Eredità dell'Illuminismo. Studi sulla cultura europea tra Settecento ed Ottocento

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Eredità clell'llluminismo Studi sulla cultura europea fra Settecento e Ottocento

a cura di Antonio Santucci

Società ed1tnce ti Mul no

INDICE

Antonio Santucci, Presentazione

p.

7

PARTE PRIMA: LA FILOSOFIA E LE ISTITUZIONÌ

Luigi Turco, Vicence del 'mora! sense' nel Settecento scozzese

13

Eugenio Lecaldano, Da Hume all'utilitarismo

47

Dino Buzzetti, La 'reazione del XIX secolo contro il XVIII' e il metodo delle 'scienze morali' in fohn Stuart Mili

83

Antonio Santucci, Filosofia, senso comune e Restaurazione

127

Pietro Capitani, Prodotti immateriali e funzioni dello stato nella storia economica di JeanBaptiste Say

171

Arrigo Pacchi, Schopenhauer tra Illuminismo e materialismo

203

Giancarlo Carabelli, Blictri: una parola per Arlecchino

23 l 5

PARTE SECONDA: SCIENZA DELL'UOMO E SCIENZA DELLA NATURA

Maurizio Ferriani, Dopo Laplace: determinismo, probabilità, induzione

p. 261

Walter Tega, Classificazioni artificiali e classificazione naturale da D'Alembert ad Ampère

305

Sergio ·Moravia, Filosofia e medicina in Francia alla fine del secolo XVIII

341

Roy Porter, Charles Lyell, l'uniformitarismo e l'atteggiamento del secolo XIX verso la geologia dell'Illuminismo

395

Giuliano Pancaldi, Conoscenza fine a se stessa, tecniche e pubblico della scienza nel 'Preliminary Discourse' di J. Herschel

435

6

PRESENTAZIONE

Questo volume è nato per iniziativa del Gruppo di studi sull'Illuminismo del CNR che opera da tempo presso l'Istituto di Filosofia nell'ateneo bolognese. Due altre raccolte di saggi, anch'esse pubblicate dal « Mulino », l'hanno preceduto negli anni scorsi. La prima comprendeva contributi italiani e stranieri a un convegno svolto nel maggio del 197 5 su Scienza e filosofia scozzese nell'età di Hume; la seconda è stata curata da Paolo Casini e presentava, col titolo La politica della ragione, le comunicazioni di tre giornate di lavori sull'Illuminismo francese (9-11 novembre 1976). L'accenno a tali raccolte sembra opportuno per intendere l'arco e la natura dei temi qui presi in esame. Essi fanno parte del più complesso e diramato fenomeno dell' eredità illuministica, un fenomeno europeo nella peculiarità delle aree nazionali, che gli specialisti affrontano da diverse angolazioni e con diversi metodi nel segno di una prospettiva interdisciplinare. Come le lumières resistano. o gradualmente dileguino in una società divisa tra Rivoluzione e Restaurazione, quali significati il secolo illuminato assuma per le generazioni che s'affacciano al nuovo: questi problemi ci addentrano in un territorio ancora da esplorare per ampi tratti, nonostante i risultati raggiunti e gli imponenti materiali che si sono raccolti. Ma la cosa non meraviglia, soprattutto se si tiene conto delle domande e degli interessi che premono sulla ricerca degli studiosi, allontanandola spesso dai tracciati tradizionali e rendendola poco disposta ad accettare senza prove le vecchie etichette. Un work in progress, com'è sempre quello storico quando si rivolge al passato senza chiudersi alle idee 7

del presente, un lavoro in cui la curiosità intellettuale non va mai malintesa con l'amore delle novità o delle « rotture » fine a se stesso e le rare « scoperte » costano fatica. Questi rilievi non sono premessi ad arte, a sostegno di un libro che vale (se vale) per ciò che è e riesce a proporre. Piuttosto vogliono segnalare le difficoltà di ordinare in uno schema sviluppi, mutamenti e contraddizioni di una cultura che si distaccava dai valori dell'Illuminismo e cercava faticosamente nuovi assetti istituzionali. In tal senso la distribuzione dei saggi in due parti si limita a fornire una guida, non esclude altre possibilità di raggruppare e confrontare gli argomenti. Cosi, nella nostra proposta, essi si distinguono tra quelli connessi alla riflessione dei filosofi e quelli che riguardano più direttamente le idee della nuova scienza. Ma l'una e le altre confluiscono in un movimento di pensiero che i singoli autori si preoccupano di seguire nella sua complessità, senza smembrarlo o irrigidirlo, ora attenti ai suoi condizionamenti sociali e ora inclini a una lettura di tipo analitico e testuale. I saggi del volume si rivolgono essenzialmente alla cultura britannica e francese. Sul primo versante essi riprendono le discussioni etiche avviate dalla scuola scozzese nel tardo Settecento, gli sviluppi della problematica humiana in rapporto alle prime formulazioni dell'utilitarismo, la critica dei principi benthamiani intrapresa da Stuart Mill a livello logico ed epistemologico. Nell'ambito francese l'indagine muove invece dall'esperienza degli idéologues e dalla scienza materialistica dell'uomo a cui non rimase estraneo Schopenhauer, si sofferma sulle ultime battaglie illuministiche condotte nella « Décade philosophique » in fatto di politica ed economia, e di qui si volge alle filosofie eclettiche e spiritualistiche dell'età della Restaurazione. Passando alla seconda parte, la prima questione che vi viene affrontata riguarda il nesso stabilito da Laplace tra determinismo e concezione epistemica della probabilità e s'estende alle dottrine dell'induzione; di seguito si ripropone il problema della classificazione 8

naturale e artificiale· delle scienze da d' Alembert ad Ampère, si precisano le relazioni tra filosofia e medicina in . Francia alla fine del sec, XVIII, si considera l'apporto di Lyell alla teoria dell'« uniformismo » o « attualismo » geologico e a quella dell'evoluzione; e infine si mettono in evidenza taluni significati assunti dalla tradizione baconiana nella comunità scientifica inglese del primo Ottocento, Bastino questi accenni a confermare la varietà degli argomenti. Taluni sono trattati per la prima volta con tanta minuzia, altri (come è il caso della parola « blictri » ricondotta da Carabelli a una polemica antiscolastica) appaiono del tutto nuovi. Può derivarne, come s'accennava, un sospetto di disordine, Ma ci premeva di lasciar libera la ricerca e vedere alla fine se, caduti i divieti, l'eredità illuministica ne venisse chiarita in qualche modo. Soprattutto abbiamo tentato di evitare certi pericoli, tanto noti quanto reali: lo specialismo esasperato che divide più che non avvicini gli studiosi, le suggestioni totalizzanti, le forzature ideologiche. Ai quali non c'è da opporre che un lavoro consapevole dei suoi limiti, teoricamente aperto, a conferma di una precisa scelta filosofica. · ANTONIO SANTUCCI

9

PARTÈ PRIMA

LA FILOSOFIA E LE ISTITUZIONI

LUIGI TURCO VICENDE DEL 'MORAL SENSE' NEL SETTECENTO SCOZZESE

1. A uno sguardo superficiale, l'etica del Settecento scozzese sembra tanto caratterizzata dal mora! sense e dal privilegio accordato al sentimento come criterio della valutazione morale, quanto quella dell'Ottocento inglese dall' utility e dal calcolo razionale dei piaceri che gli si fa corrispondere. In realtà, qualsiasi storia dell'utilitarismo britannico non può che rifarsi a Hobbes, o almeno ai suoi avversari seicenteschi, e ci ricorderà che la regola del greatest pleasure far the greatest number è principio, neppure originale, abbracciato dallo stesso genitore del mora/ sense, Francis Hutcheson. Né, per converso, la nozione di senso morale, o qualche suo analogo, smetterà di preoccupare i moralisti britannici fino e oltre Mili. Resta comunque che !'Introduzione ai principi della morale e della legislazione di Jeremy Bentham, stampata nel 1780 e pubblicata nel 1789, segna una svolta decisiva nella discussione morale, probabilmente da ricercare in quello che Stuart Mili chiamò, con felice espressione, il method of detail e nell'attacco radicale e influente agli istituti positivi della legislazione inglese. Il maggiore e dispotico avversario del principio dell'utilità è il principio della simpatia e antipatia, affermava Bentham con evidente e derisorio riferimento alla fortunata Teoria dei sentimenti morali di Smith, e in nota rincarava la dose trattando tutti i criteri invocati nel suo secolo a fondamento della morale come altrettante varianti del principio criticato nel testo. Mora! sense, common sense, eterna! and immutahle Rule of Right, Fitness o/ Things, Law of Nature, Right Reason, ecc. erano tutti espedienti per evitare l'obbligo di richiamarsi a un qualche external standard e per costringere il 13

lettore ad accettare il sentimento o l'opinione dell'autore come una giustificazione ragionevole e definitiva. Ma il disinvolto accostamento di razionalisti, giusnaturalisti e teorici del senso morale non deve ingannarci sulla sostanza della nota di Bentham, che inizia e termina con un attacco sprezzante contro il criterio del sentimento e non è mai tanto efficace e persuasiva come quando ne mima l'atteggiamento, sottolineandone l'insignificanza pratica e l'immobilismo politico: 1. Qualcuno sostiene di avere una cosa che serve a dirgli cosa è giusto e cosa ingiusto é che si chiama mora! sense; cosi può procedere tranquillamente e decretare « questo è giusto, quest'altro è sbagliato » - Perché? - « perché il mio senso morale mi dice cosi'. »·. 2. Arriva un altro e cambia la frase, togliendo moral e mettendo common al suo posto. Poi vi racconta che il suo common sense gli insegna cosa è giusto e cosa no, colla stessa certezza del senso morale del primo. ( ... ) Questo espediente funziona meglio, giacché il senso morale costituisce una novità e chiunque può frugare un gran pezzo tra i propri sentimenti senza riuscire a t.tovarlo, ma il senso comune è antico quanto il mondo e chiunque si vergognerebbe a lasciar credere d-i esserne meno provvisto del vicino. Ha inoltre il gran vantaggio di attenuare l'invidia col dividere il potere: quando un uomo, infatti, si erge su questo terreno per lanciare i suoi anatemi contro coloro che non sono d'accordo con lui, non Io,fa con un sic volo, sic jubeo, ma con un semplice velitis jubeatis 1 •

Quando Bentham liquidava con tanto sarcasmo le nuove dottrine scozzesi, non una sola opera di rilievo era stata ancora dedicata alla morale dai protagonisti del senso comune 2 • Ma sarebbe errato attribuire il preventivo giudizio di Bentham al facile gioco di parole o al suo scarso interesse per i fondamenti della morale. Era stato 1 ]. Bentham, An Introduction to the Principles o/ Morals and Legislation, London, 1789 (ma stampato nel 1780), cap. II, § 14, nota. 2 Le opere dedicate alla morale di Th. Reid, J. Beattie e Dugald Stewart vengono pubblicate, rispettivamente, nel 1788 (Essays on the Active Powers o/ Man), nel 1790-93 (Elements o/ Mora! Science, vol. I e voi. II), nel 1793 (Outlines of Mora/ Philosophy). Del 1792 sono anche i Principles of Mora! and Politica! Science di A. Ferguson, estraneo alla scuola, ma grande estimatore di Reid.

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uno dei suoi principali maestri, Joseph Priestley, ·a scagliarsi nell'Examination delle opere di Reid, Beattie e Oswald contro il dispotismo del « nuovo senso comune », che poneva fine ad ogni spirito di indagine. In particolare, egli aveva richiamato l'attenzione su uno dei rari brani di contenuto morale del Saggio sulla verità di Beattie, in cui le tradizionali nozioni di coscienza e senso del dovere si sposavano senza esitazione col dommatismo del sentimento e colla peculiare e provvidenziale « costituzione della natura umana ». « Giudicando in prima e ultima istanza by mere feeling - ironizzava Priestley - è impossibile distinguere le ingiunzioni di una coscienza bene oppure male informata ». « Pertanto, se qualcuno sente che qualcosa è suo dovere o, il che è lo stesso per lui, se egli pensa di sentirlo - incalzava - non ha da procurarsi il fastidio di esaminare le basi del suo sentire». Su questo piano, le pratiche superstiziose dei papisti, o la soppressione dell'eretico, valevano tanto quanto l'autentico pentimento del cristiano riformato. Bentham, nella sua nota, non faceva che trasferire nel campo dell'interesse pubblicq e della riforma della legislazione le preoccupazioni religiose del dissenter 3 • Beattie, a sua volta, non aveva inventato nulla. La strada del sentimento come rimedio allo scetticismo e a tutte le sottigliezze della metafisica era ovvia e familiare negli ambienti scozzesi e aveva avuto soprattutto in Lord Kames - un personaggio che tutti ormai riconoscono come centrale nella cultura scozzese di quegli anni - il 3 Cfr,, in particolare, la parte finale della nota di Bentham. Per i brani di J. Priestley, cfr. An Examination of Dr. Reid's Inquiry into ,.. the Human Mind ... Dr Beattie's Essay on the Nature and Immutability

of Truth, and Dr Oswald's Appeal to Common Sense in Behalf of Religion, London, 1774, pp. 145, 153, 157 ss. Per Beattie, cfr. infra, nota 30. Criticano il mora! sense come innovazione arbitraria R Price, in A Review of the Principal Questions and Difficulties in Morals, London, 1758, pp. 10-12 e A. Smith, in The Theory o/ Mora/ Sentiments, London, 1759 (1790'), Parte VII, sez. III, cap. III. H. Home (Lord Kames), negli Sketches o/ the History o/ Man, Edinburgh, 1778 (17741 in 2 voll.), vol. III, Parte I, sez. 1, parla tanto di moral sense (p. 11), quanto di common sense (pp. 16, 19) del giusto e dell'ingiusto.

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suo più imperterrito sostenitore. Mora! sense, Law of Nature e certezze del sentimento si intrecciavano senza fatica nelle 'facili' pagine dei suoi Saggi sui principi della morale e della religione naturale (1751) e se, da buon professionista e interprete del diritto, rimproverava Hutcheson per aver anteposto la benevolenza alla giustizia, ne riprendeva totalmente la lezione sentimentale 4• ln questo era confortato dagli stessi scritti di Hume. Senonché, se il ·sentimentalismo etico giovava alla causa dello scettico come a quella del credente, non era possibile che il filosofo professionale non finisse per accorgersi che l' arma del sentimento è a doppio taglio. Non sarà inutile perciò riprendere per sommi capi le vicende del senso morale e del sentimento, per vedere in che misura, a quali condizioni e con quali riserve la « scuola del senso comune » dovesse farle proprie. 2. La questione si complica da principio, se si considera che gli interpreti sono assai divisi nel giudizio su Hutcheson. Dobbiamo farne un più o meno lucido precursore dell'emotivismo contemporaneo, oppure insistere sugli aspetti cognitivi o razionali della sua dottrina e sull'intento di fornire un fondamento oggettivo alle distinzioni morali? Dobbiamo accogliere la novità della sua polemica antirazionalistica - contro chi, come Clarke, fondava la morale sulle eterne e immutabili relazioni tra le cose e tra gli esseri razionali, riprendendo l'ideale matematizzante seicentesco della « morale dimostrativa », condiviso anche da Locke - oppure privilegiare la sua polemica contro l'egoismo mandevilliano? Credo che si tratti di una falsa alternativa, giustificata in buona parte dalla fortuna più e meno recente del professore di Glasgow 5 • 4 Cfr. H. Home (Lord Kames), Essays on the Principles of Mora!ity and Natural Religion, Edinbutgh, 1751, Essay II, pp. 33-149, in particolare, pp. 55 ss. e § 4 del mio testo. 5 Ho presente soprattutto in questo paragrafo l'art. di D.F. Norton, Hutcheson's Mora! Sense Theory Reconsidered, in « Dialogues »1 XIII (1974), pp. 10-23, in cui si riassume e critica l'interpretazione non-cognitivistica, proposta da W. Frankena, Hutcheson's Mora! Sense Theory,

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Riprendiamo brevemente i termini della questione. Il senso morale è una facoltà, un senso interno o riflesso, nel linguaggio di Locke che Hutcheson adotta fedelmente, che ci determina, indipendentemente dal nostro interesse e dalla nostra volontà, ad approvare certe azioni e a disapprovarne altre, cioè, sempre nel linguaggio di Locke, a sentire un tipo specifico di piacere o pena in presenza di determinati comportamenti umani. Un'indagine fattuale permette di stabilire che tali comportamenti sono quelli che evidenziano o meno - e in varia misura - benevolenza, cioè una tendenza istintiva, altrettanto disinteressata e involontaria, volta alla ricerca del piacere o felicità altrui, analoga e contraria a quella dell'amor di sé che .nessuno ha mai messo in discussione. Il senso morale non è pertanto facoltà intuitiva o di giudizio, ha soltanto il compito di costituire a valore etico la benevolenza, che, come neutra caratteristica descrittiva di determinati comportamenti, è individuata mediante gli altri sensi e le vie normali del ragionamento 6 • Quando Hume sostiene che considerare vizioso un carattere o un'azione non significa altro che sentire, per una particolare costituzione della nostra natura, un sentimento di biasimo di fronte a esso in « Journal of the History of Ideas », XVI (1955), pp. 356-67. Per l'intera questione e ulteriori riferimenti bibliografici rimando al saggio

di E. Lecaldano, Dal 'senso pubblico' in Hutcheson alla 'simpatia' in Hume, in Scienza e filosofia scozzese nell'età di Hume, a cura di A. Santucci, Bnlogna) Il Mulino, 1976, pp. 37-73, in particolare pp. 52-3. Negli ultii:ni quarant'anni, si sono interessati a Hutcheson per primi gli studiosi di Hume o i 'filosofi analitici' britannici, che ne hanno fatto un precursore dell'emotivisroo etico. È comprensibile, perciò, la successiva reazione a simili letture modernizzanti da parte degli storici della filosofia scozzese. 6 Cfr. F. Hutcheson, An Inquiry into the Origina! of our Ideas of Beauty and Virtue,. in two Treatises, London, 1725, in particolare Treatise II, cioè An Inquìry concerning ... Virtue or Mora! Good, sezz.

I e Il (che si può leggere nel I vol. delle Collected Works o/ F. Hutcheson, ristampa anastatica a cura di B. Fabian, Hildesheim, G. Olms, 1971 o nelPantologia British Moralists, a cura di L. A. Selby-Big-

ge, New York, Bobbs Merrill, 1964 -

Oxford, 18971

-

il quale

utilizza però la II ed. del 1726). Per questa interpretazione rimando al mio art. La prima 'Inquiry' morale di F. Hutcheson, in « Rivista critica

di storia della filosofia», XXIII (1968), pp. 39-60 e pp. 297-329.

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e che, dunque, vizio e virtù sono paragonabili ai suoni, ai colori, al caldo e al freddo, sono cioè percezioni della mente e non qualità degli oggetti, e attribuisce a Hutcheson questa posizione, non inventa nulla; ha in mente un passo preciso delle Illustrations upon the Moral Sense e c'è chi sostiene persino cbe si sia consultato con Hutcheson su questo point of prudence per pura piaggeria 7 • Forse non c'è bisogno di tanto. L'enfasi humiana non è sulla dottrina, ma sul carattere rivoluzionario che ad essa attribuiva, dopo quanto aveva detto sulle qualità primarie e secondarie nel primo libro del Trattato. In ogni caso l'analogia tra virtù e qualità secondarie non potrebbe essere più opportuna per sottolineare la funzione economica e provvidenziale del mora/ sense di Hutcheson. Né Adam Smith o Richard Price daranno un'interpretazione diversa della dottrina di Hutcheson. Si può allora discutere a lungo e in astratto su ciò che è cognitivo e ciò che non lo è, ma se si interprèta il termine in un contesto come quello lockiano, il senso morale, al pari del senso della bellezza o dei sensi che ci forniscono le idee delle qualità secondarie, non è cognitivo. O si potrebbe rovesciare l'argomento e, una volta riconosciuto con Locke il tono emotivo di tutte le idee, ci si potrebbe chiedere se non sia vero che tutte le emozioni svolgono un ruolo cognitivo, per i fini pratici della vita, e convenire che persino la fame, il rossore o il prurito hanno una funzione cognitiva. Si perderebbe altrettanto la novità dell' I nquiry di Hutcheson, se non si cogliesse l'intima connessione tra la polemica contro Mandeville e la polemica contro i razionalisti. Proprio perché c'era stato Mandeville, la posizione 7 Lo dice R.W. Connon, cfr. infra, nota 20. Per il passo di Hutchew son cfr. An Essay on the Nature and Conduct of the Passions and

Affections with Illustrations on the Moral Sense, London, 1728, Treatise II, cioè le Illustrations, sez. IV, pp. 281 ss. del II vol. delle Coll. Works, cit.; oppure British Moralists, cit., §§ 465 e 466. Per Hume, dr. A Treatise of Human Nature 1 ed. curata da Selby-Bigge, Oxford, Clarendon Press, 1964 (1888 1) p, 469; trad. it. in Opere, 2 voli., a cura di E. Lecaldano e E. Mistretta, Bari, Laterza, 1971, val. I, p. 498 - e Letters of David Hume, a cura di J.Y.T. Greig, Oxford, Clarendon Press, 1969 (1932 1 ), vol. I, p. 39.

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dei « moralisti cristiani » -·- come egli li chiama - si era resa impraticabile. Se la virtù era invenzione dei politici a cui la gente si piegava per interesse o vanità, ogni etica che per via diretta o traversa si richiamasse ali' amor di sé diveniva sospetta. Da cinquant'anni l'apologetica razionalistica si era impeganta a mostrare che la pratica della virtù coincideva con l'interesse comune e con l'interesse del singolo, perciò la lotta non poteva che essere su due fronti. Gliene doveva dar atto John Gay, che pur non mancava di insistere sui limiti della sua prospettiva. Hutcheson non negava che la ragione e la calma riflessione potessero alla fine raccomandare dal punto di vista dell'interesse personale, ciò che il mora/ sense raccomandava a prima vista, ma ne sottolineava il carattere economico, secondo quel provvidenzialismo cieco e inspiegabile nel suo principio, ma carico di effetti ragionevoli, anche se estrinseci, inaugurato dall'apologetica newtoniana. Né è lecito sottolineare gli intenti antiscettici e religiosi di Hutcheson, se poi si trascura l'estrema varietà storica della prospettive religiose e il loro coinvolgimento politico e sociale. Si trattava in fondo di decidere se fossero più efficaci i sermoni matematizzanti e metafisici alla Clarke, nell'intellettualistica e aristocratica tradizione delle Boyle Lectures, e ancora le complicate deduzioni di un Cumberland o di un Puffendorf, oppure l'appello diretto ai buoni sentimenti - non senza un richiamo specialissimo agli argomenti degli antichi, in particolare di Cicerone, che qui ci tocca trascurare - intrapreso in forme schive e retoriche da Shaftesbury, ma democratizzato da Hutcheson. Bisognava sottolineare la praticabilità della virtù da parte della gente comune. Per un verso egli esaltava le virtù di ruolo del padre di famiglia, del povero e del contadino, su su attraverso the ranks and files del tessuto sociale, per un altro, e con più vigore, si rivolgeva al ceto mercantile - cosl importante poi nello sviluppo di Glasgow - mostrando che la pratica della virtù non era solo competenza del principe e dello statista, ma anche dell'onesto mercante. Se questa era una risposta al para-

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dosso di Mandeville prima di tutto, era anche una trasformazione radicale dell'apologetica cristiana praticata fino allora nei sermoni. L'insistenza sulla benevolenza, l'identificazione della virtù con le virtù della coesione sociale e della responsabilizzazione delle classi dominanti rispetto ai ceti subalterni, segnava l'inizio di quel moderatismo che caratterizzerà negli anni centrali del secolo la svolta della chiesa calvinistica in Scozia e senza cui non si potrebbe capire la sua stagione illuministica. L'idea di affezioni disinteressate, protestava con veemenza Hutcheson, poteva sembrare « strana a uomini ai quali venivàno inculcate nozioni di amor di sé, come esclusivo motivo d'azione, dal pulpito, dalle scuole, dai sistemi e dalle conversazioni regolate da simili nozioni » 8 • Hume, dal canto suo, anche se in disaccordo su molti punti capitali e assai presto dubbioso sulla possibilità di una strada comune, non avrebbe mancato di apprezzare la novità sul piano religioso e gli avrebbe confidato di compiacersi che un'etica e una filosofia così istruttiva cominciasse a prender piede nell'Università, augurandosi che potessero « successivamente entrare nel mondo e finalmente nelle chiese » 9• È logico quindi che Hutcheson dovesse poi misurarsi con le critiche e le incomprensioni delle varie ortodossie religiose, ancorate alle dottrine tradizionali dell'amor di sé e della natura razionale della morale. John Clarke of Hull sostituiva alla benevolenza universale la simpatia per spiegare i fenomeni di solidarietà umana e Hutcheson, che trovava particolarmente stringente l'obiezione, si premurava di rispondere con quella sezione sul publick sense che apre il suo trattato sulle passioni e che avrebbe avuto la sua intensa storia da Hume a Smith. Nei Fifteen Sermons preached at the Rolls Chapel, il cauto e profondo Butler metteva in guardia, tra l'altro, contro l'identificazione della virtù col disinteresse, visto che questo pote8 F. Hutcheson, Coli. Works, cit. vo1. I, p. 143. Per le affermazioni precedenti cfr. pp. 112 ss., 120, 262-63 (oppure British Moralists, cit. §§ 106, pp. 78-80, 85, 180). 9 D. Hume, Letters, cit. p. 48.

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va caratterizzare tanto le affezioni socievoli quanto le inclinazioni piu crudeli e perverse, e riproponeva quella nozione cristiana di coscienza, col suo ruolo egemonico e direttivo sull'intera vita affettiva e morale dell'uomo, che il senso morale di Hutcheson finiva per offuscare. John Balguy, infine, metteva in chiaro che se la benevolenza era un istinto, ne andava di mezzo il merito della virtù, e che il carattere sensistico della facoltà morale comportava la tesi del determinismo etico. Occorrerebbe ancora ricordare la lunga serie di conte• stazioni, connesse al razionalismo aprioristico di Samuel Clarke, al metodo d'indagine sulla morale fondato sulle astratte relazioni tra le cose - come l'avrebbe definito Butler nel Preface all'edizione del 1729 dei suoi Sermons - che questi e altri critici muovevano al filosofo irlandese. Esse riproponevano il problema dell'evidenza e dell'oggettività delle distinzioni morali, rispetto a una considerazione della morale slegata dalla tematica teologica e religiosa e fondata sulla particolarità della costituzione umana, piuttosto che sui rapporti tra tutti gli esseri razionali 10 • Ma, se a queste ultime Hutcheson rispondeva con le Illustrations del 1728, distinguendo con esattezza il ruolo della ragione e il ruolo del sentimento nella determinazione della condotta, l'economia del discorso esige di insistere piuttosto sulla novità del Trattato sulle passioni, che Hutcheson faceva precedere ai Chiarimenti sul senso morale, in cui sostanzialmente imputava le maggiori incomprensioni destate dalla sua Inquiry sulla virtù alle lacune dell'Essay sull'intelletto umano. La polemica contro le idee innate aveva indotto a trascurare tutta una serie di originals della conoscenza, per cui si era costretti a derivare infine dall'amor di sé le distinzioni morali: Qualunque confusione gli scolastici abbiano introdotto nella filosofia, alcuni dei loro piU accaniti avversari sembrano minacciarla con un genere peggiore di confusione, tentando di eliminare alcune tra le pili immediate percezioni semplici e di spiegare 10 Per queste polemiche cfr. British Moralists, cit. e G. De Crescenzo, Francis Hutcheson e il suo tempo, Torino, Taylor, 1968, Parte L

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ogni approvazione, condanna, piacere o pena mediante intricate relazioni con le percezioni dei sensi esterni... Uno strano amore per la semplicità nella struttura della natura umana, o l'attaccamento a qualche ipotesi favorita, ha spinto molti autori a trascurare un gran numero di percezioni semplici, che possiamo scoprire in noi stessi. Per i nostri sensi esterni è stato fissato il numero di cinque, quando si potrebbe facilmente sostenere che sono sette o dieci, Abbiamo una quantità di percezioni che non hanno alcuna rdazione con le sensazioni esterne ... Sarebbe stato desiderabile che coloro che si sono dati tanta pena per provare la massima prediletta, secondo cui « tutte le idee derivano da sensazione o da riflessione » 1 si fossero spiegati con tanta chiarezza che nessuno potesse intendere che tutte le nostre idee sono sensazioni esterne o atti riflessi sopra sensazioni esterne; o, se per riflessione intendono un potere interno di percezione, come penso chè facciano, che essi avessero cosi attentamente esaminato i diversi generi di perceztoni interne) come hanno fatto per le sensazioni esterne, cosl'. che avrebbero potuto vedere che le prime sono tanto naturali e necessarie quanto le seconde 11 •

Insomma Hutcheson, recuperando così un altro aspetto essenziale dell'insegnamento di Shaftesbury, scopre che quell'enciclopedia ragionata del sapere umano che è il saggio di Locke, manca di una parte fondamentale: un trattato sulle passioni. A compensare la neutralità rispetto ai valori della ragione lockiana, si moltiplicavano perciò sensi esterni ed interni, si distingueva, anche con l'aiuto di Malebranche, tra passioni, affezioni, appetiti e desideri; correlativamente si entrava in polemica con la teoria dell'uneasiness di Locke, che era servita a subordinare alla ragione, oltre che all'amor di sé, la condotta umana. Non si potrebbe insistere abbastanza sull'importanza del trattato e soprattutto della prefazione citata: è l'atto di nascita di quella « fabbrica ben equipaggiata » della mente umana, ricca di poteri istintivi, che tanta incidenza ha avuto sulla crescita della filosofia del senso comune, come giustamente sostiene Norton 12 • 11 F. Hutcheson, Essay on ... the Passions, cit., Pref., Coli. Works, cit., voi. II, pp. VI, X-XI. 12 Cfr. D.F. Norton, From Moral Sense to Common Sense: an

Essay on the Development of Scottish Common Sense Philosophy, 1700-1765 (Ph. D. Diss., Univ. of California, San Diego, 1966).

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D'altra parte Hutcheson ammette il carattere estemporaneo e polemico del suo trattato e si augura che un autore possa fare in futuro meglio di lui. L'invito non doveva sfuggire a Hume, che non avrebbe annullato la ricca fenomenologia della vita affettiva, anche se, per una diversa fedeltà al metodo sperimentale di Newton e alla regola della semplicità della natura, avrebbe ricercato nei meccanismi intricati del!' associazione la formula unitaria del suo svolgimento. Ad arricchire ulteriormente la fabbrica hutchesoniana della mente contribuiraµno invece i Principi di filosofia morale di George Turnbull, apparsi appena un anno dopo il primo volume del trattato di Hume. Qui la lezione di Hutcheson, ma anche di Shaftesbury e Butler, per non dire di Platone e Cicerone, si saldava a un newtonismo fortemente provvidenzialistico acquisito fin dagli anni in cui Reid ne seguiva le lezioni ad Aberdeen. L'intima connessione tra natural e mora/ philosophy, il richiamo congiunto a Bacone e a Newton, l'argomento from design, la ricerca di cause vere e la diffidenza per le ipotesi e per le sottigliezze della metafisica delle Theses Philosophicae del '23 e del '26 si connettevano così col catalogo dei « poteri » e delle « leggi dei poteri » della mente umana, secondo l'interpretazione che Berkeley aveva fornito della legalità della natura newtoniana. Tutti ingredienti questi che ritorneranno puntualmente nell'opera di Reid ". Se la via del sentimento come rimedio allo scetticismo morale è con Hutcheson definitivamente acquisita senza rompere i ponti con l'empirismo di Locke, bisogna porre però attenzione alla sua ambiguità, o meglio alla sua divaricazione: da un lato il sentimentalismo etico contrapposto alla ragione della metafisica, dall'altro la fabbri13 Cfr. G. Turnbull, Theses Philosophicae. De Scientiae naturalis cum Philosophia morali conjunctione, Aberdeen, 1723, Theses Academicae. De Pulcherrima Mundi cum Materialis tum Rationalis constitutione,

Aberdeen, lì26, The Principles of Moral Philosophy, London, 1740 in 2 vo11. (rist. anast. Hildesheim, G. Olms. 1976) e D.F. Norton, George

Turnbull and the Furnìture of the Mind, in « Journal of the History of Ideas », XXXV (1975), pp. 701-16.

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ca della mente che tende a ricondurre a una filosofia delle facoltà dell'anima. 3. Quando nelle lezioni di retorica Adam Smith descriveva il metodo socratico e quello aristotelico, estendendo a strategie dell'intero discorso l'insinuatio e il principium dell'esordio dell'oratoria latina, forse aveva anche in mente le peripezie d'autore dell'amico Hume 14 • Non è il caso di disconoscere il debito che l'autore del trattato sulla natura umana ha nei confronti di Hutcheson. Ma il mora! sense del filosofo irlandese è piuttosto usato che adottato. Hume se ne serve per sbarazzarsi degli argomenti del razionalismo metafisico e teologico e costruire un' etica mondana a misura dell'uomo. Se essa muove dal sentimento, non è un'etica del sentimento, ma della ragione. Basti por mente a quanto vi si dice circa i requisiti di un.a morale in grado di additare una relazione razionale per la sua fondazione. Il razionalista dovrebbe scoprire una relazione capace di connettere gli aspetti interni dell'uomo e le circostanze esterne della sua vita. Ebbene è proprio la relazione che Hume addita nella fondamentale costruzione della giustizia come virtù artificiale. Questa nasce dalla « generosità limitata » dell'uomo e dalla scarsità dei beni della terra. Se esistesse la benevolenza universale di Hutcheson o l'opulenza, o tutte e due come dicono i poeti dell'età dell'oro, non ci sarebbe bisogno di giustizia. La benevolenza di Hutcheson è conservata, ma nella guisa di semplice e parziale inclinazione naturale e solo per dare l'avvio al processo storico che dalla famiglia porta alla proprietà, cioè alla stabilità del possesso e alla costituzione dello stato 15 • Ma, se si procede nel trattato, il carattere di formazio14 Cfr. W.S. Howell, Adam Smith's Lectu'res on Rhetoric: an Historical Assesment, in Essays on Adam Smith, a cura di A.S. Skinner e Th. Wilson, Oxford, Clarendon Press, 1975, pp, 11A3, qui pp. 35-36 (già pubblicato in « Speech Monografs », 1969 e nel VI cap. di Howell, Eighteenth-Century British Logie and Rhetoric, 1971). 15 Cfr. D. Hume, Treatise, cit., libro III, Parte I, sez. I, Parte II, sezz. I e II.

