I Sommergibili Italiani Nellatlantico Settentrionale

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I Sommergibili Italiani Nellatlantico Settentrionale

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I SOMMERGIBILI ITALIANI NELL'ATLANTICO SETTENTRIONALE LE OPERAZIONI E I PROBLEMI OPERATIVI (OTTOBRE 1940 - MAGGIO 1941)

Francesco Mattesini

Da Navi e Marinai n° 43

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IL SISTEMA DEI CONVOGLI Fin dall'inizio della guerra, la più grande preoccupazione per la difesa britannica era stata quella di proteggere le vie di comunicazione minacciate dal nemico 1. Nelle Isole britanniche, la vita e le industrie, almeno per due terzi, dipendevano dall'importazione che, nel 1939, aveva raggiunto i 68.000.000 di tonnellate: legname, gran parte dei viveri, minerali ferrosi, tutti gli oli e il carburante provenivano da oltremare. Ma, oltre a rifornire la Gran Bretagna, era necessario alimentare le innumerevoli guarnigioni sparse in tutto il mondo e, poiché le rotte per le colonie e i possedimenti orientali passanti per il Mediterraneo non apparivano sicure, la navigazione commerciale fu deviata per il Capo di Buona Speranza. Tutto questo richiese una grande quantità di naviglio ed un enorme sforzo, poiché risultava quadruplicata la lunghezza dei viaggi per l'Egitto e raddoppiata quella dei viaggi per l'India; conseguentemente si ridusse drasticamente il numero dei trasporti di truppe e rifornimenti.2 Nel 1939, la flotta mercantile britannica disponeva di circa 4.000 navi mercantili per un totale di 21.000.000 tsl. Per proteggere questo imponente numero di unità e le centinaia di piroscafi alleati o neutrali al servizio della Gran Bretagna, la Royal Navy e il Comando dell'Aviazione Costiera (Coastal Command) disponevano di appena 200 navi per la scorta e poco più di 300 aerei. Si trattava in massima parte di navi decrepite, con armi sottomarine rudimentali, e di velivoli scarsamente adatti alla lotta antisommergibili, trattandosi di vecchi idrovolanti e lenti bimotori armati soltanto di piccole bombe. Pertanto, inizialmente, i britannici si trovarono insufficientemente preparati a fronteggiare una guerra contro il loro tonnellaggio mercantile. L'organizzazione dei convogli, sulla scia degli insegnamenti della prima guerra mondiale, fu ripristinata in 1

Ha scritto Winston Churchill nelle sue memorie: «La battaglia dell'Atlantico fu l'elemento dominante per tutta la durata della guerra. Mai per un solo istante noi potremo dimenticare che tutto quanto accadeva altrove, in terra, in cielo o in mare, dipendeva in definitiva dal suo esito, e fra tutte le altre preoccupazioni noi seguivamo le sue mutevoli fortune giorno per giorno, ora con speranza, ora con apprensione». 2 Per l’attività operativa dei sommergibili è stata consultata dall’Autore la vastissima documentazione dell’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, in particolarmente i fondi “Betasom”, “Maricosom”, “Naviglio Militare” e “Scambio notizie con Ammiragliato Britannico”. Per chi desidera approfondire gli episodi, può farlo nel libro di Francesco Mattesini, Betasom. La guerra negli Oceani (1940-1943), 2a edizione riveduta e ampliata, USMM, Roma, 2003. L’opera contiene le statistiche, le tabelle e le cartine di questo Saggio, che sono state compilate dall’Autore. britannico”. Per chi desidera approfondire gli episodi, può farlo nel libro di Francesco Mattesini, Betasom. La guerra negli Oceani (1940-1943), 2a edizione riveduta e ampliata, USMM, Roma, 2003.

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tutto l'Atlantico Settentrionale, ma la debolezza del naviglio di scorta contribuì a rendere le perdite assai elevate, mentre basse si mantennero quelle dei sommergibili tedeschi. Quando, con l'occupazione tedesca della Francia settentrionale, Londra si rese conto che le rotte passanti per il Canale della Manica e per lo Stretto di San Giorgio erano troppo esposte all'offesa aerea, l'Ammiragliato britannico decise di dirottare verso nord i suoi convogli provenienti dall'America, e verso il largo, ad occidente, quelli provenienti da Gibilterra e dall'Africa. Pertanto le navi mercantili in arrivo e quelle dirette oltremare, che facevano capo ai porti principali di Liverpool e Glasgow (sulla Clyde), dove si formavano ed arrivavano i convogli, cominciarono a seguire rotte passanti per il Canale del Nord, lo stretto che separa l'Irlanda settentrionale dalla Scozia. Alla fine della primavera del 1940, mentre i sommergibili tedeschi, installatisi a Lorient, poterono accorciare di almeno 400 miglia i loro tragitti per trasferirsi nelle zone di operazione dell'Atlantico, i britannici, che non possedevano navi di scorta con un'autonomia sufficiente per compiere una intera traversata oceanica, potevano assicurare ai convogli una debole scorta antisommergibile solo fino alla longitudine 15° ovest e cioè non oltre 200 miglia circa a ponente dell'Irlanda. Ne risultava che, per quanto riguardava la traversata dell'Atlantico settentrionale, rimaneva un ampio spazio scoperto in cui le navi mercantili erano senza alcuna protezione delle scorte di superficie. Sulle rotte meridionali di Freetown lo spazio scoperto era ancora maggiore poiché i convogli venivano raggiunti dalle scorte soltanto sul parallelo 47° nord, a sudovest dell'Irlanda. Nell'estate del 1940, allorché gli attacchi dei sommergibili si fecero più frequenti e le perdite aumentarono in modo preoccupante, il limite delle unità di scorta fu portato al 17° meridiano ovest. Successivamente, in ottobre, quando i britannici si accorsero che i sommergibili tedeschi, per effettuare in tempo il concentramento sui convogli diretti in Gran Bretagna, potevano spingersi molto a ponente, venne portato al 19° meridiano e là rimase fino alla primavera del 1941 quando fu possibile utilizzare basi in Irlanda per i rifornimenti. Poiché quest'ultimo è il periodo che a noi interessa per le operazioni dei sommergibili italiani ad occidente delle Isole britanniche, vediamo come si svolgeva il sistema della navigazione britannico. I principali convogli transatlantici per il Regno Unito, gli «HX» e gli «SC», si formavano ogni quattro giorni rispettivamente nei porti canadesi di Halifax e Sydney. I grandi convogli di ritorno, gli «OB», con aggregate navi per tutte le destinazioni,

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partivano da Liverpool. A Gibilterra giungevano dalla Gran Bretagna gli «OG» e partivano, con destinazione inversa gli «HG», mentre a Freetown, nella Sierra Leone, si formavano, diretti in Inghilterra, gli «SL». Per portare a compimento l'intera traversata oceanica, tenendo conto dei mutamenti di rotta, delle condizioni atmosferiche e di altre cause di ritardo, un convoglio proveniente dal Canada, per attraversare l'Atlantico settentrionale, impiegava una media di poco superiore ai quindici giorni. I convogli provenienti da Freetown quattro giorni di più. Mentre i convogli che facevano capo a Gibilterra venivano accompagnati per tutto il tragitto da una debole scorta costituita da un paio di corvette, per essere presi in consegna da robuste scorte locali, assai differentemente si svolgeva il sistema di protezione sulle altre rotte. I convogli diretti dall'America all'Inghilterra erano inizialmente scortati nell'Atlantico occidentale da cacciatorpediniere canadesi per circa 400 miglia verso est e, successivamente, per gran parte della lunga traversata oceanica, da uno o due incrociatori ausiliari o da un solitario sloop a grande autonomia. Sul punto stabilito per il cambio della scorta venivano presi in consegna dalle forze navali britanniche dei Western Approaches (Accessi Occidentali) che li accompagnavano per il resto della navigazione, seguendo una rotta che in genere passava all'altezza del Banco Rockall, a 260 miglia ad ovest della Scozia. Anche i convogli che partivano dall'Inghilterra, gli «OB», venivano accompagnati dalla scorta fino al 19° meridiano ovest. Qui le navi mercantili, dopo aver proseguito ancora raggruppate per circa ventiquattro ore, si disperdevano per dirigersi verso le loro rispettive destinazioni, entrando in un ampio settore che veniva denominato «fossa nera». Era questa una zona di mare molto vasta ,dove i sommergibili, non potendo essere raggiunti dagli aerei di base a terra, agivano quasi indisturbati affondando un gran numero di navi isolate che procedevano per raggiungere la scorta o che dalla stessa si erano divise. In ottobre, quando i sommergibili italiani cominciarono ad operare nell'Atlantico settentrionale, la difesa britannica era ancora inefficace. il Coastal Command incaricato della protezione aerea e antisommergibile, si trovava a corto di aerei, di armi adatte, di equipaggi bene istruiti ed allenati e di basi aeree situate nell'Irlanda settentrionale e nella Scozia, mentre il Comando dei Western Approaches, incaricato della protezione della navigazione contro gli attacchi dei sommergibili e degli aerei nella regione ad occidente delle Isole britanniche, non disponeva di sufficienti navi di scorta.

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Parecchi cacciatorpediniere e corvette erano andati perduti durante la primavera nelle campagne di Norvegia e di Francia, e molti altri si trovavano impegnati con le flotte operanti in Atlantico e nel Mediterraneo, ragion per cui alla Gran Bretagna di quei tipi di navi non restava grande disponibilità.

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Ad aggravarne le limitazioni nel numero ed anche nell'efficienza, contribuiva il fatto che, in previsione di una invasione, era stata data precedenza assoluta alle forze antisbarco. Così molte unità sottili, soprattutto cacciatorpediniere, erano state

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dislocate nei porti delle coste orientali e meridionali dell'Inghilterra, per sorvegliare le mosse della flotta tedesca nella Manica e nel Mare del Nord, e in quelle zone furono tenute impegnate per quattro mesi prima che il temuto pericolo cominciasse a dissiparsi. Durante tutto questo tempo, ed anche nei mesi successivi, le navi di scotta dei Western Approaches vennero sottoposte ad un duro lavoro, per cui spesso accadeva che, per esigenze di riassetto, soltanto una o due unità leggere si rendessero disponibili per accompagnare o prelevare un convoglio oceanico. Una volta lasciati i piroscafi in partenza, cacciatorpediniere e corvette raggiungevano un altro punto d'incontro dove attendevano ed assumevano la scorta del primo convoglio in arrivo diretto verso l'Inghilterra. Ma, poiché spesso i convogli erano soggetti ad ampi dirottamenti o a ritardi, che specie nei mesi invernali erano dovuti al cattivo tempo, sovente avveniva che la scorta fosse costretta a rientrare trovandosi a corto di combustibile, oppure non incontrasse la formazione attesa a causa della cattiva visibilità dovuta al tempo tempestoso o nebbioso di quelle alte latitudini. Poiché anche i velivoli del Coastal Command, in tutto poco più di 200, avevano ricevuto il compito di dare la priorità alla ricognizione nel Mare del Nord, sempre allo scopo di prevenire l'invasione, per l'Atlantico restò ben poco e i pattugliamenti aerei si dimostrarono del tutto insufficienti.

LA TATTICA DEL WOLF PACK Fin dal 1935 l'allora capitano di vascello della Marina germanica Karl Dönitz aveva previsto che, in caso di guerra, la Gran Bretagna avrebbe protetto il suo commercio col sistema dei convogli attuato con successo nel 1918. Forte della sua esperienza personale di comandante di sommergibile durante la prima guerra mondiale e dopo lunghe riflessioni e studi di piani operativi e di manovra, aveva messo a punto per gli U-boote una ingegnosa strategia destinata a combattere il sistema dei convogli. Nacque così la tattica del Wolf Pack (Branco di lupi). Sviluppata nell'anteguerra con esercitazioni pratiche svolte nel Mar Baltico e nell'Atlantico, essa consisteva in una concentrazione di sommergibili rigorosamente coordinati e diretti dal Comando a terra contro una formazione di navi mercantili nemiche raggruppate in convoglio scortato, dapprima spiegandoli in rastrello esplorativo e successivamente concentrandoli sul bersaglio, quando individuato. Nei primi mesi di guerra i sommergibili oceanici tedeschi del tipo «VII» (753 tonnellate) e del tipo «IX» (1.032 tonnellate) operarono isolatamente nell'Atlantico

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orientale fra Gibilterra e le Isole Ebridi, con zone focali nel Golfo di Biscaglia e nel Canale d'Irlanda ove confluivano le rotte degli alleati. Ma, dovendo passare a nord delle Isole britanniche, i sommergibili dovevano trascorrere gran parte della missione in una lunga navigazione di trasferimento, per cui, il loro Comando, che poteva contare su appena una ventina di unità, solo di rado era in grado di disporre da sei ad otto U-boote contemporaneamente in zona di agguato. Cosicché, mentre ebbero ugualmente successo le prestazioni singole, quando in autunno e inverno del 19391940 fu tentato per tre volte di far giungere sommergibili a contatto di convogli, seguendo il nuovo schema di gruppo sperimentato prima della guerra, i tentativi fallirono per scarsità di battelli impiegati. Fu soltanto al termine della campagna di Norvegia, dopo avere impegnato i sommergibili nel Mare del Nord in appoggio all'invasione tedesca, che vennero riprese con successo le operazioni in Atlantico. E allorquando, nella tarda primavera del 1940, i sommergibili si installarono nella base francese di Lorient, essi poterono considerevolmente ridurre il tempo impiegato per il trasferimento in zona di operazione e aumentare il periodo di permanenza. Ne conseguì per il Comandante in Capo dei Sommergibili (B.d.U.) la possibilità di disporre contemporaneamente di più battelli davanti al Canale del Nord, la zona focale fra l'Irlanda e la Scozia, ove i britannici facevano convergere tutto il traffico marittimo, prima asservito alle rotte meridionali, e di sperimentare nuovamente la tattica di gruppo. I risultati non si fecero attendere e, nei giorni 21 e 22 settembre, si giunse ad un primo rilevante successo quando i sommergibili U-47, U-48, U-49, U-100 e U-32 riuscirono ad agganciare il convoglio HX-72, proveniente dal Canada, affondando ben dodici navi. Vediamo ora come si svolgeva la tattica di gruppo. Dal suo posto di comando, situato a Parigi, il Comandante Superiore dei Sommergibili dirigeva gli spostamenti e l'azione degli U-boote nelle zone assegnate. Allorché, tramite avvistamento diretto o su informazioni del Servizio B (l'organizzazione di allarme radio della Marina germanica) veniva individuata la posizione di un convoglio nemico, i sommergibili situati a conveniente distanza ricevevano l'ordine di raggiungere una zona stabilita dove era previsto il passaggio della formazione e prendevano la posizione appropriata, schierandosi su una linea di sbarramento a cavallo della prevista direzione di marcia del nemico. Quando il convoglio atteso, attraversando lo sbarramento, veniva avvistato da uno dei battelli, che comunicava con sufficiente approssimazione posizione e rotta delle navi nemiche il capo della flottiglia, ossia l'ufficiale più anziano in grado imbarcato su uno dei sommergibili, prendeva il comando tattico del gruppo e, per via radio, provvedeva affinché il contatto con il convoglio fosse mantenuto fino all'arrivo degli altri sommergibili. Quando tutte o la

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maggior parte delle unità del gruppo erano riunite in zona, gli U-boote iniziavano, ciascuno in modo autonomo, gli attacchi nelle ore notturne e manovrando in superficie, continuandoli anche, quando era possibile, per varie notti successive. Questo sistema ebbe in seguito una variante, poiché apparve più opportuno che la concentrazione dei sommergibili su un convoglio avvistato venisse diretta dal Comando a terra anziché da un capo flottiglia imbarcato.

Bellissima immagine di un sommergibile tedesco classe VII in navigazione di guerra con mare grosso nel Nord Atlantico.

Nondimeno, molte formazioni di navi mercantili ricercate riuscirono a giungere a destinazione illese, senza essere state raggiunte e attaccate. Infatti, la tattica di gruppo poteva essere attuata solo con comandanti ed equipaggi molto allenati, mentre il successo dell'attacco era reso più facile da quanto maggiore era il numero dei sommergibili in mare e più favorevoli le condizioni atmosferiche. Sebbene in quel periodo la sorveglianza aeronavale del nemico in zone di mare assegnate ai sommergibili fosse insufficiente e assai scarsa, tuttavia solo saltuariamente fu possibile riuscire ad avvistare i convogli proprio a causa dell'esiguo numero di battelli disponibili, mentre, con l'approssimarsi dell'inverno, il tempo cattivo si dimostrò un ostacolo maggiore della difesa avversaria poiché contribuiva a ridurre la velocità degli U-boote in superficie e a rendere più difficile l'avvistamento dei convogli e il mantenimento dei contatti. * * *

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Il sistema dell'attacco in massa di più sommergibili contro uno stesso convoglio colse di sorpresa ed impreparati i britannici sia tecnicamente sia tatticamente. La loro difesa subacquea, al momento impostata sull'eco rivelatore Asdic – che permetteva di scandagliare le acque circostanti per un raggio non superiore a 3 miglia – e sulle bombe di profondità, quindi era praticamente impotente a scoprire otticamente e contrattaccare un sommergibile navigante di notte in superficie. Nell'estate del 1940 i britannici avevano sperimentato l'impiego di una forza mista di unità aeree e navali per la ricerca dei sommergibili. Il sistema, quasi subito abbandonato, si dimostrò inefficace soprattutto a causa della mancanza di navi di scorta e di aerei adeguatamente equipaggiati. I velivoli terrestri avevano limitata autonomia, mentre gli idrovolanti Sunderland della Marina venivano in genere avvistati dai sommergibili prima che essi riuscissero a scoprirli. Anche la tattica di ordinare alle unità di lasciare i convogli per dedicarsi alla ricerca dei sommergibili in acque più o meno lontane non portò ai risultati sperati e, ancor peggio, lasciava i mercantili privi di scotta.

Un U-boote alla caccia df un convoglio. Il personale in torretta scruta l’orizzonte con i bonocoli mentre il sommergibile procede ad alta velocità.

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Da tutte queste esperienze negative, emerse il fatto significativo che conveniva aspettare i sommergibili nelle vicinanze dei convogli anziché disperdere le forze per dar loro la caccia nelle vastità oceaniche. L'affondamento di tre U-boote (U-32, U-31, U-104 presso i convogli in autunno, tra il 30 ottobre e il 21 novembre, dimostrò la validità di questa tesi che evitava alle navi di scotta e agli aerei di sorvegliare settori molto vasti dopo lunghi e non economici percorsi di trasferimento. Ciononostante, la protezione che la scorta poteva offrire ad un convoglio era, come vedremo, ancora molto inefficace; questo a causa della grave disorganizzazione nei gruppi delle scorte, formati da navi di classi e tipi vari e quindi senza nessuna omogeneità e affiatamento fra loro né con il loro comandante di squadriglia; ma, soprattutto, vi influiva la mancanza di apparati offensivi adatti ed anche del radar, il localizzatore capace di integrare in superficie la ricerca che l'Asdic era in grado di assicurare sott'acqua. In realtà il radar esisteva da tempo ma, essendo in fase di perfezionamento, non era stato ancora assegnato alle unità di scotta, mentre gli aerei, che già lo possedevano, nessuna protezione potevano fornire ai convogli durante la notte essendosi quell'apparato dimostrato ancora inaffidabile. Per proteggere un convoglio transatlantico, formato da trenta-quaranta navi mercantili disposte in varie colonne, era stata adottata la formazione «a scatola» della prima guerra mondiale, che consisteva nel piazzare una unità di scotta su ogni vertice del convoglio ed altre unità sull'arco frontale. Questa formazione rettangolare, dal fronte ampio e poco profondo, la migliore che i britannici potessero attuare con lo scarso naviglio a disposizione, era di compromesso. Dovendo sorvegliare un perimetro di circa 50 miglia, raramente la difesa era in grado di riuscire a prevenire gli attacchi notturni, esistendo, fra l'una e l'altra delle unità di scorta, ampi varchi attraverso i quali i sommergibili potevano penetrare senza essere individuati. Infatti, mentre i cacciatorpediniere e le corvette, pur agendo nelle condizioni di luce più favorevoli, difficilmente riuscivano ad individuare la piccola torretta ed il basso profilo dell’U-boote, quest'ultimo, servendosi dell'idrofono, poteva percepire il passaggio di una o più navi da carico ed avvistarne le alte sovrastrutture anche con visibilità molto cattiva. Pur impiegando i motori Diesel, la velocità di superficie del sommergibile era quasi pari a quella delle navi mercantili e, spesso anche a quella delle unità di scorta; cosicché, mentre era difficilmente raggiungibile, anche se veniva individuato durante la manovra d'attacco, esso era invece in grado di portarsi agevolmente in posizione di

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lancio e fare ottimi lanci, poiché raramente lasciava alle unità nemiche il tempo necessario per manovrare ed evitare i siluri.

Un velivolo Short Sunderland Mark I del 210° Squadron della RAF di base a Oban (Scozia). Questo tipo di velivolo era intensamente impiegato per la sua autonomia nella caccia ai sommergibili-

A rendere più facile il compito del sommergibile contribuiva la dispersione delle esigue scorte; spesso unità che rimanevano indietro per dare la caccia ad un sommergibile, per soccorrere una nave danneggiata o per recuperare i superstiti di unità affondate, lasciavano dei varchi scoperti entro i quali si infilavano gli U-boote per raggiungere il centro dei convogli e per colpire le navi mercantili dalle posizioni più favorevoli. Dopo l'attacco, approfittando della confusione che veniva a crearsi fra le forze della scorta intralciate nella difesa dal diradamento del convoglio, il sommergibile poteva disimpegnarsi facilmente ed allontanarsi a tutta forza con i motori a combustione. Le cacce, generalmente violente ma brevi, raramente erano efficaci e riuscivano a procurare al più solo qualche danno allo scafo dei sommergibili, poiché i cacciatorpediniere, e soprattutto le lente corvette (16 nodi il tipo Flower con 267 unità completate durante la guerra), per non farsi distanziare dai convogli, non potevano inseguire il nemico tanto a lungo da costringerlo ad emergere per esaurimento delle batterie e dargli il colpo di grazia. Ne conseguiva che, una volta ultimata la manovra del disimpegno, un U-boote fornito ancora di siluri, e che non aveva riportato danni, aveva la possibilità di ricaricare i tubi di lancio, di riguadagnare una posizione favorevole e rinnovare, appena possibile, gli attacchi.

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Durante le ore diurne i sommergibili si disimpegnavano allontanandosi dalle vicinanze del convoglio insidiato, ma continuavano a mantenerne il contatto seguendolo ed emettendo segnali radiogoniometrici. Se il contatto veniva perduto, il Comando a terra impartiva ordini per rintracciare il convoglio spostando i sommergibili su nuove linee di agguato davanti alla presunta rotta nemica. Nondimeno, dopo le prime amare esperienze, i britannici si resero conto di poter sfruttare per la difesa alcuni punti deboli della tattica tedesca di gruppo. Poiché il successo dell'attacco notturno di più unità consisteva principalmente nella possibilità o meno che il sommergibile, primo ad avvistare un convoglio, ne conservasse poi il contatto, ogni sforzo venne concentrato nell'impedirlo. Infatti riuscendo a localizzare e distruggere il sommergibile, o almeno a costringerlo ad immergersi o ad allontanarsi, avrebbe significato far perdere al resto del gruppo l'orientamento verso il convoglio stesso e contemporaneamente far impiegare al nemico un notevole numero di giorni in una ricerca spesso vana nell'oceano. Poiché il sommergibile in contatto con il convoglio era tenuto ad eseguire frequenti comunicazioni radio, i britannici, che disponevano di stazioni di ascolto ad altissima frequenza lungo tutto l'Atlantico settentrionale, potevano, una volta stabilita la posizione dell'emissione, dirigere i mezzi aeronavali nella zona dove si trovava il sommergibile, attaccandolo e nel contempo allontanare il convoglio dalla zona insidiata. Inoltre, per i sommergibili che si trovavano lontano dal punto di avvistamento di un determinato obiettivo, e che per radio ricevevano l'ordine di raggiungere posizioni prefissate, la tattica di gruppo comportava lunghe navigazioni in superficie ad alta velocità, spesso in ore diurne. Essi erano pertanto soggetti ad essere avvistati dagli aerei nemici, e quindi costretti a portarsi in immersione perdendo del tempo prezioso. Il compito di individuare le probabili zone dove si trovavano in agguato i sommergibili e di deviare le rotte dei convogli minacciati, in modo da evitarle, spettava ad una speciale sala operativa dell'Ammiragliato britannico, la Tracking Room. Qui, in stretta collaborazione, lavoravano alcuni fra i migliori specialisti della Marina e dell'Aviazione Costiera (Coastal Command), i quali vagliavano tutte le informazioni che giungevano alla Tracking Room. Collegata per telescrivente alle stazioni radio di tutta la Gran Bretagna, ad essa arrivavano rapporti di agenti dai territori nemici con notizie dettagliate di arrivi e partenze, comunicazioni di avvistamenti e attacchi e, soprattutto, informazioni sotto forma di rilevamenti radio captati dalle stazioni goniometriche costiere e dalle navi in mare e riguardanti le trasmissioni dei sommergibili. Affiancato alla Tracking Room vi era un complesso detto Trade Plot in grado di dare le posizione, la rotta e la velocità di ogni convoglio o nave isolata in mare.

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Ufficiali della Trade Plot dell’Ammiragliato britannico pianificano le rotte dei convogli in Atlantico su grosse carte geografiche stese su tavoli e fissate alle pareti.

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L'azione coordinata di queste due organizzazioni permetteva all'Ammiragliato britannico di sorvegliare il movimento dei traffici sull'oceano e quelli degli aerei coinvolti nello sterminato campo di battaglia, nonché di stabilire la posizione approssimativa dei sommergibili e i loro spostamenti. Ma, nonostante questa efficace organizzazione, le perdite del naviglio mercantile si mantennero molto alte. Fra il luglio e l'ottobre del 1940, nel periodo chiamato dai comandanti tedeschi «il tempo felice», ben 217 navi furono affondate in Atlantico dai sommergibili e, di queste, ben 144 al momento dell'attacco si trovavano prive di scorta. Era la dimostrazione che, malgrado tutto, il sistema più efficace per proteggere la navigazione restava quello dei convogli, mentre le navi che si sbandavano volontariamente, o che non riuscivano a tenere la velocità delle loro formazioni, finivano facili prede del nemico.

L’INIZIO DELLE OPERAZIONI IN COMUNE DEI SOMMERGIBILI TEDESCHI E ITALINI NEL NORD ATLANTICO Fin dal 30 settembre 1940 – quando l'ammiraglio Dönitz si era recato a Bordeaux per una presa di contatto e per concordare con l'ammiraglio Parona la condotta delle operazioni – era stato stabilito che l'impiego delle unità alle dipendenze di Betasom doveva essere conforme alle direttive impartite dal Comando tedesco. Dönitz dichiarò che lo scopo principale della collaborazione era quello di provocare all'Inghilterra i maggiori danni possibili e che si riprometteva di raggiungere l'obiettivo con una condotta unitaria delle operazioni italo-tedesche, assumendo personalmente la responsabilità delle assegnazioni delle zone di agguato e di tutte le decisioni che avesse ritenuto necessarie ed opportune. Rilevando con compiacimento che gli italiani, consapevoli della loro inesperienza di guerra in oceano, erano pronti a collaborare e ad accettare la sua guida operativa, l'ammiraglio Dönitz si ripromise di concedere al Comandante di Betasom la maggiore indipendenza e responsabilità, possibili. Così, mentre il Comando Superiore dei Sommergibili avrebbe delimitato le aree di operazione nelle quali dovevano agire le unità italiane e trasmesso le informazioni sulla rotta dei convogli, Betasom doveva impartire direttamente le disposizioni relative all'impiego, disporre le zone di agguato, stabilire il numero dei sommergibili da inviarvi e ordinare eventuali spostamenti, informandone il Comando tedesco.

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L’imbarco di siluri su un sommergibili italiano prima della partenza per missione bellica dalla base di Bordeaux.

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Betasom: oltre ai siluri si imbarcano sui sommergibili o materiali e i viveri necessari per la missione bellica.

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Sulla base di tali accordi, a partire dal 5 ottobre, i sommergibili italiani vennero destinati ad operare contro i convogli scortati a ponente del Canale del Nord, occupando posizioni, data la loro minore esperienza di guerra, situate ad ovest ed a sudovest degli schieramenti tedeschi, dove la vigilanza aerea nemica era più debole. Una volta stabilito il contatto con un convoglio, era compito dei sommergibili italiani mantenerlo, anche se questo comportava l'ingresso nella zona dei sommergibili tedeschi. In questo modo l'ammiraglio Dönitz intendeva prolungare gli schieramenti verso occidente allo scopo di prendere anticipatamente contatto con convogli diretti in Gran Bretagna e, contemporaneamente, disporre di un maggiore spazio per portarvi a contatto i propri U-boote. In altre parole si voleva anticipare quanto più possibile la scoperta dei convogli per avere più tempo e possibilità di distruggerli. Venne deciso che gli avvistamenti effettuati dai sommergibili italiani sarebbero stati direttamente trasmessi al Comando di Bordeaux e di là al Comando Superiore dei Sommergibili a Parigi per telescrivente, tempo calcolato un'ora. L'ammiraglio Dönitz avrebbe potuto accelerare le comunicazioni imbarcando sui battelli italiani personale radiotelegrafico tedesco, così da svolgere lo scambio di notizie e ordini con un sistema unificato, ma non lo fece «per riguardo al sensibile orgoglio nazionale degli italiani». Per semplificare il servizio telescriventi i sommergibili italiani vennero contrassegnati con la lettera I (Ida) seguita da cifre arabe (esempio: I-6 era il Malaspina), mentre, per evitare che le unità germaniche potessero scambiare per nemiche quelle italiane, il cui profilo si avvicinava a quello dei sommergibili britannici, i battelli italiani furono provvisti di segnali di riconoscimento tedeschi da ambo i lati. Nello stesso tempo gli U-boote furono dotati di tavole mostranti l'esatto profilo dei battelli alleati, mentre gli equipaggi furono istruiti circa i tipi di sommergibili italiani che avrebbero potuto incontrare in zona di operazione e lungo la rotta. Le operazioni dei sommergibili italiani nell'Atlantico settentrionale ebbero inizio il 9 ottobre del 1940 con la partenza da Bordeaux del Malaspina, seguito, a brevi intervalli, dal Dandolo, dall'Otaria e dal Barbarigo. Nella seconda metà del mese essi raggiunsero l'area di operazione antistante il Canale del Nord e presero posizione ad occidente di un robusto schieramento di sommergibili tedeschi concentrato nella zona del Banco di Rockall: U-28, U-38, U-46, U-47, U-48, U-93, U-99, U-100, U-101, U123 e U-124.

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Il 18 ottobre si verificò, per la prima volta, l'impiego in comune contro un convoglio segnalato da un sommergibile tedesco. Questo, l'U-93 (tenente di vascello Klaus Korth) fin dal 16 aveva avvistato l'OB.228 diretto ad occidente e lo aveva seguito tenacemente per tre giorni affondando il 17 i due piroscafi britannici Dokka e Uskbridge. Il capitano di vascello Eberhard Godt, capo della sezione operativa del Comando Superiore dei Sommergibili, che rappresentava l'ammiraglio Dönitz temporaneamente assente, avendo i propri battelli impegnati più a sud nella ricerca del convoglio SC.7, segnalato il mattino del 17 ottobre dall'U-48 (tenente di vascello Bleichrodt), diresse contro l'OB.228 l'U-124 e il Malaspina.

L'U-124 (tenente di vascello Georg-Wilhelm Schultz), che si trovava in quel momento spostato ad occidente per rilevare e trasmettere informazioni meteorologiche, mentre manovrava per prendere contatto incrociò la rotta di un secondo convoglio in uscita dal Canale del Nord, l'OB.229, del quale affondò due piroscafi, il norvegese Cubano e il britannico Solaco. Il Malaspina (capitano di fregata Mario Leoni) entrò nella zona riservata ai sommergibili tedeschi; guidato da segnalazioni radiogoniometriche dell'U-93, che, avendo finito i siluri, era rimasto a contatto con l'OB.228 per guidarvi il sommergibile italiano, esso non riuscì a raggiungere il convoglio, nel frattempo discioltosi, e nella notte fra il 19 e il 20 ottobre poté soltanto attaccare senza successo un piroscafo isolato. Si trattava del piroscafo olandese Bassum (capitano Lubbert Wulp), in viaggio da North Shields a Montreal, contro il quale il Malaspina lanciò quattro siluri, uno dei quali sembrò colpire, e a cui seguì l’impiego delle mitragliere e del cannone; tiro sospeso dal

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sommergibile dopo pochi colpi per la scarsa visibilità che impediva di distinguere i punti di caduta dei proiettili e perche il Bassum, che era rimasto illeso e che a sua volta aveva sparato tre colpi di cannone contro il Malaspina, fu perso di vista in conseguenza di un piovasco. Intanto più a levante, nella regione del Banco Rockall, il grosso degli U-boote agganciava i convogli SC.7 e HX.79, in arrivo a pieno carico dal Canada e, fra il 19 e il 20 ottobre, con una serie di brillanti attacchi notturni e senza perdite, i sommergibili U-38, U-46, U-47, U-48, U-99, U-100 e U-123 affondavano ben 33 dei 79 mercantili che li componevano (154.661 tsl), danneggiandone altri 3. Al termine delle azioni, poiché i battelli tedeschi avevano esaurito i siluri e soltanto quattro di essi restavano disponibili in zona di operazione, l'ammiraglio Dönitz pensò che fosse conveniente riempire i vuoti spostando di 100 miglia verso levante quelli italiani. Il 20 ottobre ne informò Betasom e, a partire dal 27 , si ebbero zone di agguato contigue con: U-28, U-31, U-32 davanti al Canale del Nord; i quattro sommergibili italiani a ponente del 20° meridiano. Lo stesso giorno 27, verso mezzogiorno, l'U-31(tenente di vascello Wilfried Prellberg) avvistò un convoglio diretto verso ponente. Il telegramma di scoperta, ricevuto dal Comando Superiore dei Sommergibili, ritrasmesso per telescrivente a Betasom e da questi comunicato ai sommergibili che si trovavano in zona di operazione, non venne adeguatamente sfruttato poiché dall'U-31, che aveva perso il contatto troppo presto, non giunsero altre comunicazioni. Nel pomeriggio del 31, il Malaspina, che si trovava in rotta di ritorno, con due giorni di anticipo per eccessivo consumo di carburante, avvistò un gruppo di 6-7 piroscafi con scorta di 2 cacciatorpediniere. Il comandante Leoni, lanciato il segnale di scoperta, tentò di mantenersi in vista della formazione nemica, ma non vi riuscì per la vigilanza esercitata da uno dei cacciatorpediniere che, interponendosi fra il convoglio ed il sommergibile, costrinse quest'ultimo prima ad allontanarsi, poi ad immergersi. Il Dandolo, che si stava rapidamente spostando, dovette desistere a causa del peggioramento del mare. Il 4 novembre, proseguendo nella sua rotta di rientro, il Malaspina avvistò il convoglio OG.45 a sud-ovest dell'Irlanda, manovrò opportunamente in superficie durante l'intero pomeriggio, ma non riuscì ad avvicinarsi per la presenza di un incrociatore ausiliario, il Salopian, in coda alla formazione, che assieme al cacciatorpediniere Wanderer scortava il convoglio. La lontananza ed i segnali

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contraddittori del Malaspina, riguardo alla stima della rotta nemica, non permisero ai sommergibili tedeschi e al Marconi di rintracciare l’OG.45 diretto a Gibilterra.

PRINCIPALI OPERAZIONI CONTRO I CONVOGLI DEL NORD ATLANTICO (9 OTTOBRE - 5 DICEMBRE 1940) SOMMERGIBILI TEDESCHI Periodo

Sigla del convoglio

Smgg. impiegati

Navi affondate n.

t.

