato a costituire un organo ufficiale di informazione sui prigionieri. In Italia l’Ufficio Prigionieri della Croce Rossa era stato istituito il 12 giugno 1940 e con decreto del Duce, datato 22 luglio 1940, gli venne riconosciuta la qualifica di “ufficio informazioni ufficiali” come prevedeva l’articolo 77 della Convenzione di Ginevra. Quasi subito il campo d’azione dell’Ufficio venne esteso a tutte le persone che soffrivano a causa degli eventi bellici: agli internati civili, agli internati militari ed i rifugiati dei Paesi neutrali, i civili separati dalle loro famiglie a causa delle ostilità, gli equipaggi della Marina mercantile che si trovavano a bordo delle navi bloccate nei porti neutrali, o sequestrate durante l’ostilità, ecc.

per poter meglio adempiere a questo compito era entrato subito in relazione con il Comitato Internazionale della Croce Rossa e con l’Agenzia Internazionale dei Prigionieri, nonché con i rappresentanti delle Potenze protettrici degli Stati belligeranti e con le Delegazioni all’Estero della Croce Rossa.

Come si può capire il generale Clerici stava per assumere una carica di notevole prestigio e perciò decise, da subito, di prendere alloggio con la moglie al Gran Hotel che in quel tempo, per una delle fisime del Fascismo, si chiamava Grande Albergo. Subito si diede da fare per organizzare l’Ufficio. Egli stesso ha scritto:241 il lavoro che dovetti fare nei primi mesi per riordinare l’Ufficio non lo auguro a nessuno: ad ogni modo nel successivo agosto esso cominciava a funzionare con soddisfazione del Pubblico e mia e più tardi ebbi l’onore dell’approvazione dei Sovrani che visitarono l’Ufficio.

Fra i collaboratori diretti del generale Clerici c’erano il ministro Cassinis e il conte Umberto Morra di Lavriano. Il generale Clerici divise l’Ufficio in nove Servizi tutti dipendenti dalla Presidenza alla quale erano riservati gli affari generali. Fissò nel regolamento anche il compito del Presidente che era quello di coordinare tutto il lavoro con particolari disposizioni giornaliere e provvedere direttamente con altri organi di collegamento con l’esterno ai rapporti con le amministrazioni statali, gli Enti pubblici, e privati, le Rappresentanze diplomatiche, il Comitato Internazionale della Croce Rossa e la sua Agenzia di informazioni, nonché le Rappresentanze delle Potenze protettrici, le varie Delegazioni, l’Ufficio Informazioni del Vaticano, ecc.

Il generale Clerici si incontrava spesso in Vaticano con monsignor Giambattista Montini, colui che sarà poi papa Paolo VI, perché in qualità di 241

Dalla memoria difensiva. 105

Sostituto alla Segreteria di Stato sovraintendeva all’ufficio di ricerca prigionieri di guerra istituito dal Vaticano242 e diretto da monsignor Luigi Centoz. Il Presidente dell’Ufficio Prigionieri era anche Membro di diritto della Commissione Interministeriale per i Prigionieri che si riuniva ogni settimana. Il generale Clerici tenne sotto la protezione dell’Ufficio Prigionieri anche degli antifascisti come la marchesa Iris Origo, un’americana, e il conte Umberto Morra di Lavriano, che era sorvegliato dalla Polizia e schedato come sovversivo. A quest’ultimo aveva dato L’incarico di istituire una nuova sezione nell’ambito dell’Ufficio Prigionieri di guerra, e precisamente quella che avrebbe trattato dei prigionieri di guerra stranieri col compito di invigilare che fosse rispettata la Convenzione di Ginevra che tutelava i loro diritti243.

Nonostante il suo antifascismo il conte Morra non fu mai rimosso dal suo incarico, anche se la polizia ne seguiva passo passo gli spostamenti.244 Il generale Clerici teneva una fitta corrispondenza che firmava sotto a un timbro con tutti i suoi titoli “Ecc. Gen. Sen. Ambrogio Clerici” che dall’agosto 1941 sarà sostituito con uno nuovo “Ecc. Gen. Sen. Conte Ambrogio Clerici”. La corrispondenza con l’Agence des Prisonniers de guerre con sede a Ginevra la teneva in francese. Fra gli scopi dell’Ufficio Prigionieri c’era quello di dare notizie ai familiari degli italiani che erano prigionieri. Circa settecento persone lavoravano agli schedari. Problema della Presidenza era quello di reperire queste notizie che solitamente arrivano su una cartolina prestampata. Quando nel giugno 1942 l’Agence di Ginevra scriverà245 all’Ufficio Prigionieri di volere adottare un nuovo “formulario di ricerca prigionieri” il generale Clerici lo trovò poco pratico e propose246 delle migliorie. Quando con nota del 29 luglio 1942 il dottor H. W. Salis aveva proposto l’istituzione del “Messaggio-Espresso” non trovò247 nulla da eccepire, ma chiese che anche da parte nemica si adottasse lo stesso sistema: entendu, que sous condition de réciprocité, ce mode de corrispondence devra être institué avec la Grande Bretagne et ses Dominions, l’Egypte, les Etats Unis et les autres Etats Américains en état de guerre avec l’Italia.

242

In Domenica del Corriere del 31 agosto 1941 articolo dal titolo “L’ufficio di ricerca dei prigionieri di guerra”. 243 UMBERTO MORRA, Ricordo di Luchino Visconti, Nuova Antologia , n. 2104, aprile 1976, pag. 606. 244 Idem, pgg. 147 – 149. 245 A.C.R.In. lettera del 10 giugno 1942 246 A.C.R.In. lettera del 247 A.C.R.In. lettera del 11 settembre 1942. 106

Le potenze nemiche spesso non inviavano notizie sulla sorte dei prigionieri italiani. Il 2 febbraio 1943 il generale Clerici scriveva a Ginevra per chiedere che l’Agence facesse dei passi presso il governo dell’URSS perché inviassero notizie. Faceva notare la drammaticità della situazione: fino a quel momento in Italia era giunta solamente una cartolina postale inviata da un prigioniero di guerra italiano, internato in Russia nel campo 58. La cartolina portava un timbro della censura sovietica e un altro della posta tedesca. Poco dopo l’occupazione di Pantelleria e della Sicilia il 17 luglio 1943 il generale Clerici scrisse a Ginevra affinché l’Agence facesse pressione sugli Alleati perché inviassero notizie delle famiglie italiane rimaste nelle zone che avevano invaso. Uno dei problemi che l’Ufficio prigionieri dovette affrontare era quello dei pacchi che le famiglie dei prigionieri volevano far giungere ai loro cari. Nel novembre 1941 monsieur Max Huber Cheneviere scriveva al generale Clerici per comunicargli che un servizio aereo per trasportare i pacchi per i prigionieri italiani non era opportuno data la condotta della guerra marittima ed aerea. Il generale Clerici l’11 novembre gli scriveva per ribadirgli che non si poteva abbandonare il progetto e invitandolo a studiare l’impiego della via Istambul-Bagdad per far giungere i pacchi ai prigionieri italiani in India e la via della Siria-Palestina per i prigionieri in Egitto. L’8 gennaio 1942 il generale Clerici scriveva questa lettera al Ministero degli Affari Esteri: per Vostra opportuna notizia, abbiamo il pregio di informarvi che il nostro Delegato a Lisbona si è incontrato col rappresentante del C.I.C.R. di ritorno da un suo viaggio a Londra. Detto rappresentante ha dichiarato di aver contribuito, nel corso di questa visita a Londra, a rimuovere non pochi degli ostacoli che hanno finora impedito da parte inglese un più vasto servizio di vapori della Croce Rossa. Egli è stato ricevuto dal Presidente del Consiglio portoghese per trattare in merito ad eventuali rifornimenti in generi alimentari acquistati nella Colonia dell’Angola, destinati a prigionieri inglesi e russi in Germania e che verrebbero trasportati via Lisbona e Gotemborg (Svezia); progetto questo che avrebbe avuto il consenso inglese. Il Presidente Ufficio Prigionieri di Guerra (Ecc. Gen. Sen. Conte Ambrogio Clerici)

Il 24 febbraio 1942 la Commissione Interministeriale diede parere favorevole per l’istituzione del servizio vapori fra Trieste e Mersina per il trasporto di pacchi destinati ai Prigionieri di Guerra. Vi era chi manometteva questi pacchi, così il 5 marzo 1942 il generale Clerici scriveva al Ministero delle Comunicazioni perché provvedesse a dare disposizioni alle RR. Poste nel senso di raggruppare tutti i pacchi in vagoni piombati fino a Trieste e Fiume in modo da essere certi che i pacchi stessi giungano intatti fino al posto d’imbarco. Anche per il trasporto via mare si potrebbe prendere misure speciali sia per garantire ogni possibilità di manomissioni, sia per curare la buona manutenzione dei pacchi durante la traversata. In tal modo si potrebbe avere

107

un controllo sicuro fino al momento in cui i pacchi verranno affidati alla Turchia per l’ulteriore inoltro.

