Il cibo flessibile. Nuovi comportamenti di consumo 8843049372, 9788843049370

A quali bisogni risponde il cibo oltre a quello primario del sostentamento? In che modo la crisi in corso modifica i com

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Italian Pages 189/191 [191] Year 2009

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Il cibo flessibile. Nuovi comportamenti di consumo
 8843049372, 9788843049370

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STUDI ECONOMICI E SOCIALI CAROCCI / 40

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele II, 229 ooi86 Roma telefono o6 l 42 8 I 84 I 7 fax o6 l 42 74 79 3 I

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lYlaura trancht

Il cibo flessibile Nuovi comportamenti di consumo

Carocci editore

La foto in copertina è fornita gentilmente dall'Agenzia Olycom S.p.A. Via Ludovico D'Aragona, 9, 20132 Milano (http://www.olycom.it)

ristampa, luglio 2009 edizione, marzo 2009 © copyright 2009 by Carocci editore S.p.A., Roma 13

13

Realizzazione editoriale: Le Varianti, Roma

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

9

Introduzione

Una chiave di lettura delle ambivalenze

23

Scenari del mutamento La fine del cibo a buon mercato I limiti delle segmentazioni e la polisemia del cibo Edonismo e responsabilità del corpo Polarità e tensioni nei comportamenti alimentari: una griglia interpretativa

23 27

2.

Frammenti di cibo

41

2.I. 2.2. 2.3. 2 .4.

Il cibo nella società mobile Il fenomeno della quarta gamma: quando vince la velocità Il cibo solitario: cosa mangiano i single? Anche il cibo si de-localizza: snack e slot /ood

41 42 44 46

I.

I. I. I .2. 1.3. 1.4. I.5.

30 32 35

2.4.1. Crescono i consumi extradomestici l 2.4.2. Gli snack e i fuori pasto l 2.4.3. Slot food

49 50

2.5. 2.6. 2.7. 2.8. 2.9.

Food around the clock: il cibo di strada



I nuovi riti del mangiare

59

3·I.

La festa: lo spazio per l'emozione Situazioni e luoghi della socialità Lo sciame inquieto degli street bars

59 61 62

3.2.

3·3·

Il piacere delle piccole porzioni L'ibridazione del cibo Sorpresa ed emozione Riempire il tempo e riempirsi di cibo

5

52 54 55

1=--D I C E

3·4· 3·5· 3.6. 3· 7 ·

L'effetto sorpresa: il situazionismo gastronomico Il piacere di mangiar fuori Il mito dei cuochi La cucina italiana in America: l'autentico alla prova delfast

65 66 69 ,

simple, easy Il rentring: il cuoco a domicilio

3.8. 3·9· 3.10.

Low cast d'autore

73 74 75 77



L'imperativo della buona vita: il potere magico del cibo

81

4·1. 4.2.

81

4·3· 4·4· 4·5· 4.6. 4·7· 4.8.

Tra il cielo e la terra Cibo per il corpo e cibo per l'anima: alimentazione e tecniche del sé La responsabilità della salute: il cibo come elisir di lunga vita I cibi funzionali: tecnologie alimentari per la salute L'invenzione della natura: i probiotici Gli integratori: corpo energico e bellezza in pillole I saperi esperti: il moltiplicarsi dei discorsi sul cibo Chattare con il cibo



Le ansie alimentari e l' eticizzazione del cibo

103

5·1. 5.2. 5·3· 5·4·

L'onnivoro s 'interroga Le paure alimentari nella società del rischio I rischi di deriva ortoressica Allarme obesità

103 105 107 109

Le vie del lusso: il cibo si fonde con la moda

85 87 89 91 93 95 99

5·4·1. Un mondo grasso l 5-4-2. L'obesità si diffonde nei paesi in via di sviluppo l 5·4·3· I costi dell'obesità

5·5· 5.6. 5·7· 5.8. 5·9·

L'impero del grasso corre ai ripari L'impatto ambientale della produzione della carne La mancanza di cibo e l' allarme biocarburanti Il menu a "km zero " La responsabilità individuale e la ricerca di soluzioni ecocompatibili

II4 II? rr8

II9 121

6.

L'estetica del gusto: il cibo come oggetto dei sensi

125

6.1. 6.2.

Il polisensualismo della vita contemporanea Il desiderio che non deve essere colmato

125 127

6

1=--D I C E

6.3. 6.4. 6.5. 6.6. 6.7. 6.8.

Sapore e stupore: l'anticipazione futurista Il cibo come arte Il cibo si fa "frase " La cucina è spettacolo Le parole del vino: il sapere del gusto L'acqua: l'estetica della trasparenza

129 131 134 135 136 138



Tradizione e adattamento

145

7·1. 7.2. 7·3· 7·4·

145 147 149

7.6. 7·7·

Il fascino della memoria La costruzione della tradizione Regole, riti, tradizioni: l'esempio della cucina ebraica Continuità e mutamento attraverso i consumi alimentari: i consumi degli immigrati Quando il cibo si mescola alla storia: il caso della cucina americana La socialità cambia forme Il cibo globale: tra omologazione e adattamento

154 157 160

8.

Le preferenze impossibili. Verso un cibo .fusion?

167

8.1.

I dilemmi dell'industria alimentare

167

7·5·

152

8.1.1. Un bene incorporato l 8.1.2. L'allarme prezzi e la tensione verso la qualità l 8.1.3. La marca commerciale l 8.1.4. Un ossimoro: buono e magro l 8.1.5. Il locale non è sempre un valore l 8.1.6. Sempre più etica 8.2. 8.3. 8.4.

Le preferenze dei consumatori e il teorema dell'impossibilità Segmentare per target o per situazioni Verso un cibo /usion

173 175 176

Epilogo. Tre figure dello scambio

179

Riferimenti bibliografici

183

7

Introduzione

Che cosa è il cibo? Non è soltanto una collezione di pro­ dotti. È anche e nello stesso tempo un sistema di comuni­ cazione, un corpo di immagini, un protocollo di usi, di si­ tuazioni, di comportamenti. I fenomeni alimentari devo­ no essere ricercati dovunque si trovino. Barthes, 1998, p. 40

«Divertente da giocare, ma senza calorie!». Così recita la scritta impressa sulla scatola di un nuovo gioco che ha per oggetto il cibo - Food /or Thought (Cibo per la mente) - presentato alla 54 edizione di Fancy Food svoltasi a New York nel luglio del 2oo8 . La Fiera è un'esplosione di nuovi prodotti gourmet, l'apo­ teosi del godimento alimentare, una vetrina delle tendenze e dei gusti che ver­ ranno. L'incredibile abbondanza di offerte di cibi fa sembrare molto lontane le principali questioni su cui si concentra il dibattito attuale sull'alimentazione: l'aumento dei prezzi delle materie prime, i drammi dell'obesità, le contraffazio­ ni alimentari, i rischi e le paure del cibo globale. Solo un occhio attento riesce a scorgere nella miriade di tentazioni e nella congerie di prodotti che sembra­ no ignorare qualunque preoccupazione dietetica alcune delle tendenze che se­ gnano il presente e il futuro del cibo. In primo luogo la preoccupazione per la salubrità del cibo, esorcizzata dalle onnipresenti scritte che assicurano il carat­ tere biologico del prodotto. Ma insieme con questo, il carattere di gioco che al­ lontana il cibo del mondo sviluppato dal vincolo del nutrimento per portarlo, invece, sul piano del piacere. E così nell'ambigua conclusione che «il cibo è sempre la risposta» - /ood is always the answer, si legge sulla scatola del gioco - è riassunto il messaggio simbolico circa il ruolo del cibo nella nostra società. Ma il cibo diventa anche oggetto di interrogazione. L'importanza dell'ali­ mentazione cresce almeno quanto cresce l'attenzione verso il corpo e la salu­ te. Il cibo sembra assumere il carattere magico di sostanza risanatrice, di via personale di controllo delle proprie condizioni di vita. Sulla crescente atten­ zione alla qualità del cibo grava lo spettro dell'aumento dei prezzi e, per mol­ ti, la riduzione delle capacità di acquisto: anche gli stili alimentari si ridisegna­ no, l'orizzonte della decrescita propone una nuova attenzione a modalità che credevamo scomparse come i mercati rionali, i prodotti dell'orto, l'acquisto diretto dai produttori. Il mondo globale vede riproporsi in modi nuovi le questioni dell' alimen­ tazione; un tempo associate alla fame e al sottosviluppo, ora correlate ai mu­ tamenti delle abitudini alimentari dei paesi emergenti, alle strategie energe­ tiche e all'uso dei cereali per produrre biocarburanti, all'impatto ambientale a

9

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della produzione della carne, alle preoccupazioni per gli organismi genetica­ mente modificati. Da quando i mali associati all'alimentazione non sono più solo quelli tipici della carenza e della malnutrizione, ma quelli dell'abbon­ danza, il tema del cibo è immediatamente ricondotto al tema della salute. Il cibo diventa così qualcosa di profondamente intimo e collettivo , di indivi­ duale e sociale al tempo stesso. Entra prepotentemente nella scena pubblica, nei luoghi di consumo, si intreccia con le più varie occasioni di socialità e di intrattenimento, è esso stesso intrattenimento, convive con le sagre paesane come con gli eventi artistici, trova spazio nei musei e nei negozi, si veste di cultura e di arte , ma è anche oggetto di paure ricorrenti e di quotidiane preoccupazioni. Di questo insieme di significati tratta il presente libro, tentando di ricon­ durre la pluralità di tendenze apparentemente contrastanti a un disegno in­ terpretativo unitario. La tesi che qui sostengo è che gli approcci classici ba­ sati sulle preferenze dei consumatori e le operazioni di segmentazione non sono in grado di spiegare i comportamenti di consumo. Propongo, al contra­ rio , una chiave di lettura che consideri congiuntamente le nuove situazioni sociali in cui il cibo può essere consumato e gli orientamenti valoriali - in bi­ lico tra piacere e salute - che segnano il rapporto con l'alimentazione. I com­ portamenti alimentari odierni possono essere sintetizzati con i termini di snackizzazione, medicalizzazione, ritualizzazione, eticizzazione. Tendenze che si intersecano dando luogo a istanze complesse in termini di comportamenti di consumo. Si moltiplicano i contesti di vita e si diversificano, di conseguen­ za, le situazioni nelle quali il cibo fa il suo ingresso; contemporaneamente l' af­ fermarsi di due imperativi contrastanti (quello del godimento e quello della salute) genera una diffusa e perenne negoziazione degli individui con se stes­ si. Così il cibo è caratterizzato da spinte ambivalenti: da un lato, sembra per­ dere il carattere di necessità per rispondere , invece , all'imperativo del piace­ re; dall'altro lato, esso assume una forte valenza di controllo sulla salute , co­ me dimostra l 'esplosione dei cibi funzionali. Il libro si rivolge a coloro che sono interessati a comprendere un feno­ meno rilevante sul piano economico come su quello sociale. L'esercizio non ha solo una valenza culturale. Mentre cambiano i valori del cibo, le aziende sono alle prese con una sfida: leggere e interpretare le ambivalenze, coniu­ gare i nuovi saperi con le tendenze sociali, inventare prodotti e messaggi in grado di corrispondere alle nuove situazioni del cibo, sempre meno circo­ scritto al pasto e alle cadenze a cui eravamo usi pensarlo e sempre più mo­ bile e frammentato come lo è la vita globale e , come questa, alla ricerca di nuovi ancoraggi. Poche cifre bastano a dare le dimensioni economiche dell' alimentazio­ ne. In Italia sono quasi 67. 000 le imprese di trasformazione, di cui quasi 7.ooo a carattere industriale, poco meno di 5o.ooo sono le imprese agricole biologiche, 1 6 . ooo le aziende agricole a ridosso di parchi e aree protette ,

IO

I N T R ODUZ I O N E

quasi 15.000 l e aziende agrituristiche. Si contano poco meno d i 117. ooo ope­ ratori economici nel settore della ristorazione (ristoranti, ristoranti tipici, self service e fast food, trattorie, pizzerie, ristorazione collettiva e catering, birrerie, pub , bar e caffè ) , mille punti vendita al dettaglio specializzati in prodotti biologici, più di 1o. ooo espositori e 632. ooo visitatori delle manife­ stazioni fieristiche italiane di livello internazionale del settore alimentare e delle relative tecnologie. Gli addetti dell'industria alimentare, con l'esclusione degli stagionali, so­ no 390.000. Il fatturato del settore (al secondo posto dopo il settore metal­ meccanico) è pari a 113 miliardi di euro; è circa 1 miliardo di euro il fatturato dell'agriturismo; 9,6 miliardi di euro quello sviluppato dai prodotti di qua­ lità e certificati; 1 ,4 miliardi di euro il giro d'affari del biologico. Settanta istituti sono impegnati nella ricerca scientifica e storico-cultura­ le su diversi aspetti dell' enogastronomia; 142 sono gli archivi storici. Anche la formazione ha acquistato dimensioni consistenti: 442 scuole di gastrono­ mia pubbliche e private propongono corsi di varia durata, con 216 titoli di studio. L'enogastronomia sostiene, a sua volta, il settore del turismo : sono state censite 139 strade del vino e dei sapori, 123 musei dedicati al vino e ai prodotti alimentari, 2.684 sagre con 160 premi gastronomici. La diffusione sui media è sorprendente. Oltre 1 . ooo siti Internet dedicati a cibo, vino e turismo enogastronomico; 51 programmi radiotelevisivi, 259 periodici, 620 opere di cucina e ricettari. La tiratura dei mensili specializzati su temi gastronomici è passata da 349 . 164 copie del 1993 a I.I73·I35 del 2005, con un incremento del 70 o/o nel periodo. Il cibo è spettacolo: i grandi chef hanno assunto la notorietà un tempo ri­ servata solo ad attori e poi a stilisti e, un po' artisti, firmano opere " uniche " ; l e contaminazioni della ristorazione per opera della cosiddetta gastronomia scientifica enfatizzano il carattere culturale del cucinare. Il cibo è dovunque, attraversa la nostra vita quotidiana, scandisce i tem­ pi delle giornate, plasma le abitudini, costella le nostre conversazioni, entra nei quotidiani, affolla le rubriche dei settimanali, trova uno spazio crescente nella Rete, è veicolo di aggregazione. Lo provano i numerosi forum nati in Rete in cui gli individui scambiano esperienze , dando vita a comunità strette dalla stessa passione, da gusti condivisi e da sa peri messi in comune. Lo pro­ va la fitta trama di racconti sul cibo che riguardano le esperienze del mangiar fuori, le tecniche della cucina, le scoperte di nuovi prodotti e il fiorire di una narrativa, italiana e straniera, ispirata al cibo. Il cibo contemporaneo riassume i tratti di un'epoca. È flessibile . Si adat­ ta alle situazioni in cui è consumato , si intreccia con esse, dà luogo a variega­ ti fenomeni di ibridazione, si scompone in porzioni sempre più piccole e tra­ sportabili, si veste di forme diverse, si trasforma continuamente in " altro " : spettacolo, simbolo , cura, socialità, comunicazione. Accompagna individui mobili, impegnati in un perenne pendolare tra luoghi, ma anche tra pulsio-

II

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n i , esigenze e desideri spesso i n contrasto. Il cibo è segnato da contraddizio­ ni laceranti: è fonte di piacere ed è occasione di ansia e di frustrazione. Men­ tre il modello del corpo magro e in forma riassume l'imperativo etico domi­ nante, l'imm agine del cibo acquista crescente spazio sui media, diventa spet­ tacolo e norma etica a sua volta: il mangiar fuori è oggi un'imprescindibile forma del vivere, ben prima che un'occasione di svago. I consumi del cibo si intrecciano con le nostre strategie di vita, con le pra­ tiche quotidiane e con il sistema delle relazioni in cui siamo collocati, insom­ ma, con tutto ciò che compone la nostra identità. Il cibo entra nel nostro cor­ po, diventa parte di ciò che siamo. Non a caso le preferenze alimentari sono espresse con nitida passione , descritte come gusti e disgusti, narrate come qualcosa di intimamente distintivo di noi che affonda le radici nell'infanzia. Il cibo riflette più di altri consumi l'ambivalenza del rapporto con il no­ stro corpo, ambivalenza che si riflette sul segno del messaggio pubblicitario , in bilico tra sensualità e protezione della salute, tra richiamo alla tradizione e immagini di trasgressione. Il giudizio sul cibo si esprime spesso in termini dicotomici: buono o cattivo, sano o malsano, genuino o artefatto, ecologica­ mente compatibile o, al contrario, distruttivo per l'ambiente. Le preferenze alimentari segnalano ancora le differenze sociali, anche se in modi diversi da quelli delineati nella cartografia descritta da Bourdieu (r983 ) . Il sapere culi­ nario viene trasmesso oggi per vie nuove: alle modalità di trasmissione fami­ liare si affianca il ruolo degli esperti e quello della Rete che offre alle prati­ che un nuovo luogo di legittimazione sociale. Ma esso continua a condizio­ nare fortemente i comportamenti di acquisto. Questo carattere pervasivo del cibo sulla scena pubblica ne fa un fatto sociale, anzi potremmo dire, parafra­ sando il celebre riferimento al dono di Marcel Mauss (1965 ) , un /atto sociale totale. In altre parole, il cibo con tutto ciò che ruota attorno ad esso è dive­ nuto l'espressione di tendenze più ampie che contribuiscono a spiegarne il valore e il significato. Il cibo è, per eccellenza, un bene di consumo "incorporato " , per questo sintetizza le antinomie che attraversano il rapporto con il corpo. Pensiamo alla più lacerante delle contraddizioni, riassunta dall'antitesi fra trasgressio­ ne e controllo che, nel caso del cibo , si traduce nella doppia indicazione al corpo di godere dei beni offerti dal consumo e di essere in forma, di ade­ guarsi all'estetica imperante della magrezza. Nel cibo vengono riposte atte­ se di risanamento , di mantenimento di buona salute e di giovinezza, o si an­ nidano le paure di contaminazione: ne sono un segno le paure alimentari. L'antitesi tra tensione verso il piacere e orientamento verso la salute descri­ ve lo slalom che noi tutti compiamo quotidianamente tra la scelta di cibi buoni e salubri. Perché il cibo ha assunto questa presenza nella scena sociale? Perché ha cessato di essere un fatto privato, gestito nella sfera domestica, simbolo del­ la cura e del ruolo della donna-madre nella famiglia, per divenire un fenome-

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n o agito all'esterno della casa, spettacolarizzato e proposto come veicolo di intrattenimento, vissuto come segno di attualità culturale e persino come prova della propria adeguatezza a uno stile di vita moderno? E come sono mutati i valori, i significati, le pratiche del cibo? Un cambiamento radicale è intervenuto nell'organizzazione del pasto , sintetizzato nel declino della scansione tradizionale, che sanciva i cibi appro­ priati a ognuno dei momenti della giornata e che vedeva la risposta ai com ­ piti di nutrizione nella preparazione domestica del cibo. Il cibo si colloca or­ mai around the clock, per usare un'espressione che esprime come la destrut­ turazione dei pasti non sia sinonimo di declino del cibo, ma anzi della sua estrema pervasività in ogni momento della giornata. Una serie di ragioni legate ai mutamenti nella vita sociale, al lavoro fem ­ minile, alla maggiore mobilità, all'individualizzazione dei comportamenti e delle strategie di vita ha modificato le abitudini di consumo, dando vita a una serie di cambiamenti, sostenuti dalle tecnologie alimentari, che contribuisco­ no a un'offerta sempre più ricca e diversificata. Il cibo entra in gioco nei fenomeni di disaggregazione e di aggregazione che caratterizzano la nostra epoca (Giddens , 1994) . Nel momento in cui le co­ munità (familiari e locali) non possono rappresentare riferimenti sufficienti di senso, luoghi in grado di fornire il calore della vicinanza e di alimentare meccanismi di fiducia, la necessità di relazioni comporta un compito, divie­ ne un obiettivo da perseguire e da coltivare. Al pasto comunitario, consuma­ to in famiglia, si sostituisce la pratica del mangiar fuori. Ma il cibo è ancora tramite di processi di aggregazione. Mentre si amplia l'area di coloro che consumano il pasto in solitudine, per cause demografiche (l'aumento dei single o dei nuclei composti da una sola persona) o funzionali, l'industria alimentare introduce una serie di ac­ corgimenti (il colore e il packaging delle confezioni monodose ) , che esorciz­ zano la privazione del mangiare da soli. E la dimensione relazionale del pa­ sto viene rilanciata dall'enorme spazio assunto dalla ristorazione. Insieme all'aumento delle famiglie nucleari altri due fenomeni demogra­ fici sono importanti per il futuro del cibo: l'invecchiamento della società e la nuova etnicità. La popolazione over 65, già oggi pari a un quinto, diventerà un terzo nel 2050. L'invecchiamento della popolazione determinerà un con­ dizionamento delle diete legate ad esigenze di salute e rafforzerà l'attitudine verso cibi più salubri. Saranno richiesti prodotti su misura, cibi leggeri e con funzioni terapeutiche. La presenza di stranieri (e di una popolazione immigrata con una maggio­ re presenza di giovani donne) indurrà una più elevata richiesta di prodotti ti­ pici di altre cucine e, nel contempo, contribuirà alla diversificazione della die­ ta e al diffondersi di una maggiore conoscenza di prodotti di altri paesi. Il su­ shi, la bistecca argentina, il felafel, il cuscus, il kebab , lo hummus libanese, il jam6n iberico già alimentano una cucina /usion.

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Una copiosa letteratura storica e antropologica h a segnalato il carattere culturale dell'alimentazione, il valore comunicativo e rituale del cibo, il suo nesso con l'identità individuale e sociale, la necessità che il cibo sia buono da pensare oltre che da mangiare. La dimensione simbolica del cibo è stata sot­ tolineata con una folta serie di contributi, inaugurati da un celebre saggio di Claude Lévi-Strauss (1966), per sottolineare come la commestibilità dei cibi sia largamente determinata dalla cultura. Due approcci hanno segnato le interpretazioni relative alle abitudini ali­ mentari e al loro significato. L'approccio funzionalista (che dà una lettura del cibo come "buono da mangiare " in relazione agli equilibri ambientali e sociali) e l'approccio culturalista ( che invece vede il cibo come "buono da pensare " ) . Fautore del primo approccio Marvin Harris (1990) propone una chiave relativistica per la comprensione delle culture alimentari . In quanto onnivori, possiamo mangiare e digerire di tutto. Ma allora perché in talune aree geografiche alcune cose vengono considerate un abominio culinario, mentre le medesime sono prelibatezze per i palati più fini in altre zone del mondo ? Non tutto può essere spiegato in termini di " gusto " , termine che, peraltro , Bourdieu (1983) aveva già considerato nella sua dimensione socia­ le e non meramente soggettiva. Harris si spinge ad analizzare i tabù alimen­ tari, nel tentativo di spiegare in che modo la scelta di ciò che è buono sia for­ temente condizionata da fattori economici, religiosi e ambientali. Preferen­ ze e avversioni in materia di cibo sarebbero influenzate dal bilancio fra co­ sti e benefici nella produzione dell 'alimento stesso. Le cose definite buone da mangiare sarebbero quelle che, oltre a non fare male, risultano facilmen­ te disponibili e più vantaggiose in termini di rapporto fra calorie prodotte e calorie spese per attenerle. La sacralità della mucca nell 'induismo, per esem ­ pio , appare il risultato di fattori storico-ambientali che si trasformano in pre­ cetti religiosi. Da un punto di vista alimentare , infatti, la mucca è un anima­ le essenziale per l'economia, essendo l'animale da tiro meno costoso e più efficace nelle condizioni socio-ambientali dell'India. In sostanza, la vacca sa­ cra è un animale più utile come produttore di cibo (latticini e agricoltura) che non come alimento di per sé ( carne ) . La sua sacralità ne preserva la fun­ zione . Un approccio di estremo funzionalismo che mira a ricondurre ogni scelta a una sua interna razionalità, funzionale, appunto , all'adattamento de­ gli individui alle condizioni ambientali, climatiche , sociali. Harris (1990) , ba­ sa le proprie analisi su presupposti di natura non simbolica, ma funzionale. Assertore di un materialismo rigidamente utilitario , Harris ritiene che le scelte alimentari sono sempre determinate da un calcolo (più o meno con­ sapevole) dei vantaggi e degli svantaggi conseguenti: i vari regimi alimenta­ ri sarebbero i più pratici ed economici storicamente possibili in quelle de­ terminate condizioni, poiché in ogni società i cibi preferiti sarebbero sem­ pre quelli che fanno pendere la bilancia dalla parte dei benefici pratici ri­ spetto a quella dei costi: di qui le abitudini alimentari , di qui la valutazione

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d i determinati cibi come buoni e d i altri come cattivi. Ciò che conviene man­ giare assume, secondo Harris , un valore culturale positivo e diviene buono da pensare. Sul versante opposto si collocano le analisi avviate da Lévi-Strauss (1966 ) , orientate all'interpretazione d e l ruolo simbolico d e l cibo come ponte tra na­ tura e cultura. Prima che buono in bocca, il cibo di cui ci nutriamo deve es­ sere buono per la testa. Il cibo costruisce materialmente il nostro corpo, ma anche il nostro mondo emotivo, fonda i rapporti sociali, è inestricabilmente congiunto a credenze religiose , sistemi di valori. L'apporto dietetico è solo una delle componenti di ciò che serviamo nel piatto come ricorda anche Mary Douglas (1976). Del resto, ricordava De Martino (1977, p. 615) «se è una minaccia la fame, è una minaccia anche mangiare da soli: ché il pane come il cibo che nutre si può perdere anche quando si spegne la sua valorizzazione di cibo da mangiarsi in comune» . Mentre l 'approccio funzionalista rimanda i gusti a ragioni intrinseche al­ la storia evolutiva e alle condizioni ambientali, l'approccio simbolico colloca il gusto e le pratiche alimentari nell'orizzonte di significati che gli individui costruiscono attorno alla propria vita. Nessuna di queste due visioni spiega adeguatamente i comportamenti e i cambiamenti nelle odierne pratiche del consumo del cibo. Un'esasperata at­ tenzione alla dimensione simbolica allontana dalla concretezza dei processi quotidiani e dalla materialità imprescindibile del cibo ( ciò vale per ogni be­ ne di consumo); la riduzione funzionale del cibo ai bisogni che questo deve soddisfare, sia pure in una logica evolutiva di lungo periodo, sottovaluta il peso di una serie di elementi immateriali che plasmano la cultura così come i desideri individuali. Se il cibo è, prima di tutto, materia, l 'interesse per esso esprime l' attra­ zione per la sfera vitale , in un 'età segnata dalla tecnica e dalla razionalità. Il cibo è contatto con il corpo, consente di mettere le mani in pasta, di affon­ dare i gesti in una materia che si plasma, consente l 'esercizio dei sensi, espri­ me la coscienza della fisicità, il fascino del piacere che si rinnova attraverso il gusto. Assistiamo oggi al moltiplicarsi delle situazioni in cui si consuma cibo. Non si tratta solo di una questione di abbondanza, del superamento della scarsità tipico delle società sviluppate. Molte ragioni convergono rispetto a questo risultato. Come ricordava già molti anni fa Roland Barthes (1998 ) , il cibo è un sistema di comunicazione, di immagini, un protocollo di usi e di comportamenti, ma soprattutto tende a perdere il carattere di materia per trasformarsi in una situazione. Vale per tutti il caso del caffè, percepito ormai più come circostanza, come momento di pausa e di relax , che come sostan­ za. Solo l 'esplorazione delle nuove situazioni del cibo e dei significati, delle dimensioni che esso assume nella vita quotidiana consente di cogliere l'in­ treccio tra la sua dimensione materiale e la sua dimensione simbolica. Ed è

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proprio lo studio delle nuove situazioni che offrirà alle imprese l a possibilità di intercettare esigenze di prodotti che rispondano a valori sensoriali, este­ tici e pratici. Amarezza e dolcezza sono due metafore del rapporto con il mondo; «la percezione si è trasformata in un valore e si estende al sentimento» (Le Bre­ ton, 2007, p. 357). Si può essere "buoni come il pane " , " dolci come il mie­ le " . Come fa ancora notare Le Breton «amare l' altro significa nutrirsene , gustarlo, divorarlo , morderlo, esserne affamati» (ivi, p. 412 ) . Diversi modi di dire gergali illustrano lo stretto legame tra consumare il cibo e godere il corpo dell'altro. Quando diciamo «ti mangerei di baci» evochiamo un'im ­ magine di estrem a dolcezza in cui è racchiusa la contiguità costitutiva del piacere orale che accomuna cibo e affettività. Il cibo, fin dalla nascita, me­ dia la relazione con il mondo. La bocca al seno bacia e al tempo stesso man­ tiene in vita: nutrono il latte , il calore del corpo, il contatto. Il cibo ha la funzione di nutrimento , un nutrimento che però non si esaurisce nel mero piano materiale, ma si colora di profonde valenze affettive. È la forma pri­ maria del dare e del ricevere: sul cibo si esprime il bisogno d ' amore del bambino e si gioca la capacità della madre di " dare oltre " al nutrimento ma­ teriale. È l'espressione della cura , la più basilare forma con cui si riprodu­ ce sul piano sociale il ruolo femminile e materno all'interno della famiglia. Come rivelano i disturbi alimentari, il cibo interpreta e assorbe la possibi­ lità di un nutrimento importante tanto quello fisiologico, la "fame d'amo­ re " , metafora del disturbo anoressico-bulimico , allude a un bisogno così es­ senziale che «tutto il pane del mondo» non sarà sufficiente a colmare (De Clercq, 1990). Se il cibo mantiene in via costitutiva la valenza di primario atto di cura, le pratiche alimentari odierne, compresse dalla fretta, sembrano condurre in una direzione antitetica a quella della cura. La preparazione del pasto cerca strade di affrancamento dai vincoli del tempo, attraverso cibi pronti, men­ tre il cucinare tende a collocarsi su una dimensione Iudica, è legato alla con­ vivialità e alle occasioni speciali, divenendo con ciò , non a caso, terreno ma­ schile. Il significato della cura si affievolisce allorché l'atto del cucinare en­ tra nella sfera della libertà. La dimensione della cura cerca altre strade per esprimersi, trovando scorciatoie talvolta problematiche come dimostra una gran parte dei consumi alimentari utilizzati per i bambini. Il successo di me­ rendine e dolcetti non si spiegherebbe senza questa esigenza delle madri di riparare la riduzione del tempo dedicato e senza la contemporanea ricerca di una " dolcezza" compensatoria tesa a perpetuare dinamiche di gratifica­ zione-legame. Il cibo è la manifestazione primaria della socialità. La condivisione del cibo, in famiglia, in occasione delle feste e nella quotidianità, segna l' appar­ tenenza delle persone alla stessa comunità. Proprio per questo il cibo è ca­ rico di dimensioni simboliche: basti pensare alla ricchezza di precetti e di

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prescrizioni alimentari che accompagnano i riti e l e feste i n ogni religione. Il valore di nutrimento del cibo non è, perciò, tutto riposto nella necessità le­ gata alla sopravvivenza o al funzionamento fisico del corpo, ma è strettamen­ te connesso al primario processo di riconoscimento e di costruzione dell'i­ dentità individuale e collettiva. Il cibo, in tutte le culture viene associato al dono, è un segno di benvenuto: da sempre lo scambio di doni alimentari ac­ compagna le ricorrenze collettive. A San Valentino gli innamorati si regalano cioccolato, una sorta di promessa di dolcezza. L'abitudine è diffusa in molti paesi del mondo. Termini come alimentazione e nutrimento trovano un'applicazione tra­ slata, ben oltre l'ambito fisiologico che sembra passare sullo sfondo in un contesto in cui i bisogni primari sono stati esauditi. L'espressione anglosas­ sone /ood /or thougths (cibo per la mente) esprime l 'idea che il cibo sia ali­ mento per il pensiero e non solo per il corpo . È all'insieme di questi significati che si riferisce questo personale discorso sul cibo. Personale come lo è sempre la scelta del taglio di una ricerca e lo sti­ le di un racconto; personale in un senso più profondo, come lo è l'esperienza del cibo e dei suoi significati. Il filo conduttore è il concetto di cibo flessibile, espressione che riassume i connotati del cibo nella società odierna e che mi pa­ re il carattere chiave e unificante delle tendenze che attraversano il nostro rap­ porto con l'alimentazione. Non solo perché la flessibilità è divenuta la cifra co­ stitutiva di ogni ambito di vita. Vincolo nel lavoro, opportunità nell'organizza­ zione sociale, nuova etica di comportamento che guida il nostro pendolare quotidiano tra luoghi, ruoli, sfere della vita; disposizione della mente, metafo­ ra della capacità di cogliere le occasioni, di essere pronti al cambiamento. La flessibilità non descrive solo la capacità di adattamento alla pluralità delle nuove situazioni, descrive, soprattutto, il nostro oscillare tra queste. Le tensioni che si registrano nei comportamenti alimentari non danno luogo a diversi profili di comportamenti di consumo, come viene per lo più afferma­ to dalle indagini di mercato . I tentativi di segmentazione alludono a prefe­ renze che si esprimono staticamente , in via antitetica. Per questo sono poco utili per capire. Ciò che sperimentiamo sono piuttosto forme di negoziazio­ ne permanente tra esigenze spesso in palese contrasto e talvolta inconcilia­ bili. Che salute, piacere, risparmio calorico , controllo dietetico , varietà, ri­ spetto per l 'ambiente, naturalezza, e così via, siano esigenze conciliabili è una delle dissonanze cognitive che il marketing alimentare tenta di nascon­ dere. Tali istanze sono perseguite contemporaneamente, pur restando in pe­ renne conflitto .

Il CAP. 1 (Una chiave di lettura delle ambivalenze) propone una chiave di let­ tura unitaria dei fenomeni che interessano il cibo oggi. Quattro modelli emergono dall 'incrocio tra due assi: il primo individualità/socialità descrive

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i processi d i individualizzazione dei percorsi d i vita e l e relative esigenze di reintegrazione in situazioni com unitarie . Il secondo, l ' asse piacere/salute descrive il contrasto tra la tensione verso la gratificazione alimentare e la preoccupazione per gli effetti sul corpo. Al centro di questi dilemmi, come fattore decisivo , si colloca il ruolo assunto dal corpo, nella sua duplice di­ mensione di corpo materiale e di corpo simbolico, fatto di carne e di pen­ siero. Senza la moderna attitudine alla riflessività, che dilata la percezione del sé, allarga al tempo stesso le esigenze di autoaffermazione e la responsa­ bilità di queste, senza la psicologizzazione del nostro corpo, portato di un secolo di psicologia del profondo, quasi nulla di ciò che accade sarebbe comprensibile. La ricerca della felicità è personale, non consente la postici­ pazione del godimento , non tollera la frustrazione del rinvio e neppure lo scambio tra forma e sostanza. L'attenzione si concentra poi sulle quattro tendenze a cui danno luogo le polarità citate. Il CAP. 2 (Frammenti di cibo) descrive il fenomeno che vede il cibo trasformarsi per essere compatibile con le diverse situazioni in cui si di­ pana la vita quotidiana: il viaggio, lo studio, il lavoro, lo sport, lo svago, la so­ litudine. Vince la velocità , ma in forme che non rinunciano al piacere. Anche il cibo si de-localizza dando esito a stravaganti forme di ibridazione , associan­ dosi a diversi momenti sociali, per ragioni funzionali o per gioco, come indi­ cano le tante ibridazioni dei luoghi in cui si consuma cibo. Le tecnologie ali­ mentari propongono avveniristiche soluzioni con cibi in grado di autoriscal­ darsi o di autoraffreddarsi e che consentono il consumo on going. Il cibo fles­ sibile ci segue, nei momenti di vuoto , serve a riempire il tempo (ma, d'altra parte , che altro si fa davanti alla televisione? ) . Il lusso diventa talvolta la com­ pensazione della solitudine del mangiare. Nel CAP. 3 (I nuovi riti del mangiare) , si racconta l'enorme aumento del­ le occasioni conviviali di cui il cibo è tramite e veicolo; la ricerca di nuove for­ me di aggregazione non si spiegherebbe senza la disposizione alla festa, alla juissance, come direbbe Maffesoli ( 2005) che fa di questa attitudine uno dei tratti dell'epoca contemporanea. Il cibo è uno strumento di intrattenimento, è una delle forme della socialità contemporanea. Il rito dell'aperitivo è quasi una metafora di un 'aggregazione intensa e veloce, di uno sciamare senza ap­ parente senso se non quello interno dell'aggregazione momentanea. La spet­ tacolarizzazione del pasto spiega il mito dei cuochi, divi tra i divi nella società dello spettacolo. Non a caso, il cibo si fonde con la moda, diventa un segno distintivo di uno stile e di un marchio. La cucina scientifica si allea all'esigen­ za di sorprendere e di emozionare. Nel CAP. 4 (I: imperativo della buona vita: il potere magico del cibo) si de­ scrive il ruolo che è venuto assumendo il cibo come moderno esorcismo del­ la malattia. L'imperativo del benessere e la nostra responsabilità nel raggiun­ gerlo convergono nell' attribuire al cibo un potere senza precedenti. Anzi, si può dire che il cibo riacquisti valenze che aveva assolto in epoche remote

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quando imperativi religiosi e pratiche d i salute coincidevano. Per questa via l ' alimentazione si coniuga con le tecniche del sé, che orientano in modo pressante il nostro rapporto con il corpo. Un'infinita varietà di prodotti, a metà tra alimentazione e farmaci , tanto da essere talvolta connotati con il neologismo " alicamenti " , mediano proposte di efficienza fisica e di eterna giovinezza. Ben più che alimenti: elisir di lunga vita, vere e proprie terapie supportate dalla certificazione di esperti e da ricerche scientifiche. La pro­ liferazione dei saperi trova in quest'ambito un formidabile campo di appli­ cazione. Il CAP. 5 (Le ansie alimentari e l'eticizzazione del cibo) tratta delle preoccu­ pazioni correlate all'alimentazione. Le paure alimentari assumono talvolta de­ rive ortoressiche: dalla mucca pazza, all'aviaria, fino alla mozzarella contami­ nata dai rifiuti campani, fenomeno "locale " in un mondo che sembra solo glo­ bale. Il biologico diventa un'ossessione e genera l 'illusione di una zona franca contro l'inquinamento planetario. Sul tema alimentare la paura genera anche la crescita della consapevolezza dell'impatto ambientale delle produzioni, prende pieghe etiche testimoniate dalle discussioni sul bioetanolo, sulle con­ seguenze del crescente consumo di carne, dalla proposta di accorciare la di­ stanza tra produttori e consumatori. Insomma, l 'onnivoro s'interroga, con un dibattito che viene dall'America e dai paesi anglosassoni, trainato dalla piaga dell'obesità, piaga che si estende a macchia d'olio , con elevati costi sociali ed economici. Le malattie del benessere investono anche i paesi in via di svilup­ po, mostrando un ulteriore paradosso del cibo che può associare carenza ed eccesso. Per tutti il cibo assume i caratteri di un doppio vincolo: la prescrizio­ ne ambivalente al godimento e all'oculato controllo dei suoi effetti sul corpo, apre contraddizioni non sanabili. Il CAP. 6 (L'estetica del gusto: il cibo come oggetto dei sensi) esplora la valenza estetica del cibo e i suoi nuovi significati. Il cibo consente di am ­ pliare il significato corrente che limita l'estetica all'immagine, al "vedere con gli occhi " . L'estetica del cibo ci mostra un "sentire con il corpo " , un go­ dimento che non si limita a un'attività riflessiva, ma mette in gioco la sfera corporea. Dall'estetica esito dello sguardo, a un 'estetica espressione dell'in­ sieme dei fatti percettivi e delle sensazioni di piacere che attraversano il cor­ po. L'estetica non è un dato accessorio , qualcosa che copre o decora la so­ stanza, è essa stessa sostanza. Il bello non è solo lo scenario in cui si svolge l'azione, non è l 'involucro che adorna e copre una trama sostanza-in-sé, è parte della stessa sostanza. Il cibo ci parla di questo: la /orma è ingrediente che consente di pensare il cibo come adatto alla situazione in cui deve esse­ re consumato. La forma bella non sostituisce la sostanza buona, né sempli­ cemente la evoca, piuttosto stimola una polisensorialità che mette in gioco una gamma ampia di sensazioni. Estesia è il termine che meglio esprime il trionfo della dimensione sensoriale nel mondo contemporaneo, in un 'acce­ zione pienamente materiale e non solo simbolica. La dimensione estetica

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n o n s i esaurisce nella rappresentazione, ma ha bisogno del corpo per esse­ re percepita, esiste in quanto è sensorialmente percepita. Il soggetto è coin­ volto in prima persona, non è spettatore che guarda, ma attore che rappre­ senta, finge, plasma la materia. Il ji'nger food, il cibo che non necessita della mediazione di strumenti e che si mangia con le mani , esprime questo rap ­ porto diretto del cibo con il corpo, questo mettere in gioco il senso del tat­ to nel gusto. Il CAP. 7 ( Tradizione e adattamento) propone ulteriori declinazioni della flessibilità del cibo. Adattabile il cibo lo è sempre stato , basti pensare all 'a­ dattamento alle condizioni climatiche nei primi "viaggi del cibo" dai nuovi paesi all'Europa, allo sforzo degli immigrati di conservare le abitudini con­ suete in contesti che offrono prodotti lontani da quelli del cibo di casa. La storia delle origini culinarie americane sintetizza emblematicamente l'intrec­ cio di persistenza e di adattamento, di necessità e di scelta e l'influenza con­ vergente dei fattori climatici, religiosi, economici. Il sushi rappresenta un al­ tro interessante caso : la straordinaria capacità pervasiva della pratica e dei valori in essa impliciti (estetica e salute) nel mercato globale si accompagna a processi di adattamento del prodotto. Il cibo costituisce uno straordinario veicolo di scambio culturale : è il primo modo per entrare in contatto con al­ tre culture, poiché mangiare il cibo di altri è più facile che decodificarne la lingua; si presta a mediare culture diverse aprendo i sistemi di cucina a ogni sorta di invenzioni, incroci, contaminazioni. D'altro canto, il cibo per le co­ munità di immigrati è il mezzo attraverso cui si preservano le origini, la trac­ cia di radici, più o meno mitizzate , a cui fare riferimento per la conservazio­ ne della propria identità. Il CAP. 8 (Le preferenze impossibili. Verso un cibo fusion?) sintetizza la tesi che percorre il volume: l'impraticabilità della categoria delle preferenze per in­ terpretare i comportamenti di consumo. Da qui derivano i dilemmi dell'indu­ stria alimentare, impegnata in compiti difficili di conciliazione: offrire cibo buono e leggero, rassicurazione e sorpresa, qualità e contenimento dei prezzi. Il tentativo di stabilire un chiaro sistema di preferenze si scontra con l'ambi­ valenza intrinseca delle scelte individuali. Al fondo, sta la questione cruciale di leggere tendenze che le consuete forme di segmentazione non sono in grado di cogliere. Se nuovi target si profilano all'orizzonte, sempre di più saranno le situazioni sociali ad indicare le vie di evoluzione del consumo. Mentre la tra­ dizione appare il riferimento forte di ogni valorizzazione culturale del territo­ rio, oltre che del prodotto , le recenti vicende dell'emergenza rifiuti in Campa­ nia indicano come siano complessi e interdipendenti i fattori di fiducia su cui un prodotto esercita la propria capacità attrattiva. Il " locale " può non essere un valore, dunque. E intanto l'etnico rappresenta un enorme bacino di ricer­ ca per un cibo fusion.

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U n ringraziamento a coloro con i quali h o condiviso nel corso d i questo la­ voro (e non solo) cibo, parole e sentimenti: mia madre, Fiorenzo, Chiara, An­ drea, le amiche e gli amici. Un ringraziamento a quanti mi hanno offerto sug­ gerimenti e sostegno. Note 1 . I dati citati sono riportati in una ricerca realizzata da CENSIS (2007) con il sostegno di Barilla e Banca Monte Parma.

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Una chiave di lettura delle ambivalenze Nutrirsi è un comportamento che segnala altri comporta­ menti: l'attività fisica, lo sport, lo sforzo, il tempo libero, la festa, ognuna di queste situazioni ha la propria espres­ sione alimentare; si potrebbe dire che questa sorta di po­ lisemia del cibo caratterizza la modernità. Barthes (1998, p. 33)

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Scenari del mutamento

La civiltà del consumo assegna un ruolo centrale agli obiettivi del benessere materiale. La crescita dei consumi coincide con il miglioramento nelle con­ dizioni di vita e con un ampliamento degli spazi di libertà. Un esempio per tutti è il ruolo dell'automobile che allarga lo spazio, ma ancora di più, gli oriz­ zonti di vita, consentendo di esplorare nuovi territori e di cogliere opportu­ nità di tempo libero. La ricerca del benessere non sarebbe comprensibile senza la nuova centra­ lità assunta dalla dimensione individuale. L'emergere dell'individuo si accom­ pagna a una forte tendenza all'edonismo: l'etica del sacrificio e del rinvio è de­ finitivamente scomparsa. Ognuno ha il diritto a ricercare la propria realizza­ zione e, ancora prima, forme di gratificazione nella vita quotidiana. Fenomeno dai contorni ambivalenti: l'individualizzazione, con lo sgretolamento dei con­ testi di appartenenza, ha accentuato la dimensione dell'isolamento. L'epoca delle piccole felicità non punta a obiettivi generali e complessi­ vi , ma considera la felicità come somma di esperienze gratificanti. Da qui l'importanza del benessere: la centralità del corpo non sancisce solo il prima­ to dell'apparire, la costrizione dei modelli sociali, ma anche l'attenzione alla cura di sé. Il riferimento al benessere spiega anche il primato dei tessuti mor­ bidi rispetto ai materiali costrittivi. È evidente che il benessere è correlato al­ la percezione che se ne ha e questa è socialmente e storicamente determina­ ta, così i consumi non sono solo determinati dalle capacità di reddito, ma dal­ la desiderabilità sociale dei beni disponibili. N e è prova il fatto che conside­ riamo indispensabile ciò che un tempo era relegato all 'area del superfluo e del lusso. I comportamenti alimentari offrono numerose indicazioni in proposito: per tutti vale l'esempio del mangiar fuori che , pur declinato alle diverse ca­ pacità di spesa, è divenuto un fenomeno pressoché generalizzato. Lo sposta­ mento verso l' etica del piacere spiega in buona misura il posto assunto dal

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cibo. I l cibo p u ò essere considerato l a più universale strategia d i autograti­ ficazione. Il contesto di incertezza, mentre alimenta una diffusa esperienza di fatica, induce una sorta di " riduzione minima " dello stesso concetto di felicità, che diventa più pragmatico e più orientato al presente. In un son­ daggio recente gli italiani hanno dichiarato di essere felici (Diamanti, 2007 ) . U n esito strano per molti versi. Non vi è chi non veda che la situazione eco­ nomica e istituzionale è preoccupante, che gli individui sono inquieti per la crescente insicurezza, che il lavoro è precario, e così via. Del resto il males­ sere si percepisce nelle relazioni quotidiane. Allora come si spiegano questi risultati? Vi si può leggere una sorta di ridefinizione dei criteri della felicità. Una sorta di autodeterminazione dei parametri della stessa: sono felice per ciò che " mi compete " , sono felice in quanto cerco di godere di ciò che pos­ so , di costruire il mio quotidiano sistema di sopravvivenza; m agari anche perché riesco a comprare un oggetto che desidero , a godere di qualcosa di piacevole. Il cibo entra in questa strategia di microfelicità quotidiana. Già la N utella era diventata la metafora della fuga consolatoria, da quando il ce­ lebre film di N anni M o retti Bianca nel 1984, contribuì a fare entrare nella leggenda il famoso maxibarattolo in cui il protagonista si tuffa a compensa­ re le proprie frustrazioni. Il cibo consente di viziarsi, di compiere gesti di indulgenza verso se stes­ si. Il benessere si lega a immagini dolci, come dimostrano le ormai numero­ se SPA che propongono trattamenti a base di cioccolata. Si affermano le con­ sistenze cremose, che nutrono anche le immagini pubblicitarie e la nostra at­ tesa di morbidezza. Si assiste a un 'erotizzazione delle immagini del cibo (cui è sotteso l 'in­ tento di associare il cibo a emozioni intense) anche per beni come la p asta, gli spaghetti, oltre che per i superalcolici, le bevande, la cioccolata. Rientra in questa tendenza la ricerca di vesti sofisticate per i cibi di qualità superio­ re: il nero, l'oro e l'argento assecondano l 'immagine del desiderio e del lus­ so , si associano a qualità eccellente e ad occasioni speciali. Il piacere-tenta­ zione deve essere soprattutto evocato, non totalmente goduto : così si diffonde la moda delle esperienze bonsai - invisibili porzioni con un perfet­ to equilibrio estetico - che sollecitano il gusto senza soddisfarlo. Il princi­ pio del piacere si mescola a quello dell'apparire: il gusto delle serie nume­ rate (ad esempio nei vini ) , dell 'esclusività non è necessariamente espressio­ ne del desiderio di qualcosa di pregevole, ma ripropone la dimensione ostentativa del lusso. L' autodeterminazione è un tratto irreversibile della nostra epoca, ognu­ no aspira a sentirsi più libero di scegliere cosa fare e cosa essere nello studio , nel lavoro, nel tempo libero. I vincoli ascrittivi derivati dall'origine sociale , dal genere e dalla famiglia, sono meno forti anche se non sono spariti. Può apparire che questa libertà equivalga ad assenza di legami e conduca ad un approccio solipsistico. Mentre cala la propensione a forme di organizzazio-

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ne collettiva, si ripropongono vie di ricerca di una dimensione comunitaria nel privato , rispetto alla quale il cibo svolge una funzione aggregante. Altra importante tendenza del consumo è la personalizzazione, la richie­ sta di beni che possano essere percepiti su misura delle proprie esigenze. Al­ cuni esempi di prodotti che riguardano il cibo (o il gusto) esprimono questo desiderio di scegliere qualcosa che corrisponda a una propria preferenza, al­ l'esigenza di marcare il proprio gusto individuale. Uno degli esempi più dif­ fusi riguarda la personalizzazione del caffè: numerosi coffee shop propongo­ no particolari tipologie di caffè, aromi per personalizzare la bevanda, tipi di zucchero adatti, cioccolate e ingredienti da aggiungere. Sul web , poi, si può ordinare la bottiglia del vino preferito con la propria foto stampata sull'eti­ chetta. Una marca di dentifricio propone una trentina di sapori tra cui si può scegliere quello del cibo preferito, dal caffellatte al budino. Un'altra caratteristica della nostra epoca è importante mettere a fuoco. Si tratta della dimensione dell'avventura, dell'emozione, della sorpresa, della scoperta e del gioco. La vita dei più non è costellata di avventure appassio­ nanti; si può notare per inciso che quando ciò accade - per pochi - queste corrispondono con lo spazio di progetti lavorativi che consentono forti inve­ stimenti personali. La nostra epoca alimenta, però , la mitologia dell ' avventu­ ra. L'attrazione per l'avventura si manifesta su diversi piani: gli sport estremi, i viaggi o// shore, i film che propongono il ritorno alle terre selvagge e una to­ tale immersione nella natura1• Si tratta per lo più di un'avventura virtuale, che resta confinata in uno spazio separato. Per accedere alla dimensione autenti­ ca della scoperta occorrono risorse di tempo e di denaro sovente precluse ai più; anche il gioco è un privilegio, come il lavoro per coloro che lo possono considerare gioco. Per tutti vale l'illusione di avere uno spazio per le emozioni, per speri­ mentare, esplorare cose nuove. Per questa ragione i prodotti tentano spesso di evocare una sorta di Paradiso terrestre, una terra delle meraviglie segnata dall'inaspettato, popolata da esperienze inconsuete. La sorpresa richiede la continua ricerca di novità che possono essere prodotte solo con il ricorso a nuove mescolanze derivate da diversi patrimoni culturali, dalla sovrapposi­ zione e giustapposizione di miscele in grado di unire fantasie e colori e di sti­ molare i sensi con sapori inattesi. I contrasti esprimono una società multisfac­ cettata, segnata da incertezza, complessità e velocità. I confini noti debbono essere superati. Fantasia e finzione si mescolano alla realtà. Ne sono un esem ­ pio inquietante i giochi virtuali: sette o otto milioni di persone in Second Li­ fe (e in altri giochi simili) attraverso un alter ego digitale , agiscono la loro vi­ ta alternativa, simulano e mettono in gioco una seconda possibilità preclusa nella vita reale. Nel cibo si impongono sapori esperienziali come il piccante, lo speziato (sono esempi le mescolanze di miele, cioccolato, peperoncino, zenzero) , cibi che producono calore, freddo, pizzicore ( cioccolatini che scoppiettano tra gli

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antipasti), oppure cibi che lasciano fragranze sulla pelle, bevande che sor­ prendono per le combinazioni di sapori con profumi. Le cene al buio descri­ vono emblematicamente questo bisogno di sorpresa. La loro storia è recen­ te , inizia infatti quattro anni fa, quando il ristorante berlinese , Das Abend­ mahl (letteralmente " ultima cena " ) comincia a proporre serate in cui i clien­ ti cenano avvolti nell'oscurità. Queste cene, grazie al successo e alla curiosità suscitata, si diffondono in altri paesi d'Europa. A Parigi viene aperto Le Gotit du noir; a Zurigo, il ristorante Blindekuh aggiunge una finalità sociale, quel­ la di sensibilizzare sui disagi dei non vedenti, mettendo i partecipanti nelle condizioni in cui si trovano quelli ogni giorno. Alla fine del 2002 le cene al buio sbarcano in Italia: città come Milano, Roma, Venezia, Verona, Modena, Pavia ospitano eventi. Un altro esempio all'insegna del lusso eccentrico ed esclusivo è rappresentato dalla moda della cena nei cieli. Circa venti persone vengono ospitate su un piccolo jet per cenare , come recita lo spot del sito, dovunque, in completa eleganza, sorvolando un campo di golf, un castello o una piazza. Uno chef-intrattenitore accompagna gli ospiti offrendo cibo, vi­ no e musica. Il consumo del cibo si combina con il senso dell'avventura, dell'insolito , dell'esotico. I cibi anticipano o simulano una sorta di viaggio culturale che i consumatori si aspettano di compiere. Le proposte di cibi che mescolano suggestioni provenienti da paesi lontani si moltiplicano, il fenomeno è lo stes­ so in tutti i continenti, ad esempio sul mercato indiano vengono lanciate pa­ tatine dal nome Latino Style. Sono frequenti orm ai bevande che combinano aromi di fiori e di frutti: gelsomino, tè verde , lavanda. L'industria del cibo ri­ prende, così, le indicazioni del Manifesto della cucina futurista che propone­ va di spruzzare odori sui commensali. Infine , assistiamo a una sorta di professionalizzazione delle attività di consumo. Un rigurgito di razionalità in un contesto in cui l'emozione gioca un ruolo così rilevante. Come si spiega questa apparente antinomia? Lo spa­ zio che il consumo occupa nella vita quotidiana, ma anche sui media e ora sulla Rete, ha enormemente ampliato i discorsi relativi alle merci, al loro uti­ lizzo, al costo, agli attributi. In un mercato caratterizzato da iperofferta, da una quantità di beni di contenuti simili, aumenta la difficoltà di scelta, e con­ temporaneamente l'idea, in parte illusoria, che una maggiore competenza possa rendere più sicura e fondata la scelta stessa. Il consumatore esperto si informa e valuta, è attento alla corettezza del prezzo e al rispetto dei diritti, esprime un giudizio etico verso i processi di produzione e l'impatto ambien­ tale degli stessi. In questo scenario si colloca il cibo. L'alimento è un oggetto sensoriale totale, ci ricorda Le Breton (2007) , che titola la sua antropologia dei sensi Il sapore del mondo a significare il ruolo chiave che detiene il senso del gusto. Il sapore è piacere, sorpresa, benessere. I prodotti alimentari proposti di re­ cente esemplificano le nuove direzioni che segnano il rapporto con il cibo e

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più in generale il consumo. Le tendenze si dispongono su piani che convivo­ no e che sono destinati a segnare gli scenari nel presente e nell'immediato fu­ turo: sorpresa, piacere, benessere, tradizione, sicurezza. 1.2

La fine del cibo a buon mercato

Il comportamento alimentare si muove in uno scenario di incertezza che ha come sfondo il tema della crescita dei prezzi delle materie prime. È la fine del cibo a buon mercato , si inverte una tendenza al ribasso in atto da cin ­ quant' anni3• I l rincaro dei prezzi alimentari (pane, cereali, latticini, carne) in­ teressa tutto il mondo, dall'Europa e gli Stati Uniti, all'Africa, al Sud Ameri­ ca e all'Asia (in Cina il prezzo della carne di maiale e delle uova è salito del 50 o/o ) e ha diverse cause , in primo luogo i prezzi dei cereali, il cui aumento ha conseguenze sull'intera catena alimentare (Bianchi, 2007) . Incidono altri fattori: le politiche agricole, le speculazioni finanziarie, l'aumento della do­ manda mondiale di cereali, l'uso dell'etanolo come carburante alternativo, i cambiamenti climatici e la diminuzione delle scorte di cibo. Grano e mais so­ no i maggiori imputati. Dall'inizio del 2007 il prezzo del grano, che ha rag­ giunto i 400 dollari a tonnellata, è aumentato del 7 5 % , mentre il prezzo del mais è salito del 50 o/o , sfiorando i 200 dollari. L'istituto internazionale per la ricerca sulle politiche alimentari prevede che i prezzi dei cereali continueran­ no a crescere tra i 10 e il 2oo/o almeno fino al 201 5. Negli ultimi 12 mesi il prez­ zo del grano a livello globale è aumentato del no o/o . Nel 2ooo il costo del fru­ mento era pari a un terzo dell'attuale. Alla borsa di Chicago il prezzo al di­ cembre 2007 ha toccato i 7,54 dollari al bushel (unità di misura che corrispon­ de a circa 27,216 chili di grano) . Causa di questa corsa al rialzo, insieme al de­ ludente livello di produzione globale, generato da fattori climatici (maltem­ po o siccità) è la corsa ai biocaburanti. Per le stime dell'International Grain Council (l'organizzazione americana che si occupa del commercio del grano) il raccolto totale sarebbe insufficiente rispetto alle esigenze. Il prezzo del gra­ no è causa a sua volta del rincaro di carne, pollame e latticini, per i quali il grano rappresenta un importante costo di produzione. D'altra parte, il peso della quota di spesa dedicata ai consumi alimentari è in netto calo. I consumi alimentari assorbivano nel 1975 poco meno del 35o/o delle spese delle famiglie; oggi l'incidenza è scesa al 19 o/o (sotto il 1 5 o/o se non si considerano le bevande alcoliche ) . Si riduce la quota di reddito relativo messo a disposizione per l'alimentazione, a fronte di una serie di spese vin­ colate, per mutuo , fisco, manutenzione della casa, a cui si aggiungono spese per trasporti, viaggi, cellulare. Nell'arco di un trentennio la spesa per l'abita­ zione è più che raddoppiata, quella per l'alimentazione si è quasi dimezzata4• Le famiglie riducono la quota della spesa per alimentari e per vestiario e cal­ zature, acquistano di più beni durevoli ( auto , mobili, elettrodomestici) , subi-

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scano il fascino dell'innovazione (come dimostra il boom dell'elettronica di consumo, cellulari, notebook, lettori MP3 , navigatori satellitari e televisori a schermo piatto) . Per questo hanno fatto ricorso al credito al consumo i cui tassi di incremento erano prossimi al 30% all'inizio del 2003 e si sono asse­ stati attorno al 1 5 % negli ultimi anni. Le conseguenze sono note. Negli anni si è assistito, inoltre, a uno spostamento marcato di spesa dai beni ai servizi: attualmente la spesa destinata ai servizi si attesta su un 49 o/o del totale dei consumi (era il 32 o/o nel 1970 e il 41 o/o nel 1990). In questo spo­ stamento intervengono elementi di scelta e di vincolo al tempo stesso. La ca­ pacità di acquisto dei beni è mutata in modo disomogeneo, spesso i servizi sono consumi obbligati per le famiglie e in certi casi molto più costosi in Ita­ lia piuttosto che in Europa. Il Rapporto ISTAT (2oo8 ) sui consumi segnala che questi ultimi sono di­ minuiti del 2 , 3 °/o rispetto al 2007 (-4°/o non alimentari e -o,8 % alimentari). In crisi beni come calzature e abbigliamento. L'accesso ad opportunità di consumo sempre più ampie trova un ostacolo nelle capacità di acquisto so­ stanzialmente bloccate. L'attitudine che emerge è quella di comporre con maggiore flessibilità il proprio paniere di consumo scegliendo di volta in vol­ ta in quali segmenti risparmiare o investire le proprie risorse. Per questa ra­ gione nelle scelte di consumo convivono, sempre più, pratiche low cast e in­ cursioni nell'area dei beni di qualità superiore. I crescenti fenomeni di polarizzazione sociale delle risorse si riflettono anche sulle spese dedicate al consumo alimentare. Così, mentre una parte della popolazione si spinge verso la ricerca di una maggiore qualità dei beni alimentari, un' altra vive l'aumento dei prezzi dei prodotti di base con forte preoccupazione; inoltre, una parte è impegnata nella ricerca quotidiana di prezzi bassi per una cucina che continua a svolgersi tra le mura domestiche , un'altra, liberata dal vincolo del cucinare, consuma il pasto fuori casa, sia per esigenze funzionali ( di tempi e di spostamenti) sia in quanto il cibo media re­ lazioni sociali nel tempo libero come in quello di lavoro. I consumi segnalano profonde disuguaglianze e la compresenza di situa­ zioni di agiatezza e di povertà: aumenta l'acquisto della mortadella e dei pro­ dotti a marca commerciale, ma anche quello del prosciutto pregiato come il jam6n iberico che costa 1 50 euro al chilo. L'accentuarsi delle polarizzazioni e delle contraddizioni attraversa tutti i paesi. I dati riportati dalla N ational Association for the Special Food Trade (NASFT) in occasione dell 'ultima edizione estiva di Fancy Food, svoltasi a New York nel luglio 2008 , indicano che in America la vendita di specialità ali­ mentari è cresciuta , malgrado l 'economia in difficoltà, i costi energetici, il dollaro in calo. L'industria delle specialità continua a svilupparsi e tra i1 2005 e il 2007 ha avuto una crescita del 19 % , quasi quattro volte superiore alla ven­ dita di tutti i prodotti alimentari che nello stesso periodo hanno avuto un in­ cremento del 5 o/o . I prodotti che sono cresciuti di più sono le salse per la eu-

