Fabrizio De André. La storia dietro ogni canzone 8878995118, 9788878995116

Questo libro racconta tutte le opere di Fabrizio De André (1940-1999), brano per brano, in ordine alfabetico. Tutti i pe

134 23 6MB

Italian Pages 204 [209] Year 2012

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

Fabrizio De André. La storia dietro ogni canzone
 8878995118, 9788878995116

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

Copyright© 2011 Loren:r.o Barbera Editore Sri via Massetana Romana 52/a, 53100 Siena (ltaly) tel. 0577 44120 fax 0577 47883 e-mail: [email protected] web: www.barberaeditore.it

Prima edizione: dicembre 2011

Guido Michelone

Fabrizio De André La storia dietro ogni canzone

EE

BARBERAEDITORE

Prefazione Fabrizio De André, dai flauti e dai violini

Un percorso, . quello di De André, che ha sempre saputo rinnovarsi stilisticamente, mantenendo intatta l'ispirazione morale, e mai moraleggiante, a favore delle minoranze, degli emargi.nati, e contro il potere, qualunque forma esso assuma. Dalla sua anche una voce profonda ed evocativa e la capacità di utilizzare al meglio gli apporti di tutti i collaboratori e coautori. ENRICO DEREGIBUS

Quando Fabrizio De André è morto avevo nove anni. Non ricordo della sua morte mentre ricorderò probabil­ mente quella di Amy Winehouse. Non ho vissuto i tempi in cui la sua parola suonava rivoluzionaria, solo questi in cui resta poetica e ancora contemporanea e incisiva e nuova nel momento in cui la si inizia a conoscere. A dispetto di una logica che pare schiacciante, non sempre le cose sono o sembrano nuove quando le si inizia a conoscere. In partico­ lare se sono inedite solo per te e non per tutti, può accadere facilmente che questa categoria di novità vada perduta. Per quanto riguarda il mio approcciarmi a De André non è an­ data così. Vi devo chiedere scusa per queste premesse che possono sembrare futili, il fatto è che probabilmente la maggior par­ te dei lettori di questo libro ha conosciuto De André quan­ do era "nuovo per tutti", ha dei ricordi di lui, immagini; sa­ prebbe riconoscere al volo la voce del cantautore che parla, troverebbe familiari i gesti e i modi. La mia è una conoscenza a posteriori: non sono mai stata a un suo concerto, non ho mai avuto modo di acquistare un suo disco fresco di stam­ pa, non l'ho mai visto in una diretta tv, non l'ho mai sentito

5

durante un'intervista alla radio né, naturalmente, ho avuto occasione di conoscerlo personalmente. Credo, dicevo, che a molti di voi che state leggendo, almeno alcune di queste cose siano capitate, o forse no, se non siete i famosi "lettori modello", siete magari dei lettori un po' discoli. Fatto sta che io, quando Fabrizio De André è morto, avevo nove anni e di tempo non ne è passato poi così tanto. Scusate allora se nell'introduzione di questo curioso prontuario deandreiano vi tocca leggere di me e non di lui direttamente, ma non mi sento autorizzata a raccontare della sua vita né ciò sarebbe interessante e/o intelligente. Il primo ricordo che ho di De André è l'immagine, vi­ sta in tv, di lui che suona tra castelli di carte giganteschi, ricordo anche che la didascalia recitava Fiume Sand Creek, ricordo che il titolo mi incuriosì molto ma il brano non mi piacque particolarmente, infatti ancora oggi è uno di quelli che meno amo del suo canzoniere. Ricordo che contriti e un po' orgogliosi i miei genitori osservavano lo schermo e mi dicevano di aver assistito a un concerto di quel tour, l'ul­ timo, quello del 1 998, che tra le varie tappe si era fermato anche a Vercelli. De André lo si ascoltava in macchina, sulla Renault 5 grigia di mia madre durante i viaggi più lunghi. Battisti a dire il vero andava per la maggiore, ma durante i viaggi lunghi (che comunque non superavano gli ottanta chilometri, poiché per tragitti più complessi la scelta rica­ deva sulla Volvo paterna, una di quelle station wagon anni Novanta simili a casse da morto) esauriti Lucio Battisti vol 1 e vol 2 c'era spazio anche per Battiato e De André. Di Battiato ricordo Fisiognomica che era anche il titolo, anche questo decisamente curioso, scritto sull'audiocassetta; di De André Il testamento di Tito che, sola, dieci chilometri li ri­ empiva e che veniva ascoltata in religioso (si fa per dire) si­ lenzio. Diciamo che La buona novella non era forse lalbum giusto per introdurre una decenne a De André. 6

