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Italian Pages 196 Year 2020
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Patrizia Arena
Gladiatori, carri
e
Gli spettacoli nell'antica Roma
Carocci editore
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navi
1'
edizione, febbraio :z.o:z.o
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Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 11 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. è vietato
Indice
Introduzione I.
2.
3·
9
Una giornata al circo
17
I ludi circenses dalla repubblica all'impero Aspettando l'inizio dei ludi I giochi hanno inizio : la pompa circensis Gli spettacoli nella pista Le corse dei carri I cristiani e i ludi circenses
17 20 26
La popolarità delle corse dei carri
47
Status giuridico e prestigio sociale La carriera degli aurighi Omnium agitatorum eminentissimus I ministri e il naufragium Non sum Andraemone notior caballo: i cavalli celebri Le raffigurazioni dei cavalli La folla degli spettatori
47 49 52 56 59 63 66
Una giornata all'anfiteatro
69
Gli annunci e le fasi preliminari dei munera Lapompa amphitheatralis
69 72
31
37 43
8
4·
5·
GLADIAT O RI, CARRI E NAVI
Le venationes La damnatio ad bestias I munera gladiatoria I cristiani e i munera
75 82. 84 92.
I protagonisti dei munera gladiatoria
97
Le armaturae dei gladiatori Le gladiatrici Le scuole gladiatorie e il personale dei munera Lo status dei gladiatori La carriera dei gladiatori
97 102. 106
Le grandi naumachie imperiali
115
IlO
112.
L'introduzione delle naumachie a Roma Lo svolgimento dello spettacolo Flotte e combattenti n primo allestimento spettacolare La naumachia di Augusto La passione per le navi dell'imperatore Caligola Morituri te salutant: la naumachia di Claudio Nerone: due naumachie nello stesso principato Le naumachie per l'inaugurazione dell'Anfiteatro Flavio Gli allestimenti di Domiziano La naumachia di Traiano
115 116 118 12.0 1 2.5 132. 134 138 141 144 1 46
Note
1 49
Bibliografia
1 67
Indice dei nomi
185
Indice dei luoghi
195
Introduzione
Nell'antica Roma gli spettacoli, nelle loro molteplici forme - combatti menti gladiatori, corse di carri, rappresentazioni teatrali, naumachie non erano soltanto un modo per intrattenere il popolo, ma erano anche una componente fondamentale della religione, della politica e della cul tura, dalla fondazione dell'Urbe fino al tardoantico. Il volume è stato concepito come un agevole strumento per fornire al lettore un quadro d'insieme del sistema spettacolare romano, corredato di riferimenti alle implicazioni religiose, politiche, ideologiche e sociali sottese agli alle stimenti. Esplora in particolare i ludi circenses, i munera gladiatoria e le naumachiae, lasciando da parte i ludi scaenici, dal momento che per essi sarebbe stata doverosa un'indagine completa dei necessari riferimenti alla produzione letteraria e ai relativi autori, che esula dai fini di questo lavoro. I primi due capitoli sono dedicati agli spettacoli del circo che, nati in relazione ad antichissime feste di natura agraria, hanno subito una considerevole evoluzione nel corso dei secoli, divenendo un momento privilegiato per le epifanie dell'imperatore e della sua famiglia, una com ponente fondamentale del culto imperiale, un veicolo dell'ideologia di victoria e di aeternitas. Il terzo e il quarto capitolo sono incentrati sui munera gladiatoria, anch'essi di origine assai remota e collegati a rituali funebri caratterizzati dall'uccisione di prigionieri di guerra per i Mani dei membri delle gentes più importanti, che diventarono sempre più fre quenti, complessi dal punto di vista organizzativo, costosi e impressio nanti, tanto da essere identificati oggi dal grande pubblico forse come gli spettacoli per antonomasia dell'antica Roma. L'ultimo capitolo è fo calizzato sulle grandi naumachie, incluse tra i giochi per la prima volta in età cesariana, che comportarono l'escavazione di grandi bacini oppor tunamente monumentalizzati e si caricarono progressivamente anche di significati simbolici, connessi con la celebrazione dell'imperatore e della
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GLAD IATORI, CARRI E NAVI
sua famiglia, con l'espansione dell'impero, con l'interpretazione della storia passata e presente di Roma. La nostra indagine è stata condotta avvalendoci delle fonti letterarie, epigrafiche, iconografiche e archeologiche, per mettere in rilievo i diver si aspetti rilevanti di tali spettacoli e per offrire al lettore una rassegna della documentazione che è attualmente a disposizione di chi voglia ap profondire la conoscenza di questo specifico tema. Accingendosi alla lettura di un volume così concepito, bisogna consi derare come tali manifestazioni fossero parte integrante di un complesso sistema di relazioni e di comunicazione tra l'imperatore e il popolo e come fossero al servizio della politica fin dall'età repubblicana. nprinceps offriva al popolo di Roma spettacoli sempre più numerosi e imponenti, come dimostrazione della sua liberalitas, e ad essi presenziava insieme con i cittadini, come esempio della sua civilitas. Il popolo ricambiava la sua munificenza con espressioni di consenso e di ossequio nei con fronti sia del sovrano sia della sua famiglia. Esistevano, però, un codice di comportamento e una ben determinata prassi rituale che dovevano essere sempre rispettati. Il circo, come l'anfiteatro e il teatro, erano luo ghi nei quali il popolo poteva fare delle richieste precise all'imperatore, mostrare condivisione o disapprovazione riguardo alla politica interna o estera perseguita, esprimere favore o biasimo nei riguardi di personaggi politici o di membri del suo entourage, ma sempre entro limiti definiti e con modalità rituali preordinate. n popolo aveva, infatti, un suo ruo lo preciso nelle varie manifestazioni ufficiali, che connotavano ormai la capitale dell'impero, nelle quali i ludi occupavano una parte preponde rante. Come ha scritto Veyne (1984, p. 629) , «gli spettacoli diventano in molti modi un'arena politica, perché la plebe e il suo sovrano si trovano faccia a faccia: la folla romana onora il suo principe, pretende da lui dei divertimenti, gli presenta le sue rivendicazioni politiche, infine acclama o attacca il principe applaudendo o fischiando gli spettacoli » . Il popolo di Roma, durante l'impero, dimostrò grande apprezzamen to per la maestosità degli spettacoli gladiatori e per la munifìcentia impe riale, accordando il suo favore e il suo sostegno all'imperatore evergete, così come nella precedente epoca repubblicana li dimostrava all'editor muneris, magistrato in carica o privato cittadino che fosse. Durante la re pubblica l'organizzazione degli spettacoli gladiatori era stata una prero gativa dell'aristocrazia senatoria e rappresentava un dono che gli uomini di status superiore dovevano fare al resto della popolazione. Nel I secolo a.C. i munera diventarono uno strumento di cui si avvalevano i politici
I NTRODUZIONE
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p i ù ambiziosi allestendoli durante la loro edilità come supplemento ai !udi scaenici o circenses, che dovevano organizzare in funzione della loro carica. Ad esempio, molti di essi si procurarono un mero pretesto per l'al lestimento di un munus, commemorando un familiare che era deceduto molti anni prima. Gli spettacoli erano divenuti parte della competizione p olitica. Augusto diede una soluzione a questo processo innescatosi sul finire della repubblica con la moltiplicazione dei munera, dal momento che esso aveva conseguenze rilevanti in ambito politico. Regolamentò i munera di privati, proibendo che ne fossero organizzati senza l'autorizza zione del senato, che ne venissero predisposti più di due all'anno e che si p otessero esibire in uno stesso spettacolo più di 120 gladiatori. In questo modo ottenne una regolare editio annuale per i munera dei pretori e una decisa limitazione dei munera particolari editi dai privati. A Roma, così, p rogressivamente l'imperatore diventò l'unico ad avere il diritto di offrire munera straordinari, sottraendosi alla possibilità di competizione da par te di altri uomini politici e ottenendo il controllo di questo importante strumento per acquisire il consenso del popolo, così come avvenne per la p ossibilità di celebrare i trionfi a seguito di vittorie e di abbellire Roma con l'edificazione di monumenti ex manubiis. Non a caso Augusto stesso dedicò un capitolo intero nelle sue Res gestae agli spettacoli da lui offerti al popolo, a nome suo o di suoi familiari o di magistrati: Tre volte ho dato dei giochi gladiatori a mio nome e cinque volte a nome dei miei figli o dei miei nipoti; in questi giochi hanno combattuto circa diecimila uomini. Due volte a nome mio e tre volte a nome di mio nipote ho offerto al popolo degli spettacoli di atleti fatti venire da ogni parte. Quattro volte ho allestito dei giochi a mio nome, ventitré volte poi a nome di altri magistrati. A nome del collegio dei Quindecemviri, come presidente del collegio, avendo come collega Marco Agrippa, ho celebrato i Ludi Secolari, sotto il consolato di Gaio Furnio e Gaio Silano. Quando ero console per la tredicesima volta, per primo ho celebrato i Ludi Marziali, che in seguito, negli anni seguenti, hanno celebrato i consoli in virtù di un senatoconsulto e di una legge. Ventisei volte, a nome mio o dei miei figli e nipoti, ho offerto al popolo cacce di fiere africane, nel circo o nel foro o negli anfiteatri, durante le quali sono state uccise circa tremilacinquecento belve (RGDA, 22, trad. mia).
L'imperatore e il suo entourage controllarono in maniera decisa questo strumento di rappresentazione del potere imperiale e di rapporto pri vilegiato con la plebs. li princeps e i membri della sua famiglia erano gli unici a offrire al popolo i munera più spettacolari, contraddistinti da un
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GLAD IATORI, CARRI E NAVI
allestimento della durata di più giorni, con l'esibizione di gladiatori in numeri decisamente superiori a quelli consentiti per il munus pretorio, come i 1.250 che si esibirono in media in ciascuno degli otto munera augustei rispetto ai 120 consentiti ai pretori. Le naumachie organizzate a Roma a partire dall'età cesariana rispon� devano alla stessa logica e avevano finalità simili. L'imperatore destinava al popolo spettacoli inusitati e molto costosi, per i quali faceva costrui� re anche appositi bacini che contribuivano ad abbellire ulceriormente la capitale. Donava un intrattenimento che tutti desideravano vedere, confluendo in massa a Roma dai dintorni della città e da vari luoghi del� la penisola italica e dell'impero. Si trattava, al contempo, di spettacoli che veicolavano al popolo messaggi ben precisi concernenti i successi militari, l'estensione dei confini dell'impero, l'ideologia imperiale, una rilettura della storia contemporanea e di quella precedente. Nello stesso tempo i munera gladiatoria continuavano ad avere an� che altre ben precise finalità, spingendo gli spettatori a confrontarsi con alcuni dei temi fondanti del sistema valoriale romano. Uno di questi era la centralità dell'etica militare: i combattimenti dei gladiatori enfatizza� vano la base militare del predominio romano sul mondo. Le apparizio� ni ripetute nell'arena dei gladiatori delle classi dei Sanniti, dei Galli, dei Traci, degli essedarii permettevano alla folla convenuta per gli spettacoli di unirsi nella celebrazione della sconfitta definitiva di tali nemici. Le stesse performance dei gladiatori, nelle quali essi davano prova delle loro abilità, delle tecniche di combattimento, della resistenza e del coraggio, fornivano ai giovani romani insegnamenti sui valori fondamentali con� divisi a Roma. Le sfilate di animali esotici e le cacce sottolineavano il potere romano e l'estensione dell'impero ottenuta attraverso l'esercizio delle armi, ricordando nello stesso tempo ai provinciali quale era la loro posizione rispetto a Roma. Le esecuzioni pubbliche dei noxii nel conte� sto dei munera gladiatoria fungevano da deterrenti, mostrando che cosa accadeva a chi trasgrediva le leggi. In una riflessione sul sistema spettacolare romano bisogna conside� rare anche il tema del lavoro che in vario modo è connesso con ludi e munera. Come è stato messo in luce di recente, numeroso era il persona� le che lavorava per la preparazione degli spettacoli e durante il loro svol� gimento nella pista del circo, nell'arena dell'anfiteatro, nei bacini delle naumachie. Di varia tipologia erano i mestieri praticati, che in molti casi richiedevano competenze e abilità specifiche. Alcuni potevano portare alla notorietà, come quello di auriga e di attore, e all'acquisizione di una
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discreta fortuna economica, altri condannavano all'anonimato. Merito di vari contributi recenti è stato quello di aver consentito l'individuazio ne di questi mestieri e di chi li praticava, un ripensamento sulla conside razione di cui godevano nella società romana tali lavoratori e sulla stima che queste persone avevano di sé stesse, nonché sulla rappresentazione del proprio lavoro e della propria condizione sociale che volevano tra smettere agli altri attraverso monumenti funerari e testi iscritti. Al tema degli spettacoli nell'antica Roma, infatti, è stata dedicata nel corso del tempo una bibliografia ampia e di varia qualità scientifica. Ne gli ultimi vent'anni il circo, i ludi circenses e le corse dei carri sono stati oggetto di rinnovato interesse da parte degli studiosi, anche in conse guenza della pubblicazione nel 1976 del volume Le pain et le cirque. So ciologie historique d'un pluralismepolitique di Paul Veyne, tradotto poi in lingua italiana nel 1984, e della monografia Roman Circuses: Arenasfor Chariot Racing di John H. Humphrey nel 1986. Molteplici contributi, apparsi in successione diacronica, hanno avuto il merito di approfondire la conoscenza di vari aspetti del complesso mondo del circo. I lavori di Augusto Fraschetti, Lefeste, il circo, i calendari e Roma e ilprincipe, pub blicati rispettivamente nel 1989 e nel 1990, sono stati rivolti al tema della creazione di nuove firiae in età imperiale, connesse con l'imperatore e con la sua famiglia, spesso celebrate con l'allestimento di ludi circenses. Diversi articoli hanno permesso di ricostruire quale fosse la ripartizione dei posti a sedere nei vari edifici di spettacolo, dal teatro all'anfiteatro, al circo, a Roma e nelle province, consentendo di rilevare l'importanza in tali contesti di un'ordinata disposizione gerarchica degli spettatori, da quello di Jerzy Kolendo del 1981, La répartition des places aux specta des et la stratification sociale dans l'Empire romain, a quello di Elizabeth Rawson del 1987, Discrimina Ordinum: The Lexjulia Theatralis, a quel lo di Connie Rodriguez del 2.oos, The Pulvinar at the Circus Maximus, a quello della sottoscritta del 2.007, Il Circo Massimo come microcosmo dell'impero attraverso la ripartizione dei posti. È stato altresì evidenziato il legame esistente tra la domus imperiale sul Palatino e il sottostante Circo Massimo, fondamentale per comprendere l'ideologia imperiale e il cerimoniale, a partire dagli studi di Manuel Royo del 1999 e del 2.oo1, Domus imperatoriae. Topographie,formation et imaginaire des palais im périaux du Palatin (II' siecle av.J-C.-1" siede ap.J-C.) e Le Palatin entre le II' et le vr siede apr.J-C. Évolution topographique. I culti connessi ab origine con la vallis Murcia e il Circo Massimo, insieme con i relativi mo numenti, all'interno dell'edificio, sono stati oggetto di un'accurata rifles-
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GLAD IATORI, CARRI E NAVI
sione da parte di Francesco Marcattili nel libro Circo Massimo. Architet ture, funzioni, culti, ideologia, edito nel 2009. Anche la pompa circensis, la processione che apriva i giochi del circo, è stata presa in esame in vari studi, che hanno consentito di cogliere la sua evoluzione in età imperia le, sia nei suoi elementi costitutivi, sia nel loro ordine di apparizione nel corteo, sia nel percorso compiuto all'interno della città di Roma. Mi sia consentito citare, a tale proposito, l'articolo da me pubblicato nel 2009 The Pompa Circensis and the Domus Augusta (r't-2nd Century A.D.) e i capitoli relativi nel volume del 2010 Feste e rituali a Roma. Il principe incontra il popolo nel Circo Massimo, così come la recente monografia di Jacob A. Latham, Performance, Memory, and Processions in Ancient Rome: The Pompa Circensis from the Late Republic to Late Antiquity, pubblicata nel 2o1 6. Non si può omettere di ricordare anche i lavori fon damentali dedicati all'ideologia connessa con il circo e i suoi spettacoli, da quelli di Mario Torelli del 1984 e del 1992, Lavinio e Roma. Matrimo ni e riti iniziatici tra archeologia e storia e Le basiliche circiformi a Roma. Iconografia, funzione, simbolo, a quelli di Giorgio Vespignani, Simboli smo, magia e sacralita dello spazio circo del 1994, Il circo di Costantinopoli nuova Roma del 2001, Il cerimoniale imperiale nel circo {secoli IV-VI} del 2002. Di grande rilevanza è stata, poi, la pubblicazione nel 2oo8 del vo lume Le cirque romain et son image, curato da Jocelyne Nelis-Clément e Jean-Michel Roddaz, frutto del convegno internazionale tenutosi due anni prima a Bordeaux. Esso ha avuto il merito di riunire contributi di tipo più specificamente archeologico sul Circo Massimo e sugli edifici circensi nelle varie aree dell'impero romano ad altri sullo svolgimento delle corse dei carri e sull'organizzazione degli spettacoli nonché sull'i deologia, che hanno consentito una riconsiderazione generale del tema. Anche l'anfiteatro con i suoi giochi è stato oggetto dell'attenzione de gli studiosi in tempi recenti, con contributi dedicati ai più diversi aspetti dei munera. Fondamentale per la ricostruzione degli spettacoli gladia tori è stato lo studio di Georges Ville, La gladiature en Occident des ori gines a la mort de Domitien del 1981, con la cospicua raccolta di fonti antiche. Ad esso è seguito quello di Keith nopkins, Death and Renewal del 1983, al quale si deve il merito di aver messo in rilievo come gli spetta coli gladiatori siano un riflesso del tradizionale spirito bellicoso di Roma e come l'anfiteatro andò a costituire un luogo privilegiato per l'espres sione politica durante il periodo imperiale. Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso ha visto la luce anche la prima trattazione sistemati ca sugli edifici anfiteatrali dell'impero romano, a opera di Jean-Claude
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Golvin, dal titolo L'amphithéatre romain. Essai sur la théorisation de sa forme et de sesfonctions, con un'ampia discussione sul modello struttu ral e dell'anfiteatro. ll lavoro di Hopkins, che è stato un punto di svolta p er la comprensione del significato dell'anfiteatro e dei suoi spettacoli, è stato seguito da una serie di studi rilevanti che ne hanno approfondito i nuovi temi messi in luce. Thomas Wiedemann ad esempio, nella sua mo nografia Emperors and Gladiators del 1992, ha indagato le forme dell'in terazione tra imperatore e popolo nell'anfiteatro, suggerendo per altro l'idea che in questo luogo si avesse una rappresentazione ben ordinata della società e del mondo romano, che rispondeva a precisi scopi politici e ideologici. Altri studi sono stati incentrati sul tema della violenza, da quello di Donald G. Kyle, Spectacles of Death in Ancient Rome del 1998 a quello di Paul Plass del 1995• The Game of Death in Ancient Rome, e su quello della religione con un'indagine sulle connessioni tra l'arena e il culto imperiale, ad esempio nel volume di Alison Futrell, Blood in the Arena: The Spectacle of Roman Power, del 1997. Tra gli altri lavori si può citare anche il volume The Art of Ancient Spectacle del 1999 a cura di Bettina Bergmann e Christine Kondoleon, che ha riunito diversi con tributi su temi che spaziano dall'architettura all'arte, dalla religione alla storia sociale. Nel 2007 Katherine E. Welch è ritornata a un'indagine sull'edificio dell'anfiteatro, dalla sua nascita alla sua monumentalizzazio ne, alla sua canonizzazione come struttura peculiare, con la monografia The Roman Amphitheatre: From Its Origins to the Colosseum, riservando particolare attenzione alle origini degli spettacoli gladiatori e alla loro frequenza durante la media e tarda età repubblicana. Riguardo allo specifico tema del lavoro in connessione con gli spetta coli nel circo e nell'anfiteatro vanno ricordati i diversi contributi di Jean Paul Thuillier dedicati ai mestieri del circo, Auriga/agitator. Des simples synonymes? del x987, Le cocher romain, son habit et son couteau del 1999, Agitator ou sparsor? .A propos d'une célebre statue de Carthage sempre del 1 999, Du cocher a l'dne del 2oo4, Manilius (Astronomica, 5,67 sq.). Le co cher et les agitateurs del 2oo8, e quello di J. Nelis- Clément, Les métiers du cirque, de Rome a Byzance. Entre texte et image del 2oo2, che ne offre un quadro completo, così come i diversi volumi apparsi a partire dal 1988, intitolati Epigrafia an.fiteatrale dell'Occidente Romano, che forniscono una documentazione completa sul mondo dell'anfiteatro, e alcuni dei contributi di Maria Letizia Caldelli, quali Memoria ed epigrafia. Il pau per a Roma nel I secolo d.C.: un progetto in corso e Iprotagonisti della scena tra immagine e testo, editi rispettivamente nel 2012 e nel 2013.
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GLAD IAT O RI , CARRI E NAVI
Le naumachie, come spettacoli specifici e a sé stanti, sono state ogget to di studi più specialistici a partire dall'ultimo decennio del Novecento. Nel 1987 Jean-Claude Golvin e Michel Reddé hanno dedicato ai giochi acquatici e navali un'indagine in occasione del convegno Gladiateurs et amphithédtres, tenutosi a Tolosa e a Lattes, arrivando alla conclusione che non si trattasse di un genere autonomo di spettacoli. Nel 1989 è sta to pubblicato, poi, il primo studio sull'iconografia delle battaglie navali a cura di Filippo Avilia e Luciana Jacobelli, Le naumachie nelle pitture pompeiane. Kathleen M. Coleman nel 1993, con l'articolo Launching into History: Aquatic Displays in the Early Empire, ha dato un contri buto fondamentale agli studi sulle naumachie, rilevando che per que sto tipo di spettacoli fossero stati programmaticamente costruiti degli edifici appositi, destinati a caratterizzare l'impianto urbano di Roma e a durare nel tempo. Nel 20 06 è stata pubblicata la monografia Les spec tacles aquatiques romains di Anne Berlan-Bajard, nella quale l'autrice ha ricostruito non solo le nove grandi battaglie navali allestite nell'età imperiale e discusso dei bacini fatti scavare dagli imperatori per la loro ambientazione, ma ha anche preso in esame le altre tipologie di spetta coli acquatici, come le rappresentazioni mitiche, le esibizioni di animali acquatici esotici e le cacce acquatiche, mettendone in rilievo la valenza di strumenti al servizio del potere e della mistica imperiale che si andava formando in quel periodo. Nel 2009 è apparso l'altro importante studio sul tema, La naumachie. Morituri te salutant di Gerald Cariou, nel quale il giovane studioso ha ridiscusso tutta la documentazione archeologica riguardante la localizzazione e la struttura dei bacini per le naumachie, ha analizzato le fonti relative agli spettacoli di battaglie navali editi, a partire da Cesare fino a Traiano, e ne ha esaminato il significato in re lazione ai temi dell'espansione delle frontiere attraverso le conquiste militari, dalla sottomissione della barbarie alla dominazione di Roma sull'oikoumene, nell'ambito della rappresentazione del potere imperiale. Grazie alla successione di tali studi sulle naumachie è emerso un quadro complesso di questo genere autonomo di spettacolo, contraddistinto da allestimenti voluti, programmati e curati dagli imperatori, attraver so i quali erano veicolati al popolo di Roma specifici messaggi legati ad avvenimenti storici contemporanei, alla politica estera intrapresa, al l'ideologia della vittoria imperiale, con la finalità di assicurarsi consenso e ossequio.
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Una giornata al circo
I ludi circenses dalla repubblica all'impero
Il popolo di Roma nutriva una grande passione per le corse dei carri e aveva il privilegio di poter trascorrere innumerevoli giorni all'anno nel Circo Massimo a godere degli spettacoli qui allestiti dai vari magistrati per le diverse occasioni festive. Nel corso dell'età repubblicana i ludi cir censes in un anno erano 17, mentre quelli scaenici ben s 6, e costituivano parte integrante delle feste pubbliche che scandivano, nel calendario, il culto degli dèi. Secondo la tradizione annalistica, le corse dei carri furo no introdotte dai Tarquini in correlazione con l'istituzione dei ludi Ro mani per il culto di Giove Ottimo Massimo, contraddistinto da proces sione, sacrificio e competizioni equestri ( Bernstein, 2.007, pp. 223-4 ) '. I ludi Plebei furono introdotti nel 220 a.C. e organizzati nel Circo Flami nio nel Campo Marzio•. I ludi circenses, come quelli scaenici, rientravano nei ludi publici, istituiti, nel corso del tempo, in onore delle divinità, a seguito di voti compiuti per assicurare il bene della città nei maggiori momenti di crisi, tra v-rv secolo e m-n secolo a.C. ( Clavel-Léveque, 1986, pp. 2406-29 ) 3• L'età repubblicana fu scandita dalla moltiplicazione dei giochi votivi, promessi dai generali in caso di vittoria, e dal 205 a.C. tali ludi, organizzati dai comandanti militari per la promozione della loro carriera e per la loro autorappresentazione, vengono frequentemen te ricordati nelle fonti4• Nel periodo della tarda repubblica Silla e Cesare operarono un cambiamento di rilievo in tale prassi, con la creazione di nuove festività per la celebrazione dei loro successi personali. Dopo la vittoria di Porta Collina del I0 novembre dell'82 a.C. furono istituiti i ludi Victoriae e l'anno successivo per la ricorrenza furono allestiti ludi scaenici e circenses dal pretore Sex. Nonius Sufenass. Alla fine tali ludi an nuali furono estesi a più giorni, dal 2.6 ottobre al I0 novembre, e associati permanentemente alla persona del dittatore (ludi Victoriae Sullanae) ,
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GLAD IATORI, CARRI E NAVI
con circenses nell'ultimo giorno. Successivamente, Cesare istituì nuovi giochi pubblici per celebrare le sue vittorie militari, il 17 marzo quella di Munda, il 27 marzo la conquista di Alessandria, il 6 aprile la battaglia di Tapso, il 2 agosto quelle di Ilerda e di Zela, il 9 agosto quella di Farsalo (Degrassi, 1963, pp. 369, 426, 432, 437, 491, 493). Dal 45 a.C. furono crea ti anche i ludi Victoriae Caesaris, che si protraevano dal 20 al 30 giugno, con sette giorni di ludi scaenici e quattro di circenses. Iniziò, dunque, il processo di incremento degli spettacoli del Circo nel calendario festi vo. Nel periodo che va dalla tarda repubblica al principato augusteo il numero di ludi circenses allestiti annualmente conobbe un incremento costante e considerevole: si può plausibilmente arrivare a conteggiare quarantaquattro giorni di spettacoli del Circo sotto Augusto, visto che alle tradizionali feriae deum causa si erano aggiunte quelle hominum causa, ossia tutte quelle nuove festività create per celebrare eventi rile vanti nella vita sia pubblica sia privata dell'imperatore e dei membri della sua famiglia, come compleanni, matrimoni, nascita di eredi, adozioni, dies imperii, onori postumi decretati a principes e a loro familiari (Arena, 2010, pp. 48-so ). A questi vanno aggiunti altri, di numero variabile, che erano determinati da motivazioni occasionali, come celebrazioni di vit toria, inaugurazione di monumenti, cerimonie particolari volute dagli imperatori per commemorare avvenimenti di varia natura. Con Augu sto divenne abituale festeggiare il compleanno dell'imperatore regnante con corse di carri, venationes ed epulum, in uno sviluppo progressivo che va dal 20 a.C. al 14 d.C.; i ludi circenses annuali per la celebrazione del suo dies natalis furono istituiti definitivamente nell'8 a.C., forse per in tervento del senato (Arena, 2009a)6• Secondo questa prassi rituale, fu rono festeggiati con ludi circenses anche membri della famiglia imperiale e, dopo la sua morte, furono organizzate corse di carri per festeggiare il compleanno dei suoi successori. Per il compleanno di Tiberio, moderato rispetto agli spettacoli in generale, il 1 6 novembre, nel corso dei ludi Ple bei, fu aggiunta soltanto una biga in suo onore durante le gare equestri che erano organizzate normalmente per l'antica festività7; per quello di Caligola furono allestiti spettacoli particolarmente fastosi con circenses, venationes ed epulum, così come per il compleanno dell'amata sorel la Drusilla8• Anche il dies natalis di Claudio fu festeggiato nello stesso modo e, per suo volere, furono commemorati anche quelli di suo padre Druso e sua madre Antonia9• Secondo la nuova prassi, furono predispo ste nello stesso modo le cerimonie per i compleanni degli imperatori e le imperatrici nel corso del I e del n secolo d.C. Dal principato augusteo le
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corse dei carri divennero parte integrante anche degli onori funebri tri butati agli imperatori defunti, alle loro consorti e ai membri della domus Augusta morti prematuramente. Per il 17 settembre nei calendari fu re gistrata la consecratio del divo Augusto e in concomitanza si svolgevano i ludi circenses; Agrippina Maggiore fu onorata dal figlio Caligola con la commemorazione pubblica annuale della sua morte e corse di carri, così come Drusilla10• L'imperatore Claudio fece tributare a Livia, nel 42 d.C., onori divini e con essi ludi circenses". Lo stesso avvenne, poi, per Antonino Pio e sua moglie Faustina Maggiore, per Marco Aurelio e la sua consorte Faustina Minore". Alla fine del n secolo d.C. ben sedici giorni di gare nel Circo Massimo erano distribuiti nel calendario per commemorare i compleanni degli imperatori e delle imperatrici defun ti; nel periodo intercorrente tra il 218 e il 224 d.C. il numero aumentò ancora, arrivando a venti. A questi giorni vanno aggiunti tutti gli altri in cui erano organizzati ludi circenses per celebrare eventi specifici occorsi sotto i vari imperatori, come ad esempio quelli straordinari per la dedica del Foro di Traiano e della Basilica Ulpia nel n 2 d.C., i ludi Parthici isti tuiti da Adriano per commemorare la vittoria di Traiano, i decennalia di Antonino Pio, i ludi Saeculares del 204 d.C. e i decennalia di Settimio Severo (Arena, 2010, pp. 45-51). Alcuni imperatori nutrirono una passione per le corse dei carri tanto forte da organizzarle molto spesso e da parteciparvi essi stessi come auri ghi. Cassio Dione ne parla a proposito di Nerone in diversi luoghi della sua opera. Nel 66 d.C., in occasione della solenne cerimonia di incoro nazione di Tiridate, re d'Armenia, Nerone stesso si esibì pubblicamente sia come citaredo sia come auriga, indossando la divisa della squadra dei Verdi e l'elmo tipico degli aurighi; ancora nel 68 d.C., al rientro a Roma dal suo viaggio in Grecia, si mise in mostra come conduttore di carri, dopo aver fatto portare nel Circo Massimo tutte le corone che aveva vinto nelle competizioni in Grecia e tutte le altre che aveva conquistato primeggiando nelle corse dei cocchi''· Anche Commodo ebbe un gran de trasporto per le corse dei carri: si procurò cavalli da corsa e partecipò di persona alle competizioni come conduttore di quadrighe nel Circo'4• Caracalla a sua volta guidava carri anche nel Circo Variano. Alla metà del IV secolo d.C. i giorni di ludi circenses in un anno, sia in onore delle divinità del pantheon sia per le feste imperiali, erano di ventati ben sessantasei, come si può ricostruire dal calendario di Filo calo (Salzman, 1990, pp. n 9-20 ). L'elenco delle festività con spettacoli circensi, nel corso dell'età imperiale, diviene talmente fitto da poterne
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ricavare l'impressione che il princeps, assieme alla domus Augusta, tra scorresse una parte sempre più consistente del suo tempo al cospetto del popolo di Roma nel Circo Massimo, almeno quando si trovava nella ca pitale. Ciò accadde in virtù non solo dell'aumento progressivo dei gior ni di ludi circenses, ma anche per l'accrescimento dei missus giornalieri, ossia il numero delle corse programmato. Dai ro missus abituali sotto Tiberio si passò a 20 e a 24 con Caligola, che fu editor di innumere voli spettacoli a mane ad vesperum15• Tale numero fu mantenuto, poi, da Claudio, almeno fino al 46 d.C.16; con Nerone si arrivò a una sta bilizzazione di questa tendenza: gli spettacoli si protraevano per tutto il giorno, fino a tarda ora, con un conseguente aumento non solo del costo dell'allestimento delle corse in sé ma anche del numero dei premi per i cocchieri vincitori. L'incremento delle spese dei missus giornalieri insieme a quelle per i cavalli, che dovevano essere esemplari eccellenti, per i premi degli aurighi e per l'intero apparato, fecero salire in maniera esponenziale la curva dei prezzi. È stato calcolato un aumento del 1 40% della spesa tra il principato di Tiberio e quello di Caligola (Cavallaro, 1 9 84, pp. 75-9, r61-70 ) . Sotto gli Antonini e i Severi si seguirono le linee di sviluppo delineatesi in età giulio-claudia. Con Traiano alle calende di marzo del II2 d.C. i ludi circenses straordinari furono caratterizzati da ben 30 missus (Degrassi, 1947, pp. 201, 230 ) , come anche nel n6 d.C., quando pervenne al senato la missiva con la quale si annunciava la presa di Batnas e Nisibi (ivi, pp. 203, 232 ) . Per la celebrazione del compleanno di Adriano sono attestati 24 missus (ivi, p. 402 ) . Aspettando l'inizio dei ludi
Per gli spettatori e per i tifosi accaniti delle quattro fazioni del circo non soltanto il giorno o i giorni consecutivi dei ludi circenses erano impor tanti e impegnativi, ma anche quelli precedenti, perché comportavano mobilitazione e spostamenti, un certo livello di ansia, innumerevoli op portunità di incontri e discussioni. Già alcuni giorni prima dell'inizio dei circenses un araldo annunciava il programma dei giochi previsti e i nomi dei magistrati organizzatorP7• Da quel momento iniziavano ad affaccendarsi tutti i lavoratori che in qualche modo appartenevano al mondo delle competizioni equestri e ad accorrere nei pressi del Circo Massimo gli spettatori, abitanti di Roma e dei dintorni, della penisola e delle province, così come anche stranie-
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ri. soprattutto quando si trattava di eventi eccezionali organizzati con grande fasto e spese ingenti. Il programma veniva affisso e intorno ad esso si affollavano i curiosi che sapevano leggere e ne ripetevano il con ten uto agli altri che non erano in grado di farlo. In questo modo co minciavano a circolare i commenti non solo sugli spettacoli stessi'8, se si tr at tava di eventi inediti o eccezionali, sulle passate edizioni, sugli auri ghi famosi e sui cavalli che avrebbero concorso, ma anche sui magistrati organizzatori, sui loro rivali, sulla possibile presenza dell'imperatore e di membri della sua famiglia. Si discuteva animatamente sulla maestria degli aurighi e sull'abilità dei cavalli, sui quali i più appassionati e attenti erano ben informati'9• Gli scommettitori si trovavano in uno stato di incertezza, non sapendo se avessero fatto bene le loro valutazioni e se potessero correre il rischio di perdere le somme puntate'0• In questa fol la festante si potevano udire tutte le lingue e gli accenti. Convenivano nell'area anche artisti di strada, musicisti e cantanti, acrobati, funamboli, danzatori, venditori di varie mercanzie; aruspici, astrologi, cartomanti e maghi si assiepavano nei portici del Circo o intorno alla spina, dando responsi di vario genere a coloro che li consultavano e facendo profezie sul colore della squadra che avrebbe ottenuto la vittoria11• La notte che precedeva gli spettacoli era inquieta o addirittura con vulsa per molti di coloro che appartenevano alla plebe. Alcuni spettatori si introducevano nell'edificio per occupare i posti gratuiti prima dell'ar rivo della folla, dal momento che non tutti lo erano e non in tutti gli spettacoli. Scrive a tale proposito Ammiano Marcellino alla fine del IV secolo d.C.: In verità, tra la folla di infima condizione e miserabile ci sono alcuni che tra scorrono la notte nelle botteghe dei vinai, altri che si riparano sotto i velari pa rasole degli edifici di spettacolo, che Catulo, durante la sua edilità, imitando la mollezza campana, primo tra tutti ha fatto innalzare. Oppure essi litigano con accanimento giocando ai dadi, strepitando con turpi suoni, inspirata l'aria dalle narici rumorose. Oppure, quella che è la più grande passione tra tutte, dall'alba al tramonto si sfiancano al sole o alla pioggia, indagando minuziosamente le virtù e le mancanze di cocchieri e cavalli. Ed è davvero sorprendente vedere la plebe numerosa, penetrato un certo ardore nell'animo, pendere dall'esito delle corse dei carri".
Questo affiuire notturno poteva dare luogo a disordini, che necessita vano dell'intervento dei corpi militari, come avvenne in occasione di spettacoli offerti da Cesare'3 e di altri organizzati durante il principato
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di Caligola, quando l'imperatore fu talmente infastidito dal rumore pro dotto da coloro che di notte erano entrati nel Circo Massimo, che li fece cacciare con violenza dalle guardie, provocando il ferimento di cavalieri e matrone'4• Nottetempo, nella pista, presso le metae, potevano essere sepolte an che delle tabulae dejìxionum con maledizioni terribili lanciate contro cocchieri o cavalli delle squadre avversarie. In una tabella rinvenuta nel Circo di Cartagine, scritta in lingua greca e datata alla metà del I I I secolo d.C., si possono leggere le formule di maledizione e tutto ciò che si augu rava di male all'auriga, al cavallo e al carro durante la corsa: EREKISISPHTHE ARARACHARARA IPHTHISETHIRE EULAMO IOERBETH 10PAKERBETH IOBOLCHOSETH IOPATATHNAX ---- BASAAUM PANTATHNMAX THETHONI RINGCHOSESRO APOMPS PAKERBOTH PAKARTHARA IAKOU BIA APPSKOKECH NARTONTOULIPS OBRIOULEM EULAMO ---A KUMONA. ONA KUMMONA ----------A KBR KBRA PONTOULIPSA possedendo il frutto di Sodoma e Gomorra, lega, blocca, ostacola il [ ... ] che Eupreperia generò. Legate le membra, i tendini, [ ... ] il cuore, la mente, la ragione coi suoi cavalli nell'ippo dromo, soprattutto a Pelagos e Eua [ .. ] r[.]io, Euxodos e Virginios, auriga loro alleato [.. ] IS [.. ] AEN la debolezza da [ .. ] dell'auriga [ ... ] ostacolate loro tutte le membra affinché non possano correre né guidare il carro [ .. ] AIG [. ) MA [. ] A MEN e D ENEPSA [. ] oN [.. ] GMO, affinché i cavalli scritti [ ... ) su tutte le membra e i tendini11•
Cresceva un certo nervosismo e giungeva finalmente il giorno d'inizio dei ludi drcenses. n pubblico amante delle corse dei carri arrivava di buon'ora al Circo Massimo già carico dal punto di vista emozionale per una serie di fattori. Furor è il termine che, nelle fonti, soprattutto quel le cristiane, viene utilizzato per denotare questo peculiare stato d'animo proprio degli spettatori, a indicare la perdita del controllo, la frenesia, la follia che li pervadeva16• Fin dalle prime ore del giorno la maggioranza degli spettatori cominciava ad affluire, affrettandosi a recarsi nelle ta bernae che servivano da accesso al Circo, dove risuonavano le voci dei venditori. Esso presentava, infatti, un ambulacro di un piano solo, che correva intorno al perimetro dell'edificio e consentiva il collegamento tra l'esterno e le gradinate in alcuni fornici e in altri accoglieva delle taber nae. Le gradinate della cavea erano articolate su tre livelli, dei quali il pri mo era realizzato con materiali lapidei ed era riservato agli ordini sociali superiori, mentre il secondo e il terzo erano di legno ed erano assegnati al resto della popolazione. Coloro che appartenevano alle classi inferiori
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(plebsfrumentaria, schiavi e peregrini) dovevano necessariamente arriva re più presto degli altri, dal momento che erano obbligati a salire nella p arte alta dei posti a sedere, summa cavea e summa cavea in ligneis, nei settori loro riservati, più lontani dalla pista, in ottemperanza alle norme esi s tenti sulla ripartizione dei posti a sedere negli edifici per spettacoli. Una folla disordinata si muoveva tra i corridoi e i gradini: alcuni in dugiavano, altri andavano in una direzione e poi in un'altra, altri ancora tentavano addirittura di accedere ai posti riservati alle classi superiori, correndo il rischio di farsi richiamare e cacciare tra le ingiurie degli altri occupanti. Si potevano udire risate, commenti, schiamazzi, grida scom poste. Gli aspiranti amatores potevano approfittare dello spazio ristretto tra le file e tra i posti contigui per intavolare conversazioni galanti con le donne, che sedevano probabilmente insieme con gli uomini, anche se verosimilmente con una certa differenziazione nella promiscuità e nei settori a seconda del ceto sociale di appartenenza (Dimundo, 2003, pp. 83-90 )'7• Ovidio, nell'Ars amatoria, ci offre una vivace descrizione del comportamento di un corteggiatore galante che come avances utilizza le informazioni sullo svolgimento della corsa e il tifo per i cavalli di una determinata fazione: Non !asciarti sfuggire le famose corse dei carri: il Circo che contiene molto pub blico offre tanti vantaggi. Non c'è bisogno delle dita per dire cose segrete e un messaggio non devi riceverlo con cenni. Siediti vicino alla donna: nessuno te lo impedisce; unisci il tuo fianco al suo più che puoi. E sta bene, poiché è la linea di divisione che costringe, anche se non lo volessi, a restare attaccato, e per la costrizione del luogo devi toccare la donna. A questo punto, cerca il pretesto per un dialogo, e battute usuali offrano lo spunto alle prime parole : informati attentamente di chi siano i cavalli che avanzano, non perdere tempo, parteggia per quello per cui fa il tifo lei, qualunque sia'8•
I versi di Ovidio enfatizzano le ristrette dimensioni dei posti a sedere, che costringevano gli spettatori a stare addossati gli uni agli altri, e con sentono di riflettere sul fatto che questa promiscuità e le possibilità di contatti fisici accrescevano, in vario modo, l'e ccitazione del pubblico'9• Qualche precisazione sul numero dei posti a sedere nel Circo Massi mo può essere utile per comprendere gli stati d'animo degli spettatori e la confusione che regnava nell'edificio durante le gare (Forichon, 2012, pp. 170-2 ) . Secondo Dionigi di Alicarnasso, in età augustea, il Circo Massimo aveva 1 5o.ooo posti a sedere30• Secondo Plinio il Vecchio, i posti erano diventati 25o.o oo dopo l'ampliamento voluto da Nerone3'.
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Plinio il Giovane testimonia che, sotto Traiano, il numero dei posti fu accresciuto di s.ooo unità3'. Perciò, se la stima di Plinio il Giovane fosse corretta, i posti sarebbero stati 25s.o oo. Questi dati contenuti nelle fonti fanno pensare a un incremento progressivo dei posti a sedere. Gli studiosi contemporanei, dal loro canto, si sono interrogati su queste cifre e sull'ef fettiva capacità del Circo Massimo, arrivando a differenti conclusioni: Humphrey (1986, p. 126) fa una stima di 15o.ooo, considerando un posto a sedere di 40 centimetri di larghezza x so di profondità; Fauquet ( 2008, p. 291) reputa che fossero 13o.ooo; Rose (20os, p. u8, tav. 6) ha proposto una capienza massima di 22o.ooo spettatori, se i posti a sedere avevano le dimensioni di 3 0 x so centimetri; Vergnieux (2oo8, p. 240), sulla base di calcoli realizzati con la ricostruzione 3D del Circo Massimo, ha proposto una stima di 6o.ooo-10o.ooo, propendendo per So.ooo. Volendo fare un confronto con il mondo contemporaneo, negli stadi attuali la grandezza raccomandata per ogni posto è di so centimetri di larghezza x So di pro fondità, con un'altezza di 40 centimetri. n contatto fisico, gradevole o sgradevole che fosse, era dunque inevitabile. Mentre si accomodava ai propri posti a sedere in summa cavea, il po polo poteva non solo avere una veduta panoramica della pista, ma anche godere di quel particolare spettacolo offerto dall'entrata nell'edificio del le persone illustri, lasciandosi andare a commenti di vario genere. Aven do dei settori loro riservati, nelle prime file di posti progressivamente più vicini alla pista, più tardi e con maggiore calma arrivavano cavalieri, senatori, rappresentanti dei collegi sacerdotali, matrone. I senatori oc cupavano la prima fila o le prime file, presso la linea di arrivo, ai suoi due lati, dove si trovavano la loggia del magistrato organizzatore dei giochi e il pulvinar imperiale; Claudio nel 41 d.C., rifacendosi a una disposi zione legislativa preesistente, aveva assegnato ai senatori posti a sedere permanenti in specifici settori (Demougin, 1988, pp. 8o6 ss.; Trannoy Coltelloni, 1999, pp. 492 ss.). Accanto ai senatori erano autorizzati ad assistere agli spettacoli re stranieri e ambasciatori in visita a Roma. I cavalieri avevano i loro posti a sedere dinanzi a quelli della plebe, nelle prime file per tutta la lunghezza dell'arena; Nerone, infatti, aveva fatto togliere il canale dell'euripo per collocare al suo posto il settore riservato ai cavalieri33• Gli Augustali e le Vestali sedevano abitualmente nelle pri me file, verosimilmente a fianco dei posti riservati ai senatori34, e tutti gli altri che erano investiti di funzioni religiose dovevano accomodarsi ripartiti per collegia di appartenenza (Kolendo, 1 9 81a, spec. p. so; 198 1b, pp. 313-4). Qui, in posizione eminente e ben visibile, il pubblico poteva
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riconoscere e ammirare alcuni membri della famiglia imperiale, in par t icolar modo i giovani predestinati alla successione, che facevano parte dei più importanti collegi sacerdotali, come Marcello, Tiberio, Dru so Maggiore, Druso Minore, Gaio e Lucio, Germanico e Claudio, in età augustea. Anche le donne della famiglia imperiale potevano essere contemplate nelle prime file, sedute tra quelle eminenti, come è testi moniato ad esempio per Faustina Minore, moglie di Marco Aurelio35; si può postulare, invero, che le donne dell'ordine senatorio, o anche di quello equestre, si accomodassero in uno speciale settore, diversamente da quanto accadeva in precedenza. Livia, moglie di Augusto, sedeva tra le Vestali e tale onore contraddistinse le spose, le madri, le sorelle degli imperatori, come Antonia e Messalina36• Nel Circo Massimo, così come in tutti gli edifici per spettacoli, erano ribaditi visivamente la gerarchia sociale, l'ordine dello Stato romano, la preminenza di alcuni cittadini; le sue gradinate, così occupate, offrivano una rappresentazione visiva di grande effetto della gerarchia sociale esistente a Roma (Arena, 2.007; 2.010, pp. 103-45 ) . Lo spettacolo dato dal popolo universo che si riuniva nell'edificio per le corse dei carri non era soltanto di forte impatto acustico, ma anche visivo per un ulteriore aspetto: il circo, come il teatro, era un luogo pecu liare per l'ostentazione di speciali simboli onorifici, attribuiti a cittadini meritevoli, e di tutte le insignia dignitatis. Coloro che avevano ricoperto o ricoprivano magistrature indossavano la toga praetexta37, i trionfatori la corona d'alloro ma non l'ornatus triumphalis intero38, i soldati distintisi per il loro valore le corone militarP9• Quegli uomini che avevano otte nuto il privilegio della corona civica potevano indossarla in occasione di tutti i giochi e sedere in posti privilegiati accanto ai senatori e di fronte ai cavalieri; inoltre, al momento del loro ingresso nell'edificio adibito a spettacoli i senatori dovevano alzarsi in piedi ad applaudirli (Maxfield, 1981, p. 70; Rawson, 1987, p. 106 ) . I figli dei senatori indossavano il latus clavus; i figli dei cavalieri l'angustus clavus, almeno fino al principato di Caligola, quando fu concesso di indossare il latus clavus non più solo ai figli dei senatori, ma anche a un certo numero di cavalieri più ricchi che entravano nell'ordo senatorius prima di aver esercitato la questura o il tri bunato della plebe (Chastagnol, 1973, pp. 6oo ss.). Gli Augustali indos savano probabilmente gli ornamenta augustalitatis, quali toga praetexta e corona, e sedevano su sellae curules (Duthoy, 1978, pp. 1 2.67-8, 1 2.82. ) . I servi publici indossavano il proprio abito caratteristico, il limus cinctus (Eder, 1980, pp. 49, 106 ) 40• I liberti imperiali potevano esibire i partico-
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lari ornamenti che erano stati concessi loro dall'imperatore: Pallante, ad esempio, gli ornamenta praetoria, Narcisso gli ornamenta quaestoria41• Anche i principi e re stranieri ostentavano, in occasione dei giochi, gli ornamenti pretori o consolari ricevuti in dono dall'imperatore e poteva no così sedere tra i senatori ( Rawson, 1987, p. 92.). Lo "spettacolo nello spettacolo" appena descritto acquistava anche un'altra connotazione acustica aggiuntiva: l'arrivo progressivo dei sena tori dava luogo ad applausi e acclamazioni, secondo il costume abituale a Roma. La popolarità degli uomini politici dell'impero romano si misu rava, difatti, negli edifici per spettacoli attraverso queste manifestazioni di apprezzamento da parte del popolo, come ben sottolinea Cicerone in più di un luogo"•; nello stesso modo, però, potevano essere manifestati disapprovazione e biasimo nei confronti di personalità eminenti in par ticolari frangenti della vita politica ( Fraschetti, 1989, pp. 614-s; Parker, 1999, pp. 169-72.). In epoca imperiale l'entrata dell'imperatore nel circo era il momento più solenne: gli spettatori tutti si alzavano in piedi e applaudivano all'unisono al suo ingresso. Marziale, in un epigramma, prende di mira la folla dei presenti ai ludi circenses intenta ad applaudire l'imperatore Domiziano per così tanto tempo da perdersi ben quattro corse43• Del resto, anche a teatro avveniva la stessa cosa e analoga acco glienza era riservata ai membri maschi della famiglia imperiale, come testimoniato per Marcello, Gaio e Lucio"". I giochi hanno inizio : la pompa circensis
Tutti si sono ormai accomodati nei loro posti, quando entra nell'edificio il corteo della pompa circensis, che costituisce il vero e proprio rituale di apertura dei ludi: Ma ormai arriva la processione : tacete, lingue e cuori; è il momento dell'ap plauso: viene la splendida processione. Per prima, al posto giusto, viene portata la Vittoria con le ali distese : sta qui, o dea, e fà che questo mio amore vinca. Applaudite ora a Nettuno, voi che troppo vi fidate delle onde : io non ho nulla in comune con il mare ; mi trattiene la mia terra. Tu, o soldato, applaudi al tuo Marte : io odio le armi; a me piace la pace, e l'amore trovato in mezzo alla pace. Accanto agli auguri stia Febo, e Febe ai cacciatori; su di te, o Minerva, attira le mani degli artisti. Voi contadini alzatevi al passare di Cerere e del delicato Bacco; Polluce plachino i pugili, Castore i cavalli. Io, o dolce Venere, applaudo a te e ai tuoi fanciulli bravi nell'arco"1•
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Il poeta Ovidio, negliAmores, offre una descrizione del momento culmi nante segnato dall'arrivo della processione, quando agli spettatori è ri chiesto di porre fine alle chiacchiere e di applaudire al passaggio delle statue degli dèi. Ogni gruppo sociale prorompe in applausi per la propria divinità protettrice: i marinai per Nettuno, i soldati per Marce, gli auguri p er Apollo, i cacciatori per Diana, gli artisti per Minerva, i contadini per Cere re e Bacco, i pugili per Polluce, i cavalieri per Castore, gli innamora ti per Venere. Manifestazioni di tripudio rendevano ancora più sugges tionante il ritualè. Gli astanti, soprattutto coloro che attendevano da più ore l'inizio dei giochi, si eccitavano progressivamente all'incedere della processione, dato che il loro sistema nervoso e i loro sensi erano stimo lati dalla musica e dalla danza, tipiche della pompa circensis ( Forichon, 2 0 1 2, pp. 172.-3). Del resto, anche Cicerone aveva rimarcato che la musica aveva la capacità di influenzare il comportamento di un uditorio46• Gli effetti di questi due elementi, dal punto di vista emozionale, vanno som mati a quelli provocati dall'intenso fragore degli applausi, ben rievocato da Ovidio nei suoi versi. In tutte le feriae, in onore sia di divinità sia di uomini, che prevede vano l'allestimento di ludi circenses si ripeteva questa solenne e spettaco lare processione. Essa partiva dal Campidoglio, dove veniva offerto un sacrificio alle divinità, attraversava il Foro Romano e di qui proseguiva per il Circo Massimo, unendo con il suo percorso molte aree rilevanti dell'impianto urbano di Roma. il rituale si concludeva nell'edificio con un giro intorno alla pista e con la successiva deposizione delle statue de gli dèi e delle loro exuviae, i loro attributi, nel pulvinar+7• Le statue delle divinità originariamente erano portate a spalla, sufercula; con il passare del tempo furono condotte su appositi carri cerimoniali, così come le loro exuviae. Le fonti riportano esplicitamente che queste ultime erano trasportate sulle tensae, alti carri d'avorio e d'argento, coperti, trainati da quattro cavalli, guidati da pueri patrimi e matrimi48• A questa processione partecipavano diverse categorie di persone e la loro disposizione spaziale nel corteo seguiva un ordine fisso, risponden te a ben determinati criteri. Alla sua testa sfilavano su un currus i magi strati organizzatori dei giochi, indossando l'ornatus triumphalis, come il generale vittorioso nella pompa triumphalis49• Secondo la descrizione che ne fa Dionigi di Alicarnasso, il primo gruppo era quello dei giova ni a cavallo o a piedi, a seconda del loro rango e della loro origine, gli uni divisi in centurie e gli altri in decurie, un ordine che restituiva agli stranieri un'immagine di disciplina e di rispetto delle gerarchie vigenti
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nella città. Seguivano i cocchieri delle quadrighe e delle bighe, i desulto res che montavano su giovani cavalli, gli atleti che dovevano gareggiare; poi venivano i danzatori divisi in tre gruppi per età, uomini, giovani e bambini, vestiti di tuniche scarlatte, accompagnati dal suono del flauto e della lira, che eseguivano una danza simile alla pirrica cretese. Dietro di loro c'era un gruppo di Satiri e Sileni che imitava i movimenti seri degli altri danzatori e suscitava il riso degli spettatori, in modo analogo a quanto avveniva nella processione trionfale. Poi venivano i musicisti, i suonatori di flauto e di strumenti a corda, i portatori di bruciaprofumi, di vasi aurei e argentei, abituali nei sacrifici e nelle feste celebrati per il popolo. Chiudevano il corteo le statue degli dèi: sempre secondo Dio nigi, c'erano Giove, Giunone, Minerva, Nettuno, Proserpina, Lucina, le Ninfe, le Muse, le Ore, le Grazie, Bacco, e molti semidei, come Ercole, Esculapio, i Dioscuri, Elena, Fauno e altri ancora50• Ovidio, in età augu stea, annovera Vittoria, Marte, Apollo, Diana, Cerere, Castore e Poi luce, Venere, la quale, dato il tema della sua opera, ha maggiore rilievo rispetto alle altre divinità (cfr. Vespignani, 2001, pp. 49 ss.)51• A questo elenco si possono aggiungere anche Flora, Giano, Quirino, Sole, Luna, Salus, per i quali erano organizzati annualmente ludi circenses, come si evince dalle fonti letterarie ed epigrafiche (Salzman, 1990, pp. 1 8 1 ss.; Fauro, 1999, pp. 205-19 ) . In età repubblicana gli spettatori avevano ben chiara la percezione della valenza religiosa della processione del circo, alla quale si univano l'aspetto più profano delle competizioni equestri, dato dalla sfilata di au righi e cavalli famosi, di atleti e musicisti, e quello politico, determinato dalla maggiore o minore sontuosità dell'allestimento dei giochi a opera del magistrato organizzatore. Ma, sul finire della repubblica, essi furono sicuramente colpiti da un'innovazione significativa nella composizione del corteo : nella festività dei Parilia ( 2.1 aprile) del 45 a.C. la statua di Cesare sfilò insieme a quella del dio Quirino e il 20 luglio dello stesso anno, in occasione dei ludi Victoriae Caesaris, essa fu portata nuovamen te nel corteo, ma questa volta vicino a quella della Vittoria, come ricor da amaramente Cicerone (Weinstock, 1971, pp. 1 84 ss.)5•. L'oratore, pur nella sua concisione, evidenzia l'accostamento della statua della Vittoria a quella di Cesare stesso, per lui inopportuno, nella pompa circensis dei ludi Victoriae Caesaris, definendo acerba la processione organizzata per tale festività53• Si trattava degli onori straordinari conferiti al dittatore dopo la battaglia di Munda (ivi, pp. 40 ss.; Fishwick, 1 9 9 1, pp. 57 ss.)54• Di nuovo, cinque settimane dopo la sua uccisione, la sua statua fu por-
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rara in processione (insieme a quella di Romolo-Quirino) in occasione delle corse dei carri dei Parilia, fatte organizzare da Ottaviano per dare seguito a quanto era stato decretato in onore di Cesare e non mantenuto ( Benoist, 2000, pp. us-6)11• n resoconto di Cassio Dione concernente i vari onori decretati nel 45-44 a.C. dal senato per le vittorie di Cesare e, p oi, post mortem dai triumviri sembra evidenziare il fatto che la statua d'avorio di Cesare, sia quando egli era in vita sia da morro, fosse esibita i n occasione di tutti i ludi circenses ricorrenti nel calendario romano16• Il popolo di Roma si abituò a vedere sfilare nella pompa inizialmente la statua di Cesare e poi un suo cocchio completo. Questo si configurava come il primo utilizzo nella processione di uno specifico tipo di carro cerimoniale, probabilmente diverso da quelli usati per le statue degli dèi e contraddistinto da elementi mutuati dal carro trionfale; era altresì il p recedente diretto dei carri usati in seguito per il trasporto della statua di Augusto e degli altri divi17• Gli spettatori ne dovettero percepire la va lenza religiosa, poiché si trattava dell'inizio di una pratica rituale molto particolare che conobbe diversi esiti e ridimensionamenti nel corso della successiva età imperiale, appunto quella di far sfilare nella processione circense anche le statue degli imperatori e dei loro familiari defunti in sieme alle immagini delle divinità. L'inclusione dell'immagine del ditta tore vivente accanto alle statue delle divinità aveva un preciso significato e metteva in evidenza lo status quasi divino o divino di Cesare in vita, a seconda delle diverse interpretazioni delle fonti date dagli studiosi, e divino dopo la sua consecratio, come rivelano le parole di Cicerone, Sve tonio e di Cassio Dione. Lo spettacolo offerto dalla processione ai Romani divenne ancor più denso di risvolti politici e ideologici, e perciò più impressionante, du rame i principati di Augusto e di Tiberio. n pubblico poté ammirare nel corteo anche le statue dei giovani principi della famiglia imperiale, destinati alla successione ma morti prematuramente. Le raffigurazioni di Marcello nel 23 a.C.SS, di Druso Maggiore nel 9 a.C., di Gaio e Lucio nel 2 e nel 4 d.C.19, di Germanico nel 19 d.C.60 e di Druso Minore nel 23 d.C. sfilarono insieme alle statue del divus Iulius e degli dèi. Nella processione erano portate anche le loro sellae (seggi) e le loro corone, che venivano p oi collocate in determinati posti a sedere all'interno del Circo. Nel 14 d.C., alla morte di Augusto, si aggiunsero al corteo la statua del divus Augustus e l'armamaxa su cui essa era adagiata. Quest'ultima era un tipo di carro particolare, trainato da quattro elefanti, decorato in modo son tuoso, con trono sormontato da un baldacchino6'. La statua con corona
GLADIATORI, CARRI E NAVI radiata di Augusto, con ramo d'alloro e scettro, seduta in trono su un carro decorato trainato da quattro elefanti è raffigurata su sesterzi emes si sotto Tiberio nel 34-36 d.C. ed è accompagnata dalla legenda DIVO AVGVSTO s(enatus) P(opulus) Q.(ue) R(omanus). Svetonio, a proposito degli onori divini decretati a Livia, attesta che le fu riservato nellapompa circensis l'onore del carro trainato da elefanti, simile a quello di Augu sto6•. Anche Cassio Dione conferma che la statua del primo imperatore sfilasse abitualmente su questo tipo di carro in un passo in cui lo storico narra un funesto episodio avvenuto durante un allestimento di ludi cir censes in età neroniana, dopo il matricidio: gli elefanti che trainavano il carro di Augusto nella processione, una volta arrivati all'altezza dei posti riservati ai senatori, non vollero proseguire fino a dove era seduto l'im peratore nel giro abituale compiuto dal corteo processionale all'interno della pista63• Il fatto che l'imago dell'imperatore defunto sfilasse su uno specifi co carro si spiega agevolmente: esso era nella cultura greco-latina un simbolo di potere e legittimazione, di vittoria, di grandezza auspicata per il futuro ; consentiva all'auriga il passaggio tra dimensioni cosmiche diverse, così come alle divinità di cui era l'attributo ( Sole, Luna, Nettu no/Poseidone, Cerere ) permetteva il passaggio in luoghi ultraterreni ( Marcattili, 2009, pp. 1 50-4 ) . Il carro trainato da elefanti, inoltre, de rivava dalla fusione del tipo del carro gigantesco, proprio della gran de processione di Tolomeo II, con la quadriga di elefanti, propria del corteo funebre di Alessandro Magno ; esprimeva ancora meglio della tensa uno dei cardini dell'ideologia imperiale : la divinizzazione dell'im peratore defunto, cui è connessa di riflesso una condizione sovrumana dello stesso imperatore regnanté4• L'elefante nell'immaginario romano si connotava come animale celeste, votato al Sole e alla Luna, simbolo di eternità per la sua longevità e della vittoria sulla morte per il suo le game con Dioniso65• Era indissolubilmente legato anche all'imperatore, che era l'unico in diritto di possederlo, in quanto manifestazione non solo della potenza terrena del princeps, ma anche soprattutto della sua "energia celeste", della sua eternità ( Guey, 1 947; Toynbee, 1973, pp. 39 ss.; Scullard, 1974, pp. 254 ss. ) . Anche le donne della famiglia imperiale ebbero le loro statue con spe ciali carri ( carpentum, armamaxa) nella pompa circensis che si aggiunse ro progressivamente. Alla fine dell'età giulio-claudia i Romani si erano abituati a vedere rappresentata, nel corteo processionale, l'intera dina stia, con i divi, le divae e gli altri membri defunti della domus Augusta.
