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Italian Pages 832 [833] Year 2020
I libri di Viella 365
Bertrando Spaventa
Epistolario (1847-1883)
a cura di Marco Diamanti, Marcello Mustè e Maria Rascaglia
viella
Copyright © 2020– Viella s.r.l. Tutti i diritti riservati Prima edizione : settembre 2020 ISBN 978-88-3313-152-8 (carta) ISBN 978-88-3313-610-3 (ebook-pdf)
Il presente volume è pubblicato con i fondi del Comitato nazionale per il bicentenario della nascita di Bertrando Spaventa (1817-2017).
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libreria editrice via delle Alpi 32 I-00198 ROMA tel. 06 84 17 75 8 fax 06 85 35 39 60 www.viella.it
Indice
Prefazione Tavola delle abbreviazioni
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Epistolario (1847-1883) 1847 1849 1850 1851 1852 1853 1854 1855 1856 1857 1858 1859 1860 1861 1862 1863 1864 1865 1866 1867 1868 1869 1870 1871 1872
21 23 25 47 59 63 69 87 109 129 149 163 197 249 275 311 337 357 367 403 423 467 505 537 571
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Epistolario (1847-1883)
1873 1874 1875 1876 1877 1878 1879 1880 1881 1882 1883 Senza data
583 593 615 629 665 691 709 733 757 779 797 799
Indice dei nomi
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Prefazione
Fonti e prime edizioni Il primo progetto di edizione delle lettere di Bertrando Spaventa risale a Giovanni Gentile, il quale, nella primavera del 1898, si era posto l’obiettivo di riunire in volume una serie di saggi da aggiungersi, come seconda parte, ai Saggi di critica filosofica, politica e religiosa pubblicati da Spaventa nel 1867. A partire da questo progetto originario, il disegno di Gentile crebbe a mano a mano che l’autore entrava in contatto con la ricca quantità del materiale spaventiano, in larga parte inedito, del quale Croce era rientrato in possesso dopo l’iniziale dispersione. L’appoggio di Croce, a cui Gentile si rivolse, fu fondamentale per prendere contatti con l’editore Morano, presso il quale era appena uscita la raccolta di scritti e documenti di Silvio Spaventa, curata dallo stesso Croce, Dal 1848 al 1861. Lettere, scritti, documenti (Morano, Napoli 1898; Laterza, Bari 19232). Nell’agosto 1898 l’attenzione di Gentile si concentrò sulle lettere, nella convinzione che l’epistolario, per quanto ancora esiguo, potesse dare un’immagine più precisa e chiara dell’insegnamento di Bertrando. L’anno successivo la fisionomia del libro venne delineata nel dettaglio, e, in seguito ad accordi presi con Morano, Gentile poté formulare una proposta editoriale articolata in quattro volumi: al primo, contenente la sua introduzione di carattere storico, avrebbero fatto seguito un secondo volume dedicato agli studi su Hegel, un terzo sulle lezioni inedite di psicologia e infine un quarto che avrebbe compreso le molte recensioni, gli articoli sui Gesuiti e il carteggio. Come è noto, soltanto il primo di questi quattro volumi venne pubblicato (nel 1900, con il titolo Scritti filosofici), mentre il resto del progetto editoriale, dapprima rinviato, non fu mai realizzato. Per circa vent’anni, come si nota scorrendo, alla voce “Carteggio”, la Bibliografia ragionata degli scritti di B. Spaventa curata da Italo Cubeddu, sia Gentile che Croce continuarono a pubblicare ampli stralci della corrispondenza del filosofo abruzzese: in articoli, opuscoli, raccolte di scritti e documenti, o in appendice a volumi di carattere storiografico, restituendo la parte sostanziale della biografia intellettuale di Spaventa e dando vita alle due più consistenti raccolte di lettere, conservate rispettivamente nella Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici di Roma e nella Società Napoletana di Storia Patria. Scorrendo la voce “Carteggio”
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Epistolario (1847-1883)
della Bibliografia spaventiana, si osserva come l’attività editoriale relativa alla documentazione ancora inedita si sia ridotta nel tempo. A studiosi dei principali corrispondenti di Spaventa si deve la pubblicazione parziale o integrale di alcuni nuclei di lettere: è il caso di Riccardo Zagaria e di Domenico D’Orsi per il carteggio con Pasquale Villari, di Nunzio Coppola per quello con Vittorio Imbriani, di Giuseppe Berti e Stefano Miccolis per lo scambio epistolare con Antonio Labriola. Accanto a essi vanno ricordati Giovanni Castellano, curatore della sezione postunitaria del carteggio dei fratelli Spaventa e prosecutore del lavoro iniziato da Croce con la raccolta di scritti e documenti Dal 1848 al 1861, Vito Masellis e Giuseppe Vacca, per avere integrato la pubblicazione del nucleo napoletano del carteggio con i documenti originali conservati nelle biblioteche pugliesi. Nel caso dei carteggi più completi, intrattenuti con i corrispondenti più importanti, come il fratello Silvio, De Meis, Villari, Fiorentino, Imbriani, sono disponibili edizioni pressoché integrali delle lettere. Per alcuni corrispondenti di rilievo, per esempio Antonio Labriola, sono pubblicate tutte le risposte con poche lettere di Spaventa. Solo qualche volta, come nel caso di Donato Jaja, vi è un piccolo carteggio del tutto inedito. L’intero corpus dell’epistolario, che si aggira intorno alle mille lettere, è proposto in questo volume secondo un rigoroso ordinamento cronologico, che va dal dicembre 1847, anno di inizio della corrispondenza, alla morte del filosofo, nel febbraio 1883. I fondi di appartenenza delle lettere, come già rilevato, comprendono due nuclei principali, identificabili con il gruppo conservato presso la Fondazione Giovanni Gentile di Roma e con quello custodito presso la Società Napoletana di Storia Patria. Quest’ultimo gruppo, comprendente le carte donate da Benedetto Croce sul finire del diciannovesimo secolo, rappresenta il nucleo più consistente e organico della corrispondenza dei due fratelli. Il fondo comprende nove buste, che raccolgono il carteggio intercorso fra Bertrando e Silvio dal 1847 al 1883, per un totale di quasi 1200 lettere, ordinate cronologicamente in quattro gruppi e suddivise, relativamente al nucleo delle lettere scritte da Bertrando, nel modo che segue: XXVI.D.3 dal 1849 al 1860; XXXI.D.1 dal 1861 al 1865; XXXI.D.2 dal 1866 al 1871; XXXI.D.6 dal 1872 al 1883. Con esse sono conservate tre lettere di Bertrando al padre e undici alla moglie Isabella Sgano. Accanto alle lettere inviate al filosofo da vari corrispondenti nel periodo preunitario, si trova anche la lettera indirizzata da Spaventa, nei primi mesi dell’esilio, al ministro di pubblica istruzione del regno di Sardegna Cristoforo Mameli, nella quale è contenuta la supplica per l’assegnazione di una cattedra di filosofia tra quelle ancora vacanti nelle università del regno. Per il periodo postunitario, singole lettere al fratello Silvio, alla moglie, a De Meis, a Fiorentino, Del Giudice, Loescher sono state rinvenute nel secondo fascicolo della busta XXXI.D.7, accanto a vari sonetti e componimenti satirici in versi successivi al 1876, alcuni dei quali pubblicati da Croce, contro noti esponenti della Sinistra, e a una copia di Paolottismo, positivismo, razionalismo – che nell’Epistolario viene restituita in versione integrale, secondo l’originale pubblicato da Maria Rascaglia nel 2006 nel secondo fascicolo del «Giornale critico della filosofia italiana» – che comprende anche una minuta, inedita, a Francesco Fiorentino, al quale era originariamente indirizzata la lettera.
Prefazione
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L’unica eccezione rispetto alla tipologia del materiale finora descritto è rappresentata da un gruppo di trenta lettere, in parte inedite, di Bertrando Spaventa ad Angelo Camillo De Meis, acquisite dopo la donazione di Croce e conservate nel primo fascicolo della suddetta busta. Nelle altre raccolte epistolari della Società Napoletana di Storia Patria non sono state rinvenute lettere di Bertrando, con l’eccezione di sei lettere indirizzate dal filosofo a Giuseppe De Blasiis nel 1866, anno in cui Spaventa fu nominato regio delegato al Provveditorato agli studi nella provincia di Napoli, e di una lettera ad Antonio Labriola del marzo 1874 conservata nel Fondo Dal Pane. La sezione romana dell’epistolario di Bertrando Spaventa, conservata nell’Archivio della Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici, è costituita da materiale raccolto da Gentile nel corso dei suoi studi su Spaventa e sugli altri esponenti dello hegelismo meridionale, come De Meis, Fiorentino e Jaja. Si tratta in prevalenza di lettere autografe, ma non mancano prime edizioni e trascrizioni di mano di Gentile, che preparava il materiale su cui lavorare. Nel caso di Spaventa, la documentazione epistolare si rivela particolarmente interessante per la presenza di elementi che si integrano perfettamente con il materiale che costituisce il nucleo napoletano più consistente. Racchiusa in due buste che recano l’indicazione “Bertrando Spaventa. Fonti e documenti”, la documentazione spaventiana della Fondazione Giovanni Gentile è affiancata dalla sezione dedicata ai “Carteggi” degli hegeliani meridionali, a sua volta suddivisa in lettere autografe ed eventuali risposte. La maggior parte del materiale conservato nelle buste si riferisce a ricerche condotte all’epoca della redazione della monografia su Bertrando Spaventa e della pubblicazione della prima raccolta di lettere e di saggi. Relativamente alle lettere di Spaventa, la prima busta contiene dieci lettere a vari corrispondenti, da Labriola a Fiorentino a De Meis, e diciotto lettere a Silvio, alcune delle quali parzialmente pubblicate da Gentile nei suoi scritti. Nella sezione “Carteggi”, invece, sono conservate trentadue lettere inedite di Spaventa a Donato Jaja, oltre a quelle dei vari mittenti, raccolte sotto il titolo “Terzi a B. Spaventa”. Altri nuclei dell’epistolario di Bertrando Spaventa, diversi per tipologia rispetto ai due più consistenti appena descritti, sono nel fondo di manoscritti autografi del filosofo donato da Croce alla Biblioteca Nazionale di Napoli e in quello lasciato da Silvio nella Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo, dove Alessandro Savorelli, nel regesto sulle Carte Spaventa nella Biblioteca nazionale di Napoli, segnala l’esistenza di una «modesta sezione del carteggio, di scarso interesse per lo più, con alcune minute di lettere di Spaventa e poche lettere di corrispondenti». Fanno parte dell’Epistolario la lettera di Bertrando allo zio Onorato Croce, le minute a Le Monnier e a Mamiani, e la lettera al rettore dell’Università di Modena. Negli altri casi, fatta eccezione per la minuta della famosa lettera del 10 marzo 1876 a Fiorentino sulla polemica con Francesco Acri (Gli spaventiani spaventati, apparsa nel «Fanfulla» del 26 marzo 1876), si tratta di abbozzi di lettere (mss. XVI.C.1.1.8, c. 4v; XVI.C.11.33; XVI.13.2; XVI.C.31.12) o di minute di lettere incomplete e senza data, indirizzate a destinatari non identificabili con certezza.
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Epistolario (1847-1883)
I nuclei delle due biblioteche pugliesi, la provinciale De Gemmis di Bari e la comunale Giovanni Bovio di Trani, sono costituiti dal materiale raccolto da Giovanni Beltrani, il quale ha successivamente donato un gruppo di autografi alla prima e un cospicuo fascio di sue trascrizioni alla seconda. Nel primo caso, le lettere più interessanti di Spaventa e dei suoi corrispondenti, pubblicate da Vito Masellis e da Giuseppe Vacca tra il 1965 e il 1966, sono purtroppo andate perdute. La cartella 201 del Fondo Beltrani, denominata “Epistolario Spaventa”, contiene attualmente solo due lettere di Silvio e di Bertrando al padre del 1859 più ventuno lettere di altri corrispondenti. Per le lettere di Bertrando a Silvio appartenenti al fondo e inserite nell’Epistolario ci si è dovuti pertanto attenere alla trascrizione dei curatori precedenti. Nel secondo caso, invece, la trascrizione delle trenta lettere pubblicate da Vacca si è potuta confrontare con quella precedente di Beltrani. Tra le raccolte delle biblioteche che ospitano materiale per l’epistolario di Bertrando Spaventa, la principale è senza dubbio quella della Biblioteca Nazionale di Napoli, che conserva, oltre all’autografo dell’unica lettera a Francesco De Sanctis, la corrispondenza con Sebastiano Maturi, con la moglie di quest’ultimo, Ernesta Sali, con Enrico Cocchia, con Luigi Settembrini, con Giuseppe Fiorelli e con Antonio Ranieri. Il nucleo più importante è però costituito dalle Carte Fiorentino, che comprendono novantasei autografi tra lettere, biglietti e cartoline postali inviati da Spaventa a Fiorentino tra il 1863 e il 1883, oltre a nove lettere alla marchesa Marianna Florenzi Waddington e due lettere ad Angelo Camillo De Meis. Il Fondo Imbriani, conservato nella Biblioteca Universitaria di Napoli, comprende invece diciotto lettere di Bertrando Spaventa a Vittorio Imbriani, che vanno dal 1869 al 1882, già pubblicate nel secondo volume dei Carteggi di Vittorio Imbriani curato da Nunzio Coppola e dedicato a Gli hegeliani di Napoli ed altri corrispondenti letterati ed artisti (Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma, 1964). Nel Carteggio Villari, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, si trovano diciassette lettere di Spaventa a Pasquale Villari, tutte edite nel 1966 da Domenico D’Orsi nel volume di Scritti inediti e rari: 1840-1880, eccetto la prima, datata 24 settembre 1850 e pubblicata nel 1981 da Maria Rascaglia in un opuscolo dell’Istituto italiano per gli studi filosofici. Nel volume di D’Orsi sono inoltre inserite tre lettere conservate nei carteggi della Biblioteca Nazionale di Firenze, inviate da Spaventa a Felice Le Monnier, Eugenio Camerini e Angelo De Gubernatis. Un gruppo di quattordici lettere inedite, di cui otto a Giuseppe Del Re relative agli anni 1850-1852 e sei a Terenzio Mamiani inviate tra il 1851 e il 1877, sono conservate nel Fondo Piancastelli della Biblioteca comunale Aurelio Saffi di Forlì. Il piccolo nucleo di lettere di Spaventa conservato nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro comprende inoltre due lettere a Terenzio Mamiani, rispettivamente del 13 luglio e del 10 ottobre 1854, entrambe pubblicate da Giovanni Gentile in appendice alla seconda edizione della sua monografia sul filosofo, dal titolo B. Spaventa e l’Accademia di filosofia italica, più altre tre lettere, datate 11 luglio 1869, 5 marzo 1870 e 15 gennaio 1871, pubblicate da D’Orsi nel volume del 1966.
Prefazione
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Limitata a poche unità è la corrispondenza di Spaventa con altri interlocutori, a volte di notevole spessore culturale, come nel caso di Francesco D’Ovidio e Alessandro D’Ancona, nei carteggi dei quali, conservati presso la Biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa, si trovano cinque lettere successive al 1860. Un’altra lettera a D’Ancona, questa volta del 1855, si trova, insieme a una lettera a De Meis del 1880 e a un’altra del 1863 all’avvocato reggiano Giacinto Menozzi, nel Fondo Casati della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Analogamente, una sola lettera del 1873 inviata da Spaventa ad Antonio Tari è conservata all’interno di un piccolo gruppo di carte di Bertrando e Silvio presso l’Archivio della Fondazione Biblioteca Benedetto Croce di Palazzo Filomarino a Napoli. Nella raccolta di autografi dell’Istituto per la storia del Risorgimento di Roma si trova una lettera di Bertrando a Silvio dell’autunno del 1882 e una copia, non datata, della lettera indirizzata dal filosofo al ministro della pubblica istruzione del regno di Sardegna Cristoforo Mameli, con lievi varianti all’esemplare, anch’esso redatto in epoca successiva, conservato nel Fondo Spaventa della Società Napoletana di Storia Patria. Tra le carte di Luigi Barbera della Biblioteca Nazionale di Bari si conservano sei lettere di Spaventa degli anni 1877-1880, mentre nel Fondo Capone della Biblioteca provinciale Scipione e Giulio Capone di Avellino si trovano due lettere inedite a Filippo Capone, una del periodo preunitario (22 agosto 1854) l’altra successiva all’Unità italiana (6 settembre 1871). Nella Biblioteca regionale Angelo Camillo De Meis di Chieti si trova una lettera del 1865 a Enrico Finamore, padre di Vincenzo, docente di filosofia nel liceo dell’Aquila dopo il 1860. Nella Biblioteca Universitaria di Basilea, infine, si conservano una lettera e due biglietti di Spaventa al filosofo tedesco Gustav Teichmüller, compresi tra il 1878 e il 1882. Del tutto diversa la fisionomia che caratterizza la documentazione relativa alla vita accademica e agli incarichi istituzionali assunti da Spaventa nel periodo postunitario, conservata in un fascicolo personale tra le cartelle del Consiglio superiore della pubblica istruzione presso l’Archivio Centrale di Stato a Roma. Il fascicolo comprende diciotto lettere di Bertrando che testimoniano la partecipazione alla vita del medesimo Consiglio e l’attività di regio delegato al Provveditorato agli studi della provincia di Napoli. Criteri di edizione L’organizzazione di questo volume si basa su un ordinamento cronologico del materiale e sulla numerazione progressiva delle lettere, identificate alla fine di ciascuna missiva, in corpo minore, dalla collocazione preceduta dalla sigla della biblioteca e seguita dalla indicazione dell’inedito tra parentesi tonde. In caso di lettere edite integralmente o parzialmente viene fornita, sempre tra parentesi tonde, l’indicazione bibliografica in forma ridotta, che rimanda all’elenco delle opere nella seguente tavola delle abbreviazioni. La numerazione delle note ricomincia da 1 per ogni anno dell’epistolario. La trascrizione delle lettere è preceduta dall’indicazione del nome e del cognome del destinatario; nel caso in cui la lettera sia indirizzata
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Epistolario (1847-1883)
a un’autorità pubblica, la carica ricoperta è riportata prima del nome. La data è posta sempre in alto a destra ed è preceduta (ove possibile) dall’indicazione del luogo di invio. Se la data è la stessa, per la trascrizione si segue l’ordine alfabetico del destinatario, mentre le lettere senza data si trovano al termine di ogni anno a cui è possibile attribuirle. Ove non sia possibile attribuire una data con certezza, le lettere si trovano, sempre in ordine alfabetico di nome del destinatario, alla fine del volume. Le parentesi quadre indicano le integrazioni del curatore, mentre quelle tonde si riferiscono a integrazioni successive poste in calce ai pezzi dallo stesso Spaventa. Le lacune nel testo delle lettere, dovute al cattivo stato di conservazione dell’originale o a parole non perfettamente leggibili, sono indicate da tre puntini di sospensione racchiusi tra parentesi quadre. Lo stato di conservazione dell’autografo è stato descritto solo se necessario. Sono state rispettate le oscillazioni di grafia dell’originale per le forme arcaiche di sostantivi e verbi. Si è rispettato anche l’uso della punteggiatura, delle maiuscole e delle minuscole, e l’ordine dei capoversi, ma sono state sciolte tutte le sigle e le abbreviazioni occorrenti nel testo delle lettere. Per favorire l’omogeneità formale dell’epistolario, si è provveduto a sciogliere, ove presente, la forma contratta del mese e dell’anno nella data delle lettere riportandola a quella estesa composta da luogo dell’invio, giorno, mese e anno della lettera. Le note servono per i richiami interni all’epistolario e per l’individuazione di fatti e aspetti principali a cui si riferiscono le lettere. Esse riguardano: –
– –
l’identificazione dei personaggi occorrenti nel testo delle lettere. La ricerca biografica si riferisce ai soli personaggi che ricoprono una carica pubblica e, ove possibile, ai familiari e agli amici più stretti del filosofo, mentre si è ritenuto opportuno non fornire indicazioni per persone meno note o sulle quali non è possibile reperire informazioni certe e dettagliate. Le occorrenze sono uniformate sempre e solo nella prima ricorrenza, lasciando all’indice dei nomi il compito di indicare le occorrenze successive; l’indicazione di articoli filosofici e opere citati nell’epistolario rispettivamente nelle riviste scientifiche e nei testi a stampa; la ricerca dei principali avvenimenti politici e culturali a cui si fa riferimento nel testo delle lettere, dove risultino importanti per la migliore comprensione dello stesso.
Ringraziamenti Questa edizione integrale dell’Epistolario completa il precedente lavoro di edizione delle lettere di Spaventa dal 1847 al 1860 curato da Maria Rascaglia per un volume della collana «Carteggi degli hegeliani di Napoli» dell’Istituto italiano per gli studi filosofici edito nel 1995 a Roma dall’Istituto poligrafico e zecca dello Stato. La nuova edizione è stata promossa dal Comitato nazionale per il bicentenario della nascita di Bertrando Spaventa, nato per iniziativa della Fondazione Gramsci e del Dipartimento di filosofia dell’Università degli Studi di
Prefazione
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Roma “La Sapienza” e costituito con Decreto del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo del 16 novembre 2016. Nel corso del triennio di attività (2017-2019) il Comitato, presieduto dal professore Giuseppe Vacca, ha realizzato numerose iniziative per la valorizzazione dell’opera di Spaventa, che hanno accompagnato il lavoro di edizione della presente opera. A partire dal convegno nazionale Bertrando Spaventa. Tra coscienza nazionale e filosofia europea, tenuto presso l’Università degli Studi “Gabriele D’Annunzio” di Chieti-Pescara il 23-24 febbraio 2017, i cui atti sono stati pubblicati nel 2018 dall’editore Viella e presentati il 28 maggio 2019 nella sede dell’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, le molteplici attività del Comitato hanno rappresentato un valido sostegno per la realizzazione dell’edizione. I curatori esprimono gratitudine al Presidente, professore Vacca, ai membri del Comitato scientifico e a tutti coloro che hanno partecipato alle iniziative del Comitato. Desideriamo inoltre ringraziare, a conclusione di queste pagine, Paola Milone e tutto lo staff della Società Napoletana di Storia Patria, per la cortese ospitalità e la disponibilità prestata in fase di ricerca e trascrizione del materiale manoscritto. Ringraziamo anche la responsabile della Sezione manoscritti e rari della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, Maria Gabriella Mansi, e tutti i suoi collaboratori per l’aiuto concreto offerto nella consultazione delle carte sciolte dei fondi della biblioteca. A Cecilia Castellani, responsabile dell’Archivio della Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici di Roma, va un particolare ringraziamento per gli utili suggerimenti pratici e l’interessamento con cui ha seguito l’intero lavoro di edizione. Un ringraziamento sincero va anche a Teresa Leo, archivista della Fondazione Biblioteca Benedetto Croce di Napoli, per le accurate ricerche svolte e l’individuazione di materiale inedito. I curatori accoglieranno con riconoscenza la segnalazione di eventuali errori, lacune, refusi, e ogni suggerimento vòlto a emendare e migliorare il presente lavoro di edizione. Marco Diamanti Marcello Mustè Maria Rascaglia
Tavola delle abbreviazioni
Archivi e Biblioteche ACS AFG AST BAM BAV BCB BCF BCT BNB BNF BNN BOP BPA BPB BRC BSNS BUB BUN FBBC ISRR SNSP
Archivio Centrale dello Stato Archivio della Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici di Roma Archivio di Stato di Torino Biblioteca Ambrosiana di Milano Biblioteca Apostolica Vaticana Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo Biblioteca comunale Aurelio Saffi di Forlì Biblioteca comunale Giovanni Bovio di Trani Biblioteca Nazionale di Bari Biblioteca Nazionale centrale di Firenze Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli Biblioteca Oliveriana di Pesaro Biblioteca provinciale Scipione e Giulio Capone di Avellino Biblioteca provinciale De Gemmis di Bari Biblioteca regionale Angelo Camillo De Meis di Chieti Biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa Biblioteca Universitaria di Basilea Biblioteca Universitaria di Napoli Fondazione Biblioteca Benedetto Croce di Napoli Istituto per la storia del Risorgimento di Roma Società Napoletana di Storia Patria
Fonti edite Croce, Ricerche
Benedetto Croce, Ricerche e documenti desanctisiani. VIII. Dal carteggio di Francesco De Sanctis (1861-1883) e XI. Dal carteggio inedito di A.C. De Meis, in «Atti dell’Accademia Pontaniana» di Napoli, XLV (1915), pp. 32, 36.
Fiorentino, La filosofia
Francesco Fiorentino, La filosofia contemporanea in Italia: risposta di Francesco Fiorentino al professore Francesco Acri, Napoli, Morano-Marghieri, 1876.
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Epistolario (1847-1883)
Gentile, Bertrando Spaventa
Giovanni Gentile, Bertrando Spaventa, Firenze, Vallecchi, 1924.
Imbriani, Carteggi
Vittorio Imbriani, Carteggi di Vittorio Imbriani, a cura di Nunzio Coppola, II, Gli hegeliani di Napoli ed altri corrispondenti letterati ed artisti, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento, 1964.
Labriola, Carteggio
Antonio Labriola, Carteggio, I, 1861-1880, a cura di Stefano Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2000.
Masellis, Lettere inedite
Vito Masellis, Lettere inedite di Bertrando a Silvio Spaventa, in «Critica storica», IV (1965), 5, pp. 691-710.
Pellicani, Lettere inedite
Antonio Pellicani (a cura di), Lettere inedite di Bertrando Spaventa a Vittorio Imbriani (1869-1871), in «Realtà del Mezzogiorno», ottobre 1969, pp. 881-891.
Pellicani, Sedici lettere
Antonio Pellicani, Sedici lettere di B. Spaventa a Pasquale Villari, in «Rassegna di politica e storia», X (1968), pp. 42-58.
Romano, Silvio Spaventa
Paolo Romano, Silvio Spaventa. Biografia politica, Bari, Laterza, 1942.
Savorelli, Come si diventa “hegeliani”
Alessandro Savorelli, Come si diventa “hegeliani”: Vincenzo Finamore, in «Giornale critico della filosofia italiana», anno LXXXVII (LXXXIX), gennaio-aprile 2008, fascicolo I, pp. 83-133.
Schipa, Poche lettere
Michelangelo Schipa, Poche lettere e tratti di lettere autografe d’illustri amici di Giuseppe De Blasiis, comunicate all’Accademia Pontaniana nella tornata del 6 dicembre 1914, in «Atti dell’Accademia Pontaniana» di Napoli, XLIV (1914), estr.
B. Spaventa, Opere
Bertrando Spaventa, Opere, 3 voll., Firenze, Sansoni, 1972.
B. Spaventa, Paolottismo
Bertrando Spaventa, «Paolottismo, positivismo, razionalismo» di Bertrando Spaventa (la stesura originale a cura di Maria Rascaglia), in «Giornale critico della filosofia italiana», anno LXXXV (LXXXVII), maggio-agosto 2006, fascicolo II, pp. 224-236.
B. Spaventa, Scritti inediti
Bertrando Spaventa, Scritti inediti e rari (1840-1880), a cura di Domenico D’Orsi, Padova, Cedam, 1966.
Tavola delle abbreviazioni
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S. Spaventa, Dal 1848 al 1861 Silvio Spaventa, Dal 1848 al 1861. Lettere, scritti, documenti, a cura di Benedetto Croce, Bari, Laterza, 19232 . S. Spaventa, Lettere politiche Silvio Spaventa, Lettere politiche (1861-1893), edite da Giovanni Castellano, Bari, Laterza, 1926. Vacca, Gli hegeliani
Giuseppe Vacca, Gli hegeliani di Napoli nella politica e nella scuola, in «Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari», 1966, pp. 1-91.
Vacca, Nuove testimonianze
Giuseppe Vacca, Nuove testimonianze sull’hegelismo napoletano, in «Atti dell’Accademia di Scienze morali e politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti di Napoli», LXXVI (1965), pp. 26-73.
Vacca, Trenta lettere
Giuseppe Vacca, Trenta lettere inedite di Bertrando Spaventa al fratello Silvio (1850-1861), in «Atti dell’Accademia di Scienze morali e politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti di Napoli», LXXVIII (1967), pp. 1-71.
Venezia, Le strane vicende
Antonella Venezia, Le strane vicende di mia vita: il carteggio di Giuseppe De Blasiis, Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, 2018.
Epistolario (1847-1883)
1847
1 A Silvio Spaventa1 22 dicembre [1847] Caro fratello, La tua lettera del dì 1 Dicembre mi è giunta, ma con qualche ritardo, per cagione della infermità di Monod.2 Ma potrai scrivermi sempre collo stesso indirizzo, ché le lettere giungeranno sicuramente. Potresti anche usare il messo del consolato francese a Livorno, come ti ho detto altre volte, ed allora avremmo la maggior sicurezza di ricapito. Io ti ho scritto altre due lettere: nell’una ti acchiudeva una lettera per Niccolini,3 nell’altra qualche denaro. Son certo che ti saranno giunte. Io non ho altro desiderio che sia tale veramente, che quello delle tue lettere; epperò fa di scrivermi spesso di tue notizie, pensando che ora più che mai tutto il mio affetto si raccoglie in te. Non è favola questa. Non altro. Tito4 sta bene e può ora, perché rivestito, cominciare le sue lezioni. Ha ingegno e buonissima indole. Veggo spesso Camillo, 5 il quale parla sempre di te; che cuore! Donna Lucia vorrebbe che scrivessi più spesso, ed io aggiungo che ti ricordassi sempre di lei, di Vincenzo 6 e di Carlotta.
1. Silvio Spaventa (1822-1893), giurista, patriota e uomo politico liberale. Condannato all’ergastolo per la partecipazione ai moti del ’48, intrattenne un’intensa corrispondenza con il fratello Bertrando. Dopo l’Unità ricoprì importanti incarichi governativi e fu tra i protagonisti della vita politica nazionale. 2. Monod, francese o oriundo francese, direttore di un istituto di educazione a Napoli. 3. Giambattista Niccolini (1782-1861), tragediografo e patriota toscano. 4. Terzo fratello Spaventa, nato nel 1834 e morto di tifo nel 1849. 5. Angelo Camillo De Meis (1817-1891), amico fraterno di Bertrando, medico e docente universitario a Bologna dal 1863. Nel 1860 divenne assistente del ministro della pubblica istruzione Francesco De Sanctis e successivamente venne eletto membro straordinario del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Fu deputato del regno d’Italia nell’VIII e nella IX legislatura. 6. Donna Lucia Gomez di Paloma (1793-1858), moglie dell’ex ministro Giuseppe De Thomasis, e il nipote di quest’ultimo, Vincenzo De Thomasis, giurista, politico e patriota, deputato nel 1848 e collaboratore de «Il Nazionale».
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Epistolario
Saprai le notizie di questo paese. Vuoi che te le dica io? Hai piacere di sentirle? Io potrei narrartele, come accadono gli avvenimenti; ma voglio prima che tu mi manifesti l’espresso desiderio di saperle. Ti dico solamente, che la dimostrazione del giorno 14 fatta ad un’ora di notte nel largo della Carità, non ebbe un pacifico fine. Dalla Carità al vico Baglivo Uries la cosa procedette tranquillamente; ma essendosi messa pel vico parte degli adunati, si ebbe una scaramuccia non lieve tra i giovani e la gente di polizia: qualche ferito d’ambo le parti. Un tal Parisi, maestro di scherma, menò forte le mani ed è arrestato, come pure Carlo Cassola figlio di Don Filippo, ed il figlio di Fedele Amante professore alla Nunziatella, giovine di circa 18 anni. Il pittore Altamura7 è anche, per aver gridato e menato le mani, in arresto. Le grida erano: viva Pio IX, viva l’Italia, viva la Lega italiana, etc. Il giorno dopo furono arrestati, perché presero parte nella dimostrazione il figlio del Principe Torella, Camillo8 (il discepolo di Don Ottavio), il Duchino Proto,9 ed un altro nobile; essi sono in arresto a San Francesco. Si parlava anche dell’arresto del figlio di Santa Teodora, 10 ma si dice che sia partito, per ordine, per Parigi. Dopo qualche dì, si diè fuori un ordine per la uscita di tutti gli studenti dalla Capitale dentro 24 ore. E varii sono già partiti; ma l’ordine è stato sospeso! Nella sera del 14 furonvi rinforzi di truppe a Palazzo, il cancello di mezzo si chiuse, i cannoni furono piazzati alla porta contro la strada di Toledo; una doppia fila di ussari e di gendarmi a cavallo era schierata innanzi alla Reggia. Le truppe sono consegnate nei quartieri, e qualche numero di guardie civiche nei giorni di Natale sarà messa in attività, scortata da Svizzeri in livrea. Il paese è in apprensione e timore Il tuo Bertrando Eccoti confusamente qualche notizia, come mi ritorna a mente. Se vuoi, ti ripeto, posso dartene altre e subito e meglio. Passerò ai Guantai nuovi, 46, 4° p. Dimmi che fai, che scrivi, che farai, che scriverai? Presentati a Mamiani11 anche a nome di Donna Lucia. Addio. Amami. La solita direzione concertata con Monod. SNSP, XXVI.D.3.3 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 15-17).
7. Saverio Altamura (1826-1897), pittore e patriota, prese parte ai moti del 1848. 8. Camillo Caracciolo, marchese di Bella (1824-1888), fu discepolo del filosofo Ottavio Colecchi (cfr. lettera 88, nota 40). 9. Francesco Proto, duca dell’Albaneto, divenuto poi duca di Maddaloni (1821-1892), poligrafo e autore drammatico. 10. Luigi Caracciolo, duca di Sant’Arpino e di Santa Teodora (1826-1889), ufficiale e letterato; senatore del regno d’Italia dal 1869. 11. Terenzio Mamiani, conte della Rovere (1799-1885), letterato, filosofo e uomo politico. presidente dell’Accademia di filosofia italica e docente universitario nelle università del regno di Sardegna e poi del regno d’Italia. Ministro della pubblica istruzione del regno di Sardegna dal 21 gennaio 1860 al 23 marzo 1861; senatore del regno d’Italia dal 1864.
1849
2 A Silvio Spaventa 30 settembre (1849) Caro Silvio, Non sono venuto questa mattina per una ridicola cagione che poi ti dirò a voce. Non ti addolorare per questo. Nulla di certo ancora sul mio affare. Il certo sinora è che non vi ha disposizione particolare sul conto mio, ma generale sui preti. Monsignore dapprima si è negato a dare la disceporiale ma ora mi fa sapere per mezzo di Antonio Sabato1 che è pronto ad appoggiarmi, purché gliene venga fatta parola da qui. Pare insomma la disposizione gli sia stata imposta. Domani aspetto lettere da lui, e te ne farò sapere il contenuto. Ci vedremo al più presto. Sta sano e di buon animo. Addio. Bertrando tuo SNSP, XXVI.D .3.3 (inedita). Sul retro segue la risposta di Silvio, con data a matita: ottobre 1849 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 69, con la data: 30 settembre 1849).
3 Al Ministro degli Affari Esteri del Regno di Sardegna Massimo D’Azeglio2 Civitavecchia, 27 ottobre 1849 Eccellenza, Vincenzo Pignatelli, Principe di Strongoli,3 Gioacchino Saluzzo Principe di Lequile4 e Bertrando Spaventa, napoletani, sono stati costretti ad emigrare. Muniti di passaporto 1. Maestro dei fratelli Spaventa a Chieti; dopo l’Unità docente nei licei napoletani. 2. Massimo D’Azeglio (1798-1866), patriota, scrittore e statista, fu primo ministro del regno di Sardegna dopo la prima guerra d’indipendenza. 3. Vincenzo Pignatelli, principe di Strongoli (1808-1881), figlio del tenente generale Francesco, fu costretto a lasciare con la sua famiglia il regno delle Due Sicilie. Bertrando era già precettore del suo figliolo Francesco. 4. Gioacchino Saluzzo, principe di Lequile (1811-1874), esule a Firenze, fu nominato senatore del regno d’Italia nel 1861.
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Epistolario
francese,5 si sono presentati qui in Civitavecchia al Console di Sua Maestà il Re di Sardegna per ottenere il visto per gli Stati Sardi. Il signor Console si è negato ad ogni preghiera. Epperò i sottoscritti implorano dall’Eccellenza Sua il favore singolarissimo di dare le occorrenti disposizioni nel più corto tempo possibile, perché vengano accolti in Genova e possano con ogni sicurezza aver rifugio negli Stati di Sua Maestà il Re di Sardegna. I supplicanti offriranno al Real Governo Sardo qualunque necessaria garanzia; ed hanno piena fiducia nella generosità del Governo Piemontese e nella bontà e nell’amor Patrio dell’Eccellenza Sua. Devotissimi servitori Il Principe di Strongoli Gioacchino Saluzzo Principe di Lequile Bertrando Spaventa AST (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 70-71). Lettera non più reperibile, come comunicato nel 1994 dalla dott.ssa Isabella Massabò Ricci, all’epoca direttrice dell’archivio torinese.
4 A Silvio Spaventa (ottobre 1849) Caro Silvio, Riceverai ducati 4,80. L’Arciò ha risposto accordando il permesso per un mese e ciò perché si possano qui esporre in iscritto i motivi che esigono un permesso più largo. Domani si farà ciò che si potrà. Rispondimi e dimmi come stai. Ci vedremo appena potrò. Pazienza. Addio ed animo. Bertrando SNSP, XXVI.D .3.3 (inedita). La data, aggiunta successivamente a matita, è confermata dalle notizie ricavate dalla risposta di Silvio a Bertrando scritta di seguito e contenente informazioni sulla prigionia di Silvio (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 70).
5. Il passaporto di Bertrando è conservato presso la BCB [λ, 6, 9, (5)] e riprodotto in B. Spaventa, Scritti inediti, p. 503.
1850
5 A Silvio Spaventa [Firenze,] 18 gennaio 1850 Mio caro Silvio, Ormai io aveva perduto ogni speranza di rivedere i tuoi caratteri, non perché dubitassi del tuo amore verso di me, ma perché mi ero persuaso che ti era impedito lo scrivere a me e ad altri. Grande era il mio dolore e si faceva grandissimo, perché mi veniva tolta ogni occasione di farti giungere una mia lettera. Avevo spesso notizie di te e della tua salute, grazie alla pietà di qualche amico; ma io ne traeva poco o verun conforto. E però non posso ora dirti di quale consolazione mi è stata cagione la tua carissima del dì 5 del corrente mese.1 Ora sono, se non lieto, tranquillo. Il mio animo patisce la ventura rassegnato e forte, e il mio unico pensiero sei tu. E quando mi fu forza lasciarti, e quando, lontano da te, vivevo come in una notte continua, tu solo eri l’unica mia cosa diletta, tu mio amore ed orgoglio. Tu mi raccomandi di star bene ed io fo teco il medesimo. E io ti do buone nuove della mia salute, la quale è andata sempre meglio, e quello spasimo nervoso che mi tormentava il petto, è cessato. E però non darti alcun pensiero di me, ed attendi solo a star bene, che questo ora è il mio ardentissimo desiderio. Io vivo una vita solitaria, ritiratissima e in me stesso. I tuoi amici di qui mi domandano sempre di te con grande affetto. Ma io solo ritrovo me stesso nel pensiero di te ed in queste meraviglie dell’arte che mi circondano. Tu mi domandi ove sia e con chi. Vivi tranquillo su ciò e fa argomento che io ti fossi vicino come ti ero prima. E ti restituisco a mille doppi i saluti delle gentili persone che tu salutavi. Scrissi due volte alla famiglia e n’ebbi risposta e provai grande conforto nel sentirla in buono stato di salute. Spero che questa lettera ti giunga. Immagina tu medesimo le tante cose che ti vorrei dire, ma che la pienezza dell’affetto non mi concede di esprimere. Solo ti raccomando di non turbarti l’animo e seguitare a essere sereno e rassegnato. Non ti dico che serbassi sempre memoria di me, che so che essa è immortale; ma solo che cercassi di scrivermi quanto più spesso potrai; ed io farò il medesimo. 1. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 71-72.
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Epistolario
Ora l’unica mia speranza è questa. E solo mi preme di aver notizie di te, della tua salute, e di vedere i tuoi caratteri. In quanto a me, io sono come prima, chino il capo, fo il mio dovere, e poi caschi il mondo, che sono tranquillo. Perciò non ti dar pensiero di me: te lo ripeto, e pensa solo che dalle nuove che tu mi darai di te, del tuo animo e della tua salute dipende tutto ciò che io desidero. Addio, Silvio. Addio, Silvio. Il tuo Bertrando Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 17-18).
6 A Silvio Spaventa [Firenze,] 2 marzo 1850 Caro fratello, È questa la terza lettera che ti scrivo. La seconda te la mandai appena mi giunse la notizia che eri ritornato a San Francesco:2 non so se ti sia pervenuta. Ora ho ricevuto una tua lettera senza data, nella quale mi parli della tua infermità. Io già ne avea sentito dire qualche cosa, ma in modo così vago che l’immaginazione mi si era riscaldata,3 e viveva oltre ogni dire addoloratissimo. Ho tentato tutte le vie per sapere il vero stato della tua salute, ma tutti gli sforzi mi sono stati inutili. Ora mi si fa credere che tu stii meglio e tu stesso mel dici. Che debbo dirti io, che tu non possa pensare ed immaginare? Ogni parola mi par che non esprima sicuramente il mio pensiero e il mio affetto. Solo ti ricordo che la tua salute è l’elemento essenzialissimo e vitale della mia esistenza. Dirti che sii lieto di animo è cosa inutile ed inopportuna; ma attendi con ogni cura a conservarti e a custodirti e segui vigorosamente le prescrizioni indicate. Non abbandonarti ad un disperato dolore, come solevi fare altra volta; pensa solo ad esistere, che io ho bisogno della tua esistenza. Cerca ogni modo, perché mi giungano spesso nuove di te, e metti la data alle tue lettere. Io seguito a vivere ritiratissimo e solo nel pensiero di te. Io ho creduto sempre di amarti come meglio non si poteva. Ma ora so che ti amo più che mai. Veramente l’amore è infinito. I tuoi amici di qui ti salutano e mi parlano sempre di te. Questi Signori4 ti salutano. Addio. Addio. Aspetto tue lettere. Il tuo Bertrando Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 18-19).
2. Nel mese di febbraio Silvio fu ricondotto dal carcere di Sant’Elmo a quello di San Francesco (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 72). 3. Vacca: «non mi era riscaldata». 4. Allusione al principe Vincenzo Pignatelli, precedentemente citato (cfr. lettera 3, nota 3) e alla consorte.
1850
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7 A Silvio Spaventa [Firenze,] 21 marzo (1850) Mio caro Silvio, Ho ricevuto le due lettere del 5 e del 12 corrente. Puoi immaginarti quale sia stata la mia consolazione nel sentire che la tua salute va sempre migliorando. Io ero stato afflittissimo per questa cagione, né pareva 5 trovar conforto in alcuna cosa del mondo. Ora sono più tranquillo e spero che andrai sempre meglio, parte per la cura che fai e parte per la pazienza che ti sei proposto di adoperare ad ogni costo. Ora non fa d’uopo d’altro che di vivere. È sempre qualche cosa, la vita, anche quando è infelicissima. Io sono persuaso di ciò. E cerco di vivere alla meglio che posso e di conservarmi la salute, se non altro per te che amo sopra ogni altra cosa a questo mondo. Tu ben dici, che il vivere è ormai un dovere. Sì, come tale io l’ho considerato da un pezzo; epperò quantunque triste e amaro, mi pare meno brutto di prima. E tu conservati a te stesso ed a me. E non pensare ad altro, che all’affetto che io ti porto e ti porterò infinito. Né ti dar pena per me, che io possa patir privazioni ed altro male per tua cagione. Anche se ciò m’accadesse, sarebbe nulla, per me. Ma rassicurati, che non c’è niente di tutto questo. Io certo non vivo lietamente, ma pure non soffro né privazioni né altro, se non che sono dolente che ti sono lontano. Epperò sto lieto il più che potrei su questo punto, né ne parliamo più. Ora che puoi scrivermi, lo farai spesso e per la posta, quando mancasse altro mezzo sicuro. Io non ho altro pensiero che di te a questo mondo; perciò le tue lettere mi sono più che necessarie, sono come l’acqua e il pane al mio povero spirito, il quale non si ciba che di ciò. Addio, Silvio, addio. Amami come ti ama sempre Il tuo Bertrando Originale perduto, già in BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201 (ed. in Vacca, Gli hegeliani, p. 5). Vacca dubita che il mese sia marzo, ritenendo invece che si tratti di aprile.
8 A Silvio Spaventa [Firenze,] 26 marzo (1850) Caro fratello, Ti scrivo due righe in fretta per dirti che ho ricevuto la tua del 15 Marzo. Godo che la tua salute sia migliore e ti prego di averne sempre cura. Sia questo l’unico tuo pensiero. Io sto bene e non penso che a te. Ti raccomando di stare tranquillo di animo come sempre ed esser certo che ti ama infinitamente Il tuo Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
5. Vacca: «sapeva».
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Epistolario
9 Ad Angelo Camillo De Meis [Firenze,] 30 marzo [1850] Mio carissimo Camillo, Sono alquanti giorni che ti ho scritto poche righe in una lettera di Villari.6 Forse non ti saranno giunte. Almeno giovami di credere che questa sia la cagione del tuo silenzio verso di me. Ora son certo che la presente ti giungerà. Dopo tanti mesi che siamo lontani l’uno dall’altro, che debbo dirti, mio caro Camillo? L’unico mio pensiero è Silvio, il quale è stato gravemente malato a cagione dell’umidità di una prigione di Sant’Elmo. Ora è ritornato a San Francesco e sta assai meglio. Immagina il mio stato. Che posso dirti di me? Vivo ritiratissimo e studio. Che fare? Qui? Ardo dal desiderio di avere tue nuove, e molte. Mi darai una grande consolazione, e rifermerai così la certezza che io m’ho che tu mi ami come fo io immensamente. A tutti gli amici tante cose. A Peppino del Re7 mille abbracci. Aspetto tue lettere, le quali dirigerai al Signor Giuseppe Aurenza. Firenze Bertrando tuo Originale perduto, probabilmente già alla SNSP (ed. in B. Spaventa, Opere, III, p. 847). L’indicazione del luogo e dell’anno è fornita da Gentile.
10 A Silvio Spaventa [Firenze,] 12 maggio (1850) Mio caro Silvio, È qualche tempo che non ricevo né tue notizie né tue lettere. Il che mi è sempre cagione di grave agitazione nell’animo. Epperò ti prego di scrivermi subito ed ogni settimana almeno due righe circa allo stato di tua salute. Io sto bene e non desidero altro che notizie di te, e tu sei sempre l’unico mio pensiero. Son certo che mi scriverai ed abbracciandoti sono con fretta Il tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
6. Pasquale Villari (1826-1917), amico fraterno di Bertrando soprattutto negli anni giovanili, storico e uomo politico esiliato a Firenze dopo il 1848. Ministro della pubblica istruzione nel primo governo Di Rudinì (6 febbraio 1891-15 maggio 1892), fu deputato del regno d’Italia dalla X alla XIII legislatura e senatore dal 1884. 7. Giuseppe Del Re (1806-1864), giornalista, letterato e patriota pugliese. Costretto a lasciare Napoli nell’aprile del 1849, si rifugiò negli Stati sardi, facendo la spola tra Genova e Torino, come documenta la sua successiva corrispondenza con Bertrando. Nel 1860 ritornò a Napoli, dove diresse la Stamperia nazionale e fu attivo in campo editoriale. Nel 1861 fu eletto deputato e l’anno seguente fondò la «Rivista napoletana di politica, letteratura, scienze, arti e commercio».
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11 Al Ministro della Pubblica Istruzione del Regno di Sardegna Cristoforo Mameli8 [Firenze, 15 maggio 1850] Signor Ministro, Le sarà cagione di grande maraviglia che un uomo come son io senza nome e senza fama di opere mi faccia a richiederla di un favore, che accordatomi sarebbe singolarissimo, e che suole essere premio solamente degno d’uomini noti e benemeriti della scienza. Io ho consacrato tutta la mia giovinezza allo studio della filosofia; l’ho professata in Napoli ed avrei seguitato a professarla, se le condizioni politiche della mia patria non avessero impedito non che questo, ogni altro libero sviluppamento dell’ingegno. Profonda è stata sempre nell’animo mio la convinzione, che la scienza filosofica è il principio e la base d’ogni altra scienza, e che senz’essa non può esservi che apparenza di verità; che l’Italia è stata la madre del sapere scientifico e che gli italiani hanno il debito sacro di continuare e di arricchire la tradizione filosofica dei loro padri; che l’ingegno italiano è altamente speculativo e non ha nulla da invidiare agli altri popoli per qualità d’intelletto, ma che ora il concetto filosofico è quasi smarrito e che fa d’uopo restaurarlo; che oggi più che mai vuol essere coltivata la filosofia, non come semplice uso dell’intelligenza astratta, ma come principio generatore della verità e della realità delle scienze morali e politiche, senza le quali non possono durare né la libertà né la civiltà d’un popolo. Epperò sempre ho meditato quale dovesse essere il metodo da seguire per restaurare il concetto della filosofia e fare che essa non fosse una semplice pompa nell’insegnamento, ma una verità. Quale sia la via che io credo faccia d’uopo tenere per raggiungere questo scopo, ho voluto dire in poche parole nel piccolo lavoro che ardisco di offrirle.9 Ed io l’ho scritto per avvalorare in un modo qualunque la preghiera che ora le rivolgo. So che in alcune università di codesto Stato è vuota la cattedra di filosofia. Io mi fo a pregarla perché voglia destinarmi a professore in una che meglio le piacerà. Io non ho titoli per meritar ciò; ma sono giovine, ho studiato con grandissimo amore la filosofia, ardo dal desiderio di insegnarla e pubblicamente e liberamente, voglio essere utile secondo le qualità del mio ingegno alla nostra comune patria, ed ho la coscienza di non farle una disonesta dimanda. E coi sensi della più alta stima sono Bertrando Spaventa SNSP, XXVI.D.2.3 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 76-77). Non si tratta dell’originale; oltre ad alcune correzioni presenta infatti le due date: Firenze 1849 e Napoli 1876. Una copia della lettera con lievi varianti è conservata anche presso l’ISRR (B a 388. 66).
8. Fu De Meis, già esule a Torino, a suggerire a Spaventa, in una lettera dello stesso anno (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 38-39), di rivolgersi al ministro della pubblica istruzione Cristoforo Mameli (1795-1872). 9. Pensieri sull’insegnamento della filosofia, in «Il Costituzionale», [Firenze] 253-254 (3-4 maggio 1850) (ora in B. Spaventa, Opere, III, pp. 831-846).
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Epistolario
12 A Silvio Spaventa Livorno, 21 giugno (1850) Mio caro Silvio, Non so comprendere come le mie lettere non ti debbano giungere, e darti così cagione di dolerti di me. Io ti ho scritto più volte ed ultimamente per mezzo di Errico10 il quale rimise la mia lettera a sua moglie, e costei in risposta diceva di avertela mandata. In essa ti facea sapere di non aver io ricevuto la tua, nella quale mi parlavi del modo come aggiustar gli affari di famiglia, e però ti pregava a scrivermene nuovamente e subito collo stesso mezzo. Ti diceva che io era pronto a fare qualunque cosa per essa, purché le fosse utile. Tu intanto ti lagni che io non ti scriva. Che vuol dir ciò? Ma comunque sia, fa di scrivermi subito sugli affari di famiglia. Ora siamo a Livorno e riesce più facile di scrivere. Vorrei che almeno ogni settimana mi mandassi due righe nelle quali mi dessi conto della tua salute; la quale è l’unico pensiero che io mi abbia. Non ho bisogno di dirti che io sono sempre lo stesso per te, che ti amo sempre più, se questo è possibile e che non voglio altro da te se non che ti conservi sano il meglio che puoi. Insomma scrivimi ogni settimana ed io farò il medesimo. Addio. Silvio. Addio. Bertrando tuo SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
13 A Silvio Spaventa Livorno, 9 luglio (1850) Mio carissimo Silvio, L’ultima tua è stata del 25 di Giugno.11 Non potrei dirti di quanta consolazione mi sia stata cagione. Mentre da una parte tu mi assicuri che la tua salute va sempre meglio, dall’altra usi meco tali parole 12 che mi penetrano nel più profondo dell’animo a recarmi un conforto che non può venirmi che da te. Perché tu solo mi conosci, tu solo sai quanto amore io ti porti e come io non viva che del pensiero di te. Epperò ogni mia consolazione non può avere altra origine che te solo. Quanto alla mia salute, essa è buona e ne ringrazio Dio; quanto allo spirito, esso non è lieto, ma tranquillo e rassegnato, e trova una forza viva in se medesimo, nella sua natura più riposta e nel pensiero di te, che ormai sei divenuto una cosa sola con essa. Epperò l’unica preghiera che io ti fo ansiosamente si è di curare con ogni maggior diligenza la 10. Errico Berardi (1801-1862), avvocato e patriota; deputato nel 1848 a Napoli e senatore del regno d’Italia dal 1861. Visse in esilio a Firenze fino alla morte. 11. Probabilmente Bertrando si riferisce alla lettera del 23 giugno (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 73); Vacca riporta invece: 29. 12. Lacuna in Vacca integrata dalla copia di Beltrani.
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tua salute, come se non fosse tua, ma mia; tu sai ormai ciò che ti giova e ti nuoce, e però adopera secondo l’esperienza, affinché non possa ricadere. Non ricevo altre nuove della famiglia che quelle che mi dai tu stesso. È moltissimo tempo che non mi giungono lettere di Papà,13 al quale ho sempre scritto e spessissimo in questi ultimi mesi. Non so che pensare di ciò. Epperò se potrai, farai che mi scriva. Mi parlavi di una procura che avrei dovuto mandargli, ma non so di che si tratta, perché non ho lettere sue, come ti ho detto. Ti mando i saluti dei tuoi amici e tu mi ricorda ai miei e li ringrazia per me.14 Addio, mio carissimo, addio. Io non desidero altro che di rivederti e ti amo infinitamente. Addio. Bertrando Originale perduto, già in BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201 (ed. in Vacca, Gli hegeliani, pp. 5-6).
14 A Pasquale Villari Livorno, 12 luglio (1850) Mio carissimo Pasqualino, Io non avea che dirti e per ciò non ti ho scritto. Vi sono alcuni, anzi moltissimi i quali tanto più parlano o scrivono quanto meno hanno che dire. Beatissimi loro! Ma io però non gl’invidio, queste cicale del mondo arido e deserto del pensiero. Veniamo a noi. Hai trovato lettere alla posta per me e pel Signor Giuseppe Aurenza? Io non ho veruna risposta da quel santo uomo di Camillo:15 gli ho scritto per Caravita, e scriverò a qualche amico a Torino per sapere se sia in terra o pure volato in cielo con tutto il corpo e con le carte mie in tasca. Meglio! Allora sarà Domineddio che darà l’iniziativa al mio affare e scriverà forse una lettera al Ministro.16 Vedi di scrivere anche tu, mio cocciutissimo, a qualche tuo amico che non sia ancor morto. Vuoi saper che cosa fo io? Sto risolvendo un grave problema, che è tra i primi della meccanica moderna, ed è, di determinar la lunghezza, la forma, la materia e il fulcro della leva che deggio metter in opera per cacciar la noia grandissima che mi pesa sullo stomaco. Alcuni mi hanno proposto dei lavativi, ma non è male da cacciarlo da sotto e coi liquidi. Bravo Morelli!17 Io quantunque non conosca tua sorella, pur per quel che tu me n’hai detto ed ora che Morelli la sposa, ne sono innamorato. Vedremo se Morelli farà meglio col suo pennello d’artista o con quello della natura! Che prosa, non è vero? Addio, mio carissimo. Scrivimi spesso, e ti prometto di risponderti puntualmente. Silvio va sempre meglio in salute. Mi scrisse una lettera piena d’alti sensi che è degna di esser conservata.18 13. Eustachio Spaventa. 14. Lacuna in Vacca integrata dalla copia di Beltrani. 15. Angelo Camillo De Meis. 16. Cfr. lettera 11. 17. Domenico Morelli (1826-1901), pittore, celebre esponente della scuola napoletana, e non Giovanni Morelli, come indica D’Orsi (cfr. B. Spaventa, Scritti inediti, p. 498, nota 7). Nel 1853 sposò Virginia Villari, sorella di Pasquale. 18. Cfr. la lettera del 10 luglio 1850, in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 74.
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Epistolario
Salutami se puoi d’Ayala19 Novi Monzani 20 etc. e ti abbraccio col cuore. Bertrando Se vedi Berardi, digli che gli scrivo. BAV, Carteggio Villari, 490-491 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 497-499, e in Pellicani, Sedici lettere, p. 43).
15 A Pasquale Villari Torino, 22 settembre [1850] Mio carissimo Pasqualino, Io ho un torto grandissimo contro di te, perché finisce già un mese, da che sono qui, e non ti ho scritto mai. Chi sa che cosa avrai pensato di me? La meno brutta sarà stata di credermi o dichiararmi uno smemorato, senza fede nell’amicizia e che non trae da essa nessuna consolazione. Ma non è così. Se tu vuoi giudicarmi dal mio lungo silenzio, avrai piena ragione. Ma tu pure sai, che sinora sono stato un uomo, nel quale il più delle volte l’apparenza non manifestava la sostanza, anzi era in profonda contraddizione con essa: talché chi avesse voluto conoscermi da ciò che io appariva, si sarebbe ingannato. Sappi dunque che non ci è stato giorno, da che sono in Torino, che non abbia pensato a scriverti; vedea tutta la necessità o l’obbligo di farlo, e quel che è più, era per me un bisogno vitale di conversare con te, perché tu compendii per me dieci mesi di pensieri di dolori, di patimenti. Ma questa è stata sinora la mia natura; io sento e direi anche penso profondamente, ma era come l’avaro che temea di perdere il suo tesoro, mettendolo fuori alla luce. Io era persuaso che la realità e la vita consistono nella ricchezza delle manifestazioni, nel giro della varietà esteriore, nell’opposizione e nella lotta; ma temea quasi di perdermi, manifestandomi; e m’è sinora mancata la forza di ritrovarmi o conservarmi intero nell’esterna apparizione. Eppure in questo sta tutta l’energia e l’essere della vita dello spirito; io il so e sapea. Ma che vuoi? Prima non era così; poi venne un tempo, che per me non ha nome, il quale assottigliò a poco a poco in me la potenza della manifestazione; il conflitto che questa dovea patire era troppo violento ed irragionevole, né potendo vincere le fu forza ritirarsi nel profondo dell’anima. Lo spirito è la vita. Se questa ha bisogno d’aria, di luce, di moto, di antagonismo, ciò non è men vero di quello. Ma quando l’aria ti soffoca, la luce è fiamma che ti cuoce, il moto ti rompe le ossa, l’antagonismo ti distrugge, dove è la vita? Allora bisogna né respirare, né vedere, né muoversi, né lottare, ma apparecchiarsi ad uno stato, che è come la morte. E questo fu il mio; io ho veduto e patito cose, alle quali quando penso, mi pare di aver sognato. Né so come abbia potuto vivere così, senza amicizia, senza amore, senza riconoscere me stesso nel mondo, muto, silenzioso, tristo, inchiodato sul sasso come Prometeo, e, più infelice di lui, rodendo e non consumando mai l’anima immortale. Io era come un artista, che vive tutto nel suo concetto e ne è innamorato o n’ha la febbre, ma gli mancano la tela e i colori per incarnarlo. Chi può dire lo strazio d’un’anima che non può manifestarsi? 19. Mariano D’Ayala (1809-1877), scrittore di cose militari, anch’egli esule in Piemonte, generale nel ’60 e senatore del regno d’Italia dal 1876. 20. Cirillo Emiliano Monzani (1829-1889), scrittore e uomo politico esiliato in Toscana, frequentemente ricordato nella corrispondenza con Villari.
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Il mio lungo ed involontario silenzio verso di te, sebbene io avessi tutta la voglia e il bisogno di scriverti, è stata dunque l’ultima pagina della storia dolorosa, che tu sai bene e che ora in brevi parole ti ho raffigurata. Ora sono, mio carissimo Villari, riconciliato con me stesso e col mondo; epperò ti scrivo. Ma io so che tu sei curioso, e vuoi sapere i fatti miei. Eccomi pronto ad appagarti. Ricorderai che nel mio passaporto c’era un pasticcio, e mi si fece credere che fosse buono. Credente come sono, partii per Genova; dove giungemmo che non era ancora giorno. Quando era tempo di sbarcare, quale non fu la mia maraviglia, il mio dolore, la mia rabbia nel sentire che la polizia mi impediva di scendere a terra, perché il mio passaporto non era vistato fresco fresco dal Console sardo, e che avrei dovuto andare per forza a Marsiglia? Io passai sei ore sul vapore pensando e ripensando, né potea persuadermi di ciò che mi avveniva. Non ho mai bestemmiato così sinceramente come allora. Marsiglia era per me l’inferno. Conosceva molti a Genova, ma non sapea le abitazioni. Finalmente mi riesce di avere Caravita, il quale tanto fece e disse che sbarcai. Rivedere in pochi minuti tanti e tanti compagni di esilio e di libertà fu per me la prima e vera gioia che io mi avessi provato dopo tanti dolori. E non si finiva mai di abbracciarci, di parlare, di ricordare, di benedire e di maledire; tanto che, non un giorno come avea deliberato, ma tre giorni restai a Genova. Era la prima terra libera, che io vedessi; era giorno di festa, e la bandiera italiana sventolava sui forti della città. Da Genova venni qui. Qui le stesse accoglienze. Riveggo Peppino del Re e Camillo,21 miei cari, antichi e veri amici. Io non sapea se era sogno il passato o il presente. Conosco e riconosco coloro che non conoscevo che di nome o leggermente; e dicea con me stesso: Napoli è a Torino e a Genova; perché qui è l’Idea del nostro paese, qui è l’Italia, qui è la libertà. Mio caro, immaginare di vivere non è vivere. Per conoscere che cosa è la libertà non basta figurarsela; bisogna che la vita sia realmente libera. Torino è una città seria, silenziosa; gli abitanti non sono oziosi, badano ai loro affari e pare che non sia; pochi gesti, poche parole, fermo proponimento; poco spirito artistico e scientifico, ingegno matematico grande, e traspare anche nella regolarità dei modi, delle strade, degli edifici. Poca o nessuna mobilità; hanno creduto e credono che la costituzione non sia una burla, e la vogliono, ne godono e non sono contenti di perderla. Vita politica attivissima. A me pare una piccola città inglese. Donne non molto belle, ma graziose e facilissime, anzi troppo. Genova è una città che rassomiglia un poco a quelle del centro e del mezzodì d’Italia; niente Torino e il Po. Ma l’anima è ora italiana, e vedi i miracoli che il Piemonte fa per Brescia. Ora io sono libero ed ho tutto il mio tempo innanzi a me. Studio quanto voglio, e studio assai. Pubblicherò Stein,22 e ti mando dei manifesti, raccomandandoti caldamente di rimandarmeli pieni e zeppi di firme, di fare il diavolo a Firenze e nelle provincie e dovunque per riuscire, parlandone con tutti, amici e nemici. Ma oltre a ciò, ho cominciato un piccolo lavoro, che può divenir grande e riuscirebbe importantissimo se mi bastassero il tempo, la fortuna e l’ingegno. 23 Saprai di che si tratta, quando lo leggerai. È una fatica 21. Angelo Camillo De Meis. 22. Lorenz von Stein, Der Socialismus und Communismus des heutigen Frankreichs, Leipzig, Wigand, 18482. Il manifesto comparve poi su «Il Nazionale», [Firenze], II, 218 (14 settembre 1850), e sulla «Rivista italiana», settembre 1850 (rist. da Sergio Landucci, Il giovane Spaventa fra hegelismo e socialismo, in «Annali Feltrinelli», VI [1963], pp. 693-695). 23. Studii sopra la filosofia di Hegel, in «Rivista italiana», N.S., novembre-dicembre 1850 (ora parzialmente nell’antologia Il primo hegelismo italiano, a cura di Guido Oldrini, Firenze, Vallecchi, 1969, pp. 309-345).
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da metter paura; ma io ho bisogno di grandi difficoltà, altrimenti non soglio far nulla. Vedremo: o riusciremo o giù col capo. La mia salute è buona: vivo e mangio e vesto come non mi aspettava; né ci penso; ma posseggo ora tutto me stesso. Conosco già qualche famiglia a Torino, e se non fosse che questo maledetto lavoro mi tiene qui inchiodato, perché voglio pubblicarlo subito, ne avrei già conosciuto altre. E da qualcuna ho ricevuto già delle vere e sincere cortesie. Ti parlerò di progetti, quando (se) saranno cose reali. Ti basti per ora questo di me, e concedimi il diritto d’interrogarti, o almeno di chiederti che tu risponda a tutte le interrogazioni che tu credi, che io possa farti, per appagare la mia curiosità e l’interesse che prendo alle cose tue e non tue. Dimmi prima di te lungamente, poi degli amici, dei veri e dei falsi; voglio saper tutto, tutto, tutto. M’intendi. Io sono ora come Giove che non mi curo del male e delle tristizie degli uomini, ma mi diletto a guardarle. Questa è la vita. Parliamo spesso spessissimo di te io e Camillo e ti desideriamo; parliamo pure degli altri che sono costà; e qualche volta si ride, si ride (capisci). Egli mi assicura, che una bestialità simile non si è mai veduta, né sa comprendere tanta impostura. Né credere che io mi contento dei generali; ma voglio fatti e particolari in gran numero, e quella finezza che è tua propria. Così potrai averti in cambio lunghissime lettere. Bada però a scrivere in poco volume, perché qui la posta costa moltissimo. Così potrai avere qualche altra cosa, cioè qualche nostra opera. Comincio anch’io a prendere il tuono dottorale. Ma lasciando lo scherzo, tu ricordi ciò che ti dissi e basta. Quel che è più, ti raccomando a non tardare e non seguire il mio esempio, se non nella lunghezza della risposta, anzi sorpassarmi. Ti acchiudo una letterina per Silvio. Tu devi trovar modo, mio caro, di farla giungere al suo destino. Le lettere che partono di Tortona, sono meno tormentate di quelle che vanno da qui. Mandala a tua madre, è una lettera senza nessun colore politico. E questa è una esigenza assoluta. Saluto tutti i miei amici che vorranno ricordarsi di me. Tu con essi farai per la mia traduzione: Novi, Tardy, Berardi a cui scrivo, Gemelli, Giudice, tutti. A Cirillo24 tante cose e poi tante; ad Ayala tanti saluti. Se puoi far inserire il manifesto o almeno un cenno su giornali toscani, lo farai. Ma temo che eccetto il Nazionale, il codinismo costituzionale non si metta paura. Insomma attività per me ed infinita. Addio, mio carissimo, addio. Camillo ti abbraccia e ti scriverà. Goditi per me codesta bellissima Firenze, e addio di nuovo. Bertrando tuo Addio di nuovo. 24 settembre. Per la lettera di Silvio ti concerterai con Berardi al quale mando i manifesti. P.S. Fa i miei ossequi a Savarese.25 BAV, Carteggio Villari, 528-531 (ed. in M. Rascaglia, Una lettera di Bertrando Spaventa a Pasquale Villari, Napoli, Bibliopolis, 1981, pp. 7-13).
24. Cirillo Monzani. 25. Roberto Savarese (1805-1875), letterato e giureconsulto napoletano, esule a Firenze dopo il 1848.
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16 A Giuseppe Del Re Torino, 12 ottobre 1850 Mio carissimo Peppino, Ho voluto, prima di rispondere alla tua lettera, visitare la Signora Pansa 26 e le Signore Polliotti,27 per prendere da esse gli ordini nella mia qualità di tuo plenipotenziario in partibus. La prima è una gioia di bontà di spirito e direi anche di bellezza, ma temo di dir troppo o troppo poco, e poi io non m’intendo come te di queste cose. Ella ti saluta e risaluta, né sa comprendere il perché della tua lunga dimora in Genova, né come possa tu anteporla alla lusinghiera Torino. Io facea anche le viste di non capire, temea che mi sfuggisse qualche brutta parola che potesse offendere la santa opinione che si ha della tua costanza e fermezza di proposito. Ma ella ritornava a battere il ferro, e diceva che per renderti meno leggiero (io affermava che tu non eri) bisognava procurarti una moglie. Ed io: non ci sarebbe male, ma che so! gli uomini di lettere, mi pare… del resto, ella mia gentilissima Signora, ha più giudizio di me e sono però d’accordo con lei. Dunque è deciso, caro il mio Peppino, devi essere marito, ed io sarò quello che tu vorrai, fuorché cavalier servente. Ed eravamo soli; poi vennero due figuri, che vicino alla Signora mi parevano due scarafaggi sulla boccia d’una rosa. Il primo dei quali Signor Everard, se non erro, mi commise di scriverti che un tal generale, non ricordo il nome, è morto; anzi tutti gli uomini, le donne e gli animali così nominati sono andati all’altro mondo; che quella tale eredità è caduta nelle mani di certi uccelli grifagni; che però quel tale di Napoli che avrebbe voluto prendersi l’incomodo di pigliarsela, si metta l’animo in pace; ed altre cose di simil genere. Il Signor Giuseppe non era chez soi o lui. Vengo ora alle Signore Polliotti. E primamente ti devo dire che il mio collega in giurisprudenza Signor Avvocato Polliotti è tornato dai suoi viaggi sulle rive ed alle bocche del Danubio, ed ha perduto pel troppo caldo i capelli della testa. È un giovane che discorre bene e facilmente e si vede che ha veduto molti paesi e molte cose, che né tu né io abbiamo veduto. In secondo luogo ti dovea dire da gran tempo che la Signora Margherita era in collera con te, perché tu non le avevi scritto mai, mentre che avevi tenuto un modo diverso con la Signora Pansa; era costei che discorrendo di te avea detto che tu le avevi raccomandata una gentildonna del bel paese, dove io ho lasciato qualche oggetto che sinora cerco invano sotto i portici di Torino. Che dovea dire io? Immagina tutte le maniere d’un avvocato e di un avvocato napolitano; ma queste torinesi sono difficili a persuadere; e se non era la buona e pacifica Signora Clara, il tuo sacrificio sarebbe stato consumato. Ma ieri sera la cosa andò altrimenti. Io mostrai qualche riga della tua lettera, feci leggere là dove si parlava di memoria eterna, di talismano e che so io. Certo che la lettera fu un talismano nelle forme, perché ti ridonò tutto ciò che un sospetto ti avea rubato o almeno pareva. Adunque sta lieto per questo. Ma come giustificare la tua lunga dimora in Genova. Io volea dire che un’opera filantropica ti chiamava e riteneva a Chiavari; ma mi ricordai che tu mi hai raccomandata la prudenza, ed ho fatto e farò silenzio. Questa è la mia parte di servo sciocco. Ora ti parlo da quello che sono. Ti dico che sono seccato ed annoiato per la tua assenza e quella di De Meis. 26. Carolina Pansa. 27. Paolina Clara e Margherita Polliotti, gentildonne torinesi che Bertrando frequentò durante l’esilio.
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Costui se la gode a Taggia 28 e minaccia di restare per più settimane; e forse si convertirà alla religione cattolica e sarà canonizzato. Tu per contrario da vero ed infaticabile apostolo fai su queste riviere la missione, e converti, esorcizzi, canonizzi e metti il diavolo in tutti gl’infermi. Io che fo? Passeggio nell’aria, mi pasco di aria e fo aria. Il più delle sere col vitto sociale sullo stomaco non so che farmene della vita, ammenoché non volessi andare a sputare nell’Ertaminet. Né io ti dico di tornare, perché so che è inutile ogni dire; così aspetto che iddio t’ispiri o levandoti per l’aria senza che te ne avveda, ti deponga al mio o all’altrui tenero fianco in riva al Po. Pare che conchiuderò il contratto per la traduzione.29 I tre franchi per le 300 copie, oltre le cinquanta, mi si daranno alla consegna che io farò delle firme, e penserà l’editore a farsi pagare. Ma le firme, s’intende, debbono essere vere. Perciò caro e smemorato mio Peppino, pensa a fare associati. Così si potrà vivere; altrimenti addio. Tolgo lo scherzo. Ora soggiungo la parte più importante di questa lettera, né vorrei che perché ultima la dimenticassi. Silvio è provveduto di danaro per tutto questo mese. Come farò per Novembre; e bisogna pensarci almeno pel 20 del corrente. Mancini30 me ne parlò egli stesso favorevolmente: tu che puoi fare costà? ma senza perdere dignità ed opera. So bene che io ti secco così, ma che posso fare io? Se l’affare di Stein va innanzi, potrò dare e ridare ciò che avrò ora. Ti prego di prender questo sul serio e rispondermi che ne pensi o che farai. Ti debbo dir altro. Aspetto subito tue lettere. Vado ora a vedere se ci sono tue lettere. Prima non avea molti denari; quelli che avea gli ho mandati a chi sai. Addio, mio caro Peppino, e ricordati che io qui sono solo. Ti ringrazio di ciò che hai fatto per la lettera mia a Silvio. P.S. Mancini mi disse l’altro ieri che non avea ancora ricevuto i 30 franchi da Falconieri. Saluto gli amici. Bertrando BCF, Carte Piancastelli, B a 188 (inedita).
17 A Pasquale Villari Torino, 14 ottobre [1850] Mio carissimo Pasqualino, Tu mi avrai giudicato l’uomo più scortese di questo mondo, perché da che sono in Torino non ti ho scritto niuna lettera. In verità, io mi confesso colpevole verso di te; ché avrei dovuto darti mie nuove appena giunto in Piemonte, e domandare di te e degli amici. Né io voglio scusarmi, né merito scusa. Non di meno la mia colpa non è così grande come avrai pensato. Io ti ho scritto una lunghissima lettera nel giorno 24 di Settembre e la chiusi 28. De Meis si era recato a Taggia per curare l’amico Giovanni Ruffini. 29. Si riferisce alla traduzione dell’opera di Stein annunciata già a Villari nella lettera precedente (cfr. lettera 15, nota 22). 30. Pasquale Stanislao Mancini (1817-1889), giurista e uomo politico, più volte ministro dopo l’Unità e deputato del regno d’Italia dall’VIII alla XVI legislatura.
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in un’altra diretta a Berardi con pochi manifesti d’associazione alla mia traduzione di Stein.31 Né tu, né Berardi mi avete risposto; debbo dunque credere che le mie lettere si siano perdute, o siano state sequestrate alla Posta, quantunque non contenessero nulla di male, eccetto il titolo32 dei manifesti. Mi è dispiaciuto moltissimo che non vi siano giunte, perché avreste veduto che alla fine io non sono quell’uomo smemorato che si potrebbe credere. Io ti diceva molte cose di me, cioè dello stato d’animo mio; e ti rendeva ragione del mio silenzio, ritraendo in poche parole la storia degli ultimi tre anni, nei quali io sono vissuto così chiuso in me stesso e in tanta guerra col mondo che mi circondava, che aveva quasi smarrito la potenza della manifestazione, nella quale consiste la realità della vita dello spirito. Io parlava a te, che eri stato testimone dei miei dolori e delle mie sofferenze; che avevi animo così nobile, da comprendermi e non ridere nell’ascoltare33 certe spiegazioni, che per me compendiavi dieci mesi d’una vita, che non so come chiamare, perché non ha nome per me, e quando me ne rammento, mi pare di aver sognato. Di tutto ciò ora non è rimasto nella mia mente che una memoria dolcissima di Firenze, siccome quando era giovane mi ricordava d’una bella e cara fanciulla abbandonata. Mentre aspettava le vostre risposte, mi giunse una tua brevissima lettera, nella quale non mi parlavi della mia; aspetto ancora; ma ormai sono persuaso che le mie lettere sono smarrite, a meno che Berardi non dimorasse più in Toscana e fossero esse rimaste nel fondo della Posta. Vedi, dunque, e cerca.34 Del mio viaggio sino a Genova non ti dico altro, se non che fui sul punto di andare a Marsiglia e poi chi sa dove, perché nel mio passaporto c’era una irregolarità nel visto del Console Piemontese; noi l’avevamo sospettato. Passai nel porto di Genova, bestemmiando come un cane, sei ore e più, pensando le cose più pazze del mondo, ed aspettando che l’autorità decidesse se io poteva o no sbarcare. A Genova rividi molti, conobbi altri amici; fu una piccola festa ed io era fuori di me. Genova è un bel paese, è vivace, e ti ricorda Napoli. Le donne sono assai belle, 35 di persona aitanti ed attraenti, ma un po’ restie e difficilette. In Torino altra scena, come puoi immaginare; qui la vita pare riconcentrata nell’interno dell’anima; non già che manchi l’attività, ma pare che non sia, e non si cerca di parere, ma di fare e di ottenere un risultato. Qui le idee prendono tosto la forma immobile delle determinazioni matematiche; e la regolarità e la simmetria nelle strade, nei portici, negli edifici non sono che un riflesso della qualità simmetrica degli animi. I Torinesi sono buoni ed hanno buon cuore, ma sono freddi, tardi, non appariscenti: addio gesti e vivacità di Napoli; ma sono fermi nel proposito, e quanto [sic] tengono una cosa alla quale credono di aver diritto, non se la fanno togliere così facilmente. Per quanto io stimi queste cose, debbo dirti però che qui non è né l’ingegno speculativo, né l’originalità dei Napoletani. Qui il cielo scientifico non oltrepassa i confini della generalità astratta ed immobile, della generalità geometrica, né si estende al di là, nella generalità concreta e vivente, nella generalità filosofica. Forse è un bene, forse è un male. Certo è però che noi napoletani abbiamo del Prometeo: grandi, ma disgraziati. Le donne non si possono dir belle; ci sono delle figurine che piacciono, ma tu devi sempre supplire qualche cosa o colla mente o con la memoria: l’ultimo modo è doloroso. 31. Cfr. lettera 15. 32. Il titolo era: Il socialismo e il comunismo in Francia. Supplemento alla storia del secolo per L. Stein professore in Kiel. Prima versione italiana dall’originale tedesco di B. Spaventa. 33. D’Orsi e Pellicani: «accettare». 34. Villari ricevette la lettera del 22 settembre. La risposta, insieme alla letterina cui Bertrando si riferisce, è conservata alla SNSP (XXVI.D.2.3) e pubblicata parzialmente in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 77-78. 35. Da «è vivace» sino a «assai belle» passo omesso da Pellicani.
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Tu ti meraviglierai che io sia tanto lieto da parlarti di bellezza, di donne e simili cose. Ma che vuoi? Studio tutto il giorno sino alle 4 p. m.; poi mangio, e la sera sino alle dieci digerisco, non come facevo a Firenze – rodendo dentro me con la rabbia – ma parlando, vedendo, agitandomi, conversando, e ci è materia da parlare, da vedere, da agitarsi, da conversare. Qui la società non è così austera come nel resto d’Italia: si sente un po’ la Francia. Quanto a me, io sono qui tranquillo, e vivo in me stesso e per me stesso. Sono padrone del mio tempo e ne fo quello che voglio, e puoi immaginarti che il mio volere s’identifica col dovere. Studio, potrei dire, assai, se ricordo l’ozio, nel quale sono vissuto per tanti mesi. Pubblicherò la traduzione di Stein, e n’avrò qualche profitto. Ho finito ieri un articolo sulla filosofia di Hegel, 36 e lo pubblicherò nella Rivista. Ho sudato quaranta giorni e debbo ancora emendarlo e ridurlo a miglior forma. Ti ricordi quella prefazione che cominciammo a leggere in casa Ricasoli? Tu la rivedrai sotto altra forma. Sarà un tentativo di cose maggiori, se avrò agio, tempo e ingegno. Hegel è l’Aristotele della civiltà nuova: e noi saremo sempre dei grandi coglioni, finché ci ostineremo a non volerne sapere di cotesta filosofia tedesca nebbiosa e selvaggia. E se ti dicessi che Proudhon è hegeliano, sebbene non lo sappia forse egli stesso, e sia tale come può essere un francese? Ma Hegel non si può tradurre come Aristotele, bisogna comprenderlo, renderlo intelligibile senza superficialità, renderlo popolare, non volgare. Ma si può fare tutto questo; e posso farlo io? Tu sei così buono, che io mi fo lecito di dirti che tenterò; se non altro, dovendo studiare, seguirò questa direzione. Ci vorrà pazienza? ci sarà. Mi romperò il capo per la via? meglio morire così, che di putredine. Camillo37 poi è stato l’uomo, che avendo letto qualche saggio di queste mie cose, mi ha spinto e trascinato a continuare: egli è pazzo per Hegel, e pensa come me che a noi italiani tutti, sebbene dotti, eruditi, provveduti a dovizia di ogni materia di cognizioni, manca la Scienza, cioè la forma organica della materia. Io farò quello che potrò, mio caro Pasqualino. Qui poi sarà una novità, la quale forse non riuscirà piacevole. Ma non importa, e bisogna cominciare una volta. E ciò ti basti quanto allo spirito. Di me, materia che mangio, bevo e vesto panni, che debbo dirti? Che ho tanto che mi basta per far tutto questo decentemente e qualche cosa di più. E poi tu mi conosci: io non sono uomo che mi dispero ed ho le ossa dure. Conosco già qualche famiglia delle buone torinesi, e ne ho accoglienze liete e promettenti, anzi delle gentilezze assai larghe, se si considera il tempo breve da che le ho veduto. Non ti dico già che m’invitano a pranzo, che ciò ti potrebbe rammentare il Dottore nostro amico.38 (A proposito che n’è? Camillo ride malignamente e con tutti i denti, quando se ne ricorda); il certo è che non mi aspettava ciò che ho trovato. Forse le mie cose andranno meglio; ed anche se seguitassero ad andare così, quanto a me ne sarei contentissimo. Non debbo però nascondere a te, che non sono egualmente lieto della mia fortuna rispetto ad un altro lato della mia esistenza, il quale si può dire il primo ed essenzialissimo. Sinora non mi è riuscito di provvedere stabilmente a colui che è l’unico mio pensiero e se avessi con me, potrei dirmi felicissimo. Ho dovuto e debbo ancora aiutarmi alla meglio perché nulla gli manchi; e il peggio è che non ho lettere di lui da che sono in Torino. Io gliene ho dirette molte, ma non mi è riuscito sinora di avere una risposta, tanto è il rigore che il governo napoletano usa contro le corrispondenze che vengono dal Piemonte o colà vanno. Avea scritto a Berardi, perché me ne facesse sapere qualche cosa, anzi gli avea mandato una lettera per Silvio; ma, come ti ho detto, credo che non gli sia giunta. Ora 36. Cfr. lettera 15, nota 23. 37. Angelo Camillo De Meis. 38. Allusione al dottore Pignatari, esule napoletano più volte citato nelle lettere successive.
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tu puoi farmi un favore, ed è di scrivere a chi crederai meglio per questo. Giorni sono è venuto qui, cacciato da Napoli, il fratello di Saliceti39 e mi ha assicurato che Silvio sta bene in salute. Ma tu sai se io posso contentarmi di queste notizie. La traduzione di Stein è destinata per lui. Io ti mando dei manifesti: cerca di farmi dei buoni e molti associati e presto e tieni le firme presso di te, indicandomene soltanto il numero, che forse sarà = 0. Tu conosci Fossombroni ed altri; potresti adoperarti presso di essi. Camillo è andato a Taggia un’altra volta per la malattia d’un suo amico. La sua assenza è per me un dolore grandissimo, tanto più che ho perduto anche Peppino del Re, mio antico e grande amico, il quale è ora a Genova. Epperò sono un po’ solitario in quella sfera che si chiama amicizia intima, e che che se ne dica in contrario, è più necessaria del pane e dell’acqua. Ho scritto a Camillo una lettera impertinente richiamandolo all’osservanza dei suoi doveri. Con lui parliamo spesso di te; e lo indurrò a scriverti, tosto che sarà ritornato. E già inutile dirti che noi ci vediamo ogni giorno e ci facciamo delle lunghe passeggiate. È un uomo impareggiabile. E tu, mio caro Pasqualino, che fai nella mia cara Firenze? Ti ricordi di me? Ti ho parlato di me, che ti avrò certo recato fastidio. Dunque dimmi: a che ne stai col Savonarola? Come vai in salute? Bada per Dio;40 in questi tempi e sempre è la prima cosa che bisogna curare. Camillo ti raccomandava sempre lo stesso. Le tue lezioni come prosperano? Le tue relazioni, le tue visite, i tuoi amici, i tuoi nemici, se ne hai, tutto, tutto voglio sapere e mi devi dire. Oggi che ho terminato quel piccolo lavoro, che mi ha tormentato tanti giorni, sono in vena di scrivere e di domandare. Pensa che io sono curioso, e che amo sapere certe cose, che tu intendi, e mi promettesti di dire. Mi dispiacciano o mi piacciano, dille a me francamente, perché le accoglierò senza turbarmi, come il Giove d’Omero. E mi sorprende che tu nella tua lettera spartana non mi abbia fatto motto di tutto ciò, come se fossi stato nella California. Adunque parla, e minutamente e particolarmente nota e ritrai. Fa che io mi rechi col pensiero sulle rive d’Arno, e passeggi con te al chiarore della luna, bestemmiando e maledicendo. Ti ricordi l’inverno passato? A Berardi, se è a Firenze, dì tante cose per me. Dì che gli ho scritto, e che mi facesse sapere come sta con la famiglia e col suo Fortunato. Digli che gli amici di qui e di Genova lo ricordano e lo salutano, e che Conforti41 mi disse che era pronto di somministrare a Ranalli42 tutti quei chiarimenti che si sarebbero desiderati sul fatto del 15 Maggio 1848. A Capolago si pubblica una raccolta di documenti sui fatti degli ultimi due anni in Italia: 43 potrebbe essere utilissima ad uno scrittore della storia nostra. Ad Ayala tanti saluti, e così pure a Monzani, al quale dirai che io non ho ricevuto nessuna lettera sua, come mi ha scritto Bonghi; a Novi l’elegante, a Gemelli, a Tardy, se è ancora costà, a Bianchi l’intrepido, ad Altamura, a Lupinacci, insomma a tutti quelli che vogliono che io mi ricordi di 39. Si tratta del fratello di Aurelio Saliceti (1804-1862), avvocato e uomo politico, dapprima mazziniano e poi moderato. 40. Da «a che ne stai» a «per Dio» passo omesso da Pellicani. Villari pubblicherà solo dieci anni dopo il primo volume della Storia di Girolamo Savonarola e de’ suoi tempi narrata con l’aiuto di nuovi documenti, Firenze, Le Monnier, 1859. 41. Raffaele Conforti (1808-1880), uomo politico napoletano esule a Torino, più volte ministro dopo l’Unità; deputato del regno d’Italia nell’VIII legislatura e senatore dal 1867. 42. Ferdinando Ranalli (1813-1894), letterato, storico, uomo politico e patriota, professore di letteratura italiana e di storia all’Università di Pisa, fu deputato durante la X legislatura del regno d’Italia. 43. Si tratta molto probabilmente degli Avvenimenti militari in Italia negli anni 1848-1849 apparsi nel 1851.
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loro. A Savarese fa i miei ossequi e saluti, ed anche per parte di Camillo. Come sta? Lo vedi spesso? Di politica non ti parlo, perché ciò che si può sapere, si sa da tutti, e ciò che è occulto, non si sa da nessuno. Qui le cose vanno bene e tranquille. Il Governo è forte, non ostante qualche sbaglio o apparenza di sbaglio, il paese vuole la libertà e non più privilegi ed abusi: chi tutto può o pare che possa, sembra e credo che sia fermo. Questa condotta è un rimprovero vivente a tutti i birbanti che amministrano la cosa pubblica. Qui si parla, si scrive, si fa quello che si vuole e si dee volere, e l’ordine e la tranquillità non sono turbati. Io mi aspetto da te una lettera lunghissima, tosto che avrai ricevuto la presente. Ti prometto di essere per l’avvenire più pronto a scrivere, e se non44 sempre così lungo e noioso, come ora sono stato, certo non breve come tu suoli essere. Ti parlerò sempre di me, purché tu in risposta avrai soddisfatto a quelle tali mie curiosità, ma in modo da superare la mia aspettativa. Mio caro Pasqualino, addio. Goditi cotesta bellissima Firenze; visita per me cotesti monumenti, creazioni sublimi del genio italiano, ispirati al pensiero delle antiche memorie dei nostri padri e delle vecchie virtù cittadine, debolmente riprodotte negli sforzi dei figli, ti bea nel sentimento dell’arte, ed ama. Io qui mi aggiro in un presente, che non ha l’incanto delle forme artistiche, in cui il sentimento è affogato o gelato dal freddo delle Alpi, giganti maestosi, monumenti della natura, ma morti, immobili, scheletri da cui la vita è fuggita. E pure io che ho serbato di Firenze una dolcissima memoria e mi sento pungere il cuore, quando me ne ricordo, sono qui meno tristo, più tranquillo e direi più felice, se potessi essere felice. L’altro giorno era un tempo bellissimo, senza una nuvola nell’aria, con un cielo azzurro che ti facea ricordare di Napoli. Io mi sentii spinto fuori di casa; e, passato il Po, salii sopra una delle più belle colline che io mi abbia veduto ricoperte d’un verde vivissimo, che l’arte non può imitare. Guardai giù, e si aperse al mio sguardo una spaziosa pianura, su cui giace la grave 45 Torino, bagnata dal Po e dalla Dora; guardai intorno e vidi la cerchia delle Alpi nevose e svariate di forme e di altezze, poste come a guardiani d’Italia, ed impotenti a difenderla, e che invece a me sembravano attestare che la forza non è nella massa e nella materia, ma nello spirito invisibile 46 ed incorporeo. Guardai in su, ed era lo spazio vuoto che mi stava sul capo. Era un silenzio profondissimo: un sole ardente mi bruciava il cervello. Io era divenuto immobile come uno di quei monti che s’ergevano rimpetto a me di lontano. Era la natura nella sua maggior potenza; era il vuoto della esistenza, la tomba dello Spirito. O Firenze, Firenze! Addio di nuovo, mio caro Pasqualino; non posso più scrivere così d’un fiato. Addio, lunga risposta. Amami. Hai ricevuto il Tacito, che diedi a Novi, e ti è piaciuto? E del ritratto, che ti lasciai, che cosa hai fatto? E di quel primo arcigno, pensieroso che n’è? 47 Tu hai in esso tutta la mia storia. Addio. Addio. Addio. Scrivimi. Il tuo Bertrando BAV, Carteggio Villari, 492-498 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 500-512, e in Pellicani, Sedici lettere, pp. 43-47).
44. «Non»: omesso da Pellicani. 45. D’Orsi e Pellicani: «gran». 46. «Invisibile»: omesso da D’Orsi. 47. «Pensieroso che n’è?»: omesso da D’Orsi.
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18 A Giuseppe Del Re [Torino,] 30 ottobre [1850] Mio carissimo Peppino, Ho ricevuto le tue tre ultime lettere. Per ora non rispondo alla prima lunghissima ed artistica. Sono così di cattiva vena, che appena posso scrivere due righe. Né saprei dirtene precisamente la cagione, perché sono molte e così legate tra loro che non basta la più potente analisi del mondo a separarle ed esporle. Al diavolo dunque le cagioni e l’analisi. Vengo al mio bullettino. La Signora Carolina continua ad essere malata. 48 Mi fa una vera pietà, perché la vorrei vedere florida e bella, come si merita, e meritiamo anche noi d’ammirarla. Ella ti saluta e ti ringrazia della pena che ti prendi per lei. Le Signore Polliotti stanno bene, e pure ti salutano. La Margherita specialmente ti desidera assai, e se la prende con me, perché non ti costringo a venire qui nella bella Torino. (Che bellezza! Io ne sono incantato). Ella è molto cortese con me, ed ora suona in mia presenza, (solamente), perché mi crede buono (lo so, anzi buonissimo; e lo sai tu pure), etc. Madama Clara poi è in collera con me, perché crede che io non voglia bene ai Gesuiti. L’altro ieri mi domandò quante ore di orazione faceva al giorno. La risposta fu pronta e facile, e restò soddisfatta. Vedi in che imbroglio mi hai lasciato. Vieni presto, che ho bisogno della tua logica, perché la mia se n’è ita al diavolo. Clotilde l’ho veduta due volte. Si lagna di te, che non le hai risposto. Io ho cercato di consolarla, senza però darle sospetto, secondo le tue ordinazioni. Va bene? Andrò in Paradiso? Ora tornerò a lei, per farle prendere il velo. Bella vestale! Se vedessi come si è fatta tonda e grassa e rossa! Se non fosse la paura di avere una mortificazione, e la fede che porto a te, avrei già fatto uno sproposito. Prudenza aiutami. Marietta ti è stata infedele per disperazione. Lasciarla così! Ella si è maritata. Delle altre non so. Che Iliade! Quante Elene! Dunque debbo trovarti una casa? Mi hai da dire precisamente: per qual mese, dove, per qual prezzo, etc. e subito; perché voglio servirti e favorirti come sempre ho fatto e farò. Lasciando gli scherzi, vedi di tornare più presto che potrai. Io sono annoiato di questa solitudine; la sera temo di uscir pazzo. Debbo ringraziarti di quello che hai fatto per Silvio? Io non ho sue nuove e vivo agitatissimo per questo. Se ne hai fammele sapere, te ne prego. Non so che cosa ho scritto, tanto sono sbalestrato. Da Firenze ho saputo che i Signori Pignatelli, compresa Lei, dicono tante bugie sul mio conto.49 Mi chiamano ingrato, imprudente. Mi viene la voglia di farli tacere e per sempre come si conviene. Ti dirò tutto a voce. Credo che sia finito il tempo di essere minchioni e bisogna chiamare le persone col loro nome proprio. Addio. Sono di cattivo umore per questo. Vedi, dico io, che ingratitudine mio caro Peppino! Che cosa sono gli uomini e le donne! E tu seguita a credere a queste! Addio. Saluto tutti gli amici. Bertrando tuo Abbracciami Venusio purché te lo permetta la sua pinguedine. BCF, Carte Piancastelli, Ba 188 (inedita).
48. La signora Pansa, di cui si parla alla lettera 16. 49. Cfr. la lettera di Villari a Bertrando del 25 ottobre 1850 (SNSP, XXVI. D.2.3).
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19 Ad Angelo Camillo De Meis Torino, 25 novembre 1850 Mio carissimo Camillo, Non appena ebbi ricevuta la tua graditissima lettera, parlai con Massari, 50 il quale mi promise di consegnare la supplica al Ministero della Istruzione Pubblica. 51 Debbo però dirti che l’altro ieri, perché era la festa della riapertura del parlamento, ed ieri, perché era la Santa Domenica, non si è potuto far nulla. Stamattina sono andato a trovar Massari, il quale mi ha assicurato che oggi avrebbe fatto tutto. Vivi dunque tranquillo. Del resto non sarebbe male se tu scrivessi al nuovo Direttore del Collegio, signor Novelli, il quale so che ha domandato di te, anzi si lagna che ti ha scritto due lettere e che tu non gli hai risposto. Sarebbe possibile che io, che sono l’uomo più trascurato e meno accorto di questo mondo, ti dovessi raccomandare i modi necessari nella pratica degli affari? Scrivi dunque al Novelli, anche per cagione di gentilezza. Mi addolora moltissimo lo stato della Signora Amelia, né so consigliarti di abbandonarla. Se ti dovessi dire ciò che io farei nel caso tuo, sarebbe inutile; perché tu mi conosci e sai che io antepongo ad ogni cosa, forse con poca o nessuna prudenza, i doveri dell’amicizia. E ciò ti confesso con tutto che io senta un dispiacere grandissimo di essere lontano da te, e sia più che mai solo. Credeva di rivederti presto ed avea a dirti tante cose; ma alle tante mie disgrazie ora aggiungo anche questa, di dover essere condannato ad una perpetua solitudine di anima. Io ho bisogno di parlar con chi mi possa comprendere ed anche compatire. A chi rivolgermi, mio caro Camillo? Io non voglio così offendere nessuno; ma chi vuoi tu che possa fare le veci di Silvio e tue per me? Tu solo, disgraziato al pari di me per tanti anni, hai saputo conoscermi, e sai ora intendere la mia povera mente e il mio agitatissimo cuore. Ma basta di ciò. Pazienza. Villari mi scrive e ti saluta. E una lettera piena di dolore e d’ira. Senti. I Pignatelli, non so perché, forse perché Villari è mio amico ed avrà parlato bene di me, gli hanno mosso contro una crociata di tutti quegl’inetti napoletani che frequentano la loro casa, sino a dichiararlo una spia del governo di Napoli. Organo principale di questa mala voce è il dottore Pignatari,52 il quale non si vergogna di esercitare questo suo nuovo mestiere nei caffè ed in altri luoghi pubblici. Villari ora chiede consigli da te e da me. Io gli ho risposto che te ne avrei subito scritto, e da parte mia gli ho detto che rispondesse col disprezzo alle vili ingiurie, e si confortasse con la stima dei buoni napoletani che sono a Firenze, tra i quali è il Savarese, a meno che non volesse rimeritare il Pignatari condegnamente con gli schiaffi. I Pignatelli han detto anche male di me; io sono stato e sono ancora in forse di ciò che mi convien fare; perché se comincio a reagire, non ci avranno piacere. Originale perduto, probabilmente già alla SNSP (ed. in B. Spaventa, Opere, III, pp. 847-849). La trascrizione di Gentile è mutila nella parte conclusiva.
50. Giuseppe Massari (1821-1884), letterato e uomo politico moderato pugliese, esule a Torino; deputato del regno d’Italia dall’VIII alla XV legislatura. 51. Cfr. lettera 11. 52. Cfr. lettera 17, nota 38.
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20 A Giuseppe Del Re [Torino,] 27 novembre [1850] Mio carissimo Peppino, La vera cagione del mio lungo silenzio verso di te sei tu medesimo; perché tu promettevi ogni giorno di tornare in questa beatissima Torino l’indomani, ed io per timore che la lettera non ti trovasse che eri partito da cotesta lusinghiera Genova, mi asteneva dallo scriverti. Né volere indagare se la mia pigra volontà si compiacesse di questa felice occasione di starsene oziosa, che ciò sarebbe un esame di coscienza proprio alla gesuitica; guarda il fatto e lascia stare la intenzione. Voglio conchiudere che tu sei il colpevole, non io. Che logica! Ora ho perduto la speranza di rivederti. E però ti scrivo. Se volessi parlarti di me, avrei già finito; che ben puoi immaginare il mio stato. Il quale è sempre il medesimo, cioè una fastidiosa solitudine. Ti parlo dunque degli altri. Ho veduto spesso Madonna Pansa. È ancora inferma, e mi fa pietà, perché così giovane, così amabile, così buona, così bella non merita di essere infelice. Mi parla sempre di te, e si lamenta della tua incostanza e della tua leggerezza nell’adempiere le promesse. L’ho indotta a mandare a Laura una relazione della sua malattia, e perché non se ne offendano i suoi medici ordinari, ha pensato di dettarla ella medesima a me, e appena fatta te la spedirò. Eguali lagnanze da parte delle Signore Polliotti. Povero Peppino! Tutti ti aspettano e tu manchi di fede a tutti. Ma la più adirata contro di te è la Signora Margherita. La quale se la prende con me, povero innocente. Ed io soffro tutto in buona pace. Anche la Clara sospirando si lamenta della leggerezza tua. Insomma è la opinione universale delle donne che ti condanna. Ma queste sono bagattelle in paragone dei furori della Clotilde. Non puoi figurarti quanto strepito fa contro di te; che amore! È pazza per te più che non era la Marietta di buona memoria. Ed io debbo consolare anche questa. Ma che fare? Io mi sento così svogliato e i miei pensieri sono in una via così strana, che le mie poche e disadorne parole non valgono nulla. Come confortarla? Ella vuole Peppino ed io sono Bertrando. Credo che la poverina sia senza denari. Ed anche in ciò io non posso fare le tue veci. Questa volta ho più cattivo umore del solito, e però non trovo le parole per estendere quanto vorrei la mia lettera. Contentati adunque di così poche seccature. Se Paolo De Cesare è ancora a Genova, lo saluterai per me, abbracciandolo carissimamente. Perché non lo induci a venire per qualche giorno a Torino? Perché non venire insieme, ma presto? Ora dimmi la verità, che diavolo fai costì? Quando verrai? Ma io sono più pazzo di te a farti queste domande. Adunque bisogna aspettare che il tuo cattivo genio ti conduca a Torino; dove vorrei che fossi gastigato come sono io, cioè con una nullità di esistenza che è peggiore che morte. Ma tu sai rimediare, e se non altro ripiglierai tosto le fila interrotte della tua santa tradizione e sicuro ricomincerai a filare. Così faceva anche Penelope, quando Ulisse era lontano. Dì poi che io non so l’archeologia! Addio – amatissimo Peppino. Bertrando BCF, Carte Piancastelli, Ba 188 (inedita).
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21 A Pasquale Villari [Torino, 1 dicembre 1850] Mio carissimo Pasqualino, Non ho risposto subito alla tua lettera,53 perché sono stato alquanti giorni fuori di Torino in compagnia di alcuni amici, e non l’ho ricevuta che con ritardo di quasi una intera settimana. Il fatto che tu mi hai raccontato, non mi è stato cagione di grande meraviglia. Dopo ciò che i Signori Pignatelli e consorti hanno detto e scritto contro di me, era ben naturale che levassero la voce ed esercitassero le loro arti anche contro di te, ch’essi sapevano mio amico e temevano. E poiché non potevano dire che tu avevi ricevuto da loro la limosina di 4 piastre la settimana, ti hanno voluto regalare d’un altro titolo, e vedrai che domani faranno con me il medesimo. È incredibile la stoltezza di costoro; si pensano che il mondo sia così grande come il loro piccolo cervello e quanto è lo spazio della loro camera, dove nel calore della digestione trinciano tutte le riputazioni più onorate. Io li conosco; so come hanno parlato a sproposito di altri uomini migliori di me; non ignoro le loro piccole fraudi, gl’intrighi e le lusinghe che adoperano; e però immagino e quasi ascolto con le mie proprie orecchie ciò che possono dire di te e di me. Ma che monta? Lasciali andare, dove vogliono, che alla fine non ci avranno piacere. Io sento la mia dignità superiore a tali pettegolezzi; sì, debbo pur dirlo: non mi do neppure la pena di disprezzarli. A fronte di loro, io mi esalto in me medesimo, ed ho un orgoglio grandissimo di essere ciò che sono. E ciò quanto a me. Quanto è alla menzogna di aver fatto la limosina a mio fratello, assertiva non so se più stolta che maligna, l’affare è diverso. Dicano di me ciò che vogliono; ma lascino stare chi non sono degni neppure di nominare. Di questo mi renderanno ragione. Quanto ai miei amici, che hanno creduto o finto di credere alle parole dei Signori Pignatelli, io non ho che dire. Per taluni, e specialmente pei nostri napoletani, la virtù è una chimera; ei non credono ad essa. Per me, io confesso di credere alla virtù, ed ho cercato sempre di praticarla. Per me le parole sono sempre parole, se i fatti non corrispondono ad esse. Se guardiamo ai fatti non so chi di noi abbia il torto. Ma basta di ciò. Ci sarà sempre tempo a discorrerne; e te lo prometto. Tu eri agitatissimo, quando scrivesti la tua lettera. Povero il mio Pasqualino! E che? ti aspettavi un elogio forse da cotesti Signori? Non altro che questo fango ti potevano dare. Io quando penso a ciò, mi sento ancora un ribrezzo nelle ossa; e ringrazio Dio o il Fato di trovarmi dove sono. Ma tu devi ridere di ciò che ascolti; essi parlano e tu parla; essi dicono bugie, e tu dì verità. Che bisogno hai di addolorartene? Anzi sta tranquillissimo, e lasciali fare e dire, ché finiranno collo screditare sé medesimi. Attendi, per dio, ai tuoi studii, e non dar loro altro che disprezzo. Quanto a quella Bestia d’impostore, 54 non ci è altro rimedio che o non curarsene, o prenderlo a schiaffi. Sono del tuo parere.
53. Si riferisce alla lettera del 20 novembre 1850, conservata alla SNSP (XXVI.D.2.3). 54. Cfr. lettera 17, nota 38.
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Queste parole sono i consigli della ragione; i quali forse io ti do qui, lontano da te e da loro, e mi comporterei altrimenti se fossi costì. Forse non ti piaceranno. Ad ogni modo, io mi aspetto da te: 1) un’esposizione più minuta e particolare del fatto; 2) che tu mi dica francamente, se credi e vuoi che io faccia qui qualche cosa a tuo pro; ché io sono disposto ad ogni tuo volere. Hai capito? Se stimi che si debba fare, si faccia. E voglio una risposta subita e lunghissima, nella quale ti desidero di buon umore, e devi parlarmi lungamente di loro e delle loro cose per riderne. Io ti risponderò anche una lunga lettera e ti parlerò di me. Nella tua risposta mi farai sapere, se quella Mademoiselle, aia delle Signorine Pignatelli, (tu la conosci bene) stia ancora con loro. Non dimenticar ciò, perché è per me una notizia di somma importanza, e saprai tutto ad altro tempo. Animo, mio caro. Forse finiranno, prima che tu non possa credere, questi tempi di dolori e d’angustie. Chi sa? Io ho riacquistato quella fede che avea quasi smarrita nella potenza dello Spirito e della Ragione. Oh! quante cose ti dovrei dire! Che è l’anima umana! Ma ora ti scrivo in fretta, e quando risponderò alla tua lettera ventura sarò lunghissimo. Il mio saggio sopra Hegel 55 è finito da un pezzo e l’ho già dato ai Signori della Rivista, la quale però va alquanto lenta, e senza alcuna unità di idea direttrice. Qui di filosofia se ne sa quanto a Firenze. Conosco già qualche professore dell’Università: buona gente; ma non è la mente napoletana. Ora aspetto certi libri per poter proseguire; profitto intanto dell’ozio per rivedere certi punti alquanto dimenticati nel mio sonno di tre anni, specialmente quelli che riguardano una teoria di Kant. Qui i libri filosofici sono rari, e non posso ancora comprarli, perché non mi bastano i denari. Di Silvio ho avuto lettera: va sempre meglio in salute e sta di buon animo. Camillo56 è ancora a Taggia, né tornerà per ora. Del Re è ritornato da Genova; meno male. Berardi che fa? Digli che gli scriverò al più presto, senza però giustificarmi come avrebbe desiderato, e che piuttosto avrebbe dovuto, senza aspettare le mie assicurazioni, far esso medesimo le mie parti. Ne avrà sentito delle belle sul conto mio? Si sarà divertito. Dagli i saluti di alcuni suoi amici di qui. Se vedi Vercillo me lo saluterai carissimamente; che badasse a star bene. Tanti ossequi all’ottimo Savarese. A Cirillo Monzani tanti saluti ed abbracciamenti. Lo stesso a Novi, e lodi per la risposta alla Bestia. A te raccomando subita risposta e lunga. Addio. Ricordati dell’Aia francese. Addio. Dammi molte notizie e sii lieto. Ed amami come ti ama sempre Il tuo Bertrando P.S. Ho riveduto con molto piacere i tuoi caratteri nello scritto di Fossombroni, mandato per la Rivista.57 Che ti pare di questo giornale? Se vedi Vieusseux, 58 ossequialo da parte mia, e digli che io gli sono obbligatissimo della lettera che mi fece per Gazzera,59 il quale non cessa di trattarmi con la maggiore bontà del mondo. 55. Si tratta degli Studii sopra la filosofia di Hegel citati nella nota 23 della lettera 15. 56. Angelo Camillo De Meis. 57. Sorta nel 1849, la «Rivista italiana» ebbe termine proprio nel dicembre 1850 a causa dello scarso numero di associati; non risulta pertanto possibile identificare l’articolo sopracitato. 58. Giampietro Vieusseux (1799-1863), commerciante di origine svizzera, animatore della vita culturale fiorentina, fondò il Gabinetto Scientifico Letterario Vieusseux e l’«Antologia». 59. Costanzo Gazzera (1779-1859), archeologo, bibliografo e critico.
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Mi sapresti dire qualche cosa di Salvagnoli,60 e come sta coi Signori Pignatelli? Notizia interessante. Addio di nuovo. Ho scritto a Camillo, e gli ho parlato del tuo affare. Nel rispondere fa uso della carta più leggiera che potrai; perché qui la posta costa moltissimo!!! BAV, Carteggio Villari, 499-502 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 513-517, e in Pellicani, Sedici lettere, pp. 47-49).
22 A Silvio Spaventa (1850) Caro fratello, Ti scrivo di fretta. Io sto in buona salute. Mi raccomando alla tua mente, perché segua ad essere tranquillo e di buon animo. Ciò è il mio unico conforto. Non ti posso dir altro. Addio. Addio. Originale perduto, già in BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201 (ed. in Vacca, Gli hegeliani, p. 4); copia in BCT, mss. C. 179, con nota di Beltrani: «L’anno 1850 è scritto a lapis di carattere di Bertrando; non è una letterina, ché ha l’aria di un biglietto clandestino fatto scivolare nelle mani del prigioniero. La data certo è apposta da Bertrando nel riordinamento che fece dell’epistolario».
60. Vincenzo Salvagnoli (1802-1861), avvocato e uomo politico liberale toscano.
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23 A Giuseppe Del Re Torino, 26 febbraio 1851 Mio carissimo Peppino, Sono di cattivo umore, né so come rispondere lungamente alla tua gratissima lettera. Non so quale ne sia la cagione; e questo è il peggio. Questa immobile Torino mi pesa sull’anima come una pietra sepolcrale. Tu crederai che io scherzi, e che giù mi metta a ridere, burlandomi di me stesso e degli altri. Ma sappi una volta per sempre, che quando io rido, è tutt’altro che gioia il sentimento che mi commuove; è l’intima persuasione della vanità delle cose umane. Lo diceva anche Salomone. Tu non vuoi persuadertene, e corri dietro alle apparenze, ai fantasmi della vita, ora qui a Torino, Atene d’Italia, ora costì a Genova, e folleggi e ti diverti. Ma io sono più uomo di te. Ho rimandato l’anello a Madama. L’ho rotta con le donne e col mondo. Bravo! Peccato che la santità non sia più in moda, perché altrimenti sarebbe una gran fortuna per me, e conseguentemente anche per te, egregio signor direttore o primo ufficiale se vuoi. L’aureola della mia ristabilita innocenza risplenderebbe anche sulla tua testa, e n’andresti beato. Ma non bisogna pensarci; e però lascio la santità dove si trova, cioè fuori del mondo, e vengo a fare il cronista. Clotilde sta bene e ingrassa: si lagna, ma non è nulla. Non ha desiderio, né io l’ho, per quanto sappia. E però puoi startene tranquillo. Ho fatto gradire i tuoi saluti alle Polliotti e specialmente alla Margherita. Tante cose ti dicono, e ti aspettano con grande impazienza. Questa sera ci sarà gran pranzo chez Madame Capello. Spero che vorrai tornar subito. Ulloa1 mi disse ieri che i Signori della Collana storica ti aspettano.2 Ed hanno ragione. È tempo di pensare a cose serie, di cominciar i lavori, di farsi strada per giungere all’immortalità, cioè a guadagnar denaro. Problema che io non comprendo, né forse comprenderò mai. Comunque sia la cosa, spero sotto la tua direzione 1. Girolamo Calà Ulloa (1810-1891), generale e autore di scritti militari. 2. Presso la Tipografia Elvetica di Capolago fu redatto, il 22 febbraio 1851, il programma della «Collana Storica Nazionale Italiana», che prevedeva la pubblicazione a Torino di venti opere. L’ufficio letterario era composto da Giuseppe Del Re, Antonio Colombo e Cesare Correnti, segretario Francesco Crispi.
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e coi lumi della tua prudenza farmi strada anch’io e lasciare in terra una traccia sfolgorante di me stesso, prima di salire al cielo. Di qui nulla, meno tante voci e tante dicerie che saprai. Ora però non se ne parla tanto. Credo che avrai mandato la lettera per Silvio. Se potessi dirmene qualche cosa, mi faresti cosa gratissima. È inutile il dirti che io ti aspetto, ma spero poco che tu venga presto. Porta teco i tuoi libri e lascia codesta bellissima Genova, e vieni qui a godere le delizie di Torino. Clotilde poi strepita e ti vuole assolutamente per Carnevale. La nostra bellissima padrona di casa Madame Therese X ti saluta caramente e ti abbraccia. Addio. Addio. Bertrando BCF, Carte Piancastelli, B a 188 (inedita).
24 A Pasquale Villari Torino, 11 marzo 1851 Mio carissimo Pasqualino, Tu hai tutta la ragione del mondo contro di me, perché è gran tempo che non ti scrivo, sebbene dovessi rispondere a due tue gratissime lettere.3 Ma che vuoi? Non sempre al desiderio ed alla buona volontà corrispondono le opere, e tu sai che per quanto io sia di animo pronto e disposto, altrettanto ho la carne inferma e il corpo ribelle. Adunque è un pezzo che io avea intenzione di scriverti, ma ho sempre tardato a farlo, finché mi sono accorto ch’erano passati più mesi e che io era veramente un ingrato verso di te. E poi quella santa prefazione di Lutero4 l’ho cercata da per tutto, e disperava finalmente di trovarla, perché non era né nella biblioteca dell’Università, né in quella dell’Accademia delle Scienze; quando la fortuna ha voluto che l’avessi rinvenuta nell’antica libreria dei reverendi Padri Gesuiti. Io te la mando come l’ho copiata; è brevissima. T’invio pure per la posta una copia del mio piccolo lavoro sopra Hegel.5 Come vedrai, non è che un principio, che vuol essere continuato e sviluppato. Ti prego di leggerlo attentamente e di dirmi sinceramente il tuo parere. Io sono persuaso che tutta la filosofia moderna da Spinoza sino ad Hegel non è che uno sviluppo logico e necessario della filosofia italiana del secolo decimosesto, e che primo tra i nostri filosofi sia stato Bruno; e che però ogni altra maniera di filosofare che si allontana dalla nostra tradizione e dalla sua progressiva continuazione in Alemagna è infruttuosa e nociva all’Italia e la separa dalla vita attuale del mondo civile. Ma questo non è che un semplice pensiero ed ha bisogno di essere provato. E ciò ora intendo di fare in un altro lavoro, che sarà di qualche mole; nel quale dimostrerò che il principio di Bruno etc. si è continuato nello Spinoza e così innanzi 3. Si riferisce alle due lettere dell’8 dicembre 1850 e del 26 gennaio 1851 (SNSP, XXVI.D.2.3). 4. Si tratta della prefazione scritta da Lutero alla Meditatio pia et erudita Hieronymi Savonarolae. A papa exusti, super psalmos Miserere mei. Et in te Domine speravi, Wittembergae, [Johann Rhau-Grunenberg], 1523, p. 6. 5. Cfr. lettera 15, nota 23.
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sino ad Hegel; e ciò per giustificare il mio assunto sulla filosofia di quest’ultimo. Vedi bene che debbo determinare a mio modo, oltre l’idea della filosofia, quella del concetto filosofico nella storia della filosofia: provare che Bruno comincia la filosofia moderna; che l’Italia, cioè Roma cattolica, bruciando vivo Bruno e non comprendendo Vico, ha rinunziato alla sostanza della vita moderna; che voler persistere in una maniera di filosofare, che contraddice alla filosofia del secolo decimosesto ed a quella che di poi si è sviluppata in Alemagna (dico meglio alla filosofia, che è una e non fa che svolgersi continuamente e formare il vero principio e perpetuo della vita dello Spirito), è lo stesso che rendere eterna la decadenza intellettuale e morale del nostro grande, ma sventurato paese; etc. 6 Mio caro Pasqualino, è un lavoro difficile, ma debbo farlo. È tempo oramai di dire la verità tutta, e di finirla con una falsa dottrina che ci è stata cagione di tanta rovina; è tempo di parlare senza scrupoli e di chiamare, come si suol dire, pane il pane e vino il vino. Senti un aneddoto. Mamiani, al quale io non ho mandato il mio lavoro, non già per orgoglio, ma per la mia solita trascurataggine, al quale io non mi son fatto né nominare, né raccomandare, scrive ad un suo amico di aver letto la prima parte del mio articolo, di averlo trovato lucidissimo e dottissimo; che io sarei un prezioso acquisto per l’Accademia Italica etc.;7 che è vero che io sono hegeliano, cioè non professo la filosofia italica (quale?), ma che io sosterrei le parti dell’Alemagna ed essi (gli Accademici) quella dell’Italia, e dalla discussione nascerebbe sempre un bene.8 Vedi dunque che anche per questa piccola cagione io debbo scrivere ciò che confusamente ti ho detto di sopra. Riconoscerai quel Proemio di Hegel che leggevamo insieme? Mi ha costato una dura fatica. Leggilo tutto e non ti arrestare alle prime pagine che sono un po’ crude e secche; va innanzi, fino alla fine, che ci sono delle cose bellissime. Quanto alle mie cose materiali, non ho nulla a dirti: promesse molte e da molti che qui sono i primi; ma io non credo che ai fatti. Gazzera, al quale mi raccomandò Vieusseux, mi vuol molto bene, e dice di volermi far professore etc. Ma io tiro innanzi alla meglio, e sono, non lodato, ma tranquillo e libero. Se non altro qui penso ed ho la coscienza del mio pensiero. Da un pezzo non ho notizie di Silvio; le lettere di Napoli non vengono sin qui. Immagina quanto sia addolorato per questo! Camillo9 è tornato da qualche tempo e ti saluta carissimamente. Siamo sempre insieme e discorriamo di filosofia continuamente. La nostra è una vita tutta ideale: quando si può pensare e comunicare il proprio pensiero a chi t’intende, non si può desiderare di meglio in questi tempi infelici; epperò siamo non tanto sfortunati. 6. Cfr. a questo proposito il «Programma di lavoro del 1851» (BNN, XVI.C.1.1.15, cc. 4), redatto il 9 maggio 1851 presso la Biblioteca dell’Accademia delle Scienze di Torino, il cui schema è riportato da Alessandro Savorelli, Le Carte Spaventa della Biblioteca Nazionale di Napoli, Napoli, Bibliopolis, 1980, pp. 56-57. 7. Nei mesi successivi Bertrando fu nominato socio dell’Accademia di filosofia italica e la sera del 23 giugno 1851 lesse in una pubblica adunanza il saggio Dei principî della filosofia pratica di G. Bruno, poi pubblicato nel 1852 a Genova tra i Saggi di filosofia civile tolti dagli «Atti dell’Accademia», a cura del sgr. G. Boccardo (Tipografia del regio Istituto dei sordo-muti, pp. 440-470). Lo stesso Spaventa ne curò la recensione nel «Progresso» del 24 giugno 1851, n. 147 (cfr. Gentile, Bertrando Spaventa, pp. 32-33, nota 2). 8. Il Mamiani, in una lettera a Luigi Carlo Farini dell’ottobre 1851, raccomandava all’amico di seguire l’attività dell’Accademia e lo invitava a spronare «lo zelo di Caracciolo, Spaventa, Bertini e di altri veramente devoti allo speculare» (in Epistolario di L.C. Farini, a cura di Luigi Rava, Bologna, Zanichelli, 1914, III, p. 561). 9. Angelo Camillo De Meis.
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Tu, mio caro Pasqualino, mi scriverai una lunghissima lettera. Mi dirai delle tue cose e dei tuoi studi. Come è finito il tuo affare col Dottore? E i miei benefattori10 che fanno? Credo che avranno finito di parlar di me e mi abbiano già dimenticato. Tu parlami di loro, e raccontami qualche cosa. Tu sai che io amo immensamente Firenze ed amo di ricordare e non di dimenticare. Dimmi ciò che sai e chiaramente; qualche aneddoto, per esempio; fammi ridere. Salutami l’amenissimo e bellissimo Novi, Monzani ed altri che mi ricordano. Mando a Berardi una copia11 etc. Ossequiami Savarese. Addio. Scrivo di fretta. Tu rispondimi subito e lungamente. Parlami di Firenze; io ti ricambierò con una lunga cicalata sopra Torino ed altro che mi riguarda. Addio. Addio. Ci rivedremo? Bertrando tuo BAV, Carteggio Villari, 503-505 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 518-521, e in Pellicani, Sedici lettere, pp. 49-50).
25 A Giuseppe Del Re [Torino, 7 maggio 1851] Mio carissimo Peppino, Non ti ho risposto ieri, perché non andai alla posta per la solita mia balordaggine. Ti scrivo appena che ho ricevuto la tua. Mi dispiace che sii tanto imbarazzato per la Signora La Cecilia. Se io potessi, romperei le corna a quel pazzo di suo marito.12 Che ha fatto? Quando non si ha giudizio con sette figli, per Dio si cessa di essere uomo. Ma forse io ho torto, perché non so bene il fatto. Dunque termino qui. Ma ad ogni modo fa pietà quella povera donna, e tu fai bene a prendere tanto interesse per lei. Ma se non conchiudi, come pare, nulla a Genova con l’Eccellenza Massima, che farai? Se tu potessi, faresti bene a soccorrerla e a farla restare costà; ma nella tua aurea situazione finanziaria, come aiutarla? È vero che ci potrei pensare io, ricco come sono oltre misura, ma… Lasciando lo scherzo, io credo che farai bene a radunare qualche somma e rimandarla in Corsica a casa sua. Povera donna! a meno che non potessi situarla costà. Dunque la libreria è morta. 13 E tu sei andato a cantarle il funerale. Vedi di sotterrarla e liberartene una volta per sempre. Cerca di fare e di adoperarti pel giornale. La Rivista pare che debba morire. 14 Nulla si è conchiuso; sempre nuove e stupide difficoltà. Cose da muovere lo stomaco, e l’altra sera per poco non la contai chiaro a Mancini, il quale mi facea gonfiare i coglioni con le sue paglietterie. È un buono e bravo e rispettabile uomo, ma certe volte! Cazzo, io non ho 10. Ironicamente rivolto ai Pignatelli. 11. Dei principî della filosofia pratica di G. Bruno. 12. Giovanni La Cecilia (1801-1880), scrittore napoletano in esilio, aveva scritto a Del Re il 14 aprile 1851 da Ajaccio, chiedendo aiuti economici. 13. A Genova Del Re aveva fondato la Libreria Patria, gabinetto di lettura e punto d’incontro per gli esuli meridionali. 14. La «Rivista italiana», cui entrambi collaboravano, aveva terminato, infatti, le sue pubblicazioni alla fine del 1850 (cfr. lettera 21, nota 57).
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molta pazienza. Quanto al Comitato filosofico non esiste che di nome.15 Per me se continua così, andrò a spasso la domenica, invece di star seduto a sbadigliare. Fortunato te che sei stato auditore di una disputa filosofica. Spero che ne avrai profittato pel bene dell’anima tua. La mia vita è sempre la stessa, cioè monotona, cogliona, balorda. La mattina presto fuori, la sera presto in casa. Ho cominciato oggi appunto a stendere il mio lavoro sopra Bruno.16 Vedremo. Ma ho la testa un po’ grossa, e avrei bisogno di certe evacuazioni. Ma sono senza denari. Vedi di far bene le mie veci tu in Genova, come le facevi a Torino. Ti prego di non darti angustia, e di tornare in buona salute. La salute, sopra tutto, mio caro Peppino, e il resto è nulla. Di Francia non so altro che quello che leggo nei giornali: è una vera confusione! Quanto alle Polliotti, eccomi a servirti. La Paolina17 dovea partire ieri con Francette. Io non l’ho accompagnata per non disturbarla nella via dal dire il santo rosario, e sono rimasto qui. Oggi il Cesare mi ha lasciato un biglietto d’invito. Forse andrò con lui a ripigliarla a Pinerolo. Della Margherita18 nulla! neppure un saluto: io sono offeso mortalmente per questo e farò le mie grandi vendette. Camillo De Meis è in letto, ma non è nulla; una febbre reumatica che è finita in 24 ore. Mi pare che non debba dir altro se non che ritorni presto; e togliti da tutte coteste seccature. Vedi di sapere qualche cosa di Napoli e dei nostri e di Silvio e della sua causa. Sento che sia venuta la moglie di Madia: potrebbe dirti qualche cosa. Se saprai anche un nulla, scrivimelo, che pagherò volentieri 4 soldi per una tua carissima lettera. Addio. Bertrando BCF, Carte Piancastelli, Ba 188 (inedita).
26 A Giuseppe Del Re [Torino,] 10 maggio [1851] Mio caro Peppino, Ti scrivo per raccontarti un sogno che ho fatto nella scorsa notte. Ho sognato di aver trovato sulla strada una grande quantità di monete d’oro. Immagina se io non le abbia raccolto e portato in casa a contemplarle e bearmi la vista. Quando ecco che mi sveglio, e non mi trovo nessuna moneta in mano, a meno che non vogli considerare come tale l’origine e lo strumento d’ogni peccato. Questo è il sogno, e credimi che l’ho fatto da vero. Ecco ora ciò che non è sogno, ma forse potrebbe divenir tale, e forse da meno di un sogno. Ieri dunque, incontrai per via Correnti, 19 il quale mi domandò con molta premura di te e del giorno del tuo ritorno (rima spontanea). Io gli risposi con un forse (non ti offende15. Il Comitato filosofico, presieduto da Carlo Boncompagni, era la sezione torinese dell’Accademia di filosofia italica. 16. Cfr. lettera 24, nota 7. 17. Paolina Clara Polliotti. 18. Margherita Polliotti. 19. Cesare Correnti (1815-1888), patriota e letterato milanese, responsabile con Antonio Colombo e lo stesso Del Re della mai realizzata «Collana storica» (cfr. lettera 23, nota 2).
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re), gli diedi i tuoi saluti, che gli avea già mandati per mezzo di Colombo, dissi altre due, tre o quattro parole (tu sai che più non ne dico), ed era sul punto di accomiatarmi (bel verbo), quando il sullodato Correnti mi disse: «Daelli20 ha scritto da Capolago ed ha mandato una lettera per te, nella quale ti incarica di tradurre i 4 volumi del Raumer 21 con quelle condizioni che furono stabilite con del Re. Ma possiamo essere sicuri del pagamento? Io non dubito già di Daelli, ma potrebbe la sua situazione essere d’impedimento alla coniugazione del verbo solvo solvis (supino = solutum, participio passato). Ad ogni modo bisogna aspettare che ritorni del Re, per vedere quid agendum». Io gli risposi che avrei fatto quello che voi (cioè tu e Correnti) mi avreste consigliato nella vostra saggezza, che te ne avrei scritto subito. Ed andava via, quando mi richiamò, e mi disse: «scrivi a del Re che tornasse presto presto, perché ci è anche da fare una cosa importante ed è necessaria la sua presenza (Gegenwart)». Io non volli dimandare di che si trattava, e promisi di scriverti. E ti ho scritto. Ora sta a te di giudicare se ti convenga o no di tornare subito. Io ti lascio tutta la libertà di elezione (liberum arbitrium sui libertas indifferentiae). Che hai fatto pel giornale? E ti do un amplesso. Addio. Bertrando tuo BCF, Carte Piancastelli, B a 188 (inedita).
27 A Pasquale Villari [Torino,] 5 agosto [1851] Mio carissimo Pasqualino, Ieri ebbi la lettera di Camillo. 22 Ha ricevuto la mia con la memoria e la supplica. Le ho fatte presentare da Cibrario23 al Ministro, il quale le ha accolte benevolmente; e dopo pochi giorni che il primo rivide il secondo, il secondo disse al primo, che gli era sommamente piaciuta la memoria e che si era persuaso del mio merito (complimenti costituzionali), ma che (terribile ma) egli dipendeva dal Consiglio universitario, tutti i membri del quale (membri coglioni) aveano un impegno particolare; che ciò non ostante avrebbe fatto quanto fosse stato in suo potere, ma (altro ma) avrebbe temuto (Ministro coraggioso) l’ostacolo del Consiglio. Con tutto questo pasticcio di coglionerie, Camillo non si perde d’animo e mi dice che vi è a sperare, e si aiuta di Mancini e di Pisanelli,24 e specialmente di Cibrario. Riserba 20. Luigi Daelli (1816-1882), editore e tipografo. Diresse dal 1848 al 1853 la Tipografia Elvetica di Capolago. 21. Friedrich L.G. Raumer, Geschichte der Hohenstaufen und ihrer Zeit, 6 voll., Leipzig, Brockhaus, 1823-1824. Nel piano della «Collana storica» (riportato da Rinaldo Caddeo, Le edizioni di Capolago. Storia e critica, Milano, Bompiani, 1934, pp. 90-92) si può leggere il titolo previsto per la traduzione: Istoria degli Hohenstaufen. Prima versione italiana coi raffronti di tutte le opere italiane e straniere che trattano lo stesso argomento, e col corredo d’importanti documenti editi e inediti. 22. Angelo Camillo De Meis. 23. Luigi Cibrario (1802-1870), storico, economista e uomo politico, più volte ministro nel governo piemontese. 24. Giuseppe Pisanelli (1811-1879), giurista e uomo politico meridionale esule a Torino. Più volte ministro di grazia e giustizia dopo l’Unità, fu deputato del regno d’Italia dall’VIII alla XIII legislatura.
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Balbo25 per un colpo decisivo. Queste mi paiono quelle macchine del tuo amico e mio Signore Abate Marc… e che forse, a mio credere, avranno lo stesso fine. Ciò non pertanto io fo quello che mi dicono e lego l’asino dove mi comanda il padrone, cioè la necessità. Intanto Camillo vorrebbe che io facessi qualche altra coserella. E la farò. Ma come stamparla, se io sono qui fra questi fottuti ebrei, che proprio mi sento crepare? Vedi, non ci è altri che te che possa aiutarmi. Adunque tu devi parlare per me col Direttore del Costituzionale26 o con Bianchi, 27 per sapere se mi volessero fare il grandissimo favore di pubblicare nell’appendice dei loro Giornali alcuni pensieri filosofici sopra un certo argomento etc. etc. e poi tirarmene una ventina di copie a parte. Tu sei un uomo influentissimo e volendo (del che non dubito) potrai indurre gli altri a volere. Adunque fa e scrivimi subito la risposta. Camillo ti saluta e mi dice di te: «Non ho scritto a Pasqualino. Ha ragione di credermi il più sciagurato coglione; ma io ho confessato che merito più che questo. Il suo opuscolo mi è molto piaciuto; ci sono dei nobilissimi pensieri e l’insieme non mi pare che sia concetto volgare». Lascio di scriverti, perché sono chiamato dalle solite seccature. Addio. Aspetto tue lettere lunghe lunghe. Io sono qui solo, solo. Sarebbe per altri una disperazione di gittarsi a mare, ma io mi fotto anche della disperazione e sto crepando tranquillo. Addio di nuovo. Bertrando BAV, Carteggio Villari, 532-533 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 522-524, e in Pellicani, Sedici lettere, pp. 50-51).
28 A Giuseppe Del Re Borgosesia, 19 [settembre 1851] Mio carissimo Peppino, Non ti ho scritto sinora, come era mio desiderio, perché appena giunto in questa piccola terra di Borgosesia, che Dio la benedica, è cominciata un’acqua disonesta, al dire della beata anima di Carlo Botta,28 e così brutta, che mi è venuta una grande melancolia e mi è sembrato proprio di essere caduto non so dove. Aggiungi un fierissimo dolor di testa, quale io non ho patito mai nella mia gloriosa carriera di trentatré anni, e potrai farti una debole immagine del mio stato. Oggi sto alquanto bene; ma per mia somma disgrazia non posso né leggere né scrivere né parlare, e debbo star lì muto e sfaccendato a guardare… che cosa? Non so; ma parmi di vedere o meglio di riconoscere certi segni, che mi recarono sempre grande tempesta. Sarà, non sarà. Oramai io sono un uomo, che non valgo più 25. Cesare Balbo (1789-1853), storico e uomo politico piemontese, divenuto capo del governo nel 1848. 26. Quotidiano, uscito a Firenze dall’11 giugno 1849 all’8 maggio 1852, dapprima vicino alla politica del papa e del granduca Leopoldo e in seguito al governo piemontese. 27. Celestino Bianchi (1817-1885) giornalista e uomo politico, fu direttore de «Il Nazionale», quotidiano soppresso dal governo toscano nell’ottobre 1850. 28. Carlo Botta (1766-1837), storico piemontese esule in Francia negli anni della Restaurazione.
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a nulla, neppure a vagheggiare le sciocchezze della vita. Tu forse sospetterai di qualche cominciamento di avventura; ma ti opporresti male. È una cosa incomprensibile, anche a me medesimo; è un non so che fuori del tempo e dello spazio, proprio d’un grande intelletto filosofico, qual è il mio! Avea ragione il cantore di Caligola che il genio si riconosce alla pazzia. Se è così, io sono il più gran genio del mondo, perché non solo non divento pazzo, ma comincio ad istupidire. Ho bisogno di vedere il sole, e da che ho abbandonato i portici della deliziosa Torino, invano desidero un raggio del maggior Pianeta della natura, come diceva a sproposito un nostro antenato. Mentre che ti scrivo, mi ricomincia a dolere il capo, e le idee mi si confondono. Vedi quanto io sia degno di pietà. Maledetti paesi piccoli! che sarebbe se fossi in un bugigattolo d’Abruzzo? Domani partiremo pel Lago Maggiore, io, Boschi, Robecchi,29 un Signore, Madama Boschi ed un’altra graziosa Madama giovanissima con certi occhi grandi e neri (lo dico solo a te, che sei artista) da farti ricordare Partenope. Di Napoli che nuove? Scrivimi se ne hai. Salutami Correnti e Forni se li vedi, e dì loro che il dolor di capo mi ha impedito sinora di scrivere una riga pel Progresso.30 Abbraccia e bacia per me la tua bellissima Clotilde. Ossequia le Signore Polliotti, e fa le mie scuse, se la mia sbadataggine mi fece partire, senza vederle. Addio. Bertrando BCF, Carte Piancastelli, B a 188 (inedita).
29 A Terenzio Mamiani Torino, 6 ottobre 1851 Egregio Signore Conte Mamiani, Tornato ieri in Torino dopo 15 giorni di assenza per cagioni di salute, ho trovato la sua gratissima lettera, la quale m’invita a spedirle quella mia memoria su Bruno.31 Io sono pronto a mandarla, ed ho voluto scriverle ora, solamente perché non attribuisse a qualche altra cagione il mio silenzio. Domani la trascriverò; non so se ne sarà contento, specialmente per la troppa libertà, che potrebbe offendere qualche filosofo o non filosofo scrupoloso. Ad ogni modo, decida Ella. E sono con distinta stima Divotissimo Bertrando Spaventa BCF, Carte Piancastelli, B a 188 (inedita).
29. Giuseppe Robecchi (1806-1874), sacerdote e uomo politico piemontese esponente della Sinistra; come giornalista fece parte del comitato direttivo del «Progresso» e successivamente del «Diritto». 30. Primo esplicito riferimento alla sua collaborazione al quotidiano di Depretis e Correnti, pubblicato dal 7 novembre 1850 al 21 dicembre 1851. 31. Cfr. lettera 24, nota 7.
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30 Ad Angelo Camillo De Meis [Torino,] 20 novembre [1851] Mio caro Camillo, Perdonami se non ho risposto subito alla tua lettera parigina.32 Che vuoi? Scrivi qua, scrivi là; scarabocchia articoli ogni giorno, e non resta neppure il tempo di gittare due righe sulla carta pel migliore dei miei amici non-politici, quale tu sei. Adunque, mio caro Camillo, Parigi ti piace sino alla follia e ti fa ricordar Napoli? Credo che abbi ragione. Dicasi quel che si voglia di questi buoni taurini; siano predestinati da Dio ad essere il primo principio della rigenerazione italiana! Se la vita deve consistere in quello che accade ogni giorno sotto i portici, io non ne voglio sapere. Che morte! Che nullità! Ma che importa a te di Torino? Dunque non te ne parlo. Veggo che sei repubblicano come eri prima, cioè per la Francia ed in Francia. Benissimo. Non ci è bisogno di dirti che sia io. Io forse sono fuori del tempo, e però, se m’intendo dell’ultima fase politica dell’umanità, non so nulla del presente. Io sono come quei dannati di Dante, che vedevano l’avvenire e non quello che accadeva hic et nunc. Tu sei più positivo di me, e però ti prego a dirmi che cosa temi o speri; se ci converrà far fagotto per l’America o per Napoli. Ho veduto Massari, il quale mi ha detto di aver ricevuto la tua lettera da Lione e che non ti ha risposto con la Signora Marchesa,33 perché non sapeva se eri giunto a Parigi. È pieno di entusiasmo pel nuovo libro di Gioberti.34 Massari avea una gran paura che quegli avesse mutato consiglio ed idee; io non ho potuto ancora legger l’opera. Ma, se Massari è contento, bisogna dire che Gioberti non ha mutato assai. Sento però che i puri piemontesi non siano sodisfatti, perché gli ha chiamati municipali e beoti. Che insolenza! Io dovrei maledirti mille volte, mio caro Camillo; perché, dacché sono stato così crudelmente abbandonato da te, sono rimasto solo, e non mi è accaduto di parlare delle cose mie con alcuno. Tutti pensano alle cose di questo mondo, e noi spesso ci occupavamo di quelle dell’altro. Avrei dovuto non risponderti, perché, dopo avermi fatto spendere due franchi (e con sommo mio piacere), mi raccomandi di francarti le lettere (con sommo mio dispiacere). Per conciliare la differenza ti mando la presente per mezzo del buon Sprovieri.35 Quanto all’Hegel, se si tratta di cento franchi, commettilo senza ritardo, e fra un mese ti manderò la somma. Ma tu sei troppo egoista, e quel che è peggio non ti vergogni di dirlo. Sai che io non sono che un perfetto proletario, e vuoi che io compri l’Hegel per te? Ti giuro che non te ne farò leggere neppure una riga. Se fossi un vero galantuomo, ricco come sei, avresti dovuto tu medesimo spendere cento franchi e farmi un regalo dell’opera, a me che non ho nulla, né avrò mai. Altro è dire, altro è fare; e finché tra questi 32. De Meis, appena giunto a Parigi, aveva scritto a Bertrando il 6 e il 12 novembre 1851 (lettere edite in B. Spaventa, Unificazione nazionale ed egemonia culturale, a cura di Giuseppe Vacca, Bari, Laterza, 1969, pp. 303-309). 33. Costanza Arconati (1800-1871), moglie del marchese Giuseppe (1797-1873), patriota lombardo esule in quegli anni a Torino, dove entrambi tennero un salotto liberale. 34. Vincenzo Gioberti, Del rinnovamento civile d’Italia, Parigi-Torino, Bocca, 1851. 35. Francesco Saverio Sprovieri (1826-1900), generale e deputato del regno d’Italia dalla XII alla XVI legislatura, fu nominato senatore nel 1891.
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due termini io veggo contraddizione, mio carissimo Camillo, sarò sempre un miscredente… della tua ortodossia. Vorrei che ti pigliassi collera, e per darmi torto spendessi i cento franchi. Addio, parlami di Parigi; ma lascia gli studenti, che ci sarà sempre tempo a discorrerne e dimmi delle cose del giorno e delle politiche. Addio. Peppino del Re e gli altri ti salutano. Saluto Castorani. Addio, mio caro filosofo egoista. Addio. Salutami Parigi. Dimmi qualche cosa delle scuole di filosofia a Parigi. Va per me alla Facoltà delle lettere e al Collegio di Francia. Bertrando SNSP, XXXI.D.7.1 (ed. in Croce, Ricerche, pp. 29-30, e in B. Spaventa, Opere, III, pp. 849-851).
31 Ad Angelo Camillo De Meis Torino, 16 dicembre [1851] Mio caro Camillo, Tu sarai in collera con me, perché non ho risposto subito alle due tue bellissime lettere, delle quali ho profittato in questi giorni, che una notizia di Parigi si vendeva a peso d’oro.36 Mi pare inutile il dirti quanta sia stata la mia meraviglia dopo tutto quello che è avvenuto. Oramai che ogni cosa è dominata dall’accidente e dal caso, non rimane che guardare ed osservare. Ci sono certi tempi, in cui pare che le leggi necessarie e razionali, che governano la vita dei popoli, siano come sospese, e l’idea, lo spirito o quel che diavolo sia, si nasconda e si ritiri nel fondo dell’esistenza e degli avvenimenti, per modo che non basta la più acuta intelligenza e la più accesa voglia di speculare a scoprirlo e riconoscerlo. Allora la vera regina di questo mondo sembra la forza e l’arbitrio degli uomini, e la vita non ha alcun pregio. Se in molti paesi prevaleva questa condizione da tre anni, al presente pare che tutti siano d’un colore, se pure il nero merita di essere così chiamato. Epperò puoi bene comprender quale sia lo stato dell’animo mio. Quando pure non volessi badare alle cose che accadono fuori, come non addolorarmi per le conseguenze che i casi di Francia produrranno nella nostra povera Napoli? E quegli infelici carcerati! Ho ricevuto da pochi giorni, una lettera di Silvio. 37 È afflitto, perché non gli giungono mie nuove né mie lettere, mentre io gliene ho scritto molte in pochi mesi. Ora non ho alcun mezzo per fargli pervenire una lettera, tutti mi si negano, e, per tentare anche l’impossibile, mi varrò della posta. Di qui, che debbo dirti? Chi piange, chi ride, chi è indifferente e chi è più ardito e fidente che prima. Io non sono tra questi, perché sono in una specie di stupore intellettuale, non avendo sino ad ora potuto penetrare il significato degli ultimi fatti. Mi pare ancora di sognare; e per verità la vita non è altro che sogno ed apparenza, quando non è compresa.
36. Cfr. le lettere dei primi di dicembre 1851 (ed. in B. Spaventa, Unificazione nazionale, pp. 309-312), in cui De Meis fornisce un ampio resoconto delle vicende relative al colpo di Stato del 2 dicembre. 37. Cfr. la lettera di Silvio Spaventa del 12 novembre 1851 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 103).
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La baldanza vigliacca di certuni e la timidità paurosa di altri non mi cagiona né meraviglia né sdegno. Bisogna aspettare, ed io ho imparato dalle disgrazie, se non altro, la pazienza. Ti ripeto, che devi perdonarmi se non ti ho scritto prima, né credere che il mio silenzio sia effetto di poco amore. La cagione è stata, che avea l’animo svogliato, arido, e nondimeno dovea occuparmi di certe faccende ingratissime, e tu sai quali. Aggiungi, che non ho con chi dire una parola, e non ho mai sentito come ora, il vuoto. Quando ritornerai? Si parla qui di certe piccole misure contro la stampa. Si vorrebbe che i governi esteri fossero rispettati, e che le maestà borboniche fossero trattate con più riguardi. Quanto al resto, nulla di nuovo: la stessa tranquillità, lo stesso ordine, lo stesso silenzio sotto i portici e per le vie. Oh! beata Torino! Ma io ne sono già annoiato, e pure mi è forza di stare. Aspetto tue lettere e tali che io possa farne quell’uso che conviene. Quanto all’Hegel, aspetto anche tuo avviso. Io ti manderò i cento franchi, sebbene, ti ripeto, stante la tua borghesia e la mia condizione perfetta di proletario, avresti tu l’obbligo di farmene un regalo. Ma con tutte le tue grandi virtù, tu sei un eccellente egoista, per mia disgrazia. Non dico per ischerzo. È qualche giorno che è morta quasi improvvisamente la madre della Lauretta.38 Considera l’afflizione di questa povera donna. Mi fa pietà. L’esilio, le disgrazie pubbliche e le private! Se vedi Gioberti, dimmene qualche cosa, particolarmente della sua filosofia acroamatica, se ne ha. Hai letto il Rinnovamento?39 Che te ne pare? Io per me non ci trovo nulla che non avessi letto altrove, e mi pare egli più originale, se non più ragionevole, nelle altre opere. SNSP, XXXI.D.7.1 (ed. in Croce, Ricerche, pp. 30-31, e in B. Spaventa, Opere, III, pp. 851-853). Lettera incompleta, da Gentile datata al 1852 e da Croce non integralmente edita nella parte conclusiva.
38. Laura Beatrice Oliva (1821-1869), poetessa e moglie di Pasquale Stanislao Mancini. 39. Cfr. lettera 30, nota 34.
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32 A Silvio Spaventa [Torino,] 18 gennaio 1852 Mio carissimo fratello, Ho ricevuto la tua lettera del 4 gennaio,1 alla quale ho già risposto. Colgo quest’altra occasione per scriverti di nuovo. Risposi anche più volte alla tua lettera del 12 Novembre,2 e da Maggio te ne ho scritte tante e per sì diverse vie, che non ricordo più il numero. Ora so da te medesimo che non te n’è giunta alcuna; il che mi addolora moltissimo. Tu intanto credi che io mi sia dimenticato di te. Come ti è potuto venire in mente questo pensiero. Tu non sai quante sono le difficoltà che abbiamo noi per indirizzare una lettera a una persona che è in carcere; e quando ci vien fatto di mandarla, non siamo sicuri che giunga al suo destino. Tu che conosci quanto io ti ami e come sei stato sempre l’unico mio pensiero, avresti dovuto attribuire a tutt’altra cagione, che a una dimenticanza la mancanza di lettere mie. Se la presente ti giungesse, ti prego a credere sempre nel mio amore per te e ad esser certo che noi non facciamo altri voti che per voi, non ragioniamo che di voi, non siamo dolenti che della vostra sorte. Io sarei, non dico felice, ma tranquillo, se tu fossi con me; non posso ancora abituarmi nel pensiero, che tu debba essere separato da me, noi che siamo stati sempre insieme. Non so nulla del tuo giudizio; le lettere, nelle quali tu me ne parlavi, non mi sono giunte. Io ti raccomando di essere tranquillo e sereno di animo; oramai non ci resta che la virtù, l’onore e la dignità della sventura. Abbi cura della tua salute, per quanto potrai: cerca di vivere e di conservarti3 all’amore di tuo fratello. Addio, Silvio. Non scrivo più, perché lo spazio mi è limitato. Immagina quello che vorrei dirti. Addio. Amami. Animo. Bertrando Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 19-20).
1. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 110. 2. Ivi, p. 103. 3. Vacca: «conformarti».
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33 A Pasquale Villari [Torino,] 1 maggio [1852] Mio caro Villari, Non so capire come vada il tuo lunghissimo silenzio! Sei vivo o sei morto? Io ti ho mandato il mio piccolo lavoro sopra Hegel.4 Ti è giunto? L’hai letto? Perché non dirmi nulla? Per Dio, sei un coglione più grande di me, che quando ti metti a star zitto, non ti sveglierebbe la tromba del giudizio finale. Animo, dunque, e scrivimi subito, altrimenti ti maledirò. Son già due mesi che lavoro sulla filosofia italiana del secolo decimosesto. 5 Che uomini! Spero di fare qualche cosa, che ti piacerà. Addio – rispondimi, e voglio una lettera in carta velina, carattere chiaro, piccolo, e di otto pagine, altrimenti la divorerò prima di leggerla. Dammi pure di quelle notizie che mi fanno ridere: aneddoti, mio caro Pasqualino. Sei muto? Ho bisogno di tue lettere. Addio. Addio. Bertrando BAV, Carteggio Villari, 525 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 525-526, e in Pellicani, Sedici lettere, p. 51). Che si tratti del 1852 si ricava dal riferimento agli studi sulla filosofia del XVI secolo.
34 A Terenzio Mamiani Torino, 3 giugno [1852] Stimatissimo Signor Conte, Non prima di ieri ho ricevuto la stampa della mia Memoria,6 perché non avendo che poche o quasi nessuna corrispondenza epistolare, non arrivo alla posta che una o due volte la settimana. Le dico questo particolare insignificante, perché mi scusi del ritardo che ho posto involontariamente nel rinviarle la stampa corretta. Mi raccomando a lei, perché le correzioni siano eseguite, essendo che gli errori erano gravissimi e rendono il senso guasto e spesso assurdo. Se fosse possibile di avere dal tipografo una ventina di copie stampate a parte, ella adoperandosi mi renderebbe un favore singolarissimo. Compenserei io medesimo il tipografo della carta ed altro. 4. Si tratta degli Studii citati nella lettera 15, nota 23. 5. Studi pubblicati con il titolo Frammenti di studii sulla filosofia italiana del secolo XVI, in «Monitore bibliografico italiano», nn. 32-33, 1852, (ristampati da Primo Di Attilio, Rivoluzione, partiti politici e Stato nazionale. Nuovi testi di Bertrando Spaventa, Milano, Giuffrè, 1983, pp. 179-190). 6. Il saggio Dei principî della filosofia pratica di G. Bruno compreso nel volume degli «Atti dell’Accademia di filosofia italica» (cfr. lettera 24, nota 7). Sempre con data 3 giugno 1852 Gentile pubblica una lettera di Mamiani a Bertrando (scritta probabilmente il 3 maggio, come risulta dall’altra data riportata in calce), nella quale si sollecita la restituzione delle bozze corrette (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 167).
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Le rinnovo i sentimenti di stima e mi protesto Devotissimo Servo Bertrando Spaventa BCF, Carte Piancastelli, Ba 188 (inedita).
35 A Silvio Spaventa [Torino,] 28 giugno 1852 Mio caro fratello, È molto tempo che non mi giungono tue lettere: l’ultima fu una piccolina letterina,7 composta appena di due righe, la quale mi fu recata da un tuo compagno. È pure da qualche tempo che non mi si è offerta occasione di scriverti, perché quelle che avea sinora, le ho trovate sempre cattive, quantunque me le dicessero buone, anzi ottime. Ti ricordi che per dieci mesi non ricevesti alcuna mia lettera? Ebbene: io ne avea consegnato e spedito almeno 10, e nondimeno nessuna ti giunse. Spero che questa letterina ti giungerà.8 Ti scrivo, perché tu non pensi che io mi sia dimenticato di te, perché non posso altrimenti mostrarti che io sono sempre verso di te quello che era prima, se non con lo scriverti. Ti scrivo perché tu mi dia nuove di te, le quali mi mancano interamente; né mi hai mai parlato delle cose tue, le quali, tu sai, mi premono più delle mie. Perché non dirmene qualche cosa, quando ti si è offerta l’occasione? Io sono in grandi angustie per questo. La maggior pena che si possa soffrire nel nostro caso è quella di non aver notizia dei più cari. Se questa mia ti giunge, ti prego di scrivermi a lungo e dirmi particolarmente delle cose tue: voglio sapere tutto. Ho bisogno di ripeterti che io sono sempre lo stesso verso di te? Che io ti amo e stimo, come forse, perdonami, non ho mai fatto, e pure ti ho amato e stimato tanto? Che io ho d’uopo del tuo amore e della tua convinzione che io ti ami infinitamente? Vi hanno alcune situazioni, nelle quali le parole servono poco o nulla, e questa è la mia. Io sto bene in salute; e mi basta ciò. Addio. Attendo tue lettere. Tante cose alla famiglia. Addio. Salutami ed abbracciami tutti i tuoi amici e colleghi. Il tuo Bertrando Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 20-21).
7. Forse quella del febbraio 1852 (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 110-111). 8. Frase omessa da Vacca.
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36 A Silvio Spaventa Torino, 25 luglio [1852] Mio carissimo fratello, È questa una delle tante lettere che ti scrivo da qualche tempo, e spero che ti giungerà. Dopo lungo aspettare, dopo timori e dolori infiniti, ho avuto finalmente notizie di te per diverse vie. Ho riveduto anche i tuoi caratteri, sebbene la lettera non fosse indirizzata a me. Risposi per lo stesso mezzo, e mi hanno assicurato che la lettera mia ti sarà ricapitata. Non ho potuto leggere la tua senza lagrime, pensando allo strazio ineffabile che tu devi patire lontano da me, dagli amici, dal mondo; a tutto si aggiunge, come suggello, la mancanza di mie notizie, e mi dicono, e so io per prova, che tu vivi sconsolatamente, oltre ogni credere. Ma pure non conviene che a tanti dolori ti aggiunga anche quello più insopportabile dell’immaginazione; chi sa che cosa tu pensavi di me, o Silvio? E perché, piuttosto, non attribuire la mancanza di mie lettere a cagioni più facili e naturali, invece di ricorrere a quelle che hanno dell’impossibile e ti facevano maggiore angoscia? Ti ho sempre raccomandato di non essere in pensiero mai per me; io sto bene in salute, anzi mai sono stato così; l’unico dispiacere che provo è l’essere lontano da te e dalla famiglia; l’essere lontano da te è tal pensiero che non viene meno per abitudine e tempo, anzi cresce sempre di forza; io posso patir tutto, esilio, povertà, etc. ma la lontananza da te non non [sic] posso patirla. Parlo sempre di te con me stesso, con gli amici, e checché legga o scriva penso sempre a te, e mi avveggo che mi manca ciò che è tutto per me, mi manchi tu, al quale io solevo comunicare ogni mio affetto, ogni pensiero, che più che fratello per natura, m’eri amico, anzi un altro me stesso, per elezione. Quando non vedi lettere mie, pensa al lungo giro che debbono fare prima di giungere costà, e quanti pericoli debbono incontrare per via, maggiori sempre di quelli che spettano alle lettere che vengono. Ad ogni modo però tu devi sempre essere certo del mio amore per te, al quale si è aggiunto, dopo questi anni di tanta sciagura per noi, rispetto, ammirazione, devozione. O Silvio, io non ti so dire che cosa ora tu sei per me! Non ho notizie della famiglia; se puoi, dille di me quello che sai. Io aspetto tue lettere e lunghe; ti raccomando sempre di attendere alla salute, quanto puoi costà; vivi, o Silvio, e conservati all’amor mio e di tanti che ti conoscono e stimano. Non ti dico di essere di buon animo; so ed ho saputo il tuo coraggio ammirabile. Saluta per me ed abbraccia i tuoi compagni; anche da parte degli amici di qui. Noi pensiamo sempre a voi; parliamo sempre di voi. Addio, Silvio. Bada alla salute: animo, ancora per me quanto ne ho per te. Il tuo Bertrando9 Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 21-23). Vacca riporta la seguente nota di Beltrani: «Bertrando, nel riordinamento scrisse a lapis 1853. Ma questa è del 1852». La datazione è confermata anche dal contenuto della lettera di Silvio a Bertrando del 4 settembre 1853 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 136-139).
9. Annotazione di Beltrani: «Sul margine della copertina, d’altro carattere ed inchiostro: Mandoj ossequia ed abbraccia il suo affettuoso amico Spaventa unitamente a tutti i suoi compagni di sventure, augurando loro prospera e buona salute».
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37 A Pasquale Villari Torino, 11 febbraio 1853 Mio carissimo Villari, È gran tempo che io non ti scrivo, e credo che sarà grandissima la tua meraviglia nel ricevere la presente. Comunque sia andata la cosa, non è questo il luogo di fare una storia lunga e di dirti quali impicci, noie e simili cagioni mi abbiano impedito di scriverti come e in quel modo che avrei desiderato. Ma temo che l’esordio non sia più lungo del discorso. Ecco il motivo per cui ti scrivo. Io non so la tua presente fortuna; so però l’animo tuo. In breve, se questo non fosse impedito da quella, avrei bisogno grande, urgente, assoluto, che tu mi mandassi prima della fine del mese corrente un po’ di denaro – non più di 15 scudi né meno –, che io ti restituirei tra due mesi, se, come sono certo, sarò pagato d’un piccolo lavoro che sto facendo. 1 Ma come, perché? Che giova fartelo sapere? Sarebbe, ti ripeto, una storia lunga, che non si può scrivere. Quello che ti raccomando, è – possa o non possa tu rendermi questo favore – il silenzio con tutti, anche amicissimi. Attendo subito una tua risposta, avendo fede nella tua discrezione… Il tuo Bertrando BAV, Carteggio Villari, 506-507 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, p. 527, e in Pellicani, Sedici lettere, pp. 53-54).
38 A Silvio Spaventa [Torino,] 25 luglio [1853] Mio carissimo fratello, È gran tempo che non mi giungono tue lettere e nemmeno tue notizie. Noi non sappiamo più nulla né del vostro stato né della vostra salute, e puoi comprendere come e 1. Nella lettera del 22 febbraio 1853 Villari fornisce una risposta negativa alla richiesta di Bertrando (cfr. SNSP, XXVI. D.2.3).
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Epistolario
quanto io sia afflitto per questa cagione. Ti ho indirizzato diverse lettere e per diverse vie, anche per la via di Firenze, stata così buona e sicura una volta.2 Io non so più a chi ricorrere per avere novelle di te e per fartene pervenire delle mie. Tanto più sono addolorato, perché non ricevendo mie lettere tu potrai pensare che io conservi poca memoria di te. Non ti direi questo, se in varie tue lettere, che mi scrivesti, or sono molti mesi, non mi avessi rimproverato d’una colpa che non poteva essere mia. Persuaditi, che le difficoltà che abbiamo noi di farvi giungere sicuramente le nostre lettere sono più grandi e qualche volta più insuperabili delle vostre. Ci sono molti, i quali si offrono e spacciano canali sicurissimi; ma poi sono frutti3 della stessa natura; anche la pietà e la misericordia hanno il loro ciarlatanesimo in questo mondo. Mi dispiace che in una lettera non posso dirti cose insignificanti per se stesse, ma pure tali che spiegano come le mie lettere non ti siano giunte. Spero che questa non abbia la stessa sorte. Intanto sappi che l’ultima tua lettera che mi sia giunta è stata quella, che consegnasti al tuo compagno di abitazione, che ora si trova qui. 4 Puoi immaginare quale fosse stata la mia consolazione nel parlare con lui di te e delle cose che ti riguardano; consolazione mista però di dolore. Quello che più mi duole, è che tu non mi hai mai scritto del giudizio, al quale sei sottoposto.5 Ti ho domandato tante volte i particolari, i quali certamente doveano importarmi assai; ma inutilmente. Io non te ne fo un rimprovero; ma ti dico ciò perché se puoi, appaghi questo mio desiderio. Quanto a me, non ti posso dir altro se non che vivo e non penso che alla tua condizione; in comparazione della quale non vi ha sventura che mi possa riuscire insuperabile. Ormai sono pronto ad ogni prova. Non credere però che io parli così, perché sia in cattivo stato; voglio dirti solamente, che non devi stare in pensiero per me. Ho bisogno di farti le solite raccomandazioni, cioè di attendere alla salute? Quanto all’animo, non ho dubbio alcuno. Un altro giovine, anche tuo compagno, è venuto qui e ci ha dato nuove di voi. Ti dico finalmente che io sono sempre il medesimo verso di te, quantunque condotto a tale, che non posso far altro che scriverti: sempre il medesimo, e ti amo e ti stimo come ho fatto sempre e più se è possibile. Pongo da parte questo pensiero, perché mi fa divenir pazzo. O mio caro fratello, io non posso persuadermi ancora che tu debba essere separato da me. Addio. Amami e salutami la famiglia alla quale darai nuove di me. Dimmi come sta e se Clotilde è maritata. Vorrei sapere ancora se Berenice è contenta. Io non ho scritto mai ad esse, perché ho temuto di far loro qualche male. Perché non mi scrivono? A loro è più facile che a me e possono farlo senza inconvenienti. Quando penso che ormai sono 9 anni che non le riveggo, mi pare di vivere in un altro mondo. E papà come sta? O Silvio, addio; cerca di vivere e di conservarti all’amore infinito che ti porta il tuo fratello Bertrando. P.S. È insito che ti dicessi6 di rispondermi, ma pure te lo dico. Addio di nuovo. Addio. Originale perduto, già in BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201 (ed. in Vacca, Gli hegeliani, pp. 6-8); copia in BCT, mss. C. 179. Alla lettera è aggiunta una strisciolina di carta su cui si legge: «Questa lettera è invece del 25 luglio 1853». A conferma di ciò, cfr. anche la lettera di Silvio a Bertrando del 4 settembre 1853 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 136-139).
2. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 132-133. Vacca: «buona a ricevere una volta». 3. Vacca: «tutti». 4. Pasquale Stanislao Mancini. 5. La vicenda del processo per i fatti del 15 maggio si concluse il 14 ottobre 1852 con la commutazione della condanna a morte in quella dell’ergastolo. 6. Vacca: «È inutile che ti dica».
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39 Ad Angelo Camillo De Meis [Torino,] 28 luglio [1853] Mio caro Camillo, Ti scrivo dal quinto cielo dell’inferno di santa Teresa; dico cielo per quello che sai dell’altezza, del continente e del contenuto; dico inferno pel caldo grande, che fa, e così forte che sudo a maraviglia. Ti scrivo, che or ora ho finito di pranzo, qui, proprio qui, con ai fianchi la terribile Isabella7 e la pacifica e quieta Lutgarda. A proposito: oggi è la festa di Santa Elisabetta, non so se la ungherese, o la, la… non ricordo di quale altra nazione, forse napoletana o abbruzzese. Adunque oggi è Santa Elisabetta; e per conseguenza Isabella la terribile ha voluto che io avessi mangiato con lei. Sai! mi ha dato un pranzo da farmi stordire, fatto e apparecchiato dalle sue mani, a costo di un fiume di sudore e di malanni e fastidio. Intanto ti dico altro: tu non hai scritto sinora né a me né ad altri, che io sappia. Perché? Queste buone ragazze mi chiedono sempre notizie di te, credono che tu mi abbia scritto e che io non voglia far sentire loro la lettera, forse, forse perché; insomma sospettano quello che non ci è, e veramente non ci è nulla, perché tu non mi hai scritto mai. Isabella non è stata troppo bene questi giorni; si lagna, si lagna sempre, e sere fa mi facea certi discorsi da farmi arrabbiare. Diceva che era finita per lei, che non ci era rimedio, che etc. Io volea farci venire Tommasi,8 ma non ci è stato bisogno, perché è stata o si è trovata un po’ meglio. Scrivi a me o a lei, e toglile di capo, da quel capo così buono e così duro ad un tempo quella fantasia. Lutgarda anche si lagna e chiama tutti traditori etc. Ed io sento, sento e sto zitto. Che debbo rispondere? Continuo a divertirmi con Torre.9 Ho buone ragioni per credere che la traduzione non sia sua, ma di un suo discepolo. Nel secondo volumaccio ci sono corbellerie tali, che non si possono pensare come cose di un professore, sia anche piemontese. Sono seccato e seccato. E tu che fai? Come hai trovato la Signora Amalia? Se tu credi di ossequiarla per me, mi fai un grandissimo piacere. Salutami anche gli amici. Salvatore è partito per Genova. Io sono, al solito, solo, la sera vengo qui a dire qualche parola, ad arrabbiarmi e far arrabbiare. La mattina non veggo nessuno. Il caffè10 è deserto, perché non ci sei tu; e quella bestia di padrone ha tolto anche l’associazione del Siècle. Il mio giornale è il Fischietto, e quando non ho dormito la notte e patisco d’insonnia prendo il Parlamento. Addio, Camillo, scrivimi subito e dimmi quando verrai. È vero che io sono un plebeo, ma pure tu che non sei nobile forse sei quanto me cafone puoi scrivermi senza perder della tua dignità etc. Questa frase mi è venuta sotto la penna, e l’avrei voluta e dovuta cancellare; ma quel che è fatto è fatto. Isabella mi sta a lato e agita il ventaglio e mi fa gelare il sudore. Ella e Lutgarda mi raccomandano di salutarti solamente e non più. Addio. La carta finisce e ti abbraccio. Bertrando SNSP, XXVI.D.2.3 (inedita). Il luogo e l’anno sono ricavabili dal riferimento alla traduzione italiana dell’opera di F.J. Stahl, Storia della filosofia del diritto, Torino, Favale, 1853.
7. Isabella Sgano, futura moglie di Spaventa, a lui sopravvissuta e morta nel 1901. Vale per le occorrenze successive. 8. Salvatore Tommasi (1813-1888), fraterno amico di Bertrando negli anni dell’esilio, medico e docente universitario; senatore del regno d’Italia dal 1864. 9. Pietro Torre, traduttore dell’opera di Friedrich Julius Stahl, Die Philosophie des Rechts, Heidelberg, Mohr, 18472, sopra menzionata. 10. Il caffè La Perla, ritrovo degli esuli a Torino.
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40 Ad Angelo Camillo De Meis [Torino,] 14 agosto [1853] Caro Camillo, Rispondo di fretta alla tua. Non ho veduto Scialoja11 né Leopardi12 per l’affare di Marvasi,13 perché sto poco bene da qualche giorno; ma so di certo e da buona fonte, che si è pensato a tutto l’occorrente; me l’ha assicurato questa mattina Trinchera, 14 il quale ti saluta tanto. Ma tu non sai il meglio; tra quelli a cui si spedisce il passaporto da qui ci è anche il nostro De Sanctis!15 Capisci? Di modo che lo avremo qui tra noi, fra pochi altri giorni. Intanto fa di ritornare, anche per questa cagione. Vi ha di più, io non mi sento affatto affatto bene. Ho bisogno di un medico, e non ci sei né tu né Tommasi. Stamattina ho scritto a Ciccone.16 Sono dieci giorni che soffro un catarro, costipazione, non so come si chiami nella parte destra della testa sino giù al naso, e non posso far nulla. La mattina dò fuori qualche volta pel naso ma più spesso per la bocca una materia brutta e puzzolente. È tutta cosa del naso; né ci è ombra di tosse; ma m’incomoda assai. Vieni: che so? Dovessi stirare la pelle? Oh alla fine dei conti, un po’ prima, un po’ dopo, è lo stesso. È uscito il volume di Stahl tradotto dal Signor Pietro Torre e annotato da R. Conforti con una prefazione di quest’ultimo.17 Massari viaggia nella Svizzera con gli Arconati.18 Tommasi fa i bagni a 11. Antonio Scialoja (1817-1877), giurista ed economista napoletano, più volte ministro dopo l’Unità. 12. Pier Silvestro Leopardi (1797-1870), uomo politico abruzzese, esule a Torino dopo il 1848; deputato del regno d’Italia nell’VIII legislatura e senatore dal 1865. 13. Diomede Marvasi (1827-1875), amico fraterno di Spaventa, avvocato e deputato. Come riferirà in una lettera successiva a Silvio (cfr. lettera 43, Torino, 20 marzo 1854), Marvasi fu arrestato ed esiliato nel febbraio 1853. Nell’autunno di quell’anno giunse a Torino, dove andò ad abitare da Bertrando. In seguito alle annessioni del 1859-1860, gli venne offerta la cattedra di diritto costituzionale all’Università di Modena, insegnamento che accettò, ma che non svolse. In occasione della liberazione dell’Italia meridionale dai Borboni, ritornò, infatti, a Napoli il 6 agosto 1860 in compagnia di Francesco De Sanctis e Angelo Camillo De Meis. Dal dicembre di quell’anno, ricoprì l’incarico di sottosegretario del Ministero di polizia della luogotenenza, che lo portò a collaborare con Silvio Spaventa allora segretario generale del Ministero dell’interno. 14. Francesco Trinchera (1810-1874), letterato e pubblicista pugliese, esule a Torino; dal 1861 direttore degli archivi delle province napoletane. Tradusse sulla 3a edizione francese la Filosofia di Kant di Victor Cousin (Napoli, 1862). 15. Francesco De Sanctis (1818-1883), che di De Meis era stato maestro a Napoli prima del 1848, fu imbarcato per l’esilio dalla polizia borbonica il 3 agosto 1853: l’11 gli scriveva da Malta per avere il passaporto (cfr. F. De Sanctis, Epistolario. 1836-1853, a cura di Giovanni Ferretti e Muzio Mazzocchi Alemanni, Torino, Einaudi, 1956, p. 169). Nel 1860 fu nominato da Garibaldi governatore della provincia di Avellino e successivamente direttore dell’istruzione. Nel 1861, nel governo Cavour, svolse per un anno l’incarico di ministro della pubblica istruzione, richiamando, tra gli altri, Bertrando Spaventa all’Università di Napoli. 16. Antonio Ciccone (1809-1894), medico ed economista, compagno d’esilio di Bertrando, fu ministro dell’agricoltura, industria e commercio nel secondo governo Menabrea (22 ottobre 186813 maggio 1869). Deputato del regno d’Italia nell’VIII e X legislatura e senatore dal 1870. 17. Cfr. lettera 17, nota 41. 18. Giuseppe e Costanza Arconati.
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Genova. Essendoci spazio ti dico anche un’altra cosa; ci siamo incontrati io e Mancini in una casa e abbiamo fatto un lungo discorso di questo e di quello; poi ci siamo veduti un’altra volta; e sere sono venne a trovarmi, che io era a letto etc; di modo che mi conviene di andare a casa sua; non è vero? Vedi poi che non sono così intrattabile come dici tu; e se sono nato da genitori plebei e sono qualche altra cosa che non sono stato mai, non cesso di essere quel gran fesso o buon uomo che fui, sono e sarò sempre. Ti dico ciò a proposito di Stahl. Ma mi spiegherò meglio in appresso. Che vuoi caro Camillo! Beato te! Io che non so nulla, debbo lavorare e contentarmi di quello che mi si dà! Non è un favore, di non si sa chi, se si vive, quando si dovrebbe morir di fame? Non ho veduto ancora Isabella e Lutgarda, e la lettera mi è venuta qui a casa. Te le saluterò. La prima sta piuttosto bene, solamente l’altra sera ebbe tre leggiere e brevi convulsioni, perché forse io la tormentai un po’ troppo; l’altra sta anche bene e mi domanda sempre di te, di De Meis. Addio. Salutami il povero Giura. 19 Ritorna subito. Bertrando SNSP, Stahl.
XXVI.D .2.3
(inedita). Anche qui il luogo e l’anno sono ricavabili dal riferimento alla traduzione dello
41 A Giuseppe Del Re [Torino, 1853] Mio sempre caro, se ti piace, sebbene non mai più veduto da un secolo, Signor Giuseppe Del Re, Mi è stato detto (non so da chi, perché io sono e non sono in questo mondo, e vivo tra cielo e terra in un oceano di astrazioni, che non sono né carne né pesce) che tu hai edificato sulle Alpi di Pinerolo una Specola,20 dalla quale da valente astrologo che sei sempre stato contempli non solo le cose visibili dell’universo celeste, terrestre ed infernale, ma anche qualche cosa di più e ti addentri con l’aiuto del tuo infallibile telescopio (dico bene?) anche nei misteri più reconditi e profondi della nostra divina madre e generatrice comune, la natura. Benissimo! Io pure, come sai da un pezzo, sono uno speculatore, cioè un filosofo; e sebbene dovessi essere in collera con te, perché pare che tu voglia venire in concorrenza con me e rubarmi il mestiere, tu che prima non eri che un semplice letterato, poeta, galante, e che so io, nondimeno ti voglio dare una larghissima assoluzione ed anzi darti animo a proseguire nei grandi segreti della speculazione. Specula o Peppino; è il meglio che si possa fare in questo mondo. Se non che io sono uno speculatore speculativo e tu un positivo. Sento che ti fai ricco, ricchissimo. Tu crederai che ti dica ciò, perché voglia partecipare da buon fratello ai prodotti della tua speculazione; ma non è vero. Io non ti scrivo per aver denari, ma per valermi della tua grande influenza speculatoria, della tua parola, del tuo gran nome in Pinerolo, delle tue relazioni più o meno intime con ambo i sessi, insomma di Peppino fondatore, direttore, scrittore, gerente, amministratore, e che 19. Luigi Giura (1795-1864), ingegnere e uomo politico meridionale, ministro dei lavori pubblici nel governo di Garibaldi a Napoli. 20. «La Specola delle Alpi», giornale da lui fondato e diretto.
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so io, della Specola, affinché ottenga quello che ti dirò più sotto. Vedi bene che la filosofia non mi ha fatto dimenticare la rettorica. Avrei potuto, per muovere il tuo cuore, parlarti di patria, d’italianità, di fratellanza universale, dei millenarii, della fine del mondo, cioè del comunismo mondiale; ma sono cose un po’ vecchie, e forse tu stesso avresti riso delle mie anticaglie. Ma prima di venire al punto, continuo la mia distinzione: tu dunque positivo, io speculativo speculatore; io spero sempre e non ottengo mai nulla dalla speranza, tu l’hai presa alle spalle, te ne sei impadronito, ne fai quello che vuoi, e così hai risoluto il gran problema di mutarla in realtà e farle cavar denari. Così la tua professione presente = speculare = corrisponde al significato vero etimologico di questo gran vocabolo. Speculare significa: andare là alla speranza. Bravo! Vengo al quatenus. Ti mando venti copie di una poesia che tu conosci già. Mi spiego prima: non voglio che tu mi mandi del tuo denaro; so che già ne pigliasti 10 copie. Ma si tratta di questo: puoi darne qualcuna o tutte a Pinerolesi tuoi amici, dicendo che si tratta di che si tratta? Tu già lo sai di che si tratta; di pagare la stampa. Ti ripeto, se puoi; e ti dico ciò solamente, perché so che vuoi. Se ne puoi distribuire, bene; se no, non ti affliggere, e non dire che i petulanti tuoi fratelli ti vogliono perseguitare sino costà ai piedi delle Alpi nel tuo ritiro. Nò, nò, nò, io non ti perseguito, né ti dico la borsa o un fastidio insopportabile; ma solamente: mettici la tua parola, potere, sapere, etc., e non denaro. Hai capito? Spiegamo [sic] il bene. Patti chiari, amici cari. Marvasi ti saluta caramente e memore delle tue promesse di accoglienze cordiali e liete forse verrà a dividere con te i diletti della speculazione speculativa. Io non so se posso venire, perché sono in un mondo di affari, cioè di nullità. Addio e rispondimi. Il tuo Bertrando BCF, Carte Piancastelli, B a 188 (inedita). La data è ricavabile dal riferimento a Pinerolo, dove Del Re si trasferì, ospite di D’Ayala, a partire dal 1853.
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42 Allo zio Benedetto Croce [Torino,] 14 febbraio (1854) Dacché vivo così lontano da Napoli e da tutti i miei, e corre oramai il quinto anno, mi sono consigliato più volte a scrivervi qualche lettera, per chiedere notizie di voi e della vostra e della mia famiglia; ma poi non ho avuto mai l’animo di farlo, temendo di non recarvi piacere. Voleva principalmente ringraziarla dei buoni uffici e delle sollecitudini più che paterne, onde voi e zio Onorato1 avete sollevato la presente miseria del povero mio fratello, e dimostrarvi tutta la mia gratitudine ed ammirazione profonda per un atto così bello di affetto e di carità, tanto rari in questi tempi. Qui, in paese nuovo, in mezzo ad uomini di costumi e d’animo tanto diversi dai nostri, distolto per dura necessità dalle mie tranquille e modeste abitudini, senz’altro aiuto che me stesso e la poca capacità dell’ingegno, senz’altro conforto che la rassegnazione e la esperienza di lunghe e gravi sventure, io ho ricordato sempre con amore la vostra persona e le beneficenze, delle quali siete stato sempre largo verso di me. Più volte costretto dal bisogno a dure ma oneste fatiche per vivere sotto questo cielo, dove la vita è così dispendiosa e difficile, e non avendo alcuno al mondo, al quale rivolgermi, ho pensato di ricorrere a voi, fidando che non mi aveste del tutto dimenticato. Ma pure ho durato e duro ancora e durerei sempre così, se non fosse il danno che me ne viene non dico alla salute, ma alla mente, che sebbene scarsa, è tutta la proprietà che io ho al mondo. Vi ha un certo genere di lavori, che quantunque procacci pel momento qualche utilità e faccia vivere, estenua nondimeno tutte le forze dell’intelletto e del corpo, per modo che l’avvenire sia una continua minaccia di nullità e di bisogno insuperabile. A me non dispiace il lavoro, e voi stesso sapete che sin dall’età di diciotto anni sono vissuto sempre lavorando, e se non sempre ho fatto bene e se ora sono in questo stato, la colpa non è tutta mia né di alcuno, ma anche di certa necessità più forte del volere. Ma ciò che mi dispiace e mi nuoce è il lavoro così a caso, incerto, che ora ci è ed ora non ci è; dove il procacciarselo costa più fatica che l’eseguirlo, e quando credete di aver fatta qualche cosa e poter vivere tranquillamente almeno un mese, vi accorgete di 1. Benedetto e Onorato Croce erano gli zii materni, che ospitarono e aiutarono i due fratelli Spaventa durante il loro soggiorno a Napoli prima del 1848. Lo zio Benedetto, nato nel 1792, morì pochi mesi dopo.
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non essere riuscito che a vivere per lavorare sino al punto, che col lavoro finisce il mezzo di vivere. Qui non ci sono, come a Napoli, scuole private in casa propria o di altrui; tutto è in mano dell’università, la quale è una specie di cittadella, che si apre di rado ai forestieri, tanto numerosi e non sempre, per naturale gelosia ed egoismo, amati o tolerati dai cittadini. Io non ho alcuna professione speciale, e quando pure l’avessi, non sarebbe gran cosa; perché qui per esercitare legalmente una professione bisogna essere cittadino, e la naturalità si ottiene difficilmente e per gravi cagioni. Non potendo né insegnare, né professare, ho dovuto scrivere; ed infatti mi sono occupato in varii lavori, parte originali e parte di traduzione, specialmente dal tedesco, per lo più di argomento filosofico; e il tutto, senza mia colpa, forse con più gloria che profitto. Né io me ne lamento, che tale è la condizione di chi lavora a questo modo. Ora mi sono risoluto e a ciò sono anche mosso dal consiglio di persone intelligenti ed autorevoli, a fare qualche cosa di maggiore lena e che mi fruttasse se non forse più riputazione, almeno più utilità che non i lavori staccati, dispersi e senza ordine che ho condotto sinora. Ma per questo ho bisogno di smettere un poco la vita errante della letteratura, alla quale anche volendo non potrei più sobbarcarmi, né è sempre certa e sicura, perché richiede più gagliardia di corpo che io non ho, e di concentrare tutte le mie forze intorno ad un oggetto, se non unico, almeno principale; né ciò posso fare senza il vostro soccorso. È un vero miracolo come io abbia sinora menato innanzi la vita da me per quattro anni in questo paese; né io vi avrei raccontato in questa lettera la mia presente condizione, se ora non fossi spinto dalla necessità e con una salute non tanto florida da continuare nel genere delle fatiche durate sin qui. Io non credo di aver tanto merito presso di voi da guadagnarmi tutta la vostra attenzione e sollecitudine; ma so pure di non aver tanto demeritato, che vi convenga di dimenticarmi ed abbandonarmi assolutamente. E ciò che dico a voi, valga anche per zio Onorato. Io non vi chiedo molto, che i miei bisogni son pochi e la mia vita è umile e modesta; quello che vi chiedo è che mi soccorriate mensilmente di tanto che aggiunto a qualche mio piccolo lucro possa darmi comodità di lavorare e menare innanzi senza strazii la vita e dimostrarvi un giorno tutta la mia riconoscenza, più che non ho saputo e potuto fare nel passato. Nell’età, alla quale sono giunto, io dovrei bastare finalmente a me stesso e non chiedere soccorso ad alcuno; ma qui sono come una povera pianta divelta dal terreno nativo e voi solo potete confortarmi e temperare con la vostra beneficenza l’amarezza del mio stato. Forse quello che vi chiedo è anche troppo; ma io non ho altri che voi, e ciò mi fa sperare che vogliate pigliare in buona parte questa mia lettera e rispondermi favorevolmente. Io non posso ora far altro che pregare Dio, perché conceda a voi salute e prosperità e a me il tempo e l’occasione di esservi grato. Ossequio zia Luisa,2 pregandovi di ricordarmi ai vostri figli che saluto caramente. Sono Il vostro affezionatissimo nipote BNN, XVI .C.3.6 (ed. da Giuseppe Tognon in appendice a Eugenio Garin, Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, Napoli, Bibliopolis, 1983, pp. 48-51).
2. Luisa Croce.
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43 A Silvio Spaventa Torino, 20 marzo 1854 Mio carissimo Silvio, Sembra destino che le tante lettere che io ti scrivo e t’invio, come meglio posso nelle grandi difficoltà di comunicazioni, non ti giungano che di rado! E tu intanto credi che io mi sia quasi dimenticato di te! Così ai veri dolori del tuo stato aggiungi altri peggiori, i quali non hanno quella cagione che l’amore grandissimo, che tu mi porti, ti fa immaginare. Tu mi conosci, o Silvio, e sai quanto debba riuscirmi amaro ogni tuo lamento contro di me, mentre io non ho nessuna colpa, e sanno gli amici e so io medesimo tutte le vie e le industrie che tento, per farti arrivare una mia lettera. Alla tua del 4 settembre 1853,3 che mi giunse felicemente e presto, risposi per la via di Firenze, valendomi della cortesia di un amico, che mi diceva di avere un mezzo sicuro. Non contento di questo, profittai delle offerte del Mancini, al quale avevo affidato altre due lettere. Più: ti scrissi per la via di Malta e per mezzo della legazione inglese. Che posso io fare di più? La stessa tua lettera del 20 gennaio non mi è giunta che or sono tre o quattro giorni. Se consideri la difficoltà maggiore che incontrano le lettere, che partono di qui, vedrai che io non ho alcun torto verso di te. Se tu mi avessi indicato prima il mezzo del Napolitano,4 forse a quest’ora avresti ricevuto molte lettere e saresti meno afflitto. Non è già che io voglia farti neppure l’ombra di un rimprovero; ma solo ti voglio dire e ripetere che io non ho colpa alcuna; che io ti amo sempre come e più di prima; che nella solitudine quasi perfetta in che vivo o nella oscurità per l’avvenire, tu sei per me l’unico oggetto che vedo, amo e penso. È inutile che ti aggiunga altro; il mio amore per te si è mutato, è divenuto qualcosa di divino: io ti amo come un ideale, come un giorno insieme amavamo entrambi (unica consolazione nelle nostre perpetue disgrazie) la virtù, la scienza, la verità. E tanto più io penso a te, o Silvio, ora che le virtù sono così rare, e sembra siasi rifugiata [sic] negli ergastoli e nelle galere. Qui non ho che pochi amici, anzi pochissimi, forse uno solo: De Meis. Non voglio dire che gli altri sieno cattivi, ma sono uomini, uomini come il mondo d’oggi li fa senza colpa loro; e voi siete uomini antichi, troppo grandi per questi tempi guasti. Nondimeno io ho speranza di rivederti, e se mi lamento così, non è mia intenzione di crescerti dolore; ma ti scrivo seguendo il movimento dell’animo senz’ordine e riflessione. Sì, spero di rivederti e di narrarti tutta la storia di questi cinque anni di disinganni, di ammaestramenti, di dolorose esperienze. Io dico spessissimo a taluni che si lagnano qui di certe loro sventure (e chi non ne ha patito?), che noi non abbiamo il diritto di lamentarci; che la nostra non è disgrazia, quando si considera il vostro stato. E intanto tu sei rassegnato e sublimemente tranquillo! Né ti lamenti della tua condizione, ma ti addolori solamente, perché non ricevi mie lettere, quasi che l’ergastolo fosse un nulla. Non avea io ragione di dire, che noi siamo inferiori alle nostre sventure? Ma basti di ciò. Io non mi lamento di nulla: l’unica mia sventura è la tua. Nella lettera inviata all’amico di Firenze ti avea scritto lungamente di me e delle mie cose, perché tu me ne domandavi con così viva istanza. In verità ci era poco da dire, 3. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 136-139. 4. Cesare Napolitano, amico dei fratelli Spaventa ed esule a Malta, incaricato di far pervenire la corrispondenza a Silvio nel carcere di Santo Stefano.
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ma pure ti avea scritto due piccoli fogli di carta. Ti diceva che continuava specialmente gli studi filosofici; che qui mi ero sentito rinascere, mentre a Firenze, città come sai bellissima e a me oltremodo simpatica, mi sentiva venir meno l’intelletto. Ma dopo cinque mesi della mia venuta qui, cominciai a scrivere di politica, di lettere etc.,5 in modo che io medesimo non avrei mai immaginato di me, facilmente, quasi quotidianamente a piacere; e ciò per 20 mesi, che poi seccato e infastidito del giornalismo, ritornai con più amore agli studi della filosofia; ho pubblicato qualche cosa, ma di piccolo volume, che non ti ho potuto mandare per mancanza di occasioni. Ora sono occupato in un lavoro di maggior lena: qualche cosa sulla filosofia del secolo XVI in Italia come forma della moderna.6 Lo scrivere, che fo, mi serve di studio; forse troverò chi pubblicherà il lavoro. Qui di filosofia si sa poco o nulla, e sono ancora al dogmatismo prima di Kant. E poi una ipocrisia filosofica che fa paura. Io lessi, tre anni or sono, una breve memoria sulla filosofia pratica di Bruno; 7 fu uno scandalo; per poco certi inquisitori non mi bruciavano vivo.8 Nondimeno qui si vive bene, ed io vivo tranquillissimo. Scrivendo a Papà e alle sorelle dì loro che io sto bene, e infatti io non sono stato mai così bene in salute; sarà forse l’aria o altro. Non ho più da quattro anni quei dolori di stomaco. Eppure è una grande consolazione per me che la tua salute sia buona. Qui ti ripeto e raccomando quello che ho detto sempre: bada alla salute: per ora è la cosa principale. Io so che tu soffri immensamente; ma ho fede nell’animo tuo invitto ed indomabile. Ti vorrei dire di più; ma se questa lettera ti giunge e tu mi rispondi, ti scriverò più lungamente di me. Ora lascio un po’ di carta a Marvasi, col quale sono nella stessa casa. Chi ce l’avrebbe detto anni sono? Intanto amami come io ti amo, e sii certo che non ti dimenticherò mai. Il tuo carissimo fratello Bertrando Saluto caramente Settembrini 9 e tutti i tuoi compagni. Coraggio! Addio, Silvio! Amami. Saluta la famiglia, e dì a lei tante cose per me. Dammi notizie delle sorelle. Sono tutte maritate? Anche Enrichetta?10
5. Chiaro riferimento alla sua collaborazione al «Progresso» nel 1851 (cfr. lettera 28, nota 30). 6. Cfr. il saggio Del principio della riforma religiosa, politica e filosofica nel secolo XVI apparso ne «Il Cimento» di Torino, 31 gennaio 1855, pp. 97-112; 15 marzo 1855, pp. 369-384, e 15 ottobre 1855, pp. 568-577 (rist. nei Saggi di critica filosofica, politica e religiosa, I, Napoli, Stabilimento tipografico Ghio, 1867, pp. 269-328). 7. Cfr. lettera 24, nota 7. 8. Cfr. a questo proposito le recensioni apparse nel «Risorgimento» del 24 giugno 1851 e nella «Croce di Savoia», del 22 e 23 giugno 1851. L’unica recensione che rende giustizia al saggio su Bruno è quella di Ausonio Franchi nell’Appendice alla filosofia delle scuole italiane: «il discorso di Spaventa, l’unico in cui la filosofia apparisca trattata da un filosofo, l’unico di cui avrebbero potuto gloriarsi gli Atti di un’Accademia diventa la censura più severa, per non dire la satira più acerba, dell’Accademia italica e della sua filosofia» (Genova, Tipografia Botto, 1853, pp. 217 ss.). 9. Luigi Settembrini (1813-1876), compagno di cella di Silvio; letterato e professore universitario. Fu senatore del regno d’Italia dal 1873. 10. La sorella Enrichetta, di cui Bertrando chiedeva affettuosamente notizie, era invece morta tre anni prima, il 7 gennaio 1851 (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 140, nota 2). Silvio nella lettera del 20 novembre dello stesso anno spiega al padre come Bertrando ignori ancora la notizia della morte della sorella (cfr. la trascrizione conservata nella BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201).
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Mio caro, Avrai saputo come io nel febbraio dell’anno passato sia stato di nuovo imprigionato e poi esiliato dal regno con passaporto per l’America. Quel che tu non sai, gli è che da sei mesi sto a Torino, ove abito insieme al tuo buono Bertrando. Noi parliamo di te continuamente, e tuo fratello mi ode a dire di tutte le tue sventure con un’ansia e con una tenerezza che può essere compresa solo da te. Noi soffriamo anche noi i vostri dolori; ma con qual coraggio parlarne a te che soffri tanto? Quando noi ricordiamo le tue sofferenze dimentichiamo le nostre; e quasi ci crederemmo felici, se potessimo per poco staccarci col pensiero da te e da tanti altri. Ricordati di me, caro Silvio, che t’ho amato tanto; e se l’affetto dei tuoi antichi amici può valere a confortarti alquanto, sappi che il tuo nome, il tuo cuore, e la tua virtù sono scolpiti nel cuore di tutti. Addio, caro Silvio, addio. Salutami il Settembrini e l’Agresti.11 Sta sano. Diomede Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 23-25).
44 A Felice Le Monnier Torino, 23 marzo 1854 Stimatissimo Signore, Il Signor Pasquale Villari, mio amico, mi scrive, che ella accoglie di buon grado la mia proposta di ristampare le opere italiane di Giordano Bruno13 ed acconsente che io non solo le illustri con note e prefazioni, ma aggiunga anche un mio lavoro originale sulla filosofia del Bruno. Ella, adunque, mi perdoni, se ora le indirizzo la presente lettera e le manifesti per sua regola e norma tutto il mio intendimento. 1. L’edizione di tutta l’opera comprenderà tre volumi della sua Biblioteca; cioè due volumi conterranno le opere italiane del Bruno con le mie note, correzioni e prefazioni, e l’altro il mio lavoro originale; per modo che quelle e questo possono formare due pubblicazioni separate. 2. Le prefazioni e le note saranno fatte particolarmente a ciascuna opera del Bruno. 3. Il mio lavoro originale formerà, come le diceva, un volume a parte. Esso sarà, a dirla brevemente, una esposizione scientifica della filosofia del Bruno considerata in sé stessa e nelle sue relazioni coi principali sistemi di filosofia anteriori, contemporanei e posteriori che hanno più stretta attinenza con essa. Ho detto esposizione scientifica, perché non sarà né un sommario, né una semplice dichiarazione di tutto il corpo14 della filosofia del Bruno, per esempio un compendio delle sue molte opere italiane e latine, come è stato fatto da 12
11. Filippo Agresti (1797-1865) patriota, compagno di carcere di Silvio. 12. Felice Le Monnier (1806-1884), tipografo ed editore attivo a Firenze dal 1831. 13. Cfr. la lettera del 9 febbraio 1854 (ed. in Vacca, Gli hegeliani, p. 11), in cui Villari invitava lo Spaventa a illustrare all’editore il piano dell’opera. Notizie sul progetto dell’edizione sono contenute anche nelle lettere di Villari e di Silvio a Bertrando del 1° e 15 marzo 1854 (SNSP, XXVI. D.2.3) e del 4 maggio 1855 (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 180-181). 14. D’Orsi: «corso».
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qualcuno, con l’aggiunta poi di alcune idee o osservazioni generali, che dicono poco o nulla più del compendio. Che direbbe ella, se qualcuno volendo esporre per esempio la filosofia di Platone facesse un estratto, come si suol chiamare, e nulla più, di tutti i dialoghi del filosofo ateniese? Ciò che manca nel Bruno non è la materia filosofica, la quale anzi soprabbonda, ma l’ordine e la deduzione logica, cioè la forma o, come oggi si chiama e si vuole a ragione, la scienza della filosofia. Se Bruno vivesse in questo secolo, e posto anche che pensasse,15 quanto alla sostanza della sua dottrina, come pensava nel secolo decimosesto, io tengo per certo che egli darebbe un’altra forma intrinseca al suo sistema. Ora quello che io ho tentato di fare è il trovare questa16 forma scientifica, deducendola dalla mente stessa del Bruno e presentando in una figura vivente ciò che, per la veste che l’avviluppa, sembra morto ed è ancora pieno di vita. Questo elemento vivo ed immortale del pensiero di Bruno si manifesta in doppio modo: nei sistemi che precedettero la sua filosofia (specialmente di Raimondo Lullo e del Cardinale di Cusa) e in quelli che vennero dopo di lui (specialmente Leibnitz e Schelling, etc.), senza eccettuare i contemporanei (Cesalpino, Cremonini, Zabarella, etc.). Quindi la necessità di considerare la filosofia di Bruno anche nelle sue relazioni con altri sistemi: considerarla, per usare di una espressione volgare, come effetto e come causa. Questa duplice relazione è la vera vita d’un sistema filosofico. Perdoni se mi dilungo, ma perché le sia aperto tutto il mio pensiero aggiungo altro ancora. Chi oggi volesse scrivere di filosofia, toccando non una o più parti di essa, ma componendo un sistema intero, comincerebbe per esempio dall’esporre il concetto che egli ha di questa scienza, l’oggetto di essa, il fine, la dignità, il metodo, e cose simili; poi stabilito il concetto fondamentale dividerebbe la scienza nelle sue parti essenziali poniamo la filosofia speculativa o logica, la filosofia della natura e la filosofia dello spirito (antropologia, psicologia, diritto, morale, politica, filosofia della storia, arte, religione); finalmente direbbe: la scienza non è semplicemente né quel concetto fondamentale né la somma di queste parti, ma qualche cosa di più, cioè la loro totalità organica, e questa è la filosofia. Ebbene in Aristotele si trova più o meno questo processo organico; in Platone poco o nulla; o, meglio, non apparisce, e neppure in Bruno. Tra le opere del quale non si trova per esempio una che tratti del concetto fondamentale, un’altra della filosofia speculativa, una terza della filosofia della natura, e così via; ma tutte queste parti sono trattate in questa e quell’opera promiscuamente, sebbene più o meno principalmente. Che deve dunque fare chi voglia esporre scientificamente Bruno? Rifarlo, in una parola, o ricostruirlo; per esempio posto che quella divisione della filosofia sia vera e si derivi veramente dal pensiero di Bruno, comporre da tutta la materia sparsa nelle sue opere un tutto ordinato ed organico: un sistema. Questo io intendo per esposizione scientifica. Quanto alle relazioni, è una parte che si connette intimamente con la esposizione. Non dico più, perché le sarei troppo noioso. Di ciò ho scritto meno brevemente al Signor Villari, il quale potrà darle più chiare informazioni. Aggiungo solo, che in questa parte va compreso naturalmente un esame critico della filosofia italiana d’oggi, non che la considerazione della filosofia di Bruno a rispetto dello sviluppo generale della filosofia moderna. 4. Quanto al tempo che ella dovrebbe concedermi per compiere tutto il lavoro, compreso le note, le prefazioni e le correzioni del testo di Bruno, le dirò francamente che io intendo di fare qualche cosa, che se sarà indegna di Bruno, ciò non avvenga per poco mio studio e fatica, ma per altre ragioni superiori alla volontà. L’impresa non è facile, ed oltre l’ingegno fa mestieri di molta pazienza pel numero e qualità di certi autori che vogliono essere stu15. D’Orsi: «venisse» e «parlasse». 16. D’Orsi: «quella».
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diati ad hoc. E già so ben io per prova che vuol dire leggere certi in-folio di filosofi antichi, per esempio Lullo e il Cusano. Oltre a ciò aspetto ancora da Parigi e da Germania qualche libro un po’ raro e che qui nelle biblioteche non si trova. Posto tutto ciò, io non posso ora stabilire un termine preciso ed ultimo; ma volendo giudicare dalla fatica che ho durato insino ad ora, le presento la seguente alternativa. Se ella ha desiderio ed interesse di fare prestissimo, io non posso farle tenere tutta l’opera mia prima di sei mesi a contare dal giorno che mi giungerà la sua risposta affermativa; io le prometto di lavorare con ogni assiduità, salvo qualche impedimento indipendente dal mio volere. Consideri il termine di 6 mesi come minimum e stabilisca ella stessa un maximum per gli impedimenti; in ciò mi rimetto alla sua piena discrezione e prudenza. Se ella poi potesse senza danno dei suoi interessi avere minor fretta, mi farebbe un favore singolarissimo, quando volesse concedermi più larghezza di tempo, perché così mi abiliterebbe a perfezionare di più il lavoro. Scelga ella come meglio le converrà, e sia certo che nell’uno e nell’altro caso il mio proposito di far bene sarà eguale. 5. Quanto al compenso, io accetto la sua offerta di 150 francesconi toscani, cioè cinquanta per le note e prefazioni e cento pel lavoro originale, e di 36 volumi della pubblicazione, cioè 30 copie del lavoro originale e 3 copie (6 volumi) delle opere italiane del Bruno.17 La saluto distintamente e mi dichiaro di lei Devotissimo Servo Bertrando Spaventa BNF, Carteggio Le Monnier, 33. 122 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 528-531). Nelle Carte Spaventa si conserva la minuta della lettera (cfr. BNN, XVI .C.3.6.10).
45 A Pasquale Villari [Torino,] 23 marzo [1854] Mio carissimo Pasqualino, E sono da capo a scriverti e a farti pagare crazie sopra crazie di posta! Scrivo oggi stesso al Lemonnier18 e gli ripeto in forma più breve quello che ho detto a te sulla edizione di Bruno. Gli ho dovuto parlare un po’ di filosofia, ed ho seguito in ciò il tuo consiglio, se ho ben inteso la tua ultima lettera; perché tu mi raccomandavi di dargli una idea generale del mio lavoro. Se ci fossero dubbi e si desiderassero maggiori schiarimenti, io ti costituisco mio plenipotenziario sin da ora e riconosco per rato e fermo tutto quello che tu dirai e prometterai in mio nome sulla natura del mio lavoro. Ma credo che la difficoltà non stia qui. Mi spiego. La quistione principale è quella del tempo, che il Lemonnier mi concederebbe per terminare il lavoro. Io intendo di fare qualche cosa che sia l’ottimo dei mondi possibili nei limiti della mia potenza creativa. Se io volessi considerare il solo interesse materiale, dovrei far presto per intascare subito i 150 francesconi. Ma per quanto abbia bisogno di denari, non voglio né posso fare una cosa che io stimi mediocre. L’impresa è difficile, 17. Le Monnier rispose a Bertrando il 28 luglio 1854, precisando gli accordi economici e le scadenze del contratto (cfr. SNSP, XXVI. D.2.3). 18. Cfr. lettera precedente.
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non tanto pel numero e qualità dei libri che debbo leggere e studiare, quanto per la natura stessa dell’argomento. Si tratta di tali speculazioni, che se hai pensato due ore di continuo, la testa ti si rompe e non ci è mezzo di seguitare. È inutile che ti dica di più. Adunque ho presentato al Lemonnier la seguente alternativa. Se egli ha fretta, deve darmi sei mesi almeno di tempo: sei mesi come minimum, e stabilirà egli stesso a suo grado un maximum per qualche impedimento indipendente dal mio volere. Se poi non avesse fretta, mi conceda più tempo a suo libito. Ma sia però sempre persuaso che nell’uno e nell’altro caso io lavorerò con eguale coscienza ed assiduità. Ora qui si parrà la tua nobilitate! Tu devi ottenermi dal Lemonnier il maggior tempo possibile (per esempio 8 mesi e anche più) e fargli comprendere come cosa che venga da te, come riflessione tua insomma, che io avrei interesse materiale a far presto, ma che volendo fare il meglio che posso, a lui conviene di concedermi il più di tempo che può senza ledere i suoi propri interessi. Mi pare che dovrei essere lodato di questa sincerità. Tu conosci il Lemonnier e saprai come regolarti. Ma a te non debbo celare un’altra ragione, che dico a te solo. Io vivo alla giornata, e spesso mi capita qualche traduzione dal tedesco, che fo la sera quando sono stracco di pensare e scrivere di filosofia. Se il Lemonnier mi concederà un tempo breve: addio traduzioni! E allora come si vive, mio caro Pasqualino? Vedi tu con la tua prudenza di solvere questo nodo. Adunque corri subito dal Lemonnier e fa quello che stimerai. Ti raccomando la sollecitudine e di scrivermi subito, almeno due righe; perché se la cosa si combina, mi metterò anima e corpo a lavorare; se no, vedrò che potrò fare. Temo che non farò nulla, al solito, per favore singolarissimo della Provvidenza! So che ti rompo il capo con le mie ciarle. Ma abbi pazienza, mio caro Pasqualino. Vendicati di me come meglio potrai; io sono pronto anche a fare da vittima. Credo che sarai contentissimo di avere riacquistato il Dottore, il quale come era prima partito da Firenze per non veder più certa razza di gente, così ora ritorna perché Firenze è sua seconda patria. Ha lasciato qui la sua maestosa barba, ed ora ha una faccia meno imponente e più sincera, volea dire tale, che in essa si specchia meglio l’anima sua. Qui non ha potuto combinar19 nulla: ordinario destino dei grandi uomini! Addio, mio caro Pasqualino. Rispondimi subito e fa che il Lemonnier si decida; mi sia prodigo di tempo, se non vuole di denaro. Per me il tempo è denaro. Saluto Monzani caramente. Bertrando tuo Voleva e non voleva affrancare la lettera al Lemonnier. Finalmente ho risoluto di no, temendo di offenderlo. Del resto se bisogna pagare la posta, avvisamelo, perché altra volta lo farò. Intanto ora pagherai tu per me, nel caso che etc. Diomede ti saluta e si congratula teco della voglia che t’è infin venuta di scriverci. In tre giorni tre lettere tue! Evviva, il nostro caro Pasqualino! Non vorrei che lasciassi senza risposta l’ultimo Passio che ti ho mandato. Val bene la pena che tu risponda: Ghi… ghi… Ghio credo che ghil Dottore ghè garrivate: Ih! Ghe la sua gopera?20 BAV, Carteggio Villari, 523-524 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 532-534, e in Pellicani, Sedici lettere, pp. 52-53).
19. Pellicani: «cambiar». 20. Da «Diomede ti saluta» fino alla fine, di mano di Diomede Marvasi. L’ultima frase fa il verso al modo di parlare del dottor Pignatari.
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46 A Silvio Spaventa Torino, 12 aprile [1854] Mio carissimo Silvio, Alla tua lettera dello scorso Gennaio, che mi giunse circa due mesi dopo, risposi subito il dì 20 Marzo per la via di Malta, indirizzandomi alla persona che tu m’indicasti. Avea già risposto all’altra di Settembre per la via di Firenze. Altre tue lettere non mi sono giunte; ed io te ne ho scritte molte per diverse vie secondo le occasioni. Io ho sempre raccomandato di non incolparmi di poco amore per te, quando non ricevi mie lettere, ma di attribuire tale mancanza ad altra cagione indipendente dal mio volere. Io comprendo bene il tuo desiderio di avere spesso notizie di me, né intendo qui farti rimprovero dei tuoi lamenti; ma mi spiace grandemente che ai tanti e così gravi dolori che soffri voglia aggiungere altri dolori e travagliarti con l’immaginare che io possa dimenticarti e cose simili. Tu sai l’indole mia o Silvio e comprendi che i tuoi lamenti mi feriscono l’anima; tu mi conosci e non hai alcuna ragione di dubitare di me. Tu sai che io uso poche parole, e che non ho bisogno di esprimere tutto l’affetto che ti porto. Io non penso che a te, e non parlo di te che a quelli che stimo degni di sentir pronunziare da me il tuo nome, tanta è la riverenza congiunta all’amore. Ti ho detto in altre lettere che io penso a te come all’immagine viva della virtù in tanta miseria di veri uomini, e questo pensiero è la maggiore mia consolazione. Dico così, perché qui ho trovato un altro te stesso in Camillo De Meis. Ci vediamo ogni giorno, parliamo sempre di te e ti confortiamo entrambi a non perderti di animo e a sperare. Attendi alla salute e sii tranquillo. L’essenziale ora è di vivere a te stesso ed all’affetto dei tuoi cari. Scrivo poche parole, perché non mi è concesso più spazio. Ma queste poche 21 righe e questi miei caratteri ti dicano tutto quello che io sento per te. Parla di me alla famiglia e dì che sto bene in salute, meglio sempre di prima. Addio. Amami. Scrivimi. Non dubitare di me e speriamo di rivederci. Addio. Bertrando tuo Tanti saluti al carissimo Settembrini. Originale perduto, già in BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201 (ed. in Vacca, Gli hegeliani, p. 8). L’indicazione della data si ricava da un appunto posteriore a matita, forse di mano di Spaventa.
47 A Pasquale Villari [Torino, aprile 1854] Mio caro Pasqualino, Ho ricevuto la tua. Ora ti scrivo poche parole, e ti dico che aspetto la risposta di Lemonnier per finirla una volta questa faccenda e metter l’animo in pace. A te non rimane, 21. Vacca: «brevi».
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per compire la santa opera incominciata22 e condotta con tanto accorgimento e scienza o arte di affari che di stimolare ora il Signor Felice a pigliar carta, calamaio e penna, etc... Mi hai dato una grande consolazione con l’annunciarmi la soluzione di quella maledetta quistione del tempo; mi hai tolto di corpo un brutto malanno. Forse farò il lavoro anche prima del tempo che avevo domandato; forse anche no. Ma ad ogni modo quel termine fisso mi sarebbe stato un chiodo nell’anima, che mi avrebbe impedito di pensare e scrivere à mon aise, come dicono quegl’imbecilli spiritosi dei nostri vicini. Noi altri vogliamo essere sempre noi stessi e il pensiero che ci è lì, fuori la porta, una specie di gendarme, che ti dice con l’orologio alla mano: «Fa presto, perché passata l’ora io ti…», è un ostacolo villano, è la coscienza d’una certa servitù che noi possiamo patire…, se non quando la necessità (cioè l’arbitrio) è onnipotente. Mandami buono, mio caro Pasqualino, questo sentimentalismo. Intanto ti dico, che appena conchiuso questo affare, e che io potrò dire: «oh! continuiamo dunque per finire»: io ti scriverò una lunghissima lettera, nella quale voglio parlarti principalmente di me, salvo la modestia…Insomma ti scriverò non di affari ma d’altro. Aspettiamo il tuo lavoro,23 cioè i tuoi due lavori, e preparati a ricevere da noi una critica severa, una specie di disciplina a sangue.24 A proposito di sangue, la tua narrazione sulle gesta del Dottore ci ha fatto ridere. Già ne sapevamo qualche poco; egli stesso mi avea detto alcunché di simile, ma con quelle sue aggiunte, sottrazioni, contorcimenti, etc. che sembrano accidenti e intanto cangiano la sostanza stessa del fatto. Povero grand’uomo. Ti dico schietto, che a Firenze qualche volta mi facea salire o montare la senape 25 al…; ma qui, credimi, l’ho ritrovato così insipido e, forse, un po’ più stupido di quello che era, che gli voleva bene, perché ci faceva ridere con quelle sue piccole arti sciocchissime e trasparentissime, da vederle anche i bimbi. Ora ritorna costà per ghistampare la sua gopera nuova e forse fare la centesima edizione dell’altra, elogiata da quel minchione di Flourens.26 Qui ha tentato, ma ha trovato ossi duri. Non credere però che questo non sia paese di ciarlatani; al contrario. Qui i grandi ciarlatani non riescono, perché il teatro è piccolo; gl’inetti (come lui), i quali non hanno che la volontà senza il potere di fare ciarlatanerie, neppure riescono per ragioni che capirai; i mezzi ciarlatani per contro hanno piena fortuna e vanno a vele gonfie. E noi altri uomini grandi? – Al verde, mio caro Pasqualino – Fiat voluntas! Conchiusione: il mondo è di chi se lo piglia, e il Dottore non ha saputo qui pigliarselo. Dio lo compensi a Firenze. Addio. Addio. Finisco col dirti: Lemonnier. Bertrando BAV, Carteggio Villari, 527-528 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 535-537, e in Pellicani, Sedici lettere, pp. 53-54).
22. Cfr. lettera 45. 23. Villari pubblicò a Firenze nel 1854 l’opuscolo Sull’origine e sul progresso della filosofia della storia (Tipografia Galileiana). 24. D’Orsi e Pellicani con qualche dubbio: «dissenteria». 25. D’Orsi e Pellicani: «nausea». 26. Pierre Flourens (1794-1867), medico e fisiologo, accademico di Francia.
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48 A Terenzio Mamiani Torino, 13 luglio 1854 Stimatissimo Signor Conte, Alcuni miei colleghi del Comitato Torinese 27 mi hanno detto che in Genova già si prepara la pubblicazione d’un nuovo volume di atti e di memorie dell’Accademia. Ardisco di scrivere a Lei, perché abbia la bontà di farmi sapere, se le converrebbe di accettare e pubblicare anche qualche cosa mia. Vorrei stampare dei frammenti d’un mio lavoro non ancora finito; e vorrei stamparli insieme, perché hanno una certa unità e l’uno compie l’altro. Il primo tratta di alcuni punti essenziali comuni alla metafisica di Bruno e a quella di Spinoza; il secondo contiene alcune osservazioni sulla Sua critica dell’attributo di Spinoza e sulla Sua dottrina dello spazio (Prefazione al Bruno di Schelling). Il terzo espone il principio della logica dell’idealismo assoluto.28 Non ho bisogno di dire che il secondo è una discussione puramente speculativa e civile; ha la forma d’una lettera indirizzata a Lei medesima. Se questo indirizzo non le piacesse voglia dirmelo francamente. Si potrebbe forse dire che questi frammenti non debbono essere stampati, perché non sono stati mai letti nel Comitato. Ma ella sa che il Comitato, se non è morto, non è certamente vivo. – I frammenti occuperebbero circa 4 o 5 fogli di stampa 8 o.29 Le chiedo mille scuse e pieno di stima sono Suo devotissimo Bertrando Spaventa [Bozza della lettera a Mamiani:] Stimatissimo Signor Conte, Alcuni miei colleghi del Comitato di Torino mi hanno detto che voi intendete (Lei intende) di pubblicare un nuovo volume di atti e memorie dell’Accademia di filosofia italica. Le scrivo, perché abbia la bontà di farmi sapere, se le converrebbe di accogliere e pubblicare anche qualche cosa mia. Vorrei stampare tre frammenti d’un lavoro, che vo meditando da qualche tempo e che avrei già finito se non fossi stato impedito da certe cagioni superiori al mio volere; desidero stamparli insieme perché hanno una certa unità tra loro e l’uno compie l’altro. Il primo tratta di alcuni punti essenziali comuni tra la dottrina metafisica di Bruno e quella di Spinoza; il secondo contiene alcune osservazioni sulla nostra critica dell’attributo di Spinoza e sulla vostra dottrina dello spazio (Prefazione al Bruno di Schelling); il terzo espone il principio della logica dell’idealismo assoluto. 27. Dell’Accademia di filosofia italica. 28. I tre Frammenti di storia della filosofia, conservati tra le Carte Spaventa (BNN, XVI .C.3.5.3) sono stati esaurientemente descritti da Savorelli, Le Carte Spaventa, pp. 74-75. 29. Nella risposta del 14 luglio 1854 (ed. in Vacca, Gli hegeliani, pp. 12-13) Mamiani si dichiarava favorevole alla pubblicazione dei Frammenti, ma invitava Spaventa a modificare la forma epistolare del secondo scritto, facendolo apparire invece frutto delle discussioni sorte nelle riunioni del Comitato. Più duro diventava il tono di Mamiani in merito alla polemica sullo spinozismo: «Del resto io mi dichiaro oppostissimo al panteismo e lo reputo dottrina falsa e infeconda. Ma ciò deve risultare dalla libera discussione e non mai da opinioni pregiudicate e che s’armano di santa collera e della volgare riprovazione» (ivi, p. 13).
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Quanto al secondo frammento, non ho bisogno di dire che è una battaglia puramente speculativa e civile e che non offende per nulla la grandissima riverenza ed ammirazione che io ho per voi; tanto è vero, che è a forma di lettera indirizzata a voi stesso. Potrebbe forse essere di ostacolo a questo mio desiderio qualche articolo dello Statuto; si potrebbe dire che questi frammenti non debbono essere stampati, perché non sono stati mai letti né a Genova né a Torino. Confesso che questa sarebbe una buona ragione legale contro di me; ma bisognerebbe anche mettersi nei miei panni; a Genova io non ho potuto mai venire; e a Torino il Comitato da due anni non dà segni di vita. Che c’entro io, se il Comitato non ha voglia di vivere? E poi – e questo lo dico a voi solo – anche se il Comitato fosse stato così vivo come è morto ed io mi fossi presentato dicendo: Bruno e Spinoza, etc. chi sa se non avrei scandalizzato qualcuno? I miei frammenti occuperebbero 4 o 5 fogli in 8°. Copia dall’originale conservato nella BOP, attualmente non inserito nel catalogo a stampa delle Carte Mamiani (ed. in B. Spaventa, Opere, I, p. 168). Tra le Carte Spaventa si conserva la bozza della lettera, qui riportata, che presenta nella parte finale alcune differenze con il testo definitivo (cfr. BNN, XVI .C.5.22).
49 A Silvio Spaventa Torino, 29 luglio 1854 Caro fratello, È gran tempo che non ricevo lettere tue. So che hai ricevuto una mia spedita per la via di Malta e il nostro amico di colà mi scrisse ultimamente di avermi mandata una tua risposta sin dal principio di questo mese; ma non mi è giunta ancora. Non ho perduta ancora la speranza di riceverla, perché l’ultima che mi scrivesti per la stessa via mi giunse dopo due mesi di ritardo; sebbene questo nostro carteggio è così disgraziato e pieno d’intoppi, che non sarebbe difficile che il desiderio e la speranza fossero vani. Ma se sono grandemente addolorato per questo, il mio dolore è diminuito in parte dalla certezza che tu hai ricevuto la mia e così avrai30 potuto consolare alquanto l’animo tuo e lasciare quei tristi pensieri che io t’avessi abbandonato e non pensassi più a te. Io non voglio qui farti l’elogio di me stesso, né ho bisogno di mostrarti con parole il mio amore; ma ti dico solamente che ci sono certe nature d’uomini, nelle quali la lontananza e la sventura, non che diminuire l’affetto e la memoria, li vivificano sempre più. Tale sono io. Tu non mi sei solamente fratello ed amico direi quasi d’elezione e per comunità di cuore e di mente, ma anche vera immagine viva di quella virtù, animo e disinteresse, che sono così rari nei tempi nostri. Io parlo sempre di te, ma con me stesso più che con altri; eccetto pochi, i quali stimo degni di udire il tuo nome ed anche, voglio dirlo, le mie parole. I tuoi amici si ricordano di te e ti amano sempre: ti raccomandano a stare tranquillo il più che potrai e a non disperare. Non ti parlo lungamente di me, perché non ho fatti da raccontarti. In salute sto e sono stato sempre bene. Quanto alla vita materiale non me ne do gran pensiero; vivo e ciò basta. Quanto agli studi, continuo sempre quelli che faceva con te. Se non se ne ha altro effetto, almeno si passa il tempo, che in questo esilio ormai lungo comincia ad essere di gran fastidio. Ma io non ho diritto alcuno di lamentarmi della mia condizione e parlare di noia e 30. Vacca: «abbi».
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di amarezza d’esilio a te che sei costì! Te l’ho voluto dire, perché mi è venuto così sotto la penna, e perché la prima amarezza dell’esilio per me è l’essere diviso da te. Del resto io sto bene, né darti pensiero di me. Qui sono molti che conoscevo da un pezzo. Ci è, come ti ho detto altre volte, Camillo,31 il quale mi è un altro fratello. Ci vediamo sempre. Non so nulla della famiglia. Scrivile e dille che sto bene. Ho detto famiglia senza sapere di certo come si componga adesso. So che Berenice e Clotilde32 sono maritate; avrei scritto ad esse, ma ho sempre temuto di far loro del male. Di Enrichetta33 non so nulla. E papà? Continua a vivere con gli zii? Dimmene qualche cosa. Ormai sono undici anni che io manco di casa. Addio caro fratello. Scrivimi spesso; a te è più facile di farmi giungere34 tue nuove che a me di farti pervenire le mie. Bada sempre alla salute e ti ripeto che è la cosa principale. Coraggio sempre; te lo dico perché so che ne sei capace e l’hai mostrato coi fatti. Si tratta di vivere e conservarsi come meglio si può: a me ed ai tuoi – a te stesso –. Aspetto tue lettere. Abbraccia per me Settembrini ed altri se ce n’è costì mio amico e tuo. Addio. Ama come ti ama Bertrando Diomede M[arvasi] ti saluta caramente. Mio caro Silvio – Come stai? La tua salute è almeno buona? So che ci avevi scritto, ma la lettera disgraziatamente non è giunta ancora; qui la aspettiamo ansiosamente. Una tua lettera è un avvenimento per tutti i tuoi antichi amici. Addio, mio caro Silvio, addio. Segui ad amarmi come faccio io, e come mi amavi tu nei primi e più belli anni della mia gioventù. Addio. Saluto Settembrini ed Agresti etc. Diomede Marvasi Ti abbraccio con la più sentita affezione e con pari amore abbraccio gli amici tutti. C[amillo] Sp[aventa]35 Originale perduto, già in BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201 (ed. in Vacca, Gli hegeliani, pp. 9-10).
50 A Filippo Capone 36 Torino, 21 agosto 1854 Mio carissimo amico, Vi scrivo per chiedervi un favore che spero non mi negherete. È già un mese che pregai il Mamiani di farmi sapere se avrei potuto pubblicare nel secondo volume degli Atti della 31. Angelo Camillo De Meis. 32. Sorelle di Bertrando. 33. Cfr. lettera 43, nota 10. 34. Vacca: «pervenire». 35. Zio di Bertrando. 36. Filippo Capone (1820-1895), patriota irpino esule a Genova, dove fu nominato da Mamiani membro dell’Accademia di filosofia italica. Deputato, professore universitario e magistrato dopo il ’60; senatore del regno d’Italia dal 1889.
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Epistolario
Accademia alcune mie cose. Il Mamiani mi rispose che sì. Ora ho pronto il manoscritto;37 né ho potuto apparecchiarlo prima per molte cagioni: calori estivi, svogliatezza, minacce di colera, etc. Voi dovreste dimandare al Mamiani in mio nome se posso mandare il manoscritto e a chi indirizzarlo. Vi dico questo, perché non so se il Mamiani sia costì – o in campagna. Se è in campagna, vi prego di scrivergli. Vi prego di rispondermi subito e scusare il tedio etc. Come state in salute? Noi qui stiamo bene sinora. Addio e sono sempre tutto vostro. Bertrando Spaventa Nella risposta indirizzate così la lettera: Via Goito numero 6. BPA, Fondo Capone, cartella 35 (inedita).
51 A Terenzio Mamiani Torino, 15 settembre 1854 Chiarissimo Signor Conte, Le invio per mezzo di un mio amico i tre frammenti, dei quali le avea parlato nelle mie lettere precedenti. Sarà forse una cosa troppo lunga; ma io non ho potuto stringermi di più. Se Lei volesse avere la bontà di farli stampare tutti e tre insieme, mi farebbe un favore singolarissimo; perché fanno un tutto, e l’uno senza l’altro è come cosa morta o inorganica. Se Lei sarà tanto benevolo da soddisfare al mio desiderio, le prometto di essere uno dei più assidui corrispondenti dell’Accademia e di inviarle altre coserelle, che ho già pronte. Tra breve le invierò qualche cosa stampata su Campanella.38 Non ho bisogno di ricordarle che vorrei vedere le bozze di stampa della pubblicazione; ma la preghiera, che le fo caldissima, è questa: che desidero d’avere a parte circa una ventina di copie del mio scritto, obbligandomi a pagare la spesa soverchia. Se Lei acconsente, ne scriverò al signor Capone, perché voglia incaricarsi della faccenda. La prego di compatire il mio scritto. Lei mi diceva di non essere pei panteisti, ed io le confesso di non essere panteista come s’intende ordinariamente. Quello che io non ho potuto mai comprendere, né forse comprenderò mai, è come Dio possa essere senza l’universo, e specialmente senza il mondo dello spirito. Ciò mi pare non solo una cosa assurda, ma direttamente opposta all’idea cristiana, alla trinità divina. Né comprendo, d’altra parte, come ammettendo la necessità della creazione si riesca alla immoralità, alla irreligione e simili. Io posso comprendere Dio come pensiero assoluto, assolutamente e necessariamente attivo, etc.; ma non so comprendere Dio come puro arbitrio, come attività senz’atto, e simili, e quel che è peggio, come attività cieca e senza coscienza. E qui le dico forse una bestemmia: io credo che questa coscienza è impossibile in Dio senza l’universo. Ma basti di ciò; e ringraziandola dei suoi favori, sono sempre con grandissima stima Suo Devotissimo Servo Bertrando Spaventa SNSP, XXVI.D.2.3 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 210-211, nota 2).
37. Cfr. lettera 48, note 28 e 29. 38. Si riferisce molto probabilmente al saggio Tommaso Campanella, recensione delle Opere di Campanella, a cura di Alessandro D’Ancona, apparso ne «Il Cimento», 31 agosto 1854, pp. 265281 (rist. nei Saggi di critica, pp. 3-32).
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52 A Terenzio Mamiani Torino, 16 settembre 1854 Chiarissimo Signor Conte, Le invio per mezzo di un mio amico i tre Frammenti di Storia della filosofia da stamparsi nel volume dell’Accademia. Vedo bene che il lavoro è un po’ lungo; ma non ho potuto stringermi di più, e spero che lei vorrà accettarlo intero e così mi farà un favore singolarissimo. I frammenti, come potrà lei medesima giudicare dal Sommario, fanno un tutto e l’uno senza l’altro è come cosa inorganica e morta. Io non ho come corrispondere a tanta grazia; ma le prometto di essere uno dei socii più assidui e d’inviarle per l’Accademia altre coserelle che ho già pronte. Desidererei di avere a parte una ventina di copie del mio lavoro, pagando la spesa soverchia. Se lei acconsente, scriverò a qualche mio amico di costà, perché voglia incaricarsi della faccenda. La prego ancora di farmi tenere le bozze di stampa prima della pubblicazione per correggerle. Mi perdoni il disagio che le reco con queste mie lettere e ringraziandola della sua bontà sono sempre Suo Devotissimo Servo Bertrando Spaventa BOP, Carte Mamiani, 12519 (inedita).
53 A Terenzio Mamiani Torino, 10 ottobre 1854 Chiarissimo Signor Conte, È qualche tempo che le ho fatto tenere per mezzo d’un mio amico che dimora in Genova il mio manoscritto, di cui le avea parlato in altre mie lettere. Mi perdoni ora se le scrivo di nuovo e la prego di farmi sapere se Lei accetta tutti e tre i frammenti,39 come pure se acconsente che io ne faccia tirare a mie spese una ventina di copie a parte. Siccome io non vado sempre alla posta, così le noto qui il mio indirizzo: Via San Lazaro, numero 2 bis. La ringrazio dei suoi favori e con tutto il rispetto sono sempre Suo Devotissimo Servo Bertrando Spaventa P.S. Mi vien detto da un amico che l’Accademia ha dall’Alemagna qualche giornale filosofico. Si potrebbe leggerne qualche cosa per favore? Qui i libri mancano e non sempre basta il peculio privato, specialmente d’un fuoriuscito. BOP, Carte Mamiani, 12520 (ed. in B. Spaventa, Opere, I, p. 169).
39. I tre Frammenti, nonostante le assicurazioni fornite dal Mamiani nella risposta del 12 ottobre 1854 (cfr. B. Spaventa, Opere, I, pp. 169-170), non furono pubblicati nel secondo volume degli «Atti dell’Accademia» apparso nel 1855.
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Epistolario
54 A Silvio Spaventa Torino, 18 novembre 1854 Mio carissimo Silvio, In questo stesso giorno ti scrivo due altre lettere, una per la posta, e l’altra per la nuova via, per la quale mi è giunta, dopo 15 giorni, la tua del 31 Ottobre.40 Pochi giorni prima mi erano pervenute due altre tue lettere; una di Luglio, 41 e l’altra di Giugno. Ora che so che stai bene, sono alquanto tranquillo. Qui vi è stato il colera, ma come se non ci fosse stato. Non è morto nessuno dei nostri. Io sto bene. Tu immagini sempre disgrazie che non sono, e così aggiungi i dolori a dolori. Ti raccomando, per quanto mi ami, di non abbandonarti a certe immaginazioni; la mancanza di mie lettere non dipende da me, o dal mio cattivo stato, ma da altre cagioni che intendi facilmente. È una storia antica. Sii tranquillo, e per quanto puoi, di buon animo. Speriamo di rivederci. Chi sa? Bisogna conservare la salute; è la prima cosa. Povera Enrichetta!42 Quante disgrazie! Dopo quella terribile di Tito!43 Non posso pensarci perché perdo il cervello. Parlami di te. Mi dici che leggi e studii. È sempre qualche cosa; non sarà ciò che tu vuoi, ma è qualche cosa. Fa quello che puoi, perché sempre giova; passi il tempo e coltivi lo spirito. Ti dico ciò, perché io medesimo, che qui non veggo nessuno o pochi, non trovo altro conforto che nei libri. Il pensiero che mi affligge è principalmente questo: che tu non puoi studiare e pensare come vorresti. Ma coraggio sempre! Coraggio. Nella lettera per la posta ti dico qualcosa per la famiglia. Le dirai che io sto bene e che mi scrivessero per la posta. Nell’altra lettera ti parlo di me un poco, perché tu lo desideri. Qui ti ripeto lo stesso. Ho fatto qualche lavoro, specialmente nell’inverno passato. Ho un contratto col Le Monnier per pubblicare le opere italiane di Bruno con mille franchi di compenso.44 Aveva già fatto il lavoro. Ma ora ho pensato meglio. Si trattava prima di una parte della filosofia di Bruno, e la materia che avea raccolta qui nelle biblioteche mi bastava. Ma ora penso di fare un’opera compiuta. Ho scritto in Germania e in Francia per alcuni libri; ma sinora senza frutto. Così il lavoro è sospeso. Ho cominciato a pubblicare un lavoro sopra Campanella, cioè due parti: la teoria della cognizione, e i concetti metafisici.45 Ho anche abbozzato una introduzione alla filosofia del secolo decimosesto.46 Credo che non sia una cosa cattiva: forse la pubblicherò. In Genova si stamperanno tra breve tre cose mie: 1) Bruno e Spinoza: sono alcuni punti comuni tra i due sistemi.47 2) Una critica del 40. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 140-141. 41. Ivi, pp. 139-140 (lettera del 20 luglio 1854). 42. Enrichetta Spaventa. 43. Cfr. lettera 1, nota 4. 44. Cfr. lettera 44. 45. Studii su T. Campanella: Teoria della cognizione e Metafisica di T. Campanella, pubblicati ne «Il Cimento», 30 settembre 1854, pp. 425-440; 31 dicembre 1854, pp. 1009-1030; 15 agosto 1855, pp. 189-221 (rist. in Saggi di critica, pp. 33-135). 46. Cfr. lettera 43, nota 6. 47. Stesura più ampia del futuro saggio Concetto dell’infinità in Bruno, in «Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di scienze morali e politiche» di Napoli, V (1866), pp. 155-164. Quando lo raccolse nei Saggi di critica (pp. 256-267) l’autore vi appose la data: «Torino 1853-Napoli 1866».
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Mamiani, la quale tratta dell’attributo infinito della sostanza. 48 3) Una esposizione del principio dell’identità dei contrari, specialmente dell’essere e del nulla e del concetto dell’assoluto.49 Ho anche abbozzato una critica della filosofia dello stesso Mamiani.50 Pare incredibile, ma egli non ne sa di filosofia! Ho scritto anche qualche articolo di filosofia politica e religiosa e continuo a scrivere in una rivista letteraria di simili cose.51 Ho stampato anche un articolo sull’amore dell’eterno e del divino di Bruno, quasi come un saggio di una esposizione di quel caos.52 Così passo il tempo. Nei primi due anni della mia dimora qui, come ti ho scritto un’altra volta, ho fatto un po’ la vita del giornalista. Serviva per sciogliere la mano, come si dice, e scrivere facilissimamente. Un’altra volta, se ti piace, ti scriverò i sommarii di questi lavori filosofici. Intanto addio: coraggio sempre ed amami. Credi all’amor mio; rispondimi per la posta o per altre vie. Camillo53 ti saluta caramente. Anche Diomede.54 Dimmi come va la cosa dei Croce? E chi è quella buona persona di cui mi parli? Coraggio. Bertrando tuo Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 25-27).
55 A Silvio Spaventa Torino, 29 novembre 1854 Mio carissimo Silvio, Ieri mi è pervenuta una tua lettera con la data del 30 Ottobre, 55 per mezzo di Cesare, 56 alla quale rispondo subito. Ai 18 di questo mese ho risposto con tre altre ad una tua della stessa data, giuntami per una nuova via con una rapidità incredibile: una per la medesima via, un’altra per la via di Malta e la terza per la posta. Voglio sperare che se non tutte, almeno una ti sarà pervenuta. Sin da quando il colera invase questi Stati, io ti scrissi parecchie lettere, perché era certo che tu avresti immaginato dio sa quante cose tristi e quante disgrazie. Qui ha durato circa quattro mesi; a Genova ha fatto molta strage, ma a Torino è stato molto benigno, e non ha colpito che la gente povera o intemperante. 48. Critica dell’infinità dell’attributo per Terenzio Mamiani, in «Il Cimento», febbraio 1856, pp. 122-146 (rist. in Saggi di critica, pp. 367-403). 49. Databile all’estate-autunno 1854, questo saggio, l’ultimo dei tre Frammenti (cfr. lettera 48, nota 28), è rimasto inedito. 50. Si tratta molto probabilmente di una prima stesura dell’articolo L’Accademia di filosofia italica e Terenzio Mamiani (recensione dei Saggi di filosofia civile, 2 voll., Genova 1855), in «Il Cimento», 16 giugno 1855, pp. 1021-1033 (rist. in Saggi di critica, pp. 343-366). 51. Primi articoli della serie contro «La Civiltà Cattolica», apparsi ne «Il Cimento» a partire dal 1854 (rist. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 747-907). 52. Dell’amore dell’eterno e del divino di G. Bruno, in «Rivista enciclopedica italiana», I (1855), disp. 1a, pp. 44-58 (rist. in Saggi di critica, pp. 176-195). 53. Angelo Camillo De Meis. 54. Diomede Marvasi. 55. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 140-141. 56. Cesare Napolitano.
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Nessuno dei nostri è morto. Mancava quest’altra cagione di dolore per te! Come se la tua presente condizione non fosse triste abbastanza, bisognava che tu te la facessi insopportabile con l’immaginare sciagure che non hanno mai avuto luogo. Io era alquanto tranquillo per la tua salute, perché era stato scritto da Napoli che le prigioni e gli ergastoli erano immuni dal male. Nondimeno ti debbo confessare che le tue lettere sono state per me una vera consolazione. Io non ti rimprovero certo dei tuoi continui timori per la mia salute, perché sono l’espressione dell’amore grandissimo che tu mi porti; ma non vorrei che ti affliggessi sempre senza ragione, e che dessi corpo con la fantasia a mali che non sono. Ti ripeto che io sto bene; che non sono stato mai così bene come sono qui a Torino, e che se non fossi lontano da te e dalla famiglia sarei contentissimo. Se il mio esilio non fosse uno degli effetti di una cagione universale, e che ha prodotto tante disgrazie, io quasi sarei lieto di essere stato costretto ad uscir fuori dalla terra natale. Viaggiando, s’impara sempre qualche cosa. Adunque sii tranquillo per me. Così fossimo insieme e potessimo rivederci presto! In due delle tre lettere che ti ho scritto, ti ho parlato un po’ dei miei studi e di qualche cosa che ho stampato. Voglio vedere se posso mandartene qualche cosa per la via di Malta. Scriverò alla famiglia per la posta. Povera Enrichetta!57 Non so consolarmi di questa disgrazia. Immagino il dolore di Papà, specialmente dopo la morte di Titino. 58 Io già sono stanco di tanta lontananza. Comincia già il 12° anno che non veggo la famiglia; e mi pare un secolo. Ma coraggio, Silvio. Io ho speranza che ci rivedremo. L’importante per ora deve essere di conservare la salute. Ciò ti ho raccomandato sempre ed ora te lo ripeto. Quanto a me, sii certo che io ti amo sempre come prima, o se fosse possibile più che prima. Ti ripeto, se non vedi mie lettere non pensare a male, né a disgrazie, ma a certi accidenti indipendenti dal mio volere. Sii certo che io vivo sempre con te e l’unico mio voto e desiderio è quello di rivederti e riunirmi con te. Camillo59 e Diomede60 ti salutano carissimamente, e così fanno anche gli altri amici. Addio. Animo: amami; sii certo del mio amore per te. Bada alla salute. Il tuo Bertrando Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 27-28).
57. Enrichetta Spaventa. 58. Tito Spaventa. 59. Angelo Camillo De Meis. 60. Diomede Marvasi.
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56 A Silvio Spaventa Torino, 1 gennaio 1855 Mio carissimo Silvio, Credo che a quest’ora ti saranno pervenute le mie lettere in numero di quattro, con la data del 18 e del 29 Novembre:1 due per la via di Malta, una per la posta, e l’altra per una nuova via che mi hai indicato tu medesimo. Mi è giunta l’ultima tua del 28 Novembre2 il dì 28 Dicembre; ed avea già ricevuto le altre, cioè due del 31 Ottobre ed un’altra, con molto ritardo, del 16 Giugno.3 Le notizie che mi dai, della tua salute, sono state per me una vera consolazione, perché quantunque avessi saputo per altre vie, che l’ergastolo era stato immune dal colera, nondimeno era sempre in gran pensiero ed aspettava angosciosamente che le tue lettere mi confermassero ciò che gli amici mi davano come certo. Quanto a me, sii pure tranquillo; io sono stato sempre bene, anzi ti debbo dire che mai ho goduto buona salute come qui in Torino. Ti ricordi quel terribile male di stomaco che io pativa in Napoli? Ebbene: qui io non so che cosa sia, e da quattro anni ne sono interamente guarito. Quest’aria è ottima per me. Alcune cose dette così in generale ti han fatto sospettare che io vivessi qui una vita infelicissima. Certamente la mia vita non è felice, perché sono lontano da te, e questa è l’unica disgrazia, alla quale non so rassegnarmi. Qualunque altro è e sarà sempre per me un niente. Ti diceva pure che era annojato un po’ dell’esilio, e ciò è naturale, perché l’esilio è sempre l’esilio; quantunque io ringrazio sempre il destino di avermi condannato a questa prova, perché qualche cosa ho pure imparato, ed ho veduto e conosciuto molte cose che ignoravo. Non ti voglio però nascondere che nello scorso anno ho sofferto un poco; te lo dico ora, perché il male, se così si può dire, è passato. È stato un anno senza lavoro, tanto che non guadagnava nulla. Ma pure ci è stata la provvidenza e senza mie umiliazioni. Camillo4 è stato un vero angelo per me, e non mi ha fatto mancar nulla. Ora la cosa è diversa. Quest’anno che comincia avrò lavoro a sufficienza e potrò vivere senza che mi manchi nulla. Scrivo in una Rivista;5 la 1. Cfr. lettere 54 e 55. 2. Parzialmente pubblicata in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 141. 3. Parzialmente pubblicata da Benedetto Croce, Voci da un ergastolo politico. Lettere inedite di Silvio Spaventa (1850-1856), in «Quaderni della Critica», II (1946), 4, p. 102. 4. Angelo Camillo De Meis. 5. Cfr. la lunga serie di recensioni di argomento filosofico apparsa in quell’anno su «Il Cimento», alcune delle quali ristampate in Saggi di critica.
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Epistolario
fatica non è molta; si tratta di cose filosofiche, e mi avanza sempre6 tempo per studiare ciò che mi piace. Ti dico questo, perché tu possa essere tranquillo, e non credere che io muoia di fame. Ti ripeto non immaginare guai che non ci sono, e pensa a stare di buon animo e a conservarti la salute. Tu mi hai parlato di una persona che ti ha fatto grandi benefici, d’una signora che venuta a Napoli da Firenze non si è dimenticata di te; me ne parli nella tua ultima lettera del 21 novembre. Io non so indovinare chi ella sia, per quante congetture vada facendo. Ti prego di dirmi il suo nome, o almeno farmi intendere chi sia, nella prima lettera che mi scriverai.7 Io ho creduto per un pezzo che i Croce ti aiutassero. Come vivi ora, e come hai vissuto fino a questo punto? Se puoi, dimmene qualche cosa. Della Signora voglio sapere tutto, e tutto ciò che ha fatto per te. Scrivo oggi a Papà, e mando la lettera alla signorina di Diomede.8 Tu scrivendo a lui, digli, che io gli ho scritto, che stia tranquillo, e che io sto bene in salute. Parlami di te; cerca di studiare il meglio che puoi e di essere tranquillo. Conservati la salute e spera. Sii sempre certo del mio amore, che è sempre lo stesso; della mia ammirazione per te, che è infinita. Non ti dare alcuna pena per me; io sto bene. Così potessi essere insieme con te qui! Salutami Settembrini. Camillo e Diomede ti dicono tante cose e ti salutano caramente. Ci vediamo ogni giorno; meno male! Qui siamo come a Napoli, e non è una piccola consolazione. Addio. Coraggio ed ama sempre come ti ama Il tuo affezionatissimo Bertrando Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 28-30).
57 Ad Alessandro D’Ancona [Torino,] 16 gennaio 1855 Mio caro D’Ancona,9 Tu forse mi crederai un uomo non molto bene educato; ma sappi che io sono venuto a vederti, ma non ti ho trovato. Il portinaio del numero 12 di via della Chiesa non mi seppe dire se tu abitavi o no in quella casa. Io gli lasciai un biglietto per te. Se non l’hai ricevuto, fammi sapere con certezza dove stai e come posso vederti. Addio. Il tuo Berrando Spaventa BAM, Fondo Casati (inedita).
6. Vacca: «spesso». 7. Si tratta della principessa Pignatelli, come conferma lo stesso Silvio nella lettera del 19 dicembre 1854 alla cugina Felicetta Ulisse (cfr. S. Spaventa, Lettere a Felicetta, a cura di Mario Themelly, Napoli, Guida, 1977, pp. 150-151). 8. Diomede Marvasi. La “signorina” è Elisa Lanzetta, probabilmente discendente dell’avvocato Francesco Lanzetta, esponente della repubblica napoletana del 1799. 9. Alessandro D’Ancona (1835-1914), pubblicista e critico letterario, fu professore all’Università di Pisa e sindaco di questa città dal 1906 al 1907. Senatore del regno d’Italia dal 1904.
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58 A Terenzio Mamiani Torino, 18 gennaio 1855 Chiarissimo Signor Conte, Le invio per la posta tre piccole cose mie, pregandola di compatirle e di non considerare che la buona intenzione. La prima è una parte d’un lavoro sopra Campanella;10 la seconda è un saggio di esposizione di Bruno; 11 la terza è una risposta alla Civiltà Cattolica.12 Veramente non avrei dovuto inviarle quest’ultima, perché è troppo leggiera; ma l’ho fatto, perché vi ha in essa una parte che merita attenzione, non pel modo come è stata trattata da me, ma per l’argomento. Le ripeto che mi voglia compatire. Se mi dicesse qualche cosa dei miei Frammenti che doveano stamparsi nel volume dell’Accademia, mi farebbe un gran favore. Aspetto le prove di stampa. In una mia lettera l’avea pregata di farmi tenere qualche giornale filosofico tedesco; perché mi aveano detto che l’Accademia l’avea uno. Ora le rinnovo la preghiera. Qui siamo senza libri e non sappiamo nulla delle cose di fuori. Mi perdoni l’incomodo e sono con tutta la stima Suo devotissimo Bertrando Spaventa Poscritta. Nel Campanella vi ha uno sbaglio di compaginazione; per rimediarvi ho segnato i numeri a pie’ di pagina. BCF, Carte Piancastelli, Ba 188 (inedita).
59 A Silvio Spaventa Torino, 19 febbraio 1855 Mio carissimo fratello, Ho ricevuto, con brevissimo intervallo, due lettere tue, per mezzo di Cesare,13 l’una del 21 Dicembre e l’altra del 15 Gennaio.14 Io ti avea già scritto con la data del 1 Gennaio. Sebbene ogni tua lettera, come espressione del tuo stato, mi faccia sempre più vivo un dolore antico, è nondimeno ad ogni modo una grande consolazione, e più grande quanto più le lettere sono frequenti. Se non altro so che stai bene in salute e ho notizie della fa10. Cfr. lettera 54, nota 45. 11. Ivi, nota 52. 12. Si tratta molto probabilmente dell’articolo Congratulazioni e quistioni alla «Civiltà cattolica», apparso ne «Il Cimento», 15 settembre 1854, pp. 370-376 (rist. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 747-761). 13. Cesare Napolitano. 14. La prima pubblicata in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 186-187; la seconda in Croce, Voci da un ergastolo politico, pp. 102-103.
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miglia. Scrissi a Papà or fa un mese; non so se gli sia arrivata la lettera. Mi dispiace che ti mostri un po’ scoraggiato, e ti tormenti con la fantasia col credere ad un indebolimento delle tue potenze intellettive. L’indebolimento è vero, quando si ha la perdita della coscienza di sé, e tu l’hai questa coscienza, e quella tua fantasia n’è il più evidente testimonio. Ciò che tu chiami debolezza o decadimento non è altro che la mancanza d’occasione esterna. Approvo che tu legga sempre tutti quei libri che ti vengono alle mani. Ma perdonami se ti dico, che non so comprendere perché tu debba crederti incapace ora di occuparti di cose filosofiche. Il tuo spirito era ed è ancora potentissimo; ma è necessario che ti risolva, ti scuota, getti via quella falsa opinione che hai della impossibilità di pensare. Ho bisogno di citarti esempi di filosofanti in prigione? Ti ricordi di Campanella? Tu sei giovane ancora. Ho fatto più volte sopra me questa stessa esperienza, che bastano pochi mesi per riconciliarsi con la scienza, quando si ha intelletto, e tu l’hai acuto e profondo. A Firenze io non ho pensato per dieci mesi; e bastò un mese qui per ridiventar me stesso. Qui per 18 mesi non ho aperto un libro di filosofia, perché dovea scrivere di chiacchiere politiche; 15 e poi ho ricominciato. Negli intervalli mi pareva d’aver dimenticato ogni cosa. Adunque ricomincia. Così accadesse che le piccole cose che ti mando, per mezzo di Cesare, valessero a ridestare il tuo ingegno. Queste sono: 1. Una memoria sopra Bruno, scritta in fretta nel 1851,16 la quale mi valse gli onori della persecuzione di certa gente che non manca anche qui; gli ipocriti sono dappertutto. 2. Una breve esposizione del sistema di Stahl. Te la mando, non perché sia degna di te e di me, ma perché abbia almeno notizia di qualche cosa tedesca. Mi fu vietato di fare più che una semplice esposizione; non si volevano riflessioni. Cedetti all’amicizia. È un lavoro di nessuna importanza. 17 3. Una parte del mio lavoro intorno a Campanella. Mancano ancora la seconda, che ho già scritta (i concetti metafisici), e la filosofia pratica, che debbo scrivere. Questo lavoro è piaciuto.18 4. Un saggio del mio modo di polemizzare.19 5. Un saggio di esposizione critica di Bruno.20 6. Un primo articolo sull’Idea del secolo XVI; gli altri due sono già fatti e saranno subito stampati. Te li manderò. A questi seguiranno alcuni Studii sui filosofi italiani viventi.21 Da tutti questi scritti, specialmente dal 3, 5 e 6 potrai vedere la mia intenzione: la quale non è altro che la tua antica.22 Dimmi se ho fatto bene. Sento però che potrei fare meglio, se non dovessi perdere un po’ di tempo a scrivere minchionerie. Ma pazienza. 15. Cfr. lettera 43, nota 5. 16. Cfr. lettera 24, nota 7. 17. La filosofia neocristiana e il razionalismo in Alemagna, in «Il Cimento», 15 febbraio 1854, pp. 342-360 (rist. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 207-236). Spaventa iniziò ad occuparsi dell’opera di Stahl nell’estate del 1853, quando uscì a Torino la traduzione curata da Pietro Torre (cfr. lettere 39 e 40). 18. Teoria della cognizione (cfr. lettera 54, nota 45). 19. Nuove congratulazioni e quistioni alla «Civiltà cattolica», in «Il Cimento», 16 novembre 1854, pp. 689-704 (rist. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 763-796). 20. Dell’amore dell’eterno e del divino di G. Bruno (cfr. lettera 54, nota 52). 21. Si riferisce all’articolo Del principio della riforma religiosa, politica e filosofica nel secolo XVI (cfr. lettera 43, nota 6). 22. Il progetto di Silvio è esposto nelle linee programmatiche della rivista da lui pubblicata a Napoli nel 1844 (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 11) e accennato nella lettera a Bertrando del 21 dicembre 1854 (ivi, p. 176).
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Aspetto il Bruno latino. 23 Ho pronta molta materia. Ti dirò in breve il mio pensiero. Vedi la Introduzione al mio lavoro n. 5. Io mi propongo di premettere a ciascuna opera italiana di Bruno una esposizione critica, come quella di cui ho dato un saggio.24 Saranno due volumi. E poi un terzo, originale, che sarà la esposizione scientifica del sistema (la ricostruzione); ne ho dato un saggio nel lavoro intorno a Campanella. Non so se va bene così. Dimmi qualche cosa. Terrò conto di ciò che mi dici nella tua del 21 Dicembre. Aspetto da Genova le copie d’un lavoro piuttosto lungo; ti ho detto, altra volta, che sono tre frammenti intorno a Bruno e Spinoza; e te li manderò.25 Mamiani mi scrive spesso e mi fa mille complimenti e ammirazioni. Credo che in parte siano sincere, sebbene tu conosca quanto sia troppo cortese. Ti chiedo un’altra volta notizia di quella tale Signora. Comincio a indovinare chi sia. È la signora P. Dimmi che cosa ha fatto per te, minutamente: io non so nulla. Il fatto dei Croce è degno di loro. Ma basta. Chi sa! Scrivimi sempre.26 Io farò lo stesso con te. Salutami Papà e dagli notizie di me. Camillo27 e Diomede28 ti salutano e ti dicono tante cose. Saluto caramente Luigi.29 Studia filosofia; animo e speriamo di rivederci. Addio. Addio. Il tuo Bertrando P.S. Nel lavoro sopra Campanella vi ha un errore di composizione. Perciò bada ai numeri segnati a piè di pagina col lapis. Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 30-32).
60 A Silvio Spaventa Torino, 26 marzo 1855 Mio carissimo Silvio, Ho ricevuto la tua del 25 Febbraio per la via di Malta.30 Per questa stessa via ti ho scritto con la data del 19 Febbraio e ti ho inviato cinque mie coserelle, cioè due su Bruno, una su Stahl, una su Campanella ed una sul secolo XVI.31 Cesare scrive di averle ricevute e già spedite in Napoli. Spero che ti saranno già pervenute. Ti diceva d’inviarti un altro scritto, cioè un saggio di polemica; ma ci pensai meglio, perché non si trattava solo di filosofia. Mi dimenticai d’inviarti un saggio di traduzione della Fenomenologia di Hegel. 23. Il volume, edito a Stuttgart nel 1834-1835 da Gfrörer e giudicato da Croce assai raro (ivi, p. 178), non giunse mai a Bertrando. 24. Nella lettera del 4 maggio 1855 (ivi, pp. 180-184) Silvio fece riferimento al riepilogo degli Eroici furori e suggerì al fratello alcune modifiche. 25. Cfr. lettera 54. 26. Da «È la Signora P.» a «Scrivimi sempre»: passo omesso da Vacca. 27. Angelo Camillo De Meis. 28. Diomede Marvasi. 29. Luigi Settembrini. 30. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 178-179. 31. Cfr. lettera precedente.
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Fu la prima cosa che scrissi quando venni qui nel 1850.32 Ti ricordi che in Napoli, non avendo che fare, tradussi, come dio volle, il proemio della Fenomenologia. L’originale rimase presso di te. Qui non avendo che quell’abbozzo informe, ma piuttosto fedele di traduzione, cominciai a lavorarci sopra. Era una cosa assai difficile, che mi costò molta fatica. Non feci, né poteva fare una semplice traduzione; ora abbreviai il testo; ora lo dichiarai. Mi mancava l’originale per far bene. Ma quale che sia questo lavoro, credo che valga qualche cosa. Ci saranno sbagli, ma forse la maggior parte è indovinata. Aggiungi alla traduzione o esposizione del Proemio una breve chiacchiera intorno ad Hegel come poteva farla in quel tempo, senza libri, e anche senza studii, e dopo un ozio di dieci mesi a Firenze; più un sommario della filosofia di Hegel, che val poco. Forse ti manderò l’una e l’altra cosa con questa posta, aggiungendovi il secondo articolo sul secolo XVI. Ora rileggo, anzi leggo e studio veramente la fenomenologia.33 Scrivo, traduco, dichiaro; fo tutto questo per intendere. Se potrò continuare e n’uscirà qualcosa di buono, vedrò di pubblicarla. Studiando, sempre più m’accorgo che la filosofia non solo è una cosa terribile, ma che in Italia, se vi sono ingegni, non vi è più filosofia da un pezzo. Manca la vita del pensiero; ciò che si chiama qui filosofia è un esercizio formale e senza alcuna relazione necessaria col movimento concreto dello spirito. Ma basta di ciò. È inutile che ti dica di più, perché tu sai meglio di me ciò che voglio dire. Non ti dico altro di me, perché già sai tutto il modo come vivo. Si lavora e si tira avanti. Tale è il nostro destino. Io sono più che rassegnato, e vivo come vuole il destino. Se continua così, va bene. Se no, pazienza. Vedremo chi la vincerà, se lui o io. Questo è un paese come tutti gli altri; ci vuole una buona tintura di ciarlataneria; chi non l’ha, corre pericolo d’esser preso per un uomo da nulla. Aggiungi alla ciarlataneria un’altra specie di maschera, un po’ d’ipocrisia, quel volere dire e professare ciò che non si sente né si pensa, e poi giudica come deve fare un povero diavolo che non vuole fare né il ciarlatano né l’ipocrita. È raro incontrare un buon uomo, che ti lasci dire e stampare, pagandoti, ciò che tu vuoi. Per buona ventura quest’uomo dirige la Rivista, nella quale scrivo.34 Per ora va bene, anzi sempre meglio. Vedi dunque che non hai bisogno di affliggerti per me. Sii tranquillo. Ma tu non mi parli chiaro delle tue cose. È qualche mese, mi offrivi di aiutarmi, ed ora non mi dici come vivi. Mi parli, è vero, di quella tal Signora, che non si è dimenticata di te; ma ciò non ti può bastare. E perché non dirmi come provvedi al resto? Così sarei più tranquillo. Voglio saper tutto, e non vorrei che tu stentassi la vita e non me ne dicessi nulla. Dimmi, perché io farò ciò che potrò. Tu mi conosci. Tu vuoi sapere perché ti domandava con tanta curiosità di quella tal Signora. Era una curiosità naturale, che aveva la sua origine nel tal quale mistero con cui tu me ne parlavi. Del resto non ci era sotto altra cosa. Saprai che la signorina di Diomede è morta.35 Diomede è stato afflittissimo, tanto più che le sorelle della povera Elisa hanno detto che fosse morta di dolore, perché Diomede non voleva sposarla in esilio. Hanno respinto, senza aprirle, le lettere che Diomede scriveva loro etc., etc. Diomede non ha in tutto ciò la minima colpa. L’esilio è sempre l’esilio, e chi non ha molti danari del suo, non campa facilmente la vita, anche quando avesse l’ingegno di Diomede. Si 32. Riferimento agli Studii, citati nella lettera 15, nota 23. 33. A proposito di questi studi sulla Fenomenologia, cfr. la traduzione (con note filologiche) della sezione relativa alla «coscienza», conservata tra le Carte Spaventa della BCB [ms. 760/2 (C, 1)], e datata marzo 1855-marzo 1857. 34. Zenocrate Cesari (1811-1884), uomo politico e giornalista; dal 1852 direttore de «Il Cimento». 35. Cfr. lettera 56, nota 8.
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trattava di prender moglie, di far figliuoli; e poi? Quanti muoiono di fame con le loro povere famiglie? Ma l’amore! L’amore non è né deve essere pazzia. Se la povera Elisa fosse venuta qui, come avrebbe fatto Diomede a vivere lui e a far vivere lei? Ti dico questo per ogni buon fine e per la verità della cosa. Tu del resto conosci Diomede, e non ci bisogna altro. Non ho ricevuto ancora le opere latine del Bruno. Fai bene a studiare: leggi ciò che puoi di libri di filosofia; così ti accorgerai che il tuo ingegno non è, come vuoi credere, infiacchito. Perché non studi la Fenomenologia? o qualche altra cosa dello stesso autore? Sono del tuo parere quanto al Cantù; è noioso, superficiale, impostore etc., etc.36 I libri buoni sono pochi, e si possono contare quasi con le dita. Credo che non sia difficile avere da Napoli qualche buon libro di filosofia, specialmente tedesco. Dimandalo o fallo dimandare a qualche tuo amico. E se ti risolvi a studiare queste cose, scrivimene; io ti risponderò, e così apriremo un carteggio filosofico. Ti ringrazio delle notizie che mi dai di Papà e delle sorelle. Non ho ancora ricevuto alcuna risposta alla mia lettera. Dì loro che mi scrivessero. Non ho bisogno di dirti che le salutassi per me. Conservati sempre la salute e ricordati di dirmi schietta la tua presente condizione, cioè quali mezzi hai per vivere. Perdonami, ma voglio saperlo. Diomede e Camillo37 ti salutano. Parliamo sempre di te. È necessario che sii di buon animo e tranquillo; speriamo di rivederci. Sono già sei anni che siamo divisi; mi pare un secolo! Ti ho detto, e ti ripeto sempre che ciò che mi pesa, non è tanto l’esilio, quanto la lontananza da te e dalla famiglia. È questo un dolore, che non può essere superato né col tempo né con l’abitudine. È sempre lì, e si fa sempre maggiore. Dimmi qualche cosa del modo come vivi costì. Sei solo col buon Settembrini, o anche con altri? Meno male, che hai un compagno come lui; è sempre una grandissima consolazione. Noi che siamo qui, se non fossimo in compagnia dei nostri, saremmo sconsolatissimi. I piemontesi sono buona gente, ma fanno lega difficilmente con gli emigrati, non per avversione (anzi è il contrario), ma perché sono fatti così: sono un po’ chiusi in sé stessi, di poche parole etc. Ti scrivo così come corre la penna. Vorrei dirti tante cose, ma sono sempre da capo, e tutte si riducono a questa, che io sono per te sempre ciò che era prima, che ti amo come prima e più, se fosse possibile. Addio, caro Silvio. Coraggio sempre e speranza! Bada alla salute. Tante cose a Settembrini. Amami. Scrivimi sempre. Studia come puoi. Addio. Amami. Bertrando tuo Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 32-35).
61 A Silvio Spaventa [Torino,] 21 maggio 1855 Mio carissimo Silvio, Ho avuto la tua dell’8 Aprile; 38 all’altra del 28 Febbraio avea già risposto con la data del 14 Marzo. Ho goduto moltissimo che ti siano pervenute le mie cose ed anche che ti 36. Cesare Cantù, Storia universale, Torino, Pomba, 1838-1846. 37. Angelo Camillo De Meis. 38. Cfr. Croce, Voci da un ergastolo politico, pp. 103-104. La lettera, cui si riferiva Bertrando, è pubblicata da Croce con la data del 4 aprile.
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sia piaciuto quella che mi è costata più studio e fatica, il Campanella. Aspetto il tuo giudizio sopra le altre, come pure il secondo giudizio intorno al Campanella quando lo avrai riletto. Lo scritto segnato col numero 4 non te l’ho inviato, come ti diceva nella lettera, perché temetti che perdendosi non ti facesse male. Ci entrava qualcosa che non era pura filosofia ed era contro certi uomini che in certi luoghi non è permesso attaccare. Ma poi ci ho pensato meglio, e te lo invierò con altri scritti, quando li avrò messi tutti in ordine. Ciò che mi dici del Campanella mi pare giusto, e tu hai indovinato il mio pensiero. Il punto stava nel determinare, per dire così, il luogo ideale che questo filosofo occupa nella storia etc. Il Ritter39 e il Ranke40 mi hanno giovato poco o nulla. Ciò che essi dicono è che Campanella appartiene alla restaurazione cattolica del secolo XVI. Questo non è un concetto nuovo, ma risulta evidentemente dalla lettura, anche superficiale, di qualunque opera del Campanella. La difficoltà era nel determinare la relazione di Campanella con gli altri filosofi e con le altre filosofie, o diverse forme della filosofia, anteriori e posteriori etc.; e in ciò il Ritter non mi ha servito a nulla; molto meno il Ranke. Per determinar questo ho dovuto pensare e ripensare; studiare un po’ di filosofia scolastica ed anche anteriore alla scolastica, e similmente un po’ di Cartesio etc. Dei risultati di questi studii vi ho messo poco o nulla nello scritto, ma l’ho messo, come avrai cominciato a vedere, nel primo articolo sulla Riforma etc.; e vedrai meglio negli altri; l’ho messo in un’operetta a parte che può servire come d’introduzione a un lavoro sui nostri filosofi del secolo XVI.41 La terza parte del Campanella non l’ho fatta ancora, e la seconda non l’ho pubblicata finora.42 Il secondo articolo sulla Riforma etc. è, come ti ho detto già in altre lettere, stampato da un pezzo. Il terzo l’ho già fatto, e si stamperà quando sarà tempo.43 Siccome queste cose si stampano in una Rivista che tratta di tutto, così non conviene seccare il prossimo sempre con articoli di filosofia pura, come dicono. Fra giorni pubblicherò un primo saggio d’una critica fatta da Rosmini contro Hegel.44 Non puoi immaginare quante minchionerie ha potuto dire Rosmini. Non solo non ha compreso il pensiero di Hegel, ma non l’ha capito neppure letteralmente. Spropositi e sempre spropositi! Ti ricordi ciò che il Gioberti dice di Hegel (anche senza averlo letto)? Ebbene, figurati l’esagerazione infinita degli spropositi di Gioberti, e avrai Rosmini. A dirla così senza prova di fatto non si crederebbe; e pure è vero. Quell’altro nostro gran filosofo (il Mamiani) continua anche lui a scrivere nello stesso tono, e col senso comune crede di aver vinto quell’uomo paradossale, quell’ingegno pazzo (proprio così) di Hegel etc. Sono cose che fanno ridere quelli che pensano (e sono pochi), e meravigliar gli stolti (e sono moltissimi). Ti basti un esempio. Rosmini vuol confutare la Logica di Hegel. Ebbene lo crederesti? Non ha letto la Logica grande di Hegel, ma appena il Compendio che è nell’Enciclopedia; e questo Compendio l’ha letto, e non l’ha capito. Di questo si tratta; errori indegni di uno scolare, d’un semi39. Heinrich Ritter, Geschichte der neuern Philosophie, Hamburg, Perthes, 1850 (cfr. a questo proposito le traduzioni dalle opere di Ritter conservate nelle Carte Spaventa, BNN, XVI. C.8.1.1). 40. Leopold von Ranke, Die römischen Päpste, ihre Kirche und ihr Staat im sechszehnten und siebzehnten Jahrhundert, Berlin, Duncker und Humblot, 1844-1845. 41. Cfr. lettera 33, nota 5. 42. Cfr. lettera 54, nota 45. 43. Cfr. lettera 43, nota 6. 44. Hegel confutato da Rosmini. Saggio primo, in «Il Cimento», 31 maggio 1855, pp. 881906 (rist. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 151-188). La seconda parte del saggio, riguardante la risposta in chiave hegeliana ai quesiti sollevati da Rosmini, non fu mai pubblicata. Sulle stesse questioni, cfr. le critiche a Tommaseo, Sopra alcuni giudizi di N. Tommaseo, in «Il Cimento», 15 novembre 1855, pp. 730-741 (rist. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 189-206).
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narista. Questi nostri filosofi non sono che dei grandi seminaristi, niente più, niente meno. T’invierò questo scritto, appena sarà stampato e anche qualche altro. Continuo a parlarti di me. Oltre a questo articolo di fondo, come si dice, io debbo fare anche delle rassegne o critiche di opere che vedono la luce, almeno due ogni mese, perché la Rivista esce ogni 15 giorni. Già ne ho fatto molte. Sono cose che scrivo così in fretta, e non te le mando perché non ne val la pena. Forse te ne manderò qualcuna per saggio. Senti questa: a molti che si dicono filosofi piacciono più queste rassegne che non siano piaciuti gli articoli sopra Campanella; i quali sono stati dichiarati (da codesti molti) inintellegibili, oscuri, nebulosi etc. etc. Io non me ne meraviglio. Ma basta così. Animo, Silvio, e speriamo. Ti voglio, non dico più lieto, ma più fidente in te stesso: l’ho detto sempre, che non è vero ciò che tu credi, di avere perduto mente, memoria, ingegno, etc. Ora che il puoi, come mi dici, torna a studiare, e vedrai. Ti ho detto che anch’io a Firenze era in uno stato, che quando me ne ricordo, mi maraviglio come ne sia uscito, e mi trovi dove mi trovo. Basta ricominciare a volere, per ritornare a se stesso e ritrovare se stesso. Capisco che il luogo dove sei non è favorevole, ma pur non esclude assolutamente ogni studio. Dal modo come mi hai parlato del Campanella, credo bene che non sei quello che tu t’immagini di essere. Ciò ti dico con tutta l’anima e con tutta la verità. Vedi avere da Napoli qualche buon libro per mezzo di qualche amico. Tu sei ancora giovine, e ciò che chiami perdita irreparabile, non è che un offuscamento momentaneo di coscienza, il quale si può vincere quando si vuole. Anche ora io ho di questi momenti, in cui mi pare di essere un nulla più di quello che realmente45 sono. Camillo,46 che ti saluta caramente, ti dice lo stesso, ed è della stessa mia opinione. E la salute come va? Ti raccomando sempre di badarci, perché è forse la cosa principale. Quanto a me, sto bene. Forse quest’anno farò lo sproposito di andare un po’ in campagna, dopo cinque anni e più di dimora in città, un miglio circa da Torino.47 Sono proprio annojato della città, ed ho bisogno di aria pura. Tu intanto continuerai a scrivermi come hai fatto sinora e con la stessa direzione; perché, stando in campagna, posso dire di essere a Torino. In un’ora si va e si viene. Ho ricevuto una lettera di Papà. Me lo saluterai caramente. Io gli scriverò un’altra volta a lungo. Povero Papà! Sarà già fatto vecchio! Se hai occasione di scrivere a quella Signora, puoi farle giungere per me i miei ossequi a te.48 Non le scrivo io, perché non so se farebbe piacere una mia lettera scritta da qui. Fa a tuo modo; se credi di no, no. Salutami l’ottimo Settembrini e abbraccialo per me. Gli amici vi salutano e vi dicono tante cose. Camillo e Diomede49 si ricordano sempre di te. Tu nell’ultima lettera non hai parlato di Diomede, certo per dimenticanza. Riparaci. Addio, Silvio. Un’altra volta sarò più lungo. Amami, coraggio, studia. Addio e credimi sempre Il tuo Bertrando Non ho ricevuto ancora il Bruno. Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 35-37).
45. Vacca: «veramente». 46. Angelo Camillo De Meis. 47. A Cavoretto, dove abitò anche nel 1856. 48. Così Vacca che aggiunge: «[sic]». 49. Diomede Marvasi.
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62 A Silvio Spaventa Torino, 12 giugno 1855 Mio carissimo Silvio, Sono già due mesi che non ricevo tue lettere. L’ultima è stata dell’8 Aprile. Alla quale risposi, è vero, un po’ tardi, non per colpa mia, ma per aver calcolato male i giorni delle partenze dei vapori. Intanto Cesare 50 scrive che ha una tua lettera da inviarmi e che non l’ha fatto, perché, non vedendo per qualche tempo alcuna mia lettera, temeva che il solito ricapito non fosse più sicuro. Spero che a quest’ora la mia risposta gli sarà pervenuta, e che però la tua sia già in viaggio. Desidero ardentemente avere tue lettere non solo per sapere come va la tua salute, ma anche come ti trovi per quella mutazione un po’ in meglio della tua condizione, di cui mi parlavi in una delle ultime tue. Desidero sempre di sapere che studii, che pensi, che fai e come passi il tempo. Vorrei vederti non dico più sereno e tranquillo, perché sono certo che lo sei e lo sarai sempre, ma più fidente in te stesso, cioè con maggiore coscienza della potenza delle tue facoltà intellettive. Studia sempre il meglio che puoi e ciò che puoi; e animo sempre. Non ci è peggio che il persuadersi di non poter fare, quando qualche cosa sempre si può fare. Quanto a me sono nello stesso stato; lavoro per vivere e vivo per lavorare (a mio gusto). Non mi lamento, e oramai sono avvezzo a ogni cosa, a ogni mutazione di fortuna. Quello che vi è di buono in noi, è che siamo, persuasi in certa maniera che certe cose non dipendono da noi e debbono andare come vanno, a capriccio di non si sa chi, ora bene, ora male per noi, come se noi non ci fossimo, e il bene e il male ci toccassero per inavvertenza e sbadataggine del padrone. Ma sia comunque si sia, io tiro avanti. Ti dico sempre che ciò che solo mi dispiace, e di che non posso mai farmi persuaso, è il tuo stato e la nostra separazione. Quando ci penso, che è sempre, quella tale inavvertenza o sbadataggine mi apparisce come la più brutta cosa che si possa avere al mondo, e mi addoloro, mi arrabbio, e sento che ho un lato vulnerabile, anzi una piaga contro cui non giova né il volere né il pensare. Ti ho promesso di mandarti altre mie cose, e lo farò tosto che le avrò messe in ordine. Sono un po’ stanco di lavorare, o per dir meglio annojato, ma non ci penso più che tanto. Andrò, come ti ho detto, per qualche tempo in campagna, vicino Torino. In campagna si lavora meglio e si gode sempre miglior salute, anche lavorando. Non sono uscito mai da Torino da cinque anni; e pure è facilissimo qui andare e venire, perché ci sono strade di ferro da per tutto. Tu manda le tue lettere come hai fatto sempre, perché io scenderò a Torino ogni settimana. Mi accorgo che la carta è cattiva e che non si può leggere quello che scrivo.51 Caro Silvio, quando penso che corre già il settimo anno che tu sei in prigione, ed è per finire il sesto che io sono in esilio, credo che sia un sogno! Ma non ne parlo più. Dammi notizie di Papà e della famiglia, e dimmi se stanno bene. E del Croce superstite52 che n’è? forse è inutile la domanda, perché già so la risposta. E i figli del consigliere che riuscita hanno fatto? Quel Pasqualino e quell’altro di cui non mi ricordo più il nome?53 Ti ricordi quelle nostre lezioni a cotesti signorini? Saranno ciò che doveano essere, ciò 50. Cesare Napolitano. 51. Annotazione di Beltrani: «È infatti rimasto in bianco uno spazio per circa dieci righe sul verso della prima carta». 52. Cfr. lettera 42, nota 1. 53. Pasquale e Francesco Croce.
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che erano destinati ad essere. Così si perpetua la famiglia dei buoni. Quando mi ricordo di quel vico là vicino Toledo,54 mi viene da piangere. Eravamo pure un po’ contenti in quelle due camerette, ed io che correva su e giù, sputando sentenze filosofiche a certi Signori che ne capivano assai. Che vita! E qui addio parola! addio insegnamento! Con tutta la mutazione, che ci è qui, l’istruzione pubblica sa ancora di medio evo.55 Università (e quale università) e non altro che università. E poi sono buoni, ma cocciuti come i nostri villani; facciamo così, perché così hanno fatto gli avi nostri. Guai chi parlasse di riforme universitarie! E pure ci si verrà, ci si dovrà venire. Ti dico questo, non perché io speri per me. Oh! ci vuol altro che me per riuscire qui, come anche altrove, in qualche cosa! E poi cominciano un po’ a seccarsi di noi altri e dell’aver molti di noi, non io, occupati certi posti, che spettano a loro per diritto di nascita. Una volta mi volevano fare professore, 56 ma ora! Dio ne liberi! Mi tengono per un cattivo soggetto (filosofico, s’intende); perché studio e parlo di tedeschi etc. etc. Ed io li lascio dire; essi parlano, e parlo anch’io; perché qui, grazie a dio, si può parlare. Ora si son seccati…57 un po’ di scritti politici, e sentono il bisogno di cose letterarie e filosofiche. Quindi le Riviste hanno probabilità di andare. In politica il campo è mietuto e rimietuto; non rimane più nulla da mietere. Io non ne capisco più niente: chiacchiere, chiacchiere e sempre chiacchiere; si sciupa l’ingegno e si perde la testa. Parlo di giornalismo. Il meglio è studiare e pensare a fare qualcosa di meglio. Non ho ricevuto ancora il Bruno. Non so se farò più questo lavoro. Quello che avea già fatto non mi piace più, e sento il bisogno di sapere ancora altre cose prima di rifarlo. Vedrò. Rispondimi subito e parlami a lungo di te. Saluta Settembrini caramente. Animo sempre. Amami e sono sempre Il tuo affezionatissimo fratello Bertrando Mio caro Silvio, È un pezzo che non riceviamo tue nuove: e ci fa tanto più rabbia in quanto che a Malta insistono che sia in mano di Cesare una tua lettera. Noi la aspettiamo con grande ansia e specialmente io, il quale aspetto una tua risposta alle poche parole che ti scrissi. Di noi nulla di nuovo. Quando dico di noi, intendo dire di molto pochi individui… ma mio caro perché disingannarvi anche sopra taluni che immaginate ancora che sieno gli stessi uomini di sette anni fa. Addio caro Silvio, amami Il tuo Diomede Salutami Settembrini. De Sanctis saluta te e lui affettuosissimamente. Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 37-39).
54. Allusione allo studio di filosofia aperto nel 1846 insieme al fratello nella gran sala del Collegio dei nobili. 55. Cfr. la polemica condotta sulla libertà d’insegnamento nei tredici articoli apparsi sul «Progresso» del 1851 (rist. in B. Spaventa, Opere, III, pp. 673-763). 56. Cfr. la lettera 11, indirizzata al ministro della pubblica istruzione piemontese, Cristoforo Mameli, su suggerimento di De Meis. 57. Annotazione di Beltrani: «La lettera s’interrompe così. Tutto il verso della seconda carta è bianco». Il brano successivo è conservato nelle Carte Spaventa della SNSP, XXVI.D.3.1.
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63 A Silvio Spaventa Torino, 30 giugno 1855 Mio carissimo Silvio, Ho ricevuto in una volta due lettere tue (4 Maggio e 10 Giugno);58 all’altra degli 8 Aprile avea già risposto con la data del 21 Maggio e del 12 Giugno. Tardai a rispondere, perché sbagliai nel calcolare i giorni di partenza dei vapori postali. Il povero Cesare59 non ci entra per nulla, e la colpa è tutta mia. Ora ti scrivo dalla campagna,60 dove mi trovo da circa 1561 giorni. Mi sento assai meglio. Non già che stessi male; ma l’està a Torino fa un caldo insopportabile e così monotono, che è una disperazione. Qui, se non altro, si respira e ci sono delle ore in cui si può camminare senza sudare. Sono solo, e posso studiare di più; scendo ogni mattina a Torino per rivedere qualche amico, specialmente Camillo.62 Il quale forse verrà a dimorare per qualche giorno con me. Non ho ricevuto il Bruno. Tommasi non è stato a Firenze che pochi giorni nel principio del 1852, venendo da Napoli, ed è qui da quell’epoca.63 Mi dispiacerebbe se il libro si perdesse, perché non si trova così facilmente, neppure in Alemagna. Il mio lavoro sopra Bruno è rimasto lì; mi pare di avertelo detto già in un’altra lettera. Avea fatto qualche cosa che avrebbe potuto64 essere stampata come introduzione ad una nuova edizione delle opere italiane; ma poi ci ho pensato meglio, e quello che ho fatto non mi piace più. Ci sono delle cose che approvo ancora; ma mi sono accorto che per fare un lavoro che non finisca per dispiacermi dopo due mesi che l’ho fatto, come non di rado mi accade, ho bisogno di sapere ancora altre cose. Le cose che fo adesso sono tutte provvisorie; sono come materie che preparo. Insomma scrivo più per chiarire a me stesso ciò che penso, che per altro. Hai ragione quando dici che quel piccolo lavoro sugli Eroici furori avrebbe dovuto essere fatto diversamente. È vero che ci è qualcosa di slegato, e che a questo difetto non ripara affatto il sommario. E sono anche del tuo parere quando dici che bisogna riassumere in tanti capi i punti principali. Ma vuoi che ti dica la verità? Già sai che quello scritto non è tutto Gli eroici furori, ma solo una parte, la quale è in intima connessione con un’altra che è la teorica della cognizione. Io avea scritto, non stampato,65 questa teorica, col fine principale di far notare certi errori di Ritter, il quale mi pareva che non comprendesse bene il pensiero di Bruno. Per farla, dovetti esporre così materialmente, più per mio uso che per altro, tutti gli Eroici furori; feci leggere questa esposizione a qualche amico, che la trovò leggibile, anzi bella; senza che vi fosse niente del mio, perché io non avea fatto che mettere insieme i passi di Bruno, con un ordine piuttosto estrinseco. E veramente, tolte le ampolle e le frondi, Bruno si legge in quello scritto con grandissimo piacere. Ora quando fu fondata la Rivista italiana66 mi 58. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 180-185. 59. Cesare Napolitano. 60. Cfr. lettera 61, nota 47. 61. Vacca: «5». 62. Angelo Camillo De Meis. 63. Cfr. lettera del 4 maggio (S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 180). 64. Vacca: «poteva». 65. Il saggio su Bruno, intitolato La dottrina della conoscenza di G. Bruno e successivamente rielaborato, apparve in «Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», II, 1865, pp. 293-348 (rist. in Saggi di critica, pp. 196-255). 66. La «Rivista enciclopedica italiana», fondata nel 1855.
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fu domandato qualche cosa con premura; io risposi che non avevo niente da dare. Il mio motivo era, che scrivendo nel Cimento mi pareva troppo mostrare anche di scrivere nella Rivista. Ma il direttore di questa avea saputo, che io avea qualche cosa sopra Bruno e specialmente l’Esposizione, letterale, degli Eroici furori; disse che la voleva; e io gliene diedi una parte, così come l’avea, appiccicandoci il sommario e quella tal traduzioncella. 67 Del resto non ho abbandonato l’idea della necessità d’una doppia esposizione dei nostri filosofi del secolo XVI. Ora vuoi ridere? A qualche professore torinese, che mi chiama da quattro anni nebuloso etc., è piaciuto quello scritto più che qualunque altra cosa mia. Questo professore è quello stesso, a cui piacciono più le mie riviste fatte in fretta che gli articoli di fondo. È una testa originale come una zucca. E pure è una potenza qui. Le cose che tu mi dici sul modo di ridare agli Italiani la coscienza delle idee filosofiche sono vere e profonde; in esse ho riconosciuto il mio Silvio. Te lo dico sinceramente e non già per confortarti: da ciò piglio sempre più argomento a consigliarti di ritornare agli studi filosofici. Tu sei ancora giovine, ed hai appena l’età che aveva io, quando ho cominciato da vero tali studii. Il male è questo, che noialtri Italiani non capiamo né la nostra filosofia d’una volta, e né la filosofia moderna, cioè la tedesca. Da Kant sino ad Hegel quanto pensiero nuovo! Eppure in Italia (parlo di qui e di altri Stati, eccetto forse Napoli, almeno allora),68 non se ne sa niente, perché non si può chiamare sapere quella notizia che in parte ci è venuta dai Francesi (ciarlatani sempre), e in parte dai nostri grandi filosofi, che espongono e confutano69 senza leggere, o leggendo male i tedeschi, eccetto forse il nostro Galluppi, che è più sincero degli altri. Ma quanto poi manca in Galluppi! Vedrai dal primo saggio che t’invierò, come Rosmini confuta Hegel, e non ne sa nulla, proprio nulla. Quelli poi che vorrebbero far conoscere quella filosofia agli Italiani, sono perseguitati, sì perseguitati. Non dico già che sono messi in prigione, torturati e bruciati vivi, ma ci è prevenzione e persecuzione. Parlo di qui, di questo paese, invidiabile per tutt’altro, fuorché per la vera libertà del pensiero speculativo. Si comincia dal dire che il tale è una testa stravagante, che non fa alcuna stima delle cose nostre, della nostra sapienza antichissima etc. poi dice che ci crede poco o niente, che è panteista, etc., finalmente che etc. E che accade? Accade che se quel tale ha bisogno di un certo credito, che si dà come dio vuole e a chi dio vuole, per tirare innanzi, trova mille intoppi, e spesso vi si rompe la testa inutilmente senza conseguir nulla. Per gli studi speculativi ci vuole una certa tranquillità d’animo, che non si può avere se non quando si ha una posizione stabile e sicura; ora per chi non ha nulla, questa posizione è impossibile a ottenere senza quel tale credito, che è in mano di quelle tali teste originali, che hanno per tipo quel tale professore. La tranquillità, senza una posizione, come dicono gli uomini d’affare, è un’eccezione, e si ha solo quando si è fatto il callo alle sventure. Mi ricordo che nello scorso anno io non avea che poco o niente per vivere, e pure studiavo ed ero tranquillo; segno che il callo è fatto. Ti scrivo così, senz’ordine, e come va la penna. Non ti puoi immaginare il piacere che ho provato per la tua risoluzione di ritornare agli studii filosofici. Vedo anche che non hai perduto tempo; perché, in fin dei conti, gli altri studii che hai fatto, servono sempre a qualche cosa, e sono, se non altro, una materia necessaria alla vera cognizione. Che tu non abbi capito molto la Fenomenologia di Hegel, non 67. Dell’amore dell’eterno e del divino di Giordano Bruno (cfr. lettera 54, nota 52), apparso nel primo fascicolo de «Il Cimento». 68. Cenno alla diffusione della filosofia tedesca negli ambienti culturali napoletani prima del 1848 (cfr. la prefazione ai Principii di filosofia, Napoli, Stabilimento tipografico Ghio, 1867). 69. Vacca: «completano».
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ti faccia meraviglia; la difficoltà non dipenderà tanto dallo stato dell’animo tuo, quanto dal libro stesso. È un’opera difficile. Ciò che tu dici, che forse la difficoltà nasceva dal non avere ancora tu letta la Logica, è vero e non vero; perché la fenomenologia è necessaria come fondamento della logica, e nondimeno le determinazioni di quella non si comprendono bene che nella logica. Ti ho scritto, è qualche mese, che io avea ricominciato la fenomenologia. Ebbene studiai il primo paragrafo (la certezza sensibile), trovai difficoltà, le superai; scrissi, esponendo e traducendo, e poi passai al secondo: la percezione: maggiori difficoltà, ma pure mi accorgevo che non erano insuperabili, e alcune ne avea già superate; quando mi convenne di fare il primo saggio sopra Rosmini. Ciò mi richiamò alla logica; la quale leggo e rileggo ora, perché n’ho preso gusto; tanto più che ho avuto tra le mani una esposizione e supplemento di essa fatto da Werder,70 ne ho un solo fascicolo, il quale sebbene non sia facile e qualche volta più difficile di Hegel stesso, pure mi piace appunto perché è difficile. Penso, dopo aver finita la logica, di passare alla filosofia della natura, e, poi, a quella dello spirito; e poi ritornare alla fenomenologia e così continuare, finché non sarò stanco. Intanto leggo anche qualche altra cosa che mi capita tra le mani. Per buona fortuna, è venuto qui un tedesco a stabilire una libreria. Speriamo che ci resista e faccia fortuna. Il tuo pensiero di ricominciare da Kant è buono; ma bisogna far presto, e contentarsi delle sole Critiche, e poi passare ad Hegel, supplendo con la critica che Hegel medesimo fa della filosofia (prima di lui) nelle dissertazioni stampate nel primo volume delle opere. Potresti anche incominciare addirittura dalla Logica. Lodo che legga questo e quel libro che ti capita in mano, ma bisogna risolversi a studiar bene un sistema, a porsi in una posizione determinata, a comprendere bene l’ultimo grado etc. Tu m’intendi. Ti ho detto che la tua risoluzione mi ha rallegrato; intanto nella tua seconda lettera tu mi ti mostri, non dico raffreddato, ma un po’ sfiduciato ancora. Animo, Silvio; studia (sempre però se la salute te lo permette), e vedrai che farai più che tu non credi. L’ingegno (e tu ne avevi uno) non si perde così; tu l’hai ancora e bisogna coltivarlo speculativamente. Quanto al tradurre, sta bene; ma non vorrei che perdessi il tempo col Ritter:71 uomo erudito e dotto, ma poco filosofo. Ci penserò e vedrò d’indicarti io stesso qualche libro migliore. Del resto tu puoi fare qualche cosa di meglio. Verso la metà di Luglio ti manderò alcune cose mie. Ora stamperò anche la seconda parte di Campanella. Rispondimi subito e fammi sapere che cosa farai quanto ai tuoi studii. Non conosco la filosofia della geografia di Kapp;72 sapeva che costui era hegeliano dalla storia di Michelet.73 Fai bene a leggere Macaulay,74 che è l’autore simpatico di Camillo, e hai fatto bene a lasciare quel minchione e seccatore di Cantù.75 Di istoria io non so niente: grandissimo difetto. Mi ci dovrò mettere; ma che vuoi? Sono fatto così, che se fo una cosa, non fo un’altra; e poi certi impicci che ti disturbano. E pure senza questi impicci non si vivrebbe. Assicura il carissimo Settembrini che io, Marvasi, Camillo, De Sanctis faremo tutto ciò che sarà in nostro potere per la revisione etc. del suo Luciano.76 È cosa da niente e così potessimo rendergli un servizio maggiore! salutalo caramente e digli tante cose per me. 70. Karl Werder, Logik als Commentar und Ergänzung zu Hegels Wissenschaft der Logik, Berlin, Noit, 1841. 71. Heinrich Ritter, Geschichte der pythagoreischen Philosophie, Hamburg, Perthes, 1826. 72. Christian Kapp (1798-1874), filosofo tedesco amico di Feuerbach. 73. Karl Ludwig Michelet, Geschichte der letzten Systeme der Philosophie in Deutschland von Kant bis Hegel, Berlin, Duncker und Humblot, 1837-1838. Kapp è menzionato nel volume II, p. 669. 74. Henry Hallam, Thomas Babington Macaulay, The History of England, London, Murray, 1849. 75. Cfr. lettera 60, nota 36. 76. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 185 (e nota del curatore).
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Vorrei scrivere a Papà, ma non ho più tempo, e mi accorgo che l’ora è passata: debbo ora scendere a Torino per rivedere certe prove di stampa. Intanto fa tu le mie veci; salutami anche le sorelle e Faustina;77 vorrei sapere se si ricordano del loro Bertrando. Chi sa se lo riconoscerebbero ora con mustacchi etc.? ed anche con qualche capello bianco; sono pochi, ma cominciano. Prima o dopo, è tutt’uno. Scrivimi qualche cosa di quella Signora: è necessario? Così tu finisci la tua seconda lettera. Necessario; perché? Non capisco. Se vuoi dire che la saluti per me (ecco tutto), detto fatto. Se poi vuoi che dica ciò che è stato, te l’ho detto già. Non è stato niente, ma solamente una noia che mi cacciava da Firenze. E sia lodato Dio. Del resto io non posso che lodarmi di lei e le sarò sempre gratissimo di tante finezze etc. Se tu avessi occasione di scriverle me la ricorderai come suo devotissimo. Piuttosto, vorrei che tu mi dicessi qualche cosa; perché un suo amico di qui non ne ha più notizie da più mesi. Volea scriverti più lungamente. Ma lo farò un’altra volta. Gli amici Camillo e Diomede78 ti salutano con Settembrini. Addio, Silvio: animo sempre: studia, e filosofia. Amami. Scrivimi e sii certo del mio amore come sempre. Il tuo Bertrando Diomede vorrebbe sapere chi è quell’amico a cui hai trascritto quella parte d’una mia lettera che lo riguarda. Diomede, come sai, è curioso! Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 39-43).
64 Ad Angelo Camillo De Meis Torino, 5 agosto 1855 Mio caro Camillo, Rispondo un po’ tardi alla tua, ma ti assicuro che non avea proprio voglia né di parlare né di scrivere, tanto sono stato di cattivo umore in questi giorni. Perché? Non lo so neppure io. E poi che importa a te di queste mie inezie? a te che sei così addolorato per la perdita di Amalia? Debbo dir altro? queste due parole dicono tutto, né io sono uomo da poterti consolare. La tua lettera mi ha fatto una profonda impressione e l’ho letta e riletta più volte, e mi persuado che se tutte le donne o almeno una gran parte fossero come era Amalia, noi altri uomini saremmo migliori. Se io, per esempio, sono, come dici tu, così freddo di cuore e insensibile, il che non è vero, la colpa non è mia; a Napoli non apparivo tale (non dico non ero); forse perché le napoletane sono migliori delle nostre buone piemontesi? Non saprei dirlo, e non ci veggo niente. Povero Camillo, come devi essere afflitto! Lascia codesti luoghi e ritorna qui; almeno ci conforteremo tra noi. La tua lettera è il vero ritratto o meglio l’ideale della donna; e quando si pensa che questo ideale era realità nella buona Amalia, ci è da far le maraviglie. «Diss’io pien di spavento: – Costei per fermo nacque in paradiso!». In fin dei conti noi altri filosofi possiamo scrivere paradiso, intendendo per esso il regno delle idee divine, 77. Faustina Spaventa, cugina di Bertrando. 78. Diomede Marvasi.
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e così sta bene il verso del Petrarca. Ho grande desiderio di rivederti; sarà forse egoismo, ma pazienza ti dico che sono stanco di questa vita stupida, che meno io. Maledetto? Chi? Scrivi, traduci, traduci e scrivi, e perché? Sinora per vivere solamente, cioè per continuare la noia e il fastidio. D’una sola cosa mi meraviglio, ed è la costanza che ho da tre mesi di venire qui ogni sera; mai, mai al mondo mio sono stato così conseguente o inconseguente, come meglio ti piace: sai bene che gli opposti coincidono. Io scherzo con te che hai il dolore nell’animo; ma non prendermi in mala parte, c’è un riso che viene dalla disperazione. Adunque sono qui: il solito. Isabella sempre la stessa, ora di buonissimo, ora di pessimo umore; aspetta venga il messia con una costanza degna di una israelita e forse con lo stesso successo. Io non le dico niente, perché se per poco la tocco sul vivo, o mi manda al diavolo o se ne va in quel solito sonno di mezzo quarto d’ora. Lutgarda ti saluta: mi domandano sempre quando ritornerai, ma tu non me ne dici nulla. Ora debbo finire e non ti ho detto che poco. Isabella fa il diavolo e non so che abbia. Se la prende con te, perché la tua lettera parla con poco rispetto di lei; l’ha anche con me, perché l’ho paragonata ad un’ebrea: insomma, tempesta. Passerà. Addio intanto. Perdonami questa lettera senza sapore. Ti ripeto che non sto bene di spirito e sono di un umor nero, evitando. Addio. È vero che Giura79 sta male? Bertrando tuo SNSP, XXXI.D.7.2 (parzialmente ed. in Croce, Ricerche, p. 32).
65 A Silvio Spaventa Torino, 9 agosto 1855 Mio carissimo Silvio, È più d’un mese che non ricevo tue lettere. Le due ultime tue (4 Maggio e 10 Giugno) mi giunsero insieme verso la fine di giugno, e da quel tempo niente più. Risposi subito (30 Giugno). Ti avea promesso di scriverti ancora per la metà di Luglio, ma ho differito di farlo, aspettando che si pubblicasse la seconda parte di Campanella, che volea mandarti con altre poche cose mie. Mi hanno canzonato ben due volte; ora pare che vedrà finalmente la luce!! Intanto ti scrivo e t’invio 4 cose, cioè: 1) La seconda parte del Principio della Riforma etc.;80 2) Il primo Saggio sopra Rosmini, come confutatore di Hegel;81 3) Un articolo sulla Accademia di filosofia fondata dal Mamiani; 82 4) Quel tale Saggio di polemica che non t’inviai altra volta per alcune ragioni che comprenderai facilmente.83 Ora rimetto all’arbitrio di Cesare84 il decidere se debba o no mandartelo. Quanto alla prima cosa, ti prego di non giudicarla, se non quando avrai letto tutto il lavoro. Quanto alla seconda, c’è poco di filosofia. Credei che ce ne doveva esser poco; 79. Cfr. lettera 40, nota 19. 80. Cfr. lettera 43, nota 6. 81. Cfr. lettera 61, nota 44. 82. Cfr. lettera 54, nota 50. 83. La nostra polemica con la «Civiltà Cattolica», in «Il Cimento», 15 marzo 1855, pp. 438445 (rist. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 189-202). 84. Cesare Napolitano.
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si trattava solamente di persuadere il lettore che Rosmini non ha il primo requisito d’un critico, cioè quello di saper leggere e intendere le opere del criticato. Ignoranza, o mala fede: di qui non si può uscire. Credo di aver dimostrato questo. Negli altri Saggi entrerò in materia. Ma, sebbene abbia già raccolto molti elementi, non li farò così presto; perché Rosmini è morto, sarà un mese, e bisogna rispettare le convenienze.85 Quanto alla terza, è una cosa fatta in pochi giorni. Ciò che ho detto del Mamiani non è che un cenno d’un abbozzo di critica della sua filosofia: abbozzo che ho qui scritto fin dall’anno passato.86 Quanto alla quarta, non ti dico nulla, perché non ne val la pena. Ora continuo a studiare la Logica. È un’opera tremenda, specialmente la prima parte; difficile, difficilissima, ma bisogna cavarne le mani; altrimenti saremo sempre da capo. Se non avessi da perder tempo per fare qualche po’ di denaro, sarei più contento; e farei di più. Ma ci vuol pazienza, e fo quel che posso. Sempre più mi accorgo che la filosofia in Italia non ci è più da un pezzo, e che noi siamo, per lo meno, un secolo indietro. Che vita da Kant sino a Hegel! Io mi contenterei, se potessi arrivare a comprendere questa vita. Autori francesi non ne posso più leggere, mi annoiano in modo incredibile. Non hanno niente di filosofico, niente di scientifico; asserzioni, opinioni, pareri etc. etc.; ecco tutto. Non nego che dicano cose nuove o che pajano tali; ma manca sempre la scienza, cioè la filosofia: il pensiero che pensa se stesso. Eppure, una volta per noi non ci era altro che la filosofia francese! Credo che questa mutazione non sia cattivo segno. Tu dicevi bene in una delle tue ultime lettere, che noi non possiamo riacquistare la coscienza di noi medesimi, se non nella filosofia tedesca. Aspetto con grandissimo desiderio tue lettere; e mi preme di sapere se hai potuto ricominciare a studiare filosofia. Se mi riuscirà, farò d’inviarti di qui qualche cosa. Del resto è più facile avere qualche opera, per mezzo di Detken,87 direttamente da Napoli. Vorrei sapere se hai cominciato da Kant o da Hegel. Di Kant potrà bastarti la critica della Ragion pura, per ora. Ti consiglio di leggere sempre e continuamente la storia della filosofia di Hegel; deve essere come una lettura di accompagnamento perpetuo. Dopo Kant, metti mano alla Logica. Nel primo volume delle Opere di Hegel, troverai alcuni articoli che ti potranno essere utilissimi, come Critica dei sistemi anteriori, come il primo passo del pensiero hegeliano etc. Non puoi immaginarti il desiderio, che ho, di vederti ripigliare gli studii filosofici, gli studi tuoi. Se vuoi farmi contento, o, se vuoi che sia meno scontento in mezzo ai guai, dimmi che hai già cominciato e che continui alacremente. Dimmi come vai in salute, alla quale ti raccomando sempre di badare. Scrivi subito perché non posso stare senza tue lettere. Ti scriverò, tra giorni, una più lunga. Ti scrivo di fretta qui a Torino. Addio! Saluto tanto Papà e sorelle. Tante cose a Settembrini. Camillo e Diomede88 ti salutano. Addio. Ti scriverò tra giorni. Il tuo affezionatissimo Bertrando Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 43-44).
