I due Pasolini. Ragazzi di vita prima della censura 8843086626, 9788843086627

Il 13 aprile 1955 Pier Paolo Pasolini invia a Livio Garzanti il dattiloscritto di "Ragazzi di vita". Crede di

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Italian Pages 145/146 [146] Year 2018

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I due Pasolini. Ragazzi di vita prima della censura
 8843086626, 9788843086627

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LINGUE E LETTERATURE CAROCCI

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Silvia De Laude

I due Pasolini Ragazzi di vita prima della censura

Carocci editore

1• edizione, febbraio 2.018 ©copyright 2.018 by Carocci editore S.p.A., Roma Impaginazione e servizi editoriali: Pagina soc. coop., Bari Finito di stampare nel febbraio 2.018 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG) ISBN

978-88-430-8662-7

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. della legge aprile n.

171

22

1941, 633 )

Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Premessa

9

I.

A Roma, nel 1950: all' insegna della Ferro-Beton

13

2.

L' Ur -Ragazzi di vita: quando Il Ferrobedo era un trittico

27



Altri esperimenti: quando le carte romane e friulane si rimescolano, e riaffiorano fantasmi marini

ss



L' incontro con l'editore

61



La prima versione della Biblioteca nazionale di Roma

77

6.

Il dattiloscritto inviato a Livio Garzanti: quando Pasolini eredeva di aver finito il suo romanzo

87



Bozze « da correggere e da castrare » : i giorni dell'autocensura

93

8.

« Il mio libro letto dagli altri » : quando Ragazzi di vita è stampato e va per la sua strada

IOS

Appendice. Il processo a Ragazzi di vita, nonostante tutto

III

Documenti

129

Bibliografia

1 37

Indice dei nomi

143

A Claudia

Premessa

I protagonisti di queste pagine sono due - un romanzo e il suo editore, o se si preferisce due "voci" dello stesso autore, che prima ha scritto (faticosa­ mente ) un romanzo, e poi è stato costretto dal suo editore a rimetterlo nuo­ vamente a fuoco. Di qui il titolo, e l' immagine di copertina, che richiedono una spiegazione. Esattamente dieci anni dopo l'uscita di quell' « oggetto formidabile » (secondo Gianfranco Contini ) che è Ragazzi di vita, Pasolini è colpito da un'ulcera che lo costringe a letto per mesi. Nell' immobilità forzata della malattia, succede qualcosa. Ricomincia a scrivere per il teatro, sua passione giovanile, e ricomincia a dipingere. Risale a quel periodo una serie di autoritratti la cui eccezionalità è risultata con evidenza nella mostra su Pasolini e Testori a Novate Milanese, a cura di Giovanni Agosti e Davi­ de Dall' Ombra1• Già Gianfranco Contini ne era rimasto colpito e li aveva ricordati nella sua Testimonianza per Pier Paolo Pasolini, come « testimo­ nianze biograficamente, e direi perfino clinicamente importanti, dell'atti­ vità di disegnatore di Pasolini, in parte essenziale collegata a un intervallo di malattia e convalescenza, paragonabile, se non bestemmio, all' "uso asce­ tico" delle malattie predicato da Pascal » . Non immagini erotiche, come potrebbe pensare « l'estraneo trivialmente informato » , ma « una serie mas­ siccia di autoritratti: rovesciati, cioè appena estratti dallo specchio » 2.. Ora, uno di questi autoritratti allo specchio, ritagliati come fototesse­ re - una ossessiva rappresentazione di sé (che fa già pensare a Dino Pedriali e alle foto per Petrolio) -, intreccia in modo singolare la sua strada con il capitolo di storia della cultura italiana rappresentato dal rapporto tra Li­ vio Garzanti e i suoi autori3• Dato per disperso ( « di ubicazione ignota » , 1 . Agosti, Dall'Ombra (2012). 2. Contini (1986, p. 395). 3· Sulla questione dei ritratti fotografici che Pasolini aveva commissionato a Dino Pe­ driali, cfr. almeno Belpoliti (2010) e ora Bazzocchi (2017, pp. 156-8). Alcuni ritratti (un 'altra serie) sono riprodotti in Pedriali (2004). 9

I DUE PASOLINI nell'accuratissimo catalogo della mostra di Novate), il disegno era stato re­ galato da Pasolini proprio al suo editore (cfr. la figura a p. 12). Che, a sua volta, lo aveva passato a Tullio Pericoli al momento di affidargli (nel 1987) gli affreschi della Sala delle riunioni della casa editrice, in via della Spiga 30. I dipinti a colori acrilici di Pericoli sono ancora nella sala progettata da Gio Ponti, ormai in disuso, e visitabile grazie alla cortesia di qualche colla­ boratore di Garzanti rimasto ad abitare nel palazzo, come Silvio Riolfo. Nei dipinti si riconoscono, oltre all'editore-mecenate, la moglie Gina Lagorio, e i più importanti autori Garzanti - Carlo Emilio Gadda, con un man­ tello svolazzante, e Giovanni Giudici, Claudio Magris, Attilio Bertolucci, Sandra Penna, Giorgio Caproni, Mario Luzi, Goffredo Parise (nelle due lunette e nelle fasce laterali )4• Pasolini è in fondo alla fascia di sinistra, con una camicia a righe aperta sul collo, in una pagina di fantasia dell' Enciclo­ pedia europea, dove al lemma « Pasolini » compaiono un ritratto dell'autore (quello con la camicia a righe) e - subito sotto - la riproduzione di un autoritratto dello scrittore-pittore a sanguigna: quello stesso che Pasolini aveva regalato al suo editore, con citazione elegante e ironica del topos del ritratto donato, a suggello di una profonda e difficile amicizia durata quasi quanto una vita. È questa l' immagine con i "due Pasolini" che compare nella copertina di questo libro : il segno esibito del rapporto fra autore e editore, e insieme l' invito alla lettura di un romanzo in gran parte scono­ sciuto, e della sua storia. Le linee generali della vicenda raccontata qui sono anticipate nella Nota al testo a Ragazzi di vita nel volume I dei Romanzi e Racconti nei "Meridiani" Mondadori (1998). Dall'uscita di quel primo volume delle opere complete, 4· Disegni e cartoni preparatori sono stati esposti a Milano alla Galleria Daverio nel 1998, e alcuni riprodotti nel catalogo ( Tullio Pericoli. Progetti e disegni per la decorazione della Sala Garzanti, Milano 1998).In seguito li ha acquisiti la Cassa di risparmio di Ascoli Piceno. Nel catalogo milanese del 1988 figura, fra l'altro, un testo del committente che qui riproduco : «Tutto è su un fondo chiaro, senza il peccato di colori forti, con segni leggeri tra ricci di nuvole bianche che creano nella fascia stretta l ' illusione degli spazi di un cielo. Tra le nuvole sul fondo luminoso le figure dei miei ricordi. Ho Gadda con un mantello svolazzan­ te nell 'aria trasparente, il volto che ricordo impacciato dal pensiero e chiuso dall'ironia, qui liberato dai tormenti, che ride in allegra beatitudine. Come piacerebbe questa immagine al Gran Lombardo! Nei margini larghi di grandi pagine fitte come quinte del cielo sono i ritratti di Calvino, di Gina mia moglie, del mio amico Pasolini con la faccia dei ragazzi di vita, di Attilio Bertolucci delfico consigliere che mi diede lustro quando nacqui editore. Ci sono pagine della mia ultima grande terribile impresa, L'Enciclopedia Europea». Proprio nelle pagine dell'Enciclopedia europea è inserito il ritratto (con autoritratto donato) di Pier Paolo Pasolini.

IO

PREMESSA ho trovato nuovi materiali epistolari inediti relativi all'elaborazione del ro­ manzo, al rapporto con Garzanti e alle vicende del processo per oscenità e pornografia che ha visto Pasolini e Garzanti co-imputati nel 1 9 5 6 a Milano (terzo imputato, l' incolpevole padre di Livio : Aldo). Ma, soprattutto, ho raccontato questa storia a tanti amici, che mi hanno dato indicazioni e con­ sigli. Walter Si ti ha condiviso con me l'entusiasmo della scoperta, quando in una torrida estate romana gli ho raccontato del manoscritto (in realtà dattiloscritto) ritrovato alla Biblioteca nazionale di Roma. Grazie, da allo­ ra. Paola Italia anche su questo libro ha esercitato il suo influsso benefico (ma da tempo mi ha abituata ad abusare della sua intelligenza, della sua generosità e della sua amicizia) . Umberto Pasti è stato un sostegno multi­ forme in varie fasi dell'elaborazione di questo studio : che molto deve an­ che (fin dalla conoscenza dell' immagine da cui ho tratto il titolo) a Silvio Riolfo ; e a Renata Colorni, Luca Formenton, Eloisa Morra, Tullio Pericoli, Domenico Scarpa. Un ringraziamento particolare va a Livio Garzanti, che mi ha aiutata a ricostruire tante tappe delle traversie editoriali del primo romanzo romano di Pasolini, uscito (fa un po' impressione) poco più di sessant'anni fa. E a Claudia Evangelisti, senza la quale questo libro non esisterebbe.

II

I

DUE PASOLINI

L'autoritratto di Pasolini regalato a Livio Garzanti

Milano, collezione privata. Per gentile concessione di Silvio Riolfo

12

I

A Roma, nel 1950: ali' insegna della Ferro-B eton

Nel 1 9 5 0 - ha scritto Walter Siti - Pasolini arriva a Roma con pochi soldi e molti manoscritti: L'esile fama di poeta in friulano gli sta stretta: ha già pubblicato sui giornali del Nord qualche prosa d'arte, ha preso parte a qualche polemica, ma le sue ambizioni sono più voraci, i tentativi romanzeschi si stanno accumulando tra le sue carte. La semi-disoccupazione lo sprona, e scrive e scrive, per sfogare la sua ansia sperimenta­ le e per non lasciarsi sopraffare da una città che nega, con la propria arida violenza, qualunque delicata elegia. Il vecchio stile rischia di schiantarsi sotto l'urto, e invece sotterraneamente ( estremizzandosi ) si rafforza. Assistiamo allo spettacolo di un talento al lavoro, che messo alla frusta risponde imboccando mille strade diverse: una ricchezza potenziale che uscirà purificata, ma certo impoverita, nei due fiumi principali che saranno Le ceneri di Gramsci e Ragazzi di vita1•

Dal Friuli era partito insieme alla madre il 28 gennaio 19 5 0, in seguito allo scandalo scoppiato dopo i fatti di Ramuscello. Vent'anni dopo, lo ricorderà nelle pagine Al le t ore nuovo premesse all'auto-antologia garzantiana delle sue poesie ( « Nell' inverno del ' 49 fuggii con mia madre a Roma, come in un romanzo » ), aggiungendo di aver cominciato quasi subito «quella cosa narrativa » che sarebbe diventata Ragazzi di vita2.. La pagina "romanzesca" della fuga, invece (l'unica «pagina di roman­ zo » della sua vita, dirà nel Poeta delle ceneri) non sarebbe mai riuscito a scriverla, nemmeno nel romanzo postumo Il disprezzo della provincia, 1. Così l 'aletta di copertina del libretto che raccoglie i primi esperimenti narrativi nati a Roma tra il 1950 e il 1951: Pasolini (1995). Tutti i testi di Storie della città di Dio sono confluiti in RR I, RR II, SPS, SLA. 2. Le pagine Al lettore nuovo, uscite come prefazione alla raccolta antologica delle Poesie pubblicata da Garzanti nel 1970, si leggono ora in SLA, pp. 2511-22. Sempre nella prefazione all'auto-antologia del 1970 si trova la notizia (sbagliata) che la fuga di Pier Paolo e Susanna dal padre e dal marito sia avvenuta nell'inverno del 1949.

I DUE PASOLINI del I 9 S I - S 2, in cui uno scandalo non chiarito costringe il protagonista a lasciare il Friuli per Roma, insieme alla madre - mancano, nel romanzo, due capitoli, e la fuga dal paese doveva essere raccontata proprio in uno di quellP. I fatti all'origine dello scandalo sono noti4• Nell'ottobre del I949 i Ca­ rabinieri avevano denunciato Pasolini per corruzione di minori e atti osceni in luogo pubblico, dopo un incontro erotico con alcuni ragazzi in un prato dalle parti di Ramuscello. In paese e a casa, con il padre, la vita gli era diven­ tata impossibile. In una volta sola aveva perso il lavoro di maestro e la tessera del Partito comunista. La Federazione regionale di Udine lo aveva espulso prima ancora della sentenza, il 26 ottobre, con una decisione che "l' Unità", qualche giorno dopo, aveva presentato così: Prendiamo spunto dai fatti che hanno determinato un grave provvedimento di­ sciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre, di altret­ tanti decantati poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese5•

3· Il disprezzo della provincia è stato pubblicato la prima volta in RR I, pp. 423-528 (cfr. per le circostanze della composizione la "notizia" nello stesso volume alle pp. 1682-90 ). I due capitoli mancanti sono il VI e il VII. Già nel v, l 'episodio all 'origine dello scandalo è oggetto di semplici allusioni, e l 'abbozzo del capitolo che si conserva manoscritto in un quaderno scolastico dimostra che l'oscurità nasce insieme al racconto e non come conse­ guenza di tagli o autocensure. Nel Disprezzo della provincia, lo scandalo legato ai fatti di Ramuscello si confonde con un altro episodio, avvenuto nel gennaio del 1951: Pasolini aveva festeggiato il capodanno a Venezia con Nico Naldini e Giovanni Comisso, ed era stato coinvolto in una rissa con alcuni ragazzi, in seguito al furto di un portafogli; gli era toccato di passare la notte in una camera di sicurezza dei Carabinieri, e Com isso si era infuriato con lui. Ringrazio Nico Naldini dell'impagabile racconto orale della vicenda. 4· Li ricostruisce con nuovi dettagli Belpoliti (2012). Cfr. anche Belpoliti (2010) e Scarlini (2013, pp. 175-8). 5· Il passo è citato in LE I, p. CIX. Si tratta di un articolo redatto da Ferdinando Mauti­ no, eroe della Resistenza col nome di battaglia Carlino. Ha fatto notare Belpoliti, a propo­ sito del riferimento a Gide e Sartre, che qualche settimana prima dei fatti di Ramuscello sul settimanale comunista di Udine, "Lotta e lavoro", era apparso un articolo in cui si denun­ ciava un episodio di corruzione di minori da parte di un «massimo esponente democristia­ no », il cui nome viene dato con le iniziali soltanto, M. A. Secondo l 'autore dell'articolo, il pedofìlo sarebbe un ex presidente dell'Azione cattolica, e la Democrazia cristiana starebbe cercando di nascondere lo scandalo. Questo per dire l 'aria che si respirava in quegli anni nel Partito comunista nei confronti degli omosessuali. Ricavo dal saggio di Belpoliti anche la quasi unanime presa di distanza da Pasolini dei comunisti friulani (unica eccezione, una collega di Pier Paolo, Teresina Degan). Dei fatti sul prato di Ramuscello aveva dato notizia anche la stampa, con brevi trafìletti apparsi sul "Messaggero Veneto" del 1° ottobre e "Il 14

I. A

ROMA NEL 1950: ALL' INSEGNA DELLA FERRO-BETON

Dopo averlo amato come un «piccolo profeta » , il paese si era rivoltato rabbiosamente contro di lui: Era amato da tutto il paese, considerato veramente un piccolo profeta. Ma improv­ visamente è esploso quello che poi è stato il dramma di tutta la sua vita. Allora tutto il paese, che lo aveva amato moltissimo, insorse sconvolto e furente contro di lui6•

In una lettera all'amico Luca Cavazza, il cugino Nico Naldini parla di una « bomba » che presto scoppia anche a Bologna, dove Pasolini aveva studia­ to e aveva più amici letterati: Ho ricevuto stamattina da Serra una lettera molto allarmata; cosicché la bomba è scoppiata anche a Bologna. La situazione è questa : si attende che la denuncia segua il suo corso e sia aperta l'istruttoria presso la pretura di una cittadina qui vicino (San Vito). Probabilmente non si avranno esiti gravi perché si spera che i genito­ ri dei ragazzi firmino una dichiarazione di rinuncia alla querela. Forse così tutto potrebbe assopirsi: dico potrebbe perché ci sono naturalmente delle incognite. Se tutto va bene, Pier Paolo fra qualche settimana andrà a Roma da nostro zio dove cercherà lavoro. I fatti poi si sono svolti così : una sera di festa in un paese poco distante da Casarsa, PP si è trovato con tre ragazzi che già conosceva e senza alcuna proposta venale si è allontanato nei campi con loro e lì ci sono stati dei rapporti erotici molto semplici : c 'è stata una masturbazione. Ora questo fatto ad un osservatore estra­ neo può sembrare quasi mostruoso ma per chi conosce i ragazzi dei nostri paesi, non può né destare meraviglia né essere giudicato severamente. I ragazzi alcuni giorni dopo hanno litigato, non si sa perché, e si sono rinfacciati questo contatto. Qualche persona presente ha scritto una lettera anonima al brigadiere del luogo, il quale, essendo il fatto divenuto di dominio pubblico, ha steso una denuncia dopo aver interrogato i ragazzi. PP qui ha parecchi nemici fra i democristiani per la sua attività politica i quali hanno colto la palla al balzo e hanno fatto di tutto perché questo fatto, e lo dico con una mano sul cuore, di nessuna importanza, provocasse lo scandalo che poi lo avrebbe rovinato per tutta la vita. Tutto ciò è successo: sono stati di un'abilità diabolica. Il maresciallo di Casarsa, ricevuta la denuncia ha interrogato PP il quale ha ritenuto opportuno confessare e addurre oltre lo stato di ubriachezza le ragioni

Gazzettino" del 28. Il 31 ottobre Pasolini scrive una lettera a Carlino, in cui accusa la DC di avere manovrato la denuncia e racconta le conseguenze prodottesi in casa sua dopo la noti­ zia sui giornali. La lettera, con l'accusa al partito di disumanità, è stata conservata per quasi trent'anni da Mautino, e si legge in Betti ( 1977 ) . Per i fatti di Ramuscello e il trasferimento a Roma di Pasolini è fondamentale la testimonianza di Nico Naldini, per cui cfr. almeno Naldini ( 2oos; 2009 ) . 6. Il ricordo è di Paolo Volponi ( 1978 ) . Il passo è citato anche in LE I, p. CXI. IS

I DUE PASOLINI dal "Candido" ( « ricordo di aver tentato un'esperienza erotica di carattere e ori­ gine letteraria accentuata dalla lettura di un romanzo di argomento omosessuale di Gide » ) che dovevano servire per il maresciallo il quale si era dimostrato molto comprensivo delle bizzarrie erotico-letterarie tipo D 'Annunzio. La dichiarazione di PP è subito pervenuta alla Democrazia Cristiana di Udine che si è incaricata di farla pervenire con il testo della denuncia alle redazioni di tutti i giornali della regione. Nota bene che già tre mesi prima dell'accaduto, un prelato molto im­ portante di Udine aveva fatto dire a PP che se non avesse smesso la sua attività politica, avrebbe fatto di tutto per rovinarlo, intenzioni poi confermateci da un deputato democristiano mio amico. Questi sono i fatti le cui conseguenze sono state gravissime. PP ha infatti perso la cattedra e non credo che abbia molte pos­ sibilità di riaverla. Non potete immaginare la propaganda che si è fatta in Friuli e il dolore di tutti noi. Scusa la confusione della mia esposizione : avrei voluto rendervi meglio la sot­ tile perfidia degli organizzatori di questo scandalo'.

I primi tempi a Roma sono tutt 'altro che facili. Madre e figlio alloggiano all' inizio a Porta Pin ciana da uno zio antiquario, Gino Co lussi, che si era offerto di aiutarli. Più tardi la madre prende servizio come governante nel quartiere del ghetto, e Pasolini si sposta in una stanza d'affitto in piazza Costaguti8• Non ha un lavoro, e passa ore ed ore a scrivere. Riprende pro­ getti friulani dei quali aveva portato con sé i dattiloscritti, e comincia cose nuove : pagine ambientate a Roma, per « metabolizzare l'urto con una città seducente e choccante in ugual misura » 9• Esplora anche la città, e prende contatto con alcuni dei letterati che conosceva fino a quel momento solo per via epistolare: fra i primi Giorgio Bassani, col quale corrispondeva dal 1 947, e Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci, Sandro Penna. La mancanza di un lavoro lo angoscia. Solo dalla primavera (dopo esser­ si iscritto al Sindacato comparse, aver corretto bozze e aver venduto molti dei suoi libri), riesce a collocare qualche suo pezzo su giornali di destra come "Il Quotidiano", "Il Popolo di Romà', "il Giornale", "Libertà d' ltalià', che non modificano la sua situazione e non gli piacciono, anzi lo mettono in imbarazzo. Quando in agosto consegna a Bertolucci la copia del "Gior­ nale" su cui era uscita la sua recensione della Capanna indiana, lo prega di « non guardare la prima pagina, secondo lui "orrendà' » (era andato a por­ targliela in via del Tritone, nell'appartamento di proprietà di Anna Banti 7· LE I, pp. CX-XI. 8. Una mappa della Roma di Pasolini (abitazioni, luoghi di incontro, romanzi, film) è in Agosti, Dall ' Ombra (2012, pp. s6-7 ) . 9· Così Walter Siti, nella Nota al testo in Pasolini (1995, pp. 171-3, cit. a p. 171). 16

I. A

ROMA NEL 1950: ALL' INSEGNA DELLA FERRO-BETON

che Bertolucci condivideva con Luigi Malerba: i settentrionali, anche allo­ ra, facevano un po' colonia): Prima di andarsene Pasolini mi lasciò un giornale, pregandomi di non guardare la prima pagina, secondo lui «orrenda » . Non era che comica, cioè monarchica. In terza c 'era una recensione al mio libro. Aveva capito tutto, ero commosso e quasi spaventat010•

Sono anni di accesa furia sperimentale. Già solo sul piano della narrativa, nascono i primi cartoni della "cosà' che sboccherà nel fiume principale di Ragazzi di vita, ma sono anche riaperti, con la ferma intenzione di rivolu­ zionarli, i cantieri di progetti friulani interrotti al momento della fuga (a Casarsa, affidati a Nico Naldini, erano rimasti solo i "quaderni rossi" di un diario steso fra l'estate del I 946 e l'autunno del I 947 ) È a Roma, e non in Friuli, che arrivano allo stadio più avanzato del­ la loro elaborazione i romanzi postumi Atti impuri, Amado mio, e ancora a Roma che prende forma, per sottrazioni successive, quello che nel I 9 62 diventerà l'esile, finto-ingenuo So gno di una cosa, quasi autoparodia del se stesso di qualche anno prima. Le strategie di riappropriazione (e insieme superamento) sono diverse. Se per At ti impuri la riscrittura gioca la carta della focalizzazione (la narrazione è ripensata in terza persona - anche se poi l'esperimento fallisce, e il romanzo, pur col personaggio che dice « io » trasformato i n « Paolo » , resta incompiuto)1 \ Amado mio s i trova ad essere 11•

ro. Bertolucci (1991, p. 1135). La recensione di Pasolini a La capanna indiana era uscita sul "Giornale" il 18 agosto 1951 (si può leggere ora in SLA, pp. 382-5). Un altro riferimento di Bertolucci a quel «giornale di quart 'ordine, forse anche monarchie o» è nella Cronologia di Lagazzi in Bertolucci (1997, p. LXXIV). 11. Da Roma, nel febbraio del 1950, Pasolini li aveva affidati a Nico Naldini: «sal­ va anche, subito, i miei dattiloscritti: parte nel cassetto destro della scrivania, parte nella scrivania, e i quaderni degli "Atti impuri" nel secondo scomparto della libreria » (LE I, p. 396). I dattiloscritti a cui allude la lettera erano abbozzi lasciati in tronco, esercizi di scuola, appunti universitari, che attualmente si conservano in cinque cassette non ordinate di AP con l ' intestazione Materiali di Casarsa (una breve descrizione dei materiali raccolti nelle cassette è in SLA, p. 2868 e SPS, p. 1734; per i "quaderni rossi", cfr. la "notizia" in RR I, pp. 1655-61). 12. Atti impuri è conservato, come un ' unica stesura dattiloscritta, in AP in una cartella verde con l'intestazione non autografa Atti impuri, e si compone di fogli scritti in momenti

diversi, in Friuli e poi a Roma (sono relitti di stesure del romanzo, perdute nella loro in­ terezza, per cui cfr. la "notizia" in RR I, pp. 1631-41). Nella stessa "notizia" è documentato come l ' idea di tradurre il romanzo in terza persona bastasse da sola a risolvere l'impasse in cui si trovava la narrazione (occorreva tagliare, cucire, riscrivere e non era una soluzione agevole neppure la scelta di alternare prima e terza persona, inglobando passi di diario in un 17

I DUE PASOLINI accresciuto di una continuazione "romanà', con Desiderio che porta con sé a Roma lasìs e lo fa assumere come giardiniere nella villa della madre ai Parioli: è qui, nelle pagine ambientate a Roma, che si incontrano i pri­ mi ingenui esperimenti di romanesco, ancora confinato al discorso diretto ( « Che te posseno !... » , fece il vecchio, « i sordi me li godo lo stesso » )13• Tutto, comunque, è alla ricerca del rinnovamento, dell'apertura, della can­ cellazione del provincialismo. Il ragazzo Desiderio scrive lettere mondane da Parigi, dove fa un viaggio, e assume nella corrispondenza con Gilberto (uno dei tanti riferimenti a Proust ?) toni inattesi, che sembrano fare il ver­ so alla scrittura epistolare di uno « studente neo classico e romantico » suo coetaneo : l'Anonimo lombardo di Arbasino, che alla prima scaligera della Medea con Maria Callas del I 9 53 incontra di sorpresa l'Amore «E decide subito di viverlo e scriverlo sotto forma di Romanzo » 14• Quanto alla Meglio giovent u, gran cantiere da cui uscirà solo nel I 9 62 Il sogno di una cosa, il progetto era già in Friuli parecchio intricato, e a Roma si complica ancora di più con l'obiettivo di uno « stranissimo incrocio nar­ rativo» che guardi insieme a Proust, Verga e Pratolini, « non senza qualche elemento di quel linguaggio babilonico, eccentrico, composito, che in Italia ha come magnifico esemplare C. E. Gadda » 15• Niente di meno, in una let­ tera indirizzata Silvana Mauri l' 11 febbraio I9 50: I romanzi che sto scrivendo sono tre. Non spaventarti. In questi ultimi mesi non ho fatto altro che scrivere, anche dieci ore al giorno. Ricordi i quadernetti rossi che sporgevano dalla mia tasca quella notte in cui hai perso il treno ? Erano i diari del mio amore per Tonuti. Li ho cominciati nel '46, quando già ne ero alla fine, e

racconto autobiografico continuo ) . Cfr. De Laude (2009). Riprende la questione Cadioli (2012, pp. 91-2). 13. La continuazione romana diAmado mio si legge in RR I, pp. 293-336, cit. a p. 335· Per le traversie dell'elaborazione, cfr. sempre in RR I la "notizia" alle pp. 1655-9. 14. Il riferimento è ad Arbasino (1956), che Pasolini però non amava (si ricava da una lettera del 10 luglio di quell 'anno in LE II, p. 223, nella quale il romanzo di Arbasino è chia­ mato erroneamente Il ragazzo perduto). Le parole tra virgolette che ho citato sono tratte dal risvolto non firmato ma d 'autore della nuova edizione Adelphi, Milano 1996. 15. Per le vicende del romanzo, cfr. la "notizia" in RR II, pp. 1933-52. I materiali pre­ paratori si conservano principalmente in tre cartelle di AP con l' intestazione autografa

La meglio gioventu-Romanzo-prima stesura (I94S) ; La meglio gioventu-Romanzo-seconda stesura (I94S); La meglio gioventu-Romanzo-terza stesura (I94S-5o) . Cfr. RR II, pp. 1934-6,

dove è messo in rapporto con l'elaborazione del romanzo anche il dattiloscritto in pulito con l' intestazione Igiorni del Lodo De Gasperi (una copia è in AP, in una cartellina grigia con intestazione non autografa; una alla Biblioteca nazionale centrale di Roma, con segna­ tura Vitt. Em. 1558). 18

I. A

ROMA NEL 1950: ALL' INSEGNA DELLA FERRO-BETON

ho continuato a scrivere, saltuariamente fino al '48 : c 'era già un volumetto di un centinaio di pagine. Ma non ne ero contento. [ ... ] In questi ultimi mesi ho ripreso il libro, ho alter­ nato il diario alla narrazione in terza persona: insomma, ho oggettivato (nel senso minore di questa parola, non so se anche nel senso maggiore) il fatto, cambiando i nomi dei protagonisti e dei luoghi, ricostruendo tutto con minore impegno di confessione e maggiore libertà d' invenzione. Ma il libro, che dovrebbe venire di 200-250 pagine, manca ancora di due o tre capitoli. Il titolo è Atti impuri. Il secondo libro è intitolato Amado mio: è un po' il seguito di Atti impuri, ma ancor più liberato fantasticamente dalla biografia. Il protagonista mi assomiglia ancor meno di quello di Atti impuri: anzi è molto diverso da me come carattere. [ ... ] L'azione si svolge un po' in Friuli (ricordi quello che ti ho detto di Malafiesta ?) e un po' a Roma, la Roma dei cinematografi rionali, del Trastevere, delle aree da costruzione e anche di Via del Tritone. Io penso che questo sia il mio libro minore, ma, nei suoi limiti, il più riuscito. Ma anche per questo mi mancano i tre ultimi capitoli. Infine c 'è il romanzo su cui punto tutto : La meglio gioventu, che è molto di­ verso dagli altri due, è molto complesso : tanto per darti un' idea devi pensare a uno stranissimo incrocio - nel versante narrativo dostoevskiano - tra Proust e Verga, non senza qualche elemento di quel linguaggio babilonico, eccentrico e compo­ sito che in Italia ha come magnifico esemplare C. E. Gadda. [ ... ] I fatti mi pare di averteli narrati a Lerici, ma in questi mesi si sono ancora arricchiti e completati•6•

Questo per i « romanzi » . Ma le carte di Pasolini testimoniano altri progetti di recupero dei materiali friulani: sono documentati, per esempio, l' idea di raccogliere in un unico volume racconti nati in Friuli (alcuni di quelli che uscivano, nel frattempo, sui giornali) e il tentativo di conciliare la vecchia e nuova maniera, immaginando raccolte di racconti che facciano convivere le une accanto alle altre pagine di ispirazione friulana e pagine nate (e am­ bientate) a Roma•7• L'alternanza di registri, nel filone friulano e romano, traduce una dop­ pia pulsione alla scrittura. Da un lato, sembra, agisce in Pasolini il desiderio di chiudere come può i conti col passato, mettendo in atto un'operazione di congedo dal Friuli che si attua attraverso la ripresa e la reinvenzione di pro­ getti che in Friuli erano nati, e nel Friuli avevano il loro orizzonte di riferi­ mento•8. Dall'altro, l' incontro-scontro con Roma stimola al cambiamento e suscita nuove forme e storie - spesso « raccontini manieristici commoven16. LE I, pp. 401-2. 17. Alcuni di questi esperimenti sono ricostruiti in RR II, pp. 1944-s. 18. Casi (2oos, p. 78). 19

I DUE PASOLINI ti nello slancio di comprendere l' incomprensibile » (in uno confessa, nei modi tortuosi che a volte gli fa prendere l'emozione: « lo, per me, vorrei poter sapere quali sono i congegni del suo cuore attraverso i quali Trastevere vive dentro di lui, informe, martellante, ozioso » )•9• I due registri a volte si incrociano, con contaminazioni clamorose. Si è detto di Desiderio, che nella continuazione di Amado mio porta con sé a Roma il ragazzino lasìs. Ma rivelatore è anche il fatto che un racconto friulano uscito sempre nel I 9 SO sul "Quotidiano", La rondinella del Pacher, si trovi "tradotto" nel Ferrobedo, primo nucleo di Ragazzi di vita, e tra le prime pagine romane pubblicate da Pasolini in una sede importante - ad­ dirittura "Paragone", rivista-culto per un ex allievo di Roberto Longhi come Pier Paolo Pasolini10, Spiazzante fin dal nome e dalla maiuscola mitologizzante, il "Fer­ robedò" è il deposito dell'azienda di materiali per costruzioni Ferro­ Beton - chiamato col suo vero nome nella poesia Récit ( « e infossa il divora­ to vallo la Ferro-Be ton l tra frane di tuguri, qualche marcio frutteto, l e file di cantieri già vecchi nel mattino » ), ma fin dall' inizio, nel racconto, nella forma che prende nella bocca dei «parlanti » che lo abitano o ne fanno il teatro delle loro imprese. Ci sarà forse, nella scelta di un titolo che marca in modo così programmatico una « regressione dell'autore nell'ambiente descritto » , un'eco di Paisa o Sciuscia, che Pasolini aveva amato, ma sono le parole rubate ai ragazzi, e registrate quasi "magnetofonicamente': il motore del racconto e poi del romanzo, inteso dall'autore come « una specie di, diciamo con cattivo gusto, ouverture, accennando a mille motivi, fondan­ do un mondo, in quanto "particolare" in sé completo, del mondo » 11• La « fulgurazione » era stata per la città e per i suoi abitanti, e il "Ferrobedò", quasi un compendio di Roma. A contattarlo perché desse qualcosa a "Paragone" era stato Attilio Ber19. Il raccontino è Ragazzo e Trastevere, in RR I, p. 1384. Le parole citate fra virgolette sono tratte ancora dal risvolto di Walter Siti a Pasolini (1995). 20. Cfr. D. Dall'Ombra, Longhi, il maestro, in Agosti, Dall ' Ombra (2012, pp. 115-27 ) . E per l'episodio della rondine cfr. il mio La rondine di Pasolini ( De Laude, 2017 ) . 21. Il termine «parlanti » compare così, fra virgolette, in una pagina importante sul proprio metodo di lavoro, La mia periferia, apparsa in "Città aperta", II, 7-8, aprile-maggio 1958, che è la risposta ad alcune domande, come informa una nota redazionale: «A Pier Paolo Pasolini abbiamo rivolto tre domande - la prima, sui legami di continuità e di ricer­ ca tra Ragazzi di vita e il suo nuovo romanzo Una vita violenta; la seconda, sul rapporto lingua-dialetto; la terza, sul suo metodo di lavoro» (cfr. SLA, pp. 2727-33). Solo la terza parte di questo intervento, in cui si parla del Belli, è riprodotta con il titolo Il metodo di lavoro in Pasolini (1979 ) . 20

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tolucci, che nel marzo del I 9 S I, quando ancora non lo conosceva di persona, gli aveva scritto da Baccanelli «presso Colussi, via di Porta Pinciana » : Caro Pasolini, la Banti mi ha fatto avere con un espresso la Sua richiesta. Infatti i Romans erano da me. Io avevo sollecitato a Bassani qualche poesia di quel Pasolini le cui cose m'eran sempre piaciute, le prime friulane e le poche altre che avevo letto in giro. Su di lei contavo per "Paragone": ma sono arrivate sempre cose fuori di misura per la nostra rivista, e che semmai potevano andare sulle ampie, voluminose "Bot­ teghe". Io m'ero sentito di covarci le poche pagine che avrebbero potuto entrare in "Paragone", ma ho finito per rinunciare. Uno perché era difficile, due perché non mi sentivo autorizzato e non sapevo dove pescarle. Ora le rimando i dattiloscritti che ho, La prego di farmi avere subito delle poesie, o un racconto breve. Le prometto di farle uscire nel numero che stiamo preparando ora, quello di febbraio essendo già per uscire. Spero di conoscerla la settimana prossima a Roma2.2..

In aprile Bertolucci aveva rinnovato l' invito, proponendo un incontro a Roma, dove nel frattempo anche lui si era trasferito : il bello è che mentre Lei mi rispondeva a Baccanelli, io mi trasferivo a Roma [ ... ] . Ora dunque ci si potrà vedere, scegliere insieme le poesie per "Paragone", e vedere che altro potrebbe darci, racconti o saggi: credo che siano tutti d'accordo su di Lei, anche i difficili fiorentini2.3•

La scelta era caduta appunto (anche per impulso dei «difficili fiorentini » ), sul Ferrobedo, e forse risale già ad allora o a poco dopo l' idea di ampliare il racconto in un romanzo da proporre, una volta terminato, alla collana san­ soniana di "Paragone", dove stava uscendo giusto in quei giorni La capanna indiana dello stesso Bertolucci (sarebbe seguito, ancora con la mediazione dello stesso Bertolucci, Casa d'altri di Silvio D 'Arzo ): È USCITO Attilio Bertolucci, La capanna indiana Poesie, SEGUIRANNO Piero Bi­ gongiari, Il senso della lirica italiana e altri studi, a cura di Emilio Cecchi, Racconti

22. In AP si conservano una trentina di lettere e cartoline, non moltissime perché a Ro­ ma la frequentazione fra i due amici è tanto intensa da non richiedere scambi epistolari. La lettera citata qui è la prima, Corrispondenza, I, 79, I. Sul ruolo di Bertolucci nella redazione di "Paragone", cfr. Lagazzi (2ooo, pp. 94-5). Le poesie di Pasolini a cui allude Bertolucci erano state mandate a "Paragone", ma non erano state pubblicate per la loro lunghezza. 23. AP, Corrispondenza, I, 79, 2. Da un 'altra lettera da Casarola, del 6 agosto I95I (AP, Corrispondenza, I, 79, 3), risulta che la scelta era fatta. 2I

I DUE PASOLINI di Carlo Cassola, Anna e Bruno di Romano Bilenchi, Romanzi di C. E. Gadda e Anna Banti e saggi di Gianfranco Contini, Horace Walpole, etc/4•

Nel racconto friulano, due ragazzi vanno a fare una gita in bicicletta sul Pacher, e il più tenero dei due (in una redazione non definitiva il titolo del racconto era Il dolce boy scout) salva una rondine che sta per annegare : «Che fai ?» gli gridò «perché non la prendi ? » . « Mi becca! » gridò Eri o. Velino rise, scese dal pioppo e andò anche lui coi piedi dentro l 'acqua. Erio intanto si era deciso ad afferrare la rondinella, e ora nuotava pian piano verso la riva; appena vi giunse, Velino gli prese la rondine dalle mani. «Perché l'hai salvata ?» gli chiese «Era bello vederla annegare » . Erio non gli rispose; riprese la rondine tra le mani e la guardava. « È piccola » disse « adesso lasciamo che si asciughi » . C i volle poco perché s i asciugasse; dopo cinque minuti rivolava tra l e compa­ gne nel cielo del Pacher, e Erio ormai non la distingueva più dalle altre2.5•

Nel racconto romano, non siamo sulle rive del Pacher ma sul Tevere, le bi­ ciclette escono di scena e i ragazzi non parlano più in italiano. Erio diventa Luciano, che è il nome primitivo del Riccetto16: «A Lucià - gridava Marcè con quanto fiato aveva in gola - perché nun la piji ? » . Lucià dovette senti rio, perché s i udì appena una voce che diceva « Me puncica » . «Li mortaci tua » gridò ridendo Marcè. Lucià cercava d i acchiappare l a rondine, che gli scappava sbattendo le ali, e tutti due ormai erano trascinati verso il pilone della corrente che lì sotto si faceva violenta. «A Lucià - gli gridarono gli amici dalla barca - e !assala perde ! » . Ma in quel momento Luciano si era deciso ad af­ ferrarla e nuotava con una mano verso la riva. «Tornamo indietro» disse Marcè a quello che remava. Girarono. Lucià li aspettava seduto sull'erba sporca della riva, con la rondine tra le mani. «E che l ' hai sarvata a ffà - gli disse Marcè - era così bel­ lo vederla che moriva » . Luciano non gli rispose subito, « È tutta fraccica - disse 24. Così il prospetto pubblicitario della collana nella quarta di copertina del numero di "Paragone" in cui è citato Il Ferrobedo. La capanna indiana di Bertolucci esce nella "Bi­ blioteca di Paragone" nel maggio del 1951 - qui si dà per uscito. Di Casa d'altri Bertolucci riceve il dattiloscritto nel 1952 da un amico giornalista di Reggio Emilia, Ferrante Azzali (cfr. la Cronologia di Paolo Lagazzi in Bertolucci, 1997, pp. LXXV-LXXVI ) ; ne promuove la pubblicazione ed è grazie al suo interessamento che il racconto di Silvio D 'Arzo vede la luce prima su "Botteghe Oscure" e poi nella "Biblioteca di Paragone" (cfr. Lagazzi, 2010 ) . 25. RR I, p. 1395· 26. La rondine/la del Pacher ("Il Quotidiano", 3 settembre 1950 ), si legge ora in RR I, pp. 1392-5. Se ne conservano in AP due stesure con titoli diversi, Il dolce boy scout e La rondine/la del Pacher, entrambi nella cartella (Articoli, saggi, ecc.} e raccontini romani I950, rispettivamente ai ff. 87-90 e 247-250. 22

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dopo un po' - aspettamo che s'asciughi » . Ci volle poco perché s'asciugasse : dopo cinque minuti rivolava tra le compagne nel cielo del Tevere, e Lucià ormai non la distingueva più dalle altre-7•

Vedremo più avanti le trasformazioni di questo episodio, personalissima Patho sjòrmel del "realismo creaturale" pasoliniano, dotata anche di un for­ te impatto visivo. Ancora il potere delle immagini. In uno dei momenti più critici dell'elaborazione del romanzo, Pasolini non potrà fare altro che chiedere aiuto a quella vecchia formula "pateticà' e la duplicherà, capo­ volgendola, per puntellare una struttura narrativa minacciata dalle spinte centrifughe8• Se si considerano sedi e date di pubblicazione dei racconti usciti fra il I 9 S O e il I 9 S I, colpisce che pagine friulane e romane escano nello stesso periodo e sugli stessi giornali2.9• I racconti friulani sono recuperati soprat27. Pasolini (1951, p. 71). In Ragazzi di vita il passo sarà quasi identico, col nome del protagonista cambiato da Luciano a Riccetto : «"A Riccettooo - gridava Marcello con quanto fiato aveva in gola - perché nun la piji ?". Il Riccetto dovette sentirlo, perché si udì appena una voce che gridava "Me pùncica". "Li mortacci tua" gridò ridendo Marcello. Il Riccetto cercava di acchiappare la rondine, che gli scappava sbattendo le ali, e tutti due ormai erano trascinati verso il pilone della corrente che lì sotto si faceva forte e piena di mulinelli. "A Riccetto" gridarono i compagni dalla barca - e !assala perde!". Ma in quel momento il Riccetto si era deciso a acchiapparla e nuotava con una mano verso la riva. "Tor­ namo indietro, daje" disse Marcello a quello che remava. Girarono. Il Riccetto li aspettava seduto sull'erba sporca della riva, con la rondine tra le mani. "E che l ' hai sarvata a ffa - gli disse Marcello - era così bello vederla che se moriva". Il Riccetto non gli rispose subito, "È tutta fraccica - disse dopo un po' - aspettamo che s'asciughi". Ci volle poco perché s 'a­ sciugasse: dopo cinque minuti rivolava tra le compagne sopra il Tevere, e il Riccetto ormai non la distingueva più dalle altre » (RR I, pp. 545-6). Dal confronto fra i due testi risultano varianti che interessano il rapporto fra italiano letterario e romanesco, ma non vanno tutte nella stessa direzione - anche se in genere la dialettalità è più marcata nel testo a stampa: dove nel Ferrobedo si ha un «fretta », in Ragazzi di vita si ha un «prescia » (RR I, p. 523); dove Luciano, nel Ferrobedo, ha «l 'aria di un pischello acchittato che se ne va per il lungo­ tevere », in Ragazzi di vita il Riccetto «pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare » (RR I, p. 523). Nel presente studio, varianti di questo tipo non sono segnalate sistematicamente, ma quando interessano il discorso critico. 28. Cfr. CAP. 4· 29. Può essere utile averne sotto gli occhi un elenco: Sopra il nostro capo chilometri di terra, in "Il Quotidiano", 31 maggio 1950;Avventura adriatica, in "Il Quotidiano", 31 maggio 1950; La bibita, in "Il Quotidiano", 25 giugno 1950; La rondine/la del Pacher, in "Il Quoti­ diano", 3 settembre 1950; Ilpalombo, in "La Libertà d ' Italia", 20 settembre 1950; Tramonto di un dopoguerra, in "La Libertà d' Italia", 6 ottobre 1950; D 'improvviso soffio la sarneghera, in "Il Quotidiano", 17 ottobre 1950; Lapassione delfusajaro, in "Il Popolo", 18 ottobre 1950; Roma allucinante, in "La Libertà d ' Italia", 9 gennaio 195 1; Domenica al Collina Volpi, in "Il Popolo", 14 gennaio 1951; La padroncina impaziente, in "Il Mondo", 27 gennaio 1951;

I DUE PASOLINI tutto nel periodo immediatamente successivo al trasferimento a Roma (nei primi mesi del 1950) e verso la fine del 1 9 5 1, quando dal cantiere (interrot­ to) della Meglio giovent u Pasolini ricava pagine che destina soprattutto al "Quotidiano"30• I due registri a lungo convivono, e capita addirittura che lo stesso giorno, per esempio il 7 ottobre 1 9 5 1, escano pezzi diversissimi, come Te­ staccio . Note per un racconto (il futuro Studi sulla vita di Testaccio ) e Serate contadine: il primo, fra i pezzi più sperimentali confluiti in Al i dagli occhi azzurri - un vero racconto « da farsi » , secondo la definizione del risvol­ to di copertina del libro del 1 9 6 5, con descrizioni "cinematografiche" al futuro ( « Su Testaccio si vedrà » , «l 'obiettivo si formerà » ecc.) ; l'altro, un idillio ambientato nell'Alta Friulana, che Pasolini ingloberà nel Sogno di una cosa. Il filone friulano, però, a Roma stenta a ingranare. Quello romano, in­ vece, è fatto volare dall'entusiasmo della scoperta di una nuova realtà. Lo avrebbe dichiarato qualche anno più tardi lo stesso Pasolini, spiegando il proprio « metodo di lavoro » : Ho scritto i miei romanzi tardi [si intendono qui i romanzi "romani", Ragazzi di vita e Una vita violenta] perché mi sono trovato in situazioni "nuove" in cui l' am­ biente era prima di tutto "romanzesco" per me. Scrivere romanzi per me è signi­ ficato vivere nella seri ttura la situazione romanzesca deli' agnizione dell' altrove31•

Dai materiali preparatori risulta evidentissimo che Ragazzi di vita, a diffe­ renza di Una vita violenta, è un romanzo che cerca la sua strada scrivendo si, e si forma da una nebulosa in parte sommersa, di cui danno qualche cam­ pione i testi raccolti nelle opere complete dei "Meridiani" nell'Appendice Castagne e crisantemi, in "La Libertà d' Italia", 3 aprile 1951; Acquerello funebre, in "Il Quo­ tidiano", 27 aprile 1951; Dissolvenza sul mare del Circeo, in "Il Quotidiano", 8 giugno 1951 (a firma Paolo Amari); Terracina (a puntate), in "La Voce del Popolo", 7, 14, 21, 28 luglio e 4 agosto 1951 ; Notturno sul mare di Terracina, in "Il Quotidiano", 19 agosto 1951 (a firma Paolo Amari); Apparizione della Svizzera, in "Il Quotidiano", 26 agosto 1951 (a firma Paolo Amari); Notte d'avventura, in "Il Quotidiano", 28 agosto 1951; Santino nel mare di Ostia, in "Il Quotidiano", 11 settembre 1951 (a firma Paolo Amari); Testaccio, noteper un racconto, in "La Fiera Letteraria", 7 ottobre 1951 ; Serate contadine, in "Il Quotidiano", 7 ottobre 1951. Mancano in questo elenco due testi inediti, ma preparati per la stampa: Da Monteverde all'Altieri (in RR I, pp. 1396-9 ) e Spiritual (in RR I, pp. 1408-n ) . I dattiloscritti di entrambi si conservano nella cartella di AP (Articoli, saggi, ecc.) e raccontini romani I950, la stessa che raccoglie i dattiloscritti di quasi tutti i racconti (friulani e romani) usciti nel 1950-51. 30. Cfr. la "notizia" in RR II, p. 1937. 3 I. LE I, p. CXV. 24

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a «Ragazzi di vita» - pagine estrapolate dall'autore nei primi stadi nell'e­ laborazione del romanzo o in fasi successive, ma appartenenti alla stessa "officinà'32•• L' impressione è che Pasolini, a contatto con Roma, si reinventi. Cesare Garboli ha messo in rapporto « tutta l'esperienza eversiva del Paso­ lini "romano" » con Caravaggio, mediatore Roberto Longhi, che proprio nel I 9 S I, a Milano, organizzava la grande mostra caravaggesca, altrettanto eversiva. « Testi alla mano » , secondo Garbo li, « si direbbe che il Pasolini lavorasse allora non allo specchio del Caravaggio, ma allo specchio del Ca­ ravaggio romano così come ci è stato dipinto dal Longhi » 33• Pasolini, dal canto suo, in uno scritto inedito recuperato nei "Meridiani': che Garboli non poteva conoscere, ha dichiarato : « Tutto ciò che io posso sapere intor­ no al Caravaggio è ciò che ne ha detto Longhi »34• 32. L'Appendice a «Ragazzi di vita» si trova in RR I, pp. 775-816. 33· Garboli (1970, p. 36). Il suggerimento di Garboli è ripreso in Siciliano (2005, p. 179 ). 34· Si tratta dell ' inedito [La luce del Caravaggio] , scritto da Pasolini probabilmente nel 1974 (lo abbiamo congetturato in base alla collocazione del dattiloscritto, nella car­ tella gialla di AP con l' intestazione autografa Descrizioni di descrizioni; cfr. la "notizia" in SLA, p. 3021) e pubblicato per la prima volta in SLA, pp. 2672-4 (cit. a p. 267 2). La datazione è importante. Proprio nel 1974 (il 18 gennaio) Pasolini aveva recensito, sul settimanale "Tempo", il "Meridiano" dedicato a Longhi (1973), e poco dopo aveva realiz­ zato nella torre di Chia una serie (ancora una serie) di ritratti di Longhi, ripresi proprio dalla fotografia che compare sul cofanetto dell 'antologia continiana, ma ribaltata, come notava già Contini ([1980] 19 86, p. 395), dove è data notizia di questa serie «massiccia » di disegni «non già detratti postumamente dalla memoria, ma dalla bella immagine che avvolge la mia antologia (niente può toccarmi quanto essere stato strumentalmente coinvolto in questa mediazione) - un ' immagine però rovesciata, un ' immagine curio­ samente allo specchio, quasi assimilata alla direzione obbligata dell 'ego». È probabile che questo rovesciamento alluda proprio a Caravaggio, come Pasolini aveva imparato a vederlo attraverso Longhi. Nel saggio anepigrafo che abbiamo datato al 1974 [La luce del Caravaggio] si legge infatti che secondo Longhi una delle grandi invenzioni del pittore consiste in quel «diaframma (anch 'esso luminoso, ma di una luminosità artificiale che appartiene alla pittura e non alla realtà) che [ ...] traspone le cose dipinte dal Caravaggio in un universo separato, in un certo senso morto, alieno rispetto alla vita al realismo con cui quelle cose erano state percepite e dipinte ». Diaframma « stupendamente spiegato da Roberto Longhi con la supposizione che il Caravaggio dipingesse guardando le sue figure riflesse in uno specchio » . Notevole anche la conclusione del discorso: «Tali fi­ gure erano perciò quelle che il Caravaggio aveva realmente scelto [ ...] eppure dentro lo specchio tutto pare come sospeso a un eccesso di verità, a un eccesso di evidenza, che lo fa sembrare morto » (SLA, p. 2673). Questo passaggio sul Caravaggio secondo Longhi è stato messo in rapporto con la serie di ritratti del 1974 da Simona Campus (2010, pp. 241-62). Cfr. anche Bruzzese (201 2, pp. 126-7 e figg. 31-44). La recensione di Pasolini al "Meridiano" a cura di Contini, apparsa sul "Tempo" col titolo Illusioni storiche e realta nell'opera di Longhi, è confluita col titolo Roberto Longhi. Da Cimabue a Morandi in Descrizioni di descrizioni e si legge ora in SLA, pp. 1977-82.