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Già al termine del I secolo d.C., e ancor più nel n secolo, il popolo R di oma poteva contemplare nella processione circense una domus Au gusta molto numerosa che si era trasformata in domus divina, costituita dall e imperatrici e dagli imperatori defunti, che avevano ricevuto la con secratio, dagli eredi al trono morti prematuramente, dalle madri, dalle sorelle, dalle figlie degli imperatori, divinizzate e non divinizzate. Si pos sono annoverare Agrippina Maggiore, Drusilla, Livia, Antonia (madre di Claudio), probabilmente Claudia e Poppea (figlia e moglie di Nero ne), Claudio e suo figlio Britannico, Vespasiano e sua moglie Domicilia, Tito e sua figlia Giulia, Nerva, Traiano, sua sorella Marciana, Matidia, Plotina, Sabina, Adriano, Faustina Maggiore, Antonino Pio, M. Annio Vero e Lucio Vero, Faustina Minore, Marco Aurelio, Pertinace (Arena, 2 010, pp. 6?-73). Gli spettacoli nella pista
Il circo, nell'impero romano, era il più maestoso degli edifici per spetta coli: la pista del Circo Massimo era due volte più grande di quella del lo stadio, dieci volte più dell'arena dell'anfiteatro e venti volte più della scena del teatro. Esso aveva le dimensioni eccezionali di 580 metri di lunghezza e la corsa delle quadrighe era qui la competizione regina degli spettacoli. Si è calcolata in 5·335 metri la distanza percorsa dalle squadre in gara, in un tempo di 12 minuti e 48 secondi, nei sette giri di pista previsti per ogni singola competizione, dunque una distanza e dei tem pi davvero ragguardevoli per il mondo antico (Thuillier, 1999a, 2003, 2oo 8b, p. 459; Nelis-Clément, 2002, p. 280 e nota 59). Nella pista gareggiavano equi simpli, bighe, trighe, quadrighe, seiu gae, equi desultorii. Grande maestria richiedeva la guida delle quadrighe e delle seiugae e, non a caso, termini diversi venivano impiegati in lingua latina per indicare il cocchiere capace di guidare bighe e trighe e colui che, con maggiore abilità, era in grado di condurre la quadriga o addirit tura un tiro a sei, auriga (o bigarius) il primo e agitator (o quadrigarius) il secondo (Thuillier, 1987, 1999a; cfr. anche Horsmann, 1998). I cavalli e gli aurighi erano i protagonisti della scena, ma sarebbe riduttivo affer mare che questo era il solo spettacolo di cui poteva godere il pubblico assiepato sulle gradinate. Bisogna tener conto, in realtà, anche di altre tipologie di competizione che avevano luogo nel Circo Massimo e dello "spettacolo nello spettacolo".
GLADIATORI, CARRI E NAVI Le corse dei carri si svolgevano in vario modo, con uno, due o tre equipaggi che competevano per ciascuna fazione contemporaneamente (certamina singularum, certamina binarum, certamina ternarum) e in tal modo in una medesima gara si potevano vedere nella pista quattro, otto o dodici equipaggi in competizione, poiché le fazioni erano quat tro, dei Bianchi, dei Rossi, dei Verdi e degli Azzurri (Humphrey, 1986, p. 137 ). Se la maggioranza delle corse nei programmi ordinari era costitui ta da quelle con più equipaggi per squadra, di contro la corsa singola, in cui un auriga si contrapponeva a un altro auriga, era quella più apprez zata, in quanto consentiva al singolo cocchiere di rivelare il suo valore individuale e di acquistare grande popolarità (Harris, 2.014, p. 300 ). li famoso agitator Gaius Appuleius Diocles ottenne, infatti, 1.064 vittorie in competizioni singolé6• In una giornata di ludi circenses gli spettatori potevano assistere non solo alle corse dei carri, ma anche a quelle dei desultores, quantitativa mente minori rispetto alle altre e con un numero di partecipanti più ristretto. Costoro erano cavalieri acrobati che partecipavano a due ti pologie di prove equestri: nella prima, cavalcavano su un cavallo, poi saltavano giù e terminavano la corsa a piedi (e per questo motivo sono denominati cursores nelle fonti epigrafiche) ; nella seconda, si esibivano con due cavalli contemporaneamente, saltando dall'uno all'altro (Thuil lier, 1989a; 2.oo 8b, pp. 460-1)67. Nel Circo Massimo, fin dall'età regia, tra una corsa di cavalli e l'altra gareggiavano pure atleti, pugili e lottatori (Thuillier, 1982.)68• Ab initio, in occasione dei ludi pubblici e ufficiali, dunque dei giochi del circo quando non c'erano ancora ludi scaenici, non si avevano soltanto cor se dei carri e altre prove equestri come quelle dei desultores, ma anche competizioni di tipo atletico (ibid. ). Secondo Dionigi di Alicarnasso, dopo i concorsi equestri avevano luogo tre prove, quelle dei corridori a piedi, dei pugili e dei lottatori69• Questo programma è confermato da Tito Livio quando descrive il festival sportivo eccezionale istituito nel la città da Tarquinio, poiché questo ludicrum comportava la presenza di pugiles ed equi, che si erano fatti venire soprattutto dall'Etruria70. Ci cerone, nel De legibus, ricorda che durante i ludi circenses, in aggiunta alle prove equestri erano previste le gare ginniche (corporum certatio nes), che erano di fatto limitate alla corsa a piedi, al pugilato e alla lot ta7', in una trilogia che ha qualcosa di etrusco-romano (Thuillier, 2.012., pp. 175-6). Alcune immagini di epoca tarda testimoniano la presenza degli atleti nei giochi del circo ufficiali, o almeno in alcuni di essi. Un
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medaglione di Gordiano III, databile al 244 d.C., ritrae, in un edificio iden tificabile con il Circo Massimo, in primo piano dei corridori a pie di, dei pugili, dei lottatori, dei pancraziasti e degli uomini armati (gla diatori o venatores ?), e in secondo piano dei carri in corsa; nella parte alta del medaglione si è poi voluta evocare la pompa circensis con un car ro a sei cavallF•. Nel mosaico di Piazza Armerina che raffigura una corsa di quadrighe nel Circo Massimo, da una parte e dall'altra della loggia dell'editor, diverse statue di atleti rappresentano dei corridori a piedi e forse un pugile (primo quarto del IV secolo d.C., Piazza Armerina, Villa del Casale, palestra, sala biabsidata) ; sull'euripo nello stesso mo saico sono ritratti due discoboli nell'atto di lanciare (Humphrey, 1986, p . 2.26, figg. 1 1 2-114). Nel mosaico di Barcellona con corsa di quadrighe nel Circo Massimo (prima metà del IV secolo d.C., Barcellona, Museu arqueol6gico) , l'euripo è sormontato da due corridori, due lottatori o pugili e da un discobolo (ivi, pp. 236-8, fig. 1 1 9)73• Si può pensare che il p rogramma atletico dei ludi pubblici si sia progressivamente arricchi to e che, alla fine della repubblica o all'inizio dell'impero, abbia finito per comprendere certe prove del pentathlon come il lancio del disco. Thuillier ( 2012, pp. 181-2) ipotizza che gli atleti, greci e non, che gode vano di così grande popolarità a Roma e a Ostia, da essere raffigurati con i loro nomi sui pavimenti degli stabilimenti termali, partecipassero ad alcune competizioni atletiche nei ludi tradizionali, che permetteva no al pubblico romano di vedere regolarmente le star del circo, quel le delle prove ginniche, quelle delle prove ippiche, e di accordare loro i suoi favori. I molti giorni annuali di ludi circenses fornivano buone occasioni per farsi conoscere e acquistare fama. Questa tradizione di spettacoli misti perdura in tutta l'età imperiale per i giochi pubblici a Roma e nelle province, a tal punto che le fazioni del circo finiscono per inglobare gli atleti e l'insieme dei professionisti della pista ( Cameron, 1976, pp. 5-1 3; Nelis- Clément, 2002, pp. 266-7). Claudio, ad esempio, in occasione del suo trionfo sulla Britannia, pur avendo promesso tan te corse quante se ne potevano avere in un giorno, non ne offrì più di 10, inframmezzandole anche con venatio e spettacoli atletici, come riporta Cassio Dione74• Nei municipi questo avvicendamento poteva essere utile a contenere le spese sostenute dai magistrati locali per l'alle stimento dei ludi, almeno questo è uno tra i consigli dati da Mecenate ad Augusto secondo Cassio Dione71• A testimonianza della pluralità di competizioni e di esibizioni che si svolgevano nel circo si può leggere il programma di uno spettacolo riportato in un papiro proveniente da
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Oxyrhynchus o Antinoopolis, datato tra la fine del v secolo e gli inizi del VI secolo d.C.: Buona fortuna
II III
Vittorie gara Processione Trampolieri Mimo gara Atleti gara Mimo7 6
Se ne può leggere anche un altro, pur di provenienza sconosciuta, da tabile al VI secolo d.C., per avere un'ulteriore prova della varietà degli spettacoli programmati nei ludi non soltanto a Roma: Con buona fortuna
II III IV v VI
Vittorie corsa di aurighi Processione Trampolieri cantanti corsa di aurighi Trampolieri cantanti corsa di aurighi Gazzella e cani corsa di aurighi Mimi corsa di aurighi Atleti corsa di aurighi
m1 Sta bene77
Esibizioni di animali e venationes erano ricomprese nei programmi dei ludi circenses in età repubblicana e imperiale, rientrando più precisamen te tra gli spettacoli del mattino. Le raffigurazioni di scene di venatio su lastre Campana comprovano la partecipazione degli animali negli spet tacoli circensi. Una lastra conservata presso il Museo teatrale alla Scala di Milano riproduce una lotta fra tre venatores contro altrettanti animali, rispettivamente una leonessa, un orso e un leone; sullo sfondo si vede
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(di un edificio circense). È stato proposto, per ricostruire tutta a raffigurata, di unire questa lastra a un'altra, con cui combacia cen s la ttamente, sulla quale è ritratto un cavaliere a cavallo, affiancato a un perfe al ero cavallo, con le metae visibili sulla destra (Tortorella, 1981, pp. 96-9; Muiioz-Santos, 2017, pp. ss-6. fig. I ) . È chiara l'ambientazione della vena tio in un circo. In un'altra lastra, conservata in varie copie in diversi musei europei, sono visibili tre venatores, di cui due impegnati in un combatti m ento. Il primo è alle prese con un leone che gli si slancia contro verso il fianco sinistro, mentre una leonessa lo attacca improvvisamente a quello destro. Il secondo maneggia un'arma, forse una lancia; il terzo è steso a terra, probabilmente ferito o in punto di morte. Vi compaiono tre ele m enti architettonici tipici del circo romano: la loggia, con solo due vani era colonne alla sua base, dalla quale due persone guardano lo spettacolo; il meccanismo contagiri delle uova; una colonna con scultura femminile, forse Roma o una Vittoria (Humphrey, 1986, pp. 267-9; Muiioz-Santos, 2017, pp. s6-7, fig. 2) . La terza lastra Campana ritrae due venatores, di cui l'uno si scontra con un orso e l'altro con una leonessa; vi sono raffi gurati sullo sfondo elementi architettonici del circo: una loggia con una persona spettante, una colonna con statua (ubicata probabilmente sulla spina del circo) e il meccanismo contagiri dei delfini (Humphrey, 1986, pp. 262-5; Muiioz-Santos, 2017, p. 57, fig. 3 ) . Una quarta las era, conservata al Museo delle Terme di Roma, riproduce una loggia con tre vani e con ere spettatori affacciati, un venator e una coda di leone nel punto in cui la lastra è spezzata. Per tutte si tratta, dunque, di venationes ambientate presso la spina del circo. Non solo le fonti iconografiche ma anche le te stimonianze letterarie confermano la pratica abituale di dare spettacoli venatori nel circo. Come narra Svetonio, Cesare, in occasione del suo trionfo sulla Spagna, offrì magnifici spettacoli di vario genere e tra essi nel Circo Massimo non soltanto corse di carri, esibizioni equestri e il ludo troiano, ma anche cinque giorni di venationes contro animali feroci e un combattimento tra due schiere di so o fanti, 20 elefanti e 30 cavalie ri78. Sempre Svetonio, nella rubrica dedicata agli spettacoli offerti da Au g usto, scrive che questi offrì nel Circo competizioni con aurighi, cavalieri acrobati e venatores79• Inoltre, bisogna ricordare che per la dedica del suo Foro nel 2 a.C. egli organizzò un complesso programma di spettacoli, di cui gran parte ambientata nel Circo Massimo: i principi della gioventù Gaio e Lucio Cesari furono incaricati dei primi ludi circenses, il fratello Agrippa Postumo prese parte alle competizioni equestri del ludo troia no; fu data anche una venatio nel Circo, nella quale furono uccisi 260 un a corre
GLADIATORI, CARRI E NAVI leoni80• Caligola, nel 37 d.C., in occasione della dedica del tempio del divo Augusto, nell'ambito dei ludi circenses, fece uccidere 400 orsi insie me ad altrettanti animali selvatici provenienti dalla Libia8'. L'imperatore Claudio, nel 41 d.C., organizzò nel Circo Massimo una gara di cammelli, una venatio di 300 orsi e altrettanti animali libici81• Come abbiamo detto precedentemente, durante i ludi circenses erano previste anche rappresentazioni di mimi, sebbene per esse la documen tazione sia abbastanza tarda, perché si data al III e al V-VI secolo d.C., come abbiamo visto anche dai papiri. La prima testimonianza lettera ria su tali rappresentazioni al circo si trova nell'Apologia mimorum di Coricio di Gaza, retore del VI secolo, che, in un passo della sua opera, parla dell'utilità dei mimi, inseriti tra una corsa e l'altra, per distrarre il pubblico, contenendone l'eccitazione eccessiva, e specialmente per evi tare i litigi ricorrenti tra i sostenitori delle diverse fazioni, tra i perdenti e i vincitori83• La seconda testimonianza si trova nel Bellum Vàndalicum di Procopio di Cesarea, in un passo in cui si narra dell'umiliazione che Valentiniano III infligge al sottomesso usurpatore Giovanni nel 425, portandolo in processione nel Circo di Aquileia, dove fu ucciso dopo aver subito innumerevoli insulti da parte degli attori. Procopio non for nisce precisazioni su questi ultimi nel suo testo, ma è verosimile che si trattasse di mimi, dei quali erano prerogativa la mordacità e la satira84• La peculiarità che le fonti citate si datassero tutte alla tarda antichità aveva fatto arrivare gli studiosi alla conclusione che tale tipo di spettacolo fosse stato introdotto come intrattenimento, intermezzo tra le gare equestri, soltanto in epoca più recente nel circo ( Gonzilez Galera, 2017 ) La sco perta, avvenuta nel 2014, di un mosaico nel triclinio di una villa di Wadi Lebda presso Leptis Magna, risalente all'inizio del III secolo ( Villas Museum ) , ha consentito una diversa ricostruzione, con retrodatazione delle rappresentazioni di mimi ( Dunbabin, 201 6, pp. 193-4, fig. 7.17a) . li mosaico in questione ritrae corse dei carri, venationes, combattimenti di gladiatori nella cornice di un edificio circense ; presso la spina del circo sono ritratti tre gruppi di tre uomini ciascuno, di cui quello centrale può essere composto di acrobati o giocolieri e quelli laterali di mimi. Si può trattare della raffigurazione musiva di uno spettacolo che i proprietari della villa hanno offerto ai cittadini della vicina Leptis Magna, nel corso del quale si sono avute una corsa di quadrighe, un'esecuzione di damnati ad bestias, esibizioni di acrobati e mimi. Si può ipotizzare pertanto la progressiva incorporazione delle rappresentazioni di mimi nel program ma dei ludi circenses a partire dal principato. .
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Le corse dei carri
D u ran te la corsa dei carri ogni momento è pieno di suspense, dalla par t enza dai carceres alla virata intorno alla meta, dal possibile annullamen to della partenza allo slancio per conquistare il primo posto fra tutti i concorrenti, da un'errata manovra di un cocchiere al naufragium. Anco ra una volta sono i versi di Ovidio a presentarci in maniera suggestiva, p ur nella loro concisione, l'inizio e lo svolgimento di una corsa: Rimasto ormai vuoto il Circo, il pretore ha fatto uscire dall'ampia cancellata le quadrighe, il più grande spettacolo. Vedo per chi parteggi; per chiunque farai il t i fo, vincerà lui: sembra che perfino i cavalli sappiano che cosa desideri. O me sventurato, quello doppia la meta con un giro largo; ma che fai ? Sopraggiunge il secondo, avvicinato l'asse alla colonna. Che fai, disgraziato ? Rovini le buone speranze della mia donna; tira - ti prego - la briglia sinistra con mano gagliar da. Abbiamo parteggiato per un inetto. Ma ora chiedete l'annullamento della gara, o Quiriti, e datene il segno, agitando ovunque le toghe. Ecco lo chiedono, ma perché le toghe, muovendosi, non ti scompiglino i capelli, puoi intanto na sconderei tra le mie braccia. E già, aperti i cancelli, le porte si spalancano per la seconda volta, e, slanciati i cavalli al galoppo, vola via la schiera dai vari colori. Almeno ora supera gli altri e incalza sullo spazio che ti si apre dinanzi; fa' che si realizzino i miei desideri, quelli della mia donna. I desideri della mia donna si sono realizzati, ora rimangono i miei: quello ha la palma della vittoria, bisogna ora che io ottenga la mia8S.
I carri partivano dai carceres, i dodici box collocati su uno dei lati mi nori del Circo, precisamente quello nord-occidentale, dove essi erano ubicati all'interno di valvae chiuse da porte di legno in un periodo più remoto, poi da cancelli metallici ( Humphrey, 1986, pp. 132.-74; Marcat tili, 2.009, pp. 160-1)86• I carceres avevano una valenza sacrale, conferma ta dalla presenza delle erme presso i piedritti che separavano gli stalli, e la partenza veniva a connotarsi come momento rituale: gli aurighi e i carri passavano simbolicamente tra la vita e la morte, tra le tenebre e la luce. Mercurio, dio della frontiera e della mutazione, con un rapporto privilegiato con i cavalli e i quadrupedi da allevamento, sempre impe gnato a spostarsi tra cielo e terra, proteggeva aurighi e cavalli in questo mutamento di status, garantendo il ritorno alla condizione precedente la sincronica partenza dei carri ( Marcattili, 2.009, pp. 162.-s). L'attribu zione dei settori nei carceres alle quattro fazioni avveniva tramite un'e strazione a sorte che aveva luogo al termine della pompa circensis, sotto
GLADIATORI, CARRI E NAVI la supervisione o di preposti o dei giudici87• Alcune sfere con il colore di ciascuna delle fazioni erano collocate dentro un'urna che girava su un asse tra due montanti di legno. La sfera che veniva estratta dall'urna era esibita e indicava la squadra che poteva scegliere per prima il settore. Questo perché la disposizione dei settori conferiva dei vantaggi nella corsa (Fauquet, 2.008, p. 2.64) : E già l'urna ti designa e le acclamazioni stridenti dei rauchi spettatori ti incitano. Allora da quella parte dove si trovano la porta e la sede dei consoli, che da en trambi i lati circonda il muro fatto a volte con sei stalli a cripta, tu estrai a sorte uno dei quattro carri e ci sali, tirando le curve redini. Il tuo compagno fa ciò e contemporaneamente a voi i cocchieri della parte avversa; risplendono i colori, bianco e blu, verde e rosso, le vostre insegne88•
Tutti gli spettatori attendevano il segnale di partenza della corsa, che veniva dato dall'editor spectaculorum, colui che aveva finanziato l'allesti mento degli spettacoli. Dalla loggia a lui riservata, posta al centro dei carceres, dava un segnale o, dal I secolo d.C., faceva cadere la mappa, un drappo bianco89• Dal momento che tale loggia era invisibile per il per sonale che stava sulla pista, dinanzi alle porte di partenza, e il momento esatto in cui la mappa cadeva al suolo non era facilmente percepibile, doveva essere dato contemporaneamente anche un segnale sonoro. Un tibicen, forse accompagnato da un bucinator, da cornicines o liticines, con il suo strumento indicava l'inizio, tanto più che proprio gli aurighi e i moratores (i lavoratori incaricati di assistere gli aurighi prima della gara per frenare l'impazienza dei cavalli) non potevano vedere l'editor che agitava e faceva cadere la mappa (Nelis-Clément, 2.008, pp. 441-4). Si donio Apollinare dà una viva descrizione di ciò che avveniva negli stalli, del lavoro dei moratores, della frenesia dei cavalli prima della partenza, lasciando all'immaginazione del lettore il rumore, i versi, le voci che pro venivano dai carceres: Le mani del tuo aiutante tengono i morsi e le briglie, raccolgono le criniere attorcigliate con nodi flessibili di lato, e, mentre fanno ciò, esortano i cavalli, li dilettano con colpetti carezzevoli di qua e di là e ispirano loro un piacevole ardore. Quelli fremono presso i cancelli, si gettano sui chiavistelli, fumano dalle narici attraverso le tavole serrate e, prima della corsa, occupano con il loro fiato la pista che non calpestano ancora. Colpiscono, si agitano, tirano, oppongono resistenza, si infiammano, palpitano, hanno paura, provocano paura, e non si arrestano, ma flagellano le porte indurite con le loro zampe inquiete. Alla fine il
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suonato re, con lo squillo della sua tromba stridula, chiama gli equipaggi ansiosi e fa uscire i carri veloci sulla pista90,
tentor (o più tentores contemporaneamente, come avvenne poi a Co stantinopoli), dopo che era stato dato il segnale sonoro dell'inizio della co rsa dal tibicen, tirava la molla o la catapulta per azionare il sistema di ap ertura delle dodici porte dei carceres. I carri in competizione partiva no tutti contemporaneamente dopo l'apertura delle porte, come si può vedere nel mosaico del Circo di Lione (n secolo d.C., Lione-Fourvière, Musée de la civilisation gallo-romaine; cfr. FIG. r) e nella decorazione musiva policroma figurata con giochi nel Circo di Ravenna (cosiddetto Palazzo di Teoderico, Ravenna) e come è attestato dalle fonti letterarie, che riportano la precisazione aequo carcere)9'. La prima parte della corsa si svolgeva dagli stalli alla linea bianca tracciata fra le tre metae presenti sulla spina e il muro a destra della cavea; questo tratto consentiva agli aurighi di acquistare velocità9•. I carri si lanciavano sulla pista, con l'ob bligo di non sorpassarsi, per evitare che alcuni di essi, immediatamente, puntassero a destra verso la spina, occupando la traiettoria di altri equi paggi e causando incidenti alla partenza. Dovevano correre tutti nella stessa direzione e fissare un punto di convergenza che altro non era che la tribuna dei giudici; in questo modo essi mantenevano l'asse imposto dalla corsa e i giudici potevano controllare il buon funzionamento della prima parte della gara, che si svolgeva fino alla linea situata a destra della secu nda meta (Fauquet, 2008, p. 265, fig. 4). A partire da questa, proba bilmente era possibile passare davanti agli equipaggi concorrenti, una volta liberi di deviare la propria rotta (Beli, 2014a, p. 483). Per acqui sire vantaggio sugli avversari, i cocchieri in testa provavano a collocarsi quanto più possibile vicino alla spina, in modo da ridurre la lunghezza del percorso. Era un momento essenziale e pericoloso della corsa, come illustra bene il mosaico di Lione. I carri romani erano costruiti, infatti, p er raggiungere un'elevata velocità: durante la gara potevano arrivare a 2 5-30 chilometri orari quando giravano intorno ai pericolosi punti di svolta delle metae e potevano, poi, accelerare fino a 7S chilometri orari nei tratti rettilinei (Junkelmann, 2ooob, p. roo ) A partire dal passaggio della seconda linea bianca, a causa dell'immi nente avvicinamento alla meta prima e alla virata interna, cominciava la decelerazione e si presentava il forte rischio di urtare la ruota sinistra sul bordo della spina che precedeva la meta. li cocchiere che, in modo imprudente, allentava troppo le redini, consentendo così un'eccessiva Il
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Mosaico del Circo di Lione con corse di carri (n secolo d.C., Lione-Fourvière, Musée de la civilisation gallo-romaine)
potenza ai cavalli, si trovava spinto verso l'esterno dalla forza centrifuga; costretto a girare al largo delle mete, perdeva tempo prezioso e, soprat tutto, si faceva doppiare all'interno da un avversario meno veloce, ma più attento9l. Sidonio Apollinare, nel carme XXIII, offre una vibrante descrizione dell'inizio della corsa e della virata: La terra cede sotto le ruote e l'aria diviene sordida per la polvere sollevata dal passaggio delle ruote; i cocchieri pressano l'aria con i frustini, guidando con temporaneamente i carri, e già vengono portati via con violenza con i corpi proni in avanti fuori dal carro e percuotono la pariglia di cavalli oltre i fianchi, risparmiando il dorso; né si potrebbe distinguere prontamente se sostengano i curvi cocchieri più i timoni che gli assi. Già voi, come gli uccelli, siete spariti dalla vista, percorso lo spazio più aperto della pista, e siete entrati nella sua parte ristretta, costruita ad arte, attraverso la quale la spina dispiega le sue costruzioni lunghe, basse e circondate da un doppio muro. Non appena la meta più lontana vi ha lasciato nuovamente alla corsa, il tuo compagno di fazione diventa primo davanti agli altri due, che ti avevano superato; così tu stesso ti trovasti a essere quarto dopo la virata. Questa è la preoccupazione dei cocchieri di mezzo, che
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il primo, frenato da una sua spinta troppo a destra, venga oltrepassato dai loro carri spinti verso l'interno, se ha lasciato aperto il suo lato sinistro, portando il
suo carro tutto verso il podio. Tu, curvato per lo sforzo, serri i quattro cavalli e con somma maestria li riservi bene per il settimo giro; altri pressavano l'aria con le mani e con le voci, e il sudore dei cocchieri e dei destrieri si versava qua e là sulla pista cadendo a gocce9+.
Per un corretto svolgimento della competizione era necessario provve dere al conteggio dei giri previsti, che erano di numero fisso, sette per l'appunto. Come abbiamo già precisato, nel Circo Massimo la gara im p licava un percorso di circa s chilometri, mentre nei circhi di minori dimensioni ne comportava uno decisamente meno lungo, ad esempio 3 chilometri al Circo di Bovillae. Il conteggio iniziava dal momento in cui il primo carro oltrepassava la prima linea bianca e avveniva attraver so dei meccanismi contagiri, le uova (ovarium) e i delfini (delphinium), disposti sulla spina. I primi si trovavano nel settore sud-orientale, vicini alla tribuna dei giudici ed erano posizionati parallelamente alla spina; i secondi erano situati, invece, nel settore nord-orientale presso i carceres, p erpendicolarmente alla spina e non lontano dalle secundae metae. La loro disposizione era studiata per offrire sempre una buona visuale ai giudici (Fauquet, 2008, pp. 274-7, figg. 12-16 ) . Quando il carro in testa oltrepassava la linea bianca, al segnale visivo di comando proveniente dalla tribuna dei giudici, gli addetti manovravano uno dei sette elementi. Nelle raffigurazioni musive, nei rilievi e sui sarcofagi abbiamo la rap presentazione tanto del meccanismo quanto degli addetti che manual mente, dal basso, facevano scendere le uova95• Un uovo, posto su un'asta verticale, veniva abbassato da un operatore a ogni giro di pista effettua to ; così, in ogni momento, le uova sollevate indicavano al pubblico i giri mancanti e quelle abbassate i giri già compiuti96• I delfini, poi, probabil mente di bronzo dorato, collocati su colonne, venivano raggiunti da un addetto con una scala e a ogni giro di pista effettuato venivano attiva ti97. Essi avevano un meccanismo mirabile: ognuno versava acqua dalla bocca, facendola cadere sul suolo, dopo aver compiuto una rotazione di r 8 o gradi da un lato all'altro; nel Circo Massimo erano normalmente direzionati verso l'ara Consi e a ogni giro di pista incipiente venivano ruotati nella direzione del vicino mundus Cereris, verso il quale rovescia van o l'acqua (Humphrey, 1986, p. 264; Marcattili, 2009, pp. 199-202). Gli spettatori che, dal loro posto a sedere, non riuscivano a vedere bene t utta la pista, ma solo una sua parte, o erano troppo distanti, perché se-
GLADIATORI, CARRI E NAVI duti in summa cavea, tenevano d'occhio proprio questi meccanismi con tagiri per poter essere aggiornati sullo svolgimento della competizione. n pubblico dalle gradinate poteva scorgere nella pista anche i controllori al lavoro, che dovevano vigilare sull'andamento della competizione, data la necessità di individuare e comunicare quali carri erano ancora in gara e quale era quello in testa dopo uno o più incidenti. L'instabilità di una corsa dei carri e il grado di suspense erano con siderevoli; perciò negli spettatori cresceva l'eccitazione in una climax ascendente, provocata anche dalle condizioni visive peculiari del Circo. In primo luogo, le competizioni equestri offrivano agli spettatori una visibilità parzialmente alterata a causa della polvere che i carri alzava no sulla pista sabbiosa98• In secondo luogo, le stesse enormi dimensioni dell'edificio e la sua architettura ostacolavano una buona visione della gara. La lunghezza della pista, come abbiamo visto, era di circa s8o me tri e gli studi dimostrano che al di là dei I50-2.0o metri la possibilità di riuscire a vedere un carro in gara diminuisce drasticamente, diventando difficile percepirne la posizione. La spina collocata al centro della pista era lunga 3 3 5 metri e larga I I ; era inoltre occupata da diversi monumenti, come le uova, i delfini, gli obelischi ecc., la cui altezza impediva a una parte degli spettatori la vista dei carri in determinati tratti. Anche il po dio delle metae, più alto della spina, ostacolava la buona visione degli equipaggi nell'attimo della virata, ossia nel momento più eccitante del la corsa. Ciò accresceva il nervosismo di parte degli spettatori e faceva aumentare le grida e le imprecazioni. La stessa larghezza della pista, 77 metri circa, non consentiva a tutto il pubblico di cogliere le finezze della tattica adoperata dai diversi aurighi nei vari frangenti della corsa (Fau quet, 2002, p. 2 9 3 ). Inoltre, non tutti i posti a sedere di un medesimo settore offrivano la stessa qualità visiva in ragione della forma allunga ta del Circo Massimo. Alcuni posti, infatti, consentivano di apprezzare solo una parte della gara, la partenza dai carceres e il giro intorno alle pri me metae; il pubblico che assisteva dalla sommità della cavea beneficiava di una veduta dall'alto, ma non riusciva a percepire tutti i dettagli della corsa; coloro che stavano sui gradini più in basso vedevano bene i carri e gli aurighi soltanto quando sfrecciavano dinanzi a loro, mentre quando erano dall'altro lato della spina potevano soltanto intravederli negli spazi tra un monumento e l'altro. Nessun posto offriva una visione perfetta e continua di tutta la gara, come nota Sidonio Apollinare, allorché evoca i cocchieri che spariscono dalla vista degli spettatori99• Appunto negli istanti in cui i carri non erano visibili aumentavano il nervosismo e l'ec-
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citazione del pubblico perché l'ordine della corsa poteva subire notevoli rivo lgimenti. Secondo la ricostruzione di Fauquet (ivi, p. 409, fig. 133), i m igli ori posti erano quelli alle estremità dei lati lunghi dell'edificio poi c hé offrivano una visione laterale dello spettacolo. Si arrivava così alla tanto attesa fine della competizione. n carro vin cente era quello che, al termine dei sette giri, oltrepassava per primo la li nea di arrivo. n tibicen interveniva, da solo o con altri musicisti, all'arrivo del vincitore al traguardo per segnalare la fine della gara agli altri concor renti ancora in pista e al pubblico. Questo musicista è raffigurato sul mo saico di Piazza Armerina a fianco di un personaggio che tiene la palma della vittoria, identificato con il praeco che chiede il silenzio, stendendo la mano, prima di proclamare i nomi dei vincitori al momento della con segn a dei premi (ivi, pp. 264, 278; Nelis- Clément, 2oo8, p. 450)'00• n vincitore riceveva il suo premio (ramo di palma, corona e denaro) dal magistrato organizzatore dei ludi circenses presso la loggia dei giudici, poi effettuava un giro d'onore, lentamente, con i suoi cavalli adornati di ghirlande, durante il quale tutti potevano vederlo bene e acclamarlo, e alla fine usciva dall'edificio attraverso la porta pompae, raggiungendo la propria fazione. I cristiani
e
i ludi circenses
Nelle opere degli autori cristiani dei primi secoli dopo Cristo è presente una serrata critica agli spettacoli pagani nelle loro molteplici forme, cor se dei carri, combattimenti gladiatori, cacce, rappresentazioni teatrali, mimi. Ma tra i cristiani c'erano anche molti che traevano diletto dalle diverse forme di intrattenimento offerte dall'imperatore e dai magistrati e che, in vario modo, sostenevano una posizione più morbida e più con ciliante della Chiesa nei confronti della partecipazione a questi momen ti di riunione mondana (Lugaresi, 2005). A costoro, così come ai pagani, risponde con urgenza Tertulliano nel suo De spectaculis, composto vero sim ilmente nel 197 d.C., prefiggendosi di far conoscere quali fossero le motivazioni che proibivano ai cristiani di godere delle voluptates spec taculorum, nel dettaglio quale fondamento di fede (status jìdei), quale ragione di verità (ratio veritatis) e quale prescrizione di morale cristiana (praescriptum disciplinae). Gli spettacoli costituiscono una forma di ido latria e per questo motivo la loro condanna è sancita già nella formula battesimale con la quale si rinuncia al diavolo e alle sue pompae'0'. Tutti
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gli elementi formali e materiali di cui sono costituiti gli spettacoli (origi nes, tituli, apparatus, loca, artes) appartengono al dominio dell'idolatria e ciò è particolarmente evidente per la pompa circensis, pregna, per sua stessa natura, di riferimenti al culto pagano : L'origine dei giochi tanto dell'una che dell'altra specie, riguardino cioè o gli Dei o i morti, è dunque unica, comune la loro denominazione, come quelli che derivano da uguali principi, e quindi è necessario che quanto riguarda la loro esterna manifestazione sia uguale; perché, in fondo, essi hanno sempre una base idolatra che dà loro vita e consistenza e a cui si deve far risalire la colpa. I giochi circensi sembra però che abbiano tutto un apparato più pomposo e più splendi do: precede ad essi appunto un corteo magnifico, detto pompa o processione, ed essa dimostra proprio il carattere che essi hanno, con tutta quella serie di simula cri e d'immagini: vi sono carri inoltre, cocchi, lettighe portatili, altri sedili, e poi, corone, spoglie, e gli abitanti di quella città, nella quale trovano loro centro tan te potenze malvage e nemiche, lo sanno bene quante sacre cerimonie e sacrifici si compiano e prima e nel più bel mezzo della processione stessa e dopo; quanti collegi sacerdotali, quante sacre istituzioni, quante pratiche sono con essi col legate ! Nelle province, dove minori sono i mezzi di cui si può disporre, questi giochi vengono apprestati con minore sfarzo, è innegabile, ma pure, questi ludi circensi sono dovunque gli stessi e sono diretti proprio a quel fine donde ripe tono appunto la loro origine; e traggono da quel principio, onde sono originati, la ragione prima della loro corruttela e del loro carattere sacrilego : anche un tenue corso d'acqua o un debole ramo mantengono il loro principio originario e vive in loro o la corrente originaria che ha dato loro la vita, o il succo primitivo della pianta. O pompeggi nella sua magnificenza, o sia pure modestissimo il suo apparato esterno, qualsiasi manifestazione del Circo offende la maestà del Signore. Non importa che poche immagini siano portate in luce di processione ! Ne basterà una perché sia idolatria: un solo cocchio è tratto: non importa: sarà quello, il cocchio di Giove. Qualunque principio d'idolatria, si manifesti esso in una forma squallida e sordida, o abbia in sé un certo fulgore di bellezza, sia pur esso modesto, è sempre troppo grande, quando si pensi alla colpa che essa contiene in sé•o•.
L'apologista, nella condanna dei giochi e della loro pompa, elenca molti degli elementi costitutivi della processione del circo al suo tempo: i si mulacra, ossia le statue sacre delle divinità, poi le imagines, cioè le statue degli imperatori, i currus, i carri su cui erano trasportate le statue degli dèi e il magistrato organizzatore dei ludi, le tensae, su cui erano deposte le exuviae, le armamaxae - come già accennato, i carri trainati da elefanti su cui erano collocate le statue degli imperatori defunti divinizzati -, le sedes, ossia i troni vuoti, che in occasione delle diverse pompae circenses
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d ove vano essere sia quelli degli dèi sia quelli destinati ai membri defunti della domus Augusta, e le coronae, che su questi troni erano deposte in oc casio ne degli spettacoli. Anche se nelle processioni circensi allestite nelle ci ttà provinciali minore era il fasto e meno numerose le rappresentazioni degli dèi, in ogni caso anch'esse erano manifestazioni di culto idolatrico e o ffendevano Dio. I cristiani sapevano bene che gli dèi pagani non ave vano consistenza, così come le loro statue, e che sotto quei nomi e quelle statue si celavano spiriti malvagi che operentur et gaudeant et divinitatem mentiantur (e in quei loro vani aspetti si cacciano e agiscono con la più viva compiacenza di poter mentire la loro reale natura sotto l'aspetto del divino )103. Gli dèi e le loro statue erano privi di consistenza ontologica e nel contempo avevano un'origine diabolica; i demoni, infatti, operavano attraverso la falsa rappresentazione costituita dagli idoli, rallegrandosi di ingannare gli uomini fingendo di essere la vera divinità (van Winden, 19 82; Tasinato, 1985, p. 1 20 ) . Gli stessi edifici per spettacoli appartenevano al dominio dei demoni malvagi e costituivano una regio aliena, nella quale i cristiani non dove vano neanche entrare. Tertulliano offre una dettagliata descrizione di tutti gli elementi che componevano la struttura del Circo Massimo, dai meccanismi contagiri agli altari e ai tempietti sulla spina: Quanti caratteri d'idolatria non puoi tu riconoscere nell'aspetto stesso del luo go dove gli spettacoli si compiono ? Si potrebbe dire che in ogni motivo orna mentale del Circo puoi riscontrare l'orma di una credenza idolatra: svariati sono gli ornamenti, diversi i tempietti quasi coi singoli attributi divini. [ ... ]. O tu, che sei cristiano, quante potenze innominabili abbiano avuto loro dominio nel Cir co, rifletti dunque; e una credenza soggetta a tanti spiriti avversi e diabolici non può aver nulla in comune con te. Ma a questo punto sarà il caso di ricondurre il nostro discorso ai luoghi dove tali giochi e spettacoli si celebrano; perché si possa prevenire un'obiezione che da taluno potrebbe anche esser mossa : tu mi puoi infatti osservare : e se io mi recherò al Circo in un momento diverso da quello in cui si celebrano i giochi, basterà questo perché io ne resti conta minato e guasto ? Non v'è impedimento assoluto di frequentare quei luoghi: non solo nelle adunanze per pubblici spettacoli, ma un servo di Dio può, senza pericolo alcuno, penetrare negli stessi templi pagani; dal momento che vi può essere una ragione impellente che ve lo spinge, ma chiara, aperta, insospettabile, e che non abbia appunto relazione alcuna con ciò che si sta svolgendo in quel luogo, e coll'intimo carattere del luogo stesso. E del resto, le nostre piazze, il foro, i bagni, qualunque luogo pur modestissimo, le nostre case stesse, non sono mica neppur libere da caratteri e influssi idolatri ! Satana e le sue potenze amiche tutto hanno riempito di loro. Ma pure non è vero che, se noi viviamo nel mon-
GLADIATORI, CARRI E NAVI do, ci allontaniamo dalla divina grazia del Signore : questo avverrà soltanto se si attaccherà al nostro spirito qualcosa della corruzione e del male del mondo. Se io penetrerò nel Campidoglio o nel tempio di Serapide, deciso a compier sacrificio, o quale adoratore di quelle divinità, sarà allora che io mi allontanerò da ogni principio di grazia divina, come pure se mi si vedrà spettatore nel Circo e nel teatro : i luoghi non ci contaminano di per se stessi, ma bensì per ciò che in essi vien fatto : i luoghi stessi si sentono guasti e pervertiti da ciò che fra le loro mura viene compiuto, ed è proprio questo che abbiamo discusso : una volta contaminati essi, anche noi subiamo la loro malefica influenza. Perciò appunto noi ricordiamo a chi sono dedicati i luoghi di tal genere, perché possa venir di mostrato chiaramente che tutto ciò che in quelli si svolge, riguarda e appartiene proprio a quelle potenze alle quali sono consacrati'04•
Tutti i luoghi adibiti agli spettacoli sono pieni di ornamenta idolatriae, statue, immagini degli dèi, altari, tempietti. Non dovrebbero essere fre quentati dai cristiani a causa della contaminazione (inquinamentum) che producono in loro, inducendoli in errores e peccata (Puglisi, 1996). Coloro che si recano nel Circo Massimo, così come negli altri luoghi dove si svolgono spettacoli, non sono semplici spettatori della perfor mance, separati e irresponsabili, e soprattutto immuni dai suoi effetti. Vengono contaminati non dai luoghi in sé, ma da ciò che in quei luoghi viene fatto (Lugaresi, 2005, pp. 368-9 ) .
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La popolarità delle corse dei carri
Status giuridico e prestigio sociale A Roma e nelle città dell'Occidente romano aurighi, gladiatori e attori p otevano acquistare grande fama e prestigio sociale attraverso le loro esibizioni. Dalla fine dell'età repubblicana le fonti letterarie ed epigrafi che attestano la loro immensa popolarità e per i più dotati l'acquisizio ne di una discreta fortuna personale, nella quale potevano ben sperare durante e al termine della loro carriera. Sussisteva, tuttavia, una forte discrepanza tra il prestigio sociale acquisito e lo status giuridico di tutti coloro che praticavano l'ars ludicra con remunerazione ; essi infatti era no colpiti da infamia, che comportava la restrizione dei diritti civili del cittadino romano e la perdita di quelli politici. Erano pertanto disprez zati da coloro che appartenevano ai ceti superiori al pari degli scribi, dei medici e degli artigiani (Horsmann, 1998, pp. u-3, 42-77; Hugoniot, 20 04) '. Dalla Tabula Heracleensis, datata alla fine del I secolo a.C., sia mo informati del fatto che gli attori, come le altre persone di spettacolo, non potevano accedere alle magistrature municipali ed entrare nell'or dine dei decurioni delle città di diritto romano\ così come del fatto che per le persone di nascita libera che esercitassero la gladiatura vigeva l'esclusione dai senati cittadini. Secondo una disposizione già esistente n el I secolo d.C., erano però esclusi dalla sanzione d'infamia i thymelici, gli xystici, gli agitatores, gli sparsores, così come tutto il personale tec nico che partecipava ai concorsi sacri ed ecumenici; allo stesso modo, un attore romano non incappava nell'infamia se si esibiva nei concorsi more Graeco3• Durante i principati di Augusto e di Tiberio furono presi provvedimenti più severi contro i membri dell'aristocrazia tentati dai mestieri dell'anfiteatro, del circo e del teatro. Tiberio vietò il matrimo nio tra senatori, cavalieri, loro spose e loro discendenti con attori, attri ci e loro discendenti\ misura già inclusa da Augusto nella lex Iulia de
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maritandis ordinibus e nella lex Papia Poppea5; inoltre, proibì a senatori, cavalieri e loro discendenti di scendere nell'arena e di calcare le scene dei teatri, perché entrambi i mestieri erano considerati ignominiosi: nel 1 9 d.C. fu emanato questo provvedimento, che ribadiva un analogo divie to dell'u d.C.6• È possibile che si trattasse di una reazione morale agli eccessi della scena, ma forse Tiberio voleva evitare ogni tentazione ad alcune gentes dell'ordine senatorio e di quello equestre, le cui strategie familiari potevano consentire l'impegno di alcuni dei loro membri in una carriera artistica, perché spesso molto remuneratrice e suscettibi le, per via delle eredità, di apportare forti somme di denaro, necessarie per mantenere un fastoso tenore di vita (Rawson, 1985, pp. 95-113; Cha stagnol, 1992, p. 170; Hugoniot, 2004, p. 216). Infatti, l'arricchimento spettacolare di alcune stelle dello spettacolo più talentuose ne faceva partiti invidiabili per le famiglie senatorie ed equestri poco fortunate e desiderose di conservare il loro rango (Horsmann, 2008, pp. 475-8). Malgrado queste disposizioni, numerosi senatori e cavalieri, imitati da cittadini romani della plebe urbana, attirati dalla gloria artistica e dalla fortuna economica, persero senza esitare i loro diritti politici calcando la scena o scendendo nell'arena. Per quanto riguarda in modo specifico lo status degli aurighi, essi era no generalmente schiavi o liberti: tra i circa 230 aurighi e agitatores noti c'è un solo cocchiere di nascita libera, P. Aelius Gutta Calpurnianus, uno solo di epoca repubblicana, Boculus, e un solo liberto imperiale, Ti. Clau dius Epaphroditus della fazione verde (Horsmann, 1998, nn. 23, 48, 94). In base agli studi sui salari, si può ricostruire che un auriga celebre a Roma poteva guadagnare s sesterzi al giorno, una somma corrispon dente a quella abituale di un operaio nel n secolo (Decker, lhuillier, 2004, p. 219 ). A questo salario di base deve essere aggiunto il premio per la vittoria, che sarebbe, come per gli attori protagonisti, di 1 o 2 dena ri, e andava a duplicare o triplicare ciò che era stato ottenuto dagli altri contendenti. La paga giornaliera di un auriga era poi proporzionale alle corse disputate e alle vittorie conseguite; si può stimare che un agitator dotato di buone qualità potesse ottenere un massimo di 30 sesterzi al giorno (Ceballos Hornero, 2010, pp. 214-5). Se poi prendiamo in con siderazione i giorni di ludi circenses con 12 corse programmate e 4 con ducenti per gara, riscontriamo che il salario totale degli aurighi sarebbe di 200-300 sesterzi al giorno. Ma i missus giornalieri arrivavano anche a 24 e questo poteva comportare un ulteriore incremento nella paga. Se quindi proviamo a calcolare quanto un auriga potesse guadagnare in un
L A P O PO LARI TÀ DELLE CORSE DEI CARRI
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an no di competizioni, in cui c'erano circa cinquanta-sessanta giornate di sp et tacoli del Circo, con un numero che aumenta progressivamente dal 1 al IV secolo d.C., si arriva a una somma di 15.000 sesterzi (per cinquan ta gi orni) o 1 8.ooo per sessanta giornate, considerando una media di 300 seste rzi al giorno. Se facciamo un conteggio con 2.4 missus e sessantasei gio rni di gare, si arriva a un totale di 3 9.600 sesterzi, cui andrebbero ag giunti, poi, i praemia maior_a . Si trattava, dunque, di compensi davvero ragguardevoli che potevano essere maturati in un anno di gare. La carriera degli aurighi
Le fonti letterarie, le epigrafi, i mosaici, i graffiti su intonaco, le tabel lae defixionum, gli oggetti di uso quotidiano rientranti nella categoria dell' instrumentum inscriptum, i contorniati ci restituiscono informazio ni sui protagonisti delle corse dei carri, fornendoci i loro nomi, notizie sulla loro carriera, ripercorsa in modo ben dettagliato o sintetico, dati biografici. Le star del circo a noi note sono 2.2.3 secondo il catalogo re datto da Horsmann, ma poche sono quelle che conosciamo attraverso monumenti posti da loro stessi e per loro stessi: soltanto 477; spesso si tratta di monumenti sepolcrali, raramente onorari. Gli aurighi prove nivano da province note per l'allevamento dei cavalli da corsa, come la penisola iberica, l'Africa, la Sicilia e la Cappadocia; il loro percorso pro fessionale si svolgeva nella capitale e nel Circo Massimo e spesso, nell'ar co della loro carriera, passavano da una fazione all'altra (Nelis-Clément, 200 2., pp. 2.73-6)8• In genere cominciavano molto presto la loro attività, in età infantile o adolescenziale, come attestano le iscrizioni di condu centi di bighe morti molto giovani e un piccolo gruppo di sarcofagi e rilievi funerari con immagini di bambini e adolescenti vestiti da aurighi (Bell, 2.008)9. Diverse figure di cocchieri molto giovani emergono dalla lettura delle iscrizioni. Sex. Vistilius Helenus morì a tredici anni e otto mesi; era stato auriga per i Verdi, nei quali era stato formato da Orpheus, poi fu recluta to dagli Azzurri e qui trasferito'0• Una lastra con rilievo proveniente da Roma, nota per tradizione manoscritta, ci fa conoscere Florus, un biga rius morto molto giovane, infans (Horsmann, 1998, p. 2.2.1, n. 86; Caldei li, 2013, p. 49)"; vi è ritratto il giovanissimo cocchiere sul carro, con le redini nella mano destra e la palma della vittoria in quella sinistra. Pro prio questo particolare ha fatto pensare a una vittoria conseguita già in
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così giovane età. n testo dell'iscrizione è in versi e recita: Florus ego hic iaceo l bigarius infans qui, cito l dum cupio currus, cito decidi ad umbr(as) l Ianuarius alumno dulcissimo (Io Florus giaccio qui, conduttore di bighe bambino, che, presto mentre bramo i carri, presto sono andato tra le om bre. Ianuarius al dolcissimo alunno) con il primo dei dattili elegiaci carat terizzato dall'uso di una formula (hic est ille situs) che richiama l'epigram ma sepolcrale di Scipione Africano Maggiore (Massaro, 2on, p. 296). n monumento funebre fu eretto per il giovane dal suo dominus, Ianuarius, che lo qualifica come alumnus. Un'iscrizione su un altare funerario eretto per un auriga di ventidue anni, Crescens della Mauretania, ricorda come egli avesse cominciato la sua carriera a soli tredici anni; era già un quadrigarius a quell'età e quindi si può presumere che, come Helenus, avesse intrapreso l'attivi tà parecchi anni prima (Thuillier, 2004, p. 31 3)". Aveva ventidue anni quando morì, dopo aver guidato per gli Azzurri per nove anni. li suo epitaffio ricorda che vinse la prima volta nella sua ventiquattresima corsa 1'8 novembre del ns d.C., giorno in cui veniva commemorato il compleanno dell'imperatore Nerva. Sono riportati i nomi dei cavalli che egli guidò in quella specifica ricorrenza: Circius, Acceptor, Delicatus, Cotynus; il primo successo di un auriga, del resto, era uno dei ricordi più vivi. Nove anni più tardi egli prese parte alla sua ultima corsa nel giorno in cui si commemorava il dies natalis dell'imperatore Claudio, il 0 I agosto del I24 d.C., lo stesso anno in cui il famoso Diocles ottenne la sua prima vittoria'\ La carriera di Crescens è puntualmente registrata nel testo epigrafico : fu caratterizzata da 686 partenze e dal conseguimento del primo posto non più di 47 volte, del secondo posto 130 volte e del terzo III volte. Le sue 47 vittorie furono riportate in I9 corse singole, 23 in corse con squadra a due e infine s con squadra a tre ; una corsa fu vinta praemissus (mandato innanzi) , 8 volte occupavi! (prese la prima posizio ne alla partenza) , 3 8 volte eripuit (secondo durante tutta la corsa, rubò la vittoria nell'ultimo tratto di gara) . In modo consono alla progressio ne della carriera, tale giovane auriga aveva maturato poche guide nelle corse singole, dove le vittorie erano molto più costose, e più numerose in corse in squadra, meno considerate dagli aurighi che avevano già rag giunto la notorietà. In modo simile Flavius Scorpus dovette iniziare la sua carriera dav vero giovane, visto che aveva raggiunto il suo impressionante numero di vittorie, ben 2.048 (il secondo numero più alto per un auriga) all'età di ventisette anni, quando morì forse per un incidente durante le corse
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(Granino Cecere, 1999-2000; Ciappi, 2001 ) 14• Agitator di età domizia n ea e antagonista di Diocles, è noto da un'iscrizione e dai versi del poeta M arziale5• Il rilievo funerario unito all'iscrizione è purtroppo scalpella t o, ma se ne può ipotizzare la raffigurazione sulla base del confronto con q u ello del liberto imperiale T. Flavius Abascantus, nel quale è ritratto lo stesso Scorpus sulla quadriga, con corona e palma della vittoria tra le mani16• Dagli epigrammi di Marziale noi sappiamo che fu molto ricco, can to da riempire quindici borse di oro in una sola ora di corse. Un altro auriga morto giovane, a soli ventidue anni, fu Eutyches, noto da una grande stele funeraria con iscrizione e rilievo proveniente da Tarraco. I suoi padroni fecero erigere per lui il monumento funebre; il testo iscritto, un componimento metrico nello stile di Marziale, pian ge la sua morte precoce a causa di una malattia che gli precluse la possi bilità di diventare agitator (Gomez Pallarès, 2001, pp. 258-61; Ceballos Hornero, 2004, n. 74; Decker, Thuillier, 2004, pp. 183-5; Caldelli, 2013, P·
so)l7.