Poi è successo che anch'io ho iniziato a scrivere alcune canzoni e melodie e musiche e a conoscere chi aveva fatto bene queste cose nel passato. Tra questi Fabrizio De André, che ho ascoltato, riascoltato, studiato, suonato. Perché poi se la gente sa, e la gente lo sa che sai suonar, ti chiede di suonare De André con una frequenza inaudita: ai falò, ai pique-nique, ai concerti, ai reading, al saggio della scuola; un po' come al suonatore Jones. Cioè, a lui non chiedeva.,. no di suonare De André, piuttosto, che.so, una polka, non· fosse altro che Jones suonava il violino. Anzi, secondo De André, Jones suonava il flauto, e questo è un fatto . curioso. Pare che gH antichi (e per antichi si intende come sempre i greci) distinguessero gli strumenti musicali "apollinei" da quelli "dionisiaci": il flauto rientra nella categoria dei dioni­ siaci perché il suono è prodotto dal fiato dello strumentista, nasce dall'interno, dalle viscere e scaturisce direttamente da impulsi primitivi, profondi, spontanei; gli strumenti a cor­ da invece no, ci vuole un certo controllo, si suonano con grazia, razionalità e precisione, s'il vouz plait. Mi è sempre piaciuta questa faccenda di cui parlavano, pare, i greci e, nonostante la motivazione ufficiale per que­ sto cambio di strumento rispetto al testo di Lee Master sia di natura metrico-fonetica, visto il personaggio, secondo me aveva ragione Faber (permettete l'appellativo immotiva­ tamente confidenziale): Jones suonava il flauto. In ogni caso vi racconto questo perché quella è la mia preferita delle sue canzoni, tratta dall•album che preferisco; mi piace in.parti­ colare uno dei versi iniziali "Sentivo la mia terra vibrare di suoni, era il mio cuore", penso eh� ogni suonatore ami un po' questo verso, a me fa proprio venfre in mente il momen­ to in cui suono un accordo di chitarra. In un noto dialogo/intervista con Fernanda Pivano, De André dice di non essere certo di potersi paragonare a Jones, che sceglie la musica come un'alternativa, una filosofia di 7

vita e non come un mestiere. Di certo in comune hanno una dote, che dovrebbe appartenere a tutti i poeti e a tutti i suonatori, quella di saper vedere al di là dei vortici di polve­ re una realtà più profonda e autentica, personale e universa­ le, e non la sola siccità. Ma oltre allO sguardo serve la parola, per raccontare ciò che si è visto, o la musica, che racconta bene uguale, nel caso di De André una parola musicale, che sa creare imma­ gini vivide, che è plasmata e insieme immediata, che rac­ conta emozioni vive con forme complesse e misurate (o a volte volontariamente smisurate) ma non per questo poco dirette; un voyant che non vuole essere altro da sé e che, al posto dell'ignoto, preferisce comunicarci messaggi ben precisi con un linguaggio che trova uno spazio puntuale su melodie semplici ed eleganti. Melodie che sono nuove ed eterne, a volte rubate e, anche per questo, quasi archetipi­ che; melodie che, forse non solo per una fortuita casualità, spesso, sono suonate insieme dai flauti e dai violini. CARLOT-TA

8

Fabrizio De André La storia dietro ogni canzone

Sciascia diceva che la canzone, per essere utile, deve essere sCritta da un uomo di cultura che sappia, però, esprimersi in maniera popolare. FABRIZIO DE ANDRÉ

Premessa

Insomma, io preferisco continuare a scrivere canzoni, non so se loro siano delle stesso parere.