L’Ufficio Prigionieri, sotto la presidenza Clerici, fece anche lunghe trattative per poter attuare lo scambio di prigionieri feriti e malati. Operazione che poté attuarsi nella primavera del 1942: l’Italia utilizzò la nave “Gradisca” che salpò da Bari il 14 aprile 1942 e gli Inglesi la nave “Llandvery Castle” che salpò da Alessandria d’Egitto il 5 aprile 1942. In mare avvenne lo scambio. Con lettera del 30 aprile 1943 da Ginevra era giunta una lettera nella quale l’Agence International protestava perché il dottor Bruno Beretta, delegato aggiunto, non si era potuto imbarcare sul secondo convoglio. Il generale Clerici, con lettera dell’11 maggio 1943, faceva presente di aver accelerato le formalità perché il delegato potesse andare a Smirne a bordo del piroscafo Gradisca per assistere alle operazioni di scambio dei prigionieri. Comunicava che la partenza del terzo convoglio sarebbe avvenuta a Bari il 24 maggio con arrivo a Smirne il 28 maggio. Mentre l’imbarco degli inglesi sarebbe avvenuto il 23 maggio. La burocrazia creava spesso delle difficoltà al buon andamento dell’Ufficio. Ad esempio per istituire delle trasmissioni radio che permettessero di inviare dall’Italia notizie agli Italiani residenti ad Addis Abeba (caduta in mano inglese) il generale Clerici dovette intrattenere una fitta corrispondenza248dal maggio al settembre 1941 col dottor Celso Lucino, capo gabinetto del Ministero della Cultura Popolare, e la direzione dell’EIAR. Franco Monteleone in proposito ha osservato249 che per risovere la questione “sarebbe bastato un ufficio dell’ente radiofonico ben istruito.” Fra i compiti dell’Ufficio Prigionieri c’era anche quello di restituire alle famiglie alcune “reliquie” degli Italiani morti in prigionia, fra queste anche quelle dell’Eroe dell’Amba Alagi: S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia, Duca d’Aosta. Dopo la sua morte, avvenuta in un ospedale di Nairobi nella notte sul 3 marzo 1942, il governo inglese aveva dato incarico all’Agence di Ginevra di restituire alla famiglia un porta ritratti in cuoio che il Duca aveva con sé durante la prigionia. Il generale Clerici si incaricò della consegna250 che fece chiedendo udienza alla vedova: S.A.R. la Principessa Anna. 5.- Il titolo di Conte. I primi giorni del mese di luglio del 1941 il generale Clerici fu convocato al Quirinale. Il motivo della convocazione e i dettagli li apprendiamo da una lettera che scrisse poco dopo al Principe di Piemonte:

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ACS (fondo Ministero Cultura Popolare), busta 5, fascicolo 52. FRANCO MONTELEONE, La radio italiana nel periodo fascista, Marsilio Editori (Venezia, 1976), pag. 204. 250 A.C.R. In lettera del generale Ambrogio Clerici. 249

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Altezza Reale, Il giorno 12 luglio c.a. fui chiamato da S.E. il Conte d’Acquarone, il quale mi informò che S.M. il Re Imperatore si era benignamente degnato di concedermi il titolo nobiliare di Conte. Il successivo lunedì 14 corr. giungevo a Torino per le pratiche necessarie, convinto di poter vedere V.A.R. e di chiedere a V.A.R. consiglio ed aiuto che mi sarebbero stati oltremodo preziosi. Pressato dal Ministero della Casa del Re e Imperatore e dalla Consulta Araldica per l’inoltro dello stemma e del motto, mi affidai al prof. Zucchi, col quale concordammo l’uno e l’altro, come dall’annesso schizzo e relazione.

Il professore Mario Zucchi era una vecchia conoscenza del generale Clerici perché era il bibliotecario di S.A.R. il Principe di Piemonte ed era la persona adatta a comporre un nuovo stemma, perché conosceva bene le regole dell’araldica. Il professor Zucchi scrisse questa relazione: PROPOSTA DI UNO STEMMA PER L’ECCELLENZA IL GENERALE CLERICI Nella proposta del nuovo stemma gentilizio, pare a me debbansi tenere presenti il curriculum vitae e il patronimico dell’illustre Concessionario. Per la splendida carriera militare, sembra elemento rappresentativo, primo ed indispensabile, la spada. Fra le forme svariatissime assunte, nella lunga storia, dalla spada, trascuro di proposito la sciabola, che entra raramente, dirò anzi rarissimamente, nel blasone italiano; trascuro la daga, tozza ed antiestetica, molto e troppo comune nella tramontata araldica napoleonica; e mi indugio di preferenza sopra una forma –italianissima di spada, che i trattati araldici e la ricca letteratura francese chiamano, per antonomasia, èpèe de parement italienne, venuta in larghissimo uso nel secolo XVI, elaborata dalle grazie e dal gusto artistico del Rinascimento. Questa spada italiana, che ha parato e rintuzzato vittoriosamente in tante battaglie gli attacchi nemici, ben può simboleggiare la spada d’onore del valoroso Generale. La colloco nel punto più elevato dello scudo, cioè nel capo, che è pezza d’onore di primo ordine; e la colloco, intenzionalmente, sopra un campo d’azzurro, che è il colore specifico dell’Augusta Monarchia di Savoia, perché – qui i termini sono inseparabiliil soldato d’Italia non può trarre gli auspici della vittoria se non dal suo Re vittorioso. Poiché la carriera del Generale Clerici si svolse, per la massima parte, nell’arma dei Bersaglieri, è sembrato opportuno consacrarne il ricordo della granata, posta nella punta dello scudo, fiammeggiante, di porpora, crociata d’argento. Il semplice color porpora, allusivo all’arma, non permette di pensare ad una figurazione abusiva, perché la granata riprodotta nello stemma non è tutto l’emblema dell’arma dei Bersaglieri, e la croce d’argento non è tutta l’arma sabauda. Quanto agli elementi araldici tratti dal patronimico, è da ricordare che il clerc o il clericus dei documenti medioevali era sinonimo di laico colto e letterato, e rappresentante, in mezzo alla cavalleria feudale spesso analfabeta, il prestigio dell’intelligenza e la superiorità della cultura. Dal clerc degli antichi documenti, vale a dire dal laico colto e letterato, al clerc laico e gentiluomo, difensore, col senno e con la mano, in tempi di aspri dissensi religiosi, del pensiero cristiano, è facile il passo: onde la scienza del blasone, volendo rendere, con figure ben definite, questi atteggiamenti spirituali che costituivano la grande ossatura dell’edificio religioso e civile, escogitò lo scaglione, termine architettonico, che sorregge il fastigio del Tempio come una formidabile travatura ideale. Sono le laboriose elocubrazioni della scienza del blasone fatte accettabili ed autorevoli dai nomi del Menestrier, del Galluppi, del de Foras, del Ginammi, del Franchi-Verney, del Crollalanza, del 109