Fuscus dei Verdi morì all'età di ventiquattro anni; nel 3 s d.C. fu il pri mo cursor ad aver vinto nel suo primo giorno di corsa18• Fu appunto un cursor della fazione verde, più precisamente un desultor del primo tipo, cioè un cavaliere che desiliebat et currebat (saltava giù e correva) (Thuil lier, 1989a, p. 34)19• Riportò la vittoria per 53 volte a Roma, una delle quali come revocatus. Il suo epitaffio indica che partecipò a competizioni a Bovillae, nel santuario della Dea Dia e nel Circo Massimo. Analizzando i dati relativi alla loro carriera, si può fare un confronto tra questi giovani aurighi morti prematuramente circa le loro qualità e la loro ascesa: Helenus dovette essere più dotato dello spagnolo Eutyches, visto che quest'ultimo era ancora un semplice bigarius all'età di venti quattro anni; nel contempo dovette essere meno brillante di Crescens, poiché costui era già quadrigarius a soli tredici anni (Thuillier, 2004, pp. 31 2-3). Dovevano essere in ogni caso tutti molto promettenti. Alcuni aurighi raggiunsero un numero impressionante di vittorie e accumularono anche capitali enormi. Scirtus, agitator dei Bianchi tra il 13 e il 25 d.C., riportò 7 vittorie con la quadriga, 4 volte revocatus, 39 vol te ottenne il secondo posto, 6o volte il terzo•o. La sua carriera si svolse in 13 stagioni di guida. Nella sua iscrizione sono indicate in dettaglio anno per anno, partendo dal 13 d.C. Questi dati non sono paragonabili con le migliaia corse di Scorpus o di Musclosus alla fine del secolo, ma Scirtus dovette essere un auriga eminente del suo tempo, visto che ricevette il tributo di un importante monumento funebre.
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Omnium agitatorum eminentissimus Uno dei protagonisti delle corse di carri nel Circo Massimo che raggiun se grande fama e una ragguardevole fortuna economica fu C. Appuleius Diocles, che esercitò il mestiere di auriga nel I I secolo d.C.: Gaio Appuleio Diocle, auriga della fazione rossa, di nascita spagnolo lusitano, visse 42 anni, 7 mesi, 22 giorni. Egli per la prima volta guidò un carro nella fazione bianca sotto il consolato di Acilio Aviola e Corellio Pansa. Vinse per la prima volta nella stessa fazione sotto il consolato di Manio Acilio Glabrione e Gaio Bellido Torquato. Ugualmente condusse il carro per la prima volta nella fazione verde sotto il consolato di Torquato Asprenate, console per la seconda volta, e Anni o Libone.
Nella sua epigrafe sono contenute informazioni dettagliate sulle tappe della sua carriera, sul numero totale delle vittorie conseguite e su quello delle vincite con quadrighe in competizioni singole, sulle tattiche da lui usate durante le corse, sull'entità dei praemia maiora vinti e sulla somma totale dei suoi incassi, sugli aurighi contemporanei suoi antagonisti e su quelli precedenti, nonché sui cavalli utilizzati durante le competizioni. Diocles era un liberto di origine lusitana, nacque nel 104 d.C., cominciò la sua carriera nel 122 d.C. con i Bianchi a diciotto anni, vinse la sua prima gara nel 124 d.C.; passò alla fazione verde nel 128 e, poi, per un breve periodo a quella azzurra; nel 131 d.C. si trasferì nella squadra dei Rossi e in questa rimase sino alla fine della sua carriera, nel 146 d.C. Fu agitator e poi divenne primo agitator della sua fazione, partecipando, in ventiquattro anni di carriera, a ben 4.257 corse e collocandosi al primo posto per 2.900 volte. Ottenne 216 vittorie nei Verdi, 205 negli Azzurri, 81 nei Bianchi e, infine, 960 nei Rossi: In competizioni singole vinse 1.0 6 4 volte, da ciò vinse i premi maggiori 92 volte, 40.0 0 0 sesterzi 28 volte, tra queste 3 volte con il tiro a sei cavalli, 40. 0 0 0 sesterzi 28 volte, tra questi una volta con il tiro a sette cavalli, 6 o. o o o sesterzi 3 volte; con la squadra a due vinse 3 47 volte, incluso con le trighe 4 volte a r s . o o o se sterzi, in squadra a tre vinse sr volte. Arrivò al primo posto 2.9 0 0 volte, ottenne il secondo posto 8 6 r volte, il terzo posto S7 6 volte, il quarto a r . o o o sesterzi una sola volta; senza risultato si lanciò nella corsa 1.3 s r volte. Con la fazione azzurra vinse ro volte, con la fazione bianca vinse 91 volte, poi a 30.0 0 0 sesterzi 2 volte. Ottenne un guadagno di 3 s .8 6 3 . 120 sesterzi>'.
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L e vittorie, nel testo epigrafico, vengono classificate anche sulla base della t i p ologia della gara: r.o 64 con la quadriga in competizioni singole, 342. in gare con equipaggio a due per fazione, 51 in corse con equipaggio a tre per fazione. Con orgoglio sono elencate pure le corse nelle quali ottenne il se con do posto (861 volte), il terzo (576 volte), il quarto (una volta), non ch é le occasioni in cui gareggiò senza collocarsi in posizione utile (1.351). Nell'epigrafe sono accuratamente registrate le somme ottenute come pre mi : nelle competizioni singole in cui risultò vittorioso (1.064) vinse iprae mia maiora per 92. volte, precisamente 30.ooo sesterzi per 32. volte, 40.ooo ses terzi per 2.8 volte, so.ooo sesterzi per 2.9 volte, 6o.ooo sesterzi per 3 volte ; a questi vanno aggiunte 4 volte in cui vinse rs.ooo sesterzi. La fortu na da lui accumulata in totale, nei ventiquattro anni di attività, ammontò a ben 3s.863.12.0 di sesterzi, mentre la cifra dei praemia maiora riportati fu di 3·77o.ooo sesterzi (Horsmann, 1998, pp. 31, 154-60 ). Sottraendo dal totale l'importo dei premi straordinari, si ottiene 32..093.12.0 sesterzi come somma complessiva dei premi ordinari conseguiti. Volendo rendere un'i dea della grande fortuna accumulata da questo agitator rispetto a quella posseduta da qualche ricco romano, si può ricordare che quella di Seneca è stimata in 3 o o milioni di sesterzi e quella del famoso liberto Trimalchione del Satyricon di Petronio ammontava a 30 milioni (Nelis-Clément, 2.002., p. 2.75, nota 35)". Può contribuire a far comprendere come gli aurighi ar rivassero ad accumulare patrimoni di tali entità riflettere sul fatto che i dominiJactionis avevano interesse a che i loro cocchieri ricevessero buoni compensi; le fortune accumulate dai liberti ricadevano in parte sui loro patroni, non solamente al momento della manomissione ma anche in se guito al loro decesso: se il liberto aveva un figlio, il patrono riceveva la metà, se il liberto ne aveva due, il patrono riceveva un terzo; in caso di morte del patrono, i suoi figli e discendenti avevano diritto a riscuotere. Per quanto concerne le tattiche usate da Diocles per vincere, ne viene dat a una precisa statistica: 8rs volte occupavit et vicit; 67 volte successit et vicit; 36 volte praemissus vicit; 502. volte eripuit et vicit; 42. volte non clas si ficate. Come già anticipato, occupavit et vicit quasi certamente significa ch e prese la prima posizione alla partenza e la mantenne durante tutta la corsa. Successit et vicit può essere interpretato come arrivò da dietro e vi nse. Eripuit et vicit può significare rimase secondo durante quasi tutta l a corsa e rubò la vittoria nell'ultimo tratto, con i Verdi 2.1 6 volte, con gli Azzurri 2.05, con i Bianchi 8r; in questo modo i conducenti antagonisti delle altre tre fazioni erano defraudati alla fine della gara di una vittoria ch e ormai era sembrata scontata. Diocles può aver vinto corse con la tecni-
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ca indicata dalla formula praemissus vicit all'inizio della sua carriera, pri ma di diventare primo conducente per la sua fazione ( Humphrey, 1986; Harris, 2014). Nell'epitaffio di Diocles sono riportate come vanto anche le sue novitates o prodezze poco comuni, come la guida sineflagello e la conduzione di un carro a sette cavalli legati tra loro. Infatti vinse 2 volte da due partenze in un giorno con le seiugae e ottenne una vittoria con un tiro di sette cavalli nella prima occasione in cui tale corsa fu organizzata. A quest'ultimo particolare viene aggiunto che Diocles vinse questa corsa sineflagello, anche se questo dato tecnico si può spiegare semplicemente con la constatazione pratica che, dovendo manipolare le redini di sette cavalli, difficilmente avrebbe avuto una mano libera per ilflagellum. Le peculiarità della sua carriera di agitator sono marcate con orgoglio anche grazie al confronto con gli altri aurighi, sia del passato sia del pre sente, che potevano vantare di aver vinto più di 1.ooo volte. Tale parago ne, nel testo epigrafico, viene fatto relativamente al numero delle vittorie riportate e alle volte in cui si era ottenuto il premio di so.ooo sesterzi. Fu superiore ad altri cocchieri della sua stessa fazione: ad Avilius Teres, per aver vinto in un anno 83 volte in competizioni singole, e a Thallus, per aver ottenuto la vittoria in n8 competizioni singole con il cavallo principale di un'altra fazione. Fu superiore a Communis, Venustus ed Epaphroditus per ché vinse il premio di so.ooo sesterzi 12 volte, mentre loro soltanto n. Fu migliore di un auriga degli Azzurri, di Scorpus, di Pompeius Musclosus non per il numero totale delle vittorie, ma per aver ottenuto più volte di loro il premio più alto di so.o oo sesterzi, 29 volte contro le loro 28 ( Harris, 1972). Anche su Fortunatus si impose Diocles per il numero di occasioni in cui vinse la somma di so.ooo sesterzi (10) e di 6o.ooo sesterzi ( una) . Per quanto concerne i cavalli con cui gareggiò, innanzi tutto nell'iscri zione è riportata la soddisfatta asserzione di aver vinto con nove cavalli 100 volte ciascuno e con un altro addirittura 200 volte. Poi c'è la preci sazione che con tre cavalli interni al giogo, Abigeius, Lucidus, Paratus, ottenne il premio di so.ooo sesterzi per 8 volte e che con i due interni al giogo, Pompeianus e Lucidus, guadagnò so.ooo sesterzi per 12 volte. In fine, è rimarcato che con Pompeianus vinse 152 gare, delle quali IO volte si aggiudicò so.ooo sesterzi e una volta 6o.ooo. Un altro auriga dalla fortunata carriera fu Publius Aelius Gutta Cal purnianus, che guidò per le quattro fazioni nel n secolo d.C. ' 1 : Publio Elio Gutta Calpurniano, figlio di Mario Rogato, vinse con questi cavalli nella fazione azzurra: con Germinatore, nero africano, 92 volte, con Silvano,
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rosso africano, 105 volte, con Nitido, giallo chiaro africano, 5 2. volte, con Sasso ne, nero africano, 6 o volte e vinse i premi maggiori di s o.o o o sesterzi una volta, di 40.0 0 0 sesterzi 9 volte, di 3 0.0 0 0 sesterzi 17 volte.
Ottenne in totale 1.127 vittorie, che nell'epigrafe sono elencate suddivise 102 per i Bianchi, 78 per i Rossi, 583 per gli Azzurri, 364 per i Verdi. Per ognuno dei quattro gruppi sono, poi, ripartite per tipologia di c ompetizione (certamina singularum, binarum, ternarum, quaternarum) e p e r entità dei praemia maiora vinti. Trionfò, infatti, 575 volte nelle com p etizioni singole con quadrighe, 407 volte in squadra a due, 134 volte in squadra a tre, una volta in squadra a quattro. Riportò i praemia maiora di so.ooo sesterzi una volta, di 40.000 sesterzi 12 volte, di 30.000 sesterzi 20 volte, di 25.000 sesterzi e di 1o.ooo sesterzi una volta. Come per Diocles, nell'iscrizione sono riportati anche i nomi di alcuni suoi cavalli favoriti e il particolare di aver guidato un solo cavallo di colore marrone in 429 cor se, che in modo decisamente appropriato si chiamava Victor. Sia l'epigrafe di Diocles sia quella di Calpurnianus indicano il totale del numero delle corse che essi vinsero a pompa, "dritti dalla processione", un'espressione particolare volta a indicare verosimilmente che i carri coinvolti nella pri ma corsa sfilavano anche nella processione di apertura dei giochi e, alla conclusione di quella, dopo il giro di pista, si recavano immediatamente negli stalli. li fatto che questa particolare corsa trovi registrazione pun tuale tra le peculiarità della carriera significa che la vittoria in questa com petizione di apertura era un segno d'onore. Per Calpurnianus non sono riportate vittorie con le bighe e ne sono indicate solo 8 con le trighe. È annoverata una vittoria con equorum anagonum, che letteralmente signi fica "cavalli che non avevano mai corso", ma può anche significare "caval li che non avevano mai vinto". La differenza più marcata tra le carriere di Calpurnianus e di Diocles è che il primo rivendica 61 vittorie pedibus ad quadrigam, un'espressione che suscita dei problemi quanto alla sua interpretazione. Secondo alcuni, si sarebbe riferita a quel tipo di corse che richiedevano all'auriga di scendere, a un certo punto, dal suo carro e coprire l'ultima parte della corsa a piedi; Matz (1983; 1985), invece, ha reputato questa possibilità inverosimile, poiché degli aurighi che avessero raggiunto il punto in cui scendere da cavallo mentre si trovavano in testa av rebbero dovuto allora tentare di schivare gli altri che sopraggiungevano anche a grande velocità con i loro cavalli e avrebbero dovuto evitare di es sere calpestati a morte. Lo studioso ha riferito l'espressione all'inizio del l a competizione, alla partenza, quando gli aurighi correvano da qualche per fazione:
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punto non specificato sulla linea verso i loro carri in attesa. Questa espres sione si trova soltanto nell'iscrizione di Calpurnianus e ciò può indicare che questo tipo di competizione mista ebbe vita breve, limitata al periodo in cui si svolse la sua carriera. Un'altra interessante caratteristica dell'iscri zione di Calpurnianus è che quattro delle sue vittorie sono descritte dalla parola remissus, cioè mandato indietro. n termine, che si trova in altre iscrizioni ma non in quella di Diocles, potrebbe significare "vinto dopo una ripetizione". Sappiamo da Ovidio che ciò qualche volta accadeva e che gli spettatori richiedevano l'annullamento della corsa sventolando i loro mantelli, ma non abbiamo notizia di che cosa dovesse accadere in una gara per giustificare una replica o in quale fase poteva avere luogo una nuova chiamata•+. Da quanto ricostruito finora su carriera e condizione economica de gli aurighi emerge con chiarezza quanto grande rimanesse, però, il di vario tra il prestigio sociale raggiunto e lo status giuridico, nonostante l'orgoglio con cui molti ostentavano il proprio mestiere nei monumenti sepolcrali e nel testo delle iscrizioni. I ministri e il naufragium
Nelle corse dei carri non agivano soltanto gli aurighi e i cavalli, ma an che il personale di pista che svolgeva diverse mansioni e contribuiva al corretto svolgimento della gara. Soprattutto era chiamato a operare con celerità e professionalità nel delicato momento del naufragium. I controllori potevano trovarsi in vari punti della pista, ma general mente stavano al passaggio delle mete, nelle folae, padiglioni rotondi situati alle estremità della spina; di qui avevano una buona visuale sui due lati della pista e potevano indicare il carro in testa ai giudici assisi nella loro tribuna. Questi operatori della pista erano incaricati di dare segnali con banderuole colorate, per indicare il colore della fazione del carro in testa, per ciascun giro, nel momento in cui il cocchiere stava per iniziare la virata alla prima meta, così come al momento in cui ta gliava il traguardo alla linea d'arrivo. Infatti, tenevano nelle mani delle banderuole di colori differenti, in genere tre nella sinistra e una nella destra e sventolavano quella del colore della squadra in testa, come si può vedere nei citati mosaici di Barcellona e di Piazza Armerina e nel mosaico del Circo di Silin (fine del n secolo-inizio del m secolo, Libia, Villa di Silin ; Nelis-Clément, 2002, pp. 282-4). La loro mansione era
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i m p ortante perché erano agenti della comunicazione tra i due assi della p is ta, nel punto più delicato in cui si verificavano incidenti e nel tratto i n c ui il carro (o i carri) spariva dalla vista di una parte del pubblico. E ran o costantemente osservati da varie persone durante lo svolgimento della competizione. lnnanzitutto, erano monitorati dal giudice, posi zion ato presso la linea d'arrivo, in modo che quello potesse scorgere il lo ro segnale ufficiale e trasmetterlo ai suoi vari colleghi, in partico l are agli operatori incaricati di azionare i meccanismi dei contagiri. In s ec ondo luogo, i cocèhieri e i loro aiutanti tenevano d'o cchio il con trollore perché così si tenevano informati sull'andamento della gara e sulla posizione degli equipaggi. Infine, anche tutti gli spettatori, che in determinati tratti non avevano la visuale della corsa, attraverso i segna li del controllore potevano seguirne ugualmente lo svolgimento. Altri agenti, i designatores, si trovavano nella pista e lavoravano per fornire varie comunicazioni visive, assicurando la trasmissione di informazioni tra il giudice e i diversi controllori o ufficiali e facendo in modo che gli equipaggi rispettassero le regole vigenti11• Nel rilievo con rappresenta zione del Circo Massimo di Foligno (metà del III secolo d.C., Foligno, Palazzo Trinci), uno di essi può essere identificato con l'uomo in toga, con bastone o scettro nella mano, presso la linea d'arrivo davanti al mo numento di Cibele; nel mosaico di Piazza Armerina è ritratto un per sonaggio simile, con lungo bastone, dinanzi ai carceres (Nelis- Clément, 2 0 0 8 , p. 448; cfr. anche Dagron, 20 00, p. 144). Tutti questi segnali visivi erano rivolti ai giudici per informarli costantemente sul posizio namento dei diversi carri e sull'equipaggio in testa, ma anche gli spetta tori seduti nelle prime file potevano contemplare i laboriosi interventi del personale di pista. Oggetto dell'attenzione del pubblico durante la gara e dei suoi com menti, precedenti e successivi ad essa, erano le tattiche usate dagli auri ghi delle quattro fazioni. Diverse strategie erano adottate dai cocchieri per raggiungere o garantirsi la prima posizione, eliminando gli avversa ri più vicini. Talvolta si avvalevano di tattiche poco corrette e subdole, come prendere a frustate un altro equipaggio, pur di ottenere il proprio scopo. ll momento del passaggio delle metae era strategico e pericoloso perché l'auriga poteva perdere il controllo del carro. Ogni equipaggio in gara cercava di collocarsi meglio degli avversari per guadagnare terreno. l conducenti dovevano dare prova di abilità perché la virata era molto stretta con conseguente forte rischio di incidente, il nauftagium, che è sp esso rappresentato nelle raffigurazioni musive (mosaici di Lione, Piaz-
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za Armerina, Barcellona). Per ben 14 volte in pochi minuti gli aurighi dovevano effettuare questa pericolosissima virata intorno alle metae. Nei frenetici sette giri di corsa poteva accadere di tutto e gli spettatori erano con il fiato sospeso per tutta la durata della gara. Se nei punti delle virate il cocchiere in testa poteva perdere il controllo e il suo carro rovesciarsi, sui rettilinei anche l'auriga più abile poteva essere sorpassato inaspetta tamente da un rivale di un'altra fazione, che a sua volta poteva ribaltarsi alla meta successiva o essere superato da un altro concorrente. La tensio ne e la suspense non mancavano. n naufragium era un momento delicatissimo e, nel contempo, de terminante sia per lo svolgimento della gara sia per la condizione emo tiva degli spettatori. Una parte della pista veniva ingombrata dai carri incidentati, con la possibile presenza di cavalli e uomini feriti. Passare di lì era, dunque, pericoloso per gli altri concorrenti e questo costituiva una complicazione della corsa che poteva dar luogo a esiti inattesi. Tali incidenti dovevano essere numerosi soprattutto nella corsa detta ter nae, in cui tre carri concorrevano per ciascuna delle quattro squadre e in pista c'era un certo affollamento. La pulizia della pista doveva essere fatta rapidamente, in meno di due minuti, dal personale specializzato, prima che gli altri equipaggi in gara passassero di nuovo in quel tratto. In quel frangente il pubblico scorgeva sulla pista gli hortatores e gli spar sores, aiutanti dell'auriga, che intervenivano prontamente e offrivano anch'essi uno spettacolo interessante. Gli sparsores avevano il compito di bagnare con acqua la testa dei cavalli, per rinfrescarli ed evitare che ansimassero, tossissero e soffocassero sotto gli effetti della schiuma e del sangue, prodotti dallo sforzo della corsa e dal morso (Thuillier, 1999a). Essi operavano sulla pista per stimolare o frenare lo slancio dei cavalli, alle curve e alla fine della corsa. Alcuni approfittavano della confusione della corsa per intimorire gli equipaggi delle squadre avverse, gettan dosi davanti alle zampe dei loro cavalli; in tal modo potevano essere, qualche volta, gli artefici di un naufragium. Le raffigurazioni musive sembrano confermarlo: gli sparsores sono ritratti in punti strategici, qualche volta stesi tra le zampe dei cavalli o al centro degli incidenti. Nel mosaico di Silin due sparsores litigano sulla pista (Nelis-Clément, 2008, p. 447); in quello di Barcellona uno sparsor è molto vicino alle zampe del cavallo, con un'anfora avvolta nella paglia nella mano destra sollevata, il braccio sinistro teso e a mano aperta in segno di vittoria nella direzione del carro e del cocchiere vincitore. n mosaico circense di Gerona (fine del m secolo-prima metà del IV secolo, Barcellona, Museu
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arq u eol6gico) ritrae lo sparsor davanti alla quadriga di Filoromus, con la mano destra levata a segnalare ai membri della sua fazione di fermarsi i n seg uito alla vittoria della quadriga di Calimorfus (Humphrey, 1986; Nelis -Clément, 2002; wo8 ) . Gli hortatores incoraggiavano i cavalli e gli aurighi della loro squadra durante la corsa, li assistevano in momenti del icati e nei punti pericolosi della pista, facendo segnali e gridando informazioni sulla posizione degli altri concorrenti. Partecipavano alla vittoria dei cocchieri e si incaricavano di condurre la quadriga vincitri ce nel suo giro d'onore, come nel mosaico di SUin. Nelle raffigurazio ni musive l' hortator è ritratto all'interno della competizione, a cavallo, davanti all'uno o all'altro dei carri, talvolta con U braccio sollevato e la mano aperta in segno di vittoria o con un fiocco nella mano destra (per U mosaico del Circo di Colonia Victrix Philippensium, m secolo d.C., Filippi, lnsula del mosaico del Circo, cfr. Gounari, 2010 ). Pur non raggiungendo la notorietà come gli aurighi che aiutavano con le loro p restazioni nell'arena, anzi restando spesso anonimi, tutti questi mini stri erano indispensabili per il buon andamento delle gare e, in qualche caso, contribuivano a determinarne l'esito, accrescendo la suspense degli spettatori.
Non sum Andraemone notior caballo: i cavalli celebri Anche i cavalli da corsa, al pari degli aurighi, facevano eccellenti carriere diventavano celebrità. Di loro, della loro linea di sangue e delle loro abilità discutevano gli appassionati delle corse nel Circo Massimo (Hy land, 1990, p. 201 ) . Marziale, in un suo epigramma, tra le qualità di un uomo attraente cita anche quella di saper descrivere U pedigree del famo so cavallo da corsa Hirpinus'6• Sempre Marziale ci può far comprendere la notorietà raggiunta dai cavalli che gareggiavano nel Circo Massimo, dai momento che commenta la sua fama nel mondo paragonandola a quella di un cavallo: non sum Andraemone notior caballo'7• Addirittura al cuni cavalli celebri ebbero le loro iscrizioni funerarie, come Speudu sa (cursando glabris compara, "veloce come U vento") , commemorata a Roma'8• Altri, al pari degli aurighi, erano menzionati nelle tabulae de ./ìxionum, nelle formule di maledizione per impedire a un equipaggio di vinc ere la corsa (Toynbee, 1948, p. 25; Humphrey, 1986, p. 320 ). Le fonti letterarie, i mosaici e le iscrizioni rivelano una grande varietà di nomi per i cavalli da corsa, molti dei quali sono stati raccolti e catae
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logati (Toynbee, 1948; Darder Liss6n, 1996, pp. 33-41 ) . Alcuni di questi riflettevano le ambizioni di proprietari e aurighi, nonché i casi della sor te propri del mondo delle corse, come Victor, Palmatus, Sagitta, Invictus, Dominator, Superstes, Celer. Altri erano descrittivi, derivando da attribu ti fisici, dal colore del manto, da aspetti comportamentali, dalla linea di sangue, come Lucidus, Nitidus, Candidus, Muccosus, Frunitus, Benena tus ( il cui nome denotava l'eccellente pedigree) , Volens, Animator. Altri avevano nomi di dèi e di eroi, come Aiax, Daedalus, Phaedrus, di città e di fiumi, di mestieri e occupazioni, come Advocatus, Patronus, Agricola. Altri ancora erano di fantasia, come Hederatus, Pugio, Passer, Perdrix. I nomi dei cavalli appaiono iscritti su un gran numero di piccoli ma nufatti, come lampade di terracotta, campane di metallo, contorniati e gemme. Questi oggetti di uso quotidiano potevano essere appartenuti ai proprietari, agli allevatori o agli aurighi, che dovevano essere affezio nati ai loro cavalli. Ma il grande numero di questi manufatti rende più probabile il fatto che per la maggior parte essi appartenessero a persone comuni, che non erano direttamente coinvolte nel mondo delle corse, cioè i tifosi. I cavalli non erano soltanto gli animali che trainavano i carri al servizio degli aurighi famosi, ma erano di frequente star vere e proprie, amate dagli spettatori e ben note per le loro prodezze. Come in parte anticipato nelle pagine precedenti, nelle epigrafi degli aurighi più noti e ricchi vengono menzionati i nomi dei cavalli con i quali essi ottennero centinaia di vittorie e anche la loro posizione nel tiro del carro. Crescens della Mauretania menziona i quattro cavalli con i quali vinse per la prima volta nei giochi organizzati per il dies natalis del divo Nerva: Circius, Acceptator, Delicatus, Cotinus. li lusitano Diocles cita il cavallo Pompeianus, con il quale ottenne 152. vittorie, i tre caval li interni al giogo, Abigeius, Lucidus e Paratus, con i quali vinse per 8 volte so.ooo sesterzi, i due interni al giogo Pompeianus e Lucidus con i quali ottenne per 12. volte so.ooo sesterzi. Calpurnianus ricorda i nomi dei cavalli con i quali conseguì 1.ooo vittorie con i Verdi: Danaus, baio africano ( 1 9 volte) , Oceanus, di colore nero ( 2.09 volte), Victor, di colore rosso ( 42.9 volte), Vindex, baio ( 157 volte) ; menziona anche quelli con cui vinse nella fazione azzurra: con Germinator, nero africano ( 92. volte), Silvanus, rosso africano ( 105 volte) , Nitidus, giallo chiaro africano ( 52. volte), Sasson, nero africano ( 6o volte) . Non solo il nome dei cavalli ma anche la loro posizione specifica nel tiro viene indicata in modo puntuale in queste iscrizioni e nei mosaici, dal momento che essa non era affatto casuale, ma legata alle specifiche
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abi lità di ogni singolo esemplare, innate o sviluppate con l'addestra m e nto. In una quadriga la coppia centrale di cavalli era denominata iu gales, cioè sotto il giogo, e la coppia esterna,funales, era legata al giogo. L'op inione degli studiosi è discorde su quale cavallo o coppia di cavalli foss e considerata la più importante nel tiro per il buon andamento della co mpetizione. L'iscrizione di Diocles analizzata sopra autorizza a con clu dere che un solo cavallo fosse considerato il leader del tiro e che fosse abitualmente collocato interno al giogo'9; infatti, diversi cavalli citati per nome nell'epigrafe dell'auriga lusitano sono appunto identificati con il termine introiugi, che sicuramente indica la posizione interna (Harris, 1 972, pp. 171, 210; Lawrie, 2005, pp. 5 6-7 ). I cavalli con il giogo p ortavano la maggior parte del carico e mantenevano sempre il passo ; di conseguenza avrebbero dovuto essere più saldi, con il cavallo interno che guidava il carro in modo fluido intorno alle mete senza sbandare. Questo era il ruolo di un cavallo leader. Un'ulteriore conferma dell'im portanza accordata ai cavalli del giogo è fornita dai mosaici, nei quali ci sono numerose rappresentazioni dell'auriga vincitore con il suo equi paggio, in cui sia il cocchiere sia i cavalli sono identificati per nome. Nel mosaico dell'auriga Eros da Thugga i due cavalli del giogo recano il loro nome, Amandus e Frunitus (Bennett, 1997, p. 41); nella raffi gurazione di Marcianus da Mérida soltanto il cavallo interno sinistro del giogo, Inluminator, è ricordato per nome (Dunbabin, 1999, p. 316). Nel mosaico dell'auriga Polydus (m secolo d.C., Treviri, Rheinisches Landesmuseum) c'è il nome Compressor sulla sommità, ma è incerto a quale dei due cavalli centrali si riferisca (Dunbabin, 1982, tav. 6, fig. 8). Anche i cavalli liberi svolgevano un ruolo importante. Non erano di rettamente controllati dal giogo e dovevano essere estremamente reattivi e obbedienti al cocchiere. Hyland (1990, p. 206) suggerisce che il caval lo libero interno avrebbe dovuto essere il membro più versatile del tiro come anche il più forte, dal momento che sarebbe stato il più vicino al punto della virata e avrebbe avuto bisogno non solo di adattare la sua an datura attentamente, ma anche di imporre il suo volere agli altri per evita re disastri. Perciò ilJunalis interno era determinante per effettuare virate s trette con successo, sebbene il cavallo libero esterno fosse ugualmente importante per fornire stabilità e coesione al tiro (Lawrie, 2005, p. 57). Virgilio, nelle Georgiche, precisa che i cavalli destinati alle corse nel Circo Massimo dovevano essere di nobile stirpe e di alto spirito e Plinio commenta che la più lucrosa forma di allevamento era proprio quella dei cavalli da corsa30• Se si considera l'aumento esponenziale del
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numero di giorni dedicati a ludi circenses dal principato augusteo al IV secolo d.C., quando si avevano circa centosettantasette giorni abituali contrassegnati da gare nel Circo, cui se ne potevano aggiungere altri cento per occasioni speciali (Olivova, 1989, p. 81), e se si valuta anche il passaggio dalle 10-12. corse giornaliere alle 24 di età imperiale, si può calcolare quale fosse la richiesta di cavalli da corsa per soddisfare tutte le necessità delle competizionP'. Junkelmann (20oob, p. 98) ha fatto una stima del numero dei cavalli destinato a questo scopo: con 24 gare al giorno in un solo giorno accorrevano 70o-8oo cavalli soltanto per le corse, mentre altri 200 dovevano essere inclusi per personale e cocchieri acrobati, che intrattenevano la folla tra un missus e l'altro. Ogni cavallo doveva gareggiare per più di un solo giorno, se si vuole spiegare l'alto numero di vittorie riportate da alcuni di essi. Nonostante ciò, il numero dei cavalli coinvolti in una singola occasione festiva era enorme; per tanto, per soddisfare questa domanda l'allevamento dei cavalli da corsa doveva essere estensivo e ben sviluppato (Hyland, 1990, p. 220; Lawrie, 20 05, p. 48). Numerosi cavalli da corsa raffigurati nei mosaici portano un marchio su un fianco, che verosimilmente denotava l'allevatore, consentendone l'identificazione (Ennai:fer, 1983, p. 826). Un'ampia varietà di marchi è stata accertata grazie alle differenti fonti. La provenienza dei cavalli cambiò nel corso del tempo e molte furono le aree dell'impero romano deputate all'allevamento degli equini. Nei primi tempi i cavalli per il Circo Massimo senza dubbio erano allevati principalmente in Italia; quelli originari della Campania, della Sardegna e della Sicilia erano di pregio (Hyland, 1990, p. 210 ). Spagna e Mrica sembrano essere state le aree più importanti di allevamento di purosangue di successo ; non è un caso che esse siano anche le più ricche di mosaici che ritraggono cavalli con i loro nomi e aurighi. Qui sono stati identificati, inoltre, grandi allevamenti, come la villa di Sorothus (Hadrumetum) a Sousse in Tu nisia (Humphrey, 1986, p. 320; Lawrie, 2005, pp. 50-2). Nelle iscrizioni degli aurighi sono fornite molte indicazioni sull'origine dei destrieri. Spiccano due liste nelle quali sono andati perduti i dettagli sulla vita e sulla carriera dei cocchieri. Una elenca i nomi di 74 cavalli, fornendo anche l'indicazione del loro allevatore o il paese di origine: 46 sono africani, con pochi provenienti anche dalla Gallia, dalla Mauretania, dalla Spagna, da Sparta, dalla Cirenaica e dalla Tessaglia32• L'altra ricor da che l'auriga vinse 584 vittorie con cavalli africani e 1.378 con cavalli spagnolPJ.
L A P O POLARITÀ DELLE CORSE DEI CARRI
Le raffigurazioni dei cavalli
Sulle gemme si ritrovano innumerevoli raffigurazioni di aurighi e cavalli vincenti. Ciò non meraviglia perché esse erano utilizzate come porta fortuna. La figura dell'auriga trionfante fungeva da metafora della vitto ria in un'accezione più ampia della semplice competizione sportiva; in modo analogo, l'immagine del cavallo vincente poteva essere considera ta un emblema difelicitas che aveva la proprietà di evocare il successo e la buona fortuna nella vÙ:a quotidiana (Aubry, 2.0II, p. 642 ) . Anche i nomi dei cavalli erano scelti alcune volte per questo loro valore simbolico e p ropiziatorio, ad esempio Fortunatus. Una delle quattro categorie iconografiche ricostruite per le gemme con raffigurazione delle corse dei carri da Aubry (ivi, p. 643 ) è caratte rizzata proprio dal tema del cavallo vittorioso, con la palma nella boc ca; il destriero poteva essere accompagnato da un personaggio, ma era libero dai suoi finimenti (Scherf et al., 1970, p. 220, n. 97; AGKMW III, p. 65, n. 1706 con un personaggio che tiene il cavallo per la briglia con una mano e con l'altra una palma, da identificarsi probabilmente con l'auriga stesso o uno sparsor). Vi veniva ritratto il cavallo che aveva la funzione di leader, quindi sia quello iugalis, timoniere di destra sotto il giogo, sia quelloJunalis, esterno sinistro, collegato al carro da un tratto unico di briglie e che funzionava da elemento cardine nei punti della virata (Vigneron, 1968, p. 192; Lawrie, 2.005, p. 56, n. 6 ) . n nome del ca vallo è spesso riportato sulla gemma, non solo su quelle appartenenti alla tipologia sopra menzionata, ma anche su altre che ritraggono l'auriga in gruppo, la quadriga o la biga con una Vittoria alata che sorregge pal ma e corona, le corse davanti alla spina. Tuttavia, sulle gemme l'unione cumulativa dei nomi dell'auriga e dei suoi cavalli o soltanto di uno di loro (iugalis oJunalis) è relativamente rara. Su una pietra di Hannover è ritratta la Vittoria su una quadriga e l'iscrizione intorno riporta il nome dei quattro cavalli del tiro al nominativo: Eutyches, Torkouatos, Alkimas, Akylon (Schliiter et al., 1975, p. 277, n. 1503 ) . Nelle rappresentazioni che associano auriga e cavallo, le legende registrano il nome sia dell'uno sia dell'altro. Su una cornalina proveniente da Napoli si legge l'iscrizione in l ettere greche Nika Diocles con l'aggiunta di un theta greco seguito dalle l ettere -in- e poi dal nome Pompeiana, ossia un'acclamazione (Nika) per il noto auriga Diocles menzionato al nominativo e il suo cavallo Pompe ian us, al dativo. n theta era un simbolo di morte e di malaugurio che si
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ritrovava come nelle iscrizioni funerarie anche sugli oggetti a tema ago nistico romano raffiguranti scene di gladiatura o di caccia, e le due let tere -in- potevano indicare una funzione specifica del cavallo, quella di introiugus. Pertanto la gemma verosimilmente ritraeva una delle prime corse di Diocles per i Rossi, verso il 131-132 d.C., tra la nona e la decima vittoria di Pompeianus come iugalis (Aubry, 20II, pp. 661-4) . Questo tipo di scena appare frequentemente nei mosaici, sul vasella me o sugli oggetti in osso. Una coppa in vetro del IV secolo d.C. sul fre gio superiore reca i nomi del cocchiere e dei suoi quattro cavalli: Euty ches l'auriga, Puripnous, Nilos, Arethous e Simos i cavalli (Weitzmann, 1979, p. 99, n. 90 ) Su diversi manici di coltello pieghevoli in osso sono iscritti i nomi di aurighi e cavalli: il nome Nereo associato a una testa di cavallo e una palma da un lato, il nome Euprepes con casco da auriga e frustra dall'altro lato (Toynbee, 1948, fig. 20 ) ; su un altro manico di col tello si può leggere il nome dell'auriga Plumeus e quello del suo cavallo, Ycus (Thuillier, 1996, p. 134; Landes, 2008, pp. 415-21, figg. 2-5 ) . Un mosaico nel pavimento di Villa Celimontana a Roma raffigura due cavalli, Pascasus e Sattara, isolati in medaglioni, rappresentati senza alcun finimento, accompagnati ciascuno forse dal proprio palafreniere in tunica corta, che tende la mano destra (Blak.e, 1940, p. 109, tav. 33, fig. 4 ) . Le raffigurazioni musive africane spesso ci offrono l'immagine dei cavalli vincitori, sia con il cavallo rappresentato nel contesto della scu deria sia adorno dei simboli della vittoria in seguito al successo nell'are na. Due sono i modelli iconografici: destrieri isolati o affiancati da una parte e dall'altra da un simbolo del premio. Per il primo tipo si può ci tare un mosaico di Cherchel, in Algeria, che ritrae un cavallo chiamato Muccosus; il suo nome è iscritto tra due hederae ed è tracciato al di sopra del suo dorso ( Iv secolo d.C., Algeri, Hotel El Djezalr; Toynbee, 1948, p. 31, tav. III, n. 6; Dunbabin, 1978, p. 102., nota 1; Ennai:fer, 1983, p. 830 e fig. 1 6 ) . L'animale è ritratto di tre quarti, mentre avanza a destra verso un ramo di alloro. Porta sulla groppa e sulla spalla il nome del suo pro prietario CL(audius) SABINUS e la sua appartenenza ai Verdi è indicata dalle lettere PRA(sinus), iscritte sul collo. È raffigurato senza briglie, ha una lunga criniera e una coda dispiegata. Un mosaico proveniente da Meninx in Tunisia, rappresenta quattro cavalli: Botrocales, Luxuriosus, Ceruleus, Ispicatus. L'ultimo, l'unico a essersi conservato integralmente, è ritratto schematicamente all'interno di un medaglione, con la testa rivolta a destra e sovrastata da una palma. I finimenti sono ridotti a una semplice briglia e il collo è ornato di un collare a elementi filiformi che .
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ric ado no lungo la criniera (Mosaico dei cavalli, Musée Archéologique de Blois ; Enna'ifer, 1983, p. 830 e fig. 17 ). Per il secondo modello iconografico possono essere ricordati due m osa ici della Casa di Sorothus a Sousse (ivi, pp. 831-2 e fig. 19 ). Nel pri mo p avimento i cavalli di razza araba sono raffigurati in coppie in quat t ro m edaglioni circolari; sono visti di tre quarti, in posizione di riposo. H anno la testa sormontata da una palma, il collo circondato per tutta [a sua lunghezza da un collare a elementi filiformi e la coda dispiegata. I destrieri di sinistra portano il nome del proprietario, Sorothus, mentre q u elli di destra mostrano il marchio della scuderia. Sono tutti accom p agnati dai loro nomi: Amor, Dominator, Adorandus, Crinitus, Ferox, Pegasus. I cavalli del secondo mosaico, Patricus, Ipparchus, Campus, Di lectus, della stessa razza, sono rappresentati di profilo ; sono il prodotto dello stesso allevamento e appartengono alla medesima scuderia degli altri. Hanno la palma sulla testa e il collare a elementi pendenti; alcuni Amorini si apprestano a ornare il loro collo di una ghirlanda d'alloro. Da Sidi Abdallah, nei pressi di Biserta, l'antica Hippo Diarrhytus, dalle terme private del Fundus Bassianus proviene il pannello di mosaico su cui sono ritratti due cavalli di razza, affiancati da ogni lato da un cilin dro, in metallo giallo dorato, decorato di pietre verdi ( Tunisi, Musée national du Bardo ; ivi, pp. 835-6 e fig. 27 ). I destrieri sono in posizione di riposo, legati da una capezza a una colonna, piantata al suolo, dove sono collocate due lunghe palme della vittoria; portano sulla testa uno il nome di Diomedes e un gambo di miglio, l'altro il nome di Alcides e un ramo d'olivo. La criniera è coperta da un camaglio legato sotto il collo e sotto il ventre. La coda di entrambi è ornata di un ramo d'olivo e gli animali sono contrassegnati sulla zampa dal segno distintivo della loro scuderia. Un pavimento proveniente da Sousse, datato al III secolo, mostra quattro cavalli di razza araba con i loro nomi - Pupillus, Cupido, Ama tor, Aura - tenuti dai rispettivi palafrenieri muniti di frustino ; hanno la testa sormontata da una palma, il collo circondato da un collare a ele menti filiformi, la criniera nascosta da un camaglio (Dunbabin, 1978, P· 9 5 , tav. 83). La copiosità delle raffigurazioni di cavalli vincenti, con o senza i loro au righi, su gemme, oggetti di osso, vasellame di vario tipo e nei mosaici comprova quanto le corse dei carri fossero amate dal grande pubblico, in tutto l'impero, e come fosse motivo di orgoglio per i proprietari di allevamenti e scuderie poter ricordare i propri esemplari migliori.
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GLADIATORI, CARRI E NAV I
La folla degli spettatori
Durante lo svolgimento della competizione il pubblico, in preda all'ec citazione, manifestava il suo gradimento o la sua disapprovazione, il suo sostegno a una fazione, a un auriga, a un cavallo. Applausi frenetici degli spettatori durante la corsa venivano indirizzati ai cocchierP+. In un com mento dall'intento moralizzatore, Varrone registra che, alla fine dell'età repubblicana, dei patres fomilias preferivano utilizzare le mani per ap plaudire agli spettacoli piuttosto che servirsene per maneggiare la falce e l'aratro31. Le nostre fonti sottolineano, insieme agli applausi concitati, anche le urla del pubblico assiepato nella cavea del Circo36. Si trattava di grida di eccitazione per lo svolgimento della corsa ( di sorpresa, collera ecc. ) oppure di imprecazioni indirizzate a una persona specifica, come un cocchiere, quando con la sua tattica non soddisfaceva le aspettative dei suoi sostenitori37, o un altro spettatore, con cui si era entrati in contra sto per qualche motivo particolare o perché tifoso della squadra avversa. Neanche gli imperatori sfuggivano a tali insulti, come accadde a Lucio Vero, che fu oggetto di molte ingiurie da parte dei Veneti, mentre sedeva insieme al fratello Marco Aurelio nel Circo38. Silio Italico ci parla anche delle grida rivolte ai cavalli in gara, i cui nomi, del resto, erano ben noti agli spettatori, soprattutto quando si trattava dei beniamini del pubbli co39. Verso i cocchieri erano lanciate grida di incoraggiamento o racco mandazione, ma anche di rimprover040• n fragore era enorme, perché ognuno tentava di urlare più forte del suo vicino. Aurighi e cavalli erano sensibili a questi incitamenti o commenti negativi, come testimoniano Sidonio Apollinare e Plinio il Vecchio4'. Le succitate tabulae dejixionum, che, come già accennato, erano iscrizioni di maledizioni fatte iscrivere dai cocchieri o dai loro ammiratori, possono fornire un'idea delle impre cazioni rivolte contro cocchieri e cavalli, volte ad attirare contro di loro ogni sorta di male ( Audollent, 1904, n. 234; Tremel, 2004, n. S3): lo t i supplico, chiunque tu ora sia, spirito d i un morto deceduto anzitempo, per (il potere ?) ( ... ] e ( ... ] i nomi ( ... ] BROURABROURA MARMAREI MARIMAREI AMARTAMEREI APEORNOM FEKOMFTO BAEIPSON SATHSATHIEAO ( ... ] BBAIFRI affinché tu blocchi i cavalli dei Blu e quelli dei loro alleati dei Verdi [ ... ] ti affido i nomi scritti su cocci marini in questo vaso: Vittatus, Derisor, Victor, Armenios, Nimbus, Tyrios, Amor, Praeclarus Tetrapla, Virilis, Paratus, Victor, Imboutrious, Phoenix, Likos e i cavalli dei loro alleati conducenti dei Verdi: Da rius, Agilis, Cupido, Pugio, Pretiosus, Prounicus, Dardanus, lnachos, Floridus,
L A p O P OLARITÀ D ELLE CORSE DEI CARRI
Pardos, Servatus, Fulgidus, Victor, Prophikios; blocca la loro corsa, le zampe, la vittoria, la forza, l'audacia, la velocità, distruggili, falli impazzire, slogali affinché blo cchi loro la corsa, la forza, l'animo, l'audacia, la velocità, togli loro la vittoria, ostacola le loro zampe, distruggili, falli impazzire, slogali affinché domani, una volta giunti nell'ippodromo, non possano né correre né muoversi né vincere né lasciare le linee di partenza; non percorrano né l'area né lo spazio né facciano il giro delle mete ma cadano con i propri cocchieri, Dionysios dei Blu e Lamurus e Restutianus e i loro alleati conducenti dei Verdi: Protos e Felix e Narkissos [ ] ...
AMAEI MESAGRA MESAKTO ASBUR OREOBABZAURA MASKELLEI FNOUKEN TABAOTH SAMFORNO BEOUOUBEOU: blocca i cavalli dei Blu i nomi dei quali io ti affido scritti su cocci marini in questo vaso, Vittatus, Derisor, Victor, Ar menios, Nimbus, Tyrios, Amor, Praeclarus Tetrapla, Virilis, Paratus, Victor, lm boutrious, Phoenix, Licus, e i cavalli dei loro alleati conducenti dei Verdi: Da rius, Agilis, Cupido, Pugio, Pretiosus, Prounicus, Dardanos, Inachos, Floridus, Pardos, Servatus, Fulgidus; blocca loro la corsa, le zampe, la vittoria, l'audacia, la velocità, distruggili, falli impazzire, slogali affinché domani, una volta giunti nell'ippodromo, non possano né correre né muoversi né vincere né lasciare le linee di partenza né fare il giro delle mete, ma cadano con i propri cocchieri, Dionysios dei Blu e Lamurus e Restutianus e i loro alleati conducenti dei Verdi Protos e Felix e Narkissos: blocca loro le braccia, togli loro la vittoria, il successo e la vista, affinché non possano vedere i loro cocchieri avversari, ma piuttosto prendili dai propri carri e falli rotolare a terra, affinché cadano venendo trascina ti per tutto l'ippodromo, soprattutto in corrispondenza delle mete, con i propri cavall i : presto, presto, velocemente, velocemente, velocemente41•
Durante le gare gli attacchi verbali potevano degenerare anche in epi sodi di violenza fisica. Rixare è il verbo utilizzato da Minucio Felice per i ndicare il comportamento degli spettatori, unito al sostantivo insania·H. Clemente Alessandrino denuncia le staseis che si scatenano al circo e Lattanzio, in modo analogo, denuncia rixas et proelia et contentiones"". Le passioni eccessive e malsane che vengono suscitate negli spettatori dalle corse dei carri e che possono degenerare in violenza sono, del resto, oggetto dell'accurata riflessione di Tertulliano sulfuror circensis: D'ira e di follia noi non possiamo né dobbiamo parlare: ci sentiamo quindi lon tani da ogni genere di spettacoli, e dal Circo anche, dove principalmente ogni manifestazione di furore, di pazzia trionfa e grida: guarda un poco : è il popolo che corre agli spettacoli e come se ne viene già tutto ebbro, in preda ad una specie di febbre e di passione, tumultuante, cieco, eccitato per le scommesse impostate. Gli sembra che il Pretore non venga mai al momento; è l'ansia che domina, e gli occhi son sempre fissi, lì, all'urna della sorte. Ecco che in fine attendono il segnale della partenza: sembra una voce sola che in un dato momento s'innalza; è la paz-
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zia, collettiva, che grida, e che sia proprio follia si capisce bene da quel che scioc camente vanno ripetendosi: oh il segnale è già dato, ci siamo; e si annunziano gli uni e gli altri ciò che è ormai a conoscenza di ognuno. La prova della loro cecità è poi questa: il segnale è stato dato da un fazzoletto che al momento opportuno il Pretore ha lasciato cadere: ma non sanno mica essi che cosa quell'oggetto sia ve ramente : un fazzoletto, lo credono loro; ma è l'emblema del demonio che è stato lasciato cadere; ed è tutta un'ebbrezza strana, ci si accalora, ci s'inquieta, nascono risse, dissensi, tutto quello, insomma, che chi ama e sostiene la pace e l'amore non può riconoscere. Parolacce, imprecazioni, vengono lanciate; odii che si suscitano, senza che ve ne sia una ragione, favore e plausi dall'altro lato, con assoluta man canza di merito. - Che cosa pensano di guadagnare costoro che seguono una tale linea di condotta? Si può dire che essi non appartengono più a loro stessi; e che cosa si può dir loro che vi sia esclusivamente, se non la perdita del proprio io, in quest'abbandono alla più pazza bestialità ? Si contristano di una infelicità che riguarda altri e si allietano pure di una gioia che è d'altri ed infatti tutto quello che forma l'oggetto del loro desiderio ardente e sfrenato e quanto invece solleva il loro sdegno è estraneo completamente ad essi: vano è l'amore come ingiusto è l'odio; e non ti pare invero che sia ugualmente strano amare senza una ragione e odiare pure, senza che di ciò ci sia un motivo ? Iddio certamente proibisce l'odio, anche qualora questo fosse giustificato: egli vuole òe si amino anche i nemici. Iddio non vuole che escano da noi parole di maledizione anche giuste, dal momento che ci prescrive di benedire chi pure impreca contro di noi. Che cosa può darsi di più tristo e doloroso del Circo, dove non si usa riguar do alcuno, neppure a gente che riveste una certa posizione, neppure ai propri cittadini ? Se dunque, qualcosa di quello per cui il Circo s'abbandona a furore e ad ebbrezza, in qualche altro luogo può essere di spettanza di anime buone e pure, potrà essere lecito, di conseguenza, anche se compiuto nel Circo, ma se in nessun luogo si riconoscerà tale, neppure nel Circo acquisterà il carattere di cosa lecita e permessa41•
I cristiani devono astenersi dagli spettacoli anche a causa delle passioni che lì esplodono, degli sconvolgimenti emotivi e delle funeste conse guenze etiche che provocano. Essi violano il praescriptum disciplinae che condanna le varie forme di concupiscentia, tra cui c'è la concupiscentia vo luptatis, e gli spettacoli sono appunto una species voluptatis. Non si han no spettacoli che non "scuotano" l'animo degli spettatori, strappandoli a sé stessi e alienandoli46• Le corse dei carri, fin dal loro inizio, provocano accaloramento, inquietudine, risse, dissensi e odii. Come precisa Tertul liano, i tifosi più accaniti delle fazioni del circo non appartengono più a sé stessi, perdono il proprio io e cadono nella bestialità.
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Una giornata all'anfiteatro
Gli annunci e le fasi preliminari dei munera
Grazie alle fonti letterarie ed epigrafiche, alle raffigurazioni di mosai ci e rilievi è possibile ricostruire lo svolgimento di una giornata tipo di spettacoli che il popolo di Roma e dell'impero romano poteva trascor rere nell'anfiteatro. In età augustea il munus iustum atque legitimum, os sia a programma completo, era così scandito : venatio ed esecuzione di damnati ad bestias la mattina, spettacoli di intrattenimento ed eventuali esecuzioni capitali di condannati durante l'intervallo del pranzo, com battimenti dei gladiatori il pomeriggio. Il pubblico era informato in anticipo degli spettacoli attraverso an nunci esposti nei luoghi più affollati, che riportavano una sintesi del programma e l'indicazione della durata dei giochi, da una a più giornate. La città di Pompei reca numerose tracce di edicta munerum, dipinti da persone specializzate su incarico dell'editore dei giochi. Tali editti era no strutturati secondo uno schema fisso e standardizzato; generalmente contenevano il nome dell'e ditore, l'indicazione del numero di coppie gladiatorie che si sarebbero affrontate, il luogo e la data degli spettacoli, con lievi varianti nell'ordine in cui erano elencati i singoli elementi o nell'indicazione della venatio in aggiunta ai gladiatorum paria o nella precisazione ulteriore della causa muneris ( Sabbatini Tumolesi, 1980, pp. 113-9 ) . A questi elementi che erano sempre presenti se ne potevano aggiungere altri che andavano a contraddistinguere i singoli allestimen ti, ad esempio la presenza di vela per proteggere gli spettatori dai raggi del sole, la promessa di sparsiones, di vaporizzazione di essenze profuma te che mascheravano l'odore forte e nauseabondo del sangue e dei corpi senza vita, di doni che venivano distribuiti, come i missilia, e la presenza di athletae, gladiatori o venatori famosi, di noxii, cioè condannati a mor te; si trattava di indicazioni che generalmente chiudevano l'annuncio
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e fungevano da richiami propagandistici. A Pompei gli annunci anfi teatrali dipinti sono stati rinvenuti in vari luoghi della città, nei pressi del Foro, lungo via della Fortuna, via di Nola, via del Lupanare, via di Mercurio, finanche sugli intonaci di tombe poste fuori del pomerio ; ma il maggior numero si concentrava nei pressi dell'anfiteatro e presso il Lu dus Gladiatorius. A Roma si doveva seguire lo stesso principio: esposi zione degli edicta nei pressi dell'anfiteatro, del Foro e nei luoghi in cui si radunavano gli spettatori prima dei giochi. La preparazione e l'allestimento di un munus seguivano uno schema ben preciso in età imperiale. L'editor muneris doveva trovare un accomo damento con il lanista, che forniva i gladiatori e i venatores per lo spet tacolo, e doveva canalizzare l'attenzione del pubblico sull'evento, prov vedendo a far pubblicare gli edicta muneris in luoghi molto frequentati e in collocazioni ben visibili. Gli editores erano in genere magistrati o aspiranti alle cariche pubbliche, generali vittoriosi, che attraverso l'alle stimento di munera in specifiche occasioni si propiziavano il favore del popolo e ampliavano la loro clientela. Uno o due giorni prima dell'inizio del munus i combattenti venivano condotti in qualche luogo pubblico, come il Foro della città, e la sera precedente veniva organizzata la cena offerta dall'editor ai gladiatori e a quanti dovevano esibirsi nell'arena il giorno successivo, attraverso la qua le l'organizzatore poteva ostentare la sua liberalitas'. Si trattava di una cena libera, alla quale poteva assistere il pubblico, che in tale frangente aveva la possibilità di vedere da vicino i gladiatori, ipotizzarne le capacità e, in base a queste valutazioni preventive, fare le scommesse. Plurarco parla di gladiatori greci che impiegavano il tempo della cena non per soddisfare lo stomaco, ma per raccomandare le loro mogli agli amici e per liberare i loro schiavi'. A questo punto era stato preparato ed era disponibile il libellus mu nerarius, che era distribuito agli spettatori prima del munus oppure po teva essere acquistato in precedenza, come ritiene Ville (1981, p. 364)\ Si trattava di un programma dettagliato in cui erano elencate le coppie dei gladiatori che si sarebbero affrontate, nel loro preciso ordine di appari zione. Dopo i nomi dei combattenti era riportato anche il numero dei combattimenti sostenuti e delle vittorie riportate. Prima della compila zione del libellus, veniva fatta la compositio, l'abbinamento in coppie dei gladiatori, un compito che veniva svolto dall'editor, senza dubbio con il parere del lanista e dei doctores, gli addestratori. Essa teneva conto sia delle classi dei gladiatori che potevano essere accoppiate, sia delle loro
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abil ità tecniche, sia della personale esperienza nei combattimenti; inol t re , la presenza di gladiatori famosi rendeva lo spettacolo più attraente p er il pubblico e, per questo motivo, gli abbinamenti dovevano essere p u bblicizzati in anticipo, come scrivono Cicerone e Orazio4• Il giorno del munus il pubblico di buon'ora cominciava ad affluire nell'edificio. Come nel Circo Massimo, anche nell'anfiteatro gli spetta tori dovevano accomodarsi in specifici settori, suddivisi secondo precise norme. I senatori godevano della proedria fin dal 194 a.C.1• Augusto, con la lex Iulia theatralis, introdusse alcune norme sui posti a sedere nel tea tro, prescrivendo che gli equites sedessero nelle prime quattordici file, che i soldati fossero divisi dal popolus, che gli uomini sposati si accomodas sero in un cuneus diverso da quello della plebe, che i praetextati si dispo nessero in posti vicini a quelli dei loro paedagogi, che gli ambasciatori degli Stati liberi e alleati sedessero nei posti d'onore nell'orchestra, che le Vestali avessero il proprio posto d'onore (Rawson, 1987 )6• Disposizioni analoghe furono applicate nell'anfiteatro; qui gli equites, gli ambasciatori stranieri, i figli dei senatori, gli Arvali, i pedagoghi, la plebe urbana ave vano i loro specifici posti a sedere, come testimoniano le iscrizioni (Ko lendo, 198 1b, pp. 304-15). Il pubblico comune presente sulle gradinate poteva godersi anche lo spettacolo rappresentato dall'entrata nell'edificio dei personaggi eminenti e, a partire dal principato, dell'imperatore stes so, che si sedeva in un particolare palco, come ritratto su molte monete. All'interno del Colosseo c'erano, infatti, due logge, entrambe sul lato corto, di cui una doveva essere appunto quella imperiale e l'altra doveva comunque accogliere persone eminenti, le Vergini Vestali o l'imperatrice o l'editor muneris o i consoli o il prefetto della città o i dignitari stranieri o i collegi sacerdotali, come è stato variamente ipotizzato ( Golvin, 1988, p. 178; Richardson, 1992., p. IO ; Hopkins, Beard, 2.oos, p. 134). Anche le divinità assistevano ai munera e il pulvinar loro riservato poteva essere nella parte meridionale del lato corto del Colosseo, di fronte al palco imperiale, ubicato nella parte settentrionale (Elkins, 2.004; 2014, p. 102.). Tale distribuzione in settori specifici contribuiva a creare per il pub blico presente nell'edificio uno "spettacolo nello spettacolo", costituito dall'ingresso dei senatori, dei cavalieri, dei collegi sacerdotali ecc., dalle manifestazioni di plauso o di biasimo indirizzate agli uomini politici durante la repubblica, dalle acclamazioni rivolte all'imperatore e ai suoi familiari nel corso dell'impero. Ma bisogna considerare anche che attra verso questa ripartizione gerarchica dei posti a sedere, che riproduceva la stratificazione della società romana così come le relazioni esistenti tr a Roma, le province, i regni clienti, si dava a tutti, anche agli stranieri,
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un'immagine ben precisa dello Stato romano, contraddistinto dall'ordi ne e dal buon governo. La pompa amphitheatralis
Come per i ludi circenses, anche per i munera la giornata di spettacoli iniziava con la processione, pompa amphitheatralis, nella quale sfilavano l'editor muneris, i musicisti che suonavano durante lo spettacolo (suo natori di corno, di tuba, di liuto, di organo idraulico), ifercula con le statue delle divinità, i portatori di tabellae che contenevano le motiva zioni delle condanne capitali e l'indicazione della compositio, i gladiatori, i venatores e i condannati. Essa è ritratta nella sezione superiore di un ri lievo di un monumento funerario nella necropoli marittima di Pompei, che di recente è stato messo in relazione con la monumentale epigrafe sepolcrale ( 4 metri) rinvenuta fuori Porta Stabia nel 2.017 ( I secolo d.C., Napoli, Museo archeologico nazionale; cfr. FIG. 2.; Junkelmann, 2.oooa, p. 48, fig. 34; cfr. Maiuro, 2.019). Si vedono due littori del magistrato organizzatore dei giochi, con la toga, i fasci sulle spalle e le verghe. Essi erano seguiti da tre tubicines, poi da quattro uomini che portavano un ferculum sulle spalle, sul quale erano abitualmente condotte in proces sione le statue degli dèi, che nel caso della pompa amphitheatralis erano le divinità della vittoria o quelle della guerra, come Victoria, Hercules, Mars, Nemesis. Ma nel rilievo di Pompei sono raffigurati accovacciati sul ferculum due uomini, forse gli addetti alle armi, che fornivano ai gladia tori il loro equipaggiamento. ll rilievo di Amiternum riproduce proprio le immagini degli dèi sufercula; quello di Capua ritrae un anfiteatro sul lo sfondo e le immagini degli dèi sufercula e carri (Ryberg, 1955, pp. 99IO O ; Tuck, 2.007 ). Anche nella pompa circensis le statue degli dèi erano trasportate sufercula e i loro attributi su specifici carri, tensae e carpenta, per essere poi deposti nel pulvinar; nella pompa theatralis le immagini degli dèi o i loro attributi erano trasportati nell'edificio con i loro seggi e venivano poi collocati generalmente nell'orchestra (Hanson, 1959, pp. 84-7; Arena, 2.010, pp. 53-102.). Una volta che la processione era entrata nell'anfiteatro, alcuni attendenti trasferivano queste immagini con i loro attributi su seggi drappeggiati nel pulvinar, come provato dalle testimo nianze di Tertulliano e di Cassio Dio ne, dal momento che la pompa non era soltanto uno spettacolo di in trattenimento, ma aveva anche una spe cifica funzione religiosa, assicurando la presenza degli dèi nell'edificio e la loro partecipazione agli spettacolF.