Nell'abbondante bibliografia su Fabrizio De André, che s'arricchisce di giorno in giorno'-- talvolta con libri, libret­ ti, libracci che, come un vecchio calzino, risvoltano la vita e l'opera di un uomo e di un artista resosi mattatore della storia della canzone italiana da mezzo secolo in qua - noto che manca all'�ppello un testo che prenda in considera­ zione i singoli brani di un 'canzoniere' immenso: immen­ so soprattutto dai punti di vista formale e contenutistico. Ecco quindi la ragione di questo mio libro che per la pri­ ma volta offre, in comodo ordine alfabetico, tutti i pezzi scritti, cantati, musicati, interpretati dal grande Faber: non solo i 1 30 song (editi e inediti) pubblicati ufficialmente su disco a suo nome, ma anche quelli - all'incirca 88 - dove la presenza è per così dire secondaria, nascosta, discreta o indiretta, pur contribuendo appieno alla realizzazfone di opere d'arte, così come va oggi ritenuta la Canzone d'Au­ tore, di cui Fabrizio De André resta l'indiscusso assoluto protagonista, ieri come oggi. Il volume dopo una breve introduzione che chiamerei Song OfFaber, 'dove spiego perché mi addentro a parlare di tutti questi brani, parte subito con il lungo capitolo Analisi . delle canzoni, dove mi concentro su ben 2 1 8 titoli, come appena detto: molti classici evergreen, mol�issimi capolavori, altri 'segni' inequivocabili del XX secolo, altri ancora oscu­ ri reperti dimenticati o miracolosamente riscoperti. Faccio poi seguire il capitolo Gli album ufficiali dove semplicemen­ te riporto tutto quanto scritto in copertina o sulle buste che 13

·

contengono, in vinile o in digitale, l'opera omnia musicale del Genovese in vita: e faccio presente che, per fortuna (e per passione), posseggo ancora tutti gli LP e CD originali (in ottimo stato). Il capitolo finale è un'autentica curiosità (o almeno lo spero): Gli incipit celebri attiene infatti alle pri­ me parole, con le quali iniziano tutte le liriche deandreiane. E termino, come sempre, con una Bibliografia ragionata, dove il 'ragionamento' è indirizzato all'offrire una guida a libri, DVD, siti da leggere o consultare non senza 'divorare' in primis questo mio Fabrizio De André, la storia dietro ogni canzone. Desidero infine ringraziare tutti i critici, i musicisti, gli studiosi, gli appassionati, i musicologi, i giornalisti, i fan, gli amici che, attraverso le loro idee, per me sono fonte ispirati­ va continua in questa sorta di work in progress sul Folksin­ ger ligure. Dunque un grazie, in rigoroso ordine alfabetico, per restare in tema con il libro, a Giusi Baldissone, Gian Luca Barbera, Remo Bassini, Alberto Bazzurro, Riccardo Bertoncelli, Carlo Bonanni, Matteo Borsani, Bruno Bigoni, Paolo Briganti, Gianluigi Bulsei, Roberto Cappelli, Rober­ to Cotroneo, Cristiano De André, Luvi De André, Enrico De Regibus, Doriano Fasoli; Alfredo Franchini, Ale$sandro Gennari, Ezio Gentile, Dori Ghezzi, Romano Giuffrida, Luciano Lanza, Luca Maciacchinì, Max Manfredi, Gian­ ni MentigaZzi, Pier Michelacci, Vincenzo Mollica, Liana Nissim, Mauro Pagani, Cesare G. Romana, Gianni Sibilla, Carlotta Sillano, Giorgio Simonelli, Walter Spaggiari, Fran­ cesca Tini Brunozzi, Gabriele Varalda, Paolo Villaggio e al carissimo ricordo di Ezio Alberione, alla cui memoria dedi­ co idealmente il libro. G.M.