85. Come precedentemente accennato, questi altri saggi non furono più composti. 86. Cfr. lettera 54, nota 48. 87. Alberto Detken, libraio tedesco stabilitosi a Napoli, che in quegli anni si preoccupava di far arrivare dalla Germania molte opere straniere, specialmente tedesche. 88. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi.
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66 A Silvio Spaventa Torino, 27 agosto 1855 Mio carissimo Silvio, Ti scrivo queste poche righe con l’animo addolorato, perché non ricevo più tue lettere da gran tempo. L’ultima è stata del 10 giugno. Io ti ho scritto già due altre lettere (30 giugno e 9 agosto), e con l’ultima ti ho anche inviato alcune cose mie. Non so a che attribuire la mancanza di tue lettere. Cesare89 stesso non scrive più da un pezzo. Puoi immaginarti il mio stato. Mentre mi aspettava altre lettere tue, nelle quali avevi promesso di parlarmi dei tuoi studii, non ne ricevo più. Ti ho detto e ti ripeto che io sono indifferente ad ogni disgrazia, salvo a questa. Scrivo direttamente a Cesare, pregandolo della maggior sollecitudine, perché non posso durare così. La presente ti valga come semplice notizia del mio stato. Io continuo a star bene; sono sempre in campagna e ci starò ancora per qualche tempo. Mi ci trovo bene. Finalmente ho stampato l’altra parte del Campanella.90 Te la invierò non appena avrò ricevuto tue lettere. Continuo a studiare la logica. Continuo lentamente, tra perché debbo scrivere per far danari (!), e perché leggo anche qualche altra cosa di filosofia, specialmente di storia. Aspetto con ardore grandissimo una tua lettera. Addio, Silvio. Animo ed amami. Tante cose a Papà. Saluta Settembrini. Ricordami alle sorelle. Addio. Bertrando tuo Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 44-45).
67 Ad Eugenio Camerini [Cavoretto, estate 1855] Caro il mio Protettore,91 Io sono, come sai, a Cavoretto. Ho bisogno di libri per fare riviste: 92 tale è il mio mestiere. Dunque tu me li procurerai. Per questa quindicina rimedierò io. Ma per l’altra e le altre, tu ci devi pensare. Del resto io vengo a Torino ogni giovedì immancabilmente. Per conseguenza, etc. Addio, voglimi bene; continua a proteggermi etc. B. Spaventa BNF, Carteggi vari, cassetta 308. 77 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 538-539). Il biglietto è scritto a matita.
89. Cesare Napolitano. 90. Tommaso Campanella, III, Metafisica, in «Il Cimento», 15 agosto 1855, pp. 189-212. 91. Eugenio Camerini (1811-1875), giornalista e letterato. 92. Le numerose recensioni che Spaventa scriveva prima per «Il Cimento» e poi per la «Rivista contemporanea».
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68 A Silvio Spaventa Torino, 10 settembre 1855 Mio carissimo Silvio, Mi giunge la tua lettera del 2 Agosto.93 Io già era in grandi angustie, perché non ricevevo più tue notizie da circa tre mesi. Avea già scritto a Cesare94 per sapere che cosa ci era, e temere [sic] che la nostra corrispondenza non fosse interrotta. Ora respiro, e tanto più sono tranquillo, che so che le mie lettere di Maggio e Giugno ti sono arrivate. Dopo queste, a cui tu rispondi, io ne ho inviate tre altre per la solita via, tutte di risposta a due lettere tue che mi giunsero insieme cioè l’una di Maggio, e l’altra di Giugno. Ti scriveva la prima al 30 Giugno piuttosto lunga; la seconda al 9 Agosto e con essa t’inviava alcuni scritti miei; la terza al 27 Agosto. Gli scritti inviati erano: 1) L’articolo sul Principio della Riforma; 2) Un primo Saggio sopra una confutazione di Hegel fatta da Rosmini; un articolo sull’Accademia di filosofia italica fondata dal Mamiani; un articolo di polemica. Ora t’invio la continuazione del Campanella, che finalmente è stampata. Non è che una critica; perché i concetti metafisici di Campanella non offrono niente di buono. Ma l’ho fatta, e perché dovea farla per la cosa in se stessa, e perché la maniera di Campanella nel trattare la metafisica vive ancora in Italia e in Francia: la metafisica dell’intendimento astratto. Farò, quando avrò tempo e avrò vena, la terza parte sulla volontà.95 Tu vorresti tutte le cose mie. Ma non sono molte. Ho varie cose scritte, non so se le pubblicherò. Sono studi e note, che non so quanto potrebbero interessare. Ho stampato ancora, come ti avrò detto in altra mia, varie riviste di opere; anzi in ciò consiste la mia principale collaborazione nel Giornale. Sono cose fatte in fretta, e non meritano di essere lette da te. Ma se vuoi, cercherò d’inviartele. Dico che non meritano d’esser lette da te, non ostante che tu continui a credere di non essere più te stesso e non so quante altre cose! Non puoi immaginarti quanto mi dispiace ciò! Tanto più che non è vero né può essere. Tu credi che io te lo dica per confortarti! Mio caro Silvio, te lo dico e te lo ripeto sempre, perché mi addolora il vederti tormentato da te medesimo, con la tua stessa immaginazione. Quando ti ho detto che io mi sono trovato per lungo tempo in uno stato non dissimile dal tuo, ti ho detto la verità. Tu stesso sai se io ho avuto agio di meditare seriamente negli anni passati! Le lezioni, che tu sai, mi distoglievano continuamente, e poi quell’aiuto! Se ho fatto qualche cosa, l’ho fatta qui. E pure ho la coscienza di non fare quello che potrei o avrei potuto fare, se avessi avuto maggiore comodità di studiare. E anche adesso non ho quel tempo e quell’agio che vorrei, e debbo sempre interrompere gli studii per certe seccature che mi danno da vivere. Posso quasi dire di non aver cominciato veramente che da due anni circa, cioè in una età assai superiore alla tua presente e con un ingegno, te lo debbo dire, inferiore al tuo. Il pensiero di non aver fatto ciò che avrei potuto mi cagiona sempre gran dolore. Ma debbo disperar per questo? Tu soffri con tanta rassegnazione l’ergastolo, e non puoi96 vincere un pensiero che in gran parte è effetto della tua immaginazione? Non nego, che hai fatta una gran perdita; ma quello che ti voglio dire, quello che vorrei diven93. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 185-186. 94. Cesare Napolitano. 95. Come ricorda lo stesso Spaventa nei Saggi di critica (p. 135), quest’ultima parte degli studi su Campanella non fu mai pubblicata. 96. Vacca: «vuoi».
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tasse per te una convinzione, è che questa perdita è riparabile, e che anzi l’unico mezzo perché divenga una vera perdita, è che tu ti persuada falsamente che sia irreparabile. La tua infermità, se posso dire così, non è nell’ingegno ma nella volontà; e ciò dipende dalla stessa falsa persuasione. Animo, Silvio; fa costà ciò che puoi. Se non altro, servirà per non perdere l’esercizio, e speriamo che finisca una volta per sempre. Ti dico questo, perché nelle mie interruzioni spesso io ho dovuto ricominciare da capo, come se non sapessi nulla. Tu sei giovine ancora; e il più gran male consiste nel credere che non possa fare più nulla. Insisto su questa faccenda perché credo di aver ragione. Io giudico la cosa come è in se stessa, e con più sangue freddo che tu non fai. Se vuoi bene a tuo fratello, fa di vincere te stesso. Sforzati di ritornare a te stesso. Tutto sta che ti decidi, e vedrai se ho ragione. Del resto gli stessi studii che hai fatti costà, non ti saranno inutili. Così avessi potuto o potessi farli io! Sono una materia necessaria, senza la quale la filosofia può diventare una lettera morta; e io sempre più mi accorgo dei vizi della nostra educazione. Non ci hanno insegnato niente, e le cose positive sono tanto necessarie alla scienza! Nondimeno io continuo a pascermi di astrazioni. Debbo cavarne le mani, come si dice, ad ogni costo e per forza. Se non avessi una pazienza piuttosto eroica, a quest’ora avrei lasciato ogni cosa. Ti parlo della Logica di Hegel. Dopo la Critica di Kant, che studiai a Sangermano,97 è questo il primo studio serio che fo. È difficile, difficilissima, ma io ho risoluto e deve essere come voglio io. Sempre più mi accorgo che di filosofia ne sappiamo poco o niente, e che la cosa è più seria e difficile che non si crede. Qui di tutto ciò se ne sa poco o nulla. Gli stessi maestri, quando parlano della filosofia moderna, spropositano, e non fanno altro che ripetere certe minchionerie dette dai francesi con quella facilità, che è tutta propria di costoro. Se la Logica è difficile, con la Fenomenologia non si scherza. E pure è l’opera principale di Hegel. Senza di essa (almeno così credo per ora, anzi così è) tutta la Logica e il resto sta in aria. Ma va e persuadi a costoro, che partendo dalla coscienza sensibile, dal più basso grado del sapere, si arriva dialetticamente, con la dialettica della coscienza stessa, al sapere assoluto, che è per così dire il terreno, nel quale si muove la Logica. Ti ho detto altra volta, che io mi proponevo di, non dico tradurre, ma rendere intelligibile in qualche modo la Fenomenologia. Ma ci sono grandi difficoltà. Non ho abbandonato questo pensiero, anzi ci sto sempre più. Intanto continuo la Logica. Con tutta la ricchezza della nostra lingua, certe cose sono quasi impossibili a tradurre. Certe espressioni speculative (a doppio senso, anzi opposto; come, per esempio, Aufheben) dove trovarle tra noi? Vedrò che cosa poter fare. Per ora vado avanti, e penso parlando tra me e me mezzo italiano e mezzo tedesco, come dio vuole. E tutto ciò per gusto mio, e senza speranza che qui ci badino. Se vedessi che cosa è qui l’Università, per esempio, nelle cose filosofiche! Altro che miseria! È un pasticcio di Rosminianismo e di Giobertismo, con una terza cosa che si potrebbe chiamare la feccia o il sedimento delle scuole di qualche centinaio d’anni fa. E non ci si pensa con tutto il progresso che ci è. Mi è dispiaciuta moltissimo la notizia che mi dai delle mutate condizioni della prigione.98 Povero Silvio! Ho bisogno di dirti: coraggio? Cerca di essere tranquillo e di conservarti la salute. Quante volte penso al giorno che potremo essere riuniti! dopo sei anni di separazione! Questo pensiero è l’unica cosa che mi conforta. Qui sono parecchi napoletani; pochi sono veramente amici, ma amici di cuore, come Camillo.99 Ed io mi 97. Paese natale di Antonio Tari (1809-1884), dal quale Bertrando agli inizi degli anni ’40 aveva appreso le prime nozioni di lingua tedesca e con cui aveva discusso la filosofia kantiana. 98. Silvio aveva informato il fratello che era cambiato il direttore del carcere. 99. Angelo Camillo De Meis.
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contento di pochi. L’esilio è una grande scuola e fa aprire gli occhi. Camillo è un gran cuore che bisogna conoscere per apprezzare come merita. Il trovarsi egli qui è stata per me una vera fortuna. In parte debbo a lui l’aver lasciato Firenze, e non me ne sono mai pentito. Firenze è una gran bella città; io n’era innamorato; ma colà non si pensa, o poco, o almeno io non pensavo. Dimorerò ancora qualche tempo in campagna; e non sarebbe impossibile che vi rimanessi anche l’inverno. Sono poco lontano da Torino, dove vado spesso; e senza le noje della città. Sto anche meglio in salute. Vorrei sapere a chi hai mandato le mie cose. Sono miei amici? Il Bruno non spero più di riceverlo. Sia fatto il volere del cielo! come in tante altre cose. Avrei gran piacere di ricevere due righe dalle sorelle. Io sono in collera con esse. Potrebbero inviare a te la lettera. Ma esse hanno altro a che pensare! Non parlo del signor arciprete e dell’altro zio! Veramente anch’io sono colpevole verso Papà. Ma scrivo a te e credo che basti. Temo sempre di fargli male inviandogli una lettera da qui nel paese. Sarebbe un avvenimento troppo grosso. Tutti gli amici ti salutano con Settembrini, specialmente Camillo e Diomede.100 Parliamo sempre di voi e speriamo di rivederci. Coraggio, Silvio. Aspetto tue lettere. Ti ho scritto così come mi veniva in mente, e senza nesso, come se avessi discorso con te. Oh! quando potrà accadere ciò realmente! Ti ho parlato forse troppo di me, ma ho creduto di farti piacere. Continua ad amarmi, e se mi vuoi bene davvero (perdonami questo se) togliti dall’animo quella brutta persuasione della incapacità di fare e di studiare. Fallo per me ed anche per te. Addio, Silvio. Ti scriverò più a lungo un’altra volta. Di quella Signora non ho notizia. Saluto tanto Settembrini. Amami. Saluta Papà e le sorelle. Addio. Bertrando tuo Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 45-48). Probabilmente la lettera è stata scritta il 12 settembre, come si ricava dalla lettera di Silvio alla cugina Felicetta del 31 dicembre 1855 (cfr. S. Spaventa, Lettere a Felicetta, p. 229).
69 A Silvio Spaventa Torino, 17 dicembre 1855 Mio carissimo Silvio, Sono quasi tre mesi che non ricevo tue lettere; l’ultima avea la data del 2 Agosto e mi giunse ai primi di Settembre. Ho scritto e fatto scrivere a Cesare101 per sapere il motivo di questa mancanza, e Cesare mi ha risposto che non lo sapeva lui stesso; che se avesse avute tue lettere me le avrebbe mandate. Non ti so dire quanto sia stato e sia addolorato per questo, e sebbene io non soglia patire di molta immaginazione, pure non posso a meno di pensare a tante e tante cose. Non so nulla dello stato di tua salute; nulla della tua presente condizione costà, se alquanto tollerabile o all’opposto; nulla della famiglia. Ti scrivo queste poche righe, perché, se ti giungano, mi faccia sapere che cosa è stato.
100. Diomede Marvasi. 101. Cesare Napolitano.
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Mi sono alquanto riconfortato per una notizia che ho ricevuto da Firenze; un mio amico, che è stato a Napoli, mi ha fatto sapere, che un tale che potea saperlo gli ha detto che tu stavi bene. Ma, intanto, mi mancano tue lettere e io voglio queste. Tanto più mi addoloro, che ero avvezzo a riceverne una al mese almeno. Io sto bene, del resto, in salute e continuo a scarabocchiare articoli. Sono ancora in campagna e ci starò tutto tutto l’inverno. Mi ci trovo bene, lontano dalle seccature, risparmio, e, che è più, ho un compagno che non mi aspettava: Camillo.102 Dopo essere stato solo per quattro mesi, immagina di che consolazione mi sia una tale compagnia. Diomede103 e De Sanctis vengono spesso a trovarci, e passiamo insieme qualche giornata. Ho cominciato con Camillo l’inglese, ma a modo mio. Sinora non ho letto grammatica; ma intanto comincio a tradurre qualche libro di storia. Mi accorgo che la maggior parte dei vocaboli li so dal tedesco. Della pronuncia mi curo poco sinora. Continuo la logica, che è sempre un osso duro. Ma credo di aver fatto il più duro. Ti ho detto altra volta, che mia intenzione è d’esporre o tradurre la fenomenologia. Qui ci è da pochi mesi un libraio tedesco. Se avessi un po’ più di denaro, ci sarebbe da comprare delle belle cose. Ma pazienza! È molto se si guadagna tanto da menare innanzi la vita. Nei mesi passati ti ho mandato parecchie cose mie; cioè il 2° articolo sulla Riforma etc., un primo sopra Rosmini, uno sopra Mamiani, uno di polemica, e il secondo sopra Campanella. Spero che li avrai ricevuti. Fammi sapere che cosa studii; mi devi scrivere una lunghissima lettera. Ho dovuto continuare la polemica cominciata nel 4° articolo sopra notato. In questo mi era contentato di citare; ora ho dovuto condurre la cosa altrimenti, cioè spiegare ed assegnare le ragioni delle dottrine104 etc. Forse te li manderò, se avrò occasione sicura. Fiato perduto! È questo un paese buono e fortunato; ma si studia e si legge poco. Dimmi come stai, e che fai. Dammi notizie della famiglia. Scrivo due righe a Papà. Aspetto tue lettere con grandissimo desiderio. Gli amici ti salutano, specialmente Camillo e Diomede. Saluto l’ottimo Settembrini; fammi sapere se stai ancora in sua compagnia. Avrai saputo che qui ci è stata una seconda invasione colerica; a Genova ha fatto strage al solito, ma a Torino non è apparsa nemmeno per ombra. Scrivimi. Addio. Coraggio ed ama sempre come ti ama Tuo fratello Bertrando Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 48-49).
102. Angelo Camillo De Meis. 103. Diomede Marvasi. 104. Gli scolastici: Suarez, in «Il Cimento», 30 novembre 1855, pp. 851-867, e 15 dicembre 1855, pp. 957-970.
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70 A Terenzio Mamiani Cavoretto, 3 gennaio 1856 Mio carissimo Signore ed Amico, Vorrei pregarvi d’un favore. Più volte sono stato sul punto di domandarvelo, ma poi non mi è bastato l’animo. Ora la necessità mi dà coraggio. Vi ricordate di quei tre scritti che v’inviai perché fossero stampati in un vol. degli Atti? Se non sono composti, come credo e spero, vorrei riaverli, e per due principali ragioni.1 La prima è che non saprei risolvermi a vederli pubblicati così come stanno; pensandoci dopo circa 16 mesi non ne sono più contento. La seconda è che vorrei rifarli, almeno uno, per pubblicarlo qui con la poco filosofica intenzione di cavarne un po’ di danaro. A voi non mi vergogno di dirlo: sinora ho menato innanzi la vita così. Avendo sofferto negli scorsi mesi qualche incomodo di salute, sono rimasto senza materia da dare alle stampe; ed ora ne ho bisogno. Questo bisogno mi ha fatto ricordare di quegli scritti. Se voi potete farmi il favore che vi chiedo, ditemelo al più presto in poche righe di risposta; se no, pazienza. Nel caso affermativo, incaricherò un mio amico di ritirare i manoscritti. Perdonatemi, e sono sempre Vostro affezionatissimo Amico e Servo B. Spaventa Il mio indirizzo è Moncalieri per Cavoretto. BCF, Carte Piancastelli, Ba 188 (inedita).
1. Si riferisce ai tre Frammenti di storia della filosofia di cui gli aveva scritto nella lettera del 13 luglio 1854 (cfr. lettera 48).
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71 A Silvio Spaventa Torino, 21 gennaio 1856 Mio carissimo Silvio, Dopo quattro mesi, ricevo finalmente una tua lettera, quella del 13 Dicembre 1855.2 L’ultima tua fu del 2 Agosto; quella di Settembre, di cui mi parli, non l’ho ricevuta. Oltre la mia risposta, pure di Settembre, che ti è arrivata, io ti ho scritto un’altra lettera al 17 Dicembre. Spero che l’avrai avuta a quest’ora. Nel corso di tre mesi io non ti ho scritto! Perché? Non lo so nemmeno io. Aspettavo sempre tue lettere e dicevo tra me: risponderò quando avrò ricevuto lettere di Silvio. Così passò tanto tempo. Più: Cesare3 era malato assai; non scriveva più, ed io temevo d’incomodarlo. Perché tu non mi hai scritto, non lo so: la lettera di Settembre in cui mi dicevi la ragione del tuo silenzio, come ti ho detto, non mi è giunta. Ti ho detto molte volte che io sarei contentissimo di essere fuori del paese, se non fossi lontano da te, e se tu non fossi dove sei. Questa è l’unica mia disgrazia, la vera disgrazia. A tutto il resto non ci penso. Anzi ti debbo confessare che l’esilio mi ha fatto del bene. A Napoli forse sarei rimasto più minchione di quello che sono ora. L’unica mia fortuna è stata l’aver lasciato Firenze, dove facevo il poltrone. È vero che qui sono anche un po’annojato; se vivessimo qui mille anni, saremmo sempre come stranieri. Per fare qualche cosa officialmente ci vuole sempre più o meno un po’ di ciarlataneria; e quanto ai mezzi individuali non ci è altro che lo scrivere in qualche giornale. È una vita piena dì seccature. Ma pure, se deve essere così, io non me ne lamento. Quando penso a te, mi pare delitto lamentarmi. Spero che non vada sempre così, non tanto per me, quanto per te. Non capisco le ragioni delle tue speranze passate o future; tanto più che mi dici non essere di natura universale. Mi vengono in mente tante cose, né so se indovino. Intanto aspetto che tu mi dica, quando lo credi, qualche cosa di più preciso. Mi dispiace che i miei scritti non ti sono giunti ancora. Ti dico al proposito che Mamiani si è un po’ risentito della critica che gli ho fatta. Ha annunziato in una Rivista, che non è quella dove scrivo io, che risponderà a coloro che l’accusano di non avere un sistema. Questa era la principale accusa che io gli faceva, ma urbanamente e riconoscendo tutti i suoi meriti. Siamo amici e ci scriviamo amichevolmente. Intanto se risponde, ne vedrà delle belle. Ho buono in mano, e non ci avrà piacere. Nei suoi Dialoghi, ci è tanta roba cattiva da mandarlo in rovina. Anche a Tommaseo4 che avea fatto un piccolo cenno della mia critica della confutazione di Hegel fatta da Rosmini, e non se ne mostrava contento, ho dato una piccola lezione. È sempre la stessa storia: parlare di cose che non sanno. Il Mamiani continua poi a prendere lucciole per lanterne, e peggiora sempre. Se vedessi, tra le altre cose, che stile! affettazione da stomacare. Si dice che verrà qui a leggere storia della filosofia nell’Università. Ci ho piacere. I tre scritti che gli avea mandati, li ritiro. Il volume che dovea stamparsi è rimandato alle calende greche; forse stamperò qui quegli scritti; se sì, te li invierò. Continuo a scrivere anche quest’anno nella stessa Rivista. Meno male: si campa la vita. Quanto agli studii, ancora la Logica come cosa principale. Cammino lentamente non 2. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 186-188. 3. Cesare Napolitano. 4. Niccolò Tommaseo (1802-1874), letterato e pubblicista, aspramente criticato da Spaventa qualche mese prima sulle pagine de «Il Cimento» (cfr. lettera 61, nota 44).
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solo per la difficoltà della cosa, ma anche perché debbo scrivere, e leggo anche altro per divagarmi. Vuoi che te lo dica. Imparo anche l’inglese, e lo trovo facile (a tradurre, e mi basta); mi pare quasi un dialetto in paragone del tedesco. È vero che non mi serve tanto per gli studii miei, ma intanto gioverà sempre; tanto più che non ci perdo molto tempo. Qui in campagna ho molti ritagli di tempo. Mi dispiace che non sei tornato ancora agli studii. Coraggio e spera, o Silvio. Kant sì, sarebbe utilissimo. Se non potrai averlo e nel caso che la Fenomenologia ti spaventi, puoi prendere la Propedeutica (di Hegel). È un volumetto di circa 200 pagine, che è come il testo delle lezioni che egli faceva in un ginnasio. Ti ricorderai che comincia dal diritto, morale, religione. Poi viene la Fenomenologia, che è un compendio (sino alla Vernunft inclusivamente) di quella che tu hai. La Fenomenologia è, certo, difficilissima; ma contentati di capire quello che puoi capire. Il tutto sta nel comprendere il metodo, o la dialettica della coscienza: il processo dalla opposizione primitiva nella coscienza (sapere e oggetto) al sapere assoluto, che è lo Standpunkt della Logica. Spero che nella risposta mi dirai di aver già cominciato a fare qualche cosa. Nell’ultima mia ti acchiudeva una letterina per Papà. Quando gli scrivi, digli tante cose per me: lo stesso alle sorelle, a zia Luisa e a Faustina.5 Che n’è dei suoi fratelli Decio e Goffredo? Le notizie, che mi dai, della tua salute mi consolano. Continua a star bene. La salute è necessaria a te più che ad altri. Tu dici che cominci a farti vecchio; ed io? Non pensiamo a questo; dici bene: il cuore è sempre giovine. Ho piacere che continui a stare con l’ottimo Settembrini; tanti saluti per me. Digli che m’informerò subito del suo Luciano e te ne scriverò al più presto. A noi non è stato dato nulla, quantunque sin da quando me ne scriveste, ci fossimo offerti a fare tutto ciò che avremmo potuto. Vengo ora al duro. Tu mi domandi se è vero che certi nostri amici hanno aderito a non so che cosa.6 Ti rispondo brevemente e per quel che so. Adesione formale, esplicita, di fatto, non credo e non mi costa; ma neppure rifiuto. Mi pare che non sarebbero alieni dall’aderire, persuasi che non si tratta di ragionare a priori, ma di anteporre il possibile al desiderabile, il meno male al pessimo, il futuro prossimo al futuro indeterminato e lontano, e via dicendo. Un po’ la noja, un po’ l’esperienza, un po’ la convinzione dell’impossibilità di risolvere ora meglio il problema, e specialmente la certezza della cessazione immediata di certi mali più gravi etc. etc., tutti questi motivi sono efficaci nell’animo loro. Di più non posso dirti per ora. Mi domandi pure; è vero che i nostri si levano i panni di dosso fieramente? purtroppo è stato vero; ma ora non ci è più nulla. Da una parte paurose astrazioni; dall’altra un realismo troppo cinico, da cui trapela un non so che d’individuale e d’interessato. Alle prime si può fare il rimprovero di poco cervello pratico; al secondo di poco cuore, di poca stima di sé e dei suoi e delle cose comuni. 7 È inutile che ti dica che in tutta questa faccenda io non ci sono entrato. Mi dai l’incarico di domandare al tuo antico collega, il Massari, certe cose e d’indurlo a scriverti. Non ne val la pena. Non vorrei che tu mi stimassi uno di coloro che si levano 5. Luisa Croce e Faustina Spaventa. 6. Silvio desiderava, come anche Settembrini, essere informato sulla posizione assunta dagli esuli nei confronti del partito murattiano. 7. Breve ricostruzione della polemica, esplosa soprattutto nei mesi di settembre-novembre 1855, fra De Sanctis e Pisacane da una parte e Trinchera dall’altra.
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i panni di dosso. Non ho voluto mai parlartene per tante ragioni, e specialmente per non darti neppure il più lieve dispiacere, e perché io poco mi curo di simili cose. Ma, per ora, ti basti questo. Il Massari io non lo vedo più da un pezzo, e così fanno i nostri: Camillo, Diomede,8 etc. Perché? Perché egli si è separato da noi a poco a poco. Mi è sembrato sempre egoista fin dal primo momento, più buono a ciarlare che a far fatti; ma ora ne sono certo per tante prove. Con me, poi, con tutti i grandi paroloni d’amicizia ed altro, è stato sempre poco sincero; ha un certo dispetto perché scrivo di cose filosofiche e pagherebbe non so quanto perché non scrivessi. Se vedessi come si è fatto? Non ha studiato più nulla di serio, meno le gazzette; non sa che quello che sapeva prima e forse meno, e ogni giorno rivomita la stessa roba, divenendo sempre più gonfio e superlativo. E pure si crede un gran cervello, e critica tutto e tutti, anche nelle cose che non capisce. Ma questo è niente. A me pare che sia poco di buono come uomo di cuore. Queste ed altre cose le so da due o tre anni, e non ho voluto mai dirtene nulla.9 Intanto non dispiacertene, te ne prego. Ciò che ti dico è vero; ma non ci è da affliggersene. Saresti troppo buono se te ne addolorassi. Hai capito? Ciò resti tra noi. Addio, Silvio. Un’altra volta ti scriverò più a lungo. Fammi sapere se hai ricevuto i miei scritti. Addio, saluto Papà. Bada alla salute. Bertrando tuo A Silvio Torino, 1855 Mio caro Silvio, Non affrettarti a condannarmi, perché io non ti ho mai scritto. Anche adesso piglio la penna tremando, pensando a te, pensando alle dure e terribili condizioni in cui sei costretto a vivere; molte e molte volte, te lo giuro per quello che vi è di più sacro, per la nostra amicizia, la penna mi è caduta di mano. E adesso ancora mi perdo d’animo e non so che dirti. Sono sette anni, e il pensiero costante, e il vero nostro dolore sei tu, siete voi altri costì, e non già noi stessi, che comunque la vada, s’è sempre all’aria libera: e se si opera, il fine siete sempre voi, e se si desidera un altro avvenire… sempre in primo luogo voialtri, la cui posizione fa orrore e non è più sopportabile, né da voi, né da noi stessi. Vedi già che parlo di fini e di avveniri [sic] personali soltanto. In quanto a me la mia vita è quasi terminata, e non ho più speranza di nulla: le mie forze vengono meno, e la mente s’offusca: mi è sopraggiunto un nuovo disturbo che mi ha messo proprio in fondo. Con tutto questo, il dolore vero, che soffro, sei tu, e se vedessi finito il vostro tormento, crederei di rinascere e di essere di nuovo felice. Qui continue sventure. Romeo è a Genova in pericolo gravissimo di vita. Io parto in questo stesso punto, per andarlo ad assistere, non ostante il tempo orribile. È un dovere a cui non intendo mancare. Addio. Addio. Salutami di nuovo Settembrini. Camillo. Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 49-52).
8. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 9. Dalla lettera di De Meis a De Sanctis del 6 gennaio 1857 (De Sanctis, Epistolario. 18561858, pp. 266-267) risulta evidente il tentativo di Massari di impedire a Spaventa la collaborazione alle riviste controllate dai cavouriani.
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72 Ad Angelo Camillo De Meis Cavoretto, 13 febbraio 1856 Mio caro Camillo, Sono già otto giorni che ho la tua lettera qui sul tavolino e non sono stato ancora buono a risponderti. Non ho patito mai tanto di malumore come in questa settimana. Non so che cosa sia stato; forse il tempo troppo caldo: mi sentiva la testa stanca, balorda, imbecille, più del solito! Figurati se sia sopportabile: 15 gradi R. senza fuoco e a finestra aperta. Dovea fare una rivista pel Cimento. Si trattava di una nuova Enciclopedia filosofica:10 altro che Gioberti! È sempre la stessa canzone: tutti l’hanno sbagliata fino al 1856: la vera filosofia comincia adesso: già di filosofia, la meno cattiva, non ce n’è che in Italia: tedeschi: panteismo e psicologismo da per tutto: lo stesso Ente crea l’esistente è psicologista e involontariamente panteista: etc. etc. Indovina poi qual è il principio nuovo della filosofia? Il principio di contradizione, come principio ontologico, s’intende. Dualità di contradittorii e unità sintetica di essi in ogni cosa, anche in Dio, anzi principalmente in Dio. Così solamente si può evitare il panteismo, che è l’errore universale. Esempio: l’Ente è, ed è in quanto esclude da sé il non Ente: escludendo il non Ente lo genera negativamente: il non Ente, così generato, non è altro che il Possibile, il mondo ideale, il mondo delle idee, il mondo degli universali: è detto così, perché l’Ente, al quale è opposto, è lo stesso che il Reale o meglio il Reale infinito (perché il Reale finito son le cose create, e l’Ente è l’Increabile e il non Ente è il Creabile). Questi due contradittorii, Ente e non Ente, armonizzano poi in una unità sintetica. Sinora si è creduto che il Possibile (mondo ideale) fosse l’essenza divina. Non è vero: il Possibile non è che il Riverbero dell’essenza divina, la vita esteriore dell’Ente: l’essenza non è altro che la sua vita interiore, che è incomunicabile. Ciò che si attua nella creazione non è l’essenza divina, ma il Possibile o la vita esteriore dell’Ente: se si attuasse l’essenza, ci sarebbe panteismo. Questa attuazione poi non è necessaria, ma dipende dalla volontà di Dio, anzi è parziale: ci rimane sempre un po’ di Possibile che non è attuato: infiniti mondi creabili e non creati. Più: il principio di contradizione, che dà l’Ente, il non Ente e la loro unità, si applica anche a ciascuno dei due termini considerati in sé stessi. Per esempio in Dio che è l’Ente, cioè nella sua vita interiore, ci sono anche contradittorii e Unità sintetiche: così nel Possibile e nel mondo creato, in ogni cosa creata. L’Ente è un sistema, cioè contradittorii e unità; il non Ente è un sistema: i creati sono un sistema: etc. etc. Che te ne pare? – Il libro (per ora non è che un proemio di circa 4.500 pagine) è scritto in maniera che Gioberti pare uno spartano: digressioni, ripetizioni, epiteti, paroloni, frasi senza fine: eticali, logicali, esteticali etc. Non metodo, non prova, non processo dialettico, non generazione (!) di nozioni: la lettura ti secca, e quello che ci è di sostanziale si può compendiare in poche pagine. Io non posso giudicarne, perché i concetti più essenziali sono espressi in una forma indeterminata, da far disperare i savi. Non si sa che cosa si debba intendere per contradizione, per dualità, per unità sintetica. Dio è l’Ente, il mondo ideale è il non Ente: contraddittorii. Intanto armonizzano: ci è un terzo termine che è la loro unità. Si domanda: questo terzo è più dei due? è la verità dei due? È detto: l’unità dirompe nella dualità dei contradittorii; 10. Enciclopedia scientifica, a cura di T. Mora e F. Lavarino, Torino, UTET, 1856, recensita da Spaventa ne «Il Cimento», febbraio 1856, pp. 212-222, e ne «Il Piemonte», III, n. 51, 28 febbraio 1856.
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per esempio l’Ente dirompe in Ente e non Ente. Ora c’è l’unità sintetica (il terzo termine), che non è né può essere l’unità dirompente, ma è l’unità creata, non è l’unità immediata, la prima affermazione, ma l’immediatezza della mediazione, la vera affermazione (la negazione della negazione). Si domanda: che è questa seconda unità? Come si chiama? E Dio? etc. etc. Nessuna risposta. Il maggiore difetto è che i concetti sono significati per metafore: l’Ente è il corpo, il non Ente è l’ombra: ovvero quello è il Sole, questo è il Riverbero; etc. Mi pare poi che il progresso delle determinazioni sia in ordine inverso. Per esempio l’Ente è concreto, il non Ente che vien dopo l’Ente non è concreto, come se io dicessi: la Logica è concreta, la Natura non è concreta; o pure: l’essere (Sein) e l’essenza (Wesen) sono concreti, il concetto e l’Idea (begriffende Idee) non sono concreti. Quindi il primo termine è corpo, il secondo è ombra; come se l’ombra non fosse più (concreto) del corpo, perché è il corpo e l’ombra; la natura anche si può dire ombra dell’idea, perché è l’idea fatta ombra (esteriorizzata), che non cessa però di essere idea. Così mi pare. Altro esempio: L’Ente solo è (l’Ente = Dio = Reale infinito); il creato non è, ma esiste; essere è più che esistere. Mi pare il contrario. Altro imbroglio: si comincia dall’Ente, e col principio di contradizione (potrebbe essere il metodo dialettico nostro) si ha Ente, non Ente e la loro unità (x sinora). Per avere l’Ente, che è anche un sistema (due termini e un’unità), da che si comincia? Da qualche cosa che non è (ancora) l’Ente. E che è questo? Un determinato? Se è un determinato, è un sistema, anch’esso. Quindi la stessa domanda: da che si comincia? E così andando sempre indietro, bisognerà cominciare dall’Indeterminato, cioè dall’Essere puro di noi altri hegeliani e dire: puro Essere, puro Nulla, Divenire, come il libro di cui ti parlo dice: Ente, non Ente e… non so che cosa. Ti voglio dire con ciò, che, ammesso una volta il principio di contradizione, mi pare che non si possa fare a meno di cominciare dall’essere puro. Ebbene, il libro rigetta l’opposizione e l’identità dell’essere e del nulla. Altro imbroglio: i tre termini (i due contradittorii e l’unità) sono appresi dall’intuito, da un unico e immediato intuito, secondo il libro; come se io dicessi: Essere puro, Nulla e Divenire li ho per l’intuito. Dico io: se ci è dualità e unità (se ci è movimento dialettico) non ci può essere intuito (= immediatezza, e la dialettica è mediazione): e se ci è intuito, non ci può essere dualità e unità, cioè il principio di contradizione. Un’altra cosa, e questa si capisce: la scienza per essere verace deve cogliere la realtà delle cose (oggettività). Ora, in chi personifica la oggettività delle cose? La chiesa cattolica. Tale è in poche parole questo maledetto libro. Dico così perché m’ha fatto perdere tanto tempo. Ho pigliato note, ho scritto, ho pensato e fantasticato tante cose: poi mi metto a fare l’articolo, e che accade? Il primo giorno non fo niente, il secondo dopo tanti sforzi scrivo (non dico bugie) una sola parola: raccontano; il terzo lo stesso stento, e finisco col cassare la parola che avea scritto il giorno innanzi. Così 0 = 0. Finalmente al quarto comincio davvero, ma annoiato, infastidito, e non ci metto neppure la centesima parte delle idee che avea in testa. Ti avrò seccato con queste chiacchiere. Ti è passata la febbre? Come stai? Quando vorrai ritornare? Sarebbe tempo, per tante ragioni. Io sto bene e anche Isabella. Mimì11 è stata poco bene; ma va alquanto meglio: vermi e tosse. Il povero Torinetto è morto. Una commissione; ripassando per Genova, potresti portare due cestini di paste? Faremo i conti. Addio, addio. Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (ed. in Croce, Ricerche, pp. 1-4).
11. Emilia Spaventa, figlia di Bertrando.
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73 Ad Angelo Camillo De Meis Cavoretto, 23 febbraio 1856 Mio caro Camillo, Ho tardato sinora a scriverti per darti le ultime notizie del mio affare. Ma siccome la cosa va per le lunghe, così non è colpa mia se la tua curiosità non sarà appieno soddisfatta. Temo anzi che ne saprai meno di prima... 1) Cesari fin da quando mi diede la notizia della fusione, mi disse: ho parlato di te a Chiala,12 e ti accetta come accetta tutti gli altri collaboratori del «Cimento»; la difficoltà è solamente quel tanto al mese, etc. Io credo che ciò non sia vero; perché due giorni dopo il Professore13 mi fece leggere una lettera di Chiala, in cui era detto che per riguardo a lui specialissimo si consentiva a darmi un posto nella «Rivista». E quasi come retribuzione di tale favore si domandava un’appendice del Professore sui Bozzetti di Revere.14 Potrebbe anche darsi che Chiala, avendo detto di sì a Cesari volesse fare il bello col Professore; ma ciò mi pare poco probabile. È certo che il Chiala, se mi accetta, non mi accetta volentieri pei soliti motivi: Hegel, panteismo etc. Ora Cesari non è uomo da persuadere Chiala. 2) Chiala ha detto al Professore (l’ho saputo tardi, perché il professore s’era proposto di non dirmelo, non so perché), che la difficoltà maggiore per la mia accettazione (altro che diplomazia) era il signor Tommaseo;15 il quale, se avesse veduto il mio nome sottoscritto agli articoli, forse o certamente si sarebbe ritirato dalla collaborazione. E perché? Per tanti perché, ma specialmente per l’articolo mio sopra Rosmini confutatore di Hegel. 3) Predari16 (conosci Predari?) in un suo nuovo «Bollettino» ha fatto un articoletto sulla fusione del «Cimento» e della «Rivista». Il senso è questo: «Sinora noi siamo stati avversi alla “Rivista” perché non liberale o incerta; ma ora che i Correnti, i De Sanctis, gli Spaventa etc. passano ad essa, siamo certi che farà cose belle etc. È vero che De Sanctis non pensa come Tommaseo, Spaventa non pensa come Mamiani, ma in fine dei conti ci è un terreno in cui possono intendersi e fare opera utile, etc. etc.!». Cesari, quando mi fece quella palinodia, mi domandò se avea letto l’articolo di Predari, soggiungendo: «Che birbone! L’ha fatto per rovinare la “Rivista”, per farci perdere certi associati; infatti paragona te a Mamiani, dicendo che siete di principii opposti». Si capisce facilmente che Chiala non mi vuole pei suoi associati clericali. E Cesari? Idem mi pare. Una volta era tutt’altro: «eh! dalli alla “Civiltà Cattolica”, dalli a questa canaglia! ..». Si capisce anche che non è fusione, ma assorbimento, perché il carattere della «Rivista» sarà quello che era... 12. Allusione alla fusione de «Il Cimento» con la «Rivista contemporanea» diretta da Luigi Chiala (1834-1904). Una decina di anni dopo, nella lettera filosofica indirizzata a De Meis, Paolottismo, positivismo, razionalismo (B. Spaventa, Opere, I, pp. 477-501), Spaventa ricordava il significato di tale fusione: «Ti ricordi in Piemonte, quando l’Italia era colà? La Rivista contemporanea (che si diceva cattolica) ammazzò il Cimento (che era detto razionalista); ma ammazzandolo mutò meta, e un po’ anche natura: prese un po’ quella dell’ammazzato» (p. 482). 13. De Sanctis così chiamato dai suoi allievi e, in seguito, anche dagli amici. 14. Giuseppe Revere (1812-1889), letterato e scrittore drammatico lombardo, esule nel regno di Sardegna, collaborò anche alla «Rivista contemporanea» con lo pseudonimo di Anacleto Diacono e di Cecco d’Ascoli. Il riferimento dovrebbe essere ai Bozzetti alpini, pubblicati nel 1857 (Genova, Tipografia Lavagnino). 15. Cfr. lettera 61, nota 44, e lettera 71, nota 4. 16. Francesco Predari (1809-1870), poligrafo ed editore; curatore della Nuova enciclopedia popolare.
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Questi sono fatti, fatti veri. Che significano? Io non ho il coraggio di dirlo. Ti ho raccontato la cosa come è, e come se non si trattasse di me, anzi come se non si trattasse d’un uomo, ma di una mazza, d’un palo che se serve serve, se non serve non serve, e si getta via. Ora poniamo che il Professore accomodi tutti; quid agendum per parte mia? Debbo fingere di non saper niente e mostrare di credere che sia accolto a braccia aperte? Ci fo una bella figura? E l’anno venturo, non mi diranno: tante grazie? E posto anche che possa onoratamente accettare di entrare per forza, che cosa dovrò fare? come dovrò scrivere? potrò scrivere in modo da contentare almeno un po’ me stesso? E se mi si dirà: «togli questo, e modifica questo? Tommaseo potrebbe far difficoltà; Mamiani potrebbe… etc.». Io sono irresoluto; cioè sarei risolutissimo di mandarli tutti a farsi benedire, se se… Caro Camillo, ti prego d’una cosa. Se non ti è d’incomodo… ritorna il più presto che puoi: tanto più che la partenza del Professore è vicina.17 Con te potrò veder meglio in questa confusione di cose, e risolvere qualche cosa. 24 febbraio. Finalmente ci siamo. Il netto della cosa è questo: Tommaseo, letto l’articolo di Predari, ha scritto a Chiala che se io scrivo nella «Rivista», lui se ne va. Chiala ha dichiarato che non vuol prender [sic] Tommaseo. Più: ieri un articolo della «Patria» di risposta a quello del Predari, nel quale si dice: «Spaventa tiene cattedra di acattolicismo, di panteismo nel “Piemonte”. Spaventa è questo, Spaventa è quest’altro; com’è possibile che passi nella “Rivista”. Sarebbe un errore, etc.».18 Quest’articolo è stato mandato da Cesari stesso a De Sanctis con una lettera che il Professore non ha voluto farmi leggere, perché avea promesso a Cesari di non farmela leggere. (Bada che quest’affare della lettera è un segreto; non si può dire che Cesari abbia scritto). In questa lettera dunque è detto: Come si fa? Se Spaventa scrive, scompiglio negli affari della «Rivista»: Tommaseo, «Patria», etc. Dunque? Si può far così e non altrimenti che così: – non si parli più né di riviste ogni mese né di articoli grandi: ma Spaventa faccia un articolo; sarà stampato quest’articolo; senza nome, s’intende; poi si vedrà l’effetto che produrrà; se non ci sarà scandalo, allora si vedrà, si tratterà, si discuterà etc. Vedi se posso accettare. Del resto torna presto, presto. Addio. Originale perduto, probabilmente già alla SNSP (ed. in B. Spaventa, Opere, I, pp. 157-160).
74 A Silvio Spaventa [Cavoretto,] 24 febbraio 1856 Mio carissimo Silvio, Sono già quasi due mesi che non ho lettere tue, né so cosa pensare. Giorni sono Cesare ha scritto a Diomede;19 mi credeva di avere tue notizie, ma neppure una parola. Ho veduto anche una persona che ti ha visitato cinque o sei mesi fa. Mi ha detto che ti 17. Nel mese di marzo De Sanctis partì per Zurigo, dove era stato chiamato a insegnare al Politecnico con decreto del 7 gennaio 1856. 18. Tra le Carte Spaventa sono conservati due numeri del giornale «La Patria», rispettivamente dell’8 e del 27 febbraio 1856, contenenti note critiche sull’attività giornalistica di Bertrando (BNN, XVI.C.1.4). 19. Cesare Napolitano e Diomede Marvasi.
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avea lasciato bene. Intanto io ti ho scritto ai 21 di Gennaio, in risposta alla tua dei 13 Novembre 1855, che fu l’ultima; 20 l’altra di Settembre non mi è pervenuta. Nella mia di Gennaio ci era anche una lettera di Camillo:21 spero che l’avrai già ricevuta. 22 Aspetto con grandissimo desiderio notizie di te; scrivimi almeno due righi e dimmi come stai e che fai. Io continuo a star bene e fo quello che faceva. Camillo è già un mese che è fuori, ma tornerà tra giorni. Attendo ansiosamente il suo ritorno, perché mi sono un po’annojato di star solo. Quante volte m’immagino di vederti arrivar qui in questa piccola campagna! Ieri, per esempio, ero sceso giù a metà strada del monticello su cui è situato il paese dove dimoro: vedevo salire tre persone: fosse Silvio, dicevo tra me. Fo sempre di questi castelli in aria. Quando finirà questa gran solitudine di prigione e d’esilii! Ma animo, Silvio. Speriamo di rivederci. Dammi notizie di Papà e delle sorelle. Sono già 14 anni che manco dagli Abruzzi, e mi pare ieri. E pure quante cose sono avvenute da quel tempo. Ti ricordi? Hai avuto quei piccoli scritti miei? Dimmene qualche cosa. Ti scrivo in fretta per ora. Tra giorni ti farò una lettera lunga lunga. Ho dovuto scrivere breve questa volta; sono stanco e intanto debbo scendere a Torino per un affare. Questi piccoli viaggi pedestri mi giovano assai alla salute. Dimmi dei tuoi studi; i miei sono gli stessi. Salutami Settembrini. Diomede vi saluta. Addio, Silvio: coraggio. Amami e scrivimi subito. Il tuo fratello Bertrando23 Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 52-53).
75 A Silvio Spaventa Torino, 6 aprile 1856 Mio carissimo Silvio, Nello spazio d’un mese mi sono giunte due lettere tue: 9 Febbraio e 1 Marzo. Io ti avea già scritto poche righe al 24 Febbraio; spero che le avrai già ricevute. Mi dispiace che sei stato poco bene; anche io ho sofferto per qualche giorno un po’ di dolore allo stomaco. Non ti sbigottire a questa parola, né credere che sia qualche cosa di simile a quello che mi tormentava a Napoli. Te ne parlo ora, perché sto bene, anzi meglio di prima. Le notizie che mi dai della famiglia sono state come sempre una consolazione per me; quando scrivi a Papà, a Berenice, a Clotilde,24 a zia Luisa, a Faustina25 ed altri, dì loro tante cose per me; dì loro ciò che potrei dire io stesso. Sapeva già la morte di Don Luigi; di Goffredo qualche cosa, ma confusamente. Quanti guai! E del mastro che n’è? Vive ancora? E lo zio prete è ancora parroco in Tornareccio? Son curioso di sapere il significato della premura di Mariannina.26 Mi è parsa 20. Erroneamente: sta per 13 dicembre. 21. Angelo Camillo De Meis. 22. Cfr. lettera 71. 23. Annotazione di Beltrani: «sulla busta: Per sbaglio è stata aperta da me la tua lettera, perciò troverai forzato il suggello». 24. Sorelle di Bertrando. 25. Luisa Croce e Faustina Spaventa. 26. La cugina Marianna Croce, figlia del consigliere Benedetto e moglie di Francesco Petroni, desiderava in quel periodo entrare in corrispondenza con Silvio.
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sempre una buona ragazza; mi pareva che non fosse figlia del suo padre buon’anima. Ma il più delle volte la colpa non è di noi altri uomini, ma delle circostanze, dei tempi, dell’educazione, etc. Voglio dirti a questo proposito una cosa che non ti ho detto mai. Due anni sono – quando io mi trovava in cattivo stato e non avea da lavorare – alcuni amici mi dissero: perché non scrivi a tuo zio? finalmente gli sei nipote. Cedetti, ma dopo molte istanze, e la più gran ragione fu che io allora ero persuaso che lui e quell’altro ti aiutassero; così mi aveano detto, e io non sapevo ancora che non ce n’era niente. Scrissi27 dunque, ringraziandolo dell’amore che portava a te e dei benefici che ti faceva; non gli diceva chiaro che non avea come andare avanti, ma cercava di fargli capire che i lavori un po’ materiali che ero costretto a fare per vivere m’impedivano di attendere a qualche cosa di meglio, che se avessi avuto un piccolo soccorso avrei potuto fare qualche opera più utile di quella che faceva; etc. La lettera gli fu consegnata da un suo collega. Promise di rispondere, ma non rispose mai. Io avea preveduto questo. Dopo qualche mese seppi da te la verità della cosa, cioè che né lui né l’altro non ti aveano mai dato niente. Ho piacere che studii; solo vorrei che mi ti mostrassi meno scoraggiato. In tutte le cose, ma specialmente nella scienza, se manca il coraggio, non si può far niente. Non ho mai letto il Becker, di cui tu mi parli.28 In questa materia di filologia (pigliala in quel senso che vuoi), io sono una vera tavola rasa. L’anno passato solamente ho letto, così per caso, un’operetta d’un tedesco della scuola di G. Humboldt, intitolata: Die Sprachwissenschaft W. v. Humboldt’s und die Hegel’sche Philosophie.29 Qui ci è un giovine, che è stato tre o quattro anni in Germania a studiare filologia, e sa anche di filosofia, naturalmente.30 Siamo amici, e nella mia povertà gli sono obbligatissimo perché mi dà tutti i libri che ha, e ne ha parecchi, di filosofia. Egli sa bene non solo il tedesco in tutte le sue forme e lo slavo, ma l’arabo, lo zend, l’ebraico, e specialmente il sanscrito. Vorrebbe che io imparassi almeno il sanscrito, per la filosofia indiana e per tante altre ragioni; più volte mi ha detto: cominciamo oggi. Ma come fo? Abbracciare tante cose a un tempo è per me impossibile; se non dovessi lavorare per vivere, sarebbe un’altra cosa, e a quest’ora avrei già studiato qualche cosa anche in questa materia. Ciò che tu mi dici del Becker, credo che sia giusto. Dici benissimo che l’unità indeterminata – senza una negazione intrinseca assoluta – è sempre qualcosa di morto e immobile, e tutte le differenze, le determinazioni e lo sviluppo che si pongono poi, sono una faccenda esterna dell’intelletto, che non possono avere un vero valore scientifico. L’errore principale di questa maniera di filosofare è che la negatività assoluta si nega della cosa stessa e si attribuisce soltanto all’intelletto. Ma come è nell’intelletto, se non è nella cosa? o: come è possibile la scienza se l’attività dell’intelletto non è la stessa attività della cosa? Così faceva anche Spinoza: sostanza assoluta = unità assoluta del pensiero e dell’estensione. Ma come la sostanza si distingue originariamente in sé stessa? Pensiero e estensione, diceva Spinoza, non sono che uno nella sostanza assoluta; la distinzione è fatta dall’intelletto, che è un puro modo della sostanza. Il che significa, che la distinzione non è intrinseca alla sostanza. Ora questa unità, che è in sé e 27. Cfr. lettera 42. 28. Karl Ferdinand Becker, Organism der Sprache, Frankfurt am Main, Kettembeil, 18412. 29. Dell’opera di Steinthal, uscita a Berlino nel 1848, Spaventa fece una recensione per «Il Cimento», 15 luglio 1855, pp. 58-65 (appunti della recensione sono conservati tra le Carte Spaventa, BNN, XVI. C.5.44, cc. 8). 30. Giacomo Lignana (1829-1891), filologo e docente universitario. Cfr. a questo proposito l’unica lettera di Lignana a Bertrando dell’agosto 1855 conservata presso la SNSP (XXXI.D.4), nella quale il filologo manifestava il desiderio di incontrare l’amico per riflettere insieme sulla Fenomenologia hegeliana di cui quest’ultimo si stava occupando.
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per sé distinzione assoluta, che altro può essere se non il pensiero? E quest’attività, che è la forma stessa del pensiero, può essere qualche cosa di diverso dall’attività come forma del pensiero che pensa il pensiero? Io non capisco coloro, che ammettono due forme del pensiero: cioè la forma del pensiero assoluto, del pensiero come sistema delle determinazioni logiche, come essenza stessa di Dio, etc., e la forma del pensiero che ripensa questo pensiero. Quando io penso la cosa (e la essenza della cosa o la vera cosa è il pensiero), la forma dell’attività della cosa e la forma dell’attività del pensiero (che pensa) sono unum et idem. Non ci sono due specie di pensiero, o meglio, due forme di pensiero: il pensiero è uno, è lo stesso; ha la stessa attività, lo stesso movimento, le stesse determinazioni in Dio e in noi; etc. Ti scrivo con gran confusione, e non fo che commentare il tuo giudizio sopra l’indeterminazione del principio di Becker. Ma tu mi capisci e non dico altro. Che debbo dirti dei miei studii? Sempre gli stessi. Se non fossero queste maledette distrazioni giornalistiche – necessarie per vivere – farei qualche cosa di meglio. Quando sono al punto più bello d’una cosa, debbo interromperla, e poi ripigliarla dio sa quando. Sono studii spezzati, sconnessi, che valgono poco o niente. Se fossi libero! se potessi godere di due o tre anni di pace, e direi anche di ozio, tanto da chiudermi in una stanza, senza essere costretto a pensare al domani se si mangia o non si mangia! Vorrei già fare qualche cosa che non fosse articoli; se non la fo adesso, non la farò più. E pure bisogna rassegnarsi; si fa quel che si può. Bisogna rassegnarsi! Ma se vuoi che ti dica la verità, questo pensiero della rassegnazione, dopo la tua disgrazia, è la maggiore disgrazia che mi tormenta da gran tempo. Questi lavori che fo io ammazzano l’intelligenza, e se avessi tanto da vivere modestamente non scriverei in nessuna Rivista. Volea dirti questo da gran tempo, ma non mi è bastato l’animo. Ho detto sempre tra me: chi sa come Silvio interpreterà questi miei lamenti? E poi ho diritto di lagnarmi io con chi soffre tanto? Ma pure lasciami dire e sfogare, senza pensare a quello che dico. Sfogando, quasi io ti chiedo un consiglio. A chi meglio che a te posso aprire l’animo mio? Ascoltami dunque. Ho pensato più volte di fare un debito, per vivere in ozio due o tre anni; cioè, studiare come si conviene, fare qualche lavoro di cui potessi essere contento e poi ritornare ad arare come fo adesso. Se continuo a fare quello che fo, temo che coll’andar degli anni non [sic] sarò ridotto a tale che non avrò più forze nemmeno per fare quei lavori che fo. Il debito l’avrei già fatto, se avessi avuto a chi ricorrere qui dove mi trovo. Parlando di debiti io, s’intende che il creditore dovrebbe essere un amico vero, che potesse e volesse, e fosse apparecchiato a tutto, cioè a perdere il suo credito nel caso di qualunque disgrazia che accadesse al debitore. Potresti aprirmi qualche spiraglio di luce in questa faccenda? Te ne scrivo, per non nasconderti nulla di ciò che penso. Se va, va; se no, pazienza. Se i nostri così detti parenti non fossero quello che sono, avrei già scritto a loro; a loro non sarebbe costato niente, e per me sarebbe stata una benedizione. Perdonami, se ti dico queste cose; ma io non desidero altro da te se non che mi risponda ciò che tu ne pensi. Sarebbe possibile trovare in Napoli qualcuno che mi volesse bene, e potesse? Io tremo nello scriverti queste parole, perché so che tu hai grandi obblighi alla bontà degli amici. Ma io non ti dico: fa; ti dico solamente: dimmi che dovrei fare io? Se tu mi rispondi: non c’è da far nulla, io mi persuaderò e mi rassegnerò; studierò e farò quello che potrò. Non so se ho fatto bene a dirti questo; non vorrei che tu pensassi che vi fosse qualche altro motivo, che io mi trovassi in cattivo stato. Ma ho voluto dirtelo, perché cominciavo ad avere qualche scrupolo a nascondertelo. Avrei bisogno di ricominciar quasi da capo gli studii; filosofia, teologia, e filologia. Imparerei il sanscrito e qualche altra cosa. Se un giorno dovessi tornare a Napoli, non sarebbe una cosa inutile pel nostro paese. Vedi quanti sogni fo io! Non te ne parlo più.
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Camillo31 ha ricevuto la tua risposta con grandissimo piacere. È ancora a Torino e non è ritornato qua in campagna, perché l’aria un po’ fredda non gli facea bene. A me il contrario. Sto meglio qua che a Torino. Forse verrà fra giorni a farmi di nuovo compagnia. Ora siamo rimasti io, lui e Diomede.32 De Sanctis è partito giorni fa per Zurigo, 33 come professore di letteratura italiana nell’istituto politecnico federale. Questo fatto è stato una consolazione e insieme un dispiacere per noi perché l’abbiamo perduto. Del resto, beato lui, che ha lasciato questo medioevo scientifico! Camillo e Diomede ti salutano caramente, te e Settembrini. Saluta tu per me gli amici di Napoli che mi ricordano ancora e dimmi sempre qualche cosa di loro. Quel tale che era a Ventotene e ti ha visitato sei o sette mesi fa, è qui e ti saluta. Tu mi dici che ho indovinato la tua speranza. Ti fo sapere che la lettera di Dicembre in cui me ne parlavi la prima volta non l’ho ricevuta. Se è quello che è, non ho bisogno di raccomandarti di fare in modo che non te ne venga male. Non dico altro. Per carità bada alla salute; te l’ho detto sempre: quando si vive, è già qualche cosa. Camillo e Diomede ti dicono lo stesso. Spero che i nervi non ti tormenteranno più. Ti ripeto di non fare castelli in aria su quello che ti ho detto del debito. La cosa è come te l’ho espressa, né più né meno. Rispondimi subito. Fammi sapere se hai ricevuto i miei scritti. Ti manderò qualche altra cosa in altra occasione. Dimmi se hai ricominciato a studiare, e parlami a lungo di te. Intanto addio. Saluto caramente Settembrini. Addio, mio carissimo Silvio. Amami sempre, e sii certo del mio amore. Avrei dovuto scriverti prima come ti avea promesso, ma non ci ho colpa. Salutami la famiglia. Dammi notizie di Mariannina. Addio. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 202-205).
76 A Francesco De Sanctis Cavoretto, 15 maggio [1856] Mio caro Professore, Tante grazie, tante grazie, tante grazie. Una tua lettera da Zurigo a Cavoretto, anche nel secolo decimonono, è un grande avvenimento. Avrei dovuto risponderti subito giovedì passato; ma gira qua, gira là, passò il tempo e non ne feci nulla. Dissi a Camillo34 che te lo avesse fatto sapere. Tornato qua, in questo romitorio, ho avuto a soffrire una tempesta, che mai in quest’anno ne ho sofferto una simile. Un dolor di testa per otto giorni continui, dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina, e non è ancora finito. E poi dovea anche scrivere certe minchionerie per la Rivista.35 Era proprio ben disposto! Intanto non sono andato neppure alle feste dello Statuto, e sebbene le avessi vedute tante volte, avea gran desiderio di rivederle anche un’altra volta in compagnia degli amici. Stamattina scendo a Torino. 31. Angelo Camillo De Meis. 32. Diomede Marvasi. 33. Cfr. lettera 73, nota 17. 34. Angelo Camillo De Meis. 35. Intende la «Rivista contemporanea».
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Ho cominciato co’ complimenti e colle scuse; vecchio stile imparato nei seminarii e che non ho potuto ancora dimenticare. Ora che vuoi che ti dica da Cavoretto il povero Bertrando? Quando ti avrò parlato d’Isabella e di Mimì, è finito. È vero che non è poco; questo è tutto il mio mondo qui… e dovunque. Ma ad ogni modo è presto detto. Isabella, al solito, ora sta bene, ora sta male; ora fa la buona ora la cattiva; e così – come sai, vive alternativamente. Chi paga le spese di questa alternativa sono io. Ti saluta, ti ringrazia dell’uccello che è volato, e t’invita sin da oggi a mangiare i maccheroni a Torino, se saremo vivi. Mimì poi, che vuoi che ti dica Mimì? Non pensa che a sé stessa e fa la guerra con tutti e vuol pigliare tutto quello che vede, come fanno tutti i ragazzi, e anche un po’ noi altri uomini. Mette i denti, e naturalmente non sta troppo bene; ma per lo più è di buon umore, meno quando Isabella è in gran collera con me. Di me finalmente, niente di nuovo. Puoi immaginarti che cosa fo io. Tolta la vita domestica, il resto è solitudine e monotonia. La mia vita pubblica incomincia e finisce a Torino il giovedì, e non è che un’estensione della privata. Diomede e Camillo,36 Camillo e Diomede. Adesso è ritornato il bravo Ciccone,37 e sono tre. Non ti parlo di politica e d’altro, perché Camillo e Diomede te ne avranno già parlato meglio che potrei far io che da un anno in qua la studio negli articoli di Cordova,38 di Farini 39 e di Boggio.40 Si parla d’amnistia. È possibile; e poi? Del resto, sarebbe tempo che Silvio ed io ci rivedessimo: corre già l’ottavo anno che non lo vedo. Abbi pazienza con questi tedeschi. Così non ci fossero i ciarlatani anche tra loro! Ciò che mi dici di Fischer41 non mi fa meraviglia, come non avrà fatto meraviglia neppure a te. Per loro – tutti quanti sono – non ci è altra filosofia al mondo oggi che la loro! Questo lo dicono spiattellatamente in ogni storia della filosofia. Del resto (non è un complimento), l’ho detto anche a Camillo e Diomede, spero che tu farai mutar parere a Fischer, e lo convertirai. E non sarà la cosa meno bella che avrai fatta. Intanto, che cosa è Fischer? Tu leggi, mi pare, la sua Estetica; com’è? È vero ciò che si diceva, che è il primo, etc.? Son curioso di saperlo. Cercate di conoscervi, se è possibile. E perché no? E le tue lezioni come vanno? Diomede mi diceva che non c’era bisogno di lui per fare la caricatura di quei tali del semicerchio… auf, muss, als, etc.; perché tu gli hai rubato il mestiere e l’hai perfezionato. Addio. Ti scriverò più a lungo un’altra volta. Il tuo Bertrando Giovedì 15 Maggio…42 Ora me ne ricordo. Che giorno caro Professore! A rivederci! BNN, XVI.C.44.69 (ed. in De Sanctis, Epistolario. 1856-1858, pp. 59-60).
36. Diomede Marvasi e Angelo Camillo De Meis. 37. Cfr. lettera 40, nota 16. 38. Filippo Cordova (1811-1868), esule siciliano, deputato e ministro nel ’48. Dopo l’Unità, ministro di industria, agricoltura e commercio nel primo governo Ricasoli; deputato del regno d’Italia nelle legislature VIII, IX, X. 39. Luigi Carlo Farini (1812-1866), uomo politico moderato romagnolo esule a Torino; direttore del «Risorgimento». Presidente del Consiglio dei ministri e più volte ministro dopo l’Unità; deputato del regno d’Italia nell’VIII legislatura. 40. Pier Carlo Boggio (1827-1866), giornalista e uomo politico torinese, collaboratore di Cavour. 41. Friedrich Theodor Vischer (1807-1887) fu collega di De Sanctis al Politecnico di Zurigo. L’opera cui Spaventa fa riferimento poche righe sotto è Aesthetik oder Wissenschaft des Schönen, 3 voll., Reutgen-Leipzig, Mäcken, 1846-1857. 42. Cenno alle vicende del 15 maggio 1848 a Napoli.
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77 A Silvio Spaventa [Cavoretto,] 16 giugno 1856 Mio carissimo Silvio, Sono sul punto di ritornare per sempre a Torino, e fo già bagaglio. Lascio la campagna dopo un anno che ci ho dimorato. Non ho più animo di star solo, e mi annoia l’andare spesso in città, ora che incomincia la stagione calda. Ti scrivo in fretta poche parole per dirti che ho ricevuto la tua del 25 Maggio, la quale mi ha consolato davvero. Finalmente sei riconciliato con te stesso! Nella tua lettera vi è l’antico Silvio. E mi dicevi di non esser più quello, di aver perduto la coscienza della filosofia! La fenomenologia ha riacceso in te la scintilla di prima, e l’entusiasmo, col quale tu parli ora, è la più bella prova che io non avevo torto quando ti diceva che tu non avevi alcuna ragione di disperare dei tuoi studii. Ora non devi fare altro che continuare e alacremente, per quanto tel permetterà la salute. Dalla fenomenologia passerai alla logica, e poi innanzi. Bisogna fare qualche cosa; e la nostra azione è lo studio. Così io non fossi distratto dalle solite occupazioni. Questo scrivere, così direi, quasi a giornata43 non mi è mai piaciuto. Ma tale è il mio destino: non esser mai libero nel lavoro. È un mese che non fo niente. Te lo dico ora, perché sono quasi fuori di ogni fastidio. Ho sofferto un dolor di testa terribile, che m’impediva di leggere e di pensare. Non è stata emicrania, ma un’affezione puramente nervosa, un chiodo solare maledetto, di cui io non avea idea. Figurati un fortissimo dolor di denti nella fronte, di sopra l’occhio destro. Era una musica infernale. Finalmente è quasi finito; io non ci penso più e tu neppure. Quando sarò a Torino ti scriverò subito e lungamente. Per ora non ti parlo della fenomenologia; non ho tempo. Ti dico solo che se potessi avere un’opera di Schaller, ti sarebbe utilissima. È un volume intitolato: Die Philosophie unserer Zeit. Lipsia 1837. 44 È una difesa ed un’esposizione del sistema di Hegel, e contiene delle cose buone sulla fenomenologia. Te ne parlerò un’altra volta. Per la logica, credo di averti detto altra volta, che io ho letto un commentario (che è, a dir vero, qualche cosa di più) di Werder;45 ma non ci è che la sola teoria della Qualità. È un libro difficile, ma profondo, e lo sviluppo dialettico che spesso in Hegel manca, in Werder è continuo. Ma di ciò anche ad altro tempo. Mi dispiace che non ti sia giunta ancora la mia del 6 Aprile. Era una lettera lunga e ti diceva tante cose. Fra le altre una che ti farà ridere. Ti dicevo, dunque, che io ero seccato di scrivere nelle Riviste; che se avessi potuto avere una somma di danaro che mi bastasse tre o quattro anni, mi sarei chiuso in un beatissimo ozio, e avrei pensato ai casi miei, cioè a quello a cui non ho potuto mai pensare: a scrivere qualche cosa che non fosse articoli. Che cosa dirai tu? Non te lo diceva, né te lo dico ora. Immagina una critica della filosofia italiana moderna, per far vedere che il metodo unicamente possibile è quello di Hegel etc. Ma di ciò anche un’altra volta. Ora debbo fare un quattro articoli sulla filosofia tedesca (Kant, Fichte, Schelling, Hegel). Non sarà un’esposizione, ma qualche cosa che mostri (se posso farlo io) la genesi di questa maledetta filosofia da Kant. Anche Galluppi e più Rosmini si può dire che cominciano da Kant in certo modo; il secondo almeno ne 43. Cfr. la serie di ventinove articoli, I Sabbati de’ Gesuiti, apparsi in appendice al quotidiano «Il Piemonte», diretto da Luigi Carlo Farini, in due serie, tra il 16 gennaio 1855 e il 28 marzo 1856 (rist. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 213-489, e i primi tre in B. Spaventa, Opere, II, pp. 909-941). 44. Note sull’opera di Schaller sono contenute nelle Carte Spaventa (BNN, XVI .C.5.48). 45. Cfr. lettera 63, nota 70.
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ammette qualche cosa.46 Sarebbe curioso di vedere chi ha ragione di tali Kantisti, gli italiani o i tedeschi. Avea già cominciato a lavorare su Kant; ma quel diavolo di chiodo solare mi ha costretto sospendere ogni cosa. Ci tornerò sopra. È un tema che ho scelto io; mi costerà più fatica degli altri, ma, se non altro, mi gioverà. Ti ringrazio delle buone notizie che mi dai della famiglia. Povero Papà. Dì loro per me tante cose, e salutami sempre sempre zia Luisa, l’ottima e affezionatissima Faustina,47 e gli altri. Quando ci rivedremo? A proposito, comincio a credere a ciò che mi dici, se ho capito; ma bada. Ti dico che la tua lettera (mi pare di Settembre) in cui mi parlavi, un po’ a lungo, di tutto questo non l’ho mai ricevuta: quella del 1° Marzo sì. Ciò che mi dici in fine della lettera concorda perfettamente con ciò che pensava io.48 Senti una storia curiosa. Un tale è stato incaricato da Napoli da una persona di prendere informazioni sul conto mio; cosa fo, come vivo, come sto in salute etc.; e ciò più volte e con molta premura. Chi è questa persona? Non so nemmeno io. Mi si è detto: è un parente, anzi sono i tuoi parenti; è un tal Croce. Forse d. Onorato? è vivo ancora? Le notizie sono andate per mezzo d’un terzo, il quale da quello che mi è stato detto, ha calcato la mano, non sopra di me, ma sopra del tal Croce. Non ne so più nulla. Mi ricordo ora che mi sono distratto. Ti dicevo di averti scritto quella corbelleria dell’ozio beatissimo. Senti il resto. Incaricava te, se avessi potuto consigliarmi in questo: avere intenzione di fare un debito, da un amico, s’intende, che conoscesse me e fosse persuaso di dover anche perdere il suo, quando la costanza della cattiva fortuna m’impedisse di restituire etc. Non ne parliamo più. Ero con la testa calda. Addio; debbo continuare a fare il bagaglio. Ti scriverò più a lungo. Camillo e Diomede49 ti salutano caramente. Diomede scrive, da un pezzo, in società di altri, un Commentario del Codice Civile. Camillo lavora sempre: ora sulla zoologia. Salutami caramente Settembrini, anche da parte di Camillo e Diomede. Addio, Silvio. Coraggio e bada alla salute. Ricordati di non fare spropositi e sii cautelato. Bertrando tuo Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 53-55).
78 Silvio Spaventa Torino, 11 agosto 1856 Mio carissimo Silvio, È un mese che avrei dovuto rispondere alla tua lettera del 12 Giugno,50 l’ultima che ho ricevuta; ma non l’ho fatto, perché Cesare51 avea promesso di venire qua subito, e non sapevo a chi mandarla. Intanto Cesare non è venuto, né ha dato più notizie di sé. Avea tanto 46. Inizia in quel periodo la revisione delle tesi sulla filosofia italiana contemporanea, sostenute nei Frammenti del 1852, che porterà alla nuova interpretazione dei primi corsi universitari. 47. Luisa Croce e Faustina Spaventa. 48. Vacca: «io pensava». Probabile allusione al disegno di fuga di Silvio e Settembrini, progettato insieme al Panizzi nel 1855 e sfumato l’anno successivo. 49. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 50. Parzialmente pubblicata in Croce, Voci da un ergastolo politico, pp. 108-109. 51. Cesare Napolitano.
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più premura di scriverti, che mi pareva che tu avessi mal compreso certe parole della mia penultima lettera, e temeva che tu facessi quello che avevi detto, cioè di mandarmi danaro. Prima di tutto ti dico che ora sto perfettamente bene. Quel dolore di testa è scomparso da un pezzo, e il dolore di stomaco non si è fatto più sentire. Te ne parlai perché si trattava di una cosa di poco momento, e non ci era a temere di niente. Quanto al resto, ecco la verità. Ti scrissi che avea desiderio di fare quel debito, non perché avessi bisogno di danaro, ma perché, potendo, avrei lasciato stare ben volentieri questo mestiere di scrivere articoli. Questo è tutto. Il resto, permetti che te lo dica, è immaginato da te. Ciò che io guadagno, mi basta; e potrei guadagnare anche di più, se volessi. Ma questo genere di lavori mi secca, ed io non volevo dirti altro, se non che ero seccato. Ma ciò non vuol dir niente. Denaro o no, io sto al mio posto, e fo ciò che debbo fare. Le mie parole non erano altro che uno sfogo. Forse non avrei dovuto farlo, perché io non ho diritto di lamentarmi. Te l’ho detto tante volte, quando penso a te e al tuo stato io debbo essere più che contento del mio. Persuaditi, dunque, che io non ho bisogno di niente, e ti prego di non affliggerti, immaginando cose che non sono. Ti ripeto, io lavoro e vivo al solito. Io ho pochi bisogni, e ciò che ho mi basta. Certe volte sono un po’ di cattivo umore, e allora mi sfogo, come feci con te. Ma poi passa e mi persuado di nuovo che così deve essere, che non può essere altrimenti. Ti prego, dunque, di non pensare più a questa faccenda, e di non mandar danaro, tanto più che si potrebbe perdere per via, come accadde del Bruno, che non ho avuto mai più. Intanto che debbo dirti? debbo ringraziarti dell’offerta che mi facevi? Uno dei motivi per cui non volevo scriverti quella storia del debito era proprio il timore che tu non facessi ciò che proponevi di fare. Ti assicuro che se l’avessi fatto, mi sarebbe rimasto sempre un rimorso nell’animo. Sono quasi due mesi che sono ritornato a Torino, e sto qui come se fossi in campagna. Al solito non vedo molta gente, e vivo ritirato. Non sono stato mai tanto tempo nello stesso paese, e se non fosse una necessità, ci sarebbe da annoiarsi. È vero che si parla già di tante cose, ma finora non sono che parole. Tu che ne pensi di tutto questo? Oramai io non credo che ai fatti, e mi pare che fatti non ce ne siano. E tu come vai? Speri ancora di migliorare nella salute? Te lo domando, perché tu mi dicevi che speravi di nuovo. E poi parlavi di mandarmi danaro? Tu ne hai bisogno molto più di me. In questi due mesi ho fatto poco o niente: il puro necessario. Avevo bisogno di riposo. Ora ricomincerò a lavorare. Tu non mi dici niente dei tuoi studi. Spero che vadano bene e che non ti torni più quel cattivo umore e quella diffidenza di prima. Non ho risposto né posso rispondere ancora a quello che mi dicevi sulla fenomenologia. Ho dovuto in questi giorni scartabellare mezza storia della filosofia per un articolo che debbo fare sopra Socrate in occasione d’un lavoro d’un Professore di qua.52 E poi una piccola rivista sopra un’opera di Cousin.53 Puoi credere! Non rileggevo Cousin da tanti anni. Come mi è parso inetto! come sono quasi tutti i francesi. Costoro non li posso più digerire per le loro chiacchiere. Ultimamente, in un’altra rivista sopra un libro francese, li ho conciati per le feste.54 52. La dottrina di Socrate, I (recensione delle Considerazioni sulla dottrina di Socrate del professore Giovanni Maria Bertini), in «Rivista contemporanea», VIlI, settembre 1856, pp. 89-114 (rist. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 11-56). 53. Il sensualismo del sec. XVIII e V. Cousin (recensione della Philosophie sensualiste au dixhuitième siècle di Victor Cousin), in «Rivista contemporanea», VII, agosto 1856, pp. 454-464 (rist. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 107-124). 54. La filosofia pratica di Kant e Jules Barni (recensione delle Opere complete di Kant tradotte in francese da Jules Barni e dell’Examen des Fondements de la métaphysique des moeurs et de la Critique de la raison pratique dello stesso Barni), in «Il Cimento», 16 e 30 aprile 1855, pp. 653-659 e 746-752 (rist. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 125-150).
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Carissimo Silvio, chi sa se ci rivedremo? Questa è l’eterna domanda che fo a me stesso. Sarebbe tempo. Quasi otto anni! Pare un secolo. Ora ti voglio far ridere. Ti scrissi delle grandi premure che faceva un tal Croce (era d. Onorato co’ nipoti Pasqualino etc.; l’ho saputo ora) per avere notizie di me, della mia salute, del modo come vivo, etc. Le notizie andarono. Ebbene! Non hanno risposto niente, non a me, che non ho scritto mai a loro, né scriverò, ma all’amico loro. Sono in provincia, non a Napoli. E tu che notizie hai di Mariannina?55 Pare che sia stata una curiosità generale, per vedere, forse, se eravamo morti. Che buffoni! E di quella Signora? Sento che quell’imbecille del marito ne ha fatto delle belle, al solito, per paura. Così dovea essere; avea già cominciato in Toscana. Non ho mai conosciuto un uomo più imbecille di costui. Insomma quando ci rivedremo? Intanto bada sempre alla salute e cerchiamo di vivere. Come vanno i nervi? Fai i bagni? e la capra? Sì, ti domando anche della capra. Scrivimi a lungo. Di qui non ti dico niente. Puoi immaginartelo. I nostri faccendieri già sono in moto e pensano a pigliare i posti, come si dice. Ti ricordi del ‘48? L’uomo è sempre lo stesso; anche chi non ha bisogno di niente, si scannava per un tozzo di pane. Buon giorno, eccellenza. Quanti seguiranno questo grazioso saluto! Forse anche quel tale amico, di cui ti parlavo mesi sono.56 Tutto il rumore che fa, e che ha fatto, credo che miri a qualcosa di simile. Che bella figura! Altro che Francesco Paolo!57 Sarebbe peggio. È un mangione che non ha il simile. Come sta la famiglia? Scrivo due righe a Papà. Intanto ti ripeto di non pensare affatto a mandar danaro a me. Mi faresti un dispiacere infinito. Hai capito? Bada alla salute. Addio, e speriamo di rivederci. Lascio un po’ di spazio a Diomede.58 Saluto caramente Settembrini e sono Il tuo Bertrando Diomede ti fa i più cari saluti con Settembrini. Caro Silvio, In mezzo alle poche speranze di bene, e ai molti e gravi timori di male, che tirano di continuo in contrarie parti, ci è una cosa, una sola che ci consola, ed è la certezza che abbiamo, almeno io per me l’ho compiutissima, dell’imminente liberazione tua e di tutti gli amici nostri. 59 Noi dunque ci rivedremo tra breve, e così avremo finito voi di soffrir tanto, e noi qui di palpitare per te e per tutti. Il mio consiglio, la mia preghiera è che tu parta subito. Ben credo che rimanendo a Napoli tu possa far del bene; è possibile; ma guardati dalle illusioni che facilmente ti potresti fare, e non ti esporre ad altri pericoli inutili. Bada bene, che io parlo di pericoli inutili. Salutami con tutto il cuore l’incomparabile nostro 55. Marianna Croce. 56. Giuseppe Massari (cfr. lettera 71). 57. Francesco Paolo Bozzelli (1786-1864), primo ministro nel governo napoletano del 1848, fu attaccato duramente da «Il Nazionale» per non aver rispettato il disegno politico rivoluzionario. Dopo il 15 maggio fu accusato di connivenza con gli ambienti borbonici, come ricorda Vacca (cfr. Trenta lettere, p. 57, nota 8). 58. Diomede Marvasi. 59. Si riferisce all’amnistia che si intendeva concedere ai detenuti politici a patto che emigrassero in Sud America (cfr. la lettera di Silvio a Bertrando del 22 dicembre 1856, in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 221 ss.).
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Epistolario
Settembrini; a rivederci tutti fra breve: fra due mesi certamente staremo insieme, e sarà un’altra vita, un altro mondo. Addio, addio caro Silvio. Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 55-58).
79 A Silvio Spaventa Torino, 8 settembre 1856 Mio carissimo Silvio, Ho ricevuto la tua lettera del 2 Agosto;60 a quella del 12 Giugno avevo già risposto l’11 Agosto. Sono già circa tre mesi che sono a Torino. Il mio mal di capo è finito da un pezzo, finito interamente. Sin da quando te ne scrissi la prima volta era già ridotto ai minimi termini. Mi è dispiaciuto assai che ti sei messo in apprensione per questo e quasi quasi mi son pentito di avertene scritto. Ora sto bene al solito; lavoro, come ho lavorato sempre, più o meno; e senza pericolo di ammazzarmi, come tu dici. Ci vuol altro! Mi rallegro dello stato di tua salute, e spero sempre, perché tu mi dici di sperare. Aspetto che si verifichi ciò che tu speri, che la cura lattea e l’idropatia ti restituiscano interamente la salute. Ma a quest’ora gli effetti dovrebbero essere più evidenti. Mi sarebbe dispiaciuto se mi avessi mandato quel po’ di danaro che mi dicevi; poiché ti bisognava per te: via, avresti fatto male a mandarmelo. Io non ho bisogno di niente, e vivo come vivo, non da gran signore, ma nemmeno da disperato. Sono un po’ seccato oramai di questo esilio che tira così a lungo; ma pazienza! e poi l’esilio non è l’ergastolo. Aspetto sempre tue notizie, e dico sempre tra me e con Camillo: 61 chi sa se la cura è riuscita? Camillo, che è medico, spera, e forse più di me. Giacché tu sei tutto occupato della tua cura, non so se parlarti di studii. Già non ci sono disposto neppure io. Ieri ho finito la prima parte del lavoro sopra Socrate (la filosofia); farò la seconda (personalità e destino), se la vogliono.62 Ci ho dovuto lavorar molto, non tanto per la cosa in se stessa, quanto per capire l’autore che dovea criticare. Scrive in un modo così indeterminato, che non sai qual senso dare alle sue parole. Non so se ti ho detto mai che la Rivista, in cui scrivo adesso, non è più quella di prima, che è finita, cioè si è fusa con la sua rivale. 63 Questa fusione è avvenuta specialmente per intrighi dell’amico Massari, di cui ti ho parlato altra volta. La Rivista morta era più antica; avea cominciato male e amministrava buoni decotti di malva (torinese) ai suoi lettori; ma poi, dopo essersi liberata da certi seccatori, divenne tutt’altra, e il merito (almeno così dicevano) era in gran parte mio e poi di De Sanctis; costui colle sue critiche letterarie, io colle filosofiche e religiose (specialmente contro i Gesuiti) facevamo qualche cosa di buono. Ciò, non si sa perché, non piaceva al suddetto amico, e tanto fece, tanto disse, che fece fare la fusione, credendo di escludere specialmente me. Ma non ne fu niente. Piccolezze! e forse anche qualche cosa di più. Ma lasciamo queste miserie e veniamo alle altre.64 60. Parzialmente pubblicata in Croce, Voci da un ergastolo politico, p. 109. 61. Angelo Camillo De Meis. 62. Per la prima parte, cfr. lettera precedente, nota 52; la seconda non fu composta. 63. Cfr. lettera 73, nota 12. Sull’episodio, cfr. anche la lettera di Luigi Chiala a Bertrando del 19 luglio 1856, conservata nelle Carte Spaventa (BNN, XVI. C.5.3). 64. Cfr. lettera 71.
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Tu mi potresti dire qualche cosa. Qui se ne dicono tante; ma se debbo parlar schietto, mi pare che ci sia poco di serio; finora non ci è che un po’ di comico e anche di schifoso. Mi domandano sempre: e quelli là che ne pensano? Ed io: non ne so niente. Può darsi che il serio venga dopo. Di costì sappiamo poco, e sempre cose generali, o, per dir meglio, una ripetizione delle stesse generalità. Il certo è che sarebbe tempo che la cosa finisse. Ho piacere che tu continui gli studii filosofici: speriamo che avrai occasione di non lasciarli più. Se potessimo rivederci, sarebbe altra cosa. Io fo su questo molti castelli in aria. Dopo tanti anni! mi parrebbe e non mi parrebbe vero. Questa speranza è l’unico conforto che io ho. Al resto non sono già indifferente, ma che vuoi? Credo nella cosa, ma non più negli uomini (in certi uomini) o almeno non tanto come prima. Io sono debitore d’una risposta sulla Fenomenologia; ma te la farò a mente più riposata e tranquilla, e voglio aspettare prima a vedere il successo della tua cura. Non penso ad altro. Lo stesso ti dico dei miei altri scritti, che vorresti. Già non ho più la comodità di farli tirare a parte, ma ad ogni modo li staccherei dal giornale. Ora comincerò gli articoli sui filosofi tedeschi. E di Papà e della famiglia? Nell’ultima mia ti ho mandata una letterina per lui. Salutami tutti caramente; confortali sempre. Quel signor Croce, che domandava con tanta istanza notizia di me, non ha risposto nemmeno, e si trova presentemente in provincia. È stata una burla gratuita. Io non gli ho scritto, né gli scriverò mai. Perdonami, se ti scrivo poco. Io sono anch’io, come te, colla testa sottosopra. Addio, caro Silvio. Bada alla salute e dammi notizie della cura. Salutami il buon Settembrini. Camillo e Diomede65 salutano te e lui. Siete sempre insieme? Gli amici mi domandano sempre di voi, non dico l’amico di sopra, ma i veri amici. Addio. Quando ci rivedremo? Il tuo Bertrando Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 58-59).
80 A Silvio Spaventa Torino, 1 dicembre 1856 Mio carissimo Silvio, Sono già più di due mesi che non ti scrivo. L’ultima mia è del mese di Settembre ’56 in risposta alla tua del 2 Agosto. Avrei dovuto rispondere alla tua dei 21 Settembre. Ma che vuoi? Ho differito sempre di giorno in giorno, dicendo tra me: «sarà una lettera inutile». Ora mi accorgo di aver fatto male a credere troppo presto. Non già che non ci sia più motivo di credere, ma la cosa va lento lento e non ho avuto più animo di stare in silenzio. Ti dico in primo luogo, per toglierti da qualunque apprensione, che in questi mesi sono stato sempre bene di salute e, più o meno, ho lavorato come al solito. E tu? Come ti portano i bagni? Credo benissimo. Una volta li facevo anch’io; ma poi, non so perché, li ho lasciati stare e non li ho ripigliati più. Non sempre avevo il tempo di far moto dopo il bagno, e senza il moto credo che facciano piuttosto male che bene. Spero che ripiglierai lo 65. Diomede Marvasi.
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studio delle cose filosofiche, se pure la testa te lo permetterà. Non so cosa verrà dalle cose che si dicono. Credo ora qualche cosa, ma non tanto. Sono con te, che bisogna aspettarsi poco dalla diplomazia. Tutti dicono che il minimum sarebbe qualche cosa per voi. Ti parlo di me. Ho finito da un pezzo il primo articolo su Socrate, ed è già stampato. Il secondo non so se lo farò. La critica contro il migliore professore di questa università non è cosa che piace troppo.66 Il direttore, che è un ragazzo piuttosto gesuita, prima di far stampare l’articolo, lo mandò al professore criticato, senza dir niente a me. Costui è un bravo uomo, e disse che non la pensava come me, ma che l’articolo era una gran cosa, etc. La rivista, in cui scrivo adesso, è una specie di mosaico di tutti i colori: il filosofo Mamiani, il letterato Tommaseo, etc. Il primo è divenuto un pedante di prim’ordine, e non bada più che alla bella frase ed ai suoi superlativi. Ora dimora qui a Torino: io l’ho veduto una sola volta. È un gesuita perfetto. Ho fatto anche l’articolo su Kant che è un po’ lungo.67 Non è ancora stampato. Quasi quasi mi pento d’aver preso a trattare questi argomenti, che costano una gran fatica, e poi il compenso non è gran cosa: cento franchi l’uno, cioè appena appena un mese di vita. Per fare l’articolo di Socrate ho dovuto ristudiare quasi tutta la storia della filosofia greca, specialmente della filosofia antisocratica. Te lo manderò (se ci sarà tempo) insieme con quello su Kant, quando sarà stampato. In questo ho mostrato specialmente che tutto ciò che vi ha di buono nel Rosmini (la percezione intellettuale, il sentimento fondamentale, etc.) è tolto da Kant, senza che il ladro ne dica niente. Per vedere sino a che punto arriva la mala fede o l’ignoranza di costui, bisogna leggere ciò che dice di Kant e ciò che egli pretende di fare di più: questo di più, e altro ancora, ci è in Kant, e il Rosmini ce lo vende come roba propria. Ho distinto il principio speculativo del Kantismo, – principio che poi diventa l’essenza di tutta la filosofia tedesca da Kant a Hegel – dal Criticismo, che è come la comprensione particolare e imperfetta di quel principio. Questa distinzione, che è nella natura della cosa, era anche necessaria per far comprendere quello che viene dopo. Ora sto preparando la materia per l’articolo su Fichte. Poi Schelling. E così con Socrate saranno quattro articoli. Su Hegel non potrò farne uno solo: ma almeno tre. Per es. 1) Dottrina della scienza (Fenomenologia). 2) Organo (Logica). 3) Etica. Ma se li vogliono, farò altri articoli. Hai notizie di Papà e delle sorelle? Saluta tutti per me e di’ loro tante cose. Chi sa se ci rivedremo? Sarebbe tempo. Io sono seccato, annoiato oramai di questo maledetto esilio. Ma pazienza. Ne avete tanta voi che state costì. Gli amici di qui ti salutano con Settembrini, specialmente Camillo e Diomede.68 De Sanctis è stato qui nelle vacanze; ma è già ritornato a Zurigo. Addio, caro Silvio: fra giorni ti scriverò una lettera più lunga. Abbracciami il buon Settembrini. Delle cose nostre silenzio, ora: non ci è niente. Animo sempre; bada alla salute. Scrivimi subito, e dimmi tante cose. Addio. Bertrando tuo SNSP, XXVI.D.3.1 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 209-212).
66. Cfr. lettera 78, nota 52, e lettera 79, nota 62. 67. Si tratta della prima stesura dell’articolo La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana, apparso nella Nuova enciclopedia popolare, diretta da Francesco Predari, Torino, Pomba, 1860, pp. 65-89 (parzialmente ristampato in B. Spaventa, Opere, I, pp. 173-255). 68. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi.
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81 A Silvio Spaventa Torino, 5 gennaio 1857 Mio carissimo Silvio, Ho ricevuto la tua lettera dei 24 Novembre 1856. Io ti avea già scritto il 1° Dicembre. Le notizie che mi dai della tua salute mi consolano, e spero che starai sempre così. Anch’io sto bene. Solo mi dispiace – e non ci è bisogno che ti dica quanto – ciò che mi dici del tuo stato intellettuale. Ti ho detto sempre che ci è il rimedio e che dipende da te il praticarlo. Una volta anch’io leggevo e studiavo e profittavo poco o niente; anch’io era soggetto a quella specie di desolazione mentale, della quale tu tanto ti lamenti. Non basta leggere; bisogna scrivere, cioè fissare ciò che si pensa. Senti a me: fatti un gran quaderno di carta ordinaria, e nota ogni giorno in esso tutto ciò che ti viene in mente, specialmente le cose filosofiche. Così i tuoi pensieri avranno una certa realtà e direi quasi una persona; e ti faranno buona compagnia nel vero senso della parola. La solitudine consiste appunto in quel continuo vagare da un pensiero ad un altro senza fermarsi in nessuno. Quando si scrive non solo si pensa, ma si riconosce ciò che si pensa; si ha una misura, dei punti fermi, a cui si ritorna e che si ha gran diletto di rivedere come se fossero vecchi amici, etc. Ho bisogno di continuare a dimostrarti l’utilità dello scrivere? Fa la prova, se non altro per farmi contento. Solo scrivendo si ha la coscienza di ciò che si è e si può essere. Se io non sono tanto scontento di me quanto era a Napoli, la causa è che scrivo. Qui io sono rinato in certo modo appunto per questo. A Firenze non avendo voglia di far nulla di meglio, scrivevo ogni giorno ciò che vedevo e udivo. Qui lasciai stare, perché maiora premebant. Tutto ciò che ho scritto per venti mesi di politica sui giornali,1 quando lo rileggo ora, non val niente; ma pure a me è stato di grande utilità, perché mi ha dato la prima coscienza d’una qualche cosa che era dentro di me. Mi dici che leggi l’Enciclopedia e che hai letto tante volte la Fenomenologia. Ebbene: chi ti vieta di scrivere su quello che leggi? Se non altro di esporre, di commentare, di far dubbi etc.? Da cosa nasce cosa, da nulla nulla. Basta cominciare, e poi lasciar fare alla natura e all’ingegno. Farai ciò che ti dico? Questo è anche il consiglio che ti dà Camillo.2 1. Cenno agli articoli del 1850-1851 sul «Progresso». 2. Angelo Camillo De Meis.
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Ciò che mi dici delle nostre condizioni è vero, e anche io penso così e spero poco, ed ora meno di prima. Sarà quel che sarà. Qui taluni hanno preteso che tu e Luigi3 avevate fatto non so che dichiarazione in risposta a non so quale domanda.4 È vero? È inutile che ti dica che i sentimenti sono divisi e che non tutti sentono ciò che dicono di sentire, e fanno pel bene del paese. Di quelli stessi che dicono di sentire allo stesso modo, alcuni si servirebbero del paese per l’interesse di tal dei tali; altri il contrario. I primi sono gente ambiziosa e naturalmente intrigante; i secondi sono uomini politici, e ciò su cui si può discutere è solamente se hanno o no giudizio. Quanto a me, ti dico che ne capisco poco o niente; non vedo niente di bene e di buono da tutte le parti. Direi quasi che spero solo nel caso. Ad ogni modo bisogna far coraggio e non perdersi mai d’animo. Vorrei sapere come vivi e se ti manca niente. Non già che io possa aiutarti, ma sempre è buono che lo sappia. Avrei voluto mandarti l’articolo su Socrate con qualche altra cosa, ma aspetto che sia pubblicato quello su Kant5 per farne una sola spedizione. Io seguito a far ciò che faceva, e studio come meglio so e posso. Farei di più, se il paese non fosse contrario a tale genere di studii. Non puoi immaginarti che grettezza, che ipocrisia! Io ne patisco un po’ anche materialmente, ma pazienza e me ne curo poco. Per farti ridere, ti dico che anche a me tocca di fare qualche piccolo sacrificio, pel trionfo della verità. Gente che non crede a nulla, se non al danaro, e che accusa gli altri di non credere: tale è la storia eterna, qui e altrove. Ma qui fa più maraviglia che altrove. È una razza di liberali, che io aborro perché non ha nessun principio che meriti questo nome: pensano – o per dir meglio dicono di pensare – ciò che pensa il tale e tale che è uomo potente, ricco, e che dà dei buoni pranzi: sono un altro genere di livrea. Meno male, se non fossero anche birbanti, ma solo buffoni. Che vuoi farci? Pazienza ripeto; e coscienza retta. Ti prego di non lavorare coll’immaginazione su questo che ti dico. Io sto bene, e non vi è paura dell’Inquisizione. Fo ciò che debbo fare e li fo stare a dovere… finché si tratta di operare pubblicamente. Scrivo a Papà e a Clotilde.6 Addio carissimo Silvio. Rispondimi subito e dimmi qualche cosa di tutto. Io debbo essere sempre più riservato di te. Camillo e Diomede7 salutano te e Luigi. Diomede ha avuto la licenza di fare l’avvocato qui. Col suo ingegno farà fortuna, ne son certo. Addio di nuovo e abbracciami caramente Luigi. Bertrando tuo SNSP, XXVI.D.3.1 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 213-215).
3. Luigi Settembrini. 4. Riferimento all’adesione dei due prigionieri al progetto murattiano (cfr. lettera 71). Nella lettera del 5 febbraio 1857 Silvio riporterà diffusamente l’opinione sua e quella di Settembrini (S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 216). 5. Cfr. lettera precedente, nota 67. 6. Clotilde Spaventa. 7. Diomede Marvasi.
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82 A Pasquale Villari Torino, 14 gennaio 1857 Mio caro Pasqualino, Posso scriverti per un favore? Un’altra volta ti racconterò tutto; ora ti dico solo che io non scriverò più nella Rivista contemporanea.8 Se vedrai ancora qualche cosa mia, è un residuo del contratto dell’anno passato: articoli già dati da molti mesi fa.9 Ergo: Vorrei raccogliere i meno cattivi articoli filosofici miei pubblicati nel Cimento e nella Rivista e farne un volume. Tu devi parlarne al Lemonnier, e persuaderlo a ristamparli.10 Mi darebbe un certo compenso che nell’attuale mia desolazione sarebbe qualche cosa, e potrebbe servire a comprare almeno i sigari e il tabacco!11 Il volume sarebbe di circa 300 pagine, e anche più, se si volesse, in 8° del Cimento, carattere del secondo fascicolo del mio scritto su Campanella che ti ho mandato una volta, mi pare. Mi dirai: perché non scrivi tu al Lemonnier? Hai ragione, ma tu puoi dire a voce cose che io non potrei né saprei dire in una lettera. E poi, il Lemonnier ti dirà: e il Bruno? Spaventa vuol ristampare i suoi articoli, e quando lo vidi a Torino mi promise che mi avrebbe dato una parte del lavoro per la fine del ‘56! E pure io non ho torto, caro Pasqualino. In quest’anno maledetto ho sofferto due volte il chiodo solare, e poi un mal d’occhi, etc.; insomma ho perduto circa 5 mesi. Dico poi schietto e lo dissi anche al Lemonnier, che su questo lavoro ho mutato pensiero: quello che avea fatto, ed era buona parte, non mi serve più. Avrei bisogno di molti libri; e non ho tutto il Bruno latino. Il Lemonnier mi promise di farmelo avere, ma non l’ho visto. Se avessi stampato due anni sono quello che avea fatto, pazienza. Ma ora no: non mi piace più! La raccolta dei miei articoli la intitolerei: Saggi filosofici, per esempio. Debbo dirti altro? Parla forte al Signor Felice, e nel caso che dica di sì, fatti promettere qualche cosa di buono per me. Se dice sì, gli scriverò allora io. È inutile che ti dica che la ristampa dovrebbe esser fatta il più presto possibile. Non scriverò più nella Rivista, perché… puoi immaginartelo. Vorrebbero che pensassi colla testa loro, se pensano. Ma di ciò un’altra volta. Per ora addio e rispondimi subito. 8. Sulla difficile collaborazione di Bertrando alla «Rivista contemporanea» e sulla sua interruzione, cfr. le lettere di Angelo Camillo De Meis a Francesco De Sanctis del 28 novembre 1856 e del 6 gennaio 1857 (in De Sanctis, Epistolario. 1856-1858, pp. 206-208 e 264-269). 9. Cfr. la recensione a V. Garelli, Della logica e della teoria della scienza (3 voll., Oneglia, Tasso, 1856), in «Rivista contemporanea», IX, marzo 1857, pp. 474-480. 10. Cenni agli accordi con Le Monnier si trovano anche nella lettera di De Meis a De Sanctis dell’11 gennaio 1857 (in De Sanctis, Epistolario. 1856-1858, pp. 270-273). Sfumato questo progetto, l’autore riuscì solo dieci anni dopo a raccogliere i suoi scritti torinesi nel volume Saggi di critica. 11. Per provvedere alle pressanti difficoltà economiche di Bertrando, De Meis e Marvasi promossero una sottoscrizione mensile fra gli esuli meridionali, cui aderirono tra gli altri Plutino, Pisanelli, Ciccone, Piria, Cosenz, Carrano, Tommasi, Pallavicino e Conforti. In cambio Spaventa si assumeva l’obbligo di scrivere un lavoro di filosofia (cfr. la lettera di Marvasi a De Sanctis del 1° febbraio 1857, in De Sanctis, Epistolario. 1856-1858, pp. 289-292).
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Salutami Monzani. Bertrando tuo Dirigi così la risposta: Via dei Fiori a San Salvario numero 12. N.B. Mi pare che il Lemonnier ha ristampato delle novelle pubblicate qui in un giornale quotidiano. A fortiori, potrebbe le mie novelle filosofiche. BAV, Carteggio Villari, 508-509 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 540-542, e in Pellicani, Sedici lettere, p. 54).
83 A Silvio Spaventa Torino, 15 febbraio 1857 Mio carissimo Silvio, Ho ricevuto la tua lettera del 22 Dicembre ’56 e 3 Gennaio ’57;12 alla tua del 14 Novembre avea già risposto al 5 di Gennaio. Sapevo già qualche cosa della convenzione colla Repubblica argentina, ed ero sul punto di scrivertene per sapere il vero da te, quando mi è giunta la tua. Tutti i giornali ne hanno parlato e ne parlano ancora; e s’aspettava con grande ansietà di sapere quale risoluzione avrebbero preso i detenuti politici. Saranno trasportati per forza o andranno spontaneamente? Tale era la questione. E se andranno spontaneamente quale sarà il risultato di questo fatto? Sarebbe meglio se non andassero? Si diceva e si leggeva in alcuni giornali esteri che Luigi13 avea accettato, e Poerio 14 rifiutato di andare. Ora si conferma questa seconda notizia. Puoi immaginare la mia situazione quale doveva essere; non ho mai aspettato con tanto desiderio ed angoscia una tua lettera. Che ne sarà di Silvio? Quale risoluzione prenderà? Mi arriva finalmente la tua lettera, e so quello che tu hai risoluto. Intanto ieri ho letto in una corrispondenza piuttosto bene informata che ci è stata una certa mutazione nelle due parti che diffidano egualmente l’una dell’altra: cioè, il governo napolitano non voglia più mandar via i prigionieri temendo non so che cosa, e i prigionieri non vogliono andar via temendo pure qualche altra cosa. Si afferma che costà si sono dati consigli ai prigionieri perché non andassero, pel bene loro e del paese, e che questi consigli siano stati accettati. Si dicono insomma tante cose, che la tua lettera pare scritta non 40 giorni, ma un anno fa; ed io dico a me stesso ancora: che farà Silvio? partirà o non partirà? E a pensare che per uscire da questo stato di incertezza e di inquietudine bisogna aspettare ancora qualche mese, ci è da diventare pazzo. Quanto alla cosa in se stessa se n’è parlato qui, ed io stesso ho cercato di conoscere che ne pensavano alcuni che stimo, che hanno qualche esperienza delle cose e non si fanno molte illusioni sulle faccende di questo mondo. Sebbene voi siate i migliori giudici, perché non si tratta solamente di situazione generale, 12. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 212-213 e 221-224. 13. Luigi Settembrini. 14. Carlo Poerio (1803-1867), uomo politico liberale, anch’egli prigioniero nelle carceri borboniche. Tornato a Napoli nel 1833, si dedicò all’avvocatura, acquistando grande fama. Fu deputato del regno d’Italia dall’VIII alla X legislatura.
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ma di condizioni individuali che voi soli potete conoscere e stimare come si conviene, pure credo di non doverti tacere l’opinione di quelle persone. Eccola in poche parole: credere che quelli che hanno la potenza di fare, vogliano fare bene al regno, è illusione; ma qualche cosa la faranno per tanti motivi e specialmente per cavarsi d’imbroglio; lo stesso governo napolitano desidera una certa soluzione, e la convenzione argentina n’è una prova. Quale può essere il minimum del bene che faranno i potenti? La liberazione dei detenuti politici; questa è cosa certa e non può tardare a venire. Dopo tanto chiasso, si dovrà ottenere almeno questo. Ora supponiamo che tutti i detenuti accettino di andare in America, specialmente i più conosciuti e illustri, coloro insomma che rappresentano più vivamente il principio di libertà e giustizia; quale sarà la conseguenza di questa accettazione? Si dirà: i detenuti sono liberi, le prigioni sono vuote, gli esuli che hanno voluto ritornare sono ritornati, le suppliche sono state esaudite, qualche altra cosa si è fatto; dunque la quistione napolitana è risoluta, e non se ne parli più. Supponiamo invece, che alcuni accettino di andare, e altri no, per esempio Poerio: quale sarà la conseguenza? Quelli che non hanno accettato, resteranno in prigione? Ciò è impossibile; finché uomini come lui e Luigi e altri, di cui si è tanto parlato e si parla, staranno in galera, la soluzione non ci è e la quistione è nello stesso stato di prima. Dunque avverrà che immediatamente o quasi immediatamente dopo la partenza degli accettanti, ci sarà la liberazione degli altri che hanno rifiutato. Ora quale sarà migliore, la condizione di quelli o pure di questi? Supponiamo finalmente che tutti rifiutino o almeno tutti coloro che sono noti e nei quali il paese riconosce i suoi stessi figli: che ne avverrà? Resteranno sempre in prigione? Non se ne parlerà più? La quistione napoletana sarà o almeno potrà dirsi (diplomaticamente) risoluta? Quel rifiuto non sarà piuttosto una nobile protesta, che la renderà più grave e crescerà la necessità di una soluzione? L’accettazione, specialmente per parte degli uomini più noti e considerevoli, sarebbe un gran servigio reso al governo napolitano che così uscirebbe d’un brutto impiccio; e quando non si volesse dire nociva, non sarebbe certamente utile né al paese né ai detenuti, perché e quello e questi conseguirebbero lo stesso intento e forse più, senza di essa. Avvenuta l’accettazione, le potenze direbbero: ecco qua, sono liberi; abbiamo ottenuto quello che volevamo, e gli ambasciatori tornerebbero. Se l’accettazione non avesse luogo, che direbbero le potenze? Avrebbero il coraggio di dire: «i non accettanti sono dei pazzi che non sanno quello che fanno»? Chi non capisce che la stessa accettazione sarebbe una coazione morale? Al contrario sarebbe uno spettacolo sublime il vedere lacerata così una convenzione che sotto la maschera d’umanità potrebbe essere stata dettata e concepita dall’astuzia più raffinata; tanta concordia nel rifiutare sarebbe degna di loro e del loro passato, né recherebbe loro verun danno. Ma se i non accettanti restassero perpetuamente in prigione? Chi avrebbe l’animo di dir loro: fate anche questo sacrifizio? Ti ripeto, che tutto il ragionamento trascritto si fonda nella certezza della necessità d’una soluzione: d’una soluzione che non può tardare. Ma dunque, continuavano quelle persone, se il governo napoletano dicesse ai prigionieri: «uscite e andate fuori dove volete», dovrebbero essi anche rifiutare? Qui la cosa sarebbe ben diversa. Altro è dire: siete liberi di andare; altro è dire: sarete trasportati in America, etc. Tu e Luigi farete quella stima che crederete di queste considerazioni; io ve le ho comunicate, affinché la risoluzione che sarete per prendere definitivamente si fondi sopra un giudizio completo, quanto è possibile, della situazione. Ho creduto che non sarebbe per voi cosa inutile conoscere ciò che si pensa qui. Ad ogni modo, qualunque cosa risolviate, cercate che non ci sia discrepanza tra tutti voi: dico tutti non solo di costà, ma anche di
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altri luoghi. Prevedo la tua risposta: ruere in servitium. Ma non parlo di costoro. Quando dico voi, tu sai bene di che uomini intendo parlare; tra tali uomini la risoluzione deve essere una, perché una è la situazione e il principio che rappresentano. Se questa lettera ti giungerà in tempo, ti prego di rispondermi subito e di dirmi tutto. Io sono certo che tu prenderai quella risoluzione che ti converrà più sotto tutti i rapporti: lo stesso dico di Luigi. Non ti dico altro e aspetto con impazienza tue lettere. È inutile che ti preghi di ponderar bene le cose e di risolvere con prudenza. Questa volta non ho coraggio di parlarti d’altre cose. Ti dico solo che sto bene in salute e che lavoro come meglio so e posso. Nell’ultima mia ti mandai due letterine per Papà e Clotilde.15 Salutami i nostri. Abbracciami Luigi. Camillo e Diomede16 vi salutano caramente. Scrivimi subito. Spero di scriverti tra giorni. Allora ti manderò il lavoro su Socrate. Quello su Kant non è ancora stampato e credo non si stamperà più su quella Rivista. Non ti allarmare. È quasi certo[..]17 una raccolta degli articoli meno cattivi già pubblicati qui; e allora stamperò anche quello su Kant. Spero di fare giungere il volume. Addio. Scrivimi. Bertrando tuo SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
84 A Silvio Spaventa Torino, 9 marzo 1857 Mio carissimo Silvio, Ti scrivo poche righe e in fretta, perché sto assistendo un mio amico di qui che è gravemente infermo. Ricevetti la tua lettera 25 Dicembre 18 e 3 Gennaio [sic], e risposi subito; ricevo ora quella del 5 Febbraio.19 Nella mia lettera del 15 Febbraio ti diceva ciò che si pensava qui da alcuni sulla convenzione colla Repubblica Argentina. Erano considerazioni generali e interamente politiche; le quali io ti comunicava, perché credeva mio debito non tacerle. Ti faceva osservare nello stesso tempo, che in questo affare i migliori giudici eravate voi perché conoscete meglio degli altri che sono le condizioni del paese e specialmente perché tutto ciò che qui si può immaginare sulla vostra situazione è sempre al di sotto del vero e voi soli potete dire e giudicare ciò che soffrite. Spero che tu e Luigi abbiate inteso il vero senso della mia lettera. Tutti gli argomenti che io ti recava erano fondati sulla ipotesi d’una soluzione diplomatica prossima, anche sulla assunzione della convenzione argentina. Io non voleva certo dirti che anche senza questa ipotesi voi avreste potuto restare costì. Non ho bisogno di dirti che io non ho mai amato i sacrifici inutili, e io che leggo e rileggo le tue lettere, so quanto sia insopportabile la tua condizione 15. Clotilde Spaventa. 16. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 17. Lacera. 18. Spaventa intende riferirsi alla lettera del 22 dicembre 1856. Cfr. lettera precedente, nota 12. 19. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 216.
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e quanto male ne verrebbe anche al paese se tante vite preziose fossero logore del tutto dai patimenti delle galere. In breve io non credo né ho creduto mai che l’individuo non abbia nessun valore a questo mondo. Sacrifizii materiali! transeat! anche della vita! Ma la perdita anche dell’ingegno e del cuore, l’annichilimento morale e intellettuale, è cosa che io non l’ammetto. Non ti dico altro. Era certissimo che non avresti supplicato. E poiché sei risoluto di partire, parti, e fai bene. Ho bisogno di dirti che io desidero grandemente di rivederti; e di vederti libero? Ti scrivo poche parole, perché questo pensiero della tua libertà mi fa girare la testa. L’importante è vedere cosa dovrai fare quando sarai giunto in America. E in primo luogo sei certo di poter tornare? Mettiamo da parte il desiderio che io ho di rivederti, che faresti tu alla Plata? È luogo da starci e da viverci? Mi pare dunque che tu debba ritornare in Europa, e venire qui per stare insieme. Certamente non troverai gran cose qui; uomini come te e me non fanno gran fortuna né qui né altrove; ma ad ogni modo vivremo, se non altro, insieme e liberamente. Insomma quanto al tornare, io non credo che ci sia da discutere… a meno che (lo dico scherzando) tu non trovassi altrove tanta fortuna che io potessi venire a stare con te. Resta a vedere il modo di tornare. Mi domandi quanto può costare il ritorno. Mi sono informato e ho saputo che coi vapori della Compagnia transatlantica si paga 300 franchi da Buenos Ayres a Genova, pigliando i terzi posti, e il terzo posto vuol dire l’entre pour col mantenimento simile a quello dei marinai e senza vino, coll’obbligo di provvedersi di materasso e coperta. I secondi posti poi costano 850 franchi – Ci sono anche i bastimenti a vela o legni mercantili, e si risparmia. Ma ci si mette un secolo. Tutte queste cose le vedrai meglio sul luogo. Quanto al denaro, tu sai che io ne ho poco o niente: ma ti dico che se potrò te ne manderò qualche poco; ma non contare su questo, e portane tu il più che potrai. Quanto alle commendatizie vedrò di averne. Appena saprò della tua partenza ti scriverò a Cadice e a Parana. Tu fa lo stesso da ogni stazione. Sono contento che partite insieme tu e Luigi20 e vi prego di non separarvi mai. Viaggio lungo, pericoli grandi, mancanza di denaro! Ma che importa? Animo, Silvio e Luigi. Coraggio e, insieme sempre. Ti scrivo confusamente. Spero che prima di partire abbi acconciate le cose di Papà. Gli scriverò subito. Addio Silvio; spero di rivederti libero. Tu sei giovine ancora; e basteranno pochi mesi per ridarti tutta la coscienza di te stesso! Animo. Scrivimi spesso e subito da qualunque luogo. Abbracciami Luigi caramente. Tuo Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (breve stralcio in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 225).
85 A Silvio Spaventa Torino, 15 marzo 1857 Mio carissimo Silvio, Ricevo le tue poche righe colla data del 20 Febbraio. Ho anche ricevuto le due lettere tue, del 22 Dicembre-3 Gennaio e del 5 Febbraio, alle quali risposi subito colle date del 15
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Febbraio e del 9 Marzo. Nella mia prima risposta ti diceva ciò che pensavano qui alcuni amici – persone savie e sperimentate – sulla convenzione argentina. Questa era considerata da loro come perniciosa, almeno politicamente. Il loro ragionamento era il seguente: «Il governo napoletano dovrà cedere almeno in questo, di liberare i detenuti politici: la stessa convenzione argentina dimostra questa necessità, o per dir meglio, la convinzione che ha egli stesso di questa necessità. Essa è un principio di soluzione, tutto a vantaggio però dello stesso governo; perché se riesce, è possibile che non sia costretto a fare di più. Sono possibili tre casi: o che tutti i detenuti accettino di emigrare; o che alcuni accettino e alcuni rifiutino (e gli uni e gli altri siano persone considerevoli); o che tutti (sempre parlando di quelli considerevoli) rifiutino concordemente. Quali saranno le conseguenze? Nel primo caso, il governo dirà: ecco, i detenuti sono liberi; ho fatto ciò che chiedevate. E ciò detto, è possibilissimo che tutto finisca qua, almeno per ora. Gli stessi detenuti avranno tolto d’imbarazzo il governo. Nel secondo caso, che ne farà il governo di quelli che hanno rifiutato? Li terrà ancora alle galere? Non è possibile; la stessa necessità che lo ha costretto a fare la convenzione argentina, lo costringerà a liberarli in altro modo migliore. Perché, in verità, senza tutto il chiasso che si è fatto, neppure questa convenzione avrebbe avuto luogo. Nel terzo caso, l’argomento cresce. Che potrà dire il governo? Dirà che sono pazzi, a non accettare? E chi ci crederà? Bisognerà dunque che li liberi tutti. Oltre a ciò il rifiuto unanime avrà gran forza morale, e gioverà al paese. Ma nuocerà a coloro che rifiuteranno? Non potrà nuocere, perché, senza sperare grandi cose dal chiasso che si è fatto, si può sperare come certo almeno questo effetto: che i prigionieri siano liberati o in un modo o in un altro. Il peggiore è quello della convenzione argentina. Se i prigionieri stessi l’accettano, non ci è altro a ridire, e tutto sarà finito, almeno per ora. Più: pare certo che alcuni hanno rifiutato. Se altri della stessa fama e virtù accetteranno, che si dirà? Perché questa discordia, se la causa per cui soffrono è la stessa? E cose simili. Ma dunque i detenuti debbono sacrificarsi assolutamente? Non si vuol dir questo. L’annichilimento morale e intellettuale dell’individuo non si può ammettere; il sacrificio, se si vuole, ha un limite nella cosa stessa. Quando si raccomanda il rifiuto concorde (e per parte di quelli che hanno nome e meriti grandi), ciò si fa nella convinzione che per loro si dovrà prendere una misura migliore di quella della convenzione. E ciò basta». – Io ti ripeto le cose principali. Qui si sa da un pezzo che Poerio e compagni hanno rifiutato; di Luigi21 si è detto che ha accettato, ma non di certo. È stata una voce corsa sui giornali. Tutti aspettano con impazienza quale determinazione prenderanno i detenuti. Delle tue lettere io non ho detto niente a nessuno, non per altra ragione se non perché aspettavo che tu mi dicessi definitivamente: ho accettato, o, ho rifiutato. Nella mia seconda risposta, scritta in fretta e coll’animo agitato per la malattia d’una persona che mi era cara – quanto tu stesso, e che tu avresti amata come l’amavo io, se l’avessi conosciuta – io ti ripeteva in pochissime parole il tema della lettera antecedente, e vedendo la tua risoluzione fermissima di emigrare, ti diceva: giacché sei risoluto, fa pure, tu sei migliore giudice di me e di noi altri che viviamo qui liberi e senza patimenti. E ti mandava le poche notizie che mi chiedevi. Ora nelle poche righe che mi scrivi colla data del 20 Febbraio mi domandi il mio parere. Per me, non ho bisogno di dirti, che desidero più che altri e quanto tu stesso di vederti libero o in un modo o in un altro (bene inteso, senza suppliche; ed era certo di ciò, che non avresti supplicato). Sacrifizi inutili io non li ammetto, specialmente della mente e del cuore. Su ciò siamo d’accordo. Tutta la quistione dunque si riduce a vedere se la via della convenzione argentina è l’unica via onesta di uscire di galera nel più breve tempo 21. Luigi Settembrini.
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possibile, e anche col maggior vantaggio possibile e vostro e anche del paese. È possibile, che, se voi tutti rifiutate, non si parli più di voi, e restiate sepolti vivi nelle galere? Questa è la cosa principale, e su ciò io ti ho detto quello che si pensa qui. Si crede che si otterrà almeno questo. La seconda cosa è: quelli che emigrano sono sicuri di poter tornare in Europa; hanno guarentigie; etc. etc.? Quanto alla prima, trattandosi d’una cosa così grave, io non ho creduto di poter rispondere da me solo, e mi sono consigliato con altri, e ti ho detto ciò che ne pensano. Te l’ho detto anche prima che me ne dimandassi, e la mia lettera non t’era ancora arrivata, quando tu mi domandavi il mio parere, annunziandomi di aver sospeso la decisione di emigrare. Quanto alla seconda cosa, né io né altri di qui possiamo dirne nulla, perché qua non si conosce bene né la persona argentina, né il testo della convenzione. Voi potete giudicare meglio di noi. Io non so quali nuove considerazioni ti abbiano fatto sospendere la decisione di andare. Ho stimato di ripeterti ciò che ti aveva scritto nelle due lettere antecedenti, perché vedessi chiaro ciò che qui si pensa. È un mese che te l’ho scritto, ed ora si pensa nello stesso modo. Speriamo di rivederci al più presto, e se è possibile, senza bisogno di passare pel nuovo mondo. Già compie l’8° anno che tu sei in carcere. Povero Silvio! Ma coraggio ancora. Lo stesso dico anche a Luigi, col quale sia comune ogni risoluzione. Se non altro stando insieme dovunque vi conforterete a vicenda. Non ho bisogno di raccomandarti Papà, e fa in modo che sia contento al più che è possibile. Mi è dispiaciuto assai che sia uscito dalla casa di zia Luisa.22 Di salute io sto bene. Raccomando a te la tua caldamente. Non ti parlo di studi, perché ora non ci ho la testa. Ti scriverò subito che avrò notizie da darti. Tu fa lo stesso. Ti ripeto ciò che ti ho detto in tutte le mie lettere: qualunque decisione prenderai, pondera prima bene la cosa, e fate in modo che tra voi tutti non ci sia disaccordo. Addio carissimo Silvio. Saluto Luigi. Speriamo di rivederci tutti. Camillo e Diomede23 vi salutano. Addio. Addio. Rispondimi subito. Il tuo Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
86 A Silvio Spaventa Torino, 20 aprile 1857 Mio carissimo Silvio, Mi giunge la tua del 20 Marzo. 24 Avevo già ricevuto le altre due di Febbraio (5 e 20), alle quali risposi colla data del 7 e 15 Marzo. Io non ho che replicare in nome dei savi di qui alle molte e gravi ragioni della tua lettera, specialmente a quella delle 550 domande di grazia. Ti ripeto, che io ti comunicava l’opinione di quelli, non già perché tu la seguissi senza riflessione, ma perché credeva che ti potesse essere utile il sapere ciò che si pensava qui. Ti ripeto pure che per me la questione era tutta politica, e che io non poteva né 22. Luisa Croce. 23. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 24. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 225-227.
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posso ammettere i sacrificii inutili, specialmente della vita intellettuale e morale. Tutta quella opinione si fondava sulla probabilità e direi quasi certezza della vostra liberazione anche col rifiuto dell’offerta di partire per l’America e sull’idea dell’utilità morale d’una protesta unanime di tutti o almeno della maggior parte dei prigionieri. Ma ci è almeno quella probabilità? E la protesta non è divenuta impossibile pel fatto delle 550 domande di grazia? Io ti parlava in generale, e lasciava a te assolutamente libero il giudizio della cosa in particolare. Ma vedo dalla tua lettera, che tu hai giudicato bene anche la cosa in sé stessa, e ciò che dici dell’interesse che una parte ha che la rottura duri, mi pare verissimo. Ti ripeto, che io non ho che replicare: le cose voi le conoscete come noi e meglio di noi e potete prendere una risoluzione migliore di quella che potrebbe essere suggerita dalle persone di qui, che vedono un lato solo della cosa. In breve, io confido pienamente in voi, nella vostra prudenza e buon giudizio, e credo inutile di aggiungere altro. Quello che vi raccomando è di essere sempre concordi, tu e Luigi.25 Rimane ora a vedere due cose. La prima è: siete sicuri di giungere in America e di poter ritornare in Europa? Insomma avete guarentigie? Di ciò voi soli potete giudicare. La seconda cosa è: in quale paese di Europa converrà andare a dimorare? Dove si potrà fare qualche cosa? Tu dici di voler venire qui, e lo dici perché vuoi stare insieme con me. Nulla di più naturale: lontani un’altra volta l’uno dall’altro sarebbe la stessa sciagura di adesso, meno l’ergastolo per te. Non potremmo invece stare insieme in altro luogo o paese? Mi spiego, e ti dico francamente il mio pensiero. Tu sei come me, senza una professione utile; non sei né medico, né avvocato, etc. Lo dico con dolore, ma sono già molti anni che io sono qui, e cosa ho conchiuso? Fame e fame, e nulla più. Ho scritto, scritto, scritto, e non sono andato mai avanti materialmente.26 Il paese è un po’ annoiato degli emigrati; l’insegnamento libero non c’è, e anche se si volesse insegnare, gli studenti sono avvezzi a non vedere altra fonte d’istruzione che l’Università. Non rimane che a fare il giornalista; vita sciocca, da cane, incerta e con pochissimo profitto; vita che ricomincia sempre, senza progredire mai, e che spesso va piuttosto indietro che avanti: a meno che non si abbia una certa industria e docilità che manca a me e a te. Dunque? Se non si trattasse che di me solo, non parlerei. Ma tu dovendo ricominciare a vivere, perché condannarti a vegetare qui, colla certezza di vegetar sempre? Mi dirai: staremo costì provvisoriamente, e poi torneremo insieme a Napoli. Ma dimmi: credi tu così facile questo ritorno? Intendo d’un ritorno che possa convenire a me e a te. Se in Napoli non ci sarà quella stessa libertà27 che è qui, credi tu che noi ci potremmo vivere, che potremmo fare qualcosa? Ora questa libertà è possibile a Napoli tra un anno, due, tre, quattro almeno? Chi lo sa? Conviene dunque fare, come se questa libertà fosse lontano lontano; conviene fissarsi in un luogo per farvi qualche cosa, e non già per aspettare e sperare. Ma dove? Temo di dire uno sproposito e di farti ridere, ma pure debbo dirti ciò che penso. Non si potrebbe fare qualche cosa a Londra? Non potresti cominciare tu, aiutato da qualche relazione, per esempio dagli amici di Luigi, e poi quando fosse tempo, venire anch’io? Venire, quando tu lo credessi? Ma è difficile… Capisco; ma è pur vero che colà se si comincia, si va avanti; qui al contrario, cominciare vuol dire andar indietro. Tu, libero, sarai a questo punto: di dover ricominciare. Non è meglio che ricominci dove hai probabilità di continuare? Ma dunque non dobbiamo rivederci subito? Non vorrei che interpretassi male il mio pensiero. Io ti parlo così perché ho qualche esperienza di questo paese, e ci ho perduto molte illusioni. La quistione che io fo 25. Luigi Settembrini. 26. Da «qui» a «scritto»: saltato da Vacca. 27. Vacca: «quell’altra libertà».
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è quella dell’utilità; ti vorrei vedere una volta un po’ contento, felice quanto è possibile, e non come me costretto a lottare coi birbanti e cogl’intriganti.28 Ti dico questo anche per me, per l’utile mio, perché io sono annoiato da un pezzo di vivere qui. Ma se a Londra o in altro paese di Europa si ha la certezza di non potere far nulla; se mancano relazioni, raccomandazioni, amici che possano e vogliano far del bene? In questo caso, non ci è bisogno che te lo dica, staremo qui insieme e sempre insieme. Qui staresti sempre molto meglio che costì e a Napoli. Lavoreremmo alla meglio e vivremmo. Del resto tutto ciò che ti ho detto non è che un mio pensiero; tu pensaci bene, e se ti piace disponi fin da ora, se puoi, il modo di effettuarlo. Parlane anche a Luigi. Ti raccomando di scrivermi subito, specialmente se parti, anche durante il viaggio. Il mio indirizzo è: Via dei Fiori, numero 12, sino a tutto Settembre. Ti ripeto per tua norma ciò che ho potuto sapere del prezzo del viaggio da Parana a Genova colla Compagnia transatlantica: i secondi posti = franchi 850, i terzi posti = franchi 300. Ma questi ultimi sono, credo, un po’ incomodi. Si potrebbe forse risparmiare avendo raccomandazioni e avuto riguardo alla vostra qualità. Ci sarebbero anche i legni mercantili, coi quali si risparmia molto; ma ci si mette molto tempo per fare il viaggio. Considera tu bene tutte queste cose e porta con te il maggior danaro che puoi. Sii prudente, e coraggio. Bada alla salute. Aspetto tue lettere. Saluto e abbraccio caramente Luigi. Scrivi a Papà e digli che io sto bene. Fa quel conto che credi delle cose che ti ho dette. Ti ho scritto in fretta e confusamente, ma credo di essermi spiegato e tu mi capisci. Non ti dico niente del desiderio che ho di rivederti. Vorrei vederti felice, per quanto sei stato e sei ancora infelice. Addio, caro Silvio. Addio. Camillo e Diomede29 ti salutano con Luigi. Addio. Bertrando tuo SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 5-6).
87 A Silvio Spaventa Torino, 25 maggio 1857 Mio carissimo Silvio, Rispondo brevemente alla tua degli 8 Aprile; a quella del 20 Marzo ho risposto ai 20 di Aprile. Non ho a dirti niente di nuovo delle cose vostre, se pure non si voglia chiamare novità il gran silenzio che ci è qui e anche fuori da circa un mese intorno alla quistione napoletana. Noi non sappiamo nulla. Dico male: sono già due giorni che si ricomincia a parlare di grazia e amnistia – dicono generali –, di non so quali esigenze energiche di una delle potenze, di prossima soluzione, etc. etc.30 Questo per oggi; dopodomani poi si farà di nuovo silenzio, e così il mondo camminerà sempre di bene in meglio. Non credere che io voglia fare lo scettico e che abbia perduto ogni fede; ma voglio dire solamente che di 28. Nel passo da «aiutato» a «intriganti» Vacca tralascia alcune frasi. 29. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 30. Da Malta Cesare Napolitano riferiva a Bertrando, nella lettera del 30 aprile 1857 (SNSP, XXVI.D.2.3), di un’eventuale amnistia del Carafa e valutava con scetticismo la possibilità di trattative diplomatiche con Ferdinando II di Borbone.
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tutti questi imbrogli non ne capisco più niente, e ci è da perdere la testa. Tra le altre cose qui si dice ora che non partirete più. Ma sia come si sia, ti ripeto che alle tue ultime lettere io non ho nulla da opporre e che gli amici di qui non hanno più ragionato nel modo che ti scrissi. Essi credevano vicina una soluzione ed ora se non la vedono lontana, non la credono neppure così facile e imminente come prima. Insomma anche loro cominciano a non capirne niente come me. Il mio sentimento è stato sempre questo, che voi costì siete i migliori giudici della situazione; io ho sempre confidato non solo nel vostro giudizio ma nel vostro animo onesto, per non dir altro. Non ho bisogno poi di ripeterti, che siate sempre concordi tu e Luigi specialmente. Se in un modo o in un altro uscirete da codesto luogo, torno a dirti che bisogna pensare a qualche cosa di stabile. Qui si sta bene, cioè si vive liberamente. Ma ci è poco o nulla da fare, chi non sia o medico o avvocato o ingegnere, etc. Quanto alla professione di letterato, non bisogna parlarne, a meno che non si sia un poco ciarlatano. Nella mia ultima lettera ti ho aperto un mio pensiero; non so che impressione ti abbia fatto. Ti ho parlato di vedere di collocarti in Londra per esempio, aiutandoti dell’amicizia di qualcuno di colà. Ti ho detto ciò, perché dopo tanti guai (che non sono ancora finiti) vorrei vederti un po’ contento; e non già costretto a tessere una, direi quasi, insipida tela di Penelope qui. Quando ogni tentativo riuscisse vano, allora, non ci è bisogno di dirlo, staremmo insieme in questo paese, e si vivrebbe alla meglio. Ma di ciò ci sarà tempo a parlarne; intanto, se non ti dispiace questo mio pensiero, pensa al modo di condurlo ad effetto. Delle cose che mi hai dette e che vuoi che rimangano secrete, non ho detto nulla ad alcuno. Ho ricevuto lettera di Papà, di Berenice e di Clotilde;31 considera il mio piacere. Clotilde mi dice che Papà è contento; e che non solo il marito, ma i suoi suoceri stessi la trattano con molti riguardi ed affezione. Se è vero, non è poco, in un paese come è quello e in questi tempi. Mi dà anche i saluti del cognato Domenico,32 del marito della buona Ersilia. Non puoi credere come tutte queste cose mi turbano e mi consolano l’anima ad un tempo. È un mondo che io non ho più, e che mi ritorna sempre dinanzi. Ludovico Tiracchia mi perseguita anche qui colla sua carta bollata. Nel 1853 mi mandò una citazione per la perenzione d’un appello che io avea fatto nel 1850 da una sentenza del tribunale di Chieti. A dirti il vero, non so perché, allora non me ne curai. Ora mi manda una citazione identica alla prima. Scrivi a Papà, perché cercasse di fare un atto qualunque per impedire, se è possibile, la perenzione dell’appello. Non so cosa ci sia rimasto della roba d’una volta; ma non sarebbe male conservarne quello che si può per quel povero vecchio. E nella salute come vai? Continui i bagni freddi? E gli studi? Quanto a me; sto bene: studio al solito, e per ora scrivo poco, e mi apparecchio, se potrò, a scrivere qualche cosa di meglio o di peggio, non so, delle cose scritte sinora. Vuoi che te lo dica? Ho pensato di fare un lavoro sulla Fenomenologia. È un’impresa difficilissima, ma farò quel che potrò. La leggo e rileggo, e ci vedo sempre più addentro; ma non sono ancora contento di quello che vedo. Una critica della filosofia italiana moderna non mi pare che possa essere veramente utile senza la soluzione, e se non nella soluzione, del problema della fenomenologia. Ciò che ti negano sempre è il sapere assoluto. Bisogna dunque elevarsi a questo sapere, e mostrare nel tempo stesso che i princípi delle loro filosofie sono inferiori – e perciò gradi che debbono essere negati – a quello della filosofia hegeliana. Te ne parlerò forse meglio un’altra volta. Chi sa, se potrò riuscire, almeno in parte! Aspetto con ansia tue notizie, e tue lettere. Bada sempre alla salute. Salutami e abbraccia per me il 31. Sorelle di Bertrando. 32. Domenico Del Negro, vedovo della sorella Ersilia scomparsa nel marzo 1849.
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carissimo Luigi,33 e vogliatevi sempre bene. Speriamo di rivederci dove che sia. Camillo e Diomede34 vi salutano. Addio, amami e coraggio. Addio, addio. Bertrando tuo SNSP, XXVI.D.3.1 (breve stralcio in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 231). Croce la data al 13 maggio 1857.
88 A Silvio Spaventa Torino, 13 luglio 1857 Mio carissimo Silvio, Sono già 10 giorni che ho avuto la tua degli 8 Giugno; all’altra degli 8 Aprile avea già risposto nella data del 25 Maggio.35 Qui niente di nuovo, meno ciò che già saprai a quest’ora. Della quistione napoletana, e specialmente della vostra emigrazione in America, non se ne parla più da un pezzo, e io non ho proprio che dirti. Prima si facevano almeno delle congetture; ora anche queste non si fanno più. Del resto vedo che voi sapete le cose meglio di noi. Non ti parlo della mia salute, che va bene: e così spero anche della tua. Quanto ai miei studii, continuano sempre nello stesso modo. Ti ho detto nell’ultima mia lettera, che lavoravo intorno alla fenomenologia, e che il difficile non era solamente il comprendere il concetto e il metodo di essa, ma anche il trovare una radice nella nostra filosofia, un punto di appoggio per tutta la critica. Ora ho tra le mani questi filosofi, compreso il Galluppi, e credo di aver trovato questo punto. Sarebbe lungo il dirti come sono venuto a tale scoperta (!); ora che l’ho fatta, mi pare una cosa facile, anzi un’inezia; ma pure ti confesso che mi è costata qualche fatica. Non ti parlo delle quistioni che fa nascere il concetto stesso della Fenomenologia, e di alcune delle quali tu mi parlavi pure in una lettera dell’anno passato.36 Per esempio la quistione: se tutto il processo della fenomenologia non è altro che una Vergleichung della coscienza con sé stessa (il primo sapere ha la sua verità nel secondo, etc.), come va che si evita l’idealismo soggettivo? e questa, come sai, è la principale pretensione di Hegel, specialmente contro Kant e Fichte. L’idea di quella continua e progressiva compenetrazione del soggetto e dell’oggetto, in cui consiste tutto il processo dialettico e mediante la quale si evita non solo l’idealismo soggettivo ma anche il falso realismo, e il cui risultato è lo Spirito (risultato di sé stesso; che questa è la sua natura, di essere causa sui, come diceva Spinoza), il quale è quello che ci è di più soggettivo e insieme più oggettivo, il vero soggetto-oggetto etc., quest’idea, dicevo, non è di così facile digestione. E l’altra quistione: la coscienza – la naturale – ha i suoi gradi, e passa dall’uno all’altro, ma non sa di passare; questi gradi sono per essa immediatamente; chi sa il nascere di questi gradi l’uno dall’altro è la coscienza filosofica, e questo sapere è il fondamento della necessità del processo; l’Entstehen d’una forma dall’altra si fa dietro le spalle della coscienza naturale. Benissimo; ma dunque, questa necessità è davvero una mera giunta del soggetto? Etc. Ti 33. Luigi Settembrini. 34. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 35. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 228 e lettera precedente. 36. Ivi, pp. 180 ss. (lettera del 4 maggio 1855).
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voglio dunque dire che ciò che m’importava di più, era il comprendere il concetto della Coscienza, quella sua maledetta natura, di essere cioè insieme coscienza e autocoscienza, direi quasi intuito e riflessione: differenza, che è l’anima o il motore del processo dialettico; perché sai bene, che il secondo sapere, il secondo oggetto, la seconda coscienza si può dire una riflessione del primo sapere, del primo oggetto; non riflessione esterna, ma riflessione in sé stesso, mediazione di sé con sé stesso, etc. Questo concetto della mediazione, per cui la Verità37 non è qualcosa di puramente immediato, ma essenzialmente generazione di sé stessa – generazione, che è ad un tempo la prova della verità, la cui essenza è di provare sé stessa, il cui essere è il suo provare sé stessa –, questo concetto mi pare il più profondo che io mi abbia mai veduto. La verità è come una regola, e questa regola non preesiste a ciò che si vuol misurare, ma nasce da questo, è risultato (causa sui). Tale è, ho detto, la natura dello spirito, del pensiero: immediato mediato. E pure Gioberti e Rosmini ripongono la verità nell’intuito (sebbene i loro intuiti, avuto riguardo agli oggetti intuiti, non sono più intuiti), e considerano la riflessione come una cosa secondaria e inferiore. Per loro la riflessione è qualcosa di estrinseco alla cosa; non ammettono la riflessione della cosa in sé stessa: riflessione che è la verità della cosa, e senza la quale la cosa non è che sostanza, non soggetto, non das Selbst. Ho fatto una digressione; ti scrivo senz’ordine. Cos’è la coscienza in generale, che è l’oggetto della Fenomenologia? Per esempio bisogna cominciare dalla coscienza nella sua immediatezza, dalla coscienza sensibile. Bene; ma la coscienza sensibile non è né l’Empfindung, né il Gefühl dell’anima (Antropologia), né l’intuizione dello spirito (Psicologia); e pure è senso, intuito, apprensione immediata, etc. Che è dunque? O per dir meglio (e questo era il punto che io cercavo), in Rosmini, Galluppi, etc. dove posso trovare la coscienza sensibile, che è il punto da cui comincia la Fenomenologia? L’ammettono essi, come l’ammette Hegel? Se l’ammettono, a me non fa nulla che da questo punto vadano a risultati diversi; la battaglia e la critica sarà appunto intorno a ciò che bisogna farne di questo punto comune per la soluzione del problema, che più o meno è lo stesso per tutti: la verità del sapere (Galluppi: Saggio di una Critica etc.;38 Rosmini: Nuovo saggio sull’origine etc.39). Ora cos’abbiamo nella certezza sensibile hegeliana? Niente altro che questo: ist da; non già l’universale e il particolare separati, ma la loro unità immediata, l’universale (ist) mescolato, confuso, assorto nel particolare (da); è la cognizione la più povera, la più astratta: è (il questo). Tu riderai, ma pure te lo debbo dire, la mia scoperta consiste nell’aver trovato che la certezza sensibile hegeliana è né più né meno che la percezione intellettiva di Rosmini, che è il punto da cui comincia il Nuovo Saggio, la sensazione di Galluppi (contro la quale combatteva tanto il nostro buono D. Ottaviano40 senza pensare che la sensazione di Galluppi non era quella di Kant – come quella di Rosmini non è quella di Galluppi; che questa è la coscienza stessa nel suo primo grado – e la coscienza è impossibile senza l’oggetto –, e quella di Kant non appartiene ancora alla coscienza, come quella di Rosmini, etc.; non pensava che il vero punto di partenza – non della scienza, ma della propedeutica della scienza – non può essere altro che la coscienza immediata, e tale è la sensazione di Galluppi; che cominciare da un punto inferiore alla coscienza non è cominciare dal fatto del sapere; etc.). Che poi Rosmini 37. Croce: «unità». 38. Pasquale Galluppi, Saggio filosofico sulla critica della conoscenza, 6 voll., MessinaNapoli, Sangiacomo-Pappalardo-Di Napoli, 1819-1832. 39. Antonio Rosmini, Nuovo saggio sull’origine delle idee, 3 voll., Roma, Salviucci, 1830 (poi in Opere edite e inedite, III-V, a cura di Francesco Orestano, Roma, Anonima Romana, 1934). 40. Ottavio Colecchi (1773-1847), filosofo e matematico, sostenitore di un’interpretazione di Kant opposta a quella del Galluppi.
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dal fatto (dall’immediato) della percezione intellettiva risalga all’Essere possibile da una parte e alla sensazione dall’altra (intelletto e sensibilità come l’una accanto all’altra), e che Galluppi vada innanzi dalla sua sensazione mediante la riflessione in generale, etc.: questa è un’altra quistione. Tutti e due mi pare che errino nel separare l’intelletto dalla sensibilità, senza vedere che lo spirito come coscienza non è altro immediatamente se non intelletto come senso (e non già senso e anche intelletto, o pure da prima mero senso e poi intelletto). Trovato questo punto (percez. intellettiva di Rosmini, sensazione di Galluppi, etc.), rimane a vedere chi ha ragione, se costoro o la dialettica hegeliana nel processo che seguono per risolvere il problema della verità del sapere. Etc. Ti ho fatto una lunga tiritera, che forse non sarà l’ultima. Ti prego di dirmene qualche cosa. Ti ho parlato di filosofia, che in questi tempi è un vero anacronismo, e l’animo va a tutt’altro. Ma che poteva dirti? Da che cominciare e in che finire? Noi abbiamo bisogno di distrazione; e dove trovarla meglio che nelle sottigliezze filosofiche? E tu hai ripigliato i tuoi studii? Ti avea raccomandato il conforto dello scrivere e spero che l’abbi praticato. Intanto aspettiamo e speriamo. Tu mi dici che speri qualche cosa. Così sia. Ti raccomando sempre la salute. Rispondo a Berenice,41 e rimando la lettera a Cesare;42 a quest’uomo incomparabile senza del quale io forse non avrei mai notizie di te. Scrivendo a Papà me lo saluterai caramente coi nostri. Non ho saputo più nulla di zia Luisa;43 che è stato? Addio mio carissimo Silvio. Animo sempre. Abbraccia per me il carissimo Luigi 44 e digli tante cose per me. Camillo e Diomede45 vi salutano. Speriamo di rivederci tutti. Addio. Dimmi sempre tutte le cose che riguardano la vostra condizione etc. Addio. Scrivimi subito. Il tuo affezionatissimo fratello Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 231-235).
89 A Silvio Spaventa Torino, 11 ottobre 1857 Mio carissimo Silvio, Ora sono un po’ tranquillo, che ricevo la tua del 16 Agosto, per altra via, non per la solita.46 M’immaginava la causa di questo ritardo; ma pure non ero senza inquietezza. Giorni sono Cesare 47 mi scrisse che non era più possibile di servirci del solito mezzo; che ce n’era un altro, ma bisognava scrivere solo di salute, e, lettere aperte. Ti scrissi così pochi righi al 28 Settembre. Ora ti rispondo col nuovo mezzo. Cesare mi disse che tenterà ogni modo di favorirci. Che bravo uomo! Mi rallegro che la tua salute va bene. La mia 41. Berenice Spaventa. 42. Cesare Napolitano. 43. Luisa Croce. 44. Luigi Settembrini. 45. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 46. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 235-238. 47. Cesare Napolitano.