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Ril ie vo di Pompei con rappresentazione di munera gladiatoria (1 secolo d.C., Na poli. Museo archeologico nazionale)
Nella raffigurazione del monumento funebre di Pompei alJerculum se guono due figure che portano una tavola iscritta con le informazioni per il pubblico e un ramo di palma, premio per il vincitore. È ritratto, poi, l'editor muneris, rivolto verso i suoi sei assistenti che stanno por tando gli scudi e gli elmi gladiatori, forse da parata. Il settimo porta un oggetto non identificabile e poi segue un altro suonatore, di lituus que sta volta. Altri due assistenti conducono i cavalli montati dai gladiatori equites. Nel rilievo non sono ritratti i gladiatori nell'arto di partecipare alla processione, ma ciò doveva avvenire abitualmente. Spesso, infarti, sono raffigurati proprio in questo momento nei rilievi, come in quello di Amiternum. Anche i prigionieri condannati potevano sfilare nella pom pa . Marziale ricorda che informatori sfilavano dinanzi alla folla durante i gio chi flavi nel Colosseo, un atto teso a umiliarli pubblicamente prima dell'esilio. Danzatori e acrobati prendevano parte alle pompe del circo e possono aver preso parte anche alla pompa amphitheatralis ( Elkins, 2019, p . 87 ) . Si può ipotizzare che anche animali domestici o addestrati fossero i nclusi nelle processioni dell'anfiteatro. Come l'editor muneris partecipava alla pompa amphitheatralis in età repubblicana e alto imperiale, così ad essa prendevano parte gli impera to ri quando offrivano i munera. Sicuramente vi partecipò Tito in occa si o ne dei giochi inaugurali del Colosseo. Cassio Dione, dal canto suo,
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descrive la partecipazione di Commodo alla processione anfiteatrale: l'imperatore indossava una veste di porpora pura con una clamide dello stesso colore, una corona con gemme indiane e oro ; davanti a lui per l a strada venivano trasportate la pelle di leone e la clava erculee, poi depo ste su un seggio dorato, sia che lui fosse presente sia che fosse assente8• Come sottolinea Elkins (2014, p. 91), la processione così strutturata da Commodo è una trasformazione di quelle più tradizionali, sia teatrali sia circensi, nelle quali venivano trasportate corone e sellae curules e sta tue eburnee, a partire dall'età cesariana, dei defunti o dei viventi della famiglia imperiale (cfr. anche Arena, 2010, pp. s6-8o, 1 3 9-45). Secondo lo studioso, anche le sellae e gli attributi imperiali erano esibiti in modo analogo nella pompa amphitheatralis e poi collocati nel Colosseo. Del resto, nelle province è attestato che nelle processioni anfiteatrali erano trasportate statue e immagini degli imperatori come parte del culto im periale. A Narbo, centro di culto provinciale, la !ex Narbonensis fa tre riferimenti agli spettacoli e alle disposizioni per [statu}as imaginesve imperatoris Caes(aris), immagini degli imperatori che dovevano esse re portate nelle processioni religiose dal tempio di culto all'anfiteatro (Elkins, 2014, p. 79). A Lugdunum, centro del culto federale delle Tre Gallie intorno all'altare del Divo Augusto, l'anfiteatro aveva una stretta connessione topografica con il santuario. All'interno del primo edificio è stato individuato un sacrario riservato ai gladiatori per il culto delle divinità infernali accanto a una loggia situata sull'asse minore; sul lato opposto sorgeva una seconda piattaforma, molto larga e decorata in modo elaborato, che si ritiene fosse dedicata al Divus Augustus. Qui dovevano essere collocate immagini e attributi dei Divi e delle Divae e dell'imperatore regnante affinché potessero assistere agli spettacoli organizzati in loro onore (Audin, Le Glay, 1970, pp. 72-3; Audin, 1979, p. 98). Ad Aventicum, in modo analogo, sussisteva una stretta relazio ne topografica fra teatro, circo, anfiteatro e complesso cultuale, e le processioni collegavano quest'ultimo con i tre edifici per gli spettacoli (Bridel, 2on). Nel Colosseo la processione arrivava dalla porta triumphalis, sul lato occidentale del lato lungo, e compiva un giro dell'arena, allora struppi ed exuviae degli dèi dovevano essere collocati sul pulvinar, posto sulla piat taforma sul lato meridionale del lato corto, di fronte alla loggia imperia le, che era ubicata sul lato settentrionale (Elkins, 2.014, p. 103). Allora la folla probabilmente applaudiva, come accadeva al Circo Massimo.
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venationes
Co m e abbiamo visto, la giornata di spettacoli cominciava al mattino co n le venationes. Con il sostantivo venatio si indicavano in lingua latina si a la sfilata semplice degli animali, sia il combattimento tra belve, sia la caccia. Si trattava, pertanto, di performance di vario tipo che andavano d alla semplice presentazione di specie esotiche mai viste prima e di ani m ali addestrati a lotte tra esemplari di grande taglia legati tra loro a cacce vere e proprie con venatores professionisti che affrontavano varie specie di animali, aggressivi o no, sia carnivori sia erbivori, indicati nelle fonti come bestiae,ferae Lybicae,ferae Afticanae, Orienta/es, dentatae, herba riae, herbaticae, herbani. L'introduzione di questo particolare tipo di spettacolo a Roma av venne progressivamente. Si cominciò con la semplice esibizione di ani mali esotici, riconducibile all'inizio delle guerre di conquista ( Ville, 1 9 8 I, pp. 53 ss. ) . Per la metà del m secolo a.C. è attestata la presenza di elefanti catturati in Sicilia, sebbene non sia precisato se si svolse un com battimento vero e proprio o una semplice sfilata9• Nel 197 fu organizzata un'esibizione di struzzi, come testimonia Plauto'0• Nel 186 fu offerto un combattimento con leoni e pantere da Fulvio Nobiliare". Nel 169 gli edili curuli Publio Cornelio Scipione Nasica e Publio Cornelio Lentulo offrirono una venatio di 63jerae Afticanae, 40 orsi e 40 elefanti". Un cambiamento importante avvenne all'inizio del II secolo a.C., quando gli editores in cerca di popolarità e appoggi politici allestirono grandi spettacoli e in essi inclusero le cacce vere e proprie di animali, in troducendo anche questo ulteriore elemento di violenza ( Epplett, 2014, p. 507 ) . Durante gli ultimi due secoli della repubblica tali cacce diven taro no più elaborate e popolari. li crescente successo delle venationes e del loro uso politico determinò la momentanea proibizione senatoria dell'importazione degli animali africani, che fu in vigore tra il 186 e il 170 a.C.'3• In questo periodo i magistrati interessati a sollecitare l'interesse continuo del pubblico, anche a fini elettorali, incrementarono il numero e la varietà degli animali coinvolti negli spettacoli e la novità consistette nel far combattere tra loro belve che, fino a quel momento, erano state presentate solo in sfilate o nel farle affrontare in combinazioni inusuali. Nel 104 a.C. gli edili Crasso e Scevola allestirono il primo combattimen to di molti leoni e la prima caccia con elefanti fu presentata nel 99 a. C.'4• Dal I secolo a.C. diventarono abituali spettacoli venatori con centinaia
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di animali, come quello allestito da Scauro nel 58 a.C. in cui apparve ro per la prima volta un ippopotamo e s coccodrilli e per l'occasione fu fatto scavare un bacino'1• Nel ss a.C. furono mostrate per la prima volta delle scimmie etiopi e un rinoceronte indiano, insieme a leoni, elefanti, pantere e una lince; si trattava del complesso programma di spettacoli organizzato da Pompeo per l'inaugurazione del suo teatro, con due ve nationes al giorno per cinque giorni (Beli, 2.004, pp. 157-72.; Fagan, 2.0u, pp. 2.49-52.) '6• Nel 46 a.C. per la prima volta dei tori furono contrapposti a venatores a cavallo e fu esibita una giraffa a Roma, inoltre furono impie gati 400 leoni e alcuni elefanti; anche in questo caso era stata pianificata un'impressionante celebrazione per il quadruplo trionfo di Cesare, con venationes per cinque giorni'7• Gli animali portati nell'arena in tali oc casioni costituivano un modo ulteriore per richiamare alla mente degli spettatori l'estensione delle conquiste romane e l'operato dei vari generali nell'ampliamento dell'impero. Augusto, per la dedica del teatro di Mar cello nell'n a.C., fece mostrare una tigre addomesticata in una gabbia e fece uccidere 6ooferae Africanae'8• Poi, per l'inaugurazione del tempio di Marre Ultore nel 2. a.C., nel complesso programma di spettacoli pianifi cato, offrì due venationes, di cui la prima nel Circo Massimo con 2.60 leo ni e la seconda nel Circo Flaminio con 2.6 coccodrilli'9• Alla fine dell'età repubblicana dovette verificarsi l'abbinamento della venatio al munus gladiatorium. Del resto, nel s8 a.C. un edificio particolare per i munera fu costruito con l'accostamento di due teatri !ignei da C. Scribonio Cu rione per la commemorazione del padre defunto: organizzò un munus, ludi scaenici e atletici e, proprio per ottenere un'arena per gladiatori e atleti, avrebbe fatto ruotare su cardini questi due teatri mobili10• n primo anfiteatro stabile realizzato in muratura fu fatto edificare da Statilio Tau ro nel Campo Marzio nel 30 a.C., ma fu distrutto da un incendio nel 64 d.C.>'; poi Nerone fece realizzare un anfiteatro !igneo nel Campo Mar zio, forse distrutto nello stesso incendio che devastò gran parte dell'Urbe ( Coarelli, 2.001a). Gli spettacoli venatori e la loro infrastruttura si fecero più regolari sotto Augusto e i successivi imperatori. n processo arrivò alla sua conclusione con la costruzione del Colosseo da parte dei Flavi. In occasione della sua inaugurazione sotto Tito il pubblico poté godere di spettacoli per ben cento giorni, tra i quali combattimenti gladiatori, venationes, esecuzioni capitali con l'allestimento di scenari mitologici, naurnachie. Nelle venationes furono uccise in un solo giorno s.ooo bel ve e il numero globale degli animali sterminati fu di 9.000 tra erbivori e carnivori. Furono realizzati numeri particolari con tori, cavalli e altri
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ani mali e scesero nell'arena contro le belve anche alcune donne'1• Domi zi ano nell'8s-86 d.C. offrì uno spettacolo con leoni addestrati che appa rentemente azzannarono delle lepri, ma in realtà le restituirono integre, e fo rse affrontarono tori13• Gli animali, in così grande numero, venivano i nt rodotti nell'arena per mezzo di un sistema di ascensori e piani incli nati manovrati nei sotterranei ( Beste, 2001). Traiano, nelle celebrazioni organizzate per il trionfo dacico, offrì spettacoli per centoventitré giorni, con l'esibizione di 1o.ooo gladiatori e di u.ooo animali>+. Antonino Pio, verosimilmente per la celebrazione dei suoi decennalia nel 148 d.C., of frì venationes con elefanti, iene, tigri, rinoceronti, coccodrilli e animali p rovenienti da tutta I'oikoumene'5• Del resto, con l'aumento progressivo delle giornate di munera in un anno, dall'età augustea a quella di Marco Aurelio, era cresciuto notevolmente anche il numero degli animali esibi ti nell'arena e qui, poi, uccisi ( cfr. Epplett, 2001, 2003). I venatores appartenevano al gruppo degli harenarii e, se combatte vano per denaro, erano infames. Come i gladiatori, erano reclutati tra i prigionieri di guerra, gli schiavi, i criminali condannati, oppure pote vano essere volontari. Nel corso del tempo a Roma si esibirono come venatores anche esponenti dei ceti superiori, come Giovenale testimonia in una delle sue satire: Ah, ecco un patrizio specializzato nella caccia alle bestie feroci ! Per questi no
bili raggiungere la vecchiaia sta diventando un miracolo da quando Nerone ha cominciato a costringerli a mostrare al popolo il loro coraggio, esibendosi nel circo16•
Cassio Diane racconta che nel 59 d.C. si esibirono sul palcoscenico, nel circo e nell'arena uomini e donne di rango equestre e senato rio, così come quelli di condizioni più umili. Alcuni di loro condussero cavalli, uccise ro bestie selvatiche o combatterono come gladiatori, alcuni di propria spontanea volontà, altri sotto costrizione'7• Il popolo poté ammirare an che alcuni imperatori cimentarsi nella caccia nell'anfiteatro. Commodo si esibì come venator, cacciando leoni, leopardi, orsi, elefanti, rinoceron ti, ippopotami; colpiva gli animali dall'alto, da una piattaforma all'uopo allestita, e con l'arena suddivisa in quattro settori per mezzo di due pa li z zate ortogonali18• Caracalla, successivamente, si cimentò nella caccia e volle essere denominato Ercole per aver ucciso un leone19• A differenza dei gladiatori, scendevano nell'arena per cacciare, dan do la morte all'animale, non per morire essi stessi. Erano assistiti dai
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bestiarii, che dovevano badare agli animali e provocarli con fruste e torce durante lo spettacolo. Disponevano di armi difensive e offensive da adoperare nel corso della venatio. I rilievi di età augustea e molte terrecotte della prima metà del I secolo d.C. mostrano venatores che si esibivano nel Circo Massimo con il loro armamento tipico : elmi me tallici, perizoma, schinieri, spade, esattamente come quelle dei gladia tori. Dopo la metà del I secolo d.C. questi combattenti armati contro gli animali non appaiono più e i venatores, come cacciatori ordinari, indossano soltanto la tunica efosciae crurales e la loro arma è il venabu lum (Junkelmann, 2oooa). Si trattava di una lancia rinforzata con una punta di ferro, che poteva essere impiegata come un'arma difensiva, nel caso in cui i venatores aspettassero l'attacco di un leone o di un cinghia le, oppure come un'arma offensiva, nel caso in cui essi la lanciassero contro un orso. Avevano le braccia e le gambe avvolte con strisce di cuoio, mentre il petto e la schiena erano protetti con placche di me tallo. Un rilievo da Sofia (inizio del v secolo d.C., Museo archeolo gico nazionale) ritrae un venator che con le mani manovra una porta, cochlea, infissa al suolo e girevole intorno al suo asse, che un orso, al di là di essa, gratta furiosamente. La cochlea era già in uso durante il principato augusteo, come testimonia Varrone30• Ad essa fa riferimento Cassiodoro, nel tardo impero, nell'elenco dei mezzi di cui si avvaleva no i figuranti dei giochi per sottrarsi agli attacchi delle belve, parlando di porte grigliate presenti nell'arena, dietro le quali questi uomini si nascondevano, comparivano di faccia o di spalle, volteggiavano tra le grinfie e i denti dei leonP'. Questi venatores armati alla leggera dovettero essere stati molto usua li nel I secolo più degli uomini armati che combattevano con spada e scudo, in particolare se essi lottavano non con grandi orsi o grandi felini, ma con animali meno pericolosi. Venatores ben addestrati erano forni ti agli editores da società, come attestato per l'Africa. Grazie al mosaico di Smirat ( m secolo d.C., Sousse, Musée archéologique), sappiamo che avevano nomi che li legavano agli animali che cacciavano : pentasii, tau risci e leontii, che ci inducono a ipotizzare che esistesse tra loro una certa specializzazione (Mufioz-Santos, 2016, p. m). Un nome, un numero e un simbolo caratterizzavano le sodalità che organizzavano le cacce e for nivano questi venatores ben addestrati. I telegenii avevano il tre come nu mero e un crescente su asta come simbolo, riconducibile verosimilmente a uno strumento di cui si avvalevano per spingere e pungolare gli animali nell'arena. I pentasii avevano il numero cinque e una corona a cinque
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p un te come simbolo. I taurisci avevano il due e la foglia di edera; i Leontii i l q uattro e il gambo di miglio. Lo stesso mosaico consente di analizzare le varie tecniche di caccia a seconda dell'animale che si contrapponeva al venator. Non disponiamo di molte informazioni sull'effettivo svolgimento del le venationes. I venatores cacciavano in totale sicurezza quando scen devano nell'arena cervi, struzzi, asini selvatici, usando sia lance da tiro sia !ance da caccia: in questo caso il venator dava prova dell'abilità nell'uso di tali armi. Rischi de è isamente maggiori correvano quei venatores che praticavano quella che senza dubbio era la più popolare variante di ve natio, il combattimento a piedi con grandi e pericolosi animali da preda, abitualmente leoni, tigri, leopardi o orsi. Gellio ci restituisce un vivace affresco dell'impatto sul pubblico delle belve feroci usate durante uno spettacolo, in particolare del ruggito di un enorme leone: Al popolo viene concesso lo spettacolo di una grandissima lotta tra uomini e be stie. Ecco hanno aperto le botole : le bestie stanno entrando nell'arena. È impres sionante ! Mai viste belve così grandi e selvagge. Hanno un aspetto molto feroce. Guardate nel gruppo dei leoni com'è enorme quello là ! Con tutto il chiasso che c'è qui, si sente solo il suo ruggito potente. Ma guardate come agita la criniera, che muscoli e che movenze terribili! Tutto il pubblico sta guardando solo lui!'. Il mosaico con scena di venatio da Thélepte ( n secolo d.C., Tunisi, Musée national du Bardo) ritrae l'uccisione di un leone all'interno dell'arena: al centro della composizione sono raffigurati il venator, il leone che lo sta assalendo, ma è già stato trafitto, e un altro di cui ci resta solo il partico lare di una zampa: intorno sono disposti alcuni riquadri, all'interno dei quali in alto è ritratto il pubblico, mentre a destra e in basso è raffigurato il muro del podio che circonda l'arena. n pavimento musivo (metà del I I I secolo d.C.) della Maison des autruches, a Sousse (Musée archéologi que), ritrae struzzi, antilopi, gazzelle, onagri e cervi, che dovevano essere uc cisi in venatio da quattro cacciatori, raffigurati nella parte superiore con tuniche corte riccamente decorate. n mosaico Borghese (320 d.C. ca., Roma, Galleria Borghese) presenta scene di venatio e di munus: i cacciatori abbigliati con tuniche corte adornate con fasce e dischi colo rati; cervi, antilopi, struzzi, tori, leoni e leopardi già trafitti e per alcuni è addirittura raffigurato il sangue che stilla dalle ferite. I venatores potevano cacciare anche a cavallo, come testimonia il ri l ievo con venatio di Palazzo Mattei (m secolo d.C., Roma, Palazzo
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Mattei). Al centro della scena un uomo barbato, con tunica e mantello, che galoppa verso destra, tirando le redini del cavallo, è ritratto nell'atto di scagliare la lancia contro un leone. A terra si scorge seduto un altro uomo impaurito, che tenta di sostenere con lo scudo la belva imponente, senza abbandonare la spada. Un cane, che è al suo fianco, si lancia contro il leone. Sulla destra è raffigurato un altro cavaliere, con tunica, mantello e lancia nella mano sinistra, che fa un cenno al compagno e sembra invi tarlo a proseguire. Molto pericolosa era la disciplina del taurocenta, che si esibiva in una sorta di rodeo. Un rilievo, probabilmente da Smirne, mostra diversi venatores saltare dai propri cavalli sulla groppa dei tori e afferrarli dalle corna ( n secolo d.C., Oxford, Ashmolean Museum). Lo scopo di questa manovra, effettuata senza armi, era gettare il toro a terra, come il secondo taurocenta da destra ha già fatto con successo. I cani accompagnavano i venatores nell'arena, così come normalmente nella caccia in spazi aperti. Venivano utilizzate le razze più robuste e ag gressive, facendole arrivare a Roma anche da molto lontano33• Un rilievo con scena di venatio ritrae un cinghiale braccato dai cani che gli ringhia no furiosamente contro; l'animale spalanca la bocca nel momento in cui le punte di due lance gli penetrano nella testa e nella gola (Roma, Museo nazionale romano alle Terme). I cani potevano essere impiegati nelle ve nationes anche senza i cacciatori, contro bestie di diverse razze. Ma sopra ogni cosa i Romani amavano vedere grandi e pericolosi ani mali combattere gli uni contro gli altri. Quando queste creature mostra vano lo spirito combattivo richiesto venivano legate insieme. Il mosaico di Zliten ( 200 d.C. ca.; Tripoli, Musée archéologique; cfr. FIG. 3) mostra un orso e un toro combattere in questo modo. Il rinoceronte era uno dei favoriti per la sua aggressività e per farlo innervosire i venatores lo pungo lavano da dietro con le lance. Doveva lottare contro tori, elefanti e orsi, mentre i tori lottavano contro elefanti e orsi. Risultava vincitore quello tra loro che riusciva a sfinire l'avversario. Il leone si opponeva alla tigre, al toro e al cinghiale e in genere risultava sempre il vincitore. Era normale vedere ippopotami, coccodrilli, iene, bisonti, foche e tigri. Di tanto in tanto si opponevano orsi a boa, leoni a coccodrilli, foche a orsi. Gli ani mali moribondi ricevevano il colpo di grazia dal cofector e, nel caso in cui l'animale cercasse la protezione dei muri, i magistri lo allontanavano con paglia incendiata in modo che ritornasse al centro dell'arena. Vestiti con una semplice tunica legata alla cintura, essi avevano in dotazione fruste ed erano incaricati di recuperare quegli animali che non morivano nel corso dello spettacolo e di riportarli nella loro gabbia.
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M o saico di Zliten con combattimento di animali (2.00 d.C. ca., Tripoli, Musée archéologique )
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Un altro tipo di venatio era quella nella quale animali di diverse specie erano fatti entrare nell'arena in massa e venivano attaccati contempora neamente: la venatio passiva34• È ritratta nel mosaico con scena di vena tio, citato sopra, conservato nella Galleria Borghese ; in esso un partico lare mostra uno struzzo, un'antilope e un cervo che entrano nell'arena con un leone, da cui potrebbero essere sbranati prima di essere uccisi dai cacciatori, che hanno già abbattuto il cervo e stanno affrontando il leone e il toro. Sembra che il costume della missio si applicasse alle venationes così come ai combattimenti gladiatori. Se l'uomo che lottava contro la bel va aveva dato prova di aver fatto del suo meglio oppure se non era più in grado di proseguire per sfinimento o ferite, poteva chiedere di essere congedato dall'arena. Se questa richiesta veniva rifiutata, allora egli dove va combattere con l'animale successivo. Anche alle belve veniva talvolta concessa la missio, come testimonia Marziale3s, mentre Stazio parla di un leone che era uscito illeso e vittorioso da numerosi spettacolP6• Alcuni animali, che si erano guadagnati la simpatia degli spettatori scendendo nell'arena più volte e uscendone indenni, avevano nomi che testimonia no appunto tale favore del pubblico, come ad esempio Simplicius, Glo riosus, Braciatus, orsi, cinghiali, pantere, cervi e struzzi ritratti nel mo saico da Radès con fiere. Un toro presenta sul corpo la scritta n{umero} XVI, a indicazione di quanti esemplari di quella specie sono stati utiliz zati nella venatio (Vismara, 2001; Mufioz-Santos, 2016, p. 1 21, fig. 23 ) . In alcuni casi, però, gli animali venivano uccisi senza alcuna pietà, come i 100 leoni che l'imperatore Probo fece entrare nell'arena e che non of frirono resistenza, morendo alla fine sotto i colpi di spada e le frecce37• La damnatio ad bestias
Nel contesto delle venationes venivano eseguite anche condanne a mor te, abitualmente come parte del programma di mezzogiorno. Nell'arena venivano uccisi i condannati, noxii, che appartenevano al fisco imperiale ed erano venduti da questo agli editores, a condizione che fossero real mente giustiziati. Gli organizzatori degli spettacoli li acquistavano a un prezzo basso e, dunque, con una spesa esigua riuscivano a rendere il loro programma di spettacoli più ricco e attraente (Sabbatini Tumolesi, 1980, pp. 143-s. p. 156, n. 7 ) . La damnatio ad bestias, insieme con la crocifissione e la vivicombustione, era considerata la più severa forma di pena capitale
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all a quale un giudice romano poteva condannare un criminale di basso rango sociale (Vismara, 1990, pp. 70 ss.). I noxii non avevano alcuna pos si b ilità di salvezza. Nudi, eccetto per un piccolo perizoma, disarmati e i n m olti casi anche legati, erano esposti a grandi felini o a orsi. La morte p er i condannati ad bestias arrivava nei tempi giusti, secondo il principio che i noxii dovessero soffrire, ossia né in modo troppo rapido, come con la decapitazione, né in maniera troppo lenta, come con la crocifissione. La damnatio ad bestias è molto raffigurata, sia nei mosaici sia su og getti di uso quotidiano, come lucerne e vasellame da tavola. Il condan nato è ritratto, più o meno nudo, con le mani legate dietro la schiena oppure avvinto a un palo, a volte su un piccolo cocchio altre a piedi, mentre viene spinto verso le fiere dal personale addetto. Le due sezioni superiori di un rilievo da Smirne mostrano i criminali in processione ( Oxford, Ashmolean Museum). Condotti da un bestiarius, dovevano entrare nell'arena due a due, ogni coppia legata insieme con una corda al collo. In alcune raffigurazioni simili il condannato portava una tavoletta (tabella), che presumibilmente indicava le motivazioni della condanna. Il mosaico di Zliten sopramenzionato mostra l'orrore del destino che aspettava i damnati ad bestias. Due uomini sono legati a pali, ognuno su un piccolo carro a due ruote, mentre i leopardi li attaccano. Un bestia rius brandisce la frusta e conduce un altro criminale dinanzi a un leone. In alcune raffigurazioni il condannato è in groppa a un toro, con le mani legate dietro la schiena, mentre viene assalito da un grande felino (Vi smara, 1987, 1990; Papini, 2004, pp. 180 ss.). Un rilievo da Istanbul ( 1-11 secolo d.C., Museo archeologico) ritrae una scena complessa di venatio con esecuzione di condannati. In bas so a sinistra un venator, caricato da un toro, lo accoltella con la mano destra. Di lato sono ritratti due inservienti che stanno giustiziando un condannato, seminudo e con le mani legate dietro la schiena; uno dei due lo immobilizza e gli tira indietro la testa per i capelli, mentre l'altro, abbassandosi, evita il salto di una belva che si avventa con le fauci sul torace del noxius. Verso destra un venator fa un affondo con la lancia per fronteggiare una pantera, che si slancia in avanti, forse disturbata dallo s chiocco dello scudiscio di una figura con un panno nella mano sinistra. Nella parte superiore a sinistra un venator si raggomitola sotto la carica di un orso, poi un toro montato da un venator incarna una figura in c appucciata. Sulla destra un orso di notevoli dimensioni è dritto sulle zampe e fronteggia un uomo con tunica a maniche corte e fasce in vita, che a sua volta si protende verso di lui con le mani munite di guantoni.
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A fianco un inserviente usa la frusta contro un damnatus inerme e se minudo, che afferra disperatamente una pantera per il ventre (Augenti, 2001, p. 47, fig. 18). Un bassorilievo della Collezione Torlonia a Roma, della prima età imperiale, ritrae venatores con elmi e armati di spade e scudi aggrediti da tre belve, ornate con cinghie e fasce con fregi. A terr a è riverso un cacciatore, morto o privo di sensi, equipaggiato con corazza a scaglie o maglie di ferro. Al di sopra di lui si vede un grande leone ap poggiare la zampa anteriore sulla vita di un cacciatore che gli conficca la spada nel ventre. A destra una pantera, sollevata sulle zampe posteriori, azzanna lo scudo del gladiatore, che con la destra tiene la spada. Un orso, legato a una fune, che probabilmente lo univa a un'altra belva nello scon tro precedente, sferra poderose unghiate sul ginocchio e sullo scudo del venator, che solleva in alto il braccio destro armato di spada per inflig gergli un colpo (calco del rilievo marmo reo con scena di venatio; prima età imperiale, Roma, Museo della civiltà romana, Collezione Torlonia). Non sempre lo spettacolo terminava nel modo abituale, con la morte del condannato. Gellio narra di uno schiavo fuggitivo, Androclus, con dannato alle belve verosimilmente durante il principato augusteo, il qua le non fu sbranato dal leone al quale fu esposto. L'animale, infatti, aveva serbato memoria del fatto che Androclus gli aveva estratto una grossa spina dalla zampa, salvandolo, e poi era rimasto in sua compagnia per tre anni, fino alla cattura; così risparmiò la vita all'uomo e sbranò anche la fiera che stava per avventarsi su di lui. Lo spettacolo si concluse con l'i nusuale concessione della grazia ad Androclus, che ricevette addirittura in dono il leone38• Una forma più particolare e impressionante di esecuzione era co stituita dall'allestimento di scene mitologiche con i noxii e gli animali (Coleman, 1990; Papini, 2004, pp. 93 ss.). Marziale testimonia la rap presentazione del mito di Prometeo in cui un orso, al posto dell'aquila, tormentava il condannato, quella del mito di Dedalo, anche lui straziato da un orso, quella del mito di Orfeo, che però con il suo canto non riuscì ad ammansire le belve, e quella di Pasifae con il toro di Creta39• I
munera gladiatoria
Il termine specifico che, in lingua latina, indicava il combattimento di coppie di gladiatori è munus. Ne spiega l'origine Tertulliano: era uno spettacolo con cui gli antichi ritenevano di assolvere un obbligo nei
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c o n fronti dei defunti. Munus era appunto la parola che indicava il dove re. Dapprima durante i funerali venivano sacrificati prigionieri di guerra 0 sc hiavi comperati per l'o ccasione, poiché si riteneva che le anime dei morti potessero essere propiziate con il sangue. Successivamente il gior n o del funerale erano immolati presso le tombe uomini che erano stati add estrati a usare le armi con abilità sufficiente da potersi uccidere40• A nc he secondo Servio, l'origine della gladiatura era funeraria e l'evolu zi one che la caratterizzò andò dall'uccisione di prigionieri sulle tombe dei grandi uomini a combattimenti di gladiatori davanti ai sepolcri+'. Secondo le fonti, il primo munus fu organizzato a Roma da Decimo Giunio Bruto in onore del padre defunto, Bruto Pera, nel 264 a.C. e, si ccome molte famiglie nobili avevano inviato degli schiavi al funera le, in modo che fossero sacrificati, essi furono abbinati in coppie e fatti combattere+•. I munera successivi si ebbero in occasione dei funerali dei membri delle più antiche famiglie e furono ambientati in genere nel Foro, tra I I I secolo a.C. e prima metà del II secolo a.C. Dal 2o6 a.C. la gladiatura aveva raggiunto un buon grado di professionalità e il termine gladiatorius era già entrato a far parte del patrimonio linguistico (Ville, 19 81, p. 47, nota 127; Mosci Sassi, 1992, p. 38 ) 43• Oltre ai combattimenti gladiatori erano offerti banchetti, distribuzioni di carne e qualche volta anche spettacoli teatrali. Durante il II secolo a.C. gli spettacoli gladia tori si distaccarono dall'ambito religioso da cui avevano avuto origine e s i legarono più strettamente alla vita politica, quando furono allestiti e offerti da candidati alle magistrature o magistrati che, attraverso di essi, cercavano di ottenere il favore dei cittadini. Nel corso del tempo si ebbe un incremento del numero dei gladiatori che partecipavano a un munus: si passò dalle tre coppie nel 264 a.C.++ alle 21 coppie che si affrontarono in occasione del funerale di Marco Emilio Lepido nel 216 a .C. nell'arco di tre giorni41, a ben 66 in quello di Publio Licinio nel 183 a .C. sempre in tre giorni46; gli spettacoli gladiatori erano diventati abi tu ali e graditi al popolo. Già verso la metà del II secolo a.C. la maggior parte dell'aristocrazia spendeva somme considerevoli per assicurare uno spettacolo memorabile. Nel 105 a.C. i munera furono ammessi dal se nato tra gli spettacoli pubblici e ne furono incaricati i consoli P. Rutilio Rufo e Gneo Manlio. Venivano offerti da magistrati di ordine differente che se ne assumevano l'onere in vista delle elezioni e la competizione tra i membri dell'élite provocò la loro moltiplicazione e l'aumento della loro magnifìcenza47• Cesare, ad esempio, come edile curule nel 6 s a.C., fece esibire 320 coppie di gladiatori nel munus in onore del padre ; in
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realtà sarebbe stata sua intenzione far combattere un numero ancora maggiore di coppie, ma i suoi avversari posero delle limitazioni relative al numero massimo di gladiatori che si potevano avere a Roma48• li pubblico di Roma amava molto vedere i gladiatori che si scontra vano in duelli pieni di suspense e anche il sangue che necessariamente scorreva nel corso dello spettacolo. Seneca, per il periodo imperiale, ne offre una suggestiva testimonianza: C'è gente che viaggia molto per combattere la noia. Prima li senti dire: « È ora di andarcene in Campania, siamo stufi delle raffinatezze di Roma » . Ma dopo un po' di tempo «Perché non ce ne andiamo a visitare le zone selvagge sui mon ti di Calabria e di Lucania ? » . Ma poi, quando arrivano in quelle zone desolate, abituati come sono al lusso, vanno cercando qualcosa di meno arido. E allora ricominciano «Si deve andare assolutamente a Taranto, quella sì che è una città antica e ricca, dove c'è un clima mite anche d'inverno ! » , poi attaccano il finale «Ma torniamocene a Roma. Già da troppo tempo le nostre orecchie sono ri maste private del chiasso e de gli applausi della folla dell'anfiteatro ! Sarebbe ora di ricominciare a godere la vista del sangue umano ! »49•
Per quanto riguarda lo svolgimento dello spettacolo, i combattimenti veri e propri erano preceduti dalla prolusio: le varie coppie di gladiato ri manovravano per giostrare armi spuntate e inoffensive, arma fusoria come vengono definite da Seneca, probabilmente quelle !ignee usate du rante l'addestramento, e davano al pubblico un saggio delle loro abilità50, mentre gli spettatori, dal canto loro, venivano introdotti nell'atmosfera dello spettacolo (Mosci Sassi, 1992, pp. 158-61). Dopo laprolusio, le armi vere, ferra acuta, erano portate e controllate durante la probatio armo rum da parte dell'editor, che aveva preso posto nella tribuna d'onore11• Essa riguardava le armi offensive ed era finalizzata a verificare che fossero realmente affilate e appuntite. A questo punto si udiva il segnale d'inizio dello spettacolo tanto atte so che veniva dato con la tibia (Ville, 19 81, pp. 372-5). La musica, infatti, non era solo parte della processione, ma anche dello svolgimento dei combattimenti, che erano accompagnati dal suono del cornu, della tuba, del lituus, strumenti militari, e, dal I secolo d.C., dalle note dell'organo idraulico che, con il trascorrere del tempo, divenne lo strumento prin cipale associato ai giochi dell'anfiteatro, come raffigurato nel mosaico di Zliten (Junkelmann, 2oooa, p. 66, fig. 68). L'entrata nell'arena dei gladiatori era annunciata dagli araldi, praecones, anche se la loro voce non era udibile da tutti gli spettatori seduti nei cunei dell'anfiteatro. Per-
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canto le informazioni dovevano essere date al pubblico anche attraverso grandi tavole iscritte, tabellae, una delle quali è ritratta sul rilievo di una romba pompeiana. Verosimilmente tale tabella, che riportava il nome del gladiatore e l'elenco delle sue vittorie, lo precedeva nel suo ingresso nell'arena1'. I gladiatori si affrontavano l'uno contro l'altro nelle coppie che erano state predisposte dall 'editor muneris, con più coppie che si scontravano contemporaneamente, come mostrato dai dipinti e dai mosaici e come enumerato nelle liste è nei programmi. Un'e ccezione era rappresentata dal combattimento in cui il retiarius si trovava su un piccolo ponte e ve niva attaccato da due secutores. L'accoppiamento delle classi gladiatorie nei munera diventò fisso in età augustea: il Thraex era schierato contro il murmillo, anche se in alcuni casi si opponeva a un oplomachus o a un altro Thraex; il retiarius aveva come suo avversario il secutor o contrare tiarius o contrarete, sebbene lo si trovi contrapposto anche al murmillo, specialmente nella prima fase; il provocator osteggiava solitamente un altro provocator e in alcuni casi un retiarius; l'eques combatteva abitual mente contro un altro eques13• Così nel rilievo del monumento funerario di Lusius Storax da Chieti (metà I secolo d.C., Museo archeologico na zionale La Civitella) è raffigurato un murmillo che è riuscito a privare il suo avversario, un Thraex, del suo scudo e ha il braccio destro sollevato nell'atto di vibrare un fendente. Un mosaico proveniente dalla via Appia (II secolo d.C., Madrid, Museo arqueologico nacional) ritrae un com battimento tra il retiarius Kalendio che ha intrappolato il secutor Astya nax con la sua rete ed è sul punto di trafìggerlo con il tridente, nella scena in basso; invece in quella in alto è raffigurato il prosieguo del com battimento che ha visto Astyanax prevalere sul retiarius, che è caduto a terra, ha perso il tridente e ha a disposizione soltanto il pugnale. Il testo iscritto reca il verbo vicit accanto al nome di Astyanax e il theta nigrum dop o il nome di Kalendio. Nella compositio, la composizione delle coppie, abitualmente si pre stava attenzione a far combattere gladiatori di uguali capacità. Veterani di comprovata abilità soltanto raramente venivano contrapposti ai prin cipianti, tirones. Anche a questa consuetudine potevano esserci eccezio ni. Un graffito da Pompei ricorda uno scontro tra il murmillo Marcus Attilius, un tiro alla sua prima apparizione, e il Thraex Hilarus, del Ludus Neronianus, un veteranus che aveva già conseguito 1 4 vittorie. Attilius ri s ultò vincitore nel combattimento e Hilarus, sconfitto, lasciò l'arena vivo, missus. Un altro graffito ritrae il suo successivo scontro con il Thraex
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Lucius Raecius Felix, che aveva già combattuto 1 2. volte e aveva ottenuto corone in tutti gli incontri; egli allora fu sconfitto e lasciò l'arena ancora vivo ( ivi, p. 67, fig. 71 ) . Il numero di coppie di gladiatori che si affronta vano in un munus variò notevolmente nel corso del tempo. Dal 2.2. a.C. fu fissato in 12.0 il numero massimo di coppie di gladiatori consentito per un munus privato54, mentre in quelli offerti dagli imperatori si arrivava a diverse migliaia di combattenti per più giorni. A Roma gli spettacoli erano più fastosi e quelli imperiali arrivarono ad avere numeri davvero impressionanti di combattenti, senza limitazioni di sorta. Non avevano una cadenza fissa, ma erano determinati in base alla propensione per i munera dei singoli imperatori e al loro desiderio di popolarità. A Pom pei il numero attestato di coppie gladiatorie per uno spettacolo va da un minimo di ro a un massimo di 49 · Il numero che ricorre maggiormente negli annunci è di 2.0 coppie, tanto da far pensare che questo fosse il contingente tipico dei munera pompeiani in tutte le età ( Sabbatini Tu molesi, 1980, p. 139 ) . Il combattimento degno di apprezzamento era quello che si svolgeva in conformità a dictata pugnandi, cioè delle norme date dagli istrutto ri, alle quali i gladiatori si dovevano uniformare durante le esercitazioni e gli incontri, con una terminologia precisa e l'indicazione delle varie situazioni di scontro11• Anche gli spettatori erano a conoscenza di que ste norme, soprattutto i tifosi più accaniti. Tra queste c'erano l'obbligo di rispettare la linea alba, che indicava i margini del campo nel quale i gladiatori dovevano mantenersi durante il combattimento16, di tenere salda la posizione assunta, di resistere, indicato con il termine tecnico di gradus17, di procedere all'assalto con la spada, denotato dall'uso del sostantivo manuss8• Gli scontri andavano avanti fino alla morte di uno dei due conten denti, in quelli definiti sine missione, oppure con la dichiarazione di resa da parte di uno dei due gladiatori, in quelli nei quali dal regolamento era prevista la missio19• Nel primo caso il gladiatore ucciso era portato via su una barella coperta e collocato nello spoliarium, la camera mortuaria, dove veniva spogliato delle armi e preparato per il funerale e nella quale gli agonizzanti venivano finiti60• Nel secondo caso il gladiatore, che era costretto ad arrendersi a causa delle ferite riportate o dello sfinimento, dava un chiaro segno di ammissione della sconfitta, levando in alto la mano sinistra con l'indice teso, ad digitum pugnare (concurrere)6', e lan ciando a terra lo scudo o il tridente, arma submitteré•. Nel mosaico di Zliten il retiarius ferito a una gamba è ritratto in questa posa. Sempre in
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q uesto mosaico è raffigurato un oplomachus vittorioso, appoggiato sulla 5ua lancia; il murmillo sconfitto perde copiosamente sangue dalla spal la, o dal braccio, e ha il dito indice proteso in segno di resa. Si rendeva nec essario, a questo punto, l'intervento dell'arbitro, il quale doveva im p edire che il vincitore potesse attaccare ancora il suo antagonista privo di difesa, se necessario sequestrando la spada, come nel caso dell' eques vi ncitore nella prima coppia ritratta nello stesso mosaico. Dopo la resa, il perdente attendeva di sapere quale sarebbe stato il suo destino, perché, se ave\ra combattuto con coraggio e fino allo stremo del le forze, poteva sperare nel favore degli spettatori. Questo era il momen to di maggiore suspense nel munus, quando il gladiatore si affidava alla clemenza o alla condanna del pubblico. Gli spettatori potevano allora gridare Missum! oppure Mitte! o sventolare gli orli delle toghe per chie dere che gli fosse concesso di uscire vivo dall'arena. Se, invece, non erano soddisfatti della performance del perdente, ne chiedevano la morte gi rando i pollici in alto, pollice verso6l. È testimoniato anche che gli spet tatori potessero gridare Iugula!, Decide!, Verbera!, Ure!, ma il passo di S eneca in cui si fa riferimento a questi ultimi due tipi di tortura riguarda i ludi meridiani, cioè le esecuzioni capitali64• La decisione finale spettava comunque sempre all'editor muneris, tuttavia in genere egli rispettava la volontà del pubblico61• Se accoglieva la richiesta di clemenza, dava un segnale all'arbitro di congedare dall'arena il gladiatore sconfitto. Nel caso contrario, al perdente non restava che affrontare la morte dando un exemplum virtutis: avrebbe dovuto inginocchiarsi dinanzi al vincitore con le braccia serrate dietro la schiena oppure abbracciarne le gambe, offrendosi per il colpo mortale senza togliersi l'elmo che ne nascondeva il volto. La supplica di avere la grazia da parte del gladiatore sconfitto era contraria a ogni regola di buon combattenté6• Nel momento dell'ucci sione, iugulum praestare oferrum recipere67, il pubblico gridava Habet!, Hoc habetJ68• Nel mosaico del gladiatore di Villa Borghese è ritratto il retiarius Astacius proprio nel momento di infliggere il colpo mortale al suo avversario Astivus disteso a terra (Iv secolo d.C., Roma, Galleria Borghese). Gli spettatori potevano assistere a combattimenti pieni di suspense, nel corso dei quali i gladiatori facevano sfoggio delle tecniche appre se durante il loro addestramento, come affondi, parate, simulazioni di at tacco, mosse a sorpresa, fendenti, assalti. L'uso dello scudo era fon damentale: il gladiatore se ne avvaleva per difendersi, parando i colpi de ll'avversario o respingendolo, ma anche per attaccarlo, colpendolo con
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il margine inferiore. Poteva impiegarlo anche per nascondervi dietro la spada e cogliere poi di sorpresa il suo antagonista vibrando un fendente. Nel mosaico di Zliten sono ritratti l'uno addossato all'altro un murmillo che costringe alla difesa un Thraex e tenta di dare un colpo sullo scudo dell'avversario. Nel citato rilievo di Pompei, nel secondo gruppo del la sezione centrale, appare un murmillo vincitore su un Thraex, che ha perso il suo scudo ed è in ginocchio per terra. Nella fase finale di molti combattimenti gli scudi giacevano a terra e i due contendenti si scontra vano corpo a corpo. Ad esempio, nel medesimo fregio di Pompei, nella sezione centrale, nel gruppo all'estrema destra, è raffigurata la fase finale di un combattimento tra un oplomachus e un murmillo. Quest'ultimo è in ritirata, con lo scudo già a terra, e ha mancato con il suo colpo di spada la testa dell' oplomachus; costui, a sua volta, sta affondando la spada nel petto dell'avversario. Nel rilievo con gladiatori da Efeso ( m secolo d.C., Berlino, Staadiche Museum, Antikensammlung) sono ritratti Astero paios, verosimilmente un murmillo, che sta avendo la meglio su1 1hraex Drakon. I due contendenti non hanno più gli scudi e si affrontano in un corpo a corpo nella fase conclusiva dello scontro. Parte degli spettatori dei munera gladiatoria apprezzava molto anche un tipo di combattimento, offerto nell'ambito dei meridiani, in cui gli antagonisti, condannati a morte, si affrontavano senza armi da difesa, perché più violento e sanguinario, come sottolinea Seneca: A quelli laggiù non hanno dato né uno scudo né un elmo. Solo una spada per attaccare. Tutto il corpo è esposto ai colpi dell'avversario, perciò ognuno di loro quando colpisce non va mai a vuoto. Eppure alla folla questo tipo di lotte piace molto di più delle lotte tra i gladiatori attrezzati per combattimenti regolari. Si sa come ragiona questa gentaglia: «Elmi e scudi, difese e schermaglie ci fanno perdere tempo. È tutta roba che serve solo a ritardare la morte ! » 69•
Come ai ludi circenses, anche ai munera gladiatoria gli spettatori assi stevano mostrando partecipazione ed entusiasmo, che potevano sfocia re in fanatismo o addirittura in violenza. Nel corso del tempo si erano formate alcune fazioni: i parmularii erano i sostenitori dei gladiatori armati di parmulae, i thraeces; gli scutarii (da scuta) erano, invece, i so stenitori dei murmillones e si contrapponevano ai parmularii ovvia mente70. Anche alcuni imperatori furono tifosi accaniti, come Caligola e Domiziano, che furono parmularii7'; altri, invece, non apprezzavano i giochi gladiatori, come Marco Aurelio71. Gli scontri tra tifosi potevano
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de ge nerare, come testimonia la ben nota rissa scoppiata tra Nocerini e P o mpeiani durante i giochi nell'anfiteatro, in cui furono ferite e mori rono diverse persone. L'episodio fu considerato talmente grave da pro vocare la sospensione degli spettacoli per dieci anni come sanzione per q uanto accaduto71• Non c'era un limite di tempo predefinito per i combattimenti, che otevano durare fino a notte. Si protraevano a lungo quando si affronta p van o due gladiatori dotati di pari abilità tecnica e di grande coraggio. Se nessuno dei due riusciva a guadagnare un vantaggio sull'altro, gli spetta tori potevano palesare con grida il loro volere che entrambi lasciassero l'arena invitti. L'espressione che contrassegnava questo esito specifico del combattimento è stantes missi, che si ritrova indicata nelle epigrafi dei gladiatori a titolo di merito particolare (Ville, 1981, pp. 312.-8). Marziale narra di uno scontro in cui i due gladiatori, molto bravi, non riescono a imporsi l'uno sull'altro e, di conseguenza, la durata si prolunga senza che si arrivi ad avere un vincitore. Alla fine entrambi, riconosciuti in situa zione di parità, escono dall'arena stantes missP4• Se uno scontro durava per molto tempo, l'arbitro poteva ordinare una pausa, diludium, durante la quale i contendenti avevano la possibi lità di recuperare le forze71• Un intervallo di questo tipo è mostrato nel succitato rilievo di Pompei (Junkelmann, 2.oo oa, p. 48, fig. 34, p. 64, fig. 64), nel quale due gladiatori sono assistiti da harenarii o ministri, che li stanno massaggiando e facendo bere. Gli arbitri, infatti, avevano un ruolo decisivo nell'arena e solitamente operavano in coppia; il primo arbitro era denominato summa rudis e il suo assistente secunda rudis. In caso di mancato rispetto delle regole o di incidenti che mettevano il gladiatore in una situazione di svantaggio non per un suo errore, ad esempio se una parte della sua armatura cadeva, potevano intervenire in terrompendo il combattimento e consentendo ai gladiatori di andare di nuovo alle loro posizioni di partenza. Se i combattenti erano indiscipli nati o non combattevano con ardore, gli arbitri potevano usare il basto ne per incitarli (Ville, 1981, p. 378)76• In casi molto gravi venivano man dat i nell'arena gli assistenti con fruste, torce e ferri incandescenti, ma tali eve ntualità erano riservate soltanto ai combattimenti tra condannati a mo rte, nei meridiani, piuttosto che tra gladiatori professionisti. Al termine del combattimento, il vincitore si recava alla loggia dell'e ditor per ricevere i suoi premi. Questi regolarmente consistevano in un ramo di palma, palma, e in una somma di denaro, praemium, il cui esatto amm ontare dipendeva dalle abilità del gladiatore; per eccezionali pre-
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stazioni poteva essere ricompensato con l'agognata corona d'alloro e al tri doni. n premio in denaro era di proprietà del gladiatore, sia che fosse un uomo libero sia che fosse uno schiavo. Dopo la premiazione, questi faceva un giro d'onore intorno all'arena, agitando il ramo di palma e ri cevendo applausi e acclamazioni del pubblico. I cristiani
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I munera gladiatoria erano fermamente osteggiati da Tertulliano e da altri autori cristiani per diverse ragioni. Una di queste è l'idolatria in essi insita. I munera, la cui origine, come abbiamo già accennato, è con nessa con i riti funebri, sono idolatri poiché sono i demoni a dimorare negli idoli dei mortF7• Gli stessi apparatus e loca degli spettacoli gla diatori sono testimonianza della loro idolatria, come quelli del circo. Ogni elemento dei munera è espressione dellapompa dia boli e l'edificio stesso è omnium daemonum templum, pieno di spiriti immondi quanto di spettatori: E intenderemo così, pure nei riguardi di ciò che presenta l'apprestamento di tali spettacoli: la porpora, le bende, le corone; quello che vi si dice in tali assemblee, gli editti che vi si promulgano, le vivande che si offrono da quanto può essere resto di rito sacrificale, non possono pensarsi avulse da quello che è in relazio ne coi demoni. E che dirò del luogo dove tali rappresentazioni si compiono ? Neppure con le imprecazioni più gravi potrebbe esser sufficientemente colpito. L'anfiteatro si è ormai accaparrato denominazioni ben più gravi e numerose, che lo stesso Campidoglio. È il tempio esso di tutte le potenze del male : ce ne sono tante, quanti sono gli uomini che è capace di contenere. Basta saper questo per concludere che cosa sia quanto in esso si va svolgendo: divinità protettrici dell'una e dell'altra specie di giochi sono Marte e Diana78•
Per gli spettatori pagani la voluptas si è sovrapposta, nel corso del tem po, al culto funebre e l'esibizione della morte altrui è diventata quasi un risarcimento del lutto, in uno spettacolo che ormai è solo pretestuosa mente riferito ai defuntF9• La voluptas malsana che contraddistingue i giochi del circo connota allo stesso modo quelli gladiatori e le cacce. Si tratta di un piacere " bestiale", privo ormai di ogni legame con la va lenza rituale del sacrificio di vite umane che avviene dinanzi agli occhi degli spettatori. Tale voluptas li rende come le belve che lacerano i corpi umani durante le venationes80• Tertulliano evidenzia, nelle pagine del
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quella che è la contraddizione tra « il mondo dello spet tacolo » e « il mondo della vita » ( Lugaresi, 2008, p. 415). Come nel ci rco l'uomo pudico perde ogni inibizione, così il cittadino pacifico, che nella quotidianità prova ripugnanza per i cadaveri, nell'anfiteatro non si sazia di guardare corpi orrendamente straziati e incita i gladiatori a essere sempre più feroci: Avverrà che colui che non potrà senza profonda impressione guardare un ca davere di persona, defunta per morte naturale, quello stesso, invece, in pieno anfiteatro, fisserà i suoi occhi, tranquilli e impassibili, su quei corpi straziati, quasi fatti a pezzi, che nuotano nel loro stesso sangue. Si può dare il caso che uno si rechi ad assistere ad uno spettacolo, riconoscendo giusta la pena che vie ne inflitta ad un omicida; ma avverrà nello stesso modo che costui costringa il gladiatore, che pur non vorrebbe, a furia di sferzate e di battiture, alla stessa forma di omicidio che egli stesso ha prima condannato. E chi richiede che sia lasciato in pasto ad una belva quegli che ha più volte dato crudelmente la mor te, il medesimo potrà poi arrivare a chiedere che le insegne di un ben meritato riposo siano concesse a quello stesso gladiatore ardito e crudele ; qualora riesca vincitore dalla lotta e può essere anche che si abbia senso di compassione verso colui, alla vita del quale da lontano si imprecò e di cui si desiderò la morte : e se ciò non fu, noi non lo potremmo attribuire ad altro senso, che a maggiore fierezza e crudeltà8'.
Un'altra causa di condanna dei munera gladiatoria è il biasimo, condi viso da una parte dei pagani stessi, della saevitia e dellaforitas che con notano quel tipo di spettacoli. Un'altra ancora risiede nel rifiuto dello "spettacolo del dolore" che è proprio dei munera, poiché l'esecuzione capitale dei condannati viene inflitta attraverso forme di pena caratteriz zate dalla sofferenza prolungata e dal dolore lacerante: Se possiamo provare che noi abbiamo il carattere della crudeltà, dell'empietà, della fierezza, rechiamoci all'anfiteatro, e se pur siamo tali noi cristiani, quali dicono, dilettiamoci pure del sangue umano: è in fondo giusto questo, se coloro che vengono puniti sono i veramente colpevoli; ed infatti chi potrebbe infirma re questa asserzione se non colui che, appunto, si trova in colpa? Ma, con tutto ciò, chi è un uomo dabbene non può mai provar soddisfazione del supplizio di un altro: è più conforme ad un'anima buona e non colpevole il provare senso di rammarico e di dolore per il fatto che una creatura uguale a lui si sia resa così macchiata da colpa, da rendersi meritevole di una pena sì grave e crudele. Chi poi purtroppo mi può assicurare e garantire che coloro, che sono destinati ad esser vittima delle belve o che sono condannati a qualunque altro supplizio, non siano innocenti ?s.