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cina ( + 74 °/o ) , le barrette dietetiche ( + 36 % ) , le caramelle e gli snack ( + 36 % ) , l'olio ( + 3 5 °/o ) . In Italia, le difficoltà degli strati più deboli a seguito dell'aumento dei prezzi spiegano la crescita del discount e dei marchi commerciali ( quelli pro­ posti dalla distribuzione) , fenomeni che rappresentano oggi una delle più dif­ fuse strategie di risparmio. Contemporaneamente emerge il fenomeno degli sprechi: in Italia am­ monta a 6oo euro all 'anno il costo dei prodotti che ogni famiglia butta nella spazzatura. Si tratta di circa il 12% di quello che compra: 2,8 milioni le ton­ nellate di cibo, circa 2,7 chili la settimana per famiglia. Lo spreco annuo am­ monta a 12 miliardi di euro. Le famiglie italiane sono quelle che sprecano di più in Europa. Le ragioni sono dovute nella maggior parte dei casi all'ecces­ so di acquisti, poi a prodotti scaduti, ai troppi acquisti per offerte speciali. Innanzitutto si sprecano prodotti freschi, pane, latte , frutta e verdura, affet­ tati. Il Banco alimentare ha recuperato lo scorso anno 59 .000 delle 170.ooo tonnellate sprecate5• Intanto cambia la composizione dei consumi alimentari degli italiani: crescono quelli dei prodotti salutisti, etnici, pronti e di lusso, rimangono sta­ bili quelli dei prodotti di base come pane, pasta e latté. In una stagione se­ gnata dal rincaro dei prezzi per beni primari come i derivati del grano e del latte, sono i prodotti di fascia medio-alta a trainare i consumi. Tra suggestioni gastronomiche, vincoli di bilancio e preoccupazioni per la salute, i comportamenti di consumo danno luogo a soluzioni eclettiche che coniugano razionalità, curiosità, comodità nell'uso, nuovi miti. La razionalità si sostanzia in una personale strategia di ricerca e di approvvigionamento, nella fedeltà ad alcune marche più note, nella ricerca di informazioni, nell'at­ tenzione alla qualità. La curiosità si esprime nella disponibilità a sperimentare nuovi prodotti ( dalla frutta esotica ai cibi etnici) e dall'incursione nei prodotti di alta gam­ ma (sia nelle produzioni tipiche e certificate che nella cucina d'autore ). La comodità nell'uso si manifesta nel ricorso a cibi confezionati e di veloce pre­ parazione o addirittura già pronti. Il valore attribuito al piacere della tavola si scontra con il venire meno dell'orientamento alla cura e al sacrificio. Tut­ tavia la cucina recupera uno spazio nella dimensione Iudica, quando si asso­ cia a un atto creativo: apprendere ricette, condividere i discorsi sul cibo, pre­ parare e consumare con gli amici. Molti dati segnalano il cambiamento delle scelte alimentari: innanzitutto negli ultimi 40 anni gli italiani hanno ridotto le calorie giornaliere: dalle 2. 6oo alle 2. 200 al giorno (sotto controllo in particolare cibi grassi, proteine anima­ li e vino) . I comportamenti alimentari seguono i mutamenti della struttura economica e dell'urbanizzazione: nei primi anni Cinquanta 4 milioni di fami­ glie non mangiavano mai carne e 3,2 la mangiavano solo una volta la settima­ na. E se nel 1963 la spesa alimentare rappresentava il 43 % della spesa totale,

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oggi s i ferma al 1 9 o/o , con punte più alte nelle famiglie più disagiate. In una società prevalentemente agricola come quella dei primi anni Cinquanta, vi era una diffusa autosufficienza alimentare. L'introduzione di massa degli elet­ trodomestici ha contribuito alla grande mutazione dei comportamenti. Se nel 1959 su 100 case c 'erano 15 frigoriferi, la metà delle cucine era a legna o a car­ bone, nel 1970 il frigo è presente in 76 case su 100, contribuendo a modifica­ re l'organizzazione della spesa alimentare. Le tecnologie più recenti, dalle tecniche di conservazione ai forni a microonde , hanno accentuato ulterior­ mente le possibilità di una gestione flessibile dei consumi domestici. In Italia resta significativo il consumo di pasta e cereali: 122 chili ( contro una media europea di 89 chili). Anzi il mercato della pasta, dopo la riduzio­ ne di qualche mese fa, segnala una ripresa: 28 chili il consumo medio annuo pro capite in Italia , 1,7 milioni le tonnellate di pasta esportate all'estero. Cre­ sce l'export anche verso paesi come l'India , la Russia, la Cina. Cresce il con­ sumo di pasta di semola integrale e di pasta fresca. L'87°/o della popolazione mangia pane , pasta o riso almeno una volta al giorno e questa quota è stabile da alcuni anni. Il consumo di carne è passa­ to dai 50 kg pro capite degli anni Settanta agli attuali 95 chili, un consumo tuttavia ancora minore rispetto alla maggioranza dei paesi europei. È tripli­ cato il consumo delle verdure: con 360 chili annui a testa siamo secondi al­ la Grecia; in particolare aumentato il consumo delle verdure pulite e confe­ zionate che vengono acquistate con regolarità dal 43 % degli italiani. Il con­ sumo di prodotti surgelati è passato dalle 19o.ooo tonnellate del 1982 alle 8oo. ooo odierne . Presenta un trend storico decrescente , invece, il consumo di alcol: dai 16 litri pro capite di 30 anni fa ai 6,9 litri attuali. Quasi un quar­ to del fatturato complessivo dell'industria alimentare proviene da prodotti che sono il frutto di un'evoluzione (sughi pronti, condimenti freschi, surge­ lati, piatti pronti, verdure in busta ecc. ) i due terzi sono rappresentati dai prodotti tipici della tradizione italiana, il restante 10% è coperto dai prodot­ ti tipici e dal biologico ( CENSIS, 2007 ). Tendenze in app arente contrasto, dunque. 1.3 I limiti delle segmentazioni e la polisemia del cibo

Gli Osservatori sugli stili di consumo sfornano periodicamente nuove e ag­ giornate tipologie di consumatori nel tentativo di afferrare regolarità e di quantificare le diverse tendenze. L'Osservatorio sul capitale sociale Demos­ Coop ad esempio, ha individuato cinque gruppi: il più ampio è quello dei ca­ salinghi che rappresenta esattamente un terzo del totale ed è composto da persone più anziane e con bassa scolarità e da casalinghe che vivono il cibo come routine e non vanno a mangiare fuori. Il gruppo del /itness, che costi-

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tuisce poco più di un quinto del totale, è composto prevalentemente da gio­ vani orientati a tenersi in forma: mangiano prodotti biologici, vanno spesso in pizzeria con gli amici. Un terzo gruppo, denominato fast /ood, nettamen­ te minoritario, è composto prevalentemente da persone che lavorano: uomi­ ni, sui quaranta anni, hanno per lo più un'alta istruzione e sono costretti a mangiare fuori per la pausa pranzo. Un altro gruppo altrettanto minoritario , ma con un orientamento speculare, è denominato Slow Food ed è considera­ to il più raffinato. Si tratta di giovani, istruiti ed esigenti; usano le guide sui percorsi del gusto, partecipano a degustazioni, praticano turismo enogastro­ nomico , mangiano frequentemente prodotti biologici. Infine, il gruppo dei militanti è composto da consumatori impegnati e preoccupati per l'insicurez­ za alimentare: in prevalenza donne , quarantenni, politicamente impegnate; comprano prodotti equo-solidali, mangiano bio , praticano il consumo criti­ co , sono attenti al comportamento etico delle imprese e al ruolo delle asso­ ciazioni di difesa dei consumatori. Tipologie come queste, pur segnalando tratti presenti, ripropongono , però, l'illusione che sia possibile dividere il mercato in segmenti di individui con comportamenti coerenti. Un'idea riduttiva che non è in grado di rileva­ re la mescolanza e il pendolarismo dei comportamenti odierni in cui ognuno esprime istanze molteplici, con pesi che variano nei diversi momenti della giornata e non solo nelle fasi della vita. Il cibo è un'importante occasione di socialità, come dimostra la pratica del mangiare fuori. Quasi due terzi degli italiani, per piacere o per lavoro, si recano a mangiare fuori casa una volta al mese e quasi un terzo almeno una volta alla settimana (Nomisma, 2007). Lo stesso rito di vedere gli amici è as­ sociato a una cena. Per molti, giovani ma non solo , l' appuntamento per scam­ biare una parola davanti all'aperitivo a fine lavoro, è divenuto rito quotidia­ no. Il cibo è un'attività del tempo libero che ha implicazioni economiche sem­ pre più importanti anche per il turismo. Un italiano su quattro , nel 2008 , ha partecipato a degustazioni, uno su dieci ha viaggiato seguendo itinerari eno­ gastronomici. Sono numerosi coloro che viaggiano portando con sé la guida ai ristoranti, alle osterie, alla gastronomia locale. Il cibo è spettacolo: una per­ sona su due ha seguito programmi televisivi dedicati alla cucina o al vino. Do­ vunque vengono presentate persone che cucinano, provano ricette nuove, presentano piatti o prodotti tradizionali oppure reinventati; di cibo si discu­ te, le competenze sul cibo vengono ostentate. Il cibo assume una valenza cul­ turale. I cuochi e i gastronomi hanno acquisito lo status di "intellettuali " . Mentre cresce i l senso diffuso che l a qualità del cibo rappresenta u n elemen­ to costituivo della qualità della vita e dell'ambiente, il cibo è anche una fon­ te di incertezza e di paura7• La globalizzazione porta rischi di malattie che cambiano rapidamente le abitudini alimentari , come dimostrano il morbo della mucca pazza o l'influenza aviaria. Il dibattito sugli OGM (organismi ge­ neticamente modificati ) o sull 'impatto ambientale della produzione della

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carne conferma l a rilevanza che l e questioni alimentari vanno assumendo nel­ l'opinione pubblica. Circa tre italiani su quattro, secondo l'Osservatorio ci­ tato, sono preoccupati per la sicurezza degli alimenti e pensano che nel pros­ simo futuro le cose peggioreranno. Matura nel contempo un'etica alimenta­ re che comprende una maggiore sensibilità verso modelli di consumo rispet­ tosi degli equilibri ecologici. È più ampia la quota di persone che pratica la "spesa etica " , che si rifornisce, più o meno regolarmente, nel circuito del " commercio equo e solidale " , che partecipa a iniziative come il Banco ali­ mentare. In parte, questi orientamenti riflettono il declino della partecipazio­ ne politica tradizionale e la ricerca di modalità di impegno personale nella vi­ ta quotidiana. Il cibo assume, quindi, una pluralità di significati: alimento, spettacolo, cultura, partecipazione, gusto del vivere, piacere e preoccup azione, difesa della tradizione e desiderio di sperimentare si intrecciano. Nel frattempo mu­ tano i criteri della spesa e anche la composizione. Sarebbe riduttivo interpre­ tare i mutamenti dei consumi alimentari in chiave prettamente funzionale, vale a dire considerandoli espressione delle esigenze di adattamento alle for­ me estremamente flessibili e mobili della società contemporanea. Una serie di fenomeni emergenti nelle grandi città e che si propagano con estrema ra­ pidità nelle metropoli di ogni parte del globo ci segnala l'emergere di un vis­ suto mobile che precede la traduzione in specifiche scelte di consumo. Negli USA chiamano /lexitarian coloro che seguono un regime alimentare flessibile e mescolano un regime vegetariano con hamburger e pizza. Si tratta di un re­ gime alimentare depurato dalle motivazioni ideologiche del vegetarianesimo, più interessato ai vantaggi di una dieta a b ase di alimenti di origine animale8• Ed è questa mescolanza il tratto nuovo che ci sta di fronte. 1 .4 Edonismo e responsabilità del corpo

Niente come il cibo lascia emergere l' ambivalenza del concetto di senso: si­ gnificato e mezzo del nostro rapporto con il mondo. Senza l'imperante cen­ tralità del corpo, imprescindibile fonte di senso, primo oggetto di cura e di responsabilità personale , non si spiegherebbe nessuna delle tendenze che og­ gi segnano i consumi alimentari e il rapporto con il cibo. La crescita dell'interesse nei confronti del corpo nella cultura contempo­ ranea è il risultato di diversi processi convergenti: l'importanza sociale del­ l'immagine, il mutamento delle patologie, lo sviluppo della cultura del con­ sumo, la disponibilità di nuove tecnologie che permettono interventi " di su­ perficie " , l'invecchiamento della popolazione, l' accresciuta consapevolezza dei rischi che si sviluppano nella modernità (Guizzardi, 2004) . L a scoperta del corpo come entità dotata d i una realtà i n s é s i afferma con l'idea dell'individuo (Le Breton, 2007). Nell'età moderna il corpo diven-

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ta linea di confine tra soggetti singolarizzati. In un'epoca di individualismo narcisistico, il corpo è materiale e ideale al tempo stesso. Materiale in quan­ to ricettore di sensazioni , ideale in quanto ingloba i riferimenti a modelli esterni. In questo senso è un corpo sociale . Lasciata alle spalle una visione meramente funzionale dello stesso e affermatasi una visione positiva del pia­ cere e del desiderio , il corpo diventa luogo di unicità: un corpo che sente, che pensa, che si autoregola, che guarisce , che apprende, che si trasforma. «Il boom del corpo è anche un grande fenomeno di mercato [ . . . ] di esso ci si serve ormai per vendere quasi tutto , ma intorno ad esso si concentrano le esi­ genze di autonomia, espressione, creatività degli individui» (Melucci, 2ooo, p. 61 ). Il corpo è al contempo soggetto , ossia centro di esperienza, e oggetto , vale a dire prodotto da costruire e manipolare. Ma con ciò esso diventa un dato incerto, non garantito e, perciò, fonte di ansie. Il corpo-prodotto, costruito , immaginato, messo in scena, materia sensibi­ le, sempre meno naturale e sempre più tecnologico , convive con il corpo-ve­ trina, segno e traccia delle vetrine e come queste offerto allo sguardo. La spinta all'edonismo propone una nuova funzione del corpo, che diviene cor­ po-senso, veicolo di piacere , medium di contatto con il mondo esterno e con la ricca offerta di consumi, esito e strumento della nuova centratura del sog­ getto su di sé. Le tendenze all'estetizzazione della vita quotidiana altro non sono che l'espressione diretta di questa ricerca di gratificazioni e di risposte a quelle che vengono percepite come esigenze peculiari o personali strategie di vita. La centralità del corpo come luogo attraversato da una pluralità cre­ scente di consumi, come oggetto prioritario di cura , progetto da costruire sulla base di modelli scelti e non semplicemente ricevuto come dote natura­ le, esprime la stessa tendenza (Franchi, 2007). Si introduce così un'insanabile contraddizione nel rapporto con il corpo, l'individuo si dibatte tra gli inviti sociali alla trasgressione e l'esigenza di eser­ citare un controllo coerente con l'ideale estetico dominante. Si produce una tensione costante che dà luogo a un continuo pendolarismo (nei casi di una felice gestione del compromesso) tra le due polarità e a dilemmi laceranti al­ lorché viene meno la capacità di percorrere lo spazio intermedio tra di esse. N on sono solo i disturbi alimentari, drammatica manifestazione del rappor­ to negativo con il cibo, a indurre una tale considerazione. Insieme a un 'estetica della bellezza si afferma un 'etica della bellezza che comprende la responsabilità individuale rispetto ad essa. Il corpo diviene una sorta di progetto personale, un prodotto da costruire, un bene su cui si deve esercitare controllo e fare m anutenzione; perde il carattere naturale che ha storicamente avuto per diventare il prodotto delle nostre azioni, qual­ cosa che può essere definito, plasm ato , lavorato , simbolo potente del grado in cui sappiamo dominarlo. È nostro proprio in quanto noi ne portiamo la responsabilità: ciò che esula dai canoni, segna quindi un'inadeguatezza, una nostra mancanza. Il corpo nell'esperienza contemporanea ha travalicato i

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confini naturali (l 'inscrizione i n una dimensione immodificabile , assegnata­ ci per destino) per divenire invece un compito , una dimostrazione della no­ stra capacità di essere all'altezza delle sfide proposte dai modelli sociali. Ma il corpo ha travalicato in un altro senso i confini naturali , in quanto non è percepito solo come materia, come mero elemento biologico , ma come im­ pregnato del nostro sé, depositario della nostra più intima essenza. Ancora una volta questa immagine rinvia a un obiettivo da raggiungere. Anche l'i­ dentità è un compito, come il corpo, che di questa identità è parte, specchio e segno del nostro lavoro , dei risultati come dei fallimenti. Il cibo acquista un ruolo di primo piano in questo esercizio , è fonte di salute o causa di ma­ lattia, finisce per assumere poteri quasi magici, immagini su cui il marketing fa leva largamente. Modelli estetici di massa propongono l'immagine della magrezza e, di conseguenza, l'etica del controllo. Il regime dietetico è un segnale di discipli­ na permanente verso noi stessi. Un corpo snello segnala autocontrollo, è si­ nonimo della capacità di trascendere gli impulsi immediati, un corpo in so­ vrappeso parla di ingordigia, di mancanza di disciplina. Così l'aspetto del corpo può essere fonte di orgoglio, ma può essere anche fonte di ansia e di vergogna. In questa enfasi sul corpo risiede una spaventosa sfida alla sogget­ tività; la questione non è semplicemente estetica, come dimostra il sentimen­ to di colpa connesso al fallimento di un progetto di dieta. Di questo corpo portiamo una crescente responsabilità, in un delirio di onnipotenza esaltato dalla tecnica. Allungare la durata della vita, correggere le imperfezioni, accrescere le prestazioni: tutti segni dell'attuale era della me­ dicalizzazione della vita e dei consumi. La mente di ognuno è ogni giorno più invasa dalle preoccupazioni per la salute, da consigli di prevenzione , da infor­ mazioni mediche: non si consumano solo farmaci , ma anche trasmissioni te­ levisive, stampa, pagine Internet, guide ed enciclopedie mediche. Il precetto è quello di prevenire le malattie, di cambiare le abitudini che comportino rischi, dare prova di comportamenti adeguati. Molti ambiti so­ no segnati dalla preoccupazione per la salute: il turismo (cresce la richiesta di vacanze benessere) , la casa (si fa strada l'attenzione ai materiali) , la cosme­ tica ( che ostenta il ricorso a prodotti naturali). Si assiste a un 'impennata del­ le spese sanitarie: l' ottimizzazione della salute non passa solo attraverso le pratiche tecnico-scientifiche, ma ancora di più attraverso la sorveglianza a cui ognuno di noi è deputato. Per effetto di questa sensibilità diffusa si produce una sorta di dramma­ tizzazione di massa del consumo. In nome del culto della salute è necessario informarsi, consultare professionisti, sorvegliare la qualità dei prodotti, sop­ pesare e limitare i rischi, correggere le abitudini di vita, ritardare gli effetti dell'invecchiamento, sottoporsi ad analisi. La salute è una fonte di preoccu­ pazione permanente , rispetto alla quale si cercano le più diversificate vie di difesa. I limiti del sapere scientifico vengono per così dire aggirati con un ere-

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scente impegno individuale e con l'enfasi su metodi direttamente controlla­ bili , in primo luogo stili di vita sani. L'accento sull'approccio olistico che per­ vade i discorsi sulla salute ( critica all 'approccio frammentato e meccanicisti­ co della medicina tradizionale ) segna la definitiva psicologizzazione del cor­ po che esce, così, dall'alveo della natura per entrare in quello della cultura e quindi della riflessività e del controllo. 1. 5 Polarità e tensioni nei comportamenti alimentari: una griglia interpretativa

Le ambivalenze e le tensioni che intersecano il rapporto con il cibo trovano uno snodo interpretativo solo se collocate all'interno dei mutamenti che se­ gnano la società. La proposta di lettura assume due dimensioni prevalenti: la prima relativa alle situazioni in cui il cibo viene consumato e la seconda rela­ tiva alle tensioni che investono il rapporto con il corpo. Il rapporto con le si­ tuazioni sociali e quello con il corpo rappresentano i due riferimenti per co­ struire una griglia interpretativa che non si limiti a registrare i fenomeni, ma ne offra una lettura unitaria. Il primo asse descrive la polarità tra la crescente individualizzazione del­ le traiettorie di vita e la ricerca di nuove occasioni di socialità. Le situazioni del cibo riflettono la tensione tra solitudine e socialità. Con il termine di so­ litudine non ci riferiamo ad una condizione esistenziale , piuttosto ad una tendenza verso l'individualità che si esprime ben prima che nei valori di ri­ ferimento e nei vissuti soggettivi, in alcuni fenomeni quali la perdita di pe­ so delle aggregazioni comunitarie e la scomposizione della vita sociale. Si configura così una società mobile, permeata dall 'etica del mutamento assun­ to come orizzonte di valore e come criterio guida. Una società che ha visto il tramonto del lavoro standard, ma anche di stili di vita segnati da un uni­ co orologio sociale, de-sincronizzata sulla base di una pluralità di esigenze , di tempi, di orari e luoghi, un contesto in cui gli individui assumono posi­ zioni e ruoli mutevoli. La flessibilità, variamente interpretata come costrizione indotta dalle leg­ gi della globalizzazione o come risorsa per progetti più liberi, è comunque entrata nello scenario materiale e simbolico della nostra epoca. Anche il ci­ bo è stato condizionato da un sistema sociale in cui i progetti dei singoli (e di conseguenza i comportamenti quotidiani) seguono ritmi sempre meno assog­ gettabili ad una scansione collettiva. La de-sincronizzazione e la de-standar­ dizzazione , termini che sono stati ampiamente utilizzati per descrivere gli scenari del lavoro flessibile, rappresentano un processo sottostante e più ra­ dicale. Al fondo sta l'emergere del singolo con il suo complesso b agaglio di soggettività, preferenze , intenzioni e progetti che pretendono di non subire

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il vaglio d i una aprioristica negoziazione con i progetti e l e preferenze d i al­ tri. L'espressione popolare «mangia questa minestra o salta dalla finestra» , che sintetizzava l'assoluta impossibilità di scelta, a partire da quella alimen­ tare , suona oggi davvero superata: non è solo la varietà alimentare disponi­ bile, ma il diritto di " non mangiare ciò che non ci piace " che ha lasciato al­ le spalle il dovere di accettare il cibo della tavola comune. La tendenza verso l'individualità segna in modo irreversibile la dimen­ sione antropologica dell'uomo contemporaneo e il rapporto con il mondo dei beni. Gli effetti sono stati variamente interpretati: dall'emergere della cultura del narcisismo (Lasch, 2001) alla perdita di un orizzonte collettivo seguente alla fine delle grandi narrazioni, dal pendolarismo dell'identità fi­ no alla liquidità estrema che segna la fine di ogni permanente ancoraggio di senso (Bauman, 1999 ) . Al consumo è stata attribuita in larga parte la re­ sponsabilità di avere generato una tale cultura orientata al soddisfacimen­ to di desideri , peraltro non autentici e indotti dal mercato , di avere dissi­ pato la capacità di ancoraggio ai solidi riferimenti di senso che la società dei produttori aveva sedimentato . A questa visione pessimistica è possibi­ le opporre l'evidenza di altre tendenze, in primo luogo quelle che segnala­ no spinte alla ricomposizione dei legami e bisogni di riaggregazione (Gid­ dens, 1994) . Del resto , molti fenomeni di consumo si spiegano proprio co­ me ricerca di nuove forme di socialità: il caso più emblem atico è rappre ­ sentato dalle tecnologie delle relazioni o dalle pratiche del dono (Franchi, 2007) . Il secondo asse - piacere/salute - descrive l'ambivalenza degli orienta­ menti in perm anente tensione tra tentazioni edonistiche e trasgressive e preoccupazioni per i potenziali effetti nocivi di queste. N o n è solo la salute in gioco, ma più in generale l'esercizio di dominio sul corpo. La ricerca del piacere si contrappone alla preoccupazione per la salute. Del carattere per­ vasivo assunto dall'edonismo nella società attuale si è detto anche troppo : il piacere si colora di emozione, di stupore, di sensualità, dando luogo a un mutamento dello stesso paradigma estetico (su cui tornerò più oltre) . Sul versante opposto , si colloca la propensione al controllo sulla salute , questa sostenuta, a sua volta, dalla cultura della responsabilità individuale verso se stessi: il corpo assume la valenza di un compito. Si tratta, tuttavia, di un com ­ pito impossibile , di una sorta di doppio vincolo insolubile: al corpo si impo­ ne di godere e al tempo stesso di mantenersi in perfetta forma. L'individuo porta il proprio corpo attraverso gli spazi della vita sociale, si muove in una pluralità di situazioni, attraversando l'altra cruciale antinomia della vita con­ temporanea: quella tra individualità e tra socialità. Mentre il pendolarismo tra solitudine e socialità è percepito dagli individui in una chiave funziona­ le, nel senso che accompagna i diversi momenti della giornata e le diverse modalità di soddisfare il bisogno alimentare, la tensione tra piacere e salute dà luogo a continui e talvolta laceranti, sensi di colpa.

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Individualità

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Socialità

Gli assi individualità/socialità e piacere/salute ci consentono di collocare le complesse tendenze che attraversano il cibo in un quadro esplicativo in gra­ do di offrirne un'interpretazione unitaria. L'incrocio tra i due assi dà luogo a quattro tipologie di risposte e di comportamenti alimentari che rappresen­ tano emblematicamente altrettante aree che catalizzano le tendenze del con­ sumo. Queste aree non esprimono orientamenti antitetici, non descrivono distinti segmenti di consumatori, ma modalità di esperienze alimentari che convivono. La prima area (snackizzazione del cibo) si colloca nell'intersezione tra l'o­ rientamento al piacere e l'individualizzazione degli stili di vita. Il riferimen­ to all'individualità nel consumo di cibo non ha una connotazione valoriale, bensì esprime la varietà ampia di situazioni in cui il cibo si consuma in soli­ tudine, in modo veloce. È l'estrema forma di flessibilità espressa dal cibo che si identifica con il variegato universo degli snack, dei fuori pasto, dei cibi sfi­ ziosi consumati per lo più in solitudine, in viaggio, davanti al televisore, in qualunque momento della giornata in cui solo lo stimolo individuale è la fon­ te della decisione di consumo. La tendenza alla snackizzazione asseconda in somma misura i cambiamenti strutturali della società mobile, l'essere fuori, l'essere permanentemente sommersi in situazioni che non consentono p ause, siano esse correlate al lavoro, allo sport, al divertimento, allo studio. L'area che scaturisce dall'intersezione tra tendenza al piacere e ricerca di socialità dà luogo a una sorta di nuova ritualizzazione del cibo. La pratica del mangiar fuori subisce un numero ampio e crescente di declinazioni; il cibo è importante soprattutto in quanto è veicolo o pretesto di una situazione socia­ le. È questa la chiave interpretativa in grado di spiegare l'enorme e crescente peso della ristorazione e di altri riti odierni. Basti pensare alla moda della happy hour, agli sciami fluttuanti che si muovono tra gli street bars. Esempi tutti di cibo flessibile, di un cibo che sa diventare plastico, assumere contorni talvolta irriconoscibili rispetto ai canoni classici del consumo , talvolta voluta­ mente spiazzanti nelle consistenze ( aperitivi in forma di mousse o di cristalli) , nei sapori (gelati al parmigiano, al nero di seppia o ai gamberetti) o nei colo-

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r i (la cucina scientifica a supporto dell'innovazione gastronomica, studia l'u­ so di colori inconsueti) . L'intersezione tra individualità e orientamento alla salute è emblematica­ mente interpretata dal tema delle diete, dalla crescita dei cibi energetici e degli integratori, da una serie di pratiche di permanente (o ricorrente) uso del cibo in funzione della dieta o del benessere che segnano la medicalizzazione del cibo. Le declinazioni di questa tendenza sono assai varie, ma si collocano in un orizzon­ te sempre individuale. Pure ammantate da motivazioni razionali, esprimono una sorta di esorcismo della morte, un'estrema illusione di un potere magico del ci­ bo; non da ultimo , sono la risposta con cui milioni di individui cercano di unifor­ marsi agli ideali estetici del corpo magro e in forma. Infine, l'incrocio tra dimensione della socialità e orientamento alla salu­ te trova espressione nelle preoccupazioni alimentari e dà luogo ad una sorta di eticizzazione del cibo. Il cibo può essere fonte di paure, catalizzare ansie collettive dando luogo a fenomeni in larga parte irrazionali, fino a vere e pro­ prie derive ortoressiche. L'ansia esasperata per ciò che mangiamo è per lo più mascherata da legittime preoccupazioni sulla qualità dei nostri alimenti, in­ dotte dai frequenti episodi di contraffazione, dalle ricorrenti denunce sull'i­ nadeguatezza dei controlli o sulla scoperta di frodi. Ma nonostante il peso crescente di tali preoccupazioni, è forzato definire la società attuale una so­ cietà ortoressica: se gli effetti sulla salute costituiscono un riferimento por­ tante nei discorsi sul cibo, questo resta in primo luogo una fonte di piacere , un'occasione di godimento sensoriale, una delle più diffuse e immediate fon­ ti di gratificazione. Una larga parte dei nuovi significati assunti dal cibo si spiega con il p articolare tipo di piacere a questo collegato, un piacere che si colora di emozione, stupore, sensualità, che mette in gioco insieme al gusto tutti gli altri sensi, la vista, il tatto, l'olfatto e persino l'udito . Per questo l'op­ posizione piacere-salute è la contraddizione più lacerante che attraversa il nostro rapporto con il cibo. Il cibo è una fonte di perenne tensione, una preoccupazione costante, ma anche un desiderio che resta sempre in parte frenato, controllato, perché l'indulgere ad esso non presenti il conto di un corpo grasso. L'asse piacere-salute diviene , quindi, una categoria cruciale per spiegare i comportamenti alimentari odierni e tendenze che sembrano incon­ ciliabili o contraddittorie: la tendenza a scegliere cibi sani che rassicurino le nostre preoccupazioni per la salute e quella opposta a scegliere cibi che sia­ no fonte di una forte gratificazione alimentare. Non discutiamo qui se le due scelte siano nei fatti compatibili, interessa vederle come due corni del dilem­ ma con cui si costruisce il nostro rapporto con il cibo. Note 1. Into the Wild, film di Sean Penn del 2008, esemplifica la ripresa ricorrente del mito della fuga dalla civiltà, raccontando la storia di un ragazzo che lascia una promettente car­ riera per seguire un sogno di libertà in Alaska, sfidando ogni giorno condizioni estreme.

1 . U N A C H I AVE DI L E T T U R A D E L L E A M BIVALE :\'XE

2. Fuwarinka Candy è una caramella che lascia fragranza di vaniglia sulla pelle. 3· Cfr. "The Economist " , December 8 2007. 4· Dal 1975 al 2oo6, infatti, la spesa alimentare si riduce del 15,5%, quella per l'abita­ zione aumenta del 13,9% e quella per trasporti e comunicazioni del 6,6% (CENSIS, Barilla, Banca Monte Parma, 2007). 5· Iniziativa benefica che distribuisce pasti agli indigenti. 6. A segnare la crescita maggiore è il reparto dei cibi etnici ( +36% ) . Bene anche i pro­ dotti salutistici e dietetici, con un +33 % , seguiti dai cibi pronti e dai prodotti di lusso, co­ me champagne e vini pregiati (+2o % ) . Dati ancor più significativi se rapportati alla dimi­ nuzione dei prodotti "basic " , dalle farine (-8 , 5 % ) alle verdure surgelate (-8 ,2% ) , dal riso bianco (-7,6 % ) allo zucchero (-6,6 % ) . Ufficio Studi COOP-A:-\CC (2007) manca in biblio. 7· Osservatorio sul capitale sociale di Demos-Coop, Gli italiani e il cibo, in "la Repub­ blica " , 29 ottobre 2006. 8. Nel 2003 l'American Dialect Society definì /lexitarian la parola più utile dell 'anno at­ tribuendogli il seguente significato: «Un vegetariano che mangia occasionalmente carne».

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Frammenti di cibo Sulle sue bandiere la società degli iperconsumi può scri­ vere a grandi lettere: a ciascuno i suoi oggetti, a ciascuno le sue abitudini, a ciascuno il suo ritmo di vita. Lipovetsky (2007, p. 77)

2.1 Il cibo nella società mobile

Pollan (2007) associa il cibo veloce all'informazione del nostro tempo: «man­ giamo come consumiamo informazione, male e velocemente»; il capitolo sul Mc Thinking (il pensiero alla McDonald's) si apre con un'intervista a un con­ sumatore di una catena di fast food: «Cerchiamo una pizza che non coli sul computer, vogliamo che sia tutto spiluccabile, da ingoiare mentre si passa dal cellulare all'e-mail. Esigiamo la portabilità di tutto, cibo e cultura». Molti fenomeni sociali convergono nel produrre una crescente flessibilità del cibo. Il termine flessibilità indica l'adattabilità, ma anche la pluralità del­ le situazioni a cui il cibo si accompagna, la versatilità delle forme in cui esso si presenta. I consumi alimentari rispecchiano, più di tutti gli altri tipi di consu­ mi, i mutamenti e i caratteri di questa società. Il cibo è soggetto a un continuo processo di adattamento , per fenomeni strutturali, ambientali e culturali. I fe­ nomeni strutturali sono legati all'individualizzazione dei comportamenti che riflettono processi di aggregazione temporanea legati all'appartenenza a grup­ pi di riferimento. Ogni individuo formula proprie strategie di comportamen­ to che negozia solo in parte - e meno che in passato - con gli altri componen­ ti della famiglia. La de-sincronizzazione degli orari che riguarda la vita socia­ le e lavorativa è l'aspetto più evidente di un processo di progressiva fluidità dei comportamenti e dell'organizzazione delle giornate. Se gli spazi lavorativi sono mobili, se il lavoro è sempre meno standardizzato e viene svolto in pic­ coli luoghi o in " non luoghi " , come potrebbe essere pensato collettivamente il consumo dei pasti? Le rappresentazioni sociali assecondano il mutamento, facendo assurgere la mobilità a valore e a simbolo di status. Le élite che occupano la scena mon­ diale sono estremamente adattabili, il ricorso alla neutralità insignificante del­ la cucina internazionale, che alcuni anni fa accompagnava gli spostamenti di pochi, lascia spazio all'interesse per le cucine locali, pure se tradotte in soluzio­ ni lontane dalle abitudini reali del paese ospitante. L'interesse per l'esotico nu­ tre l'orgoglio di appartenere a un gruppo extraterritoriale capace di spostarsi

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i n u n mondo senza confini e perciò aperto a consumi inconsueti, non vincola­ to alle abitudini "banali" delle gente comune. La rapida capacità di adattamento a contesti diversi è un tratto dell'élite nomade, che anche attraverso il cibo ostenta il proprio dominio dei vincoli spa­ zio-temporali che sono invece propri della massa dei localizzati, di coloro che compiono ogni giorno gesti sempre identici. Flessibile, per i primi, è innanzi­ tutto il bisogno di cibo, che sembra sottrarsi al vincolo fisiologico della fame, bisogno ignorato, quando non c'è tempo, rinviato agli spazi conviviali. Bisogno che si fa desiderio solo quando può esercitarsi il lusso di mangiare qualcosa che "valga la pena " o che sia utile per concludere un affare. La de-spazializzazione è una potente metafora del nostro tempo: il cibo l'asseconda. È il presente l'unico parametro su cui la flessibilità assurge a pa­ radigma della modernità, della capacità di adattamento al nuovo, al mutevole. Il riferimento d'obbligo è Bauman (2007) che ha descritto con metafore sugge­ stive questa vertigine del mutamento permanente, questa nuova norma etica del prowisorio e dell'effimero. Ma già un secolo prima, nel 1903, Simmel (199 5 ) , descrivendo l a vita delle emergenti metropoli della fine del XIX secolo, aveva già anticipato i tratti del nuovo secolo che faceva della mobilità un riferimento etico centrale. Ciò che è nuovo è la centralità dei processi di individualizzazione, imper­ sonati dai corpi-involucri del sé: corpi progettati, costruiti e mantenuti come specchio-vetrina della propria presenza sulla scena sociale, come specchio del­ la propria "anima" capace di godere dei beni offerti dalla società del consumo. Corpi come compito, non più come destino, la cui cura catalizza premure e preoccupazioni, ansie e sentimenti di onnipotenza, competenze e promesse in una permanente tensione tra modelli ideali e compiti di risultati irraggiungibi­ li. Il cibo attraversa questi corpi, li investe di piacere e di timori, è croce e de­ lizia al tempo stesso. 2.2 Il fenomeno della quarta gamma: quando vince la velocità

La vendita delle verdure pronte ha superato quella delle verdure fresche. La prima gamma (il prodotto fresco) ha lasciato il posto alla seconda e alla terza gamma (il prodotto in scatola e surgelato) e ora alla cosiddetta quarta gamma (il prodotto fresco confezionato). Sta emergendo la quinta gamma, quella del precotto. Frutta e verdura a pronto uso hanno superato in Italia i 40 milioni di chili con una spesa di 350 milioni di euro e un aumento del 23 °/o tra il 2008 e l'anno prima. Una sorta di allucinazione di massa che ha fatto smarrire il senso del tem­ po?1 Cosa spinge a comprare l'insalata a più di 20 euro al chilo? È dawero il risparmio del tempo in funzione della corsa a cui tutti siamo costretti?

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Mentre la crisi incrementa le preoccupazioni sui prezzi degli alimentari sembra incomprensibile che aumentino le vendite di prodotti che non aggiun­ gono sostanza, ma inglobano contenuti di servizio. In realtà, più servizio nel ci­ bo equivale a meno lavoro domestico, a maggiore comodità nell'uso. Il rispar­ mio di tempo attraversa la società, sarebbe limitativo associarlo soltanto ai vin­ coli lavorativi. La complessità organizzativa investe la vita quotidiana e si esten­ de al di là degli impegni di lavoro. Non stupisce che anche i pensionati dichia­ rino di non avere tempo, coinvolti in compiti di supplenza di servizi inefficien­ ti o troppo costosi, impegnati in attività di manutenzione di sé orientate da im­ perativi pressanti: restare in forma, imparare, coltivare passatempi, essere in re­ lazione. La flessibilità è la chiave che ci consente di capire meglio. Nella cultura del­ l'imprevisto, in cui nulla è prevedibile in anticipo, il "pronto " appare una me­ tafora della ricerca di spazi di libertà di vita. La tendenza all'uso di piatti pron­ ti che devono solo essere tolti dall'imballaggio e scaldati al microonde sembra avere raggiunto l'apice negli Stati Uniti. Grazie ai prepared/oods i supermerca­ ti americani triplicano i prezzi dell'insalata, anche caffè e colazioni sono an the go, in un frettoloso via vai tra bar e uffici2• Nel mondo globale i tempi di diffusione delle abitudini metropolitane si accorciano. I piatti pronti surgelati, dopo un'iniziale diffidenza al loro appari­ re negli anni Sessanta, legata alla lunga tradizione gastronomica, ma soprattut­ to al persistente ruolo di cura della donna, si sono da tempo diffusi nel nostro paese. Il consumo è passato dalle 19o.ooo tonnellate del 1982 alle 8oo.ooo odier­ ne; aumenta il consumo di prodotti surgelati anche nella ristorazione domesti­ ca. Nel 2oo6 in Italia sono state consumate oltre 526. ooo tonnellate di alimen­ ti surgelati con un incremento del 2,6°/o sul 2005 (www. largoconsumo.info). A queste se ne devono aggiungere poco meno di 30o.ooo destinate al segmento del fuori casa. Per quanto riguarda i singoli prodotti, al primo posto troviamo sempre i vegetali con 222.ooo tonnellate e un incremento del 2,7% . Le ricette pronte ( +16o/o ) rispondono alle nuove esigenze di prodotti ad elevato tasso di servizio. Nel 2006 le vendite di pesce surgelato hanno superato le 93.000 ton­ nellate con un incremento su base annua del 6 % . Resta invece modesto il con­ sumo di carni surgelate. I preferiti, secondo le indagini di mercato, risultano i primi piatti che assorbono circa la metà del fatturato, seguiti dai contorni, dai secondi piatti, dai piatti etnici (www. e-coop.it) . Crescono, inoltre, i prodotti surgelati da elaborare, che offrono la possibilità di accorciare il tempo di pre­ parazione autonoma di ricette o di piatti tipici della tradizione. La crescita è supportata anche dal miglioramento delle tecnologie di conservazione e di packaging: i piatti vengono divisi in porzioni in modo da poter utilizzare la quantità desiderata. Un altro esempio della ricerca di cibo flessibile è il consumo del pane, ac­ quistato in anticipo e utilizzato al bisogno. Negli ultimi anni si assiste a una re­ gressione del consumo di pane all'interno delle mura domestiche in quasi tut-

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ti i paesi europei, mentre aumenta sensibilmente l'uso fuori casa. L a causa è le­ gata al cambiamento delle abitudini, al grande aumento di single per i quali i pasti tradizionali hanno perso importanza, alla diversa gestione degli orari di lavoro e del tempo libero. Vivono un vero e proprio boom i prodotti che sostituiscono il pane; ciò in ragione delle modalità di spesa che, per molti, non sono più quotidiane. So­ no circa 6 milioni le famiglie in Italia in cui entrambi i partner sono occupati e che fanno la spesa non più di due volte alla settimana nella grande distribu­ zione. Il mercato dei sostituti secchi del pane, con 380 milioni di euro, svilup­ pa un fatturato di poco inferiore alla componente morbida3• Crescono i pro­ dotti etnici e regionali, piadina in testa, poi pane azzimo, pani per kebab e pi­ ta, pane libanese. La comodità nell'uso si lega ad attenzioni salutistiche. Gli esempi di "pa­ ni dietetici " sono numerosi. Nel segmento troviamo prodotti indirizzati alle persone alla ricerca di pane con basso contenuto di sodio, pani integrali con un alto tasso di fibre e un basso numero di calorie, arricchiti con farro e fibre. Una nicchia di prodotti senza glutine raddoppia i volumi ogni anno. Ciò è do­ vuto alla maggiore informazione che circonda la celiachia, ma anche alla ricer­ ca di prodotti salutisti. Numerosi prodotti si propongono come ibrido di sa­ lute e piacere 4• 2. 3 Il cibo solitario: cosa mangiano i single ?

Un crescente numero di famiglie è composto da una sola persona: single, an­ ziani, persone che lavorano in luoghi diversi da quello in cui vive la famiglia. Nel nostro paese i single sono quasi 6 milioni, rappresentano il 12,4% della po­ polazione adulta e muovono un giro d'affari di circa 9 miliardi di euro. I single spendono molto di più di coloro che vivono in famiglia: 299 euro pro capite con­ tro i 225 di chi vive in coppia e i 1 50-170 di chi vive in famiglie di 3-4 persone. Le ragioni sono correlate ad economie di scala, ma soprattutto agli stili di vita e al fatto che i single ricorrono in misura maggiore a piatti confezionati. Inol­ tre, si concedono più spesso prodotti orientati all' autogratificazione, come compensazione della solitudine. Il design del cibo si modella sulle esigenze di costoro: minisacchetti di parmigiano, monoporzioni di insalata condita, frutta sbucciata, angurie nane, uova in pacchetti da due, sughi monodose, salumi af­ fettati per un panino. Forti del ruolo nel mercato, i single sono destinatari di campagne pubbli­ citarie mirate e di produzioni ad hoc. A Milano, città nella quale i single supe­ rano il numero delle famiglie, un'indagine della Camera di Commercio segna­ la un incremento di circa il 2ooo/o di attività commerciali come gastronomie, rosticcerie, take away, e prodotti come surgelati, frutta e verdura conservate,

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rivolti a consumi di single. Per quanto riguarda i gusti, si segnalano in forte cre­ scita birra, tè, caffè , infusi, ma anche frutta e ortaggi. Il risparmio di tempo a favore del lavoro e dello svago e le esigenze dietetiche fanno aumentare l'uso delle insalate pronte. Ai single il mercato guarda con crescente interesse: pasti in scatola, piatti pronti, vassoi per il pranzo che contengono tutto, in una confezione estetica­ mente gradevole che compensa la tristezza di un pasto solitario. Tra coloro che vivono soli ci sono anche gli anziani. Per costoro quelle ali­ mentari conservano un peso preponderante tra le varie spese, sostanzialmente a causa del contenimento di altri consumi dovuto al cambiamento degli stili di vita e alle minori disponibilità economiche. È ipotizzabile che in futuro anche questo segmento riceverà maggiore interesse, in particolare per quanto riguar­ da l'area dei cibi funzionali, con finalità preventive. L'attenzione alla salute in­ dirizzerà la ricerca dei nuovi prodotti. I single, si dice, mangiano in modo disordinato, non considerano le più elementari norme nutrizionali e dedicano pochissima attenzione a ciò che mettono in tavola. Oltre a saltare i pasti, non tengono conto del giusto ap­ porto di calorie e non danno alcuna importanza alla regolarità degli orari. Gli effetti: malesseri, continue variazioni di peso, carenza di vitamine e minera­ li, secondo uno studio promosso da FederSalus (la federazione italiana che riunisce le aziende produttrici di prodotti salutistici). Se gli uomini risultano poco informati e si disinteressano al tema alimentazione, le single sono delle vere dieta-dipendenti, divorano riviste , cercano di mettere in pratica ogni in­ dicazione che viene dalle amiche o dalle colleghe. La maggior parte dei sin­ gle basa l'alimentazione solo sull'esigenza di rimanere in forma, abusa dei fuori pasto , salta i pasti, non tiene conto dei giusti apporti di calorie, alterna periodi di diete super rigide ad un eccessivo consumo di cibi grassi e di alco­ lici tra aperitivi e cene. Secondo l'indagine citata, i single tendono a compen­ sare con attività fisica e palestra le scorrette abitudini alimentari: 7 single su 10 identificano la corretta alimentazione con quella che consente di mante­ nere un fisico asciutto, a prescindere dagli elementi nutritivi. La filosofia di fondo è che il cibo non deve rappresentare un vincolo, rispetto ad altre atti­ vità. Un sito americano (www.prevention. com) propone Grab-n-Go lunches e recita nella home page: «If you think you bave to choose between lunch and a walk, try these quickie midday meals». Il cibo trascurato nella vita quotidiana è, però , anche una risorsa per nuovi incontri. Secondo una ricerca condotta dall 'agenzia di incontri Speed Date, è cresciuto l'interesse dei single alla partecipazione di eventi legati al­ la buona tavola. Nel sito di questa agenzia (www. speeddate. it) si trovano proposte di dinner date: cene dedicate ai professionisti e alle persone che , prese dal ritmo frenetico del proprio lavoro, non hanno tempo per incon­ trare persone nuove. «Un aperitivo di champagne per scaldare l' atmosfera e fare le prime conoscenze , poi una cena ricca e festosa». La serata prevede

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partecipanti compresi i n due fasce di età, una dai 30 a i 4 0 anni e l'altra dai 40 ai 50, e precisa la fascia sociale coinvolta; ciò rende più che esplicito l'o­ biettivo dell'evento. Anche l'apprendimento delle tecniche della cucina può essere un' occasio­ ne d'incontro, come dimostra la crescita dei corsi di cucina in tutte le città. D'altra parte, solo una piccola percentuale di giovani sembra capace di cucina­ re un menu completo. I corsi di cucina attraggono uomini e ragazze, non solo nella logica dell'incontro fatale, ma per il piacere di imparare i segreti della cu­ cina. In un tempo in cui il cucinare ha tanto spazio sui media, esso torna ad ap­ parire come un'abilità. Sulla base della considerazione che solo un quarto de­ gli italiani è in grado di preparare un pasto completo, nasce un gioco di simu­ lazione culinaria dedicato a chi vuole diventare un grande cuoco seguendo i consigli di una chef virtuale. Il gioco propone ricette esotiche, insegna a perso­ nalizzare la cucina e a creare un album di ricette personali. 2. 4 Anche il cibo si de-localizza: snack e slotfood

2.4.1 . Crescono i consumi extradomestici Ai cibi tipici dell'intimità familiare si affiancano i cibi dei luoghi di ristorazio­ ne, di altri spazi della vita come il posto di lavoro, il viaggio, i commerci spe­ cializzati, i distributori automatici. Mai come oggi l'offerta alimentare deve ri­ spondere a fenomeni di individualizzazione dei ritmi di vita, di diversificazio­ ne dei luoghi e dei tempi del consumo. Ogni italiano spende un euro e mezzo per la colazione del mattino al bar per 260 giorni lavorativi all'anno. Circa n milioni di persone ogni giorno pranzano fuori dalle mura domesti­ che, per un giro d'affari complessivo previsto di 65.000 miliardi nel 2oo8 , pari a un terzo di tutti i consumi alimentari in Italia. La quota di spesa dei consumi ali­ mentari fuori casa è passata in 10 anni dal 25o/o al 31% (Nomisma, 2007). Da qui a dieci anni gli italiani spenderanno la stessa cifra sia per mangiare in casa che fuori. Anche i supermercati si specializzano nel vendere panini e snack prepara­ ti al momento, organizzano l'offerta di insalate e di banchi gastronomici caldi. La destrutturazione delle abitudini alimentari tradizionali si fonda su pro­ cessi sociali già messi in evidenza: l'aumento del lavoro femminile, la crescen­ te difficoltà di spostamenti nelle aree urbane, la scarsa disponibilità di tempo durante l'orario di lavoro inducono a consumare il pranzo fuori casa. L' atomiz­ zazione nel consumo del pasto porta alla ricerca di soluzioni alternative rispet­ to a quelle tradizionali ancora in uso nelle piccole città e in ambienti rurali. Le scelte sono mobili, soggette ai flussi di relazione, ma anche alle mode, oggi se­ gnate dalla ricerca di soluzioni salutiste e sempre più spesso associate ad atti­ vità fisiche.

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In Italia nel 2oo6 il mercato dei consumi alimentari extradomestici ha sfio­ rato i 61 .ooo miliardi di euro, con una crescita del 5 °/o rispetto al 20055• I con­ sumi fuori casa crescono più rapidamente di quelli domestici e rappresentano ormai un terzo del totale dei consumi alimentari. Dove mangiano gli italiani fuori casa? La spesa media mensile di una famiglia per il pasto fuori casa è di circa 70 euro. La spesa media mensile pro capite è 27,6 euro, suddivisa tra ri­ storanti e trattorie (17,6 euro), bar e pasticcerie (8,7 euro), mense aziendali e scolastiche (1 ,3 euro). La percentuale della ristorazione organizzata, seppure in crescita, rimane ancora relativamente piccola rispetto ai 2oo.ooo pubblici eser­ cizi indipendenti. Fra i luoghi di consumo extradomestici domina il bar, segui­ to dal ristorante/pizzeria e dalla mensa aziendale. Per la cena, invece, domina­ no ristoranti, trattorie, osterie, pizzerie; altri luoghi hanno percentuali basse, la più evidente alternativa è la cena presso parenti e amici (Nomisma, 2007). A pranzo, quasi un terzo del campione dichiara di limitarsi a un pani­ no/tramezzino/toast; al secondo posto il primo piatto, al terzo la pizza. Il prez­ zo per lo più non supera i dieci euro, con spese più elevate nei piccoli centri ri­ spetto ai grandi. La sera domina la pizza: più della metà degli intervistati sce­ glie questo tradizionale prodotto italiano. Un quarto si concede invece un pa­ sto completo. 2.4.2. Gli snack e i fuori pasto I consumi di snack ammontano complessivamente a 63.900 tonnellate, a cui pos­ siamo aggiungere 7. 500 tonnellate di paste lavorate, 3.roo di dessert e 8oo di frut­ ta. l1 4o% degli italiani dichiara di non poter fare a meno degli snack (Nomisma, 2007). Snack e sandwich diventano parte irrinunciabile dei regimi alimentari e talvolta sostitutivi del pasto tradizionale. Il consumo di merendine è stato favo­ rito dalla frammentazione dei pasti e dallo stile di vita che porta sempre più per­ sone fuori casa, per lavoro, sport, studio. Dagli anni Novanta il mercato dei co­ siddetti fuori pasto è in continua crescita, diviso tra prima colazione, merenda, dessert. La fascia principale dei consumatori di snack è compresa fra i 14 e i 35 anni, ma una domanda significativa proviene dai bambini. Aumenta il consumo degli snack a casa: cresce la domanda delle merende da conservare in frigorife­ ro, da consumare come dessert davanti alla televisione. Aumenta la domanda nel­ le famiglie senza bambini: ciò esprime chiaramente il ruolo assunto dagli snack non solo come cibo veloce per le merende dei piccoli. Ogni anno le famiglie ita­ liane acquistano oltre 36.ooo tonnellate di snack salati per un valore complessi­ vo di 245 milioni di euro6• Lo sviluppo di questo mercato è stato influenzato da un cambiamento delle abitudini, in particolare dall'affermarsi del rito dell'aperi­ tivo. Non a caso il segmento più importante è quello delle patatine, con oltre 15.000 tonnellate. Seguono gli estrusi (gli snack prodotti con farine di vario tipo) con 14.000 tonnellate e i salatini con 6. 500 tonnellate. Oltre 17 milioni di famiglie consumano patatine, salatini, estrusi (il mercato a maggiore crescita).

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L e merendine dolci sono ormai acquistate da più di 2 0 milioni d i famiglie per un valore annuo che ha superato gli 875 milioni di euro per circa 158.ooo tonnellate (www. largoconsumo.info). Cifre che dicono quanto ci si allontani dalle preparazioni domestiche delle merende, ma soprattutto quanto il cibo soddisfi bisogni che vanno al di là del nutrimento. 2.4. 3. Slot /ood Oltre un terzo degli italiani, circa 17 milioni di persone, acquista abitualmen­ te bevande e cibo presso le macchinette; la percentuale più alta si trova tra i più giovani e nel Nord Ovest. Fra i prodotti acquistati ci sono soprattutto le bevande fredde e l' acqua minerale, mentre registrano percentuali più basse gli snack dolci e salati. Uffici e ospedali sono i luoghi più gettonati, a larga distanza le scuole e le stazioni7• Le macchinette, sinonimo per eccellenza di junk /ood, di merendine stantie e di bevande zuccherate, sono soggette a una radicale trasformazione. La domanda è sempre più segmentata verso prodot­ ti collocati nell'area salutistica funzionale. Le aziende tendono ad adattare al­ le vending machines prodotti mutuati dalla distribuzione e proposti in por­ zioni singole . Si sta sperimentando nella distribuzione automatica il primo yogurt con cucchiaio usa e getta incorporato. In alcuni punti vendita, ad esempio nelle università, sono stati inseriti alimenti dietetici come bastonci­ ni di mela essiccati. Nelle scuole le macchinette automatiche potrebbero tra­ sformarsi in uno strumento di educazione alla sana alimentazione orientan­ do la domanda verso latte e frutta fresca. Un progetto , intitolato "Orto cir­ cuito " è stato organizzato in partnership con il comune di Milano con l'obiet­ tivo di combattere l' obesità in età scolare stimolando il consumo di prodotti vegetali. Sono state allestite per l'occasione vending machines nelle scuole con snack a base di frutta e verdura. La scelta di rinunciare a commercializ­ zare merendine e bevande analcoliche nelle scuole elementari e medie ha sca­ tenato una polemica da parte di CONFIDA, l'associazione dei produttori di di­ stributori automatici8• Nel frattempo, anche i produttori di distributori automatici aumentano il fatturato, soprattutto all'estero, rivolgendosi a paesi emergenti come l'Est Eu­ ropa, il Sud America, l' Mrica e i Paesi Arabi. In Giappone le vending machi­ nes hanno di fatto rimpiazzato i negozi alimentari di prossimità e arrivano ad erogare prodotti farmaceutici, camicie, iPod9• I distributori automatici diventano concorrenti dei bar per alcuni prodot­ ti. Quello del caffè è il segmento più forte con circa 6 milioni di erogazioni quo­ tidiane e 1 , 5 milioni di macchinette installate sul territorio nazionale. Incide la delocalizzazione del lavoro in piccole unità e la tendenza al risparmio di tem­ po. I mercati a maggiore espansione sono quelli dell'Est. I distributori si sono adattati alle esigenze di qualità, per cui entrano nel mercato anche marche di alta gamma. Sono numerose le aziende che stanno studiando frutta e verdura

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da mettere nei distributori, entrano nelle /ood machines gli energy drinks, tal­ volta sostituti del pranzo. L'idea di distribuire piatti caldi attraverso le macchinette, invece, non ha avuto fortuna. Un distributore di pietanze calde, testata anni fa, è stato re­ spinto dal mercat010• Una macchina che distribuisce piatti caldi pronti pote­ va apparire come il futuro della ristorazione moderna, sembrava un'idea ge­ niale poter disporre di un'apparecchiatura da installare nelle aziende che non dispongono di una mensa, oppure nelle stazioni o nei bar. Smart Chef era una macchina alta due metri e lunga due metri e venti. Sulla parte sinistra erano disposti gli scaffali con i piatti pronti, si schiacciava un bottone e il cibo rag­ giungeva l'uscita, un'etichetta conteneva le indicazioni per il riscaldamento che veniva effettuato sul lato destro. Il progetto si è scontrato con l'ostilità dei consumatori. 2. 5

Food around the clock: il cibo di strada

L'espressione "cibo di strada" si riferisce alla pratica culinaria basata su prepa­ razione, esposizione, consumo e vendita di prodotti alimentari in strade e mer­ cati. N ella categoria rientrano anche gli esercizi commerciali all'aperto o par­ zialmente al chiuso, in cui il consumo dei prodotti awiene in piedi o su sgabel­ li fronteggiati da mensole e banconi, e in cui le pratiche di consumo sono ca­ ratterizzate dalla rapidità e dagli orari inconsueti. Lo street /ood è una pratica quotidiana, peraltro per nulla nuova, per mi­ lioni di persone in Mrica, Asia, America Latina. Nelle città sono accentrati due terzi degli abitanti e si calcola che almeno la metà consumi quotidianamente ci­ bo da venditori ambulanti o in locali adiacenti alla strada: si tratterebbe di ol­ tre un miliardo di consumatori di street food. La ristorazione di strada, di giorno e di notte , interagisce ormai con lo stile di vita cittadino. N elle metropoli degli Stati Uniti il cosiddetto take away , che è praticato in misura sempre maggiore , può essere considerato una forma di street /ood. Ai tradizionali venditori ambulanti di bot dog si so­ no aggiunti i venditori di tacos e di kebab. Lo street food di New York deli­ nea m eglio di qualsiasi ipotetica mappa la composizione etnica dei suoi quartieri e, al tempo stesso, è lo specchio fedele del villaggio globale metro­ politano. In Europa, non solo nei paesi mediterranei come Spagna, Portogallo, Gre­ cia, ma anche nel Regno Unito e in Francia, sono numerosi gli esempi di cibo di strada, che non paiono aver risentito troppo dell' omologazione dei consu­ mi, e che anzi rappresentano un'alternativa alla pratica del fast food. Se era fa­ cile prevedere che il cibo di strada, grazie all'ampiezza dell'orario e alla rapi­ dità del servizio , avrebbe conquistato larghe fette della popolazione urbana,

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non era facile immaginare che, accanto a paninoteche e bar, i venditori ambu­ lanti tradizionali avrebbero proseguito la loro attività. Il cibo di strada è diffuso ovunque, accompagna da sempre le occasioni di aggregazione, i mercati, le fiere, le feste di paese: un mondo soprattutto ma­ schile, come lo è la popolazione che vaga per le vie delle metropoli del Nord e del Sud del mondo. Il cibo di strada oggi è un fenomeno moderno, risponde alla de-sincronizzazione dei tempi sociali, è legato ai mutamenti organizzativi e alle esigenze di lavoro, all'incessante movimento notturno che caratterizza la vita delle grandi città. Si diffondono i cibi acronici, senza tempo: l'espressione /ood around the clock esprime efficacemente questo fenomeno. Gran parte delle innovazioni del packaging è correlata all'esigenza di tra­ sportare il cibo fuori dai contesti più abituali per renderlo consumabile in ogni momento della giornata. Esempi sono i Grab-n-Go /oods, alimenti pronti al con­ sumo e confezionati da consumare immediatamente; Teabucks, catena specia­ lizzata nell'offerta di una gamma di tè e suoi derivati, e Chocobucks, catena spe­ cializzata nell'offerta di cioccolato, offrono un servizio continuato nell'arco del­ la giornata. Si sviluppa il /ood design per nuove confezioni. Le tecnologie alimentari hanno una parte rilevante in questa tendenza. Nei supermercati USA è in arri­ vo il barattolo di minestra che autoregola la temperatura del prodotto con un meccanismo d' attrito per il quale la lattina di succhi attivata dalla linguetta raf­ fredda o scalda la bibita in pochi secondi. Un bicchiere in cartoncino pensato per McDonald's funziona come un thermos. 2.6

Il piacere delle piccole porzioni

In un contesto in cui i percorsi di felicità e di senso si fanno individuali, con­ tingenti e provvisori il cibo è parte della nostra personale ricerca della felicità. L'etica del desiderio, che contraddistingue la società odierna, trova nel cibo un luogo di espressione perfetto: il desiderio si colloca su un terreno che lo rende esaudibile con sufficiente facilità, in un gioco di gratificazione che è attuale e al tempo stesso promessa di una gratificazione successiva, e che non è mai, per definizione, saturata dal godimento. Il desiderio di cibo si rinnova rapidamen­ te e in una forma legittima, resa tale dal bisogno di nutrizione che sorregge il desiderio stesso. Il rapporto con il cibo è segnato dal binomio memoria e sor­ presa. Il ricordo di ciò che ha prodotto una sensazione piacevole provato spin­ ge alla ripetizione, ma il desiderio cerca sempre nuove strade per esprimersi e cerca l'emozione della novità. L'attualità culturale del cucinare trasforma la ripetizione quotidiana in gio­ co, l'atto della ripetizione nel cucinare, correlato all'adesione a norme, a model­ li, a riferimenti di conoscenza e a pratiche tramandate, lascia spazio a un gioco di adattamenti, di prove e di sperimentazioni. Perché il cibo è, appunto, flessibile.