SOMMERGIBILI ITALIANI

Navi danneggiate n.

t.

Smgg. Impiegati

Navi danneggiate n

t

Ottobre 11-12

HX.75

1

3

20.116











14-15

OB.227

2

1

9.331











16-19

OB.228

2

2

3.883





1





17-18

SC.7

7

21

79.592

2

7.825







19-20

HX.79

6

12

75.069

1

8.955







19-20

OB.229

1

2

11.199











OG.45











1





18-19

?

5









2





21-23

OB.244

4

7

33.957





1





22-23

SC.11

2

7

24.601











1

HG.47











1

1

1-2

HX.90

7

9

52.817

2

8.820

2





3-5

SC.13

5















TOTALE

42

64

310.565

5

8

1

Novembre 4

Dicembre

25.600

1.337

1.337

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MISSIONI DEI SOMMERGIBILI ITALIANI NEL NORD ATLANTICO (9 OTTOBRE - 5 DICEMBRE 1940) Navi affondate

Navi colpite

n.

t

n.

t

1









9.10 – 9.11

Boris











12.10 – 15.11

Otaria

Vocaturo

1









14.10 – 15.11

Barbarigo

Ghiglieri

1









14.10 – 13.11

Bagnolini

Tosoni











24.10 – 15.11

Baracca

Bertarelli

2

1

4.866





24.10 – 26.11

Finzi

Dominici

1







24.10 – 4.12

Marconi

Chialamberto

2

1

2.734





27.10 – 28.11

Emo

Liannazza











31.10 – 6.12

Faà di Bruno *

Enrici











31.10 – ?

Giuliani

d'Elia











11.11 – 6.12

Tarantini *

Iaschi











11.11 – 15.12

Torelli

Longobardo











12.11 – 26.11

Argo

Crepas

3

1

5.066

1

1.337

22.11 – 12.12

11

3

12.666

1

1.337

Sommergibile

Comandante

Malaspina

Leoni

Dandolo

TOTALE

Attacchi

Durata missione

Dalle esperienze del Malaspina, il primo sommergibile italiano rientrato dalla nuova zona operativa settentrionale, l'ammiraglio Parona trasse le seguenti conclusioni: Il MALASPINA è la prima unità rientrata alla base dopo aver compiuto una missione di guerra nella zona a nord-ovest dell'Irlanda, ed operato contro un convoglio avvistato, segnalato e seguito da un sommergibile tedesco. Le condizioni di

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clima così diverse da quelle dei nostri mari hanno certo influito sul rendimento modesto della crociera che peraltro è condotta con tenacia e capacità marinaresche. Prima di ottenere rendimento più soddisfacente occorre che i Comandanti abbiano compiuto qualche missione e si siano familiarizzati alle dure condizioni climatiche nelle quali si svolge la guerra nel nord Atlantico. Dal rapporto del MALASPINA appare chiaro che difficilmente i nostri sommergibili al primo incontro contro un convoglio scortato potranno conseguire risultati così notevoli come quelli conseguiti dai sommergibili tedeschi. Soltanto dopo uno o due incontri e dopo che ciascun Comandante avrà osservato personalmente i metodi ed i particolari della manovra e della reazione dei piroscafi e delle unità di scorta, si potranno ottenere risultati concreti. Sarà soprattutto necessario che i Comandanti possano acquistare precisa nozione delle condizioni di ambiente e di distanza alle quali possono o meno essere avvistati dai convogli e dalle scorte. Questo farà loro acquistare la confidenza nel proprio mezzo che ancora difetta. Quella delle sfavorevoli condizioni atmosferiche fu una delle maggiori difficoltà che, fin dall'inizio, i sommergibili italiani dovettero affrontare nell'Atlantico settentrionale. La lunga e sfibrante navigazione per raggiungere i settori assegnati, la permanenza nelle zone di agguato e poi la rotta del ritorno, erano generalmente effettuate con condizioni di tempo spesso proibitive. Per settimane i sommergibili erano costretti ad affrontare forti burrasche di vento, e non di rado erano anche sommersi da onde schiumose, che spesso tendevano a trascinar via gli uomini di guardia, che in torretta si tenevano strettamente legati a speciali cinghie. In queste condizioni il turno di guardia in plancia era un duro sacrificio. In poco tempo gli uomini erano completamente bagnati e questo malgrado avessero ricevuto dai tedeschi del vestiario più adatto di quello inizialmente in loro dotazione: ad ognuno era stata assegnata una tenuta comprendente giacchettone, pantaloni, guantoni, casco e stivali, il tutto in cuoio foderato di lana e di pelliccia, nonché binocoli Zeiss di eccezionale efficienza per la visione notturna.

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Navigazione di un sommergibile italiano con mare grosso a levante delle isole britanniche.

All'interno del sommergibile, al già duro sacrificio degli uomini costretti a restare rannicchiati negli angusti locali illuminati soltanto dalla luce artificiale, a dormire fra casse di viveri ed armi nelle posizioni più scomode, ad indossare abiti sudici, cosparsi di grassi e nafta, data l'impossibilità di cambi e le limitatissime possibilità di pulizia personale per la scarsità di acqua dolce, si aggiungeva anche il disagio dell'aria umida, fredda, pesante, impregnata dagli odori più sgradevoli. L'acqua e l'umidità, penetrando dappertutto, guastavano i viveri; in pochi giorni pane, sacchi di patate, sigarette si ricoprivano di uno strato di muffa verde. A tutto ciò si aggiunse la minaccia rappresentata dalla organizzazione difensiva del nemico che, fino a quel momento, come si è visto, era risultata assai debole. A partire dalla terza decade di ottobre, dopo i disastrosi attacchi ai convogli SC.7 e HX.79, si verificò lungo tutte le rotte un maggiore spiegamento di cacciatorpediniere, corvette e pescherecci armati, un incremento della vigilanza, al largo delle coste, per mezzo di idrovolanti e aeroplani terrestri più veloci, e appostamenti di sommergibili davanti all'estuario della Gironda e di fronte a Lorient. I risultati non si fecero attendere. Il 30 ottobre i cacciatorpediniere britannici Highlander (capitano di fregata William Alexander Dallmeyere) e Harvester (capitano di corvetta Mark Thornton) affondarono l'U-32 (sottotenente di vascello Hans Jenisch) e il 2 novembre, agendo in

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collaborazione con un aereo, l'Antelope (capitano di corvetta Richard Taylo White) distrusse l'U-31 (tenente di vascello Wilfried Prellberg). Da parte nostra andò perduto il Faà di Bruno: partito il 30 ottobre da Bordeaux al comando del capitano di corvetta Aldo Enrici per operare ad ovest dell'Irlanda, non dette più notizie di sé e sconosciuta rimane la causa della sua perdita. Fonti britanniche, peraltro inesatte, lo hanno dato affondato 1'8 novembre dal cacciatorpediniere Havelock, in zona molto distante da dove il sommergibile avrebbe dovuto trovarsi. Invece, come vedremo, l'Havelock quel giorno dette caccia al Marconi. Ai primi di novembre, mentre il Malaspina si trovava in rotta di rientro verso la base, entrava nella zona di operazione un secondo scaglione di sommergibili di Betasom, costituito da Finzi, Baracca e Marconi. Su proposta del Comandante di Betasom, essi vennero schierati dall'ammiraglio Dönitz assieme al Dandolo, Otaria e Barbarigo in posizioni prossime a quelle riservate agli U-boote tedeschi, così da costituire una profonda linea di agguato di fronte al Canale del Nord.

Il sommergibile Faà di Bruno che nel mese di novembre 1940 non rientrò alla base da una missione. Fu il primo sommergibile di Betasom ad andare perduto e non se ne conosce la causa.

Alle 18.14 del 1° novembre, il Baracca (capitano di corvetta Enrico Bertarelli) avvistò un gruppo di 4-5 piroscafi con rotta imprecisata ad ovest di Rockall (latitudine 56°45'N, longitudine 17°55'W). Il segnale di scoperta venne ritrasmesso dal Comando ai sommergibili in mare, ma fu soltanto alle 05.40 dell'indomani,

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quando il Baracca comunicò di uscire dalla sua zona per dirigere verso est-sud-est, che Betasom poté appurare una approssimata direttrice di marcia del convoglio. Tale rotta venne nuovamente comunicata alle unità in mare, ma dal Baracca, che aveva perduto il contatto, non giunsero altre comunicazioni. Due giorni più tardi, trovandosi a 180 miglia ad ovest delle coste dell'Irlanda settentrionale, il sommergibile germanico U-99 (tenente di vascello Otto Kretschemer) avvistò un convoglio di trenta navi scortato da cacciatorpediniere, che procedeva con rotta a levante alla velocità di 10 nodi. Ricevuta la segnalazione, e ritenendo che il Barbarigo e il Marconi avrebbero potuto tempestivamente intervenire se si fossero trovati nel vertice più settentrionale della zona assegnata, Betasom si affrettò ad informare i due sommergibili. Ma questi non occupavano la posizione sperata e quindi non giunsero sul convoglio.3 Nello stesso tempo fallirono anche i tentativi di attacco ad unità isolate. I sommergibili eseguirono numerosi avvistamenti di piroscafi, ma, per le avverse condizioni del mare e per le sfavorevoli posizioni iniziali di partenza, poterono effettuare pochissimi attacchi e tutti senza esito. Delle difficoltà di ambientamento incontrate ne fu chiaro esempio la missione dell'Otaria (capitano di corvetta Giuseppe Vocaturo) che, avvistati nello spazio di quattro giorni quattro piroscafi e una petroliera, non poté eseguire attacchi a causa delle proibitive condizioni del mare, che impedivano al sommergibile di sviluppare la massima velocità, e che causarono avarie alle batterie accumulatori. Il 5 novembre l’Otaria incontrò in ore notturne un piroscafo oscurato contro il quale lanciò due siluri senza successo. Il comandante Vocaturo, dopo aver fatto varie scoraggianti considerazioni, arrivò alle seguenti conclusioni: Ritengo che in tali condizioni di tempo sia assolutamente impossibile qualunque azione offensiva e difensiva in quanto un piroscafo, per la sua mole, ha maggiori possibilità di vedere, camminare e sparare di un sommergibile. Ritengo invece che con possibili condizioni di mare si possano raggiungere nella zona a me assegnata buoni risultati dato l'abbastanza frequente passaggio di piroscafi tutti senza scorta. L'ammiraglio Parona non condivise il giudizio eccessivamente pessimistico espresso dal capitano di corvetta Vocaturo e da altri comandanti circa le scarse possibilità offensive dei sommergibili in relazione allo stato del mare. Pur riconoscendo che il mare grosso e tempestoso contribuiva a ridurre le possibilità di

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Tra il 3 e il 5 novembre l’U-99 affondò quattro navi britanniche, il piroscafo Casenare, i grossi incrociatori ausiliari Laurentic e Patroclus e la motocisterna Scottish Maiden per 42.407 tsl.

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attacchi, e talvolta poteva rendere precario l'uso delle armi, il Comandante di Betasom scrisse a Supermarina: È soltanto in circostanze eccezionali che tali condizioni sono realmente proibitive perché anche se lo stato del mare è tale da impedire l'inseguimento a velocità elevata non è ammissibile che si debba rinunciare all'azione se si verifica una situazione favorevole per l'attacco. È opportuno che i comandanti tengano sempre presente che nelle stesse condizioni di mare e di tempo i sommergibili tedeschi attaccano col siluro ed ottengono successi nonostante qualche bersaglio mancato per l'azione del mare sui siluri lanciati. Parona, peraltro, non mancò di osservare che i battelli tedeschi erano stati progettati e allestiti con particolari accorgimenti per la guerra al traffico in Atlantico. * * * Fu solo alla fine della prima decade di novembre, a un mese esatto dall'inizio delle operazioni ad occidente delle Isole britanniche, che riuscì ad un sommergibile di Betasom di ottenere un primo successo4. Il mattino dell'8 novembre un velivolo tedesco FW.200 del l° Gruppo del 40° Stormo (I./KG.40) decollato dall'aeroporto di Merignac, presso Bordeaux, attaccò e colpì con due bombe la motonave svedese Vingaland, di 2.734 tonnellate, unità del convoglio HX.84, in rotta da New York a Glasgow con un carico di acciaio. Il piroscafo Cornish City, la nave del commodoro del convoglio – che era stato disperso tre giorni avanti per sfuggire all'attacco della corazzata tascabile tedesca Admiral Scheer – e che, essendo distante 15 miglia dalla Vingaland, cercava di riunire alcuni mercantili, udì l'esplosione delle bombe e lo trasmise per radio. Questa segnalazione venne intercettata dal Marconi, che si trovava nella zona a circa 350 miglia a ovest dell'Irlanda, e fu interpretata dal capitano di corvetta Giulio Chialamberto come un segnale di soccorso del Cornish City. Poiché alla stessa interpretazione giunse il comandante del cacciatorpediniere Havelock, che assieme all'Esperus si recava ad assumere la scorta del convoglio HX.84, dirigendo verso la posizione segnalata dal Cornish City le due navi avversarie si incontrarono.

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Fra il 9 ottobre e il 9 novembre i sette sommergibili italiani che operarono a ponente delle Isole britanniche avvistarono tre convogli e tredici navi mercantili isolate. Contro queste ultime eseguirono quattro attacchi, ma, nonostante il lancio di otto siluri, non conseguirono risultati. Invece i sommergibili, a dispetto del mare tempestoso, ottenne uno sbalorditivo numero di successi.

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Il velivolo quadrimotore FW.200 “Condor” F8+KH della 1a Squadriglia del I./LG.40 impiegato in Atlantico nelle ricognizioni offensive a largo raggio.

Il Marconi si immerse prontamente portandosi a 125 metri di quota e l'Havelock (capitano di fregata Earle Hathway Thomas) gli dette caccia eseguendo due attacchi e lanciando diciotto bombe di profondità che esplosero tutte al disopra del sommergibile. Avendo visto venire in superficie una grande bolla d'aria e una grossa chiazza di nafta il comandante dell'unità britannica ritenne di aver distrutto la sua preda. Il cacciatorpediniere si allontanò e, proseguendo nella sua rotta, avvistò la Vingaland. La motonave aveva un incendio a poppa, nondimeno l'Havelock, ritenendo si potesse ancora salvare, richiese i rimorchiatori che però non giunsero in tempo. Il Marconi, che nella caccia non aveva riportato danni, mentre ricercava una portaerei segnalata dall'Otaria, trovò la Vingaland (capitano I. Sjögren Lennart), che era stata abbandonata dall’equipaggio, e l'affondò col siluro poco prima dell'alba del giorno 10 novembre a 200 miglia ad ovest dell’Irlanda. La Vingaland era stata costruita nel 1935 in Svezia, a Goteburg, e trasportava un carico comprendente acciaio. Nell’attacco dell’aereo tedesco, colpita dalle due bombe una delle quali presso la sala macchina, aveva perduto sei uomini. I diciannove superstiti furono raccolti dal piroscafo britannico Danae II e portati a Glasgow.

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La moderna motonave svedese Vingaland, danneggiata da un aereo tedesco FW.200 del I./KG.40, ebbe il colpo di grazia dal sommergibile Marconi il 10 novembre 1941 a 200 miglia ad ovest dell’Irlanda.

A metà di novembre si trovarono concentrati ad ovest del Canale del Nord dodici sommergibili: nove tedeschi e tre italiani. Mentre U-137 e U-138, piccoli e lenti battelli del tipo II (250 tonnellate), guidati da giovanissimi sottotenenti di vascello, operavano nelle ristrette acque dell'Irlanda settentrionale, in zone vicine alla terraferma dove la vigilanza aerea e navale del nemico era molto intensa e pericolosa, i sommergibili medi e di grande crociera U-93, U-100 e U-103 stazionavano a nordovest del Canale del Nord contro i convogli in arrivo e in partenza. Ancora più ad occidente operavano Baracca, Finzi, Marconi e, in qualità di battelli meteorologici, U-29 e U-47, inoltre, U-104 e U-123 si trovavano in navigazione di avvicinamento alle rispettive zone di agguato, ma di essi il primo non dette più notizie, essendo andato perduto sullo sbarramento minato britannico SN.44 a nord-ovest dell’Isola Tory, si ritiene intorno al 28 novembre. Per avere un quadro delle condizioni del traffico nelle zone presidiate dai sommergibili l'ammiraglio Dönitz dispose, a partire dal 15 novembre, che tutti i battelli tedeschi e italiani dislocati a ponente del 15° meridiano ovest comunicassero giornalmente un rapporto su quanto osservato il giorno precedente, e quindi anche ogni eventuale avvistamento di piroscafi isolati. Ma, nei giorni seguenti, le comunicazioni non furono incoraggianti. In quel periodo a ovest della Scozia si

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ebbero condizioni di tempo particolarmente avverse e molti sommergibili, notevolmente disturbati dalla scarsa visibilità, continuarono a comunicare di non aver rilevato alcun traffico nelle loro zone di agguato. Il 18 novembre l'U-93 (tenente di vascello Claus Korth) segnalò che l'impiego delle armi era possibile solo per poche ore al giorno. Poi, l'indomani, giunse dall'U-137 la comunicazione che il traffico principale si svolgeva in latitudine 55°30' nord, longitudine 08°30' ovest per le navi in arrivo in Inghilterra, e che ad oriente dell'11° meridiano ovest si effettuava una intensa sorveglianza aerea integrata con lancio di bombe illuminanti durante la notte. Il piccolo U-137 (sottotenente di vascello Herbert Wohlfarth), tipo IID, il mattino del 16 aveva avvistato un convoglio uscente dal Canale del Nord con rotta a ponente ed era rimasto in contatto con esso fino alle ore 16.00. Avendo intercettato il segnale di scoperta dell'U-boote, il Baracca e il Finzi uscirono dalle loro zone per dirigere verso il nemico, seguiti l'indomani dal Marconi. Ma mentre il Finzi e il Marconi dovettero desistere per la violenza del mare, che aumentando sensibilmente di forza ostacolava la navigazione, il Baracca, raggiunse la zona segnalata, e fino al mattino del 18 ricercò il convoglio senza successo. La sera dello stesso giorno, trovandosi in rotta di rientro alla base, il comandante Bertarelli avvistò il piroscafo britannico Lilian Moller (capitano William Simon Stewart Fowler), di 4.866 tsl, unità dispersa del convoglio SLS.53, e lo affondò dopo una tenace azione d’inseguimento reso difficile dalle efficaci e tenaci contromanovre della nave nemica.

Il piroscafo britannico Vahall, poi Lilian Moller.- Fu affondato dal sommergibile Baracca il 18 novembre 1940 a 30 miglia a nord-ovest dell’Irlanda.

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Costruito del 1913, della Moller Line Ltd., il piroscafo era partito da Calcutta per Londra, via Città del Capo, Freetown e Oban, con un carico di 6.000 tonnellate di merci varie. Colpito da due siluri lanciati dal Baracca, il Lilian Moller andò perduto con l’intero equipaggio di 51 uomini, più un cannoniere, a 30 miglia a nord-ovest dell’Irlanda. Nel frattempo, l'U-137, che avendo mantenuta la sua posizione ad ovest dell'Irlanda settentrionale era riuscito ad affondare tre mercantili britannici (Cape St. Andrew, Planter, Saint Germain) e uno svedese (Veronica), per 13.343 tsl, alle 18.00 del 18 novembre avvistò sette grossi piroscafi da passeggeri scortati da tre cacciatorpediniere. Il piccolo battello, a causa dell'inferiore velocità non poté mantenersi sulla scia del convoglio, che procedeva zigzagando con rotta ad occidente a velocità di circa 15 nodi. Con il sopraggiungere dell'oscurità perse il contatto visivo, tuttavia per un certo tempo continuò a comunicare le posizioni del nemico, percependone il rumore delle eliche che si andavano sempre più indebolendo. Nondimeno, il comandante Wohlfarth riuscì nell'intento di portare a contatto del convoglio, l'U-100 (tenente di vascello Joachim Schepke), che si avvicinò nelle prime ore del mattino del 19 e che rimase nei pressi della formazione fino all'alba quando, a causa del mare in aumento, non riuscì più a mantenersi in vista del nemico. Nel frattempo seguendo le trasmissioni dell'U-100 anche l'U-47 (tenente di vascello Günther Prien) era giunto sul convoglio e nell'oscurità effettuò tre lanci di siluro mancando il bersaglio. Per riprendere il contatto perduto, a partire dall'alba decollò da Merignac un aereo da ricognizione a grande autonomia FW.200 del I./KG.40, che pur raggiungendo la zona della supposta direttrice di marcia del convoglio, non riuscì ad avvistare il convoglio a causa delle cattive condizioni di visibilità. Per la stessa causa non poterono attaccare 1'U-93 e l'U-l03, che pure erano riuscita a portarsi sulla rotta del convoglio, né vi riuscirono il Finzi e il Marconi che, trovandosi in buona posizione, erano stati prontamente avvertiti del passaggio di quella formazione navale. Ricevuto da Betasom il segnale di scoperta, i due sommergibili italiani erano usciti dalle rispettive zone per dirigere verso la posizione del nemico, che, alle 19.30 del 18, era stato segnalato in latitudine 56°25' nord, longitudine 10°45' ovest. Mentre il Marconi ricercò vanamente le navi nemiche, il Finzi, che aveva assunto la posizione di marcia più opportuna per arrivare ad un rapido incontro, procedendo con mare da sud-ovest forza 5-6, al mattino dell'indomani, per non essere avvistato da un aereo, si immerse portandosi a 60 metri di quota.

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Il sottotenente di vascello Herbert Wohlfarth, comandante del sommergibile U-137, complimentato dall’ammiraglio Karl Dönitz che lo ha insignito con la Ritterkreuz.

Nel pomeriggio di quello stesso giorno avendo percepito agli idrofoni il passaggio della formazione navale, il capitano di corvetta Alberto Dominici si decise a venire a quota periscopica, ma, non avendo avvistato nulla e ritenendo che le condizioni del mare non gli avrebbero permesso di raggiungere una favorevole posizione d'attacco, rimase in immersione per diverse ore prima di emergere e lanciare il segnale di scoperta. In tal modo, desistendo dall'inseguire il convoglio, perdette un contatto che, come disse l'ammiraglio Parona, «era suo dovere mantenere ad ogni costo». Fu durante lo svolgimento di questa operazione che si verificò un episodio significativo per lo sviluppo di una nuova tecnica di difesa antisom. Grazie all'impiego del nuovo radar ASV I (Air to Surface Vessel), per la prima volta un

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aereo britannico Sunderland riuscì a localizzare un sommergibile in superficie5. Era l'attesa dimostrazione dell'efficacia di quel nuovo apparato localizzatore che, perfezionato, tanti lutti avrebbe procurato ai sommergibili.

Convoglio britannico in navigazione notturna.

Ricevuto dalle unità subacquee soltanto rapporti negativi e avendo constatato le difficoltà incontrate per determinare le rotte di traffico del nemico, il 19 novembre l'ammiraglio Dönitz decise di spostare i sommergibili U-47, U-93, U-100 e U-103 in una nuova zona di agguato situata ad ovest dell'Irlanda e, lasciò l'U-29 e il Finzi ad occidente della Scozia per svolgervi il servizio meteorologico. Erano questi i soli sommergibili al momento disponibili davanti al Canale del Nord, trovandosi tutti gli

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Già nell'agosto del 1940 il 502° Squadron del Coastal Command era stato equipaggiato con bimotori «Whitley» muniti del nuovo radar di scoperta navale ASV in grado di determinare la esatta posizione di navi dal tonnellaggio inferiore alle 1.000 tonnellate fino a una distanza di 27 miglia.

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altri battelli in mare, parte sulla via del rientro e parte in avvicinamento alle zone operative. Nei giorni successivi, fra il 21 e i 24 novembre, mentre gli U-boote poterono attaccare con ottimi risultati individuali i convogli OB.244 e SC.11.6 il Finzi non conseguì alcun successo, e questo malgrado si fosse venuto a trovare in una zona percorsa da forte traffico. Infatti percepì agli idrofoni la presenza di ben tre convogli, ma li segnalò sempre con ritardo e ne perse i contatti essendo rimasto in immersione a causa del cattivo tempo. In almeno due occasioni gli U-boote si trovarono in buona posizione per intervenire, ma l'ammiraglio Dönitz si astenne dall'impiegarli, ritenendo le segnalazioni della unità subacquea italiana troppo incerte.

Il decollo di un idrovolante Sunderland del Coast Command fornito dell’apparato radar ASV.

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Sette piroscafi dell'OB.244 vennero affondati dai sommergibili U.103 (capitano di corvetta Schütze) e U-123 (tenente di vascello Moehle), mentre altre sette navi dell'SC.11 vennero colate a picco dall'U-100 (tenente di vascello Schepke).

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Sopra la cabina di questo Sunderland l’antenna del radar di scoperta navale ASV.

Un operatore allo schermo radar di un velivolo Witley del 502° Squadron della R.A.F., impegnato durante il volo nella ricerca di sommergibili.

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Dato che anche in presenza di navi isolate il comandante Dominici aveva tenuto la stessa prudente condotta rimanendo a lungo in immersione nonostante gli ordini che prescrivevano di tenere l'agguato in superficie, l'ammiraglio Parona, con un severo rapporto indirizzato a Supermarina ne propose la sostituzione con un altro ufficiale, «più giovane e animato da maggiore spirito aggressivo»: il capitano di corvetta Giuseppe Roselli Lorenzini, che in seguito venne invece destinato a comandare l'Emo. * * * Il 5 novembre, su invito di Dönitz, l'ammiraglio Parona si recò a Parigi al Comando Superiore dei Sommergibili, situato in Boulevard Suchet 18, per un riesame di tutte le questioni concernenti la collaborazione operativa ed in particolare delle cause che, fino a quel momento, avevano provocato il basso rendimento delle nostre unità. Nel colloquio furono da Dönitz prospettate tutte quelle misure a suo giudizio necessarie per facilitare agli italiani le condizioni di guerra dell'Atlantico. Resosi pienamente conto che, ancora per qualche tempo, non vi era da attendersi dai sommergibili di Betasom una grossa collaborazione, poiché mancavano della esperienza di guerra necessaria per agire in un ambiente operativo a loro troppo estraneo, il Comandante Superiore dei Sommergibili non si mostrò al momento eccessivamente allarmato dagli insuccessi dei suoi alleati e ritenne di poterne correggere le lacune in modo psicologico: «inducendoli a capire le loro manchevolezze, e accorgersene da soli facendo tesoro della esperienza tedesca e non in modo troppo duro e repentino». Dimostrando a Parona di essere complessivamente molto soddisfatto per l'operato delle nostre unità subacquee, l'ammiraglio tedesco fece le seguenti considerazioni: Sono persuaso che i vostri comandanti potranno ottenere buoni risultati quando si saranno allenati a questa nuova forma di guerra al traffico che deve essere guerra di movimento, di astuzia, di tenacia ed alla quale non possono essere preparati da quanto hanno fatto in Mediterraneo. Noi abbiamo fatto i primi esperimenti pratici di questo genere di guerra nel 1936: appena avuti pronti i primi sommergibili li abbiamo mandati in Atlantico ed esercitati ad avvistare, segnalare, seguire, attaccare convogli formati da tre - quattro piroscafi tedeschi che partendo da Rio della Plata e da altri porti americani venivano in Germania. In tal modo abbiamo potuto vedere le varie possibilità di manovrare i sommergibili in mare in base agli avvistamenti e concentrarli sulle possibili rotte dei convogli. Queste esercitazioni ci sono state utilissime per perfezionare l'organizzazione del Comando Centrale, delle

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comunicazioni, cifra etc. e soprattutto per decidere sui particolari delle nuove costruzioni sommergibili per quanto riguarda dislocamenti, altezza delle torrette, velocità, autonomia etc. Per poter ottenere che il sommergibile possa seguire un convoglio avvistato senza essere troppo facilmente scoperto di giorno dovete cercare di ridurre l'altezza delle camicie dei periscopi e se possibile anche le dimensioni delle torrette che sono visibili a troppo grande distanza. Noi abbiamo visto che sono riusciti ottimi i comandanti più giovani e nella nuova mandata ho destinato ad assumere il Comando un numero assai forte di giovanissimi sottotenenti di vascello perché questa guerra richiede grande resistenza alla fatica e ai disagi delle lunghe permanenze in mare con cattivo tempo, iniziativa, slancio e sprezzo del pericolo, qualità tutte che possono trovarsi in misura maggiore soltanto nei giovani. Dopo aver dato consigli e, indirettamente, fatto capire a Parona il suo pensiero sui suoi ufficiali, ritenuti troppo anziani per guidare sommergibili in guerra, l'ammiraglio Dönitz accettò la richiesta del comandante di Betasom di far compiere ai battelli italiani qualche esercitazione del tipo di quelle che venivano effettuate dagli U-boote tedeschi alla loro scuola tattica di Gothenhafen, nel Baltico. Dette esercitazioni, sollecitate dall'ufficiale germanico di collegamento a Betasom, capitano di corvetta Rösing, avrebbero dovuto svolgersi nella parte meridionale del Golfo di Biscaglia. Sia Parona sia Dönitz convennero che soltanto da una tale forma di attività addestrativa era da attendersi per gli equipaggi italiani una sostanziale familiarizzazione con l'ambiente operativo e l'apprendimento di tattiche come quelle impartite nella scuola tedesca del Baltico. Dal momento che il B.d.U. si impegnò a richiedere i mezzi necessari per le esercitazioni, il Comandante di Betasom, con lettera del 7 novembre, chiese l'autorizzazione a procedere all'ammiraglio Falangola, sostenendo: Le esercitazioni avrebbero durata di due giorni ed il seguente programma: due o tre sommergibili in agguato nella parte sud-est nel Golfo di Guascogna a 30-40 miglia dalla costa: un convoglio composto di due o tre piroscafi di tipo vario scortati da M.B. parte da Biona e dirige per farsi avvistare dal primo sommergibile in agguato che potrà effettuare se possibile, l'attacco in immersione per emergere quindi, segnalare ed inseguire il convoglio: gli altri sommergibili dovranno accorrere sulla rotta del convoglio per cercare di raggiungerlo nella notte ed attaccarlo. Il convoglio sarà scortato per qualche ora del giorno da aerei per

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obbligare i sommergibili a rapide immersioni ed a sfuggire all'avvistamento. Altri aerei di tipo speciale ben conosciuti ai sommergibili effettueranno una accurata sorveglianza della zona. Ultimata l'esercitazione il convoglio rientrerà a Le Verdon o La Pallice dove saranno riuniti i comandanti per l'esame critico dell'andamento dell'esercitazione. Nei giorni seguenti il convoglio potrà ripartire per dirigere a Baionna e compiere nel tragitto altra analoga esercitazione con gli stessi e con gli altri sommergibili. Sto preparando il programma di dettaglio delle disposizioni: una particolare cartina quadrettata ed un codice di scoperta da impiegare soltanto per tali esercitazioni. Le esercitazioni di questo tipo dovranno essere dirette inizialmente da me stesso ed in seguito dal mio Capo di Stato Maggiore o da uno dei capitani di fregata presenti quando avranno fatto sufficiente pratica. La stazione r.t. del DE GRASSE servirà da centro di appoggio. Questi intendimenti di Parona non si realizzarono, perché l'ammiraglio Falangola, pur prendendo in considerazione l'utilità del progetto, con lettera del 23 novembre, ritenne di rinunciarvi per i seguenti motivi: «Il criterio di compiere esercitazioni del tipo di quelle effettuate alla scuola tattica di Gothenhafen è certamente apprezzabile. Ma i tedeschi compiono queste esercitazioni nel Baltico, in piena sicurezza da offese nemiche: il fare tali esercitazioni nel Golfo di Guascogna, là dove i sommergibili inglesi hanno già svolto azione offensiva contro nostre unità, implica un grave rischio, che non appare affatto compensato dalla partecipazione diretta delle unità alle esercitazioni, posto che in fondo coloro che debbono addestrarsi sono prevalentemente, se non unicamente, i comandanti. Sarà quindi opportuno rinunciare al progetto delle esercitazioni in Guascogna e prevedere invece la continuazione ed estensione della pratica di inviare comandanti ad assistere alle esercitazioni a Gothenhafen». Il Comandante di Betasom non concordò con le affermazioni di Falangola e preparò al riguardo, come vedremo più avanti, un'ampia relazione per Supermarina. Nel frattempo, il 17 novembre si era recato a Lorient, base dei sommergibili tedeschi, dove l'ammiraglio Dönitz aveva trasferito il suo Comando. In tale occasione fu offerto al Comandante di Betasom e ai suoi due capi servizio, maggiore del Genio Navale Giulio Fenu e tenente di vascello Walter Auconi, di prendere approfondita conoscenza delle caratteristiche e dei dettagli di allestimento degli U-boote. In quel momento erano assegnati alla 6a flottiglia di Lorient diciannove sommergibili del tipo «II», «VII» e «IX», e Parona, accompagnato da Dönitz, ebbe modo di visitarne uno e

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di assistere alla partenza per missione di guerra dell'U-43. Egli rimase particolarmente colpito, oltre che dall'efficienza bellica del sommergibile, dalla giovinezza dei membri del suo equipaggio, comandante compreso, Il sotto tenente di vascello Wolfgang Lüth, già insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine della Croce di Ferro (Ritterkreuz), aveva venticinque anni, mentre il più anziano dell'equipaggio dell'U-43 , il capo dei sottufficiali, ne aveva appena ventotto. Riferendo quanto sopra all'ammiraglio Romeo Oliva, che lo aveva sostituito nella carica di Comandante in seconda della Squadra Sommergibili, Parona affermò, con lettera del 25 novembre 1940, quanto segue: «Purtroppo i nostri comandanti non hanno 25-27 anni come quelli tedeschi, non sono abituati a missioni sempre con mare pessimo e tornano piuttosto malandati in salute. Dobbiamo cercare di ringiovanire tutto l'armamento anche, se necessario, rinunciando alla maggiore esperienza, perché la maggior resistenza fisica è di per se stessa una condizione indispensabile per ottenere una maggiore aggressività, una più tenace volontà a ricercare il nemico, ad inseguirlo nonostante il cattivo tempo e quindi ad ottenere i successi. . . . Altro provvedimento indispensabile è quello di eliminare (e purtroppo avviene già automaticamente) tutti i vecchi sottufficiali che ottimi per pratica sommergibilistica non ce la fanno più come salute e resistenza fisica. Io cercherò di sostituire i contabili con secondi capi adatti: occorre però che questo principio sia adottato da Maricosom per la Scuola nel preparare i nuovi: non credo si debba temere perché anche il più giovane, quando deve assumere una responsabilità effettiva manovra più rapidamente»7.

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Fin dal 7 novembre, scrivendo all'ammiraglio Falangola, il Comandante di Betasom aveva proposto di «dare il comando dei sommergibili atlantici ai tenenti di vascello migliori» che avevano «già esercitato il comando dei sommergibili da 600 tonnellate» ed avevano «dimostrato di possedere idoneità fisica slancio e aggressività». Falangola rispose a Parona scrivendo il 18 novembre: «Ti saranno gradualmente mandati comandanti in età più giovane, e quindi in condizioni di maggiore resistenza fisica scegliendoli fra i migliori comandanti dei costieri». Tuttavia le sostituzioni andarono molto a rilento, perché si cozzava contro la tradizione, e il compito di scegliere i nuovi ufficiali non fu sempre azzeccato e di semplice soluzione; anche perché, come mise in risalto lo stesso Falangola nel suo studio critico compilato nel dicembre 1941 per Supermarina, «una preziosa esperienza accumulata in pace attraverso anni di addestramento andava così perduta e si rendeva indispensabile far rapidamente posto ai giovani. Così in essi l'esperienza non poteva essere improvvisata».