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Nell'ottica pagana la pubblica esecuzione della condanna, in un edificio adibito a spettacoli, era giustificata con l'argomentazione che si trattas se di un uso legittimo della violenza e che la crudeltà delle pene inflitte avesse funzione deterrente contro la criminalità. A tale "spettacolo del dolore': che pure eccitava molti dei presenti, Tertulliano contrappone l'e tica della condivisione: gli spettatori innocentes non possono rallegrarsi del supplizio inflitto ad altre persone, ma i cristiani devono condividere la sofferenza provata dal condannato, a prescindere dal fatto che egli sia colpevole o no del reato per il quale è stato processato83• I cristiani dovreb bero rammaricarsi del fatto che uomini loro simili, praticando il male, siano divenuti meritevoli di quelle terribili pene (ivi, pp. 410-1). Si tratta, insomma, di spettacoli dai quali non si può non rimanere coinvolti. Oggetto di condanna di Tertulliano sono anche le rappresentazioni mitologiche cui, nella giornata di munera, partecipavano i damnati e gli inservienti, alle quali abbiamo accennato nelle pagine precedenti. Tale tipo di performance, in cui i protagonisti erano mascherati da personag gi mitici o divinità e spesso andavano incontro a un tragico destino, era molto apprezzata dal pubblico per gli elementi parodistici contenuti, determinati dall'unione tra sacro e profano84• Essi erano parte dell'ido latria degli spettacoli. Nell'anfiteatro gli spettatori potevano assistere a rappresentazioni con dèi che danzavano sul sangue umano e vedere Mercurio che, con un ferro arroventato, si sincerava che gli sconfitti dei combattimenti fossero realmente morti. D'altronde, anche nell'Apolo geticum Tertulliano si sofferma proprio su come gli dèi pagani fossero trattati nei teatri e negli anfiteatri, su come venissero messi in scena in modo irrispettoso, buffonesco e offensivo, nel tentativo di svelare ai pa gani la loro mancanza di rispetto nei confronti degli dèi in nome dei quali accusavano i cristiani8S. Difficile e tormentato era il rapporto che i cristiani avevano con l'in tero mondo degli spettacoli ancora tra IV e v secolo d.C., come si può evincere dagli scritti di Agostino di lppona. Leggendo le Confessiones, emerge quale fosse il turbamento prodotto dal desiderio di assistere ai giochi nell'animo dei cristiani, nonostante la necessaria rinuncia ad essi imposta dal loro credo. Agostino ricordava espressamente quale fosse l'attrazione da lui provata da giovane per i ludi scaenici, facendo una pro fonda autoanalisi della sua esperienza di spettatore: Mi rapivano gli spettacoli teatrali, pieni di immagini delle mie miserie e di esche del mio fuoco. Come avviene che a teatro l'uomo vuole soffrire contemplando
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vicende luttuose e tragiche, che tuttavia egli stesso non vorrebbe patire ? Però da spettatore cerca di patire da esse un dolore, e proprio il dolore costituisce il suo piacere. Che cos'è questa se non una stupefacente follia? A quelle vicende si commuove infatti di più chi è meno immune da tali passioni; benché, quando uno patisce in prima persona, si usi parlare di miseria, quando compatisce altri di misericordia. Ma qual è, in definitiva, la misericordia [che si prova] nei ri guardi delle finzioni del teatro ?86
Si tratta di una mirabilis insania prodotta dagli spettacoli. Agostino metteva in evidenza la vis voluptatum propria delle rappresentazioni sceniche e analizzava la condizione dello spettatore, che si connotava come oggetto passivo e soggetto attivo dell'azione prodotta dagli spet tacoli, perché da un canto essi facevano emergere la corruzione che era g ià insita in lui e dall'altro fomentavano le passioni che la producevano (ivi, pp. 549-50 ). In base alla sua esperienza diretta, il vescovo di lppona escludeva la possibilità che si potesse assistere agli spettacoli in modo distaccato, come talvolta reputavano possibile i filosofi, traendo da essi solo un mero intrattenimento, privo di passione e di turbamento. Sono considerazioni che possono essere estese dalle rappresentazioni sceniche anche alle altre tipologie di giochi, dai quali sia i pagani e sia i cristiani erano fortemente attratti. Dopo la conversione al cristianesimo gli spettacoli furono aboliti dalla sua vita, ma, in mancanza delle scene del teatro e del circo, alcune scene naturali della vita quotidiana "spettacolari" catturavano la sua at tenzione, facendola deviare da più alte riflessioni. Nel libro x delle Con fèssiones, infatti, ricordava che ormai non assisteva più alle corse dei cani dietro alla lepre nel circo, ma che, se gli capitava di vedere quella scena in campagna, essa lo costringeva a voltarsi e suscitava il suo interesse. Se Dio non lo avesse aiutato a disprezzare del tutto questa visione e a passa re oltre, sarebbe rimasto lì inerte. In tal modo sottolineava la sua conti nua vulnerabilità a causa della vanitas degli spettacoli. Le contraddizioni esistenti nel rapporto con gli spettacoli sono ulteriormente indagate da Agostino attraverso la storia di Alipio nel libro VI delle Confessiones. Il s uo più giovane concittadino, che era stato suo allievo in precedenza a Tagaste, giunse a Cartagine e qui fu trascinato dalla frenesia per gli spet t acoli: i giochi del circo avevano suscitato in lui una passione sfrenata87• Dopo aver frequentato le lezioni di Agostino, grazie all'aiuto di Dio, riu scì a scuotere il suo animo con forte temperanza e a liberarsi da tutte le so zzure del circo, tanto da non mettervi più piede88• Ma, trasferitosi
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a Roma per studiare diritto, ricadde nel gorgo che lo aveva preceden temente inghiottito e gli spettacoli gladiatori questa volta lo rapirono incredibili hiatu89• Portato dai suoi compagni di scuola nell'anfiteatro , pensava di poter resistere e di riuscire a non concentrare il suo animo e i suoi occhi sui giochi che vi si svolgevano. In realtà, cadde vittima della voluptas eccitata dal sangue, fu penetrato dal contagio anche attraverso le orecchie. Alla fine fu vinto dalla curiositas e guardò con partecipazio ne gli spettacoli: A un certo punto del combattimento, violentemente colpito dall'enorme boato dell'intero pubblico, vinto dalla curiosità, e sentendosi pronto a disprezzare e vincere qualsiasi cosa gli capitasse di vedere, aprì gli occhi e fu trafitto nell'ani ma da una ferita più grave di quella che subl nel corpo l'uomo che desiderò guar dare, e cadde più miseramente di quel tale alla cui caduta si era levato il clamore [della folla] ; quel clamore che attraverso le orecchie gli era entrato dentro e gli aveva spalancato gli occhi, aprendo la via attraverso cui fu ferito e abbattuto un animo più audace che forte, e tanto più debole in quanto aveva contato sulle proprie forze invece che su di te, come avrebbe dovuto. Come infatti vide quel sangue, immediatamente [ne] bevve fino in fondo l'atrocità e non se ne distol se, ma fissò lo sguardo e ne attingeva il furore e non sapeva [quel che faceva] e godeva della violenza criminale del combattimento e si inebriava di una cruenta voluttà. Ormai non era più l'uomo che era entrato, ma uno della folla a cui si era unito, un compagno a tutti gli effetti di coloro che l'avevano condotto Il. Che altro dire ? Guardò, urlò, arse di passione, portò via con sé la follia da cui sarebbe stato spinto a tornare altre volte, non solo con quelli che in precedenza ce lo avevano trascinato, ma anche prima di loro e trascinando lui degli altri90•
4 I protagonisti dei munera gladiatoria
Le armaturae dei gladiatori
Come è possibile ricostruire grazie alle fonti letterarie, epigrafiche e ico nografiche, le classi, armaturae, dei gladiatori che si esibivano nei mune ra erano varie e subirono un'evoluzione nel corso del tempo. L'elemen to che appare sostanzialmente nella totalità degli epitaffi è l'armatura, che serviva per identificare il mestiere del defunto e per definirlo come gladiatore. Le fonti ci informano delle armaturae differenti: murmillo, retiarius, Thraex, secutor, provocator, essedarius, contrarete, oplomachus, samnis, eques, pegnarius, astarius, dimachaerus, ma soltanto sei di esse fu rono frequenti: murmillo, retiarius, Thraex, secutor,provocator, essedarius, sia nella parte occidentale sia in quella orientale dell'impero (Robert, 1 940, p. 64). Quelle più antiche, introdotte in progressione, riproduce vano i nemici più agguerriti dei Romani con il loro armamento tipico: Samnites, Galli e Thraeces. I Samnites, che rievocavano i nemici contro i quali Roma aveva combattuto tre guerre nel corso del IV secolo a.C., era no l'armatura gladiatoria più antica e dovevano essere armati con grandi scudi, rotondi o rettangolari, spada o lancia, ocrea, elmo con visiera e cimiero, così come sono ritratti in affreschi delle tombe campane del rv secolo a.C.'. I Galli, che con i Romani si scontrarono a più riprese, erano verosimilmente vestiti e armati come i guerrieri galli, anche se non si hanno evidenze iconografiche a supportare questa ipotesi. I Thraeces derivavano il loro nome dai guerrieri traci, che i Romani affrontarono du rante le guerre mitridatiche, e indossavano una spada ricurva corta, la sica, uno scudo rotondo o quadrato, gli schinieri su entrambe le gambe e verosimilmente un elmo con visiera e piume•. Non sopravvissero tutte n ei secoli successivi. I Samnites non esistevano più in epoca imperiale, i Galli perdurarono fino all'età tardorepubblicana quando mutarono il l o ro nome in murmillones, come si deduce da un passo di Festo e da
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una menzione di Cicerone3, i Thraeces furono attivi sino all'età imperiale avanzata. I riferimenti letterari, epigrafici e iconografici alla categoria del Samnes non oltrepassano l'età flavia, perciò si discute se in epoca giulio claudia questa armatura si dissolse in altre, quali quelle del secutor, dell'o plomachus o del murmillo (Junkelmann, 2oooa, p. 37; Caldelli, 2001). In età repubblicana sicuramente esisteva una maggiore varietà dell'ar mamento e delle categorie dei gladiatori. Dai rilievi sono attestati gladia tori che non combattevano a torso nudo, come avviene poi dall'età au gustea, ma con il petto coperto da una placca metallica legata sul dorso con strisce di cuoio, come si può vedere nel già citato rilievo di Pompei conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli, oppure con il corpo protetto da una lorica squamata, corazza a squame, come nel ri lievo di Monaco ( 1 secolo d.C., Monaco, Glyptothek). In età augustea le classi gladiatorie erano ormai definitivamente stabilizzate: contraretiarii, equites, essedarii, murmillones, oplomachi, provocatores, retiarii, sagittarii, secutores, spatharii, Thraeces, velites. Anche l'armamento proprio delle diverse categorie di gladiatori trovò stabilizzazione sotto il primo im peratore, seguendo norme ben precise. Tale ordinamento perdurò in età giulio-claudia, durante la quale le coppie di gladiatori che si contrappo nevano nei munera e le armi adoperate non subirono variazioni rispetto al periodo precedente. Durante la repubblica i gladiatori indossavano elmi con paranuca e paragnatidi, cimieri più o meno sviluppati e muniti di piume. In età augustea tali elmi subirono una trasformazione e diven tarono del tutto chiusi sul volto: le paragnatidi si evolvettero, trasfor mandosi in una specie di maschera apribile anteriormente, con due fori circolari per gli occhi protetti da griglie. Anche il paranuca subì una tra sformazione, poiché fu sostituito da una tesa circolare. In età neroniana e flavia, gli elmi andarono incontro a ulteriori modifiche: la tesa circo lare divenne ricurva, flettendosi sui lati a protezione della testa dai colpi laterali; al posto dei due fori per gli occhi subentrò un'unica apertura sempre protetta da una rete, evidentemente per consentire una migliore visibilità, come si può constatare in buona parte degli elmi rinvenuti a Pompei. I gladiatori si specializzavano in una sola categoria nella quale com battevano durante il corso della loro vita, con eccezione generalmente dei murmillones, che si esercitavano tuttavia con un'armatura simile, provocator o secutor4. I Thraeces erano armati con elmo, caratterizzato dal lophos a forma di grifone, una piccola spada ricurva, le ocreae, ossia gli schinieri alti per proteggere le gambe, la manica (cioè un braccio ar-
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m ato) al braccio destro, un piccolo scudo rettangolare. I murmillones rappresentavano la classe più comune tra i gladiatori e traevano il nome dall'immagine del pesce, una mormora (fLUfLYJ o fLUpfLupoc;), che avevano s ull'elmo5; indossavano un armamento difensivo caratterizzato dall'el m o con tesa ripiegata sui lati, dallo scudo grande, ricurvo e di forma rettangolare6, dall' ocrea alla gamba sinistra e dalla manica al braccio de stro ; come arma offensiva brandivano il gladius lungo 40-50 centimetri e una lancia, hasta, della lunghezza di 2-2,5 metri. Si contrapponevano ai Thraeces7, come ipotizzato da Ville e da Coarelli e come confermato dal libellus gladiatorius di Pompei (Sabbatini Tumolesi, 1980, pp. 71-4; Ville, 1981, pp. 307-8)8 e dalla scoperta di una stele funeraria di Q Sossius Albus, un liberto gladiatore, ivi definito myrmillo, sulla quale è ritratta l'armatura descritta dalle fonti (circa n secolo d.C., Aquileia, Museo ar cheologico nazionale ; Coarelli, 2001b, p. 156). Gli oplomachi dovevano avere un'armatura pesante e dovevano essere schierati contro i murmil lones e i Thraeces (Mosci Sassi, 1992, pp. 120-1 )9• Ciò è comprovato dal libellus gladiatorius pompeiana e da tre rilievi, uno proveniente dalla tomba di Umbricius Scaurus, ora perduto ma riprodotto in copie gra fiche ottocentesche (tempera di F. Morelli, 1813, Napoli, Museo arche ologico nazionale), il già citato rilievo pompeiana e uno che adornava la tomba di Lusius Storax (fregio del sepolcro di C. Lusius Storax, con giochi gladiatori, metà del I secolo d.C., Chieti, Museo archeologico La Civitella), come ha sottolineato Coarelli (2001b, p. 1 54, fig. I, pp. 15762, figg. 4-11). Indossavano alte ocreae alle gambe, avevano uno scudo circolare, un elmo con tesa alta ornato di piume, un gladio e, in alcune raffìgurazioni, come nel mosaico di Zliten, una lancia. Un oplomachus, con grande scudo ed elmo con paraguance, è ritratto di profilo verso sinistra nel rilievo da Benevento ( I secolo d.C., Benevento, Museo del Sannio). Regge con la mano sinistra lo scudo rettangolare semicilin drico e solleva in alto la spada. Una statuetta di terracotta risalente al I - I I secolo d.C., conservata al British Museum di Londra, riproduce un duello tra un oplomachus e un Thraex. l retiarii indossavano il subligaculum, il balteus, una manica al brac c io sinistro, perché maggiormente esposto ai colpi del secutor, e il ga lerus, una placca metallica alla spalla sinistra per proteggere la gola e co me mezzo per tenere la fune raccolta a spira, con la quale lanciavano e poi ritiravano la rete, se non riuscivano nel tentativo'0• Non aveva no l'elmo né lo scudo ; come armi offensive la rete ( rete) , da cui trae il nome (o iaculum, perché lanciata contro l'avversario), il tridente ifu-
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scina) e un pugnale (pugio )". Costituivano una categoria nuova, intro dotta all'inizio dell'età imperiale. La rete è ritratta in pochi casi, dai quali si può desumere che fosse circolare, da lancio, del diametro di circa 3 metri. Nel rilievo con tre gladiatori di Chieti (Città del Vatica no, Musei Vaticani) è raffigurato al centro un sannita, con perizoma di cuoio e cintura, il braccio destro protetto dalla manica, spada e scudo. A sinistra si trova un reziario con tunica corta, che tiene l'arma tipica, il tridente, dinanzi a sé e ha il fodero di un pugnale nella cintura. A destra è ritratto un trace con i capelli lunghi, alti schinieri riccamen te decorati e scudo nella destra. Su una bottiglia di Rheinzabern (n secolo d.C., Speyer, Historisches Museum der Pfalz) è rappresentato un retiarius proprio mentre tiene la rete nella destra e si prepara al lancio, mentre con la mano sinistra stringe il tridente e il pugnale. n tridente era la sua arma principale ; dopo aver perso la rete, lo poteva brandire con entrambe le mani, usando il manico e le punte per parare i colpi, oppure le punte per fare leva sulla spada o sulle estremità dello scudo e dell'elmo dell'avversario11• Per questo motivo il gladiatore che gli si opponeva indossava un elmo completamente liscio. Il retiarius è raffigurato spesso nell'atto di usare il tridente per pugnalare le gambe dell'avversario o tirare un colpo all'elmo. Usava il pugio quando voleva cogliere il contendente di sorpresa, buttandosi su di lui da un angolo favorevole e facendolo cadere a terra (Junkelmann, 2oooa, p. 6o ) . I secutores e i contraretiarii erano gladiatori che si contrapponevano ai retiarii e che è difficile distinguere tra loro1l. Indossavano un'armatura simile a quella dei murmillones, con ocrea, galea, gladius e scutum, ma l'elmo era però senza tesa e di forma ovoidale per impedire la presa della rete. Verosimilmente si diversificavano per il modo di combattere e per le differenti tattiche adoperate (Ville, 1981, p. 307; Mosci Sassi, 1992, pp. 171-2). Come descrive lsidoro di Siviglia, i secutores generalmente inseguivano i loro antagonisti, cercando un contatto ravvicinato con il corpo dei retiarii, con lo scudo tenuto dinanzi; questi ultimi avreb bero tentato di evitare un combattimento corpo a corpo e, se necessa rio, avrebbero indietreggiato, attendendo l'opportunità di cogliere di sorpresa l'avversario e di poter usare la rete e il tridente (Junkelmann, 2oooa, pp. 61-2). Gli equites sono indicati, sempre da lsidoro di Siviglia, tra le arma turae ufficiali della gladiatura. Indossavano una tunica corta nel perio do imperiale, un elmo emisferico a tesa circolare, metallico o forse di cuoio, fasce a protezione delle gambe in alcuni casi, come si evince dal-
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la raffigurazione del rilievo a stucco della tomba di Umbricius Scaurus, sopra ricordata, la manica sul braccio destro'4; erano armati di lancia e di una spada piuttosto lunga, forse priva di punta, di scudo rotondo di medie dimensioni chiamato parma equestris (Ville, 1981, pp. 147 ss., 3 9 5). Come testimonia ancora una volta Isidoro di Siviglia, essi aprivano il munus e il loro combattimento doveva svolgersi in due tempi: dap p rima affrontavano l'avversario a cavallo con le !ance e poi a terra con le spa-de - e per questo motivo in diverse raffigurazioni sono ritratti sempre a terra e non a·cavallo - nella fase finale dello scontro'1• Inoltre, combattevano sempre contro un gladiatore della loro stessa categoria, a differenza degli altri. Nel rilievo di Pompei, nella sezione centrale, sono raffigurati alcuni equites che si scontrano a piedi nel finale del duello. Il perdente è sdraiato a terra, il vincitore alza in alto il suo scudo mentre attende il verdetto del pubblico e dell'editor (Junkelmann, 2oooa, p. 46, fig. 31). Gli essedarii, verosimilmente di origine gallica o britannica, che, come attestano le fonti, fecero la loro comparsa a Roma verso la metà del I secolo d.C., combattevano a bordo di un carro, l'essedum, in uso presso i Galli'6• Con ogni probabilità affrontavano l'avversario inizialmente a bordo dei carri e poi proseguivano a terra, come gli equites, e dovevano scontrarsi con altri essedarii'7• A causa della mancanza di raffigurazioni non possediamo ulteriori informazioni sul loro equipaggiamento e sulle tattiche di combattimento; si può supporre che quello offerto dagli esse darii dovesse essere uno spettacolo molto vivace e pieno di movimento (Mosci Sassi, 1992, pp. 101-2) '8• I sagittarii costituivano una categoria alquanto rara; infatti, poche sono le menzioni nelle fonti e le loro raffigurazioni; ne compare una citazione nell'elenco dei combattenti di Venusia'9• Usavano archi e frecce nello scontro, come indicherebbe il loro nome ; indossavano un elmo co nico, corazza e una manica, come si evince da un rilievo al Museo Bardi di Firenze, e dovevano contrapporsi ad altri gladiatori della medesima armatura. I provocatores avevano un armamento pesante, simile a quello dei se cutores e dei contraretiarii10, con manica sul braccio destro, schiniere sul la gamba destra, scudo rettangolare, elmo chiuso e senza cresta, pettorale allacciato, una spada con lama dritta, come si può vedere nel rilievo con provocator da Efeso ( m secolo d.C., Berlino, Staacliche Museen)11• Gli spatharii non dovevano costituire una classe a parte, ma indi care una specificità dell'armamento, la spatha, una lunga spada diversa dal gladius, quella corta; infatti, le iscrizioni menzionano murmillones
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spatharii e Thraeces spatharii... In modo analogo le denominazioni di dimachaerus1l e hastarius definivano, rispettivamente, l'arma di offesa, doppia spada e lancia, più che un'armatura vera e propria ( Golvin, Lan des, 1990, p. 1 68). Nell'arena si esibivano anche i paegnarii, non gladiatori veri e propri, bensì combattenti buffoni che divertivano il pubblico negli intermezzi (EAOR I, n. 79 ). Ne parla Svetonio a proposito di un munus presieduto da Caligola, nel quale tutto l'impianto canonico era sovvertito: nell'are na furono condotte belve smagrite, si esibirono gladiatori vecchi e sfini ti, intervennero i paegniarii14• Potrebbero essere paegniarii quelli ritratti nel rilievo di Pompei come quarta coppia da sinistra: non hanno elmi né scudi e non sono visibili neanche delle armi da offesa. La natura dei loro interventi nella giornata di spettacoli può spiegare perché questa tipologia compaia poco nelle iscrizioni funerarie. Le gladiatrici
Anche alcune donne praticarono la gladiatura nella storia di Roma. Un frammento di Nicola Damasceno attesta che fin dalle origini dell'Urbe avevano luogo combattimenti tra donne gladiatrici in contesti funera ri15. Non è possibile precisare quando esse si esibirono per la prima volta e quando passarono dalle cerimonie funebri ai giochi pubblici, ma si può ipotizzare che ciò avvenne fra la tarda età repubblicana e quella augustea (McCullough, 2008, p. 198). Forse le donne furono escluse dall'arena per la prima volta nel 22 a.C. sotto Augusto con un senatoconsulto che proibiva agli equestri e ai discendenti dei senatori di calcare il palcosce nico e scendere nell'arena, sebbene nel passo relativo Cassio Dione non parli espressamente di donne (Levick, 1983, p. 107) 16. Questa stessa mi sura fu ripetuta ed estesa nel senatoconsulto di Larino del 19 d.C., con il quale fu espressamente proibito che le figlie, le nipoti e le pronipoti dei cavalieri e dei senatori si esibissero sul palcoscenico e nell'arena. Tale deliberazione faceva riferimento a un provvedimento precedente dell'u d.C., che vietava allefeminae al di sotto dei vene'anni di età di scendere nell'arena17. Le fonti letterarie presentano poche attestazioni di combattimenti di gladiatrici, limitati generalmente alla città di Roma e per lo più a munera dati dall'imperatore, che come editor aveva maggior possibilità di spesa per assicurarsi questo spettacolo al di fuori della norma ed esotico. Nel
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d.C. Nerone organizzò spettacoli gladiatori con uno sfarzo simile a uello dei munera precedenti, nei quali molte donne nobili,Jèminae in q lustres, e senatori si disonorarono scendendo nell'arena•8; nel 66 d.C., p oi, allestì in onore di Tiridate uno spettacolo gladiatorio a Pozzuoli, c on grande munificenza e spesa, nel quale furono fatti esibire nell'anfitea t ro degli Etiopi, sia uomini sia donne e bambini29• Nel Satyricon di Pe tronio il liberto Echion considera la performance di una mulier essedaria nel munus offerto dal suo amico Titus come una delle attrazioni più at tese e come segno del luxus dei giochi che quest'ultimo offriva a livel lo locale'0• Per gli spettacoli di inaugurazione del Colosseo sotto Tito, Marziale testimonia la presenza di donne tra i venatores e, scrivendo che Marte e Venere erano a servizio dell'imperatore, consente di desumere con ogni probabilità che si ebbe l'allestimento anche di combattimenti gladiatori sia maschili sia femminilil'. Ugualmente Cassio Diane precisa che Tito, negli spettacoli di inaugurazione dell'anfiteatro, offrì al pub blico un combattimento di gru e di elefanti e che furono uccisi circa altri 9.o o o animali da gregge e bestie selvatiche anche con il contributo delle donne, seppure non di alto rango>•. Domiziano organizzò spettacoli sempre magnifici e costosi, sia quelli dell'anfiteatro sia quelli del circo, come attesta Svetonio, offrendo mu nera gladiatoria e venationes anche notturni e combattimenti in cui si affrontarono non solo gli uomini ma anche le donne". Cassio Diane riporta la notizia particolare di occasioni in cui fece persino combattere dei nani e delle donne, mentre Stazio, dal canto suo, nelle Silvae offre una descrizione dei sontuosi festeggiamenti offerti da Domiziano alla fine di dicembre dell'88 d.C. in cui combatterono dei Pigmei e delle Amazzoni in due diverse sequenze di scontri, in cui i nani si scontrarono tra loro e le donne fecero altrettanto34• I nani fanno ridere Marce e le donne sono qualificate come « sesso novizio e ignorante della spada » . Ma, in modo specifico, i nani sono assimilati ai Pigmei e le donne alle Amazzoni, pro babilmente perché attraverso questo intermezzo parodico Domiziano volle richiamare agli spettatori i suoi successi militari e suggerire loro l'idea del dominio territoriale da lui esteso fino ai confini dell' oikoumene (Berlan-Bajard, 20II, pp. 201-5). Le Amazzoni, abitanti delle regioni del Mar Nero, presso il fiume ThermOdon, erano considerate da Erodoto le antenate dei Sarmati'1, vicini dei Daci, e nell'88-89 era in corso appunto la campagna in Dacia, nella quale le truppe romane avevano difficoltà con alcune tribù sarmate vicine, gli Iazigi e i Rossolani. La presentazione delle Amazzoni nell'arena poteva dunque richiamare agli spettatori la 63
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spedizione del principe contro i barbari del Nord-Est e i successi otte nuti in quei due anni. Per quanto riguarda i Pigmei, Domiziano verosi milmente può averli scelti per alludere ai risultati positivi conseguiti di recente in Mrica contro i Nasamoni, popolo che aveva rifiutato di paga re il tributo e fu vinto nell'86. Essi vivevano a sud della Libia, ai confin i dei paesi sconosciuti al di là dei quali si trovavano le fonti del Nilo e il popolo dei PigmeP6• Anche Giovenale offre il ritratto di una donna che riceve l'addestra mento in un ludus e usa le armi come un uomo, riferendosi verosimil mente a una situazione reale del tempo di Domiziano : E chi non conosce le tuniche di Tiro e gli unguenti per i loro esercizi ginnici ? Chi non le ha viste vibrare fendenti al palo ? Lo intaccano a furia di colpi, lo per cuotono con lo scudo, eseguendo con precisione tutti i movimenti prescritti, ben degne di esibirsi tra le fanfare nei giochi di Flora, se pur nel loro petto non covino disegni più ambiziosi e non s'allenino davvero per l'arena. Che pudore può mostrare una donna con l'elmo in testa, che abdica al suo sesso ? L'attira la forza, eppure diventar uomo non vorrebbe, sapendo quanto breve è il piacere nel maschio. Bell'onore se mettessero all'asta gli arnesi di tua moglie : cinturo ne, bracciali, elmo e mezzo cosciale della gamba sinistra ! E che gioia se la tua sposa, passata ad altro tipo di tenzone, vendesse gli schinieri ! Donne ! Sudano persino sotto la veste più leggera: che le loro grazie vadano in fiamme a contatto d'una stoffa di seta ? Guarda con che fremiti vibra i colpi appresi dal maestro, schiacciata com'è sotto il peso dell'elmo, come sta salda sui garretti malgrado la corazza di dura corteccia37•
L'ultima testimonianza in ordine cronologico sulle gladiatrici riguarda il regno di Settimio Severo, durante il quale, nel 2oo d.C., fu proibito a tutte le donne (jèminae o mulieres) di esibirsi in combattimenti singoli, monomachein, un verbo che è impiegato per indicare appunto i combat timenti gladiatorP8• Per quanto concerne, poi, la pratica di combattimenti gladiatori fem minili al di fuori di Roma, per la penisola italica c'è l'attestazione epigra fica di Hostilianus, il quale afferma di essere stato il primo a far esibire a Ostia delle mulieres che si scontravano le une contro le altre (seconda metà n secolo d.C.)39• Questo è l'unico caso di un munus dato da un privato con esibizione di donne a livello locale, insieme a quello docu mentato da Petronio nel Satyricon. Per la restante parte dell'impero il rilievo di Alicarnasso (metà 1 secolo-metà II secolo d.C., Londra, British Museum) ritrae il combattimento tra due donne, Amazon e Achillia, che
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si affrontarono con lo stesso equipaggiamento e uscirono dall'arena vive, co m e precisato dal verbo apeluthésan iscritto al di sopra delle loro teste, e q uivalente del latino stantes missae (Ville, 1981, p. 264, n. 75; Coleman, 2 o o o ; Briquel, 1992, p. 53 ) . Entrambe avevano manichae, ocreae sulla gamba sinistra, subligaculum, balteus, scutum e pugio; ma sono ritratte s enza gli elmi, raffigurati alle loro spalle, a terra. Recentemente Manas ( 201 1, pp. 2740-3 ) , a supporto dell'esistenza di nne gladiatrici, ha proposto di interpretare la statuetta di bronzo del do Museum fiir Kunst und Gewerbe di Amburgo (1 secolo d.C.), di fattu ra romana, come la raffigurazione di una gladiatrice e non di un'atleta, come ritenuto finora. Essa ritrae una donna che indossa un piccolo pe rizoma, ha il braccio destro abbassato lungo il fianco e quello sinistro alzato con un oggetto nella mano, finora interpretato come uno strigilis, ma che potrebbe essere anche una sica, la spada tipica usata dal gladia tore della categoria del Thraex. n fatto che la maggioranza delle nostre fonti sui combattimenti tra gladiatrici riguardi la città di Roma e mune ra offerti dagli imperatori sembra indicare che essi non erano usuali al di fuori della capitale ed erano sottorappresentati nel resto dell'impero, come comproverebbe anche l'assenza di un termine specifico a indicare le donne che si esibivano come gladiatrici e la scarsità di rappresentazio ni iconografiche (McCullough, 2008 ) . Inoltre, la rarità di questo tipo di spettacolo e l'impatto che poteva avere sul pubblico possono essere legati allo shock del vedere una donna, soprattutto di ceto equestre o se natorio, cimentarsi in un'attività prettamente maschile come il combat timento con armi. Per quanto riguarda lo status delle donne che combattevano come gladiatrici, le fonti parlano difeminae e mulieres: le prime erano le donne appartenenti agli ordini superiori, figlie e mogli di cittadini, le seconde erano le donne delle classi inferiori. Tacito, per il principato neroniano, infatti, parla di feminae, così come Svetonio per quello di Domiziano. Invece, Petronio usa l'espressione mulierem essedariam40• Si può desu mere, pertanto, che scendevano nell'arena donne di ogni ceto sociale, così come avveniva per gli uomini. Per le appartenenti ai due ordini su periori non si può pensare che fossero costrette da qualcuno a cimentarsi nell'arena contro il proprio volere e si deve supporre che combattessero nel modo più onorevole possibile per mostrare la loro abilità nell'uso delle armi, senza ricevere compenso o senza avere rapporti contrattuali con un lanista (ivi, p. 207; Manas, 2011, p. 2731 ) . Soltanto Cassio Dio ne, a proposito dell'esibizione di nobili nell'arena sotto Nerone, speci-
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fica che alcuni lo fecero con piacere e altri contro la loro volontà41• Nel caso delle donne degli strati più bassi della società, esse combattevano per necessità di denaro. Molte dovevano ricadere nella categoria degli auctorati, ossia coloro che si sottoponevano volontariamente al lanista, avendo un contratto che garantiva loro cibo, ricovero e la possibilità di addestrarsi in un luogo specifico, verosimilmente diverso dal ludus in cui si allenavano i maschi. Le donne di condizione schiavile, invece, non do vevano combattere di loro propria volontà, ma spinte dal loro padrone e, come i gladiatori maschi schiavi, dovevano ricevere il 20% di ciò che l'editor pagava al lanista per la loro performance+•. Le scuole gladiatorie e il personale dei munera
Prima di potersi esibire nell'arena, i gladiatori erano ben istruiti nell'arte del combattimento in scuole apposite, denominate ludi, che esistevano fin dall'età repubblicana ed erano di proprietà di uomini di rango sena torio. Qui si esercitavano sotto la guida di doctores e magistri, imparando tecniche e norme ben precise. L'addestramento si svolgeva con esercizi adpalum, ossia contro un palo conficcato nel terreno che rappresentava il gladiatore antagonista (Golvin, Landes, 1990, p. 156). Apprendevano diverse tattiche e figure, come abbiamo già esposto, e acquisivano la ter minologia tecnica. Secondo il livello di preparazione raggiunto, i gla diatori erano suddivisi, nellafomilia, in tirones, primi pali, secundi pali, rudiarii (Mosci Sassi, 1992, pp. 147-8, 164-6, 180 ). Le prime scuole gladiatorie sorsero a Capua, dove già nel 105 a.C. era ubicato il Ludus C. Aureli Scauri e nel 73 a.C. soggiornava lafomi lia gladiatoria di Cn. Lentulus Batiatus, nella quale Spartaco preparò la celebre rivolta4l. Sempre in questa città sorse il Ludus Iulianus, la scuola gladiatoria di proprietà di Giulio Cesare, che nel 49 a.C. a Capua an noverava circa 3 . o o o secutores44• Ottaviano ereditò dal padre adottivo i gladiatori, gli Iuliani, che fino al principato neroniano furono i più noti e verosimilmente i migliori45• Nerone creò poi lafomilia dei Neroniani46• Si ritiene che entrambe le denominazioni Ludus Iulianus e Ludus Nero nianus si riferissero allo stesso centro di formazione, con l'appellativo Iu lianus utilizzato durante la prima metà del I secolo e Neronianus creato sotto il principato di Nerone, e che successivamente tali denominazioni fossero sostituite dai genitivi Caesaris e Imperatoris ( Sabbatini Turnolesi, 1980, pp. 147-8; Ville, 1981, pp. 277-81). Fino al III secolo d.C. è attesta-
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l'e sistenza di gladiatori di proprietà imperiale addestrati in appositi d fu i, a Capua e a Roma, dove si trovavano il ludus di Caligola, il Ludus Matutinus per i venatores e il Ludus Gallicus forse per i murmillones, il Ludus Magnus per tutte le altre classi gladiatorie e il Ludus Dacicus per i p rigionieri della guerra dacica di Domiziano (Pavolini, 1996a, 1996b; Coarelli, 2001a). Nelle epigrafi dei gladiatori è spesso indicata la scuola gladiatoria nella quale il defunto si era formato, con la menzione del nome del pa trono o della scuola in genitivo ( Caesaris, Germanici, Imperatoris, Ludi Magni, Arianillae, C. PompeiiMartialis, Valerii Proculi) 47 oppure del co gnomen del proprietario o della provincia del ludus con il suffisso -anus ( Cethegianus, Gallicianus, Hispanianus, Iulianus, Neronianus, Paullia nus, Serenianus, Trebonianus)48• Le scuole gladiatorie potevano essere di proprietà pubblica o privata; a Roma prevalevano quelle imperiali. In Italia e nelle Gallie abbondavano le Jamiliae private; per la maggior parte i gladiatori spagnoli erano formati nelle scuole imperiali, in questo caso nel ludus di Capua (Iulianus, Neronianus ) , e in quelle provinciali (Hispanianus, Gallicianus) ( Ceballos Hornero, 2003, p. 321). L'amministrazione imperiale stabilì una rete estesa per il reclutamen to e la formazione dei gladiatori, che abbracciava tutto l'impero, sotto dei procuratores la cui giurisdizione comprendeva le province occidenta li, quelle orientali, le regioni dell'Italia o la scuola sita a Roma, a Pergamo o ad Alessandria49• In questo modo, in ciascuna provincia c'era una sede della scuola imperiale, ubicata nella capitale10• Amministravano queste caserme funzionari di rango equestre, procuratores Ludi Magni e procu ratores Ludi Matutini. Le attestazioni cominciano dal regno di Traiano con Q Marcius Turbo e T. Haterius NeposSI. La procuratela del Ludus Ma gnus si attesta, nell'ambito del cursus, immediatamente dopo una carica di rango centenario, per cui si presume che almeno dall'età severiana l'in carico fosse ducenario; si trattava, dunque, di uno dei posti meglio pagati della burocrazia imperiale; di minor prestigio, sessagenaria e poi cente naria, fu la procuratela del Ludus Matutinus (Gregari, 2011, pp. 3 s-9 )1•. L'incarico di questi funzionari era delicato, visto che nelle caserme con fluivano i migliori gladiatori e venatores di tutto l'impero, armati e ad destrati, potenzialmente pericolosi per la stabilità dello Stato e perciò venivano scelti personaggi di fiducia dell'imperatore e con esperienza militare13• Nel Ludus Magnus lavoravano persone con diverse mansioni: praepositus armamentario, incaricato della sorveglianza del deposito di armi e attrezzi gladiatori; dispensatores, amministratori, cassieri o ecora
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nomi; cursores, messaggeri; cryptarius, responsabile della custodia dei gladiatori o dei condannati rinchiusi nel carcere locale ; medici semp re di condizione servile o libertina, schiavi o liberti dell'imperatore a se conda delle mansionil4• I procuratores del Ludus Matutinus avevano alle loro dipendenze un commentariensis, segretario amministrativo, medi ci55, liberti imperiali responsabili degli elefanti, dei cammelli, delle belve feroci e degli erbivori destinati a essere esibiti negli spettacoli di caccia offerti dall'imperatore. li procurator Laurento ad elephantos, sempre un liberto imperiale, svolgeva il compito specifico di provvedere alla rac colta e alla custodia nel vivarium di Laurentum di elefanti impiegati nelle processioni e nei munera imperiali56; il praepositus camellorum57, l'adiutor adferas, in genere alle dipendenze di un procurator, era un aiu tante del vivarium connesso alle venationes imperiali e restringeva le sue competenze alle sole belve feroci58, invece il praepositus herbariarum provvedeva agli erbivori che nell'anfiteatro venivano opposti alle belve africane e orientali 59. Altre strutture per il reclutamento e l'addestramento dei gladiatori e la selezione dei migliori da inviare a Roma dall'Italia e dalle province fu rono create al di fuori dell'Urbe. Sono attestati procuratoresfamiliarum gladiatoriarum per Italiam dall'età di Marco Aurelio di rango equestre, di livello inferiore ai precedenti, retribuiti con uno stipendio di 6o.ooo sesterzi, che si occupavano delle caserme in Italia, a loro volta organiz zate a livello regionalé0• È attestato un procurator ad familias gladia torias transpadanas, P. Cominius Clemens, nominato responsabile delle caserme gladiatorie dell'Italia settentrionale negli ultimi decenni del II secolo6'. Nel I I I secolo al procuratore competente per la Transpadana furono affidate quelle della vicina Emilia e Liguria e quelle delle provin ce di Dalmazia e Pannonia6'. A questi procuratores, che furono istituiti a livello provinciale sia in Oriente sia in Occidente per singole province o gruppi, si rivolgevano i lanistae e i magistrati locali per le forniture di gladiatori e condannati da far morire nell'arena, sgozzati o sbranati dalle belve, previo versamento di una cauzione. I gladiatori erano parte di unafamilia gladiatoria che poteva dipen dere da un privato o da un lanista e che era composta verosimilmente non dai soli gladiatori, ma da tutto il personale che prestava servizio in una compagnia, doctores, harenarii, medici ecc. ( Fora, 1996, p. 6o ). I lanistae acquistavano, reclutavano, addestravano, vendevano o davano in locazione sia a magistrati sia a privati i gladiatori; erano impresari professionisti che mettevano il loro mestiere a disposizione dei magi-
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st rati, procurando loro i combattenti e interessandosi dell'allestimento dell o spettacolo6l, o potevano organizzare di propria iniziativa munera de finiti assiforana, cioè con ingresso a pagamento64• Soltanto un esper to del mestiere era in grado di allestire un munus nella sua interezza, p rocurando, oltre ai gladiatori, anche gli addetti all'arena, le belve per l a venatio, i custodi65• Il mestiere della lanistatura permetteva di guada gnare grandi fortune, ma abitualmente i lanistae univano questa attività ad altre più nobili anche se meno redditizie (Sabbatini Tumolesi, 1980, pp . 128, 140 )66• Potevàno sostenere per l'elezione alle cariche municipali q uei candidati particolarmente favorevoli agli spettacoli che, una volta eletti, avrebbero assicurato loro buoni affari, adempiendo all'obbligo dell'o fferta dei munera (Fora, 1996, p. 61 ) . Un particolare tipo di rap p orto di lavoro si creava tra l'editor muneris e il lanista. Un passo delle Institutiones di Gaio, che ha sollevato un vivace dibattito in dottrina, fa riferimento a una locazione per quei gladiatori che fossero usciti in denni dal combattimento e a una vendita per quelli che fossero stati g ravemente feriti o uccisi67; il giurista Gaio interpreta il caso esposto in relazione a una vendita o una locazione sotto condizione (Guarino, 1985; Longo, 2010 ) . Nel corso dell'età imperiale l'imposta sul commercio dei gladiato ri aveva assunto proporzioni cali da rendere al fisco una somma annua compresa tra i 20 e i 30 milioni di sesterzi, con arretrati ammontanti a so milioni. Grazie alla lex Italicensis dell'età di Marco Aurelio e Commodo sappiamo che, poiché nel tempo i prezzi dei gladiatori erano aumentati a dismisura, si era fissata una sorta di calmiere per evitare in futuro la rovina di altri editores: gli spettacoli furono divisi in quattro categorie, a seconda che il loro costo fosse compreso fra 30.000 e 6o.ooo sesterzi, tra 6o.ooo e wo.ooo, tra 1oo.ooo e 1so.ooo, tra 150.ooo e 20o.ooo68; in ogni spettacolo metà dei gladiatori doveva comprendere gregarii, cioè gladiatori di basso livello e quotati tra i 1.000 e i 2.ooo sesterzi ciascuno, e l'altra metà, in proporzioni uguali, quelli delle tre categorie superiori, tanto più pagati quanto più alca era la somma destinata al munus. In ogni caso, per un singolo gladiatore, anche se il migliore, non si sarebbe potu to spendere più di 15.000 sesterzi. Gli auctorati, stimati 2.o oo sesterzi, se avessero voluto continuare il mestiere di gladiatore, dopo il termine del loro contratto, sarebbero saliti a una quota di 1 2.000 sesterzi, trattandosi di combattenti provetti (Diliberto, 1981; Gregori, 2.011, pp. 29-30 ). Nel mondo dei munera lavoravano non solo gladiatori ma anche mi nistri amphitheatri, doctores, summae e secundae rudes, harenarii, succur-
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sores, lorarii, che contribuivano in modo più o meno determinante alla riuscita degli spettacoli. I doctores erano gli istruttori dei gladiatori delle varie specialità, ex gladiatori che avevano ricevuto, insieme al congedo, la rudis, la spada di legno simbolo dell'ottimo servizio prestato, e rimane vano nella scuola ad addestrare quelli meno esperti69; gli arbitri in prima e in seconda, summae e secundae rudes, vigilavano sullo svolgimento dei combattimenti ed erano necessari alla buona riuscita degli spettacolF0, Gli harenarii rimuovevano e pulivano la sabbia dell'arena, trasportavano i corpi dei morti e dei feriti; i succursores scendevano in campo insieme con tori e toreri, prestando la loro opera come aiutanti affinché il com battimento con l'animale infuriato piacesse di più al pubblico7'; i lorarii con le loro fruste, lora, incitavano i combattenti più timorosi o poco ag gressivi e le belve71 (Sabbatini Tumolesi, 1980, pp. 44, 151). L o status dei gladiatori
I gladiatori erano soliti abbandonare il loro vero nome e adottarne un altro da battaglia con il quale erano conosciuti nell'arena. Sappiamo da un graffito pompeiano che il murmillo Faustus era chiamato Armentari us, da un'iscrizione di Tessalonica siamo informati che Neikeforos Synetus Lakedaimonios si faceva chiamare Narcissus quando combatteva come secutor, da una lapide di Marcianopolis che un uomo di nome Marcianus diventò il secutor Polyneikes, da un piedistallo di Aix-en-Provence che il giovane Sextus Iulius Felicissimus fu il celebre bestiario Pulcher7l. Analiz zando l'etimologia dei cognomina dei gladiatori, si constata che, attraver so la loro scelta, si volevano esaltare alcune specifiche virtù o caratteristi che apprezzate dai tifosi, come la supremazia (Maximus, Primus, Prior, Superbus, Triumphus), la combattività (Ferox, Pardus, Ursio ), particolari qualità fisiche (Aequoreus, Ampliatus, Aptus, luvenis, Rapidus) o morali (Amabilis, Amandus, Generosus, Probus, Studiosus ), la fortuna (Faustus, Felix), l'alto valore economico (Beryllus, Smaragdus) , oppure si volevano richiamare personaggi mitici guerrieri (Antigonus, Glaucus, Hector, Re rada, Hermes, Orpheus) o l'origine ( Campanus, Germanus, Placentinus) (Ville, 1981, pp. 308-10; EAOR I, p. 138; Mosci Sassi, 1992, pp. 183-96). Per quanto riguarda la condizione giuridica dei gladiatori, molti era no prigionieri di guerra, come prova il fatto che diversi tipi di armatura portavano il nome di popoli vinti (Ville, 1981, pp. 228-32). Più numerosi dovevano essere gli schiavi, come attestano le iscrizioni, nelle quali l'o-
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n om astica gladiatoria si limita per lo più al solo cognome, come avvie ne per aurighi e attori (ivi, pp. 240-6; Horsmann, 2001 ) . Un padrone p oteva vendere i propri schiavi a un lanista, come accade fino al regno di Adriano, e alcuni schiavi come pena potevano essere condannati alla gladiatura74• Tuttavia non tutti i gladiatori che nelle iscrizioni sono in dic ati con il solo cognomen erano di certo schiavi (Ville, 1981, pp. 3061 9 ; Sabbatini Tumolesi, 1984, p. 108). Più del 75% degli epitaffi presenta soltanto l'indicazione del cognomen e questa forma di nomenclatura non implica necessariamente una condizione servile. Il gladiatore Par dus, morto a Roma alla metà del I secolo, possedeva dei libertF1; Mar garites era patrono di Atlanta, M Ulpius Felix patrono e marito di Ulpia Sy n tyche76• Perciò, secondo Robert (1940, p. 287), la maggior parte dei gladiatori ricordati negli epitaffi era costituita da uomini liberi. Inoltre, un discreto numero di epigrafi romane, una quindicina, attesta anche la presenza di liberti, con prenome e gentilizio, spesso della casa impe riale. A Roma un terzo dei gladiatori porta i tria nomina, cui si posso no aggiungere altri due con duo nomina senza cognomen, sicuramente a causa della cronologia, e altri otto dal IV secolo, che prescindono dal cognomen, situazione frequente in epoca tarda77• Al di fuori di Roma, in Occidente, si rinvengono altre sette iscrizioni con tria nomina e quat tro con duo nomina. I tria o duo nomina si associano con uomini liberi che, attraverso la loro nomenclatura, dichiarano la loro condizione di auctorati o di li berti. Le fonti letterarie confermano la presenza abituale di auctorati negli anfiteatri, soprattutto nella capitale, i cui spectacula erano molto fastosi. Gli auctorati depugnandi causa erano una categoria attestata fin dall'età repubblicana e disprezzata perché costituita da liberi qui venalem san guinem habenf78• Essi rinunciavano ai loro diritti di cittadini, prestando un giuramento davanti ai tribuni della plebe, si sottomettevano al /ani sta e si impegnavano a combattere nell'arena per un periodo di tempo limitato (Diliberto, 1981). Operavano tale rinuncia dietro compenso di 2.ooo sesterzi, secondo la lex Italicensis, che sarebbero potuti diventare r 2.ooo se avessero deciso di rinnovare I'auctoramentum dopo il termine degli obblighi contrattuali, come già accennato (Ville, 1981, pp. 246-ss; Guarino, 1985). In età cesariana essi erano esclusi dai senati locali, come i l en oni e gli attorF9; a Sarsina gli auctorati erano equiparati ai suicidi per i mpiccagione e a coloro che vivevano dei proventi della prostituzione e furono esclusi da un privato dalla sepoltura in un terreno da lui donato ai concittadini per usi funebri (Lazzarini, 2008, pp. 669-71)80•
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La carriera dei gladiatori
È possibile ricostruire quale potesse essere la carriera dei gladiatori grazie
ai monumenti per lo più sepolcrali, che presentavano rilievi, raffigura zioni di armi, di premi (palmae, coronae), del gladiatore stesso nella posa del vincitore, di un combattimento gladiatorio, e grazie alle iscrizioni, alle quali essi affidavano il ricordo dei loro successi. Come ricostruito da Caldelli (2013), pochissimi sono i casi, nella par te occidentale dell'impero romano, di monumenti, sepolcrali o onorari, di gladiatori vittoriosi che recano la raffigurazione del defunto insieme con il testo epigrafico, soltanto 6 su 138. Tra questi possiamo ricordar ne alcuni. Sul sarcofago del retiarius Iulius Balerianus, proveniente da Roma ( Iv secolo d.C., Firenze, Museo archeologico nazionale), l'iscri zione non menziona il mestiere del defunto, ma questi vi è definito soda liciarius (amante della compagnia), bonus, amoratus,filetius (!) u 's ' que atJors.sa(m); a destra del testo è incisa la sua immagine nel momento della vittoria con la palma in mano e a sinistra rispetto ad esso il gla diatore è ritratto con gli elementi tipici del suo armamento, la rete nel la mano destra e il tridente in quella sinistra8'. n Thraex M Antonius Exochus, originario di Alessandria, è raffigurato sul cippo marmoreo a destinazione sepolcrale proveniente da Roma ( n secolo d.C., Londra, British Museum) con una palma nella mano sinistra e con una corona di alloro vittata e forse tre palme al suo fianco (noto soltanto da tradizione manoscritta). L'iscrizione, a struttura catalogica, ricorda che egli aveva combattuto negli spettacoli celebrativi del trionfo di Traiano sui Parti, decretati post mortem, parla di stans missus e non menziona mai la parola "vittorià' o "corona"81• Come evidenziato da Caldelli (ivi, p. 44), l'im magine enfatizza una prestazione che verosimilmente non dovette mai condurre a un successo schiacciante. n monumento sepolcrale del secutor Urbicus (fine II-III secolo d.C.), proveniente da Mediolanum, presenta il gladiatore defunto in atteggiamento di vittoria, con il gladio alzato e l'elmo su un palo (Milano, Antiquarium Alda Levi). L'iscrizione indica che è stato primus palus, che ha sostenuto 13 pugnae, sebbene non men zioni specificamente delle vittorie. Nonostante ciò, Urbicus ebbe degli ammiratori, come prova la frase finale colent Manes amatores ipsius83• L'e pitaffio del 1hra ex Gratus di Vienne ( I secolo d.C.) menziona in modo sintetico la specialità, il nome, il numero delle pugnae, 1 7, riporta la for mula tradizionale h (ic) s(itus) e(est} e il nome del dedicante, Ferox, pro-
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babilmente suo collega nella gladiatura (Vienne, magazzino del Musée des Beaux-Arts et d�chéologie)84. Al di sotto del testo, sulla stele sono i n cise sette corone, di cui cinque vietate, che suggeriscono l'idea delle v ittorie conseguite, e due palme che si incrociano formando una X; essa, se condo Sabbatini Tumolesi, rappresenterebbe appunto il numero IO, il q uale, sommato alle corone raffigurate, avrebbe indicato visivamente il cotale delle pugnae indicate nel testo81• Buona parte delle epigrafi rinvenute nella parte occidentale dell'im pero romano riporta il numero dei combattimenti sostenuti dal gladia tore e/o le vittorie riportate, che serviva a esaltare la virtus del defunto86. La palma era il premio che simboleggiava la vittoria agonistica, mentre la corona era il segno distintivo con cui si ricompensavano i combattimen ti brillanti. Negli epitaffi che recano l'indicazione delle corone meritate dal gladiatore, il loro numero grosso modo coincide con quello delle vit torie, per cui plausibilmente le tre espressioni potevano essere sinonimi che, coronarum, palmarum e victoriarum (Ville, I98I, pp. 3IS-6: EAOR I , pp. n3-34) . I gladiatori non si esibivano nell'arena più di un paio di volte l'anno, visto che non sono molti quelli a Roma di cui si ricordino più di 20 pugnae, che equivalgono a una carriera di circa dieci anni87• Cicerone afferma che era difficile che a Roma un gladiatore conseguisse sei pal me88. La media di combattimenti disputati o di vittorie conseguite dai defunti nella parte occidentale dell'impero si situa tra i IO e i IS. La qua si totalità dei gladiatori sostenne meno di 25 combattimenti nel corso della carriera. Eccezionali sono infatti le 36 vittorie di Maximus degne di palma o corona in età giulio-claudia89; Generosus, un retiarius di ori gine alessandrina ( 70-I30 d.C.), invitto sostenne 27 pugnae a Verona90; Fiamma, un secutor di origine sira, di trent'anni ( Ioi-200 d.C.), sostenne 3 4 pugnae, vicit 21 volte, stans exit 9 volte e missus 4 volte91• Soltanto due gladiatori superarono i 40 combattimenti, 53 e 99 rispettivamente, anche se la lettura di 99 pugnae è discussa; forse non in maniera casuale entrambi i gladiatori operarono in Gallia e in Spagna, non a Roma9•. Queste basse cifre si registrano anche nei graffiti pompeiani, nei meda glioni della valle del Rodano, nella relazione dei gladiatori dellafomilia gladiatoria Cai Salvi Capitonis di Venosa93 o negli epitaffi in greco della parte orientale dell'impero, in cui la maggioranza dei combattenti non raggiunge le 10 vittorie e solo uno supera i 25 combattimenti (Robert, 1 940, pp. 293-4) . Questo dato della carriera dei gladiatori è in netto con t rasto con quello ricostruito per gli aurighi, i cui epitaffi testimoniano
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che partecipavano, nella loro vita, a un numero decisamente più alto di gare, potendo arrivare a disputare più di 1 0 0 corse annualmente. I gladiatori venivano reclutati intorno ai diciassette-diciotto anni di età. Nell'epitaffio di luvenis si legge che entrò nel ludus a diciassette anni; il gladiatore conosciuto che morì più giovane aveva diciotto anni. L'uni co tiro che dichiara la sua età visse vene' anni94• La durata media della loro vita era di circa trent'anni, infatti nella maggior parte dei casi l'età indi cata è compresa tra i venti e i tremacinque. Soltanto cinque gladiatori superano questa età, morendo rispettivamente a trentotto, quarantacin que, cinquantotto, settanta e novantanove anni91• I primi due, a Roma, si dichiarano veterani e colui che visse novantanove anni era un paegna rius, ossia un uomo che non combatteva realmente, ma recitava parodie con armi fi.ttizie96• I veterani e i rudiarii erano i combattenti che avevano concluso il loro contratto con il lanista e si erano ritirati dall'arena97, ma per la loro fama e il loro prestigio erano apprezzati dai munerarii e dal pubblico, per cui potevano tornare a combattere98• Alla fine della car riera alcuni arrivavano al congedo (rudiarii) e altri restavano nel ludus, nella scuola, come doctores, istruttori, o summae e secundae rudae, arbitri in prima e in seconda. Per quanto riguarda i compensi, come già anticipato, i gregarii ( i gladiatori di livello più basso) ricevevano tra i 1.o o o e i 2.o oo sesterzi, mentre per le categorie più alte si arrivava a 1 5 . 0 0 0 sesterzi. Gli auctorati cominciavano con 2.ooo e potevano arrivare a 12.0 0 0 se avessero con tinuato a combattere dopo il termine del loro contratto. Che alcuni di essi avessero ottenuto una certa agiatezza è provato anche dal fatto che alcuni fecero erigere delle tombe per le loro mogli, a dimostrazione dello status raggiunto99,
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Le grandi naumachie imperiali
L'introduzione delle naumachie a Roma
L a messinscena di battaglie navali, che rappresentavano i più noti scon tri nel Mediterraneo della storia greca, dall'età classica a quella ellenisti ca, in grandi bacini appositamente predisposti o, più tardi, negli anfi teatri, fu un'invenzione romana. n sostantivo naumachia, che in lingua latina fa la sua comparsa nel n secolo a.C., in età altoimperiale comincia a indicare la simulazione navale in generale e durante il principato di Tiberio viene usato per la prima volta nel significato specifico di spet tacolo navale1• Nelle Res gestae divi Augusti è usata l'espressione specta culum proelii navalis; neli'Ars amatoria di Ovidio imago belli navalis•. Per la naumachia allestita da Claudio, Plinio il Vecchio usa spectaculum navalis proelii, come Augusto nel suo testo epigrafico. Pugna navalis e proelium navale sono ugualmente attestati in Tacito, Svetonio e Mar ziale\ Successivamente all'allestimento degli spettacoli navali a opera di Cesare e di Augusto diviene corrente l'impiego del termine naumachia per indicare tale tipo di spettacolo ispirato alla storia greca. Gli allestimenti di mirabili naumachie iniziano nel I secolo a.C. e si protraggono fino al n-m secolo d.C. Dalle nostre fonti si ricava che in totale le grandi naumachie di età imperiale furono dieci, mentre altri spettacoli "acquatici" offerti in diversi momenti furono di scala minore o si configurarono come intrattenimenti di natura differente (Berlan Bajard, 200 6, pp. 5 1 -2, 375). Le prime tre grandi naumachie, quelle di Cesare, di Augusto e di Claudio, furono organizzate a intervalli di circa quaranta-cinquant'anni. Si trattava di edizioni rare e motivate dalla ce l eb razione di avvenimenti eccezionali, quali vittorie e trionfi, inaugura zione di edifici o di opere infrastrutturali. Poi, a partire dalla metà del I secolo d.C. e fino al 109, la loro frequenza subì un deciso incremento,
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tanto che ne vennero approntate ben otto. Assieme alla maggiore fre quenza si registrarono anche più allestimenti da parte di singoli im peratori nel corso del loro principato. Ciò può essere considerato un segno dell'importanza acquisita dalle naumachie all'interno del sistema spettacolare romano di età imperiale, anche in virtù del messaggio che erano deputate a veicolare agli spettatori (Cariou, 2009, pp. 454-5; con tra Berlan-Bajard, 2006, pp. 43, 59). Durante il principato di Traiano avvenne un'ulteriore evoluzione, una sorta di fusione, nell'ambientazio ne fisica di un grande bacino d'acqua, di una naumachia e di un combat timento gladiatorio4• Erano concepite come riproduzioni di battaglie navali storiche fa mose avvenute nel Mediterraneo, che per lo più avevano i Greci come contendenti. Potevano rispecchiare fedelmente l'esito dell'evento sto rico oppure divergerne parzialmente, invertendo quelli che erano stati i reali vincitori. Nelle nostre fonti non è mai citata esplicitamente la battaglia rievocata, ma sono riportati i nomi dei due schieramenti con trapposti. Dunque, non era rilevante solo la battaglia particolare, ma un più ampio contesto storico, comprendente una o più guerre (Ca riou, 2009, pp. 481-2). L'allestimento proposto doveva avere comunque un certo grado di verosimiglianza e questo comportava la necessità di un addestramento dei combattenti nelle manovre navali che doveva no compiere. Rispetto agli altri spettacoli offerti al popolo di Roma, che si caratterizzavano per frequenza e routine di organizzazione, le naumachie erano offerte più raramente, dal momento che erano molto costose, andando al di là dei mezzi economici dei magistrati editori, e necessitavano anche di una forma di preparazione particolare per gli equipaggi che vi prendevano parte (Taylor, in press). La loro rarità su scitava nel pubblico una forte attesa e una certa aspettativa riguardo alle proporzioni e alla novità, quando ne veniva annunciato un nuovo allestimento. Lo svolgimento dello spettacolo
Come i ludi circenses e i munera gladiatoria venivano annunciati con anticipo al popolo e costituivano oggetto di pubblicità anche degli spettacoli allestiti per una determinata occasione, così la messinscena di una naumachia doveva essere resa nota in qualche modo, sebbene le fonti non siano esplicite a tale proposito (Ville, 1981, pp. 352-64). Si
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p uò ipotizzare che, in modo conforme a quanto veniva fatto per le altre tip ologie di spettacolo, dovessero essere indicati nel programma alcuni elementi fondamentali, quali il nome dell'editore, la ragione dell'edi zione, luogo, data, la tipologia delle imbarcazioni, il loro numero, le na zionalità rappresentate, il numero dei naumachiarii ( Cariou, 2009, pp. 427-8 e nota 6). Una conferma indiretta della diffusione delle notizie riguardanti l'allestimento di una battaglia navale viene dal fatto che gli autori antichi, a proposito delle grandi naumachie organizzate dai vari imperatori, parlano d i una grande folla di spettatori confluita a Roma o in un altro luogo, anche da lontano, per assistere a questo specifico spettacolo. Per quanto la naumachia fosse, in genere, abbinata ad altre tipologie di spettacolo, il pubblico ne doveva essere in qualche modo informato in anticipo. Una processione probabilmente aveva luogo prima di essa, allo stes so modo in cui una pompa apriva le competizioni equestri e i combat timenti gladiatori. Vi dovevano partecipare l'editore e i naumachiarii, che dovevano essere condotti dal luogo di detenzione fino all'arena o nel posto specifico dove si svolgeva la battaglia navale. Come nella pompa muneris, alcune iscrizioni dipinte su tavole dovevano recare informazio ni sullo svolgimento dello spettacolo : le nazioni rappresentate durante il combattimento, gli equipaggi, gli individui indicati come comandanti di ciascuno schieramento, i capi imprigionati, come nella pompa trium phalis (ivi, p. 428 e nota 8). Un segnale di tromba dava verosimilmente inizio alla naumachia, come avveniva per la partenza dei carri nel Circo Massimo e per il com battimento dei gladiatori nell'anfiteatro. La testimonianza svetoniana per la naumachia di Claudio al lago Fucino lo conferma: le due flotte, quella siciliana e quella rodia, ingaggiarono la battaglia dopo il suono di una tromba imboccata da un Tritone d'argento, che un meccanismo aveva fatto sorgere al centro del lago5• Al segnale apposito, le due flotte, a una velocità variabile, iniziavano il combattimento, muovendosi da due opposte linee di partenza, come si può supporre per i bacini di grandi dimensioni, come quello di Augusto e quello di Traiano6• Potevano effettuare delle vere manovre navali se lo sp azio era sufficiente. Poi avveniva l'urto tra le navi, nel quale i rostri ave vano un ruolo importante?. L'abbordaggio e il successivo combattimen to all'ultimo sangue dei naumachiarii dovevano costituire il momento centrale della messinscena.