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L'ethos contemporaneo dell'egemonia emozionale incoraggia l'individuo a realizzare i propri desideri e a dare sfogo alle proprie emozioni, a consumarle rapidamente per lasciare spazio a nuovi desideri. Il cibo consente e incarna la velocità degli investimenti e dei disinvestimenti che si rinnovano di continuo. Questi riti del piacere rapido non tollerano le delimitazioni del piatto, non han­ no bisogno di distanza tra il corpo e il consumo. La moda del finger food (le mani al posto delle posate) esprime questo de­ siderio fuggevole e senza barriere. Partita dall'Inghilterra, la tendenza sta ri­ voluzionando i momenti conviviali: fioriscono locali e ristoranti dove speri­ mentare lo zapping del gusto, miniporzioni da afferrare con le dita immersi in un caleidoscopio di colori e gusti. Si può interpretare la moda come espres­ sione del nuovo polisensualismo, della possibilità di valorizzare la capacità tat­ tile del polpastrello come condizione per "gustare " a fondo le vivande. Ma co­ me non associarla, soprattutto , al disagio che accompagna la scelta in una so­ cietà che considera il limite un fastidioso elemento di controllo di un deside­ rio che non vuole essere compresso? La frammentazione delle pietanze, la possibilità di passare rapidamente da un piatto a un altro, non può non ricor­ dare la !abilità dell'investimento emotivo sugli oggetti, la velocità del disinve­ stimento a fronte di nuove sollecitazioni. Ricordano gli antropologi che man­ giare con la mano ha un carattere più individualistico del mangiare con la for­ chetta, gesto che esprime il processo di costruzione delle buone maniere con­ nesso alla civilizzazione. L'esigenza estetica dà luogo talvolta a soluzioni funzionali; l'ultima decli­ nazione del ji'nger /ood è rappresentata dalle bolle di sapore: biglie, perle, pal­ line che contengono aperitivi, dessert, condimenti, ma anche pietanze di car­ ne; vantaggi in termini di conservazione, versatilità, porzioni one shot. Le mi­ niporzioni cambiano contenuti con le mode, importano cibi esotici in un pro­ cesso di imitazione rapido: è il momento dei dim sum , piccoli contenitori di bambù ripieni di miniporzioni, bigné, involtini, gnocchetti ( www. pingpong­ dimsum.com). Oggetto di desiderio non è più da tempo il cibo abbondante, ma il cibo raro, non quello che riempie , ma quello che stuzzica. È evidente la lontanan­ za dal passato , quando l'abbondanza del cibo segnava di per sé una situazio­ ne di privilegio sociale. In tempi in cui il reperimento delle risorse alimenta­ ri era la prima preoccupazione e la paura della fame restava nell'immagina­ rio collettivo, la necessità del cibo si traduceva in desiderio di quantità (Fi­ schler, 1992). A poco a poco, soprattutto nel corso del XX secolo, mangiare molto cessa di essere un privilegio. Poiché i piaceri troppo condivisi perdo­ no rapidamente il loro fascino , l'abitudine di mangiare molto, propria delle classi alte, si ridefinisce come pratica popolare del proletariato urbano e dei ceti contadini. Nuove forme diventano distintive delle élite. Si diffonde, già nella prima metà del Novecento , il modello alimentare estetico della magrez­ za; l'esperienza della guerra, che riporta la fame, segna la momentanea ripre-

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sa dei modelli tradizionali: negli anni Cinquanta l e figure femminili che cam­ peggiano sui manifesti sono improntate all'immagine di una corporeità flori­ da. Ma dagli anni Settanta «l'ideologia del corpo magro appare vittoriosa, a indicare che sul piano culturale il rapporto con il cibo si è invertito: il peri­ colo e la paura dell'eccesso hanno sostituito il pericolo e la paura della fame» (Montanari, 2006, p. 9 6 ) . Una nuova forma di paura, la paura dell'obesità ri­ balta l'atavica paura della fame. 2. 7 L'ibridazione del cibo

Il cibo si mescola con i luoghi di vendita di altri beni e di servizi. Sono sempre più frequenti i fenomeni di ibridazione: luoghi in cui il cibo viene accostato al­ le più diverse attività. A San Francisco da anni esiste il Brainwash-café dove, dalle 7 alle 23, si può portare la biancheria a lavare e nel frattempo mettersi co­ modi a tavolino e farsi servire una pietanza. Ben prima, le librerie in molte città d'Europa avevano iniziato a disporre di caffetterie, cosicché i clienti potessero sfogliare i libri bevendo un caffè o mangiando una fetta di torta. I musei da molto tempo hanno indicato questa strada poi seguita dai grandi magazzini nel­ le metropoli di tutto il mondo. La nuova tendenza della ristorazione ha sposato l'ibridazione e nei locali la possibilità di consumare un piatto caldo si incrocia con quella di fare un ac­ quisto o usufruire di un servizio. Gli esempi sono ormai diversificati: è possi­ bile scegliere decorazioni per la casa e prendere il tè con i pasticcini, frugare tra i tesori di un antiquario e degustare rosso d'annata: il momento del pasto viene inserito in contesti sempre più imprevedibili. Gli esempi di ibridazione iniziano a moltiplicarsi anche in Italia: a Milano un fioraio ha fatto posto a se­ die e tavolini per dare luogo a una caffetteria raffinata; da Gattò è possibile mangiare, acquistare vestiti e magari assistere alla presentazione di libri; a To­ rino in una profumeria si possono gustare piatti ottimi serviti tra tovaglie di li­ no e argenti di casa; a Roma un'osteria è diventata un punto di vendita di og­ getti di modernariato. Negli ultimi tempi si sono moltiplicati anche i luoghi di ristorazione che propongono altre forme di in trattenimento o di servizio. Vi sono i ristoranti che svolgono attività culturale, che propongono attività legate ai viaggi, altri con punti vendita di moda, altri ancora organizzano mostre e proiezioni cinemato­ grafiche, svago, cinema, abbigliamento, pittura. In America sono ormai popo­ lari i cosiddetti Knit Café e i Knitting Group, incontri per lavorare in gruppo, organizzati dai bar (e da gallerie d'arte) a cui partecipano uomini e donne stres­ sati dalla routine della vita quotidiana. Nei Knit Café americani le clienti stan­ no per il tempo breve di un cappuccino o si siedono per farsi un pullover di la­ na. Si trovano giornali pieni di articoli per dare gli spunti giusti e, accanto alle sessioni giornaliere di maglia, anche una vasta scelta di eventi e lezioni11•

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La cucina non vive più da sola, ma si inserisce di volta in volta in discote­ che, disco-bar, luoghi di incontro eclettici. La spettacolarizzazione in questa nuova tipologia di locali coinvolge menu, personale, scenografia, musica. Il ci­ bo si innesta sullo spettacolo con l'obiettivo di offrire un'esperienza sensoria­ le. Il ristorante diventa show/ood, propone spettacoli non convenzionali e ten­ ta un coinvolgimento totale del cliente attraverso una miscela di seduzione e teatralità che si nutre della messa in scena delle vivande e degli spazi ad esse ri­ servati. Strategie dell' eatainment: il termine definisce la tendenza a coniugare nello stesso luogo ristorazione e intrattenimento. Ristoranti, osterie e pizzerie, pub e discoteche sviluppano in vario modo la tendenza allo spettacolo. Si diffondono le cucine a vista, i piatti che privile­ giano l'aspetto scenografico, le gare ai fornelli; i ristoranti sono sottoposti al restyling di architetti. In un mondo che tende all'omologazione, si accentua la ricerca di esperienze uniche e memorabili, la difesa della tipicità del cibo e del­ la tradizione convive accanto a forme estreme di spettacolarità. Da tempo ormai si è imposta la tendenza a coniugare shopping e risto­ razione. Molti negozi hanno aperto il piano bar restaurant, dove tra break­ fast, brunch , lunch , dinner si può mangiare a tutte le ore. A Milano, a Bre­ ra, è nato il Foodesign Shop , idea di una designer e arredatrice che ha iden­ tificato un nuovo modello di vendita basato sui cinque sensi , un negozio che propone oggetti, complementi di arredo, eccentrici capi e accessori fashion, avvolti in un'atmosfera rilassante e conditi con un menu di tendenza. Tutto si può acquistare, persino la tazzina nella quale si è bevuto o il tavolo sul quale si è pranzato . Ogni oggetto è unico ed esclusivo , messo lì per essere toccato da vicino , od orato , e ass aggiato prim a di essere portato a casa ( www. altamodaitalia.it) . Anche gli oggetti portano le tracce del mescolarsi del cibo alla nostra vi­ ta. I sapori dei cibi sono evocati nei prodotti dedicati alla cura del corpo: sali da bagno al cioccolato, saponi che sembrano snack. Oggetti d'uso o di deco­ razione evocano sapori graditi o assumano forme di cibi: un orecchino a for­ ma di cremino, una penna con la forma di un cono gelato, un porta CD come una torta. Al contrario, i dolci possono travestirsi con le forme degli oggetti utilizzati: false pile in vero cioccolato (Costruttori di dolcezze) ; la perfetta ri­ produzione di una scarpa décolleté con tacco di 10 centimetri in cioccolato fondente preparata dal parigino Jean-Paul Hevin ( www. jphevin. com ) . E an­ cora: Muffin, una borsa di Moschino ribattezzata come un morbido pasticci­ no ripieno; una sedia disegnata da Maarten Bass che sembra di gianduiotto, ma è di argilla e ferro; la penna di C'Art tatuata come quadratini di fondente. Pomodori ciliegia sono sparsi sull'abito da sera in seta di Bulgari. La propo­ sta più stravagante è quella di "trasformare in cibo " oggetti d'uso, magari in nome dell'ecologia. Un esempio è la bag che si mangia: una borsa fatta di pa­ ne, un'idea di un designer inglese che ha l'obiettivo di eliminare i contenitori di plastica inquinanti.

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2 .8 Sorpresa ed emozione

In questo uso del cibo, emozione e intrattenimento sono importanti quanto il ci­ bo offerto; il cibo è il primo protagonista di una rappresentazione spettacolare. In Gran Bretagna, i nuovi guru della happy hour utilizzano azoto liquido per la preparazione di cocktail gelati e sifoni per preparare aperitivi in spuma. Bar­ man e chef lavorano insieme come gli spagnoli Angel San J osé e P aco Roncero: il primo mischia i cocktail il secondo li trasforma allo stato solido. Anche a Mi­ lano Dario Comini sperimenta nuovi cocktail e drink gastronomici ( daiquiri al­ la lasagna, Martini al gusto di pizza, minestrone in brodo di vodka). Ultima crea­ zione i lab , apertivi a strati multicolori serviti assieme a una polverina in provet­ ta che, una volta aggiunta al bicchiere, scatena una reazione chimica che trasfor­ ma il cocktail in un caleidoscopio di aromi e colori. Gli aperitivi stimolano la creatività tanto in luoghi pubblici quanto in ca­ sa. Si può avere un bicchiere di ghiaccio per l'aperitivo con lo stampo Cool Shooters che si ordina on line, o pane e biscotti a forma di santi e madonne ( www.worldwidefred.com). Un sedano speciale viene prodotto da un'azienda agricola della Florida, la Duda Farm Fresh Foods. Questo sedano è stato inge­ gnerizzato, costruito, disegnato per avere un buco al centro. Insomma, per di­ ventare una specie di cannuccia che in più insaporisce un aperitivo. Anche la natura si adatta al bisogno di sorprendere. Eat a cup è una tazzina in cialda croccante al cioccolato da mangiare per bere il caffè espresso. Il gusto di cioccolato asseconda l'aroma del caffè. La tazzina è proposta in pasticceria, con il brandy o con il caffè, a casa per la co­ lazione o per una pausa. Significativo il messaggio promozionale che l' accom ­ pagna: «Emoziona il caffè». A basso apporto calorico, la tazzina è realizzata con ingredienti naturali ed è biodegradabile nel caso non sia consum ata. La tazzina non deve essere lavata: il barista - propone il sito - risparmia saponi, tempo, elettricità, manodopera, ma, soprattutto , migliora l 'immagine del punto vendita. Al salone dolciario di Colonia è stata proposta una carta d'im­ ballaggio che si mangia e ha un effetto tattoo stampando figure sulla lingua. La ricerca di proposte sorprendenti è alla base di iniziative, per lo più di breve durata. Con un'idea importata dall'Ice Bar di Stoccolma (altri si trovano a Tokyo e Londra), nel 2004 nasceva il tempio glaciale a Milano creato con qua­ ranta tonnellate d'acqua allo stato solido. Quindici euro il tagliando d'ingresso, come nella migliore tradizione dei parchi divertimento, che comprendeva l'ac­ cesso al locale per 25 minuti e una consumazione con mantello, cappuccio orla­ to di pelliccia, guanti e stivaloni consegnati all'ingresso per non morire di fred­ do. Era una magia entrare in uno scrigno trasparente, sedersi su un divano di ghiaccio, sorseggiare cocktail a base di vodka e rimanere incantati dal fascino ghiacciato di ogni singolo dettaglio, dal bancone ai bicchieri, dal lampadario al­ lo schermo dove venivano proiettate immagini del Grande Nord, con un sot-

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tofondo di melodie lapponi. Così recitava il sito del locale: «Ogni oggetto pres­ so l'Absolut Ice Bar è totalmente fatto di scintillante ghiaccio. I cinque sensi rea­ giscono ai brividi del freddo: il ghiaccio lo tocchi, lo vedi, lo senti, lo bevi e lo ascolti, deliziose note accompagnano ogni visitatore all'interno del ghiaccio più splendente» (www. absoluticebarmilano. com). Nel luglio 2007 l'oasi sotto zero si è sciolta. 2. 9 Riempire il tempo e riempirsi di cibo

Uno studio presentato a Toronto sostiene che chi mangia davanti alla televi­ sione assume il 44 o/o di cibo in più di quanto non farebbe a monitor spento. Guardando la TV i sensi sono ingannati e ritardano la percezione della sazietà. Si produrrebbe una sorta di distrazione che porterebbe a mangiare senza con­ siderare gli effetti di ciò che si mangia. Il collegamento fra trash televisivo e ci­ bo spazzatura appare, quindi, molto diretto. Le immagini di bambini che di­ vorano merendine, barattoli di pop corn e bevono bevande zuccherate è con­ solidata in ogni paese del mondo, dalle aree sature di consumi alle aree che si sono affacciate di recente allo sviluppo. La TV ha effetti dannosi per diverse ragioni e non solo perché lo stile di vita sedentario impedisce attività sportive e a maggiore dispendio energetico. Ogni cinque minuti una merenda appare in TV. Un'indagine condotta in n paesi europei svela che il 36% degli spot ita­ liani in onda in fascia protetta reclamizza prodotti ad alto contenuto di zuc­ cheri e grassi. La ricerca ha stimato che un bambino che guarda la televisione tre ore al giorno è bersaglio di uno spot alimentare ogni cinque minuti per cir­ ca 33.000 ore all'anno. Del resto, che altro si fa davanti alla televisione? Sette italiani su dieci, ipnotizzati dalla televisione, si lasciano andare al cosiddetto junk /ood, fatto di patatine, merendine e bibite. Lo sostiene una ricerca realizzata dalla rivista " Dimagrire " , condotta su oltre 1 . ooo italiani, uomini e donne, di età compresa tra i 25 e i 6o anni. Secondo l'indagine, esiste un legame fra il consumo di TV spazzatura e quello di cibo spazzatura: gli spettatori di questo genere di pro­ grammi soffrirebbero più di altri di problemi di digestione, acidità di stomaco e tendenza all'obesità. La propensione a mangiare, anche in modo eccessivo deriva in parte dal­ l' esigenza di riequilibrare la passività indotta dalla TV. L'indagine rivela che un italiano su quattro non si rende conto di quello che mangia quando è davanti allo schermo: mangia di più, più velocemente e in maniera disordinata. I cibi preferiti davanti alla TV sono snack e patatine, subito dopo i dolci, la birra e le bibite gassate. Un intervistato su quattro sostiene che il nervosismo è il motivo scatenante della fame, mentre circa un quinto dichiara di mangiare per un ri­ flesso automatico o per noia. La classifica delle trasmissioni che influenzano maggiormente il rapporto con il cibo segnala che sette persone su dieci pongo-

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n o al primo posto tutti i programmi rissosi e chiassosi, seguono i grandi even­ ti mediatici e i reality show. Quanto alle categorie più a rischio, le casalinghe e i single sarebbero i gruppi più influenzabili e, quindi, i più colpiti. Secondo gli esperti, questo cattivo rapporto cibo-TV produce problemi estetici e causa con­ seguenze sulla salute12• Si tratta di una tendenza che non ha confini. Gli ame­ ricani sono forti consumatori di TV dinner, vassoi di cibi precotti che basta scal­ dare per pochi minuti infilandoli nel forno microonde. Anche nei paesi in via di sviluppo la diffusione della televisione, insieme a stili di vita urbani, è tra i principali imputati dell'aumento dei tassi di obesità. In modo analogo si spiega l'aumento dei consumi di cioccolata. Si tratta di un consumo che ha spesso un valore consolatorio rispetto alle insoddisfazioni. La fatica quotidiana cerca strade di compensazione, spinge a cercare piccole felicità, piccole vie di fuga. Il consumo di cioccolato ci viene proposto dalla pubblicità con l'invito a volerei bene. Cose dolci e buone per prenderei cura di noi, per trovare soddisfazioni che compensino la frustrazione , per riappro­ priarci di nicchie di piacere nell'esistenza privata. Il successo della cioccolata trova in questa motivazione la principale ra­ gione. La relazione tra cioccolato e stati emotivi è stata sottolineata anche da ricerche scientifiche : il cioccolato influenza il nostro stato emozionale , so­ prattutto in particolari situazioni di stress. Anzi, il cioccolato viene talvolta presentato come un vero e proprio alimento "funzionale " , vale a dire in gra­ do di apportare elementi attivi utili per il corpo e la mente. Che la cioccola­ ta sia un valido aiuto nei momenti di tristezza e depressione fa parte dell'e­ sperienza comune, il suo valore antidepressivo sarebbe legato a tre specifiche attività. Anzitutto la cioccolata faciliterebbe la produzione di endorfine, un gruppo di oppioidi prodotti naturalmente dal cervello, che stimolano le sen­ sazioni di euforia e attenuano il dolore. Inoltre contiene una certa quantità di feniletilamina che fa parte delle sostanze cosiddette simil-lisergiche. A cau­ sa dell'associazione con la serotonina, uno dei principali neurotrasmettitori dall'azione inibitoria e tranquillizzante, diventa desiderabile nei momenti difficili della giornata. Per queste ragioni, il consumo di cioccolata può diventare, talvolta, paros­ sistico. Il cosiddetto craving, cioè la voglia irrefrenabile che assomiglia a dipen­ denza, è un fenomeno in continua espansione nei paesi occidentali dove il con­ sumo pro capite raggiunge i circa 7 kg all'anno. La ragione non può essere tro­ vata soltanto con argomentazioni di neurofisiologia: la presenza di zuccheri semplici innalza il livello ematico di serotonina e determina un miglioramento del tono dell'umore, la presenza di magnesio migliora la capacità dell'organi­ smo di adattarsi allo stress, come pure la presenza di sostanze eccitanti simili alla caffeina hanno un effetto tonico. Le sostanze chimiche non sono di per sé in grado, anche per quantità ingenti di cioccolato, di determinare processi di dipendenza chimico-farmacologica. La motivazione al consumo è piuttosto di tipo emozionale: il cioccolato si associa a un'immagine di festa, di incontro, di

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ricorrenza e ha di per sé una valenza Iudica. Il cioccolato evoca le emozioni del­ l'infanzia, le cure materne e la gioia dei giochi; in una certa misura, si associa a un'immagine di trasgressione. Il cioccolato appartiene alla categoria dei "pec­ cati di gola" , il cui consumo è desiderabile e ansiogeno al tempo stesso. L'atto consolatorio ci fa ingrassare, l'obesità scatena l'ansia che poi verrà consolata con altro cioccolato. Il cioccolato non è prevalentemente un cibo per bambini, come dimostra il fatto che il 45% del consumo di cioccolata riguarda il segmento dai 20 ai 29 anni, il 41 o/o quello dai 30 ai 44· Da ciò appare con chiarezza il ruolo di cibo compensatorio che il cioccolato mantiene. L'ultima edizione di Fancy Food, la Fiera americana dedicata alle specia­ lità alimentari, ha visto una grande offerta di cioccolata, in tutte le fogge, sem­ pre con una straordinaria attenzione alla dimensione estetica: cioccolatini co­ me sculture, opere d'arte, pressoché sparito l'involucro, direttamente visibile e terribilmente attrattivo il cioccolato, piccoli capolavori per l'occhio e per il gu­ sto proposti per la vita quotidiana e anche per essere donati, dedicati e inseri­ ti in scatole indirizzate a uno specifico destinatario. Suggestioni da modern art accanto a immagini dal gusto retrò per evocare ricordi d'infanzia, vecchie car­ toline per coprire il cibo e offrirlo in dono. Il gioco diviene la motivazione pre­ valente di cui il cibo è veicolo. Cioccolatini con i disegni del domino, bicchie­ ri di vodka per giocare a dama, ogni mossa un premio da gustare. Note

1. Cfr. C. Petrini in "la Repubblica " , 5 gennaio 2008. 2. Di questa frenesia che investe anche il cibo fa una divertente descrizione Suttora (2oo6) . 3 · I n calo i cracker tradizionali e i grissini, in crescita snack e prodotti legati alla salute ( "Food " , luglio 2007, p. 68). 4· lvi, p. 62. 5· La ricerca è stata presentata in occasione della Mostra internazionale dell'alimentazione (MIA), Rimini Fiera, maggio 2007. 6. Dati GFK Panel Service Italia (www.largoconsumo.info). 7· Il bello dz' bere on the go, in "Food " , luglio 2007, p. 102. 8. lvi, p. 100. 9· Un negozio pz'ccolo pz'ccolo, in "Food " , luglio 2007, pp. no-5. 10. Cfr. "Nova " , supplemento a " Il Sole 24 ore " , 15 novembre 2007. n. Esempi di Knit Café in Italia: Coffee Design (www. triennale.it) e Bistrot Bovina (www.triennalebovisa.it). 12. Cfr. AGI-Federfarma, 22 ottobre 2007 (www.cybermed .it).

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I nuovi riti del mangiare Le espressioni contratte di quei cinici, spietati, miserabi­ li bastardi annoiati della vita che siamo dovuti diventa­ re, svaniscono per un momento, o per un secondo, quan­ do ci troviamo di fronte a qualcosa di semplice come un piatto di cibo Bourdain (2002, p. 292) .

3· 1 La festa: lo spazio per l'emozione

Perché i ristoranti hanno raggiunto una tale densità nel panorama urbano e una così alta visibilità nello spazio mediatico? Si può trovare una spiegazione che va­ da oltre le esigenze funzionali e la maggiore mobilità della popolazione? Il man­ giare insieme costituisce da sempre un potente strumento di socialità, un rito per celebrare eventi e rafforzare i legami. Ma tutto questo non rappresenta una novità. Di nuovo vi è la diffusa aspirazione alla festa e la ricerca di uno spazio per l'emozione. Il cibo ha assunto una funzione che va oltre lo stesso piacere gu­ stativo e che interseca l'esplosione di forme di socialità e di divertimento. La pratica del mangiare fuori è cresciuta per una serie di fattori: la cresci­ ta dei livelli di benessere, l'incremento delle spese per il tempo libero e per le vacanze. Le abitudini di svago vengono difese anche nei momenti che vedono una contrazione delle disponibilità economiche per il consumo e in cui si met­ tono in atto strategie di contenimento delle spese. La chiusura di una prospet­ tiva di futuro, di un orizzonte che sappia collocare le azioni in una sequenza di investimenti proiettati nel tempo spinge a ricercare "piccole felicità " nel pre­ sente. N on è un meccanismo nuovo: il rifugio nella dimensione personale, la ricerca di calore nelle reti amicali sono segni che da qualche anno vengono as­ sociati al venire meno di speranze collettive. Il divertirsi ha acquistato una nuova legittimità sociale. La morale del ri­ sparmio perde peso di fronte alla sua impossibilità. Se cala la capacità di rispar­ mio in funzione di un investimento differito, che comunque non saremo in con­ dizione di fare, perché dovremmo rinunciare ad esaudire i nostri desideri più immediati? Perché dovremmo rinunciare a una piccola cosa oggi per non ave­ re nulla di più domani? Paradossalmente, l'incertezza dilagante non spinge al risparmio, ma incentiva la ricerca di gratificazioni immediate. La risposta al­ l'incertezza, quindi, si muove in una direzione inversa a quella che potremmo considerare ragionevole. La società attuale tende a svilupparsi attorno all'industria dell'intratteni­ mento, commercializzando ogni genere di gioco, inventando occasioni ludiche

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che, i n gran p arte , rappresentano un'intrinseca negazione del significato profondo del gioco che presuppone, invece, capacità creativa, investimento emotivo ed esperienza personale (Bencivenga, 2007) . Le situazioni di "falso gioco " si moltiplicano: dai parchi di divertimento, in cui masse di persone si recano per impiegare un tempo altrimenti vuoto, ai giochi televisivi, ai giochi sportivi simulati sulle play station in cui il corpo è negato, ai viaggi organizza­ ti che non lasciano alcuno spazio per la scoperta e l'imprevisto. Giochi senza fatica e senza apprendimento, che non consentono l'invenzione, l' awentura e il rischio, che non aprono lo spazio a nessuna nuova possibilità. Ciò sembra in apparente contrasto con l'enfasi odierna sulle emozioni, proposte nei reality show insieme all'esperienza vissuta dai loro protagonisti. Quelle commercializzate al cinema, alla televisione, nei parchi di divertimento sono, per così dire, emozioni relegate in uno spazio protetto, così come è pro­ tetto lo spazio della festa, che ci propone esperienze diverse da quelle del quo­ tidiano in funzione compensatoria, per consentirci di reggere la monotonia del­ le attività consuete. La festa è lo spazio deputato all'emozione in un'epoca connotata dall'in­ certezza e dalla paura, lo spazio in cui singoli istanti possono trasformarsi in esperienze uniche e irripetibili, lontane dalla vita di ogni giorno. N ella nostra epoca, le emozioni sono ricercate come una sorta di prova della propria vita­ lità e dell'appartenenza alla "comunità che gode ". Emozioni e sensazioni di­ vengono così il prodotto di attività ludiche, agognate in quanto le attività quo­ tidiane ne sono povere e, nel contempo, relegate in momenti separati. Le offerte dell'industria del piacere amplificano gli inviti all'individuo a pro­ vare una quantità di sensazioni che non esistono nel suo repertorio abituale: an­ che il ristorante consente di fare un'esperienza e, ad esempio, di sperimentare sensazioni di superiorità, successo, disinvoltura, felicità, appagamento e così via, che non fanno parte del mondo di tutti i giorni. Si sviluppa una vera e propria "economia dell'intrattenimento " , sempre più intrecciata con la celebrazione del­ lo "spettacolo della merce " (Ritzer, 2ooo) . La crisi finanziaria ne ridisegnerà i contenuti e le forme, ma non ne eliminerà i presupposti. Al fondo resta una disposizione al godimento del presente, a una sorta di juissance generalizzata che cerca occasioni per esprimersi (Maffesoli, 2005, p. 104) che interpretino momenti di vita che diano spazio ai desideri individuali. Si legittima una moralità del divertimento, fondata sulla priorità dei piaceri momentanei, sui sogni di evasione e distrazione. Ovunque sbocciano nuove fe­ ste finalizzate al marketing dell'immagine urbana, alla riscoperta delle tradizio­ ni locali, che intrecciano cultura e gioco, tradizioni e turismo, ma sempre con bancarelle di cibo. Il cibo entra a fare parte dello spettacolo, lo compone, in­ troduce in esso un elemento di corporeità: la tavola diventa una specie di espe­ rienza sinestesica che soddisfa i sensi. La ristorazione, il turismo enogastrono­ mico, le fiere del cibo hanno acquistato un ruolo assolutamente centrale nelle attività del tempo libero. Il consumo di cibo si intreccia con il bisogno di allon-

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3 · I :'\ U O VI R I T I D E L M A N G I A R E

tanarsi dalla routine, di vivere interazioni sociali al di fuori del proprio ambien­ te familiare, di comunicare con altri individui, di regalarsi gratificazioni e sti­ moli sensoriali. 3· 2 Situazioni e luoghi della socialità

I luoghi in cui si consuma cibo sono prima di tutto spazi della socialità, in cui intratteniamo le relazioni nelle diverse cerchie concentriche della nostra fre­ quentazione. Lì prendono forma i comportamenti di consumo, si creano i trat­ ti distintivi di determinati gruppi che condividono, appunto, gusti e pratiche, la frequentazione di un luogo di ritrovo, così come la preferenza per un tipo di abbigliamento, la scelta di una marca di scarpe. Già Simmel alla fine dell'Ot­ tocento metteva in luce che le leggi d'imitazione sembrano costituire le grandi regole del vivere contemporaneo ( Simmel, 1993) . Il cibo acquista u n carattere pubblico, coincide i n grande misura con il ri­ trovarsi in luoghi pubblici - in quanto scelti per l'incontro - per segnalare una presenza sulla scena. Fenomeni mimetici, innanzitutto, espedienti usati per in­ durre l'individuo a sentirsi, in certe circostanze e in certi momenti, in armonia con le convenzioni e i modi di comportarsi tipici di un'epoca (Maffesoli, 2005). Sarebbe però riduttivo considerare i luoghi della socialità dello spazio contem­ poraneo una mera adesione alla moda, una vuota omologazione a imperativi esterni. La contiguità consente una qualche forma d'incontro, diviene comu­ nione, «la sorgente dalla quale sgorga l'effervescenza delle tribù urbane, carat­ terizzate da interessi, passioni e azioni fortemente divergenti» (ivi, p. 78 ). Si tratta di luoghi «investiti di emozioni, spazi in cui s'incide la propria presenza, consolidati da appartenenze a mode e a mondi, abitati dalle tribù del consu­ mo» (ivi, p. 83). Assistiamo oggi alla moltiplicazione di questi luoghi nei quali l'identità si costruisce attraverso l'identificazione con gli altri. La sedimentazione fluida che si sviluppa attraverso queste esperienze costituisce la trama del discorso so­ ciale, ma anche della propria stessa vita. Le aggregazioni danno vita ad abitu­ dini, come quelle dell'aperitivo, della happy hour; i locali diventano punti di ri­ ferimento e di incontro di movimenti ludici, di consumo del tempo sotto il se­ gno dell'edonismo. Qual è la ragione per cui alcuni luoghi acquistano un'im­ provvisa, cogente ( ancorché effimera) capacità di attrazione? Il richiamo alla moda non spiega il senso profondo di queste pratiche, il loro proliferare. In ogni frammento della vita sociale, come in uno specchio, è contenuta l'imma­ gine intera della società. In questo senso spiegare comportamenti apparente­ mente marginali, come le abitudini dell'incontrarsi e le mode del mangiare, equivale a decodificare una buona parte dei meccanismi della vita sociale. Il luogo diventa lo spazio di costruzione dei legami. La frequentazione degli stessi luoghi crea comuni appartenenze e forme di reciproco riconosci-

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mento. I n questi luoghi s i produce una sorta d i misteriosa alchimia della so­ cialità e si consolida un qualche tipo di cemento culturale e spirituale, attra­ verso la condivisione delle emozioni. Pratiche ludiche, gesti dell'erranza che caratterizza la società contemporanea, laboratori dell'arte del quotidiano, oc­ casioni di un radicamento dinamico che ci consente di appartenere ad un da­ to luogo, ma mai in modo definitivo. Il sentimento di appartenenza è raffor­ zato dalla condivisione di qualcosa di comune. Si tratta di luoghi intessuti di narrazioni, di esperienze di luoghi analoghi; attraverso i racconti si costrui­ scono abitudini, preferenze, si certifica la propria appartenenza a un mondo . Che cosa consentirebbe la moda dei luoghi se non questa esperienza del ri­ trovarsi e dell'appartenere ? Sullo sfondo la ricerca di nuovi ancoraggi nel presente: il presente che si vive con gli altri in un determinato luogo. Tale senso del presente sta conta­ minando le rappresentazioni e le pratiche sociali, non solo giovanili. Il pre­ sente si riallaccia alla filosofia del kair6s, che pone l'accento sulle occasioni e sulle buone opportunità, in un'esistenza che è un insieme di istanti eterni da vivere al meglio qui e ora. Il rapporto tra spazio e socialità produce il feno­ meno del sentire e provare in comune. È questo sentire comune che costitui­ sce la cifra profonda ed essenziale del paradigma dell'estetica nella società odierna. Nell'adesione a queste fluttuazioni di comportamenti e di abitudini trionfa la cultura dell'ovunque e del niente. Tale "banalità di base" non è pri­ va di una sua grandezza ed è un meccanismo di attribuzione di senso: l'indi­ viduo inventa continuamente la propria gerarchia di valori e di aspettative e la investe nelle cose che continuamente, come un astuto bricoleur, ridda (De Certeau, 2001 ). 3·3 Lo sciame inquieto degli

street bars

Gli sciami «si radunano e si disperdono a seconda dell'occasione, spinti da cau­ se effimere ed attratti da obiettivi mutevoli. Il potere di seduzione di obiettivi mutevoli è generalmente sufficiente a coordinare i loro movimenti rendendo superfluo ogni ordine dall'alto. [ . . . ] Nello sciame non c'è né scambio, né coo­ perazione, né complementarietà, solo prossimità fisica e una generale direzio­ ne di movimento» (Bauman, 2007, pp. 48-9 ). L'idea che la direzione del volo è giusta deriva dalla quantità di persone che la segue. Questa tendenza è espressa emblematicamente dallo stravagante fe­ nomeno del flash mob: centinaia di persone si danno appuntamento con un tam tam via e-mail per fare massa critica e poi andarsene. Il flash mob mira alla crea­ zione di mobilitazioni di persone, rigorosamente di breve durata e rigorosa­ mente senza senso. Il fenomeno è nato a New York e San Francisco, ma è sbar­ cato anche in Italia con un appuntamento a Roma contemporaneo ad uno ana­ logo a N ew York, sfasato solo di qualche ora a causa del fuso orario. Si tratta

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di un gioco che scade dissolvendosi dopo una decina di minuti, senza possibi­ lità di essere mai più realizzato nello stesso identico modo. Il principio è simi­ le a quello del critica! mass, dove gruppi di persone si ritrovano con la propria bicicletta1• Il mob è una sorta di variante, ancora più giocosa, perché l'obietti­ vo che ne sta alla base è nebuloso (per lo più sconosciuto ai partecipanti) e sen­ za senso: non esiste motivo che sorregge l'appuntamento né un intento politi­ co o dimostrativo. E proprio qui sta la peculiarità: in una società in cui ogni azione sembra finalizzata a qualcosa, in questo caso è l'assenza di scopo la mol­ la dell'azione. Qualche esempio di flash mob: a New York una folla di 300 persone ha ap­ plaudito rumorosamente sporgendosi dalle balaustre del lussuoso Hyatt Hotel su Park Avenue. A San Francisco, 150 persone per dieci minuti hanno attraver­ sato avanti e indietro un incrocio di Market Street, in pieno centro. Sotto Na­ tale, un nutrito gruppo di Babbi Natale si è divertito a provocare turisti e resi­ denti regalando pacchettini provenienti da pornoshop. Tutti gli esempi sono accomunati dalla stessa procedura che consiste nel reclutare i partecipanti via e-mail pochi giorni prima dell'evento. Tra le istruzioni solo quella di sincroniz­ zare l'orologio e di presentarsi puntualissimi: con un ritardo di pochi minuti, si rischia di non trovare più nessuno sul luogo dell' appuntamento2• Naturalmente l'azione non ha nessuno scopo politico, non c'entra nulla con proteste e agitazioni, è solo un gioco, senza etichette, di cui la visibilità e l'aggregazione sono le ragioni intrinseche e autosufficienti. Si tratta certamente di un esempio stravagante di aggregazione che, tutta­ via, indica alcuni tratti contemporanei: una concezione del gioco come assen­ za totale di finalità, la forte esigenza di sorpresa in un mondo segnato dalla pre­ vedibilità e dalla razionalità tecnica. Un'ulteriore reazione ai processi di razio­ nalizzazione sociale che, come Ritzer (2ooo) sottolinea a proposito delle catte­ drali del consumo, avrebbero indotto l'esigenza di nuove forme di reincanto del mondo3• Sciami di individui si aggregano temporaneamente sulla base di flussi comuni, sorretti ognuno dal movimento di altri e dal gusto di un gesto sorprendente quanto effimero. Tornando al filo del nostro ragionamento, il fenomeno degli street bars si av­ vicina all'immagine di uno sciame che si aggrega e si disperde rapidamente. Gli street bars sono diventati il simbolo di questo " andar per luoghi" in cui cibo, tem ­ po, socialità si legittimano reciprocamente. È la socialità la cifra costitutiva del­ le pratiche dello "spizzicare insieme " che riguarda giovanissimi e giovani adul­ ti. N egli street bars si sta in piedi, si mangia in piedi, la prowisorietà segna l'a­ pertura della situazione ad altri non previsti sviluppi. N on si decide a priori, non si programma cosa fare, ci si incontra quasi per caso. Sciami di persone - grup­ pi che si aggregano, si sciolgono e si riaggregano di continuo - pronte a trasfe­ rirsi verso altri luoghi. L'incessante viaggiare tra spazi multipli è la caratteristica centrale della città contemporanea; questo continuo viaggio riposa su punti di unificazione temporanea operata sempre in relazione agli altri.

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Il fenomeno degli street bars è relativamente recente, m a è esploso con una velocità sorprendente diffondendosi dalle località turistiche alle aree urbane e alle piccole città. Gli street bars sono dislocati nelle vie di più intenso passag­ gio in cui è possibile mangiare frammenti di cibo e bere, chiacchierando e in­ trattenendo scomode conversazioni: scomode perché il tutto awiene, per lo più, in piedi. I pochi posti a sedere non sono legati alla scarsità di spazio, è nel­ la filosofia del locale essere uno dei tanti luoghi di passaggio durante una sera­ ta in cui bere e mangiucchiare velocemente. Il poter visitare più locali in una stessa serata richiama la velocità con cui si consuma qualsiasi cosa. Ancora una volta, un fenomeno che rispecchia l'ansia sociale di esperire più cose e veloce­ mente. Velocemente si beve, si mangia, velocemente si cambia scenario per po­ ter incontrare più gente frequentando più luoghi quasi contemporaneamente. Un a necessità di ubiquità, una sorta di schiavitù del "dover esser-ci " . Dopo il lavoro o l e lezioni ci s i riversa nei locali che vanno d i moda, c i si racconta la giornata, si scherza e si tira tardi, tanto che la cena può essere so­ stituita dall'aperitivo. Naturalmente il rito cambia a seconda della città in cui ci si trova. Se al Sud questa tradizione è meno diffusa, le maggiori città del Nord hanno reso l'aperitivo un vero e proprio rito serale. L'appuntamento è nei locali più trendy della città per quella che viene chiamato happy hour, una tradizione anglosassone, debitamente modificata secondo le abitudini italiane. Se in origine indicava l'ora felice (generalmente dalle 18 alle 19 ) in cui gli alco­ lici costavano la metà, oggi la happy hour può durare ben più di un'ora ed è ac­ compagnata da pietanze calde e fredde, ricchi buffet a base di pizze, focacce, verdure fritte, insalate, paste fredde e calde. E non è raro che vengano propo­ sti anche sapori esotici abbinati con la cucina italiana, come lo spezzatino con cuscus. La moda dell'aperitivo assume declinazioni locali: nel Nord Est è lo spritz, termine che risalirebbe al periodo della dominazione asburgica, quando i sol­ dati austriaci, non sopportando l'alto tenore alcolico dei vini veneti, presero l'a­ bitudine di allungarli con acqua. Tante le varianti di questo rito, sempre accom­ pagnato da stuzzichini. La "merenda sinoira " piemontese, di antiche origini contadine, è una sor­ ta di spuntino serale a base di salumi, formaggi e vino, che un tempo sostitui­ va la cena. Oggi dalla tavola dei poveri è passata nei locali del centro di Tori­ no, dove la si può gustare al bancone o anche comodamente seduti. Il mangiare in piedi, spesso in luoghi affollati, in poco tempo apre la mo­ da del ji'n ger /ood, il cibo che si mangia con le mani, senza l'ausilio delle posa­ te. Fenomeni simili sono diffusi in tutti i paesi. Pensiamo alle tapas4 e i pinchos5, piccoli assaggi inventati rispettivamente a Siviglia e nei Paesi Baschi. Per le pri­ me, la tradizione imponeva la visita di 14 tra bar e taverne, all'uscita del lavoro, prima dei pasti, e il consumo di altrettante tapas. Le soste non si limitano mai a un solo locale. In questo singolare percorso gastronomico si muove un eser­ cito imponente che si ritrova nei vari locali delle più importanti città spagnole

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e si trattiene in amabile conversazione. È un rito che, dal tardo pomeriggio, si spinge fino a notte. Nei Paesi Baschi, come si è detto, sono i pinchos a dominare la scena, sem­ pre con le stesse caratteristiche di appetitosi assaggi. I pinchos si consumano nelle tascas, tipiche taverne basche che all'ora giusta si animano di vassoi col­ mi di delizie, accompagnate dal tradizionale vino bianco, chiamato chacoli. 3·4 L'effetto sorpresa: il situazionismo gastronomico

L'etica dell'effimero raggiunge il cibo dopo essere divenuta una tecnica del marketing con i temporary stores, una tendenza che viene dagli USA. Si tratta di negozi " mordi e fuggi " , attività che durano pochi giorni e poi si spostano altrove; locali aperti e chiusi in un mese: effetto sorpresa, costi limitati e af­ fari sicuri. Ristoranti, club e persino cinema: punti vendita nei quartieri resi­ denziali che fanno leva sul tam tam sotterraneo, poi spariscono dopo avere creato l'evento. Gli americani hanno ribattezzato pop-up questa tecnica, l'a­ pri-e-chiudi di un' attività commerciale. I primi a sperimentare il fenomeno sono stati i negozi. Ossimoro delle tendenze del marketing moderno, riflesso di un modello di consumo ad alta velocità, si chiama pop-up retail, vacant shop o temporary sto­ re il negozio che spunta all'improwiso dal nulla, senza annunciarsi (fa leva sul passa parola) , per rimanere aperto a tempo determinato ( da una settimana a un mese) occupando uno spazio in un quartiere centrale e alla moda della città e allestendo il punto vendita in si ti non ordinari come gallerie d'arte, immensi 1oft o fabbriche in disuso. L'obiettivo? Far parlare di sé giocando sull'effetto sorpresa. Creare visibilità intorno a un marchio, attraverso un awenimento di­ verso dal party o dalle vendite promozionali. Più economico di una campagna pubblicitaria, meno impegnativo di un vero negozio, il pop-up retail è utilizza­ to per far conoscere una nuova attività o per presentare alla clientela già con­ solidata una novità. E l'idea è piaciuta ai grandi marchi, tanto che sono stati in molti a sposarne la filosofia: Illy Caffè Gallery a New York per un mese, con il corso per preparare il buon espresso; eBay ha allestito una casa a Manhattan, in cui ogni pezzo di mobilio era in vendita; Comme des Garçons ha aperto in tutta Europa Guerrilla Stores che sbucavano all'improwiso, preannunciati al­ l'ultimo minuto da inviti-lampo; Camper è stata a Notting Hill, Londra; Lanco­ me, Levi's, Nivea, Breil, Malo , Veuve Clicquot (solo per citarne alcuni) hanno lanciato iniziative sui generis in varie città italiane. Il lancio di Alixir di Barilla è stato affidato anch'esso a un temporary stare. Il fenomeno pop-up retail ha contagiato molti altri settori, sconfinando nel­ l'intrattenimento e nella cultura. La formula del "monta-smonta " , mentre dà più visibilità e abbassa i costi di entrata in un mercato, permette di girare più

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città e d i sperimentare il raffronto con diversi target. È ciò che hanno pensato i gestori del primo ristorante pop-up , il Ghetto Gourmet, con due cuochi, do­ dici commensali, cinque portate e un conto che naviga intorno ai quaranta eu­ ro e che ha come indirizzo l'Europa. L'idea è venuta ai due fratelli Townsend di Oakland: Joe, un cuoco, e Jeremy, un poeta ( www. theghet.com ) . S i tratta del primo esempio d i situazionismo gastronomico, figlio dell' espe­ rienza dei temporary stores e dei pop-up shops, un movimento nato a Los Ange­ les che organizza ristoranti clandestini. Il locale appare all'improvviso, resta aperto per una settimana, poi smonta tutto e si trasferisce altrove in posti sem­ pre diversi e improbabili: una galleria d'arte, un teatro, un parcheggio, un cen­ tro commerciale. Per seguire le cene clandestine basta iscriversi alla newsletter, entrando così a far parte della community alla quale appartengono professio­ nisti dello spettacolo e della cucina: chef, performer, camerieri, musicisti, poe­ ti. Tutti possono mettere la propria professionalità a disposizione per rendere ogni cena unica e irripetibile. Sono sorti anche i primi pop-up hotels, ad esempio l'Hotel Movil, albergo­ tir con due piani, otto ruote e undici stanze, il Nikki Beach Sea, nave-hotel di lusso estremo destinato a ormeggiare in prossimità di grandi eventi (il Festival di Cannes, la Biennale di Venezia o l'America's Cup ) . Boutique Camping e Camp Kerala, meravigliosi campeggi da mille e una notte, sono invece al segui­ to dei grandi concerti estivi. Cargo Experiment è una discoteca con una strut­ tura composta da più container comunicanti. Dai tetti di Brooklyn è arrivata l'i­ dea di un cinema pop-up, caratterizzato da una programmazione cult e da eco­ nomici biglietti. Un successo che si è materializzato con cine-eventi di vario ge­ nere. La Rooftop Films proietta pellicole in cima ai palazzi di ben 275 città spar­ se per il globo. Guerriglia Drive-In e MobMov (acronimo di Mobile Movie) so­ no i drive-in a sorpresa, improvvisati su facciate di edifici periferici. L'idea è di Bryan Kennedy, venticinquenne che, prendendo spunto dai /lash mob, ha espor­ tato l'evento in molti paesi del mondo e anche in Italia, a Roma e Milano. 3·5 Il piacere di mangiar fuori

Mangiare fuori è un'abitudine ormai molto diffusa nella nostra società, trai­ nata da esigenze funzionali e da istanze ludiche. Si calcola che , nel giro di po­ che decine di anni, quasi la totalità dei pasti sarà acquistata pronta o consu­ mata fuori casa. Circa 6 italiani su ro vanno a mangiar fuori almeno una vol­ ta al mese. Più di un quarto , soprattutto i giovani, ci va tutte le settimane. So­ lo una minoranza non lo fa mai. Si mangia fuori per piacere e si va più spes­ so in pizzeria. Ma talvolta si va "fuori " restando dentro casa, a cena da ami­ ci. Ed è quest'ultima pratica che denota l'importanza della socialità legata al cibo e sembra riprendere piede dopo una fase in cui l'approdo al ristorante sanciva l'accesso a una condizione privilegiata.

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Diversi fattori spiegano la popolarità del fenomeno. Una prima spiega­ zione si riferisce al cambiamento dei modelli di famiglia: ora che i suoi mem­ bri sono assenti da casa gran parte del giorno, consumare i pasti fuori casa corrisponde ad esigenze funzionali. Inoltre, incide il cambiamento nella struttura professionale: molte professioni odierne appartengono al settore terziario e propongono una diffusa flessibilità di orari. I ritmi di lavoro han­ no innescato il fenomeno del "mangio quando ho tempo " : la pausa pranzo si accorcia sempre più, talvolta si salta , si mangia quando si ha un "buco " libe­ ro, quando il lavoro consente di fare un break. I pasti principali, durante la settimana, vengono sostituiti da brevi spuntini durante la giornata. Ciò favo­ risce il proliferare di momenti differenti di consumo , connotati da situazioni di condivisione breve, ma soprattutto , mobile e occasionale. La de-spazializzazione delle attività che escono dai grandi luoghi delle aggregazioni collettive e la de-sincronizzazione delle stesse allargano il para­ digma della flessibilità al consumo del cibo. La società urbana aveva strutturato il consumo del pasto, affidando alle donna il ruolo di approvvigionamento oltre che di preparazione del cibo, an­ zi una parte rilevante delle competenze era insita nella capacità di scegliere i migliori prodotti al minore costo , con un processo di formazione attraverso l'esperienza e il passa parola. L'apprendimento della cucina era parte della trasmissione dei saperi domestici che le generazioni femminili tramandava­ no; l'ingresso delle donne sul mercato pone in secondo piano queste abilità, legittima lo "spreco " della spesa veloce e un'ancora più veloce preparazione del pasto . Il pasto diurno si consuma nelle mense dei luoghi di lavoro e del­ le scuole: luoghi pubblici in cui si ritrova gran parte della popolazione i cui orari sono scanditi e organizzati in funzione di un regime dietetico veloce. Quando le attività terziarie iniziano a dominare la scena, i momenti col­ lettivi perdono peso: la crescente flessibilità dei tempi di lavoro fa compiere un ulteriore passo avanti nello smantellamento del rito collettivo del pasto. Ma il cibo non per questo torna ad essere un fatto privato: sia per i ritmi del traffico urbano, sia per i tempi stretti della pausa pranzo , sia per la minore disponibilità al lavoro domestico, ma, ancor più, per un processo di libera­ zione del tempo. Per i più giovani consumare il cibo da soli è il segno di un processo di af­ francamento da un controllo familiare, quand'anche qualche mamma resi­ stesse nell 'impegno della preparazione del pasto, i figli cercherebbero spazi di libertà dalle regole del cibo sano, dal rito della conversazione/ controllo , dall'amorevole e incombente attenzione della cura materna. Tutti, nell'ado­ lescenza, abbiamo sperimentato il fastidioso e pressante «come è andata? » al ritorno dalla scuola e abbiamo vissuto il passaggio all'università come con­ quista di autodeterminazione dei tempi del pasto. L'individualizzazione dei pasti corrisponde , quindi, all'individualizzazione delle scelte di vita e alla pluralità degli spazi fisici e sociali in cui ognuno si muove.

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Ben al d i l à delle ragioni funzionali, il pranzare fuori è diventata una ca­ ratteristica della socialità moderna entrata a far parte del repertorio indivi­ duale dei modi di occupare il tempo libero. Le persone traggono piacere dal consumare cibi in luoghi pubblici. Mangiando fuori casa, l'atto del mangia­ re si trasforma in un'attività più complessa e significativa sul piano sociale: un fatto di routine in un evento sociale arricchito da una scenografia (Finkel­ stein , 1992 ) . Per questo l'ambiente in cui si consuma il pasto è un aspetto non secondario dello stato d'animo che accompagna l'esperienza. Il piacere del mangiar fuori non è più privilegio esclusivo di una minoranza agiata, ma è co­ mune a strati sempre più ampi di popolazione, anche se le scelte sono com ­ misurate alle capacità d i spesa d i ognuno. I caffè e i ristoranti, con tutte le loro variazioni, sono luoghi sociali in cui l'interazione fra sconosciuti accomunati dal consumo del cibo sposta in una sfera pubblica un' attività che per gran parte della storia dell 'uomo è appar­ tenuta alla sfera privata, ancorché conviviale. Ed è proprio la dimensione consuetudinaria che ha assunto il mangiar fuori che ne fa «una pratica socia­ le normalizzata e al contempo differenziata per gruppo sociale» (Warde , 2004, p. 49 5), una forma di consumo culturale, in quanto plasma modi di sen­ tire comuni. Si può dire , quindi, che l' attività del mangiare, da un lato, si in­ dividualizza, dall'altro, diviene un atto pubblico. In essa si rinnova un rito al­ trimenti impossibile nell'ambito domestico, rito che torna ad essere codifica­ to , regolato, anche se non comprende, come in passato, orari, pietanze e se­ quenze stabilite per le varie occasioni. Il mangiare fuori rappresenta una fonte di soddisfazione che compensa il diffuso senso di insoddisfazione che sembra pervadere il tempo presente. L'insoddisfazione nasce dal divario tra ciò che ci aspettiamo che accada e le esperienze che la vita quotidiana ci offre (ivi, p. 161). Per questo una grande parte delle energie è indirizzata a cercare di realizzare esperienze che ci pro­ curino piacere e che alludano alla realizzazione di desideri che, peraltro, non mettiamo neppure a fuoco con chiarezza. Desideriamo per lo più ciò che gli altri considerano apprezzabile e desiderabile . Il costo di un bene è in qual­ che modo un indicatore e al tempo stesso un regolatore del desiderio: se si tratta di una cosa esclusiva e di un fenomeno di cui si parla molto , non può che essere desiderabile. La sfera personale nella quale si formano desideri, piaceri e gusti è influenzata dalla sfera pubblica. Ciò vale per la pratica del mangiar fuori che è fonte di piacere in gran parte per l'immagine sociale che ne deriva e per la dimensione in una qualche misura " eccezionale " che cir­ conda in generale tutto ciò che attiene alla sfera del divertimento. Cosa cerca un individuo nel mangiar fuori? Prima di tutto una situazio­ ne non ordinaria, qualcosa che si differenzi dalla routine quotidiana, dal con­ sumo abituale del pasto. Questa situazione è, per definizione, sociale. La con­ divisione del pasto è scelta, non è dettata da vincoli familiari e lavorativi e la decisione avviene sulla base di reciprocità. La libertà è uno dei tratti distin-

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tivi del mangiar fuori. Inoltre, ognuno trae piacere da una situazione in cui è trasformato in oggetto d'interesse per gli altri commensali e per il personale del ristorante che si prodiga ad esaudire le sue richieste. Il piacere non deri­ va solo dal sapore del cibo, ma anche dall'essere serviti, dal poter " ordinare " qualcosa, dalla scenografia del locale e dalla sorpresa nel caso in cui il pran­ zo si consumi in un contesto lussuoso. La gratificazione che si ricava dal mangiar fuori si fonda su un particola­ re tipo di condivisione che si riferisce al gusto , all'essere alla moda e deriva anche dal racconto dell'esperienza: in un certo senso ogni momento grade­ vole ricava una parte della gradevolezza dal pensiero che verrà raccontato. La capacità di scoprire i luoghi giusti, di sapersi offrire il meglio è parte del piacere connesso all 'esperienza della ristorazione. 3· 6 Il mito dei cuochi Alla base del mio indice destro c'è un callo diagonale lungo quasi quattro centimetri di colore giallo-marrone, che si è formato dove i manici di tutti i coltelli che ho pos­ seduto si sono appoggiati e la pelle si è ammorbidita per la continua immersione nel­ l' acqua. Sono orgoglioso di lui. Mi identifica immediatamente come cuoco e come qualcuno che ha praticato il mestiere per molto tempo (Bourdain, 2002, p. 289 ) .

Così comincia una minuziosa descrizione delle mani che portano i segni e le tacche del duro lavoro in cucina, ricordi di battaglie vinte, di dolori supera­ ti con uno sforzo di resistenza quasi eroico. È questa la sensazione più for­ te, insieme alla passione, trasmessa dalla storia di cucina di Bourdain, gior­ nalista newyorkese che decide di imparare i segreti della cucina ed entra co­ me sguattero sottoponendosi ad un apprendistato umiliante presso il famo­ so ristorante Mario's a N ew York. Il cuoco di allora, un certo Tyrone, aveva riso del suo dolore per una vescica alla mano , mostrando i suoi artigli «or­ ribilmente rovinati». Fu quell'immagine a decidere il suo destino, racconta Bourdain. Il senso di una sfida che si trasforma in una passione, accompa­ gnata da anni di dura disciplina per imparare a trasformare gli alimenti, per conoscere i segreti che fanno di una pratica per molti versi comune un 'atti­ vità artistica. Un altro rom anzo culinario ricorda con successo che il cibo è dolore: le sferzate rosse lasciate dal grill, la carne esposta là dove il vapore o il grasso bollente disintegrano l'epidermide , il peso delle casse colme di carne , la fa­ tica dei grandi bovini da disossare , «la griglia come l'inferno» che si trova nell'angolo più buio e caldo della cucina (Buford , 2007, p. 113 ) . La velocità delle comande dalla sala costringe a ritmi parossistici, la difficoltà di inter­ pretare i segni degli ordini sui piccoli fogli appesi presuppone un linguag­ gio per iniziati, la fatica di un allenamento che non ammette soste né malat-

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tie. È come l a descrizione d i u n a prova sportiva che s i protrae per u n tem­ po infinito : l'imm agine dell'apprendimento della cucina, passione e scoper­ ta, sfida tutta americana dove l'eroismo individuale, la tenacia e la squadra sono tutt'uno. Il romanzo di Buford lascia emergere la profonda differenza tra la risto­ razione stellata americana e quella europea. Là dove quest'ultima si compia­ ce del carattere elitario e dell'esclusività, fa dei lunghi tempi di attesa della visita la prova della propria eccellenza, la prima resta esplicitamente consa­ pevole del suo carattere di business, supportato da un attento lavoro media­ tico e anche dalla vendita di prodotti e attrezzi di cucina, resi mitici dagli show televisivi. Tre principi essenziali impostano la cucina secondo il gran­ de chef stellato Mario Batali : comprare cibo, imbandirlo e venderlo con profitto6. Buford racconta il suo viaggio di iniziazione alla scoperta del segreto della cucina. Il giornalista cuoco va alla ricerca dei maestri e incontra Mar­ co Pierre White , arrivato alla celebrità dopo un'infanzia mo desta nello Yorkshire. White, altro mito internazionale della cucina, lasciata alle spalle la scuola alberghiera, arriva a Londra con poca esperienza e molta determi­ nazione. Lavora al Gavroche, un 'istituzione, incontra i più grandi cuochi francesi: Pierre Koffmann, Albert Roux , Michel Blanc. Pubblica libri di cu­ cina come Marco Pierre White in Ell's Kitchen e poi White Head. Gestisce oggi diversi ristoranti a Londra. Ultimo nato l'Oak Room , collocato nel pre­ stigioso Meridien Hotel Piccadilly, arredato con dipinti di grandi autori del secolo. Marco Pierre White, o MPW, come di solito è chiamato , si definisce uno "stratega " , la sua strategia punta all'espansione piuttosto che alla ge­ stione. The Yew Tree lnn , vicino a Newbury nel Berkshire, è il suo preferi­ to per la collocazione in una splendida campagna7• Dovunque le trasmissioni di cucina esaltano il mito dei cuochi. Molto Mario è il titolo di una trasmissione televisiva che in America ha sancito l'in­ discussa popolarità di uno degli chef stellati di N ew York, Mario Batali, che vanta origini italiane e a queste ispira la sua cucina. La corporatura di Batali è quella robusta di chi sa indulgere ai peccati di gola. I lunghi capelli rossi raccolti in un codino, vestito come un manovale: short al ginocchio, gilet im­ bottito e zoccoli di plastica arancione ai piedi, nel 2005 è stato considerato lo chef migliore dalla James Beard Foundation , la prestigiosa accademia culina­ ria a stelle e strisce che gli ha consegnato l'ambito premio per la quarta vol­ ta consecutiva. Per i milioni di americani che lo seguono, lui è semplicemen­ te "Molto Mario " , dal titolo dello show che lo lanciò qualche stagione fa nel gotha dei cuochi catodici. Batali, nato a Seattle da genitori italiani , grazie alla popolarità di pro­ grammi come Mario Eats Italy, Ciao America e Iran Che/è diventato una ve­ ra e proprio celebrità. Filosofeggiando sull'olio extravergine d'oliva e discet­ tando sulla differenza tra bruschetta e panzanella, Mario è riuscito a compie-

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re un miracolo: riavvicinare l'America, dopo anni di regimi centrati sulla car­ ne, ai piaceri della dieta mediterranea. Al Babbo, il suo sofisticato ristorante a tre stelle, secondo il " New York Times " tra i migliori della Grande Mela, la lista d'attesa è sempre lunga. Si può optare in alternativa per uno dei suoi numerosi locali newyorkesi: come Lupa, trendy trattoria di cucina romana, oppure Casa Mono per fare il pie­ no di tapas, o il Bistro Du Vent per paté e cucina di gusto francese. All'indirizzo www. mariobatali. com si possono comprare i suoi bestsel­ ler culinari e ancora attrezzi da cucina, sughi pronti, preparati per pizza e diversi tipi di salsicce con il suo marchio. Batali nel suo sito scrive: «Un grande chef è un grande cuoco che sa organizzare un'impresa» . E in effetti Batali è ormai un marchio che comprende diversi ristoranti a New York, Los Angeles, Las Vegas. Nel sito si dà notizia anche delle opere filantropiche, poiché «l'obiettivo di diffondere gioia, far sì che le persone siano felici e che i loro bisogni siano soddisfatti non può essere raggiunto solo all'interno di un ristorante». La maggiore celebrità della cucina europea mette in evidenza una stra­ tegia del tutto differente. Il celebre Ferran Adrià, il famoso capo chef del ri­ storante elBulli a Cala Montjoi (Roses ), nella Costa Brava, è una sorta di al­ ter ego del modello di ristorazione interpretato da M ario Batali. Ferran Adrià Acosta, nato a Barcellona nel 1962, inizia la sua carriera culinaria nel 1980 lavorando come lavapiatti all'Hotel Playafels nella cittadina di Castel­ ldefels. Nel 1984, all'età di 22 anni, si unisce allo staff dell'allora sconosciu­ to elBulli e diciotto mesi dopo ne diventa lo chef. Adrià è spesso associato alla gastronomia molecolare assieme allo chef inglese Heston Blumenthal , in quanto lavora con l'obiettivo di creare un inaspettato contrasto di sapo­ ri, temperature e colori. Niente deve essere quel che sembra. L'idea è di pro­ vocare , sorprendere e deliziare. Questo , combinato con una buona dose di ironia e senso dell'umorismo , rende le sue portate emozionanti. Del resto , come il grande chef afferma nelle numerose interviste, nessuno va elBulli per mangiare, ma per provare un 'esperienza. Una miscela di curiosità sen­ za frontiere , di piatti che provocano sensazioni contrastanti. Il ristorante è aperto solamente da aprile a settembre e Adrià impiega i restanti mesi met­ tendo a punto piatti nel suo laboratorio El Taller a Barcellona, facendo con­ ferenze, corsi e collaborazioni con imprese. Oggi è considerato uno dei mi­ gliori chef in assoluto ed è stato incluso nella lista, compilata da " Time " , dei cento uomini più influenti al mondo. Ferran Adrià si considera un erede della nouvelle cuisine francese che è riuscito a trasformare in un fenomeno mediatico di cui, al tempo stesso, infrange e rinnova le regole. Per il futuro , Adrià immagina una cucina eu­ ropea, in un certo senso globale, che si differenzierà soprattutto da quella asiatica. «Non dobbiamo sottostare alle leggi del mercato o alle richieste dei nostri clienti. Il mio sogno» , rivela in diverse interviste apparse sulla stam -

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p a , «è d i ritirarmi dal ristorante t r a due o tre anni e dedicarmi alla ricerca e ai viaggi». La cucina di Adrià viene descritta come qualcosa a metà tra una fortez­ za militare e un atelier. Trenta cuochi e un'organizzazione imprenditoriale, un brulicare di apprendisti di tutto il mondo: italiani, giapponesi , brasiliani. L'autorevole " Business Week " segnala Ferran Adrià tra i 50 leader del cam­ biamento in Europa. Adrià si definisce creativo, punta alla destrutturazione dei cibi e sull'innovazione , che si esprime nella creazione di una trentina di nuove ricette all'anno. Molti grandi cuochi pongono al centro della loro ar­ te la qualità dei prodotti usati , la loro genuinità. Adrià gioca con gli ingre­ dienti per ottenere sapori nuovi, difficilmente immaginabili leggendo la ri­ cetta. La sua provocazione del gusto non conosce limiti, ed è costantemen­ te alimentata da sei mesi di viaggi ogni anno per il mondo alla ricerca di nuo­ ve suggestioni. Nel suo laboratorio high tech mette a punto le portate che saranno pro ­ poste a elBulli (Marchisio, 2007). Piccole composizioni di forme e colori, sa­ pori lontani e improbabili, mescolati con esperimenti di decostruzione, in cui Adrià scompone una pietanza tradizionale nei suoi ingredienti di b ase, li lavora separatamente e poi li assembla di nuovo, giocando sull'incontro di consistenze e temperature diverse. Nel menu: caviale di melone , croccante di alghe, cocktail di prosciutto e melone, bastoncini di verdura in gelatina, ravioli liquidi. Sanchez Romero, nel proprio ristorante, L'Esguard di Sant Andrei Llava­ nares, vicino a Barcellona, propone tredici assaggi su altrettanti piatti di diver­ sa forma e colore, opere di composizione estetica, citazioni pittoriche, perfet­ te interpretazioni di Mondrian. L' autorevole chef italiano, Gualtiero M archesi, apre un ristorante in piazza Scala, a Milano, sedie rosso Scala, boiserie laccata grigia, ispirato al­ la filosofia di cucina totale , aperto dall'ora di colazione fino al dopo teatro la notte. Marchesi si definisce il cuoco della "nuova cucina classica " , con piatti della memoria e il gusto dei contrasti, come i Preludi di Chopin, come lui stesso , appassionato di musica, dichiara. Miti molto moderni quelli descritti, che hanno coniugato la sperimenta­ zione culinaria con una straordinaria capacità imprenditoriale e con un'ec­ cellente abilità mediatica. Sono solo pochi esempi, peraltro diversi, che indicano come il cuoco ab­ bia assunto i contorni di una figura mitica, artista, imprenditore, divo. Sulla base di questi modelli si diffonde il fascino della cucina. La capacità di cuci­ nare è ostentata con orgoglio, in totale libertà da ogni vincolo di cura: i corsi di cucina sono frequentati da uomini e da giovani donne non già per consoli­ dare virtù domestiche, ma come espressione di sé, per il piacere di creare qual­ cosa da sé, per acquisire la capacità quasi magica di trasformare semplici in­ gredienti in un piatto capace di sorprendere e di dare piacere.