I DUE PASOLINI Forse è così. E vengono in mente, oltre a Caravaggio, i tanti artisti del Nord calati o fuggiti a Roma, dallo Zenale al Bramantino o al Bam­ baia - gli artisti cari a Giovanni Agosti, che a Roma, sotto l' influenza della città, oltre che dei modelli antichi, avevano cambiato il loro modo di dipingere35•

3 5 · Il riferimento è ad Agosti (1990, pp. 68-Ss). Cfr. anche Agosti (2004, pp. XIx-xc ) , per altre calate di lombardi a Roma, spinti da una smodata passione dell'antico.

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L' Ur-Ragazzi di vita: quando Il Ferrobedo era un trittico

Nelle opere complete dei "Meridiani", Walter Siti ed io abbiamo ribattez­ zato Ur - R agazzi di vita il primo stadio dell'elaborazione del romanzo, che coincide con il Ferrobedo degli anni 1 9 5 0- 5 1 . Si tratta materialmente del testo sopravvissuto in due stesure nella cartella dell'Archivio contem­ poraneo del Gabinetto Vieusseux con l' intestazione autografa Il Ferro­ bedo {e altri romanzi e racconti, passati in parte in «Ragazzi di vita>>) (I9JO-JI). In questa fase il romanzo è costruito come un trittico, composto di parti intitolate rispettivamente Il Ferrobedo, Li belli pischelli e Terracina, con Il Ferrobedo, naturalmente, promosso a racconto eponimo. Proprio quando Il Ferrobedo era un trittico, fra l'altro, Pasolini organizza una gita in quel luogo favoloso che è il deposito della Ferro-Be ton con Giorgio Caproni e la classe di cui il poeta era maestro, alla scuola elementare "Giovanni Pascoli" di Monteverde•. Le due stesure sono disposte nella cartella in ordine cronologico : la fase più antica del trittico precede la più avanzata1• Intercalati fra le due stesure ci sono appunti, foglietti sparsi, e anche i dattiloscritti di testi pubblicati come racconti autonomi nel 1 9 5 0 e nel 1 9 5 1 una redazione del Palombo (in "La Libertà d' Italià: 20 settembre 1950) e due di Domenica al Collina Volpi (in "Il Popolo", 1 4 gennaio 1 9 5 1 )3: racconti, entrambi, che hanno fatto -

1. Cfr. la plaquette sulla scuola "Giovanni Pascoli", Di Mario, Di Lodovico, Anappo (2oos) e Bacigalupi, Fossati (2010 ). 2. Il Ferrobedo ai ff. 1-24 e 146-168; Li belli pischelli ai ff. 25-58 e 169-202; Terracina ai ff. 59-81 e 203-229. Sulla base di RR I, sono tornati su questa fase del cantiere pasoliniano Nisini (2oo8, pp. 156-99) e Santato (2013, pp. 244-5). 3· Gli appunti sono ai ff. 82-132. I dattiloscritti dei due racconti, Domenica al Collina Volpi (in due redazioni) e Ilpalombo, ai ff. 133-144· Oltre che nella cartella Il Ferrobedo, ff. 133-136 e 137-140, di Domenica al Collina Volpi un dattiloscritto (frammentario) si trova nella cartella di AP con l' intestazione (Articoli, saggi ecc.) e raccontini romani I950 (f. 22): la stessa che ai ff. 2-5 conserva il dattiloscritto Ilpalombo. Cfr. RR I, p. 1736. 27

I DUE PASOLINI parte per qualche tempo della nebulosa del romanzo (sia Il palombo sia Domenica al Collina Volpi). Ilpalombo racconta un episodio che si incontra tale e quale nella secon­ da anta del trittico, Li bellipischelli: una piccola truffa tra i Mercati generali e la Maranella, di cui è artefice Marcello, amico di Luciano, che riesce a vendere un palombo marcio di IO o 20 chili dopo averlo tinto di sangue, comprato a quello scopo dall'abbacchiaro, e strinato di limone, perché non puzzasse. Un altro amico di Luciano, Agnolo, è quello che una domenica d'e­ state gioca una partita di calcio al ricreato rio della Collina Volpi (ventidue ragazzini che « stridevano insultandosi nel sole delle periferie e del cielo storditi dal sole meridiano » ) : pascolismo di quelli di cui il romanzo ancora in cantiere pullula, se stridere è fra le tessere più ossessive dell'orchestra pa­ scoliana, riferita a uccelli ma non di rado a esseri inanimati (i ragazzi sono "garruli" come le rondini)4• Fin dal primo periodo romano, evidentemente, Pasolini pensa a qualcosa che assomiglia molto a un romanzo, ma ha anche voglia di far­ si conoscere come scrittore, e pubblica volentieri le pagine che ha fra le mani, anche se sono estratti di progetti più ampi, come Domenica al Collina Volpi, Il palombo e Il Ferrobedo - lo stesso che nell' Ur - R agazzi di vita della cartella omonima figura come prima parte di un trittico, ma su " Paragone" esce nel giugno del I 9 S I come testo autonomo, senza che sia indicata in alcun modo la sua appartenenza ad un insieme narrativo più vasto5• Il trittico ha contorni fluttuanti, come risulta da alcuni degli indici in­ tercalati ai blocchi delle due stesure arrivate a una forma compiuta. In qual­ che fase della sua elaborazione Il Ferrobedo è addirittura pensato in chiave tutta acquatica, e una scaletta registra il progetto di articolare la narrazione tra Tevere, mare, padre marinaio (I ), esperienze romane concluse a Ostia (2) e Terracina (3), con la tempesta in mare e la morte per annegamento del protagonista: 4· RR I, p. 1415. Sull'uso di "stridere", che è tra i più ossessivi verbi di sonorità pascolia­ ni, riferito a uccelli ma anche a cavallette, pipistrelli, foglie ed esseri animati, cfr. De Laude, Presotto (2002). "Garrulo", come proverbialmente le rondini (con l' auctoritas classica di Virgilio, Georgiche IV, 307, «garrula [ ...] hirundo » ), diventa nel Pascoli latino di Hymnus in Romam, v. 35, «garrula cantabat hirundo». Ma esistono anche un «garrulo vicino », in I duefanciulli (nei Poemetti, 1897 ), un «garrulo monello» (nei Miei pensieri di varia umanità, I) ecc. 5· Pasolini ( 1951, pp. 56-71 ) .

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I. 2.



L' UR-RAGAZZI DI VITA: QUANDO IL FERROBEDÒ ERA UN TRITTICO

Il Ferrobedò - < > Il Tevere ( il mare) - il padre marinaio La cartina - i froci - Ostia (il mare) Terracina [cassato] - la tempesta - la morté •••

Uno allora, Il Ferrobedo. La prima delle tre ante coincide sostanzialmente, nella sua stesura più avanzata, con il pezzo uscito su "Paragone" nel giugno del I9SI7• Nei pressi di quel luogo favoloso che è il deposito della Ferro­ Beton, a Monteverde Vecchio (nella poesia Récit, chiamato col suo vero nome) cresce Luciano, che diventerà il Riccetto8• Questo l'attacco, in cui fa la sua prima apparizione l' « immenso cortile, una prateria re cintata, in fondo a una valletta, grande come una piazza d'armi o un mercato » : Era una caldissima giornata di Luglio. Lucià che doveva fare la prima comunione e la cresima, si era alzato già alle cinque col sole. Ma mentre scendeva giù per Via Donna Olimpia, più che un comunicando o un soldato di Gesù, coi suoi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, aveva l'aria di un pischello acchittato che se ne va per il lungotevere. Con una compagnia di maschi come lui, vestiti di bianco, e le faccie monteverdine più nere che mai, scese giù dalla chiesa della Divina Prov­ videnza, dove alle nove Don Pizzuto gli fece la comunione e alle undici il Vescovo lo cresimò. Lucià però aveva una gran fretta di tagliare: da Monteverde giù alla stazione di Trastevere non si sentiva che un solo frastuono continuo e soffocato. Si sentivano i clacson e i motori mordere irosamente le salite e le curve, empiendo la periferia bruciata dal sole di un rombo assordante. Appena finito il sermoncino del Vescovo, Don Pizzuto e alcuni giovani chierici condussero i ragazzi nel cortile del Ricreatorio per fare le fotografie : il Vescovo camminava fra loro benedicendo i fa­ migliari dei ragazzi che si inginocchiavano al suo passaggio. Lucià si sentiva rodere lì in mezzo e si decise a piantare tutti : uscì per la chiesa vuota ma sulla porta incon­ trò il compare che gli disse : «Aòh, addò vai ?» «A casa vado - fece Lucià - tengo fame » . «Vie ' a casa mia, a fijo de na mignotta - gli gridò dietro il compare - che c 'è er pranzo» . Ma Luciano non lo filò per niente e corse via sull'asfalto che bolliva al sole. Tutta Roma era un solo rombo: solo lì su, in alto, c 'era silenzio, ma era un silenzio carico come una mina. Lucià andò a cambiarsi.

6. La scaletta si legge, manoscritta, al f. 81. 7· Il Ferrobedo segue nel numero di "Paragone" un poeme en prose di Francis Ponge (Proeme). Per una specie di ironia della sorte, visto il ruolo che André Gide aveva avuto nello scandalo legato ai fatti di Ramuscello, lo stesso fascicolo ospita un saggio dal titolo La lezione di Gide. L'autore è Carlo Bo, che sarà testimone della difesa nel processo a Ragazzi di vita.

8. La scelta del titolo deve qualcosa forse - si è già suggerita l' ipotesi - all'esempio del già classico Sciuscia di Vittorio De Sica ( 1946), deformazione di shoes-shine, e come Il Fer­ robedo Pasolini penserà il suo romanzo fino alla soglia della stampa, ancora nel 1955. Nell 'e­ pistolario, il titolo Ragazzi di vita si incontra per la prima volta il 7 aprile 1955 (LE II, p. 52). 29

I DUE PASOLINI Da Monteverde Vecchio ai Grattacieli la strada è corta: basta passare per il Prato, e tagliare tra le palazzine in costruzione intorno al Viale Quattro Venti: valanghe di immondezza, case non ancora finite e già in rovina, slavine di fango indurito e aree da costruzione. Via Carlo Pisacane era a due passi. La folla giù dalle stradine quiete e asfaltate di Monteverde Vecchio scendeva tutta in direzione dei Grattacieli: già si vedevano anche i camion, colonne senza fine, miste a camionet­ te, motociclette, autoblinde. Lucià si imbrancò nella folla che si rovesciava verso i magazzini. Il Ferrobedò era un immenso cortile, una prateria recintata, in fondo a una valletta, grande come una piazza d'armi o un mercato; lungo il recinto ret­ tangolare si aprivano alcune porte : da un lato erano collocate delle casette regolari di legno, dall'altro i magazzini. Lucià attraversò col branco di gente il Ferrobedò quant'era lungo, in mezzo alla folla urlante, e giunse davanti a una delle casette. Ma lì c 'erano quattro Tedeschi che non lasciavano passare. Presso la porta c 'era un tavolino rovesciato : Lucià se lo incollò e corse verso l'uscita. Appena fuori incontrò un giovanotto che gli disse : «Che stai a fa ?» «Me lo porto a casa, me lo porto» rispose Lucià. «Viè con me, fesso, che annamo a prenne la robba più mejo» . «Mo vengo» disse Lucià. Gettò via i l tavolino e un altro che passava di lì se lo prese. Col giovanotto rientrò nel Ferrobedò e si spinse nei magazzini: lì presero un sacco di canapetti. Poi il giovane disse : «Viè qui a incollà li chiodi » . Così tra i canapetti e altre cose, Lucià fece cinque viaggi di andata e ritorno a Monteverde. Il sole spaccava i sassi, nel pieno del dopopranzo, ma il Ferrobedò continuava a formicolare di gente che faceva a gara coi camion lanciati giù per Trastevere, Porta Porte se, il Mattatoio, San Paolo, a rintronare l'aria di fuoco. Al ritorno dal quinto viaggio Lucià e il giovanotto videro presso il recinto tra due casette un cavallo col carro. Si avvicinarono per vedere se si poteva tentare il colpo. Nel frattempo Lucià aveva scoperto in una casetta un deposito di armi, rivoltelle fucili mitra bombe a mano e si era messo un mitra in tracolla e due pistole alla cintura. Così armato fino ai denti montò in groppa al cavallo. Ma venne un Tedesco e li cacciò via.

Il pezzo prosegue col racconto di episodi dell' infanzia di Luciano, che in­ sieme all'amico Marcello costituisce il filo conduttore del trittico. Intro­ duce quindi all'ambiente della piccola malavita, e si chiude sull'episodio del salvataggio di una rondine, con Luciano che già piccolo delinquente si butta in acqua per salvare una rondine sotto Ponte Sisto : «Ched'è » disse allora forte alzandosi; tutti guardarono da quella parte, sotto Ponte Si sto, nello specchio d'acqua quasi ferma. « È na rondine » , disse Marcè. Ce n'erano tante, rondinelle, che volavano rasente i muraglioni, sotto gli archi del ponte, sul fiume sperto, sfiorando coi petti chiari l'acqua. La corrente aveva ritra­ scinato un poco la barca indietro, e si vide infatti ch'era proprio una rondinella che

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stava affogando. Sbatteva le ali, tremava. Luciano era in ginocchioni sull'orlo della barca, tutto proteso in avanti. «A stronzo, nun vedi che ce rovesciamo, no ? » gli disse Agnolo. «An vedi - gridava Lucià - s'affoga » . Quello dei trasteverini che remava restò coi remi alzati sull'acqua, e la corrente spingeva piano la barca verso il punto dove la rondine si dibatteva, ma ne era ancora molto lontana. Però dopo un po' perdette la pazienza e ricominciò a remare. «Aoh, moro - gli gridò Lucià, puntandogli contro una mano - chi t 'à detto de remà ? » . L'altro alzò le spalle e il più grande disse «E che ce frega » . Lucià guardò verso la rondine, che si agitava ancora, a tratti, facendo frullare d'improvviso le ali. Poi senza dir nulla si gettò in acqua e cominciò a nuotare verso di lei. Gli altri si misero a gridargli dietro e a ri­ dere : ma quello dei remi continuava a remare controcorrente, dalla parte opposta. Lucià si allontanava, trascinato forte dali' acqua; lo videro rimpicciolirsi, arrivare a bracciate fin verso la rondine, sullo specchio di acqua stagnante, tentare di pren­ derla. «A Lucià - gridava Marcè con quanto fiato aveva in gola - perché nun la piji ? » . Lucià dovette sentirlo, perché si udì appena una voce che diceva « Me puncica » . «Li mortaci tua » gridò ridendo Marcè. Lucià cercava di acchiappare la rondine, che gli scappava sbattendo le ali, e tutti due ormai erano trascinati verso il pilone della corrente che lì sotto si faceva violenta. «A Lucià - gli gridarono gli amici dalla barca - e las sala perde ! » . Ma in quel momento Luciano si era deciso ad afferrarla e nuotava con una mano verso la riva. «Tornamo indietro» disse Marcè a quello che remava. Girarono. Lucià li aspettava seduto sull'erba sporca della riva, con la rondine tra le mani. «E che l'hai sarvata a ffà - gli disse Marcè - era così bel­ lo vederla che moriva » . Luciano non gli rispose subito, « È tutta fraccica - disse dopo un po' - aspettamo che s'asciughi » . Ci volle poco perché s'asciugasse : dopo cinque minuti rivolava tra le compagne nel cielo del Tevere, e Lucià ormai non la distingueva più dalle altre9•

Tutta visiva, senza neppure un riferimento al verso delle rondini (solo un frullare d'ali, niente pascoliani zirli o stridii, riservati in Domenica al Col­ lina Volpi ai ragazzi) 10, è la scena già incontrata nel racconto friulano La rondine/la del Pacher e nel Ferrobedo-racconto. Più tardi, quando il Ferro­ bedo si sarà sviluppato come una « cosa narrativa » più estesa (un testo più lungo, e una storia che segue il protagonista dalla prima adolescenza alle soglie dell'età matura, anche se è sempre estate e sembra che il tempo non passi mai), Pasolini riprenderà l'episodio della rondine capovolgendolo : alla fine della sua parabola esistenziale, il Riccetto « già quasi giovanotto » non muoverà un dito per salvare il suo amico Genesio, sul punto di anne­ gare nell'Aniene. Un parallelismo un po' facile, introdotto per puntellare 9· Pasolini (1951, pp. 70-1 ). 10. Anche "frullare" e "frullo" sono termini pascoliani, connessi al volo degli uccelli, alle ali ecc., anche se con implicazioni sonore. Idem per lo "stridere" dei ragazzi. 31

I DUE PASOLINI una struttura narrativa nata centrifuga, e cercando un punto di stabilità in quello che l'autore evidentemente avvertiva come nucleo pulsante e quasi cellula generativa della sua storia. Per ora, in questo Ur -Ragazzi di vita pensato come un trittico, l'epi­ sodio della morte di Genesio non è neppure all'orizzonte. È Luciano, che sarà il Riccetto, a morire nella terza parte, Terracina, annegato (forse non per caso) . La storia della rondine, e della "naturale" bontà del protagonista che la salva, ha comunque fin d'ora un'evidenza assicurata dalla sua stessa posizione, alla fine del capitolo. Che si tratti di un nodo importante nella laboriosa gestazione della « cosa narrativa » non ancora entrata nell'orbita di quello che ne sarebbe stato l'editore, trova una conferma nella tenacia con cui l' immagine torna a ripresentarsi, neanche si fosse in una tavola dell'Atlante di Aby Warburg. Ancora dopo l'uscita da Garzanti di Ragazzi di vita, la scena così cen­ trale nell'officina del romanzo riapparirà in un trattamento cinematogra­ fico pensato col titolo I morti di Roma. Siamo nel 19 59-60, e la posizione dell'episodio è sempre di massima evidenza: la chiusa, secondo una tecnica caratteristica del racconto (che ricorda molto però, secondo un'acuta in­ tuizione di Franco Fortini, il quattordicesimo verso del Belli) 11• Anche nel film, la scena del salvataggio della rondine, e del cinismo con cui un com­ pagno commenta il gesto del ragazzino " buono", era tenuta per il finale. Dei ragazzi in barca: uno, « un certo Sburdellino » , che «pare essere il capo » , s i butta nel Tevere per salvare una rondine sul punto di affogare, e un altro pronuncia le solite parole già attribuite a Erio e a Marcello. Il trattamento del film, mai realizzato, registra questa battuta, che è la sola occorrenza di discorso diretto nel trattamento : Uno dice: «Perché nun l' ammazzamo ? Che l'hai salvata a fa, era così bello vedella che affogava » •l.

Se il film si fosse fatto, l' immagine da cui Pasolini era ossessionato da tanto tempo avrebbe trovato finalmente un "compimento" visivo•3• II. Siti (1998, pp. CXVII-CXVIII). 12. Il trattamento, in PC, è alle pp. 2603-12. Nel "cappello" alla descrizione degli episo­ di, Pasolini presenta l'episodio del salvataggio della rondine come «episodio di esplosiva, generale generosità: in qualche modo di speranza » (p. 2603). 13. Non uso a caso il termine "compimento", che equivale a implementum, derivato da implere col significato che il verbo assume nell 'espressione (tecnica) implerefiguram. Nella seconda metà degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta Pasolini sperimenta forme di

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2. L' UR-RAGAZZI DI VITA: QUANDO IL FERROBEDÒ ERA UN TRITTICO L'anta centrale del trittico, Li belli pischelli, è la più estrovertita e narra­ tiva, quella con più gusto dell'azione ; diventa in un secondo momento, con tagli e correzioni, il capitolo 2 di Ragazzi di vita come noi lo conosciamo. Luciano e Marcello sono seguiti nelle truffe e nei piccoli espedienti con cui si danno da fare per vivere. Pasolini - risulta da alcuni appunti - aveva pensato di intitolarla Le cicche o Furti e ricatti, prima di fermarsi su Li belli pischelli. Entra in scena il Napoletano e si annuncia il siparietto sul gioco della cartina. Tra le furberie con cui i ragazzi cercano di sbarcare il lunario è il furto di un pesce marcio ai Mercati generali: Marcello lo trucca perché sembri scrittura narrativa deliberatamente non-finite: nel risvolto di copertina di Ali dagli occhi azzurri, che esce da Garzanti nel 1965, l'autore presenta i racconti raccolti nel volume come racconti in parte "da farsi" e in parte "non fatti", alludendo, se il primo termine è un punto di partenza e il secondo un punto di arrivo, a una vasta gamma di soluzioni ibride - racconti che alludono a immagini future (Studi sulla vita di Testaccio ) ; racconti nati in preparazione di qualcosa che non ci sarà (Rital e raton ) ; racconti che inglobano indicazioni programma­ tiche, annotazioni dell 'autore sulla strada da seguire con continuare la storia (Rital e raton, Notte sull'Es) ; e, ancora, racconti che già titolo e sottotitolo qualificano come "relitti" di altri romanzi naufragati (Giubileo. Relitto di un romanzo umoristico), o "appunti" (Appunti per un poema popolare), o appunto tracce di film possibili, che chissà se si è mai pensato di realizzare davvero (Mignotta, Relazione per un produttore). Una decisa propensione per il non-finito Pasolini ce l ' ha da sempre, ma la propensione diventa teoria e oggetto di rifles­ sione critica tra la fine degli anni Cinquanta e l ' inizio degli anni Sessanta. È del 1956 la lettura pasoliniana di Mimesis, che era appena uscito da Einaudi, facendo molto parlare di sé (cfr. De Laude, 2014 ) . Pasolini è prontissimo ad appropriarsene e si appassiona subito alla possibilità di un impiego anche militante, "tendenzioso", del concetto di "figura", che si era fissato nella tarda antichità nell'esegesi biblica e presto si era esteso alla lettura cristiana dei testi e del mondo (cfr. almeno Auerbach, 1963 ) . Nel 1963 l'uscita da Feltrinelli degli Studi su Dante riporta Pasolini alla questione dei testi "da farsi" o "non fatti", a cui allude il risvolto di copertina di Ali dagli occhi azzurri (che si legge ora in SLA, pp. 2458-9 ) . Si ricorderà che la raccolta del 1965 ha al centro tre racconti che rielaborano altrettante sceneggiature (Accattone, Mamma Roma, La ricotta), e proprio la sceneggiatura si configura con sempre maggiore consapevolezza da adesso in poi come modello di struttura "incompleta", "im­ perfetta" o "potenziale". È l ' idea teorizzata nei saggi sul cinema di Empirismo eretico, nato in contemporanea ad A/i: paradigma di una forma che tende a un 'altra forma e rimanda a una pienezza fuori di sé, la sceneggiatura è una storia che ha bisogno di un altro discorso che la completi «integrandola figuralmente » (così in Empirismo eretico, ora in SLA, pp. 1245-63 9, nel saggio La sceneggiatura come «struttura che vuole essere altra struttura» ). Ci sono insomma storie che per natura tendono ad altro, e richiedono di essere completate, perché (come in Dante ) la loro "verità" si compia. Mirano a incarnarsi in immagini, rap­ presentazioni visive. Continuano a presentarsi, in contesti diversi. Come il modello della sceneggiatura (che Pasolini in realtà utilizza in dissolvenza analogica) si aprono al «pro­ cesso» e realizzano l 'apparente paradosso di «una struttura che fa del processo la propria caratteristica strutturale ». Ne ho trattato in De Laude ( 1999 ) . 33

I DUE PASOLINI fresco e riesce a rivenderlo. L'episodio è immerso in Li belli pischelli nel flusso narrativo, ma si trova anche ritagliato come racconto autonomo, e appare col titolo Ilpalombo su "La libertà d' Italia'' il 2.o settembre 1 9 5 014• Il Marcello dell' Ur -Ragazzi di vita è qui Romoletto, dotato per l'occasione di « un ciuffo biondo che gli arrivava fino al naso » . Titolo del racconto, Il palombo: Romolé entrò di corsa nei Mercati Generali. Pedalava forte, senza guardarsi intor­ no; se la madama gli avesse gridato dietro qualcosa perché lui mostrasse la tessera, avrebbe fatto finta di non sentire perché chi ha la coscienza pulita, cioè chi ha la tessera in tasca, è lontano dall' immaginare che la madama lo chiami più di uno che non ce l'ha. La madama non disse niente, e Romolé entrò nei Mercati bruciati dal sole. Andò subito a girare per il reparto del pesce. C 'era molto movimento. Nel gran frastuono i commissionari aspettavano i clienti in mezzo a mucchi di cassette piene di pesce. Romolé girava, girava con calma. Era in forma, sentiva in cuore che quella mattina non avrebbe svagato. Si accostò a un commissionario. Tra le cassette, nell'ultima fila, ce n'era una con due merluzzi grossi. Prese il pesce in mano, gli alzò le gazze per vedere se era fresco, se lo cacciò contro il naso per sentire bene l'odore; insomma, stava a fare la moina. Così palpò e annusò ben bene i due merluzzi e poi li rimise nella cassetta. Tirò la cassetta un po' più indietro, di un venti centimetri, e sempre facendo la moina le si mise davanti. Poi le diede un calcio col tacco e la mandò a finire nel mezzo. Dandosi una pettinata al ciuffo biondo che gli arrivava fin quasi al naso si spin­ se verso la bilancia, tranquillo come un pesciarolo che volesse fare il suo acquisto, per vedere se qualcuno si fosse accorto del calcio. Tutto bene. Si riavvicinò alla cassetta dei due merluzzi e vi lasciò cadere sopra il tagliando. Poi l'agguantò, sempre franco, e tenendola sotto il braccio se ne andò a metterla fuori, nella carriola di un amico suo pesciarolo, al quale diede subito le cinquanta lire. Poi rientrò nel mercato del pesce. Fece altri due giri, andando a osservare la merce degli altri commissionari. La confusione e l'affollamento erano cresciuti. Il sole della mattina era bollente. Gli occhi di Romoletto caddero allora sul palombo. Era un grosso palombo di 15 o 20 chili. L'osservò, sempre franco, e vide subito che non era fresco, però, facendo finta di niente, entrò a osservare altra merce dentro la fila delle cassette, poi, ritornando indietro, agguantò il palombo e se ne andò via piano piano.

14. Nell ' Ur-Ragazzi di vita della cartella Il Ferrobedo, il dattiloscritto è ai ff. 197-201. Quello del racconto intitolato Ilpalombo, nella stessa cartella ai ff. 141-144. 34

2. L' UR-RAGAZZI DI VITA: QUANDO IL FERROBEDÒ ERA UN TRITTICO Andò a metterlo in un angolo in fondo al mercato, perché stavolta non era pronta la carriola. In quel momento venne ad aggirarsi per il mercato del pesce una madama, e Romoletto fischiettando uscì. Andò a prender la bicicletta, avvolse i merluzzi in una carta e li legò alla sella con dello spago, in modo che non si vedes­ sero. Poi rientrò nel mercato del pesce. La madama c 'era ancora, ma Romoletto, tranquillo, andò a prendersi il palombo e con quello sotto il braccio passò sotto il suo naso fischiettando. «Che mele, che mele! » fischiettava, ma pensava con batticuore a uscire dai Mercati senza tessera, come era entrato. Era più difficile, adesso, con la merce. Ma passò davanti al reparto del pesce un carrettino. Romolé allora, svelto, vi lasciò cadere il palombo, e, presa la bicicletta, lo seguì: dopo dieci minuti lui, i merluzzi e il palombo erano fuori dai Mercati. Ripescò il palombo dal carretto, lo legò coi merluzzi alla sella e partì. Correva svelto, perché si sentiva contento. La mattina era già inoltrata, l'aria scottava e Testaccio era tutto in fervore. Dopo un quarto d'ora era alla Maranella. I pesciaroli già stavano smontando, bisognava spicciarsi : Romolé corse a chiedere in prestito un tavolino a un altro pesciarolo amico suo che aveva ormai finito il lavoro, comprò due mazzi di foglie, e mise tutto a posto. I due merluzzi se ne andarono subito. Erano due bei merluzzi, di due chili e mezzo, e Romolé ci rimediò 1.200 lire. Adesso restava il palombo. Romolé ci contava molto : lo prese e lo spellò, non dubitando che fosse rosso. Era nero, invece, nero come la pece; e puzzava forte di ammoniaca. Romolé si mise le mani nei capelli. Fece per gettarlo via: non voleva averlo sulla coscienza; a mangiarlo ci si poteva lasciar la pelle. Ma aveva troppo bisogno di soldi: calò il prezzo, tanto il palombo era un pesce che la gente poco conosceva. Ma anche a quel prezzo non ci fu nessuno che lo comprò: si accostavano, lo annusavano e se ne andavano via. Romoletto era più nero del pesce. Poi gli venne l' idea. Corse da un abbac­ chiaro, vi comprò due pezzi di sangue, prese il fazzoletto e vi avvolse il sangue. Spremendo il fazzoletto lo sfregò contro il palombo, dipingendolo tutto di rosso. Lo trattava con cura, sfregando ben bene le pieghe e le grinze della pancia. Infine il palombo fu tutto fiammeggiante, tutto una freschezza. Romolé lo tagliò in due pezzi e lo mise sopra, tra il bel verde dei due mazzi di foglie. Ma e la puzza ? Ora la gente, vedendolo bello e rosso, s'accostava, ma poi, met­ tendoselo sotto il naso sentiva la puzza d'ammoniaca e se ne andava. «Er ber palombooo» gridava Romoletto. Era bello, ma puzzava. Allora gli venne la seconda idea. Corse a comprare due limoni fraccichi e ricominciò a stri­ nare il palombo fin dentro l'osso della pancia. Finché la puzza non si sentì più. Ora Romolé poteva strillare quanto voleva. «Er ber palombooo! » strillava. «A quattro er palombo ! An vedi che bellez­ za! Ve dò oro macinato, ve dò! A quattro er palombo ! » .

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I DUE PASOLINI La gente cominciò ad accostarsi, e qualcuno comprò. In poco tempo ne ven­ dette tre etti. La voce si sparse per il mercato, e i clienti si affollarono. Dopo mezz'o­ ra il palombo fu tutto venduto; Romolé diede una piota al ragazzo che gli aveva prestato il tavolino e se la batté prendendo la strada di Trastevere15•

Nell' Ur -Ragazzi di vita l'episodio del palombo si intreccia con un altro, del quale è una specie di intermezzo : il protagonista è ancora Marcello, amico di Luciano, che fra la puntata ai Mercati generali e la vendita dei pesci marci fatti passare per freschi alla Maranella perde la testa per il ma­ glione azzurro esposto in una vetrina di Campo dei Fiori (le "maglie", altro oggetto-feticcio del Pasolini narratore, anche questo trapiantato dal Friuli a Trastevere). Come l'episodio della truffa al mercato, quello del maglione azzurro si trova raccontato, oltre che nella seconda anta dell' Ur -Ragazzi di vita, in un testo autonomo, uscito sul "Popolo" il 1 8 ottobre 1950 con il titolo La passione delJusajaro16• Nel racconto, a innamorarsi del maglione visto in un giorno di pioggia in un negozio chiuso ( « Grande, era, per un fusto da pugile. Vasto di spalle e di torace come un lembo di mare, stretto alla vita. E d'un celeste discreto ma segretamente acceso : un po' di sole su Campo dei Fiori, e avrebbe abbagliato » ), è un ragazzo col ciuffo incollato sulla fronte, non Marcello ma un certo Morbidone - resta in scena anche Luciano, però, che il Morbido ne incontra mentre torna a casa: Le tre del pomeriggio, in Campo dei Fiori. Sotto la pioggia che rinfrescava l'odore della miseria, il Morbidone se ne stava con la spalla appoggiata a uno spigolo nero, aspettando che passasse il tempo : le saracinesche del Borgia infatti erano ancora chiuse. Ma poi si stancò di star fermo, diede un calcio a una buccia di banana, e staccandosi con una camminata di lenza dallo spigolo, si diresse verso la statua di Giordano Bruno, lucida sotto l'acqua. Dei bambini sul selciato giocavano a palli­ ne. Delle bambine passarono correndo sotto ombrelle rosse. Ma che silenzio ! Lenta come la mezz'ora che doveva trascorrere la pioggia fru­ sciava sulle pietre, e scavava odore di incudini, di interni unti, di lenzuola bagnate. Il Morbidone aveva una faccia più buia del cielo : che intanto andava rischiaran­ dosi. Quando poco prima delle quattro le saracinesche del Borgia, strepitando, si sarebbero alzate davanti al capannello concitato della gente, il cielo sarebbe stato quasi tutto sereno, d'un celeste tenero come il latte. Intanto, ora le nuvole si incagliavano leggere sopra le facciate tenebrose. Su Palazzo Farnese il cielo era un ventaglio di ombre.

15. RR I, pp. 802-5. 16. Il dattiloscritto del racconto si conserva in un 'altra cartella: (Articoli, saggi ecc.}.

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Il Morbidone stava a guardare le vetrine semi buie, come una camera alla matti­ na presto, coi letti ancora disfatti. Ma, ad un tratto, che splendore! Con le mani in tasca, il ciuffo nero incollato sulla fronte, le guance color oliva tutte rigate d'acqua, gli occhi scintillanti - il Morbidone si era incantato a osservare il capolavoro di Campo dei Fiori. Si trattava di un maglione celeste. Grande, era, per un fusto da pugile. Vasto di spalle e di torace come un lembo di mare, stretto alla vita. E di un celeste discreto ma segretamente acceso : un po' di sole su Campo dei Fiori, e avrebbe abbagliato. Un rigone giallo lo attraversava dal collo alla cintura, dividendo in due vaste zone il torace : altri due rigoni altrettanto gialli ma un poco più stretti scorrevano lungo la parte esterna delle maniche. Era appeso ad un uncino in mezzo alla vetrina, aperto - in guardia: e con la sua bellezza offuscava tutte le altre cose esposte nella vetrina. Il Morbidone, staccando­ sene, sospirò : camminò su e giù per Campo dei Fiori - si fermò davanti agli album del giornalaio - incontrò il Cravatta e Remo, che andavano a Piazza del Popolo, a vendere profumo - ma, innanzi agli occhi, aveva sempre il maglione celeste. Ritornò a contemplarlo. Era davvero una meraviglia. «Ammazzalo» mormo­ rava tra sé il Morbidone « c ' ha proprio le sette bellezze » . Buio in viso, mise un piede dentro il negozio e chiese alla vecchia quanto costava. «Seimila » disse la vecchia. Poco dopo il Borgia aprì. Le donne di servizio, i ragazzini, i giovanottelli si precipitarono dentro e riempirono la platea, che essendo semivuota rintronava più del solito alle loro grida pazze. Alcuni fumavano, con le gambe distese sullo schie­ nale della sedia davanti, altri si davano dei pugni sulle spalle. Il Morbidone prese la sua cassetta e cominciò a girare su e giù per la platea buia e umida. A notte alta il cielo era tutto pulito. Formicolava di stelle. Da Villa Sciarra e dal Gianicolo profumavano i cespugli bagnati, e il Tevere scorreva scintillando sotto il chiarore dello stellato. Il Morbidone, mezzo addormito, prese il vecchio 13, si distese con le mani in tasca sul seggiolino, e finalmente poté concentrarsi con comodo nel pensiero del maglione azzurro. Il maglione azzurro si infilò nel suo torace, che divenne d' incan­ to due volte più grande e robusto. Il match era appena finito e il Morbidone aveva vinto per k.o. Agli spogliatoi, fatta la doccia ridendo con gli amici, aveva indossato il maglione che su bi to aveva fatto brillare d'invidia gli occhi dei ragazzi. Luciano e Gustarè più di tutti. Poi erano usciti sul viale, e gli sguardi di ogni pischella erano per lui. Poi, la domenica, a Ostia - no alla partita di calcio. La Roma avrebbe vinto - a dispetto di Luciano e Gustarè - ed egli col maglione azzurro sarebbe andato a bal­ lare in una sala del Trionfale, che frequentava sempre suo cugino : e avrebbe ballato con le più belle ragazze. La fantasia finì al capolinea. A Donna Olimpia si conoscono tutti, è come un paese. Prima di arrivare a casa vide Luciano e il Zagaja, che stavano a parlare della partita. Fece tardi con loro. Quando giunse a casa, litigò con suo padre che era rimasto alzato ad aspettarlo, e

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I DUE PASOLINI il padre lo menò. Il Morbidone se ne andò a letto decidendo che il giorno dopo se ne sarebbe scappato di casa. Aveva da parte sette piote. Il giorno dopo invece aveva cambiato idea: le sette piote sarebbero state la base delle seimila che servivano a comprare il maglione. Ma la passione del maglione lo aveva avvelenato. A mezzogiorno tornò a litigare con suo padre, e allora decise di andarsene per sempre di casa. Il maglione se lo sarebbe comprato lo stesso, magari andando a rubare. Il tempo era tornato bello, quasi come in agosto. Sul fiume c 'era gente che faceva il bagno. «Bene per me » disse il fusajaro «che stanotte devo dormire alla chiarina » . Andò al lavoro, al Borgia, e uscì a tarda notte. Non prese il vecchio 13, non salì a Donna Olimpia. Del resto, camminando, poteva fantasticare meglio. Con la maglia azzurra nel cuore, il Morbidone salì lentamente il Gianicolo e andò a distendersi su una panchina. Ma era difficile addormirsi sul duro ! L'azzurro splendido del maglione gli teneva compagnia nell'ombra delle grandi piante : tra il cui fogliame occhieggiavano le stelle; e poi vi venne a brillare la luna, in un alone d'oro. Il Morbido ne tremava dal freddo, e il sonno scese pesante sul suo corpo gela­ to. Si svegliò prestissimo, che il sole si era appena alzato ali'orizzonte, inondando Roma di uno stranito chiarore. Nel Gianicolo deserto vennero due giovanotti, con maglioni grigi, calzoni blu con l'elastico alle caviglie e scarpe di gomma. Si misero a saltellare, a dar pugni all'aria e a fare giri di corsa intorno al piazzale. Il Morbidone stette a guardare il loro allenamento, poi quando se ne andarono scese giù con loro. Campo dei Fiori era una bolgia: colori e grida impazzivano sotto il sole già bruciante. Chi urlava, chi protestava, chi declamava la sua merce, carretti, bici­ clette, autocarri che si incrociavano, in un frastuono di sagra. Il Morbidone andò a rubare della frutta e la mangiò. Poi andò davanti alla vetrina a dare una tenera occhiata al suo amore17•

Nel racconto il Morbidone è lasciato a fantasticare sul maglione, carissimo, in vetrina. Nell' Ur -Ragazzi di vita Marcello riesce a possederlo, il « suo amore » , e se ne va tutto allegro al mare con Luciano. Se Ilpalombo e La passione delJusajaro si possono considerare a pieno titolo pagine scartate da Ragazzi di vita (escluse dall'autore, forse preoccu­ pato dell'eccessiva dispersione pulviscolare del romanzo che stava cercando di costruire), quasi alla stessa stregua va inteso il già citato racconto Dome­ nica al Collina Volpi, il cui dattiloscritto, preparato per la stampa, si trova non per niente nella cartella che ospita l' Ur -Ragazzi di vita, del quale è evidentemente una scheggia sfuggita all' insieme prima ancora degli episodi al centro del Palombo e della Passione delJusajaro, ma della stessa grana: 17. RR l, pp. 806-9.

2.