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Oltre a queste comunicazioni ufficiose, Parona inviò a Roma la seguente relazione n. 227/S.R.P. del 28 novembre 1940, sulla sua «Visita alla Base di Lorient»: «Riferisco circa la visita effettuata il 17 c.m. a Lorient dove mi sono recato per invito dell'ammiraglio Dönitz a vedere alcuni sommergibili e per dare occasione ai Capi Servizio della Base di esaminare i dettagli di allestimento delle Unità subacquee tedesche e di prendere contatto con i Capi Servizio del Comando Sommergibili tedesco. Partito alle 10 di domenica 17 con aereo dal campo di Merignac (Bordeaux) sono giunto a Vannes alle 11.45 ed ho proseguito per Kernevel in auto (68 Km). Mi accompagnavano il maggiore G.N. Fenu Capo Servizio G.N., il tenente di vascello Auconi Capo Servizio Armi ed il capitano di corvetta Roesing Ufficiale di Collegamento con il B.d.U. Sono ripartito da Kernevel lunedì 18 alle 10.00 per Vannes donde con altro aereo ho raggiunto Merignac, facendo ritorno a bordo del DE GRASSE alle 13.30. Ho lasciato a Lorient il comandante Roesing coi due Capi Servizio perché potessero effettuare una nuova minuziosa visita ai sommergibili, esaminarne i disegni costruttivi e chiedere ai Capi Servizio tutte le informazioni di dettaglio utili: l'ammiraglio Dönitz mi aveva cordialmente invitato a lasciare gli Ufficiali ed aveva loro raccomandato di fermarsi a Lorient per vedere e chiedere tutto quello che ritenevano utile ordinando ai Capi Servizio tedeschi di mettersi, coi rispettivi archivi tecnici, a disposizione dei colleghi italiani. I Capi Servizio sono rientrati in auto a Bordeaux il 20 corrente. Accompagnato dall'ammiraglio Dönitz, ho visitato un sommergibile da 500 ed uno da 750 tonnellate, il Comando Flottiglia (C.F. Fischer) ed assistito alla partenza de11'U-43 per la missione e ad un rapporto giornaliero del Comando Sommergibili. … Riassumo le notizie raccolte durante la permanenza mia e dei Capi Servizio G.N. e R. T. a Lorient. SISTEMAZIONE DEL COMANDO SOMMERGIBILI Sono state requisite due ville sul promontorio di Kernevel presso il mare. Nella prima, posta sulla riva che fiancheggia la rotta di uscita dal porto ha sede il Comando (Ufficio Operazioni - Ufficio dell'Ammiraglio e del Capo di S.M. telescriventi - telefoni - R. T. ricevente) ed alloggio per metà degli Ufficiali del

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Comando. Nella seconda, posta a 200 metri circa nell'interno, trovano posto la mensa del Comando e gli alloggi dell'Ammiraglio, del Capo di S.M., degli altri Ufficiali del Comando e del personale di servizio. Sistemazione semplice senza particolari comodità né lusso.

L’ammiraglio Angelo Parona a Kernevel. Alle sue spalle l’ammiraglio Karl Dönitz.

RAPPORTO GIORNALIERO AL B.d.U. Il 18 mattino ho assistito al rapporto durante il quale il Capo Ufficio Operazioni (T. V. Oehrn) ed il Capo di S.M. (C.F. Godt) riferiscono all'Ammiraglio, servendosi di una grande carta quadrettata posta su una parete dell'Ufficio Operazioni, i movimenti, gli avvistamenti, le segnalazioni e le azioni dei sommergibili delle precedenti 24 ore. Il Secondo Ufficiale dell'Ufficio Operazioni fa quindi un riassunto degli avvistamenti ed azioni compiute dall'Aeronautica nella zona a ponente dell'Inghilterra e di tutti gli avvenimenti relativi alla guerra marittima nei vari settori, in base alle dettagliate e precise informazioni trasmesse per telescrivente dalla Direzione della Guerra da Berlino. Il comandante Sestini riferisce quindi le notizie relative ai sommergibili italiani che gli sono comunicate nella notte a mezzo telescrivente da questo Comando.

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L'ammiraglio Dönitz fa quindi un apprezzamento della situazione ed impartisce gli ordini per la giornata. SISTEMAZIONE DEL COMANDO FLOTTIGLIA E DEI SOMMERGIBILI II Comando Flottiglia ha sede alla Prefecture Maritime all'ingresso dell'Arsenale: in questo palazzo trovano posto la mensa del Comando Sommergibili ed alcuni alloggi per i Comandanti ed Ufficiali dei Sommergibili. I sommergibili in porto per riposo o lavori sono sempre affiancati ad unità radiate, pontoni o piroscafi fuori uso e protetti alla vista dall'alto mediante reti di cavo appoggiate sulle torrette e sull'aereo. Per i lavori di G.M. e bacino viene usato il bacino coperto situato in fondo al porto militare. Il personale dei sommergibili è alloggiato in case requisite o gruppi di baracche poste alla periferia della città e sparsi fino a 25 Km di distanza. Detto personale è però sempre numericamente molto scarso alla base perché al rientro della missione, se il sommergibile non deve ripartire entro pochi giorni, la maggior parte del personale è inviata in licenza in Germania, dove rimane fino al termine del periodo di lavori, durante il quale il sommergibile è completamente affidato alla Direzione dei Lavori. MEZZI DI LAVORO A DISPOSIZIONE DELLA FLOTTIGLIA SOMMERGIBILI Sono attualmente assegnati alla Flottiglia 19 sommergibili da 300-500-750 tonnellate ossia tutte le unità pronte per un servizio al fronte: tale numero va progressivamente aumentando con l'entrata in servizio delle nuove unità dopo ultimato il periodo di prova, di esercitazioni tattiche (Gothenhafen) e di lancio (Pillau). Sono a disposizione della Direzione dei Lavori dei Sommergibili: – i mezzi di lavoro, bacino etc. dell'Arsenale di Lorient con circa 2.200 operai francesi diretti dal colonnello ingegnere delle Costruzioni Navali (francese) Antoine che è stato mantenuto in servizio; – 820 operai specializzati per sommergibili inviati dai vari Cantieri militari e civili (specialmente da Kiel): questi operai diretti da Ufficiali costruttori navali della Marina sono organizzati militarmente in formazioni dell'Arbeit-Dienst, alloggiati in villaggi di baracche sparsi alla periferia di Lorient: per essi è organizzato un servizio di grandi autobus portati dalla Germania o requisiti nei territori occupati.

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È interessante rilevare la grande larghezza di mezzi messi a disposizione del Comando sommergibili tedeschi per un numero (per ora) esiguo di unità, tanto più che quando un sommergibile deve effettuare un periodo di grandi lavori o manutenzione o cambio di batterie accumulatori viene fatto rientrare in Germania al termine della missione. RELAZIONI DEI CAPI SERVIZIO G.N. ED ARMI Le allegate relazioni dei Capi Servizio G.N. e Armi contengono elementi sui quali ritengo opportuno richiamare l'attenzione di codesto A.C. per le migliorie che possono essere apportate ai sommergibili di N.C.. I particolari di allestimento di cui ritengo necessario mettere in rilievo l'importanza possono essere attuati con lavori di non grande entità oltre che sui sommergibili di nuova costruzione anche in quelli della classe «Ammiraglio Cagni» che saranno destinati ad operare in Atlantico: Torrette e defense dei periscopi. Allo scopo di rendere i sommergibili atti ad agire contro il traffico restando quindi prevalentemente in superficie, è indispensabile assicurare a) la minima possibile visibilità; b) la più efficace e costante esplorazione dell'orizzonte; c) le migliori condizioni di navigabilità con mare grosso. Per ottenere la minima visibilità è necessario che il sommergibile abbia torretta di piccole dimensioni, non eccessivamente elevata sulla coperta e quindi sul mare. È d'altra parte noto che tutte le sistemazioni che hanno reso tanto grandi le nostre torrette sono state quelle intese a realizzare cucine, latrine, docce da usarsi in superficie, sistemazioni risultate inutili con mare ed in tempo di guerra e che devono essere abolite. Per ottenere una sicura e continua osservazione dell'orizzonte è condizione sine qua non che la testa del Comandante o dell'Ufficiale di guardia sulla torretta costituisca il punto più elevato del sommergibile: solo in queste condizioni il Comandante che ha avvistato e segue un convoglio può avere la precisa conoscenza della distanza alla quale può mantenersi dal convoglio stesso senza perdere il contatto e senza essere avvistato. A questo scopo è necessario che nessun ingombro impedisca la libera visione dell'orizzonte, condizione necessaria anche per la sicurezza delle unità

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durante gli attacchi notturni, che per avere esito favorevole devono essere effettuati a distanza ravvicinata sui fianchi o fra le colonne dei convogli. È quindi indispensabile eliminare le ingombranti camicie dei periscopi, le ghigliottine di sostegno degli aerei ed i telai dei radiogoniometri che possono trovare adatta sistemazione a scomparsa entro adatto cassone costituente una parte del paraonde. Si obietterà che senza altissime camicie di sostegno non può essere assicurata la non vibrazione dei periscopi nelle navigazioni in immersione ad alta velocità. Si osserva però che: – effettuando l'attacco in immersione non deve essere mantenuto il periscopio alzato quando si procede ad alta velocità e che, per effettuare l'esplorazione periscopica, la velocità dovrà essere stata diminuita al minimo preventivamente per evitare forte scia facilmente visibile; – per l'attacco in superficie i periscopi devono essere ammainati; per usare il periscopio per esplorare l'orizzonte anche stando in superficie si potrebbero temere eccessive vibrazioni della lunga canna del periscopio completamente o parzialmente alzato; si osserva però che queste potranno essere evitate variando leggermente l'andatura dei motori e costruendo la bassa camicia di sostegno in acciaio con struttura molto robusta; – attualmente quando i nostri periscopi sono completamente rientrati sporgono sopra la torretta parecchi metri e si avrebbe sempre, anche riducendo al minimo le lunghezze delle attuali camicie, una sporgenza di 3 metri circa del periscopio al di sopra del paraonde della torretta e quindi ingombro notevole del campo visivo del Comandante od Ufficiale di guardia. È indispensabile prolungare nei DD.FF. [doppifondi] il pozzo dei periscopi in modo che quando sono tutti abbassati la testa del periscopio stesso non sporga sopra le camicie e cioè sopra il paraonde. L'attacco notturno ai convogli richiede che la distanza di lancio sia ridotta al minimo 400-500 m. È necessario però che il sommergibile abbia grande rapidità di immersione per sfuggire ad eventuali attacchi della scorta od a pericolose manovre controffensive delle unità del convoglio stesso. È perciò indispensabile che siano proporzionate le dimensioni dei kingston e degli sfoghi d'aria in modo da dare la sicurezza della completa immersione in un periodo di tempo non superiore a 30-40 secondi. »

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Saint Nazaire , il sommergibile Tedesco U- 94 è accolto alla banchina dall’ammiraglio Karl Dönitz e da ufficiali del suo Stato Maggiore.

Cinque giorni dopo aver inviato a Roma la relazione sulla visita a Lorient, Parona trasmise a Supermarina la seguente lettera 233/S.R.P., in cui riepilogava l'attività svolta fino a quel momento dai sommergibili alle sue dipendenze operanti a ponente delle Isole britanniche, ed esponeva quali dovevano essere le modalità d'impiego e le modifiche da apportare ai battelli, per ottenere migliori risultati bellici: «I risultati delle missioni effettuate sino ad ora nelle zone di operazione Nord a fianco dei sommergibili tedeschi sono stati modesti. … E soprattutto importante rilevare il cospicuo numero di avvistamenti non seguiti da attacco o tentativi di attacco frustrati dalle manovre delle unità avvistate o dalla reazione delle scorte. Questo mette in evidenza la insufficiente preparazione dei Comandanti e del materiale a questa guerra al traffico. Nel ricercare le cause di tale modesto risultato sono giunto alle seguenti conclusioni: - impreparazione dei Comandanti alla guerra al traffico; - ancora insufficiente adattamento dei Comandanti ai principi secondo i quali è condotta la guerra al traffico con risultati tanto più importanti da parte dei sommergibili tedeschi;

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- mancanza di allenamento alla navigazione con mare grosso e con condizioni meteorologiche sfavorevoli, situazione quasi normale nel Nord Atlantico in questi mesi; - deficienze del materiale insite nel materiale stesso od apparse dopo prove così severe quali quelle affrontate (impianto idrodinamico Calzoni - materiale elettrico – torrette e periscopi - insufficiente resistenza degli scafi leggeri rottura ed asportazione di lamiere - binocoli); - eccessiva visibilità delle torrette e delle defense dei periscopi che possono essere avvistate a grande distanza da parte delle vedette molto bene allenate delle unità (incrociatori ausiliari o cacciatorpediniere) dei convogli o dei piroscafi isolati. I Comandanti ed Ufficiali di guardia situati sul piano delle torrette restano circa 3 m più bassi dell'estremità delle defense dei periscopi e della traversa dell'aereo e non vedono le coffe o le estremità dei fumaioli dei piroscafi quando da questi sono già stati avvistati. Per porre rimedio a questi inconvenienti è necessario: - Ottenere che i Comandanti assimilino i principi della condotta della guerra al traffico. A questo ho provveduto e provvedo collo spiegare in modo continuo le consegne di massima dettate per le unità di questo gruppo, coll'illustrare casi particolarmente interessanti di attacchi a convogli da parte di sommergibili tedeschi che hanno dato risultati interessanti, col commentare in riunioni plenarie dei Comandanti i risultati delle singole crociere facendo rilevare gli errori commessi e le cause. - Migliorare l'allenamento dei Comandanti ed equipaggi alla navigazione con mare grosso e sfavorevoli condizioni meteorologiche. A questo provvedono in modo efficacissimo il tempo e le missioni compiute. - Eliminare le deficienze di materiale. A questo si provvede con ogni scrupolosità coi mezzi della Base ed i risultati raggiunti, nei limiti delle possibilità, sono confortanti e permettono di avere ottime speranze per il futuro. Rimane sempre la grave incognita dovuta alla deficienza dell'impianto idrodinamico che va soggetto a continue avarie causate dalla sistemazione dell'utente a palmola (abbatt. T.O. pr.) nell'intercapedine di prora, deficienza che non è purtroppo eliminabile coi mezzi della Base.

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- Ridurre la visibilità delle torrette e camicie dei periscopi. Si provvederà coi mezzi della Base a migliorare tale situazione: in preparazione un progetto per la riduzione delle camicie dei periscopi colla realizzazione del quale si otterrà un risultato non completo ma abbastanza soddisfacente. Tali provvedimenti e la partecipazione dei Comandanti ad una sessione della scuola tattica di Gothenhafen potranno migliorare la situazione, ma i vantaggi raggiungibili non sono a mio parere sufficienti per far raggiungere rapidamente ai Comandanti l'istruzione e la preparazione indispensabile. Alla scuola di Gothenhafen ti Comandante vede eseguire una esercitazione pratica di inseguimento ed attacco ad un convoglio nelle condizioni di guerra ma non effettuandola personalmente non può avere la sensazione precisa di come deve regolare la condotta della propria unità per non essere scoperto quando, dopo averlo avvistato, deve mantenere il contatto ed inseguire un convoglio e sorpassarlo durante il giorno per attaccarlo a distanza ravvicinata durante la notte. La necessaria pratica per effettuare correttamente tale manovra non può essere eseguita efficacemente che con la propria unità. Soltanto in una esercitazione compiuta stando sulla torretta del proprio sommergibile il Comandante: - può rendersi perfettamente conto delle difficoltà da superare per mantenere il contatto senza farsi avvistare perché il direttore della esercitazione lo può sempre tempestivamente avvertire quando il sommergibile è scoperto dal convoglio; - può risolvere praticamente i vari problemi che derivano dalla reazione della scorta aerea e navale del convoglio che lo possono saltuariamente obbligare a rapide immersioni; - può effettuare praticamente esercitazioni controllate di trasmissione dei segnali di scoperta ricezione di quelli emessi da altre unità e spostarsi in modo opportuno per attaccare il convoglio. Queste esercitazioni potrebbero essere effettuate nel Golfo di Guascogna, in una zona compresa fra la costa, il meridiano di Bilbao ed il parallelo 45°30'N, con un convoglio composto di due piroscafi scortati da M.B. in partenza alternativamente da Le Verdon e da Bayonne. La zona riservata all'esercitazione sarebbe cambiata di volta in volta, sorvegliata da idro della base di Hurtin e limitata verso il largo da una fascia di 25-30 mg. strettamente sorvegliata da aerei e da M.B.

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È ovvio, e questo Comando Base non si nasconde che l'esecuzione di tali esercitazioni nel Golfo di Guascogna fa correre qualche rischio alle unità di superficie e subacquee impegnate nella esercitazione stessa, però: - tali rischi sono certamente minori di quelli che i sommergibili affrontano operando nella zona del traffico insufficientemente preparati al proprio compito; - tali rischi possono essere perfettamente affrontati dalle unità di superficie impiegate nelle esercitazioni perché sarebbero accuratamente preparate a tale compito ed armate con personale adatto; i vantaggi di un'adatta ed accurata preparazione dei Comandanti al particolare impiego dei sommergibili per la guerra al traffico sono tali da far ritenere accettabili i rischi che debbono essere affrontati. Mi pregio sottoporre tale progetto che se riceverà l'approvazione di V.E. mi permetterà di passare alla fase di realizzazione con accordi diretti colle Autorità tedesche: L'esposizione fatta da Parona, per indurre Supermarina a dare il benestare per le esercitazioni, non portò ai risultati sperati. Il Sottocapo di Stato Maggiore, ammiraglio Odoardo Somigli, condividendo il parere dell'ammiraglio Falangola, dette maggiore importanza al rischio. La presenza di sommergibili britannici nel Golfo di Guascogna, che in effetti si era già manifestata minacciosa contro sommergibili italiani e contro unità subacquee tedesche, e la accertata esistenza di mine, lanciate da aerei in vari punti della costa e davanti ai porti della Francia, costituivano per Supermarina una minaccia che si doveva evitare. Quando, ai primi di dicembre, il Comandante di Betasom comunicò all'ammiraglio Dönitz che, in seguito alle comunicazioni dello Stato Maggiore della Marina italiana, non poteva dar corso alle previste esercitazioni, il Comandante Superiore dei Sommergibili si allarmò. Dapprima con una lunga conversazione per telefono e poi incaricando il proprio ufficiale di collegamento a Bordeaux, cercò di convincere l'ammiraglio Parona a rendersi conto che i rischi erano molto lievi rispetto al vantaggio conseguibile con la preparazione accurata dei comandanti8. Ma Parona, 8

L'osservazione di Dönitz circa i rischi limitati delle esercitazioni in Guascogna è in contrasto con quanto egli aveva sostenuto poco più di un mese avanti annotando, nel suo diario di guerra, lo svolgimento delle operazioni contro i convogli SC.7 e HX.79. In quell'occasione aveva tratto le seguenti conclusioni: «l'esecuzione di simili operazioni d'attacco è possibile soltanto con comandanti ed equipaggi radicalmente addestrati ad esse. Ne risulta la necessità di una preparazione vasta e prolungata che deve essere fatta in grandi spazi marittimi. Questa preparazione non sarebbe possibile se non avessimo a disposizione il Mar Baltico, che è libero da insidie nemiche».

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avendo ricevuto istruzioni tassative alle quali doveva attenersi, pur essendo personalmente convinto di quanto Dönitz asseriva, non poté far nulla per venire incontro ai desideri dell'Ammiraglio tedesco.

IL FALLIMENTO DELLE OPERAZIONI IN COMUNE Nel frattempo i sommergibili italiani avevano continuato le loro operazioni ad occidente delle Isole britanniche. Nella seconda metà di novembre erano entrati in zona il Giuliani, il Tarantini e l'Argo, i quali, assieme al Finzi, ultimo battello del gruppo precedente, avevano preso posto ad occidente dei sommergibili tedeschi schierati davanti al Canale del Nord: U-47, U-103, U-43 (con compito di battello meteorologico), U-52, U-94, U-95, U-101, U-140 e U-99. In questo periodo gli U-boote continuarono ad essere molto attivi, ciò nonostante gran parte degli affondamenti si verificarono tra le navi dei convogli che si separavano oltre il 19° meridiano o fra le navi sbandate dei convogli stessi. Questo era dovuto a due motivi: le rotte di evasione del nemico che, spostate sempre più verso nord, cominciavano a produrre buoni risultati, poiché allontanavano i convogli dalle zone notoriamente pericolose; il cattivo tempo e la continua pessima visibilità che impedivano gli avvistamenti e ostacolavano le manovre di gruppo. Ne conseguì che, malgrado l'organizzazione di allarme radio tedesca segnalasse i convogli, essi non venivano avvistati. L'incontro con un gruppo di piroscafi fatto i129 novembre dal Giuliani (capitano di corvetta Renato d'Elia) rimase senza risultato, poiché il sommergibile non poté impegnarsi nell'inseguimento a causa di una sopraggiunta avaria ai timoni orizzontali di prora che lo costrinse a lasciare l'agguato. Nel frattempo anche il Finzi aveva assunto la rotta del ritorno, per raggiunto limite di autonomia, ragion per cui alla fine del mese restavano nella zona di operazioni due soli sommergibili: il Tarantini e l'Argo. Quest'ultimo, che assieme al germanico U-52 agiva lungo una fascia stabilita fra i paralleli 53°20'N e 54°20'W, il mattino del 1° dicembre, verso le 05.00, attaccò in superficie il cacciatorpediniere canadese Saguenay, facente parte della scorta del convoglio HG.47 (Gibilterra - Inghilterra). Dalla distanza di 600 metri l’Argo lanciò un siluro di prora che dopo quaranta secondi colpì a poppa il Saguenay che si arrestò. Ma poi altri due siluri lanciati di poppa, con il sommergibile fermo, sulla nave immobilizzata mancarono di colpire il bersaglio, che appariva sbandato a sinistra di circa 30 gradi. Il comandante Crepas ritenne invece di aver colpito il cacciatorpediniere che per l’esplosione di un siluro fu visto sparire completamente.

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Dopo l'attacco notturno l'Argo rimase nella zona; si immerse brevemente per riparare un guasto ai tubi di lancio e, quando con la luce del giorno tornò in superficie, trovò dei rottami e dei documenti intestati al Saguenay. La notizia fu accolta a Betasom con entusiasmo, ma molta fu la delusione quando il Comando tedesco informò che quel cacciatorpediniere canadese, pur con la poppa interamente asportata, era riuscito ad entrare nel porto scozzese di Barrow in Furnes. In effetti, il Saguenay (capitano di corvetta George Ralph Miles), era stato colpito dal siluro dell’Argo alle 03.50 a circa 300 miglia ad ovest della costa irlandese, in lat. 54°40’N, long. 15°50’W. La estrema poppa fu distrutta dall’esplosione e ventuno uomini dell’equipaggio del cacciatorpediniere restarono uccisi. Tuttavia, manovrando con i propri mezzi, l’unità attraversando il Mare d’Irlanda si recò a Barrow in Furnes, in Inghilterra (Contea della Cumbria, per la riparazione in un cantiere commerciale, terminando i lavori il 22 maggio, per poi tornare al proprio incarico di servizio di scorta ai convogli nel Nord Atlantico.

Il cacciatorpediniere canadese Saguenay che il 1° dicembre fu colpito da un siluro del sommergibile Argo con un siluro che gli asporto la poppa. Tuttavia riuscì a raggiungere Londonderry.

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Le condizioni del dannerggiato Saguenay, con la poppa distrutta, all’arrivo a Londonderry.

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I sommergibili Finzi e Brin all’ormeggio nel bacino di Betasom nei primi mesi del 1941. Notare che il Finzi ha uno dei suoi due cannoni da 120 mm, quello poppiero, davanti alla torretta, mentre il Brin ha il suo unico cannone da 100 mm sulla parte posteriore della torretta. Con la trasformazione il cannone fu poi portato a prora, davanti alla torretta.

La torretta modificata del sommergibile Brin con il cannone da 100 mm spostato di prora.

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Nel frattempo, la sera del 30 novembre, l'U-101 (tenente di vascello Ernst Mengersen) aveva avvistato il convoglio HX.90, proveniente dal Canada con la scorta oceanica dell'incrociatore ausiliario Laconia e, tenendo il contatto, riuscì a portare su quel bersaglio altri sette sommergibili tedeschi: in due notti di attacchi U101, U-47, U-52, U-94 e U-99 affondarono dieci navi.

Bella immagine dell’U-101.

Il segnale di scoperta del convoglio venne ricevuto la sera del 1° dicembre anche dai sommergibili italiani. Il Tarantini (capitano di corvetta Alfredo Iaschi) avvistò un gruppo di quattro o cinque piroscafi in rotta a levante ma non riuscì a portarsi in posizione favorevole a causa della reazione del nemico. Una nave di scorta avvistò il sommergibile, aprì il fuoco costringendolo ad immergersi e con altre unità lo sottopose ad un violento bombardamento. La caccia, a cui presero parte lo sloop Falkestone, la corvetta Gentian e il cacciatorpediniere Viscount, si prolungò per parecchio tempo, ma il sommergibile manovrando abilmente a grande profondità evitò ogni danno. Frattanto l'Argo, uscito dalla sua zona di agguato per ricercare il convoglio alla velocità massima consentita dalle condizioni del mare di 8 nodi, nelle prime ore del 2 dicembre avvistò lampeggiamenti, udì scoppi, venne illuminato dalla luce di bengala, ed ebbe la sensazione di essere capitato proprio in mezzo al convoglio. Ritenendo che il nemico si fosse sbandato in seguito al violento attacco degli U-boote, il

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comandante Crepas lo ricercò inizialmente in direzione errata. Fu solo verso l'alba, dopo aver intercettato e radiogoniometrato i segnali di soccorso di quattro navi, che ebbe modo di assumere la giusta rotta. Avvistata una piccola unità che stava recuperando dei naufraghi, lanciò un siluro che, per uscita irregolare, non raggiunse il bersaglio. La nave nemica, il cacciatorpediniere canadese St. Laurent (tenente di vascello Herbert Sharples Rayner), contrattaccò a lungo con bombe di profondità, ma fortunatamente l'Argo ne uscì con danni di lieve entità che non impedirono il proseguimento della sua missione.

Il cacciatorpediniere canadese St. Laurent che attaccato senza successo dall’Argo dette caccia al sommergibile senza successo.

L'indomani, 3 dicembre, avendo l'organizzazione di allarme radio tedesca localizzato il convoglio SC.13, proveniente dal Canada, il Comando Superiore dei Sommergibili ordinò alle unità ancora in zona di spostarsi verso sud per intercettarlo. Ma mentre U-43, U-52, U-94, U-99 e U-103 lo ricercarono senza successo, l'Argo, nelle prime ore del 5, poté affondare con un siluro la motonave da carico britannica Silverpine, di 5.066 tonnellate, unità dispersa del convoglio OB.252 partito da Liverpool. Costruita nel 1924, partita in zavorra e con due passeggeri da Liverpool, diretta a New York, la Silverpine (capitano William Barrington Bowyer) affondò a 355 miglia ad ovest di Blody Foreland (Irlanda), con la perdita di trentasei uomini, inclusi i due passeggeri. Il cacciatorpediniere britannico Harvester (capitano di corvetta Mark Thornton), che si trovava poco distante e, prima di recuperare diciannove superstiti della nave affondata, gli dette caccia lanciando in mare quattordici bombe di profondità. L'Argo, che aveva riportato soltanto dei lievi danni, il giorno seguente fu investito da una violenta burrasca. Il mare e il vento che soffiava da sud-ovest raggiunsero forza 10 e ondate di altezza eccezionale sommersero più volte la torretta del sommergibile. Penetrando attraverso il portello aperto, l'acqua allagò la sottostante camera di manovra procurando, ai circuiti elettrici gravi danni, che

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obbligarono l'Argo a lasciare l'agguato. La navigazione di ritorno, resa difficile dal tempo pessimo che non accennava a calmarsi, ebbe un epilogo funesto 1'11 dicembre, quando, per una grossa ondata che sommerse la plancia, il secondo ufficiale, tenente di vascello Alessandro De Santis, venne trascinato in mare e a nulla valsero i tentativi di portargli soccorso.

La motonave britannica Silverpine affondata il 5 dicembre 1941 dal sommergibile Argo ad ovest dell’Irlanda.

Altra immagine del piroscafo Silverpine, della Silver Line Ltd (Stanley & John Thompson Ltd), London.

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Ma perdita ben più grave si verificò il 15 dicembre, quando il Comandante Tarantini, che stava rientrando dalla missione con danni di varia entità causati dal mare, venne silurato alla foce della Gironda dal sommergibile britannico Thunderbolt (capitano di corvetta Cecil Bernard Crouch). Il Thunderbolt, che con altri tre unità subacquee (Unique, Upholder e Usk) costituiva una linea di agguato per attaccare i sommergibili italiani partiti o rientranti a Bordeaux, alle 09.30, stando in immersione, aveva lanciato una salva di sei siluri di prora da una distanza di 4.000 metri, uno dei quali colpì il Tarantini. Le navi pattuglia tedesche V.401 e V.407, che assieme al V 409 stavano pilotando il mercantile francese Chateau Yquem attraverso il canale di sicurezza, accorse in aiuto del Tarantini riuscirono a recuperare il secondo ufficiale e quattro marinai, sbalzati in mare dalla torretta, ma non poterono fare nulla per i cinquantotto uomini che si trovavano nell'interno con il comandante Iaschi, poiché il Tarantini affondò in pochi minuti. Una delle unità tedesche dette caccia al Thunderbolt senza troppa convinzione, perché, non essendo state avvistate scie di siluri ritenne che il Tarantini avesse fatto esplodere una mina magnetica9.

Il sommergibile britannico Thunderbolt che affondò il sommergibile Tarantini il 15 dicembre 1940 alla Foce della Gironda. 9

Il Thunderbolt venne affondato il 24 marzo del 1943 in Mediterraneo, dalla corvetta italiana Cicogna comandata dal tenente di vascello Augusto Migliorini.

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Il sommergibile Capitano Tarantini al varo il 7 gennaio 1940 nei Cantieri Franco Tosi – Taranto.

* * * Nel frattempo si erano avuti nuovi sviluppi. Il 2 dicembre il Comando Superiore dei Sommergibili informò Betasom che le future operazioni dei suoi sommergibili dovevano svolgersi al disotto del parallelo 59°30' Nord, poiché oltre tale limite, ove operavano e transitavano unità di superficie germaniche, erano da prevedersi scarsi successi. A partire dall'indomani, l'ammiraglio Dönitz, che già da alcuni mesi aveva distaccato uno o due sommergibili ad occidente dei propri schieramenti, fra il 20° e il 25° meridiano ovest, per ricevere bollettini meteorologici necessari alla Luftwaffe per le sue operazioni d’attacco all’Inghilterra, decise di assegnare tale compito ai sommergibili italiani, giustificando la scelta con il fatto, annotato nel suo diario di guerra, che essi non avevano dato nelle operazioni quelle prove che da loro fiduciosamente il B.d.U. attendeva. Betasom, del tutto ignaro del significato di quello spostamento delle proprie zone di agguato, assegnò il compito di trasmettere i bollettini meteorologici al Tarantini e all'Argo e li sollecitò a dare notizie. Ma poiché nelle successive ventiquattro ore, pur essendo state stabilite le comunicazioni con uno dei due sommergibili, non giunsero informazioni utilizzabili, Dönitz, per avere i bollettini, si vide costretto ad utilizzare nuovamente uno dei suoi tre U-boote rimasti disponibili dopo l'attacco al convoglio HX.90. Il 4 dicembre Dönitz, alla luce della

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disparità dei risultati riscontrati, riesaminò la convenienza dell'impiego integrato di sommergibili italiani e tedeschi giungendo a nuove considerazioni registrate nel suo diario di guerra: «... Non mi aspettavo che i sommergibili italiani avrebbero subito raggiunto elevate cifre di affondamenti: questa zona operativa è loro ancora troppo estranea, e per di più non hanno mai operato in simili condizioni di mare e di tempo, per cui, d'altronde, non sono soddisfacentemente allestiti. Avevo tuttavia creduto che avrebbero contribuito ad una migliore esplorazione della zona di operazione. Credevo, col loro appoggio, di avere più occhi sul nemico. In effetti però, durante tutto questo tempo non ho ricevuto da loro una sola notizia sul nemico che abbia potuto servirmi per operare. Da loro non sono giunti che numerosi avvistamenti molto tardivi, e per la maggior parte incompleti e imprecisi. Il contatto non è mai stato mantenuto, nemmeno per breve tempo. Nello stesso periodo in cui, nella stessa zona, i sommergibili tedeschi hanno affondato più di 260.000 tsl, i successi italiani ammontano, nella migliore delle ipotesi, a 12.800 tsl (di cui 8.000 dubbie) e ad un cacciatorpediniere affondato. Sono tuttavia in dubbio se, a causa delle loro trasmissioni radiotelegrafiche, dei loro inabili attacchi, e del fatto che «si fanno vedere» il loro ingresso nella zona di operazione dei sommergibili tedeschi, non abbia portato più danno che vantaggio. *** La mia intenzione di dar loro modo, mediante uscite da Bordeaux, sotto consiglio di Ufficiali tedeschi, di addestrarsi nel comportamento da tenere di fronte al nemico, è naufragata in seguito alla presa di posizione del Comando della Marina in Roma. I miei tentativi di impiegarli vantaggiosamente in operazioni belliche davanti al Canale del Nord, hanno avuto esito negativo. Essi non rappresentano un appoggio di pratico valore, e non possono quindi essere valutati come tali. Dal punto di vista della comune condotta di guerra, vi è molto da rammaricarsi di ciò. *** Stando così le cose sono costretto ad impiegare e lasciare operare i sommergibili tedeschi senza tener conto degli italiani. È da sperare che, col tempo, gli italiani in sempre maggior misura trarranno profitto dalle occasioni che loro qui si presentano».