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3·7 La cucina italiana in America: l' autentico alla prova del fast, simple, easy

«La gente deve pensare che nel retro ci siano delle nonne ai fornelli», così raccomanda il cuoco/imprenditore Mario B atali al giornalista/cuoco Bill Buford ( 2007), desideroso di apprendere i segreti della grande cucina. Il mes­ saggio richiama immediatamente l'immagine di genuinità e di tradizione su cui si fonda il successo di " Molto Mario " . In effetti la cucina italiana vive a New York un periodo di crescente gloria. L'ltalian Culinary Institute sulla Fifth Avenue, grazie al boom di tutto ciò che riguarda l'Italia negli ultimi due anni, ha raddoppiato le vendite della rivista " La Cucina italiana " . Se ne pub­ blica una versione in inglese semplificata che offre ricette ultrarapide. In co­ pertina ogni mese campeggiano tre aggettivi: fast, simple, easy. La cucina ita­ liana è soprattutto uno status symbol, ma non può contrastare i ritmi e gli sti­ li di una città che non ha tempo. I corsi di cucina per single organizzati dal­ l'Italian Culinary lnstitute sono corsi di successo sempre esauriti: novanta dollari per una sola lezione pratica. New York è la città del mondo con più ristoranti: oltre seimila e costitui­ scono la più grande industria della metropoli. Anche il ricambio è vorticoso, ogni anno ne aprono a centinaia e altrettanti chiudono. Perché così tanti? Fra le varie cause denaro, curiosità, penuria di tempo, rifiuto del cucinare e ab­ bondanza di single impegnati in una perenne azione di conquista, come scri­ ve Suttora ( 2oo6) nel suo divertente reportage sui tic newyorkesi. Buona par­ te del lavoro delle segretarie è dedicato alla prenotazione dei pranzi e delle cene per i loro capi sulla Zagat, la guida più prestigiosa. Dopo un quarto d'o­ ra la prenotazione scade; questo perché si tratta di un business miliardario con ritmi da catena di montaggio che fa guadagnare il triplo rispetto al resto del mondo. Grazie al cosmopolitismo di Manhattan e ai differenti orari del­ le varie culture, ogni tavolo si riempie tre volte: alle 18 per gli anglosassoni, alle 20 per tutti e alle 22 per i latini. Così un ristorante medio , con una quin­ dicina di tavoli, fattura sei milioni di dollari l'anno. I cuochi diventano qua­ si dei maitre-à-penser che sfornano libri di bon ton , conducono reality, gesti­ scono interi canali televisivi dedicati alla gastronomia. Tutte le trasmissioni mattutine e pomeridiane hanno i loro spazi di cucina. Ma proliferano anche programmi totalmente dedicati alle ricette. L'Italia n style nel cibo manifesta una straordinaria forza attrattiva. Si diffonde la moda di aperitivi a base di vino italiano accompagnato da prodot­ ti made in Italy, come il culatello, la bottarga, il pane di Altamura, il formaggio di fossa, l'olio extravergine d'oliva. Una tendenza che diffonde la cultura del buon bere e del cibo di alta qualità anche nel mondo della notte e dell' aperiti­ vo, da sempre territorio assoluto dei superalcolici e di cibo dozzinale. Le piz­ zerie e le trattorie italiane sono divenute locali di moda. In America questa ten-

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denza unisce l e migliori etichette d i vini, prodotti esclusivi e introvabili, chef stellati e le atmosfere glamour dei locali più trendy. Da una visita del proprietario e ideatore Howard Schultz a Milano nei primi anni Novanta e dalla sua infatuazione per lo stile italiano dei caffè, ha avuto origine la famosa catena Starbucks che conta ormai circa 12. 500 punti vendita in 31 paesi ed è sinonimo di caffè in tutto il mondo. L'interesse per il mercato americano è ben presente nelle imprese italia­ ne. Il giro d 'affari di un ristorante italiano a Manhattan è di circa 5 milioni di dollari, ossia oltre 3,7 milioni di euro, vale praticamente come dieci locali di fascia media in Italia, dove sono meno di 100 i ristoranti che fatturano più di un milione di euro. Il potenziale delle specialità italiane nel mercato statuni­ tense è enorme. Le catene Italian style hanno 1 . 200 punti di ristoro: in esse i visitatori s'illudono di provare i sapori della cucina italiana pagando in me­ dia 1 5 dollari a testa, anche se in queste catene poco o niente è autentico, da­ gli chef alle materie prime utilizzate. Si calcola che esistano circa 465.000 lo­ cali di ristorazione nel territorio statunitense: di questi, 1 5 . 000 si definiscono italiani. Ma solo 5.000 possono essere considerati tali secondo standard che comprendano i menu e i prodotti. In questa logica Academia Barilla, l'istituto promosso per diffondere la cultura dell'autenticità del made in Italy, ha creato un network di circa 50 di­ stributori specializzati locali, in media uno per ogni Stato, in grado di offrire una gamma di prodotti autentici, quasi tutti DOP, in gran parte del territorio nazionale. Poiché meno del 10% dei ristoranti conoscono il marchio DOP la pri­ ma esigenza è quella di fare formazione sensibilizzando chef e gestori alle qua­ lità e al valore dei prodotti autentici. Dei 6.ooo corsisti formati da Academia Barilla ogni anno, circa 2.ooo vengono dagli Stati Uniti8• 3· 8 Il rentring: il cuoco a domicilio

La convivialità cerca strade di conciliazione con le condizioni della vita attua­ le. In primo luogo ciò vale per coloro che entrano sul mercato con modelli di successo e debbono conciliare il desiderio di una vita socialmente densa con la preoccupazione di essere in forma per le performance del giorno seguente. Co­ sì s'impone il rentring, la nuova moda delle uscite non uscite: tutti a casa da qualcuno a bere, giocare, guardare un film dalle 19 alle 23 , per non interferire con il lavoro facendo tardi. Si delinea così un'area a metà tra il consumo dome­ stico tradizionale e quello extradomestico della ristorazione. Si tratta di un'a­ rea che configura nuove tipologie di cibi (per lo più di finger /ood) e che incen­ tiva i consumi alimentari di lusso. Le vendite dello champagne sono aumenta­ te dai 287 milioni di bottiglie del 2001 ai 321 milioni del 2006. Si stima che nel 2007 siano stati venduti 330 milioni di bottiglie, anche perché crescono le espor-

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tazioni in Russia ( +39 % ) , Cina (+5oo/o ) , India ( +125°/o ). L'offerta rischia di non essere adeguata alla domanda. Secondo gli esperti non possono essere prodot­ ti più di 350 milioni di bottiglie all'anno. I menu a domicilio si articolano su esigenze sempre più variegate , a par­ tire da quelle dietetiche. Un catering dietetico a domicilio con un modello in franchising si è rapidamente imposto sull'intero territorio nazionale. Il servi­ zio offre una vera dieta dimagrante con ricette raffinate preparate secondo indicazioni di nutrizionisti (www. diet-to-go.it). Piacere e controllo tentano una ricomposizione nel consumo buono, bello e ipocalorico. Prendono piede le forme del catering domestico: a casa propria, tutti a tavola e nessuno in cucina. Il prezzo del cuoco a domicilio varia a seconda del numero degli invitati e del menu: le cifre sono mediamente abbordabili; venti è il numero massimo di invitati per i quali di solito il cuoco prepara una cena a tavola, cinquanta il numero medio per una cena a buffet. Si tratta di artigiani che si mettono ai fornelli e preparano tutto al momen­ to, scelgono i piatti insieme al padrone di casa, proponendo menu tradiziona­ li ed esotici. A Genova un gruppo di suore, denominato Sister Catering, ha or­ ganizzato un consorzio per aiutare le loro missioni in Mrica e in India. A Ve­ nezia, durante la Mostra del Cinema o la settimana di Carnevale, una ex diri­ gente marketing di un'azienda di distillati propone un menu raffinato e cene a tema personalizzate, secondo l'arredo e l'atmosfera della casa. La cucina a do­ micilio ha intercettato bisogni diversi, dall'intrattenimento alla dieta, alle intol­ leranze alimentari al glutine e al lattosio (www. sanofood.it). Il risparmio di tem­ po, la buona qualità, la possibilità di restare in un ambiente rilassato convergo­ no tra le ragioni che danno impulso a questa modalità di ristorazione9• Mentre lo stare in casa si associa per molti a un contenimento delle spe­ se di fronte alla crescita dei costi della ristorazione, il lusso investe anche la dimensione del consumo conviviale domestico. Lo dimostrano alcuni esem­ pi di prodotti di lusso, champagne pregiati, scatole di caviale beluga a prez­ zi stratosferici, attrezzi da cucina da ostentare come oggetti d'arredo. La mac­ china da caffè Diva, icona dello stile Bugatti, 24 carati in edizione limitata, è disponibile solo su richiesta al costo di 3.ooo euro. Il primo esemplare è sta­ to venduto alla Millionaire Fair di Mosca (www. casabugatti.it). Il bauletto Goyard da viaggio per chef che contiene tutti gli strumenti per preparare in trasferta i propri piatti d'elezione ha un prezzo da concordare e comporta un anno e mezzo d'attesa (www. goyard.com ) . 3·9 Le vie del lusso: il cibo si fonde con la moda

Anche nel cibo il lusso tende ad associarsi al concetto di " su misura " , all'o­ stentazione e alla propensione coreografica. Il cibo è un veicolo della messa

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in scena del lusso esclusivo. I costi elevati sono una prova dell 'esclusività: daiquiri destrutturati, Negroni in spum a, oli, spezie. I nuovi drink di ten­ denza sembrano opere d'arte e sono confezionati con cura maniacale come capi di haute couture. In Inghilterra non a caso li chiamano taylor-made cock­ tails. Aperitivi serviti in coppe di design o in bicchieri tempestati di zaffiri. Colin Peter Field, bar manager di fama mondiale dell'Hotel Ritz di Parigi, va oltre e propone un approccio psicologico al cocktail che prepara a secon­ da dei gusti e dell'umore del cliente, dosando alcol ed essenze. Al bar del­ l'Hotel Plaza Athénée , a Parigi , il barman Thierry Hernandez ha inventato l'analcolico flower power, realizzato con acqua addizionata ad ossigeno pu­ ro e sciroppo all'essenza di fiori. Drink impreziositi con polvere d'oro e d'ar­ gento, liquori centenari , essenze rare e champagne pregiati possono costare fino a quattro o cinquecento euro. Come il Magie Noir del Night Club Um ­ baba di Londra, servito in una coppa di cristallo di Boemia in cui è incasto­ nato uno spiedino d'oro. Le tendenze vengono presentate al Barfestival di Rimini, il massimo evento italiano sulle mode del bere, organizzato da " Bar­ giornale " ( www. le-bernardin. com ) . Pentolini e alambicchi al posto dei tra­ dizionali shaker, cannelli da pasticceria per preparare caipirinha brulé, sifo­ ni per realizzare spume, raggi laser per nuove fragranze. Strumenti sempre più simili a quelli degli chef stellati. I nuovi guru utilizzano azoto liquido per la preparazione di frozen cocktails e sifoni per gli aperitivi in spum a. Anche il gelato può essere salato. Gelato al latte di seppia, granita di mare , mante­ cato di ricotta sono le ultime creazioni dello chef Luca Landi e del gelatiere Mauro Petrini10• Il prezzo diventa un indicatore dell'esclusività e del privilegio. Il croqu e monsieu r creato da Eric Ripert a L e Bernardin d i New York, u n super­ sandwich di pan brioche grigliato , farcito di caviale e salmone affumicato , gruyère, costa 350 dollari. Una porzione di angulas delle Asturie, gli avannot­ ti di anguilla la cui pesca è proibita in Italia , passata sulla griglia del risto­ rante Extebarri , vicino a Bilbao, costa 100 euro. Il cocktail su misura di Al Muntala, il bar all'ultimo piano del Burj al-Arab di Dubai City, prevede an­ che l'impiego di lamine d'oro e un costo che parte dai 1 . 500 euro. Lusso è anche avere il proprio tavolo preferito sempre riservato nei maggiori risto­ ranti del mondo: ad esempio al Club 21 di New York o alla Pergola del Ca­ valieri Hilton di Roma. Il lusso investe anche il fast food, che in qualche ca­ so assume declinazioni da cucina d'autore. È il caso di Fast Good, catena di bistrot dello chef catalano Ferran Adrià ( www. fast-good . com ) . Lusso e de­ sign s'incrociano nella nuova take away bag che il ristorante del Bulgari Ho­ tel di Milano offre ai clienti in partenza: si può scegliere fra tre raffinati me­ nu in borsa termica. Il crescente numero di single e la generale tendenza a risparmiare tempo alimentano il mercato delle gastronomie. Dean & De Luca a Soho, considera­ ta la migliore gastronomia di New York, propone un'incredibile varietà di piat-

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ti pronti, di dolci, biscotti glassati decorati a forma di borsette, torte di com­ pleanno, occhiali da sole, sandali. Il cibo gioca con se stesso, fino ad essere un oggetto evocativo ed assumere un significato augurale. La gastronomia osten­ ta la vecchia destinazione di officina: soffitto con travi di ferro, pali di sostegno in ferro laccati di bianco, pareti di mattoni rossi, travi a vista e arredi vintage. Scaffali in stile oldfashion ospitano una quantità di bottiglie di acqua pregiata, anch'essa con design che ricorda gli anni Cinquanta. Il moderno si veste d'an­ tico per assumere un tono rassicurante. 3 .10

Low cost d' autore Se questi esempi indicano la componente estetica e ostentativa che può esse­ re associata all 'esperienza del mangiar fuori, il carattere elitario che li carat­ terizza lascia spazio per altre soluzioni che estendano a una platea più ampia il contatto con la nuova ristorazione. L'esigenza di trovare soluzioni adegua­ te alla società di massa porta alla ribalta il fenomeno delle " catene eccellen­ ti " . Con lo pseudonimo di Arthur Deeves , un giovane di 36 anni, manager di una catena di società di servizi, propone - con un libro diventato rapidamen­ te famoso, Bistronomiques - il modello di ristorazione a prezzi contenuti che rilancia la tradizione dei bistrot. Per ora una tendenza solo parigina. Giova­ ni chef che dopo un apprendistato in locali stellati decidono di mettersi in proprio sfruttando la conoscenza delle tecniche , delle materie prime e dei fornitori. La riduzione dei prezzi allarga la platea. Come in altri settori del mercato anche nella ristorazione comincia ad emergere un'offerta low cast. N o n si tratta semplicemente di ristorazione a buon mercato , all'opposto della ricerca del contenimento dei costi per au­ mentare la clientela e per consentire così di sostenere la redditività delle ini­ ziative in una fase in cui le disponibilità economiche si riducono per molti. Prezzi bassi ma senza rinunciare alla qualità degli oggetti e dell ' ambiente. Ripresa della vecchia trattoria, un restiling che passa attraverso il tema del­ la socialità. Bicchieri che consentono di bere guardandosi in faccia, chef che parla con i clienti. Così Davide Oldani, nel suo D'O, propone un menu a n euro, lo stesso prezzo praticato nella trattoria che rileva alle porte di Mila­ no. Un successo di pubblico e di critica che segna una strada ancora poco battuta in Italia . Il rispetto della stagionalità perde qualsiasi connotato nostalgico e diven­ ta una condizione di contenimento dei prezzi: dall' utilizzo di materie povere vengono ottenuti piatti ricchi. Il rapporto con i produttori è un ulteriore fat­ tore di contenimento dei prezzi. In qualche caso ciò awiene attraverso una produzione completamente autoctona. Si tratta di una strategia che consen­ te l'accesso a un numero più elevato di clienti e che si amplierà per le cre­ scenti contrazioni delle disponibilità di consumo. Sul piano sociale è interes-

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sante il fatto che oggi, ogni qual volta un consumo assume il valore di un'e­ sigenza imprescindibile, ciò induce una diversificazione dell'offerta. Il con­ tenimento dei costi awiene sul versante del servizio, che è , peraltro, la mag­ giore fonte di costi. Una serie di giornali stranieri cavalca la tendenza e propone alcune sco­ perte di ristoranti e trattorie diffusi nella penisola a prezzi modici. Dall' ame­ ricano " New York Times " all'inglese " Guardian " , al tedesco " Faz " e persi­ no all'australiano "The Australian " si segnalano locali in varie città italiane in cui è possibile mangiare bene spendendo pocon. L'immagine del " cibo Italia" acquista smalto ulteriore. Il Gambero Rosso dal 2007 pubblica una guida al law cast dedicata a un pubblico giovane ma anche a coloro che «costruiscono un percorso in­ dividuale nello spendere i propri soldi». I locali vengono distinti secondo fasce di prezzo, per un costo massimo di 30 euro. D alle trattorie al locale di tendenza, dal mangiare di strada alle tapas. Si ripropone anche nel cibo la filosofia che ha caratterizzato il law cast nei settori in cui si è affermato: i voli e l ' arredo. Non tanto un'offerta di consumi a bassa qualità per le fa­ sce a basso reddito, quanto la risposta a una domanda di ampliamento del­ l' accesso a nuovi consumi per una personale interpretazione delle priorità di spesa. Note 1 . Senza percorsi decisi a priori, i partecipanti si trovano a pedalare insieme per le vie della città con un solo obiettivo: riappropriarsi delle strade dominate normalmente dalle auto. 2. La mente del mob è un intellettuale che rilascia dichiarazioni su riviste culto co­ me "Wired " . In Italia il Mobilitatore si fa chiamare JJFlash. Ha una trentina d'anni, è appassionato di musica e informatica, è info rmato di tutto ciò che succede sulla scena mondiale, è iscritto a tutte le mailing list e segue on line ogni evento di questo genere. Il suo sito ha ottenuto la " certificazione" da parte del sito ufficiale americano, al quale si è ispirato. 3. Il " reincanto " si riferisce al concetto weberiano di razionalizzazione come forma di disincanto introdotta dalla tecnica e dalla divisione del lavoro nella società contempo­ ranea e all'esigenza di nuove dimensioni emozionali che fungano da contrappunto alla ra­ zionalità. 4· La parola tapa deriva dal verbo tapar, ossia coprire; questo perché anticamente nel­ le locande andaluse veniva servito il boccale di vino tapado, ovvero coperto con un piat­ tino su cui era collocata una fetta di prosciutto, salame o formaggio, per evitare che vi po­ tessero cadere dentro insetti. 5· Pincho significa " spiedo " , identificando così tutto ciò che viene pinchado, cioè in­ filzato. 6. «Se dopo avere ordinato una cosa buonissima un cliente torna per mangiarla di nuovo e tu non gliela servi identica, sei una gran testa di cazzo», così Batali ammonisce il giornalista-apprendista (Buford, 2007, p. 24) . 7 · Cfr. "Financial Times " , May 3 2008. 8. Cfr. " Food " , luglio 2007, pp. 33-5.

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9 · Dream Dinner, ad esempio, prepara con l'aiuto di assistenti specializzati, pranzi complessi da conservare refrigerati, pronti per ogni evenienza in 31 Stati americani. 10. Cfr. M. Cassani, Martin i n. 5, in "Specchio+ " , supplemento mensile a "La Stam­ pa ", 200 7. n . Cfr. R. Rizzo in "Corriere della Sera " , 17 ottobre 2007.

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L'imperativo della buona vita: il potere magico del cibo Il cibo è pensato non dagli specialisti ma dall'intero pub­ blico, anche se questo pensiero si esercita attraverso una serie di rappresentazioni fortemente mitiche. Barthes (1998, p. 35)

4· 1 Tra il cielo e la terra

« È dunque di questi quattro (elementi) che lo spirito si nutre: di vino e del suo odore, e di canto, e di luce» (Ficino, 1991, p. 399 ): così Marsilio Ficino nel 1489 anticipava il polisensualismo del gusto e la visione olistica che impronta il nostro tempo riflessivo: un'idea del corpo in cui la sensualità nutre la coscienza di sé. L'idea che l'alimentazione sia importante per il benessere fisico e psichi­ co ha origini lontane. Radicata nel pensiero greco , sostenuta da Ippocrate e dalla scuola araba1 , attraversa tutto il Medioevo. Intorno all'anno Mille la scuola salernitana propone i principi della medicina greca, in parte rielabora­ ti dagli arabi: chimica, alchimia, conoscenze astronomiche e astrologiche si mescolano per produrre indicazioni di una buona vita 2 • N el XIII secolo il Regimen sanitatis salernitanum diviene il libro di igiene più popolare ed è tradotto in diverse lingue volgari. Il regolamento dietetico occupa un ruolo centrale: «di che genere, che cosa e quando, quanto e ogni quanto e dove si servano i cibi, il medico deve insegnarlo e mostrarlo» (Schip­ perges, 1988, p. 226). Il capitolo alimentare si chiude con un appello alla mo­ derazione nel mangiare e nel bere. Una massima contenuta in quest'opera di­ dascalica - «Balnea, vina, venus corrumptunt corpora nostra. Sed vita faciunt balnea, vina, venus»3 - esprime tutta l'ambivalenza che attraversa nei secoli il rapporto con il cibo e, più in generale, con il piacere. Ciò che è oggetto del desiderio è anche temuto come fonte di perdizione. I consigli sull'alimentazione sono veicolati dai medici, ma prima ancora dai religiosi, come dimostra santa Ildegarda, una monaca vissuta a Bingen, in Germania, che considera l'alimentazione un elemento importante per avere purezza di emozioni. I suoi consigli ruotano attorno all'esigenza di nutrirsi di energia vitale attraverso alimenti provenienti direttamente dal suolo e non trattati: Ildegarda tesse continue lodi del vino che «sta nella terra come il san­ gue nell'uomo» e che nell'organismo assolve funzioni simili al sangue, come «ruota che gira velocemente» (ivi, p. 113 ). Anche sant'Agostino esalta le virtù

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del vino, che rinvigorisce lo stomaco debole, ristora dalla spossatezza e guari­ sce le ferite del corpo e dell' anima, scaccia afflizione e tristezza, allontana la stanchezza dell'anima, procura gioia e accende la voglia di conversare fra ami­ ci. L'armonia è il concetto chiave, insieme a quello della sacralità del cibo. Del resto lo stesso termine "medicina " , etimologicamente, evoca il giusto mezzo, l'arte del vivere bene. Il cibo è considerato una fonte di energia, un dono che viene dal cielo di cui, perciò, non abusare, ma deve essere consumato nel giusto modo in comu­ nione con gli altri. Il male nel cibo è soprattutto legato all'eccesso; solo riti le­ gittimati consentono rare occasioni di trasgressione4• Il nostro corpo funge da tramite universale e incorpora tutto il mondo; altro non è che uno stomaco gi­ gantesco che serve a mantenerci in comunione con il mondo. L'uomo è costan­ temente impegnato a recuperare la salute che è salute del corpo e dell'anima. Nella cultura medievale l'uomo ha in comune con il mondo animale la sensua­ lità e con gli angeli la ragione (Schipperges, 1988 ) . I Tacuina sanitatis, con un'impostazione pragmatica, riassumono l e pro­ prietà degli alimenti in tavole sinottiche5; l'edizione a stampa del 1531 (per i ti­ pi dello stampatore Giovanni Scotto di Strasburgo) contribuisce alla diffusio­ ne degli orientamenti verso un pubblico più vasto. Nel mondo medievale il sa­ per guarire e il saper vivere sono una sola cosa. La medicina e le regole del vi­ vere sano diventano un unico elemento all'interno di una filosofia di vita or­ ganica. Un corpo sano deve essere quotidianamente accudito e nutrito, in mo­ do che si conservi integro e venga preservato dal rischio di contaminazioni. Gli aspetti essenziali dell'arte del vivere razionale comprendono il giusto im­ piego di cibi e bevande, il giusto equilibrio tra corpo e quiete, la difesa del cor­ po dall'eccesso o dalla carenza di sonno, il controllo delle passioni e delle emo­ zioni, il rapporto tra ozio e fatica e le norme di igiene. L'equilibrio è, proprio per questo, considerato la meta cui tendere , la condizione di una vita sana, della salute dello spirito e del corpo. Sant'Al­ berto Magno dedica all ' alimentazione un intero trattato da titolo De nutri­ mento et nutribili. In esso si consiglia di badare più alla qualità che alla quan­ tità, di smettere di mangiare quando ancora ci si prova gusto, di conoscere alla perfezione il processo alimentare in tutti i suoi effetti. Secondo la vec ­ chia tradizione galenica qualsiasi alimento p u ò essere utilizzato come rime­ dio . In condizioni di salute normali cibi e bevande ci forniscono energie, in caso di malattie essi sono gli indicatori dei nostri disturbi. Persino le malat­ tie mentali sono considerate avvelenamenti dell'organismo piuttosto che malattie dello spirito. Già presso l'antichità il mangiare e il bere avevano un ruolo decisivo per­ ché contribuivano, oltre che all'equilibrio biologico, allo sviluppo della so­ cialità. L'arte culinaria, che nel Medioevo del mondo arabo è oggetto di un genere letterario a sé stante , è considerata una branca rispettabile della me­ dicina teoretica. Il significato dei costumi alimentari deve, quindi, essere in-

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terpretato in una chiave religiosa. Il cibo è una cosa sacra. «Mangia per un terzo, bevi per un terzo e lascia libero l'ultimo» recita un proverbio arabo: l'alimentazione non può saturare ogni bisogno, ma deve lasciare uno spazio "vuoto " per lo spirito. Per la verità, nei lunghi anni della penuria e della povertà, il vuoto deve essere stato ampiamente sperimentato. Le abitudini alimentari del Medioe­ vo latino fanno i conti con la penuria, con le carestie, con le restrizioni impo­ ste dalle condizioni della vita materiale, ben prima che con le prescrizioni re­ ligiose. Il nutrimento di base era costituito da zuppe , pappe e polente , men­ tre la carne era riservata a un'élite. I contadini si accontentavano di alimenti vegetali e latticini. Il pane diventò un alimento del popolo solo nel basso Me­ dioevo, mentre il vino fu sempre presente. Le possibilità di trasporto erano limitate e, a prescindere da sale e spezie, non si conoscevano conservanti. I pasti incominciavano con la prima colazione (dejunium) seguita verso le 9 da una seconda colazione (prandium) , un pasto a mezzogiorno (merenda ) , e ver­ so le 18 da una cena; a sera inoltrata ci si concedeva un ultimo bicchiere o una tisana. La preparazione dei cibi era molto semplice. I contadini preparavano il pane con farina di segale e avena, mentre il pane di frumento era appan­ naggio dei ceti più elevati. Pressoché tutte le regole attinenti al comportamento sociale ruotavano in­ torno al mangiare e al bere. A partire dal XII secolo le regole sulle buone ma­ niere da tenere a tavola diventano più copiose, ma non sono molto rigide. Ci si serve da una ciotola comune prendendo la carne con le mani, si beve il vino dallo stesso boccale, si prende la minestra dalla stessa pentola. È soprattutto il bere e mangiare in modo smodato ad essere esecrato. L'esigenza di consumare cibi equilibrati, né troppo caldi né troppo freddi, né troppo secchi né troppo umidi, valorizza l'arte della cucina «intesa come ar­ te della manipolazione e della combinazione, dato che in natura non esistono alimenti perfettamente equilibrati» (Montanari, 2006, p. 65). Da qui deriva l'i­ dea, tipica della cultura medievale e rinascimentale, che «la cucina sia fonda­ mentalmente un artificio, un'arte combinatoria che tende non già - come a noi parrebbe owio - a valorizzare la natura dei prodotti, bensì a rettificarla, a cor­ reggerla» (ibid. ) È comprensibile che il cibo fosse oggetto di paure e di preoccupazioni. Es­ so poteva essere causa di gravi malattie, awelenamenti, le piante allucinogene erano usate in chiave magica, la natura era un mondo pieno di incognite. Il ci­ bo non era gioia, ma caso mai condizione di una vita equilibrata, all'insegna della parsimonia. Il cibo, però , era tutt'altro che disprezzato, aveva, anzi, una centralità come via di congiunzione tra la materia e lo spirito, termine che pro­ pone una sorta di mediazione tra corpo e anima. A lungo il rapporto con il cibo resta vincolato a due elementi: da un lato l'orizzonte della carestia, dall'altro la mortificazione del desiderio. Colui i cui occhi sono rivolti al cielo non si preoccupa del nutrimento terrestre. Per Ago-

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stino gli alimenti non hanno alcun sapore, anzi è meglio diffidare delle trappo­ le del sapore6• Quando la Chiesa inventa i sette peccati capitali, dopo il 1270, classifica la gola al quinto posto: il goloso è una figura dell'intemperanza, e que­ st'ultima è uno strappo all'ordine voluto da Dio. Dante colloca i golosi nel ter­ zo cerchio dell'Inferno: come in vita i golosi sono andati alla ricerca delle pre­ libatezza culinarie, così all'Inferno sono costretti a stare sdraiati nel fango, sot­ to una pioggia greve e maleodorante. Ma anche il protestantesimo nella versio­ ne puritana condannerà feste e banchetti, considerando il fatto di nutrirsi una semplice necessità fisiologica7• François Villon, stravagante figura di poeta girovago8, intorno alla metà del Quattrocento propone, invece, con ironica consapevolezza, la centralità del ci­ bo nell'ordinare strategie di vita, pensieri e azioni9• Marsilio Ficino, nel De vita, insiste sull'importanza del cibo e della musi­ ca, elencando 233 cibi e bevande in grado di rifornirei di energie vitali10• Fici­ no, dopo avere compiuto la sua missione come interprete di Platone, da medi­ co delle anime si propone come medico dei corpi, riprende la professione del padre, il famoso medico Ficino, e lascia Platone per Galeno. Resta però forte l'interesse per lo spirito: la medicina è considerata scienza e pratica di conser­ vazione degli equilibri, implica un sapere dell'anima (psicologia) , una scienza delle stelle (astrologia) e una serie di pratiche volte a catturare o a respingere l'influsso di queste ultime. La regola generale del mangiare e del bere, della qualità dei cibi si basa sul­ l'assumere con parsimonia erbe e frutti troppo umidi, con parsimonia ancor maggiore latte e pe­ sci, accompagnando entrambi gli alimenti con miele, con parsimonia massima i funghi, e solo assieme a sostanze aromatiche e semi di pera, [ . . . ] gli alimenti piuttosto umidi e grassi vanno conditi con sostanze aromatiche aspre, altrimenti introducono nel corpo umore estraneo e putrido [ ] anche le carni mangiate quotidianamente, pur se pareg­ giano il peso del pane, inducono rapida putrefazione [ . . . ] sii molto cauto verso cibi troppo freddi o troppo caldi, ricerca piuttosto gli alimenti che uniscano calore e umi­ dità (Ficino, 1991 , p. 113). . . .

Equilibrio e parsimonia sono le indicazioni etiche e pratiche; insieme a que­ ste la correzione delle caratteristiche degli alimenti. Resta assolutamente estranea l'idea del piacere. Il cibo come piacere esplode con il Rinascimento. E con le conquiste di benessere, quando il fantasma della carestia si allonta­ na, l'uomo si riappacifica con la natura, finiscono le grandi epidemie e anche i prodotti della terra diventano più abbondanti, rifiorisce la gioia di vivere. Rabelais, alla metà del Cinquecento, descriverà il cibo come esplosione del­ la sensualità, come l'esasperazione della gioia di vivere (Bachtin, 1979 ) . Trion­ fa l'abbondanza, il gusto della sorpresa, dell'ostentazione: nel Seicento e nel Settecento la cucina acquista un valore estetico. Bartolomeo Scappi, nel XVI secolo, codificherà in un monumentale lavoro le nuove conoscenze di mate-

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rie prime e di tecniche coniugandole con i principi organizzativi necessari a gestire moderne pratiche di ristorazione. Si afferma il carattere analitico del­ la cucina che distingue i sapori, dolce, salato , piccante, riservando a ciascu­ no di essi uno spazio autonomo , sia nelle singole vivande, sia nell'ordine del pasto, superando un modello di cucina basato sulla mescolanza dei sapori in nome dell' equilibrion . Sarà Brillat-Savarin, molto più tardi, ad esaltare il gusto indicando tra l'al­ tro, l'intreccio tra la dimensione del piacere e quella della conoscenza. «Il gu­ sto è quello tra i nostri sensi che ci procura il maggior numero di godimenti: il piacere di mangiare è il solo che è d'ogni tempo, d'ogni età e d'ogni condizio­ ne, torna di necessità almeno una volta al giorno, può mescolarsi a tutti gli al­ tri piaceri e anche consolarci della loro mancanza» (Brillat-Savarin, 1985 ) . 4·2. Cibo per il corpo e cibo per l'anima: alimentazione e tecniche del sé

L'idea che l'adozione di un regime alimentare giusto abbia effetti benefici e garantisca la longevità è diffusa in molti contesti culturali ed è enfatizzata dal­ le medicine orientali, ad esempio la medicina ayurvedica che fa dell'alimenta­ zione una strategia di guarigione: il cibo è in grado di apportare benessere , equilibrio, armonia, contribuendo all'equilibrio complessivo del corpo e del­ la mente. Secondo la medicina ayurvedica il cibo condiziona la natura di chi lo assorbe; ma in molte altre culture l'uomo è assimilato alle qualità attribui­ te agli alimenti12• Nelle società opulente il rapporto con il cibo resta il veicolo fondamenta­ le del modo con cui occupiamo il nostro corpo. La relazione cibo-corpo si col­ loca all'interno della trasformazione del corpo da elemento naturale a oggetto culturale. Le pratiche del sé rappresentano le risposte individuali agli impera­ tivi esterni e si inserivano nel corpo segnandolo e modellandolo in modi cultu­ ralmente specifici correlati al sistema delle interazioni e al contesto socialet3• Soprattutto, l'equilibrio non deriva più dall'adesione all'ordine naturale, ma corrisponde a un compito e quindi deve essere perseguito e meritato. Il corpo è così soggetto a una modellatura cosciente. Foucault (1988 ) ha descritto le regole e le tecnologie del sé, i modi in cui gli individui interioriz­ zano emozioni, pensieri e regole di comportamento e li applicano alla vita quotidiana. Attraverso le regole del sé i discorsi sociali entrano a far parte del progetto individuale di costruzione della soggettività. Il nutrimento del corpo con cibi considerati appropriati fa parte delle pratiche fondamentali con cui ognuno di noi si prende cura di sé. Ciò è decisivo in un tempo in cui l'aspetto fisico è centrale nello spazio sociale come nella percezione indivi­ duale. Il richiamo diffuso alle preoccupazioni per la salute si sviluppa in pa­ rallelo all'affermarsi della presenza del corpo sulla scena sociale . Anche in

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virtù d i questa straordinaria centralità del corpo i l cibo è d i nuovo , oggi , la strada privilegiata verso la salute. Il concetto di salute si allarga di significati, acquista una portata semantica ben più ampia, ingloba l'idea di benessere psicofisico generale: stare bene è nel contempo vivere meglio, essere in forma, migliorare l'immagine. Mentre l'idea­ le di bellezza coincide sempre di più con lo stare bene nella propria pelle, si realizza un collegamento fondamentale tra benessere interiore e bellezza este­ riore. La via della salute ingloba oggi due elementi nuovi: la psiche e l'immagi­ ne. La diffusione di massa (ancorché banalizzata) di elementi di psicologia cli­ nica, ha prodotto una sorta di consapevolezza diffusa della soggettività. Corpo e spirito non sono più contrapposti, ma vengono riproposti in un binomio in­ dissolubile. Si afferma una sorta di «concezione mondana della salvezza che produce la proliferazione di librerie specializzate, atelier condotti da esperti, seminari sui chakra, corsi di medicina spirituale che accompagnano il commer­ cio di prodotti macrobiotici» (Lipovetsky, 2007, p. XV) . Una sorta di mercato alimentare per l'anima, in cui insieme al cibo si vende spiritualità: il materiali­ smo della prima società dei consumi è superato, si espande il "mercato dello spirito " e prolifera la "farmaceutica della felicità " : l'obiettivo è la ricerca del­ l' equilibrio e della stima di sé. Ciò awiene mentre cresce la proiezione verso il piacere: si allontana l'ottica della rinuncia (si rifiutano le diete restrittive) , si af­ ferma la continua ricerca della formula magica in grado di coniugare piacere, bellezza e benessere. La riduzione della quantità imposta dalle diete contribui­ sce a porre l'enfasi sulla qualità. Se il cibo deve essere leggero e, soprattutto, deve essere poco, che sia almeno squisito, per consentire di sopportare le pri­ vazioni dei pasti abbondanti e senza limiti. Con una serie di risposte, l'industria alimentare si propone di interpretare questo ruolo del cibo come veicolo di salute. Contemporaneamente all' emer­ gere di una sorta di mito delle origini, che cerca nella tradizione la genuinità perduta, si afferma un uso sofisticato della scienza e delle tecnologie per pro­ porre alimenti che siano veri e propri strumenti di risanamento. I cibi biologi­ ci si inseriscono in questo orizzonte culturale in cui forme di razionalità si me­ scolano con rappresentazioni magiche e i saperi scientifici convivono con la produzione di nuovi miti. Che il cibo possa rappresentare un'esplicita strategia per costruire la pro­ pria identità lo dimostrano alcuni regimi alimentari in cui si intrecciano moti­ vazioni salutistiche, ambientali e politico-morali. Basti citare i vegetariani o i vegani. Vegetariani sono coloro che aboliscono dalla dieta quotidiana carne e pesce e assumono le proteine dall'uso di prodotti derivati da animali vivi, co­ me uova, latte, formaggi; i vegani evitano tutti gli alimenti di origine animale, miele compreso, e assumono le proteine dai legumi integrandole con prodotti che garantiscono la vitamina Br. Il termine crudista indica, invece, chi adotta la dieta vegetariana limitando la cottura degli alimenti ad una temperatura che preservi vitamine ed elementi aromatici; chi sceglie il macrobiotica, sulla base

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di una visione olistica del mondo, si ciba solo di prodotti naturali, biologici: ce­ reali, verdure, legumi, riducendo al minimo gli alimenti di origine animale e ri­ fuggendo quelli raffinati. Le scelte citate, quando sono perseguite in modo esclusivo, si presentano come una filosofia di vita anche se spesso coprono di­ sturbi alimentari rappresentandone una cornice di " contenimento" e di "riso­ luzione " . Le varie categorizzazioni del cibo, la distinzione tra cibi sani e malsa­ ni, consentiti e non, si coniugano con principi etici14• Si rifiuta la violenza con­ tro gli animali così come la pratica delle coltivazioni intensive realizzate con l'u­ so massiccio di mezzi chimici in nome di un equilibrio ecologico che non deve essere compromesso. Al fondo del vegetarianesimo vi è, in senso lato, un im­ perativo categorico, una sorta di obiezione di coscienza alimentare che gratifi­ ca chi la pratica in quanto consolida la convinzione di contribuire con la pro­ pria scelta al rispetto dell'ecosistema. Con sei milioni di consumatori, il mercato vegetariano offre una serie di prodotti che sono divenuti di moda: la soia, leguminosa ricca di fitoestrogeni e antiossidanti prodotta in Brasile e in USA, da cui si ricavano olio, farina, lattici­ ni, vegetali e lecitina, ha virtù anticolesterolo; le alghe, dette insalate di mare, sono una miniera di iodio, ferro, calcio e acidi grassi e si trovano fresche in pe­ scheria o disidratate nei negozi biologici; il tofu, inventato in Cina tremila an­ ni fa, è un formaggio vegetale ottenuto cagliando latte di soia, ricco di protei­ ne e privo di colesterolo; il miso, il condimento base della cucina giapponese, si usa con fagioli di soia, riso, orzo; il seitan, una sorta di carne alternativa, na­ to nei monasteri buddhisti, è un preparato a base di glutine (la proteina del fru­ mento). La diffusione di questi prodotti indica come sia forte il bisogno di nuovi riferimenti e di regole alimentari in un mondo che sembra avere perso orienta­ menti certi. 4·3 La responsabilità della s alute: il cibo come elisir di lunga vita

Il cibo diviene una via per la salute e ciò produce una sorta di medicalizza­ zione dello stesso. Il neologismo " alicamenti " dimostra la contiguità tra ali­ mento e medicamento. L'espressione healthy style, che il marketing fa pro­ pria per definire la tendenza a valorizzare comportamenti improntati alla sa­ lute , esprime la tendenza diffusa a scandire la quotidianità con pratiche e consumi orientati al mantenersi in forma. L'ideale di una perenne giovinezza ha enfatizzato il ruolo del cibo come strumento di difesa dai danni dell'invec­ chiamento. L'insieme strutturato di regole che corrispondono a una corretta alimen­ tazione crea un ordine rassicurante e, nel contempo, assunto liberamente. Tut­ to ciò ha implicazioni speculari: cedere alle tentazioni di cibi diversi da quel-

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li previsti dalla propria disciplina dietetica produce sensi d i colpa, mentre il primo esito dell'esercizio della dieta è un sentimento di autostima e di autoaf­ fermazione. A mano a mano che si afferma il principio della sovranità perso­ nale sul corpo, gli effetti delle sostanze introdotte assumono un'importanza senza precedenti: alimenti e farmaci acquistano il potere di rigenerare gli sta­ ti compromessi, preservare la giovinezza, proteggere dalle malattie, generare condizioni di benessere. Il corpo è pensato ed è un prodotto della nostra men­ te, è il risultato delle nostre azioni, non più solo un dato fisico. In questo con­ testo si colloca l'uso del cibo come espressione di una disciplina interiorizza­ ta e di un controllo individualizzato del corpo e degli stili di vita. Tutto ciò sembra contraddire il fatto che è aumentata la percentuale di per­ sone che soffrono di patologie correlate con l'alimentazione. Oltre all'obesità sono in crescita le intolleranze per alcuni alimenti. L'introduzione di sostanze particolari negli alimenti, quali conservanti, antiossidanti, rinforzanti del sapo­ re allo scopo di migliorarne il gusto e l'aspetto è alla base della crescita di al­ lergie, che a loro volta richiedono cibi " dedicati ". Anche per questa ragione cresce il mercato dei cibi funzionali e dei cibi del benessere. Si stima per il 2009 in Europa una movimentazione di 9 miliardi di euro per i prodotti che posso­ no variamente essere ricondotti a questo gruppo: attualmente in Italia sono ac­ quistati dal 17% dei consumatori, con un valore che si aggira sui 700 milioni di euro (AC Nielsen, 2oo8b). L'attenzione alla salute segna in modo decisivo le strategie d'innovazione dell'industria alimentare. Più di 400 prodotti negli ultimi quattro anni sono stati riformulati con l'intento di ridurre grassi saturi, colesterolo e salei5• Si so­ no affermati sul mercato prodotti a ridotto contenuto di zuccheri e grassi, ar­ ricchiti di fibre, vitamine e minerali. Gli alimenti maggiormente coinvolti in questo processo sono i derivati dal latte, poi surgelati, acqua e bevande, snack salati e formaggi. Grazie a sistemi di allevamento e a mangimi più bilanciati si cerca di indurre una trasformazione salutista dei prodotti alimentari. Alcuni esempi: si dimezza il contenuto di grasso nei suini, il prosciutto cotto passa da 400 a 200 calorie ogni 100 grammi, il salame da 450 a 330 calorie, le uova con­ tengono un terzo in meno di colesterolo (CENSIS, 2007) . Molte ragioni spiegano questo interesse per l'impatto del cibo sulla salute: da un lato, un ampliamento della concezione di salute che non si limita all'as­ senza di malattia, ma si allarga a comprendere stati di benessere complessivo; dall'altro, l'idea che l'alimentazione rappresenti una componente essenziale del benessere. Le tecnologie alimentari sono state un fattore decisivo nell'aprire campi di intervento, per modificare i prodotti inserendo sostanze o riducendo­ ne altre e per costruire una serie sempre più diversificata di prodotti al limite tra l'alimentazione e la medicina. La riduzione dei confini tra cibo e farmaco ha accompagnato e favorito una tendenza all'autocura, un ritiro della delega che riflette una diffidenza generale verso lo spazio sociale. L'impersonalità del mondo della tecnica, la confusione cacofonica delle informazioni provenienti

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dai media convergono ad accentuare il compito di ognuno con l'idea che solo il singolo individuo sia in grado di conoscere i propri bisogni, interpretarli e prendersene cura. E il cibo appare il primo e più semplice strumento di con­ trollo sul proprio corpo. Si afferma una scienza, la nutrigenomica, che studia le componenti bioat­ tive del cibo. Si propongono persino alimenti che si dichiara agiscano sui geni, permettendo di prevenire l'insorgere di determinate malattie. Si sviluppa la ri­ cerca di cibi rivolti ad esigenze specifiche come l'obesità, il diabete, la celia­ chia, le intolleranze alimentari; anche l'invecchiamento della popolazione sol­ lecita una gamma di alimenti sempre più diversificata. In questa estrema tecni­ cizzazione è evidente il rischio di uno snaturamento del cibo come esperienza olistica e non solo funzionale, un cibo in qualche modo sganciato dal corpo proprio mentre si propone di migliorarlo. Agire riflessivo, condotte responsabili e nuovi miti di benessere danno luo­ go a una crescente medicalizzazione del corpo. I consumi, lontani dall'espri­ mere unicamente una dimensione Iudica, si caricano di compiti crescenti che richiedono competenze ed apprendimenti. Soprattutto per il cibo vale quanto afferma Lipovestky (2007, p. 32): «L'epoca felice e spensierata delle merci ge­ neriche è finita, arriva il tempo degli iper-prodotti medicalizzati, riflessivi e pre­ ventivi, investiti di preoccupazioni e di dubbi, che sempre più esigono un agi­ re responsabile da parte dei protagonisti». 4·4 I cibi funzionali: tecnologie alimentari per la salute

Il fenomeno dei nutraceutici, o cibi funzionali, è nato in USA attorno al 1990. Il termine si riferisce ad ogni sostanza alimentare che offra, in aggiunta alle sue naturali proprietà, benefici medici e salutisti, incluso il trattamento di malattie (Tirelli, 2006, p. 412 ) . L'utilizzo di questi cibi ha come obiettivo di migliorare le condizioni fisiche, curare, ridurre e prevenire stati patologici più o meno gravi: una sorta di scorciatoia per restare in forma di fronte alla difficoltà di perseguire uno stile di vita adeguato . Sono prodotti addiziona­ ti o arricchiti con vitamine, sali minerali , proteine , enzimi, antiossidanti , aci­ di grassi, fibre vegetali e che promettono benefici maggiori rispetto al cibo normale. L' area del /unctional /ood si estende ai /unctional drinks e agli energy drinks, alle bevande consumate nel tempo libero e nelle attività spor­ tive con funzioni rivolte a migliorare lucidità e vigore. I cibi funzionali con­ sentirebbero di introdurre sostanze benefiche in quantità inferiori a quelle che l'utilizzo di alimenti naturali richiederebbe: ad esempio , una mela arric­ chita con flavonoidi derivanti dall'estratto di vite rossa offrirebbe una quan­ tità di sostanza benefica pari a quella contenuta in cinque bicchieri di vino rosso (Pollan, 2003 ).

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Per la verità, "Scientific American Body" , una delle riviste d i divulgazione scientifica più autorevoli in America, sottolinea come per molti prodotti non è chiaro se siano superiori i vantaggi o i rischi (Melotti, 2008 ) , ciò tuttavia, non ha impedito che si sia affermato rapidamente un mercato ampio di prodotti modificati. L'ibridazione del linguaggio (prodotti nutraceutici o alicamenti) se­ gnala come il confine tra cibo e prodotto farmaceutico si vada assottigliando. La tecnologia si spinge fino alle frontiere della nutrigenomica e tossicoge­ nomica, neonati filoni di studio che cercano di identificare le componenti bioattive degli alimenti e i meccanismi attraverso i quali queste possono in­ fluenzare lo sviluppo fisico, cerebrale e cognitivo dei soggetti nelle varie fasi della vita umana e addirittura il D�A. Sono in corso numerosi studi per indivi­ duare le interazioni esistenti tra genetica e dieta, per indicare le quantità di ma­ ero- e micronutrienti migliori per contrastare le principali malattie dell'abbon­ danza. Addirittura la dieta rappresenterebbe la potenziale strada terapeutica da intraprendere nel caso in cui un esame genetico mettesse in luce il rischio di una malattia. Le tecnologie alimentari iniziano ad agire anche sulle percezioni: ad esempio, il succo d'arancia con tonalità più scure fa sembrare alta la con­ centrazione zuccherina. L'idea del cibo come veicolo di salute è sostenuta da un'enorme produzio­ ne editoriale con taglio divulgativo. Molte campagne pubblicitarie hanno sfrut­ tato la nuova tendenza valorizzando attributi presenti da tempo nei prodotti. In altri, le nuove tecnologie hanno consentito modifiche rilevanti: alimenti ar­ ricchiti da vitamine, minerali, proteine, erbe, sostanze fitochimiche, cibi depo­ tenziati di grassi sale, caffeina, zucchero. Talvolta un ingrediente è enfatizzato fino ad assumere un valore centrale, sfruttando nomi di piante e sostanze ve­ getali che evocano di per sé effetti miracolosi (aloe, ginseng, gingko biloba, ipe­ rico) . Il gruppo dei techno/ood si arricchisce ogni giorno grazie a un flusso inar­ restabile di innovazioni più o meno supportate da ricerche e da istituti scienti­ fici che ne sostengono il lancio sul mercato. Si tratta di prodotti addizionati con determinate sostanze, ma anche gli ali­ menti ai quali vengono tolti componenti che possono risultare dannosi per la salute e causa di allergie e intolleranze alimentari: un esempio è il glutine, che può creare intolleranze alimentari gravi come la celiachia, oppure i prodotti privi di lattosio. La veridicità delle promesse degli alimenti salutistici è incerta. Per innalza­ re lo standard della corretta informazione e della veridicità delle promesse co­ municate, un regolamento europeo vieta di attribuire ai prodotti alimentari ca­ ratteristiche nutrizionali e salutistiche non scientificamente provatei6; inoltre, le qualità attribuite agli alimenti debbono essere preventivamente approvate dal­ l'EFSA, l'Agenzia europea per la sicurezza alimentare e dall'apposita Commissio­ ne europea17• La promessa di miglioramento delle condizioni psicofisiche per­ mette di accrescere il prezzo applicato: chi consuma è disposto a pagare un prez­ zo maggiore per ottenere il beneficio promesso. Il mercato dell' healthy & well-

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ness è florido, anche se non sono chiare le premesse scientifiche su cui si regge l'offerta. Le caratteristiche dei prodotti non sono comunicate con chiarezza; in­ tanto le imprese cercano relazioni con istituti di ricerca e università per acqui­ sire autorevolezza nel proporre prodotti e risultati. Lo sviluppo dei /unctional /oods rappresenta il punto d'intersezione tra competenze differenti e comple­ mentari: tecnologia alimentare, medicina, biochimica, scienze della nutrizione. Tutto ciò genera nuove alleanze nell'ambito dell'industria alimentare. Le più grandi marche si muovono verso il mercato della salute e un nu­ mero sempre maggiore amplia la propria offerta o la diversifica in questa di­ rezione, proponendo gamme complete di prodotti volti a perseguire benesse­ re ed equilibrio. Ed è questa la scommessa che stanno inseguendo molte azien­ de del settore alimentare. I prodotti salutistici permettono di migliorare l'im­ magine del punto vendita, così le grandi aziende della distribuzione sono an­ ch' esse in corsa verso l' healthy food, sviluppando gamme di prodotti a marca commerciale nelle aree più classiche del cibo funzionale, in particolare in quella dei probiotici. I prodotti a maggior contenuto di innovazione sono quelli che crescono a tassi più rapidi (Bommezzadri, 2007, p. 155). Una tendenza in atto tra le mar­ che industriali che operano all'interno del comparto è quella di sviluppare il ruolo di referente per la salute e di alleato costante nella prevenzione e di sog­ getto promotore di un'alimentazione sana. Alla ricerca di un rapporto fiducia­ rio con i consumatori, vengono sviluppate campagne che associano all'imma­ gine della marca e del prodotto quella di istituti di ricerca e medicina nel ruo­ lo di garanti. La promozione del prodotto può avvenire attraverso l'offerta di gadget legati alla salute (misura pressione, kit per misurare il colesterolo) o la partecipazione a concorsi. Un nuovo prodotto dietetico fornisce in omaggio un "impedenziometro " ( ! ) , descritto come strumento che misura la percentuale di massa grassa e di idratazione nell'organismo consentendone di controllare ogni giorno i "progressi ". Il sistema prevede anche un test per verificare la predi­ sposizione genetica al rischio di sovrappeso. 4·5 L'invenzione della natura: i probiotici

Il successo dello yogurt è emblematico di come si possa costruire nell'immagi­ nario collettivo un'immagine forte che estrapola da informazioni giornalistiche una speranza mitizzata. Come è noto, il successo dello yogurt ha origine dagli studi batteriologici di uno scienziato russo che collegavano gli effetti benefici di un'alimentazione a base di yogurt alla longevità dei popoli che da sempre ne facevano uso. La dietetica non era mai riuscita ad attivare un'idea così forte come quella dell'azione purificatrice attribuita ai fermenti lattici e all'acido che essi sprigionano. L'azione del

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Lactobacillus Bulgaricus, presente nel latte cagliato, s e ingerito sistematicamente, come facevano da tempo le popolazioni caucasiche, avrebbe contribuito a purificare l'intesti­ no preservandolo dalle potenziali infezioni che diminuivano la longevità umana (Tirel­ li, 2006, p. 406).

Questa idea si è fissata nella mente del grande pubblico a tal punto da restarvi impressa in modo indelebile. Lo yogurt è entrato a far parte dei riti purificato­ ri che accompagnano l'esistenza quotidiana. Gli yogurt si sono poi evoluti ulteriormente e ora appartengono al regno dei probiotici18• Uno dei capostipiti di questi ultimi fu il giapponese Yacult, ba­ sato su una scoperta scientifica tenuta largamente in incubazione (il Lactoba­ cillus casei Shirota) e applicata nel 19 55 solo in Giappone a causa delle barriere linguistico-culturali. Fu solo nel 1994 che le bottigliette di questo latte sieroso trovarono accoglienza tra il pubblico francese. Da lì a poco il prodotto ebbe successo anche in Italia. Attualmente abbiamo assistito al lancio di una secon­ da generazione di probiotici. Quello degli yogurt arricchiti è uno dei mercati emblematici del boom salutistico. Pensiamo a quanti prodotti promettono di ridurre il colesterolo contenuto nel sangue, con costi che sono mediamente doppi rispetto agli yogurt normali. Il segmento " da bere " ha registrato il mag­ giore successo, grazie alle referenze che promettono di aiutare a combattere il colesterolo e di influire su particolari condizioni fisiche (pressione arteriosa, stato osseo, sviluppo infantile) e ha aperto un nuovo filone nel segmento dei minidrink. L'importanza data alla gratificazione orale ha spinto alla ricerca di prodotti creati per combinare benefici all'organismo con il piacere19• L'ossessione della salubrità si esprime in modo emblematico nella crescita dei prodotti biologici. Il biologico è un mercato che ha raggiunto ormai i 2,5 miliardi di fatturato. In crescita soprattutto gli alimenti per l'infanzia (+43 o/o ) e riso e pasta ( +17% ). Solo il 2,3% degli italiani acquista unicamente prodotti biologici, ma più della metà ne acquista alcuni. I motivi d'interesse sottolinea­ ti da coloro che li consumano sono per lo più i seguenti: il biologico esclude l'uso di sostanze chimiche di sintesi; prevede solo l'utilizzo di concimi organi­ ci o minerali e tecniche di lavorazione dolci; richiede controlli di organismi spe­ cializzati; non determina impatti negativi sull'ambiente a livello di inquinamen­ to di acque, terreni e aria. Le immagini di salubrità si fondano soprattutto sul­ la bassa manipolazione dei cibi. La qualità superiore "giustifica " agli occhi di chi consuma prodotti biologici un prezzo più alto. Ma la conoscenza della cer­ tificazione della qualità si rivela per lo più scarsa e prevale un atteggiamento di fiducia aprioristica. Tra le motivazioni al consumo spiccano sia uno stile di vi­ ta sano sia un approccio eticamente corretto con il mondo e l'ambiente0• Nel caso dei prodotti biologici, la bontà delle coltivazioni o dei procedimen­ ti viene equiparata all'effetto benefico degli alimenti sulla salute. L'ossessione per la salute, associata all'obiettivo di combattere l'invecchiamento, assume forti connotati di tipo etico. Basta scorrere i titoli delle rubriche mediche sui settima-

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nali per cogliere l'importanza attribuita, ad esempio, alla battaglia contro il cole­ sterolo, considerato il primo artefice di danni all'organismo e per verificare il coinvolgimento individuale che attorno a tale battaglia viene sollecitato. Dal punto di vista sociale, tutto ciò esprime un diffuso e forte desiderio di rinascita, la speranza di un presente continuamente ricominciato, di uno stato di giovinezza protratta e resuscitata all'infinito di cui il cibo diviene il principale artefice. La ricerca di prodotti per l'eterna giovinezza si sposa con il mito del ritorno alle origini. Questo mito di un mondo originario incanta­ minato si traduce in un orientamento verso il locale, in grado di salvaguarda­ re i saperi e le tradizioni, di contrastare i rischi di omologazione connessi al ci­ bo industriale. Il movimento dello Slow Food interpreta queste tensioni ver­ so ciò che è noto e riconoscibile come fonte di bontà e rassicurazione. L'irre­ versibilità dei processi innovativi fa sì che anche la tradizione debba essere reinventata, magari per vie tecnologiche. Ciò che conta è che sia evocata l'im­ magine dell'autenticità originaria, della ripresa degli antichi saperi, dei pro­ dotti naturali. Così l'era del cibo tecnologico cerca una compensazione nel­ l'aumento dei prodotti che evocano la tradizione. Il sentimento di sradica­ mento per lo più vissuto nell'era globale induce la ricerca di appartenenza a una com une tradizione culinaria. 4· 6 Gli integratori: corpo energico e bellezza in pillole

Alcuni decenni orsono, negli anni delle odissee nello spazio, l'immaginario collettivo rappresentava il futuro dell'alimentazione in pillole e capsule, as­ soluta antitesi alla gratificazione e al coinvolgimento sensoriale. Le fantasie sul futuro equiparavano il cibo a quello utilizzato dagli astronauti: poche pil­ lole contenenti tutto ciò che poteva servire al fabbisogno alimentare. La tec­ nologia ha proceduto in ben altra direzione, valorizzando la qualità sensoria­ le del cibo ed esaltandola chimicamente tanto che talvolta i prodotti artificia­ li hanno colori e sapori più vivi di quelli naturali. Tuttavia, l'idea del cibo sin­ tetico si è tradotta nell'idea alla base degli integratori alimentari, che hanno l'obiettivo di concentrare sostanze in grado di produrre effetti più intensi ri­ spetto ai normali alimenti e di supplire alle carenze della normale alimenta­ zione. Il consumo degli integratori si diffonde rapidamente. I consumatori sono connotati da stili di vita " moderni " , sono informati, hanno titoli di stu­ dio e reddito superiori alla media; fiduciosi nel progresso scientifico ricerca­ no i benefici di vitamine, capsule , gocce, compresse, barrette e preparati a base di estratti vegetali, principi attivi naturali, vitamine, sali minerali, antios­ sidanti, aminoacidi. Il comparto degli integratori è profondamente segmentato e le marche lea­ der puntano a formulazioni innovative, diversificando le risposte per obiettivi

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O' attività sportiva, l e diete, il benessere, il relax) con depurativi, tonici, rigene­ ranti, dimagranti, coadiuvanti del riposo, complessi multivitaminici. Non si tratta di una moda passeggera, ma di un fenomeno in forte ascesa, correlato al desiderio di controllo sul proprio corpo. La preoccupazione dietetica spinge verso un numero crescente di cosiddetti prodotti "salva linea " ; il desiderio di naturalità muove verso rimedi naturali, vissuti come un'alternativa ai farmaci considerati dannosi. In Italia lo spazio degli integratori è ancora marginale nella distribuzione. Al contrario, negli Stati Uniti, supermercati come Whole Food Market, così at­ tenti ai prodotti freschi e di qualità superiore, dedicano uno spazio ingente a lunghi scaffali che propongono in barattoli giganteschi, integra tori per ogni esi­ genza e per ogni fascia di età. I negozi specializzati nella vendita di vitamine e prodotti dietetici sono una realtà diffusa. lntegratori e vitamine hanno rivitalizzato il mercato delle caramelle. Si sti­ ma che negli Stati Uniti il mercato delle caramelle valga 4 miliardi di dollari. Chewingum e caramelle veicolano sostanze dentifricie, vitamine, proteine, guaranà. Quando le loro proprietà si sposano con una formulazione naturale il loro prezzo aumenta anche del 1 50% . Il problema più rilevante è ridurre l'impatto dei colori chimici dal momento che i colori naturali sono poco at­ traenti. Anche in Italia i tentativi di caramelle "funzionali" cominciano ad ave­ re spazio nei bar, nelle stazioni di servizio, nei luoghi pubblici, con esposizio­ ni che assomigliano ai banchi delle farmacie e che puntano ad esaltare la na­ turalità del prodotto. La vitaminizzazione delle caramelle ha consentito un rilancio del settore. La gomma da masticare, pratica in passato stigmatizzata come dannosa e poco educata, diventa un coadiuvante dell'igiene orale. I nomi sono di per sé espres­ sivi: Mentadent con lo zincocitrato, Chloralit con herbasol. L'idea di prodotti farmaceutici si rafforza con le confezioni blister che danno a gomme e caramel­ le un'aria medicamentosa. La linea Dietorelle associa, invece, il piacere della caramella al basso impatto calorico. Il mondo dell'erboristeria è un enorme la­ boratorio in cui si sperimentano gli accostamenti più audaci, anche se talvolta semplicemente allusivi: un esempio per tutti la marca Cannabis della Swiss­ mints specifica di sfruttare l'innocua canapa alpina (Tirelli, 2006, p. 416). La mania delle vitamine si è affermata in America negli anni Sessanta: già allora la metà degli americani assumeva regolarmente vitamine come supple­ menti all'alimentazione. Una vera mania generata dall'isteria collettiva che col­ se gli statunitensi dopo che alcuni esperti di nutrizione affermarono che le lo­ ro diete erano pericolosamente deficienti di molti elementi nutritivi essenziali (Kiple, 2007) . L a presunta (non motivata) carenza vitaminica è alla base del successo del business, senza che vi sia in realtà alcuna idea su quali effetti abbiano le vita­ mine sull'organismo. Per lo più queste vengono considerate una sorta di super­ carburante a cui attingere per un bisogno speciale, una specie di antidoto con-

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tro i moderni veleni, una difesa contro nemici occulti che si nascondono nel­ l' aria, nell'acqua e negli alimenti. Le vitamine entrano nei prodotti più vari: chewingum, caramelle, dolci e persino saponi. La comunicazione mediatica ha un ruolo decisivo, come dimostra il fatto che alcune vitamine suscitano perio­ dicamente maggiore attrazione di altre, diventano improvvisamente di moda in quanto si associano a particolari stili di vita (lo sport, la vita all'aria aperta), o a problemi come lo stress e il lavoro eccessivo. Un discorso analogo riguarda la diffusione in forte crescita delle bevande energetiche che sono però ora sotto accusa per gli effetti distorcenti sugli stati d'umore, come eccessiva euforia, sottovalutazione del pericolo e della fatica, conseguenze psicologiche oltre che fisiche. La nuova frontiera è rappresentata dall'associazione tra cibo e bellezza. In ragione della generale paura dell'invecchiamento, gli individui sono positiva­ mente orientati verso prodotti che oltre ad avere effetti interni producono be­ nefici esterni. Un esempio è la dermonutrizione: questa si basa sull'assunto che i benefici delle sostanze siano visibili sulla pelle come nel caso dei ridensifican­ ti cutanei. Si tratta di prodotti che attraverso l'utilizzo di coenzimi e antiossi­ danti, puntano alla nutrizione della pelle dall'interno per renderla più bella e sana. È evidente il forte intreccio tra dimensione emozionale e quella simboli­ ca, associate all'apparente scientificità dell'informazione sul prodotto. In genere per questi prodotti si genera l'illusione che la decisione di acqui­ sto segua un processo improntato alla razionalità e all'informazione. Si tratta, però, di una razionalità apparente. Se il consumatore fosse razionale esigereb­ be la spiegazione del processo chimico con cui l'azione energizzante o terapeu­ tica si manifesta. In realtà, le competenze diffuse non consentono un approc­ cio critico: il tono tecnico-scientifico con cui i prodotti vengono pubblicizzati ne aumenta la credibilità, facendo scambiare per informazione la promessa del­ l' esito. Questo gruppo di alimenti dimostra che il principio del piacere non vuo­ le essere contraddetto dal principio del sacrificio. E che la speranza deve esse­ re alimentata. 4·7 I saperi esperti: il moltiplicarsi dei discorsi sul cibo

I comportamenti nei campi dell'alimentazione e della salute sono influenzati da un mosaico complesso di esperti con diversi gradi di autorevolezza. Alle indica­ zioni delle istituzioni deputate alla salute si intrecciano quelle derivate dalle nar­ razioni quotidiane e dalle esperienze. Riviste, giornali specializzati e rubriche sui principali quotidiani hanno contribuito a moltiplicare i discorsi sul rapporto tra cibo e salute. La salute è al centro delle preoccupazioni quotidiane: «rispetto al vivere in salute siamo coinvolti in processi continui di apprendimento, aggior-

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namento, verifica» (Balbo, 2004, p. 348 ). L'esito è una complessa combinazione di influenza da parte dei modelli sociali e di esplosione del fai da te. Il tutto in un contesto di crescenti ansie per il nostro corpo e nella convinzione che ognu­ no assume su di sé il compito della soluzione dei problemi. A una prima fase in cui alcune testate specializzate si sono proposte come esplicito riferimento sui temi della salute è seguita una larga diffusione sui quo­ tidiani e sulle riviste, non solo femminili, di consigli per una buona vita che pongono al centro pratiche alimentari. Quale messaggio viene diffuso e a che pubblico è rivolto? Una ricerca sulle immagini della salute (Ingrosso, Alietti, 2004), compiuta attraverso l'analisi di alcune testate dedicate alla salute e al benessere a diffu­ sione nazionale, ha messo in evidenza la divulgazione dei discorsi relativi alla salute. Tra i diversi media, televisione e giornali, si è creata una sorta di rispec­ chiamento reciproco, anzi la crescita contemporanea di tutti gli strumenti di informazione evidenzia un trend di espansione della domanda che si manifesta in modo sostenuto da più di due decenni. La ricerca mette in luce come la co­ municazione sia particolarmente orientata nel proporre i rapporti di cura, la costruzione del benessere, il vissuto personale, gli orientamenti verso la qualità della vita. La strategia editoriale è quella di esaltare la forma fisica come ele­ mento prioritario sul quale fondare un ideale di donna autonoma nelle scelte, che si prende cura di sé e alla ricerca di un benessere psico-fisico globale. L'o­ biettivo della forma fisica assume diverse sfaccettature che comprendono l'e­ sercizio fisico, la cura del corpo, la medicina, la prevenzione, l'alimentazione. «La lettrice è invitata a ridisegnare, non solo in senso metaforico, il proprio sé attraverso il proprio corpo» (ivi, p. 183 ). Le riviste per uomini ricalcano la stessa strategia: il messaggio è un ideale di maschio che disponga di fisicità e di abilità pratico-cognitive necessarie per dominare le situazioni sociali e il rapporto con l'universo femminile. L'insieme di queste riviste rappresenta il paradigma di uno stile di vita per/ormativo ed estetizzante, che agisce però nel primo caso per sottrazione (linea, dimagrimen­ to), nel secondo per aggiunta (muscoli, curve, tonicità) . Le cure naturali e l'alimentazione hanno un ruolo centrale. Gli argomenti rilevanti sono l'educazione al consumo, l'auto cura e la dieta. Prevenzione e re­ sponsabilizzazione si associano a un insieme ampio di pratiche del benessere. La magrezza è il punto su cui ruotano diverse rubriche: le stesse pratiche di fit­ ness sono legate, più che alla forma in generale, al tema del dimagrimento. Il mercato del benessere si esprime nella pubblicità in larga parte indirizzata ai prodotti dietetici e alimentari. Ne derivano due conseguenze: l'esaltazione del­ la responsabilità individuale e la colpevolizzazione per il fallimento rispetto al compito di preservare il corpo magro e in buona salute. Si afferma, inoltre, una spinta alla medicalizzazione di ogni sfera della vita21• La corretta alimentazio­ ne si inscrive in questo contesto: è la ricerca del cibo giusto e la codificazione di norme in grado di orientare ogni scelta.