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Flotte e combattenti
Nelle naumachie si affrontavano due schieramenti navali contrapposti, ognuno con i propri combattenti. I termini impiegati nei testi latini per indicarli sono spesso generici, copiae, cioè forze, uomini, oppure homin es (andres nelle fonti di lingua greca) . Accanto a questi sono utilizzati an che sostantivi più specifici, come pugnator, ossia combattente, e nauma chiarius, ossia combattente della naumachia. Ulteriori precisazioni deri vano dall'indicazione dello status di questi combattenti: barbari, sontes, cioè criminali, morituri, ossia coloro che sono destinati alla morce8• Prigionieri di guerra e condannati erano, infatti, scelti per esibirsi nel le battaglie navali fino a trovare la morte in scontri molto violenti. Gli equipaggi della naumachia di Cesare furono costituici da prigionieri di guerra, senza dubbio presi in occasione del combattimento navale che l'aveva preceduta, e condannaci a morte9• Cassio Dione per i partecipan ti degli spettacoli del 46 a.C., dopo aver evocato i combattimenti singoli e in eruppe, l'elefancomachia, infine la naumachia, sottolinea che in cuc ci questi scontri si affrontarono i prigionieri di guerra e i condannati a morte. È dunque evidente che la naumachia, menzionata subito prima di questa precisazione, faceva parte degli spettacoli in cui comparivano gli uomini appartenenti a queste cacegorie'0• I due modi di reclutamento qui si trovano uniti. Cesare aveva portato dalla campagna d'Egitto un gran numero di prigionieri e, tenuto conto del soggetto della naumachia e della tradizione navale della popolazione di Alessandria, si può ragio nevolmente supporre che questi prigionieri, che avevano familiarità con il combattimento sul mare, costituivano una parte degli effettivi della naumachia. Un estremo realismo caratterizzava gli spettacoli navali, così come uno sterminio di massa degli attori della messinscena ( Cariou, 2009, pp. 492-7 ) . I naumachiarii dello spettacolo di Claudio sul lago Fucino erano dei condannaci a morte, detenuti di diritto comune". Svetonio ripor ca l'esclamazione peculiare che quei criminali rivolgono all'imperatore , morituri te salutant, frase che una tradizione erronea ha inteso come un saluto rituale rivolto abitualmente dai gladiatori al principe e che non è, in realtà, attestata se non in questa sola occasione. Essa mostra bene che questi uomini, in principio, erano destinati a perire tutti nel cor so dello spettacolo. Nerone, allo stesso modo, si avvalse di noxii nel 57 d.C. per i giochi di inaugurazione del suo grande anfiteatro !igneo, era
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i q uali ci fu appunto una naumachia11• In occasione del combattimento dei gladiatori Nerone non fece uccidere nessuno, senza dubbio perché gli avversari che scesero nell'arena erano di rango senatorio o equestre. I nvece una rappresentazione della caduta di Icaro si concluse in maniera sanguinosa. Si trattava evidentemente dell'esecuzione di uno di questi c rim inali, travestita da episodio mitologico. È molto probabile perciò che i partecipanti alla naumachia furono anch'essi dei noxii. Seneca parla di un barbaro, per la seconda naumachia di Nerone, che non aveva mai avuto l'occasione di vedere un'arma prima di quel giorno e, dunque, non poteva essere uno schiavo venduto a una scuola gladiatoria, ma doveva necessariamente essere un prigioniero di guerra1l. Alle naumachie dovevano partecipare sia combattenti veri e propri sia rematori. n reclutamento di questi ultimi era probabilmente analogo a q uello dei naumachiarii; di fatto i pericoli nei quali essi incorrevano nel corso di uno spettacolo erano notevoli. Erano sommariamente for mati al maneggiamento dei remi, a meno che essi non avessero già espe rienza di navigazione, come i prigionieri egizi di Cesare. I motivi di un tale reclutamento si spiegano considerando i numeri dei combattenti di volta in volta utilizzati, enormi: 2.o o o uomini con Cesare, 3 . o o o con Augusto, lo stesso con Tito, ben 19.0 00 con Claudio. Di conseguen za, tutti questi spettacoli, che non furono affatto allestiti a seguito di vittorie militari che assicuravano un afflusso di prigionieri, dovevano necessitare del reclutamento di tutti i condannati alla pena di morte, a Roma, come in Italia, ma anche dalle province vicine (Berlan-Bajard, 2006, p. 18). Come già evidenziato, lo status dei naumachiarii li destinava in linea di principio a perire nel corso dello spettacolo. Tre tipi di comporta mento disperato sono adottati dai naumachiarii proprio a causa di que sta ineluttabile condanna a morte: il suicidio, la fuga, l'inazione14. Que sto è evidente allorché si tratta di condannati alla pena capitale. Si sa che i l combattimento nell'arena poteva sostituire l'esecuzione dei prigionie ri di guerra1s. L'allestimento di una battaglia navale era complicato dal fatto che i combattenti, in quanto prigionieri di guerra e condannati a morte, non necessariamente disponevano delle fondamentali abilità e non conoscevano le principali tecniche di combattimento. Il carat tere sanguinoso della naumachia, così come il modo di reclutamento de i combattenti richiamano molto quelli della gladiatura. I Romani erano alquanto consapevoli del rapporto di filiazione che la naumachia i ntratteneva con la gladiatura, di fatto dei principi su cui essa si basava.
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L'adozione della cornice dell'anfiteatro per la sua edizione non poteva che rafforzare questi legamP6• La damnatio ad ludum, che consegnava il condannato a una scuola di gladiatori, corrispondeva nei testi giuridici a una pena ai lavori forzati nelle miniere più che a una condanna a mor te ( Cariou, 2009, pp. 494-5). Inoltre, dopo alcuni anni i damnati ad ludum potevano ottenere la rudis, come gli altri gladiatori. Questo non era il caso dei naumachiarii, destinati in linea di principio a un'uccisone di massa, nella quale gli stessi protagonisti erano coloro che eseguivano la pena. Come la condanna alle belve, la destinazione alla naumachia non rientrava tra le forme di esecuzione regolarP7• Il primo allestimento spettacolare
Prima di Augusto era stato Giulio Cesare a organizzare una straordina ria naumachia nel 46 a.C., che si configurò come l'ultimo degli spetta coli da lui offerti per la celebrazione del suo quadruplo trionfo e per la dedica del tempio di Venere Genitrice18. 1n quanto spettacolo conclusi vo, fu concepito fin dall'inizio come il più impressionante di tutti, anche perché inedito a Roma: Offrì spettacoli di vario genere : un combattimento di gladiatori e rappresen tazioni teatrali, date anche in tutti i quartieri della città e con attori di tutte le lingue, e inoltre giuochi circensi, gare atletiche e una naumachia. Nel com battimento dei gladiatori dato nel Foro combatterono anche Furio Leptino, di famiglia pretoria, e Quinto Calpeno, già senatore e avvocato. I figli dei principi dl\.sia e di Bitinia ballarono una pirrica. Durante le rappresentazioni teatrali, Decimo Laberio, cavaliere romano, recitò una sua composizione scenica e, ri cevuti in premio un anello d'oro e cinquecento sesterzi, attraversò l'orchestra per andarsi a sedere, dal palcoscenico, nelle quattordici file riservate ai cavalieri. Per gli spettacoli del Circo si ingrandì l'arena dai due lati e si scavò un fossato tutt'attorno. I giovani delle migliori famiglie guidarono le bighe e le quadrighe e si esibirono in esercitazioni equestri. Due schiere, una di fanciulli e l'altra di giovinetti, eseguirono il ludo troiano. Cinque giorni furono dedicati alle lotte contro gli animali feroci, e si terminò con un combattimento tra due schiere di cinquecento fanti, venti elefanti e trenta cavalieri, una schiera da una parte e l'altra dall'altra. Infatti, onde si avesse maggior spazio per la manovra, erano state tolte le mete e rizzati in loro luogo due opposti accampamenti. Le gare atletiche si svolsero per tre giorni nello stadio eretto per l'occasione in Campo Marzio. Scavato un lago nella minore Codeta, si affrontarono tra loro nella naumachia biremi, triremi e quadriremi delle flotte di Tiro e di Egitto, con un
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gran numero di combattenti. A questi spettacoli assistettero folle immense, ve nute da ogni parte, tanto che molti forestieri alloggiarono sotto le tende alzate nelle strade e nei crocicchi, e molti, tra cui due senatori, rimasero schiacciati e soffocati nella ressa'9•
Il programma degli spettacoli fu particolarmente elaborato e ricom p rese un gran numero di innovazioni: cacce, scontri di truppe, elefan romachia, lusus Troiae, corse dei carri, combattimenti di gladiatori e il banchetto funebre eh� Cesare aveva promesso nel 52 a.C. in onore di sua figlia Giulia. I giochi gladiatori si tennero nel Foro Romano, dove secondo la tradizione venivano allestite tribune lignee temporanee; Ce sare per quell'occasione fece coprire tutta la piazza con un velario per p roteggere gli spettatori dal sole•o e vi fece costruire una specie di teatro di caccia che fu chiamato "anfiteatro" perché aveva sedili tutt'intorno, senza la scena1 1 • La naumachia metteva in scena uno scontro tra Egizi e Tirii. La scelta del tema era verosimilmente finalizzata a richiamare alla men te degli spettatori la campagna d'Egitto di Cesare, che era stata ca ratterizzata da diversi scontri navali sul mare o sul fiume Nilo e nel la quale Cesare aveva fatto numerosi prigionieri. Attraverso questa naumachia Cesare veicolava al pubblico il messaggio di aver stabilito definitivamente il dominio di Roma su quest'area nel Mediterraneo (Berlan-Bajard, 2006, p. 38). Il soggetto prescelto rinviava, dunque, al controllo di Roma sul Mediterraneo orientale e alla sottomissione dell'Oriente, idea peraltro ampiamente richiamata dall'insieme delle celebrazioni del 46 a.C. Lo scontro, nello spettacolo navale, tra Egizi e Tiri contribuiva anche ad assimilare Cesare ad Alessandro Magno : lui sarebbe stato il futuro vincitore dei Parti, come Alessandro Magno lo era stato dei Persiani ( Cariou, 20 09, pp. 484-6). Furono impiegate biremi, triremi e quadriremi, come precisa Svetonio ; si affrontarono 2 . o o o combattenti, 1.0 00 per ciascuno dei due schieramenti, e 4.o o o rematori, secondo il resoconto di Appiano», anche se dal passo non si desume chiaramente se i rematori furono in totale 4 .o o o o se tale nu mero debba essere moltiplicato per due, come per quello dei combat ten ti. Cesare aveva fatto scavare presso il Tevere, nel Campo Marzio, un bacino artificiale per l'allestimento della naumachia, affinché acco gliesse la quantità d'acqua necessaria per lo scontro tra le due flotte. Cassio Dione dice che il bacino fu realizzato nel Campo Marzio•3; Sve tonio precisa che fu scavato in minore Codeta, ossia in un'area al di là
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del Tevere, probabilmente nei pressi della Chiesa Nuova, esattamente nell'asse dell'odierno ponte Mazzini, e che Cesare aveva il progetto di erigere, poi, sul sito della sua naumachia un nuovo tempio di Marte'\ fatto che sembra confermare la collocazione in Campo Marzio della Codeta (ivi, pp. 29-45)'1• Era un sito paludoso che ben si prestava all a realizzazione di un bacino per la naumachia. Se si accetta questa loca lizzazione della Codeta Minor, è possibile che lo scavo della naumachia fosse sia una realizzazione di prestigio sia parte di un progetto di boni fica della zona, che prefigurava in qualche modo i lavori compiuti non molto tempo dopo da Agrippa per la realizzazione delle sue terme e del suo stagnum'6• Nessuna delle nostre fonti fornisce informazioni sulla struttura del bacino di Cesare. Considerando che lo stagnum Agrippae e la naumachia di Augusto avevano una forma rettangolare, è probabile che anche quella di Cesare, che ne fu precursore, non fosse differente (Berlan-Bajard, 2006, p. I6o). La grandezza del bacino doveva essere comunque inferiore a quella della naumachia di Augusto, visto che il numero di navi che si esibirono fu inferiore, e minore anche la loro stazza. L'escavazione della conca per ambientarvi la naumachia rientrava nella più ampia politica cesariana di pianificazione di elaborate ceri monie celebrative e di sapiente utilizzo dei luoghi di spettacolo per l'organizzazione del consenso (Liverani, 2008, p. 49 ). Per il grandioso trionfo del 46, infatti, oltre ai giochi gladiatori offerti nel Foro Roma no, realizzò una serie di interventi finalizzati a rendere più grandiosi i festeggiamenti: nel Circo Massimo fece ampliare l'arena sui lati lunghi isolandola con l'euripo'7, nel Campo Marzio fece realizzare uno stadio provvisorio, verosimilmente in legno, in un luogo che si ritiene coin cidere approssimativamente con il successivo stadio di Domiziano'8, poi nella stessa occasione fece scavare, probabilmente a non grande di stanza, il bacino destinato a ospitare la naumachia'9• Al suo rientro a Roma, nel 46 a.C., Cesare dovette mostrare a tutti visivamente il suo potere e il suo nuovo status e lo fece organizzando una cerimonia tra dizionale nella storia della repubblica, il trionfo, ma opportunamente rivisitata e ampliata. I quattro trionfi erano sui popoli e sui re stranieri che aveva sconfitto in poco più di un decennio, ossia i Galli, Tolomeo XIII d'Egitto, Farnace del Bosforo Cimmerio e Giuba di Mauretania. Cesare fu verosimilmente presente in città subito prima dei trionfi per poter partecipare alla celebrazione dei ludi Romani, una delle più an tiche festività del calendario romano, in onore di Giove, che cadevano
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nello stesso mese di settembre, dal 4 al 1 8, e comprendevano un elabo rato programma di spettacoli teatrali e circensi. In questo modo poté p resenziare di persona negli edifici di spettacolo, ottenendo manife s tazioni di consenso e di plauso da parre dei suoi sostenitori, nonché del popolo di Roma. La pianificazione di un giorno di intervallo tra una processione trionfale e l'altra gli consentì di sfilare per ben 4 volte co me trionfatore attraverso la città il 2.0, il 2.2., il 2.4 e il 2.6 settembrel0• Le celebrazioni furono organizzate con grande sfarzo e in grande sca la, con spettacoli elaborati e di cospicua varietà, che attirarono molti sp ettatori a Romall. Nel primo giorno del quadruplo trionfo, nella sua ascesa al Campidoglio Cesare fu accompagnato da 40 elefanti tedofo ri, elemento di sicuro impatto sul popolo presente, e nell'ultima parte della processione, in modo spettacolare, salì in ginocchio i gradini del Campidoglio, senza curarsi del cocchio eretto in suo onore dinanzi alla statua di Giove, né dell'immagine dell' oikoumene ivi raffigurata sotto i suoi piedi, né dell'iscrizione apposta, dalla quale successivamente fece togliere la parola "semidio"l•. Probabilmente la statua ritraeva il ditta tore con un piede appoggiato sul globo in segno di vittoria e di posses so, come più tardi venne ritratto il nipote Ottaviano, in un'emissione monetaria di denari, nudo e con il piede appoggiato sulla sfera celeste ( Cadario, 2.006, pp. 2.7-�0 ) . Essa rimandava al tema della conquista dell' orbis terra rum, centrale nella propaganda coeva e veicolato visiva mente ai cittadini romani dall'organizzazione geografica del quadru plice trionfo. Infatti, nella processione del trionfo gallico c'erano im magini d'oro del Reno, del Rodano, dell'Oceano, finalizzate a mostrare i territori che Cesare aveva sottomesso all'impero romanoll. Lo scopo di Cesare era non solo presentare sé stesso come generale vittorioso, ma anche focalizzare l'attenzione sul fatto che lui avesse prevalso contro i suoi avversari romani in modo impressionante, così come aveva fatto contro i Galli, gli Egizi e Farnace del Pomo. La sua posizione di potere, espressa nelle quattro celebrazioni di vittoria, era non solo basata sui su ccessi sui nemici esterni, ma anche sulla sconfitta dei suoi rivali po lit ici interni. Per ottenere e corroborare il consenso, Cesare organizzò e offrì delle grandiose simulazioni di battaglie tra nemici stranieri e la naumachia, che si configurava non come la messa in scena di una famo sa battaglia storica, ma come una reinvenzione del passato che evocava, nella mente degli spettatori, popoli lontani ( Sumi, 2.005, p. 61). Fece allestire anche combattimenti nel Foro, corpo a corpo, e altri nel Circo Massimo, dove si svolsero battaglie di fanteria e di cavalleria, con squa-
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droni di uguale numero ; alcuni uomini si esibirono anche su elefanti'\ Come per la naumachia, non sappiamo se si fosse trattato della rievo cazione di una vera battaglia storica, perché le fonti non forniscono un nome agli schieramenti opposti; è plausibile che i combattimenti fosse ro predisposti da Cesare per distogliere l'attenzione degli spettatori dal recente passato delle guerre civili e per focalizzarla su un remoto passa to e su terre lontane. Nell'ultimo giorno delle sue celebrazioni trionfa li, il 26 settembre, Cesare dedicò il tempio di Venere Genitrice nel suo nuovo Foro Giulio, sebbene non ancora ultimato31• I ludi Veneris Ge nitricis organizzati per l'occasione previdero giochi nel Circo Massimo che superarono tutti i precedenti per splendore e costo�6• Nell'ambito di tali ludi Cesare fece mettere in scena un lusus Troiae, reinventando una tradizione per legare le leggende familiari alla mitologia di Roma�7• Offrì anche spettacoli venatori che durarono cinque giorni; organizzò gare atletiche di tipo greco, ambientate nello stadio temporaneo nel Campo Marzio, reclutando atleti da tutto il mondo mediterraneo. I giochi furono allestiti nelle diverse parti di Roma e in tutte le lingue, in modo da dimostrare il carattere cosmopolita della città ormai al cen tro di un impero universale38• Questo apparato, spettacolare e costoso, del quadruplo trionfo e dei ludi Veneris Genitricis era volto a mostrare a tutti il potere e la ricchezza di Cesare, che egli, con abilità politica, condivideva con il popolo, nonché a ottenere il consenso dei diversi gruppi sociali nei confronti della sua persona. Nella stessa occasione della dedica del tempio, egli predispose anche i giochi funebri per sua figlia Giulia, morta nel 54 a.C., facendo costruire un anfiteatro tempo raneo nel Foro per i combattimenti gladiatori�9• Il fatto che li avesse or ganizzati proprio in coincidenza con i ludi Veneris Genitricis amplificò il loro significato (Weinstock, 1971, p. 89). Il dittatore corroborò i suoi legami con i diversi gruppi sociali distribuendo ai soldati un donativo dopo il trionfo, come era tradizione, e al popolo grano e olio d'oliva, al di là della misura tradizionale, insieme con una consistente somma di denaro40• La naumachia di Cesare fu smantellata già nel 43 a.C., come indu ce a pensare un passo di Cassio Dione, secondo il quale, quando una violenta epidemia di peste scoppiò in tutta Italia, il senato decise di far ricostruire la Curia Hostilia e di colmare il luogo in cui si era tenuta bat taglia navale41• Essa doveva avere acqua stagnante e non doveva essere dotata di alcun dispositivo per il suo deflusso, come quello di cui invece era provvisto il bacino di Augusto. Nonostante ciò, sicuramente doveva
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comunicare con il Tevere grazie a un canale, come scrive Cassio Dione, p recisando che Cesare vaiiç Ècr�yayev, aveva fatto penetrare delle navi all 'interno del bacino, quindi dal Tevere, forse dai Navalia4'. La naumachia di Augusto
Augusto ricorda nelle Res gestae la grande naumachia da lui offerta al p opolo e la costruziorte dell'apposito bacino sulla riva destra del Teve re, senza alcuna precisazione sull'occasione per la quale ne aveva voluto l'allestimento: Ho offerto al popolo lo spettacolo di una battaglia navale al di là del Tevere, nel luogo in cui ora si trova il Bosco dei Cesari, dopo aver fatto scavare il suolo per milleottocento piedi in lunghezza e milleduecento in larghezza. Durante questo spettacolo si sono scontrate trenta navi rostrate, triremi o biremi, e un numero maggiore ancora di navi più piccole. In queste flotte hanno combattuto circa tremila uomini, oltre ai rematori43•
È l'unico spettacolo menzionato singolarmente in un apposito capitolo
delle Res gestae, con un'abbondanza di dettagli che non si riscontra per nessun altro spettacolo da lui richiamato ; tutti gli altri, infatti, sono raggruppati in un unico capitolo, il xx n . Assieme all'allestimento del combattimento navale il principe precisa di aver fatto scavare per l'oc casione un bacino monumentale, che si configurava come un'opera edilizia di grande rilievo nel Campo Marzio, delle dimensioni di 1.8oo piedi, cioè 533 metri, in lunghezza e 1.200 piedi, 354 metri, in larghezza. Si tratta del combattimento navale offerto al popolo nell'agosto del 2 a.C., nell'ambito degli spettacoli organizzati per la dedica del tempio di Marce Ultore44• Data l'eccezionalità dell'evento e le sue proporzioni, notevole fu l'af fi uenza del pubblico. Ovidio, nell'Ars amatoria, rievoca le schiere di gio vani e di fanciulle arrivati da lontano e, per rendere l'idea di quanto nu m erosa fosse stata la folla giunta a Roma, usa l'espressione ingens orbis in UrbeJuit"'1; Svetonio, dal canto suo, pone l'accento sulla partecipazione in massa anche degli abitanti di Roma agli spettacoli offerti da Augusto in quella specifica circostanza, così straordinaria da spingerlo a disporre un servizio di vigilanza per impedire che le case deserte venissero svali giate da ladri di strada46•
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Nello scontro navale combatterono 3.ooo uomini, senza comare i rematori, su 30 triremi e biremi; pertanto i due schieramenti contrap posti erano costituiti da IS navi e I.soo combattenti ciascuno. Secondo i calcoli effettuati da Berlan-Bajard (2oo6, p. 25), le imbarcazioni usate, triremi e biremi e unità più piccole necessariamente presenti nella flot ta, portavano ciascuna un numero di uomini superiore a quello general mente abituale per le triremi ( 6o epibati) e per le biremi ( 40 epibati), per poter arrivare alla somma totale di 3.000 indicata nel testo epigrafi co delle Res gestae. Ciò, d'altronde, non costituiva un problema in uno scontro ambientato in un bacino artificiale e non in mare aperto47• La naumachia rappresentò la contrapposizione armata tra Persiani e Ateniesi, dunque la battaglia di Salamina del 480 a.C., combattuta nel corso della Seconda guerra persiana, e i Greci, in conformità con la realtà storica, vi riportarono la vittoria. Nella scelta del tema da parte di Augusto dovevano esserci ben precise motivazioni. È stato messo in rilievo come la naumachia contenesse un evidente riferimento alla bat taglia di Azio del 3I a.C., nella quale Marco Antonio e Cleopatra erano stati sconfitti da Ottaviano, e dunque alla decisiva vittoria di Roma e dell'Occidente sull'Egitto e sull'Oriente. Del resto, non a caso, il I0 ago sto, giorno dell'inaugurazione del tempio di Marte Ultore, nel nuovo calendario, si commemorava la presa di Alessandria, avvenuta il I0 agosto del 30 a.C. L'utilizzo di una flotta persiana e di una greca richiamava al pubblico presente la contrapposizione tra Oriente e Occidente, sebbene Augusto non fornisca nelle Res gestae alcuna indicazione riguardo al si gnificato allegorico della battaglia navale48• La connotazione antiegizia rimracciabile negli spettacoli offerti nel 2 a.C. può essere confermata anche dalla "coccodrillomachia" allestita come finale dopo la nauma chia (Hannah, I998)49• Sicuramente la scelta di contrapporre Ateniesi e Persiani era dettata non soltanto dalla volontà di rievocare la vittoria conclusiva delle guerre civili, cui era seguita una pace duratura, ma anche dal desiderio di richiamare un più recente successo conseguito da Roma e dall'Occidente sull'Oriente, ossia la "vittoria diplomatica" sui Parti del 20 a.C., tema ideologico, cui era legato lo stesso tempio di Marte Ultore nelle motivazioni della sua edificazione. li tempio di Marte Ultore, nel nuovo Foro, andava ad accogliere, infatti, le insegne romane riconsegna re dai Parti50• Augusto, inoltre, grazie alla naumachia, si poteva presen tare come difensore della tradizione greca, come un nuovo Alessandro Magno nella conquista dell'Oriente. La campagna macedone contro i Persiani ebbe, del resto, un posto di rilievo nel Foro di Augusto con due
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d ipinti ad essa dedicati, come attestato da Plinio il Vecchio5'. La parte de spettatori più colti e coinvolti politicamente doveva percepire anche il doppio riferimento non soltanto al passato, ma anche al futuro: allu deva alla futura campagna militare contro i Parti e prefìgurava la vittoria del giovane Gaio in Oriente e al passato si ricollegava indubbiamente, sia nel caso in cui simboleggiasse la vittoria dei Greci sui barbari, sia nel caso in cui rinviasse alla vittoria dell'Occidente sull'Oriente (Syme, 1984, pp. 486-8; Sumi, 2.005, p. 2.43 ) . I versi di Ovidio del libro v dei Fasti sono la testimonianza letteraria più antica, estesa e dettagliata su Marte Ultore e sul suo tempio : gli
Allora aveva votato questo tempio il giovane quando prese le pie armi, doveva cominciare da così grandi imprese come nostro principe. Egli, tendendo le mani, di qui stando schierati i soldati giusti, di lì i congiurati, fece questo voto: « Se mio padre, sacerdote di Vesta, è la mia ispirazione per combattere, se io mi appresto a vendicare la divinità di entrambi, o Marte, assistimi e sazia la spada con il sangue scellerato, e il tuo favore stia in difesa della causa più giusta. Se io sarò vincitore, tu avrai un tempio e sarai chiamato Vendicatore » 1'.
Qui si allude alla battaglia di Filippi del 42. a.C., quando l'esercito dei triumviri sconfisse Bruto e Cassio, i due cesaricidi. La battaglia di Filippi fu intrapresa pro ultione paterna53• Ovidio però, ai vv. 5 79-598, mette in relazione l'epiteto Ultor anche con una seconda vendetta, quella contro i Parti, attuata con il recupero delle insegne romane nel 2o a.C.: Né è sufficiente che abbia ottenuto una sola volta l'epiteto per Marte : vuole ottenere le insegne trattenute dalle mani dei Parti. Ci fu un popolo protetto da pianure e dai suoi cavalli e dalle sue frecce e inaccessibile per via dei fiumi che vi scorrevano intorno; i disastri di Crasso avevano accresciuto la sua audacia, quando perirono i soldati e le insegne e insieme il generale. Le insegne romane, onore della guerra, le tenevano i Parti, il vessillifero dell'aquila romana era un nemico. E questo disonore sarebbe rimasto fino ad oggi, se l'impero di Ausonia non fosse stato protetto dalle forti armi di Cesare. Egli ha rimosso gli antichi marchi di infamia e il disonore di lungo tempo: le insegne recuperare hanno riconosciuto i loro soldati. A che cosa ti sono servite ora le frecce che tu sei solito scagliare in fuga, a che cosa i luoghi, a che cosa i veloci cavalli ? Tu o Parto restituisci le aquile e rendi anche i tuoi archi vinti:
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ormai non hai più nessun pegno del nostro disonore. Al dio due volte vendicatore viene consacrato con le debite cerimonie il tempio e questo nome e dei giusti onori sciolgono gli obblighi del voto. O Quiriti, celebrate solenni ludi nel Circo : la scena (teatrale) non è sembrata conveniente per il dio valorosoH.
Alla restituzione delle insegne romane sottratte dai Parti e al tempio di Marre Ultore si riferisce Augusto stesso nelle Res gestae al capitolo XXIX 1S . Pertanto, il tempio di Marre Ultore era stato votato da Ottaviano sul campo di battaglia di Filippi per aver finalmente sconfitto i cesaricidi; ma la ultio privata e il richiamo alla guerra civile erano consoni a Otta viano triumviro, non ad Augusto princeps. Egli decise di connotare il suo nuovo Foro come una rappresentazione visiva di un trionfo conseguito su externae gentes, i Parti appunto. Per questo motivo una seconda ultio si sovrappose alla prima, la vendetta della sconfitta di Carre, e nel 2.o a.C., e dopo il trionfo diplomatico di Augusto sui Parti, si pensò a tale tempio, pur non essendo ancora stato costruito, per depositare le insegne romane che rientravano finalmente in patria. La motivazione per l'omissione del la data e dell'occasione dell'edizione della naumachia da parte di Augusto nel testo delle Res gestae può essere messa in correlazione con la conco mitante congiura di Giulia Maggiore e Iullo Antonio, che verosimilmen te in quel frangente avrebbe trovato attuazione, e per la quale la figlia dell'imperatore fu colpita da un'accusa di adulterio (Rohr Vio, 2.007, p. s 37 ) . Giulia Maggiore incarnava il dissenso che lacerava la famiglia di Au gusto in merito alla politica estera orientale; era fautrice, insieme a Iullo Antonio, figlio del defunto Marco Antonio, e agli antoniani che gravi tavano intorno a loro tra il IO e il 2. a.C., di una linea politica aggressiva nell'area orientale, che riprendeva il modello espansionistico di Cesare e di Marco Antonio, legato al bellum Parthicum, e si contrapponeva alla politica estera augustea, rinunciataria e diplomatica in merito all'Orien te, rappresentata da Tiberio, che aveva riportato in patria dalla Partia le insegne romane in seguito a una missione diplomatica (Pani, 1972., pp. 2.2.-3; Zecchini, 1993, p. 2.03; Rohr Vio, 2.o oo, pp. 2.o8- so; 2.007 ) . Per comprendere meglio la magnificenza dell'intera organizzazione e il significato stesso della naumachia, vale la pena di considerare quale fosse il programma di spettacoli elaborati per celebrare l'inaugurazione del tempio di Marre Ultore. Augusto aveva riservato per sé stesso la de dica del tempio e l'edizione della naumachia; i principi della gioventù,
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Gaio e Lucio Cesare, suoi figli adottivi e consoli designati, furono in caricati dei primi ludi circenses, mentre Agrippa Postumo, loro fratello minore, prese parte alle competizioni equestri del lusus Troiae. Dunque, Augusto e la sua domus erano al centro della scena dei vari spettacoli, in p articolar modo i successori designati. Nel Circo Massimo fu organiz zata una venatio, in cui furono uccisi 260 leoni, e nel Circo Flaminio ne ebbe luogo un'altra, in cui furono uccisi 36 coccodrilli; il tutto culminò nella suddetta naumachia16: Dopo aver sistemato queste faccende, Augusto consacrò quel tempio, sebbene precedentemente avesse conferito in via definitiva a Gaio e a Lucio le prero gative di consacrare tutti gli edifici di questo genere, in virtù di una sorta di potere consolare di antica tradizione che essi esercitavano. In quell'occasione essi organizzarono anche i concorsi ippici, mentre i fanciulli delle famiglie più in vista, insieme ai quali c'era anche Agrippa, fratello di Gaio e di Lucio, par teciparono al cosiddetto concorso ippico di Troia. Nel Circo vennero anche uccisi duecentosessanta leoni. Inoltre si tennero un combattimento gladiatorio nei Saepta ed una battaglia navale tra Persiani e Ateniesi nell'area in cui ancora oggi sono visibili alcune tracce di essa: questi furono i nomi che vennero dati ai contendenti e anche questa volta vinsero gli Ateniesi. Dopo questo spettacolo venne portata dell'acqua all'interno del Circo Flaminio, dove vennero trucida ti trentasei coccodrilli. Augusto, tuttavia, non mantenne il consolato per tutti questi giorni, ma, dopo essere rimasto in carica per un po' di tempo, lasciò il titolo di console ad un altro17•
Il Circo Massimo e gli spettacoli equestri ebbero un ruolo fondamenta le nell'organizzazione delle celebrazioni. Venne allestito anche un lusus Troiae, un esercizio equestre eseguito da giovani di nobile rango con complicate manovre a cavallo, la cui origine veniva fatta risalire a Enea, che lo avrebbe importato in Italia da Troia, e a suo figlio Iulo, che lo avrebbe introdotto quando era il re di Alba Longa18• La naumachia ne costituì lo spettacolare epilogo. Per quanto riguarda l'ubicazione del bacino nel tessuto urbano di Roma, Tacito, parlando dello spettacolo navale offerto da Claudio, pre cisa che la naumachia di Augusto era trans Tiberim. Frontino nel De aquaeductu urbis Romae menziona l'acquedotto denominato aqua Al sietina e afferma che fu costruito per alimentare la naumachia e servire la regione del Trastevere19. La realizzazione dell'opera aveva determinato, quindi, la necessità di creare un acquedotto che prendesse l'acqua dal lago di Martignano (lacus Alsietinus) appositamente per la sua alimen-
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tazioné0• Quest'acqua non era potabile e fu utilizzata anche per irriga re i giardini privati esistenti in quell'area. La costruzione dello stagnum rientrava in un'opera di rimodellamento del paesaggio della regio XIV. Essa aveva anche un canale che conduceva al Tevere6' e consentiva il rinnovamento perenne dell'acqua contenuta nella naumachia, facendo la fluire nel fiume (Cariou, 2009, pp. 47-109). Pertanto, la naumachia di Augusto non era malsana come quella di Cesare e si caratterizza va per un'acqua comunque pura, portata dall'aqua Alsietina, e miglio re di quella esistente nella palus Caprae. Presso la naumachia esisteva un nemus Caesarum che, secondo Tacito, era stato piantato da Augu sto intorno al bacino, dopo la sua edificazioné1; aveva nel suo nome un esplicito riferimento ai due nipoti di Augusto, Gaio e Lucio Cesa ri, da lui adottati nel 17 a.C.63, e si trovava vicino ai giardini di Cesare64• Al centro del bacino si trovava un'isola, sulla quale era stato collocato un monumento commemorativo61 che, tenuto conto del nome nemus Caesarum dato al bosco ivi piantato, fu certamente dedicato a Gaio e Lucio Cesari. L'insieme del bosco e del monumento si configurava come un heroon (Berlan-Bajard, 20 06, p. 168). Un'iscrizione rinvenuta in prossimità della via Clodia nel 1887 con ferma la posizione della naumachia di Augusto, attestando che la parte terminale dell'aqua Alsietina arrivava al bosco dei Cesari 66• La sua spe cifica ubicazione nel tessuto urbano nell'area di Trastevere è confermata anche dai frammenti nn. 28, 33 e 34 della Forma urbis Romae, che con sentono di ricostruire la zona limitrofa del fiume, con una parte rilevan te della via Campana-Portuensis e degli edifici che la fiancheggiavano, e l'area immediatamente a nord di questa, tra le attuali piazza Bernardino da Feltre e piazza San Francesco a Ripa. Accostando questi tre frammen ti si nota uno spazio rettangolare totalmente privo di costruzioni, che rappresenta appunto il bacino di Augusto e la cui lunghezza corrisponde quasi esattamente a quella della sua naumachia, con 540 metri a fron te dei 533 metri indicati nelle Res gestae (ivi, pp. 168-72). La naumachia è stata localizzata in modo sufficientemente convincente in una zona compresa tra gli attuali monastero di San Cosimato, chiesa di San Fran cesco a Ripa e Gianicolo (Coarelli, 1992, pp. 46-51). L'aqua Alsietina che la alimentava terminava in corrispondenza della stessa naumachia, come è precisato da Frontino, proprio presso San Cosimato67• La costruzione dell'imponente bacino sulla riva destra del Tevere del la naumachia dovette comportare sia l'escavazione della fossa nel suolo , sia una vera e propria edificazione con un rivestimento strutturale, con
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p arti costruite in diversi materiali, tra cui il travertino. Ciò è suffragato dal ritrovamento di diversi blocchi di questo marmo nei dintorni e dal le espressioni utilizzate dalle fonti letterarie (Mazzei, 2.007, p. 154). Per q uanto concerne la configurazione del bacino, come già accennato, esso misurava circa 533 x 354 metri, ossia aveva una superficie complessiva di r 8 8.682. metri quadri. Ciò significa che la naumachia di Augusto era leg germente più corta del Circo Massimo, ma due volte e mezzo più larga; si trattava dunque di una realizzazione di grandi dimensioni. Quanto alla sua profondità, essa doveva essere di circa 4 metri68• La sua entrata p rincipale era posizionata a metà del lato orientale ed era perpendicola re alla via Campana. Secondo Coarelli (1992., p. 47) , la scelta di questa p osizione è determinata dalla presenza, giusto al fianco, di una piccola costruzione rotonda visibile sulla Forma urbis, che era un tempio di Fors Fortuna con ben precise implicazioni religiose. È probabile che la nau machia di Augusto fosse priva di gradini; una parte del pubblico verosi milmente poteva disporsi lungo il suo perimetro, forse in quello spazio tra la via Campana e il bacino stesso, visibile nel frammento 2.8 della Forma urbis e privo di costruzioni, che ritraeva l'estremità meridionale della naumachia, e sulle pendici del Gianicolo da dove si poteva godere di una buona vista dall'alto. Si può ricostruire quale fu la sorte della naumachia di Augusto dopo la sua morte. Tiberio, suo successore, intervenne sulla struttura dello stagnum Augusti facendo ricostruire il pons naumachiarius che era stato distrutto da un incendio, come ci informa Plinio il Vecchio69• Nerone utilizzò la naumachia di Augusto e Cassio Dione ricorda che esisteva un canale navigabile di collegamento del bacino con il Tevere70• Tito nell'So d.C. aveva ripristinato la funzione propria della naumachia, nel contesto dei ludi istituiti per la dedica dell'Anfiteatro Flavio7'. Qui, in fatti, Tito mise in scena una battaglia navale tra Ateniesi e Siracusani, in cui vinsero gli Ateniesi, con un rovesciamento dell'esito dello scontro storico7•. In tale frangente ebbe una certa importanza l'isola posta nello stagnum Augusti, che richiamava quella di Ortigia presso Siracusa. Inol tre, l'attenzione dedicata da Tito al monumento per Gaio e Lucio Cesari p resente sull'isoletta era funzionale a mostrare visivamente un parallelo tra i nipoti adottivi di Augusto destinati alla successione e la coppia for m ata da lui e dal fratello Domiziano nella politica di successione predi sp osta da Vespasiano (Taylor, in press). Nel corso del III secolo d.C. la s tr uttura cessò di funzionare, se non altro almeno all'epoca in cui essa fu tagliata dal percorso delle mura di Aureliano ( Coarelli, 1992., p. 49 ).
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La passione per le navi dell'imperatore Caligola
L'imperatore Gaio, nel 38 d.C., aveva predisposto l'allestimento di uno spettacolo navale nei Saepta, dove aveva fatto scavare tutta l'area interna per trasformarla in bacino d'acqua e introdurvi una sola nave73• Questo particolare ha indotto alcuni a ipotizzare che si trattasse di un diverso tipo di spettacolo, non una battaglia navale vera e propria, ma una mes sinscena acquatica per presentare in un'ambientazione marina una vena tio di nuovo tipo (Berlan-Bajard, 2006, pp. 8o-r). Se si considerano le dimensioni dei Saepta di Augusto, 310 x 120 metri escludendo il Diri bitorium, e se tutto lo spazio interno era stato scavato, l'allestimento di una vera e propria naumachia sarebbe stato possibile. Non siamo in gra do di determinare l'occasione per la quale l'imperatore aveva pianificato questo spettacolo. Cassio D ione, infatti, ne parla, senza fornire ulteriori precisazioni, nel contesto delle azioni disdicevoli compiute da Caligola, tra le quali rientravano spettacoli gladiatori cui fece partecipare un gran numero di persone, anche cavalieri, e combattimenti con le fiere cui co strinse a prendere parte persone tratte dal pubblico74• Non meraviglia la scelta da parte di Gaio di allestire un combatti mento navale a Roma. Ben attestata è la sua passione per le imbarca zioni, di vario tipo, e per gli spettacoli acquatici nei quali fossero utiliz zate delle navi per differenti scopi. Plinio il Vecchio parla di una nave gigantesca usata per portare l'obelisco che poi Claudio fece inabissare per creare il molo di Ostia75• Per navigare lungo le coste della Campania Caligola fece realizzare immense imbarcazioni d'apparato, sul modello di alcune unità navali di epoca ellenistica76• Commissionò anche le fa mose navi con ricca decorazione ritrovate nel lago di Nemi. Un altro grande spettacolo che prevedeva un peculiare uso delle imbarcazioni fu quello da lui organizzato nel 39 d.C. Dopo la prima congiura contro di lui, il conferimento della seconda salutazione imperatoria e il diritto di celebrare un'ovazione, elaborò e predispose la costruzione di un ponte di barche tra Baia e Pozzuoli, cui seguì una complessa cerimonia durata ben due giornF7• Secondo Svetonio, il ponte era lungo 3.6oo passi ed era realizzato con navi da carico, ancorate in una doppia fila e coperte da un terrapieno diritto che suggerisse l'idea della via Appia78• Ma Gaio non si diede cura di quella processione trionfale perché riteneva che non gli recava alcun prestigio passare a cavallo in un corteo sulla terraferma : volle invece trovare un modo per attraversare a cavallo il mare, e realizzò il suo
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progetto facendo gettare un ponte tra Pozzuoli e Bauli. Quest'ultima si trova esattamente di fronte a Pozzuoli, alla distanza di ventisei stadi. Le imbarcazioni per la costruzione del ponte in parte vennero portate lì, in parte furono costrui te sul posto, dal momento che quelle che si potevano far giungere in tempi brevi non bastavano, seppure fossero state riunite tutte le unità possibili, tanto da provocare una grave carestia in Italia, specialmente a Roma. La struttura del ponte non venne realizzata semplicemente con un passaggio, ma furono costruite anche delle stazioni di sosta e degli alloggi con tanto di acqua corren te potabile. Quando l'opera fu pronta, Gaio indossò la corazza di Alessandro, come lui la chiamava; e sopra di essa una clamide di seta purpurea, ornata con molto oro e con numerose pietre preziose provenienti dall'India; inoltre appese una spada alla cintura, imbracciò lo scudo e si incoronò il capo con una ghirlan da di foglie di quercia. In seguito fece sei sacrifici in onore di Nettuno e di altri dei, tra i quali anche l'Invidia, in modo tale, come egli diceva, da non imbattersi in qualche influsso maligno opera della gelosia divina, e poi si mise in marcia sul ponte, partendo dalla parte di Bauli e conducendo con sé un grandissimo numero di cavalieri e di fanti armati: di n si mosse in fretta verso Pozzuoli, come se stesse marciando contro dei nemici. Qui sostò il giorno seguente, come se fosse reduce da una battaglia, e poi, dopo aver indossato la tunica d'oro, ri percorse il medesimo ponte su un carro trainato dai migliori cavalli da corsa. Nel corteo lo seguiva una carovana carica di diversi oggetti, proprio come se fosse un bottino di guerra, e su di esso era presente anche Dario, un uomo della casa degli Arsacidi, che a quel tempo si trovava tra gli ostaggi parti di Roma. I suoi amici e i suoi compagni seguivano su alcuni carri sfoggiando vestiti va riopinti, e di seguito l'esercito e il resto della folla, ciascuno vestito secondo il proprio gusto. Poiché Gaio doveva tenere un discorso, proprio come avviene in una campagna militare del genere e in occasione di una così gloriosa vittoria, salì su una tribuna fatta erigere a bordo delle imbarcazioni vicino al centro del ponte. Innanzi tutto indicò in se stesso il promotore di alcune grandi imprese, e poi elogiò i soldati come se avessero affrontato delle difficoltà e dei rischi, riferendosi, tra le altre cose, proprio al fatto che avevano attraversato il mare a piedi. Per questa impresa elargì loro del denaro, e in seguito festeggiarono per il resto della giornata e per tutta la notte, Gaio sul ponte, come se si trovasse su un'isola, i soldati sulle imbarcazioni che erano ancorate n attorno : un'abbon dante illuminazione risplendeva su di loro, in parte dal luogo medesimo, in parte dalle montagne79. Il primo giorno l'attraversamento del ponte, da Baia a Pozzuoli, fu la messinscena di una spedizione militare contro un nemico la cui identità no n è ben specificata nelle fonti; Caligola scelse un abbigliamento che lo c onnotasse come condottiero a capo delle sue truppe, con la coraz z a di Alessandro, il mantello militare macedone color porpora ornato di pietre preziose, la spada e lo scudo macedone80, la corona di quercia
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sul capo, che non faceva parte dell'abituale abbigliamento militare. Il secondo attraversamento, da Pozzuoli verso Baia, fu una processione trionfale: Caligola, vestito con la tunica ornata d'oro, parte dell'abbiglia mento trionfale tradizionale (Diosono, 1013, p. 161), procedette su un carro trainato da cavalli e fu seguito da un corteo, proprio come nella pompa triumphalis, in cui erano ben visibili il bottino, gli ostaggi, i suoi amici e compagni, i soldati e il resto della folla8'. Il nemico contro cui aveva combattuto e su cui aveva ottenuto questa vittoria nella messin scena era senza dubbio orientale, dal momento che tra gli ostaggi esibiti nella processione c'era Dario, figlio di Artabano II, e considerato che egli aveva fatto ricoprire di terra il ponte di barche «dando a tutto l'insieme l'aspetto della via Appia » 8\ che era appunto la strada percorsa dai ge nerali vittoriosi al loro ritorno dall'Oriente e che contiene un implicito richiamo ad Augusto e al suo rientro dall'Oriente nel 19 a.C.83• Questa complessa cerimonia fu organizzata da Caligola in concomitanza con un momento di tensione o meglio di ostilità nei riguardi del senato, in modo da marcare visivamente il consenso esistente nei suoi confronti da parte dei pretoriani e dei soldati e così da dimostrare la sua superiorità nei riguardi del senato stesso, cui non riconosceva l'autorità di scegliere per lui gli onori da decretare (ivi, p. 165). Per questo motivo, pur aven do ricevuto il diritto di celebrare un'ovazione, egli organizzò qualcosa di totalmente diverso e nuovo, utilizzando anche un ponte di barche (Winterling, 1003, pp. us, 111-4).
Morituri te salutant: la naumachia di Claudio L'imperatore Claudio nel 51 a.C. allestì una naumachia nel lago Fucino per l'inaugurazione di un canale che doveva consentire il drenaggio del le acque del lago. n tema prescelto dall'imperatore fu una battaglia tra Rodii e Siciliani, ma non è precisato dalle nostre fonti lo scontro navale storico al quale si faceva riferimento. È stato ipotizzato che si potesse trattare di una semplificazione della lotta per il possesso della Sicilia oc cidentale che oppose i coloni di Rodi e Cnido a un'alleanza tra Fenici ed Elimi tra il s8o e il s76 a.C. ( Coleman, 1993, p. 69). Tacito, negli Annales testimonia che un'immensa moltitudine, pro veniente sia dai municipi vicini sia dalla stessa Roma, aveva riempito le sponde del lago, le pendici dei colli e le cime dei monti per ammirare l'opera e lo spettacolo. Erano state predisposte anche misure di sicurez,
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za: tutto intorno era stato allestito un cerchio di zattere, in modo che non ci fossero vani tentativi di fuga da parte dei naumachiarii; su que ste zattere furono dislocati reparti di fanteria e di cavalleria delle coorti p retoriane; altri punti del lago erano invece occupati dai marinai della flotta su navi a ponte84•
Claudio senti il desiderio di dare l'esibizione di una battaglia navale in un lago : vi fece quindi costruire attorno un muro di legno, fece collocare degli spalti e riunì un'enorme folla di persone. Claudio e Nerone indossavano l'abito milita re, mentre Agrippina era agghindata con una clamide dai ricami dorati. Coloro che stavano per prendere parte al combattimento navale erano dei condannati a morte e ciascuna delle due parti disponeva di cinquanta navi, una chiamata "i Rodi", l'altra "i Siciliani� Dapprima, dopo essersi radunati in un unico rag gruppamento, si rivolsero a Claudio con questo saluto : «Salve, imperatore : i morituri ti salutano » . Ma quando poi non riuscirono a salvarsi e ricevettero comunque l'ordine di procedere con la battaglia, si limitarono semplicemente a navigare attraverso gli schieramenti avversari cercando di danneggiarsi a vicen da il meno possibile, finché alla fine furono costretti a distruggersi tra di loro 85•
Svetonio riporta lo stesso particolare del saluto orante dei prigionieri co stretti a prendere parte alla naumachia e, a differenza di Cassio Dione, cita anche la risposta che l'imperatore diede loro: « Chissà se moriran no ! » . Offre alcune puntualizzazioni pure sul successivo comportamento dei naumachiarii, i quali, ritenendo che fossero già stati graziati in virtù di quella risposta, avrebbero scelto di astenersi dall'azione. L'imperatore, rimasto a lungo incerto se farli uccidere tutti, sarebbe andato correndo intorno al lago e, sia con minacce sia con preghiere, avrebbe ottenuto che iniziassero a combattere86• Secondo Tacito, dopo che essi si erano battuti ostinatamente e che il sangue era stato copiosamente versato, l'imperato re li dispensò dall'uccidersi a vicenda. Ci sono, tuttavia, alcune divergen ze tra questa testimonianza, quella di Svetonio e quella di Cassio D ione, perché secondo Svetonio i naumachiarii rifiutarono in un primo tempo di battersi; dopo aver citato il loro saluto all'imperatore Have impera tar, morituri te salutant, e la risposta di quest'ultimo Aut non, nella quale essi vollero vedere una promessa di grazia, lo storico sottolinea che essi furono finalmente costretti ad affrontarsi, per le minacce e le promesse di Claudio, senza precisare la loro sorte ulteriore. Quanto al resoconto di Cassio Dione, esso conduce a domandarsi se effettivamente i nauma chiarii furono graziati a seguito della battaglia. Come Svetonio, lo storico evoca la loro renitenza a ingaggiare il combattimento e poi conclude che
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essi combatterono fino a quando non furono costretti a tagliarsi a pezzi. Le divergenze esistenti fra questi tre autori si risolvono se si suppone che Aut non pronunciato da Claudio fosse effettivamente una promessa di grazia, ma per i sopravvissuti. Si ignora se la loro grazia fu definitiva op pure se essi furono riservati a un altro spettacolo. Lo spettacolo, in realtà, non si concluse con la fine della battaglia na vale, perché dopo di essa fu aperta la strada alle acque. Quello che doveva essere il culmine dell'impresa di Claudio si rivelò, tuttavia, un fallimento, perché ne rese palese l'imperfezione a causa della poca profondità dello scavo. Sempre Tacito precisa che si proseguirono i lavori, scavando mag giormente il canale sotterraneo e che, per la seconda inaugurazione, fu dato uno spettacolo di gladiatori per il quale furono gettati ponti per uno scontro di fanteria. Poi fu organizzato anche un banchetto presso lo sboc co dell'emissario del lago, ma in quell'occasione le acque proruppero con violenza, trascinarono via tutto ciò che si trovava lungo il loro corso e scatenarono il terrore con il fragore degli scrosci87• Presso il lago Fucino le operazioni per il drenaggio costituirono un'opera colossale, alla cui realizzazione lavorarono 30.000 uomini per undici anni88; erano finalizzate a bonificare la regione e a proteggere i raccolti, spesso minacciati dalle esondazioni. Il lago si caratterizzava per una grande estensione, che nella seconda metà del XIX secolo era di cir ca xso.ooo ettari. Per la naumachia non fu utilizzato il bacino nella sua ampiezza totale; Tacito, infatti, precisa che lo spazio riservato allo spet tacolo fu circoscritto da pontili sui quali furono dislocati i pretoriani e che comunque esso era adeguato per la forza dei rematori, l'arte dei piloti e i movimenti abituali dei combattenti. Le due flotte erano composte da so navi ciascuna, di cui 12 triremi, secondo quanto riportato da Cassio Diane e da Svetonio. Il numero dei combattenti, prigionieri armati, era molto elevato, ben 19.000. Stando alle stime di Berlan-Bajard ( 20 06, p. 23 ) , Claudio in questa occasione dovette impiegare non solo triremi, che in totale dovevano portare tra 5.280 e s.s2o uomini, ma anche qua driremi, per riprodurre le navi di stazza maggiore che erano impiegate nelle flotte in età ellenistica, visto che il soggetto della naumachia era uno scontro tra Rodii e Siciliani. A queste dovevano affiancarsi anche imbarcazioni più piccole, delle liburne a due file di remi, che portavano circa 30-40 uomini. Sommando i numeri calcolati per i vari equipaggi standard, di triremi, quadriremi e liburne, si arriva appunto a un totale di I9.1 59-23.0 00 uomini, cioè a un numero molto vicino a quello indicato nelle nostre fonti.