L' UR-RAGAZZI DI VITA: QUANDO IL FERROBEDÒ ERA UN TRITTICO

« lo ciò er pallone » aveva detto sabato sera Agnolo ai compagni. «Domani farà bel tempo. » Infatti la domenica mattina distese su Roma un cielo nella cui luce anche la leggera nuvolaglia risplendeva. Agnolo scese giù da Monteverde in mo­ tocicletta con suo padre. Fabbrì, Alfredino e gli altri chi a piedi chi in bicicletta. Si trovarono al Collina Volpi mentre il sole sulla spianata cominciava a scottare. Il presidente era già con la sua macchina grigia, e le sue spalle paralitiche, a chiacchie­ rare con l'allenatore. I ragazzi si spogliarono all'aperto presso il recinto del campo, sospeso come una terrazza sui quartieri e le aree da costruzione coi ciuffi di pini. Gettarono i vestiti in un mucchio, vicino alla macchina del presidente: Agnolo fu il primo a esser pronto, e, scavalcata la rete, entrò nel campo correndo col pallone fra i piedi. Quelli dell'altra squadra, la Collina Volpi, erano equipaggiati molto peggio dei monteverdini, le loro maglie blu erano consumate dal sudore, le loro scarpe scalcinate: erano però più anziani. «So' padri de famija » disse Fabbrì. Ce n'era uno, un nicchiola, sui ventidue anni, peloso, felice, rotondo come una palla. Costui sfotteva con l'aria di un fratello maggiore i ragazzini di Monteverde. Agnolo era biondo, un po' marpelo : i suoi occhi si indurirono, divennero pezzi di vetro alle parole del nicchiola, ma tacque. Anzi, si rivolse con allusiva indifferenza a Gino, «Che, hai visto Jolanda stamattina ? » . Gino prima di rispondere finì di allacciarsi una scarpa, stando inginocchiato: «L'ho vista sÌ » disse. «Dove stava ? » chiese Agnolo. «A Villa Sci arra. Siamo andati insieme fino al Gianicolo. » «E che t'ha detto ?» «Niente m'ha detto. » «E Luciana ?» Gino si mise a ridere. « Quanto stava in pensiero quella! » esclamò. «C 'ha creduto ?» disse Agnolo ridendo. «Vedessi come s'era fatta bianca! Prima parlava solo lei, poi è rimasta muta, non ha più detto una parola. C 'hanno creduto tutti. Pure Giannino che stava lì per caso. » «Ammazzalo» fece Agnolo. «Che giochi, ala sinistra ?» gli gridò Alfredino. «Mi c 'hanno messo» rispose il Malpelo. «l dirigenti nostri sono degli s ... » disse Fabbrì. «E tu più s ... ancora, che hai votato per loro. » Il presidente paralitico guardava i ragazzi che si preparavano. Quelli dell'altra squadra erano già quasi tutti in fondo al campo che facevano tiri in porta. Fabbrì, Alfredino e altri due o tre erano di riserva: forse avrebbero giocato solo al secondo tempo. Ci soffrivano, anche se dimostravano di fregarsene e ma­ sticavano gomma, in mutandine, con le belle maglie celesti. «A Giannino ! » gridò Alfredino, la riserva, da una parte all'altra del campo. «E statte zitto» gli rispose Giannino, facendo la souplesse, seccato. « Quello» disse Alfredino a Fabbrì «c'ha un dolore a una gamba che non la può manco muovere non la può. E non dice niente perché non mettano un altro

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I DUE PASOLINI al posto suo» . E forte, di nuovo gridando con le mani a imbuto, a Giannino che stava facendo un cross: «Sei forte sei, a Giannì ! » . Alvaro che coi suoi diciannove anni era i l più vecchio di tutti, se ne stava in disparte, pensando preoccupato ai fatti suoi. Ascoltava di malavoglia gli altri ragaz­ zi che litigavano, Alfredino ripeteva a Agnolo che Giannino era sciapo, e Agnolo borbottava, accendendosi una cicca «Se aspetta un passaggio da me, aspetta un pezzo, aspetta » . Poi risero ancora per lo scherzo fatto a Luciana. «Che le avete detto» ripeteva Agnolo «che m'avevano portato ali'ospedale ?». «Sì, con una gamba rotta. » « Quant'era bianca, ammazzala » fece Alfredino coprendosi il viso con le mani. «Siete pronti, ah fiji de ... » gridò Giannino crossando. Dietro di lui, oltre il recinto del campo, il quartiere di San Paolo biancheggiava scottato dal sole. Da una radio del Ricreatorio della Collina Volpi si sentiva cantare Messa. Alla fine del primo tempo quelli di Monteverde perdevano per tre a zero. Due goal li aveva fatti il Nicchiola. Alvaro era giù di forma. Agnolo, ala sinistra non ci si ritrovava; con Giannino non c 'era intesa: vagava nell'area avversaria come un'ombra. Nel secondo tempo entrarono in campo Fabbrì e Alfredino; ma questo non modificò per nulla l'andamento dell' incontro. Alla fine del secondo tempo altri due goal erano entrati nella loro rete. Il mezzogiorno era infuocato: e tuttavia, allegri e superbi entrarono in campo i maschietti di altre due piccole squadre, pronti a giocare pure fino alle due, sotto quel sole spietato. Mentre questi nuovi venuti facevano i tiri di assaggio in porta, gli accompagnatori, un po' più anziani, dei ragazzi di Monteverde, stanchi di sfottere gli sconfitti che stavano rivestendosi entrarono in un angolo del campo col pallone tra i piedi : formarono un piccolo quadrilatero, elastico come una gomma, e comin­ ciarono a fare del palleggio. Colpivano la palla col collo del piede, in modo da farla scorrere raso terra, senza effetto, molto veloce. Dopo poco erano tutti zuppi di sudore, ma non volevano togliersi le giacche della festa - o le maglie di lana celeste con le strisce nere o gialle - a causa del carattere del tutto casuale e scherzoso della loro esibizione. La massima preoccupazione loro era quella di non parer fanatici: e poiché - a dire il vero - un poco fanatici lo erano, giocando sotto quel sole, così vestiti, avevano sfoderato un'allegria rumorosa e minacciosa, da togliere qualsiasi voglia di trovar qualcosa da ridire nei loro riguardi. Tra i passaggi e gli stop, chiac­ chieravano tra loro. «Ammazzalo, quant'era moscio oggi Alvaro» disse un moro, tutto carico di brillantina. «Le donne » aggiunse poi, rovesciando. «Macché donne ! » gli gridò un altro, con un'espressione da incenerire l'even­ tuale contraddittore, «quello è suonato, quello» . « A maschio! » gridò poi, a un ragazzino, perché questi rilanciasse loro i l pal­ lone rotolato al di là del recinto. Egli infatti, conversando, nel tentare uno sprez­ zante e audace colpo di tacco, aveva fatto un buco, il cui esito negativo, però, non fu preso in nessuna considerazione. Gli altri ragazzi già si erano rivestiti, stando seduti sotto il muretto bruciato dal sole, sull'erba sporca. 40

2. L

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UR-RAGAZZI DI VITA:

QUANDO IL FERROBEDÒ ERA UN TRITTICO

Dopo un quarto d'ora erano rimasti sulla Collina Volpi solo i ventidue ma­ schietti, che stridevano insultandosi contro il silenzio delle periferie e del cielo storditi dal sole meridiano18•

Ultima anta del trittico, al mare. Il racconto Terracina, pubblicato integral­ mente nell'Appendice a «Ragazzi di vita>> dei "Meridiani': ha una storia più complicata ed è l'unica parte dell' Ur -Ragazzi di vita a essere completa­ mente abbandonata nel seguito dell'elaborazione del romanzo, nonostante la sua qualità di scrittura19• Da un Piano di lavoro del I 9 s 2 risulta che Pasolini, naufragato il progetto del trittico, pensava di far confluire Terracina in una raccolta dal titolo Le notti calde, che si sarebbe aperta con una dedica « all'ombra di Proust e alla persona di C. E. Gadda » (singolare, strepitoso binomio). La raccolta avreb­ be compreso fra l'altro La Recherche Sacilese e Primavera sul Po: racconti, entrambi, derivati da Operetta marina, a sua volta relitto dell'ambizioso e in­ gestibile progetto del Romanzo del mare, cui Pasolini aveva lavorato intensa­ mente nel I 9 S I, riprendendo con ogni probabilità spunti già friulani (magari il « romanzaccione della sua infanzia sacilese » di cui parla il protagonista del bellissimo racconto Iparlanti, che "all'ombra di Proust" lo è parecchio ) Inimmaginabile se si guarda al risultato finale del romanzo dato alle stampe da Garzanti nel I 9 SS, la commistione prospettata nel Piano di lavoro del I 9 S 2 si basa sull' idea della compatibilità tra una rievocazione autobio­ grafica (gli esiti di Operetta marina ) e il racconto della parte più "marinà' dell' Ur -Ragazzi di vita, che è in fondo un'autobiografia per interposta persona, tanta è l' intensità dello sforzo messo per entrare nella testa e nel linguaggio dei propri oggetti d'amore. 10•

18. RR I, pp. 141 2-5. 19. Si legge in RR I, pp. 775-97. L'edizione di RR è basata sul dattiloscritto della cartella Il Ferrobedo, ff. 203-229. I due ff. numerati 226 e 227 provengono dalla prima redazione del testo, che presenta infatti, tra i ff. 79 e So, una lacuna. È stato lo stesso Pasolini a spostare i due fogli da un fascicolo all 'altro, senza cassare le parti comuni, come spesso succede anche nel dattiloscritto del romanzo alla Biblioteca nazionale di Roma che nelle opere complete dei "Meridiani" abbiamo siglato A (cfr. RR I, pp. 1698-9). 20. Nella cartella Scartafoccio I954-I955, ff. 9-19. Carlo Emilio Gadda nel 1952 è una conoscenza recentissima per Pasolini. Probabilmente l' incontro era avvenuto proprio in quell'anno, quando Pasolini aveva cominciato a collaborare con la redazione letteraria del "Giornale Radio", dove Gadda aveva ricoperto vari incarichi a partire dal 1950 (cfr. Sicilia­ no, 2005, p. 188). Bertolucci (1997, p. 1135) però ha un altro ricordo, che colloca forse già nel 1951: «Pasolini era molto povero, [...] ma volle che andassi a pranzo a casa sua, a Ponte Mammolo, dove ci sono le carceri di Rebibbia [ ... ] . Gli portai Carlo Emilio Gadda, che non conosceva e adorava ». 41

I DUE PASOLINI Doveva essere, il Romanzo del mare, una narrazione che fosse insieme storia di sé e storia del mare, o esplorazione in chiave marina della propria infanzia e della nascita del mondo - il progetto un po' folle di una fusione tra autobiografia e « Storia del mare » , al quale avranno concorso diverse suggestioni: magari anche l'apparente parentela fra la parola misteriosa che da bambino aveva usato per dare un nome ai suoi primi turbamenti sessuali, « teta veleta », e il greco thetys che, gli aveva spiegato Contini, significava "sesso': ma era anche il nome dato dai geografi antichi al mare triassico da cui si era formato il Mediterraneo. Che l'esperimento non regga, nonostante risulti dal tormento dei materiali preparatori quanto Pasolini si sia affannato a portarlo avanti, si può facilmente capire. Il prevedibile esito del Romanzo del mare è, come in un esperimento chimico non riuscito, la separazione tra due sostanze che avrebbero dovuto combinarsi: da una parte un racconto cosmico e co­ smogonico ( Coleo di Samo), dall'altra una rievocazione di memorie infan­ tili, con molti riferimenti al mare ( Operetta marina) . Quanto al Ferrobedo, va per la sua strada. Sacrificherà Terracina, che avrebbe dovuto chiudere il trittico nel segno dell'acqua, e dell'esperimento di affiancare Terracina alle altre opere acquatiche di quegli anni non resta altra traccia nel romanzo finito che il titolo del Piano di lavoro del 1 9 5 2., trasmesso al capitolo s del romanzo uscito da Garzanti nel 1 9 5 5 . All' interno dell' Ur -Ragazzi di vita, i l finale che Terracina immagina per il trittico è tragico. Stufi della vita scannata che conducono a Roma, Luciano e Marcello raggiungono i parenti di Marcello a Terracina, e impa­ rano a fare i pescatori. Il trasferimento a Terracina coincide con un cambio di marcia nella scrittura. Almeno all' inizio, le coloriture dialettali sono cir­ coscritte alle battute di dialogo e all'onomastica (quasi sempre, anche qui, i ragazzi sono Lucià e Marcè): -

Dal Circeo, a destra, confuso tra le nuvole, nuvola lui pure, distante, isolato, con le sue cime acute tutte tinte di cenere e azzurro fumo, giù nel cerchio della spiaggia che staccandosi da quelle ombre di terraferma appena distinta dal cielo, si precipi­ tavano in una lunga curva, fino a passare davanti agli occhi, con le file dei capanni abbandonati, e a spezzarsi a sinistra contro un promontorio monumentale - il ma­ re riempiva lo spazio, piatto, luccicante e vivo. Ma da dietro il promontorio, che, tutto roccia, sormontato dai ruderi di un tempio, spingeva in avanti, contro la marea, un obelisco granitico, alto un centi­ naio di metri, e largo una sessantina - solitario tra lo sperone e le acque - si slan­ ciavano verso l'alto mare i monti dell'altro braccio del golfo. I monti di Gaeta e di Sperlonga, i monti allineati in catena, ondulati, del Meridione, che filtravano 42

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L' UR-RAGAZZI DI VITA: QUANDO IL FERROBEDÒ ERA UN TRITTICO

l'orizzonte fino al suo cuore : una lontananza mesta, color ruggine, dove il grigio del cielo e del mare si mescolavano in bagliori trasognati. Così dal Circeo a Sperlonga il mare pareva un immenso lago, e solo un suo lato pareva non avere confini: ma le nuvole lo offuscavano, lo chiudevano. Erano nubi disordinate e pesanti, specie sopra il Circeo, dove nereggiavano minacciose: nel centro si squarciavano, e qua e là affiorava il cielo, azzurrino o giallo, e verso sinistra, sulla lunga catena dei monti, il sole faceva cadere un ventaglio di raggi, come riflettori puntati su un solo specchio del mare, che quindi luccicava in quel punto, come una spada nuda. Alle spalle, addossata al monte, con gli stessi colori del monte, grigia e pietrosa, si ammassava Terracina. Questo era tutto quello che si poteva vedere stando distesi sui tetti della casa dei parenti di Marcè. Le tegole erano bagnate, perché certo durante la notte era piovuto : Luciano vi stava disteso sopra con le mani sotto la testa, guardando per aria. Marcello stava quasi per addormirsi. Il tetto era alto, e la villa era posta sopra una gobba del terreno coperta dalle piccole viti come da una ragnatela: così da lassù, benché la posizione non fosse molto comoda, lo sguardo poteva spaziare liberamente. Era questo che dava soddisfazione a Luciano. Senza che Marcé se ne accorgesse, egli accarezzava con lo sguardo la parte più lontana dell'orizzonte, dove il mare era solo mare, puro mare, senza legami con la terra, senza niente vicino. Laggiù il sole, più che in ogni altro punto del cielo tutto coperto, riusciva a filtrare la raggera della sua luce, e a colorare del loro azzurro acqua e aria. Comunque, la pioggia era certa. Sul Circeo le nuvole si erano fatte così compatte e nere che lo avevano inghiottito, e di là si allargavano sulla leggera nuvolaglia cosparsa già per tutto il cielo; un'aria fredda le accompagnava, che pareva sempre sul punto di far roteare le prime gocce gelate di poggia. Lucià doveva dunque decidersi a distogliere lo sguardo dal mare e a interrompere il piacere che ne provava; ben meritato, perché aveva cominciato a desiderare quel momento fin dalla sera prima della loro partenza, e immaginandosi un mare proprio così solitario, così selvaggio e così nudo. Già subito dopo i Castelli - l'aria della mattina era fuligginosa, e da lassù non si poteva scorgere ancora il mare - dietro Velletri, quando l'Appia aveva cominciato a discendere verso il basso, puntando contro una muraglia grigia di montagne, Lucià si era alzato due o tre volte dal sellino convinto di vederlo. Infatti dei vapori bianchi stagnavano ai piedi di quelle montagne, oltre una breve pianura, e parevano le acque di un golfo. «Er mare, er mare » gridava Lucià. «Ecchelo ! » . «A stronzo» gli rispondeva Marcé «mica è er mare, hai voj a » 2.•.

Arrivati a Terracina, inizia l'apprendistato con la pesca: Erano già a Terracina e il mare, cominciato a sospirare subito dopo Velletri, quando in fondo al cielo era comparso il Circeo, ancora non si vedeva.

21. RR I, pp. 775-7. 43

I DUE PASOLINI La città era appiccicata al monte, con le sue torri diroccate, solcata da vicoli stretti come visceri, tra i muraglioni senza intonaco. Era Terracina alta: Lucià e Marcè, invece, seguendo l 'Appia, le arrivarono ai piedi, lungo una strada che pare­ va alla periferia di Roma o di Ostia. «Ma dove cazzo sta er mare » gridava Lucià. « Subbito ce semo » gli rispondeva Marcè col batticuore. Arrivarono in fondo a quella strada, e a sinistra apparve un grandioso sperone di rocce, sulla cui cima, tra le nubi, si vedevano le rovine di un tempio. Dopo due pedalate arrivarono sulla spiaggetta. Il mare si stendeva davanti a loro, color terra, solcato qua e là da qualche ba­ gliore. Stretto tra il promontorio del tempio, il Pescamontano, e il porto, pareva angusto, chiuso, senza orizzonti. Lucià e Marcè scesero dalla bicicletta, e gli andarono incontro. Era calmo, profumato, e pieno di un lieve fragore. Da lì il Circeo non si vedeva. Controluce, sull'acqua color creta, e più lontano verdastra, si vedeva una lancia dondolare sui riflessi piena di figure nere di pescatori. La spiaggetta, con la rena bagnata, era tutta ingombra di lance a secco, di falanghe, di pertiche conficcate nella rena bagnata, di ajate rugginose stese ad asciugare al vento. Appoggiati con la schiena a un muretto che separava la strada dalla spiaggia, sette od otto uomini e ragazzetti in fila, se ne stavano chini con le gambe larghe sopra delle ceste, lavorando accaniti e in silenzio. Lucià si avvicinò per guardarli: essi non alzarono nemmeno la testa e continuarono il lavoro. Districavano una lunghissima corda rossa, tutta ingarbugliata, arrotolandola nel fondo della cesta: alla corda rossa però erano legati dei lievi fili di nylon con in fondo un amo. Arro­ tolando la corda lunga, pazientemente, man mano che li trovavano, conficcavano gli ami in un pezzo di sughero attaccato a un bordo della cassetta. In fondo alla spiaggia, sul frangente, c 'era un gruppo di pescatori, tutti allegri, appena scesi dal porto. I più allegri erano dei ragazzi, alcuni coi calzoni arrotolati sulle cosce e scalzi, altri con gli stivaloni di gomma. Una barca era ferma sull'acqua bruna a pochi metri dal frangente, e dei pescatori vi si muovevano intorno. Dalla spiaggia i nuovi arrivati li interpellavano scherzosamente, e ogni tanto ridevano. Poi si misero tutti insieme a tirarla a riva, per un cavo : alcuni ragazzi coi piedi nell'acqua, la spingevano dalla poppa, allegramente. «Mo ar mare ce semo» disse Marcè sbadigliando: erano tutti due stanchi morti e la luce del mare li stordiva; Lucià a cavalcioni della bicicletta era rimasto fermo a lungo a osservare il lavoro dei pescatori, intontito, senza che essi alzassero la testa. « Questi non ce filano pe ' niente » brontolò. Marcè non sapeva la strada per andare a casa dei suoi parenti. Provò a rivolgersi a un uomo, che non ne sapeva niente; un altro, tutto allegro, col cesto del pesce sul capo, ne sapeva ancora me­ no. Marcè allora decise di andare di là del porto, un cataletto d'acqua verde e a quell'ora quasi senza una barca: ricordava che la casa era sul mare, ma di qua del Pescamontano, sulla spiaggia. Infatti poco dietro il porto, videro uno stabilimento, e lungo la riva del mare, le file dei capanni deserti, battuti dal vento.

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L' UR-RAGAZZI DI VITA: QUANDO IL FERROBEDÒ ERA UN TRITTICO

Il lungomare era ugualmente deserto, e le piccole palme e gli oleandri, sulle aiuole, parevano selvatici, lungo quella strada che si spingeva, pareva senza fine, per il litorale. Ma dopo nemmeno mezzo chilometro, tra le rade villette, quasi alla fine, Marcè riconobbe la casa. Era addossata a un ponticello, pieno di viti. Il cancello era aperto. Entrarono con le biciclette fino all'uscio e Marcello bussò, ma dentro non c 'era un'anima, la villa era vuota come un tamburo. Allora cominciò a gridare: «A zia Maria» girando per il piccolo marciapiede intorno alla villetta, e battendo con le nocche ai vetri delle finestre. «C 'ho na fame che non ce vedo» disse Lucià. «E a me lo venghi a dì ?» ri­ spose Marcé, di ritorno dal suo giro intorno alla casa vuota. Lucià lo guardò : « Me fai rabbia me fai » disse. «Toh » rispose Marcè « attacchete a questo» . «C 'ho na fame che non ce vedo» ripeté Lucià. Scese pure lui dalla bicicletta e andò a ispe­ zionare intorno alla casa. Dopo cinque minuti erano sul tetto. Così, adesso, non restava che scalzare le tegole e andar dentro. Lo fecero, e si calarono nel granaio, che era tutto ingombro di patate e di grano : scesero giù per le scale e andarono dritti a cercare la cucina. Intanto però, mentre lavoravano sopra il tetto, alcune donne del paese li ave­ vano visti, ed erano corse dalla zia Maria in cooperativa gridando «A casa vostra ce stanno li briganti » . Lei era venuta spaventata, con tre o quattro giovanotti, solo, naturalmente, per cucinare ai briganti quattro uova al burro. Non aveva però rico­ nosciuto Marcè, che era diventato grande in quegli anni: quanto a Lucià, il nipote le aveva detto, gridando, perché era quasi sorda « Questo è n'amico mio. Suo padre e sua madre so' morti in guera » . La zia Maria non era cattiva: gli altri parenti però, un'altra zia e i cugini, quan­ do verso mezzogiorno rincasarono, non trattarono con molto entusiasmo i due viaggiatori. A pranzo, nel piccolo salotto rosso che sapeva di muffa e urina di gatto, lasciavano cadere il discorso quando si trattava della loro sistemazione a Terracina o delle ragioni che li avevano convinti a venirsene da Roma. I cugini, un ragioniere e uno studente, facevano un po' gli ironici e gli indifferenti: e nessuno accennò mai per nulla a invitarli a restare. «A Marcè » disse Luciano quando furono soli, battendosi il naso con un dito. Marcè torse la bocca per come per dire "che cazzo ne so". « lo tajo» disse Lucià. Marcè gli fece cenno che parlasse piano. «Non ce vojono ?» continuò Lucià a voce più bassa battendo le mani come per concludere un affare «Non ce vojono ? Se taj a » . «Aòh » fece Marcè. «Non andate a trovare lo zio Zocculitte ?» disse la zia Maria sfaccendando in cucina. «E come no» gridò Marcè, guardando Lucià come se fosse una buona idea « c 'annamo pure subbito » . «A quest 'ora l o trovate » disse l a zia Maria. Uscirono e presero l e biciclette, salutando. «Tornate a trovarci » dissero le zie dalla soglia, cortesi. Lucià corrugando la fronte, fece un suono con la lingua contro i denti che significava: "ma li mortacci vostra", «]e rompemo er cazzo ?» riprese per la strada.

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I DUE PASOLINI «E chi li fila pe ' niente. Bo n giorno, bo n giorno, e te saluto Gesucrì. » « È regola­ re ?» insistette, preso dallo slancio oratorio. «Arriconsolete cosÌ » disse Marcello. Lo zio Zocculitte abitava a vicolo a Rappini, sotto il Pescamontano, proprio sulla spiaggetta da dove arrivando avevano visto per la prima volta il mare. Intorno c 'erano delle case crollate, poco più in là un bar; dietro un crocifisso di ferro, con un mazzetta di crisantemi, si internava il vicolo tra le case di pescatori con le soglie coperte da reti sdrucite. Zio Zocculitte aveva sessant 'anni, era solo, e Vittorio, il suo garzone, stava per andare in quei giorni sotto le armi. Lucià e Marcè si siste­ marono da lui. Subito il giorno dopo cominciò la loro vita di pescatori; verso le dieci, dopo il lavoro delle coffe, lo zio Zocculitte disse ch'era ora di andare. Vittorio prese la cesta e la coppa, e le appoggiò a terra davanti alla soglia: poi corse da un vicino a farsi prestare una bicicletta. Partirono verso la Mola che era a una mezza dozzina di chilometri da Terracina; Vittorio reggeva la coppa, lunga e pesante; Lucià e Marcè, in due sulla bicicletta, portavano la cesta. Il cielo era sempre minaccioso: giallo, terroso, bagnato; e soffiava scirocco, con delle folate che inumidivano la pelle e i vestiti. La notte era piovuto e tutto era fradicio. Arrivarono presto sull'Appia, costeggiata dal Fiume della Ligna: due intermi­ nabili strisce gialle, che si perdevano verso Velletri, verso Roma, tra alberi ancora verdi, casolari e fratte. Alla Mola scesero di bicicletta, le appoggiarono una contro l'altra in modo che stessero in piedi, e cominciarono la pesca. Era Marcè che aveva indossato gli stivaloni di gomma, sopra dei grossi calzetti di lana, come Vittorio, mentre per quel giorno Lucià doveva soltanto stare a guardare e imparare. Vittorio scese dentro il Fiume della Ligna, fin che l'acqua, sporca e piena di erbe, gli arrivò alla caviglia. Teneva la stira della coppa per una estremità. Ali' altra estremità della coppa, dove si attaccava la circhia con la sua rete stretta e profonda, partiva una cordicella, un cui capo Vittorio dette da reggere a Marcè, dicendogli di scendere nel fiume, due o tre metri davanti a lui, e camminare tirando la cordi­ cella. Così cominciarono a camminare coi piedi nel pantano, lentamente : e la rete scorreva in mezzo al fiume, sotto il pelo dell'acqua. Lucià seguiva i due pescatori passo passo, come in una processione. Ogni tanto Vittorio guardava in alto, per vedere che facesse il tempo. Si era un po' schiarito. Si poteva distinguere il colore del Circeo. Intorno stridevano gli uccelli, e in mezzo al fiume gorgogliava l'acqua smossa dalla rete : erano gli unici rumori. Vittorio e Marcè camminarono in quel modo per una mezzora, e non avevano fatto che cin­ quecento metri: si vedevano le biciclette in piedi in fondo alla strada. «Voltiamo» disse Vittorio. Prima però tirò a terra la circhia, e la pulì dalle erbe acquatiche che vi si erano impigliate : Lucià si avvicinò e vide che il fondo della rete era gonfio e si muoveva. « Quanti ce ne saranno ?» chiese. «Un otto chili » rispose Vittorio. Poi ricominciarono a camminare, verso il punto di partenza: ogni tanto, ancora, mollavano e pulivano l'orlo della rete. Quando furono alle biciclette, risalirono sulla riva, tirarono fuori dalla rete i gamberi, che dovevano essere quasi sedici chili, e li rovesciarono nello spasello.

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L' UR-RAGAZZI DI VITA: QUANDO IL FERROBEDÒ ERA UN TRITTICO

Al vicolo Rappini verso mezzogiorno c 'era calma: sull'acciottolato fangoso restavano riverse le reti rotonde e le pertiche. Ogni tanto passava qualche donna col cannadieo di terracotta sul capo, e subito scompariva dentro in casa, sollevando la tenda penzolante davanti alla porta, una vecchia rete smagliata. Sugli scalini stavano a pazziare dei mammocci tutti sporchi, coi visetti già ruggini dei pescatori, dentro certe palandrane sdrucite che erano già state dei fratelli maggiori. Qual­ cuno però, stava ancora a fare le coffe, seduto con le gambe aperte contro il muro scrostato di casa sua. Il solicello di mezzogiorno in dorava il vicolo, che sentiva tutto di zuppe di fraulini, con l'olio e la conserva. La casa di zio Zocculitte era una sola stanza a pianterreno : in mezzo aveva un letto matrimoniale che la occupava per quasi tre quarti : le sue immense spalliere erano di ferro nero, tutte piene di volute e ricami. Il poco spazio che restava nella stanza era pieno come una stiva. Tra il battente della porta del piccolo andito, e il muro, erano ammassate pertiche, spungoni, cappini, alti e sottili; e qua e là in tutti gli angoli, vecchi fieri, aci, cime arrotolate. Alla trave centrale del soffitto erano appesi due fili di ferro che reggevano un'asse, sopra la quale erano accata­ state le coffe. Davanti a una finestrella c 'era la stufa, e sulla stufa bolliva la zuppa di fraulini. Appena finito di mangiare, ricominciò subito il lavoro. Tutto vicolo Rappini riesce a risuonare, come se fosse un solo cortile. Vecchi e mammocci, non c 'era nessuno che non lavorasse, e che lavorando non parlasse o gridasse coi vicini. Se ne stavano a gambe larghe chini sulle coffe in strada; ma anche chi restava dentro, nella stanza, ai piedi del letto, era come fosse all'aperto. Vittorio e lo zio Zocculitte avevano preso le coffe fatte alla mattina, e a una a una le apri­ vano, lasciando i palametri arrotolati in ordine in fondo alla cesta, staccavano gli ami conficcati nel sughero e vi infilavano un gambero ognuno, posandoli poi sul coperchio aperto della cesta. C 'erano centocinquanta ami per ogni coffa: e il lavoro durò fino alle quattro. Allora Vittorio si cambiò e andò a ballare. Lucià e Marcè rimasti liberi e soli, andarono a spasso lungo la Fiumarella, dove c 'era il porto : era pieno di barche di ogni specie, juzzi, paranze, paranzelle, lance, lam­ pare, motopescherecci. La lancia di zio Zocculitte, « Mariagrazia », era invece sulla spiaggetta in fondo a vicolo Rappini, la prima che Marcè e Lucià avevano visto arrivando. La sera andarono a dormire presto : sul letto matrimoniale dormirono Lucià, Marcè e lo zio Zocculitte; Vittorio dormiva per terra. All'una di notte si alzarono per andare alla pesca. Coperto da grandi distese di nuvole cupe, ma strappate qua e là in modo che vi si poteva scorgere qualche stella, il cielo era così spento che il mare, sotto di lui, non si distingueva se non per qualche rara piega di luce. In compenso si sentiva più forte - tanto fragoroso, anzi, che riempiva tutta la notte - lo scroscio della marea. La spiaggetta era tutta piena di luci. I pescatori che erano già arrivati aveva­ no acceso le lanterne sulle poppe delle lance, e dentro il cerchio del loro chiarore si muovevano, chinandosi sulle falanghe, alzandosi, puntando le braccia contro i bordi, per sgradare la barca.

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I DUE PASOLINI Vittorio accese la lanterna sulla «Mariagrazia » , che la stagione prima era giunta ormai al suo ventitreesimo anno, ma era ancora fresca, solida, leggera nella sua elegante zinconatura; dentro lo scafo era tutto in ordine. La sgradarono spin­ gendola sulle falanghe, fin che non venne a dondolarsi sull'acqua viva. Lo zio Zocculitte cominciò a remare verso l'alto, in direzione del Circeo: ma non si vedeva a due metri di distanza; il mare e il cielo erano solo un baratro di ombra impenetrabile e fredda. Qua e là sparsi per il golfo si vedevano i punti di luce delle lanterne delle altre barche, ancora radi : in quel momento, dal porto, usciva il convoglio di una lampara, tutto turgido di luce. Ma si lasciò presto indietro la riva, andando a rimpicciolirsi verso le acque lontane del Circeo. Lo zio Zocculitte remava, Vittorio e gli altri due se ne stavano seduti in fondo alla barca. Tacevano e si sentiva solo il fruscio del legno dei remi sul ferro degli scalmeri, contro il fragore immenso del mare. «Si va lontano ?» chiese dopo un po' con un filo di voce Luciano a Marcello. «E che ne so ?» fece Marcè : lo zio Zocculitte e Vittorio tacevano. Vittorio prese il posto di zio Zocculitte ai remi. «Andiamo fino alla scogliera » disse zio Zocculit­ te, seduto sul macellaro. «Sotto il Circeo» aggiunse. Tra lui e Vittorio remarono per quasi due ore. Ormai pareva che la terra fosse lontanissima: c 'era solo il mare intorno, così aperto che dava quasi un senso di paura. Invece, non erano molto distanti dalla terra. Se, a quell'ora, ci fosse stata la luna, Lucià avrebbe visto sopra il suo capo alzarsi come un'enorme muraglia nera, più nera del cielo, il Circeo con le sue rupi e le sue foreste. Fu così quasi ai piedi del Circeo che la barca si fermò e Vittorio si chinò a scandagliare l'acqua. «Ci siamo ?» disse lo zio. «Ventiquattro» rispose Vittorio «va bene » . «Ventiquattro braccia» ripeté a Luciano Marcello. «Siamo sulla scogliera » disse lo zio Zocculitte. Vittorio prese da sotto la prua il sughero quadrato, dove era infilata la canna alta un metro con in cima uno straccio nero: legò alla canna la seconda lanterna e l'accese. « Qui sotto» disse zio Zocculitte, mentre Vittorio lavorava « c 'è Quadro» . «Che d'è ?» disse Lucià. « È una città sepolta sotto le acque, negli antichi tempi. » «Sta qui sotto l a barca ?» chiese Lucià. «E come no, con tutte le sue chiese e i suoi palazzi. Era una città grande come Roma » disse lo zio Zocculitte. Vittorio intanto aveva attaccato sotto il sughero una lunga corda, il calamiente, e ali' altra estremità aveva legato il mazzero e un capo del palametro della prima coffa. Intanto tutto il golfo andava riempiendosi di piccole luci : s'erano raddoppiate perché ogni lancia aveva gettato il frascone con la lanterna in mare. Anche Vittorio gettò in mare il frascone : il sughero galleggiò, ondeggiando come ubriaco con la lanterna sul pelo dell'acqua, mentre il màzzero era scomparso con un tonfo dentro il mare portando, appunto, a ventiquattro braccia di profondità il calamiente e il palametro. Allora zio Zocculitte cominciò a remare pian piano, mentre Vittorio in piedi a poppa, dalla prima cassetta aperta, lasciava scivolare il palametro in mare,

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L' UR-RAGAZZI DI VITA: QUANDO IL FERROBEDÒ ERA UN TRITTICO

reggendolo con le mani: il palametro scorreva giù coi suoi fili di nylon ai cui capi c 'erano gli ami con infilati i gamberi. Finita una coffa, Vittorio vi legava all'estre­ mità la seguente. Dieci erano le coffe, in tutto quasi due chilometri di corda e millecinquecento ami. La barca, guidata dallo zio Zocculitte, non si allontanava però diritta dal frascone, bensì a lente curve, in modo che i palametri nel fondo del mare si adagiassero a serpentina: infatti il frascone ballonzolava fulgido e abban­ donato a non più di un mezzo chilometro, quando le coffe furono finite. Allora Vittorio legò all'ultima coffa il secondo calamiente, e questo al secondo sughero, senza lume, però, e lo gettò in mare. Intanto la luna cominciò ad albeggiare, fuori dalle nuvole che coprivano i monti di Sperlonga. Il cielo apparve sgombro; e le uniche nuvole erano appunto quelle ammassate laggiù e sbiancate dalla luna. Tutto il mare, tra il Circeo e Sper­ longa, era punteggiato da centinaia di lumi. Il fianco del Circeo, colpito debolmen­ te dalla luna si alzava fino alle stelle, turchino contro il turchino del cielo. Fu dunque sotto i raggi della luna che Lucià vide salire dal mare i primi pesci. La barca si era staccata dal secondo fiascone senza luce, e a rapidi colpi di palelle, si era avvicinata al primo, tutto sfolgorante. Vittorio lo tirò sulla barca e spense la lanter­ na, poi fece a rovescio il lavoro che aveva fatto prima: cominciò a tirare i palametri sulla barca, raggomitolandoli in disordine dentro gli spaselli. Lucià e Marcè gli si fecero vicini, pieni di ansia. I palametri venivano su dal mare coi loro fili penzolanti e gli ami vuoti. Poi, dopo venti o trenta ami, comparve il primo fraulino, tutto palpitante. Vittorio lo strappò dali' amo, e lo gettò nella cassetta ai suoi piedi. Lucià si chinò a guardarlo, con la sua pancia lucida colpita dalla luna e il suo occhio rosa. «Adesso viene il palametro con gli ami grossi » disse Vittorio continuando sempre a lavorare con le mani. «Nella prima coffa un solo frau lino » disse Lucià deluso, guardando il frau­ lino morente dentro la cesta. Vittorio e lo zio tacquero. Intanto il palametro con gli ami grossi emergeva gocciolante e senza preda. Poi d' improvviso apparve un dentice, e dopo poco un altro dentice, grande, pesante, chiaro come l'argento. Poi uno schiantaro, un sarago, e un altro dentice; e un ronco di tre chili. Lo stesso zio Zocculitte lasciò i remi per venire a osservarlo. Vedendo che era silenziosamente contento, Lucià esclamò : «Vi abbiamo portato fortuna » . Intanto i palametri s i seguivano l'uno dopo l'altro, ora vuoti, ora coi pesci a cui la luna faceva luccicare le scaglie. Le grosse mani di Vittorio li staccavano e li getta­ vano a svincolarsi dentro la cassetta. Variati, palombe, mafroni, caccie, schiamuti, cergne, traci, e fraulini, i piccoli fraulini bianchi come il latteu.

Un giorno a Luciano viene voglia di allontanarsi in mare da solo. Lo sci­ rocco lo trascina sempre più al largo, e alla fine il ragazzo, ancora inesperto, annega - la sua barca viene ritrovata la mattina dopo, capovolta: 22. RR I, pp. 379-89. 49

I DUE PASOLINI La lancia giunse all'altezza del capo del Circeo che il sole era molto basso sull'o­ rizzonte, in una luce sfuocata come una nebbia distesa lungo la linea sconfinata del mare. A quel punto il mare non aveva davvero altro limite se non per il cielo aran­ cione e sereno. I monti di Gaeta e più giù le cime del Massico erano coperti dalle nuvole o cancellati dalla sera, e sotto di essi, fino ai piedi del Circeo, le acque erano grige e agitate. Quasi di colpo, dopo le due o tre folate sempre più stanche, lo scirocco cadde e la vela si afflosciò sull'albero. Non c 'era più un filo d'aria: ma per poco: con la stessa rapidità con cui era caduto lo scirocco si alzò il libeccio. Nell'ansa tra il Circeo e la pianura, si era scatenato senza che nulla lo trattenesse, impazzando giù nell'acqua immobile nella bonaccia, fino a colpire con un urto cieco la vela della lancia. Non furono che pochi momenti: poi il mare tornò tranquillo, sotto i soffi divenuti lievi e regolari del libeccio. Ormai si raccoglieva in una distesa pace, come aspettando quella più profonda della sera, per restarsene più solo con se-3•

Una morte in dissolvenza, più esplicita nella prima redazione del testo, di cui riporto le ultime righe : Nell'ansa tra il Circeo e la pianura, si era scatenato senza che nulla lo trattenesse, impazzando giù nell'acqua immobile della bonaccia, fino a colpire con un urto violento la vela della lancia. La lancia fu ritrovata la mattina dopo, capovolta, da una paranza: andava alla deriva, nel mare sconfinato su cui era da poco tramontata la luna e che si stendeva deserto e tranquillo sotto i primi chiarori del giorno2.4.

Solo involontario il parallelismo tra questo annegamento, pur solo alluso, e quello da cui lo stesso ragazzo aveva salvato la rondine nella prima anta del trittico ? Resta da dire qualcosa delle complicate vicende testuali di questa terza parte dell' Ur - R agazzi di vita, molto bella, ma completamente sommersa nel corso dell'elaborazione del romanzo (il testo che abbiamo riprodotto è stato pubblicato per la prima volta nei "Meridiani", sulla base della stesura più avanzata dell' Ur -Ragazzi di vita). Mentre lavorava al romanzo, Pasolini aveva deciso di partecipare a un premio letterario che sembrava fatto per lui in quegli anni - il Premio Ta­ ranto, che veniva assegnato al miglior racconto italiano inedito con il mare come «protagonista o clima o sfondo » . Era il 19 50, e non gli era sembrato vero, credo, di estrarre dallo scartafaccio del Ferrobedo tutte le parti in rap23. RR l, p. 797· 24. Cito dal dattiloscritto Il Ferrobedo, f. So. so

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L' UR-RAGAZZI DI VITA: QUANDO IL FERROBEDÒ ERA UN TRITTICO

porto col mare, e di cucirle insieme: Terracina, quindi, ma anche alcune pagine della seconda anta dell' Ur -Ragazzi di vita (Li belli pischelli) - quel­ le, a sfondo marino, in cui Luciano dopo aver vinto al gioco della cartina si prende una giornata di vacanza e va in taxi a Ostia con l'amico Tonino2.5• Il racconto confezionato ad hoc per il Premio Taranto (quanto le cir­ costanze esterne possano condizionare l'assetto e la conformazione di un testo letterario è dimostrato da mille casi: ricordo almeno quello della poe­ sia ungarettiana Semantica, uscita per la prima volta sulla rivista della Pi­ relli) non aveva vinto. Era stato segnalato, però, dalla giuria (era piaciuto, in particolare, allo stesso Ungaretti, che vi sentiva "la voce del Belli"), e in virtù della segnalazione era uscito a puntate sul quotidiano di Taranto tra il luglio e l'agosto del 19512.6• Per chi cerca di ricostruire le vicende di quel testo marino, nato un po' per inclinazione personale e un po' per affermarsi al premio, è un'oggettiva complicazione. Mentre il racconto sottoposto alla giuria del Premio Taranto esce a puntate, come previsto, sul giornale della città, Pasolini pubblica con uno pseudonimo (Paolo Amari), in forma di racconti autonomi, due brevi testi tratti da Terracina: Dissolvenza sul mare del Circeo (in "Il Quotidiano", 8 giugno 1 9 5 1 ) e Notturno sul mare di Terra­ cina (in "Il Quotidiano", 19 agosto 1951)2.7• Testi apparsi in giugno e agosto, quindi. Indipendenti dalle pubblica­ zioni legate al Premio Taranto, a cui si aggiunge, in settembre, Santino nel mare di Ostia (in "Il Quotidiano': 1 1 settembre 1 9 5 1 ), che complica ulte­ riormente le cose fondendo le pagine finali di Terracina e le pagine dell' Ur­ Ragazzi di vita in cui Luciano fa una gita a Ostia grazie ai soldi vinti al gioco della cartina2.8• 25. Al Premio Taranto Pasolini avrebbe partecipato anche nel 1951 con Operetta ma­ rina (altro concorrente Gadda, con Prima divisione della notte, poi negli Accoppiamenti giudiziosi). Cfr. RR I, pp. 1678-9. La scaletta del f. 81, che configura un Ferrobedo in chiave

tutta acquatica, potrebbe essere nata come altra ipotesi taglio da presentare al premio. 26. "La Voce del Popolo", in cui le puntate di Terracina escono il 7, 14, 21 e 28 luglio, e il 4 agosto. Le cinque puntate sono ristampate nell'antologia I piu bei racconti di mare premiati, segnalati o presentati al Premio Taranto (I949-I952), a cura dell'Assessorato ai Be­ ni Culturali della Provincia di Taranto e del Gruppo Taranto, Taranto 1992, pp. 70-83 e nel supplemento letterario al n. 48 (giugno 1994) del periodico di Terracina "il Sestante". Si tratta però, com'è dichiarato esplicitamente dai redattori della "Voce del popolo", di «squarci » o «estratti » di un testo che la «lunghezza eccessiva » e « una certa qual cru­ dezza di termini» avevano sconsigliato di pubblicare integralmente (l'avvertenza è in calce alla seconda puntata, cfr. RR I, p. 1710 ) . 27. I due racconti non figurano in RR I perché coincidenti con parti di Terracina. 28. In RR I, pp. 798-801. Il dattiloscritto di Santino nel mare di Ostia si trova nella cartella Il Ferrobedo ai ff. 177-181. SI

I DUE PASOLINI San tino, protagonista del racconto che lo consacra al ruolo di eroe epo­ nimo (San tino nel mare di Ostia), è una delle trasformazioni dell'eroe seria­ le eponimo che è Luciano ; l'ampia descrizione della spiaggia e delle barche è sostituita da una frase ellittica ( « ll mare era fermo come una lastra » , già nella seconda anta del trittico, Li belli pischelli)19; e il protagonista, soprat­ tutto, è abbandonato nel finale in preda al panico fra le onde (il racconto si chiude sul suo spavento )30• Tutto questo per dare un' idea del magma da cui esce il libro pubbli­ cato da Garzanti. Aggiungo giusto che nel I 9 S O, prima di decidersi per Terracina, Pasolini aveva preso in considerazione l' ipotesi di presentare a Taranto un altro racconto : Arazzo adriatico, poi pubblicato sul "Quotidia­ no" col titolo Avventura adriatica, che riprende quasi alla lettera le pagine di Amado mio sulla gita a Caorle (col solito cambio di nomi: Desiderio che diventa Paolo ; lasìs, Erio ) , a ulteriore, ennesima conferma delle stret­ tissime implicazioni fra maniera friulana e romana, nei primi anni dopo la fuga da Casarsa3•. Tornando a Terracina, è interessante che il foglio piegato a mo' di car­ tella che racchiude lo scartafaccio di Ur -Ragazzi di vita affianchi i due titoli Il Ferrobedo e Terracina, quest'ultimo cancellato - segno che Pasolini, nel corso dell'elaborazione, aveva preso in considerazione l' ipotesi, poi scarta­ ta, di scegliere come titolo dell' insieme Terracina, avendo in mente, forse, anche il significato dell'espressione belliana "avere Terracina in faccià', che nella prosa inedita Visita alla Commare secca è spiegato così: Si parla di parole-trauma, ma bisognerà dire che in Belli ci sono interi endecasilla­ bi-trauma: leggi a proposito del tisico che sta morendo : «]e vede tutta Terracina in faccia » , dove Terracina è da intendere come « traslato di terra. Ha la faccia terre a, cadaverica » 32·•

29. Nella cartella Il Ferrobedo, f. 174. 30. Sono omesse, in questa versione, le parti de Li belli pischelli sulla cena a Ostia e il viaggio in taxi, che trovano una giustificazione nel contesto del romanzo, dove si racconta la vincita al gioco della cartina, ma non nel racconto. Il fatto che nella versione del testo inviato a Taranto invece compaiano, e non siano spiegabili, rivela la fretta con cui erano state messe insieme nel 1950 le pagine con cui partecipare al premio. 31. L'indice dei progetti si conserva nella cartella (Articoli, saggi ecc.), f. 131. Nella stessa cartella è il dattiloscritto del racconto uscito sul "Quotidiano", ff. 251-255 (il titolo è lo stesso che figura nell ' indice: Arazzo adriatico). L' indice non è datato, ma certo redatto prima dell ' uscita del racconto sul "Quotidiano" (il 31 maggio 1950 ) , perché al Premio Taranto potevano partecipare solo racconti inediti. 32. Il passo del saggio Visita alla Commare secca è citato in RR I, p. 1709. Una conferma

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L' UR-RAGAZZI DI VITA: QUANDO IL FERROBEDÒ ERA UN TRITTICO

Idea interessante, per un trittico che si chiude sul tema, ossessivo in Pasolini, della morte di un ragazzo. Chiude il fascicolo, come sarà poi ancora nella versione definitiva di Ragazzi di vita, un Glossarietto di termini dialettali romaneschi e terraci­ nesi, volutamente non distinti, perché impiegati con la stessa « funzione espressiva » : Dei termini dialettali usati ho raccolto in questo glossarietto, senza distinguere i romaneschi dai terracinesi per la loro comune funzione puramente espressiva, solo quelli il cui senso non può essere ricavato dal testo33•

Sono molti di più, in realtà, i termini che rimandano al parlato di Terracina. L'anta del trittico che si chiude con la morte in mare di Luciano è quella più fitta di voci dialettali. Soprattutto per quanto riguarda i termini della pesca, la ricerca è da collezionista, con gusto un po' a la Zola34•

del fatto che Terracina sia stato preso in considerazione come titolo del trittico è data dalla posizione all' interno della cartella (Articoli, saggi ecc.} di un frontespizio col titolo Terraci­ na, subito dopo un altro con Il Ferrobedo (ff. 145-146 ) . 33· Nella cartella Il Ferrobedo, f. 231. 34· Per esempio «AGGRADARE: tirare in secco la barca »; «ACIO : bastone del timo­ ne »; «AJATA: rete per pescare i cefali »; «CIRCHIA: cerchio a cui si adatta la rete per pescare i gamberi »; «COFFA : cesto contenente i palametri e gli ami » ; «COPPA (coPPI­ NO ) : arnese consistente in una stanga (stira) e in una rete circolare per pescare i gamberi » ; «CORRENTINO (FARE IL) : nuotare nel senso della corrente fra due determinati punti del fì urne » ; « FALAN GA: paletto a forma di cilindro per farvi scorrere la barca nell' aggradarla o sgradarla » ecc. Le 6o voci del Glossarietto passano in parte nel Glossario in coda a Ragazzi di vita (cfr. RR I, p. 1710 ) . 53