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Si mangia sempre di più per autocurarsi: un numero crescente di persone si propone di mangiare "cibi sani" demonizzando i grassi e controllando le calorie ingerite, oscillando di continuo tra tentazioni di trasgressione e restrizioni puniti­ ve. È stata interiorizzata a livello di massa l'idea che sia necessario adottare un re­ gime alimentare "sano" . Mangiare e bere in modo sano sono associati a immagi­ ni di freschezza, a una scarsa trasformazione industriale e al minor utilizzo possi­ bile di conservanti. Inoltre viene raccomandata una dieta varia e bilanciata, che privilegi prodotti come frutta e verdura, acqua minerale, pesce fresco, alimenti biologici e con fibre, rispetto a quelli di origine animale come burro e carne. I fast food di frutta e verdura registrano un vero e proprio boom. Si tratta di un singolare servizio "a catena di montaggio " che è già stato adottato da di­ versi locali. I clienti, in fila, scelgono verdure cotte o insalate, che poi vengono messe da un addetto in un grande contenitore di acciaio. Le verdure vengono sminuzzate e condite davanti al cliente con le salse preferite. Il tutto viene in­ serito in un contenitore di plastica trasparente che viene passato alla cassa. Basta scorrere alcune rubriche sui settimanali per cogliere segnali di ten­ denza. La prevenzione più efficace sembra preferire i frutti di bosco (Magni, 2007). Ricercatori statunitensi avrebbero dimostrato che i coloranti fenolici di questo gruppo di alimenti, gli antociani, migliorano la vista, proteggono il si­ stema vascolare, riducono il rischio di malattie cardiache e lo sviluppo di di­ versi tipi di cancro. In generale, i vegetali di colore viola (uva rossa, mirtilli, ca­ volo rosso, ravanelli) contengono flavonoidi, potassio ferro, vitamina C ed E, talvolta acido folico, elementi in grado di contrastare i danni del fumo all' ap­ parato vas colare. Inoltre, i frutti di bosco hanno un indice glicemico bassissi­ m o e sono adatti per i diabetici. I vegetali bianchi (cavolfiori, aglio, cipolla, se­ dano) sono ricchi di composti solforati, flavonoidi, selenio, potassio, combat­ tono l'invecchiamento cellulare, fluidificano il sangue, proteggono il tessuto osseo; i rossi (pomodori, anguria, peperoni, pompelmo rosa) hanno proprietà antitumorali, grazie al licopene; i gialli (zucca, carota, albicocche, peperoni, meloni) sono ricchi di betacarotene, che stimola il sistema immunitario, pro­ tegge la pelle ed è anch'esso un antitumorale; i verdi (erbette, insalate, spina­ ci) contengono clorofilla, sostanza che purifica il sangue, tonifica il cuore, ci­ catrizza e contrasta l'anemia. In un'altra rubrica viene proposta una dieta in grado di limitare i danni del fumo. La niacina, sostanza che funziona da vasodilatatore e rimuove i lipidi dal­ le pareti delle arterie, è presente in carne magra, pesce, arachidi e lievito di bir­ ra. Il miglior solvente della nicotina risulta l'acqua, che si dovrebbe assumere sotto forma di spremute, centrifugati, minestre, poi sarebbero utili i vegetali ricchi di antiossidanti, in particolare gli ortaggi dalle foglie verdi come i cavoli e le bietole. Prugne, mango, spinaci, cicoria, carote sono fondamentali fonti di betacarotene, potenti antiossidanti contro le degenerazioni cellulari prodotte dal catrame. Consumare fegato , pesci, formaggi aiuta a proteggere gli occhi; in­ vece per proteggere l'apparato respiratorio sono indispensabili agrumi, p apaia,

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ribes nero, peperoni rossi. Tonno, vongole, aglio, noci brasiliane, semi d i sesa­ mo, contenendo selenio, contrastano i danni del cadmio, minerale che resta nell'aria e provoca l'enfisema polmonare2• Verdura, frutta e pesce aiutano a prevenire la demenza e l'alzheimer: gli antiossidanti e gli acidi grassi contenuti nei pesci e in alcuni oli vegetali agi­ rebbero sulle cellule cerebrali con un effetto antinfiammatorio23• Una dieta an­ ticancro assume come riferimento paesi come Cina e Giappone, in cui si man­ gia meno carne, ma più soia ed erbe, ed esalta le proprietà antinfiammatorie del tè verde e di soia, di arance, mele, pomodoro , peperoncino. I funghi eso­ tici sono immunostimolanti e rivitalizzanti. Considerati elisir di lunga vita nel­ la cucina asiatica del passato, ora le riviste scientifiche ne descrivono le pro­ prietà immunostimolanti, antibatteriche, antitumorali. In Cina e Giappone i funghi terapeutici sono usati a completamento dei rimedi classici della cura del cancro. I funghi medicinali controllerebbero anche il colesterolo, la pres­ sione del sangue, la glicemia e proteggerebbero il fegato. Alcuni di questi fun­ ghi si trovano sotto forma di alimento nei negozi di prodotti naturali24• La die­ ta per rafforzare la massa muscolare è basata su proteine di alta qualità biolo­ gica contenute in carne, uova, pesce , soia, pollo, lenticchie e piselli. La caren­ za di magnesio e di potassio comporta stanchezza che si combatte con salmo­ ne, patate, zucca e banane5• Chi consuma una maggiore quantità di alimenti ricchi di flavonoidi fa re­ gistrare migliori performance cognitive: quattromila tipi diversi di questi nu­ trienti sono contenuti in frutta, verdura, cioccolato26• L'arancia sarebbe una po­ tente arma contro i tumori, la buccia conterebbe infatti oli essenziali che ne bloccherebbero la proliferazione27• Per tonificare i polmoni e proteggerli dagli inquinanti sono necessari cibi di sapore piccante come peperoncino, menta, origano e altre spezie. Poiché i polmoni temono la secchezza, servono alimen­ ti liquidi e tiepidi che idratano l'organismo come le carote, asparagi da cucina­ re al vapore e banane, fichi, fragole e pesce8• Sono alcuni esempi. Le argomentazioni sono variegate; ogni volta sono coinvolti esperti che segnalano l'enorme diversificazione delle piste di ricerca sugli effetti medici degli alimenti. Per capire quanto possono essere rilevanti tali prescrizioni, basti pensare che le notizie diffuse in Giappone circa l'effica­ cia di una dieta alla banana, hanno prodotto l'improvviso aumento del 25 % delle vendite di banane. Il rapporto tra cibo e colori offre un'altra traccia del sincretismo tra visione magica e visione razionale tipica della nostra epoca. Il cibo assimila attributi sul­ la base della proprietà sinestesiche. La carne rossa al sangue evoca forza, i legu­ mi verdi sono sinonimo di purezza. Il pensiero analogico diventa dominante nel processo che trasforma le qualità estetiche del cibo in qualità nutritive e poi in qualità morali. Vitamine, oligoelementi, antiossidanti diventano termini d'uso comune, anche se restano pressoché esoterici, slegati da qualsiasi elementare co­ noscenza di chimica organica.

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Il fascino narrativo che scaturisce dai precetti è di un tipo particolare, per­ ché fondato su sequenze di affermazioni con premesse logiche vere da cui non necessariamente consegue una conclusione logicamente valida. Si produce una miscela di razionalità e di irrazionalità che contribuisce a creare un patchwork che diffonde mode ed effimere certezze. 4· 8 Chattare con il cibo

Le tecnologie entrano prepotentemente a plasmare l'immaginario, ammantando di scientificità gli atti di consumo e contribuendo a placare le ansie per la salute. Uno scienziato inglese ha inventato un carrello "intelligente " capace di dare l'al­ larme quando al suo interno viene messo un alimento troppo ricco di calorie. Si tratta di uno scanner che legge i codici a barre, fa i conti e dà il responso sullo schermo. Il congegno sarà in grado di leggere una scheda con le esigenze di die­ ta del cliente indirizzandolo subito verso i prodotti giusti29• Internet rappresenta un potente mezzo destinato a popolare i luoghi della distribuzione. Accrescerà l'informazione e la capacità di scelta, ma servirà an­ che alle aziende per coinvolgere il consumatore nell'innovazione, raccogliendo indicazioni per produrre prodotti su misura, e rappresenterà un più moderno canale di marketing. Comincia a profilarsi l'era del cibo digitale (www. tuttofood.it). Attraver­ so un codice visuale collocato sulla confezione , chi acquista potrà ricevere informazioni sulle valenze nutrizionali dei prodotti, mettersi in relazione con esperti del settore , medici e nutrizionisti. Il prodotto alimentare si trasforma in un ipertesto interattivo. Il cibo acquista così un alto potenziale informati­ vo che consente la creazione di un vero e proprio dialogo. Il codice, una vol­ ta fotografato con la videocamera del proprio telefono cellulare, consente di aprire sul display di quest'ultimo una serie assai vasta di contenuti informa­ tivi: sulla storia del prodotto , sugli ingredienti e la loro provenienza, sui con­ sumi complementari, sugli abbinamenti consigliati, sulle modalità migliori per l'uso e la degustazione, sulle caratteristiche delle lavorazioni, sul fabbi­ sogno calorico giornaliero in base alla propria attività, sui servizi personaliz­ zati in relazione alle esigenze salutistiche particolari, sulla visualizzazione dei contenuti e dei valori nutrizionali e così via. Tutto ciò rende ogni prodotto un vero e proprio portale che consentirà di chattare letteralmente con il ci­ bo. Sono state ideate posate interattive, proposte da IC3 di Alex Schulz , che consentono di visualizzare sul display calorie e apporto dietetico ( www. one­ luxury.it/tag/alex-schulz ). L'utilizzo di tali tecnologie favorirà un contatto diretto tra consumatore e impresa e consentirà enormi sviluppi per iniziative promozionali o di marke­ ting. La Coca-Cola, ad esempio, ha dotato, limitatamente al mercato messica­ no, la bibita Sprite di un codice che, una volta catturato dal telefono cellulare ,

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permette ai consumatori di partecipare a un concorso a premi interattivo con vincita in tempo reale. Tramite l'utilizzo di Internet e del telefono cellulare l'azienda trasforma il consumatore in una sorta di collaboratore esterno che diventa un tester del prodotto. Si innesca una comunicazione bi-direzionale: l'azienda mette a di­ sposizione informazioni e know-how, mentre il consumatore offre la propria esperienza, dà indicazioni sull'uso del prodotto, suggerisce modifiche agli in­ gredienti, esprime i propri giudizi interagendo con quelli di altri consumatori, in una community o in un blog di prodotto. Attraverso tale pratica l'impresa intercetta esigenze e tendenze, mentre il consumatore ha la sensazione di par­ tecipazione alla costruzione del prodotto. La frontiera di tale tendenza può es­ sere il cibo on demand, cibo su misura: l'impresa può definire caratteristiche e qualità del cibo secondo specifiche esigenze. Nuove vie di affermazione di saperi e forme di strutturazione dei campi co­ gnitivi che propongono nuovi rischi di manipolazione. Note

1. La scuola araba riprende molte delle nozioni del sapere greco elaborando in modo prag­ matico un orientamento che era originariamente prevalentemente filosofico. Agli arabi si de­ vono molti dei termini in uso come alcol, distillazione e le tecniche di manipolazione dei cibi. 2. Arnaldo da Villanova, Regimen sanitatis, stampatore Bernardino de Vitali, Venezia 1 500. 3 · «l bagni, il vino, l'amore logorano le nostre forze, E tuttavia quanto sono stimolan­ ti un bagno, il vino, l'amore ! » (Schipperges, 1988, p. 227) . 4· Il Risus Paschalis, ad esempio, una festa in cui, una volta all'anno, per Pasqua, ve­ nivano realizzati atti osceni sull'altare, accomunava irriverenza alle gerarchie ecclesiasti­ che, licenze sessuali e trasgressioni alimentari. La Festa dei Folli, tra Natale ed Epifania, propone immagini di trasgressione alimentare e sessuale. 5· I Tacuina sanitatis sono dei manuali medici composti fra la seconda metà del XIV se­ colo e il 1450. 6. Al contrario, il mondo islamico è ospitale nei confronti del sapore. I racconti delle Mille e una notte abbondano di descrizioni di piatti deliziosi per gli occhi e per la bocca. 7· Le immagini del film Il pranzo di Babette (1987) di Gabriel Axel, tratto dall'omonimo romanzo di Karen Blixen (1958), descrivono, tra l'altro, l'imbarazzo di fronte al piacere, l'in­ capacità di riconoscere e accettare il godimento che deriva dal gustare le meravigliose vivan­ de preparate in dono da Babette. 8. François Villon nasce a Parigi nel 1431; dopo avere studiato alla facoltà delle Arti a Pa­ rigi, vagabonda a lungo coinvolto in furti e risse, infine è condannato a morte nel 1462 (pena poi commutata) . 9· «È ben vero che h o amato, l e seguirei ancora mie voglie; l m a triste cuore, ventre affamato che per un terzo non è saziato, l dai sentieri d'amor mi toglie. l Dopo tutto, via, se ne avanzi l Chi è pasciuto come la botte ! l Ché dalla pancia viene la danza» (Villon, 1966, p. 12). 10. TI volume era considerato «come una silloge di insegnamenti atti a liberare l'uomo da situazioni spiritualmente costrittive e a metterlo in condizione di accordare il proprio re­ spiro col grande respiro della compagine universale, del grande corpo del mondo» (Biondi, Pisani, Introduzione a Ficino, 1991, p. IX) .

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n . «Sia la preparazione delle singole vivande sia la loro dislocazione all'interno del pa­ sto rispondevano a una logica sintetica più che analitica: tenere insieme più che separare» (Montanari, 2oo6, p. 76) . 1 2 . Frazer (1973 ) , nella sua brillante ricerca etnografica, porta molti esempi d i popoli che evitano di mangiare animali per non assumerne le caratteristiche. 13. Su questo Pierre Bourdieu (1983 ) ha scritto pagine decisive. 14. Fin dai tempi di Pitagora, che considerava deplorevoli gli spargimenti di sangue di animali, in quanto il dolore degli animali uccisi avrebbe contaminato le carni, mangiare car­ ne può assumere i contorni di un gesto feroce e spietato. 15. Un accordo tra ministero della Salute e produttori prevede di ridurre il sale conte­ nuto nel pane del 15%, per contenere i rischi di malattie cardiovascolari che sono in costan­ te aumento: cfr. Granello (2oo8 ). 16. Secondo il ministero della Salute «un alimento può essere considerato funzionale se viene dimostrato che può implicare un effetto benefico e mirato su una o più funzioni del­ l'organismo, al di là di effetti nutritivi, in modo tale che risultino evidenti un miglioramento dello stato di salute e di benessere e/o una riduzione del rischio di malattia» (www.eufic.org). TI Regolamento europeo 1924/2006 sui messaggi nutrizionali si pone l'obiettivo di arginare l'eccessiva anarchia nella presentazione degli alimenti con presunte proprietà benefiche e ri­ durre la concorrenza sleale. 17. Accanto all'etichettatura nutrizionale dei prodotti, ulteriori informazioni dovrebbe­ ro visualizzare la percentuale di apporto giornaliero dei vari nutrienti coperta da una porzio­ ne di un certo prodotto. 18. Si tratta di una serie di prodotti addizionati con particolari fermenti ed elementi mi­ rati a specifiche esigenze come l'aumento delle difese immunitarie, il riequilibrio della flora intestinale, l'azione sulle funzioni epatiche ecc. 19. Essensis Danone a sei mesi dal lancio aveva già 417.000 famiglie di acquirenti abituali. 20. È quanto emerge dalle interviste effettuate da Mezzina, Santoro, Soverina (2oo8) . 21 . L o svezzamento, l'allattamento, i l metabolismo, tutto è sottoposto alla verifica di esperti e professionisti che emanano le "giuste disposizioni " , moltiplicano i test diagnostici, i costi della prevenzione e le risposte terapeutiche. 22. Cfr. la rubrica "Forma/Alimentazione" , in "D, la Repubblica delle donne " , supple­ mento a "la Repubblica " , 9 febbraio 2008. 23 . Cfr. la rubrica "Salute Doc " , in "Io donna" , supplemento al "Corriere della Sera " , 9 febbraio 2008. 24. Cfr. la rubrica "Forma/Alimentazione" , in "D, la Repubblica delle donne" , supple­ mento a "la Repubblica " , 1° dicembre 2007. 25. Cfr. la rubrica "Forma/Alimentazione" , in "D, la Repubblica delle donne", supple­ mento a "la Repubblica " , 16 febbraio 2006. 26. Cfr. la rubrica "Salute Doc" , in "Io donna" , supplemento al "Corriere della Sera " , 2 6 gennaio 2oo8. 27. Ibid. 28. Cfr. la rubrica "Forma/Alimentazione" , in "D, la Repubblica delle donne " , supple­ mento a "la Repubblica " , 25 marzo 2008. 29. Cfr. la rubrica "Forma/Alimentazione" , in "D, la Repubblica delle donne" , supple­ mento a "la Repubblica " , 20 ottobre 2007.

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Le ansie alimentari e l' eticizzazione del cibo L'insicurezza, il sospetto, l'ansia quotidiana crescono proporzionalmente alla nostra potenza nel combattere la fatalità e nell'allungare la durata della vita. Lipovestky (2007, p. p)

5· 1 L'onnivoro s'interroga

Un insieme di fattori converge nel produrre un diffuso sentimento di respon­ sabilità rispetto all'alimentazione. Le domande sul cibo "buono " si allargano a quelle sul cibo " giusto " : gli interrogativi su cosa e quanto produrre non inve­ stono più solo il piccolo segmento degli ambientalisti. Ne sono esempi la cre­ scente attenzione alle implicazioni ecologiche della produzione della carne, il dibattito sull'uso dei cereali per i biocarburanti, la consapevolezza dell'impat­ to ecologico del trasporto di cibi, la crescita di attenzione dei governi attorno alla piaga dell'obesità. Il tema è stato al centro della Quarta Conferenza mondiale sul futuro del­ la scienza1• La Conferenza ha proposto cinque progetti per curare questo mon­ do ammalato di cibo: aumentare la produttività dei terreni attraverso l' ottimiz­ zazione dei cicli di produzione agricola; utilizzare l'energia solare per attivare i processi di desalinizzazione e portare così acqua dagli oceani ai suoli deserti­ ci; migliorare e diffondere l' applicazione delle biotecnologie per incrementare la resa delle colture in condizioni ambientali sfavorevoli; ridurre il consumo di carne nei paesi occidentali per trasferire i prodotti agricoli destinati a nutrire gli animali da allevamento alle popolazioni sottoalimentate; promuovere l'edu­ cazione a un'alimentazione corretta. Il tema del cibo assume sempre di più valenze etiche, entra nel dibattito politico: la questione della lotta all'obesità occupa le rubriche sui giornali e nu­ merosi governi assumono iniziative in proposito; la riduzione del contenuto di grasso nei cibi è all'ordine del giorno dell'industria alimentare. Decidere cosa mangiare è divenuto oggi motivo di grande ansia. Come testimonia il successo del libro di Pollan (2oo6 ) , l'ansia sulla giusta alimenta­ zione catalizza l'opinione pubblica e si correla con la preoccupazione che gli equilibri naturali siano definitivamente compromessi dall'affermarsi del cibo industriale. L'ansia è un derivato diretto dell'abbondanza: quando si ha la possibilità di ottenere tutto ciò che la natura può offrire, lasciando all'indivi-

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duo l a scelta, inevitabilmente s i genera uno stato d'incertezza. L'incertezza è enfatizzata dal fatto che molti alimenti si rivelano dannosi per la salute. Il cambiamento negli ultimi decenni è stato così violento da determinare quello che Pollan, riferendosi all'America, definisce un vero e proprio disordi­ ne alimentare. Il benessere economico, l'abbondanza e la mancanza di una cul­ tura del cibo coerente con il calendario stagionale hanno reso gli americani "mangiatori disfunzionali ", ossessionati dalla magrezza, mentre diventano sem­ pre più obesi, oscillanti da un regime alimentare a un altro, da un'informazione (la margarina fa meno male del burro) a un'altra (le proteine vanno preferite ai carboidrati). L'autore, ritenendo che il disordine alimentare derivi dalla perdi­ ta della vicinanza tra produzione e consumo del cibo, si propone di raccontare come viene prodotto, coltivato e distribuito il cibo degli americani (e non solo) attraverso la descrizione di tre modelli alimentari paradigmatici: le coltivazioni industriali, l'agricoltura biologica, l'agricoltura per l' autoconsumo2 • Il primo segnala l'enorme impatto ecologico dei consumi alimentari: ogni bene è prodotto con un gran dispendio di carburanti e una quantità spropor­ zionata di risorse, ad esempio la straordinaria resa delle coltivazioni di mais è stata ottenuta al prezzo di un alto investimento energetico. Fino agli anni Ot­ tanta, in America, vi erano fattorie i cui terreni erano coltivati in modo diverso, esistevano meccanismi economici che servivano ad evitare la sovrapproduzione di mais. Il governo dava un sussidio all'agricoltore in proporzione al mais stac­ cato nei silos. Con i silos pieni, l'agricoltore non aveva incentivi a produrre al­ tro mais e poteva coltivare altri prodotti. Dagli anni Ottanta, il governo ha de­ ciso di pagare agli agricoltori un prezzo garantito per ogni bushel di mais mes­ so sul mercato. L'incentivo per l'agricoltore a produrre sempre di più ha gene­ rato la corsa ai fertilizzanti, alle specie "ingegnerizzate " , ai semi prodotti dall'in­ dustria chimica e alla distruzione di tutte le coltivazioni diverse dal mais. Oggi, la produzione è dipendente dalla disponibilità di pesticidi e di specie di mais in­ gegnerizzate. Tutto il sistema del fast food americano è basato sul mais a basso prezzo. I cereali sono ovunque nell'alimentazione americana: nel cibo degli animali da allevamento come nella maggior parte degli alimenti. Il petrolio è l'altro ele­ mento: dei fertilizzanti per le piante, dei pesticidi che allontanano gli insetti da queste, del carburante usato dai mezzi di trasporto per la distribuzione degli alimenti, delle confezioni nelle quali i prodotti sono avvolti. Siamo dipendenti dal petrolio: per ogni bushel di cereali proveniente da coltivazione industriale viene utilizzato l'equivalente di un terzo di gallone di petrolio. Il contatto con i cicli biologici della natura, secondo i quali bestiame e rac­ colti sono connessi da mutevoli catene alimentari, è ormai perso. Per questo Pollan caldeggia il ritorno all'agricoltura biologica quale alternativa a quella in­ dustriale sempre più lontana dalla natura. Il libro di Pollan, un manifesto per la difesa del cibo naturale, ha avuto lar­ ga eco in America, a testimonianza della nuova attenzione ai temi dell'alimen-

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tazione e al loro rapporto con la dimensione ecologica e dell'enfasi sulla re­ sponsabilità individuale rispetto ai rischi di distruzione della natura. 5·2. Le paure alimentari nella società del rischio

La stampa riporta frequenti casi di frodi e di falsi alimentari: sui mercati este­ ri sono messi in circolazione prodotti che richiamano la tradizione italiana e che hanno in comune con questa solo l'effetto evocativo. È frequente la denun­ cia di prodotti tipici composti con materie prime (latte e carne soprattutto) provenienti da altri paesi. La paura delle piante geneticamente modificate ca­ talizza una generale diffidenza verso l'impatto delle tecnologie sulla natura. I temi della sicurezza alimentare si colorano di sentimenti di impotenza ri­ spetto all'avanzare di una mutazione ecologica. Con un curioso effetto boome­ rang, più la sicurezza e la qualità sono presenti nei discorsi delle aziende e dei poteri pubblici e più si diffonde l'inquietudine tra i consumatori. È interessan­ te il fatto che, mentre gli esperti ritengono che nelle società avanzate i rischi og­ gettivi in materia di sicurezza degli alimenti non sono mai stati così bassi, gli individui li avvertono, invece, come maggiori. La percezione del rischio da parte degli esperti e degli individui è diversa: questi ultimi tendono ad attribuire più importanza alle conseguenze di un evento piuttosto che alla probabilità che esso si verifichi. Una bassa probabi­ lità non è di per sé un elemento di rassicurazione. Inoltre, nella percezione in­ fluisce in modo determinante la sensazione del controllo individuale: non a ca­ so prendere l'aeroplano è percepito come più pericoloso del fatto di guidare un 'automobile, mentre il rischio statistico è notoriamente più basso. In un cer­ to senso, quindi, la percezione del rischio cresce quanto più crescono la re­ sponsabilità individuale nel controllo della propria salute e la consapevolezza di dovere esercitare una scelta. Il senso di ansia si acuisce a seguito delle ricorrenti segnalazioni di perico­ lo di fronte alle quali, ogni volta, si rimprovera ai media irresponsabilità, gusto per lo scandalo, emotività. Alle notizie seguono smentite e rassicurazioni da parte dei produttori e delle autorità. Le vicende della mozzarella di bufala cam­ pana sono l'ultimo esempio di tale dinamica (Franchi, Ziliani, Gualtieri, 2oo8 ) . I temi del rischio alimentare sono parte delle tendenze sociali profonde che investono la società globale e sono descritti da un ricco filone di studi che ha sottolineato come l'epoca moderna sia contrassegnata da un'incertezza ge­ neralizzata, da diffusi sentimenti di paura, ansia e senso del rischio. Incapace di rallentare lo straordinario ritmo di mutamento e di prevederne la direzio­ ne, l'individuo si concentra su se stesso , sul proprio corpo, sulla salute , su quella che Bauman ( 2005 , p . 129 ) definisce l' (in)felicità dei piaceri incerti. Ognuno consuma la propria ansia da solo, affrontandola come una questione privata, vivendola come il risultato di errori e fallimenti personali. Ma la stra-

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tegia della salvezza individuale alle contraddizioni sistemiche ha poche possi­ bilità di sortire gli effetti sperati, anzi amplifica i sintomi: è proprio l'appello alle risorse e alle capacità individuali a nutrire la stessa insicurezza da cui cer­ chiamo di fuggire. La nostra epoca esprime una diffusa consapevolezza del rischio. Non solo aumentano i rischi conseguenti allo sviluppo della tecnica, ma si affaccia la con­ sapevolezza dei limiti dei cosiddetti " saperi esperti " (Giddens, 1994) . Nessuno può avere una conoscenza totale delle conseguenze derivanti dall'applicazione della tecnica. La capacità autoriflessiva dell'individuo cerca nuove modalità di rassicurazione che comprendono sia la fiducia acritica nella tecnica sia la rimo­ zione del rischio. Per Beck (2ooo) nell'epoca moderna cambia la natura dei rischi cui siamo esposti, aumentano quelli indotti dall'uomo, come l'inquinamento. Contempo­ raneamente, il calcolo dei rischi e il controllo attraverso la tecnologia si sosti­ tuiscono all'idea di ineluttabilità degli accadimenti: crescono i dispositivi di sorveglianza, con interventi di tipo tecnico, scientifico e giuridico e l'evento sfortunato appare il risultato di una serie di decisioni sbagliate. In questo quadro si colloca l'ansia per le scelte alimentari. La perdita di rife­ rimenti stagionali, la forte dipendenza dai cibi trasformati, il passaggio da cibi ra­ dicati a cibi delocalizzati, il moltiplicarsi di esperienze culinarie disponibili per effetto della globalizzazione, il proliferare di un'offerta alimentare artificiale con­ corrono a produrre la sensazione di una perdita del contatto diretto con il cibo e le sue origini. A ciò si aggiungono messaggi nutrizionali contradditori che ren­ dono più difficile individuare i criteri della buona scelta. Il tutto entro una so­ stanziale modifica degli stili di vita che riduce il tempo impiegato in cucina e il numero di pasti consumati entro le mura domestiche. Il dilemma dell' onnivoro si amplifica: viviamo l'attrazione per l'eccesso (maggiore varietà con cui soddi­ sfare il desiderio di sperimentazione) e il contemporaneo svilupparsi di sentimen­ ti fobici che si catalizzano periodicamente attorno a cibi "pericolosi" . Questo insieme di ansie amplifica l a ricerca delle norme che regolano la "giusta alimentazione " . Da qui deriva l'attenzione alle esperienze degli altri: i discorsi sul cibo sono gli strumenti attraverso cui si celebra l'esorcismo di mas­ sa rispetto ai rischi della moderna anomia alimentare. Si sviluppa una sorta di iperriflessività alimentare, influenzata dai mezzi di comunicazione: informazione scientifica, dossier salute, spettacoli di intratte­ nimento culinario; questo atteggiamento si declina su più dimensioni: dieteti­ ca, etica, simbolica, psicopatologica, ansiogena. Ciò rischia di dare luogo a una società ossessionata dal cibo, in cui gli individui sono orientati alla ricerca spa­ smodica «della perfezione dietetica, organizzando, ricercando e selezionando il cibo» (Nicolosi, 2007, p. 31). Tale tendenza non si spiegherebbe senza l'intima correlazione che si è sta­ bilita tra cibo e corpo, idea che ha dato luogo a un "sapere diffuso " in conti­ nua crescita e a una fitta rete di pratiche sociali. Si tratta di un sapere alimen-

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tato dal racconto dell'esperienza e dalla trasmissione di precetti da parte di una serie sempre più ampia di fonti "esperte "3• In questo contesto, la fiducia si fonda su una componente quasi magica e su una pragmatica legata all'espe­ rienza diretta. Le competenze fondate su saperi inaccessibili di cui sono de­ tentori alcuni eletti (i professionisti, i tecnici) non bastano più: la fiducia cer­ ca strade più dirette, nei saperi quotidiani, nella narrazione delle esperienze di altri. L'esercizio della responsabilità e l'autonomia delle scelte cercano pun­ telli e rassicurazioni. Anche l'evocazione della tradizione può essere interpretata come risposta alla categoria ansiogena di " artificiale " . Il concetto di artificiale rimanda a mo­ derno, urbano e civile, corrotto, malsano, insapore, cattivo, falso, in una con­ trapposizione che non riguarda solo il cibo, ma un insieme di condizioni del vi­ vere moderno: la sfera delle relazioni, l'autenticità dei comportamenti e così via. Attorno al concetto di "naturale " ruota, così, un'articolata costellazione di concetti tutti riconducibili a un unico paradigma: buono, sano, originale, vero, puro, incontaminato. Il mito del ritorno alle origini trova spazio e diverse declinazioni nel discor­ so alimentare contemporaneo. Il movimento dello Slow Food sintetizza questa filosofia di ricerca della purezza perduta, contro il cibo industriale contamina­ to dal progresso e dal mercato. Il mito della sana alimentazione si associa al mi­ to della sana vita: il discorso sull'alimentazione contiene un'evidente coloritu­ ra etica. Tre elementi - un senso fortemente individualizzato del sé, la marcata percezione del proprio corpo, la nostalgia del paradiso perduto - convergono ad associare al cibo un compito etico e pratico e a farne un oggetto che deve essere buono e giusto (Petrini, 2005). 5· 3 I rischi di deriva ortoressica

Le paure alimentari riflettono, in un certo senso, l'insieme delle paure che attra­ versano la società contemporanea: le paure dell'altro, dell'ignoto, dell'impreve­ dibile si esprimono, tra l'altro, in una serie inquietante di comportamenti di con­ sumo (Franchi, 2007). L'antropologia dell'alimentazione considera l'ansia ali­ mentare un dato costante del nostro rapporto con il cibo (Fischler, 1998 ) in quanto associa il rischio alimentare al processo d'incorporazione che accompa­ gna il consumo. Mangiando facciamo entrare dentro di noi un alimento che par­ tecipa della nostra vita corporea, in grado di trasformarci. Per contro, l' alimen­ tazione ci dà, in un certo qual modo, la sensazione di controllare la nostra vita. Per questo i ricorrenti episodi di cibi potenzialmente portatori di malattie hanno un impatto così forte sull'opinione pubblica. Prima uova e maiali alla diossina, poi la mucca pazza, la malattia dei polli, fino all'ultima vicenda della mozzarella di bufala campana; negli ultimi anni, una catena ininterrotta di al­ larmi alimentari ha catalizzato l'attenzione dei mass media e dell'opinione pub-

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blica. L a comunità degli esperti s i è spesso divisa nella valutazione dei rischi e l'incertezza dei dati scientifici è uno dei fattori che influenza la percezione del rischio stesso. Le risposte date ai rischi alimentari sono in larga parte irrazionali: gli in­ dividui, in balia di fenomeni mediatici, sembrano pronti a rimuovere ogni dubbio , appena i riflettori si spengono sull'ultima scena del delitto . Del re­ sto , quella della rimozione è una delle modalità generali con cui il rischio viene tollerato nella società moderna (Giddens , 1994). Alle ricorrenti ansie collettive che si traducono in comportamenti di rifiuto per determinati cibi fanno seguito altrettanti fenomeni di ripresa delle abitudini di consumo. I media hanno spesso l'effetto di amplificare la paura dei rischi alimentari contribuendo a sviluppare sentimenti ansiogeni, sia distorcendo i fatti scien­ tifici sia presentandoli in un contesto di assoluta inconfutabilità dell'infor­ mazione . Le ansie alimentari sfiorano, talvolta, fenomeni di ortoressia di massa. Il termine orto ressi a definisce l'eccessiva preoccupazione verso il cibo, le sue componenti e le condizioni in cui viene consumato, che dà luogo a compor­ tamenti fobici e maniacali. Al di là dell'aspetto clinico individuale, vi è un trat­ to sociale che può essere messo a fuoco. Le derive ortoressiche trovano una sponda in una sorta di delirio del controllo indotto dallo stesso progresso scientifico che genera l'illusione che sia possibile il governo di ogni eventua­ lità e affida alla tecnologia la possibilità di fronteggiare l'incertezza della vita. La dimensione della paura, che affiora in modo ricorrente in aree diverse del­ la vita sociale , rivela i limiti del controllo, ne dichiara il possibile fallimento. Si annuncia in arrivo uno spettrometro da borsetta, che si basa su una sofisti­ cata tecnica laser, in grado di interrogare gli alimenti sulla loro qualità; pre­ sentato al Convegno " Science for Food " promosso a Napoli dall'Istituto na­ zionale per la fisica della materia (INFM) e dal C�R. Una sorta di risonanza ma­ gnetica ad alto campo che scova alterazioni come muffe, OGM , saggia stagio­ natura, provenienza dell'olio, conservazione di carni ed alimenti essiccati e congelati. Interrogando i nuclei dei prodotti con radiofrequenze se ne può raccontare per immagini storia e composizione. Le paure alimentari trovano una duplice traduzione sul piano dei compor­ tamenti. Esse provocano la richiesta di una maggiore qualità, vale a dire la ri­ cerca di attributi soggettivi (gusto, gratificazione sensoriale) e oggettivi (inte­ grità e perfetta conservazione) . Il tema della sicurezza alimentare (biochimica e nutrizionale) e della tutela del consumatore assume un peso crescente. Le preoccupazioni per la sicurezza alimentare si traducono in una maggio­ re disponibilità a pagare in funzione della rassicurazione dai rischi. Pensiamo al successo del biologico e all'ampliarsi delle forme di garanzia, come la certi­ ficazione d'origine, il marchio provenienza certa, all'aumento del consumo di prodotti DOC, IGP, IGT. La tanto declamata tensione verso la qualità è anche, in buona misura, un tentativo di difendersi dalle contraffazioni puntando al prez-

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zo più alto. Le difficoltà registrate dal consumo nella fase recente, frenando questa generalizzata corsa verso prodotti di qualità superiore, ripropongono più acute contraddizioni a livello di massa. 5·4 Allarme obesità

5.4.1. Un mondo grasso Nel mondo si sta diffondendo l' allarme obesità4• Gli Stati Uniti hanno un tas­ so di obesità pari al 3o,6o/o , il più alto di qualsiasi nazione industrializzata del mondo. Nel Regno Unito è pari al 24,4% ; in Italia, secondo dati diffusi dal­ l'ISTAT, gli obesi sono il 13o/o , mentre le persone in sovrappeso il 3 3 °/o . Le im­ plicazioni sociali sono rilevanti, in primo luogo per l'impatto sulle spese sa­ nitarie. L'obesità, insieme ai disturbi alimentari, è oggetto di attenzione da parte dell'Organizzazione mondiale della sanità, ma anche dei governi. Il governo inglese ha allo studio la proposta di un contratto tra cittadi­ ni e servizio sanitario che fissi regole di comportamento per ricevere le cu­ re a carico dello Stato . Il diritto alle cure verrebbe subordinato alla collabo­ razione alla p revenzione ( Santevecchi , 2008 ) . L'ipotesi comprende anche l'introduzione di un p remio in denaro per chi perde peso. Stanziati 372 mi­ lioni di sterline per una campagna che comprenderà azioni di sensibilizza­ zione dell' opinione pubblica, per incoraggiare un' alimentazione più sana nelle scuole e una maggiore attività sportiva. Comunque un risparmio , dal momento che il costo calcolato per l' obesità è di 50 miliardi di sterline. Del resto , in Gran Bretagna, negli ultimi venti anni, il tasso di obesità tra gli adulti è raddoppiato . La preoccupazione circa i costi di una delle più gravi patologie sociali del­ la nostra epoca sta crescendo ovunque. Vengono proposti disincentivi e incen­ tivi monetari nell'intento di coinvolgere e responsabilizzare i cittadini rispetto alla prevenzione dei rischi sanitari connessi all'obesità. La questione fa discutere, riproponendo un dibattito che ha toni simili a quello svolto anni fa sul fumo: anche allora, di fronte ai divieti di fumare, si pa­ ventavano rischi di limitazione alla libertà individuale, pur a fronte di benefici collettivi. In una società che vede un tendenziale e rapido aumento della popo­ lazione anziana e una conseguente crescita delle spese sanitarie, è in atto una profonda rivisitazione dell'idea di salute e di malattia che non sono più conce­ pite come un dato del destino, ma (almeno in parte) come frutto delle scelte di ognuno. Di recente il governo giapponese ha varato drastiche misure antiobesità. La legge giapponese awia una delle più ambiziose campagne mai intraprese per convincere i cittadini a dimagrire. Le aziende e i governi locali saranno invitati a misurare il giro vita dei dipendenti. Uomini e donne di età compresa tra i 40

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e i 7 4 anni saranno obbligati a sottoporsi a controlli per valutare tempestivamen­ te il rischio di obesità e intervenire immediatamente. Cinquantasei milioni di persone dovranno effettuare la misurazione del giro vita. A coloro che supere­ ranno gli standard (fissati tra gli 8o e i 95 centimetri) sarà offerta la consulenza del dietologo se entro tre mesi non prowederanno a riportarsi al peso forma. Dopo altri sei mesi le persone verranno sottoposte ad ulteriori controlli. Azien­ de ed enti saranno multati qualora i collaboratori non raggiungano gli obiettivi. È quest'ultimo l'aspetto più sorprendente e indicativo del tipo di controllo so­ ciale e di spirito comunitario che permea la cultura giapponese. Si può immagi­ nare un sistema di divieti e di multe abbastanza simile a quello disposto per con­ trastare il fumo, ma su un terreno ancora più personale, intimo e al tempo stes­ so, universale, come la condotta alimentare. L'obiettivo dichiarato è quello di far scendere la popolazione in sovrap­ peso del 25% entro i prossimi sette anni e di contenere , così, il diffondersi del diabete e di malattie cardiocircolatorie. Le misure sono state criticate co­ me troppo severe ed è stato anche avanzato il dubbio che producano un ul­ teriore incremento delle spese mediche, sollecitando interventi allo scopo di perdere peso. Il Giappone non è certo un paese con gravi problemi di obesità della po­ polazione: la percentuale di persone in sovrappeso è tra le più basse nel mon­ do, si attesta sul 3,6°/o , ben al di sotto delle percentuali che angosciano gli Sta­ ti Uniti e l'Inghilterra. Il tasso di obesità ha visto, tuttavia, un incremento rapi­ do negli ultimi decenni, in corrispondenza di un'occidentalizzazione delle abi­ tudini alimentari e della diffusione dei fast food: meno pesce e più hamburger. Con il cambiamento delle abitudini alimentari, un terzo di tutti i giapponesi sulla trentina, la prima generazione cresciuta con Happy Meal, è in sovrappe­ so (Popkin, 2007). Più della metà di tutti gli adulti americani e circa un quarto di tutti i bam­ bini americani sono attualmente in sovrappeso. Il tasso di obesità di entrambi è raddoppiato rispetto ai primi anni Sessanta. Così oggi 1 27 milioni di america­ ni adulti sono in sovrappeso, 44 milioni sono obesi, altri 6 milioni sono obesi gravi, vale a dire pesano 45 chili più di quanto dovrebbero. I dati dell'Interna­ tional Association for the Study of the Obesity prevedono che nel 2o1o la metà dei bambini sarà in sovrappeso ( contro il terzo attuale) , due terzi dei quali de­ stinati a restarlo per sempre. L'epidemia di obesità si sta estendendo nel mondo con tassi paralleli all'e­ spansione degli insediamenti delle catene della ristorazione veloce. In Cina la percentuale di teenager in sovrappeso è triplicata nell'ultimo decennio. Il prin­ cipale accusato di tale patologia è lo stile alimentare monotono e principalmen­ te costituito da cibi altamente trasformati e da un apporto nutrizionale sbilan­ ciato: primi imputati proprio hamburger, salse e patatine. Anche se è certamen­ te scorretto attribuire l'adozione di un'alimentazione sbagliata esclusivamente al fast food, i pericoli soprattutto a lungo termine nel ricorrervi frequentemen-

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te sono reali, come documenta una serie di inchieste sullo stile alimentare del­ la " Fast Food Nation " (Schlosser, 2004). Nelle società avanzate l'obesità è oggetto di disapprovazione sociale. Pou­ lain ( 2oo8 ) cita una ricca serie di studi che dimostrerebbero che l'obesità frena la mobilità sociale, penalizza le carriere, si correla a salari più bassi e così via. Poulain spiega la crescita dell'obesità con un modello di " transizione epide­ miologica " , che descrive il cambiamento nelle cause di mortalità e il parallelo mutamento del ruolo sociale dell'alimentazione. Da una prima fase, caratteriz­ zata da una forte dipendenza del regime alimentare dall'ambiente, dalla fre­ quenza di epidemie e di carestie, in cui l'abbondanza è segno di distinzione so­ ciale, si passa all'ultima fase che vede la sconfitta delle malattie tradizionali e l'aumento delle "sociopatie " , tra cui i disturbi del comportamento alimentare. Questa fase è caratterizzata dalla sovrabbondanza alimentare, da anomia e sre­ golatezza che, però, convivono con la diffusione delle conoscenze nutritive: da ciò derivano sentimenti di colpa e ansia. Contemporaneamente si assiste alla trasformazione delle rappresentazioni sociali del grasso, si sviluppa il modello di estetica di magrezza e si afferma l'equazione magrezza-salute. Nell'ultima fa­ se, l'intensificazione della pressione del modello di estetica della magrezza cor­ porea si accompagna a una stigmatizzazione degli obesi. La paura dell'obesità ribalta l'atavica paura della fame e agisce in modo al­ trettanto forte sulle psicologie degli individui, orientandone i comportamenti verso un controllo costante e talvolta ossessivo. Ogni messaggio televisivo e pubblicitario ci rammenta che solo il corpo magro suscita desiderio obbligan­ doci ad una continua misura e contenimento dell' "eccesso " . 5.4. 2. L'obesità s i diffonde nei paesi in via di sviluppo L'epidemia di obesità si è estesa anche nei paesi del Terzo mondo determinan­ do quello che è stato definito il paradosso alimentare: la combinazione di pa­ tologie da abbondanza e di patologie da privazione di cibo. A livello mondia­ le le persone in sovrappeso sono I,3 miliardi, mentre quelle denutrite sono cir­ ca 8oo milioni: il numero degli obesi ha superato quello di coloro che soffrono la fame. In Messico, Egitto e Sudafrica, più della metà degli adulti è in sovrap­ peso e circa un quarto è obeso. In Egitto il problema dell'obesità è particolar­ mente diffuso tra le donne delle aree urbane: la percentuale di donne adulte in sovrappeso ha sfiorato il 6o0/o . In quasi tutti i paesi dell'America Latina e del Nord Mrica almeno un adul­ to su quattro è in sovrappeso. Sebbene denutrizione e carestie rimangano un problema, persino paesi come la Nigeria e l'Uganda si stanno confrontando con il problema dell'obesità. Il primato di paese più grasso del mondo tocca alla repubblica di N auru. Su questa piccola isola del Pacifico sono obesi 9 su IO dei I4.ooo abitanti. Gli

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abitanti che per secoli sono stati pescatori e allevatori hanno stravolto le pro­ prie abitudini alimentari da quando, a fine Ottocento, arrivarono nell'isola i colonizzatori occidentali che presto scoprirono i giacimenti di fosfati. Il loro sfruttamento portò alla popolazione un livello di ricchezza mai sperimentato stravolgendone lo stile di vita. I tassi di obesità in molti paesi in via di sviluppo sono simili a quelli degli Stati Uniti, e il passaggio è avvenuto in meno di una generazione. Il Messico è l'esempio più clamoroso di un paese colpito dall'epidemia dell'obesità: se nel 1989 meno del 10% dei messicani era in sovrappeso, le indagini del 2oo6 hanno rilevato che il 71 % dei messicani maschi e il 66 °/o delle donne sono obe­ si o in sovrappeso. Il fenomeno può essere spiegato osservan do alcune tendenze sociali che hanno indotto un cambiamento radicale negli stili di vita. In primo luo ­ go l ' urbanizzazione. La città spinge ad adottare nuove abitudini, come guardare la televisione o fare la spesa al supermercato , che riducono il di­ spendio di energie e aumentano il consumo di cibi calorici. Sembra che so­ prattutto tra le donne sia forte la relazione tra urbanizzazione e probabilità di ingrassare. Sia negli Stati Uniti sia nei paesi in via di sviluppo l'obesità è soprattutto un problema dei poveri che trovano nei supermercati bevande e dolci a basso costo. Uno dei fattori che più hanno contribuito all'epidemia di obesità è la diffusione di bevande dolcificate. Le grandi catene di distribuzione hanno aperto nei paesi emergenti supermercati che offrono un'ampia varietà di snack e bibite industriali. In America Latina la percentuale di cibo acquistato in que­ sta categoria di negozi è salita dal 15% nel 1990 al 6oo/o nel 2ooo. Questo mo­ do di fare la spesa incoraggia il consumo di cibi industriali, con l'aggiunta di zucchero e di cibi ad alta intensità energetica. Un ulteriore cambiamento è l'enorme aumento del consumo di cibi di ori­ gine animale. Negli ultimi venti anni i paesi in via di sviluppo sono stati respon­ sabili di quasi tutto l'aumento della produzione mondiale di carne, pollame, pesce, uova e latte. In Cina tra il 1989 e il 1997 il consumo di cibi di origine ani­ male è più che triplicato nelle aree rurali e quasi quadruplicato nelle aree ur­ bane. Questo è il risultato di due fenomeni convergenti: da un lato , il boom economico ha fatto crescere i salari, permettendo alla popolazione di aumen­ tare il consumo di oli di semi e di cibi di origine animale; dall'altro, la riduzio­ ne dei costi dei prodotti di origine animale fa sì che si abbandonino le diete povere di grassi e ricche di fibra per passare a pasti ricchi di grassi, dolcifican­ ti e carboidrati raffinati. Mentre si convertono alla dieta occidentale, gli abitanti dei paesi in via di sviluppo adottano abitudini e metodi di lavoro a minore dispendio energetico: si diffondono i trasporti pubblici e le macchine agricole per coltivare i campi, la televisione favorisce uno stile di vita più sedentario. I modelli culturali pro­ posti dai media hanno contribuito a rendere desiderabili stili di vita attribuiti

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ai paesi del benessere, rafforzando comportamenti di imitazione, sia pure adat­ tati alle basse disponibilità di risorse. Tutto ciò spiega le ragioni dell'aumento dei tassi di obesità in contesti caratterizzati da povertà.

5·4·3· I costi dell'obesità La spesa sanitaria annua variamente correlata all'obesità in America è calcola­ ta pari a 240 miliardi di dollari; gli americani spendono più di 33 miliardi di dol­ lari in programmi di riduzione del peso e in prodotti per la dieta. Non a caso, un filone dell'economia sta assumendo l'obesità come tema di analisi: un esem­ pio è rappresentato dallo studio degli economisti americani Finkelstein e Zuckerman (2oo8 ) che con il libro The Fattening o/ America hanno sollevato una forte discussione, in particolare sul rapporto tra modello di sviluppo e spe­ se sanitarie. L'obesità è seconda solo al fumo come causa di morte, la spesa sanitaria an­ nua dovuta all'obesità si awicina in America a 240 miliardi di dollari; gli ame­ ricani spendono più di 33 miliardi di dollari in programmi di riduzione del pe­ so e in prodotti per la dieta (Popkin, 2007) . Rispetto agli individui magri, gli obesi hanno una probabilità 90 volte maggiore di sviluppare il diabete. Il nu­ mero di diabetici nel mondo ha raggiunto i 180 milioni, secondo i dati dell'In­ ternational Diabetes Federation, ed è destinato a duplicare nei prossimi venti anni, in misura preoccupante anche tra i bambini. Il rischio è particolarmente elevato nei paesi a medio reddito dell'Est europeo, dell'America Latina e del­ l'Asia. L'India è il paese che ospita circa la metà della popolazione sottonutri­ ta del mondo ed è al tempo stesso il paese con il maggior numero di persone affette da diabete: ben 41 milioni. In Messico, dove i diabetici sono 6 milioni, i costi diretti e indiretti per le cure sono stati 15 miliardi di dollari nel 2003 , la metà circa pagati dalle persone (Marino, 2007) . I costi sociali dell'obesità s i sommano agli elevati costi individuali: gli obe­ si spesso soffrono di marginalizzazione sociale, riduzione di autostima e mag­ giori difficoltà a trovare un partner. Inoltre, può essere considerata la perdita di redditi individuali associati alla diminuita capacità lavorativa. Per questo, anche gli economisti hanno cominciato a interessarsi al tema, osservando ad esempio, la relazione tra obesità e salari. Il grasso risulterebbe sistematicamen­ te associato a salari più bassi. L'ipotesi è che lo stimolo ad andare in palestra venga interpretato come sintomo di altre caratteristiche, ad esempio la capa­ cità di sottomettersi in modo costante a un impegno periodico, fattore valuta­ to nel mercato del lavoro (Daveri, 2007). Comincia ad affermarsi l 'idea che l'obesità sia influenzata da fattori so­ ciali. Un 'indagine compiuta alla Harvard Medicai School con l'Università di San Diego e pubblicata sul " New England Journal of Medicine " dimostra che l'ambiente sociale in cui viviamo influenza gli stili di vita anche da que­ sto punto di vista. Secondo la ricerca, infatti, il rischio di diventare obesi au-

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menta i n relazione alle persone con cui s i sta a contatto . L'influenza più for­ te si esercita tra amici. Chi ha un amico oversize ha infatti un rischio di obe­ sità triplo di chi ha amici normopeso: il rischio obesità aumenta dal 57°/o al 171 o/o in più. Se è obesa una sorella, il rischio di diventarlo è del 4o% in più ed è pressoché lo stesso se ad essere obeso è il coniuge5• Questi dati propon­ gono un altro elemento interessante . Il contagio sociale dell 'obesità non av­ viene tanto tra parenti o vicini di casa quanto tra amici. Il rischio aumenta se questi sono dello stesso sesso , mentre non è influenzato dalla vicinanza fi­ sica; il contagio si diffonde anche tra persone che vivono a molte miglia di distanza. Secondo lo studio, poi, anche la m agrezza sarebbe socialmente contagiosa. La causa dell'obesità non risiede né nei geni né solo nelle cattive abitu­ dini alimentari , ma nei modelli sociali di riferimento che inconsciamente facciamo nostri. Quando i nostri cari sono obesi impariamo ad accettare co­ me normale una forma del corpo che, invece, normale non è. Se una perso­ na a cui siamo legati diventa obesa, inconsciamente cambiamo il nostro mo­ dello di riferimento. I legami sociali possono avere un effetto importante sulle politiche di prevenzione del fenomeno. Lo studio mostra che persone obese o non obese tendono a frequentare persone simili. Le implicazioni so­ cio-sanitarie di questi dati sono molto importanti, perché se aiutiamo una persona a perdere peso e a tornare in forma per prevenire disturbi cardio­ vascolari ne staremo spingendo almeno altre quattro o cinque a fare la stes­ sa cosa. La teoria elaborata a Harvard arriva a pochi mesi di distanza da quella ela­ borata nell'Università del Wisconsin da Leah Whigham, secondo cui, al con­ trario, l'obesità deriva da un virus. Il responsabile dei chili di troppo sarebbe l'Adenovirus 37, un virus simile a quello del raffreddore. In pratica l'obesità sa­ rebbe una malattia che si diffonde come l'influenza e si potrebbe addirittura arrivare a un vaccino. Tuttavia, la comunità scientifica sembra concorde nel considerare che l'epidemia di obesi nei paesi occidentali è dovuta all'eccesso di alimentazione e ai troppi cibi grassi. 5·5 L'impero del grasso corre ai ripari

In America è in atto un dibattito assai vivace sulla necessità di un mutamento dello stile alimentare. I dati dell'International Association for the Study of the Obesity prevedono che nel 2o1o la metà dei bambini sarà in sovrappeso (con­ tro il terzo attuale) e due terzi di questi saranno destinati a restarlo per sempre. L'attenzione è soprattutto rivolta alle scuole e ai programmi di educazione ali­ mentare, con l'intento di sostituire nelle scuole frutta e verdura agli snack ric­ chi di grassi e zuccheri e succhi di frutta alle bibite gassate. Nella stessa dire­ zione si muovono diversi programmi sperimentali anche nel nostro paese, do-

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ve la situazione, ben !ungi dallo sfiorare i livelli allarmanti degli Stati Uniti, ve­ de comunque oltre un terzo dei bambini tra i 6 e i 9 anni in sovrappeso o obe­ so; questo dato scende al 25o/o nella fascia tra i IO e i I3 anni, per calare nell'a­ dolescenza al I4 % . Gli stili d i vita e le abitudini alimentari sono messi sotto accusa. Man­ giando più pasti fuori casa si consumano più calorie, meno fibre e più gras­ si. N el I978 l'adolescente medio americano maschio beveva circa I96 grammi di bibite gassate al giorno , oggi ne beve tre volte tanto, traendone il 9 °/o del suo apporto calorico giornaliero. Nello stesso periodo il consumo di bevan­ de gassate tra le ragazze è raddoppiato toccando una media di 336 grammi al giorno. I prezzi dei prodotti fast food sono scesi mentre l'industria del fast food aumenta le porzioni per migliorare la competitività: confezioni di pata­ tine grandi, Coca-Cola large, panini super size. I numerosi tentativi di intro­ durre piatti sani nei fast food non sembrano avere avuto successo. Il dibattito sul blog del "Washington Post " (www.washingtonpost. com ) è il riflesso della grande ansia americana per l'obesità. Tra le proposte per con­ trastare il fenomeno, una tassa sul junk /ood. A New York è stata varata una legge che mette al bando nei ristoranti i grassi saturi. Inoltre le grandi catene di ristorazione hanno l'obbligo di esporre il numero di calorie dei loro prodot­ ti sui menu. Il nuovo regime interessa le catene che hanno almeno I5 esercizi e riguarda circa 2.400 ristoranti nella sola Manhattan. Il provvedimento si pro­ pone di arginare l'obesità che affligge soprattutto poveri e minoranze. Si ipo­ tizza che nei prossimi cinque anni la disposizione, inducendo una maggiore consapevolezza dei cittadini rispetto al cibo, possa prevenire l' obesità di I3o. ooo newyorkesi. L'associazione dei ristoratori si è opposta alla decisione di indicare le calorie nei menu. Svolta salutista in California con un provvedimento che mette al bando gli oli idrogenati dai ristoranti. Gli oli idrogenati sono diffusi in margarine, dolci, oli per la frittura, biscotti. L'idrogenazione è il processo per cui un olio di semi diventa solido e quindi spalmabile, meno degradabile e più resistente al calo­ re. Ma le ricerche hanno messo in luce danni alla salute. In Califonia adeguar­ si alla nuova norma costerà ai quasi 90.ooo ristoranti tra il IO e il 2o% in più in oli da frittura. Negli ultimi anni in America diverse pubblicazioni hanno denunciato i danni che produrrebbe il cosiddetto cibo spazzatura. Libri inchiesta sui ci­ bi prodotti in catena di montaggio , documentari di denuncia e perfino car­ toon che invitano a uno stile di alimentazione sano. Dopo il film documen­ tario di qualche anno fa, Super Size Me ( 2004) di Morgan Spurlock, il libro inchiesta di Eric Schlosser (2004) , Fast Food Nation , costituisce un viaggio incubo nell 'industria che produce carne per preparare hamburger e mostra due fenomeni legati al fast food: il percorso umiliante dei clandestini messi­ cani impiegati nella catena alimentare e la pessima lavorazione della carne da hamburger6•

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L'allarme induce a ripensare tutto il sistema della ristorazione veloce. Nel­ le scuole sono state ritirate le macchinette con bevande gassate e nelle pagelle si è introdotto il rapporto peso-età degli alunni. E il governo ha chiesto una li­ mitazione al bombardamento pubblicitario in TV di prodotti alimentari rivol­ to ai bambini. La Disney ha interrotto la sponsorizzazione e cancellato le im­ magini dei suoi personaggi dalle confezioni di Happy Meal di McDonald's. Il recente cartoon Ratatouille (2007 ), gioco di parole tra il celebre piatto di ver­ dure e la parola ratto, racconta di un topo che non vuole mangiare come i suoi simili cibi di scarto, si reca a Parigi e diventa un grande cuoco. Il film è stato accolto come manifesto contro il cibo spazzatura. Per invertire la tendenza, la popolazione dovrebbe spendere molto di più per palestre e cibi freschi costosi. In America, negli ultimi venticinque anni, i prezzi di frutta e verdura fresca, pesce e prodotti caseari sono aumentati rispet­ tivamente del 190°/o , 144% , 1oo% e 82% , mentre grassi, dolciumi e bevande gassate hanno visto aumentare i propri valori monetari rispettivamente del 70% , 66o/o e 32% (Finkelstein, Zuckerman , 2008 , p. 20). Si vengono a delinea­ re così due differenti categorie di consumatori: quelli che acquistano prodotti calorici ed economici per la bassa capacità di spesa e quelli dotati di un eleva­ to potere di acquisto e che possono permettersi di essere in salute, di acquista­ re alimenti freschi e meno calorici. Nelle scuole si cerca di sostituire i distributori di bibite gassate e zucche­ rate con distributori di acqua minerale e succhi di frutta. Assicurazioni sanita­ rie e datori di lavoro offrono incentivi a chi si occupa di migliorare la dieta e fa esercizio fisico. Le catene di ristorazione industriale introducono nel menu ci­ bi a ridotto contenuto di grassi. Ma secondo alcuni economisti tutto questo ser­ virà poco , perché lo stile di vita che ha portato alla situazione attuale non sem­ bra più reversibile. Se l'obesità si manifesta resistente alle campagne per debel­ larla, allora con essa il mercato cerca di convivere. Sembra questa un'altra ten­ denza che si palesa nell'impero del grasso, dove l' oversize può essere persino corteggiato (Gaggi, 2oo8 ). La rivalutazione delle taglie forti nasce dalla convin­ zione che gli sforzi non basteranno ad arrestare l'epidemia di obesità che inve­ ste gli USA. L'industria sta sfruttando i problemi del consumatore grasso. Si crea così quella che Finkelstein chiama the ObesEconomy: l'industria della perdita di peso ha un valore di 49 miliardi di dollari annui includendo centri e program­ mi per la dieta, centri fitness, medicine e integratori. La pubblicità sembra favorire la nuova tendenza a considerare la ciccia un compromesso accettabile. L'attesa di vita inferiore di quattro anni alla me­ dia non sembra un deterrente tale da spingere ad affrontare i costi e i disagi di diete. Così l'obesità appare un prezzo inevitabile dell 'economia avanzata , soprattutto perché, a parità di contenuto energetico, frutta e verdura costa­ no dieci volte di più dei cibi ad alta intensità di grassi , più facili da conserva­ re e distribuire.