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è sempre la stessa, cioè buona, e vorrei stare sempre così. Di notizie, niente; congetture, e niente altro. Sicché non te ne parlo. Ti parlerò invece di inutilità filosofiche, giacché mi dici che l’ultima mia ti ha fatto piacere. Non è vero, caro Silvio, che la tua obiezione non ha niente di filosofico; anzi il contrario; la sua soluzione, che in parte hai dato tu stesso in una postilla, fa comprendere il vero significato della Fenomenologia. Tu hai esposto molto bene la difficoltà: la coscienza naturale deve essere elevata al cielo o orizzonte (Standpunkt) del sapere assoluto; deve essere provata la perfetta intelligibilità e necessità del principio di questo sapere. Ora in primo luogo le diverse forme per cui si giunge al sapere assoluto non appartengono tutte alla coscienza individuale naturale; anzi alcune (le forme dello spirito come tale) sono l’opposto di questa coscienza. La totalità delle forme appartiene ad un’altra coscienza, alla coscienza storica, alla coscienza universale. Solo questa coscienza passa per tutte queste forme, non la coscienza individuale. Hegel ha espresso molto bene questa differenza nella Prefazione alla Fenomenologia, pp. 21-23: «Das besondre Individuum ist der unvollständige Geist, eine concrete Gestalt, in deren ganzem Daseyn. Eine Bestimmtheit herrschend ist, und worin die andern nur in verwischten Zügen vorhanden sind. In dem allgemeinen Individuum jedes Moment zeigt sich, wie es die concrete Form und eigene Gestaltung gewinnt…».48 Io, come individuo, come coscienza naturale, come vivente in una determinata epoca della storia, non ho che la coscienza propria di questa epoca; il greco è coscienza greca; il romano coscienza romana; l’uomo del medio evo è coscienza del medio evo, etc. La storia è la totalità di queste coscienze; la loro unità, etc. In secondo luogo, la coscienza individuale naturale (non filosofica), anche quando muta e passa da un grado all’altro, non sa come passa, e spesso non sa né pure di passare. Ora tu dici: «se le forme per cui il sapere deve passare non sono né anche comprese (tutte) nella sfera della coscienza naturale; se questa non sa come passa, e in quanto non lo sa è appunto coscienza naturale: come da quel tale processo delle forme può per essa risultare la necessità e la verità del sapere assoluto?». Insomma, ciò vuol dire che alla coscienza naturale manca così la totalità delle forme, come il processo di queste forme; e però non può essere elevata al sapere assoluto, giacché questo presuppone e quella totalità e quel processo; o, se questa elevazione si fa, essa è tutta esterna, cioè non è elevazione, non appartiene alla coscienza naturale, ma ad un’altra coscienza. Ebbene, tu credi che questa non sia un’obiezione filosofica? Ecco come io intendo la cosa: – la coscienza individuale e la coscienza storica hanno questo di comune che sono coscienza, o per dir meglio spirito; la coscienza non esiste che nello spirito: nell’una o nell’altra la coscienza o lo spirito come potenza (dynamis, spirito in sé), è lo stesso; tanto è vero, che la coscienza storica non si attua che mediante la coscienza individuale. La storica è la totalità delle forme, la individuale una di esse; ma la individuale non è che la stessa potenza, determinata in una data forma concreta. Dunque, se non altro, la coscienza individuale naturale è la possibilità della coscienza universale; anzi questa possibilità è la sua stessa essenza, è lo spirito in cui essa è: questa coscienza è spirito incompiuto. Ciò che manca alla coscienza individuale naturale, è la attuazione della potenza, l’attuazione compiuta; e nel tempo stesso o il passare o il sapere di passare. La storica, al contrario, 48. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Phänomenologie des Geistes, hrsg. von Johannes Schulze (Sämtliche Werke, II), Berlin, Duncker und Humblot, 1832, pp. 22 ss. (ed. Glochner, StuttgartBad Canstatt, 19644, pp. 30 ss.; trad. it. di Enrico De Negri, Firenze, La Nuova Italia, 1960, I, pp. 22 ss.). Nel testo di Hegel questa seconda frase precede l’altra; la citazione è inoltre adattata al contesto. In Hegel: «zeigt sich gemallgemeinen Individuum jedes Moment, wie es». Anche le citazioni successive sono tratte da queste pagine della Vorrede.
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non solo ha tutte le forme, ma passa. Quella tale dynamis, che non si esaurisce in una forma particolare, è appunto il principio di tutto il movimento; il particolare (la forma determinata) è dialettico, in quanto non è adeguato all’universale (la potenza, lo spirito in sé, concetto dello spirito); e dialettico vuol dire che passa. Il passaggio storico non è una mera successione di forme, ma una vera dialettica: se non fosse tale, la storia non avrebbe unità. Essa invece è il prodotto eterno dello spirito, il quale è il principio che pone e risolve (aufhebt) le sue forme per realizzarsi e acquistare la piena coscienza di sé. Lo spirito è processo; il processo, come potenza, è nella coscienza individuale naturale; altrimenti, essa non sarebbe spirito. Ora cosa manca alla coscienza universale o storica (weltgeschichtliche)? Non solo il sapere di passare (sapere come scienza), ma qualche cosa che è proprio della coscienza individuale, che costituisce veramente la coscienza: cioè l’individualità. La coscienza storica ha la totalità del contenuto; ma è veramente una come coscienza? Si sa essa come una? Io mi so come uno, nella mia sfera limitata. Si può dire lo stesso della coscienza storica? Pare che qui ci sia l’universalità a scapito della individualità, senza la quale non vi ha veramente coscienza. Tutte e due le coscienze hanno dunque un difetto: la individuale il difetto dell’universalità, la storica il difetto della individualità. Ciò vuol dire, che né l’una né l’altra sono la verità, il vero spirito. L’universalità della coscienza storica è come sostanza; l’individualità della coscienza individuale è come soggetto, ma limitato, finito, incompiuto. E intanto la verità dello spirito è di essere universale e individuo, sostanza e soggetto, cioè soggetto nel vero senso, soggetto assoluto. Né la universalità della coscienza storica è vera universalità, né la individualità dell’altra coscienza è vera individualità. Il Vero è ciò che è universale in quanto è individuo, e individuo in quanto è universale. Ora questo Vero è il risultato della Fenomenologia. Il movimento della Fenomenologia è uno e duplice ad un tempo; dà all’individuo (alla coscienza individuale) la universalità, la sostanza («Die Bildung besteht, von der Seite des Individuums aus betrachtet, darin, dass es diess Vorhandene erwerbe, seine unorganische Natur – la sostanza – in sich zehre und für sich in Besitz nehme»); e dà alla sostanza, alla universalità della coscienza storica, la individualità, la coscienza di sé («Diess ist aber von der Seite des allgemeinen Geistes als der Substanz nichts anderes, als dass diese sich ihr Selbstbewusstseyn giebt, ihr Werden und ihre Reflexion in sich hervorbringt»). E così si ha il vero Individuo Universale, cioè la Scienza, il Sapere. Lo spirito non è vero spirito, cioè Soggetto se non come Scienza. Nel risultato della Fenomenologia abbiamo dunque questa doppia trasformazione o risoluzione (Aufhebung): della coscienza individuale naturale e della coscienza storica (anch’essa naturale, in quanto non sa di passare o come passa); delle due si fa una sola, la vera coscienza, la verità della coscienza, l’assoluto sapere. Abbiamo risoluzione, non annientamento: la coscienza naturale individuale rimane, ma non più come naturale; solo la naturalità – cioè la immediatezza delle forme – sparisce, ma la individualità resta; e perché essa resta, la verità e la necessità del sapere assoluto è per (für) essa, è acquistata ad essa; io cesso di essere Io naturale, e senza cessare mai di essere Io, cioè Wìssen, Bewusstseyn in generale, divento vero Io, Io universale. E parimenti la coscienza storica rimane, ma perde solo la sua naturalità o immediatezza, la sua mera sostanzialità. L’equivoco può stare in questo, che si creda che il sapere assoluto debba essere per la coscienza come coscienza naturale. Ma ciò è impossibile, perché coscienza naturale e scienza sono negazione l’una dell’altra; e quando si dice: elevare la coscienza naturale a scienza – si dice già, che la coscienza naturale deve cessare di essere coscienza naturale. Dunque bisogna intendere che il sapere assoluto debba essere per la coscienza. E così è, se la coscienza fa l’esperienza di sé stessa: se tutto il processo è la dialettica stessa delle sue forme; se in lei è quella dynamis, che è lo
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spirito in sé; se lo spirito è non solo la totalità delle sue forme, ma il processo di esse. Tu stesso, caro Silvio, accenni a questa soluzione, quando dici, che la necessità e la verità del principio del sapere assoluto non può cadere nella coscienza naturale. Nella coscienza naturale, no; nella coscienza, sì. Non so, se dico bene; vedi tu che te ne pare. Da quel poco che ho detto, si vede anche, come la Fenomenologia sia anche in certo modo una filosofia della storia. Lo Standpunkt dello Spirito come sapere assoluto è per Hegel lo Standpunkt del tempo presente. Ora questo è il risultato necessario della mediazione dello spirito come storia; si tratta di elevarla a mediazione scientifica. Aggiungo ancora, che le forme della Coscienza per le quali deve passare la coscienza individuale per elevarsi a coscienza scientifica non sono una mera possibilità. Queste forme si sono già prodotte nella storia; sono già una realtà spirituale. Se esse sono contenute implicitamente nella coscienza in generale come dynamis, sono più contenute nella coscienza individuale nostra. La coscienza individuale greca, per esempio, è, come coscienza, in altro modo la possibilità di tutte le forme, che la coscienza individuale moderna. «Der Inhalt schon die zur Möglichkeit getilgte Wirklichkeit, die bezwungene Unmittelbarkeit, die Gestaltung bereits auf ihre Abbreviatur, auf die einfache Gedankenbestimmung, herabgebracht ist. Schon ein Gedachtes ist der Inhalt Eigenthum der Substanz, etc.». Ti dovrei ora dire qualche cosa del mio lavoro, ma già la lettera è troppo lunga. Accetto pienamente le tue osservazioni sulla mia critica della filosofia italiana. Tu dici: «Se questa filosofia si considera come sapere fenomenico, non può presentare che pochi gradi della mediazione del sapere assoluto. Se si considera come saggio della scienza del sapere fenomenico, si tratta di opporre una fenomenologia ad una altra; quindi il fondamento della critica è fuori della fenomenologia». Forse nella mia ultima lettera io mi era espresso un po’ vagamente. Quello che volevo dire era quello che dici tu. Ero persuaso che la filosofia italiana presenta pochi gradi; e la mia critica doveva non esser altro che un saggio da mettere nella introduzione, specialmente intorno alla quistione della conoscenza. Io voleva far vedere i vizii delle teoriche sulla conoscenza dei nostri filosofi; come non bastano a sé stesse e vogliono un altro modo di soluzione, etc.; quindi la necessità (un po’ estrinseca, è vero; ma così dovea essere in una Introduzione) della Fenomenologia. Dovea esaminare il concetto che essi si fanno della Verità, del sapere, della Coscienza, del metodo e simili; cose tutte che cadono fuori della fenomenologia, nell’introduzione. Ciò non escludeva di trattare, dentro di essa, di quei pochi gradi che la filosofia italiana presenta. Ora continuo a studiare questi filosofi, e in modo che ne metterò ben poco nel lavoro principale; e il resto o per dir meglio il tutto potrà fare un lavoro a parte. Erano più di dieci anni che non leggevo Gioberti. Non mi è mai piaciuto; ma ora mi sembra un fanfarone. Niente, niente, niente di filosofico. Nessuna veduta grande; nessun criterio storico; nessuna caratteristica profonda dei sistemi; nessuna intelligenza del suo tempo e dello spirito umano. Una chiacchiera perpetua, un dommatismo perpetuo, una fantasticheria perpetua. Povero paese nostro! Ti scrivo un po’ confusamente. Dimmi che ne pensi di quello che ti ho detto. Hai fatto benissimo a ripigliare lo studio della Fenomenologia. Studia per quanto puoi, e non lasciar mai le cose filosofiche. Di me non darti pensiero; vivo al solito; mi contento di poco. Se scrivi a Papà digli che io sto bene e che mi salutasse caramente le sorelle. 49 Dio49. Cfr. la lettera al padre dell’11 settembre 1857 (copia in BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201), in cui Silvio forniva notizie rassicuranti su Bertrando e sottolineava la notorietà da lui raggiunta in campo filosofico.
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mede e Camillo50 ti salutano con Luigi.51 Chi sa quando ci rivedremo? Badate alla salute! È la cosa principale. Ti prego di scrivermi spesso e di trovare un’altra via, se quella di Cesare52 non potesse andar più. Era così buona. Addio mio carissimo Silvio. Ti abbraccio caramente con Luigi. Addio. Il tuo Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 239-244). Alcune riflessioni contenute in questa lettera sono state riprese da Bertrando nella memoria Una delle principali difficoltà della Fenomenologia dello spirito, in «Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di scienze morali e politiche» di Napoli, XV, 1876, pp. 10-14.
90 A Pasquale Villari [Torino, ottobre 1857] Mio carissimo Pasqualino, Io merito di essere trattato da te nel modo che tu mi tratti, perché non ti ho mai scritto per due anni e poi ho cominciato a seccarti con lettere sopra lettere da farti perdere la pazienza.53 Ma già che sei stato così buono e indulgente da impegnarti per me e rispondermi due volte, compi l’opera benefica e rispondimi anche una terza.54 Tu scrivi a Diomede;55 sai che abitiamo insieme; e non dici neppure una parola di me e dell’affare? Che cosa è stato? Non ti fosse giunta la mia ultima lettera, nella quale rispondeva all’accettazione del Lemonnier? Comunque stia la cosa, ti dico brevemente quello che ti diceva nella lettera antecedente. 1) Io accetto l’offerta di lire mille per varie ragioni e per le tue riflessioni e di Monzani. 2) Vorrei, se fosse possibile, un maggior numero di copie. Ma se no, no; alla buon ora. 3) Una lettera del Lemonnier, nella quale mi dicesse quello che si suol dire in simili casi di commissione di lavoro. 4) Sollecitudine e segreto assoluto; perché qualche diavolo di qui o di costà ci potrebbe mettere la coda, etc. etc. 5) La lettera essere necessaria, perché io potessi continuare a compiere di buon animo il lavoro. Ora mi risponderai e presto, caro Pasqualino? Vorrai forse vendicarti di me? Io scherzo, sai; per carità, non prendermi sul serio. Ti scrivo in fretta e categoricamente; perché lavoro, lavoro, lavoro. Maledetto il lavoro! 50. Diomede Marvasi e Angelo Camillo De Meis.. 51. Luigi Settembrini. 52. Cesare Napolitano. 53. Cfr. lettera 82. 54. Nella lettera del 23 gennaio (SNSP, XXVI.D.2.3) Villari prometteva all’amico di interessarsi presso Le Monnier per la pubblicazione dei suoi Saggi filosofici; in caso di risposta negativa gli suggeriva, inoltre, di ristampare le opere di Bruno, facendo seguire in un secondo momento la monografia prevista nel progetto iniziale. 55. Diomede Marvasi.
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Addio, dunque, e rispondimi almeno una riga. Saluto tanto Monzani. Ritorna il dottore Pignatari. Mi congratulo teco del riacquistato tesoro. Non dirgli niente del mio affare. Capisci? Addio di nuovo. De Meis si è persuaso che tu non gli rispondi per punirlo del suo lungo silenzio e dice che hai ragione! Rispondimi pei Santi. Addio. Bertrando BAV, Carteggio Villari, 526 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 543-544, e in Pellicani, Sedici lettere, pp. 54-55).
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91 A Silvio Spaventa Torino, 25 gennaio 1858 Mio carissimo Silvio, Ricevetti le due tue ultime lettere, 16 Agosto e 25 Ottobre dell’anno passato.1 Io te ne ho scritto tre, che non so se ti siano pervenute: 27 Settembre, 11 Ottobre e ai principi di Dicembre. Quella di Ottobre te la inviava pel nuovo mezzo che tu stesso avevi procurato, e rispondeva alla tua di Agosto; era piuttosto lunga ma d’umore filosofico. Sono dunque senza tue notizie da gran tempo. Considera l’animo mio. È vero che mancano i mezzi di comunicazione, ma la fantasia lavora e si immagina sempre tante cose. Per me io sto bene, e vorrei stare sempre così. Quel tale dolore di capo che mi avea un po’ tormentato due anni sono, è cessato affatto da un gran pezzo. Ma tu come stai? Hai fatto male a interrompere i bagni freddi; spero che li avrai ripigliati. Questi bagni o non bisogna cominciarli o bisogna non lasciarli mai. Ci si abitua, e se mancano si soffre. Lo so io per prova. Spero dunque che ora stii bene. Lo spero, mio carissimo Silvio; perché come si farebbe senza un po’ di salute? Te ne prego, badaci, e sia la prima cura. Ti raccomando anche di studiare il meglio che puoi; non solo per distrazione e conforto dello spirito, ma anche per la cosa in sé stessa. Convengo con te che la tua condizione è la più dura che si possa immaginare. Chi può negarlo? Non so come hai testa a leggere qualche cosa. Ma pure non sono stato mai del tuo parere quanto a quello che tu chiami tuo annichilimento intellettuale. No, non è per pietà fraterna che mi sono opposto e mi oppongo sempre a questa tua opinione; ma perché non è vero. Bisogna fare animo, e il coraggio consiste – la prima cosa – nel non credersi meno di quello che si è. La tua penultima lettera, per esempio, mi dà ragione. L’ho letta e riletta; l’ho fatta leggere a Camillo,2 e ce ne siamo consolati. Anche nella condizione in cui ti trovi, tu sei sempre lo stesso ingegno. Per carità, Silvio, non ti perdere d’animo; supera te stesso. Certamente non sei ora quello che avresti potuto e potresti essere. Questo è il vero dolore, mio e tuo. Ma tutto non è ancora perduto; e non bisogna perder tutto a forza di credere tutto perduto. Ti scrivo pochi righi, perché non so che questa lettera ti giungerà. Quanto a me non ho che dirti. Continuo a lavorare sui 1. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 235-238 e 244-245. 2. Angelo Camillo De Meis.
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filosofi nostri, e vedo o credo di vedere tante cose che sarebbe lungo il dirti. Ma te ne farò parola, appena potrò scriverti con più agio. Sono senza notizie di Papà e delle sorelle. Se le hai dammele. Scrivendo loro dì che io sto bene. Risposi a Berenice;3 non so se le sia giunta la mia lettera. Torno a ripeterti di far coraggio; di badare alla salute; di studiare; di scrivere; di non crederti troppo poca cosa; di essere il più tranquillo d’animo che puoi. Te ne prego per l’amore che mi porti. Se sapessi come mi addoloro quando mi ti mostri così scoraggiato! Speriamo, Silvio; amami e fa coraggio. Dì tante cose per me al carissimo Luigi.4 Addio. Addio. Coraggio. Il tuo Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 247-248).
92 A Silvio Spaventa Torino, 8 febbraio 1858 Mio carissimo Silvio, Ho ricevuto l’ultima tua del 20 Dicembre dell’anno passato nello stesso giorno che ti scrivevo la mia del 25 Gennaio. 5 Ero uscito di casa per andare alla posta e ritornando trovai la tua. Avea già ricevuto quella del 23 Ottobre. Ti raccomandava di ripigliare i bagni freddi, e sono lieto che li hai ripresi e che sia passata quella piccola indisposizione di viscere. Ti raccomando di non sospenderli più. Ti scrivevo poche cose perché non sapeva se poteva fare altrimenti. Mi assoggettava alle dure condizioni che mi venivano imposte, non da Cesare6 veramente, ma dalla necessità. Ora Cesare mi scrive che posso scriverti come per lo passato, cioè parlarti non solo di salute, ma anche di filosofia! Che debbo dirti di me? Quanto a salute, sto bene; e quanto al resto egualmente. Non ti dar pensiero di questo. Quanto agli studi, continuo ad annoiarmi coi nostri filosofi. Ho pensato e scritto molto sopra il sistema di Gioberti e non ho ancora finito.7 È inutile che ti ripeta che non mi piace affatto, anzi mi dispiace sempre più. Di filosofico non ci è nulla, meno un contenuto farraginoso, che al far dei conti si trova poi in ogni sistema, anche nella stessa rappresentazione religiosa. E infatti il suo sistema non è che una continua rappresentazione; è una filosofia rappresentativa. Gioberti non ha compreso affatto il significato della filosofia tedesca; non ha il concetto dello spirito. E pure il problema nuovo di questa filosofia è appunto lo spirito. Sarebbe lungo esporti qui il mio pensiero; ma spero che lo farò in altra lettera. Le stranezze di questo sistema sono incredibili. Vitupera Cartesio e Spinoza, e pure – se si fa astrazione da certe cose aggiunte arbitrariamente e prese dalla coscienza volgare e si considerano quelle poche determinazioni puramente filosofiche che ci sono 3. Berenice Spaventa. 4. Luigi Settembrini. 5. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 245-246. 6. Cesare Napolitano. 7. Cfr. gli appunti su Gioberti conservati nelle Carte Spaventa (BNN, 2.40).
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2.23-26;
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– non vi ha cartesiano e spinozista peggiore di Gioberti. La parentela con Spinoza è specialmente mirabile, e io credo di averla provata in modo che non si possa rispondere. Il più gran torto di Gioberti è quello di non conoscere la storia della filosofia, e di essersene formata una di suo capo. Parla di creazione, fonda tutto su questo principio, e non sa cosa sia creazione; la sua è produzione, semplice causazione, se posso dire così, non creazione. E infatti la Sostanza spinoziana non è che Causa. La creazione io l’ammetto, ma bisogna spiegarsi; solo lo Spirito è creatore, e creare è il contrario di produrre. L’Ente giobertiano non è spirito, non intelletto, checché egli ne dica; è pura Sostanza e Causa. E così quel suo tanto vantato ontologismo si riduce al più gretto psicologismo. Temo che queste poche cose che ti dico ti facciano ridere; hanno bisogno di spiegazione. Continuo a lavorare. È già più di un mese che non lo leggo, anzi non leggo quasi niente. Avea cominciato come in parentesi a trattare un punto particolare d’una quistione; questo mi ha menato ad un altro, e questo a un altro, e così via via, e scrivo, scrivo e non ho ancora finito. Non so cosa conchiuderò da questa parentesi.8 Ho la testa agitata; prendo note; mentre scrivo una cosa, me ne viene in mente un’altra, lascio quella e poi ci ritorno; è come una circolazione senza fine. Credo però in questo movimento caotico di aver veduto molte cose che prima mi erano affatto o quasi del tutto oscure. Quando avrò finito te ne parlerò. Da ciò che ti dico sullo stato del mio cervello, vedrai se posso discorrerti di quello che mi domandi. Fai bene a studiare la filosofia dello spirito;9 essa è la vera luce di tutto il sistema. Credo giusto ciò che dici sul significato ed estensione diversa delle due Fenomenologie. La diversità consiste appunto in questo: che la grande è propedeutica (vera propedeutica, cioè Scienza prima della Scienza come sistema, e non già come le propedeutiche ordinarie che non sono scienza, ma semplici considerazioni, chiarimenti, storie), è la formazione della Coscienza a Scienza; e la seconda, la piccola, è parte del sistema. La prima è risoluzione (Aufhebung) della Coscienza nella Scienza, o meglio nel grado (Standpunkt) della Scienza; la seconda è la risoluzione della Coscienza nello Spirito. Quindi il termine o risultato della prima è l’orizzonte, il cielo – indeterminato – della Scienza; il cielo nel quale si muove il pensiero scientifico; il risultato della seconda è lo Spirito in generale (la psicologia immediatamente), non lo spirito come sapere assoluto, ma come conoscenza (Erkenntniss). Certo, la Scienza, o meglio il grado della Scienza, è Spirito (è l’ultimo grado o stazione dello Spirito), ma lo spirito non è immediatamente scienza, non ogni grado dello spirito è scienza; non ogni cognizione è scienza. Questa differenza tra lo spirito come spirito immediatamente, e lo spirito come vero spirito, come sapere assoluto, è la differenza di risultato tra la piccola e la grande Fenomenologia. La Coscienza che diventa Spirito, non è più Coscienza come tale (semplice Wissen, opposizione di soggetto e oggetto, etc.); e perciò nello Spirito finisce l’Erscheinung, l’opposizione, finisce la Fenomenologia in sé; finisce nella Vernunft, che è lo Spirito immediatamente Spirito, unità di soggetto e oggetto in generale, in sé, etc. Ma, considerata come formazione della Coscienza alla Scienza, la Fenomenologia non finisce né può finire nella semplice ragione, nel semplice spirito, perché questo non è sapere assoluto, e il sapere assoluto è il grado, nel quale lo spirito è veramente spirito, perfetta trasparenza, nel quale non ci è più oppo8. Primo accenno al saggio composto nell’inverno del 1858 e pubblicato postumo da Felice Alderisio con il titolo Uno scritto di Bertrando Spaventa sul problema della cognizione e in generale dello spirito (1858), in «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche», s. VI, IX (luglio-ottobre 1933), 7-10, pp. 564-667 (rist. dallo stesso Alderisio a Torino nel 1958). 9. Così nel testo; Croce corregge: «Fenomenologia dello spirito».
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sizione affatto, di nessuna sorta, nel quale non ci è assolutamente l’Erscheinung. Dico così, perché, come sai, anche nel grado in generale dello spirito l’Erscheinung, l’opposizione rimane sempre, sebbene in altra forma; in sé è risoluta, ma non posta come risoluta; nella stessa religione, che è superiore agli altri gradi eccetto la filosofia, lo spirito non è perfettamente eguale a sé stesso; questa ineguaglianza impedisce la trasparenza perfetta; ci è dunque ancora dialettica, risoluzione; ci è apparenza, non verità assoluta, etc. La differenza, dunque, delle due Fenomenologie consiste principalmente nel loro scopo. Nella piccola si tratta dello spirito, che da anima divenuta coscienza, opposizione di sapere e oggetto del sapere, di forma e contenuto, etc. da unità immediata dei due mondi di Io e non Io, divenuto Giudizio (Ur-theil), divisione o opposizione di questi mondi, percezione intellettuale da semplice sensazione, etc.; si tratta dunque dello Spirito-Coscienza, che diventa Psiche, conoscenza, unità riflessa dei due mondi etc. Nella grande si tratta del sapere, della coscienza, che da sapere o coscienza immediata, cioè da sapere che come tale non presuppone altro sapere, diventa sapere assoluto (e sai bene che il principio – Anfang – della piccola Fenomenologia è scientifico, è il risultato immediato dell’Antropologia; mentre invece il principio della grande Fenomenologia è non scienza, è l’estrema apparenza della Scienza, è la scienza, il sapere, nel suo primo apparire). Tu dici, e dunque dici bene: «nella grande Fenomenologia le forme (o gradi) superiori sono come formazioni della coscienza: non sono come scienze per sé, cioè come determinazioni del concetto». Così è, e questa è la grande differenza, e tu l’hai colta. La grande Fenomenologia è la formazione in generale della coscienza: è la coscienza – la non scienza –, la quale non si riposa, è sempre dialettica, finché non diventa coscienza scientifica, cioè non più Coscienza (soggetto e oggetto opposti in certo modo; opposizione che ci è anche nella religione), ma Scienza, non più opposizione, niente più di opposto al sapere, di occulto, di straniero anche apparentemente, ma tutto perfettamente eguale al sapere: lo Spirito come trasparenza assoluta. Al contrario, la piccola Fenomenologia è determinazione del concetto, dell’Idea; è l’Idea stessa, che dopo essersi determinata come Natura e poi come Anima, si determina come Coscienza e si avvia a determinarsi come Psiche; determinatasi come Psiche l’Idea non è più Fenomeno, etc. Ti scrivo un mondo di chiacchiere senza forse cogliere il vero punto, e dirti quello che vorrei. Ma ho, come ti ho detto, la testa imbrogliata, e non posso essere padrone di me stesso. Quando avrò finito�� quella tale parentesi, tornerò sopra questo argomento. Si potrebbe anche considerare la cosa da altri punti di vista; per esempio, Schelling salta al sapere assoluto, ci va immediatamente; dice: intendo per ragione l’unità dell’ideale e del reale, del soggetto e dell’oggetto, etc. Ebbene; questo che pare un salto, ed è tale scientificamente, ha la sua mediazione nello sviluppo storico dello spirito, del Weltgeist. Come è venuto Schelling a quel pensiero, a quel postulato? È un salto, ma in sé non è tale, in sé è una mediazione; mediazione mediante la storia della filosofia e mediante la storia in generale; mediazione che è occulta in ogni coscienza, in ogni coscienza del nostro tempo.10 Ora questa mediazione Hegel ha cercato di chiarire, di acquistarla alla scienza, di renderla scientifica, etc. Quindi la Fenomenologia è anche una filosofia della storia, e perciò ci entrano tutte le forme, gradi e momenti dello Spirito. Ma è una filosofia della storia nella sua massima idealità. Ora finisco. Perdonami tante sconnessioni. Ho piacere che ti distrai colla lettura di cose storiche.11 Ciò non 10. Cfr. Schelling, in «Il Cimento», 15 ottobre 1854, pp. 521-532 (ora in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 47-58). 11. Si riferisce ad alcuni libri di Beaumont e Tocqueville ricevuti da Silvio a Santo Stefano; probabilmente si tratta di Alexis Henri de Tocqueville, De la Démocratie en Amérique, Paris, Librairie de Charles Gosselin, 18352, e di Gustave Auguste De Beaumont, Marie; ou L’esclavage aux
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t’impedirà di continuare le cose filosofiche; ti raccomando specialmente la filosofia dello spirito, e di meditar bene il concetto dello spirito. Ho piacere anche che ritorni alla Fenomenologia. Io l’ho lasciata per ora. Ma ci ritornerò a questo diabolico, ma meraviglioso libro: ci è una originalità, una freschezza, una maniera ardita di dire, di fare, etc., che mi ricorda Dante; è il creatore d’un nuovo mondo che trova una nuova forma. Addio. Addio. Scrivi per me a Papà e digli che sto bene; saluto le sorelle. Ti scriverò fra breve un’altra lunghissima. Maledetta parentesi! Saluto e abbraccio caramente Luigi.12 Camillo e Diomede13 vi salutano tanto. Addio. Perdonami gli spropositi. Rispondimi subito. Il tuo affezionatissimo fratello Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 248-252).
93 A Silvio Spaventa Torino, 8 marzo 1858 Mio carissimo Silvio, Rispondo a Cesare 14 per un suo affare e non tralascio l’occasione di scriverti pochi righi. Alla tua del 20 Dicembre dell’anno passato ho risposto, se non isbaglio, almeno due lettere mie, 25 Gennaio e 8 Febbraio. Nell’ultima ti diceva in fretta qualche cosa sopra un tuo dubbio sulla Fenomenologia. Io continuo a star bene. Un mese fa – lo crederesti? Mi era sentito un po’ male ai nervi: un po’ di dolore allo stomaco, il quale mi faceva qualche paura, non perché fosse forte, ma perché avea un certo carattere di periodicità che mi faceva ricordare di quello di Napoli. Ripigliai i bagni freddi, che io non faceva da più di due anni, e la cura di ferro. Dopo pochi giorni non era più nulla. Per poltroneria tralasciai i bagni, ed ecco di nuovo i nervi in ballo, non più dello stomaco, ma alla testa qualche cosa che sembrava vertigini leggiere leggiere. Ebbene: da capo i bagni, e da capo cessato il male. Ora i bagni li fo ogni giorno senza misericordia, crudelmente, e sto bene, benissimo. E tu li continui? Credo e spero di sì. Ti ripeto, prima di ogni cosa la salute. Quanto a me niente di nuovo. Continuo a scrivere su Gioberti, o per dir meglio contro. Ho fatto già molto, ma non ho finito: circa un venti fogli di stampa in 8° grande.15 Quella tale parentesi, di cui ti parlava nelle mie ultime lettere, l’ho già finita, o almeno ho scritto le cose principali; era qualche cosa sul problema della cognizione, e in generale dello spirito, senza distinguere, come puoi figurarti bene, l’umano e il divino. Come è possibile lo spirito? Rispondono: è possibile perché così l’ha fatto Dio. Come vedi, non è una risposta. Io dimando da capo: come è possibile lo Spirito (cioè Dio)? Questo è il problema États-Unis, Bruxelles, L. Hauman et comp.ie, 1835, oppure di Alexis Henri de Tocqueville, Gustave Auguste De Beaumont, Du système pénitentiaire aux États-Unis et de son application en France, Paris, H. Fournier jeune, 1833. 12. Luigi Settembrini. 13. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 14. Cesare Napolitano. 15. Cfr. lettera precedente, nota 7.
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nuovo della filosofia: il problema della filosofia tedesca. E mi pare che sinora la migliore soluzione è l’hegeliana. Non posso dirti di più ora, ma se avrò un po’ più di tempo, ti riepilogherò un’altra volta il tenore della mia parentesi. Non so se quello che ho scritto va bene interamente; in certi punti mi sono incontrato con Hegel; in certi altri non so bene ancora se sì o no. Dimmi qualche cosa dei tuoi studii, che ti raccomando caldamente. Serviranno, se non altro, per non perdere l’abito. Tu sei ancora giovane, e ti ripeto che non devi scoraggiarti. Hai notizie di Papà e delle sorelle? Me li saluterai caramente e dì loro che io sto bene. – Ho letto molti mesi fa un articolo di Totonno.16 Ti ricordi Totonno, che mi insegnò i rudimenti del tedesco? Un articolo filosofico, come puoi immaginarti, sopra un punto di estetica. Mi pare che abbia studiato sinora per imparare a non farsi capire. I tedeschi non sono facili a comprendersi, e la colpa è un po’ anche loro. Ma i più difficili tedeschi sono facilissimi a fronte di Totonno; il quale mi pare che abbia preso da costoro più i difetti che i pregi. Ti dico in confidenza che sono rimasto trasecolato e che dopo tanti anni e con tanto ozio mi aspettava qualcosa di meglio da lui. Ti torno a dire, continua a studiare e a non interrompere per lungo tempo gli studii di filosofia. Senti a me. In generale, quel poco che qui leggo delle cose napoletane filosofiche non mi pare gran cosa. Ti scriverò più a lungo tra breve. Aspetto con ansia grandissima tue lettere. Addio carissimo Silvio. Tanti saluti al carissimo Luigi.17 Camillo e Diomede18 ti salutano. Addio. Addio. Bertrando tuo SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 253-254).
94 A Silvio Spaventa Torino, 12 maggio 1858 Mio carissimo Silvio, Ho avuto la tua del 18 Marzo; 19 io già ti avea scritto agli 8 dello stesso mese. Erano già tre mesi che non riceveva tue lettere e non sapevo che pensare. Mi dispiace che stai poco bene, ma spero che sia stato cosa da nulla. Anch’io, come ti ho detto nell’ultima mia, ho sofferto un po’ allo stomaco, nello scorso inverno, ma è stato un incomodo di pochi giorni, e grazie ai bagni che continuo a fare nel modo più spietato menandomi acqua addosso specialmente sul petto, ora non provo più nulla da un pezzo. Non temere per me. Sebbene io sia molto nervoso, l’aria di Torino è contraria a questa sorta di mali, e quand’anche il male ritornasse, son certo che non durerà più di qualche giorno. Ti raccomando di pensare invece alla tua salute, e ti ripeto per la millesima volta che deve essere la prima cosa, s’intende dopo le cose scritte prima. Di me niente di 16. Antonio Tari (cfr. lettera 68, nota 97), studioso di estetica e professore all’Università di Napoli. Spaventa si riferisce molto probabilmente all’articolo Del Gusto apparso sul «Giambattista Vico», III, 1857, pp. 266-294 (rist. in Saggi di critica, con prefazione di Raffaele Cotugno, Trani, Vecchi, 1886, pp. 19-52). 17. Luigi Settembrini. 18. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 19. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 254-256.
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nuovo. Continuo a fare quello che faceva, cioè a seccarmi un poco colla critica di Gioberti; ma, giacché ho cominciato, bisogna che finisca. Del resto, questo studio mi è di qualche utilità, perché certi errori mi fanno veder meglio la verità. Ti vorrei dire tante cose; ma come restringerle nel breve spazio d’una lettera? Specialmente intorno alla creazione. Ho scritto molto su questo punto, e questo è stato in gran parte l’oggetto di quella tale parentesi di cui ti parlava in una mia lettera. Ma, incalzato sempre da nuove quistioni, non ho più riletto ciò che ho scritto; ho scritto così come veniva, ed avrei ora bisogno di pensare da capo, e forse di correggere molte cose. A me pare – salto forse di palo in frasca – che i due più grandi sistemi moderni siano lo spinozismo e l’hegelismo; già Spinoza si trova in parte nel nostro Bruno. Ho dovuto rileggere Spinoza, giacché in Gioberti ci è una gran dose di Spinozismo, senza che egli se ne avveda. In costui ci è una continua mescolanza di determinazioni filosofiche e di determinazioni volgari, attinte nella fede; le prime sono quasi sempre spinoziane. Gioberti non sa bene cosa significhi creare. Per lui creare è causare, e l’Ente in quanto crea non è altro che Causa e Sostanza, semplice Grund delle cose, non altro. Per modo, che l’Ente non è affatto immanente nelle cose, né meno nello spirito, né meno nell’universo. In Spinoza almeno la Sostanza è immanente nell’universo (come in Bruno), se non nelle cose; l’universo (come in Bruno) è l’effetto infinito della causa infinita che è la Sostanza; la causalità infinita sono gl’infiniti attributi, la natura naturante; l’effetto infinito è l’universo, la natura naturata. In Gioberti lo stesso universo è qualcosa di finito, un meccanismo finito di finiti. Il difetto dello Spinozismo è che la sostanza è fissata come Sostanza; Dio non è che Sostanza; la Sostanza è la suprema definizione di Dio; e, non essendo Dio altro che Grund delle cose, le cose non sono vere che in Dio, ma non in quanto si risolvano da sé (per attività propria, cioè per l’attività del Grund o principio che è in esse – la dialettica) in Dio, ma in quanto sono già risolute o annullate in Dio immediatamente, per modo che le cose, non essendo vere se non in Dio (e ciò è vero), e non essendo esse in Dio se non immediatamente e non già in quanto si risolvano per sé in Dio, nello Spirito, ne segue che esse come cose non sono affatto vere, non hanno sostanzialità. E ne segue pure che Dio non è il vero Dio, perché le cose non entrano realmente nella mediazione di Dio con sé stesso. Il difficile è conciliare questo: le cose non sono vere che in Dio (il che, inteso al modo di Spinoza mena a negare ogni sostanzialità alle cose, anche allo spirito) e le cose non sono semplici modi. E si concilia, mi pare, col porre Dio come principio e fine delle cose, e in ciò risultato di sé stesso, mediazione eterna attuale di sé con sé stesso, giuoco d’amore con sé stesso, etc.: mediazione, che sarebbe puramente astratta, cioè non vera mediazione, se le cose come cose non fossero nulla, se fossero – come vuole Spinoza – semplici creature dell’immaginazione. Ma se non altro in Spinoza ci è una contraddizione, che è il principio o germe d’una vera critica dello Spinozismo, il germe della elevazione della Sostanza a Soggetto, a spirito. Lo Spinozismo – il Weltsystem – comincia colla Sostanza come tale e finisce nella Scienza, nel Concetto della Sostanza. Ora, com’è possibile che la Sostanza diventi Concetto di sé stessa? Come tal concetto, non è più la Sostanza; e lo spirito – lo spirito come Scienza (e aggiungo anche come religione, giacché la Scienza è per Spinoza anche amor intellectualis Dei, beatitudo, etc.) – in quanto ha o è il concetto della Sostanza, non è più semplice modo, ma è anzi la Sostanza stessa come concetto di sé stessa. Questa contraddizione, che annulla la Sostanza come definizione suprema di Dio, è già contenuta nella stessa determinazione della essenza divina, degli attributi. Cos’è la estensione? Il puro esse formale. E il pensiero? L’esse obiectivum, l’oggettività dell’estensione e di sé stesso. Il pensiero è anche esse formale, ma questo formale è l’oggettività dell’estensione (lo spirito è idea corporis e idea ideae; come idea corporis è il corpo obiective, come idea ideae è sé stessa obiective. E lo spirito è l’una e l’altra cosa in uno). Ma dunque l’estensione è il poter essere oggetto; l’oggettività –
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il pensiero – è già in certo modo nell’estensione; l’estensione è, dico io, il pensabile come tale, non il pensato. Per modo che – essendo la Sostanza estensione e pensiero, e la Sostanza come Sostanza essendo, dico io, puro esse formale nello Spinozismo, e d’altra parte, essendo il pensiero la estensione e sé stessa obiective, cioè pensati –, ne segue che il pensiero come attributo è la Sostanza stessa come obiective, è il pensiero della Sostanza, è la Sostanza come pensata, come pensiero di sé stessa; cioè Dio non è più la Sostanza. Dunque la Sostanza, in quanto può essere pensata, è già in sé pensiero; e ciò è il suo esse formale, la estensione, la Natura; la Sostanza, come pensiero di sé stessa, è lo spirito. E la Sostanza come puramente tale, come l’Ens indeterminatum, è il Logos, il quale come l’intero Logos è immediate Natura, estensione. (Qui abbrevio troppo e forse non ti persuado; ma un’altra volta). Spinoza ha tempo a dire che estensione e pensiero sono paralleli, indipendenti l’uno dall’altro. La determinazione: formale e obiectivum distrugge quel parallelismo; l’estensione è il pensabile come puramente tale, e come tale è presupposta dal pensiero come tale (scusa i tale); cioè il pensiero, o meglio lo Spirito si presuppone sé stesso come estensione, come natura. Il parallelismo si spiega nello Spinozismo coll’indeterminatezza della Sostanza come tale; posta questa indeterminatezza, la Sostanza è indifferentemente estensione e pensiero immediate, e non già immediate estensione e mediate pensiero. Ma la Sostanza come tale può essere l’Indeterminato? Se gli attributi hanno la relazione: poter essere ed essere oggetto (cioè pensato), la sostanza è già in sé questa differenza: e dico vera differenza, non già un semplice due: cioè il pensiero deve essere in sé – nella Sostanza – come pensabile e pensato, etc. Mi esprimo male qui; ma è causa la fretta. Dunque, conchiudo, la Sostanza con questa differenza in corpo è la Logica. Etc. Ma per arrivare a tale critica, e perciò all’Hegelismo, quanto ci volle? – Ora cos’è il creatore? È lo spirito come risultato eterno di sé stesso: lo spirito che si presuppone sé stesso non solo come Natura, ma direi anche come Logos, e anche, s’intende, come spirito finito; e questo presupposto, che ha la sua verità in quello che se lo presuppone, è (dico una bestialità?) il creato. Mi pare, ma di ciò non so dirti cose chiare, che lo spirito assoluto, lo Spirito è principio e come creatore di un nuovo mondo, mondo morale, moderno e avvenire, etc.; ma in sostanza poi è sempre un presupposto, e il risultato è lo stesso Spirito. Basta, per ora; la solita confusione per la fretta. Scrivimi subito, e sii di buon umore, se è possibile. Ti scriverò altra lunghissima. Ti ho parlato sempre di studi; ma non ci è altro. Dimmi di te, delle cose tue. Coraggio, e studia sempre, se puoi. Coraggio, dico. Già tu ne hai; ma togliti di mente quella tale apprensione di non capire più niente. Studia la Filosofia dello Spirito. Addio. Tante cose a Papà e alle sorelle. Addio. Ti scriverò subito. Cesare 20 vorrebbe da te una commendatizia per Saverio Vollaro in Alessandria di Egitto. Mi pare che tu l’hai conosciuto in Napoli. Non bisogno di pregarti per questo; Cesare, il bravo Cesare, merita questo ed altro. Se la fai la lettera mandala a Cesare stesso. Il quale, m’era scordato di dirtelo, vuole andarsene in Alessandria. Addio di nuovo. Tanti saluti e abbracci a Luigi.21 Vi salutano Camillo e Diomede.22 Addio. Bertrando SNSP,
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(parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 258-261). Croce la data al 18 maggio.
20. Cesare Napolitano. 21. Luigi Settembrini. 22. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi.
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95 A Silvio Spaventa Torino, 3 giugno 1858 Mio carissimo Silvio, Rispondo pochi righi alla tua23 recatami dalla Signora Settembrini.24 Ti ho già scritto colla data del 12 Maggio di risposta alla tua del 18 Marzo. Ho avuto gran piacere di conoscere personalmente quell’ottima signora. Sebbene io viva qui senza relazioni affatto con Piemontesi, pure ho fatto tutto ciò che ho potuto per mostrarle quanto io le sia grato dell’amore che ha sempre mostrato a te. Per la stampa del libro non si è potuto combinar niente; qui si legge poco, salvo le gazzette, si paga poco, e si stima generalmente poco ciò che merita stima. Da questo lato non si è fatto nessun progresso. Librai io non ne conosco, ma ti dirà meglio il tutto la stessa Signora.25 Quanto al resto lo saprete anche da lei. Ti scrivo poco, perché fra giorni ti farò una lunga lettera. Spero che a quest’ora sarai pienamente ristabilito in salute. Io sto bene. Dammi notizie di Clotilde26 e dimmi sinceramente che ci è. Mi raccomando. Dammi anche notizie di Papà. Volea mandarti qualche cosa mia, ma di due o tre anni fa; ma ci ho pensato meglio. Non so se ti potranno giungere e io non ne ho altre copie. Cercherò altro modo. Di nuovo non ho scritto niente; il volume su Gioberti cresce. Costui già mi comincia a seccare, ma giacché ho cominciato a lavorarci sopra e a criticarlo, bisogna finirla. Aspetta altra mia. Intanto ti raccomando la salute e anche gli studi. Addio. Ti scrivo come di fretta. Saluto caramente Luigi27 anche per parte di Camillo e Diomede28 che ti salutano. Addio. Bertrando tuo SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
96 A Silvio Spaventa Torino, 2 settembre 1858 Mio carissimo Silvio, Ricevo la tua del 2 Agosto.29 Erano già più mesi che non avevo tue lettere né di Cesare,30 e non sapevo che pensare di questo lungo silenzio. Meno male che è finito e 23. Si riferisce alla lettera del 28 aprile 1858, di cui è pubblicato un brano in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 256. 24. Raffaella Luigia Faucitano, soprannominata Gigia, nata nel 1818 e moglie di Luigi. 25. Settembrini aveva incaricato Spaventa e gli altri amici esuli a Torino di curare la pubblicazione dei Dialoghi di Luciano da lui tradotti nell’ergastolo di Santo Stefano tra il 1852 e il 1858 (cfr. lettera 63, nota 76). L’opera, in tre volumi, fu poi stampata dall’editore Le Monnier nel 1861-1862. 26. Clotilde Spaventa. 27. Luigi Settembrini. 28. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 29. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 261. 30. Cesare Napolitano.
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spero che non ricominci. Ti ringrazio di cuore delle notizie particolari che mi dai di Papà e delle sorelle. Povero vecchio! Non so come abbia potuto tirare avanti sinora. Fai bene a persuaderlo di viaggiare continuamente per quanto può. La varietà e il non veder sempre gli stessi visi gli può giovare molto. Non mi fa meraviglia che non sia contento del genero. Non già che questi sia cattivo, ma son tutti così nei piccoli nostri paesi: gente tapina, o come dicono colà cervelli di gallina e perciò anche cuor di gallina. Quel po’ di bene che fanno è un vero e proprio miracolo. Mi ha addolorato moltissimo la morte del povero Maestro. Non lo avevo dimenticato affatto. Chi sa che n’è dei suoi fratelli? – Fai bene a continuare i bagni. Io li ho interrotti per poltroneria, ma li ripiglierò al più presto. È questa una prova che sto bene co’ nervi da un pezzo. – Lodo il tuo pensiero di studiare la Ragion pura; è il vero punto di connessione della filosofia moderna. Come procedi avanti, dimmene sempre qualche cosa. Spero che l’edizione che hai sia quella che contiene anche tutto ciò che Kant avea tolto nella seconda edizione. Avevo apparecchiato alcuni miei scritti per mandarteli. Ma le difficoltà sono un po’ grandi. Temo che non si perdano e non ne ho più copie. Ne scrivo a Cesare, per vedere se può farmi anche questo favore. A quest’ora saprai che la moglie di Luigi31 non ha potuto ancora avere il permesso di ritornare. Io continuo la stessa vita. Ho finito il lavoro sopra Gioberti; e non l’ho finito. Voglio dire che mi rimane ora a copiare, e correggere, ordinare meglio le cose, etc. Ma in sé il lavoro è fatto; bisogna ora farlo pel pubblico. Mi sono un po’ riconciliato con quest’uomo. Negli ultimi suoi scritti (postumi) si spoglia di molte imperfezioni che trovavo nella prima forma del suo sistema; ed è curioso vedere questo sviluppo come una specie di critica che il suo pensiero fa di sé stesso. Già qualche germe del nuovo ci è nella prima forma, ma inviluppato e nascosto. Ciò che manca sempre in lui è la scienza. Procede per aforismi. Ma se ne può cavare gran bene, perché il contenuto è profondamente speculativo. Bisogna esprimere il suo pensiero nella sua vera forma e mostrare che certe determinazioni estrinseche, che egli stesso ha abbandonato poi necessariamente in gran parte, sono in contraddizione cogli stessi suoi principi speculativi. Certe parole, che ne fanno un non filosofo, non sono in lui che parole; e se consideri la determinazione speculativa, la parola rimane un corpo morto. Ma non puoi immaginarti il guazzabuglio delle Postume. È cosa da perderci la testa. Quella sua Protologia è una serie di note, commenti, ripetizioni, etc., un caos. Ma ci è del buono. Molte volte ti apparisce come un’ironia di sé stesso. Fra le altre novità, una nuova nomenclatura. Sissignore: sempre lo stesso principio: l’Ente crea l’esistente; ma il crea è inteso in modo che si avvicina all’hegeliano. Si dice sempre: finito e infinito sono infinitamente distanti. Ma intanto, dove prima l’infinito non era affatto nel finito, ma piuttosto questo era (ma solo era) in quello, ora odi dire che il finito non è altro che l’infinito stesso potenziale. Prima Dio e il mondo erano distinti in modo che la distinzione voleva dire separazione, e la non separazione voleva dire assorbimento del mondo in Dio. Ora senti dire che il mondo, questo infinito, anzi Dio potenziale, in quanto presunto, preoccupato, preconcepito da Dio (ricordati del presupporre hegeliano; Dio si presuppone il mondo) è Dio stesso, cioè infinito attuale. Quindi pare, posta tale identità del mondo e di Dio, come se il mondo producesse Dio, ma in realtà è Dio che crea il mondo. Così dal senso si sviluppa la ragione, e pare che quello produca questa. Ma all’incontro questa crea quello. Ciò che apparisce come causa è effetto; e viceversa. E così di altro. – Ci sono poi continue perplessità, e nascono appunto dal difetto della determinazione scientifica. Ora Dio ti apparisce come prima, cioè come pura identità senza differenza reale, e in ciò si distingue dallo spirito che è unità colla differenza reale, e perciò non identità ma 31. Raffaella Luigia Faucitano, moglie di Luigi Settembrini.
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armonia (quindi Dio ti apparisce come la pura Idea, l’Idea in sé, l’Idea in quanto è l’indifferenza della natura e dello spirito, i quali sono in essa come differenza indifferente: la logica di Hegel. E infatti Gioberti chiama spesso Dio il Possibile, la possibilità pura, etc. E non si avvede che questa possibilità è meno della differenza attuale, e assai meno della unità attuale che ha in sé la differenza attuale: Spirito assoluto, quello che egli chiama armonia). Ora, al contrario, Dio non è pura identità, ma l’eterogeneo, il differente, è reale in lui: quindi Dio è Trinità, etc. Mi è avvenuto un fatto curioso. Studiando la prima forma del sistema, io aveva notato molte imperfezioni e fatto vedere il modo di compierlo dialetticamente. Ebbene: questo stesso compimento trovo nelle Postume: è Gioberti che critica sé stesso. Ora devo ricominciare a rileggere me stesso, rifare un viaggio che ho fatto tra tante difficoltà in un anno. 32 Chi sa cosa ne verrà. Finito il lavoro, cercherò uno stampatore. Qui non è facile. Forse lo troverò a Firenze. Scrivimi subito, e dimmi dei tuoi studii. Studia per Dio, perché gioverà. Animo, Silvio, se mi ami. – Cesare ti ringrazia tanto della lettera commendatizia, ma non partirà più, e ne godo. Dì tante cose per me a Luigi. Mi dispiace che la Gigia non abbia potuto far nulla qui. Ma questo è un paese che bisogna conoscerlo da vicino; e la colpa non è di nessuno di noi. Le aveano promesso di far quello che poi non hanno fatto. Con chi te la pigli? Camillo e Diomede33 vi salutano. Addio. Animo. Scrivimi. Scrivi a Papà e tante cose per me; anche alle sorelle, a Faustina, 34 alla madre. Addio. Addio. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 262-264).
97 A Silvio Spaventa Torino, 14 ottobre 1858 Mio carissimo Silvio, Posposi ai 2 Settembre alla tua dei 2 Agosto. Aspetto tue lettere. Ti prego di scrivermi più spesso, come prima. Come stai? Di me nulla ho a dirti di nuovo. Sto bene. Fra giorni comincerò la noiosa fatica del copiare. Mi restava a rileggere alcune opere non filosofiche di Gioberti, e le ho rilette, sebbene con un grandissimo fastidio. Poi ho dovuto rileggere tutto quello che avea scritto nel corso di quasi un anno, per avere un’intuizione generale di tutto il mio lavoro. Ora dunque ricomincerò. Non sono tanto scontento di ciò che ho fatto; anzi certe parti mi piacciono; il che non mi avviene così spesso; giacché mi accade, o almeno mi accadeva, che dopo un mese poco mi piaceva più quello che avea scritto. Come vanno i tuoi studi? Che leggi ora? Continui la Critica di Kant? Dimmene qualche cosa. Io ho letto nei mesi passati e leggo anche ora, quando mi avanza un po’ di 32. Appunti e redazioni del manoscritto sulla filosofia di Gioberti sono conservati nelle Carte Spaventa (BNN, XVI.C.12). In una delle sue «Corrispondenze» da Torino a « Il Crepuscolo», giornale milanese diretto da Carlo Tenca, Eugenio Camerini riferiva, in data 17 agosto 1858, che «il Gioberti è bello e finito e forse non tarderà troppo ad uscire» (cfr. «Il Crepuscolo», 22 agosto 1858). 33. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 34. Faustina Spaventa.
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tempo, qualche cosa delle Postume di Schelling. Sebbene sia molto inferiore ad Hegel, nonostante tutti gli sforzi che fa per superarlo, pure lo leggo con piacere, perché ci si vede sempre il genio. Il vero modo di conoscere e stimare Hegel è quello di leggere i suoi avversarii. Come appariscono piccoli! Il più delle volte Schelling mi pare un escamotage di Hegel. Non è poi quel retrivo, che si era detto, nelle sue Postume: ci è sempre il vecchio peccatore, e quelli che speravano di poterne fare la colonna del nuovo edificio della sana filosofia, sono rimasti con un palmo di naso. Non so se gli ortodossi di qualunque siasi razza potranno accettare, per esempio, la sua dottrina della creazione: creare è essere per Dio: «Dio è e Dio crea» è lo stesso; il movimento dell’universo è un processo teogonico, etc. Dio che non crea è non (ancora) Dio, ma la semplice natura (essenza) di Dio, non l’esistenza (Hegel direbbe: è l’Idea logica). Dio è essenzialmente triuno (Dreieinige; alleinige; tuttuno); come dottrina della All-einigkeit di Dio lo spinozismo è momento essenziale della dottrina del vero Dio; lo spinozismo è più del teismo, che considera Dio, come vuota Einheit. Ci ho trovato alcune cose che aveva pensato anche io sopra Spinoza. – Hai notizie di Papà e delle sorelle? Dì loro tante cose per me, e che io sto bene. Ti scriverò più a lungo un’altra volta. Ora non ho veramente che dirti, e sono così svogliato e così poco disposto a pensare, che non trovo nemmeno parole. Addio. Aspetto tue lettere. L’ultima lettura di Gioberti mi ha così annoiato che avrei bisogno almeno di un mese di riposo, o meglio di distrazioni. Ma qui chi te le dà! Pazienza, dunque, e bisogna ricominciare a lavorare per non annoiarsi peggio. Dunque, addio. Dimmi dei tuoi studi. Saluto caramente Luigi.35 E della Gigia?36 Vi salutano Camillo e Diomede.37 Addio. Scrivi. Bertrando tuo SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 264-265).
98 A Silvio Spaventa Torino, 1 dicembre 1858 Mio carissimo Silvio, Mi giunge la tua del 14 Ottobre. 38 Nello stesso giorno io ti scriveva l’ultima mia. – La tua lettera mi ha addolorato moltissimo. Per carità non ti perdere d’animo, che senza coraggio non si può tirare avanti. Ne hai avuto tanto sinora, è vero che il troppo è troppo; ma… Io non posso fare altro che pregarti di conservarti in salute, di stare il più che puoi, tranquillo… Se io potessi aiutarti in qualche modo… Ma se sapessi!.. Non già che io viva male; ma vivo come Dio vuole. Né me ne lagno, perché penso sempre allo stato in cui siete voi. Del resto sto bene in salute, e non mi manca il puro necessario; e ciò basta. Ti ripeto per carità di non farti sopraffare dalla malinconia. Tu hai bisogno per vivere di quella stessa rassegnazione che hai avuto sinora. Per carità pensa a tuo fratello. Io non so dirti altro. Tu m’intendi. E poi non bisogna disperare assolutamente. Hai sofferto tanto! Corag35. Luigi Settembrini. 36. Raffaella Luigia Faucitano. 37. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 38. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 265-266.
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gio sino alla fine. Di me non posso dirti nulla di nuovo; continuo a fare ciò che sai. Non so quando potrò finire davvero il lavoro sopra Gioberti. Il copiare e rifare è un’impresa un po’ fastidiosa e non sempre ci sono disposto. Ma pure bisogna arare e finire. Quando avrò finito cercherò chi voglia stampare. Spero che Lemonnier non dirà di no. Qui non ci è da sperar nulla. Non pagano, e di cose filosofiche non ne vogliono sapere. In generale qui l’istruzione è andata di male in peggio. È una vera miseria. È il vero paese dei piccoli ciarlatani. Cerca di distrarti collo studiare. Fai bene a leggere Kant, e se puoi avere le altre Critiche, leggile; e non scordarti di dirmene qualche cosa. Forse dico spropositi; ma studia in modo, come se domani dovessi uscire da codesto luogo. Se non altro, studiando e scrivendo sentirai meno lo stato in cui sei. Mi dispiace che non hai lettere di Papà. Spero che stia bene in salute insieme colle sorelle. Mi fa piacere che Vincenzino si ricorda di te. Dal tempo che ho lasciato Napoli io non ho scritto a nessuno. Vorrei dirti tante cose; ma ho l’animo così agitato per la tua lettera, che non trovo il filo. Ti prego di scrivermi subito e di non fare come sinora. Erano già tre mesi che non riceveva tue lettere. Scrivimi subito, e cerca di essere meno triste. Vinci questa brutta tentazione della tristezza e della disperazione. Se si comincia, guai. Addio. Ti bastino queste poche righe. Salutami caramente Luigi.39 Sapeva del ritorno della Gigia.40 Addio. Animo, se mi vuoi bene. Amami Il tuo Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 266).
39. Luigi Settembrini. 40. Raffaella Luigia Faucitano.
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99 A Silvio Spaventa Torino, 6 gennaio 1859 Mio carissimo Silvio, Ricevo la tua del 10 Dicembre;1 a quella del 14 Ottobre risposi al 29 di Novembre. Godo che stai bene in salute; e lo stesso ti dico della mia. Ti prego, ripetendoti le cose che ti dissi nell’ultima mia, di essere più tranquillo, il più tranquillo che puoi. Te lo dico, perché sarebbe una vera disgrazia perdere il coraggio dopo aver sofferto tanti anni con rassegnazione. Non aggiungo altro, perché spero che mi intenderai. Pensa a tuo fratello che ti ama tanto, e spera sempre di rivederti sano. Animo dunque. – Quanto a ciò che mi dici del difetto di danaro, vedi per carità di rimediare in modo qualunque. Da qui io non posso spedirtene, almeno per ora, per una ragione, che immaginerai facilmente: non ne ho, e non so a chi chiederne. Ma pure non disanimarti; fa il possibile per tirare avanti, e non ti guastare la salute. Ti dico ciò con dolore, perché io non posso far niente. Coraggio e serenità: ce n’è bisogno ora più che mai. Quanto a ciò che dovresti fare nel caso di grazia, non so quanto possa convenirti restare nel regno. Che ci faresti? Ti ricordi ciò che ti scrissi in altra occasione? Se quell’idea fosse praticabile, sarebbe il meglio; ma credo non sia possibile ora. A Londra, quando si trova a fare qualche cosa, si vive bene. Ma il punto sta nel trovare a fare. Non essendo ciò possibile, non rimane che venir qui. Ma come viverci, tu mi domandi? Qui veramente non è Napoli, che si può vivere facendo lezioni. Quanto allo scrivere, ci è una piccola turba d’ignoranti e d’intriganti che ha il monopolio di tutto. Ma pure, volesse Dio che tu fossi libero! Ti direi subito: in mancanza di meglio, vieni pure qui; si vedrebbe, si cercherebbe; vivo io e vivresti anche tu come me e meglio di me. Questo, quando si guarda solo al vivere. Quanto al resto, io ti parlava di Londra, appunto perché ti sarebbe più utile per la mente. Ma in breve: nel caso che sei libero, non mai Abbruzzi; e nel caso che non possa andare con certezza di vivere a Londra o altrove, vieni qui senz’altro. Scrivendoti queste cose mi viene quasi da ridere. Tu potresti dirmi: ma dunque l’ultima via che mi proponi è quella di venire a stare con te? Tu stesso puoi farti la risposta. Io vorrei che, uscito di lì e dopo tanti dolori, non avessi a patire di nulla. Ma fa come meglio credi e puoi. Non ho bisogno di dirti, che l’unico mio desiderio è 1. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 267.
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quello di rivederti e stare con te a qualunque costo. – Fai benissimo a imparare il greco e ti raccomando di impararlo davvero. M’era venuto in capo di scrivertene qualche mese fa, ma poi non so come me ne dimenticai. Anch’io mi ci posi due anni fa. Avea ancora il piccolo dizionario del povero Tito!2 Mi comprai una grammatica, quella di Curtius,3 che è eccellente. La studiai, e cominciai a tradurre qualche cosa. Il mio scopo era non tanto di tradurre da me, quanto d’intendere le traduzioni altrui confrontandole col testo. Lessi così un dialogo di Platone, cominciando dal più difficile. Serviva per provare. Poi mi comprai la metafisica di Aristotile, e ne lessi qualche libro. Ma che vuoi? Non avea tempo, ed è già un anno che non ne fo più nulla. Ma ora cercherò di ripigliare questo studio per farti compagnia almeno così. Tu hai Luigi4 che ti aiuta. Io farò da me quel che potrò. Ti raccomando di continuare. Ho piacere che Papà si sia riunito coi fratelli, e che sta bene in salute. Me lo saluterai caramente insieme colle sorelle. Povero vecchio! Speriamo di rivederlo! Continuo a ricopiare e a correggere il mio lavoro sopra Gioberti, e mi avanza pochissimo tempo per altro. Ho gran voglia di finirlo. Speriamo che invece di leggerlo stampato tu possa leggerlo prima manoscritto, e né pure intero. D’altri miei studi non ti posso dir nulla, perché sono tutto occupato in questo lavoro. Se avessi tempo studierei qualche cosa che riguarda la lingua. Ne ho gran voglia. Ma come si fa? Bisogna aver pazienza etc. Il figlio di Luigi5 è stato qui: è venuto per trovarmi due volte e io non ero a casa, ma senza dire alla persona di casa dove abitava. Ho cercato per Torino e non ho potuto sapere dov’era. Gli ho scritto per la posta; e nessuna risposta. Suppongo che sia ritornato a Genova. Saluto caramente Luigi, e abbiate ancora coraggio. Addio. Scrivimi subito. In qualunque caso, ricordati sempre non mai Abruzzi o altro simile. Camillo e Diomede6 vi salutano e molti altri che sempre mi domandano di voi e che non vi nomino. Addio. Amami. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 267-268).
100 A Silvio Spaventa Torino, marzo 1859 Mio carissimo Silvio, Questa lettera ti troverà libero, dopo dieci anni di carcere. Ricordo ancora, come se fosse oggi, e pure è passato tanto tempo, il giorno 19 marzo 1849, quando in via Toledo fosti arrestato dal commissario Campagna. Ma non ne parliamo più. Ho ricevuto le due lettere tue da Cadice. 7 Io ti avea già scritto il 6 Gennaio per New York. Avevamo avuto notizia della vostra partenza da S. Stefano, il giorno 16 dello stesso 2. Tito Spaventa, fratello di Bertrando e Silvio, morto nel 1849. 3. Giorgio Curtius, Grammatica greca, tradotta di consenso e con aggiunte dell’autore da Emilio Teza, Wien, Gerold, 1855. 4. Luigi Settembrini. 5. Raffaele Settembrini, nato nel 1837, divenuto poi ufficiale della marina inglese. 6. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 7. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 277-279.
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mese, e credevamo che gli stessi vapori napoletani vi avrebbero trasportati in America. Se avessi potuto immaginare che saresti stato costretto a rimanere tanto tempo sulla rada di Cadice, ti avrei scritto per colà. Aspettavo ansiosamente la tua seconda lettera, e facesti bene a scrivermi. Qui si dicevano tante cose sui rigori, a cui eravate soggetti. Si parlava di ferri alle mani ed ai piedi, e perfino che sareste trasportati non più a New York, ma alla Repubblica Argentina. Nella mia lettera del 6 Gennaio ti ho scritto in fretta qualche cosa sulla situazione politica di Europa. A New York tu ne saprai dai giornali quanto me. Ciò nondimeno ti dirò ora più largamente quello che so, e in parte vedo 8… Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, p. 60). Vacca la ritiene scritta nei primi giorni del mese.
101 A Silvio Spaventa Torino, 10 marzo 1859 Mio carissimo Silvio, Immagina come sono rimasto ieri leggendo il dispaccio telegrafico del vostro sbarco in Irlanda.9 Non so dirti se sia stata in me maggiore la gioia o la meraviglia. Eccoti dunque finalmente libero e in terra libera dopo 10 anni di carceri. Questo pensiero della tua libertà, che ora è un fatto, mi ha travolto per modo la testa in questi due ultimi mesi, che non ho fatto altro che contare i giorni, andare ogni giorno alla posta, leggere le gazzette, domandare notizie a tutti. Ora sono un po’ più tranquillo. Ricevetti le tue lettere da Cadice, le quali mi furono di grandissimo conforto, specialmente l’ultima, perché qui tra le altre cose, si diceva, che sareste andati non a New York, ma alla Repubblica Argentina, e che eravate a bordo dei legni napolitani coi ferri alle mani ed ai piedi. Ed ecco invece (che) il viaggio dell’Atlantico lo stanno facendo le lettere che io ti avea scritto per New York. Nell’ultima, scritta lo stesso giorno del vostro sbarco10 in Irlanda, ti dicevo un mondo di cose, che non ho l’animo ora di ripetere, e, anche volendo, non saprei ricordarmele. Era una lunga tiritera politica, che io avea pensato di regalarti appena fossi sbarcato in America, e che ora ti sarebbe inutile e fastidiosa in Inghilterra. Dai giornali e dagli amici saprai a quest’ora di che si tratta. Tutto fa credere prossima la guerra fra Piemonte e Francia da una parte e l’Austria dall’altra. L’Austria ha col Lombardo-Veneto già 150 mila uomini, e circa 30 mila sono già concentrati a Pavia e contorni.11 Il Piemonte anche s’arma. Sarebbe poi impossibile descriverti l’entusiasmo guerriero delle altre provincie italiane, dalle quali vengono qui giovani di tutte le classi, a centinaja, ogni giorno, per arruolarsi sotto le bandiere sarde. Se l’impresa non riesce questa volta, non so quando riuscirà. Intanto ora la diplomazia fa il suo dovere, e cerca di impedire la guerra, col comporre pacificamente le differenze. Ma potrà farlo? Qui sta il punto. In Piemonte si crede alla guerra; questo 8. Vacca: «credo». Nota di Beltrani: «L’originale, che così s’interrompe, nell’unico piccolo brano di carta celestina avanzato, è tutto di carattere di Bertrando, ma non è sottoscritto». 9. Nelle lettere di Silvio al padre dei primi mesi del 1859 sono ricostruite le varie fasi della liberazione dall’ergastolo di Santo Stefano allo sbarco a Cork in Irlanda (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 269-279). 10. Vacca: «arrivo». 11. Vacca: «dintorni».
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posso dirti, sebbene non mancano di quelli che oggi ci credono e domani non ci credono, secondo i diversi articoli dei giornali. Il fatto è che qui si apparecchiano assiduamente e fanno tali spese, che ti fanno credere più al sì che al no. Io, per ora, non ti dico altro. Costà ne saprai quanto me. Perché sii informato delle cose di qui, ti manderò ogni giorno un giornale semi officiale. Da Napoli nessuna notizia, eccetto la perpetua conferma della gran malattia di quel Re.12 Dicono che sia veramente seria; ma chi vuole che sia apoplessia, chi cancrena alla gamba, chi idrotorace e chi altro. Di certo non si sa nulla. Se la guerra ci sarà e andrà bene, bene; se no, bisogna pensare a mutar cielo; qui non si potrà più stare da noi: approvo ciò che tu mi dici della tua intenzione di restar costì con Luigi.13 Ti ho scritto sempre che qui non ci è da far nulla e molto meno ora. Io metto da parte il desiderio, che ho, di rivederti subito. Ma è un affare puramente mio, e mi vinco. Ciò che m’importa è che tu dopo 10 anni di pene non abbia ancora a pensare. Se credi di poter fare qualche cosa costì, mediante l’appoggio degli amici; fa pure. A tornare qui ci è sempre tempo. Vedi bene che anche io fo la diplomazia. Del resto, spero che non ti deciderai subito, e aspetterai che io abbia ricevuto una tua lettera e che ti risponda. Giacché sei costì, dimoraci almeno tanto che conosca un poco l’Inghilterra. Tra giorni ti scriverò una lettera lunga lunga; e poi si vedrà. Tu raccontami il tuo viaggio e i particolari della vostra liberazione. Ho scritto già a Papà e gli ho detto che tu stai bene e che sei ancora a Cadice e saresti subito partito. Io ti raccomando di badare alla salute assolutamente. La mia va bene; e ora che tu sei fuori dall’ergastolo non desidero altro che rivederti contento e felice. Capisci che ti scrivo di fretta e confusamente. Addio per ora. Tra giorni ti scriverò lungamente. Tanti saluti e abbracci a Luigi, Peppino,14 Carlo,15 Cesare16 e tutti gli altri amici. Anche al figlio di Luigi,17 il quale io credo che sia stato con voi da Cadice a Queenstown [sic], e da buon marinaio avrà contribuito all’esito dell’impresa. Addio, mio carissimo Silvio. Bada alla salute. Scrivimi subito e spesso e dimmi cosa pensi di fare. Vedrai certamente il nostro ottimo Devincenzi. 18 Me lo saluti tanto. Gli amici di qui ti salutano: Camillo, Diomede,19 Tommasi, i fratelli Plutino. Addio. Bertrando tuo Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 60-62). La trascrizione di Beltrani porta un frego su «marzo» sostituito da «febbraio». Vacca ritiene però che, in base al contenuto della lettera, la datazione vada mantenuta a marzo.
12. Ferdinando II di Borbone. 13. Luigi Settembrini. 14. Giuseppe Pica (1813-1887), avvocato e compagno di prigione di Silvio, familiarmente chiamato nelle lettere successive Peppino. Deputato del regno d’Italia dall’VIII legislatura, fu nominato senatore nel 1873. 15. Carlo Poerio. 16. Cesare Napolitano. 17. Raffaele Settembrini. 18. Giuseppe Devincenzi (1814-1903), uomo politico abruzzese esule in Francia e in Inghilterra dopo il ’48. Più volte ministro, fu deputato del regno d’Italia nell’VIII e nella IX legislatura e senatore dal 1868. 19. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi.
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102 A Silvio Spaventa Torino, 17 marzo 1859 Mio carissimo Silvio, Ricevo in questo momento la tua lettera del 14, 20 e ti rispondo subito. Appena seppi il vostro sbarco in Irlanda, ti scrissi per Londra colla data del 10; altre due lettere ti avea già indirizzate a New York, l’ultima delle quali era di circa 8 pagine, e conteneva una lunghissima filastrocca politica, che ora nel luogo dove ti trovi ti riuscirebbe oltremodo fastidiosa. Ti parlava della situazione presente. Costà tu puoi giudicarla forse meglio di me, o, almeno, egualmente bene. Qui si crede alla guerra e si spera nel buon successo. Non si è da molti contenti del procedere di codesta guerra. Ma la soscrizione ha fatto una buona impressione.21 A noi altri poi è riuscita gradita per molte ragioni; tra le quali non è l’ultima quella di far andare in collera il buon re di Napoli. Ma ciò che ha fatto gran senso, sopra ogni altra22 cosa, è stata tutta la vostra condotta da Cadice a Cork; io ed altri amici non siamo sazii ancora di leggere e rileggere la vostra dichiarazione e il vostro ringraziamento al maire di Cork.23 La cosa non poteva andar meglio. Qui, dunque, si crede alla guerra. Si fanno apparecchi, come puoi vedere dai giornali. Tutte le opinioni, anche le più opposte, appoggiano questo governo; eccetto pochi, come già saprai costà. Si ha fede nella lealtà, o, se non altro, nell’interesse di chi può; e si aspettano, con grande impazienza, gli avvenimenti. Ciò che si teme è piuttosto che non si faccia nulla; cioè che la diplomazia riesca a comporre le cose, impasticciando a suo modo. In questo stato di cose che devo dirti io su ciò che ti conviene di fare? Già, fatta astrazione da qualunque situazione politica, il mio più gran desiderio è di rivederti. Non ho bisogno di esprimertelo con parole. Ma tu non devi pensare tanto al piacer mio, quanto al tuo bene, dopo 10 anni di patimenti e di dolori. Io qui vivo come Dio vuole, ma finalmente vivo, e non me ne lagno. Se io avessi denari, non ti darei consigli, e nemmeno ti scriverei, ma sarei venuto a prenderti costà io medesimo. Essendo povero non posso usare di questa violenza, e devo sottoporre il mio desiderio a ragioni di ben altra natura. Ti dico, dunque, così: se non ci fossero molte speranze e le cose dovessero durare qui per me e per altri nello stato in cui sono state sinora, io ti direi francamente e assolutamente, come ti scrissi due anni fa, quando si trattava di andare alla Repubblica Argentina: qui non si può far nulla, cerca di fare qualcosa altrove. Se non ti dico lo stesso ora assolutamente, la ragione è che credo, che questo stato di cose dovrà finire fra breve; cioè che noialtri esuli ce ne andremo dal Piemonte in ogni caso, tanto se ci sarà la guerra, e con buon successo, quanto se non ci sarà, o ci sarà con cattivo successo. Almeno per me io non potrei restare qui più lungamente, perché non ci fo nulla, né ci posso far nulla. Se io dunque, ti dicessi: vieni, te lo direi sempre con la clausola: per rivederci e per andarcene poi e restare insieme dove vorrà il destino. Ora si tratta appunto 20. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 279-280. 21. Dopo lo sbarco degli esuli napoletani il «Times» organizzò una sottoscrizione in loro favore, con il contributo di alcuni lords e dei principali industriali inglesi; per ulteriori notizie sull’accoglienza riservata dalle autorità londinesi allo Spaventa ed ai suoi compagni, cfr. Romano, Silvio Spaventa, pp. 90 ss. 22. «Altra»: omesso da Vacca. 23. La lettera, sottoscritta da Spaventa, Settembrini e Poerio, è pubblicata nella «Rivista storica del Risorgimento italiano», II (1897), 1-2, pp. 403-404.
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di pensare a ciò. Se le cose rovinano, dove andremo a operare?24 Credi tu di poter fare qualche cosa costì coll’aiuto degli amici sardi, che anche venendo qua per qualche tempo, per rivederci e stare insieme, possa poi ritornare costà e combinare qualche cosa, quando Torino ti fosse venuta a noia o ti fossi persuaso di non poter nulla conchiudere qui? Questo devi considerare. Se tu puoi venire a rivedermi senza pregiudicare affatto il tuo avvenire e precluderti il ritorno costà, se hai qualche po’ di denaro, se ti contenti di mangiare ed abitare con me, se non ti dispiace anzi che io ti faccia da economo, se specialmente ci sono anche più alte ragioni (per esempio politiche) che t’impongono di venire cogli altri in Piemonte; quello che io ti dico è: vieni. Ma, ti ripeto, io non voglio sacrifici per me da parte tua. Ti sei sacrificato tanto! Pensa dunque a quello che ti conviene di fare, his stantibus. Consigliati con Luigi.25 E anche con qualche buon amico di costà, per esempio con Devincenzi, e, se ti convenisse, anche con lo stesso Panizzi,26 al quale potresti forse manifestare chiaro chiaro e onestamente la tua condizione. Del resto ci penserò meglio anch’io. Credo che non ci sia bisogno di decidere con tanta fretta. Tu non partirai certo domani da Londra; e avrai ancora tempo a rispondermi e a ricevere un’altra mia lettera di risposta. Io ti scrivo così con questa pedanteria perché l’unico mio desiderio ora che sei libero (e mi pare ancora un sogno) è che non avessi più a patire, e patire i dolori dell’esilio dopo quelli dell’ergastolo. Se vieni (e se ti conviene, beninteso, di venire), io sarò contentissimo. Ho tante cose da dirti dopo 10 anni! Già i primi giorni mi ti ruberanno qua e là. Ma poi il mondo continuerà a correr come prima. Ma non così per me. Per me sarà una vita nuova, cioè la vera vita, la antica vita. Quello che ti raccomando è di rispondermi subito, a posta corrente, e lungamente, e dimmi qualcosa di preciso di ciò che pensi di fare. Ti raccomando anche di pensare alla salute, assolutamente; bada a non fare spropositi di nessun genere. Ti ho detto già di avere scritto a Papà: gli ho data notizia della tua partenza da Cadice per New York. Come potrò fargli sapere il tuo arrivo costà? Temo che la rabbia del Governo borbonico non avesse a sfogarsi sopra di lui. Non so come fare. Non puoi immaginarti che gioia ha prodotto tra noi la vostra liberazione. Ti salutano, oltre Camillo e Diomede,27 molti amici: Tommasi, i due fratelli Plutino, Conforti, Del Re etc. Ti ricordi di Ciccone, che era segretario della Camera? Io l’ho conosciuto qui; è uno dei miei migliori amici. Ora è in Monaco di Baviera, a studiare. Mi scrive di salutarti.28 Tu salutami tanto tanto Luigi e suo figlio Raffaele. 29 Ringrazia Peppino30 della memoria che ha di me: lo stesso di Carlo.31 Spero siano ristabiliti in salute. Salutami anche il carissimo Devincenzi, e ringrazialo anche della memoria che ha di me in una sua ultima lettera a Imbriani.32 Se lo credi (e non ti secca) anche i miei ossequi al signor Panizzi, che io non conosco di persona. Dovrei dirti tante cose, ma non ho la testa a posto. Di me ora non ti dico niente. Sto bene in salute. Tu scrivimi spessissimo, e dimmi tante cose, tutti quei particolari che 24. Vacca: «riparare». 25. Luigi Settembrini. 26. Antonio Panizzi (1797-1879), patriota esule in Inghilterra; dal 1856 direttore della biblioteca del British Museum, senatore del regno d’Italia dal 1868. 27. Angelo Camillo De Meis e Diomede Marvasi. 28. Cfr. lettera 40, nota 16. Spaventa si riferisce probabilmente alla lettera inviatagli dall’amico il 10 febbraio 1859 da Weihenstephan (SNSP, XXVI.D.2.3). 29. Raffaele Settembrini. 30. Giuseppe Pica. 31. Carlo Poerio. 32. Paolo Emilio Imbriani (1808-1877), letterato e giurista napoletano esule dopo il ’48. Deputato del regno d’Italia nell’VIII legislatura, fu nominato senatore nel 1863.
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possono interessare. Ti ho spedito dal giorno 10, oltre una lettera, tre giornali. Ora te ne invio altri quattro. Se vuoi che continui, avvisamelo. Qui si spera che la soscrizione riesca bene. Mi dici che hai veduto molta gente e che sei molto impacciato. Perché? Sei forse malinconico? Ti ricordi quante volte ti ho detto: animo, coraggio, scrivendoti a S. Stefano? Avrò dunque bisogno di dire lo stesso anche adesso? Ora io sono allegro, e tu devi essere anche allegro. Il mal punto è già superato. Che impressione ti ha fatto Londra? Giacché ci sei, osservala bene, e cerca di conoscere quante persone e più cose puoi. Non ridere, se io ti parlo così, io che qui fo quasi il misantropo e non vedo che pochi amici. Ma per te è un’altra faccenda. Vorrei che intendessi bene il mio pensiero, anche a costo di dovermi riconfessare pedante. Io vorrei vederti, da ora innanzi, contento, felice, senza più guai. Questo è l’unico mio desiderio. Abbracciami Luigi. E della Gigia33 che notizie? Rispondimi subito e dimmi tutto ciò che farai. Le notizie di qui le saprai dai giornali; non ci è nulla di segreto. I volontarii lombardi, parmensi e modenesi continuano a venire a centinaja al giorno. Tu che ne pensi della situazione? Qui speriamo tutti, dopo 10 anni di esperienza, con qualche capello bianco, più o meno, siamo divenuti tutti, o quasi tutti prudenti, positivi. Il certo è però che il fatto che si sta maturando 34 è tale, che, forse, nessuno poteva crederlo. Se avrà luogo, chi potrà non ammirare questo paese che ha già tanti titoli all’ammirazione mia? Ti confesso ciò, sebbene io qui non faccia nulla. Addio. Addio. Bertrando Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 62-64).
103 A Silvio Spaventa Torino, 6 aprile 1859 Mio carissimo Silvio, Hai fatto bene a scrivermi35 perché io qui cominciavo a venire in malinconia. Se vuoi che io viva di buon umore e sia capace di fare qualche cosa, devi scrivermi almeno almeno ogni dieci giorni. E perché anzi non ogni settimana? Che cosa ci vuole a scrivere una lettera a me? Non hai bisogno di metterti in cerimonie; fa come fo io; e immaginati che io stia lì presente e che tu parli con me. Anche a me succede spesso quello che tu dici; quando mi metto a pensare per fare una lettera, finisco col non farla. Il meglio è dunque scriverla come viene sotto la penna, anche a rischio di qualche sproposito. Non puoi immaginarti la mia vita in questi giorni: non dico agitata come la tua, ma a un di presso, sebbene d’un altro genere. Il mio pensiero principale era di ricevere una tua lettera. Ogni mattina ho detto tra me: oggi mi scriverà. Figurati come restavo alla fine della giornata. Non avendo lettere, cercavo di pescare qualche cosa sui giornali; e dovevo leggerne parecchi, perché non tutti abbondavano di notizie sul conto vostro. Domenica mattina finalmente (3 Aprile) non ne potevo più, aspettavo il fattorino della posta alla finestra; lo vedo 33. Raffaella Luigia Faucitano. 34. Vacca: «mostrando». 35. Cfr. la lettera del 15 marzo 1859 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 281-282).
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finalmente entrare dalla porta di strada con una lettera in mano; mi pare di discernere il francobollo; corro all’uscio di scala; fo orecchio; odo uno che sale; era lui che saliva, e la lettera era la tua. Credimi, è stato proprio così. Figurati la mia contentezza. E poi ci era un altro guaio. Incontravo gli amici e i curiosi: hai ricevuto lettere? No – Possibile? E questo bel dialogo per più di quindici giorni, ripetuto con tante persone, che avea quasi risoluto di non vedere più nessuno. Spero dunque che questa sia stata la prima ed ultima volta, e che d’ora in poi tu mi scriverai spessissimo. Non è vero? Sapevo già dei vostri pranzi e delle vostre colezioni: di quello con Gladstone ne hanno parlato quasi tutti i giornali. È inutile dirti, che noialtri, ne abbiamo piacere, non pei fatti in se stessi, ma perché ne può sempre venire qualche bene alla nostra causa. È vero che costoro hanno la loro politica, e non la mutano così facilmente; ma pure credo che la vostra presenza costì non sia assolutamente opera vana. E su ciò altre domande: che ti scrive Silvio dell’opinione degli Inglesi sulla quistione italiana? ovvero: che cosa ha detto lui e i suoi compagni a quei Lordi in favore dell’Italia? Perché non hanno voluto intervenire al meeting? Veramente quest’ultima domanda me l’ho fatta anch’io in sulle prime; ma poi credo di averla più o meno indovinata, pensando che avete voluto separare la quistione di riconoscenza di uomini verso uomini da quella d’italiani verso inglesi. Comunque sia, dimmene, se puoi, qualche cosa. Quanto alle due prime domande te ne scrivo, non già per avere la risposta, ma per dirti tutto. O piuttosto la risposta la ho fatta io medesimo, giacché è conosciuta abbastanza la politica inglese, e conosciutissima la nostra franchezza, e il nostro amore, non di parole certamente, alla patria. Non lessi, né ho potuto leggere poi l’articolo di quel vigliacco di Petruccelli.36 Solo ne seppi qualcosa da D’Ayala. Ma chi s’incarica qui di quel piccolo furfante? Fate bene a riderne. Quanto a te particolarmente basta dire, che mentre costui si occupava di maldicenze private e municipali nel Mondo vecchio e Mondo nuovo, tu scrivevi il Nazionale, ed operavi conforme a ciò che scrivevi. La grettezza dell’uomo si vede sin d’allora. Ora tratta la politica nazionale, come prima trattava gli affari del proprio municipio. Senza badare a tali animali, il cui ufficio è di fare conforme alla propria natura, voi fate quel che dovete; cercate di fare il bene del vostro paese, e non dico convertire, ma far capire a cotesti signori che gli Italiani politicamente non hanno ragione di molto lodarsi di loro. È inutile che ti dica altro; tu capisci la cosa meglio di me. Mi rallegro anche che siete concordi, come vedo da una lettera di Luigi37 a Mariano. Ci è stato qui qualcuno che ha detto di aver saputo da Londra, che parecchi tra voi avrebbero voluto intervenire ai meetings. Dimmi che ci è di vero in questo. Te lo dico, per dirti tutto. Prima che me ne dimentichi, ti prego di rispondere, anche due righe, ad Agostino Plutino.38 Ti devo dire che egli è stato sempre buono con me ed uno di quelli che mi domandavano sempre di te, quando eri a S. Stefano. Gli ho detto, che gli avresti scritto. Ti prego, dunque, di farlo al più presto. Qui non si è creduto mai alla pace, anche dopo la notizia del Congresso, non ci è stato un momento di dubbio. Ora pare che gli spiriti si rialzino. Intanto gli armamenti hanno continuato sempre, e i volontarii continuano a venire; saranno già 10 mila. I nobili lombardi ci son tutti, e ieri sono arrivati anche dei nobili fiorentini. È un incendio universale. Speriamo che arrivi anche a Napoli! 36. Ferdinando Petruccelli della Gattina (1816-1890), scrittore e uomo politico lucano, ben noto negli ambienti politici meridionali per il carattere denigratorio dei suoi articoli sia nel ’48 che nel ’60; deputato del regno d’Italia nelle legislature VIII, XII, XIII, XIV. 37. Luigi Settembrini. 38. Agostino Plutino (1810-1885), patriota calabrese esule in Piemonte, deputato del regno d’Italia dall’VIII alla XIV legislatura e senatore dal 1882.
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Quanto a ciò che tu devi fare, se restare costà o venire in Piemonte, persisto sempre nella mia idea. Credi a me che ho già una lunga esperienza delle cose. Non credere a te stesso, cioè al tuo malumore, al fastidio che ti viene dal vedere sempre tanta gente, e dal non poter avere un momento di quel riposo di cui hai bisogno. L’agitazione cesserà e il riposo verrà. Al mondo non ci è peggio dell’impazienza. Ti ricordi che a Marzo ’49 ti eri annojato al solo pensiero di dover esulare di nuovo? Ora ti annoj di restare costà, e minacci di scappare, per usare la tua frase. Invece, se io potessi, scapperei di qui. Non ho bisogno di dirti che il Piemonte è un paese ammirabile politicamente e italianamente. Ma, poiché ti parlo di me come povero individuo, ti dico che se ci dimorassi cent’anni, ci starei sempre così. Lo stesso è avvenuto agli altri come me, eccetto gli avvocati in pasta e i ciarlatani, i quali ultimi vivono bene in ogni paese. Senti a me. Noi non sappiamo quando queste cose finiranno; non sappiamo di certo se finiranno bene o male; se finiranno con la guerra o con un pasticcio diplomatico. Io tiro avanti per ora alla meglio, perché mi ci trovo, fo quello che fo e non mi muovo, quasi per una forza d’inerzia. Ma tu che devi ricominciare, la cosa è ben diversa. Bisogna far bene il primo passo. Qui, ti ripeto, non si fa niente. Se tu avessi gran rendite, ti direi: vieni, sta qui quanto tempo ti pare, e poi riparti e poi ritorna. Ma tu devi guadagnarti onestamente la vita; e qui non è il luogo. Dunque allegramente, mio caro Silvio. Fa come se non ti annoiassi, e giacché conosci tanta gente, cerca di cavarne onestamente un po’ di bene. Il tuo primo pensiero, che mi scrivesti da Cadice, era buono in mancanza di altro di meglio. Tu mi dicevi: se non potrò far altro in Inghilterra, farò lezioni d’italiano. Ebbene io ti ripeto: se non puoi far altro, fa questo diavolo! con tante conoscenze, con tante relazioni, e aggiungo anche con tante simpatie, non puoi riuscire, volendo, né meno a questo? È tempo di pensarci, ed il buon Panizzi ti può consigliare e aiutare in ciò. Se poi puoi far altro di meglio, meglio. Ma devi pensarci seriamente. Calcola bene quanto tempo puoi stare a Londra senza far nulla e spendendo senza guadagnare; e intanto impara bene la lingua. Senti a me. Tu devi fare come se questo stato di cose dovesse durare. Venendo qui per restarci, ti annoieresti peggio, passati i primi giorni. Se tu fossi militare, ti direi: vieni, è tempo di combattere. Ma non sapendo, come maneggiare le armi, puoi essere egualmente utile costà al nostro paese, anzi più costà, che qua. Di che abilità sono io qui? Dunque a Londra, caro Silvio, anche a costo di noie e fastidii. Quando poi avrai fatto gran danari, io ti verrò a rivedere e a stare un po’ con te e a vivere a tue spese. Non è vero? Intanto ti raccomando sempre di non fare spropositi e di badare alla salute. Quando penso che sei uscito vivo dall’ergastolo, mi pare di sognare. Se sapessi che desiderio ho di rivederti dopo quasi 10 anni, (pure) mi modero. Ti avrei a dire tante cose; ma aspetto. Il pensiero che mi preoccupa ora è di vederti ben collocato. Tu hai bisogno di pace e di tranquillità, anche per studiare e coltivare sempre più lo spirito. Ora la pace non si ha, quando bisogna logorarsi il cervello per vivere. Del resto, prima di prendere un partito qualunque, scrivimi e aspetta la mia risposta. Bisogna pensarci bene prima. Ti raccomando anche l’economia, se è possibile. Domenico Mauro39 vorrebbe che dicessi a suo fratello Raffaele,40 che gli ha scritto già due volte per Londra, ma senza indirizzo. Consegna l’acchiusa mandatami da un mio amico da Firenze, pel signor Schiavoni. Ti salutano tutti gli amici. Mi scordai l’altra volta di darti i saluti di Peppino Moccia. Ti ricordo due cose: 1) di non deciderti prima di scrivermi; 39. Domenico Mauro (1812-1873), poeta e patriota calabrese, esule in Piemonte dopo il ’48; deputato del regno d’Italia nelle legislature IX e X. 40. Raffaele Mauro, compagno di prigione di Silvio, anch’egli esule a Londra.
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2) di scrivermi subito e non farmi aspettare 17 giorni!!! Saluto Luigi e Peppino41 tanto tanto. Saluto Carlo.42 Bertrando tuo P.S. A Luigi e a Peppino non dico altro di quello che ho detto a te. Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 65-67).
104 A Silvio Spaventa Torino, 11 aprile 1859 (riservatissima) Mio carissimo Silvio, Ti scrivo prima di ricevere la tua risposta alla mia lettera del 6, perché non credo inutile dirti alcune cose. Sarò breve, perché non ho tempo di scrivere una lunga lettera. Qua è stato scritto da Londra (mi si assicura, da personaggi considerevoli) a qualcuno e si è saputo da parecchi dei nostri, che la vostra condotta costà ha meritato l’universale approvazione, e non ha poco contribuito a mutare, in certo modo, le opinioni intorno alla nostra causa, non esclusa quella di cotesto governo. Sono certo che non vi stancherete e continuerete a battere prudentemente il ferro ora che è caldo. Intanto da ciò che ho potuto raccogliere, udendo questo e quello, una voce e l’altra, mi pare che qui, almeno tra i nostri, il desideratum sarebbe questo. Te lo riferisco non per consigliarti, ma per non tacerti nulla: del resto giudicate voi altri sul luogo ciò che vi conviene di fare. Si vorrebbe dunque che, già s’intende, continuaste a battere, tanto sull’una che sull’altra incudine, cioè a trattare tanto la quistione maggiore quanto la minore, se così posso dire: la italiana e la napoletana. Non sacrificio di quella a questa certamente, ma né anche trascurare questa, tanto più che, ben trattata l’ultima, potrebbe giovare alla soluzione della prima. Far capire sempre più a cotesti uomini di Stato ed altri, che austriaci e italiani sono incompatibili eternamente, e che la pace perpetua, che essi desiderano, sarà una guerra perpetua, finché si vorrà che i primi pesino sul collo ai secondi. Far capire questo, sebbene siate persuasi che codesti statisti non verranno a risolversi di dire all’Austria: vi consigliamo ad andarvene dall’Italia. Qualcuno, volendo parere forse più accorto, ha detto, quasi che sarebbe meglio che non parlaste di ciò, certi come siete di non riuscire; e invece adoperate tutte le vostre forze a persuadere costoro ad esigere tali condizioni dall’Austria, per la tranquillità e pace del mondo, che l’Austria non possa accettare; e quindi si venga alle mani. Ma ammettendo l’utilità di questo secondo mezzo, io credo (vedi che io parlo in nome mio, e io non sono uomo politico) che a voi convenga usare anche il primo, anche certi, come siete, che non riesca. Voi non siete diplomatici, ma uomini che avete suggellato con lungo martirio la vostra fede nella libertà e nazionalità. Non parlare della nazionalità sarebbe un parlare da vostri pari: ciò ho risposto io a chi mi pareva che facesse quella tale proposta. Dunque dire così in principio che la vera pace dipende dalla nazionalità italiana, e poi, 41. Giuseppe Pica. 42. Carlo Poerio.
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senza manifestare il fine, far comprendere che volendo, non una pace durevole, ma una pace di qualche tempo, un palliativo, e che so io, bisognerebbe che l’Italia acquistasse, garanti le potenze, hoc e hoc. E quest’hoc dovrebbe essere tanto che l’Austria non ne volesse sapere. Per esempio, come dare un palliativo che durasse qualche po’ di giorni, se tutti gli Stati italiani non avessero una «costituzione» come il Piemonte? Se non formassero una confederazione? E il Lombardo-Veneto sarebbe incluso o no? Qui non entro in particolari. Dico solo, c’est selon. Se poi ci fosse costà possibilità di disposizione a non voler palliativi, tanto meglio. In questo caso, agire nel primo senso. Quanto a Napoli, perché non parlarne ancora? E qui far capire forte che tutti i palliativi saranno infruttuosi assolutamente sine costitutione come in Piemonte. E la quistione dinastica toccarla o no? Qui non so dirti nulla. Trattarla con precisione potrebbe, forse, crescere il disaccordo tra Inghilterra e Francia. In generale poi la quistione napoletana vi sarà più facile trattarla, perché costà tutti sanno cosa è quel governo e che cosa vuole quel paese. Voi parlate colla vostra presenza costà. Io non ti dico altro; non conchiudo nulla. Non ti fo un disegno. Non ti suggerisco nulla. Ma ti narro soltanto i punti sui quali si discute tra noi. Quello che a me par chiaro in tutto ciò è questo: che voi potete benissimo trattare la quistione italiana senza abbandonare la napoletana. Ma il modo? Concertatevi tra voi. Io ho parlato sinora in futuro, come se non aveste fatto nulla sinora. Ma scusami; voglio dire: continuate a fare. Scrivo in fretta. Intanto ti voglio avvertire una cosa. Se scrivi o rispondi a qualcuno, non scrivere quello che non vorreste che si sapesse. Le lettere si fanno sempre leggere. Oltre a ciò, ci sono certi che non capiscono, che son nati per pigliare equivoci. Noi altri qui, che non abbiamo che fare, ci divertiamo spesso ad almanaccare sulle parole e anche sulle virgole. Giacché parlo di equivoci, ho motivo di fare, anzi di ripetere, una distinzione. Ti ho detto sempre che qui è il paese dove non si fa nulla da uomini come noi. Ciò non vuol dire che politicamente e italianamente non sia un gran paese. Senza di questo paese la quistione italiana non sarebbe allo stato in cui è. Non posso dirti per ora le ragioni per cui ti rinnovo questa distinzione. Ti dico solo, che se taluno ti domandasse: perché non vieni a Torino? Non rispondere: perché mio fratello e altri degni non vi hanno conchiuso nulla. Ti ripeto che ti dirò poi le ragioni. Intanto ti ripeto che qui non ti gioverebbe venire. Più: considerando l’utilità patria e universale, sei più utile costà che qua. Ti prego di pigliare nel senso che merita questa lettera. Te l’ho scritta, perché non scrivendotela, mi pareva di non riposare. Intanto non la far leggere a nessuno, nessuno; e fanne quel conto che credi. Ciò che io desidero è che facci il bene del paese, dell’Italia, e ti conservi e cresca sempre più nella stima dei buoni. Ho udito ciarlare e ti ho voluto dire le mie impressioni. Non vorrei che queste facessero cattiva impressione in te. Addio, rispondimi subito. E se vuoi chiarimenti maggiori, te li darò. Quello che ti avverto è, che, se scrivi a taluno, ricordati dell’avvertimento. Riderai leggendo questa lettera, come ho riso io rileggendola. È una lettera senza capo né coda. Ma quel che è fatto è fatto. È fatta e deve andare. Addio. Bertrando P.S. – Rileggendo questa lettera capisco me stesso, e il vero suo senso è questo: se vuoi chiarimenti su ciò che si pensa qui dai nostri, formula tu i punti, e io ti risponderò. Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 67-69).
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105 A Silvio Spaventa Torino, 19 aprile 1859 Mio carissimo Silvio, Ho tardato un poco a risponderti, e non saprei dirti la cagione, perché non la so nemmeno io. Sono due giorni che ho qui la lettera di Camillo,43 e non te l’ho inviata ancora.44 Con tutta la buona volontà, che ho, di scriverti una lettera lunga, temo che non ci riesca. Non credere che io sia malinconico; ma che vuoi? Sono tre o quattro giorni che non mi piace di far nulla, e se mi ostino a far qualche cosa, comincio e non finisco. Ma passerà, e non sarà più niente. Non ti dico niente della soddisfazione che ho sentito nel leggere la tua lettera.45 Essa ha superato le nostre speranze. L’ho fatta leggere a due o tre amici, compreso il mio caro Ciccone, che è qui tornato da Monaco, e tutti hanno ammirato l’accorgimento e la finezza della vostra condotta. Tommasone46 poi è fuori di sé: bravo, bravissimo, viva i nostri etc. Ieri sera mi ha detto d’aver scritto a Peppino47 una lettera di fuoco. Io capisco il fuoco di Salvatore, e spero che lo capirete anche voi. Se lo vedessi, ha lo stesso entusiasmo del ’48. Ti prego dunque di far riflettere a Peppino, che non pigliasse alla lettera le frasi di Salvatore. Noi non sapevamo niente delle mene mazziniane 48 e perciò ci mancava la chiave per spiegare una parte del vostro procedere. Quello che possiamo dirvi in generale è di continuare sempre ad insistere in tutto e su tutti. Di Napoli non sappiamo niente ancora, nemmeno la morte di quel Re officialmente. Si parla di diversi partiti nel regno; d’intrighi dinastici e mezzo liberali.49 Ma sinora tutto è buio. Ho sentito che è stato scritto costà (credo a Poerio) per vedere se non sarebbe utile che voi veniste ora qui, per intendersi tutti insieme sul da fare ora a Napoli. Io non so che dirvi su ciò. Tu ci penserai bene. Non so poi quanto sarebbe conveniente, che nessuno di voi rimanesse costì, dove potete ancora giovare non solo alla causa italiana, ma anche alla napolitana. Su Napoli non si può fare verun prognostico, tanta è l’incertezza e l’ignoranza delle cose del nostro paese. Ad ogni modo io persisto nella mia opinione circa al tuo venire qua. Camillo ti parla di Ottentotti;50 questa parola farebbe andare in furia Tommasi. E pur è vero. Ma con tutto ciò noi amiamo immensamente il Piemonte; perché politicamente l’Italia è qui. La virtù politica dei Piemontesi è degna di ammirazione. Ma questa ammirazione non ci impedisce di dire quello che è un fatto. Forse è anche vero che tutti i paesi sono così, e che ci vuole sempre una certa dose di ciarlataneria. Ma sia come si sia, il certo è che se tu volessi restare qui e avessi bisogno di lavorare per vivere, sarebbe invano. Ti ripeto queste cose, perché i nostri, venuti da Londra, dicono tutti che tu verrai alla fine del mese; e ciò 43. Angelo Camillo De Meis. 44. Si riferisce alla lettera del 16 aprile pubblicata in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 292-294. 45. Cfr. la lettera di Silvio del 12 aprile (ivi, pp. 282-287). 46. Salvatore Tommasi. 47. Giuseppe Pica. 48. Cfr. la citata lettera di Silvio (S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 283-284). 49. Ferdinando II, colpito da un male incurabile, morì il 22 maggio 1859. La successione al trono del figlio Francesco II fu accompagnata dai tentativi dei fratelli del sovrano scomparso, il conte di Siracusa e il conte d’Aquila, di orientare in senso liberale e filopiemontese la politica borbonica. 50. Nella citata lettera del 16 aprile De Meis aveva scritto: «Non credere che noi qui siamo stati in mezzo alle rose: tutt’altro; siamo vissuti sempre nel più compiuto isolamento, nella più profonda miseria! Vivendo in Italia è come se ci fossimo trovati fra gli ottentotti» (ivi, p. 293).
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hai scritto anche a Plutino. Tu hai giudizio e opererai in tutto con prudenza. Ti prego però di farmi sapere a tempo la tua risoluzione. Notizie di qui non te ne do perché le saprai dai giornali. I volontarii continuano a venire in numero sempre crescente da tutte le parti d’Italia, meno dal regno. In due soli giorni son venuti circa 1.200 toscani. Scriverò subito a Papà. Risponderai a Camillo. Ti avverto, non però a proposito di Camillo, di essere piuttosto riservato nel rispondere alle lettere che ti scrivono. Ma tu hai senno, e è inutile che ti dica di più. Aspetto sempre tue lettere. Io non so altro che dirti; se mi passa la svogliatezza, ti scriverò fra giorni lungamente. Ringrazia per me il duca di Caballino51 e salutalo distintamente. Addio. Scrivimi prima di risolvere. Qui si aspetta la guerra; ma niente è certo sinora. Forse questa incertezza mi rende svogliato. Saluto Poerio. Bertrando Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, pp. 69-70).
106 A Eustachio Spaventa Torino, 21 aprile 1859 Mio carissimo Papà, Vi ho scritto un’altra lettera nel mese scorso, e spero che vi sia giunta. Vi prego di rispondermi e dirmi come va la vostra salute. Silvio è a Londra sin dai principi di Marzo, e sta bene in salute. Coloro che l’hanno veduto mi dicono che è florido e robusto. Mi scrive spesso, perché la posta viene in quattro giorni. Non so quando verrà qui, ma spero di rivederlo fra breve. Anch’io sto bene. Vi prego di continuare ad essere tranquillo e a sopportare con rassegnazione la nostra lontananza. Badate alla salute e conservatevi al nostro amore. Salutate anche per parte di Silvio tutti i nostri parenti ed amici, e specialmente Clotilde e Berenice52 coi loro mariti e figli, e gli zii Peppino,53 Camillo 54 e Luisa.55 Addio, mio caro Papà. Sono sempre Vostro affezionatissimo figlio Bertrando SNSP, XXVI.D.3.2 (inedita).
51. Sigismondo Castromediano, duca di Caballino (1811-1895), archeologo, compagno di prigione di Silvio. 52. Sorelle di Bertrando. 53. Giuseppe Spaventa. 54. Camillo Spaventa. 55. Luisa Croce.
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107 A Silvio Spaventa Torino, 4 maggio 1859 Mio carissimo Silvio, Rispondo subito alla tua lettera, che, scritta il 28 Aprile,56 non so come porti il bollo di Londra del 30. Avrei risposto ieri stesso, ma la posta giunse con molto ritardo, e quando ricevetti la tua lettera non era più tempo di scrivere. È inutile che ti dia notizie di qui; tu sai e saprai tutto per mezzo dei giornali. Gli austriaci si avanzano, ma lontanamente.57 I francesi sono venuti con una rapidità incredibile e ne vengono ogni giorno. Già sono circa 70 mila. La linea dei nostri è alla destra del Po. Tra giorni può avvenire qualche gran fatto fra Casale e Alessandria. Non so se gli Austriaci vorranno venire più a Torino. Li lascerebbero forse venire, ma non ritornare. Ad ogni modo, se ci sarà pericolo, prenderemo le nostre precauzioni. Ti ringrazio dell’offerta che mi fai. Sapevo già delle tue ricchezze; ma non te ne ho voluto dir nulla per non parlare di tali miserie. Io ho qualche po’ di denaro, che mi basterà per qualunque caso. Sai anche le notizie di Toscana. Di Napoli solo, niente. Non ho nulla a dire contro il tuo proposito di lasciare Londra e venire qua: anzi già volevo scrivertene. Tutte le ragioni che tu mi rechi, la salute, i tempi straordinari, la dignità, etc. mi persuadono; e, ti ripeto, non ho nulla a dir contro. Dunque vieni, e il più presto possibile. Vorrei però che me ne dessi subito avviso, indicandomi il giorno della partenza e quello che credi di poter giungere a Torino.58 Io ho una camera libera per riceverti; se te ne contenti, potrai abitare con me. Pel pranzo ti farò spendere poco: circa un franco al giorno. Dunque camera gratis, e di cui tu sarai l’assoluto padrone, venti soldi pel pranzo, niente pel servizio etc.; ecco quello che io posso offrirti. Ma di ciò parleremo a suo tempo. Intanto ti raccomando di portare con te tutta la biancheria che puoi, specialmente da letto, perché io non ne ho molta. Qui spenderai ben poco, e potremo fare economia. Ti ripeto, avvisami subito, affinché io possa venire a riceverti alla stazione della via ferrata. Se ti trattieni qualche giorno a Parigi, scrivimi anche da colà. Cerca di vedere il bravo Castorani nostro abbruzzese, di cui ti parlava Camillo.59 Ho avuto lettere di Papà. Sta bene in salute, e sapeva già del tuo arrivo in Inghilterra, prima che io gliene avessi scritto. Qui si vorrebbe fare qualcosa per Napoli. So che questo è il motivo della subita partenza di Poerio; l’hanno chiamato per mezzo di Scialoja.60 Finora non si sa, o almeno io non lo so, che cosa pensi questo governo su Napoli. Ho sentito dire, che il governo inglese spingerebbe quello di Napoli a larghezze, anche alla costituzione: forse per opporsi all’influenza francese. Ma ad ogni modo Napoli dovrebbe concorrere alla guerra dell’indipendenza: questo è il gran punto. Qui veramente poco si è pensato a Napoli e da Napoli e dal Governo piemontese. Tu hai gran ragione di dire, che se Napoli non concorre al movimento nazionale, tanto peggio per noi. Il nostro gran difetto è di non essere mai uniti, di voler fare ciascuno a modo suo. Vedremo che n’esce da quello che si cerca di fare ora. Ma di ciò parleremo alla tua venuta, e vedrai tu stesso le cose. Credo che non ci sia 56. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 290. 57. Vacca: «lentamente». 58. Vacca omette il brano seguente relativo alla futura sistemazione logistica di Silvio a Torino. 59. Angelo Camillo De Meis. 60. Allusione all’abboccamento che Poerio insieme a Scialoja ebbe con Cavour, dichiarandosi contrario a un’eventuale alleanza del Piemonte con Napoli.
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tempo da perdere; e che verrai subito.61 Lascio per ora di scriverti. Ripiglierò oggi, se ho ancora qualche altra cosa a dirti. (Ore 10 antimeridiane). Non ci è niente di nuovo. Piove dirottamente da due giorni. È verissimo ciò che dici, che i nostri non si spiegano chiaro su quello che converrebbe fare per Napoli. Non so se sia inettezza, poltroneria, o timore di compromettersi. Ma bisogna rassegnarsi; questo è il mondo, specialmente il mondo napoletano. Passi l’ambizione; ma vorrei che non fosse meschina e stupida, ma nobile e grande. Ora ciò che manca a noialtri è la grandezza dei concepimenti; la nostra ambizione è sempre quella dei gran faccendieri di provincia. Del resto pigliamoci il male pel poco di bene che ci è, se ve n’è. Pensiamo a fare che Napoli sia qualcosa, e non per questo o quello, ma per Napoli e per l’Italia. Coloro che hanno voce e d’autorità gridino e parlino chiaro.62 Lascio la predica, che ci è sempre tempo. Dunque, in conchiusione: se devi venire, vieni presto. Vieni, e bada al viaggio, vieni in buona salute. Ricordati di scrivermi subito e di portar biancheria, se ne hai. Finalmente ti rivedrò. Camillo, Diomede,63 Tommasi ti salutano. Saluto caramente Luigi,64 Peppino,65 Braico.66 Addio. Scrivimi subito. Bertrando Originale perduto, già in BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201 (ed. in Vacca, Gli hegeliani, pp. 14-15).
108 A Eustachio Spaventa Torino, 26 maggio 1859 Mio carissimo Papà, Ho ricevuto le vostre lettere del mese di Marzo, le quali, dandomi notizie del buon stato di vostra salute, mi hanno veramente riconfortato. A questa consolazione si è aggiunto l’arrivo di Silvio qui. 67 Finalmente l’ho riveduto e riabbracciato dopo quasi 10 anni di dolori e di patimenti. Considerate la mia allegrezza. Posso dire di essere rinato, e ora non mi manca che rivedere voi e la famiglia. Silvio sta bene in salute e molto meglio che io non l’avea lasciato a Napoli. A vederlo, non pare che abbia tanto sofferto e sia vissuto tanti anni lontano dal mondo. Voi date questa buona novella ai nostri parenti, i quali saluto tutti caramente: zia Luisa68 e figli, gli zii Camillo e Peppino,69 Clotilde, Berenice70 e i loro mariti. Vi prego di conservarvi sempre bene in salute, perché possiamo un giorno 61. Vacca tralascia qui il brano seguente, a suo giudizio irrilevante. 62. Sono omessi da Vacca la conclusione e i saluti. 63. Diomede Marvasi. 64. Luigi Settembrini. 65. Giuseppe Pica. 66. Cesare Braico (1816-1887), medico, garibaldino, deputato del regno d’Italia nell’VIII legislatura. 67. Silvio, partito da Londra il 7 maggio, giunse a Torino a metà mese. 68. Luisa Croce. 69. Camillo e Giuseppe Spaventa. 70. Sorelle di Bertrando.
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rivederci. Sopportate ancora con rassegnazione e coraggio l’avversa fortuna, che con la liberazione di Silvio è già fatta men dura di prima; e siate sempre tranquillo. Io sto bene in salute, e sebbene non più giovine come 16 anni fa, pure non posso dolermi dei molti anni che ho, specialmente quando considero che buona parte della vita l’ho menata in esilio e lontano da voi. Addio mio carissimo Papà e amate sempre Il vostro Bertrando SNSP, XXVI.D.3.2 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 298-299). Nella busta è inclusa anche una lettera di Silvio al padre, pure già edita (ivi, p. 299). Copia di entrambe è conservata nella BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201.
109 A Eustachio Spaventa Torino, 27 luglio 1859 Mio carissimo Papà, Abbiamo ricevuto le ultime vostre lettere e ci siamo molto rallegrati di sentirvi in buona salute. Silvio ed io stiamo anche bene. L’unico nostro desiderio è di riunirci a voi e di rivedere i nostri parenti. Intanto vi esortiamo sempre ad aver pazienza e a continuare in quella tranquilla rassegnazione che avete mostrato sempre in tante disgrazie. Badate sempre alla salute e conservatevi all’amore dei vostri carissimi figli. Salutateci caramente gli zii Peppino e Camillo,71 e zia Luisa72 coi figliuoli. Abbracciate per noi Clotilde73 e scrivete tante cose per noi a Berenice e Raffaele. 74 Scriveteci spesso e dateci notizie vostre e dei parenti. Sono sempre Vostro Affezionatissimo Bertrando Vi raccomando sempre di star bene e di vivere al possibile tranquillo e speriamo di rivederci, forse tra non molto. Così Bertrando come io stiamo bene. Salutate per me i nostri che saluta Bertrando. Scriveteci spesso. Avvaletevi anche della posta con questo indirizzo. Torino – Via dei Fiori, 12, o mandate le vostre lettere a Felicetta.75 Addio, caro Papà. Vi abbraccio con tutto il cuore. Vostro figlio Silvio SNSP, XXVI.D.3.2 (inedita). Nella busta è inclusa una lettera di Silvio al padre, anch’essa inedita, riportata di seguito. Copia di entrambe è conservata nella BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201.
71. Giuseppe e Camillo Spaventa. 72. Luisa Croce. 73. Clotilde Spaventa. 74. Raffaele Paolucci, marito di Berenice e amico d’infanzia dei fratelli Spaventa. 75. La cugina Felicetta Ulisse con cui Silvio fu in corrispondenza dal 1853 al 1860 (cfr. lettera 56, nota 7).
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110 A Silvio Spaventa Torino, 11 agosto 1859 Mio caro Silvio, Non mi fa meraviglia che da Torino a Milano voi ci abbiate messo sette ore, se la tua lettera dalla posta a casa ce ne ha messo ventiquattro.76 L’ho ricevuta ieri sera e ti rispondo subito. Accetterei volentieri un’occupazione qualunque a Milano, tanto sono seccato di Torino. Ma, come capisci bene tu stesso, la cosa dovrebbe essere conchiusa subito, per poter sciogliersi da qualunque impegno col Ferrara77 a tempo. Ieri mattina incontrai Camerini, il quale mi disse che il giornale comincerebbe forse alla metà del mese; di aver parlato (prima della partenza) col Ferrara del mio onorario (150), e che costui non avea veramente detto di sì, ma piuttosto sì che no. Avea parlato anche della lettera di obbligo per sei mesi; e mi diceva: col Ferrara bisogna fare così, perché non è poi un uomo così buono da potersene fidare ad occhi chiusi. Io farò il possibile delicatamente di non conchiudere niente di positivo prima di sapere qualche cosa dell’affare di Milano. Già Ferrara non mi ha detto nulla del giorno che il giornale comincerebbe, né lo vedemmo prima che partisse. Aspetto dunque subito tue lettere. Raccomando all’entusiasmo di Salvatore78 questa faccenda; che riveda Correnti, e cerchi di conchiudere qualche cosa. Tu pure datti da fare. Ho gran voglia di lasciar Torino. Credo che a Milano si potrebbe anche fare qualche lezione. Dimmi quando tornerai; spero, subito: meno in caso di grandi affari. Di qui niente di nuovo. Non vedo quasi nessuno, né so se i grandi politici e future nostre Eccellenze aspettano ancora costituzioni borboniche etc. Resterebbe una sola via: quella di raccomandarsi alla beata Maria Cristina79 facendo celebrare a nome dell’emigrazione napolitana a Torino un triduo in onore etc. Questo mezzo sarebbe degno degli altri tentati sinora. Non so come non ci abbiano ancora pensato. Ma spero che, per l’onor nostro, ci penseranno. Vorrei parlarne coi capi e fare delle proposte. Consigliati con Salvatore e fammi sapere che ne dice. Massari, come il più credente di tutti, potrà essere incaricato di compilare un invito sacro; Camillo80 potrebbe leggere un fervorino, etc. Bene inteso, che la raccolta delle date precise dei miracoli e di altri fatti straordinari dovrebbe essere commessa al Signor Mariano, 81 se pure la vita di Mascolo glielo permetterà. Addio dunque. Scrivimi a tempo e ritorna presto. Saluto Salvatore. Ricordati di scrivermi a tempo per Ferrara. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 303-304).
76. Cfr. la lettera di Silvio del 7 agosto 1859 (ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 301-302). 77. Francesco Ferrara (1810-1899), economista e uomo politico fu ministro delle finanze nel secondo governo Ricasoli (10 aprile-4 luglio 1867). Deputato del regno d’Italia dall’XI alla XIII legislatura, fu nominato senatore nel 1881. Il giornale cui si allude di seguito è la «Perseveranza», diretta fino al 1865 dal giornalista friulano Pacifico Valussi (1813-1893). 78. Salvatore Tommasi. 79. Ironica allusione alla regina Maria Cristina di Savoia, moglie di Ferdinando II di Borbone. 80. Angelo Camillo De Meis. 81. Mariano D’Ayala.
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111 A Silvio Spaventa Torino, 15 ottobre 1859 12 via dei Fiori Il tuo indirizzo? Mio carissimo Silvio, Ricevo ora appunto la tua lettera e rispondo subito. Ti dico brevemente che bisogna operare, come se altri non operasse. Giacché gli altri si danno da fare, diamoci da fare anche noi. Animo dunque, sollecitudine, prontezza. Giacché Ricasoli,82 Salvagnoli ed altri tuoi amici ti hanno così bene accolto, parla chiaro con loro. Dì loro francamente quello che io potrei e vorrei fare, ed anche la vita che meno qui, e ciò che forse farei se non fossi costretto a fare articoli. Giacché finalmente gli altri non hanno alcun riguardo verso di noi, noi non siamo obbligati a badare a quello che fanno gli altri. Ti raccomando di non perdere un momento di tempo. Se non ci è da far nulla a Pisa, tenta per Firenze. A Firenze la cosa sarebbe più conveniente. Già sapevo del collegio di perfezionamento, di cui mi parli. Che male ci sarebbe, se ci fosse una cattedra di storia della filosofia italiana? Sia moderna, sia antica. Ripeto, parla chiaro, e cerca di vedere subito anche il Giorgini.83 Fa presto, perché di qui a poco è probabile che tutti i napoletani di qui invaderanno la Toscana. Pisanelli dice di voler venire. A Tofano84 è stata offerta una cattedra di diritto penale!? [sic] Anche il nostro Ciccone spera di avere qualcosa. Eccetera, eccetera. Vedi bene che non ci è tempo da perdere. Non ti scordare di mostrare il mio gran volume. Ti raccomando però di non perderlo. Ma soprattutto: segreto. Qui hanno la buona convinzione che tutta la mia possibile carriera debba essere quella delle matematiche. Lo stesso giorno che tu partisti, un amico mi disse che avrei potuto ottenere facilmente per mezzo di Poerio qualche posto di matematica in un collegio di provincia qui. Risposi, che mi meravigliava come non si fosse pensato a farmi ottenere per mezzo di Poerio una qualche buona cappellania! Ho ragione di credere che la proposta venisse in parte dallo stesso Poerio. Come sono curiosi! Non si vogliono persuadere, che se altri ha dormito per dieci anni, io non ho dormito. Non ho scritto a Farini, 85 perché le cattedre vuote sono di altra materia, e non si tratta che di provvedere le vuote. Ci è solo quella di algebra elementare. Ma non ne voglio sapere. E poi l’onorario è di 1.800 fr. l’anno. Invece pare che Camillo86 potrà andare a Modena, se pure non andrà altrove e in miglior loco. Almeno so che Scialoja ha deciso di fare per Camillo. È stato qui Correnti; ma io non l’ho visto. L’ha visto Tommasi, il quale ti ha scritto già di che si tratta. Vogliono insomma te come collaboratore ordinario e me – forse – come straordinario. Quanto all’affare del collegio militare, Correnti dice di averne parlato più volte con Mauri, il quale ha 82. Bettino Ricasoli (1809-1880), uomo politico toscano, ministro nel governo provvisorio toscano e più volte in quelli postunitari. Presidente del Consiglio dei ministri (12 giugno 1861-3 marzo 1862 e 20 giugno 1866-10 aprile 1867), fu deputato del regno d’Italia dall’VIII alla XIV legislatura. 83. Giovanni Battista Giorgini (1818-1908), uomo politico toscano, deputato del regno d’Italia nella VII, VIII e X legislatura. Fu nominato senatore nel 1872. 84. Giacomo Tofano (1798-1870) giurista, patriota e uomo politico, anch’egli esule a Torino dopo il 1848. Fu deputato del regno d’Italia dall’VIII alla X legislatura. 85. Luigi Carlo Farini fu inviato da Cavour come regio commissario a Modena e nominato dittatore dopo il trattato di Villafranca. 86. Angelo Camillo De Meis.
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detto che farà tutto ciò che dipende da lui. Più, Correnti ti avrebbe scritto. Tu hai giudizio, e non ho bisogno di dirti che – se l’offerta ti piace – prima di muoverti devi essere sicuro di ciò che ti promettono. Non è cosa da trattare a occhi chiusi. Alle promesse di Correnti non ci è da credere così. Puoi pigliare un po’ di tempo e riflettere, e dire le condizioni che poni etc. Quello che devi fare ora è di conchiudere qualche cosa costì per noi. Se Centofanti87 non continuasse, la cosa potrebbe considerarsi forse come facile. E sai che la storia mi converrebbe meglio che la teoria…Ti raccomando sempre la salute e non fare spropositi. Un’altra cosa: la maggior possibile economia, perché non si sa che sarà di noi. Più: un’occupazione qualunque, perché non ti vinca la noia. Non dire: farò domani, perché non farai mai nulla. Bisogna fare immediate. Vedrò Pietro.88 Tu fammi sapere qualcosa di politica, specialmente di Napoli. Io non so nulla di nuovo, meno il gran dolore del nostro Poerio in questi giorni che si temeva una guerra fratricida fra i soldati della nazione napolitana e quelli della nazione italiana piemontese! Cesare89 è arrabbiato per questo. Io sto bene e Isabella e Millo90 stanno bene. Millo non si è scordato ancora di te. Ti crede a Torino e dice che sei andato da Pardi e da Masi. Se ti serve qualche libro, scrivimi. Dunque ti raccomando prontezza. Dì chiaro la nostra condizione al Signor Cencio. Moscone ti scrisse da Parma lo stesso giorno che partisti. Ti raccontava l’uccisione di Auriti e nulla più. Gli ho risposto io, e gli ho detto che sei a Firenze. Saluto tutti gli amici, Berardi, De Blasiis,91 Villari. Rispondi subito e non al solito. Muoviti per cristo. Bertrando P.S. Tante cose per me al Vieusseux. SNSP, XXVI.D.3.1 (brevi stralci in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 305, 312).
112 A Silvio Spaventa Torino, 23 ottobre 1859 Mio carissimo Silvio, Aspettiamo dunque il ritorno di codesti tuoi amici, e che tu possa vedere il Giorgini. Vedo anche io che la cosa non è facile, ma bisogna fare ciò che si deve, bene inteso sempre onestamente e con decoro. Se non riesce, pazienza. Ti raccomando di non perder tempo; e segreto. Di qui niente di nuovo, eccetto i soliti pettegolezzi e i dispacci sulla pace che saprai a quest’ora. Sono andato ieri l’altro da Pietro92 per sapere qualche 87. Silvestro Centofanti (1794-1880), filosofo, filologo e letterato, fu nominato senatore nel 1860. 88. Pier Silvestro Leopardi. 89. Cesare Napolitano. 90. Camillo, detto Millo, figlio di Bertrando. Vale per tutte le occorrenze successive. 91. Francesco De Blasiis (1807-1873), uomo politico meridionale esule in Toscana; ministro dell’agricoltura, industria e commercio nel secondo governo Rattazzi (10 aprile-27 ottobre 1867) e deputato del regno d’Italia dall’VIII all’XI legislatura. 92. Pier Silvestro Leopardi.
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cosa, ma non mi ha detto altro che quello che io già aveva letto nei giornali. Se avrò tempo ci tornerò oggi prima di chiudere la lettera. Di Napoli niente. Dei Napoletani di qui anche niente, almeno in apparenza. Il Barone93 fa ciò che faceva. Scrive sempre lettere, e ne parla a diverse persone sempre diversamente. Un amico mi assicura che gli ha inteso dire: ho scritto a…, che a Napoli bisogna conquistare la libertà per redimere la dinastia. – Questi signori si possono dunque chiamare la confraternita della santissima redenzione. – A un altro ha detto: ho scritto che bisogna operare e fortemente operare, anche rivoluzionariamente. A un altro: non bisogna dire chiaro non vogliamo i Borboni; perché i Borboni sapendo ciò non concederanno niente; bisogna far credere ai Borboni che noi li vogliamo; così avranno fede in noi, e poi noi penseremo a disfarcene comodamente. – Un tale mi diceva sere fa: egli (il Redentore) ha profondamente (sic) capito, che i Borboni non si possono cacciare che coi Borboni. E certamente nell’ultimo detto la profondità è flagrante. Gl’innamorati della confederazione, dopo il dispaccio di ieri, ricominciano a discutere e a dire, che la confederazione, già s’intende, sarà di Stati e non di governi. Etc. Etc. 94 Io li lascio dire; non mi adiro affatto, e quando posso li canzono. Oggi parlano di profondità; domani parleranno di qualcosa di più; e trasformeranno per esempio il Redentore in Creatore. Del resto sai bene che niente si fa per niente, e noi altri napoletani siamo avvezzi a non adorare la Madonna gratis. Ciò posto, essi possono ridersi della mia canzonatura. Ti dissi che non avevo scritto a Farini. Salvatore,95 a cui parlai di questa mia intenzione, volle a forza scrivere lui, ma decentemente e brevemente così: «Voi conoscete B. Spaventa; sapete ciò che ha fatto e ciò che può fare; dunque se, etc.».96 Non so se Farini ha risposto perché Tommasi è a Milano. Ma ieri venne Braico a portarmi una lettera di Farini a Poerio, che diceva a un di presso così: «Caro Amico: mi fareste un gran favore se accettaste in questa Università la cattedra di Dritto criminale. Dell’onorario parleremo poi». E finiva così: «Penso anche a Bertrando Spaventa. Diteglielo». Ho fatto ringraziare Poerio dell’avermi mandata la lettera di Farini. Braico mi dice, che Poerio ha già risposto a Farini, facendogli elogi infiniti di me e proponendomi come filosofo e non già come matematico! – Ti scriverò il resto, quando lo saprò. Tu intanto non parlarne a nessuno, e fa costà come se non ci fosse altro. È stato qui Cesare Napolitano. Si dice per fondere i partiti; ma a me non ha detto niente. Ha veduto spesso Poerio. Il che non vuol dire che la fazione sia fatta. Ti raccomando di scrivere a Papà; digli che io sto bene. Bada sempre alla salute. Studia, e regolarmente. Pensa a fare qualcosa, etc. Isabella e Millo stanno bene e ti salutano. Millo non si è scordato ancora di te e ripete sempre che sei andato a pranzo a Fiorenza. Cerca di risparmiare… Addio, e scrivimi subito se sai qualcosa di nuovo. Ti ripeto parla chiaro a Salvagnoli e Giorgini.
93. Croce ha sostituito la parola «Barone» con una «X». Spaventa allude qui a Carlo Poerio. 94. Dispaccio del 22 ottobre 1859. 95. Salvatore Tommasi. 96. Scriveva infatti Salvatore Tommasi a Farini il 27 ottobre 1859: «Ho saputo per indiretto che voi state pensando a Spaventa: ve ne sono obbligatissimo, perché farete a lui un gran piacere, e l’insegnamento se ne vantaggerà di sicuro» (ed. in Luigi Rava, L. C. Farini – A. Scialoja – S. Tommasi per A. C. De Meis, in «Archiginnasio», XVII, 1922, p. 39).
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Addio. Ricomincio a lavorare su Gioberti, ma non ancora con quella alacrità di prima. Spero che ritornerà. Ho fatto la provvista della legna. Fammi sapere se Correnti ti ha scritto. Addio. Scrivimi subito. Bertrando Mio carissimo, Aggiungo qui due righe senza sapere ciò che Bertrando ha scritto di sopra. Il trattato di pace tra la Francia e l’Austria non è che la conferma dei preliminari di Villafranca. Quello tra il Piemonte e l’Austria conterrà l’obbligo di pagare molto denaro, ma non una briciola di onore ceduto. Il terzo tra la Francia e il Piemonte non sarà che una poliza girata. Vedremo che cosa può uscire da siffatto guazzabuglio, la cui migliore condizione è quella di non avere in sé nessuno elemento di durata. Ho sempre atteso la lettera del Dragonetti97 che ti raccomandai. Da qui si avranno gli stessi appoggi morali e aiuti materiali che ha avuto l’Italia centrale, ove si possa creare una situazione analoga, e un po’ anche per crearla. Si è combinato alcun che per questo. Addio. Salutami tutti e credimi sempre Tutto tuo di cuore P. Leopardi SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 307).
113 Al Rettore dell’Università di Modena Francesco Selmi98 Torino, 28 ottobre 1859 Chiarissimo Signore, Non prima di ieri ho ricevuto la sua pregiatissima lettera del 25 corrente. Sono molto riconoscente al Dittatore Farini dell’offerta della cattedra di Dritto Pubblico in cotesta Università, e ringrazio lei particolarmente dell’avermela comunicata. Accetto l’offerta e farò quanto è in me per adempiere l’ufficio che mi viene concesso. Ricevuta la nomina ufficiale mi recherò tosto in Modena per intendermi col Dittatore e con lei intorno all’insegnamento e tutto ciò che riguarda l’insegnamento di detta scienza. Sono con distinta stima Devotissimo B. Spaventa BNN, XVI .C.14.1 (ed. in Augusto Guzzo, Una prolusione inedita di Bertrando Spaventa a un corso di diritto pubblico, in «Giornale critico della filosofia italiana», V (1924), pp. 280-292; cfr. nel medesimo fascicolo anche la bozza della lettera).
97. Luigi Dragonetti (1791-1871), letterato ed economista; dopo il ’48 esule a Torino, fu nominato senatore del regno d’Italia dal 1861. 98. Francesco Selmi (1817-1881), chimico, esule a Torino, chiamato da Farini a Modena come rettore.
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114 A Silvio Spaventa Torino, 28 ottobre 1859 Mio carissimo Silvio, Ieri ho ricevuto una lettera del Rettore dell’Università di Modena, che mi offre da parte del Farini la cattedra di Dritto Pubblico in quella Università. Ho pensato e ripensato tutto ieri se dovevo o no accettare. Temeva tra le altre cose che si trattasse di Dritto Costituzionale positivo o altro consimile; e ciò mi seccava. Ora so di certo che ci è a Modena un’altra cattedra affidata già ad un Avvocato Bosellini intitolata: Dritto Pubblico Costituzionale ed Amministrativo. Dunque la mia non può essere che di Dritto Pubblico universale, e che so io: una specie di Staatsrecht, l’ultima parte della filosofia del Dritto.99 Considerate tutte le ragioni, ho deciso di accettare, e accetto. L’argomento non mi dispiace, e la pura speculazione già cominciava a dispiacermi. Ciò non toglie, credo, che tu operi costà. Se fossi nominato costà, non si potrebbe per esempio avere la solita proroga di sei mesi? Del resto fa tu, e mi rimetto al tuo giudizio. Ti dico solo che fra quella che mi si offre ora e un’altra di filosofia o di storia della filosofia costà, preferirei l’ultima cattedra. Dunque credo io che tu non debba desistere, e fare come se nulla ci fosse di nuovo. Appena ricevuta la presente mandami subito subito per la posta, affrancandolo già s’intende, il Bluntschli.100 Ne ho bisogno urgentissimo. Se serve a te, te lo commetterò subito. Non mancare, perché devo cominciare a prepararmi, e io non ho che l’Hegel, che non basta. – Vedrò qualche autore francese. Da quanto mi dice Tommasi, vedo che se Correnti ti scrive, non hai molta intenzione di accettare. Pensaci bene prima. Ad ogni modo cerca di fare qualche cosa anche costà, non solo per te, ma anche per me, non ostante Modena. Ti scrivo di fretta. Rispondimi subito subito e mandami Bluntschli subitissimo. Io starò qui ancora, perché non mi muovo se non ho la nomina officiale. Attendo qui il Bluntschli. Ti scriverò tra altri pochi giorni. Addio. Bene o male: alea iacta est. Non so che cosa abbia inteso Farini col creare per [sic] questa cattedra! e per me! Si è ricordato forse delle polemiche che abbiamo avuto insieme su molte quistioni di Dritto pubblico appunto, o delle mie polemiche contro i Gesuiti! Addio dunque per oggi. Scrivimi subito. Il tuo Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
99. Sulla controversia circa la materia d’insegnamento di Spaventa a Modena, cfr. Benvenuto Donati, L’insegnamento della filosofia del diritto e l’attività didattica di Bertrando Spaventa all’Università di Modena nel 1859-1860, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», XVIII (1938), pp. 541-571. 100. Johann Caspar Bluntschli, Allgemeines Staatsrecht, geschichtlich begründet, München, Anstalt, 1851.
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115 A Silvio Spaventa Torino, 30 ottobre 1859 Mio carissimo Silvio, Rispondo alla tua del 27. 101 Io già ti avea scritto il giorno innanzi. Ti diceva dell’offerta fattami dal Farini della Cattedra di Dritto Pubblico a Modena, e che io avevo accettato, perché si tratta di tutt’altro che di Dritto costituzionale e amministrativo. Ti diceva anche di mandarmi il Bluntschli per la posta. Spero che l’abbi affrancato, giacché il giornale che mi hai spedito senza affrancamento mi costa 32 soldi. Ti ringrazio del giornale. Non ho fatto leggere ancora a nessuno il tuo articolo, né anche a Pietro, 102 perché ho voluto prima leggerlo e rileggerlo io. Ti dico schietto che come più l’ho letto, più mi è piaciuto. Il fondo è vero, e anche la forma è qualche volta viva, spedita, animata. Tu hai gran bisogno di scrivere spesso, e senza gran complimenti. Anche per questa ragione io ti raccomando, e spero che questa volta mi sentirai, di scrivere nella Nazione.103 Se non cominci mai, non farai mai. La tua forma è un po’ troppo, dirò così, organica; e noi altri italiani d’oggi che leggiamo poco e pensiamo presto, vogliamo periodi piuttosto brevi, sciolti, e quasi spezzati. Con un po’ di questo elemento il tuo articolo sarebbe più popolare. Tu hai bisogno di uscire dal gabinetto e dai monologhi, e di parlare al pubblico. Ci guadagnerai, se non altro, un certo fare sicuro, e anche una certa confidenza in te stesso, che tu non vuoi avere. Scrivi dunque, anche se dovessi scrivere gratis per qualche tempo, e anche una volta sola la settimana, se non vuoi più. Io ti aiuterei ben di buon grado, ma col dritto pubblico sulle spalle capisci che non posso. Quando, colle tante idee che hai in capo, avrai scritto cinque o sei articoli, vedrai che la penna scorrerà più facilmente. Uno dei modi di acquistare facilità è quello di far polemiche, di far la critica delle opinioni degli altri. Lo so per esperienza. Anche i miei articoli dottrinali, teorici e monologici, sono un po’ difficili come il tuo. Ma se domani ne scrivi un altro, vedrai la differenza in meglio. Scrivi dunque. – Rileggo il tuo articolo, e ti ripeto che il fondo è vero e nuovo. Quanto alla forma ci sono luoghi bellissimi, come: «Oggi non si ha più a sperare in una nuova ascensione al trono di altro sterpone borbonico, etc.; i Napolitani hanno fatto un’altra volta la prova che il grano che nasce non è dissimile da quello che fu seminato, etc., …». «Pretendere (ciò che pretende la confraternita del santissimo Redentore)104 è come voler piantare un bell’albero dentro una stalla sopra un letamaio in fermento, anzi che all’aperto al sole, all’aria viva, nel mezzo del campo. Etc. ….». «La sostituzione degli uomini rassomiglia spesso a ciò che si fa al carnevale, dove ci mettiamo la maschera e sembriamo diversi da quelli che siamo». Veniamo ai pettegolezzi. Già sapevo qualche cosa d’un comitato costà. Villari avea scritto a Marvasi (l’ho udito da Camillo 105) che i napoletani più rispettabili con Mancini alla testa si erano riuniti, e che egli non essendo napoletano rispettabile non era intervenuto. –È questa quella riunione di cui tu mi parli come di comitato di coalizione? Se 101. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 305-306. 102. Pier Silvestro Leopardi. 103. Direttore de «La Nazione» era Alessandro D’Ancona (cfr. lettera 57, nota 9), che, in una lettera del 25 ottobre 1859 da Firenze, aveva chiesto a Silvio di collaborare al suo giornale (cfr. SNSP, XXVI.D.2.4). 104. Cfr. lettera 112. 105. Angelo Camillo De Meis.
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ben ricordo, Villari diceva che si trattava di fusione tra fusionisti e borbonici. Intanto ieri mattina uno mi disse (de Simone) che qui si è formato un comitato (di qual natura non so), e che uno dei membri era Pietro, e che il Barone106 non ci entrava. Ho interrogato Pietro, e mi ha risposto che la parola comitato non sta bene, che egli fa da sé e in comune, e che infine si tratta di quella combinazione che tu sai e di quella tale lettera del Marchese.107 – E di C[esare] Napolitano? Pietro non mi si è spiegato molto chiaro su ciò, o io non l’ho capito. – Ieri sera incontro il Barone con altri. Dice di aver ricevuto lettera da Firenze, che gli annunziava come egualmente i napolitani e specialmente i deputati De Blasiis, Berardi, Spaventa, Ulloa, etc. si erano riuniti e avevano deciso… – Che cosa?.. La risposta fu tale che non ne capii nulla. Io osservai che appunto poco fa avea ricevuto una tua lettera del 22 e che tu non mi parlavi di ciò, anzi parlavi d’una riunione di napolitani a cui non eri intervenuto. Il Barone spiegò la cosa col dire che tu forse avevi scritto a me la mattina, e la riunione, a cui tu hai preso parte, ha forse avuto luogo la sera. – Tra le altre cose il Barone disse: che si ha da fare? – E Mariano:108 ma i nostri di Napoli vogliono consiglio e direzione da noi… E il Barone: Scusa (non ricordo bene la parola, ma fu qualcosa di simile): domandano consiglio, perché non possono far niente…noi in altri tempi non domandammo consigli dagli esuli, che erano pur gente rispettabilissima, ma facevamo da noi. Ed io: ma allora gli esuli erano 1) pochi, 2) fuori d’Italia, o nell’Italia austriaca, e l’Italia non era niente. Ora gli esuli sono molti e sono in Italia, nella vera Italia, etc. etc…. Credo che non ne capì niente. Volevo aggiungere: E poi in quel tempo non ci era uomini di nome europeo come voi tra gli esuli, e voi siete troppo modesto parlando così. Ma temei di dire una bugia. Non so nulla di officiale del risultato della missione dei Napoletani. Approvo le tue riflessioni sul proposito. I nostri politicanti di qui a me non dicono niente e io niente domando a loro. Vedo solo che la Confraternita vuol persuadersi e vuol persuadere altrui che Napoli non può fare assolutamente nulla, per tirarne poi quella conseguenza che s’immagina facilmente. Diceva io giorni fa ad un confratello: «E quel celebre dilemma unicorno: Se i Borboni appoggiano la causa nazionale e vogliono concorrere alla guerra, non fate (o napolitani) ostacolo e appoggiate i Borboni? Voi dicevate che l’altro corno (se i Borboni non appoggiano, mandateli al diavolo) era sottinteso. E bene: ora è tempo di avervelo cavato di sotto alle brache quel corno. Volete tenercelo ancora?». La risposta fu questa: «La politica non ha idee fisse; allora si credeva che i napolitani potessero far qualche cosa e perciò il dilemma ci era. Ora si ha la certezza che non possono far niente. Dunque…». «Dunque, continuai io, il dilemma ora non ci è più. Me ne rallegro col vostro deretano». – Che volevi che rispondessi? Credo che il mio Dritto pubblico sarà: Stato, concetto, elementi, etc. dello Stato: Sovranità, etc.; Governo, etc.; Chiesa e Stato; Dritto esterno etc. Se è così, spero di cavarmela bene. Spero di poter aver un po’ di tempo anche pel Gioberti. Che poteva fare? Farò capire a Farini che io non posso far lezione più di tre volte la settimana. – Tu intanto fa costì quello che devi per me. Diavolo! perché non mettere una cattedra di Storia della filosofia o antica, o moderna, o italiana? Fa capire tutto ciò. So che anche Pisanelli fa delle pratiche. Parla con Cencio. Dì cosa potrei io fare. Non perder tempo. Gli altri senza amici sono riusciti. È vero che la difficoltà è maggiore. Ma gli amici possono supplire. Addio. Ti scriverò altre lettere prima di partire. Tu scrivimi più spesso. Manda il Bluntschli, se non l’hai fatto, e affrancato. Opera e prontamente. Scrivi nella Nazione e risaluta per me 106. Carlo Poerio. 107. Luigi Dragonetti. 108. Mariano D’Ayala.
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d’Ancona. Addio. Isabella ti saluta con Camillo,109 il quale non ti ha dimenticato ancora. T’invio una lettera di Napoli mandatami dal Signor Dubois. Bertrando P.S. – Ho veduto Pietro. Scriverà domani a Dragonetti anche per te. Da quanto mi dice Mariotti e rileggendo meglio la tua lettera, vedo che la riunione di cui parlava Poerio è quella stessa annunziata da Villari. Non badare a questi pettegolezzi. Pietro si meravigliava che fosse stato ammesso Ulloa; e anche Mancini. Vorrei che mi dicessi qualcosa di più di questa riunione. Sai che Garibaldi è qui. Varii varia dicunt. In generale i politiconi di qui sono pel non far niente, pronti a criticare altri se non si riesce e a pigliarsi il bene di Dio se si riesce. Io non so le cose bene e perciò non posso dar consigli. Ma vorrei che trattandosi di fare e di non imitare la politica dell’eterna aspettativa, pure non si ammettesse così facilmente uomini come U[lloa] e M[ancini]. Il primo si sa che cosa vuole; il secondo ha del gran ciarlatano, sembra. Insomma qui mi è parso di vedere la tendenza ad insinuare che a Firenze si sia rinnovato ciò che fu fatto in casa Mancini. SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 326-327, e in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 6-7).
116 A Silvio Spaventa Torino, 7 novembre 1859 Mio carissimo Silvio, Ricevo ora appunto la tua del 5.110 Ti rispondo in fretta, perché devo uscire, e cominciare ad assaporare la noia delle visite. L’altro ieri ho avuto la nomina. Ora so di che si tratta, cioè non di dritto pubblico, ma di filosofia del dritto. Tanto meglio. Ti assicuro che ne ho avuto un gran piacere. Io partirò o venerdì o sabato al più di questa settimana. Mi risponderai dunque a Modena. Io ti scriverò prima di partire e più a lungo, e risponderò meglio alla tua lettera. Fa quello che credi del mio affare costì, e ti regolerai con prudenza anche col Giorgini. – Qui non si è parlato più né di comitati né di altro. Ti ripeto che a me non dicono niente. Mi è stato detto che Pisanelli fa parte di un comitato popolare. Non so se è vero. Parlando con me, giorni fa, mi diceva delle cose oscure, che mi fecero supporre che fosse vero. Tra le altre: bisogna fare la rivoluzione. Ma non mi disse altro di chiaro. L’altra sera ci fu un pranzo napolitano di circa 20 rispettabili per dare un addio ai tre professori che partono: Tommasi, De Meis e Spaventa, ma non si parlò di nulla. Poerio intervenne a condizione che non ci fossero discorsi politici. Scialoja poi pensò e ripensò e scrisse due giorni per vedere se dovea o no intervenire. Intervenne. Poggiali111 solo parlò così: giacché è prudenza tacere, io taccio, e non parlo. – Vedrò oggi Pietro112 e ti
109. Il figlio Camillo Spaventa. 110. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 307-310. 111. Francesco Poggiali, ispettore di pubblica sicurezza dopo il 1860. 112. Pier Silvestro Leopardi.
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scriverò subito, forse domani. Tommasi è partito ieri per Pavia.113 A te non manca giudizio nell’affare di cui mi parli. Bada bene, prima di muoverti, a ciò che fai. Non vorrei che ricominciasse la prigionia, se non peggio. Ma ripeto, a te non manca giudizio. Sacrifici utili, sì: inutili, no. Ho scritto ciò di primo moto. Ne parleremo domani. Qui non si sa niente del motivo della chiamata di Garibaldi. 114 Chi dice per essere sconsigliato e chi il contrario. Ci è chi teme, che se assalisse Diis nolentibus, ciò non serva di pretesto ad interventi, per esempio francese nelle Romagne. Ad ogni modo io ne parlerò con Pietro, e vedrò che mi dirà. È molto impicciato pel Prestito come commissario regio etc. E poi bisogna anche aspettare che cosa uscirà dalla riunione delle 4 assemblee. Prima dunque di decidere, scrivimene e io ti risponderò subito da Modena. Ti raccomando di scrivere nella Nazione. Servirà per fare qualche cosa e per sciogliere lo stile. Fa come ti dico io. Non ho avuto ancora il numero di cui mi parli. Forse l’avrò più tardi, e te ne parlerò domani. Ho ricevuto il Bluntschli. Ora non mi serve tanto. – Scriverò subito a Papà e manderò a te la lettera. Se tu non hai mezzo, dimmelo, che scriverò a Napolitano. Io non ho altra via. Saprai che anche Camillo115 viene a Modena, professore di Fisiologia. Meno male, avrò una compagnia. Addio per oggi. Bada alla salute e alla economia, tanto più che io spendo ora qualche denaro. Addio, a domani. Isabella e Millo ti salutano. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 310-311).