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Altri esp erimenti : quando le carte romane e friulane si rimescolano, e riaffiorano fantasmi marini

Con l' Ur -Ragazzi di vita formato da Il Ferrobedo, Li belli pischelli e Ter­ racina siamo ancora tra il 1 9 5 0 e il 1 9 5 1. Gli estratti usciti in rivista sono presentati semplicemente come racconti, ma Pasolini ha sempre in mente un romanzo, anche se l' idea del trittico non ha vita lunga. È comune a Pa­ solini e Gadda, una delle tante cose che condividono, la tendenza a spostare lunghi blocchi narrativi da un progetto all'altro, o estrapolarli rendendo li autosufficienti, per poi tornare magari sui propri passi. Si infittiscono a questa altezza, abbandonata la struttura a tre ante, i progetti di indici e scalette anche molto lontani fra di loro - alcuni tesi a privilegiare la coerenza della storia (stessi personaggi, azioni interrotte e riprese, che continuano nei diversi capitoli), altri animati, al contrario, dal desiderio quasi liberatorio di rompere tutto, facendo convivere in raccolte disorganiche racconti delle ispirazioni più diverse. Si perde in qualche indice anche il titolo. Dopo essere stato un tentativo di romanzo o almeno il centro propulsivo di una costellazione di testi legati fra di loro, Il Ferrobedo in questa fase della sua storia torna a essere un rac­ conto romano fra i tanti. Il testo anticipato su "Paragone" si trova accostato a pagine di racconti poi confluiti in Ali dagli occhi azzurri, e addirittura re­ litti del Romanzo del mare, il magmatico progetto proustiano a cui Pasolini lavora a Roma nel 1 9 5 1, cercando di fondere con una « Storia del mare » il racconto autobiografico della propria infanzia a cui aveva pensato già in Friuli (il « romanzaccione della sua infanzia sacilese » a cui allude, nel 194748, il protagonista dell'ultimo racconto dei Parlanti - in qualche abbozzo « Pier Paolo » , come Marcel nella Recherche) •. Indici ibridi si conservano in più stesure nella cartella Cartaccia roma 1. Per il Romanzo del mare, di cui sono l'esito i due racconti postumi Operetta marina e Coleo di Samo, cfr. la "notizia" in RR I, pp. 1676-9 e ora Nisini (2oo8, pp. 117-30 ) ; Santato (2013, p. 169 nota 39 ). ss

I DUE PASOLINI

na - cartella di per sé rivelatrice, perché raccoglie insieme materiali confluiti in Ali dagli occhi azzurri e stesure preparatorie di racconti che nell'edizione definitiva di Ragazzi di vita figurano come capitoli conclusivi del romanzo (Dentro Roma, Il bagno sultAniene, La Comare secca )2.. Ancora più singolari abbinamenti prospettano di far convivere in un unico disegno narrativo dal titolo Le notti calde (poi passato a Ragazzi di vita: anche i titoli nell 'universo narrativo di Pasolini sono intercambiabi­ li) il ciclo dei Parlanti (in apertura), Appunti per la Domenica di Manuti; il racconto Lied; il romanzo breve Aspreno e Marcellina, ambientato in Friuli, dove fa la sua comparsa un fascinoso aristocratico in cui si adombra l'amico Fabio Mauri, fratello di Silvana; quindi pagine romane, tra cui Romana Gas (poi Gas) , Notte nell'Es (poi Notte sull'Es ) e lo stesso Ferro­ bedo racconto ; in chiusura, una sezione dell'autobiografico e visionario Romanzo del Mare (Per un romanzo nel mare, nell' indice )3, che ha qualche punto di contatto con la scrittura proustiana e preziosa dei Parlanti, ma davvero quasi nulla con Gas e No t e sull'Es, fra i pezzi più acri confluiti in Ali dagli occhi azzurri. Anche altri abbozzi di indici testimoniano che Pasolini, fin dai primi anni Cinquanta, aveva preso in considerazione di organizzare la nuova materia romana in "cose narrative" diverse da quello che sarebbe diventa­ to Ragazzi di vita. Blocchi di fogli sono spostati e travasati da un progetto all'altro, finché il disegno del romanzo (e poi di una raccolta di racconti romani, Ali dagli occhi azzurri, appunto) , non si precisa. D ' altra parte sono evidenti i punti di contatto che permangono fra le due opere : interi passi di racconti di Ali che compaiono nel romanzo con variazioni mi­ nime, e personaggi del romanzo si incontrano di scorcio anche nei rac­ conti (Nadia, Amerigo o il Palletta del Ferrobedo di "Paragone': che sarà ribattezzato con un nome diverso, il Lenzetta, nella versione definitiva di Ragazzi di vita ) . Il Ferrobedo, in tutto questo, non è più l' inizio di niente. L' infanzia del protagonista è l' infanzia di un ragazzino qualunque, del quale non si saprà -

2. Una descrizione ne è data nel catalogo del Fondo manoscritti di autori contempo­ ranei: Ferretti, Grignani, Musatti (1982, pp. 182-3). 3· Un'altra versione di quest' indice non comprende tra le pagine romane Il Ferrobedo e manca dell'ultima sezione Per un romanzo del mare; ed il più proustiano dei quadri friulani, Gli adorati toponimi, come introduzione al piccolo ciclo dei Parlanti, separando dal resto l'ultimo racconto (Dalla leggenda topografico-sentimentale del Friuli), che è l ' unico scritto in terza persona, guardando dal di fuori il personaggio che fino a quel momento ha detto «io». Cfr. RR II, pp. 1944-5. s6



ALTRI ESPERIMENTI

più nulla, o pochissimo, come in quest' indice accluso alla prima redazione del romanzo della Biblioteca nazionale di Roma: I. LE NOTTI CALDE II III IV II. CARTE ROMANE

Testaccio Notte sull' Es Un fijo de na mignotta Appunti per un poema popolare

III. IL FERROBED Ò

Il Ferrobedò ' IV. IL BAGNO SULL ANIENE

Il bagno sull 'Aniene4

Del futuro Ragazzi di vita, sono compresi qui (alle sezioni I I I e IV del volu­ me) solo i capitoli I e 6, Il Ferrobedo e Il ba gno sultAniene (il passaggio dai numeri romani agli arabi è della stampa). Le notti calde è un titolo che sarà ereditato dal s, ma indica qui il racconto Squarci di notti romane, confluito in Al i dagli occhi azzurri, e ad Al i dagli occhi azzurri rinviano anche i testi della sezione 115• Pasolini, insomma, procede per tentativi. Comincia percorsi diversi, che a volte si intrecciano, o sono lasciati presto interrotti. Sposta e mescola - alla lettera - interi blocchi di fogli dattiloscritti da un fascicolo all'altro. Non era scontato che fosse questa, ma alla fine una strada si trova. Dopo 4· È la redazione che abbiamo siglato A, descritta qui al CAP. S· L ' indice è al f. 443· 5· Col titolo Le notti calde, il racconto che in Ali è intitolato Squarci di notti romane figura nei due dattiloscritti sopravvissuti (cfr. la "notizia" in RR II, pp. 1956-7). Testaccio è il racconto intitolato (in Ali ) Studi sulla vita di Testaccio (RR II, pp. 1958-9 ) Per Notte sull'Es e Appuntiper un poema popolare, cfr. RR II, pp. 1958-6o. Non è chiaro invece a quale testo vada riferito il titolo Unfijo de na mignotta: di certo il titolo è stato fra quelli presi in considera­ zione per il capitolo 2 di Ragazzi di vita (nella versione definitiva del romanzo, Il Riccetto ), ma se il testo compreso nell ' indice fosse stato questo, avrebbe ricevuto probabilmente lo stesso trattamento di Ferrobedo e del Bagno sull'Aniene (avrebbe costituito, cioè, una sezio­ ne a parte). Unfijo de na mignotta è anche riferito in un abbozzo al racconto Appunti per un poema popolare (l ' abbozzo della cartella Notte brava - Storia burina - Mignotta, presso il Fondo manoscritti di autori contemporanei dell ' Università di Pavia, f. 103), ma Appunti per un poema popolare figura in quest ' indice già col suo titolo definitivo. .

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I DUE PASOLINI tanta fatica, e grazie alla combinazione di elementi esterni (il consiglio di Attilio Bertolucci, l' incontro provvidenziale con Livio Garzanti, di cui si dirà fra poco) ha la meglio, nello sviluppo dell' Ur -Ragazzi di vita, un pro­ getto che non abolisce del tutto le spinte centrifughe che hanno accompa­ gnato da subito il romanzo, ma si configura come narrazione a suo modo unitaria, e prende forma fra il I 9 5 2. e il I 9 53· A quell'altezza, dopo il primo, durissimo periodo romano - sono cam­ biate anche dal punto di vista pratico molte cose. Pasolini vive meglio di quando era appena arrivato in città, benché non con agio. Insegna in una scuola media parificata di Ciampino, che impiega ore a raggiungere da dove abita6• Lui e la madre erano stati raggiunti, nel luglio del I 9 5 I, dal padre, che godeva di una sua pensione. Le lettere testimoniano di un'ossessiva lotta contro il tempo, per riuscire a scrivere; di una fortissima voglia di emanci­ parsi dalla famiglia, e di un rinnovato interesse per il multiforme Ferrobedo, sempre più caricato, dall'autore, di aspettative. Nel dicembre del I 9 5 2. Pasolini confida a Silvana Mauri di esser vicino alla fine del romanzo, anche se prevede una lunga fase di correzione e rifi­ niture : Lavoro molto, come al solito, per il povero soldo della scuola, e anche per me : sto finalmente per finire il mio romanzo ( « Il ferrobedò » ) , ma poi chissà quanto ci metterò a limarlo e correggerlo; ho finito l'antologia di Guanda, che dovrebbe uscire in questi giorni, ecc.7•

A Gianfranco Contini, pochi giorni dopo, scrive di aver lavorato « abba­ stanza » , alle sue cose, e « soprattutto a un romanzo, Il Ferrobedo » . Signifi­ cativa l'associazione tra il lavorare « come un negro » al romanzo e la voglia di emanciparsi, di trovare un riconoscimento nell'ambiente letterario, che frequenta volutamente come un outsider, ma ormai assiduamente (un po' in disparte Penna, i punti di riferimento sono Caproni e il solito Bertolucci; Gadda più distante, ma ammiratissimo): Ora vivo a Roma con mia madre e mio padre (in parte guarito dal suo male, o, perlomeno trattato - come si tratta una mina carica - secondo il suo male : adesso è quasi commovente come vive di me) ; lavoro anche come un negro, facendo scuola a Ciampino ( 2o.o o o mensili !) dalle sette del mattino alle tre del pomeriggio, e 6. «Il rango di scuola "parifìcata" significa basso stipendio, venticinquemila lire al mese, pagato solo nei mesi di lavoro » (Naldini, 1998, p. CLXXVIII). 7· LE I, p. 513. ss



ALTRI ESPERIMENTI

lavoro anche abbastanza alle mie cose, cioè soprattutto a un romanzo, Il Ferrobedo: lasciato un po' in disparte, tradito, Penna, sono ora molto amico di Caproni e Ber­ tolucci (li conosce di persona ? sono quel che si dice due perle), e, benché con assai meno frequentazione, di Gadda (che ha in programma, con la buona stagione, una serie di visite alla periferia, con la mia casa arabo-italica di Ponte Mammola come base, per condurre a termine il Pasticciaccio )8•

Anche se i progetti aperti sono molti, è sul Ferrobedo che si concentra mas­ sivamente il suo interesse, e forse il suo senso di rivalsa. La voglia, a questo punto, è di cimentarsi con un "vero" organismo narrativo, con un plot, so­ prattutto dopo che per un motivo o per l'altro erano rimasti nel cassetto, interrotti o naufragati, tutti gli esperimenti romanzeschi in cantiere dopo l'arrivo a Roma (non pubblicati, anche per ragioni di opportunità, Atti impuri e Amado mio; interrotto Il disprezzo della provincia; abbandonati per eccesso di complicazioni prima La meglio giovent ue poi Il romanzo del mare). Nell'ottobre del I9 53, un secondo anticipo del romanzo esce su "Para­ gone" (è Regazzi de vita, che corrisponde al capitolo 4 del Ragazzi di vita dato alle stampe) . Anche i retroscena di questa pubblicazione sono interessanti. In pri­ mavera, risulta da alcune lettere inedite, Pasolini aveva sottoposto alla re­ dazione della rivista, l'uno dopo l'altro, due estratti del romanzo, ormai presentati dichiaratamente come tali (la Banti nel ringraziarlo, il 5 maggio I 9 5 3, parla di due « "tagli" del Suo Ferrobedo» ) . Sulla possibilità di pubbli­ care i due testi, però, la Banti avanzava delle riserve: Caro Pasolini, La ringrazio molto per avermi spedito, l'uno dopo l'altro, i due "tagli" del suo Ferrobedo. Del primo, le dirà Bassani, a cui, per controllare le nostre impressioni, l'ho passato. In breve, si trattava di vedere se, con una redazione "purgata" potessi­ mo accostarlo a un pubblico d'abbonati "scolastico" che forma un buon terzo dei nostri sostegni. Purtroppo, anche l'opinione di Bassani è stata per il no. Del secondo, invece, « Regazzi de vita» , mi sembra che, procedendo a una decina di mutilazioni (che Lei effettuerebbe, naturalmente) la stampa sarebbe re­ alizzabile. Cosa ne dice ? Vorrei che Lei intendesse quanto mi dispiace proporle questo emendamento : necessario, tuttavia, per la pratica della nostra diffusione9•

8. LE II, p. 535· 9· Le lettere di Anna Banti a Pasolini sono conservate in AP, Corrispondenza, I, 45· La lettera che cito qui è la 7a. Su quale fosse il primo pezzo sottoposto a "Paragone", si posso­ no solo fare delle ipotesi. I titoli più probabili sono Dentro Roma, Il bagno sull'Aniene, La 59

I DUE PASOLINI Impubblicabile dunque, anche a giudizio di Bassani, il primo, che neppure « con una redazione "purgata" » potrebbe convenire « a un pubblico d'ab­ bonati "scolastico" » . Salvabile il secondo (Regazzi de vita), ma a patto di procedere, a giudizio dell'algida dama delle nostre lettere, a « una decina di mutilazioni (che Lei effettuerebbe, naturalmente) » . Se in una lettera a Bassani del I 9 S I, a proposito dei racconti di Henry Furst, aveva preso le distanze con qualche civetteria dalla presunta prude­ rie di Marguerite Caetani ( «la sua nobildonna » ), che dirigeva "Botteghe Oscure" ( «E di che si avrebbe paura, noi specializzati in Genet, Pasolini etc ?» ) 10, già pochi anni dopo la Banti ha imparato la prudenza, e con la sua richiesta di una « decina di mutilazioni » apre la serie delle autocensure coatte pasoliniane: un passo « necessario » - sostiene - per la pratica di diffusione della rivista. Neanche questo era bastato. Soprattutto per via dei racconti del Ferro­ bedo e di Regazzi di vita, Sansoni si era lamentato con lei comunicando « un reclamo del Ministero della P. l. a proposito di alcuni racconti comparsi su Paragone letterario (racconti di P. P. Pasolini e di altri, un tantino "spin­ ti") » . Lo scrive la stessa Banti all'amica Alba de Céspedes, il 2 agosto 1954, giustificando la scelta di non pubblicare un suo racconto : Quei santuomini sono scandalizzati, e avvertono che se la rivista continuerà con questo indirizzo "spregiudicato" il Ministero disdirà gli abbonamenti per l'anno prossimo. Sarà, magari, una scusa, un pretesto per darci in testa, dato che la redazione e il direttore non sono in odore di santità democristiana. Ma, comunque, non pos­ siamo trascurare, pena (quasi) la vita un pericolo così minaccioso11•

Comare secca, di cui si conservano materiali preparatori già nella cartella Cartaccia roma­ na - ( «Le notti calde», «Testaccio», «Notte sull'Es», «Appunti per un poema popolare») (I9JO-I95I) - Il Biondomoro (I950), presso il Fondo manoscritti di autori contemporanei

dell ' Università di Pavia. L'altro racconto di cui sia testimoniata dai materiali preparatori una progettata pubblicazione in forma autonoma, come racconto, è Nottata a Villa Bor­ ghese, che figura con una firma in calce nel dattiloscritto della Biblioteca nazionale di Roma (cfr. CAP. 5). 10. La lettera a Bassani porta la data del 2o ottobre 1951, ed è riportata nella Cronologia a cura di Fausta Garavini in Banti (2013, p. CVI ) . 11. Cfr. Garavini, Cronologia in Banti (2013, p. cxvn ) . La lettera continua così, con un garbato rifiuto : «Visto sotto questo rispetto, il tuo ottimo racconto è quanto mai (almeno in questo momento) inopportuno, e anche gli altri redattori, da me consultati, consigliano di sospenderne la pubblicazione» . 6o

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L' incontro con l'editore

Già nell'autunno del I 9 5 3, all'uscita su "Paragone" del secondo anticipo del romanzo, piaciuto così poco ai funzionari del ministero, Pasolini era in parola con Anna Banti per pubblicare Il Ferrobedo, una volta concluso, nella collana della rivista. All' inizio di giugno la Banti lo aveva sollecitato, e Pasolini il 2.2. ne aveva dato notizia al cugino, con la solita preoccupazione per il «pochissimo tempo » e le troppe cose da fare: ho pochissimo tempo; pensa che questi quindici giorni [ ... ] devo fare due conversazioni per il III programma, un racconto (ossessionante ... ) sempre per il III, due sceneggiature radiofoniche di tremende conferenze archeologiche, senza contare le solite recensioni (avrei Gadda per Paragone e Bartolini Luigi per il Giovedì): e poi il «Ferrobedò» da finire perché la Banti mi ha esplicitamente scritto che vorrebbe pubblicar! o entro l'anno nella collana di "Paragone"2..

Già il I 2. di quel mese, allo stesso Naldini aveva confessato di essere « sem­ pre più disperatamente ingolfato nel lavoro » , sull'orlo di « uno di quegli "esaurimenti" » che dall'alto della sua salute aveva tanto disprezzato negli altri: Sono sempre più disperatamente ingolfato nel lavoro, tanto che mi sto prendendo uno di quegli «esaurimenti » che ho sempre disprezzato, dall'alto della mia salute, negli altri. C 'è l'antologia, ci sono gli articoli per il Giovedì; nuovi impegni per Paragone, due o tre pezzi per la radio (tra cui un racconto, che mi fa impazzire) e adesso si profila anche un'altra cosa (in altri tempi meravigliosa) cioè la sceneggia­ tura in collaborazione con Gadda di racconti del Bandella ... Bah3• I. Così il I0 giugno Anna Banti: «Ma per tornare a Lei: quando crede di aver pronto il libro di cui si parlò ? Per la Biblioteca di P. ci conterei l'anno prossimo» (AP, Corrispon­ denza, I, 45, 8 ) . 2. LE I, p. 580. 3· LE I, pp. 578-9.

6I

I DUE PASOLINI In questa situazione, un fatto nuovo è determinato dall ' incontro con Livio Garzanti, organizzato da Attilio Bertolucci nel I 9 S 44• Qualche tempo prima, Bertolucci aveva conosciuto Livio Garzanti attraverso Pie trino Bianchi, allora critico cinematografico per "L' Illustra­ zione ltalianà's. Aveva cominciato a lavorare per lui come talent scout e gli aveva segnalato - fra l'altro - Il Ferrobedo, consegnandogli il fascicolo di "Paragone" sul quale ne era uscito il primo assaggio : Qualche anno dopo, facevo pigramente il talent-scout per Livio Garzanti e combi­ nai un incontro del giovane scrittore col giovane editore. Pier Paolo, ci chiamava­ mo già per nome, abitava vicino a me a Monteverde Vecchio, ora, in una casa abba­ stanza spaziosa e borghese : insegnava, potevano contare sul suo mensile oltre che sulla pensione del padre, in famiglia. Era stato appena pubblicato su "Paragone" il suo racconto Ferrobedo e io lasciai una copia della rivista in albergo a Garzanti perché la leggesse. Garzanti, entusiasta, volle vedere Pasolini. Appena lo salutò, finse di snobbarlo; poi, all' improvviso, gli disse di smettere di insegnare, voleva il suo romanzo entro un anno, voleva tutti i suoi libri. Gli avrebbe dato intanto il doppio di quanto guadagnava alla «media » di Centocelle, che egli raggiungeva con chissà quali mezzi alzandosi prestissimo. Così Pier Paolo poté scrivere con un certo agio Ragazzi di vita6•

Coincide sostanzialmente con questo, anche se diverso nei dettagli, il re­ soconto raccolto da Sara Cherin nel suo libro-intervista al poeta di Parma, uscito nel I98o: 4 · Bertolucci ricorda che l' incontro fra Pasolini e Garzanti era avvenuto nel 1954, Naldini nell 'aprile o nel dicembre del 1953 (cfr. la Cronologia premessa a RR I, p. CLXXIX ; LE I, p. CXXVI ; e ora Naldini, 201 4, p. 201 ). È più probabile che la data giusta sia il 1 954, anno in cui anche Garzanti colloca l ' inizio della sua collaborazione con Bertolucci (cfr. Ferretti, 2004, p. 205). 5· Il primo incontro di Bertolucci con Garzanti è collocato da Paolo Lagazzi (2ooo, p. 1 0 2 ) nel 1951. Più tardo è l' inizio di un vero rapporto professionale fra i due. Pietro Bianchi, di Parma, era amico di Bertolucci fìn dagli anni Venti. Da Garzanti aveva pub­ blicato i volumi L'occhio del cinema (nel 1957) e Storia del cinema (con Franco Berutti, nel 1961), oltre a una Presentazione delle Opere scelte di Ettore Petrolini (nel 1961) e una Prefazione all'antologia Umor nero, a cura di Bruno Tasso (ancora nel 1961). «Sapeva tutto, conosceva mezzo mondo, non gli sfuggiva niente. Importantissimo per la rivista e per la casa editrice. Senza di lui, io che amo la solitudine, non avrei combinato niente » (così Garzanti, 19 88, pp. 34-41). 6. Bertolucci (1991, p. 1135). In realtà il «racconto Ferrobedo» non era stato «appena pubblicato », essendo apparso su "Paragone" nel 1951. Il pezzo uscito nel 1953, si è visto, è Regazzi de vita, ma risulta dall 'epistolario che è lo stesso Pasolini, e non Bertolucci, a darlo in lettura a Garzanti (cfr. LE I, p. 700 ) .



L' INCONTRO CON L' EDITORE

Scendo, tenendo stretto sotto il braccio perché non mi scivoli nella calca del fi­ lobus che mi porta a Largo Chigi, il sottile quaderno verde di "Paragone" su cui era uscito qualche giorno prima il racconto, il primo in romanesco di Pier Paolo, dei "ragazzi a fiume", con l'episodio che diverrà famoso, della salvazione di una rondine [ ... ] . Lasciai "Paragone" a Garzanti pregandolo di leggere, appena gli fosse possibile, quel racconto, assicurandolo che quella non sarebbe stata una lettura solita, ovvia. Non avremmo dovuto più vederci, quel giorno, e invece Garzanti si fece vivo nell' immediato pomeriggio [ ... ] . Aveva letto quelle pagine, voleva vedere subito, diciamo appena possibile, il loro autore. Riuscii a convocare Pier Paolo prima della consueta partita di calcio nel campetto di Monteverde in quegli anni ancora non tutta fabbricata, di primavera presto visitata ancora da greggi di pecore abruzzesi, come ai tempi di Stendhal e di D 'Annunzio'.

Anche Garzanti ha raccontato in diverse occasioni il suo incontro con Pa­ solini. Così, per esempio, nell' intervento a un convegno del 1 977: A questo punto mi torna vivo il ricordo del nostro primo incontro. Avevo letto un capitolo di Ragazzi di vita pubblicato da "Paragone"; il titolo allora era Ferrobedò, me l'aveva segnalato l 'amico Bertolucci. Gli avevo scritto una lettera molto secca di invito, Pasolini mi rispose con una lettera festosa, gioiosissima, dolce, tenerissima. Poi venne a incontrarmi a Roma, nel mio albergo, un albergo abbastanza mode­ sto. Ricordo che c 'era una luce al neon che raffreddava le nostre facce. Mi sono visto davanti un giovane mio coetaneo, in un certo senso orrido, che mi aspettava seduto su una panchetta, le mascelle serrate, un volto nero di pelo, occhi lucenti, le orbite erano incastonate in un volto magro di fame, una faccia quasi dantesca. Rimasi bloccato dal personaggio, la mia sicurezza di editore venne a mancare e mi trovai quasi a non poter parlare. Si stabilirono i termini di un contratto a mezze sillabe8•

E così in un' intervista rilasciata a Marisa Rusconi alla vigilia dei due volumi che hanno inaugurato la pubblicazione delle opere complete nella collana dei "Meridiani": Fu Attilio Bertolucci che era molto legato - in modo diverso - sia a Pasolini che a me e che ha avuto un' influenza grandissima sulle nostre vite, a segnalarmi il primo capitolo di « Ragazzi di vita » , pubblicato su "Paragone" con il titolo «Ferrobe­ dò» . Lo lessi e decisi di incontrare l'autore. Era il I954; io avevo 32 anni e Pier Paolo 33 [ ... ] . Me lo vidi arrivare davanti nell'alberghetto dove sempre abitavo durante i

Cherin (1980 ) . Garzanti (1978, pp. 134-9 ). Il convegno è Per conoscere Pasolini, tenuto al Teatro Tenda di Roma il s. 6, 7 dicembre 1977, i cui atti sono usciti l 'anno dopo, con lo stesso titolo (cfr. Per conoscere Pasolini, 1978). 7· 8.

I DUE PASOLINI miei frequenti soggiorni romani e subito pensai a un personaggio appena uscito dall' Inferno di Dante. Era magrissimo, il viso ossuto, gli occhi immensi, la bocca vuota quasi da morto; indossava un incongruo completo gessato da quattro soldi. Il tormento - che è sempre stato la nota dominante di tutta la sua vita - era già espresso lì, nella sua presenza. Mi parve una testimonianza di verità insolita, perché spesso i letterati si presentano con diverse maschere. [ ... ] Parlammo pochissimo, ma in un quarto d'ora il contratto era già concluso9•

Al momento dell' incontro con Pasolini, Garzanti dirige da due anni la casa editrice fondata dal padre Aldo. È intelligente, spregiudicato, capace di rischiare. Ama le scelte controcorrente. Si dimentica spesso che era, al momento della campagna acquisti forse più strepitosa dell'editoria ita­ liana del Novecento, giovanissimo - e di Pasolini quasi coetaneo (aveva, l'editore milanese, solo un anno in più) . Da quando è a capo dell 'azien­ da, Garzanti figlio ha svecchiato energicamente le collane paterne, inven­ tando una linea che mette insieme (la formula è di Gian Carlo Ferretti ) « trasgressività e fatturato » . Quella che disegna col suo catalogo, secondo Piero Gelli, è una « risposta libertaria alla progettualità ideologica della fortezza einaudiana » 10• Di certo il giovane editore, « in ostentato anta­ gonismo con altri editori politicizzati e impegnati, idolatri della cultura e dell' ideologia » , recita (ed esibisce) il ruolo dell' « insensibile uomo d'affari, del capo d'azienda spicciativo e teso solo al profitto, all 'utile al concret0 » 11• È determinato, rapido nelle decisioni, e sa accaparrarsi con­ sulenti di prim'ordine, fra i quali proprio Attilio Bertolucci da subito è il più ascoltato12.. 9· L' intervista è uscita su "L'Espresso" il 24 settembre 1998, pp. 92-6, col titolo Livio

Garzanti racconta il suo autore piu amato.

10. Gelli (1995). 11. Garboli (2003, p. 557 ) . Su Livio Garzanti e i suoi autori, cfr. il ricco commento di D. Scarpa a Gadda, Parise (2015 ). 1 2. Per un profilo dell 'attività di Livio Garzanti, cfr. Ferretti (2004, pp. 204-11 ) . Sono utilissimi anche gli articoli di Garboli e Gelli citati nelle note precedenti. È in una dichia­ razione rilasciata proprio a Ferretti che Livio Garzanti identifica la nascita della sua casa editrice con l' inizio del rapporto professionale con Bertolucci: «L'anno dal quale posso far nascere la mia casa editrice è il 1954, segnato dall' incontro con Attilio Bertolucci in una trattoria reggiana, a una cena con Cesare Zavattini e Pietro Bianchi. Bertolucci sareb­ be diventato così il mio "delfico consigliere" portandomi i romanzi di Pasolini e Gadda, e aprendomi la strada della poesia italiana con Caproni e Penna, anche se avrebbe continuato a dirigere la collana della Fenice per Guanda fino al 1960 » (ivi, p. 205 ). Da Garzanti, Attilio Bertolucci dirige fra l'altro la "Collezione di letteratura" (dove nel 1963 escono I racconti di Antonio Delfini) e progetta, o cura lui stesso, importanti antologie: Poesia straniera del Novecento, a cura di A. Bertolucci, 1958; Umoristi del Novecento, a cura di G. B. Vicari, con



L' INCONTRO CON L' EDITORE

Un po' per fiducia nel suo consigliere e un po' per effetto del pezzo uscito su "Paragone", Garzanti si impegna subito (sia o non sia in « un quar­ to d'ora » , com'è dichiarato nell' intervista) a pubblicare il romanzo di cui il pezzo di "Paragone" è l'attacco. È una mossa a sorpresa, e si rivelerà un col­ po clamoroso, non l'unico in quegli anni. Nel I9 S4, l'editore trentaduenne centra con Ilprete bello di Goffredo Parise un vero best seller. Nel I9 S3, pone le premesse per un' impresa quasi incredibile, e « un po' per naso editoriale e un po' per infilarsi un fiore all'occhiello, o forse perché vantava fra i suoi collaboratori un conoscitore dei segreti letterari italiani come Attilio Ber­ tolucci », non bada a spese « pur di annoverare tra i suoi autori, insieme a Pasolini, Fenoglio, Volponi, Soldati, Parise, anche un cavallo raro, un puro­ sangue ormai maturo per la consacrazione » 13• Il « cavallo raro » era Gadda, che nel luglio di quell'anno, mentre Pa­ solini aspettava l'uscita di Regazzi de vita su "Paragone': si era impegnato a riprendere e concludere il Pasticciaccio, del quale erano uscite le prime cinque puntate fra il I 946 e il I 947 su "Letteratura" (aveva ricevuto dall'edi­ tore un generoso anticipo, e firmato un contratto che prevedeva anche una periodica collaborazione con la rivista mensile di Garzanti, "L' Illustrazione ltalianà') . Nel caso d i Gadda, l'accordo è l' inizio d i u n « estenuante corpo a cor­ po » durato quanto la stesura del Pasticciaccio (dal I 9 S 3 al I 9 S9), e soppor­ tato da ciascuno dei contraenti grazie all' intelligente mediazione di Attilio Bertolucci14• una Prefazione di A. Bertolucci; Umoristi dell'Ottocento, con Prefazione e note di A. Ber­ tolucci; Scrittori della realta, con Introduzione di A. Moravia, commento di P. P. Pasolini e A. Bertolucci, 1961 ; Gli umoristi moderni, con P. Citati, 1961. 13. Garboli (2003). Il ruolo svolto da Garzanti nella storia del Pasticciaccio è ricostruita da Garboli con straordinaria acutezza, sulla base del carteggio fra scrittore ed editore che era allora inedito nella sua integrità. Cfr. invece ora Gadda (2oo6). Cfr. Pinotti (1983b) anche per la genesi del romanzo e il rapporto fra Gadda e Garzanti. Su Gadda e Garzanti, cfr. Citati (2oo6). 14. Anche se i primi contatti con Gadda precedono l' inizio del rapporto professio­ nale di Bertolucci con Garzanti, il poeta di Parma assume presto il ruolo di intermediario, evidente nell 'epistolario (cfr. Gadda, 2006, pp. So, 90 nota 44, e passim). È da ricordare che Bertolucci, definito da Gadda (1983, pp. 1 94, 21 2) «persona gentilissima, letterato pro­ fessore e poeta », consulente della casa editrice Garzanti «nel ramo letteratura italiana, e romanzo e saggistica inglese », aveva cominciato nel 1952 a lavorare al Terzo Programma della RAI. Anche Gadda dal 19 50 lavorava in RAI. Dopo aver ottenuto un contratto come consulente presso la redazione letteraria del "Giornale Radio", era stato praticante gior­ nalista addetto alla segreteria dei Servizi parlati culturali, poi redattore ordinario e infine promosso alla direzione del Terzo Programma (cfr. Ungarelli, 1993). 6s

I DUE PASOLINI Pasolini, che con la tensione convive da sempre, regge meglio inizial­ mente il corpo a corpo. L'opportunità offerta da Garzanti si risolve in uno stimolo potente alla ripresa del romanzo, anche se non nell'esclusivo concentrarsi su di esso che l'editore aveva sperato. Pur tenendo aperti altri fronti, è il completamento del Ferrobedo che mette al centro del tavolo, trovando anche il modo di placare la Banti dirottando sulla "Biblioteca di Paragone" la raccolta delle sue poesie friulane15• Niente di paragonabile, sulle prime, ai crucci di Gadda, che per prestare fede all'accordo aveva lasciato la RAI , e dalla RAI , nonostante le formali dimissioni, continuava a ricevere proposte di lavoro, che non sapeva rifiu­ tare. Alla nipote acquisita Anita Fornasini, moglie del nipote Emilio, aveva scritto il 2.5 maggio I 9 55 = I miei "creditori" stanno con l a pistola puntata e non m i danno pace. Per conten­ tarli tutti dovrei diventare matto. La RA.I [sic] vuole altri lavori, gli editori altri la­ vori, i fiorentini mi incolpano di averli traditi. Mi pare di essere un capriolo conteso e sbranato da ventidue tigri16,

Lo stesso grido disperato si leverà I 9 dicembre di quell'anno alla volta del cugino, Piero Gadda Conti: IS. La meglio gioventù, uscita nella sansoniana "Biblioteca di Paragone" nel I 9 S4· ere­ ditando il titolo del romanzo uscito dopo una lunga serie di trasformazioni come Ilsogno di una cosa, nel I962. Anna Banti era tornata all 'attacco per pubblicare Il Ferrobedo alla fine del I9 S3· In una lettera del 27 novembre gli scrive, fra l'altro : «E, a proposito : quando crede di aver pronto il romanzo ? Sto facendo il programma per la Biblioteca I 9 S4· Lo vogliamo annunciare ? » (AP, II, 45, 12 ). Pasolini doveva averla rassicurata, perché il IS di­ cembre la Banti risponde: «Siamo d'accordo per il Ferrobedò, lo annunceremo. Quanto alla raccolta di poesia friulana (con testo italiano a fronte, non è vero ?) essa ci interessa senz'altro, ma bisogna parlarne » (AP, II, 45, I3 ) . L' idea di dirottare la raccolta friulana sulla "Biblioteca di Paragone" non nasce comunque solo per risarcire la Banti dopo averle sottratto il Ferrobedo. La raccolta - che quasi fino alle soglie della pubblicazione Pasolini pensa con un altro titolo (Romancero) - avrebbe dovuto uscire inizialmente da Einaudi (la aveva chiesta, a Pasolini, Carlo Muscetta), ma il progetto non era andato in porto. Anche Guanda, che nel I9S2 aveva preso in considerazione la possibilità di pubblicare il libro, alla fine si era defilato (cfr. la "notizia" a La meglio gioventù, in TP, pp. I4S9-6s) . Ancora il I0 settembre I9S4· la Banti si informa con Pasolini sullo stadio di lavorazione del Ferrobedo: « m i è tanto dispiaciuto sentire che non ha potuto lavorare e che l'estate non Le è stata favorevole [ ... ] . Spero che l 'autunno La trovi meno depresso, e Le permetta di mandarci qualche cartella per la rubrica della poesia. Ma quel che mi sta a cuore, Lei lo sa, è il Ferrobedò, e sarò molto contenta quando La saprò impegnato a finirlo » (AP, II, 45, I9 ). I6. Gadda (2002, p. 25). 66



L' INCONTRO CON L' EDITORE

La RAI l'ho definitivamente lasciata a giugno. [ ... ] Ho lasciato la RAI per finire il Pasticciaccio, per il quale avevo avuto un acconto da Garzanti: il lavoro della RAI non era per me una sinecura: mi sono profuso con l'onestà e la generosità del lavoro che mi distingue; in compenso avevo da "essuyer les hauteurs" di molti poltroni e alcuni carrieristi 17•

In ogni caso nuova (e insieme vecchissima, risalente addirittura alla pra­ tica tardo-medievale e rinascimentale di raccogliere intorno a sé scrittorifamiliares) si rivela la tecnica del libro-paga. Il gesto inaugurato con Gadda (un po' diverso il caso di Parise, assunto nel I 9 63 a Milano come redattore in casa editrice) è replicato con Pasolini all' inizio del I955= prima, si è visto, lo scrittore friulano aveva vissuto a lungo di collaborazioni miserrime e di supplenze scolastiche a Ciampino, e solo da poco lavorava come sceneggia­ tore cinematografico. Ha scritto di recente Domenico Scarpa: Gadda, Parise, Pasolini: tutte e tre le sovvenzioni di Garzanti ebbero un brillante risultato letterario e commerciale, ma tutte produssero intricate conseguenze di lungo periodo nella vita dei tre scrittori e nei loro rapporti con il mecenate-tiran­ no - anzi, con Il padrone, titolo del romanzo pubblicato (da Feltrinelli, come si vedrà) nel I96s, dove Parise trasfigurava il tempo speso come impiegato nella ditta Garzanti. La quale ditta Garzanti trovò intoppo, quanto a Gadda, nel rapporto che quest 'ultimo aveva in corso da tempo con Giulio Einaudi, già menzionato come antagonista idealtipico18,

Ilpadrone, col dettaglio di un Paperon de ' Papero n i a la Lichtenstein e l' au­ dace quarta di copertina, sul «padrone dei tempi nuovi, un padrone che ha la sua filosofia » , meriterebbe una parentesi, se non un libro a sé, ma torno a Pasolini, e ai suoi rapporti con l'editore. La prima lettera di Paso­ lini a Garzanti è del 6 novembre I 9 54, e rivela un certo imbarazzo. Dopo l' incontro romano, evidentemente, lo scrittore non si è più fatto vivo con l'editore, che ne aveva chiesto notizie a Bertolucci. Per giustificare il lungo silenzio sono chiamati in causa « antiquati e ingenui scrupoli» riguardo al romanzo e il problema di sempre: la mancanza del « tempo che si dice materiale per lavorare » . Alla lettera, è accompagnato il secondo « assag17. Gadda Conti (1974, p. 69 ). Molte testimonianze del periodo gaddiano come fun­ zionario RAI sono raccolte da Roncoroni nelle note a Gadda (2002). 18. Gadda, Parise (2015). Il padrone di Parise esce nella collana dei "Narratori Feltri­ nelli" nel 1965, in marzo, e già in maggio ne è tirata una quarta edizione.

I DUE PASOLINI gio » del romanzo uscito su "Paragone" - Regazzi de vita, che Garzanti non conosceva ancora19: Gentile Dottore, Bertolucci mi dice che Lei aspetta che mi faccia vivo. Ma come ? Mi sento un po' imbarazzato, per tante ragioni. Le avevo promesso un racconto lungo Le zoc­ colette del Mandrione, e, forse, nel caso che fossi riuscito a vincere i miei antiquati e ingenui scrupoli, Ilferrobedo. Ma, a parte gli scrupoli, non ho il tempo che si dice materiale per lavorare. Lei lo sa, che per uno stipendio di venticinque mila lire, vado a insegnare a Ciampino, partendo alle sette di mattina e tornando quasi alle due, fradicio di stanchezza ? Per vivere quindi devo attendere a delle collaborazioni e inoltre adesso, ho sul mio tavolo un monte di bozze : si tratta di una antologia della poesia popolare che sto facendo per Guanda, complicatissima e molto impe­ gnativa : Lei capisce che in queste condizioni, per ora, non posso lavorare per me: a ciò cui tengo di più. È l'eterna querela: E scusi il mio sfogo ... Inoltre ho un altro genere di scrupoli: il timore, cioè, che alla fine il mio romanzo non Le piaccia. Perciò preferisco mandargliene subito un assaggio : il sesto capitolo, che è forse il migliore, e che, col titolo di « Regazzi de vita » è uscito in "Paragone". La prego intanto di leggere queste paginea.

La risposta dell'editore, finora inedita, va dritta al bersaglio e punta tutto sul romanzo, lasciando cadere l' idea del racconto lungo (Le zoccolet te del Mandrione o altro) . Già il I 3 novembre del I 9 5 4 Garzanti si dichiara for­ temente impressionato da Regazzi de vita ( « Le dico con tutta sincerità che il capitolo Regazzi de vita mi ha fatto un' impressione molto forte » ) . Chiede a Pasolini i n quanto tempo crede d i poter finire il libro, e lascia capire di impegnarsi perché al Ferrobedo l'autore possa dedicare « tempo maggiore » di quello che ha avuto a disposizione fino a quel momento. La mossa è quella che aveva avuto successo nel convincere Gadda a riprende­ re in mano il Pasticciaccio, e che Attilio Bertolucci, nel suo ricordo, antici­ pa al primo incontro romano fra il giovane editore e il giovane scrittore : l'offerta di uno stipendio mensile nel cambio del quale lasciare gli altri impegni, e concentrarsi nella conclusione del romanzo (il 4 agosto del I 9 53, Gadda aveva parlato di un « regime di sovvenzione » , misurando in

19. Nella lettera, Regazzi de vita è presentato come «sesto capitolo » del roman­ zo. È probabilmente un lapsus (in tutti gli indici conservati è il quarto), ma non è da escludere che sia esistita una diversa configurazione dei capitoli, della quale non resta testimonianza. 20. LE I, p. 700. 68



L' INCONTRO CON L' EDITORE

« almeno otto mesi di pieno impegno » il tempo necessario a concludere il Pasticciaccio )2.1: Caro Pasolini, Le dico con tutta sincerità che il capitolo Regazzi de vita mi ha fatto un' im­ pressione molto forte. Le sarei molto grato se potesse dirmi in quanto tempo Lei crede di poter finire il libro dedicando alla stesura del medesimo tempo maggiore di quello che ora Le è disponibile. La trama del libro è tutta chiara nella Sua mente o Ella si trova ancora ali' inizio dell'opera, di fronte a un gran numero di incertezze ? Resto in attesa di un Suo scritto, convinto di aver fatto con Lei un incontro molto, molto felice; un incontro che impegna la mia responsabilità di editore. Se Ella avesse un pezzo di cento pagine - anche non finito - me lo mandi. Lo vedrò e lo restituirò subit02.2..

Pasolini riscrive a Garzanti in un giorno imprecisato di novembre, e questa volta ci si mette d' impegno. Non discute i dettagli economici della pro­ posta (si riserva di farlo, probabilmente, con il tramite di Bertolucci) , ma quantifica in « circa cinque sei mesi » il tempo necessario per concludere il romanzo e dà finalmente un resoconto preciso della forma che il Ferrobedo ha assunto in quella fase delle sue trasformazioni: Gentile Garzanti, ho ricevuto da molte parti dei complimenti per « Regazzi de vita » : ma il pia­ cere che mi ha dato Lei, col tono distaccato e paratattico dell'editore, non me lo ha dato nessuno ... E cresce, di conserva, la mia preoccupazione per gli sviluppi futuri ... Il romanzo nelle linee generali è pronto : è tutto chiarissimo nella mia testa ( purtroppo : perché così nasce una sproporzione tra la pagina già in testa e la pagina nell'atto di esser scritta) . Per essere esatti: il romanzo consta di 9 capitoli, di cui il I, il IV ( Regazzi de vita ) , il VI sono completi; il III, il v, il VII e l'VIII sono scritti ma devono essere messi a posto e completati; il II e l'ultimo devono essere fatti quasi completamente. Conoscendo me stesso ( che non sono pigro, badi ) e la specie di questo lavoro, penso che mi ci vorranno ancora circa cinque sei mesi ( melius abundare ) , dato che questo mese potrò lavorarci meno, dovendo finire altre cose. Non si spaventi ( dal punto di vista commerciale ) : ma del «Ferrobedò» è im­ possibile riassumere decentemente la trama, poiché una trama nel senso conven­ zionale non c 'è. Riassumendolo si rischierebbe di giustapporre una serie di fatti, e si avrebbe l' impressione di un arazzo. La mia «poetica » narrativa ( come Lei ha visto 21. Garboli (20 03, p. ss8). La lettera di Gadda a Garzanti è pubblicata integralmente ora in Gadda (2006, pp. 71-4). 22. AP, 3 81, I.