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5· 6 L'impatto ambientale della produzione della carne

Uno studio della FAO lancia un allarme sugli effetti inquinanti del consumo di carne. L'allevamento di bestiame per l'alimentazione umana genera più emis­ sioni di C0 di tutti i mezzi di trasporto messi assieme. Dietro ogni bistecca 2 che arriva sui nostri piatti vi è una catena produttiva dall'impatto ambientale disastroso. Il consumo di carne raddoppierà entro il 2050 se la popolazione mondiale non varierà l'alimentazione (Bittman, 2oo8 ) . Come il petrolio, anche l a carne è soggetta a una domanda crescente a ma­ no a mano che le popolazioni diventano più ricche, e questo ne fa salire il prez­ zo. Nel 1961 il fabbisogno complessivo di carne nel mondo era di 71 milioni di tonnellate; nel 2007 esso è arrivato a 284 milioni di tonnellate, raddoppiando negli ultimi vent'anni nei paesi in via di sviluppo. L'aumento della ricchezza mondiale, che consente a circa 8o milioni in più di persone all'anno di affac­ ciarsi ai banchi dei mercati, si traduce in un aumento dei consumi di carne. Og­ gi in Cina si mangia un etto di carne al giorno per persona rispetto ai 66 gram­ mi di qualche anno fa. Moltiplicando la differenza per almeno 500 milioni di persone si ha una stima delle esigenze e dell'impatto sull'ambiente. Un pasto con carne e altri ingredienti d'importazione produce nove volte l'anidride car­ bonica di un pasto vegetariano preparato con cibi locali. Sono soprattutto vi­ tello e manzo, grandi mangiatori di cereali, a incrementare le emissioni di gas per via dei mezzi a petrolio utilizzati per coltivare e trasportare le piante desti­ nate ai mangimi: ogni chilo di carne se ne è mangiato ben dieci di cereali e fo­ raggio. La quantità di terreno impiegato è stata dieci volte superiore a quella necessaria per l'equivalente calorico di una dieta a base di vegetali. Occorrono tre chili di cereali per produrre un chilo di maiale, otto per un chilo di manzo. Anche il costo energetico è nettamente più alto: 226 grammi di riso equivalgo­ no all'impiego di o,oo25 litri di benzina, mentre una bistecca da 170 grammi a 0,04 litri. Sulla scia di un benessere crescente, la domanda ha indotto vere e proprie catene di montaggio della carne che partono dalle fattorie, consuma­ no quantità smisurate di energia, inquinano l'acqua e i pozzi, generano signifi­ cative quantità di gas serra, richiedono montagne di mais , soia e altri cereali con la conseguente distruzione di vaste aree delle foreste pluviali tropicali. Sempre secondo la FAO, le terre destinate all'allevamento del bestiame costitui­ scono il 3oo/o delle terre emerse, questa stessa produzione è responsabile di un quinto delle emissioni di gas serra della terra. Uno studio dell'Istituto di scienze dell'alimentazione del Giappone ha sti­ mato che ogni taglio di carne di manzo da un chilogrammo è responsabile del­ l'equivalente in termini di diossido di carbonio alle emissioni di una vettura media europea ogni 250 chilometri e brucia energia sufficiente a tenere accesa per 20 giorni una lampadina da 100 watt.

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Cereali, carne, energia sono collegati da u n rapporto d i interdipenden­ za. La maggior parte dei raccolti di mais e soia coltivati finisce a nutrire be­ stiame. Per produrre le stesse calorie assimilate tramite il consumo di carne di bestiame allevato occorrono da due a cinque volte più cereali. Secondo l'Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti, l'agricoltura prati­ cata per soddisfare la domanda di carne contribuisce a circa tre quarti dei problemi di qualità dell 'acqua dei fiumi. Inoltre , poiché lo stomaco degli animali è fatto per digerire erba e non cereali, gli animali hanno tali proble ­ mi di salute da rendere abituale la somministrazione di antibiotici. Anche da questo derivano ulteriori danni alla salute e interrogativi inquietanti. D a tempo in America è stata posta l'attenzione s u come incoraggiare a mangia­ re meno carne e più vegetali: 220 grammi al giorno è la media americana (Rifkin, 2002 ) . 5·7 La mancanza di cibo e l' allarme biocarburanti

L'aumento dei prezzi delle materie prime alimentari riporta in primo piano la questione della fame nel mondo (Rampini, 2oo8 ) . Sono 826 milioni le per­ sone che soffrono di fame e 3 6 milioni i morti ogni anno per mancanza di ci­ bo. Secondo la FAO , 6 paesi dell'America Latina producono insufficienti derrate alimentari. In Africa sono 24 i paesi bisognosi d'aiuto. Nell'Africa subsahariana più di 200 milioni di persone sono senza cibo. La situazione alimentare è in forte peggioramento per diverse cause: l'in­ flazione ha raddoppiato i prezzi del mais e del grano e ha rincarato del 150o/o i prezzi del riso dall'inizio del 2008 . Ora il problema alimentare è anche un fenomeno urbano e non solo delle aree dell'Africa subsahariana. Per la prima volta la causa è legata a un eccesso di domanda: la novità è stata l'esplosione dei consumi alimentari in aree del mondo a forte crescita economica come Cina e India. Gli esperti segnalano quattro aspetti conver­ genti: la crescita della domanda globale degli alimenti, provocata dall'aumen­ to dei redditi; la produttività cronicamente bassa dei contadini nelle nazioni più povere perché non possono permettersi l'acquisto di sementi e fertiliz­ zanti e di irrigazione; il cambiamento climatico; la politica sbagliata di soste­ gno ai biocarburanti perseguita da Stati Uniti e Unione Europea. La doman­ da di granoturco per il bioetanolo è entrata in concorrenza con l'uso del gra­ noturco come mangime alimentare. Migliaia di persone che hanno ottenuto l'accesso alla carne entrano ora in competizione con l'uso dei cereali per i bio­ carburanti. Un recente studio dell'ONO ha riproposto l'allarme biocarburanti, consi­ derando tale scelta causa dell'aumento dei prezzi alimentari e dei drammi del­ la fame nel mondo. Lo studio definisce il biocarburante un crimine contro l'u-

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manità, un'espressione forte che intende catturare l'attenzione sugli effetti che l'impennata dei prezzi agricoli - determinata, almeno in parte, dal boom del­ l'etanolo - produce sui paesi poveri. Secondo i dati del Fondo monetario in­ ternazionale, nei primi quattro mesi del 2007 l'aumento dei costi del cibo ha subito un' accelerazione (Ricci, 2007). La corsa al granoturco per produrre ecobenzina colpisce i poveri. Più un paese è povero, più alta è la quota di spesa destinata agli alimenti. Un consu­ matore americano spende il 10 o/o del suo budget quotidiano per mangiare, un cinese il 30% , un abitante dell'Mrica subshariana il 6oo/o . Alcuni paesi come Argentina, Bolivia, Cile, Sudafrica, in quanto esportatori, guadagnano dal rin­ caro delle derrate alimentari; mentre i paesi perdenti, che sono anche i più po­ veri, sono quelli che importano: Ghana, Niger, Bangladesh. I prezzi alimentari nel mondo , tras cinati da soia, grano e oli vegetali, hanno subito incrementi fino al so% tra il 2oo6 e il 2oo8 . Nello stesso perio­ do è aumento dell'8 % il prezzo della carne a causa dell'aumento dei costi dei cereali. La questione è particolarmente calda negli Stati Uniti che sono il mag­ giore esportatore agricolo del mondo e da soli rappresentano il 7o% dell 'ex­ port mondiale di granoturco, un alimento centrale per i mangimi animali. L'uso del granturco per i biocarburanti è stato incentivato massicciamente, quintuplicando l'obiettivo di produzione di etanolo da granoturco con un ef­ fetto drammatico sui prezzi. La quotazione di granoturco ha raggiunto re­ cord storici, di fronte alla nuova domanda; contemporaneamente aree sem­ pre più vaste sono state destinate alla produzione di mais . Occorrono 232 chi­ li di mais per 50 litri di etanolo. Tra il 2000 e il 2005 la produzione di etano­ lo nel mondo è raddoppiata (34 miliardi di litri) , quella di biodisel è quadru­ plicata (3 miliardi di litri) . S i calcola che per aumentare la produzione d i biocarburanti i n misura suf­ ficiente ad assicurare il 5 % dei combustibili per il trasporto occorrerebbe de­ stinarvi il 1 5 % delle aree coltivate. Così, a un aumento della popolazione mon­ diale corrisponde una riduzione della terra arabile a disposizione che si è di­ mezzata dal 1970. Quanto ai benefici per l'ambiente, questi non sembrano ri­ levanti in termini di minori emissioni ( almeno per l'etanolo da granturco) . La strada caldeggiata dall'GNU è la produzione di etanolo derivante dallo scarto delle cellulose , che salvaguarderebbe la produzione agricola ma che risulta troppo costosa. Il menu

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Secondo la statunitense Union of Concerned Scientists , il consumo alimen­ tare determina un quinto dell 'impatto ambientale prodotto da una famiglia media e ha un peso quasi pari a quello dei trasporti7• Tra i principali respon­ sabili del legame tra cibo ed effetto serra vi è la distribuzione commerciale

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dei prodotti e l e relative inefficienze d i natura logistica. I l fattore che incide maggiormente nel rendere pesante un alimento dal punto di vista ecologico varia da prodotto a prodotto. Nel caso della pasta, ad esempio , oltre la metà dell'energia impiegata è dovuta all 'uso dei trattori nei campi di grano. I pro­ dotti consumati e le distanze percorse dal campo alla tavola sono tra gli im­ putati principali e sollecitano un forte dibattito che dai paesi anglosassoni investe tutti i paesi sviluppati. Da anni nel Regno Unito si è awiata una discussione sui /ood miles, cioè sui chilometri percorsi dal cibo prima di arrivare sui banchi di vendita. Il cibo che viaggia è produttore di costi occulti e inquinamento, derivanti dai proces­ si di distribuzione, perciò comincia ad affermarsi l'idea che il cibo non possa essere giudicato solo per attributi come qualità, aspetto e prezzo, ma anche in base ai chilometri percorsi per arrivare in un determinato punto vendita. An­ che il biologico, che dovrebbe, per natura, privilegiare la filiera corta, è spesso trasportato in aereo, mezzo dal considerevole impatto ambientale. L'inglese Soil Association, l'associazione britannica del biologico, ha proposto di nega­ re il marchio a prodotti imputati di provocare un impatto per le loro modalità di trasporto, anche se provenienti da agricoltura biologica, con la motivazione che solo la filiera corta rappresenta la base di una produzione ecologicamente sostenibile. La sensibilità all'impatto ambientale del trasporto del cibo ha dato impul­ so a progetti di ricerca volti a quantificare i costi dei metodi di produzione e delle miglia del cibo a seconda del tipo di trasporto, delle sue emissioni, delle quantità trasportate. Uno studio del Dipartimento inglese per l'ambiente ha calcolato che il 25o/o di tutto il traffico pesante su gomma è legato al trasporto di derrate alimentari. In tutto il mondo esistono progetti rivolti alla rinascita del contatto diretto tra produzione e consumo (mercati contadini) e a forme di distribuzione diretta (Meletti, 2007). L'approccio al cibo sostenibile si traduce nella promozione delle produzio­ ni locali con il duplice obiettivo d'incrementare la trasparenza della filiera e la percezione di sicurezza alimentare del consumatore. Fattori come il maggiore consumo energetico, l'inquinamento dell'aria, il congestionamento del traffi­ co, gli incidenti, l'inquinamento acustico convergono con motivazioni etiche. Le implicazioni ambientali ed ecologiche riguardano il prodotto e l'impresa e l'intero processo di produzione e di movimentazione: packaging, trasporto, ri­ fiuti e riciclaggio (Petrini, 2007). Cresce la percentuale di consumatori consa­ pevoli del proprio ruolo nella gestione di una catena alimentare rispettosa del­ l'interesse generale. Secondo le stime della Coldiretti, un menu composto da cibi coltivati lo­ calmente genera la metà delle emissioni di anidride carbonica di un menu pre­ parato con prodotti provenienti dall'estero. Gli esempi non mancano: carne ar­ gentina, riso tailandese, asparagi spagnoli, susine sudafricane, vini cileni. Con quale impatto? Per fare un esempio, ogni chilo di ciliegie giunto a Roma dal-

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l'Argentina consuma 5,4 chili di petrolio e rilascia nell'atmosfera 16,2 chili di anidride carbonica. Per coltivare un ortaggio fuori stagione è necessario ricrearne artificial­ mente le condizioni ideali di crescita e ciò comporta un maggiore uso di ener­ gia e di trattamenti chimici. L'agricoltura biologica, oltre a consumare meno energia da fonti fossili e a emettere meno gas serra, funziona da serbatoio di carbonio; ogni ettaro coltivato con il metodo biologico assorbe una tonnellata e mezzo di C0 2 • Da queste considerazioni trae impulso l'enfasi sull'economia locale, sull'u­ tilizzo di prodotti locali nel rispetto della biodiversità, dell'ambiente, della sa­ lute e del risparmio energetico. Acquistando prodotti da imprese agricole cir­ costanti e volte alla promozione dei prodotti tipici di un territorio si rafforza l'identità dello stesso e, soprattutto, si promuove una filiera corta come garan­ zia di qualità e freschezza. 5·9 La responsabilità individuale e la ricerca di soluzioni eco-compatibili

La sensibilità per l 'alimentazione è testimoniata da una recente pubblicisti­ ca che mette l'accento su tre fattori: l'impatto delle produzioni sull'ambien­ te , le condizioni di allevamento degli animali e le condizioni di lavoro delle grandi multinazionali alimentari. Un libro inchiesta americano, scritto da un filosofo e da un avvocato ambientalista, tratta le implicazioni etiche che le nostre scelte alimentari hanno sugli altri (Singer, Mason , 2007 ) . I due auto­ ri hanno seguito tre famiglie, mangiando alla stessa tavola. La prim a, in Arkansas, che segue la dieta americana standard ( carne , patate, spesa da Wal Mart e uscite da McDonald's ) ; la seconda, nel Connecticut, composta da on­ nivori coscienziosi, attenti al biologico e al commercio locale; l'ultima, di ve­ gani del Kansas che non mangiano prodotti di origine animale. Il libro sot­ tolinea che il cibo meno costoso ha un impatto negativo su altri fattori qua­ li il trattamento degli animali, l'ambiente , le condizioni dei lavoratori del­ l'industria alimentare. Nell'allevamento industriale dei polli, gli animali so­ no ingozzati senza potersi muovere, muoiono talvolta prematuramente , l'al­ to livello di ammoniaca che viene dagli escrementi provoca disturbi alla re­ spirazione , piaghe sulle zampe e sul petto. Anche i salmoni hanno un' analo­ ga sorte poiché vengono allevati assiep ati in vasche e nutriti con tonnellate di pescato economico che viene trasformato in mangime. Le acque intorno alle gabbie sono inquinate da escrementi e rifiuti. Per ridurre l'incidenza di malattie si somministrano ai pesci antibiotici e pesticidi che inquinano il ma­ re (Marietti, 2007) . L'agricoltura locale è stata soppiantata d a coltivazioni industriali d i mais. Gli individui sono spinti a consumare almeno 3.900 calorie al giorno, che so-

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n o pari quasi al doppio d i quelle d i cui hanno bisogno. I cibi nei supermer­ cati hanno percorso una distanza media superiore a quella delle famiglie per andare in vacanza. Se ogni cittadino mangiasse anche un solo pasto alla set­ tim ana composto da prodotti provenienti da agricoltura biologica il consu­ mo nazionale di petrolio sarebbe ridotto di 1 ,1 milioni di barili alla settima­ na. È un mito che un il modello alimentare fondato sull'agricoltura industria­ le offra più scelta: anzi di ogni prodotto produciamo sempre meno varietà (Placido , 2007 ) . Sempre più forte è l'enfasi sulla responsabilità individuale. Mangiare bio per salvare il pianeta, titolava un quotidiano nazionale in riferimento alla Gior­ nata mondiale della Terra, giunta alla sua XXVIII edizione8• Lo Slow Food da anni va conducendo una campagna per le produzioni locali all'insegna del bi­ nomio tra salvaguardia dell'ambiente e ricerca gastronomica. Sono sorte le pri­ me osterie che usano prodotti locali; l'organizzazione dei coltivatori inventa un marchio - "km zero " - che rilascia a coloro che organizzano il menu rigorosa­ mente su produzioni locali. Di recente, anche le catene distributive manifestano una maggiore sensibi­ lità. La prestigiosa catena Whole Food Market, negli Stati Uniti, mette in evi­ denza le origini dei prodotti e la loro stagionalità. Il progetto delle etichette­ carbone che misurano le emissioni di anidride carbonica è figlio della sensibi­ lità ecologista dei governi di Francia e Inghilterra (Granello, 2007a). La Fran­ cia stabilisce l'obbligo di specifica del costo di anidride carbonica, che più di 90.ooo prodotti dovranno esibire sulle etichette alimentari. La catena britanni­ ca Teseo ha introdotto nei propri supermercati 70. 000 referenze a dichiarato impatto ambientale. Si cercano nuove strade per favorire un'alimentazione ecologica: energie rinnovabili, raccolta differenziata, riciclo della carta, confezioni non inquinan­ ti, isolamento termico e acustico, ridotto utilizzo di agenti chimici. Un tema av­ vertito come particolarmente delicato è quello dei rifiuti e del riciclaggio, per questo si propone il pack /ood, il cibo con pack commestibile: il prodotto si mangia integralmente, compresa la confezione. Si tratta per lo più di trovate di marketing che sollevano evidenti dubbi circa l'igienicità e la sicurezza del pack edibile (www. tuttofood.it). Note 1 . La Conferenza, dal titolo "Food and Water for Life " , si è tenuta a Venezia dal 24 al 27 settembre 2oo8. 2. Ciascuna parte termina con il racconto di un pasto: cheeseburger e patatine fritte da McDonald's; pollo alla griglia, mais e dolce al cioccolato fatto con uova di giornata, cucina­ ti con gli alimenti di una piccola azienda familiare di prodotti biologici; funghi e maiale alle­ vato all'aperto, senza mangimi chimici. 3· Tutte le culture sviluppano un sapere pratico e simbolico legato alle proprietà del cibo : è stato sostenuto che è il sapere alimentare a fondare il pensiero scientifico (Pou­ lain, 2008, p. 87) .

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4· La definizione di obeso vale per chiunque abbia un body mass index (BMI) uguale o superiore a 30 (il BMI mette in relazione il peso con l'altezza: peso corporeo espresso in chi­ logrammi diviso altezza in metri al quadrato) . 5· Per 32 anni gli studiosi americani hanno osservato 12.067 persone legate d a rapporti di parentela, amicizia o semplicemente di vicinato, per un totale di 38.6n legami sociali. 6. Dal pamphlet di Schlosser è stato tratto da Richard Linklater il film Fast Food Nation (2oo6). 7· Cfr. la rubrica "Forma/Alimentazione" , in "D, la Repubblica delle donne" , supple­ mento a "la Repubblica" , 16 giugno 2007. 8. La manifestazione, che si è celebrata il 22 aprile 2008 e che ha coinvolto 174 paesi, è parte di un evento più ampio, l' " Anno Internazionale del Pianeta Terra " , dichiarato dal­ l'o;-..; u per mettere in evidenza il tema della salvaguardia degli equilibri ambientali.

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L'estetica del gusto: il cibo come oggetto dei sensi Questo bicchiere di vino chiaro, fresco, secco riassume in sé tutta la mia vita di campagn a . Si crede ch e io beva: io ricordo. Bachelard (1987, p. 202) Mangiare è una forma di sensualità quotidiana. Le Breton, (2007, p. 364) 6.1 Il polisensualismo della vita contemporanea

Il gusto è il termine più comune a cui ognuno di noi fa riferimento per conno­ tare le preferenze in fatto di cibo. In questo termine è già contenuta tutta la complessità del rapporto tra dimensione soggettiva e dimensione culturale, tra corpo individuale e corpo sociale, tra percezione e conoscenza. La parola evo­ ca, infatti, una pluralità di significati: designa nel contempo il giudizio su un ci­ bo, la capacità di giudicare, le proprietà dell'oggetto che permettono l'espres­ sione di tale giudizio (Marrone, 1998 ). Il gusto rinvia a uno dei cinque sensi, ma indica anche una predisposizione a giudicare la bellezza dei prodotti naturali o artistici prescindendo da una riflessione intellettuale che intervenga a moti­ vare il giudizio1• La stessa dimensione percettiva non è un dato puramente fi­ siologico né prettamente individuale. Il corpo, come ricorda Merleau-Ponty (1965 ) , è sempre un corpo sociale, prima ancora di dirigere i suoi apparati di senso alla ricerca delle qualità sensibili delle cose, esso è una specie di scienza abituale o sedimentata che coglie un mondo già dotato di senso. Il gusto è, quin­ di, un prodotto culturale la cui definizione varia nello spazio e nel tempo. In­ teso come sapore, è un'esperienza per definizione soggettiva, inteso come sape­ re è un'esperienza culturale e, perciò, comunicabile. Il gusto è frutto di un in­ sieme di preferenze, di tradizioni e di abitudini di consumo trasmesse all'inter­ no di una società; esso è, quindi, prima di tutto un'esperienza sociale condivi­ sa2. Tale pluralità di dimensioni apre una prospettiva più ampia nel ragiona­ mento circa l'estetica del cibo. L'estetica del cibo indica il passaggio da un'estetica come esito dello sguar­ do a un'estetica espressione dell'insieme dei fatti percettivi e delle sensazioni di piacere che attraversano il corpo. Ciò non significa che l'aspetto esteriore non sia rilevante. Anzi, è vero il contrario. L'attenzione alla dimensione visiva del gusto accompagna, non da oggi, la preparazione del pasto. Basti osservare le immagini del cibo nella ristorazione, il successo di cucine come quella giap­ ponese, che assegnano alla composizione del piatto un ruolo non accessorio.

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L a coreografia del banchetto, i colori e l e forme del cibo non sono una sco­ perta recente. Lo dimostrano le raffigurazioni delle tavole imbandite nella pit­ tura rinascimentale, lo dimostra il Manifesto della cucina futurista che rappre­ senta, come vedremo più avanti, un'interessante e stravagante anticipazione di tendenze che la cucina scientifica ha reso oggi praticabili. Cosa c'è di nuovo dunque oggi? In primo luogo il carattere di massa: l'attenzione alla dimensione estetica non è più un fatto elitario. Tanto nella ristorazione quanto nelle preparazioni industriali l'apparenza si mescola al­ la sostanza: basti pensare al ruolo del /ood design , alle architetture degli spa­ zi di ristorazione. Il cibo è attraversato , come ogni altro ambito di consumo, dal processo di estetizzazione che caratterizza il nostro tempo , dalla crescen­ te importanza della dimensione comunicativa nella vita delle persone e nel­ l' organizzazione degli spazi quotidiani. Segnalo due fenomeni: da un lato il mutamento delle abitudini percettive indotto dalle nuove tecnologie (espo­ sizione alla percezione di immagini , multidimensionalità della sollecitazio­ ne visiva) , dall'altro, la dilatazione dei confini dell'estetica che investe , oltre al corpo, ogni aspetto della vita: ne sono un esempio l' allestimento dello spa­ zio , la cura dell 'ambiente urbano e dei luoghi di transito come stazioni, ae­ roporti, centri commerciali . La centralità della dimensione estetica produce un riassetto del sistema di valori dominanti e degli orientamenti, determinando la sostituzione delle tra­ dizionali gerarchie valutative. Ma di questo si è molto detto (Fabris, 2oo8 ) . La tendenza all'estetizzazione implica, prima di tutto, l'idea che la bellezza sia pro­ gettabile, che essa non corrisponda a un dato naturale né a un'opera unica, bensì a un'azione progettata. Questa stessa idea impronta tanto l'immagine del corpo (Franchi, 2007) quanto il regno della produzione industriale: qui la di­ mensione estetica interviene quale aspetto strutturale della merce, come dimo­ stra il ruolo assunto dal designJ. I segnali del peso assunto dalla dimensione estetica nel campo dell'alimen­ tazione sono numerosi: dalle proposte dei grandi chef, talvolta citazioni di ve­ re e proprie opere d'arte, fino al packaging nei prodotti industriali. La qualità estetica è uno degli attributi del lusso che, anche nella ristorazione, cerca nuo­ ve strade di differenziazione sociale. La disciplina che va sotto il nome di /ood design segnala l'affermazione di un orientamento che investe la produzione, i luoghi di distribuzione e di fruizione del cibo4• Come si è detto , il significato della stessa categoria di estetica muta profondamente. A causa dell'immediato legame dell'estetica con l'immagine, l'estetica del cibo è stata intesa per lo più come qualcosa che ha a che fare esclusivamente con l'occhio; più in particolare, con l'ornamento e la decora­ zione, con la fruizione visiva delle pietanze , talvolta anche con accenni dub­ biosi sul fatto che l'apparenza confondesse una sostanza modesta. Certo la decorazione, i colori, le forme hanno un ruolo importante per il cibo: la do­ cumentazione storica testimonia che in certi periodi la vista ha giocato un

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ruolo del tutto centrale5• Il cibo, ancora più direttamente di altri ambiti di consumo, mette in luce, tuttavia, il profondo cambiamento intervenuto nel significato del concetto di estetica, vale a dire il superamento della riduzione cognitivo-visiva in cui la cultura idealistica lo aveva collocato. L'estetica rin­ via tradizionalmente, infatti, a un " giudizio di gusto " espresso in un contesto p rettamente mentalistico e in una pressoché esclusiva associazione con l' ar­ te assunta a riferimento della bellezza. La centralità del corpo, che intercetta l'imperativo del godimento attraver­ so il consumo, amplia la dimensione sensoriale: il termine polisensualismo (Fa­ bris, 2oo8 ) , esprime il nuovo rapporto con le merci e ne diviene indicatore di qualità. L'estetizzazione del consumo rimette in gioco, in primo luogo, il cor­ po: l'esperienza estetica è un'esperienza del senso, si fonda sulla percezione (Merleau-Ponty, 1965). Era questo, del resto, il significato etimologico origina­ rio dell'estetica come "percepire coi sensi " , come "sensazione ". L'esperienza del cibo comporta una totale messa in gioco dei sensi, ciò con­ tribuisce a superare una visione riduttiva della concezione dell'estetica e a in­ dicarne, al contempo, la straordinaria rilevanza. Se dunque un'estetica del ci­ bo ha a che fare con la vista, tuttavia essa non si riferisce alla sola vista, meno ancora alla semplice presentazione di piatti e della tavola. Le scelte cromatiche nell'accostamento dei prodotti, l'elaborazione di forme artificiali, i rapporti spaziali tra gli elementi della tavola, il tipo di utensili utilizzati non sono che un aspetto dell'estetica del cibo. Il cibo quindi deve essere trattato e interpretato come oggetto dei sensi (Perullo, 2oo6) : il " bello" e il "buono " sono in relazio­ ne, concetti non distinguibili, così come non lo sono dimensione simbolica e dimensione materiale. A riprova di un crescente intreccio tra forma e materia, il /ood design in­ terviene sulla fruibilità dei prodotti, fino a trasformare la natura, per farla di­ ventare " urbana" e renderla così fruibile anche in metropolitana o in ufficio. Il food design sviluppa così un'attenzione anche alla dimensione funzionale e con­ tribuisce all'offerta di alimenti prét-à-manger e su fuori pasto diversi da quelli consueti e finora esclusi per oggettive difficoltà di utilizzo. L'attenzione all'estetica del cibo trova un'espressione ulteriore nel cosiddet­ to /ood porn, una pratica che comporta la pura contemplazione dei cibi esclusi­ vamente in fotografia e che sta facendo nascere, insieme a nuove composizioni di cibi, reti di appassionati. Quello che attrae i seguaci di questo genere, di mo­ da negli Stati Uniti, ma con origini giapponesi, non è l'idea della consumazione del cibo, ma quella della sua contemplazione ( www.foodporn. com). 6.2 Il desiderio che non deve essere colmato

Il mondo delle merci è ormai uno dei luoghi deputati alla fruizione estetica. Il cibo interpreta, per eccellenza, la figura del desiderio che si rinnova. In questa

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chiave possiamo leggere alcune tendenze attuali, a partire dalla miniaturizza­ zione degli assaggi. Le piccole porzioni sono un'espressione del rilancio del de­ siderio che " deve " restare insoddisfatto. Una sorta di estasi dell'attesa, di per­ manente evocazione dell'oggetto desiderato, sottratto al godimento nell'attimo stesso in cui viene proposto. La soddisfazione piena viene considerata in un certo senso volgare, prova dell'incapacità di sensazioni raffinate che contem­ plano il controllo e il rinvio. Il concetto stesso di assaggio allude a qualcosa che resta promesso, a una felicità che per rimanere tale deve restare in parte ine­ splorata. L'estetica contemporanea deve trovare dispositivi di rilancio perma­ nente del piacere. Le piccole porzioni ci sottraggono al dramma della scelta, imperativo cate­ gorico e nel contempo lacerante dilemma in un contesto di opportunità infinite; una scelta illimitata che resta, tuttavia, sempre virtuale per l'impossibilità mate­ riale di soddisfarla, per una sorta di in-capienza fisica alla sua realizzazione. Co­ sì, tutti gli oggetti del consumo sono sottoposti a questo esercizio di miniaturiz­ zazione, perché nel mondo sviluppato, quando non dal denaro, il vincolo è dato ormai dallo spazio quasi quanto dal tempo. Spazio e tempo limitano le nostre ca­ pacità, mentre i media esaltano un infinito e perenne rilancio delle opportunità, l'estrema mutevolezza degli orizzonti e degli scenari. Le piccole porzioni consen­ tono di assaggiare tutto, di non decidere ciò che vogliamo dawero, ciò che dob­ biamo fare nostro definitivamente. Se non siamo costretti ad esprimere una pre­ ferenza, possiamo mantenerci aperte tutte le possibilità: una spiegazione alla mo­ da delle impercettibili porzioni, dei cucchiai da gustare, elementi da assaggiare in progressiva intensificazione di sapore così da esaltare la degustazione. La mutevolezza caratterizza in larga parte l'offerta di cibo nell'alta ristora­ zione. Grandi chef come Adrià e Sanchez Romero non propongono mai lo stes­ so menu per due stagioni. Anche in ciò si manifesta un tratto della nostra epoca: l'etica del mutamento impone il cambiamento come condizione del " desiderare ancora" . Abbiamo la "garanzia" che ciò che ci era piaciuto non lo troveremo più, che altri cibi stimoleranno la nostra fantasia, che i cibi nuovi ci faranno sentire a nostra volta attuali a noi stessi, figli del tempo presente. Lo spazio per la sorpre­ sa, per il nuovo, per la sperimentazione sollecita un bisogno che cerca altrove vie di compensazione nel ritorno della tradizione, nella ricerca dei sapori antichi e del gusto della memoria. Per ogni sentimento c'è uno spazio opportuno, così è anche per la nostalgia che può essere alimentata, talvolta, con i cibi della memoria: il sapore smarrito come il tempo passato, come questo non più recuperabile, ma awolto nell'aura dolce del ricordo, segna l'altro movimento di ricerca, speculare a quello descrit­ to poco sopra: la nostalgia e la sorpresa costituiscono il perenne pendolarismo del gusto tra passato e futuro. Da qualche anno gli chef giocano con gli alimenti stupendo i loro clienti con piatti che hanno consistenze diverse da quelle originarie del prodotto, fino a tra­ sferire nei cibi sapori di oggetti non commestibili. Gelati al gusto di sigaro, uova

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crude con la consistenza della ricotta, cocktail solidi sono solo alcune delle pro­ poste che girano di questi tempi. Queste stravaganti novità sono possibili grazie all'applicazione di tecnologie provenienti dai laboratori di fisica e chimica. Qua­ si tutti gli chef di alta cucina da qualche anno utilizzano tecniche e strumenti che nascono con la gastronomia molecolare: sifoni, cotture sotto vuoto, gelatine, mousse. La gastronomia molecolare fornisce un supporto all'obiettivo di estre­ mizzare l'inusuale: vengono proposte pietanze il cui gusto, consistenza, tempe­ ratura sono fattori totalmente scollegati tra loro, sfruttando la comprensione dei fenomeni di interazione tra le particelle di carboidrati, proteine e grassi contenu­ te nei cibi6• Cardine della cucina scientifica è la revisione dei classici metodi di cottura per creare nuovi sapori e migliorare i piatti dal punto di vista gastronomico e nu­ trizionale. La cottura awiene spesso senza fiamma: metodi di cottura alternativi, basati sullo studio della modificazione delle molecole dei cibi, possono infatti ge­ nerare nuovi sapori e offrire nuove caratteristiche dei piatti, anche sotto il profi­ lo dietetico. Il risultato: uova "cotte" a freddo e gelati preparati in azoto liquido. La sperimentazione culinaria è vissuta con sospetto da parte di coloro che considerano la tradizione una fonte da salvaguardare con cura. I detrattori ve­ dono nella cucina scientifica una negazione del ruolo del testo, affermando che il laboratorio diviene, così, più importante delle ricette. Con ciò si perderebbe una fonte ricca, attraverso la quale è possibile avanzare non solo interpretazio­ ni qualitative sui modelli di gusto, sulle tradizioni e sulle innovazioni, sulle so­ stituzioni e sulle contaminazioni, sulla memoria e sulle abitudini individuali e sociali, ma anche ricavare dati su prodotti e consumi, nonché sui modelli eco­ nomici e sociali. L'estetica odierna del cibo sembra avere bisogno di usufruire liberamente di tutti i sensi, in modo che il cibo diventi mezzo per vivere un'esperienza. Se que­ sta è resa unica, nel suo proporsi di ingredienti alimentari e non solo, ancora me­ glio. Alta cucina one shot dunque: piatti firmati, serviti solamente per un giorno. La cucina scopre la dimensione dell'edizione limitata, del piatto unico e irripeti­ bile. Just Cavalli Café, ristorante sotto l'omonima boutique in via della Spiga a Milano, ha inaugurato la moda delle fashion hours: tre momenti della giornata dedicati al cibo-spettacolo. Piatti da gustare una sola volta nella vita sono propo­ sti da Leonardo Pierazzoli, executive chef dei ristoranti Cavalli, formatosi alla scuola di Adrià. Alle 12 il lunch, dalle 15 alle 18 l'ice cream bar, per fmire con l'a­ peritivo dalle 18 alle 21, servito mentre dagli schermi al plasma delle vetrine le ri­ cette vengono proiettate in oltre dieci lingue. 6. 3 Sapore e stupore: l' anticipazione futurista

La rilevanza della sensorialità e della spettacolarità come elementi di attrazio­ ne del cibo, per lo più attribuita alle dirompenti tendenze del postmoderno,

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era già evidente nel Manifesto della cucina futurista firmato da Marinetti7• Il documento testimonia come il " gusto " di un'epoca sia in grado di permeare territori anche lontani da quelli letterari o artistici in cui si è affermato. La cu­ cina futurista propone l'esperimento di nuove miscele apparentemente assur­ de, in nome del coraggio di osare atti audaci e soluzioni insolite. Il perfetto pranzo futurista deve sollecitare tutti e cinque i sensi con «l'invenzione di complessi plastici saporiti, la cui armonia originale di forma e colore nutra gli occhi ed ecciti la fantasia prima di tentare le labbra» (Marinetti, Fillia, 1932). Il banchetto futurista è polisensoriale: prevede l'uso di espedienti per speri­ mentare la ricettività tattile dei commensali, l'uso di profumi spruzzati in aria o sui commensali, di musiche da proporre negli intervalli tra le portate , di poe­ sie, danze e rumori di contorno che stimolino una percezione simultanea e non limitata al palato. Nel futurismo la cucina, come l'arte, è segnata da uno sguardo rivolto al futuro, dal rifiuto di ogni riferimento alla tradizione, dal gusto della sorpresa e della provocazione. Il primo tentativo di sowertire usi e abitudini relativi al gu­ sto fu sperimentato con la "Cena a rovescio " , che si tenne al Politeama Rosset­ ti di Trieste il 12 gennaio 1910, dove vennero servite - cominciando dal caffè per terminare con l'antipasto - portate dai nomi astrusi come "Grumi di sangue in brodo " , " Arrosto di mummia con fegatini di professore " e "Marmellata di glo­ riosi defunti " ( Sigalotti, 2005). Le sperimentazioni nascono all'insegna della provocazione come è nello spirito del movimento futurista. Ma è l'intuizione del polisensualismo l'aspetto più moderno. Il cuoco francese Jules Maincave nel 1914 aderisce al futurismo e dichiara guerra alla noia dei metodi tradiziona­ li per proporre nuove strane mescolanze con essenze profumate alla rosa, al mughetto, in modo da offrire sensazioni gustative sorprendenti. Il Manz/esto della cucina futurista ha precorso i tempi nel cambiamento del gusto per molti aspetti, indicando come l'estetica dominante abbia da sempre trasmigrato dai mondi della cultura a quelli della cucina. La cucina nel futuri­ smo è segnata, come l'arte, da uno sguardo rivolto al futuro, dal rifiuto di ogni riferimento alla tradizione, dal gusto della sorpresa e della provocazione. Il Manifesto dichiara lotta alla pastasciutta, considerata l'emblema delle tra­ dizioni alimentari popolari, propone l'abolizione dei condimenti tradizionali, del peso e del volume degli alimenti; auspica la creazione di «bocconi simulta­ neisti e cangianti», invita i chimici a inventare nuovi sapori e incoraggia l' acco­ stamento ai piatti di musiche e profumi. Al lancio del Manifesto segue una folta serie di conferenze e banchetti futuristi in Italia e in Francia, l'inaugurazione della taverna Santopalato e la pubblicazione del libro La cucina futurista di Marinetti e Fillia (1932). Un caotico guazzabuglio di innovazioni, suggestioni esotiche, gusto goliardico compone l'estetica della gastronomia futurista che propone piatti program ­ maticamente incommestibili. Durante gli " aerobanchetti " , iniziati a Bolo­ gna nel 1931, i commensali sedevano attorno a una tavola priva di tovaglia e

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imbandita con fogli di alluminio e piatti di metallo , dove il lambrusco veni­ va servito in latte di benzina. La crociata contro la pastasciutta diviene il simbolo della rottura con il pas­ sato. Altri piatti celebri, come i "rombi in ascesa " , vedono in questo manifesto i germi della nouvelle cuisine all'italiana. I futuristi si propongono di stabilire il nutrimento adatto a una vita sempre più aerea e veloce. In primo luogo si sca­ gliano contro il volume e il peso nel modo di concepire il nutrimento auspican­ do che la chimica sappia dare in modo efficiente, in polveri e in pillole, le ca­ lorie indispensabili. Il pranzo perfetto esige un'armonia della tavola che comprenda stoviglie, addobbi, profumi, sapori e colori, pretende l'originalità assoluta delle vivan­ de, l'invenzione di forme plastiche che nutrano gli occhi ed eccitino la fanta­ sia prima di tentare le labbra. L'abolizione della forchetta e del coltello si pro­ pone di accentuare il piacere tattile, l'uso dell'arte dei profumi intende favo­ rire la degustazione. La musica negli intervalli tra una vivanda e l'altra serve ad accendere la sensualità. I bocconi contengono dieci, venti sapori da gusta­ re in pochi attimi. A tutto ciò si aggiunge l'ingresso di strumenti scientifici in cucina: ozoniz­ zatori che danno il profumo dell'ozono a liquidi e vivande, lampade per emis­ sione di raggi ultravioletti, elettrolizzatori per scomporre succhi estratti, in mo­ do da ottenere da un prodotto noto un prodotto con nuove proprietà, appa­ recchi per la distillazione, centrifughe, dializzatori. La cucina futurista antici­ pa l'idea che il cibo passi dal regime del nutrimento/ dovere al regime del pia­ cere e dell'estetica. Come spesso accade, nel passato sono contenuti sorpren­ denti anticipazioni di mode future. 6. 4 n cibo come arte

Gli chef assurgono al ruolo di artefici-artisti di una "nuova" arte: l'arte culina­ ria. I loro visi e le loro divise bianche sono entrati nella National Portrait Gal­ lery di Londra, accanto a quelli dei reali e degli scrittori di fama: chef colti che propongono squisitezze di cui, talvolta, non si distingue la natura, scrivono te­ sti, partecipano alle sperimentazioni nei laboratori di fisica delle università. Mai, prima di Ferran Adrià, un cuoco aveva ricevuto un riconoscimento come il Lucky Strike Designer Award e l'invito a partecipare a "Documenta " , una delle più importanti esposizioni di arte contemporanea ( www. documen­ tal2.de). Per l'occasione, il suo ristorante elBulli a Cala Montjoi (Roses ) , loca­ lità della Costa Brava, considerato da molti critici il miglior ristorante del mondo, si è trasformato in una sede distaccata della mostra, tenuta a Kassel, in Germania. La ricerca estetica coinvolge anche la ristorazione veloce. Alain Ducasse, cuoco di fama mondiale, ed Eric Kaiser, maestro panettiere di origini alsazia-

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n e , propongono a Parigi panini firmati come opere d'arte. Pane tiepido e croc­ cante e ingredienti fusi in un mélange quasi irriconoscibile al gusto. Anche la scenografia è studiata per coinvolgere nella lunga preparazione: al centro del­ la boutique in uno scrigno di vetro prendono posto il forno e la camera di fer­ mentazione. Grandi recipienti inox per la farina, tavoli hi-tech per la prepara­ zione collocati su un parquet di quercia rossastra. L'architetto Patrick Jouin ha inteso creare l'atmosfera del vecchio forno, che lasciava intravedere i garzoni mentre impastavano la farina. L'ibridazione tra cibo e arte dà luogo a locali che si propongono come luo­ ghi di ristorazione e come esposizioni artistiche. Ad esempio, presso l'Art Cafè Gallery di Cascina si è svolta la doppia mostra personale degli scultori Eugeny Derevyanko e San dro Bartolacci. L'evento ha coinciso con l'apertura del risto­ rante Art Cafè Gallery, un luogo dedicato al gusto, ma anche alla cultura, con­ cepito come un "ristor-arte " , non soltanto per i sapori dei cibi, con ricette di ogni angolo del mondo, ma per il connubio stretto con l'arte. Regolarmente, infatti, il ristorante proporrà esposizioni dedicate alla pittura e alla scultura. Questa commistione raggiunge l'apoteosi con il ristorante del museo d'ar­ te MacNal di Vitry-sur-Seine a Parigi, in cui ogni mostra si traduce in quadri commestibili proposti da famosi chef ( www.restaurant-transversal.com). Co­ mune a queste esperienze è l'attenzione all'aspetto visivo, pittorico e sculto­ reo della composizione della tavola: ogni vivanda-scultura ha un'architettura originale che dà la sensazione di mangiare un'opera d'arte. I principi della nuova cucina recuperano molti elementi del rinnovamento gastronomico fu­ turista, sia dal punto di vista estetico che del trattamento della materia8• Co­ me la cucina futurista, la nuova cucina riserva alla presentazione del cibo un'attenzione particolare nella raffinatezza della composizione, nell'amore del dettaglio, nel colore e nella forma delle pietanze le cui architetture vengo­ no costruite come opere d'arte. I piatti sono solitamente bianchi, senza deco­ razioni, in modo che queste non interferiscano con la composizione cromati­ ca della portata. Il piatto bianco diventa la tela sulla quale il cuoco crea l' ope­ ra, che risulta incorniciata dalla falda del piatto. A differenza della cucina classica che s'identificava in un corpus di ricet­ te rigorosamente codificato, la cucina odierna, come il jazz, non ha spartito e l'adozione di un piatto prevede sempre una sorta di arrangiamento individua­ le. Il gesto creativo del cuoco diventa esplicito: il proscenio conviviale si tra­ sforma in uno spettacolo squisitamente individuale. Tanto è vero che, mentre le cucine del passato contenevano in sé un progetto di riproducibilità, nella moderna cucina d' autore la riproduzione di ricette di altri viene considerata una sorta di plagio. Più che stabilire un copione valido una volta per tutte, la nuova cucina impartisce una lezione di metodo (Marchesi, Vercelloni, 2001 ). La cucina diventa un'arte autografica e questo spiega l'emergere della figura del cuoco-artista. Infatti, se nella cucina tradizionale il testo si configura co­ me un insieme codificato e rigoroso di istruzioni per l'uso , nelle più recenti ri-

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cerche culinarie, il testo non esiste più in quanto sistema strutturato di rego­ le per l'esecuzione di un'opera, ma in quanto opera in costruzione, luogo del­ l'improvvisazione. Come l'improvvisazione musicale supera la natura di arte allografica della musica, così la pietanza d'autore acquista lo statuto di opera autografica in quanto diventa significativa la distinzione tra originale e falso9. La cucina mu­ ta lo statuto e il valore del testo (ricetta) e dell'autore (cuoco). Se nella cucina tradizionale il testo è impersonale, nella cucina di oggi emerge con chiarezza la centralità del soggetto che produce un testo verbale (la ricetta) e materiale (la pietanza), a cui imprime una marca di originalità che lo rende irripetibile e ir­ riproducibile come un quadro. Se la cucina tradizionale può essere considerata allografica in quanto la ri­ cetta è una guida operativa per produrre l'opera, come uno spartito in musica o un progetto in architettura, la nuova cucina può essere considerata autogra­ fica in quanto l'autore lascia impressa sull'opera una marca di originalità e au­ tenticità. In questo cambiamento di prospettiva implicito nell'atto del cucinare, co­ me non cogliere un cambiamento più ampio che propone all'individuo di scri­ vere e costruire il proprio copione identitaria? Con maggiore libertà di movi­ mento, senza riferimenti e ancoraggi alla tradizione. L'estetica del gusto è funzionale alla ricerca di nuove forme di convivialità. Il ristorante è luogo di socializzazione, e anche di negoziazione e contrattazio­ ne; è il luogo in cui è possibile fruire delle creazioni del cuoco demiurgo, rea­ lizzare un'esperienza di gusto. Ciò che segna le nuove tendenze non è solo la possibilità di mettere in gio­ co diversi sensi, ma soprattutto il fatto che ciò avvenga attraverso lo stupore, l'inatteso, il contrastante. La vista rappresenta una sorta di anticipazione del­ l'esperienza gustativa. Il gusto è il senso chimico che distingue i sapori base: acido, dolce, am aro, salato. Il tatto offre la percezione della temperatura e del­ le consistenze. L'olfatto non è meno importante se pensiamo che spesso un sa­ pore è solo olfattivo, ad esempio il tartufo. L'udito completa la dimensione per­ cettiva con i cibi croccanti. È noto che le contraffazioni cromatiche dei cibi creano un senso di confu­ sione e per questo in passato è stata ricercata la coerenza dell'immagine rispet­ to a quella naturale. Oggi la ricerca, con l'aiuto della fisica molecolare, sembra dirigersi verso l'esigenza di rafforzare le sensazioni anche per contrasto. Pen­ siamo a soluzioni come la pizza in cialda di cono che avvicina due alimenti lon­ tani come pizza e gelato, o a colori e consistenze insoliti. Una motivazione prettamente estetica ha anche l'offerta di sali aromatici di diversi colori e provenienza: da quello rosa e delicato dell'Australia ricava­ to da un fiume a quello bianco di Bali, purissimo ed estratto interamente a ma­ no; da quello nero di Cipro, ricco di carbone attivo e perfetto per ricette sce­ nografiche, fino a quello rosso argilloso delle Hawaii10•

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n cibo si fa "frase" Un'antica pratica giapponese - il bento - diviene il simbolo della capacità co­ municativa del cibo. Il bento è la tecnica che trasforma un piatto in un quadro11• Riso colorato di azzurro steso nel vassoio per il cielo, fagiolini verdi in basso si­ stemati in verticale per dipingere gli arbusti e il prato di una riva rigogliosa, stri­ sce di wakame (alghe nere) per barche a vela stilizzate. Le possibilità di com­ porre un lunch box sono infinite, sono ormai molti i siti che offrono disegni e ispirazioni (www. o -bento .net). La capacità comunicativa del bento sembra dawero rilevante, al punto che su un quotidiano di Shizuoka, città a 1 50 km da Tokyo, una maestra di scuola elementare ha lanciato l'awertimento alle mam­ me di non proporre bento violenti in classe. Il suggerimento è quello di aboli­ re la riproduzione di eroi guerrieri per il cestino dei piccoli e sostituirli con pae­ saggi, scene naturalistiche e cuoricini intagliati in carote e sedani. Ancora me­ glio gatti e maialini di riso rosa con naso di prosciutto cotto. Un mensile spe­ cializzato in bento stories consiglia sceneggiature per adulti, per intenerire il partner, ad esempio il profilo di un luogo conosciuto insieme, piccoli rebus da decifrare, messaggi da trasmettere. Nei numerosi concorsi giapponesi che ogni anno premiano il bento più creativo vale una sola regola: tutto il contenuto deve essere commestibile. In un paese in cui la fretta è sovrana, i bento si possono trovare pronti sugli scaf­ fali dei supermercati. Questo pasto creativo deve il suo successo anche alla competizione che si scatena tra impiegati all'ora di pranzo. Decine di concor­ si premiano le creazioni migliori. Periodici specializzati suggeriscono figure e ricette nuove e i negozi si riempiono di contenitori, accessori e stampini per la manipolazione artistica del cibo. Una vera mania che ha già siti dedicati, blog, libri, riviste, bar e ristoranti in molte città europee: Parigi, Londra, Mi­ lano, Berlino. L'estetica giapponese trova un'altra occasione di seduzione come era già accaduto per i giardini zen, il sushi, gli oggetti d'arredo. L'armonia, la sempli­ cità, il vuoto, poi la cura paziente per il dettaglio danno vita ad opere che rap­ presentano la prowisorietà, anche se la tradizione ha origini nel Medioevo. Bento di pesce , di carne, vegetariani , a base di riso e di alghe che si adat­ tano alle cucine locali. Un libro illustrato uscito in America racconta come realizzare le scenografie culinarie del bento (Saylers , 2oo8 ). Owiamente si diffonde anche il mercato dei bento box, con modelli di tutti i tipi, in plasti­ ca, in legno; mentre diversi siti italiani hanno già aggregato gli appassionati che si scambiano ricette (molte in Italia a base di spaghetti) , indirizzi di ri­ storanti , rivenditori di articoli giapponesi ( www. pazzeperilbento . com ). A Milano ha aperto il primo bento bar italiano che consegna anche a domici­ lio (www. bentobar.it). Già ricca l'offerta a Parigi dove molte librerie specia­ lizzate propongono riviste e accessori1 2• Cosa esprim e questa moda occiden-

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tale che riprende un 'antica tradizione giapponese ? Sarebbe riduttivo consi­ derarla solo in una chiave estetica. Il bento è, in qualche modo , l' emblema della funzione comunicativa e relazionale che può essere assunta dal cibo: questo non solo media relazioni e contatti, esprime un ordine culturale, ma diventa messaggio esso stesso , veicolo di emozioni e sentimenti. Il cibo si tra­ sforma in "frase " . 6.6 La cucina è spettacolo

I cuochi hanno conquistato i media, come stilisti famosi impongono stili e ten­ denze. La professione del cuoco ha acquistato un prestigio mai visto, è un van­ to, talvolta, per professionisti che hanno d convertito verso quest'arte le pro­ prie energie. Il cuoco firma il piatto: il momento più importante dell'elabora­ zione gastronomica non è più la perfetta applicazione di regole, ma la creati­ vità, la capacità di accostare elementi inusuali per ottenere nuove armonie e sensazioni. La cucina è il luogo di un'esibizione artistica che si propone di suscitare emozione. Emozione è il termine con cui i seguaci del gusto descrivono la ricer­ ca e l'esperienza di luoghi assurti alla notorietà, celebrati dalla Guida Michelin, inseguiti con la devozione di chi visita un santuario. La pazienza comprovata dall'attesa della prenotazione diventa un'ulteriore prova dell'esclusività del ri­ storante. La presenza sulla scena dei cuochi è l'espressione dell'importanza che ha assunto il rito del mangiar fuori, una pratica sociale in costante mutamento, sia perché domanda e offerta si intersecano con velocità crescente sia perché tale tendenza è declinata e interpretata con un'estrema varietà di soluzioni. La scel­ ta dei luoghi è sostenuta da una serie di mode e di regole più o meno codifica­ te che costituiscono gran parte del senso e del piacere13• L'importanza dei luoghi in cui il rito si consuma e delle interazioni che in quei luoghi si realizzano sono importanti quanto il cibo. Per esempio, la scelta di un ristorante o di un certo stile di cucina non dipende solo dal sapore del ci­ bo offerto , ma anche dal valore dimostrativo associato al contesto. Le norme rituali legate al pasto, che cessano di essere un vincolo nel quotidiano in segui­ to alla destrutturazione dei pasti e ad una minore pratica domestica, si ripro­ pongono in forme nuove nelle occasioni sociali. Le regole dell'associazione del­ le pietanze ai vini ne sono un esempio. La cucina è spettacolo, intrattenimen­ to, confronto di saperi, di esperienze; oggi si gioca su questo piano una parte non secondaria dell'imperativo sociale dominante: essere nei luoghi giusti, fa­ re le cose giuste, essere dentro l'attualità. La cucina si esprime sia nella rivisitazione delle tradizioni sia nell'esplora­ zione. Il gusto si svela a partire dall'incertezza della variazione, presuppone sorpresa. In questo i nuovi cuochi interpretano una nuova forma di arte. Il pas-

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saggio della materia grezza dallo stato di natura a quello di cultura h a i n s é una tale forza di trasformazione da evocare significati quasi magici. La dimensione estetica acquista una rilevanza straordinaria, con una decli­ nazione sensoriale ed emozionale inedita. N on a caso Sanchez Rom ero propo­ ne una cucina che interseca scienza e arti figurative, aperta a culture diverse; una cucina che definisce "costruzionismo " , volta a creare le basi di una nuova tradizione, che deve esaltare il sapore, aprirsi ai sentimenti, arricchirsi con la memoria, potenziare il sapore e gli aromi per aumentare il piacere. L'idea di un cibo che nutra l'anima, in cui il piacere carnale di mangiare si coniughi con il piacere di comprendere, perché, come dichiara lui stesso nel suo sito: «Cuci­ nare è assai più che elaborare un prodotto da mangiare: è una forma di vivere, di esprimersi, di sentire, di dialogare e di condividere» ( www.miguelsanchez­ romero. com ) . 6. ] Le parole del vino: il sapere del gusto

Il vino ha una forte valenza estetica, per la sua simbologia e per il suo caratte­ re "culturale " . Il gastronomo, l'uomo di gusto attento alla qualità dei cibi è, per lo più, esperto di vini. Quali sono le ragioni del fascino esercitato dal vino co­ me oggetto di cultura? Perché attorno alla conoscenza del vino si è sviluppata una pratica di corsi, un sapere? Perché il vino è oggetto di un diffuso discorso sociale? La chiave è racchiusa nei due aspetti che riprendono il concetto di gu­ sto come sapere e sapore, riproduzione e degustazione. Il vino è un oggetto conservabile, contrariamente al cibo d'autore che può essere consumato solo nel momento in cui viene prodotto. La cantina consente di collezionare pezzi nati per il consumo, ma in un tempo dilatato. Il contenitore stesso ne amplifica la comunicabilità oltre che la conservabi­ lità, l'etichetta evoca e sollecita saperi: la provenienza, i vitigni, l'annata, il produttore. Leggere e interpretare l'etichetta presuppone già una conoscen­ za, sancisce l' appartenenza a un circolo di eletti in grado di gustare per mez­ zo di una conoscenza. Il vino è potenzialmente dotato di una dimensione meno fugace di quel­ la che caratterizza l'esperienza del cibo consumato. Realizza un equilibrio tra la temporaneità del piacere fisico e la contemplazione immateriale: in questo senso la dimensione estetica trova qui la sua massima esaltazione . La degustazione consente di astrarre l' oggetto dal suo contesto abituale , dalla momentaneità del gesto, per fissarne in qualche modo la memoria. Bere cen­ tellinando, concentrandosi sul vino e sulle sue qualità sensibili, significa ra­ refare la dimensione materica e temporale del vino, la sua sostanza, e cerca­ re di far lavorare gusto e olfatto sottraendoli alla loro costitutiva evanescen­ za grazie a esercizi di memoria che tendono a fotografare , a fissare la perce­ zione gustativa stessa.