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Parole dure, ma sofferte quelle del Comandante Superiore dei Sommergibili, scritte certamente in un momento di pessimismo e forse di sconforto. Nello svolgimento delle operazioni in comune era fallita ogni forma di collaborazione, e questo malgrado la buona volontà delle due parti di fare del loro meglio. Le critiche ai sommergibili italiani vennero attenuate durante e dopo la guerra dallo stesso ammiraglio Dönitz che diede la seguente spiegazione. Gli equipaggi italiani erano capaci di attaccare il nemico con valore, abnegazione e slancio, ma tali doti non bastavano nella lotta contro i convogli, in quanto occorreva anche tenacia e durezza. Bisognava adempiere al compito estenuante di rimanere per giorni interi in vicinanza dei convogli, in costante pericolo di essere scoperti, fino al momento in cui altri sommergibili avessero raggiunto la posizione per scatenare l'attacco. Le perdite dei contatti furono le cause frequenti degli insuccessi e del fallimento delle operazioni in comune dei sommergibili italiani con quelli tedeschi. Così a partire dal 5 dicembre, Dönitz rinunciò al concorso tattico dei sommergibili di Betasom per lasciare al Comando italiano la direzione autonoma delle operazioni nel quadro di direttive di massima. Era un grave colpo alla collaborazione fra le due Marine, poiché al momento il numero dei sommergibili italiani di base a Bordeaux era superiore a quello dei sommergibili dislocati a Lorient. PRIMI SUCCESSI NEL NORD ATLANTICO Nella prima metà di dicembre partirono da Bordeaux per raggiungere le posizioni assegnate, davanti al Canale del Nord, i sommergibili Calvi, Veniero, Emo, Bagnolini e Tazzoli. L'ammiraglio Dönitz, che disponeva in quella zona di U-43, U52, U-94 U-100 e U-96 (rimpiazzati nella seconda metà del mese da U-95, U-124 e U-38), informò Betasom che i suoi U-boote potevano operare a levante degli schieramenti italiani e anche nelle zone assegnate ai medesimi. Così, fino ai primi di gennaio del 1941, mentre i sommergibili tedeschi si mantenevano prevalentemente a sud del Banco Rockall, gli italiani costituivano un proprio schieramento autonomo, occupando posizioni situate più ad occidente fra il 17° e il 20° meridiano ovest. In questo periodo le condizioni atmosferiche continuarono a rimanere pessime e i sommergibili, sebbene venissero continuamente spostati di posizione, continuarono a non trovare traffico. Il sospetto che il nemico, riuscendo a decifrare le comunicazioni radio dei sommergibili, dirottasse per tempo i suoi convogli, consigliò l'ammiraglio Dönitz a revocare l'ordine di trasmettere i bollettini giornalieri sulla situazione del traffico. I battelli ricevettero l'ordine di comunicare con la radio solo quando fosse stato indispensabile o quando fossero stati ceni che la loro posizione era

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già nota al nemico. Ciononostante non vi furono miglioramenti: il solo U-96 (tenente di vascello Heinrich Lehmann-Willenbrock), che era alla sua prima missione, dopo aver affondato il piroscafo passeggeri britannico Rotoura, di 10.890 tsl, riuscì ad arrivare a contatto con due convogli. Con più lanci di siluri poté affondare quattro navi all'HX.92 nella notte fra l'11 e il 12 dicembre (Towa, Stureholm, Macedonier, Western Prince) e a danneggiare una quinta (Empire Razzorbill), e poi il giorno 18 danneggiare la grossa petroliera olandese Pendrecht (10.746 tsl) dell'OB.259, che fu scortata in porto dal cacciatorpediniere britannico Legion (capitano di fregata Richard Frederick Jessel). Anche contro il naviglio isolato i risultati furono inferiori al previsto. Nella seconda quindicina di dicembre i sommergibili tedeschi affondarono soltanto quattro navi, e lo stesso numero di successi ottennero in quel periodo gli italiani, i quali, malgrado le difficoltà incontrate nel reperire i bersagli, eseguirono diversi attacchi contro unità che per il persistente cattivo tempo si erano distaccate dai convogli. Due navi mercantili, che inizialmente facevano parte del convoglio SC.15 (Canada-Inghilterra) il quale si era disperso il 4 dicembre per le sfavorevoli condizioni del mare, vennero affondate dal Veniero e dal Bagnolini a occidente dell'Irlanda. Nella notte del 18, il Veniero (capitano di corvetta Manlio Petroni) silurò il piroscafo da carico greco Anastassia di 2.883 tonnellate che trasportava un carico di legname da costruzione, e dopo averlo finito a cannonate prese a bordo i nove superstiti i quali, venuti a trovarsi in balia delle onde, si tenevano aggrappati ad una scialuppa di salvataggio. L’Anastassia (ex King City), una carretta del 1905, della London & Northern S.S. Co Ltd di London, si perse con diciotto uomini dell’equipaggio. Nel tardo pomeriggio dell’indomani 19 dicembre, dopo un tenace inseguimento seguito da attacco in immersione, il Bagnolini (capitano di corvetta Franco Tosoni Pittoni) affondò il piroscafo da carico britannico Amicus (capitano William Leyshon Harries), di 3.660 tsl, unità dispersa del convoglio SC.15, incontrato nella sua zona di agguato situata tra il 53° e il 54° parallelo, mentre da Tampa dirigeva per Ipswich, via Sydney. L’Amicus, con un carico di 5.600 tonnellate di fosfati, colpito da un siluro dal Bagnolini a 240 miglia ad ovest di Bloody Foreland, in lat. 54°10’N, long. 15°50’W, andò perduto con l’intero equipaggio di trentasette uomini, compresi due cannonieri. Alcuni giorni più tardi il sommergibile italiano andò incontro ad una brutta avventura.

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Il piroscafo greco Anastassia che fu affondato dal sommergibile Veniero il 18 dicembre 1941, ad ovest della Scozia.

Il piroscafo britannico Amicus affondato dal sommergibile Bagnolini il 19 dicembre 1941 a occidente dell’Irlanda.

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Infatti, il 1° gennaio del 1941, il Bagnolini venne avvistato da un aereo da ricognizione che lo tenne sotto controllo fino al calar della notte. Nel timore di essere attaccato dal velivolo nemico nella fase critica dell'immersione, il comandante Tosoni preferì restare in superficie nelle ore diurne per poi portarsi a quota profonda al sopraggiungere dell'oscurità. Nel frattempo, il peschereccio armato britannico Northern Pride (capitano di corvetta Demond James Boris Jewitt), che faceva parte della scorta del convoglio SL.59 proveniente dalla Sierra Leone e diretto in Gran Bretagna, avendo ricevuto le segnalazioni dell'aereo sulla presenza del Bagnolini, si portò nella zona e con l'Asdic ricercò il sommergibile. Questi, che si manteneva in assetto silenzioso, quando si accorse che stava per essere localizzato scese ad una quota di 80 metri, ma il rumore dei motori lo tradì. Una scarica di quattro bombe di profondità lo centrò con grande precisione frantumando lampade e manometri; si verificarono infiltrazioni d'acqua attraverso lo scafo lesionato in più punti, nonché avarie ai macchinari dei motori elettrici principali che causarono una rapida discesa del sommergibile, fortunatamente arrestata a 130 metri di quota. In queste condizioni al comandante Tosoni non restò che ordinare di dare aria per emergere, preferendo un ardito attacco in superficie, forse senza speranza, ad una fine inevitabile se un ulteriore lancio di bombe fosse stato preciso come il primo.

Il trawler Northern Pride mentre scortava un convoglio.

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Nella notte buia e piovosa, il Bagnolini emerse a circa 200 metri dal Northern Pride e subito, favorito dalla profonda oscurità, cercò di allontanarsi con i motori termici alla massima forza. Il peschereccio armato, dopo aver illuminato il sommergibile con il proiettore, aprì il fuoco con proiettili illuminanti, cui Tosoni si sottrasse entrando in un piovasco. Ad un certo punto, certamente ingannato dai rapidi cambiamenti di posizione della sua nave e di quella che lo inseguiva, ebbe l'impressione di avere di poppa le sagome di due unità: quella che ritenne di un incrociatore ausiliario sulla sinistra; l'altra di una nave pattuglia sulla destra. Ne approfittò per lanciare prontamente due siluri, uno per nave, e avendo osservato una fiammata e udito il rumore di uno scoppio, ritenne di aver centrato l'incrociatore ausiliario. Il comandante Tosoni non poté osservare altro poiché il bersaglio non apparve più alla vista e il peschereccio armato fu ben presto distanziato dal più veloce sommergibile in rapido allontanamento. In questa pericolosa esperienza Tosoni e il suo equipaggio furono molto fortunati, poiché quando, a disimpegno ultimato venne fatto il conto dei danni, apparve che il sommergibile si trovava in condizioni pietose. Nondimeno riuscì a raggiungere la base, dove per provvedere alle riparazioni occorsero ben quattro mesi di lavori. Quanto al presunto siluramento di una nave ausiliaria fu ritenuto trattarsi del piroscafo da passeggeri inglese Derbynshire, che, in realtà, al momento degli eventi si trovava distante più di 1.000 miglia in una zona situata a sud di Gibilterra. La missione del comandante Tosoni venne particolarmente apprezzata dall'ammiraglio Dönitz il quale, in una successiva visita a Bordeaux, lo premiò con l'alta decorazione tedesca della Croce di Ferro di 2a Classe. Di un'altra movimentata missione fu protagonista il Calvi (capitano di corvetta Giuseppe Caridi), che essendo incappato in una tempesta violentissima ad ovest dell'Irlanda, riportò avarie allo scafo e entrate d'acqua dal portello aperto della torretta in camera di manovra, con conseguenti prolungati sbandamenti. Nondimeno riuscì a restare nella zona assegnata, ove eseguì vari tentativi di attacchi a mercantili isolati. Il mattino del 20 dicembre, al termine di un lungo inseguimento notturno, seguito da appostamento e lancio in immersione, avvistò un piroscafo, il britannico Carlton, di 5.645 tsl, iniziandone l’inseguimento. Il Carlton (capitano William Learmount), costruito nel 1924 e appartenente alla R. Chapman & Sons, aveva imbarcato un carico di 5.645 tonnellate di carbone a Newport, nel Galles, da trasportare a Buenos Aires. Si era unito alle ventisette navi del convoglio OB.260, che lasciò Liverpool il 16 dicembre. Tre giorni dopo il convoglio si disperde e il Carlton fece rotta per il Sud America. L’indomani 20 dicembre il piroscafo fu attaccato dal sommergibile Calvi a nord-ovest di Rockall, e reagì con una grossa mitragliera costringendo il

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sommergibile ad immergersi rapidamente per poi, da quota periscopica, attaccare il Carlton con il siluro. Colpito il piroscafo cominciò ad abbassarsi sull’acqua e arrivò l'ordine di abbandono nave. Mentre due lance venivano calate in mare il Calvi inizio il cannoneggiamento della nave. Il Carlton affondò in lat. 58°30’N, long. 18°30’W.

Il piroscafo britannico Carlton che fu affondato dal sommergibile Calvi il 20 dicembre 1941 a nord-ovest di Rockall.

Il sommergibile, dopo essersi avvicinato a due scialuppe di salvataggio, distribuendo ai naufraghi pacchetti di sigarette, lasciando la zona, era costretto ad abbandonare i superstiti dell’equipaggio del Carlton al loro destino, la cui sorte fu tragica. Una scialuppa con il capitano Larmount e diciotto uomini del piroscafo si capovolse e gli occupanti non furono più visti. L’imbarcazione con il primo ufficiale e sedici sopravvissuti, procedendo in balia del mare nelle forti tempeste atlantiche, dopo diciotto giorni arrivò al largo delle coste canadesi; ma soltanto sei uomini, dei quali due ebbero le gambe amputate per congelamento, sopravvissero. Gli altri dodici uomini dell’imbarcazione erano deceduti per lo sfinimento della stressante navigazione e il clima rigido dell’inverno. Infine, quattro uomini furono salvati dal piroscafo britannico Antiope. Complessivamente i morti del Carlton furono trentuno, compreso un cannoniere. Anche il Tazzoli, che al comando del capitano di corvetta Vittore Raccanelli si trovava in zona di operazioni a ponente delle coste settentrionali della Scozia, poté

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svolgere degli attacchi contro navi mercantili. Dopo aver lanciato contro una grossa petroliera unb siluro, che dopo un guizzo deviò per il moto ombroso, sei giorni più tardi, il 25 dicembre cannoneggio il piroscafo britannico l'Everleight, di 5.222 tsl, che riuscì a far perdere le sue tracce entrando in un fitto piovasco.10 Infine nel pomeriggio del 27 dicembre riuscì ad affondare col siluro il piroscafo britannico Ardanbhan, di 4.980 tonnellate, unità dispersa del convoglio OB.263.

Il piroscafo britannico Everleight, del 1933, che riuscì a sottrarsi all’inseguimento del sommergibile Tazzoli.

Costruito nel 1929, della D. & W. Henderson & Co., l’Ardanbhan (capitano W.A. Malverry) si trovava in navigazione da Hull al Mar della Plata (Argentina), con un carico di carbone. Il 26 dicembre, secondo alcuni ricercatori, fu attaccato e danneggiato dal sommergibile tedesco U-38 (tenente di vascello Heinrich Liebe), ma non vi sono prove sufficienti per confermare un suo siluramento. . Tredici ore dopo, nel corso dello stesso giorno, il piroscafo fu avvistato perfettamente indenne dal Tazzoli che, dopo una lunga serie di attacchi, lo affondò a 235 miglia a nord-ovest di Rockall, in lat. 59°16’N, long. 20°27’W. Nell’affondamento decedette l’intero equipaggio di trentanove uomini, inclusi due cannonieri.

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L’Everleight (capitano (Master William Henry Gould) fu affondato il 6 febbraio 1945 dal sommergibile tedesco U-1017 (sottotenente di vascello Werner Riecken) nel Canale della Manica Manica, a sudest di Dulston, silurato mentre si trovava nel convoglio TBC.60. Si salvarono soltanto 5 dei 65 uomini che si trovavano a bordo della nave.

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Nelle due immagini, il piroscafo britannico Ardanbhan che fu affondato dal sommergibile Tazzoli il 27 dicembre a 235 miglia a nord-ovest di Rockall.

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Nella terza decade di dicembre presero il mare da Bordeaux i sommergibili Nani, Da Vinci e Glauco i quali, fino alla seconda metà di gennaio operarono, senza troppa fortuna, ad occidente delle Isole britanniche assieme alle unità subacquee germaniche U-38, U-124, U-95 e U-105. Il Nani (capitano di corvetta Gioacchino Polizzi), salpato con un equipaggio costituito da cinquantasei uomini, il 3 gennaio segnalò: «Traffico negativo. Lascio la zona diretto nord»; poi non dette più notizie. Il 7 gennaio, trovandosi a sud-est dell'Irlanda, venne attaccato con il cannone e affondato con le bombe di profondità dalla corvetta britannica Anemone (capitano di corvetta Humphry Gilbert BoysSmith), che dopo aver scortato il convoglio in uscita OB.269 si dirigeva, per assumerne la scorta, verso l'HX.99 in arrivo dal Canada. Poiché la zona dell'affondamento risulta distante ben 330 miglia da quella assegnata al sommergibile e sembra da escludere uno spostamento tanto ampio, è stata presa in considerazione l'ipotesi che l'unità attaccata dalla Anemone non dovesse essere il Nani. Ma, a conferma della tesi del comandante della corvetta, sta il fatto che essa attaccò al mattino con il cannone e poi con le bombe di profondità un sommergibile di grosse dimensioni, di colore grigio, e che quel giorno nessun altro battello, italiano o germanico, fu attaccato in quel punto.

Il sommergibile Giacomo Nani che dopo una segnalazione del 3 gennaio 1941 non dette più sue notizie. Fu probabilmente affondato il giorno 7 a sud-est dell’Irlanda dalla corvetta britannica Anemone.

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7 La corvetta Anemone cui è dato credito dell’affondamento del sommergibile Nani.

Sommergibile della classe “Marcello” cui apparteneva il Nani.

Due giorni più tardi, nelle prime ore del 9 gennaio, il Glauco (tenente di vascello Luigi Baroni) che, non avendo trovato traffico a ponente della Scozia, si era spostato di 150 miglia verso il Canale del Nord, attaccò la nave ausiliaria oceanica britannica Calvinia, di 6.908 tsl, costruita nel 1924. Avendo fallito il lancio di un siluro, il sommergibile attaccò con i due cannoni, colpendo con un proietto da 100 mm la nave nemica, che era armata, senza causargli gravi danni. Il comandante Baroni ritenne, invece, di aver colpito quella nave con due proietti, e di averla messa in difficoltà. Ma il mare agitato rese instabile la punteria del Glauco, mentre non ne risentiva eccessivamente quella del Calvinia, che reagì a sua volta sparando con precisione con il cannone di poppa falcidiando, con colpi vicini, il personale sulla coperta del sommergibile e costringendo Baroni ad ordinare il rapido disimpegno in immersione per evitare danni maggiori.

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Nell’azione perse la vita il tenente di vascello Carlo Marenco di Moriondo, ufficiale alle Armi. Ferito da schegge di granata mentre dirigeva il tiro e caduto sul ponte, il giovane ufficiale si rialzò, aiutò a ricaricare il pezzo e ne ordinò il fuoco. Poi, abbattutosi in coperta privo di forze, fu trascinato in mare da una ondata e sparì quasi subito, prima che il personale del sommergibile avesse avuto il tempo di aiutarlo. Venne decorato con la Medaglia d'Oro alla memoria, la prima conferita ai sommergibilisti di Bordeaux11.

La nave ausiliaria oceanica britannica Calvinia che nello scontro con il Glauco fu colpita da un proietto da 100 mm. Ma a sua volta procurò con le sue armi seri danni al sommergibile costringendolo a disimpegnarsi immergendosi.

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Carlo Marenco di Moriondo, venticinquenne torinese, figlio e nipote di ammiragli, che prima della guerra si trovava a Massaua, in Eritrea, imbarcato sulla nave coloniale Eritrea, aveva chiesto al padre, Alberto, sommergibilista della prima guerra mondiale, di essere destinato ai sommergibili con una lettera nella quale, tra l'altro, era scritto: «Sono sicuro che capirai il mio stato d'animo. Del resto durante la prima guerra mondiale anche tu hai scritto la stessa cosa allo zio Enrico. Sono venuto in Marina proponendomi di servire il mio Re e il mio paese il meglio possibile, e non è certo stando qui che lo posso fare. Dare la mia vita per quello scopo sarebbe il massimo onore e la massima gioia a cui io possa aspirare. Se dovessi rimanere qui su questa nave durante questa probabile guerra non avrei più il coraggio di farmi vedere fra le gente per bene».

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Il sommergibile Glauco a Bordeaux verso la fine dell’autunno 1940 quando ancora non aveva la torretta modificata.

Il Glauco all’inizio del 1941 con la torretta modificata.

Anche il Da Vinci (capitano di corvetta Ferdinando Calda) ebbe occasione di eseguire un attacco contro un cacciatorpediniere incontrato nelle prime ore del 16 gennaio, ma fallì il bersaglio poiché l'unità nemica, individuato il sommergibile al chiarore lunare, ebbe il tempo di manovrare evitando il siluro.

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IL DECENTRAMENTO DELLA BASE DI BORDEAUX E LA COSTITUZIONE DI UNA SEZIONE TATTICA NEL BALTICO Per la caccia dei sommergibili e degli aerei tedeschi a grande autonomia, l'Aviazione britannica aveva ricevuto pressioni dalla Marina affinché attaccasse più intensamente le basi del nemico in Francia. Così, nell'autunno avanzato del 1940, quando la funzionalità di Betasom aveva raggiunto la piena efficienza, anche la città e il porto di Bordeaux vennero per la prima volta bombardati. L'incursione si svolse nella notte fra il 16 e il 17 ottobre, ma i sommergibili e la base italiana non furono compresi fra gli obiettivi. All'inizio di novembre una serie di attacchi notturni di grande violenza si abbatterono su Lorient, base dei sommergibili tedeschi, e questo rese necessario l'allontanamento dalla zona del porto della sede degli alloggi del personale operaio e degli equipaggi delle unità subacquee. Poiché anche su Bordeaux pendeva una analoga minaccia l'ammiraglio Dönitz, il Comandante delle Forze Navali ad ovest ammiraglio Alfred Saalwächter, il Comandante in Capo della Marina germanica in Francia ammiraglio Karlgeorg Schüster, il delegato del grande ammiraglio Raeder, capitano di vascello Kurt Aschmann, ripetutamente fecero presente all'ammiraglio Parona la necessità di diradare, specialmente durante la notte, gli equipaggi dei sommergibili e il personale della base. Di fronte a queste sollecitazioni venne deciso, con carattere di urgenza, di trasferire alcuni servizi in località non lontane dalla base, in opportune località di campagna, alla periferia di Bordeaux, dove fosse stato possibile occultare fra i boschi gli alloggi e i baraccamenti. Il decentramento era già in atto quando, nella notte fra il 9 e il 10 dicembre, agevolati dalla luminosità della luna e da una non violenta reazione contraerea, 40 bimotori da bombardamento britannici (5 «Beaufort», 23 «Wellington» e 12 «Whitley») si susseguirono, ad ondate successive, per cinque ore su Bordeaux battendo le installazioni, gli ormeggi dei sommergibili e delle navi appoggio della base italiana, e il vicino aeroporto di Merignac. Vennero sganciate 5 mine e 308 bombe, e di queste ultime una quarantina caddero nel recinto dove si trovavano le navi appoggio. Il piroscafo De Grasse, sede del Comando, riportò soltanto danni superficiali da schegge lungo tutta la fiancata sinistra, mentre l'Usaramo, dove si trovavano parte degli alloggi per il personale, centrato in pieno da una bomba a prora, affondò. Sul piroscafo da carico Cap Hadid, che si trovava di poppa all'Usaramo, si sviluppò un incendio di vaste proporzioni che fu domato dopo alcune ore. Vi furono alcuni feriti e 4 morti, fra cui 2 sentinelle del Battaglione «San Marco», ma, fortunatamente, sia i sommergibili che le chiuse del bacino a livello costante rimasero illesi.

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Il piroscafo tedesco Usaramo, che serviva per gli alloggi del personale di Betasom, e che fu affondato la notte del 9-10 dicembre 1941 da aerei da bombardamento della R.A.F.

Questa incursione dimostrò che si doveva accentuare il decentramento del Comando, dei servizi e degli alloggi di tutto il personale in località più sicure, poiché le favorevoli condizioni che l'avevano permessa potevano ripresentarsi a breve scadenza. Il De Grasse, che per la sua mole era un bersaglio facilmente individuabile in notti lunari, fu sgombrato e allontanato lungo il fiume, più a valle, e in pochi giorni fu portato a termine il trasferimento degli alloggi in varie località lungo la strada che va verso Bayonne, entro un raggio di 14 chilometri dalla base. Il Comando ebbe nuova sede nella Villa Moulin d'Ormon assieme ai servizi delle comunicazioni; le abitazioni e gli alloggi degli ufficiali e del personale furono portati, rispettivamente, nei Castelli di Robat e Tauzien e nella ex colonia scolastica di Grandignan. Successivamente, entro il marzo del 1941, furono decentrati anche i depositi con i materiali e le munizioni nella zona di Pierroton, ad una distanza di 22 chilometri dalla base, lungo la linea ferroviaria Bordeaux-Arcachon.

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La Villa Moulin d’Ormon, sede del Comando di Betasom, come si presenta oggi. Dal sito Internet Betasom XI Gruppo Sommergibili Atlantici. http://www.betasom.it/forum/index.php?showtopic=37249

* * * Il 17 dicembre l'ammiraglio Dönitz venne nuovamente incontro ai problemi di carattere addestrativo degli italiani, avanzando nuove proposte. L'ammiraglio Parona, che dopo l'iniziale parere sfavorevole di Supermarina era riuscito a convincere il nuovo Capo di Stato Maggiore, ammiraglio d'Armata Arturo Riccardi, ad accettare l'idea da lui caldeggiata di un centro operativo da costituire nella pane meridionale del Golfo di Guascogna, ricevette la proposta di mandare un nostro sommergibile nel Baltico, per addestrare, alla scuola tattica di Gotenhafen, gli equipaggi di Betasom alla condotta di guerra tedesca. L'indomani, 18 dicembre. Parona inviò a Riccardi la seguente lettera: Eccellenza, faccio seguito alla mia lettera diretta all'Eccellenza il S.C. di Stato Maggiore – ammiraglio Somigli - circa la questione delle esercitazioni dei nostri sommergibili nel Golfo di Guascogna, esercitazioni intese a far acquistare ai comandanti

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all'ufficiale, di guardia ed alle vedette la necessaria preparazione per questa speciale guerra al traffico. L'ammiraglio Dönitz con sua telefonata di ieri mi fa, per ora in via del tutto privata, una nuova proposta sulla quale desidera conoscere il mio parere prima da far fare ufficialmente la proposta a V.E. per gli ordini conseguenti. Per l'esatta comprensione di questa proposta è necessario che V.E. consideri alcuni elementi che hanno certo avuto una notevole influenza nell'animo dell'ammiraglio Dönitz e che si possono così riassumere: – iniziale parere sfavorevole dell'Eccellenza il Capo di Stato Maggiore della R. Marina, all'esecuzione di queste esercitazioni nel Golfo di Guascogna per i rischi dovuti alla presenza di sommergibili inglesi in questa zona, rischi manifestatisi due volte con lancio di siluri contro sommergibili in arrivo (GIULIANI e VENIERO) lancio di siluri da sommergibili contro unità tedesche nella zona di Lorient e St. Nazaire; – presenza di mine in vari punti mine lanciate con ogni probabilità da aerei; – affondamento del TARANTINI che si ritiene dovuto a mina ma che non si può escludere in modo assoluto possa essere causato da siluro lanciato da sommergibile nemico perché nella zona intorno al punto di affondamento, accuratamente esplorata, non si sono trovate altre mine né ancorate né magnetiche. La proposta dell'ammiraglio Dönitz si può così riassumere: “Allo scopo di ottenere che i sommergibili italiani possano raggiungere in questa nuova forma di guerra i successi che meritano e contribuire in modo efficace alla guerra contro il traffico insieme ai compagni tedeschi, vorrei proporre che fossero inviati due o tre dei sommergibili del Gruppo Atlantico a Gothenhafen (nel Baltico): in tal modo i sommergibili potrebbero fare il loro allenamento servendosi di tutti i mezzi che con grande larghezza abbiamo disposto per la scuola tattica e sperimentato da mesi con piena soddisfazione: naturalmente su queste unità potrebbero alternarsi comandanti, ufficiali di guardia e vedette di tutti gli altri sommergibili nel periodo di loro permanenza alla base. Tutta l'organizzazione della scuola sarebbe naturalmente a vostra disposizione senza che dobbiate fare alcun nuovo lavoro di organizzazione. Io intanto vado avanti a preparare l'organizzazione di un paio di piroscafi per le esercitazioni nel Golfo di Guascogna, ma desidererei sapere il vostro parere circa questa nuova proposta che mi sembra rispondere meglio allo scopo”.

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Ho risposto all'ammiraglio Dönitz in questi termini: “Vi ringrazio di questo vostro amichevole interessamento: come voi avete potuto rendervi conto i nostri sommergibili hanno incontrato, sia per la stagione sfavorevole che per le novità di questa forma di impiego, notevole difficoltà: i nostri sommergibili non hanno potuto ottenere i successi desiderati ma stanno perfezionando la loro preparazione e facendo l'allenamento alle particolari condizioni di tempo e di mare. Io sono convinto che potranno per la prossima primavera essere “a punto” se i comandanti avranno potuto fare qualche esercizio per rendersi conto delle modalità più adatte a poter seguire un convoglio senza farsi avvistare. L'invio di due o tre sommergibili nel Baltico per la scuola non è privo di difficoltà sia per il lungo tragitto da far compiere ai sommergibili sia per la necessità di inviare a Gothenhafen materiali di rispetto per eventuali lavori di manutenzione ai sommergibili dopo la traversata e durante la loro permanenza alla scuola. Ad ogni modo pure essendo io favorevolissimo a qualunque lavoro possa dar modo ai nostri sommergibili di acquistare rapidamente la desiderata efficienza per questa forma di guerra, prima di potervi dare una risposta in proposito, devo chiedere ordini all'Eccellenza il Capo di Stato Maggiore”. Sulle proposte dell'ammiraglio Dönitz pregiami sottoporre, per le decisioni dell'E.V., le seguenti considerazioni: 1° - Il trasferimento di due o tre sommergibili da Bx al Baltico non è privo di difficoltà belliche ed idrografiche dovute al fatto che è necessario risalire fino al Nord delle Shetland e passare poi lungo la costa norvegese dove naturalmente il sommergibile potrebbe essere scortato da aerei ed eventualmente pilotato da unità di superficie. 2° - Il trasferimento implica un percorso di circa mg. 2.700 con conseguente usura del materiale che avrà poi necessità di manutenzione e revisione che potrebbero essere eseguite a Gothenhafen stesso con mezzi dei cantieri tedeschi e guida del personale di bordo mandando sul posto una piccola scorta di pezzi di rispetto. 3° - Le esercitazioni avrebbero luogo secondo i programmi e sotto la direzione del Comando della scuola tattica (capitano di corvetta Söbe): potrei eventualmente dislocare presso il Comando scuola il capitano di fregata Longobardo se sostituito nel comando del TORELLI. Questa situazione non è evidentemente piacevole ma, se

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si tiene conto del fine da raggiungere, mi pare che si possa accettare anche la dura necessità di andare ad imparare da quelli che ne sanno di più per aver studiato a fondo il problema e preparato, in tutti i particolari, l'organizzazione appropriata. 4° - Le condizioni del Baltico sono evidentemente diverse da quelle del Nord Atlantico ma i nostri comandanti hanno ormai compiuto tutti almeno una o due missioni nella zona di operazione e fatto un discreto allenamento al mare. 5° - L'invio dei due sommergibili e successivamente dei comandanti e parte dell'equipaggio alla scuola implica una riduzione dell'attività dei nostri sommergibili nella zona di operazione: ritengo che questo inconveniente sia accettabile perché in questa stagione particolarmente sfavorevole l'attività non può dare grandi risultati e perché mi permetterebbe di eseguire i lavori indispensabili di manutenzione, rinforzo agli scafi non resistenti, riduzione delle torrette, riduzione lunghezza camicie periscopi, allungamento trombini aspirazione motori etc. ai quali potrò metter mano con intensità coll'arrivo degli operai richiesti. 6° - Deve essere messa in bilancio anche la possibilità che i comandanti, stati maggiori e servizio vedetta di ogni sommergibile dopo fatto l'allenamento nel Baltico, ritornino qui per prendere il comando e partire con un sommergibile che non è proprio ma che sarà stato nel frattempo perfettamente approntato: questo è un inconveniente non lieve: sarà fatto il possibile per ottenere che ogni comandante parta sempre con la propria unità ma ad ogni modo ritengo che anche questa difficoltà potrà essere superata. Ritengo di aver esposto le vane difficoltà di ordine morale e materiale relative alla proposta dell'ammiraglio Dönitz: è evidente che la questione più importante è quella di principio sulla quale solo l'E.V. può essere giudice. Data la conoscenza che ho dell'Ammiraglio e dei suoi sistemi, ritengo che la sua proposta sia ispirata da un sincero desiderio di mettere i nostri comandanti al più presto nelle condizioni di ottenere i successi ai quali hanno ragione di aspirare, in considerazione dei sacrifici e fatiche sopportate. Vi pregherei, Eccellenza, di voler dare a questa mia lettera una risposta telegrafica a mezzo telescrivente allo scopo di poter rispondere all'ammiraglio Dönitz con sollecita cortesia. La proposta di Dönitz, che avrebbe permesso agli equipaggi di Betasom di potersi vantaggiosamente istruire su propri battelli e quindi di soddisfare in pieno le esigenze di addestramento senza dovere affrontare rischi pericolosi nel Golfo di Guascogna, venne approvata a Roma all'inizio di gennaio del 1941. Supermarina decise infatti che a Gotenhafen fosse costituita una Sezione tattica, il cui Comando,

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denominato telegraficamente Marigammasom, venne assunto dal capitano di corvetta Alberto Giovannini. Inizialmente si pensò di inviare nel Baltico i sommergibili Giuliani e Bagnolini, che al momento si trovavano in cantiere per danni riportati nelle precedenti missioni di guerra. Ma, a causa di esigenze successivamente sopraggiunte, il solo Giuliani (capitano di corvetta Vittore Raccanelli) si rese disponibile e partì a metà marzo per il Baltico per iniziare la sua attività di addestramento il 6 aprile. La Marina tedesca mise a disposizione per le necessità logistiche della Sezione tattica la nave appoggio sommergibili Isar, che venne impiegata anche quale unità bersaglio, mentre la 27a Flottiglia Tattica (capitano di corvetta Ernst Söbe) assicurò la necessaria assistenza operativa fino a metà aprile del 1942 quando, con il rientro a Bordeaux del Giuliani, i corsi addestrativi furono soppressi.

Il sommergibile Reginaldo Giuliani che fu distaccato a Gotenhafen, nel Baltico, per addestrare, con esercitazioni pratiche, il personale sommergibilista italiano presso la locale Scuola degli U-boote tedeschi.

In questo periodo – a parte una sospensione verificatasi fra il giugno e l'ottobre del 1941, e che fu determinata dalle operazioni belliche che si svolgevano nel Baltico dopo l'attacco della Germania alla Russia – l'attività addestrativa dei sommergibilisti di Marigammasom si svolse fino a novembre. Ne ultimarono il programma, con cicli di circa venti giorni, sette comandanti, nonché alcuni nuclei di personale di plancia di

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cinque sommergibili ed altro personale della costituita Scuola Sommergibili di Pola. Dal novembre del 1941 fino alla tarda primavera dell'anno seguente i cicli addestrativi furono soppressi per le eccessivamente cattive condizioni atmosferiche dell'inverno che causarono il congelamento del Baltico12.

Imbarco di un siluro sul sul sommergibile Giuliani, durante il periodo trascorso a Gotenhafen.

UN OTTIMA MISSIONE DEL SOMMERGIBILE TORELLI All'inizio del 1941 la forza numerica operativa dei sommergibili tedeschi raggiunse la consistenza più bassa. La perdita di tre unità nell'autunno, la partenza di molte altre di maggiore dislocamento – in attività dal principio della guerra – per urgenti lavori negli arsenali della Germania, il ritiro dalle operazioni dei piccoli battelli del tipo «II» (da 250 tonnellate) per assegnarli alle scuole a scopi addestrativi,

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Nell'ordine, ultimarono il ciclo addestrativo i seguenti ufficiali: tenente di vascello Mario Paolo Pollina; capitano di corvetta Emilio Olivieri; tenente di vascello Walter Auconi; capitani di corvetta Enzo Grossi, luigi Longanesi Cattani, Ugo Giudice; tenente di vascello Mario Tei.

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ridusse il numero degli U-boote disponibili in Francia a sedici13. Nella stessa epoca erano presenti a Bordeaux venticinque sommergibili italiani, ma di essi circa la metà si trovavano a lavori di trasformazione o in riparazione e questo comportò di non poterne disporre di più di tre o quattro alla volta in zona di operazione. In questa situazione, nella seconda metà di gennaio si trovarono concentrati ad occidente del Canale del Nord e dell'Irlanda i sommergibili Malaspina, Torelli, Marcello, U-93, U-94, U-96, U-105, U-123, U-124 e U-106, quest'ultimo con compiti di battello meteorologico. Per gli italiani l'anno 1941 non era certamente cominciato nel migliore dei modi dopo i grossi danni riportati dal Bagnolini e la perdita del Nani. Nondimeno una notevole azione individuale del Torelli servì a rinsaldare il morale degli equipaggi degli altri sommergibili di Betasom. Il Torelli era comandato dal capitano di fregata Primo Longobardo, ufficiale sardo di corporatura robusta e vigorosa che per la sua vasta preparazione e conoscenza dei problemi navali aveva il dono di esercitare un forte ascendente su colleghi e subalterni. Nato a La Maddalena il 19 ottobre del 1901, entrato in Accademia il 1° settembre del 1915 e nominato guardiamarina il 16 luglio del 1920, partecipò alla guerra di Spagna al comando del sommergibile oceanico Galileo Ferraris, con il quale il 9 febbraio del 1937 affondò in bassi fondali, nelle acque di Terragona, il piroscafo Navarra guadagnandosi la Medaglia d'Argento. Già istruttore dell'Accademia Navale di Livorno, all'inizio della guerra comandava il 2° Gruppo sommergibili di Napoli che comprendeva gran parte delle unità che in quel periodo si apprestavano a trasferirsi in oceano. Longobardo, che avendo superato la quarantina era stato destinato ad assumere incarichi di responsabilità presso il Comando in Capo della Squadra Sommergibili, aveva insistito parecchio per essere assegnato alle unità operanti in Atlantico.

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Sommergibili disponibili al 1° gennaio 1941. Tedeschi: 6 in missione: U-38, U-95, U-105; U-124 nel Nord Atlantico; U-37 lungo le coste meridionali iberiche; U-65 nella zona di Freetown. 10 a Lorient: U-43, U-47, U-52, U-93 , U-94, U-96, U-99, U-101 , U-103, U-123. 4 a Kiel, in Germania, a lavori: U-46, U-48, U-100, U-A. Italiani: 9 in missione: Tazzoli, Da Vinci, Bagnolini, Nani, Glauco in zona nel Nord Atlantico; Cappellini in rotta per la zona di Freetown; Calvi, Emo, Veniero in rotta di ritorno dalla zona operativa del Nord Atlantico. 16 a Bordeaux: Finzi, Malaspina, Marconi, Baracca, Bianchi, Mocenigo, Barbarigo, Dandolo, Marcello, Morosini, Brin, Otaria, Velella, Giuliani, Argo, Torelli.