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neartificiale, e tuttavia necessaria, della virtù risulta pressocché completo. Artificio umano è la legittimità del governo o il consenso che gli è dovuto, artificio umano è tutta la vita di relazione deJl'uomo con la donna. Qui sulle prime Hume sembra prendersela con Mandeville. Ma la castità e la modestia deJle donne, che ne caratterizza la virtù e il ruolo, si fonda su sanzioni che vanno oltre la tripartizione lockiana: né la legge di Dio, né queJla dei tribunali, né quella, tanto cara a Locke per la sua efficacia, deJla reputazione bastano a fare deJla donna una perfetta subordinata - garantendo così la certezza deJla prole, pilastro deJle cure familiari e deJI' ordine sociale - occorre ancora la mandevilliana educazione a reprimere qualsiasi spontaneità e inclinazione naturale. Ultima, ma niente affatto secondaria, è la virtù deJle good manners, che ha lo scopo di nascondere il sostanziale over-weaning conceit di se stessi insito neJla natura umana. Chi coJlega il discorso suJle buone maniere, cioè suJle regole dell'amicizia, deJl'ospitalità, deJla conversazione, del rispetto e della subordinazione dei ranghi, con quanto dice Hume suJle natural abilities e, in particolare, sulle virtù della competizione e del successo professionale vede l'intero tessuto connettivo deJla vita associata quotidiana fondato e regolato dal criterio razionale dell'utilità 16 • A conti fatti, ripercorrendo a ritroso il trattato, cosa resta deJla vita secondo natura degli antichi, su cui insisteva Hutcheson e ancor piu Butler? Nulla o quasi, se si eccettua il tenero attaccamento per la prole, le intimità deJla vita domestica o la cheerfulness deJla vita d'amicizia. Tutto il resto è civiltà o etichetta. La moJla di questa artificializzazione è l'associazione delle idee e deJle impressioni. Essa sostituisce al vulgar whiggism quello scientifico di cui ci ha parlato Dunçan Forbes 17 , mostrando che 16 Tralascio le leggi delle nazioni, perché, come la castità e la modestia degli uomini, si riferiscono a virtù più da predicare che da praticare. 17 Cfr. D. Forbes, Hume's Philosophical Politics, New York, Cambridge University Press, 1975.

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le buone intenzioni di Locke e degli altri protagonisti della glorious revolution erano appoggiate sui deboli argomenti, in fondo un po' biblici e bigotti, del patto sociale e della proprietà giustificata dal lavoro, quando invece andavano spiegati con gli abiti associativi e le loro bizzarrie analogiche. Il meccanismo della simpatia, un caso particolare dell'associazione, ha poi il compito di ristabilire il senso della virtù e le distinzioni morali - in maniera non troppo convincente, è stato notato 18 • Hume, per altro, mostra come a legittimazione del governo neppure la simpatia è necessaria; il compito della simpatia - di generalizzazione del punto di vista del singolo in ordine alla costruzione di regole universali - è qui affidato all'interesse non di parte dei ceti aristocratici, come Smith avrebbe voluto poi che succedesse nella politica econo- · mica. Pertanto, quando Hutcheson rimproverava a Hume la mancanza di calore per la causa della virtù, non è sufficiente fermarsi alla contrapposizione tra pittura e anatomia della mente, tra apologetica cristiana e neutralità scientifica, con cui pure si giustifica lo stesso Hume 19 • Il punto è che il mora! sense, da principio o potere della natura umana, è diventato un fatto, che ha una sua giustificazione razionale e per molti versi storica. E non è tanto che Hume non scelga tra Mandeville e Hutcheson, come dice nel trattato sulle passioni. Senza la storia,. spiegare la morale mediante la congiura e l'astuzia dei politici è una debole invenzione che non rispetta i fatti. Parafrasando Forbes, si può parlare di un mandevillismo scientifico di Hume. Il secondo volume del trattato è già in parte quel!' autocritica del primo volume del '39 che porterà alle Ricerche e ai Dialoghi, e c'è chi sostiene che abbia modificato il modificabile, priina di licenziarlo per la stampa 20 • Nel18

Cfr. A, Santucci, Sistema e ricerca in David Hume, Bari, Laterza,

1969, pp. 174-75. 19 20

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Cfr. D. Hume, Letters, cit., pp. 32-3.3. Cfr. R.\'{f, Connon, The Textual and Philosophical Significance of

la ricerca sui principi della morale i cambiamenti non sono di prospettiva, ma di strategia. Hume rimanda alle appendici le questioni « curiose e importanti », per confermarvi tutti i suoi « errori » o, come dice ancora, con una sorprendente utilizzazione retorica dell'analisi e della sintesi newtoniana, preferisce ora partire dai fatti piuttosto che dai principi. Per il resto si limita a fare il verso ai pregiudizi del suo pubblico. Maclaurin lo aveva pesantemente attaccato nell'Account sulle scoperte newtoniane collocandolo sulla vetta del 'romanzo filosofico' e Hume inizia e termina la prima sezione prendendosela con le dispute e con la passione per le ipotesi e i sistemi. La filosofia naturale ha ormai guarito gli uomini da questa passione ed essi non presteranno attenzione se non ad argomenti derivati dall'esperienza. Butler, che aveva messo in guardia nella dissertazione sulla natura della virtù del 1736 contro il pericolo di fare della benevolenza the whole of virtue and vice e aveva insistito sui doveri della veracità e della giustizia, domina ormai la scena morale. Butler, ancora, aveva chiamato la nostra« facoltà di approvazione e disapprovazione morale » consciénce, mora! reason, mora/ sense, or divine reason e si era mostrato estraneo alla contesa sulla ragione e il sentimento. Ma non poi tanto, a giudicare dal suo modo di richiamarsi al common language e al common behaviour. Contro Hobbes, le distinzioni morali sono un fatto certo, sia che vengano considerate as a sentiment of the understanding, or as a perception of the heart; or, which seems the truth, as including both. È logico quindi che Hume riformulasse l'intera prima parte dell'etica del trattato mostrando il suo distacco per la controversia started of late. Ma non senza la sua particolare malizia: prima di tutto si diverte a far dire agli antichi il contrario di quello che F-Iume's MS Alteratìons to T1'eatise III, in David Fiume - Bicentenaty Papers, a cura di G.P. Morice, Edinburgh, University Press, 1977, pp. 186-204, in patticolare pp. 196-97. Si tratta di un saggio assai stimolante, in cui si sostiene, tra l'altro, che Hume riprende il suo 'sentimentalismo' da Bayle e da Gay, come la sua concezione della natura umana da Hobbes e Mandeville,

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hanno detto i moderni e poi si dilunga sugli « speciosi argomenti » a favore della ragione o del sentimento, per rinviare, però, l'intera questione a quando si sarà scoperta « la vera origine della morale », cioè l'utilità. Prima ancora aveva suggerito di abbandonare a se stesso il polemista che nega le distinzioni morali (Mandeville), così da ricondurlo per stanchezza « dalla parte della ragione e del senso comune», una captatio benevolentiae un po' masç,chista, che i suoi avversari di domani useranno contro di lui 21 • Nella Teoria dei sentimenti moroJi del 17 59 si conclude la vicenda del sentimentalismo, o almeno un suo itinerario. Smith, infatti, non soltanto nega l'esistenza di una facoltà peculiare della morale come il mora! sense di Hutcheson, ma, grazie alle modifiche apportate al principio della simpatia, nega anche la peculiarità del sentimento e dell'approvazione morale. Quello che sembrava un difetto nel sistema di Hume, diviene qui un perfezionamento della teoria 22 • Con il che Smith consegna alla società e alla storia non solo l'origine o il fondamento della morale, come intendeva Hume, ma lo stesso processo di formazione dei valori. 4. Nei Saggi sui principi della morale e della religio21 Cfr. D. Hume, An Enquiry concerning the Principles of Morals, London, 1751, sez. I. Per C. Madaurin, cfr. An Account of Sir Isaac Newton's Philosophical Discoveries, London, 1748 (rist. anastatica, New York, Johnson Reptint Corp., 1968, con introd. a cura di L.L. Laudan), pp. 94-96 e il mio Lord Kames, fohn Stewart e le leggi del moto, in Scienza e filosofia scozzese nell'età di Hume, cit., pp. 75-109, in particolare pp. 85-86. Per J. Butler, cfr. l'inizio della Dissertation upon the Nature of Virtue, apparsa come appendice a The analogy of Religion, London, 17.36, Parte I, cap, III. Quanto al 'masochismo' di Hume, cfr., per es., Th. Reid, Essays on the Active Powers of Man, cit., Essay III, Parte III, cap. V (pp. 587-88 dell'ed. a cura di W. Hamilton delle Works, Edinburgh, 186.3) che riprende per intero il brano di Hume con la seguente premessa: « Su questa questione (della realtà delle distinzioni morali) è di molto peso l'autorità - se ce ne fosse bisogno - di Hume, perché non era sua abitudine abbracciare precipitosamente le opinioni volgari». 22 Cfr. A, Smith, Theory of Mora! Sentiments, dt., Parte III, sez. III, cap, III.

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ne naturale ( 17 51) di Kames, la fabbrica della mente si trasforma in « una macchina complessa, composta di vari principi di movimento », di « pesi e contrappesi che contraggiscono e si bilanciano l'un l'altro » 23 • Senonché è anche una macchina piuttosto pasticciata e alla fine non si saprebbe dire se è l'egemone coscienza di Butler a tenerla sui binari o il sentimento di Hume a farla deragliare. Se, per esempio, Kames oppone, rispettivamente, il senso del dovere di Butler e gli argomenti del giusnaturalismo agli errori di Hume, che ha tentato di « risolvere il senso morale in mera simpatia » e fatto della giustizia una virtù artificiale, d'altra parte, sulla scorta delle dottrine del!' amico, fa della libertà una provvidenziale illusione e della coscienza un principio, non già di azione, ma di « freno e controllo » dei principi di azione 24 • Detto questo, si farebbe torto a Kames, a non riconoscergli wittiness e una grande capacità nel cogliere e sfruttare per la causa della virtù e della religione novità e implicazioni del discorso filosofico. È suo merito (o demerito) aver congiunto la lezione del mora! sense con quella giusnaturalistica e, soprattutto, aver affidato alla certezza del sentimento il compito di sciogliere i nodi dell'epistemologia e della metafisica, oltre che della morale; un compito su cui ha insistito Norton e che propone Kames a protagonista della prima stagione del senso comune 25 • Il meglio di 23 Cfr. H. Home (Lord Kames), Essays on the Principles. of Morality and Natural Religion, cit., Parte I, Essay II, pp. 140-41, che riprende, mettendoci solo qualche ingenuità espressiva di troppo, la nota iniziale del terzo dei Fifteen Sermons Preacbed at the Rolls Chapel, London, 1726, in cui Butler parla del System o Mora! Constitution of Man, analogo al sistema o macchinea corporea, su cui la coscienza, come facoltà di riflessione, ha potere di supervisione e controllo - che è, a sua volta, un aggiornamento newtoniano della teoria lockiana dell'uneasiness. Per altro Kames dice che la coscienza o moral sense « non è» un principio di azione (p. 63), « non è, in ogni caso, il solo» (p. 77) e alle pp. 141-42, che sembra simile o cooperante con quei principi di riflessione che adesso sono principi d'azione. 24 Cfr. ibidem, p. 79; per le critiche a Hume pp. 57-58 103 e 1 136-37; per la dottrina illusoria della libertà Essay III. 25 Cfr. D.F. Norton, From Mora! Sense to Common Sense, cit., in

particolare, pp. 2-3 e 236-276.

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Kames, in altri termini, è nelle suggestioni immediate della sua pagina, che, se non rappresentano certo delle novità, offriranno indicazioni preziose a Smith, ma soprattutto a Reid. Qui basterà ricordare l'insistenza sulla gerarchia dei doveri e delle virtù e il collegamento tra l' accenno di Hume alla is-ough,t question e il dovere di Butler, per correggere il senso morale di Hutcheson. Egli distingue tra azioni fit to be done e azioni « che sono percepite e sentite non solo come unfit to be done, ma come absolutely wrong to be done », che è quasi postulare un mora! sense super, per subordinare la benevolenza alla giustizia. Del resto, la moltiplicazione senza ritegno di senses or feelings ha più di un collegamento con la sua riforma della fisica newtoniana; in questo caso, infatti, portava chiarezza nei testi di meccanica e risolveva il mistero della gravità, moltiplicando in modo altrettanto disinvolto poteri e forze della natura 26 • Se i saggi di Kames segnano il culmine della fiducia nel criterio del sentimento, questa sembra incrinarsi con la battaglia contro il 'moderatismo' religioso, scatenata dalla corrente tradizionalista ed evangelica due anni dopo. Se nel suo scritto satirico il reverendo Whiterspoon accusa i moderati di fondare la loro religione solo sugli autori antichi e sulla filosofia di Shaftesbury e Hutcheson, il reverendo Anderson, riprendendo argomenti e temi di Clarke, attacca con violenza la degradazione della ragione operata mediante il feeling e il mora! sense. Né si può trascurare James Balfour (si guadagna infatti la cattedra , di filosofia morale a Edinburgo) che insiste, sia pure con molta confusione, sulle insufficienze del senso morale e denuncia la strategia sofistica e maligna di Hume. Questi, nella ricerca sulla morale, malgrado le esplicite dichiarazioni in contrario, avrebbe esercitato tutta la forza del suo genio e della sua sottigliezza per « rendere il più possibile impercettibile la differenza tra virtù e vizio », 26 Cfr. il mio Lord Kames, John Stewart e le leggi del moto, cit. Per il precedente brano di Kames citato, cfr. Essay II, cit., p. 59.

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finendo per raccomandare la giustizia come una faccenda di convenienza e l'adulterio come un affare. Sicché nel pamphlet che il reverendo Bonar scrive per ottenere un diretto intervento della Assemblea generale della Chiesa scozzese, Kames è accusato di fondare la libertà e la virtù sull'illusione e Hume si merita la terribile accusa - da hobbesiano - di annullare ogni distinzione tra virtù e vizio 27 • Ma la critica filosoficamente più seria e sistematica all'etica di Hutcheson e alla filosofia di Hume appare nel 1758, nella Review of the Principal Questions ... in Morais di Richard Price. Senza accontentarsi dell'agnosticismo di Butler, a cui pur si ispira fondamentalmente la sua etica, Price affida il criterio del giusto e dell'ingiusto al giudizio intuitivo dell'intelletto. Si tratta, però, di una posizione in fondo estranea all'ambiente scozzese, vincolata com'è a una epistemologia che, riferendosi abbondantemente al T eeteto di Platone e al neoplatonismo di Cudworth e in totale disaccordo con l'empirismo di Locke, fa dell'intelletto la fonte dei principi non solo della metafisica, ma anche della fisica newtoniana 28 • Non c'è dunque più di qualche nuvola nel cielo radio, so del sentimento. Con la vittoria dei moderati, prima del termine del decennio, Kames può ristampare i suoi Saggi sostanzialmente identici, anche se con una esplicita sconfessione, più biografica che speculativa, del suo determinismo morale. Assai più importante è la pubblicazione della Teoria dei sentimenti morali. Smith, partendo dall'unico principio della simpatia, comune e familiare, come voleva la sua concezione del metodo scientifico, perviene a un sistema di etica « completo », capace cioè non solo 27 Sullo scontro tra moderati e antimoderati riferisce con competen• za e ricchezza di particolari F. Restaino in Scetticismo e senso comune. La filosofia scozzese da Reid a Hume, Bari, Laterza, 1974; per gli autori citati cfr. pp. 137-49 e 176-77. Per la citazione da J. Balfour of Pilrig, dr. A Delineation of the Nature and Obligation of Morality

with Re/lexions upon Mr Hume'L Inquiry __ ,, Edinburgh, 1763 (1753 1), p. 120, 28 Cfr. R. Price, A Review, cit., cap. I, sez. II e Preface.

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di conciliare i valori dell'ortodossia religiosa con quelli della società mercantile, ma anche di recuperare gli aspetti validi delle posizioni più antitetiche, aggiungendo così alla lista dei moralisti che contano, oltre a quelli 'sperimentali' indicati da Hume, Clarke e Hobbes 29 • Ancora nel 1770, il già ricordato Beattie, mentre rinnova gli attacchi a Hume per aver confuso le distinzioni morali e indugia a smentirlo. sulla morale degli antichi, non ha da opporgli altro se non la peculiarità del sentimento morale, che è un agreeable feeling of a peculiar kind: eppure sostiene, si badi, di avere un trattato « pressoché finito » sulla morale 30 •

5. L'atteggiamento di Reid nei confronti della teoria del senso morale non è limpido né costante lungo il corso della sua vita. È famosa la sua ammissione, nei saggi del 1785, di aver un tempo« creduto cosl fermamente alla dottrina delle idee, da abbracciare l'intero sistema di Berkeley, fino a quando, trovando altre conseguenze che mi procurarono un disagio anche maggiore della mancanza del mondo materiale, mi venne in mente di chiedermi, più di quarant'anni fa, su quali prove si fondasse salvo l'autorità dei filosofi - questa dottrina per cui tutti gli .oggetti della mia conoscenza sono idee nella mia mente » 31 • Le conseguenze erano quelle scettiche del primo libro del trattato, in cui Hume, tra l'altro, dichiarava 29 Sulla concezione del metodo scientifico di A. Smith, rimando al . mio Dal sistema al senso comune, cit., p. 328, nota. Sulla integrazione della lista proposta da Hume nell'introduzione al Treatise cfr. A letter to the Authors of the Edinburgh Review (1755), in The Ear/y Writings of Adam Smith, a cura di J.R. Lindgren, New York, M. Kelley, 1967, p, 23. 30 Cfr. J. Beattie, An Essay on the Nature and Immutability of Truth; in Opposition to Sophistry and Scepticism, Edinburgh, 1770, pp. 69-70 per la natura sentimentale dell'approvazione morale; pp. 73-74 per il passo criticato da Priestley (cfr. supra, nota 3); p. 208, nota, per il trattato già scritto; pp. 421A6 per l'attacco alla morale di Hume, gran parte del quale (pp. 432-44) è dedicato alla difesa degli antichi, in particolare Cicerone, contro Hurne. 31 /Th. Reid, Essays on the Intellectual Powers of Man Edinburgh, 1 1785, in Works, cit., p. 283.

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inconciliabile il contrasto tra filosofia moderna e senso comune; bastavano poi gli appelli al senso comune di Berkeley e dello stesso Hume per mettere Reid sulla buona strada. Meno nota invece un'altra sua conversione, che Grave ha proposto al!' attenzione; in un manoscritto destinato alla pubblica lettura - che reca il titolo: « sono le nostre determinazioni morali reali giudizi, che devono essere veri o falsi e la cui verità non dipende dalla costituzione della persona giudicante, ma dalla natura della cosa giudicata? » ·_ Reid afferma: .. . confesso di non esser sempre stato della stessa opinione su questà questione 1 essendo stato a lungo assai propenso a una delle soluzioni, poi dubbioso e incerto, e per qualche tempo in passato pili incline alla soluzione contraria. Intendo però guardarmi dallo zelo del convertito e poiché, in questa riunione, mi aspetto di ascoltare le obiezioni contro l'opinione che mi accingo a esprimere set in the stmngest light, non mi vergognerò, se persuaso, a tornare alla mia fede primitiva 32.

La frase da me sottolineata potrebbe includere un riferimento ironico alle dispute accanite e prossime all'insulto che Reid aveva alla Literary society di Glasgow con John Millar, l'autore delle Osservazioni sulla distinzione dei ceti nella società ( 1771), buon amico di Reid, ma acceso difensore di Hume 33 • Ciò confermerebbe il giudizio di Grave, che si tratta di una conversione « sorprendentemente tarda », posteriore alla pubblicazione della Ricerca sulla mente umana secondo i principi del senso comune ( 17 64) e probabilmente da collocare nei primi anni settanta. Ma, se anche il manoscritto - e il capitolo finale dei saggi morali del 1788 - risalisse ai tempi del Wise club di Aberdeen ('58 - '65), l'importante è che Reid sia consapevole della novità della sua dottrina, in ambiente scozzese, e dell'ostilità che l'attende 34 • 32 Cfr. S.A. Grave, The-Scottish Philosophy of Common Sense, Oxford, C!arendon Press, 1960, p. 226. 33 Cfr. John Craig, An Account of the Li/e and Writings of the Author, premesso all'ed. IV del 1806 delle Observations Concerning the Distinction of Ranks in Society (1771), p. LXI. 34 Nelle Works, cit., p. 645, Reid afferma: « la sostanza dei quattro

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La tesi a cui Reid perviene per i nostri scopi è del tutto chiara: abbiamo percezioni morali proprio come abbiamo percezioni degli oggetti esterni. Se non soddisfa il filosofo analitico, che di gran lunga preferisce l'etica intuizionistica di Price, è perché Reid si è più adoperato a chiarirne l'aspetto 'psicologico', che a riflettere sulle sue implicazioni etiche. Per Reid, la percezione di un oggetto esterno è un atto complesso della mente umana; ha come suo antecedente, ma non sempre, un feeling o sensazione e consiste nella concezione, o « apprensione semplice » della qualità del!'oggetto esterno insieme alla credenza nella sua reale esistenza. Contro Locke, le idee semplici o originals della conoscenza sono un risultato analitico o filosofico e non un dato primitivo della nostra esperienza. Contro Hume, il belief o credenza non è la 'forza o vivacità' che caratterizza le nostre impressioni sensoriali rispetto alle idee dell'immaginazione, ma affermazione d'esistenza 35 • Come la vista non solo ci fornisce le nozioni dei vari colori, ma ci fa anche percepire, cioè giudicare, che questo corpo ha un colore, quest'altro un altro, cosi la facoltà morale non solo ci dà le nozioni di bene, merito, dovere, ma ci permette di giudicare che questa condotta è buona, quest'altra no. Anzi, se Reid ha qualche difficoltà nel collegare le percezioni esterne alle sensazioni o feelings che le precedono e le regolano e, in particolare, nel caso delle qualità secondarie, ha dovuto proporci, o riproporci con Berkeley, la teoria del linguaggio naturale, rispetto ai feelings dei « filosofi sentimentali » - come capitoli seguenti è stata scritta molto tempo fa e letta a una società letteraria» - di Aberdeen, secondo Hamilton, di Glasgòw, secondo Grave - e si scusa per « alcune ripetizioni e forse qualche anacronismo dovuti al fatto di esser stati scritti in tempi e circostanze diverse». I quattro capitoli, che concludono gli Essays on the Active Powers of Man, sono rispettivamente intitolati: Whether an Action Deserving Moral Approbation, Must be done with the Belief o/ its being Morally Good (cap. IV del V Essay); Whether Justice be a Natural or

an Artificial Virtue (V); 0/ the Nature and' Obligation of a Contract (VI); That Mora/ Approbation Implies a Real Judgement (VII). 35 Cfr. An Inquiry into the Human Mind on the Principles of Common Sense, cap. II, sezz. IV#V; cap. V, sez. XX e Intell. Powers, Essay II, capp. V e XX.

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ormai li chiama in privato·- non ha problema. Q~~sti, infatti, seguono, insieme alle affezioni di stima o di biasimo, i giudizi morali 36 • A tal punto i sentimenti non condizionano i nostri giudizi, che se Dio - secondo l'ipotesi già formulata da Hutcheson - capolvolgesse i feelings della nostra costituzione, continueremmo, anche se con sommo dispiacere, a giudicare buona una persona onesta; o, per essere più esatti, l'ipotesi appare a Reid tanto assurda quanto quella di chi « percepisse la parte maggiore del tutto » 37 • Fermiamoci a chiarire, se possibile, questo suo itinerario dal sentimento alla ragione. Un sentimentalista convinto non lo era da molto tempo. Se dobbiamo credere a Mc Cosh, c'è un manoscritto assai antico - che si apre col , richiamo alla « costituzione; fabbrica o struttura » di ogni cosa, da cui dipendono le sue qualità, poteri e operazioni - nel quale si insiste sull'indipendenza della verità dalla costituzione della mente o dal potere di percepirla e si afferma l'oggettività delle qualità morali, come delle materiali 38 • Ma se non si può datare con certezza questo manoscritto, già nel Saggio sulla quantità·de1 1748 Reid mette in guardia contro il tentativo di Hutcheson di misurare la quantità di virtù e merito di un'azione col ricorso al calcolo matematico, visto che appetiti e affezioni della mente sopportano al più nessi comparativi, ma non si assoggettano a misurazione

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Nel maggio del '52, legge la ricerca sui principi della morale di Hume e i saggi di Kames, come testimoniano due brevi manoscritti. Il primo, di tre pagine e mezza, consiste in una serie di annotazioni tratte principalmente dalle parti I e II, 2 della ricerca e si conclude con 19 ri36

Cfr. Act. Powers, Essay V, cap. VII, pp. 672-73 (della cit. ediz.

Hamilton, a cui d'ora in poi farò riferimento) e anche Essay III, Parte III, cap. V, pp. 589-93. 37 Intell. Powers, Essay VIII) cap. III, p. 495 e cfr. Essay VI, cap.

VI, P- 454. 38 Cfr. J. Mc Cosh, The Scottish Philosophy, London, 1875 (rist. anastatica, Hildesheim, G. Obns, 1966), pp. 474-76, 39 Cfr. An Essay on Quantity, p. 717.

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ghe di riflessione sulla questione proposta da Hume, se la morale trovi il suo fondamento nella ragione o nel sentimento (« senso interno» dice Reid). Osserva che è più facile confutare che provare le due tesi. Ma c'è qualcosa di più dell'indifferenza di Butler rispetto al problema, di cui ci parla Grave sulla base di un altro manoscritto, e che dipende dal fatto che neppure Hume dubita delle distinzioni morali. Reid si interroga, infatti, su di una terza via rispetto alle percezioni del senso e della ragione e considera la questione oziosa e frivola fintanto che la geografia della mente non sia progredita e senso e ragione conservino il significato vago di ora. La questione potrà esser risolta esaminando le qualità reali delle nostre percezioni, separandole da quanto dipende dall'educazione, dall'esempio e altre accidentalità, che è il metodo adottato per i sensi esterni nell'Inquiry del '64 40 • Nella prima orazione filosofica pronunciata al King's College di Aberdeen nel 1753 - che, secondo un'antica consuetudine, rappresenta un bilancio dell'insegnamento impartito - si precisa la posizione di Reid. La possibilità di una trasformazione scientifica della filosofia è affidata alla scoperta e codificazione di leges philosophandi communi consensu stabilitae e, provvisoriamente, si additano gli autori da seguire nelle singole scienze. Se in politica Reid ricorda, tra i moderni, Machiavelli, Harrington e Hume, ma soprattutto l'eccelso Montesquieu, in campo morale (che è scienza non già avvolta nelle tenebre, ma scritta da Dio nel cuore degli uomini) predilige l'insegnamento degli antichi. I modelli indicati sono Socrate, come ce lo tramandano Senofonte e Platone, e le dottrine degli stoici esposte da Cicerone nel De officiis. Quanto a « coloro, antichi e moderni, che si sono sforzati di indagare sulle cause, l'origine e la natura della virtù in modo sottile e sorpassando i limiti del senso comune, hanno progredito poco e colle loro sottigliezze filosofiche hanno 40 Questo, come gran parte dei' Mss. reidiani, è conservato alla biblioteca del King's College di Aberdeen e classificato 2131. B. (Box) 3 E. (Enlope) I - 23. Per Grave, dr. op. cit., pp. 244-45.

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reso dubbio e oscuro ciò che è a tutti chiaro e palese ». Nondimendo accorda al vescovo Butler la supremazia incontrastata nell'indagine morale teorica 41 • Se la seconda orazione del '56 presenta una prima codificazione delle leggi dell'indagine filosofica sulla scorta di Bacone, le successive del '59 e del '62 espongono i temi fondamentali della Inquiry del '64: la teoria del giudizio, in polemica con Locke e Hume, della percezione come operazione complessa e l'errore dell'ipotesi delle idee. Ma sul finire del decennio è forse la Teoria dei sentimenti morali a risvegliare l'interesse di Reid per le questioni morali. Ci sono almeno quattro manoscritti dedicati all'esame dell'opera di Smith, composti probabilmente in periodi differenti. Uno di essi dà l'impressione di un primo diretto approccio col testo ed è in gran parte un riassunto interrotto da commenti assai sospettosi e critici e persino astiosi contro « questi teorici » che, per analizzare l'approvazione morale e spiegare la virtù, finiscono per sfigurarla totalmente. Il giudizio migliora nel corso della lettura 42 • Nelle lezioni su Smith del 1780, recentemente pubblicate, Reid ammetterà• che il sistema di Smith non ha la « tendenza licenziosa » presente in quello di Hume e che contiene parti eccellenti, a cominciare dall'account dei sistemi etici del passato 43 • Tuttavia, 41 Philosophical Orations of Thomas Reid, Delivered at graduation ceremonies in King1s College, Aberdeen, 1753, 1756, 1759, 1762, con

intr. e a cura di W.R. Humphries, Aberdeen, University Press, 1937, pp. 13-14. 42 Aberdeen Mss. 2131, B.3-I 26 (di 7 pp.). Gli altri sono il 27 e 28 della stessa busta e il B.7-V~7. Il Ms. 27 è la continuazione del Ms. 26, della stella lunghezza, e reca la data 1759; è più probabile che questa indichi l'edizione consultata della Theory (esplicita nel Ms. 26) che l'epoca di lettura. Gli altri due manoscritti, assai più brevi, presentano brani assai simili a quelli delle Lectures del 1780 (cfr. nota 43). Comunque, riesce difficile pensare che Reid abbia atteso molti anni, prima di consultare l'opera, di immediato successo, del suo predecessore alla cattedra di filosofia morale di Glasgow. 43 Cfr. E.H. Duncan e R.M. Baird, Thomas Reid's Criticism of Adam Smith 1s Theory of the Mora! Sentiments, in ~< Journal of the History of Ideas », XXXVIII (1977), pp. 509-22, qui p. 513. La trascrizione (pp. 511-18) riguarda l'inizio della Lecture 98, l'intera 99, e l'inizio della Lecture 100 dell'ultimo anno di insegnamento a Glasgow.

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fin dal primo manoscritto, la critica si conzentra sul principio della simpatia, un principio inizialmente assai semplice, ma chiamato a spiegare una quantità di fenomeni ed « esteso » o « ristretto » a piacere per concordare con essi, mentre contraddice le nostre esperienze introspettive. L'unica 'simpatia', in breve, che Reid è disposto a riconoscere è quella del linguaggio quotidiano; essa implica una predisposizione benevola ed è proporzionale ad essa. In , un altro manoscritto, non solo accusa Smith di risolvere la simpatia in amor di sé, tesi confutata da Cicerone nel De finibus, da Shaftesbury, da Hutcheson e da molti altri, ma di aver proposto un principio ambiguo: se richiede uno sforzo, implica ]'intervento della volontà e può essere oggetto di approvazione morale; se è una propensione istintiva, siamo al di qua della morale 44 • Tutte queste critiche ritornano in forma sistematica nelle lezioni del 1780, insieme a quella, più importante, secondo cui la simpatia presuppone una facoltà morale di giudizio, visto che bisogna giudicare ciò che una persona « ought to feel ». La fallacia dell'is-ought di Hume diviene qui la fallacia del should-ought 45 • Proprio l'indifferenza di Smith rispetto ai problemi di giudizio, in altri termini, potrebbe aver indotto Reid a prendere una posizione assolutamente eterodossa rispetto all'ambiente scozzese 46 • In ogni caso, l'attenzione di Reid per i problemi moraCfr. Ms. B.3-I 28, cit. e Duncan-Baird, art. cit., pp. 514-15. Ibidem, 515-16. Se l'approvazione della condotta altrui dipende dall'osservazione dell'accordo con ciò che immaginiamo we should feel nelle stesse circostanze, nota Reid, il termine è ambiguo. Può significare sia ciò che noi ought to feel, sia ciò che noi actually would feel. Anche se Reid è molto prevenuto nei confronti di Smith, questa e 44

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molte altre osservazioni mi sembrano assai acute e degne della moderna riflessione 'analitica'. Lo dico non per entrare nel merito della questione, ma per sottolineare il buon livello della discussione. 46 In questo caso la lettura della « Review » di Price avrebbe avuto solo una funzione di conferma rispetto alla « conversione » di Reid. Proprio ìl Ms. B.3-I 28, cit, si conclude con una riflessione, barrata, sui vari tipi di giudizio. All'inizio di essa, Reid dice di aver esaminato con ogni attenzione ciò che Hutcheson e Hume hanno detto per mosttare che l'approvazione morale è solo un « sense or feeling» - come la chiama Hutcheson - o un Sentiment or affection - come la chiama Hume - e che non include giudizio alcuno.

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li continua negli anni della composizione dell' I nquiry. Al wise club di Aberdeen, infatti, egli discute « sull'immutabilità del genere umano rispetto alla morale » (giugno '59), « se il carattere virtuoso consista in inclinazioni istintive o - come vuole Butler, con Aristotele - in fixed, babitual and constant purposes » (aprile '61), « se ogni azione che meriti approvazione morale, debba esser compiuta in base alla persuasione cbe sia moralmente buona » (novembre '63) e, infine, « sulla natura della promessa e sulla fonte della sua obbligazione » (marzo '65). Tra tutti questi temi, di cui Hume è l'ovvio obiettivo polemico, merita di esser segnalato il discorso del novembre '63, che, comunque modificato, viene pubblicato nei Saggi dell'88 47 • Esso concerne uno dei passi cruciali del trattato, in cui Hume, per dimostrare l'artificialità o convenzionalità della giustizia ricorre alla critica di un argomen, to circolare: « non possiamo mai avere rispetto per la virtù di un'azione a meno che l'azione non sia già prima virtuosa. Nessuna azione può essere virtuosa se non in quanto proceda da un motivo virtuoso. Un motivo virtuoso deve quindi precedere il rispetto per la virtù, ed è impossibile che il motivo virtuoso e il rispetto per la virtù possano essere la stessa cosa » 48 • Ora, la sostanza della risposta di Reid, e non si vede quale sarebbe potuta essere diversamente quella del '63, consiste nel distinguere tra bontà morale di un'azione considerata in astratto - cioè nel suo semplice carattere 'descrittivo' - e bontà morale dell'agente, la sola reale. La rettitudine, in altri termini, non è una qualità dell'azione, ma dell'agente, una soluzione, intimamente connessa alla nozione di co47 Cfr. supra, nota 34. Le questions ricordate nel testo sono tratte dalle Minutes delle Philosophical Society o Wise club di Aberdeen

(Cfr. Mc Cosh, op. cit., p. 467) e si potrebbe aggiungere quella anonima del 22/11/1758: Whether ]ustice be a Natural or Artificial Virtue. Il fatto che, salvo quello del Nov. '63, si tratti di Questions proposte alla d.iscussìone, e non di Discourses, non esclude la possibilità di una premessa da parte di Reid; diversi manoscritti recano infatti gli stessi titoli delle Minutes. 48 D. Hume, Treatise, cit., p. 478.