117 A Isabella Sgano Modena, 17 novembre 1859 Mia cara Isabella, Sono giunto qui ieri mattina; la sera di martedì abbiamo passata [sic] a Piacenza,116 dove siamo stati spelati ben bene. A Modena si vive molto caro, e difficilmente si trovano camere. Questa mattina mi si fa sperare di trovare un piccolo appartamento. Farò di farti venire al più presto possibile, perché senza di te non posso vivere, non solo perché… ti voglio bene, ma anche perché se la cosa continua così, farò bancarotta. Qui si spende più che a Torino almeno i forestieri. Basta dirti che un bicchierino ci è costato stamane sette soldi. Ma quando sarai venuta tu la cosa sarà diversa. Piano piano assesteremo tutto. Ho trovato qui la lettera di Silvio del giorno 11; è ancora a Firenze. Non ha risolto ancora di andare a Milano;117 l’offerta è di 2.500 franchi l’anno per due articoli 113. Tommasi fu nominato allora professore di patologia sociale e clinica medica all’Università di Pavia. 114. In realtà Garibaldi, convocato a Torino, fu invitato dal re a desistere dall’impresa nello Stato pontificio. 115. Angelo Camillo De Meis. 116. Spaventa aveva intrapreso il viaggio insieme a De Meis. 117. Si riferisce alla proposta da parte di Correnti di collaborare alla «Perseveranza».
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settimanali. A Firenze118 gliene hanno offerto 1.500. Gli scrivo che sarebbe meglio andare a Milano. Come stai? Ti prego di badare alla salute e di mangiar bene. E Millo? Per carità bada che non si faccia male, e fallo camminare. Qui fa freddo finora quasi come a Torino, e si vive alla meglio come in una gran città di provincia. Dovrò mettermi la toga e il berretto, e farò una gran bella figura!119 Mi vuoi sempre bene? Sarai contenta, perché non ti fo più arrabbiare. Ma io sono tristo, e non vedo il momento che tu sii qui. Ti raccomando di badare a te e a Millo. Si ricorda di me e che dice? Se non fosse la compagnia di Camillo120 qui io sarei già mezzo morto. Ma bisogna far coraggio, e quando si avrà casa speriamo di star bene. Fatti il corpo d’inverno, e fa anche il cappotto a Millo. Fatti costà tutto il necessario, perché qui si spenderebbe il doppio. Qui l’aria è buona, ci sono i portici e buone passeggiate. Le donne poi sono molto cortesi. Così mi dicono. Scrivo poche righe a Ciccone. Ma non ho testa. Cerca di vendere la roba e al miglior prezzo che puoi. Dimmi cosa hai combinato col padrone di casa. Ricordati di pagare il calzolaio. Fatti fare le scarpe e tutto ciò che ti occorre a te e a Millo. Addio mia cara Isabella. Speriamo di rivederci subito. Rispondimi subito e metti il francobollo. Se avrò ancora cose nuove da dirti, ti scriverò ancora domani o dopo. L’università si apre il 26, ma io domanderò ancora tempo. Nel tutto poi Modena non ci è male. Certo non è Torino. Sta di buon animo, voglimi bene e bacia per me Millo. Addio. Ti abbraccio. Bertrando tuo Originale perduto, già in BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201 (ed. in Vacca, Gli hegeliani, pp. 21-22, nota 40).
118 A Isabella Sgano Modena, 22 novembre 1859 Mia cara Isabella, Ti scrivo poche righe, perché ho molto da fare. Il giorno 26 si apre l’università, e io sono stato incaricato di fare il discorso di apertura. Me lo dissero l’altra sera. Tutto ieri sono stato a Bologna a vedere Silvio, che è stato colà due giorni, ed è già tornato a Firenze, dove rimarrà. Bologna è più bella di Modena, e ci si va in un’ora. Non ti arrabbiare col padrone di casa, e non gli dar confidenza affatto. Vendi tutto quello che non ti serve. Ti farò venire subito che avrò trovato un appartamento per noi. Mi è stato promesso. Colla tempesta del discorso addosso non posso occuparmene da vero, ma non credere che io dorma. Io desidero più di te di uscire da questa solitudine. Sta dunque di buon animo, lasciami fare il discorso, e poi ti farò subito contenta. Apparecchia intanto tutto ciò che può bisognare, perché qui la roba costa cara. Se puoi comprami una pelliccia vecchia come quella di De Meis, per casa e di poco prezzo. Comincio a contentarmi di Modena. Abbiamo due stanze, che non ci piacciono affatto; ma pazienza per ora. Sarò beato quan118. Cfr. lettera 115, nota 103. 119. Riferimento al discorso inaugurale nella nuova Università, pronunciato il 25 novembre. 120. Angelo Camillo De Meis.
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do verrai tu. Dì a Ciccone che non gli scrivo ora, perché devo scrivere quel maledetto discorso. Ti raccomando sempre di badare a Millo, e di fargli far moto, e di vestirlo bene. Che dice di me? Silvio vi saluta. Hai rimandati i libri a Lignana e altri? Addio per ora mia cara Isabella. Abbi pazienza anche tu con questa benedetta Modena. Ti scriverò poche altre righe in un altro giorno. Saluto Ciccone, Diomede,121 Pisanelli tanto tanto. De Meis ti saluta. Ti abbraccia con Millo. Addio. Ti ripeto, sta di buon animo, che ci rivedremo subito, al più presto possibile. Bertrando tuo SNSP, XXVI.D.3.2 (inedita).
119 A Silvio Spaventa Modena, 24 novembre 1859 Mio carissimo Silvio, Ricevo ora la tua e rispondo subito. Se stasera vedrò il Salvagnoli,122 ti scriverò anche domani. Non sapeva che egli era qui, né so se ci sia ancora. Che debbo dirti dell’andare o non andare a Milano? Non vorrei che per questa benedetta perplessità restassi senza Milano e senza Firenze. Ti ripeto che vorrei smettessi quella timidità che tanto t’imbarazza. Persuaditi che i tuoi colleghi a Milano non scriveranno meglio di te. A Giorgini poi, il quale ti consigliava a restare, avresti potuto almeno dire: ma che potrò fare qui? Avresti potuto insomma indurlo a spiegarsi meglio. Bisogna pensare al futuro, e se la cosa di Firenze non va, come si farà poi? Per me io andrei. Del resto, fa quello che tu credi meglio, e se non altro (quando proprio non ti sentissi la forza di muoverti), cerca di aver migliore sicurtà a Firenze. Bisogna decidersi e subito. Che male ci è che tu riparli col Giorgini? Non bisogna rimandare la cosa al domani, perché potrebbe darsi, che la proposta del Giorgini non ti convenisse meglio di quello che tu credi non ti convenga quella di Valussi. Se dunque hai intenzione di non muoverti, fa che Giorgini si spieghi. Ma, dico io, che male ci è di andare a Milano? Del resto, cercherò di vedere Salvagnoli, se ci è, e ti scriverò domani senza meno. Addio, sto terminando quel maledetto discorso, che devo recitare domani in funzione solenne. Fammi sapere subito cosa deciderai. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
121. Diomede Marvasi. 122. Alla fine del 1859 Salvagnoli fu nominato ministro dei culti nel governo Ricasoli.
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120 A Silvio Spaventa Modena, 25 novembre 1859 Mio carissimo Silvio, Sono stato ieri sera al palazzo nazionale dove era alloggiato Salvagnoli. Non l’ho potuto vedere, perché stava pranzando con Farini, etc. e partiva subito dopo pranzo, credo, per Bologna. Non ho potuto far altro che lasciargli un biglietto di visita. Per quanto ho inteso, pare che sia venuto qui per l’affare della Reggenza; che i toscani stando al voto formale dell’Assemblea non vogliono riconoscere il vicereggente; che le cose resteranno come prima, cioè gli stessi dittatori e governatori, salvo una certa sovrintendenza di Boncompagni.123 – Ti ho scritto ieri sera sull’affare di Milano. Fa come meglio credi. In sé l’andare a Milano sarebbe meglio: più stabilità, più facilità di fare altro, maggiore influenza e anche più emolumento. Quanto al fare due articoli la settimana, non so persuadermi come tu non possa. Ti ripeto, gli altri non faranno meglio di te. Tu hai bisogno di un largo teatro, di rivivere, etc., e non ci è luogo per questo migliore di Milano. I Lombardi, quali che essi siano, combinano con noi altri Napolitani più facilmente. Più ti ricordo, che caso io dovessi andar via di qui, mi converrebbe di andare a Milano, anzicché tornare a Torino; e allora staremmo insieme. – Se poi non potrai risolverti a muoverti da Firenze, assicura almeno bene la tua posizione non solo nella Nazione, ma parla un po’ più chiaro col Giorgini, o almeno fallo parlar chiaro. Non ti dico già di domandare; il che non ti converrebbe affatto. Ma fra amici sempre si può dire qualche cosa; puoi, se non altro, consigliarti con lui e manifestargli, se credi, l’imbarazzo in cui ti trovi. E col Salvagnoli, non potresti fare lo stesso? Bisogna, è forza che te lo dica ancora, pensare un po’ all’avvenire. – Non ho bisogno di dirti altro. – Questa mattina ho recitato il discorso di apertura dell’università, in Chiesa, con funzione solenne, dopo la Santa Messa, il Veni Creator, alla presenza di tutti i professori in toga, dei Ministri, etc.124 Pare che sia piaciuto per la novità, gli alti concetti, etc., etc. Così mi hanno detto. L’ho fatto in un giorno e mezzo, lavorando specialmente tutto ieri. Sono ancora stanco. Non ancora posso trovar casa. Mi è stato promesso un piccolo appartamento. Mi si fa mille anni di poter avere una buona stanza per lavorare. Scrivimi subito e ti raccomando di formar bene le cose o costà o a Milano. Addio per oggi. Scrivimi. Bertrando
123. Carlo Boncompagni (1804-1880), ministro del regno di Sardegna, fu deputato del regno d’Italia dall’VIII all’XI legislatura e senatore dal 1874. Dal maggio 1859 fu commissario straordinario del re a Firenze. Fallito il tentativo del governo di Torino di nominare il principe Eugenio di Carignano reggente delle quattro province dell’Italia centrale, fu raggiunto un accordo in base al quale Boncompagni assumeva il titolo, puramente onorifico, di «governatore delle province collegate dell’Italia centrale». 124. La Prolusione fu letta nella chiesa di San Carlo. Il testo, di cui si conservano il manoscritto e alcuni appunti fra le Carte Spaventa (BNN, XVI.C.14.3-5), è stato pubblicato per la prima volta da Guzzo, Una prolusione inedita, pp. 280-296. Per le successive edizioni cfr. la Premessa di G. Tognon all’edizione di B. Spaventa, Prolusione al corso di filosofia del diritto, in appendice a Garin, Filosofia e politica, p. 52, nota 15.
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P.S. –Tofano è qui ed è venuto stamattina a vederci. È stato nominato Consigliere di gran Corte civile a Bologna. Ora lo vogliono nominare Uditore generale di guerra dell’esercito della Lega. È incerto se accettare l’una o l’altra carica. Camillo125 ti saluta. SNSP, XXVI.D.3.1 (brevi stralci in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 314, 327).
121 A Isabella Sgano Modena, 26 novembre 1859 Mia cara Isabella, Aspetto oggi tue lettere, e ti scrivo perché ho un po’ di tempo. Ieri ho recitato il discorso come scrivo a Ciccone. Cerco ancora casa. Domani andrò a vedere due appartamenti, uno piccolo e l’altro più grande. Se combino, ti scriverò subito per farti venire. Perciò tienti pronta. Non posso più stare così solo. Facilmente io ti verrò incontro fino a S. Nicolò, che è l’ultima stazione da Torino a Piacenza. Ti ricordo di portare tutto quello che puoi e che credi mi possa servire. Se domani non combino, andrò dall’intendente. Come stai? e Millo? Bada a non farlo ammalare. Mangia bene e senza troppa economia. Il caffè e il [sic] zucchero, che mi facesti portare, mi è stato di grande utilità. Vorrei altre calze di lana. Se credi compra la lana. Spero di rivederti nella settimana entrante. Silvio è stato chiamato un’altra volta a Milano, e non è deciso ancora. Gli ho scritto che andasse. Mi sentirà? Ti abbraccio con Millo. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.2 (inedita).
122 A Isabella Sgano Modena, 2 dicembre 1859 Mia cara Isabella, Tu sei in collera con me, come se dipendesse da me trovar casa in questo paese. Finalmente domani spero di conchiudere qualche cosa di buono; così mi assicura in questo momento un impiegato del governo. Avrò un cinque camere e a poco prezzo. Domani a un’ora avrò la risposta definitiva. Sii dunque tranquilla, e abbi ancora pazienza. Che ci entro io? Bada alla salute tua e di Camillo.126 Mangia bene e senza risparmio. Domani ti scriverò di nuovo per dirti definitivamente quando devi venire. Non credere, che io me la goda qui. Sono in una stanzaccia, e non posso far niente. Mi si fa mille anni di rivederti. Ti raccomando di aspettare ancora un poco. Ti ripeto, che verrò io sino a S. Nicolò. Non ancora comincio le lezioni, né potrò se non avrò una casetta. Sta di buon umore e non farmi arrabbiare colle tue lettere minacciose. 125. Angelo Camillo De Meis. 126. Il figlio Camillo Spaventa.
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Ieri sera con un’acqua dirotta siamo andati sino alla stazione, non già perché credessi che tu saresti venuta, ma perché… Dunque a domani. De Meis vorrebbe che gli comprassi una bottiglia di Vermout e un’altra di China, perché ha forti dolori di stomaco. Sta allegra, e non fare il muso. Quando sarai venuta qui, ti persuaderai che io ho ragione. Pensa a comprarti tutto ciò che ti occorre, specialmente per ripararti dal freddo nel viaggio. Rispondi subito una lettera dolce e non già amara, e considera che io devo pensare alle lezioni. Se tu mi fai arrabbiare, buona notte. Non mi farò onore. Dunque addio e a rivederci subito. Ho notato, che in due lettere non mi parli mai di Millo. Io sto bene. E tu? Bada a conservarti bene, e riscalda bene la stanza. Bada che Millo non si faccia male e che venga qui sano e salvo. L’altro ieri scrissi a Ciccone.127 Gli scriverò domani, se avrò tempo. Digli che vada dal libraio tedesco e gli dica che ho ricevuto lo Stahl, e aspetto gli altri libri, e gli scriverò poi. Addio. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.2 (inedita).
123 A Silvio Spaventa Modena, 4 dicembre 1859 Mio carissimo Silvio, Non ho risposto sinora alla tua ultima del 27 del passato mese, perché sono stato occupatissimo nel cercare una casa. Finalmente l’ho trovata ieri. Ed ecco in che modo. Uno dei professori di qui, è, direi, innamorato di me dopo quel tale Discorso. Egli mi ha fatto avere un piccolo appartamento gratis dal governo, non ostante che io lo pregassi a non farne nulla. Gratis, sino al mese di Maggio. Vedrò di collocarmi alla meglio in questa settimana. Intanto un altro impiccio. Credevo, dopo il Discorso, di essermi liberato dall’obbligo di far la prolusione. Ma no: si vuole che faccia anche questa. E la farò. Farò lezione tre volte la settimana, ed è anche troppo. – Ricevo la Nazione con piacere, e ringrazia per me tanto d’Ancona. E lo prego di continuare a mandarmela, perché qui non ci è modo di leggere giornali. Mandami pure i tuoi articoli su Garibaldi e su quel tale dispaccio di cui mi parlasti a Bologna. Non gli ho avuti. L’articolo sul Congresso (30 Novembre) è tuo?128 E quell’articolo venuto da Napoli di chi è? – Ciccone mi scrive che Trevisani è morto di febbre perniciosa, e il dottor Pignatari di tisi polmonare. Qui di Napoli non si sa niente. Né so nulla della questione della vicereggenza.129 Mi pare che costà si sottilizzi troppo. Dimmene qualche cosa. – Continua a scrivere sulla Nazione. Qui è pregiata moltissimo 127. In una lettera del 28 novembre da Torino Ciccone si complimentava con Bertrando per la sua Prolusione e gli riferiva sui discorsi di Tommasi, nominato professore a Pavia, e di Villari a Pisa (cfr. SNSP, XXXI. D.3). 128. Il primo, intitolato La dimissione di Garibaldi, fu pubblicato su «La Nazione» il 24 novembre 1859; il secondo, relativo a una notizia del «Giornale ufficiale» di Roma, il 28 novembre. Anche l’articolo sul congresso pubblicato il 30 novembre è di Silvio Spaventa. 129. Sull’argomento (cfr. lettera 120, nota 123) Silvio scriverà un articolo il 6 dicembre.
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e tenuta per uno dei primi giornali. Ti dico, continua; perché bisogna pensare a vivere! – Posta la poca voglia che avevi di lasciar Firenze, il modo come ti sei sciolto da Valussi e sei rimasto costà è buono e dignitoso.130 – Dì a d’Ancona che gli avrei mandato volentieri il Discorso. Ma: 1) non ho gran voglia di stamparlo; 2) prima di farlo promisi al Rettore della università di stamparlo – se mi risolvessi a stamparlo – negli Annali dell’Università modenese, che compariranno a Gennaio. Per stamparlo dovrò correggerlo, etc., e non ho tempo. È probabilissimo che venga il Pisanelli, come professore di dritto penale. Saprai che Tofano fu nominato Consigliere etc., e poi anche Uditore generale etc. Camillo131 comincerà martedì con una prolusione le sue lezioni. Scrivimi subito e spesso e dimmi come stai in salute. Salutami gli amici Berardi, De Blasiis, Villari, etc. Camillo ti saluta. Parlai di Pica a Farini. Si compiacque della mia proposta. Ma poi non l’ho visto più. Venendo Pisanelli, come pare certo, non se ne può parlare più. – Pure starò sempre alla vedetta, e non trascurerò occasione di parlar di lui, se ci sarà posto per lui. Animo e scrivi. Rispondi. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
124 A Silvio Spaventa Modena, 11 dicembre 1859 Mio caro Silvio, Se non ti ho scritto, è perché ho dovuto mutar casa. Isabella e Millo sono venuti con Pisanelli, il quale è ripartito l’altr’ieri.132 Non vuole venire qui. Aggiungi il ritardo della roba, spedita da Torino sin da 10 giorni fa. Non è giunta ancora.133 Sono un po’ imbarazzato. Domani devo far mettere una stufa ad una stanza. Dimmi come stai. Ti è passato il raffreddore? Per carità bada alla salute. Come vai colla Nazione? L’articolo «L’Austria dopo la pace» è bellissimo, veramente bello.134 Ti dico schietto, e lo stesso Camillo135 è del mio parere, che migliori non ne ho letto nel Times. È pensato bene, scritto bene; è meraviglioso, dice Camillo. Pare che i nostri onorari saranno di lire 3.000. Finora però nulla di nuovo. Rispondimi subito e scrivimi come stai. Mandami l’articolo su Garibaldi. Addio in fretta. Isabella con Millo ti saluta. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 327).
130. Cfr. lettera 110, nota 77. 131. Angelo Camillo De Meis. 132. In una lettera dell’inizio di dicembre, da Torino, Ciccone informava Bertrando che Pisanelli si sarebbe recato a Modena per decidere se accettare o meno l’insegnamento universitario e che Isabella e Millo avrebbero fatto il viaggio con lui (cfr. SNSP, XXXI.D.3). 133. Cfr. a questo proposito le due lettere di Ciccone del 12 e del 16 dicembre, sempre da Torino (ibidem). 134. Pubblicato il 3 dicembre 1859. 135. Angelo Camillo De Meis.
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125 A Silvio Spaventa Modena, 24 dicembre 1859 Mio carissimo Silvio, Avrei dovuto scriverti da un pezzo, ma in questi giorni sono stato molto occupato, specialmente in certe piccole seccature che ammazzano chi non ci è assuefatto. Abbiamo dovuto fare gli esami ai giovani che passano da un anno all’altro, e questo piacevole trattenimento è durato non meno di quattro ore al giorno. Ci era da perdere la testa. Ti assicuro poi che anche la tua ultima lettera (15 Dicembre) 136 mi ha addolorato non poco. Diavolo! sempre con quella maledetta noia come a Torino! È una vera fissazione e permetti che te lo dica schietto, una immaginazione senza fondamento. Spero che a quest’ora sia già passata, e che tu creda un po’ più a te stesso e alle tue facoltà intellettive. Io non ti lodo gli articoli per incoraggiarti, ma te li lodo perché mi piacciono. Io non leggo ora molti giornali, ma da ciò che mi ricordo e vedo, giudico che non si scrive così da nessuno. Quell’Austria dopo la pace137 non si è visto mai nei giornali italiani. Ci è tutto quello che ci deve essere: pensiero e forma. Prima di scriverti io l’ho riletto, per persuadermi ancora una volta che io ho ragione e tu hai torto. La tua immaginazione è così accesa contro te medesimo, che tu fabbrichi un processo sopra una mia domanda innocentissima. Come sei colla Nazione? E tu interpreti, che i tuoi articoli sono così meschini che io non so distinguerli da quelli degli altri, etc. E pure io non volea dir altro con quella domanda, se non questo: ti sei seccato della Nazione? Continuerai a scrivere? Ti parlo schietto: quello che io temo un poco, è che tu un bel giorno non ti risolva a non farne più niente. Voglio ora sperare che non farai ciò. Alla fine che ti costa? Due giorni della settimana. E tutto il resto non puoi passarlo a studiare e fare ciò che ti piace? Non bisogna poi dare tanta importanza agli articoli. Si fanno per sciogliere un po’ la penna, per avvezzarsi a farsi capire, per fare un po’ di bene al paese, e anche un po’ per vivere onestamente. Così ci rimane sempre in noi qualche cosa di meglio che non ha che fare coi giornali e che coltivato a dovere ci può davvero consolare da tutte le noie del giornalismo. Questo qualche cosa tu devi guardare, custodire, vivificare. Quando io ero un gran scrittore di giornali nel 1851, ci erano taluni che dicevano che i miei articoli non piacevano loro, che erano noiosi, e che so io. Un giorno me lo dissero, non dico in barba, ma così vicino dietro le spalle, che io udii tutto. Mi voltai e dissi loro: Nei miei articoli non ci è tutto me stesso; la miglior parte è fuori di essi. – Vorrei che tu considerassi la cosa da questo lato, non per rispondere agli altri, che non è il caso, ma per rispondere a te medesimo. Scrivi articoli, e se li farai come li fai sinora, sii contento. Ma nelle altre ore pensa ad altro, a quel qualcosa di meglio. La vita non è una cosa facile, e il suo vero valore consiste nel superare gli ostacoli di ogni maniera. Tra questi vi è la noia. Vincila. Ti direi, che l’essere annoiato prova al contrario di quello che tu intendi; se le tue forze intellettuali fossero molte, non sentiresti nessuna noia. Ma finisco, perché temo di farla da predicatore. Dunque animo, e scrivi articoli, pensando sempre a quel tale qualcosa. I tuoi articoli li riconosco, e se qualcuno di essi mi sfugge, non ci è poi gran male, tutto quel male che tu ci vedi. Bravo sul Memorandum 136. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 328-329. 137. Cfr. lettera precedente, nota 134.
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dei distinti! Sapessi tu chi sono? Bravo sulla Confederazione germanica 138 etc. A Camillo139 sono piaciuti assai i due articoli sul primo argomento. Volevo che leggesse anche il terzo sulla sua bene amata Confederazione, ma è sempre incaponito e non l’ha letto! Che cervello glorioso! Ti saluta. Ti dispiace che i tuoi articoli piacciano a Milano? Come vai cogli occhi? Bada, per Dio. Fossero certi umori? Bada, bada. Dì a d’Ancona, che continuasse a farmi il favore immeritato di mandarmi il giornale. Per ora non posso dar nulla, ma spero di potere in appresso, quando sarò un po’ più libero. Mandami l’articolo su Garibaldi. Non ho ricevuto né il giornale di Domenica (18 Dicembre), né quello di Mercoledì (21). Ci erano tuoi articoli? Se sì, fa di mandarmeli. Dì a d’Ancona che leggo con piacere l’appendice teatrale etc. Che nuove hai di Napoli? e dei napolitani di Torino? Che si farà pel Congresso? E il Memorandum di Poerio? Hai fatto bene a metter loro davanti gli occhi la condotta dei Romagnoli etc. Sempre ciarloni e inetti. Ho già scritto a Papà, e torno a scrivere. Dammi notizie di lui e della famiglia. Scrivimi subito. Sta di buon animo. Fa economia!!! Addio. Fa come fo io. Ho tanti guai, e pure non sono né triste né lieto. Alla buon’ora. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 311, 327-328). Nella citazione di p. 327 Croce riporta la data: 25 dicembre 1859.
138. Il primo articolo, Memorandum dei Napoletani, era del 10 dicembre; il secondo, La Confederazione germanica e l’Italia, del 15 dicembre. 139. Angelo Camillo De Meis.
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126 A Silvio Spaventa Modena, 15 gennaio 1860 Mio carissimo Silvio, Rispondo coll’indicare due rimedi potentissimi pel tuo malessere morale e fisico: distrarti leggendo, e fare delle lunghe passeggiate, specialmente per le colline, e sempre prima di pranzo. Il vero regime è: levarsi per tempo, quanto si può, e lavorare sino alle undici o dodici, far colazione e poi passeggiare un poco; poi tornare a casa dopo un’ora o due, e ricominciare a lavorare sino alle sei o sette. Così fo io, e mi ci trovo bene. Non potendo fare in questa stagione le passeggiate lunghe prima del pranzo, falle dopo la colazione. Non ridere, che io parlo colla maggior serietà del mondo. Bisogna che tu facci uno sforzo eroico, e dire: l’è finita per sempre con quest’umore melanconico. La volontà è pur qualche cosa in noi, anzi tutto. Il fato stava bene agli antichi, ma noi niente affatto. Ma già lo stesso fato greco era ben altro, e i romani lo aveano ridotto a una lettera morta col loro indomabile volere. Questo è stato il popolo che il primo ha voluto davvero nella storia, e ha fatto ciò che ha voluto. – Basta quanto alla predica. – La settimana passata, oltre le lezioni, ho dovuto assistere a 4 esami di laurea, il che significa 6 ore di tempo perdute. Più: 2 sedute all’Accademia, giacché non so se te l’ho scritto, io sono insieme con De Meis membro di questa regia Accademia. È una seccatura, ma come fare per liberarsene? La credono una cosa seria, e bisogna intervenirci. Le lezioni poi, almeno sinora, non mi lasciano un momento di tempo. Giacché devo dettare filosofia del dritto, voglio studiarla come si conviene. Già mi comincia a piacere moltissimo, anzi per dire la verità mi è piaciuta sempre. Ho cominciato dalla storia. Ho fatto venire in fretta qualche libro. Lo Stahl,1 buono o cattivo che sia, manca d’un elemento che mi pareva essenzialissimo, ed è la vita reale, specialmente quella del dritto, dalla quale sempre nasce e sopra la quale la filosofia si fa a riflettere, e quindi muove avanti etc. Questo elemento e altro, lo raccolgo dove lo
1. Cfr. lettera 39, nota 9. Spaventa aveva chiesto a Ciccone di procurargli alcune opere presso un libraio di Torino (cfr. lettera 122). L’amico, rispondendo da Torino il 30 dicembre, riferiva che il libraio gli aveva spedito lo Stahl e il Lenz, insieme a due quaderni del «Giornale filosofico» di Fichte; mentre Predari gli aveva inviato i due articoli sul Giudizio e su Gioberti, composti per l’Enciclopedia popolare (cfr. SNSP, XXXI.D.3).
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trovo e posso trovarlo meglio. Ho cominciato dai Greci.2 Ma ti capiscono, dirai tu? Mi capiranno, se hanno cervello. Già non hanno che dire. Il titolo è filosofia del diritto; essi lo sanno e lo dicono, e sono persuasi che la filosofia è qualcosa di non facile, di grande, etc. Finora mi pare, che siano contenti. Oltre gli scolari inscritti, intervengono altri, anche di età avanzata, e anche qualche professore. Anche il Consigliere Tofano passando qua per andare a Bologna mi fece una visita nella scuola. Credevo, dopo tanti anni di vita muta, di non ritrovar più la parola. Ma al contrario parlo facilmente e ho una voglia matta di parlare. Spero che continui così. – Vedi dunque se ti posso promettere di fare gli articoli sull’Istituto. 3 Ci ho pensato un poco, passeggiando, e ne ho gran voglia. Ma il tempo? Del resto, se potrò, farò volentieri. Ma non prometto. Quel Ridolfi4 sarà un eccellente agronomo, ma non capisce altro che l’arte agricola. Tu hai notato il vero vizio dell’Istituto. In che differisce da un Liceo, non voglio dire da una Università? Nella quantità e non in altro. Mettiamo più cattedre, e così avremo l’Istituto di perfezionamento. Non ti pare che sia la storia dell’Indiano, che per dirti che cosa è Dio ti snocciola un rosario interminabile di attributi, senza capo né coda? E veramente un Istituto di perfezionamento, come tu hai detto benissimo, dovrebbe essere l’Enciclopedia filosofica del sapere umano ora, e non già una filastrocca più o meno lunga di materie più o meno nuove senza nesso; dovrebbe essere il Dio di quel mondo che si chiama ginnasii, licei, università, cioè il nesso universale uno pensante e direi quasi personale di tutto questo mondo. Questo nesso non è una serie di attributi; e appunto perché non è una serie, ma Dio, tutte le parti hanno in esso un altro significato. Il vizio è dunque che le materie rimangono più o meno pura materia, e non vengono pensate. Dici bene: senza filosofia della religione! Almeno: della mitologia. E pure Gioberti ha avuto il coraggio di scrivere una filosofia della rivelazione.5 Non capiscono cos’è e vuole questo secolo. Più che la natura, ora lo spirito vuole conoscere sé stesso, e non astrattamente, ma nella sua storia. Questa conoscenza è la assolutezza (libertà) dello spirito. Così la conoscenza della natura acquista un nuovo significato. E questo significato si può comprendere solo nella filosofia della natura… Ci sarebbe da parlare un secolo. Ma il tempo? Del resto tu scrivi ora assai assai meglio di me (perdonami una superbia retroattiva). Se io facevo ridere, tu hai un certo ridicolo serio che fa pensare. Dunque fa tu, almeno tenta. Più: io non saprei tenermi. – Rileggo la tua lettera. Sviluppa, ma di buon umore, le idee che mi hai scritto, e avrai fatto gli articoli. Che ti pare della piega delle cose? Dopo l’opuscolo,6 Valeschi7 dimesso, dopo questo la lettera 2. Lo schema delle lezioni modenesi, conservato nelle Carte Spaventa (BNN, XVI.C.14.2), è stato pubblicato da A. Guzzo insieme al testo della Prolusione (cfr. lettera 120, nota 124) e agli appunti, presi da alcuni scolari modenesi, delle cinque lezioni sulla filosofia greca tenute all’inizio del corso. Le lezioni sono state pubblicate, in base al ms., da Giuseppe Tognon, Lezioni inedite di filosofia del diritto. Modena 1860, in «Archivio storico bergamasco», 2 (1982), pp. 37-60; 3 (1983), pp. 275-290; 4 (1984), pp. 53-70. 3. Si riferisce all’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze, per il quale il fratello gli aveva chiesto due articoli nella lettera dell’11 gennaio (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 329). 4. Cosimo Ridolfi (1794-1865), uomo politico e filantropo toscano, ministro dell’istruzione nel 1859 e ad interim degli affari esteri. 5. Vincenzo Gioberti, Della filosofia della rivelazione, in Opere postume, a cura di Giuseppe Massari, Torino-Paris, Eredi Botta-Chamerot, 1857. 6. Si tratta dell’opuscolo Le Pape et le Congrès, pubblicato anonimo il 22 dicembre 1859, ma scritto da La Guéronnière per ordine di Napoleone III (Paris, Dentu). 7. Florian Alexandre Joseph Walewski (1810-1868), conte Colonna, uomo politico francese e ambasciatore; ministro degli Esteri dal 7 maggio 1855 al 4 gennaio 1860.
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al Papa? 8 E la confederazione? Nell’opuscolo se ne parla un poco. Nella lettera, niente. E la sapienza federativa e non annessionista dei nostri uomini di Stato? Il Piemonte rovina l’Italia; il Piemonte è come il Cattolicismo, che ha finito la sua missione. Che fretta di fare la filosofia della storia! Ma si convertiranno. Dunque Nisco 9 è diventato autore? E Palermo chi è? Bada alla salute. Sta di buon umore. Ti scriverò al più presto. Isabella ti saluta con Millo. Amami. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 311, 330-331, e in Vacca, Nuove testimonianze, p. 8).
127 A Silvio Spaventa Modena, 24 gennaio 1860 Mio carissimo Silvio, Mi dici che i miei consigli sono venuti proprio a proposito. Ma pare che non abbiano fatto buon effetto. Quel tuo mal umore continua sempre, e pure sarebbe tempo che finisse una volta per sempre. Che diavolo! Non puoi ancora farti padrone di te stesso e vincere certe immaginazioni, che ti tormentano inutilmente! Per carità, animo, e conosci meglio te stesso. Te lo raccomando e per te e per me. Sì per me ancora. Se sapessi che dolore mi fanno le tue lettere scritte a quel modo! L’ultima specialmente mi ha sconcertato, e mi ha tolto ogni voglia di fare e di lavorare. Ci fosse qualche ragione, transeat. Ma è, ripeto, una pura immaginazione. Tu credi di non essere niente. Davvero? E che sono io? che sono gli altri? Non tocchiamo questo tasto. Invece di tormentarti così inutilmente, pensa a essere tranquillo, e a studiare un poco in quel tempo che ti avanza. Tu stesso dici di «avere tante idee in capo», di «avere in capo qualcosa». Ebbene, il gran male è dunque che quando ti «metti a scrivere non te ne viene più una», e «ti arrabbi e non concludi niente»?10 Meno male, caro Silvio. Prima – ti ricordi? – eri persuaso di non aver nulla in capo. Ora a che si riduce la gran disgrazia? A non trovare ancora il modo di metter fuori quello che hai dentro: Non ti accorgi che è affare di forma, e niente altro? Un po’ più di pazienza, e la rabbia cesserà; e le idee verranno fuori allegramente, come vengono infatti quando scrivi quegli articoli che tanto mi piacciono. Vedi dunque che è proprio una specie di cavillo che tu fai contro te stesso, e pare come se avessi risoluto di tormentarti ad ogni costo. Come diavolo poi ti è venuto in capo di andare da d’Ancona per dirgli di voler smettere? Sarebbe una solenne corbelleria. Che faresti poi? E non ti annoieresti, peggio? E poi non è 8. La lettera, scritta il 27 dicembre 1859 e inviata all’inizio di gennaio, fu fatta pubblicare da Napoleone III sul «Moniteur» dell’11 gennaio 1860. 9. Nicola Nisco (1816-1901), patriota napoletano incarcerato dai Borboni dopo il ’48, nel 1860 fu nominato professore di economia sociale all’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento (sezione di giurisprudenza) di Firenze. L’anno precedente aveva pubblicato, presso l’editore Le Monnier, La moneta ed il credito. Fu deputato del regno d’Italia dall’VIII alla XII legislatura. 10. Frasi tratte dalla lettera di Silvio a Bertrando del 21 gennaio 1860 (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 331-332).
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meglio avere 150 franchi al mese, che niente? Giacché bisogna badare anche a questo. Se ora che hai un po’ di danaro, ti mostri così disperato, che sarebbe quando non avessi più nulla? Insomma bisogna finirla con queste immaginazioni che ti turbano continuamente. Ripeto, un po’ di pazienza, e non sarà più niente. Tu ti lagni di me, che non ti voglio aiutare scrivendo qualche articolo. Ma non con ragione. Tu devi fare due articoli la settimana, ed io tre lezioni. Io sono nuovo della materia che tratto, e tu sai le cose politiche meglio che io non sappia il dritto. Io ho tanti altri impicci: esami, accademia, età, e tu non ne hai alcuno, meno quella tal rabbia che le idee non escono. Avessi anche tempo, come vuoi che scriva articoli io qui a Modena, fuori di ogni consorzio, senza leggere giornali, senza vita politica? E poi la lezione che fo, mi stanca. È un’ora sola; ma è un’ora diabolica, e mi sento spossato di mente e di corpo. Non è poi vero che tu non sai scrivere; anzi io mi meraviglio ora come tu scriva così. Quella tale durezza, che io prima notava, ora non l’hai più. Credo bene che la difficoltà, di cui ti lamenti, sia anche una fantasia. – Dunque hai torto, torto marcio. Che cosa sono, mio Dio, due articoli la settimana? Ti raccomando di avere più stima di te e più confidenza nelle tue forze. Perché tormentarti inutilmente col credere di non poter fare quello che puoi fare e fai? Posso sperare di averti persuaso? La nomina di Nisco non mi sorprende. Mi sorprenderebbe, se non fosse stato nominato. Chi meglio di lui merita 4.000 lire come professore di Economia politica? Approvo il tuo contegno; non bisogna domandar nulla. Ma mi spiego. Ci è modo e modo. Modo da Nisco, no no; modo degno di un uomo che sa di essere qualche cosa, sì. Tu conosci molti a Firenze, e che ti conoscono: Giorgini, Salvagnoli, lo stesso Ricasoli. Che male ci sarebbe, se facessi intendere a costoro che tu ti occuperesti volentieri di qualche cosa? Imitare l’attività degli altri per fare il bene della patria, no; ma astenersi assolutamente mi pare una bontà troppo eccessiva. Io rispetto i tuoi scrupoli; ma non debbono passare ogni misura. Io stesso non ho domandato di essere occupato? Invece di tormentarti come fai col pensiero di non potere scrivere, ti prego di pensare seriamente anche a questo. Giorgini ti è amico; ti indusse a rimanere a Firenze. Ebbene non puoi parlargli di niente? – Del resto fa come ti pare. Se non ti conviene per dignità, non ne far nulla. Quello che io desidero soprattutto e ti raccomando, è che stii di buon animo, tranquillo quanto è possibile, e che possa coltivare la mente. Sei ancora giovane. Perché perder tempo? Se vuoi libri, li faremo venire da Torino. Siano altri, professori. Che cosa fa l’abito? Bisogna essere qualche cosa. Non so se ti ho detto mai, che Farini, a principio della mia venuta qui e prima che si parlasse di Pica ed altri, mi parlò di te se volevi andare a Bologna. Cosa ne dici? Io risposi, che tu non avevi voglia di fare il professore. Risposi allora così. Se ci fosse luogo, saresti disposto? Rispondimi, perché dandosi il caso e l’opportunità, parlerei. Intanto, non lasciare la Nazione, assolutamente. Il nostro stipendio è ora di 2.500 franchi, e abbiamo anche le propine. Saranno poco, ma sono qualcosa. – Rispondimi di buon umore, se vuoi che sia di buon umore. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
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128 A Silvio Spaventa Modena, 28 gennaio 1860 Mio carissimo Silvio, Rispondo subito e in fretta alla tua lettera. Spero che da ora innanzi non sarai più di cattivo umore. Tu giudichi troppo severamente te stesso. Ogni giudizio di tal natura è il risultato d’un paragone che noi facciamo con un certo ideale che abbiamo in capo. Tu tra questo ideale e te trovi un’infinita sproporzione. Quindi ti addolori. Ti voglio menar buona questa conclusione. Ma bisogna considerare anche un’altra cosa: ciò che sono gli altri, e se corrispondono come te a questo ideale. Fa questo secondo esame, e rispondi. Forse dico una coglioneria. Non ne parliamo più. Il tuo articolo sulla crisi ministeriale napoletana è bellissimo.11 Ergo bisogna che tu sii scontento, scontentissimo, e smetta immediatamente di scrivere nella Nazione!!! Spero che non farai mai e poi mai questa corbelleria… almeno sino a nuovo ordine. Mi spiego: Farò di vedere Farini martedì sera venturo, di parlargli della cosa che sai. Farini ti voleva allora come Professore di dritto penale. Io ti proporrò (troverò il modo conveniente e francamente) per una di queste tre cose: Filosofia, Storia della Filosofia, Filosofia del Dritto. Non dire di no, perché eccomi a dimostrarti che va bene. Tu dici di poter far l’ultima di queste tre cose, dato il caso che io ti aiuti etc. Ebbene accetto questo titolo di direttore tuo spirituale. Ma accettando so di poterti dirigere con grandissimo profitto anche nelle altre due cose. Per la filosofia ho libri parecchi, che ti potrebbero giovare a principio, anche elementari. Ho parecchie logiche e metafisiche. Altri libri si farebbero venire subito nel caso. Quanto al modo di insegnare etc., ti direi tutto a viva voce, giacché, come sai, Bologna dista da Modena un’ora sola. Dico lo stesso della storia della filosofia. Ho lo Zeller12 per la greca, che vale per tutti. Faremmo venire il Prantl,13 lo Schwegler,14 etc. Dunque? Dunque lascia fare a me; e ubbidisci al tuo direttore. Così la cosa riuscisse bene! Per vedere di contentarti in tutto, ma a patto che non lasci la Nazione senza mio ordine espresso, cercherò di apparecchiare a tutto domani tutta la materia per le lezioni della settimana ventura, e così aver tempo di scrivere i due articoli sull’Istituto. Mi ci proverò. Questo te lo prometto. Ma se non riescono? Della buona riuscita non sono padrone io. Del resto io sono convinto che li faresti meglio tu che io. Ma tu vuoi così, e sia fatta la tua volontà-arbitrio. Non ho che dire contro il tuo orrore per codesta cloaca di professori di perfezionamento. Nisco è la corona, e ciò mostra tutta la imbecillità di Ridolfi. È un vero insulto al genere umano. A dire il vero essere nominato da Ridolfi non è un onore. Perché Tofano non accettò la cattedra che gli veniva offerta? Dunque: rimani alla Nazione, e non dir di no ad una delle tre cose nel caso favorevole. Caro Silvio, tu hai bisogno di convincerti che non sei quell’impotente che credi, e l’unico modo è di fare, di studiare e insegnare. A principio si studia, e direi quasi si 11. La crisi ministeriale delle Due Sicilie, «La Nazione», 25 gennaio 1860. 12. Eduard Zeller, Die Philosophie der Griechen, Tübingen, Fues, 1844-1852. 13. Karl Prantl, Geschichte der Logik im Abendlande, 4 voll., Leipzig, Hirzel, 1855-1870. 14. Albert Schwegler, Geschichte der griechischen Philosophie, Tübingen, Laupp&Siebeck, 1859.
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compila solo; s’impara, e s’insegna; poi si fanno cose originali. E finalmente viene quel tale convincimento. Addio. Scrivi subito. Non dir niente a nessuno di tutto questo. Di fretta. Scriverò ancora a Papà. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 332, e in Vacca, Nuove testimonianze, p. 9).
129 A Eugenio Camerini Modena, 11 febbraio [1860] Mio caro Protettore, Ti ringrazio della tua lettera15 e di avermi fatto conoscere il signor Cao.16 Ti scrivo nella camera degli esami e dopo aver io stesso esaminato il signor Cao il quale è andato bene con me, e spero che sarà lo stesso cogli altri. Beato te che non fai esami, e scrivi quando ti pare e piace, e quello che ti pare e piace! Io sono mezzo rovinato da questi esami che si fanno di sera dopo pranzo, e durano tre o quattro ore. Meno male che fo tre sole lezioni la settimana, e qualche volta due. Finora vado bene. Parlo come un napolitano! Dillo al caro Peppino,17 al quale dirai pure tante cose per me, e gli domanderai se mi vuol bene, raccomandandogli di volerne meno alle donne, alle belle donne milanesi. E tu che cosa fai? Ti diverti? Al solito, vorrai sapere i segreti degli altri e taci sempre quando t’interrogano sui tuoi. Io ho il tuo De Anima. Dico tuo, e non mio, perché non facci il muso. Non te lo restituisco ora, perché voglio ancora avere una cosa tua. Ti prego di continuare a volermi bene a proteggermi. Io qui sono contento sinora; e i giovani e altri sono anche contenti di me. Amen. Debbo ringraziarti, signor E.C., del valente filosofo? Se verrai qui, t’inviterò a pranzo e ti darò il miglior zampone di Modena. Ti ripeto, voglimi bene. Salutami tutti i miei antichi colleghi del quondam Progresso. Salutami anche Correnti, se i miei saluti possono giungere al monte sul quale egli siede. Addio. Forse ti scriverò più lungamente per la posta. Il tuo B. Spaventa 15. In una lettera del 30 gennaio da Milano, Camerini informava l’amico di aver lodato la sua Prolusione nella «Perseveranza» (cfr. SNSP, XXVI.D.2.3). 16. Nella stessa lettera Camerini raccomandava il latore, il signor Cesare Cao, recatosi a Modena per prendervi la laurea in legge. Sul verso della lettera segue a matita un messaggio di Bertrando ad Angelo Camillo De Meis: «Mio caro Camillo, leggi questa lettera. Dovresti andare tu dal Selmi subito. Io non posso, perché devo pranzare e poi alle 6 in punto andare agli esami; e ora è già le 4. Bertrando». 17. Giuseppe Del Re, collaboratore in quel periodo della «Perseveranza» come critico letterario.
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P.S. – Perché tu, Beppino, Colombo, 18 e altri miei colleghi in temporibus illis non mi mandate la Perseveranza? Che male ci sarebbe? Associarmi non posso. Non sarebbe dunque per l’impresario un lucro cessante etc. De Meis ti saluta tanto tanto. Scrivimi qualche volta. Se vedi Ausonio, 19 salutalo per me. Ha cominciato le lezioni? E tu come vai? Cosa fai di bello, non dico di bene! BNF, Carteggi vari, cassetta 308. 76 (ed. in B. Spaventa, Opere, III, pp. 612-613).
130 A Silvio Spaventa Modena, 12 febbraio 1860 Mio carissimo Silvio, Non sapevo che cosa fosse e come spiegare il tuo silenzio di quasi 15 giorni. Credevo le tue lettere si fossero perdute. Ma siamo sempre da capo con quella tal noia che ti tormenta, cioè con quel tormento che tu ostinatamente vuoi dare a te stesso. Se tu fossi al mio posto e giudicassi te medesimo come ti giudico io, almeno non avresti ragione di essere sempre scontento. Dai troppa importanza a certe cose che non la meritano tanto; ti arrabbii, perché non puoi cominciare un articolo che hai tutto in mente, e fai dipendere così la tua felicità o infelicità da una bagattella. Mi pare che ciò sia un concedere troppo al caso. Il vero male sarebbe, se non potessi pensare quello che hai a scrivere. Perché tanto discutere sul cominciare così e così? Ma io leggo sempre i tuoi articoli e li riconosco. Li leggo più volte, e vorrei che fossero miei. Te lo dico schietto; io non ci vedo né sforzo né quel tormento di cui tu mi parli. Tra il primo che facesti sul Risorgimento e quelli che fai ora ci è una differenza grande quanto alla forma. La sostanza poi è seria sempre, e tocchi sempre certi punti che ti fanno pensare per un pezzo. Non hai torto, quando dici che senza tante sciagure la cosa sarebbe diversa, cioè sarebbe andata meglio. Ma ci rimedii forse coll’addolorartene eternamente? Anzi fai peggio, e questo è quello che non vuoi capire; o meglio, lo capisci, ma non vuoi metterlo in pratica. Del resto te l’ho sempre detto, anche in carcere tu non sei rimasto ozioso e hai fatti gran passi. Tu me lo negherai; ma qui sta la nostra eterna discordia. Finiamola una volta per carità. Hai tempo ancora; sii tranquillo, studia, e tutto passerà. Ho bisogno di ripeterti che le tue lettere invece di consolarmi, mi affliggono sempre? È necessario che tu ti decida sul sì o sul no d’insegnare. La cosa più facile, da quello che vedo io stesso ora per esperienza, sarebbe la filosofia del diritto, e in ciò convengo con te. Ma potresti fare anche altro. Ho veduto il Farini. Gli ho parlato di te. Ma in che modo doveva parlargli? Gli ho mostrato il mio desiderio che tu fossi occupato, perché potessi fare qualche cosa di buono e di veramente utile a te e agli altri; non gli ho detto affatto che tu saresti disposto ad accettare. Gli ho fatto intendere la verità, cioè che tu non ne sapevi niente, e che la cosa era tutta mia. Che altro gli poteva dire, se tu non sei risoluto a nulla? Farini credeva ingenuamente che tu fossi professore a Firenze. E non ci 18. Antonio Colombo, giornalista milanese (cfr. lettera 26, nota 19). 19. Ausonio Franchi (Cristoforo Bonavino, 1821-1895), docente di filosofia nell’Università di Pavia e di Milano.
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è dubbio, ora l’eccezione è non essere professore. Ci è da ridere. Se tu sapessi certe cose che so io di certuni, rideresti di più. Tutti gli uomini si somigliano; ma i nostri bravi e coraggiosi napolitani sono poi qualche cosa di straordinario sempre. Ma a suo tempo ti dirò tutto. Siamo rimasti col Farini che si sarebbe riparlato di ciò, e che intanto si sarebbe informato di ciò che si poteva fare. Dal canto mio io farò ciò che si conviene. Ma tu devi risolverti, e avere pel bene una piccola dose di quel coraggio che i nostri eroi hanno per l’intrigo. E tu dirai: siamo sempre a paragoni! Sì, ti rispondo io: a me piace più Aristotile che Platone. Quella trascendenza platonica mi secca e mi addolora, e l’Idea come immanente nel mondo è necessariamente sviluppo, e perciò comparazione perpetua di sé stessa co’ gradi che ha percorso. A che grado siamo noi? Tale è la quistione. A che grado sono gli altri? Scegliere come termine di paragone un grado che sarà forse solo da qui a cento secoli, è certo una bella cosa, ma può essere anche il volo della colomba senz’aria, di cui parla il nostro Kant. Dico spropositi. Ora parliamo d’affari. Ciccone mi scrive da Torino che il Professor Piria20 probabilmente sarà proposto o si farà proporre come candidato pel Parlamento generale a Pisa, e mi raccomanda di scrivere a te, perché presentandotisi l’occasione, appoggiassi questa candidatura nella Nazione. Puoi parlarne anche a d’Ancona. Piria e Ciccone meritano di essere esauditi. Dunque fa quello che puoi. Rispondimi subito, e senza il solito tormento. Addio. Isabella e Millo ti salutano. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (breve stralcio in Vacca, Nuove testimonianze, p. 10).
131 A Silvio Spaventa Modena, 1 marzo 1860 Mio carissimo Silvio, Avrei dovuto scriverti da un pezzo, o almeno rispondere subito alla tua del 24 del mese passato, ma non so perché non l’ho fatto. Sono stato due giorni a Bologna così per divertirmi un poco, con Isabella e Millo. Mi trattenni un giorno di più, perché trovai nello stesso albergo Tommasi che era venuto da Pavia per rivedere il fratello.21 Fummo e girammo insieme tutta una giornata, chiacchierando di tante minchionerie. A Bologna incontrai Tofano per strada con un altro messere; il quale forse era l’altro consigliere vetraio; ma non si disse niente e non ci fu presentazione affatto. Tofano m’invitò a colazione pel giorno dopo, e non ci fu altro. L’ex-vetraio venne in Modena prima che io andassi a Bologna e vide De Meis. Io non l’ho visto mai né ho parlato mai con lui. Quando ci rivedemmo a Bologna nel Novembre dell’anno passato, tu già mi avevi detto qualche cosa di costui. Avresti dovuto rispondere a certe cose piuttosto importanti che ti diceva nell’ultima mia lettera, e non l’hai fatto. A questa ora avrai ricevuto una lettera di qua, che ti avrà cagionato forse non poca meraviglia. Ecco come va la cosa. 20. Raffaele Piria (1813-1865), chimico e scienziato, docente universitario a Pisa e a Torino, dove fu chiamato nel 1856 dal ministro Lanza come insegnante di chimica generale nell’Università. La lettera di Ciccone a Bertrando, del 9 febbraio, è in SNSP, XXXI. D.3. 21. Cfr. lettera 116, nota 113.
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Io ho sempre pensato e penso che a te conviene uscire da questo stato provvisorio e cessare di passare la vita a scrivere articoli di giornali. È tempo di decidersi a qualche cosa, di fare qualche cosa di buono. Qui tu mi ripeterai la solita storia: non posso, non sono buono a nulla, etc. E io ti ripeto: l’unico modo di convincersi di essere buono a qualche cosa è quello di cominciare a fare qualche cosa. Rimanere sempre così a ricantar sempre la stessa storia: non valgo niente, è una desolazione che mi fa gran dolore e se vuoi anche rabbia. Tu stesso mi parevi in certo modo persuaso di questa gran verità, e quasi deciso a far lezione di filosofia del diritto a Bologna. Io ti risposi confortandoti, e ti dissi che alla prima occasione ne avrei parlato a Farini. E lo feci dopo il suo ritorno da Torino. Gli dissi che era mio desiderio che tu uscissi da uno stato quasi d’inerzia (usai una parola più civile), che tu potevi e dovevi fare, etc., ma che in certo modo avevi poca voglia di fare (anche questo dissi più civilmente). Farini si mostrò dispostissimo. M’informai se a Bologna ci era cattedra di filosofia del dritto. Sì, ma occupata. Non si conchiuse nulla allora. Che cosa poteva proporre a Farini, incerto com’era e come sono ancora di ciò che risolverai tu? L’uomo propone e Dio dispone: e tu sei il Dio che disponi di te stesso, e non sempre come vorrei io. M’informai ancora se ci era cattedra di filosofia. Mi si rispose da Farini che era stata promessa a un giovine di nome Palmucci22 romagnolo d’ingegno, etc.; che Montanari 23 – ministro qui dell’Istruzione – l’avea proposto, etc. M’informai se ci era cattedra di Storia della filosofia. Non ci è, si rispose: … ma … ci dovrebbe essere; se ne è parlato già con Lignana; è necessaria… (Lignana è quel mio amico piemontese che è stato in Germania, e ora è nominato professore di Sanscrito a Bologna). 24 Non ci fu altro allora, perché venne gente (era una soirée) e s’interruppe il discorso. Intanto seppi poi che Lignana avea detto: voi avete Spaventa a Modena; perché non gli fate insegnare storia della filosofia a Bologna? Dopo pochi altri giorni rividi Farini. Mi venne incontro, e mi disse netto netto che avea risoluto di creare questa cattedra, che avea intenzione di mandar me (non però ora subito), che io avea fatti molti studi, specialmente sui filosofi italiani, etc.; ma che ci era una difficolta: i Modenesi essere gelosissimi della loro università: toglier me all’università di Modena avrebbe prodotto un mal umore, che mi stimavano moltissimo, etc. Io risposi colla stessa schiettezza: certamente niente desideravo io di meglio che insegnare storia della filosofia piuttosto che diritto; aver cominciato qualche lavoro (per esempio Gioberti), che avrei voluto finire, dettare e pubblicare, etc.; ma che alla fine avrei fatto ciò che avessero voluto. Poi mi disse: di pensare anche a Silvio; bisogna scuoterlo. Volevo dirgli: nominate lui a questa cattedra. Ma poi pensai tra me e me: e se Silvio disporrà altrimenti? Potrebbe darsi che la cosa s’imbrogliasse, che ci si mettesse qualcuno in mezzo, e che al far dei conti non ci andassi né io né lui. Ti confesso, che pensavo anche a un’altra cosa. Dicevo: se Silvio si ostina a credersi incapace di fare, se non altro andando io a Bologna potrà stare con me, e studiare e lavorare a suo piacere. Con 4.000 franchi potremo vivere e tirare innanzi. E poi si vedrà. Qui al contrario non ho che 2.500 franchi. Come si farebbe a vivere? Mi ricordavo che tu mi avevi scritto che forse ti saresti deciso a fare filosofia del diritto. Volevo dire a Farini: nominate Silvio a Modena, e così si acconcerà tutto. Ma non ebbi coraggio di dire né pur questo. Farini è un uomo che vuol fare le sue cose prontamente, e ama poco i se, e i ma. Io non sapeva se tu avresti 22. Luigi Palmucci (1832-1910), medico e uomo politico umbro nominato reggente di filosofia all’Università di Bologna il 10 marzo 1860. 23. Antonio Montanari (1811-1898), letterato e studioso di problemi economico-sociali, fu esponente del gruppo moderato e senatore dal 1860. 24. Cfr. lettera 75, nota 30.
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accettato, e molto meno se avresti accettato a Modena. Farini mi disse: ci rivedremo. Ma non l’ho visto più; ora non è in Romagna. Io ti scrissi qualche cosa di tutto ciò; ti dissi le cose più importanti, e specialmente ti premurava a deciderti, perché io potessi dire a Farini: nominatelo a questo. Tu non mi hai risposto. – Ora vedi che è successo. Tre sere fa incontro Selmi, Segretario generale del Ministero d’Istruzione pubblica. Mi dice: Farini vuol mandarti a Bologna, etc. È una faccenda seria; il Ministro dice così; ma Farini è risoluto. Come si fa per contentare i Modenesi? – E io zitto. Che dovea rispondere? E lui: e tuo fratello non potrebbe venire? Così la cosa sarebbe accomodata con piacere dei Modenesi. Scrivigli. – Ed io: gli scriverò, ma mio fratello è sempre indeciso, e pure può tanto fare. Non dissi altro. Che dovea dire? – Incontrai Selmi di nuovo ieri sera. Mi dice: questa mattina ho scritto a Silvio, e gli ho detto che l’unico modo di contentare i Modenesi è di venire lui qui. – Oh! risposi io – E dissi tra me: io non gli ho scritto ancora. E questa mattina ti scrivo. Posto tutto ciò, che cosa bisogna fare? L’idea di venire a Modena forse ti farà ridere, ma io non la trovo poi tanto ridicola. Certo Modena non è Firenze, ma è una piccola città, dove con circa 3.000 franchi si può viver piuttosto bene, a un’ora di distanza da Bologna e 10 al più da Torino. Ci potremmo vedere spessissimo. Faresti tre sole lezioni, di un’ora, la settimana. La filosofia del diritto non ti sarebbe difficile, io ti potrei aiutare. Avresti il vantaggio di non cominciare subito ora, ma avresti tempo, credo, sino al nuovo anno scolastico per prepararti. Da quel che ho potuto intendere da Selmi, io dovrei restar qui sino a Giugno. In 5 mesi tu studieresti bene la materia. Saresti qui rispettato e per te stesso e anche per me, pel mio gran nome. L’ombra mia ti proteggerebbe. Leviamo gli scherzi: staresti bene, e potresti far altro. Non avresti per collega Nisco, al quale dovrei fare un processo di tentato omicidio, perché leggendo la prima parte della sua Prolusione per poco non sono morto di convulsione, tanto mi veniva da ridere. Avresti sì per collega Trinchera; ma t’importerebbe poco; qui verrà Pica, che è tuo amico. Usciresti dal provvisorio; faresti degli studi. Oltre il diritto, io fo la storia della filosofia del diritto; e qui potresti fare delle belle cose. Bisogna cominciare una volta. Quello che si può ottenere ora da Farini, non si potrebbe appresso dai Piemontesi; e tu non puoi vivere così. Bisogna che facci qualche cosa di serio, e che ti assicuri anche la vita. Se la cosa andasse e durasse per me e per te, farei venire quel povero vecchio di Papà. Ma l’uomo propone (e l’uomo sono io), e Dio che sei tu, dispone. Non ci è peggio che fare i conti senza l’oste. Potrò una volta avere la consolazione di dire: Silvio ha fatto ciò che gli ho detto io? Io non ho mai dimenticato quel maledetto giorno di San Giuseppe, che io ti voleva persuadere ad andartene via da Napoli; e tu no, no, no. E fosti arrestato e strappato dal mio braccio.25 Ti dico poi, che ho anche gran voglia di far crepare qualcuno. È un gusto che comincio a provare da qualche tempo. Se sapessi che gente. Dunque io ti consiglio, e direi voglio che tu dica di sì. O almeno non dica subito: no. Già, credo, non dovresti venir subito, e puoi apparecchiarti. Del resto l’importante è che ti decida a far qualche cosa. Per me è indifferente di star qui o altrove. Ciò che mi dispiacerebbe, sarebbe che tu restassi a Firenze senza far nulla, e io a Modena, e altri andasse a Bologna. Mi sono spiegato? Vuoi andar tu a Bologna? Dimmelo, ma netto, e vedrò se si può fare così. Ciò che importa è di non complicar le cose. Ti dico che per quanto Farini mi voglia bene, altrettanto credo di non essere simpatico a Montanari. Lo stesso Selmi ha paura un po’ del mio ingegno. Selmi è stato a Torino negli anni passati, e ha sentito parlare un po’ di me e dei miei scritti. Non vorrei che il timore che mostrano di aver del malumore dei Modenesi, fosse un pretesto. Forse m’inganno, e 25. Silvio era stato arrestato il 19 marzo 1849.
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saranno di buona fede. – Ad ogni modo io farò ciò che vorrai tu, e non ho bisogno di dirti altro. Ma tu devi deciderti a una cosa. Per me ti consiglierei di fare la filosofia del dritto; almeno per ora; piglierai fiato; poi si vedrà. Ti ripeto, non risponder subito no a Selmi; dì che vuoi pensarci. E intanto ci penseremo meglio io e tu tra noi. – Ti dico anche che Farini è uomo di fare la cosa, anche col malumore dei Modenesi. Ma non sarebbe meglio far l’una e l’altra cosa insieme? Di tutte queste cose io non ho detto niente a nessuno, nessuno; e tu farai lo stesso, assolutamente lo stesso. Rispondimi subito, perché io possa regolarmi con Farini quando ritornerà, che sarà presto. – Farini, come saprai, sarà Ministro dell’Interno a Torino. Egli mi disse, che prima di lasciar Modena avrebbe dato ordine a tutto. Bisogna dunque che tu ti decida subito. Rispondimi e non fare il tuo solito. Nel rileggere questa lunga lettera rido tra me della necessità in cui sono stato di usare tanta rettorica per persuaderti a fare una cosa. E ripeto: non risponder subito: no. Dì, se non altro, ci penserò, vedrò, riscriverò. E intanto vedremo io e tu. Hai capito? Rispondimi subito subito, a posta corrente. E non dir niente a nessuno assolutamente. Bertrando Se non hai avuto ancora la lettera di Selmi va alla posta e fammi sapere cosa ti dice. SNSP, XXVI.D.3.1 (breve stralcio in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 333-334, e in Vacca, Nuove testimonianze, p. 11).
132 A Silvio Spaventa Modena, 7 marzo 1860 Mio carissimo Silvio, Ho aspettato invano tue lettere. È tempo che ti decida pel sì o pel no. Farini partirà di qui il giorno 15,26 e dopo non si potrà più far nulla. Intanto il decreto per me a Bologna è già firmato; così mi ha detto Selmi; ma non si pubblicherà se non dopo la partenza di Farini per non dispiacere ora ai Modenesi. Perciò ti raccomando di non dirne niente a nessuno anche tu. Selmi ieri ti ha mandato un dispaccio telegrafico. Qui staresti bene, saresti rispettato, considerato etc. Tre lezioni la settimana a giorni fissi; quindi spesso due invece di tre. Avresti tempo sino a Novembre venturo per apparecchiarti alle lezioni. L’anno venturo lo stipendio sarà di tre mila franchi, pare; oltre le propine per gli esami. Insomma 3.000 certi. Saresti indipendente, vicino a me, etc. Non è cosa da sprezzare. Potresti studiare. Pensaci bene a dir di no. Oggi è mercoledì, e la mia lettera al più tardi ti giungerà venerdì (9). Se ti decidi pel sì, come spero e vorrei, mandami un dispaccio telegrafico concepito così: Accetto. Mandalo lo stesso giorno; acciò che io possa far fare il decreto prima della partenza di Farini. Farini, che vidi domenica scorsa, sarebbe contento se tu accettassi etc.
26. Dopo il plebiscito dell’11 e 12 marzo, Farini partì per Torino, dove fu nominato ministro dell’interno.
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Il mio indirizzo è: Via Emilia casa I/930, cioè lettera i n.° 930. Potresti anche indirizzare il dispaccio a Selmi stesso. Addio di fretta. Animo e senti una volta il Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
133 A Silvio Spaventa Modena, 8 marzo 1860 Mio carissimo Silvio, Ieri sera ricevetti la tua lettera dalla campagna. Mi recai da Selmi per dirgli la cagione del ritardo che tu mettevi a rispondere, e trovai la tua risposta affermativa per dispaccio. Bene. Hai fatto molto bene ad accettare e te ne troverai contento – contentissimo. Vedrai. – Selmi mi manda in questo momento un biglietto in cui mi dice che Farini ha firmato stamane la tua nomina, e che ti scrivessi subito. E io ti scrivo. Andrò oggi o domani mattina al più tardi da Selmi, per sapere che cosa si vuole intorno al cominciare il corso a Bologna. Farini, che non ho visto più da domenica, mi disse che sarebbe stato meglio cominciar l’anno venturo. Sentirò gli altri. Intanto non ci è da smarrirsi per qualunque caso. L’anno si può dire quasi finito. Tra giorni cominceranno le vacanze di Pasqua; e poi la metà di Aprile e Maggio soltanto. Appena una ventina di lezioni. Insomma ti assicuro io che puoi forse pigliar tempo fino a Novembre. L’importante è aver la nomina ora; e poi hai diritto a pigliare quel tempo che sarà necessario. Pica, nominato da un pezzo e accettante, non è venuto ancora. 27 Del resto io ti scriverò altro domani; ti farò sapere tutto. Combinerò la cosa in modo che tu sii soddisfatto. Qui non avresti bisogno né anche di trovar casa. Abiteresti nella mia che io ho preso in fitto sino a Maggio 1861. Ti lascerei i miei mobili, un buon letto di ferro, comò, etc. Tu mi parli di commedie dei nostri amici. Se sapessi tutto, rideresti. A suo tempo. Pensa a star bene e di buon animo. Animo per Dio. Se io sono vivo, devo ciò a un certo coraggio che ho avuto sempre. Addio. Isabella e Millo ti salutano. Bertrando Ricevo ora la tua lettera del 6. Va benissimo. Intanto mi fa meraviglia come non abbi ricevuto la mia lettera del 1° Marzo (giovedì), il giorno dopo che ti scrisse Selmi. Era una lunghissima lettera nella quale ti raccontava la storia di tutta la cosa. Ci fosse qui e costà qualche diavolo che rubasse le lettere? A domani. Bertrando
27. Pica, come ricorda Croce citando un brano di una lettera di Silvio a Bertrando, non accettò la cattedra (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 333).
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Quanto al tempo non determinar nulla tu per ora. Lascia che io veda prima con Selmi. Non capisco come la mia lettera si sia perduta. Mi dispiace perché parlavo liberamente di certe cose. SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
134 A Silvio Spaventa Modena, 10 marzo 1860 Mio carissimo Silvio, Ti ho scritto colla data del 7 e dell’8. Fammi sapere se la mia lettera del 1° l’hai poi ricevuta. – Ieri sera vidi il Selmi. Il Selmi è di parere che convenga per tante ragioni che prendessimo subito possesso delle nostre cattedre, tu qui e io a Bologna. Mi spiego. Il subito s’intende da qui a un mese e qualche giorno. Le vacanze di Pasqua cominciano il primo di Aprile e durano sino all’11. Tu dunque cominceresti le lezioni verso la metà di Aprile. Non avresti bisogno di perder tempo qui per trovar casa, perché ti cederei la mia etc. La grande difficoltà per te sarebbe di non avere che un 35 giorni di tempo per prepararti! Ma ascoltami e vedrai che non è niente. Io terminerò la prima parte del Corso a tutto Marzo (la Storia). Tu non dovrai fare dunque che 7 lezioni nel rimanente mese di Aprile, 11 nel Maggio e 11 nel Giugno: totale = 29. Ti dico anzi che a Giugno le lezioni sono più tosto preparatorie per gli esami che altro. Le materie che devi trattar sono tal cosa, che bastano meno di 15 giorni per esserne padrone. Hai da sapere che gli esami verteranno sopra 10 tesi che ho date io stesso, le quali comprendono i capi principali del Dritto, ma così in generale e senza entrare nei casi particolari. Basta il dirti, che ogni scolaro non discorre sulla sua tesi che un 20 minuti. Le tesi sono: 1) Idea del Dritto, e differenza dalla Morale. Distinzione del diritto positivo e del diritto naturale. 2) Sistemi principali del Dritto naturale. Sistemi che negano il Dritto naturale. 3) Del diritto di proprietà e dei principali sistemi sul fondamento del dritto di proprietà. 4) Del contratto in generale; e deduzione delle differenti specie di contratto. 5) Del matrimonio: sua natura e fine etc. 6) Del dritto di successione, e delle sue specie. 7) Della società civile; principio e fine di essa. 8) Idea dello Stato, e sua differenza dalla Società civile. 9) Le podestà costitutive dello Stato (I tre poteri). 10) Relazione fra lo Stato, e la Religione e la Chiesa. Ecco tutto. Tutta questa materia, e qualche altra cosa come legame tu puoi benissimo svilupparla in un 20 lezioni. È materia che sai più o meno e non hai bisogno che rileggere. L’importante è che sii apparecchiato bene per tre lezioni, le prime tre. Così avrai sempre una settimana di tempo e l’animo tranquillo per le avvenire. Io ho fatto così e me ne son trovato bene. E i libri? dirai tu. I libri per quest’anno li ho tutti io, e per le tesi ti saranno sufficienti Kant,
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Ahrens stesso,28 Hegel e se credi lo stesso Stahl. La prima tesi si trova in Kant e Ahrens (se non credi di dover parlare quest’anno della distinzione più profonda che fa Hegel tra diritto e morale). La seconda abbraccia i sistemi del Diritto naturale propriamente detto (da Grozio a Kant e Fichte). Bastano due lezioni. La materia la troverai in Ahrens, e meglio in Stahl, che tu hai. Ma si tratta solo di assegnare le determinazioni generali. Cioè come costoro intendevano la natura dell’uomo; alcuni la scambiavano coll’origine empirica, collo status naturalis, altri con un lato di questa natura, cioè del concetto dell’uomo. Rousseau addita la vera via: la natura umana è il volere. Kant fa meglio; e poi meglio Hegel. Quelli che negano il diritto naturale sono quelli della scuola storica, e i teologi (in parte i contro rivoluzionarii di Stahl). La terza tesi la troverai in Ahrens, in Kant, in Hegel. Così innanzi. Ora nei giorni che rimangono tu puoi certo apparecchiarti a 4 o 5 lezioni; e cominciato, qui farai il resto. Ahrens lo potrai trovare a Firenze, e credo anche Kant (traduzione Barni).29 Se no, te li manderò subito io, e anche l’Hegel e lo Stahl. Perciò scrivimi subito su questo. Se ti piacesse, potresti fare come una prelezione al tuo corso, per esempio Idea del Dritto e i suoi principali momenti dal volere come proprietà al volere come Stato (passando pei momenti della famiglia e della Società civile); lo Stato = la vera realtà del volere umano; senza Stato, non vero uomo (e importanza dello Stato; senza Stato, non nazione; la perfezione della nazione essere lo Stato etc. Tu m’intendi. Sarebbe anche un discorso a proposito nelle presenti circostanze). Così piglieresti un po’ di confidenza col pubblico. Ti avverto poi che non ci è da sbigottire affatto. Quanto alle ragioni poi che consigliano di fare così, cioè di pigliar subito possesso, Selmi mi faceva riflettere tra le altre cose, questa: Giovare trovarsi al proprio posto, prima che i piemontesi mettano qua le mani; venendo tu ai principi di Aprile, piglieresti possesso; siccome il soldo corre dal giorno della nomina o della comunicazione del decreto (e tu sei già stato nominato), non venendo ora ma solo a Novembre – oltre il primo inconveniente – ci sarebbe quest’altro: o piglieresti il soldo senza far lezione da Aprile a tutto Ottobre, o non pigliandolo – oltre altri inconvenienti formali che non ti dico – ci sarebbe anche quello di perdere 7 mesi di soldo per non fare 25 o 26 lezioni. Se non altro questo soldo ti servirebbe per compenso di spese di viaggio, per compra di libri, per le spese di primo stabilimento etc. E poi essere nominato ora, e venire dopo 7 mesi, sarebbe come far dimenticare la tua nomina. In questo caso anche io dovrei restar qui; e a me converrebbe pigliar possesso della cattedra, perché è cattedra assolutamente nuova, creata a posta da Farini; e si potrebbe dire, perché crearla ora per Novembre? Etc… Tu dunque dovresti venire, come ti dicevo, ai principi di Aprile; presentarti almeno qui all’Università, essere riconosciuto come membro di essa, etc. E il resto – senti a me che so le cose – si accomoderebbe da sé a tua soddisfazione. Avresti fatto una gran coglioneria non accettando. Oltre il bene che ti verrà dall’occupazione, ce ne sono altri che vedrai tu stesso. – Quanto a me, io pure devo apparecchiarmi. Farò una ventina o venticinque lezioni. Forse farò un corso sommario su Galluppi, Rosmini e Gioberti. Vedrò. Animo dunque, e senti a me. Rispondimi subito e dimmi che libri vuoi. Ma preferisci di comprarli costà, perché per la posta si possono perdere. Bastano pochi. Isabella vorrebbe un cappellino di paglia di Firenze. Te lo dico 28. Oltre ai testi giuridico-politici di Kant, Stahl e Hegel, Spaventa probabilmente allude a Heinrich Ahrens, Cours de droit naturel ou de la philosophie du droit, fait d’après l’état actuel de cette science en Allemagne, Bruxelles, Société Typographique Belge, 18502, di cui si conserva un esemplare nella Biblioteca di Bergamo (VI.A.2/24). 29. Cfr. lettera 78, nota 54.
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ora perché t’informi del prezzo, che non sia né troppo poco, né troppo. Te lo ricorderò a suo tempo. Saremo vicini, distanti un’ora, anzi meno. Per l’anno venturo potremmo far venire altri libri a tempo, specialmente la grande opera di R. Mohl,30 che è come un’Enciclopedia di tutto il diritto. Addio e subito risposta. Addio. Bertrando Venendo ai principi di Aprile c’intenderemmo in due o tre giorni sul corso che dovresti fare. Alcune persone che se ne intendono mi dicono sarebbe meglio venissi al più presto. SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 11-13).
135 A Silvio Spaventa Modena, 13 marzo 1860 Mio carissimo Silvio, Ho ricevuto la tua del 9. Io ti ho scritto anche l’8, e il 10. – Finora io non ho visto che Selmi; non ho visto ancora il Ministro. Ieri sera vidi Farini, il quale non mi parlò d’altro che della necessità che la filosofia sia libera perché sia filosofia. Mi domandò: e Silvio quando viene? Non stimai bene di interrogare Farini sulla convenienza della tua venuta qua ora o nel nuovo anno. Farini partirà il 15, e pensa ora ad altre cose. Vidi ieri sera anche Selmi, il quale insisté di nuovo sulla necessità della tua venuta qui al più presto, non tanto per far lezione appena giunto, quanto per pigliar possesso come si dice. E pigliar possesso significa venire a Modena, farsi vedere, presentarsi al Rettore dell’Università, e niente altro. Trinchera è qui da un mese, e non ha cominciato ancora. Devi persuaderti che non si va tanto pel sottile. In questi momenti di grandi cangiamenti si ha la testa ad altro. Tu dunque verrai, e ti presenterai dopo tre quattro cinque sei giorni. – Quando comincerà lei? – Vedrò. Sono giunto pochi giorni sono. Sono stato nominato improvvisamente etc. – E non ti diranno più niente. Capiscono essi stessi, che questo è un anno eccezionale. Io stesso ho cominciato due mesi dopo che sono venuto. Ti ripeto poi che da Pasqua in poi non rimangono a fare che 25 o 26 lezioni a rigore. Quello che importa assolutamente è che tu sii riconosciuto qui professore e io a Bologna, ora, prima della fusione compiuta, 31 e non a Novembre. Il soldo corre dal giorno della nomina. Tu potrai fare al più un dieci lezioni. Se non ne vuoi fare tre la settimana, ne farai due. I giovani hanno molte scuole, tanto che con difficoltà si è trovata un’ora per Trinchera. Vedi dunque che non ci è da smarrirsi, e vedere difficoltà dove non ci sono. Nella mia lettera del 10 io ti scrissi un certo mio progetto sulle lezioni che avresti potuto fare. Ora per agevolarti di più lo modifico così: Io farò lezione sino alla fine di Marzo; farò più lezioni di quelle che dovrei fare; tratterò – oltre una lezione preliminare sul Dritto in generale – la proprietà, 30. Robert Mohl, Encyklopädie der Staatswissenschaften, Tübingen, Laupp, 1859. 31. Si riferisce all’imminente plebiscito per l’annessione al Piemonte.
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il contratto, la famiglia, e se vuoi anche il concetto della società civile. Poi vieni tu nelle feste di Pasqua. Farai qui stesso una prolusione sullo Stato Nazione o altro; la leggerai verso la fine di Aprile, e a Maggio e in quei pochi giorni di Giugno che resteranno farai 7, 8, 9, 10 lezioni sullo Stato. L’importante è che scriva una buona prolusione ad hoc. È un argomento, che tu sai, e puoi trattar bene. 10 o 15 giorni ti basteranno per scriverla. Quanto alle poche lezioni, sceglierai i punti più generali e importanti. Per questo oltre Hegel e Stahl ti potranno essere utili Bluntschli e Dalmann.32 Tu temi troppo e non ci è da temere. Se farai un gran bel discorso proemiale, tutto andrà bene, e la tua fama sarà fatta. La mia si fonda in gran parte sul discorso primo di apertura, che non era tanto cattivo, ma era un po’ abborracciato e scritto in due giorni. Ripeto, bisogna venir qui. Facendo io lezione sino alla fine di Marzo, e ricominciando le scuole verso i 15 di Aprile, non si dirà nulla se tu comincerai ai principi di Maggio. Senti a me. Vieni qui e la cosa si acconcerà da sé, naturalmente. Se tu dunque accetti questo secondo progetto, mi devi rispondere subito, in modo che io riceva la tua risposta al più tardi domenica sera (18 Marzo). Dal 18 al 31 io farò in modo che tu possa a tuo comodo cominciare dalla Società civile o dallo Stato. Se poi preferisci il primo progetto, dimmelo pure per domenica. – Io anche farò così. Andrò a Bologna, mi presenterò; e poi si vedrà. Dunque tu devi venire nelle feste di Pasqua o prima se ti piace. Ti dico anzi se vuoi venire col Discorso fatto, tanto meglio. Potresti allora venire al finire delle feste; poi ti presenteresti; poi passerebbero alcuni giorni per stabilirsi qui; poi faresti la prolusione; poi etc. E così guadagneresti tempo. Hai capito? Ripeto: l’importante è appartenere all’università sin da ora. Per l’anno venturo poi si vedrà. E farai grandi cose. Sì, grandi cose. – Ti ricordo il cappellino per Isabella, e che sia guarnito come si usa costì. Rispondi subito, e dimmi che libri vuoi. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (brevi stralci in Vacca, Nuove testimonianze, p. 10).
136 A Silvio Spaventa Modena, 15 marzo 1860 Mio carissimo Silvio, Ricevo la tua lettera del 12. Non bisogna smarrirsi per una cosa da niente. Ti ho scritto il giorno 13. Se tu credi che non puoi assolutamente cominciare ad Aprile o ai principi di Maggio, si vedrà di rimediare anche a questo. L’importante ora è di non dire a questi Signori che tu sei deciso a non venire. Può darsi anche che tu stesso muterai parere, e ti deciderai a venire. Lasciamo così la cosa per qualche giorno, lascia fare a me, e non parliamo che tra me e te di questo. Intanto sarebbe buono che apparecchiassi qualche cosa, come se dovessi venire, specialmente quel tale discorso. Ti raccomando 32. Si tratta molto probabilmente dell’opera di Friedrich Christoph Dahlmann, Die Politik auf den Grund und das Mass der gegeben Zustände zurück geführt, Zweite verbesserte Auflage, Leipzig-Bonn, Weidmann, 1847, di cui si conserva una copia del primo volume nella Biblioteca di Bergamo (VI .B.6/63).
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di rispondermi, e fa che la risposta mi giunga al più tardi martedì mattina (20 corrente): mi devi dire se – nel caso che ti decidessi a venire – vuoi che faccia io la proprietà-il contratto-la famiglia-la società civile, ovvero no. Quanto al venire o no, si penserà meglio tra noi. Io ti diceva di venire e per pigliar possesso ora, e per non perdere un quasi 2.000 franchi tra soldo e propine. Quanto a me, io sono risoluto di andare a Bologna al più presto possibile, e pigliar possesso. È vero che il Ministro ora è Mamiani, 33 non credo che... Ma ad ogni modo le cautele non sono superflue. Appena riceverò la nomina, farò così: mi recherò dal Ministro Montanari per ringraziarlo, e vedrò che cosa ne pensa lui. Mi regolerò. In caso estremo proporrò – per non lasciar così questi giovani – di fare due lezioni qui, e due a Bologna per settimana. T’informerò di tutto. Ad aspettare non ci si perde niente. Dunque restiamo così. Ti scriverò ogni novità, e tu non dare alcun passo senza avvisarmelo prima. Selmi ha già mandato al Pessina la nomina a Livorno.34 Può farla ritirare colà da qualche suo amico. Risaluto Venusio e il professor Nisco. Addio per oggi. Bertrando Il bravo Ciccone mi scrive e si congratula con noi della tua e della mia nomina. Dice che è persuaso che tu puoi far bene, e farai bene. 35 SNSP,
XXVI.D.3.1
(inedita).
137 A Silvio Spaventa Modena, 17 marzo 1860 Mio caro Silvio, Ti scrivo di fretta. Ieri ho avuto comunicazione officiale della tua e della mia nomina.36 La nomina tua la conservo io. La prenderai quando verrai. Dovrai rispondere al Ministro per ringraziarlo; ma non prima, che io te ne scriva un’altra volta. Non ho ancora veduto il Ministro, per trattare dell’affare delle lezioni che vorrei fare qui per te. Tu hai ragione in questo, che è difficile e strano continuare il corso cominciato da un altro, per quanto grande possa essere la comunità di principi. La facoltà legale a cui parlai ieri sera di ciò, mi esortava a fare così, a dare qui almeno due lezioni la settimana, e anche una. Tanto più che i miei scolari appartengono tutti all’ultimo anno, e dovendo fare gli esami di laurea, finiscono di fatto le lezioni alla fine di Maggio. Di modo che resterebbe solo metà di Aprile e Maggio. Se il Ministro consente che faccia così, lo farò. E tu avrai tempo sino a Novembre. Se no, si vedrà. Non t’impazientire. A poco a poco si acconcia tutto. 33. Mamiani fu nominato in quell’anno ministro della pubblica istruzione. 34. Enrico Pessina (1828-1916), giurista napoletano, fu nominato professore di diritto costituzionale all’Università di Bologna. In seguito, fu professore di diritto penale a Napoli. Più volte ministro, fu deputato del regno d’Italia nelle legislature VIII, X, XIII e senatore dal 1879. 35. Cfr. la lettera di Ciccone a Bertrando del 12 marzo (SNSP, XXXI.D.3). 36. Entrambe le nomine erano state fatte in data 8 marzo (cfr. la comunicazione da parte del rettore Selmi in SNSP, XXVI.D.2.3).
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Per questo ti dico di non rispondere ora al Ministro e a nessuno. Ti scriverò subito dopo aver parlato col Ministro. Addio per ora. Ti ho scritto il giorno 15 e il 13, mi pare.37 Addio. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
138 A Silvio Spaventa Modena, 30 marzo 1860 Mio caro Silvio, Rispondo brevemente alla tua d’oggi. Vedrò stasera Selmi, per domandargli se sono vere le notizie che ti ha dato Pessina. Sarebbe bella davvero che a Bologna avessi meno che a Modena! Se è regola, tanto: ma se è arbitrio, io li manderò a farsi fottere. Ma di ciò a sangue freddo. Intanto fatti dire dal Palagi (il Proreggente) che cosa ha deciso sui giorni ed ore delle mie lezioni etc. Digli chiaro e netto, che io sono Professore a Bologna e non a Modena, e che devo insegnare a Bologna. Ciò nel caso, che ti dicesse di rimandare la cosa all’anno venturo. Bisogna mostrare un po’ anche i denti a costoro. Isabella mi dice di non aver colpa dello spargimento d’inchiostro; che lei voleva chiudere il calamaio e altro, e che tu le dicesti che avresti fatto tutto tu. Il pettinino della barba non è qui, ma invece la spazzoletta del pettine. Ti ricordo la casa. Informati bene anche tu del soldo e di altro costì da qualche amico. Scrivimi subito. Non sarà difficile che venga io domenica sera o lunedì mattina. Perciò scrivimi prima che ti ha detto il Palagi. Addio. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
139 A Silvio Spaventa Modena, 5 aprile 1860 Caro Silvio, Ieri mattina è partito Ciccone;38 io e De Meis l’abbiamo accompagnato sino a Parma. Sono ritornato ieri sera tardi. Questa mattina ho trovato alla posta la lettera che t’invio. Ti aspetto per Pasqua. Pensa seriamente a trovare la casa a Bologna, perché l’affitto qui finisce alla fine di Aprile. Addio di fretta. Saluto Pessina. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
37. Cfr. la lettera di Silvio del 13 marzo da Firenze, parzialmente pubblicata in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 334. 38. Ciccone, come aveva annunciato a Bertrando nella lettera del 26 marzo, si trovava a Milano per la morte di un fratello e da lì fece una breve visita all’amico a Modena (cfr. SNSP, XXVI.D.2.3).
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140 A Silvio Spaventa Modena, 20 aprile 1860 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua lettera.39 Non ti ho scritto sinora, perché dalla sera stessa che ritornai da Bologna non ho avuto un momento di pace. Non so che cosa sia stato, ma ti dico che mai sono stato così come in questi ultimi otto giorni. Non ti allarmare, e non credere che io sia malato. Mangio e ho appetito. Ma prima un po’ di raffreddore, poi un po’ di dolor di testa, e finalmente un diabolico dolor di denti che ha durato quattro giorni, e solo questa mattina pare che voglia cedere. Tra le altre cose non sapeva qual dente mi dolesse davvero, e per poco non mi ho fatto cavare un dente che non mi doleva affatto. Il fatto è che sinora non me ne ho fatto cavare nessuno. Ripiglio a scrivere la prolusione.40 Ti dico che sto meglio, assai meglio. Te lo dico anche perché non usassi la cerimonia di venire a vedermi, perché così non mi faresti fare la prolusione. Hai capito? Aspetta dunque che io ti scriva. – Se lo credi, puoi vedere il Montanari, e dirgli che io sarei venuto costà a quest’ora senza un po’ d’infermità che ho avuto in quest’ultima settimana e in questa, e che non sono ancora del tutto ristabilito. Potresti sapere se mi hanno messo nel Ruolo di quelli che devono essere pagati in questo mese? Ti regolerai con prudenza. Ma se ti risolvi a vedere Montanari, fagli intendere che io non sono stato bene e altro che credi per scusarmi. Hai capito? Ma con prudenza. Hai ricevuto una lettera da Napoli che era alla posta di qui, e che io ti ho fatto spedire costà 3 giorni sono? Secondo i giornali pare che le cose di Sicilia non sono finite, anzi camminano.41 Hai veduto che cosa hanno fatto a Torino i nostri? Si sono riuniti in numero di 84, grandi e piccini, eroi, girella e burrattini. E hanno proclamato l’Annessione!42 Che coraggio! Che spirito di compromissione! Che gran politica! Non bastava tutto ciò che è successo dopo e anche prima la pace di Villafranca, non bastava la stessa annessione già fatta dell’Italia centrale per indurli a dire a Napoli: Fate così e così. No: ci voleva la rivoluzione di Sicilia. Ora parlano. E non è una solenne codardia dire a un paese: fa questo e questo, quando questo paese o si è già mosso in parte o si sarebbe dovuto muovere da un pezzo per secondare chi si è mosso? Pare che tutto il patriottismo consista nel diritto di sanzionare della loro autorità ciò che è fatto, nel battezzare, ciò che si è già battezzato da sé. Che smania di fare il parroco! Addio. Scrivimi se hai veduto Montanari. Salutami Pessina. Sei curioso sempre! Dici di non capire, e ciò che mi dici di Weissenborn mostra l’opposto. 43 Sei proprio nato per tormentare te stesso!
39. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 334-336. 40. La prolusione, Carattere e sviluppo della filosofia italiana dal secolo XVI sino al nostro tempo, fu letta il 30 aprile 1860 e pubblicata nello stesso anno a Modena (rist. in B. Spaventa, Opere, I, pp. 293-332). 41. I disordini, scoppiati a Palermo nella notte fra il 3 e il 4 aprile e immediatamente repressi, proseguirono nei giorni successivi in gran parte della Sicilia sulla scia dell’entusiasmo per l’arrivo di Garibaldi. 42. L’indirizzo di Torino, come ricordava Silvio, fu firmato solo da pochi esuli napoletani residenti in Toscana e in Emilia. 43. Georg Weissenborn, Vorlesungen über Pantheismus und Theismus, Marburg, Elwert, 1859.
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Ti avverto che ho facoltà dal padrone di casa di restare qui Maggio e anche Giugno se voglio. Intanto vedi se trovi qualche casa che convenga. Addio. Bertrando Isabella ha fazzoletti, ma non golini. Ti ripeto che il mio dolor di denti è quasi interamente cessato; va meglio. Non venire, perché non mi fai fare la prolusione. SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 336).
141 A Silvio Spaventa Modena, 23 aprile 1860 Mio caro Silvio, Ti scrivo poche righe di risposta alla tua, perché la posta parte. Oggi sto quasi bene, anzi bene. Ho avuto un dolor di denti, che mi ha fatto perdere molti giorni. Ora scrivo e spero di finir presto, ma oggi non ti posso dire quando. Ti scriverò al più presto. Non ti scordare di vedere Montanari, e il resto. Qui non si tratta ancora di pagamento per nessuno. M’informerò stasera di tutto. Addio. Fammi sapere di Montanari. Bertrando Qui si dice oggi: Palermo in mano degl’insorti, e Garibaldi con molti suoi in Sicilia o in viaggio.44 SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
142 A Silvio Spaventa Modena, 25 aprile (1860) Mio caro Silvio, Rispondo poche parole, perché non ho tempo. Se domani sera finisco, verrò domani sera stessa, e vedrò se sarà possibile fare la comparsa sabato. Se no, vedremo di farla lunedì. Si dice che il Re verrà costà martedì. 45 Dunque si potrebbe fare lunedì. Avrei piacere che mi sentissero codesti gran letterati e anche Mamiani. Ma ti scriverò di ciò domani e ti darò notizia come vado nello scrivere. Dunque hai capito? 44. In quei giorni Garibaldi a Genova era ancora incerto sulla opportunità della spedizione, a causa delle contrastanti notizie giunte dalla Sicilia. 45. Il re Vittorio Emanuele II si recò il 1° maggio a Modena, durante la sua prima visita ufficiale in Toscana e in Emilia dopo l’annessione.
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L’altra sera firmai per te il Ruolo. Dunque avrai il denaro. E tu perché non pensi per me? Fa capire a costoro, che io non sono nel Ruolo qui, e che senza denaro non ci posso stare. Qui hanno messo nel Ruolo anche Marvasi, sarebbe bella se non dovessi esserci io costà che comincerò tra giorni e che non ho già cominciato perché malato. Vedrò Selmi per l’affare del dottore di Collegio. Ma tu potresti anche saperne qualcosa pulitamente costà. Giacché Minghetti46 è tanto cortese con te, non fare il coglione. Sentimi. Non rispondere in maniera inconcludente, ma conchiudi. Il Perfetto, dice Hegel, è il Sillogismo. Se Minghetti può farti restare a Bologna, accetta. Tanto più che ora è costì Mamiani. Io verrò a visitarlo. Ripiglia il discorso, dì che a Modena ti seccheresti, etc. Fa come ti dico io. Sentimi. Prepara tutti codesti Signori ad udire la mia gran Prolusione. Non dimenticarlo. Addio. Bertrando Riapro la lettera, perché ricevo la seconda tua. Della casa ti scriverò domani. Vedi per Dio Montanari. Io verrò al più presto. Per sabato credo certamente. SNSP,
XXVI.D.3.1
(inedita).
143 A Silvio Spaventa Modena, 26 aprile (1860) Mio caro Silvio, Io verrò senza meno domani venerdì: forse domani mattina, ma certamente coll’ultima corsa; lascia a casa un biglietto in cui dica dove io possa trovarti. Parleremo della casa. – Intanto disponi, se puoi, che io faccia la prolusione lunedì a quell’ora che si giudicherà migliore; fallo sapere a tutti, perché vengano tutti. Inviterò Mamiani, etc. Parlane dunque col Montanari. Non fare il trascurato. Vorrei farla prima della venuta del Re, perché la sentissero molti buoni. Hai capito? Addio dunque a domani. Ti raccomando di fare ciò che ti ho detto. Bertrando SNSP, XXVI.D.3. 1 (inedita).
46. Marco Minghetti (1818-1886), uomo politico bolognese, collaboratore di Cavour nel 1859; direttore degli affari d’Italia a Torino per il governo delle nuove province e ministro dell’interno nel 1860. Fu in seguito più volte ministro e deputato del regno d’Italia dall’VIII alla XVI legislatura.
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144 A Silvio Spaventa Bologna, 10 maggio 1860 Caro Silvio, Ti ho spedito oggi il pantalone e il gilè per mezzo della diligenza di qui, che tu sai vicino alla Posta. Ho pagato io qui. L’involto è suggellato in cera lacca rossa. E. H. Vengo dalla lezione: credo di essere andato benone.47 Ho parlato senza sputare, con calore e spesso proprio ispirato. Erano un cinquanta uditori. Ci era Montanari, il quale spesso approvava e all’ultimo ha battuto forte le mani cogli altri. Sono stato applaudito a principio e più alla fine. Piano, piano, e si vedrà. Ne riparleremo martedì dopo la seconda lezione. Certe volte li scoteva e li faceva saltare dai banchi. E io non sono ciarlatano. Erano idee nuove per loro. Vorrei che capissero appunto questo: la differenza tra le idee e i paroloni. Addio. Scrivimi subito e scrivi a De Meis. Bertrando Insomma sono piuttosto contento di me. SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 314).
145 Ad Angelo Camillo De Meis Modena, 11 maggio [1860] Mio caro Camillo, Ho rimesso la tua seconda lettera a Silvio, il quale a quest’ora deve essere a Firenze. 48 Ho aspettato invano lettere di Ciccone o di Diomede,49 che mi parlassero della tua salute. Il silenzio è buon senno. Non andare in collera, se io credo poco a ciò che tu dici. Io ho la ferma speranza, che tu guarirai perfettamente, e che ci rivedremo anzi tra poco. Qui forse cominceranno gli esami ai primi di Giugno. Giorni sono incontrai Vaccà,50 che mi domandò di te e della tua salute con molto interesse. Mi diceva che non t’incomodassi e che pensassi solo a ristabilirti. Diceva, che tu avevi voluto sforzarti troppo, e che la causa unica della tua malattia era la tensione mentale soverchia nel fare una fisiologia sublime. 47. L’abbozzo di questa prima lezione bolognese, insieme a quelle del 16 dicembre 1860 e dell’11 marzo 1861, fu pubblicato da Augusto Guzzo, Lezioni inedite di B. Spaventa, in «Giornale critico della filosofia italiana», XI (1925), pp. 360-369. Sul corso bolognese, cfr. anche Felice Battaglia, L’insegnamento di B. Spaventa a Bologna, in «Giornale critico della filosofia italiana», XXVIII (1949), pp. 339-347. 48. De Meis, appena giunto a Torino, scrisse il 5 maggio ai due fratelli un’accorata lettera, interamente dedicata alle sue gravi condizioni di salute (SNSP, XXVI.D.2.4). 49. Antonio Ciccone e Diomede Marvasi si trovavano ancora a Torino. 50. Luigi Vaccà, docente di materia medica e terapeutica all’Università di Modena e direttore della sezione letteraria dell’Accademia di scienze, lettere e arti nella stessa città.
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Fece tanti elogi di te e dell’amore che ti portano i giovani. Anche D. Vischi mi domanda sempre di te, ogni volta che m’incontra. Tu scrivimi spesso, almeno due righe e dimmi – ma senza esagerazione – come stai. Già la febbre è cessata. Dunque? Ma tu dici, che ciò è niente, e che il male farà un corso lento. Non credo. Abbi pazienza, ma non credo. Ripeto, la speranza che guarirai presto. Le sorelle Hüni ti salutano tanto. Emilia continua a fare la filosofia e legge ora la Città di Dio di S. Agostino. Giulia ingrassa sempre e ride. Quella povera giovine svizzera che era in casa negli ultimi giorni della tua dimora qui, è quasi pazza, e fa proprio compassione, perché è una buona ragazza. Si fa il possibile per aiutarla. Oggi ritornerà da Zurigo il Signor Hüni. Ti ho rimesso una lettera di Tommasi che era alla posta di qui. Ieri sono andato a Bologna, e ho fatto la prima lezione dopo la prolusione.51 Erano una cinquantina di uditori di tutte le età, e ci era anche Montanari. Devo parlarti di queste miserie: beati giorni in via dei Fiori, in cui me ne fottevo del pubblico e di tutte le forme esteriori che sono il tormento dell’esistenza. Grandi applausi a principio, e più forti alla fine. Più volte gli ho veduti scuotersi sui banchi: sempre attenti e soddisfatti (gli uditori, non i banchi). Montanari approvava spesso, e alla fine batté anche lui le mani forte e come gli altri. Insomma pare che la cosa non vada male. Ma ci vuole un po’ di tempo. Qui non sanno che cosa sia filosofia, e hanno molti pregiudizi contro di essa. La credono roba da sacrestia, e contraria a quella libertà che deriva dal non pensare. La gioventù in gran parte è educata dai medici, i quali non vogliono saperne di speculazione. Un buon bolognese mi diceva: parlare a noi di Platone, Aristotele, etc. è come parlare di Petronio, di Sempronio e di Tizio. Ma lascia fare al tempo! Ci era un uomo che scriveva quasi tutto quello che diceva io. Un giovine mi venne appresso, e mi disse: credevo che la filosofia fosse altro: io studio legge, ma voglio studiare anche filosofia; consigliatemi voi. Il soggetto della lezione era la differenza fra la filosofia moderna e l’antica e del medio evo. Ho mezzo improvvisato, ma non ci è stato male, perché ci era un certo calore vero. Certe idee nuove per loro hanno fatto impressione. Ho parlato liberamente, a poco a poco, e piano piano. Queste sono le miserie della nuova vita. Addio per oggi. Saluta Pisanelli, Ciccone, e ricordami a Diomede52 che mi scrivesse. Isabella e Millo ti salutano. Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (parzialmente ed. in Croce, Ricerche, pp. 4-5). Croce la data: 11 marzo 1860.
146 A Silvio Spaventa Modena, 14 maggio 1860 Mio caro Silvio, Ti ho scritto da Bologna il giorno 10, e ti diceva di averti mandato per mezzo della Diligenza il pantalone e il gilè. Dimmi se hai ricevuto quella lettera. Io ho ricevuto la tua. La
51. Cfr. lettera 140, nota 40, e lettera 144, nota 47. 52. Diomede Marvasi.
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mia prolusione si sta già stampando, 53 e sarà finita alla fine di questa settimana. Te la manderò subito. – Questa settimana non farò lezione a Bologna, perché è festa da oggi a giovedì. Ti raccomando di prepararti alle lezioni, e di non distrarti con articoli di giornale. Hai capito? Se puoi conchiudere costà qualcosa di meglio, bene. Anzi cerca di fare. Ma pensa sempre alle lezioni. Niente sinora di Garibaldi.54 Addio per oggi, perché devo andare a far lezioni e non ho gran cosa da dirti. Dimmi se hai ricevuto la mia lettera da Bologna. N.B. Potresti mandarmi per la Diligenza un cappellino di paglia (in moda) per Millo? Sì. Ti mando la misura. Giusta, né più né meno. Fa questo piacere a Isabella. Altrimenti, vuoi sentire. Addio. Bertrando SNSP, XXVI.D .3.1 (inedita).
147 Ad Angelo Camillo De Meis Modena, 18 maggio 1860 Mio caro Camillo, Anche questa volta, come tante altre, sei morto e risuscitato. Non più tosse, non palpitazione, non febbre, e finalmente non più tubercoli, questo caro ideale della tua malattia. Che vuoi di più? Ma la voce! E la voce ritornerà, se non è già ritornata a quest’ora. Meno male che non sono stato solo a dubitare della tua imminente ricongiunzione con Dio. Dunque anche gli uomini serii hanno riso di te? E perché allora ti dolevi di me, come se io fossi il solo scettico che negassi il tuo male? Quando, non dico un Ciccone, ma un Marvasi e un Pisanelli non credono, non è permesso a me di fare lo stesso? Dunque non ne parliamo più: sta di buon animo; pensa a distrarti, a viaggiare, a darti bel tempo, eccettuate però quelle tali cose che sai. Vedrò il professor Vaccà. Credo che il pensiero di Grimelli55 sia una delle sue solite pensate. Tra giorni cominceremo gli esami, e le scuole finiranno verso la fine di giugno. A che servirebbe un sostituto? E poi che potrebbe essere? Questo stesso mi faceva riflettere anche Bergonzi. Del resto anche se lo nominassero, non sarebbe gran male per te; si tratterebbe della metà del soldo per un mese, e non altro. Ti ripeto che vedrò Vaccà, e ti farò saper tutto. Andrò oggi da uno speditore per farti spedire le casse.56 In questi giorni sono stato un po’ impicciato, e non ho avuto tempo. 53. Cfr. lettera 140, nota 40. 54. Garibaldi, sbarcato l’11 maggio a Marsala, era giunto la sera del 13 a Salemi e si preparava alla battaglia di Calatafimi del 15 maggio. 55. Geminiano Grimelli (1802-1878), patriota e scienziato modenese, fu deputato all’Assemblea nazionale sovrana delle province modenesi del 1859. 56. Nella lettera del 5 maggio (cfr. lettera 145, nota 48). De Meis chiedeva urgentemente l’invio di due casse lasciate a Modena.
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Dì al signor avvocato professor Diomede che non gli perdonerò mai il suo silenzio. Perché non risponde due righe alla mia letterina? Sta forse scrivendo la Prolusione? Ho letto anch’io la prolusione di Pessina.57 È una roba molto mediocre, e sebbene io non l’abbia mai tenuto per una cima d’uomo, mi aspettava da lui qualcosa di più. A me pare che il vizio di questo buon giovine sia di non avere un concetto giusto e netto di nessuna cosa, direi, forse, nessun concetto. Parole molte, grosse, maiuscole, ma nessuna determinazione ideale. Io non ho potuto capire che cosa intende per Dritto, e che cosa per Dritto costituzionale. Il principio divino che serpeggia nella mole universa, «l’esito eterno, il nume ignoto dei Lacedemoni, il fato dei Latini, il Dio cristiano» sono cose che mi fanno ricordare dell’Italia di Poggiali al Gerbino. E così del resto. Quella parte che riguarda l’origine e i progressi della sua scienza è piena di errori, senza precisione, senza nesso intimo. Per Kant il diritto è la coesistenza della libertà etc. Rossi58 compie Hegel! Non mi fa meraviglia che costà ne siano innamorati. Leopardi mi pare che rassomigli a quel tale, che portando molto ancora alla poesia, e un po’ poeta anche lui, imparava a memoria i versi lirici di Piave. Almeno fosse bella la forma! Non può essere più napolitana. Tu l’hai benissimo definita. E Krause autore della dottrina sintetica?59 E il Pitagorismo? Povero Pitagora col suo numero! E il fatto aristotelico contrapposto all’idea platonica? Mi hanno detto che un giorno disse, facendo lezione: «Partigiano dell’armonia, io sono platonico, la differenza tra me ed Hegel è la seguente, etc.!! Queste maniere fanno impressione, né Leopardi, né Pietri, e né Pietroni. – Devo dirti però che qualcuno (Montanari, Ferranti, Minghetti) ha osservato qualcosa che non li fa capaci: un non so che di vago e indeterminato, che serpeggia da per tutto, come quel tal Nume ignoto dei bravi Lacedemoni. Mi fai un piacere? Tu esci, non è vero? Ebbene, va a trovare Predari, digli che son già 40 giorni che gli mandai per Ciccone l’articolo Kant-Herbart, che mi richiese con tanta premura. 60 Lo pregavo di mandarmi qui le bozze assolutamente. Non mi ha risposto nulla. Mi dispiacerebbe l’una delle due cose insieme: o che avesse fatto stampare senza mia correzione, o che non volesse far stampare. Diglielo, e fammi saper il netto della cosa. Bada di non perdere questa lettera. Addio. Saluto gli amici. Isabella, Millo e le Hüni ti salutano. Bertrando Copia in BCT, mss. C. 179 (inedita).
57. Si riferisce a Enrico Pessina, Prolusione al corso di diritto costituzionale nella R. Università di Bologna, pronunciata il 18 aprile, Bologna, 1860, poi in Id., Filosofia e diritto, Napoli, Classici Italiani, 1868, pp. 88-124. 58. Luigi Rossi, bolognese amico di Silvio; uditore di Bertrando all’Università di Modena. 59. Karl Christian Friedrich Krause (1781-1832), filosofo panteista tedesco. 60. La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana (cfr. lettera 80, nota 67). La collaborazione di Spaventa alla Nuova enciclopedia popolare risaliva alla fine del 1858, quando Predari, che ne era il curatore, lo aveva contattato per la stesura di alcune voci (cfr. la lettera di Predari a Spaventa del 17 dicembre 1858, sul verso della quale l’autore indicava le varie voci che si era impegnato a scrivere e le date: SNSP, XXVI. D.2.3). Nel febbraio 1860 Predari riprendeva la corrispondenza con Spaventa, in vista della pubblicazione delle voci «Germanica filosofia» e «Kant» (cfr. lettere del 2 e 6 febbraio 1860); in seguito alle sollecitazioni di Spaventa, rispondeva il 16 giugno che l’articolo su Kant era in tipografia e che gliene avrebbe mandato le bozze; e infine il 16 luglio rimandava le bozze per nuove correzioni e chiedeva di aggiungere una bibliografia sulla vita e le opere di Kant (ivi).
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148 Ad Angelo Camillo De Meis Modena, 19 maggio (1860) Mio caro Camillo, Anche questa volta, come tante altre, celebreremo il miracolo della tua morte e risurrezione. Non più tosse, non più palpitazione, non più febbre,e finalmente non più tubercoli: questo caro ideale della tua malattia. Che vuoi di più? Ma la voce! E la voce ritornerà, se già non è ritornata a quest’ora. Meno male che io non sono stato solo a dubitare della tua imminente ricongiunzione con Dio. Dunque anche gli uomini serii hanno riso di te? E allora perché ti dolevi di me, come se io fossi il solo scettico che negassi il tuo male? Quando, non dico un Ciccone, ma un Marvasi e un Pisanelli non credono, non è permesso a me di dubitare? Dunque non ne parliamo più; sta di buon animo, pensa a distrarti, a viaggiare, a darti bel tempo. Ho visto ieri mattina il Professore Vaccà. Gli ho fatto intendere che era tua premura che si pigliasse un sostituto per non far perdere tempo ai giovani e che tu volevi contribuire a quest’opera in ogni maniera dal canto tuo. Non mi ha fatto finire di parlare, e mi ha detto che quando un professore è impedito per giuste e legittime cagioni, i suoi diritti sono sacri e inviolabili come quelli di un principe. Dunque si piglierà un sostituto, ma il tuo soldo non sarà, non può, né deve essere toccato affatto. Si oppone la legge. Vaccà mi ha detto che ti facessi sapere, che egli stesso ha proposto quest’affare a Grimelli, e che Puglia61 si è preso l’incarico di provvedere. Da quel che ho potuto afferrare uno dei motivi che hanno persuaso a pigliare un sostituto, pare questo: agli esami finali di passaggio ci ha da essere qualcuno che interroghi sulla fisiologia. Ora chi potrebbe interrogare su quello che hai fatto tu? Nessuno. Dunque si farà un po’ di materia comune per gli esami, e chi avrà apparecchiata questa materia, se la ripiglierà poi dai giovani agl’interrogatorii. Mancini ha mandato a quest’Università 4 copie del suo Discorso di apertura dell’Università di Torino 1858-59. Una di queste copie l’hanno data a me: credo che avrà fatto lo stesso alle altre università dell’ingrandito Regno. Ingrandendosi il Regno, ragion vuole che s’ingrandisca anche Lui. L’ho letto quasi tutto. È acqua, ma acqua chiara se non altro. Ci sono delle smorfie scientifiche da una parte, e d’altra parte quella privazione assoluta di espressione e di colorito che è la caratteristica della fisionomia dell’autore. Ma al far dei conti non ci è niente di sguaiato. Ci è la camicia pulita; non si sente la puzza d’aglio e i rutti dell’indigestione. Ho letto anche la prolusione dell’altro.62 Tu l’hai definita bene. Non mi piace affatto affatto, tanto più che – sebbene non mi aspettassi gran cosa – pure mi aspettava qualcosa di meno mediocre. È il cattivo genere napoletano. L’autore manca di vero ingegno; non ha concetto giusto di niente. Non parlo della forma, che non è buona, ma delle cose che dice. Sono volgari, e peggio: false. Mi meraviglio poco che costà sia piaciuta. Anche qui. Raisini e Bosellini la lodano assai. Il secondo però non cessa mai di ripetere, che Tofano è l’uomo più profondo, più dotto e più eloquente che egli abbia visto. Sulla scranna etc. Chiedo scusa a Leopardi (Petronio); il quale mi pare quel tale, che portando molto amore alla poesia e un po’ poeta anche lui, imparava a memoria i versi lirici di Piave. Oggi andrò da uno speditore per le casse.63 61. Alessandro Puglia, medico emiliano membro dell’Accademia medico-chirurgica di Ferrara. 62. Allusione alla prolusione di Enrico Pessina citata nella lettera precedente (nota 57). 63. Cfr. lettera precedente, nota 56.
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Mi fai un piacere? Tu esci di casa, non è vero? Ebbene va a trovare Predari. Digli che sono già 40 giorni che gli ho mandato per Ciccone l’articolo Kant-Herbart,64 che mi richiedea con tanta premura. Io lo pregava di mandarmi le bozze assolutamente. Non mi ha risposto nulla. Mi dispiacerebbe l’una e l’altra delle due cose: o che avesse fatto stampare senza le mie correzioni (che sono necessarissime), o che non volesse far più stampare. Diglielo, e fammi sapere il resto della cosa. Ti raccomando di non dire a nessuno ciò che è scritto nella pagina antecedente. Salutami gli amici. Isabella e Millo, e le sorelle Hüni ti salutano. Addio. Scrivi subito, e va da Predari. Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (parzialmente ed. in Croce, Ricerche, p. 5).
149 A Silvio Spaventa Modena, 19 maggio (1860) Mio caro Silvio, Ho avuto la tua ieri. Grazie del cappellino per Millo. – Hai fatto bene a non accettare di scrivere nella «Nazione». Sarebbe un divagarti e non conchiuder nulla per le lezioni. Preparati, non tanto perché ne abbi bisogno, ma perché sii tu contento di te. Sii duro a qualunque seduzione. La posizione qui con 30065 e più franchi l’anno e con poca fatica e 5 mesi di vacanza, non è da barattare così. Ti manderò l’Hildenbrand66 e anche il Lenz.67 Scriverò subito a Torino per gli altri libri. De Meis va sempre meglio. Non parla più di tubercoli. Non gli rimane che l’incomodo della poca voce. Finirà. Mi scrive, che Pessina invitato da Mancini a Torino, vi è «ammirato da tutti e tenuto per un ingegno superiore; che la sua Prolusione è riguardata da tutti per cosa magnifica, e tale che forse nessuno in Italia potrebbe scrivere la simile; 68 Leopardi specialmente esserne innamorato, e saperne dei brani a memoria e ripeterli a chi non li vuol sentire». (Vedi che stupidi ci sono al mondo!). «Da questi tutti devi naturalmente eccettuare Diomede e se ti piace, anche me, che innanzi a una diecina di persone, che erano venute a vedermi, la restituii a Pisanelli che me l’aveva imprestata, dicendo: ripigliati stu ’nchiostro; cosa che a lui fece aggrottare ben bene le ciglia». Vedi che progresso ci è in Italia. Oh, Nisco Nisco! Ti scriverò quanto prima. Al più tardi martedì da Bologna. Addio. Di Garibaldi niente altro che le notizie dei giornali. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 11).
64. Cfr. lettera precedente, nota 60. 65. Si tratta probabilmente di un lapsus calami, dal momento che nelle altre lettere si parla sempre di 3.000 franchi. 66. Karl Hildenbrand, Geschichte und System des Rechts und Staatsphilosophie, Leipzig, Engelmann, 1860. 67. Gustav Lenz, Ueber die geschichtliche Entstehung des Rechts. Eine Kritik der historischen Schule, Greifswald-Leipzig, Runike, 1854. 68. Cfr. lettera 147, nota 57.
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150 A Silvio Spaventa Bologna, 22 maggio (1860) Mio caro Silvio, Ho fatto la seconda lezione. Mi è uscita anche bene. L’uditorio ha applaudito molto a principio e alla fine. L’unico male è che non è molto numeroso. Ma io non sono uomo da scoraggiarmi. Le persone che vengono sono intelligenti, mi pare, e a poco a poco. Del resto, ciò a me non preme molto. Vedremo giovedì. Montanari dovea venire e me lo avea mandato a dire, ma poi è stato trattenuto da certi professori. Dunque non sono scontento sinora. Ripeto a poco a poco. – Ti mando la Prolusione stampata. Una copia per ora. Poi le altre per gli amici. Ho avuto il cappellino per Millo. Bello! Addio. Ti scriverò subito. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 314).
151 Ad Angelo Camillo De Meis Modena, 26 maggio 1860 Mio caro Camillo, Non ho risposto subito alla tua, perché ritornai da Bologna stanco, e ieri ho dovuto far lezione qui. Qui e a Bologna fa un caldo da morire. Da Bologna scrissi a Diomede69 e gli mandai due copie della mia Prolusione, per te e per lui. Spero che la leggerai, se pure non vorrai vendicarti del non aver io ancora letto la tua Fisiologia.70 Ma leggerò appena sarò sbrigato da tutti questi impicci. La leggerò attentamente, e ti prometto di scrivertene. Ho mandato le tue casse da varii giorni per mezzo di Malagoni e Colfi. Le avrai da Fachis e Levi a Torino. Qui non ho pagato nulla. Ti ringrazio delle notizie che mi dai del mio articolo Kant. Silvio non scrive alla «Nazione» né può, perché deve prepararsi al corso per l’anno venturo. La «Nazione» non me la mandano più. Compro qui la «Gazzetta di Torino» e così studio politica. M’informerò se hanno nominato il tuo sostituto, e chi sia questo pezzo grosso, prescelto da Puglia. Non credo che sia una tirata da Gesuiti. Credo sincero Vaccà, quando mi diceva che al tuo soldo non si deve toccare un etto. Del resto vedremo e t’informerò di tutto. Se vedi Selmi, salutalo da parte mia. Il libro delle Hüni, che ti salutano, non è loro. Perciò lo rivorrebbero qui e non a Zurigo, per restituirlo. Puoi rimandarlo pel Professore Bosellini, il quale è partito questa mattina per Torino, e che certamente vedrai, perché 69. Diomede Marvasi. 70. Angelo Camillo De Meis, Lettere fisiologiche. Lettera I, in «Rivista contemporanea», VIII (1860), XXII, pp. 20-36.
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verrà a deporre ai piedi dei nostri uomini di lettere l’omaggio della sua sincera e illuminata ammirazione. Che bravo uomo! Non cessa mai di parlare dell’eloquenza di Tofano, prodigiosa. Peccato che non conosca ancora il De Franchis!71 Ma si vedrà di fargli fare questa conoscenza. Il De Franchis, come sai, è uno dei nostri più profondi giureconsulti. Ti scrivo senza filo, senza capo né coda. Non ti ho ancora domandato della tua salute. Persone che ti hanno veduto a Torino mi dicono che stai bene. Me lo dici tu stesso. Dunque non pensarci più, e se la voce ti manca, aspetta che ritorni per parlare. Abbi un po’ di pazienza; ritornerà. Che altro devo dirti? Ti parlerò di me. Ho fatto altre due lezioni a Bologna. Le ho fatte bene, te lo assicuro. I miei uditori non sono molti; sono uomini serii, cauti; 4 o 5 professori dell’università, un uomo di 50 anni che scrive tutto quello che dico, e altri. Gli studenti a Bologna pensano alla filosofia, come tu all’alchimia. Sono ancora nello stadio, in cui era il pubblico torinese, quando il nostro Poggiali dava le sue commedie al Gerbino; forse più giù. Ma bisogna aspettare; verrà il tempo; e se non viene, peggio per loro. Un bolognese, amico di Silvio, è un costante mio uditore.72 Io non lo sapeva. Nell’ultima lezione, dopo finito, mi venne innanzi, e mi disse chi era, e poi: Oggi hai fatto una lezione stupenda; io sono incontentabile, ma oggi mi hai contentato davvero, etc. Il Professore Ferranti parlò di me in una sua lezione di filosofia, a proposito di Rosmini. Disse che io avea ragione e torto. Ma non so che cosa voleva dire. Un suo discepolo, che mi riferì la cosa, non mi seppe dir altro. Hai capito Mancini nel chiamar Pessina a Torino? L’ho capito da certe parole dell’ultimo. Io vi presento il Professore Pessina, il più gran etc. etc, che è stato mio discepolo a Napoli, etc. Ti salutano Isabella e Millo. Addio. Bertrando Dimmi dove abiti. Generali mi dicono che sia ristabilito, e esce. Dì a Ciccone, che gli risponderò domani, che ho ricevuto il cotone da Saliceti l’altro ieri a Bologna e che la spedizione del fiasco gliela farò a suo tempo. Ora è in dogana. SNSP, XXXI.D.7.2 (parzialmente ed. in Croce, Ricerche, p. 5). Croce la data al 20 maggio.
152 A Silvio Spaventa Modena, 28 maggio 1860 Mio caro Silvio, Non ho risposto subito alla tua, perché tu sai bene che io devo far lezione qui e a Bologna, e qualche volta mi manca il tempo. – Ti mando per la posta 12 copie della Prolusione; se ne vuoi altre, te le manderò. Vorrei che ne dessi a Berardi, De Blasiis 73 e Ve-
71. Carlo De Franchis (1811-1881), giurista esule in Francia, redattore del «Siècle»; deputato del regno d’Italia nell’VIII legislatura. 72. Luigi Rossi. 73. Francesco De Blasiis.
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nusio, e ne mandassi a Tupputi, 74 Lequile 75 e Bellelli76 (quando questi due ultimi saranno tornati dal Concistoro torinese). Nella lezione che feci giovedì scorso a Bologna conobbi Rossi. È intervenuto a tutte le lezioni, e io non lo sapeva. Mi ha detto: «oggi veramente mi hai contentato: bellissima lezione; e tu saprai che io sono incontentabile. Ma ci vorrà tempo perché la filosofia metta radici a Bologna. Ma bisogna non scoraggiarsi etc.». Io gli risposi, come puoi immaginare, che sapevo fare astrazione da certe cose esterne, e mi bastavano certe altre che non bastano ad altri etc. Mi disse tante cose di te, e che ti salutassi. Anche il Professor Ceneri77 è mio uditore. Ma in generale non molti studenti. Sono occupati negli esami, e poi affascinati, credo dall’inchiostro.78 Il quale è ritornato da Torino, invitato da Mancini a andarvi, per mostrarlo urbi et orbi come un suo antico discepolo. Abbiamo parlato un po’ insieme. Che zucca! È un vero pappagallo, e non capisce niente bene. Tu a Modena andrai benissimo. Qui ci è amore per le cose filosofiche, e i giovani amano di sapere. Dunque studia, preparati, e non far coglionerie. Settembrini è costà?79 Che ti ha detto? Lo vorrei sapere per curiosità. Addio. Ti scriverò forse domani da Bologna. Isabella ti ringrazia del cappellino di Millo e le è piaciuto, molto. Vedi se puoi far parlare della Prolusione a qualche giornale costà, ma che dicesse qualche cosa di buono, non le solite ciarle. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (breve stralcio in Vacca, Nuove testimonianze, p. 11). Vacca la data al 22 maggio.
153 A Silvio Spaventa Modena, 3 giugno 1860 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto da Bologna, perché ero stanco, e ritornato a Modena ho voluto aspettare tue lettere. Oggi ho ricevuto la tua, e rispondo subito. Questa settimana la mia scuola non è andata male. Rossi è entusiasta per me. Ti dissi che era rimasto contentissimo dell’ultima lezione. Dopo la prima di questa settimana mi disse: questa è migliore dell’ultima; bravo, bravo, bravo. E della seconda idem. Ti dico quello che fo. La prima prima [sic] lezione fu la differenza fra la filosofia antica, specialmente la greca, e la moderna. Volevo passare immediatamente alla moderna italiana, ma fatto il calcolo dei giorni, mi avvidi che mi mancava il tempo. Pensai allora di sviluppare quella differenza 74. Ottavio Tupputi (1789-1865), ufficiale e uomo politico meridionale; senatore del regno d’Italia dal 1861. 75. Gioacchino Saluzzo, principe di Lequile. 76. Gennaro Bellelli (1812-1864), uomo politico meridionale; senatore del regno d’Italia dal 1861. 77. Giuseppe Ceneri (1827-1898), uomo politico radicale, giurista e docente all’Università di Bologna. 78. Enrico Pessina (cfr. lettera precedente). 79. Luigi Settembrini si trovava in quel periodo a Firenze con la famiglia.
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nei suoi diversi momenti; quindi 4 o 5 lezioni sui greci. Quella che fece impressione su Rossi fu Socrate; più la prima su Platone. Ti racconto un aneddoto. Ho incontrato a Bologna un piemontese che conoscevo. Mi dice: che fai qui? – Fo lezioni all’Università. – A proposito, ieri sera entrando in una farmacia, ho udito parlare di una stupenda lezione sopra Socrate; mi sono dimenticato di domandare il nome del professore. Eri tu forse? – Sì – L’ultima lezione di giovedì era l’Etica (Politica, quindi la Repubblica) di Platone. L’uditorio era raddoppiato e fra gli uditori anche il Professor Prodigio o ’Nchiostro.80 Come venne? Ho saputo che Rossi gli avea parlato di me, delle mie stupende lezioni, e che quel giorno avrei trattato dello Stato platonico. Venne perciò. Io feci la lezione bene, e con disinvoltura. Gli dissi in barba delle verità crude, e non credo che ne fosse consolato. Parlando della giustizia platonica fondata sull’armonia, dissi che l’armonia era la forma infantile dell’Idea, non unità vera ma relazione esterna, etc. Dissi falso il concetto della opposizione fra Platone e Aristotele, che quello fosse il filosofo dell’Idea e questo del Fatto; negai (e provai in parte) che Aristotele non avesse uno Stato ideale; etc. etc. L’amico era piuttosto pallido, mi fece complimenti. Poi mi disse di palo in pertica: Rossi è uno scioccone. – Rossi gli ha dovuto dire gran lodi di me; inde ire. – Io gli risposi: ma se Rossi è uno scioccone, che cosa sono i nostri uditori? Rossi non è uno sciocco, perché ho udito da lui certe riflessioni su te e su me che non sono sciocchezze. – Basta così. Ti mando altre 12 copie della Prolusione. Danne ai toscani amici, Centofanti, etc. Dragonetti mi scrive una lettera in cui mi dichiara gran filosofo, etc.: piena di entusiasmo per me. Parla del mio concetto su Vico, e c’indovina un po’. A Torino l’ho mandata a Marvasi, De Meis e Ciccone. Ciccone non ha risposto ancora.81 Marvasi è anche entusiasta e dice di aver scritto un sunto della Prolusione. Ti saluta tanto. De Meis dice che l’ha letta, ma deve rileggerla. Marvasi mi dice: «qui taluno riferendo alcune maligne e insidiose parole di un ciarlatano, avea detto che tu avevi fatto a Bologna un mezzo fiasco. Io dissi ciò impossibile; se fiasco ci era stato, averlo fatto i Bolognesi non intendendoti, non tu». 82 Chi sarà quel taluno e quel ciarlatano? Cercherò di saperlo. Camillo mi scrive con tutta segretezza, che partirà tra giorni una nuova spedizione comandata da Cosenz e secondata da Medici, Plutino, Assanti, Carrano, etc. per la Calabria;83 che i napoletani tutti colà sono d’accordo, meno alcuni a Firenze; che Lequile, De Simone,84 Caracciolo85 e Bellelli non hanno voluto firmare l’indirizzo torinese, ma ora pare si persuadano l’unità essere l’unico partito;86 che Dragonetti si ostina a essere separatista; che Petri e Murat sono a Firenze; che il più efficace nella faccenda (unitaria) è Poerio e con lui Pisanelli. (Ha bisogno sempre di santi da adorare: buon cattolico sempre); etc. Certo si preparano grandi cose. Dimmi ciò che sai. Io farò lo stesso. – È un pezzo che non mi mandano la Nazione. Dà una copia della Prolusione a Dragonetti. 80. Si tratta di Pessina, che al termine della lettera viene ricordato come il «Pappagallo» (cfr. anche le tre lettere precedenti). 81. Ciccone aveva risposto il 14 maggio, lodando la Prolusione e invitando l’amico a farla stampare al più presto (SNSP, XXVI.D.2.3). 82. Marvasi scrisse all’amico il 2 luglio, complimentandosi per la Prolusione (cfr. SNSP, XXVI.D.2.3) 83. La spedizione di Errico Cosenz con gli aiuti per Garibaldi partì da Genova il 2 luglio e arrivò a Palermo il 6 luglio. 84. Giuseppe De Simone (1811-1894), giurista e uomo politico meridionale; poi consigliere di Cassazione; fu senatore del regno d’Italia dal 1881. 85. Cfr. lettera 1, nota 10. 86. I quattro patrioti erano stati definiti da Silvio «i burgravi dell’emigrazione napoletana» (cfr. la sua lettera a Bertrando del 25 maggio, in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 337).
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Ho scritto già a Papà. Ieri ho esatto il tuo stipendio. Se vuoi te lo manderò subito per vaglia postale. Se no, te lo manderò con quello di Giugno. Fa come credi. Non mi fa meraviglia il silenzio di Settembrini,87 e l’alterigia del Pappagallo. Ma lascia fare al tempo. Il Pappagallo te lo acconcerò io, senza che se n’accorga. Ti scriverò quanto prima. Partirò martedì per Bologna e tornerò la sera stessa, perché giovedì è festa. Rispondimi subito. Addio. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (quasi integralmente edita in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 13-14).
154 A Silvio Spaventa Modena, 8 giugno 1860 Mio caro Silvio, Ricevo la tua lettera. Ho poche cose da dirti. Anche questa volta la lezione è andata bene. Etc. etc. Abbiamo cominciato gli esami qui. Io non posso andare definitivamente a Bologna prima del 20. Non ricominciare a sbalestrare. Hai ancora più di 5 mesi di tempo. Dopo due soli mesi di studio, vedrai che cosa sarai. Non ti vuoi persuadere che hai torto, credendoti buono a nulla. Per carità, non facciamo minchionerie. Il posto che hai qui è ottimo; i giovani sono buoni; tre lezioni la settimana, 5 mesi di vacanza, 3 mila franchi l’anno; è un vero canonicato. Ti mando un vaglia postale di franchi 200 (i quali colla ritenuta postale di franchi 2 fanno 202). Dunque io ti devo ancora un 2 franchi. Servono pei viaggi che fo. Se vuoi altre copie della Prolusione, dimmelo. Fammi sapere che ne dirà Centofanti. Ho risposto al marchese Dragonetti. Niente di Sicilia. Se fosse vero che le truppe cominciano a vacillare! Del resto qualche gran cosa ha da succedere laggiù. Ti scriverò più a lungo un altro giorno. Oggi fo lezione qui, e vado ora a improvvisare. Ho finito il Dritto Privato. Parlerò oggi della Società civile. Ma tra giorni credo che finiranno le lezioni. Dammi notizie dei Napoletani che andarono a Torino.88 Che hanno conchiuso. Studia, e animo. Se vuoi libri, dimmelo. Tra giorni ti manderò l’Hildenbrand e il Lenz.89 Addio. Bertrando La posta non ha voluto spedire 200 franchi ad una volta. Perciò ho dovuto far fare due vaglia in due giorni successivi di 100 l’uno. Rispondimi se hai ricevuto i vaglia. SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
87. Dopo un breve soggiorno a Torino, Settembrini era giunto a Firenze all’inizio di maggio (cfr. lettera precedente, nota 79). 88. Cfr. lettera precedente, nota 86. 89. Cfr. lettera 149, note 66 e 67.
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155 Ad Angelo Camillo De Meis Bologna, 13 giugno 1860 Mio caro Camillo, Ho un po’ di tempo e ti scrivo. Ieri sera sono andato per caso alla posta qui a Bologna, e ho trovato una lettera tua del 2 Maggio, nella quale mi dicevi che partivi per Torino. Chi sa se il non aver io risposto a quella lettera non ti fece credere a una certa mia indifferenza per la tua salute? Ieri andando all’Università per far lezione vi ho trovato che m’aspettava… sai chi? Il Duca Proto,90 il quale io credeva che fosse ancora a Napoli, e invece viene da Roma, dove è stato due mesi, ha visto il Santo Padre, qualche cardinale, ed ora viene in Italia cacciato dalla città eterna dalla vittoria di Garibaldi. È da sperare che l’avrete a Torino. Sta scrivendo un’opera sulla filosofia di S. Tommaso Duca d’Aquino e di Roccasecca, specialmente sulla politica. Sai chi è qui da parecchi giorni? Cresi. Ti ricordi Cresi di Aquila? Quantum mutatus ab illo. Non gioca più, non bestemmia più, e né meno freme più. È un giovine istruito: sa bene l’inglese, il francese, l’ebraico, il greco; ha studiato filosofia e teologia. È qui per predicare ai protestanti svizzeri di Bologna, Modena, Reggio e Parma. Non è luterano, né calvinista, ma raccomanda principalmente la libera forma della fede, salvo il vangelo. Ma officialmente, e in faccia ai suoi superiori è della scuola di Ginevra. Ti saluta tanto. Una mosca bianca. Ieri dopo la lezione mi venne innanzi un giovine studente di medicina. Si disse innamorato della filosofia; aver capito un po’ che senza filosofia non si fa niente, specialmente in medicina. Io lo incoraggiai, e gli dissi tante cose francamente sulle opinioni false dei medici intorno alla filosofia. Mandami – ma franco di posta!!! – qualche cosa tua (per esempio la Fisiologia, la storia della medicina moderna, etc.), che glieli voglio dare. Ieri stesso poi ho dato nella lezione una buona botta ai medici e ai naturalisti in generale, e a qualche altro guastamestieri in particolare. Parlavo della differenza tra Platone e Aristotele a proposito di una certa cosa: Platone filosofo dell’Idea, Aristotele filosofo del Fatto, secondo lo ’nchiostro. Io feci intendere in che senso l’empirista Aristotele studiava il fatto: studiava il fatto come farsi, e questo farsi – di cui il puro fatto, studiato dai nostri empiristi è solo il cadavere – è l’Idea aristotelica. Costoro s’illudono quando credono che le loro cause meccaniche – i mezzi – siano la vera causa dei fenomeni. Dissi qualcosa dell’occhio e della visione e dell’Idea come Fine e quindi vera causa: della predeterminazione dei mezzi per il fine etc. Un altro giorno a proposito di coloro che parlano di armonia, come il non plus ultra dell’attività speculativa, e quindi della necessità di far risorgere il Pitagorismo, dissi che l’idea dell’armonia è la forma infantile del concetto dell’Idea. Ho conosciuto ieri Palmucci, il nuovo professore di filosofia qui, che venne a sentirmi. È un buonissimo giovine. Farà lezione l’anno venturo. È tanto contento di me. Da quel che sento, pare che Medici sia partito. 91 Speriamo che arrivi. Bisogna andare alla tana della bestia feroce e scuotere i napolitani. Ti raccomando di scrivermi tutto quello che sai. Spero che farai lo stesso anche con Silvio.
90. Cfr. lettera 1, nota 9. 91. La spedizione guidata dal Medici in aiuto alle truppe garibaldine in Sicilia partì da Genova il 10 giugno e giunse a Messina la notte fra il 17 e il 18 giugno.
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Non ti domando notizie della tua salute, perché m’immagino che vai sempre meglio. E di De Sanctis che n’è?92 È arrivato? È partito? Domani tornerò a Modena, e poi martedì venturo (19) verrò qui con Isabella. Addio. Saluto Diomede93 e Ciccone. Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (parzialmente ed. in Croce, Ricerche, p. 6).
156 A Silvio Spaventa Modena, 16 giugno 1860 Mio caro Silvio, Sono ritornato l’altra sera da Bologna e ho trovato la tua del 12. – Ho conosciuto Palmucci, il quale venne alla prima lezione di questa settimana. Uscimmo insieme dall’Università e passeggiammo lungamente. Mi disse tante cose, e si mostrò contentissimo. Mi pare un buon giovine. Mi promise di ritornare, se non avesse avuto che fare. Ti saluta tanto. Lo stesso fa Rossi, il quale viene sempre a udirmi, e ogni volta più si mostra soddisfattissimo e ammiratore della mia sapienza filosofica. L’altro giorno mi parlò del Prodigio,94 e mi disse che non conosceva 30 anni di progressi nella Scienza del Dritto. Curioso! Io farò a Bologna un altro paio di lezioni. Qui a Modena siamo alla fine degli esami. Non so se assisterò anche agli esami inferiori; devo vedere se il guadagno – assai scarso – sarà almeno eguale alle spese di viaggio. Ho mandato la mia prolusione a parecchi non napolitani a Torino: Lignana, Ferri, Mamiani, Farini, Cornerò, Levi, Predari, Bertini, etc...95 A Bologna ne ho dato moltissime copie, ai Professori della mia facoltà e a studenti. Non so se mandarne a qualche giornale. L’ho mandato a Milano, a Camerini, Del Re, anche al cav. Correnti, a Ausonio Franchi. Dimmi tu a chi altro devo mandarla. Propagala tu in Toscana. Se mi chiamassero costà nella stessa cattedra, ci verrei. Ma questo è sogno, e dico così per dire. Saliceti è a Pisa. Perché, non lo so. Il gran giureconsulto Tofano mi disse, che Saliceti ora fa l’unitario. Io non lo conosceva. L’ho visto a Bologna, ed è stato con me cortesissimo. Mi pare un uomo serio, non pettegolo, non ciarlatano, e credo che valga più di tutti i nostri gran luminari. – Ho visto a Bologna anche l’Eccellentissimo Duca Proto, il quale è stato due mesi a Roma, ha baciato il piede al Santo Padre, la porpora a parecchi cardinali, la mantelletta a molti monsignori, e ora viaggia nell’Italia libera, cacciato su dalle vittorie di Garibaldi. Fa l’unitario. 92. Francesco De Sanctis, impaziente di lasciare Zurigo per partecipare direttamente alle fasi decisive per la liberazione dell’Italia meridionale, partì dalla Svizzera a fine luglio e giunse a Torino il 2 agosto. 93. Diomede Marvasi. 94. Pessina, ironicamente soprannominato il «Professor Prodigio» (cfr. anche lettera 157). 95. Ricorrono per la prima volta i nomi di Luigi Ferri (1826-1895), filosofo spiritualista seguace di Mamiani, di Giuseppe Cornerò (1812-1895), giurista e studioso di filosofia, di Davide Levi (1821-1898), poeta e uomo politico piemontese e di Giovanni Maria Bertini (1818-1876), filosofo e professore universitario.
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Di Torino e delle cose dei napolitani colà non so niente. Sono ritornati i Burgravi?96 Che hanno conchiuso? Sarebbe una gran disgrazia la cattura della spedizione Medici, come si dice. Dammi sempre nuove di Napoli, se ne hai. Qui io non so altro che i dispacci. Qui ho finito le lezioni. Martedì andrò a Bologna. Perciò indirizzerai colà le lettere: Borgo degli Asienti, 656. Ti manderò i libri da Bologna. Scrissi già a Torino pel Mohl e Stein.97 Ti prego di studiare e di credere a te stesso. Il Prodigio ha preso un’aria che mi fa ridere. Cammina come Mancini. Io lo tratto come lo trattava. Evita con me discorsi scientifici; una volta ci si provò, ed io gli feci intendere chiaro, ma pulitamente, che egli ne capiva poco, e che altro è dire cose così alla rinfusa, altro è determinare bene le cose. Addio. Isabella e Millo ti salutano. Bertrando SNSP, XXVI.D .3.1 (brevi stralci in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 337, e in Vacca, Nuove testimonianze, p. 15).
157 A Silvio Spaventa Bologna, 22 giugno 1860 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua. Ieri ho finito le lezioni, e questa mattina parto per Modena per gli esami, i quali dureranno sino alla fine della settimana ventura. Ritornerò qui domani sera. I miei uditori sono rimasti contentissimi di me, e me l’hanno detto. Rossi mi diceva: sono pochi, ma tutte persone intelligenti, non volgo. Poi parlandomi del Prodigio: non ci è dubbio che ha una facilità ammirabile di parlare, ma è un professore volgare (sic); e così può essere utile, perché qui il maggior numero è volgo e capisce poco. – Appena liberato degli esami penso di ripigliare il lavoro sopra Gioberti e finirlo. Un libraio di Milano ha scritto a un libraio di qui per sapere quali opere ho pubblicato io. La Perseveranza ha scritto un piccolo articolo sulla mia Prolusione; ne dice bene, ma non entra in materia. Lascia fare i Burgravi.98 Se le cose vanno bene, cioè se Garibaldi, e non essi certamente, farà insorgere Napoli, li vedremo ministri. E poi? Sarà uno spettacolo doloroso e ridicolo. Era certo che avrebbero fatto gli unitarii. Anche Proto è unitario sfegatato. Ci vuole una vera faccia di corno. Dicono che avversavano l’unione, perché non la vedevano possibile. Falso; l’avversavano perché non la volevano. Invece di ministri saranno governatori e cavalieri di S. Maurizio come Leopardi. – Qui non ho riveduto ancora né il Prodigio né Tofano il Grande. Hanno trovato il loro uomo; se non si fanno vedere, non li vedrò. Da Torino non ho notizie. Spero di trovar lettere a Modena. – I libri vedrò di spedirteli domenica. Intanto studia e apparecchiati. Dovresti cominciare a scrivere una tela delle tue lezioni, una specie di testo breve, che possa servire più a te che agli studenti. Ti 96. Cfr. lettera 153, nota 86. 97. Le opere dei due pensatori tedeschi (cfr. lettera 134, nota 30, e lettera 15, nota 22) furono commissionate, come tutte le altre in quel periodo, a Ciccone, che le acquistava da un libraio torinese (cfr. la lettera di Ciccone a Spaventa del 19 luglio 1860, in SNSP, XXXI. D.3). 98. Un acuto giudizio politico sulla missione dei «burgravi» a Torino è formulato nella lettera del 20 giugno di Silvio da Firenze (S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 337-338).
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Epistolario
dico che a Modena ti troverai contento, perché i giovani sono bravi, intelligenti, e hanno più amore allo studio che qui. Sono contento della casa. Dopo tanti anni è la prima volta che ho un’abitazione da uomo. Ho speso una certa somma per mobiliare una stanza: un 300 franchi. Del dottorato non se ne parla, perché quei due posti che io credeva vacanti, erano già occupati, sai da chi? da Carlo Pepoli99 e dal Conte Albicini.100 Questi è ora consigliere di Stato. Resterà dottore? Se non resta, entrerà, credo, Zabbretti; poi vengo io. Ti scriverò più a lungo un’altra volta. Ora devo partire per Modena. Scrivi ciò che sai di Napoli e dei nostri grandi convertiti. Isabella e Millo ti salutano. Addio. Fa fare qualche articolo costà sulla mia Prolusione. Non potrebbe farlo il Marchese?101 Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (breve stralcio in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 338).
158 A Silvio Spaventa Bologna, 30 giugno (1860) Mio caro Silvio, Ti mando i libri (Hildenbrand, Lenz, Ahrens)102 per la diligenza, involti e suggellati col mio suggello. Non ti ho scritto prima, perché sono stato qualche giorno a Modena, e poi Millo e Isabella sono stati poco bene. Dunque è cominciata la commedia a Napoli? Hanno costituzione, bandiera tricolore, etc. etc.? 103 E come Manna ha accettato?104 Che ne dicono i napolitani di costà? E di Torino? Io non ne so niente. Qui non vedo che bolognesi, e non ho notizia né del Consiglier né del Professor Prodigio. Comunque sia, non credo che sia da fare la bestialità di tornare; io resto qui, e resterò. Credo che tu farai lo stesso. Ho riveduto Palmucci, il quale mi ha colmato di gentilezze. È venuto a vedere Millo come medico, e l’ha curato con molta sollecitudine. Dice sempre che ha gran stima per me etc. Mi ha detto che tutti i bolognesi intelligenti mi pregiano altamente; e sopra tutti Montanari; che parlerà con costui perché mi faccia entrare nel Collegio dei Dottori, nel quale non ci è chi sappia di filosofia, etc. etc. Non so se Montanari possa anche volendo. Del Prodigio ha quella opinione che sai; e dice che gl’intelligenti idem. Vuole che ritor-
99. Carlo Pepoli (1796-1881), poeta e patriota bolognese, esule in Inghilterra fino al 1859. 100. Cesare Albicini (1825-1891), uomo politico romagnolo seguace di Minghetti; poi condirettore della «Rivista bolognese». 101. Cosimo Ridolfi. 102. Cfr. lettera 149, note 66 e 67, e lettera 134, nota 28. 103. Con l’atto sovrano del 25 giugno Francesco II concesse la Costituzione, un’amnistia generale, l’apertura di trattative col regno di Sardegna, l’adozione della bandiera tricolore e particolari condizioni per la Sicilia. 104. Giovanni Manna (1813-1865), esponente moderato e ministro delle finanze nel governo di Antonio Spinelli, principe di Scalea, fu incaricato insieme al barone Antonio Winspeare di recarsi in missione a Torino per definire col Regno sardo una comune politica da seguire in Italia.
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nato Minghetti vada qualche giorno in campagna con loro. Stasera andrò a visitare la Signora Minghetti. Sai come è andata la voce del mio fiasco? De Filippi105 ritornando a Torino dice che io avevo fatto un mezzo fiasco; che egli non mi aveva udito recitare la prolusione, ma che gli era stato detto da un altro che ci era stata. Chi è quest’altro? Non me l’hanno voluto far sapere. Ma si capisce che non ha potuto essere che o il Prodigio o il Consigliere, giacché De Filippi non conosceva qui nessuno ed è stato solo con loro. – Molto bene gl’impostori napolitani. Ma… Selmi è anche entusiasta della mia prolusione. Dice che i giobertiani di Torino sono furiosi contro di me, perché io voglio ritogliere e guastar loro il loro Gioberti, che mi confuteranno etc. Facciano pure, e io aspetto. Scrivimi subito e a lungo delle cose di Napoli, e che ne pensi. Rimani costà e non ti muovere affatto. Hai capito? Ti scriverò più a lungo un altro giorno. Gli esami a Modena finiranno la settimana entrante, alla fine. Io ci andrò per un giorno e poi non più. Addio. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (breve stralcio in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 315).
159 A Silvio Spaventa Bologna, 30 giugno 1860 Mio caro Silvio, Ricevo in questo momento la tua lettera. Io ti aveva già scritto questa mattina e mandato i libri. Ora vado alla Diligenza a ritirarli, se si può. Se no, scrivo a Berardi che li ricevesse lui. – Mi immaginavo ciò che hai fatto. Dunque sei a Torino.106 Ti scriverò più a lungo dopo tue lettere. Ora ti dico solo che badi non ti succeda la stessa scena dell’anno passato con codesti nostri napoletani. Se fanno camarilla al solito, mandali a farsi fottere e ritorna a Firenze. Bada a non passar per minchione. Cerca tu di vedere Farini 107 e altri. Fa con prudenza, dignità e al minimo odore di coterie, sappi regolarti. A ogni modo non andare a Napoli. Per andare in prigione un’altra volta ci è sempre tempo. Hai capito? Senti a me una volta. Scrivimi prima di risolvere qualunque cosa, e informami di tutto. Ma prudenza e dignità con costoro. Bertrando Isabella e Millo sono stati poco bene appena giunti. Ora meglio grazie al buon Palmucci, cortesissimo con me. Di lui dopo. SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
105. Filippo De Filippi (1814-1867), scienziato e zoologo. 106. Il 28 giugno Silvio partiva per Torino, spinto dal precipitare degli eventi di Napoli (cfr. la lettera a Bertrando del 28 giugno, in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 339). 107. Farini era ministro dell’interno nel governo presieduto da Cavour.