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Il sommergibile Torelli a Bordeaux all’inizio di ottobre 1940, dopo l’arrivo dall’Italia.

Nel settembre del 1940, in attesa di ottenere il comando del Torelli in trasferimento dall'Italia a Bordeaux, Longobardo aveva svolto una missione di carattere orientativo sul sommergibile tedesco U-99. Grazie al tenente di vascello Otto Kretschmer, specialista della tattica di lancio singolo e considerato dall'ammiraglio Dönitz, non a torto, il suo migliore comandante, ebbe modo di farsi una esperienza che, come vedremo, dovette risultargli molto utile14.

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Il capitano di corvetta Otto Kretschmer fu il sommergibilista che nella seconda guerra mondiale ottenne il maggior numero di successi. Fra il settembre del 1939 e il marzo del 1941 con i sommergibili U·23 e U-99 in sedici missioni affondò 44 navi mercantili ed un cacciatorpediniere, il britannico Daring, meritandosi le spade (concesse il 26 dicembre 1941) sulla croce di cavaliere con fronde di quercia. Kretschmer fu fatto prigioniero dai britannici il 17 marzo del 1941 quando l'U-99 fu affondato a sud-ovest dell'Islanda dal cacciatorpediniere Walker. Trasferito in Canada al campo 30, rientrato in Germania nel 1947, e stato ammiraglio della Marina Federale tedesca (Bundesmarine) con alti incarichi anche in ambito NATO. In pensione nel 1970, per un incidente decedette in un ospedale della Baviera nell’estate 1998, e le sue ceneri dopo la cremazione gettate in mare.

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Il capitano di corvetta Otto Kretshmer, comandante del sommergibile U-99. Ha al collo la croce di cavaliere con fronde di quercia, a cui in prigionia in Canada furono aggiunte le spade. Fu anche promosso capitano di fregata.

Il Torelli partì da Bordeaux nel pomeriggio del 9 gennaio per operare a ovest del Canale del Nord e spingersi, con facoltà di scelta del momento favorevole da parte del comandante, fino al 66° parallelo nord, ove si supponeva passasse gran parte del traffico nemico. Nel Golfo di Guascogna il sommergibile trovò vento forte di grecale, mare molto agitato (forza 8 e 9), e una temperatura proibitiva di 17 gradi sotto zero. In tali condizioni, procedendo a velocità normale, il Torelli avanzò faticosamente e rollando di 25 gradi per parte, mentre gli spruzzi d'acqua che si abbattevano in coperta, trasformandosi immediatamente in ghiaccio, gli fecero assumere un aspetto polare. Dopo cinque giorni di questa difficile navigazione, verso le 11.30 del 14, giunse da Betasom la segnalazione che un convoglio (1'OB.272), avvistato al mattino da uno dei due velivoli FW.200 del I./KG.40 decollati da Marignac (Bordeaux) e poi dall'U105 (tenente di vascello Georg Schewe) che non riuscì ad attaccare, si trovava in navigazione dall'Inghilterra verso occidente alla velocità di 8 nodi. Il convoglio era infatti partito da Liverpool il 10 gennaio e si componeva di ventotto navi mercantili e

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sei unità di scorta, per poi disperdersi il giorno 14 a occidente dell’Irlanda. La nave del commodoro del convoglio era il piroscafo britannico Athelknight. Il comandante Longobardo, che in quel momento si trovava ad occidente dell'Irlanda, fatto il punto si accorse che i mercantili distavano ben 550 miglia dalla sua posizione, ma non esitò: ordinò di invertire la rotta e con le macchine a tutta forza diresse per tagliare la rotta al nemico. Aveva stimato di poter giungere a contatto con il convoglio nella mattinata del giorno seguente e pertanto navigò tutta la notte fiducioso che con l'alba avrebbe avvistato qualcosa. Ma non fu così: la mattina trascorse e l'orizzonte continuò ad apparire deserto. Ormai Longobardo cominciava a disperare di poter agganciare quel convoglio quando, alle 16.25 del pomeriggio, il secondo ufficiale lanciò il segnale di avvistamento di fumo all'orizzonte, a 30 gradi a sinistra della prora. In quel momento le condizioni atmosferiche erano alquanto migliorate: mare e vento da nord-est con forza 3, e malgrado il cielo fosse coperto da grosse nubi e la pioggia intermittente, l'orizzonte appariva chiaro. Longobardo accostò nella direzione del fumo, avvicinandosi fino a distinguere gli alberi di una nave. Poté poi accertare che in realtà si trattava di un piccolo gruppo di quattro piroscafi (che avevano proseguito raggruppati dopo lo scioglimento del loro convoglio (OB.272) e ne apprezzò la rotta ad ovest e la velocità fra le 8 e le 9 miglia orarie. Non restava che attendere il momento favorevole. Aveva già un suo piano che imitava la tattica di Kretschmer e che consisteva nel cercare di rimanere in vista delle navi nemiche, mantenendosi al limite della visibilità durante il giorno per poi stringere le distanze e attaccare a fondo, con lanci singoli, al calar del sole. In tal modo si comportò. Il sole tramontò alle 20.35 e 25 minuti più tardi, con l'oscurità ormai totale, il Torelli, che dopo un inseguimento perfetto si era portato davanti al nemico, muoveva all'attacco. Il comandante Longobardo, nella sua relazione, descrisse l'azione come segue: «Alle ore 21.00 dirigo per l'attacco del piroscafo di testa facendo allagare 4 tubi di lancio (1-2-5-6). Mare e vento da nord-est forza 2-3. Orizzonte discreto, cielo coperto da grosse nuvole, qualche piovasco. Alle ore 21.20 attacco il primo piroscafo della formazione (6 mila tonnellate circa, molto carico). Poco prima del lancio ritengo di essere stato avvistato; infatti il piroscafo accosta mettendo la prora sul sommergibile e manda l'armamento a posto al pezzo che ha di poppa. Manovro in modo da lanciare di poppa aumentando in un primo tempo di velocità e fermando i motori in un secondo tempo. Lancio dal tubo n°

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5 a distanza di circa 400 metri e colpisco il piroscafo fra la plancia e la prora. Il piroscafo [il greco Nemea, di 5.101 tsl] affonda lentamente appruandosi fortemente. Alle ore 21.30 accosto per andare all'attacco del secondo piroscafo (3.500 tonnellate circa). Trattasi di un piroscafo scarico, perché lo scafo emerge molto dalla linea d'acqua. Tutti i piroscafi hanno intanto accostato seguendo rotte varie. Alle ore 21.48 lancio successivamente n° 2 siluri (tubi n° 1 e 2) ad una distanza di circa 400 metri dal secondo piroscafo, perché immediatamente dietro e leggermente a poppavia del piroscafo direttamente attaccato si profilano nettamente le sagome del terzo e del quarto piroscafo del convoglio. Sento distintamente due scoppi successivi. Il secondo piroscafo [il norvegese Brask, di 4.047 tsl] affonda rapidamente di prora scomparendo dopo una trentina di secondi, essendo però riuscito, nonostante il brevissimo tempo, a mettere in mare le imbarcazioni. Il piroscafo successivo accosta subito nella mia direzione. Noto di prora forti luci nella direzione di lancio, simile a quelle lanciate da imbarcazioni messe a mare dopo siluramento. Non è improbabile che il 2° siluro lanciato abbia colpito l'ultimo piroscafo della formazione, tanto più che nella successiva manovra di attacco al terzo piroscafo, che mi ha fatto perdere un tempo notevole, non sono riuscito ad individuare l'ultimo piroscafo del convoglio nonostante le varie rotte eseguite in zona ad andature varie. Alle ore 21.51 faccio allagare i tubi n° 3 e 4 e seguo rotte varie per attaccare il terzo piroscafo. Devo rinnovare più volte l'attacco perché il piroscafo naviga zigzagando con cambiamenti di rotta assai frequenti. Trattasi di un piroscafo di circa 6 mila tonnellate molto carico. Alle 23.51 alla distanza di circa 500 metri lancio dal tubo n° 6. Immediatamente dopo il lancio il piroscafo accosta rapidamente evitando il siluro. Mi allontano decisamente, ritorno all'attacco alle ore 00.20. A tale ora a distanza di 400 metri eseguo il lancio dal tubo n° 4 colpendo il piroscafo a proravia della plancia. La nave [il piroscafo greco Nikolaos Filinis, di 3.111 tsl] s'inclinò fortemente fino ad avere la prora quasi completamente sotto l'acqua ma non accenna ad affondare che molto lentamente. Faccio armare il cannone e sparo 27 colpi a distanza ravvicinata provocando a bordo un grande incendio. Alle ore 01.00 mi allontano per Pv 160° mettendo i 2 M.T. a giri 380. Nel dubbio non procedo alla ricerca del quarto piroscafo anche per non allontanarmi eccessivamente dalla zona di agguato assegnatami che è ancora molto distante tenuto conto anche del consumo notevole di nafta finora avuto per raggiungere la zona di incontro con il convoglio».

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Dei tre piroscafi affondati dal Torelli, il greco Nemea, costruito nel 1917 e appartenente alla Ger N and Demetrios Denys Stathartos di Athens, dopo essere stato colpito da un siluro, fu abbandonato dall’equipaggio, ma rimase a galla. La nave era partita da Barry con un carico di carbone ed era diretta in Grecia, a Salonicco, circumnavigando l’Africa e passando per il Canale di Suez. L’indomani, 16 gennaio, una parte suoi uomini, insieme ad alcuni sopravvissuti del Brask, risalirono a bordo del Nemea, e diressero la nave verso l’Irlanda. Furono poi raggiunti dal cacciatorpediniere britannico Higlander (capitano di fregata Sidney Boucher) che, avendo constatate le precarie condizioni di galleggiabilità del piroscafo, prese a bordo i diciassette uomini che vi si trovavano. Successivamente il Nemea affondò l’indomani 17, in lat. 52°33’N, long. 24°13’W, a 445 miglia ad ovest di Rockall, e con esso si persero quattordici uomini.

Il piroscafo greco Nemea che assieme ad altri due piroscafi greci, Brask e Nikolaos Filinis, fu affondato ad ovest dell’Irlanda dal sommergibile dal Torelli del capitano di fregata Primo Longobardo, nell’attacco alle unità disperse del convoglio OB.272.

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Il piroscafo norvegese Brash la seconda nave mercantile del convoglio OB.272 affondata del sommergibile Torelli.

Il piroscafo greco Nikolaos Filinis la terza nave affondata dal sommergibile Torelli.

Il norvegese Brask (capitano Gustav Rokenes), costruito nel 1911 e appartenente alla "Nilssen & Sonner" di Oslo, era salpato in zavorra da Gourock con destinazione Durban. Si era poi unito al convoglio OB.272, partito il 10 gennaio da Liverpool e

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costituito da ventidue navi e sei unità di scorta. Al momento dell’attacco del Torelli guidava la rotta davanti al Nemea. Colpita sul lato sinistro nella stiva numero due da un siluro che aprì un grosso squarcio verso la prora, il piroscafo affondò in 3 minuti. Dell’equipaggio andarono perduti dodici uomini, compreso il comandante, mentre gli altri venti, avendo preso posto su una scialuppa, furono recuperati il mattino del 17 gennaio dal cacciatorpediniere britannico Higlander del capitano di fregata Boucher e portati a Londonderry. Il Nikolaos Filinis, una carretta del 1904 della "Nikes N. Filinis" di Atene con a bordo un carico di carbone, fu il terzo piroscafo ad essere affondata dal Torelli coll’impiego del siluro e del cannone da 100 mm. Affondò a 429 miglia a ovest di Rockall (Irlanda). Dell’equipaggio si persero tre uomini, mentre altri ventisei furono salvati. Il 19 gennaio, raggiunto il settore assegnato dall'ordine di operazioni, ad occidente del Canale del Nord, il Torelli trovò un banco di nebbia stagnante nella zona e una visibilità talmente ridotta che dalla plancia non era possibile riuscire a distinguere la prua del battello. Per evitare una eventuale collisione con qualche unità navale in transito, il sommergibile si immerse e l'indomani 20, essendo stato localizzato dal cacciatorpediniere di squadra Legion (capitano di fregata Richard Frederick Jessel), che asseme al Salopian era stato inviato a ricercare i naufraghi del piroscafo britannico Zealandic affondato il 16 gennaio dall’ U-106 (tenente di vascello Jürgen Oesten), il Torelli riuscì a sottrarsi alle bombe di profondità manovrando adeguatamente a 70 metri di quota.15

Sommergibile tedesco tipo IX a cui apparteneva l’U-106.

15

Alle ore 00.45 del 17 gennaio 1941 la motonave britannica Zealandic di 10.578 tsl, mentre procedeva senza scorta Al comando del capitano Frederick James Ogilvie, fu colpita da un siluro G7 lanciato dal sommergibile germanico U-106 a circa 230 miglia a nordovest di Rockall. La nave si arresto e l’equipaggio, di 65 uomini, fu visto dal sommergibile allontanarsi su scialuppe di salvataggio, ma nessuno sopravvisse. Nel frattempo l’U-106 aveva dato il colpo di grazia allo Zealandic con due siluri, alle 00.59 e alle 01.27.

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La motonave britannica Zealandic, di 10.578 tsl, silurata e affondata dall’U-106.

Tornato in superficie nelle ore notturne, e individuati due grossi cacciatorpediniere ritenuti del tipo «Acasta», il comandante Longobardo attaccò con grande decisione, ma purtroppo anche senza fortuna, avendo calcolato in modo errato la velocità dei bersagli. Dopo il lancio di tre siluri di poppa , il sommergibile effettuò la rapida immersione per sfuggire alla reazione delle unità nemiche. Seguì una breve caccia con lancio di bombe di profondità più o meno centrate che procurarono al Torelli lievi danni, limitati alla rottura di lampade e manometri. Risulta che i cacciatorpediniere britannici della 6a Flottiglia Somali, Matabele, Bedouin e Tartar erano stati staccati dalla scorta alla corazzata King George V, nave ammiraglia della Home Fleet che trasportò negli Stati Uniti il nuovo ambasciatore britannico Lord Halifax. Essi stavano rientrando alla base di Scapa Flow, quando alle 07.00 del 20 gennaio il capo squadriglia Somali (capitano di vascello Clifford Caslon), trovandosi approssimativamente in lat. 59°40’N, long. 17°52’W, avvistò e poi attacco con cariche di profondità un sommergibile, che era evidentemente il Torelli, ma senza successo. E’ possibile che il Somali fosse la nave attaccata dal comandante Longobardo.

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Il cacciatorpediniere Legion che contrattacco il Torelli senza successo.

Il mattino del 28 gennaio, quando ormai aveva ripreso la rotta per rientrare a Bordeaux, il Torelli incontrò il piroscafo da carico britannico Urla (capitano Edward Christopher Marsden), di 5.198 tsl, costruito nel 1924 per la Ardrossan Drydock & Shipbuilding Co. Era un’unità dispersa del convoglio HX.102, partita da Boston e diretta a Manchester, via Halifax, con un carico di 3.805 tonnellate di acciaio e 3.000 tonnellate di legno.16 La nave, colpita da un siluro, affondò a 234 miglia ad ovest di Rockall, in lat. 54°54’N, 19°20’W, ma l’intero equipaggio di quarantadue uomini fu recuperato dal piroscafo britannico Siris e sbarcato a Oban.

16

Il convoglio HX.102 fu attaccato fra le 11.10 e le 12.25 del 28 gennaio da cinque velivoli FW.200 del I./KG.40 che con piloti tenenti Heinrich Schlosset e Hans Buchholz e i capitani Edmund Daser e Fritz Flieger affondarono i piroscafi Glalrosa e Pandion. Nessun successo fu conseguito dal velivolo del tenete Hans-Joichen Bobsien.

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Due immagini del piroscafo britannico Urla affondato dal sommergibile Torelli il 28 gennaio 1941.

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Gennaio 1941 il rientro a Bordeax del sommergibile Torelli, accolto dall’ammiraglio Parona. In torretta, con la sciarpa bianca, il comandante capitano di fregata Primo Longobardo.

Il rientro rientro a Bordeaux del sommergibile Torelli dalla missione iniziata il 9 gennaio nel corso del quale aveva affondato ad ovest dell’Irlanda quattro piroscafi per 17.998 tsl. Nell’immagine il comandante del Torelli, capitano di fregata Primo Longobardo, e complimentato dal capitano di fregata Hans Rudolf Rösing, ufficiale di collegamento del B.d.U. a Betasom e già comandante del famoso U-48 (13 navi affondate) il sommergibile più vittorioso nella seconda guerra mondiale. 51 navi affondate per 306.874 tsl, 3 danneggiate per 20.480 tsl, e affondato il cacciatorpediniere britannico Dundee di 1.060 tonn.

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Rientrato trionfalmente alla base il 4 febbraio, con all'attivo l'affondamento di quattro navi mercantili per 17.998 tsl, che rappresentava allora la cifra più alta ottenuta da un nostro sommergibile, Longobardo fu decorato con la Medaglia d'Argento al Valor Militare. In seguito, nonostante le sue proteste, fu richiamato nel Mediterraneo e destinato quale istruttore alla Scuola Sommergibili di Pola dove restò un anno. Dopo un altro breve periodo trascorso a Roma, presso Maricosom, nell'estate del 1942 fu trasferito a Betasom, dove ebbe occasione di operare ancora in Atlantico, al comando del Calvi.

L’ammiraglio in visita a Bordeaux, accompagnato dall’ammiraglio Parona, si intrattiene con il capitano di fregata Primo Longobardo.

Sullo svolgimento della missione del Torelli, e in particolare sul comportamento del comandante Longobardo, sia nei riguardi delle quattro navi mercantili affondate e sia sul fallimento dell’attacco ai cacciatorpediniere, l’ammiraglio Parona scrivendo a Supermarina (lettera 52/SRP del 18 febbraio 1941) riportò il seguente lodevole giudizio: La missione, nel corso della quale sono state affondate oltre 20.000 B.R.T. di naviglio mercantile, è caratterizzata da una decisa intelligente aggressività e da un impiego delle armi conforme alle direttive vigenti. Infatti:

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a) - Nell’azione contro il convoglio come in quella contro il piroscafo URLA, l’azione è condotta con intelligente apprezzamento della situazione nella fase di ricerca e con calma decisione nella fase di attacco che ha considerato ultimata soltanto quando tutte le unità avvistate sono scomparse; b) – nell’azione contro i CC.TT. l’azione è caratterizzata da decisa volontà aggressiva e l’errore di valutazione della velocità nemica (zero invece di 7 nodi) è perfettamente comprensibile perché la situazione richiedeva rapidissima decisione e non concedeva al Comandante di attendere una più accurata misura della velocità nemica. Informo che l’ammiraglio Donitz, (B.d.U.) dopo averne chiesto licenza all’Ecc. Falangola [Comandante di Maricosom], farà assegnare al Comandante Longobardo la “Croce di Ferro”.

Disegno di Antonio Mattesini.

* * * Mentre il Torelli svolgeva brillantemente la sua missione, il Malaspina e il Marcello avevano continuato ad operare nelle zone assegnate, ma ancora una volta senza troppa fortuna. Nella seconda metà di gennaio le condizioni atmosferiche si mantennero particolarmente avverse, con forte moto ondoso e considerevole

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riduzione della visibilità. Ragion per cui scarsi risultarono gli avvistamenti di navi nemiche e altrettanto scarse le condizioni favorevoli per attaccare con successo, anche quando il sommergibile si trovava in buona posizione di partenza rispetto al bersaglio. Il Marcello (capitano di corvetta Carlo Alberto Teppati) nel pomeriggio del giorno 17 avvistò un convoglio di una ventina di piroscafi a ponente dell'Irlanda, ma un cacciatorpediniere lo costrinse a disimpegnarsi prima di aver potuto lanciare il segnale di scoperta. Tornato in superficie nella notte, dopo aver subito una breve caccia con bombe di profondità che determinarono alcune lesioni alla cassa di assetto prodiera, il sommergibile, come rilevò l'ammiraglio Parona, trasmise la posizione del nemico in modo incerto e incompleto, né poi riuscì a rintracciarlo. In tali condizioni, mentre Betasom non poté fare intervenire il Malaspina e il Torelli, che si trovavano nelle vicinanze del Marcello, anche il B.d.U. non giudicò redditizio di spostare i suoi U-boote, perché ritenne le informazioni trasmesse dal sommergibile italiano troppo frammentarie e scarse le possibilità di riuscire ad agganciare il convoglio. Costretto per i danni riportati a riprendere la rotta del rientro, nella tarda mattinata del 20 gennaio il Marcello avvistò un piroscafo da carico armato, di circa 7.000 tonnellate, e dopo aver inutilmente tentato di attaccarlo in immersione, a causa del mare mosso, venne in superficie e lo impegnò con i suoi due cannoni in lat. 49°50’N, long. 18°15’W. La nave nemica, che dai segnali di soccorso con nominativo SVBL il B-Dienst ritenne di individuare per la greca Eleni, rispose al fuoco ma, centrata dopo poche salve, alle 14.00 fu vista affondare in una grande densa nuvola di vapore probabilmente per esplosione interna provocata da una granata. In quella zona sparì quel giorno senza lasciare tracce, con l’intero equipaggio di ventitré uomini, il vecchio piroscafo belga Portugal (capitano Armand Messiante), di 1.550 tsl, costruito in Germania nel 1906, appartenente alla Compagnie National Belge de Transports Maritimes, in viaggio da Lisbona per Methil e Goole, con un carico di 2.230 tonnellate di pirite, e inserito a Gibilterra nel convoglio HG.50, salpato l’8 gennaio. E poiché si ritenne non vi fossero state azioni di altro genere, sembrava evidente che si trattasse della nave attaccata dal Marcello. Se nonché restava da chiarire il fatto che alle 11.37 di quel giorno 20, la motonave norvegese Thelma, di 8.297 tsl, del medesimo convoglio HG.50, aveva comunicato di essere stata attaccata da un sommergibile nel punto lat. 50°N, long. 18°45’W, ma rispondendo al fuoco con il suo cannone a poppa era riuscita a sfuggire alla caccia dell’unità subacquea, senza danni, per poi raggiungere Obanx. La posizione dell’attacco comunicata dal Telma approssimativamente corrisponde a

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quella dell’attacco del Marcello, mentre invece per l’orario vi è una differenza di due ore e mezzo. Quanto alla sorte del Portugal, all’estero, mettendo in dubbio il successo del Marcello, è stata formulata l’ipotesi, però non accertata, che il piroscafo belga sia stato affondato nell’attacco portatogli da un quadrimotore FW.200 del I./KG.40, e non dal nostro sommergibile. Un attacco aereo da parte di un FW.200 si verificò, effettivamente, due giorni più tardi, il 23 gennaio, ma portò all’affondamento del solo piroscafo britannico Mostyn. Non vi è nessuna prova che un altro velivolo avesse attaccato il Portugal. Non vi è quindi alcun dubbio che il successo sia da attribuire al sommergibile Marcello, che vide affondare il piroscafo attaccato. Pertanto, come a suo tempo confermato dall’Ammiragliato britannico, manteniamo questo affondamento nelle nostre statistiche, tra i successi italiani. Durante l'azione a fuoco contro il piroscafo, una violenta ondata sommerse i serventi al pezzo di prora del Marcello trascinandone quattro in mare. Mentre il sommergibile manovrava opportunamente, tre uomini dell'equipaggio si gettarono generosamente in acqua riuscendo a raggiungere e a trarre in salvo altrettanti compagni. Il quarto, che aveva sbattuto la testa contro la torretta e che aveva perduto il salvagente, scomparve subito tra i marosi e non fu possibile ritrovarlo.

Il piroscafo belga Portugal che fu affondato i dal Marcello con i cannoni.

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Il sommergibile Marcello a cui è accreditato l’affondamento del vecchio piroscafo belga Portugal il 20 gennaio 1941 a ponente dell’Irlanda. L’immagine è del 1938.

Sul Marcello viene mostrato il vessillo del sommergibile, la bamdiera pirata.

* * *

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Alla fine di gennaio si trovarono concentrati ad occidente delle Isole britanniche i sommergibili tedeschi U-106, U-94, U-103, U-52, U-93, U-101, U-123 e in arrivo dalla Germania il nuovo U-107 e l'U-48 che aveva ultimato a Kiel un torno di lavori. Da parte italiana Malaspina, Torelli e Marcello erano in rotta di rientro e in loro sostituzione raggiunsero le acque al largo dell'Irlanda Baracca, Morosini e Dandolo. Il 29 gennaio l'U-93 (tenente di vascello Claus Kort) segnalò il convoglio SC.19 e lo seguì affondandone tre navi mercantili. Il B.d.U. diresse incontro al nemico gli U-boote che si trovavano in zona, ma di essi soltanto U-101 e U-106 riuscirono a prendere contatto con il convoglio affondando due piroscafi. Alcuni giorni più tardi, il 3 febbraio, dopo aver colato a picco l’Empire Citizen, un piroscafo disperso dell'OB.279, l'U-107 (capitano di corvetta Gunter Hessler) avvistò il convoglio OB.280 convoglio e durante la notte lo attaccò affondando la nave ausiliaria oceanica britannica Crispin, di 5.051 tsl, armata con sei cannoni e con mitragliatrici. I sommergibili U-123, U-52, U-96, U-103 e il Baracca e Morosini – che si trovavano prossimi alla zona e che da Betasom erano stati prontamente informati – si spostarono per ricercare il convoglio ma senza successo. L'ammiraglio Dönitz tentò allora di intercettare l'SC.20 segnalato in arrivo dal Canada, attaccato il 4 febbraio dai sommergibili U-93 e U-123 che affondarono due piroscafi. Ma sebbene due giorni dopo l'U-107 ne avesse affondata un’altra nave rimasta attardata, il piroscafo Maplecourt, il convoglio non fu avvistato.

La nave ausiliaria oceanica britannica Crispin, affondata dall’U-107 del capitano di corvetta Gunter Hessler, genero dell’ammiraglio Dönitz.

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Apparendo chiaro che il nemico stava attuando lo sparpagliamento delle sue rotte verso settentrione, seguendo percorsi più lunghi ma più sicuri, il 9 febbraio il branco di U-boote venne spostato verso l'Islanda. Nei giorni successivi essi affondarono nove mercantili sbandati dei convogli HX.106, SC.21 e HX.107 ma per quanto ricercate, nessuna di queste formazioni venne segnalata. In questo periodo i sommergibili di Betasom vennero trattenuti a sud degli sbarramenti tedeschi dove trovarono molta sorveglianza e quasi nessun traffico nemico, cosicché, ancora una volta i risultati furono modesti. Il Dandolo (capitano di corvetta Riccardo Boris), la sera del 31 gennaio avvistò il piroscafo britannico Pizarro, di 1.367 tsl, della William Beardmore & Co. Ltd di Glasgow, e dopo averlo seguito fino a notte lo colpì con due siluri. La nave, partita da Londra e diretta a Siviglia con un carico vario al comando del capitano John Gillanders, unità dispersa del convoglio OG.51, colò a picco a in meno di 5 minuti, a 188 miglia a nord-ovest di Rockall. Dell’equipaggio di quarantasette uomini, ventuno decedettero e gli altri ventisei furono salvati dal piroscafo britannico Macbrae e sbarcati a Lisbona.

Il piroscafo britannico Pizarro che fu affondato dal sommergibile Dandolo.

Nel pomeriggio dell'8 febbraio lo stesso sommergibile iniziò l'inseguimento del piroscafo olandese Prins Frederik Hendrik, di 1.288 tsl, ma al calare dell'oscurità, al momento di serrare le distanze, fu costretto a disimpegnarsi per non intralciare la manovra del Morosini (capitano di corvetta Alfredo Criscuolo), dal comandante Boris scambiato per l’Otaria, che stava attaccando lo stesso bersaglio ed era già prossimo al lancio. Purtroppo il comandante Criscuolo non poté approfittare dell'occasione che gli si presentava, a causa del mare agitato: egli lanciò in successione tre siluri che per

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la violenza delle onde vennero deviati e non colpirono; poi, rimasto distanziato, essendo meno veloce del suo bersaglio (una nave moderna del 1936), si vide costretto a desistere dall'inseguirlo. Alcuni minuti dopo il disimpegno fu udita una forte esplosione e per una mezza ora la radio del sommergibile continuò ad intercettare in chiaro l'SOS del piroscafo. Pertanto il comandante Criscuolo fu indotto erroneamente a ritenere probabile l'affondamento di quella nave come conseguenza diretta di uno dei siluri.i. Rientrando a Bordeaux, e trovandosi già in vista delle unità di scorta che dovevano accompagnarlo alla Foce della Gironda, il 22 febbraio il comandante del Dandolo ritenne di essere stato fatto segno al lancio di tre siluri da parte di un inesistente sommergibile, ed affermò nel suo rapporto di averli evitati con una pronta e decisa manovra di emergenza. Avendo il comandante Boris segnalato per radio quel falso attacco (probabilmente si trattava di scie di focene scambiate per siluri), Betasom chiese l’intervento dei mezzi antisom tedeschi per ricercare il sommergibili, e ciò fu fatto mandando nella zona del presunto attacco il cacciasommergibile UJE ed i dragamine M 10, M 13 e M 25 che, naturalmente non trovarono nulla. Il Dandolo arrivò a Bordeaux il giorno 24.

IL RITORNO DEI SOMMERGIBILI DI BETASOM AD OCCIDENTE DELLA PENISOLA IBERICA Contemporaneamente alle operazioni che si svolgevano a ponente delle Isole britanniche, a iniziare dal febbraio del 1941, ed in base ad accordi stabiliti con il B.d.U., Betasom inviò il Marconi e il Glauco ad operare al largo delle coste occidentali della Penisola iberica per intercettarvi le correnti di traffico che facevano capo a Gibilterra. In aprile seguirono Dandolo e Baracca, che si portarono a ponente dello Stretto per attaccarvi il traffico convogliato in uscita da quel porto, segnalato normalmente dagli agenti tedeschi che agivano da osservatori sulle coste meridionali della Spagna. Ma i risultati furono nulli, sia per la quasi totale mancanza di traffico mercantile nelle zone di agguato, sia per le sfavorevoli posizioni iniziali che impedirono ai sommergibili di effettuare attacchi alle numerose unità da guerra britanniche, che presidiavano quella importante zona focale. Non vi è molto da raccontare sullo svolgimento delle operazioni, se si eccettua la missione del Marconi (capitano di corvetta Giulio Chialamberto) sulla cui esecuzione l'ammiraglio Parona si espresse in modo critico.

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Il Marconi, che occupava una posizione d'agguato situata nei pressi di Lisbona, nelle acque prospicienti l'imboccatura del Fiume Tago, nel pomeriggio del 7 febbraio fu informato da Betasom che un convoglio di venti piroscafi, scortato da un cacciatorpediniere e da una cannoniera, era uscito da Gibilterra con rotta verso Capo San Vincenzo. Si trattava in effetti del convoglio HG.53 che, essendo costituito da sedici navi mercantili dirette a Liverpool, fu segnalato nel primo pomeriggio dell'8 dall'U-37 (tenente di vascello Asmus Nicolai Clausen) a sud-ovest di Capo San Vincenzo. Tenacemente il sommergibile tedesco inseguì quella formazione, la segnalò in continuazione per tre giorni e per tre notti, e la attaccò in due occasioni affondando tre piccoli piroscafi britannici (Lourland, Estrellano, Brandenburg), per 4.781 tsl. Guidata dalle emissioni radiogoniometriche del sommergibile, una formazione di cinque velivoli a grande autonomia FW.200 della 2a Squadriglia del I./KG.40, partita da Merignac al comando del capitano Fritz Fliegel e con gregari i tenenti Heinrich Schlosser, Bernhard Jope, Hans Buchholz e Erich Adam, a mezzogiorno del 9 riuscì a portarsi sul convoglio, che si trovava al largo di Capo Finisterre, e sganciando le bombe da bassa quota affondò ben cinque navi (Britannic, Dagmar I, Jura, Varna, Tejo). Successivamente intervenne l'incrociatore pesante Admiral Hipper (capitano di vascello Hellmuth Heye), che dirigendo a grande velocità per intercettare l'HG.53, dopo essere riuscito ad affondare soltanto una nave dispersa di quel convoglio, il piroscafo Iceland, nella notte dell’indomani 12 febbraio incappò sulla rotta dell'LS.64, proveniente da Freetown, e lo scompaginò colando a picco sette delle sue diciannove navi da carico. Fin dalle ore 13.00 dell' 8 febbraio il Marconi era stato informato da Betasom della presenza dell'HG.53. Trovandosi a sole 196 miglia da quel convoglio, il sommergibile si trovava in buona posizione per intervenire. Ma pur essendo stato tenuto continuamente al corrente degli spostamenti del nemico, con sette telegrammi di scoperta inviatigli dal Comando fino al giorno 10, non assunse alcuna rotta di intercettazione, poiché a giudizio del comandante Chialamberto, non possedeva nafta sufficiente per effettuare lo spostamento. L'ammiraglio Parona non concordò con quanto esposto dal Comandante del Marconi nel suo rapporto di missione, poiché il sommergibile aveva, al momento del primo telegramma di scoperta, 31 tonnellate di nafta e per il ritorno alla base ne sarebbero bastate soltanto 13 tonnellate. Peraltro in seguito ad un controllo, risultò che nei depositi del Marconi si erano «decantate» ben 10 tonnellate di acqua, ciò che aveva ridotto la sua dotazione effettiva di carburante durante la missione, da 105 a 95 tonnellate.

100 MISSIONI DEI SOMMERGIBILI ITALIANI NEL NORD ATLANTICO (6 DICEMBRE 1940-13 FEBBRAIO 1941)

Sommergibile

Comandante

Navi affondate

Attacchi

n.

Durata missione

Note

t.

Calvi

Caridi

4

1

5.162

09.12.40



31.12.40



Veniero

Petroni

1

1

2.883

05.12.40



02.01.41



Emo

Lorenzini

1



05.12.40



01.02.41



Bagnolini

Tosoni

2

1

3.660

08.12.40



05.01.41

danneggiato

Tazzoli

Raccanelli

3

1

4.980

13.12.40



14.01.41



Nani

Polizzi







20.12.40



07.01.41

Da Vinci

Calda

1





21.12.40



20.01.41



Glauco

Baroni

1





23.12.40



13.01.41



Malaspina

Leoni







05.01.41



06.02.41



Torelli

Longobardo

3

4

17.498

09.01.41



04.02.41



Marcello

Teppati

1

1

1.550

09.01.41



24.01.41



Baracca

Bertarelli







19.01.41



18.02.41



Morosini

Criscuolo

1





22.01.41



24.02.41



Dandolo

Boris

1

1

1.367

24.01.41



22.02.41



19

10

37.100

TOTALE



affondato

Il Comandante di Betasom scrisse a Supermarina: «È particolarmente spiacevole che in una azione nella quale si è avuto un esempio così brillante di collaborazione fra sommergibili, aerei e nave di superficie tedeschi, un nostro sommergibile che si trovava in posizione opportuna per intervenire nell'azione e che era favorito da tempo buono, abbia mancato il suo compito». Il Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Riccardi, pur riconoscendo le argomentazioni di Betasom, ritenne giustificata la manovra con la effettiva preoccupazione di non avere nafta sufficiente per eseguire gli spostamenti. Frattanto, nei giorni dal 10 al 13 febbraio, il Comandante in Capo della Squadra Sommergibili, ammiraglio Falangola, aveva visitato la base di Bordeaux, ricavando, sulle funzioni del Comando, giudizi non del tutto positivi. Nella sua relazione,

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compilata per il Capo di Stato Maggiore della Marina, Falangola scrisse testualmente: «La tendenza del Comando di Betasom di essere un po' troppo ossequienti alle direttive del Comando Sommergibili tedesco trova la sua giustificazione nel grande prestigio che ha attualmente questo Comando per i successi ottenuti e per la sua completa profonda preparazione alla guerra al traffico alla quale i nostri sommergibili si sono dimostrati all'inizio del tutto impreparati sia nei riguardi del materiale sia dell'istruzione del personale». SUCCESSI OTTENUTI E SOMMERGIBILI PERDUTI NEL NORD ATLANTICO (14 FEBBRAIO - 31 MARZO 1941)

Mese

SOMMERGIBILI TEDESCHI

SOMMERGIBILI ITALIANI

Navi affondate

Sommergibili

Navi affondate

Sommergibili

n.