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scienza di Butler, che lo porterà a scartare come banale e in fondo tautologico l'ideale lockiano dell'etica dimostrativa. Il valore etico non risiede nell'azione, ma nel compiere ciò che il cuore approva, dice Reid 49 ; se si tiene presen' te che ha già scartato l'identificazione dell'intenzione col motivo, inteso come impulso ad agire, di Hutcheson, si può capire come sia vicino alla soluzione per cui l' « approvazione implica giudizio ». Al « filosofo sentimentale » che lo incalza e chiede quale sia la relazione oggetto del giudizio, Reid risponde che è la relazione che lega l'agente con una determinata azione che è in suo potere fare o non fare; una relazione di tipo unico, espressa dal termine ought in inglese e da termini dello stesso significato in tutti i linguaggi umani 50 • La soluzione è del resto suggerita dallo stesso Hume, per tutte le virtù artificiali. È ancora probabile che Reid sia pervenuto a chiarire completamente la sua posizione, dopo aver risolto il problema dell'oggettività estetica, nello stesso modo in cui aveva risolto il problema dell'oggettività delle qualità secondarie. È una soluzione che lo porta a criticare esplicitamente Hutcheson, tanto nelle lezioni sulle « fine arts » del '7 4, quanto nei saggi dell'85, per aver sostenuto, fuorviato dalla dottrina lockiana delle qualità secondarie, la tesi emotivistica 51 • _AI contrario, lo elogia (insieme a Price) per aver indicato nel sense of beauty, e nel moral sense due « origina! powers » della mente, correggendo Locke, cioè per il suo contributo alla costruzione della 49 Cfr. Act. Powers, Essay V, cap. IV, pp. 648-9. Per la critica all'etica dimostrativa di Locke, cfr. Inteli. Powers, Essay VII, cap. Il,

pp. 478 ss. 5 Cfr. Act. Powers, Essay V, cap. VII, pp. 675 e 677, ma anche Essay III, Parte III, capp. II, p. 581 e VI, p. 589. L'espressione « sentimental philosopher )> ricorre nel Ms. B.2-II 4, corrispondente, per contenuto, a Act. Powers, Essay V, cap. VII. Anche J. Balfour, nella Delineation of the Nature and Obligation of Morality, ed. cit., p. 234, dopo aver criticato Hume, Kames e Smith, Ii chiama « sentimental writers ». 51 Cfr. Thomas Reid's Lectures on the Fine Arts, a cura di P. Kivy, The Hague, Nijhoff, 1973, p. 41. Assai più sfumato è il giudizio in Inteli. Powers, Essay VII, cap. IV, p. 499.

°

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« fabbrica della mente » 52 • Sicché Reid può fornirci, nel capitolo finale dei Saggi dell'88, una diversa storia del sistema delle idee!' Dopo aver ricordato Descartes e Locke, per aver fatto delle qualità secondarie « semplici feelings o sensazioni nella nostra. mente», Berkeley e Collier, per aver esteso il criterio alle qualità primarie, « la stessa filosofia » per averlo riproposto nel campo estetico, egli dice: Il passo successivo era una facile conseguenza di tutti i precedenti: l'approvazione e la disapprovazione morale non sono giudizi., che devono essere veri o falsi, ma, semplicemente feelings o sensazioni piacevoli o penose. Hume fece l'ultimo passo in questo percorso, e coronò il sistema con ciò che chiama la sua ipotesi, cioè che la credenza è un atto della parte sensitiva piuttosto che di quella cogitativa della nostra natura. Non credo .che nessuno possa procedere oltre per questa via; la sensazione e il feeling sono tutto e non riesco a capire cosa resti alla parte cogitativa della nostra natura 53.

Reid nomina tutti i responsabili dell'errore tranne Hutcheson e il testo si presta a una duplice lettura, se non erro; la riduzione a sentimento dell'approvazione morale potrebbe attribuirsi tanto a Hume, quanto a Hutcheson, come vogliono Hume, Smith e Price. Ma una simile reticenza ha le sue giustificazioni. Reid ricopre la cattedra di filosofia morale che era stata di Smith e, prima, di Hutcheson. Li nomina per lodarli, ma ne critica le dottrine senza nominarli 54 • 6. Con qualche fatica per il lettore, abbiamo percorso un itinerario che potrà, forse, chiarirsi ulteriormente dopo la prevista pubblicazione dei manoscritti di Reid. Intanto c'è da notare che questa ennesima versione della 52

Cfr. Inte/l. Powers, Act. Powers, Essay Per limitarmi a un IV, p. 650, scarta le tesi e Smith senza nominare quivoco. 53 54

Essay III, cap. V, p. 347. V, cap. VII, pp. 670-71. solo esempio, in Act. Powers, Essay V, cap. sulla natura della virtù di Hutcheson, Hume nessuno, ma anche senza possibilità di e-

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storia dell'errore - l' « ipotesi delle idee » - sembra l'esatto contrario della tesi di Bentham; sia pure con intenti diversissimi, la protesta contro il sentimento li accomuna. I due elementi del sentimentalismo etico e dell'indagine sui poteri originari della mente (la fabbrica della mente), presenti in Hutcheson e ancora congiunti in Kames, si dividevano nei risultati. Hume e Smith facevano del sentimento il fondamento unitario, o sarebbe meglio dire il pretesto, per costruire dal basso l'uomo civile e rivolgersi così allo studio della società e della storia. Reid diffidava del sentimento prima ancora di leggere Kames, si interessava da principio a quel contrasto tra filosofia moderna e senso comune di cui discorreva Hume e, opponendogli un progetto di fisica della mente che trovava nelle leggi e nelle regole stabilite da Newton il suo modello, non poteva certo affidare alla soggettività del sentimento le certezze del senso comune. Proprio perché non smetteva di dialogare con lo scettico e di esaminarne i testi, la sua posizione ne guadagnava in originalità. Sarebbe un errore. confondere, per restare alla morale, il suo intuizionismo con quello di Price, garantito da principio dal carattere platonico della facoltà che vi presiede. La distanza che li separa è quella che distingue l'intuizionismo di un Moore da quello di un Prichard; una distinzione sottile, senza dubbio, neppure compresa dal più attento dei suoi discepoli, Dugald Stewart 55 , e che presenta non poche difficoltà. La prima è quella di rischiare di confondere giudizi di fatto e giudizi di valore; la seconda, più grave, dipende dal fatto che, se il giudizio morale concerne il rapporto singolare tra la persona e le circostanze peculiari della sua azione, non si comprende come possa costituire il fondamento dei primi prin° cipi della morale. Ma è questa una difficoltà generale del 55 Cfr. Dugald Stewart, Outlines of Mora! Philosophy, Edinburgh, 1793, p. 91. Per la distinzione tra le due forme Ji intuizionismo rimando a E. Lecaldano, Le analisi del linguaggio mnrale, 'Buono' e 'Dovere' nella filosofia inglese dal 1903 al 1965, Roma, Edizioni dell'A~ terreo, 1970, p. 45.

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sistema di Reid, è stato giustamente notato, o del suo senso comune

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Per altro, l'interesse di Reid per i problemi della valutazione morale è secondario rispetto a quelli che lo inducono a precisare i contorni della fabbrica della mente. Anche in Scozia, le scienze della natura moltiplicavano i loro statuti e si facevano specialistiche; persino gli studi sull'elettricità e sulla chimica abbandonavano il terreno newtoniano e le congetture di Boscovich riaprivano il dibattito sulla materia. Similmente, la percezione di Reid si svincolava ancor più, se possibile, dal suo antecedente sensibile o corporeo. Nel rapporto mente-corpo, la distinzione di Berkeley tra cause fisiche e cause efficienti assicura tutta l'iniziativa alla mente e sorprendiamo Reid nelle lezioni di Glasgow, in forme più esplicite che nei saggi della vecchiaia, intento a ricercare nella fisiognomica e nell'estetica il perfezionamento della dottrina berkeleyana del 'linguaggio della natura' 57 • La corporeità e la sensibilità è sempre più il pretesto o l'occasione per la conoscenza del mondo degli spiriti - quasi che si tratti più di perfezionare il sistema di Berkeley, che di rispondere allo scetticismo di Hume. Né la lettura dei Dialoghi sulla religione naturale di Hume, o gli attacchi di un Priestley, sono una remora per Reid. Lo inducono semmai a impegnarsi .di più sui problemi della causalità o della libertà del volere - contro la libertà del fare della tradizione empiristica - e a distinguere, con la consueta attenzione, istinti, abiti, affezioni, desideri e principi razionali, non per questo meno 'attivi', della condotta. Se fa fatica tanto a distinguere, quanto a conciliare, la condotta semplicemente razionale o saggia e la condotta propriamente morale, la fabbrica della mente ne esce non solo « ben equipaggiata », ma anche compiutamente gerarchizzata. Per giunta, è una gerarchia col suo chiaro riflesso nella società, perché ai più 56 Cfr. D.D. Raphael, Tbe Mora/ Sense, Oxford, 1947, pp. 173 ss.; sulla prima difficoltà si sofferma Grave, op. cit., p. 234. 57 Cfr. Th. Reid's Lectures on the Fine Arts, cit., pp. 22 ss.

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(la massa degli uomini, i bambini) sembra sufficiente la via provvidenziale degli istinti buoni, alle persone di rango una condotta prudente e responsabile, e l'eccellenza del dovere, se resta un comando per tutti, è l'affanno di pochi 58 • Il vantaggio è nella coerenza. Accantonato il criterio provvidenziale, ma arbitrario, del sentimento, il nuovo senso morale si salda con la libertà come autodeterminazione e con la dottrina dei motivi, che sono - per cosl dire - consigli di cui si può tenere o meno conto, anziché impulsi al!' azione. Con la conversione del mora/ sense in facoltà di giudizio, la via agevole di Kames e di Beattie, che si affida alle certezze irresistibili del sentire, è sempre meno quella di Reid. Piuttosto gli preferisce la via laboriosa del!'« analisi filosofica », con quel suo paziente stare ai fatti e sottrarsi alla suggestione delle ipotesi, che smonta un secolo di certezze filosofiche. Di metafisica ce n'è tanta, alla fine, quanta nei testi dei suoi avversari, e Priestley può perfidamente sostenere che lo scetticismo, con Reid, ha davvero compiuto l'ultimo passo, visto che diventano un mistero incomprensibile le nostre stesse percezioni 59 • Ma è il segno di una mora/ philosophy che, insieme e non sopra le altre scienze, si fa specialistica e perde l'illusione di una sua pronta riforma newtoniana. I principi del senso comune finiscono per costituire il limite piuttosto che il fondamento dell'indagine, come quelli già indicati nelle lezioni di Aberdeen, trent'anni prima. Reid, se si riconosceva un merito, era quello di aver messo in questione la common theory delle idee, tanto fondata su pregiudizi naturali da intrecciarsi con gli usi quotidiani del linguaggio, o, per riprendere l'epigrafe della devota figlia Martha, di essere stato il Bacone, piuttosto che il Newton

58 Cfr. Act. Powers, Essay III, Parte II, p. 564; Parte III, pp. 580, 584-85, 587, 595. Per la distinzione tra la ricerca del good /or us upon the whole e il regatd to duty cfr. ibidem, capp. II-V, pp. 580-89

e cap. VIII, p. 598. 59

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Cfr. Priestley, An Examination, cit., pp. XX e 5.

della fisica della mente 60 • Anche questo un luogo comune del Secolo dei Lumi, che oggi ci fa sorridere. Ma sembra il destino di ben altre 'scientificità' filosofiche, a cominciare da quelle 'storiche', che Reid avversava, per finire con quelle 'logiche' o 'linguistiche', che in qualche modo ne ripetono gli errori.

° Cfr.

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la lettera a James Gregory, sempre in Works, cit., p. 88.

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EUGENIO LECALDANO

DA HUME ALL'UTILITARISMO

Nel ricostruire la storia della cultura inglese del XVIII secolo Leslie Stephen collocava la riflessione sull'etica di David Hume all'interno dell'utilitarismo: « ... tutti debbono ammettere che le dottrine essenziali dell'utilitarismo sono formulate da Hume con una chiarezza e coerenza che non si trova in nessun altro scrittore del secolo. Da Hume a J.S. Mili la dottrina non ebbe nessun cambiamento sostanziale » 1 • L'accostamento tra Hume e l'utilitarismo è stato largamente riproposto da quanti si sono occupati della filosofia inglese della seconda metà del XVIII secolo 2 • A Hume come a un utilitarista guardano anche le due oramai classiche storie dell'utilitarismo di Ernest Albee 3 e di John Plamenatz 4• Se questo accostamento è valido, Hume risulta quindi l'iniziatore di quella teoria etica e politica che dominò la cultura britannica per circa un secolo, tra la metà del XVIII e la metà del XIX secolo, e che tuttora è largamen1 L. Stephen, History of English Thought in the Eighteenth Century, (1876), New York, 1962, vol. II, p. 73. 2 Non mancano ovviamente le voci discordanti; basti ad esempio ricordare G. DeUa Volpe, La filosofia dell'esperienza di David Hume, (1933-1935}, Roma, 1972, p. 329 che riconosceva: « ...da Hartley a Smith a Bentham e a Mili la morale inglese,. nonchè offrire come è usuale credere, sviluppi e integrazioni della morale humiana, viene spogliandosi vieppiù del contenuto speculativo di quest'ultima, che ci appare, per la sintesi organica e originale dei :t;notivi etici precedenti, il sistema conclusivo e rappresentativo per eccellenza della morale dell'empirismo classico ». 3 E. Albee, A History of English Utilitarianism, London, 1901, specialmente p. 112: « ... la Ricerca sui principi della morale con tutti i suoi difetti e le sue insufficienze è la formulazione classica dell'Utilitarismo)>, 4 J. Plamenatz, The English Utilitarians, (1949), Oxford, 1958 2 •

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te riproposta nel mondo anglo-sassone. Inoltre, sulla base delle decise convergenze tra concezioni etico-politiche degli utilitaristi inglesi e quelle dei philosophes del continente 5 , sarebbe questa la linea interpretativa che permette di collocare integralmente la filosofia di Hume all'interno del movimento illuministico 6 • La questione della fortuna delle idee sulla morale di Hume va sicuramente affrontata esaminando l'accoglienza delle sue conclusioni da parte degli utilitaristi della seconda metà del XVIII secolo. Non vi sono infatti equivoci sulla decisa lontananza da Hume degli esponenti della cosiddetta scuola intuizionista, come Richard Price e Thomas Reid: le analisi dell'etica di questi autori sono esplicitamente rivolte a confutare le conclusioni humiane. Il senso principale della Review of the Chief Questions and Difficulties in Morals di Price, comparsa nel 1758, stava proprio nel « difendere l'ordine morale» « dall'empirismo di Francis Hutcheson e David Hume » 7 e per quanto riguarda Reid, il suo più rilevante scritto di etica gli Essays on the Active Powers of the Human Mind del 1788 - costituiva « un costante attacco agli empiristi Locke e Hume » 8 • È dunque alle opere di pensatori come William Paley e Jeremy Bentham - oltre, ovviamente, che alla Theory 5 Un accostamento tra l'utilitarismo e l'illuminismo del continente viene, ad esempio, suggerito da M.A. Cattaneo, Il positivismo giuridico inglese. Hobbes, Bentham, Austin, Milano, 1962, p. 212: « La teoria basata sul principio d'utilità e la teoria dei diritti dell'uomo giungono quindi alle stesse conseguenze politiche pratiche: questo conferma fi~ dea ... che utilitarismo e illuminismo non siano che l'aspetto inglese e l'aspetto continentale dello stesso movimento politico-culturale». 6 È quanto fa, ad esempio, P. Gay, The Enlightenment: An Interpre~ tation. The Science of Freedom, London, 1969, pp. 459-461, che a proposito delle idee sul governo di Hume conclude che esse furono portate alle loro (p. LXXXVIII).

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stessa lo sia. Ma per Cousin l'errore si faceva anche piu stridente nell'Analitica, quando Kant distingueva tra l'unità trascendentale dell'appercezione per cui tutto il molteplice dato in un'intuizione è unificato in un concetto dell'oggetto e l'unità soggettiva della coscienza che non è se non una determinazione del senso interno. Cosi, se in un altro passo egli ammetteva che la nostra esistenza non è un fenomeno, un blosser Schein, eccolo smentirsi poche righe piu avanti e condannarsi allo scetticismo. Infatti, se l'io non è un fenomeno, quale ne è la sostanza? Escludiamo pure che ne abbia una e cadremo nei sofismi denunciati dal « buon senso» europeo. Ma se l'ammettiamo, come si può cercarla e trovarla fuori di una coscienza che non sia empirica 58 ? Aveva patito con Guizot un lungo isolamento, riottenuto la cattedra dopo che al Villèle era succeduto il ministero « riparatore » di Martignac e a Royer-Collard era toccata la presidenza della camera dei deputati. Gli anni successivi alla Rivoluzione ne segneranno l'ascesa universitaria, l'influenza sull'opinione liberale, l'impegno nella cosa pubblica con il programma d'insegnamento redatto insieme a Laromiguière e Jouffroy: fatti e rapporti notissimi. Ma il successo non gli impediva d'avvertire il materialismo pratico che in tanto si veniva diffondendo e di prevedere imminente una stagione atea. Se la « Scozia rasserena e conduce al cristianesimo », come dicevano a Renan a Saint-Sulpice, i suoi filosofi erano ben in grado di opporsi agli scettici e alla cattiva metafisica della Germania « degenerata ». Bisognava solo rimetterla in onore e sperare che, dopo la morte di Hamilton, il suo erede Fraser ne continuasse la lezione 59 • L'edizione accresciuta e corretta della Philosophie écossaise, col numero di pagine piu che doppio dedicato a Reid, ne sanzionava i meriti e i limiti. 58 La Philosophie de Kant, con lezioni del '19 e del '20 redatte da Vacherot, appariva nel 1842 come ter.ta parte del Cours d'histoire de la philosophie morale au dix-huitième siècle pendant l'année 1820 par V. C., Libr. de Ladrange, Paris, 1842. Qui rimando alla terza edizione, Paris, !864, pp. 99-100. 59 Si veda E. Boutroux, De l'influence de la philosophie écossaise

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Essa tornava alla grande affaire dello scozzese, alla crltlca della capacità rappresentativa dell'idea di sensazione, coinvolgeva la teoria del giudizio fondata sul confronto delle idee, e si estendeva alla percezione sul conto della quale il suo unico torto era stato di non farvi intervenire il principio di causalità. Ma nemmeno su quello delle sostanze che riferiva le qualità a un soggetto, Reid appariva esplicito: egli si rimetteva alla natura, quando si trattava di sapere quale facoltà naturale fosse in gioco e come il suo concetto dovesse distinguersi dal!' assurdo di una sostanza pura. Tale era il caso dell'identità personale, dove, ammesso che esiste un io distinto dai suoi pensieri e dalle sue azioni, subentrava una « pusillanimità sistematica » contraria al senso comune e non si tiravano tutte le conseguenze: che l'io, se è veramente identico a se stesso nel variare delle sue determinazioni, è indivisibile e inestesa e dunque spirituale 60 • La stessa circospezione si mostrava a proposito dei principi delle verità contingenti e necessarie, dei cardini della psicologia e della teologia. Diversamente da Kant, Reid s'era posto il problema della loro oggettività, salvo poi a sottomettersi alla testimonianza irrefutabile delle nostre facoltà. Spiegare perché siamo persuasi dai nostri sensi e dalla coscienza è impossibile, diciamo che è vano lottare contro certe credenze irresistibili e basta 61 . Reid non era un erudito e nemmeno uno storico della filosofia, apparteneva alla generazione che guardava al futuro e non al passato. Se aveva indicato prima degli altri il legame che univa Locke, Berkeley e Hume, tanto dissisur la philosophie française, Edinburgh, 1897 (Extrait de la « Revue française d'Edimbourg »), in Etudes d'histoire de la philosophie, Paris, 1925 e Pommier, op. cit., pp. 99-100. 60 La seconda parte del Cours, la Philosophie écossaise, usciva presso Ladrange nel '40: le lezioni su Reid, redatte da Danton e Vacherot, erano rottava, la nona, la decima (pp. 184-281), Nella terza edizione (Paris, 1857), a cui mi riferisco, sono dedicate a Reid le lezioni VI-XII (pp. 232-485). Ma per il ritorno agli scozzesi, tramite Hamilton, si veda J. Barthé!emy Saint-Hilaire, V. Cousin, sa vie et sa correspondance,

Paris, 1895, I, pp. 297-98. 61

Philosophie écossaise, cit., p. 388.

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mili tra loro, la sua inibizione metafisica si rifletteva ambiguamente nel giudizio su Descartes. Esso concedeva piu di quanto non apparisse lecito a Stewart, troppo ligio alle regole baconiane e newtoniane, e non trascurava la novità che n'era derivata alla filosofia della mente. In questo caso il metodo doveva considerarsi piu propriamente riflessivo e psicologico, non si lasciava sfuggire la causa dei fenomeni e aderiva alle nostre facoltà, cosi da darci, con un'induzione la piu vicina all'intuizione, la conoscenza certa del nostro io 62 • Ma all'elogio davvero audace per uno scolaro di Turnbull e Hutcheson, s'aggiungeva una condanna di errori che Descartes non aveva commesso e si dovevano imputare ai teorici dell'idea! system. Il piu grave dei quali, già notato da Royer-Collard, riguardava l'autorità della coscienza e il ragionamento che ne deriva Dio, la materia e tutta la scienza umana. Ma l'entimema cartesiano (occorreva ripeterlo?) non è un sillogismo perché si va dal pensiero all'essere simplici mentis intuitu; ugualmente non c'è deduzione dell'essere perfetto dall'essere imperfetto, c'è invece un passaggio naturale; e quanto al circolo vizioso, è chiaro che la credenza nella veracità divina suppone quella nelle nostre facoltà se anche queste ne vengono poi rafforzate, giusto quanto pensava lo scozzese 63 • Il vecchio lettore di Reid si riappropriava del cogito dopo essersi liberato dalle ipoteche tedesche. La coscienza non era solo il luogo dove la mente si rende trasparente e descrivibile, ma il modello di ogni altra evidenza. Era la « forma essenziale dell'intelligenza che comporta un'assoluta certezza. Chi la distrugge, le rovina tutte e condanna la filosofia allo scetticismo. Chi l'ammette può trovare invece, se anche dubita per un momento del resto, ogni credenza necessaria all'uomo, la fede nella propria esistenza e in quella di Dio e del mondo » 64 • Si capisce allora come Cousin avvertisse i limiti empirici de!la ricerca scozzese, respingesse il carattere provvidenziale attribuito al senso 62

63 64

158

Ibidem, p. 306. Ibidem, pp. 404-405.

La philosophie de Kant, cit., p. VII.

· comune e ne cercasse una fondazione metafisica. Ma che l'oggettività fosse possibile sul terreno dell'eclettismo, dell'immediatezza coscienziale, il vecchio Schelling e i primi hegeliani di casa nostra l'avevano già escluso. Certo non lo era se il « principio superiore » consisteva nella cognizione che la « sostanza vivente » ha di se stessa e nell'identità del sapere e dell'essere: diversamente Cousin lo indicava in una verità trascendente che si comunica alla ragione e l'illumina nei suoi giudizi 65 • Egli lo precisava, rivedendo le precedenti posizioni, nelle ultime edizioni del Du vrai: « Non bisogna, seguendo Malebranche, concepire la ragione cosi impersonale da farle prendere il posto della verità che è il suo oggetto e di Dio che è il suo principio. Soltanto la verità è assolutamente impersonale e non la ragione. La ragione si trova nell'uomo, ma procede da Dio » 66 • Il principio era lo stesso dello spiritualismo, di una « generosa filosofia » avviata da Socrate e da Platone e diffusasi nel mondo con l'Evangelo, che Descartes aveva calato nelle « forme severe del pensiero moderno » e Royer-Collard riabilitato dopo i guasti della Rivoluzione. Essa s'inseriva in una tradizione che s'era facerata col materialismo settecentesco e si trattava di ricostituire, con un segno moderato, in una società nuovamente solidale e garantita nelle libertà fondamentali. Certe pagine delle sue Etudes pascaliane sono sintomatiche: « Non ci sono al mondo che due grandi forze morali, la chiesa e la filosofia. La chiesa parla all'uomo un linguaggio che è insieme divino ed umano. I suoi misteri, i suoi simboli e le sue cerimonie, tutto esprime una pietà, dolorosa e infinita. Se la religione, nel suo senso ristretto 65 Il Jugement de Schelling sur la philosophie de M. Cousin et sur l'état de la philosophie française et de la philosophie allemande en général, nella traduzione di F. Ravaisson, compariva nella « Revue Germanique )>, IV, 1835. Sulla posizione dei nostri hegeliani, come G.B. Passerini e S. Cusani, verso l'eclettismo cousiniano si veda G. Oldrini, Il primo hegelismo italiano, Firenze, 1969, pp. 20 ss. 66 Du Vrai, du Beau et du Bien, Patis, 1872, IV lezione, pp. 100-101. Ali' « errore della ragione impersonale», qui corretto, accenna A. Aulard, V. Cousin, Extrait de la « Revue de Bretagne et de Vandée », Nantes, 1859, p. 32.

159

come in quello piu esteso, è il legame che unisce l'uomo a Dio indicando in Dio il modello da imitare, non si può non ammettere che il cristianesimo sia la piu appropriata. Se esso è a suo modo una filosofia popolare e pratica, la filosofia è però il fondamento della vera religione, quella dello spirito. Ed è dunque una follia, un delitto, mettere contro queste due potenze ugualmente necessarie » 67 • Frenata nelle sue ambizioni e respinti gli anatemi dei théologiens reazionari, la Chiesa appariva insostituibile nel suo ruolo. Ma nemmeno la filosofia si esauriva in quel sistema di regole a cui McCosh temeva si riducesse la dottrina del senso comune quando non fosse rischiarata dalla religione della nazione scozzese. Le sue verità erano universali e si rivolgevano a tutti gli uomini, seppure era toccato e toccava ancora alla Francia esprimerle con le parole piu chiare 68 • 4. Lo scriveva all'amico Damiron: « Quando scopro nell'animo un piccolo fatto, per inutile che sia, ne saluto con gioia l'apparizione ». E ancora in una lettera del 18 aprile 1818: « Io osservo la felicità umana come i nostri fisici la temperatura, volendo trovare il suo massimo, il suo minimo, il suo termine medio e cercando le leggi della variazione» 69 • Cosi attratto dalJe « verità di fatto », da quelJa speciale induzione che è la psicologia, Jouffroy se ne lasciava guidare. « Mi sento libero e credo altrettanto fermamente che il principio di causalità sia universale: le due cose si contraddicono, ma ci sono e occorre accettarle perché è possibile che non vediamo come s'accordano, mentre non lo è che due cose che sono non siano cosi » 70 • Ugualmente si chiedeva e chiedeva a Damiron che valesse credere a una vita eterna se non era coinvolta quelJa che si vive. Un rilievo morale, non metafi67

68

Etudes sur Pascal, Paris, 1857, pp. 100-101.

J. McCosh, The Scottisb Philosopby, London, 1875, pp. 302-303.

69 Correspondance de Théodore Jouffroy, pubblicata con uno studio di Adolphe Lair, Paris, 1901, p. 203. Ma è da vedere anche M. Salomon, Th. Jouffroy, Paris, 1907, pp. 18-21. 10 Correspondance, cit., p. 183.

160

sico, da cui si poteva trarre un argomento a sostegno dell'esistenza di Dio: ognuno vi crede e ogni credenza universale suppone dei principi necessari che spetta al filosofo di accertare. Ma « quali sono questi principi? Io l'ignoro. So bene soltanto che non sono i tre principi di Cousin » 71 • Se c'era un cristianesimo, era quello naturale e di tutti i giorni. Bisognava diffidare delle tentazioni ontologiche che se ne staccano e crescono su se stesse. Nel soggiorno pisano del '36, stendendo l'introduzione alle Oeuvres reidiane, Jouffroy cercava di spiegarsi le reticenze degli scozzesi e di Stewart in particolare sulla natura dello spirito. Essi avevano accolto tra le credenze originarie le nozioni di sostanza e di causa, di tempo e di spazio, collegandole ai principi della religione: perché allora tante remore sul conto della scienza dell'uomo che c'è piu vicino di Dio e della materia? Forse la ragione consisteva nella giusta esigenza di premettere gli esperimenti alle questioni, nel primato assegnato alla psicologia sulla logica. Ma proprio per questo ne doveva sortire un risultato diverso, una maggiore capacità di comprendere le contraddizioni e le eccezioni alla norma. Ogni divieto impoveriva la ricerca, acuiva lo scarto tra il nostro essere e il nostro parere, si ritorceva negativamente sulla filosofia che ne costituisce l'ambito problematico. Lo suggeriva, d'altra parte, il moto stesso delle idee: « Al secolo delle cronache e dell'erudizione è seguito il secolo di Montesquieu e di Voltaire. La necessità di andar oltre comincia a farsi sentire e spinge piu in alto e lontano gli spiriti illuminati. I costumi, le istituzioni e i dogmi che spiegano la condotta e la sorte dei popoli sono fatti generali che occorre capire nella loro origine e nel loro processo. E poiché essi esprimono le opinioni via via accolte sulle questioni morali, politiche e religiose, una tale spiegazione si potrà trovare soltanto nello sviluppo intellettuale dell'umanità che si attua per le leggi stesse della nostra natura » 72 • n Ibidem, pp. 236-37. 72

Apparso nell'agosto del '24, De la philosophie et du sens com-

161

Il passo fa venire in mente lo Hume della prim~ Inquiry. La storia rende visibile ciò che si conserva e s1 modifica nei nostri atteggiamenti: un luogo di esperimenti intellettuali, com'era accaduto a Biran leggendo Degérando, dove l'erudito deve cedere all'analista e allo psicologo 73 • Ripetitore e ma/tre de conférences, costretto all'insegnamento privato dopo la chiusura dell'Ecole Normale, Jouffroy lo precisava sulla « Revue européenne » a proposito del senso comune. Questo regola il giudizio e il comportamento degli uomini, è una filosofia piu larga e liberale che non sia la filosofia dei filosofi. Se Zenone definisce il bene ciò che è conforme alla ragione, se Epicuro dice che è una sensazione gradevole e Kant un dovere, se lo spiritualismo sostiene l'opposto del materialismo, il senso comune non si ferma a nessuna di queste tesi e le comprende tutte. Nemmeno lo scetticismo se ne sottrae: ma, allora, a che serve la filosofia? Essa subentra a una visione confusa, il voir, con una distinta, il regarder, con una riflessione che guadagna in chiarezza quel che perde in ampiezza. Non esiste una doppia verità, ci sono due modi d'abbordarla, ma il loro divorzio non appare insanabile. E infatti, « il giorno in cui, ripiegandosi su se stessa e sulla storia dei suoi primi tentativi, la filosofia ammetterà che le sue ricerche piu ardite sono solo riuscite a chiarire talune credenze del senso comune; il giorno in cui se lo spiegherà con questo fatto della natura umana, che non è tanto l'intelligenza a scoprire la realtà quanto la realtà a rivelarsi all'intelligenza, cosi che i geni piu potenti hanno sull'uomo ordinario l'unico vantaggio di comprendere meglio una simile rivelazione, essa capirà il suo destino e finirà per accettarlo » 74 • Sens commun e bon sens. Talora Jouffroy sembra sovrapporli, piu spesso li separa. Allora il senso comune mun veniva compreso nei Mélanges philosophiques, Paris, 18.3.3, pp, 149-71 (qui pp. 151-52). 73 Il rilievo di Gouhler, Les conversions de Maine de Biran, dt., pp. 251 ss. 14 De la pbilosophie et du sens commun, cit., p. 170.

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non si confonde con l'opinione della maggioranza, ma riflette la vita che non è isolabile in questa o quella credenza e resiste nella sua spontaneità alle visioni parziali dell'intelletto. È'. la vita che non tollera di chiudersi in una formula e trasgredisce i codici, come mostrava sul « Globe » dell'amico Dubois a proposito dell'esperienza religiosa. Nei dogmi la credenza s'allenta, sopravvive in forza di una convenzione e cede progressivamente all'apatia. Nasce cosi un esprit d'examen che all'inizio non è un atto ostile, non vuole rovesciare le idee dominanti, ma dal quale non tar.da a levarsi un attacco ai tutori della tradizione. Questi sono spinti a coalizzarsi, a difendere i loro privilegi, né la loro resistenza alle novità manca di produrre qualche effetto; « nella rovina di un dogma, la negazione rigorosa tiene infatti il luogo della fede e genera uno zelo che riempie gli animi»; ma quando esso s'attenua, quando ci si domanda dove sono la verità e la felicità promesse, subentra uno scetticismo che si propaga a ognuno e fa uscire allo scoperto le forze della reazione. La società si degrada, oppressa dalla superstizione e dall'interesse, e tuttavia la crisi è salutare perché. dalla scepsi si comincia a capire come la fine del dogma non basti a sollevare un popolo façonné alla servitu con un'arte esecrabile. S'avvicina allora il tempo della rivoluzione, anche se non si sa « quando il grande fenomeno avverrà e quali circostanze lo faranno accadere in un luogo o in un altro. Non c'è qui niente di necessario e di assoluto » 75 • Lo scritto cadeva in un periodo di controversie, con l'eco ancora viva della battaglia del « Conservateur » e dell'Essai sur l'indifférence di Lamennais diretto contro il gallicanesimo moderato di Saint-Sulpice. Con la Riforma la Chiesa che è una e apostolica s'era « mutata in una scienza di puro raziocinio », « aveva assunto tante forme quante sono i cervelli » e le « sette s'erano generate le une dalle altre ». Eretici, deisti e teisti, le tre specie di 75 Lo scritto Comment !es dogmes finissent (1825) compare anch'esso nei Mélanges, dt., pp. 3.29 (qui p. 29).