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Anche la naumachia di Claudio, come quella di Augusto, ebbe ca rat tere inaugurale, poiché volta a celebrare la realizzazione di un'opera i nfrastrutturale, appunto il canale destinato a drenare il lago Fucino. Claudio assistette allo spettacolo indossando il paludamentum (il man tel lo del generale) riccamente ornato, a richiamare visivamente il suo ru olo di condottiero vittorioso. Anche in questo caso, come per Cesare e Augusto, la naumachia era funzionale a evocare i successi conseguiti sul mare, con evidente riferimento alla fortunata missione in Britannia, che gli valse il decreto del trionfo. È stato ben sottolineato come Clau dio si presentasse, in questa occasione, non solo come capo della flotta romana, ma anche come vincitore sugli elementi naturali, in particolare l'acqua nelle sue diverse forme (Berlan-Bajard, 1998, p. 104). Egli, infatti, tre anni dopo Caligola, aveva ripreso la campagna in Britannia con il fine di condurre una grande guerra di conquista, in un'evidente aemu latio Caesaris, di inserire la sua immagine come signore del mondo tra i comandanti vittoriosi e di assicurarsi gloria perenne presso i posteri89• Assunse il comando delle legioni che si trovavano lungo il Tamigi, poi, oltrepassato il fiume, sconfisse i barbari passati al contrattacco e prese Camulodunum, la roccaforte di Cinobellino90• In seguito ottenne la sottomissione di numerose tribù e venne ripetutamente salutato impe rator dai soldati9'. li senato, appresa la notizia, decretò il conferimento del titolo di Britannicus e l'autorizzazione a celebrare il trionfo, secondo la prassi tradizionale9'. Inoltre, votò che si tenesse un festeggiamento an nuale per commemorare la vittoria e che venissero eretti due archi trion fali, uno a Roma e uno in Gallia; concesse anche al figlio lo stesso titolo che aveva dato al padre, cioè Britannico, e a sua moglie Messalina lap roe dria, di cui anche Livia aveva beneficiato, così come la possibilità di usa re il carpentum93• Claudio celebrò un pre-trionfo marittimo a Ravenna94, simile a quello di Cesare in Transpadana, mentre rientrava dalla guerra in Gallia9s; poi trionfò a Roma maximo apparatu: per l'occasione permi se ai governatori delle province e a qualche esiliato di tornare a Roma96; i noltre, pose sul fastigio della domus Palatina, accanto alla corona civica, un a corona navale, tra le spoglie nemiche, come segno dell'Oceano at traversato e, per così dire, domato. Nel corso della pompa triumphalis, la moglie Messalina sfilò dietro al suo carro con il carpentum come decre t ato dal senato (Flory, 1998), accompagnata dai senatori, secondo la tra diz ione, e dal prefetto al pretorio Rufrio Pollione, che aveva ottenuto il p rivilegio di una statua trionfale ed era verosimilmente tra loro, seguito a sua volta da ufficiali dell'ordine equestre e da soldati. L'imperatore salì
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gli scalini del Campidoglio in ginocchio, come aveva fatto Cesare97, con l'appoggio dei suoi generi dai due lati. Poi furono offerti al popolo ludi theatrales contemporaneamente nei due teatri, ludi circenses in cui i vari missus furono intervallati da venationes, gare atletiche e una danza pirri ca eseguita da fanciulli fatti giungere appositamente dall'Asia. Un altro festeggiamento fu celebrato da parte degli artisti teatrali su concessione del senato98• Verosimilmente in questa stessa occasione Claudio mise in scena nel Campo Marzio uno spettacolo che rappresentava la conquista di Camulodunum e la resa di re britannici99• Altre celebrazioni succes sive di questa vittoria conseguita al di là dell'Oceano scandirono il suo principato : nel 45 furono offerti ludi al popolo in adempimento di un voto fatto da Claudio stesso e fu dato un congiarium agli uomini liberi di 300 sesterzi a testa; anche in questa occasione l'imperatore fu coadiuva to dai suoi due generi nel presiedere alla distribuzione. Inoltre, ludi vic toriae annuali dovevano commemorare la vittoria. La collocazione della corona navale sul frontone della sua domus sul Palatino costituiva un richiamo ad Augusto e ad Agrippa, il quale prima di lui aveva ottenuto la corona navale e veniva celebrato come novus Neptunus'00; si trattava di un gesto fortemente simbolico, che poteva rientrare tra le iniziative prese da Claudio per associarsi al fondatore della dinastia. li richiamo ad Augusto e alla sua politica degli spettacoli e delle ce rimonie è evidente anche nella decisione di organizzare una grandiosa naumachia, come il primo imperatore aveva fatto nel 2. a.C. Mostrandosi dinanzi alla copiosa folla degli spettatori con il paludamentum, al cospet to delle navi disposte nel lago e dell'imponente numero dei naumachiarii, Claudio si presentava come condottiero delle flotte dell'impero. Con la decisione di allestire una battaglia navale voleva richiamare ulteriormen te i legami dinastici con il fondatore della dinastia, Augusto. Tacito, del resto, nella sua concisione, sottolinea proprio questa connessione: Clau dio organizzò sul lago Fucino una naumachia, come Augusto aveva fatto nel bacino presso il Tevere10'. L'imperatore si ripresentò ai Romani, per l'ennesima volta, come trionfatore, anche sul mare ( Cariou, 2.009, p. 471 ). Nerone : due naumachie nello stesso principato
Dall'età cesariana al principato di Claudio, un singolo allestimento di una naumachia di ragguardevole entità fu organizzato da Cesare, da Au gusto, da Caligola e da Claudio, sia per l'eccezionalità che il pubblico
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doveva riconoscere all'evento sia per i costi particolarmente elevati ri chiesti da questo genere di spettacolo. Con Nerone, invece, si registra un cambiamento : fu il primo a offrire al popolo di Roma due naumachie nel corso del suo principato, l'una nel s7 e l'altra nel 64 d.C.101• La prima fu data in un anfiteatro !igneo, costruito e terminato nel 57 d.C., particolarmente rimarchevole per la ricchezza della sua deco razione'03. Svetonio, nella biografia dell'ultimo giulio-claudio, sembra legare strettamente la sua edizione all'edificazione del monumento'04; p ertanto, probabilmente anche la naumachia del 57 fu uno spettacolo inaugurale, come quelle di Cesare, Augusto e Claudio (Berlan-Bajard, 2006, p. 39). Non disponiamo di informazioni sull'ubicazione dell'edi ficio, sappiamo soltanto che fu costruito nel Campo Marzio, verosimil mente presso i Saepta Iulia, un luogo che avrebbe consentito un agevole approvvigionamento idrico grazie all 'aqua Virgo (Golvin, 1988, p. ss). Nel capitolo XII Svetonio descrive gli spettacoli offerti all'interno di questo anfiteatro ligneo: un combattimento gladiatorio nel qua le l'imperatore non fece morire nessuno, un altro cui fece partecipare 400 senatori e 6oo cavalieri romani, una caccia cui fece prendere parte ugualmente membri di entrambi gli ordini, la naumachia in acque in cui nuotavano anche mostri marini (innantibus belvis), pirriche101• Cas sio Dione ne offre un resoconto diverso, anteponendo la naumachia al combattimento di gladiatori, in una successione temporale che potrebbe essere la più esatta: Nel corso dell'organizzazione di uno spettacolo in un teatro, egli fece im provvisamente riempire l'area con acqua di mare in modo tale che all'interno vi nuotassero dei pesci e dei mostri marini, ed inoltre fece rappresentare una battaglia navale tra uomini che impersonavano i Persiani e gli Ateniesi. Subito dopo questa rappresentazione fece defluire l'acqua, fece asciugare il terreno e di nuovo mise in scena una battaglia, questa volta campestre, in cui i soldati non combattevano solo singolarmente l'uno contro l'altro, ma si fronteggiavano in gruppi numerosi'06 •
Il tema, lo scontro tra Ateniesi e Persiani, doveva essere stato scelto per richiamare di nuovo la contrapposizione tra Occidente e Oriente che, durante il principato neroniano, era di scottante attualità, data la dif ficile situazione con i Parti. Nerone verosimilmente, attraverso la nau machia, voleva veicolare al pubblico il messaggio di una nuova vittoria dell'Occidente sull'Oriente, già battuto (Cariou, 2009, p. 489). Al 57
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d.C. si data la fortunata azione di Duvio Avito contro i Frisi'07; alla fine del 57 d.C. l'esercito con a capo Gneo Domizio Corbulone attraversò l'Eufrate, installando il suo quartiere invernale in Armenia e negli anni 57-59 d.C. furono riportati i suoi primi successi contro Tiridate d�me nia'08, che valsero a Nerone la terza e la quarta salutazione imperatoria. Nel 64 d.C. l'imperatore offrì la seconda naumachia, per la quale non disponiamo di alcuna indicazione circa l'occasione che ne motivò l'edi zione: La sfrontatezza di Nerone raggiunse dei livelli tali per cui egli stesso si mise a guidare pubblicamente dei cocchi. Un'altra volta, dopo aver fatto uccidere alcuni animali selvatici, fece convogliare dell'acqua nel teatro e vi fece rappre sentare una battaglia navale; immediatamente dopo vi fece togliere l'acqua, per poi allestire nell'arena un combattimento gladiatorio, alla conclusione del quale riempì di nuovo l'area e vi organizzò un costoso banchetto a spese pubbliche'09•
Essa fu intercalata tra una venatio e un combattimento di gladiatori, secondo l'alternanza tra spettacoli terrestri e spettacoli acquatici che si stava ormai delineando a Roma, e fu seguita da un banchetto. Lo storico bitinico evidenzia la velocità con cui l'acqua, dopo le cacce, aveva riem pito l'edificio per consentire lo svolgimento della naumachia e, dopo la sua conclusione, era defluita per consentire la successiva esibizione all'a sci utto"0. Possiamo qui formulare qualche ipotesi sull'occasione che motivò l'edizione di questa seconda naumachia, da legare, secondo il nostro av viso, sempre alla politica estera nell'area orientale. Al 64 d.C. si datano il successo diplomatico ottenuto da Domizio Corbulone con Vologese e il suo incontro a Rhandeia con Tiridate (Sperti, 1990, pp. 2.4-5; Perassi, 2.002., p. 38). Nerone fu ripetutamente salutato imperator e ottenne lo ius triumphandz1". A Rhandeia in onore dell'imperatore, per suggellare il patto con conseguenti salutationes, era stata organizzata una cerimo nia alquanto solenne111• Da un lato si disposero i cavalieri parti, dall'altro invece le schiere delle legioni con le aquile sfolgoranti, gli stendardi e le statue degli dèi; al centro, su una tribuna, fu collocata una sedia curule, sulla quale fu adagiata l'effigie di Nerone. Tiridate si diresse verso que sta, poi, fatti i sacrifici rituali dinanzi all'immagine, si tolse la corona dal capo e la depose ai piedi dell'effigie in mezzo alla generale commozio ne"\ Questa cerimonia fu verosimilmente commemorata a Roma con l'erezione di un monumento trionfale, che includeva la raffigurazione di
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T i rid ate nell'atto di sottomettersi all'immagine di Nerone a Rhandeia, di cui si trova un riflesso nella piccola applique bronzea proveniente da Op itergium (Odezzo), che raffigura i! giovane Nerone seduto su sella cu rulis , con lorica squamata, paludamentum, calcei senatorii, con il braccio de stro proteso e la mano aperta, gesto tipico dell'imperatore che riceve la sottomissione di un barbaro (Venezia, Museo archeologico nazionale; Sp erti, 1990 ). Si tratta di un rituale risalente al cerimoniale orientale, ado ttato da Alessandro Magno, trasmesso al protocollo d'udienza delle monarchie ellenistiche e poi passato a Roma in età tardorepubblicana, attestato nel caso della sottomissione di un re straniero ai Romani. li trionfo che era stato decretato in questa occasione fu a lungo preparato e verosimilmente coincise con la cerimonia del 66 dell'incoronazione di Tiridate. Un anno dopo il successo, Nerone fece coniare monete per celebrare la chiusura del tempio di Giano, che avrebbe dovuto avere luogo quando la notizia avesse raggiunto Roma (Griffin, 1984, pp. 122, 267, nota 12). L'edizione della seconda naumachia potrebbe essere stata dettata dalla volontà dell'imperatore di celebrare immediatamente que sto successo, magari rappresentando uno scontro tra uno schieramento occidentale e uno orientale. Le numerose salutationes attestate da Cassio Dione insieme al decreto del trionfo da parte del senato sottolineano il legame della politica di vittoria di Nerone con la sfera militare in questo periodo : Nerone si può presentare all'opinione pubblica come trium phator in virtù dei successi riportati sul fronte armeno. L'allestimento di una naumachia si sarebbe prestato bene a questa rappresentazione visiva. Le naumachie per l'inaugurazione dell'An fiteatro Flavio
L'inaugurazione delrAnfiteatro Flavio nell'So d.C. fu l'occasione per la quale l'imperatore Tito offrì al popolo di Roma un elaborato e sontuoso programma di spettacoli, che compresero combattimenti di animali di varia specie, cacce di esemplari da gregge e selvatici, combattimenti gla di atori, simulazioni di battaglie campali, esibizioni di animali terrestri addestrati in acqua, una naumachia. Tutti gli autori antichi sottolineano i n maniera concorde l'ampiezza dei mezzi impiegati e le numerose in novazioni che resero questa occasione memorabile"4• Marziale nell'epi gramma m del Liber de spectaculis evoca l'enorme affluenza di spettatori da ogni parte dell'oikoumene per il grande evento dell'inaugurazione:
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Quale gente è così lontana, quale tanto barbara, Cesare, da non avere inviato spettatori nella tua città ? Viene dall'orfico Emo il colono del Rodope, viene il Sarmata, nutrito di sangue di cavallo, chi si disseta alle scoperte sorgenti del N ilo e chi è sferzato dall'onda dell'estrema Teti; v'è accorso l'Arabo, vi sono ac corsi i Sabei, e i Cilici vi si sono impregnati delle nuvole del loro zafferano. Coi capelli raccolti in un modo ci sono venuti i Sigambri e con i capelli raccolti in un altro modo gli Etiopi. La gente parla varie lingue, ma unanime è quella che ti proclama vero padre della patria"s.
La naumachia riprodusse uno scontro tra Corciresi e Corinzi, che po trebbe essere identificato nella messinscena della prima battaglia navale nota nel 66o a.C. o del conflitto tra Corcira e Corinto, che fu una delle cause della guerra del Peloponneso nel cui ambito si verificarono due scontri navali, uno nel 435 a.C. e l'altro nel 433 a.C., secondo quanto te stimonia Tucidide"6• Tutti questi spettacoli furono ambientati proprio nel Colosseo, come riporta Cassio Dione"7: Per quanto riguarda il resto non realizzò nulla di rilevante, ma, dopo aver inau gurato il teatro per gli spettacoli di caccia e le terme che portano il suo nome, realizzò numerosi e grandiosi spettacoli. Infatti delle gru si batterono tra di loro e anche quattro elefanti, furono uccisi circa altri novemila animali da greg ge e bestie selvatiche, e anche delle donne, seppure non di alto rango, contri buirono ad ucciderli. Inoltre, numerosi uomini combatterono singolarmente come gladiatori, molti invece presero parte a dei combattimenti di gruppo in battaglie sia terrestri sia navali. [Tito] , infatti, dopo aver fatto riempire d'acqua quello stesso teatro, vi aveva condotto cavalli, tori e altri animali addomesti cati che erano stati ammaestrati a fare in acqua tutto quello che facevano sul la terraferma, e poi introdusse anche degli uomini a bordo d'imbarcazioni. E mentre in quel luogo costoro combatterono una battaglia navale simulando uno scontro tra Corciresi e Corinzi, altri diedero uno spettacolo analogo fuori dalla città, nel bosco sacro di Gaio e Lucio, che Augusto un tempo aveva fatto scavare proprio per questo scopo. Anche in quel luogo, nel corso del primo giorno, si tenne un combattimento gladiatorio e una caccia di animali selvatici, dopo che il lago che si trovava di fronte alle immagini era stato coperto con delle tavole ed aveva ospitato dei palchi, mentre durante il secondo giorno ci fu una corsa di cavalli, il terzo una battaglia navale fra tremila uomini e di seguito un combattimento campestre : gli Ateniesi, dopo aver sconfitto i Siracusani (in fatti combatterono servendosi di questi nomi), sbarcarono sulla piccola isola, e in seguito ad aver dato l'assalto a un muro che era stato costruito intorno al monumento, se ne impadronirono. Questi spettacoli, offerti pubblicamente, continuarono per cento giorni, mentre [Tito] fornì alcuni doni che recavano loro anche qualche utilità"8•
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Una seconda naumachia, secondo lo storico bitinico, fu allestita con temporaneamente nel grande bacino augusteo. Anche in questo sito Tito offrì un elaborato programma di spettacoli, articolato in tre giorni, con combattimenti gladiatori e cacce di animali selvatici nel primo, una corsa di cavalli nel secondo, la naumachia e un combattimento terrestre nel terzo. n tema prescelto per questo secondo scontro navale fu la guer ra tra Ateniesi e Siracusani, evocando di nuovo la guerra del Pelopon neso, quando i due popoli si scontrarono nel 42.4 a.C. nello stretto di Messina e, poi, nel 413 a.C. a più riprese nella spedizione di Sicilia, che si rivelò un disastro per Atene. Come ricostruito da Berlan-Bajard (2.oo6, p. 12.), la messinscena di Tito fu fedele allo svolgimento effettivo degli scontri in Sicilia, con le battaglie combattute nel Porto Grande di Sira cusa o al suo ingresso, con operazioni terrestri finalizzate a impossessarsi delle posizioni nemiche; lo spettacolo di Tito ripropose sia uno sbarco sull'isola centrale del bacino sia l'assalto di una palizzata. Nella naumachia edita nello stagnum Augusti si affrontarono 3 . 0 0 0 uomini e questo numero doveva plausibilmente riferirsi ai soli combat tenti, dal momento che le intenzioni di Tito erano di organizzare giochi senza precedenti nella storia di Roma e di offrire al popolo una nau machia che non fosse di dimensioni minori rispetto a quella allestita da Augusto nel 2. a.C. I numeri sembrano corrispondere appunto a quelli indicati nelle Resgestae: 1.5 0 0 combattenti per ogni schieramento e dun que un totale di rematori analogo a quello della naumachia augustea. Non disponiamo, però, di più dettagliate informazioni relativamente alla tipologia delle imbarcazioni impiegate e sulla loro quantità. È im portante rilevare come nelle fonti venga sottolineato che il grande ba cino di Augusto fosse stato parzialmente ricoperto da una piattaforma per consentire l'allestimento del combattimento di gladiatori e di cacce il primo giorno, poi di una corsa di carri il secondo giorno. Marziale, contemporaneo dell'avvenimento, in uno dei suoi epigram mi enfatizza la rapidità con la quale fu portata nell'Anfiteatro Flavio l'ac qua necessaria per la battaglia navale e con cui fu, poi, fatta defluire per la prosecuzione dei giochi: Se sei un tardivo spettatore venuto da lontani lidi che oggi per la prima volta assiste al sacro spettacolo, non farti trarre in inganno dalla battaglia navale coi suoi battelli e dalle onde che eguagliano quelle del mare : qui poco fa c'era la ter ra. Non ci credi ? Aspetta che le acque prostrino Marte, da un momento all'altro dirai: «Qui poco fa c'era il mare »"9•
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Ville (1981, pp. 144-8) ha sottolineato che Marziale nel Liber de specta culis segue lo stesso ordine di esposizione di cui si è avvalso Cassio Dione nella sua narrazione, dedicando gli epigrammi da 24 a 26, gli ultimi che hanno per tema gli spettacoli allestiti nell'anfiteatro, alla naumachia e alle altre messe in scena acquatiche presentate nel Colosseo. L'epigram ma 28 riassume l'assieme degli episodi che Cassio D ione colloca nel ba cino di Augusto : Qui Augusto organizzava battaglie navali e faceva increspare le acque al segnale dato dalla tromba navale. Roba da poco è questa rispetto a quella che ci dà il no stro Cesare. Teti e Galatea han visto tra le onde ignoti mostri. Tritone ha visto in un turbine di spruzzi carri dalle ruote roventi e ha pensato che stessero passando i cavalli del suo signore : e mentre Nere o preparava crudeli combattimenti per le navi da guerra, aveva orrore di percorrere a piedi le limpide acque. Tutti gli spet tacoli cui si può assistere nel Circo e nell'Anfiteatro te li ha offerti, Cesare, un mare prodigioso. Non si parli più del Fucino o degli stagni del crudele Nerone : solo questa naumachia passerà alla storia110•
I mostri ignoti a Teti e Galatea sono gli animali esibiti nella venatio; i carri dalle ruote roventi e i cavalli paragonati a quelli di Nettuno sono quelli che parteciparono alla corsa dei carri; i combattimenti per le navi da guerra sono ovviamente il richiamo alla naumachia, che secondo le parole di Marziale ormai oscura il ricordo di quelle di Claudio nel lago Fucino e di quelle di Nerone. Gli allestimenti di Domiziano
Domiziano, nel corso del suo principato, allestì due naumachie. La pri ma, di più modeste dimensioni, si può datare all'85 d.C. in base all'al lusione che fa Marziale in due versi, poiché in questo periodo furono pubblicati i primi due volumi degli Epigrammata. Secondo Svetonio, che la menziona nella rubrica destinata agli spettacoli, senza alcun riferi mento cronologico, fu ambientata nell'anfiteatro, dunque probabilmen te nel Colosseo"'. Non sono riportati dalle fonti particolari a proposito del tema della battaglia, della costituzione delle flotte e del numero dei combattenti. La seconda battaglia navale fu ben più importante e comportò la re alizzazione di un nuovo bacino nell'area del Tevere, con escavazioni del suolo e costruzione di strutture intorno ad esso' ... A differenza di quella
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di Augusto, la naumachia di Domiziano non era semplicemente un vasto b acino, ma doveva essere costruita in elevazione, prevedendo anche gra dini per gli spettatori. L'edificio non fu conservato per molto tempo, per ché le sue pietre vennero poi impiegate per restaurare il Circo Massimo da parte di Traiano"�. Questo allestimento rientrava nelle celebrazioni del trionfo di Domiziano che si svolse nel mese di novembre dell'89 d.C. p er magnificare l'accordo diplomatico con Decebalo, re dei Daci: Gli vennero decretati così tanti onori che quasi tutta l'ecumene in suo potere si riempì d'immagini di lui e di statue, sia d'oro sia d'argento. Organizzò anche uno spettacolo sontuoso, nel quale però non rileviamo null'altro di significativo per la narrazione se non il fatto che gareggiarono in una gara di corsa anche delle fanciulle; dopo di ciò, mentre stava celebrando alcuni festeggiamenti trionfali, fece organizzare molte gare. Da una parte dispose, nel Circo, dei combattimenti tra fanti e altri tra cavalieri, dall'altra, in una nuova località, una battaglia navale. In essa non solo morirono quasi tutti i combattenti che si trovavano sulle navi, ma anche molti spettatori; infatti, all'improvviso scoppiò un violento tempo rale e si abbatté un acquazzone, che non permise ad alcuno di andarsene dallo spettacolo, ma, sebbene lui stesso si fosse cambiato il mantello, non concesse in alcun modo che quelli si spostassero, e a causa di ciò non pochi si ammalarono e morirono. Per mitigarli in seguito a questo fatto, offrì loro un banchetto a spese pubbliche per tutta la notte'1•.
Anche questa naumachia era legata a un contesto trionfale: il rientro dell'imperatore dalla spedizione dacica con il felice esito della tregua che aveva ottenuto da Decebalo, la visita di un suo emissario e una lettera del re21• Questi erano i motivi per i quali Domiziano poteva celebrare a Roma un vero trionfo con giochi sontuosi, presentandosi come conquistatore e trionfatore dei nemici sul Danubio, in un momento di difficoltà in po litica estera e interna (Cariou, 2009, pp. 490-1). Non era un fenomeno nuovo nella storia dell'impero l'enfatizzazione dell'importanza di eventi di politica estera che non costituivano delle reali vittorie, ma successi di ben più lieve entità, per ottenere o rinnovare le manifestazioni di consen so da parte dei diversi gruppi sociali a Roma. Come abbiamo già più volte ricordato, celebre precedente di presentazione di un successo diplomatico come vera e propria vittoria fu quello augusteo del 2o a.C. sul fronte par tico. Per Domiziano, nel corso della campagna in Dacia, non c'era stata alcuna battaglia navale che potesse motivare l'allestimento della nauma chia, ma questo spettacolo, che ormai aveva più di un secolo di vita, non necessitava più di un riferimento preciso per essere messo in scena.
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Pertanto si può concludere che sotto Nerone e i Flavi ci fu un'evolu zione nell'allestimento delle naumachie: esse, senza diventare spettacoli regolari, furono organizzate più frequentemente, come mostrano con chiarezza le date. Tra la naumachia di Cesare e quella di Augusto, tra questa e quella di Claudio intercorre ogni volta un intervallo di circa cinquant'anni. Invece, le cinque naumachie successive furono allestite nell'arco di trent'anni. Questo fenomeno è stato messo in relazione con l'edizione delle naumachie nell'anfiteatro : esse non avevano la magnifi cenza dei grandi combattimenti navali anteriori organizzati su specchi d'acqua ed erano meno costose dal punto di vista economico e umano ; pertanto potevano essere organizzate più di frequente (Berlan-Bajard, 20 06, pp. 42-3). L'attrattiva per il pubblico risiedeva ora nell'alternan za tra combattimenti acquatici e terrestri che andava a caratterizzare lo spettacolo. La naumachia di Traiano
Traiano fece realizzare una nuova naumachia in Trastevere, l'ultima della storia di Roma, dedicata l'u novembre del 109 d.C., secondo la testimonianza dei Fasti Ostienses116• L'imperatore spagnolo ripristinò an che la naumachia di Augusto e restaurò I'aqua Alsietina (Mazzei, 2007, pp. z6o-1). Per sei giorni vi fu allestito uno spettacolo con combattimenti di 1 27 coppie di gladiatori e le celebrazioni si protrassero fino al 24 novem bre. Nel testo epigrafico dei Fasti Ostienses in realtà non è menzionata l'edizione di una battaglia navale, ma soltanto l'inaugurazione dell'e dificio della naumachia. Questo dovette essere sicuramente inondato per permettere l'allestimento di spettacoli sull'acqua. Secondo Cariou (2009, pp. 438-9 e nota 46), Traiano avrebbe operato una fusione tra un combattimento di gladiatori e una battaglia navale in un contesto in cui quest'ultima, dopo il principato neroniano, aveva acquistato un carattere più tecnico. I 21 gladiatori che si affrontarono per mezza gior nata potevano essere stati imbarcati, sia in truppe sia come monomachi, su un totale di una decina di lunghe imbarcazioni. Anche Berlan-Bajard (20o6, p. 41) sottolinea che sarebbe la prima volta nella storia di Roma che un edificio per spettacoli che porta il nome di naumachia venga inaugurato con un tipo di manifestazione completamente diverso e per un'occasione singola che non accompagnava la celebrazione di un trio n-
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fo o la realizzazione di un'altra opera edilizia. Secondo Cariou (2.009, p . 491), per la naumachia di Traiano si può rintracciare un rapporto con la vittoria militare, specificamente con le campagne in Dacia, anche se in esse la partecipazione delle flotte sembra non essere stata rilevante. A questa andrebbe unita anche la creazione della nuova scuola gladiatoria, il Ludus Dacicus. Questi due fattori spiegherebbero la scelta particolare di organizzare dei combattimenti gladiatori sul bacino coperto. Verosimilmente, la costruzione della naumachia di Traiano era colle gata all'adduzione dell'aqua Traiana, che proveniva dal lago di Braccia no, per rifornire di acqua potabile la regio XIV. La sua nuova naumachia sarebbe stata il suggello della grandiosa opera infrastrutturale, renden dola speculare a quella di Augusto e addirittura superiore a quella per il rifornimento idrico di un quartiere intero. In ogni caso, il bacino di Traiano si trovava sulla riva destra del Tevere, nella piana dell'attuale Va ticano, ed è plausibilmente identificabile nel grande edificio scavato da Diego de Revillas nel 1742. a ovest di Castel Sant'Angelo e oggetto di ulteriori scoperte tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, sia per la datazione sia per le installazioni idrauliche in esso presenti (ivi, pp. m-78). Si tratta di un edificio dalla forma molto allungata, della lar ghezza di più di 102. metri. Infatti, i due corridoi laterali distavano 10 2.,76 metri, che equivalevano quasi esattamente a 355 piedi romani; la lun ghezza possibile era di circa 300 metri, cioè circa 1.ooo piedi romani. Si tratterebbe comunque di un bacino della superficie di circa 30.000 metri quadri, ossia un sesto di quello di Augusto. Pertanto non era idoneo ad accogliere vere flotte al suo interno e non disponeva di spazio sufficiente per lo svolgimento delle manovre di combattimento. Per quanto riguar da la sua capacità ricettiva, in base ai calcoli effettuati da Berlan-Bajard (wo6), sarebbe stato in grado di ospitare 2.6.ooo-2.7.ooo spettatori, nu mero alquanto elevato, superiore a quello di tutti gli anfiteatri, a ecce zione del Colosseo. ll rapporto tra superficie del bacino e capienza of friva sicuramente agli spettatori presenti un'e ccellente visuale. L'edificio appare il frutto della trasformazione dei giochi acquatici avvenuta nel corso dei primi due secoli dopo Cristo: la diminuzione delle maestose naumachie e l'allestimento più frequente di battaglie di minori propor zioni, di cacce acquatiche e di idro mimi può spiegare l'edificazione di un bacino di dimensioni più contenute, che, dotato di gradini tutt'intorno, avrebbe comunque assicurato una vista meravigliosa di tutti i dettagli dello spettacolo (ivi, pp. 190-2.13). Si può ipotizzare che nello stagnum
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Traiani furono allestite altre naumachie in tempi successivi, sebbene per esse disponiamo di poche testimonianze. Dopo l'età traianea sono poche, nelle fonti, le attestazioni di batta glie navali offerte dagli imperatori. Se ne trova menzione a proposito dei giochi trionfali organizzati da Aureliano nel 274 d.C., in seguito alla sua vittoria su Zenobia, poi riguardo ad allestimenti di Elagabalo nel Circo, con l'euripo inondato di vino, durante il suo regno (21 8-222 d.C.), e infine relativamente alla celebrazione del millenario di Roma da parte di Filippo l'Arabo nel 248 d.C.117• In modo concorde con quanto rico struito da Anne Berlan-Bajard, si può concludere che, nel complesso, scomparvero gli allestimenti sontuosi e stupefacenti, propri della tarda età repubblicana e del principato, e che le battaglie navali sopravvisse ro soltanto nella forma di spettacoli più frequenti, ma di minore fasto (Berlan-Bajard, 2006, pp. 36-51; cfr. Cariou, 2009, pp. 446-7, 514-5).
Note
Abbreviazioni
Per le fonti latine e greche abbiamo indicato gli autori e le loro opere con le abbrevia zioni, rispettivamente, del Thesaurus linguae Latinae (https:/ /www.thesaurus.badw. de/hilfsmittel-fuer-benutzer/index/) e del 1hesaurus linguae Graecae (Liddell Scott-Jones: http:/ l stephanus.clg.uci.edu/lsj/ 01-authors_and_works.html). AE AGKMW BMCRE CIDER CIL CLE EAOR I EAOR II EAOR III EAOR IV EAOR
v
EAOR VI
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GLADIATORI, CARRI E NAVI
EAOR
v n ]. L. Gomez-Pantoja, con la collaborazione di ]. Garrido, Epigrafia anfi teatrale dell'Occidente Romano, vol. vn, Baetica, Tarraconensis, Lusita nia, Quasar,
ILS LTUR OLD PIR 1
P. Bingen P. Oxy. RIC RR C SEG
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I
Una giornata al circo
1. Liv., 1.3 5·7·9, 1.56.2.. 2.. Varro, Ling., 5.154; Liv., Perioch. , 2.0. 3· Cic., Leg., 2..2.2., 2..38. 4· Liv., 2.8.38.14, 2.8.45·12.· 5· Vell., 2..2.76; RRC I, 445, n. 42.1.1. 6. Cass. Dio, 54.8.5, 54.2.6.2., 54·30.5, 54·34·1, 55.6.6. 7· Suet., Tib., 2.6.1-2.; Cass. Dio, 58.12..8. 8. Cass. Dio, 59·7·2.·9· 59.2.0.1; Suet., CaL , 2.6.3; Cass. Dio, 59.11.3, 59.13.8-9, 59.2.4.7· 9· Cass. Dio, 6o.5.3· 60.5.1; Suet., Claud. , 2..2.. 10. Suet., Ca!., 15.1; Cass. Dio, 59·11.1-2.. 11. Suet., Claud., 11.2.; Cass. Dio, 60.5.2.. 12.. Hist. Aug. , Pius, 6.7, 13.3-4: Hist. Aug., Aur., 2.6.5-7: Cass. Dio, 71.31.2., 71.34.1: Hist. Aug. , Aur., 18.8. 13. Cass. Dio, 61.6.1-2., 63.6.3, 63.2.1.1. 14. Hist. Aug. , Comm. , 8.7-9. 15. Suet., CaL , 18.5-6; cfr. anche Suet., Ca!., 54.2.. 16. Cass. Dio, 60.2.7.2.. 17. Suet., Claud., 2.1.5. 18. Amm., 18.2.9. 19. Amm., 14.6.z.s-z.6.
NOTE
Sulle scommesse, cfr. Mart., Ep., 11.1; luv., 11.:z.o:z.; Petron., 70. Cic., Div. , 1.;8.131; Hor., Sat. , 1.6.113; luv., 6.;8;-591. 2.2. . Amm., :z.8.31 (trad. mia). 23. Suet., Iul. , 39· 2.4. Suet., CaL , :z.6. 2S· SEG XL, 92.1 (trad. di A. Bosisio); cfr. Jordan ( 1994, n. :z.; :z.ooo, n. 90 ) ; Tremel ( 2.004, n. 67 ) . 2.6. Tert., Spect., 16.1. 27. Ov., Trist., :z..:z.83. 28. Ov., Ars, 1.135-146 (trad. di A. Della Casa, UTET, 1982.) . 2. 9 . Ov., Am. , 3.2..19-2.6. 30. Dionys., Ant. , 3.68.3. 31. Plin., Nat. , 36.102.. 32.. Plin., Paneg. , 51.5. 33· Suet., Nero, 11.1; Tac., Ann. , 15.32..1; Plin., Nat. , 8.2.1. 34· Cass. Dio, 59·7+ 3S· Cass. Dio, 71.31.2.. 36. Suet., Aug. , 44; Tac., Ann., 4.16; Cass. Dio, S9·3·4• 6o.:z.:z..:z.. 37· Cic., Phil. , :z..no; Liv., Perioch., 19; Pol., 6.39·9· 3 8. Cass. Dio, 48.16.1. 39· Geli., 2..11.2.; Plin., Nat. , 7.1o:z., :z.:z..6; Liv., 3·2.9·3· 7.10.14, 7.:z.6.1o, 7·37.1, :z.6.48.14. 40. Serv., Aen., I:z..12.o; Isid., Orig., 19·33+ 41. Tac., Ann. , 11.38.;, 12..53.2.. 42. Cic., Pro Sest. oratio, 50.106, 54.11;. 43· Mart., Ep. , 8.11. 44· Tac., Dia!. , 13-2.; Suet., Aug. , 56.2; Prop., 3.18.18; cfr. Plin., Paneg., 54·1-:z.. 45· Ov., Am. , 3.2.43-56 (trad. di A. Della Casa, UTET, 1982 ) . 46. Cic., Leg., :z..38. 47· Tert., Spect., 8.5. 48. Suet., Iul. , 76; Macr., Sat., 1.13.13; Fest., soo L; Val. Max., I.I.I6; Cic., Verr. , 2.1.154, ;.186; Plu., Cor. , 15.6. Riguardo a exuviae e tensae, cfr. Fest., 473 L , 56 L; Liv., 40.59. 49· Tac., Ann. , 1.15.2.-3; Cass. Dio, 56.46.4-5· s o. Dionys., Ant. , 7.72. SI. Cfr. Tert., Spect., 8.1-7, 9.5; Ov., Am., 3-2·43·s6. 52. Cic. Att. , 11.45-2 ( 17 maggio 45 a.C.), 13-28.3 ( 16 maggio 45 a.C.). 53· Cic., Att. , 13.44·1. 54· Cass. Dio, 43·45·1·3· Cassio Dione, in realtà, riporta come distinti i due onori: la statua di Cesare nelle gare equestri insieme alle statue delle divinità e un'altra statua collocata nel tempio di Quirino. 55· Cic., Att. , 14.14.1 ( 28-29 aprile 44 a.C.), 14.19.3 ( 8 maggio 44 a.C.); Cass. Dio, 45. 6.4 ( 44 a.C.); Plin., Nat., 2..93; Cic., Phil. , 1.13, 2.110-1 11 ( 19 settembre 44 a.C.). 56. Cass. Dio, 43·45·1·2, 44.6.3, 47.18+ 57. Cfr. infta, pp. 30-1. 58. Cass. Dio, 53.30.6 ( 23 a.C.). Nei giorni in cui erano allestiti ludi circenses ( 14-19 settembre) il trono aureo e la corona dovevano essere portati nella processione e poi dovevano essere deposti nel Circo Massimo in particolari settori dei posti a sedere, in 2. 0 . 2.1.
GLAD IATORI, CARRI E NAVI
questo caso tra gli organizzatori dei giochi, gli edili, ossia nel palco posto sull'entrata del Circo. 59· Tabula Hebana, ll. 4-7, ed. Crawford (1996, n. 37, pp. 519, 52.5, 530). 6o. Tabula Siarensis., fr. b, col. m , IL 2.-B; Tabula Hebana, 11. so-53. La statua di Ger manico doveva sfilare alla testa della processione circense in occasione dei ludi Victoriae Caesaris, dei ludi natalicii divi Augusti, ludi divi Augusti et Fortunae Reducis, dei ludi Plebei et natalicii Tiberi Caesaris Augusti, ossia tutti i ludi più importanti del calendario romano innovato da Augusto, contraddistinti dall'allestimento di circenses in quanto celebrazioni di vittoria, di dies natales e di importanti avvenimenti. 6r. BMCRE r, 134, 135, 13B, nn. 102., 10B, 12.5; Suet., Claud. , 2..2.; Cass. Dio, 62..16.4. 62.. Suet., Claud., 11.2.. 63. Cass. Dio, 6r.r6.4. 64. Suet., Claud. , 2..2.; Cass. Dio, 62..16.4: BMCRE l, 134, 135, 13B, nn. 102., roB, 12.5; BMCRE I, 2.01, nn. 7, B; BMCRE I l , 2.69, nn . 2.2.1-2.2.3; BMCRE III, 144, n. 706; BMCRE IV, 52.B, 612., 763; Gnecchi (1912., tav. 91, n. 10 ). 6s. Sul carattere divino dell'elefante, consacrato al Sole e all'eternità, cfr. Ad., NA, 7·44: sulla sua vocazione come animale imperiale, cfr. luv., 12..ro6-ro7. 66. Per la carriera e le vittorie di Diocles, cfr. infra, pp. 52.-4. 67. Prop., 4.2..35-36; Mani!., s.B5-B9; Apul., Met., 1.14; lsid., Orig. , rB.39. Per le carriere dei cursores, cfr. in.fra, p. sr. 6B. Dionys., Ant. , 7·73-3; Liv., I.3s-B-ro. 69. Dionys., Ant., 7.72..2.-3. 70. Liv., 1.35· 71. Cic. Leg. , 2..3 B. 72.. Daremberg, Saglio, Pottier (r877-1919, I, 2., p. 12.00, fig. 153B). 73· Nota Thuillier (2.012., p. 177) che non si deve necessariamente pensare che fossero soltanto statue decorative, ma che si possa trattare della testimonianza della presenza di prove atletiche nel circo accanto alle gare equestri. 74· Cass. Dio, 60.2.3.5· 75· Cass. Dio, 52..30. 76. P. Bingen 12.8 (trad. in Tedeschi, 2.011, p. 137, n. 76). 77- P. Oxy. xxxrv, 2.707 (trad. in Tedeschi, 2.011, p. 138, n. 77 ). A questi due papiri, di cui si è riportato il testo, vanno aggiunti anche P. Oxy. LXXIX, 52.15, 52.16, 52.17, 52.18, scoperti nel 2.o14. 78. Suet., Iul. , 39.2.-3. 79· Suet., Aug. , 43.2.. Bo. Cass. Dio, ss.ro.6-8. Br. Cass. Dio, S9·7·I·4· B2.. Cass. Dio, 60.7.3· 83. Chor., ApoL mim., u6. B4. Procop., Vtmd., 1-3-B. Bs. Ov., Am. , p.6s-B2. (trad. di A. Della Casa, UTET, 19B2.). B6. Varro, Ling. , 5-153· I carceres erano stati realizzati nel 32.9 a.C. con semplici inte laiature e tavole di legno dipinto; nel 174 a.C. furono ricostruiti con materiali durevoli (Liv., B.2.0.2., 41.2.7.s). Nella seconda metà del ur secolo a.C. avevano una forma monu,
NOTE
153
mentale con torri merlate, pur mantenendo ancora ripartizioni interne in legno, come scriveva Nevio nella citazione riportata da Varrone indicata sopra. 87. Tert., Spect., 16. La scena dell'estrazione a sorte è ritratta su un'urna conservata nel Pergamon- und Bodemuseurn di Berlino (Ioppolo, Pisani Sartorio, 1999, p. 108, fig. 3 ) . 8 8. Sidon., Carm. , 2.3.315-32.5 (trad. mia). 89. Mart., Spect., 12..2.9.9; luv., 11.193; Suet., Nero, 2.2.; Quint., Inst., 1.5.57· 90. Sidon., Carm., 2.3.32.5-341 (trad. mia). 91. Ov., Am. , p.65-66; Sen., Epist., 108.32.. 92.. Cassiod., Uzr., 3.51. 93· Sidon., Carm. , 2.3.412.-415. Per il dettaglio del naufragium nel mosaico di Piazza Armerina, cfr. Fauquet ( 2.oo8, p. 2.71, fig. 9 ) . 94· Sidon., Carm. , 2.3.348-375 (trad. mia). 95· Mosaico di Piazza Armerina, mosaico di Silin (Libia), mosaico di Lione, rilievo di Castel Sant'Elia (Viterbo), coppe in argento da Pompei. Per le raffigurazioni, cfr. Mar cattili ( 2.009, nn. 1 1, 79, 88, 2.9, 31, 34, 98, 99 ) . 96. Liv., 41.2.7.5-6; Varro, Rust. , 1.2..1 1 ; Cass. Dio, 49·43-I-2.; Tert., Spect., 8.3; lsid., Orig. , 18.2.9.1-2.; Cassiod., Uzr. , 3·5I.IO. 97· Cass. Dio, 49·43·1-2.; Iuv., 2..6.588-591; Tert., Spect. , 8.3; Cassiod., Uzr. , 3·51.8. 98. Stat., 1heb., 6.411-412.; Sii., 16.32.5-32.7, 16.469-470; Sidon., Carm. , 2.3.348. 99· Sidon., Carm. , 2.3.356-357· 100. AE 1971, 44· 101. Tert., Spect., 4·3· 102.. Tert., Spect. , 7 (trad. di G. Mazzoni, Cantagalli, 1934 ) . 103. Tert., Spect. , 10.10. 104. Tert., Spect. , 8 (trad. di G. Mazzoni, Cantagalli, 1934 ) .
2
La popolarità delle corse dei carri Dig., p.1; Tert., Spect. , 2.2..2.; Senatus consultum de Larinum, 11. 9-14 (AE 1978, 145 = III, n. 2. ) . 2.. CIL I ', 593 = ILS 6085 = EAOR III, n. I. 3· Dig. , 3.2..2..5, 3.2..4.1. 4· Suet., Tib. , 35·3· 5 · Dig., 2.3-2..44· 6. Cfr. Ricci ( 2.oo6 ) . 7· Horsmann ( 1998, nn. I, 6-9. 2.7, 32., 37· 3 8. 48. 49 · 51, 58, 72., 74· 86, 89. 91, 94 · 97 - 99 . 104, 106, 112., 1 19, 12.1, 132.-134. 136, 138, 141, 149. 161-163, 171, 174. 185, 188, 189, 197. 198, 2.04, 2.12., 2.2.1 ). 8. CIL VI, 10063 = ILS 52.8; CIL VI, 10047 = IL S 52.88. 9· Non tutti gli aurighi cominciavano però nell'infanzia la loro carriera, come attestato da un'iscrizione che ne ricorda uno, M Nuntius Aquilius, morto all'età di trentacinque anni, dopo una carriera di soli dodici anni ( cn VI, 10065a* [ 69-96 d.C.] ). 10. Gregori ( 2.oo1, n. 52., pp. 147-50 ) = AE 2.001, 2.68. L'iscrizione è datata da Sil via Evangelisti alla prima metà del I secolo d.C. e sarebbe stata sormontata da un 1.
EAOR
154
GLADIATORI , CARRI E NAVI
bassorilievo raffigurante il giovane defunto alla guida di una biga (Thuillier, 2.oo4 , pp. 31 1·2.). 11. CIL VI, 10078 = ILS 5300 = CLE 399, databile al I-II secolo d.C., forse all'età flavia. Stenhouse (2.002., p. 107, n. s o ) ritiene che si tratti di un bambino di quattro-sette anni, dal momento che alumnus è un termine raramente applicato a un bambino più giovane di quattro anni e inoltre bigarius infans implica un bambino sufficientemente grande per guidare un piccolo carro. 12.. CIL VI, 10050 = ILS 52.85. 13. Cfr. infra, pp. 52.-4. 14. CIL VI, 10052. = ILS 52.98. 15. Mart., Ep 4-67·5· s. l p O, l o.so. 10.53. 10-74·5· 10.76·9· 11.1.16. 16. CIL VI, 862.8 = ILS 1679. 17. CIL Il, 4314 = ILS 52.99· 18. CIL VI, 33950 = ILS 52.78 = AE 1894, 156 = AE 1949, 193 = AE 1989, 58. 19. Su cursores e desultores, cfr. supra, pp. 2.8, 32.. 2.0. CIL VI, 10051. Gordon (1983, p. 113), a proposito di iustitiale, riprende la traduzione offerta dall'ow, 986 s.v., cioè una corsa offerta nell'ambito degli onori funebri per un membro della famiglia imperiale, e aggiunge che si potrebbe essere trattato del funerale di Augusto nell'agosto del 14 d.C. 2.1. CIL VI, 10048, 11. 1·5 (trad. mia) = CIL XIV, *2.64 = ILS 52.87 = AE 1957, 2.0 = AE 1967, 12.7 = AE 2.006, 142. = AE 2.006, 153 = AE 2.008, 176; CIL XIV, 2.884 = CIL XIV, *2.64 = CIL IX, *62.8 (Palestrina, 101-150 d.C.). 2.2.. Tac., Ann., 13.42.; Petron., 71.12.. 2.3. CIL VI, 10047, 11. 1-12. = AE 2.013, 133 (trad. mia). 2.4. Ov., Am., 3.2..65-82.. ll problema è complicato dall'occorrenza della parola revocatus, cioè "richiamato", nel linguaggio delle corse; essa potrebbe avere lo stesso significato di remissus, ma questo non è certo. 2.5. Dig. , 3-2.·4·1· 2.6. Mart., Ep., 3.63. 2.7. Mart., Ep 10.9. 2.8. CIL VI, 10082.. 2.9. Cfr. supra, pp. 52.-4. 30. Verg., Georg., 3-72. ss.; Plin., Nat. , 18.67.2.63. 31. Cass. Dio, 60.2.3.5: Suet., Nero, 2.2.; Suet., Dom., 4· 32.. CIL VI, 10053· 33· CIL VI, 10056. 34· Sidon., Carm., 2.3.400; Sil., 16.336. 35· Varro, Rust. , 2., praif. 3· 36. luv., 8.57-59. 1 1.193-198; Tert., Spect. , 16.2..3; Sidon., Carm. , 2.3.315·316; Sen., Epist., 83-7. 37· Tert., Spect., 14.4. 15.4. 16.1, 16.4, 2.0.5. 38. Hist. Aug. , Ver. , 6.2.; cfr. Tert., Spect., 16.7. 39· Sil 16.319-345· 40. Ov., Am., p.69-72.. 41. Sidon., Carm. , 2.3.376·378; Plin., Nat., 8.159·160. .•
.•
.•
N OTE
155
4 2 . Si tratta di una tavoletta di piombo rinvenuta a Cartagine, nella tomba di un co mandante romano in un cimitero pagano presso Bir-El-Djebbana, del n-m secolo d.C., conservata nel Musée national du Bardo di Tunisi (trad. di A. Bosisio). 43· Min. Fel., Oct. , 37-u. Tacito (Ann. , 14.17) ci descrive la rissa tra gli abitanti di Pom pei e quelli di Nocera nel 59 d.C. nell'anfiteatro. 44· Clem. Al., Protr., 3-77-4; Lact., Inst. , 58.8. 45· Tert., Spect., 16 (trad. di G. Mazzoni, Cantagalli, 1934). 46. Tert., Spect. , '5·3·
3
Una giornata all'anfiteatro Petron., 26.7; Perp. , 17.1; Schol. in /uv., u.2o.3d; Tert., Apol., 42.5. Plu., Mor. , 1099B. 3· Cic., Phil. , 2.97; Cic., Fam. , 2.8.1; Ov., Ars, 1.167; Sen., Contr. 4,praej 1 ; Sen., Benef, 6.1.1; Sen., Epist. , I17-30; luv., 6.244; Hist. Aug., Claud., 5·5· 4· Cic., Fam., 2.8.1; Hor., Sat., 2.6.44. 5- Liv., 34-44· 54-3-8; Val. Max., 2-4·3· 6. Suet., Aug. , 44· 7· Tert., Spect. , 13; Cass. Dio, 73-'7·3-4· 8. Cass. Dio, 73-'7·3-4· 9- Plin., Nat. , 8.6.17. 10. Plaut., Persa, 199. 1 1. Liv., 39.22.2. 1 2 . Liv., 44.18.8. 13. Plin., Nat. , 8.24. 14. Plin., Nat., 8.70, 8.20. 15. Plin., Nat. , 8.40.96, 8.20.64. 16. Cic., Fam. , 7.1.3; Cass. Dio, 39.38.2; Plin., Nat. , 8.20(1 6).53, 8.7.20-22. 17. Cass. Dio, 43.22, 43·23.1-2; Plin., Nat., 8.20(16).53· 8.70(45).182, 8.27(18).69; Suet., lul , 39.4; App., BC, 2.15.102. 18. Cass. Dio, 54.26.1; Plin., Nat. , 8.25(18).65. 1 9. Cass. Dio, 55-10.7-8. 20. Plin., Nat. , 36.24.116-I2o. 21. Cass. Dio, 5 1.23.122. Cass. Dio, 66.25-1-4; Suet., Tit. , 7.7; Eutr., 7.21.4; Mart., Spect. , 4-30. 23. Suet., Dom., 4.1-2; Mart., Ep., 1.6, 1.14, 1.22, 1.48, 1.51, 1.60, 1.104. 24. Cass. Dio, 68.1p. 25. Hist. Aug. , Pius, 10.9. 26. luv., 4.98 (trad. di D. Augenti, L'Erma di Bretschneider, 2001 ). 27. Cass. Dio, 6!.17-3·4· 28. Hist. Aug. , Comm., 15-329. Hist. Aug. , Carac. , 5·5·9· 30. Varro, Rust., 3·5·3· 1.
2.
xs6
GLADIATORI , CARRI E NAV I
Cassiod., 11tr., 5·42.. Geli., 5.14 (trad. di D. Augenti, L'Erma di Bretschneider, :z.oor ) . 33· Mart., Ep., 1 1.69; Simm., :z..n ; Str., 4.s.:z.. 34· Hist. Aug. , Prob., 19; CIL x , 3704. 3 5 · Mart., Ep., 1.13. 36. Stat., Silv. , :z..s. 37· Hist. Aug. , Prob. , 19.s·6. 3 8. Gel!., 5· 14·5·30; Ael., VH, 7· 48. 39· Mart., Spect. , s . 7, 8, :z.r, :z.:z.; cfr. anche Suet., Nero, 1 2..2.. 40. Tert., Spect. , 12..1-4 . 41. Serv., Aen. , 10.519. 42.. Liv., 1 6 ; Serv., Aen. , 3.67; Val. Max., 2..4.7· 43· Liv., :z.8.:z.1.2.-3; Ter., Phorm. , 964. 44· Val. Max., 2..4.7; Liv., Epit. , 1 6. 45· Liv., 2.3.30. 1 5 . 4 6 . Liv., 39·46.2.-3. 47· La raccolta completa delle fonti, con discussione, è in Ville ( 1981, pp. 57-12.1 ) . 48. Plin., Nat. , 33·53: Cass. Dio, 37.8. 1 ; Plu., Caes. , 5.9; Suet., Iul. , 10.2.. 49· Sen., Dial. 9, 2..13 (trad. di D. Augenti, L'Erma di Bretschneider, :z.oo1 ) . so. Sen., Contr. 3 . praef 1 3 ; Sen., Epist., 1 1 7.2.5; Cic., De orat., 2..3 16-3 17, 2..32.5; Cic., Div. in Caec. , 47 ; Verg., Aen. , 12..103-106; Verg., Georg., 3·2.32.-2.34; Ov., Ars, 3·5 1 5- 5 1 6 ; Ten., Adv. Mare. , 3-5.1 ; Veg., Mil., 2..2.3. 51. Suet., Tit., 9.2.. s:z.. Quint., Deci. , 3 0 2. tit. ; Geli., 5-1 4·2.9. 53· CIL IV, 2.508. 54· Cass. Dio, 54.2..3·4. SS· Petron., 45.12.; Suet., IuL, :z.6.3 ; Tert., Mart., 1.2.; SchoL in /uv. , 6.2.49.1. s6. Cassiod., 11tr. . 3·51.7· 57· Sen., Dial. , 2. . 1 6.3, 1 1.6.2.; Petron., 8 o.:z.; Paneg. , 2..3 5-458. Quint., lnst. , 5·13-54· 59· Liv., 41.2.0. 12.; Sen., Contr., 9.6.2.; Mart., Ep., 2.9.3; Quint., Deci., 3 0 5 - 1 6 ; Ps. Quint., 31. 32..
DecL , 9·9·
Sen., Epist., 93.12.; Hist. Aug. , Comm. , 18.3-19.3; CIL XIV, 3014. Mart., Ep. , 2.9.5; Quint., /nst. , 8.p 1 ; Schol. in Pers. , 5 . 1 1 9 . 6:z.. Sen., Dia/. , 1.3.3·4; Sen., Epist. , 37.2.. 63. luv., 3.36-37; Prud., C. Symm. , 2..1099; Anth. , 415 .2.8. 64 . CIL IX, 1 6 7 1 ; Mart., Ep., 2.9.3 ; Sen., Epist., 7· 4· 5· 6 s . Iuv., 3-37; Petron., 45-11. 66. Cic., Mil. , 92.; Sen., Dial., 9.11.4; Sen., Epist. , 30.8; Quint., Deci. , 305.14. 67. Cic., Tusc. , 2..41. 68. Verg., Aen. , 1 2..2.96; Serv., Aen., 12..2.96; Don., Ter., 1.1.56; Sen., Ag. , 901-902.; S en ., Herc. 0. , 1457; Prud., Psych., 53· 69. Sen., Epist. , 7 (trad. di D. Augenti, L'Erma di Bretschneider, :z.oo1 ) . 70. Quint., Inst., 2..1 1.2.; Suet., Dom., 10. 1 ; Mare. Aur., Med. , 1.5; CIL VI, 9719, 10-11. 7 1 . Suet., Ca/. , 54, 55.2.. 6 o. 61.
157
N OT E
7z.. 73 · 74 · 7s. 7 6. 77-
78. 79· S o.
8 1. 8 2.. 83.
84. 85.
86. 87. 88. 89. 9 0.
Hist. Aug. , Aur., 4 .8-9. Tac., Ann. , 14.17. Mart., Ep., 1.9. Hor., Epist., 1.19.47-48; Schol. in Hor. Epist. , 1.1 9.47; Plin., Nat. , 3 6.1.03. Cic., PhiL , 3·35· Tert., Spect., 1 2..4-5· Tert., Spect. , 12..6-7 (trad. di G. Mazzoni, Camagalli, 1934 ) . Tert., Spect., 12..3. Tert., Spect. , 12..4. Tert., Spect. , 1.1.1.-4 (trad; di G. Mazzoni, Camagalli, 1 934 ) . Tert., Spect., 19 (trad. di G. Mazzoni, Cantagalli, 1934 ) . Tert., Spect., 19.1.. Tert., Apol. , 15.4-6; Tert., Nat. , 1.10.44-48. Tert., Apol. , 1 3- 1., 15.1-3. Aug., Conf, ).1..1. (trad. di L. Lugaresi, Morcelliana, z.oo8 ) . Aug., Conf, 6.7. 1 1 . Aug., Conf, 6.7.12.. Aug., Conf, 6.8.13. Aug., Conf, 6.8.13 (trad. di L. Lugaresi, Morcelliana, z.oo8 ) .
4
I protagonisti dei
munera gladiatoria Varro, Ling. ,
Cic., De orat. ,
Cic., Sest.,
1.
Luci!.,
2. .
7.
Cic., Phil., 6. 13, 7. 17; Cic., Prov. , 9; Petron., 45.11.; P!in., Nat. , 33.11.9; Auson., Mos., Pau!. Fest., 503.1.3; CIL VI, 1o194· Pau!. Fest., 359.1-5; Cic., Phil., 3.11.. EAOR I I , nn. 41, 41.; EAOR V, n. 61.; AE 1996, 1337· Liv., 39·41.. 1 1 ; Pau!. Fest., 359.1-5. Pau!. Fest., 131.5. Suet., Cal., 3 5-2-; Suet., Tit. , 8.1..