Tedeschi

n.

Italiani

t

t

perduti

perduti

Febbraio

30

159.609



3

14.707

1

Marzo

29

154.127

5

2

7.863



TOTALE

59

313.736

5

5

22.570

1

L’ammiraglio Falangola pur notando che il morale degli uomini era altissimo, constatò la mancanza della necessaria comprensione da parte del Comando di Betasom nelle relazioni con il personale della base. Ne dette la responsabilità ad alcuni dei collaboratori più diretti dell'ammiraglio Parona ed in parte allo stesso Comandante di Betasom che, da parte sua, causa il carattere freddo e poco espansivo, non era riuscito ad ottenere dai propri dipendenti migliori relazioni dal punto di vista umano. Il Comandante di Maricosom ritenne necessario di sanare quello stato di fatto, sostituendo alcuni ufficiali, ed affermò che la situazione «pur non avendo attualmente carattere di gravità potrebbe dar luogo in seguito ad inconvenienti». In seguito a tale rapporto, nel mese di aprile furono ordinate alcune sostituzioni fra gli ufficiali del Comando di Betasom. Il Capo di Stato Maggiore della Base, capitano di fregata Aldo Cocchia, fu sostituito dal capitano di vascello Romolo Polacchini; il Capo Servizio Comunicazioni, capitano di fregata Bruno de Moratti, dal capitano di corvetta Massimo Alesi; il Capo Servizio Armi, tenente di vascello Walter Auconi, dal capitano di corvetta Riccardo Lesca; il Capo Servizio Amministrativo, tenente di vascello commissario Mario Di Losa, dal maggiore commissario Guido Villani.

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A sinistra, l’ammiraglio Mario Falangola, Comandante in Capo della Squadra Sommergibili (Maricosom) al Comando del B.d.U. a Loriente nel febbraio 1941. Gli è accanto, a destra, il capitano di corvetta Günther Prien famoso comandante dell’U-47. Nella stessa occasione del viaggio in Francia Falangola visitò la base di Betasom.

Durante la sua visita in Francia, l'ammiraglio Falangola si recò anche a Lorient, ove ebbe uno scambio di idee con l'ammiraglio Dönitz, ricavandone utili insegnamenti anche per l'impiego dei sommergibili italiani che agivano nel Mediterraneo. In particolare ebbe modo di apprendere, come scrisse nella sua relazione, «...che la permanenza massima del personale tedesco sui sommergibili (ufficiali ed equipaggi) non supera i 3 anni. Per quanto riguarda i comandanti è opinione dell'ammiraglio Dönitz che il periodo di massimo rendimento sia quello fra i 28 e i 32 anni, periodo nel quale gli ufficiali raggiungono buona esperienza di impiego dei sommergibili, pur mantenendo assai elevato lo spirito offensivo». Questo giudizio, sull'età dei comandanti, non rappresentava per Falangola una novità, poiché rispecchiava quanto da tempo l'ammiraglio Parona andava dicendo nei suoi rapporti inviati a Supermarina, trovando in questa sede molte resistenze. Infatti fino ad allora il comando dei sommergibili era stato assegnato a capitani di fregata e a capitani di corvetta, ed appariva assurdo, inconcepibile, doverli scalzare con tenenti di vascello, se non addirittura con sotto tenenti di vascello, come effettivamente era avvenuto nella Marina tedesca.

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Falangola affermò poi che «...l'ammiraglio Dönitz gli aveva chiaramente manifestato la sua soddisfazione per l'opera svolta dell'ammiraglio Parona e per l'apporto dato dai nostri sommergibili nella guerra al traffico in Atlantico, ed espresso l'opinione che nel prossimo futuro (migliorando le condizioni atmosferiche) in seguito al miglioramento del materiale (modifica delle torrette) e alla maggiore esperienza dei nostri Comandanti e Ufficiali il successo delle nostre Unità aumenterà sicuramente».

SECONDO TENTATIVO DI UN IMPIEGO IN COMUNE NEL NORD ATLANTICO Frattanto la guerra sottomarina nel Nord Atlantico andava assumendo un nuovo volto. L'ammiraglio Dönitz, che reputava indispensabile la stretta collaborazione fra l'aviazione e i sommergibili per la scoperta e l'attacco ai convogli nelle zone nordoccidentali delle Isole britanniche, aveva più volte richiesto che gli si accordasse un certo numero di aerei a grande autonomia. Ma il feldmaresciallo Hermann Göring aveva idee del tutto personali sull'impiego dell'aviazione. Fedele al principio «tutto ciò che vola mi appartiene», fin dal tempo di pace non aveva mai preso in considerazione le richieste della Marina che voleva disporre di una aviazione propria. Una volta stabilito che la Luftwaffe avrebbe condotto per proprio conto anche la guerra sul mare, alla Marina vennero accordati soltanto aeroplani adatti all'esplorazione e in previsione di operazioni tattiche o di scontri navali. Ma poiché quegli stessi aerei rimanevano sempre alle dipendenze della Luftwaffe, ne conseguiva che si poteva disporre di essi soltanto mediante preventive richieste e contatti e non sempre le richieste venivano accolte nella giusta misura. Pertanto, una prima collaborazione fra gli aerei e i sommergibili, iniziata dopo la conquista della Francia, nel luglio del 1940, e proseguita fino a tutto dicembre, non aveva avuto un grande successo a causa della povertà dei mezzi. La maggior parte dei velivoli erano di tipo antiquato e con insufficiente autonomia, e poiché scarsi erano gli aerei a grande raggio di autonomia FW.200, fu possibile a malapena assicurare una ricognizione giornaliera nelle zona a sud-ovest dell'Irlanda. Questo non poteva bastare all'ammiraglio Dönitz, che si vide costretto a chiedere qualcosa di più da utilizzare per le sue reali necessità. Il 2 gennaio del 1941 egli fece una relazione sull'argomento al Comandante in Capo della Marina Germanica, grande ammiraglio Erich Raeder, a Berlino. Questi, che concordava pienamente con lui, lo mandò dal generale Alfred Jodl, Capo di Stato Maggiore della Wehrmacht il quale, sentite le ragioni e restatone convinto, ne parlò a

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Hitler il 7 gennaio. Il Führer assecondò le richieste di Dönitz e gli mise a disposizione dodici velivoli del 1° Gruppo del 40° Stormo (I./KG.40) di base a Merignac, presso Bordeaux, affinché li impiegasse per l'esclusivo compito di esplorazione e collaborazione con i suoi sommergibili. L'FW.200, aereo civile di linea opportunamente trasformato, chiamato più comunemente «Condor», era l'unico quadrimotore tedesco impiegato dalla Luftwaffe. Dotato di una autonomia di 800 miglia, esso poteva spingersi fino al 20° meridiano ovest e quindi oltre la zona di dispersione dei convogli il cui limite era fissato a quell'epoca sul 19° meridiano. Inizialmente gli FW.200 disponibili erano ancora pochi e quindi in grado di espletare soltanto due ricognizioni giornaliere nella zona del Canale del Nord. Nondimeno, malgrado iniziali difficoltà dovute alle non buone comunicazioni radio e ad errori di rotta, gli aerei riuscirono in più occasioni a scoprire i convogli e, con le loro segnalazioni, permisero al B.d.U. di appostare i sommergibili al punto giusto per intercettarli. Inoltre, poiché era stato dato loro un secondo compito, quello di attaccare tutte le navi mercantili che navigavano isolate o che avevano perduto il contatto con i loro convogli, i FW.200 dettero un forte contributo nell'affondare piroscafi per conto proprio, e in effetti, in due mesi, dal gennaio al febbraio, ne distrussero ben trentasette per quasi 150.000 tsl17. Da parte britannica, inizialmente non potevano essere escogitati rimedi efficaci contro i «Condor», i quali agivano molto al di fuori dell'autonomia dei velivoli da caccia di base a terra. Pertanto, non restò che spostare ulteriormente più a nord, verso l'Islanda, le rotte dei convogli in uscita dal Canale del Nord in modo da allontanarle dalla zona di influenza degli aerei tedeschi. La diramazione delle rotte, che indubbiamente facilitava ai britannici la difesa, finì per rendere sempre più difficile al Comando Superiore dei Sommergibili tedeschi il compito di trovare i convogli. Con i soli sommergibili si poteva sorvegliare solo una limitata distesa di mare. Ma poiché una volta individuata la posizione degli U-boote i convogli potevano facilmente evitare lo sbarramento predisposto dal B.d.U. cambiando rotta, in febbraio, di fronte agli insuccessi fu necessario cambiare tattica.

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Il 1° Gruppo del 40° Stormo, comandato dal tenente colonnello Edgar Petersen, era formato da tre squadriglie. La 1a e la 2a avevano la loro base a Merignac, la 3a a Cognac. Il suo organico, molto ridotto, era costituito normalmente da circa venticinque velivoli. Il 1° marzo 1941 Petersen fu nominati comandante dello Stormo.

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Aeroporto di Merignac (Bordeaux) anni 1940-1941. Velivolo Fw 200 C-3 Condor del I/KG 40.

Mentre lo schieramento dei sommergibili tedeschi fu prolungato fino nelle zone situate a sud dell'Islanda, i FW.200 del I./KG.40 partendo dalla base di Bordeaux e poi anche da Brest, si trasferivano in Norvegia sorvolando tutta l'ampia distesa settentrionale a ovest e a nord-ovest delle Isole britanniche. Nel trasferimento essi segnalavano e attaccavano i convogli e le navi isolate incontrate, quindi raggiungevano la base di Stavanger-Sola, oppure di Vaernes, presso Trondheim, e ne ripartivano il giorno seguente per rientrare in Francia facendo, con le medesime modalità, lo stesso tragitto in senso inverso. Così, giovandosi della collaborazione degli aerei, che andavano perfezionando, con il sistema d'impiego, la condotta della navigazione, il mantenimento del contatto e delle comunicazioni, nella seconda metà di febbraio i sommergibili svolsero un brillante e fruttuoso ciclo operativo che vide impegnati con buoni risultati anche battelli italiani. * * * Le operazioni si svolsero in un periodo di grandi tempeste che continuarono a flagellare, in quell'inverno eccezionalmente lungo, il Nord Atlantico.

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Su richiesta del Comando Superiore dei Sommergibili, che spostava i propri Uboote verso nord, il 16 febbraio Betasom costituì uno sbarramento, a ponente dell'Irlanda, con il Bianchi, l'Otaria, il Marcello e il Barbarigo. Compito: l'attacco al traffico in zone più meridionali rispetto alle posizioni tenute dai tedeschi sulle rotte con il Canale del Nord.18 Il Bianchi (capitano di corvetta Adalberto Giovannini), fin dalla notte del 14 febbraio riuscì a conseguire un primo successo. Avvistato alle 01.45 un piroscafo da carico oscurato di circa 9.000 tonnellate, con pozzi delle stive lunghissime e alberi a traliccio, con rotta nord-est, manovrando dal lato favorevole rispetto alla luce della luna, lo attaccò di prora alle 03.26, lanciando un siluro da 450 mm che fallì il bersaglio. Ripeté la manovra d’attacco alle 04.36, lanciando altri due siluri da 533 mm da 700 metri di distanza, che colpirono entrambi, ed assistette all’affondamento del piroscafo, avvenuto in appena 65 secondi, senza che avesse potuto ultimare un disperato segnale di soccorso. Si trattava del piroscafo britannico Alnmoor (capitano Albert Edwards), di 6.573 tsl, costruito nel 1927 e in servizio per la compagnia Doxford W. & Sons – William Doxford & Sons & Sons Ltd di Sunderland. Nave dispersa del convoglio SC.21, l’Alnmoor, trasferitosi da New York ad Halifax, era partito dal porto canadese il 31 gennaio diretto a Newport (Galles), trasportando un carico di farina e un carico generale compreso acciaio metalli e ferroleghe, nonché anche quattordici aerei da caccia tipo “Curtis” (fonte Warsailors). Il piroscafo, colpito dai due siluri del Bianchi, affondò a sud-ovest di Capo Clear, la punta estrema meridionale dell’Irlanda. Decedette l’intero equipaggio di quarantadue uomini. 19 Subito dopo conclusa l’azione, il Bianchi, alle 04.52, avvistò un altro piroscafo diretto a nord-ovest ma, non potendo attaccarlo per le condizioni iniziali sfavorevoli e per la sua forte velocità, desistette dall’inseguirlo.

Per gli episodi che stiamo trattando vedi, in Academia Edu, il Saggio dell’Autore: La ricerca e l’attacco dei sommergibili dell’Asse ai convogli britannici in transito a sud dell’Islanda 19-27 Febbraio 1941. I successi del sommergibile Michele Bianchi. 19 Il piroscafo britannico Alnmoor , inizialmente dato affondato a due sommergibili tedeschi, prima all’U-101 e poi all’U-123, in seguito a nuove ricerche di David Sibley è risultato che essi avevano attaccato due altre navi mercantili. Pertanto l’affondamento del piroscafo Belcrest, di 4.517 tsl, dato per affondato dal Bianchi, e da noi preso per buono e inserito nelle prime due edizioni di Betasom. La guerra negli Oceani, era errato, poiché il Belcrest dirigeva verso occidente, per l’America (Newport). Invece l’Alnmoor dirigeva verso la Gran Bretagna, dovendo andare a Glasgow. Il comandante Giovannini aveva riportato nel suo rapporto di aver attaccato, inseguito e affondato con il Bianchi una nave che aveva rotta nord-est, e quindi con quasi assoluta certezza era quella dell’Alnmoor, partito da Halifax con il convoglio SC.21. 18

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Gli altri tre sommergibili italiani non realizzarono avvistamenti.

Il piroscafo britannico Alnmoor che fu silurato e affondato dal sommergibile Bianchi il 14 febbraio 1941 a sudovest di Capo Clear.

Conseguentemente, di fronte alla rarefazione del traffico in quel settore e su nuove disposizioni del B.d.U., Betasom spostò di circa 80 miglia a settentrione il Bianchi, il Marcello e il Barbarigo, e tenne a sud il solo Otaria che si trovava a corto di nafta. In tal modo si costituì, in un settore al momento più adatto, un nuovo schieramento, che completò con continuità il dispositivo tedesco lungo il 20° meridiano ovest e che coprì l'ampia zona compresa fra il Canale del Nord (57° parallelo nord) e l'estremo sud dell'Islanda20. L'ammiraglio Dönitz, che non disponeva ancora di un sufficiente numero di sommergibili da impiegare negli ampi sbarramenti, di fronte alle missioni vittoriose di alcuni battelli italiani, aveva ritenuto necessario riprendere quella collaborazione che era stata bruscamente interrotta il 5 dicembre del 1940. Pertanto, ancora una volta, attuando un dispositivo nel quale erano contemporaneamente impegnati diversi 20

Il 18 febbraio la situazione dei sommergibili tedeschi in mare era la seguente: nella zona di operazione si trovavano U-48, U-69, U-73, U-96, U-103, U-107 e U-123; in navigazione diretti alle rispettive zone di agguato U-95, U-46, U-108 e U-552; in navigazione di rientro alla base U52, U-94 e U-101.

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sommergibili tedeschi e italiani, poneva le basi per lo svolgimento di una vasta manovra di ricerca e attacco ai convogli. A mezzogiorno del 19 febbraio un quadrimotore FW.200 della 1a Squadriglia del I./KG.40, che si era alzato da Merignac con destinazione Stavanger-Sola (Norvegia) pilotato dal tenente Bernhard Jope, nel volo di ricognizione ad ovest dell'Inghilterra avvistò, a 80 miglia a nord-ovest da Capo Wrach (59°40'N, 06°W), il convoglio OB.287 in uscita dal Canale del Nord, e dopo aver lanciato il segnale di scoperta lo attaccò affondando la petroliera Gracia e il piroscafo Housatonic, per 11.181 tsl.

Il Fw200 C code F8+BW del capitano Daser. Sulla deriva del timone le sagome e i tonnellaggi delle navi affondate dal velivolo.

Poiché la posizione del convoglio non appariva segnalata con sufficiente precisione, per intercettare quella formazione, che con rotta ad ovest si spostava a 7 nodi lungo il 59° parallelo, alle 16.17 l'ammiraglio Dönitz ordinò ai sommergibili distaccati più a nord, in posizione favorevole, di procedere alla massima velocità con rotta sud-est e alle 20.30 di assumere per l'indomani a mezzogiorno uno

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schieramento, profondo 6 miglia, lungo il 12° meridiano. Lo sbarramento, steso fra i paralleli 60°50'N e 59°10'N, davanti alla presunta rotta del convoglio, e al quale parteciparono nell'ordine da nord U-73, U-107, U-48, U-96 e U-69, distanziati in linea di fila di 20-25 miglia fra di loro, venne integrato e prolungato all'estremità meridionale dal Barbarigo e dal Marcello, mentre il Bianchi fu posto in posizione arretrata per partecipare all'eventuale attacco dopo l'avvistamento della formazione nemica da parte dei sommergibili avanzati. Allo scopo di consentire lo schieramento di tutti i sommergibili, essi ricevettero l'ordine di attaccare il convoglio solo dopo averne ricevuto l'ordine dal Comando a terra. l convoglio, che risultava formato da trentuno navi mercantili e da cinque unità di scorta, fu più volte segnalato il successivo 20 febbraio dalla ricognizione aerea, assicurata fin dall'alba a mezzo di tre velivoli partiti ad intervalli di un'ora. E fu constatato che la sua rotta generale dirigeva sull'ala sud dello schieramento tedesco. Sussistendo il pericolo che le navi da carico potessero aggirare lo sbarramento da quel lato, il B.d.U. sperò che il sommergibile italiano prolungante la fila, il Barbarigo, avvistasse il convoglio. Ma ciò non avvenne poiché, a seguito di una segnalazione del sommergibile, che alle ore 12.00 dava la propria posizione (37°45'N, 20°45'W), fu constatato che il Barbarigo risultava molto a ponente rispetto a quanto ordinato. Avendo il sommergibile specificato che a causa delle condizioni atmosferiche – mare-vento forza sette-nove da ovest – navigava a soli 4 nodi apparve chiaro che non avrebbe potuto assumere la posizione assegnata nello sbarramento21. Tale posto venne allora assegnato al Bianchi, ma questi non poté giungervi in tempo e pertanto, proprio nella posizione decisiva, non vi fu nessun sommergibile ed il convoglio OB.287 passò indenne. Tuttavia esso venne attaccato nel pomeriggio da due FW.200 del I./KG.40, uno dei quali con pilota il tenente Bernhard Jope decollato da Stavanger per rientrare a Merignac, i quali danneggiarono gravemente tre piroscafi e una grossa petroliera. Ma non fu possibile portare direttamente a contatto i sommergibili che alle 15.03, in seguito ai cambiamenti di rotta del convoglio, avevano ricevuto l'ordine di spostarsi verso ponente, poiché la posizione comunicata dagli aerei risultò alquanto imprecisa. Infatti, durante tutta la giornata al Comando Superiore dei Sommergibili vi fu molta incertezza a causa delle notevoli discordanze sulla segnalazione del convoglio secondo gli avvistamenti effettuati dagli aerei e le intercettazioni radiogoniometriche del Servizio B, l'organizzazione di allarme radio della Marina tedesca. Ritenendo che meritassero maggior fiducia le segnalazioni degli aerei, l'ammiraglio Dönitz 21

Probabilmente neppure il Marcello occupava la posizione assegnata nello sbarramento. Di quel sommergibile, infatti, non si ebbero più notizie dopo la partenza dalla base avvenuta il 7 febbraio.

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inizialmente decise di basarsi solo su quelle; poi, alle 19.45, quando si accorse che le notizie giunte non erano attendibili, dando ragione alle comunicazioni del Servizio B impartì ordini per la costituzione di una nuova linea di sbarramento, situata più a levante verso il 17° meridiano ovest. Tale linea, disposta sulla normale alla direttrice di marcia del convoglio e ancora formata da U-73, U-107, U-48, U-96 e U-69 venne nuovamente prolungata alle ali dai tre sommergibili italiani: il Bianchi e il Barbarigo a nord, il Marcello a sud. Alle 03.00 del 21 febbraio i sommergibili ricevettero l'ordine di iniziare il rastrellamento della zona con rotta nord-est a 8 nodi e alle 14.00, in seguito ad un nuovo segnale di scoperta del convoglio trasmesso nel primo pomeriggio, abbandonarono le posizioni ordinate per dirigere incontro al nemico. Ma anche questo tentativo fallì a causa di discordanze nelle segnalazioni. Pertanto, al calar della notte, l'ammiraglio Dönitz decise di interrompere le ricerche dell'OB.287 e assegnò alle unità subacquee nuove posizioni di agguato. Alle 09.30 dell'indomani, 22 febbraio, un FW.200, decollato da Stavanger per rientrare in Francia, avvistò nel punto geografico di latitudine 59°59'N, longitudine 01°24'W, situato a 40 miglia a sud di Lousy Bank (banchi dei pidocchi), il successivo convoglio OB.288, anch'esso in rotta dall'Inghilterra verso occidente, che poi attaccò danneggiando due navi. Per sfruttare la situazione il B.d.U. ordinò a U-46 e U-552 di operare contro il convoglio; poi, quando alle 12.00 giunse dall'aereo un nuovo segnale che rettificava la primitiva posizione della formazione nemica, l'ammiraglio Dönitz decise di costituire un nuovo gruppo di ricerca spostando U-73, U-69, U-96, U-107, U-552, U-97, Barbarigo e Bianchi che si trovavano in posizione favorevole per intervenire. Alle 16.16, operando in base agli avvistamenti aerei, l'U-73 (tenente di vascello Helmut Rosenbaum), che nello sbarramento occupava la posizione più settentrionale, avvistò il convoglio. Avendo ricevuto l'ordine di trasmettere rilevamenti e di attaccare solo su ordine, allo scopo di permettere alle altre unità di avvicinarsi, il sommergibile si limitò a seguire il nemico comunicando con continuità ed esattezza i dati di localizzazione. Ma, nelle ore serali, a causa del mare tempestoso e della cattiva visibilità, che resero difficili manovre e controllo, l'U-73 perse il contatto. Ritenendo che difficilmente un altro sommergibile avrebbe potuto rintracciare il convoglio durante la notte, alle 21.00 l'ammiraglio Dönitz ordinò a U-73, U-96, U-69 e U-123 di spostarsi più a ponente e costituire, per le ore 10.00 del mattino successivo, una nuova linea di sbarramento, prolungata alle estremità da una unità italiana: Bianchi a nord, Barbarigo a sud. I sommergibili, raggiunte le posizioni assegnate, ricevettero l'ordine di dirigere con rotta a nord-est a 7 nodi, per cercare di incrociare la rotta nemica; la mossa si dimostrò appropriata poiché le unità

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subacquee, con una navigazione resa faticosa dal mare tempestoso, poterono disporsi davanti all'OB.288 che, procedendo con rotta nord-est, andò ad incappare, a sud dell’Isolanda, nella linea di sbarramento come era stato previsto dal B.d.U. Alle 10.00 del 23 febbraio l'U-96 (tenente di vascello Heinrich Lehemann-Willenbrock), che il giorno precedente aveva affondato il piroscafo britannico Scottish Standard del convoglio OB.287, avvistò l’OB.288, mantenne il contatto e in base alle sue precise segnalazioni gli altri sommergibili vennero informati con continuità durante tutta la giornata e poterono regolare la loro rotta sul nemico in modo da intercettarlo nella notte. Nel frattempo anche un FW.200 del I./KG.40 venne inviato in esplorazione, ma trovandosi il convoglio al limite del suo raggio di autonomia, il velivolo non riuscì a rintracciarlo. A sera si avvicinarono all'OB.288 l'U-69 e l'U-95 e poco dopo il tramonto venne data libertà di attacco. Mentre il Barbarigo non riuscì a portarsi sul convoglio per le sfavorevoli condizioni del mare, che gli impedirono di mantenere sulla rotta opportuna una velocità superiore ai 5 nodi, il Bianchi si trovò in posizione favorevole per intervenire. Nella navigazione di spostamento, poco dopo il crepuscolo del 23, incontrò il piroscafo da carico britannico Manistee, di 5.360 tsl, costruito nel 1920 per la compagnia Cammell Laird & Co Ltd, requisito dall’Ammiragliato nel dicembre 1940, che lo armò con due cannoni e due complessi contraerei, trasformandolo in unità di scorta oceanica con la sigla F 104, ed assegnandolo alla sorveglianza delle rotte. Comandato dal capitano di fregata Eric Haydn Smith, il Manistee faceva parte del convoglio OB.288, inizialmente costituito da quarantasette navi, che era stato disperso, per ordine del commodoro sul piroscafo Sirikishna (capitano Robert Paterson), alle ore 21.00 del 23 febbraio. Il Bianchi attaccò il Manistee contemporaneamente all’U-107 (capitano di corvetta Günter Hessler) che si trovava in rotta di rientro alla base per raggiunto limite di autonomia. Il capitano di corvetta Giovannini, avvisto il Manistee alle 17.45, e 5 minuti dopo individuo un U-boote del tipo IX la cui attenzione era rivolta sullo stesso obiettivo. I due sommergibili, dopo aver atteso il tramonto mantenendosi fuori vista su rotta parallela al piroscafo per ben cinque ore, andarono contemporaneamente all’attacco manovrando di prora al bersaglio, senza scambiarsi alcun segnale avendo entrambi i comandanti compreso di avere lo stesso obiettivo. Giovannini tentò di precedere al lancio l’unità alleata, ma non vi riuscì. L’U-107 invertì la rotta per attaccare di poppa, e il Bianchi a sua volta “invertì la rotta dal lato opposto”, a sinistra, “per non passargli di poppa ed ostacolare il suo lancio”.

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Il sommergibile Michele Bianchi quando non era stato ancora modificato nel 1940. Nell’immagine superiore é al molo San Vincenzo di Napoli.

Il comandante Hessler, che era il cognato dell’ammiraglio Dönitz, alle 22.42 lanciò un siluro, che fu visto colpire il Manistee al centro nave sul fianco sinistrò,

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fatto confermato nel suo rapporto anche da Giovannini, che vide il piroscafo cominciare “a sbandare e procedere a lento moto col timone alla banda”. Quando Hesseler si accorse che anche il Bianchi stava manovrando di prora a bassa velocità per attaccare il piroscafo, l’U-107 virò di bordo per non trovarsi nel campo di tiro del nostro sommergibile. Alle 22.56 il comandante Giovannini lanciò a sua volta un siluro da 533 mm dalla distanza di 600 metri. Poco dopo, avendo udito una forte detonazione, probabilmente causata dall’esplosione prematura del siluro, e avendo osservato una colonna di fumo a poppa del piroscafo, che stava calando in mare le imbarcazioni di salvataggio, si allontanò, convinto di aver dato al Manistee il colpo di grazia, “per lasciare libero il sommergibile alleato”, e “riprendere la ricerca delle altre unità del convoglio”. In realtà, secondo le osservazioni fatte sulla torretta dell’U-107, il Bianchi non riuscì a colpire la nave nemica, che virando stretto, continuò nella sua rotta con uguale velocità, coprendosi con una cortina di nebbia. E’ pensabile che il Manistee non fosse stato raggiunto neppure dal siluro dell’U-107, esploso all’altezza della sala macchine, come affermato dal comandante dell’U-boote, e neppure in altra parte dello scafo, altrimenti la nave si sarebbe fermata, o al limite avrebbe diminuito la velocità. Invece, come vedremo di seguito, costrinse l’U-boote ad un lungo e movimentato inseguimento. Infatti, manovrando con adeguati movimenti a zig-zag, il Manistee riuscì a rendere vane diverse azioni d’attacco dell’U-107 e lo tenne a lungo sotto la minaccia dei suoi cannoni. Alle 22.58 l’U-107 lanciò altri due siluri contro il piroscafo, ma non lo colpì. Alle 23.42 lanciò un altro siluro con lo stesso esito. Proseguì l’inseguimento con il bersaglio zigzagante fino alle 07.58 del 24 febbraio, quando lanciò ancora due siluri, uno dei quali, finalmente, colpì il Manistee a poppa causandone l’affondamento in lat. 58°55’N, 20°50’W. Non è conosciuta la versione britannica sull’affondamento del Manistee dal momento che decedette l’intero equipaggio. In totale, in questa tragedia del mare, morirono ben 140 uomini: 18 ufficiali e 122 marinai22.

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Intercettati i segnali di soccorso del Manistee, due unità britanniche, la corvetta Heater e il cacciatorpediniere Churchill, nonché il cacciatorpediniere franco gollista Leopard, furono inviati ad assistere la nave in pericolo. Ma i due cacciatorpediniere furono necessariamente dirottati per assumere la scorta di un convoglio in arrivo da occidente, e la sola corvetta Heater esplorò una larga zona di mare senza rintracciare i superstiti del Manistee.

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La nave ausiliaria britannica Manistee (F 104) che attaccata dai sommergibili Bianchi e U 107 fu affondata da quest’ultimo, dopo che il sommergibile italiano aveva fallito l’attacco con il siluro, al termine di un lungo inseguimento.

Il sommergibile tedesco U-107 e il suo comandante capitano di corvetta Gunther Hessler.

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Frattanto, mentre il Bianchi, che aveva ripreso l’inseguimento delle navi del convoglio, navigava nella notte tra continui piovaschi, i mercantili dell’OB.288 erano stati abbandonati sul 19° meridiano ovest dalle unità di scorta, giunte al limite dell’autonomia. Tuttavia, le navi da carico, nonostante l’ordine di dispersione, avevano continuato la loro rotta ancora raggruppate quando, improvviso e senza alcun contrasto, ebbe inizio l’attacco a “branco” dei sommergibili. Alle 23.27 del 23 febbraio i primi siluri lanciati dall’U-96 (tenente di vascello Lehmann-Willenbrock) raggiunsero il piroscafo britannico Anglo Peruvian. Poco dopo l’U-69 e l’U-95 attaccarono a breve intervallo e affondarono altre tre navi. Il convoglio si scompaginò ebbe inizio la caccia ai mercantili isolati, alla quale parteciparono anche l’U-123 e il Bianchi.

Il tenente di vascello Heinrich Lehmann-Willenbrock comandante dell’U-96.

Il sommergibile italiano attaccò un piroscafo di grosso tonnellaggio ritenuto da Giovannini un tipo “Adrastus” della Blue Funnel per la «prora da incrociatore, poppa normale, isola centrale bassissima con plancia non grande e bene staccata, puntali e picchi di carico supplementari sul cassero e castello». Al termine di un breve inseguimento reso difficoltoso dal mare grosso e dalla pioggia che riduceva la visibilità nella zona, il Bianchi lanciò tre siluri da 450 mm. I primi due di poppa, alle 04.37, che arrestarono un piroscafo, facendolo appruare; e l’ultimo di prora, alle

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05.29, che servì a dare il colpo di grazia, sollevando sul bersaglio, all’altezza della prima stiva prodiera, un’alta colonna d’acqua. Il lancio del siluro avvenne dopo che l’equipaggio della nave nemica si era allontanato con le scialuppe di salvataggio. Si trattava del piroscafo britannico Huntingdon, di 10.946 tsl, che il capitano di corvetta Giovannini aveva ritenuto potesse essere un mercantile del tipo “Adrastus” (7.905 tsl), per la sagoma molto simile al piroscafo Linaria, affondato dall’U-96. Nave che noi invece, nelle due edizioni di Betasom. La guerra negli Oceani, abbiamo assegnato al Bianchi, non avendo motivo di dubitare dei dati all’epoca esistenti nell’Ufficio Storico della Marina Militare, trasmessi, a richiesta, dall’Ammiragliato britannico23.

Il piroscafo britannico Huntingdon, di 10.946 tsl, del convoglio OB.288, affondato dal sommergibile Bianchi la notte del 24 febbraio a nord ovest della Scozia.

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Fino agli anni ’90, la documentazione ufficiale italiana, convalidata dallo storico tedesco Jürgen Rohwer. dava come affondato dal Bianchi il piroscafo britannico Wainegate, di 4.260 tsl, mentre in realtà esso fu eliminato dall’U-73 in una zona ben più distante da quella dell’attacco del Bianchi all’Huntingdon. Quanto al Linaria, di 3.385 tsl. che in rotta per Halifax trasportava un carico di carbone, dopo il siluramento da parte dell’U-96, affondò nelle prime ore del 24 febbraio con l’intero equipaggio di trentaquattro uomini, a sud-ovest di Reykjavik (Islanda).

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Altra bella immagine del piroscafo britannico Huntingdon.

Sull’affondamento dell’Huntingdon da parte del Bianchi esiste da parte britannica la seguente versione. Il piroscafo, costruito in Germania nel 1920, appartenente alla New Zealand Shipping Company, al comando dal capitano John Percy Styrin era salpato da Swansea il 13 febbraio 1941 con un carico vario da trasportare in Australia. Per il trasferimento oceanico raggiunse Clyde allo scopo di essere inserito nel convoglio OB.288. Alle 02.35 (orario britannico) del 24 febbraio l’Huntingdon fu colpito dal sommergibile Bianchi, con un siluro che aprì un grosso squarcio all’altezza della stiva prodiera numero uno. L’equipaggio salì in coperta e il comandante Styrin ordinò l’abbandono nave, facendo mettere in mare le scialuppe di salvataggio prima che il Bianchi lanciasse un ultimo siluro, il terzo, che colpì nuovamente la grossa nave affondandola in lat. 58°25’N, long. 20°23’W. Faceva freddo e nevicava, ma i sessantasei uomini dell’equipaggio dell’Huntingdon furono prontamente salvati dal piroscafo greco Papalemois, che lasciò il convoglio trascurando il rischio di fermare le macchine per recuperare i naufraghi.

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Alle 04.00 del 24 febbraio, quando l’U-73 ottenne l’ultimo successo affondando il piroscafo britannico Wainegate, l’OB.288 risultò decimato, dal momento che otto navi erano state affondate dai sommergibili assieme a due piroscafi isolati venuti a trovarsi in quella notte nella zona di transito del convoglio 24 . A queste perdite si aggiungevano altre due navi mercantili affondate dai velivoli FW.200 del I./KG.40. Fu probabilmente nel corso di questa operazione che andò perduto il Marcello (capitano di corvetta Alberto Teppati). Nel pomeriggio del 22 tre navi scorta britanniche, i cacciatorpediniere Montgomery e Hurricane e la corvetta Perwincle, attaccarono con le bombe di profondità altrettanti sommergibili localizzati in immersione in zone distanti tra loro. In nessun caso venne ottenuta la prova dell'affondamento, ma poiché l'azione del Montgomery (capitano di corvetta Henry Freston Nash) si svolse molto vicino alla zona assegnata al Marcello, esistono delle

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Complessivamente vennero affondate dieci navi per 52.857 tsl: di esse U-96 (LehmannWillenbrock) e U-95 (Schreiber) ne colarono a picco tre ciascuno (Anglo Peruvian, Linaria, Sirikshna e Svein Jarl, Cape Nelson, Temple Moat) ; U-107 (Hessler), U-69 (Metzler), U-73 (Rosembaum) e Bianchi (Giovannini) una a testa (Manistee, Marslew, Wainegate, Huntingdon).

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fondate probabilità che il suo attacco sia stato fatale al nostro sommergibile e ai suoi cinquantasei uomini dell'equipaggio.

Il sommergibile Marcello nel 1939. Fu affondato il 22 febbraio 1941 dal cacciatorpediniere britannico Montgomery mentre partecipava, assieme al Bianche e agli U-Boote all’attacco al convoglio OB. 288.