16}

indifferenti dogmatici, tutti cospiravano contro la fede collettiva e il potere della Chiesa; e per questo si dovev~ sostituire la ragione dubitante con una ragione infallibile, che si accetta senza prove e ci solleva alla conoscenza delle cose in Dio 76 • L'esortazione mennaisiana riprendeva e mescolava l'ontologismo di Malebranche, il Verbo divi, no del quarto evangelio, la lezione degli scozzesi filtrata da Royer-Collard, avviando una disputa che, se non conta qui seguire nei suoi sviluppi sull'ordine ecclesiale, coinvolgeva anche i nostri protagonisti. Cousin, per primo, che s'attaccava al cogito per riparare alla parte scettica del sistema Kantiano, dopo averne accolto quella dogmatica, similmente al nostro Rosmini: deciso in ogni caso a non sottometterlo al metodo del!' autorità e a non farne uno strumento apologetico 77 • E Jouffroy, evidentemente, che con Comment !es dogmes finissent s'opponeva all'abate bretone sul suo stesso terreno. La fede, se davvero esprime un istinto dell'uomo, non si contiene in uno schema e non si fissa in una rivelazione assoluta. Tanto meno essa si spiegava con un plebiscito napoleonico che consultasse in• diani e cinesi, greci e romani su Dio e l'anima, con un'opinione consolidata e al riparo da rotture e contraddizionic Cosi, se anche non si riferiva a una precisa situazione, anzi proprio per questo, la peripezia religiosa confermava emblematicamente la sua idea del senso comune: una dot• trina della natura umana, da prendere e scavare com'è, delle credenze che sostengono i sistemi e le ideologie senza lasciarsene assorbire e obiettivare 78 • « Dogmatico », come lo chiamava Sainte-Beuve, Jouf• 76 Mi riferisco alla quarta edizione parigina dell'Essai sur l'indifférence en matière de religion, uscita in due tomi da Tournachon-Molin e

Seguin, e precisamente al cap. VI del primo, pp. 208 ss., dopo l'attacco

alla grotesque religion sensitive, 77 Il «celebre» Cousin e « l'illustre Rosnrini tra noi italiani», comt appunto avvertiva il Galluppi nella Lettera XIV aggiunta nella seconda edizione delle Lettere filosofiche, 1838, Napoli.

78 In questo senso va rivisto il giudizio di Omodeo, peraltro finissimo, che scorgeva il limite dell'« avvenirismo» di Jouffroy nell'alternarsi necessario del «demolire» e del , 1969, pp. 9-30; W. Tega, Il Newtonianismo dei Philosophes, in « Rivista di Filosofia», 1975, pp. 369-407. 4 M. Serres, op. cit., p. 155.

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scenze genetiche, per un nuovo ordine sostanziato dall'idea di progresso 5 • Gli approdi di Comte e di Ampère, come è stato detto, erano assai distanti; ma è indubbio che i punti di convergenza e le analogie presenti nelle loro ricerche consentivano di cogliere come, sia pure in termini e con prospettive nuove, si fosse riaperto un problema classico della filosofia moderna: quello della classificazione naturale e unitaria delle scienze del quale il pensiero filosofico e scientifico dell'800 e del primo '900 si apprestava a fornire molteplici soluzioni 6 • Dunque, nel processo di costruzione di una classificazione naturale, sosteneva Ampère, si deve fare uso solo di « caratteri essenziali agli oggetti di cui ci si occupa discutendo l'importanza di ciascuno di essi; e i risultati di questo lavoro possono essere adottati solo se gli oggetti che presentano un grado maggiore di analogia si trovano sempre piu vicini, e se gruppi diversi, dei diversi ordini che ne sono formati, si trovano tanto piu vicini quanto piu simili sono i caratteri che presentano, di modo che si può osservare in modo piu o meno evidente una sorta di passaggio da ciascun gruppo a quello che lo segue » 7 • Le classificazioni naturali, per il semplice fatto di fondarsi sui caratteri forniti dagli oggetti, esigono una analisi di tutti i loro aspetti, di tutte le facce che mostrano all'osservatore, di tutti i loro rapporti; solo per questa strada si può giungere ai livelli di conoscenza piu alta e completa che sia dato attingere all'uomo 8 • Questo approccio non univoco agli oggetti costituisce il cuore, l'elemento centrale e dinamico della clas5

Ibidem.

Del problema della classificazione delle scienze si sono occupati, tra Otto e Novecento, innumerevoli filosofi e scienziati. Sull'argomento v .: R. Flint, Philosophy as Scientia Scientiarum and a History of 6

Classification of the Sciences, Edinburgh, 1904; M.F. Blis, The Organisa~ tion of Knowledge and the System of the Science, London, 1920; J. Mouhasseb, Essai sur la Classification des Sciences 1 Damas, 1953; J. Piaget, Les Courants de f!Epistemologie Scientifique Contemporaine 1 in Logique et Connaissance Scientifique, Paris, 1967, 7 A.M. Aropère, Essai sur la Phìlosophie des Sciences 1 tome I, Paris, 1834, p. 9. 8 Ibidem, p. 10.

308

li

sificazione naturale: « nella misura in cui si scoprono nuovi rapporti è necessario modificare le classificazioni, e i cambiamenti tendono ad avvicinarle sempre piu alla perfezione, alla quale potrebbero giungere solo se l'uomo non ignorasse nulla di tutto ciò che è relativo agli oggetti classificati » 9 • Si è già detto che il passaggio al sistema naturale portava con sé lo smantellamento delle classificazioni di tipo artificiale che avevano dominato incontrastate gran parte dell'età moderna. Le classificazioni artificiali possono essere tante quanti sono i criteri che le fondano, ma secondo Ampère « questi diversi sistemi che si succedono e si avvicendano come i flutti del mare, non contribuiscono al progresso delle scienze anzi spesso vi introducono una inquietante confusione » 10• Al limite già grave dell'arbitrarietà e dell'astrattezza dei principi che le fondano, queste classificazioni aggiungono quello che deriva dalla unilateralità nella ricerca e nell'osservazione visto che sollecitano il ricercatore a esaminare negli oggetti « solo ciò che si riferisce al modo di classificazione che hanno adottato » 11 • E tuttavia innegabili sono i meriti delle classificazioni artificiali, la loro non è stata soltanto una storia di errori; esse hanno procurato vantaggi agli uomini e alla società, hanno contribuito ad accrescere almeno le conoscenze relative agli oggetti di cui si sono occupate, anche se per Ampère occorreva sottolineare che siffatti alberi delle conoscenze, compreso quello proposto da Bacone e rielaborato dall'Encyclopédie, erano rimasti molto lontani dai risultati che si riproponevano di conseguire, né avevano avvertito la necessità di raggruppare tutte le verità conosciute secondo criteri razionali. Ma Bacone poteva accampare forti attenuanti: quando si accinse all'impresa non si erano ancora aperte all'umanità le sterminate pianure della scienza sperimentale e soprattutto in nessun dominio scientifico si erano date classificazioni fondate sui rapporti reali con i loro oggetti. Ai tempi 9 10 11

Ibidem.

Ibidem, p. 5. Ibidem.

309

del Lord Cancelliere, concludeva Ampère, non vi era neppure l'idea di ciò che oggi si denomina classificazione naturale. Potevano dire la stessa cosa d'Alembert e Diderot? Poteva accampare le stesse scusanti il Sys.tème figuré il quale rimaneva fin troppo legato a Bacone e insisteva ancora nel distribuire tutto il sapere, tutta la mole delle conoscenze che si erano ormai accumulate, secondo le facoltà classiche dell'intelletto ossia la memoria, la ragione e l'immaginazione? Ampère rispondeva negativamente e inoltre sottolineava che il Système non teneva in alcun conto i tentativi di classificazione, pure parziali, elaborati dai naturalisti; tradiva apertamente il principio della analogia; usava in modo inadeguato e contraddittorio !a categoria del rapporto; trascurava l'invenzione linguistica e non si preoccupava di imporre nomi nuovi alle famiglie di conoscenze che andavano ad arricchire l'edificio della scienza correndo cosf tanto il rischio di sommergerle nel mare delle conoscenze già note, quanto quello di collocarle sotto partizioni non appropriate. Ma oltre a ciò l'Encyclopédie proponeva una distinzione tra le arti e le scienze basata esclusivamente sul fatto che nelle scienze l'uomo conosce soltanto, mentre nelle arti conosce ed esegue. Secondo Ampère non erano chiare le ragioni alle quali obbediva questa distinzione; infatti a suo avviso poiché in entrambi i casi si dà corioscenza, le prime devono come le seconde entrare in questa classificazione; soltanto che le arti vi entrano esclusivamente in relazione alla conoscenza dei processi e dei mezzi che impiegano, astrazione fatta per l'esecuzione pratica

che dipende dall'abilità dell'artista e non dall'istruzione piu o meno completa che ha acquisito a seconda che sia pili o meno sapiente la sua arte. Sotto il profilo della conoscenza, ogni arte come ogni scienza è un gruppo di verità dimostrate dalla ragione, riconosciute dall'osservazione o percepite dalla coscienza che espti~ me un carattere comune, carattere che persiste sia nel fatto che queste verità si rapportano a oggetti della stessa natura, sia nel fatto che gli oggetti che vi si studiano vi sono considerati sotto lo stesso punto di vista 12. 12

310

Ibidem, p. 6.

Chi imbocca la strada della classificazione artificiale si espone a questo ventaglio di errori proprio perché si fa arbitrio e despota, nella scelta e nell'uso, dei caratteri che fondano il sistema, che determinano tanto le prime suddivisioni quanto quelle successive. Viceversa chi imbocca l'altra strada, quella della classificazione naturale, deve cominciare dalle ultime suddivisioni, composte da indivì~ dui meno numerosi, e le cui analogie sono piU evidenti e piU facili da determinate. Riunendo quelle suddivisioni che si somigliano di pili, stabilisce le divisioni delPordine precedente. Solo da

ultimo si può giungere alle grandi partizioni, si può, dire nella classificazione di tutte le conoscenze umane, che il filosofo deve considerare le verità individuali come il naturalista considera le diverse specie di vegetali e di animali 13 •

Nella lucidità con la quale Ampère leggeva il Système figuré di d'Alembert e nella precisione con la quale coglieva i limiti dell'albero enciclopedico e le difficoltà relative alla sua fondazione epistemologica, si rifletteva gran parte del cammino che la conoscenza scientifica aveva fatto in poco piu di mezzo secolo. E questo rendeva ancora piu sorprendenti le semplificazioni e i silenzi su una parte consistente dei problemi di ordine epistemologico avanzati dal Discours Prèliminaire proprio in riferimento alla sistemazione dell'albero enciclopedico. Parecchi studiosi· hanno creduto di poter trarre da ciò conclusioni parziali e affrettare circa i rapporti di Ampère con la cultura illuministica. Non si è fatta strada viceversa una tesi, forse un po' banale ma a mio avviso maggiormente attendibile, secondo la quale questa lettura facilior del Discours Prèliminaire tendeva non tanto a mettere in cattiva luce l'Encyclopédie, quanto a mettere in risalto le novità e i pregi della classificazione naturale premessa al primo tomo dell'Essai. Certamente l'albero delle conoscenze proposto da d' Alembert si ispirava ai criteri della classificazione artificiale, ma sarebbe stato agevole per Ampère cogliervi i motivi, del resto apertamente dichiarati, che avevano spinto l'autore del Di13

Ibidem.

311 ,

scours Prèliminaire a questo passaggio, e i problemi che restavano aperti circa il rapporto che doveva porsi fra l'ordine enciclopedico e l'ordine naturale. D' Alembert aveva inteso tutta la differenza cbe passa tra la conoscenza naturale e le astratte classificazioni e sistemazioni degli elementi di conoscenza che ne abbiamo. Il campo di applicazione prioritario della conoscenza scientifica restava pur sempre quello degli individui e delle loro particolarità. Solo attraverso processi di generalizzazione e di astrazione si poteva giungere a selezionare le loro qualità « generali e comuni », « soltanto dopo un lungo uso dei primi segni perfezionammo · l'arte di questi stessi fino a farne una scienza; finalmente soltanto dopo una lunga serie di operazioni sugli oggetti delle nostre idee abbiamo, con la riflessione, imposto regole a queste medesime operazioni » 14 • La natura, sosteneva d' Alembert, è composta di individui, sono questi i primi oggetti di conoscenza che ci forniscono tutti gli elementi che servono a paragonarli e dunque a distinguerli. Le classi sotto le quali li ricomprendiamo sono costituite da quegli elementi e da quelle proprietà designate con termini astratti. Ma un oggetto presenta sempre piu proprietà e soprattutto può essere osservato da molteplici punti di vista e pertanto può essere ricompreso ad un tempo sotto classi diverse. Questo è quell'ordine naturale che d' Alembert sottolineava essere altra cosa rispetto ali'ordine enciclopedico il quale consisteva nel « ràtcogliere entro il minimo spazio possibile e nel collocare il filosofo, per cosf dire al di sopra di questo vasto labirinto, in un punto di osservazione assai elevato donde egli possa abbracciare tutte insieme le principali arti e scienze » 15 • Le raffigurazioni cartografiche che ne risultavano erano destinate a cambiare a seconda delle prospettive scelte dal cartografo e dunque a d' Alembert appariva già chiaro quan14 J. D'Alembert, Discours Prèliminaire, trad. it. in Enciclopedia o Dizionario Ragionato delle Scienze, delle Arti e dei Mestieri, ordinato da Diderot e d'Alembert, a cura di P. Casini, Bari, 1968, p. 37. 1' Ibidem, p. 38.

312

tb Ampère doveva rilevare poi, e cioè che « si possono avere o meglio immaginare tanti diversi sistemi della conoscen, za umana quanti sono i mappamondi che si possono costruire secondo differenti proiezioni; e ciascuno di tali sistemi potrà avere perfino, ad esclusione di altri, qualche particolare vantaggio » 16 • Lo spazio dell'arbitrio in questa sistemazione era ampio e toccava all'uomo di scienza per un verso ridurlo, per l'altro saper trovare punti di unità e di convergenza fra i diversi sistemi originati dalle osservazioni della realtà effettuate secondo differenti posizioni. Indubbiamente sarebbe stato preferibile un assetto, una sistemazione secondo la quale « gli oggetti si susseguissero sulla base di quelle insensibili sfumature che servono ad un tempo a distinguerli e a unirli» 17 • Ma qui per d'Alembert occorre riconoscere in primo luogo che il cosiddetto sistema generale delle scienze e delle arti altro non è che un filo per percorrere il labirinto entro il quale l'uomo si avventura spinto dai suoi bisogni. In secondo luogo la strada che porta alla conoscenza dell'origine delle idee è tortuosa, contraddittoria, piena di rotture e di discontinuità. In terzo luogo le scienze che all'interno di un sistema assolvono il ruolo di principi e che nell'ordine enciclopedico occupano i primi posti, non sono state inventate per prime. Da ultimo gli esseri a noi noti sono troppo pochi, non riusciamo a prendere nota di tutte queste sfumature e « l'universo non è che un vasto oceano sulla cui superficie distinguiamo alcune isole piii o meno grandi mentre i loro nessi con il continente ci sfuggono » 18 • Ampère dunque sembrava non cogliere l'esigenza presente nell'impresa enciclopedista di mettere in rapporto la conoscenza individuale e quella astratta della natura e comunque di considerare l'albero enciclopedico come una trama destinata a tenere legate le poche conoscenze che abbiamo; o una bussola per muoverci in un grande oceano di cui ci è 16

11 18

Ibidem, pp. 38-39, Ibidem, p. 39, Ibidem, p, 40,

313

noto solo qualche arcipelago; un sistema destinato a subire variazioni non solo relativamente al variare del punto di osservazione, ma anche al mutare e all'accrescersi della conoscenza degli individui. E da questo punto di vista le stesse categorie di unità e di distinzione, di rapporto e di analogia, assumevano significato diverso a seconda che si collocassero entro l'ordine naturale o entro l'ordine enciclopedico che le faceva fungere da elementi di raccordo fra conoscenze frammentarie, anche assai lontane tra di loro. In Ampère dominava l'esigenza di chiudere invece questo scarto, di fare coincidere in modo ferreo un ordine naturale compiutamente descritto e un ordine enciclopedico esaustivo non solo d'ogni spazio conosciuto ma anche di ogni punto di osservazione; di qui la sottovalutazione della perizia di quell'esperto cartografo che era cl' Alembert; certamente le coordinate generali del Système figuré restavano quelle baconiane, ma il mappamondo d'alembertiano era costruito secondo una differente proiezione che teneva conto di quanto era nel frattempo maturato entro l'ambito del sapere scientifico. Intendo dire che Ampère non si era concentrato sui punti di rottura o solo di novità che questo mappamondo presentava, non aveva colto che le novità e le rotture ivi contenute non erano solo il frutto dell'immaginazione scientifica, ma della catena di analogie e di rapporti nuovi che il procedere della conoscenza aveva posto tra il continente, le isole esistenti e quelle recentemente scoperte. Diderot e cl' Alembert avevano adottato lo schema baconiano perché tra quelli escogitati era il piu vicino all'ordine naturale, ma vi avevano introdotto modificazioni di ordine sostanziale. L'ordine delle facoltà, ad esempio, era rovesciato in un punto cardine: l'immaginazione non occupava piu il luogo centrale che aveva nell'albero del De Augmentis, ma veniva posposta alla ragione che dunque assolveva una funzione di cerniera, di congiunzione tra memoria e immaginazione. La nuova disposizione sembrava a Diderot e a cl'Alembert maggiormente conforme al progresso naturale che si osserva nell'attività dello spirito. « Se anteponiamo la ragione al314

l'immaginazione quest'ordine ci appare ben fondato e conforme al naturale progresso delle operazioni dello spirito: l'immaginazione è una facoltà creatrice, e lo spirito, prima di creare comincia col ragionare su quanto vede e conosce» 19 • Procedere per immagini, aggiungeva d'Alembert, vuol dire congiungere i dati della storia e quelli della ragione: la ragione conduce in qualche modo all'immaginazione: tali operazioni infatti consistono nella creazione, per cosf dire, di esseri generali i quali, una volta separati per astrazione dal loro soggetto, non rientrano pili nell'immediato dominio dei nostri sensi. Di tutte le scienze, quelle che competono alla ragione, alla metafisica e alla geometria sono dunque quelle nelle quali l'immaginazione ha maggior parte. Chiedo scusa agli spiriti brillanti che amano denigrare la geometria; certo non si credevano tanto prossimi alla geometria, dalla quale forse soltanto la metafisica Ii tiene lontani. L'immaginazione in un geometra che crea, non è meno attiva di quanto lo sia in un poeta che inventa. t vero che essi operano in modo diverso sopra il loro oggetto: il primo lo sfoglia e analizza, il secondo compone e abbellisce. :È anche vero che questo diverso modo di operare è da attribuirsi alla diversità delle indoli indivi-

duali; forse perciò i talenti del grande poeta e del grande geometra non si troveranno mai uniti 20•

Ma le novità sostanziali rispetto all'albero baconiano si trovano, come è facile pensare, nell'ambito della filosofia della natura che non solo registrava e inventariava, sempre secondo i presupposti enunciati da d' Alembert, gli avanzamenti, le scoperte, le acquisizioni delle scienze, ma colmava la lacuna piu grave dello schema baconiano, quella relativa alle matematiche. Ma dopo quanto abbiamo detto si può concludere semplicisticamente che ad Ampère sfuggiva del tutto l'intreccio di problemi e lo sforzo teso a ridurre la distanza tra ordine naturale e ordine enciclopedico presente in Diderot e d' Alembert? Sfuggiva l'insieme dei cambiamenti introdotti nel!' albero enciclopedico che mantenevano quella classificazione nel solco della tradizione baconiana ma la " Ibidem, pp. 41-42. Ibidem, pp. 42-43.

20

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rendevano infinitamente piu efficace? Sfuggiva infine che d'Alembert, di fatto, anticipava le sue conclusioni quando distingueva una classificazione naturale che descrive le scienze relativamente al loro oggetto, da una classificazione enciclopedica che non è necessariamente legata « all'oggetto delle scienze e che lo spirito che le costruisce e le pensa può essere, in virtu della sua differenziazione naturale e innata, un principio di classificazione naturale e maneggevole? » 21 • Ad Ampère che era stato un lettore precoce e attento dell'Encyclopédie, che ne conosceva a menadito, a memoria dicono le biografie, interi volumi, potevano sfuggire queste implicazioni? Se è legittimo dubitarne, allora questa lettura semplificata del Discours Prèliminaire, questo schiacciamento dell'Encyclopédie verso l'opera baconiana a quali esigenze obbediva? A una presa di distanze nei confronti della cultura illuministica o ancor piu precisamente nei confronti di una linea di riflessione filosofica e scientifica che da Bacone giungeva fino ai tempi suoi e che aveva tenuto in subordine i temi proposti da Cartesio per un verso e dai naturalisti per l'altro? O piu semplicemente, come si accennava, a un artificio retorico destinato a sottolineare con maggiore forza gli elementi di novità contenuti nel suo progetto di classificazione naturale? I due ultimi argomenti meriterebbero di essere sviluppati a preferenza degli altri in quanto mi sembrano quelli maggiormente collegati al lento e mai interrotto processo di formazione e di elaborazione che caratterizza la riflessione filosofica di Ampère. Ma fin da ora va detto che al di là di considerazioni estemporanee, il rapporto di Ampère con la cultura filosofica settecentesca e in particolare con quella gnoseologica e scientifica, è stato sempre di fondamentale importanza, anche se certamente le fasi della sua complessa maturazione intellettuale Io faranno ritrovare, specie dopo gli anni '20, su posizioni assai distanti rispetto a quelle di 21

)16

Ibidem, p. 41.

d' Alembert, di Diderot e piu in generale della filosofia dei lumi 22 • La formazione di Ampère è intrinsecamente legata alla cultura illuministica. I tomi dell'Encyclopédie e la Méchanique Analitique di Lagrange sono già parte integrante del suo patrimonio di conoscenze quando la stessa collocazione politica della sua famiglia lo mette, in rapporto con le idee rivoluzionarie e con gli eventi dei quali il padre sarà protagonista prima, e vittima innocente poi. Da questa esperienza tragica, come molti hanno sostenuto, uscirono profondamente scosse anche le sue convinzioni filosofiche? Indubbiamente Ampère si fece piu sensibile ai fermenti culturali del milieu lionese nel quale si avvertivano ancora le idee illuministiche portate da Claude de Saint Martin (che soggiornò nella città dal '7 3 al '7 6 e vi fece ritorno tra 1'85 e 1'86) e, piu forte nei primi anni del nuovo secolo, si faceva sentire l'influenza della tradizione cattolica. Proprio in quegli anni insieme a Ballanche e a Bredin, Ampère dava vita alla Société Chrétienne sulla quale, se dobbiamo prestare fede ·a Valson, esercitò qualche incidenza anche il pensiero di De Maistre oltre a quello di Chateaubriand 23 • Ma la Société non durò piu di un anno e si sciolse quando Ampère fu chiamato a Parigi per svolgervi le funzioni di ripetitore di analisi alla Scuola Politecnica. L'ambiente parigino consenti ad Ampère di rinsaldare subito i vincoli con i temi caratteristici della sua formazione culturale, con conoscenze e tendenze acquisite negli anni 22 Sulla formazione di Ampère si possono vedere: L. De Launay, Correspondance du Grand Ampère, Paris, 1836; C.A. Sainte-Beuve, A.M. Ampère, in « Revue des Deux Mondes », 1837; E. Littre, Ampère et l'electromagnetisme, in « Revue des Deux Mondes », 1837 (lo scritto di Sainte-Beuve insieme a quello di Littre sono stati in seguito riprodotti in apertura del secondo tomo dell'Essai sur la Philosophie des Sciences, pubblicato nel 1843, dopo la morte di Ampère, e curato dal figlio Jean-Jacques); J. Barthelemy Saint-Hilaire, La Philosophie des Deux Ampère, Paris, 1866; C.A. Valson, La vie et les travaux de A.M. Ampère (1775-1836), Lyon, 1886. 23 Sul milieu lionese e sui rapporti che Ampère vi intrattenne anche dopo 1a sua partenza per Parigi v.: J. Buche, L'École Mistyque de Lyon, Paris-Lyon, 1935.

317

dello studio e della formazione, e nel contempo apriva una fase particolarmente feconda della riflessione in ordine ai fatti psicologici durante la quale si avvicinò progressivamente al gruppo di Auteil il cui esponente piu in vista era ancora il vecchio Cabanis e i cui ingegni piu vivaci erano De Tracy e De Gerando, al quale andava senz'altro, in quel momento, la sua preferenza. Ma Auteil non era solo il luogo e lo stimolo per una riflessione approfondita sui temi della psicologia e della gnoseologia degli idéologues; qui farà conoscenza e stringerà amicizia con Maine de Biran al quale resterà legato da una fitta corrispondenza sui grandi temi gnoseologici e metafisici che noi qui seguiremo solo relativamente al problema della classificazione dei fatti psicologici. E del resto questi rapporti, questi concreti legami con la filosofia degli idéologues, con la cultura illuministica, prendevano corpo e si definivano già intorno all'805 quando Ampère andava componendo un Mémoire, rimasto inedito fino a quando nel 1866 Barthelemy de SaintHilaire non lo diede alle stampe, destinato ad avere un grande rilievo nella maturazione delle sue convinzioni filosofiche e dedicato ali' analisi del pensiero e delle facoltà intellettuali e morali dell'uomo 24 • In quelle pagine si possono leggere già assai chiaramente e la presa di distanze rispetto alle posizioni lockiane e condillachiane, e l'adesione, non priva di riserve, alle nuove proposte gnoseologiche ed etiche di De Gerando, di De Tracy, e ancora l'attenzio24 I Fragments del Mémoire de l'An XII sono stati resi noti per fa prima volta in forma completa e sistematica da J. Batthelemy Saint-Hilaire nel 1866. La composizione del Mémoire si colloca fra il 1803 e il 1806. Sono gli anni nei quali Ampère comincia la sua attività di professore all'Ecole Polytechnique (vi è chiamato nell'804 in qualità di ripetitore di analisi matematica) e frequenta con assiduità i filosofi di Auteil. Quando si stringe con vincoli di amicizia e di collaborazione con De Tracy, De Gerando e con il giovane Maine de Biran, aveva già iniziato la serie delle sue pubblicazioni matematiche; nel 1802 aveva dato alle stampe le considerazioni sulla· teoria matematica del gioco, nel 1803 la memoria sugli invarianti differenziali sulle curve e nel 1806 la dimostrazione del principio delle velocità virtuali. Naturalmente il peso di questa attività scientifica incideva sulla riflessione eminentemente gnoseologica contenuta nel Mémoire. Su questo scritto è indispensabile soffermarsi se si vogliono poi intendere i passaggi successivi del pensiero di Ampère.

318

ne rivolta ad un lavoro del giovane Maine de Biran sull'abitudine 25 • Non credo dunque si possa parlare di distacco, di rottura con la tradizione illuministica, tanto piu che sul piano della ricerca fisica, nello studio dei fenomeni naturali, il legame di Ampère con Newton, d'Alembert, Lagrange e Laplace restava altrettanto stretto di quello intrattenuto con la linea critica della filosofia degli idéologues 26 • E del resto alla critica serrata al Système figuré e alla lettura facilior del programma degli enciclopedisti, in Ampère faceva riscontro un interesse non privo di esagerazione per le classificazioni approntate dai naturalisti settecenteschi, i quali, per primi, a suo avviso, avevano attinto un certo grado di perfezione, anche perché gli oggetti da loro presi in esame presentavano caratteri determinabili con sufficiente esattezza. Bernard De Jussieu, D' Aubenton, Buffon, Linneo e da ultimo il suo contemporaneo Cuvier avevano mostrato la via da seguire anche se poi il loro lavoro aveva insistito su domini circoscritti, aveva centrato solo una parte degli oggetti, e talora li aveva studiati da un punto di vista particolare. Si trattava per Ampère di trasportare questi criteri, questi principi di analisi e di sintesi sul piano della classificazione generale: si può dire che nella classificazione di tutte le scienze umane,

i1 filosofo deve considerare le verità individuali come il naturalista considera le diverse specie di vegetali e di animali. Allo stesso modo suo, per classificare i corpi organizzati, comincia con il rmnire in generi le specie piU vicine; raccoglie in seguito in una stessa famiglia i generi che presentano tra loro maggiori analogie;

rnggruppa poi a loro volta tutte le famiglie in ordini, gli ordini in

classi, queste in branche, le branche in regni; allo stesso modo il filosofo deve formare successivamente, con le verità che vuole

25 Si tratta dello scritto Influence de l'Habitude sur la Faculté de Penser pubblicato nel 1802; notevole influenza doveva poi esercitare sul giovane Ampère anche il Mémoire sur la Decomposition de la Pensée composto da Biran nel 1805. 26 Sul pensiero filosofico degli Idéologues v,: S, Moravia, Il Tramonto dell'Illuminismo, Bari, 1968; Le Scienze dell'Uomo nel '700, Bari, 1972; Il pensiero degli Idéo!ogues, Scienza e Filosofia in Francia

(1780-1814),

Firenze, 1974.

319

classificare, gruppi di diversi ordini. I gruppi in cui si trovano riuni~ te le verità che hanno tra di loro i rapporti piU intimi corrisponderanno ai generi del naturalista e saranno le scienze dell'ultimo otdine. Esse si riuniranno in scienze dell'ordine immediatamente precedente come i generi si riuniscono in famiglie. Da queste nnove scienze si formeranno scienze piU estese che corrisponderan~ no agli ordini adottati in storia naturale e cosi di seguito fino a quando non si giunga a due grandi divisioni di verità che si possono paragonare al regno vegetale e al regno animale 27 •

Come si è detto, per Ampère i due principali criteri che caratterizzano una scienza e la distinguono da tutte le altre sono per un verso la natura dell'oggetto studiato, per l'altro il punto di vista sotto il quale questo stesso oggetto viene considerato; combinando questi due strumenti di definizione e di classificazione si può sperare di trovare l'ordine nel quale gli oggetti si raccordano nel modo piu naturale e di riunirli in gruppi di diversi ordini sulla base delle loro vere analogie. « Le scienze sono fatte dall'uomo per l'uomo, di qui la necessità di prestare attenzione ai diversi punti di vista dei quali abbiamo parlato ed è per questo anche che vi sono due specie di caratteri in base ai quali si può riconoscere se una classificazione generale delle scienze umane è veramente naturale » 28 • Per quanto attiene al carattere del primo tipo, si riconoscerà che le scienze sono classificate nel modo giusto, quando i gruppi che si saranno formati con le verità di cui esse si compongono corrisponderanno ai gruppi che si saranno formati con gli oggetti stessi e ancora, quando l'ordine nel quale questi gruppi sono sistemati corrisponde all'ordine naturale degli oggetti. Ma, circa il secondo tipo di caratteri, sarà necessario che si trovino riunite in un medesimo gruppo le scienze di cui si occupano gli stessi uomini; questa circostanza sta ad indicare che fra di loro vi è una analogia reale. Di qui la necessità che esse si dispongano secondo un ordine tale che chi volesse percorrerne tutta la serie, le trovi collocate di seguito, le une 21 28

320

A.M, Ampère, Essai, cit., pp. 6-7. Ibidem, pp. 12-13.

accanto alle altre, di modo che seguendole in quest'ordine non vi sia mai bisogno di fare ricorso, per lo studio di una scienza, ad altre conoscenze oltre a quelle acquisite con lo studio delle scienze precedenti. Questo per Ampère voleva dire dare inizio ali'ordine naturale, cominciare dalle scienze che hanno una organizzazione piu semplice e procedere via via con quelle piu complesse; una procedura diversa, non opposta ma combinata, poteva essere adottata solo nel caso della classificazione naturale degli esseri organizzati. Mi accorsi allora come in ogni classificazione veramente naturale delle scienze, si doveva cominciare da quelle che ordinariamente si riuniscono sotto il nome di matematiche perché queste scienze comparativamente alle altre, si compongono di un piccolo nume-

ro di idee che derivano tutte dalle nozioni di grandezza, di estensione, di movimento è di forza, e ancora per il fatto che le si possono studiare senza improntare nulla alle altre scienze 29 •

E alle matematiche terranno dietro le scienze che si occupano delle proprietà inorganiche dei corpi e quindi tutte quelle che studiano gli esseri viventi. A questo punto e solo a questo, si colloca lo studio dell'uomo che ci scopre l'altra metà dell'universo delle conoscenze: quelle filosofiche morali e politiche. Questo studio deve venire dopo quello del mondo e della natura poiché come ci serviamo dell'occhio senza conoscere la sua struttura e il modo in cui si produce la visione, allo stesso modo il matematico, il fisico, il naturalista possono condursi nei loro fovori, dallo studio filosofico delle facoltà che impiegano per misu~ rare l'universo, a osservare e a classificare i fatti relativi a tutti gli esseri che racchiude. Mentre è in una conoscenza almeno gene~ tale delle scienze matematiche fisiche e naturali che il filosofo troverà materiali per studiare le facoltà dell'intelligenza umana di cui queste stesse scienze sono il prodotto migliore 30.

Per Ampère si trattava a questo punto di passare a riunire in gruppi sempre piu larghi le scienze del primo ordine, quelle relative al mondo naturale, alle quali dà il 29

Ibidem, pp. 14-15. 15-16.

,o Ibidem, pp.

321

nome di « scienze cosmologiche », e di quelle relative al pensiero umano, alle società, alle istituzioni alle quali dà il nome di « scienze noologiche », « ammettendo con i filosofi delle scuole piu distanti, da Descartes a Condillac, che la parola pensiero ricomprende nella sua accezione tutte le facoltà dell'intelletto e tutte quelle della volontà» 31 • L'approdo del 1834, come si diceva, è preceduto da una lunga fase di ricerca e da molteplici tentativi di sistemazione del sapere. La ricerca procedeva per vie anche assai diverse e quando approdava al progetto complessivo, lasciava leggere indubbiamente i termini della concezione filosofica generale sulla quale si fondava, ma lasciava anche scorgere con uguale chiarezza in che misura avessero contribuito a quella sistemazione sia la ricerca sul campo in fisica e nelle altre scienze della natura, sia la tenacia e il forte interesse con il quale Ampère si era applicato per oltre vent'anni alla definizione dei criteri sulla base dei quali classificare i fatti psicologici e quelli intellettuali. Si può dire anzi che la volontà di mettere ordine nello spazio del sapere, di classificare i fatti del dominio intellettuale, di azionare gli strumenti stessi della comprensione della natura, abbia preceduto il lavoro di sistemazione e di classificazione dei fatti naturali. Infatti è solo nel periodo che prepara l'Essai, cioè a partire dalla fine degli anni '20 - come del resto Ampère stesso lascia intendere - che prende corpo e volto il progetto di classificazione generale delle scienze. 2. In appendice alla Prèface del primo tomo dell'Essai, Ampère riproponeva, con qualche modifica e correzione, il testo di una lezione tenuta al College de France e della quale il dottor Roulin aveva curato un estratto per il « Temps » del 22 luglio 1833. La lezione faceva per cosi dire il punto sul problema della classificazione dei fatti intellettuali al quale Ampère si era dedicato a partire dagli anni della stesura del Mémorie de l' An XII. JI Ibidem, p. 28. La proposizione dell'Essai (1834) è interamente ripresa dal Mémoire de l'An XII.