Riestap; onde è sintomatico e significativo il fatto che lo scaglione entra, vario di smalti e di colori, in tutti gli stemmi di tutte le famiglie Clerici d’Italia, appunto come richiamo alle ragioni storiche ed etimologiche del patronimico. Lo scaglione dunque, che è pezza araldica di primo ordine non può mancare nel nuovo stemma. Si aggiunga che il vocabolo à, per felice concomitanza, anche un significato militare, e la storia ricorda a questo proposito certe marce a scaglioni del nostro Esercito, e la marcia gloriosa del novembre 1918 verso Trento, dove Dante attendeva da tanto tempo il vessillo d’Italia; marcia a cui prese parte, in quell’epoca memorabile, il Generale Clerici. Allo scaglione e alla granata si è ritenuto opportuno aggiungere, verso il capo, a utile e necessaria integrazione, due stelle. Esse simboleggiano una grande fede e un grande amore: due sentimenti alimentati quotidianamente, tenacemente, assiduamente, negli alti uffici di Governo, di Corte e dell’Esercito, dalla coscienza del dovere e della devozione e dedizione assoluta all’Augusta Maestà del Re e Imperatore, presidio d’Italia. E tutti ricordano ancora oggi con ammirazione, lieti di renderne amplissima testimonianza , la grande fede e il grande amore con cui il Generale Clerici presiedette, fino dalla sua prima costituzione, la Casa dell’Altezza Reale il Principe di Piemonte, quale Suo Primo Aiutante di Campo, interpretando, con illuminata saggezza, il gran cuore e la grande mente dell’Augusto Principe Reale Ereditario, sicura promessa e sicura guarentigia delle fortune nazionali. I due sentimenti sono sintetizzati nel Motto: MAGNA. FIDES. MAGNUS. AMOR. Quanto agli smalti e ai colori dello stemma, ho mantenuto, in massima, quelli che sono tradizionali in simili armi gentilizie. E posso assicurare, con tranquilla coscienza, che lo stemma proposto e di cui allego la figura, blasonata a regola d’arte secondo le norme del Regolamento tecnico araldico non appartiene a nessuna altra famiglia e nella composizione dei suoi elementi e nel Motto non lede i diritti di nessuno. Concludendo, pare a me che lo stemma proposto, quando fosse approvato, possa descriversi così: d’oro, allo scaglione di rosso, accompagnato verso il capo, da due stelle dello stesso, e, verso la punta, da una granata fiammeggiante, di porpora crociata d’argento; col capo d’azzurro, carico di una spada di parata, posta in fascia, d’argento, con l’elsa e l’impugnatura pomellate d’oro. Torino, 14 luglio 1941-XIX Dottore Mario ZUCCHI

Il generale Clerici non aveva avuto figli perciò il titolo di Conte concessogli di motu proprio dal Re si sarebbe estinto con lui. Questa cosa non gli andava giù perché considerava la Famiglia come un Clan, cioè estesa ai fratelli, ai nipoti, ai pro-nipoti, ai cugini. Scrisse questa lettera al Ministro della Real Casa: Eccellenza, Nel trasmettere la figura e la descrizione dello stemma con una breve Relazione che costituisce la motivazione storica dello stemma stesso, non confondibile, in nessun modo, con altri, di altre famiglie omonime, esprimo il voto fervidissimo, che è preghiera rispettosa e sommessa alla Maestà del Re e Imperatore, perché si degni- in considerazione del fatto che io non ho prole- estendere con lo stesso Regio Decreto la trasmissibilità del titolo comitale e dello stemma gentilizio a mio fratello Enrico e ai suoi discendenti, in infinito, maschi da maschi, in linea e per ordine di primogenitura. Mio fratello primogenito Commendatore Dottore Enrico Clerici, primario dell’Ospedale Maggiore di Milano, è nato a Costa de’ Nobili il 16 dicembre 1867 e ha figli e nipoti ex-filio. Questa ampliata trasmissibilità sarà un benevolo ambito complemento della insigne Grazia Sovrana e tenderà a rendere perpetuo nella mia famiglia il ricordo e il culto della benevolenza di 110

Sua Maestà il Re e Imperatore e della nostra comune, illimitata devozione e sudditanza. Il benigno e grazioso provvedimento del titolo e dello stemma concesso a me ed esteso per trasmissibilità a mio fratello Enrico e ai suoi discendenti, può essere oggetto, come è sempre avvenuto in simili casi, di uno stesso unico Regio Decreto. Non vi saranno quindi due Conti Clerici, ma il titolo e lo stemma passeranno, a suo tempo, a mio fratello Enrico e ai suoi discendenti, quando si aprirà la mia successione.

Re Vittorio Emanuele III accolse la richiesta della trasmissibilità del titolo e il 17 agosto 1941 firmò il decreto reale. Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’onorevole Russo, nel dare comunicazione della avvenuta firma del decreto da parte del Sovrano scriveva al generale Clerici che per l’esecuzione del detto Reale Decreto è necessario che sia provveduto al versamento della tassa erariale conseguente di L. 16.000, presentando all’Ufficio del Registro l’accluso ordinativo di pagamento e rimettendo a questa Presidenza (Consulta Araldica) la quietanza che sarà rilasciata.

Tutte le concessioni di titoli nobiliari erano soggette ad una tassa251 che nel 1941 per il titolo di Conte era di 39 mila lire, ridotta ad un terzo per le concessioni di motu proprio. La somma di 16 mila lire richiesta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri era consistente (pari a due paia di buoi) ed il generale Clerici, con un certo pudore, aveva annunciata la notizia al fratello avvocato Carlo, amministratore della fraterna Clerici, con questa lettera: CROCE ROSSA ITALIANA Ufficio Prigionieri Ricerche e Servizi Connessi Segretariato Internazionale e Informazioni private Roma via Puglie 6 – Tel. 41.530 teleg. CROCEROSSA

Roma, 30 agosto 1941/XIX Carissimo Carlo, Ho avuto finalmente la partecipazione ufficiale del conferimento del titolo di Conte trasmissibile ad Enrico e ai suoi figli maschi, in linea di primogenitura. Naturalmente vi annessa anche la nota amara: la tassa da pagare che non è di £. 13.000, come io credevo, ma di lire 16.000 perché c’è l’aumento per la trasmissibilità. Mi hanno detto che dovrò poi pagare anche lire settecento per la miniatura dello stemma, ma a questo provvederò io, anche gli onori sono guai. Io sono mortificato di dovervi dare questa salassata (pari a due paia di curnon); ma c’era alternativa di prendere o di lasciare e per la differenza di tremila lire c’era la trasmissibilità. Se credi puoi inviare il vaglia a me ed io provvederò al pagamento, avendo presso di me l’autorizzazione al versamento. Ti prego di informare fratelli e sorelle e di dir loro che io sono mortificato di dar loro questa stilettata. Cordiali saluti Aff.imo Ambrogio 251

Legge 30 maggio 1940-XVIII, n. 726 (in G.U. n. 156 del 5 luglio 1940): Modificazioni alle disposizioni vigenti in materia di tasse sui provvedimenti nobiliari ed araldici e onorificenze straniere. 111

Ps. Allego copia della lettera ufficiale della Presidenza del Consiglio che potrai far vedere ai fratelli e sorelle e dare ad Enrico

La Fraterna, tramite l’avvocato Carlo, inviò subito il vaglia con le 16 mila lire necessarie. Il 5 settembre 1941 il generale Clerici, come da sua annotazione, pagò la tassa e portò personalmente la ricevuta di pagamento al nobile Mario Tosi, Cancelliere della Consulta Araldica. Il 26 settembre 1941, a San Rossore, Re Vittorio Emanuele III firmava le Regie Lettere Patenti che furono inviate al generale Clerici. Il documento è contenuto in una cartella (cm. 41x 28) in pelle nera con impresso in oro il piccolo stemma dello Stato. All’interno, sulla sinistra, a tutta pagina è riprodotto lo stemma dei Clerici miniato dal pittore Renato Ramponi e vistato dal professor Pietro Fedele, Commissario del Re e Imperatore presso la Consulta Araldica. Nella pagina di fronte, per tre facciate, con scrittura a grandi caratteri è riprodotto il testo del decreto reale che recita: VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTA’ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA E DI ALBANIA IMPERATORE D’ETIOPIA

Ci piace con Nostro Decreto in data diciassette agosto millenovecentoquarantuno XIX E.F., concedere all’Eccellenza il Generale di Corpo d’Armata AMBROGIO CLERICI, Senatore del Regno, Primo Aiutante di Campo Generale Onorario di S.A.R. il Principe di Piemonte il titolo trasmissibile di CONTE e uno stemma. Ed essendo stato il detto Nostro Decreto registrato, come avevamo ordinato, alla Corte dei Conti e trascritto nei registri della Consulta Araldica e dell’Archivio di Stato di Roma, vogliamo ora spedire solenne documento dell’accordata grazia al concessionario. Perciò, in virtù della Nostra Autorità Reale e Costituzionale dichiariamo spettare all’Eccellenza il Generale di Corpo d’Armata AMBROGIO CLERICI del fu Domenico, Senatore del Regno, Primo Aiutante di Campo Generale Onorario di S.A.R. il Principe di Piemonte, nato a Costa dei Nobili il diciotto novembre milleottocentosessantotto il titolo di CONTE, trasmissibile al fratello Enrico Clerici, nato a Costa dei Nobili il sedici dicembre milleottocentosessantasette e da esso ai suoi discendenti legittimi e naturali maschi da maschi, in linea e per ordine di primogenitura. Dichiariamo inoltre dovere il medesimo e la sua famiglia essere iscritti di conformità nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana, ed avere il diritto di far uso dello stemma gentilizio parimenti trasmissibile al fratello Enrico Clerici, ed ai suoi discendenti legittimi e naturali, d’ambo i sessi, per continuata linea retta mascolina, miniato nel foglio qui annesso, che è: D’oro allo scaglione di rosso, accompagnato in capo, da due stelle dello stesso e, in punta da una granata fiammeggiante, di porpora, crociata d’argento; col capo d’azzurro, carico di una spada di parata, posta in fascia d’argento, con l’elsa e l’impugnatura pomellate d’oro. Motto:«MAGNA FIDES MAGNUS AMOR». Lo scudo sarà, pel titolare e i suoi discendenti successori nel titolo di Conte, fregiato di ornamenti comitali col cercine e gli svolazzi d’oro, d’argento, di rosso e d’azzurro. Quanto agli altri discendenti, lo scudo sarà, se maschi, fregiato delle speciali ornamentazioni stabilite per gli ultrageniti di famiglia comitale e, se femmine dagli ornamenti speciali femminili e nobiliari. 112