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Epistolario
160 Ad Angelo Camillo De Meis [giugno 1860] Mio caro Camillo, Ti scriverò un altro giorno più a lungo. Ora non ho tempo. Tu ti riposi e ti diverti a Torino, e io vado su e giù facendo lezioni, e poi anche gli esami che sono già cominciati. Ti scrivo per dirti che Isabella è un po’ allarmata. Le sono venute le regole, ma poche gocce e d’una materia scura e rappresa. Hanno durato appena un giorno, e poi non più. Già crede di dover finir male. Parla di tisi, o anche che si gonfierà tutta, e simili cose. Dimmi tu, e subito, che cosa ci è da fare. Fa delle domande e io ti risponderò. Ma subito. Avresti potuto essere più buono verso di me, meno vendicativo. Perché dire di non capire la mia povera prolusione? È la cosa più chiara che ho scritto. E pure le altre cose le hai capite. Questa indifferenza per un amico, che ha corso il rischio di essere fischiato, non è bella. Rileggila dunque, e dimmi che ne pensi. A me non pare una coglioneria. Dammi nuove delle cose nostre, di Napoli. Qui io non so niente. Non ti scordare. Il tuo sostituto è Giovannardi, sostituto d’Anatomia generale. 108 Il soldo è stato dato finalmente. Che vuoi che faccia per te? Dimmelo. Scriverò a Diomede.109 Bertrando SNSP, XXVI.D.2.3 (inedita).
161 A Silvio Spaventa Modena, 5 luglio 1860 Mio caro Silvio, Ti scrivo da Modena dove sono venuto stamane per assistere alla chiusura degli esami. Domani ritornerò a Bologna. Ricevetti ieri la tua. Ripeto in primo luogo: non andare affatto a Napoli, affatto, affatto. Quanto al resto, fai tu e mi rimetto al tuo giudizio. Dammi notizie precise, e dimmi specialmente come tu giudichi la situazione, e come la giudicano codesti napoletani. Dimmi se hai visto il Farini e che ti ha detto. 110 Non ti dico altro su questo punto, e ripeto: non a Napoli. Ho esatto oggi lo stipendio e lo manderò subito a Berardi. Gli scrissi perché ritirasse i libri dalla Diligenza. – Papà mi ha scritto per la posta e ha ricevuto le mie. Dice che non ha tue lettere da tre mesi. 111 – Palmucci ti 108. Tommaso Giovannardi, medico e deputato all’Assemblea nazionale sovrana delle province modenesi del 1859. 109. Diomede Marvasi. 110. Nella lettera del 3 luglio Silvio spiegava al fratello i motivi della sua improvvisa partenza per Torino e manifestava l’intenzione di incontrare personalmente Farini (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 339-340). 111. Come risulta dalle copie delle lettere di Silvio al padre, conservate presso la BPB (Epistolario Spaventa, cartella 201), l’ultima lettera era del 4 febbraio 1860.
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saluta. Vidi la Signora Minghetti, la quale m’invitò di andarla a trovare e pranzare con lei in campagna. Ci andrò col Palmucci. Non puoi credere quante cortesie questi mi usa. Mi ha detto tanto bene di me, e che tutti gli uomini intelligenti di Bologna mi stimano assai, e che vuol parlare con Montanari, di cui è amicissimo, perché mi faccia entrare nel Collegio, dove non ci è chi sappia di filosofia, etc. Non so se Montanari possa far ciò. Isabella e Millo vanno meglio. – Mamiani mi ha risposto una lettera affettuosa etc. – Addio per oggi. Dimmi il tuo indirizzo. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (breve stralcio in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 340).
162 A Silvio Spaventa Bologna, 8 luglio 1860 Mio caro Silvio, So da De Meis e da Ciccone, e non da te, che partirete tutti o quasi tutti per Napoli. Stupisco di ciò, e specialmente che tu non me ne scrivi. Io non capisco niente, né per quanto pensi so intender le ragioni di questo ritorno. Da una frase della lettera di Camillo pare che andrete a Napoli quasi colla intenzione di mostrare di riconoscere il nuovo ordine, e poi cercare di cacciare i borboni. Ma è questo un partito serio? Il riconoscere non giova ai borboni? Ti dico in breve che io non vedo niente. Se puoi far senza di questo ritorno, te ne prego. Il pensiero che tu possa incappare un’altra volta nelle prigioni borboniche mi fa girar la testa. Oltre a ciò siete sicuri a Napoli? E se i lazzaroni fanno a qualcuno di voi ciò che hanno fatto a Brenier? 112 Ricordati che tu devi venire a Modena a Novembre. Le cose di Napoli le può risolvere solo Garibaldi. Sperar che fingendo e accettando la costituzione si possa cacciare i borboni mi pare pazzia. Del resto aspetto tue lettere subito subito, e se puoi non partire, fammi questo piacere. Ciccone mi dice che il libraio tedesco ha commesso lo Stein,113 ma che è pubblicato solo il primo volume che tratta di statistica, di economia, etc. Forse sbaglio? Vai a vedere il libraio e domanda. Pensa a non compromettere la posizione che hai qui e a non restare così in mezzo alla via l’anno venturo. Servire la patria, sì, ma utilmente. E poi tu ti sei già troppo sacrificato. Ciò che non posso veder è i sacrifici inutili. Addio. Subito, tue lettere. Bertrando Mando oggi stesso a Berardi le 200 lire. SNSP, XXVI.D.3.1 (quasi integralmente edita in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 340).
112. Nei disordini avvenuti a Napoli dopo l’atto sovrano del 25 giugno, l’ambasciatore francese Brénier fu colpito da una bastonata al capo mentre attraversava in carrozza via Toledo. 113. Cfr. lettera 15, nota 22.
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163 A Silvio Spaventa Bologna, 9 luglio 1860 Mio caro Silvio, Che giova nella fata dar di cozzo? Giacché tu dici di dover partire, parti; io non ho che dire. Ma quello che ti dico è di essere cauto e prudente e di guardarti sopra tutto da due cose: dall’andare in prigione da capo; e dal farti accoppare dai lazzaroni. Ti dico in primo luogo che ora torno dalla posta e ho trovato la tua di ieri.114 Mi fa meraviglia come non mi parli di aver ricevuto la mia del 5 scritta da Modena e acchiusa in una lettera diretta a Camillo.115 Isabella e Millo stanno ora bene. Ritornando ora al discorso, ti dico brevemente (perché la posta parte, e forse ti scriverò domani a lungo) che facci tutto con cautela: piglia assolutamente la naturalità sarda e quindi passaporto sardo (specificando la qualità professorale); come professore è facile averla; non fare il giornale a tue spese,116 non parlare a nessuno che sei aiutato da costà, al minimo sentore di insidie borboniche contro di te, lascia il bel paese e ritorna al Nord. Insomma cautela molta. Ma sarà poi possibile sul giornale propugnare quella politica che dici e conviene, apertamente? Bada a Napoli di andare sempre accompagnato. Bada anche in Abruzzo se ci ritorni. Chi sa? Bisogna pensare a tutto. Ti manderò tutti quegli scritti miei che potrò e parecchie copie della prolusione. Avrei piacere che passassi per qua, con Camillo, se fosse possibile, e Ciccone e Diomede. 117 Quanto a denari non ne ho molti. Ma ecco: ho ora 250 franchi, devo avere di propine un 300, da Predari un 200.118 Dunque ti potrei anticipare (non restituire) un 300 franchi. Del resto non ti smarrire. Berardi non potrebbe darteli, o farteli pagare a Napoli, e io poi glieli restituirei da qui? Ieri gli ho mandato i duecento franchi. Devi anche pensare a fare economia, perché son tempi brutti e chi sa come andrà a finire. La tua idea mi piace: il contegno negativo del paese può salvare il paese. Io quasi temeva, da una frase di Camillo, che andaste a Napoli per farvi scegliere deputati, etc. Vorrei avere l’articolo di Ferri, ma franco di posta. Dov’è stampato?119 Ti ripeto, quanto al denaro, si troverà la via di mandartelo a Napoli, se non puoi portarlo ora. Ma economia; altrimenti, guai. Basta per oggi. Domani ti scriverò certamente. Addio. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (breve stralcio in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 342).
114. Cfr. la lettera dell’8 luglio (S. Spaventa, Dal 1848 ai 1861, pp. 341-342), in cui Silvio spiegava diffusamente al fratello le ragioni politiche della sua partenza per Napoli. 115. Angelo Camillo De Meis. 116. Silvio aveva intenzione di rifondare «Il Nazionale», avvalendosi degli aiuti finanziari promessi da Farini. 117. Diomede Marvasi. 118. Come compenso delle voci da lui scritte per la Nuova enciclopedia popolare. 119. Molto probabilmente si riferisce all’articolo del filosofo bolognese Luigi Ferri Sulle dottrine platoniche e sulla loro conciliazione colle aristoteliche, apparso nella «Rivista contemporanea» del 1859 (XIX, pp. 292-319) e successivamente pubblicato in estratto nello stesso anno.
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164 A Silvio Spaventa Bologna, 11 luglio 1860 Mio caro Silvio, Ti avea promesso di scriverti, e ti scrivo. Ma non credo che farò una lunga lettera, perché sono un po’ svogliato: e la svogliatezza sarà forse effetto d’un leggero ma noioso scioglimento che ho avuto ieri e l’altro ieri. Oggi è cessato. Non avrei molte cose a dirti. Nell’ultima mia ti dissi in breve tutto. Invece aspetto che tu mi scriva e mi dica che cosa hai combinato col Farini. Ciò è cosa di suprema importanza, come pure che il Giornale dipenda assolutamente da te e non da altri nella direzione. Vedo ora bene di che si tratta, e non fo più difficoltà. Anzi il pensiero mi piace. Ho raccolto oggi i miei scritti e te li manderò a Firenze. Ne manca qualcuno, ma non fa niente. Sai che Trinchera fa un giornale a Modena?120 L’Unitario! Combatte il ritorno a Napoli a suo modo, col solito stile. Ma non è da farne caso, perché chi si incarica dell’Unitario? Se volete gli articoletti, ve li manderò. In questo stesso giornale è stato pubblicato un articolo laudativo della mia Prolusione. È del Professore Prodigio,121 ma non è firmato. Forse è stato fatto a posta, perché non credessi che egli ha parlato del mio fiasco. Lodi a bizzeffe, ma sguaiatamente. Ci è il solito armoniare, e quello sfoggio di erudizione di un grano al cantaio. Se veniste tutti per Bologna mi fareste un gran piacere. Io non vengo a Torino per non spender denaro, e ne ho spesi tanti. Palmucci venne a casa il giorno che io era a Modena, e lasciò detto che sarebbe tornato per andare insieme in campagna da Marchino. Dì a Camillo122 che leggo la sua lettera fisiologica, 123 e che gliene scriverò. Dovrei rispondere a due appunti che mi fa: 1) il mio giobertismo, e 2) il parlar troppo di Dio. Ma bisogna vedere se io mi sono accomodato a Gioberti, o se Gioberti si è accomodato a ciò che ho sempre pensato. In secondo luogo, se il Dio che nomino sempre è un Dio cattivo o un Dio buono. Se avessi detto Assoluto, Idea, etc. sarebbe stato lo stesso; la parola non fa niente, e bisogna guardare al significato. Come ti ho detto non ho che scrivere e perciò fo punto. A un altro giorno. Scrivimi subito prima di partire, se non vieni qua, perché io ti possa scrivere a Firenze. Isabella e Millo stanno bene. Addio. Scrivi. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (breve stralcio in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 315).
120. Trinchera scriverà da Modena a Bertrando il 19 luglio, manifestando un notevole pessimismo circa la liberazione di Napoli (cfr. SNSP, XXVI.D.2.3). 121. Cfr. lettera 156, nota 94. 122. Angelo Camillo De Meis. 123. Cfr. lettera 151, nota 70.
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165 A Silvio Spaventa Bologna, 15 luglio 1860 Mio caro Silvio, Ti scrivo poche righe per dirti poche cose che mi ha suggerito la tua, scritta sul punto di partire da Torino. 124 – Non mi fa meraviglia ciò che mi dici del signor sornione.125 Ma ci vuol prudenza e bisogna saperlo vincere col sangue freddo e coll’accorgimento. Ricordati di questo. – Certo sarebbe desiderabile fare una cosa sola con loro e con tutti, per non dividersi. Ma non credo che ci riuscirai. Loro vogliono fare da padroni, e tu non puoi far da servente. Caso che tu ti risolva ad accettare di fare con loro, accetta solo a condizione di dirigere, e bada bene al significato di tal parola. In primo luogo ciò significa che la proprietà del negozio sia tua; se non sarà tua, si troverà modo di farti uscire malgrado la direzione. Bada a ciò. Meglio non far niente, che fare col pericolo di dover fare per altri e ad arbitrio di altri. – Se non combini con loro, fa da te, e bene e presto per pigliare il campo, e con buone e valenti persone. E per essere sempre più certo dell’amico F[arini] di Torino, scrivi subito all’amico M[assari]126 che combinò la cosa, perché ti sostenga, nel caso che il signor sornione operasse anche da costà. Ti raccomando prudenza, e se ti accorgi che non è aria per te, torna subito. Ho mandato gli scritti a Rosei,127 da consegnare a Conforti o Cammerota.128 Scrivimi subito, e dimmi subito tutto che mi puoi dire. Va sempre alla posta. Penserò a restituire tutto a Rosei. Ma ti raccomando economia. Oggi vado in campagna da Marchino con Palmucci, che ti saluta. Ti ricordo di stare attento col Sornione e compagni. Nel caso di unione, patti chiari, scritti, stampati se bisogna. Hai capito? Addio. Scrivi subito. Bertrando Isabella e Millo ti salutano. Scrivi a Papà. – Sii cauto sempre. Se vedi Vincenzino De Tane e Marino, tanti saluti. Ricordati di non farti ingarbugliare da nessuno. Patti chiari sin da principio e prima. – Prudenza. Addio. SNSP, XXVI.D.3.1 (quasi integralmente edita in Vacca, Nuove testimonianze, p. 16).
124. Cfr. la lettera di Silvio dell’11 luglio 1860, in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 343345. 125. Giuseppe Pisanelli (cfr. lettera 27, nota 24), che aveva chiesto a sua volta al Farini sovvenzioni per un giornale da fondare a Napoli. 126. Giuseppe Massari. 127. Nicola Rosei (1818-1867), esule napoletano in Piemonte, capodivisione del Ministero della pubblica istruzione. Nel 1860 fu professore di liceo a Bologna. 128. Gaetano Cammarota (1828-1909), provveditore agli studi e direttore generale del Ministero della pubblica istruzione. Ispettore nelle scuole primarie delle province napoletane dopo il 1860.
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166 A Silvio Spaventa Bologna, 31 luglio 1860 Mio caro Silvio, Ti scrivo di fretta per Camillo.129 Ho ricevuto la tua. Sei troppo breve. Ti prego di scrivermi lungamente, e tutto tutto. Tra giorni ti scriverò per la posta. Dico anche a Camillo di guardarvi da una cosa: una San Bartolomeo. E il tutto andrà a vele gonfie. Non so se sai d’una corrispondenza da Napoli al Movimento 130 di Genova. Deve essere qualcuno dei colleghi di Agresti etc. Si dice a un dipresso: «I rappresentanti di Cavour a Napoli sono due: Carlo Mezzacapo 131 per la parte militare e Silvio Spaventa, lancia spezzata (sic) di Poerio (!!!), per la parte civile. Spaventa vuol fare un giornale, per combattere Garibaldi (!!!). Ha fatto un programma così stravagante, che gli stessi Pisanelli e Ciccone, cavouriani anche essi, sono rimasti disgustati, e si è scritto a Torino per vedere cosa si ha da fare. Etc... Miserabili!». Ti dico ciò per farti ridere. Ma ad ogni modo bada, e guardati dai borbonici e dai mazziniani. Ti prego di andare spesso alla posta. Scrivimi, e dimmi della famiglia. Addio. Dimmi tutto. Isabella e Millo ti salutano. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (quasi integralmente edita in Vacca, Nuove testimonianze, p. 16).
167 A Silvio Spaventa Bologna, 19 settembre 1860 Mio caro Silvio, Sono quasi due mesi che non mi scrivi. È un fatto che non mi so spiegare. Pazienza sì: ma ormai è troppo. – Avresti dovuto dirmi tante cose, e non mi hai detto mai niente. Silenzio, sempre silenzio: cattivo sistema. Forse m’inganno, ma pare che le cose costà cominciano a imbrogliarsi come altrove. Tu che pensi di fare? Se costà non hai più che fare e non puoi far bene, vieni. Ci è sempre tempo di ritornare, se le cose andranno. Il tuo dovere l’hai fatto; e non avendo o non dovendo far altro puoi benissimo andartene via. Ti parlo breve, ma schietto. Pigliare incarichi, non so se sia buono ora. Temo non si ripetano le cose di Palermo. Del resto mentre io ti scrivo, la situazione può essere mutata. Tu che stai sul luogo devi giudicare, e con senno e senza precipitazione. A te farà ridere l’idea di ritornare qui. E pure non è ridicola, e alla fine – come sempre – finirò per aver ragione io. Del resto, ripeto, giudica tu che sei costì. Certi pasticci non mi piacciono. Non so rendermi ragione delle ultime nomine costà. Come si conciliano? Io scrivo da Bologna, dove non si sa niente. Tu sai meglio di me. 129. Angelo Camillo De Meis. 130. «Il Movimento» di Genova, giornale di ispirazione democratica, fondato nel 1855 e diretto da Mauro Macchi. 131. Carlo Mezzacapo (1817-1905), ufficiale e senatore del regno d’Italia dal 1876.
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Minghetti mi domanda sempre di te, e io gli rispondo che non mi scrivi da un secolo; perché infatti due mesi ora sono un secolo. Non ti scriverò più, e avvenga che avvenga, se non mi scrivi, e subito. Scrivimi per Dio. E di Papà? Isabella e Millo ti salutano. Addio. Bertrando Darai l’acchiusa a De Meis, e l’altra a Ciccone per sabato. SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
168 A Silvio Spaventa Bologna, 1° ottobre 1860 Mio caro Silvio, So che sei a Torino da Minghetti, al quale l’ha detto Farini, e dai giornali. 132 Ho aspettato ieri e oggi tue lettere. Invano. Continua l’influsso di Napoli! Pazienza. M’immaginavo che ti avrebbero fatto lasciar Napoli. Ti scrivo di fretta, e per sapere se resterai qualche tempo a Torino. Certo di ciò, non sarebbe difficile che io venissi uno di questi giorni a rivederti, perché amo di sapere tante cose: sebbene non abbia molti denari!!! Scrivimi dunque. Non vorrei che c’incontrassimo per via senza vederci. E dimmi dove abiti. Isabella e Millo ti salutano. Bertrando Bertrando saluta Carlo133 e lo prega di dare il più presto possibile questo biglietto a Silvio. Gli dà questo incomodo, perché non è certo se Silvio si ricorda d’andare alla posta, né sa il suo indirizzo. E voglia bene al Suo Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita). Sul f. 2v messaggio a Carlo Poerio.
132. Il 25 settembre Silvio ebbe un burrascoso colloquio a Caserta con Garibaldi, in seguito al quale fu invitato dal generale a lasciare Napoli (per chiarimenti sull’episodio, cfr. la lettera di Silvio ad Alessandro D’Ancona del 25 settembre 1860, in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 342-350). 133. Carlo Poerio.
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169 A Silvio Spaventa Bologna, 6 ottobre 1860 Mio caro Silvio, Ho ricevuto ieri sera la tua del 4, 134 avea già ricevuto le due altre mandate per mezzo di Visconti. Pare che tu non possa o non voglia venire. Dunque verrò io, tanto più che ho bisogno un po’ di distrazione etc. Dunque aspettami domani 7 (domenica) coll’ultimo convoglio per Torino. Credo che parta di qui alle 11 di mattina. Se ti facessi trovare alla stazione, mi faresti un gran piacere. Non so l’ora in cui si arriva, ma la puoi vedere tu stesso. Giungerò un po’ tardi credo. Addio di fretta. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
170 A Isabella Sgano Torino, 8 ottobre [1860] Mia cara Isabella, Sono arrivato bene ieri sera alle 10, ma non potetti vedere Silvio. Stamattina mi sono levato alle 5; ho fatto una passeggiata per Torino, che è tanto bella; sono andato dal calzolaio, e da Madama Costa, che vuole che vada a stare in casa sua. Ti saluta tanto con Millo. Ora vado a vedere Don Silvio. Per poco non sono andato a Milano, perché ieri sera ad Alessandria mi ero distratto, e intanto il convoglio partiva. Madama Costa mi dice che i scialli brochés costano 150 e 200 lire. Dimmi subito cosa devo fare. Ti raccomando di badare a te, a Millo, e di evitare disturbi. Tien chiusa sempre la casa. Bada alle forbici, alle finestre che Millo non si faccia del male. Bada alla scala del granaio. Ti scriverò subito e ti dirò quando partirò. Ora addio di fretta. Rispondimi. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.2 (inedita).
134. Cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 351-352.
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Epistolario
171 A Isabella Sgano Torino, 12 ottobre [1860] Mia cara Isabella, Non so capire perché non mi rispondi. Ti scrissi appena giunto qua sull’affare dello sciallo. Madama Costa dice che broché a doppio si paga circa 200 franchi. Dunque? Dimmi subito che cosa vuoi fare; e fa in modo che la tua lettera mi giunga almeno domenica la sera, perché io penso di tornare lunedì o martedì, ma non lo so di certo, e ti scriverò a tempo. Dimmi pure che cosa sono le pioteline che vuoi. Io non ho capito, né Madama Costa ha capito. Io sono in casa di Madama, e perciò mi trattengo un po’ di più. Silvio135 forse verrà con me, per tornare a Napoli per gli Abruzzi, ora che va il Re. Scrivi subito. E ti raccomando di badare a Millo. Per carità. Bada, specialmente al freddo della mattina. Addio. Di fretta. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.2 (inedita).
172 A Isabella Sgano Torino, 16 ottobre [1860] Mia cara Isabella, Io sarò a casa domani 17 mercoledì alle ore 6 e mezzo pomeridiane. Ho aspettato invano lettere tue. Sono di fretta, abbracciandoti con Millo. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.2 (inedita).
173 A Silvio Spaventa Bologna, 22 ottobre 1860 Mio caro Silvio, Ti scrivo due righe per ricordarti che sono qui e aspetto tue lettere. Sono un po’ di cattivo umore. Così dovea essere. Ritornato da Torino, Bologna mi è parsa una spelonca. Per confortarmi sono ricorso alla consueta medicina, e ho ripigliato gli scartafacci. Ma sinora non ho potuto raccapezzarmi. Quasi quasi mi pento di non essermi fatto 135. Silvio ritornò a Napoli nella seconda metà di ottobre, dopo l’arrivo di Vittorio Emanuele II.
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trasportare come un baule sino a Napoli. Ed è tutto dire! – Ricordati di quello che ti dissi di me e di te. Qui, credo, io non potrò stare a lungo, lontano da tutti. Un diavolo, una disgrazia, una malattia: e felice notte. Ma mi contento, beninteso, di crepare, e non chieder niente a nessun napoletano. Su ciò non ho bisogno di dirti altro, perché ti ho detto tutto a Torino. Quanto a te, non far sempre il generoso con codesti fessi. Non ti scordar di veder subito il Farini, al quale potrai dire anche, se lo credi, ciò che concerne me. Scrivimi subito, spesso, e tutto: perché al far dei conti anche io posso dar qualche consiglio!!! Isabella e Millo ti salutano. Bertrando Ieri ho votato qui al Municipio, e ho avuto l’onore di conoscere il giureconsulto De Franchis. Perché non lo nominano consigliere di Corte Suprema o di Stato costà? Non ci avranno pensato. Raccomando a Rosei di proporlo. Lo potrebbero nominare Direttore generale di tutte le Vetriere del Regno! Scrivimi subito. Posso sperare di rivederti subito con Papà? Non ti puoi immaginare come sono seccato qui. Ma pure sto. Se vedi De Meis, me lo saluti tanto e digli che non gli scrivo ora, perché non ho voglia di scrivere niente, e non saprei che dirgli. Dagli una copia di quello scritto, ma corretta prima. Gli avevo scritto una lunga lettera sopra Torino, ma poi l’ho stracciata, e deve aver pazienza. Non vada in collera. Mi scriva lui. SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
174 A Silvio Spaventa Bologna, 5 novembre 1860 Mio caro Silvio, Ricevo ora appunto la tua, che sono le 4.136 Rispondo subito. Probabilissimamente io partirò di qui dopo domani, mercoledì 7, e da Genova giovedì la sera. Il viaggio del giovedì non è diretto e approda a Livorno. Non so quindi, se si giunge a Napoli il sabato o la domenica, né a che ora. Informati tu costà, e fatti trovare al sito dello sbarco. Vengo né coll’animo di accettare, né coll’animo di non accettare.137 Voglio vedere che impressione mi farà Napoli. Vengo solo. Trovami una stanza o due. Ma poca spesa, se si può conciliare colla decenza. Non sia distante dal centro. Non ti fo dispaccio, perché io non so l’indirizzo della tua casa. 138 Ricordati di farti trovare alla marina, affinché io non deva girare per Napoli prima di vederti. Addio di fretta. Se Farini è già venuto,139 va a trovarlo subito. Senti a me. Subito. 136. Cfr. la lettera di Silvio del 28 ottobre 1860, in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 353354. 137. In seguito alla riforma dell’ateneo napoletano attuata da Francesco De Sanctis come ministro della pubblica istruzione, Bertrando era stato nominato professore di filosofia (decreto del 31 ottobre). 138. Silvio era provvisoriamente ospite dei cugini Francesco e Pasquale Croce. 139. Farini, nominato commissario regio, giungerà a Napoli il 7 novembre.
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Epistolario
Isabella e Millo ti salutano. Bertrando Se non ti trovo alla marina andrò alla posta, dove mi farai trovare una lettera. (Posta restante). SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
175 A Isabella Sgano Genova, 8 novembre [1860] Mia cara Isabella, Ti scrivo che sono le 5 e mezzo pomeridiane. Ho girato tutto quest’oggi dalle 10 lungo la marina e sino alla Lanterna, dove sono salito sino su su su. Ritornando ho incontrato i prigionieri napoletani di Capua, e mi sono messo a chiacchierare con essi. C’erano alcuni abbruzzesi e di paesi vicini al mio, Bomba. Che gente curiosa, «Signò, nui non ne sapimmo niente. Li superiuri ci hanno tradito. Perché non ci hanno rimandato alle case nostre? Ma, Signò, ci simmo battuti». Povera gente! mi faceva compassione. Parto stasera alle 8. Addio. Bada a Millo e a te. Salutami Tofano. Golfo di Baia vicino Napoli, 10 novembre Sono partito da Genova l’altra sera. Sono andato bene sino a Livorno. Da Livorno ho sofferto un poco, specialmente ieri sera. Oggi sono stato bene, e ho mangiato con appetito. Vedo il Vesuvio. Dopo dodici anni! Se tu fossi qua! Entro nel golfo di Napoli. Vedo Napoli e la riconosco. Lascio di scrivere per guardare. Ti scriverò subito. Addio. Bada a Millo e a te. Saluto Tofano. Bertrando Do questa lettera al Capitano del legno che parte tra poche ore. Domani non c’è partenza. Scriverò dopodomani. SNSP, XXVI.D.3.2 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 356-357).
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176 A Isabella Sgano Napoli, 12 novembre [1860] Mia cara Isabella (non far leggere questa lettera), Ti ho scritto dal porto di Napoli il giorno 10. Sono stordito in questa Babilonia. Finora non sono ancora deciso se resterò o no. Vogliono che resti. Ma in questo chiasso non mi ci so vedere. Oggi non posso darti notizie precise di me e di Silvio. Ho visto subito Farini, che mi ha accolto bene. Spero di poterti scrivere altro domani; se no, dopodomani. Ho visto De Meis, Ciccone, ti salutano. Sta di buon umore che ti farò contenta, forse più che non credi. Se poi il diavolo vuol altro, pazienza. Bada a Millo, e fallo camminare. Rispondimi subito e dimmi come stai. Addio di fretta. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.2 (inedita).
177 A Isabella Sgano Napoli, 15 novembre [1860] Mia cara Isabella, Ti ho scritto sabato e lunedì. Non ho nulla a dirti di nuovo. Niente è ancora deciso qui. La Babilonia continua più o meno. Speriamo che cessi. Sii certa che farò tutto quello che potrò onestamente. Silvio vogliono mandarlo come Commissario etc. in 4 provincie. Non so se accetterà. Se domani ci sarà altro ti scriverò. Andrò facilmente a rivedere Papà. Il tempo è brutto, e mentre ti scrivo piove. Bada a Millo e scrivimi subito. Sta tranquilla e di buon animo. Saluto Tofano anche per parte di Ciccone, che ti saluta. De Meis non lo vedo da tre giorni. Non puoi immaginarti che fracasso è Napoli. Si perde la testa. Puzzano le strade e le persone. I viveri sono cari. Ma pazienza. Addio. Scrivi, Silvio ti saluta con Millo. Bertrando Ti ho mandato alcuni giornali. SNSP, XXVI.D.3.2 (inedita).
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Epistolario
178 A Isabella Sgano Napoli, 23 novembre [1860] Mia cara Isabella, Ho ricevuto le due lettere tue. Non ti ho scritto più perché questa Napoli è una vera Babilonia. Già saprai che Silvio è (quello che si dice qui) Ministro di Polizia; ha preso possesso ieri. Gli altri ministri, come sai, sono Pisanelli, Scialoja, … Se dureranno sarà un miracolo, perché questo paese è ingovernabile. Quanto a me, non sono ancora deciso, e se fossi solo, non mi saprei vedere qui. Ma farò quello che tu vorrai; farò il sacrificio di fare il professore qui. Ma non dir niente a nessuno. Come sai io tornerò a Bologna verso la fine del mese. E poi vedremo insieme quando dovremo venire tutti a Napoli. Già ora sarebbe impossibile, perché non si trovano case. Ma di ciò parleremo meglio a suo tempo. Sta dunque tranquilla, perché ti farò pienamente contenta. Domani ti scriverò più a lungo; ora non posso, perché la posta parte. Vedrò stasera De Meis per la ricetta per Enrica. Salutami Emilia. Silvio ti saluta con Millo. Bada a te e a Millo, e state contenti. Domani scriverò a Modena e ti rimetterò la lettera a te [sic]. Se hai bisogno di danaro, il che non credo, dillo a Tofano. Fa economia per me, e spendi solo per te. Dì a Tofano che ho visto oggi Donna Angiolina, e sta bene. Dunque a domani. Difficilmente andrò in Abruzzo. Se ne parlerà quando verrò qui di nuovo. Ti scrivo in un caffè e con una pessima penna. Rispondimi subito. Addio. Baciami Millo, a domani. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.2 (breve stralcio in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 357).
179 A Isabella Sgano Napoli, 1 dicembre [1860] Mia cara Isabella, Io partirò di qui o lunedì o martedì (3 o 4 Dicembre) e potrò giungere a Bologna o giovedì o venerdì. Cercherò di venire di giorno. Dunque a rivederci tra poco. Bacia Millo e ti abbraccio di fretta. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.2 (inedita).
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180 A Silvio Spaventa Bologna, 12 dicembre 1860 Sono arrivato qui domenica sera (9), mezzo morto pel pessimo viaggio di mare. Ora sto bene. Ti scrivo poche righe, perché devo fare una gran quantità di lettere. Qui le cose di Napoli sono esagerate dalle corrispondenze di costà nei giornali. Il fatto del teatro nuovo, che io ho visto, l’ho ritrovato qui elevato alla dignità d’una quasi rivoluzione. Sarebbe bene che di costà si mandassero buone e veraci corrispondenze ai giornali di buona fede dell’Italia superiore e centrale. Del resto qui «imperversa sempre il buon senso», come diceva quel buon lombardo, e tutti dicono che a Napoli bisogna mostrarsi forti e non cedere. Ricordati di dare anche tu un’occhiata sempre ai giornali per sapere che ci è da per tutto. Ricomincerò le lezioni lunedì venturo. 140 Ho detto qui che io tra pochi mesi devo ritornare a Napoli. Oggi stesso scrivo a Mamiani.141 Se tu non hai tempo di scrivermi, e sei ancora Consigliere, fammi scrivere da Vizioli142 e da Rosei. Ti ricordo le seguenti cose: 1) l’affare di Tartaglia; 143 2) Il mio che sai: se è possibile. Se no, ti buggeri, e viva la libertà e la cuccagna. Una Signora di Torino, una delle Polliotti, mi scrive perché ti raccomandi suo cognato Alessandro Clara, capitano del vecchio esercito, il quale viene a Napoli e non conosce nessuno. Egli è fratello di quel Signore che m’invitò a pranzo in campagna quando io ero con te a Torino ora sono due mesi. Ti dico una cosa da ridere. Un napoletano, mio compagno di viaggio per mare, mi disse, che ti avessi avvertito di guardarti da Ardito144 e Mascilli,145 perché sono in continua confabulazione con Conforti. Vera o falsa ti racconto la cosa come mi è stata detta. Addio per oggi. Bada alla salute: coraggio, prudenza e ardire. Isabella e Millo ti salutano. Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
140. Bertrando si fermò a Napoli solo pochi giorni: aveva ottenuto infatti da Paolo Emilio Imbriani (ministro della pubblica istruzione del governo provvisorio) e da Piria (divenuto consigliere della luogotenenza per la pubblica istruzione) il permesso di ritornare a Bologna e fare almeno il primo corso semestrale presso quell’Università. 141. Mamiani aveva intenzione di nominare Bertrando professore di filosofia all’Università di Torino. 142. Francesco Vizioli (1834-1899), libero docente di fisiologia e patologia nervosa nel 1870, insegnò poi neuropatologia ed elettroterapia all’Università di Napoli. 143. Domenico Tartaglia. 144. Pietro Ardito (1833-1889), critico letterario e poeta calabrese. 145. Luigi Mascilli (1825-1890), giurista e uomo politico molisano, fu deputato del regno d’Italia dall’XI alla XVI legislatura.
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Epistolario
181 A Silvio Spaventa Bologna, 12 dicembre 1860 Mio caro Silvio, Una egregia Signora di Torino, Paolina Clara-Polliotti, stata sempre cortese e buona verso di me nel mio lungo soggiorno in Piemonte, mi scrive perché io ti raccomandi il Signor Alessandro Clara suo cognato, capitano del vecchio esercito, il quale si reca a Napoli e non conosce nessuno a cui indirizzarsi. E io te lo raccomando ben volentieri, non solo per far cosa grata all’ottima Signora Paolina, ma anche perché conosco il Signor Alessandro come persona degnissima e meritevole di ogni riguardo. A te non ho bisogno di dir altro. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXVI.D.3.1 (inedita).
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182 A Luigi Fittipaldi Bologna, 23 [gennaio] 1861 1
Mio caro Fittipaldi, Ho ricevuto la tua lettera. Scrivi, purché scriva a lungo e spesso, e non importa come. Tu solo puoi darmi notizie, e perché lo sai, e perché hai buona volontà di darmele. Gli altri mi rispondono, se mi rispondono, appena due righe. Ti sei però scordato di dirmi se quella lettera che mandai a Silvio per mezzo di Vizioli, l’ha ricevuta. Già so del nuovo Consiglio. Tu mi dirai come va. Intanto ieri ho letto in un giornale, che ci è stata costà una dimostrazioncella a favore e contro di Silvio. 2 È vero? Se sì, dimmi che è stato. Dimmi pure quali scissure sono avvenute tra i liberali o per dir meglio (giacché oggi tutti sono liberali), tra i nostri liberali per cagione del Circolo elettorale presieduto da Poerio.3 Sono con te che si dovrebbe badare un po’ più alla stampa. Finora non ci hanno pensato, e questa è stata una delle cagioni per cui anche il bene che si è fatto non è stato considerato. Bisogna non solo fare il bene, ma che si sappia e si faccia capire agli sciocchi che è bene. Qui i cervelli sono un po’ più maturi, e basta fare, perché si capisca da tutti che quello, che si fa, è bene o male. Sia buon senso, sia senso comune, il certo è che qui ci è qualcosa di simile all’uno e all’altro. Ma ci ha paesi e tempi, nei quali tu devi dire a uno, dandogli il pane di cui ha bisogno: vedi, questo è pane, e dimostrargli con mille ragioni, che è pane e non pietra; perché altrimenti sarebbe capace di non volerlo e di gittartelo in faccia come se fosse pietra davvero. Così accade poi un altro inconveniente. Coloro che sono lontano, vedendo parlare sempre di scontento e non potendo sopportare che si dica pietra il pane, né sempre avendo tempo a verificare la cosa, ripetono quello che sentono, e il pane diventa realmente pietra nell’opinione generale. Così è avvenuto in gran parte del passato Consiglio. Più: non si è distinto ciò che spettava a ciascuno, almeno non sempre. – Bisogna badare a queste cose.
1. Luigi Fittipaldi, nominato ispettore della direzione generale delle Poste nel 1860. 2. Nominato nuovo capo della polizia il 3 gennaio 1861, Silvio Spaventa fu oggetto di ingiurie e atti intimidatori fino alle manifestazioni e ai tafferugli che si verificarono il 19 gennaio nella città di Napoli. 3. Carlo Poerio.
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Epistolario
Ho fatto una piccola predica. La continueremo a Friso, o al Pietraio. Oggi non ti scrivo a lungo, perché sono stanco, e ho già scritto prima di questa una lettera piuttosto lunga. Vedi Silvio, e digli che io sto bene. Non gli scrivo, perché è inutile. Fammi sapere se abita ancora a Palazzo Latilla. Appena saprai qualche notizia delle elezioni, specialmente di Abruzzo, scrivimelo, subito, subito. È difficile che io di qui possa scrivere ciò che tu vuoi. Bisogna stare sul luogo, vedere e toccare per scrivere bene. Dunque per ora abbi un po’ di pazienza, o trova altri che possa fare, o voglia. Diavolo, ci è tanta gente a Napoli! Il male è, che sono persuasi che lo scrivere è quello che meno dà, e perciò lasciano scrivere a quelli che non sanno far altro. Questo è un male serio: è un disordine morale grave. – Ecco il principio di un’altra predica, che continueremo anche a Friso. Io ti parlo di Friso, ma non so se verrò a Napoli. Dico meglio, non so quando verrò. Ti raccomando sempre Silvio, al quale dirai che mi facesse sapere notizie di casa. Papà non mi ha risposto ancora. Dunque, caro Luigi, addio. Non posso più scrivere, perché mi fa male agli occhi. Dammi notizie, e subito. Saluto Silvio e ti abbraccio. Fagli leggere questa lettera. Tuo Bertrando Dì a Silvio che sono già venuti i due volumi di Mohl4 che mancavano, e sono a Torino. Gli ho pagati io. AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
183 A Silvio Spaventa Bologna, 25 gennaio 1861 Caro Silvio, Si scrive in data del 22 da Napoli a una persona dimorante qui: «Spaventa resta, ma Liborio Romano, 5 suo nemico, farà ogni modo per farlo cadere». Cader per opera di Don Liborio non è disonore, come non è disonore essere ammazzato dal boia per causa politica. Se la caduta di Francesco II6 ha qualche lato onorevole, è che ci è entrato un po’ Don Liborio. Intanto bisogna che la gente onesta non solo sia onesta, ma si sappia e sia trattata come tale. Dunque in guardia. Prudenza, silenzio e non violenza. Niente che dia soddisfazione o occasione al signor nemico. So le grandi dimostrazioni. Immagino che oltre i liberali, che sono scontenti perché non hanno la libertà 4. Robert von Mohl (1799-1875), giurista e uomo politico tedesco. Spaventa potrebbe riferirsi all’opera Die Polizeiwissenschaft nach den Grundsätzen des Rechtsstaates (prima ed. 1832-1834) o alla Geschichte und Literatur der Staatswissenschaften (prima ed. 1855-1858), entrambe in tre tomi. 5. Liborio Romano (1793-1867), avvocato e uomo politico, fu prefetto di polizia e ministro dell’interno sotto Francesco II di Borbone. 6. Ultimo re Borbone, successore di Ferdinando II, in carica dal 22 maggio 1859 al 20 marzo 1861.
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d’essere tutti Consiglieri, si siano onorati i borbonici. I mazziniani e i murattiani. E chi sa se egli non sia tra questi ultimi! Vorrei che il mio intuito m’ingannasse. Se si potesse fare questa scoperta! Sarebbe bella. In guardia anche per questo. A te non manca prudenza né ingegno, né sangue freddo. Questo soprattutto. Il consiglierato è un letto di spine.7 Io stimo più un rigo di Hegel e di Spinoza che tutti i consigli di Luogotenenza, presenti, passati e futuri. Ma non si tratta ora di questo. Si tratta e del bene del paese, che è una vergogna che sia rappresentato da Lui, e anche dell’apparenza di onore. Dunque giudizio, sangue freddo, e fare tutto – cioè restare o uscire – a tempo. A Nigra,8 e anche a Torino, puoi parlar chiaro. Raccomando a te e a Poerio di leggere le corrispondenze del Signor Barone della Gattina nell’Unione di Milano, specialmente quella del foglio 23 corrente.9 In tutte Don Liborio è esaltato. La stampa è pessima, ed è padrone chi inventa frottole. Pessimi corrispondenti da Napoli anche sui migliori giornali: Perseveranza, Nazione, etc. perché non s’imita l’attività dei nemici? La nuova Italia ti è contraria! Mi pento quasi d’aver lasciato Napoli in questi momenti. Scrivimi o fammi scrivere subito. Fate che i corrispondenti dichiarino bene lo stato morale di Napoli: stato che permette un’ovazione a Don Liborio. La Monarchia nazionale del 22, mi pare, ha un articolo contro l’immoralità della sua nomina. Insistere. E il Sornione? Ci entrasse anch’egli nelle dimostrazioni? Ti scrivo in fretta. Bada a non perdere questa lettera. Rispondi subito. Se devi ritirarti, fa che la ritirata sia onorevole anche innanzi al pubblico coglione. Ti vorrei dire tante cose, ma non ho tempo. Somma: fa come se questa notizia che ti do a principio, la sappia solo il tuo intelletto, e non l’animo. Addio, Scrivimi subito, e bada. Bertrando Leggo ora nella Nazione e nella Monarchia italiana corrispondenze a te favorevoli da Napoli. BPB, Fondo Beltrani, c.c. 922 (ed. in Masellis, Lettere inedite, pp. 697-698).
7. Silvio Spaventa fu eletto consigliere di luogotenenza in Napoli nel 1860 e svolse una dura battaglia contro la camorra. 8. Costantino Nigra (1828-1907), diplomatico e filologo, fu segretario di Cavour a Parigi e a Londra. Successe a Luigi Carlo Farini come segretario generale di luogotenenza a Napoli, tra il gennaio e il maggio 1861. 9. Divenuto deputato nel collegio di Brienza, Ferdinando Petruccelli della Gattina aveva scritto sull’«Unione» di Milano del 22 gennaio 1861 un articolo dove dichiarava che Carlo Poerio era «un’invenzione convenzionale della stampa anglofrancese» e che la sua prigionia era stata sfruttata per screditare il re Ferdinando II.
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Epistolario
184 A Silvio Spaventa Torino, 27 marzo 1861 Riservata Mio caro Silvio, Sono qui da una settimana. Non so se verrò a Napoli o ritornerò a Bologna.10 Vedrò e saprò regolarmi. Ma non è questo il motivo per cui ti scrivo. È una settimana che fo a me stesso questa domanda: Silvio deve restare a Napoli, o venire a Torino a fare il deputato?11 Io non conosco bene le cose né di qua né di costà, per poter rispondere. Pur ti dico quello che so. Decidi tu. Ma pensa che ora è questo un punto di gran rilievo. Dunque tutti coloro, napoletani e piemontesi, con cui ho parlato qui, mi hanno detto gran bene di te. Pare insomma che siano persuasi tutti che hai saputo fare, e dato prova di saper fare. Lo stesso Sornione mi diceva di aver detto a Cavour: Spaventa è l’unico uomo serio che è in Napoli.12 Ciò stesso dicono anche taluni che non hanno le stesse tue idee politiche. Alla quistione: chi deve restare a Napoli a reggere la cosa pubblica? Si risponde sempre: Spaventa. Io tra me dico: è una seccatura, e ne volete troppo. Andate voi ad affrontare pericoli e disgusti. A coloro che mi domandano: che pensa di fare Silvio? Rispondo: non ne so niente; Silvio non mi scrive. E dico il vero. Prima si pensava di sopprimere il Consiglio luogotenenziale, e mettere invece semplici direttori; poi si pensò di far restare il Consiglio; oggi so che si vuole sopprimere il Consiglio, e mettere dei segretari generali. Sono persuasi, che mutato nome, più o meno la cosa è la stessa; ma dicono che, togliendo il titolo di consigliere e mettendo invece di esso uno più modesto, si possa togliere un’esca all’appetito del potere e della vanità. In queste tre fasi si è parlato sempre di fare restare te (all’interno e polizia).13 Questa mane uno mi ha detto che il Principe14 nei suoi dispacci dice gran bene sempre di te. Benissimo. Ma da quel che vedo io, le quistioni che tormentano le teste dei nostri grandi uomini di Stato, sono due: 1. Mettere a un posto di chi sappia fare e voglia. 2. Chi sia 10. Il 15 aprile 1861 Bertrando rassegnava le dimissioni dal nuovo incarico ricevuto all’Università di Bologna, dove si era recato previa autorizzazione del consigliere di luogotenenza Raffaele Piria e del ministro della pubblica istruzione Paolo Emilio Imbriani. Nel luglio dello stesso anno prestava giuramento all’Università di Napoli, dove non giunse in tempo per udire, il 16 novembre 1861, la prolusione del professor Luigi Palmieri per l’apertura del nuovo anno accademico. 11. A seguito delle drastiche misure prese contro la camorra, Silvio, allora consigliere del Ministero dell’interno e di polizia, fu vittima, nel corso dell’anno 1861, di numerose manifestazioni di protesta (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 358-359), di cui la più violenta scoppiò il 26 aprile (cfr. lettera 186). 12. Cavour stesso ebbe a dire a Bertrando che il fratello si stava comportando «da eroe» (cfr. Raffaele De Cesare, S. Spaventa e i suoi tempi, in «Nuova Antologia», III, XLVI [1° luglio 1893], p. 50). 13. Silvio rassegnò le proprie dimissioni da segretario generale dell’interno il 18 luglio 1861, lasciando il posto al generale Enrico Cialdini. Nel dicembre dell’anno seguente, a Torino, fu nominato segretario generale del Ministero dell’interno nel governo Farini-Minghetti (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 361-363 e S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 40-42). Cfr. lettera 236. 14. Eugenio Emanuele di Savoia conte di Villafranca, principe di Carignano (1816-1888), comandante della Marina sarda e luogotenente del regno durante le guerre d’indipendenza. Fu luogotenente generale a Napoli, sostituendo, dal gennaio 1861, Luigi Carlo Farini.
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popolare a Napoli. Ora sono persuasi che la popolarità a Napoli significa tutto quel che ci è di brutto e schifoso. L’esempio di Don Ponolio è là. Come si fa? Io racconto quel che ho udito. Il Sornione mi diceva, Cavour avergli detto: «Spaventa ha nemici e non è popolare; ma non se ne può far senza». Oggi so da un alto locato, più alto del Sornione, esser venuto il seguente dispaccio (del Principe) da Napoli, a un dipresso: «Si abolisca il titolo di consigliere, altrimenti Monsieur Spaventa qui est fort impopulaire, serait impossible». Dunque si vuole che tu ci sii, perché fai bene: ma d’altra parte la politica deve tener conto anche dell’opinione anche quando è matta, corrotta, fracida. Altro. Lo stesso alto locato mi diceva: «come uno dei Segretari generali (consigliere sotto altro nome) si è proposto Filippo De Blasio.15 Si è osservato: ma che dirà Spaventa? Vorrà stare insieme con lui? Poi uno ha detto: ma questa non è difficoltà; Spaventa e De Blasio si sono riconciliati, tanto è vero che il primo ha favorito la candidatura del secondo». Insomma vedono che sei necessario, questo è il fatto. Io qui avrei finito, ma pure continuerò a modo mio. Tu sai meglio di me che cosa è la politica. Questa ha i suoi fini e i suoi mezzi. Tu hai dato prova di saper fare. dico tra me: non basta? Bisogna continuare a sacrificarsi per cotesta canaglia? Perché non vengono costì questi onesti imbroglioni che sono qui e fanno i dottori? In altre parole tu devi ora decidere se ti conviene ancora di sacrificarti, o pure di riposarti e che basti il saggio che hai dato. Bisogna – questo è il punto di rilievo che ti dicevo – evitare il pericolo di esser spremuto sino all’ultima stilla come i limoni, e poi gittato via. Bisogna mostrarsi condiscendente e poi pronto a fare il bene del proprio paese; ma non bisogna dimenticare che si ha a fare con uomini politici, che spesso hanno la poco umana idea di servirsi degli uomini come mezzi, e non altro. Non dico altro. Ripeto, decidi tu. Non badare alle mie riflessioni, ma ai fatti. Pensa freddamente. Se ti conviene restare, resta. E bada specialmente agli uomini che ti saranno dati per colleghi; restare con Romano fu una necessità (capisco), che non deve più ripetersi. Se non ti conviene restare, non restare. Tu sei giovine, e hai tempo ancora. So che De Sanctis ha scritto a Diomede16 per informazioni sulle cose di Napoli. Diomede, credo, ti parlerà di tal lettera. A ogni modo non dire che io te ne ho parlato. Se credi di rispondermi, rispondimi. Faresti bene. Se no avrò pazienza. Ti scrivo in fretta in un caffè. Ma credo di essermi spiegato. Tu, ripeto, pensa freddamente, e poi decidi. Addio. Bertrando Straccia questa lettera e non divulgare ciò che ti ho detto dei dispacci, a nessuno. BPB, Fondo Beltrani, c.c. 922 (ed. in Masellis, Lettere inedite, pp. 698-699).
15. Filippo De Blasio (1820-1873), giurista, fu prima direttore del Dipartimento di grazia e giustizia (settembre 1860) e poi prefetto di polizia (novembre 1860) a Napoli, dove, nel luglio 1861, sostituì Silvio Spaventa come segretario generale del Ministero dell’interno e polizia. 16. Diomede Marvasi.
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Epistolario
185 All’Illustrissimo Signore Il Signor Reggente della Regia Università di Bologna Torino, 15 aprile [1861] Signore, Colla presente io rinunzio alla cattedra di Storia della Filosofia in codesta Università.17 La prego di comunicare questa rinunzia e farla accettare dal Signor Ministro della Pubblica Istruzione. Colgo questa occasione per rinnovarle i miei sentimenti di profonda stima e considerazione. Bertrando Spaventa ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale (1860-1880), Ba 2014, Bertrando Spaventa (inedita).
186 A Silvio Spaventa Torino, 29 aprile 1861 Mio caro Silvio, Immagina l’impressione che mi hanno fatto le notizie di Napoli del 26! 18 Ora ti dico quel che ho inteso da un ministro. Ieri mattina ci è stato consiglio. Si è deciso di richiamare Carignano19 e Nigra e di mandare San Martino.20 Quanto ai Segretari generali, non so niente, né ho potuto saper niente. Il suddetto ministro ha certo idee curiose, che io non approvo affatto. Parla di opinione pubblica a Napoli, e non sa se parla in suo nome o del Consiglio. Quello che io ti raccomando è di scansare persino l’apparenza che ti si dica: tante grazie e a rivederci. Potrebbe darsi che ti facessero ancora restare per fare ancora, e poi lasciassero raccogliere i frutti ad altri. Non so se mi spiego… Giudica tu se basta il saggio che hai dato. Servire il paese, sacrificarsi per esso, sì; ma… Se non ci fosse l’Italia, ti giuro che m’importerebbe poco di Napoli: voglio dire di certi napoletani. A te ora manca il giudizio. Pensa a non sciuparti, e a conservarti per tempi migliori. Ricordati di quello che ti ho detto in altra mia lettera sullo stile di Cavour.21 Scrivimi due righi, se puoi, e fammi scrivere. Ripeto, pensa a non sciuparti. E bada anche a te, e abbi cautela. Sei giovane ancora, e hai tempo. Se tu cogli un buon momento,
17. Rientrato nel novembre del 1860 a Napoli, in seguito alla nomina a professore di filosofia nell’Università di quella città, Bertrando fu costretto a rinunciare all’incarico ottenuto precedentemente presso l’Università di Bologna. 18. Cfr. lettera 184, nota 11. 19. Eugenio Emanuele di Savoia conte di Villafranca, principe di Carignano. 20. Gustavo Ponza, conte di San Martino (1810-1876), uomo politico, ministro dell’interno con Cavour e senatore del regno di Sardegna dal 1854. Fu nominato luogotenente di Napoli il 21 maggio 1861, succedendo al principe di Carignano. 21. Cfr. lettera 184.
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buono per la tua riputazione, in cui dica: lasciatemi in pace! Bada a ciò. Insomma che vuoi che ti dica io che ti amo tanto? Tu hai giudizio, e sai che cosa è la politica. Aspetto qui che si verifichi il mio mandato. 22 Non so se sarò ammesso nel sorteggio dei professori. Mi si dice che la commissione per lo scrutinio degli impiegati vorrebbe che gli ammessi come Consiglieri di Luogotenenza, poi nominati Segretari generali, fossero soggetti di rielezione. Ti avverto ciò per tua regola. Ti ripeto: cautela e prudenza. Addio. Bertrando tuo Copia in BCT, mss. C. 179 (ed. in Vacca, Trenta lettere, p. 395).
187 A Domenico Tartaglia Torino, 8 maggio 1861 Mio caro Domenico, Scrivo a te perché so che ami Silvio come l’amo io. Imagina quale impressione n’abbiano fatto le notizie di Napoli del 26 Aprile.23 Era evidente di che si trattava, e che in tutta questa brutta faccenda c’era più del rosso che del nero. Ora mi raccomando a te, alla tua amicizia per Silvio e per me, di dire a Silvio che si stesse in guardia. Leggo nei giornali che va per Toledo a piedi e solo. Starà bene! Ma bisogna pure che, ripeto, stia in guardia. So in modo positivo che i rossi di qui hanno detto e dicono: se l’ha scampata adesso, non la scamperà un’altra volta. So anche di certo, che ci è una specie di complotto contro di lui. So, sai tu, e sanno tutti, che costoro sono capaci di tutto. perciò ripeto, usi tutte le cautele possibili. Ecco la ragione, mio caro Domenico, per cui ti scrivo. Dì a Silvio che non è una mia immaginazione; ma quello che dico, l’ho udito da persone che potevano saperlo. Va a trovarlo subito; e devi farmi anche il piacere di rispondermi due righi, e dirmi qualche cosa; ma ti prego, subito. Quanto poi al restare costà ora che viene San Martino, decida lui. Per me credo che ha già fatto il suo dovere. Del resto, egli può giudicare meglio di me. Ma quanto all’altro punto, che è il principale e per cui ti ho scritto, io prego te perché lo persuada a badare a se stesso. Mio caro Domenico, se sapessi in quale stato mi trovo io per questo fatto! Dunque mi raccomando a te; va subito da Silvio e rispondimi. È molto probabile che io venga a Napoli tra giorni. Ma tu rispondimi intanto. Addio. Saluto Turchiarulo. 24 Il tuo Bertrando Originale perduto, già in BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201 (ed. in Vacca, Gli hegeliani, p. 36).
22. Bertrando era stato eletto deputato proprio in quei mesi (cfr. Gentile, Bertrando Spaventa, p. 95). 23. Cfr. lettera precedente. 24. Antonio Turchiarulo (1825-1898), dal 1867 membro del consiglio generale del Banco di Napoli, autore della prima traduzione italiana della Filosofia del diritto di G.W.F. Hegel, pubblicata a Napoli presso la Stamperia e Cartiere del Fibreno nell’aprile 1848.
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Epistolario
188 A Silvio Spaventa Torino, 21 giugno 1861 Mio caro Silvio, È già una settimana che sono tornato qui. Non ti ho scritto prima, perché ho trovato Millo malato di scarlattina. Ora va meglio. Delle cose qui ho a dirti poco, o niente. Vanno come possono andare senza Cavour. Nella Camera manca il capo, e si vede. Intanto il ministero starà, almeno per un certo tempo, perché la maggioranza è buona e ben disposta. Scialoja sarebbe stato ministro, se i siciliani non avessero richiesto un siciliano. Quindi la nomina di Cordova. 25 Si parlò anche di Pisanelli; ma Rattazzi26 si oppose, e propose Miglietti. 27 Pisanelli e altri mi hanno detto, che si parlò anche di te, ma così di volo, perché si considerò subito che tu sei necessario costà. Mi dicono che Farini sarebbe entrato, ma che Ricasoli28 si sia opposto. Ti rimetto una lettera di Tommasi. Ti prego di leggerla e di rispondere. Tu sai quanto Tommasi è facile ad andare in collera, ed è tanto buono. Dunque rispondigli. Ti rimetto anche una nota di De Sanctis. Pigliati cura anche di questa, e non te ne dimenticare. De Blasiis 29 ti saluta e ti ricorda l’affare di suo fratello. Egli ne ha parlato qui, e ne ha fatto parlare per mezzo di De Sanctis. La risposta del Ministro è stata favorevole; ma si è detto nel tempo stesso che non conviene proporre da qui per un certo rispetto a San Martino. Che al più si farebbe una semplice raccomandazione. Intanto si faccia da costà una proposta della Luogotenenza, e di qui non si farà ostacolo; anzi. Tutto questo me l’ha detto De Blasiis stamane, e io te lo scrivo, perché tu faccia quel che puoi a favore d’un amico. Vorrei ricordarti di rispondere, non a me che non ci bado, ma agli amici che ti scrivono. Piglia uno scriba. Dovresti capire che nella vita certe forme e convenienze sono l’essenziale per la più gran moltitudine degli uomini. Io posso vivere senza o con poche relazioni. Ma un uomo politico, non è possibile. Non ti dico altro. Che pensi di fare? Restare ancora, o smettere? Addio. Tanti saluti a Veglio.30 Il tuo Bertrando
25. Filippo Cordova fu nominato il 12 giugno ministro dell’ agricoltura, industria e commercio. 26. Urbano Rattazzi (1808-1873), uomo politico, più volte ministro e presidente del Consiglio dopo l’Unità. 27. Vincenzo Miglietti (1809-1864), giurista e uomo politico, nel primo governo Ricasoli ministro per gli affari ecclesiastici, grazia e giustizia. 28. Bettino Ricasoli, presidente del Consiglio dei ministri nel governo in carica dal 12 giugno 1861 al 3 marzo 1862. 29. Francesco De Blasiis. 30. Emilio Veglio di Castelletto (1829-1882), capo di gabinetto del Ministero dell’interno (giugnoluglio 1861), fu, insieme a Giuseppe Colucci, tra i segretari che sottrassero Silvio Spaventa dal linciaggio durante la manifestazione del 26 aprile 1861 a Napoli (cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 359).
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P.S. Lorenzo Valerio31 ti saluta tanto e mi ha raccomandato di dirti tante cose in suo nome: lode, ammirazione, etc. P.S. Bada bene, prima di contentare Tommasi su Mezzoprete. SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
189 A Silvio Spaventa Torino, 24 giugno 1861 Mio caro Silvio, Il porgitore Filippo Pintimalli è raccomandato dal Signor Dottor Gallozzi, 32 mio amico e collega nella Camera. Il quale desidera – e te ne prego anch’io – che tu lo riceva, lo ascolti e faccia per lui tutto quel che potrai. Sono certo che renderai questo favore all’amico Gallozzi, che merita ogni riguardo. Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
190 A Silvio Spaventa Napoli, 2 settembre 1861 Mio caro Silvio, Ti scrivo di fretta nella stanza di Rosei che ti saluta. Ti rimetto una lettera di Paolucci. Vedi di fargli ottenere una dilazione per recarsi a Torino, perché Berenice33 è malata. Fa subito. Scrivimi, e dimmi qualcosa di politica. Ti ho scritto tre lettere di seguito. Dimmi se le hai ricevute. Addio di fretta. Papà sta bene colla famiglia. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
31. Lorenzo Valerio (1810-1865), uomo politico e deputato nel regno di Sardegna; diresse il giornale «La Concordia». Fu commissario regio nelle Marche durante l’annessione, senatore del regno d’Italia dal 1862 e nell’estate 1865 prefetto di Messina. 32. Carlo Gallozzi (1820-1903), chirurgo e professore all’Università di Napoli, deputato del regno d’Italia durante l’VIII legislatura e senatore dal 1891. 33. Berenice Spaventa.
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191 A Silvio Spaventa Napoli, 21 settembre 1861 Vico Malofionda a Mater Dei Primo palazzo a dritta Mio caro Silvio, Ho ricevuto ieri la tua lettera e rispondo subito. Ho poco a dirti di questo paese. Le cose seguitano ad andare come tu le lasciasti. Iossa e Capuano 34 sono all’Immediazione del Segretario generale, ma il decreto della loro reintegra non è stato, come mi si è detto, ancora pubblicato. Ora sento che sarà rimesso in ufficio anche Calicchio. 35 Il figlio di Tripoti36 ha avuto la sua controlleria e il padre di Nicotera 37 la sua ricevitoria. Giovedì scorso, festa del miracolo di San Gennaro, ci dovea essere una gran dimostrazione, messa su dal gran partito dell’azione per andare a Roma con Garibaldi; ma poi non se ne fece niente, perché lo stesso partito con un avviso pubblico pregava i suoi amici di rimandare quella gita a tempo più opportuno. Le male lingue, le lingue cioè della consorteria e del partito della passione, hanno detto che tutto questo po’ di chiasso fosse stato fatto apposta per mostrare che il gran partito era tanto potente da muovere il popolo napolitano e frenarlo a un tempo. Qualcuno dice che il contrordine fu dato, perché si temea se solo pochi si muovessero. Domandai a un tale illetterato ma non di giudizio: perché fanno la dimostrazione? Per far baccano, mi rispose. Io non capiva e lo stesso uomo mi disse che a Napoli, se si grida e si fa, si fa per far denaro. Una società di amici va scrivendo sulle porte delle botteghe Viva Vittorio Emanuele, Viva Garibaldi: ed esige, per lo scritto, un carlino. L’intelletterato mi assicurava che già hanno raccolto molti e molti ducati. Tripoti, poi, in Abruzzo, agisce davvero perché ha ricominciato a menare il bastone, unico mezzo per estirpare i briganti e la consorteria e… per far denaro. E non vi ha altro. La lettera di Cialdini38 al Municipio fece un po’ di stupore. Il Municipio rispose, come saprai, che preferiva di non rispondere, ma si mostrava 34. Nicola Jossa e Nicola Capuano, esponenti della malavita napoletana utilizzati nella lotta contro la camorra. Nel 1862 furono promossi a delegati di pubblica sicurezza dal Questore Carlo Aveta. 35. Francesco Calicchio, democratico napoletano fatto arrestare ai primi del 1861 come pubblico perturbatore da Silvio Spaventa, allora consigliere di luogotenenza e ministro di polizia. Il 15 marzo 1865, per via Toledo, aggredì Silvio, che non sporse denuncia. Fu processato e condannato. Sulla vicenda cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, p. 360, nota 1. 36. Antonio Tripoti (1809-1872), patriota, nominato ispettore della Guardia nazionale mobile nel 1862 dal segretario generale dell’interno Enrico Cialdini. Contribuì a liberare la provincia di Teramo dal brigantaggio. Ebbe due figli, Savino (1840-1882) e Luigi (1846-1931). 37. Felice Nicotera, padre di Giovanni (1828-1894), patriota e uomo politico; deputato della Sinistra dal 1862, abbandonò gradualmente le giovanili idee repubblicane per diventare un convinto sostenitore della monarchia. Ministro dell’interno nei governi Depretis (26/3/1876-26/12/1877) e Rudinì (9/2/1891-5/5/1892). 38. Enrico Cialdini (1811-1892), militare e uomo politico, fu segretario generale dell’interno a Napoli durante il primo governo Ricasoli. Condusse una dura lotta contro il brigantaggio e fu nominato senatore nel marzo 1864.
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addolorato profondamente etc. Questa risposta è stata pubblicata nel giornale ufficiale, d’ordine di sua Eccellenza il Luogotenente. Della stampa v’è poco da dire. Il Nazionale continua i suoi frizzi con il governo locale e il Popolo a maledire Farini, Nigra e San Martino, esaltando la natura universale di questo popolo eterno, che nessuno ha finora compreso. La Cecilia 39 fa un articolo contro Sacchi 40 e gli manda le prove di stampa, Sacchi scrive sotto l’articolo: gli si diano 50 ducati. L’articolo non fu pubblicato. Credo che La Cecilia conosca meglio degli altri l’universalità e l’eternità. Ho visto Tommasi, il quale parla a ragione come può parlare a ragione Tommasi, cioè da uomo isterico. Dice bene di Sandonato 41 e male, anzi vituperi di Leopardi. Dice che l’ultimo non ha più reputazione a Torino per l’affare della pensione. Ti dico questo perché ti regoli anche a Torino, quando ci andrai. Ci sarà dell’esagerazione nei detti di Tommasi, ma bisogna badare. Tu mi capisci. Dimmi chi hai visto a Firenze e cosa ti hanno detto. So che De Sanctis ha proposto a Ricasoli per segretario generale dell’interno Marvasi. Scrivimi tutto, e che cosa speri. Scrivimi spesso. Saluta D’Ancona e Manzoni.42 Dammi l’indirizzo della tua casa. Papà non è venuto ancora, ed è ancora a Borrello. Addio. Isabella e Millo ti salutano. Bertrando BPB, Fondo Beltrani, c.c. 922 (ed. in Masellis, Lettere inedite, pp. 699-700).
192 A Silvio Spaventa Napoli, 27 settembre 1861 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua lettera del 20. Credo che, tu abbi ricominciato a studiare. È bene che ti riposi un po’ dalla vita pubblica e rientri in te stesso. Approvo il tuo disegno di non affrettarti, e non domandar nulla. Bisogna che tu conosca bene – specialmente se vai a Torino – la posizione delle cose e dei partiti, e che operi in conformità del concetto che ne avrai. Di qui a pochi mesi ci posson essere tante mutazioni. Farini più di tutti ti può esser utile. Non dico altro per ora.
39. Giovanni La Cecilia, al tempo direttore del «Popolo d’Italia». 40. Vittorio Sacchi (1814-1899), magistrato, fu nominato segretario generale del Ministero dei lavori pubblici e finanze con regio decreto del 1° aprile 1861 e senatore del regno d’Italia dal 1876. 41. Gennaro Sambiase Sanseverino duca di San Donato (1823-1906), patriota e uomo politico, colonnello di stato maggiore della Guardia nazionale e soprintendente ai teatri di Napoli dal 1860. Ricoprì varie cariche pubbliche nell’amministrazione locale, tra cui quella di consigliere comunale e sindaco. 42. Alessandro Manzoni (1785-1873), letterato e senatore, partecipò nel 1861 alla seduta in cui fu proclamato il regno d’Italia.
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Qui sempre idem, lo sfacelo dell’amministrazione continua, e si vede che non ne capiscono niente. Tutta l’arte consiste nel chiudere la bocca a chi più grida e strilla e il più valente di tutti in questa vigliaccheria è Sacchi, il quale, mi hanno detto, sussidia il Popolo d’Italia e La Cecilia. Né più forte è il coraggio dei cittadini più liberali e anche onesti. La commissione pei sussidi dipendente dal Dicastero dell’Interno ha dato a La Cecilia 1500 franchi. I membri di essa erano tutti persuasi che La Cecilia meritava ancora dieci soldi per comprarsi un capestro. Ma gli hanno pure concessa la nomina richiesta, dicendo che temevano di essere insultati nella Democrazia. D’Evandro43 ha avuto dal Dicastero dell’Interno per ordine superiore un centinaio di ducati per servizi resi allo stesso. Sai il brutto tiro che volevano fare al municipio di Napoli? Il municipio avea fatto il prestito e avea più di due milioni da spendere. Due milioni sono qualche cosa. Costringiamo il municipio a dimettersi e così verranno nominati due commissari regi, i quali si daranno la pena di spendere i due milioni. Poi si penserà a ricomporre un nuovo municipio. Dicono che i due commissari regi erano già belli e pronti, ed erano gli onorevoli Nisco e Sandonato. Così comparve sul giornale ufficiale quella nota, in cui il municipio è trattato come i nobili napoletani sogliono trattare i facchini a pugni e calci nel deretano. Ma il municipio fece come se non fosse nulla e, come se l’insulto venisse da un matto e da un ubriaco, passò tranquillamente all’ordine del giorno. Si è visto in questa occasione un fenomeno singolare. Quasi tutti i giornali hanno difeso il municipio e sostenuta la incostituzionalità delle pretensioni luogotenenziali. I nostri amici poi l’hanno con Filippetto De Blasio, che chiamano girella, arlecchino e burattino. Anche il Sornione sbuffava per questo. Si dice che oltre i due sullodati Nisco e Sandonato, anche il Petruccelli della Gattina veda spesso il Luogotenente, e pranzi con lui. Ieri mattina mi hanno assicurato che il re ha biasimato Cialdini con una letterina, che ha prodotto gran malumore nel partito nazionale d’azione. Dicono che Cialdini è furente e naturalmente anche Sandonato e Nisco. Dicono anche che il demanio ha citato Nisco a rendere ragioni di quelle piccole grassazioni che fece quando reggeva il dicastero di agricoltura e commercio. Il male è che, se Cialdini se ne va, rimane nel paese la convinzione che il governo centrale è nemico di Napoli; che Cialdini volea fare il bene, e che il governo l’ha impedito. Così almeno insinuano i giornali del gran partito. Così non si è fatto un passo innanzi. Il brigantaggio è quasi spento. Almeno dicono così. Ma il governo italiano non ha la fiducia dei napoletani. Questo è il male sempre. Vedrò di combinare con Lignana per la casa e di farti perdere il meno possibile. Persone che se ne intendono mi dicono che il favore che ti ha fatto il padre di Fittipaldi non è poi gran cosa. Se io avessi denaro, prenderei io i mobili. Ma se cesserò di essere membro del Consiglio, come farò a pagare con 68 ducati a mese? Vedrò di farti il meno male possibile. Scrivimi subito e dimmi di politica e altro. Addio. Isabella e Millo ti salutano. Saluta Ciccone. Bertrando BPB, Fondo Beltrani, c.c. 922 (ed. in Masellis, Lettere inedite, pp. 700-701).
43. Antonio Alfieri D’Evandro (1832-1865), deputato nell’VIII legislatura del regno d’Italia e autore dell’opuscolo Della insurrezione nazionale nel salernitano del 1860.
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193 A Silvio Spaventa Napoli, 4 ottobre 1861 Mio caro Silvio, Ti scrivo per raccomandarti un affare di Ciccone, pel quale anche Pisanelli ha scritto a De Sanctis. Ciccone potrebbe essere nominato Direttore di Agricoltura e Commercio qui. Chi meglio di lui per onestà e capacità potrebbe esercitare tale ufficio? Tu che conosci Cordova che è il Ministro e da cui dipende tutto, potresti parlargliene o scrivergliene come si conviene. Cordova conosce Ciccone. Aspetto subito risposta su ciò: non dimenticartelo. Ciccone merita questo e altro. Ho combinato l’affare della casa con Lignana. Non ho potuto oltrepassare i tremila franchi, né il povero Lignana poteva dare di più. Ma, conto fatto, tu poi non perdi gran cosa, e quel che perdi può andare come se avessi dovuto pagare il fitto dei mobili nei 5 mesi che hai abitato quella casa. Fittipaldi dovrebbe fare un po’ di ribasso sulla sua gran nota, e allora perderesti molto meno. Ho già dato le chiavi a Lignana. Papà non viene ancora: e sarebbe ora che venisse. Di qui niente di nuovo. Le cose vanno come andavano. Conti ti avrà scritto sulle sorti del Sifilocomio. Petruccelli e Nicotera si son presi a schiaffi e a graffiate in una camera del Ministro, per le scale, e in piazza. La dimostrazione per Roma fu fatta da un cento persone, non più, insignificanti. Si è visto che forza ha il partito d’azione, e se valeva la pena di farne quel gran conto che se n’è fatto. Nuovi giornali: La Patria di Bianchi Giovini. 44 La Democrazia (rinnovata e ampliata45 smisuratamente); si dice che paghi Cialdini. E il Plebiscito, diretto dal filosofo metafisico Dottor Vico Zuppetta, 46 deputato al Parlamento. Il giornale di Pisanelli, Afflitto,47 etc. è ancora in discussione, e si discuterà per un pezzo ancora. Insomma non lo faranno. Dimmi quando andrai a Torino. Scrivimi di politica, e che cosa pensi di fare. Scrivimi insomma tutto. Addio di fretta. Isabella e Millo ti salutano. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 18).
44. Aurelio Bianchi Giovini (1799-1862), pubblicista anticlericale, diresse a Torino «L’Opinione» dal 1848 al 1852, anno in cui fondò «L’Unione». Nel 1860 trasferitosi a Napoli, diresse «La Patria». 45. Al maschile in Vacca. 46. Luigi Zuppetta (1810-1889), giurista e uomo politico repubblicano; professore di diritto penale all’Università di Napoli. Pubblicò la Raccolta de’ migliori articoli legali e letterari (Malta, G. Grech e Co., 1848), che comprendeva molti suoi saggi, tra cui la Metafisica della scienza delle leggi penali. 47. Rodolfo D’Afflitto (1809-1872), patriota e uomo politico, ministro durante la luogotenenza di Luigi Carlo Farini, senatore dal gennaio 1861 e vicepresidente del Senato dal 1867 al 1871; dopo il 1861 fu prefetto a Genova e a Napoli.
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194 A Silvio Spaventa Napoli, 11 ottobre 1861 Mio caro Silvio, ho ricevuto la tua lunga lettera. Ti risponderò domani. Intanto ti scrivo due righe per dirti che non facessi più nulla dell’affare di Ciccone, e che nel caso che avessi scritto a Cordova, gli scrivessi di nuovo per dirgli che non occorre, e che sia come se non gli avessi mai scritto per Ciccone. Insomma Ciccone credeva che a quel posto spettassero altre attribuzioni etc. per far quel bene che aveva in mente. Ora non gli conviene. Papà è venuto con D’Angelo. Sta bene e ti ha scritto. Rispondigli. Addio. A domani. Isabella e Millo ti salutano Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
195 A Silvio Spaventa Napoli, 25 ottobre 1861 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto più, e se ora volessi scriverti a lungo come dovrei, non ti scriverei né ora né per un pezzo. Sto pensando la prolusione48 che devo fare all’Università; il tempo è breve. Basta intanto che sappi che io sto bene con papà e la famiglia. Papà è contento, e solo dice un po’ scherzando e un po’, credo, sul serio, che vuole un impiego. Io lo lascio dire. È sempre di buon umore. D’Angelo è ancora qui. Il padre di Fittipaldi non ha fatto altro ribasso sulla nota che di sedici ducati. Il buon Ciccio Russo ti ha indirizzato una lettera a Torino con una acchiusa per Scialoja per un suo affare. Vuole che ti raccomandi quest’affare e che tu pregassi Scialoja a fare il possibile per appagare il suo desiderio. Si aprirà il parlamento a novembre? E Rattazzi, reduce da Parigi, entrerà nel Ministero? Qui, al solito, si dicono tante cose. In tutte queste mutazioni e in questa agitazione e dirò pure intrigo di partiti, a te non mancherà giudizio. Anche a me pare che Ricasoli non sia l’uomo che possa costituire e organizzare l’Italia. Credo che né meno Rattazzi sia da tanto. La cosa andrà come Dio vorrà. Sarebbe tempo che tu andassi a Torino per vedere di che si tratta. Bada al freddo, e ripiglia i bagni. Qui il disordine amministrativo è aumentato, e con esso la camorra. L’opinione pubblica e la stampa che la rappresenta, è sempre la stessa. Di tutti i giornali che sono nati in questo mese di ottobre come funghi, non ve ne ha alcuno che abbia il dono del senso comune; o sono borbonici o esaltati. Del resto ora vedono che cosa era il partito d’azione, e s’era a temere, tanto da fare un compromesso con lui. Il suo giorna48. Si tratta della prolusione napoletana recitata nel novembre del 1861. Spaventa la pubblicò nel 1862, insieme alle lezioni tenute all’Università di Napoli quell’anno, presso lo Stabilimento tipografico di F. Vitale di Napoli, con il titolo Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Università di Napoli, 23 novembre-23 dicembre 1861.
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le è finito, e i pochi gridatori, prese le percettorie, ricevitorie e controllerie,49 non fiatano più. Cialdini, si dice, ha domo il brigantaggio. Pure il brigantaggio ci è, a un dipresso come prima. Il brigantaggio non era ciò che si è fatto dire. È stato esasperato. E poco più poco meno ci è ancora. Cialdini è stato sempre a Napoli. Ciò che dicono abbia fatto lui, poteva farlo Pinelli50 o altro. Intanto l’amministrazione è andata a precipizio. Questo passo del governo centrale è stato una seconda edizione della chiamata di Don Liborio.51 Piccoli espedienti, e non mai un gran mezzo politico. Io credo che uomini così imbecilli come alcuni dei ministri presenti non ci siano stati mai. A proposito di Don Liborio, corteggia gli operai, senza però spendere né meno un soldo. Gli altri fanno52 lo stesso. Dunque andrai a Torino. Vedremo che farai. Quello che ti posso dire io è che l’uomo politico deve avere molti amici e che uno dei gran mezzi di farsi e mantenersi gli amici è quello di trattarli, di scriver loro, etc. Cosa che tu non hai fatto sempre. Più olio, e il carro cadrà. Scrivimi di politica e della situazione delle cose. Dimmi quando sarai a Torino. Addio. Papà Isabella e Millo ti salutano. Bertrando P.S. Riapro la lettera per dirti che ricevo in questo momento la tua. Ora non posso dirti nulla se devi accettare o no l’offerta che ti farebbero di prefetto a Genova o altrove.53 Domani te ne scriverò, e certamente; sta sicuro. Intanto ci penserò oggi. Addio di nuovo. Ti prego a non lavorare colla fantasia per me. SNSP, XXXI.D.1 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 18-19).
196 A Silvio Spaventa Napoli, 26 ottobre 1861 Straccia questa lettera Mio caro Silvio, Ti ho scritto ieri, e ti scrivo oggi come ti ho promesso per dirti qualche cosa sull’offerta che ti possono fare della prefettura di Genova. Parlo franco a mio modo: la soluzione del problema dipende dal vedere se l’accettare conferisce allo scopo che tu ti puoi proporre nella tua vita politica. Quale è questo scopo? Naturalmente quello di essere qualcosa di 49. In Vacca al singolare. 50. Alessandro Pinelli (1798-1868), magistrato e uomo politico; senatore del regno di Sardegna dal 2 novembre 1850 e primo presidente della Corte d’Appello di Genova. 51. Liborio Romano. 52. Vacca: «faranno». 53. Nel luglio 1861, Silvio Spaventa rassegnò le proprie dimissioni da ministro di polizia della luogotenenza a Napoli (cfr. lettera 184) e rimase per un periodo fuori da qualsiasi ufficio di governo. Nell’ottobre 1861 si pensò di affidargli la prefettura di Genova, incarico che avrebbe comportato le dimissioni da deputato. Bertrando gli offrì un parere sincero il giorno successivo, anche se la proposta non ebbe seguito.
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più di quello che sei stato finora. Ora l’essere prefetto ti può menare al ministero?54 Ecco la quistione in tutta la sua orrenda brutalità. Già io non credo che ti convenga accettare una prefettura di ordine inferiore a quella di Genova; Genova stessa è già in quinta o sesta linea. Accettare una prefettura qualunque, dopo essere stato Consigliere di Luogotenenza per otto mesi ed aver fatto qualche cosa pel paese, sarebbe una specie di spontanea degradazione. Il grande inconveniente dell’accettazione in generale è il dover cessare di essere deputato al Parlamento. L’essere deputato è il vero mezzo, chi ha ingegno e sa fare, di giungere alla meta. Dunque pensare se, entrando nella carriera amministrativa, non ti chiudi la via a riuscire. Credi tu che facendo il prefetto e facendo bene, possa un giorno toccare quella stessa meta che toccheresti facendo il deputato? Questo in generale, in tesi astratta. Nel caso concreto poi, bisogna che consideri come stanno le cose nel parlamento e nel ministero. Ora che sei a Torino, puoi veder meglio di che si tratta. Devi vedere quale è la situazione dei partiti; quali sono i tuoi amici influenti, che autorità hanno, e quale probabilità di afferrare il potere. Che farebbero di te, se l’afferrassero? D’altra parte, che stabilità ha questo ministero? Diventando prefetto sotto di esso, guadagneresti o perderesti tu nella considerazione dei tuoi amici politici influenti? Etc. etc. Credo che anche facendo il prefetto si possa giungere alla meta. È una delle vie per farsi conoscere e mostrare capacità politica e amministrativa, e entrare in relazione con persone e cose, da cui dipende il conseguimento di quel che si vuole. E ciò specialmente ora, che si va cercando e non si trova, chi amministri da vero l’Italia. Ma io non posso dirti: fa il prefetto, e cessa di fare il deputato; come non ti potrei dire con sicurezza: rinunzia alla prefettura e fa il deputato. È una quistione che non si può decidere in astratto; e tu puoi giudicare meglio di me. Del resto anche a Torino hai qualcuno col quale consigliarti. Non credi che sarebbe bene parlarne con Farini? O no? Ci sono poi altre considerazioni secondarie. Una prefettura è una buona situazione. Per te che di qui a qualche mese hai poco o niente 50 mila lire all’anno sono qualche cosa. Ciò è vero. Ma d’altra parte la carriera politica è qualche volta, anzi spesso, come il gioco del lotto. Si piglia un terno, quando uno meno se l’aspetta. Tu hai da vivere, credo, per un anno. Puoi aspettar tanto senza guadagnar niente? E poi? Ti ho dato non consigli, ma una serie di dubbi e quistioni. Ma io non posso fare di più. Del resto ci penserò ancora, e te ne scriverò. Tu intanto pensaci anche tu, e scrivimi subito e spesso spessissimo, e specialmente se ti sarà fatta l’offerta. Potrai in questo caso pigliar un po’ di tempo a rispondere, e pensarci anche meglio. Ma intanto pensaci sin da ora. – Quel che mi fa pensare un po’ è che questo ministero potrebbe finire fra qualche giorno. E allora? Potrebbe darsi che ti convenisse di non essere più prefetto, e intanto non saresti più deputato. Bada a ciò. Il tempo è incerto: e il certo si farà tra giorni con la riapertura del Parlamento. Se entrasse Rattazzi? Devi badare anche a ciò. Se non ti convenisse restare sotto Rattazzi? Prima di accettare, tu devi sapere tutto ciò! Devi insomma sapere che cosa può succedere di questo coglione di ministero. – Spero di scriverti ancora tra pochi giorni. Tu scrivi. Papà ti saluta e sta bene. Isabella e Millo ti salutano. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
54. Silvio divenne ministro dei lavori pubblici il 10 luglio 1873 nel governo Minghetti e portò avanti l’incarico per quasi tre anni, fino al 25 marzo 1876.
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197 A Silvio Spaventa Napoli, 27 ottobre 1861 Mio caro Silvio, Ti ho scritto ieri e l’altro ieri indirizzando le lettere a Torino. Ma temo purtroppo che la posta di costà non rinvii le mie lettere a Napoli. Perciò e anche per dirti qualcos’altro ti scrivo di nuovo. Nella prima lettera ti diceva la ragione, per cui non ti avevo scritto da qualche tempo; cioè che mi stavo preparando a scrivere la prolusione. Nella seconda rispondeva all’ultima tua lettera, e ti dava il mio parere sull’offerta probabile di una prefettura. Ti ripeto ora le cose già dette. La quistione è di vedere se l’accettare una prefettura agevola o no il conseguimento dello scopo particolare che tu ti puoi proporre nella tua vita politica. Quale può essere questo scopo? Dopo essere stato qui consigliere di Luogotenenza, non ti rimane che essere qualcosa di più. Ora la via più facile, quando si ha ingegno e si sa fare, per giungere alla meta, e l’essere deputato. L’inconveniente in generale di accettare una prefettura è quello di cessare di essere deputato. Nondimeno anche facendo il prefetto e mostrando di sapere bene amministrare, si può ottenere quel che si desidera. Quel che manca ora all’Italia è chi amministri. Bisogna dunque che tu veda bene, se facendo il prefetto possa riuscire allo stesso risultato che facendo il deputato. Per decidere, devi considerare la situazione dei partiti, l’influenza dei tuoi amici politici, se hanno probabilità di afferrare il potere, e che farebbero di te se l’afferrassero. Devi considerare anche se questo ministero55 starà o andrà in rovina; se entrando Rattazzi ti converrebbe di restare al posto di prefetto; etc. etc. Tutte queste cose e altre tu, che sei costà, le puoi valutare meglio di me. Non sarebbe male se domandassi consiglio anche a qualche amico: per esempio al Farini. O non ti pare? Per te che non hai molti denari e che da qui a un anno non ne avrai punto, fare perpetuamente il deputato non è possibile. O dunque la deputazione ti mena a quel posto che vuoi, o devi tenere altra via. Su ciò devi meditare. La prefettura di Genova ti darebbe un 50 mila franchi l’anno, e non sarebbe da disprezzare. Con tutto ciò io non ti saprei dire: cessa di fare il deputato e fa il prefetto, come non ti saprei dire: fa il deputato e rinuncia alla prefettura. Io posso vedere la cosa in astratto; tu la vedi in concreto. Tu puoi giudicare meglio di me. – E tutto questo, se si tratta di Genova o di altra città simile. Se poi si tratta d’una città inferiore, credo che non ci sia bisogno di pensarci tanto per vedere che non ti conviene. Dopo essere stato qui quel che sei stato, sarebbe una spontanea degradazione.56 Questo a un dipresso ti scrivevo io nella lettera. Mentre la portavo alla posta, incontrai Ciccone e qualche altro amico. Certamente non dissi loro niente dell’offerta che probabilmente ti sarebbe fatta; ma naturalmente si discorse delle prefetture, e specialmente delle pingui rappresentanze di alcune di esse. Notai che tutti concordemente se fossero stati nei tuoi panni, avrebbero accettato. Ciò mi fece nascere qualche scrupolo; credevo che la mia lettera fosse più dissuasiva che persuasiva. La riapersi e aggiunsi un biglietto, nel quale ti dicevo di tenere per provvisorio e non decisivo il parere che ti davo, e che ti
55. Il governo Ricasoli in carica dal 12 giugno 1861 al 3 marzo 1862, a cui succedette il governo Rattazzi in carica fino all’8 dicembre 1862. 56. A Napoli, Silvio era stato consigliere di luogotenenza per otto mesi (cfr. lettera 196).
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avrei scritto di nuovo oggi. Dicono che Torrearsa 57 sarà prefetto a Firenze. Se ciò è vero, tu potresti senza scapito di dignità fare il prefetto a Genova. Ma io non ti dico niente di decisivo. Fa tu. A papà non ho detto niente. Scrivimi subito, e tutto. Se ti fanno l’offerta, avvisamelo subito. Puoi pigliare qualche giorno di tempo. A Torino puoi regolarti. Papà sta bene e di buon umore. Pare che sia contento qui. Addio dunque e scrivi subito. Papà, Isabella e Millo ti salutano Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 19-20).
198 A Silvio Spaventa Napoli, 27 novembre 1861 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua ultima del 23. Mi dispiace che sei di cattivo umore, ma spero che passerà, come il raffreddore che, credo, ne è la causa. A questo proposito ricordati che Torino è Torino, e che ci vuole un po’ di cautela. Guardati dal troppo calore delle stufe. È il mezzo più sicuro per evitare catarri. Fa anche i bagni, e moto. Non mi fa meraviglia la scappata di Paolucci. Ha avuto sempre del matto. Mi dispiace per Berenice58 e i ragazzi. Vedi intanto cosa puoi fare, e se credi debbano restare costà, o pure pensi di farli traslocare qui, anche a costo di perder (essi) qualche cosa pel viaggio. – Ti ripeto sii di buon umore, e fa come fo io che piglio tutte le cose in pace. Tu non mi parli di politica, e io non ho che dirtene. Qui le cose vanno come andavano. Il napoletano è quello che era. Parlo in generale. Se pensa, non pensa che a Napoli. Gli stessi imbroglioni, gli stessi ciarlatani, gli stessi vigliacchi: non senso comune, non vera conoscenza delle cose del mondo, la stessa spensieratezza. Il brigantaggio è sempre lì. Già cominciano a borbottare contro le nuove imposte. Calicchio minaccia in iscritto – giacché Calicchio è divenuto scrittore – i deputati che non faranno il dover loro. La camorra seguita a esser da per tutto. Come al tempo dei Borboni vi erano più specie di polizia, così oggi59 ci sono più specie di camorra. Se Domeneddio si risolvesse ad esser napoletano, non potrebbe essere che camorrista. Altrimenti, gli suonerebbero la tofa. – Vedi che anch’io sono di cattivo umore, e vedo tutto in nero. Ho letto la prolusione60 il giorno 23. C’era gran folla, e… se devo credere a quel che ho visto e ho inteso… ho fatto chiasso. Credevano che io fossi qualcosa, ma ora credono che sia qualcosa di più. Ne avevo fatta una, che mi piaceva e non mi piaceva. Il giorno 16 57. Vincenzo Fardella di Torrearsa (1808-1889), esule politico a Torino dopo il 1848, divenne presidente del consiglio di luogotenenza in Sicilia nel 1860. Fu successivamente deputato e vicepresidente della Camera, dalla quale si dimise per accettare la nomina di prefetto di Firenze il 17 novembre 1861. 58. Berenice Spaventa. 59. Gentile: «ora». 60. Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Università di Napoli, 23 novembre-23 dicembre 1861, Napoli, Stabilimento tipografico di F. Vitale, 1862. Gli scritti contenuti nel volume furono ripubblicati a cura di Giovanni Gentile nel testo La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, che si cita nell’edizione delle Opere di B. Spaventa, Firenze, Sansoni, 1972.
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dopo aver udita l’apertura dell’Università 61 fatta da Palmieri62 pensai a un altro argomento e seppellii il primo scritto. Non avevo che 6 giorni di tempo. Mi misi a lavorare giorno e notte, e finii la mattina stessa che dovevo leggere. Il Signor Palmieri avea fra tante altre cose parlato (lui già professore di filosofia prima di me) della necessità che la filosofia fosse nazionale, e non forestiera, e specialmente non introducesse tra noi, nella patria, diceva egli, di Campanella, di Bruno, di Vico, di Galluppi, Rosmini, Gioberti, la nebbia, i vapori, le streghe, etc. della filosofia nordica. E io mi misi a scrivere Della nazionalità nella filosofia, rifacendo la storia della filosofia da questo punto di vista, dall’India sino a Hegel e Gioberti. Non ti dico che cosa ho scritto. Stamperò la prolusione e te la manderò. Tu capisci che cosa abbia potuto dire. – Lignana proluse lo stesso giorno, e anche molto bene. Dicevano: questi sono discorsi, questi sono professori. Ma, ma… sin da quel giorno cominciarono certe voci contro noi due: bestemmie, eresie, forestierume, etc.; ma specialmente contro di me. Dicono – già s’intende – che io sono hegeliano, cioè partigiano del diavolo; che io voglio pervertire la gioventù; che io non conosco la filosofia italiana; che non conosco Campanella, Bruno, etc. sino a Gioberti. Etc. E io fo come introduzione una breve storia del pensiero italiano dal Risorgimento sino a Gioberti. E oltre le lezioni che sono obbligato a fare, fo una conferenza sopra uno dei nostri filosofi. Ora sopra Gioberti. Questo disegno l’avea fatto prima che parlassero. Ero stato profeta. – Intanto ieri ho fatto la prima lezione63 dopo la prolusione. La scuola era pienissima; e applausi. Ma so che cercano di tentare i giovani. So anzi di certo che Palmieri ha intenzione – e ha cominciato già a tastare il terreno – di far fare agli studenti una petizione al Ministro perché sia allontanato dall’Università di Napoli un professore che non professa una filosofia italiana. – Credo che Palmieri sia matto, sebbene sia un gran briccone. Nel 1847 mi fece chiudere la scuola con un ricorso a Monsignor Mazzetti.64 Oggi crede che siamo al 47. Vorrei vedere anche questa. – Questa è una delle tante camorre di cui ti ho parlato. – Anche l’ex gran professore di Bologna, il prof. Prodigio,65 va dicendo qualche cosa. Non dice che ho fatto fiasco; dice che la nostra filosofia è quella dell’armonia, la pitagorica, e non ha che fare con quella che professo io. Don Basilio si è fatto ora piccino piccino, e aspetta il caldo e la buona stagione per mostrarsi. Ti ho detto queste chiacchiere per non tacerti nulla. Tu fanne quel conto che credi. Se credi di non parlarne per ora a nessuno e aspettare che io ti scriva altro e come andrà a finire la cosa, fa così. Se credi di parlarne, e prevenire qualcuno, fa pure così. Fa insomma come ti piace. Io crederei di aspettare ancora qualche giorno, e vedere che sarà, e che faranno coi giovani. Rispondimi su questo.
61. Nuovo indirizzo da dare alle Università italiche: discorso accademico, recitato dal prof. Luigi Palmieri il 16 novembre 1861 in occasione della solenne inaugurazione degli studii nella R. Università di Napoli, stampato lo stesso anno presso la Tipografia Gargiulo di Napoli. 62. Luigi Palmieri (1807-1896), professore di filosofia (1847) e poi di fisica terrestre nell’Università di Napoli (1860); direttore dell’Osservatorio vesuviano (1850) e anche dell’Osservatorio astronomico di Napoli (1860). 63. La lezione fu raccolta e pubblicata insieme alle altre dello stesso anno accademico nel volume citato alla nota 60. 64. Giuseppe Maria Mazzetti (1778-1850), carmelitano, fu vescovo di Aquino, Sora e Pontecorvo dal 1836 al 1838 ed arcivescovo titolare di Seleucia di Isauria dal 1838 alla morte. Nel 1837 fu eletto dal re presidente dell’Università degli studi e della pubblica istruzione a Napoli. Sull’episodio della chiusura della scuola di filosofia di Bertrando, riferisce anche Gentile, Bertrando Spaventa, p. 18. 65. Si allude al professore Enrico Pessina.
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Salutami Ciccone, e digli che gli scriverò fra giorni. Digli che io non l’ho potuto vedere il giorno che partì, perché stavo lavorando sulla Prolusione e non potevo uscire di casa; l’ho dovuta fare in 6 giorni. Addio. Scrivi subito. Salutami, se credi, Farini, al quale – se credi – potrai raccontare il rogo che mi apparecchiano i briganti della filosofia. Papà sta bene e ti saluta con Isabella e Millo. Saluto con loro anche Berenice etc. Scrivi. Bertrando Ti scrivo con questa data una raccomandazione per un Giuseppe Grillo di Chieti, nipote di De Thomasis. Non ho potuto dir di no. Ti rimetto pure una lettera datami da De Girolamo, canonico di Vasto. Fa quel che credi. Il Grillo io non lo conosco, l’ho visto solo una volta con Tiberi. SNSP, XXXI.D.1 (ed. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 685-688).
199 A Silvio Spaventa Napoli, 8 dicembre 1861 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto più, perché non ho avuto tempo. Tu neppure mi hai scritto da un pezzo, né so se il raffreddore e quindi il mal umore ti sia passato. Aspettavo che mi dicessi qualcosa di politica. Io non ne so altro che quel che leggo sui giornali. Non avendo a dirti nulla di nuovo di qui, ti parlo di me e delle cose mie. Ti scrissi della petizione66 che si voleva fare contro di me. Dico meglio: non contro di me, contro la persona (questa distinzione l’ho saputa dopo), ma contro la dottrina.67 Una petizione contro una dottrina! Questo68 è strano davvero; e tanto più che di dottrina io non ho detto niente sinora. Non so se la cosa sia andata avanti. Sarebbe una ridicola bricconeria. Ti scrissi che la prima lezione dopo la Prolusione andò benissimo. 69 Ora devo dirti che le altre andarono anche meglio. La sala dove fo lezione è la più ampia dell’università ed è sempre piena zeppa di uditori. Credo di averti detto quello che sto facendo ora. È una introduzione sui generis alla filosofia. Io ho detto, ma in modo conveniente: Noi abbiamo un certo pregiudizio nella nostra coscienza nazionale (se si può dire nazionale), il quale è nato dalle stesse nostre condizioni da tanti e tanti anni in qua. Questo pregiudizio è un concetto un po’ falso così della filosofia europea in generale come del nostro stesso pensiero. La mancanza di libertà per tanto tempo ha fatto, che noi diventassimo come un segreto per noi stessi. Questo pregiudizio bisogna vincere, questa falsa coscienza bisogna far vedere che è falsa. A che è arrivato il pensiero europeo? 66. Cfr. lettera precedente. 67. Sul carattere delle polemiche che travolsero Bertrando Spaventa agli inizi del suo magistero all’Università di Napoli, e sulla loro matrice giobertiana, si è soffermato Gentile nel volume Bertrando Spaventa, pp. 109-117. Le dimostrazioni di dissenso nei confronti delle posizioni di Bertrando, a partire dall’annuncio della petizione universitaria contro la sua dottrina, ebbero anche un seguito, manifestandosi in episodi simili durante le sue lezioni (in particolare cfr. lettere 202 e 205). 68. Al femminile in Gentile. 69. Cfr. lettera precedente.
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A che il pensiero italiano? La verità – direbbe Bruno – è sopra il nostro orizzonte? Questa è la mia fenomenologia – per questa volta, per quest’anno. Questo lo dico a te; non l’ho detto così a loro. Dunque io fo una breve storia del nostro pensiero dal Risorgimento sino al nostro tempo: le principali figure. So dove vado a finire, e lo sai anche tu. Ma ora lo so meglio e lo vedo meglio. Per esempio su Bruno ho fatto altro di più. Il sunto delle lezioni lo scrivo; e forse forse lo stamperò.70 Adunque, gran concorso. Ma non tutti coloro che vengono, vengono per amore e buona volontà. Di ciò mi accorsi sin dai primi giorni. So che i giobertiani – non saprei come chiamarli – i giobertiani fossili, cetacei, antidiluviani, asfissiati… l’hanno con me tremendamente. Mi asfissierebbero, se potessero. Hanno tutte le virtù dei settarii: l’intolleranza. Dicono che io guasto Gioberti. E se lo guastassero loro? Può essere l’uno e l’altro caso. Dunque, si vegga. No: chiudiamo gli occhi, e non ci si veda affatto. Vogliono ripetere la storia di Aristotele tanto tempo fa. Ma Aristotele era Aristotele, e quel tempo era quel tempo. Adunque i giobertiani mandarono uno dei loro, un professore; il quale nella seconda lezione71 m’interrogò su non so che cosa, che avea a fare con la lezione, come il coro col paternostro. – Qual è il vostro punto di partenza? – Lo saprà, quando deve saperlo. – Ma desidero di saperlo ora. – Ero per dirgli: Il mio punto di partenza è: Porto di Napoli 26 ottobre 1849.72 Gli dissi invece: abbia pazienza. Ho aspettato io tanto tempo (12 anni);73 può aspettar lei un paio di settimane (Applausi universali, direbbe Mancini). Così finì la cosa il primo giorno. Nel secondo 74 lo stesso professore. Io avevo detto, che nei filosofi del Risorgimento le nuove determinazioni, che negavano le determinazioni scolastiche, si vedevano sparse, confuse, … e parevano – per dirla così – tanti ceci che bollono in una caldaia.75 Era un modo di dire. E il professore giobertiano: Voi avete detto, che gli Scolastici sono ceci. – No; se l’ho detto, l’ho detto dei filosofi del Risorgimento. – Ma no; gli Scolastici non sono ceci; piuttosto sono quelli del Risorgimento. – E sia: dunque avremo due caldaie di ceci. È contento? – Ma voi volete distruggere la Scolastica. – Io non distruggo niente; è la storia che si è incaricata da un pezzo di questa faccenda. Se la pigli con essa. Se lei vuole risuscitarla la scolastica, è padrone; ci si provi.76 – Ma voi dite che la natura e lo spirito sono momenti di Dio, etc. Dunque la natura è Dio, lo spirito è Dio, e io sono Dio. – Mi dispiace di doverla togliere da questa beata illusione. Io dico momenti; e ciò significa etc. – Questo c’è stato, e niente altro. Qualcuno, del seguito del giobertiano, volle osservare che bisognava rispondere, ma non ebbe il tempo di finire, perché i giovani, che ne sapevano più di me – che s’erano accorti d’una specie di piccolo complotto per far chiasso in iscuola e perturbar l’ordine pubblico – i giovani erano per dargli addosso. Capii che la cosa sarebbe finita male, e che quel qualcuno avrebbe forse conseguito il suo intento. Licenziai i giovani, giacché avevo già finito la lezione. Li licenziai di nuovo alla porta dell’università, perché volevano accompagnarmi per la strada, facendo forse che non avessi a avere le bastonate dai filosofi camorristi. Accesi il sigaro, e via solo. – Tu forse avrai letto nel Nazionale il fatto diversamente; che mi avevano detto (i giobertiani) ingiurie; esser stato io nominato per favore, etc. Niente vero. Il fatto è 70. Fu stampato nel testo citato alla nota 60. 71. Cfr. B. Spaventa, Opere, II, pp. 466-579. 72. Giorno in cui Bertrando partì in esilio. 73. Durata dell’esilio di Bertrando fino al rientro a Napoli. 74. Il testo della lezione corrisponde alle pagine iniziali della lezione terza (cfr. B. Spaventa, Opere, II, pp. 480-483). 75. Cfr. B. Spaventa, Opere, II, p. 483: «Tutte queste determinazioni sono sparse, un po’ confusamente, nelle opere de’ filosofi nostri e stranieri di quel tempo. Sono semplici indizii, semi e germi, i quali si raccolgono più o meno e hanno maggior vita nella coscienza di Bruno e di Campanella». 76. Cfr. B. Spaventa, Opere, II, p. 484.
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né più né meno quel che ti ho detto. La cornice deve essere o di Quercia 77 o di Gatti, 78 o di qualche altro, che pettegoleggia anche involontariamente. – Io non ho risposto per non dar alla cosa un’importanza che non aveva. Quel professore non è comparso più. Quindi due giorni tranquilli. Ieri solo ci fu un nuovo incidente. Un prete anche professore volle dire non so che altro. E i giovani da capo a non volerlo far finire. Dovei difendere la libertà del prete; ma nel tempo stesso feci capire dolcemente che la libertà filosofica non era quella che s’immaginava il prete, e che io la voleva (e avea dritto di volerla) per tutti, per loro, per me etc. Non ci fu altro (Mancini: Applausi universali). Come vedi, anch’io nella mia piccola sfera ho i miei camorristi e i miei briganti. Non me ne sgomento; fo quel che devo fare e credo deva fare; fo il mio dovere; lo fo con quella maggior coscienza che posso; tollero tutti, e voglio che tutti facciano lo stesso verso di me. Libertà per tutti, e per me. Se loro credono di avere in tasca la verità, anche io potrei avere la stessa pretesa. Fuori dunque le monete: vediamo quale è buona e quale è cattiva. Se non vogliono vedere alla luce, come essi credono cha la loro moneta sia buona, così io posso dire che la mia è buona. – Già mi avvio per la predica. Finisco. Scrivimi e dimmi qualcosa di positivo della situazione politica e degli uomini politici. Voglio dire: i grandi uomini politici. Berenice79 come sta? Salutala colla famiglia per me etc. Papà sta bene. Isabella e Millo ti salutano. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (ed. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 690-694).
200 A Silvio Spaventa Napoli, 16 dicembre 1861 Mio caro Silvio, Quel che ti successe il giorno 8,80 fu per me un colpo di fulmine a ciel sereno. Lo stesso giorno io ti scriveva quella lunga lettera, che avrai già ricevuto, tranquillamente. Il primo moto – prevedendo le conseguenze – fu di partire. Ma poi pensai che sarei arrivato tardi: e altro. E aspettavo tue notizie, almeno per telegrafo. La tua lettera quasi ora mi rimette in dubbio quel che i giornali di Torino davano per finito. Spero che già mi avrai scritto il tutto. Non lasciarmi in una eterna incertezza. Scrivi – e se c’è bisogno – anche per telegrafo. Io non ti do consigli. Non ho letto ancora il tuo discorso, perché non ho ancora potuto avere la Gazzetta Ufficiale. L’avrò. Ma sono persuaso di quel che mi dici.
77. Federico Quercia (1824-1899), filologo, critico letterario e giornalista, fu scolaro di Basilio Puoti, in filosofia di Pasquale Galluppi e Luigi Palmieri, e in diritto di Roberto Savarese. Fu per molti anni provveditore agli studi. 78. Stanislao Gatti (1820-1870), filosofo, critico e pubblicista, collaborò con Stefano Cusani al periodico «Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti»; dal 1841 al 1862, fu direttore del periodico «Museo di letteratura e filosofia», mutato in seguito in «Museo di scienza e letteratura». 79. Berenice Spaventa. 80. Allude alle contestazioni subite da Silvio Spaventa in seguito al discorso da lui pronunciato in parlamento l’8 dicembre 1861. Sull’episodio cfr. De Cesare, S. Spaventa e i suoi tempi, p. 50.
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Che devo dirti di più? A ogni modo qualunque risoluzione piglierai, fammela prima sapere, perché io possa fare quel che devo, cioè venire. Dico così per tutti i casi. Non ho testa per dirti altro. Ho dovuto in questi giorni sforzare me stesso per far lezione. E l’ho fatta come le altre volte. – Ti mando un numero della Patria 13 dicembre. «Coloro che hanno acquistato una volta la loro individualità sulle tempeste della montagna, non possono inneggiare alla moderazione colla vera coscienza del proprio compito». Lascia stare la livida oratoria e il posto mal occupato etc. Ma se tu credi di dover rispondere e chiarire una volta per sempre un maligno equivoco, lo puoi fare ora benissimo. La Patria dice quel che dicono i tuoi avversari: «Tu una volta sei stato dell’estrema sinistra, della montagna; ora fai il moderato, senza coscienza». Ma di quale sinistra? Di quella del Parlamento napoletano 1848, Re Ferdinando II,81 dopo il 15 maggio. Dunque chi ha fatto opposizione estrema a Ferdinando II deve fare opposizione estrema a Vittorio Emanuele? 82 Chi ha maledetto Borrelli,83 deve maledire Ricasoli, anzi Cavour? Sei tu mai stato repubblicano, mazziniano nel 1848? Non eri tu accusato di Albertismo sin d’allora? Non ricordi il tuo articolo sulla battaglia di Goito?84 Quel che volevi allora, quel che volevi a Firenze nel 1859, anzi nel 1847, quello stesso vuoi adesso. C’è da rispondere bene, con convenienza, pulitamente, ma bene. C’è da combattere il pregiudizio: era liberale nel 1848 chi faceva opposizione ai Borboni mascherati da costituzionali; è liberale oggi chi fa opposizione al governo costituzionale. Non dico che oggi non ci deva essere opposizione. Ci dovrà essere, forse. Ma l’opposizione ha lo stesso significato? Chi si è opposto allora, deve di necessità opporsi ora, se non vuole essere chiamato uomo senza coscienza? Cos’è la coscienza politica? Cos’è la coscienza? E non può forse esser coscienza non opporsi ora, appunto perché uno si è opposto allora? Che vogliano giudicare la tua amministrazione qui, sono padroni. Ma parlar di coscienza, non sono al caso. Cattiva coscienza è fare il liberale oggi, dopo aver servito bene i Borboni. Cattiva coscienza è insultare chi è stato in galera, dopo aver esser stati – poco più poco meno – i carnefici o i lodatori dei carnefici di coloro che sono stati in galera. Etc. Potresti fare una bella risposta, veramente moderata e dignitosa, livida, ma dignitosa. Potresti mandarla alla stessa Patria, e farla anche stampare nei giornali di Torino. La farai? Io la farei, se fossi te. È tempo che il pane, che è pane, apparisca pane. Ma senza dare appicco a duelli. Ti mando delle lettere di Ciccio Russo. Quello che scrive a te sia comune anche a Leopardi. Il povero Ciccio – che si è mostrato sempre e si mostra amorevolissimo con me, è mezzo disperato. Vedete di aiutarlo e subito e con calore. Se si può, fate. Dillo a Pietro 85 anche a nome mio. Non gli scrivo, perché non ho tempo. Addio. Papà, Isabella e Millo ti salutano. Scrivi subito. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
81. Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie (1810-1859), regnò dall’8 novembre 1830 al 22 maggio 1859. A lui successe il figlio Francesco II, ultimo re Borbone a Napoli. 82. Vittorio Emanuele II di Savoia (1820-1878) è stato l’ultimo re di Sardegna (dal 1849 al 1861) e il primo re d’Italia (dal 1861 al 1878). 83. Pasquale Borrelli (1782-1849), giurista e filosofo napoletano, esule dopo i moti del 18201821, rientrò a Napoli nel 1825, ma per due anni fu sorvegliato dalla polizia. 84. Nel 5 giugno 1848, all’annunzio della battaglia di Goito, «Il Nazionale» (quotidiano fondato e diretto nel 1848 da Silvio Spaventa, deputato al parlamento napoletano) pubblicò un articolo favorevole, che risuonò come un inno a Carlo Alberto e al Piemonte, e che venne avvertito come un’imprecazione contro Ferdinando II. 85. Pier Silvestro Leopardi.
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Epistolario
201 A Silvio Spaventa [Napoli,] 17 dicembre [1861] Mio caro Silvio, Ti ho scritto ieri e confortato a rispondere alla Patria. Ci ho poi ripensato. Non vorrei esserti cagione di nuovi disturbi. Fa come credi. Se credi di poterne far senza; fa pure. Addio. Scrivimi e ti scriverò a lungo, subito che avrò tempo. Ieri ha proluso Vera.86 Io non l’ho sentito. Chi l’ha sentito e inteso mi ha detto: volgarità senza pari. 87 Vera, io già lo sapeva, non intende che Hegel e l’intende molto superficialmente. Questo sia detto a te, solo a te. Addio. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (ed. in B. Spaventa, Opere, II, p. 695).
202 A Silvio Spaventa Napoli, 28 dicembre 1861 Mio caro Silvio, Ieri ho ricevuto la tua del 24, e non ho risposto subito, perché era tardi, e la posta già partita. Avevo preveduto la difficoltà,88 di cui tu mi parli, nata dall’incidente del giorno 8, e la giudico come la giudichi tu, cioè come un bene ora, piuttosto che come un male. Quel che bisogna scansare sempre è il porgere la menoma occasione a quella gente, che non fa altro che andare in cerca di occasioni. Da loro non mi aspettavo e non mi aspetto altro; fanno il loro mestiere. Anche se tu avessi parlato più pacatamente di quel che hai fatto, essi avrebbero fatto lo stesso; più che contro il tuo discorso, l’avevano contro di te. Questo è chiaro. Pazienza, e tempo; e la luce si farà. Di qui non ho a dirti niente. Le cose vanno sempre come andavano; forse meglio, giacché se non altro, si tira sempre innanzi, come Dio vuole. Il male è che le cose sono ancora – e saranno per un pezzo – in mano della canaglia; e chiamo così coloro che non 86. Augusto Vera (1813-1885), filosofo, studiò a Roma e a Parigi, insegnò in Svizzera, in Francia e in Inghilterra. Fu professore di storia della filosofia all’Università di Milano e di Napoli. Tradusse in francese le principali opere di Hegel e ne fu interprete. Recitò la prolusione Della storia della filosofia all’Università di Napoli il 16 dicembre 1861, che pubblicò nel «Politecnico», XIII, 1862, pp. 199-222. 87. Scrive in merito Gentile: «R. Mariano scrive invece che quella prolusione fu per molti giovani che erano ad ascoltarla “come una rivelazione”, e per lui “proprio la voce dall’alto sulla via di Damasco”». Augusto Vera: saggio biografico, Napoli, Morano, 1887, p. 37. La prolusione di Vera venne poi ristampata nei Mélanges philosophiques, Paris, Librairie Philosophique de LadrangeNaples, chez Detken, chez de Angelis et chez Madia, 1862, pp. 87-117. 88. Le difficoltà erano legate all’intervento di Silvio in parlamento, che contrastava con le posizioni di Agostino Bertani, capo della Sinistra alla Camera (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 22-23, dove è pubblicata, alle pagine 24-25, anche la lettera di Silvio del 24 dicembre 1861 a cui Bertrando allude).
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hanno fede in niente, che non sono né borbonici davvero né italiani, ma sono birbanti, intriganti, ladri, ciarlatani, bugiardi, adulatori e che per tutte queste qualità si trovano sempre bene. È un male che ci vorrà ancora tempo a estirpare, se bene ci si pensa. Anzi! E anche qui ci vuol pazienza. Bisogna, quando si può, turarsi il naso, per non sentire il fetore; e quando non si può, abbandonarsi al destino, incrociare le braccia, e aspettare. Passo a parlarti di me, giacché non ho a dirti altro. Ho finito già la mia Introduzione, ed è molto probabile che la stampi. I giovani vogliono così. Le mie lezioni sono andate sempre bene, anzi di bene in meglio: sempre gran folla. Ora so quel che si voleva fare contro di me. Si voleva far chiasso e tumulto nella scuola. Ma non ci sono riusciti. Io, credo, sono stato molto prudente. Non è stata astuzia, ma una certa confidenza in me stesso, un certo sentimento di dignità, una certa serenità d’animo, una certa noncuranza di certe miserie e pettegolezzi, un certo umore frizzante senza offesa, che, se non nascevano, erano certamente fatti più vivi del paragone che io facevo tra me e loro. Era un piccolo complotto di professori di filosofia. La solita storia: guasta Gioberti. Ma in realtà il vero motivo ero tutto altro. È quel timore o odio involontario della luce che hanno le talpe. E la luce che io appongo a loro è appunto quella che non vogliono, la libera discussione. Credo che abbiano smesso il pensiero di far più nulla in iscuola; perché si sono accorti che i giovani li accopperebbero. Già molti giovani – giobertiani a modo loro – si sono, dirò, convertiti. Ora ho saputo che vogliono fare una Rivista giobertiana, e risuscitare una certa Accademia dello stesso nome. Facciano pure. Alla testa di questo movimento contro di me ci sono dei pezzi grossi, o almeno tenuti per tali qui. Ma io non mi sgomento. Altro è gridare abbasso a uno che amministra e che non può dimostrare che amministra bene; altro è gridare contro un professore. Se essi credono dimostrare, anche io dimostro. Io spero nei giovani, i quali in generale hanno sempre un certo istinto per la verità, per la libera ricerca. Vedo, che il breve corso che ho fatto finora, ha fatto buona impressione. Un tale che mi era ostile, venendo sempre a udirmi ha finito col diventarmi favorevole, e dice che ora intende Gioberti. Anche altri, più o meno, così. Spero dunque che la cosa andrà, anche senza il favore dei pezzi grossi, che dopo aver empito la pancia sotto i Borboni, l’empiono meglio anche adesso. E io non gl’invidio. Mangino pure, ma lascino stare i minchioni. Spero, dico, che la cosa andrà. Del resto, io fo quel che credo di dover fare. Non fo che la lezione; non penso ad altro; non vedo nessuno, eccetto gli scolari; non fo male a nessuno; sono divenuto il più grande egoista, direbbe qualche grande filantropo. Dunque, accade quel che deve accadere. Non ho più tempo di scriverti oggi. Tu intanto scrivimi e a lungo. Papà e Isabella coi ragazzi stanno bene e ti salutano. Salutano con me anche Berenice con Raffaele89 e ragazzi. Mi dispiace che Berenice non sia ancora guarita. Ricordati di badare ai salassi che a Torino fanno in gran copia. Falla curare dai medici napoletani. E tu bada ai raffreddori. Scrivimi. Bertrando P.S. Salutami Ciccone. E non dir niente a Massari di Gioberti e non Gioberti. Rispondimi subito per l’affare del nostro Ciccio Russo. Non so capire come non me ne dici nulla nella tua lettera. Dì lo stesso anche a Leopardi. Rispondete subito. SNSP, XXXI.D.1 (ed. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 695-698).
89. La sorella Berenice e il marito Raffaele Paolucci.
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203 A Silvio Spaventa Napoli, 10 gennaio 1862 Mio caro Silvio, Rispondo poche parole alla tua lettera del 3, e solo perché tu non dica che io non ti scrivo. Sono molto occupato nelle lezioni, e non ho tempo. Ti scriverò subito più a lungo, un giorno che avrò meno da fare. Noi stiamo tutti bene. Siamo solo molto afflitti per le notizie che ci dai di Berenice.1 Per carità, cercate di salvarla ad ogni costo. Se c’è bisogno, fate venire di nuovo Tommasi. Se è tempo ancora, fate ora, e presto. Non ho animo di dirti altro. Scrivimi a lungo. Dimmi sempre della crisi ministeriale.2 Pensino a ordinare il regno, che è tempo. Qui la babilonia continua, 3 più o meno, in tutto quasi. Abbiano un concetto netto, diritto, definito di quel che vogliono e devono fare. Oscillare continuamente è perdersi. Se manca Ricasoli, e viene Rattazzi, dove si andrà? Temo in grande quel che in piccolo è avvenuto qui dopo San Martino. A me pare che il ministero abbia sciupato tutto il bene che avea ricevuto da Cavour: sciupato la maggioranza, e altro, forse un po’ tutto. Forse sbaglio, e sarebbe meglio. Forse la posizione era troppo difficile. Ma forse anco l’accorgimento non è stato pari alla difficoltà. Ma già io non ne capisco nulla, e non so dire che generalità. Addio. Scrivimi. E saluta Ciccone, al quale dirai che non gli scrivo, perché non ho tempo ora. Addio. Papà, Isabella e Millo ti salutano. Salutiamo Berenice e Raffaele4 coi ragazzi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 20-21).
1. Berenice Spaventa. 2. Si tratta del Ministero Ricasoli (cfr. lettera 195). 3. Bertrando allude alle vicende politiche dell’ex regno meridionale, durante e dopo la luogotenenza di Silvio. 4. Raffaele Paolucci.
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Epistolario
204 A Silvio Spaventa Napoli, 24 gennaio 1862 Mio caro Silvio, Oggi ti volevo scrivere a lungo e avevo un po’ di tempo. Ma è venuto uno, e poi un altro a casa, e non ho potuto scrivere. Dunque ti scrivo qui, nella camera di Rosei, che ti saluta, queste due righe per dirti che stiamo tutti bene. Papà Isabella etc.; e perché tu non fantastichi sul conto nostro. Godo che Berenice5 vada meglio. Intanto sii certo che dopodomani (Domenica) ti scriverò a lungo e risponderò a tutto quel che mi domandi nella tua lettera etc. Addio dunque per oggi. Salutami Ciccone, e digli che non gli scrivo, perché… non ho tempo. Addio. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
205 A Silvio Spaventa Napoli, 29 gennaio 1862 Mio caro Silvio, Ti volevo scrivere domenica, come ti avevo promesso; ma non fu altro che una buona intenzione. Al solito non ebbi tempo. Ti scrivo oggi e spero di finire questa lettera. Mi dispiace che tu ti dica da capo annoiato e svogliato. Spero che anche questo passerà. Che devo dirti di più? Fare una predica contro la noia e sulla necessità di vincerla a ogni costo? Se sei annoiato tu che vedi e hai a che fare con tanta gente, considera come sia annoiato io che non vedo nessuno, proprio nessuno. E pure tiro innanzi, e mi sforzo di persuadere a me stesso che non sono annoiato. Ti dico solo che a un uomo politico non conviene l’annoiarsi, perché questo brutto stato toglie almeno la metà della forza necessaria per essere un uomo politico. Eccomi cascato nella predica. Che devo dirti di politica? Sapevo già qualcosa della situazione del nostro buon amico Sornione, come si può sapere e raccapezzare da lui. «Se i deputati napoletani avessero giudizio; se fossero concordi potrebbero far loro tutto, quasi tutto. Di che si lagnano? Dicono che i napoletani non sono, non valgono niente nell’amministrazione della cosa pubblica? Ma di chi è la colpa? Ci sono uomini capaci; e loro li screditano. Per esempio Ricasoli un giorno pensò, ebbe intenzione, desiderò, nulla, così… non so come dire… chiamare Spaventa all’Interno. Non l’avesse mai voluto o quasi voluto. Minacciavano di sollevare le Calabrie! Nientemeno. E pure da loro dipende. Bisogna farsi fare valere da vero: far argine… a che? Al piemontismo». Ti riferisco queste ciarle, che ti prego di non comunicare a nessuno per non moltiplicare le ciarle all’infinito –, te le riferisco perché confermano quel che tu mi dicevi nell’ultima tua, cioè che tutto l’imbroglio è qui: ci è o almeno si dice che ci sia una opposizione che si chia5. Berenice Spaventa.
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ma Piemontesi e Italiani; e per l’amico la via alla breccia è constatare questa opposizione e insistere sulla necessità di farla cessare, alimentando, s’intende, il primo termine. Quindi la necessità della concordia dei deputati napolitani e di venire finalmente a riconoscere e a proclamare i loro veri uomini capaci, metterli su non so che seggio e andare a dormire in pace. Non so se mi sia spiegato. Se questa situazione di famiglia è vera, e penso di sì, quale deve essere la tua linea di condotta? In verità non so che dire. Dico solo: la via diritta, giusta, diritta, giusta, dico come può essere in politica. Girare per girare, mostrarsi tortuoso per mostrarsi tortuoso, credo che sia la peggiore politica. Ma io non so dirti altro. Bisogna guardare in viso la situazione, intenderla bene, vedere quel che ci è di reale e quel che è apparente, e poi… giudicare. Ma la regola per giudicare bene, diceva Kant (ci si riconosce in quel che dico il mastro di scola), non ci è; perché se giudicare è applicare la regola al caso particolare, una regola per applicare la regola ci menerebbe all’infinito. Tu hai abbastanza criterio, cioè giudizio, per far da te; e io non dico altro. Solo dico che la noia non è la via. La via vera è quella di mostrarsi davvero capace, di farsi riconoscere, vuoi o non vuoi, capace. Per farsi riconoscere capace bisogna fare, operare; pigliar posto nelle cose – non voglio dire ciarlare nella Camera –, ma nelle vere discussioni degli Uffici, delle riunioni preparatorie, nelle conversazioni, nei colloqui ministeriali, etc. E per fare così, bisogna star sempre su, esser sempre presente a se stesso: in una parola, non essere annoiato. Ricasoli, Rattazzi, Farini, Minghetti… tu ormai li conosci. Sai cosa sono e cosa possono fare. Puoi dunque giudicare. Quasi quasi mi accorgo di essere un gran furbo, un gran politico. Ma non ce n’è niente. Tutta la mia politica è nella forma del sillogismo; nel resto sono innocente come un agnello. Insomma quel che ti dico e ripeto, è: fa, come sai fare quando vuoi far davvero. Veniamo ad altro. Desidererei certo che, chiusa la Camera, tu ritornassi qui. Ma a che fare? Tu sai Napoli; e io non ti dico altro. Vedo dunque il tuo pensiero o di restare costì o di andare altrove, per esempio a Milano. Restare costì o andare a Milano giova anche per altro. Così conosceresti sempre più cose e uomini, e conoscendo sarai conosciuto. Qui che conosceresti di più? Di me che devo dirti? Sto bene in salute, e fo le lezioni. Studio, e cerco di farle bene. Gli scolari, sempre numerosi, sono contenti; e io anche di loro – non già perché essi siano contenti di me o almeno non solo per questo –, ma specialmente perché hanno il coraggio eroico di udir quel che dico, che sono cose molto difficili e astruse. Mi sforzo di farle facili: questo è il più gran sforzo che devo fare. Quanto ai pettegolezzi – dovrei forse dire peggio – continuano. I miei formidabili nemici non vengono più a sconfiggermi nella scuola con quelle interrogazioni che sai: coi ceci, coi punti di partenza, etc. 6 Hanno preso altra via. E ciò era bene naturale. Questi miei nemici sono persone che io non conosco. Sono uomini che si credono cima d’uomini, la verità personificata. Il paese gli ha creduti tali per lungo tempo, e non ha cessato di crederli tali interamente. Dico il paese, e dovrei dire: questi stessi uomini e le loro creature. Il paese è il loro mondo, che essi si sono fatti, godendo più o meno all’ombra della monarchia borbonica. Chi non pensa come loro, chi non insegna quel che insegnano loro, quel che essi hanno meditato – e ci è da arricchire i capelli a leggere queste meditazioni! – chi non fa così, è, s’intende, un cattivo soggetto. Non vedere e non adorare il sole! O peggio, vederlo e ostinarsi a non adorarlo; a dire come diceva Talete, credo, che è un disco di rame! Chi non fa così è un sensista, un materialista, un panteista, un ateo, una… bestia; no, bestia, non l’hanno detto. Forse riservano a se stessi e ai loro questo titolo. 6. Cfr. lettera 199.
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Epistolario
Dunque questa è la via che hanno presa. Dicono positivamente, senza complimenti, come si dice: questa è acqua, e questo è vino, dicono, che io sono sensista, materialista, panteista, ateo. Lo dicono con quella stessa indifferenza, con quella stessa sapienza, con la quale un mulattiere dice: questo mulo zoppica, questo cavallo è borso, quest’asino ha mal di petto. E se io dicessi che sono quel che dicono essi che sia io? se volessi fare anch’io il mulattiere? Io non lo dico, e non m’incarico di loro. Loro sono loro. Ma se lo dicessi, non avrei diritto di dirlo, almeno? Ma perché io non m’incarico di loro, e loro mi cercano tanto, pensano tanto a me? Qui sta tutto il segreto. Prima già che io cominciassi, dicevano qualcosa. Alla prima lezione, vengono e cercano di far tumulto nella scuola. Non ci riescono, sebbene ripetano la cosa tre o quattro volte. Allora si danno a fare i briganti fuori della scuola; ateo, panteista, etc. Ma importa loro davvero, che uno sia o non sia ateo, panteista o non panteista, etc.? Poco ci credo. Dio non è una vana parola. Dio è moralità, giustizia, sincerità, verità… e tante altre belle cose. Affermano loro così Dio? Lo dicono; ma quanto al fatto, ci ho un po’ i miei dubbi. Dio è libertà. Perché mi negano essi la libertà della investigazione, cioè negano a me Dio, e lo vogliono tutto per loro? Il loro è dunque un Dio che non è il vero Dio. Dico così per dire; e capisco che è una cosa inutile. Se ci entra qualcosa o qualcuno, non è Dio, ma il loro interesse, la loro autorità, il loro credito, la loro – diciamolo pure – bottega. Io nego Dio, perché nego la bottega. Dio-bottega; bottega-Dio. Ciò è vero. I miei nemici sono certi professori privati: coloro che in un anno insegnano tutto, tutto lo scibile, e lo insegnano come si può insegnare in un anno, facendo lavorare il polmone, come il fabbro ferraio fa lavorare il mantice della sua bottega. Noi sinora abbiamo insegnato soli, abbiamo fatto da padroni. I pochi matti, i pochi renitenti che ci erano, i pochi germanizzanti, gli abbiamo fatto tacere, come si facea tacere in quel tempo. Abbiamo scritto, stampato e venduto i nostri scritti; e abbiam fatto denaro. La gioventù, la vergine gioventù, non ha mangiato e pagato, che il pane che noi le abbiamo dato, il pane fatto in casa nostra, impastato colla nostra farina, cotto nel nostro forno. Ma domani? Che sarà domani? Il domani, ecco, il terribile spettro, che fa uscire dai gangheri questa buona gente: tanto più che vedono, che il domani è già cominciato, è già oggi. Lascio stare lo scherzo. So di certo che hanno scritto a Torino, e non solo contro me, ma contro altri, atei etc. come me, ma specialmente contro me. E so di certo anche, che a Torino si è scritto qui al Rettore7 dell’università: che è, che non è? Ti avverto ciò sul serio per qualunque caso. Regolati con prudenza. Vedi, ma cautamente, di che si tratta: cautamente. Non bisogna aver l’aria di interrogare, ma far parlare. Fa come non si trattasse di me, e come se non volessi tu saper nulla. Ti dico ciò, perché credo, anzi so di certo, che il De Sanctis non mi sia molto amico. Non lo credo capace, ancora no. Ma: tutto si può credere, e tutto si può non credere. Non molto amico, per certi pettegolezzi, che non ho fatto certo io, ma la solita idolatria. Ma di ciò, forse, in un’altra lettera. Dico forse, perché niente più mi annoia quanto lo scrivere di tali cose. Dunque cautela. E bada di non sperdere questa lettera. Rispondimi subito e a lungo. Ricordati di non sperdere la lettera. Il tuo Bertrando BPB, Fondo Beltrani, c.c. 922 (ed. in Masellis, Lettere inedite, pp. 702-704).
7. Era rettore dell’Università Giuseppe De Luca (1823-1895), insegnante di geografia e dal 1884 anche di statistica.
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206 A Silvio Spaventa Napoli, 8 febbraio 1862 Mio caro Silvio, Dal giorno del 29 del mese passato non ti ho scritto più, e oggi ti scrivo in fretta per dirti quel che è accaduto ieri all’Università. Io non ci era; né era giorno di lezione per me. Ieri sono stato tutto il giorno a casa a pensare a Brama e a Budda,8 e uscendo la sera ho saputo cosa c’era stato. Un certo numero di giovani studenti capitanati da qualche non studente, solito a farsi vedere in tutte le dimostrazioni – e studenti non dell’Università, ma degli studi privati che sono qui numerosi come le formiche e forse più degli studenti –, prima di mezzogiorno si presentano all’Università, vanno alla Biblioteca, pigliano la bandiera (la piglia quel tal capitano), e giù per le scale, per la corte, a gridare e schiamazzare: abbasso il Rettore, abbasso Settembrini,9 abbasso i professori che non fanno lezione, viva Gioberti, abbasso Hegel, viva Rosmini e la filosofia italiana, abbasso la filosofia tedesca, viva Mandoi!!!10 (storico), abbasso il Papa Re. Viva Garibaldi. Dopo aver gridato così più volte e stracciato dalla muraglia un ordine del giorno del Rettore,11 nel quale gli studenti venivano invitati a rallegrarsi delle parole che il Ministro della Pubblica Istruzione12 aveva detto in elogio loro e della Università in una recente discussione, dopo aver stracciato altre carte, e mi si dice – ma non so se sia vero – cancellato certi nomi dall’Elenco dei Professori –, dopo queste ed altre amenità, uscirono s’ingrossarono per la strada, e specialmente per Toledo, gridando: abbasso il Papa re.13 E così finì. È stato uno di quei pasticci che si vedono solo qui. Tutti i malcontenti vi hanno soffiato e operato; tutti i nemici dei nemici si sono riuniti. Il complotto o i complotti si sapevano. Si sanno le cose dove si organizzano; i professori privati e non professori che istigano; anche qualche vecchio valente professore universitario, conservato perché valente – nel valer poco e chiacchierare da mattina a sera; etc. etc. Non credo che la cosa finirà così, se il governo non mostra energia contro una certa canaglia dell’insegnamento, che ne ha fatto un mestiere di polmoni e di… Bisognerebbe pigliare misure giuste, ma pigliarle e farle eseguire. Qui sta il punto. Chi eseguisce a Napoli? – Ieri sera intanto – non so se sia vero – il Nazionale, l’organo della verità ad usum Delphini, mi si dice raccontare la cosa in modo da far credere che si gridasse solo: abbasso certi professori insegnanti. Non ho avuto il tempo di verificare il fatto. Credo utile farti questa prevenzione. Ho ricevuto la tua, e resto inteso di quel che mi dici sulla denunzia. Ti scriverò su ciò subito che avrò tempo. È un nido di birbanti, che si dovrebbe mettere a dovere. Ma di ciò appresso. Addio per ora. Dimmi di Berenice.14 Papà ti saluta con Isabella e Millo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (ed. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 698-700).
8. Forse, come anche Gentile osserva, scrivendo la Nota alla Prolusione, che ha per tema la filosofia indiana, ora in Opere, II, pp. 449-455 (cfr. Gentile, La filosofia italiana, p. 698, nota 1). 9. Luigi Settembrini. 10. Francesco Mandoj Albanese, ingegnere pugliese nato nel 1818, patriota e deputato nell’VIII legislatura del regno d’Italia. 11. Giuseppe De Luca. 12. Francesco De Sanctis, a cui succederà, il 4 marzo 1862, Pasquale Stanislao Mancini. 13. Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti (1792-1878), fu eletto papa nel 1846. 14. Berenice Spaventa.
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207 A Silvio Spaventa Napoli, 10 febbraio 1862 Mio caro Silvio, Ti ho scritto l’altro ieri in fretta, e fo lo stesso anche oggi. Ieri grande dimostrazione contro il Papa re, e a favore del Papa non re. È stata fatta con ordine, con gran folla; e mi dicono che sia riuscita benissimo. Solo l’aveano, mi dicono sempre, con La Marmora,15 che non si era affacciato, e non avea detto: Bravi, così vi voglio. – Che giudizio! Non arrivano mai a capire quel che capiscono anche le oche. Ti scrissi così, come m’era stato anche detto, dell’altra dimostranzioncella all’Università. Mi aveano esagerato le grida contro la filosofia; di ciò poco o niente. Il rumor maggior anzi principale è stato contro il Rettore, il Ministro e i Professori che non fanno lezione. Credo che non ce ne siano. La fanno tutti, credo. Cominciarono dallo stracciare quel tale ordine del giorno ai giovani, e dal cancellare certi nomi dall’albo dei professori. Non erano studenti dell’Università, o pochissimi, ingannati o tratti a forza da certe birbe. Gli autori di più specie: Istigatori senza parere, gesuiti perfetti; istigatori palesi, ma non esecutori, etc. Coloro che dicono più male dell’Università, del Rettore e del Ministro sono naturalmente coloro che sono stati favoriti, ma non come desideravano. Sono bricconi matricolati, ma veramente matricolati. In verità, la politica ha i suoi principi, che non sono principi, i suoi famosi temperamenti; e gli uomini stessi cangiano di proposito, e per timore o altro sono capaci di abbracciare in pubblico anche i loro nemici. Questo è l’uso. Ma per dio io non so capacitarmene. Quando vedo certi serpenti – e mi ricordo delle vostre galere – quando vedo certi serpenti antichi, noti e famosi come serpenti, alzar ancora la testa e vibrar la lingua, e noi poveri minchioni ridotti ancora a tirarci da conto e guardarcene e pensare ai casi nostri, e quasi quasi sgombrar loro tutta la via e lasciarli divertire come si sono sempre divertiti: quando vedo questo, non so che dire. Dico: viva l’Italia! E così mi consolo. Questa è la mia dimostrazione. Il giorno dopo andai a far lezione, al solito. Trovai gran folla di studenti dentro e fuori la sala. Ci siamo, dissi tra me. Mi accolsero con applausi strepitosissimi, infiniti, inenarrabili, direbbe Mancini. Era, direbbe lo stesso, una protesta contro quel che s’era fatto il giorno innanzi. Ti racconto queste miserie perché non ho che dirti, e per opporre miserie a miserie. Mi imagino, che forse si sarà detto costà: «E poi entrarono nella scuola di Spaventa, lo fischiarono, lo fecero uscire, fuggire, scappare, etc. L’indignazione dei giovani era giunta etc. Si salvò per miracolo». Per darti un saggio dell’onestà e della stupidaggine di quelli che dicono male di me, senti questa che è storica: «Spaventa ha detto giorni fa in una lezione: Signori, in 8 lezioni vi dimostrerò che Dio non esiste». Ho bisogno di dire a te: quando mai? Ci sono i gonzi che lo credono, ma ci sono i birbanti che non dovrebbero essere creduti da coloro che non sono gonzi e non sono birbanti. Addio per oggi. Papà e Isabella ti16 salutano. Scrivi. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (ed. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 700-702).
15. Alfonso La Marmora (1804-1878), generale e uomo politico, ministro della guerra durante la seconda guerra d’indipendenza, fu più volte presidente del Consiglio dal 1859 al 1866. 16. Gentile: «vi».
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208 A Silvio Spaventa Napoli, 21 febbraio 1862 Mio caro Silvio, È già un pezzo che non ricevo tue lettere. Ieri sera ho visto Ciccone, che mi ha dato notizie di te e di Berenice.17 Io avrei dovuto scriverti, per raccontarti se non altro quel che è avvenuto – la seconda volta – nell’Università; ma, sempre al solito, mi è mancato il tempo. Più o meno, già saprai tutto. Pure, sebbene tardi, voglio dirtene anch’io qualcosa. Nella prima dimostrazione, di cui ti scrissi,18 i giovani o i così detti giovani – giacché non tutti erano studenti, né tutti gli studenti erano dell’Università – dopo aver lacerato un ordine del giorno del Rettore e cancellato dall’Elenco i nomi dei professori che non fanno, come dicono loro, lezione, e aver gridato abbasso il Rettore, il Ministro De Sanctis, i Professori che non fanno lezione, etc. e viva Tizio e Caio, etc., dopo molto chiasso, presa la bandiera, escono e via per le strade gridando viva l’Italia etc., abbasso il Papa re etc. Si gridò anche: abbasso la filosofia tedesca etc.? Si gridò e non si gridò. Ci è di coloro che vogliono far credere che si gridò così, e quasi quasi che non si gridasse altro; che lo scopo principale della dimostrazione era appunto gridare così. Vogliono farlo credere; e capisci perché. Quel che so io è questo. Tra i dimostratori ci era di coloro che aveano interesse o erano mandati da chi avea interesse a gridare così; cercarono di gridare e far gridare; ma la cosa rimase lì, e il grido fu soffocato nel nascere da altri giovani. È certissimo il seguente fatto: quando andarono alla biblioteca a pigliar la bandiera, un prete che è lì a fare il vicebibliotecario, credo, – non solo non si oppose, ma disse: tenete, e gridate, figliuoli, contro questi panteisti e questi atei che hanno messo all’Università. Questo fatto è notorio; e il buon prete è ancora lì, come ci sono e lì e altrove tanti altri, e ci saranno. Chi sa quanto tempo ancora. – Quel giorno, uscendo di casa tardi, seppi che c’era stata la dimostrazione. La sera vidi il Rettore al consiglio di Pubblica Istruzione. – Finito il consiglio, e andando via: ch’è stato? Gli domandai. – Hanno gridato, e fatto chiasso; hanno gridato: abbasso la filosofia tedesca, viva Gioberti, morte a Hegel. – Non mi disse altro. – In verità non mi poteva dire che avevano gridato: abbasso lui. Pettegolezzi sempre. Nella seconda dimostrazione presero la bandiera – dopo aver stracciato e cassato come prima – e uscirono; ma nacque un po’ di discordia fra i giovani, fra quei di fuori e quei di dentro, e tira e stira, e parla e rispondi, finalmente i buoni la vinsero e la bandiera fu rimessa al suo posto. Questa seconda volta non so cosa avesse detto quel buon prete. I giovani dicevano di voler andare sotto le finestre del Console di Francia a protestare contro una sua lettera, in cui avea dichiarato di non aver udito altre grida in quella gran dimostrazione contro il Papa, che viva la Francia, viva l’Imperatore.19 – In questa seconda dimostrazione non si gridò contro nessuna filosofia; e in quel giorno io neanche faceva lezione. La causa di queste turbolenze non è una. Ci è di certo una causa politica. Gli studenti in Napoli sono, come sai, moltissimi: è una massa rispettabile, ardente, piena di vita. Dun17. Berenice Spaventa. 18. Cfr. lettera 206. 19. Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, meglio noto con il nome di Napoleone III (1808-1873), imperatore dei francesi dal 1852 al 1870.
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que può servire a qualcosa. Quindi i soliti agitatori, i soliti capi, i patrioti per eccellenza, i frementi. Questo è positivo. Bisognava comprometterli con quella dimostrazione contro la Francia, e poi la cosa sarebbe andata da sé. Ma20 pare che gli studenti sinora abbiano avuto più senno che non si sarebbe creduto. Ma non tutti quelli che dimostravano aveano intenzioni politiche. E questo lo sapevano gli stessi agitatori. Quindi un’altra causa, che questi seppero benissimo exploiter: i professori che non fanno lezione. Questo era il motto d’ordine principale, e così si formava un nucleo abbastanza forte. In questo gli studenti non udivano consigli e parole di conciliazione. Rispondevano sempre: no, abbasso chi non fa lezione. – Cito questo fatto: s’era fatta girare una specie di protesta contro i disordini, nella quale gli studenti doveano dichiararsi soddisfatti dei professori etc. – Pochi firmarono. Non vogliamo firmare, rispondevano i più. Noi non vogliamo tumulti, siamo contenti di quei professori di cui siamo contenti; ma non vogliamo dire d’essere contenti di quelli, di cui non siamo contenti. – Non ci fu modo; non firmarono. – Altra causa: le gelosie di professori privati, di aspiranti a cattedre rimasti delusi, e di cattedratici, che hanno insegnato con lode sotto i borboni. È positivo, che un professore dell’Università, celebre per le denunzie che ha fatte e che credo faccia ancora,21 ha avuto mano in questa faccenda. È positivo, che le dimostrazioni o parte di esse, sono state concertate in certi in certi Studii privati. È positivo che un impiegato dell’Università – un cazzaccio –, il quale ha 4000 lire all’anno di soldo, molte conversazioni private e in pubblico non fa altro che dolersi dell’ateismo dei nuovi professori. È una combriccola di birbanti, di galeotti, pagati e pasciuti dallo Stato. Il Ministro domandò al Consiglio dell’Istruzione pubblica un rapporto sui fatti, sulle cause loro, e sui rimedi. Questo rapporto è andato; l’ho firmato anch’io. Ci è del vero, ma non tutto il vero; e ci è del falso, in quanto certe circostanze insignificanti sono state un po’ accentuate, e certe significanti sono state appena toccate. È una specie di velo impenetrabile gittato lì per coprire quel che non dovrebbe essere coperto. Ma il falso nel senso di falso assoluto non ci è. Che dovea far io? Saremmo venuti alle mani. Il rapporto non parla certo dei veri istigatori, preti e vecchi professori dell’università etc. Ha però il coraggio, se ben ricordo, di parlare contro i borbonici. Il nostro presidente, il Commendatore De Renzi, 22 è un antiborbonico dei più accaniti, e non ha niente paura di dirlo in pubblico! Il rapporto è sempre inutile, e servirà più come mezzo diplomatico, che come materia di studio per fare il bene e migliorare le condizioni dell’insegnamento qui. I poveri giovani non c’entrano. Come sono stato cretinizzati in questi dodici anni! E pure hanno voglia di fare e sapere. Ma il male è nei ciarlatani. Paroloni, ecco tutto. Ma l’università, se va e va bene, può fare gran bene. In generale fuori dell’università l’insegnamento è anarchico, confuso, superficiale, e anche retrogrado. La rigenerazione, la vera rigenerazione dell’ingegno, non può venire che da essa. È cosa orribile a pensare quanti pregiudizi ha in generale il giovine napoletano. Ammettono una dialettica nazionale; leggono Platone in Marsilio Ficino, la storia della filosofia in Gioberti, etc. Credono che si nasca filosofo, o almeno che basti avere una formola così per esserlo. Il male che ha fatto qui il giobertismo è incredibile. Ma finirà. Sono giovani intelligenti, svelti; solo devono persuadersi che la scienza è cosa seria, e ci vuol pazienza assai. 20. Gentile: «mi». 21. Allusione a Luigi Palmieri (cfr. lettera 198). 22. Salvatore De Renzi (1800-1872), medico e storico della medicina, fu vicepresidente della sezione del Consiglio superiore residente in Napoli dopo il 1860.
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Lascio di scrivere, perché non ho più tempo. – Fa quel conto che credi di queste notizie che ti ho dato. Ad ogni modo non mostrare a nessuno queste mie lettere, e non mi compromettere coi pettegoli. Ti scrivo per dirti tutto. Hai capito? Regolati, e dimmi se seguitano a denunziarmi. Scrivi subito, e a lungo. Saluto Berenice e Raffaele,23 a cui risponderò. Papà sta bene e ti 24 saluta con Isabella e ragazzi. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (ed. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 702-706).