322

1

Su questo stesso argomento inoltre si era costruito il rapporto con i filosofi di Auteil e si era snodata una parte consistente della corrispondenza con Maine de Biran. Giunto ormai in sede di bilancio, Ampère faceva notare cbe, relativamente all'argomento in questione, altra cosa è classificare gli oggetti stessi della nostra conoscenza come fanno i chimici e i matematici, altra ancora classificare le conoscenze, altra infine classificare i fatti intellettuali e le facoltà dell'intelligenza umana. Nel primo caso infatti il posto centrale spetta alla natura degli oggetti; nel secondo occorre aggiungervi il punto di vista in base al quale, secondo le leggi della nostra intelligenza, gli oggetti possono essere considerati. L'ultimo caso, quello che interessa appunto esaminare piu da vicino, individua come essenziali questi punti di vista e fa riferimento alla natura degli oggetti solo in quanto questa consente all'intelligenza che la studia di mettere in evidenza le diverse facoltà di cui dispone. Fenomeni e concezioni costituiscono e compongono il pensiero umano il quale per Ampère ripropone in ogni suo momento una distinzione tra sensibilità e attività. Si deve intendere infatti per fenomeno tanto tutto ciò che è percepito attraverso la sensibilità come ad esempio le sensazioni, le immagini e le concrezioni (fenomeni formati dalla riunione di una sensazione presente e di una immagine della stessa sensazione ricevuta anteriormente), quanto quel che è percepito attraverso la coscienza che abbiamo della nostra attività, come ad esempio l'emestesi (sentimento stesso di questa attività), l'automnestia (la traccia che ne conserva la memoria) e la personalità fenomenica che si configura come il piu complesso tra i fenomeni in quanto deriva dall'unione di una emestesi attuale e dalle tracce che la memoria ha conservato delle emestesi passate 32 • Le concezioni le quali, secondo la definizione data da Ampère in una lunga e importante lettera a Biran, « portano la nostra mente al di là di tutto ciò che esiste, come le 32

Ibidem, Note à la Préface.

323

rappresentazioni l'hanno portata al di là del dominio della sua sensibilità e della sua attività » 33 , si distinguono a loro volta in concezioni rispettivamente indipendenti dal linguaggio, come quelle primitive e obiettive, e legate al linguaggio generale, come lo sono per l'appunto le concezioni comparative od onomatiche e quelle esplicative. Le concezioni sono inseparabili dai fenomeni e proprio in quanto tali lasciano anch'esse campo alla distinzione tra sensibilità e attività. Le concezioni primitive che sono « le forme sotto le quali ci appaiono i fenomeni » 34 guardano alla sensibilità attraverso l'estensione e la mobilità, mentre si riferiscono ai fenomeni attivi relativamente alla durata e alla causalità. Le concezioni obiettive si riferiscono ai fenomeni sensitivi relativamente all'idea che abbiamo della materia e degli atomi che la compongono, mentre guardano ai fenomeni attivi per quel che attiene all'idea di sostanza « che muove il nostro corpo e nella quale risiedono il pensiero e la volontà » 35 • Le concezioni comparative od onomatiche (relative alle parole) a loro volta sono legate ai fenomeni sensitivi da ql)elle che si definiscono comunemente idee generali o meglio, come Ampère preferisce chiamarle, idee matematiche. I fenomeni attivi fanno invece leva su termini quali sentire, desiderare, giudicare che cercano dunque di cogliere ciò che vi è di comune negli stati o negli atti del pensiero ai quali si intende dare lo stesso nome. Sotto il dominio della riflessione, assunta qui nella piu pura accezione lockiana, vengono ricomprese le idee relative ai rapporti sociali, al bene, al male, al dovere, ecc. Infine, l'ultima specie di concezioni, quelle esplicative, consentono di risalire alle cause attraverso lo studio comparato dei fenomeni. Ma il furore distintivo e analogico di Ampère andava oltre; una evidente analogia raccorda i fenomeni sensitivi e attivi da una parte e dall'altra i 33 Lettera di Ampère a Maine de Biran datata 1806 in Oeuvres de Maine de Biran, par. P.- Tisserand, tome VII, Paris, 1930, p. 394. 34 A.M. Ampère, Essai, dt. Note à la Préface, p. LII. 35 Ibidem.

324

due grandi oggetti della nostra conoscenza: il mondo e il pensiero rispettivamente, che poi per l'intelletto non sono altro se non i punti di riferimento intorno ai quali si raccolgono i due grandi regni delle scienze cosmologiche e di quelle noologiche. E l'analogia non è meno sorprendente fra i quattro tipi di concezioni esaminati e i quattro punti di vista che determinano le branche nelle quali ogni regno si suddivide. Il primo in effetti, abbracciando tutto ciò di cui acquisiamo immediatamente conoscenza, corrispondente alle concezioni primitive; al secondo, che si ocèupa· di ciò che è nascosto dietro queste apparenze, rispondono le nozioni obiettive in base alle quali concepiamo da una parte la materia che è come nascosta dietro alle sensazioni, dall'altra, la sostanza motrice che pensa e vuole e che è nascosta dietro i fenomeni relativi all'attività; il terzo è quello nel quale si comparano le proprietà dei corpi o i fatti intellettuali per stabilire leggi generali ... ; infine il punto di vista che riposa sulla dipendenza reciproca delle cause e degli ef. fetti che è cosi l'oggetto delle concezioni esplicative 36 •

La classificazione dei fatti intellettuali, la definizione fondata sulla natura delle concezioni è prioritaria rispetto a quella che dipende dalla natura dei loro oggetti. L'insieme dei fatti si raccoglie anche qui in quattro branche nelle quali si intrecciano e si coniugano i fenomeni e le concezioni, di modo che la distinzione fondata sulla differenza esistente fra i fenomeni sensitivi e i fenomeni attivi, non deve essere usata che per suddividere ciascuna delle quattro grandi divisioni in due gruppi o sistemi di fatti intellettuali. In effetti i fenomeni della sensibilità e quelli delF attività come le concezioni che si rapporta~ no agli uni e agli altri si sviluppano parallelamente con una azione e una reazione reciproche

37.

Le teorie concernenti la natura delle nostre facoltà intellettuali e morali sono ancora tanto imperfette - sostiene Ampère - in quanto l'orientamento della metafisica che le ha studiate è stato costantemente sintetico. Ìì 36

31

Ibidem, p. LV. Ibidem, p. LVI.

325

necessario capovolgere questo procedimento e applicare alla teoria delle nostre facoltà non l'analisi matematica, ma piuttosto quella « che dipende dalla osservazione dei fatti e dalla concatenazione delle conoscenze ». Dunque proprio sul finire della sintesi del '33, Ampère ribadiva il ruolo di preminenza che nel suo sistema assumeva il tema del rapporto tra sistema sensitivo e sistema attivo, e ancora, quello tra conoscenza fenomenica e conoscenza noumenica. Per larga parte era una riproposizione, certo semplificata ed emendata, dei sistemi classificatori che Ampère aveva maturato nei primi anni del secolo sui quali è agevole cogliere l'incidenza che ha avuto l'intenso rapporto con l'idéologie rationelle, la fitta corrispondenza con Maine de Biran, la frequentazione assidua quanto poco chiarificatrice della Disserta/io del '70 e dalla Critica della Ragion Pura. Nel 1807 infatti, durante un corso « a metà matematico, a metà metafisico » 38 preparato per I'Ateneo parigino, Ampère tentava un primo abbozzo di classificazioni dei fenomeni relativi all'intelligenza umana facendo leva sulla psicologia che gli appariva come la scienza mediante la quale si rivelava possibile « esaminare e classificare i fenomeni che presenta l'intelligenza umana » in quanto cosentiva, secondo il sistema del naturalista, « di esaminare e di classificare gli oggetti esterni » 39 • Questo primo tentativo di classificare i fatti psichici teneva dietro a una paziente ricognizione che Ampère aveva fatto intorno ai temi gnoseologici affrontati dagli idéologues, consegnati alle pagine del Mémoire de l'An XII al quale si è fatto già cenno. Nessuna sorpresa dunque se dopo questo lavoro di diligente compilazione scritto sotto l'influenza di De Tracy, di De Gerando e del giovane Maine de Biran, Ampère approdava a una classificazione dei fatti psichici che si fondava sulla distinzione delle facoltà umane in attive e passive. 38 39

326

Lettera di Ampère a Maine de Biran, cit, in Oeuvres, cit., p. 384.

Ibidem.

L'uomo -

dirà in una lunga lettera a Biran del 1807 -

agisce e conosce. Di qui due classi di fenomeni, quelli che presen~ ta in quanto essere che agisce e quelli che offre in quanto essere che conosce. Queste due classi di fenomeni non si sviluppano se non l'una dall'altra ... ed è precisamente perché queste due classi di fenomeni dipendono reciprocamente l'una dall'altra e non possono svilupparsi se non simultaneamente che mi sembra impossibile, senza questa prima distinzione, comprendere una classificazione conforme alla natura, i fenomeni che osserviamo nell'essere che ci si offrono sotto due punti di vista cosi diversi 40•

Mentre il primo punto di vista consente di individuare e di classificare due ordini di fenomeni e precisamente quelli che suscitano attrazione e repulsione (denominate determinazioni), e le modificazioni prodotte dal soggetto nel suo modo di essere, indipendentemente dal cambiamento di circostanze (denominate azioni). Il secondo punto di vista, quello relativo al conoscere, mette capo per un verso a quelle che De Gerando chiamava idee, per l'altro alla coordinazione di queste stesse idee, cioè alle idee complesse. Dunque le determinazioni, le azioni, le idee e le coordinazioni, sono i quattro ordini di fenomeni ai quali può essere ricondotto l'uomo considerato dal punto di vista psicologico; e non solo ma questi ordini di fenomeni per Ampère corrispondono alla divisione di diverse applicazioni della psicologia in quattro scienze: la morale che studia le nostre determinazioni e rettifica quelle che devono diventarlo; l'economia che ci insegna a dirigere le nostre azioni nel modo pili conveniente verso lo scopo che ci proponiamo; l'ideologia attraverso la quale esaminiamo le nostre idee e il modo in cui le acquisiamo; la logica che si occupa dei mezzi atti a rendere le diverse coordinazioni di queste idee confor~ mi alla verità 41 .

Biran non riserverà a questa proposta di classificazione formulata da Ampère un'accoglienza positiva; nel giudizio assai severo, espresso in una lettera dello stesso anno, ribadiva il suo rifiuto, che del resto Ampère aveva già avuto modo di registrare anche in precedenza, ad am-



Ibidem, p. 385. " Ibidem, p. 386.

327

mettere ogni divisione tra conoscenza e azione, tra l'atto del conoscere e la volontà 42 • Certamente, sosteneva Biran, la divisione delle facoltà dell'uomo nel sistema dell'intelletto e in quello della volontà è stata autorevolmente sostenuta; e tuttavia il suo modo di concepire i fenomeni e di spiegare la genesi delle conoscenze, gli impediva di accettare questa divisione nel modo in cui di recente l'aveva riproposta Condìllac e, dopo di lui, non pochi degli idéologues dai quali Ampère sembrava ispirato. Biran manifestava la sua contrarietà all'analyse gnoseologica d'ispirazione condillachiana proposta da Ampère, richiamandosi provocatoriamente a Locke. Definiva la volontà come « potenza di muovere e di agire » e la separava nettamente dal desiderio con il quale, viceversa a suo avviso, metafisici e sensisti la confondevano. Biran dichiarava ancora piu esplicitamente di ricomprendere sotto il termine volontà « questo insieme di movimenti, di azioni e di operazioni di cui l'io dispone o che dipende da lui cominciare, sospendere, arrestare, in una parola tutto il sistema delle nostre facoltà attive e niente piu » 43 • Con ciò stesso escludeva dal sistema della volontà tutti quei fenomeni relativi alle affezioni e alle passioni che molti filosofi, soprattutto fra i sensisti, avevano ricompreso sotto il titolo di volontà distinguendola dall'intelletto. E del resto siccome Biran sosteneva che non vi è una idea intellettuale, una percezione distinta, una conoscenza propriamente detta « che non sia originariamente legata a un atto della volontà » 44 , non poteva di conseguenza fare a meno di considerare il sistema intellettuale o cognitivo 42 Su Maine de Biran e più in particolare sul rapporto con Ampète v.: P. Tisserand, L'Anthropologie de Maine de Biran ou la Science de l'Homme Interieur, Paris, 1909; V. Delbos, Maine de Biran et son Oeuvre Philosophique, Paris, 1931; G. Madinier, Conscience et Mouvement: Etude sur la Philosophie Française de Condillac à Bergson, Paris, 1938 (II ed. Paris-Louvain, 1967); H. Gouhier, Les Conversions de Maine de Biran, Paris, 1947; M. Ghio, Maine de Biran e la traduzione biraniana in Francia, Cuneo, 1962; D. Voutsinas, La psychologie de Maine de Biran, Paris, 1975. 4 3 Lettera di Biran ad Ampère del 1807 in Oeuvres, cit., pp. 399-400. 44

328

Ibidem.

come assolutamente fuso, per cosI dire, in quello della volontà dal quale differisce solo in virtu dell'espressione. E d'altro canto, concludeva, che siccome può essere provato dal!'esperienza che la volontà non ha alcun potere sul sistema delle affezioni che ci rendono felici o infelici, che il principio delle passioni si oppone in piu punti tanto alla volontà quanto all'intelligenza, si può stabilire « una divisione del tutto naturale fra il sistema naturale e il sistema affettivo o passivo » 45 • Solo in questo senso a Biran poteva sembrare accettabile la suddivisione dei fenomeni in relativi alle conoscenze e alle determinazioni che Ampère gli proponeva. E del resto che il sistema di Ampère gravitasse ancora troppo verso il sensismo o meglio verso l'idéologie rationelle lo dimostrava inconfutabilmente, per Biran, l'accezione stessa nella quale veniva usato il termine détermination sotto il quale sembrava essere ricompreso tutto quello che era stato denominato « sistema della volontà ». Ampère dunque ricalcava le orme di Condillac e di De Tracy: in effetti l'idea generale e complessa legata al termine determinazione non veniva forse assunta soprattutto nel sistema affettivo e non era forse da questo che traeva i motivi o le cause determinanti per ogni esercizio della forza iperorganica? In breve, Ampère non veniva cosI a trovarsi dalla parte di De Tracy che aveva sostenuto senza incertezze che l'azione è subordinata alla passione? Convengo -

sosteneva Biran -

che nell'ordine naturale il siste-

ma affettivo che è in azione prima di quello della conoscenza propriamente detta diventa per quest'ultimo come uno stimolo e influisce considerevolmente sul suo sviluppo; ma non penso che la forza iperorganica, avendo in se stessa il suo principio d'attività spontanea e indipendente ... , sia assolutamente dipendente dalle

a.ffezioni e dalle passioni dell'essere sensitivo anche nel suo primitivo esercizio a piU forte ragione in questo stadio di sviluppo che costituisce l'autopsia e le evoluzioni riflesse 46 •

45

Ibidem.

46

Ibidem, pp. 402-403.

329

Mentre per quanto attiene al piano delle idee e delle coordinazioni, Biran sembrava convenire largamente con Ampère, le sue riserve sul sistema della determinazione diventavano sostanziali proprio perché su questo punto coglieva la sopravvivenza di concezioni analoghe a quelle di De T racy secondo le quali un essere agisce in virtu della semplice spontaneità del principio motore che è in lui e che è lui « senza intenzione determinata, senza prevedere la successione delle sue azioni e potrebbe cosi acquisire delle idee, delle conoscenze; all'esercizio della sua attività si troveranno legati alcuni sentimenti ed emozioni che determineranno l'essere motore a ripetere gli stessi atti; questi sentimenti sarebbero le reali determinazioni » 47 • Ma a questo punto - obiettava ancora Biran - siccome le azioni e la volontà dell'essere motore non sono state subordinate ad esso fin da principio e non sono ancora dipendenti, sarebbe necessario distinguere le determinazioni di questa specie superiore dalle eccitazioni immediate e dalle passioni che precedono i movimenti istintivi e li provocano, questi ultimi appartengono alla macchina organizzata, all'animale, gli altri sono di pertinenza dell'anima e dell'essere intelligente 48 • Ampère mostrava una acuta sensibilità di fronte alle osservazioni critiche di Biran. A partire da questo scambio epistolare non parlerà piu di sistema intellettuale e di sistema affettivo, ma addotterà una partizione, destinata poi a rimanere tale fino al '3 3, secondo la quale tutte le facoltà intellettuali, tutte le operazioni conoscitive si distribuivano in un sistema sensitivo e in un sistema attivo dove per sistema sensitivo doveva intendersi l'insieme dei fenomeni prodotti, indipendentemente dall'io, da impressioni che si esercitano sugli organi esterni o interni. E tutto un mondo di immagini, di modificazioni attuali « senza reminiscenza, senza successione, come per l'anima~

le che le prova successivamente, ogni istante essendo an41 48

330

Ibidem, p. 403. Ibidem.

nientato dall'istante che le segue ». Proprio di qui comincerebbe il sistema attivo « quando cessano le cause modifi. canti, il cervello in virtu delle determinazioni che ha ricevuto conserva e riproduce fenomeni analoghi». L'effort, la coscienza dell' effort o autopsia che per Ampère sono la stessa cosa, forniscono qui un elemento nuovo « assolutamente differente da tutti gli altri che si percepisce distintamente da essi, ma in combinazione con essi. Tutti gli altri elementi si coordinano attorno a questo centro comune, gli effetti prodotti dall' effort si coordinano con esso in virtu della casualità » 49 • Si ripropone una distinzione precisa tra sensazioni, autocoscienza, ricordo e sintetopsia. Molti fenomeni precedono la nascita dell'io, la forza iperorganica non concorre, o almeno non essenzialmente, ai movimenti istintivi, essa si evidenzia soltanto dopo che il centro cerebrale si muove spontaneamente in virtu di determinazioni acquisite contratte nel corso di questi movimenti. Dunque « non c'è vero io se non quando la forza iperorganica, dopo avere concorso a un movimento istintivo e avere imparato in qualche modo ad agire, agisce in seguito da sola » 50 • Dunque l'io si manifesta successivamente alle sensazioni, successivamente a quello che può essere individuato come il primo stadio della conoscenza nel quale il mondo esterno e i nostri sensi si trasformano e si confondono con i fenomeni mentali al di là dell'intervento di qualunque forza intellettuale. Nonostante l'apprezzamento per Biran, l'acuta sensibilità di fronte alle sue critiche, lo sforzo per mettersi in sintonia con gli aspetti fondamentali della sua riflessione, Ampère mantiene ferma sul piano gnoseologico la distinzione tra forma sensitiva e forma attiva della conoscenza. Il sistema che Ampère ripropone dopo l'intenso scambio d'opinioni con Biran e con De Gerando, del quale andava apprezzando sempre piu le idee, faceva infatti ancora perno sulla grande partizione tra sistema sensitivo e sistema attivo e chiamava in causa quattro epoche, quattro 49

Ibidem.

so Ibidem.

331

stadi del processo conoscitivo e classificatorio delle impressioni, quella caratterizzata dai fenomeni che restano nella memoria, quella che segna la nascita dell'io e del suo correttivo, il non io, e infine quella contrassegnata dall'attività volontaria. Ma le epoche conoscitive che precedono la nascita dell'io non sono mera passività; in Ampère è già presente la convinzione secondo la quale il sistema sensitivo non va confuso con la passività e va però distinto in modo netto dal sistema attivo. Negli anni successivi, il problema del rapporto fra i due sistemi sarà riaperto e la conclusione proposta non andrà, ancora una volta, nella direzione indicata da Biran. Tra Biran e Ampère, oltre agli idéologues, si poneva ora anche la lettura di Kant. « Voi pensate - scriveva Biran - che il senso dell'effort sia distinto dal senso muscolare. Considerate la sensazione muscolare nell'effort di contrazione che Bichat ha chiamato "contrazione organica e sensibile", e che consiste unicamente nella reazione di una parte del sistema muscolare sui nervi cerebrali contigui » 51 • Nonostante Ampère in una lettera del 1807 dichiarasse di comprendere e di condividere la teoria dell'effort proposta da Biran, questo restava il punto di divergenza reale fra i due filosofi come lo era stato negli anni in cui discutevano dell'abitudine e dei criteri di analisi e di scomposizione del pensiero. Come abbiamo avuto modo di constatare, non vi erano state nelle concezioni di Ampère modificazioni tali da capovolgere l'interpretazione che Biran aveva fornito in una lettera dell'806 della distanza che li separava circa il concetto stesso di effort. Con il termine effort - concludeva Biran - voi ed io non intendiamo la stessa cosa, poiché voi assumete questo modo relativo, al di fuori dell'essere che è ritenuto farlo e sentirlo e voi dite: vi è ciò che chiamo effort in tal caso che determino con l'ipotesi. Io al contrario, assumo questo modo fondamentale nella percezione intima dell'essere che si sente esistere di per sé e dico che vi è effort solo nel caso in cui può aver luogo, quando vi è 51

381.

332

Lettera di Biran ad Ampère (febbraio 1806) in Oeuvres, cit., p.

resistenza o inerzia organica vinta o da vincere. Ciò posto non separerei il senso dell' effort dal senso muscolare, ma distinguerei i casi in cui questi è attivo da quelli in cui è passivo 52 •

Ampère, in breve, rimproverava a Biran di confondere l'effort e la sensazione muscolare. La sensazione muscolare è analoga alle altre; essa si colloca al di fuori dell' effort; solo quando si agisce volontariamente si avverte l'effort e fuori di lui la sensazione muscolare che fa di essa il rapporto di causalità. Ampère considera l' effort al di fuori dell'essere che lo produce; l'azione della forza iperorganica sul cervello non è un dato di coscienza e lo stesso rapporto di causalità è scisso nei due termini preesistenti: l'io causa e la sensazione muscolare effetto. Ma Madinier giustamente ha osservato che la soluzione obiettivista di Ampère non poteva convenire con le tesi di Biran. La classificazione del '33 presenta indubbie consonanze con quella che esce da questo scambio di opinioni: vi si ritrova la grande suddivisione dei fenomeni intellettuali in sistema sensitivo e in sistema attivo, sembra risolto il problema del rapporto fra i due. sistemi o meglio della unità della conoscenza nella misura in cui « i fenomeni della sensibilità e dell'attività, come le concezioni che si rapportano agli uni e gli altd, si sviluppano parallelamente e con una azione e una reazione reciproche » 53 • Ma si avverte chiaramente anche lo scarto, la novità, rispetto alle ricerche precedenti, il nucleo della riflessione non consiste piu nel determinare l'ambito dei rapporti tra passività e attività del processo conoscitivo, tra sensazione muscolare e effort, diventa bensf quello relativo ai diversi livelli della conoscenza che l'intelletto è nelle condizioni di conseguire e, in ordine al mondo (scienze cosmologiche), e in ordine al pensiero (scienze noologiche). Si tratta di un risultato sostanzialmente diverso rispetto a quelli fissati dalla ricerca che corre fino al 181 O, un approdo sul quale hanno inciso profonda52 53

Ibidem, pp. 381-382.

A.M. Ampère, Essai, cit., Note,

cit., p.

LVI.

333

mente la lettura di Kant e i risultati di una ricerca scientifica che proprio in quegli anni si andava facendo piu intensa e piu fruttuosa 54 • La stessa corrispondenza con Biran mostra che, dopo il '12, piu frequenti si faranno i riferimenti all'autore della Critica della Ragion Pura. Ampère sembra trovare nella gnoseologia kantiana indicazioni e sollecitazioni ad approfondire la natura del rapporto che si stabilisce fra materia e forma del conoscere, e ancora tra conoscenza fenomenica e conoscenza noumenica. Ma soprattutto si mostrerà convinto che tra il suo orientamento gnoseologico e quello kantiano vi fossero profonde analogie. Circa la giustezza della sua convinzione Ampère insistentemente chiedeva conferma a Brian. Non vi era forse una analogia profonda tra le quattro categorie kantiane e i suoi quattro sistemi, cioè il sistema delle sensazioni o impressioni, quello costituito dall'autopsia e ancora il sistema comparativo e quello caratterizzato dalla sintetopsia, ossia dalla percezione delle relazioni? E questa insistenza nella ricerca di un raffronto, di un rapporto con Kant ritorna in un frammento di data incerta nel quale Ampère tracciava una sorta di bilancio delle sue ricerche gnoseologiche e insieme del suo rapporto con Biran. Ma Biran non darà al quesito una risposta esauriente e risolutiva; avvertiva invece, con l'acutezza che gli era propria, che al di là della comprensione della filosofia di Kant, Ampère si era incamminato per un'altra strada. E la conferma di questo passaggio la si ritrova in un frammento di difficile datazione, ma certo successivo al '16, nel quale si distinguono cinque cose nelle nostre conoscenze: 1) la conoscenza dei fenomeni; 2) la conoscenza dei rapporti e delle relazioni esistenti tra i fenomeni; 3) la conoscenza dei noumeni; 4) la conoscenza delle relazioni fra i fenomeni e i noumeni che sono sempre relazioni di causalità, sia causalità veramente 54 La ricerca di Ampère sul terreno delle scienze fisiche si fece particolarmente intensa dopo il 1820. Tra il '21 e il '26 infatti furono pubblicati tutti i suoi studi più importanti di elettrodinamica e di elettromagnetismo.

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attiva, sia di questa causalità in qualche modo passiva che si potrebbe chiamare inerenza, ma che suppone sempre non di meno che i corpi agiscano sui nostri organi; 5) la conoscenza delle relazioni dei noumeni tra di loro, indipendentemente da noi 55 • Se Biran ha contribuito in modo determinante alla definizione dei primi quattro passaggi, il quinto Ampère lo rivendica come risultato originale della propria ricerca. Ma in che cosa consiste la relazione dei noumeni tra di loro indipendentemente da noi? In primo luogo Ampère distingue questi rapporti in due grandi categorie: nella prima vanno ricompresi i rapporti che dipendono dalla natura dei termini fra i quali li percepiamo, di modo che al variare dei termini variano anche i loro rapporti; nella seconda sono invece compresi i rapporti che sussistono indipendentemente dai termini fra i quali sono percepiti, onde, alla variazione dei termini, non corrisponde la variazione dei rapporti. La prima serie di rapporti ovviamente non ci consente di portarci al di là del mondo fenomenico, ma la seconda non è forse in grado di farlo? La dottrina di Biran, prevalentemente psicologica, affermava come necessaria la credenza nella realtà delle cause e delle sostanze che dobbiamo supporre in noi e fuori di noi. Ma che cosa sappiamo di queste cause e di queste sostanze? E ancora che cosa sappiamo delle leggi che le governano? A noi è dato conoscere solo i fenomeni e le leggi che regolano i rapporti tra i fenomeni, anche se sembriamo costretti ad ammettere l'esistenza dei noumeni. Ma le leggi che governano il mondo noumenico non sono per Biran alla nostra portata. Ad Ampère invece sembra di avere elementi sufficienti per dire che i rapporti fra i noumeni ci sono noti proprio in virtu dei rapporti percepiti fra i fenomeni. I rapporti della prima serie, come si è visto, non possono essere trasportati dal livello fenomenico a quello noumenico, poiché essi variano al variare dei ss Frammento relativo all'insieme della corrispondenza con L. Maine de Biran, in Oeuvres, cit., p. 349.

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loro termini. Non avviene cosi per i rapporti della seconda serie i quali sussistono indipendentemente dai fenomeni dai quali li percepiamo, poiché i termini possono variare senza che varino i rapporti (ad esempio il rapporto di · numero, quello di posizione, quello di causalità). Secondo Ampère non vi è nulla che possa opporsi al trasferimento di questi rapporti dal piano dei fenomeni a quello dei noumeni. Ma questo passaggio oltre a essere legittimo è anche possibile in quanto quelle relazioni, quei rapporti, preesistevano nelle cause noumeniche dei fenomeni, essi hanno potuto manifestarsi sulla base delle leggi della nostra organizzazione, fra gli stessi fenomeni. Questa convinzione secondo la quale il processo conoscitivo può attingere tanto a livello del rapporto tra i fenomeni tanto a quello del rapporto tra i noumeni, costituiva un punto di riferimento centrale, come si è visto, anche nel sistema del '33 56 • 3. Lo scopo di Ampère restava dunque quello di classificare le scienze sia in base al loro oggetto, sia relativamente al punto di vista sotto il quale esse venivano considerate. L'uso combinato di questi due criteri classificatori sarebbe stato in grado per Ampère di restituire all'osservatore sia l'ordine secondo il quale le scienze nascono e si concatenano, sia la linea lungo la quale si evidenziano le loro reali analogie. I punti di riferimento che ha il filosofo sono dunque almeno due e non sono separabili; da un lato l'esistenza del mondo esterno, dall'altro un sistema di idee, non certamente frutto di mero rispecchiamento, che lo rendono riconoscibile. Un mondo esterno conceS6 Il 1·apporto fra Kant. e Ampère si apre già nei primi anni del secolo anche se si intensifica solo dopo il '15. Infatti riferimenti precisi e puntuali a Kant,· alla Ragion Pura, si trovano già nel Mémoire de

l'An XII. Gli studi su Ampère non hanno ancora messo in luce la

reale incidenza che la filosofia di Kant ha esercitato stÙ suo pensiero filosofico e scientifico. Sull'argomento v.: G. Legrand, Ampère et Maine de Biran: la théorie des rapports, in « Revue Néoscolastique », 1907; B. Lorenz, Ampère et Kant, in « Kant-Studien », 1927; H. Gouhier, Les Conversions, cit.; E. Brehier, Histoire de la Philosophie, voi. III, fase. III, Paris, 1968.

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pita secondo le regole newtoniane, conosciuto, interpretato e classificato secondo orientamenti maturati alla scuola degli idéologues, di Biran e di Kant. Tutte le conoscenze umane dunque possono essere raccolte sotto i due punti di riferimento di ordine generalissimo di cui si è parlato: il mondo materiale e il pensiero: al primo, come noto, si riferiscono le scienze cosiddette cosmologiche, al secondo quelle noologiche. A loro volta ciascuno di questi regni si suddivide in due sottoregni che per le scienze cosmologiche comprendono rispettivamente tutte le verità relative all'insieme oi-ganico del mondo (scienze matematiche e fisiche) e tutte quelle che si riferiscono agli esseri organizzati (scienze naturali e mediche). Le scienze noologiche comprendono dal canto loro tutto ciò che ha per oggetto la propagazione del pensiero e i mezzi attraverso i quali gli uomini si comunicano le proprie idee, i propri sentimenti, le proprie passioni (scienze filosofiche e dialegmatiche) e un sottoregno che invece si occupa delle società umane e delle istituzioni che le governano (scienze etnologiche e politiche). Ciascuno di questi sottoregni o generi risulta poi a sua volta composto da quattro specie ·e infine ciascuna di queste quattro specie dei quattro generi è divisa in quattro sottospecie. Il tratto originale di questo sistema assai macchinoso consiste nel proporre una classificazione a doppia uscita la quale consente un reale superamento dell'albero enciclopedico del sapere, i cui rami erano fondati esclusivamente sui contenuti delle scienze che ne entravano a far parte. E questa attenzione combinata ai contenuti e ai procedimenti della conoscenza, percorre tutto il sistema e la si ritrova anche nella costituzione delle sottospecie. Le quattro suddivisioni comuni a tutte le sottospecie sono: quella autoptica o descrittiva; quella criptoristica destinata a evidenziare le leggi generali che si celano dietro l'apparenza immediata; quella troponomica che evidenzia le leggi di trasformazione e non soltanto le generalità statiche; quella criptologica che ha il compito di cogliere tutto ciò che si situa al di là delle leggi di trasformazione. 337

Altro aspetto di rilievo nel lavoro di Ampère è quello relativo alla denominazione delle scienze, luogo classico della riflessione degli idéologues. La classificazione naturale ha bisogno - sosteneva Ampère con Condillac - di una lingua ben fatta; non può rimanere prigioniera delle deficienze dei moduli linguistici delle classificazioni artificiali. Nella nomenclatura del metodo artificiale è stato facile per Linneo ad esempio dare nomi alle sue classi e ai suoi ordini espri~ mendo con l'unione di due termini greci, combinati sempre in modo regolare, i caratteri che aveva loro assegnato a priori; ma non è cosi per il metodo naturale dove i caratteri che ne distinguo~ no le diverse parti si modificano necessariamente secondo la natu~ ra degli oggetti ai quali si riferiscono, devono essere determinati a posteriori, e se è possibile dopo che la classificazione è stata già conclusa 57 •

Come procedere dunque, quali criteri adottare per un passaggio cosl importante? « Una' buona nomenclatura - sosteneva Ampère - deve soddisfare a due condizioni: una parola unica necessariamente sostantiva; un sostantivo seguito da un aggettivo qualificativo che ne restringe il significato al gruppo che deve designare » 58 • Sulla base di questi criteri andava rivista, voce per voce, la nomenclatura in uso, andavano osservati i singoli campi del sapere dirimendo confusioni non solo di ordine linguistico, portando alla luce l'immenso patrimonio sommerso delle conoscenze non ancora codificate o sistematizzate o, addirittura, relegate in dipartimenti del sapere con i quali non vi era alcuna effettiva analogia. Inventare nomi nuovi vuol dire riscattare questo patrimonio, non inventare le scienze; quando è stata chiamata cinematica la scienza che porta questo nome - esemplifica Ampère - essa era già presente, aveva già oggetto e regole negli studi di Carnot e in quelli di Lanz e di Betancourt. Il passaggio alla simmetria che l'arte di classificare compie agli inizi dell'800 è assai bene evidenziato dal sistema di Ampère. La classificazione appare chiusa in un 57

A.M. Ampère, Essai, cit., Préface, p. XXXVIII.

ss Ibidem, p. XXXIX.