Comandiamo poi alle Nostre Corti di Giustizia, ai Nostri Tribunali ed a tutte le Potestà civili e militari di riconoscere e di mantenere al Conte AMBROGIO CLERICI i diritti specificati in queste Nostre Lettere Patenti le quali saranno sigillate col Nostro Sigillo Reale, firmate da Noi e per il Duce del Fascismo, Capo del Governo, in virtù della delega da Lui rilasciata il tre novembre millenovecentotrentanove E.F., dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, vedute alla Consulta Araldica. Date a San Rossore, addì ventisei del mese di settembre dell’anno millenovecentoquarantuno, quarantaduesimo del Nostro Regno. VITTORIO EMANUELE RUSSO Viste e trascritte nei registri della Consulta millenovecentoquarantuno XIX E.F. IL CANCELLIERE Della Consulta Araldica Mario Tosi

Araldica

oggi

ottobre

Alcuni giornali diedero la notizia della nobilitazione, arrivarono lettere di congratulazioni. Il segretario generale del Senato telegrafò. 6.- Termina la carica di presidente dell’ufficio prigionieri. La sera del 24 luglio 1943, mentre il gran consiglio del fascismo era riunito per l’ultima volta, il generale Clerici, come un qualsiasi cittadino, era a passeggio per Roma in cerca di refrigerio. Il quadrumviro conte Cesare Maria de Vecchi di Valcismon, nelle sue memorie, scrisse che il figlio Giorgio con gli amici Orsi e Maurizio Cavalletti fino a tardi si fermarono “ a parlare con il generale Clerici vicino alla fontana del Mosé”. Non sappiamo quale fu il tema della conversazione: probabilmente fecero un discorso critico sulla situazione italiana. Il giorno dopo Vittorio Emanuele III faceva arrestare Benito Mussolini e affidava il governo al maresciallo Pietro Badoglio. L’8 settembre, dopo l’armistizio, il Re e Badoglio, accompagnati da alcuni consiglieri e ministri, lasciarono Roma per raggiungere Brindisi che era una delle poche città ancora in mano italiana, non essendo occupata né dai tedeschi né dagli alleati. Federico Chabod, giustamente, sostenne che il trasferimento a Brindisi permise che lo Stato italiano sussistesse giuridicamente sul territorio della penisola col suo governo legale e nella sua forma legale, cioè la monarchia252.

Che cosa successe all’ufficio prigionieri? Lasciamo la parola253 al generale Clerici che scrisse: L’8 settembre 1943 mi trovò al mio posto e posso dire che il servizio prigionieri di guerra non ebbe a subire alcuna scossa dal susseguirsi degli avvenimenti. 252 253

FEDERICO CHABOD, L’Italia contemporanea (1918-1948), Einaudi Editore, pag. 117. Memoria difensiva. 113

Dall’11 al 23 settembre Roma fu dichiarata “città aperta” e il suo comando fu assunto dal genero del Re il generale di divisione Carlo Calvi conte di Bergolo. Con la proclamazione della Repubblica Sociale il conte Calvi fu arrestato e Roma cadde in mano a funzionari fascisti spalleggiati dai Tedeschi. Per il generale Clerici c’era il rischio di essere deportato in Germania perché legato alla Corte: alla fine del mese di settembre, accampando dolori artritici, chiese un mese di licenza che gli venne concessa dal generale Boriani, presidente della Croce Rossa Italiana. Con certezza i dolori artritici erano una scusa per non collaborare con il governo fascista, infatti un paio d’anni dopo ebbe a scrivere254: nessuna adesione e giuramento io ho mai dato alla Repubblica Sociale né avrei mai potuto darla a un governo che si era autocostituito contro ogni legge e in opposizione all’Italia Monarchica.

Raggiunto Villareggio maturò l’idea di dimettersi dalla presidenza dell’ufficio prigionieri. Nell’ottobre 1943 scriveva, all’avvocato Domenico Galante (segretario generale del Senato), questa lettera: Certosa di Pavia p. Villareggio 25 8bre 1943 Caro Galante, Dalla fine di Settembre, sono qui in licenza a casa, afflitto da dolori artritici ad una gamba. Sono in cura e spero di cavarmela presto! Intanto però non posso ritornare a Roma, né prevedo quando mi sarà dato di rientrare; temo che se il male continua dovrò dare le dimissioni dalla carica di presidente dell’ufficio prigionieri di guerra. Il mio indirizzo – per qualunque comunicazione dobbiate rivolgermi – è appunto quello sopra indicato: “Certosa di Pavia per Villareggio.” - Credo che ormai non vi saranno comunicazioni; desidererei soltanto sapere da te se possiamo ancora valerci della tessera speciale sulle ferrovie dello Stato, e se siano venute disposizioni contrarie. - A parte spedirò le matrici dei biglietti ferroviari usufruiti. Ti saluto caramente, caro Galante e nella speranza di rivederti ti saluto ancora una volta ringraziandoti per tutta la tua cara e benevola amicizia Aff.imo A. Clerici

Il suo “vecchio” aiutante di campo gli rispondeva con questa lettera255: Roma, 15 novembre 1943 Eccellenza, Soltanto oggi, 15 novembre, ho ricevuto la Vostra gradita lettera del 25 ottobre. E sono veramente dolente di apprendere che le Vostre condizioni di salute non siano così eccellenti, come sono sempre state finora. Ad ogni modo mi auguro che si tratti di disturbi passeggeri e che al più presto Voi possiate riprendere la Vostra migliore”forma”.

254 255

idem idem 114

Per ora non prevedo la eventualità di comunicazioni; ma spero che in seguito questa eventualità si presenti e che io abbia la possibilità di rinnovarVi a voce il mio affettuoso e devoto ossequio. Non essendo pervenuta alcuna disposizione le tessere ferroviarie continuano ad essere valide. Vi prego di porgere i più deferenti ossequi alla Contessa Clerici, ed a Voi esprimo i sentimenti più affettuosi di amicizia, di devozione e di gratitudine Galante

Il generale Clerici si dimise dalla carica di presidente dell’Ufficio prigionieri e in proposito ha scritto256 che allo scadere della licenza (fine ottobre) perdurando la malattia, scrissi per ottenere una proroga, senza la quale io sarei stato obbligato a dare le dimissioni data anche la mia tarda età. Ebbi risposta solo il 19 novembre dal Commissario per la Croce Rossa Italiana, prefetto Varano, assunto alla Presidenza della C.R.I. rimasta vacante per la morte del generale Boriani. Con essa mi si comunicava che l’Ufficio Prigionieri di Guerra cessava di essere indipendente e passava come ramo di servizio al Comitato Centrale e terminava: «Nel momento in cui V.E. in conseguenza dell’accennata nuova sistemazione del detto servizio, ne lascia la Presidenza, mi è gradito rivolgerLe un sentito ringraziamento per l’attività svolta con illuminato vivo interessamento nella riorganizzazione e direzione del servizio stesso.»