Il cacciatorpediniere Montgomery, un quattro pipe statunitense ceduto ai britannici in seguito alla legge Affitti e Prestiti.

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Al dramma fu inconsapevole testimone il Bianchi il quale, a partire dalle ore 16.00, udì scoppi di bombe di profondità lontane e nella direzione di un sommergibile avvistato al mattino, senza averne potuto riconoscere la nazionalità. La possibilità che si trattasse del Marcello è avvalorata dal fatto che nessun sommergibile tedesco fu attaccato nel pomeriggio di quel giorno in quella zona. Il 23 febbraio, mentre si svolgeva l'operazione contro l'OB.288, il B.d.U. era stato informato dall'U-552 che il susseguente convoglio OB.289 procedeva con rotta a nord al largo delle Isole Ebridi, e pertanto ordinò a U-95, U-97 e U-108 di spostarsi verso oriente per tentare di raggiungerlo. Il comandante dell'U-552 (tenente di vascello Erich Topp) continuò a mantenere tenacemente il contatto per tre giorni èd attaccò con mare grosso, senza fortuna, a causa di difettoso lancio dei siluri. Nondimeno le sue precise comunicazioni permisero all'U-97 (tenente di vascello Udo Heilmann) di intercettare ed attaccare il convoglio, nella notte del 23-24, affondando tre piroscafi e silurando una petroliera. Alle 14.11 dell'indomani, 25 febbraio, l'U-47 (tenente di vascello Günther Prien), che si trasferiva nell'area di operazione, transitando a nord-ovest dell'Irlanda, avvistò in lat. 46°15'N, long. 11°45'W, un convoglio di 20-25 piroscafi diretto a occidente a 7 nodi. Si trattava dell'OB.290. Malgrado la intensa vigilanza esercitata da aerei, il sommergibile tenne il contatto e nella notte si portò al lancio silurando una grossa petroliera e affondando tre piroscafi. L'ammiraglio Dönitz, che al momento aveva tutti i battelli impegnati a nord, sperò di portare sul convoglio l'U-99 (tenente di vascello Otto Kretshmer) che da Lorient si trasferiva anch'esso in zona di operazione. Pertanto, allo scopo di costituire per il mattino seguente una eventuale linea di sbarramento disposta sul 17° meridiano, davanti alla rotta della formazione nemica con la quale l'U-47 continuava a mantenere il contatto visivo, il B.d.U. dispose alcuni spostamenti: l'U-97, che pur trovandosi senza siluri poteva ancora servire per mantenere il contatto, ricevette l'ordine di dirigere a sud assieme all'U-73; la stessa manovra fu disposta per il Barbarigo e il Marcello che nello sbarramento dovevano prendere posizione alle ali, rispettivamente a nord e a sud, mentre il Bianchi doveva portarsi in un punto più avanzato.

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Il tenente di vascello Prien nella torretta del suo sommergibile U-47.

L'U-47 continuò a comunicare la posizione e gli spostamenti dell'OB.290 per tutta la notte e gran parte della giornata del 26, ma poi, calata l'oscurità, fu costretto ad immergersi per la reazione di una unità della scorta e perse il contatto. A questo punto l'impiego dell'U-97 (tenente di vascello Udo Heilmann), anche se era privo di siluri, si dimostrò redditizio. Il sommergibile prese contatto nel pomeriggio e con le sue segnalazioni radiogoniometriche permise ad una formazione di sei FW.200 del I./KG.40 di portarsi sul convoglio, che attaccarono, a 350 miglia ad ovest dell'Irlanda, affondando con le bombe ben sette navi e danneggiandone altre quattro. Sebbene le condizioni del tempo fossero andate peggiorando, l'U-97 continuò a tenersi in vista dell'OB.290 fino alla mezzanotte, quando, trovandosi ormai oltre il 19° meridiano ovest, il convoglio britannico si sciolse. I sommergibili che si trovavano nelle vicinanze ricevettero l'ordine di avanzare lungo la direttrice di marcia del nemico per attaccare piroscafi danneggiati e dispersi, ma mentre U-47, U-73, U99 e Barbarigo lanciavano i siluri senza conseguire risultati, il Bianchi, che aveva cambiato rotta tornando a nord, nelle prime ore del 27 febbraio ebbe la fortuna di incontrare tre navi mercantili. Il comandante Giovannini attaccò la prima nave, che erroneamente ritenne fosse il piroscafo britannico Empire Ability, di 7.603 tsl, ma non colse il segno perché i due siluri da 450 mm lanciati, alle 01.45 e alle 03.50, furono deviati dal mare ondoso molto ampio. Alle 04.47 colpì con un siluro da 533 mm la seconda nave, il piroscafo britannico Baltistan, di 6.803 tsl e assistette al suo affondamento; non attaccò la terza nave avvistata alle 05.40 dello stesso giorno 27, perché Giovannini ne fu sconsigliato dalla contromanovra del piroscafo, facendogli sospettare trattarsi di una pericolosa unità civetta. Il piroscafo Baltistan (capitano John Hobson Hedley), nave moderna essendo stato costruita nel 1937 per la compagnia South Shields, era partito da Ellesmere con destinazione Città del Capo, avendo a bordo otto passeggeri e 6.200 tonnellate di

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merci varie. Fu colpito dal siluro del Bianchi sul fianco destro e affondo a circa 400 miglia a ovest dell’Isola Valentia (Irlanda). Morirono cinquantuno uomini, compresi quattro passeggeri. Il comandante Hadley e i restanti diciassette uomini, tredici membri dell’equipaggio e quattro passeggeri, furono recuperati dal cacciatorpediniere britannico Brighton (capitano di fregata C.W.V.T.S. Lepper) e sbarcati a Plymouth.

Il piroscafo britannico Baltistan, la terza nave affondata nella missione ad ovest della Scozia dal sommergibile Michele Bianchi.

L’affondamento del Baltistan rappresentò l’ultimo atto di un interessante ciclo di operazioni contro convogli, che si era prolungato per più di una settimana e nel corso del quale, per la prima volta, sommergibili italiani avevano partecipato attivamente ai rastrelli di ricerca degli U-boote tedeschi. Purtroppo, da parte nostra, ancora una volta, venne a mancare il risultato d’insieme; il successo negato al Marcello e al Barbarigo, fu ottenuto dal solo Bianchi, il quale con l’affondamento di tre navi per 24.222 tsl, si rese protagonista di una brillante missione i cui risultati furono perfettamente corrispondenti a quelli conseguiti in quello stesso periodo dai sommergibili tedeschi.

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Il rientro a Bordeaux del sommergibile Bianchi , che nella terza decade di febbraio 1941 aveva affondato tre navi mercantili a nord-ovest ella Scozia per 24.222 tsl., ottenendo la più fruttifera missione conseguita fino a quel momento dai sommergibili di Betasom. Questo record sarà battuto soltanto nel marzo 1942 dal sommergibile Tazzoli del capitano di corvetta Carlo Fecia di Cossato.

Risultato che va esteso, naturalmente, al comandante Giovannini, che per i suoi successi ricevette il “vivo plauso” e le “felicitazioni vivissime” degli ammiragli Riccardi e Falangola. 25 Inoltre, il Bianchi realizzò, come sostenne l’ammiraglio Parona, il record degli affondamenti fra quanti conseguiti fino ad allora dai sommergibili italiani.26 Soltanto cinque delle nostre unità subacquee avrebbero fatto

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Il 5 marzo 1941 l’ammiraglio Riccardi trasmise a Betasom: “SUPERMARINA – 27647 – Esprimete Comandante Giovannini mio vivo plauso per prova di perizia e valore che hanno avuto felice coronamento nei ripetuti success riportati durante ultima missione (alt) Estendete mio elogio ad Ufficiali et equipaggio del sommergibile BIANCHI (alt) 111505”. Lo stesso giorno l’ammiraglio Falangola telegrafava a Betasom: “MARICISOM – 75716 – Per Comandante Giovannini (alt) A voi allo Stato Maggiore et all’equipaggio del BIANCHI mio compiacimento et mie felicitazioni vivissime per brillante esito missione (alt) 175005”.

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L’ammiraglio Parona ritenne che il Bianchi avesse affondato quattro navi per 29.068 tsl, e quindi con l’inserimento del Manistee, che era stato un successo dell’U-107, e con l’esclusione del presunto piroscafo Empire Ability su cui rimaneva, giustamente, il dubbio dell’affondamento.

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meglio di lui. Lo stesso vale per Giovannini che, con il record raggiunto, avrebbe conseguito il settimo posto nella classifica dei comandanti italiani affondatori. Il Comandante Giovannini rientro alla base ai primi di marzo. Fu quella l'ultima sua missione bellica. Decorato con la Medaglia d'Argento, ed insignito dall'ammiraglio Dönitz con la ambita onorificenza della Croce di Ferro di 2 a classe, venne inviato a Gothenhafen, nel Baltico, per dirigere Marigammasom, la sezione tattica costituita presso la scuola tedesca per sommergibilisti27.

L’ammiraglio Parona accoglie il comandante Giovannini, al rientro dalla missione vittoriosa che ha portato il sommergibile Bianchi ad affondare tre navi per 24.222 tsl.

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Nell'inverno del 1940-41 ottennero la Croce di Ferro di 2a classe anche l'ammiraglio Parona e i comandanti Tosoni-Pittoni e Longobardo.

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Nelle due foto,il capitano di corvetta Giovannini, rientrato a Bordeaux dalla missione a nord ovest della Scozia presenta all’ammiraglio Parona e al capitano di vascello Cocchia, il grafico della missione del sommergibile Bianchi , con le navi affondate.

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* * * Gli incoraggianti successi conseguiti contro i convogli alla fine di febbraio convinsero il B.d.U. ad organizzare immediatamente nuovi sbarramenti, con i sommergibili disposti a distanza ravvicinata, per continuare nelle ricerche a rastrello. Da parte italiana, mentre i sommergibili che avevano operato nella seconda metà di febbraio si trovavano in rotta di rientro, cominciarono gradualmente a prendere posizione i battelli del gruppo successivo: Velella, Brin, Mocenigo, Emo, Argo e Veniero. Anche in marzo, l'Atlantico settentrionale venne spazzato da bufere di vento particolarmente violente e prolungate. Freddo, nebbia, visibilità limitata, ghiaccio, ondate che si infrangevano sulle torrette dei sommergibili, costringendo il personale di guardia a legarsi strettamente per non farsi trascinare in mare, questa era la lotta quotidiana che dovettero sostenere i battelli nelle zone di operazione antistanti il Canale del Nord e l'Irlanda. Nelle difficili e sfavorevoli condizioni atmosferiche, i sommergibili continuarono la loro guerra silenziosa e tenace, dando la caccia alle navi isolate e ai convogli. Partiti da Bordeaux verniciati di fresco, dopo settimane di lunghe navigazioni, e di combattimenti, rientravano alla base ammaccati, con la vernice scrostata e coperta da ruggine rossa, con gli uomini sfiniti per la stanchezza. Il 2 marzo un velivolo FW.200 del I./KG.40, decollato da Stavanger, avvistò ad ovest del Canale del Nord il convoglio OB.292 e lo bombardò affondando il piroscafo olandese Simaloer. Per intercettare quella formazione di quaranta piroscafi e sei cacciatorpediniere di scorta che procedeva con rotta ovest, il B.d.U. ordinò di costituire per l'indomani sul meridiano 17°40' ovest una linea di sbarramento con sei U-boote: U-70, U-108, U-552, U-95, U-99, U-47. Tale linea, disposta fra i paralleli 55°50'N e 57° 30'N, fu prolungata ai due vertici da due sommergibili italiani: a nord il Barbarigo, che si trovava in rotta per rientrare a Bordeaux; a sud il Velella che invece si trasferiva in zona di operazioni. Il 4 marzo anche tre FW.200 del I./KG.40 parteciparono alle ricerche del convoglio, ma, al pari dei sommergibili che rastrellavano la zona con rotta verso levante, non riuscirono a rintracciarlo poiché furono notevolmente disturbati da una violenta tempesta di neve e grandine. L'indomani un altro velivolo FW.200, decollato da Stavanger e diretto in Francia, segnalò nuovamente 1'OB.292 che aveva cambiato rotta e per il mattino seguente l'ammiraglio Dönitz formò un nuovo sbarramento con U-A, U-70, U-47, U-99, U-95, U-108, U-552 e Velella; quest'ultimo prolungava l'ala meridionale. Anche in questa occasione venne rastrellata un'ampia zona, ma senza

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successo poiché, a causa del perdurare del tempo straordinariamente cattivo, nessun sommergibile riuscì a stabilire il contatto. Risultando evidente che i britannici sparpagliavano le rotte dei loro convogli ancora più a nord del 60° parallelo, anche il B.d.U. modificò i suoi schieramenti sulla congiungente Islanda - Irlanda. Nella notte del 7 marzo, contro l'OB.293, avvistato dall'U-47, fu possibile portare all'attacco l'U-70 e l'U-99 che affondarono quattro navi. Ma poiché per la prima volta le unità della scorta poterono far uso in larga misura del nuovo e più efficace localizzatore Radar tipo 286, i contrattacchi delle unità di scorta risultarono efficaci: l'U-70 venne distrutto dalle corvette Camelia e Arbutus, e quando il mattino seguente altri tre sommergibili tentarono di farsi sotto l'U-A riportò gravi danni, l'U-37 venne respinto e l'U-47 del famoso tenente di vascello Günther Prien affondato con l'intero equipaggio dal cacciatorpediniere Wolverine, comandato dal capitano di corvetta James Marjoribanks Rowland. Anche i sommergibili italiani Emo, Mocenigo e Veniero, che si trovavano ad occidente dell'Irlanda, il mattino del 9 marzo ricevettero da Betasom l'ordine di ricercare un convoglio segnalato dall'U-74, ma senza successo. Il solo Emo (capitano di corvetta Giuseppe Roselli-Lorenzini) venne a trovarsi sulla rotta del nemico e ne percepì agli idrofoni il passaggio. Il sommergibile, che si era immerso per sfuggire all'attacco di un aereo, tornato in superficie tentò l'inseguimento; ma, scoperto da un cacciatorpediniere, fu nuovamente costretto alla rapida immersione perdendo il contatto. Tuttavia, nella notte del 14 marzo, dopo un lungo inseguimento, l'Emo riuscì a colare a picco il Western Chief, un piroscafo armato britannico di 5.759 tonnellate, unità dispersa del convoglio SC.24. Ex piroscafo statunitense, costruito a Portland nel 1918, poi all’inizio della seconda guerra mondiale passato al servizio della Gran Bretagna, il Western Chief (capitano Eric Alexander Brown) era partito da New York per trasferirsi, via Halifax, a Newport con un carico di 7.400 tonnellate di acciaio. Affondò a circa 600 miglia a sud di Reykijavik (Islanda). Morirono ventidue uomini del suo equipaggio. Gli altri ventuno, con il comandante Brown, furono raccolti dalla “Liberty” statunitense Venus e sbarcati nelle Azzorre, a Punta Delgada. Un susseguente attacco notturno dell’Emo contro un altro piroscafo britannico avvistato il 18 marzo, il Clan Maciver, fallì poiché il siluro lanciato non raggiunse il segno, mentre il sommergibile fu costretto a disimpegnarsi rapidamente per evitare un tentativo di speronamento.

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Il piroscafo Clan Maciver, che fu attaccato senza successo dal sommergibile Emo.

Il periscopio e il radiogoniometro del Sommergibile EMO, mentre un ufficiale, probabilmente il comandante capitano di corvetta Roselli Lorenzini, scruta l’orizzonte con il binocolo.

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Immagine della torretta del sommergibile Emo. L’ufficiale al centro e il comandante capitano di corvetta Roselli Lorenzini, poi comandante del grande e moderno sommergibile Cagni e nel dopoguerra Capo di Stato Maggiore della Marina Italiana.

Il piroscafo statunitense Western Chief nel 1919 in un porto europeo. Acquistato da una Società britannica fu affondato dal sommergibile Emo il 14 marzo 1941.

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Nella notte dal 16 al 17 marzo, trovandosi dislocati nella zona dei «Lousy Banks», ad ovest delle Isole Faröer, i sommergibili U-100, U-99, U-37, U-110 e U-74 riuscirono ad intercettare il convoglio HX.112, di quarantuno piroscafi, partito dal Canada. Le unità della scorta, cinque cacciatorpediniere e due corvette appartenenti al 5° Gruppo comandato dal capitano di fregata Donald Macintyre, ancora una volta fecero buon uso del Radar tipo 286 e l'operazione si risolse per gli U-boote in un nuovo disastro. Sia l'U-99 di Kretschmer, che con notevole abilità era riuscito ad incunearsi fra le colonne del convoglio, affondando con precisi lanci cinque navi (Athelbeac, Beduin, Franche Comte, J.B. White; Korchamn, Venetia) e silurandone una sesta (Ferm), sia l'U-100 dell'altrettanto famoso tenente di vascello Joachim Schepke, vennero localizzati e distrutti quasi simultaneamente dai cacciatorpediniere Walker e Vanoc. Mentre Kretschmer riuscì a salvarsi assieme ad altri trentanove uomini del suo equipoaggio (vi furono tre morti) e venne fatto prigioniero, Schepke rimase schiacciato nella torretta del suo battello speronato dal Vanoc.

Quarto da sinistra capitano di fregata vascello Otto Kretschmer in prigionia nel Canada (nel Campo 30 di Bowmanville) con altri famosi comandanti tedeschi anch’essi catturati dopo l’affondamento dei loro sommergibili. Kretschmer in pèrigionias fu promosso capitano di vascello e insignito anche delle spade sulla croce di cavaliere con fronde di quercia.

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Il capitano di vascello Donald Macintyre, che con il cacciatorpediniere Walker affondò l’U-99 prendendo prigioniero il capitano di corvetta Otto Kretschmer. Famoso comandante di gruppi di scorta antisom nell’Atlantico, comandante dell’incrociatore Scylla, nel dopoguerra è stato anche un affermato storico navale.

Il 19 marzo anche i sommergibili italiani Brin, Veniero, Mocenigo e Giuliani (quest'ultimo di passaggio, diretto a Gothenhafen) ricevettero l'ordine di ricercare un convoglio di venticinque piroscafi, scortato da sei cacciatorpediniere, segnalato al mattino da un FW.200» del I./KG.40 ad ovest dell'Irlanda con rotta verso ponente. l'U-46 (tenente di vascello Engelbert Endrass), che si trovava in zona, riuscì a

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prendere contatto nella tarda mattinata, lo tenne fino a sera, emettendo segnalazioni radiogoniometrabili per guidare sul bersaglio alcuni FW.200, poi lo perse rendendo vano ogni altro tentativo di ricerca da parte dei sommergibili italiani e degli aerei tedeschi; questi ultimi, nondimeno, riuscirono ad avvistare un nuovo convoglio, l’OB.298, del quale affondarono il piroscafo britannico Bevorlich e danneggiarono la grossa petroliera olandese Mamura.

Il sommergibile Brin, del tenente di nvascello Luigi Longanesi Cattani, con lamiera della prora danneggiata da una bomba asportata dal mare grosso, a ponente del dell’Irlanda durante una missione del febbraio-marzo 1941.

Il giorno seguente altri due FW.200 del I./KG.40, uno da Bordeaux diretto a Stavanger, e l'altro con percorso inverso, avvistarono un convoglio a nord-ovest delle Isole Ebridi, ma il tentativo di intercettarlo con U-101, U-74 e U-98 non riuscì. Poi, a mezzogiorno del 21 marzo, l'U-69 scoprì a sud-ovest dell'Irlanda un altro convoglio con rotta a levante e ne tenne il contatto fino a sera per guidarvi U-48, Argo e Mocenigo; questi, pur eseguendo un ampio rastrello, non furono in grado di rintracciare il nemico, principalmente a causa della limitata visibilità.

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Il 23, trovandosi ancora più a sud, l'U-97 (tenente di vascello Udo Heilmann) segnalò l'OG.56 diretto verso sud-ovest, alla velocità di 7 nodi ed attaccò affondando la isolata petroliera britannica Chama e l’indomani il piroscafo norvegese Hørda. Il Veniero (capitano di corvetta Manlio Petroni), che si trovava in rotta di rientro per una sopraggiunta avaria alle macchine non riparabile in mare, ricevette ordine di ricercare il nemico. La manovra non ebbe successo; tuttavia, nel pomeriggio del 24, il sommergibile rintracciò una nave dispersa di quel convoglio, il piroscafo britannico Agnete Maersk, di 2.104 tsl, e dopo aver fallito il lancio di tre siluri per il mare agitato l’affondò a cannonate. Costruito nel 1921 col nome di Aabenraa, acquistata dalla società A.P.Moller di Copenaghen che gli cambio il nome, l’Agnete Maersk (capitano Rasmus Petter Herry H. Parkholm), al servizio del Ministero della Marina britannica, affondò a sud-ovest di Fastnet, mentre in zavorra si trasferiva da Adrossan a St. John. Vi furono ventotto morti, l’intero equipaggio.

Foto inedita dell’affondamento del piroscafo britannico Agnete Maersk, da parte del sommergibile Veniero il 23 marzo 1941 a sud-ovest di Fastnet. Cannoneggiato dal sommergibile il piroscafo è in fiamme.

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Il piroscafo Agnete Maersk.

* * * La perdita in marzo di cinque sommergibili, fra cui particolarmente dolorosa risultò quella dei battelli di Prien, di Kretschmer e di Schepke, i comandanti che avevano ottenuto i maggiori successi ed erano più amati dal popolo tedesco, convinsero l'ammiraglio Dönitz a rivedere i criteri d'impiego contro i convogli. Ritenendo che la perdita di un quinto delle sue unità operanti non era dovuta al caso ma a qualche nuovo mezzo offensivo del nemico, il Comandante Superiore dei Sommergibili decideva di sgombrare le zone operative a nord-ovest del Canale del Nord, abbandonando i Western Approaches, l'ampia fascia oceanica ad occidente delle Isole britanniche, e di trasferire le zone di agguato ancora più verso ovest. Contemporaneamente, in considerazione degli scarsi risultati ottenuti, Betasom, d'accordo con l'ammiraglio Dönitz, sospese l'impiego dei sommergibili italiani in Nord Atlantico per un paio di settimane. Il 25 marzo 1941 il Comandante in Capo della Squadra Sommergibili inviava a Supermarina la seguente lettera n. 06492, in cui esponeva le proprie considerazioni riguardo al rendimento dei battelli italiani nell'Atlantico:

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1° - Dopo la missione eseguita dal sommergibile TORELLI durante la quale furono affondati, tra il 15 ed il 28 gennaio, 4 piroscafi per 20.000 tonnellate, si sono avute le azioni: del MARCELLO - 20 gennaio, piroscafo ELLENI di 5.655 tonnellate affondato; del DANDOLO - 31 gennaio, petroliera di 6.500 tonnellate affondata; del BIANCHI - dal 22 al 26 febbraio, 4 piroscafi affondati ed uno silurato per circa 27.000 tonnellate. In totale 60.000 tonnellate affondate o silurate. Dal 26 febbraio ad oggi, per quanto risulta a questo Comando in Capo, non si è realizzato nessun altro successo. 2° - Il 15 gennaio si trovavano in mare, contemporaneamente al TORELLI, 6 sommergibili e successivamente, fino al 15 marzo, sono andati in missione in Atlantico altri 14 sommergibili. In totale 21 sommergibili. 3° - Il risultato è ben scarso sia in senso assoluto, sia in relazione all'intervallo di tempo considerato ed al numero di sommergibili impiegati, sia, infine, in confronto dei successi (centinaia di migliaia di tonnellate affondate o silurate) ottenuti nello stesso periodo di tempo dai sommergibili tedeschi con un numero di sommergibili mai superiore al nostro. Tale sfavorevole confronto relativo ad un lungo periodo di settimane e settimane non può non influire in modo deprimente sul morale degli ufficiali e del personale dei sommergibili atlantici che fino ad ora hanno sopportato col maggior entusiasmo ogni più dura fatica. 4° - La differenza dei risultati a nostro sfavore è troppo forte e sensibile perché possa essere messa tutta a carico della inferiorità di alcune caratteristiche dei nostri sommergibili per questa speciale forma di guerra, e dell'ancora incompleto addestramento dei Comandanti e del personale. Viene quindi naturale pensare ad inefficienza di impiego. 5° - Propongo perciò a codesto Alto Comando di interessare l'ammiraglio Dönitz, o direttamente o a mezzo dell'ammiraglio Parona, per un approfondito esame della questione. Si potrebbe anche esaminare se non sia il caso di proporgli una più diretta dipendenza da lui dei nostri sommergibili, per qualche tempo, allo scopo di constatare se è possibile ottenere risultati migliori. Poiché lo scopo principale deve essere quello di affondare il massimo possibile di naviglio mercantile nemico per tendere al risultato finale che è la vittoria comune, ogni tentativo deve essere fatto per raggiungerlo.

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Dopo aver preso visione di questo documento, il 6 aprile il Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Arturo Riccardi, rispose con la lettera n. 6406, dall’oggetto “Impiego dei sommergibili in Atlantico” all'esposizione dell’ammiraglio Falangola nei seguenti termini: 1° - Sono state esaminate le considerazioni esposte da codesto Comando in Capo nel foglio n. 6492 in data 23 marzo c.a. relativamente al rendimento dei nostri sommergibili in Atlantico. Tali considerazioni si possono così riassumere: a) i risultati ottenuti dai nostri sommergibili sono assai scarsi, in paragone a quelli ottenuti, a parità di tempo e di numero, dai Sommergibili tedeschi; b) tale differenza è troppo marcata per poter essere attribuita soltanto ad inferiorità del materiale o ad incompleto addestramento del personale: essa dipende probabilmente anche da inefficienza di impiego; c) per ovviare a quest'ultimo elemento, viene avanzata la proposta di porre Betasom ad una più diretta dipendenza del Comandante dei sommergibili tedeschi. 2° - Indubbiamente, salvo qualche caso sporadico, i risultati ottenuti dai nostri sommergibili sono stati finora molto limitati. A questo hanno contribuito in misura determinante: a) le manchevolezze del nostro materiale per la speciale forma di guerra atlantica: se qualcosa ha potuto essere fatto per ridurre le dimensioni delle torrette, non possono essere eliminati gli altri ben noti elementi di inferiorità, sicché non sembra che in questo campo sia realizzabile un progressivo miglioramento, suscettibile di influire sul rendimento; b) le esigenze di ambientamento e di addestramento del personale, che forse non sono state all'inizio sufficientemente valutate, ma che hanno avuto un'influenza marcata, soprattutto nel corso della dura stagione invernale: questo elemento consentirà un progressivo incremento nel rendimento delle nostre unità. 3° - Supermarina non dispone di elementi di giudizio atti a stabilire se ed in quale misura il rendimento dei sommergibili nazionali, rispetto a quello dei sommergibili tedeschi, possa essere stato influenzato da inefficienza di impiego. In quei pochissimi casi, per i quali si dispone di dati (cfr, ad esempio l'allegato foglio 36/S.R.P. in data 24 marzo dell'ammiraglio Maraghini, che si prega di restituire dopo averne presa conoscenza), risulta peraltro che il numero dei sommergibili tedeschi concentrati contemporaneamente contro i convogli è stato di gran lunga superiore a quello delle nostre unità (U-47 -69 -73 -95 -96 -97 -99 -107 -108 -123 -

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552 pari ad 11 unità rispetto a BARBARIGO - BIANCHI pari a 2 unità): e questo fortissimo scarto porta di per sé stesso ad un sensibile squilibrio di risultati. 4° - D'altra parte il carteggio intercorso fra Supermarina ed il Comando Supremo della Marina germanica non lascia adito a dubbi sulla diretta dipendenza di Betasom dal Comandante dei Sommergibili tedeschi per quanto si riferisce all'impiego. Risulta infatti da detto carteggio che: a) nel proporre l'invio in una base atlantica di un cospicuo gruppo di sommergibili italiani, la R. Marina aveva esplicitamente messo il rilievo che, per assicurare la necessaria coordinazione degli sforzi, la direzione della guerra subacquea in Atlantico sarebbe stata devoluta alla Marina germanica; b) la Marina germanica ha perfettamente apprezzato lo spirito ed il significato di questo punto di vista, ringraziando per l'alto onore implicito nella subordinazione ad essa di un nucleo di forze navali italiane; c) la Marina germanica si è considerata responsabile per l'impiego dei sommergibili italiani: nel comunicare le zone operative assegnate in Atlantico alle nostre unità ha fatto presente che in ogni momento avrebbero potuto essere da essa decisi cambiamenti in base all'esperienza ed a nuove situazioni. 5° - Dato questo stato di cose, sembra che ogni accenno anche indiretto ad inefficienza d'impiego potrebbe essere interpretato dal Comandante dei Sommergibili tedeschi come una critica alle disposizioni da lui impartite, tanto più che, come Voi, Eccellenza, avete riferito al ritorno dalla vostra missione a Bordeaux, detto Comandante vi aveva manifestato il suo completo accordo con il Comandante Superiore del Gruppo Sommergibili Atlantici nei riguardi dei criteri d'impiego del naviglio subacqueo nelle operazioni di guerra. Non è poi da pensare che il Comandante dei Sommergibili tedeschi dato quanto è riportato ai comma a) -b) -c) del paragrafo 4° mancherebbe di far sentire il peso della propria ben nota competenza per conseguire il massimo numero di affondamenti di naviglio mercantile nemico e mirare alla vittoria, qualora egli ne ravvisasse la necessità. 6° - Per quanto è stato sin qui esposto non sembrerebbe quindi opportuno far presente all'ammiraglio Dönitz quanto esposto da V.E. al paragrafo 4° della lettera citata in principio. Mentre si svolgeva il riesame dell'intera situazione operativa e si cercavano attenuanti e rimedi allo scopo di permettere ai sommergibili di Bordeaux di

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migliorare il loro rendimento, Betasom prese l'iniziativa di emanare una circolare intitolata: «Norme per le segnalazioni di avvistamento e per l'attacco di convogli in Atlantico». In questo documento furono fissate, a similitudine delle norme d'impiego adottate dagli U-boote, tutte le direttive che potevano servire per la scoperta, la segnalazione e le modalità di attacco; direttive che in seguito, essendo state ben comprese dai comandanti, sarebbero risultate l'elemento condizionante per poter continuare la guerra in Atlantico, e per conseguire successi più adeguati per premiare la volontà e i sacrifici dei sommergibilisti italiani.

Il sommergibile Glauco a lavori nel bacino di carenaggio a Betasom.

SVILUPPO DELLE OPERAZIONI SUBACQUEE ALL’INIZIO DELLA PRIMAVERA DEL 1941 A partire dalla primavera del 1941, lo speciale programma messo a punto in Germania all'inizio della guerra per sviluppare la costruzione dei sommergibili cominciò a dare i suoi frutti ed un sempre maggior numero di unità subacquee entrarono in servizio, compensando largamente il numero delle perdite. Questo fatto

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permise di incrementare ininterrottamente il numero degli U-boote in zona di operazione e rese possibile al B.d.U. di mettere a punto sistemi d'impiego nuovi, primo fra tutti il perfezionamento di quella tattica a branchi che stava tanto a cuore all'ammiraglio Dönitz28. Apparendo ormai chiaro che l'esito della guerra marittima dipendeva dalla gara fra affondamenti e costruzioni, i britannici e i tedeschi lanciarono nella lotta tutte le loro risorse. Per i primi era vitale mantenere le perdite del naviglio in termini accettabili, poiché le possibilità di continuare la guerra dipendevano dal tonnellaggio di cui poteva disporre la Gran Bretagna per i rifornimenti. Così, fino ad allora, le perdite erano state compensate con un maggiore sfruttamento del naviglio impiegato normalmente in tempo di pace e con la requisizione o l'appoggio di unità mercantili di nazioni alleate o neutrali. Ma era palese che, con l'andare avanti, la situazione sarebbe ulteriormente peggiorata; basti pensare che nel solo mese di marzo del 1941 erano state affondate ben 139 navi mercantili. Si rendeva pertanto necessario provvedere al rimpiazzo delle perdite con un efficiente programma di nuove costruzioni, in cui i britannici, come vedremo più avanti, ebbero un valido aiuto dagli Stati Uniti, nazione a quel tempo ancora neutrale. Da parte sua, la Direzione delle Operazioni Navali della Marina germanica aveva stimato che occorreva affondare almeno 750.000 tonnellate di naviglio mercantile al mese per costringere l'Inghilterra alla pace entro il periodo di un anno. Si calcolava, infatti, che i cantieri anglo-americani potevano costruire 200.000 tonnellate al mese nel 1941, cifra che sarebbe probabilmente salita a 500.000 tonnellate nel 1942 e a ben 750.000 tonnellate nel 1943. In realtà si sottovalutava la capacità di costruzione degli alleati e soprattutto degli americani: essi, mensilmente, produssero nel 1942 una media di 550.000 tonnellate di naviglio e nel 1943 di ben 1.200.000 tonnellate; nello stesso tempo la cifra di 750.000 tonnellate di naviglio

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Il 22 settembre del 1939 il Capo della Marina germanica, grande ammiraglio Raeder, aveva convinto Hitler a fissare un programma che prevedeva l'uscita dai cantieri di 7 sommergibili nel 1939, di 46 nel 1940, di 120 nel 1941, per arrivare, infine, alla costruzione di 20-30 battelli al mese. Il programma era stato fino a quel momento rispettato: ai 57 sommergibili disponibili all'inizio della guerra se ne erano aggiunti fino a tutto aprile del 1941 altri 106; e poiché fino ad allora ne erano andati perduti 38 si poteva contare su 125 sommergibili. In seguito, dal maggio del 1941 fino alla fine dell'anno, i tedeschi furono in grado di costruire una media di 20 sommergibili al mese. Escludendo i battelli in allestimento e quelli assegnati per compiti addestrativi alle scuole, l'ammiraglio Dönitz poté passare a disporre dai 32 sommergibili operativi dell'aprile 1941, ai 65 in luglio, agli 80 in ottobre, a 91 (su un totale di 249) il 1° gennaio 1942.

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affondato al mese fu raggiunta dalle forze dell'Asse, e, in qualche occasione superata, solo nel 1942, mentre nel 1941 si mantenne su una media di 180.000 tonnellate. Questo fatto rappresentò un successo dell'organizzazione difensiva britannica che aveva reagito con energia alle grandi distruzioni del suo naviglio. Infatti, dopo i grandi attacchi ai convogli, verificatisi alla fine del 1940 – attacchi che fecero scrivere a Winston Churchill nelle sue memorie dopo la vittoria: «La sola cosa che mi abbia veramente spaventato durante la guerra fu il pericolo sottomarino» – drastiche misure erano state prese dal Gabinetto di Guerra britannico, presieduto dallo stesso Churchill, per migliorare la inefficiente protezione ai convogli. Fu così deciso di intensificare la vigilanza dal cielo, dando la precedenza alla difesa antisommergibile, riguardo a tutte le altre esigenze della RAF, allo scopo di assicurare una maggiore protezione degli approcci di entrata nel Canale del Nord e negli estuari dei fiumi Clyde (Glasgow) e Mersey (Liverpool), ove affluiva la stragrande maggioranza del traffico convogliato. Nello stesso tempo fu affidato all'Ammiragliato il controllo operativo del Comando dell'Aviazione Costiera (Coastal Command), e ciò consentì di regolare maggiormente l'attività aerea sui movimenti dei convogli. Nel febbraio del 1941, l'ammiraglio Percy Noble era stato nominato Comandante in Capo per i Western Approaches, con il compito di dirigere la guerra contro gli Uboote. Come prima misura, trasferì il suo Comando da Plymouth a Liverpool, per essere più vicino alla zona operativa. Quindi riorganizzò tutta la difesa antisommergibile curando in modo particolare l'addestramento degli uomini addetti ai vari servizi e delle unità di scotta. Queste ultime vennero divise in gruppi, ognuno dei quali comandato da un capitano di fregata di indubbie capacità, e ad ogni gruppo vennero assegnate otto unità. Il vantaggio di questa organizzazione era rappresentato dall'affiatamento che veniva a stabilirsi fra le singole unità di scotta dello stesso gruppo, dall'adeguamento della loro tattica ai criteri del Comandante del gruppo e dalla disponibilità di una forza effettiva di almeno cinque o sei unità sempre disponibili per la scorta al convoglio affidato. Nel nuovo Comando fu incorporato quello dell' Aviazione Costiera del 15° Gruppo che disponeva nel suo organico di velivoli terrestri Hudson e di idrovolanti Catalina. Noble avrebbe voluto disporre anche di aerei di maggiore autonomia, ma l'intendimento non si realizzò poiché i grandi quadrimotori che giungevano dall'America, i Liberator (B.24), erano assegnati con priorità al Comando Bombardieri. Nondimeno, accontentandosi di quello che l'Aviazione Costiera poté dargli, l'ammiraglio Noble realizzò un controllo centralizzato di tutte le forze aeree e navali diretto da un'unica sala operativa: la Tracking Room.