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Il gusto rinvia dalla regione della sensibilità a quella della socialità, dal cor­ po che si nutre al corpo che parla; la narrazione del gusto comporta quella pro­ cedura di riconoscimento del valore dell'oggetto di gusto, riconoscimento che ha una doppia natura: estetica e cognitiva. La sensazione immediata è seguita da una sensazione riflessa, da una sensazione cognitiva del gusto. Ogni valoriz­ zazione estetica è, al contempo, una valorizzazione cognitiva, legata alla socia­ lizzazione dei piaceri del gusto, che possiamo definire, nel senso pieno del ter­ mine, estetici (Marrone, 1998 ). L'attenzione al vino esprime bene il valore dell'apprendimento nel gusto e l'importanza attribuita al "sapere e sentire " dell'amatore. I collezionisti sono conoscitori, la comune condivisione della conoscenza è la condizione per crea­ re una comunità di esperti che condividono non solo una passione, ma soprat­ tutto una cultura e un linguaggio. L'apprezzamento condiviso dei vini diviene un elemento di riconoscimento, una sorta di biglietto da visita per l' apparte­ nenza a una comunità. I processi di apprendimento legati al cibo dimostrano la crescente valenza culturale del gusto, che perde il carattere di preferenza squisitamente persona­ le per rappresentare un connotato identitaria che deve essere riconosciuto e ri­ conoscibile, coltivato e costruito. Il discorso sul vino è un discorso tra i "po­ chi " capaci di distinguere i colori, i sapori, i profumi; il linguaggio usa termini gergali: il bouquet fiorito, il colore caldo, il profumo fruttato, la consistenza pa­ stosa e così via. Il vino viene descritto sempre attraverso rinvii ad altro. Il cu­ rioso vezzo di enologi di descrivere sapori e caratteristiche dei vini usando pa­ ragoni come «sa di pesca, di cioccolato, di asfalto» sembra indicare la mancan­ za di un linguaggio del vino. Nelle presentazioni dei vini si ascoltano descrizio­ ni spesso poetiche che rinviano a ricordi e sensazioni soggettive che non tra­ smettono informazioni, ma mirano a creare curiosità. Le parole "per dirlo " so­ no complicate dal fatto che talvolta esse richiamano oggetti non più attuali (Ci­ presso, 2oo6). Attraverso un linguaggio di rinvii si costruisce un'élite: il sapere sancisce l'appartenenza, il linguaggio delimita e crea la comunità (Hennion, Teil, 2004) . Il piacere del racconto dell'esperienza è una componente non secondaria del­ l'esperienza stessa. Il linguaggio del vino è limitato, chiuso nel gergo stereoti­ pato degli amatori, un linguaggio corporativo, che indica anche la difficoltà di usare le parole del corpo e delle percezioni per esprimere conoscenze. L'atto che mira a cogliere il valore estetico del vino è la " degustazione " , che consiste nel valutarne le qualità estetiche mediante un esame delle sensazioni visive, olfattive, gustative e tattili che esso è in grado di offrire. Si producono due modalità di valutazione/percezione della qualità: una finalizzata al giudi­ zio e una alla fruizione emotiva. Possiamo esprimere un giudizio, ad esempio in un concorso, oppure esprimere un'emozione, nel caso in cui il contesto sia la pura fruizione e il godimento, ad esempio quando si apre una bottiglia in compagnia di amici. Ma cosa ci induce ad attribuire valori estetici al vino? I va-

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lori d i tipo estetico attribuiti a l vino sono valori che attengono: a) alla bontà; b) all'integrità; c) alla bellezza. U n vino è perfetto quando s i considera un buon esemplare in riferimento a una categoria di appartenenza: una cosa è buona in relazione alle qualità che un modello ideale dovrebbe avere. Si parla di perfe­ zione quando si vuole definire un certo vino come un buon esemplare in rife­ rimento alla categoria di appartenenza, quando, cioè, possiede in alto grado le qualità che un oggetto di quel tipo dovrebbe avere. Per definire un oggetto buono, bisogna operare un confronto con un modello, un oggetto ideale, inte­ so come la perfezione per quella categoria, che viene confrontato con l' esem­ plare concreto. I valori di perfezione variano in funzione delle diverse conce­ zioni estetiche attribuite al vino. Qualità normalmente indicative del valore di un vino sono: l'armonia, l'equilibrio, la persistenza, la franchezza, la presenza di un retrogusto piacevole, la morbidezza, la rotondità, la freschezza, la limpi­ dezza. Si dice inoltre che il vino ha una sua vitalità, che può avere freschezza, giovinezza, vigoria, forza, salute, maturità, decadenza; in base alla sua prove­ nienza, può vantare nobiltà di natali e distinguersi per il possesso di qualità su­ periori dettate dalle sue origini. Nel caso del vino, come più in generale nel caso di una marca, l'identità estesica scaturisce da un dialogo complesso tra prodotto (in senso lato tutti i messaggi da questo comunicati) e consumatore (Marrone, 2007) . È la comu­ nicazione che si stabilisce tra il prodotto e chi lo consuma, con l'insieme dei riferimenti valoriali e culturali in gioco, a risultare decisiva. Anche nel caso delle offerte alimentari, come per ogni altro prodotto di consumo, non è de­ cisivo il gusto intrinseco dei prodotti, ma quello dei loro consumatori, capa­ ci di apprezzare nelle diverse sostanze le medesime caratteristiche gastrono­ miche. La parola gusto assume, quindi, un significato più ampio: la capacità soggettiva di riconoscere ed apprezzare qualità sensibili - attività di ricono­ scimento e costruzione del gusto che ha una forte valenza sociale - è intrisa di socialità. Il gusto è sempre qualcosa di condiviso , come provano le fre­ quenti espressioni «abbiamo gli stessi gusti», «non potrei mai mangiare quel­ la roba lì». Il discorso sociale che si forma attorno a un prodotto o a una mar­ ca costruisce vere e proprie comunità di gusto, che condividono più ancora che gli stessi valori, le medesime competenze a riconoscere il gusto delle co­ se (i vi, p. 305 ) . Il nesso tra la percezione sensoriale del gusto e la costruzione dei significati sociali del cibo passa attraverso il linguaggio verbale . I discor­ si sul cibo sono il veicolo di un sentire e di un sapere che può essere comu­ nicato e condiviso. 6. 8 L' acqua: l'estetica della trasparenza

L'acqua esemplifica in modo emblematico un altro aspetto della dimensione estetica nel consumo, fatta di sottile percezione sensoriale e, ancor di più, di

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appartenenze narrative. L'acqua segnala l'emergere di un 'estetica che cerca "giustificazioni sensoriali " e le colloca in un orizzonte estetico simbolico. Alle acque vengono attribuiti sapori e proprietà (certificate dalla composizione in­ dicata sulla bottiglia) , ma il possesso di una bottiglia in edizione limitata è, pri­ ma di tutto, un segno di distinzione. Le dinamiche ostentative del lusso indu­ cono a cercare anche nei beni alimentari qualche elemento in grado di conno­ tare il carattere esclusivo del consumo. N el consumo di acqua, l'estetica gioca un ruolo decisivo. L'estetica inter­ viene a modificare profondamente un consumo che risponde a un bisogno elementare, quello di dissetarci. I particolari design delle bottiglie d'acqua di lusso ne consentono l'utilizzo come complementi d'arredo nelle vetrine e al­ l'interno delle boutique delle maggiori griffe di lusso. Le bottiglie sono simi­ li ad ampolle di whisky o a sofisticate boccette di profumo: la confezione, as­ sai più del contenuto, ne giustifica il prezzo, talvolta sui livelli di un buon vi­ no. Le acque entrano a far parte dell'assortimento dei migliori ristoranti. Fa­ cendo leva sulla diversa provenienza e sulle differenti proprietà organoletti­ che connesse alle fonti, i ristoranti offrono al cliente la possibilità di abbina­ re le acque che meglio possano fare risaltare i sapori del piatto ordinato. I lo­ cali più esclusivi hanno già scelto di adottare carte dell'acqua ad accompa­ gnare le carte dei vini. L'industria delle acque minerali nasce verso la fine dell'Ottocento in al­ cuni paesi europei a forte tradizione termale (come Italia, Germania, Fran­ cia, Belgio) con l'imbottigliamento di acque provenienti da sorgenti storiche , famose per le loro virtù salutari. Nel nostro paese, i primi tentativi di com­ mercializzazione di un 'acqua minerale naturale risalgono al 1890 e a quella data segue la costruzione dei primi impianti di imbottigliamento. Fino a metà degli anni Sessanta si sviluppa un mercato delle acque naturali, essenzialmen­ te locale, ancorato alla connotazione medico-terapeutica, rappresentativo di una nicchia del più generale settore del bere analcolico, destinato a un seg­ mento di consumatori appartenenti alle classi più agiate. Dagli anni Settanta si assiste a un ampliamento del mercato in questione. Le aziende tendono ad adottare politiche di ampliamento, anche geografiche, delle aree di mercato. Fondamentale è stata l'introduzione delle bottiglie in plastica molto più leg­ gere di quelle di vetro e con costi inferiori di trasporto e di distribuzione. N e­ gli anni Novanta l'Italia diventa il primo paese al mondo per la produzione di acque minerali naturali, anche per una maggiore sensibilità a un'alimenta­ zione più sana. In Italia il consumo di acqua minerale naturale ha superato i 1o.ooo milio­ ni di litri annui, che equivalgono a un consumo pro capite pari a 190 litri, tra i più alti nel mondo. L'export rappresenta circa il 10°/o della produzione nazio­ nale, evidenziando una tendenza alla crescita. I consumi di acqua si sono de­ stagionalizzati, stiamo assistendo a un forte interesse per i packaging studiati per l'o n the go: le bottiglie da 0,5 litri spopolano nelle palestre, nelle stazioni,

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i n tutti i contesti d i pausa pranzo; anche per ragioni dietetiche l'acqua tende a sostituire bevande più alcoliche caloriche come la birra o il vino. Le variazioni nei prezzi delle acque minerali sono sempre maggiori. Il co­ sto di una bottiglia non è legato alla materia prima, che corrisponde a meno di un decimo del costo . Ad alzare il prezzo intervengono soprattutto fattori di trasporto e di pubblicità. L'acqua è presente a manifestazioni e fiere: un esempio per tutti è lo stand Acque Club al Vinitaly 2008 che ha proposto ac­ costamenti acqua-cibo-vino, con il contributo di esponenti della cucina ita­ liana d' autore. " Il gusto dell'acqua" - la cui prima edizione si è svolta alla Fiera SA:--.J A di Bologna l'n-14 settembre 2003 - è stato il primo evento nazionale con l'acqua come protagonista teso a farne conoscere le diverse proprietà. Lo spazio espo­ sitivo è stato suddiviso in dieci installazioni, ognuna delle quali studiata per far risaltare il gusto, il territorio di origine della fonte , le particolarità della sorgen­ te, gli abbinamenti gastronomici. Interessante notare la sinergia con aziende del design italiano come la Kartell ed artisti le cui creazioni si ispirano all' ac­ qua. Nel 2000 è stata costituita l'Associazione degustatori acque minerali (ADAM) composta da professionisti della gastronomia, nutrizionisti e idrologi. Alcune acque sono state premiate proprio per il design della bottiglia: l'El­ senham Water è stata considerata la bottiglia più bella del mondo in seguito al­ la vittoria del primo premio del Design nel 2005 a Dubai, presso il famoso ho­ tel a forma di vela. Un'altra bottiglia, la BligH2o, in vetro satinato e rifinita con cristalli Swarovski, ha ricevuto il riconoscimento al Berkeley Springs Interna­ clonai Water Tasting Festival. L'acqua Lauretana ha un design firmato da Pi­ ninfarina, e la San Bernardo da Giugiaro. La più costosa in commercio arriva dal Giappone: SuperNariwa sgorga dalla sorgente creata milioni di anni fa nel­ la roccia magnetica da una tempesta di meteoriti e dall'eruzione di un vulcano marino. Secondo i suoi produttori, SuperNariwa sarebbe in grado di aiutare il corpo a difendersi dalle malattie e di rallentare il processo di invecchiamento. Quest'acqua faciliterebbe il ringiovanimento delle cellule ed aiuterebbe a sen­ tirsi più forti ed energici. Inutile ricordare che le proprietà benefiche dell'acqua non sono dimostrate e per un chimico l'espressione "acqua magnetizzata " è priva di senso. L'acqua desalinizzata delle isole Hawaii viene venduta in Giappone per la sua capacità di far perdere peso, ridurre lo stress migliorare la tonicità della pelle e favorire la di­ gestione. Piccole bottiglie dell'acqua marina delle Hawaii Kona Nigari vengono vendute a prezzi proibitivi. L'acqua, estratta da una profondità di 915 metri, è pompata dal laboratorio di energia naturale dell'oleodotto hawaiano che si esten­ de oltre 6oo metri sotto la superficie dell'oceano. Tra le acque minerali più pre­ giate è da segnalare l'Iceland Glacial prodotta dagli iceberg, purissima e incon­ taminata che sorge dalla leggendaria fonte di Olfus, formatasi durante una mas­ siccia eruzione vulcanica oltre 4. 500 anni fa e schermata da allora da una impe­ netrabile barriera di roccia lavica.

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La carta delle acque comprende ormai una serie diversificata di bottiglie che vantano specifiche proprietà organolettiche e vengono proposte in abbi­ namento a diversi tipi di piatti. La Voss proviene dalla Norvegia, è povera di sodio e ha la più bassa percentuale di solidi disciolti e si presenta in una par­ ticolare bottiglia cilindrica creata da un ex direttore creativo di Calvin Klein e Ralph Lauren. L'acqua Finé proviene dal Giappone, dalla catena Fuji; la Bleheim Palace Water è la più importante ed esclusiva tra le acque inglesi; la Royal Deeside sgorga dalle montagne scozzesi nell'altopiano della valle rea­ le di Deeside; l' acqua O go proviene dal Belgio ed è addizionata all'ossigeno , per questo si propone come apportatrice di effetti benefici sull'organismo, ad esempio rafforzare le difese immunitarie, aumentare la resistenza alla fa­ tica, prevenire l'insorgenza di cellule cancerogene, favorire la concentrazio­ ne. Vi sono, inoltre , alcune acque più note, come la Evian, che escono ogni anno con una bottiglia diversa in edizione limitata. Pineo proviene dai Pire­ nei spagnoli e recentemente la bottiglia ha vinto un premio per il design in Germania. Karoo è un 'acqua che proviene dal Sud africa e ha vinto nel 2006 il premio di Bottled Water World. Bling H2o Swarovski viene da una fonte artesiana in Tennessee e si propone come acqua da collezione per la bottiglia impreziosita con i cristalli Swarovski. La 420 Vulcanic Water sgorga da un vulcano spento nella Nuova Zelanda e si dichiara incontaminata perché lon­ tana dalle zone industrializzate: il nome deriva dal 42 parallelo sul quale è collocata la fonte. Il mercato italiano delle acque di lusso viene rifornito in Italia da due prin­ cipali distributori: Viva SRL e Horeca Distyle. Viva fornisce la grande distribu­ zione e propri negozi di immagine. I negozi di proprietà di Viva (Aqua Stare) proponendosi come centro di informazione e di orientamento sull'acqua mi­ nerale in bottiglia hanno creato il software AQUA per i clienti visitatori. Hore­ ca Distyle, leader del mercato, distribuisce a punti di vendita paralleli owero negozi che introducono la vendita delle acque di lusso per rafforzare l'imma­ gine di prestigio. Ne sono esempi le boutique di Vuitton, Gucci, Bulgari, Ar­ mani, Prada. La dimensione estetica, che in qualche caso assume i connotati del vero e proprio lusso esclusivo per il costo, si associa all'attenzione alla sa­ lute e alla dieta. In entrambi i casi il fattore comune che aggrega le due dimen­ sioni è il carattere di esclusività, l'immagine di qualcosa di raro o di esotico il cui uso segnala una particolare conoscenza da parte di chi utilizza il prodot­ to. La qualità non usuale dell'acqua, la sua provenienza lontana, il suo carat­ tere di acqua conosciuta da pochi intenditori concorrono a comporre un'im­ magine elitaria. La moda delle acque ha dato luogo a una serie di prodotti a basso conte­ nuto calorico. Tra i numerosi esempi di champagne analcolici provenienti dal­ la Francia, al gusto di acqua e frutta, i prodotti Fire-Fly, da bere freschi entro 24 ore dall'apertura, privi di conservanti, che contengono mix benefici dedica­ ti a diversi obiettivi: il relax, il risveglio di energie, la risoluzione di disturbi dio

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gestivi e di mal di testa, le difese immunitarie. E ancora: Amé è una bevanda aromatizzata che proviene dalla Gran Bretagna, il cui nome deriva dalla paro­ la giapponese che sta per pioggia gentile, è una bevanda analcolica, che contie­ ne succo di frutta, acqua di sorgente e ha un sapore di erbe orientali e di fiori che promettono calma e rilassamento. Aloe-Vera SjgoS è una bevanda analco­ lica proveniente dall'Indonesia, proposta in Italia come so/t drink rilassante e rinfrescante, con le proprietà "benefiche" del cuore della foglia di aloe, spez­ zettato e usato per produrre la bevanda: viene utilizzata come base di cocktail, inserita nella preparazione di macedonie di frutta. Queste acque non conten­ gono zuccheri, hanno ingredienti naturali e vengono proposte come alternati­ va al vino. Le nuove acque hanno sostituito le bibite gassate: nuove fragranze, aromi naturali e insoliti, talvolta lievi e quasi impercettibili profumi in piccole eleganti bottiglie come boccette di profumo, sapori appena evocati. Tutto esprime leggerezza, trasparenza, raffinatezza. Dimensioni salutiste, edonistiche ed estetiche producono nuovi gusti, in linea con le mutate rappresentazioni so­ ciali del corpo e del benessere. Note 1 . Marrone (2007) rileva la straordinaria capacità anticipatoria di Brillat-Savarin che non colloca il gusto all'interno di un corpo oggettivo e scomponibile in organi e funzio­ ni, ma entro un corpo fenomenico, aperto al mondo e all'esperienza, che invia alla scien­ za delle significazioni l'esigenza di coniugare fisiologia e fenomenologia, modelli sociali e trame percettive. 2. Questo spiega il fiorire di adesioni a siti che raccontano esperienze di cibo, condivi­ dono gusti, scambiano esperienze e generano saperi. Per motivare la partecipazione a un blog di cucina una trentunenne scrive: «Ho urgenza di trasmettere sensazioni e mi solletica l'idea che qualcuno possa mettersi a tavola seguendo le mie dritte» (lossoelalisca.blogspot.com). 3 · n mondo delle merci è ormai uno dei luoghi deputati al godimento estetico. Anche la Coop ha di recente immesso nella propria rete distributiva, a costi contenuti, piccoli ogget­ ti quotidiani connotati da una rivisitazione estetica: mollette, spugne, stendibiancheria, ri­ pensati come oggetti decorativi. 4· Sono ormai numerosi i master rivolti a chi deve progettare spazi di consumo e sup­ portare le aziende che producono packaging alimentare. 5· Nel basso Medioevo e nel Rinascimento , ad esempio, la gastronomia alta si esprime­ va attraverso una scenografia complessiva, perciò concetti quali bontà e piacere risultavano da un complesso di elementi sensoriali: vista, udito, tatto avevano un ruolo importante quan­ to olfatto e gusto. La coreografia del banchetto, i colori e le forme del cibo, le rappresenta­ zioni di attori, musici e danzatori erano indissociabili dall'esperienza gastronomica. 6. L'inventore della gastronomia molecolare, Pierre Gilles de Gennes, premio Nobel per la fisica nel 1991, agli inizi degli anni Novanta comincia a riunire chimici, biologi e cuochi con lo scopo di sperimentare ed elaborare una "teoria della pietanza ". n primo Atelier interna­ zionale di gastronomia molecolare si è tenuto a Erice, in Sicilia, nel 1990 e da allora viene pro­ posto con cadenza annuale. n francese Hervé This è stato il primo chef a mettere sulla carta innovativi piatti elaborati con metodi scientifici. In Italia la cucina scientifica è studiata da Davide Cassi (Dipartimento di Fisica, Università di Parma) . 7 . n Mani/esto della cucina futurista, pubblicato il 2 8 dicembre 1930 nelle pagine del quo­ tidiano torinese "La Gazzetta del Popolo " , avvia una serie di banchetti in Italia e all'estero.

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8 . Nel 1 9 7 2 due giornalisti gastronomi francesi, Henri Gault e Christian Millau, conia­ rono l'espressione nouvelle cuisine per definire lo stile culinario di un gruppo di chef di ta­ lento che dall'inizio degli anni Sessanta era entrato in conflitto con la tradizione della haute cuisine francese. 9· Le arti allogra/iche sono quelle in cui la creazione può essere eseguita dall'autore o da un mero esecutore; sono considerate autografiche, invece, le arti in cui un'opera non esegui­ ta dall'autore è un falso. 10. Ricettari su misura in Rete (http://soffidisale.blogspot.com) . I I . fl termine s i riferisce letteralmente a i COntenitori dei cibi. 12. La più famosa è la Librairie Japonaise Junku, rue d es Pyramides 18. Tra i ristoranti, il Sushi-bento per pranzi veloci e l'Ebisu-bento che propone ambienti raffinati. 13. Sono parte della soddisfazione del mangiar fuori le conoscenze gastronomiche e so­ ciali che ne derivano: l'avere assaggiato un certo piatto, l'avere saputo gestire i tempi della cena tra degustazione, commenti sulle pietanze, chiacchiere e scambio di informazioni.

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Tradizione e adattamento Il territorio esiste solo in funzione del mito dell'infanzia, se ci inventiamo il mondo delle tradizioni radicate nella terra e nell'identità di una regione lo facciamo solo per rendere concreti e oggettivi gli anni magici e irrimediabilmente passati che precedono l' orrore del diventare adulti. Barbery ( 20o8, p. 57)

7· 1 D fascino della memoria

Per ciascun di noi vi sono cibi della memoria, cibi che ricordano "molto altro " , che attraverso il sapore hanno il potere di fare emergere emozioni, esperienze, affetti familiari. Nella ricerca del sapore antico si nasconde, quindi, la ricerca di uno stato di grazia da ricreare, la ricerca di un tempo perduto. Commozio­ ne e nostalgia accompagnano queste incursioni nei cibi dell'infanzia, il ricordo del sapore è sempre il ricordo di situazioni, si associa a un'atmosfera di dolcez­ za e di perdita. I ricordi legati al cibo sono memorie indelebili che richiamano alla mente e al cuore situazioni intense vissute soprattutto nell'età infantile e adolescenziale, in cui le emozioni sono semplici ma vengono vissute con pas­ sione. È frequente avere ricordi forti legati al cibo, a ciò che si mangiava di di­ verso nel passato, a come lo si faceva e in che situazioni. Coloro che li posseg­ gono li custodiscono con cautela e orgoglio, come se fossero oggetti preziosi a cui badare per mantenerli intatti. Sono le emozioni suscitate da queste memo­ rie che li rendono così preziosi. I ricordi riguardano soprattutto cibi che ora non posseggono più le caratteristiche di un tempo o non sono più presenti nel­ l' alimentazione odierna. Le ciliegie. Anzi, erano amarene grosse. A quattro anni facevo follie pur di poterle mangiare. Mia madre ne comprava poche, perché erano molto costose e le suddi­ videva tra i figli. Mia sorella più piccola era molto lenta nel mangiarle ed io gliele rubavo sempre, facendo arrabbiare mia madre. Nel mangiarle mia sorella si spor­ cava la bocca, le guance, ed io andavo a leccargliele pur di poter avere ancora il sa­ pore così dolce e succoso di quelle ciliegie1• L'attrazione per la tradizione alimentare è in gran parte sostenuta da sentimen­ ti di nostalgia per una fase della propria vita irrimediabilmente perduta. I ri­ cordi di cibi sono ricordi personali di feste, di riti familiari, di relazioni affetti­ ve. Non a caso «nessun cuoco né cucina né ha mai cucinato come le nostre non­ ne» (Barbery, 2008 , p. 33).

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I dolci stagionali erano talvolta veri e propri giocattoli alimentari: il carbo­ ne di zucchero per la Befana, la ciambella appesa al ramo d'ulivo e portata in processione la Domenica delle Palme, le uova dipinte a Pasqua. La memoria di cibi dell'infanzia comprende per ogni generazione cibi e prodotti diversi che hanno scandito i decenni: negli anni Cinquanta e poi Sessanta insieme alle so­ luzioni di merende casalinghe come il pane con il burro e lo zucchero, l'uovo sbattuto, la zuppa di pane e latte la sera, fanno la loro comparsa i primi "nuo­ vi" prodotti dell'industria alimentare come i cubi di marmellata incartata nel­ la carta trasparente, le bustine per fare l'acqua frizzante nella bottiglia con il tappo, poi il ghiacciolo, la spuma, i formaggini, le sigarette di gomma e di cioc­ colato, il Ciocorì con il riso soffiato, le polveri al cioccolato e al caffè per la co­ lazione, l'Ovomaltina e il Nesquik. La cucina era uno spazio abitativo che si identificava con la casa, emanava calore. Si trattava di un calore ben più che simbolico: attorno al fuoco si svol­ geva la vita quotidiana per molti mesi dell'anno. La cucina è stata più tardi so­ stituita dal soggiorno, luogo senza odori di cibo, i procedimenti del cucinare si sono accorciati. Non è solo una questione di minore tempo dedicato al cucina­ re, gli alimenti si depurano di sapori e odori forti. Anche il fuoco diventa pro­ gressivamente invisibile: dalla fiamma viva del camino, il fuoco si nasconde nel­ la cucina a legna, si riduce a fiammella nella cucina a gas, sparisce nella piastra delle cucine elettriche (Ballarini, 2005). La perdita dei sapori della tradizione ha a che fare con molti aspetti: la qua­ lità degli ingredienti, i saperi, la disponibilità del tempo, ma anche l'ampliarsi dei mercati di produzione e consumo. Non si possono ignorare mutamenti che sono irreversibili e adottare un atteggiamento di rimpianto. La tradizione, co­ sì tanto evocata, in gran parte corrisponde a un lavoro di invenzione in cui il richiamo a motivi antichi si innesta su procedure e componenti inevitabilmen­ te mutati. Surgelati e precotti entrano ormai nella preparazione di ricette tra­ dizionali. Motivazioni sociali spiegano l'attuale forte interesse per la tradizione. La velocità del mutamento enfatizza la nostalgia per tutto ciò che riguarda il passato. La nostalgia è , in qualche modo, un tratto intrinseco che segna il rapporto con il passato. Nel tempo veloce il cibo mantiene una funzione commemorativa, permette all'uomo di inserirsi ogni giorno in un passato co­ mune. Non a caso la pubblicità esalta la riscoperta di segreti perduti. «Il ci­ bo è incaricato di rappresentare la gustosa sopravvivenza di un'antica so­ cietà rurale : m antiene il ricordo delle origini fin nella vita m o derna» (Barthes , 199 8 , p . 38 ) . Non a caso imm agini vintage invadono le confezioni di dolci e cioccolatini. I TIR che riempiono i supermercati con merci che provengono da ogni an­ golo del pianeta fanno «crollare, assieme ai prezzi, le immagini di prestigio che da sempre hanno accompagnato i prodotti esotici» (Montanari, 2006, p. 25). La distinzione si sposta sul territorio.

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Sorgono i musei del gusto, che sono certo parte di azioni di marketing ter­ ritoriale o di strategie di valorizzazione di prodotti con una forte connotazio­ ne locale, ma che rispondono anche all'esigenza di salvaguardare la memoria del cibo e dei procedimenti di produzione. Il Food Museum ( www.foodmu­ seum . com) iniziativa newyorkese con obiettivi educativi, ha lanciato nel 2005 The Global Food Heritage Project, a salvaguardia della memoria del cibo. Mis­ sione del progetto l'identificazione e la conservazione di musei dedicati al ci­ bo, aree di origine e provenienza di particolari alimenti, fattorie, fabbriche, ri­ storanti e hotel storici, luoghi associati a ricette o prodotti alimentari. Anche per questa via i consumi alimentari intrecciano rilevanza economi­ ca e, al tempo stesso, sociale. Così, la riscoperta delle tipicità e del gusto che connota le comunità locali non ha un valore solo in un ambito commerciale e turistico, ma è parte delle azioni dotate di senso rivolte a cercare e preservare elementi di identità individuale e collettiva. 7· 2 La costruzione della tradizione

Come è noto, le identità alimentari si modificano incessantemente e sono solo parzialmente riconducibili a situazioni ambientali e geografiche: ne è un esem­ pio la dieta mediterranea che si compone di prodotti che derivano da scambi con molte altre regioni del mondo. Ogni tradizione è un frutto dinamico della storia, generato da complessi fenomeni di scambio, di incrocio, di contaminazione e si forma attraverso processi materiali e sociali. «Come la lingua parlata, il sistema alimentare contiene e trasporta la ctÙtura di chi lo pratica, è depositario delle tra­ dizioni e dell'identità di gruppo» (Montanari, 2006, p. 153). Per questo, la con­ trapposizione fra tradizione e innovazione è in larga parte priva di senso, in quan­ to la tradizione sedimenta una serie continua di innovazioni. In questo processo la tradizione viene risemantizzata, vale a dire trasferita in un differente contesto di significati. L'esempio della cucina povera è emblematico: gli stessi piatti che connotavano abitudini quotidiane tradizionali, riproposti e accostati ad altri ci­ bi, assumono un valore ben diverso dal nutrimento a cui assolvevano in origine. «La grande cucina è diventata arte grazie ad una continua elaborazione, alla me­ scolanza di passato e futuro, qui e altrove, crudo e cotto, salato e dolce, e può continuare a vivere solo liberandosi dall'ossessione di chi non vuole morire» (Barbery, 2008, p. 57) Per alcune religioni orientali, come l'induismo e il buddhismo, si tratta di comportamenti che hanno lo scopo di liberare l'animo umano e separarlo dal­ la prigione del corpo. Per le religioni monoteiste del Mediterraneo, i precetti alimentari rappresentano una serie articolata di obblighi e divieti di diversa na­ tura: possono riguardare la quotidianità, come il divieto permanente per i mu­ stÙmani di consumare carne di maiale, essere ciclici, come la Pasqua ortodos­ sa, o commemorativi, come le feste della tradizione ebraica. Sw valore simbo-

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lico dei precetti religiosi si è molto discusso: per alcuni devono ricordare all'uo­ mo che esistono limiti e confini al suo agire che vincolano la sua libertà, per al­ tri svolgono anche una funzione igienico-sanitaria, oltre che etico-morale (Chef Kumalè, 2007, p. r8 ) . Sarebbe fuorviante cercare una mera spiegazione funzionale a i complessi sistemi di precetti contenuti nei libri sacri. In tutti i gruppi sociali, da quelli tri­ bali a quelli moderni, le diverse fasi della vita, dalla nascita alla morte, sono ac­ compagnate da riti e cerimonie e quasi sempre coincidono con il consumo di cibi dal preciso valore simbolico (ivi, p. 77) . L'abbondanza e la particolarità del­ le pietanze, normalmente non cucinate durante il resto dell'anno, sono gli ele­ menti che più caratterizzano una certa festività. Anche quando si attenuano i legami religiosi resta il festeggiamento di una determinata ricorrenza liturgica, di cui magari si è perso il significato originario. Offrire cibo è rito di convivia­ lità e di omaggio personale. I riti compongono e rafforzano l'identità. Questa però nasce sempre dallo scambio e dal confronto con culture diverse. La cucina etnica diventa una realtà cosciente di se stessa quando i confini etnici vengono sorpassati. La stes­ sa idea di cucina etnica prende forma in quanto si confronta con sistemi e abi­ tudini alimentari diverse. Ogni tradizione si costruisce attraverso contaminazioni. Pensiamo ai viaggi del cibo. Di certo Colombo non immaginava che il suo viaggio nelle Indie avreb­ be portato cambiamenti così enormi nelle diete degli abitanti della vecchia Euro­ pa. Com'è facilmente intuibile, ci fu uno scambio di produzioni alimentari tra i due continenti: patate, mais e pomodori furono massicciamente coltivati anche nei paesi europei ma, sfruttando gli ampi spazi e il clima favorevole, numerose col­ ture (carote e arance) e l'allevamento di animali (suini e bovini) furono awiati nel­ le Americhe da parte dei colonizzatori. In Europa, proprio a partire da quegli an­ ni, si determinò una crescita dell'offerta di cibo. Fu anche tale surplus ad accele­ rare la rivoluzione industriale che invesù il vecchio continente: la maggiore quan­ tità di cibo prodotta unita a quella portata dall'America richiedeva una maggiore forza lavoro, migliori infrastrutture e migliori tecnologie di lavorazione. Crebbe­ ro così le città dotate di stabilimenti di produzione e raffmazione alimentare, si perfezionarono le reti ferroviarie e ci fu una migrazione dalle campagne alle me­ tropoli industrializzate capaci di meccanizzare la lavorazione dei beni. La tecnologia consentì di trasportare il cibo per lunghe distanze: i proces­ si di raffreddamento e di congelamento crearono sinergie con la maggiore ve­ locità delle navi a vapore, consentendo di rendere le vivande più globali. Insie­ me all'ammodernamento dei processi di produzione vi fu anche quello dei pro­ cessi di distribuzione; nacquero i "nazionalismi culinari" : ogni nazione cercò di crearsi un'identità ben precisa sulla base degli ingredienti e del modo di pre­ parazione dei pasti. Dato che tutti i paesi europei si trovarono ad avere il tota­ le accesso a tutti i componenti culinari, il differente modo di combinarli e pre­ pararli diede vita ai cosiddetti piatti nazionali. In quel periodo, ad esempio, gli

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inglesi si vantavano del fatto che il roast-beef, piatto semplice per eccellenza, fosse il fulcro della loro cucina, cercando al contempo di screditare i vicini fran­ cesi che mangiavano piatti decadenti, mascherati con veleni che li rendevano irriconoscibili (Kiple, 2007, p. 215). Al contempo, per i francesi la grande cuisi­ ne dei ristoranti di Francia del XIX secolo rappresentava la superiorità cultura­ le della propria nazione. Le cucine nazionali sono state storicamente un importante strumento di identità. Come sostiene Camporesi (1989 ) , il ricettario dell'Artusi ha svolto una funzione non secondaria nella sintesi della cultura alimentare del nostro pae­ se, tanto che la Scienza in cucina e l'arte di mangiar bene ha fatto di più per l'u­ nificazione nazionale di quanto abbia fatto il Manzoni con I promessi sposi. 7·3 Regole, riti, tradizioni: l' esempio della cucina ebraica

Il termine kosher si riferisce al cibo conforme alle norme secondo la religio­ ne ebraica. Il termine è divenuto sinonimo di cibo sicuro e campeggia su una gran parte di prodotti venduti negli Stati Uniti. La grande presenza di ebrei residenti a New York non spiega tutto: le prescrizioni della Torah diventano una garanzia in un momento di forte preoccupazione per la salubrità del ci­ bo. Anche in Italia si afferma il fenomeno kosher: i prodotti improntati a nor­ me religiose ispirano fiducia e le aziende che hanno deciso di farsi certifica­ re kosher sono in crescita. A Roma è sorto il Mk Kosher, il fast food "confor­ me alle norme " più grande d'Europa; tre piani e 250 posti a sedere. Al posto dei tradizionali hamburger si servono panini e piatti della cucina giudaico­ romanesca. Il 70% dei frequentatori non è di religione ebraica, ma si sente rassicurato dal fatto che i cibi passino sotto il controllo rabbinico e non solo per quello sanitario. La cucina ebraica costituisce un esempio interessante del rapporto dina­ mico che si determina tra norme (prescrizioni religiose), riti (i cibi si associano alle ricorrenze religiose) e adattamento (le cucine si diversificano in relazione ai paesi di approdo). Il rispetto delle norme, che dà luogo a precise pratiche di cucina e, prima ancora, si esprime nelle regole di macellazione e di trattamen­ to degli alimenti, lascia spazi di adattamento alle cucine locali, in un processo sincretistico che risponde alle complesse vicende della diaspora. Come si intreccia la norma religiosa con la costruzione della tradizione ali­ mentare ? E quest'ultima come viene ibridata nel passaggio a contesti culturali diversi? La cucina ebraica indica come l'esistenza di una norma religiosa inci­ da nella creazione di una tradizione alimentare, ma non impedisca alla stessa di subire forti contaminazioni e inglobare creatività nelle soluzioni alimentari. Si mangia quello che è permesso mangiare, ma un ricco repertorio scandisce i riti che intersecano la vita della comunità.

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La cucina ebraica fa del divieto u n gusto gastronomico una cultura ali­ mentare. Non a caso, ricorda Toaff (2ooo ) , i negozi alimentari dei ghetti so­ no sempre stati frequentati da clienti cristiani, attratti e diffidenti verso cibi che potevano avere velate valenze eretiche ; cuochi e pasticceri si cimentava­ no con ricette " alla giudia " , attratti da sapori esotici e da seduzioni di tra­ sgressione. «Mangiare un carciofo alla giudia o una sfoglia di pane azzimo era come fare un viaggio all'estero , periglioso e temerario, una sorta di se­ ducente traghetto dalla Chiesa alla Sinagoga, da cui comunque si intendeva rientrare al più presto» (ivi, p. Io) . Le scelte alimentari ebraiche risultavano condizionate pesantemente da una rigida prescrizione religiosa: si mangiava quello che era permesso man­ giare. Il cibo kosher è , appunto, il cibo permesso. La lista dei menu a dispo­ sizione è limitata per quanto concerne le componenti base dell' alimentazio­ ne e i modi di preparazione dei cibi (Toaff, 2000, p. 9 ) . Il libro religioso ebraico contiene 653 precetti di cui più di 300 riguardano l' alimentazione. L'arco dei divieti è lungo e condizionante: il Pentateuco (Lev. XI e Deut. XIV), proibisce le carni di bestie che non possiedono insieme le caratteristiche di essere ruminanti e di avere lo zoccolo bipartito; quindi tra gli animali pro i­ biti figurano il cammello, il cavallo, il coniglio , la lepre , il maiale. La carne doveva essere macellata con procedure particolari che prevedevano un ma­ cellatore abilitato ed esperto che recidesse con un coltello affilato la trachea e l'esofago per fare uscire tutto il sangue. I pesci per essere ammessi dove­ vano possedere due caratteristiche visibili, le pinne e le squame, quindi ri­ sultavano esclusi anguille , razze, seppie, calamari, molluschi ecc. La norma «non cuocere il capretto nel latte di sua madre», implicava il divieto di me­ scolare ogni tipo di carne con derivati dal latte, burro , parmigiano. I divieti non venivano rispettati da tutti nello stesso modo , mangiare all'ebrea non si­ gnificava per tutti mangiare kosher. Gli ebrei levantini, nordafricani e ashke­ naziti erano assai più rigidi degli italiani nell'applicazione dei divieti alimen­ tari biblici e rabbinici, soprattutto per i consumi del pane, del vino, dei for­ maggi. I ricettari di cucina ebraica costituiscono una moda recente: gli ebrei hanno in genere preferito trasmettere i segreti oralmente piuttosto che por­ li per iscritto. La cucina ebraica scandisce rigidamente le cadenze rituali e festive: Shab­ bat (il sabato ) è considerato la più importante festività e perché il riposo sia completo non si dovrà compiere nessun lavoro manuale né accendere il fuoco, quindi il pasto dovrà essere preparato il venerdì prima del tramonto. Il pranzo sarà ricco, servito su una tovaglia candida sulla quale saranno posati i lumi del sabato accesi dalla madre poco prima del tramonto di venerdì. Inoltre vi sarà il calice con il vino per il Kiddush che il padrone di casa reciterà prima della cena. Al centro i due pani di Hallà, il pane del sabato fatto a treccia, simbolo di un serto nuziale. Rosh-Ha-Shanà è il capodanno ebraico, awiene all'inizio d'autunno e precede i dieci giorni penitenziali che precedono Kippur. Ricorda

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la creazione del mondo, dura due giorni durante i quali si usa mangiare il mie­ le per un augurio di un anno felice e le primizie di stagione. Yom Kippur è il giorno del I? erdono, chiude i dieci giorni penitenziali che iniziano con Rosh­ Ha-Shanà. E un giorno solenne in cui si osserva un rigoroso digiuno. La vigi­ lia del Kippur è d'uso servire un piatto abbondante, ma privo di spezie. La festa di Succoth (la festa delle capanne e del raccolto) dura sette giorni e ricorda la permanenza degli ebrei nel deserto durante la fuga dall'Egitto. Per l'occasione, in giardino o sulla terrazza si usa costruire una capanna con il tet­ to di frasche, decorata con festoni e prodotti di stagione: mele, pere, melogra­ ni, peperoni, melanzane, pannocchie di granoturco. Si fanno cibi ripieni, dol­ ci di frutta, involtini di carne e di riso in foglie di vite, in ricordo dei vigneti del­ la Giudea. Shabbat Bescialach ricorda il miracolo del Mar Rosso: «le acque si ritira­ rono e ricoprirono i carri e i cavalieri e tutto l'esercito del Faraone» lasciando che gli ebrei si mettessero in salvo. Nelle famiglie degli ebrei italiani durante questa festa si usa fare una pietanza detta la "ruota di Faraone " , che ricorda le ruote dei carri dei nemici sconfitti. Purim , festa delle sorti, si svolge all'insegna dell'allegria perché ricorda un episodio concluso felicemente, quello in cui la regina Ester e suo zio Mordecai salvarono gli ebrei dal massacro ordinato da Amman: è d'uso fare doni, bere vino, mangiare dolci, tra i quali il più tipico è costituito dalle orecchie di Amman. La festa di Purim è preceduta da un digiu­ no in ricordo di quello che la regina Ester fece per implorare da Dio la grazia per il suo popolo. Pesach (la Pasqua ebraica) celebra l'uscita degli ebrei dalla schiavitù d'E­ gitto: non si consumano cibi lievitati e si mangia pane azzimo, senza lievito e senza sale, si fanno moltissime minestre e molti dolci a base di uova, mandor­ le e farina; la festa dura sette giorni, le prime due sere vengono solennizzate dal­ la cerimonia del Sèder, il pranzo pasquale che raduna parenti e amici e forestie­ ri: sèder significa "ordine " e allude al fatto che il pranzo pasquale deve essere sottoposto a un preciso cerimoniale che comprende le stoviglie, la quantità di vino, le pietanze, le verdure. Shavuot è la festa di ringraziamento per la Legge ricevuta sul Sinai e viene detta festa delle primizie perché in quel giorno aweniva il pellegrinaggio al tempio con l'offerta delle primizie. Per ognuna di queste feste sono previsti diversi menu nelle tradizioni ita­ liana, askhenazita e sefardita (Ascoli Vitali-Nova, 1987). La cucina ebraica è l'esempio di una tradizione alimentare fortemente ri­ tualizzata, scaturita da regole rigide, innestata però su tradizioni locali. I divie­ ti e le regole da un lato , da un altro la diaspora che induce l'insediamento in contesti connotati da produzioni e da abitudini locali, e, infine, la difesa della propria identità religiosa spingono in qualche modo verso un sincretismo par­ ticolarmente interessante. In questo senso, la cucina ebraica esprime elementi di difesa e conservazione e di adattamento al tempo stesso.

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L'ultimo adattamento, per certi versi paradossale, s i awale delle tecnolo­ gie. In Israele si assiste al lancio di prodotti high tech che puntano a rendere più facile il rispetto dei precetti. La macchina che fa il caffè all'ora stabilita sen­ za l'intervento umano, la penna a inchiostro che svanisce dopo 72 ore per ag­ girare l'ostacolo di scrivere di sabato, un sistema di allarme che il sabato disat­ tiva automaticamente i sensori elettronici. Anche i forni, che devono avere due scomparti diversi per la carne e i derivati del latte, hanno un marchingegno re­ golato in precedenza che attiva il calore senza la mano dell'uomo. La tecnolo­ gia arriva in aiuto agli ebrei osservanti che possono rispettare le prescrizioni re­ ligiose senza rinunciare alle abitudini quotidiane e senza perdere i vantaggi del­ la modernità3. 7·4 Continuità e mutamento attraverso i consumi alimentari: i consumi degli immigrati

I beni di consumo svolgono un ruolo importante sia per il mutamento che per la continuità di un determinato contesto sociale (McCracken, 1988 ). Essi sono elementi di continuità in quanto rappresentano una sorta di mappa della realtà sociale che rende concretamente visibili le categorie culturali di una società persuadendoci, nel contempo, che queste sono naturali. Ma i consumi sono an­ che veicoli di cambiamento, in quanto sono uno dei modi in cui un gruppo può ripensare se stesso, allontanandosi dai beni che ha sempre utilizzato e comin­ ciando a utilizzarne altri. Ma, soprattutto, i consumi possono rendere appeti­ bile il mutamento, possono fungere da elemento attrattivo per lo stesso, come dimostrano i flussi migratori. Tuttavia, anche a fronte di una forte capacità attrattiva dei contesti socia­ li di approdo, per gli immigrati la cucina di casa resta a lungo il riferimento privilegiato, un elemento di difesa delle radici: il pranzo preparato secondo le regole della tradizione contribuisce a mantenere il senso di una storia co­ mune. L'acquisizione di nuove abitudini richiede un passaggio che awiene attraverso più generazioni: una ricerca su gruppi di italiani emigrati in Au­ stralia indica una prima fase di forte difesa delle tradizioni, una seconda im­ prontata al sincretismo e una terza di sostanziale omologazione alle abitudi­ ni del paese ospitante (Losacco, 2003 ). Da un modello di separazione si pas­ sa a una condizione di graduale abbandono dei vincoli comunitari e delle norme isolazioniste trasmesse dai genitori, per abbracciare un atteggiamen­ to d'integrazione che permette di inserirsi nella comunità in cui si vive, fino alla terza generazione che perde ogni legame con l'appartenenza originaria. La volontà d'integrazione si esprime nel rifiuto delle tradizioni alimentari ori­ ginarie e nell'adesione ai modelli del paese ospitante. Al contrario , la difesa della tradizione passa attraverso l'insegnamento delle regole della cucina, an­ che se nel passaggio alla seconda generazione i piatti con le loro precise pe-

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riodicità perdono il loro significato originario. Nella seconda generazione, in­ fatti, la fedeltà al cibo tradizionale non è più un elemento così importante per definire l'appartenenza al gruppo: il consumo di piatti tradizionali in occa­ sione delle feste non simboleggia più il legame con la terra d'origine, ma sol­ tanto il ricordo dell'infanzia. La rapidità di adattamento che si esprime nell'abbigliamento si accompa­ gna a una certa resistenza ad abbandonare i gusti conosciuti nell'infanzia, così vengono ricercati alimenti e materie prime che consentano di riprodurre, alme­ no in parte, i sapori e i piatti di casa. Lo testimonia l'enorme sviluppo dei nego­ zi di cibi etnici nei quartieri delle città europee abitate da immigrati. I negozi et­ nici sono l'espressione del radicamento delle comunità e, nel contempo, del pro­ cesso di ibridazione dei consumi. I negozi etnici, così come i ristoranti, copro­ no diverse aree del mercato: in qualche caso si rivolgono a una clientela curio­ sa di sperimentare altre cucine, in altri rispondono innanzi tutto all'esigenza di consumo delle comunità. I locali etnici vedono una continua crescita, alcuni so­ no diventati locali di tendenza che gli stranieri non potrebbero frequentare4• N on vi è da stupirsi che le abitudini alimentari manifestino questo caratte­ re di persistenza: al di là degli aspetti sensoriali del gusto, un valore ancora più forte ha l'aspetto della difesa dell'identità. Inevitabilmente i crescenti flussi di mobilità su scala mondiale accentuano processi di ibridazione delle culture cu­ linarie. Accanto all'affermazione di cucine nazionali si producono fenomeni di glocalizzazione (McDonald's sostituisce il pollo al maiale per vendere i propri hamburger in India e nei paesi islamici) e processi di creolizzazione, contami­ nazioni e adattamenti che trasformano la cucina in direzioni non prevedibili. Anche per questi motivi il cibo manifesta una straordinaria flessibilità. La cuci­ na è certamente stata il primo canale di ibridazione culturale. L'immigrazione ha svolto nei tempi moderni il ruolo che un tempo ave­ vano assunto i "viaggi del cibo " . Gli immigrati hanno talvolta proposto esi­ genze correlate alla propia fede, ad esempio potersi rifornire presso macel­ lerie conformi alle regole religiose5• Sono circa 3 milioni gli immigrati in Ita­ lia, con una crescita continua: le stime sui flussi prevedono un apporto di ol­ tre 7 milioni di persone nel periodo da qui al 20506• Si tratta di un universo composito in ragione della diversa provenienza e della diversa matrice cul­ turale, delle condizioni di vita, della stabilità attribuita al soggiorno. Secon­ do un'analisi della Federalimentare , gli immigrati si comportano in modo si­ mile agli italiani, comprano le marche più note e pubblicizzate in TV; gli ac­ quisti alim entari coprono, in ordine di frequenza di consumo, tre gruppi principali di alimenti: il primo composto da riso, latte, pasta e caffè, il se­ condo da tonno in scatola e bibite gassate e biscotti, il terzo da merendine, snack , surgelati, birra, sughi pronti e cereali per la colazione. Frequentano ristoranti e pizzerie in media una volta al mese. I negozi etnici sono utilizza­ ti da un 'esigua minoranza, mentre i più frequentano supermercati e centri commerciali (www.labitalia. com/articles/news/1262I .html).

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I consumi degli immigrati non sono leggibili solo i n termini di capacità di spesa, ma sono espressione delle strategie che sorreggono un processo migra­ torio. Questo può essere vissuto come scelta temporanea finalizzata ad accu­ mulare risorse considerate sufficienti per imprimere una svolta alla vita con­ dotta nel paese d'origine, oppure può essere considerato una scelta definitiva. N el caso di un progetto transitorio, il reddito ottenuto attraverso il lavoro è orientato prevalentemente verso il paese d'origine. Nel caso in cui il sogetto in­ tenda stabilirsi nel paese di arrivo, i consumi rappresentano un elemento non secondario dell'integrazione. È probabile allora che gli immigrati tendano a scegliere consumi " omologanti " , anche a supporto di strategie d'integrazione. Tali strategie, assai visibili per quanto riguarda l'abbigliamento, sono però più complesse per quanto riguarda il cibo. Soprattutto i giovani figli di immigrati possono trovarsi in bilico tra diver­ se spinte, soprattutto nelle comunità che esprimono più forti appartenenze et­ niche. Se il progetto familiare ha un segno temporaneo, è una parentesi che si chiuderà con il ritorno nel paese d'origine e le famiglie mettono in atto stra­ tegie di mantenimento dei legami con la cultura di origine che implicano uno scarso investimento sul processo di integrazione nel nuovo contesto . Così i giovani figli di immigrati possono trovarsi a vivere in un luogo in cui sentono di avere più identità: quella che indossano, quella che i genitori vorrebbero per loro , quella che per la società di arrivo dovrebbero indossare e quella che loro desidererebbe indossare per non restare ai margini7• La strategia bicultu­ rale sembra la più diffusa ed è destinata ad alimentare i fenomeni di ibridazio­ ne del cibo. 7· 5 Quando il cibo si mescola alla storia: il caso della cucina americana

L'ibridazione delle cucine rappresenta un esito inevitabile della società globa­ le. Ed è già una pratica oggi in una città come New York, che da anni presen­ ta uno straordinaria mescolanza di culture. «È un fatto ormai naturale per gli americani praticare una varietà di cucine. Oggi si mangia italiano, domani mes­ sicano, mercoledì cinese, giovedì magari un hamburger, ma tutto con lo stesso piacere. Tutte le cucine straniere sono presenti in questo paese, è naturale pas­ sare da una cucina all'altra», così afferma Ron Tanner, vicepresidente della Na­ tional Association for the Specialty Food in un'intervista rilasciatami in occa­ sione della 54a edizione di Fancy Food. Non è forse un caso che il multiculturalismo culinario si accompagna, proprio in America, a una riflessione sulle origini della cucina. Un recente li­ bro di Rebecca Gray ( 2oo8 ) propone una sorta di ricerca delle radici della cu­ cina americana, attraverso la storia dei prodotti che la caratterizzano : il cioc­ colato, il miele, i pomodori, i funghi, la carne, le marinate, il caffè. Ogni in-

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grediente ha una storia che è anche, al tempo stesso, la storia degli individui e delle imprese che hanno dato vita ai prodotti come oggi li conosciamo. L'i­ dentità culinaria si compone e si snoda attraverso le vicende personali, secon­ do una cultura tesa a valorizzare sempre il contributo individuale. La storia dei prodotti indica che dietro agli imperi di oggi stanno gli artigiani di ieri. I prodotti hanno alle spalle persone che hanno scelto il dedicarsi ad un parti­ colare cibo, lo hanno amato, capito , coltivato, conosciuto, trasformato , dife­ so e tramandato. È interessante notare come la ricerca delle radici intrecci istanze salutiste, ciò che è genuino e che si conosce, e istanze di identità, ciò che appartiene al passato comune. Dopo un secolo di ostentata indifferenza all'artigianalità dei prodotti e alla loro origine, anche in America si afferma un bisogno di memo­ ria e di cultura del cibo. McWilliams (2007) racconta la storia della nascita delle abitudini alimen­ tari americane: la risposta alla ricerca di cibo ha svolto un ruolo fondamentale nella costruzione dell'identità nazionale, catalizzando un insieme di fattori che intrecciano difesa della tradizione, capacità di adattamento, lotta per l'indipen­ denza economica. Il controllo sulle produzioni dei cibi, che sono alla base dei processi di accumulazione economica nel periodo compreso tra il 1650 e il 1750 (mais, canna da zucchero, tabacco) , ha un'importanza decisiva negli stessi pro­ cessi di costruzione dell'indipendenza dalla terra madre. L'ipotesi interpretati­ va è supportata da una minuziosa e brillante descrizione dei processi legati al­ le produzioni agricole e alla soddisfazione dei bisogni alimentari. Il filo della ricostruzione della storia della cucina americana è rappresen­ tato dal rapporto tra la salvaguardia della tradizione e le esigenze di adatta­ mento imposte tanto dalle condizioni climatiche quanto dalle esigenze delle produzioni agricole. Il primo esempio viene dalla coltivazione di canna da zucchero che diviene presto la più importante fonte di ricchezza per le colo­ nie. Le popolazioni native si rivelano fin dall'inizio poco adatte perché debo­ li, di salute cagionevole e anche poco inclini ad essere ridotte in schiavitù. Ini­ zia, quindi, un processo di trasferimento degli indigeni verso la Spagna, per liberarsi di popolazioni che vengono considerate solo un peso. Quelli che re­ stano muoiono in gran parte a seguito delle malattie importate dagli spagno­ li. Le esigenze di manodopera richieste dalla coltivazione della canna da zuc­ chero danno luogo a un sostenuto flusso di importazione di schiavi dall'Afri­ ca occidentale. Tanto era ingente il fabbisogno di manodopera e quindi di schiavi, tanto erano elevate le necessità alimentari per soddisfare le loro esi­ genze di soprawivenza. Per il loro sostentamento , gli schiavi cominciano a coltivare secondo le loro abitudini mais, pomodori, patate. Si trattava di pro­ dotti che avevano fatto il giro del mondo: i portoghesi li avevano importati in Mrica dal Brasile, dall'Africa si trasferivano ora ai Caraibi per poi passare, co­ me è noto, all'Europa. Nell'arco di circa un secolo , le coltivazioni di alcuni ali­ menti rivoluzionano prima la cucina africana, poi quella caraibica e successi-

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vamente quella europea (ibid. ). Gli schiavi producono una cucina profonda­ mente radicata nelle tradizioni della loro terra d'origine e che, tuttavia, deve adattarsi alle profonde differenze di materie prime disponibili. L'uso del gra­ noturco si impone rapidamente creando un cibo sostanzialmente nuovo che intreccia radicate abitudini e prodotti locali. Le coltivazioni agricole delle zone settentrionali danno luogo ad equilibri assai diversi. Al Nord, nella Nuova Inghilterra, a lavorare la terra sono conta­ dini provenienti dallo stesso paese dei coloni che cercano di mantenere il mo­ do di cucinare della madrepatria; anch'essi si trovano, però, di fronte a vinco­ li climatici e devono trovare altri prodotti che consentano di realizzare cibi ab­ bastanza simili a quelli a cui sono abituati. Le abitudini inglesi vengono, quin­ di, mediate con le materie prime locali. Così la Nuova Inghilterra inizia a pro­ durre alimenti compatibili con le abitudini culinarie inglese. I coloni sostitui­ scono il grano, che non poteva crescere per l'eccesso di umidità della Nuova Inghilterra, con il granoturco, che comincia ad entrare nell'alimentazione men­ tre in Inghilterra è considerato cibo per i maiali. Per porre l'accento sul gran­ de sforzo di adattamento culturale che ciò comporta, McWilliams (2007, p. 55) racconta un episodio indicativo. Il governatore del Connecticut riferisce all' as­ semblea dei Lord i vantaggi del mais nell'alimentazione, impegnandosi a con­ vincere gli astanti con dettagliate ricette sul suo impiego. Era assai insolito, na­ turalmente, che in un'assemblea politica si affrontassero questioni culinarie, inoltre le argomentazioni dovevano apparire molto strane, «come se qualcuno oggi ci dicesse che è bene mangiare cibo per cani», commenta l'autore. L'epi­ sodio indica quanto fosse impegnativo lo sforzo di adattamento a cui i coloni dovettero sottoporsi per acquisire nuove abitudini. Il tradizionalismo e la ri­ produzione del cibo inglese nella Nuova Inghilterra s'innestano sul forte sen­ timento di appartenenza religiosa e divengono componenti della missione ci­ vilizzatrice che si estrinseca nel proposito di dare vita a una sorta di luogo idea­ le, capace di distinguersi dall'immagine primitiva associata nella madrepatria alle piantagioni di zucchero del Sud. In tutti i luoghi in cui s'insediano, i coloni trovano una popolazione indi­ gena, ma, eccetto rari casi, l'esiguità di questa non influenza in modo rilevante le abitudini alimentari. Piuttosto, il cibo coltivato induce l'emergere di un cer­ to tipo di alimentazione. La manodopera occupata nella produzione di cibo e i fattori climatici producono un sincretismo nella cultura alimentare (McWil­ liams 2007). L'adattabilità è in ogni caso il tratto dominante. Per oltre un secolo, la coltivazione di zucchero, tabacco e riso detta il rit­ mo della vita nel nuovo continente. Lo zucchero richiedeva molto tempo e per questo la cucina delle zone di coltivazione era molto semplice. Il riso lasciava, invece, più tempo libero e questo consentiva alle popolazioni impegnate nella sua coltivazione di dedicarsi anche agli orti, di allevare animali, di cacciare o pescare; ne risultava una cucina assai più varia e ricca rispetto a quella delle po­ polazioni impegnate nella coltivazione della canna da zucchero.

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Un altro aspetto interessante riguarda il ruolo avuto dal cibo nella realiz­ zazione dell'indipendenza americana. N egli anni della colonizzazione, a mano a mano che gli inglesi si rendono conto che le colonie guadagnano, emanano editti per controllarle ed aumentano la pressione fiscale sulla produzione dei prodotti alimentari. L'opposizione all'impero britannico si innesta, com'è no­ to, sull'esigenza di libertà economiche. Le misure prese in Inghilterra erano considerate offensive e violanti le libertà elementari e, quindi, fomentavano l'opposizione all'impero britannico. Lo stile alimentare nasce da molteplici fattori: le esigenze produttive, le condizioni sociali (le caratteristiche della forza lavoro impegnata nelle coltiva­ zioni) , etniche (la provenienza dei lavoratori impiegati nei campi) , ambientali (la disponibilità di materie prime) e religiose (l'orientamento ascetico delle set­ te protestanti). La cultura alimentare americana, quindi, si costruisce attraver­ so questa pluralità di anime: la lotta per la soprawivenza (gli schiavi sono co­ stretti a procurarsi il cibo), l'adattamento imposto dalle ragioni climatiche, la volontà di preservare la tradizione del paese di provenienza e di esportare una tradizione religiosa, la lotta per l'indipendenza. L'abitudine alla frugalità si spiega in un contesto in cui il cibo prima che un piacere si impone come neces­ sità e una risorsa per la soprawivenza. Il contributo di McWilliams ribalta il nesso più diretto e scontato tra col­ ture agricole e abitudini alimentari. Le forme di produzione assumono una sorta di primato. Ciò che si mangia non è semplicemente ciò che si coltiva: ciò che viene coltivato decide ciò che si mangia, sia per il tempo che le colti­ vazioni assorbono sia per l'esigenza di importare forza lavoro . Da questi fe­ nomeni deriva un complesso mix di tradizione e adattamento. Infine, il cibo accompagna l'indipendenza politica. Il cibo che deve essere fornito dai colo­ ni ai soldati britannici affluiti in America, il cibo negato agli schiavi e che quindi essi devono procurarsi con il proprio lavoro. Il cibo come veicolo di un modello di società puritana e come fonte di ricchezza, causa delle rivolte alle vessazioni fiscali imposte dalla madrepatria. Il processo di maturazione dell'identità nazionale è attraversato dalle vicende del cibo. Non a caso , re­ cita il sottotitolo del volume di McWilliams (2007) , la ricerca del cibo ha pla­ smato l'America. 7· 6 La socialità cambia forme

Cibi e bevande hanno da sempre accompagnato le occasioni di socialità. Nel­ le raffigurazioni pittoriche e nelle descrizioni antiche le immagini del cibo so­ no immagini di abbondanza, di piacere, di trasgressione, di gioia e di amicizia, di accoglienza dello straniero e di dono, di tregua e di pace (Del Corno, 2007) . L'intreccio tra importazione d i nuove bevande e nuove forme d i socia­ lità è particolarmente evidente con lo sviluppo dei commerci dell'Europa

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con il nuovo mondo: l'importazione d i caffè, t è , cioccolato dà luogo a nuo­ ve abitudini e cambia le forme della socialità, talvolta con una sorprenden­ te velocità. Nel Settecento , a partire dai porti o dai centri che avevano più immediati rapporti con la cultura araba, i caffè diventano di moda in tutte le grandi città europee. A Parigi se ne contano già 380 nel 1720 e quasi il dop­ pio alla fine del secolo; nel centro di Amsterdam ve ne sono già una trenti­ na nei primi anni del Settecento. I caffè olandesi avevano un sobrio arredo orientaleggiante, erano provvisti di biliardo e anche se le bevande alcoliche erano vendute, il loro consumo era moderato. «Nel caffè si discuteva con se­ rietà e a mente lucida, ed esso divenne il principale luogo di un'élite sociale che stava costruendo il proprio potere su un'efficiente conduzione degli af­ fari e sulla discussione critica delle cose pubbliche» (Capuzzo, 2006, p. 63 ). In questi incontri in cui si discute di politica, si leggono i giornali, si scam­ biano informazioni, mentre si beve caffè, tè e cioccolata, si forma una cultu­ ra borghese intellettuale, prettamente maschile , che rappresenterà il sub ­ strato per il cambiamento sociale e politico. N ello stesso periodo a Londra i caffè erano centri di raccolta e scambio di informazioni, in essi prospera­ vano i servizi finanziari, assicurativi fino allo sviluppo di vere e proprie ban­ che e agenzie assicurative come nel caso dei Lloyd's . Le abitudini sociali e di consumo innescano la ricerca di nuovi mercati e costituiscono un poten­ te fattore di sviluppo economico. Capuzzo ricostruisce la storia del caffè da quando, alla metà del Seicento , gli inglesi cominciarono a rifornire i merca­ ti europei , trasportandolo dal Mar Rosso fino ai porti del Nord Europa. L'entusiastico favore incontrato dal caffè in Europa rese presto insufficien­ te la produzione araba, cosicché i mercanti europei avviarono la coltivazio­ ne del caffè in diversi luoghi del mondo. Sebbene l' acquisizione culturale del caffè in Europa si compia nel Settecento , il consumo di massa fu raggiun­ to soltanto all'inizio del secolo successivo. Alla corte di Luigi XIV il consu­ mo di caffè avveniva secondo precisi rituali e permetteva l'esibizione di lus­ suose porcellane. Da ciò ebbe origine la moda delle cineserie, delle porcel­ lane e la costruzione di un imm aginario orientaleggiante: attraverso gli og­ getti prese vita «un rituale di sociabilità che finì col contare di più della be­ vanda in sé» (Capuzzo, 2006, p. 57). La borghesia in ascesa era soprattutto interessata agli effetti psicofisici del­ la nuova bevanda: il caffè permetteva di recuperare le sbornie e restituiva in fretta lucidità, non a caso venivano sottolineati questi effetti più che la prove­ nienza esotica. Il caffè sembra aver assunto funzioni diverse nello spazio e nel tempo: il caffè come locale diviene uno spazio fondante della socialità maschi­ le; come bevanda si sposa con la socialità femminile quando entra nelle case della borghesia e si associa all'abitudine del tè che dall'inizio del XVIII secolo ne sopravanza l'uso. Il tè è l'ultima delle nuove bevande esotiche ad essere in­ trodotta in Europa. Mentre per la nobiltà l'uso del tè si inseriva nella moda orientaleggiante, per la borghesia bere tè era un aspetto del processo di civiliz-

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zazione che mirava a valorizzare la sobrietà. Nel corso del Settecento il tè ces­ sò di essere consumo di lusso per divenire consumo di massa, modificando le abitudini alimentari dell'intera popolazione. Si produce contemporaneamente un discorso pubblico sul caffè - sor­ retto da pubblicazioni mediche, teologiche e morali - che ne celebra le virtù come antidoto all'alcol. I caffè creano uno spazio di distinzione della classe media che si differenzia dalla popolare clientela delle taverne. Anche l'arte e la letteratura trovano posto nei caffè che diventarono per molti scrittori della Mitteleuropea una seconda casa, divenendo un centro di produzione artistica di primaria importanza. Nel corso dell'Ottocento si assiste a un 'ul­ teriore differenziazione dei caffè per aree geografiche e sociali. Luogo della bohème artistica, luogo lussuoso di frequentazioni elitarie, luogo popolare in cui si mescola danza e divertimento, in cui si gioca a carte, si mangia. In­ somma le nuove bevande contribuiscono a cambiare il panorama urbano, a introdurre comportamenti sociali moderni e, persino, a dare vita a nuove ag­ gregazioni sociali . Analogamente, in America il consumo di birra e la diffusione delle taver­ ne svolgono un ruolo rilevante nella costruzione di un mercato nazionale: si intrecciano motivazioni economiche, pratiche di sociabilità e motivazioni eti­ che volte a limitare l'uso dell'alcol. All'inizio il prodotto era prevalentemente esportato e il flusso maggiore era indirizzato verso l'Inghilterra; l'uso locale viene incrementato a poco a poco allorché le colonie conquistano il diritto di commercializzare i prodotti coltivati. Le taverne svolgono un ruolo fonda­ mentale nella costruzione di un mercato nazionale e di una cultura alimenta­ re abbastanza omogenea sull'intero territorio. Esse nascono dall'esigenza di controllare l'uso dell'alcol, ma a poco a poco diventano punti di smistamento dei beni e di costruzione di un mercato interno. I gestori erano tenuti a man­ dare a casa gli avventori fintanto che si reggevano in piedi. La riduzione del numero di taverne permette la regolazione del consumo e aumenta il control­ lo sociale sull'alcolismo8• Successivamente le taverne diventano luoghi di scambio commerciale; già nei primi anni del Settecento in esse si poteva vendere insieme alla birra una varietà di bevande. Le taverne creano un'interazione tra persone appartenenti a diversi strati sociali e creano il contesto ideale per lo sviluppo di attività com ­ merciali; divengono centri di transazione finanziaria e luoghi di transazione so­ ciale dove uomini di diverse esperienze agivano senza annullare le gerarchie ma creando stabili relazioni d'affari (McWilliams , 2005). La taverna consente la commercializzazione dei prodotti e, nel contempo, la creazione di una cucina americana. Su questa, oltre alle condizioni climatiche, ha una profonda influen­ za l'impronta religiosa di matrice quacchera dei coloni che si riflette in un idea­ le di semplicità anche nell'alimentazione. L'ideale di una vita ascetica e senza artificio crea un fossato insuperabile rispetto alla cucina francese, considerata frivola e lontana dalla cultura dei coloni.