256

idem 115

CAPITOLO SESTO (1943-1955) - 1. A Villaregggio durante la Repubblica Sociale (1943-45). - 2. L’epurazione (1945). – 3. A Villareggio in un clima ancièn regime (1945-53). - 4. Sindaco di Zeccone (1949-54). - 5. A Milano (1953-55) 1.- A Villareggio durante la Repubblica Sociale. Mussolini, appena liberato, fu portato in Germania dove si incontrò con Hitler. I due dittatori decisero di ricostruire il partito fascista e di dare all’Italia, occupata dalle truppe germaniche, un governo (Repubblica Sociale Italiana) presieduto dallo stesso Mussolini. Per due anni l’Italia fu sconvolta da una violenta guerra civile. Ai fini della biografia riportiamo quanto il generale Clerici scrisse nella Memoria difensiva: Mentre mi trovavo in licenza di malattia presso la mia famiglia a Villareggio (Pavia), ove i miei fratelli avevano in affitto un’azienda agraria, il Comando Militare della Lombardia emanò ai primi d’ottobre un bando che faceva obbligo a tutti gli ufficiali di presentarsi al più presto alle autorità militari (i generali al detto Comando). Mi presentai in novembre. Nell’interrogatorio del generale Solinas accennai al motivo per cui io mi trovavo a casa e ad onor del vero, debbo dichiarare che egli non pretese da me alcun giuramento per la Repubblica, giuramento che d’altra parte non avrei prestato sicuramente, essendo esso contrario ai miei sentimenti prettamente monarchici. L’indomani mi presentai anche al Comando provinciale di Pavia per lasciare il mio recapito ed in tale circostanza lasciai l’indirizzo sulla mia carta da visita, che non so come andò a finire ad Alessandria alla sede di un giornalucolo locale, al quale non sembrò vero di pubblicare la mia carta da visita, con tutti i titoli e gli attributi, corredandola di maligne insinuazioni e concludendo che dovevo essere deferito ad una commissione di disciplina. Non mi occupai soverchiamente dell’articolo, che non ebbe seguito e continuai la mia vita di assoluto riposo e non ebbi più nessuna molestia all’infuori di saltuarie visite all’azienda di giorno e di notte della Gendarmeria Germanica, dirette ad accertare che non si ospitassero i così detti fuorilegge, partigiani ecc., ma non trovarono mai nessuno perché la guardia notturna appena si accorgeva della visita, correva a dare l’allarme. Sono sempre stato all’oscuro del movimento patriottico di liberazione: ma alla fine di aprile appena avvenuta l’occupazione di Pavia, mi presentai come Senatore al nuovo Prefetto, lasciando il mio recapito.

La mancata adesione del generale Clerici al movimento partigiano trova una giustificazione sia nella tarda età, sia nel fatto che la guerra per bande politicizzate, quale fu la Resistenza, era troppo lontana dalla sua mentalità di militare di carriera. Il 10 novembre 1944 i Clerici, dopo cento anni esatti, non affittarono più il fondo di Villareggio. Abiteranno ancora nella bella casa (c.d. casa del fittabile) fino al 10 novembre 1952, quando si trasferiranno a Milano.

116

2.- L’epurazione Nell’Italia liberata i partiti del C.L.N. imbastirono la grande burletta che andò sotto il nome di “epurazione” che, in molti casi, rappresentò certamente la persecuzione e l’avvilimento di uomini, molti dei quali avevano tenuto con onore alti uffici dello Stato e acquistato indiscutibili benemerenze verso il Paese257.

Il giorno dopo dell’ingresso degli Americani a Roma il presidente del Senato, grande ammiraglio Paolo Thaon de Revel, rientrò a Palazzo Madama. Vi rimase per poco perché l’Alto Commissario per l’epurazione, il conte Carlo Sforza, gli chiese tutti i fascicoli dei Senatori del Regno. Per non aderire alla richiesta, sdegnato, Thaon de Revel si dimise da presidente del Senato258. Glieli dovette consegnare il nuovo presidente il marchese Pietro Tomasi della Torretta. Il 7 agosto 1944 il conte Carlo Sforza, quando l’Italia era ancora divisa in due, aveva scritta una lettera259 al Presidente dell’Alta Corte di Giustizia per le Sanzioni contro il Fascismo nella quale indicava i senatori del Regno che dovevano essere dichiarati decaduti: fra questi faceva il nome del senatore Ambrogio Clerici accusandolo di essere stato sottosegretario di Stato dopo il 3 gennaio 1925 e aver contribuito “a mantenere il regime fascista e a rendere possibile la guerra”. Il 27 giugno 1945, cioè dopo la Liberazione, un ufficiale giudiziario bussò alla porta della casa di Villareggio per consegnare la comunicazione, datata 5 giugno 1945, dell’Alto Commissario per le sanzioni contro il Fascismo che gli notificava che aveva richiesto all’Alta Corte di Giustizia la decadenza da senatore per aver contribuito a mantenere il regime fascista ed a rendere possibile la guerra, partecipando come Sottosegretario di Stato a un Gabinetto fascista dopo il 3 gennaio 1925 e cioè dopo la instaurazione del regime totalitario.

Come prevedeva la legge il generale Clerici, assistito dal fratello avvocato Carlo e dal nipote avvocato Emilio Clerici, preparò una memoria difensiva260, che il 10 luglio 1945 consegnò al Tribunale di Pavia perché fosse trasmessa a Roma all’Alta Corte di Giustizia. Il 30 agosto 1945 l’Alta Corte di Giustizia emise il verdetto di decadenza dalla carica di senatore: 257

FILIPPO VASSALLI, La decadenza dei senatori dalla carica. Una pagina di diritto costituzionale e di diritto giudiziario, (Bologna, 1949) 258 GIUSEPPE FABBRI, Se Merzagora…, intervista ad Antonio Mola in “il Borghese” del 12 febbraio 1984. 259 La lettera fu pubblicata sul quotidiano “Il Tempo” di martedì 8 agosto 1944. 260 Della memoria difensiva ci sono due versioni : quella “ufficiale” che si conserva nel fascicolo del senatore Clerici al Senato e quella di “prima stesura” che si trovava fra le carte del generale Clerici. Entrambe le versioni si possono consultare in A.d.c.C. 117

IN NOME DI S.A.R. UMBERTO DI SAVOIA PRINCIPE DI PIEMONTE LUOGOTENENTE GENERALE DEL REGNO ------------------------L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA PER LE SANZIONI CONTRO IL FASCISMO riunita in

Camera di Consiglio Ha emessa la seguente ORDINANZA

Vista la richiesta dell’Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo, in data 7 agosto 1944, per le dichiarazioni di decadenza dalla carica di Senatore di Clerici Ambrogio, nato il 18 novembre 1868 a Costa dei Nobili per aver contribuito a mantenere il regime fascista e a rendere possibile la guerra, partecipando, dopo il 3 gennaio 1925, cioè dopo l’instaurazione del regime totalitario, come Sottosegretario di un gabinetto fascista; Esaminate le deduzioni difensive presentate dall’interessato; Sentito il relatore; Letti gli articoli 8 del D.L.L. 27 luglio 1944, n. 159 e 8 del D.L.L. 13 settembre 1944, n. 198. DICHIARA CLERICI Ambrogio decaduto dalla carica di Senatore

Roma lì 30 agosto 1945

Con altri senatori epurati il generale Clerici fece richiesta di revoca dell’ordinanza di decadenza emessa dell’Alta Corte. La Corte di Cassazione l’8 luglio 1948 cassò le ordinanze di decadenza perché non erano state motivate. Il generale Clerici si era visto anche mettere sotto sequestro i beni. Il 6 giugno 1945 la Commissione provinciale di epurazione di Torino e poco dopo (22 giugno) l’Intendente di Finanza di Torino chiedevano al Tribunale Civile e Penale il sequestro di tutti i beni mobili ed immobili del generale Clerici. Il 26 giugno 1945 il Tribunale nominava sequestratario dei beni l’avvocato Ferruccio Amerio. Il 30 agosto 1945 il generale Clerici presentava ricorso per chiedere la revoca del sequestro sostenendo che tutti i beni li aveva acquisiti prima del 3 gennaio 1925 e gran parte di essi gli erano pervenuti per eredità. Le cose andarono per le lunghe: solamente il 28 maggio 1948, tramite il suo presidente (Umberto Gay) il Tribunale revocava il decreto di sequestro per non essere emersi a carico del generale Clerici “elementi tali da giustificare l’applicazione della legge sui profitti di regime”. 3.- A Villareggio in un clima ancièn regime (1945-1952) – Sindaco di Zeccone (1949-54). Nel 1946 morirono due fratelli di Ambrogio Clerici: il dottore Ariberto (settembre), che dal 1901 aveva gestito per conto della fraterna Clerici il fondo di Villareggio, ed il fratello maggiore dott. Enrico (dicembre), che era un celebre medico, allievo prediletto del grande clinico il professor Edoardo Bonardi. Seguirono poi anni tranquilli. A Villareggio in casa del generale Clerici e dei suoi fratelli si viveva in un clima d’ancien regime: solamente chi ha dimestichezza con i romanzi di Roth 118

o con quanto ha scritto Hermann Broch può capire questa espressione. La casa era grande, vi era un giardino di settemila metri quadri, c’erano tre persone di servizio (Ida Mugnai, Marion Marozzi e Domenico), i percorsi brevi si facevano in carrozza: una vittoria trainata da un cavallo e guidata dal cocchiere.