8.
CIL IV,
149-151., 11.73-11.74;
5-141.;
1..3 1. 5 ;
134;
Liv., 9·40.17; Hor., Epist. , 1..1..97-98; P!in., Nat. , 7.8 1 ; CIL V I , 10187; CIL IX, 466.1.1.. 12. . 1 0 3 p. 165, 16.36 p. z.oz.; 3· 4· s. 6.
2508.
9. Sen., Contr. ,, p raej. 1o; Mart., Ep. , 8.74.1-1.; Suet., Ca!., 35.2; Firm . , Math. , 7.1.6.3 ; CIL I I , 1739; CIL VI, 6 3 1 ; CIL IX, 4 66.6. 1 0. luv., 8.1.04-20 8. 1 1. Fest., 358 L; Suet., Cal., 30.3; Artem., Onir., 1..31.; lsid., Orig., 18.54- 5 5 ; Pass. Perp., 1 8.3. 12.. Iuv., 8.z.oz.; Mart., Ep. , 5•1.4.11.. 1 3. Suet., CaL , 30.3; Artem., Onir. , 1..31.; Cass. Dio, 71..19.1.; lsid., Orig., 18.55; CIL v, 59 3 3. 3 ; CIL VI, 4333; CIL VI, 10189. 1 4. Cic., Sest. , 11.6; Veli., z..s6. 1 ; Petron., 4 s . n ; Plin., Nat., 8.u; Suet., Iul. , 39.3; lsid., Orig. , 1 8.53; CIL IV, 441.0; CIL VI, 101 67.5-6; CIL X, 7364. 1 5 . Isid., Orig., 1 8.53·
GLAD IATORI , CARRI E NAV I
Cic., Fam. , 7. 10.2.; Sen., Epist. , 2.9.6 ; Petron., 3 6.6, 45.7; Suet., Ca/., 3 5·3; Suet., Claud. , 2.1.5; Serv., auct., ad georg., 3.2.04. 17. CIL IV, 4413; CIL VI, 4335; CIL V I, 631.8-9; CIL IX, 466.2.1; CIL XII, 332.3-332.4. 1 8. Caes., GalL , 4·33· 19. Pers., 4.42.-4 5 ; CIL IX, 466.1. 2.0. Cic., Sest., 134; Artem., Onir., 2..32.; CIL IV, 2.483; crL VI, 7658; CIL VI, 7659; CIL VI, 1 6.
10183. 2.1.
Cic., Sest. , 64.
2.2.. CIL VI, 631.
Artem., Onir., 2..32.; CIL XIII, 1997·3·4· Suec., Ca/. , :�.6.s ; CIL VI, 631.5; CIL V I , 1 0 1 68.:�.-3; crL VI, 10182.. 2.5. Nic. Dam., Athl., 4.153· 2.6. Cass. D io, 54.2..4-5· 2.7. Senatus consultum de Larinum, Il. 7-9, 17-18. 2.8. Tac., Ann. , 15.32.. 2.9. Cass. D io, 63.2.-430. Petron., 45·7· 31. Mare., Spect., 6, 6b. 32.. Cass. Dio , 66.2.5-1. 33· Suet., Dom., 4.1. 34· Cass. D io, 67.9.4; Stat., Si/v., 1.6.53-64. 35· Hdt., 4 . 1 1 0- 1 1 6. 36. Phil., Apol. Tyan. , 6.2.5. 37· Iuv., 6.2.46-2.63 (trad. di P. Frassinetti, UTET, 1 9 5 6 ) . 38. Cass. Dio, 76.16. 39· CIL IX, 2.2.37· 40. Tac., Ann., 15.32.; Suet., Dom., 4 . 1 ; Petron., 45·7· 41. Cass. D io , 62..17.3· 42.. CIL II, 62.78.46 = ILS 5 1 63 . 4 3 · Val. Max., 2..3.2.; Fior., epit., 2. . 8 ; Plu., Crass. , 8 . 4 4 · Cic., Att. , 7. 1 4 . 45· Suet., IuL, 2.6.4; Cic., Att. , 7. 2..7; Caes., Gal/., 1.14. 46. Suet., lul. , 3 1 .1. 47· EAOR I, nn. 64-66, 79, 83, 85, 86, 1 0 0 ; EAOR II, nn. 19, 49; EAOR III, n. 6 9 ; EAOR V, nn. 9, u, 2.8, 6s. 48. EAOR I, nn. 68, 78, 87; EAOR III, n. 71; EAOR V, nn. 2.0, 2.3; CIL II \ 7, 3 55, 3 5 8 - 359 • 2.3.
2.4.
361-363, 3 6 5 . 4 9 · EAOR I, nn. 2. 1 -43; EAOR
II, nn. 2. - 7 ; EAOR III, nn. 3, 4; EAOR IV, nn. 3 - 6 ; CIL III, 675 3 ,
14192.; AE 1996, 1 6 0 3 . 5 0 . CIDER
n. 7 1 .
51. PIR' M 2.49; EAOR
II, nn. 5, 6. I, nn. 2.3-2.7 per le carriere. 53· EAOR I, nn. 2.3-2.7. 54· EAOR I, nn. 2.8-31, 45· 55· EAOR I, nn. 33-35. s6. EAOR I , n. 8. 52.. EAOR
159
N OT E
57. EAOR IV, n. I. 5 8. EAOR l, n. IO. 59 · EAOR I, n. 9· 6o. EAOR
l,
n. 21.
61. EAOR I l , nn. 2, 3·
6 2 . AE 1908, 206 = ILS 90I4; AE 2003, 93 = EAOR VII, n. 4·
63. Lex Ursonensis, 11. 8-12 (ed. Crawford, 1 9 9 6, n. 25). 64. Lex ltalicemis, l. 29 (ciL n , 6278 = ILS 5 I 63 = EAOR v n , n. 3). 6s . Cfr. /ex Italicemis, 11. 59-61. 6 6. Mart., Ep. , 1 1 .66.3.
Imt. , 3.I46. Cfr. supra, nota 64.
67. Gaius, 68.
6 9 . Quint., Decl. , 302.3; Val. Max., 2.3.2; EAOR I, n n . 54, 55, 57, 62.
7 0 . EAOR r , nn. 48, 49, 51. 7 1 . CIL X, 1074d. 7 2. CIL
IV, 7989b;
CIL
VI, 10206.
IV, 4379: Robe rt ( 1 940, n. 1 2.) ; AE 1 9 9 6, 1337; EAOR V, n. 3 1 . 74 · Gaius, Imt. , 1 . I 3 .
73 ·
CIL
7 5 · EAOR I, n. 64. 76. EAOR I, nn. I37-I3 9 : nn. 54-64. 77· Tria nomina: EAOR I, nn. 67, 69, 70, 72, 73, 84, 85, 89, 91-93: nn.
duo nomina: EAOR
1,
71, 94, 1 1 5 .
7 8. Liv., 28.21.2-3. 79· EAOR
m,
n. 1; lo attesta anche la
C rawford (I996, pp. m-9 1 ) . S o. CIL
Tabula Heracleensis:
CIL
I\ 593 =
ILS
6085 =
X I, 6 5 2 8 = I\ 2 1 2 3 ; EAOR I I , nn. 1 7, 1 8 .
8 1 . EAOR I, n. I 5 5 · 82. EAOR I, n . 92. 8 3 . EAOR Il, n . 50. 84. EAOR V, n. 23. 8 5 . EAOR v, ad loc., p. 47· 86. EAOR I,
I I '.
nn.
68, 69, 87, 92, 94, 9 5 : EAOR I l , n. 5 1 ; EAOR V, nn. 1 5 , 16, 1 8-20, 22-24;
7, 355, 3 58, 3 59, 361, 363, 365.
8 7. EAOR I, nn. 132-134; EAOR Il, nn. 1 12-1 1 4 ;
C ic., Phi/. , l i .p!.
8 8. Cic., Phil , 1 1. 1 1 . 8 9. EAOR I, n. 68. 9 0. EAOR II,
n.
44·
9 1 . EAOR III, n. 70.
9 2. EAOR V, n. 1 8 ; CIL n • , 7, 363. 93- Sabbatini Tumolesi ( I 9 8 o, nn. 29, 32); EAOR v, pp. 67-79: EAOR m , nn. 67, 68. 94 . EAOR II, n. 43; EAOR I, nn. 83, 97·
9 5 . EAOR I, nn. 64, 73, 79;
CIL
III, 2127.1.
96. Cfr. supra, p. 102. 9 7. EAOR I, nn. 63, 66, 73, 74, 91, 93, IO O ; EAOR Il, n. 19; EAOR V, nn. 29, 62. 9 8 . Suet., Tib. , 7· 9 9 . EAOR I, n. 76.
CIL
160
GLAD IATORI, CARRI E NAVI
5
Le grandi naumachie imperiali Luc., Sat., 14.8; Liv., 16.z.6.5 1, z.9.z.z..z.; Auson., Mos., z. 1 8 ; Serv., Aen. , s.u 4. RGDA, 1.3. 1 ; Ov., Ars, 1.171. 3· Per i passi, cfr. infra, pp. 1Z.0·41. 4· Cfr. infta, pp. 146 -7. 5· Suet., Claud. , 1.1.14; Ov., Met., 1.3 3 5 . Per il segnale d'inizio delle corse dei carri, cfr. supra, p. 8 6. 6. Orazio (Epist., 1.18.61) menziona due linee su cui erano divise le imbarcazioni in un gioco di simulazione navale posteriore alla naumachia di Cesare ( Cariou, z.oo9, p. 431) . 7· Per i verbi impiegati nelle fonti e il loro significato specifico, cfr. ivi, p. 433, spec. nota z.z.. 8. RGDA, 1.3.6: Sen., Epist. , 8.7o.z.6; Tac., Ann. , 1z. .s6.1-z.; Suet., Iul. , 39.6; Cass. Dio, 1.
z..
66.z.s+
Cass. Dio, 43-1.3+ Cass. Dio, 43·l.3·4· u . Tac . , Ann. , 1 z..s6.7 ; Cass. Dio, 60.33.3· Il.. Suet., Claud, l.l.ll.-14; Suet., Nero, n.z.-3. 13. Per le fonti, cfr. note u , Il., 1 4 di questo capitolo. 14. Sen., Epist. , 8.7o.z.o, 1.3, z.6; Suet., Claud. , 1.1.13; Cass. Dio, 60.3 3·4· 15. Flavio Giuseppe riporta che nel 70 Tito inviò dei prigionieri della guerra giudaica in tutte le province perché essi perissero per il ferro e per le belve, cioè facendo i gladia tori (los., BI, 7·l.3-l.4, 7·37-3 9 ) . L'imperatore fece combattere gruppi di prigionieri in tutte le città della Siria in cui offrì dei giochi. Flavio Giuseppe sottolinea che nessuno di loro fu graziato (los., BI, 7.373). A Cesarea di Palestina in particolare, dove Tito celebrò il natalis di Domiziano, perirono z. .s o o uomini. 16. I prigionieri di guerra venivano fatti combattere in occasione dei giochi funebri, ai quali rimontavano i diversi tipi di armamenti etnici della gladiatura. L'errore di Plutarco (Plu., Caes., 55.4), il quale associa la naumachia di Cesare al munus funebre di Giulia, è ugualmente rivelatore. Inoltre, Seneca introduce il suo racconto del suicidio di un naumachiarius con la frase ex eodem tibi munere plura exempla promisi. (Sen., Epist., 8.70. 19 -Z.O, z.z.-z.3, z.s-z.6). Ora, la parola munus, soprattutto in epoca imperiale, desi gnava quasi sempre i combattimenti di gladiatori preceduti da una venatio. La seconda naumachia di Nerone fu, d'altro canto, intercalata tra alcune cacce e un combattimento di gladiatori. Su questi aspetti, cfr. Berlan-Bajard (z.oo6, pp. 33-4) . 17. La sorte riservata ai naumachiarii faceva rientrare le naumachie tra gli altri spettaco li in cui si esibivano i condannati a morte, i ludi matutini e i meridiani. A mezzogiorno, nell'intermezzo tra gli altri giochi, dei condannati erano opposti in coppia, senza armi difensive. Il sopravvissuto di un primo scontro doveva immediatamente misurarsi con un nuovo avversario, senza alcuna possibilità di grazia (Suet., Claud. , 34.6; Cass. Dio, 60.13.4; Sen., Epist. , 1.7.3·5 ) . Cfr., in proposito, Berlan-Bajard (z.oo6, pp. 34-5). 18. Fest., so L; Plu., Caes. , 55.4: App., B C , z..IOI-IOz.; Vell., z..s6. 1-z.; Cass. Dio, 43.Z. 3. 4 ; cfr. Sumi (z.oos. p. 6 1 ) . 1 9 . Suet., Iul. , 3 9 . 1 - 7 (trad. di F. Dessì, B U R, 198z.). 9·
10.
1 61
N OTE
20. 21.
Plin., Nat., 1 9.2.3. Cass. Dio, 43.2.2..3 .
ll .
App
23.
Cass. Dio, 43.2.3.4·
.•
BC,
2..10 2..42.3.
2 4 . Suet., IuL , 44.1-2..
25.
Suet.,
Iul. ,
44.2.. Coarelli ( 1997, p. 18 ) ricostruisce che la
Palus Caprae nel
Cam
po Marzio si divideva in due settori distinti, che portano in seguito i nomi di Valle e Vallicella e che appunto Vallicella corrispondeva almeno in parte alla Svetonio. 26. Secondo Coarelli ( 19 77, p. 815 ) , la naumachia di Cesare che prima faceva parte dei giardini
Codeta Minor di
fu scavata su un
terreno
di Pompeo sul Campo Marzio, di cui Cesare si era
appropriato alla morte del suo avversario, per offrirli ad Antonio (App., BC, 3.14; Cic.,
Phil. , 2..67, 2..71-72., 1 0 9 ; Vell., 2..60.3; Plu., Ant., 10.3 ) . Sul possesso da parte di Pompeo di giardini nel Campo Marzio, nelle vicinanze del suo teatro, cfr. Plu., Pomp., 40.9. È probabile che poi questi giardini siano passati ad Agrippa.
2 7. 28.
Plin., Nat., 36.14.101; Suet., Iul., 3 9.1. Suet., lul. , 3 9·3·
29. Suet., lui. , 39.3; Cass. Dio, 43.2.3; App., BC, 1.101.
30. 3 1. 32..
Suet., lui., 37- 1 ; cfr. Sumi ( 1oos, P· s 8 ) .
App., Be, 1.101-101; Cass. Dio, 43·19.1-2.1.3; cfr. Weinstock ( 1971, pp. 76-9 ) . Cass. Dio, 43.11.1-3, 43.1 4.6. Sul cocchio eretto in suo onore e sulla statua di bronzo
che lo ritraeva in piedi su un'immagine
dell'oikoumene, cfr.
Zecchini ( 1001, p. 54, nota 9 8 ) ; Gradel ( 1001, pp. 61-9 ) .
33·
Nicolet ( 1989, pp. 39-41 ) ;
Fior., Epit., 1.13.88.
3 4 · Cass. Dio, 43.2.3.1-s.
35· Cass. Dio, 43-2.1. 1 ; App., BC, 1.101.414; Fasti Ostienses in Degrassi ( 1963, p. 183 ) . 36. Cass. Dio, 43.11.1-13. 37. Cass. Dio, 43-2.3.6. 38. Suet., Iul., 3 9 . 1 . 3 9 · Cass. Dio, 43. 2.2..3-4; Plu., Caes. , 5 5 . 4 ; Vell., 1.56. 1 ; App., Be, 1.101.413. 40. Cass. Dio, 43.11.3. 41. Cass. Dio, 45-17.8. 42. Cass. Dio, 43.13.4· 43· R GDA, 2.3 (trad. di P. Arena, Edipuglia, 1014 ) ; cfr. anche Veli., 2..1 0 0.2.. 44. Veli., 2.. 1 00.1; Tac., Ann., 12..56. 1 ; Cass. Dio, ss.1o.7. 45· Ov., Ars, 1.171-176. 46. Suet., Aug. , 43.1-5. 47. La studiosa arriva alla cifra di 2..550 combattenti, abbastanza vicina al totale presen te n el testo delle Res gestae, e ritiene che i restanti 450 combattenti erano quelli allocati su lle imbarcazioni di stazza più piccola non menzionate da Augusto.
48. Il significato implicito veicolato al popolo con tale naumachia è stato variamente int erpretato dai diversi studiosi: enfatizzazione del ruolo di Augusto come difensore de lla tradizione greca e come protettore dei Greci contro i barbari (Syme, 1974, p. 1 5 ) ; co m memorazione della battaglia di Azio e rappresentazione visiva e simbolica della vit to ria dell'Occidente sull'Oriente (Zanker, 19 89, p. 84 ) . 49.
Cass. Dio, 5 5 .10.8; cfr. Hannah ( 1998 ) .
162 so.
GLADIATORI , CARRI E NAVI
2.9; Ov.,
RGDA,
Fast. , s.s8o-s96; Cass. Dio, 54·8+
51. Plin., Nat., 3 5 ·93-94· 52.. Ov., Fast., s.s69-577 (trad. mia) . 53· Suet., Aug. , 2.9. 54· Ov., Fast. , 5·579-598 (trad. mia) . 55·
2.9.1 -2..
RGDA,
s6. Cfr. supra, p. 76.
57· Cass. Dio, SS - 10. 6-8 (trad. di A. Stroppa, BUR, 1998 ) ; cfr. anche Veli., 2..100.2.. s8. Verg., Aen . , S · H S -563. 59· Tac., Ann ., 1 2. .5 6. 1 ; Frontin., Aq. , 1 8, 2.2.. 6 o. Frontin., Aq., 1 1.1 -2., 2.2.-4-
61. Un passo di Cassio Dione ( 61.2.0.5 ) concernente Nerone e gli spettacoli degli Iuve
nalia comprova l'esistenza del canale :
« Dopo aver compiuto questa esibizione, invitò
il popolo ad un banchetto pubblico che si tenne su delle chiatte galleggianti nell'area in cui Augusto aveva fatto rappresentare la battaglia navale, da dove, verso mezzanotte,
discese verso il Tevere attraverso un canale » (trad. di A. Stroppa, BUR, 1999 ) . 62..
Nemus, quod navali stagno circumposuitAugustus ( Tac., Ann. , 14.15.2. ) .
63. Cass. Dio, 66.2.5.3· 64.
LTUR
III, p. 340.
65. Plinio il Vecchio
(Nat. ,
16.2.oo ) testimonia che l'isola, posta al centro del bacino,
era collegata all'argine con un ponte. 66.
CIL
VI, 3 1 5 6 6 = CIL XI,
3772.a
= ILS
5796.
67. Frontin., Aq. , 2.2..4. 68. Secondo la Forma
urbis Romae, essa doveva essere di forma rettangolare, benché
Coleman ( 1 9 9 3 , p. 53 ) abbia fatto notare che una forma arrotondata sarebbe stata prefe
ribile per attenuare la pressione dell'acqua sui bordi. Pertanto la studiosa conclude che la naumachia di Augusto dovesse avere forma ellittica e che le dimensioni fornite da Augusto nelle Res gestae corrispondano a quelle degli assi e non dei lati. Berlan-Bajard
( 2.oo6, pp.
172.-3 ) , invece, ritiene che non ci siano ragioni sufficientemente valide per
non accettare la forma rettangolare presente nella Forma anche lo
urbis Romae e considera che stagnum Agrippae aveva una forma rettangolare, pur non essendo destinato
alle rappresentazioni, e che gli spettatori avrebbero goduto comunque di una buona vi sta d'insieme, anche se disposti agli angoli del bacino. Inoltre, come ha suggerito Coa
relli ( 1 9 92., p. 47 ), parte del pubblico poteva anche assieparsi sulle pendici del Giani colo, come fanno gli spettatori di Claudio sulle colline che circondano il lago Fucino nel 52. d.C. 69. Plin., Nat., 1 6 . 1 9 0 ; Cass. Dio, 66.2.5.3-4 ricorda infatti un'isoletta presente nel baci no, sulla quale si trovava un monumento onorario.
Il ponte probabilmente collegava la
sponda a questa isoletta (Tosi, 2.003, p. 82.0 ). 70.
Tac., Ann., 14.15-1-2.; Cass.
71. Cass. Dio, 66.2. 5.3-4; Suet.,
Dio, 61.2.0.5.
Tit. , 7·7·
72.. Cass. Dio, 66.2.5.3-4· 73· Cass. Dio, 59.1o.s. 74· Dal momento che non si evince chiaramente se la nave vi fu portata, alcuni studios i hanno concluso che Caligola avesse soltanto provato ad allestire una naumachia e aves-
N OT E
se poi desistito dopo aver constatato l'insufficienza dello spazio a ospitare diverse navi ( Ville, 1 9 8 1, p. 1 3 2. ; Coleman, 1993, p. 56 ) . 7 5· Plin., Nat., 16.76.2.01·2.02., 3 6.70. 76. Suet.,
Ca/., 37·3·
77- Sen., Dia/. 10, 1 8.5- 6 ; los., AI, 19.5-6; Suet., Cal., 19, 32..3. Carro ( 2.013 ) annovera il ponte di barche tra gli esempi della particolare familiarità di Gaio con il settore navale e lo considera una dimostrazione di perizia tecnica, marinaresca e organizzativa, nel qua dro di uno studio volto a dimostrare l'uso efficace da parte di Caligola dello strumento navale nelle diverse sue forme. 7 8. Suet.,
Cal., 1 9 .
7 9· Cass. Dio, 59. 17.1-9 ( trad. di A. Stroppa, BUR, 1999 ) .
S o. Plin., Nat., 5.6.2.. Per lo scudo macedone, caetra, cfr. Liv., 3 1 .3 6.1.
8 1 . La connotazione trionfale emerge non solo dal passo di Cassio Dione ( 59.17. I · I I ) in
cui lo storico considera la duplice cerimonia messa
in scena da Caligola come la sua ri
sposta trionfale agli onori decretatigli dal senato, ritenuti indegni di lui, ma anche nelle
Epistulae ad Caesarem ( 3.9 ), in cui Caligola è definito quasi triumphans. 81. Suet., Cal., 19. 8 3 . RGDA,
I I.
84. Tac., Ann., 1 2. .56. 8 5 . Cass. Dio, 60.33.1-4 (trad.
di A. Stroppa, B U R, 1999 ) .
Claud., 2.1.12.-14. 8 7. Tac., Ann. , 1 2. .57· 88. Suet., Claud., 2.0.4. 8 9. Svetonio ( Claud., 17. 1 ) specifica che, pur avendo già gli ornamenti trionfali, Clau dio reputava che essi fossero troppo poco per la maestà del princeps e voleva l'onore di un trionfo secondo diritto, iusti triumphi decus, perciò prescelse la Britannia. 8 6. Suet.,
9 0. Cass. Dio, 6 0.2.1.2.·4. 9 1 . Cass. Dio, 60.2.1.4·5·
9 2 . Cass. Dio, 6 0.2.1.5·2.2..1-2.. 93· Cass. Dio, 6 o.2.2. .1-3. 94· Plin., Nat., 3 · 1 19. 9 5 · Caes.,
Gal/. , 8.51.
96. Una conferma della concessione del rientro agli esuli tra le disposizioni accessorie
viene da Seneca (Ad Pol , 13.2. ) , che sperava di poter tornare a Roma in occasione del trion fo di Claudio sui Britanni, ma fu deluso nelle sue aspettative. 97- Anche Cesare aveva fatto ciò in occasione del suo triplice trionfo del 46 a.C. ( Cass.
Dio, 43-2.1.2. ) . Cfr. supra, p. 1 2.3. 9 8 . Cass. Dio, 6 0.2.3·4·S ·
9 9 . Suet., Claud., 2.1.6. Gli spettacoli delle naumachie possono essere paragonati ai com battimenti di truppe gregatim, apparsi all'epoca di Cesare, in cui si affrontavano due schieramenti militari contrapposti. Come nelle naumachie, l'effetto dello spetta col o era dato dallo scontro di massa più che dal valore individuale. ll costo umano di questi due tipi di spettacolo contribuisce a chiarirne il carattere eccezionale. Cfr., in prop osito, Berlan-Bajard ( 2.oo6, pp. 3 5-6 ) ; Cariou ( 2.009, pp. 397-401 ) . l o o . Agrippa aveva ottenuto la corona navale dopo la battaglia di Nauloco (Verg.,Aen., 8 .6 8 2-684; Veli., 2..81.3 ; Sen., Benef, 3.32..4; Cass. Dio, 49.14.3 ) ; un'emissione monetale
GLAD IATORI , CARRI E NAVI
postuma mostra il busto di Agrippa con corona navale e sul rovescio Nettuno con delfino e un tridente
un
(RIC I ' , n. s8 ) . Per l'analisi dei tipi monetali con ritratto di Agrippa
con corona rostrata, cfr. Bastien (1991, pp. 130-1). Agrippa è molto presente nella prima fase del principato di Claudio nella celebrazione dinastica, perché era l'antenato del
ramo della famiglia dell'imperatore che poteva vantare la parentela con la gens Iulia (per la propaganda dinastica, cfr. Levick, 1990, pp. 41-6; per la statuaria, cfr. Romeo, 1998, pp. 87 ss.). Inoltre, sempre al 41-43 d.C. si data un'emissione monetaria bronzea, che riprende i tipi caligolei di Agrippina Maggiore che ricordano, nella legenda, Agrippina come figlia di Marco Agrippa e moglie di Germanico, non più come madre di Caligola come nelle emissioni precedenti (Kaenel, 1 9 86, pp. 30-1, 119-30; Romeo, 1 9 9 8, p. 8 8 ) . 101.
Tac., Ann., 11 .56.1.
101. Infatti, Cassio Dione menziona in due passi distinti l'edizione di una naumachia da parte di questo imperatore ; Seneca precisa che
è in occasione della seconda nauma
chia che un prigioniero destinato a esibirvisi si suicida (cfr. supra, p. 1 1 9 ) . 103. Tac.,
Ann.,
1 3 .3 1 . 1 ; Ps. Aur. Vict.,
Epit.,
S·3: Plin.,
Nat.,
1 9.14; Calp. Sic., 7.13-1 5 ,
7·3 S· s6. 104. Suet., Nero, 11.93. 105. Suet., Nero, 11.1-6. 106. Cass. Dio, 61.9.s (trad. di A. Stroppa,
BUR,
1999). L'ordine descritto da Svetonio,
che comincia con il munus, sarebbe stato adottato in funzione dell'interesse per gli spet tacoli, il numero dei senatori e dei cavalieri partecipanti al munus, che rendevano questo più straordinario della naumachia. Quella sarebbe anche la prima volta in cui la nau machia non costituirebbe il culmine dei giochi nel corso dei quali era stata prodotta. Soprattutto Svetonio
(Nero, 1 1 . 1 ) , allorché enumera i diversi tipi di spettacolo donati da
Nerone nel corso del suo regno, non menziona affatto la naumachia. Essa è evocata nel paragrafo successivo, allorché dettaglia più specificamente l'insieme delle manifestazio ni che ebbero luogo nel munus inaugurale nell'anfiteatro di legno. lO]. Tac., Ann. , 13·54: JLS 117: JLS s 640.
108. Tac., Ann., 1 3 .37-3 9 : ILS 118. 109. Cass. Dio, 6l.l5.1 (trad. di A. Strappa,
B U R,
1999 ) .
no. Secondo Ville ( 1 9 8 1, p. 140), questa naumachia ebbe luogo nello stagnum Agrip
pae; diversamente, Berlan-Bajard (1006, p. 30, nota so ritiene che, per poter riempire il bacino e poi svuotarlo del tutto per gli altri spettacoli, sarebbe occorso troppo tempo, data l'ampiezza del bacino stesso, che misurava 1 8 0 m.
x
110-300 metri).
Cass. Dio, 61.13-4-
n1. Corbulone e Tiridate, entrambi a piedi, si strinsero la destra. Tiridate confermò che si sarebbe recato a Roma e fu deciso che ponesse accanto alla statua di Cesare la sua corona, che non avrebbe più ripreso, se non gli fosse stata riconsegnata dalle mani di Nerone.
ll colloquio fu concluso con un bacio e dopo pochi giorni ebbe luogo la
(Tac., Ann. , 1 5.18.3, 15.19.1-3; Cass. Dio, 61.13.1-3). Tac., Ann., 1 5·30.1. Suet., Tit. , 7·7· Mart., Spect. , 3 (trad. di M. Scandola, B U R, 1996). Tue., I praif., 13, 1.19 e 1.46-51.
cerimonia n3. n4. ns. n6.
1 1 7. Per la questione dell'effettiva inondazione del Colosseo per l'allestimento delle naumachie, cfr. Berlan-Bajard (1oo6, pp. 149 - 5 3 ) ; Cariou (1009, pp. 3 17- 5 1 ) .
x6s
NOTE
u8. Cass. Dio, 6u;.1-4 (trad. di A. Stroppa,
BUR,
1999).
Spect., 24 (trad. di M. Scandola, B U R, 1996). Mart., Spect. , 28 (trad. di M. Scandola, B U R, 1 9 9 6 ) . Mart., Ep., 1.;; Suet., Dom. , 4. 1-2, 6-7. Suet., Dom. , ;. Plin., Pan. , ) l ; Paus., ;.12.6.
I l 9· Mart., 1 20. 121. 1 2 2.
1 23. 1 24. Cass. Dio, 67.8.1-2 (trad. di A. Stroppa, 1 2 ; . Cass. Dio, 67.7.2-3.
B U R,
1999).
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Indice dei nomi
Abascantus T. Flavius, S I Abigeius, 5 4 , 6o Acceptator, 6o Achillia, I04 Adorandus, 6s Adriano Publio Elio Traiano, imperatore, I 9-:z.o, 3I, I I I Advocatus, 6 o Aequoreus, uo Agilis, 66-7 Agostino Aurelio di lppona, 94-5, I 57 Agricola, 6o Agrippa Marco Vipsanio, n, I:z.:z., I38, I 6I-4 Agrippa Marco Vipsanio Postumo, 35· I2.9 Agrippina Maggiore, I9, 3I, I64 Agrippina Minore, I3S Aiax, 6o Akylon, 63 A/bus Quintus Sossius, 99 Alcides, 6s Alessandro Magno, re di Macedonia, 30, I:Z.I, 126, I33, I4I Alipio, 95 Alkimas, 63 Amabilis, uo Amandus (cavallo), 6I Amandus (gladiatore), uo Amator, 65
Amazon, 104 Ammiano Marcellino, :z.I, ISO-I
Amor, 65-7 Ampliatus, no Andraemon, 59 Androclus, 84 Animator, 6o Annio Vero Marco, 3I
Antigonus, no Antonia Minore, I8, :z.s, 3I Antonino Pio Tito Elio Adriano Augusto, imperatore, I9, 3I, 77 Antonio Iullo, I:Z.8 Antonio Marco, I:Z.6, I:Z.8, I6I Appiano, I:z.I, ISS· I6o-I Aptus, no Apuleio, I52. Aquilius Marcus Nuntius, IS3 Arena Patrizia, I8-9, :z.s, 3I, 72., 74, I 6 I Arethous, 64 Ariani/la, I07 Armenios, 66-7 Armentarius, no Artabano I I , re dei Parti, I34 Artemidoro di Daldi, I57-8 Arvali, 7I Astacius, 8 9 Asteropaios, 9 0 Astivus, 8 9 Astyanax, 8 7 Atlanta, I n
186 Attilius Marcus, 8 7 Aubry Sébastien, 63-4 Audin Amable, 74 Audollent Auguste, 66 Augenti Domenico, 84, ISS-6 Augustali, 2.4-s Augusto Gaio Giulio Cesare Otta viano, imperatore, n, I8-9, 2.s, 2.930, 33, 3s-6, 47, ?I, 74, 76, Iol., Io6, IIS, II?, l l 9· 2.0, Il.l.-32., I34 " 9• I42.-7, ISl., IS4· I6I-2. Aura, 6s Aureliano Lucio Domizio, imperatore, I3I, I48 Ausonio Decimo Magno, IS7• I6o Avilia Filippo, I 6 Avilius Teres, S4 Aviola Mania Acilia, 5 2. Avito Duvio, I 40 Balerianus Iulius, I l l. Bastien Pierre, 164
Batiatus Cneus Lentulus, 106
Beard Mary, ?I Bell Sinclair, 39, 49. 76 Benenatus, 6o Bennett Dirk, 6I Benoist Stephane, 2.9 Bergmann Bettina, IS Berlan-Bajard Anne, I6, Io3, ns-6, l l 9, Il.I-2., 12.6, I30, I32., I36·?· I39· I43· I46-8 Bernstein Frank, I? Beryllus, no Beste Heinz-Jiirgen, 77 Blake Marion, 64 Boculus, 48 Botrocales, 64 Braciatus, 82. Bridel Philippe, 74 Briquel Dominique, IOS
GLADIATORI , CARRI E NAVI
Britannico Tiberio Claudio Cesare, 3I, I37 Bruto Decimo Giunio, 85 Bruto Decimo Giunio Pera, 8s Bruto Marco Giunio, Il.? Cadario Matteo, Il.3 Caldelli Maria Letizia, IS, 49, SI, 98, Il l. Caligola Gaio Giulio Cesare Germa nico, imperatore, 90, I02., 107, I32.4• I3?·8, I62.-4 Calimo ifus, 59 Calpeno Quinto, Il.O
Calpurnianus Publius Aelius Gutta, 48, 54-6, 6o Calpurnio Siculo Tito, I64 Cameron Alan, 33 Campanus, no Campus, 65 Candidus, 6o Capito Caius Salvius, II3 Caracalla Marco Aurelio Severo An tonino, imperatore, I9, 77 Cariou Gerald, n 6-8, 12.0-I, I30, I389· I4S-8 Carro Domenico, 163 Cassiodoro Flavio Magno Aurelio, 78, IS3• IS6 Cassio Gaio Longino, 12.7 Catulo Quinto Lutazio, 2.1 Cavallaro Maria Adele, 2.0 Ceballos Hornero Alberto, 48, SI, 107 Celer, 6o Ceruleus, 64 Cesare Gaio (Agrippa Gaio Vipsa nio), 2.5-6, 2.9, 3 S · 12.9-31, 141 Cesare Gaio Giulio, 16-8, l.I, 2.8-9, 3 5 . 76, 8s, 106, ns, n8-2.s, 12.8, 130, 137 " 9• I46, ISI, 160-I, 163-4
IND I C E D E I N O M I
Cesare Lucio (Agrippa Lucio Vipsanio), 25-6, 29, 35, I29-3I, I42 Chastagnol André, 25, 48 Ciappi Maurizio, SI Cicerone Marco Tullio, 26-9, 32, 7I, 9 8. Il3, IS0-2, ISS-9· I6I Cinobellino, I37 Circius, so, 6o Claudia (figlia di Nerone), 3I Claudio Tiberio Cesare Augusto Germanico, imperatore, I 8-2o, 24-5, 3I, 33, 36, 50, IIS, II7-9, I29, I32, I34-9 · I44· I46. I62-4 Clavel-Léveque Monique, I7 Clemens Publius Cominius, I08 Clemente Alessandrino, 67, ISS Cleopatra VII, regina d'Egitto, 127 Coarelli Filippo, 76, 99, 107, I30-I, I6I-2 Coleman Kathleen, I 6, 84, 105, I34, I 62-3 Commodo Marco Aurelio, imperatore, I9, 74, 77• I09 Communis, 54 Compressor, 6I Corbulone Gneo Domizio, I40, I64 Corellio Lucio Nerazio Pansa, 52 Coricio di Gaza, 3 6, IS2 Cotynus, so Crasso Marco Licinio (edile), 75 Crasso Marco Licinio (triumviro), I27 Crasso Publio Licinio Divite, 85 Crawford Michael, 152, IS9 Crescens, so-I, 6o Crinitus, 65 Cupido, 65-7 Curione Gaio Scribonio, 76
Daedalus, 6o
Dagron Gilbert, 57
Danaus, 6o
Dardanus, 66-7
Darder Liss6n Marta, 6o Dario (figlio di Artabano m), 1 33-4 Darius, 66-7 de Revillas Diego, I4 7 Decebalo, re dei Daci, I4S Decker Wolfgang, 48, S I Degrassi Attilio, 1 8, 20, I61 Delicatus, so, 6o Demougin Segolene, 24 Derisor, 66-7 Dilectus, 65 Diliberto Oliviero, I09, m Dimundo Rosalba, 23 Diocles Gaius Appuleius, 32, so, SI -6, 60-I, 63-4, 152 Diomedes, 65 Dione Cassio Cocceiano, 19, 29-30, 33· 72-3, 77· I02-3, IOS, 118, 121, I24-S · I3I-2, I3s-6, I39 · 141-2, I44, 1so-8, 16o-s Dionigi di Alicarnasso, 23, 27-8, 32, ISI-2 Dionysios, 67 Diosono Francesca, I34 Dominator, 6o, 6s Domicilia Flavia Maggiore, 3 I Domiziano Tito Flavio, imperatore, 26, 77, 90, 103-s. 107, I22, 13I, I44-s. I6o Donato Elio, 156 Drakon, 90 Drusilla Giulia (sorella di Caligola), I8-9, 3 I Druso Maggiore, I8, 2 5 , 29 Druso Minore, 25, 29 Dunbabin Kacherine, 36, 61, 64-5 Duthoy Robert, 25
Echion, 103
Eder Walter, 25
188 Elagabalo Marco Aurelio Antonino, imperatore, I48 Eliano Claudio, I52., IS6 Elkins Nathan, 7I, 73-4 Enea, 12.9 Ennai:fer Mongi, 62., 64-5 Epaphroditus, 48, 54 Epplett Christopher, 75, 77 Erodoto di Alicarnasso, I03, IS8 Eros, 6I Eupreperia, 2.2. Euprepes, 64 Eutropio, 155 Eutyches (auriga), SI, 64 Eutyches (cavallo), 63 Euxodos, 2.2. Evangelisti Silvia, 153 Exochus Marcus Antonius, 112. Fagan Garrett, 76 Farnace, re del Pomo, I 2.2.-3 Fauquet Fabricia, 2.4, 3 8-9, 4I-3, IS3 Fauro Diane, 2.8 Faustina Annia Galeria Maggiore, 19, 3I Faustina Annia Galeria Minore, I9, 2.5, 3 I Faustus, 1 1 0 Felicissimus Sextus Iulius, 110 Felix (auriga), 67 Felix (gladiatore), 110 Felix Lucius Raecius, 88
Felix Marcus Ulpius, m Ferox (cavallo), 65 Ferox (gladiatore), 110, 113
Festo Pompeo, 9 7 Filippo Marco Giulio l�rabo, imperatore, I48 Filocalo Furio Dionisio, I9 Filoromus, 59 Firmico Materno Giulio, IS7
GLADIATORI , CARRI E NAVI
Fishwick Duncan, 2.8
Fiamma, 1 1 3
Flavio Filostrato, IS8
Floridus, 66-7
Floro Lucio Anneo, 1 5 8, I6I
Florus, 49-50
Flory Marlen, I37 Fora Maurizio, Io8-9, 165 Forichon Sylvain, 23, 27 Fortunatus (auriga), 54 Fortunatus (cavallo), 63 Fraschetti Augusto, I3, 26 Frontino Sesto Giulio, 12.9-30 Frunitus, 6o-I Fulgidus, 67 Fulvio Nobiliare Marco, 75 Furnio Gaio, 1 1 Fuscus, SI Futrell Alison, IS Gaio (giurista), I09 Gellio Aulo, 79, 84 Generosus, 110, 113 Germanico Giulio Cesare, 2.5, 2.9, 5 2., IS2, 164 Germanus, 110 Germinator, 6o Giovanni Primicerio, 3 6 Giovenale Decimo Giunio, n. Io4, ISI-8 Giuba, re di Mauretania, 12.2. Giulia (figlia di Cesare), 121, 124, 1 60 Giulia Flavia Augusta, 3 1 Giulia Maggiore, I2.8 Giuseppe Tito Flavio, 160, 163 Glabrione Manio Acilio, 52. Glaucus, 1 10 Gloriosus, 82 Gnecchi Francesco, 152 Golvin Jean-Claude, 14-6, 71, 102. , 106, 139
INDICE D E I NOMI
G6mez Pallarès Joan, 51 Gonz:Hez Galera Victor, 36 Gordiano I I I , imperatore, 33 Gordon Arthur, 154 Gounari Emmanouela, 59 Gradel Ictai, 1 6 1 Granino Cecere Maria Grazia, 5 1 Gratus, 112. Gregori Gian Luca, IQ7, 109, 153 Griffin Miriam, 141 Guarino Antonio, 109, 111 Guey Julien, 30 Hannah Robert, 12.6, 161 Hanson John, 72. Harris Harold, 32., 54, 61
Hector, n o Hederatus, 6o Helenus Sextus Vistilius, 49-51 Heracla, n o Hermes, 1 10 Hilarus, 87 Hirpinus, 59
Hopkins Keith, 1 4-s. 71 Horsmann Gerhard, 31, 47-9, 53, III, 153 Hostilianus, 104 Hugoniot Christophe, 47-8 Humphrey John H., 13, 2.4, 32.-3, 35, 37· 41, 54· 59· 62. Hyland Ann, 59, 61-2.
lanuarius, so Imboutrious, 66-7 lnachos, 66-7 Inluminator, 61 lnvictus, 6o
Ioppolo Giovanni, 153
lpparchus, 65
Isidoro di Siviglia, I o o - I , 15 1-3, 157
Ispicatus, 64 Iulo, 12.9
luvenis, n o , 114 Jacobelli Luciana, 16 Jordan David, 151 Junkelmann Markus, 39, 62., 72., 78, 86, 91, 98, 100-1 Kaenel Hans-Markus, 164
Kalendio, 87
Kolendo Jerzy, 13, 2.4, 71 Kondoleon Christine, 15 Kyle Donald, 1 5
Laberio Decimo, 12.0 Lamurus, 67 Landes Christian, 64, 102., 106 Latham Jacob, 14 Lattanzio Lucio Cecilio Firmiano, 67, I SS Lawrie Margaret, 61-3 Lazzarini Sergio, I I I L e Glay Marcel, 74 Lentulo Publio Cornelio, 75 Lepido Marco Emilio, 85 Leptino Furio, 12.0 Levick Barbara, 102., 164 Libone Marco Annio, 52. Likos, 66-7 Liverani Paolo, 12.2. Livia Drusilla Claudia, 1 9, 2.5, 30-1, 137 Livio Tito, 32., 150-3, 155-7• 159-60, 163 Longo Sara, 109 Lucidus, 54, 6o Lucilio Gaio, 160 Lucio Vero, 31, 66
GLADIATORI , CARRI E NAVI
Lugaresi Leonardo, 43, 46, 93, 157 Luxuriosus, 64 Macrobio Ambrosio Teodosio, ISI Maiuro Marco, 72 Manas Alfonso, IOS Manlio Gneo Massimo, 85 Marcattili Francesco, I4, 30, 37, 4I, 53 Marcello Marco Claudio (nipote di Augusto), 25-6, 29, 76 Marciana Ulpia, 3I Marcianus (auriga), 6I Marcianus (gladiatore), 1 10 Marco Aurelio Antonino, imperatore, I9, 25, 3I, 66, 77, 90, Io8-9 Margarites, I I I Martialis Caius Pompeius, I07 Marziale Marco Valerio, 26, )I, 59, 73· 84, 9I, I03, I4I, I43· 4· ISI, IS3·9· I 64-5 Massaro Matteo, so Matidia Salonina, 3 I Matz David, ss Maxfield Valerie, 25 Maximus, 110, 113 Mazzei Paola, I 3 I, I46 McCullough Anna, I02, IOS Mecenate Gaio Cilnio, 33 Messalina, I37 Minucio Felice Marco, 67, ISS Morelli Francesco, 99 Mosci Sassi Maria Grazia, 8s-6, 99IOI, 106, 110 Muccosus, 6o, 64 Munoz-Santos Maria Engracia, 35, 78, 82 Musclosus Pompeius, SI, 54 Narcisso, 26
Narcissus, 110
Narkissos, 67
Nelis-Clément Jocelyne, I 4·S· 31, 33, 38, 43, 49. 53. s6-9 Nepos Titus Haterius, I07 Nereo, 64 Nerone Claudio Cesare Druso Ger manico, imperatore, I9 · 20, 23-4, 3 1, 76-7, I03, 105·6, n 8-9, I 3 I, I3S· I394I, I44, I46, I60, I 62, I64 Nerva Marco Cocceio, imperatore, 3 I, so, 6o Nicola Damasceno, 102, IS8 Nicolet Claude, 1 6I Nilos, 64 Nimbus, 66-7 Nitidus, 6o
Oceanus, 6o Olivova Vera, 62 Orazio Quinto Fiacco, 7I, ISI, ISS · IS7· I60 Orpheus (auriga), 49 Orpheus ( gladiatore) , 110 Ovidio Nasone Publio, 23, 27-8, 3 7, s6. 115, I25, 127, ISI-6, I6o-2 Pallante, 26
Palmatus, 6o Pani Mario, 128 Paolo Diacono, IS7 Papini Massimiliano, 83-4 Paratus, 54, 6o, 66-7 Pardos, 67 Pardus, I IO-I Parker Holt, 26 Pascasus, 64 Passer, 6o Patercolo Gaio Velleio, ISO, I 57• I 60-3 Patricus, 65 Patronus, 6o
191
IND I C E D E I NOMI
Pavolini Carlo, I07
Pegasus, 65 Pelagos, 2.2. Perassi Claudia, I40
Perdrix, 6o
Pertinace Publio Elvio, imperatore, 3I Petronio Gaio Arbitro, 53, I03-5, I 5 I, I54-8 Phaedrus, 6o Phoenix, 66-7 Pisani Sartoria Giuseppina, 153 Placentinus, 110 Plass Paul, I5 Plauto Tito Maccio, 75, I 55 Plinio Gaio Cecilio Secondo, detto il Giovane, 2.4, I5I, 165 Plinio Gaio Secondo, detto il Vec chio, 2.3, 61, 66, 115, 12.7, I3I-2., ISI, IS4-7, I 6I-4 Plotina Pompeia, 3 I Plumeus, 6 4 Plutarco, 70, I6o Pollione Rufrio, 137 Polydus, 6I Polyneikes, 110 Pompeianus, 54, 6o, 63-4 Pompeo Gneo Magno, 76, I61 Poppea Sabina, 3 I Praeclarus Tetrapla, 66-7 Pretiosus, 66-7 Primus, 110 Prior, 110 Probo Marco Aurelio, imperatore, 82. Probus, 110 Procopio di Cesarea, 36, I52. Proculus Vàlerius, I07 Properzio Sesto, I5I-2. Prophikios, 67 Protos, 67 Prounicus, 66-7
Prudenzio Clemente Aurelio, I56 Pseudo Aurelio Vittore, 164 Pseudo Quintiliano, 156 Pugio, 6o, 67 Puglisi Gaetano, 46 Pulcher, 110 Pupillus, 65 Puripnous, 64 Quintiliano Marco Fabio, I 53· I 56, I 59
Rapidus, 1 10 Rawson Elisabeth, I3, 2.5-6, 48, 7I Reddé Miche!, I 6 Restutianus, 6 7 Ricci Carla, I 53 Richardson Lawrence, 7I Robert Louis, 97, I I I, 113, I 59 Roddaz Jean-Michel, 14 Roddguez Connie, I3 Rogato Mario, 54 Rohr Vio Francesca, 12.8 Romeo Ilaria, 164 Rose Peter, 2.4 Royo Manuel, I3 Rufo Publio Rutilio, 85 Ryberg lnez, 72. Sabbatini Tumolesi Patrizia, 69, 82., 88, 99, 106, I09-11, 113 Sabina Vibia, 3I Sabinus Claudius, 64 Sagitta, 6o Salzman Michele, 19, 2.8 Sassone, 55 Sattara, 64 Scauro Marco Emilio, 76 Scaurus Caius Aurelius, I06 Scaurus Umbricius, 9 9 , IOI
GLADIAT O RI , CARRI E NAVI
Scevola Quinto Mucio, 75 ScherfVolker, 63 Schliiter Margildis, 63 Scipione Africano Publio Cornelio, 50 Scipione Nasica Publio Cornelio, 75 Scirtus, 51 Scorpus, so-I, 54 Scullard Howard, 30 Seneca Anneo il Vecchio, 155-7 Seneca Lucio Anneo, 53, 86, 89-90, 119, 153-6, rs8, 160, 1 63-4 Servatus, 67 Servio Mario Onorato, 8s. I S I, rs6. 158, r 6o Settimio Severo, imperatore, 19, 104 Sidonio Apollinare, 3 8, 40, 42, 66, 153-4 Silano Gaio Giulio, 11 Silio ltalico Tiberio Cazio, 66, 1 53-4 Silla Lucio Cornelio, 17 Silvanus, 6o Simos, 64 Simplicius, 82 Smaragdus, 1 10 Sorothus, 62, 65 Spartaco, 106 Sperti Luigi, 140-1 Speudusa, 59 Stazio Publio Papinio, 82, 103, 153, rs6, 158 Stenhouse William, 154 Storax Caius Lusius, 87, 99 Studiosus, 110 Suftnas Sextus Nonius, 17 Sumi Geoffrey, 123, 127, 1 60-1 Superbus, 110 Superstes, 6o Svetonio Gaio Tranquillo, 29-30, 35, 102-3, 105, 115, 118, 121, 125, 132, 135-6, 139 · 144 · rso-6s
Syme Ronald, 127, 161
Synetus Lakedaimonios Neikeforos, uo Tacito Publio Cornelio, 105, ns. 12 930, 134-6, 138, rsr, 154-s. 157-8, r 6 o 4 Tarquinio Prisco, re di Roma, 32 Tasinato Maria, 45 Tauro Tito Statilio, 76 Taylor Rabun, 1 1 6, 1 3 1 Tedeschi Gennaro, 152 Tertulliano Quinto Settimio Fioren te, 43, 45, 67-8, 72, 84, 92, 94, 1 5 1, 153-7 Thallus, 54 Thuillier Jean-Paul, 15, 31-3, 48, so-I, s8, 64. 152, 154 Tiberio (Claudio Nerone) Giulio Ce sare Augusto, imperatore, 1 8, 20, 25, 29-30, 4 7-8, 1 15, 128, 131 Tiridate, re d'Armenia, 19, 103, 140-1, 1 64 Tito Flavio Vespasiano, imperatore, 31, 73, 76, 103, 1 19, 131, 141-4, r 6o Titus, 103 Tolomeo n , re d'Egitto, 30 Tolomeo X I I I , re d'Egitto, 122 Torelli Mario, 14 Torkouatos, 63 Torquato Gaio Bellido, 52 Torquato Lucio Nonio Calpurnio Asprenate, 52 Tortorella Stefano, 35 Tosi Giovanna, 1 62, 1 6 5 Toynbee Jocelyn, 30, 59-60, 64 Traiano Marco Ulpio, imperatore, 1 6, 19-20, 24, 31, 77, 107, 1 12, 1 1 6-7, 145-7 Trannoy-Coltelloni Michèle, 24 Trebonianus, 107 Tremel Jan, 66, 151 -
193
IND I C E D E I NOMI
Trimalchione Gaio Pompeio Mecenaziano, 53
Triumphus, u o
Tucidide, 142, 1 64 Tuck Steven, 72
Turbo Quintus Marcius, 107 Tyrios, 66-7 Ulpia Syntyche, m Urbicus, 112 Ursio, u o Valentiniano III, imperatore, 36 Valerio Massimo, 151, 155-6. 158-9 van Winden Jacobus, 45 Varrone Marco Terenzio, 66, 78, 1 52-5, 157 Vegezio Flavio Renato, 156 Venustus, 54 Vergnieux Robert, 24 Vero Marco Annio, 31 Vespasiano Tito Flavio, imperatore, 3 I, I3 I Vespignani Giorgio, I4, 28 Vestali, 24-5, 71 Veyne Paul, IO, I3 Victor, 55, 6o, 66-7 Vigneron Paul, 63
Ville Georges, 14, 70, 7 5, 85-6, 91, 9 9 IOI, 105-6, 110-1, 113, 1 1 6, 1 4 4 , 156, 163-4 Vindex, 6o Virgilio Publio Marone, 61, 154, 156, 162-3 Virginios, 22 Virilis, 66-7 Vismara Cinzia, 82-3 Vittatus, 66-7 Vittore Sesto Aurelio, I65 Volens, 6o Vologese 1 , re dei Parti, I40 Weinstock Stefan, 28, 124, I61 Weitzmann Kurt, 64 Welch Katherine, I5 Wiedemann Thomas, 15 Winterling Aloys, I 34
Ycus, 64 Zanker Paul, 161 Zecchini Giuseppe, 128, 16I Zenobia Septimia, regina di Palmira, 148
Indice dei luoghi
Africa, 49, 62, 78, 104 Aix-en-Provence, IIO Alba Longa, 1 29 Alessandria d'Egitto, 1 8, 107, n 2, n8, !26 Algeri, 64 Algeria, 64 Alicarnasso, 23, 27, 32, 104 Amburgo, 105 Amiternum, 72-3 Antinoopolis, 34 Aquileia, 36, 99 Asia, 120, 1 3 8 Atene, 143 Ausonia, 127 Aventicum, 74 Azio, 126, 161 Baia, 132-4 Barcellona, 33, 56, 58 Batnas, 20 Benevento, 99 Berlino, 90, 101, 153 Bir-El-Djebbana, 155 Biserta (Hippo Diarrhytus), 6s Bitinia, 120 Borj-El-Kantara (Meninx), 64 Bovillae, 41, SI Britannia, 33, 137, 163 Calabria, 86 Campania, 62, 8 6, 132
Camulodunum, 137-8 Cappadocia, 49 Capua, 72, 106-7 Carre, 128 Cartagine, 22, 95, 155 Castel Sant'Elia, 153 Cesarea di Palestina, 36, 160 Cherchel, 64 Chieti, 87, 99-100 Cirenaica, 62 Cnido, 134 Corcira, 142 Corinto, 142 Creta, 84 Dacia, 103, 145, 147 Dalmazia, 10 8 Danubio, 145 Efeso, 90, 101 Egitto, 1 1 8, 120-2, 126 Emilia, 108 Etruria, 32 Farsalo, 1 8 Filippi ( Colonia Victrix Philippensium), 59, 127-8 Firenze, 101, II2 Foligno, 57 Fucino, lago, II7-8, 134, 13 6-8, 1 44, 162
GLADIAT O RI , CARRI E NAVI
Gallia, 62, 113, 137 Gerona, s8 Grecia, 1 9
Hadrumetum ( Sousse ) , 6 2 , 65, 78-9
Nauloco, 163 Nemi, lago, 132 Nilo, 104, 121, 142 Nisibi, 20 Nocera, 155
Hannover, 63
Ilerda, 1 8
India, 1 3 3 Istanbul, 83 Italia, 62, 107-8, 1 1 9, 124, 129, 133
Larino, 102
Laurentum, 108 Leptis Magna, 36
Libia, 36, s6, 104, 153 Liguria, 108 Lione, 39-40, 57· 153 Londra, 99, 104, 112 Lucania, 86 Lugdunum, 74 Madrid, 87
Marcianopolis, 1 10
Mar Mediterraneo, us-6, 121 Mar Nero, 103 Martignano, lago (lacus Alsietinus) , 1 29 Mauretania, so, 6o, 62, 122 Meninx, 64 Mérida, 61 Messina, 143 Milano (Mediolanum), 34, 1 1 2 Monaco, 98 Munda, 18 Napoli, 63, 72-3, 98-9
Narbo Martius, 74
Oceano, 123, 137-8 Opitergium ( Odezzo ) , 141 Ortigia, 1 3 1 Ostia, 3 3 , 104, 1 3 2 Oxyrhynchus, 3 4 Pannonia, 108 Partia, 128 Peloponneso, 142-3 Pergamo, 107 Piazza Armerina, 33, 43, s6-8, 153 Pompei, 69-70, 72-3, 87-91, 98-9, 101 -2, 153· ISS Pozzuoli, 103, 13 2-4 Radès, 82 Ravenna, 39, 137 Reno, 123 Rhandeia, 140-1 Rheinzabern, 100 Rodano, 113, 123 Rodi, 134 Rodope, 142 Roma, 9-14, 16-7, 19-20, 24-7, 29, 3 1, 33-S· 47·9· SI, 59 · 64, 69, 70-I, 75· 7· 79-80, 84-6, 88-9, 96-7, 101-2, 104-5 • 107·8, 1 1 1 -4, 11 6-7, 11 9·26, 129·30, 132-4, 137· 139•41, 143 · 145·6, 148, 162-4 Salamina, 126 Sannio, 99
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IND I C E D E I LUOGHI
Sardegna, 62 Sarsina, 111 Sicilia, 49, 62, 75, 134, 143 Sidi Abdallah, 6s Silin, s6, sB-9, 153 Siracusa, 131, 143 Siria, 160 Smirat, 78 Smirne, 8 o, 83 Sofia, 78 Sousse, 62, 6s, 78-9 Spagna, 35, 62, 1 1 3 Sparta, 6 2 Speyer, x oo Tagaste, 95 Tamigi, 137 Tapso, 18 Taranto, 8 6 Tarraco, 5 1 Tessaglia, 6 2 Tessalonica, n o Tevere, 121-2, 1 2 5 , 130-1, 1 3 8, 144, 147, 162
Thélepte, 79
Thermodon, 103 Thugga, 61
Tiro, 104, 120 Transpadana, 108, 137 Trastevere, 129-30, 146 Treviri, 61 Tripoli, 80-1 Troia, 121, 124, 129 Tunisi, 6s, 79, x ss Tunisia, 62, 64 Venezia, 141 Venusia (Venosa), 101, 1 1 3 Verona, 113 Vienne, 112-3 Viterbo, 153 Wadi Lebda, 36
Zela, 1 8
Zliten, 8o-1, 8 3 , 8 6 , 8 8 , 90, 99