I DUE PASOLINI in « Regazzi de vita » ) consiste nell' incatenare l'attenzione sui dati immediati. E questo mi è possibile perché questi dati immediati trovano la loro collocazione in una struttura o arco narrativo ideale che coincide poi col contenuto morale del romanzo. Tale struttura si potrebbe definire con la formula generica: l'arco del dopo­ guerra a Roma, dal caos pieno di speranze dei primi giorni della liberazione alla reazione del ' s o - s i. È un arco ben preciso che corrisponde col passaggio del prota­ gonista e dei suoi compagni (il Riccetto, Alduccio ecc.) dall'età dell' infanzia alla prima giovinezza: ossia (e qui la coincidenza è perfetta) dall'età eroica e amorale all'età già prosaica e immorale. A rendere «prosaica e immorale » la vita di questi ragazzi (che la guerra fascista ha fatto crescere come selvaggi, analfabeti e delin­ quenti) è la società che al loro vitalismo reagisce ancora una volta autoritaristica­ mente : imponendo la sua ideologia morale. Badi che tutto questo resta «prima » del libro. Io come narratore non in­ terferisco. Come non denuncio mai direttamente la responsabilità fascista nella costruzione di quei campi di concentramento che sono le borgate romane, o sulla responsabilità attuale del governo che non ha risolto il problema. Tutto questo è implicato nella congerie esternamente caotica, internamente ordinata, dei fatti. «Il Ferrobedò» è la storpiatura romanesca della Società Ferro Beton, di cui c 'è, tra Monteverde Vecchio e Monteverde Nuovo, presso la borgata Donna Olim­ pia ( «i Grattacieli » ) una grossa fabbrica. Questa è la matrice, l'ambiente dove co­ va l'infanzia del Riccetto e degli altri. Al tempo della liberazione è il simbolo della devastazione e dell'abbandono : distrutta dai Tedeschi, saccheggiata dalla gente, lurida, cadente. La rivedremo poi, verso la fine del romanzo, ricostruita e rimessa a posto: simbolo del ritorno all'ordine (solo una garritta, lì vicino, è ancora piena di merda, abbandonata). (Badi, le ripeto, che tale simbologia è perfettamente in­ carnata nella narrazione). Secondo punto di riferimento, simbologico [sic] (e utile solo per uno schema) è il seguente : il Riccetto, nel primo capitolo del romanzo, andando in barca con alcuni amici sul Tevere - « regazzino» , ma già esperto di tutte le bassezze, ladro, senza scrupoli ecc. - a un certo punto si getta a nuoto per salvare una rondine che sta affogando sotto Ponte Sisto. Nell'ultimo capitolo, affoga sull'Aniene un ragaz­ zetto, Genesio (una tra le figure più « a tutto tondo» del romanzo, e il Riccetto, già quasi giovanotto, non muove un dito per salvar! o. Tra questi due momenti si svolge tutto l'arco narrativo che Le dicevo, con la grande ressa dei fatti, fatterelli, figure, episodi, « in progress » , con al centro la rieducazione (fasulla e controproducente) del Riccetto nell' Istituto dei Minorenni di Porta Porte se. Il I Cap. ( «Il ferrobedò» ) racconta la prima infanzia del Riccetto e C., con di scorcio i Tedeschi, gli Inglesi, la malavita del primo dopoguerra, la corruzione; ambienti: Donna Olimpia e il Ciriola. Il n Cap. (Da intitolarsi) : prosegue col racconto della malavita di Donna Olimpia ( il Riccetto è con un gruppo di imbroglioni del gioco della cartina), e le prime esperienze sessuali del Riccetto tredicenne (meretrici e invertiti) fino al



L' INCONTRO CON L' EDITORE

« crollo di Donna Olimpia » , ossia al crollo delle scuole elementari dove vivevano accampate le famiglie del Riccetto e degli altri. Il 111 Cap. «Nottata a Villa Borghese » . Il Riccetto va ad abitare, in seguito al crollo, in una vera e propria borgata, a Tiburtino, dove ha delle amicizie anche peggiori. Vive fuori casa, rubando o peggio : ora con momenti di gran splendore economico, ora costretto a patire la fame, ad andare a mangiare dai frati ecc. Il Cap. IV è « Regazzi de vita » . Il Cap. v «Le notti calde » è l a storia d i due furti più particolareggiati e im­ portanti (compiuti con una compagnia di delinquentelli - conosciuti a Villa Bor­ ghese - di Torpignattara). Tra il primo e il secondo, egli conosce ( in maniera pica­ resco-boccaccesca troppo lunga a riassumersi) una ragazza, di cui si dice di essere innamorato, tanto per rientrare nel «cliché » eroico del bulletto rionale. Decide, sempre per esibizionismo, di mettere la testa a posto, e, frattanto, per « fare » l'a­ nellino alla ragazza, organizza il secondo furto : nel quale tutti i suoi compagni so n presi, lui scappa, ma, morto di fame e stanchezza (per circostanze ancora troppo lunghe a riassumersi) viene preso e messo in prigione, a Porta Portese, per un reato che non aveva commesso. Il Cap. VI ( « Il bagno sull'Aniene ») comincia una seconda parte del romanzo: è passato circa un anno e mezzo, due dall'ultimo avvenimento. Il Riccetto per ora resta una figura un po' secondaria, e vengono in primo piano certi suoi amici di Tiburtino: Alduccio, il Begalone, il Caciotta. È il punto più basso del racconto : la volgarità, la immoralità di tutti questi ragazzi (e a fare il bagno sull'Aniene ce n'è a dozzine) appaiono definitive e disperanti. I più piccoli, dopo aver tormentato i più grandi, il Piattoletta, un povero bambino rachitico, «una vittima » , «un sog­ getto» , giocando sul «Monte del Pecoraio » lo bruciano vivo fingendo un rogo di Pellirossa (veramente nel romanzo non è detto che muore e resta gravemente ustionato). Il Cap. VII e l'viii ( «Dentro Roma » ) segue Alduccio e il Begalone in una loro viziosa peregrinazione per la città notturna. Tutti e due hanno una atroce condizione famigliare. Alduccio è odiato da sua madre perché non lavora. Date le zone e gli ambienti per dove passano, il desiderio sessuale, sempre così scatenato e facile in loro è ossessionante. A Ponte Garibaldi trovano il Riccetto, e con lui han­ no una sinistra avventura che li conduce nei dintorni (deserte aree da costruzione) di Donna Olimpia, presso la restaurata Ferro Beton. Rimediano un po' di soldi: scendono a Campo dei Fiori, in un meretricio dei Cappellari. Alduccio vi fa una brutta figura. Tornando a casa, trova la sua famiglia che litiga, in un'ossessione di miseria e di odio. Dà una coltellata a sua madre (discinta come una puttana). Il Cap. IX ( «La Commare secca » , che è espressione del Belli per indicare la morte). Siamo ancora sulle luride rive dell 'Aniene. Le solite dozzine di ragazzi. Alduccio è nascosto lì, tra le fratte. Ma verremo poi a sapere che sua madre non è morta. Son lì, nascosti, anche alcuni ragazzini di Ponte Mammolo (una borgata un po' più civile, di operai e piccolissimi borghesi) incolpati dai ragazzini del Ti­ burrino di avere bruciato il Piattoletta. Genesio, il più grande dei fratellini, vuoi 71

I DUE PASOLINI compiere l' impresa di attraversare il fiume : e vi annega. Il Riccetto è ormai perso tra gli altri, anonimo : un giovanotto o quasi, che fa il manovale a Ponte Mammola, chiuso nell'egoismo, nella sordidezza di una morale che non è la sua. Come vede, il riassunto regge male : perché mette in luce degli avvenimenti, e trascura un' infinità di cose che nel romanzo hanno quella funzione di « suspen­ ce » che di solito nei racconti canonici è affidata ad altri ingredienti. Ma Lei met­ ta in rapporto questi monchi balbettii senza capo né coda col ritmo narrativo di « Ragazzi de vita » . M i scusi l a fretta caotica con cui h o scritto : m a sono affogato nel lavoro. E riceva i più cordiali saluti e ringraziamenti del Suo Pier Paolo Pasolini23

La lettera è studiata per rassicurare l'editore circa la determinazione e la se­ rietà con cui lo scrivente si prepara a rispettare l'accordo. Pasolini, sembra, vuole convincere Garzanti che non farà un cattivo affare ( « è tutto chiaris­ simo nella mia testa » ; « non sono pigro, badi » ; « scusi la fretta caotica con cui ho scritto: ma sono affogato nel lavoro » )2.4• L' insistenza sull' incapacità di rendere con un riassunto la compattezza del romanzo ( « è impossibile riassumere decentemente la trama » ; « si avrebbe l' impressione di un araz­ zo » ecc.) riflette forse alcune delle preoccupazioni espresse dall'editore (forse a voce, già nel primo incontro, o attraverso Bertolucci): preoccupa­ zioni, si direbbe, relative in questa fase soprattutto alla tenuta del libro (al suo essere un vero romanzo, e non una raccolta di racconti) . Lo stesso mese, Pasolini decide di informare la Banti (attraverso Ber­ tolucci) della trattativa in corso con Garzanti. Anche la Banti si serve ini­ zialmente di messaggeri-intermediari (il solito Bertolucci e Bassani), come risulta da una lettera che porta la data del 29 novembre 1 9 54: Volevo anche ripeter Le, dato che ne ho l'occasione, quanto incaricai Bassani e Ber­ tolucci di dirLe, riguardo al Suo romanzo. Ho inteso che Garzanti Le avrebbe fatto delle offerte importanti e mi guardo bene, naturalmente, dal contrastare i Suoi legittimi interessi. Chiedo solo che, a eguali condizioni, la Sansoni sia preferita. A 23 . LE I, pp. 703-7. 24. È forse parte di questa "strategia", volta a rassicurare sulla bontà dell 'affare, l'ac­ cenno iniziale ai complimenti ricevuti «da molte parti » per Regazzi de vita (che in effetti c'erano stati: Contini aveva parlato, per esempio di un « oggetto formidabile » , in LE I, p. 718). Nell'attacco della lettera è interessante anche l'attribuzione all'editore di uno stile «paratattico » . Livio Garzanti (1978, p. 135) ha ricordato : «Un giorno mi scrisse che il mio stile paratattico - era il tempo di Spitzer, della paratassi e dell ' ipotassi - lo riempiva di allegria; questa parola "allegria" - come altre, "festa", "gioia" - ritorna spesso nelle sue lettere degli anni Cinquanta, poi più ». 72



L' INCONTRO CON L' EDITORE

tali effetti, Lei dovrebbe essere così gentile da passarmi, quando Le pervenga, una copia della lettera di Garzanti. Spero che, anche a sua opinione, la richiesta non sia esosa ... Buon lavoro, caro Pasolini, e si ricordi di Paragone, per la rubrica e per ogni altro progetto1s.

Tra le lettere di Garzanti che si conservano all'Archivio Vieusseux manca purtroppo la risposta alla lettera-resoconto citata più sopra, che è anche una dichiarazione di poetica - importante per quanto rivela sul "simbo­ lismo" della struttura, oltre che sull'officina del romanzo ancora in lavo­ razione, con 3 dei 9 capitoli previsti già pronti, altri 4 da finire e 2. « da riscrivere quasi completamente » . Ci resta, però, la replica di Pasolini, del 2.8 novembre, che allude a « consigli » a proposito del Ferrobedo espressi dall'editore sulla base della lettera-resoconto. Sono, si può capire, consi­ gli di due tipi: relativi alla lingua, con la raccomandazione di non usare troppe parole di dialetto o gergo oscure per il lettore ; e relativi, ancora, all' impianto generale del libro (alla sua natura di romanzo o collettore di capitoli parsi evidentemente all'editore, sulla base del riassunto, troppo autonomi, « a se stanti » ): Gentile Garzanti, mi scusi il ritardo con cui Le rispondo: ma ho avuto una settimana campale, che mi ha completamente assorbito e perduto [ ... ] . Pur con la coscienza ben pre­ cisa che non ci sia niente in questo periodo che mi importi più del rapporto che si è istituito con Lei [ ... ] . I suoi consigli a proposito del «Ferrobedò» mi paiono molto giusti e sensati, specie per quel che riguarda la lingua: ne terrò conto non ora nello stendere il racconto (le parole dialettali, del gergo ecc. mi sono assolutamente necessarie per scrivere: sono - forse - il sottoprodotto che deve nascere insieme al prodotto : sono esse che mi danno l 'allegria necessaria per capire e descrivere i miei personaggi) , ma ne terrò conto nel correggere il libro quando sarà completo : allora le Inutili verranno cancellate, le utili resteranno (anche se saranno un po' oscure: e qui stile e commercialità entreranno in polemica ... ). Quanto ai capitoli, credo che il pericolo che siano a se stanti non esista, ap­ punto per l'estrema libertà narrativa che conservo gelosamente ali' intero romanzo, per cui tutto rientra nel suo ritmo, anche i breviflash back e le brevi divagazioni: la linea centrale è troppo solida e chiara. Comunque ne parleremo presto a voce6• 25. AP, II, 45, 20. Risulta dal seguito della vicenda che Pasolini non terrà in considera­ zione la richiesta della Banti, e non le comunicherà mai l'offerta precisa di Garzanti - poco interessato, evidentemente, a portare avanti per il romanzo una trattativa con la sansoniana "Biblioteca di Paragone". 26. LE I, p. 712. 73

I DUE PASOLINI Pasolini mostra di tenere in considerazione i consigli ( « molto giusti sen­ sati » ), e non sospetta in alcun modo che dalla lingua e dalla struttura del romanzo possano venire serie difficoltà alla sua pubblicazione. Per ora, alla fine del I9 S4, le prospettive sono rosee. In dicembre, probabilmente, scrit­ tore e editore si incontrano ancora per mettere a punto i dettagli dell' ac­ cordo, come risulta da questa lettera del 6 dicembre che si conclude con l' invito, da parte dell'editore, « a lavorare » : Caro Pasolini, non ho risposto alla Sua lettera perché pensavo proprio di poter essere a Roma in questi giorni, invece ho dovuto rinviare ancora. Purtroppo questi giorni prima di Natale sono giorni di lavoro intenso. Non ho persa però la speranza di poter arrivare a Roma tra 4-5 giorni. Le scrivo per dovere di cortesia e per incitarLa a lavorare; non perda tempo; io posso fare il mio lavoro solo se Lei mi dà il lavoro al momento opportuno2.7•

Il IO gennaio del I9 SS, Pasolini scrive a Naldini che « Garzanti si è innamo­ rato del Ferrobedo, ed è pieno di buone intenzioni » : A m e le cose vanno abbastanza bene: ho firmato oggi i l contratto per una sceneg­ giatura da fare con Soldati, e un'altra spero di farne con Bassani. Inoltre Garzanti si è innamorato del Ferrobedo, ed è pieno di buone intenzioni ( anche e soprattutto economiche : ma di questo non parlarne con nessuno, perché ho promesso verbal­ mente il romanzo alla Banti, e inoltre ho un'opzione firmata con Mondadori ) . Ho poi un lavoro quasi fisso alla RAI ( una collaborazione con Falqui per Rassegna di letteratura) ecc. ecc. Devo però lavorare come una bestia, sempre peggio; ma adesso vale la pena, perché mi serve per un non lontano periodo di maggiore tranquillità2.8•

Oltre all'accordo verbale con Anna Banti, si allude qui a « un'opzione fir­ mata con Mondadori » . Sarà in effetti un problema, ma Pasolini e Garzanti lo risolveranno insieme, con un escamotage. L'opzione - ha ricostruito Gian Carlo Ferretti - era nata come coda di una trattativa non andata in porto riguardo alla pubblicazione dell' U­ si gnolo della Chiesa Cattolica2.9• A Pasolini la aveva fatta firmare Alberto 27. LE II, 381, 2. 28. LE II, p. 4· 29. L'Usignolo della Chiesa Cattolica era stato messo insieme nel 1950, raccogliendo poesie più antiche. Dopo che Bompiani, al quale era stato sottoposto per primo, non si era mostrato interessato a pubblicarlo (LE I, pp. 3 81, 3 94-5), Silvana Mauri lo aveva passato a Mondadori, dove lavorava Vittorio Sereni, in rapporto epistolare con Pasolini fìn dal 74



L' INCONTRO CON L' EDITORE

Mondadori, e riguardava quelli che sarebbero diventati Ragazzi di vita e Le ceneri di Gramsci. L'escamotage consisterà nel confezionare due lettere retrodatate ( «lettere gaglioffe » , le chiama Pasolini), facendo risalire alla fine del I 9 5 3 l'accordo con GarzantP0• Curiosamente Alberto Mondadori non farà difficoltà a rinunciare a Ceneri e romanzo : accetterà in cambio, da Garzanti, due titoli di PapinP1• Rimaneva, aperta, la questione dell'accordo preso con la "Biblioteca di Paragone" fin dai primi anni Cinquanta. La lettera in cui Garzanti si impe­ gna con Pasolini a un « regime di sovvenzione » (come lo chiamava Gadda) fino alla conclusione del romanzo, è del novembre I9 54· Il 4 febbraio I9 55, la Banti è ancora in attesa di comunicazioni da parte di Pasolini circa l'of­ ferta di Garzanti, e chiede ancora notizie : Caro Pasolini, mi spiace che Lei non abbia ancora avuto risposta da Garzanti e mi riesce nuovo il Suo impegno con Mondadori del quale non mi aveva mai parlato. Ma,

1949. Incaricato di stendere una relazione sulla raccolta (nel febbraio del 1951), Sereni dà un parere nettamente favorevole alla pubblicazione (Pasolini ne riceve in via confidenziale una copia, in LE I, p. 412). Sembra che il libro possa uscire in tempi brevi ma per qualche motivo non è così, e Pasolini continua a lavorarci, rivoluzionando a più riprese l' impianto della raccolta (cfr. la "notizia" in TP, pp. 1540-1). Alla fìne l' Usignolo esce da Longanesi nel 1958, molto diverso da come Pasolini lo aveva pensato al momento di consegnare il datti­ loscritto a Mondadori. 30. La prima è indirizzata a Garzanti, e porta la data del 27 novembre 1953: «Gentilissi­ mo Dottore, La sua lettera, inaspettata, è stata per me più che una sorpresa una grande gioia. Proprio non pensavo che il mio pezzo di Paragone La potesse in qualche modo raggiungere. Il romanzo, di cui quel pezzo costituisce il IV capitolo, è in effetti quasi del tutto ultimato, mentre un altro, che gli è gemello, è in cantiere, abbozzato. Sto lavorandoci intensamente, e da tempo. Naturalmente io sarei felicissimo di entrare in contatto con Lei. Spero anzi di vederLa presto, qui a Roma. Riceva intanto i più cordiali saluti dal Suo dev.mo Pier Paolo Pasolini ». La seconda, datata 18 dicembre 1 953, è indirizzata all'amministrazione della casa editrice: «Spett/le Casa Editrice, Ho ricevuto la Vostra del 16 Dicembre, e confermo la mia adesione al contratto di edizione per i due romanzi. Quanto ai termini di consegna, pur trattandosi di opere praticamente ultimate (specie il primo) non posso fare previsioni molto vicine, poiché vorrei riscrivere molte parti (specie del secondo). Vi ricordo ad ogni modo che il Dott. Livio Garzanti, nel suo colloquio, ha promesso di versarmi subito un an­ ticipo di L. 50.0 00, del quale rimango in attesa. Cordiali saluti. Vostro Pier Paolo Pasolini » . Pasolini l e fa avere a Garzanti il 7 aprile 1955, presentandole così: «Le mando l e due lettere gaglioffe. Paragone con Ragazzi di vita [in realtà Regazzi de vita] era uscito nell'Ottobre 1953, quindi ho datato la prima 27 Settembre e la seconda 16 Dicembre. Il nostro colloquio deve essere avvenuto a Roma ai primi di dicembre. Spero che tutto sia stato congegnato bene » ( LE II, pp. 52-3 ). 31. La vicenda è ricostruita in Ferretti (1996, pp. XC-XCI). 75

I DUE PASOLINI d'altronde, non si preoccupi. Lei si sveglia di soprassalto, ma io non ho bisogno di svegliarmi per pensare che il mondo letterario è una strana giungla, e ognuno è in obbligo di provvedere ai fatti suoi. [ ... ] Dirò a Longhi della mostra bolognese e della Sua prefazione. E stia tran­ quillo per il "segreto" mondadoriano32..

Secondo Fausta Garavini, la Banti non fa nulla per contrastare i legittimi interessi di Pasolini, e nella "Biblioteca di Paragone" accoglie senza colpo ferire le poesie friulane di Pasolini (La meglio giovent u) . Non scommette­ rei sulla totale assenza di malumore - si vedrà più avanti, al momento di recensire il romanzo su "Paragone". Il romanzo, intanto, bisognava finirlo, una volta risolte arrampicandosi sugli specchi le complicazioni del « "segre­ to" mondadoriano » e liquidato con inattesa facilità Alberto Mondadori. La destinazione, ormai, era sicura: la collana rilegata in tela dei "Romanzi moderni': dove era uscito da poco Il prete bello di Parise - già in catalogo, in parte ereditati dalla vecchia Treves, di cui la Garzanti era continuatrice, titoli di Corrado Alvaro, Truman Capote, William Faulkner, Norman Mai­ ler, Virginia Woolf e altri. Ancora in lavorazione, Il Pasticciaccio di Carlo Emilio Gadda.

32.

AP, II, 45, 21.

5 La p rima versione della Biblioteca nazionale di Roma

Lo stadio nell'elaborazione del romanzo descritto nella lunga lettera a Garzanti del novembre 1 9 5 4 è vicino a quello di cui dà testimonianza il primo dei dattiloscritti che si conservano alla Biblioteca nazionale di Roma (il dattiloscritto con la segnatura 1 5 5 6/1, siglato A negli apparati delle opere complete) che restituisce la seconda forma compiuta (o quasi compiuta) del romanzo, dopo il trittico dell ' Ur -R agazzi di vita. Il datti­ loscritto è in una cartella recente, che ne rimpiazza una delle solite color ruggine, andata distrutta, e contiene fogli vecchi e nuovi, montati insie­ me con ripetizioni e qualche lacuna: tutti sono tormentati da correzio­ ni manoscritte inserite in momenti diversi, in modo da disegnare, nello stesso dattiloscritto, una sovrapposizione di sincronie e di testi. Diverse sono anche le annotazioni manoscritte a margine relative a intenzioni a volte perseguite nella successiva revisione del testo, a volte abbandonate ; « discorsi fra il Riccetto e il Napoletano tutti e due mezzi sbronzi ( il Na­ poletano che si autoaccusa di atroci delitti) » , in vista di un'aggiunta al capitolo 2.; « tutto dialogo » , per convertire in discorso diretto un passo del 3; «più allegria » , ripetuto in diversi luoghi del 5; « descrizione ab­ bastanza poetica, patetica del sonno » , « sogno » , nel punto dello stesso capitolo in cui il Riccetto si addormenta) �. In apertura sono due frontespizi, uno dei quali, manoscritto, sostituisce Ragazzi di vita a l! Ferrobedo, e diversi indici del romanzo, datati « 1 9 5 3 » , « estate 1 9 5 4 » , « febbraio 1 9 5 5 » 2.. Uno, datato « estate 1 9 5 4 » , s i articola (in numeri romani) così: 1. I discorsi fra il Riccetto e il Napoletano sono effettivamente inseriti nel dattiloscritto con la segnatura 15s6/2, siglato B negli apparati delle opere complete, e sono quelli che si leggono nella versione definitiva del romanzo, RR I, pp. 552-3. Non così la «descrizione » del sonno, alla fine del capitolo S· 2. Gli indici sono nel dattiloscritto A ai ff. 2-6. 77

I DUE PASOLINI

I.

IL FERROBED Ò

II.

UN FIJO D E NA MIGNOTTA

III.

NOTTATA A VILLA B O RG HE S E

IV.

REG AZZI D E VI TA

V.

LE NOTTI CALDE ' IL BAGNO SULL ANIEN E

VI.

V I I . D ENTRO RO MA ( I ) VIII. D ENTRO RO MA IX.

(n) con variante alternativa LA FERRO BETON

LA C O MARE S ECCA

Il successivo, datato « febbraio I 9 s s », sostituisce alcuni titoli: Unftjo de na mi gnotta - uno dei tanti titoli itineranti che Pasolini sposta da un progetto all'altro - diventa // Riccetto (capitolo 2) e il secondo Dentro Roma è ribat­ tezzato Il Dio C . (capitolo 8)3• È l'articolazione che sarà ereditata dalla versione del romanzo sottoposta a Garzanti, con le difficoltà che vedremo : .

I.

IL FERROBED Ò

II.

IL RI C C ETTO

III.

NOTTATA A VILLA B O RG HESE

IV.

RAGAZZI D I VITA

V.

LE NOTTI CALDE ' IL BAGNO SULL ANIEN E

VI.

V I I . D ENTRO RO MA VIII. IL D I O C ... IX.

LA C O MARE S ECCA

Il testo di A adotta già la titolazione del secondo indice, con i nuovi titoli a volte aggiunti a penna. Lo scartafaccio rappresenta con ogni evidenza una copia di lavoro. I capitoli 4 e 6, Regazzi de vita e Il ba gno sultAniene, sono conservati in due redazioni diverse complete, una con firma in calce, segno che il testo era preparato per essere pubblicato in forma di racconto. Anche il 7, Dentro Roma, compare in due redazioni - una col titolo Not tata dentro Roma e questa nota al piede, introdotta da un asterisco: Questo racconto risulta dali' adattamento e dalla fusione di due passi del romanzo inedito «Il Ferrobedò» 4• 3· Un fijo de na mignotta è anche il titolo primitivo del racconto Appunti per un po­ ema popolare (con questo titolo il racconto figura nel dattiloscritto della cartella Notte brava - Storia burina - Mignotta presso il Fondo manoscritti di autori contemporanei dell' Università di Pavia, f. 103). 4· Cito dal f. 340.



LA PRIMA VERSIONE DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI ROMA

Il 3, Not tata a Villa Borghese, si conclude nella redazione inclusa nel datti­ loscritto con una firma, certo in vista di una progettata pubblicazione auto­ noma5. E del 9, La Comare secca (Pasolini alterna sempre la forma scempia e doppia, comare e il belliano commare) , si conserva in coda allo scartafaccio il relitto di un primo abbozzo, che porta la data I 9 S I-S2 ed è seguito nella cartella dall' indice già ricordato in cui Il bagno sull'Aniene e altre pagine del futuro Ragazzi di vita si trovano a convivere con racconti poi confluiti in Al i dagli occhi azzurri (Notte sull'Es, Testaccio e Appunti per un poema popolare) 6• Quasi tutti questi capitoli erano stati scritti da tempo, e si trattava di montarli, cucendoli in un continuum narrativo. Di certo erano pronti fin dal I 9 SO-SI Il Ferrobedo, Il Riccetto, Il ba gno sull'Aniene e La Comare secca. I primi due, già saldati nell' Ur -Ragazzi di vita; gli altri, in lavorazione in­ sieme al Biondomoro e ai pezzi più antichi poi confluiti in Al i dagli occhi azzurri, come risulta dalla presenza di alcuni abbozzi nella cartella Cartac­ cia romana7• Quanto a Regazzi de vita, un sicuro termine ante quem è co­ stituito dall'aprile-maggio I9 SS, data in cui Pasolini sottopone il "taglio" del romanzo alla Banti in vista della pubblicazione su "Paragone". Uno sguardo alle carte di Pasolini conferma, già in fase di "officina", di trovarsi di fronte a un assemblaggio di « racconti » , come è stato poi riconosciuto, all'uscita del romanzo, da critici anche molto diversi fra di loro, come Emilio Cecchi e Franco Fortini8• Pezzi nati in momenti diversi, nella stessa orbita ma autonomamente, sono montati insieme per dar forma a un romanzo. C 'è un disegno e un progetto (il progetto di un'epopea picaresca dei ragazzi dell'agro e del su­ burbio romani), ma l' impressione dei primi critici, lo ha ribadito Walter Siti, non è ingiustificata: Anche se i medesimi personaggi ritornano lungo l'arco del libro, è vero che non esiste un'unità di azione. Quando Carlo Bo, e Pasolini stesso nel risvolto di coper­ tina, parlano di "picaresco", vogliono alludere alla para tassi delle avventure ; ma, a differenza che nella tradizione picaresca, non c 'è nemmeno un protagonista che regga il filo: il Riccetto è assente per un buon tratto del romanzo, e la sua perdita dell' infanzia, il suo indurirsi nell'egoismo adulto, sono più dichiarati che vissuti. La firma è in calce al f. 142. 6. La firma è al f. 443; l' indice al successivo. 7· La cartella Cartaccia romana, già citata, comprende ai ff. 190-250 abbozzi degli ulti­ mi tre capitoli del romanzo: Il bagno nell'Aniene, Dentro Roma e La Comare secca. 8. Cfr. Cecchi (1955); Fortini (1993). S·

79

I DUE PASOLINI Manca un convincente scorrere del tempo, la vicenda narrata occupa sette-otto anni ma nel libro è sempre estate - si dedicano molte pagine a descrivere periodi di tempo brevissimi, e periodi di tempo molto lunghi non solo vengono sorvolati nel bianco tra un capitolo e l'altro, ma non lasciano proprio traccia nella narra­ zione. Nei capitoli spesso l'accadimento principale è respinto alla fine ( come nel quattordicesimo verso del Belli, dice Fortini ) , secondo una tecnica caratteristica più del racconto che del romanzo9•

Quello che riesce più difficile, a Pasolini, è seguire uno svolgimento nel tempo, governare una trama. Lo vedrà bene anche Anna Banti, recensendo il libro (è lei, e non Attilio Bertolucci, a firmare con la sigla «A. B.» il pezzo su "Paragone"), con favore, ma anche un pizzico di malanimo, in cui si può riconoscere la delusione per il "tradimento" con Garzanti - così, almeno, la vedeva Pasolini, che al padre aveva presentato il "rendiconto" della rivista « molto simpatico » , « benché sbagliato e preconcetto in qualche parte » •o: Un libro, si è detto; e non a caso. Perché, contrari come siamo alle distinzioni per generi e tendenze letterari, anzi pronti ad accogliere e gustare il buono dove si trova, senza chiedergli nome e cognome, restiamo tuttavia un poco sospesi a quella qualifica di "romanzo" che l 'editore ( non l'autore, ne siam certi ) ha voluto aggiungere al titolo11• 9· Siti (1998, pp. CXVII-CXVIII). 10. La lettera a Carlo Alberto Pasolini è del 29 luglio 1955, in LE II, p. 107. 11. La recensione firmata con la sigla «A. B . » nella rubrica "Appunti" di "Paragone", 66, giugno 1 955, pp. 90-1 è confluita in Banti (1961). Frecciata particolarmente crudele, e finto-innocente, è l'attribuzione dell'etichetta di romanzo all 'editore e non all 'autore ( « ne siam certi » ) : Anna Banti sapeva benissimo che Pasolini parlava del Ferrobedo come del suo romanzo, fin dai primi anni Cinquanta. La Banti scrive, fra l'altro : « Chi racconta, dunque, è un osservatore occasionale, estraneo al gruppo, in fondo l'intellettuale che, prendendo, di tanto in tanto, a discorrere come i suoi personaggi (si potrebbero citare molti esempi di improvvisa e gratuita accensione dialettale al centro di un periodo colto) par quasi indulgere a un esercizio di imitazione, a qualche cosa insomma di sadicamente dilettantesco che pregiudica la umanità dei casi narrati e la serietà dell'assunto. Una volta riconosciuta e individuata la posizione del narratore, ci si potrà anche spiegare la incerta coesione del libro, i cui capitoli non sono legati l'uno all'altro per necessità di svolgimento narrativo, ma rimangono isolati ognuno per conto proprio, in una successione di bozzetti antologici e di "documenti" a sé stanti, indocili anche ai legami del romanzo picaresco, che, per sciolto che sia, presenta sempre una crescita, un acme, una conclusione, sia pur fittizia. Né l'osservazione deve leggersi come pedantesca e formale. Al contrario essa va interpretata come rammarico che ai "ragazzi di vita" non sia stata donata che un'atten­ zione di simpatia frammentaria e negato lo sforzo di un discorso più profondo. Il lettore, insomma, non può non concludere, che se il Riccetto avesse potuto pensare e parlare in proprio, ci avrebbe fatto sapere qualcosa di più sul suo modo di vedere e di desiderare la So



LA PRIMA VERSIONE DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI ROMA

La tendenza è alla frammentazione del racconto in capitoli autonomi, e per contrastarla sono inseriti paralleli fra episodi diversi, che dovrebbero dare il senso dello sviluppo. Il più macroscopico è quello fra l'episodio del salvatag­ gio della rondine, alla fine del capitolo I, e il mancato salvataggio dell'amico Genesio, nel capitolo 9· Come Pasolini aveva scritto a Garzanti, fra questi due momenti doveva svolgersi « tutto l'arco narrativo, con la grande ressa dei fatti, fatterelli, figure, episodi, "in progress" » Il.. È questa la fase in cui Pasolini cerca di governare la « ressa » di fatti e personaggi, che dovrebbero essere « in progress » ma spesso restano fissati nell'esemplarità di gesti e battute registrati con gusto di antropologo. Lo fa perché vuole scrivere, finalmente, un romanzo, ma anche perché sente le aspettative dell'editore, aperto al nuovo ma non al punto di sacrificare il « fatturato » alla « trasgressività » , pubblicando una prova narrativa troppo sperimentale. Si è detto che lo scartafaccio si compone, materialmente, di fogli appar­ tenenti a stesure diverse, superate nel corso dell'elaborazione. Nel capitolo I, per esempio, il protagonista si chiama ancora Lucià, corretto a penna, sporadicamente, in Riccetto. Sempre Lucià si incontra in una delle due re­ dazioni del capitolo 6, mentre l'altra risulta dal montaggio di una stesura in cui il personaggio è Lucià, e una in cui è il Riccetto13• Il capitolo 2 si in­ titola già Il Riccetto (con l'alternativa, poi scartata, Un fzjo de na mignotta ) , ma si compone a sua volta di fogli vecchi e nuovi: nei vecchi, il ragazzo è Lucià, nei nuovi il Riccetto. Ancora più macroscopico, come indizio del­ l' "arcaicità" della stesura a cui appartengono alcuni fogli del capitolo 2, è il fatto che Lucià-Riccetto alla fine muoia, in un incidente stradale. Lo investe un autobus, mentre tutto allegro pedala sulla sua bicicletta per la Tiburtina: Per la Tiburtina c 'è un traffico come nel centro della città, di macchine, vespe, !ambrette, coi fanali già accesi nell'aria ancora diurna, che filano verso Roma. Il Riccetto caccia la gallina per suo padre, tutto allegro, dentro il maglione, e salta in bicicletta: ma la gallina gli fa perdere di continuo l'equilibrio per rimetterse­ la a posto. Pedalano per un poco cantando a squarciagola, facendo i malandrini, tra le colonne di macchine che si sorpassano rombando e premendo i clacson, e

vita, che non lo facciano le relazioni di furtarelli, di mali incontri e di bagni a Tevere e in An iene » (i vi, p. 9 1 ) . 1 2. LE I, p . 706. 13. Quella firmata a penna in calce, segno che ne era prevista (anche) una pubblicazio­ ne autonoma in forma di racconto, è ai ff. 29 5-3 20. Quella mista, che si compone di pagine appartenenti a stesure diverse, ai ff. 261 -294.

I DUE PASOLINI giungono così all'altezza di Tiburtino, dove c 'è una svolta verso la borgata. « Ma li mortacci tua » grida il Riccetto tutto allegro, alla gallina che lo fa sbandare, pro­ teso in avanti sul manubrio, eretto e ridente nel tentativo di non cadere, mentre l'autobus di Settecamini, alle sue spalle, gli è sopra e . . La Commaraccia Secca de .

Strada Giulia arza er rampino14.

Sempre nel capitolo 2, che Pasolini nella lettera a Garzanti diceva da riscri­ vere «quasi completamente » , sono compresi episodi che nel I9SO erano stati ritagliati e pubblicati come racconti autonomi (l'episodio del pesce marcio rubato ai Mercati generali truccato per sembrare fresco e poi ven­ duto, uscito col titolo Il palombo su "La Libertà d' ltalià', e l'episodio del maglione azzurro che fa innamorare un ragazzo dalla vetrina di un negozio di Campo dei Fiori, uscito sul "Popolo" col titolo La passione delJusaja­ ro ) Anche questo insegna qualcosa di come lavorava Pasolini, almeno in Ragazzi di vita: entrambi gli episodi comparivano già nell' Ur -Ragazzi di vita della cartella Il Ferrobedo {e altri romanzi e racconti, passati in parte in «Ragazzi di vita>> {I950 -SI) - nel primo caso, però, con un altro protago­ nista: non Luciano ma Marcello, mentre in A a rubare, truccare e vendere il pesce è il Riccetto. I personaggi sono in qualche misura intercambiabili, non ragazzi singoli, caratterizzati individualmente ma membri di una tribù, osservata con sguardo da antropologo. La serialità è morandiana ( « ragazzi come bottiglie » ), e ci si sente l' intima frequentazione con Sandro Penna15• Nella cartella, il dattiloscritto del romanzo è preceduto da un fascico­ letto di I 2 fogli con numerazione non d'autore: sono, nell'ordine, un breve testo critico pensato come risvolto, una biografia dell'autore, una pagina manoscritta di appunti non del tutto decifrabili, forse presi al telefono, dove si parla tra l'altro di « glossario » e di « risvolto» , e si riconosce un «Bert. » che è quasi certamente Attilio Bertolucci, e per finire un glossa­ rio di termini in romanesco. Se il dattiloscritto (una copia di lavoro, si è detto) comprende fogli che appartengono a fasi diverse dell'elaborazione del romanzo, questo fascicoletto, che parla di glossari e di risvolti (e di Ber­ tolucci), è certo posteriore all' incontro con l'editore e agli accordi preso riguardo alla pubblicazione del libro16• Il risvolto è quello che figura, non firmato, nella prima edizione Gar.

14. Cito dal f. 100. 15. Si ti (1998, p. cxx). 16. Il risvolto è in due stesure ai ff. I-II; la biografia, anch'essa in due stesure, alla III-IV; la pagina di appunti a penna è la V; due stesure di glossario ai ff. VI-VIII e IX-XI; Alla XII, alcuni appunti.

S· LA PRIMA VERSIONE DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI ROMA

zanti. Il profilo biografico, quello che figura nel secondo, interessante per l'accento posto sull' « adattamento » all'ambiente nuovo e « violentissi­ mo » della Roma plebea e proletaria delle borgate•7: Il padre di famiglia ravennate, la madre friulana ( incentratisi durante la Grande Guerra), Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna, ma ci vive poco: per tutta l'infan­ zia e l'adolescenza, egli deve continuamente « adattarsi » a degli ambienti nuovi, seguendo i trasferimenti del padre ufficiale: Bologna, Parma, di nuovo Bologna, Belluno, Conegliano, Sacile, Idria, di nuovo Sacile, Cremona, Reggio Emilia: infine ancora Bologna, dove mentre frequenta l'università, nel ' 43 è costretto a « sfollare » nel paese materno, Casarsa. Qui (nel frattempo si laurea e comincia la sua attività letteraria) rimane fino al ' 49· Poi si trasferisce a Roma: ed è un nuovo « adattamento» d'ambiente : quello, violentissimo, della Roma plebea e sottopro­ letaria delle borgate. Ambiente «dialettale » , assai adatto al temperamento e agli interessi di Pasolini: i cui versi in friulano (La meglio gioventu, Sansoni, 1954) e il cui lavoro cri tic o (una Antologia del 'g o o dialettale, presso Guanda e una Antologia della poesia popolare italiana, in preparazione) hanno già avuto ampi e concordi riconoscimenti. In Ragazzi di vita si rivela un forte e originalissimo narratore.

Anche gli elenchi delle voci dialettali e gergali dei ff. V-XI I sono finalizzati alla stesura di un glossario aggiunto al romanzo, probabilmente, su richiesta dell'editore, anche se un Glossarietto compariva già alla fine di Terracina, nello stadio dell' Ur -R agazzi di vita•8• Per tutta l'elaborazione del romanzo, com'è documentato dalle lettere, Garzanti raccomanda a Pasolini di non esagerare con le parole dialettali troppo oscure per il lettore. È curioso che una raccomandazione del genere rivolga anche a Gadda per il Pasticciaccio, anche se le prime puntate del romanzo, uscite su "Letteratura" fra il I 946 e il I 947, non dovevano lasciare dubbi sull'operazione stilistica di quel giallo singolare. Da notare che gli argomenti portati da Gadda per difendere con l'editore il suo romanesco non sono molto diversi da quelli di Pasolini, pur più portato, come sempre, a tradurre la questione stilistica in termini qua­ si esistenziali, erlebte Rede come « mimesi linguistica vissuta » 19, manovra stilistica che traduce il desiderio di entrare nella testa dei propri oggetti d'amore ( « toglierò il romanesco o lo diminuirò nei capitoli imminenti e Il testo è dato come figura nel secondo risvolto di copertina della prima edizione. 18. Cfr. RR I, pp. 1710-1. 19. La citazione è tratta da una lettera di Gadda a Garzanti del s luglio 1955 (in Gar­ boli, 2003, p. 562). Nell'edizione delle Lettere a Livio Garzanti a cura di Giorgio Pinotti (in Gadda, 2oo6), la lettera è data sulla base della trascrizione di Garboli (se ne è smarrito l'originale, cfr. ivi p. 84 e nota 33). 17.

I DUE PASOLINI futuri: cancellarli del tutto non posso, senza operare una rottura stilistica che andrebbe a tutto pregiudizio di un lavoro di stile » ; « le parole dialetta­ li, del gergo ecc. mi sono assolutamente necessarie per scrivere: sono - for­ se - il sottoprodotto che deve nascere insieme al prodotto: sono esse che mi danno l'allegria necessaria per capire e descrivere i miei personaggi » )2.o. Allegria ( « l'allegria necessaria per capire e descrivere i personaggi » , «per entrare nella loro testa » ) sembra una parola impressionistica, m a per Pasolini è importante, precisa, una specie di termine tecnico per definire il modo in cui la voce narrante si rapporta ai personaggi, e di conseguen­ za quello che differenzia il romanzo dall 'abbondante produzione di gusto neorealistico. Si è visto che «più allegria » è un'annotazione a margine ri­ corrente nel dattiloscritto, ma sulla nota dell'allegria si conclude anche il risvolto di copertina, che vale la pena di rileggere nella versione in cui è apparso (non firmato) nella prima edizione: È il romanzo di un nuovo e giovane scrittore, ed è la biografia, storia aspra e vio­ lenta, di alcuni ragazzi della malavita romana, dall' infanzia alla prima giovinezza. Il Riccetto, che è il protagonista, aveva undici anni ali'arrivo delle truppe anglo­ americane a Roma, e ne ha diciotto alla fine del libro, in piena guerra di Corea. L'ambiente «vero» (le borgate romane, che fasciano la capitale coi loro lotti, i loro villaggi di tuguri) , i personaggi «veri » , quasi da documentario sociale, le situa­ zioni «vere » , fino a sembrar tolte, come in parte lo sono, dalla cronaca romana, potrebbero far pensare a questa biografia del Riccetto e dei suoi coetanei, come a un prodotto del gusto neorealistico : mentre non è precisamente così. C 'è troppa violenza perché si possa parlare di neorealismo. L'autore, nel creare questo genere di racconto, ha avuto piuttosto davanti a sé dei modelli più autentici e assoluti, dalla novellistica antica italiana al romanzo picaresco ... Ma - nonostante l'abilità e la complessità dello stile -, non c 'è aria di letteratura in queste pagine: l'estrema attualità del documento - che è documento dell' Italia ultimissima, quella della fi­ ne del dopoguerra - è troppo determinante, e implica una passione e una pietà ben altro che letterarie. Inoltre il romanzo è scritto tutto in chiave d'avventura: proprio com'è la vita nelle borgate romane, in cui il vizio e l'abbandono si esprimono nelle allegre frasi del gergo, le malattie, i digiuni e la morte hanno allegri commenti di stracci sventolanti, di canzonette e di sole.

Dal confronto tra le due versioni di questo risvolto che si conservano nel­ la cartella di A, risulta che le poche varianti si concentrano proprio dov'è espresso il concetto di "allegrià'. La prima stesura accompagna a « frasi di 20. Cito da una lettera di Pasolini del 28 novembre 1954 (in LE

supra.

I, p. 71 2), già ricordata



LA PRIMA VERSIONE DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE DI ROMA

gergo » la serie di x ( xxx ) che spesso Pasolini usava in vista dell' inserimen­ to di parole lasciate in sospeso. Nella seconda, le frasi di gergo diventano liberatoriamente « allegre » , a costo di ripetere l'aggettivo per ben tre volte ( « Inoltre il romanzo è scritto tutto in chiave allegra, di divertimento, d' av­ ventura: proprio com'è la vita nelle borgate romane, in cui il vizio e l' abban­ dono si esprimono nelle allegre frasi di gergo; le malattie, i digiuni e la mor­ te hanno allegri commenti di bucati sventolanti, di canzonette e di sole » ; corsivo mio). La versione definitiva sacrifica i l primo (il romanzo è scritto solo « in chiave d'avventura » ), ma chiarissima comunque è la « chiave » , appunto, i n cui Pasolini intendeva fosse letto il suo romanzo - che tocca «punti bassi » in cui il racconto si fa « definitivo e disperante » , volutamen­ te infernale, ma pensa se stesso in una ferma luce solare, allegro e gaglioffo come un romanzo picaresco2.•.

21. Un'altra variante che importa osservare è nel passaggio fra la seconda stesura del risvolto e la versione definitiva, apparsa a stampa. Dove la versione definitiva chiama in causa come precedenti il «genere di racconto » a cui appartiene Ragazzi di vita solo la «novellistica italiana » e il « romanzo picaresco », la seconda stesura della cartella di A fa altri nomi e altri esempi, non del tutto ovvii: «E l'autore, instaurando questo genere di racconto, ha avuto davanti a sé modelli più autentici e assoluti: a parte il romanzo picaresco spagnolo, probabilmente gli sono stati presenti e stimolanti certi personaggi minori dell 'Inferno dantesco, certi ambienti da suburra del Decameron, la Milano manzoniana dei tumulti e dei monatti, o infine i miserabili sottoproletariati del Belli o del Verga ». ss

6 Il dattiloscritto inviato a Livio Garzanti : quando Pasolini credeva di aver finito il suo romanzo

Per finire il romanzo e sottoporlo all'editore, i materiali descritti finora dovevano essere rivisti, scegliendo, in qualche caso, fra più redazioni degli stessi episodi, conservate entrambe come macra-varianti alternative. Biso­ gnava correggere, e ribattere in pulito. È il lavoro a cui Pasolini si dedica fra l' inverno e la primavera del 1 9 5 5, facendo subire al futuro Ragazzi di vita (all' inizio dell'anno è ancora Il Ferrobedo) ulteriori trasformazioni1• Alcune sono ovvie: il Riccetto si chiamava (a intermittenza, per ragioni di montaggio) anche Luciano, e alla fine del capitolo 2 moriva investito da un autobus, per poi riapparire come se niente fosse nel 3· Occorreva unifor­ mare i nomi, ed eliminare le contraddizioni del racconto. Nel riprendere in mano l' accidentatissimo scartafaccio, però, Pasolini interviene anche su altri fronti, tenendo presenti i consigli dell'editore, almeno per quanto ri­ guarda l'attenzione messa nel non occultare con troppe digressioni la linea principale del racconto. Quest'ultima (nelle intenzioni dell'autore) riscrittura del romanzo è documentata da un secondo dattiloscritto della Biblioteca nazionale di

1. Non restano dichiarazioni esplicite di Pasolini sulle ragioni che poco prima della stampa lo hanno indotto a cambiare il titolo del suo romanzo. In diverse occasioni però, più tardi, ha chiarito il significato del nuovo titolo. Nel saggio postumo Il gergo a Roma, unica rivalsa della plebe, « rispetto ai grandi al governo » , è «il considerarsi depositaria di una concezione di vita più ... virile: in quanto spregiudicata, volgare, furba e magari oscena e priva di noie morali. Questa concezione irrelata di vita coincide con una morale a suo modo epica. "Vita" significa infatti "malavita", e, insieme, qualcosa di più: una filosofia di vita, una prassi » (SLA, p. 697). Nello stesso saggio sono dati due esempi: «Un ragazzo a cui osservavo che non era educato sputare per terra in una pizzeria, alzando le spalle, con la sua faccia bionda di bebè Caino, mi fece : "Io fo' la vita mia: dell'altri nun me frega niente". Un'altra volta, per una strada della Garbatella, vedendo un vecchio ubriaco che continuando a deversare gutturale ciechi fonemi a un suo compare, orinava orrendamente sul marciapiede, dissi a un giovincello ch'era con me, che dopo tanti anni non mi ero ancora abituato a simili sozzerie. Lui mi rispose: "È de vita" » (SLA, p. 697 ).