338

quadro inestensibile e rigido che alla bipartizione iniziale

fa seguire una scansione uniformemente tetracotomica. Vi è motivo per dubitare della piena naturalità di questa classificazione, della sua capacità di superare completamente quell'ordine enciclopedico che appariva ad Ampère tanto distante dall'ordine naturale. Sarebbe opportuno a questo punto chiedersi se e come l'altra sintesi classificatoria contemporanea, intendo quella di Comte, sia riuscita a superare le difficoltà nelle quali era incappato Ampère. Ludovico Geymonat, in una breve nota apparsa su « Physis » nel 1969, indicava la differenze tra le due classificazioni e i vantaggi che quella comtiana presentava rispetto all'altra. Quel rapido excursus, che giustamente ha chiamato in causa argomenti di fondo relativi agli oggetti e ai caratteri delle scienze, alla loro distinzione in fondamentali e particolari, al nesso razionale in grado di esprimerne l'unità e, infine, alla loro nascita e al loro sviluppo, contiene preziose indicazioni per l' approfondimento del problema. Approfondimento destinato inevitabilmente a superare lo schematismo cbe ancora permane nella maggior parte delle interpretazioni di Ampère e al quale non sfuggono neppure le attente osservazioni di Madinier e dello stesso Geymonat: i limiti e le difficoltà che l'Essai presentava non si lasciano spiegare con generici riferimenti all'oggettivismo del suo autore 59 né tanto meno al suo « spiritualismo individualistico » di ispirazione biraniana 60 •

59 60

G. Madinier, Conscience et Mouvement, dt, 1 p. 126. L. Geymonat, Le Classificazioni delle Scienze in Ampère e in Comte, in « Physis », Anno XI, 1969, pp. 22.3-230.

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SERGIO MORAVIA

FILOSOFIA E MEDICINA IN FRANCIA ALLA FINE DEL SECOLO XVIII

La 'Société Royale de Médecine'

Quando, il 22 settembre del 1784 1 , Cabanis viene proclamato a Reims dottore in medicina, la situazione della scienza e dell'assistenza medica è tutt'altro che soddisfacente. Agli occhi del giovane studioso la realtà rivela aspetti inquietanti: gli ospedali sono pochi e mal tenuti; i medici, impreparati e charlatans; il divorzio fra teoria e pratica, assai grande e pericoloso. Di Il a qualche anno in un'appassionata brochure egli denuncerà la gravità di queste molteplici carenze, anche per le implicazioni che avevano dal punto di vista sociale 2• Particolarmente negativa - non era un mistero per nessuno - la situazione della facoltà di medicina. Essa non appariva al passo coi tempi né sotto il profilo scientifico, né sotto quello didattico. Le lamentele espresse una Una precedente e piU ampia versione di questo saggio è stata pubblicata in Th. Besterman, ed. Studies on Voltaire and the Eighteenth Century, Banbury, 1972, LXXXIX, pp. 1089-1151. Rispetto peraltro a quella

stesura, la presente contiene tutta una serie di nuovi dati e considerazioni, nonché molte nuove indicazioni bibliografiche. 1 Questa la data esatta, che corregge l'errata indicazione di M. Tencer, La psychophysiologie de Cabanis d'après son livre 'Rapports du physique et du moral de l'homme', Toulouse, 1931, e di qualche altro studioso, 2 P.G. Cabanis, Observations sur les hOpitaux, Paris 1790. Ora in Oeuvres philosophiques, ed. Lehec-Cazeneuve, Paris 1958, voi. I, J?p. 4-31. Si veda anche il successivo Quelques principes et quelques vues sur les secours publics, preparato negli anni della Rivoluzione anche se pubblicato solo nel 1803. (Ora in Oeuvres, cit., voi. II, pp. 1-63). Non torniamo qui ad analizzare questi due scritti, che sono già stati esaminati in S. Moravia, Il Tramonto dell'Illuminismo. Filosofia e politica nella società francese (1770-1810), Bari, 1968, pp. 97-107.

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volta da Diderot in proposito restavano ancora valide 3 • I laboratori erano pressoché inesistenti. Le materie insegnate erano assai poche, e con sorprendenti lacune. Quando un clinico del rango di Antoine Petit aveva voluto organizzare corsi di anatomia e di chirurgia, l'aveva dovuto fare a sue spese e in mezzo a grandi difficoltà 4 • L'insegnamento di discipline come la medicina e la chirurgia, che parrebbero strettamente connesse l'una con l'altra, risultava impartito in due organismi diversi. Tale suddivisione suscitava naturalmente ricorrenti rivalità, che non giovavano alla preparazione degli studenti. Non meno tesi i rapporti della facoltà col Jardin des Plantes, che lo spirito organizzativo di Buffon aveva dotato di laboratori e di corsi di studio i quali interessavano direttamente anche la scienza medica 5 • Particolarmente grave, infine, la scarsissima collab101;azionde fra ospedali e f~bc? ~t~. dS~mbrava davverodclhle mo tl ere essero ne11a poss1 11ta 1 1 un progresso e a medicina indipendente dall'esperienza diretta dei malati e delle malattie. Nel giudizio di Cabanis questo era oltretutto un preciso errore filosofico. La frattura fra insegnamento teorico e casistica concreta gli appariva un tipico esempio di quell'astrattezza metafisica da cui tutte le scienze dovevano liberarsi. Come non comprendere che « c'est dans les salles memes d'un hllpital que se donnent les leçons » '? La medicina infatti - osservava in un'ispirazione prettamente sensista - e tutte le arti « qui demandent la culture immédiate des sens, et dans lesquels les combinaisons de l'esprit ne peuvent jamais suppléer l'habi3

Diderot, Pian d'une Université pour le gouvernement de Russie, in

Oeuvres, ed. Assézat-Tourneux, Paris 1875-77, vol. III, pp. 438-9. 4 P. Delaunay, Le monde médical parisien aux XVfI[e siècle, Paris, 1906. 5 Sulla situazione della facoltà di medicina cfr. L. Liard, L1enseignement supérieur en France, Paris 1888-94, 2 voli.; A. Prévost, La Faculté de Médecine de Paris, ses chaires, ses annexes et son personnel enseignant, Paris 1900. Cfr. anche P. Huard, L1enseignement médico-chirurgical, in R. Taton ed., Enseignement et diffusion des sciences en France au XVIIJe siècle) Paris, 1964, pp. 171*236. Si veda, dello stesso autore, con la collaborazione di M,D. Grmek, Sciences, médecine, pharmacie de la Révolution à /'Empire, (1789-1815), Paris, 1970, 6 Cabanis, Observations.., dt., p. 23.

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.i

tude et l'exercice, doivent tre étudiés directement dans la nature meme; et [quel, par conséquent, !es meilleurs professeurs de médecine sont !es malades » 7 • Ancora piu intenso e preciso l'elogio dell'importanza empirico-sperimentale degli ospedali che un amico di Cabanis esprimeva quasi nello stesso periodo: Les maladies et la mort offrent de grandes leçons dans les hòpitaux. En profite-t-on? Écrit-on l'histoire des maux qui y frappent tant de victimes? Y ouvre+on les corps de ceux qui y périssent, pur découvrir le foyer des diverses affections auxquelles ils ont succombé? Y rédige+on un exposé des diverses constitutions médicales? Y recuille-t-on les faits nombreux et intéressants qui s'y présentent? Y enseigne+on l'art d'observer et de traiter !es maladies? Y a-t-on établi des chaires de médecine clinique 8 ?

Non è forse un caso che la piu concreta reazione a questa deplorevole situazione fosse nata alcuni anni addietro, in un ambiente scientifico e culturale d'avanguardia. Siamo nel periodo in cui Turgot è ancora intendant du Roi. I philosophes vedono delinearsi nuove possibilità di riforma intellettuale e sociale. La riorganizzazione della ricerca scientifica è fra quelle sentite e richieste con la maggior insistenza. Nelle sociétés savantes e nei salons, - a cominciare da quello già celebre di Auteuil organizzato dalla vedova di Helvétius - , scienziati, filosofi e uomini politici discutono i problemi di comune interesse. A tali discussioni partecipano attivamente vari medici, alcuni dei quali (come Thouret e Petit, Boyer e Cabanis) erano amici della prima ora di Madame Helvétius 9 • È sulla base di questi incontri e del personale interessamento di Turgot, frequentatore anche egli di Auteuil, che nascerà 1

Ibidem, p. 24. F. Vicq d'Azyr, Réflexions sur !es abus dans l'enseignement et l'exercice de la médecine, in Oeuvres, ed. Moreau de la Sarthe, Pari~, 1805, voL V, p. 64. 9 Sulla presenza di molti medici nella Société d'Auteuil cfr. Fr. Labrousse, Quelques notes sur un médecin-philosophe, P.].G. Cabanis (1757-1808), in « Bull. de la Soc. scientifique, hist. et archéologique de la Corrèze », XXV, 1903, pp. 495 ss. Sulla Sodété nel contesto cultura• le del suo tempo cfr. S. Moravia, Il tramonto dell'Illuminismo, cit. 8

343

il progetto della Société royale de Médecine. Il principale autore e realizzatore tecnico del progetto era Felix d'Azyr, un giovane scienziato che dagli iniziali studi filosofici era passato a coltivare l'anatomia e la fisiologia, senza tuttavia dimenticare i suoi primi interessi ed anzi indotto da quelli (lo vedremo) ad una continua riflessione sui problemi teorici e pratici suscitati dalle due discipline. Fondata nel 177 6, la Societé royale de Médecine non otterrà il riconoscimento ufficiale (e dunque la possibilità di cominciare i propri lavori) se non nel '78, dopo due anni di ostacoli e di difficoltà 10• Non è privo di significato il fatto che questo 'rilancio' degli studi medico-scientifici nascesse fuori, e per certi aspetti contro, la facoltà di medicina. Turgot e Vicq d'Azyr, il philosophe e il savant, si trovano perfettamente d'accordo su tale impostazione. L'esperienza dimostrava in modo inoppugnabile che il progresso del sapere si era andato realizzando e si realizzava, nel secolo XVIII, piuttosto per impulso delle società scientifiche che non per quello delle università. Attento alla dinamica culturale del suo tempo, Vicq d' Azyr registra con precisione questo fatto. « Les sciences - scrive - sont liées, dans !es académies, avec !es siècles à venir. Dans ]es écoles elles tiennent aux siècles passés ». Il danno maggiore derivante da tale situazione era individuato nell'arretratezza dell'insegnamento impartito nelle « écoles » universitarie: « disons qu'il n'y a rien d'aussi négligé; que !'on devroit en ces cérémonies gothiques si propres à rendre la science difficile et repoussante; qu'il est temps de porter l'esprit de réforme dans !es corps chargés de l'éducation de la jeunesse; que cette révolution prochaine illustrera la main dont elle sera l'ouvrage » 11 • Come si vede, una precisa vis polemica animava il giovane studioso. Ma all'inizio Vicq d' Azyr preferisce 10

Sulla Societé e l'opera di Vicq d'Azyr cfr.

J.L.

Moreau de la

Sarthe, Discours sur la vie et les ouvrages de F. Vicq d'Azyr, in Vicq d'Azyr, Oeuvres, cit., voi. I, pp. 17~9 e 62-72. Sulle difficoltà incontrate dalla Societé cfr. anche Oeuvres, dt., voi. II, pp. 61-2. 11 Vicq d'Azyr, Notice historique sur les Académies, in Oeuvres, cit., voi. II, p. 150.

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esprimere in modo soprattutto indiretto questo suo atteg' giamento critico nei confronti dell'università. Coadiuvato da medici e scienziati anche di gran fama, contrappone ad una facoltà medica invecchiata, astratta, lontana dai problemi della scienza e della società, un organismo nuovo, rivolto alle cose concrete, impegnato in ricerche di rilievo anche sociale. Chi scorra i grossi volumi che la Société venne stampando a partire dal 1779 non mancherà di rilevare che i suoi interessi non si rivolgevano prevalentemente alle discussioni teoriche o metodologiche. Si pubblicarono invece numerosi studi particolari relativi alle piu diverse questioni mediche. Si promossero varie ricerche relative a problemi di vasta portata sociale, come le epidemie, le endemie, le epizootie. Si fornirono notizie regolari sugli studi anatomici e fisiologici, sulle malattie e sulle terapie di interesse generale. Si cercò di evidenziare in piu modi il carattere interdisciplinare della scienza medica, mostrando l'importanza dei contributi che potevano provenire dai campi piu diversi, dalla chimica alla dietetica. Si diedero periodicamente ampie informazioni di carattere metereologico e igienico-sanitario. Si volle perfino organizzare una raccolta sistematica di dati relativi alle condizioni climatiche, naturali, geologiche, idrologiche delle varie regioni francesi. Nella misura in cui questi scienziati facevano propria la concezione filosofico-antropologica che insisteva sull'integrale 'mondanità' dell'uomo e sulla sua appartenenza organica ad un determinato milieu naturale, essi potevano insistere, a buon diritto, sull'importanza « d'avoir un pian topographique et médical de la France, dans !eque! le tempérament, la constitution et !es maladies des habitans de chaque province ou canton seroient considérs relativement à la nature et à l'exposition du sol ». Precise instructions scientifiche venivano poi fornite per condurre questa grandiosa enquhe medico-naturale in tutto il territorio francese 12 • 12 Histoire et Mémoires de la Société royale de Médecine de Paris, Paris 1779, Preface, p. XIV. La Société bandi anche, come usavano fare le sociétés savantes del tempo, alcuni concorsi su temi considerati

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Alcuni anni piu tardi, nel suo Éloge de Vicq d' Azyr, Cabanis sottolineerà con estrema chiarezza l'importanza scientifica e sociale dell'opera svolta dalla Società. Vicq d' Azyr e i suoi amici, scriveva, avevano compreso la neces• sità che « les lumières d'un corps de savants médecins », mettendo per un istante da parte i problemi generali e teorici della medicina, si rivolgessero allo studio di questioni assai piu terrene ma non meno importanti, quali appunto la piaga delle epidemie o le condizioni naturali e sanitarie in cui vivevano i francesi nelle varie regioni della nazion~; e che magari esercitassero un severo controllo sulle cure e le medicine diffuse da gente spesso senza scrupoli, sulle condizioni degli ospedali e delle caserme, e infine sulla situazione dello stesso insegnamento della medicina 13 • In questa vivace ispirazione sociale, non meno che nell'esigenza di collegare fra loro differenti discipline per il conseguimento di dati e di scoperte d'interesse comune, è da vedersi il piu autentico significato culturale dell'opera svolta dalla Société royale de Médecine. La Società, del resto, non intese certo limitarsi ad una neutrale raccolta di dati e di materiale scientifico. Per quanto (spesso) soltanto indiretto, l'atteggiamento critico nei confronti della scienza ufficiale, assunto dai promotori della Società, non era sfuggito a nessuno. Per questo, forse, essa aveva incontrato fin dal suo nascere (e lo avrebbe ricordato nel suo Éloge di Vicq d' Azyr anche Cabanis) la sorda opposizione degli organismi accademici del tempo 14 • Non si può negare che dal loro punto di vista si trattava di un'opposizione giustificata. Nel 1790, dietro invito della stessa Assemblea Nazionale, la Società redigeva un amplissimo progetto di riforma dell'organizzadi grande rilievo scientifico. Tra questi concorsi va segnalato almeno quello bandito nel 1791, che concerneva le cure piU efficaci delle malattie nervose. Fu allora che il grande alienista Pinel venne notato e piu tardi nominato medico nel celebre ospedale di Bicetre. Cfr. R. Semelaigne, Aliénistes et Philanthropes, Paris 1912, pp. .33 e 42. 13 Cabanis, 'Éloge de Vicq d'Azyr, in Oeuvres, dt., voL II, pp. 373-4. 14 M. Foucault, Naissance de la clinique. Une archéologie du regard médical, Paris, 1963, pp. 26-8.

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zione della medicina e del suo insegnamento in Francia, che qui interessa soprattutto per la vasta e drammatica denuncia della crisi delle strutture universitarie e medicoassistenziali esistenti. La Società, si poteva leggere nel vasto documento introduttivo, a vu que depuis plusieurs siècles l'Art de guérir manque, dans les branches principales qui le composent, de cette unité sans foquelle il ne peut ni faire tout le bien dont il est capable, ni s'élever au degré de perfection dont il est susceptible; elle a vu que l'enseignement public de la Médecine est presque partout vicieux et nul; ... Nous disons qu'il n'existe pas, dans tout le Royaume, une seule Ecole, où les principes fondamentaux de l'Art de guérir soient enseignés dans Ieur entier; que notre profession est peut-etre la seule où celui qui sait, et que son expérience a formé, ne sert point de guide à celui qui s'essaie et qui à b!;!soin d'apprendre; ... que s'instruire par ses propres fautes, est la seule ressource qui reste au jeune Médecin, pour avancer dans la catriè~ re ... is.

Le facoltà mediche, proseguiva il documento, non impartivano quasi mai l'insegnamento dell'anatomia, della dissezione, della chimica medica, della farmacia, della stessa diagnosi e classificazione delle malattie· e di altre essenziali discipline. Nessun professore spiegava concretamente la propria materia presso il letto dei malati; e gli studenti venivano diplomati senza saper nulla di quanto deve sapere un buon medico. Oltre a ciò, quasi si fosse consapevoli dell'impossibilità che gli studenti imparassero davvero qualcosa in seno a questa cosf grave disorganizzazione, gli esami erano stati tacitamente semplificati, sf che le nuove leve di medici (non diversamente da quanto aveva scritto Cabanis nelle Observations sur !es Hopitaux) erano ormai capaci solo di vani atteggiamenti e di belle parole. Ancora piu critica, poi, la situazione degli ospeda15 Histoire et Mémoires de la Société royale de Médicine de Paris, Pads, 1790 (il volume non è indicato). La prima parte della citaz. è tratta daIFAdresse à /IAssemblée Nationale, ivi, p. XXXIV; la seconda parte è tratta invece dal Nouveau Pian de Constitution pour la Médecine en France pubblicato piU avanti, p. 2. Il testo del Nouveau Pian si trova anche (con qualche lieve modifica testuale) in Vicq d'Azyr, Oeuvres, dt., vol. V, pp. 57 ss.

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li, che in nessun modo potevano cost1tmre, come pure avrebbero dovuto, il naturale centro dell'insegnamento della medicina. E addirittura tragica, infine, la situazione della medicina nelle campagne, divenute il regno di medi: ci senza esperienza, di chirurghi senza sapere, di empirici senza probità 16 • La responsabilità di questa situazione veniva addossata, non implicitamente, proprio alle facoltà universitarie ed ancor piu alle corporazioni mediche, tanto gelose dei loro privilegi quanto sorde a qualsiasi esigenza di rinnovamento 17 • Il vasto piano di riforma che Vicq d'Azyr ed i suoi amici (tra i quali Cabanis) presentarono all'Assemblea si proponeva soprattutto di ricostruire l'unità dell'insegnamento della medicina con ìa chirurgia e con altre discipline la cui conoscenza appariva assolutamente indispensabile alla formazione dei medici, come l'igiene, la fisica, la chimica, la zoologia, la botanica. Si precisava poi con gran cura la natura delle varie materie rientranti nel corso di studi in medicina, si indicavano con minuzia contenuti e metodi didattici, si caldeggiava l'abolizione radicale di ogni astrattezza e di ogni verbalismo (« toutes !es vérités dont ces Sciences sont tissues appartiennent immédiatement à l'expérience » 18 • In terzo luogo veniva delineata la struttura completa dell'insegnamento della medicina, fondata su una distinzione di principio fra una preparazione sanitaria elementare e un grado superiore d'istruzione veramente scientifica. In effetti non era neppure immaginabile, date le condizioni intellettuali e sociali del tempo, creare d'un solo colpo numerose facoltà mediche · complete di tutti gli insegnamenti. Si preferiva quindi proporre l'organizzazione di una prima e piu semplice istruzione medica impartita in apposite « Écoles pratiques », che poi coloro in grado di farlo avrebbero potuto approfondire in quattro o cinque grandi « Collèges de médecine », da istituirsi nelle città che la stessa tradizione 16 17 18

348

Ibidem, pp. 2-3. Ibidem, p. 8. Ibidem, p. 21.

scientifica, ovvero altre particolari caratteristiche, indicavano come le piu adatte a divenire il centro dell'insegnamento dell'alta medicina. Al vertice di questa organizzazione, infine, gli autori del progetto prevedevano (la cosa va fortemente sottolineata perché questa proposta sarebbe stata poco piu tardi avanzata anche da Talleyrand e da Condorcet) la creazione di un « Institut encyclopédique », una sezione del quale sarebbe stata dedicata alla medicina. Il pian proposto dalla Société royale de Médecine all'Assemblea Nazionale non si arrestava certo a queste indicazioni: trattava anche, ed in modo assai particolareggiato, del reclutamento degli insegnanti (« !es Étudiants en Médecine ayant un grand intéret à ce que le choix du Professeur soit bon, il seront consultés à ce sujet » 19, dell'entità e del ritmo degli esami, dell'organizzazione sanitaria e ospedaliera, del controllo sulle farmacie e le medicine, dell'assistenza ai poveri, dei doveri dei medici, ostetriche e veterinari, dei registri mortuari 20 • Il progetto non fu per allora accettato, anche se il Comité de Salubrité nominato dall'Assemblea Costituente aveva confermato puntualmente l'esattezza delle doléances presentate dalla Société royale de Médecine. Ma nel 1794, quando la Convenzione decise di incaricare Fourcroy di fornire - come si espresse - « un plan d' école révolutionnaire de l'art de guérir » 21 lo schema generale degli « abus » da eliminare e delle riforme da compiere fu tratto sostanzialmente dal lavoro svolto da Vicq d'Azyr e dai suoi amici. Il progetto di Fourcroy, che fu approvato ed attuato solo nel 1795, prevedeva infatti l'istituzione di tre grandi « Ecoles de Santé » (situate a' Parigi, a Montpellier e a Strasburgo) dove si sarebbe cercato d'impartire quell'insegnamento unitario, organico e soprattutto legato ad un concreto contatto con ospedali e 19

20

86

, 1960, n. 7, p. 21. 92 Pinel, Nosograpbie philosophique, dt., vol. II, p. 362 ecc. 93 Cabanis, Coup d'Oeil..., dt., p. 169. 94 Cfr. ad es. Cabanis, Coup d'Oeil ... , cit., pp. 230 ss. e 240 ss., dove il nostro médecin-phi'losophe passa in rassegna i rapporti fra la

medicina e varie altre scienze.

382

ogni scienza si lega organicamente alle altre. « La Physique, l'Histoire Naturelle, l' Anatomie, la Chimie et l'Obser.vation clinique - aveva scritto a questo proposito Vicq d' Azyr - sont !es bases sur lesquelles doit s' appuyer l'édifice de l'Institution médicale, considerée dans son entier » 95 • Il problema, dunque, non era di sviluppare la medicina in una sua astratta indipendenza assoluta, ma di svilupparla in un'autonomia attiva, collaborante, rispetto alle altre scienze naturali. Anche il lungo saggio di Alibert sui rapporti fra le scienze mediche e le scienze fisicomorali era tutto costruito sulla duplice base dell'autonomia e della complementarietà dei due campi di studio. Il segretario della Société médicale d'Emulation si soffermava anzi in modo assai particolareggiato sul!' aiuto indispensabile che alla medicina poteva e doveva provenire da parte di altre discipline naturali: dalla fisica alla meteorologia, dalla geologia all'elettricità, dal magnetismo e il galvanismo all'idro-dinamica, dalla chimica alla meccanica, dalla geometria alla storia naturale, dalla botanica alla zoologia 96 • Come si vede, la somma delle aperture e dei rapporti della medicina verso altre discipline è assai ampia, e dietro ad essa si scorge l'influenza di « alberi della scienza » vecchi e nuovi. Ma anche Alibert non è meno reciso dei maestri montpellierani nel respingere ogni privilegiamento teorico-metodologico di altre scienze nei confronti della medicina. Nessuna disciplina può pretendere che i propri metodi e le proprie procedure sostituiscano quelli della scienza medica. Non la fisica, e neppure la chimica, una scienza pur cosf preziosa per gli ausilii che offre, ma che alcuni « systématiques agités » (la colpa, quindi, è sempre del!' esprit de système) tendono a far entrare indebitamente nel campo della medicina « qu'elle cherche - né altro può cercare - qu'à éclairer » 97 • Era 95 Vkq d'Azyr, Jdée générale de la Médecine in Oeuvres, cit., vol. V, p. 49. 96 Alibert, Discours sur !es rapports de la Médecine avec les Scien-

ces physiques et morales, cit. " Ibidem, p. XXV.

383

col pensiero rivolto a questi abusi, che Alibert sottolineava con forza l'urgenza non già di escludere ogni rapporto, bensf di instaurarne uno di tipo nuovo fra la medicina e le altre discipline e ne rilevava il felice avvio nella cultura del tempo. Alla scienza medica un meilleur sort est réservé de nos jours; ce ne sont pas les sciences accessoires qui ont conquis la médecine; c'est la médecine qui a conquis les sciences accessoires. Entourée de leur appui, elle commande en reine à leurs efforts, et dirige à son gré l'utile emploi de leurs découvertes 98 •

In questa lunga battaglia a favore di una medicina riportata alla propria autonoma ma non solitaria funzione di scienza dell'uomo, furono molti i médecins-philosophes del Settecento, soprattutto dell'ultimo, a risalire polemicamente ad Ippocrate e all'antica medicina greca. L'elementarità di taluni procedimenti, l'insufficienza di tante cognizioni fattuali non cancellava il valore della concezione che Ippocrate e i suoi seguaci avevano avuto dell'arte medica. In vari scritti già Theophile Bordeu aveva piu volte rilevato l'altissimo ufficio al quale gli antichi avevano chiamato una medicina davvero degna del nome, una medicina philosophique 99 • Sullo stesso tema era ritornato alla fine del secolo anche Cabanis, uno dei piu convinti assertori dei contenuti teorico-antropologici della medicina: Ils étudioient l'homme sain et malade, pour connoitre les lois qui le régissent, pour apprendre à lui conserver, ou à lui rendre la santé. Ils tiìchoient de se tracer des règles pour diriger leur esprit dans la recherche des vérités utiles; et leurs leçons rouloient, ou sur les méthodes particulières des arts, ou sur la philosophie rationnelle, dont les méthodes plus générales les embrassent tous. Enfin ils observoient les rapports mutuels des hommes, rap~ ports fondés sur leurs facultés physiques et morales, mais dans la " Ibidem, p. IV.

99 « Hippocrate mettoit à cOté des dieux l'homme qui connoìt et cultive la médecine philosophique ». Cfr. Bordeu, Recherches sur l'hìstoire de la médecine, cit,, p. 829. Bordeu è uno dei primi savants settecenteschi ad usare la caratteristica espressione , XVI (1955), pp. 376-88; Porter, op. cit., (nota 32). 64 [F. Jeffrey], Review of A Comparative View of the Huttonian and Wernerian Systems of Geology, « Edinburgh Review », II (1803), pp. 337-48, p. 348; cfr. [T. Thomson]i Review of Erasmus Darwin, The

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la messa al bando delle ipotesi - fatto questo a cui Lyell senti l'obbligo di opporsi negli anni attorno al 1820 65 • Ma la strategia adottata richiedeva pure un blitz frontale contro le speculazioni illuministiche in quanto erano (nelle intenzioni o nei fatti) non-cristiane o anti-cristiane, dunque scientificamente false. Uniformitaristi come Hutton e Toulmin erano (a ragione) attaccati per i loro sarcasmi sulla rivelazione, benché i virulenti attacchi ai danni di Hutton, presunto ateo, di certo mostrano un travisamento, se non addirittura una distorsione volutamente tesa ad attizzare polemiche 66 • Cosi benché l'attualismo metodologico mantenesse la sua presa, le pubblicazioni di Hutton e Playfair non guadagnarono nuovi sostenitori alle teorie dell'equilibrio stabile 67 • La campagna « abrogazionista » ebbe origine dal fatto che l'uniformitarismo appariva all'opinione pubblica inquinato dal radicalismo politico della rivoluzione francese. Divenne moneta corrente la connessione, del tutto ipotetica, tra la rivoluzione politica e le rivoluzioni periodiche dell'assetto terrestre deducibili nel quadro della geologia uniformitaristica. John Williams affermò che la geologia di Hutton tendeva a promuovere l' « ateismo », l' « empietà », I'« anarchia, il disordine e la miseria » 68 • E queste correlazioni vennero fatte proprie da geologi di prim'ordine come Kirwan, Walker, de Luce Townsend; da Tempie o/ Nature, « Edinburgh Review », II (1803), pp. 491-506.

65 [Charles Lyell], Review of George Poulet Scrope, Memoir on the Geology of Centrai France, « Quarterly Review », XXXVI (1827), pp. 437-83, p. 441. 66 Per un attacco di questa sorta vedi John Williams, The Natural History of the Mineral Kingdom, 2 voli., Edinburgh, 1789, I, introduzione. Per una vivace esposizione vedi C. C. Gillispie, Genesis and Geology, Cambridge, Mass., 1951, in particolare. i capp. I-III. 67 L'opera di Leroy E. Page rappresenta un utile correttivo al punto di vista secondo cui il catastrofismo acritico tenne il campo all'inizio del diciannovesimo secolo. Vedi The Rise o/ Diluvia! Theory in British Geologica! Tbought (tesi di dottorato, Università dell'Oklahoma, 1963); idem, Diluvialism and its Critlcs in Great Britain in the Early Nineteen~ th Century, in C.J. Schneer (a cura di), Toward a History o/ Geology, Cambridge, Mass., 1969, pp. 257-71. 68 Williams, op. cit., (nota 64), I, p. LIX.

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profani interessati all'argomento come Ramsay e Ochtertyre; nonché da ecclesiastici 69 • A partire dal 1810 circa, tuttavia, le prospettive di coloro che interpretavano lo sviluppo della geologia cominciarono a divaricarsi. Questo non vuol dire che l'uniformitarismo, o le teorie della Terra apparentate con l'Illuminismo, cominciassero ad essere tenute in una migliore considerazione. Anzi, il precedente ripudio dell'uniformitarismo, guardato come un ramo della congiura illuministica, prosegui soprattutto negli scritti degli autori di commenti generali e dei cosiddetti geologi biblici 70 • La « Quarterly Review » continuava a pronunciare verdetti di condanna contro naturalisti del calibro di de Maillet, Lamarck ed Erasmus Darwin, qualificandoli come « sapientoni incompetenti quanto disinvolti », responsabili di aver messo in circolazione « teorie insane e visionarie » rivolte a mettere in discussione « l'autenticità delle sacre scritture » 71 • Lo stesso periodico mise in relazione Hutton con quella scuola francese che aveva « a lungo trattato » la storia di Noè « come fosse una favola » e condannò .Hutton per la sua presunta fede nel!'« eternità » della materia - opinio69 Per i geologi vedi Richard Kirwan, Examination of the Suppos(!d lgneous Origin of Stony Suhstances, « Transactions of the Royal Irish Academy », V (1791), pp. 51-81; Rev. G. Graydon, On the Fish Enclosed in Stone of Monte Bolca, « Transactions of the Royal Irish Academy », V (1791), pp. 281-317; J.A. de Luc, Letters to Dr. James Hutton, F.R.S. Edinburgb, on bis 'Theory of the Earth', « Monthly

Review », n.s., II (1790), pp. 206-27, 582-601; III (1790), pp. 573-86; V (1791), pp. 664-85. John Walker, Occasiona/ Remarks (ms nella biblioteca dell'Università di Edinburgo DC 2 40; databile intorno al 1790), dove Walker attribuisce i tempi rivoluzionari al so:t'gere dell'« empietà moderna», un principio della quale è quello secondo cui « questo clobo terracqueo non ha avuto alcun cominciamento e non avrà alcuna fine». Per Ramsay vedi B.L.H. Horn (a cura di), The Letters of fohn Ramsay of Ochtertyre, Edinburgh, 1966, pp. 166 s.; per gli ecclesiastici vedi per esempio E. Nares, Eight Sermons Preached Before the University of Oxford at St Mary's in the Year MDCCCV, Oxford, 1805, pp. 340-5. 10 Per i geologi biblici vedi M. Millhauser, The Scriptural Geologists, « Osiris », XI (1954), pp. 65-86. 71 [Anon.], Review of W. Buckland, Account of an Assemblage of fossi/ Teeth and Bones, « Quarterly Review », XXVII (1822), pp. 459-76, pp. 460, 476.

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ne quest'ultima « affatto stravagante, gratuita, e del tutto sprovvista di prove a suo favore » 72 • Tuttavia, parallelamente a questa storiografia « di battaglia», ne andava prendendo forma un'altra; particolarmente tra l'élite dei geologi addetti ai lavori. Esaltati dai progressi in corso nella loro scienza e sentendo meno il bisogno di prendere in considerazione e difendere i precedenti errori di direzione, geologi come William Fitton e · William Conybeare per la prima volta intrapresero la costruzione di una storia « interna » della geologia. Essi misero sempre piu da parte la considerazione del piu ampio contesto sociale, culturale e religioso della scienza, e cominciarono a concentrare la loro attenzione sui singoli contributi positivi - nuovi fatti, nuove tecniche recati individualmente dai loro colleghi e dalle scuole nazionali 73 • Lo sviluppo della geologia veniva dunque descritto senza prestare attenzione a fattori estrinseci, quasi un registro di conquiste catalogate come in una scheda biografica: cosl i tedeschi avrebbero recato un precipuo contributo alla mineralogia, i francesi alla paleontologia, i britannici alla stratigrafia. Figure individuali di geologi del diciottesimo secolo come Lehmann e de Saussure solitamente trovavano posto nell'ordito di questa trama, ma 72

[E. Copleston], Review of W. Buckland, 'Reliquiae diluvianae',

« Quatterly Review », XXIX (1823), pp. 138-65, p. 140.

73 Per un'utile esemplificazione vedi W.D. Conybeare e W. Phillips, Outlines of the Geology of England and Wales, l" parte, London, 1822, Introduzione; W.D. Conybeare, Report on the Progress, Actual State and Ulterior Prospects of Geological Science, Report of the British Association for the Advancement of Science, 1831-2, London, 1833, pp. 365*414; [W. Fitton], Review of 'Transactions of the Geologica! Society of London', « Edinburgh Review )>, XXVIII (1817)i 70-94; [W. Fitton], Review of W. Smith, Delineation of the Strata of EtJ.gland and Wa/es, « Edinburgh Review », XXX (1818), pp. 312-37; [T. Thomson] Review of Yfransactions of the Geologica[ Society of London', n.s. I, II, III,« Edinburgh Review », LII (1830), pp. 43-72; Rees's Cyclopaedia, vol. XVI, London, 1819, sotto la voce 'Geology'. W. Buckland, Vindiw ciae geologicae, Oxford, 1820, È interessante notare che questo stesso punto di vista fu adottato da Charles Lyell nella sua anonima Review of 'Transactions of the Geologica! Society of London', val. I, 2nd series, « Quarterly Review », XXXIV (1826), pp. 507A0, dove egli sosteneva con insistenza che la geologia si era liberata del suo passato incerto, e ora era fiorente.