14

Song Of Faber

Sono stato anche mesi e mesi senza pemare a comporre. Poi d'improvviso riprendo in mano i pemieri appuntati tempo prima e ci lavoro senza tregua.

Canzone di Fabrizio, o canzoni di Fabrizio De André, per gli amici Faber. Nell'arco di oltre quarant'anni, fra il 1954 e il 1998, Fabrizio Cristiano De André (1940-1999) lavora a ben 218 opere più o meno note, di cui 212 canzo­ ni, quasi tutte da lui partorite in collaborazione con grandi musicisti - compositori o cantautori - da Gian Piero Re­ verberi a Nicola Piovani, da Francesco De Gregori a Mauro Pagani, da Massimo Bubola a Ivano Fossati (per citare solo i più noti); e la collaborazione si estende persino a poeti e cabarettisti, da Roberto }v1annerini a Paolo Villaggio, per non parlare dei folksinger tradotti come George Brassens, Bob Dylan, Leonard Cohen. I più maligni sostengono che Faber - così soprannomina­ to non per una latinizzazione, ma per la passione giovanile verso i pastelli Faber-Castell - da solo lavora esclusivamente a una dozzina di canzoni. Ma si tratta di un falso problema nel senso che i 130 song del suo canzoniere ufficiale (ester­ nato attraverso tredici album in studio, più volte ristampa­ ti e a tutt'oggi disponibili in versione CD o in cofanetto) restano di fatto deandreiani in toto, perché fatti propri nel modus, nello stile, nella voce, nell'interpretazione, insom­ ma in un'arte che non ha eguali, nella cultura italiana, con quella di altri cantautori, folksinger, cantastorie, rockmen, crooner o neomenestrelli. Le canzoni di Fabrizio, poi, sono tutte di altissima qua­ lità: a un attento, ripetuto, circostanziato riascolto non ve ·

15

n'è una da buttare, persino tra quelle adolescienziali, da lui considc;!rate, alla fine, come peccati di gioventù. La qualità concerne anzitutto lo specifico della forma-canzone al qua­ le lo stesso De André tiene particolarmente, ritenendola in primis:la sua arte peculiare, il segno identitario, l'elemento fondante, il mezzo espressivo congeniale. Dagli anni Ses­ santa ai Novanta Faber mai si considera scrittore o poeta: ri­ tiene assurdo o fuorviante vedere pubblicati, nelle antologie scolastiche, i suoi testi alla stregua delle liriche di Petrarca, Leopardi o Ungaretti, poiché la canzone - anche quella co­ siddetta d'autore - ha strutture diverse dalla Poesia con la P maiuscola, pensata unicamente per la lettura o la pagina di libro. Nonostante ciò, i versi scritti dal 'trabadour' di Pegli elegante quartiere genovese, dove nasce da famiglia alto borghese - mantengono sempre valori elevatissimi sotto il profilo estetico-culturale, giacché Faber possiede (e mostra) la stoffa tanto dell'artista quanto dél ma!tre-à-penser, tan­ to del bardo medievale quanto del moderno sociologo che s'accompagna con la musica; quest'ultima è senza dubbio limitata alle rigide strutture della ballata o della chanson di origini popolari, con gli opportuni arrangiamenti della mu­ sica leggera a sua volta condita, via via, di pop, rock, jazz, neofolk, ethno, world in una escalation inventiva di coe­ renza, spessore, profondità: di rado altri cantautori italiani posseggono la stessa fluidità del condurre testi impegnativi attraverso codici sonoriparimenti idonei e affascinanti. Per rinfrescare la memoria - soprattutto al lettore che co­ nosce poco o nulla largomento del libro - occorre ricordare che lAutore di queste 218 opere si chiama De André Fabri­ zio (Cristiano di secondo nome), nasce il 18 febbraio 1940 a Pegli (Genova) in via De Nicolai. Mostra fin da piccolo una spiccata propensione verso la musica e lo spettacolo: nonostante i veti paterni, continua: a esisbirsi quale chitar16