Foto 21. Ambrogio fotografato con le nipoti Anna e Mercede (1945-6) La Storia sembrava essersi fermata a Villareggio: alle pareti della grande sala vi erano i quadri di alcuni antenati; nello studio vi era l’archivio testimonianza della storia familiare, che aveva espresso grandi fittabili (dei veri protagonisti dell’agricoltura lombarda), magistrati, sacerdoti, medici, qualche “biricchino” e nessun santo e poi… bastava saper ascoltare il generale Clerici che raccontava di re Vittorio Emanuele III e del Principe di Piemonte che poco dopo essere salito al Trono, nel maggio 1946, col nome di Re Umberto II era stato costretto, nel giugno dello stesso anno, ad andare in esilio a Cascais in Portogallo Nel settembre 1945 a Villareggio era giunto un telegranma di Re Vittorio Emanuele III, che viveva in disparte a Napoli, nel quale si leggeva: CONTE AMBROGIO CLERICI – VILLAREGGIO CERTOSA DI PAVIA VOGLIO LE GIUNGA IL MIO MEMORE AFFETTUOSO PENSIERO E RINGRAZIARLA COSTANTE DEVOZIONE CHE SEMPRE HA DATO E CHE SONO SEMPRE PER ME CONFORTO NELLA ORA PRESENTE. AFFEZIONATISSIMO VITTORIO EMANUELE

La caduta della Monarchia, in seguito al Referendum Istituzionale, non scalfì la devozione del generale Clerici verso Casa Savoia. Ogni tanto a Villareggio arrivava qualche biglietto dall’esilio simile a questo: 119

Tutti i nostri migliori auguri ricordandoci cordialmente alla Contessa e a Lei Aff.imo Umberto Aff.ima Elena Jolanda Calvi di Bergolo Maria di Borbone Giovanna S.Ambrogio 1948

Un biglietto storico! Le firme erano quelle di Sua Maestà Re Umberto II; di Sua Maestà la Regina Elena; di S.A.R. Jolanda di Savoia, contessa Calvi Bergolo; di S.A.R. la Principessa Maria di Savoia, principessa di Borbone; di Sua Maestà Giovanna di Savoia, Regina di Bulgaria. Re Umberto II così rispondeva agli auguri: Carissimo Generale! Alla Contessa e a Lei i miei più vivi e cordiali ringraziamenti per i tanto graditi auguri trovati al mio ritorno dalla Svizzera. Sempre ricordo e sempre sono il loro aff.imo Umberto

Il generale Clerici spesso corrispondeva con funzionari del “cessato” Ministero della Real Casa che avevano prestato servizio durante la Monarchia e che, dopo il Referendum Istituzionale, erano rimasti fedeli alla Dinastia. Il cavaliere Vincenzo Sissi, che sperava in un’imminente restaurazione, così scriveva a Villareggio: Eccellenza gentilissima, Le sono tanto grato di avermi scritto e spero che pure in seguito vorrà servirsi del mio tramite per qualunque cosa che riguardi Cascais. Permetta che Le faccia presente che non è affatto vero che il Marchese Graziani non sia più a Cascais: è stato e sarà sempre il Capo di quella Augusta Casa, finché non rientreranno da noi in Italia e speriamo che Iddio ci dia questa consolazione al più presto! Come V.E. saprà io andetti a riposo e dal 24 giugno 1946, epoca in cui feci la consegna del mio ufficio al prof. Re della Presidenza del Consiglio, non ho più messo piede al Quirinale ed anzi non ci sono passato neppure più! La prego di ricordarmi con rispettosi omaggi alla Signora Contessa e ricambio fervidissimi voti augurali a Loro, Le confermo Eccellenza gentilissima i miei devotissimi sentimenti. Suo dev.imo Vincenzo Sissi 16.XII.951

Una lettera del marchese Carlo Graziani261, capo della casa del Re d’Italia, ragguaglia il generale Clerici sulla vita della Corte in esilio: (figura del piccolo stemma262 )

261

Il marchese Carlo Graziani (1886-1964), nobile di Borgo San Sepolcro, generale di brigata aerea, dal giugno 1946 al 1958 fu Capo della Casa di Sua Maestà il Re a Cascais. 120

15 Sett. 1954 Cascais- Villa Azzurra Carissimo Generale ed amico, Ò avuta regolarmente la Tua lettera di qualche giorno addietro e non ò mancato di mettere da parte l’altra Tua per consegnarla all’Augusto Signore, non appena Egli farà ritorno su questi ospitalissimi lidi, da dove manca ormai sino dalla metà dello scorso mese. Oggi –fausto giorno del Suo 50° compleanno – tutta la Famiglia riunita festeggerà il lieto avvenimento in quel di «Merlange», dove l’Augusto Signore con l’Augusta Famiglia si è recato al termine della famosa «Crociera mediterranea263» e dove è rientrata pure in tempo la deliziosa Principessa Beatrice, al termine del Suo primo tuffo nella Sua proprietà di «Boscoverde» e nella mia bella Fiesole. Non credo che l’Augusto Sovrano farà ritorno da queste parti prima della fine del mese in corso ed ai primi di ottobre parrebbe che vi facessero ritorno le Principesse M. Gabriella e M. Beatrice al termine delle Loro vacanze estive, che quest’anno sono state per entrambi, molto più interessanti del solito: qui riprenderanno la Loro abituale vita portoghese ed i Loro studi. O’ approfittato subito della lunga assenza del Signore per inviare il personale italiano a respirare un po’ delle benefica ed indispensabile aria natia, ma malgrado i sensibili, temporanei alleggerimenti- in alto e in basso- della «forza presente» della mia «Comunità italoportoghese», questa non è scesa al di sotto delle venti e più unità, che, qui, sono disseminate in ben quattro case distinte e distanti, con tutto il lavoro che ne consegue nei vari campi. Se tutto andrà per il suo verso e se non si affacceranno all’orizzonte nuove complicazioni sempre possibili, io pure e per ultimo conterei di fare una scappata, nel mese d’ottobre, in Italia e nella mia dolce Toscana, lontano da tutto e da tutti, per un po’ di vero riposo, del quale sento estremo bisogno, ma, soprattutto, per «rigenerare» i miei poveri nervi massacrati da otto anni e rotti continuati di clima atlantico e da tante occupazioni, preoccupazioni, noie e pensieri di ogni genere che accompagnano il duro lavoro quotidiano. Tutto sommato e ad eccezione dei miei poveri nervi sbrindellati, non posso in verità, data la mia rispettabile età, lamentarmi della salute e della resistenza al lavoro. Ti prego di volermi cortesemente ricordarmi alla Contessa e, con i miei migliori auguri per la tua salute, t’invio i miei devoti e cordialissimi saluti. Tuo dev.imo e aff.imo Carlo Graziani

*** Con Decreto Legislativo del Capo Provvisorio dello Stato in data 19 ottobre 1947, n. 1265264 il comune di Zeccone, che con Regio Decreto 6 dicembre 1928, n. 3156 era stato incorporato dal comune di Bornasco, riacquistò la propria autonomia. Alcuni cittadini si recarono a Villareggio per chiedere al generale Clerici di capeggiare una lista: questi si riservò di chiedere l’assenso di re Umberto II, che il Sovrano gli accordò. Sciolta la riserva partecipò alle elezioni e fu eletto Sindaco di Zeccone il 27 febbraio 1949 con delibera n. 2 del Consiglio

262

Il piccolo stemma del Re, come stabilisce l’articolo 11 del Regio Decreto 1 gennaio 1890 («Titoli e stemmi della Famiglia Reale»), consiste in uno scudo pieno dell’arme di Savoia (di rosso alla croce d’argento) sormontato dalla Corona Reale. 263 Nell’estate 1954 Federica, Regina di Grecia, aveva organizzato una crociera sulla nave Agamennone: alla crociera parteciparono numerosi Sovrani e Principi Reali. 264 Il testo del decreto si trova nella Gazzetta Ufficiale n. 272 del 26 novembre 1947. 121

Comunale265. Era il quarto Sindaco di Zeccone che la famiglia Clerici esprimeva: il nonno del generale (Girolamo Clerici) e gli zii (Carlo ed Eugenio Clerici). Da vecchio bersagliere (aveva compiuto ottanta anni il 18 novembre 1948) andava in ufficio a piedi da Villareggio a Zeccone e quasi sempre ritornava a piedi su quella strada che porta alla Certosa e che allora era comunale e che il Sindaco voleva fosse “ingerata” come lo dovevano essere le strade sotto la giurisdizione della 1ª Armata durante la prima guerra mondiale. Quando si doveva recare, per il suo ufficio di Sindaco, a Pavia per conferire col Prefetto si faceva accompagnare con la carrozza dal Domenico fino alla stazione della Certosa di Pavia. Sia all’andata che al ritorno ordinava al cocchiere di fermare la carrozza per far salire qualche pedone. Lo faceva sedere al suo fianco e gli chiedeva affabilmente notizie dei familiari, del raccolto. Di lui, come Sindaco di Zeccone, nel 1972 hanno scritto266: il signor generale Ambrogio Clerici è ricordato con grato animo da tutta la popolazione che ne apprezzò le sue doti di amministratore.