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problematiche piu ampie -. come le relazioni tra la scienza e movimenti filosofici di largo respiro come l'Illuminismo - erano tranquillamente lasciate da parte. Le poche volte che Hutton era ricordato, non era per il suo unifor,mitarismo, ma per il suo plutonismo, o per il fluvialismo, o per altri aspetti marginali del suo pensiero. Il fantasma della controversia fra Hutton e Werner veniva ora rispedito all'aldilà con tanti ringraziamenti. I geologi, in breve, non sentirono piu tanta necessità di confrontarsi con l'uniformitarismo. Infatti pressoché tutti i geologi britannici negli anni 1810-1820 (Lyell incluso) erano convinti che la stratigrafia e la paleontologia stessero a dimostrare che la Terra - e la vita - non erano soggette ad una situazione di equilibrio stabile, ma ubbidivano piuttosto ad un modello caratterizzato da una storia, una direzione ed uno sviluppo. Tale punto di vista sembrava quadrare perfettamente sia con le conoscenze attorno ai fossili e agli strati, sia dar vigore alle concezioni del mondo imperniate sulle nozioni di crescita cumulativa e di progresso storico, che erano in voga all'inizio del diciannovesimo secolo 74 • 4. L'uniformitarismo di Lyell e l'Illuminismo I Principles of Geology (1830-33) di Charles Lyell, per tutto quanto detto in precedenza, rappresentano come una formazione di roccia prodotta per intrusione da un cataclisma entro Io sviluppo della scienza geologica del secolo diciannovesimo: il revival del piu schietto uniformitarismo. Per Lyell l'uniformitarismo era qualcosa di piu di uno strumento euristico per la spiegazione del passato mediante il presente; era qualcosa di piu di una comune, attualistica, accettazione delle presenti leggi di natura 74 Per un'interpretazione vedi Rudwick e Hooykaas, citato in nota 6; P. Bowler, Fossils and Progre.;s, New York, 1976; Oldroyd, op. cit., (nota 39). Per l'accettazione da parte di Lyell stesso di questa ipotesi vedi la sua op. cit., (nota 73).

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e del maggior gradalismo possibile nelle cause che spiegano i fenomeni geologici. Si trattava piuttosto di una fede nell'equilibrio stabile dello stato della Terra, governata questa da « cause secondarie uniformi e mai devianti », attraverso cui « l'energia utilizzata nei movimenti sotterranei [della Terra] si è sempre mantenuta uniforme nella totalità del sistema terrestre » 75 • Lyell presentò se stesso come « uno strenuo sostenitore dell'assoluta uniformità entro l'ordine della natùra » 76 • Il « fondamento di ogni ragionamento scientifico » era secondo lui il fatto che « nessuna altra causa di alcun genere ha mai agito, dall'epoca piu remota che noi possiamo immaginare fino al presente, oltre quelle che agiscono tuttora, e che esse non hanno mai operato con gradi di energia diversi da quello che esercitano tuttora» 77 • Ad eccezione dell'uomo (unico essere suscettibile di progresso), la Terra e la vita su di essa non mostravano alcuno sviluppo significativo nel corso della loro storia accessibile alla conoscenza scientifica da parte dell'uomo. Dando un'occhiata al largo stuolo di valenti studiosi che ora si affolla attorno a Lyell, sarebbe ozioso ed impertinente aprire in questa sede la questione generale di quale sia la natura precisa dell'uniformitarismo di Lyell o del perché egli lo adottasse 78 • Mi limiterò qui a chiedermi in che misura sia storicamente corretto e fecondo collocare Lyell nella prospettiva dell'eredità illuministica. Ho sostenuto che l'uniformitarismo in senso proprio trasse origi75 Mrs KM. Lyell, Sir Charles Lyell, Bart, Life, Letters and Jour~ nals, 2 voli., London, 1881, I, p. 234. 76, Lyelli Principles (nota 5), I, p. 264. 77 Lyell, Li/e (nota 75), I, p. 234.

78

Come introduzioni alla piU recente letteratura su Lyell (e per

ulteriori citazioni) vedi il Lyell Centenary Issue del « British Journal for the History of Science », IX (1976); inoltre vedi le seguenti pubbliw cazioni pili recenti: Michael Battholomew, The Singularity of Lyell, « History of Science )), se ne prevede la pubblicazione per il 1979; D. Ospovat, Lyell's Theory o/ Climate, « Journal of the History of Biology )>, X (1977), pp. 317-39; M.J.S. Rudwick, Transposed concepts from the human sciences in the early work of Charles Lyell, in L. Jordanova e Roy Porter (a cura di), Images of the Earth, Chalfont St Giles, 1979.

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ne dalla metafisica del naturalismo filosofico di orientamento deistico proprio dell'Illuminismo - e invero questa connessione fu chiaramente, anche se polemicamente, riconosciuta dai primi suoi critici nel secolo diciannovesimo. Ma Lyell dove si colloca? I materiali attualmente disponibili non forniscono notizie sufficienti circa i primi entusiasmi intellettuali, le prime letture e convinzioni di LyelL Si può asserire nondimeno, senza tema di errore, che la conversione di Lyell all'uniformitarismo non fu una conseguenza della frequentazione di circoli intellettuali di radicali, liberi pensatori e non-cristiani risalente agli anni della sua giovinezza, da studente o agli inizi della carriera scientifica. La sua educazione, di tipo classico, era stata convenzionale; i suoi amici appartenevano al partito Whig o erano di generico orientamento liberale, mai philosophes o agitatori. Né la conversione fu dovuta al suo approfondimento delle opere di Hutton specificamente 79 , o, piu in generale, degli scritti dei philosophes (benché, a dire il vero, la sua ostile risposta all'uniformitarista, deista ed evoluzionista Lamarck probabilmente derivasse dalla sua . adesione a un tipo differente di uniformitarismo) 80 • L'adozione dell'uniformitarismo da parte di Lyell fu incoraggiata dal timore che tutte le concezioni che sostenevano una direzione e un progresso della Terra e della storia organica sarebbero in definitiva sfociate nel lamarckismo, distruggendo cosi la dignità dell'uomo 81 • Ed essa fu rafforzata pure dalla 79 Dei suoi debiti nei confronti di Hutton Lyell doveva piU tardi scrivere: « dubito di aver mai letto piU della metà dei suoi scritti e dato una scorsa al resto>>. Lyell, Life, (nota 73), II, p. 48. (Non è chiaro se Lyell si riferisce specificamente agli scritti geologici di Hutton, o alla sua intera opera). William Fitton lo accusò di non rendere ad Hutton il dovuto, Review of Charles Lyell, 'Elements of Geology', « Edinburgh Review », LXIX (1839), pp. 406-66. so Vedi in special modo Michael Bartholomew, Lyell and Evolution:

an Account of Lyell's Response to the Prospect of an Evolutionary Ancestry /or Man, « The British Journa1 for the History of Science », VI (1972-3), pp. 261-303. 81 Vedi W.F. Bynum, Time's Noblest O//spring: the Problem of Man in the British Natural Historical Sciences 1800-1863 (tesi di

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convinzione, 'interna' alla sua professione di geologo, che un'insistenza piu energica sull'azione graduale delle cause geologiche attuali, considerate su un'ampia scala temporale, avrebbe fornito spiegazioni piu soddisfacenti nel quadro stesso della scienza 82 • Non mi assumerei la responsabilità di sostenere che Lyell fosse 'influenzato' molto direttamente nelle sue convinzioni generali, o nel suo pensiero di geologo, da letture illuministiche. Ho scarse prove che egli abbia mai coscientemente identificato se stesso o i suoi scritti con le vedute dei philosophes; la sua esposizione della storia della geologia contenuta nel primo capitolo dei Principles è illuminante sotto questo punto di vista. Lyell, certo, deplorò la « malevolenza » 83 con cui elementi controrivoluzionari perseguitavano le libere speculazioni dei « vulcanisti eretici » dell'Illuminismo come Hutton 84 • Inoltre si esprimeva con tono di simpatia quando scriveva che durante l'età della Ragione « un gruppo di scrittori aveva lavorato alacremente per molti anni in Francia allo scopo di ridurre l'influenza del clero, indebolire le fondamenta della fede cristiana; e il successo da loro ottenuto, unito alle. conseguenze della rivoluzione, aveva allarmato le menti piu risolute, mentre l'immaginazione dei piu timidi era perseguitata di continuo dal terrore dell'innovazione come dal fantasma che appare in certi incubi terrificanti » 85 • Ma la forma complessiva data da Lyell alla sua storia non rivelava particolare simpatia né per i philosophes, né per la geologia del diciottesimo secolo - che a suo dire era un periodo « tanto di stasi quanto di avanzamendottorato, Università di Cambridge) 1974), Certamente Lyell stesso phi tardi concepì'. la cosa in questi termini: L.G. Wilson, Sir Charles Lyell's Scientific Notebooks on the Species Question, New Haven, 1970, pp. 87 ss.; ecc. 82 Vedi L.G. Wilson, The Intellectual Background to Charles Lyell's Principles o/ Geology 1830-1833, in Scbneer, op. cit., (nota 67), pp. 426-43; Martin J.S. Rudwick, Lyell on Etna, and the Antiquity o/ the Earth, ibid., pp. 288-304. 83 Lyell, Principles, (nota 5), I, p. 67. " Ibidem, I, pp. 35, 42. ss Ibidem 1 I, p. 65.

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to » 86 • Egli non si chinò indietro a guardare i suoi precursori e a presentare se stesso come il continuatore dell'opera di Moro, Hutton o Toulmin (che nella sua opera non ricevette alcuna menzione) 87 • Piuttosto il tono generale della sua ricostruzione storica era volto a suggerire una relativa indipendenza dai suoi precursori del secolo precedente. Quando Lyell giunse a tracciare uno schizzo delle radici storiche dell'uniformitarismo, non guardò tanto al diciottesimo secolo, ma piuttosto direttamente all'età antica: ai Pitagorici, a Ovidio, e addirittura agli antichi Indu. Inoltre Lyell condannava i philosophes per la loro « malafede » geologica 88 • Con quel loro aggrapparsi a ogni pretesto che consentisse di combattere l'idea prediletta dei geologi bigotti, quella del diluvio, uomini come Voltaire non avevano a cuore gli interessi reali della scienza, e perciò ne ostacolarono il progresso 89 • Malgrado tutto ciò in innumerevoli aspetti delle sue convinzioni, delle sue valutazioni, delle sue concezioni scientifiche, le vedute di Lyell risentivano profondamente dell'Illuminismo. Ciò era dovuto al fatto che la principale convinzione - che egli condivideva con i philosophes - era che il progresso della scienza fosse qualcosa di piu di una successiva accumulazione di fatti positivi particolari. Esso era anche, e fondamentalmente, una lotta tra teologie, ontologie ed antropologie rivali. Per Lyell l'autentica geologia doveva progredire parallelamente a una filosofia tesa ad elevare la dignità dell'uomo; e ciò per.ché il progresso della conoscenza scientifica doveva coincidere con l'elevazione spirituale del genere umano ed essere quasi la sua salvezza e la sua redenzione 90 • Come avrebbe scritto in età molto avanzata: 86 Ibidem, I, p. 30. s7 Cfr .• Porter, op. cit., (note 5 e 32). ss Lyell, Principles, (nota 5), I, pp. 5-8. Le implausibilità di sapore whig, implicite in queste attribuzioni, furono messe in luce da William Whewell nella sua History of the Inductive Sciences, (nota .3). 89 Lyell, Principles, (nota 5), I, p, 66. 9o Cfr., Grant, op. cit. (nota 47). Per simili idee tra gli scrittori dell'Illuminismo come Diderot, Herder e Condorcet vedi Gay, op. cit.,

(nota 13), voi. I, cap, VII; voi. II, capp. IV e X,

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Io credo e spero che la scoperta, e la diffusione di ogni verità e la dissipazione di ogni errore tenda a rendere migliori e piU d1gnitose le condizioni dell'uomo, anche se riformare opinioni ed istituzioni inveterate è causa di tanta pena e sofferenza 91 •

Questa concezione illuministica secondo cui il genere umano deve realizzare se stesso nel progresso della scienza, guida la ricostruzione storica della crescita della geologia tracciata da Lyell. L'emergere della geologia era parte integrante del progresso dello spirito umano dallo stato di rozzezza alla civiltà 92 , poiché esso consisteva nella sco.-. perta da parte dell'uomo del suo posto nella natura e nella creazione. Per Lyell i precedenti errori geologici dovevano in parte attribuirsi alla condizione biologica dell'uomo, cioè di un mammifero terrestre di vita breve 93 • Ma tali errori erano dovuti anche ad infantilismo psicologico: l'animismo, l'antropocentrismo, il desiderio di raffigurarsi la genesi, l'immaginarsi catastrofi per terrore o senso di colpa 94 • Ma alla fine di tutto la mente umana aveva pur raggiunto la maturità epistemologica e psicologica. Soltanto il filosofo naturale maturo aveva il coraggio di indirizzare lo sguardo con franchezza dentro un mondo infinito nel tempo e nello spazio, e di considerare la natura come indipendente, governata dalle sue stesse leggi, nella sua separatezza rispetto alla mente di colui che la contempla. Lyell, dunque, proponeva l'uniformitarismo non soltanto come metodologia geologica; piuttosto esso doveva rappresentare il punto piu alto deJl' epistemologia progressiva della razza umana. Il credo fondamentale di Lyell - tanto scientifico quanto umanistico - poteva identificarsi in quel comples.so di valori definito da Henty May « Illuminismo moderato » 9;. A differenza dei fautori dell' « Illuminismo radica" Lyell, Li/e, (nota 75), Il, p. 452. 92 Ho trattato questi punti pill distesamente nella mia op. cit., (nota 5). 93 Lyell, Principles, (nota 5), I, cap. V. 94 Qui il pensiero di Lyell assomiglia strettamente a quello dei philosophes come Hume, Boulanger e Toulmin, ma ha ben poca relazio* ne con quello di altri geologi della sua epoca. 95 Henry May, The Enlightenment in America, Oxford, 1976.

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le », Lyell non si batteva per un cambiamento socio-politico; a differenza dei seguaci dell' « Illuminismo scettico », Lyell non cercava di fare uso della conoscenza al fine di diffondere il dubbio universale. I valori propri dell' « Illuminismo moderato » di Lyell esprimevano piuttosto la credenza nella realtà di un essere divino a capo dell'universo e la credenza nell'oggettività, nell'uniformità, e nella regolare conformità a leggi della natura. Tale modo di concepire Dio e la natura era la condizione minima e necessaria perché Lyell potesse assumere il patrocinio della dignità dell'uomo, che deve essere superiore alla natura in quanto solo essere progressivo e razionale del creato. E fungeva pure da garanzia per il suo convincimento secondo cui l'uomo è veramente un essere « spirituale », dotato di libero arbitrio ed autorizzato a coltivare in questa vita speranze nell' al di là. Io non posso fare a meno di nutrire la convinzione che ho la possibilità di esercitare il libero arbitrio, per quanto grande sia il mistero nascosto in questa possibilità, e parimenti che può esserci veramente una continuazione della vita spirituale, Per quanto ciò sjJ1

inesplicabile

e

indimostrabile 96 .

Gli uniformitaristi del diciottesimo secolo come Toland, Voltaire e Hutton erano deisti. Essi scorgevano nella perfezione e nella uniformità della natura la sola speranza e garanzia a favore della dignità dell'uomo contro; da un lato, gli scettici, i materialisti e gli atei, e, dall'altro lato, contro i cristiani tradizionalisti: modi di pensare che tutti, a loro dire, degradavano l'uomo. È forse prematuro etichettare le posizioni di Lyell in materia religiosa, in parte perché la parola « deista » non possiede alcun significato definito nel secolo diciannovesimo. Egli sembra essere stato in senso molto lato un teista. Avendo esordito come anglicano liberaleggiante, era diventato successiva96 Lyell, Life (nota 75), II, p. 452. Simili modi di sentire si trovano qua e là nei suoi Scientìfic Notebooks, {nota 81), per esempio, pp. 86 s. Per l'opinione di Lyell sullo « stato futuro» cfr. pp. 197 s.

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mente seguace del movimentq unitario negli anni attorno al 1850 97 • Due punti, tuttavia, consentono di istituire un sicuro parallelismo tra il pensiero di Lyell e quello dei deisti dell'età illuministica. In primo luogo per Lyell, cosi come per essi, l'uniformitarismo geologico appariva come l'unica speranza per garantire la posizione di unicità e la nobiltà dell'uomo nel creato. La verità di quanto detto è dimostrata dall'angoscia manifestata da Lyell quando, negli anni che vanno dal 1850 al 1860, si vide costretto ad abbandonare il suo uniformitarismo paleontologico e biologico 98 • In secondo luogo, per Lyell, come pure per i deisti dell'età illuministica, la minaccia piu pericolosa recata alla dignità dell'uomo proveniva dal cristianesimo, se non in se stesso, certamente nelle sue forme teologiche ed ecclesiastiche che avevano dominato storicamente. La durezza dell'ostilità che Lyell nutriva in privato nei confronti delle chiese cristiane costituite non è stata mai riconosciuta dagli storici. Egli non inveiva soltanto contro i « sofisti teologici » 99 cattolici 100 , i seguaci di Pusey 101 , e i geologici biblici come Andrew Ure (« ipocrita senza principi e libertino dublinese ben noto negli annali del crimine ») 102, ma anche contro i vescovi anglicani 103 , la gerarchia della chiesa d'Inghilterra ed il potere ecclesiastico in generale 104 • L'Inghilterra, egli dichiarava drasticamente, 97 Desidero riconoscere qui il mio debito nei confronti di uno scritw to non pubblicato del dottor Derek Orange, sul pensiero religioso di Lyell, presentato alla conferenza per il centenario di Lyell tenutasi a Londra nel 1975. 98 Vedi i Scienti/le Notebooks, (nota 81), passim. 99 Lyell, Li/e, (nota 75), I, p. 310. 100 Lyell, Li/e, (nota 75), I, pp. 203, 216, 220, 221, 440. 101 Lye11, ibidem, II, p. 83. 10 2 Citato in L.G. Wilson, Charles Lyell: The Years to 1841, the Revolution in Geology, New Haven, 1972, p. 265. 103 Lyell, Li/e, (nota 75), I, p. 397. 10 4 Lyell, Li/e, (nota 75), II, pp. 80-81: l'influenza della Chiesa d'Inghilterra « qui è veramente l'unico potere oppressivo, non la menar~ chia né l'aristocrazia».

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« è dominata dai preti piu di ogni altro [paese] d'Europa, eccettuata la Spagna » 105 • Ma l'aspirazione di Lyell a « liberare la scienza da Mosè » 10' fu espressa con ben poche attenuazioni - anche se con piu accortezza diplomatica - nelle sue pubblicazioni, a dispetto della sua prudente autocensura 107 • Gran parte dell'introduzione storica scritta per i Principles deve essere letta come una vivace rappresentazione allegorica, tipicamente illuministica, delle lotte tra le forze della luce (cioè la verità scientifica e la libera ricerca) contro gli eserciti tenebrosi dell'errore, dell'inganno, della superstizione e del clericalismo organizzato in chiese intolleranti e sostenuto dalle persecuzioni e dal dispotismo: « Qualsiasi abbozzo dei progressi della geologia non può essere che la storia della lotta incessante e violenta tra opinioni nuove ed antiche dottrine sanzionate dalla fede cieca di molte generazioni e supposte fondate sull'autorità delle Scritture » 108 • Non c'è bisogno di notare come lo schizzo tracciato da Lyell possieda uno charme volterriano sufficiente a disarmare i critici; ma l'astio nei confronti delle interferenze clericali nel libero pensiero, e delle concezioni dell'uomo e della natura errate e degradanti, che quelle avevano legittimato, non è mai cos! sotterraneo da non potere emergere in superficie. Non ci stupiamo quindi se, a proposito dell'interpretazione data da Woodward al diluvio universale, egli scrisse: « Mai un errore teorico, in nessuna branca della scienza, interferi piu pesantemente nell'osservazione accurata e nella classificazione sistematica dei fatti » 109 • lOS Lyell, ibidem, II, p. 169. Vedi in special modo le lettere di Lyell a George Ticknor. Cfr., Bartholomew, op. cit., (nota 48), pp. 20 s., 65 s. to6 Lyell, ibidem, I, p. 268; cfr. I, p. 271. 107 Lyell, ibidem, I, p. 270. La medesima ostilità è manifestata diffusamente nei Travels Through North America di Lyell, 2 voli., London, 1845, I, pp. 120, 210, 266, 270 ss. 10 8 Lyell, Principles, (nota 5), I, p. 30. 10 9 Lyell, Principles, (nota 5), I, p. 29. Come Hutton Lyell rivolgeva obiezioni di carattere teologico a una religione che faceva dell'« annega~

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Gli storici oggi giustamente insistono che la storia della geologia del secolo diciannovesimo non può essere scritta in termini, come suol dirsi, di bipolarismo: la Genesi contro la geologia scientifica, l'uniformitarismo contro il catastrofismo 110 • Eppure non dobbiamo nemmeno perdere di vista il fatto che proprio in questa forma Lyell fece esperienza dei dilemmi che travagliavano la geologia ed in questa forma egli li riferf nei suoi scritti. Questa consapevolezza ci aiuta a comprendere la natura del suo uniformitarismo e conferma i suoi vincoli di simpatia con i punti di vista del vecchio Illuminismo.

5. Le conseguenze Esaminando le reazioni all'uniformitarismo di Lyell e lo sviluppo della geologia negli anni successivi alla pubblicazione dei suoi Principles, in che misura possiamo scorgere la consapevolezza che erano in gioco forme di pensiero proprie dell'Illuminismo? Due importanti indicazioni sono offerte dall'opera di Michael Bartholomew. In primo luogo egli ha sostenuto con la dovuta insistenza che non c'è mai stato realmente alcun dibattito tra uniformitaristi e catastrofisti all'interno della geologia; non c'è mai stata alcuna netta divisione dei geologi in due schieramenti contrapposti frontalmente a favore e contro Lyell 1 11 • Non dobbiamo aspettarci di trovare una specie di battaglia campale, con i geologi liberi pensatori schierati contro i bigotti. In secondo luogo egli ha mostrato che Lyell fu un geologo di genere affatto « singolare » 112 • Nessun altro geologo condivise la sua convinzione risoluta secondo cui solo l'uniformitarismo avrebbe potuto far progredire la scienza e salvaguardare contemporaneamente la dignimento di tutti gli uomini» un'articolo di fede. Cfr., L.G. Wilson, op. cit., (nota 102), p. 313. uo Vedi Bartholomew, op. cit., (nota 78). 111 Ibidem. 112

430

Ibidem.

tà dell'uomo. Per questo il suo amico Poulett Scrope poteva desiderare al pari di lui di liberare la scienza da Mosè, ma nondimeno credeva che un attualismo coerente sarebbe servito allo scopo 113 • Mentre, al contrario, naturalisti come Charles Darwin e T .H. Huxley erano pronti ad accettare la discendenza dell'uomo come conseguenza delle loro concezioni uniformitaristiche. La risposta data a Lyell dalla maggior parte dei geologi fu per lo piu di carattere limitato e circoscritto. Molti lo attaccarono per avere reintrodotto nella geologia la «teoria». I piu, lentamente, giunsero a condividere l'enfasi da lui posta sulle « cause graduali » "'. Ma ciò senza dar mostra di aver sentore del fatto che la « teoria » e il « gradualismo » erano tracce significative della metafisica illuministica. Quando Fitton dedicò la maggior parte della recensione degli Elements di Lyell ad un confronto con Hutton, fu per accusare Lyell di ingiustizia nei confronti del suo predecessore, piuttosto che per collocarlo sullo sfondo del mondo illuministico 115 • Le successive compilazioni di storia dell~ geologia, come i Passages in the History of Geology (1848) di Andrew Ramsay, si impadronirono dei capitoli storici di Lyell senza prestare attenzione agli scopi polemici per cui essi erano stati concepiti. Inoltre, a partire dal 1830 circa, con buona pace di Lyell, la storia della geologia fu nuovamente concepita secondo il criterio di una storia 'interna' della scienza, mentre lo stesso Lyell solo allora veniva assimilato ed assorbito all'interno di quella. I capitoli dedicati alla geologia nella History of I nductive Sciences di William Whewell danno un buon esempio di questo processo. Cosf, a proposito di un argomento come la « dinamica geologica », Whewell riconosceva esplicitamente Lyell come l'autentico fondatore (secondo il suo stesso 113

M.J.S. Rudwick, Poulett Scrope on the Volcanoes of Auvergne,

« The British Journal for the History of Sdence », VII (1974), pp.

205-42. 114 115

Sedgwick, op, cit., (nota 45), p. 303. Fittoni op, cit., (nota 79).

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giudizio) di tale branca della scienza. Ma con ciò egli di- . staccava Lyell da Hutton e dalle concezioni dinamiche della Terra fondate sul naturalismo e sul deismo dell'età illuministica 116• Tuttavia le origini illuministiche dell'uniformitarismo non poterono mai restare completamente nascoste. Non appena il cosiddetto dibattito sui miracoli degli anni attorno al 1830 fu diventato, negli anni '40, una battaglia in piena regola sull'uniformità della natura, scontro tale da coinvolgere filosofi e polemisti come. John Herschel, Baden Powell, Whewell, Huxley e Tyndall, i problemi geologici sconfinarono tosto nelle questioni fondamentali dei rapporti tra Dio e natura, cristianesimo e ragione 117 • La reputazione in cui erano tenuti i philosophes, bifronti come il dio Giano (in quanto essi avevano formulato il metodo scientifico e nel contempo sabotato la religione cristiana), andava ancora una volta riveduta. Non fu perciò un caso che T .H. Huxley scrivesse un volume su Hume; o che Adam Sedgwick, schierato fra gli opposito: ri frontali dell'uniformitarismo di Lyell, partisse all'assalto di tutti gli orientamenti culturali propri dell'Illuminismo nel suo Discourse sugli studi nell'Università di Cambridge e fosse uno dei principali oppositori delle V estiges di Chambers come pure di Darwin 11 8 • All'interno della geologia, ad ogni modo, furono le formulazioni di William Whewell che contribuirono principalmente alla diffusione di Lyell, separando gli aspetti « accettabili » dai confutati elementi di Illuminismo, e assicurarono in tal modo la sua ammissione nel Pantheon. Nella sua History of the Inductive Sciences, Wbewell defini la geologia come una scienza storica (o, secondo il suo neologismo, paletiologica) 119 • « Tutte le scienze pale- · tiologiche », egli affermava, « tutte le forme di speculazio116 111

Whewell, op. cii., (nota 3), III, p. 515. Cannon 1 op. cit., (nota 6).

11 8 Adam Sedgwick, Discourse on the Studies of the University, Cambridge, 1833. 119 Whewell, op. cit., (nota 3), III, p. 337.

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ne che dal presente si protendono verso il passato remoto lungo la catena della catisazione, ci sospingono parimenti, come inevitabile conseguenza, a ricercare il cominciamento dello stato di cose che noi in tal maniera contempliamo» 120 • Per cui da parte di Lyell era un grave errore - quasi per definizione - aver asserito che la geologia era una scienza interessata a sistemi in equilibrio stabile. Come aveva potuto Lyell commettere un simile errore? Lo aveva commesso ingannato da una falsa analogia con la piu prestigiosa scienza dell'Illuminismo - l'astronomia fisica newtoniana, che studiava le leggi cicliche del sistema solare 121 • Quindi la geologia di Lyell era fondamentalmente obsoleta, condotta fuori strada dal suo passato. Una volta liberata da questo retaggio di errori, la geologia poteva andare avanti.

120 12 1

Ibidem, III, p. 483. Ibidem, III, p. 515.

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GIULIANO

PANCALDI

CONOSCENZA FINE A SE STESSA, TECNICHE E PUBBLICO DELLA SCIENZA NEL 'PRELIMINARY DISCOURSE' DI J. HERSCHEL

Considerato già da alcuni contemporanei un classico della letteratura scientifica del suo tempo, il Preliminary Discour.se on the Study of Natural Philosophy di John Herschel 1 ha continuato a essere studiato, anche nella recente storiografia, come una sorta di manuale metodologico ad uso dello scienziato dell'età vittoriana. Posto a confronto, volta a volta, con il Novum organum di Bacone, con il Discours préliminaire di d' Alembert, con il System of Logie di J.S. Mill o con il Novum organum renovatum di Whewell, il trattato di Herschel è stato esaminato perlopiu da chi era interessato a studiarvi gli sviluppi nell'analisi dei procedimenti induttivi utilizzati dalle scienze naturali. Il maggior impulso a questo tipo di lettura sembra essere derivato dalla circostanza per cui alcuni celebri scienziati del secolo scorso, Faraday e Darwin anzitutto 2, avevano attribuito al trattato di Her,schel, in momenti di riflessione piu o meno attendibili 1 L'opera fu pubblicata a Londra, nel 1831, come « primo di una serie di discorsi intorno all'oggetto e ai vantaggi dello studio dei principali settori della conoscenza umana», formanti parte della Cabinet Cyclopaedia. Fu tradotta in francese, tedesco e italiano (Torino, 1840). Un reprint (Johnson) con introduzione di M. Partridge è stato

pubblicato nel 1966. Noi abbiamo utilizzato la prima edizione londinese, 2 Per Faraday e Herschel cfr. J. Agassi, Sir John Herschel's Philosophy o/ Success, « Historical Studies in the Physical Sciences », I (1969), pp. 1-36, in particolare p. 2. Per Darwin dr. C. Darwin, Autobiografia, trad. it. in C. Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo ... , Milano, 1967, p. 33. Particolarmente numerose le speculazioni sulla possibile influenza esercitata da Herschel su Darwin: dr. M. Ruse, Darwin's Debt to Philosophy: an Examination of the Influence o/ the Philosophical Ideas o/ John F.W. Herschel and William Whewell on the Development of Charles Darwin's Theory of Evolution, « Studies in History and Philosophy of Science », 6 (1975), pp. 159-181; M, Ruse, Darwin and Herschel, ibidem, 9 (1978), pp. 323-331;

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sul proprio lavoro, una funzione importante nell'orientare la loro ricerca, cioè presumibilmente nel fornire loro una metodologia scientifica. Poiché questi riconoscimenti erano spesso accompagnati da analoghi riconoscimenti nei confronti di Bacone e di Newton, e poiché lo stesso Herschel si professava loro seguace, il Preliminary Discourse è apparso come uno dei luoghi privilegiati in cui ricercare i connotati assunti dalla tradizione metodologica baconiana e newtoniana nei decenni centrali dell'Ottocento. Una parte consistente della non vasta letteratura su Herschel, a partire dalla recensione pubblicata da Whewell nel 1831 3 , ha dunque tentato di esaminare il Discourse come un vero e proprio trattato di filosofia della scienza. Le ricerche condotte da questo punto di vista si sono tuttavia imbattute in alcune difficoltà. Senza rievocare i dissensi fra Herschel e Whewell circa il ruolo di ipotesi, teorie e induzione nel lavoro dello scienziato, è sufficiente ricordare gli esiti di alcuni studi recenti. C.J. Ducasse, in un saggio dedicato alla 'filosofia della scienza' di John Herschel 4, perveniva a identificare almeno quattro diversi significati del concetto di causa utilizzato nel Discourse. E piu recentemente J. Agassi, in un articolo tutto teso a dimostrare e a contestare l'ingenuo baconismo (qui sinonimo di induttivismo) del!'opera 5 , doveva S.S. Schweber, The Origin o/ the 'Origin' Revisited, « Journal of the History of Biology », 10 (1977), pp. 229-316; E. Manier, The Young Datwin and His Cultura! Circle, Dordrecht, 1978, pp. 47-51. 3 In « Quarterly Review », 45 (1831), pp. 374-407. 4 C.J. Ducasse, J. Herschel's Philosophy of Science, (1942), ristampato col titolo fohn F.W. Herschel's Methods of Experimental Inquiry, in R.M. Blake, C.J. Ducasse e E.H. Madden, Theories of Scientific Method, Seattle, 1960, pp. 153-182. In una prospettiva analoga si muovono R. Olson, Scottish Philosophy and British Physics, 1750-1880, Princeton, 1975, pp. 258-270, e C.L. Jain, Methodology and Epistemology: an Examination of Sir J.F.W. Herschel's Philosophy of Science with Reference to His Theory of Knowledge, tesi di dottorato, Indiana University, 1976, « Dissertation Abstracts International », 36 (1976), 5502-A. Vedi anche C. Mangione, Logica e fondamenti della matematica nella prima metà dell'Ottocento, in L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano, voL IV, 1971, pp. 199-202. 5 J, Agassi, Sir fohn Herschel's Philosophy of Success, cit., in particolare p. 11.

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I I I I I

tuttavia riconoscere che vi era posto, nella concezione della scienza da essa proposta, anche per argomentazioni 'a priori'. In effetti W.F. Cannon, in un articolo del 1961 ', aveva già messo in guardia dal voler considerare quell'opera di Herschel come una discussione sul metodo scientifico in senso stretto o addirittura come un trattato di metafisica. Era preferibile secondo Cannon attribuire a Herschel, anziché una compiuta filosofia della scienza, una concezione in cui trovassero posto gli interessi enciclopedici e le molteplici valenze culturali proprie di opere di alta divulgazione come quelle che Herschel e molti altri, soprattutto in Gran Bretagna, ritenevano di dover rivolgere a un pubblico vasto, nonostante la crescente specializzazione delle discipline scientifiche. Quale tipo di opera si proponesse Herschel nel 1831 lo lascia intravedere egli stesso nelle ultime pagine del Discourse, là dove considera le cause dell'accelerato progresso delle scienze allora osservabile: fra queste figura anche « la diffusione di opere e riassunti elementari », illustranti gli sviluppi piu significativi dei diversi rami delle scienze. I trattati elementari, che si andavano diffondendo piu che in passato, avrebbero svolto secondo Herschel un benefico effetto sullo sviluppo delle scienze: « soltanto condensando, semplificando e ordinando le conoscenze delle generazioni passate con la maggiore lucidità possibile, - egli osservava - le generazioni future saranno messe in grado di utilizzare a fondo il punto avanzato dal quale partiranno ... » 7 • Se in affermazioni del genere siamo ora portati a rilevare (e a criticare) soprattutto l'ingeoua fiducia nel carattere cumulativo del sapere scientifico, non si può continuare a trascurare che esse erano parte di una piu generale concezione dell'impresa scientifica. Concezione in cui la riflessione sui metodi utilizzati dallo scienziato non era disgiunta da una conside6 W.F. Cannon, fohn Herschel and the Idea o/ Science, « Journal of the History of Ideas », 12 (1961), pp. 215-239, in particolare p. 222. 7 Herschel, Discourse, cit., pp. 352-3.