ristà e poi cantante nell'underground genovese, pur lavo­ rando da impiegato in una scuola privata di famiglia, sin tanto che - con il successo de La canzone di Marinella nella versione di Mina (allora al top) - riesce a garantirsi una di­ screta autonomia economica e la piena attività cantautorale, che fra il 1966 e il 1968 riversa in tre album, di fatto an­ tologici, come Tutto Fabrizio De André (Karim), Volume 1 ° e Volume 3° (entrambi Bluebell), con una ventina di brani sciolti composti lungo gli anni Sessanta. Quindi, per Faber, inizia il periodo dei grandi concept-album - quattro in tut­ to: Tutti morimmo a stento (Bluebell), La buona novella, Non al denaro non all'amore né al cielo, Storia di un impiegato (un 'trittico'quasi prog per Produttori Associati) - durante i primi Seventies, mentre nella seconda metà del decennio arrivano le prime tournée con gruppi rock quali New Trolls e Premiata Forneria Marconi - immortalate nei due LP In concerto Vol. 1 e Vol. 2 (Ricordi) - come pure la decisione di trasferirsi all'Aniata (Sardegna) per alternare la ricerca intel­ lettuale con il lavoro contadino. I.:isola è un'esperienza mai del tutto abbandonata, nonostante i sei mesi nelle mani dei sequestratori dell'anonima sarda; prima e subito dopo, la creatività cantautorale prosegue con nuove raccolte Nuvo­ le barocche (Roman), Canzoni e Volume 8 (entrambi ancora PA) - e un paio di long-playing - Rimini e Fabrizio De André (L1ndiano), entrambi per Ricordi - ancora in parte vicini all'idea di concept, ma via via musicalmente spostati verso il folk-rock rispetto all'iniziale amore per la chanson francaise. Ma la svolta arriva nel 1984 con Creuza de ma (Ricordi) ancor oggi pietra miliare .della world music, per l'antico genovese e gli strumenti mediterranei. Faber però, in seguito, negli anni Novanta - oltre un nuovo live 1991 Concerti (Fonit Cetra) - alterna l'italiano alle parlate sarde, liguri, partenopee nei due album conclusivi Le nuvole (Fo­ nit Cetra) e Anime salve (BMG Ricordi) di forte impatto -

17

espressivo. Mentre si appresta a lavorare al quattordicesimo 'studio album' - uscita prevista nel 2000 - un'improvviso malore prima del concerto di Aosta (agosto 1998) lo co­ stringe al ricovero ospedaliero. Diagnosticatogli un male incurabile, la situazione precipita con l'anno nuovo e, dopo due giorni di coma, muore l'11 gennaio 1999 all'Istituto dei Tumori di Milano, accudito dalla moglie Dori e dai figli Luvi e Cristiano. Com'è divisa l'opera deandreiana? Faber rimane sostan­ zialmente un 'cantautore' ossia interprete e autore di proprie canzoni, benché nella sua carriera, lunga oltre mezzo secolo, lavori anche come jazzista, countryman, romanziere, poeta, autore ,di colonne musicali per il cinema e per il teatro e - soprattutto negli ultimi tempi - scriva, una tantum, per altri cantanti, partecipi quale vocalist a dischi e concerti al­ trui. La quantificazione di queste opere - di cui il numero 218 forse rischierà di risultare incompleto o approssimativo, viste le incessanti ricerche per trovare nuovi inediti - resta difficoltosa: tralasciando sia i dischi dal vivo sia gli omaggi postumi e i tributi (cover), si scopre subito che non solo, in vita, dai tredici album in studio vengono omessi parecchi brani usciti su 45 giri, ma persino nelle cosiddette opere complete sono tralasciate alcune registrcizioni. E al momen­ to non esistono ancora né un'opera omnia discografica dav­ vero esaustiva, né un catalogo di tutti i brani cantati. Detto questo, nel prossimo capitolo -Analisi delle canzo­ ni - per facilitarne la consultazione, oltre l'assetto alfabeti­ co, viene lasciata tra parentesi, dopo il titolo del brano, l'in­ dicazione di riferimento dei tredici album originari, mentre laddove non sussista titolazione vuol dire che l'opera inseri­ ta in CD postumi resta ancora inedita o introvabile (come per le tre antologie del periodo Karim). E tutto questo per rimarcare un discorso di autentica, genuina 'singolarità' che denota l'attività del · Folksinger. ·