Trasferitosi a Milano nel novembre 1952 il generale Clerici per un anno e mezzo si recò ancora a Zeccone per assolvere al proprio ufficio ma, data la tarda età e la difficoltà del trasporto, fu costretto a rassegnare le dimissioni che il Consiglio Comunale, dopo averle respinte, il 10 giugno 1954 accettò con delibera n. 101267. 4. A Milano (1952-1955) Il 10 novembre 1952 i figli di Domenico Clerici dovettero, per finita locazione268, lasciare quella casa (detta del fittabile) che il loro nonno Girolamo Clerici aveva preso in affitto dall’11 novembre 1844 dalla famiglia Marozzi. Per centotto anni tre generazioni di Clerici l’avevano abitata stabilmente ed altre due generazioni l’avevano molto frequentata. Cinque generazioni comprese fra Giuseppa Clerici nata a Marzano il 30 settembre 1796 e Paola Caterina Clerici (Kitty) nata a Milano il 6 aprile 1946. Poco meno di centocinquanta anni di storia!!! Il generale Clerici, con la moglie (Vittoria Villa), coi fratelli (dottor Gaetano, avvocato Carlo, Adelaide e Domenica) prese alloggio in un appartamento posto al piano nobile del caseggiato di proprietà della Fraterna Clerici, ubicato in via Donizetti, 38 nella Parrocchia di Santa Maria della Passione. 265 266

La delibera venne approvata dalla Prefettura di Pavia il 4 marzo 1949, n. 1/1114 Gab. In A.d.c.C. lettera del Sindaco di Zeccone (sig. Bargiggia) datata 16 febbraio 1972.

Approvata dalla Prefettura di Pavia il 23 giugno 1954, n. 27793 div. I. Vi era stato un momento, fra il 1930 e il 1940, che sembrava che donna Maria Marozzi volesse vendere il fondo di Villareggio. La Fraterna Clerici era disposta ad acquistarlo, si oppose Enrico Clerici perché essendo il medico di donna Maria Marozzi non voleva che si pensasse voler approfittare della sua posizione. 267 268

122

Il 6 gennaio 1955 la televisione trasmise in diretta l’entrata a Milano del successore del cardinale Schuster: era monsignor Giovanni Battista Montini che il generale Clerici aveva frequentato quando questi era Sostituto alla Segretaria di Stato e lui Presidente dell’Ufficio Prigionieri. Palesò l’intenzione di andarlo a trovare: non fece in tempo. Arrivato a Milano instaurò ottimi rapporti con don Giuseppe Sironi, il parroco di Santa Maria della Passione, che aveva ai suoi occhi di generale anche il merito di essere stato, durante la prima guerra mondiale, cappellano militare e di aver meritato per l’eroico comportamento due medaglie d’argento al valor militare. Aveva un vecchio cruccio: nel novembre 1918 ad Aquileia parlando alla 5ª brigata bersaglieri della quale era il comandante se n’era uscito con l’espressione “per Dio!”. Un giornalista presente esclamò: “una bestemmia”. Ne aveva voluto parlare con don Giuseppe Sironi che lo tranquillizzò. Verso il 10 giugno 1955 si mise a letto perché gli si erano gonfiate le gambe. Domenica 19 giugno, dopo una giornata di continui attacchi cardiaci sembrò migliorare, volle salutare ad uno ad uno i parenti che si erano raccolti mentre la moglie Vittoria, compagna di una vita, gli teneva la mano. Fu il congedo! Verso sera morì serenamente. La cerimonia funebre si svolse il 21 giugno a Milano nella Parrocchia di Santa Maria della Passione e poi nella Chiesa di Santa Maria Assunta in Costa de’ Nobili, il suo paese natale che già negli anni ’20 gli aveva intitolata la via principale, quella che una volta era la via della Chiesa. Fu sepolto nella tomba di famiglia posta sull’Altin, il cimitero di Costa. Volle funerali semplici, con annuncio ad esequie avvenute e senza gli onori militari. Arrivarono molti telegrammi e lettere di condoglianze. Fra tutti citiamo la lettera che l’avvocato Adrio Casati269, Presidente del Consiglio Provinciale di Milano, indirizzò all’avvocato Carlo Clerici: Carissimo Clerici, A te e ai tuoi cari le condoglianze affettuose mie. Il generale Ambrogio Clerici ha servito la sua Patria, con grande dedizione e con intelletto d’amore. Come Presidente dell’Unione Regionale delle Province Lombarde, desidero ricordarlo Sindaco diligente di Zeccone – ancora una volta obbediente alla Patria – che chiamava i suoi figli migliori onde il popolo acquistasse fiducia nell’Istituto attraverso la stima per essi. L’omaggio floreale – che reca i colori della nostra Provincia- vuole essere segno di grande riconoscenza. Adrio Casati

269

Adrio Casati (1910-1987), avvocato, presidente della provincia di Milano dal 1952 al 1964. presidente della Fiera Campionaria di Milano dal 1964 al 1978. 123

ONORIFICENZE concesse a

S.E.il conte generale AMBROGIO CLERICI 1. ONORIFICENZE ITALIANE -

Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro: cavaliere (R.D. 3 aprile 1913); cavaliere ufficiale (R.D. 2 gennaio 1921); commendatore (R.D. 29 giugno 1922); grande ufficiale (R.D. 10 giugno 1926); cavaliere di gran croce decorato del gran cordone (R.D. 18 novembre 1932).

-

Ordine Militare di Savoia: cavaliere (R.D. 12 agosto 1916).

-

Ordine della Corona d’Italia: cavaliere (R.D. 27 dicembre 1906); cavaliere ufficiale (R.D. 26 giugno 1910); commendatore (R.D. 24 novembre 1919); grande ufficiale (R.D. 22 marzo 1923); cavaliere di gran croce decorato del gran cordone (R.D. 8 gennaio 1930).

-

Ordine Coloniale della Stella d’Italia: grande ufficiale (R.D. 30 aprile 1931).

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Medaglia Mauriziana al merito militare di dieci lustri (R.D. 16 giugno 1931).

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Croce al merito di guerra (Comandante X Corpo d’Armata, 10 luglio 1918).

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Medaglia ricordo della guerra 1915-18 (D.M. 18 marzo 1921).

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Croce per anzianità di servizio militare (D.M. 30 giugno 1921).

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Medaglia d’argento della sanità pubblica (R.D. 14 aprile 1921).

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Medaglia ricordo della guerra europea 1915-18 (D.M. 20 dicembre 1922).

2.- ONORIFICENZE STRANIERE Austria - Ordine di Francesco Giuseppe: ufficiale (11 febbraio 1911). Belgio - Ordine della Corona: cavaliere di gran croce (11 ottobre 1922. - Ordine di Leopoldo II: grande ufficiale (26 marzo 1922); gran cordone (7 gennaio 1930). Bulgaria - Ordine Nazionale al Merito Militare: cavaliere di gran croce (24 ottobre 1930). Danimarca 124

-

Ordine di Daneborg: commendatore di 1ª classe (11 febbraio 1921).

Egitto - Ordine del Nilo: gran cordone (1928). Francia - Legion d’honneur: cavaliere (17 luglio 1904); commendatore (7 aprile 1918). Giappone - Ordine del Sacro Tesoro Imperiale: 4ª classe (7 maggio 1910). - Ordine del Sol Levante: 2ª classe (12 luglio 1921). Gran Bretagna - Ordine di San Michele e di San Giorgio: honorary companion (5 novembre 1918). Jugoslavia - Ordine dell’Aquila Bianca: Santa Sede - Ordine del Santo Sepolcro: commendatore.