209 A Silvio Spaventa Napoli, 22 febbraio 1862 Mio caro Silvio, Ti ho scritto ieri, e ti scrivo in fretta anche oggi per raccontarti un fatto, un altro pettegolezzo. È bene che non l’ignori. – Esiste qui una associazione cosiddetta degli Studenti. Ha un presidente; non so se sia studente. Dicono, che abbia anche dei patroni. Sere fa, ci fu riunione; l’invito diceva: visto che nell’Università sono successi disordini, etc., gli studenti e i facenti parte della Società sono pregati d’intervenire per provvedere. Ci furono discordi, molti, e al solito. La conclusione fu questa: la nomina di una commissione, la quale ha avuto l’incarico: 1. di invigilare sull’amministrazione dell’Università; 2. di invigilare sui professori, e notare coloro che non fanno il proprio dovere, che non fanno lezione o la fanno e non la fanno; 3. di esaminare, se tutti i professori dell’Università siano all’altezza dei tempi. Chi giudicherà dell’altezza dei tempi? Mi dicono che gli ispiratori siano stati De Boni,25 Verratti,26 Zuppetta. Io non lo so di certo. Dicono anche, che in mezzo a tali faccende ci siano persone venute da Roma. – Cito questi nomi a te. Non dirlo, per evitare i duelli! Intanto ieri (me l’han detto certi professori; io non l’ho visto) fu affisso alle cantonate un placard: «La Commissione degli studenti, nominata il giorno b, è in permanenza fino al giorno c; chi ha notizie a dare relativamente all’oggetto, etc., si rechi nel luogo d. etc.». È inutile ripetere che gli agitatori di diversi partiti si danno la mano qui. T’invio un Manifesto contro di noi altri, non so come dire… Leggilo e vedi. È un appello alla insurrezione contro di noi. L’autore – Mengozzi – mi dicono che sia un pessimo soggetto: venuto qui 4 anni fa con raccomandazioni d’Antonelli,27 spia, ladro, etc. 23. La sorella Berenice e il marito Raffaele Paolucci. 24. Gentile: «vi». 25. Filippo De Boni (1816-1870), giornalista e politico, collaboratore del periodico veneziano «Il Gondoliere», di cui divenne direttore. Tornato a Genova nel 1860, entrò a far parte della direzione de «L’Unità Italiana», quotidiano di ispirazione mazziniana. Deputato dall’VIII alla X legislatura, assunse posizioni anticlericali e di Sinistra. 26. Silvio Verratti, giornalista, nato nel 1830, collaborò al «Popolo d’Italia». 27. Francesco Antonelli (1803-1877), militare di carriera, fu generale di brigata del regno delle Due Sicilie e capo di stato maggiore della fortezza di Gaeta durante l’assedio del 1860. Cospirò con un gruppo di esuli napoletani per la restaurazione dei Borboni sul trono del regno di Napoli.
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T’informo di tutto ciò per informarti. Lascia che faccia chi deve fare. Tu sii semplicemente informato. Hai capito? Addio. Scrivimi. Di fretta. Bertrando P.S. Ci è chi dice anche, che la filosofia che noi insegniamo mena al dispotismo; che il governo ci ha nominati a posta. Anche un ex colonnello28 borbonico ci accusava in un caffè di professare una filosofia retriva, etc. Che caos! Riapro la lettera per dirti che ora appunto ricevo la tua. Non posso dirti altro. So che il Rettore dell’Università, la sera innanzi alla seconda dimostrazione, che io l’andavo cercando perché avevo saputo che si sarebbe fatta, era in casa di Nicotera. Che pasticcio! SNSP, XXXI.D.1 (ed. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 707-708).
210 A Silvio Spaventa Napoli, 8 marzo 1862 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto sinora perché aspettavo tue lettere. E oggi ti scrivo solo per dirti che ho ricevuto l’ultima tua. Non altro, perché devo andare a far scuola. Finalmente abbiamo saputo i nuovi ministri. 29 Da quel che so, qui l’impressione non è stata buona. La parola intrigo è pronunciata da ognuno. Ciò non toglierà però che i nuovi ministri, e specialmente il nostro compaesano,30 siano supplicati a umiliati come i passati, e forse più, dai napoletani. Oramai dire ministro è quasi quasi come dire sindaco di Bomba. Ci vuol tanto a fare il sindaco? Spero che mi scriverai ora più spesso, per farmi sapere di che si tratta. Scioglierà la Camera il Rattazzi? Di costà ci è scritto questo, che la colpa in tutto ciò, che è successo, è, in massima parte, dei napoletani, discordi sempre, e che ora sono dati al diavolo, quasi pentiti. Capisco e non capisco questo rimprovero. – Devo dirti una bagattella. Si scrive da Bomba a uno: che hanno avuto concessa non so che strada, con tutto che Spaventa (te), il paesano non se ne sia incaricato. Non so altro, ma lo saprò! Non è improbabile che qualcuno dica male di te per qualche fine. Chi può essere? Io ho i miei sospetti. Ci è uno che mi faceva la corte, mi scriveva, e poi non mi ha scritto più, come se 28. Francesco Saverio Del Carretto (1777-1861), fu ministro della polizia nel regno delle Due Sicilie. Di come fosse solito perseguitare i giovani hegeliani nei caffè della capitale borbonica riferisce lo storico Marc Monnier, nel saggio Le mouvement italien à Naples de 1830 à 1865, «Revue des deux mondes», XXXV année, tome LVI, 15 avril, 1865, p. 1023. 29. Ministri del primo governo Rattazzi (3 marzo-8 dicembre 1862) furono: Urbano Rattazzi (presidente), Enrico Poggi (ministro senza portafoglio), Urbano Rattazzi (ministro dell’interno), Gioacchino Napoleone Pepoli (ministro di agricoltura, industria e commercio), Urbano Rattazzi poi Giacomo Durando (ministri degli affari esteri), Agostino Depretis (ministro dei lavori pubblici), Pasquale Stanislao Mancini poi Carlo Matteucci (ministri dell’istruzione pubblica), Agostino Petitti Bagliani Di Roreto (ministro della guerra), Carlo Persano (ministro della marina), Quintino Sella (ministro delle finanze), Filippo Cordova poi Raffaele Conforti (ministri di grazia e giustizia e dei culti). 30. Pasquale Stanislao Mancini.
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non fosse stato fatto non so che cosa – Rettore – per colpa mia. Parlo di un Sigismondi. 31 Sarà un sospetto, ma forse non sbaglio. Non mi fu esso contrario nella mia elezione? Ti dico queste chiacchiere, perché provvegga nel caso di scioglimento della Camera. Hai capito. Dico le chiacchiere, perché il mondo va avanti colle chiacchiere. Dì a Raffaele, 32 che gli scriverò; che mi scrivesse, perché io non posso fare né pure una lettera. Che vuole poi che faccia io per Di Romualdo? Io non conosco Sterlich. 33 E anche se lo conoscessi così e così, come potrei io andare a dire: metti questo e non quello? Non è per me questo metodo. Addio. Scrivi. Papà e Isabella e Millo ti salutano. Saluto Berenice. 34 Bertrando AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
211 A Silvio Spaventa Napoli, 13 marzo 1862 Mio caro Silvio, Ti scrivo per raccomandarti un giovane che io conosco e che ascolta le mie lezioni. Vedi, se puoi, di fare per lui qualche cosa. Te lo dico sul serio. Questo giovane si chiama Andrea Anciulli.35 Ha ingegno e studia moltissimo. È buono; ma non ha molti mezzi di fortuna. Supplicò il ministro De Sanctis, pregandolo di comprenderlo tra quelli che sono mandati a studiare all’estero. De Sanctis accolse favorevolmente la supplica, e promise di fare. Ora De Sanctis non è più ministro. Come fare? Come aiutare questo giovine? Non dico che tu debba parlarne al Mancini. Non so se ti convenga. Ma il De Sanctis stesso non potrebbe – in linea con quella carità che si può chiamare anche giustizia in questo caso – far qualche cosa per l’Anciulli? Non potrebbe parlarne, non dico al Mancini, ma al Segretario generale? Non potrebbe dire: era un affare incaminato da me, e che avrei menato a termine, se etc.? Non so se dico bene, e se va bene. Ma io ho gran desiderio di aiutare questo giovine che davvero lo merita; e forse dico corbellerie. Vedi tu e De Sanctis di fare, se potete. 31. Evandro Sigismondi (1830-1891), avvocato e politico di Bomba, deputato del regno d’Italia nella XV e XVI legislatura. 32. Raffaele Paolucci. 33. Alessandro De Sterlich, nato a Napoli nel 1811, deputato del regno d’Italia nella X e XI legislatura. 34. Berenice Spaventa. 35. Si tratta di Andrea Angiulli (1837-1890), pedagogista e filosofo. Professore di pedagogia all’Università di Bologna e di Napoli, divenne uno dei maggiori rappresentanti del positivismo in Italia. L’ortografia di Spaventa è errata. Silvio riscontrò questa lettera il 20 marzo, promettendo interessamento. Angiulli ottenne quindi di andare a studiare a Berlino, comunicando al maestro le sue considerazioni spesso negative sull’ambiente filosofico tedesco (cfr. Vacca, Nuove testimonianze, p. 21, nota 21). Sui rapporti di Angiulli con Spaventa e con la sua filosofia, si veda il cap. V del vol. II di Giovanni Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia, Firenze, Sansoni, 1957, pp. 119-151.
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Ad ogni modo ti prego di rispondermi positivamente su questo. Ho promesso all’Anciulli di fare quel che potevo, e io non posso far altro che scrivere. Mi preme che l’Anciulli veda dalla tua risposta che io me ne sono incaricato come potevo. Come vanno le cose? Aspetto tue lettere su ciò. Io non ho niente da dirti. Stiamo tutti bene. Ti raccomando prudenza in questi imbrogli e ire rinascenti. Di fretta. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
212 A Silvio Spaventa Napoli, 17 marzo 1862 Riservata Mio caro Silvio, Avrai saputo per telegrafo i fatti del 15. Ieri non ti ho scritto, perché la posta non partiva. A mezzogiorno e ¾ io me n’andava tranquillamente a far la solita lezione. Per la via del Salvatore trovo un non so che di nuovo: molta gente in moto, alle porte delle case, innanzi alle botteghe, alle finestre, e alla porta dell’Università gran folla di studenti. Entro a stento, e appena entrato incontro Uno che usciva, e il quale poteva o doveva sapere cos’era. – Cos’è? domando io. – Niente. – Addio. – Addio. – Fatto capace del niente, io tiro innanzi, salgo le scale, entro nella stanza dei professori, firmo lo stato di presenza, e dopo pochi minuti di riposo m’incammino per la sala di Scuola. Vedo i giovani un po’ agitati; ma poco ci bado. Entro; pigliamo posto tutti; e io comincio a parlare. Dopo 5 minuti, gran chiassi alla Corte; i giovani – che sapevano in gran parte ciò che non sapevo io – escono precipitosi. Io rimango, e aspetto. Rientrano. Cos’è? Mi si dice sommariamente che c’era stato un non so che tra certi preti e pochi studenti in una chiesa vicina; che i preti avevano aizzati certi lazzari e certe femmine contro gli studenti; che i lazzari e le femmine gridavano contro gli studenti innanzi la porta dell’Università. Io cerco di calmarli, e ricomincio la lezione. Dopo altri 5 o 6 minuti nuovo chiasso, o per dir meglio due magnifici colpi di pistola, e poi il chiasso. Escono di nuovo; e io rimango. Rientrano: «Siamo assaliti dai lazzari, gridano; hanno revolvers, stili, asce». Imagina la confusione. I giovani non aveano che le sedie per difendersi. Potevamo noi imaginare, che dopo il primo chiasso, dopo le prime minacce, le porte dell’Università erano lasciate aperte, e che i lazzari armati già salivano le scale, ed erano a poca distanza da noi? Ciò che ci salvò dall’essere colti così improvvisamente dentro la scuola furono quei due colpi di pistola. Imagina, ripeto, la confusione. «Difendiamoci, salviamoci; salviamolo». Capivano che chi correva maggior pericolo ero io. E io stavo ancora lì, sulla cattedra. Ti giuro che non avevo paura. La paura è mista un po’ di speranza; e io ero intrepido, perché dicevo tra me: è finita; m’ammazzeranno. I giovani mi fanno scender per forza dalla cattedra; mi trascinano quasi fuori della scuola. «Andiamo su, negli ultimi piani. Andiamo giù alla corte. Difendiamoci. Salviamoci». Io volea andar giù, alla corte. Esser ammazzato in un cul de sac mi pareva ridicolo. Non ci fu modo. Parecchi scesero, e alcuni di loro furono feriti per le scale dai lazzari e camorristi, che già salivano. La maggior parte corse su, e io con loro,
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cioè mezzo trascinato da loro. Uniti lassù aspettavamo. Aspettavamo anche il soccorso. Diavolo, dicevamo; non ha a venire la guardia nazionale, i carabinieri, il diavolo? Aspettammo quasi mezz’ora. Niente, né medici, né amici. I lazzari e camorristi si sparpagliarono nel primo piano. Feriscono un giovine, che ignaro di tutto, usciva dalla biblioteca; bastonarono solennemente un altro giovine che s’era appiattato dentro la mia cattedra dietro la sedia; fanno altro e altro. Salgono anche, mi hanno detto, nei piani superiori, ma non arrivano dove eravamo noi. L’Università è una specie di labirinto; e questo ci salvò. Avremmo resistito, ci saremmo difesi. Ma ne valeva la pena? Voglio dire, si trattava forse d’onore? E se moriva un solo studente, non era certo una gran disgrazia? Finalmente la guardia nazionale e i carabinieri vennero. Parecchi lazzari e camorristi furono presi; altri fuggirono – non per le porte, ma per certe vie segrete, che è davvero meraviglia come le sapessero. Venuta la guardia nazionale e la polizia, chiuse le porte, si dové aspettare ancora un’ora per uscire. Quando potei, me ne tornai a casa. Io ti ho raccontato solo un lato del fatto, quel che ho visto io. Il resto lo saprai dai giornali, specialmente dalla Patria del 16. Il certo, in tutto ciò, è che la cosa non è venuta su così a un tratto. E che era preparata da un pezzo. Era un pezzo che quel predicatore di Sanseverino aizzava la plebe contro gli studenti, i professori, l’Università. Mi dicono che la polizia sapesse qualche cosa. E se lo sapeva, perché non pigliare qualche misura? Dire: i professori e gli studenti d’una Università, mentre fanno lezione, sono assaliti da camorristi, dai lazzaroni e dalle puttane coi revolvers, cogli stocchi e cogli spiedi –, è quel che si può dire di più orrendo per un paese e per un governo. Noi eravamo lì; in buona fede; e le porte dell’Università aperte; senza quel due colpi di pistola, potevamo essere accoppati senza avvedercene. Lasciamo stare quel che si sapeva prima di quel giorno. Ma, per Dio, io non so capacitarmi come non si potesse provvedere a tempo, anche allora, su due piedi. Quando io entrai all’Università, il fatto col predicatore di Sanseverino era già successo; il popolaccio della contrada e gli studenti in moto innanzi all’Università dicevano chiaro, che qualcosa sarebbe avvenuto. Passi anche questo. Quando noi udimmo quel primo chiasso, erano i lazzari che in poco numero cercavano di entrare, ma non poterono, perché molti studenti erano giù. Si allontanarono, scomparvero. Perché le porte non si chiusero? E i tanti mangiapane dell’Università cosa facevano? Perché almeno non avvertirono i professori e gli studenti che facevano lezione? Cessato il chiasso, io ricominciai la lezione. I lazzari etc. erano scomparsi per andar giù al Pendino a chiamar gli altri. E ritornarono in gran numero, e trovarono aperte le porte dell’Università etc. Quel tale che mi disse: Niente, alla porta dell’Università, era il Rettore stesso. Uscì, e non ritornò più. Questo lo dico a te, a te solo. Non lo dire a nessuno, perché non voglio far male a nessuno e non amo pettegolezzi. Dovere il Rettore in quel giorno, dovere delle persone che amministrano l’Università era di prevenire quel che successe: era loro dovere il pensare alla sicurezza dei professori e studenti: avvisarli almeno. Niente, proprio niente. Non un bidello comparve: tutti scomparsi. Si sa anzi che alcuni muratori addetti all’Università erano tra gli assalitori; uno della tipografia dell’Università fu trovato nascosto in un bugigattolo con parecchie ferite, avvenute da studenti, etc. Si dice: i preti – i pretacci – hanno aizzato il popolo ignorante. Ciò è vero; la colpa è dei preti, non del popolo. Ma questo aizzare ha cominciato da un pezzo. Si è cominciato coll’aizzare i giovani stessi; e gli aizzatori sono stati altri preti e non preti – non quelli che predicano al volgo –, ma quelli che il governo ha innalzato, ha pagato, paga e strapaga. Hanno aizzato i giovani, i padri di famiglia, le coscienze deboli, anche certi impiegati della stessa Università. Tutto questo si sa. È notorio. Conciliazione, moderazione. Ca-
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pisco. Ma ci sono certi bricconi, che dovrebbero essere trattati da bricconi. Noi poveri professori emigrati abbiamo per colleghi certi emeriti onorarii e che so io, che starebbero bene altrove, non nell’Università, Dio gliela perdoni a De Sanctis! Ieri ci fu consiglio d’istruzione pubblica per questa faccenda. Si convenne che bisognava fare un rapporto sui fatti, e su quel che si dovea dire. Tutti convenirono che era una cosa orrenda, che i professori non erano sicuri, etc. Io parlai forte, e feci notare che il fatto del 15 differiva nella specie, ma non nel genere prossimo da certi altri fatti, da altri aizzamenti. Ti ho scritto tutto per tua regola. Ti ripeto, fammi evitare i pettegolezzi. D’altra parte bada per me costì, e pensa che abbiamo a fare con bricconi. Vigila dunque e avvisami. Hai capito? Papà sta bene e ti saluta con Isabella, Millo, dà l’acchiusa a Ciccone. Bertrando BPB, Fondo Beltrani, c.c. 922 (ed. in Masellis, Lettere inedite, pp. 704-706).
213 A Silvio Spaventa Napoli, 22 marzo 1862 Mio caro Silvio, Ho consegnato l’altro ieri le mille lire a Ferdinando Fonseca,36 che o sarà già partito o partirà subito per costì. – Ho letto i nomi dei votanti pel sì e pel no sulla quistione ministeriale.37 È una maggioranza, che non c’è stata mai in Italia: Gustavo Cavour38 e Brofferio 39 insieme etc. Qui – i soliti – già cominciano a gridare che siete traditori della patria, perché non avete votato pel Ministero. Insomma, traditori, quando appoggiate un ministero, ed essi gli facevano opposizione; traditori, ora che voi fate opposizione a un ministero, ed essi l’appoggiano. Non mi meraviglierei, se domani uscisse la solita lista per Toledo: i traditori della Patria. Io sto come stavo. Dopo il 15 niente di più. Ma chi ci assicura che non ci sarà più niente? Finché si trattava di parlare e ribattere parole; di esser chiamato non so che cosa; di essere denunziato, etc.: meno male. Ma aver che fare coi revolvers, ti dico chiaro che la cosa non può andare così. Capisco che la seconda posizione è una conseguenza della prima qui; e per me i veri assassini sono quelli della prima posizione. Ma è inutile; l’Italia si fa così, e non c’è che dire. Se un tal di tale per esempio che ha fatto il borbonico e lo fa anche adesso in tutti i modi che può, calunniando e ammazzando chi non l’ha fatto mai, 36. Ferdinando Lopez Fonseca (1822-1886), patriota e politico; docente universitario di ingegneria a Napoli e Firenze. 37. Si tratta del Ministero Rattazzi, costituitosi il 3 marzo 1862. 38. Gustavo Filippo Benso, marchese di Cavour (1806-1864), politico, deputato in parlamento, fratello maggiore di Camillo, fu esponente del fronte clericale e tra i fondatori del giornale «L’Armonia della religione colla civiltà». Dal 1849 fu deputato del regno di Sardegna e poi nel 1861 del regno d’Italia. 39. Angelo Brofferio (1802-1866), politico e drammaturgo, fu avversario di Cavour in parlamento, ostile alla spedizione di Crimea e all’alleanza con la Francia.
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se questo tal di tale non fosse la pupilla degli occhi di qualcuno che è su, di certo l’Italia non si farebbe. Dunque per fare l’Italia, viva i borbonici e abbasso etc. Accada quel che ha ad accadere. Ma ti ripeto che sono già seccato e stomacato di questo porcile di vigliacchi assassini. – Ho saputo chi erano quelli che sparlavano di te:40 Domenicantonio Sacchetti, Aurelio Cipriani, Colantonio Sacchetti, Ciro Sacchetti, Carmine Santorone. La strada del Sangro non l’ha fatta concedere Don Silvio41 – nemico capitale della patria –, e che pel suo modo d’agire non dovrà mai esser rieletto etc. – Vorrei sapere se tu hai avuto parte o no in quella concessione e come è andata la cosa. – Bisogna pensare nel caso di scioglimento della Camera. Rispondimi su ciò. Chi scrive da Bomba – un artigiano – vorrebbe che tu dessi un attestato di non so che agli atessani, vani sempre. L’artigiano ne sa più di me e di te. In caso di rielezione, gli imbrogli dei patrioti sarebbero infiniti, e la vigliaccheria anche infinita. Scrivo di fretta. Addio e ti do i saluti di Papà, Isabella e Millo. Saluto Berenice Raffaele42 etc. Saluto Ciccone e digli che pagasse Löscher. 43 Come va (cioè va) che Scialoja ha detto sì? SNSP, XXXI.D.1 (ed. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 713-714).
214 A Silvio Spaventa Napoli, 4 aprile 1862 Mio caro Silvio, È un gran pezzo che non ti scrivo, e chi sa come tu avrai fantasticato. Io sto bene, e tiro avanti come dio vuole. Non sono né scontento né contento; sono un po’ – ma solo un po’ – annoiato. Passerà. – Niente di nuovo all’università. Qui si parla – già da due settimane – di non so che congiura scoperta in qualche battaglione di guardia nazionale, di soldati, e perfino nelle guardie di pubblica sicurezza. Si dice, che con venti ducati si seduce un individuo… napoletano. Dopo questa ultima ci sarà altra crisi ministeriale? Cos’è Matteucci?44 Lo conosci? Domando così per domandare, e in verità sono così stordito che non so quel che mi dico. Se tu potessi mandarmi franco per la posta quel suo progetto di legge, mi faresti un piacere. Se no, non mi importa poi tanto. Che dice Mancini? E Lauretta? 45 Mi figuro: rossi da non poter più arrossire. Al solito domando sempre notizie politiche a te; io non ho da dartene. – E dell’affare dell’Anciulli 46 che ne sarà ora? – Ciccillo Vizioli ti scrive oggi
40. Cfr. lettera 210. 41. Silvio Spaventa. 42. La sorella Berenice e il marito Raffaele Paolucci. 43. Hermann Loescher (1831-1892), libraio ed editore tedesco naturalizzato italiano; nel 1867 fondò a Torino la casa editrice che porta il suo nome. 44. Carlo Matteucci (1811-1868), fisico e politico, insegnò all’Università di Pisa; senatore dal 18 marzo 1860, fu ministro della pubblica istruzione dal 31 marzo al 6 dicembre 1862. 45. Laura Beatrice Oliva, moglie di Pasquale Stanislao Mancini. 46. Cfr. lettera 211.
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stesso per raccomandarti suo fratello Fonsino già soldato. Vedi di fare qualche cosa per lui; non ti dico altro. Vedrò di scriverti tra giorni lungamente. Papà sta bene con Isabella e Millo. Addio di fretta. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
215 A Silvio Spaventa Napoli, 22 aprile 1862 Mio caro Silvio, Ho ricevuto stamane la tua lettera da Chieti, e ti rispondo subito e in fretta e poche righe. Hai fatto bene a rivedere gli Abruzzi e a farti rivedere.47 Bada ai briganti. Farai poi benissimo a visitare il Vasto. Va anche in Atessa. Sii affabile, cortese, popolare. Ci sono certi bricconcelli che già si apparecchiano a far eleggere altri in caso di scioglimento. Nel tuo viaggio tien sempre l’occhio a questo. Ti scriverò un altro giorno a lungo. Saluti di papà etc. Bertrando Fa che la tua gita sia politica e specialmente elettorale sotto ogni rispetto. SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
216 A Silvio Spaventa [Napoli, 2 maggio 1862] Mio caro Silvio, Ti scriverò forse domani, sebbene non sappia cosa dirti. Bada nell’andare al Vasto. È necessario che vada; ma con tutta la sicurezza possibile. Qui dicono che il ministero non sarebbe avverso allo scioglimento della Camera. Pare che cerchi di lusingare, e apparecchiare così il terreno a una nuova elezione di deputati. Promesse molte; e – cosa insolita – a Napoli – proprio a Napoli – ci sono giornali che gridano osanna al ministero. Molte bocche hanno ricevuto focacce, e molte sperano di averle. Mi dicono che il Re48 ieri nel ricevere i deputati e i senatori disse un non so che, che significava un certo biasimo al passato ministero. Almeno, Berardi così mi ha riferito. Napoli ha ricevuto il Re, come sa47. Nel mese di aprile 1862, Silvio partì per l’Abruzzo alla ricerca di consensi (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 32-33). 48. Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia (1861-1878).
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prai, con grande entusiasmo. Nel ricevimento dell’Immacolatella vidi Conforti, col quale parlai molto. Le solite chiacchiere e carezze. Rividi anche il Professore Sornione, il quale dice che se fosse stato lì, avrebbe votato pel sì. Si capisce. Ciccone mi domanda di te e ti saluta. Anche Pace. Non ho bisogna di dirti di pensare al caso di nuova elezione, o a Bomba o a Vasto. Pensa anche agli Atessani. Bada sopra tutto – ti ripeto – alla sicurezza nel viaggio. Scrivimi subito e dimmi cosa farai. – Io sto bene, sebbene un po’ stanco. Papà anche sta bene. Addio. Scrivimi. Saluto i nostri. Isabella e Millo ti salutano Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
217 A Silvio Spaventa [Napoli, 6 maggio] 1862 Mio caro Silvio, Ti mando una lettera ricevuta per la posta. – Scrivimi e dimmi cosa farai: se passerai per qua o tornerai a Torino per Ancona. Qui siamo in festa sempre. E i napoletani non vogliono altro. Il Re sempre applaudito. – Bada – ripeto – nell’andare al Vasto. Noi stiamo tutti bene. Domani gran festa di ballo a Palazzo. Invitati anche noi altri professori, liberali e exborbonici. Addio di fretta. Saluto tutti. Scrivi Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
218 A Silvio Spaventa Napoli, 7 maggio 1862 Mio caro Silvio, Non ho più tue lettere dal giorno del tuo ritorno costà. – Qui le cose vanno sempre come ti ho scritto nell’ultima mia. Il Re sempre applaudito. È andato a San Gennaro a regalare una collana di gemma al Santo. Figurati l’entusiasmo dei buoni napoletani. Le vie di Napoli sono piene di polvere. I maligni dicono, che è polvere agli occhi, gittata dai ministri. Si spera molto, perché si promette molto. Mandoj, Sandonato et similia sono in gran faccende, e hanno ragione. Mi hanno detto che sono stati nominati i membri dell’accademia di scienze morali e politiche: Trinchera, Pessina, Pisanelli etc. Per esser accademico si deve non solo saper parlare, essere un gran professore, ma specialmente un gran scrittore; e nessuno può negare che i nominati non siano tali. Le cose dunque vanno benissimo in tutti i versi. Prima si facevano favori; ora si premia il merito. Comincia a valere, a essere riconosciuto questo disgraziato finalmen-
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te. Si conferma che il re abbia detto parole di biasimo sul passato ministero, come ti scrissi. 49 Si parla, ma sordamente, di circolari segrete ai prefetti per prossime elezioni. Non si può negare che si mostra grande abilità. La vita è un gioco, e vive meglio chi gioca meglio. Tanti anni fa – quando tu eri là rimpetto a Gaeta e io colà a piè delle Alpi, 50 non avrei mai imaginato di dover vedere un giorno su certi uomini. Ma così è, e non ci è che fare. – Tu non sapevi se dovevi passare per qua o tornare per Ancona. Quel che ti posso dir io, è di tornare per Ancona. So, che i soliti patrioti qui apparecchiano non so che cosa, caso che tu passassi per qua. Dicono tante cose; che tu sei ito in Abruzzo per far non so che guerra contro non so chi. Imagina tu cosa possono dire di bello. Papà stesso, che desiderava rivederti, desidera ora che te ne torni per Ancona. In breve, sarà meglio che non venga qui. Spero che farai come ti dico io. Il resto te lo dirò a suo tempo; quando sarai giunto a Torino. Senti a me. – Scrivimi, e bada sempre al viaggio. Sicurezza, quanto più è possibile. Addio. Papà e Isabella con Millo ti salutano Bertrando È inutile che ti dica di pensare seriamente al caso di nuove elezioni. SNSP, XXXI.D.1 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 21).
219 A Silvio Spaventa [Napoli,] 11 maggio 1862 Mio caro Silvio, Giovanni Vizioli, che tu conosci, bravo giovine e molto svelto, mi scrive, perché ti raccomandi una sua domanda al Ministro dell’Istruzione Pubblica. – Vorrebbe essere nominato Ispettore del circondario di Vasto. Non so se la cosa sia possibile, giacché gli Ispettori della Provincia di Chieti sono ora ridotti a due. Ad ogni modo vedi, e rispondimi. Quel De Marco di Caramanico che fu mio scolaro al seminario e credo tuo compagno mi manda la supplica acchiusa. Io te la trasmetto. Fa ciò che credi. Dunque verrai alla fine di Maggio? Fammelo sapere, e dammi qualche notizia. Io sto bene colla famiglia. Addio. Ama Il tuo Bertrando Sono ancora qui alla Delegazione. Pazienza! SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
49. Bertrando allude a pareri espressi da Vittorio Emanuele II durante la visita napoletana (cfr. lettera 217). 50. Si riferisce all’ergastolo di Silvio a Santo Stefano e al suo esilio a Torino.
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220 A Silvio Spaventa Napoli, 22 maggio 1862 Mio caro Silvio, L’amico Ghio51 mi dà questa memoria sul Barone,52 eletto deputato di Acerra – la cui elezione fu sottoposta ad inchiesta; ed io – quasi non ho bisogno di dirlo – te la mando, e raccomando. È interesse comune, cioè di tutti i buoni che il Barone sia aiutato e riesca. Dunque fa ciò che puoi. Non ho tue lettere da un pezzo. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
221 A Silvio Spaventa Napoli, 31 maggio 1862 Mio caro Silvio, Ieri ho ricevuto la tua. Ti avrei scritto da un pezzo; ma non sapevo se eri ritornato a Torino. M’immaginava che ti saresti fermato per via. Che devo dirti delle cose di qui? Napoli è sempre quella: la stessa sporcizia dentro e fuori. Credo che non ci sia rimedio; e il rimedio ci sarà, ma bisognerà aspettare ancora anni e anni, perché – applicato – produca qualche po’ di bene. Sai già i fatti della guardia nazionale, e chi sia in mezzo a tutta questa faccenda. Credo che tu legga i giornali di qui, e veda come il senno politico sia sempre lo stesso, cioè poco o niente. Anche chi conosce un po’ meglio le cose, ha paura di dire quello che pensa. Prima si aveva paura di Campagna;53 ora si pensa all’opinione pubblica; si ha paura di esser chiamato reazionario. E già voi altri – secondo i liberali napoletani – siete tutti reazionari; siete i terroristi bianchi. È sempre dunque la stessa arte poetica, applicata a tutti i tempi e luoghi. È incredibile il fracasso che fanno. Non si parla d’altro che di rivoluzione e cose simili. Che farà il governo? Ora si vede quanto si è sbagliato da quasi un anno in qua. Il primo sbaglio fu l’invio di Cialdini; e poi il resto. Il Governo in certo modo ha fatto qui quel che fa la stampa: accarezzato il lato debole dei napoletani, invece di correggerlo. Uomini di poco conto o di molto (ma non buono) sono venuti su come i funghi; e anche nell’ultimo mese mi è parso di vedere un po’ l’epoca di Don Liborio:54 pane e olio. Perché non si dica: non si valgono dei napoletani e vogliono poi tutto loro quei di lassù, hanno preso questo o quello, costui o colui, e poi l’hanno mostrato al pubblico, e detto: vedete: noi facciamo gran stima dell’elemento napoletano: dell’elemento schietto, non del lievito della consorteria. 51. Raffaele Ghio, tipografo napoletano, editore di alcuni libri di Spaventa. 52. Vincenzo Barone (1832-1896), avvocato della provincia di Napoli, deputato in parlamento nella X legislatura. 53. Commissario di polizia, arrestò Silvio Spaventa in via Toledo a Napoli il 19 marzo 1849. 54. Liborio Romano.
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Questa è la tattica: valerci di quelli che… non valgono. Che si fa ora? Che farete? Che gioco ci sarà? È evidente che si ricorrerà a voi altri. Qui può essere l’imbroglio. La cosa principale è di avere un governo, che meriti questo nome. Se continuiamo così, vi può essere pericolo serio, e avremo a rimetterci sulle spalle la valigia. A te non manca senno, e sai come hai a regolarti. Quello che io ti raccomando è di scansare – nelle imminenti tempeste – ogni anche piccola buggera con quelle bestie che tu sai. Sono partiti di qua – dal loro serraglio – colla intenzione di far chiasso. Bada a questo. Lunedì partirà Ciccone e forse ti scriverò di nuovo. Da lui saprai altro. È stato qui Pappalettere,55 ed è venuto a vedermi. Mi disse che ti avrebbe scritto. È amico di D. M. (Diomede Marvasi) e ha molto piacere di trattare le faccende politiche. Mi disse che la tua risposta l’avrebbe fatta leggere al suo amico. Ti dico che non ne capisco niente. Tu che ne capisci più di me, ti regolerai nel rispondere. Addio di fretta. Avrei a dirti tante cose, ma non posso. Spero tra giorni. Addio. Bertrando Ti dico – ma è un segreto e non dirlo a nessuno – che mi hanno nominato accademico. 56 Intendo che mi hanno nominato i nominati dal governo. Non so ora che formalità di approvazione governativa ci voglia. Bada a ciò, ma senza far veder niente. Non credo che ci possa essere imbrogli costà. Ma te l’ho voluto dire. Ma segreto. È inutile dirti che mi hanno nominato, senza che io mi sia raccomandato a nessuno. A nessuno. BPB, Fondo Beltrani, c.c. 922 (ed. in Masellis, Lettere inedite, pp. 706-707).
222 A Silvio Spaventa Napoli, 16 giugno 1862 Mio caro Silvio, È un pezzo che non ti scrivo, e l’unica cagione è che non ho avuto tempo. Finalmente, altre tre o quattro lezioni, ed è finito… per quest’anno. Ti dico, che con tutto il piacere che naturalmente posso avere a far lezione, ora già non ne posso più. Dunque alla fine del mese, vacanze. È vero che abbiamo gli esami, che per me sono un vero martirio, tanta è la noia che mi cagionano. E sfido io a non annoiarsi a udire tanti spropositi da questi figliuoli di Vico, per non dir altro. Ma anche gli esami passeranno. E forse forse, sai che cosa? Forse alla fine di Luglio verrò per una ventina di giorni a Torino. È più facile di sì che di no. In altra lettera ti dirò come e perché. Ti mandai subito per la posta quel libro sull’amministrazione demaniale.57 Come vai con questo bell’incarico? Spero, che non ti seccheranno 58 da qui i nostri bravi concittadini. 55. Simplicio Pappalettere (1815-1883), abate a Montecassino dal 1858 al 1863 e insegnante di filosofia; legò con Silvio Spaventa e Luigi Tosti, assieme ai quali scrisse una lettera anonima al re di Napoli per richiedere la Costituzione di Cadice. 56. Allude alla nomina a socio dell’Accademia di scienze morali e politiche di Napoli. 57. Silvio fu nominato membro della Commissione degli affari demaniali, di cui era presidente Gustavo Ponza di San Martino; per questo, in una lettera del 2 giugno 1862 a Bertrando, chiese che gli venisse inviato «un dizionario degli affari demaniali» (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 33). 58. Lapsus calami. Gentile: «non ti seccheranno».
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Credo che hai fatto bene a votare per sì nel 6 Giugno.59 È vero, che io ne capisco poco e niente. Ma mi sarebbe parso un quasi pettegolezzo votare pel no, e anche un po’ contrario ai principi. Ma cos’ha prodotto questo voto? Andrà il governo? Andrà la maggioranza? Qui dopo le 70000 suppliche, il malcontento è moltiplicato all’infinito. Il Governo non si è accorto di una cosa, ed è, che per contentare i napoletani ci vuol altro che misure d’interesse generale e pubblico; questo si conosce poco qui, e se ne ridono, se tu ne parli. Quel che ci vuole è tante misure, quanti sono i singoli individui; bisogna contentarli uno per uno; a ciascuno una pensione, o un impiego, o una croce, o qualcos’altro. Credo che lo stesso San Gennaro non sia contento del regalo di non so quante migliaia di franchi, una volta tantum, e gridi anche lui per una pensione. Perché non impiegare San Gennaro? Non ti dico niente del chiasso che fanno i paglietti per la legge del registro e bollo. L’idea di non poter litigare più come prima è un gran boccone amaro per loro. Il popolo – sovrano – non ne capisce niente; ma i borbonici da un lato e gli azionisti60 dall’altro soffiano e gonfiano tanto, che non c’è da scherzare; si finirà per crepare o in un modo o in un altro. Intanto il murattismo – capo del comitato dicono sia il Bianchini61 – si affaccia di nuovo, e soffia e gonfia anch’esso. Anche le madonne – le centomila madonne dei contorni di Napoli – si sono scosse dal loro torpore, e cominciano a far miracoli: una ha impallidito, un’altra ha chiusi gli occhi, un’altra gli ha aperti etc. Si aspetta il gran miracolo di Santa Brigida per la espulsione di cinque o sei frati da quel locale. – Come vedi, da due anni si è fatto un gran progresso in Napoli: la stampa è libera, le opinioni sono libere, e gli asini e i maiali sono più liberi di prima di passeggiare per Toledo comodamente. Avrei tante cose da dirti; ma sono sempre pettegolezzi, e ci è tempo. Aspetto sempre una lettera politica da te. Berenice62 come sta? Salutamela coi suoi anche da parte di Papà e Isabella, che stanno bene. Finisco qui, perché devo andare agli esami. Ho già pronti 900 lire, e tra giorni saranno 1000. Sono a tua disposizione. Ma, economia: non quella scritta sulla bandiera del Ministero. Addio. Scrivi. Saluto Ciccone. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (ed. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 715-717).
223 A Silvio Spaventa Napoli, 1 luglio 1862 Mio caro Silvio, Ho ricevuto l’ultima tua lettera del 22 giugno. – Sono già due giorni che ho finito le lezioni, e ora sono un po’ più libero; sebbene mi rimanga ancora la cosa degli esami 59. Il 6 giugno, alla Camera, si discussero i fatti di Sarnico e la sommossa mazziniana del maggio precedente finalizzata a scatenare, con l’appoggio di Garibaldi, l’insurrezione della popolazione contro gli austriaci. Dopo le dichiarazioni del presidente del Consiglio dei ministri, Urbano Rattazzi, Silvio espresse il suo voto favorevole insieme ad altri 188 votanti, mentre 33 furono contrari e 28 astenuti. 60. I seguaci del partito d’azione. 61. Ludovico Bianchini (1803-1871), economista e uomo politico durante il regime borbonico. 62. Berenice Spaventa.
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per tutto questo mese. Ho lavorato un po’ quest’anno: ho fatto una larga introduzione alla filosofia, delle lezioni sopra il Gioberti, e tutta la Logica (e63 Metafisica).64 Qualche po’ di bene credo di averlo fatto; e se a principio gli uditori e studenti erano o avversi o diffidenti o indifferenti, ora ci sono molti che avendo continuato sino alla fine – avendo avuto tanta pazienza – hanno mostrato con ciò solo una buona disposizione verso di me. E aggiungo (vedi Mancini), che gli applausi che mi hanno fatto nell’ultima lezione, sono stati strepitosissimi. Insomma, se non altro, un certo dubbio è nato nell’animo loro, che quel formulario che è stato loro insegnato negli ultimi 13 anni, non sia che un formulario. È incredibile cosa hanno fatto di questi poveri giovani, e quanti pregiudizi hanno messo loro nel capo. A Napoli si nasce filosofo, e la filosofia è la cosa più facile di questo mondo: basta risolversi e dire: io sono filosofo. Qui il Giobertismo è diventato una specie di bramanesimo;65 e i nuovi bramani formano una casta non meno tenace e intrigante dell’antica. Degni loro avversari i cosiddetti hegeliani napoletani, bramani anche loro in un senso opposto. È impossibile misurare la profondità della loro ignoranza – degli uni e degli altri – della storia della filosofia: ne hanno una, tutta di loro invenzione, che rassomiglia alla vera, come la geografia dell’Ariosto alla vera geografia. A questa babilonia contribuiscono non poco, anche in questi tempi, non pochi insegnanti, ufficiali e non ufficiali: quei tali ciarlatani a sonagli, di cui tanto abbonda il nostro paese. Spaccano e tagliano, che è uno stupore a udirli. Un tale ha tutto l’Oriente in tasca, un altro tutto l’Occidente, un altro tutto un altro mondo, e appena appena poi, quel che hanno in tasca non è che uno straccio di carta dell’opera di Cesare Cantù. 66 È verità quel che ti dico. E i poveri giovani stanno a bocca aperta. Noi quando eravamo giovani sapevamo Cesare Cantù. Oggi i giovani – meno pochissimi – non sanno niente, né meno la storia romana e greca di Goldsmith67 e la geografia di De Luca. 68 E continuerà così, se non ci si ripara. Io che da quasi un anno vado quasi ogni settimana a visitare quell’ospedale che si chiama sala degli esami, so quel che ti dico. È una malattia profonda e vecchia, e i protomedici eletti a regolare cura, sono i primi malati. Siamo al: cura te ipsum. – Se volessi continuare non la finirei mai. Ti ho scritto che forse sarei venuto a Torino alla fine di Luglio. Ora ti dico lo stesso. È Ciccio Russo, che mi sta stuzzicando da un pezzo. Non ho risoluto ancora. Ma se verrò, sarà per pochi giorni. Sarete o non sarete sciolti? Credo che la cosa così non possa andare. È un po’ di scandalo questo, che non si vedeva ai tempi di Cavour. È certo che il cervello manca, 63. Gentile: «o». 64. Queste lezioni, insieme alla prolusione Della nazionalità della filosofia, furono stampate nell’ottobre del 1862 con il titolo Carattere e sviluppo della filosofia italiana dal secolo XVI sino al nostro tempo alle pagine 31-214 nel volume citato nella lettera 198, nota 60. 65. Cfr. lettera 199. 66. La monumentale Storia Universale, uscita in 35 volumi, di Cesare Cantù (1804-1895), storico e politico, deputato del regno di Sardegna nella VII legislatura e del regno d’Italia nell’VIII e nella XI legislatura. 67. Compendio della storia romana dalla fondazione di Roma fino alla caduta dell’impero romano in occidente del dottor Goldsmith tradotto dal francese sull’edizione di Parigi dell’anno 1801, 2 voll., Napoli, Tipografia di Antonio Garruccio, 1814; Compendio della storia greca dalla sua origine fino alla riduzione della Grecia in provincia romana del Dottor Goldsmith versione dall’inglese, 2 voll., Milano, presso Pirotta e Maspero stampatori librai, 1812. 68. Ferdinando De Luca, Nuovi elementi di geografia o esposizione degli studi geografici secondo l’ordine dell’insegnamento, Napoli, Tipografia della Società Filomatica, 1833.
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e che ciò che non manca sono le pretensioni infinite di aver cervello. Come si risolverà questa faccenda? Il Governo si scredita, il Parlamento si scredita: tale è la conchiusione. Mi pare che tutto l’ingegno ora consista nei piccoli mezzi: in quei tali espedienti da padre guardiano, che nel 1859 mi facevano tanto andare in collera sul viale del re. – Qui sempre lo stesso: ora aspettano Garibaldi. I nostri concittadini aspettano sempre; sono avvezzi a cercare sempre fuori di loro quel che possono trovare solo in loro medesimi. Se poi non ce l’hanno, è inutile ogni fatica. E io credo inutili tutti questi rimedi esterni, queste mezze panacee degne solo dei tempi passati e del povero Don Liborio.69 A proposito. Don Liborio è risorto ed è vivo, per l’unica ragione che era morto. Corse questa voce, or sono poche settimane; e un amico di casa andava a condolersi colla famiglia. E chi trova? Appunto Don Liborio, che sdraiato sopra un seggiolone leggeva in un giornaletto di Napoli la sua necrologia. Ti mando una lettera di Tari, che avrei dovuto mandarti da un pezzo; ma non ho avuto tempo. Il povero Tari teme che o tolgano la cattedra o lo lascino continuare come professore straordinario. Egli vuole essere nominato ordinario. Si raccomanda a te. Ha scritto a Conforti, a De Sanctis, etc. Nessuno gli ha risposto. Puoi tu far qualche cosa per lui? Tari lo merita. Ma ti parlo così, perché non vorrei che facessi quel che non ti conviene di fare presso Matteucci. So che Matteucci ti sente, e gli hai raccomandato qualcuno o qualche cosa. Questo lo sa Tari non so da chi: quindi la lettera. Se tu non hai fatte molte raccomandazioni a Matteucci, vedi se puoi fare anche questa. Se no, puoi rispondere a Tari, che stimi miglior cosa parlarne, quando verrò io costà, insieme con me al Ministro, potendo io far più positiva testimonianza che non tu a Torino, dell’insegnamento di Tari. Ti dico tutto ciò, perché anch’io mi trovo nel caso di dover raccomandare uno a Matteucci per volontà dello stesso Matteucci. Ecco il fatto. Selmi mi scrisse, tempo fa, inviandomi un libro coll’incarico da parte del Ministro di darne giudizio in iscritto. Risposi che l’avrei fatto al più presto. In un biglietto separato pregavo Selmi di farmi sapere se avrei potuto raccomandargli (a lui) un povero giovane di molto ingegno e studiosissimo, mio scolaro, ma che lottava colla fame. Che fece Selmi? Fece leggere anche il biglietto al Ministro; il quale gli commise di scrivermi, che avessi esposta la cosa direttamente a lui Signor Matteucci. Insomma è il Ministro che vuole che io raccomandi al Ministro uno che io raccomandava solo al suo Segretario particolare. È una gentilezza. Ma non vorrei che si dicesse che io e tu raccomandiamo persone etc. Ecco perché ti racconto questo fatto. Del resto, regolati tu, e vedi come devi rispondere a Tari: se aspettare sino alla mia venuta, o no. – Scrivimi. Venendo ti porterò io stesso il dono. Papà sta bene e ti saluta con Isabella e Millo. Dimmi qualche cosa di politica. Saluto Ciccone. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (ed. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 717-719).
69. Liborio Romano.
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224 A Silvio Spaventa Napoli, 2 luglio 1862 Mio caro Silvio, Non so capire perché non mi scrivi da un mese. Ti mando acchiuso un vaglia postale di £ 200. Avrei voluto mandarti qualcosa anche di più; ma sono proprio senza danari. Non ancora è venuto né il primo né il secondo trimestre di quel tale assegno: niente. Già l’assegno è fatto in termini che non mi piacciono. Di ciò scriverò a Rosei domani. Sono quattro giorni che fo il facchino – proprio il facchino – per rispondere alla fiducia che ripone in me l’alta Giunta esaminatrice, che siede costì. Hanno ragione, che il caos è da per tutto, e il loro piccolo e ridicolo caos non si avverte, che da me povero somaro! Ma di ciò un altro giorno. Ora devo uscire per visitare i locali di esame, che pare finalmente si siano trovati, e andare a caccia del sesto commissario, che non ancora si trova, per ritirarmi poi alle 5, e poi alla mezzanotte. Ho tempo da perdere per meritare la fiducia e la lode della giunta! Basta per oggi. Scrivimi e saluta Rosei. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
225 A Silvio Spaventa Napoli, 28 luglio 1862 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto da un pezzo; e tu neppure mi scrivi. La vita che ho menato in questo mese di Luglio e che devo menare ancora quasi per tutto Agosto è un vero castigo di Dio. Abbiamo esami ogni giorno, che durano 4 o 5 ore, e tra il caldo, la noia e gli spropositi ci è da perdere la testa. Aggiungi poi commissioni, consigli di facoltà ed altre bagattelle, che altrove forse farebbero qualche bene, ma che qui non riescono a niente, perché le cose vanno come andavano. Il genio napoletano – creatore per eccellenza – non si adatta a nessuna regola. Hai tempo a regolare! Il napoletano crea sempre, e tu rimani con un palmo di naso. Devo dunque aspettare ancora quasi un altro mese per poter venire a Torino. E verrò, perché ho bisogno un po’ di mutar aria. Avrai il denaro per mezzo di Rosei, che verrà tra giorni a Torino. Ora ti devo dire una cosa. Rosei mi si è serbato sempre amico qui, e l’ha mostrato in tutti i modi. Mi disse, giorni sono, che ti avessi scritto, perché tu pregassi Matteucci di chiamarlo a Torino in un posto vacante di capo di divisione al Ministero. Rosei scrisse anche a Imbriani per questo, e allo stesso Matteucci. Questi gli ha risposto che farebbe volentieri, ma che non può, perché posti vacanti non ci sono, e specialmente perché non ha chi mettere a Napoli nel posto di Rosei. Ora Rosei verrà costà, e vedrà egli stesso le cose. Intanto tu non mancare di parlare subito a Matteucci e per la cosa in se stessa, e perché Rosei vegga che potendo noi facciamo per lui quel che possiamo. Ti prego di questo come di cosa mia. Hai capito?
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Di me e delle cose mie non ti dico niente. Te ne parlerò a voce. Intanto Rosei te ne potrà dire qualche cosa. Ora sono qui, e ci vuol pazienza. Sono già avvezzo a certe piccole furfanterie, che m’hanno fatto e mi faranno, potendo, e le disprezzo. Giorni sono volevano farmene un’altra, ma non ci riuscirono. Ti ripeto che coloro che hanno le mani in pasta qui – nell’Istruzione (non ho bisogno di eccettuar Rosei) – sono furfanti matricolati. È sempre la stessa camorra. A proposito. Qui si parla molto di una camorra di napolitani stabilitasi a Torino che ha i suoi corrispondenti in diversi paesi del Regno e specialmente a Napoli e che fa avere impieghi – specialmente nel ramo delle finanze – mediante pagamento di 300, 400, 500, etc. ducati. Se ne parla, come si parla dei gelati di De Angelis e di Benvenuto. Ne sapete niente voi altri deputati costà? Ne sa niente il ministero riparatore? Ti scriverò, spero, più a lungo per Rosei. Papà sta bene colla famiglia. Saluto Ciccone e sono di fretta. Scrivi. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
226 A Nicola Rosei [Napoli,] 11 agosto 1862 Mio caro Rosei, Ti prego di far pervenire l’acchiusa in mano al signor Ministro.70 Come vedi, è la mia dimissione dall’ufficio di membro ordinario del Consiglio. 71 Ho detto brevemente al Signor Ministro le principali ragioni che ho avuto di far così. Dirle tutte sarebbe stato un fastidio e per lui e per me. E poi a che pro? Quel che importa ora a me, è che la mia dimissione sia accettata, e credo che le ragioni recate bastino. Se il Signor Ministro ha piacere di conoscere in che miseranda condizione si trovi ora il Consiglio, e per quali ragioni, può saperlo da chi si sia. A me fa ribrezzo entrare nei particolari. È doloroso a dire, ma è la verità. Vivere in pace in questo paese vuol dire: o far l’intrigante in capo o far il gerente testa di legno e qualche volta anche dal piedistallo ai vecchi arnesi delle scuderie di palazzo, o ritirarsi. In casi simili, senza pensarci né anche un momento, io ho sempre scelto, e tu lo sai, la terza via. Meno male, abbiamo fatto un gran progresso. Prima, per trovare pace di andare o in esilio, o in prigione. Ora ci è permesso almeno di vivere chez nous, lasciando, beninteso, libero il campo a nostri uomini di genio, come dicono a Napoli.
70. Carlo Matteucci. 71. Bertrando fu membro ordinario del Consiglio superiore della pubblica istruzione di Napoli dal 1861 al 15 ottobre 1865. Il 15 dicembre 1865 fu nominato membro ordinario del Consiglio superiore con sede a Firenze, mantenendo l’incarico fino al dicembre 1866. Il 24 novembre 1867 fu nominato nuovamente membro ordinario, e mantenne tale incarico fino al 12 maggio 1881, allorché fu nominato membro per elezione. Restò in carica fino alla morte avvenuta il 21 febbraio 1883. Dal 1866 al 1870, fu anche provveditore agli studi per la provincia di Napoli (cfr. lettera 311). Fu deputato in parlamento nella X, XI e XII legislatura.
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Avevo pensato di farti una lunga lettera, ma mi ci sono sforzato vanamente per quel tale invincibile ribrezzo che ho detto. Addio e ama Il tuo affezionatissimo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
227 A Silvio Spaventa Napoli, 12 agosto 1862 Mio caro Silvio, Papà va alquanto meglio, sebbene un po’ lentamente. Ciccillo 72 e De Martino73 dicono che non è niente, e che ci vuole un po’ di pazienza. La sua malattia è una diarrea, effetto del gran caldo. Non ha, e non ha avuto mai febbre; e dove prima evacuava 9 o 10 volte al giorno, ora evacua 6 appena e senza quei dolori che soffriva prima. Ha appetito, sebbene tema di mangiare, e sia molto impressionato. Io fo il possibile per distrarlo. Intanto ieri mi si ammalarono Isabella e Millo con una febbraccia, che dura ancora oggi. Sarà reumatica, e effetto d’un po’ di freddo, che ci è stato l’altro ieri. Pazienza. Vedi bene che io non mi posso muovere di qui per ora. Devo ancora aspettare. Rosei tarderà ancora a venire una diecina di giorni. Se tu hai bisogno urgente di denaro, te lo manderò per la posta. Io ho pronto tutto il denaro che devo a te e a Fittipaldi. Il quale l’altra sera mi disse che avea bisogno di qualche cosa. Dimmi tu che devo fare e nel caso cosa vuoi che gli dia. Pare che la crisi duri ancora e per un pezzo. I napoletani dicono che è una commedia. Chi ha un po’ di giudizio non ha visto bene l’intervento del Re.74 È il ministero che dice: io sono un minchione, e faccia ora la sua prova il Re. E il Re che figura ci fa? – Nel nostro circondario i briganti hanno fatto e fanno baldoria. Hanno invaso Guilmi, dove hanno fatto strage di galantuomini, Carpineto, Monteferrante, Colledimezzo, etc. Don Federico75 e Biagio colle loro famiglie sono fuggiti a Bomba in pianelle. Et voilà. Scrivo di fretta, perché devo fare l’infermiere. Addio e scrivi. Saluto Berenice e Raffaele. 76 Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
72. Francesco Vizioli. 73. Antonio De Martino (1815-1904), docente di patologia generale a Napoli, nel 1861 membro straordinario del Consiglio superiore della pubblica istruzione a Napoli. 74. Il re Vittorio Emanuele II era intervenuto il 3 agosto con un proclama in cui condannava le «colpevoli impazienze» dei seguaci di Garibaldi. 75. Federico De Laurentiis. 76. La sorella Berenice e il marito Raffaele Paolucci.
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228 A Silvio Spaventa [Napoli,] 19 agosto 1862 Mio caro Silvio, Ho ricevuto l’ultima tua lettera, e rispondo subito. Isabella e Millo sono perfettamente guariti. La malattia di Papà continua e fa il suo corso. Ti dissi che era una diarrea. Ci è un miglioramento, perché prima le feci erano quasi nere e molte, e ora sono di colore quasi naturale e poche. Prima evacuava un 12 volte al giorno; ora 6 appena. Prima le evacuazioni erano accompagnate da forti dolori; ora i dolori o non ci sono, o sono leggeri. Intanto continua a essere svogliato, un po’ di cattivo umore e preoccupato; mangia poco, non perché non abbia appetito, ma perché teme di mangiare. Noi gli diamo animo, e facciamo tutto quel che possiamo per confortarlo; qualche volta con successo, qualche volta inutilmente. I medici dicono che pericolo non ci è, almeno finora. Se ci sarà qualcosa di nuovo, te lo scriverò subito, e in caso di necessità ti manderò un dispaccio. Aspetto Tommasi, che ci dice verrà domani, e ti scriverò quel che mi dirà. Io potrei partire nella settimana ventura. Mi regolerò secondo che andrà la sua malattia. Aspetta dunque sempre un mio nuovo avviso. Esco, per mandarti 500 lire per ora. Il resto o te lo porterò io stesso, o te lo manderò. Saluto Berenice e Raffaele,77 al quale dirai che ho avuto già la sua polizza, la quale, credo, deve essere firmata da lui. Addio di fretta. Ti scriverò subito dopo aver visto Tommasi. Tuo Bertrando Rispondi subito se hai ricevuto il biglietto di banca che ti acchiudo di 500 lire. SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
229 A Silvio Spaventa Napoli, 24 settembre 1862 Mio caro Silvio, Ricevo le tue lettere. – La lettera del Villari giunse qui il 20 (mercoledì), e fu scritta il lunedì. Io te la mandai, perché nella sua gran tenerezza per me non mi pareva schietta. Non ho risposto. Non credo che Broglio, 78 imbrogliato e raggirato com’è, mi nomini. Mi piacerebbe essere piuttosto Consigliere e Provveditore, che semplicemente Provveditore. Ma poco spero. Tu intanto fa, e strepita se occorre; tanto, per mostrare di non patire in pace certe 77. La sorella Berenice e il marito Raffaele Paolucci. 78. Emilio Broglio (1814-1892), uomo politico e scrittore, deputato per più legislature e ministro della pubblica istruzione dal 1867 al 1869.
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brutte cose. Già qui si dice, che per provveditore verrà o il Cammarota o il Masi. 79 E pare che tutti e due aspirino a tal posto. Te lo dico per tua regola. Scrivimi subito. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
230 A Sua Signoria Illustrissima Il Ministro della Istruzione Pubblica80 Torino Napoli, 31 ottobre 1862 Illustrissimo Signor Ministro, L’articolo 53 della Legge del 16 Febbraio 1861 sull’istruzione superiore delle province napoletane dice: «Ogni Facoltà avrà un preside… L’ufficio di preside sarà esercitato dai professori ordinari e dai professori emeriti successivamente per ogni anno, secondo l’ordine della loro nomina. Tra quelli che sono nominati contemporaneamente, sarà preferito il più antico di età». Nella Facoltà di lettere e filosofia, alla quale io appartengo, vi sono 8 professori ordinari, e nessuno emerito. Degli 8 professori ordinari 3 furono nominati collo stesso decreto del 29 ottobre 1860, cioè io stesso, il Fiorelli81 e il De Luca, e gli altri 5 in epoche posteriori. Nell’anno passato il Rettore De Luca installò preside il Fiorelli, sebbene nominato contemporaneamente con me e meno antico di età di me, dicendo che il Fiorelli dovea considerarsi come nominato prima, perché avea accettato, giurato e preso possesso della sua cattedra prima di me. A ciò io risposi, che, trovandosi il Fiorelli in Napoli nel giorno stesso della nomina, era cosa naturalissima che accettasse, giurasse e pigliasse possesso prima di me, che mi trovavo fuori di Napoli, esule fin dal 1849, e in quel giorno a Bologna come Professore ordinario nell’Università; 82 e che d’altra parte a me pareva che nomina significasse nomina, e non già accettazione, giuramento e altro, e che fosse una strana teoria quella che introduceva nella contemporaneità della nomina un ordine di precedenza in ragione inversa della distanza dal luogo della nomina stessa. La risposta del Rettore fu, che io non solo – sebbene nominato contemporaneamente al Fiorelli – dovea essere considerato come nominato dopo di lui, ma – sebbene nominato molto tempo prima dei professori Tulelli83
79. Raffaele Masi (1817-1876), letterato napoletano, allora impiegato nel Ministero di pubblica istruzione; nel 1860, abolito il Consiglio dell’istruzione pubblica, fu chiamato a far parte della Commissione per la riforma dell’istruzione, di cui era segretario Francesco De Sanctis. 80. Carlo Matteucci. 81. Giuseppe Fiorelli (1823-1896), archeologo e docente all’Università di Napoli; senatore del regno d’Italia dall’8 ottobre 1865. 82. Cfr. lettera 185, nota 17. 83. Paolo Emilio Tulelli (1811-1883), patriota originario della Calabria.
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e Abignenti 84 – dovea essere considerato come nominato anche dopo di loro, perché era venuto a Napoli a farmi vedere alla Cancelleria dell’Università dopo di loro. Questo essere stato il parere del Consiglio dei Presidi. In verità, questo modo di ragionare mi fece tale impressione, che dubito ancora se io possa dirmi nominato anche oggi dopo due anni che sono professore in questa Università! Feci osservare al Rettore, che volendo ragionare davvero, io – sebbene nominato a Napoli contemporaneamente col Fiorelli nel 1860 – dovea essere considerato come professore più anziano, anche prescindendo dall’età, perché la mia nomina a Napoli non era stata una prima nomina, ma piuttosto una traslocazione; giacché io era a quel tempo già da un anno professore in un’altra Università del regno d’Italia, cioè a Bologna, e prima di Bologna a Modena; 85 e che questa ragione di anzianità era convalidata espressamente dall’articolo 23 della stessa legge del 16 Febbraio. Ciò non giovò a niente; il Rettore diede la stessa risposta: aver io preso possesso dopo degli altri, e perciò dover esser considerato come nominato dopo. Ora è bene che Vostra Signoria Illustrissima sappia perché io presi possesso dopo gli altri. Io fui nominato a Napoli alla vigilia della riapertura dell’Università di Bologna. Molti altri professori napoletani in altre università italiane erano stati nominati anche a Napoli, di maniera che se tutti si fossero recati ai nuovi loro posti, molte cattedre sarebbero rimaste vuote in quelle Università. Il Mamiani, allora ministro, gli autorizzò, anzi gli pregò, a rimanere per un certo tempo, per non produrre un universale scompiglio. Ritornato in Napoli ai primi di Novembre di quell’anno, io accettai la cattedra, ma chiesi e ottenni dal Professore Piria allora Consigliere di Luogotenenza per l’Istruzione pubblica e poi dal Professore Imbriani, di ritornare a Bologna e restarvi per qualche tempo, per fare almeno il primo corso semestrale e non mancare al mio dovere verso quell’Università. E così feci. Non prestai giuramento né presi possesso a Napoli, perché queste formalità importavano pagamento di soldo, e io non voleva apparire pagato in due Università contemporaneamente. Avrei potuto, giacché mi trovavo in Napoli, rimanervi; risparmiarmi le spese di un doppio viaggio, prendere qui 4000 franchi invece di 3000 che avea colà; fare in quell’anno quel che fecero la più parte dei professori, cioè niente altro che pigliar possesso e percepire il soldo, ma preferii, ripeto, di ritornare a Bologna e far lezione. Finito il primo corso semestrale in quell’Università, me ne andai a Torino, dove prestai il secondo giuramento nelle mani del Ministro De Sanctis, e rimasi fino alla fine di Giugno, perché nominato deputato al Parlamento. Venuto poi in Napoli, e riaperta l’Università cominciai le mie lezioni. Tutti questi fatti io gli esposi al Rettore e gli feci vedere le carte che gli documentano, e che invio anche a Vostra Signoria Illustrissima, ma, ripeto, ciò non giovò a niente. E non se ne parlò più, perché il preside era già installato, e io per motivi di delicatezza tacqui. In questo nuovo anno le cose andranno nello stesso modo, e già lo stesso Rettore mi ha detto, che, posta la deliberazione del Consiglio dei presidi dell’anno passato, i professori nominati dopo di me devono avere la precedenza. Vedendo un’altra volta violata la legge, io credo mio dovere di professore e di cittadino di vincere una certa natural ripugnanza che sento nell’occuparmi di queste cose, e di ricorrere a Lei, perché faccia rispettare la legge stessa; e la 84. Filippo Abignente (1814-1887), deputato e poi docente di storia della chiesa a Napoli, lasciò la cattedra per divenire consigliere di Stato nel 1876. 85. Luigi Carlo Farini offrì a Bertrando la cattedra di filosofia del diritto all’Università di Modena nel 1859; l’incarico fu accettato da Bertrando prima di spostarsi a Bologna come docente di storia della filosofia.
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prego di decidere 1° se la mia anzianità comincia da giorno che presi possesso a Napoli, o non piuttosto da giorno che fui nominato professore in questa Università. 2° se la mia anzianità comincia dal giorno in cui fui nominato professore nell’Università di Napoli, o non piuttosto dal giorno che fui nominato professore a Modena e poi a Bologna. Gradisca, Illustrissimo Signor Ministro, l’attestato della mia profonda considerazione. Professore Bertrando Spaventa ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale (1860-1880), Ba 2014, Bertrando Spaventa (inedita).
231 Ad Alessandro D’Ancona Napoli, 6 novembre 1862 Mio caro D’Ancona, Ti mando una copia d’una mia minchioneria. 86 E per questo e perché ti ho nominato in essa con lode, devi farmi il piacere di farmela annunziare nella Nazione, e far quanto puoi per farmela vendere.87 Ho speso denari, e vorrei raccogliere qualcosa. Addio in fretta. Tuo B. Spaventa Indirizzo: Vico Melofioccolo a Materdei primo palazzo a dritta. BSNS, Fondo D’Ancona, 3. Carteggio, 41°. 1281. A (inedita).
86. Allude al volume, appena pubblicato, Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Università di Napoli 23 novembre-23 dicembre 1861, citato nella lettera 198, nota 60. Il riferimento a D’Ancona compare all’inizio della lezione IV, dedicata a Tommaso Campanella, in merito alla nuova edizione delle Opere curata e pubblicata in 2 voll., a Torino, nel 1854 per l’editore Pomba. Dell’edizione D’Ancona Bertrando scrisse anche una recensione su «Il Cimento» di Torino, pubblicata il 31 agosto 1854, pp. 265-281. 87. Alessandro d’Ancona tenne la direzione de «La Nazione» di Firenze dal 10 agosto 1859, anno della fondazione del quotidiano e del suo ritorno in Toscana, fino al 30 aprile 1860. Come risulta dalla lettera inviata il 23 dicembre 1862, D’Ancona diede notizia sulla «La Nazione» della pubblicazione del volume di Spaventa (cfr. lettera 237).
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232 A Silvio Spaventa Napoli, 8 novembre 1862 Mio caro Silvio, Ricevo la tua del 4. Credevo che avessi fatto pessimo viaggio, e mi rallegro di sapere il contrario da te.88 Di qui non ho che dirti. I napoletani dormono saporitamente, e non pensano più alla politica, se pur ci hanno pensato mai. Dunque zero anche per quella faccenda delle strade ferrate? E Lacaita,89 che c’entra Lacaita? A questo proposito, ti dico di vedere se puoi fare qualcosa per Domenicantonio.90 Clotilde a Bomba non sta bene, e le gioverebbe di uscirne e di menare una vita meno triste. Comincio a vedere qualche copia fuori associazione del mio libro.91 Vedi di farmelo annunziare alla Perseveranza e alla Nazione. Hai visto Matteucci? Il preside nella mia facoltà non è ancora fatto. Quel cadavere del consiglio o sezione del consiglio superiore d’istruzione qui è stato sciolto. Chi ha avuto, ha avuto, etc.! Di Rosei che n’è? Dovrebbe rispondere a una mia lettera. Il povero Ciccio Labriola,92 dopo averlo fatto tornare a Maddaloni, l’hanno traslocato a Lucera, collo stesso soldo e qualità di reggente di quinta ginnasiale!! Il povero diavolo, se va a Lucera, è rovinato, e lascia qui una famiglia morta di fame. Non capisco come il gran carro dell’istruzione, tirato e trascinato da tante migliaia di paia di buoi, debba stritolare tanta povera gente. Che necessità ci è di traslocare un maestro di grammatica da Maddaloni a Lucera? Forse la salute d’Italia, o piuttosto di qualcuno che vuol andare a Maddaloni, vicino Napoli? Vedi, se puoi, di aiutare il povero Ciccio. Dillo a Rosei, il quale già non ne vorrà sapere, perché sa che Labriola è maldicente, etc. Ma, ma, in fondo è un buon uomo. E poi quel povero figlio è in mezzo alla strada. Vedi di fare qualche cosa, se puoi. Isabella e Millo ti salutano, e io ti abbraccio di fretta. Ti raccomando l’affare con Matteucci. Addio. Bertrando Salutami Ciccio Russo. Avrà vomitato per via! Ricordo i sigari. SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
88. Silvio tornava da Napoli, dove era stato in compagnia di Bertrando, a Torino (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 36-37). 89. Giacomo Filippo Lacaita (1813-1895), uomo politico, avvocato e deputato; senatore dal 1876. Nel febbraio 1862 il presidente del Consiglio Bettino Ricasoli lo incaricò di realizzare una convenzione finanziaria con la società inglese Hambro per la costruzione delle ferrovie maremmane. 90. Domenicantonio Sacchetti, marito della sorella Clotilde. 91. La Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Università di Napoli, 23 novembre-23 dicembre 1861, volume citato nella lettera precedente. 92. Francesco Saverio Labriola (1809-1874), fu cultore di archeologia e docente di lettere nei ginnasi; padre di Antonio, discepolo di Bertrando a Napoli.
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233 A Silvio Spaventa Napoli, 28 novembre 1862 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto da un pezzo per la ragione che puoi immaginare; ho cominciato le lezioni, e sono un po’ occupato. Del resto sto bene, meno un po’ del solito dolore di stomaco. Ma passerà. A quest’ora la sorte del Ministero sarà decisa. Io non credo ancora che il buon Rattazzi non trovi modo – nel caso che la Camera gli voti contro – di persuadere il Re a sciogliere il Parlamento.93 Quanto a te e alle voci che corrono su te, io non sono uomo da dar consigli e di qua; solo dico che il Ministero dell’Interno si può, non dico che si deve, prendere, quando uno è persuaso di poter fare e che gli lascino fare quel che si deve, fare il ministro per far quel che han fatto gli altri, cioè niente, è inutile e vergognosa cosa, e di tali uomini, di tali portapenne e portasigari se ne trovano moltissimo tra i napoletani. Ministro dell’Interno ora significa rifare o meglio fare l’Italia internamente. Puoi tu far ciò? Te lo faranno fare? Ecco la questione. Spiemontizzare e italianizzare. Coraggio non te ne manca. Solo a questo patto puoi. Bisognerebbe anche trovar modo di far qualche cosa, che contentasse quest’incontentabili di napoletani, per esempio estirpare il brigantaggio, la camorra. Solo così potresti andare. Io non ti scrivo altro, perché debbo andare alla scuola. Isabella e Millo ti salutano. Addio. P.S. Mi scordavo di dirti che nella risposta del Ministero sull’affare mio, 94 De Luca non mi ha comunicato altro che questo: «Signore la prego a funzionare da Preside della facoltà, et sino all’ottobre 1863, giusta l’articolo 53 della legge 16 febbraio 1861». Così io non so quel che implicitamente il Ministero ha risoluto sulla mia anzianità. E pure ciò io domandava di sapere. Ma il De Luca mi ha fatto leggere la risposta; forse avrà avuto le sue ragioni. La risposta che il Ministero prometteva e dovea fare a me, non l’ho avuta mai. Dillo a Rosei. Addio di nuovo. Tuo Bertrando Scrivimi subito e saluta Leopardi e Rosei, al quale scriverò subito avuta risposta da Musilli.95 Mi auguro di vederlo segretario, etc. e poi commendatore. BPB, Fondo Beltrani, c.c. 922 (ed. in Masellis, Lettere inedite, p. 708).
93. Il nuovo governo, costituitosi l’8 dicembre 1862, ebbe Farini alla presidenza, Peruzzi all’interno, Pasolini agli esteri, Pisanelli alla giustizia, Amari all’istruzione, Manna all’agricoltura, Menabrea ai lavori pubblici, Della Rovere alla guerra, Ricci alla marina, Minghetti alle finanze e alla presidenza in sostituzione di Farini dal 24 marzo 1863 al 28 settembre 1864. Silvio fu eletto segretario generale del Ministero dell’interno. 94. Nel novembre 1862, Spaventa fu nominato preside della Facoltà di lettere. 95. Ottavio Musilli, professore di latinità presso il Collegio tulliano di Arpino.
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234 A Silvio Spaventa Napoli, 2 dicembre 1862 Mio caro Silvio, Ti scrivo per dirti solo che ho ricevuto la tua lettera, e che ti ho scritto già sono pochi giorni. Qui già si dà per spacciato il Ministero Rattazzi, e si parla di Torrearsa (!), o D’Azeglio (!!) o Villamarina96 (!!!) come incaricato di formare un nuovo ministero; il quale, soggiungono i rattazziani, sarà meramente amministrativo. L’Avvenire poi dice, che gli uomini vecchi hanno finito il lor tempo: non più Ricasoli, Farini, etc., ma uomini nuovi, cioè ignoti, senza precedenti, etc. Che buon senso! A quest’ora tutto sarà finito, e la frittata sarà fatta. L’Avvenire stesso dice che il Ministro del Ministero Stabile, il Ministro dell’avvenire, sarà De Sanctis. Io non ne capisco niente. – Certo è, che qui di Rattazzi non se ne vuol più sapere. Ma forse non sanno neppure perché, e ci è una certa indifferenza di sentimento, che fa paura. La politica non è, certo, la prima occupazione dei napoletani. Ti avverto che dal giorno della riapertura del Parlamento io non ho ricevuto più la Gazzetta ufficiale, e la Stampa dal giorno che tu arrivasti a Torino. E pure potresti mandarmi l’una e l’altra. Scrivimi ora e dimmi di politica. Saprai già che il povero Zio Camillo97 è morto di tifo in poche ore! Quante disgrazie. Anche Enrica98 è morta tisica. Addio di fretta. Saluto Pietro99 e Ciccone e scrivi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita, ma cfr. Vacca, Nuove testimonianze, p. 25 per un piccolo frammento citato).
235 A Silvio Spaventa Napoli, 15 dicembre 1862 Mio caro Silvio, Ti ho scritto d’aver già parlato con Celano 100 per la tua rielezione. L’altro ieri poi parlai con Tiberi; il quale mi disse che tu non hai nulla a temere, e che è sicuro che Marchione101 96. Salvatore Pes, marchese di Villamarina (1808-1877), diplomatico e politico, fu ambasciatore a Firenze, a Parigi e a Napoli. 97. Camillo Spaventa, zio di Bertrando. 98. Enrichetta, sorella di Bertrando, morì il 7 gennaio 1851. 99. Pier Silvestro Leopardi. 100. Emilio Celano (1831-1893), amico dei fratelli Spaventa, insegnò privatamente filosofia e diritto pubblico. Svolse una notevole attività giornalistica a Napoli. Nel 1863 fu ordinato consigliere di prefettura a Massa e successivamente in varie altre località italiane. 101. L’abruzzese Pier Domenico Marchione, nato nel 1823, fu deputato nel parlamento del regno d’Italia nella IX legislatura per il collegio di Vasto.
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non ti farà nessuna ostilità; e che egli avrebbe scritto da per tutto. Ho parlato anche con un D’Aloysio di Celenza.102 Ieri sera Raffaele De Novelli103 mi disse d’aver parlato anche lui, così accademicamente con Marchione – e che non l’avea trovato punto ostile alla tua rielezione, anzi persuaso, invece, che nessuno ti avrebbe fatta seria opposizione. Pare vero che lo stesso Marchione pigliasse un giorno le tue difese contro San Donato. Intanto io continuerò a vigilare e informarmi. Tu dal canto tuo fa quello che puoi, e non addormentarti. Sai a chi devi scrivere a Vasto e altrove. A Tartaglia non ho voluto ancora parlarne per le ragioni che ti scrissi. Se vuoi che gliene parli a ogni modo, dimmelo, ché lo farò subito. Qui la tua nomina generalmente è piaciuta, e tutti si aspettano molto. Te l’ho detto: il bene e il male l’attribuiranno a te. Un miglioramento nella pubblica sicurezza, un colpo contro i briganti, misure giuste nell’amministrazione, qualche bell’esempio di giustizia farebbe effetto. Pensa tu. Mi scriverai? Fammi almeno scrivere da qualcuno, da Pietro,104 da Rosei, da Ciccone. – Avrai già visto il Re. Ebbene? Addio di fretta. Rispondi. Tuo Bertrando Isabella e Millo ti salutano. SNSP, XXXI.D.1 (inedita, ma cfr. Vacca, Nuove testimonianze, p. 25 nota 32 per un piccolo frammento citato).
236 A Silvio Spaventa Napoli, 21 dicembre 1862 Mio caro Silvio, Il fatto è fatto; hai accettato, e non se ne parli più. Devo però dirti, che io non ti biasimo per questo quanto tu credi.105 Tutti sanno che il ministro dovevi essere tu, e la bella cagione per cui non lo sei stato.106 Cosa devono dire? Ci è un buon esempio di più: ecco tutto. Potevi fare il ministro, e fai il segretario generale! Quanti fanno i ministri e non sarebbero capaci di far da capi di divisione! Qui la tua nomina è stata accolta bene da tutti, fatte le debite eccezioni. Mi dicono che alcuni tremano e che si erano troppo affrettati e vederti finito per sempre. Sono ciarle che mi vengono a dire. Già puoi figurarti che molte
102. Potrebbe trattarsi del sacerdote Enrico De Aloysio (1825-1910), nato a Celenza sul Trigno (Ch). 103. Raffaele De Novelli, intellettuale e politico abruzzese, pubblicò nel 1862 il saggio La rivoluzione italiana e la politica nazionale, Napoli, Stabilimento tipografico del cav. G. Nobile, 1862, e nel 1868 fu delegato scolastico mandamentale. 104. Pier Silvestro Leopardi. 105. Cfr. la lettera di Silvio a Bertrando dell’8 dicembre 1862, in S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 41-42. 106. Alcuni avevano attribuito a Silvio l’intenzione di richiedere le dimissioni al re in seguito ai fatti d’Aspromonte (cfr. Romano, Silvio Spaventa, pp. 128-129).
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seccature comincio ad averle io qui per te. Quelli che mi salutano per via sono centuplicati di numero. È il mondo che va così. Qui si crede che di fatto, almeno per questa provincia, il ministro sei tu. Ti trovi dunque in questa posizione: di essere responsabile in certo modo senz’essere ministro. Tu conosci i napoletani. Ridotti come sono ora a non valer più niente e ad essere ispezionati in tutto dai Piemontesi, umiliati e avviliti come sono, ci vuol poco a contentarli. Ciò farebbe grande effetto. Devi pensare, che se si fa male, si attribuirà a te, non al ministro; se bene, idem. Bisogna che tu veda come puoi fare. Vorrei raccomandarti tante cose, piccole cose, alle quali io solo, che sono fuori dalle grandi, posso pensare; ma mi c’imbroglio. Prima cosa: molti ti scriveranno. Rispondi o fa rispondere a tutti. Seconda: accogli tu di buon viso. Etc. Quanto alle grandi, pensaci tu. Come stai tu col Peruzzi? 107 E come starete in mezzo ai vostri impiegati alti, vecchi piemontesi? Capisci che devi fare in modo da non restar sempre quel che sei ora. Etc. Mi scriverai spesso? Spero di sì. È bene che mi scriva. Qualcosa sempre te la posso dire anch’io. Per quello che mi dici dell’elezione ho già parlato fin da iersera con Celano. Tu lo conosci, e non c’è bisogno di dirti come si è mostrato pronto, sicuro del risultato, etc. Parlerà lui stesso con qualcuno di Celenza, e anch’io a un D’Aloysio che è mio discepolo. Tu intanto non te ne stare così, e opera a Vasto. Oggi vedrò Tiberi. Dopo […]108 con lui, vedrò se devo parlare con Tartaglia. Il quale, buon uomo di certo, non mi capacita però interamente per questo. Mi è parso sempre di aver visto in lui una certa ruggine verso di te. Forse m’inganno. Qualcuno mi disse un mese fa che lui aveva piuttosto spinto che frenato Marchione rispetto a te. Ripeto, vedrò e mi regolerò. Celano mi ha detto, che Marchione ora dice bene di te. Ma bisogna vedere se è vero: poco ci credo. Io farò e subito quel che potrò. Tu intanto fa pure. Ti raccomando di scrivermi. Quanto alla condotta che devi tenere, tu hai senno, non ti dico niente. Che buona gente sono i piemontesi! Ci si vede i gesuiti sempre. Falsi e cortesi, diceva il generale Poerio.109 Sarebbe bene che restassi sempre con Pietro, 110 che saluto. Tu ora hai bisogno di casa solo per dormire quasi. Fa economia. Hai capito? Tuo Bertrando Originale perduto, già in BPB, Epistolario Spaventa, cartella 201 (ed. in Vacca, Gli hegeliani, pp. 37-38).
107. Ubaldino Peruzzi (1822-1891), uomo politico, deputato e ministro dei lavori pubblici con Cavour e Ricasoli (1861-1862), ministro dell’interno con Farini (1862-1864), e senatore dal 4 dicembre 1890. 108. Mancanti due parole per la lacerazione del foglio manoscritto. 109. Raffaele Poerio (1792-1853), militare e patriota italiano, fu a capo della carboneria di Catanzaro e sostenne i moti del 1820-1821. 110. Pier Silvestro Leopardi.
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Epistolario
237 Ad Alessandro D’Ancona Napoli, 23 dicembre 1862 Mio caro D’Ancona, Ti raccomando caldamente il porgitore della presente, Signor Giuseppe Gradini, che viene a studiare nella Università di Pisa. Aiutalo e consiglialo in tutto quel che potrai, e te ne sarò obbligatissimo. Non ti dico altro. Ricevei il giornale, e ti ringrazio del benevolo articolo. 111 In queste feste – a dispetto del gran Regolamento – ti scriverò di nuovo per un mio affare. Addio. Tuo affezionatissimo B. Spaventa BSNS, Fondo D’Ancona, 4. Carteggio, 41°. 1281. A (inedita).
111. Spaventa aveva chiesto a D’Ancona di pubblicizzare con un articolo il volume appena pubblicato Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Università di Napoli, 23 novembre-23 dicembre 1861.
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238 A Silvio Spaventa Napoli, 3 gennaio 1863 Mio caro Silvio, Ieri sera venne Tiberi a farmi leggere una lettera di Ciccarone1 del 28 Dicembre. Dice che non teme niente per la riuscita dell’elezione tua; ma teme solo che per causa del cattivo tempo non concorrano molti elettori, e quindi ci possa essere ballottaggio. Aggiungo, che i Marchione non ti sono favorevoli. Ciò mi ha fatto un po’ di stupore dopo certe assicurazioni. 2 Oggi vedrò Tartaglia, e vedremo cosa bisognerà fare. E ti scriverò subito. Tu intanto fa anche, se sei in tempo. Non ti dico altro. Ti dico solo che qui i borbonici si mostrano molto baldanzosi, e insultano, come si dice, la misericordia nei loro molti giornali. Si vorrebbe maggior vigore3 contro di loro. Si lagnano della pigrizia del procuratore generale. I preti poi dal pulpito dicono quel che vogliono, e nessuno li fa tacere. I gesuiti si sono sparsi pei 12 quartieri di Napoli, e soffiano. I parrochi, specialmente quello di San Liborio, fa il diavolo. Non si potrebbe fare qualcosa per questo? Molti e buoni mi han parlato di ciò, e il paese sarebbe molto sodisfatto se si desse qualche esempio. In generale c’è il solito lamento, che i borbonici sono protetti o si lasciano fare. Sarà un lamento ingiusto, ma ci è. L’importante ora è distruggere il brigantaggio, e organizzare l’interno. Ci è tutto a fare: Comuni, provincie. Leggi questa lettera di Tulelli e vedi cosa puoi fare. Non ho potuto dire di no. Addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 25).
1. Silvio Ciccarone (1821-1897), protagonista dei moti risorgimentali meridionali e prodittatore di Garibaldi in Abruzzo; dopo l’Unità d’Italia rinunciò all’elezione parlamentare a favore di Silvio Spaventa, di cui divenne grande elettore. 2. Cfr. lettera 235. 3. Vacca: «rigore».
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Epistolario
239 A Francesco Fiorentino Napoli, 5 [gennaio] 1863 Mio carissimo amico,4 Voi avete tutte le ragioni di dolervi di me, che da un pezzo dovea rispondere alla vostra lettera affettuosissima e non ho risposto. Ma che volete farci? Sapete che io sono un po’ pigro. E poi in questi giorni di vacanza abbiamo avuto tanti impicci, che non ho potuto far niente. Vi invio per la posta il 1° volume già pubblicato.5 Spero che lo leggerete e me ne direte qualche cosa. Non ve ne invio altre copie, perché non vorrei che restassero costà senza lettori, e, ciò che sarebbe peggio per un povero autore editore, senza compratori. Se voi dunque trovate degli associati, scrivetemi, e io vi invierò quel numero di copie che vi bisognerà. Lo stesso dico per l’egregia Signora Marchesa Florenzi;6 alla quale invierò una copia, quando voi mi farete conoscere il suo indirizzo. Come vanno le vostre lezioni? Avete i soliti uditori di 60 anni? E il Rossi7 viene a udirvi? Se lo conoscete, salutatelo per me. Ditemi di cotesta università, e che ve ne pare delle cose filosofiche. Avete visto Modena? Costà vi è un mio buon amico, il Dottor Menozzi, 8 libraio, eccellente uomo. Qui le cose vanno al solito. La mia scuola è piuttosto frequentata, come nell’anno passato. Ma i giovani hanno poco tempo di pensare alla filosofia, tante sono le occupazioni che hanno per gli studi professionali. Addio, mio carissimo amico. Scrivetemi spesso, e vi prometto di essere più puntuale nell’avvenire. Il nostro Cherubini9 ha già scritto una bellissima tesi sul Critone di Platone. Addio. Tutto vostro B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 1 (inedita).
4. Francesco Fiorentino (1834-1884), filosofo e storico della filosofia, amico e collaboratore di Spaventa. Dal 1862 professore straordinario all’Università di Bologna. 5. Della Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Università di Napoli, 23 novembre-23 dicembre 1861, dove aveva raccolto le lezioni tenute all’Università di Napoli durante il suo primo anno di insegnamento con il titolo Carattere e sviluppo della filosofia italiana dal secolo XVI sino al nostro tempo. 6. Marianna Florenzi Waddington (1802-1870), scrittrice, traduttrice e filosofa, tradusse il Bruno di Schelling (1844, 18592) e la Monadologia di Leibniz (1856). Negli anni postunitari inclinò sempre più verso la filosofia hegeliana, che espose nei tre volumi Saggi di psicologia e di logica (Firenze, Le Monnier, 1864), Saggio sulla natura (Firenze, Le Monnier, 1866) e Saggio sulla filosofia dello spirito (Firenze, Le Monnier, 1867). 7. Luigi Rossi. 8. Giacinto Menozzi (1816-1885), patriota e avvocato reggiano, nel 1871 divenne aiuto bibliotecario al Senato, fu tra i primi soci di Nicola Zanichelli per l’avvio della omonima impresa editoriale. 9. Rodolfo Cherubini (1842-1892), letterato, filologo e storico della filosofia, tradusse e commentò il Critone platonico di cui uscì l’edizione a Napoli nel 1867, curò anche la monografia su Platone per la Nuova enciclopedia popolare italiana di Torino.
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240 A Silvio Spaventa Napoli, 7 [gennaio] 1863 Mio caro Silvio, Io ti secco colla mia lettera. Pure sono qui, e devo dirti ciò che sento dire. Si dice dunque un male, che non si può credere, della nomina – se è vera – di D’Afflitto a Prefetto di Napoli. Tanto più, che si aspettavano Ricasoli. Dicono poi: come? Spaventa permette ciò? O: fa ciò? E qui le solite parole: noi non speriamo che in lui, etc.10 Questo che ti dico è – almeno nella massima parte – vero. Tutto o quasi tutto si aspettano da te: la distruzione del brigantaggio, la depressione dei borbonici, la scoverta degli intrighi murattiani, la purificazione della polizia, la ricostituzione dell’amministrazione, etc. Che vuoi farci? Bisogna aver pazienza. Ma badate, specialmente, a queste prime nomine, ai primi passi. Addio di fretta. Tuo Bertrando Affrancami la lettera. SNSP, XXXI.D.1. (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 25-26).
241 A Giacinto Menozzi Napoli, 15 [gennaio] 1863 Vico Melofioccolo Materdei prima strada a dritta Mio carissimo amico, Ho bisogno della buona opera vostra, e voi mi perdonerete se vi reco un po’ di fastidio. Da un anno e mezzo che dimoro qui in Napoli 11 non ho potuto ancora trovare una buona femina di casa, onesta, fidata, laboriosa. Le buone persone di servizio qui sono rarissime, più che le mosche bianche. In tali angustie mi sono ricordato di Modena, e per conseguenza di voi, mio buon amico, e ho detto tra me: chi sa se il bravo Dottor Menozzi non potrà trarmi d’imbarazzo? Sarebbe dunque possibile d’avere di costà una buona femmina, che fosse, come ho detto, fidata, onesta, laboriosa, e che sapesse cucire, stirare, e cose simili? Quanto all’età, me ne rimetto al vostro giudizio. Giovane o attempata, purché sia onesta e fidata e capace, per me è lo stesso. Quanto al salario, fate come si fa a Modena; beninteso, che pel viaggio ci penserei io. Se dunque voi, non dico vorrete, ma potrete pigliare sopra di voi questa difficile impresa, e riuscirete, vi prego avvisarmelo, e 10. Ai primi di dicembre, Silvio era stato nominato segretario generale del Ministero dell’interno. Pochi giorni dopo la nomina Bertrando gli aveva scritto (cfr. lettera 235). 11. Bertrando era tornato a risiedere stabilmente a Napoli nel luglio 1861, dopo aver rinunciato definitivamente all’incarico all’Università di Bologna (cfr. lettera 185).
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Epistolario
combineremo poi insieme il modo come far venire fino qui la detta persona. È strano che io m’indirizzi a voi per questo e che vi chieda donne di servizio invece di libri o altro di meglio. Ma io vi torno a dire di avvisarmi, se la troppo viva persuasione che ho della vostra buona amicizia verso di me, mi ha fatto tanto ardito, da domandarvi un simile favore. E vi assicuro che io vi sarei, come già vi sono per tanti altri, obbligatissimo per questo; giacché voi non potete imaginare che vita si vive qui coi domestici e colle domestiche napoletane. Dunque, mio caro Dottor Menozzi, scrivete di nuovo, comandatemi e abbiatemi sempre Vostro affezionatissimo Amico B. Spaventa P.S. Dite al buon Rossi12 che devo rispondere alla sua, e lo farò a breve. BAM, Fondo Casati, 1 (inedita).
242 A Silvio Spaventa Napoli, 15 [gennaio] 1863 Mio caro Silvio, Ti ho scritto oggi stesso per la faccenda dell’armi di Ciccillo Petroni.13 Ti scrivo ora per raccomandarti un mio antico amico, conosciuto molto anche dal Farini, Zenocrate Cesari. Era direttore di quella Rivista (il Cimento), nella quale io scriveva.14 È stato dunque buono con me. Era ricco, ed ora è poverissimo. Liberale, onesto, vero galantuomo. Fu nominato, gran tempo fa, Segretario di Prefettura, e rinunciò. Non avendo poi come vivere, accettò il modesto ufficio di segretario del Comune di Osimo, sua patria. Ora domanda un posto di Capo sezione nel ministero dell’Interno, che gli hanno detto essere vacante. Non potresti tu aiutare il povero Cesari? Rosei me ne scrive. Io sarei contentissimo, se vedessi collocato questo povero e infelice galantuomo. Non ti dico altro. Ti rimetto una lettera del figlio di Labriola,15 che tu conosci. Il povero giovane manca del pane quotidiano, e di ogni mezzo di proseguire gli studi. E pure ha moltissimo ingegno e gran volontà di studiare. Non ha potuto mai ottener niente da nessuno, e disperato domanda ora un posto nell’amministrazione. La sua famiglia vive di stenti, e si raccomanda sempre a me, perché ti scrivessi e ti pregassi di ricordarti di loro. Il padre non ha che 28 ducati al 12. Luigi Rossi. 13. Francesco Petroni, marito di Marianna Croce, cugina di Bertrando. 14. Spaventa collaborò con «Il Cimento» di Torino dal 1854 al 1856, quando il giornale confluì nella «Rivista contemporanea», diretta da Luigi Chiala; ne «Il Cimento» Spaventa pubblicò, oltre a numerose recensioni e a polemiche assai note (come quella con la «Civiltà Cattolica»), importanti studi sulla filosofia italiana del Rinascimento. 15. Antonio Labriola (1843-1904), filosofo e uomo politico, si formò a Napoli con Spaventa, De Sanctis, Tari e Vera. Già negli anni della formazione pubblicò saggi di notevole pregio, fra i quali è da ricordare la monografia su Socrate (1869); dal 1873 fu professore di filosofia morale e di pedagogia all’Università di Roma. Nel 1890, entrato in corrispondenza con Engels, iniziò lo studio sistematico dei testi di Marx ed Engels, di cui fu tra i primi e massimi interpreti in Italia.
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mese! Se gli potessi giovare in qualche modo, faresti un’opera grande di carità. Ha fatto male a voler continuare nella carriera di professore. Sarebbe stato buono in un archivio, in un’amministrazione di beneficenza, e simili, perché è onesto e laborioso. Vedi, se puoi aiutarlo. Mi giunge da Caramanico la lettera, che ti acchiudo, d’un mio antico discepolo. Era un buon giovine. Vedi tu di che si tratta. Ancora. Luigi Pomba16 da Torino mi scrive, perché ti raccomandassi il Signor Salmini, giovine emigrato veneto. È qui, e scrive nel Nomade. Mi pare un giovine intelligente. So che ti secco. Ma che posso farci io? In primo luogo ti raccomando il povero Cesari e il Labriola. Ho visto il Massari, dal quale ho avuto tue notizie. Qui continuano ad aspettare le grandi cose. In generale il Ministero è visto bene, e di te non si dice il solito male, anzi. Ma bisogna fare, e specialmente, ora, contro il brigantaggio, e la consorteria burocratica di costì. Badate, e pensate, che se passa molto tempo così, questa consorteria, minacciata di essere colpita, farà di voi quel che […] 17 AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
243 A Silvio Spaventa Napoli, 18 [gennaio] 1863 Mio caro Silvio, Il buon Tartaglia – il quale in questi ultimi giorni si è mostrato vero amico – vuole che ti scriva per raccomandarti Notargiacomo, l’amico e compagno di Landi. 18 Tu lo conosci, e io non dico altro. Notargiacomo vorrebbe essere nominato ricevitore, se non sbaglio, a Casoria, dove il posto è vacante; e crede che tu possa aiutarlo e raccomandarlo a chi può nominarlo. Alla preghiera di Tartaglia aggiungo anche la mia, perché credo che il Notargiacomo sia un bravo uomo. Scrivimi e addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
16. Luigi Pomba, genero dell’editore e tipografo torinese Giuseppe Pomba, ereditò nel 1849 l’attività del suocero insieme a Cesare Pomba e a Pietro Stefano Zecchini. Nel 1854 la ditta Cugini Pomba e C., unificandosi con la Stamperia sociale, si trasformò nella Unione Tipografico-Editrice Torinese (UTET). 17. Il manoscritto si interrompe in questo punto. 18. Francesco Landi (1792-1861), generale dell’esercito borbonico, si scontrò con Garibaldi nella battaglia di Calatafimi, dove fu sconfitto.
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Epistolario
244 A Silvio Spaventa Napoli, 2 marzo 1863 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto più da un mese e non so né meno io il perché. Ogni giorno ti volevo scrivere e dirti tante cose, e poi non ne ho fatto niente. E oggi stesso con tutta la buona volontà di scriverti una lunga lettera, non ti scrivo che poche righe. Tanto meglio, perché così non perderai molto tempo a leggermi. – Non ho avuto, come ti hanno detto, il chiodo solare, ma solo certi segni – e brutti segni – che mi facevano temere il ritorno del chiodo solare. Sono stato qualche giorno senza far niente, e così il pericolo è passato. Contuttociò sono tormentato un po’ da un reuma che mi ha preso la testa, e non se ne vuole andare. Pazienza. Dunque non affliggerti per me. Piuttosto pensa tu a star bene. Il mio maggior tormento è le seccature che ho da tutte le provincie meridionali e anche dalle settentrionali, per raccomandazioni a te. Che mondo! Come vanno le cose? Di qui non ti so dir niente. Chi capisce cosa vuole questo paese? O piuttosto chi non lo capisce? Si mormora sempre, a torto o a ragione, ma si mormora. Due punti però sono motivo di mormorazione universale: il brigantaggio e i borbonici nell’amministrazione. Che devo dir io? È facile dire: non si estirpa il brigantaggio; non si scacciano i borbonici. Il difficile è trovare il modo di farlo e farlo davvero. – Se tu riesci in questo, farai gran cosa; te l’ho già detto, e si capisce. Ho letto l’incidente della Camera,19 ma non nel rendiconto ufficiale ancora. Questa volta la maggioranza pare che ti abbia reso giustizia. Hai fatto bene a essere moderato e come non curante. Sono bricconi di bassa lega; che non fanno paura, ma schifo. S’italianizzerà l’amministrazione? Scrissi a Rosei delle piccole messe ardite di nuovo contro di me. Se vuoi saperne qualcosa, fatti dare la lettera. – Cos’è Amari?20 Ha nominato ufficialmente Professore straordinario un tal Flores 21 con 3700 lire (che prima era un semplice incaricato), uomo che non persuade, fratello di due noti borbonici; ma protetto – almeno una volta – dal buon De Sanctis.22 E intanto Tari è sempre straordinario, e con 2800 lire. – Si capisce che costà ci sono degli imbroglioni che sono in corrispondenza cogli imbroglioni di qui. – Di questo fa quel caso che credi, e con riserva. Avrei altro a dirti. Ma a che pro? SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
19. Nella tornata della Camera dei deputati del 24 febbraio 1863, Silvio Spaventa intervenne con spiegazioni personali riguardo al trasferimento di un detenuto in risposta a una osservazione di Giovanni Nicotera. 20. Michele Amari (1806-1889), patriota e storico siciliano, oppositore dei Borboni, fu costretto all’esilio in Francia. Rientrato in Italia nel 1860, fu professore fino al 1873 nell’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze. Senatore del regno d’Italia dal 1861, fu ministro della pubblica istruzione dal 1862 al 1864. 21. Ferdinando Flores (1824-1909), grecista, fu introdotto all’Università di Napoli nell’anno accademico 1861-1862 come incaricato di letteratura greca; nominato professore straordinario nel 1863, divenne ordinario nel 1878. 22. Francesco De Sanctis, primo ministro della pubblica istruzione dopo l’Unità d’Italia, nominò Ferdinando Flores, che era un suo vecchio amico, suo segretario privato.
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245 A Silvio Spaventa Napoli, 14 marzo 1863 Mio caro Silvio, La mia testa va meglio e la minaccia del chiodo è interamente scomparsa. – Ieri dovea partire il nostro diplomatico Simplicio.23 È curioso quel che mi ha detto, e che ha scritto anche a te, che certe sue lettere indirizzate a te, siano state trascritte e mandate a Roma. Bada bene, e da tutti i lati, memore sempre di quello che sai. Io sono tormentato da amici e nemici con visite noiose e indigeribili. Preferirei la croce, letteralmente. Perfino i bidelli dell’Università non mi danno requie. T’invio alcune carte o petizioni, che tu non leggerai, per discarico di coscienza. È un pezzo che le ho lì, ed è bene che mutino clima. Se tu non fossi Segretario generale etc., il tormentato sarebbe altri, non io… né tu. Come saggio ti mando una lettera del Vignali,24 il quale mi ha regalato la visita d’una bella e giovine moglie. Figurati! Sono uomo io da belle ragazze! Pure, ti raccomando – se puoi – la petizione del Foti, giudice, al Ministero di Grazia e Giustizia. Si tratta d’una piccola pensione che avea, come carcerato politico dal 50 in poi, e ora non ha più da qualche mese. Questa pensione era l’unico mezzo di sussistenza d’un suo figlio, che è mio scolaro, ed è un buon giovine. Avrei scritto io stesso a Pisanelli; ma non ho voluto seccarlo. Antonio Sabato ti raccomanda suo fratello Giovanni, che è in Lecce, e che dovea, fin da quando tu eri Segretario generale qui, essere promosso a sotto-segretario, per giustizia e non per grazia, nella Divisione Finanze della Prefettura di Lecce. Ora è applicato di 2 a classe. Ti rimetto una lettera di Madia.25 In quel che dice ci è qualche novità. Non credo abbia ragione nel paragone che fa tra Gravina e Poggiali;26 ma pare vero che gli agenti di pubblica sicurezza qui siano – nella più parte – poco di buono. Sento dire. Del resto io non me ne intendo. Mi parlano d’un Avitabile, 27 ispettore etc. tra gli altri. – Quello che ti raccomando è di pensare al povero Madia, che non resti in mezzo la strada, se la tipografia comunale sarà data all’industria privata. Pensaci a tempo. Crescenzo Recchia di Chieti, amico di Sabato – non so se te lo ricordi – ora giudice nel tribunale di Avezzano, mi ha scritto molte lettere, perché lo raccomandi a Pisanelli. Ma come c’entro io? Don Crescenzo ha ingegno e pratica nelle cose legali, e mi è parso sempre un buon uomo; e mi dicono che negli anni passati, quantunque giudice, si sia condotto bene. Ma che posso far io?
23. Simplicio Pappalettere. 24. Giovanni Vignali (1804-1880), magistrato del regno borbonico, ministro di grazia e giustizia del governo Troya dal 3 aprile al 16 maggio del 1848, membro del Consiglio di Stato dal 1860, tra il 1856 e il 1862 curò la traduzione del Corpus iuris civilis. 25. Giuseppe Madia, professore di diritto e procedura penale presso l’Università di Napoli, fu autore nel 1862 del Commentario sul Codice Penale italiano. 26. Francesco Poggiali. 27. Michele Avitabile (1818-1871), politico, deputato del regno d’Italia dall’VIII all’XI legislatura.
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Epistolario
Ricevo lettere da Chieti, da Sulmona, dall’Aquila, da Modena, da Bologna. È una disperazione. Rispondo, che non rispondo, come diceva una volta l’ex ministro Galvagno28 al Parlamento subalpino. Come vanno le cose? Durerà ancora il Ministero? E tu come vai d’accordo con esso? O con loro? Ti ho detto sempre che si sperava e si spera molto da te, dalla tua energia. Tira diritto, e non cedere. Capisco, che è cosa dura. Ma ora ci sei, e bisogna arare. Specialmente pensa a togliere gli abusi qui (e costì). I primi nemici del governo sono gl’impiegati, in generale. Ci è una lentezza nel così detto disbrigo degli affari, che scontenta; pare che lo facciano a posta. Simplicio ti parlerà di Labriola. Letteralmente muoiono di fame, e quel che più mi affligge è quel povero giovine che ha molto ingegno e non sa come andare avanti, quando tanti altri protetti da bricconi e imbecilli adulati e adulatori hanno il vento in poppa. Parlai con Trinchera. Dice che non ci è niente, e che quel che ci è, è ben poca cosa. Insomma, che vuoi mi dicesse Trinchera? Dico male, il Cavalier Trinchera? Così lo chiamano ora nell’Accademia, che è una vera accademia. Capisco, che è difficile trovare un posto pel giovine Labriola. 29 Ma non si potrebbe migliorare la condizione del padre? Come possono vivere con 28 ducati al mese qui in Napoli, lui, il padre, la madre, la zia? L’ho raccomandati a Imbriani, perché gli faccia avere un posto nella biblioteca nuova, che si metterà a San Giacomo. Dice, che è cosa difficilissima; che ci sono tanti aspiranti, che etc. Insomma non se ne può sperar niente. Paolucci non mi scrive da più di tre mesi, e non so niente di Berenice.30 Come stanno? Mi dicono che il giorno 19 (te lo ricordi il 19 Marzo 1849? 31) ci sarà gran dimostrazione, e che dopo aver gridato viva Garibaldi si griderà abbasso Spaventa (me, non te). Son capaci di farlo. Sono i soliti minchioni e birboni. Io non me ne curo. All’Università non vengono; perché i miei scolari sono risoluti di batterli. A proposito: mi sono rifatto già dalla spesa per la stampa di quel libro,32 anzi ci ho guadagnato qualcosa, e ci guadagno sempre. Ora stampo l’altro.33 Scrivimi e bada alla salute. Isabella e Millo ti salutano. Addio. Tuo Bertrando Ho pensato bene di non mandarti altre carte oltre quella sola eccezionale del povero Foti. AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
28. Giovanni Filippo Galvagno (1801-1874), avvocato e politico, fu deputato e senatore del regno di Sardegna. Ministro dell’interno e della giustizia nel primo governo D’Azeglio (7/5/184921/5/1852). 29. Antonio Labriola. 30. Berenice Spaventa. 31. Giorno dell’arresto di Silvio Spaventa a Napoli, in via Toledo. 32. La Prolusione e introduzione alle lezioni napoletane del 1861. 33. Il volume I de La filosofia di Gioberti stampato a Napoli, presso lo Stabilimento tipografico di F. Vitale, nell’ottobre 1863.
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246 A Silvio Spaventa Napoli, 21 marzo 1863 Mio caro Silvio, Pappalettere e Ciccone ti avranno già detto che io sto bene. Dunque sii tranquillo sul conto mio e non allarmarti. Piuttosto bada a te, a non ammazzarti colla troppa fatica. Ho letto per caso una corrispondenza da Torino in un giornale di qui, in cui si parla di dissensi tra te e il Sornione. Tu sei con Peruzzi accusato di Piemontismo; quindi il dissenso. Non so se ciò (voglio dire il dissenso) sia vero; ma se è vero, spiego tra me la cosa. Dimmi, se puoi, qualcosa di ciò. Come vanno le cose? Come vai tu nel tuo ufficio? Io ne so poco o niente. Hai fatto e puoi fare quel che avevi in mente di fare? Ti ripeto di fare qualcosa per Labriola. Pappalettere ti dirà tutto. Ti ricordi Don Liborio di Padova il consultore di Montecassino, amico mio e di Pappalettere? Venne qui coll’abate e mi raccomandò una domanda di suo cognato Signor Faraglia, perché la inviassi e raccomandassi a te. Non è una domanda d’impieghi. Vedi se puoi aiutarlo. Anche l’abate Grillo mi tormenta da Torino. Vuole che scriva a te perché facci dare la croce dei soliti Santi al Signor Cesare Clara di Torino, capitano da 12 anni e pubblico ministero del Consiglio di disciplina della Guardia nazionale. Dice che il Clara fu proposto a Ministro dell’Interno per la croce del Colonnello e del Generale della Guardia nazionale, e che finora non si è visto alcun risultato. Te ne scrivo non pel Grillo, ma per Clara, che io conoscevo, e che è un bravo uomo, e che è stato sempre buono con me, ed è molto amico anche di Del Re. Da Bomba il figlio di Giacomo Rabbaglietti vuol sapere se nei Collegi militari si concedono posti gratuiti o semi-gratuiti. Che ne so io? Ne scrivo a te; fammelo sapere, e abbi pazienza. Nulla dies sine linea; e mi pesa di scriverti appunto per questo. Ma, che posso farci io? Addio di fretta e scrivi. Ti saluta Isabella e Millo. Tuo Bertrando Ricevo ora appunto lettere di Clotilde.34 Dice che sta bene e mi dà notizie di Berenice.35 Ti ricorda l’affare di Domenicantonio,36 per la ferrovia a Ortona e Vasto. Di fretta. SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
34. Clotilde Spaventa. 35. Berenice Spaventa. 36. Domenicantonio Sacchetti.
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Epistolario
247 A Silvio Spaventa Napoli, 17 aprile 1863 Mio caro Silvio, Ti scrivo due righe in fretta per dirti che ho ricevuto le tue lettere e che farò di vedere oggi stesso Ciccillo37 per farmi dare i 50 ducati da aggiungere ai 100, e così pagare Fittipaldi. Questi 100 me li avea fatto mandar io da Zio Peppino38 per conservarli per te: quando però non eri ancora Segretario Generale! Ti devo dire, che tu spendi troppo (del tuo, s’intende), e che non sei un buon economo. È il solito rimprovero che io ti fo. Del resto, io che sono un grande economo sono sempre lì; non posso ancora diventare un capitalista! Spero di diventarlo – a calcolo certo – di qui a 100 anni. Non c’è poi tanto male. Avrei fatto senza – ben volentieri – del soccorso di Ciccillo; ma come fare? i miei guai non finiscono mai. Ma è inutile parlarne. Così è cominciata; così ha da finire. Che devo dirti della tua risoluzione di lasciare l’ufficio che hai? 39 Se è per semplice noia, non è un motivo serio. Se è per altro poi, allora se credi che non ti convenga di restare, mandali al diavolo cotesti intriganti. Questa è la prima impressione che ho io, uomo40 o animal non politicum. Ma tu devi pensarci; e io non posso darti che un consiglio vago e astratto. Fare il bene e sacrificarsi – come si dice –, sì, sempre; e io sempre te l’ho detto; ma sciuparsi, no, no, no. Se tu non sei contento di quel che puoi fare, se,… se…, allora piglia il tuo partito; e amen. Hai fatto vedere che sai fare? Dunque è una cosa. E una cosa dopo l’altra; e non mai la stessa cosa sempre. Io parlo come una sfinge. Del resto dimmi qualcosa di più preciso: della situazione in generale e anche della tua in particolare. Non posso dilungarmi di più e ti scriverò più lungamente subito che potrò. Addio. Isabella e Millo ti salutano. Tuo Bertrando Decoroso41 è qui per due giorni. Ho visto Federico Casanova che mi ha dato tue notizie. Da quel che ho potuto sapere da lui, non vedo di dover mutar nulla a quel che ti ho detto. SNSP, XXXI.D.1 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 26).
37. Francesco Petroni. 38. Giuseppe Spaventa, parroco di Bomba dal 1864 al 1881. 39. L’ufficio di segretario generale al Ministero dell’interno nei governi Farini (8/12/186224/3/ 1863) e Minghetti (24/3/1863-24/9/1864). 40. Vacca: «homo». 41. Dal 20 settembre 1863, Decoroso Sigismondi era prefetto della provincia di Reggio Calabria.
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248 A Marianna Florenzi Waddington Napoli, 22 aprile 1863 Pregiatissima Signora, Io devo dichiararmela infinitamente obbligato e riconoscente del bel dono dei suoi Filosofemi,42 e ringraziarla della sua cortesissima lettera. Conoscevo da gran tempo il suo valore nelle cose filosofiche, e la lettura di quest’ultima Sua Opera ha confermato vieppiù nell’animo mio l’ammirazione e il rispetto verso di lei. So bene che Ella non ha bisogno dei miei elogi; ma non posso a meno di tributarglieli, quando vedo la serietà e la profondità e devo dire anche la libertà delle Sue investigazioni nei più difficili problemi della filosofia e – cosa non troppo comune oggi in Italia – la semplicità e la schiettezza con cui Ella sa esporre i Suoi pensieri. Invio a Lei alcune mie Lezioni 43 recitate in questa Università, non perché abbiano esse qualche valore, ma solo per dare a Lei sempre più un attestato della stima ed ossequio col quale me le offerisco e raccomando. Devotissimo Obbligatissimo Vostro Bertrando Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 3. 62 (inedita).
249 A Silvio Spaventa Napoli, 25 aprile 1863 Mio caro Silvio, Ho pagato Fittipaldi. Ciccillo44 mi diede 50 ducati.45 – Ciccillo dice che non ha ancora ricevuto il diploma di cavaliere né vede pubblicata la sua nomina nella Gazzetta ufficiale, ed è in una certa apprensione. Te ne scrivo. Io sto bene e non ti dico altro. Nicola46 – il povero Nicola – ti raccomanda per mezzo mio due cose: 1. che la sua posizione come custode di quel tal palazzo sia stabilita; oggi o domani il Demanio o il Demonio può mandarlo via. 2. vorrebbe che la pensione che avevano i suoi figli – ora sospesa – ricominciasse. Turchiarulo è venuto ieri da me e vorrebbe che tu pregassi Pisanelli per una faccenda che vedrai nella sua lettera diretta a me. Pisanelli può fare quel che Turchiarulo chiede; ma teme, ed è indeciso. Tu dovresti deciderlo. Ecco perché scriviamo a te. Si tratta al far dei conti di niente, e non c’entra né la salus pubblica né altro. Ti raccomando questa faccenda, e specialmente di rispondermi su di essa. Sai come Turchiarulo è piccoso. Dunque. Ti rimetto due lettere, l’una di Musilli, l’altra di Colaneri di Trivento.47 42. Filosofemi di cosmologia e di ontologia, Perugia, V. Bartelli, 1863. 43. Lo scritto Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Università di Napoli, 23 novembre - 23 dicembre 1861, dove raccoglieva le lezioni napoletane del 1861-1862. 44. Francesco Petroni. 45. Cfr. lettera 247. 46. Nicola Vitullo. 47. Nazario Colaneri (1780-1864), avviato agli studi di legge a Napoli, fu deputato della provincia del Molise nel 1848.
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Epistolario
Addio per oggi. Tuo Bertrando Scrivi. SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
250 A Silvio Spaventa [Napoli,] 30 aprile 1863 Caro Silvio, Conti ti scrive – anzi ti ha scritto – una lettera sul Sifilicomio, che ti prego di prendere in seria considerazione. Tu conosci Conti, e sai quanta fede merita. E al contrario sai quanto sia imbroglione (D. M.) chi imbroglia qui nel Sifilicomio. Se non puoi occuparti ora di questo, impedisci almeno che si facciano cose nuove cattive, specialmente nelle nomine. È vero che io non c’entro in queste faccende, né me n’intendo; ma io credo in Conti, e pel bene della cosa te ne scrivo. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
251 A Silvio Spaventa [Napoli,] 30 aprile 1863 Mio caro Silvio, È venuto Pasquale Beato da me e vuole che ti raccomandi suo figlio Gennaro, il quale si reca a Torino. Questo giovine era garzone di ufficio di 2 a classe alla Posta, ed è stato destituito or sono tre giorni, incolpato di non so che cosa. Egli e il padre dicono che non è vero, e che le sue ragioni non sono state ascoltate. Perciò viene a Torino. Pasquale Beato è un bravo uomo, e dice che questa destituzione non è che una di quelle piccole vendette che si sogliono fare qui. Egli vuole che suo figlio sia ascoltato, e che gli si dia facoltà di difendersi. E se fosse innocente? In breve vedi se puoi aiutarlo sempre in linea di giustizia, s’intende. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
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252 A Silvio Spaventa Napoli, 13 maggio 1863 Mio caro Silvio, Ricevo la tua del 9. Vedrò oggi Tartaglia e gli darò partecipazione della sua nomina. Non so se ci avrà piacere. Ma ad ogni modo per un Dottore, anche idropatico, che fa visite e ha carrozza, la croce non è poi una bagattella. Faresti benissimo ad andare a Pescara;48 anche per riposarti un po’, e per altro. Le mie vacanze si avvicinano, e io non so ancora cosa farò. Ho bisogno di uscire da Napoli, ma non so dove andare. Vedremo. Ho cambiato casa: Strada Materdei 62. 49 È una eccellente casa, checché tu ne possa dire. Questa volta non ti raccomando nessuno! È un miracolo. Solo debbo ricordarti – non perché me l’abbia detto lui – il povero Turco Vincenzo. Sai che bravo uomo è, e tira avanti come Dio vuole. Sperava di essere nominato percettore dal Municipio; ma non è riuscito. Non potresti fargli avere qualche posto nelle strade ferrate dalla Società Bastogi? Giacché tu nella tua amministrazione non puoi certo collocarlo. Rispondimi su questo. Ti scrivo, s’intende, con la solita fretta. Di qui non ho voglia di dirti niente. Scrivimi almeno un rigo se vai a Pescara. Isabella e Millo ti salutano. Salutami Ciccone Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
253 A Marianna Florenzi Waddington Napoli, 18 maggio 1863 Pregiatissima Signora Marchesa, Le invio per la posta le 4 copie del mio libro,50 e la ringrazio sempre più della Sua cortesia e benevolenza verso di me. Spero di poterle far tenere fra breve tempo il 1° volume della mia Filosofia di Gioberti,51 che Lei compatirà, come ha fatto dell’altro mio lavoro.52
48. Nel maggio 1863, Silvio accompagnò il principe ereditario Umberto in un viaggio che questi fece in Abruzzo. Il 9 maggio 1863 scriveva al fratello che forse avrebbe raggiunto Pescara (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 53). 49. L’indirizzo del domicilio precedente era: Vico Melofioccolo a Materdei, primo palazzo a dritta (cfr. lettera 231). 50. Della Prolusione e introduzione, di cui Bertrando aveva già inviato un esemplare (cfr. lettera 248). 51. La filosofia di Gioberti, I, Napoli, Stabilimento tipografico di F. Vitale, 1863. 52. Si riferisce alla Prolusione e introduzione alle lezioni napoletane del 1861-1862.
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Epistolario
E pieno di ossequio sono di Lei Devotissimo Vostro B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 3. 61 (inedita).
254 A Silvio Spaventa Napoli, 8 giugno 1863 Mio caro Silvio, Ho ricevuto con grande piacere la tua lettera. Sapevo già qualcosa del tuo viaggio negli Abruzzi, ma non potevo di certo sapere quel che tu mi hai scritto. Tartaglia mi aveva già informato delle cose d’Aquila – un po’ dal punto di vista del suo corrispondente;53 e Fortunato Nanni e un tale Battista Masciangioli parroco mi aveano scritto da Sulmona. Da Chieti nessuno. Di Teramo mi avea detto qualche cosa il prete Umani, impiegato nella veterinaria. In parte poi la morale di queste mie informazioni è, che il Masciangioli – che io conobbi a Chieti mezzo secolo fa, buon uomo, almeno allora – mi raccomanda, cioè raccomanda a te, una sua domanda che ti consegnò in Sulmona; e l’Umani mi lasciò la lettera che t’invio, aggiungendo che ti ricordassi suo fratello Giacinto, medico, ufficiale a Venezia nel 1848-1849, il quale potrebbe benissimo, dice, essere nominato medico della Questura al posto di Mazzoni. L’Umani è venuto anche nei mesi passati più volte da me, raccomandato da Castorani.54 – Anche i giornali hanno detto qualcosa del tuo viaggio, ed era naturale. Ed ora come stai? Che pensi di fare? Resterai ancora al tuo posto? Io non intendo darti un consiglio con tale interrogazione. Non posso darti consigli, perché non so nulla di quel che si potrebbe chiamare intrigo della situazione ministeriale. In generale ora dicono un gran bene di te – della tua capacità, etc., anche a Napoli, e anche coloro che prima dicevano il contrario. Da qualcuno venuto di Torino ho cercato di sapere cosa ci sia dentro costì. Mi hanno parlato di Peruzzi e Minghetti; ma dalle loro parole io non ho potuto formarmi un concetto netto di quel che voleva sapere. Dunque non posso darti un consiglio. Non so neanche se quel che tu volevi fare fin dai primi giorni della tua entrata nel Ministero, l’hai fatto poi. Vedo in generale che si è fatto molto, e lo vedono e lo confessano tutti; specialmente quanto al brigantaggio. Desiderano maggiore attività e zelo nei funzionari pubblici, ma maggiore celerità nella spedizione degli affari, un po’ più di rigore contro certi vecchi impiegati che incagliano invece di promuovere l’andamento della cosa pubblica, etc etc. Se abbiano ragione, e fino a qual punto, non lo so. 53. Il 7 giugno 1863, Silvio scriveva da Torino a Bertrando e, tra le altre cose, gli comunicava che all’Aquila era stato accolto benissimo da tutti, a differenza di come gli aveva riportato Domenico Tartaglia (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 54). 54. Raffaele Castorani (1819-1887), medico e patriota; esule a Parigi per dieci anni, rientrato in Italia, fu chiamato a dirigere la clinica oculistica di Bologna e successivamente l’ospedale oftalmico dell’Università di Napoli.
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Io non ti ho mai scritto delle cose di questa università; per dirti tutto, non basterebbe una lettera; né so cosa potresti far tu. È appena un mese, ricominciarono i tumulti; ci si volea impedire di far lezione; ma non riuscirono contro tutti i professori; io almeno e qualche altro la facemmo. I giovani che tumultavano non sanno quel che fanno, e si fanno menare per naso dai soliti bricconi. Forse i giovani hanno un po’ di ragione, in concreto, in questi primi anni, non in astratto; e i bricconi si appigliano a questa po’ di ragione, e agitano, e, come si capisce, il loro fine è altro. Questi bricconi sono poi di diverso genere, sono dentro e fuori dell’Università. Credo che il governo non abbia capito di che si tratta. Dico così, perché il Ministro della istruzione ora tiene una via ora un’altra, a caso, senza un concetto determinato della cosa. La prima cosa è: buoni e onesti professori, così nell’Università come nei Licei. Senza di ciò, tutti i regolamenti del mondo e tutte le modificazioni e abrogazioni e ripristinazioni quotidiane dei regolamenti – una babilonia all’ordine del giorno – non valgono niente. Ma di ciò forse in un’altra lettera. Capisco che tutto ciò finirà col tempo. Dunque confidiamo nel tempo. Non so cosa fare nelle vacanze. Qui non posso restare, perché comincio a non star bene, e sento il bisogno di mutar aria. Andrei in Abruzzo, e credo che un po’ di vita contadina mi gioverebbe. Ma le strade non sono sicure. Potrei avere una scorta, almeno da Caianiello a Castel di Sangro? Rispondimi su ciò subito, perché così saprò quel che devo fare. Zio Peppino55 mi scrive, che verrà qui alla fine di questo mese, e, naturalmente, vuole che io ritorni con lui. Mi scrisse anche, che non potendo più restare a Tornareccio per tante ragioni e specialmente perché la famiglia in Bomba è sola, vorrebbe essere nominato arciprete in Bomba. Non sarebbe che una traslocazione in certo modo. L’arcipretura di Bomba è di nomina regia, e perciò la cosa dipende dall’Economato. Ne parlai, come meglio seppi, con Sterlich; il quale mi disse che la proposta non la può fare lui; che bisogna fare una domanda al Ministro degli affari ecclesiastici; che simili domande vengono per informazioni rimesse a lui; e che, nel caso, egli sarà favorevole. Ho scritto tutto ciò a zio Peppino. Se tu puoi far qualcosa per lui, fallo. È meglio che l’arcipretura l’abbia lui, che altri, per tutte le ragioni, politiche e religiose. Quel torinese di cui ti parlai in altra mia lettera – Cesare Clara capitano di guardia nazionale e avvocato fiscale – mi scrive di nuovo per la benedetta croce. Te ne parlerà anche Peppino Del Re. Che vuoi che faccia io? Ciccillo Petroni che è venuto da San Cipriano per la festa di ieri ed è qui presente, ti saluta, e riparte oggi stesso con Mariannina. 56 Scrivo di fretta. Isabella e Millo ti salutano. Addio. Scrivi subito e rispondi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
55. Giuseppe Spaventa. 56. Marianna Croce.
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Epistolario
255 A Silvio Spaventa Napoli, 13 giugno 1863 Strada Materdei 62 Mio caro Silvio, Mi scrive Zio Peppino57 e m’invia quella tale domanda di cui ti ho parlato nell’ultima mia lettera. Credo che la domanda non possa correre come è. Falla rifare tu stesso da qualche amico, per esempio da Pietro.58 Ti rimetto anche la lettera di zio Peppino, perché vegga che egli aspetta tutto da te! Don Liborio di Padova mi scrisse la lettera che ti rimetto. Tu lo conosci: è un bravo, sincero e onestissimo uomo. Rispondi a parte su ciò, perché io gli possa comunicare la tua risposta. Nicola59 aspetta ancora la provvidenza su due suoi figliuoli, che da un pezzo non hanno più quella piccola pensione. Egli teme anche sempre per sé, e dice non sicura la sua posizione. E quel povero Labriola? 60 Io non so cosa fare per lui. Vedi se puoi aiutarlo. Vivono in una miseria spaventevole. Egli è sempre professore provvisorio con 28 ducati al mese. Le donne, moglie e cognata, mi fanno pietà, e non fanno altro che piangere. Intanto il figlio,61 che è giovine di moltissimo ingegno e si mostra sempre più tale, si può perdere; e sarebbe un gran peccato. Ha ingegno davvero. Tanti minchioni hanno protezione, e vanno avanti. Qui c’è una piccola consorteria che corrisponde colla grande di costì, e avvia e promuove questi asini di qui nell’istruzione pubblica. Vedi di parlare di questo giovane con qualcuno. Anch’io – si capisce – ci perdo un po’ nella riputazione, quando si vede che i miei migliori giovani, che potranno davvero essere utili all’insegnamento pubblico, stanno lì, e continua sempre la stessa cuccagna dei somari e degli intriganti come nei tempi passati. Vedi almeno se puoi aiutare il padre. Scrivo di fretta. Ieri ho visto Celestino Bianchi62 che è venuto a vedermi. Nicola63 dice (e sai che Nicola raccoglie tutte le dicerie) che De Simone, 64 Lequile etc. sono furiosi contro di te, e che Vernieri dice che tu lo chiamasti etc. Ti dico ciò per dirtelo, non perché meriti importanza. Addio. Scrivi. Millo e Isabella ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Lettere politiche, p. 56).
57. Giuseppe Spaventa. 58. Pier Silvestro Leopardi. 59. Nicola Vitullo. 60. Francesco Labriola. 61. Antonio Labriola. 62. Dopo l’Unità d’Italia Bianchi divenne segretario di Ricasoli e dal 1872 direttore del quotidiano fiorentino «La Nazione». 63. Nicola Rosei. 64. Giuseppe De Simone.
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256 A Silvio Spaventa Napoli, 7 luglio 1863 Mio caro Silvio, Ciccone mi ha dato tue notizie. Di me non ho altro da dirti, se non che sto bene, quantunque da qualche giorno abbia il solito dolore di stomaco. Non so ancora cosa fare in queste vacanze; se restar qui o andare non so dove. In Abruzzo non si può andare. Zio Peppino,65 che era già apparecchiato a venire, mi scrive che non verrà più, perché tutte quelle contrade, specialmente tra Roccaraso e Rionero, sono infestate da briganti. – Spero che non avrai dimenticato quella faccenda di Zio Peppino, e che il Sornione vorrà tenere la sua parola, salvo sempre il dritto del terzo, cioè degli impedimenti canonici! Debbo parlarti di nuovo del povero Labriola.66 Come si fa? Così non può tirare innanzi; ed è un gran peccato. Ripeto, che egli ha molto ingegno: quello che proprio si può dire ingegno. Aiutarlo non è solo un dovere di carità, ma qualcosa di più, di molto di più. Se io conoscessi Amari e potessi, gli proporrei di nominarlo addirittura professore incaricato di filosofia in un Liceo; se non riuscisse – e riuscirà di certo, e assai più di tutte o quasi tutte quelle pecore o montoni cavalieri e ufficiali che si dicono professori liceali di filosofia –, il Ministro lo toglierebbe. Il giovane sarebbe contentissimo di sottoporsi a una tal prova. Egli dice: cosa devo far io? Al far dei conti farò il militare, se nessuno mi aiuta. E chi l’aiuta? Nessuno. L’anno passato fu raccomandato dalla Facoltà per un sussidio. Gli diedero la somma favolosa di 50 lire e qualche centesimo! Se questo non è promuovere, non so che sia. – Egli si raccomanda a te, e dice che, sa da Amari o da chi per esso non si può ottener niente (e ciò che egli vuole è di essere messo alla prova come insegnante), tu facci di lui quel che ti pare e piace: in una parola egli è risoluto a entrare nella via, come si dice, dell’amministrazione. – Tu dirai, cosa potrò farne io? Questo lo sai tu; quello che so io è che il giovine è perspicacissimo, sveltissimo, accortissimo (parlo come un Mamiani redivivo). Possibile, che d’un giovine d’ingegno non si possa far nulla, e al contrario…? È inutile che finisca la frase. – Se anche ciò non è possibile, mettetelo all’amministrazione delle vie ferrate qui. Volea parlarne al Bianchi; ma quando ci pensai, era già troppo tardi. Dunque vedi cosa puoi fare, e rispondimi.67 Ho indicato tre vie: preferirei la prima, pel bene del giovine. Sono certo che riuscirebbe anche nella seconda. La terza si tenterebbe nel caso di disperazione; e quasi ci siamo. Se tu parli con Amari, potrai dirgli che chiedesse informazioni qui all’Università, al Rettore o alla Facoltà di Lettere e Filosofia, del Labriola. 68 Tutti lo conoscono. Insomma vedi – te ne prego – d’iniziare a menare a termine questa faccenda. 65. Giuseppe Spaventa. 66. Antonio Labriola. Bertrando cominciò a interessarsi a Labriola grazie alla mediazione di Antonio Tari, che presentò il giovane discepolo al maestro (cfr. lettera di Tari a Spaventa del 23 luglio 1861, in Antonio Labriola, Carteggio, I, 1861-1880, a cura di Stefano Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2000, p. 3). 67. Nella risposta a Bertrando dell’11 luglio 1863, Silvio si mostrerà disponibile ad aiutare i Labriola, raccomandando Francesco al ministro Amari per farlo nominare professore titolare e proponendo di impiegare il giovane Antonio nel ramo di polizia, come applicato di pubblica sicurezza (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 57). 68. Antonio Labriola.
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Epistolario
Avevo promesso a Tiberi di scriverti, se veniva a Torino. Ora è ritornato qui da Vasto, e non ha avuto tempo di recarsi costì. Sai che è segretario da tre anni, credo. Non ti dico altro: sarebbe bene di pensarci, per tante ragioni. Ti manderò i pantaloni per Ciccone. De Martino mi promise di mandarmi a dire quando partiva; ma non mi ha fatto sapere più nulla. Addio. Saluto Pietro, 69 e dandoti i saluti di Isabella e Millo sono di fretta Tuo Bertrando SNSP, p. 24).
XXXI.D.1
(parzialmente ed. in S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 56-57 e in Vacca, Nuove testimonianze,
257 A Silvio Spaventa [Napoli,] 11 luglio 1863 Caro Silvio, Ritorna Ciccone, e ti scrivo due righi. Io sto bene, sebbene ancora con un po’ di dolore di stomaco. Carlo Musilli mi manda l’acchiusa domanda. Vedi cosa puoi fare. Cosa posso fare io? A Pisanelli non scrivo. Puoi dirgli che Musilli è mio amico. Ricordati di Zio Peppino.70 Per Ciccone avrai le 4 paia di pantaloni bianchi, che in verità fo male a mandarti, perché avrei potuto ritenerli io per me. Addio. Ti saluta Isabella e Millo Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
258 A Silvio Spaventa [Napoli,] 21 luglio [1863] Caro Silvio, Viene De Chiara, e vuole che ti scriva. Io gli ho detto che non ci è bisogno, perché tu lo conosci, e credo perciò inutile ogni mia raccomandazione. A ogni modo io te lo raccomando e non ti dico altro. Io sto bene. Addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
69. Pier Silvestro Leopardi. 70. Giuseppe Spaventa.
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259 A Silvio Spaventa Napoli, 25 luglio 1863 Mio caro Silvio, Il povero giovine Labriola,71 non potendo ottenere altro di meglio e più confacente al suo ingegno, accetta di essere nominato applicato. Ma prima di tutto vorrebbe sapere (in verità lo voglio sapere io più che lui), se sarebbe possibile nominarlo applicato in una prefettura piuttosto che nella pubblica sicurezza. Non è lo stesso? Come applicato in una prefettura starebbe al suo posto; scriverebbe, copierebbe, etc. Come applicato nella pubblica sicurezza dovrebbe forse andare a zonzo la notte, arrestare i malviventi, etc. Ciò, dico io, non gli converrebbe. È troppo già il sacrificio che fa, giacché anche nel migliore dei casi si logorerebbe l’ingegno, che, come ti ho detto, ne ha moltissimo. In secondo luogo, se lo nomini (e in una prefettura), pensa a non mandarlo in Sardegna o in qualche luogo simile. Non sarebbe possibile qui, a Napoli? Sarebbe troppo? A Napoli vivrebbe colla famiglia e l’aiuterebbe. Fuori, come vivrebbe con una ventina di ducati al mese? Ti raccomando questa faccenda; e non ti dico altro. Che peccato! Un altro guaio. Sinodoro Di Cola, il figlio di Rosa, fu traslocato e, credo, promosso a Napoli, come custode di carcere. Era contento, sebbene non avesse più l’abitazione gratis come a Maddaloni. Sono due o tre giorni che ha preso possesso nella Vicaria. Ieri sera è venuto da me sconcertato e stralunato, dicendo che quel carcere non fa per lui; che è un orrore, etc. Avea una faccia, che facea pietà. Cosa si potrebbe fare per lui? Io non so; e te ne scrivo, perché è un brav’uomo. Ho smesso il pensiero di andare in Abruzzo. Ora prendiamo i bagni. Poi si vedrà. Tu come stai? Io sono ora senza dolore di stomaco. Scrivimi e dimmi qualche cosa, se hai tempo. Addio. Isabella e Millo ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Lettere politiche, p. 57).
260 A Silvio Spaventa [Napoli,] 5 settembre 1863 Mio caro Silvio, Non ti scrivo da un pezzo, e tu né anche mi hai scritto più. Spero di scriverti tra giorni a lungo. Ti dico solo che noi stiamo bene. E tu? Qui se ne dicono tante. Che c’è di vero nella notizia del Dritto su te? Tu non mi dici mai niente. Viene Donna Costanza. Ha voluto venire. Ti prego di non metterti di cattivo umore e di accoglierla bene. Povera donna! Ti dirò poi il gran chiasso che han fatto qui tra loro i Croce
71. Antonio Labriola.
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Epistolario
per non so che raccomandazione e raccomandato di Zia Luisa,72 che tu non volesti ricevere etc. Ma tu non mostrartene inteso prima che io te ne scriva altro. Ciccillo73 non ne sa niente. Io sto colla stampa; e colla Accademia. Ma il tuo inferno è maggiore del mio infinitamente. E quel povero Labriola?74 Io sono tutto mortificato. Scrivimi almeno un rigo.75 Ti raccomando di far buon viso a Donna Costanza… e a tutti. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
261 A Silvio Spaventa [Napoli,] 6 settembre 1863 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto più da molto tempo, perché sperava di poter venire a rivederti nel passato mese di Agosto. Uno di quei miei soliti dolori di stomaco – molesto più che mai e che non vuol cedere ancora – me l’ha impedito. Dovrà passare! Partirò, subito che mi sentirò meglio. Ti scrivo poche parole, perché il dolore mi tormenta. Ti ricordi di quel povero Tafone?76 Alla fine di Settembre finisce la sua aspettativa, ed egli rimarrà così senza niente. Avrei dovuto mandarti da un pezzo questa sua lettera. A me pare un buon uomo. Vedi di aiutarlo subito e a tempo. Pasquale Di Matteo (il Delegato) mi pregò anche di scriverti per una cosa sua. Vedrai di che si tratta nell’acchiusa memoria. La quale è scritta confidenzialmente: e non ci è da formalizzarsi. Tu lo conosci meglio di me. Rispondimi su tutti e due. Il povero Conti (vice ispettore all’ufficio sanitario) è malato da un anno gravemente d’una malattia di cuore, e può morire da un momento all’altro. Egli è in una posizione irregolare come impiegato. Come deve fare? Domandare l’aspettativa? E poi? Come vivrà (se vivrà!) col poco soldo che avrà? Può darsi che viva anche qualche anno di più. Ei non ha nulla, e sta lì il pover uomo inchiodato sul letto, che fa pietà. È un caso terribile. Io te ne scrivo, perché tu gli dia un consiglio più che altro, nel fine di assicurargli i mezzi di tirare innanzi, se vivrà ancora. Non so dirti altro, perché il dolore è orribile. – Ti raccomando il povero Conti. – Del resto io sto bene colla famiglia. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
72. Luisa Croce. 73. Francesco Petroni. 74. Antonio Labriola. 75. Nella lettera del 21 dicembre 1863 Silvio spiegherà a Bertrando di avere raccomandato Francesco Labriola al ministro Amari, il quale aveva più volte promesso di nominarlo professore titolare, e di avere provveduto a nominare Antonio Labriola applicato di pubblica sicurezza con 1000 lire di stipendio all’anno (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 57-58). 76. Tommaso Tafone, luogotenente dei volontari del Veneto nel 1848.
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262 A Silvio Spaventa [Napoli,] 26 settembre 1863 Mio caro Silvio, Ciccillo77 è sempre in grande apprensione per quella cagione che sai e per cui ti scrisse; teme sempre – e nel caso suo temerei anch’io – che il suo podere non gli venga tagliato e ritagliato da capo. Da D’Urso, mandato a posta costà, ebbe a principio buone notizie. Gli scrisse di aver parlato col Grattoni, il quale mostrava di capacitarsi delle ragioni di Ciccillo. Ma dopo ciò niente più. Il D’Urso scrive di essere partito per Milano e Venezia! Quindi Ciccillo teme che non si prenda dall’amministrazione Bastogi78 qualche deliberazione contraria ai suoi interessi, e poi non ci sia più rimedio; giacché il lavoro degl’ingegneri qui è già fatto, e se non è stato spedito ancora, può esserlo tra giorni. Intanto oggi stesso parte di qua una deputazione salernitata79 anche per motivo di quella linea. Ciccillo ti dirà il resto. Pare dunque che non ci sia tempo da perdere. Io dunque ti raccomando di vedere cosa puoi fare, e presto; e intanto di scrivere almeno un rigo a Ciccillo per tranquillarlo un po’. Ti devo dir altro? Addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
263 A Silvio Spaventa [Napoli,] settembre 1863 Caro Silvio, Ciccillo80 manda costà il Signor D’Urso che tu conosci, per un caso serio che gli si minaccia dalla nuova amministrazione della strada ferrata da Salerno etc. Pare che vogliano modificare la linea che passa per quel suo podere, che tu sai, e tagliarglielo di nuovo in maniera da guastarlo interamente. Ciccillo e Mariannina81 ti scrivono e ti dicono la cosa in tutti i suoi particolari. Il porgitore ti dirà il resto. Tu sai quanto è impressionabile Ciccillo, e specialmente quando è convinto di aver ragione e che gli si faccia torto. Egli è in tale agitazione d’animo che mi fa dolore; non pensa ad altro e non parla d’altro che di questo, e in pochi giorni ha quasi mutato fisionomia. È superfluo che ti dica, che egli non ha che una sola speranza, ed è che tu gli faccia rendere giustizia, raccomandandolo insieme al Bastogi e al Menabrea.82 Il 77. Francesco Petroni. 78. Pietro Bastogi (1808-1899), finanziere e politico, deputato e senatore dal 1890, fu ministro delle finanze negli anni 1861-1862. 79. Correzione di «salernitana». 80. Francesco Petroni. 81. Marianna Croce. 82. Luigi Federico Menabrea (1809-1896), militare, diplomatico e politico, fu presidente del Consiglio dei ministri (1867-1869), ministro della marina (1861-1863, 1867), ministro dei lavori pubblici (1862-1864), ministro degli affari esteri (1867-1869).
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Epistolario
progetto che egli propone – nel caso si voglia modificare la linea, ché non ce ne sarebbe bisogno – è da preferire a quello che vorrebbero eseguire gli ingegneri della Società, perché è egualmente buono, e costerebbe molto molto di meno. Bisognerebbe far intendere al Bastogi che la Società guadagnerebbe adottando il progetto di Ciccillo. Perciò viene il Signor D’Urso. Io ti raccomando per ogni verso questo caso di Ciccillo che è veramente serio ed è stato per lui come un colpo di fulmine. Non ti dico altro. Scrivi Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
264 A Silvio Spaventa [Napoli,] 28 ottobre 1863 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua lettera. Ho gran piacere che sii andato a Forlì per riposarti un po’ dalle tue fastidiose occupazioni. 83 Dovresti fare spesso di queste gite, e pensare seriamente alla tua salute. Dàlli oggi e dàlli domani, e la macchina si logora. Gli altri si divertono. Non so perché tu non deva fare lo stesso. Ieri finalmente ho finito di stampare il primo volume su Gioberti.84 Non ne potevo più. Te lo manderò subito che sarà legato. Ho visto Tommasi, il quale mi ha dato tue notizie. – È stato qui anche Decoroso 85 di passaggio per Reggio. Mi pareva contento della traslocazione, sebbene ora non sia più così vicino a Napoli. Qui si parla di gran movimento prossimo di Prefetti. È vero? Io, Ciccillo 86 e Decoroso stesso abbiamo fatto dei castelli in aria, cioè che nel caso che il Bardesono fosse traslocato, Decoroso potesse andare a Salerno. Non ti devo nascondere che Ciccillo è innamorato di Decoroso. Io vedo la difficoltà, e gliel’ho detto, cioè l’essere stato già traslocato di recente. Pure te ne scrivo, nel caso etc. Sta a te il vedere se conviene o no. È inutile che ti dica che Decoroso avrebbe piacere di ciò. Ti scriverò più a lungo a Torino. La mia venuta costà è ita in fumo. Pazienza. Ti saluta Isabella e Millo e la Mimì.87 Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
83. Dal 20 settembre, commentando il recente incarico di segretario dell’interno, gli scriveva: «Io qui mi ammazzo come un asino» (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 58). 84. La filosofia di Gioberti, I. 85. Decoroso Sigismondi. 86. Francesco Vizioli. 87. Emilia, figlia di Bertrando, che prese il nome della primogenita prematuramente scomparsa. Vale per le occorrenze successive.
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265 A Marianna Florenzi Waddington Napoli, 13 novembre 1863 Pregiatissima Signora, Ho tardato molto a rispondere alla sua graditissima lettera, e gliene chiedo scusa. In questi mesi di vacanza sono stato molto occupato per la stampa del primo volume della mia Filosofia di Gioberti, che le invio, pregandola di compatirlo colla sua consueta benevolenza. Invio anche una copia per l’ottimo Palmucci,88 al quale ella vorrà ricordarmi, assicurandolo che gli scriverò quanto più presto potrò. La prego dei miei ossequi alla Signora Marchesa Tanai e sono colla solita stima, Devotissimo Vostro B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 3. 60 (inedita).
266 A Francesco Fiorentino Napoli, 15 novembre 1863 Mio caro Amico, Ricevetti la vostra lettera col vaglia postale. Non risposi subito, perché ero occupatissimo nella stampa del 1° volume della Filosofia di Gioberti. Voi tanto buono mi scriveste. Vi mando per la posta una copia di detto volume. Non vi dico di farmi qualche associato, perché sono persuaso della vostra buona volontà per me. L’ho già inviato alla Florenzi e a Palmucci.89 Aspetto vostre lettere. Per ora vi scrivo poche righe. Vogliatemi bene e credetemi sempre Vostro affezionatissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 49 (inedita).
267 A Silvio Spaventa [Napoli,] 4 dicembre 1863 Mio caro Silvio, Ricevetti la tua lettera, e godo che stai bene. Ma bada sempre e pensa alla salute. È già un anno che sei in questa galera,90 e non so come duri ancora. – Io sto bene. Ho 88. Luigi Palmucci, all’epoca provveditore agli studi di Perugia e, dal 1873, di Napoli. 89. Cfr. lettera 265. 90. Si riferisce all’ufficio di segretario generale del Ministero dell’interno, che Silvio iniziò a svolgere dai primi di dicembre 1862 (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 41).
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Epistolario
ricominciato le lezioni, colla solita frequenza di studenti, sebbene le cose che insegno io non formino materia di esami. – Devo dirti una cosa. Sarebbe possibile che il nostro Tartaglia entrasse in qualche modo nel nuovo Ospedale che si farà (di qui a cent’anni) a Gesù e Maria? Ci ho pensato io; e in certo modo ci avea pensato anche lui. Ne abbiamo parlato insieme. Non ci sarà bisogno di qualche cosa che rassomigli a uno stabilimento idropatico? Ciò, credo, dipende da te e da Tommasi. Tartaglia non ha chiesto né avuto mai niente; seguita a girare da mattina a sera per Napoli, e così vive. Perché non pensare un po’ alla sua vecchiaia? Vedi tu con Tommasi se ci sia a fare qualcosa su ciò, e scrivimene senza meno. Hai capito? Ho voluto scriverti a tempo per prevenire chi sa quante domande simili. Meglio Tartaglia che altri. Ti ripeto, pensa a ciò. Non ti dico altro. Isabella e Millo ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
268 A Silvio Spaventa [Napoli,] 17 dicembre 1863 Mio caro Silvio, È un pezzo che non ti scrivo. E non avrei avuto che dirti. Veramente tu devi rispondermi ancora su Tartaglia, che sempre ti raccomando. – Qui già vi facevano morti. Conforti già si apparecchiava a riprendere il portafogli, anzi, secondo Moccia,91 a salire alla presidenza del Consiglio. Infatti partì in fretta, chiamato per dispaccio, prima della votazione. Non capisco come Peruzzi abbia preso sul serio nella Camera l’affare De Luca. Forse io non me ne intendo. – La presa di Caruso è stata un gran colpo. Ora Pallavicino92 dovrebbe andare in Basilicata a fare lo stesso servizio a Ninco Nanco, 93 Crocco,94 e compagni. Non ti ho detto mai che La Marmora, quando fu mandato Homodei a Benevento era arrabbiatissimo contro il Ministero dell’Interno, e scontento anche dell’invio di quel matto di Pallavicino! Ti rimetto una lettera di Don Paolo Sanchez a Pica. Tu riderai. Ecco come va la cosa. Giorni fa, ricevei un biglietto di Sanchez, che mi pregava di andare da lui, non potendo lui venire da me, perché malato, etc. Vado e lo trovo a letto. Comincia un discorso che non finiva mai, e io non sapeva dove andava a finire. Mi raccontò la sua vita, le opere che avea fatto, il suo ingegno, l’essere stato sul punto di diventar Ministro nel 1848, la sua sorpresa di non essere stato nominato Ministro nel 1860 e anche ora, e né meno consigliere di Stato, 91. Giuseppe Moccia, morto nel 1897, dopo il 1860 impiegato e successivamente economo generale dell’Economato dei benefici vacanti. 92. Giorgio Pallavicino Trivulzio (1796-1878), patriota e uomo politico lombardo, fu deputato del regno di Sardegna dal 1849. Dal 1860 fu senatore del regno d’Italia e dal 1861 al 1863 ricoprì la carica di vicepresidente. 93. Giuseppe Nicola Summa (1833-1864), detto Ninco Nanco, è stato un brigante. 94. Carmine Crocco (1830-1905), è stato tra i più noti briganti del periodo risorgimentale.