18

La singolarità deandreiana è oltretutto molteplice: e per quanto riguarda la parte letteraria - che è quella su cui il libro si sofferma maggiormente, individuandone temi, sog­ getti, argomenti in riferimento ai nessi con l'attualità, alla psicologia dei sentimenti, alla ricerca di un'etica condivi­ sa e marxianamente alla dialettica della Storia - consiste semplicemente nel comporre versi per la musica e vicever­ sa pensare ai codici verbali in funzione di quelli acustici, padroneggiando, con stupore e meraviglia, ancor oggi con ineguagliabile fattura, le potenzialità e le conoscenze degli artifici della retorica, della metrica, della sillabazione, del vocabolario, della lessicologia. De André, inoltre, vive su un perfetto bilanciamento di infiniti dualismi: fra forma e contenuto, musica e letteratura, parole e suoni, grammati­ che e spartiti, estetica e discografia, sostanza ed espressività, spunti e riflessioni, sogno e realtà, anima e corpo, lacrime e sangue, città e campagna, terra e mare, gioia e dolore, vita e morte, artigianato e industria, proletariato e borghesia. E, infine, il Cantautore (o Folksinger, che dir si voglia) da un lato sfodera un' erudita capacità introspettiva, tra psi­ canalisi, antropologia, teoria degli affetti; dall'altro rilancia un temerario enciclopedismo che, pur nel frequente umore anarchico, non può che rimandare a un lucido credo illumi­ nista, razionalista, utopista, positivista, persino comunista, di cui oggi è purtroppo latente la società italiana, in attesa di ·nuove Song Of Faber o, meglio, di un novello Fabrizio De André, di cui però ali'orizzonte non si scorgono nem­ meno tracèe minime.

19

La storia dietro ogni canzone

I testi delle canzoni che ho scritto, purtroppò, sono ancora di moda, mentre avrebbero dovuto essere superati da un pezzo: evidentemente non ci si è molto evoluti da questo punto di vista, stiamo aspettando le nuove generazioni che arrivino a sostituirci.

La disamina delle 130 canzoni registrate a proprio nome, da Faber, dal 1958 al 1996 a cui ne vanno aggiunte altre 88, tra il 1954 e il 1997, per altri musicisti o appena abboz­ zate - si focalizza soprattutto sugli aspetti letterari, riassu­ mendone il plot narrativo (laddove si presenta un'affabula­ zione più 'romanzescà che 'liricà) spiegando gli argomenti trattati (con i relativi annessi culturologici), valorizzando le tematiche sociali (non senza i momenti autobiografici), ri­ ferendo soprattutto le citazioni più o meno dotte (in paral­ lelo a un enciclopedismo sorprendente). Per ogni analisi di ciascuna canzone viene, altresì, inseri­ to un commento - talvolta brevissimo, talaltra fulminante o esplicativo - dello stesso De André, dalle molte interviste concesse, in cui si scopre fine ermeneuta di se stesso. A livello strutturale occorre ribadire che si tratta sempre e comunque di 'canzoni' (e non altro!) e quindi il discorso, oltre le chio­ se, si sposta anche sulla forma musicale che nel Cantautore genovese segna un percorso evolutivo fondamentale, sullo stesso piano del cosiddetto impegno poetico. I dati più specifici, a livello discografico, sono invece rimandati al capitoletto Gli album ufficiali, benché alcune informazioni di proposito omesse da booklet e copertine vengano qui riferite, laddove rivestano effettiva impor­ tanza per una più approfondita e intelligente conoscenza -