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BIBLIOGRAFIA Del conte generale Ambrogio Clerici, fino ad oggi, mancava una biografia. Questo ha comportato la sua esclusione dal Dizionario Biografico degli Italiani, opera in più volumi pubblicata a cura della Fondazione Treccani. Alcuni cenni biografici si trovano in -

Enciclopedia Militare , edizione Popolo d’Italia, volume 3°, pagg. 89-90. Voce incompleta ed inesatta. Chi è? Dizionario biografico degli Italiani d’oggi, Casa Editrice Filippo Scarano (5ª edizione – Roma, 1948), pag. 246.

Studi particolari sulla sua figura sono stati pubblicati sotto forma di articolo da Enrico E. Clerici: - Villareggio ed i Clerici (1844-1953). Fascicolo ciclostilato in 30 copie compilato in occasione del raduno dei discendenti di Girolamo Clerici (1797-1883): raduno tenutosi a Villaneggio il 12 maggio 1985. - 1925-26: Umberto di Savoia, Mussolini e un generale pavese, Bollettino della Società Pavese di Storia Patria (1987). (Nota riprodotta da Tribuna Politica - gennaiofebbraio 1988). - Gabriele D’Annunzio, Umberto di Savoia e un generale pavese. Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, 1989. Como, Litografia New Press, 1989. Una scheda biografica è riportata in: Clerici Enrico E., Clerici Carlo Alfredo. Una storia della famiglia Clerici. Global Print. (Gorgonzola 2003). Fonti archivistiche -

Archivio del Quirinale: fondo Casa Militare del Principe di Piemonte. Archivio della Camera dei Deputati Archivio del Senato Archivio Civico di Torino Archivio Centrale dello Stato (Roma) Archivi dei Comuni di (Villanova d’Asti, Vicenza, Zeccone, Archivio del Santuario di Oropa Archivio del Ministero della Difesa Archivio della Accademia Militare di Modena Archivio della Scuola di Guerra Archivio dell’Arcidiocesi di Torino Archivio del Vittoriale degli Italiani Archivio dei conti Clerici (Moncasacco): vi si conservano in originale lettere, brevetti di nomina, diplomi di onorificenze italiane ed estere. Gran parte del materiale conservato in altri archivi è conservato in fotocopia. Molto di questo materiale è stato pubblicato nel libro di

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Fonti a stampa a) Giornali consultati -

Epoca (1972) Grazia (1961) Il Brennero (1923-24) Il Corriere della Sera (1918; 1924-32; 1939; 1941) Il Corriere Vicentino (1918) Il Ponte (1951) Il Tempo (1959) La Stampa (1925-32) L’Illustrazione Italiana (1919-32). b) Libri consultati

Quasi ogni libro ci è servito solamente per un periodo della vita del generale. Per questo motivo si è pensato di suddividere la bibliografia in periodi. 1.- Prima del 1915 -De Biase Carlo, L’aquila d’oro (Storia dello Stato Maggiore Italiano 1861-1945), Edizioni del Borghese (Milano, 1969). -De Bono Emilio, Nell’esercito nostro prima della guerra, ed. Mondadori (Milano, 1931). -De Rossi Eugenio, La vita di un ufficiale italiano sino alla guerra, ed. Mondadori (Milano, 1927). -Mascheroni Gianfranco, Storia di Costa 2.- Guerra 1915-18 - Acerbi Enrico, Strafexpedition, maggio-giugno 1916, Gino Rossato Editore (Valdagno, 1992). - Bencivenga Roberto, La sorpresa di Asiago e quella di Gorizia, Tipografia Madre di Dio (Roma, 1935). - Boccardo Bepi, Melette 1916-1917, Gino Rossato Editore (Valdagno, 1994). - Cadorna Luigi, La guerra sulla fronte italiana, ed. Treves (Milano, 1921). - Cadorna Luigi, Lettere Famigliari, Mondadori (Milano, 1967). - Cadorna Luigi, Pagine polemiche, Garzanti (Milano, 1950). - Campana Michele, Un anno sul Pasubio, Gino Rossato Editore (Valdagno, 1993). - Cavallero Carlo, Il dramma del maresciallo Cavallero, Arnoldo Mondadori Editore (Verona, 1952). - Caviglia Enrico, Diario, ed. Casini (Roma, 1952). - Caviglia Enrico, Le tre battaglie del Piave, A. Mondadori (Verona, 1934). - De Mori Giuseppe, Vicenza nella guerra 1915-18, Rumor ( Vicenza,, 1931). - Gatti Angelo, Caporetto dal diario inedito, ed. Il Mulino (Bologna, 1964). - Gatti Angelo, Uomini e folle di guerra, ed. Mondadori (Milano, 1927). - Marchetti Tullio, Ventotto anni nel servizio informazioni militari, collana del Museo Trentino del Risorgimento (Trento, 1960). - Ministero Della Guerra, Riassunti storici dei corpi e comandi nella guera 1915-18, volume IX (i Bersaglieri), ed. Libreria di Stato. - Pettorelli Lalatta Cesare, L’occasione perduta, Carzano 1917, ed. Mursia (Milano, 1967). - Pieropan Gianni, 1915 obiettivo Trento, ed. Mursia (Milano, 1982). 127

- Setta Sandro, Renato Ricci, dallo squadrismo alla Repubblica Sociale Italiana, il Mulino (Bologna, 1986). - Schemfil Viktor, La Grande Guerra sul Pasubio, 1915-1918, ed. Ghedina (Cortina d’Ampezzo, 1978). - Schneller Karl, 1916 mancò un soffio, Mursia (Milano, 1988). - Schiarini Pompilio, L’Armata del Trentino (1915-1919), ed. Mondadori (Milano, 1926). - Tosti Amedeo, Il Maresciallo d’Italia Guglielmo Pecori Giraldi e la 1ª Armata, Tipografia Vincenzo Bona (Torino, 1940). 3.- Periodo fascista - Atti del Parlamento Italiano: - Camera dei Deputati XXVII legislatura - Senato del Regno XXX legislatura. - AA.VV., Umberto di Savoia il Principe Soldato e Studioso,L. Cappelli Editore (Bologna, 1930). - Bartoli Domenico, La fine della Monarchia, Arnoldo Mondadori Editore (Verona, 1947). - Bertoldi Silvio, Umberto, Longanesi & C. (Milano, 1966). - Cambria Adele, Maria José, Longanesi & C. (Milano, 1966). - Casalegno Carlo, La regina Margherita, Einuadi editore (Torino, 1956). - De Felice Renzo la biografia di Mussolini in più volumi edita da Einaudi (Torino). - De Vecchi di Val Cismon Cesare Maria, Il quadrumviro scomodo, ed. Mursia (Milano, 1983). - Di Giorgio Antonino, Ricordo della Grande Guerra (1915-1918), Fondazione G. Whitaker (Palermo, 1980). - Federzoni Luigi, 1927: Diario di un ministro del fascismo, Passigli Editore (Firenze, 1993). - Ferrraris Efrem, La marcia su Roma veduta dal Viminale, ed. Leonardo (Roma, 1946). - Grimaldi U. Alfassio e Bozzetti Gherardo, Farinacci il più fascista, Bompiani (Milano, 1972). - Iori I., Casa Militare alla Corte dei Savoia dal 1554 al 1927, (Roma, 1928). - Nozzoli Guido, I Ras del Regime, Bompiani (Milano, 1972). - Pellicani Antonio, Il filo nero, Sugar Editore (Milano, 1968). - Puntoni Paolo, Parla Vittorio Emanuele III, Aldo Palazzi Editore (Milano, 1958). - Regolo Luciano, Il Re Signore, Simonelli (Milano, 1998) [L’autore ha anche utilizzato una bozza di un capitolo di questo libro, quello riguardante il periodo in cui il generale Clerici fu primo aiutante di campo del Principe di Piemonte]. - Repaci Antonino, La Marcia su Roma (mito e realtà), ed. Canesi (Roma, 1963). - Richelmy Carlo, Cinque Re, storia segreta dei Savoia, Gherardo Casini Editore (Roma, 1953). - Rochat Giorgio, L’Esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini, ed. Laterza(Bari, 1967). - Rossi Cesare, Trentatré vicende mussoliniane, ed. Ceschina (Milano, 1958). 4. Gli ultimi anni (1944-1955) - Santarelli Enzo, Dalla Monarchia alla Repubblica, Editori Riuniti (Roma, 1974). - Sauerwein Jules, Monarchie di ieri e di domani, Rizzoli (Milano, 1951). - Savoia Umberto II, I messaggi dall’esilio, a cura dell’UMI (Roma, 1957). 128

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