I DUE PASOLINI Roma (B): chiaramente una bella copia, che risolve tutti i punti lasciati in sospeso nella redazione precedente e accoglie tutte le correzioni registrate nello scartafaccio come sicure (senza linee tratteggiate a margine o parole in sospeso) . I rari interventi apportati al nuovo testo senza essere stati regi­ strati nel precedente sono tagli, che stando all'epistolario vanno incontro ad alcune preoccupazioni espresse da Garzanti circa il pericolo di una man­ cata tenuta romanzesca. È il caso, credo, di pagine riuscite ma "centrifughe" rispetto all'asse principale del racconto, come quella in cui Nadia vuole « imparare » al Riccetto quello che « lui sapeva solo di nome » ( « Tu seduto e io sopra, c'hai fatto ?» ecc.), o una digressione sulla Roma del fascismo e del dopoguerra, con immigrati dalla Puglia e dalla Sardegnal.. Il capitolo che in questa fase subisce modifiche più consistenti è, com'e­ ra prevedibile, il 2, Li belli pischelli, fatto per sé di una serie di bravate di cui sono protagonisti i ragazzi, come gli episodi già ricordati del pesce rubato ai Mercati generali e del maglione azzurro, che dall' Ur -Ragazzi di vita erano passati nella prima redazione della Biblioteca nazionale di Roma. A fare da contrappeso a questi tagli è un'aggiunta: un «pezzo » più d'effetto, inserito a questa altezza e messo in bocca a un Riccetto scatenato - due o tre raccon­ tini, « uno più gajardo dell'altro » secondo il locutore, che mancavano in A, dove però era registrata l' idea di inserirli (accanto a « cap. II » , si leggeva a penna « rievocazioni biografiche del Riccetto » )3• Pasolini, d'altra parte, non doveva essere troppo sicuro dell'aggiunta, se lo stesso testo, poi uscito su "Orazio" il 3 giugno del I 9 5 5 col titolo Rievocazioni del Riccetto, figura in B sia nel corpo del romanzo (ff. 37-40 ), sia in coda allo scartafaccio, col titolo Rievocazioni del Riccetto, e una numerazione autonoma da I a 3· Il «pezzo » sarà espunto - lo vedremo - durante la correzione delle bozze, e vale la pena di rileggerlo come ulteriore esempio delle "tessere" spostate (tolte o aggiunte) durante la revisione del romanzo : Siccome che prima avevano incominciato a parlare dell'Americani, il Riccetto ri­ prese quel ragionamento, tutto gaio e mondano : «Sta a sentì sto pezzo ! » fece. «Un ciorno, no» cominciò a raccontare «era de matina a 'e quattro. M 'è venuto a chiamà Agnolo, n'amico mio, dice : C 'è un carnia davanti in a' 'e Case Nove. Me sa che c 'è 'a robba! Alora io je ho fatto : Bè annamo a vede. Semo iti a 'e Case Nove, qui ce stavano n'antri due, no. Questi s' arampicheno su 'a machina, sti due, e pijano uno zaino, e se ne vanno. lo m' arampico, m'affaccio e vedo due che stanno a 2. Il passo su Nadia tagliato è nel dattiloscritto A, f. s8; quello sulla popolazione urbana di Roma, al f. 1 67. 3· L'annotazione è in A, f. 3· 88

6. IL DATTILOSCRITTO INVIATO A LIVIO GARZANTI

dormì. Uno de qua e uno de là stavano, no. Alora io me levo 'e scarpe, piano piano, je passo in mezzo, e pijo er giubbotto che stava appiccato lì da una parte vicino a 'a cabbina. Me ritorno indietro, je faccio: A Agnolé, quelli se so' presi tutto, c 'è rimasto solo sto giubbotto! Dice : Alora buttamelo ggiù che se n'annamo. Alora annamo a smucinà per le saccocce, e ce trovassimo quaranta mila lire, e n'orologio d'oro, e poi c 'era pure du pacchetti de sigarette ... » . Il Napoletano lo guardava assorto, accennò di sì con la capoccia, con un sorriso stanco. Poi gonfiò tutt 'a un botto il petto, e senza cambiare espressione, sempre guardando fisso il Riccetto, cominciò : «Io devo espiare ! » e giù per un altro quarto d'ora con quella moina fuoriscena del suo delitto. Il Riccetto lo lasciò un po' sfoga­ re, com'era giusto guardandolo pure lui ridendo. Poi appena quello perdette un po' la parlantina e cominciò a zagaiare, riattaccò : «Na matina, no, se trovassimo a Via Torino, eràmio in tre, io Agnolo e Marcello, vedemo na machina ferma da na parte, un camioncino. Alora io je dissi a Marcello : Guarda che ce sta dentro. Lui monta e taja er tendone. Mette 'a capoccia dentro, e tutt 'a un tratto riesce de fori, riscende ggiù e dice: Qua bisogna annassene, perché ce sta 'a gelatina là dentro! Alora jo je ho detto : Va, va. Je dissi a Agnolo: Guàrdace te che ce sta dentro, che questo qui cià paura! Lui cià guardato, poi è rivenuto giù e ha detto : So' tutti bidoni ! Alora io nun ero convinto e ce so' entrato dentro tutto quanto e ho preso un bidone. Mo, se semo allontanati da 'a machina, e ce dicemo tra de noi : che ce starà, che nun ce starà. Uno diceva che c 'erano 'e bbombe, un altro diceva che ce stavano li chiodi, ognuno diceva la sua. Annamo lì a li giardinetti a Piazza Esedra. Volevamo trovà quarcosa pe aprì sto bidone, e nun ce stava niente. Dopo a un tratto 'amo visto un bersajere che stava co 'a fidanzata: io me je so' avvicinato, perché je avevo visto er pugnaletto, 'a bajaffa, che cià aperto sto bidone. Mentre che l'apriva s'è tarato una mano, poi quann'è alla fine de tajà, averno visto che dentro ce stava tutto stecche de cioccolata. Mo visto che noi eràmio in tre, e er militare s'era tajata 'a mano averno fatto uno per uno noi, e una l'averno data a lui. Mo tutti e tre : Se la portamo a casa, la fama assaggià a casa, ma io e Agnolo se la volevamo magnà senza portalla a casa. Invece Marcello dice : Jo je la porto a mi madre, la metà. Quanno è stato a metà strada fa: Be ' un quadruccio de meno nun je fa niente, e ogni fermata der tranve se la seguitava sempre a magnà, e arrivato a Donna Olimpia nun ce n'era più. L'Americani erano boni ! A me me facevano un po' rabbia, però me facevano comodo ! Ma li Polacchi li mortacci loro, erano malvagi, ma proprio malvagi sa' ! Aòh, m'aricordo ch'eràmio tutti regazzini, là davanti a 'e casermette: mo ce stava un ragazzino ch'era vestito de americano, na mascotte là, uno ch'è chiamato er Leccapiedi e che secondo me je dava a 'nocchia a li Polacchi ... Viene da me, e m'ha detto : Riccé, in quer carnia ce sta la robba, si la piji fama a mezzo. Io je ho detto: Bè, va bbè, insegname qual è er carnia : Dice: Ecchelo llì. Io me so' ito lì de quer carnia. Dice. 'A robba sta dentro quei sportelli. So' ito lì, ho preso la robba, co' 'a carriola de Righetto, e se ne semo i ti dentro a na casa a spartì. Alora mo io annavo lì pe portaje li sordi a sto ragazzo che m'aveva detto lì sta la robba; e dentro 'a ma­ china ce stava pure er Polacco, er padrone de 'a machina. E invece de pijà li sordi

I DUE PASOLINI sto Leccapiedi ha detto. È stato lui a pijà la robba. Alora questo qui scegne, io come vedo er padrone che scegne scappo. Averno fatto tre vorte er giro de Monteverde Novo, tre vorte, e lui che me coreva appresso ... Finalmente lui che c 'aveva 'e gambe più lunghe m'ha ripreso, prima m'ha legato ar palo della luce, e poi m'ha menato. Li carci ! Li schiaffi ! 'e cintate ! » 4•

« Pezzo » ( « Sta a sentì sto pezzo ! » , introduce il Riccetto la sua rievoca­ zione autobiografica) è per Pasolini quasi un termine tecnico, spiegato nel saggio postumo Ilgergo a Roma (I 9 s 7 ): Non è concepibile per un parlante romano, specialmente se giovane, non dirò una battuta, ma un intero discorso (che lui chiama «pezzo » : « sta a sentì sto pezzo» , quasi cosciente della sua operazione) che non sia composto d i «punte espressive » , che non sia interamente composto d i parole «vivaci » [ ... ] «An senti che forza so' ! » gridava un ragazzo dopo aver lanciato a un compagno una battuta - o « spa­ rata » , o « sbrasata » - riuscita bene5•

Proprio per la sua natura di discorso in sé concluso, il «pezzo » può essere facilmente aggiunto o tolto, come i « discorsi fra il Riccetto e il Napole­ tano, tutti e due mezzi sbronzi » di cui in A è prospettata l'aggiunta in B (la confessione del Napoletano è definita nel testo proprio « sbrasata » , e « sparate da ubriaco) » 6• Dal confronto fra B e il testo a stampa risulta che B coincide quasi sem­ pre esattamente con il testo a stampa, e se ne discosta solo in alcuni casi, rivelatori (li vedremo da vicino fra poco) . La stampa accoglie tutte le correzioni manoscritte di B, e di B condi­ vide alcuni refusi - veri errori congiuntivi, come l'oscillazione, in bocca agli stessi parlanti, tra le forme « zolito » (senza accento), e « zòlito » , e anche un improbabile accento proparossitono in « a ssònato » invece di « a ssonàto » ) , chiaramente una svista, che s i trova sia in B che nella stampa. Se si aggiunge che B conviene perfettamente alla descrizione data del dattiloscritto mandato a Garzanti nella lettera di accompagnamento ( « una copia un po' in disordine con le correzioni » , con « una trentina di parole sottolineate » , in vista di ritocchi da apportare in bozze, LE I I , p. 54), è facile RR I, pp. 810-2. 5· SLA, p. 695. 6. « Ci mise più di un quarto d'ora a raccontare questa sbrasata, ripetendo una cosa due o tre volte e facendo tutta una confusione. Il Riccetto non si lasciò impressionare per niente, sgamando subito ch'erano sparate da ubriaco : ma lo stette ad ascoltare facendo finta di crederci, per poi aver diritto di raccontare lui pure le sue storie » (RR I, pp. 552-3). 4·

6. IL DATTILOSCRITTO INVIATO A LIVIO GARZANTI

concludere che il testo dal quale sono state ricavate le bozze sia proprio una copia di B. Pasolini aveva l'abitudine di conservare copia dei dattiloscritti che dava in lettura o consegnava agli editori: in genere copie carbone, nelle quali ri­ portava eventuali correzioni a penna identiche a quelle inserite nella copia data in lettura o mandata in composizione. Per Ragazzi di vita, la lettera a Garzanti del 7 aprile I 9 5 5 allude all'esistenza di una copia del dattiloscritto, conservata dall'autore: Il giorno I3 ( portafortuna) spero di mandar Le il malloppo di Ragazzi di vita: ma se non sarà il 1 3 sarà il IS di sicuro. Terrò con me una copia: Lei parlava di farla vedere in anticipo a Cecchi. Mi scriva Lei, come mi devo regolare7•

La situazione è la stessa descritta il 24 luglio I 9 5 4 a Sereni, consegnando il dattiloscritto del Canto popolare, e dichiarando di averne conservato « una copia identica nel cassetto » : «Il canto popolare » può andare in tipografia così com'è : farò alcune correzioni sulle bozze : per riguardarlo, ne ho una copia identica nel cassetto8•

Restano da spiegare le differenze, ma anche questo si riesce a fare agevol­ mente, ricostruendo con l'aiuto dell'epistolario una correzione di bozze vissuta da Pasolini come « incubo » .

7· LE II, p . 52. Non risulta che il romanzo, poi, sia stato sottoposto in anticipo a Emilio Cecchi. Di certo Cecchi il 28 giugno pubblica sul "Corriere della Sera" una recensione perfida di Ragazzi di vita (cfr. infra, pp. 10 6-7 ). 8. LE I, pp. 671-2. 91

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Bozze > : i giorni dell' autocensura

Il dattiloscritto, si è visto, era stato mandato a Milano il 13 aprile. Per un po' Pasolini non ne aveva saputo nulla. Il 17, aveva scritto a Franco Fortini di aver spedito il malloppo e di sentirsi finalmente un po' libero, dopo i giorni convulsi delle ultime correzioni: Caro Fortini, mi scusi se le rispondo così in ritardo: ma ho passato dei giorni drammatici, gli ultimi prima della scadenza della consegna di « Ragazzi di vita » . Adesso è spedito: e sono finalmente, ma per poco un po' libero1•

Nelle prime settimane di maggio, comincia una specie di « incubo » . Il 9, Pasolini scrive a Sereni di essere alle prese « da vari giorni » con « bozze mezze morte » , « da correggere e da castrare » . Garzanti è stato preso da « scrupoli moralistici » , « si è smontato » , e non è più convinto del roman­ zo che prima aveva tanto voluto: Caro Sereni, sono vari giorni che di giorno in giorno rimando lo scriverti. Sai come succede. D 'altra parte sono vissuto in una specie di incubo (e ancora non ne sono del tutto fuori) : Garzanti all'ultimo momento è stato preso da scrupoli moralistici, e si è smontato. Così mi trovo con delle bozze mezze morte tra le mani, da correggere e da castrare. Una vera disperazione, credo di non essermi trovato mai in un più brutto frangente letterariol ...

In una lettera del 19 maggio agli amici di "Officinà: Pasolini rincara la do­ se - « una serie di giorni atroci » , « sono dimagrito cinque chili » , « uno dei periodi più brutti della mia vita » : I . LE II, p . 57· 2. LE II, P· 63. 93

I DUE PASOLINI Carissimi, scusatemi se vi ho tenuto in pena: appena ricevuta "Officina" sono stato per scrivervi un telegramma inneggiante. Poi è passato il momento - come succede - e io sono precipitato in una serie di giorni atroci, con Garzanti : a un certo punto pareva che il romanzo non si dovesse pubblicare più (per lo scandalo dei librai): ho dovuto fare correzioni, tagli: sono dimagrito cinque chili. È stato uno dei periodi più brutti della mia vita3•

Anche a Silvana Mauri, pochi giorni dopo (il 23), Pasolini parla di « setti­ mane drammatiche » e « correzioni moralistiche aggiunte all'ultimo mo­ mento, con Livio che pestava i piedi » . Su tutto, il timore « che il romanzo scandalizzi troppo » , viste le prime reazioni: Carissima Silvana, non avrei mai creduto che la ripresa della nostra corrispondenza avesse potuto consistere in questo prosaico biglietto [ ... ] . Sto passando settimane drammatiche: prima con le correzioni moralistiche al romanzo, apportate all'ultimo momento, con Livio che pestava i piedi: adesso con la paura che il romanzo scandalizzi trop­ po o addirittura venga processato per oltraggio alla morale, e intanto, che la mia partecipazione al premio Strega finisca con una figuraccia. Aggiungi poi che sono senza posto a scuola, la sceneggiatura si è dissolta, e Garzanti si è dimostrato vergo­ gnosamente ingeneroso. Che bel quadretto, eh? Ciononostante sono abbastanza forte e incosciente, e continuo a sperare e a fare programmi di lavoro"'".

Se è esistita, la lettera in cui Garzanti ha comunicato a Pasolini le sue im­ pressioni alla lettura del romanzo non è tra quelle sopravvissute. Potrebbe essere stato Attilio Bertolucci il messaggero di brutte notizie, come più volte all' « ascoltato e bistrattato Mazarino di Maison Garzanti » 5 era capi­ tato durante la trattativa del Pasticciaccio, e come con Pasolini gli toccherà l'anno successivo, quando trasmetterà ali' amico l'accusa per oltraggio alla morale (è l'episodio intorno a cui Pasolini costruisce la poesia Récit, iden­ tificando Bertolucci, secondo una persuasiva lettura di Giacomo Magrini, 3· LE II, p. 67. L'accenno, in questa lettera, allo «scandalo dei librai » ha fatto pensare che alcune copie-pilota fossero state sottoposte ai venditori (così per esempio ha inteso Naldini nella Cronologia premessa a LE II, p. XII: «l timori dell'editore alle prime reazioni dei librai che l'hanno letto in bozze, dopo aver messo in forse la pubblicazione, alla fìne sono stati sedati dalle correzioni discusse ed eseguite penosamente »). In realtà non risulta che il romanzo sia stato dato in lettura ai librai - né che questa sia mai stata una pratica della casa editrice. 4· LE II, p. 69. s. Espressione riferita ad Attilio Bertolucci da Piero Gelli (1995).

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BOZZE « DA CORREGGERE E DA CASTRARE »

col messaggero delle tragedie di Jean Racine, il cui ruolo era stato indagato da Leo Spitzer nel saggio sul « récit de Théramène » della Phedre)6• Abbiamo, però, la lettera di accompagnamento alle bozze corrette, nel­ la quale Pasolini, a dimostrazione della « buona volontà » con la quale ha seguito le indicazioni dell'editore, descrive minuziosamente il lavoro svol­ to. Gli interventi apportati per rendere possibile la pubblicazione, se ne ricava, sono quattro di quattro tipi: 1. interventi di censura linguistica (la sostituzione con puntini di « tutte le brutte parole » , come Pasolini scrive a Garzanti) ; 2.. interventi tesi ad "attenuare" gli episodi più spinti; 3· "sfron­ damenti"; 4· ritocchi strutturali, per rendere più compatto il nucleo della storia, e più chiara la sua articolazione. Vale la pena di rileggere con attenzione come Pasolini, l' 11 maggio del 1955, presenta il testo « corretto » e « castrato » : Gentile Garzanti, spero che Lei riceva questo espresso, e il concomitante espresso per le bozze modificate, prima di partire per Roma, in modo che non vada perso tempo. Come vede, ho sostituito con puntini tutte le brutte parole, con rigorosa omo­ logazione. Ho attenuato gli episodi più spinti (Nadia a Ostia ecc.: ma non quello del « froscio» , per consiglio di tutti gli amici, oltre che per intima convinzione), ho sfrondato notevolmente (ho tolto due o tre pagine del II capitolo - i raccontini del Riccetto -, due pagine del VI, e l'intero episodietto della zoccoletta nel VII) , ho tolto il titolo «Il Dio c ... » , fondendo l'VIII capitolo al precedente. Insomma ho fatto tutto quello che potevo fare, con molta buona volontà. Spero che Lei me ne dia atto. Ho contribuito poi a rendere il racconto più chiaro (in modo che riesca meno sconcertante e quindi meno pesante), con delle piccole aggiunte, delle date ecc. In conclusione : quanto alla riuscita commerciale, io non so che dire, sono privo di competenza: ma posso dirle che non condivido il Suo improvviso pessimismo quanto alla realizzazione, diciamo così, artigianale-stilistica. È un errore credere che il romanzo vada molto ridotto (oltre le ragionevoli riduzioni che vi ho appor­ tato), perché importa in modo determinante proprio la sua complessione massiccia e ossessiva (parlo dal suo punto di vista artistico) : alleggerito, diventerebbe un pro­ dotto neorealistico, "decotinizzato" [sic] , come dice Gadda. Abbia fiducia: se non raggiungerà la tiratura di Parise, sarà un romanzo molto discusso, e quindi letto anche non dai soli buongustai. Sarà comunque un buon colpo editoriale (anche se non dal punto di vista strettamente quantitativo. Però ... , non c 'è due senza tre ... 6. La poesia Récit (Recit nella grafia pasolinana) è apparsa per la prima volta su "Bot­ teghe Oscure" nel settembre del 1 9 56, e confluita nelle Ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano 1957 (ora in TP I, pp. 827-32). In una lettera del 12 gennaio 1956 Pasolini informa Garzanti di averla scritta subito dopo la notizia della denuncia contro Ragazzi di vita ( LE n, pp. 149 e 206). Il saggio a cui si fa riferimento è Magrini (1994) . 95

I DUE PASOLINI speriamo ... ) . Sia Lei che io, in queste giornate ( per me addirittura drammatiche: pensi che io ho lasciato la scuola, so n senza lavoro, e il mio unico filo di speranza era questo romanzo ... ) abbiamo avuto esperienza del pro e del contro : violenti entram­ bi. Sarà un'avventura emozionante. Riceva i più cordiali saluti dal Suo Pier Paolo PasolinF

Nella lettera di Pasolini, naturalmente, « non c'è due senza tre » , con l'ag­ giunta di uno « speriamo ... » , che allude alla coppia recente di successi gar­ zantiani, con Il prete bello di Parise e Lettere da Capri di Mario Soldati, Premio Strega nel 19 54. La precisione con cui sono descritte le correzioni in bozze consente di individuare nel dattiloscritto della Biblioteca nazionale di Roma, che abbia­ mo siglato B, la copia esatta di quello mandato a Garzanti il I3 aprile del I9 55· n dattiloscritto conserva tutte le « brutte parole » che nella lettera di ac­ compagnamento alle bozze Pasolini scrive all'editore di aver occultato « con rigorosa omologazione » dietro a puntini, e tutti i brani che la stessa lettera dichiara con molta « buona volontà » espunti: i « raccontini del Riccetto » nel capitolo 2; le «due pagine » del 6; «l'intero episodietto della zocco letta » nel 7· Comprende nove capitoli, invece di otto, e quello in più ha proprio il titolo che nella lettera Pasolini informa l'editore d'aver tolto (Il Dio C .. ), sopprimendo il capitolo a cui era riferito e fondendolo col precedente. A questo punto si possono vedere alcuni esempi degli interventi in cui si è concretizzata l'autocensura coatta dell'aprile-maggio del I 9 55, e poi ten­ tare qualche conclusione : 1. La censura linguistica prende per lo più la forma di singole parole che si nascondono dietro a puntini: un « vaffanculo » diventa « vaffan ... »8; un « cazzi tua » , un altrettanto riconoscibile « c ... tua » 9; un «]e trema er cu­ lo » , diventa «]e trema er c ... » e così via10• Imparentati con questi sono i casi 7· LE II, p. 6s. La lettera è seguita da un post scriptum: « PS. Le accludo questo ritaglio del "Messaggero" di ieri. Potrebbe essere utile. Non si potrebbe magari stampare sul risvolto della copertina al posto del solito pezzullo ? » . Non sono riuscita a trovare il pezzo giorna­ listico a cui Pasolini allude. «Decotinizzato » è lapsus calami per «denicotinizzato », im­ piegato da Carlo Emilio Gadda nella recensione alla Locandiera di Goldoni messa in scena da Luchino Visconti (1952) ; «Guardate: le battute salaci sono del testo, forse non udite o forse denicotinizzate in edizioni precedenti. [ ... ] La malizia e i doppi sensi del linguaggio "sessuologico", specie nel primo atto, sono del Goldoni: e non li ha inventati Luchino » (Gadda, 19 81, p. 71). 8. Cito dal f. 189; la lezione apparsa a stampa è in RR I, p. 672. 9· Cito dal f. 190; la lezione apparsa a stampa è in RR I, p. 67 2. 10. Cito dal f. 207; la lezione apparsa a stampa è in RR I, p. 686.

7· BOZZE

« DA CORREGGERE E DA CASTRARE »

in cui parole che si teme urtino il lettore (le « brutte parole » di cui Pasolini parla nella lettera a Garzanti) sono non occultate da puntini, ma sostituite da sinonimi sentiti come più accettabili: un « cazzi » (f. 1 8 9 ) diventa « ca­ voli» (RR I, p. 67 2.); un « a stronzo » (f. 2.1 2.), « a coso » (RR I, p. 6 9 1 ) ; tra i nomi un « Cazzo secco » si trasforma in « Zinzello » 11• Nella lettera Pasolini dichiara di aver operato una correzione sistematica delle « brutte parole » . Qualcuna, invece, per svista o estrema resistenza all'edulcorazione forzata, rimane (nell'episodio del bagno sull'Aniene un « a stronzo » , altrove cen­ surato, si conserva)•2.. 2.. L' "attenuazione" riguarda episodi ritoccati e come messi in sordina, ma non del tutto espunti. È il caso, ricordato nella lettera, della scena di Nadia a Ostia. Un altro esempio chiarissimo è nel passo del capitolo s, Le notti calde, che in B racconta come il Lenzetta, tornato a casa ubriaco, cerchi di "imbrosarsi" il fratello addormentato (gli si butta addosso cercando di met­ terlo "a culambrinà'); il fratello si sveglia, si accorge di quello che succede, lo spinge contro il muro e si rimette a dormire (ff. 1 37- 138): Quando fu verso l a mezzanotte, i l Lenzetta che non riusciva a prendere sonno, e era arrazzato per il vino, buttò per aria le vecchie lenzuola rattoppate, e piano piano si accostò al letto del Lenzetta grande, che si stava a fare i sette sonni. «Mettete a culambrina, daje » si diceva fra sé, allumandolo [ ... ] . Il Lenzetta ubbriaco fraccico gli si mise addosso, tentando pian piano d' imbrosarselo. Quello si destò di botto, si rese conto di ciò che gli succedeva, lo guardò, gli diede una spinta che lo spiccicò contro il muro e si riappennicò•J.

Questa pagina non resiste com'era prevedibile alla revisione imposta da Garzanti: nella stampa il Lenzetta, tornato a casa ubriaco, si mette a canta­ re ; il fratello si sveglia, si accorge di quello che succede e lo spinge contro il muro, prima di riaddormentarsi. « Si rese conto di ciò che succedeva » , è detto ; in realtà non stava succedendo niente, e il Lenzetta « arrazzato per il vino » stava solo cantando : 11. Correzioni di questo genere sono introdotte in bozze anche in Una vita violenta. Nel caso del secondo romanzo romano la questione si presenterà in termini molto meno drammatici, ma dal confronto fra il testo uscito a stampa e le bozze preparate per la stampa (di cui si è conservata una copia) risulta che nel testo a stampa è maggiore il numero di paro­ le nascoste dietro a puntini: i soliti «Vaffan ... » (per «Vaffanculo ! » in bozze) ; «Che ca ... » (per «Che cazzo », in bozze) e simili. Esempi di interventi introdotti durante la correzione delle bozze di Una vita violenta sono in RR I, pp. 1716-9. 12. RR I, pp. 676 ss. 13. Il passo è citato in RR I, pp. 1702-3. 97

I DUE PASOLINI Quando fu verso mezzanotte, il Lenzetta che non riusciva a prendere sonno, e era arrazzato per il vino, buttò per aria le vecchie lenzuola rattoppate, e si mise a cantare [ ... ] . Il Lenzetta, ubbriaco fracico, continuò a cantare a tutto gasse. L'altro allora si svegliò di botto e fece : «A6h ? » . «Vaffan ... » rispose il Lenzetta alzandosi in piedi. Il fratello si rese conto di ciò che succedeva, lo guardò, gli diede una spinta che lo spiccicò contro il muro e si riappennicò•4•

Il taglio, dunque, in questo caso è introdotto frettolosamente, senza aver tempo di ricucire il testo sfrangiato dalla censura. La strada dell' "attenuazione" è scelta anche per l'episodio del « fro­ scio » incontrato nei pressi di Campo dei Fiori, che Pasolini nella lettera dichiara di aver conservato, «per consiglio di tutti gli amici, oltre che per intima convinzione » (LE I , p. 6s). Durante la correzione delle bozze, qual­ che battuta è sostituita da altre, meno forti. Nella versione non censurata, l'uomo guarda il Riccetto « in un punto che lo sguardo competente aveva già individuato. "Dorme': fece il Riccetto, seguendo la traiettoria di quello sguardo » . Più avanti, quando il Riccet­ to fa per andarsene, lasciando il « froscio » in compagnia di Alduccio e il Begalone, l'uomo protesta ( « Ma addò vai, che ce lasci mo ?» ) . Il ragazzo risponde: «Ammazzate [ ... ] due non t'abbastano, che ? [ ... ] Te piace er Dio C ... , eh ? » . Nella versione a stampa, quest 'ultima battuta è sostituita da un semplice « Te piace de divertitte, eh? » , e il titolo blasfemo, Il Dio C .. , è cancellato, fondendo il capitolo che racconta dell'abbordaggio a Campo dei Fiori con il precedente. Più macroscopico è il caso del capitolo 6, Il bagno sultAniene. È il ca­ pitolo che si conclude con le sevizie al ragazzino rachitico Piattoletta, e i cambiamenti, durante la correzione delle bozze, sono diversi. Un certo tas­ so di oscurità era previsto fin dall' inizio, se nel novembre del 1 9 5 4 Pasolini aveva scritto a Garzanti, nel riassunto del romanzo ancora in cantiere, che i ragazzi sul fiume « bruciano vivo » il Piatto letta « fingendo un rogo di Pellirossa » (con l'aggiunta fra parentesi: « veramente nel romanzo non è detto che muore e resta gravemente ustionato » ; LE I I , p. 706). In B il finale del capitolo lascia intuire senza difficoltà che il ragazzino è ucciso dalle fiamme (f. 294): I calzoni, intanto, non tenuti più su dalla cordella, gli erano scivolati, !asciandogli scoperta la pancia e ammucchiandosi ai piedi legati. Così il fuoco, dai fili d'erba e dagli sterpi che i ragazzini continuavano a calciare gridando, s'attaccò alla tela 14.

RR I, p. 632.

7· BOZZE

« DA CORREGGERE E DA CASTRARE »

secca, facendo tutta una fiammata. Poi lingueggiò su per la canottiera, che crepi­ tava come fosse di sacco, fino al berrettone bianco che gli penzolava sugli occhi15•

Nel testo a stampa la scena è alleggerita. Il finale è in dissolvenza, e il capi­ tolo successivo allude al fatto che la bravata sul fiume si sia risolta in un po' di "bruciacchiature": I calzoni, intanto, non tenuti più su dalla cordicella, gli erano scivolati, lasciandogli scoperta la pancia e ammucchiandosi ai piedi legati. Così il fuoco, dai fili d'erba e dagli sterpi che i ragazzini continuavano a calciare gridando, s'attaccò alla tela secca, crepitando allegramente16•

Alcuni interventi riguardano singole espressioni. La canzone cantata dali' u­ briaco sotto il ponte ( « Lasseme puntà solo la puntaaa, che poi so' cazzi mia dacce na spintaa » ; RR I, p. 677) è interrotta al primo verso ( « Lasseme puntà solo la puntaaa » ; RR I , p. 677 ); una battuta del Begalone al Caciotta è resa meno pesante ( «Vieni a lavà la sorca de tu madre ! » diventa «Viecce a lavà tu sorella! » ; RR I , p. 673 ) . Sono piccoli cambiamenti, ma sommandosi contribuiscono a rende­ re meno opprimente la scena "infernale" sul fiume (non è casuale la scelta dell'epigrafe, da uno dei canti più sinistri delle Malebolge; « Traiti Avanti, Ali chino, e Calcabrina l - comincio egli a dire - e tu, Cagnazzo; l E Bar­ bariccia guidi la decina. l Libicocco venga oltre, e Draghignazzo, l Ciriatto sannuto, e Graffiacane, l E Farfarello, e Rubicante pazzo » ; lnf xxi, 118-I23). L'effetto di alleggerimento si nota soprattutto nella seconda parte del capitolo. ln B le sevizie al ragazzino sono preparate da un crescendo "nero" di aggressività, che si esprime nei discorsi fra i ragazzi insieme sul fiume per fare il bagno. Pasolini, senza esplicite sollecitazioni di Garzanti, sente di dover sacrificare al nuovo equilibrio anche quel crescendo, e taglia per esempio, ol­ tre alle battute più violente dei ragazzi, due pagine che non sono né partico­ larmente violente né particolarmente "volgari': ma ospitano la registrazione quasi magnetofonica di un litigio fra il Caciotta e Armandino (ff. I98-I99 ): Il Caciotta lo guardò senza dir niente, strozzato dalla collera: di colpo scostò con una manata il braccio di Armandino teso contro di lui, facendogli perdere l'equi­ librio. «Ma la voi piantà » disse Armandino «guarda chi è stato, prima de pijà de petto 'a ggente, a stronzo» . «Nun me frega niente » gridò il Caciotta « che 'e Citato in RR I, p. 1703. 16. RR I, p. 698.

15.

99

I DUE PASOLINI tenevi a ff'a que 'e toppe so t t' ar culo ? » . « So' cazzi mia, so' » fece Armandino. Il Caciotta lo tornò a guardare, poi schioccò la lingua sul palato in segno di sprezzo, e piantandogli una mano aperta sul petto gli diede una spinta che lo fece cadere seduto due o tre metri più in là. Armandino si rialzò di scatto, cieco, paonazzo in faccia, con gli occhi inferociti. Si gettò contro il Caciotta, ma a pochi centimetri da lui si fermò, parlandogli quasi con la bocca sulla bocca: «a disgrazziato» gridò imbestialito « a fijo de na puttana, che te passino rompe er culo come a quella boc­ chinara zozza de tu madre! Pecché so' più piccolo de te » continuò riprendendo il fiato, che quasi piangeva « si no te farebbe vede io li mortacci tua! » . Il Caciotta se lo stava a ascoltare fermo, guardandolo con compassione negli occhi, ma intanto si vedeva che dentro si stava incazzando sempre di più. « Me fai compassione, me fai » gli disse, cercando di ghignare. «Li mortacci tua » tornò a urlare Armandi­ no, con le corde del collo tirate che quasi gli si spezzavano. «Ch'hai detto ?» fece strizzando gli occhi il Caciotta, che vedeva la possibilità di pestarlo, anche se era più piccolo. Però Armandino, come strozzato, fu accorto e non ripeté quello che aveva detto. « Tiè, sputo» gridò invece, sputando dietro le spalle del Caciotta. Il Caciotta alzò la mano per allentargli una pignata in faccia, ma quello lo scansò e se la squagliò, per il ciglione, piangendo e urlando di rabbia. «E !assalo perde » disse saggio il Riccetto, seduto a contemplarsi la scena. «Chi ha 'ncominciato ?» fece rivolto a lui il Caciotta, che non gli andava di correre. «Mbè, è un regazzino » disse sempre conciliante il Riccetto. «Se, regazzino ! » disse il Caciotta « 'n c 'ha manco n'anno meno de me » . Ma Armandino, sempre in bestia, da lontano, vedendo che il Caciotta non gli correva dietro, cominciò a < > «E ma mo bbasta » dovette ammettere il Riccetto. Dali' altra riva il Begalone, Alduccio e gli altri che avevano osservato tutto facendosi due risate, gli urlarono : «A Caciò, che te lassi pijà per culo da quer stronzetto llà ? » . «Già m e so' stufato» disse i l Caciotta « si l'acchiappo però, so' cavoli sua » . «Tiè » gridò Armandino afferrandosi per gli slippi che gli penzolavano sotto il ventre « acchiappa questo ! » . Il Caciotta si mosse verso di lui, che aveva alle sue spalle, per la fuga, tutto il campo e le sponde dell'Aniene fino alla draga, all'osteria del Pescatore, a Tiburti­ no : e invece se ne rimase lì fermo come si trovava, un po' gobbo, rosso in faccia e pronto a tutto, per una soddisfazione, pure magari a beccare17•

In questo caso, non è il taglio delle due pagine ma l' intera operazione di "raffreddamento" a rendere meno choccante la lettura del capitolo. 3· Lo "sfrondamento" riguarda, oltre alle due pagine tagliate nel capitolo 17. Il passo è citato in RR I, pp. 1704-5· Come sempre nelle opere complete dei "Meri­ diani'' il segno < > indica uno spazio bianco lasciato dall'autore in vista dell'inserimento di una o più parole. IOO

7· BOZZE

« DA CORREGGERE E DA CASTRARE »

6, qualche altro episodio, scelto fra quelli che pongono meno problemi di sutura. Dovendo dare prova di « buona volontà » , Pasolini sceglie di ta­ gliare parti la cui espunzione risulti il più possibile indolore. E così quando sono tagliati nel capitolo 2 i « raccontini del Riccetto » (il testo uscito in "Orazio" col titolo Rievocazioni autobiografiche del Riccetto, che Pasolini, si è visto, aveva inserito in un secondo tempo nella scena del dialogo con il Napoletano), o quando sono espunte nel 7 due pagine su Alduccio e il Be­ galene ai Cerchi, dalle quali è ricavato un racconto autonomo uscito sulla rivista "Il Caffè" qualche mese dopo la pubblicazione del romanzo•8: «Zoccoletti, zoccoletti... » cantava il Begalone a tutta callara, facendo risuonare tutto un pezzo del viale deserto, tra le pietre rotte dei ruderi. Ma Alduccio non lo pensava per niente, ch'era troppo occupato pure lui a cantare, con le mani fic­ cate in saccoccia, piegato in avanti e con la testa alta che si muoveva qua e là, gli occhi semichiusi e la testa ritirata tra le spalle. Il Begalone vedendolo gli allisciò una farda: Alduccio s' interruppe di botto : «Aoh » fece «va a fanculo» . «Me fregherebbe puro mi ' nonna » disse il Begalone, ghignando cogli occhi strabici e la bocca gonfia. « È na mesata, che nun frego. » «A me me lo venghi a ddì » fece Alduccio con un'aria afflitta « tengo na fame de so .. che mmh » e si morse le mani. «Famme fa' na pisciata, va » disse il Begalone : si sbottonò continuando a camminare e bagnò a zig zag il marciapiede del viale; Alduccio fece come lui, e si misero a correre, dandosi spinte, ridendo. Sui Cerchi batteva la luna; una luna piccola, impolverata, che tutti guardavano per traverso, perché allargava di luce il Circo Massimo quant'è grande, le fratte nere, i serci, le frane d'immondezza. Sul muricciolo del Circo, che si stendeva intorno nel polverone della luna, con qua e là qualche torraccia smozzicata, se ne stavano seduti degli uomini, dei giovinotti, e più giù sparse tutt ' intorno alla fermata della circolare si vedevano delle ombre, raccolte in ghenghe. «A squadra mobbile » gridò ironico il Begalone. S ' accostaro­ no calmi con la camminata alla malandrina. I giovani stavano riuniti intorno a due o tre zanoide, ma come il Begalone e Alduccio arrivarono, coi pollici infilati nella cinta dei calzoni, spingevano avanti ora l'una ora l'altra spalla, e molleggiandosi come dei bocchisieri un po' gronci, tutto un gruppo si spostò, attraverso il muc­ chio di cocci e mattoni per dov 'era franato il muricciolo, verso l' interno del Circo, sparendo tra l'ombre e i chiarori in mezzo alle fratte. Quella ch'era rimasta col gruppo di tre o quattro ragazzi, si stava a lamentare : il Begalone e Alduccio s'accostarono, ma proprio in quel momento quella s'azzittò, continuando a fare sì sì, con la testa, ammusata, come una ragazzina che ha litigato colle compagne. « È que 'a bbionda llà » riprese a dire, strascicando la voce «que 'a arta, que 'a go' veste azzu 'ra » . Poi si fermò, con una espressione allusiva, il mento che le tremava come se stesse per sbottare a piangere. Alduccio e Begalone a asco!18. "Il Caffè", III, 12, dicembre 19 55, pp. 1 6-7. Il titolo del racconto è Ai Cerchi. 101

I DUE PASOLINI tarla dovevano strasene piegati sopra di lei, perché era tanto piccola che gli arrivava poco più su della pancia. Non aveva le labbra dipinte, e aveva una faccia che pare­ va quella d'una ragazzina un po' sonata, coi capelli gialli tirati dietro l'orecchio, e, sotto il capottino grigio, una grossa pancia a punta, che si stava a allisciare di continuo col palmo della mano. « 'A possino ammazza' la lei e chi je ddà retta » diceva strascicando sempre più le parole. «E pecché ?» chiese, ingenuo, ma con aria competente e rispettosa uno dei giovinotti. «Pec 'ché-e ?» rispose la mignotta «pec 'ché-e ? me dira li serci ados'so me dira » . «Voi' le che se fam'mo fregà all' im­ pied'di » continuò «quea disgrazziata » . Se ne stette un po' zitta passeggiando, o forse aspettando che qualcuno le dicesse «Namo ! » , ma nessuno le diceva niente. Il Begalone e Alduccio la stavano a allumare abbracciati, già in campana per farsi una risata. « Ma io sto dando pogo a ff'a na telefona'ta » diceva lei, col broncio, sempre più sul punto di farsi un pianto « sto dando pogo. Tanto al gomissariato qua de San Eustàch' io so' sempre pron'di so', e che stanno a vvenì ? E io 'a faccio, sa', chette gredi ? Fa 'a tradditora lei, mb e che nun tengo dritto de falla bure io ? » . «E pecché vole che t e fai fregà ali' impiedi ? » chiese Alduccio. « Miga sola io ssa' » fece la paragula « tutte vole che sse fam'mo fregà all' impiedi » . «E pecché ? » fece Alduccio. «Vallo a chied'de a Ilei » disse l a mignotta tremando d'indignazio­ ne «lei è 'a capitana, lei, e noi averno da obbedì » . «Ammazzete » fece Alduccio. «E che te gred'di, a moro» disse lei « a me me dolono tutte 'e reni, e 'e ggambe, e li ppied'di, go sta panza che ttengo qua » . Tirava su col naso e faceva una smorfia lasciando che qualche lacrima le spurgasse dagli occhi, e prendendo subito un'aria rassegnata. «Mica 'e condizzioni mia so' come Il' altre » diceva « so' ormai de sette mesi, e m'allacco subito, m'allacco, de stà all' impieddi ». «E sbràghete » le fece il Begalone. «Sì, me sbrago ! » fece lei offesa «me sbra­ go ! a stronzo, che nun ce lo sai che si ce vede lunghe ppe tera ce tira li serci addosso ? E se m' ariva un sercio su 'a panza, e me succede quarche go sa, in che condizzioni me vengo a trovà io, me 'o di chi ? » . Il Begalone, Alduccio e gli altri capirono come stava la faccenda: la mignotta se ne rimase un po' zitta e siccome nessuno le diceva niente, ricominciò con la lagna: «Si me more drento 'panza, chi può ddì ne che nun semo stati noi ? » . L'altro, il magnaccia, se ne stava infatti più in là, zitto, ap­ pioppato a un alberello. I clienti se ne stavano in cerchi abbracciati prendendo le parti della mignotta, contro la capitana, e dicendo quello che avrebbero fatto loro se fossero stati al po­ sto suo. Lei taceva, ammusata con le sue disgrazie commoventi, poi il suo occhio esperto si fissò in direzione di un gruppetto che si accostava lungo il muricciolo, e cominciò a spostarsi passo passo da quella parte. « Sta bassetta » disse il Begalone. «Te ariva giusta giusta all'artezza de 'a panza » disse Alduccio. «Annamosene, va' » scattò il Begalone. «Duecento lire » disse Alduccio «che, si per ipotesi c 'a­ vessi ducento lire, nun me farebbe na p ... co' 'a mancina ? » . «Te saluto a bassetta » gridò il Begalone sorpassando la mignotta. «Zoccoletti, zoccoletti » le cantò in faccia Alduccio. «Va a morì ammazzato» fece lei. Alduccio e il Begalone sbotta­ rono a sganassare che li sentivano perfino i pellegrini del Colosseo. «A ghiaviconi, 102

7· BOZZE « DA CORREGGERE E DA CASTRARE »

a brutti » cominciò a strillare lei « a fiji de na put 'tana zoz'zza » e non la smorzò finché non furono lontani19•

È l' « episodio della zoccoletta » , circoscritto ed eliminato senza difficoltà dal continuum del romanzo (la versione riprodotta qui è quella uscita in rivista - a sua volta leggermente variata rispetto al testo di B, ff. 2.37-2.42., che contiene in più un « sorca » ridotto sul "Caffè" in « so ... » , e qualche espressione maggiormente caratterizzata in senso romanesco : un « dando­ si caracche » che diventa « dandosi spinte » , un « si per na ipotesi » che diventa « se per ipotesi » ) 2.o : non molto nell' insieme del racconto, che sul "Caffè" esce con il sottotitolo Pagine escluse da «l ragazzi di vita». 4 · Altri interventi sono precisazioni cronologiche (quelle che l a lettera dell' 1 1 maggio qualifica come «piccole aggiunte, date ecc. » ) . Sono tasselli aggiunti per puntellare la storia. Garzanti li esige all'ultimo dopo che più volte aveva raccomandato a Pasolini di non perdere il disegno d' insieme del romanzo. Le precisazioni mirano a rendere il racconto «più chiaro » . Dove il dattiloscritto ha per esempio «All'angolo d i via delle Zoccolette » (f. 30 ), la stampa, tenendo conto di una correzione introdotta nelle bozze, riporta con maggiore precisione cronologica «Estate 1946. All'angolo di via delle Zoccolette » (RR I, p. 547 ) ; anche il passo sulla condanna al carcere del Riccetto è maggiormente circostanziato nella stampa. Il dattiloscritto aveva un « lo condannarono a due anni, per imparargli la morale » (f. 187 ) ; la stampa precisa, aumentandogli fra l'altro la pena: « lo condannarono a quasi tre anni - ci dovette star dentro fino alla primavera del ' s o ! - per imparargli la morale » (RR I , p. 67 1 ) . Se si guarda all' insieme di questi interventi, il primo Ragazzi di vita, quello che Pasolini avrebbe voluto pubblicare, è un romanzo molto più espressionista e più "sporco" di quello che conosciamo: un romanzo meno letterario, più immediato e violento. Il discorso però non è così semplice. Dallo spoglio delle varianti fra B e il testo a stampa risulta senza possibilità di equivoco che Pasolini, nel ri­ mettere mano al romanzo che credeva concluso, non si limita ad attenuare gli « episodi più spinti » , o a sostituire le « brutte parole » dietro sinoni­ mi o puntini. Ritocchi apparentemente minimi, ma coerenti, cambiano la 19. RR I, pp. 81 3-6. 20. Quest 'ultima variante potrebbe essere unafacilior, visto l'alto numero di espres­ sioni romanesche contenuto nel testo. Non sarebbe neanche l'unica. Nell'edizione delle opere complete abbiamo corretto sulla base di B un «selci » - lezione del racconto uscito in rivista - in « serci ». 103

I DUE PASOLINI temperatura del romanzo, e lo fanno diventare, in un certo senso, un altro libro. L' impressione è che nei giorni difficilissimi dell'autocensura coatta si produca nel romanzo una specie di raffreddamento, al quale concorrono tagli che non hanno a che fare con quelli sollecitati dall'editore, ma van­ no nella stessa direzione, e in qualche misura se ne possono considerare la conseguenza. Le richieste di Garzanti, insomma, mettono in moto una revisione del romanzo che poi le travalica, e interessa non soltanto le pagine segnalate dall'editore (pagine che potrebbero urtare il lettore per la loro scabrosità, o comunque rendere meno perspicue le linee dell'azione) . Sono corrette fra l'aprile e il maggio del 1 9 5 5 anche porzioni di testo che non erano dispia­ ciute a Garzanti (stando alla lettera di accompagnamento alle bozze che ho citato più volte), ma risultano in contrasto con la nuova tonalità dell' insie­ me, frutto di correzioni e castrature imposte. Pur nella fretta, Pasolini cerca una coerenza, forse si può dire addirittu­ ra che sfrutta la difficoltà dei veti posti dall'editore, come il poeta, secondo Valéry, sfrutta le difficoltà poste dalla rima. Riscrive, in un'altra chiave. Un altro dato che emerge dal confronto fra il dattiloscritto e il testo a stampa, è che Pasolini, in bozze, si concentra esclusivamente sulla temperatura del romanzo, e trascura del tutto gli aspetti più legati alla lingua e alla resa, sulla pagina, del parlato dialettale. Lontanissima l'esperienza di Gadda, che nel 1 9 57 rivedrà in bozze il Pasticciaccio, prestando attenzione soprattutto al romanesco, chiamando ad assisterlo nell' impresa lo studioso e poeta Mario Dell'Arco, in una cor­ rezione di bozze che impegnerà strenuamente i due per quattro mesi (dal febbraio al maggio del 1 9 57 ), e probabilmente, per motivi diversi, avrà pre­ occupato Livio Garzanti non meno di quella che nella primavera del 1 9 5 5 ha avuto per oggetto Ragazzi di vita. Prima di Dell'Arco, Gadda aveva preso in considerazione l' ipotesi di rivolgersi a Sergio Citti e allo stesso Pasolini11• 21. L' idea di coinvolgere Pasolini nella correzione delle bozze del Pasticciaccio è testi­ moniata, fra l'altro, da una lettera di Gadda a Garzanti del 29 marzo 1957 (in Gadda, 2oo6, p. 11 1). Sergio Citti era stato preso in considerazione su consiglio di Pasolini, ma Gadda non ne era mai stato del tutto convinto : «Ero già malato e stanchissimo, non ho accolto la proposta per pure ragioni di pigrizia (lontananze romane, mancanza di macchina, timore del cretinismo generale » (così nel ricordo del cugino Gadda Conti, 1974, p. 115). Per la revisione del Pasticciaccio e la consulenza di Mario Dell 'Arco, cfr. Pinotti (1983a, pp. 61540; 20 06). Diverse, comunque, anche le modalità della lavorazione del romanzo da parte dell'editore: del Pasticciaccio, Gadda riceve da correggere le bozze dei capitoli via via inviati. Pasolini manda il romanzo completo, e rivede le bozze in fretta, in tempo per poter parte­ cipare (come d'accordo con Garzanti) al Premio Strega. 10 4

8 > : quando Ragazzi di vita è stamp ato e va p er la sua strada

Il romanzo, poi, esce nel maggio 1 9 55, con un colophon che lo dà finito di stampare in aprile. È da subito un successo (il più clamoroso caso edi­ toriale del secondo Novecento, secondo Gian Carlo Ferretti) , e la prima edizione va esaurita nel giro di quindici giorni. Quanto a Livio Garzanti, l'epistolario e il ricordo degli amici concordano nel testimoniare una ra­ pida ricucitura dei rapporti fra scrittore e editore, apparentemente senza cicatrici. Già il 9 giugno, Pasolini scrive a Garzanti ringraziandolo con tanto più calore « quanto più la vicenda editoriale è stata, ed è, difficile, quasi drammatica » : Caro Garzanti, finalmente le scrivo: ma era tanto che dovevo farlo. Ho rimandato da un gior­ no all'altro, vivendo in uno stato di orgasmo e di vuoto, in una specie d'isterismo causato dall' impazienza e da altri affini sentimenti... Era difficile trovare delle parole di ringraziamento in una simile condizione psicologica. Adesso, ormai, la figura di «ciò che è il mio libro letto dagli altri » va delineandosi, sia pure ancora vagamente : intanto, mi sento rinfrancato sul suo valore in senso differenziato e assoluto, e poi comincio ad avere dei giudizi in cui si delinea una sua circostanziata storia critica ... [ ... ] Le invio intanto, qui, il primo pezzo critico : come vede, è molto efficace, se non in senso strettamente critico, almeno in qualità d' invito alla lettu­ ra. Ma tutto questo passi, almeno per il momento, in secondo ordine : La volevo ora soltanto ringraziare, e con tanto più calore e gratitudine, quanto più la vicenda editoriale è stata, ed è, difficile, quasi drammatica•.