·

21

dell'opera deandreiana. La disposizione delle canzoni in ordine alfabetico, che non esiste in nessun altro libro, of­ fre, poi, una consultazione rapida, utile, organica, libera, verso ogni singolo brano. Post Scriptum: Che cosa si impara dopo lesame di questi 218 brani? Quale insomma può essere la storia dietro ogni canzone? Almeno due piccole grandi verità, espresse dallo · stesso Faber in un paio di brevi affermazioni. La prima è che c71 canto ha infatti ancora oggi, in alcune etnie cosiddette primitive, il compitofondamentale di liberare dalla. sofferenza, di alleviare il dolore, di esorcizza.re il male': La seconda invece che CCHo sempre avuto due chiodi fissi: l'ansia di giustizia e la. convinzione presuntuosa di poter cambiare il mondo. Oggi quest'ultima è caduta". E se quest'ultima non sia proprio così?

22

.if çimma (in Le nuvole) La cima è una pietanza tipica della cucina popolare ligu­ re (una specie di polpettone o pancia del vitello ripiena), fa cui preparazione qui viene descritta, in dialetto genovese, a un livèllo tanto realistico quanto poeticizzante rimandando a riti arcani quando ad esempio, proprio all'inizio, De André parla di cielo sereno e terra scura, scodellando poi, via via, gli ingredienti essenziali, dalla carne tenera al guanciale suino, dalle erbe aromatiche agli aghi per infilzare il tutto in una sorta di rituale iniziatico. Aggiunge Faber: '11 titolo e /,a chiave di lettura delle Nuvole di cui 'A çi'.mma fa parte, provengono da Aristofane, ed è questa l'unica parente/,a tra il mio /,avoro e /,a sua commedia". Musicalmente il Cantautore di Pegli si rifà alle ballate classiche, innovandole con il gusto ethno-rock da poco acquisito e rielaborato in una koiné personalissima. À romba (in Anime salve) ''La Cumba spiega il Cantautore volerà dal caso/,are delpadre a quello dello sposo quasi di nascosto, senza lasciare segni di torti o di risentimenti': La colomba è l'allegoria della ragazza che vola fuori dalla casa dei genitori per spo­ sarsi e cambiare nido (abitazione). Ed infatti il brano, in lingua genovese, si concentra sul tentativo di un giovane pretendente per convincere il padre della fanciulla a ma­ ritarla con lui. Con buone parole l'opera di convincimen­ to riesce, giacché il ragazzo promette al futuro suocero di trattarla con il dovuto rispetto; alla fine del pezzo, però, De André rovescia il tutto, svelando una verità ben diver­ sa, con le immagini della giovane sposa trascurata, sola in casa, mentre il marito è in giro a divertirsi. A livello letterario l'Autore usa ad esempio il contrasto fra la falsa -

-

23

promessa dell'ondeggiare sotto· 1e pergole dei melograni - curando la seta grazie al tocco leggero della mano da 'bambagiaio' - e la dura realtà della donna costretta in gi­ nocchio a lavare i pavimenti con l'uomo a zonzo. Si tratta però della canzone più 'leggera' del disco, che contrappone disamistade, faida, odio al confronto e all'accordo. A livel­ lo acustico ormai Faber padroneggia quasi alla perfezione una gamma amplissima di sonorità mediterranee e qui, a maggior ragione, si sentono gli echi tanto del folclore li­ gure quanto di una world 'orientalista': infatti si odono in loop tre frammenti di Ryogen-no-Hi (dall'album Blessing Of1he Hearth) con i percussionisti Kodò giapponesi. A duménega (in Creuza de ma)