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L’ammiraglio Percy Noble, Comandante dei Western Approaches cvon sede a Liverpool, a bordo dello sloop Stork del capitano di vascello Frederick John Walker (alle sue spalle), il più famoso e vittorioso comandante di mezzi antisommergibili nella seconda guerra mondiale.

Particolare importanza fu data allo studio delle nuove armi, ai ritrovati scientifici nel campo della guerra subacquea, alle nuove tecniche di ricerca applicata. Fu aumentato il peso delle bombe di profondità, per avere maggiore effetto distruttivo contro i nuovi U-boote, più resistenti alle elevate pressioni perché i loro scafi erano saldati anziché fissati a piastre ribattute; fu adottato il sistema della rotta spezzettata a zig-zag e venne effettuato un deciso sparpagliamento delle rotte dei convogli verso l'Atlantico centrale. E poiché vi era un enorme ed urgente bisogno di unità di scorta, dovendosi proteggere in mare una media giornaliera di navi mercantili che in quel periodo si aggirava sulle duemila unità – mentre cominciavano gradualmente ad arrivare i primi quantitativi di nuovi mezzi antisom previsti da un nutrito programma – venne accettata dagli Stati Uniti l'offerta di 50 vecchi cacciatorpediniere e di 10 guardiacoste, in cambio della cessione per 99 anni di 5 colonie e basi navali ed aeree nelle Indie occidentali (Antille). Nello stesso tempo furono messi in cantiere nuovi cacciatorpediniere e corvette, nonché uno speciale tipo di nave antisom a grande autonomia denominata fregata.

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Nella sala operativa (Operations Room) del Comando dei Western Approaches a Derby House (Liverpool) due ufficiali superiori, un capitano di vascello e un capitano di fregata, consultano la situazione in mare sulla carta.

Per difendere i convogli contro gli attacchi notturni in superficie, a grande velocità, in cui l’Asdic era virtualmente impotente, fu posta la massima cura al perfezionamento del radar (assegnato dal marzo del 1941 ai cacciatorpediniere e alle corvette dei Western Approaches) e allo studio di speciali razzi illuminanti chiamati Snowflake (Fiocco di neve). Infine, furono migliorate le comunicazioni rendendole più rapide, per mezzo del radiotelefono (VHF) fra la scorta e le navi del convoglio e fra le navi e gli aerei di vigilanza. Con il radar e con il radio telefono VHF (Very High Frequency – in italiano frequenza molto elevata), oltre che ostacolare gli attacchi notturni in superficie, fu possibile allontanare le unità di protezione a 4.000-6.000 metri dal convoglio, aumentare così la lunghezza del perimetro del convoglio portando la distanza fra le varie colonne a 1.000 metri in modo da ridurre considerevolmente le probabilità che un attacco improvviso potesse affondare più di una nave. Nello stesso tempo, allo scopo di respingere i FW.200, che con le loro informazioni e i loro attacchi tante perdite stavano causando, le navi mercantili ricevettero gradualmente un certo armamento contraereo, e su cinquanta piroscafi venne installata una catapulta per permettere la partenza su allarme di velivoli da caccia del tipo «Hurricane», ceduti dalla RAF con i loro piloti.

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Consolided B-24 Liberator in servizio nel Coastal Command della R.A.F. e impiegato per l’attacco ai sommergibili.

Con l'aumento della vigilanza aeronavale i sommergibili, che fino ad allora avevano operato in un'area relativamente ristretta presso il Canale del Nord, furono costretti a spostarsi sempre più allargo. Il centro di gravità degli schieramenti che al principio di marzo del 1941 era stato trasferito dal B.d.U. a sud dell'Islanda, poiché i britannici avevano dirottato verso nord le rotte dei loro convogli, per usufruire di una maggiore protezione aerea da parte dei grandi velivoli dislocati in quell’isola, in maggio venne spostato di 600 miglia verso occidente, portandolo sui 40 gradi di longitudine ovest. Ma, già dall'aprile, l'Islanda che apparteneva alla Danimarca, permetteva alle navi scotta di rifornirsi nelle attrezzate rade dell’isola del combustibile e di accompagnare i loro convogli per una sempre più estesa area dell'Atlantico. Successivamente, alla fine di maggio, potendo disporre di un più elevato numero di moderne unità di scorta, dotate di maggiore autonomia, i britannici furono in grado di scortare un primo convoglio per tutta la navigazione attraverso l'oceano 29. In seguito, dal luglio, anche i convogli dalla Sierra Leone diretti in Gran Bretagna, che

29

Il 27 maggio salpò da Halifax il convoglio HX.129: esso navigò scortato da navi canadesi fino ad un punto d'incontro con le unità di scorta britanniche situato sul 36° meridiano ovest.

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seguivano rotta inversa, ebbero ugualmente la possibilità di disporre di una scotta ininterrotta.

Le bombe antisommergibili al Torpex vengono sistemate sotto le ali degli idrovolanti Sunderland del Coastal Command.

* * * Nella nuova situazione particolarmente svantaggiati vennero a trovarsi i sommergibili italiani poiché non possedevano quelle qualità tecniche e nautiche richieste dalle circostanze. Ai primi di aprile, mentre un sempre maggior numero di U-boote di nuova costruzione raggiungeva le zone operative, situate nell'ampia zona fra la congiungente Irlanda-Islanda-Capo Farewell (punta estrema meridionale della Groenlandia), l'ammiraglio Dönitz comunicò a Betasom che i suoi sommergibili potevano riprendere le missioni nella zona ad occidente dell'Irlanda. Tenendo conto delle loro difficoltà operative, Dönitz ne fissò gli schieramenti a sud delle posizioni tenute dai suoi U-boote, in una zona operativa che poteva estendersi anche ad occidente del 25° meridiano, fino a quel momento riservata alle navi di superficie tedesche.

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I primi quattro sommergibili Da Vinci, Cappellini, Torelli e Malaspina, salpati da Bordeaux nel corso della prima quindicina di aprile, svolsero accuratamente alcuni compiti ausiliari, quali la trasmissione di bollettini meteorologici e la comunicazione di tutti quegli elementi che potevano servire ad individuare le zone focali e le rotte di traffico del nemico. Tuttavia, ancora una volta, non si realizzarono intercettazioni dei convogli segnalati. Al riguardo scriveva il 21 aprile del 1941 l'ammiraglio Dönitz nel suo diario di guerra: La situazione del traffico nella zona settentrionale è inquietante. Nonostante un maggiore numero di unità, si hanno approssimativamente, in media, meno avvistamenti. Il tempo sfavorevole e la cattiva visibilità non possono essere le sole

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cause. Deve trattarsi di una diminuzione di traffico. Io voglio quindi avere un'idea sicura della situazione, in zone più ristrette, mediante un più compatto schieramento delle unità. Impiego tre battelli, e successivamente dovrà intervenire anche l'U-552, per avere elementi sul traffico per il Canale del Nord in direzione S.W. che, negli ultimi tempi, è stato osservato da sommergibili in rotta di andata e di ritorno. Alle ali di questo schieramento stanno i sommergibili italiani.

Carneval, Lorient. Nella sede del B.d.U., l’ammiraglio Dönitz, che ha alla sua destra il suo capo di stato maggiore capitano di vascello Eberhard Friedrich Clemens Godt, discute con gli ufficiali del suo comando.

Lo schieramento, al quale parteciparono Da Vinci, Cappellini, U-110, U-101, U73, Torelli e Malaspina, durante la giornata del 21 restò inattivo. Il solo Cappellini (capitano di corvetta Salvatore Todaro) durante un forte piovasco avvistò due grossi piroscafi armati tipo «Accra», che apparivano scortati da tre cacciatorpediniere, ed attaccò sottraendosi poi ad una violenta caccia. Il sommergibile, che ritenne di aver colpito ed affondato uno dei mercantili, non poté comunicare in tempo il segnale di scoperta a causa di un guasto temporaneo all'apparato radiotelegrafico. L'indomani mattina il Torelli (tenente di vascello Antonio De Giacomo) avvistò un convoglio diretto in Inghilterra a una velocità stimata di 8 nodi. Il sommergibile, su esplicita richiesta dell'ammiraglio Dönitz, ricevette l'ordine di non attaccare e di limitarsi a trasmettere ulteriori informazioni. Infatti, il B.d.U. intendeva portare a contatto del

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convoglio l'U-101 e l'U-110, dei quali il primo si trovava in rotta di rientro e l'altro era diretto verso la zona di operazione.

Il sommergibile Brin, con la torretta modificata, ma pur sempre di grande dimensione per l’inserimento del cannone da 100mm, rientra a Bordeaux da una missione nell’aprile 1941.

Ripresa aerea di un convoglio britannico in navigazione nell’aprile 1941.

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Entrambi ricevettero l'incarico di agire contro il convoglio; ma il primo rispose di non poterlo fare essendo la sua posizione troppo distante, mentre l'U-110 (tenente di vascello Fritz-Julius Lemp) non poté rintracciare il nemico poiché dal Torelli, che nelle ore serali aveva perduto il contatto, non giunsero altre comunicazioni. Anche una esplorazione aerea disposta per l'indomani, con l'impiego di un FW.200 del I./KG.40, non dette esito alcuno. Alla mezzanotte del 22 il Torelli avvistò un secondo convoglio, che ritenne costituito da otto-dieci piroscafi scortati da incrociatori ausiliari e che procedeva con rotta a occidente a 8 nodi. Poiché, considerata la posizione del nemico e la sua velocità, appariva evidente che non sarebbe stato possibile spostare in tempo nella zona gli altri sommergibili, il Torelli ricevette l'ordine: «Attaccare appena potete»; l'azione non riuscì poiché il sommergibile venne avvistato e sottoposto a caccia. Anche nei riguardi del naviglio isolato i sommergibili ebbero poche possibilità d'intervento, soprattutto a causa dello scarso traffico esistente nella zona a loro assegnata. Il solo Malaspina (tenente di vascello Giuliano Prini), che la sera del 3 maggio si trovava a circa 310 miglia a sud-ovest di Rockall, riuscì ad attaccare in superficie il piroscafo britannico da passeggeri Lycaon, della Blue Funnell Line, ed erroneamente ritenne di averlo colpito con un siluro. L'azione che si svolse ad alta velocità durò più di due ore, e l'unità nemica, resasi molto pericolosa con il fuoco del pezzo di poppa, seppe contro manovrare brillantemente. Nondimeno, l'inseguimento del sommergibile si sarebbe potuto concludere con successo se difficoltà sorte alle valvole dei tubi di lancio non avessero impedito un ulteriore attacco.

Il piroscafo britannico Lycaon, di 7.350 tsl, che la sera del 3 maggio 1941, evitando i siluri, sfuggi all’attacco del sommergibile Malaspina.

149 MISSIONI DEI SOMMERGIBILI ITALIANI NEL NORD ATIANTICO E AD OCCIDENTE DELLA PENISOLA IBERICA (19 GENNAIO-5 MAGGIO 1941) Sommergibi le

Navi affondate Comandante

Attacchi

Zona operativa n.

Marconi

Chialamberto

1

Bianchi

Giovannini

5

Otaria

Durata missione

t S.W. Spagna

16.1 – 17.2

Nord Atlantico

5.2 – 5.2

Vocaturo

Nord Atlantico

6.2 – 3.3

Marcello *

Teppati

Nord Atlantico

6.2 – 22.2

Barbarigo

Ghiglieri

Nord Atlantico

10.2 – 8.3

Velella

Terra

Nord Atlantico

23.2 – 21.3

Brin

Longanesi

Nord Atlantico

26.2 – 25.3

Argo

Crepas

Nord Atlantico

27.2 – 30.3

Mocenigo

Agostini

Nord Atlantico

1.3 – 26.3

Emo

Lorenzini

Nord Atlantico

3.3 – 26.3

Giuliani **

Raccanelli

Nord Atlantico

5.3 – 6.4

Veniero

Petroni

Nord Atlantico

5.3 – 31.3

Glauco

Baroni

S.W. Spagna

27.3 – 22.4

Dandolo

Boris

S.W. Spagna

9.4 – 27.4

Baracca

Bertarelli

S.W. Spagna

TOTALE

2

1

9

3

1

1

5

24.222

5.759

2.104

10.4 – 4.5

30.433

* Sommergibile affondato. * * Trasferimento a Gotenhafen.

Il fatto che i sommergibili di Betason non riuscissero a conseguire quei successi che ottenevano i battelli tedeschi indusse il 6 maggio l'ammiraglio Dönitz ad assegnare ai suoi alleati nuove zone operative (al di fuori di quelle riservate ai suoi Uboote) autorizzandoli, in particolare, ad operare nell'area a ponente di Gibilterra, come era stato richiesto dagli italiani. Di questa sua decisione l'ammiraglio Dönitz mise al corrente il comandante di Betasom il 15 maggio. Quel giorno, su invito dello stesso B.d.U., che gli aveva messo a disposizione il suo aereo personale, l'ammiraglio Parona arrivò a Lorient, per poi

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trasferirsi a Kernevel. Nel colloquio che seguì, presenti con l'ammiraglio Dönitz il suo Capo di Stato Maggiore capitano di fregata Godt e gli ufficiali di collegamento, capitani di corvetta Beaker e Sestini, venne esaminata – in base a dati statistici e a informazioni raccolte a Berlino dalla Seekriegsleitung – la situazione creatasi nel traffico oceanico e quella prevedibile per il prossimo futuro.

Kernevel (Lorient), maggio 1941. L’ammiraglio Parona davanti alla compagnia d’onore dopo aver ricevuto dall’ammiraglio Dönitz (secondo da destra) la Croce di Ferro di 1 a classe

Esposta la situazione su una grande carta, appositamente compilata dalla SKL, e analizzate le varianti che si erano verificate in quegli ultimi mesi, Dönitz sottopose a Parona il suo progetto di riservare ai sommergibili italiani zone di operazione separate da quelle assegnate ai battelli tedeschi: – a sud-ovest dell'Irlanda; a ponente di Gibilterra; previ accordi, al largo di Freetown. Dönitz giustificò la ragione di questa scelta per i seguenti tre motivi: 1° - La situazione del traffico nella zona Nord sembra caratterizzata da due direttrici principali, verso W e verso S.

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2° - In base a considerazioni generali, e a seguito del crescente numero di sommergibili, risulta più pratico che nelle varie zone operino solo sommergibili della stessa nazione. 3° - L'importanza del Mediterraneo va sempre aumentando ed è perciò da rinforzare l'impiego contro lo Stretto di Gibilterra. In definitiva, nella zona settentrionale i sommergibili italiani dovevano operare prevalentemente a sud del 55° parallelo poiché, con l'avanzare della primavera, il miglioramento del tempo e coll'accorciamento alle alte latitudini delle ore notturne, si accrescevano per essi le difficoltà, soprattutto a causa della loro scarsa rapidità d'immersione in zone ove la scorta e la sorveglianza del nemico negli ultimi tempi era andata aumentando considerevolmente. Infatti, il periodo delle notti corte e quindi una crescente lunghezza della giornata ed una maggiore sorveglianza aerea dalle prime ore del mattino fino a tarda sera, erano elementi che rendevano più difficili il mantenimento del contatto che riducevano, in modo considerevole, il periodo favorevole di oscurità permesso per gli attacchi dei sommergibili. I battelli italiani potevano operare verso sud senza limitazioni fino all'altezza del parallelo 47°30' nord, mentre da questo parallelo fino al 42° e ad occidente del 25° meridiano ovest, dove passavano le rotte delle navi da preda dirette in Francia, la loro azione doveva limitarsi all'attacco a convogli e a piroscafi isolati sicuramente riconosciuti nemici. La zona a ponente di Gibilterra, con incluse le Isole Canarie e la costa occidentale dell'Africa, era scelta poiché maggiormente adatta all'impiego delle unità subacquee di Betasom, a causa delle migliori condizioni ambientali e per le possibilità belliche più favorevoli, rappresentate da un aumentato traffico osservato negli ultimi tempi: un convoglio in uscita da Gibilterra ogni dieci giorni. Su questa suddivisione delle aree operative i due Ammiragli si trovarono pienamente d'accordo poiché il criterio di operare in zone separate era conveniente per ambedue le Marine. Infatti, mentre al nord i tedeschi, potendo contare su un sempre maggior numero di sommergibili di nuova costruzione, erano ormai in grado di insidiare da soli le rotte America - Inghilterra, a sud i battelli di Betasom si sarebbero trovati ad operare in un settore che negli ultimi tempi era andato acquistando grande importanza: le rotte Inghilterra – Gibilterra - Mediterraneo, dove la navigazione, in quel periodo, si svolgeva del tutto indisturbata. Là essi sarebbero stati avvantaggiati dalle notti relativamente lunghe anche nella stagione estiva, e questo avrebbe loro permesso di operare con maggiore tranquillità di quanto avrebbero potuto fare nelle alte latitudini.

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L'ammiraglio Parona disse al riguardo di aver preparato un attacco contro il traffico convogliato davanti allo Stretto di Gibilterra, con un primo gruppo di sette sommergibili, e tale operazione venne da Dönitz ritenuta «opportuna e vantaggiosa». Non venne invece accordata agli italiani la richiesta di operare con sommergibili nelle acque sudafricane del Capo di Buona Speranza, poiché la Direzione delle Operazioni Navali della Marina germanica aveva comunicato di aver destinato quel settore alle proprie navi di superficie. * * * Durante i due giorni di permanenza a Kernevel, l'ammiraglio Parona si tenne continuamente in contatto, per telescrivente, con la sede del suo Comando, a Bordeaux, per seguire lo svolgimento di una operazione che i sommergibili italiani stavano svolgendo ad ovest dell'Irlanda.

Vedetta sulla torretta di un sommergibile italiano che naviga nel Nord Atlantico con mare grosso.

Ai primi di maggio erano partiti per la zona operativa settentrionale il Morosini, il Bianchi, il Barbarigo e l'Otaria. Essi avrebbero dovuto raggiungere posizioni assegnate ad ovest della Scozia, dove al momento si trovava il solo Malaspina, l'ultimo battello del gruppo precedente. Ma, con inizio dal 17 maggio, dopo una serie di spostamenti determinati dalla necessità di intercettare convogli in transito in zone più meridionali, in seguito ai nuovi accordi, i sommergibili vennero trattenuti a sud del 55° parallelo.

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Già a partire dal mattino del 9 maggio i sommergibili avevano ricevuto l'ordine di intercettare un convoglio segnalato con rotta a ponente. L'indomani, prima l'Otaria (capitano di corvetta Giuseppe Vocaturo) e successivamente il Barbarigo (capitano di corvetta Giulio Ghiglieri) riuscirono ad avvistare la formazione nemica e la tallonarono a lungo, comunicando ad intervalli posizioni e variazioni di rotta. Tuttavia, a causa di una intensa vigilanza esercitata dai britannici con aerei e navi di scorta, i due battelli vennero individuati e costretti a disimpegnarsi con rapida immersione, prima di aver portato a termine un qualsiasi tentativo di attacco. Una nuova occasione si presentò il giorno 12. Per intercettare un piccolo convoglio con rotta verso levante, avvistato e poi perduto dal Bianchi (capitano di corvetta Franco Tosoni Pittoni), il Comando ordinò ai sommergibili di costituire per l'indomani una linea di agguato; la manovra non ebbe successo poiché né il Morosini (capitano di corvetta Athos Fraternale), che avvistò ed inseguì vanamente la petroliera britannica Vancouver, di 5.729 tsl, né il Barbarigo e il Bianchi, spostatisi per ricercare quella nave, riuscirono a raggiungere le posizioni assegnate.

La petroliera Vancouver che si sottrasse alla caccia del sommergibile Morosini.

Il mattino del 14 maggio un aereo tedesco, in volo di ricognizione ad occidente dell'Irlanda, avvistò un convoglio di venticinque piroscafi e otto navi scorta con rotta sud-ovest a 8 nodi. Betasom, che al momento aveva le proprie unità molto sparpagliate e in parte ancora in rotta per le zone di operazione più settentrionali, assegnò ai sommergibili nuove posizioni di agguato. Purtroppo, il Barbarigo si impegnò ben otto ore nel vano inseguimento del piroscafo inglese Manchester Port, e l'Otaria si immerse per sottrarsi all'avvistamento di un aereo. Per tali contrattempi entrambi i sommergibili mancarono di raggiungere le zone assegnate, ragion per cui, quando l'indomani il

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Bianchi riuscì ad avvistare il convoglio, i soli Morosini e Malaspina si trovarono in posizioni abbastanza favorevoli per intervenire. Il Bianchi ricevette l'ordine di trasmettere ogni 20 minuti una serie di «X» radiogoniometrici per guidare all'attacco una formazione di aerei tedeschi; ma questi, i FW.200 del I./KG.40, decollati da Marignac nelle ore serali, non riuscirono a rintracciare il convoglio perché il sommergibile, che era stato avvistato e sottoposto a caccia, trovandosi in immersione non poté inviare i segnali richiesti.

Il piroscafo britannico Manchester Port che fu inseguito vanamente per ben otto ore dal sommergibile Barnarigo.

A sera, non essendo giunte altre notizie e supponendo che il convoglio, nel dirigere verso sud, avesse aggirato da quel lato lo sbarramento, il Comando ordinò ai sommergibili di raggiungere al più presto nuove posizioni lungo il 50° parallelo, così da costituire, davanti alla probabile rotta nemica, uno schieramento avanzato, spostato di 140 miglia a sud-ovest da quello ordinato il giorno avanti. Ma anche questo sbarramento rimase incompleto in quanto, a causa degli attacchi aerei a cui erano stati soggetti durante la giornata, Barbarigo, Malaspina e Bianchi non furono in grado di raggiungere in tempo le posizioni assegnate. Allora, mentre Morosini e Malaspina al limite dell'autonomia prendevano la rotta del ritorno, Betasom, nell'ipotesi che il convoglio avesse diretto a occidente, anziché a sud come in precedenza creduto, ordinò ai tre rimanenti sommergibili di tornare verso settentrione per iniziare, a partire dal mattino del 16, una ricerca a rastrello. Purtroppo, con l'Otaria rimasto molto indietro a causa di un'avaria ai motori, i soli Bianchi e Morosini raggiunsero le posizioni assegnate; essi ricercarono a lungo il nemico, ma senza successo.

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Per giustificare con Supermarina il fallimento dell'operazione, la prima diretta da Betasom indipendentemente e con piena autonomia, l'ammiraglio Parona compilò una estesa relazione sugli avvenimenti. Rilevato che molti sommergibili mancarono di raggiungere gli sbarramenti ordinati, perché attardatisi nell'inseguire piroscafi incontrati durante la rotta o per sottrarsi agli avvistamenti aerei, specificava: Se le unità avessero potuto attenersi agli ordini impartiti, il convoglio verosimilmente avrebbe potuto essere attaccato da almeno tre sommergibili. Ne consegue che di massima, disponendo di poche unità, sembra consigliabile rinunciare all'esplorazione di ampie zone di mare e convenga riunire i sommergibili in zone limitate, gli uni agli altri relativamente vicini, spostando se nel caso ad intervalli la loro zona di operazione. Una volta interrotta la ricerca del convoglio i tre sommergibili ancora disponibili ricevettero l'ordine di raggiungere nuove posizioni di agguato. Ma, mentre il Bianchi e il Barbarigo vi arrivarono regolarmente, l'Otaria, che per riparare le avarie ai motori si trovava fuori zona, il mattino del 19 maggio ebbe la fortuna di avvistare i fumi dell'SL.73 partito da Freetown il 27 aprile e diretto a Liverpool, costituito da 38 mercantili, inclusa la nave ausiliaria oceanica Esperance Bay, e che durante la navigazione fu protetto da 18 unità di scorta. Il capitano di corvetta Giuseppe Vocaturo, comandante dell'Otaria, avrebbe voluto sopravanzare di giorno il convoglio, ma i motori che fumavano abbondantemente sconsigliarono la manovra. Allora, tenendosi di poppa in vista dei fumi delle navi, mantenne il contatto diurno, immergendosi di tanto in tanto per sfuggire alla vigilanza di cacciatorpediniere e degli aerei di scorta. Nel corso della notte e protetto dall'oscurità, sopravanzò il convoglio e, manovrando adeguatamente, e alle 04.20 lo attaccò penetrando al centro delle tre colonne di mercantili e lanciando due siluri su una grande nave dalla distanza di 600 metri. Scrisse il comandante Vocaturo nel suo rapporto di missione: Si sente prima un colpo sordo e si vede, all'altezza della prua della nave, una forte colonna d'acqua. Alcuni momenti dopo si sente il secondo colpo e si vede una grande fiammata. La nave si arresta, fischia, si piega al centro e accende un razzo e emette 2 volte il segnale: “SSS n. 14 torpedoed”. Subito dopo l’attacco, vedendo tre sagome ritenute di cacciatorpediniere che si avvicinavano al sommergibili, il comandante Vocaturo che avrebbe voluto attaccare una seconda nave, a manovra iniziata decise di ordinare la rapida immersione.

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Subito dopo il disimpegno il sommergibile venne sottoposto ad una prolungata caccia con bombe di profondità, che procurarono a bordo notevoli danni. L'azione dell'Otaria ebbe però successo poiché l'unità silurata era il piroscafo britannico Starcross (capitano Henry Burgess), di 4.462 tsl, costruito nel 1936 e appartenente alla Exmouth S.S. Ltd. Di Cardiff. Partito da Lasgos, via Freetown per Hull, con 7.458 tonnellate di prodotti dell’Africa occidentale, lo Starcross fu colpito alle 00.13 del 20 maggio da un siluro dell’Otaria in lat. 51°45’N 20°45’W, a 324 miglia a ovest-sud-ovest di Rockall. Mortalmente danneggiato, il piroscafo fu poi affondato da una delle unità di scorta. Nel frattempo il comandante e tutti i quarantanove uomini dell'equipaggio della nave furono recuperati dal cacciatorpediniere canadese St. Francis (tenente di vascello Clark A. Rutherford), la cui prontezza nell’opera di salvataggio permise che dello Starcross non vi fosse alcuna perdita di vite umane.

Il sommergibile Otaria che il 19 marzo, attaccando il convoglio SL.73, riuscì a silurare ed affondare il piroscafo britannico Starcross.

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Il piroscafo Starcross affondato dal sommergibile Otaria.

Purtroppo questo successo dell’Otaria rimase isolato. Gli altri sette sommergibili italiani che operarono nell'Atlantico Settentrionale nei mesi di aprile e maggio, malgrado i miglioramenti nella capacità d'impiego per assimilare i metodi operativi tedeschi, non avevano visti premiati i loro sforzi. Mentre Otaria e Bianchi, al limite dell'autonomia, prendevano la rotta del ritorno, il Barbarigo continuò a rimanere nella zona di operazione fino al 25 maggio quando, anch'esso a corto di nafta, iniziava la navigazione verso la base. Ma due giorni più tardi ricevette l'ordine di portarsi in latitudine 47°30'N, longitudine 16°30'W dove la nave da battaglia tedesca Bismarck, immobilizzata da un siluro di aerosiluranti, si trovava in combattimento con navi da battaglia britanniche. 30 30

la Bismarck, accompagnata dall'incrociatore Prinz Eugen, era partita dal fiordo norvegese di Bergen il 20 maggio. Quattro giorni più tardi, mentre attraversava lo Stretto di Danimarca, fra la Groenlandia e l'Islanda, venne intercettata dalle navi da battaglia britanniche Hood e Prince of Wales; nel breve cruento scontro che ne seguì la nave tedesca dette un saggio della propria potenza affondando l'Hood e danneggiando la Prince of Wales. Per rintracciare le unità tedesche, che agevolate dal tempo cattivo erano riuscite a far perdere le loro tracce, dividendosi, i britannici organizzarono una gigantesca caccia. La loro tenacia venne ricompensata poiché la Bismarck, attaccata la sera del 26 dagli aerosiluranti della portaerei Ark Royal, della Forza H di Gibilterra, colpita da un siluro e non più in grado di manovrare per danni al timone, venne raggiunta dalle corazzate della Home Fleet King George V e Rodney e affondata il mattino del 27 a 400 miglia al largo di Brest. Nessun aiuto riuscirono a portare alla Bismarck sei sommergibili tedeschi (U-48, U-73, U-74, U-97, U-98, U-556) che l'ammiraglio Dönitz, per coprirne la ritirata verso la Francia,

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Successivamente, avendo il B.d.U. comunicato a Betasom che era in mare anche la Forza H, la squadra navale di Gibilterra, il Barbarigo ricevette ordine di restare all'estremo nord della sua zona di agguato, in posizione atta per intercettarla. Infatti, alle 17.30, il sommergibile avvistò alcune unità navali – fra cui una portaerei, un incrociatore, nove - dodici cacciatorpediniere, cinque corvette – che procedevano con rotta sud-ovest a 20 nodi, ma non poté attaccare a causa del mare tempestoso. Quando l'indomani Betasom venne a conoscenza che la Bismarck era stata affondata, e che unità spagnole e sommergibili tedeschi si stavano portando nella zona per recuperare i naufraghi, venne chiesto al Barbarigo: «segnalare se potete dirigere nella zona e contribuire ricerca». Ma il comandante Ghiglieri, considerando che il suo sommergibile si trovava distante 190 miglia e che avrebbe dovuto navigare con mare contrario e a corto di nafta, dopo aver considerato: «Dovrei spostarmi con mare di prora, potrei forse camminare fra 8 o 10 nodi. Arriverei troppo tardi e molte unità sono già in zona per la ricerca», rispose: «Non posso dare assistenza».

La corazzata tedesca Bismarck ripresa dall’incrociatore Prinz Eugen nello Stretto di Danimarca. Dopo aver affondato in queste acque, il 24 maggio 1941, l’incrociatore da battaglia britannico Hood fu danneggiata da aerosilurante Swordfish delle portaerei Victorious e Ark Royal, e infine raggiunta ed affondata il giorno 27 dalle corazzate King George V e Rodney.

aveva dislocato, assieme al Barbarigo, nel Golfo di Biscaglia. Essi incrociarono nella zona fino al 31 maggio, ma tutto ciò che trovarono furono tre uomini su un battellino recuperato dall'U-74.

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L'affondamento della Bismarck, e quello successivo delle petroliere che erano state destinate a darle assistenza, portarono a quel tempo alla considerazione che il nemico fosse al corrente degli spostamenti delle navi tedesche. Infatti, all'insaputa di tutti, il 9 maggio 1941, durante l'attacco di cinque U-boote al convoglio OB.318, dall'U-110 (tenente di vascello Fritz Julius Lemp), affondato a sud dell'Islanda dalle navi scorta britanniche, corvetta Aubrietia e cacciatorpediniere Bulldog e Broadway, furono prelevati documenti segreti, ordini di operazione nonché un esemplare della più recente macchina cifrante Enigma, con le norme di funzionamento. Lo storiografo britannico, capitano di vascello Stephen Wentworth Roskill, con il suo libro «The secret capture», pose un interrogativo che, evidentemente per superiori disposizioni, rimase a lungo senza risposta. Oggi sappiamo che i britannici, tramite il loro servizio crittografico Ultra (che dall’18 marzo 1940 si avvaleva a Bletchley Park della prima macchina decifratrice Bomber), decifrando i messaggi in codice trasmessi con l'Enigma potevano individuare le navi di superficie tedesche e gli schieramenti di sommergibili indicati negli ordini di operazione. Infatti, il 10 maggio, il giorno successivo alla cattura dell'U-110, fu individuata la posizione dove si sarebbe dovuto costituire uno sbarramento italiano.

Una scialuppa a motore con una squadra da preda si avvicina al sommergibile U-110.

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La cattura dell’U-110. L’equipaggio da preda del cacciatorpediniere Bulldog, otto uomini comandati dal tenente di vascello David Edward Balme, é sul sommergibile intento ad asportarne documenti e quanto d’importante, compresa la macchina cifrante Enigma.

La cattura dell’U-110, 9 maggiio 1941. K.W. Radcliffe (anno 2002) Merseyside Maritime Museum.

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Sopra, la stazione radio del sommergibile U-124. In basso, alla sinistra dell’operatore alle trasmissioni, e la valigetta di legno contenente la macchina cifrante Enigma a tre rotori. Purtroppo non possediamo alcuna foto delle Enigma dei sommergibili italiani dell’Atlantico. Sotto l’operatore al lavoro con la macchina cifrante Enigma a tre rotori.

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Fortunatamente il Servizio Informazioni della Regia Marina (S.I.S.), dipendente da Maristat, che si teneva in stretto collegamento con il B-Dienst della Kriegsmarine, ne venne a conoscenza, e telegrafò a Betasom: «Ammiragliato inglese ha segnalato concentramento sommergibili in circa 53°17'W»; e l'indomani aggiunse: «Comunicate se concentramento è stato effettivamente ordinato». Betasom rispose che nella posizione indicata non vi era alcun sommergibile, ma che il «concentramento, non ordinato, doveva realizzarsi». Il 30 maggio del 1941, con il rientro del Barbarigo, l'ultima unità di Betasom che aveva operato ad occidente delle Isole britanniche, si chiudeva, con risultati, nel complesso modesti, la campagna iniziata in quella zona operativa nell'ottobre del 1940. Infatti, i successi conseguiti nel corso di 43 missioni di guerra furono costituiti dall'affondamento di 19 navi mercantili per 84.548 tsl e dal danneggiamento con siluro di un cacciatorpediniere, mentre da parte italiana andarono perduti 4 sommergibili: Tarantini, Faà di Bruno, Nani, Marcello.

163 ATTIVITÀ DEI SOMMERGIBILI NEL NORD ATLANTICO (APRILE·- MAGGIO 1941) SOMMERGIBILI TEDESCHI Mese

Navi affondate

Smgg. perduti

n.

Aprile

2

Maggio TOTALE

SOMMERGIBILI ITALIANI Navi affondate

t

Smgg. perduti

n.

t

32

189.522







l

30

163.798



l

4.662

3

62

353.320



l

4.662

MISSIONI DEI SOMMERGIBILI ITALIANI NEL NORD ATLANTICO (3 APRILE - 30 MAGGIO 1941) Navi affondate Sommergibile Da Vinci Cappellini Torelli Malaspina Morosini Bianchi Otaria Barbarigo

Comandante Calda Todaro De Giacomo Prini Fraternale Tosoni Vocaturo Ghiglieri TOTALE

Attacchi – 1 – 1 1 – 2 1 6

Durata missione n.

t

– – – – – 1 – 1

– – – – – – 4.662 – 4.662

3.4 16.4 17.4 18.4 30.4 2.5 4.5 5.5

– – – – – – – –

Seguirà come seguito al presente saggio :

I SOMMERGIBILI DI “BETASOM” OPERAZIONI NELLA ZONA DI FREETOWN E NELL'ATLANTICO CENTRO OCCIDENTALE (DICEMBRE 1940 - MAGGIO 1941) Di Francesco Mattesini

4.5 17.5 16.5 20.5 22.5 28.5 24.5 30.5