Garzanti gli risponde il 23 dichiarando la sua soddisfazione per il libro : Purtroppo io non ho il tempo e la possibilità di fermarmi a lungo nelle gioie che dovrebbe dare il mio mestiere. Ma lei una soddisfazione me l'ha data, sia con la

I. LE II, P· 72 IOS

I DUE PASOLINI sua lettera, sia, soprattutto, col suo libro. Ha visto come tutti la sostengono ? Fra pochi giorni uscirà una pubblicità piuttosto clamorosa sul "Corriere della Sera"2•

Nell'estate Pasolini comincia a scrivere il secondo romanzo romano ( « il titolo, provvisorio, ma già annunciato in una intervista che sono venuti a farmi alcuni tipi dell'agenzia Italia: "Una vita violentà: che potrebbe anche essere "Morte di un ragazzo di vità' » ; LE I I , p. 8o) e da subito lo pensa per Garzanti. In ottobre l'editore gli scrive: Per quel che è del romanzo, se Lei me lo potesse dare ali' inizio della primavera, Le garantisco sin d'ora un anticipo di un milione, ivi comprese le percentuali che stanno maturando per Ragazzi di vita. Del resto, se si ricorda, Le ho sempre detto di chiedermi denaro. [ ... ] Le mando subito metà dell'anticipo3•

La stesura del secondo romanzo poi va per le lunghe, anche se Pasolini, all'opposto di quanto era avvenuto per Ragazzi di vita, sente di averlo fin dall' inizio tutto in testa, e di non dover far altro che metterlo sulla pagina4• Nel dicembre del 1 9 5 5 per il secondo romanzo ( « un po' la continuazione del primo » ; LE I I , p. I 84) chiede a Garzanti di impegnarsi economicamente nei modi in cui si era impegnato con Ragazzi di vita: Ma Lei, per obbligarmi anche dall'esterno al lavoro (a evitare qualche fase di ne­ gligenza o le tentazioni di scrivere articoletti) non potrebbe fare come l'altra volta, darmi cioè un anticipo sotto forma di anche piccole mensilità ? Mi basterebbero anche quindicimila lire al mese, per un minimo di tranquillità, e per sentirmi spin­ to dali' impegno. Lei qualche mese fa si mostrava disposto a darmi circa mezzo milione di anticipo : ed è per questo che le faccio ora questa, più modesta, proposta. È d'accordo ?s

La risposta è positiva, e dal febbraio del I 9 5 5 è stabilita dall'editore l'eroga­ zione di uno stipendio mensile. Ragazzi di vita, intanto, va per la sua strada. Appena uscito fa parlare di sé, e anche le recensioni negative contribuisco­ no a tenere sveglia l'attenzione sul romanziere esordiente. Quando Emilio Cecchi, il 28 giugno, firma sul "Corriere della Sera" una feroce stroncatura, 2. La risposta di Garzanti, del 23 giugno, è citata in LE II, p. 73· AP, 381, 7· 4· «Lei sa come lo avessi già perfettamente in testa: ora sto calandolo nei particolari e nelle pagine » (LE I, p. 142); «se penso che ho Una vita violenta completamente dentro di me, e che non dovrei fare altro sforzo che di ricopiarla sulla carta » (LE II, p. 126). 5· LE II, p. 142. 3·

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8. QUANDO RAGAZZI DI VITA È STAMPATO

Pasolini pensa addirittura che se ne possa estrarre uno slogan pubblicitario per lanciare il romanzo ( « Il Cuore in nero » ), e commenta così l'elzeviro del critico fiorentino : Ad ogni modo, Lei cercava uno slogan, vero ? Cecchi ne fornisce uno bellissimo (s' intende, senza volerlo) e, mi pare, commercialmente efficiente : "Il Cuore in ne­ ro"... che, con la firma di Emilio Cecchi, funzionerebbe a meraviglia6•

Le vendite vanno così bene che Garzanti, il 1 ° luglio, può scherzarci sopra: Caro Pasolini, spero che non Le sia spiaciuta la recensione di Cecchi, o, per lo meno, che non sia preoccupato troppo delle critiche. Qui alcuni amici erano irritatissimi per un giudizio che ritenevano negativo. Io, invece, con i dati delle vendite in mano, devo dire che è la prima volta da quando Cecchi scrive sul "Corriere" che un suo giudizio fa vendere un libro. Ringrazi appunto Cecchi per questo [ ... ]. Non è uno scherzo, almeno non lo è del tutto. Il libro va benissimo. Abbiamo venduto circa 4 .s o o copie. Lei può aggiungere mille e dire che è vicino alle seimila. Un successo di questo genere, Le confesso, io stesso non me lo attendevo7•

Ai genitori che gli mandano devoti le recensioni uscite mentre si trova a Ortisei, per lavorare a una sceneggiatura con Bassani, Pasolini scrive il 1 8 luglio: Ho letto i ritagli: benissimo tutto, anche la critica sfavorevole di Salinari e Cajumi (che un libro sia importante si deduce più da simili stroncature che da articoli di elogi). Stupendo poi - come dice il babbo - De Robertis8• 6. LE II, p. 80. 7· AP, 381, 4· Una parte della lettera è citata da Naldini nella Cronologia premessa a LE II, p. XII. Alla fine è un post scriptum che chiede notizie del nuovo romanzo e ribadisce la disponibilità a ulteriori finanziamenti: «Ho visto annunciato il Suo nuovo romanzo, ma a che punto è, Le è possibile continuare a scrivere nello stato d'animo in cui Ella certo si troverà in questi giorni ? Comunque me ne informi. Se ha bisogno di denaro me lo chieda, ne ha diritto ». Anche il 20 dello stesso mese, le notizie che arrivano dall'editore sono in­ coraggianti: «Il Suo libro va sempre bene. Anche l'articolo di De Robertis ha giovato. Mi sembra che Lei possa contare con quasi certezza su dei buoni guadagni, anche e soprattutto perché un premio abbastanza importante glielo daranno di certo » (AP, 381, 5). 8. LE II, p. 91. Carlo Salinari aveva partecipato a un dibattito sul libro organizzato a Palazzo Marignoli il 4 luglio. Ne aveva riferito "l' Unità" il 5 luglio, con un pezzo intitolato Un equivoco libro sulle borgate. Arrigo Cajumi aveva pubblicato un pezzo su "La Stampa", 3 luglio 1955. La recensione di De Robertis è uscita in luglio sul "Tempo illustrato". Pasolini ringrazia il critico il 21 dello stesso mese (LE II, p. 93). 107

I DUE PASOLINI Anche in una lettera a Franco Farolfi, sempre da Ortisei, il bilancio è tutto (o quasi tutto) in positivo : Carissimo Franco, il mio libro mi ha dato grandissima soddisfazione (Bo, De Robertis, Contini, Fiore, Vigorelli e molti altri minori) e qualche atroce - ma non tanto amarezza ( Cecchi, Cajumi, il comunista Salinari e in genere i fascisti)9•

In luglio Ragazzi di vita entra nella cinquina del Premio Strega, presentato da Ungaretti e Carlo Bo. Non vince, con grande delusione dell'autore e dell'editore, che avrà una replica nel 19 59, quando a non ottenere il premio sarà Una vita violenta (complicheranno le cose allora implicazioni perso­ nali, affetti traditi: Garzanti, in quella occasione, punterà tutto sul secondo romanzo di Pasolini, decidendo di non far concorrere al premio Primavera di bellezza di Beppe Fenoglio, uscito da Garzanti lo stesso anno ; la Ban­ ti e Roberto Longhi, venerati da Pasolini, sceglieranno contro la volontà dell'editore di presentare Fenoglio, e Pasolini non riuscirà mai a farsene una ragione, arrivando a scrivere a dieci anni della morte dello scrittore di Alba una feroce stroncatura della sua opera, che pure, prima dell' incidente con il gruppo di "Paragone': aveva sempre apprezzato ) 10• In ottobre è secondo al Viareggio, e più tardi vince il premio Colombi­ Guidoni di Parma, assegnato da una giuria autorevole, presieduta da Giu­ seppe De Robertis (fra i giurati, Carlo Emilio Gadda) . Il libro comincia a interessare anche l'ambiente degli accademici, soprattutto in virtù del suo linguaggio. Alfredo Schiaffini dirige con Giuseppe Ungaretti un di­ battito alla Società « Letture Critiche » ; Alberto Cirese il 19 novembre comunica all'autore l'apprezzamento di un linguista come Vidossi11: 9· LE II, p. I04. La recensione di Carlo Bo esce sull'"Europeo" il I9 giugno. Quella di Giancarlo Vigorelli, su "La Fiera Letteraria" il IO luglio. Io. Vedi la Cronologia premessa a Fenoglio (2012), a cura di Gabriele Pedullà, e dello stesso Pedullà Decisivi ritagli di Fenoglio, sul domenicale del "Sole 24 Ore", I9 agosto 20I2, dove per una svista il romanzo di Pasolini presentato da Garzanti allo Strega nel I959 è Ra­ gazzi di vita invece di Una vita violenta. La stroncatura di Pasolini è a un volume celebrativo delle opere di Fenoglio uscito dall'editore Panizza. 11. Fra gli storici della lingua attivi negli anni Cinquanta, Alfredo Schiaffìni è quello che più si interessa di letteratura contemporanea. Anche Gadda lo tiene presente durante la lavorazione del Pasticciaccio. Il I8 luglio I957 scrive a Garzanti: «Potrei inviarLe qualche nominativo, non più di otto circa, di persone "influenti" nel campo culturale a cui inviare il volume in omaggio ? Fra essi Spi tzer e Schiaffini ? (Se già non comprese negli "omaggi" ?) » (Gadda, 2006, p. I 23). E il 27 luglio I957, ancora : « In questi giorni invierò all' Ufficio Stam­ papochissimi nomi, fra cui quelli di Spitzer: e del prof. Schiaffìni dell' Università di Roma I08

8. QUANDO RAGAZZI DI VITA È STAMPATO

Sere fa, il prof. Vidossi che lei forse ben conosce, mi parlava assai bene di Ragazzi di vita: l'aveva visto per i suoi interessi di linguista ma poi vi aveva trovato e ap­ prezzato l'arte l l. .

In dicembre arriva la notizia della denuncia contro Ragazzi di vita per "pornografià'. Il processo si celebra dopo diversi rinvii il 4 luglio del 1 9 5 6, e si conclude con una piena assoluzione di autore ed editore (cfr. infra, l'Appendice). Molte lettere riguardano la preparazione della linea difen­ siva, e nessuna contiene recriminazioni, né da una parte (i tagli non sono stati abbastanza) né dall 'altra (i tagli sono stati non solo dolorosi ma anche inutili) . Dopo la censura coatta del romanzo, il rapporto è tornato sereno, e lo sarà con alti e bassi fino al 1975, pochi mesi prima della morte di Pasolini, deciso a "divorziare" dal suo editore che voleva pubblicare un romanzo di Alberto Bevilacqua (Gelli, 2.01 5 ) . A neanche due settimane dalla sentenza si valuta tranquillamente la possibilità di ristampe, e Pasolini, tolta la « spina nel cuore » del processo13, non ha nessuna voglia di rimettersi nei guai. Oltretutto, il romanzo ha trovato un suo equilibrio, è forse un'altra cosa ma può andar bene così com'è, o com'è diventato. In vista della ri­ stampa, Pasolini si sente di rassicurare Garzanti: gli piacerebbe apportare qualche correzione, ma « sarebbero correzioni brevi di singole parole, di grafia ecc. » : Sono contento per la eventuale ristampa di « Ragazzi di vita » : avrei, in tal caso, urgente bisogno di quattro o cinque copie del volume: due devo regalarle a tipi cui non posso negare il regalo (un carcerato, per esempio, ex ragazzo di vita, che me lo chiede pateticamente), una vorrei tenerla per me, e una vorrei usarla per farvi delle correzioni per l'eventuale ristampa. Sarebbero correzioni brevi di singole parole, di grafia, ecc. Mi raccomando, allora14•

La copia « corretta qua e là, per l'eventuale ristampa cui mi accennava » è mandata a Milano il 1 ° agosto (LE I I , p. 2.2.9 ). Le correzioni riguardano, dav­ vero, fatti grafici. Quello che interessa allo scrittore, in questo momento, e dell'Accademia dei Lincei, che si interessa al mio lavoro specie per il lato filologico » ( ivi, pp. I 24-s). Il famoso elenco, inviato all'editore il I0 agosto, comprende poi i nomi di Alfredo Schiaffini, Leo Spitzer, Giuseppe Ungaretti, Giacomo Debenedetti, Giorgio Bassani, Gian­ franco Contini, Alessandro Bonsanti, Mario Dell'Arco ( ivi, p. 126, nota 114). I 2. In Naldini, Cronologia premessa a LE II, p. XXII. I3. LE II, p. 2IO. I4. LE II, p. 224. I0 9

I DUE PASOLINI sono « i conti per le edizioni del libro » , per poter « fare tranquillamente » i propri « calcoli » , e dedicarsi ad altro: Caro Garzanti, le mando la copia del libro corretta un po' qua e un po' là, per l'eventuale ristampa cui mi accennava. Ho tardato un po' perché sto passando un periodo abbastanza angoscioso : lavoro male. Mia mamma non sta bene, ha bisogno di una cura, e dovrò andare con lei una decina di giorni in qualche posto di montagna. Ho dunque delle spese da fare, e le sarei molto grato se si facessero i conti per le edizioni del libro, in modo ch' io possa sapere quanto mi spetta, e fare tranquilla­ mente i miei calcoli. Mi scusi per questa pretesa, per questa triste pretesa di chi vive alla giornata... E riceva i più affettuosi saluti dal suo Pier Paolo Pasolini15

La prima versione del romanzo inviata all'editore è uscita da tempo di sce­ na. Ragazzi di vita, ormai, era quello uscito, accusato, osannato, processato e alla fine assolto. La copia più violenta mandata all'editore nell'aprile del 1 9 5 5 si sarebbe confusa con i molti materiali conservati alla Biblioteca di Roma. Non avrebbe interessato più, per molto tempo, nessuno, e neanche il suo autore, già catturato da mille nuovi progetti.

15. LE II, p. 229. I lO

App endice Il p rocesso a Ragazzi di vita, nonostante tutto

Ha scritto Walter Si ti che « la divisione del lavoro ha relegato la letteratura in un ruolo sempre più inoffensivo, oscillante tra l'intrattenimento e il mu­ seo. Nel Seicento per aver scritto un romanzo ci si poteva rimettere la vita, ora in genere i processi contro la letteratura finiscono con delle assoluzioni o delle figuracce per chi accusa » •. La denuncia presentata nel 1 9 5 6 contro Ragazzi di vita, in effetti, si risolve in una sentenza nella quale il giudice quasi si scusa, e dà assicurazioni sul « clima di serena elevatezza » nel quale il dibattimento si è svolto. L'autocensura, che pure per Pasolini aveva avuto un costo altissimo, era servita a poco. Nell'estate del 1 9 5 5 il romanzo era stato segnalato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per il suo carattere osceno. La lettera di segnalazione alla Procura di Milano porta la data del 2.1 luglio. È un periodo in cui cose del genere capitano. Negli anni Quaranta e Cinquanta non era possibile consultare nelle biblioteche pubbliche opere "maledette" di André Gide, Curzio Malaparte e persino testi psicanalitici sulla vita sessuale. Nel 1 9 5 5 - ci ritornerò - Raffaele Mattioli rinuncia alla pubblicazione delle Note azzurre di Carlo Dossi, temendo azioni le­ gali. Le opere di Alberto Moravia, nel 19 s 6, erano state messe all' Indice dal Sant' Uffizio. Di oltraggio al pudore più o meno negli stessi anni si era parlato per L 'amante di Lady Chatterley di David Herbert Lawrence, l' Ulisse di James Joyce, Cioccolata a colazione di Pamela Moore, Il muro di Jean-Paul Sartre, Il deserto del sesso di Leonida Repaci e L'Aria/da di Giovanni Testori2.. Nel caso di Ragazzi di vita, l' intervento della magistratura segue di giusto due settimane il giuramento del nuovo presidente della Repubblica, Antonio Segni, ed è probabilmente una manovra funzionale, tesa a « rasI. Siti (2.001, p. ISI). 2.. Cfr. Ferretti (2.012., p. 59 ; 2.004, pp. 1 4, 1 1 2., 2.1 2.-3). III

I DUE PASOLINI sicurare l'opinione pubblica conservatrice » 3• Così, oltre a Magistratura democratica, la pensa Livio Garzanti, che in un promemoria redatto ad uso dell'avvocato difensore attribuirà un ruolo di primo piano nel proce­ dimento contro il romanzo al ministero degli Interni, dal I 9 S3 affidato al democristiano Ferdinando Tambroni: L' Editore ha poi saputo, da una conversazione privata, che il procedimento è stato promosso dal Ministero degli Interni. La Presidenza del Consiglio non ha fatto altro che il tramite4•

La segnalazione, emessa dal servizio spettacolo, informazioni e proprietà intellettuali, recita: Per gli eventuali procedimenti di competenza, si segnala l 'acclusa pubblicazione Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, editore Aldo Garzanti, Milano. Nella pub­ blicazione si riscontra carattere pornografico. Il capo del servizio5•

Il 29 dicembre I 9 s s, il procuratore della repubblica di Milano cita in giudizio direttissimo « Garzanti Aldo e Pasolini Pier Paolo, imputati di pubblicazio­ ne oscena » . Le pagine di carattere pornografico sarebbero « segnatamente la 47, la 48, la IOI, la I30, la I74, la 227, la 23 I, la 242 » . Subito Livio Garzanti si rivolge a un avvocato esperto del settore, Giacomo Delirala, professore di Diritto penale all' Università degli Studi di Milano : il professionista inter­ pellato giusto l'anno prima da Raffaele Mattioli, quando « a un tardivo, ma accurato esame dei nomi e dei cognomi sferzati dallo humour e dai saperi del Dossi, l'amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana di Milano, nel suo ruolo di direttore e proprietario della casa editrice Ricciar­ di, avverte il rischio di possibili azioni legali (o semplicemente azioni, rival­ se) da parte degli eredi, malgrado - contrattualmente - "ogni responsabilità civile e penale" fosse stata in proposito assunta dal figlio dello scrittore » , e blocca in bozze l'edizione delle Note azzurré. Una curiosità, rivelatrice di un'epoca. A Raffaele Matti oli l'avvocato 3· Questa l'analisi del gruppo di Magistratura democratica in Betti (I977, p. 63). Da vedere ora è anche Chiesi (2.oos). 4· Il testo del promemoria è dato qui integralmente nella sezione Documenti, p. I2.9. S· Betti (I977, p. 63). 6. Ricostruisce questo episodio un bellissimo saggio di Niccolò Reverdini, I quaderni alla prova. Per una storia editoriale delle «Note azzurre» , in Dossi (2.oio, pp. 12.37-45). Il penalista Delitalia è ricordato anche da Stajano (2.009, pp. Io-I). 1 1 2.

APPENDICE aveva confermato il pericolo di reato per diffamazione, non estinguibile nel tempo; il figlio dello scrittore, Franco Pisani Dossi, il 16 novembre 1 9 5 5 aveva espresso così i n una lettera a Dante !sella l a sua preoccupazione : « ieri sera sono stato molto ma molto spiacente di non averLa potuta incontrare all'appuntamento di via Borgonuovo. Data la spada di Damocle della cen­ sura, che il Dottor Mattioli, suggerito dal suo legale, vorrebbe apportare ad altre Note, oltre quelle che Lei sa, mi sembrava tra di noi indispensabile uno scambio diretto e immediato su questa grave questione » 7• Si sa come andò a finire. Dopo un fitto scambio di lettere tra la casa editrice Ricciardi, Franco Pisani Dossi, Dante !sella e lo studio legale dell'avvocato Delirala, si individuano cinque serie di « Note » da censurare, eliminando in toto il te­ sto o sostituendo vari nomi e cognomi con asterischi, all'Archivio Ricciardi del Centro Apice si conservano i cinque elenchi in altrettante cartelline di carta da pacco, con diciture autografe di Antonio Arcari, collaborato­ re della casa editrice : 1. « Note che l'Avv. Delirala consiglia di eliminare e che paiono tali anche a noi » ; 2. « Note che l'Avv. Delirala consigliava di eliminare e che a noi sembrano da salvare » ; 3· « Note che l'Avv. Deli­ rala consigliava di eliminare e sulle quali pure noi abbiamo dei dubbi » ; 4· « Note non rivedute dall'Avv. Delirala e che c i sembrano d a eliminare » ; 5 · « Note non rivedute dall'Avv. Delirala e sulle quali abbiamo dei dubbi » . Tutto questo lavoro non riuscì a "disincagliare" il libro, che Mattioli decise di non rendere pubblico. Amaro il commento del figlio di Carlo Dossi, che descrive nella sua autobiografia la riunione risultata decisiva per la sorte del libro, tenuta nello studio di Mattioli in via Case Rotte, a due passi dalla Scala: « Da quel convegno tornai triste a casa e non solo io ma anche il Pro f. !sella. Era stato purtroppo deciso, unanimemente, che le "Note Azzurre': dato il loro contenuto esplosivo, non sarebbero state poste in commercio, a cagione della vigente rigida legge sulla stampa. Questa risoluzione fu adot­ tata dopo udito il parere di un illustre legale presente al convegno » . Altrove lo stesso Franco Pisani Dossi rievoca la vicenda augurandosi che un giorno finalmente le Note paterne possano « vedere il sole che [ ... ] oggi lor nega una legislazione balorda nei tempi attuali ! » )8• Prima di seguire le traversie fatte subire a Ragazzi di vita dalla « rigida legge della stampa » , conviene rileggere nell'edizione originale le pagine incriminate del libro, inviata per obbligo di legge alla Presidenza del Con7· La lettera si conserva nell 'Archivio Dante !sella di Casciago ed è riportata da Re­ verdini in Dossi (2.010, p. 12.38). 8. Cfr. ancora Reverdini (ivi, pp. 12.39-44).

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I DUE PASOLINI siglio. Nelle prime (pp. 47-8), il « carattere pornografico » è rilevato nella scena di sesso a Ostia tra Nadia e il Riccetto: Dopo un po' come il Riccetto s'era già abituato all'ombra che c 'era dentro, e era già arrapato, la mano della Nadia raspò contro la porta, e il Riccetto le aprì: lei s' infilò dentro, portandosi dietro le chiappe che quando una mano morta, ali 'Arenula o al Farnese, le paccava le sentiva uscire dalla sedia spampanate che parevano la coda di un pitone. Il Riccetto era lì in mezzo, col cappello messicano in testa. Lei zitta zitta si slacciò il reggipetto e le mutandine del due pezzi, se li tolse dalla carne sudata, e pure il Riccetto, vedendola, si tolse gli slip. «Lavora, daje » , le ordinò sottovoce. Ma mentre facevano quello che dovevano fare, e la Nadia si teneva stretto il pischello tra le braccia con la faccia affondata tra le zinne, piano piano con una mano, scivolò lungo i suoi calzoni appesi contro la parete, la infilò nella saccoccia di dietro, levò il pacco dei soldi e se lo mise dentro la borsa che pendeva lì appresso9•

A p. 1 0 1 della prima edizione c'è il racconto di Amerigo, che spiega al Ca­ ciotta di essere stato « carcerato pe' violenza carnale » (a una pecora): «Ammazzete, a chi l'hai fatta 'a festa ?» disse il Caciotta. «A na pecora » disse di­ sperato Amerigo. « Mo er pastore m'ha visto che me la in ... , li mortacci sua, e m'ha dinunciato» . Stava quasi per piangere, con la bocca semiaperta e le sopracciglia tirate in su, sulla fronte piena di rughe giovanili tra i ricci di statua. «Ammazza » disse dolorosamente «quante me n'hanno date, quante ! ... » . La sua voce s'era fatta acuta, come quella delle donne quando si lamentano di qualche vecchia ingiustizia che ancora le fa patire10,

A p. 1 3 0 il Lenzetta e il Riccetto incontrano Alduccio, felice di aver guada­ gnato tre biglietti da cento lire: «N amo, dàje » fece : affondò una mano in saccoccia e mostrò tre piatte ciancicate. « È passato uno» spiegò «e me l'ha date senza niente, pe ' simpatia, bah » . «Pe ' tastà un momento» aggiunse tutto allegro. Gli altri non stettero tanto a cercare spiegazioni: erano cose che succedevano11•

A p. 174 il Caciotta e il Begalone in riva all'Aniene interloquiscono così: Il Begalone andò sotto lo scolo bianco della varechina a bagnarsi.

I, p. 564. I, pp. 610-1. I I . RR I, p. 63 6. 9·

RR

IO. RR

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APPENDICE « Quella te ce vole ! » gridò il Caciotta. Il Begalone con le mani a imbuto, voltando appena la testa gli rispose gridando dall'altra riva: «Viecce a lavà tu sorella! » « A caccoloso ! » fece il Caciotta. «A sgardo 'n c ... ! » gli rispose il Begalone.

Alle pp. 227 e 23I sono descritte alcune fasi dell'abbordaggio di un cliente da parte del Riccetto, di Alduccio e del Begalone. È l'episodio del « froscio » che Pasolini nella lettera di accompagnamento alle bozze corrette aveva di­ chiarato di non aver potuto sacrificare, «per consiglio di tutti gli amici, oltre che per intima convinzione (RR I, p. 6s). La scena occupa diverse pagine, e non sembra più "pornograficà' di altre, neanche dove uno dei ragazzini cerca di adescare l'uomo (p. 227) o dove l'uomo dialoga col Riccetto, prima che il ragazzino se ne vada per conto suo (p. 23 I ) . È da notare che quest'ultimo scambio di battute era stato già censurato da Pasolini, che aveva sostituito un «Ammazzate, te piace de divertitte, eh?» all'originario (peraltro improba­ bilissimo) «Ammazzate, te piace er Dio C ... , eh? » , conservato in B: «E dàje » insistette Alduccio « scegnemo per 'a scaletta, namo sotto ponte e famo na cosetta generica » . «No n o no no » disse i l froscio agitando con una mano, e scotendo l a testa, con una faccia assolutamente negativa. «Ma perché ?» continuò riscaldandosi Alduccio « add6 ' trovi un posto mejo de questo ? Che, c 'averno de stà mezzora ? Du' minuti e te saluto ! Famo finta che doveva da ffà un bisogno, e chi ce viè a rompe li cojoni lì sotto ! » . Mentre che par­ lava il froscio si dimenticò di lui e tutto sorridente coi denti scoperti continuava a guardare un po' negli occhi e un po' in quel posto il Riccetto [ ... ] Il . «Ammazzete » disse quasi alleato «due non t'abbastano, che ? » . «N-no» fece i l froscetto, piegandosi u n po' s'un ginocchio come una bambi­ na che fa la mossuccia per averla vinta. «Ammazzete » ripeté il Riccetto « te piace de divertitte, eh? » 13•

A p. 242 i ragazzi fanno una spedizione al casino di Campo dei Fiori (anche in questo caso, l'episodio occupa diverse pagine, dalla 23 8 alla 245, e la 242 non sembra in nulla più scabrosa delle altre): Il Begalone e Alduccio se la battevano di nuovo alla svelta verso Campo dei Fiori, con le mani in saccoccia, e le magliette aperte che sventolavano sopra i calzoni, ma senza né scherzare né cantare. 12. RR I, p. 720. 13. RR I, p. 723. IIS

I DUE PASOLINI «Che, sei n'orno pure te ? » ripeteva camminando ingobbito Alduccio. «An vedi questo ! » gridava il Begalone fermandosi in mezzo alla strada e puntandogli contro la mano spalancata con le dita strette «che, ce sei ito solo te ce sei ito ?» «Mbè che c 'entra, lui l'aveva detto solamente a me, pe gentilezza! » disse Al­ duccio facendosi imbuto alla bocca con la mano. «Ah sei carino sei ! » fece il Bégalo riprendendo la marcia. «A 'ncefalitico» aggiunse poi battendosi con le dita sulla fronte. «E poi mica t'ho detto fò sortanto io» disse Alduccio «a scemo, t 'ho detto famo a testa e croce ! » . Nel frattempo, litigando, erano arrivati a Campo dei Fiori, con i l selciato tut­ to innaffiato ma con ancora qualche torso di cavolo e qualche coccia qua e là, e dei ragazzini che ci facevano ancora una partita a pallone colla palla di stracci. In fondo alla piazza, nell'ombra più scura, cominciava un vicoletto - ch'era via de li Cappellari -, con tanti portoni marci, dei voltoni e delle finestre sbilenche, e l'acciottolato infraccicato di vecchie pisciate. I due compari si misero sull'ultimo pezzo di luce prima dell' imboccatura del vicoletto, accanto a delle vecchie sedute alla porta di casa, sotto un lampione sganganato, e il Begalone cacciò uno scudo di metallo, lo rigirò tra i diti e lo gettò per aria. «Testa! » gridò Alduccio. La moneta picchiò sui sampietrini puzzolenti di pesce, rotolando presso un chiusino : il Bégalo e Alduccio dandosi spaliate e tirandosi indietro per le camicette che quasi se le sgaravano, si gettarono sopra a colubrina a guardarla. «Spetta a mme » gridò calmo Alduccio, e, tutto gonfio, imboccò per primo il vicoletto. Il Bégalo gli tenne dietro. L'unica luce sul selciato che pareva quello d'u­ na stalla, era la luce che veniva da qualche finestruccia incastrata tra le pareti livide, ed era una parola riconoscere la porta del bussolotto. Ma per fortuna era tinta d'un bel verde pisello, che uno l 'avrebbe riconosciuta tra mille e poi era mezza aperta e dava s'un corridoio di mattonelle bianche come quello degli alberghi diurni. Salirono su per la scaletta, e arrivarono sul pianerottolo del mezzanino; lì da una parte, proseguiva la scala, con un tappeto sfilacciato, sotto una volta bianca, mentre dall'altra si apriva la porta della saletta: nel mezzo c'era la cattedra della padrona. I due compari, siccome in quel momento lì neli' ingresso non c 'era nessuno e la porta della saletta era chiusa, continuarono tutti tranquilli a salire per la secon­ da rampa della scala. Ma li fermò un ruggito. «A6h, a disgraziati zozzi ! » Era la padrona che urlava, e così forte da rompersi la vena dell'orina. «An vedi questi » continuò «che ve credete d'esse a casa vostra ? » . Delle risate e delle voci ironiche seguirono quelle parole dalla saletta piena di fumo. E anzi due tre dei clienti che già stavano dentro s'erano alzati e s'erano venuti a appioppare ghignando allo stipite della porta. Il Begalone e Alduccio ridiscesero di corsa i quattro scalini che avevano fatto, e ridendo pure loro, si presentarono davanti alla signora, che intanto s'era andata a mettere, trascinando le ciancacce bolse, dietro al suo pulpito. Ma lei non scherzava 116

APPENDICE manco per niente, e neppure la serva, che le stava alle costole come un piattolone, tutta impaturgnata. « Questi cretini » , fece la signora, che ogni tanto parlava in italiano, perché, siccome era possidente, si considerava nel rango delle persone elevate. «Che, vole­ vate fa marchetta senza caccià na lira ? Robba da matti ! » . « A signa» fece conciliante i l Begalone « se semo sbajati » . « Sbajati u n c. . . » fece lei, che quando l a toccavano nei suoi interessi, parlava alla trasteverina proprio, con tutto ch'era di Frosinone : e allungò di brutto la mano verso di loro. Essi cacciarono le carte d' identità, e gliele fecero vedere ; poi, con due facce allegre malgrado la figura da fessi che avevano fatto, entrarono dentro la saletta piena di clienti, che fumavano e se ne stavano seduti sui divani lungo le pareti, rossi come gamberetti, per lo più con delle facce da vittime, zitti e ingrifati. Eccola lì, in uno sgabello imbottito, al centro della stanza, con due o tre zan­ zariere color menta intorno alla pancia, la vecchia siciliana che se ne stava seduta, fumandosi una sigaretta tutta impiastricciata di rossetto. I presenti se la squadravano in silenzio, e lei li guardava infregnata, in faccia, buttando boccate di fumo intorno, con le zinne che le arrivavano al bellicoso. Come entrò, Alduccio le si mise subito davanti, voltando le spalle alla clientela al completo, e facendo un segno colla capoccia, disse tra i denti «Namo» . "Sto broccolo", pensò i l Begalone, andandosi a mettere seduto s'un pezzetto di divano, "tutti questi è n'ora che sso' qqua, e nessuno c'annava, entra lui e manco entra e se 'a porta in camera!". Alduccio e la mignotta intanto se n'erano usciti e se n'erano andati su per la scaletta col tappeto sfilacciato. Il Begalone si mise a fumare, con una chiappa sopra e una chiappa fuori dal divano, accanto a due militari ci­ spadani mezzo rosei che non avevano detto una parola, rispettosi come se anziché essere al bussolotto fossero in chiesa. "Mo quello quanno riscende, l'anno der c ..." pensava nero il Bégalo. "M o si un'an tra v orta nun caccia 'a grana lui je lo fo piccolo er mazzo!" Diede le ultime tirate della cicca che gli scottava tra le dita, e la buttò sotto il divano, spiaccicandola col tacco. Tutto era regolare : la padrona nel corridoio baccajava con la serva; urlava co­ me se la sventrassero, e non si potevano distinguere bene le parole che diceva. «Tiette, a buciona! » le fecero - com'era regolare, dopo un po' di quella caciara - due o tre giovanotti in un angolo della saletta: e fecero una voce così bassa e sforzata che pareva che gli venisse fuori dalle budella, rompendogli le cor­ de del collo e facendogli schizzare il sangue dagli occhi: poi riprendevano subito l'espressione normale, e nessuno avrebbe potuto dire chi era stato. La padrona non li pensò per niente e continuò a gridare con la pinzòchera. Tutto era regolare, insomma. Dopo un po' svendettero altre due ragazze; una si mise a sedere sullo sgabello vuoto, l'altra sulle ginocchia di uno dei giovanotti che avevano gridato e poi s'erano subito azzittii, facendo certe facce da vittime che pareva che avessero appena ingollato l 'ostia santa. I due militari presero e locchi locchi se ne andarono, inseguiti dagli insulti delle due scaje; i più giovincelli ridevano fra loro rossi come 1 17

I DUE PASOLINI peperoncini, il puzzo del fumo, dei panni sudati e delle scarpe di pezza aumentava sempre più, ma pure questo era regolare. Quando tutt 'un botto ... In mezzo alla caciara della saletta, sopra la voce della padrona che lanciava gli ultimi pezzi della sua arringa, e delle ragazze che facevano la lagna, tutt 'un botto si sentì venire dali' alto una risata che non finiva mai. In principio, nessuno ci fece caso. Né la padrona, né le ragazze, né quei quattro soggetti dei clienti, né il Begalo­ ne. Ma poi visto che quella risata continuava, tutti cominciarono a drizzare un po' le orecchie. La padrona cominciò da dietro il suo banco a gettare qualche occhiata sospettosa verso l'alto, poi mise nel cassetto i soldi, che mentre gridava alla serva, non aveva smesso di contare, e andò fin sotto la rampa delle scale, guardando in su. Pure le ragazze s'azzittarono e le andarono intorno, tirandosi dietro gli strascichi di velo, con la ciccia che gli saltellava sotto la pelle odorosa di cipria e di fritto. I giovanotti di Panigo s'alzarono pure loro, e s'andarono ad accalcare davanti alla porta, appoggiati agli stipiti o uno addosso ali' altro. Gli altri clienti si assieparono dietro a loro, e per ultimo il Begalone, a tirare il collo per vedere cosa succedeva. Quella che rideva se ne stava ancora nella terza rampa delle scale, che spariva sotto la sua piccola volta di calce, oltre il pianerottolo dove il tappeto sfilacciato finiva. Ma, piano piano, scendeva gli scalini. Si doveva fermare ogni tanto, per but­ tare indietro la testa, o per piegarsi sulla pancia, a ridere meglio. Rideva forte, che la sentivano fin nella strada, eppure non tanto di cuore: faceva a-a-a-a-ah, un bel pezzetto, poi smetteva, e ricominciava l'a-a-a-ah su un tono più alto, che pareva che gli si dovesse intasare il gargarozzo, a quella sciamannata. Finalmente arrivò sul pianerottolo, e lì si rifermò, a ridere, di fronte al pubblico che la stava a guardare dal pianerottolo più basso. Per un po' la osservarono a bocca aperta, che si contorceva lassù, ormai senza più quasi voglia, ma, per dispetto, sempre più forte e sgangherata. «Ma se può sapé che c 'hai tanto da ride, a boccona! » gridò un giovanotto. Lei guardò lui e gli altri in basso, e rise in faccia pure a loro. «Fatte na risata su sta n ... ! » gridò un altro. Lei si risvoltò verso la rampa che non si vedeva, e senza smettere di ridere stril­ lò. «E daje, e sbrighete, che te ce vò 'a balia, te ce vò ? ». Alduccio allora comparve pure lui, accanto alla siciliana, sul pianerottolo, cercando a testa bassa un buco più giù nella cinta dei calzoni per stringerla. «Vatte a beve uno zabbajone » continuava lei tragli scoppi della sua sghignaz­ zata. «Vaffan ... » disse Alduccio fra di sé, a mezza voce, trovando finalmente il buco giusto della cinta. La siciliana scendeva giù piano per i gradini coperti dal tappeto, appoggiandosi con una mano contro la parete per ridere meglio, e lui le veniva die­ tro, come nascondendosi dietro di lei. Gli altri in basso, che avevano ormai sgama­ to, ridevano, ridevano pure loro, ma non tanto forte, con un po' di discrezione, e borbottando tra le risatelle : «Ma li mortaci tua, ma che sarebbe tutta sta moina ? » . Ma lei c i rifaceva, senza fantasia e per far rabbia a tutti, smascellandosi. «Tutta sta prescia » continuava a dirgli «e poi me manni in bianco. A-a-a-a-ah! » . «Co sta debolezza! » zagajò Alduccio, per dare una giustificazione, ma così piano che si 118

APPENDICE sentì soltanto lui. Già erano arrivati giù sul pianerottolo più basso, dov 'erano gli altri; la siciliana con dietro la sua risata isterica entrò nella saletta, facendosi largo in mezzo a quelli che s'erano radunati sulla porta, mentre Alduccio, senza avere il coraggio di guardare in faccia nessuno, incazzato nero, sbolognò subito giù per l'ultima rampa di scale, verso l'uscita, e il Begalone, pagata in fretta la padrona che già incominciava a strillare, gli corse dietro. «Mo se dovemo fà a pedagna 'a strada infino a 'a stazzione Termini, ce 'o sai sì ! » fece preoccupato a Alduccio, come l 'ebbe riacchiappato e si fu chiusa la porta del bussolotto dietro le loro spalle. «E che me frega » disse Alduccio. Se ne andava avanti senza voltarsi come un lupo rognoso con la coda incollata tra le cosce. Per via dei Cappellari non c 'erano che loro due, uno avanti uno dietro, rasente la facciata delle case con sopra due pa­ lanche di crosta di sporcizia zuppa d'umidità, nera, e bucate dalle finestrelle con gli stracci appesi : così stretta che allungando una mano da due finestrelle di faccia ci si poteva toccare. C 'era un buio che bisognava camminare come i ciechi. «Mo qqua si intruppamo» fece il Bégalo « annamo a sbatte 'a faccia su qualche pisciata » . Camminando quasi tentoni, e stando ben attento dove metteva i piedi tutt 'a un tratto sbottò a ridere. «Che c 'hai da ride ?» fece Alduccio voltandosi di brutto di sguincio. L'altro procedendo sul selciato che pareva spalmato di grasso continuava a sganassare. «Fatte n'antra risata! » fece Alduccio fiacco fiacco14•

I passi segnalati dall'accusa non contengono quindi particolari osceni­ tà (neanche, s' intende, dal punto di vista del « capo del servizio » che ha firmato la segnalazione emessa dal Consiglio dei ministri). L' impressione è che si voglia colpire il romanzo nel suo insieme, e per motivi ideologi­ ci - non molto diversi, paradossalmente, da quelli che avevano animato le stroncature al romanzo di sinistra (era stato Carlo Salinari a riconoscere come « contenuto reale » dell' interesse di Pasolini nel romanzo « il gusto morboso dello sporco, dell'abbietto, dello scomposto e ... del torbido » )15• La prima udienza si tiene il 1 8 gennaio 1 9 5 6 al tribunale di Milano, quar­ ta sezione, ma il processo viene rinviato perché i giudici non hanno ancora letto il libro. Fin dall' inizio del mese, Pasolini cerca di procurarsi testimo­ nianze in difesa del romanzo. Il 6 aveva scritto a Fortini: Caro Fortini, grazie per il tuo biglietto : è facile che tu possa servirmi da testimone, co­ munque devo ancora vedere Garzanti e stabilire un piano. E quanto al processo 14. RR l, pp. 72.9-35. 15. Citato da Naldini (1998, p. CLXXXI ) . Cfr. ora, sulla censura subita dal romanzo e il suo contesto, Armano (2.013). 1 19

I DUE PASOLINI è inutile spendere altre parole : non è che l'ennesima conferma di una vecchia vergogna•6•

A Fortini, poi, riscrive proprio il 18 gennaio, giorno della prima udienza (LE I I , pp. 1 5 2.-3), ma parlando d'altro, e senza più accennare alla cosa. Nel frattempo, il 12. dello stesso mese, a Garzanti comunica di essersi procu­ rato un «pezzetto -testimonianza di Moravia » . Sta anche preparando, per l'avvocato, « il pacco delle recensioni » , ma lo preoccupa la « multa per schiamazzi notturni » ricevuta nel 1 9 5 1 (l'episodio a cui si allude, fra l'altro, nel romanzo postumo Il disprezzo della provincia) una macchia nella fedina penale, che gli impedirebbe, nel caso, di godere della condi­ zionale•7: -

Caro Garzanti, eccole, per adesso, la citazione e, naturalmente, il consenso per l'avvocato Dell' Itala (si scrive così ?). Stasera le spedirò il pezzetto-testimonianza di Moravia, che ha accettato senza la minima titubanza di farlo. Come va ? Io passo da atroci pessimismi (lo sa che ho avuto una multa per schiamazzi notturni, a Chioggia, un ultimo dell'anno - cosa assurda -, per cui non potrei godere della condizionale ?) a fatui ottimismi. Intanto però lavoro : oltre ad alcune pagine del romanzo, ho scritto un « Recit » , sulla cosa: dei versi, dopo un anno e più che non scrivevo ... Ho qui il pacco delle recensioni: mi telefoni se devo spedirle prima all'avvocato, o basta che le porti il sedici con me•8•

Segue, puntuale, il pezzo di Moravia: Caro Garzanti, eccole la testimonianza di Moravia : molto bella e simpatica come vede. Mi telefoni o scriva se ci sono delle novità•9• Ali' udienza

del 18 gennaio è la difesa a chiedere un rinvio del processo, che viene fissato per il 4 maggio10• Il 13 marzo, Garzanti scrive a Pasolini di sperare in una « rettifica confidenziale » dell'accusa: I6. LE II, p. I4S· I7. Il «pezzetto-testimonianza » di Moravia (che non si è ritrovato) è spedito in effetti il giorno stesso, come risulta dal biglietto di accompagnamento (LE II, p. ISO). I8. LE II, p. I49· I9. LE II, p. ISO. 20. Proprio il I 8 Pasolini scrive, con apparente leggerezza, a Biagio Marin ( LE II, p. IS4): «Quanto a me, sì, ho delle noie : una citazione per Ragazzi di vita accusato da qualche imbecille di "contenuto osceno": il processo doveva essere il I8 ma è stato rinviato » e a Nico I20

APPENDICE Per quanto riguarda il processo : credo di aver ottenuto dalla Presidenza del Consiglio una rettifica confidenziale al Giudice Istruttore. Il processo non si può fermare, tutta­ via questa rettifica ci sarebbe comoda e permetterebbe di sfruttare meglio il processo per il libro. A questo scopo sarà bene raccogliere molti importanti giudizi e molte considerazioni di stima da parte della stampa. ( Ma attenda che io Le dia il via) 2.•.