Come raccontano le note nel booklet, il testo si riferisce a un'usanza nella vecchia Genova quando le meretrici veni­ vano per così dire ghettizzate in un solo quartiere; tuttavia le donnine avevano come inalienabile diritto · 1a passeggiata di domenica per le altre zone della bella città. De André fa di questa processione laica un assurdo pretesto sociale che ipocritamente trova le prostitute insultate o derise dai passanti. A umiliarle sono infatti i borghesi dalla coscienza sporca, giacché si vocifera che, con il denaro degli appalti delle case chiuse, il comune paga quasi tutti i lavori annua­ li per il molo del porto. LAutore non a caso termina con un'ironica invettiva contro un fervente bigotto (che scorge la moglie tra le passeggiatrici), quasi a sancire una rivalsa morale dell'intero microcosmo 'bagascesco', coerentemen­ te con la strenua difesa delle giovani puttane da parte del cantautore che vede in esse anche. vittime sacrificali emar­ ginate. In tal senso Faber ritrova e svolge qui temi molto amati: le prostitute difese, il popolino arrogante, il potere ipocrita. Notevole l'impiego della parlata ligure: ''Mi piac­ ciono sostiene De André - le canzoni in lingua minore, ho -

24

sempre cantato un'umanità marginale, e i personaggi. anonimi di Creuza parlano una lingua dell'anonimato". Con il rit­ mo di un'antica ballata popolare, anche grazie al mando­ lino suonato da Francone Mussida, il brano vanta pure un bell'assolo chitarristico di quest'ultimo nel finale. A fomiggia di Lippe Brano in genovese nel tipico stile da ballata folk, serie.:. to da Faber assieme a Piero Campodonico e Gian Piero Reverberi e interpretato dal cantastorie Piero Parodi nell'al­ bum Piero Parodi canta Zena (1972) . .lf pittima (in Creuza de ma)

Nella Genova d'un tempo (e anche nella repubblica marinara veneta), la cosiddetta 'pittimà simboleggia la fi­ gura a cui i normali cittadini si rivolgevano privatamente per far esigere i crediti dai pagatori insolventi. Il compito della pittima - di solito vestita di rosso - è dunque quello di convincere i debitori a pagare attraverso metodi più o meno ortodossi; e ancor oggi nel capoluogo ligure il termi­ ne resta sinonimo di una persona insistente, noiosa, petu­ lante, appiccicosa. De André poi ne fa un personaggio quasi emarginato anche per via di un aspetto sgradevole che ideal­ mente lo apparenta allo iettatore napoletano o all'untorello milanese, pur nella diversità dei contesti storici e sociali. Eccellente risulta l'uso del genovese, nella piena consape­ volezza che ''le parole come dice lui - sono ajfascinanti proprio perché cambiano continuamente di significato. Specie nei dialetti: la bellezza degli idiomi è la loro mobilità': Alcuni spunti letterari sono ispirati a una canzone bretone quat­ trocentesca, mentre la musica segue un andamento lento da ballata, assai ben supportato dalle sonorità di strumenti 'esotici'come boukuki e tabla. -

25

Adamo II

Colonna musicale scritta per l'omonima commedia (1965) di Remo Borzini, inedita su disco, ma che le cro­ nache dell'epoca dipingono come satira amara e caustica, dialogo diretto con Dio, messa al bando di ipocrisie e fana­ tismo, parole e suoni in apparenza tradizionali, ma di for­ midabile rottura.

Al ballo mascherato (in Storia di un impiegato)

Il pezzo simboleggia il primo sogno catartico del rivolu­ zionario, ovvero l'esperienza onirica iniziale in cui il prota­ gonista vuol far deflagrare, usando un micidiale esplosivo, le maschere di ipocrisia che sono metafora