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7·7 Il cibo globale: tra omologazione e adattamento

Qualche mese dopo la caduta del muro di Berlino, nell'estate del 1989 , la McDo­ nald's Corporation annuncia l'apertura del suo primo ristorante nella Germa­ nia orientale. Il primo McDonald's nasce proprio a Plauen, una piccola città dell'Europa dell'Est dove si era svolta la prima dimostrazione di massa contro il governo comunista. Nello stesso periodo si tiene a Berlino la prima manife­ stazione del movimento dello Slow Food. Decine di attivisti provenienti da di­ ciassette paesi del mondo si incontrano per sottoscrivere il documento di fon­ dazione del movimento internazionale dello Slow Food, inaugurato con un banchetto per cinquecento ospiti. I due episodi sono emblematici di come il cibo catalizzi l'aspirazione a una fase di valorizzazione dei bisogni di consumo dopo la lunga compressione operata dal regime comunista. Sul cibo si misura­ no le prime conquiste della democrazia e si esprimono, nel contempo, le due anime che sottendono i comportamenti alimentari: una segnata dalla moder­ nizzazione, dalla diffusione di consumi a basso costo a masse crescenti di po­ polazione, l'altra orientata alla riscoperta della tradizione, alla valorizzazione della qualità e della dimensione locale. McDonald's è l'emblema dell'omologazione, una vera potenza che negli ul­ timi dieci anni è divenuta il simbolo del male. Oggi il Big Mac viene servito in 30o.ooo ristoranti sparsi in più di 100 paesi nel mondo9• Solo negli Stati Uniti in 13.700 ristoranti ogni anno ne vengono consumati 550 milioni (uno ogni 17 secondi), al secondo posto il Giappone con 150 milioni. In Italia i ristoranti so­ no 340 con 6oo.ooo clienti al giorno. L'ascesa di McDonald's ha origine nel 1927, quando i fratelli Dick e Mac Mc­ Donald aprono ad Arcadia (cittadina a una trentina di chilometri da Los Ange­ les) un baracchino di hot dog che diviene popolare con il nome di California Sexy Hot Dogs. Tre anni dopo Dick e Mac aprono il primo ristorante McDonald's a San Bernardino, California, ma solo nel 1953 iniziano a dare in franchising il mar­ chio McDonald's. Per celebrare il quarantesimo anniversario del Big Mac, Jim Deligatti, l'inventore del Big Mac, novantenne, ha aperto il Big Mac Museum and Restaurant a North Huntigton, in Pennsylvania. Un omaggio alla memoria. Il modello McDonald's può essere considerato l'esempio per eccellenza di cibo flessibile: un ristorante McDonald's offre una gamma abbastanza diversi­ ficata di prodotti standardizzati, consente di consumare cibo velocemente, in qualunque momento della giornata. La flessibilità contraddistingue l' organiz­ zazione dei luoghi di ristorazione, i criteri di reclutamento e di gestione delle risorse umane: il turn aver del personale impiegato è tra i più alti. La catena sta cercando di modificare l'immagine, sia con il design degli arredi sia introdu­ cendo l'uso di Internet e l'affitto di iPod. Da tempo, l'offerta di prodotti è sta­ ta adeguata alle abitudini alimentari locali, anche se la penetrazione di McDo-

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nald's è oggi ostacolata da catene che interpretano culture diverse. Ad esempio a Parigi, in un sobborgo abitato da immigrati arabi, nasce nel 2005 il Beurger King Muslim , il primo fast food musulmano e il primo locale in Europa a uti­ lizzare carni macellate secondo il rito islamico. Il Beurger King Muslim è il pri­ mo fast food a coniare una formula originale: l'arredamento in stile McDo­ nald's, molto popolare nelle giovani generazioni francesi, e una cucina fedele all'Islam . Un connubio tra stile occidentale e i precetti del Corano: sul display delle casse e in ogni sala è scritto «La Pace sia con te». La ricerca di consumi che aderiscano a modelli globali e siano nel contem­ po ancorati alla tradizione è oggi più forte. Non a caso, nei paesi islamici le ven­ dite della Coca-Cola sono precipitate insieme a quelle di altre famose marche americane a causa dei sentimenti antiamericani. Fast food come Burger King e McDonald's, caffè come Starbucks, scarpe come Nike, sigarette e perfino de­ tersivi made in USA subiscono drastici cali nelle vendite. Nel corso dell'ultimo anno in alcuni paesi islamici il mercato della Coca-Cola è sceso fino al 4o% . In alternativa alla bevanda americana, arriva dall'Iran la Zam Zam Cola, la bevan­ da islamica che sfida l'impero della Coca-Cola. Il nome Zam Zam deriva dal­ l' acqua di una fonte che scorre a La Mecca, la capitale del mondo islamico. Il prodotto viene confezionato da una società che ha operato da una cinquanti­ na d'anni nel settore delle bevande e che fu per un certo tem p o partner della Pepsi-Cola. Oggi impiega 7.ooo lavoratori in 17 stabilimenti e con l'ultimo pro­ dotto ha colpito nel segno10• Proprio la declinazione locale di modelli di fast food ne dimostra l' ec­ cezionale capacità pervasi va. George Ritzer (1997) ne aveva fatto una sorta di simbolo di un modo di vivere sempre più frettoloso , superficiale , l'emble­ ma dell'inarrestabile processo di razionalizzazione ormai esteso ad ogni sfe­ ra della società contemporanea, un processo profondo e di ampia portata che coinvolge gran parte delle istituzioni sociali , basato su un modello che presuppone la riproducibilità universale dei principi di efficienza, calcola­ bilità, prevedibilità e controllo, attraverso la sostituzione di tecnologia non umana a quella umana . L'iperrazionalizzazione facilita l'insediamento in contesti diversi da quello d'origine. Una decina d' anni fa McDonald's aveva circa 3.000 ristoranti fuori degli Stati Uniti; oggi ne ha 15 .000 in più di 117 paesi stranieri. Ogni giorno apre cinque ristoranti , di cui almeno quattro ol­ treoceano. La catena guadagna la maggior parte degli utili fuori degli Stati Uniti. Attualmente è il marchio più riconosciuto nel mondo , più ancora del­ la Coca-Cola. La catena funge da avanguardia del franchising americano. Così è successo in Turchia dove ora, dopo quindici anni dall 'apertura del primo McDonald's vi sono centinaia di esercizi commerciali affiliati. A Pe­ chino nel 1992 migliaia di persone attesero per ore di mangiare nel primo McDonald's della città. Agli occhi dei consumatori McDonald's rappresen­ ta lo spirito americano e la promessa della modernizzazione . Due anni do­ po, nel Kuwait la fila per ritirare il cibo dalla propria automobile si estende-

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v a per più d i undici chilometri. In Brasile , McDonald 's è diventato i l mag­ gior datore di lavoro privato del paese ( Schlosser, 2004, p. 260) . In Germania il primo McDonald's fu aperto nel 1971, all'inizio degli anni Novanta i ristoranti erano già quattrocento, e ora sono più di mille. Oggi la McDonald's Deutschland lnc. è la maggiore azienda di ristorazione in Germa­ nia, grande più del doppio del suo maggiore concorrente. Il segreto del suc­ cesso risiede su molti piani: dall'organizzazione di una catena alimentare che comprende l' approwigionamento delle materie prime, al sistema distributivo, al marketing. McDonald's si rivolge al gruppo dei consumatori che ha l'attac­ camento minimo alla tradizione: i bambini e i giovani. Per assicurarsi giovani clienti le catene di fast food hanno cercato alleanze strategiche con aziende produttrici di giocattoli, con squadre sportive, con studi di Hollywood. Il marketing diretto ai bambini non si sviluppa attraverso gli spot tradizionali, ma attraverso spazi giochi: più di ottantamila solo nei ristoranti statunitensi. Il modello è stato sottoposto negli anni a critiche sempre più feroci in quanto sinonimo di cibo di bassa qualità e anche per le condizioni di lavoro praticate, per i metodi di allevamento intensivo del bestiame e lo scarso rispet­ to per la salute e l'ambiente. Il crescere di una sensibilità etica piuttosto che la qualità del cibo sembra avere messo in discussione, almeno nei paesi più avan­ zati, un modello per molti versi ad alta capacità di penetrazione. Schlosser (2004) nel suo celebre pamphlet, tradotto anche in un film sot­ tolinea come alla base del successo economico di McDonald's vi sia in primo luogo lo sfruttamento del lavoro di giovanissimi immigrati senza tutele, un si­ stema di macellazione e di confezione della carne non rispettoso delle condi­ zioni igieniche elementari e metodi intensivi di allevamento del bestiame. Da queste analisi derivano una serie di denunce alle autorità preposte al controllo (Food an d Drug Administration) e un'esortazione ai consumatori affinché pre­ feriscano catene di ristorazione più rispettose degli equilibri ecologici, che al­ levano gli animali nella prateria e la cui carne contiene meno grasso rispetto a quella del manzo nutrito a cereali. Anche da queste critiche e dalla flessione nelle vendite è scaturito un cam­ bio di strategia al vertice di McDonald's: meno hamburger, più piatti a base di verdure, nuovo look ai ristoranti (Cornetto, 2oo8 ) . McDonald's ha trasfor­ mato le critiche dei no global e dei salutisti in una strategia di mercato. La fi­ losofia di base (pasto veloce, caldo e poco caro) è rimasta, ma è stata adegua­ ta alle nuove esigenze. McDonald's si è alleato con Greenpeace nelle "campa­ gne verdi " (sperimenta, ad esempio , il riciclaggio dell'olio fritto come benzi­ na dei suoi camion) e ha cercato di sconfiggere l'immagine di imperialismo ga­ stronomico associata alla multinazionale. Nel 2006 McDonald's apre un cen­ tro studi culinari a Hong Kong, base per l'attività in Asia, Australia, Medio Oriente , Mrica e lì crea menu locali, come i M cArabia e il M cCina. Mega sponsor alle Olimpiadi di Pechino del 2oo8 , ha siglato un accordo con la com­ pagnia petrolifera cinese Sinopec per aprire ristoranti vicino alle sue 30.000 n,

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stazioni di servizio. Anche il look dei ristoranti è stato rinnovato: sono scom­ parse le sedie di plastica e le luci abbaglianti per far posto a un arredamento soft, dove i clienti possono accedere a Internet senza fili e bersi un caffè che intende far concorrenza a Starbucks . La standardizzazione dei pasti cerca l'adattamento ai gusti e alle abitudini locali, anzi recentemente le strategie di mercato McDonald's sono improntate a una diversificazione dell'offerta, addirittura recenti campagne pubblicitarie tendono ad accreditare una nuova immagine mediterranea e vegetariana del marchio. La filosofia del seria! food richiama nozioni industriali: efficienza nel soddisfare i clienti; calcolabilità dal punto di vista del prodotto e delle quan­ tità12; enfasi sulla precisione e sulla logica di processo che dà risalto alla velocità e alla praticità; prevedibilità come garanzia che i beni e i servizi offerti siano sempre gli stessi nel tempo, nello spazio; definizione dei comportamenti dei la­ voratori, organizzati secondo una logica di ripetizione in cui ogni particolare è minuziosamente studiato; controllo, inteso come graduale sostituzione della tecnologia umana con le macchine, per cui i lavoratori svolgono solo operazio­ ni circoscritte su ingredienti già semipronti. Il fast food è accusato di rappresentare il prototipo di " cibo senza iden­ tità " , una sorta di non cibo, anonimo e artificiale, consumato in "non luoghi " dove delle "non persone " offrono " non cose " attraverso un "non servizio " . Il significato negativo e di cose di plastica che circonda i pasti consumati presso il fast food ha determinato in McDonald's la volontà di sfatare il luogo comu­ ne dell'equazione McDonald's uguale cibo spazzatura: la multinazionale ame­ ricana ha deciso di rilanciare la propria immagine con un progetto mondiale che prevede l'inserimento delle informazioni nutrizionali sulle confezioni dei pasti serviti e che ha coinvolto circa ventimila locali in tutto il mondo. Sono sempre più numerosi negli Stati Uniti i fast food che offrono solo ma­ cedonie o insalate da comporre a piacere scegliendo tra una grande quantità di vegetali; si tratta di locali che hanno costi superiori ( circa tre volte) a quelli dei fast food classici. Sono diffusi anche i sushi bar, luoghi in cui ciò che si vende non è solo un prodotto, ma un'immagine di naturalezza, di freschezza e di salute. Il sushi è, come il fast food, un cibo globalizzato. Il successo universale del sushi esem­ plifica la valenza simbolica del gusto e, insieme, la trasmigrazione di significa­ ti associati al cibo. Il successo del sushi, infatti, non può essere ricercato nel­ l'apprezzamento per la qualità, ma risiede in una pluralità di motivi che con­ corrono a farne un prodotto "moderno " . In primo luogo agisce l'immagine di un cibo salubre: l'ingrediente principale, il pesce, rappresenta l'alimento fre­ sco e naturale per eccellenza. Il sushi, con le sue porzioni miniaturizzate, si op­ pone alla cultura alimentare dell'abbuffata non più congrua alla società dell'ab­ bondanza. La tendenza all'estetizzazione del cibo si fonde con l'immagine del­ la salute e trova nell'elegante presentazione una perfetta armonia. Agisce, inol­ tre, il fascino del lontano, di un mondo come quello giapponese che, nell'im-

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maginario collettivo, coniuga velocità e lentezza, spiccata propensione all'in­ novazione e omaggio alla tradizione. L'immagine di naturalità è rafforzata dal fatto che si tratta di un cibo non soggetto a manipolazione: il crudo diviene sim­ bolo dell'assenza di contraffazione. La preparazione viene effettuata davanti agli occhi del consumatore che sperimenta così un coinvolgimento diretto nel­ la trasformazione del prodotto da materia prima a pasto, in contrasto con la preparazione nell'ombra del sistema della produzione alimentare. Mentre nei ristoranti i menu contengono informazioni dettagliate per col­ mare la crescente distanza tra il piatto e le origini di ciò che si trova in esso, il sushi arriva di fronte al consumatore senza essere accompagnato da nessuna informazione circa la provenienza: ciò che i consumatori possono conoscere ri­ guarda lo chef e la sua abilità nel trattare il pesce, nel sistemarlo con destrezza nel piatto. Lo chef mette a contatto il cliente con il cibo; il suo lavoro non pre­ vede, se non in rari casi, l'utilizzo del fuoco, così la crudità diviene una sorta di ritorno alla natura perduta. Ma la sushi economy, come la definisce Issenberg (2007) , esprime anche una lunga serie di adattamenti correlati alle necessità e all'esperienza. La storia del sushi parla di un cibo in continuo mutamento, ca­ pace di riproporsi e rinnovarsi attraverso i secoli. Il sushi ha avuto la capacità di adattarsi ai luoghi e alle identità culturali attraverso un adeguamento delle proprie caratteristiche ai gusti, alle tradizioni e agli ingredienti a disposizione dei territori in cui si è innestato. Note 1. Così racconta un intervistato circa il rapporto con la memoria del cibo nell'infanzia. Cfr. Ferlisi ( 2007). 2. Per ricordarne alcuni: musei del parmigiano reggiano, del prosciutto, del salame di Felino, del balsamico tradizionale, della vite e del vino, del pomodoro . 3. La Confindustria israeliana stima che il mercato dell'elettrodomestico kosher valga un giro d'affari di IO milioni di dollari annui. Così fioriscono i brevetti; quelli che superano le autorizzazioni delle organizzazioni rabbiniche finiscono nei supermercati (Mattone, 2007). 4· I 350 censiti solo a Milano (Acanfora, 2005) sono oggi sicuramente sottostimati. 5· A Torino, ad esempio, a Porta Palazzo, quartiere abitato prevalentemente da stranie­ ri di I43 etnie diverse, è sorta una macelleria islamica che soddisfa le esigenze degli oltre I8 .ooo maghrebini residenti nella città. 6. Dati riferiti al I0 gennaio 2007 (ISTAT, 2008) . 7· D i fronte a differenti proposte d i identità che tendono a scontrarsi, gli esiti possono essere differenti. Una prima modalità può essere interpretata in termini di resistenza cultu­ rale e di separazione rispetto alla società di approdo. Rifugiandosi esclusivamente nella cul­ tura e nella famiglia, l'individuo rafforza la propria identità, rischiando di sviluppare com­ portamenti di esclusione. Una tendenza opposta porta ad assimilarsi alle caratteristiche del gruppo dominante: tutto ciò che viene dalle origini tende ad essere rifiutato e anche i consu­ mi sono fortemente orientati ad occultare la provenienza. Un terzo atteggiamento è quello della valorizzazione positiva della doppia appartenenza culturale. Alle radici culturali defi­ nite dall'ambiente familiare si affianca, così, la socializzazione con i valori locali attraverso la scuola e i gruppi di pari. Infine si possono verificare situazioni di anomia quando gli indivi­ dui sono incapaci di scegliere e tendono a vivere ai margini delle due società (Ricucci, 200 5).

7· T R A D I Z I O :\' E E A D A T TA M E :\' T O

8. L'origine dei primi luoghi di aggregazione è collocata nel passaggio dalla birra fatta in casa alla birra prodotta in locali preposti alla vendita. La taverna sostituisce questi locali verso la metà del Settecento (McWilliams, 2005, p. 259). 9· ll primo Big Mac viene venduto a 45 cents, il 22 agosto 1967; oggi costa 2,75 dollari, fornisce 540 calorie di cui 270 da grassi e 1.040 milligrammi di sodio. 10. Solo in quattro mesi la società ha esportato dieci milioni di bottiglie in Arabia Sau­ dita e nel Golfo Persico. In Egitto i supermercati hanno smesso di acquistare prodotti ame­ ricani come Nike, la catena dei supermercati Al Muntazah del Baharain ha smesso di mette­ re in vendita prodotti americani e l'Arabia Saudita ha dimezzato i prezzi dei prodotti impor­ tati dall'America mentre i fast food americani registrano il so% in meno di profitti. 11. Fast Food Nation è il film del 2006 che Richard Linklater ha tratto dal libro di Eric Schlosser. 12. La retorica della quantità si rispecchia nei nomi dei prodotti: Big Mac, Super Size, Big Fish.

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Le preferenze impossibili. Verso un cibo /usion ?

Ogni alimento riassume e trasmette una situazione, costi­ tuisce un'informazione, è significativo. Barthes (1998, p. 35)

8.1 I dilemmi dell'industria alimentare

8.1.1. Un bene incorporato Mentre gli individui sono impegnati in una perenne negoziazione con se stessi per mediare le contraddizioni che segnano il rapporto con il cibo, e ora anche per mediare l'orientamento alla qualità e la riduzione della capacità di spesa, le im­ prese si trovano di fronte alla difficoltà di basare le previsioni su criteri sufficien­ temente fondati. Ciò accade in un contesto in cui le materie prime alimentari han­ no iniziato un trend tumultuoso destinato a durare e che inverte una lunga fase di prezzi bassi durata quasi cento anni. A questa inversione di rotta contribuisco­ no fattori diversi. Aumenta il numero di individui delle economie emergenti che sono abbastanza ricchi da potersi nutrire come gli occidentali. Poiché per pro­ durre una bistecca che fornisce 100 calorie occorre una quantità di mangimi ani­ mali pari a 700 calorie, il cambiamento nel regime alimentare comporta un au­ mento complessivo della domanda di cereali. La questione dei costi ha a che fa­ re con il prezzo del petrolio, poiché le moderne tecniche agricole richiedono un notevole dispendio energetico. Ma sotto accusa sono soprattutto le politiche dei biocarburanti, principale causa dell'aumento dei prezzi (Krugman, 2oo8) . I n tutto il mondo è i n atto una vistosa riduzione delle disponibilità econo­ miche per i consumi e la contrazione dei consumi è causa e segno di spinte re­ cessive nell'economia. I consumi legati all'alimentare sono sostanzialmente sta­ bili anche a fronte della crisi, ma la riduzione delle risorse economiche ha por­ tato a un consistente aumento della marca commerciale. Il peso contrattuale assunto dalla distribuzione rispetto alle imprese indu­ striali rappresenta un forte elemento critico per queste ultime: gli investimen­ ti in ricerca tendono a ridursi proprio quando l'innovazione del prodotto ac­ quista un'importanza ancora maggiore che in passato. La competizione globale complica ulteriormente gli scenari. Ogni anno en­ trano sul mercato nuovi prodotti che per lo più non reggono oltre due o tre an-

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ni, m a hanno come effetto d i accentuare l a concorrenza tra imprese. A d esem­ pio, negli anni 2004-06 sono stati immessi sul mercato mondiale circa 50o.ooo nuovi prodotti. Di questi 13I.ooo sono prodotti per il corpo ( cosmetici, creme per la pelle, prodotti per i capelli), più di 156.ooo riguardano invece gli alimen­ ti (bevande, prodotti da forno, pasticceria, salse, surgelati, snack)1• Questi da­ ti esprimono con evidenza come il corpo sia diventato un luogo del consumo e come il cibo possa essere definito il bene incorporato per eccellenza. Tutto ciò non semplifica la questione perché il corpo è al centro di messaggi ampiamen­ te contraddittori quando non laceranti. Mentre la sfida per le imprese è quella di inventare nuovi prodotti in gra­ do di corrispondere alle nuove situazioni del cibo, sempre meno circoscritto al pasto e sempre più mobile e frammentato, dal versante degli individui la mole e la velocità di ingresso sul mercato di nuovi prodotti produce un certo diso­ rientamento negli acquisti. A questo contribuiscono sia il diffondersi di paure alimentari, amplificate dai media e dalla globalizzazione, sia la differenziazio­ ne dell'offerta che rende ogni scelta assai più complessa. Così accade che le scelte di consumo appaiono connotate da infedeltà, sperimentazione e appa­ rente irrazionalità. Vecchie e nuove contraddizioni si intrecciano: la tensione tra prezzi e qualità, tra tipicità del prodotto e sicurezza, tra valore del brand e diffusione della marca commerciale, tra buono e magro. 8 .1 . 2. L'allarme prezzi e la tensione verso la qualità La crisi economica accentua l'infedeltà alla marca. Oggi le vendite vengono realizzate principalmente attraverso le promozioni: chi consuma pratica una politica delle scorte minime in attesa delle offerte più convenienti. L'aumento dei prezzi di generi di base come pane e pasta ha assunto una valenza quasi sim­ bolica, indicando come anche i bisogni elementari possano essere messi in pe­ ricolo. I dati complessivi sui consumi non debbono trarre in inganno: ciò che si verifica non è solo una sensibile riduzione della capacità di acquisto del ce­ to medio, ma, soprattutto, la crescita della segmentazione della società, sempre più polarizzata tra un'area in grado di accedere a consumi di alta gamma ed un'area sensibile agli aumenti di prezzo. Una comparazione a prezzi attualizzati indica, per la verità, che i prezzi dei prodotti di base non sono aumentati in termini reali. La spesa media mensile di una famiglia per l' acquisto della pasta, pari a 3,33 chili, era pari allo o,98 o/o dello stipendio di un operaio nel 1979, era calata allo 0,51 % nel 1986, pur aven­ do subito un aumento significativo in termini reali, era scesa allo 0,32 o/o nel 1995, è pari allo 0,24 °/o nel 2007 (AC Nielsen, 2oo8a). La pasta tra il 1995 e il 2007 è aumentata del 14,3 % contro un'inflazione del 31,3o/o . Mentre l'ISTAT (2oo8 ) calcola un aumento dei costi per spese alimentari di 400 euro all'anno per famiglia, le associazioni dei produttori denunciano la causa della crescita dei prezzi nella lunghezza della filiera alimentare tra pro-

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duzione e consumo. Ogni famiglia, secondo uno studio della Coldiretti, spen­ de ogni mese 467 euro per alimenti e bevande. Oltre la metà (238 euro) va a commercio e servizi, il 30°/o (140 euro) va all'industria alimentare e meno del 20% (89 euro) arriva alle imprese agricole. Sempre secondo l'indagine citata, a seguito dei rincari dei prezzi, tre italiani su quattro avrebbero cambiato abitu­ dini alimentari variando il menu anche in modo drastico (Coldiretti-SWG, 2007) . I prezzi aumentano in media di cinque volte dal campo alla tavola, con una tendenza che si accentua nel tempo. Per questa ragione si diffondono i mercati rion ali e l'abitudine agli approwigionamenti nei luoghi di coltivazio­ ne, magari con la scusa di un giro fuori città. Anche nei momenti di difficoltà economica, tuttavia, vi sono beni che ac­ quistano più valore (anche come compensazione delle ansie e delle frustrazio­ ni indotte dalla crisi) e a quelli non si rinuncia. Basti pensare alla spesa quoti­ diana per cappuccini, alle risorse investite nel mangiare fuori o in beni che pro­ ducono piacere come gli snack e la cioccolata. Così l'atteggiamento verso i prezzi è segnato da questo valore soggettivo attribuito ai beni. Troviamo intollerabile che aumenti il prezzo della pasta, an­ che se è più basso di quanto fosse dieci anni fa e non incide in modo sostanzia­ le sul nostro budget, perché lo consideriamo un bene di base. Così si spiega che mentre resta stabile il consumo di pasta di semola, cresce quello di pasta fre­ sca che costa dai 4 ai 10 euro al chilo. Intanto l'esperienza di Eataly, il supermercato di qualità aperto a Torino, segna il successo del cibo di qualità. Il modello sta per essere esportato in altre città. Trenta milioni di euro il giro d' affari, due milioni e mezzo le presenze: co­ me l'americano Whole Food Market, Eataly vende solo cibo di qualità, tra ri­ storanti, tavole calde e menu d'alta cucina. Latte di giornata, pane fatto in ca­ sa, vino sfuso selezionato. Per i pensionati i prezzi di alcuni prodotti, come il pane e il vino sfuso, sono scontati. In Rete si creano delle vere e proprie conversazioni fra consumatori sulla convenienza e la qualità dei prodotti. I consumatori esprimono giudizi preci­ si su singoli beni o servizi orientando le scelte. Un cattivo giudizio può avere oggi un'eco straordinaria. Nascono siti che comparano non solo i prodotti da diversi punti di vista - capacità nutrizionale, praticità, sicurezza, servizio, prezzo - ma anche i singoli ingredienti di questi. Labelwatch, ad esempio, confronta gli ingredienti di più di 25.000 prodotti. MySupermarket propone un confronto tra prezzi, alternative più economiche e migliori per la salute, offrendo nel contempo la possibilità di fare ordini. 8.1.3. La marca commerciale Il fenomeno della marca commerciale è da tempo oggetto di attenzione. Colo­ ro che sono disposti a lasciare sugli scaffali i biscotti con un marchio storico per acquistarne altri con il nome del supermercato non sono solo individui che

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hanno bisogno d i risparmiare, m a persone poco attente alla pubblicità, consu­ matori informati che sanno che talvolta è la stessa azienda nota a fornire pro­ dotti venduti con il marchio della distribuzione (Cristini, 1995). Il successo dei marchi commerciali è legato alla possibilità di risparmio, ma anche alla varietà dell'offerta e alla capacità di innovazione delle proposte. Un altro fattore è il rapporto di fiducia che si instaura con il supermercato, che diventa garante del­ la qualità di ciò che vende. Più della metà dei pacchi di pasta acquistati ha il marchio dell'insegna e ciò consente di risparmiare un terzo su ogni pacco. Le marche private continuano a crescere in tutta Europa, soprattutto nei prodot­ ti per la casa (carta, detergenti, sacchetti ) , la penetrazione più bassa si registra invece nei prodotti per la cura alla persona. L'orientamento al risparmio non si verifica in generi che hanno un forte contenuto emozionale, come i prodotti per la bellezza, ma investe invece, in modo crescente, il cibo. La politica di marca commerciale può essere considerata una chiara dimo­ strazione del potere contrattuale della distribuzione nei confronti dell'indu­ stria. Al contrario delle prime esperienze di marca commerciale, caratterizzate da scopi operativi come aumentare i margini sulle vendite, colmare i vuoti d'of­ ferta degli assortimenti, le forme più evolute presentano veri e propri risvolti strategici, avendo come scopo la fedeltà al punto vendita e soprattutto la diffe­ renziazione rispetto ai concorrenti. Gli effetti dello sviluppo delle marche com­ merciali sull'industria sono contrastanti. Da un lato, i produttori leader vedo­ no minacciata la loro posizione proprio da quei prodotti che non rappresenta­ no più la semplice imitazione dei corrispondenti prodotti di marca industria­ le; dall'altro lato, nascono opportunità per collaborazioni che passino da rela­ zioni contrattuali di fornitura a collaborazioni strategiche (ibid. ). 8 . 1.4. U n ossimoro: buono e magro Viviamo in una società ossessionata dalla responsabilità individuale sul corpo, dal dovere di controllare l'alimentazione per mantenerlo in perfetta forma. Que­ sta nuova etica del controllo su ciò che mangiamo passa attraverso un'interpre­ tazione personale dei saperi degli esperti e si misura con il proliferare di infor­ mazioni spesso contraddittorie. Le indicazioni dietetiche si mescolano insieme alle indicazioni sui cibi giusti per prevenire ogni tipo di malattie, dando luogo a prescrizioni che si traducono in comportamenti di massa. Può accadere, ad esempio, che l'ossessione di purificare il corpo con la "giusta" dose di acqua ogni giorno si traduca nel trascinare con sé in ogni momento bottigliette di plastica che conservano acque talvolta meno pure di quelle degli acquedotti locali. Il cibo è sottoposto a una sorta di doppio vincolo: da un lato esso è fonte di piacere, occasione di gratificazioni nella vita quotidiana; dall'altro è via per la salute e assume coloriture di privazione3• Questo doppio vincolo induce una continua tensione verso soluzioni di compromesso: ne è una testimonianza l'aumento del consumo di dessert a basso impatto calorico.

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Continua l'investimento nello sviluppo di nuovi cibi capaci di migliora­ re la salute e di coniugare spinte alla trasgressione e spinte al controllo e ciò propone nuove esigenze di collaborazione con i detentori di competenze in campo nutrizionale. In questa ricerca del cibo che risana l'industria alimenta­ re avrà sempre di più bisogno di una validazione scientifica dei nuovi pro­ dotti e si troverà nella necessità di creare sistemi di competenze integrate e complementari. L'immagine con cui nuovi prodotti vengono proposti risponde ad un equi­ librio complesso in cui i valori di salubrità devono restare in equilibrio con i valori sensoriali. Un equilibrio difficile: il sapore viene prima anche a costo di laceranti sensi di colpa. A New York, l'impatto calorico dei cibi e delle bevan­ de è indicato nei menu di caffetterie e luoghi di ristorazione: i menu a calorie contate potrebbero essere un'idea anche per il cibo industriale. Ma la verità è d'obbligo. Il compromesso tra dovere e piacere spinge non tanto verso cibi light, ma piuttosto a tagliare le porzioni: si riduce semplicemente l'impatto calorico e con ciò si esercita il proprio personale controllo. 8 . 1 . 5. Il locale non è sempre un valore In Europa l'Italia può vantare i primati raggiunti sul piano della qualità con ben I63 denominazioni di origine italiana riconosciute nell'albo comunitario su un totale di 756. Un'impresa biologica su tre è italiana, la superficie nazionale coltivata a biologico rappresenta più di un quarto del totale coltivato nell'U­ nione Europea. Quindi vi è un'indiscussa leadership italiana per l'agricoltura biologica: 50.ooo le imprese impegnate nella coltivazione di oltre r.ooo.ooo di ettari destinati a foraggio, cereali, olivi, viti, agrumi, frutta, ortaggi e l'alleva­ mento di 2oo.ooo bovini, 8oo.ooo pecore e capre, oltre 3o.ooo maiali, circa I milione tra polli e conigli e 7o.ooo alveari. Il fatturato nazionale complessivo del settore "bio " è stimato in 2,5 miliardi di euro. La provenienza nazionale degli alimenti gioca un ruolo importante nella percezione di sicurezza alimentare: quasi 9 italiani su IO si fidano di più se ciò che arriva sulle loro tavole è stato prodotto entro i confini nazionali e questo atteggiamento va aumentando col passare del tempo (Coldiretti-SWG, 2007) . I consumatori italiani associano ai prodotti nazionali caratteristiche d i ge­ nuinità e sicurezza, sentimenti pure spesso messi in discussione dagli episodi di contraffazione e di rischio, come quelli che di recente hanno investito il ter­ ritorio della Campania. La questione sollecita interessanti riflessioni sul tema dei comportamenti di consumo, mettendo in evidenza come il sentimento di fiducia alla base delle scelte d'acquisto si connetta non solo alla marca, ma coin­ volga l'intero contesto ambientale. Nei giorni successivi alla campagna media­ tica sull'emergenza rifiuti, le vendite di prodotti provenienti dal territorio cam­ pano sono drasticamente crollate. La mozzarella di bufala in particolare ha vi-

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sto i l ritiro drastico delle preferenze: un terzo del fatturato i n meno rispetto al­ lo stesso periodo dell'anno precedente. La grande distribuzione è rapidamen­ te corsa ai ripari, promuovendo offerte a prezzi sensibilmente scontati fino al 40% . Queste manovre non sono bastate per arginare il calo delle vendite. Tut­ tavia, nell'arco di pochi mesi, via via che l'attenzione dei mezzi d'informazione è calata, i consumi di mozzarella di bufala sono ripresi da parte dei consuma­ tori abituali, dimostrando come le ansie si mescolino a meccanismi di rimozio­ ne nell'intento di ripristinare le abitudini precedenti (Franchi, Ziliani, Gualtie­ ri, 2008 ) . 8 .1.6. Sempre più etica La crisi contribuisce a indurre una nuova eticità nel consumo, a partire dal­ la sostenibilità ambientale e dalla lotta agli sprechi. Aumenta il consumo di cibi sfusi e ritorna la pratica dei vuoti a rendere. Cala il consumo dell' acqua in bottiglia. Si impone il concetto di precycling del packaging: l'idea non è riciclare , ma evitare lo spreco. Possiamo citare il caso di Y water, bevanda biologica rivolta ai bambini, a basso contenuto calorico , ricca di sostanze nutrienti: il contenitore è un mattoncino colorato che può essere utilizzato per le costruzioni. "Ecotariani" è il neologismo che è stato coniato per definire consumatori che pensano all'impatto ambientale. Il termine indica tutti quegli individui che si nutrono esclusivamente di cibi sostenibili, prodotti cioè in modo esclusiva­ mente ecologico con una particolare attenzione alle fonti energetiche. Il mot­ to degli ecotariani è mangiare senza danneggiare l'ambiente; ciò, declinato nel­ la spesa quotidiana, vuol dire acquistare ingredienti prevalentemente organici, possibilmente prodotti non lontano da casa e non mangiare carne. Quello che conta per gli ecotariani è infatti capire la storia che c'è dietro ogni singolo in­ grediente e quanta parte di inquinamento esso produce nel processo di produ­ zione (Zuppello, 2oo8 ). Alcune catene di distribuzione hanno raccolto questa emergente ctÙtura. Ad esempio la catena Casinò introduce etichette nutrizionali che indicano an­ che l'impatto del prodotto dal punto di vista ambientale. Una nuova propensione al fare sembra associata a questo sentimento di ri­ spetto per l'ambiente, fino alle forme di autarchia alimentare: le esperienze di urban /armers nascono all'insegna dell'idea di produrre ciò che serve da sé. Vanno poi ricordati i Gruppi di acquisto solidale (GAS) che, in accordo con una fattoria, si fanno carico della distribuzione diretta per eliminare completa­ mente la distanza dalla produzione al consumo. I GAS nascono da una riflessio­ ne sulla necessità di un cambiamento profondo del nostro stile di vita. Come tutte le esperienze di consumo critico, anche questa intende immettere una " domanda di eticità" nel mercato per indirizzarlo verso un'economia che met­ ta al centro le persone4•

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8.2 Le preferenze dei consumatori e il teorema dell'impossibilità

Pur di fronte alla complessità delle tendenze, l'approccio con cui il marketing guarda il consumo è centrato sulle preferenze individuali; al fondo vi è l'idea che per comprendere le tendenze del mercato occorra analizzare il sistema del­ le preferenze che esprimono i diversi individui. Queste preferenze sono state variamente ricondotte alle motivazioni, alle caratteristiche dei soggetti sociali; nel tempo le variabili socio-demografiche elementari sono state sostituite con tecniche più sofisticate che hanno tentato di coglierne la reciproca influenza. È così che sono stati proposti modelli fondati sugli stili di vita o sui cosiddetti siti valoriali (Fabris, 2003; Codeluppi, 2005). Quei tentativi sono ormai alle spalle in quanto le scelte individuali si presentano variegate, permeabili e, so­ prattutto, mobili (Fabris, 2oo8 ). L'influenza dei media, delle immagini propo­ ste dalla moda, danno luogo ad eterogenei e fluttuanti sistemi di riferimento destinati a variare rapidamente (Franchi, 2007) . L a teoria che sia possibile definire preferenze i n u n mercato così com­ plesso e connotato da un'estrema varietà di merci sottovaluta l'enorme por­ tata del sistema delle relazioni in cui il singolo è inserito e il mix inestricabi­ le che si produce tra questo sistema, i valori, le aspettative, le situazioni con­ crete che nella vita quotidiana vengono sperimentate . N o n solo gli individui cambiano rapidamente preferenze nel corso del ciclo di vita, ma le stesse pre­ ferenze cambiano in ragione delle situazioni in cui essi sono inseriti nel cor­ so della giornata. La teoria economica neoclassica assume un individuo dotato di un siste­ ma di preferenze noto, indipendente dalle preferenze degli altri e orientato a massimizzare la sua utilità, obiettivo che raggiunge attraverso la capacità di scegliere i beni che gli consentono di soddisfare i suoi bisogni. Il problema che ogni consumatore deve affrontare consiste nel fatto di ottenere, dato un certo bilancio monetario, il massimo di utilità dal consumo. In realtà le scel­ te sono il frutto di sistemi di negoziazione interpersonale per mediare prefe­ renze per lo più in contraddizione, ma anche di negoziazioni interne all'indi­ viduo stesso. Il principio economico della massimizzazione dell'utilità è stato variamen­ te rivisitato, ad esempio sostenendo che l'utilità non è soltanto quella diretta che proviene dai beni, ma quella correlata alle loro caratteristiche. Il consuma­ tore sceglierebbe prima le caratteristiche e poi i beni che le possiedono (Lan­ caster, 1991). Senza scomodare l'economia comportamentale, è evidente che l'individuo non è in grado di soppesare razionalmente tutte le alternative di­ sponibili, riceve un'elevata quantità di stimoli e, soprattutto, compie scelte for­ temente orientate dalla dimensione relazionale. Il consumatore è un essere so­ ciale, che esprime preferenze interdipendenti da quelle degli altri. Quindi «non

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è possibile ipotizzare u n soggetto isolato d a u n contesto sociale, dotato di un sistema di preferenze noto e consolidato, indipendente dalle preferenze degli altri individui (Codeluppi, 2005, p. 2n) . L'interdipendenza delle preferenze dei consumatori crea non pochi pro­ blemi dal punto di vista teorico. A questi si aggiunge la questione delle scelte in un contesto in cui l'individuo attraversa una pluralità di situazioni e in cui gli imperativi etici sono segnati da una profonda ambivalenza. Ognuno veste abiti differenti, mediando costantemente con se stesso e con gli altri le strategie di consumo. Queste si configurano, così, come strategie composite che combinano spinte contraddittorie con la capacità di adattamen­ to e che, soprattutto, sono trainate dai progetti di vita individuali. Anche per questo, l'industria alimentare si trova di fronte a una sostanzia­ le difficoltà nel formulare previsioni. Per sintetizzare i dilemmi in cui essa è coinvolta, si può richiamare il linguaggio più formale dell'economia e il cosid­ detto teorema dell'impossibilità di Arrow5• Questo teorema, sviluppato in un contesto politico come critica alle regole di maggioranza nei sistemi di votazio­ ne, può trovare applicazione anche nella nostra analisi sulle tendenze dei con­ sumi alimentari. Per introdurre le implicazioni concettuali del teorema, utilizziamo un esempio classico. Immaginiamo tre individui - 1, 2, 3 - che debbano scegliere tra tipi di prodotti A, B, C. Ciascun individuo deve esprimere il proprio ordi­ ne di preferenze6 rispetto ai tre prodotti e immaginiamo che questo ordine sia riassumibile nel modo seguente: Individuo 1: A > B > C Individuo 2: B > A > C Individuo 3: C > B > A

Balza evidente che i tre individui preferiscono i tre prodotti in una sequenza circolare e questo porta a un risultato molto interessante. Una volta che ciascu­ no degli individui ha espresso il proprio ordine di preferenza, supponiamo che un ente esterno (ad esempio l'impresa) debba sintetizzare l'ordine di preferen­ ze al fine di designare il prodotto vincente tra A, B e C. Un criterio immediato per sintetizzare le preferenze e indicare il prodot­ to vincente è quello di assegnare la vittoria al prodotto che risulta "maggior­ mente " preferito fra i tre in lista, rispetto all'ordine di preferenze indicato da­ gli individui. Con il criterio di maggioranza, osserviamo che: A > B una vol­ ta; B > A due volte; A > C due volte; C > A una volta; C > B una volta; B > C due volte. Ciò viola l'assioma della transitività delle preferenze, necessario per ren­ dere comparabili i tre beni; in assenza di transitività i beni non sarebbero comparabili e la scelta ottimale risulterebbe quella casuale. In altri termini, quando la scelta è complicata nel senso che si deve scegliere tra più di due al-

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ternative e le preferenze degli individui sono molto diverse tra di loro , non vi è modo di pervenire a una scelta univoca che rispetti il criterio di maggioran­ za7. A cosa serve il paradosso di Arrow all'interno del nostro ragionamento? Essenzialmente per confermare l'impraticabilità di logiche di segmentazione fondate sull'univocità delle scelte di consumo e per avanzare un'altra ipote­ si teorico-pratica: l'individuo consuma in relazione alle situazioni in cui è coinvolto e non in relazione a uno standard predeterminato, e in effetti gli in­ dividui I, 2 , 3 possono rappresentare un unico individuo in tre situazioni dif­ ferenti (ti, t2, t3 ). Del resto, l'esperienza corrente lo dimostra: quando scegliamo tra i gusti di un gelato, quasi mai applichiamo un sistema di preferenze lineare, per lo più modifichiamo l'ordine delle preferenze in relazione alle circostanze e per lo più per ragioni che attengono unicamente alla diversificazione delle scelte ( che in sé rappresenta ai nostri occhi una motivazione sufficiente). Le teorie della scel­ ta razionale sono assai lontane dalle scelte di consumo. Anche per questo per le imprese è fuorviante restare imbrigliate nelle consuete logiche della previsio­ ne per target. 8.3 Segmentare per target o per situazioni

È nelle nuove situazioni del cibo che si riflettono le tendenze sociali e possono essere colte indicazioni significative per le previsioni circa le nuove domande sociali. Roland Barthes avanzava decenni orsono l'ipotesi che l'alimentazione si stesse organizzando attorno a due grandi poli: da una parte l'attività (e non più solo il lavoro) e dall'altra il tempo libero (e non solo la festa). Questa con­ siderazione lascia ancora ampi spazi da esplorare. Le polarità di situazioni si dispongono oggi prevalentemente attorno a due dimensioni che, come si è di­ scusso nel CAP. I, segnano i processi di flessibilizzazione della vita contempo­ ranea: da una parte sta il cibo solitario, quello consumato per ragioni funziona­ li alle condizioni più convenienti, di tempo e di costo , quello a cui si attribui­ sce poca importanza, una sorta di pratica da sbrigare per assolvere i bisogni di nutrimento; sull'altro versante si colloca il cibo relazionale, il cibo che media processi di aggregazione e di socialità, a cui si dedicano risorse economiche e di tempo, quasi si trattasse di una sorta di investimento. Queste diverse situa­ zioni hanno differenti codici di comportamento, quasi differenti protocolli so­ ciali che sono più importanti della soddisfazione del bisogno fisiologico della fame. È ancora Barthes (I998, p. 40) a ricordare: «il cibo è incorporato in una lista sempre più lunga di situazioni particolari [ . . . ] ha un valore al contempo nutritivo e protocollare e il valore protocollare prende il soprawento su quel­ lo nutritivo». Solo esplicitando il legame tra un dato comportamento alimentare e le ra­ gioni culturali che lo sostengono è, quindi, possibile dare conto di quel com-

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portamento. Ciò significa, inoltre, che l'innovazione dei prodotti passa attra­ verso l'osservazione della pluralità delle nuove situazioni a cui il consumo di cibo può essere associato. Le situazioni del cibo sono sempre più sganciate dai luoghi tradizionalmente deputati; assecondano la ricerca di flessibilità che se­ gna la vita contemporanea, la mobilità quotidiana in primo luogo. Ne è una prova il fatto che negli anni recenti è stato profuso un rilevante impegno per individuare nuove soluzioni di packaging capaci di rendere mobili i prodotti alimentari. La surgelazione ha consentito la lunga conservazione dei prodotti e un loro uso veloce, la liofilizzazione ha ulteriormente favorito la conservazio­ ne, ora la frontiera è rappresentata dal rendere possibile l'uso dell'alimento al di là dei sistemi di riscaldamento o di raffreddamento, in luoghi non domesti­ ci. La sfida per i nuovi prodotti on going è ripristinare le condizioni ottimali di utilizzo (freddo/ caldo) senza mezzi esterni. Solo un forte vantaggio nell 'utilizzo o nella funzione consente di rico­ struire il sistema differenziale del valore ( materiale e simbolico ) del prodot­ to giustificandone il costo. Così è stato anche in passato per numerosi pro­ dotti; ad esempio il passaggio dal pane normale al pane in cassetta si è asso­ ciato a una differenza di significati: nel primo caso "vita quotidiana " , nel se­ condo " ricevimento " . Lo stesso accade nel passaggio dal pane bianco al pa­ ne nero che è divenuto segno di raffinatezza, quando un tempo era segno di povertà. I significati attribuiti ai prodotti hanno implicazioni notevoli sulla perce­ zione dei prezzi. Così gli individui tendono a considerare ingiusto l'innalza­ mento di un prezzo di un prodotto di base, cioè di un prodotto che, nel siste­ ma dei significati, assolve la funzione di soddisfare un bisogno, ma sono dispo­ sti a pagare un prezzo maggiore per un bene correlato a situazioni connotate da una carica emozionale, a contesti desiderabili. È il contesto d'uso che deter­ mina l'accettabilità di diversi sistemi di prezzo. Sempre più saranno le situazioni sociali a segnalare le vie di evoluzione del consumo. I nuovi comportamenti di spesa hanno già indicato come la flessibi­ lità sia divenuta un criterio cardine decisivo: lo dimostra la crescita esponen­ ziale di alimenti preparati per un uso veloce, che si impongono, nonostante le maggiorazioni di prezzo, contro ogni elogio della lentezza.

Verso

8 .4 cibo .fusion

un

In un contesto in cui le preferenze non si esprimono come alternative, ma co­ me sistemi di priorità mobili, acquista un valore preponderante l'innovazione di prodotto. L'intuizione sul prodotto è ciò che può generare un fattore com­ petitivo, ben al di là di ogni operazione di marketing e della capacità di indo­ vinare campagne pubblicitarie efficaci. Del resto, prodotti celebri come la N u­ tella o il Mulino Bianco lo confermano. Si tratta di prodotti che hanno visto

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8 . LE P R E F E R E :\' Z E I �I P O S S I B I L I . V E R S O UN C I B O

F US I O N ?

crescere a lungo il fatturato, hanno dimostrato una straordinaria tenuta nel tempo e non hanno di fatto subito concorrenza. Alla base vi era un'intuizione di un prodotto-situazione-immagine, in grado di presentare una qualità distin­ tiva e peculiare, di interpretare una situazione (la merenda e la colazione nel caso dei due prodotti citati) e di proporre un'immagine in grado di diventare rapidamente un aggregato di valori simbolici. Ciò richiama l'idea che il gusto è un fattore composito di sensazione e conoscenza, vale a dire un fatto per ec­ cellenza culturale. Se questo è vero , allora la palla ritorna all'industria, riemerge la centralità dell'innovazione di prodotto. Quale innovazione? Che l'industria italiana fac­ cia poca innovazione si dice da più parti ed è banale ricordarlo. N egli ultimi anni l'innovazione si è concentrata in direzione salutista, con l'aggiunta di com­ ponenti che hanno dato luogo a cibi funzionali sempre più specializzati e di­ versificati, o con l'eliminazione di componenti ad alto impatto calorico. The Fattening o/ America intitola un recente volume (Finkelstein, Zuckerman, 2oo8 ) che mette al centro il nesso tra economia e obesità. Ma l'industria si trova di fronte anche a un ulteriore dilemma, rimosso per lo più: la difesa di ciò che ha acquisito lo status di tradizione o l'apertura ver­ so prodotti che appartengono ad altre culture alimentari. La duplicità di ap­ procci è assai visibile nelle diverse manifestazioni legate all'alimentazione che si moltiplicano in Italia e nel mondo. Queste manifestazioni si organizzano at­ torno a due orientamenti culturali: il primo, di gran lunga prevalente, pone l'enfasi sulla dimensione locale, sul cibo regionale, sulla tipicità del prodotto; il secondo mette l'accento sull'innovazione delle tecniche come delle proposte gastronomiche e sulla dimensione globale. In questo secondo caso la forte at­ tenzione alla cucina etnica è proposta non in una chiave folcloristica, bensì di innovazione e globalizzazione. Mentre la tradizione viene richiamata in funzione di rassicurazione rispet­ to alla genuinità dei prodotti, la cucina etnica appare una risposta al bisogno di esplorare nuovi territori. Il fatto che i prodotti variamente configurabili co­ me etnici vedono il maggior volume di crescita dimostra come sia già oggi for­ te l'attrazione per la novità, giustificata anche dalla maggiore conoscenza (e di­ sponibilità) di prodotti che arrivano da altre parti del mondo. Tradizione e apertura al nuovo sono due tratti inscindibili e compongono la flessibilità del cibo. Ma al di là di questi orientamenti polarizzati che cosa cercano gli indivi­ dui nel cibo? Sorpresa e memoria sono i due tratti su cui il piacere alimenta­ re si rilancia di continuo: il ricordo di ciò che abbiamo gustato , che è spesso il ricordo di situazioni gradevoli, affettive ed emozionanti collegate al cibo e la scoperta di qualcosa che non conoscevamo, che allarghi il nostro orizzon­ te, arricchisca il nostro gusto personale, consenta di esplorare e assaporare ter­ ritori sconosciuti. Anche la cosa più straordinaria ci verrebbe a noia se non conoscesse variazioni: non si usa forse l'espressione "la stessa zuppa" per rap-

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presentare l'insostenibile assenza di variazione nella vita? Ma l'arte della cu­ cina ci dice che ingredienti eccellenti possono essere moltiplicati e rivisitati con infinite variazioni. Note

1. Dati Mintel GNPD (www.mintel.com). 2. I 467 euro sono destinati nell'ordine all'acquisto di carne (106 euro), frutta e ortaggi (84 euro), pane e pasta (79 euro), pesce (84 euro) , latte, uova e formaggi (64 euro), zucchero, dolciari e caffè (42 euro), altro (8 euro). Se la spesa alimentare è rimasta invariata le quantità portate a casa si sono ridotte dell'1,5% . 3· Il concetto di doppio vincolo, introdotto da Bateson (1976), indica un tipo di comu­ nicazione caratterizzata da segnali contraddittori che pongono il destinatario in una condi­ zione di profondo dilemma. Ogni volta che l'individuo si trova in una condizione di doppio vincolo la sua capacità di decisione è messa in crisi. 4· 8° Convegno nazionale rete GAS, "I GAS nella costruzione di una nuova economia " , Misano Adriatico (Riccione) , 17 e 18 maggio 2oo8 (www.retegas.org). 5· Il teorema dell'impossibilità è stato formulato da Arrow nel 1951 nel libro Social Choice and Individua! Values. Lo scopo era trovare un sistema di votazione che evitasse il paradosso di Condorcet e consentisse di preservare l'ordine lineare delle preferenze (se A vince su B, e B vince su C, allora A deve vincere su C). ll paradosso di Condorcet è una si­ tuazione nella quale le preferenze collettive possono essere cicliche (cioè non transitive) an­ che se le preferenze dei votanti non lo sono individualmente. TI paradosso consiste nel fatto che i desideri della maggioranza possono essere in conflitto gli uni con gli altri. Questo suc­ cede quando le maggioranze in conflitto sono ognuna composta da gruppi di individui dif­ ferenti. 6. La preferenza è un orientamento in relazione a due alternative: nello schema del te­ sto il segno > simboleggia, appunto, la preferenza. 7. Questa considerazione è ben nota da alcuni secoli nel mondo anglosassone che ha sempre impostato i meccanismi elettorali sul sistema maggioritario (il bipartitismo). Nei si­ stemi elettorali proporzionali (indubbiamente più rappresentativi della varietà dei cittadini) se i partiti sono tanti e le scelte complesse, il sistema è ingovemabile, come dimostra l'espe­ rienza.

Epilogo. Tre figure dello scambio

La metafora proposta da Bacone a proposito del metodo induttivo alla base della scienza può offrire qualche suggestione a conclusione del nostro ragiona­ mento intorno al cibo. Lo scienziato, ammonisce Bacone , non deve compor­ tarsi come una formica, che raccoglie tutto ciò che trova senza un criterio logi­ co, né come un ragno, che tesse la tela traendo da se stesso e non dal mondo esterno il filo, ma piuttosto come un'ape che seleziona i fiori migliori da cui trarre il nettare che trasformerà in miele (Bodei, 1991, p. 24). Le tre figure di animali rappresentano altrettante immagini dello "scam­ bio " che si realizza sulla questione del cibo, inoltre possono simbolicamente ri­ chiamare alcuni falsi miti su cui il dibattito oggi sembra talvolta arenarsi. Il ragno costruisce la ragnatela con lo scopo di procurarsi cibo; ha bisogno della ragnatela per alimentarsi, come dimostra il fatto che solo le mosche e gli insetti che vi restano imbrigliati costituiscono il cibo di cui esso si nutre. La ra­ gnatela è, per così dire, lo strumento per l'approvvigionamento, la cui costru­ zione avviene per un processo interno che non ha bisogno di essere alimenta­ to, a sua volta, dall'esterno. Attraverso un processo di produzione autoctono il ragno emette il filo con cui costruisce la ragnatela-macchina per il proprio ci­ bo. La formica ha bisogno di uscire dal formicaio per nutrirsi: raccoglie e ac­ cumula derrate alimentari, non le produce, non le modifica, pazientemente porta dall'esterno all'interno tutto ciò di cui si nutre, agisce per sé e per la co­ munità, ma non produce valore aggiunto nello scambio con l'esterno. L'ape, invece, crea alimenti mentre si alimenta, si nutre del nettare e lo trasforma in cibo prezioso per tutti i membri dell'alveare, anche per i componenti che sono adibiti ad altre mansioni, compie un 'attività di trasformazione dell'alimento di cui si nutre in cibo. L'ape produce cibo per altri attraverso il cibo per sé. I tre animali sono figure dello scambio, o meglio, di forme differenti di scambio: il ragno è simbolo di un approccio autarchico (produce da sé il pro­ prio strumento di approvvigionamento); la formica di un approccio comunita­ rio (porta dentro alla comunità ciò che serve per il sostentamento) : in esso lo scambio è totalmente orientato dall'esterno all'interno e finalizzato al consu­ mo; l'ape è il simbolo del mercato: dà luogo a un processo di trasformazione.

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Diverse sono le suggestioni che intersecano l a questione del cibo. I n pri­ mo luogo, la metafora evoca il passaggio da una società di cacciatori a una di coltivatori e poi a quella dei produttori. Il cibo procurato attraverso la caccia necessita solo dello strumento/arma per vincere sulla preda, il cibo coltivato avvia il processo di conservazione delle derrate alimentari, impone la loro or­ ganizzazione, a partire dalla più primitiva logica dell'autoconsumo. Infine, il cibo dello scambio moderno allude non solo all'organizzazione industriale e al­ la relativa commercializzazione dei prodotti, ma alla dimensione sociale e rela­ zionale implicita nel consumo. L'immagine di Bacone può essere inoltre utilizzata come metafora dei falsi miti che attraversano , con esiti dannosi, i discorsi sul cibo: i miti del­ l' autoproduzione, dell' onnipotenza della distribuzione, della difesa strenua del locale. L'immagine del ragno interpreta il mito del ritorno all'autarchia, a una sorta d i produzione autoctona d i ciò che serve p e r i l nostro sostenta­ mento . Forse nulla come il cibo richiama la dimensione produttiva del con­ sumo . I consumatori sono sempre più coinvolti in un processo di trasforma­ zione dei prodotti, non solo in oggetti di senso funzionali alle loro strategie di vita, ma, ancor prima, in beni che possano essere utilizzati solo attraver­ so un processo di ulteriore trasformazione. Il neologismo prosumer, unione di producer e consumer, produttore e consumatore, coniato un paio di de­ cenni fa da Toffler (1987) , esprime il ruolo attivo dell'individuo contro un'i­ dea passiva del processo di uso dei beni1 • Nel caso del cibo ciò è addirittu­ ra costitutivo : il consumo alimentare presuppone una trasformazione e una produzione domestica, ancorché ridotta il più possibile nella società con­ temporanea. Il mito dell'autoconsumo rappresenta un sogno ricorrente riproposto in chiave più o meno radicale. Una versione estrema è interpretata dal movimen­ to newyorkese dei Freegans che raccolgono abiti e cibo e vivono con quello che gli altri scartano. Alcune pubblicazioni recenti segnalano un sentimento più diffuso. Una scrittrice americana si ritira con marito e figlie nella sua fattoria in Virginia: vivono solo di quello che producono. Una critica al sistema alimenta­ re che ci impone di importare prodotti da tutto il mondo, ma che, al di là del­ l'apparenza, riduce le varietà delle specie disponibili con una selezione drasti­ ca dei prodotti più efficienti (Kingsolver et al. , 2007). Le esperienze di coltiva­ zione di piccoli giardini per l'autoconsumo si diffondono nelle grandi città, co­ me Milano, Roma e New York. Anche se talvolta, alla fine dell'esperimento, la cifra spesa per organizzare il proprio piccolo orto domestico eccede quella per l'acquisto dei prodotti. Ma il mito del ritorno alle origini trova più frequenti e meno radicali de­ clinazioni. La speranza di coltivazioni genuine non contaminate dalle produ­ zioni può tradursi nell' auspicato ritorno ai cicli delle stagioni (Granello, 2007b) , oppure nella valorizzazione delle produzioni locali, come per l'orga­ nizzazione Terra Madre promossa dal movimento dello Slow Food, nella lotta

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E P I L O G O . TRE F I G L' R E D E L L O S C A M B I O

ai chilometri percorsi dal cibo, fino alla strenua battaglia contro gli OGM, che fa leva sui sentimenti di preoccupazione diffusi. Diverse esperienze ripropongono richiami a modelli di consumo o di ac­ quisto più legati ai produttori e più capaci di coniugare risparmio, genuinità e calore: i mercatini rionali diventano oggi l'emblema di una strategia di difesa della genuinità, di ricostruzione di una fiducia fondata sulle relazioni dirette e di negoziazione dei prezzi che la grande distribuzione ha espulso definitiva­ mente. Ma un ritorno al passato è improponibile. La trasformazione industria­ le non è di per sé sinonimo di contraffazione né di snaturamento del cibo. L'immagine della formica richiama un'altra questione rilevante per il no­ stro rapporto con il cibo, la supremazia della distribuzione sull'industria ali­ mentare; il mito della distribuzione sta a segnalare l'illusione che un'efficiente distribuzione, corredata da efficaci strategie di marketing e da altrettanto effi­ caci strategie pubblicitarie saprà interpretare le nuove tendenze e sostenere i consumi alimentari. La distribuzione detiene oggi un enorme potere condizio­ nante sia in relazione alle strategie di vendita sia per la determinazione dei prez­ zi sia nella scelta dei prodotti. L'affermarsi delle marche commerciali ha enfa­ tizzato questo crescente peso della distribuzione. Schiacciate dal tendenziale aumento dei prezzi delle materie prime, dalle contraddizioni che attraversano i comportamenti di consumo, le imprese hanno scelto spesso negli anni passa­ ti innovazioni troppo affidate al packaging, troppo poco attente alla ricerca, mentre l'innovazione del prodotto è una risorsa ancora più importante in un mercato che registra un massiccio e continuo ingresso di nuovi beni. Al mito dell' onnipotenza della distribuzione e del mercato globale si op­ pone il mito del locale, protetto dalle contaminazioni, difendibile nella ripro­ ducibilità esatta del procedimento di conservazione tradizionale. A questo mi­ to si richiama la strategia dell'esasperata ricerca di tipicità, del marchio della tradizione come ultima garanzia di genuinità contro la contraffazione che in sé sarebbe indotta dal procedimento di trasformazione industriale. L'immagine dell'ape ripropone la centralità dei processi di trasformazione e anche dei pro­ cessi di innovazione dei prodotti. L'immagine dell'ape, inoltre, ci ricorda che il cibo è scambio e relazione, e a questa funzione sociale continuerà ad essere cor­ relato. Il cibo è nutrimento, per sé e per gli altri, un nutrimento che va ben ol­ tre la pura dimensione fisiologica, come dimostra la sua dimensione simbolica. In quanto nutrimento il cibo è anche relazione, implica un processo di scam­ bio con l'altro; infine, esso è trasformazione, fin da quando il passaggio dal cru­ do al cotto ha segnato la nascita della civiltà. Niente è naturale, del resto , tut­ to porta le tracce di un processo di civilizzazione di lunga durata, anche le scel­ te a favore della natura sono eminentemente culturali (Montanari, 2oo6) . L a dimensione dello scambio tra esterno e interno nel caso del cibo è resa problematica dal fatto che il cibo diviene parte di noi: le regole e i riti della cu­ cina presidiano e salvaguardano questo processo di incorporazione. Cucinare significa simbolicamente sottomettere la natura (gli ingredienti, i materiali

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grezzi) e ridurla a cultura (il piatto finito). Si tratta di un processo per certi ver­ si magico in cui viene esorcizzata la potenziale pericolosità del cibo: il cibo, in­ fatti, si introduce attraverso la bocca nel corpo e per questo è potenzialmente pericoloso, contaminante ed è così che Fischler (1992) spiega le costruzioni sim­ boliche attorno ad esso, i miti e i riti che lo accompagnano. Così si spiegano le paure, ma anche le diverse forme di moderno esorcismo della morte che il ci­ bo consente. Gli storici dell'alimentazione hanno più volte sottolineato che il cibo è scambio, ibridazione continua e che la tradizione locale non è altro che un lun­ go processo di sedimentazione. N eli' epoca del cibo globale, tale contaminazio­ ne dovrebbe essere assecondata piuttosto che ostacolata: il cibo /usion diven­ terebbe così uno straordinario bacino di ricerca piuttosto che una minaccia di perdita della tipicità delle produzioni. Se il cibo è una metafora del rapporto più intimo con noi stessi e del rapporto con l'altro, tale rapporto presuppone sempre ascolto e uno spazio di contaminazione. Nulla a che fare con l'omolo­ gazione degli alimenti e neppure con il sincretismo all'insegna del cibo spazza­ tura che purtroppo imperversa nei fast food e non solo. Note 1 . Le imprese in diversi modi tentano il coinvolgimento dei consumatori nella predispo­ sizione all'uso di prodotti che sono venduti riducendo al minimo il servizio: il caso dell'Ikea è rappresentativo di questo coinvolgimento del consumatore nella produzione (Codeluppi, 2008) .

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