L'udienza, poi, ha luogo, e Livio Garzanti invia ai giudici una lettera nella quale si assume l' intera responsabilità della decisione di pubblicare il libro (a essere citato in giudizio, era stato il padre Aldo): Sono io che mi occupo di tutto nella mia qualità di direttore generale, con ampi poteri di gestione e di rappresentanza; nella specie, ad esempio, sono stato io e soltanto io che ho stipulato il contratto con Pasolini e ne ho curato l'edizione. L' imputazione pertanto, se provata, dovrebbe far capo a me e non a mio padre, che nulla sapeva di questa pubblicazione.

È in sostanza un'autodenuncia, che comporta un ulteriore rinvio, per con­ sentire anche a Livio Garzanti di salire sul banco degli imputati, e che era stata preparata da grandi manovre, riuscite solo in parte. L' 11 aprile I 9 s 6, Garzanti aveva scritto a Pasolini: Venendo a Milano, mi farebbe piacere mi portasse qualche altra documentazione sulla fortuna critica del Suo libro al fine della causa che si dovrebbe discutere il I8, ma che penso verrà ancora rinviata e che, può darsi, non verrà mai discussa. Vorrei avere notizie sull' inchiesta fatta ( di cui vagamente ho avuto notizia ) fra gli scrit­ tori per un giudizio sulla Sua generazione e vorrei anche un' indicazione precisa sulla riunione presieduta da Schiaffini. Se Schiaffini potesse darle una lettera in cui, anche in poche righe, ricordi la riunione fatta, il risultato della medesima e, possibilmente, anche un giudizio sul suo libro, e sulla sua persona come letterato, farebbe cosa utile.

Pasolini lo aveva rassicurato già il I 3, e poi il 22 aprile. La seconda volta, con una specie di documento di preparazione bellica, nel quale compaiono altri nomi - Attilio Bertolucci, Maria Bellonci, Giacinto Spagnoletti, Arnaldo Bocelli, Giorgio Caproni, più interventi già pubblicati in rivista; e Giusep­ pe De Robertis e Alfredo Schiaffini, dei quali la difesa vorrebbe produrre una lettera di testimonianza: Naldini (LE II, p. 155): «Il 18 dovevo essere a Milano per il processo a Ragazzi di vita: ma è stato chiesto dai nostri avvocati il rinvio ». 2.1. AP, 381, 9· 12.1

I DUE PASOLINI Sarò su a Milano il 17 mattina, col materiale di difesa che Lei chiede (la rubrica della RAI, e, spero, la lettera di Schiaffini)ll. Caro Garzanti Le mando, qui da Parma, le trasmissioni RAI dedicate alla letteratura 1945SS (Contini, dattiloscritto, Bertolucci, sulla rivista "Criteri", Bellonci, Spagnoletti, Bocelli, Caproni, sulla "Fiera Letteraria": dove gli accenni sono anche bui, ma im­ portanti, soprattutto perché frequenti: infatti io sono stato sempre citato, anche in altri interventi, non poi pubblicati, che spero di avere dattiloscritti dalla RAI). Appena a Roma (domani lunedì) farò il resto (Schiaffini e De Robertis). Affettuosi saluti dal suo Pier Paolo Pasolinil3

Garzanti, come si vede, aveva in mente di mobilitare, accanto a scrittori (co­ me Fortini e Moravia, già contattati), anche alcuni accademici - Schiaffini, Ungaretti, Contini, e anche qualche altro, che magari si fosse già espresso a favore del libro. Contini era il maestro di sempre ; Schiaffini aveva presiedu­ to un dibattito radiofonico sull'ultima generazione di scrittori (quello a cui Garzanti alludeva nella lettera dell' 11 aprile, in LE I I , pp. 1 8 9-90 ) ; Ungaretti non aveva bisogno di presentazioni, probabilmente, per nessun giurato. Il 15 giugno Pasolini scrive a Contini: Carissimo Contini, il 4 luglio ci sarà finalmente il processo che sa. Garzanti (che sborsa credo un milione per l'avvocato) mi ha parlato chiaro : Lei deve procurare come testi Contini, Schiaffini e Ungaretti. lo gli ho promesso che avrei almeno tentato. Ed eccomi qui, più trafitto di un San Sebastiano. Lei ha due giornate, il 4 e il s Luglio da buttar via ? Se lo può fare senza gran danno, lo faccia, La prego. Vivo da cinque mesi con questa logorante linea di febbre, con questo richiamo all'angoscia: e non senza ragione, dato che Lei sa che c 'è il "precedente", e potrei proprio finire a San Vittore (a me non importerebbe niente, ma penso a mio padre e a mia madre). Intanto sto lavorando al nuovo romanzo ( « Una vita violenta » ) , con amore, ma anche con paura e sfiducia. Mi perdoni il tono - un po' ansioso, e quindi un po' ricattatori o ... Ma cosa devo farci ? La saluto col più grande affetto Suo P. P. P.l4 Ali' amico ricorda « il precedente »

(il processo legato ai fatti di Ramuscello, con l'aggravante di quello di Chioggia, nel 1 9 5 1 ), ed esprime preoccupazio22. LE II, p. I 89. 23 . LE II, p. 192. 24. LE II, p. 208. 122

APPENDICE ne per il contraccolpo che il nuovo fastidio giudiziario potrebbe provocare sui genitori. Alla lettera acclude il dattiloscritto della poesia Recit (o Récit, come sarebbe la grafia corretta in francese) : la poesia in cui Bertolucci, mes­ saggero come in tanti "recitativi" di Racine, gli dà la notizia del processo. Contini gli risponde il 23 dello stesso mese, dichiarandosi impossibili­ tato a partecipare all'udienza per motivi accademici: Carissimo Pasolini, quella data non poteva, secundum quid, essere scelta peggio. Non le risposi subito perché ebbi la Sua lunedì sul punto di partire per Perugia, e allora non ero bene informato della sessione di lauree. Ora ho acclarato che le tesi si svolgono dal 2 al 4 ( ce n'è anche una sulla mia disciplina) , dopo di che soltanto potrò salire a Domo. Mi spiace moltissimo di non poter venire a ripetere in Tribunale il giudizio che le diedi per radio, e che peraltro è fortunatamente stampato ( dato pure che il giudice avesse ammesso la mia testimonianza) . Mi sia indulgente e grazie dei versi. In bocca al lupo. Affettuosamente il suo Gianfranco Contini25

A Giuseppe De Robertis scrive lo stesso giorno di Contini, il IS giugno, con una analoga preghiera2.6: Gentile professore, il 4 luglio, pare, ci sarà finalmente il processo contro « Ragazzi di vita » . Sono cinque mesi che vivo con questa spina in cuore, questo senso di degradazione. È Garzanti che mi spinge a scriver Le, per chiederLe un favore. Lo faccio con grande fatica e vergogna, perché mi dispiace doverLe dare anche il minimo disturbo: ma non posso sottrarmi alla coazione di Garzanti ... Si tratterebbe di questo : al Congresso di Studi Romanzi, Lei mi aveva detto di star preparando una nota sulla «Popolare » 27: potrebbe tale nota apparire su "Tempo" entro il 4 luglio, con una parentesi richiamante e magari recriminante il processo al romanzo ? Garzanti e l'avvocato Dellitala [sic] attribuiscono a un simile intervento molta importanza, molta influenza sulla corte che deve emettere la sentenza - se si tratta anzitutto di dimostrare le mie intenzioni non «pornografiche » ( Dio mio ) ma « artistiche » ... 25. LE II, pp. 208-9. 26. Giuseppe De Robertis aveva pubblicato poco dopo l'uscita del romanzo una recen­ sione molto favorevole sul "Tempo illustrato" del 21 luglio 19 55. Pasolini però (è possibile che ci sia un errore di data) la cita già in una lettera inviata ai genitori da Ortisei, dove lavorava con Bassani a una sceneggiatura, che porta nell'edizione di Naldini l' intestazione «Ortisei, 1 8 luglio 1955» (LE II, p. 91). Forse è da leggere, invece di 18, 28). A De Robertis, Pasolini aveva scritto ringraziandolo il 21 luglio, ancora da Ortisei (LE II, p. 93). 27. Si riferisce al Canzoniere italiano. 12 3

I DUE PASOLINI Lo so che sarà una noia, per Lei, questa mia richiesta: e non oso insistere. Mi limito ad ottemperare il mio dovere nei confronti di Garzanti... E ne approfitto per mandarLe il più affettuoso saluto. Spero di rivederLa poi, magari, il sei o sette Luglio, al Forte, e magari in compagnia dei miei probabili testimoni, Schiaffini, Ungaretti e Contini... A presto, dunque, e accetti le scuse e i ringraziamenti del Suo dev.mo Pier Paolo Pasolini2.8

Anche De Robertis risponde con gentilezza, ma sottraendosi alla richiesta espressa con tanta urgenza ( « con grande fatica e vergogna » ): Carissimo Pasolini, Credevo, e così mi avevano detto, sepolta ormai la sua questione giudiziaria. Che malinconia a ricevere oggi la sua lettera! Ma che cosa è questa «Popolare » ? Io non ne so nulla, e ricordo che incontrandola a Firenze alla chiusura del Congresso di Studi Romanzi, non si parlò d'altro che dell'Antiporta di Leonetti, non per me « il più bel libro di ricordi di guerra » . Uno sbaglio della memoria ? Mi rassicuri, La prego. Con i migliori e più affettuosi auguri suo Gius. De Robertis

Il professore fiorentino sposta il discorso su una recensione che Pasolini credeva stesse scrivendo, e che avrebbe forse potuto contenere « una paren­ tesi richiamante e magari recriminante il processo al romanzo » . Afferma di non saperne nulla, e Pasolini il giorno dopo chiarisce l'equivoco, evitando la polemica, ma parlando di un « quiproquo da vaudeville alquanto tetro, invero » 2.9• Il 25 giugno 1 9 5 6, il bilancio dei contatti con gli amici accademici re­ datto per l'editore non è entusiasmante. C 'è qualche piccola, strategica e umanissima bugia (Pasolini dichiara a Garzanti di sperare nell'uscita del pezzo di De Robertis sul " Tempo" prima dell'udienza, quando sa già che non sarà così)30 e soprattutto una grande amarezza per l'assenza annunciata di Contini, con quello che significa e quello che, praticamente, comporta ( «A Ungaretti e Schiaffini ho scritto un biglietto solo oggi, perché solo oggi ho ricevuto la risposta di Contini: e io aspettavo il consenso di Con­ tini per far leva sugli altri due. Adesso non so cosa Schiaffini e Ungaretti risponderanno » ): 28. LE II, p. 210. 29. LE II, p. 214. 30. Cfr. LE II, pp. 210-1. 1 24

APPENDICE Caro Garzanti, si sta rapidamente avvicinando il 4 Luglio. Io sono ripreso dall'orgasmo. Quell'aula del tribunale, quel banco degli imputati ... Vorrei che Lei o l 'Avvocato, mi scrivesse dicendomi con precisione cosa c 'è da fare. L'Avvocato dovrebbe aver ricevuto in questi giorni la copia della sentenza dell'altro mio processo, che gli ho fatto spedire dal Friuli. Ho scritto a De Robertis per il pezzo sul " Tempo": speria­ mo che esca in tempo ... Ho scritto a Contini e mi ha risposto : «Carissimo Pasolini, quella data non poteva, secundum quid, essere scelta peggio. Non le risposi subito perché ebbi la Sua lunedì, sul punto di partire per Perugina; e allora non ero ben informato della sessione di lauree. Ora ho acclarato, che le tesi si svolgono dal 2 al 4 (ce n'è una anche della mia disciplina), dopo di che soltanto potrò salire a Domo. Mi spiace moltissimo di non poter venire a ripetere in Tribunale il giudizio che diedi per radio, e che peraltro è fortunatamente stampato (dato pure che il giudi­ ce avesse ammesso la mia testimonianza). Mi sia indulgente, e grazie dei versi. In bocca al lupo. ecc. » . Davvero i l 4 Luglio non poteva essere scelto peggio. È l a serata del Pre­ mio Strega, fra l 'altro. A Ungaretti e Schiaffini ho scritto un biglietto solo oggi, perché solo oggi ho ricevuto la risposta di Contini, e io aspettavo il consenso di Contini per far leva sugli altri due. Adesso non so cosa Schiaffini e Ungaretti mi risponderanno. Speriamo bene. Intanto Lei, lì a Milano, non potrebbe avvicina­ re Bo, a sostituzione di Contini ? Mi scriva subito, e riceva i più cordiali saluti dal Suo Pier Paolo Pasolini

La lettera a Schiaffini, da Roma a Roma, non è compresa nell'edizione di Naldini, e porta in calce, manoscritta, com'era abitudine del Pasolini epi­ stolografo, una data chiaramente errata ( « 2 S luglio 19 5 6 » - quando il pro­ cesso, cioè, era concluso da 20 giorni: è in realtà il 25 giugno, ma la mente di Pasolini va avanti, al processo) : Caro Professore, so n molti giorni che Le dovevo telefonare, ma mi è sempre mancato il corag­ gio. Il 4 Luglio ho il processo a Milano: Garzanti, che, mettendo i soldi, ha su di me dei diritti, m' impone di richiedere i testimoni : ossia, Schiaffini, Ungaretti e Contini. Io devo almeno tentare di farlo. Lo so che non è una richiesta da poco la mia : ma non posso evitarla. Se fosse per me solo non avrei il minimo pensiero : mi lascerei condannare tranquillamente, anzi, allegramente, se i giudici lo voles­ sero fare. Ma ho un padre e una madre in condizioni psicologiche atroci, dopo la morte di mio fratello e altre sciagure familiari : con questo non posso scherzare. Ecco perché me la prendo tanto, e forse sproporzionatamente, a cuore ; perché in questi giorni non sono riuscito a lavorare al nuovo romanzo. Non insisto più ... ché, oltre tutto, non vorrei parere ricattatorio ... Mi faccia sapere presto, 125

I DUE PASOLINI La prego, se si sente di affrontare questa noia; e riceva i più affettuosi saluti dal suo dev.mo Pier Paolo PasolinP•

La risposta di Alfredo Schiaffini non ci è conservata. Forse la lettera è stata scritta, di certo Pasolini non ne ha voluto al professore di storia della lingua, se nel 1 9 5 9, conclusa Una vita violenta, penserà di dedicarla a lui, oltre che a Ungaretti e Carlo Bo (glielo comunicherà ricevendo ne una lettera con la garbata preghiera di non farlo )32•• Il 4 luglio, finalmente, al tribunale di Milano il processo può essere celebrato. Questa la testimonianza di Livio Garzanti, nella trascrizione del verbale redatto dal cancelliere: Assumo la completa responsabilità della pubblicazione del libro. Secondo me il libro di Pasolini è una grande opera d'arte. Il libro ha ottenuto il premio Colombi­ Guidotti a Parma e arrivò secondo alla classifica del Premio Viareggio : Recente­ mente è stato fatto un contratto tra la Garzanti e un autore tedesco per la tradu­ zione del libro in lingua tedesca e inoltre pendono trattative per la traduzione del libro in Francia e in America.

E questa la testimonianza dell'autore, nello stesso verbale: lo non ho inteso fare un romanzo nel senso classico della parola, ho voluto scrivere un libro. Il libro è una testimonianza della vita da me vissuta per due anni in un rione a Roma. Ho voluto fare un documentario. La parlata in dialetto romanesco riportata nel romanzo è stata un'esigenza stilistica. Quando antropoformizzo la cagna ho voluto dire che molte volte i ragazzi purtroppo conducono la vita come animali. Nel titolo Ragazzi di vita ho inteso dire ragazzi di malavita. Nel descrivere i tre ragazzi che fanno il bisogno materiale ho voluto richiamare quel pretesto che ogni ragazzo sorpreso a rubare negli orti mette in ballo, e cioè ero andato solo per un bisogno. Nei dialoghi riportati ragiono con la stessa mentalità dei ragazzi

31. La lettera è conservata presso gli eredi di Alfredo Schiaffìni. 32. La lettera è su carta intestata dell 'Accademia dei Lincei e porta la data del 19 marzo 1959. È conservata in AP, 750, 3: « Caro Pasolini, mi accorgo che, col passare degli anni, sono sempre meno uomo di battaglia. La pregherei perciò di escludere il mio nome da quello degli amici che Lei vuole ringraziare nella dedica del Suo nuovo romanzo. Naturalmente in ogni occasione resto cordialmente Suo, Alfredo Schiaffìni » . Diversa la reazione di Carlo Bo, in una lettera del 26 marzo 1953: « Caro Pasolini, grazie del ricordo e della dedica, che accetto con piacere. Aspetto il romanzo ! » (AP, 97, 1). Una vita violenta, poi, esce con una dedica «A Carlo Bo e Giuseppe Ungaretti, miei testimoni nel processo contro "Ragazzi di vita" » (RR I, p. 819).

APPENDICE che sono i protagonisti del romanzo; anche nei discorsi indiretti, pur essendo io a parlare, cerco di pensare con la mentalità dei ragazzi e riporto in modo indiretto le battute dei ragazzi. Intendevo proprio presentare con perfetto verismo una delle zone più desolate di Roma.

La durezza del linguaggio e delle situazioni è dunque imputata a esigenze di realismo ( « non ho inteso fare un romanzo nel senso classico della pa­ rola » , «ho voluto fare un documentario » ) . Per difendere Ragazzi di vi­ ta, Pasolini indossa anche i panni del moralista, e adotta una strategia co­ mune nel difendere romanzi sotto accusa per aver rappresentato il male : sembra che il narratore condivida la « mentalità » dei « ragazzi che sono i protagonisti del romanzo » , ma lo sforzo mimetico non implica un'accet­ tazione. Quando nella scena sull'Aniene è antropomorfizzata una cagna, è per « dire che molte volte i ragazzi purtroppo conducono la vita come animali » . « Purtroppo » , appunto, e se i ragazzi hanno un comportamen­ to o un modo di parlare che può urtare chi legge, è perché il romanzo ha inteso «presentare con perfetto verismo una delle zone più desolate di Roma » . Alcuni dei punti toccati da Pasolini sono ripresi dai testimoni della di­ fesa - alla fine Pietro Bianchi, consulente letterario della Garzanti, e Car­ lo Bo, entrambi presenti in aula. Ungaretti non aveva potuto partecipare ali' udienza a causa di una grave malattia della moglie, ma aveva inviato una lunga dichiarazione ai giudici: Ho letto Ragazzi di vita, e stimo sia uno dei migliori libri di prosa narrativa appar­ si in questi anni in Italia. Questa mia convinzione l'ho dimostrata sostenendo il romanzo prima per il Premio Strega, poi per il Premio Viareggio, promovendo da parte di Letture Critiche, società che presiedo, un pubblico dibattito sul romanzo stesso. La discussione, diretta dal professar Schiaffìni, si concluse con la generale ammissione che si trattava di un libro casto. Le parole messe in bocca a quei ragazzi sono le parole che sono soliti usare e sarebbe stato, mi pare, offendere la verità, farli parlare come cicisbei. D 'altra parte è libero compito del romanziere rappresentare la realtà com'è. Non si può chiedere a uno scrittore che abbia coscienza dei suoi doveri di fare come lo struzzo o peggio di fare come l' ipocrita davanti a piaghe sociali tanto più esigenti una denuncia in quanto sono ragazzi e bimbi ad esserne le vittime più gravemente colpite. Pasolini non solo ha sentito con raro impeto dell'animo questo dovere, ma ha anche avuto il merito di sollevare sempre la sua narrazione ad un alto grado di poesia. Pier Paolo Pasolini è lo scrittore più dotato che oggi possediamo in Italia. Ogni sua attività: romanzo, critica, erudizione, poesia è prova di un impegno estre­ mamente serio ed offre risultati che onorerebbero chiunque. 1 27

I DUE PASOLINI Nel 1962, Livio Garzanti ricorderà questa testimonianza progettando di raccoglierla in un libretto (poi mai realizzato) su La moralita di Pasolini: Mi duole che Lei sia sempre tempestato da malignità umane. Io penso che in fondo ci sarebbe ormai motivo di pubblicare un libretto su La moralita di Pasolini. Si potrebbero raccogliere cose già scritte, la lettera di Ungaretti al processo, ad es., e testimonianze nuove, testi impegnativi, e possibilmente abbastanza lunghi. Potrei farmene promotore ? Volevo fare qualcosa del genere per un opuscoletto pubblici­ tario, ma ora m'accorgo che se la cosa va fatta, va fatta su un altro piano33•

Come Ungaretti, anche Carlo Bo si sbilancia in favore del romanzo, rila­ sciando una dichiarazione che nella trascrizione del cancelliere suona così: Il libro ha un grande valore religioso perché spinge alla pietà verso i poveri e dise­ redati. Non ho trovato alcunché di osceno nel romanzo. I dialoghi sono dialoghi di ragazzi i quali non si esprimono bene; e l'autore ha sentito la necessità di rap­ presentarli così come in realtà.

Le cose poi prendono un' insospettabile buona piega. Il dibattimento si conclude con la richiesta, da parte del Pubblico ministero, dell' assoluzio­ ne di tutti gli imputati, «perché il fatto non costituisce reato » . I giudici accolgono la richiesta e il libro, che per un anno era stato ritirato dalle li­ brerie, può tornare a circolare. La sentenza loda il clima in cui si è svolto il dibattito e «l' impegno dello stesso imputato, Pasolini, di giustificare la sua opera sul piano morale, di porne in luce il significato artistico, letterario, di p alesarne per così dire, la chiave e il motivo del conduttore » . La corte esclude « recisamente » che il romanzo possa « offendere il comune senso del pudore » e « tiene a sottolineare di avervi riconosciuto, al contrario, «pagine di autentico lirismo » 34• « "Brillante" (non si può dire di meno) » : così definisce Carlo Emilio Gadda, a due giorni dalla sentenza, l'esito di un processo « in cui il Procu­ ratore Generale stesso ha riscattato l'accusa »35•

33· AP, 381, 42. 34· In Betti (1 977, p. 67 ) 35· L'accenno al processo, con congratulazioni per come si è risolto, è in una lettera a Garzanti del 6 luglio 1956 (Gadda, 2006, p. 1oo). .

128

Documenti

Il promemoria per l ' avvocato Giacomo Delirala

Il testo che pubblichiamo, del quale si conserva una copia nel Fondo Pa­ solini del Centro Studi - Archivio Pier Paolo Pasolini della Cineteca di Bologna, è stato inviato da Livio Garzanti all'avvocato Giacomo Delirala. Nello stesso Fondo è anche una copia della lettera di accompagnamento di Garzanti, che porta la data del 24 aprile I 9 5 6: Chiarissimo Professore Le mando copia del promemoria. Venerdì vorrei farle avere tutto il materiale riunito in un album con commenti leggermente variati ma tratti da questi me­ moriali. I documenti del valore letterario del libro sono infiniti. Aumentano man mano che li vado cercando. I dati che Ella desiderava per i due testimoni sono : Pietro Bianchi ( Milano, via Moscova 40 ) e Attilio Bertolucci ( Roma, via Giacinto Carini 45 ) .

Dalla lettera si ricava, fra l'altro, che come testimoni della difesa erano stati indicati inizialmente Pietro Bianchi e Attilio Bertolucci. Non sono noti i motivi per cui Bertolucci, poi, è stato sostituito da Carlo Bo. Questo il testo del promemoria: La Presidenza del Consiglio, Ufficio del Libro, ha segnalato il romanzo di Pasolini pubblicato dall'editore Garzanti nella primavera del 1 9 5 4 alla Procura della Repubblica, ed è stata quindi fatta l 'imputazione all'autore e all'e­ ditore di avere, in concorso fra loro, al fine di farne commercio, scritto e messo in circolazione il romanzo summenzionato di contenuto osceno, segnatamente alle pagg. 47, 48, 1 0 1 , 1 3 0, 1 7 0 , 2 3 1 , 252. L' Editore ha poi saputo, in una conversazione privata, che il procedimento è stato promosso dal Ministero degli Interni. La Presidenza del Consiglio non ha fatto altro che il tramite. È cosa strana questa, perché capitò in precedenza un caso analogo per un altro libro e l'allora Sottosegretario alla Presidenza del RAG AZZI DI VITA,

1 29

I DUE PASOLINI Consiglio informò l 'editore e con molto tatto e con senso dell'opportunità, ri­ solse la cosa. L' incarico di difendere l' imputato è stato dato all'avv. Delitala, il quale sem­ brava ali' inizio essere certo che la causa sarebbe stata rinviata e poi risolta in Istrut­ toria. Oggi pare invece che la Magistratura, e soprattutto il Pubblico Ministero, siano sollecitati a discutere la causa con urgenza. È stata fissata la data del 4 maggio. Per quanto riguarda il carattere del libro, è da segnalarsi che il Pasolini, sia pure scrittore alle prime prove, ha avuto un buon successo di pubblico, ma soprattutto un interesse altissimo della critica. Furono fatte recensioni molto favorevoli al libro da parte di Carlo Bo, considerato da tutti cattolico militante e Rettore Magnifico all' Università di Urbino; di Giuseppe De Robertis, il quale, come Presidente di commissione gli ha affidato il Premio Colombi-Guidotti. Al Premio Viareggio il libro era, con Pratolini che poi risultò vincitore, il candidato favorito. Anche Emilio Cecchi sul "Corriere della Sera" ne riconobbe l'alto valore letterario. A Roma si sono tenute conferenze e discussioni sul libro di Pasolini e fra queste una presieduta dall'Accademico dei Lincei Schiaffini. D 'altra parte, l'autore, oltre che per questo suo libro, è noto anche come filologo di valore (vedi fra l'altro la An­ tologia della Poesia dialettale italiana uscita di recente dall'editore Guanda) . Da un' inchiesta fatta dalla RAI presso numerosi critici e letterati italiani, il libro di Pasolini ha avuto lodi da tutti ed è risultato il più importante fra quelli della nuova generazione. I testi sono stati pubblicati dalla "Fiera Letteraria" sulla cui tendenza non c 'è da dubitare1• I titoli di riconoscimento di quest 'opera sono moltissimi anche all'estero, do­ ve, pur non essendosi pubblicato per la notevole difficoltà della traduzione del romanesco con cui parlano i suoi personaggi, i maggiori editori ( da Gallimard a Knopf ) hanno scritto all'editore Garzanti lettere di grande interesse, chiedendo opzione per un prossimo romanzo2.. Il contenuto del libro è chiaramente quello di un libro d'arte, di un libro di non facile lettura ed è evidente per qualunque lettore, sia che lo approvi, sia che lo disapprovi, l' intenzione dell'autore di non fare pornografia. È anche evidente che l'editore, dati gli infiniti impegni che ha, non avrebbe potuto trovare vantaggi da un'opera pornografica e non l'avrebbe pubblicata comunque nella sua migliore collana di romanzi. Non vi è alcun compiacimento nell'autore e lo scandalo si 1. Strategica la segnalazione dei pareri a favore del libro da parte di studiosi legati all 'Accademia e comunque non in sospettose posizioni trasgressive, da Carlo Bo, cattolico e rettore dell' Università di Urbino, a Giuseppe De Robertis, professore di Letteratura italia­ na ali ' Università di Firenze, e Alfredo Schiaffìni, accademico dei Lincei oltre che professore all ' Università di Roma. Anche tra i premi, sono citati il Colombi-Guidotti, la cui giuria era presieduta da Colombi Guidotti stesso, e il Viareggio, al quale Ragazzi di vita si era piazzato secondo dopo uno scrittore consacrato come Vasco Pratolini. 2. L'epistolario documenta, in effetti, il precoce interesse nei confronti di Ragazzi di vita da parte degli editori stranieri. Cfr. RR II, pp. 84-5; 102; 11 3-1 14; 1 1 9.

DOCUMENTI può trovare soltanto in alcune espressioni violente le quali hanno ragion d'essere perché i personaggi che le pronunciano, parlano in dialetto e sono personaggi dei bassifondi. Queste considerazioni possono essere sufficienti pur non facendo, come si potrebbe fare, un confronto con altre pubblicazioni uscite in Italia nel passato. L' Editore rimane sconcertato di fronte all' irragionevolezza dell'accusa (vedi, fra gli altri, L 'amante di Lady Chatterlay, che fu accusato e poi assolto in Istruttoria e vedi soprattutto la storia di un libro uscito contemporaneamente a quello di Pasolini: Paolo il caldo, di Brancati, di gran lunga il più audace, e nel quale, nono­ stante il valore letterario indiscutibile dell'autore, vi è una rivelazione insistita di atti sessuali)3• Di fronte a questa situazione, l'editore ha cercato di non dare alcuna propa­ ganda ali' azione legale promossa per il libro e non vorrebbe atteggiamenti pubbli­ citari troppo forti e di protesta troppo chiara contro un atteggiamento governativo che può essere chiaramente interpretato come un' intenzione di ridurre la libertà del Paese, e in particolare la fortuna della nostra letteratura. La sentenza depositata presso la Cancelleria del Tribunale Civile e Penale di Milano il 17 luglio 1 9 5 6

Il testo che segue è quello della sentenza del processo a Ragazzi di vita, depositato presso il Tribunale Civile e Penale di Milano, sezione IV Penale (N. 3252/ 5 5 reg. gen., sentenza n. 1 8 0 8 del 4 luglio 1 9 5 6 depositata in Can­ celleria il 17 luglio 1 9 5 6 ) . L'estensore della sentenza loda i l « clima d i serena elevatezza » i n cui si è svolto il dibattimento, la « nobiltà degli interventi » , «l' impegno dello stesso imputato Pasolini per giustificare la sua opera sul piano morale » . Curiosi, nel testo depositato presso la Cancelleria del tribunale, gli scon­ finamenti sul terreno della letteratura: dalla discussione sulla pertinenza dell'etichetta di genere ( « forse del romanzo non ha le ambizioni, la struttu­ ra, il respiro » ), ai dubbi espressi circa l'esistenza di un protagonista ( « tutti, ad egual diritto, possono dirsi protagonisti del libro » ) o alla natura dei personaggi novecenteschi (quelli che « occupano gran parte della letteratu­ ra moderna » e hanno il favore degli « scrittori più repertati » : personaggi « immoti, discontinui, di sé diffidenti e degli altri » ) . L'estensore della sen3· I materiali relativi al processo contro il romanzo di Lawrence (accusa, difesa, te­ stimonianze) sono raccolti nel volume Processo a Lady Chatterlay , a cura di C. H. Rolph, Longanesi, Milano 1961. Paolo il caldo di Vitaliano Brancati, uscito da Bompiani nel 1955, non ha avuto denunce di oltraggio alla morale, forse perché postumo.

I DUE PASOLINI tenza apprezza il lirismo di certe pagine (in particolare le pp. 26-7 ; 63-4; 1 19-20 ): tutte, se si controlla l'edizione originale, chiuse di capitolo (l'epi­ sodio della rondine alla fine del primo ; la morte di Marcello alla fine del secondo ; i funerali di Amerigo alla fine del quarto) . Non si risparmia però critiche da tecnico : la « stonatura » della « citazione erudita di due versi a p. 85 » ( « un amen non saria potuto dirsi l tosto così com'ei furo spari­ ti » da Inferno XVI , vv. 89-90, per i ragazzi borseggiatori che tagliano per i giardini di piazza Vittorio, dileguandosi) ; la cattiva resa grafica del roma­ nesco - « un errore apostrofare la "c" davanti alla "à' » -, per es. che la "c" perda il suono duro. Piena, alla fine, la giustificazione dell'uso di «parole volgari, triviali, da suburra » : legittimate « in relazione alla psicologia dei giovani personaggi » , e non compaiono mai nel romanzo - come circostan­ ze ed episodi della narrazione - per il gusto del narratore di « indugiare o solo sostare su di essi » . RE PUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE E PENALE D I MILANO - S EZIONE IV PENALE

Sedente i Dottori MARAMOTTI GLORIANO PRESIDENTE

Trapani Pino Giudice Labruna Francesco Giudice estensore Ha pronunciato la seguente sentenza nella causa penale contro a. GARZANTI ALD O fu Livio e fu Fussi Maria, nato a Forlì il 4/ 6/1883 e residente a Milano Via Spiga n. 30 libero e contumace. b. PAS OLINI PIER PAOLO di Carlo Alberto e Colussi Susanna nato a Bologna il s/ 3/1922; residente a Roma, via Fonteiana n. 86 libero, presente. c. GARZANTI L IV IO di Aldo e Ravasi Sofia nato a Milano l ' I / 7 l I92I, ivi residen­ te a Via Spiga n. 1, libero, presente IMPUTATI

del reato p.e.p. degli art. 110.528 cod. pen. Per avere il primo ed il terzo quali editori ed il secondo quale autore, in concorso tra loro, stampato e messo in commercio il romanzo intitolato « Ragazzi di vita » di contenuto osceno segnatamente alle pp. 47/48 - IOI/ J30/J74/227/23 1/252.

DOCUMENTI A Milano dal 21 aprile 1955 in poi. In fatto e in diritto. 1. Il servizio spettacolo, informazioni e proprietà intellettuale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con sua lettera del 21 luglio 1955, segnala­ va, alla procura della Repubblica presso questo Tribunale, per gli eventuali prov­ vedimenti di competenza, il romanzo « Ragazzi di vita » , di Pier Paolo Pasolini, stampato presso l'editore Garzanti, assumendo che nella pubblicazione riscontrasi contenuto pornografico. 2. Tratti a giudizio, per rispondere dell' imputazione in epigrafe trascritta, Aldo Garzanti ed il Pasolini si mantenevano contumaci, ed il Tribunale, con ordinanza emessa all'udienza del 18.1. 1 956, rinviava il processo a nuovo ruolo, allo scopo di consentire ai componenti del Collegio la previa lettura dell'opera incriminata. 3· Sempre in contumacia dei due imputati, la causa veniva richiamata all'udienza del 18 aprile 19 56, ed il dibattimento veniva sospeso per impedimenti del Prof. Delirala difensore degli stessi. All'udienza del 4/5/1956, il Delirala esibiva al Tribunale una lettera, perve­ nutagli da parte del sig. Livio Garzanti, figlio di Aldo, che affermava tra l'altro: « Sono io che mi occupo di tutto nella mia qualità di direttore generale, con ampi poteri di gestione e di rappresentanza; nella specie, ad esempio, sono stato io e soltanto io che ho stipulato il contratto con Pasolini e ne ho curato l'edizione. L' imputazione, pertanto, se provata, dovrebbe far capo a me e non a mio padre, che nulla sapeva di questa pubblicazione » . 4 · Il P.M. fondandosi sul tenore della missiva prodotta, chiedeva l a rimessione degli atti al proprio ufficio, al fine di estendere l' imputazione al dr. Livio Garzanti, e il Tribunale in conformità decideva. 5· All'udienza odierna, si è proceduto in contumacia di Aldo Garzanti, ed in presenza di Pasolini e del dr. Livi o Garzanti, al quale il P. M. aveva esteso l' impu­ tazione di concorso nel reato di cui ali' art. 528 cod. pen. Interrogati gli imputati, sentiti i testi Bianchi e Bo, acquisite agli atti co­ pie fotografiche di recensioni intervenute sul romanzo in oggetto, raccolte le conclusioni del P. M. e della difesa, i quali hanno concordemente chiesto l' as­ soluzione di Garzanti, e del Pasolini «perché il fatto non costituisce reato» , il Tribunale, ritiratosi i n camera di Consiglio, e sostanzialmente aderendo alle istanze formulategli, ha emesso le decisioni che si leggono nel dispositivo più oltre riportato. A sostegno delle quali, si deducono i seguenti 133

I DUE PASOLINI MOTIVI 1. Il dibattimento si è svolto in un clima di serena elevatezza, sia per la natura delle questioni sottoposte al vaglio del Collegio, sia per la nobiltà degli interventi del P. M. e della difesa, sia infine, per l 'impegno dello stesso imputato Pasolini di giustificare la sua opera sul piano morale, di porne in luce il significato artistico, letterario, di palesarne, per così dire, la chiave ed il motivo conduttore. a) L'opera è intitolata « Ragazzi di vita » (e si intendeva dire, ha chiarito Pasolini, « Ragazzi di mala vita » ) ed è definita « Romanzo» . Forse del romanzo non h a l'ampiezza delle proporzioni quanto meno, l'u­ nitarietà della trama e l' incentramento dell'interesse dei lettori attorno ad uno o pochi personaggi. Forse del romanzo non ha le ambizioni, la struttura, il respiro. È tipico fenome­ no, anzi, della letteratura romanzata del dopoguerra (e si vuole di quella più nobile ed autentica, e non dell'altra, contrabbandata per buona, ma priva, in realtà, di temi, di ispirazioni, di contenuto valido, promanante dai così detti «produttori in serie »), il prescindere, a volte, da una trama, o, comunque, da una sequenza di nessi e di aspetti, che sia pure quale pretesto, valgano a dare uno sfondo ai personaggi che lo animano, e servono di ausilio al lettore nel seguirne o comprenderne le ascese, le perversioni, le sublimazioni, i decadimenti, o anche solo le peripezie; altro fenome­ no è quello di presentare, talvolta, i soli personaggi, pressoché esclusi e tagliati fuori, non solo dal contatto di altri uomini, appartenenti a cerchie e categorie diverse, ma anche dal contatto fra loro medesimi, della comunione con la natura delle cose, dalla possibilità stessa di redimersi e perfino di irrevocabilmente perdersi. E allora, è fatale che tutti, ad egual diritto, possono dirsi protagonisti del li­ bro; non si distingue più il personaggio di secondo piano e quello di contorno, ma tutti rimangono, d'altro canto, ignoti a se stessi, ignoti agli altri, inconoscibili, impenetrabili. La prateria, la via del tabacco, il ponte, la palude, il villaggio, la piccola città, o anche il sobborgo valgono, sì, a localizzare i primi impulsi, la loro ferocia, le loro inibizioni, e a volte anche la loro problematica, la loro generosità e le loro medi­ tazioni, ma costituiscono anche il confine simbolicamente invalicabile, il muro al di là del quale non v 'è tregua da sperare, o pace, o isola di sogni ma solo ignoto, smarrimento e tenebra. Questi personaggi, che vivono costretti in unioni necessarie, alle quali non sanno ribellarsi, in abitudini annose dalle quali non sanno scuotersi, in collusioni assurde ed umilianti, che hanno rinunziato alla loro dignità di uomini, o, forse, mai ebbero a conoscerla, che sanno, di rado patire, ma mai appresero cos'è l'angoscia ed il dolore, immoti, incerti, discontinui, vacillanti, di sé diffidenti e degli altri, occupano gran parte della letteratura moderna, conquistano sempre più il favore degli scrittori più reputati, godono quasi sempre, gli elogi della critica ed il plauso, se non la simpatia e l'entusiasmo del medio lettore. 134

DOCUMENTI b) Orbene, sia romanzo il libro di Pasolini, sia racconto, ed anche solo roman­ zatura, i "ragazzi" sono contraddistinti, di massima, da quella stessa apatia morale, immobilità, indifferenza, incapacità di perdersi coscientemente e di coscientemen­ te risorgere, di sublimarsi, di anelare, che li accomuna a tutti gli altri, ragazzi, o no, che fittamente popolano le manifestazioni artistico-letterarie dei nostri tempi. Questo si dica senza peraltro disconoscerne i valori stilistici, la caratteristi­ cità del gergo posto sulla bocca dei giovani protagonisti, la persistenza di esso nelle parti descrittive e non dialogate (quasi a voler significare un' ideale con­ tinuazione del colloquio, ed a rappresentare, quanto più fedelmente possibile, una meditazione od un monologo) e non senza dire che il Pasolini ha saputo dettare pagine di autentico lirismo, nelle quali si concludono, o dalle quali trag­ gono occasione, alcuni episodi, del romanzo (pp. 26/27; 63/ 64; I I 9 / 12o ). ( Una stonatura forse : la citazione erudita di due versi a p. 8 5 , come, sott 'altro profilo, meramente grafico, un errore apostrofare la "c" davanti alla "a" - per es., che la "c" perda il suono duro). c) Se tale, dunque, è il clima del romanzo, al quale non sono mancati ricono­ scimenti, plausi, recensioni favorevoli, o addirittura, lusinghiere, è in rapporto a codesto clima, al motivo che ispirò l'autore, alla natura e ai limiti dei personaggi, che va esaminato o vagliato il capo di imputazione. aa ) La pubblica accusa ravvisa il contenuto osceno un po' dovunque nel libro, e, segnatamente, alle pagine citate in rubrica. Ma che la pubblicazione possa definirsi oscena, deve essere recisamente esclu­ so dal Collegio. bb) E ciò sia perché le parole volgari, triviali, da suburra, continuamente pronun­ ciate, si giustificano in relazione alla psicologia dei giovani personaggi, agli istinti che li spingono, ai desideri che li muovono (e linguaggio volgare, d'altro canto non significa sempre osceno linguaggio) , sia perché nelle pagine particolarmente segnalate, anche se contengono esclamazioni poco ornate, e locuzioni dure e sca­ brose, l'autore non si indugia con malizia, od anche solo con compiacimento, a descrivere situazioni obiettivamente oscene, non adopera frasi o circonlocuzioni titillanti e pruriginose, non sollecita i bassi istinti, non pretende, né specificata­ mente richiama, l'attenzione del medio lettore su eventi, figure, accadimenti che rivelano la depravazione morale (o l' indifferenza morale) dei suoi ragazzi. Addita, sì, codesti avvenimenti, accenna, sì, codeste figure, tratteggia codeste situazioni, al fine di aggiungere un ulteriore elemento che consenta al lettare di apprezzare più compiutamente l 'episodio rappresentatogli, e di meglio, conseguentemente, valutario, soprattutto come indice del significato e della importanza di questo o di quel personaggio, ma non si vale mai, d'altro canto, di un aspetto riprovevole, di una circostanza ambigua, di una ambientazione equivoca, per indugiare o solo sostare, sopra narrazioni ed episodi atti ad offendere il sentimento medio del pudore. cc) il Pasolini, va, quindi, assolto (e con lui il dr. Garzanti) perché il fatto non costituisce reato. 135

I DUE PASOLINI Il sig. Aldo Garzanti, che è provato essere rimasto del tutto estraneo alla pub­ blicazione dell'opera, va assolto per non aver commesso il fatto. Dalle copie del romanzo va disposto il dissequestro. p.q.m. il TRIBUNALE D I MILANO letto l'art. 4 79 cod. proc. pen. assolve Pier Paolo Pasolini e Livio Garzanti dali' imputazione ascritta loro, perché non imputabili, in quanto il fatto non costituisce reato; assolve Aldo Garzanti dalle imputazioni contestategli per non aver commesso il fatto ordina il dissequestro delle pubblicazioni Milano 4 Luglio 1956 Maramotti, Trapani, Labruna est. Giorgi can.

Bibliografia

Abbreviazioni AP LE LE

= Archivio Pasolini, Fondo Pasolini presso l'Archivio Vieusseux di Firenze. I = P. P. Pasolini, Lettere I940-I954 , con una Cronologia della vita e delle opere a cura di N. Naldini, Einaudi, Torino 19 86. II = P. P. Pasolini, Lettere I9SS-I9JS, con una Cronologia della vita e delle opere a cura di N. Naldini, Einaudi, Torino 19 86.

Opere complete: = P. P. Pasolini, Per il cinema, a cura di W. Siti, F. Zabagli, con due scritti di B. Bertolucci e M. Martone e un saggio introduttivo di V. Cerami, 2 voli., Mon­ dadori ( "I Meridiani" ) , Milano 2001. R R I = P. P. Pasolini, Romanzi e racconti I946-Ig6I, a cura di W. Si ti, S. De Laude, con due saggi di W. Si ti e una Cronologia a cura di N. N aldini, Mondadori ( "I Meridiani" ) , Milano 1998. RR II = P. P. Pasolini, Romanzi e racconti I962-I975, a cura di W. Si ti, S. De Laude, Mondadori ( ''I Meridiani" ) , Milano 1998. SLA = P. P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull'arte, a cura di W. Si ti, S. De Laude, Mondadori ( ''I Meridiani" ) , Milano 1999. S P S = P. P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla societa, a cura di W. Siti, S. De Laude, Mondadori ( ''I Meridiani" ) , Milano 2001. T = P. P. Pasolini, Teatro, a cura di W. Siti, S. De Laude, con due interviste a L. Ronconi e S. Nordey, Mondadori ( ''I Meridiani" ) , Milano 2001. TP = P. P. Pasolini, Tutte le poesie, a cura di W. Siti, Mondadori, Milano 2003. PC

In forma abbreviata sono citati anche i titoli delle cartellette in cui Pasolini, fin da ragazzo attento archivista di se stesso, conservava manoscritti, dattiloscritti e ma­ teriali preparatori delle sue opere - cartellette color ruggine del formato di mezzo foglio, con un'etichetta autografa che ne indica il contenuto:

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BIBLIOGRAFIA A = Ragazzi di vita (1), presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma, con se­ gnatura Vitt. Em. 1556/1. (Articoli, saggi, ecc. ) = (Articoli, saggi, ecc. ) e raccontini romani I950, in AP. B = Ragazzi di vita (II), presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma con se­ gnatura Vitt. Em. 1556/2. Cartaccia romana = Cartaccia romana - («Le notti calde», «Testaccio», «Not­ te sull'Es», «Appunti per un poema popolare») (I950 -I95I) - Il Biondomoro (I950), al Fondo manoscritti di autori contemporanei dell' Università di Pavia. Il Ferrobedò = Il Ferrobedò (e altri romanzi e racconti, passati in parte in «Ragazzi di vita») (I950 -5I) , in AP. La notte brava - Storia burina - Mignotta, al Fondo manoscritti di autori contem­ poranei dell' Università di Pavia. Scartafoccio I954-I955, in AP. Riferimenti bibliografici

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AG OSTI G. ID.

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