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razione dei rapporti della scienza con altre forme di sapere e con la tecnica, della funzione spettante alla scienza in una nazione civile o della parte che un pubblico vasto (cui i « trattati elementari » auspicati da Herschel e lo stesso Discourse erano rivolti) poteva svolgere nell'impresa scientifica. Se dunque di baconismo si vuole parlare a proposito di Herschel, bisognerà tener conto di quegli elementi della tradizione baconiana che non sono riducibili senz'altro al programma 'induttivista', ma che continuavano a essere oggetto di riflessione, anche nel 1830, quando si poneva mano alla riforma delle piu antiche istituzioni scientifiche o se ne fondavano di nuove; quando si reclamava un interesse piu attivo della nazione nella promozione della ricerca; o quando, piu semplicemente, si lanciavano nuove collane di testi, che oggi definiremmo di divulgazione scientifica. In questa prospettiva piu complessa assume rilievo la circostanza per cui l'autore del Discourse era stato, nell'anno precedente la pubblicazione di questo, il candidato alla presidenza della Royal Society espresso da un gruppo di scienziati che si proponevano in quella occasione una riforma della società. Cosl come non si può trascurare che, attraverso la presidenza della Royal Astronomica! Society, Herschel stesso era da qualche anno uno dei piu attivi organizzatori di ricerca della comunità scientifica britannica. Circostanze queste che lo portavano a essere coinvolto, volente o nolente, tanto nelle discussioni generate dal pamphlet di Babbage sul « declino » della scienza in Inghilterra, quanto nelle iniziative per la fondazione della British Association for the Advancement of Science. A un esame del ruolo svolto da Herschel nelle vicende ora accennate è dedicato in parte un libro recente di S.F. Cannon 8 • Ma senza dubbio è prematuro tentare di s S.F. Cannon, Science in Culture. The Early Victorian Period, New York, 1978. (Come risulta da questo volume, p. X, W.F. Cannone S.F. Cannon sono la medesima persona).

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inquadrare in modo definitivo l'opera di Herschel. Dopo tutto, solo da pochi anni si è cominciato a studiare con sistematicità la complessa realtà culturale e istituzionale della scienza inglese nel secondo quarto del secolo scorso. Né è stata ancora tentata una valutazione complessiva della straordinaria attività scientifica e organizzativa di John Herschel 9 • Nelle pagine che seguono mi propongo di richiamare l'attenzione su alcune tesi del Preliminary Discourse che, a mio giudizio, non hanno riscosso l'attenzione che meritavano da parte degli studiosi interessati a Herschel filosofo della scienza. Tesi che danno un'idea di come potevano tradursi in espliciti programmi culturali i dibattiti metodologici e le vicende istituzionali della scienza britannica del tempo. Mi soffermerò in particolare sui seguenti temi, sviluppati o abbozzati nel Discourse: 1) cause del!'accelerato progresso delle scienze; 2) il pubblico della scienza; 3) i rapporti fra scienza e tecnica, e l'ideale di una « conoscenza fine a se stessa»; 4) impresa scientifica e governo. È bene precisare che sono lontano dal ritenere che Herschel si proponesse nella sua opera una trattazione sistematica dei temi ora elencati; cosf come appare ormai certo che non si proponeva di scrivere un trattato di filosofia della scienza. In effetti, una valutazione complessiva del Discourse richiederebbe un confronto (anche stilistico?) con la fortunata letteratura di divulgazione scienti9 Si vedano in particolare i seguenti studi: N. Reingold, Babbage and Moli on the State of Science in Great Britain, « The British Journal for the History of Science », 4 (1968), pp. 58-64; J.B. Morrei!, Individualism and the Structure of British Science in 1830, « Historical Studies in the Physical Sciences », (1972), pp. 183-204; A.D. Orange,

Philosophers and Provincials. The Y orkshire Philosophical Society from

1822 to 1844, Yorkshire Philosophical Society, York, 1973; A. Thackray, Natural Knowledge in Cultura{ Context: the Manchester Model, « The American Historical Review », 79 (1974), pp. 672•709. Per una sommaria biografia di Herschel sì veda G. Buttmann, The Shadow of the Telescope. A Biography of John Herschel, (traduzione inglese dall'o~ riginale tedesco), New York, 1970, e l'articolo dedicato allo scienziato nel Dictionary of Scientific Biography, a cura di C.C. Gillispie 1 New York, 1970-77, vol. VI. Autore dell'articolo è D.S. Evans.

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fica che rappresenta un fenomeno importante nella cultura della prima metà del secolo scorso in Gran Bretagna 10 • Confronto che, nelle pagine che seguono, non abbiamo neppure tentato. 1. Nell'ultimo capitolo del Discourse Herschel svolge un'analisi circostanziata delle « cause dell'attuale rapido avanzamento delle scienze fisiche, a confronto con il loro progresso in un periodo precedente ». Merita soffermarsi sulla scrupolosa elencazione delle cause tentata dallo scienziato inglese: accanto a molti fattori tradizionalmente proposti in riflessioni analoghe sul progresso delle scienze, se ne trovano altri che contribuiscono a delineare una precisa concezione della scienza e delle circostanze che ne condizionano lo sviluppo. Herschel non dubita che le scienze si trovino, nel 1831, in uno stato « felice e desiderabile» 11 • Lo zelo e le energie riversate negli studi scientifici dalla fine del secolo XVI, e particolarmente dai tempi di Newton in poi, sono state ampiamente ripagate. E tuttavia non si può negare che le frontiere della ricerca scientifica restano « sconfinate e inesplorate » 12 : le nuove teorie e i nuovi campi d'indagine da esse aperti non autorizzano lo scienziato a sentirsi piu prossimo alla soluzione dei problemi fondamentali posti dai fenomeni fisici; egli ha ancora di fronte a sè un dominio inesauribile e, in un certo senso, Io scienziato del 1831 non è piu vicino alla meta di quanto lo fosse Newton. Queste considerazioni non assumono nelle pagine di Herschel risvolti scettici o agnostici: « in qualsiasi condizione della conoscenza riteniamo che l'uomo si trovi - egli scrive - il suo progresso verso uno stato ancora piu alto non deve temere verifiche, ma continuare finché esista la società » 13 • 10 Si veda, per esempio, J.N. Hays, Science and Brougham's Society, « Annals of Science », 20 (1964), pp. 227-241. 11 Herschel, Discourse, cit., p. 349. 12 Ibidem, p. 359. " Ibidem, p. 360.

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l

Il progresso in questiorte, del resto, 11011 si presenta come scontato o sancito da uno « spontaneo » sviluppo delle conoscenze. Esso è invece legato a una serie di circostanze, che Herschel definisce anzitutto esaminando i motivi del mancato sviluppo delle scienze prima del secolo XVI. Nulla contribuisce alla concretezza delle riflessioni di Herschel sul progresso delle scienze quanto l'esame dei motivi del loro mancato sviluppo nelle epoche passate. Ecco l'elenco di tali « cause », riproposto secondo l'ordine scelto dall'autore, per evitare di dare all'esposizione una sistematicità che è assente nelle pagine dello scienziato. Si sono opposti in passato al progresso delle scienze: « la totale indifferenza di vasti strati dell'umanità » per le indagini scientifiche; il mancato apprezzamento dell' « importanza e dell'interesse intrinseco » della scienza; « l'assenza di stimoli esterni e di occasioni » che favorissero gli studi scientifici; in quelle condizioni, soltanto pochi individui straordinari potevano coltivare le scienze, spinti dal solo desiderio di conoscenza; la « totale mancanza di una direzione opportuna da imprimere alla ricerca », ovvero l'assenza di « obiettivi cui mirare »; l'assenza di una « ricerca sistematica e coordinata»; la « generale indifferenza della società per speculazioni lontane dalle comuni faccende della vita »; il fatto che simili speculazioni venivano « di proposito avvolte in un erudito mistero »; gli interessi dei pochi cultori delle scienze « erano confinati in una regione troppo elevata per essere compresi dal volgo »; come conseguenza di molte delle cause elencate, « non si supponeva mai che le scienze potessero esistere fra le cose comuni, aver posto fra le arti meccaniche, o trovare degni argomenti di speculazione nella miniera o

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nel laboratorio » 14 , Per lo storico delle scienze che scrive nel 1979 è difficile resistere alla tentazione di esaminare le pagine « storiche » di Herschel alla ricerca di una organica concezione storiografica in esse operante. Cercheremo di sottrarci a questa tentazione, ma non potremo astenerci dal rilevare come il semplice elenco ora riportato induca ad apportare delle correzioni ad alcune concezioni del progresso attribuite spesso genericamente al secolo scorso. Sembra lecito infatti trarre alcune considerazioni in positivo dalla serie delle cause responsabili del mancato sviluppo delle scienze; non mancheremo del resto di verificare la validità di queste considerazioni esaminando i fattori individuati da Herschel per spiegare il loro fiorire all'inizio del XIX secolo. Nell'analisi abbozzata da Herschel ricorre piu volte il tema dell'atteggiamento dei non-scienziati, e in generale di « vasti strati dell'umanità », nei confronti della scienza. L'indifferenza o addirittura il sospetto di questi nei confronti dell'impresa scientifica gli sembrano essere uno dei motivi fondamentali del mancato sviluppo delle scienze nell'antichità. Indifferenza e ostilità non vengono ricondotte soltanto a pregiudizio o ignoranza dei non-scienziati. Herschel insiste ugualmente sulla responsabilità di questi ultimi: essi sembrano essersi spesso occupati di questioni lontane dalla vita di tutti i giorni e hanno di proposito avvolto nel mistero i loro studi, per cui non può meravigliare che nei loro confronti si nutrisse indifferenza o sospetto. Egli perciò sembra attribuire grande importanza, tra i fattori che condizionano lo sviluppo della scienza, all'atteggiamento della società nei suoi confronti e alla capacità degli scienziati di rapportarsi a quell'atteggiamento. Quanto alle condizioni interne all'impresa scientifica, si insiste sul coordinamento delle ricerche, sul loro orientamento e sulla necessità che vi si dedichino un gran nume14

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Cfr. ibidem, pp. 347-348.

ro di studiosi. Nell'antichità, nota Herschel, pochi individui straordinari non poterono garantire un significativo progresso delle scienze, né fu sufficiente a questo scopo lo stimolo esercitato dal solo desiderio di conoscenza. L' « assenza di stimoli esterni e di occasioni » appare anch'essa importante fra le cause del mancato sviluppo della scienza prima del XVI secolo. E a qùesto stesso motivo possono essere ricondotti altri fattori ricordati, come la mancanza di orientamenti precisi nella ricerca o di « obiettivi cui mirare ». Fin qui le considerazioni, in negativo, sul mancato sviluppo delle scienze. Che cosa intervenne dunque a modificare quello stato di cose a partire dalla fine del Cinquecento? Ecco le « cause » che favorirono e ancora stimolano lo sviluppo delle conoscenze scientifiche secondo Herschel: l'invenzione della stampa, che « consenti a chiunque di far conoscere le proprie idee al resto del mondo »; la stampa rese inoltre le conoscenze piu durevoli e perciò accumulabili; « l'aumentata ricchezza e il consolidamento della civiltà>>;

maggiore ricchezza e civiltà garantirono il benessere necessario affinché si diffondesse il gusto per le imprese intellettuali: gli studi scientifici furono coltivati da un numero crescente di persone; l'accresciuto numero di ricercatori potè usufruire di piu frequenti occasioni favorevoli agli studi scientifici: fu possibile istituire osservatori e stazioni scientifiche in regioni lontane; il maggior numero di scienziati, sparsi in ogni continente, potè avvalersi di piu efficaci sistemi di comunicazione; si diffusero le società scientifiche (in tempi recenti soprattutto quelle dedicate a singole discipline), che crearono le condizioni per un'« assistenza reciproca » fra gli scienziati; la pubblicazione di periodici scientifici permise di 443

orientare il lavoro dei ricercatori e di introdurre fra essi « modelli· di emulazione »; si diffusero trattati elementari ed esposizioni riassuntive delle conoscenze acquisite in ogni ramo del sapere; fu possibile determinare esattamente le quantità fisiche fondamentali, indispensabili per l'accuratezza degli esperimenti; si perfezionarono gli strumenti scientifici e i piu semplici fra essi ebbero larga diffusione; teorie nuove consentirono la realizzazione di strumen- · ti capaci di nuovi rilevamenti quantitativi; le « scoperte accidentali » ( tipiche soprattutto delle « arti ») furono piu frequenti in seguito all'estensione dei fenomeni studiati 15 • Il motivo dominante iu questa esposizione delle cause che hanno determinato e tengono tuttora vivo il progresso delle scienze sembra essere quello della diffusione della scienza: un maggior numero di ricercatori, collocati in un'area sempre piu vasta, con sistemi di comunicazione piu efficaci e la piu larga disponibilità di strumenti scientifici perfezionati caratterizzano il rapido sviluppo delle scienze in tempi recenti. Fra le premesse della diffusione della scienza un'invenzione delle « arti »: la stampa. Fra le cause, la ricchezza e l'espansione delle nazioni piu « civili »: « che cosa non potremo aspettarci - si chiede retoricamente Herschel - dalla diffusione dello spirito d'indagine scientifica nelle vaste regioni in cui il processo di civilizzazione, suo sicuro precursore, sta prendendo piede ed è in uno stato di attivo progresso? » 16 • È evidente in queste righe l'entusiasmo dello scienziato per le occasioni che il dominio coloniale offriva o avrebbe potuto assicurare alla ricerca scientifica. Non solo l'organizzazione di spedizioni scientifiche, già diffuse e collaudate, ma la realzzazione di stazioni scientifiche permanenti nelle regioni piu lontane. È questo il progetto piu ambizioso 1s Cfr. ibidem, pp. 349-359. 16

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Ibidem, p. 350.

in cui Herschel si impegnerà quale organizzatore di ricerca scientifica nel corso degli anni 1830-1840 17 • E in direzione analoga sembrano muoversi altre sue imprese scientifiche piu o meno note: la permanenza di alcuni anni al Capo di Buona Speranza, per condurre osservazioni astronomiche sul cielo australe 18 ; l'organizzazione di importanti spedizioni, come quella di James Ross; la pubblicazione, da lui curata, di un manuale di osservazioni scientifiche ad uso degli ufficiali della marina inglese 19 ; l'intensa corrispondenza con scienziati di altre nazioni, in cui egli si batte per la diffusione di iniziative analoghe 20 • Opportunità e risorse economiche crescenti, diffusione della scienza nei vari aspetti riguardanti uomini, istituzioni ed idee, non inducono Herschel a nutrire un ottimismo ingenuo circa il progresso scientifico: molte delle cause favorevoli a esso vengono presentate, nell'elenco ora esaminato, come condizioni da realizzare, mantenere e consolidare piuttosto che come fatti acquisiti. Da questo punto di vista, la riflessione compiaciuta sui risultati raggiunti non sembra produrre alcuna rinuncia a trovare nuove occasioni per assecondare il processo di sviluppo delle scienze: Herschel appare ben consapevole delle sue varie dimensioni e dei molteplici fattori che lo condizionano. La considerazione soddisfatta del patrimonio di risorse conquistate all'impresa scientifica, tuttavia, sembra produrre uno spostamento di enfasi nell'analisi storica abbozzata da Herschel in queste pagine relativamente a un tema importante, quello del rapporto fra scienziati e nonscienziati, fra la scienza e il suo «pubblico». Si noterà che, mentre fra le cause del mancato sviluppo delle scien17 Cfr. J. Herschel, Address, in Report of the XVth Meeting of the British Association for the Advancement o/ Science, London, 1846. 18 Cfr. J. Herschel, Results of Astronomica! Observations Made during the Y ears 1834-38 at the Cape of Good Hope, London, 1847.

19 Cfr. A Manual of Scientific Enquiry; Prepared far the Use of Her Majesty's Navy; and Adapted far Travellers in Genera!, a cura di J. Herschel, London, 1849. 20 Si veda la corrispondenza conservata negli archivi della Royal Society di Londra. Per l'affermazione nel testo ci riferiamo alla corrispondenza di Herschel con scienziati italiani, che abbiamo consultato.

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ze nell'antichità Herschel attribuiva molta importanza al!'« incomprensione » fra scienziati e larghi strati della società, qui non sembra insistere in uguale misura sulla necessità di evitare quell'incomprensione per assicurare il progresso delle scienze. O almeno, la questione non riceve qui l'attenzione riservatagli quando si trattava di additare le cause che si erano opposte al successo dell'impresa scientifica nel passato. È lecito dedurre, da questa asimmetria nell'argomentazione di Herschel, che il successo crescente dell'impresa scientifica (nel 1831) poteva indurre lo scienziato a sottovalutare l'importanza dell'immagine pubblica della scienza per le sue stesse sorti? Probabilmente la risposta è negativa, se si considera l'impegno che Herschel e i maggiori scienziati dell'Ottocento misero nella divulgazione dei grandi temi scientifici, fin oltre la metà del secolo. Ma la risposta appare piu incerta se si pone attenzione ad altri fenomeni, paralleli a quello ora ricordato, quali il mutamento in corso nella concezione dei rapporti fra scienza e tecnica o il delinearsi di un ideale della « conoscenza fine a se stessa ». 2. Prima di affrontare i temi appena ricordati, è op,portuno soffermarsi su alcune caratteristiche dello scienziato e del « pubblico » della scienza emergenti dalle pagine del Discourse o comunque rilevanti nell'epoca in cui furono scritte. È noto che nella lingua inglese non esisteva, fino agli anni '30 del secolo scorso, una parola che indicasse in modo inequivocabile lo studioso che faceva della scienza la propria occupazione principale. Il termine scientist fu proposto da Whewell soltanto allora e venne adottato gradualmente negli anni successivi 21 • Ma al di là della storia del termine numerose ricerche recenti, interessate agli aspetti istituzionali e sociali della scienza, hanno cercato di appurare in quale misura andasse delineandosi in 21

Cfr. W. Whewell, Philosophy of the Inductive Sciences, Londop,

1840, voi. I, p. 113.

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quegli anni una figura di scienziato « professionista », nel senso che siamo soliti attribuire oggi a tale espressione 22 • Secondo recenti valutazioni Herschel rappresenterebbe in modo tipico il nascente ruolo professionale dello scienziato: dedito al perseguimento di obiettivi o compiti pubblicamente riconosciuti, secondo criteri (e meriti) approvati dai colleghi scienziati, con un impegno scientifico protratto nel tempo e dominante sopra ogni altra sua attività. È questo il giudizio di S.F. Cannon nel volume già ricordato. Notoriamente, tuttavia, l'ambiente scientifico britannico negli anni '30 del secolo scorso, anche se dominato da figure come quella di Herschel, non era loro esclusivo appannaggio. Il processo di riforma per far cessare nella Royal Society la convivenza di professionisti e « dilettanti », in qualche modo avviato con la campagna (fallita) per l'elezione di Herschel alla presidenza nel 1830, durò alcuni decenni 23 • Né la nuova British Association for the Advancement of Science coinvolgeva soltanto scienziati professionisti, come attestano le vicende della sua fondazione e il largo seguito di molte delle sue riunioni nelle città della provincia inglese 24 • All'ideale di un nuovo modello professionale della ricerca rispondevano probabilmente piu di altre le società dedicate a una sola disciplina scientifica, come la Royal Astronomica] Society di cui Herschel era infaticabile animatore. Ma il panorama dei cultivators of science, secondo l'espressione utilizzata di preferenza da Herschel nel Discourse, era ancora assai vario in quell'epoca e comprendeva almeno tre differenti categorie di persone. 2 2 Su questo tema vedi E. Mendelsohn, The Emergence of Science as a Profession- in Nineteenth Century Europe, in K. Bill (a cura di), The Management of Scientists, Boston, 1964. La letteratura piU recente sull'argomento· è discussa in Cannon, Science in Culture, cit., capp. 5 e 6. 23 Cfr. D. Stimson, Scientists and Amateurs. A History of the Royal Society, New York, 1948. 24 Su11a British Association si vedano: O.JR. Howarth, The British Association /or the Advancement of Science: a Retrospect 1831-1931, London, 1931; A.D. Orange, The British Association /or the Advancement of Science: the Provincia! Background, « Sdence Studies », I (1971), pp. 315-329; A.D. Orange, Philosophers and Provincials, cit.

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Accanto agli studiosi piu noti, impegnati nelle ricerche teoriche di fondo e nella vita scientifica delle discipline ritenute fondamentali (astronomia, geologia e chimica soprattutto), ma che non necessariamente e anzi raramente si guadagnavano da vivere con la scienza, vi erano coloro che erano interessati alle scienze per le loro applicazioni industriali. Agli occhi dei contemporanei, questi inventori o tecnici potevano attingere direttamente al mondo economico per le loro ricerche e il loro sostentamento, e dunque realizzavano per questa via un loro ruolo professionale 25 • Un terzo gruppo di « cultori di scienza » era costituito da esponenti delle classi medie in ascesa, medici, avvocati, militari e membri del clero che, senza fare del loro interesse per la scienza una professione in nessuno dei sensi fin qui indicati, trovavano tuttavia negli studi naturalistici un terreno propizio in cui affermare una propria cultura e reclamare pubblici riconoscimenti 26 • A queste tre categorie di cultori di scienza bisognerebbe forse aggiungerne un'altra, meno numerosa, ma ancora importante in quegli anni: quella delle personalità pubbliche, membri della nobiltà o leaders politici prestigiosi che, si riteneva, potevano conferire status e trarre a loro volta prestigio nella qualità di protettori delle scienze 27 • Numerosi regnanti, anche non inglesi, continuarono a essere ammessi come membri della Royal Society 28 • 25 Questa era l'opinione di C. Babbage nel suo Reflexions on the Decline of Science in England, London, 1830. Essa era condivisa anche da non scienziati come E. Bulwer Lytton, England and the English, Paris, 1833 (dr., per es., p. 367). 26

Su questa categoria di « cultori di scienza» ha insistito A.

Thackray in Natural Knowledge in Cultural Context: the Manchester Model, cit. 27 A questo aspetto si mostravano ancora molto sensibili alcuni dei «riformatori)> della Royal Society negli anni '30: sia Babbage quando, nel pamphlet già ricordato, reclamava onorificenze pubbliche per gli scienziati, sia A. Bozzi Granville, quando proponeva di ridare « un capo» alla Royal Sodety eleggendo il Duca di Sussex alla presidenza (cfr. Science without a head; or the Royal Society Dissected, London, 1830). 28 Si consulti in proposito The record of the Royal Society vf London, London, 1940.

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Se tale era verosimilmente il panorama dei cultori di scienza allorché il Discourse venne scritto, quale ruolo veniva assegnato da questo fortunato « manifesto » scientifico alle diverse categorie ora ricordate? Il Discourse non offre, anche per questo interrogativo, delle risposte precise. Ma vi è un'indicazione di fondo su cui Herschel insiste e che può apparire (oggi) contrastante col carattere professionale che la ricerca scientifica andava assumendo, anche per iniziativa di personaggi come Herschel: il sapere scientifico - egli ritiene non può e non deve essere patrimonio di pochi. La conoscenza - scrive Herschel - non può venire adeguatamente coltivata o usufruita da pochi. Se le condizioni in cui viviamo sulla terra possono essere tali da non garantire un'abbondante disponibilità di mezzi di sussistenza per tutti quelli che nascono [qui Herschel ha in mente Malthus], non esiste nessuna analoga legge di natura che impedisca il soddisfacimento dei nostri bisogni intellettuali o morali. Con l'uso la conoscenza, a differenza del cibo, non viene distrutta bens! incrementata e perfezionata. Attraverso il consenso universale essa forse non acquista una certezza maggiore, ma ottiene almeno un'autorità confermata e può assumere carattere duraturo. Né vi è alcun insieme di conoscenze cosi completo che non possa venire arricchito, oppure cosi libero da errore da non poter subire correzioni- passando attraverso la mente di milioni di persone 29 •

Concezioni, queste, coerenti con l'ideale, espresso in etltre pagine, di un trionfo della ragione sostenuto dalla « saggezza collettiva dell'umanità » 30 che, con l'assenso della provvidenza divina, avrebbe permesso di dominare la nostra natura morale non meno che il mondo fisico. Anche chi ama la « conoscenza fine a se stessa », ritiene Herschel, deve operare perché sia resa accessibile a tutti: solo cosl essa potrà raggiungere « quella duttilità e plasticità che può conferirgli soltanto la pressione esercitata da menti di ogni orientamento costantemente impegnate ad adeguarla ai propri scopi » 31 • Ma affinché sia 29



Herschel, Discourse, cit., p. 69. Ibidem, p. 74.

st Ibidem, p. 70.

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garantito il carattere largamente pubblico del sapere si richiedono, secondo Herschel, un impegno attivo dello scienziato e una forma adeguata del sapere scientifico: A questo fine è necessario che esso [il sapere scientifico] sia spogliato, per quanto possibile, delle difficoltà :artificiose e privato di quegli elementi troppo tecnici che tendono a conferirgli l'aspetto di un'arte (craft) e di un mistero inaccessibili sé non mediante una sorta di iniziazione. La scienza naturalmente ha, come ogni altra cosa, i suoi termini peculiari e, per cosl dire, i suoi idiomi linguistici, che sarebbe scorretto abbandonare quand'anche fosse possibile. Ma bisogna eliminare senza riguardi qualsiasi elemento che tenda a imporre alla scienza una veste inconsueta e scostante e, soprattutto, qualsiasi cosa acquisti inutilmente un'aria di profondità e oscurità tale da assicurare ai suoi professori un'ap~ parenza di superiorità sopra il resto degli uomini 32 •

Herschel ritiene che questo orientamento vada salvaguardato soprattutto di fronte agli usi pratici delle teorie scientifiche: in quel caso, infatti, tutti sono interessati a una conoscenza adeguata dei principi fondamentali impiegati, affinché non si compiano pericolosi errori nella loro applicazione. Si delinea abbastanza chiaramente in affermazioni del genere, che pure hanno la genericità di un « manifesto » culturale quale è per molti aspetti il Discourse, una concezione della scienza in cui la tradizionale immagine di sapere pubblico acquista una esplicita dimensione sociale. Il carattere pubblico della scienza non deve essere tale soltanto nella cerchia ristretta degli esperti, ma interessa in linea di principio tutti coloro che sono coinvolti dalla crescente sfera delle sue applicazioni. Non mi propongo qui di valutare quanto di utopico vi fosse in affermazioni del genere nel 1831, se rapportate al processo di specializzazione in atto nelle discipline scientifiche o alla loro incontrollata applicazione nei procedimenti di produzione industriale. Merita invece segnalare due elementi originali all'interno di questa « utopia ». In primo luogo, Herschel si mostra del tutto consapevole della tentazione, cui sarebbero soggetti gli scienziati, 32

450

Loc. cit.

di presentare il loro sapere con caratteristiche piu appropriate a un sapere « sacro » che non a un sapere « pubblico » in senso moderno. Non sembra perciò che si possa muovere a Herschel il rilievo, mosso talora a Bacone, di amare per lo scienziato un'aureola di sacralità e una separazione dal resto della società, quali vengono attribuite al Padre della Casa di Salomone nella Nuova Atlantide 33 • In secondo luogo, Herschel sembra ritenere che il carattere pubblico della scienza, nel senso sopra specificato, è precisamente ciò che distingue e valorizza il sapere scientifico rispetto al sapere tecnico, o. a quelle che egli chiama « arti empiriche ». Queste ultime infatti mostrano la tendenza « a rivestirsi di artificiosi elementi tecnici e a vantarsi di stratagemmi particolari e di misteri noti solo agli adepti; a creare sorpresa e stupore coi loro risultati, procurando di nascondere i processi con cui quei risultati vengono conseguiti ». Non cosi il sapere scientifico: « Il carattere della scienza è esattamente il contrario di questo. Essa ama aprirsi all'indagine; né si accontenta delle conclusioni raggiunte finché non ha spianato la via che conduce a esse: e questo carattere essa conserva anche nelle sue applicazioni ... » 34 • 3. Con queste ultime osservazioni stiamo già affrontando un altro dei temi che ci eravamo proposti: la concezione dei rapporti fra scienza e tecnica e il problema dell'utilità della scienza. Nel passo appena riportato Herschel contrapponeva il carattere aperto e pubblico della scienza alla natura misteriosa e « iniziatica » delle « arti empiriche ». La distinzione non è occasionale e viene ribadita piu volte con forza nelle pagine del Discourse. Se consideriamo i rapporti scienza-tecnica dal punto di vista storico, osserva Herschel, notiamo che di regola 33

Cfr. W. Leiss, The Domination of Nature, New York, 1972 (trad.

it., Milano, 1976, pp. 65 e ss.). Per il testo di Bacone vedi F. Bacone,

Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Torino, 1975, pp. 853 e ss. 34 Herschel, Discourse, cit., pp. 71~72.

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le « arti » hanno preceduto lo sviluppo della scienza e ciò è avvenuto perché i bisogni materiali immediati si sono imposti prima di quelli intellettuali. Quando finalmente vi è stato posto anche per questi ultimi, i pochi cultori delle scienze hanno preferito rivolgersi ai campi d'indagine piu astratti: di qui la fioritura della geometria, della matematica e dell'astronomia pritna delle altre scienze. Solo piu tardi si è cercato di utilizzare queste conoscenze per le applicazioni utili. Applicazioni cui si sono dedicate allora le « arti scientifiche », distinte da quelle « empiriche » che si limitano a utilizzare l'esperienza tecnica acquisita. Ora - insiste Herschel - « le arti continuano a progredire lentamente, ma il dominio loro proprio resta separato da quello della scienza da un largo braccio di mare, che può essere attraversato solo con un potente salto » 35 • Di fronte alla domanda, spesso rivolta allo scienziato inglese dei primi decenni dell'Ottocento: « a quale scopo o vantaggio pratico tendono le tue ricerche? », questi può a buon diritto ricordare che nella storia di tutte le scienze « le speculazioni apparentemente piu irrilevanti sono state quelle da cui sono derivate, quasi di regola, le applicazioni pratiche piu importanti ». Ma in generale, sembra ritenere Herschel, il natural philosopher deve sottrarsi a questo tipo di interrogativi, che troppo spesso gli vengono rivolti. Lo scienziato speculativo può e deve amare la « conoscenza fine a se stessa » e certo prova « un senso di umiliazione » di fronte a quel tipo di richieste 36 • Quali sono dunque le caratteristiche piu appropriate e quali i vantaggi intrinseci di questa forma di sapere, che si cerca accuratamente di sottrarre a un terreno comune con il sapere tecnico? « Una mente che abbia assimilato una volta per tutte il gusto per l'indagine scientifica - scrive Herschel - e abbia acquisito l'abito di applicarne prontamente i principi ai casi che si verificano, ha in " Ibidem 36

452

p. 71.

Ibidem: p. 10.

sé una fonte inesauribile di contemplazioni pure e stimolanti » 37 • Questa contemplazione, peraltro, è una disposizione attiva, capace di mantenere in costante esercizio tutte le facoltà della mente. Il sapere scientifico si presta perciò piu di ogni altro a combattere, nella vita di chi lo pratica, ogni forma di lassismo, come pure « quella ricerca di eccitamento artificioso e dissipatezza della mente, che porta tanti uomini a perseguire obiettivi frivoli, indegni, distruttivi » 38 • È chiaro che una siffatta forma di sapere si raccomanda allora non solo allo scienziato, che aspira a fare della ricerca il proprio mestiere, ma anche a tutti coloro che siano interessati alla scienza come espressione culturale in senso generale. Il « professionista » Herschel, insomma, si guarda bene dal dissuadere vecchi e nuovi « dilettanti » dal coltivare aspirazioni scientifiche. E ciò, si direbbe, perché sia Herschel che la vasta schiera dei « cultori di scienza » cui egli si rivolge sono propensi a fare della scienza una importante forma di espressione culturale e dunque, sotto molti aspetti, un sapere per eccellenza, non semplicemente il sapere di qualcuno per qualcosa. Il carattere disinteressato e contemplativo della scienza viene cosi contrapposto sistematicamente agli « spinosi sentieri delle applicazioni » 39 , cui segretezza, astuzie e interessi personali sembrano togliere ogni dignità di autentica espressione culturale secondo i criteri tradizionali. È difficile non tener conto, in una valutazione di questo atteggiamento nei confronti delle tecniche, di alcune osservazioni di Herschel sul loro ruolo nella società contemporanea. Si considerino per esempio, nel Discourse, alcune penose descrizioni della vita nelle manifatture o nelle miniere del tempo 40 • O anche la complessa argomentazione in cui Herschel è costretto a riconoscere che, nonostante le aumentate risorse economiche e tecniche, è 37 38 39



Ibidem, p. 15. Loc. cit, Ibidem, p. 360. Ibidem, pp. 56-7.

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assai difficile stabilire se gli strati inferiori delle nazioni civili si trovino in condizioni migliori dei ceti corrispondenti di una popolazione selvaggia 41 • Si comprenderà allora una almeno delle ragioni che inducevano ad allentare i legami fra scienza e tecnica. Il mero sapere tecnico, coin- . volto nel drammatico sviluppo economico e sociale del tempo, rischiava di compromettere le ambizioni di universalità cui il sapere scientifico poteva ora aspirare con forza, valendosi della nuova figura dello scienziato, cui si cominciava a riconoscere un ruolo sociale autonomo, e del sostegno dato alla cultura scientifica da ceti sociali sempre piu vasti. In un saggio di alcuni anni fa, Everett Mendelsohn osservava 42 che ciò che veramente stupisce circa la scienza del diciannovesimo secolo non è tanto il fatto che assumesse toni utilitaristici, ma piuttosto che, nonostante questo, essa non si mise senz'altro al servizio dell'industria, non divenne semplicemente una scienza industriale. Una spiegazione del fenomeno va rintracciata, secondo Mendelsohn, nel fatto che soltanto tardi nel corso dell'Ottocento la tecnologia industriale raggiunse un livello abbastanza avanzato per potersi valere delle scienze del tempo. Un'altra circostanza, utile forse per comprendere il fenomeno, ci è ora suggerita dal Discourse di Herschel: l'identificazione scienza-tecnica fu scoraggiata sia dai nuovi scienziati di professione, sia dai « cultori di scienza ». Ibidem, pp. 67-69. E. Mendelsohn, The Emergence of Science as a Profession in Nineteenth Century Europe, cit., p. 42. Su come andasse delineandosi un ideale della scienza « puta » vedi anche, dello stesso Mendelsohn, The Social Construction of Scientific Knowledge, in E. Mendelsohn, P. Weingart e R. Whitley (a cura di), The Socia! Production of Scientific Knowledge, (Sociology of the Sciences, A Yearbook, vol. I), Dordrecht, 41

42

1977, p, 22, n. 17. All'affermazione di una concezione della scienza o