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la sua amicizia e poi inimicizia con Fortunato,95 la sua posizione attuale, l’avere molte liti in tribunale, etc. etc., e, quando Dio volle, conchiuse: «dunque voglio gittarmi nel fango; scrivete a Don Silvio, che mi nominasse Prefetto di Campobasso». Cosa dovea dirgli io? Gli risposi che non avea mai scritto a te di nominare Prefetti o altro; ma che gli avrei raccontato ciò che egli mi avea detto. Che te ne pare? Gettalo dunque nel fango. Povero vecchio! Che devo dirgli io, se viene da me o mi manda di nuovo a chiamare? Carlo Musilli mi scrive, e dice che per quell’affare suo per cui ti scrisse, sono state prese tutte le informazioni, e riuscite favorevoli; intanto non si vede nulla. Vorrebbe che ne parlassi da capo a Pisanelli. Se la sua qualità di subeconomo è di ostacolo, non ha difficoltà a lasciarla. Saprai che è stato già intimato il concorso per l’arcipretura di Bomba. Mi si scrive che Ciro Sacchetti (e naturalmente Mincantonio Sacchetti) si dà da fare contro Zio Peppino,96 e che cerca di intrigare alla Curia o per essere ammesso anche lui al concorso (e non potrebbe, perché non appartiene alla diocesi di Chieti), o per altro. Non credo che tu possa far niente per questo; ma te ne scrivo per ogni buon fine, e perché Zio Peppino non sia sopraffatto da qualche intrigo. Invigila, il più che puoi, su ciò. È naturale, che ai Sacchetti dispiaccia che Zio Peppino sia nominato arciprete. – Rispondimi su ciò! Bada sempre alla salute, e dimmi qualcosa di politica, se hai tempo. Isabella e Millo ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
269 A Silvio Spaventa Napoli, 28 dicembre 1863 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua lettera. – Madia è rimasto contento. – Per Tartaglia ti scriverò un altro giorno ciò che io credo si possa tentare. Scriverò anche a Tommasi. – Labriola accetta,97 naturalmente, e ti scrive per ringraziarti. Io che conosco il giovine, direi98 che sarebbe meglio che tu lo chiamassi costà. Ci è da farne qualcosa di buono, perché ha ingegno, volontà, perspicacia, accorgimento, e serietà. Non somiglia al padre in ciò. Che farebbe qui anche col D’Afflitto?99 Oltre il viaggio, gli si potrebbe dare qualcosa di danaro, da farsene almeno un cappotto? Se hai da dargli un destino, fa presto.
95. Fortunato Nanni. 96. Giuseppe Spaventa. 97. Antonio Labriola accettò l’incarico di applicato di pubblica sicurezza, che gli aveva procurato Silvio, dietro richiesta di Bertrando (cfr. lettere 256 e 259). 98. Vacca: «dico». 99. D’Afflitto era il prefetto in carica a Napoli (cfr. lettera 193, nota 47).
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Epistolario
Mi duole molto il caso di Ciccone. La Società unitaria costituzionale col suo giornale non ha fatto niente in favore.100 Ora esce in campo col dire, che la cagione della non riuscita dell’elezione è il governo, che governa male e perciò scontenta quella onesta gente che sono i Nolani; i quali non hanno eletto Ciccone, ma gli vogliono bene, etc. Che vuoi che dicano di serio De Sanctis e Settembrini? Due testoni politici! Mando l’articolo a Rosei. Ti dico una cosa. Qui il Municipio non va e si scredita ogni giorno. Ho udito parlare sottovoce di scioglimento e di commissario regio. Se ciò è vero, ti raccomando due cose. 1. che le cose giungano a tal punto, che lo scioglimento sia invocato da tutti come l’unico rimedio. 2. (e questo è l’essenziale) che il commissario regio non sia napoletano. Ci vuole una specie di Pallavicino civile, un uomo di ferro: un Berretta per esempio o qualcuno simile. Bada a ciò. Si direbbe gran bene di te!! Gargano, quel giovine, che era a Capodimonte, dice di essere stato poco o mal considerato da Visone. Ora è uno dei segretarii dell’amministrazione di Casa reale. Vorrebbe venire a Torino per far valere le sue ragioni. Vorrebbe sapere se tu potresti raccomandarlo a Nigra. Ciò vuol sapere prima, per non fare un viaggio inutile. È un pezzo che me l’ha detto; e ieri è venuto a dirmelo di nuovo. Rispondimi un sì o un no; altrimenti. Ti manderò subito altre copie del mio libro.101 Bada alla salute, e scrivi. Isabella e Millo ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 26).
270 A Silvio Spaventa Napoli, 1863 Mio caro Silvio, Ciccio Fornaro mi ha dato questa carta, perché te la raccomandi, e ti preghi di fare la giustizia. Se non si tratta d’altro che di ciò e la cosa dipenda da te, io non ho bisogno di dirti altro; e sono certo che tu farai quel che potrai pel bravo Fornaro. Ieri ti scrissi per la posta. Addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
100. Il riferimento è al periodico «L’Italia. Giornale dell’Associazione Unitaria Costituzionale» pubblicato a Napoli a partire dal 1863 e diretto da Francesco De Sanctis. 101. Il primo volume de La filosofia di Gioberti, finito di stampare a Napoli nell’ottobre del 1863.
1864
271 A […] Napoli, 6 gennaio 1864 Signore, Ella m’invita a smentire la notizia che riferisce sul conto mio nel numero I, anno II del suo Giornale, e io la dichiaro interamente falsa. Io non mi meraviglio del gran rumore che si vuol far nascere. Ci ha gente che vive così, e ama le tempeste in un bicchier d’acqua. Solo stupisco della leggerezza, con cui, mentre si grida alla calunnia, si senta di calunniare appunto – perdoni se uso la parola che oggi è all’ordine del giorno – contro un uomo come me, che in tutta la sua vita, quando ha avuto a dire qualcosa contro qualcuno, suo eguale o superiore, glielo ha detto sempre a fronte alta, a viso aperto, e in pubblico. Aggredire di notte e alle spalle non è stato mai mio costume; e molto meno di avere al mio seguito strumenti mezzani di vendetta o di celebrità. Il rispetto, che ho di me medesimo, mi vieta di dire una sola parola – e non me ne mancherebbe – che possa parere una giustificazione. Lo stesso rispetto mi fa un dovere di non rispondere a ciò che ella dice dell’ultima mia opera e di non so che croce; che non vorrei credere fossero i maggiori e soli colpevoli in tutta questa faccenda. Solo ricorderò pochi fatti, per correggere il giudizio di chi non ha letto altro che le comunicazioni del Signor Vera. 1. Il giorno che fu nominato il Cousin1 io non intervenni nell’Accademia;2 e perciò io non poteva né posso dire di aver udito né di non aver udito quelle parole che il Signor Imbriani mette in bocca al Signor Vera. Dico ora, che presente, io avrei dato anche il mio voto al Cousin.
1. Victor Cousin (1792-1867), filosofo francese e storico della filosofia, tenne lezioni alla Sorbona di Parigi tra il 1815 e il 1820. Sospeso dall’insegnamento, si recò in Germania, dove aveva soggiornato anche in precedenza e dove aveva avuto la possibilità di approfondire la conoscenza dell’idealismo tedesco. 2. Reale Accademia di scienze morali e politiche, di cui Bertrando Spaventa era socio a partire dalla fine di maggio 1862 (cfr. lettera 221).
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Epistolario
2. Nella adunanza seguente si parlò punto del Rosenkranz3 e del Michelet.4 Fui io che proposi il Brandis;5 e l’Accademia accettò la proposta all’unanimità. Io non ho bisogno né di vantarmi né di scusarmi di tale proposta. 3. L’Imbriani censura insieme le nomine del Cousin e del Brandis come cattive scelte, e ne chiama in colpa il Signor Vera, attribuendo anche a costui, di conseguenza, la esclusione del Michelet e del Rosenkranz. Tale è la sostanza di tutto l’articolo. Ora il biasimo tocca tutti e due: il Signor Vera e me e l’esclusione del Michelet e del Rosenkranz, se così si vuol dire, deve essere attribuita a me, che proposi il Brandis per l’unico posto che rimaneva. Intenda chi può come io, che era autore della proposta del Brandis e implicitamente, ma involontariamente, della esclusione del Michelet e del Rosenkranz, potessi dire che questa proposta e questa esclusione si dovesse al Signor Vera. 4. Se si fosse posta mente un po’ a tutto ciò, non si sarebbe cercato un calunniatore tra gli accademici. Parrebbe che non si tratti più di calunnia, ma di rivelazione d’un segreto! Ognuno capisce, che per inventare un fatto qualunque non era necessario essere uno degli accademici, e che chi inventa non rivela segreti, come chi rivela segreti non calunnia. La prego, Signor Direttore, d’inserire la presente in uno dei prossimi numeri del suo Giornale. Di lui Signore, Devotissimo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita). La lettera non presenta indicazione del destinatario.
272 A Silvio Spaventa [Napoli,] 14 gennaio 1864 Mio caro Silvio, Ti scrivo per l’affare di Zio Peppino.6 I nostri a Bomba sono molto allarmati per questo, e temono che Ciro Sacchetti, spinto e consigliato da Mincantonio7 e da Raffaele Cipriani (è la prima volta che scrivo questo nome in tutta la mia vita) non riesca ad essere Arciprete. Già sai che costui si è ascritto al concorso. Perché ti facci un’idea della cosa o almeno dei timori dei nostri, ti rimetto due lettere di Corinto 8 al figlio che è qui. Le leggerai, quando tornerai a casa la sera. Corinto continua a scrivere che Ciro9 intriga; che 3. Johann Karl Friedrich Rosenkranz (1805-1879), filosofo tedesco, professore ad Halle dal 1828 e poi a Königsberg dal 1833. Si dedicò allo studio del pensiero di Hegel con particolare riguardo ai problemi di estetica. 4. Karl Ludwig Michelet (1801-1893), filosofo tedesco, discepolo di Hegel, professore a Berlino dal 1829. Tentò un’interpretazione religiosa della filosofia hegeliana, sottolineandone l’accordo con le dottrine principali del cristianesimo. 5. Christian August Brandis (1790-1867), storico della filosofia tedesco, professore all’Università di Bonn, si dedicò soprattutto allo studio del pensiero antico. 6. Giuseppe Spaventa (cfr. lettera 254). 7. Domenicantonio Sacchetti. 8. Corinto Vitullo. 9. Ciro Sacchetti.
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manda ogni settimana plichi all’Arcivescovo in Aquila e al Vicario in Vasto o in Chieti; e che ultimamente è partito un ufficio da Bomba col suggello municipale, indirizzato al Vicario di Vasto. Temono, che i Sacchetti non facciano un cattivo tiro a Zio Peppino presso la Curia. È naturale che la Curia per fare un dispetto al Governo e a Spaventa, cerchi tutti i modi di nuocere a Zio Peppino. Io non so fin dove arrivi il diritto del Governo in questa faccenda; giacché, come sai, l’Arcipretura è di nomina governativa. Come fare per ovviare e impedire qualche sinistro? Intanto Mincantonio, specialmente dopo la promozione di suo nipote Berardo 10 fatta da te, finge di disapprovare il nipote Ciro. Si capisce che è una commedia. Ciro stesso mi ha scritto ieri una lettera colla faccia tosta di un frate, dicendomi che non credessi ai malevoli che sporgono cattive voci contro di lui intorno alla faccenda dell’arcipretura; che tutto cammina regolarmente e semplicemente. Sappi, che io non ho parlato né scritto a nessuno: non mi sono lagnato con alcuno di Ciro. È una anticipazione gratuita che fa lui. Se ci fosse modo di agire per questo verso! Hanno paura di te; ma pure fanno da ribaldi il fatto loro. Sarebbe proprio brutto che la vincessero. Sarà una cosa di poco momento; ma al far dei conti non conviene che imbaldanziscano. Ti scrivo di ciò perché vegga tu cosa si può fare, senza però mostrare nessuna pressione né da parte tua né da parte mia. Rispondimi su questo subito. Faustina11 mi scrive. Vorrebbe che ti ricordassi di suo marito Innocenzo, 12 ora che si rimette la Ricevitoria a Bomba. Si lagna che tu pensi sempre ai nemici, e non hai parenti! Il Cappellano Margotta mi ha consegnato una domanda che ti rimetto. Non ho potuto farne di meno. Il Segretario di questo Municipio, Dinacci, che è mio vicino di casa, mi ha pregato per un suo parente. È già un mese. Ti rimetto una piccola memoria su ciò. Ti dovrei dire qualcosa di Ciccillo Petroni nell’elezione di Salerno. Testa originale. Credeva di essere quasi quasi eletto lui. Ha avuto 4 voti. Addio di fretta. Millo e Isabella ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
273 A Silvio Spaventa Napoli, 31 gennaio 1864 Mio caro Silvio, Non mi scrivi più da un pezzo. So da Turchiarulo che stai bene. – Ho letto l’interpellanza Crispi.13 Pare incredibile! È lui, sempre lui, e io lo conosco fin dal 1850, e più di voi altri. Furbo, con un tal quale ingegno naturale; ma asino sfrontato abborracciatore senza 10. Potrebbe trattarsi di Berardo Sacchetti. 11. Faustina Spaventa. 12. Innocenzo De Nillo (1833-1886), aveva sposato Faustina Spaventa, e fu ricevitore del registro in diverse località meridionali. 13. Francesco Crispi (1818-1901), avvocato e politico siciliano, fu deputato del regno d’Italia dal 1861 e presidente del Consiglio dal 1887 al 1891. Nella tornata alla Camera dei deputati del 23 gennaio 1864 Francesco Crispi presentò una interpellanza relativa al processo di Pasquale Greco.
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pari. – Qui dicono che sarà chiamato al Ministero, con Lazzaro14 Segretario generale. – Qualcuno qui dice, che De Sanctis sia diventato rattazziano. Settembrini poi scrive, al solito, senza capir niente di politica. Fa la parte dell’inverniciatore. Zio Peppino15 mi scrive, e dice che scrive anche a te. Il concorso per l’Arcipretura di Bomba ha avuto luogo in Vasto il 22 di questo mese. Egli ebbe più di Ciro Sacchetti punti 13. Ora il Monsignore di Chieti deve dare il suo giudizio, e poi il Governo scegliere e nominare. Zio Peppino dice, che il parere del Vescovo non può essere diverso dal parere di quelli che hanno presieduto al concorso, degli Esaminatori o Elettori. È vero che il Vescovo potrebbe raccomandare anche chi ha avuto minor numero di voti; ma il Governo ha il diritto di scegliere fra gli approvati, e scegliendo chi ha avuto più punti, farebbe la giustizia. Sai, che il Vescovo è ritirato in Aquila. Non è difficile che raccomandi il Sacchetti.16 Gli intrighi contro Zio Peppino sono stati molti, e bruttissimi. Lo hanno accusato di essere ladro, puttaniere.!!! Ma il Governo sentirà un vescovo birbo e ribelle? È inutile che ti dica di parlare con Pisanelli; informarlo di tutto, e fargli fare la nomina secondo giustizia e subito. I calunniatori di Zio Peppino sono dei vecchi borbonici, e peggio. Tu li conosci. Mi scrive da Bomba, che sconfitto nel concorso il Sacchetti cerca ora di far fare una deliberazione dal Consiglio municipale (che tu sai cos’è), per domandare al Ministro che nomini lui, e non Zio Peppino!!! Io ti informo di queste inezie, non perché dubiti di Pisanelli, ma per dirti come sta la cosa. – E poi: è necessario, sommamente necessario che quei bricconi abbiano una lezione. Se vincessero questo punto, non sarebbe una bella cosa per tante ragioni. Tu non hai bisogno che ti dica altro. Dunque fa, e il più presto che puoi. Rispondi subito. Addio. Millo e Isabella ti salutano. Tuo Bertrando Millo ti scrive la prima volta. SNSP, XXXI.D.1 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 27).
274 A Francesco Fiorentino Napoli, 4 febbraio 1864 Materdei 62 Mio caro Fiorentino, Avea già letto nell’Effemeridi la vostra Prolusione: 17 e mi rallegro con voi. Vi ringrazio della copia che mi avete inviato. Conoscevo già il giovine Soloro. Farò per lui quanto è in me. Scrivo di fretta, e scusate. Vi spedii subito le tre copie della Filosofia di 14. Giuseppe Lazzaro (1825-1910), giornalista e politico napoletano, deputato della Sinistra dall’VIII alla XXII legislatura. Fu nominato senatore del regno d’Italia nel 1908. 15. Giuseppe Spaventa. 16. Ciro Sacchetti. 17. Aristotile e la filosofia: prolusione al corso di storia di filosofia per l’anno 1863-1864 letta dal prof. Francesco Fiorentino nella R. Università di Bologna a dì 27 novembre, Perugia,
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Gioberti e le due della Filosofia di Kant.18 Non capisco come le ultime non vi siano pervenute. Se ne volete altre, ditemelo. Vi prego di mandarmi il danaro, perché ho da pagare il tipografo. Perdonate di nuovo e sono sempre Vostro affezionatissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 50 (inedita).
275 A Francesco Fiorentino Napoli, 14 febbraio 1864 Mio caro amico, Le due copie della Filosofia di Kant etc. erano involte nello stesso pacco delle copie della Filosofia di Gioberti. Ve ne mando altre due. Aspetto il danaro, pel tipografo. Ho visto il Cerimele col Soloro e vi ringrazio. Scrivendo alla Marchesa19 e al Palmucci, vi prego di dir loro tante cose per me. Scrivo di fretta e sono sempre Vostro affezionatissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 51 (inedita).
276 A Silvio Spaventa [Napoli,] 21 febbraio 1864 Mio caro Silvio, Ricevei da Pessina la medaglia per Millo, il quale è rimasto contentissimo, e naturalmente non fa che mostrarla a tutti quei che vengono a casa. Senti questa. Il giorno stesso che l’ebbe, uscì con me; e incontrammo Pessina, e si parlò di te. Poi un altro, e si fece lo stesso. Millo udì tutto, e poi quando fummo soli mi disse: Papà, perché tutti conoscono Silvio? – Che gli avresti risposto tu? In verità io non ebbi che rispondergli, e mi cavai d’imbarazzo alla meglio. Ti scrivo per parlarti di Celano. Tu lo conosci meglio di me; e capisci anche perché io te ne scriva. Dunque costui è qui da una quindicina di giorni in congedo dal suo posto di consigliere di Prefettura a Massa in Toscana. Dice che non può tornare a Massa per tante ragioni; che per lui è necessità di ravvicinarsi a Napoli; non spera di essere destinato Tipografia Martini e Boncompagni, 1863; ristampata nel Saggio storico sulla filosofia greca, Firenze, Le Monnier, 1864. 18. La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana, Torino, Unione TipograficoEditrice Torinese, 1860. Il testo fu scritto già nel 1856 (cfr. lettera 80, nota 67). 19. Marianna Florenzi Waddington.
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qui; domanderebbe Salerno o Caserta; a Napoli si contenterebbe anche di un posto minore (!); che ha cose qui, che non può trascurare; che ciò sarebbe solo per un altro anno; etc. Che vuoi che dica io? Il Celano è venuto da me; mi ha parlato nel modo che sa lui, due ore, e ha conchiuso col farsi promettere che ti avrei scritto. Il congedo gli finisce alla fine di questo mese. Vorrebbe dunque un provvedimento subito, per non trovarsi imbarazzato. È un uomo curioso. Ma, ripeto, cosa farci? Io te ne scrivo, e non credo inutile farlo. Rispondimi subito, e vedi se puoi accomodare la cosa senza danno del servizio pubblico. Ti scrissi anche per Madia e ti rimisi una sua lettera. Ricordatene. Ho visto Gigante,20 col quale ho pranzato giovedì insieme con Ciccone. Ti salutano. Non ho a dirti altro. Io colla famiglia stiamo bene. Tu bada alla tua salute. Che n’è della crisi ministeriale?21 Non perder mai d’occhio l’affare di Zio Peppino.22 Mi si scrive da Bomba, che l’idea di far fare una petizione dal Municipio a favore di Ciro23 fu smessa, perché nessuno volle firmare. Pare che costui si sia ora raccomandato al Melchiorre,24 e gli ha scritto. Spera anche dal Vescovo che è in Aquila. Sarebbe bene che la cosa si finisse subito. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
277 A Silvio Spaventa [Napoli,] 8 aprile 1864 Mio caro Silvio, Ti scrivo per dirti che sto bene, e anche per darti alcune seccature. – Un mio conoscente di San Germano (ora Cassino), cognato di Petraccone vorrebbe raccomandata al Ministro della Guerra la domanda che ti rimetto. È una cosa da niente. Tu mi farai il piacere di darla a Torre,25 al quale avrei scritto io stesso, se non fossi un poltrone. Bramo di rendere questo favore ai Petraccone che mi hanno scritto. Dunque. La domanda, sodisfatta, o la rimetterai a me, o allo stesso Signor Erasmo Cinquanta in Cassino. Vorrei sapere se dal ministero 20. Raffaele Gigante (1819-1896), avvocato e uomo politico campano, fu deputato del regno d’Italia dalla IX alla XII legislatura. 21. Il 29 marzo, Silvio gli rispondeva: «Non ce n’è niente», ma consapevole della forte opposizione parlamentare esercitata dalla Sinistra, aggiungeva: «Il ministero non si dissimula però la situazione pericolosa in cui è». Gli alleati della Destra, meno esperti delle tattiche parlamentari, meno costanti dei loro avversari e rispetto a questi spesso assenti, rappresentavano un serio pericolo per la continuità del Ministero: «Basta cogliere un momento opportuno e il ministero si troverà contro un voto di censura che lo atterri» (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 59-60). 22. Giuseppe Spaventa. 23. Ciro Sacchetti. 24. Nicolò Melchiorre (1817-1885), avvocato e uomo politico abruzzese, fu deputato del regno d’Italia nelle legislature VIII, X, XIII-XV. 25. Federico Torre (1815-1892), militare e patriota meridionale, esule a Torino, partecipò alla prima guerra d’indipendenza e alla difesa della repubblica romana. Deputato dall’VIII alla XII legislatura, fu nominato senatore del regno d’Italia dal 1884.
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dell’interno sono state chieste informazioni a questa prefettura sul giovine Labriola; il quale lavora sempre alla Prefettura, e non sarebbe scontento se fosse chiamato costà. Però, non so se costà potrebbe vivere col soldo che ha qui. Ciccillo Petroni ti scrisse per quella benedetta arma. Il Questore gli disse che non avea facoltà, e che ne avrebbe scritto confidenzialmente a te. Intanto non se n’è saputo niente. Ciccillo dice che si vergogna di scrivertene più, e naturalmente te ne scrivo io. Giorni sono, incontrai Pica. Mi disse che ti avessi raccomandato di pensare ai borbonici e di colpirli; perché si danno da fare. Colpirli mostrerebbe fortezza nel Governo, e appagherebbe il paese. Colpire i capi. Bisognerebbe badare ai veterani, che sono più di 6 mila, e tutti cattivi. Disperderli qui e là. Più traslocare nelle altre province italiane i doganieri, tutti borbonici e cospiratori, e far venire qui quelli di costà su. Io ti riferisco ciò che Pica mi ha detto. Qui non si parla che di crisi ministeriale. Ciccone ti saluta. – Possibile che un uomo come lui deve restare così? Questo te lo dico io, non lui. Lui, pare come se non gli sia accaduto niente. Scrivo di fretta. Ti saluta Isabella e Millo. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
278 A Silvio Spaventa [Napoli,] 12 maggio 1864 Mio caro Silvio, Aspettavo tue lettere di risposta a una mia d’un venti giorni fa; e perciò ho tardato a scriverti. Questi giorni sono stato un po’ seccato da un catarro alla testa, che non mi ha fatto far nulla. Ora vado meglio. – Ho una cosa a dirti, cioè a proporti. L’Avvenire (giornale)26 è in cattive acque, per colpa di un birbaccione nel quale il povero Turchiarulo fidava e che gli ha fatto un vuoto di circa 2000 ducati e qualcos’altro. Così non può tirare innanzi, e sarà costretto o a scomparire o a fare non saprei che. Discorrendo di ciò io e Tartaglia, venne a entrambi il pensiero di farne un giornale che difendesse qui la politica del governo, e di scriverne a te. Esso – comunque stia ora – è pur sempre un giornale che conta due anni di vita qui; il che non vuol dir poco. Rialzare e far vivere un giornale simile costa molto meno che crearne uno nuovo. È vero che se ne ha già uno qui, la Patria.27 Ma perché uno, e non due? Credo che uno non basti, a fronte di tanti o di tutti gli altri, più o meno avversi; e segnatamente in questi tempi. Restiate o non restiate voi al governo, oggi o domani si verrà alle elezioni generali.28 Non è un bene 26. «Avvenire: giornale politico quotidiano della sera», stampato a Napoli dalla Tipografia Androsio. 27. «La Patria», fondato a Napoli nel 1861 e stampato presso la Tipografia Lombarda. 28. Il 29 marzo Silvio gli aveva profilato questa possibilità: «Abbattuto questo ministero, non ci è dunque che il ricorso alle elezioni generali» (S. Spaventa, Lettere politiche, p. 60). Il governo
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avere più di un difensore della vostra politica? Tanto più nel caso, che siate fuori del governo? Su ciò non dico di più, perché tu intendi meglio di me la cosa; e conosci Turchiarulo. Si tratterebbe, dunque, di cavarlo un po’ dall’imbarazzo in cui si trova, e nello stesso tempo fare una cosa utile al paese. Se tu credi che la cosa meriti considerazione, scrivimi subito e dimmi cosa vuoi fare. Se credi che non convenga, scrivimi anche subito; perché io devo dare una risposta: dico così, perché Turchiarulo sa che te ne avrei scritto; e glielo ha detto Tartaglia. Non m’importa di sapere se egli sapesse di questo progetto anche prima che ne parlassimo Tartaglia e io. Può darsi. Ma, ripeto, questa è una ricerca inutile. La cosa importante è vedere se la proposta è utile, comunque sia venuta su. Credo quasi superfluo dirti che io non ho promesso nulla; ho promesso solo di scrivertene. Ti prego dunque di rispondermi. Che fa De Sanctis? Scrive qui – e si capisce perché – che voi altri siete uomini senza polso, vicini a morire: senza iniziativa. Fate presto: cedete i portafogli, e lasciate fare l’Italia a De Sanctis. Non è stato sul punto di farla tre anni fa? Passo a parlarti di Gilberto Vitullo, il quale anche pensa all’Italia, a modo suo. Il poveruomo dice che ha avuto un bene e un male nello stesso tempo. Il bene è 6 ducati di più al mese; il male è, che prende ora in minestra al Sifilocomio i ducati 7 che prima prendeva in danaro. Egli dice che vive un po’ stentatamente colla sua famiglia. Tu gli promettesti di nominarlo commesso. È sempre portinaio, sebbene faccia il commesso. Domanda di essere nominato commesso. È venuto più volte da me, e figurati come mi ha detto perché ti scrivessi. Vedi di aiutarlo. Scrivimi subito e dimmi qualcosa del Ministero. Isabella e Millo ti salutano con Rosario 29 e Marietta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 27-28).
279 A Marianna Florenzi Waddington Napoli, 15 maggio 1864 Pregiatissima Signora Marchesa, La prego di gradire una mia Memoria sulle prime categorie della Logica di Hegel,30 che le invio per la posta. Non so se essa avrà anche la virtù di farmi perdonare da Lei tutto il tempo che ho indugiato a rispondere alla sua ultima lettera e a ringraziarLa della sua ultima opera.31 Le dico ora ciò che avrei dovuto dirle da più mesi. Questo Suo lavoro ha Minghetti stava infatti attraversando un momento di crisi dovuto ai fatti dell’Aspromonte, che si sarebbe aggravato, nel mese di settembre, di fronte agli incidenti di Torino per il trasferimento della capitale. 29. Rosario Spaventa. 30. Le prime categorie della logica di Hegel, in «Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», I (1864), pp. 123-185. 31. Saggi di psicologia e di logica, Firenze, Le Monnier, 1864.
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confermata e accresciuta in me la grande stima che io avea del Suo ingegno e della libertà dei Suoi sentimenti. Saluti tanto per me il Palmucci e mi creda sempre Suo devotissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 52 (inedita).
280 A Silvio Spaventa Napoli, 31 maggio 1864 Mio caro Silvio, Tartaglia ti ringrazia della lettera; che gli ho fatto leggere. Egli dice, che Turchiarulo non ha bisogno di altro – almeno per ora – per andare avanti, che di colmare il vuoto lasciato dalla cessata amministrazione, conforme all’acchiusa nota. Quanto al resto, dice che tu conosci Turchiarulo; se costui domanda aiuto, il resto s’intende da sé; non essere possibile, che Turchiarulo operi diversamente da ciò che un obbligo morale gli impose. Ciò dice anche in nome di Turchiarulo. Assicura, che Turchiarulo continuerà a fare il giornale32 lui. – E se per una cagione o per un’altra il giornale passasse in altre mani? – Non è possibile, mi ha risposto. Ma se ciò accadesse, sarei io risponsabile di tutto. – Questo è quello che mi ha detto. Ora decidi tu. Credo che ti scriverà egli stesso. Sai già della nuova società elettorale, non amica di certo al presente ministero. Uno dei promotori è il Marchese Avitabile con Indelli,33 etc. Li dicono rattazziani, sebbene essi lo neghino. Qui son venuti parecchi di questo colore dall’alta Italia. A far che? Un piemontese ieri – non so perché – mi diceva: qui ci è la mano anche dell’amministrazione di casa reale. E mi raccontava, che quando si apparecchiava l’elezione del collegio di Santhià, un alto impiegato di casa reale scrisse qui per avere lettere da certi piemontesi del vercellese, dimoranti in Napoli, in favore di Morarivo. – Forse uno di costoro era lui medesimo. – La Società reale34 ha deliberato di accettare dal Governo la concessione della Tipografia nazionale. Rimane ora – se il Governo acconsente alle condizioni – a decidere il quid faciendum di questa concessione. Coloro che hanno trattato tutta questa faccenda – il Trinchera e il Fiorelli – già propongono di cedere il tutto a un impresario; la Società reale, dicono, guadagnerà molto, senza far nulla lei. – Dovendo io dare il mio voto, domando consiglio a te che sai di che si tratta. A me un impresario qui, in Napoli, fa paura. Vedo troppa premura in quei che fanno simile proposta. Vorrei sapere quale è stato l’intendimento del Governo nel fare tale offerta alla Società reale. Se il Governo non ha creduto cosa conveniente concedere lui la tipografia a un impresario, può la Società reale far ciò? Io non so, se ciò sia utile. Il mio dubbio è que-
32. «Avvenire: giornale politico quotidiano della sera» (cfr. lettera 278). 33. Luigi Indelli (1828-1903), avvocato, deputato del regno d’Italia dalla XII legislatura alla morte. 34. La Società reale di Napoli, fondata nel 1808 dal re Giuseppe Bonaparte come Accademia del regno di Napoli. Formalmente sciolta negli anni della Restaurazione, venne poi rifondata in occasione dell’annessione del regno di Napoli all’Italia nel 1861.
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sto principalmente: è cosa degna d’una Società di scienze lettere ed arti? Ti prego di dirmi il tuo parere su ciò; non vorrei dare il mio voto a occhi chiusi. La sorella di Petti, la quale conobbi in casa di Don Paolo Sanchez, mi pregò che ti avessi scritto. È venuta a vedermi più volte e a ripetere la stessa preghiera. Me ne ha parlato anche Settembrini; il quale ha scritto egli stesso la memoria che ti mando. Come vai in salute? Io non so come puoi reggere ancora. Io sto bene. Non è difficile che nelle prossime vacanze venga a vederti. Ti mando per la posta una mia memoria letta all’Accademia.35 Addio. Isabella e Millo ti salutano con Rosario36 e Marietta. Scrivi. Tuo Bertrando Ricordati del povero Tafone. SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
281 A Silvio Spaventa Napoli, 23 luglio 1864 Mio caro Silvio, Sono già circa due mesi che non mi scrivi. Perché? Se non fosse Ciccone che mi fa leggere le tue lettere, sarei senza tue notizie. È qui da due giorni Zio Peppino37 con Faustina. 38 Mi ha fatto molto piacere il rivederli. Clotilde39 non è venuta, perché i suoi non gliel’hanno permesso. – Ho da un pezzo alcune carte da mandarti. Te le mando ora, e scusa se è troppo. Ma che posso fare io, se mi mettono colle spalle al muro? 1. Labriola padre domanda un posto nella Biblioteca, e ti prega di raccomandarlo al Ministro. Ne scrivo io anche a Rosei […] 40 per l’uso conveniente. Rispondimi su ciò almeno un rigo. 2. Il povero figlio di Nicola Vitullo calzolaio (Cazzitto) è divenuto cieco servendo come guardia di pubblica sicurezza; domanda la pensione per vivere. 3. La vedova di Costantino Moxedano, figlio del Giudice etc., domanda qualche posto o per sé o pel figlio maggiore. 4. Bellantonio, l’ex tuo domestico all’ergastolo. 5. Una lettera a te di Madia. Infine io ti raccomando di rispondermi in qualunque modo su ciò che ti scrissi per Turchiarulo. Se tu puoi, non credo che sia una cosa inutile. Tartaglia me ne parla sempre, e non sa persuadersi che io non abbia avuto ancora risposta da te. Io ci fo una brutta figura. 35. Le prime categorie della logica di Hegel (cfr. lettera 279, nota 30). 36. Rosario Spaventa. 37. Giuseppe Spaventa. 38. Faustina Spaventa. 39. Clotilde Spaventa. 40. Foglio lacerato.
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Vorrei domandarti notizie di costà. Ma tu non hai tempo a scrivermi; ed è inutile. Pure, se puoi, dimmi qualcosa. Come stai in salute? Sono ormai quasi due anni che meni cotesta vita. Io non so come puoi fare. Io sto bene colla famiglia, che ti saluta con Zio Peppino e Faustina. Scrivimi. Di fretta. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
282 A Silvio Spaventa Reggio di Calabria, 14 settembre 1864 Mio caro Silvio, Sono qui da pochi giorni, e ieri ho ricevuto la tua lettera. Come? Dirai tu; cosa sei andato a fare a Reggio? Niente. Avea promesso così per ischerzo a Decoroso41 di venire a vederlo e passare qualche giorno con lui; ma io stesso non credeva alla promessa. Tormentato dal dolore di stomaco, non potendo né volendo far nulla a Napoli, e avendo bisogno di distrazione e riposo, un bel giorno risolvei di partire; e sono qui. Sto molto molto meglio, e negli ultimi due giorni non ho avuto affatto il dolore; solo ieri sera ritornò un poco, ma molto lieve. Tu non ti mettere in apprensione per questo. Capisco io stesso che ho bisogno di ozio e quiete; e mi riposerò. Starò qui qualche altro giorno, e poi ritornerò a Napoli. E poi? Verrò a Torino a rivedere te. Ma di ciò ti scriverò tra giorni, e per prendere una risoluzione definitiva aspetto la notizia del ritiro del Ministero. 42 Di tutta la tua lettera non intendo altro che questo; non so per quale cagione ciò avvenga. – Lasciai Ciccillo 43 che si apparecchiava a partire per Parigi; era incerto se sarebbe passato per Torino. Non so se sia partito. Mente curiosa! Dunque ti riposerai anche tu; ed hai bisogno di riposo più di me. Tanti si sono riposati da un pezzo; e bene! Hanno trovato un comodo letto dove niente più li disturba: hanno già superato le vicende di questo mondo, entrando nel regno celeste della inamovibilità. Ho trovato qui tra i libri della Prefettura il Calendario generale del Regno d’Italia.44 Mi son messo a sfogliarlo qua e là, sicuro che non mi avrebbe fatto male allo stomaco. Ci ho visto molti nomi di grandi uomini che io conosco dal 1849. Chi avrebbe mai imaginato che sarebbero saliti tanto su, e trovato un posto inespugnabile nella eternità del Calendario tra le prime fila? 41. Decoroso Sigismondi. 42. In questo periodo, il Ministero preparava la convenzione, chiusa il 15 settembre 1864, con la quale si poneva fine alla lunga permanenza a Roma di alcune truppe francesi che lì si trovavano dal 1849. Ma la convenzione, che ebbe tra gli effetti anche i moti insurrezionali di Torino del 21 e 22 settembre, per lo spostamento della capitale in un’altra città del Regno, provocò la caduta del governo Minghetti a cui Silvio Spaventa apparteneva. La notizia del ritiro del Ministero arrivò a Bertrando da Silvio con la lettera che questi gli inviò il 25 settembre 1864 (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 60). 43. Francesco Petroni. 44. Calendario generale del Regno d’Italia, compilato per cura del Ministero dell’Interno, anno primo, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1862.
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Non so se sai che il Consiglio Superiore d’Istruzione Pubblica a Napoli non esiste più, credo, a quest’anno. Non ti ho scritto di ciò, perché tu sai che certe cose ho ribrezzo a scriverle. Costì, credo, s’ignora la verità: e pure si avrebbe il dovere di conoscerla. È stata una ragazzata dell’Imbriani: vanità, e niente altro. Io non ho voluto scrivere a nessuno costì, perché – chi sa? – qualcuno avrebbe potuto dire: parla pei suoi duemila franchi. Pure prima di credere e dar ordini avrebbero dovuto ricordarsi che – lo dico netto – ci era io. Ma non fa nulla. Non ne potevo più, e ringrazio il Diavolo che sia finita. L’Imbriani ha del matto. Rumoreggia sempre, e poco conchiude. Decoroso ti saluta, e dice se vuoi venire a passare qualche giorno qui con lui… sempre, s’intende, dopo che io sarò venuto a Torino. Millo ha voluto scriverti. Isabella ti saluta. Tuo Bertrando Credo che il Tafone sappia che dopo Settembre gli spetta ancora qualche po’ di soldo; ma, se ben ricordo, teme appunto di questo, che sia diminuito! Vedi cosa puoi fare per quel poveraccio. AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
283 A Silvio Spaventa Napoli, 2 ottobre 1864 Mio caro Silvio, Non so di certo se tu sei ancora costì. Pure ti scrivo. Non so come indirizzare la lettera. Manna mi dice che Pisanelli gli ha scritto da Giulia. La lettera che mi hai scritta negli ultimi giorni l’hanno inviata a Reggio; aspetto che ritorni. Io non so nulla altro che ciò che dicono i giornali. Scrivimi almeno due righe e dimmi cosa farai, e cos’è stato. Faresti bene a trattenerti costà fin che potrai. Torino mi ha fatto inorridire!45 Aspetto tue lettere per sapere dove sei e cosa farai. E ti scriverò lungamente. Salutami Devincenzi,46 Pietro 47 e Pisanelli. Sono Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
45. Si riferisce ai moti insurrezionali del 21 e 22 settembre a Torino che seguirono la convenzione con la Francia e il trasferimento della capitale (cfr. lettera 282, nota 42). 46. Giuseppe Devincenzi, ministro dei lavori pubblici nel 1867 nel governo Ricasoli e nel 1871 nel governo Lanza-Sella. 47. Pier Silvestro Leopardi.
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284 A Silvio Spaventa Napoli, 14 ottobre 1864 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua lettera del 7 da Firenze, e finalmente ieri anche quella del 25 del mese passato da Torino, la quale credevo già che si fosse smarrita. Non ho risposto subito, perché il mio primo pensiero fu di correre a Firenze e venire a rivederti. Non ho potuto. Il che non vuol dire che io abbia smesso del tutto questo pensiero. forse verrò prima che tu parta per Torino; e forse anche ti accompagnerò sino colà. Che devo dirti io degli ultimi fatti? Ciò che io potrei dire lo han detto già tutti coloro che pensano e dicono la verità: la convenzione e il trasferimento è uno dei più grandi atti dell’Italia moderna, e la sommossa di Torino la più gran bricconata che si sia mai vista. Orrore, orrore! Quando ci penso, vorrei dimenticare di aver passato a Torino quasi 11 anni. E che anni! Anch’io era certo che la cosa non sarebbe passata così liscia, e che ci sarebbe stato chiasso. Conosco bene i torinesi, e come essi intendevano l’unità d’Italia. Il pensiero dell’annessione, più o meno pura e semplice, al Piemonte, era stato temporaneamente la gran leva del movimento. Ma poi bisognava annettere il Piemonte all’Italia. ciò non entrava nella testa dura e nel petto stretto dei torinesi. Il grande della Convenzione 48 è stato appunto questo: l’unione delle due quistioni, di Roma e del trasferimento: l’una dà significato e valore all’altra. Pure io non avrei mai e poi mai imaginato che i torinesi andassero tant’oltre e tutti, senza eccezione: dal primo sino all’ultimo! Non ne parliamo più. – Ora la cosa dipende dal Parlamento e dal paese; giacché io non so se il Ministero, potendo, non straccerebbe la Convenzione. Che fede posso avere io in Sella 49 e simili? Sapevo già i fatti del 21 e del 22; me gli avea raccontati Cuciniello e un po’ anche Di Matteo. Fate bene a pubblicare tutto ciò che avete ordinato in quei giorni. Fatelo, e non ci perdete tempo. È una necessità assoluta per voi, e per la vostra parte politica. La tattica dei vostri avversari è stata questa. Primo, cercare di screditare la Convenzione come cosa da nulla, anzi nociva all’Italia: essi sapevano bene che la Convenzione era la vostra forza; non sarebbero riusciti a niente. I massacri di Torino, preparati e ordinati da voi, furono la tavola di salvamento a cui si afferrarono. Su ciò l’opinione pubblica non è ancora rettamente informata. A voi importa di far conoscere la verità, tutta la verità! Non so se mi sia spiegato bene. – Avreste bisogno anche di buoni giornali nelle grandi città, specialmente qui. Totonno50 si è condotto benissimo. Ma tu sai in che condizioni si trova. Ho un disegno su ciò. Se verrò te ne parlerò; se no, te ne scriverò. Forse già intendi di che si tratta. Potresti parlarne a Peruzzi, Minghetti etc. – Temo che non ci saranno scandali alla Camera. Ti prego di mostrarti tranquillo. Dignità; ma resistenza serena a ogni astiosa e bassa provocazione. – Siete sicuri a Torino? Bada anche a ciò.
48. Convenzione di settembre, atto diplomatico firmato il 15 settembre 1864, che pose fine, dopo una lunga serie di tentativi effettuati dopo il 1860, alla permanenza in Roma del corpo di truppe francesi che vi si trovava dal 1849. 49. Quintino Sella (1827-1884), uomo politico piemontese, fu deputato dall’VIII alla XIV legislatura del regno d’Italia e ministro delle finanze nei governi Rattazzi (1862), La Marmora (1864-1865) e Lanza (1869-1873). 50. Antonio Turchiarulo.
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Che devo dirti di più? Ho la testa in disordine, perché ho l’animo commosso da tanti giorni. Non so cosa abbia scritto. Se non verrò, ti scriverò più a lungo. È inutile dirti che ti salutano tanti di qui, specialmente Ciccone. Scrivimi e dimmi cosa ci è. Bada alla tua salute. Manda sempre alla posta. Addio. Isabella e Millo ti salutano. Tuo Bertrando AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
285 A Silvio Spaventa Napoli, 19 ottobre 1864 Mio caro Silvio, Ti ho scritto giorni fa. Credevo di poter venire costà ad accompagnarti poi a Torino. Ma, considerando bene la cosa, non posso. Ho visto De Chiara, che mi ha raccontato e detto tante cose di te, ed altro. L’opinione qui si mantiene eccellente, sebbene non abbiano piena fede nella sincerità nel ministero o almeno di qualcuno dei suoi membri, e nella moderazione di Torino. Il fatto del giorno è la dimissione di D’Afflitto; del quale ora tutti dicono un gran bene. Ieri sera ho incontrato per via Lepiane, che tu conosci; il quale ha lasciato Torino il giorno 7 corrente. Naturalmente si è discusso degli ultimi fatti. Mi ha domandato se tu andassi alla Camera. Sì, gli ho risposto. Ebbene, non ci vada né lui né Peruzzi. Perché? E qui in tono grave e misterioso mi ha detto: io vengo da Torino e conosco i torinesi. Ti dico positivamente che hanno giurato di ammazzare tuo fratello e Peruzzi. Sarebbe meglio che lui specialmente non andasse a Torino. Io ti raccomando questa cosa, non per dirti di non andare (anche se te lo dicessi, sono certo che non ne faresti niente), ma… Perché? Che vuoi che ti dica io qui? Va pure e questo è il dovere.51 Ma vere o false che siano le rivelazioni del Lepiane, è anche tuo dovere di prendere tutte le precauzioni possibili. Io te ne prego. Ho bisogno di dirti cosa devi fare? la prima cosa non andar mai soli; e sempre in buona compagnia, dappertutto, alla Camera, per la via e anche per le scale. E alla Camera parla quanto è necessario e cerca di evitare le solite provocazioni. Vedi a che arriva la mia fantasia? Ma pure, perdonami. Tu poi non hai ragione di star molto a Torino. Appena votata la Convenzione vattene via. Scrivimi su ciò; e spesso. Mi fa mille anni di vederti fuori da cotesto paese. Ti scrivo confuso; ma credo che faresti ciò che ti ho detto. Ti scrissi di Totonno. 52 Hanno bisogno di essere difesi e appoggiati, specialmente nelle nuove elezioni. Egli, dopo gli ultimi fatti, ha preso una eccellente posizione. Ma tu sai pure il resto. Dunque io pensavo – e te ne scrissi – che potresti parlare chiaro a Peruzzi, Ricasoli, Minghetti. Che male ci sarebbe se foste rappresentati qui? Pensa su ciò seriamente; e farai una cosa molto utile al paese. E bisognerebbe far presto, perché chissà cosa può succedere al giornale, il quale deve 51. Nella lettera del 26 ottobre 1864, Silvio comunicherà a Bertrando di essere arrivato a Torino da due giorni e di aver assistito alla seduta alla camera «tranquillissimamente» (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 65). 52. Antonio Turchiarulo, per le difficoltà del giornale «Avvenire» (cfr. lettera 278).
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vivere. È tempo che i napoletani mettano e mostrino giudizio. E il tempo è proprio ora, dopo la Convenzione: è proprio un tempo nuovo. Scrivimi e conservati. Il tuo Bertrando BPB, Fondo Beltrani, c.c. 922 (ed. in Masellis, Lettere inedite, pp. 708 -709).
286 A Silvio Spaventa Napoli, 31 ottobre 1864 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua del 26. Mi si fa mille anni che cominci e finisca una volta questa discussione alla Camera sulla Convenzione. Già sono circa due mesi che la cosa è discussa e ridiscussa nella coscienza pubblica, e con tale successo, che la discussione che se ne farà in Parlamento può parere una pura e noiosa formalità. A quest’ora il trasferimento avrebbe dovuto già cominciare. 53 Ora chi sa, quando comincerà? Non v’è dubbio che in certi grandi casi – forse in tutti – val più un fatto compiuto, che tutte le belle ciarle che liberamente si possono dire. Dunque staremo a udire. Già mi pare di essere ritornato ai tempi della Scolastica. È sottintesa o no la rinunzia? «Distinguo e sottodistinguo». E una volta che si è cominciato a distinguere, non si finisce più. Se non che i distintori di tanti secoli fa erano in fondo della brava gente, e ingegno ne avevano; i nostri chi sono? Si chiamano Lazzaro, De Sanctis e simili, e sono – dico la parola schietta – dei gran birbaccioni. Sul conto di quest’ultimo io non mi sono mai ingannato. Ci è riuscito tale quale io me l’avea dipinto nella mia sospettosa fantasia. Senza coscienza, bugiardo, basso ambizioso, impostore, con una vernice di grand’uomo fabbricato gratis dalla bontà degli amici. Questo è il futuro ministro dell’Interno del Regno d’Italia. Ciò che mi fa ancora meraviglia è la condiscendenza di Settembrini. Ma basta di ciò. Avea notato anch’io la poca generosità di Cassinis54 nella scelta della Commissione d’inchiesta. Ma se son tutti lo stesso! Pure, cosa potranno fare? Ho letto attentamente la relazione Ara.55 Ammessa anche questa come tutta sincera, non vedo quanta bella figura ci faccia il Municipio, e come Peruzzi e Spaventa siano rei. I veri rei sono i carabinieri, i quali doveano farsi bastonare sino all’ultimo sangue! E quel questore Chiapussi! Del resto, bisogna che nella Camera la maggioranza badi bene, e apra un po’ più gli occhi. Non è la prima volta ora che essa si lascia andare così senza pensarci a certe deliberazioni. Si guardi dalle sorprese: astuzia contro astuzia, concerti contro concerti. Io poi, non capisco perché l’inchiesta – un’inchiesta di tal natura – si debba discutere a Torino. Può essere libera davvero la discussione costà? Una discussione seria esige che si dica tutta la verità. Si può far ciò a 53. Si riferisce al trasferimento della capitale da Torino a Firenze. 54. Giovan Battista Cassinis (1806-1865), giurista e uomo politico, ministro di grazia e giustizia nel 1861 e presidente della Camera dei deputati dal 25 maggio 1863 al 7 settembre 1865; nominato senatore del regno d’Italia l’8 ottobre 1865. 55. Casimiro Ara (1813-1883), avvocato e uomo politico piemontese, deputato del regno di Sardegna dal 1853 e dall’VIII all’XI legislatura del regno d’Italia.
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Torino, senza inconvenienti? Potete voi costà chiamare pane il pane e vino il vino, senza esporvi a nuovi pericoli? Capisco che ci è il Marchese Rorà. Il quale ti farà scudo di se stesso. Di costà hanno scritto, che egli ti accompagnava nell’uscire dalla Camera. Pure io non ne vorrei di simili scudi. Quello che non capisco è la questione dei compensi. Non la capisco davvero. E poi, dopo tanto fracasso per Roma, cosa vuol dire compensi? Prima: o Roma o morte. Ora – giacché a Roma non ci si va – o Roma o compensi! Forse io sono troppo ingiusto, e i compensi ci devono essere. Ma ripeto, che non capisco. Non sarebbe male, se qualcuno della maggioranza, che non ha tanto da fare, scrivesse per Napoli ora qualche corrispondenza sulle cose del giorno. Mi incaricherei io di farle stampare. Quei della minoranza o del gran partito dell’avvenire e dell’iniziativa sono più attivi in ciò. Ho bisogno di ripeterti di star cauto sempre, e come nel primo giorno? E lascia Torino, subito che potrai, sebbene, se si discuta costà l’inchiesta, non so quando la finirà. A ogni modo, cautela sempre. E, ripeto, non lasciatevela fare; non vi fate più sorprendere, scrivimi spesso e a lungo. Ciccone ti saluta tanto. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando BPB, Fondo Beltrani, c.c. 922 (ed. in Masellis, Lettere inedite, pp. 709-710).
287 A Marianna Florenzi Waddington Napoli, 6 novembre 1864 Pregiatissima Signora Marchesa, Dopo tanti mesi io oso appena scriverle e ho pregato il nostro comune amico il Professore Fiorentino da fare da intercessore presso di Lei. Sono certo – del resto – che egli non durerà gran fatica, perché Lei è tanto generosa, che non punisce, ma premia i colpevoli. Non le so dire quanto io Le sia grato dei Suoi bei doni, e come sia rimasto contento nel riceverli. Non teme Ella così di alimentare, anzi che spegnere la mia pigrizia? Il nostro Fiorentino – da ciò che ho potuto vedere con una prima e rapida lettura – ha fatto un bel lavoro; e io me ne sono congratulato con lui. Ciò che rallegra più è il gran progresso che ha fatto da due anni. 56 È vero che certe anime pie qui piangono amaramente la perdita della sua innocenza. Ma il fatto è fatto. – Le invio per la posta i due opuscoli: la Filosofia di Kant etc.57 e le Prime categorie etc.58 Mi permetterà che gliele offra in dono, sebbene siano cose di niun valore. Pregandola da capo di perdonarmi della mia negligenza, sono sempre Suo devotissimo B. Spaventa P.S. La prego di dare l’acchiusa al Fiorentino. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 86 (inedita).
56. Tra il 1862 e il 1864, Fiorentino passò da professore straordinario a professore ordinario di storia della filosofia nella Università di Bologna. 57. La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana, Torino, Unione TipograficoEditrice Torinese, 1860. 58. Le prime categorie della logica di Hegel (cfr. lettera 279, nota 30).
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288 A Silvio Spaventa [Napoli,] 16 novembre 1864 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto da più giorni, perché sono stato occupato negli esami, e anche perché non avevo che dirti. Qui, e credo da per tutto, si aspetta con grande impazienza che la Camera finisca una volta la discussione sul trasferimento.59 Poi verrà il Senato, e ci vorrà ancora qualche settimana. E così i due mesi saranno guadagnati. A Napoli ha fatta una pessima impressione l’esposizione Sella, e tutti concordemente lo dicono un matricolato furfante. Dubitano anche della buona fede del Lanza;60 ed eccettuano solo il La Marmora. Le note francesi produssero un po’ d’allarme; ma poi gli animi si rassicurarono. Anzi ora, dopo il discorso del La Marmora, credono che il trattato nasconda altro di buono, e sperano in qualche combinazione per la Venezia. È ritornato Rosariuccio,61 e mi ha parlato di intrighi per le prossime elezioni, specialmente ad Archi e Perano. Naturalmente è Melchiorre che opera. Bisogna, a suo tempo, pensare a ciò. Sento, che anche a Vasto si intriga. Tu dunque ritornerai qui? A tutti hai scritto ciò, e a me no. Già Ciccillo Petroni dice a chi non lo vuol sapere, che tu andrai a stare in casa sua. Lo ha detto anche a me. Io gli ho risposto con una risata, per non rispondergli con una impertinenza non immeritata. Non capisco, né capirò mai, come – dimorando io qui e avendo io casa qui – tu debba andare ad abitare con altri, che non sia io, proprio io. Non avrei mai pensato possibile un tale pettegolezzo. Insisteva per Turchiarulo, perché non è in buone acque. E ora teme anche di perdere il sussidio che avea dal Municipio; perché la nuova Giunta è quasi tutta del partito d’azione, capitanata dal D’Avitabile. Basta dire che tra gli Aggiunti c’è anche il Verratti. È vero che è un giornale locale; ma il luogo è Napoli. Avere un giornale che difenda il partito liberale – moderato – qui, non è una bagattella, specialmente quando si faranno le elezioni. Ecco perché io insistevo, e insisto ancora. Come stai? Continuo a raccomandarti di essere circospetto. A che n’è la Commissione d’inchiesta? La discussione si farà costà? Temo qualche scandalo. Del resto, voi dovete difendervi ad ogni costo, e dire tutta la verità. Non credo che si farà come nell’affare delle meridionali. Dovendosi discutere la cosa, è bene che si sappia chiaramente di chi è stata la colpa. – E la cifra dei compensi sarà votata? È una domanda enorme. Scrivimi spesso, e vedi di lasciare Torino il più presto che potrai. Per ora addio. Isabella e Millo ti salutano. Anche Ciccone. Salutami Pietro.62 Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
59. Si parla ancora del trasferimento della capitale da Torino a Firenze. 60. Giovanni Lanza (1810-1882), uomo politico piemontese fu deputato del regno di Sardegna dal 1848 e del regno d’Italia dall’VIII legislatura. Ministro dell’interno nel governo La Marmora (1864-1865), fu presidente del Consiglio dal 1869 al 1873. 61. Rosario Spaventa. 62. Pier Silvestro Leopardi.
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289 A Silvio Spaventa [Napoli,] 25 novembre 1864 Mio caro Silvio, Il povero Ciccio Labriola ti scrive e ti manda una dimanda o supplica pel Ministro Natoli.63 Dopo essere stato confermato a Napoli un mese fa e aver già cominciato le sue lezioni, gli si intima oggi di andare a insegnare iterum a Maddaloni. La sua famiglia è desolata per questo. Come può vivere lui a Maddaloni e la sua famiglia qui? Qui poi avea cominciato anche a far qualche altro onesto guadagno. Capisco che tutte queste ragioni oggi non sono ragioni; che l’impiegato deve essere pronto e disposto a recarsi da Siracusa a Susa e viceversa. Ma un povero professore di ginnasio! E dopo che ha già cominciato a insegnare nel nuovo, e quando già ha detto a se stesso: dunque quest’anno me lo passerò qui in santa pace! Dove sia poi l’utilità di questi mutamenti – parlo di professori – io non la vedo; se pure non sia quella, che ci devono essere quelli Messeri incaricati di mutare; e quindi la necessità di pagarli; e quindi la necessità di imporre alla Sella. Vedi dunque cosa puoi fare per lui. – Rosei di certo sarà duro. Digli che io sono persuaso di ciò, e non gli do torto. Ma egli non darà torto a me se gli dico, che di inferiori al Labriola io ne conosco molti e molti; e pure bene in piedi (2 o 4, non so) per Tizio o per Caio. Dimmi quando verrai. Scrivi. Tuo Bertrando Ho già riprincipiato le lezioni. Gran concorso. Quindi, gran merito. Addio. SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
290 A Silvio Spaventa [Napoli,] 16 dicembre 1864 Mio caro Silvio, È più di un mese che aspetto ogni giorno una tua lettera; e aspettando, non ti ho scritto. Cos’è stato? Perché non mi hai scritto più? In verità, più che la tua lettera, io aspettava te in persona, giacché oramai mi pare troppo lunga questa tua dimora costì. E quando finirete, e ve ne andrete a Firenze? Capisco, l’inchiesta, e le leggi d’unificazione.64 A me pare che il Ministero domandi troppo, e che sarebbe una grande imprudenza dalla parte vostra con63. Giuseppe Natoli (1815-1867), patriota e uomo politico siciliano, fu ministro dell’agricoltura, industria e commercio nel governo Cavour (1861). Nel governo La Marmora (1864-1865) fu ministro della pubblica istruzione. 64. Nella riunione parlamentare del 24 novembre 1864 fu presentato alla Camera il disegno di legge n. 275 per l’unificazione amministrativa del Regno, approvato in via definitiva in Senato l’8 marzo 1865.
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cedere più del puro necessario. Badate che non vi si preparino tali impedimenti da rendere difficile il governare a Firenze. Questo voi lo capite meglio di me. E dell’inchiesta che n’è? Badate alle sorprese. La discussione sia netta e intera, costi che costi. – Sento che ci sarà una proroga per Natale. Che farai tu a Torino? Spero che te ne verrai qui. È inutile dirti quanto io desideri di rivederti. È un gran pezzo che non siamo più insieme. Non dico altro. Scrivimi subito, almeno due righe, e dimmi che farai. Io sono occupatissimo nelle lezioni. Continua la gran folla!! Isabella e Millo ti salutano. Addio. Tuo sempre Bertrando AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
291 A Francesco Fiorentino Napoli, 19 dicembre 1864 Mio caro amico, Nelle feste di Natale vi scriverò più a lungo. Ora due righi per dirvi che ieri la nostra brava Marchesa65 fu nominata Socio corrispondente nazionale della nostra Regia Accademia di Scienze morali e politiche. La proposi io, e la proposta fu accolta con plauso da tutti. – Mi occupo di fare associati al Bonghi.66 Ma bisogna andar cauti, perché non tutti i coscrittori qui sogliono poi pagare. Addio dunque e amate sempre Il vostro B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 2 (inedita).
292 A Marianna Florenzi Waddington Napoli, 19 dicembre 1864 Pregiatissima Signora Marchesa, La ringrazio dei Saggi di Psicologia e di Logica,67 che ho letto con infinito piacere. Grazie anche della memoria che serba sempre di me, contro ogni mio merito. Ieri l’Accademia reale di Scienze morali e politiche di qui L’ha nominata suo Socio corrispondente
65. Marianna Florenzi Waddington. 66. Ruggero Bonghi (1826-1895), filologo e politico, fu deputato del regno di Sardegna e del regno d’Italia nell’VIII e dalla X alla XIX legislatura. Fu ministro della pubblica istruzione nel secondo governo Minghetti (1874-1876) e professore di letteratura latina e storia a Firenze, Roma e Torino. 67. Saggi di psicologia e di logica, Firenze, Le Monnier, 1864 (cfr. lettera 279).
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nazionale. Spero che ciò le farà piacere. Il Segretario le invierà il diploma. E pregandola a volermi sempre bene, sono di fretta Suo devotissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 54 (inedita).
293 A Silvio Spaventa Napoli, 24 dicembre 1864 Mio caro Silvio, Ricevo la tua lunghissima lettera e ti rispondo subito, sebbene brevemente. Oggi è giorno di gran faccende pei napoletani, e quantunque io non ne abbia, pure non mancano le seccature che m’impediscono di scrivere a lungo. Ti dico dunque in primo luogo che non ho ricevuto ancora le tre casse di libri e carte. A chi le hai consegnate? Se lo sapessi, ne farei richiesta. Vedi dunque di farmele avere subito. – Vedrò di trar profitto della tua lettera per una corrispondenza. Anch’io credo che faranno come tu dici. È sempre una cosa dispiacevole sentirsi dire: siete stati imprevidenti e minchioni. Ma il vero giudizio su voi e su Torino l’ha già dato l’Italia da un pezzo, e tutti i cavilli degli uomini di partito non varranno a mutarlo. Chi non ha detto sin dal primo giorno perché Torino si è mossa? Chi non lo sa? Ci sia stata anche imprevidenza da parte vostra. Non è essa in simili casi un segno di fiducia, mal corrisposta? Del resto spero che vi difenderete come si conviene, anche nei limiti della prudenza. Ma di ciò ti parlerò un altro giorno. – Io non credo inutile che tu vada per pochi giorni a Vasto, prima della presentazione del rapporto dell’inchiesta; anzi lo credo utilissimo. E poi non t’annoi a Torino? Dicendo tu prima del tempo cosa può essere il rapporto, l’impressione sfavorevole sarà scemata moltissimo. Andando – e subito – è bene che facci di vedere anche Marchione; il quale scrivendo a Tiberi ultimamente, ha detto tante cose gentili e affettuose per me. Tu lo conosci; si ha e si perde per niente. Sai cos’è il mondo, se un uomo come te si mostra e fa l’affabile, l’effetto si moltiplica all’infinito. Se non si mostra, l’effetto contrario è anche infinito. Con Ciccarone, Marchione etc. con noi, credo che non ci sia a temere di nulla. Ma bisogna pensarci; perché credo che faranno di tutto per nuocerti i così detti azionisti. – Dunque va. – Sarebbe anche bene che ciò che hai detto a me della commissione d’inchiesta, lo faceste dire prima anche dai giornali amici di Milano, Firenze, etc. Così se ne parlerà prima del fatto da questo e da quello, cioè dal pubblico, e il fatto non farà grande impressione, quando si conoscerà il motivo. Fa così. – Partendo per Vasto, scrivimi. – Salutami tanto Pietro;68 spero che si sia già rimesso. Isabella e Millo ti salutano. Addio per oggi. Tuo Bertrando P.S. Cerca conto delle casse. Che non si perdano! AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
68. Pier Silvestro Leopardi.
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294 Ad Angelo De Gubernatis1 Napoli, 13 febbraio 1865 Pregiatissimo Signore, Le chiedo scusa, se non ho risposto subito alle sue lettere. Per la sua Civiltà italiana2 ho fatto ciò che ho potuto; moltissimi miei giovani si sono sottoscritti, sebbene abbiano mandato le loro firme per altre vie. Ciò non fa nulla. M’invii altri Manifesti: vedrò di far qualcosa sul bravo Fiorentino, 3 che merita davvero d’essere incoraggiato. Ma non posso tacere a Lei, che l’insegnamento mi lascia ben poco tempo libero. Vedrò. Mi duole moltissimo che Lei abbia lasciato l’insegnamento: perché? In che la Sua libertà era offesa? Non capisco ancora di che si tratta! Sono con tutta la sua stima devotissimo B. Spaventa BNF, Carteggio De Gubernatis, 117. 66 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, p. 545).
1. Angelo De Gubernatis (1840-1913), indianista e letterato, docente di sanscrito e di glottologia comparata all’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze fino al 1865. Nel 1867 riprese l’attività di insegnamento fino al 1890, anno in cui passò alla cattedra di letteratura italiana all’Università di Roma. 2. Rivista fondata da Angelo De Gubernatis nel 1865. 3. Nel 1865, Francesco Fiorentino pubblicò nella «Civiltà italiana» del De Gubernatis sei Lettere sopra la Scienza nuova, indirizzate alla marchesa Marianna Florenzi Waddington.
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295 A Francesco Fiorentino [Napoli,] 30 marzo 1865 Mio carissimo amico, Sono a letto colla podagra! Che ve ne pare? Perciò vi scrivo per ora due righe. Subito che potrò risponderò anche al bravo Cerimele, del quale ho letto il lavoro. Scusatemi se sono breve. Se scrive alla Florenzi, tanti saluti. Vostro sempre B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 55 (inedita).
296 A Silvio Spaventa Napoli, 11 novembre 1865 Mio caro Silvio, Ricevei il tuo dispaccio da Campobasso. A quest’ora sarai a Firenze. Ieri ti inviai delle lettere; e oggi te ne invio delle altre. – Ricciardi4 non ancora mi risponde. Sono due giorni che il colera è un po’ diminuito. Finora stiamo bene. Informati subito se tutti i posti del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione sono occupati e se sarebbe possibile effettuare quel tale disegno di essere io tramutato costà. 5 Non ti dico altro, perché sono certo che farai come si conviene. Il Re ha dovuto giungere ieri notte. – Qui si continua a far molte ciarle e fatti pochi. Mi scrive Raffaele6 da Chieti invitandomi ad andare colà. Addio di fretta. Saluto Pietro.7 Isabella Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
4. Tommaso Ricciardi. 5. Il 15 dicembre 1865 Bertrando sarà nominato membro ordinario del Consiglio superiore della pubblica istruzione, mantenendo l’incarico fino al dicembre 1866 (cfr. lettera 311). 6. Raffaele Lanciano (1817-1898), medico e patriota, fu condannato a sei anni di carcere dopo le insurrezioni napoletane del 1848, a cui prese parte. Nel 1861, fu eletto deputato nel collegio di Manoppello. Fu in seguito sindaco e presidente del Consiglio provinciale di Chieti. 7. Pier Silvestro Leopardi.
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297 A Silvio Spaventa [Napoli,] 15 novembre [1865] Caro Silvio, Ti scrissi ieri. Il Mazziotti 8 mi scrive l’acchiusa. Gli ho risposto che io non ho influenza su Ciccillo; 9 se non hai potuto tu, considera se possa io. A ogni modo gli ho promesso di mandarti la lettera, perché tu tenti l’ultima prova. Ricciardi non mi scrive, e intanto il Cholera cresce. Vedrò. Ti mando il bollettino della spedizione. Addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
298 A Silvio Spaventa Chieti, 24 novembre 1865 Mio caro Silvio, Ti avea promesso di scriverti ieri; ma poi andai in campagna con Raffaele Lanciano, e non ebbi tempo. Noi stiamo tutti bene. De Caro a Campobasso mi colmò di gentilezze. E qui il buon Lanciano mi fa sempre compagnia. Domani andrò a Bucchianico, dove starò, spero, bene. Ti scrivo di fretta. Veramente non saprei che dirti. Piuttosto tu dovresti dirmi molto. Del discorso della Camera la forma non può essere più scema, e avrei voluto qualcosa che mettesse in rilievo la nuova posizione dopo la Convenzione. 10 Era la prima volta che il Re parlava dopo quella. Non so se dico bene. Ebbi per compagno di viaggio sino a Campobasso il De Renzi, che si recava al Consiglio Superiore. Io non so ancora cosa sia il nuovo Consiglio; se le nuove nomine siano per le elezioni di Napoli e Palermo o se le elezioni siano state abolite. È inutile domandare se tutto ciò sia legale; giacché ora in Italia il più meschino uomo se ne buggera della legge. Per me ti dico che non avea né ho gran voglia di essere Consigliere o altro. Ma vedere anteposto a tutti – a me specialmente – il De Renzi, birba matricolato, intrigante, screditatissimo non posso digerirlo. Del resto, se ti pare, sia quel che sia da essere.
8. Dovrebbe trattarsi di Francesco Antonio Mazziotti (1811-1878), patriota e deputato del regno d’Italia nell’VIII e X legislatura. 9. Francesco Petroni. 10. Il 28 aprile 1865 la Camera si era chiusa lasciando la città di Torino, e nel giugno dello stesso anno la capitale fu trasferita a Firenze. Indette le elezioni generali per la IX legislatura parlamentare, inaugurata a Firenze il 18 novembre 1865, Silvio Spaventa fu eletto il 22 ottobre nei collegi di Atessa e Montecorvino, e optò per il primo.
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Dunque aspetto tue lettere. Berenice11 Isabella etc. ti salutano. Saluto Pietro12 e Rosei. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
299 A Silvio Spaventa Napoli, 27 novembre 1865 Mio caro Silvio, Latore di questa lettera è il Signor Giuseppe Grillo di Chieti, nipote dei nostri amici i signori De Thomasis. Egli viene a Torino per suoi affari, e ha voluto che io ti scrivessi, perché tu lo favorisca in tutto quel che potrai. Io dunque te lo raccomando caldamente, e sono certo che farai per lui tutto quel che farei io medesimo. Ti dò i saluti di Papà e abbracciandoti sono Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
300 A Silvio Spaventa [Napoli, novembre 1865] Mio caro Silvio, Ho ricevuto or ora il tuo dispaccio da Firenze. Vengo da Fornaro, il quale mi ha assicurato, che la tua valigia colla cappelliera è partita sin da Domenica (12) (!!) per via di terra (perché a Livorno non sarebbe stata ricevuta), e che l’avrai subito – se non l’hai avuta a quest’ora – a casa Via De Neri 3. Ho insistito e insistito a modo mio, ma mi ha assicurato e assicurato. Noi stiamo bene finora. Da Ricciardi nulla di positivo finora. Mi scrisse per telegrafo che mi avrebbe risposto; ma nulla ancora. Paolucci anche mi ha scritto, invitandomi etc. Intanto Isabella ha una paura grande e naturalmente mi tormenta, e io non posso, naturalmente, persuaderla. Ieri c’è stata un po’ di recrudescenza. Hai visto le nomine dei Consiglieri dell’Istruzione Pubblica? Meno tre o quattro, gli altri! Ranalli! Aleardi13 stesso. Ma è questo tutto il Consiglio o parte? Ci saranno altre 11. Berenice Spaventa. 12. Pier Silvestro Leopardi. 13. Aleardo Aleardi (1812-1878), poeta e politico veronese, professore incaricato di estetica all’Accademia di belle arti di Firenze al 1863; membro ordinario del Consiglio superiore della pub-
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nomine? Non sarebbe male che t’informassi. Possibile che De Renzi! Vorrei dirti che i minchioni siamo sempre noi; ma mi ripugna. Che vuoi che dica io e mi lagni, quando altre cose più serie che non sono le mie, vanno male e a rotta di collo? Fa quel che credi; ma pure converrebbe che vedessero, che non ogni cosa scappa inosservata. Non so poi se quel che è stato fatto, poteva esser fatto. Il Cortese 14 ti avrà già detto che è venuto qui a casa. È la prima che ho l’onore di ricevere indirettamente una cosiddetta eccellenza. Celano qui presente nell’ufficio della Patria ti saluta tanto. Pensa a star bene. E scrivimi di politica. L’Italia ha ricominciato a parlare di consorteria, e dice che i consorti si gittano faute de mieux in braccio al Sella. – Saluto Pietro 15 e Rosei. Tuo Bertrando Se parto, te n’avviserò. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
301 A Silvio Spaventa Chieti, 1 dicembre 1865 Mio caro Silvio, Ricevo in un punto la tua, e ti rispondo due righe in fretta, che è tardi. Io sto molto meglio, e stamattina ho fatto una piccola passeggiata. Non ti mettere dunque in apprensione. Credevo che fosse peggio. Pure baderò per l’avvenire. Scrivimi a lungo. Raffaele Lanciano ti saluta. Tutti di casa ti salutano. Domani spero di andare a Bucchianico Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
blica istruzione (15 ottobre 1865-17 luglio 1875), e senatore del regno d’Italia dal 1873. 14. Paolo Cortese (1827-1896), politico e deputato nei collegi di Napoli e Potenza, ministro di grazia e giustizia durante il secondo governo La Marmora. 15. Pier Silvestro Leopardi.
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302 A Silvio Spaventa Bucchianico, 8 dicembre 1865 Mio carissimo Silvio, Sono qui da quasi otto giorni: quasi guarito dalla congestione emorroidaria. È qui anche Berenice16 da quest’oggi. Stiamo tutti bene, meno la piccola Mimì, che spero si riavrà subito. Il porgitore della presente è un giovine signore di qui, Leonardo De Leonardis, di cui Goffredo mi ha parlato bene; il quale viene costà per salvare – se sarà possibile – il suo Municipio dalle conseguenze della nuova circoscrizione. Vedi se puoi essergli utile. È uno dei buoni votanti per De Meis. Addio. Berenice Isabella e i bimbi ti salutano Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
303 A Silvio Spaventa Bucchianico, 10 dicembre 1865 Mio caro Silvio, Non ho tue lettere da un pezzo. Ti scrissi, prima di venire qui, che andavo meglio colle emorroidi; e ora sto quasi bene, quantunque non possa dirmi guarito interamente. – Ho visto le nomine del banco alla Camera. Cosa avverrà? Come si governerà, e chi governerà? Ti rimetto una domanda di questo Giudice mandamentale, Signor Landolfi, che tu conosci: bravissimo e intelligente giovane, liberale, e che come sai, nell’ultima elezione politica si è condotto benissimo. I partigiani di Mezzanotte17 l’hanno forte con lui, e hanno fatto e fanno di tutto per nuocergli. Sarebbe bene che tu non solo ne parlassi al Cortese per ogni eventualità, ma gli raccomandassi caldamente la dimanda. Il Landolfi merita ciò che chiede; e bisogna dare dei buoni esempi di meriti ricompensati. Berenice18 è ancora qui, e ieri sera venne anche Raffaele.19 Tutti stiamo bene e la Mimì va meglio. Scrivimi e dimmi qualche cosa della Camera e Governo. Di fretta Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
16. Berenice Spaventa. 17. Raffaele Mezzanotte (1811-1879), uomo politico abruzzese, entrò in politica candidandosi nel collegio di Chieti per le elezioni del dicembre 1865 nelle fila della Sinistra. Fu ministro dei lavori pubblici nel terzo governo Depretis (1878-1879). 18. Berenice Spaventa. 19. Raffaele Paolucci.
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304 A Silvio Spaventa Bucchianico, 11 dicembre 1865 Mio carissimo Silvio, Ricevo la tua. Io sto bene; e se ne togli un piccolo residuo di irritazione emorroidoria, non sono mai stato così bene come ora. Quest’aria fina di Bucchianico mi ha messo un appetito, che non ricordo da un pezzo. Tu mi parli di Bonghi; e qui gli elettori di De Meis si apparecchiano a rielegger De Meis. Ieri è venuto qui a vedermi il Lanciano e mi ha detto che, considerato e esaminato ogni cosa, non ci è altro a fare che rielegger De Meis; o riuscirà Mezzanotte. Per Bonghi, esser troppo tardi; per Auriti, 20 non esserci gran probabilità;21 il programma di De Meis aver fatta buonissima impressione su molti elettori indifferenti e potersi sperare una elezione migliore dell’antecedente. Questo stesso io so da altre fonti. Ma De Meis può essere deputato? Lanciano mi ha raccomandato di scrivere a te, perché induca De Meis ad accettare di nuovo la candidatura, e, in caso di necessità, a farsi mettere anche in aspettativa. I suoi amici credono che ei possa – colla rendita accumulata che ha – vivere almeno un anno, senza stipendio; poi si vedrà, e si penserebbe; ora la situazione essere disperata, e la scelta, ripeto, essere tra De Meis e Mezzanotte. Che vuoi che ti dica io? Qui il partito moderato è un po’ scompaginato, e non ha altro nome che De Meis; la sua elezione definitiva formerebbe questo partito e gli darebbe, per così dire, la coscienza del suo essere e della sua forza. Dunque pensa e vedi tu cosa credi si deva22 fare e subito. Bisogna che De Meis, se accetta, lo dica chiaro, perché ciò che potrebbe nuocere alla sua rielezione sarebbe appunto l’incertezza della sua posizione.23 Rispondimi su questo; e te ne prega anche il Lanciano. Anche il Melchiorre si presenta qui candidato. Sento che sia arrabbiato contro tutti. Il De Ballone e il De Blasiis24 sono venuti a vedermi. Fra giorni andrò a restituire loro la visita. Una situazione così brutta e bassa credo che non ci sia mai stata. Cosa ne nascerà? A voi come partito politico (il vero partito serio) credo che giovi una fornicazione del centro sinistro colla sinistra. Forse può nuocere all’Italia. Scrivo di fretta. Scrivimi. Ti ho scritto due altre lettere di commendazione. Berenice25 è ancora qui. Stiamo tutti bene. Anche la Mimì va meglio. Saluto Pietro26 e Rosei. – De Sanctis per le sue occupazioni ha lasciato l’Italia!27 Che n’è
20. Francesco Auriti (1822-1896), politico e senatore del regno d’Italia dal 1883; sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Torino e di Napoli. 21. Vacca: «probabilità». 22. Vacca: «di dover». 23. De Meis venne eletto, ma l’elezione non fu convalidata per «irregolarità indipendenti dall’egregio candidato» (cfr. A. Del Vecchio Veneziani, La vita e l’opera di Angelo Camillo De Meis, Bologna, Zanichelli, 1921, p. 55). 24. Giuseppe De Blasiis (1832-1914), fu professore di storia moderna a Napoli e tra i fondatori della Società Napoletana di Storia Patria, di cui terrà la presidenza dal 1900 al 1914. 25. Berenice Spaventa. 26. Pier Silvestro Leopardi. 27. «L’Italia», giornale politico diretto da Francesco De Sanctis dal 1863.
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della Patria? Celano non mi scrive da un pezzo. – Oggi ricevo una lettera da Ciccarone di lamenti pel Ginnasio di Vasto. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 28).
305 A Enrico Finamore Bucchianico, 16 dicembre 1865 Pregiatissimo Signore, La notizia della morte del nostro caro Vincenzo 28 è stata per me cagione di duplice dolore; l’ho pianto come amico, e l’ho pianto come giovine di sodo ingegno filosofico e di belle speranze. Io l’avea visto il giorno innanzi alla mia partenza da Napoli: la vigilia della sua morte. Povero Vincenzo! Chi avrebbe imaginato tanta sciagura! Non ho animo di dirle altro e mi creda sempre Suo devotissimo B. Spaventa BRC (già BPC) (ed. in Savorelli, Come si diventa “hegeliani”, p. 125).
306 A Silvio Spaventa Bucchianico, 16 dicembre 1865 Mio caro Silvio, Ieri sono stato a Chieti per parlare con Giovanni De Sanctis29 e indurlo ad adoperarsi coi suoi più efficacemente per De Meis. Nella passata elezione non fu contrario, ma non prese parte attiva a favore. Ora mi ha promesso di fare. Ho ricevuto le due tue ultime lettere staremo a vedere questo decreto di Consigliere. Fa, se puoi, che mi si mandi qui, e quanto prima si possa, la partecipazione, perché io possa regolarmi. 30 Intanto non so ancora se l’Università si riapre a Gennaio. Ciccone mi scrive da Napoli, e non me ne dice niente. Mi sono un po’ annoiato qui. Fa gran freddo, 28. Vincenzo Finamore (1835-1865), docente di letteratura e filosofia presso il liceo dell’Aquila dal 1861 al 1865. Morì di colera a Napoli, dove si era recato per raggiungere la nuova sede di insegnamento a Caltanissetta. 29. Giovanni De Sanctis, nato a Lettomanoppello (Chieti) nel 1809, avvocato e politico, deputato del regno d’Italia durante l’VIII legislatura nel collegio di Chieti. 30. Con la lettera del 12 dicembre 1865, Silvio lo avvisava che il ministro Natoli lo aveva nominato membro del Consiglio superiore d’istruzione a Firenze (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 88).
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nevica tremendamente, e non ci si abita troppo bene. Del resto, pazienza. Noi stiamo tutti bene. Tu bada alla salute. Saluto Pietro31 e Rosei, al quale raccomando di vigilare per la spedizione del decreto! È il mio solito scetticismo. Scrivo di fretta. Addio. Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
307 A Silvio Spaventa Bucchianico, 19 dicembre 1865 Mio caro Silvio, Ricevo la tua del 17. Ho risposto alle altre antecedenti. Domani o dopodomani andrò a Chieti per parlare con Lanciano dell’affare di Totaro. Oggi ricevo l’avviso dell’apertura dell’Università al 1° Gennaio. Vorrei avere qui – se fosse possibile – la partecipazione della mia nomina a Consigliere. Se dovessi recarmi a Firenze, mi increscerebbe esser tornato prima a Napoli. Potrei più comodamente venire di qui. Del resto, nel caso, mi regolerò. Sto molto meglio; ma non sono ancora guarito interamente. Non sono sicuro che un lungo viaggio in diligenza non mi faccia male. Temo anch’io che le elezioni suppletorie non riescano peggio delle prime. A Chieti la stessa rielezione di De Meis non è tanto sicura. Ti scrissi che si porta anche il Melchiorre; il quale è appoggiato – niente meno – da Santoni 32 e compagni. Ma pare che non entrerà né anche in ballottaggio. Il povero Lanciano si dà molto da fare; è l’unico uomo serio a Chieti. Se De Sanctis33 farà davvero, la cosa può andare bene. Celano mi scrive che portano Ciccone a Caserta. Riuscirà? Dispiacerebbe di più un nuovo scacco. Scrivimi. Fra giorni devo risolvere: quando partire e per quale via. Saluto Pietro34 e Rosei. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (inedita).
31. Pier Silvestro Leopardi. 32. Ferdinando Santoni De Sio, era il direttore della rivista «Il Rinnovamento», che pubblicò il primo numero a Chieti il 14 settembre 1860. 33. Giovanni De Sanctis. 34. Pier Silvestro Leopardi.
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Epistolario
308 A Silvio Spaventa Bucchianico, 22 dicembre 1865 Mio caro Silvio, Mi giunge qui la notizia della crisi! Non casco dalle nuvole, sebbene mi trovi a Bucchianico, ma confesso che non me l’aspettavo così presto. Dunque avremo un ministero Crispi, Mancini e che so io?35 Trionferà finalmente l’onestà? Quasi quasi, se non ci andasse di mezzo l’Italia, vorrei vedere in ballo costoro. E Mancini? Che verginità d’animo! La dichiarazione di De Meis, di rinunziare alla candidatura, ha sconcertato il cosiddetto partito moderato qui. Non ti saprei dire cosa avverrà domenica. De Meis ha raccomandato ai suoi amici di votare per Giovanni De Sanctis; ma non so se sarà ascoltato. Sono divisi in tre partiti: De Sanctis, Mezzanotte, Melchiorre. Sì, anche Melchiorre. Il quale di certo è appoggiato dai rossi. Sai già della lettera del Santoni a De Meis, nella quale gli consigliava di raccomandare Melchiorre. Pare anche, che sia appoggiato dal Prefetto. Lanciano mi ha detto ieri che non ha più dubbio su ciò; ebbe sul proposito una conversazione piuttosto seria e viva col Signor Barone. – Gli ho parlato di quel Totaro d’Archi. Mi ha detto che avrebbe visto; ma che giudicassi io stesso, se dopo quella conversazione gli convenisse di trattar subito e immediatamente la cosa. Non sarebbe male che gliene scrivessi tu stesso: dico al Lanciano. Dico così, perché è vero che si tratta di un’inezia; ma qui, in questi maledetti paesi vivono d’inezie, e Melchiorre vale appunto perciò. Ti ho scritto dal giorno 16 altre due lettere. Non ho deciso ancora quando dovrò partire; aspetto prima una tua risposta. Dunque crisi! Scrivimi subito. Quasi non ho animo di dirti, che vegga di far dar corso subito, se non l’ha avuto, a quel tal decreto di consigliere etc. Dovesse naufragare nel mare magnum dell’onestà crispina e mancinesca? Bada. A quest’ora… Tutti ti salutano. Saluto Pietro 36 e Rosei. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.1 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 29 e p. 28 nota 38).
35. Dopo la caduta del secondo governo La Marmora, il 31 dicembre 1865, Vittorio Emanuele II riaffidò all’ex generale il compito di guidare l’esecutivo. 36. Pier Silvestro Leopardi.
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309 A Silvio Spaventa Sulmona, 6 [gennaio] 1866 Mio caro Silvio, Non ti scrivo da un gran pezzo. Da Bucchianico ritornai a Chieti e da Chieti venni qui. Perché? Non lo so né meno io. Volli provare se potessi viaggiare, e credendo alle istanze continue e vivissime di Fortunato, un bel giorno senza pensarci parto per Sulmona. Sto bene, assediato e tormentato dalle più affettuose carezze che io abbia mai visto; quantunque non sia ancora perfettamente guarito da quella fastidiosa congestione emorroidaria; e per giunta il mal di stomaco, che dopo la podagra credevo morto per sempre, ricomparso ancora a Bucchianico, mi tormenta ancora. Pazienza, sempre. Del resto sto bene. Penso di ritornare al più presto a Napoli. Scrissi a Ciccone per avere un permesso dal Rettore Scacchi. 1 Mi dovessero destituire?!!!! Uso Natoli. Ma già io non temo nulla. Il Berti,2 mio antico amico nemico, non sarà capace di tanto. Dico così per scherzo. Sono ancora incerto e indeciso, se tenere la via d’Isernia o tornare indietro per Termoli. Mi dicono che fuoco sia ricomparso nelle vicinanze di Venafro. Vedrò. Leggo qui di nuovo l’Italia dopo quasi due mesi. De Sanctis3 è matto e briccone ora apertamente. E il D’Ayala! Tutti più liberali di noi. Mi duole pel povero Ciccone! Puoi rispondermi qui, se mi scrivi subito. E a proposito quel tale mio decreto dove è ito?4 Ha naufragato, come io credevo? Pare di sì, perché io non ho avuto nessuna partecipazione finora. Vedi, e dimmi subito che cosa n’è.
1. Arcangelo Scacchi (1810-1893), geologo e vulcanologo, senatore a vita del regno d’Italia dal 1861 e rettore dell’Università di Napoli dal 1865 al 1867 e dal 1875 al 1877. 2. Domenico Berti (1820-1897), saggista e storico della filosofia, fu deputato del regno d’Italia dall’VIII alla XVIII legislatura e più volte ministro della pubblica istruzione e dell’agricoltura. 3. Francesco De Sanctis. 4. Decreto della sua elezione a membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione, che aspettava dal dicembre dell’anno precedente (cfr. lettera 306).
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Epistolario
Fortunato,5 Paolo, 6 Teresina ti salutano tanto. Rispondimi subito. Addio. Saluto Pietro e Rosei. 7
Tuo Bertrando Sono andato per due giorni a Campo di Giove. SNSP, XXXI.D.2 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 27).
310 A Silvio Spaventa Sulmona, 7 [gennaio] 1866 Mio caro Silvio, Ti ho scritto ieri. Stamane ricevo lettera da Napoli dall’Ispettore Scolastico, che mi dice che io sono stato nominato Delegato Regio per gli Studi della Provincia. Io non ne so niente. Leggo la stessa notizia sull’Italia: da parte della Delegazione (la Presidenza, tanto cara all’Imbriani, degli Educandati femminili) sarebbe data a Ciccone, e il resto a me; il Fusco resterebbe organizzatore dei nuovi ginnasi. Tu che ne dici? Che mi consigli? Non so se questo carico di delegato sarebbe compatibile con quello di Professore: che non lascerei di certo mai. Lo stesso Ispettore mi parla anche della mia nomina a Consigliere etc. Pure, finora io non ho avuto nessuna partecipazione. Rispondimi qui subito. E dimmi qualcosa di politica. Andrà il nuovo Ministero? Io non sto male, sebbene il dolore di stomaco non sia ancora cessato. Tutti i Nanni e i Ricciardi ti salutano. Che brava gente! Scrivimi dunque subito. Saluto Pietro8 e Rosei. Di fretta. Tuo Bertrando Vorrei sapere cosa dice Rosei di questa mia Delegazione. È un impiccio serio. Se mi ci metto, farò. Ma dovrò lasciare ogni cosa, forse. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
5. Fortunato Nanni. 6. Paolo Nanni. 7. Pier Silvestro Leopardi. 8. Pier Silvestro Leopardi.
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311 All’Illustrissimo Signore Signor Ministro della Istruzione Pubblica9 Firenze Napoli, 23 gennaio 1866 Illustrissimo Signor Ministro, Ringrazio Vostra Signoria Illustrissima della mia nomina a membro ordinario del Consiglio Superiore e Delegato regio sopra gli studi di questa Provincia. Accettando tali uffici farò di corrispondere come meglio saprò alla fiducia che il Ministero ha posta in me. Professore Bertrando Spaventa ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale (1860-1880), B a 2014, Bertrando Spaventa (inedita).
312 A Marianna Florenzi Waddington Napoli, 24 gennaio 1866 Pregiatissima Signora Marchesa, Ritornato in Napoli dopo due mesi di assenza per cagione del colera, ho trovato la Sua gentilissima lettera del 14 Dicembre. Non so se sia a tempo a rispondere al tenore di essa. Faccia come crede quanto alla dedica. Sebbene io sia alieno da cose simili, pure mi reputo troppo onorato da Lei, e Lei ha tanti titoli nell’animo mio che può disporre di me come le pare e piace. Leggerò con diletto come sempre, questo nuovo prodotto del Suo ingegno.10 Tra giorni le invierò una mia memoria sulla Dottrina della conoscenza di Bruno,11 nella quale mi sono sforzato – non so con quanta buona fortuna – di recare un po’ di luce sul carattere della filosofia del nostro Giordano. Continui Ella intanto a conservarmi la Sua benevolenza e mi creda sempre Suo devotissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 56 (inedita).
9. Domenico Berti. 10. Saggio sulla natura. Dante, il poeta del pensiero, Firenze, Le Monnier, 1866, con dedica al professore Bertrando Spaventa, datata 7 febbraio 1866. 11. La dottrina della conoscenza di Giordano Bruno, in «Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», II (1865), pp. 293-348.
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Epistolario
313 A Silvio Spaventa [gennaio 1866] Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua lettera. Io sto bene. Ho fatto fare dal De Sanctis 12 una prima esplorazione all’ano, e pare che non ci sia nulla di male. Per maggiore cautela tra giorni ne farà una seconda più accurata. Giacché ho accettato la Delegazione voglio e spero di fare qualcosa di buono. Ma ho bisogno di essere sostenuto. Ho trovato una confusione grande di cose. A poco a poco spero di riparare e avviare la barca. Un giorno che avrò un po’ più di tempo, ne scriverò a Rosei, per sentire il suo parere, prima di proporre. È venuto a trovarmi un mio antico discepolo, ora alunno di Magistratura. Gli alunni inviano a Firenze uno di loro per difendere la loro causa. Mi ha pregato – e non ho saputo dir di no – che ne scrivessi a te, perché – se puoi – gli appoggi. L’inviato – che verrà a trovarti – si chiama Salvatore Fusco.13 Sta attento a ciò che si farà costà nell’Istituto, e quando converrà operare per ciò che sai. Niente altro per oggi. Di fretta. Saluto Pietro 14 e Rosei Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
314 A Silvio Spaventa Napoli, 14 febbraio 1866 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua. Ieri mi ho fatto osservare di nuovo. Nessun pericolo di fistola; la ferita è chiusa; solo all’epidermide è rimasta un po’ di leggera irritazione, che si deve togliere causticando etc. Del resto sto bene. Di Matteo è venuto a trovarmi e dopo un lungo discorso, ha conchiuso che – per le mutate condizioni della Questura – gli bisogna una commendatizia pel Vigliani15 qui, che venga da costì da persona autorevole: e spera che tu, potendo, gliela faccia fare da qual-
12. Tito Livio De Sanctis (1817-1883), medico chirurgo, allievo a Napoli di Salvatore Tommasi, fondatore insieme a lui della rivista medica «Il Morgagni», dal 1861 docente all’Università di Napoli. Medico personale di Bertrando Spaventa. 13. Salvatore Fusco (1841-1906), politico e senatore del regno d’Italia dal 1886. 14. Pier Silvestro Leopardi. 15. Paolo Onorato Vigliani (1814-1900), era stato nominato governatore di Milano con D.R. del 10 giugno 1859. Sarà ministro di grazia e giustizia del regno d’Italia nei governi Menabrea (1869) e Minghetti (1873-1876).
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cuno, per esempio dal De Falco.16 Gli ho promesso che te ne avrei scritto. Ma gli bisogna presto; e almeno che mi dica subito se puoi o no. Il Professore Fusco, di ritorno, ha annunciato che probabilmente anche la Facoltà di Lettere e Filosofia a Napoli sarà soppressa, e che i Professori andranno a spasso. Se va a spasso lui, chi non andrà a spasso? – Pure ti racconto ciò, perché badi sempre. Ti scriverò un altro giorno più a lungo. Colla Delegazione non si va male. Ma il male sta nel gran disordine che ho trovato. Ma di ciò dopo. Qui non è venuto ancora nessun ordine pel mio onorario di Consigliere. Rosei (al quale dovrò ancora scrivere; e mi manca ancora il tempo; ma scriverò) potrebbe fare che si provveda? Si dovrebbe però badare a due cose 1°. che non si consideri come un nuovo impiego, per non rilasciare il terzo per 6 mesi. Infatti io ero già consigliere da 4 anni. 2°. che non ci sia ritenuta di sorta. Infatti il De Renzi mi ha detto di aver avuto costì il soldo di tre mesi senza ritenuta. – Scrivo così, perché sono rimasto proprio asciutto. So che il Vigliani non ha vista bene la mia nomina a Delegato. Che vuole da me? Addio per oggi. Saluto Rosei e Pietro.17 Per Ciccillo Petrone ti mando un gilet di velluto, che abbiamo ritrovato qui. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
315 A Silvio Spaventa Napoli, 6 marzo 1866 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua. Ho parlato col De Chiara, il quale farà ciò che ti bisogna. Pagherò la Patria; e tra giorni ti manderò denaro. – Millo sta bene. Non più per oggi. Di fretta Tuo Bertrando Rosei non mi ha risposto ancora. Gli scrivo un’altra lettera. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
16. Giovanni De Falco (1818-1886), magistrato e ministro di grazia e giustizia nel terzo governo La Marmora (31/12/1865-20/6/1866) e nel governo Lanza (24/2/1871-5/7/1873). Fu senatore del regno d’Italia dal 1865. 17. Pier Silvestro Leopardi.
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316 A Silvio Spaventa Napoli, 10 marzo [1866] Mio caro Silvio, Ti acchiudo un ordine della banca di £ 800. Quando avrai bisogno d’altro, me lo scriverai. Avvisami subito la ricevuta di questa. Ti scrissi che parlai col De Chiara. Domani vedrò di pagare la Patria. Paolucci mi scrive che è stato messo in disponibilità. Avrà scritto anche a te. Non si può riparare? È inutile che ti raccomandi questo. Io sto bene colla famiglia. Dovresti comprare e mandare qui – si intende a mie spese – due cappellini di paglia, uno per Millo e l’altro per Mimì. Mando le misure. Che siano belli. Ricordati che Mimì non ha ancora 5 anni. Scrivo di fretta. Saluto Pietro 18 e addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
317 A Silvio Spaventa Napoli, 22 marzo 1866 Mio caro Silvio, Ieri De Chiara mi ha portato l’abito etc. Se fra oggi o domani non trovo altro mezzo sicuro, te lo manderò per una spedizione subito. Ieri scrissi a Rosei pel mio stipendio di Consigliere. È venuto qui solo il mandato di Febbraio, e non quello di Gennaio. Ha la data del 20. Può essere dunque uno sbaglio, perché mi dicono che i mandati non si spediscono mai con tal data. A ogni modo vedi anche tu, e fa che questa faccenda si regolarizzi. Son petulante, perché i denari mancano. – Del resto sto bene colla famiglia. È venuto due volte Brioschi. 19 Ti ricorda la promessa, cioè la crocifissione. Saluto Pietro 20 e Ciccillo.21 Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
18. Pier Silvestro Leopardi. 19. Francesco Brioschi (1824-1897), professore di idraulica all’Università di Pavia, fondò il «Politecnico» di Milano. Fu segretario generale della pubblica istruzione nel 1861-1862 e membro straordinario del Consiglio superiore della pubblica istruzione dal 15 ottobre 1865 al 27 dicembre 1866, e dal 26 marzo 1873 al 12 maggio 1881. 20. Pier Silvestro Leopardi. 21. Francesco Petroni.
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318 A Silvio Spaventa Napoli, 28 marzo 1866 Mio caro Silvio, L’altro ieri consegnai la scatola dell’abito etc. a Ciccio Fornaro, il quale mi ha assicurato che sarebbe stata spedita subito dallo spedizioniere Cimmino: quello stesso che ti mandò la valigia. Se oggi avrò il bollettino, te lo manderò domani. Ciccio Petroni non ha riportato i cappellini pei ragazzi. Perché? Non ti dimenticare. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
319 A Silvio Spaventa Napoli, 9 aprile 1866 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua lettera, e ho avuto tue notizie da parecchi deputati che sono tornati, Gigante, Pisanelli, etc. Mi hanno detto che ora stai bene; ma che sei stato nei giorni passati poco bene. Bada. – È curioso udire qualcuno di costoro parlare della nuova Camera: al far dei conti, dicono, non ci sarebbe tanto male, se si trovasse chi sapesse maneggiare quella materia prima, che è la più parte degli uomini nuovi, i quali per difetto di buono impulso esterno e di ogni spontaneità propria, sono spinti dal caso etc.; l’antica maggioranza, o almeno i più cospicui dei suoi uomini, potrebbero essere meno rigidi; con un po’ di accorgimento e di pieghevolezza tirerebbero a sé questa informe materia; e da ciò nascerebbe qualcosa. Io non so niente di questo; e non posso giudicare. Da altri poi e da qualcuno anche di costoro – da quei di amarti e di stimarti – ho udito esprimere un desiderio sul conto tuo: si vorrebbe che tu non te ne stessi così come te ne stai, un po’ segregato; che ti turassi, cioè, un po’ il naso, e entrassi pure una volta nella nuova pozzanghera, e operassi un po’, e parlassi, e ti facessi riconoscere da codesti babbei. Anche di ciò io ne capisco poco o niente; ma non ti voglio nascondere un mio pensiero. Tu finora hai fatto e operato tanto, che nessuno può dire che non sai; ma si può dire che nel Parlamento non hai fatto ancora niuna prova. E devi pur farla una volta. Con un discorso meramente politico faresti forse nascere i soliti rumori; forse anche no. Ma di certo, se facessi un discorso amministrativo – per esempio nella discussione della proposta di legge sulle sottoprefetture etc. 22 – questo pericolo non ci sarebbe. E di tali materie tu potresti trattare bene, e per lunga esperienza etc. Studieresti bene la cosa, e potresti fare un buon discorso. Che te ne pare? Una cosa devi concedermi, 22. Riferimento alla legge del ministro dell’interno Chiaves sulla soppressione delle sottoprefetture e altre disposizioni d’ordine amministrativo.
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ed è: che oggi o domani – come uomo pubblico 23 – ti potrai trovare 24 nella necessità di parlare alla Camera. Perché non ti ci avvezzi fin da ora e in una buona occasione? Pensa, dunque, su ciò, e rispondimi.25 Ti mando alcuni miei libri (7) pel Bonghi, che me li ha chiesti per farci fare un articolo. 26 – Daglieli e non perderli. Ti ricordo i cappellini dei ragazzi. Noi stiamo bene. Saluto Pietro 27 e ama sempre Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D .2 (ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 29 e in S. Spaventa, Lettere politiche, p. 95; parzialmente ed. in Romano, Silvio Spaventa, p. 181).
320 A Silvio Spaventa Napoli, 12 aprile 1866 Mio caro Silvio, Ti mando una lettera di Gilberto,28 dalla quale vedrai il caso suo e il rischio che corre. Sarebbe una vera disgrazia per lui. Perciò ti prego di vedere se puoi ovviare a qualunque male che gli possa essere fatto. Domani ti scriverò di nuovo. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
321 A Silvio Spaventa Napoli, 19 aprile 1866 Mio caro Silvio, Farai bene a prevenire Bonghi, Villari, Giorgini e qualche altro amico del Consiglio superiore di Pubblica Istruzione di rispondere come si deve alle bugie e insinuazioni che Salvatore De Renzi probabilmente vomiterà nella seduta del 22 contro Tommasi e altri Professori della Facoltà Medica e contro Gesù Maria. Tu conosci costui De Renzi e non
23. Vacca: «politico». 24. Vacca: «troverai». 25. Castellano: «pensaci e scrivimi». 26. Nella «Perseveranza» di Milano, di cui Bonghi divenne direttore nel 1866. 27. Pier Silvestro Leopardi. 28. Gilberto Vitullo.
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ci è bisogno d’altro. Tommasi ha già inviato a Bonghi e compagni una specie di memorandum. Aspetto sempre lettere tue. Tuo Bertrando De Renzi, Semmola,29 Palasciano 30 e simili sono coalizzati. Riapro la lettera, per dirti che ricevo la tua del 18. Insisti su Scialoja. Vedrò Gualterio.31 Gli studenti continuano a far minchionerie, menati pel naso da soliti birbaccioni, Morelli, etc. Io credo non possibile la riapertura dell’Università. Se il Regolamento non è abolito, gli studenti non andranno alle lezioni. 32 E se è abolito ora, l’autorità è ita; e oggi o domani non sarà meraviglia se i Professori tutti saranno presi a calci. Le cose sono in tale stato che è impossibile una soluzione immediata politica. Millo e Mimì aspettano sempre i cappellini. Intanto non si comprano qui, e la stagione si avanza. Vedi dunque di mandarli subito. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
322 A Silvio Spaventa [Napoli,] 10 maggio 1866 Mio caro Silvio, Avrei voluto scriverti da un pezzo; e non l’ho fatto, non so perché. Ricevei i cappellini, che sono stati giudicati bellissimi. – Eccoci dunque alla guerra,33 non è vero? È naturale, dunque, che io chieda notizie da te, che sei costì, e devi saperne più di me. Cosa ci è dunque? Ci è un trattato colla Prussia, e si sa cosa 34 sia? E la Francia è con noi? – Se si vince sarà una gran cosa: avuta Venezia, si potrà dire risoluta anche la quistione di Roma. Se poi si perde, buona notte, almeno per noi. – È vero che Ricasoli piglierà il Ministero? E i presenti ministri andranno via tutti, o soltanto alcuni? Etc. Dimmi dunque tutto quello che sai.
29. Mariano Semmola (1831-1896), medico e docente universitario, deputato del regno d’Italia durante la XV legislatura. 30. Ferdinando Palasciano (1815-1891), medico e docente universitario, deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla X alla XII legislatura. 31. Filippo Antonio Gualterio (1819-1874), politico e storico, senatore del regno d’Italia dal 1861, fu ministro dell’interno nel primo governo Menabrea (1867-1868). 32. Con molta probabilità Spaventa si riferisce ai tumulti studenteschi che si ebbero nell’Università di Napoli tra marzo e aprile 1866, nel corso dei quali, il 9 aprile, il rettore venne cacciato dalla sede universitaria. 33. Si tratta della cosiddetta terza guerra di indipendenza italiana, combattuta contro l’impero austriaco dal 20 giugno 1866 al 12 agosto 1866. 34. Vacca: «come».
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Qui ci è molto entusiasmo: tutti i giovani vorrebbero arruolarsi, e tutti i garibaldini tornare ai loro posti. Ma temo che al far dei conti non saranno molti. Il tenore del decreto sulla formazione del corpo dei volontari35 gli ha un po’ raffreddati. Decoroso36 da Salerno mi domanda notizie; fino a giorni fa, è stato senza istruzioni. Non so se le abbia ricevute adesso. Non ho che dirti o domandarti di più. Scrivimi e ama sempre il tuo Bertrando Millo Mimì e Isabella ti salutano. SNSP, XXXI.D.2 (ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 29-30).
323 A Silvio Spaventa [Napoli,] 8 giugno 1866 Mio caro Silvio, Pel povero Gilberto37 parlai col Gualterio, che mi promise di provvedere etc. Poi gli scrissi, ricordandogli la cosa. Se è vero, come pare indubitato, ciò che dice Gilberto, non saprei che dire; non è difficile che il Gualterio occupato nella politica abbia dimenticato la tua e mia raccomandazione. Fa di scrivergli subito subito in termini precisi; io andrò oggi stesso da lui. Ti assicuro che sono un po’ arrabbiato per questo: il Rossi38 avrebbe dovuto usare per te un po’ di riguardo. Fa dunque di pensare al povero Gilberto, il quale non so dove andrebbe a parare, se dovesse uscire dal Sifilicomio. Se ho tempo oggi ti scriverò di nuovo. Se no, a domani. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
324 A Silvio Spaventa [Napoli,] 16 giugno 1866 Mio caro Silvio, Farò tutto ciò che è in mio potere pel Signor Giacobini raccomandato dal Commendatore Cerruti. Non devo però nasconderti che gli aspiranti al posto di Economo in questo 35. In previsione della riapertura delle ostilità con l’impero austriaco, il 6 maggio 1866, un regio decreto autorizzava la formazione di un Corpo che accogliesse i volontari di tutta Italia. 36. Decoroso Sigismondi. 37. Gilberto Vitullo. 38. Probabilmente Luigi Rossi.
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Convitto nazionale sono molti, e tra questi vi è un tale che è presentemente Economo in uno dei Convitti nazionali di questa Provincia e ha domandato al Ministero di essere traslocato qui. Egli ha valevoli attestati di onestà, e capacità del Preside del Liceo e del Prefetto della Provincia. Di fretta. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
325 A Silvio Spaventa Napoli, 16 giugno 1866 Mio caro Silvio, Gigante, che ho visto iersera, mi ha detto che hai bisogno della roba di costà che lasciasti qui. Perché non me ne hai scritto prima? Te la avrei mandata per Cuciniello. Fammi subito sapere cosa vuoi, che te lo manderò per la prima occasione che mi si presenterà. E a denaro come stai? Io sono sempre ai tuoi ordini, raccomandandoti però sempre la benedetta economia. Non ti risposi subito sul raccomandato del Commendatore Cerruti, perché tu mi parlavi d’un Cherubini, e non d’un Giacobini. Io aspettava per risponderti che il Ministero mi mandasse la domanda del primo. Aspetterei ancora, se tu nella tua seconda lettera non avessi corretto lo sbaglio. Potresti parlare tu stesso col Berti o con qualcuno che potesse su lui (per esempio Scialoja), perché dica sì o no al nostro buon Ciccone. Ciccone domandò di essere nominato professore ordinario di economia all’Università; è da due anni straordinario. Berti rispose che ci avrebbe pensato. Sono già molti mesi. Si tratterebbe di far parlare l’oracolo finalmente. Ciccone vuole una risposta precisa, quale che sia. È vero che i ministri hanno a pensare alla guerra ora;39 ma ciò non toglie che pensino pure a qualcos’altro. Di qui che devo dirti, che non sai? Vorrei parlarti di questa Università; non non40 mi sento l’animo di rimescolare cose che puzzano. Professori e studenti hanno fatto, ciascuno dal canto suo, una figura infelicissima. E la commissione d’inchiesta poi si è comportata peggio. Aperta poi la cuccagna degli esami per agevolare ai giovani – speranza dell’avvenire – la via del campo, i giovani hanno pensato meglio, e avuto il diploma hanno preso la via di casa loro. – Basta. Scrivimi subito e dimmi cosa ti occorre. Assicura Berardo che farò di tutto per raccomandare efficacemente suo fratello Sabatino, per cui mi ha scritto anche suo zio Mincantonio da Bomba.41 Addio. Isabella Millo e Mimì ti salutano Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
39. Alla terza guerra d’indipendenza, combattuta dal regno d’Italia contro l’impero austriaco dal 20 giugno 1866 al 12 agosto 1866. 40. Lapsus calami. 41. Si tratta di Berardo, Sabatino e Domenicantonio Sacchetti.
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326 A Silvio Spaventa [Napoli,] 27 giugno 1866 Mio caro Silvio, Sono stato due giorni a Salerno con Decoroso,42 e tornato qui iersera ho trovato la tua lettera del 22. Perciò rispondo tardi. Farò il possibile per avere dei piccoli biglietti di banca. Ma è molto difficile. Sebbene io creda che il meglio che tu possa fare, sia di venire qui, dove spenderesti poco, per non dir niente. Qui l’unica considerazione a fare è se ci si sia sicuri. Non puoi figurare il panico che ci è stato.43 Forse non hanno tanto torto. Pochi i liberali sempre; e il resto borbonici, e insorti,44 pronti a gittarsi alla coda della fortuna. Ma diavolo! Possibile che s’abbia a perdere? Vorrei che mi scrivessi di nuovo, prima della fine del mese, anche per telegramma, e mi dicessi se ti devo mandare il danaro. Due o tre giorni di ritardo non fa niente e puoi farti dare qualcosa da qualche amico. Giacché se io ti mandassi subito il danaro, e tu intanto tornassi! Deciditi dunque prima, e fammelo sapere subito. Ripeto il meglio che potresti fare, sarebbe di venire, salvo il pericolo che ci potrebbe essere qui in conseguenza delle sorti della guerra. Ma speriamo di no. Dunque scrivimi subito. E dimmi anche, se ne sai, qualcosa della situazione. Qui non se ne sa nulla. Addio di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 30 in data 29).
327 A Marianna Florenzi Waddington Napoli, 10 luglio 1866 Pregiatissima Signora Marchesa, Non ho potuto rispondere alla sua cara lettera prima di oggi. Il Congresso si terrà. Non fo ora le mie scuse dei miei tanti peccati verso di lei, perché mi riserbo di farli a viva voce quando verrà qui. Solo le chiedo ora perdono della fretta e della brevità di questa lettera. Mi creda sempre Suo Devotissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 57 (inedita).
42. Decoroso Sigismondi. 43. Dopo la sconfitta di Custoza del 24 giugno 1866. 44. Vacca: «incerti».
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328 A Silvio Spaventa Napoli, 26 luglio 1866 Mio caro Silvio, Avrei dovuto scriverti subito, ma non sono stato mai così svogliato come ora. Pare che abbiamo avuto un’altra rotta,45 peggiore della prima; sebbene ciò non si possa dire qui, senza passare per consorte. Pare incredibile, ma è così. Scommetto, che domani si farà credere ai buoni napoletani che, se non abbiamo vinto, la colpa è tutta dei consorti. In somma, sempre voi altri, quando si tratta di dar torto e crocifiggere qualcuno. Io mi sento avvilito. Cosa siamo noi in paragone dei Prussiani? Mio dio! Ci è stata una gara in questi ultimi anni di abbassare ogni cosa più alta e di pervertire ogni cosa. Non ci è nulla, in cui un poveruomo, un animo onesto possa consolarsi e riposarsi, eccetto i grandi atti individuali sparpagliati e senza nesso; nulla di veramente grande, che dica Stato e governo, cioè la mente della nazione. Nelle guerre nazionali, come quella che è avvenuta, il valore di questa mente è la vera grandezza. Tanto meno ho voglia di parlarti delle mie piccole miserie. L’Ispettore Smith se ne è andato; ma di De Blasiis nulla ancora. È possibile che ci sia intrico. – Intanto la quistione del locale si mette male. Il Ministero dell’Istruzione Pubblica non ha né pur letta la mia relazione su ciò; e dopo tre mesi mi manda una nota del Ministero delle Finanze (Direzione Generale del Demanio e Tasse da Torino), piuttosto piccante e impertinente. Io rispondo per le rime. Sarebbe bene che ne parlassi sul serio con lo Scialoja. Egli mi conosce, e sa se io mi farei a chiedere una cosa senza necessità e per puro lazzo o simile cagione. Credo che sia tempo che l’istruzione pubblica valga un po’ più. La nostra impotenza è derivata in gran parte dalla nostra ignoranza. Raccomando a lui gli interessi della pubblica istruzione qui, giacché chi dovrebbe provvedere, non ne fa nulla. È curioso! Si vuole che io faccia qualcosa; e non mi si vuol dare i mezzi per fare. Meglio, se abolissero Delegazione e altro etc. Ti raccomando questa cosa. Io ho bisogno di braccia e di locale per fare un lavoro sull’insegnamento privato, che – eccetto gli studi universitari – è ancora tutto qui. Su ciò non si è fatto mai nulla. Dunque fa e subito. Io sto bene colla famiglia. E tu? Scrivi subito. Di fretta. Bertrando N.B. La Divisione del Ministero dell’Istruzione Pubblica, che mi ha trasmesso la nota della Direzione Demanio e Tasse, è la 1 a. SNSP, XXXI.D.2 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 30).
45. Il 20 luglio 1866 la flotta italiana veniva sconfitta da quella austriaca a Lissa, e il governo accettava la proposta austriaca di armistizio.
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329 A Giuseppe De Blasiis Napoli, 28 luglio 1866 Con mio particolare compiacimento trascrivo a Vostra Signoria Illustrissima la seguente nota del signor Ministro della Istruzione Pubblica 46 del dì 25 corrente: «Perché l’importante ufficio d’Ispettore scolastico in codesta cospicua Città e provincia possa essere rappresentato da persona sotto ogni riguardo rispettabile, questo Ministero autorizza la Signoria Vostra ad affidarne le veci interinalmente e fino al tutto al prossimo venturo ottobre al signor Professore Giuseppe De Blasiis, che già si compiacque in altre occasioni di coadiuvarla nell’esercizio della laboriosa sua carica di Regio Delegato sopra gli studi. Voglia Ella pertanto porgere al Professor De Blasiis a nome di questo Ministero i debiti ringraziamenti per ciò che ha fatto, e pregarlo di voler assumere questo incarico, per il quale sul fondo delle indennità assegnate per le spese di giro e di ufficio gli sarà fatto pagare per suindicato periodo di tempo un assegno di Lire quattrocento». Io spero che Vostra Signoria Illustrissima vorrà accettare l’onorevole incarico a coadiuvarmi colla sua nota intelligenza e solerzia nel miglioramento della pubblica istruzione in questa Città e Provincia. Il Regio Delegato B. Spaventa SNSP, XXXIV.C.15.4. Carteggio 1851-1909, 3. Bertrando Spaventa (ed. in Schipa, Poche lettere, pp. 19-20).
330 A Silvio Spaventa Napoli, 6 agosto 1866 Mio caro Silvio, Ricevo la tua del 4. Mi dici che hai parlato con lo Scialoja sull’affare delle due stanze,47 ma non mi fai sapere cosa ti abbia risposto. Sarà vero che Napoli48 terrà fermo contro le pretese della Direzione del Demanio e Tasse; ma non è vero che il Ministero abbia tenuto fermo. La lettera del Ministero, che accompagnava la risposta di quella Direzione, era tutt’altro che ferma. Si vedeva che il capo della 1 a. Divisione o non aveva letto la mia relazione 12 Aprile 10/181 o avendola letta non ne aveva tenuto conto. Io ho risposto 31 Luglio 10/437,
46. Dal 20 giugno 1866 ministro della pubblica istruzione nel secondo governo Ricasoli era Domenico Berti. 47. Si trattava, per Silvio, di divenire al tempo stesso direttore generale delle Dogane e senatore (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 100). 48. Federico Napoli (1819-1883), matematico e docente universitario, ordinario di algebra complementare nell’Università di Palermo; fu segretario generale della pubblica istruzione dal 6 gennaio 1866 al 15 maggio 1869. Fu deputato del regno d’Italia nella IX e X legislatura.
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come ti scrissi, per le rime agli appunti e pretesti della Direzione etc. Voglio credere, che se leggono ciò che ho scritto, terranno ora fermo davvero. Se no, ci penserò. Quanto agli impiegati, che mi vorrebbero dare, se hanno conchiuso qualcosa, bene; se no, aspetta un po’, che te ne scriva di nuovo io; giacché se la quistione del locale non si risolve favorevolmente, io non saprei dove collocarli, e mi trovo di aver già scritto al Ministero per ritenere ancora per qualche mese un ex volontario della Prefettura, che lavorava qui provvisoriamente pel congedo accordato al Segretario. È un buon ragazzo, ma non capace d’altro che di copiare. Prima di venire, vedi di conchiudere per la tua idea,49 convenientemente, s’intende. Se no, vieni; giacché la stagione dei bagni passa. – A proposito dei Commissari il vostro buon Sornione insiste presso il giornale la Patria, perché presenti e raccomandi il Pallavicino (Giorgio). Mi limito a fare questa sola osservazione: è un giornale la Patria di tanto credito? È letto costì? Chi ne capisce nulla del Sornione? – Che peccato che la così detta grandezza consista ora in una serie di piccoli mezzi, in cui simili uomini sono maestri! Addio dunque per ora. Scrivi, se non torni subito. Tuo Bertrando P.S. Nicola Facella qui presente ti ricorda l’affare suo, cioè la casa. Tu gli promettesti di far qualcosa per lui. Intanto il Comando militare insiste, perché vada via di là; e il Demanio qui non gli vuol dare che quella tana che sai. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
331 A Silvio Spaventa Napoli, 18 agosto 1866 Mio caro Silvio, Abbiamo il cholera. Dimmi cosa vuoi fare, se venire o restare. Il meglio sarebbe di aspettare ancora, e vedere a che si mette la cosa. Noi finora stiamo tutti bene. Ti scrivo per dirti questo. Ti ricordo la faccenda del locale della Delegazione. Non altro per oggi. Di fretta Tuo Bertrando P.S. Scrivo oggi stesso a Rosei sul De Blasiis, il quale a Novembre potrebbe correre il rischio di restare senza nulla. Se puoi aiutarlo anche tu di concerto col Rosei, fallo. Mi hanno dato (certi vicini di casa) una domanda, che ti acchiudo. Fa ciò che ti pare. Non so né di che né di chi veramente si tratta. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
49. Silvio promosse una mozione d’inchiesta sui moti di Sicilia del settembre 1866 (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 105).
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332 A Silvio Spaventa Napoli, 20 agosto 1866 Mio caro Silvio, Ricevo in punto la tua, e ti rispondo subito. Io sto bene colla famiglia. Non ti consiglio punto di venire qui. Quanto a me non temere; farò tutto ciò che potrò per star bene. Ti manderò subito che potrò spezzarli i 500 franchi. Ti scriverò ogni giorno un rigo. Conchiudi la maledetta faccenda del locale. Non ti dico poi niente dell’idea tua. Fa tutto che puoi, ma convenientemente. Che razza di gente! – A proposito, come va la discussione di La Marmora? Di fretta. Addio per oggi. Ti do i saluti di tutti. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
333 A Silvio Spaventa Napoli, 21 agosto [1866] Mio caro Silvio, Niente di nuovo. Pare – se dice il vero il bullettino – che il cholera decresce o almeno non cresce. Noi stiamo tutti bene. Domani spero di mandarti i biglietti. Dimmi qualche cosa di politica. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
334 A Silvio Spaventa Napoli, 23 agosto 1866 Mio caso Silvio, Né anche oggi posso mandarti i biglietti piccoli. Credevo di poterli avere da Mauro.50 Ma costui non c’è a Napoli. Vedrò oggi altrimenti. Se non mi riuscirà di averli, ti manderò
50. Domenico Mauro.
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il biglietto di 500, e penserai tu a cambiarlo costì. Di noi niente di nuovo; stiamo sempre bene. E tu? Scrivimi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
335 A Silvio Spaventa Napoli, 26 agosto 1866 Mio caro Silvio, Anche oggi stiamo bene. Ieri ti mandai le 500 lire in una lettera assicurata. Scrivi sempre. Non ho ancora tempo di scriverti una lettera lunga. Saluto Rosei e Pietro. 51 Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
336 A Silvio Spaventa Napoli, 22 agosto 1866 Mio caro Silvio, Continuo a star bene. Ieri ho fatto partire Isabella e i ragazzi per Bomba. Per Bomba, dirai tu! Oramai non credo che ci possa essere più ostacolo; tutti sanno il mio stato, e oltre a ciò siamo ora uniti regolarmente secondo la legge. Isabella avea una paura maledetta, e ho dovuto forzarla a partire. Non stava molto bene, e così anche un po’ i ragazzi. Io sto qui con Mariano,52 e la sera viene a dormire in casa Ciccillo Vizioli. Ti dico ciò, perché tu sii tranquillo sul conto mio. Non è improbabile che vada a starmene a Maddaloni, nel Liceo, dove pagherei una piccola pensione, e sarei in buona compagnia. Ti ripeto, sii tranquillo, e non muoverti. Basta per oggi. Scrivimi e dammi notizie delle cose. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
51. Pier Silvestro Leopardi. 52. Probabilmente si tratta di Mariano D’Ayala.
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337 A Silvio Spaventa [Napoli,] 28 agosto 1866 Mio caro Silvio, Ti mando originalmente una lettera di Decoroso, 53 il quale mi fece ieri stesso anche un dispaccio. Rispondi subito sulla cosa. Io sto bene. Ho buone notizie del viaggio d’Isabella e ragazzi. Si dice per Napoli, che essendosi dimesso Indelli, Gualterio abbia proposto per Questore il Barone Matteo Vercillo.54 Sarebbe una scelta eccellente sotto tutti gli aspetti! Scrivi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
338 A Silvio Spaventa Napoli, 30 agosto 1866 Mio caro Silvio, Ho ricevuto ier sera la tua lettera del 27. Non so capire come non ti sia giunta la mia lettera con cui ti accompagnava l’altra assicurata: ambedue furono consegnate insieme alla posta. È una settimana che io ti scrivo un rigo ogni giorno. E pure tu ti lamenti che io non ti scriva, e minacci di venire qui in mezzo al colera. Spero che non farai un simile sproposito. Io sto bene, e sempre in compagnia di amici. Ciccillo55 poi è sempre in casa. Non temere dunque per me. Senza Isabella e i ragazzi sono da un lato più tranquillo. Temevo per essi più che per me. – Dunque a domani. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
53. Decoroso Sigismondi. 54. Matteo Vercillo (1820-1905), primogenito del senatore Luigi Vercillo (1793-1872). 55. Francesco Vizioli.
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339 A Silvio Spaventa [Napoli,] 31 agosto 1866 Mio caro Silvio, Ieri sera ho ricevuto l’altra tua lettera coll’acchiusa al Cordova. – Io continuo a star bene. Ti raccomando di non venire. A far che? Ora che non ho qui i ragazzi e Isabella, sono più tranquillo. Marvasi che ho visto ieri mi raccomanda di scriverti, perché faccia accettare la dimissione d’Indelli. Pare che non sia vero che il Gualterio abbia proposto il Vercillo. Sarà stato questo stesso che ha fatto diffondere la voce della proposta. Qui all’Università avvengono brutte cose. Il povero Florio56 è stato tolto, intrigante Ropolo57 e profittante un tal Cipolla, cattivo soggetto, come mi si dice; Rosei lo conoscerà. Il Gallozzi poi – che sarà forse un gran chirurgo e professore di chirurgia, ma che non ha stampato mai nulla – incaricato e professore straordinario da uno o due anni, è stato nominato ora ordinario. E Ciccone? E altri, che sono straordinari da tanti anni? Mi assicurano che il Gallozzi sia stato raccomandato al Berti dal nostro buon Sornione. E quando la finiranno con simili raccomandazioni? Che si possa nominare così un percettore, etc., capisco. Ma un professore! Che onestà è questa? Così l’Italia risorgerà senza dubbio. Siamo sempre lì: i servigi privati si compensano con cariche pubbliche, a danno del pubblico. E tale è appunto il caso presente. Addio per oggi. Tuo Bertrando L’Italia ricomincia la crociata contro di noi altri: Minghetti, Peruzzi, Spaventa: inetti e corruttori etc. Naturalmente tra i corrotti ci è lui stesso, il Direttore. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
340 A Silvio Spaventa Napoli, 1 settembre 1866 Mio caro Silvio, Ti ho mandato ieri un dispaccio per Vincenzo Turco. Potrei dunque non scriverti oggi. Pure lo fo per non rompere la consegna. Nulla di nuovo. Io sto bene. Ho notizie buone d’Isabella e i ragazzi. Questa mattina è venuto a trovarmi Alessandroni con una lettera commendatizia di Ciccio Russo. Si dice pentito e contrito: e parte per Firenze. Voleva una lettera per te. Io gli ho detto che no. Pure egli verrà a vederti per implorare tuo perdono e – ciò che più 56. Giuseppe Florio (1818-1880), dal 1866 era impiegato presso l’Archivio di Stato di Napoli. 57. Potrebbe trattarsi di Edoardo Ropolo, impiegato presso l’Università di Napoli.
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gl’importa – per essere agevolato nella via nuova che la necessità lo costringe a battere. Dice che ha moglie e figli, e gli conviene più la nuova – salvo a vedere cosa sarà – che la vecchia. È affare di aritmetica. Addio per oggi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
341 A Silvio Spaventa [Napoli,] 2 settembre 1866 Mio caro Silvio, Ho ricevuto ieri sera la tua. Scriverò oggi stesso a Decoroso.58 – Io sto bene. Intanto qui il cholera lentamente aumenta e si estende. Cosa accadrà? Il Municipio e la Questura non fanno niente, e quel po’ che si legge sui giornali in lode di Tizio e di Caio sono pure lustri e inganni. So di certo che di positivo non si fa niente. Il fatto di Padre Lodovico59 è orribile. Cosa farò io? Non lo so. Non ho paura. Per aver paura ho bisogno di pensare e ripensare: non per me, ma per la mia piccola famiglia. Non parlo di te. Domani forse ti scriverò più chiaramente sul proposito. Io non domanderò mai permesso. Pure quest’anno per me è stato diabolico. La Delegazione – solo come era io – non mi ha lasciato un momento di tempo. Non so se i miei reverendi colleghi del Consiglio Superiore abbiano fatto altrettanto. Sono già stanco. Avrei bisogno di un po’ di riposo, per ripigliare un po’ di vigore e poter ricominciare bene le lezioni all’università. Come Delegato non devo ora far altro di serio che la Relazione finale; la quale avrei già fatta da due mesi, se i Capi degli istituti mi avessero, come dovevano, mandato le loro. Ho insistito più volte: niente. Il napoletano, anche il buon napoletano, è un non so che di pigro per eccellenza. Se dipendesse da me, io farei tabula rasa. – Dunque pensa e consigliami tu. Ho quasi ribrezzo a dirlo. Se mi si potesse dare facoltà di assentarmi per un 15 giorni, rimettendo alla mia discrezione il far uso di tale facoltà secondo, come, quando! Parlane, se credi con Rosei, Napoli, Berti; ma così che sia come se la cosa venga da te. Al far dei conti valgo più io, che tutte le Delegazioni del mondo. Fa tu in modo che salvi la mia fama di eroe! Si potrebbe darmi facoltà di incaricare De Blasiis durante la mia assenza, degli affari correnti e della presidenza del Consiglio scolastico, o se il regolamento non osti, Ciccone (che è membro del Consiglio). Rileggo ciò che ho scritto. Non so se ho fatto bene. Ma fa e pensa tu. Se tu credi di non farne nulla, sia. Se no, avvisami o fammi scrivere per telegrafo. Ad ogni modo ti scriverò domani. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
58. Decoroso Sigismondi. 59. Padre Ludovico da Casoria (1814-1885), al secolo Arcangelo Palmentieri, francescano e insegnante di filosofia e matematica.
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342 A Silvio Spaventa [Napoli,] 3 settembre 1866 Mio caro Silvio, Ti ho scritto ieri un non so che sul conto mio, promettendoti di scrivertene oggi più minutamente. In verità non ho nulla da aggiungere. Credo di averti detto tutto. […] 60 solo che, se considerassero che quest’anno ho fatto tutto io da me, senza neanche un cosiddetto segretario, non dovrebbero negarmi un po’ di riposo. Pure fa tu, e decidi se conviene parlarne. Parlane, ripeto, con Rosei etc. Mi dimenticai di farti notare ieri una protesta stampata sul Popolo d’Italia al Barone Ricasoli a favore del cittadino Calicchio, firmata da molti deputati della sinistra, tra i quali Liborio Romano, il Marchese […]61 e Francesco De Sanctis! 62 Credo che quest’ultimo non possa andare più giù. Scrivimi, e addio per oggi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (lettera citata in Vacca, Nuove testimonianze, p. 30).
343 A Silvio Spaventa [Napoli,] 4 settembre 1866 Mio caro Silvio, Tu hai ragione di dolerti di me a cagione di quel telegramma per Vincenzo Turco.63 Costui venne da me, dicendomi che era rovinato, se non gli si pagavano certe somme tra pochi giorni dal Ministero di Guerra per fornitura di scarpe, che ne aveva scritto a Leopardi, che tu ne sapevi qualcosa, etc. In somma me ne disse tante, che io – che l’avea un po’ con lui come parte – almeno così m’era parso – della combriccola Colaneri Marchione – cedetti a un certo sentimento di generosità e di pietà, e feci il telegramma. Me ne pentii un minuto dopo; ma non era più in tempo. Che devo dirti? L’ho scontata bene, perché stanotte non ho dormito, tanta era l’ira che sentivo. Turco mi ha ingannato. Io lo tratterò come merita. Tu hai fatto benissimo a non farne nulla. Se ritorna da me, lo accoglierò a dovere. Ti prego intanto di non parlarmene più. Io continuo a star bene. Almeno, così mi pare. Fa quel conto che credi delle lettere che ti scrissi colla data del 2 e 3. Io starò, nondimeno, al mio posto, finché potrò. Ma sfido 60. Manoscritto lacerato. 61. Manoscritto lacerato. 62. Sull’episodio Calicchio e sulla causa con Silvio Spaventa cfr. Romano, Silvio Spaventa, pp. 152-153. 63. La vicenda riguarda un telegramma in cui si raccomandava di sollecitare dal Ministero della guerra il pagamento di una fornitura di scarpe a Vincenzo Turco (cfr. la nota di Castellano in S. Spaventa, Lettere politiche, p. 103).
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io a non diventare un po’ stoico o scettico – come i romani del tempo storico dello stoicismo e dello scetticismo – ora! Se mancassi io, non so cosa farebbero per i miei piccoli figli! Pure, ho torto; e lasciamo fare al destino. Quando mi sarò sbrigato della relazione e relative proposte, potrò domandare un po’ di congedo. Quest’anno ho fatto il facchino. A che pro? Mi scrive da Chieti Raffaele Lanciano. Lamenta sempre la scissione del partito Liberale. Melchiorre trionfa sempre: l’hanno eletto anche consigliere municipale. Dice che il governo non cura i suoi veri amici e invece protegge e favorisce i suoi nemici. Addio per oggi. Io ti scrivo da un pezzo ogni giorno. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (ed. in S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 102-103, nota 1).
344 A Silvio Spaventa [Napoli,] 7 settembre 1866 Mio caro Silvio, Ier sera ho avuto la tua del 4. Io non ho punto paura di morire; ma mi dispiacerebbe di morire qui come un minchione. Sia come si sia, ciò che ho scritto, ho scritto. Pensandoci meglio, vedo questo. Io non posso muovermi di qui, se non mando la mia relazione finale. L’avrei mandata da un pezzo, se i Capi di questi Istituti governativi mi avessero mandato le loro. Non ancora posso indurli a fare il loro dovere. Se non trovano costì il pretesto di chiamarmi, ho pensato di domandare io stesso di venire. Beninteso, che lo domanderei, solo quando non mi chiamassero. Io devo venire costì, per fermar bene certe cose, che non si possono trattare e conchiudere per lettere. Se vogliono che io rimanga alla Delegazione, e faccia qualcosa di serio, devono ascoltarmi e fare un po’ come dico io, che – modestia a parte – me ne intendo più di loro. Finora tutto è stato una commedia; e io non mi sento l’inclinazione di fare l’attore comico. Io devo esporre la situazione dell’Ispettorato e della Delegazione; se vogliono provvedere, bene; se no,… In breve questa stessa necessità che ora dico a te, potrebbe essere il pretesto di chiamarmi. Non pensano, che dallo stato qui dell’Istruzione secondaria dipende quello della Università. Io devo esporre cause e rimedi; parlare chiaro chiaro di Tizio e di Caio. Scrivo di fretta, al solito. Non so se tu leggi l’Italia. T’invio l’ultimo numero; dove De Sanctis64 fa dei complimenti al Ricasoli, e a te. Non ha mai osato tanto. Io sto bene. Parla con Rosei; pensate e combinate voi. Addio per oggi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
64. Francesco De Sanctis.
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345 A Silvio Spaventa [Napoli,] 8 settembre 1866 Mio caro Silvio, Ier sera ho ricevuto il dispaccio, che mi autorizza a venire costà. È stato bene così, perché davvero devo dire molte cose al Ministero per questo Ufficio. Se trovo posto, partirò di qui Lunedì (10). Ti telegraferò per via. Io sto bene. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
346 A Silvio Spaventa [Napoli,] 9 settembre 1866 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua lettera del 6. Oggi parto per Maddaloni; e domani per Campobasso etc. Ti scriverò o telegraferò per via. Ieri ebbi lettere da Bomba. Pare che Isabella finora si conduca bene: non le dissi altro. È con zio Peppino.65 Addio di fretta. Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
347 A Giuseppe De Blasiis Napoli, 9 settembre 1866 Dovendo, dopo analoga autorizzazione avuta dal Ministero dell’Istruzione Pubblica, recarmi a Firenze per ufficio urgente, la prego durante la mia assenza di dar corso agli affari correnti della Delegazione.66 SNSP,
XXXIV.C.15.4.
Carteggio 1851-1909, 3. Bertrando Spaventa (ed. in Schipa, Poche lettere, p. 20).
65. Giuseppe Spaventa. 66. Come si evince dalla lettera 329, il Ministero della pubblica istruzione aveva autorizzato Bertrando Spaventa a farsi coadiuvare nell’ufficio di regio delegato sopra gli studi per la provincia di Napoli da Giuseppe De Blasiis.
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348 A Silvio Spaventa Maddaloni, 10 settembre 1866 Mio caro Silvio Partirò oggi di qui alle 3 ½. Io sto bene. Ti scriverò per via. Io non so la tua casa costì. O fammi trovare una lettera alla posta, o pensa tu altro modo. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
349 A Silvio Spaventa Rimini, 13 settembre 1866 Giovedì ore 6 a.m. Mio caro Silvio, Sono qui da mezzanotte. Non ho potuto andare sino a Bologna, perché il fiume qui ha straripato, e guasto la ferrovia e inondato i borghi, tanto che ho dovuto restare alla stazione, e sono ancora qui. Si partirà alle 9. A Bologna vedrò come mi sentirò. Son due notti che non vedo letto. E pure sto bene. Ti telegraferò da Bologna. Addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
350 A Giuseppe De Blasiis Firenze, 15 settembre 1866 Mio caro de Blasiis, Sono arrivato qui ieri alle 11 anti meridiane dopo un viaggio di non so più quanti giorni. Sto bene. Dei nostri non ho visto finora che Rosei, il quale ti saluta, e in casa di cui mangio e dormo. Oggi vedrò il Napoli. Il Berti è a Torino: tornerà lunedì. Io già comincio ad annoiarmi qui. Tutto il mondo è lo stesso; e io sono annoiato del mondo. Dunque rinnova le insistenze presso i signori Capi d’Istituti governativi per quei tali rapporti finali, e me li manderai qui subito subito insieme con quelli che lasciai costì, cioè dell’Avena67 e del La Granelais.68 Ne farai un pacco all’indirizzo al “Cavaliere Nicola 67. Carlo Avena, direttore della scuola tecnica del Convitto nazionale Vittorio Emanuele e insegnante di matematica. 68. Achille De La Granelais, direttore della scuola tecnica di Castellammare di Stabia e insegnante di matematica.
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Rosei capo di Divisione nel Ministero dell’Istruzione pubblica” col bollo etc. E questo pacco lo metterai poi dentro un’altra busta coll’indirizzo “Al Ministero dell’Istruzione pubblica”. Presto presto per carità. Tu come stai? E gli amici? Salutami tanto Celano e De Novelli. Dì a Celano, che gli scriverò uno di questi giorni. Intanto gli raccomando i fiori… Non ci è bisogno di ricordarglielo; lo so… Qui fa un caldo da morire. Addio. Ti raccomando i rapporti. Scrivimi. Di fretta. Tuo Bertrando Dì a Tommasi, che per il giovane Cappella si è già provveduto. La vedova avrà la gratificazione. Così m’ha promesso Rosei… SNSP, XXXIV.C.15.4. Carteggio 1851-1909, 3. Bertrando Spaventa (ed. in Schipa, Poche lettere, pp. 20-21 e Venezia, Le strane vicende, p. 109).
351 A Giuseppe De Blasiis Firenze, 17 settembre 1866 Mio caro De Blasiis, Prima di tutto, ti dico che si è ritrovata la deliberazione del Municipio sul convitto e la tua letterina. È inutile dunque che mi mandi il duplicatum. Stamane ho visto di nuovo il Napoli. Giacché il Berti non è ancora ritornato da Torino. Gli ho detto chiaro chiaro e colla mia solita franchezza tutto tutto: tutto ciò che tu sai e di cui abbiam parlato tante volte insieme, sull’Ispettorato, sulla Delega, sui sussidi, et de onmibus et de quibusdam aliis. Naturalmente non ha potuto non convenire con me. Gli ho detto che gli avrei dato domani stesso in iscritto e con maggiori particolari ciò che gli ho compendiato a voce. Aspetto il Berti, per parlargli similmente e con più calore, e per farlo risolvere. Di te al Napoli non ho creduto bene dir niente; mi riserbo di parlarne al Berti stesso. Ho letto stamane una corrispondenza da Napoli nel Diritto di ieri, 69 in cui si parla di me, a proposito del malcontento per le tasse, a cui ora si aggiunge, secondo il corrispondente, quello per le minacce da me fatte agl’insegnanti privati. È sempre la stessa storia: o non volere o non sapere intendere ciò che si fa. Certamente i direttori e i professori verranno da te. Tu farai loro intendere non solo che ciò che si fa è prescritto dalla legge, ma che al far dei conti torna a loro bene per tante e tante ragioni. Il Napoli mi ha raccomandato di dirti, che mandassi subito al Ministero la proposta dei maestri che devono essere sussidiati sui fondi governativi di quest’anno a norma dell’ultima o ultime circolari, che avrai tu. Il fondo, come sai, non è stato diviso per provincie, le proposte fatte dai Consigli scolastici vengono qui, e qui una commissione, visto etc. e non visto, ripartisce e
69. «Il Diritto. Giornale della democrazia italiana», Firenze.
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distribuisce fra i più degni. Dunque manda presto. Addio per oggi. Saluta Celano, De Novelli, Labriola, 70 Zona. Tuo Bertrando SNSP, XXXIV.C.15.4. Carteggio 1851-1909, 3. Bertrando Spaventa (ed. in Schipa, Poche lettere, pp. 21-22 e Venezia, Le strane vicende, p. 110).
352 A Giuseppe De Blasiis Ministero della Pubblica Istruzione Consiglio superiore Firenze, 21 settembre 1866 Mio caro De Blasiis, Sono due giorni che sediamo in Consiglio da mattina a sera. È una cosa orribile, Ho ricevute le tue lettere. Ho visto ieri il Berti, ritornato ieri stesso da Torino. Domani, che avrò tempo, ti scriverò tutto. Dì subito a Tommasi che domani gli risponderò. Disgraziatamente l’affare del bravo De Crecchio71 è vero. Tuo Bertrando SNSP, XXXIV.C.15.4. Carteggio 1851-1909, 3. Bertrando Spaventa (ed. in Schipa, Poche lettere, p. 22 e Venezia, Le strane vicende, p. 111).
353 A Giuseppe De Blasiis Firenze, 24 settembre 1866 Mio caro De Blasiis, Non ti scrivo più da giorni. Ho ricevuto tutte le tue lettere. Mi duole che tuo padre abbia avuto il cholera. Spero che vada meglio, e si risani presto.72 Vidi il Berti, l’ho visto ieri sera per quasi due ore, e lo vedrò di nuovo stasera. Gli ho detto ciò che gli dovevo dire francamente. Mi ha promesso di provvedere a ogni cosa e prontamente. Lo farà? Ti dirò di più domani. Io intanto farò in modo, che la promessa gli venga ricordata spesso. Gli parlai 70. Antonio Labriola era allora professore nella 3a classe del ginnasio dell’ex seminario. 71. Luigi De Crecchio (1832-1894), medico e politico, collaboratore della rivista di medicina «Il Morgagni» diretta da Salvatore Tommasi. Fondò l’Istituto di medicina legale, fu preside della Facoltà di medicina e rettore dell’Università di Napoli; senatore del regno d’Italia dal 1892. 72. Purtroppo, l’augurio non si avverò e il colpo fu mortale (cfr. Schipa, Poche lettere, p. 22, nota 2).
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di te. Cosa curiosa! Non seppe dirmi lui se tu eri stato confermato professore.73 Io non ebbi coraggio di domandarglielo la seconda volta. Finsi di non intendere e di dimenticare la mia stessa domanda, e gli dissi categoricamente: di certo voi confermate De Blasiis. Oh sì, mi rispose, De Blasiis lo so; ho letto il suo Pier della Vigna.74 Ma De Blasiis ha fatto ben altro; quello fu il suo primo lavoro;75 egli, lo so, vi ha mandata la sua Storia76 etc. Ma io non so nulla. Ebbene ve lo fo sapere io, etc. E Sua Eccellenza si notò il tuo nome su una carta. Io credo dunque, che quanto alla conferma non ci sia da dubitare. Ma tu mi dirai, perché non la titolarità? (stile Del Zio77). Su ciò non posso risponderti in due parole. Sii certo però che se avessi potuto, avrei trattato anche di ciò. Ma questa sera tornerò – però – alla carica. In generale devo dirti – con grande sodisfazione del nostro animo – che il Berti mi ha accolto con larghe braccia: abbracciato e baciato, e complimentato sulla mia eterna gioventù etc. a tutto ciò io ho risposto convenientemente e spiritosissimamente. È qui da ier ser il povero De Crecchio. Faremo tutto ciò che si potrà per fargli rendere giustizia. Dì questo a Tommasi, a cui risponderò quando avrò conchiuso qualche cosa. Gli raccomando di non dare in escandescenza – giusta, giustissima – ma che al far dei conti possono riuscire favorevoli al De Renzi e nocive al De Crecchio. Qui si tratta di riuscire ora; il resto – cioè la moralità della cosa – si vedrà poi. Mi adopero per tutte le piccole cose che concernono l’ispettorato e che mi hai raccomandato. Ma le cose vanno qui lente, nonostante l’impulso. Mi dimenticavo di dirti – tanto ho la testa confusa, che al Berti lasciai memoria di tutto ciò che gli dissi: gliela commentai io stesso a voce; e discutemmo. Per i sussidi (residui) ordinerebbe un’inchiesta: io gli dissi la cosa netta. Vuole quella tale statistica comparativa di licenza etc. Parlane ad Amicarelli:78 affretti. Ma non vuole che se ne parli prima così: la vuol pubblicare lui. Tanto onore! Se nella Sezione Chiaia vi fosse un buon locale pel Principe Umberto! Vedi se puoi trovarlo; e scrivine a Rosei, si domanderebbe al Ministero delle Finanze per la Pubblica Istruzione. Per esempio San Pasquale? o qualche altro monastero? Vedi se puoi occuparti di ciò. Scrivo al solito di fretta. Saluto De Novelli, Tommasi, De Sanctis, Celano, Labriola, etc. sono Tuo Bertrando SNSP, XXXIV.C.15.4. Carteggio 1851-1909, 3. Bertrando Spaventa (ed. in Schipa, Poche lettere, pp. 22-23 e Venezia, Le strane vicende, pp. 111-112).
73. De Blasiis era stato nominato nel 1861 professore incaricato per la cattedra di storia nazionale all’Università di Napoli, due anni dopo ottenne l’incarico di storia moderna, e solo nel 1867 passò a professore ordinario, continuando l’insegnamento fino al suo ritiro nel 1901. 74. Della vita e delle opere di Pietro della Vigna, Napoli, Stabilimento tipografico dell’Ancora, 1860, che l’autore aveva scritto nel 1857 per partecipare al concorso indetto dall’Accademia Pontaniana classificandosi tra i vincitori. 75. In realtà il primo scritto di De Blasiis è Della Allegoria principale e del Veltro di Dante, che apparve nel 1857 sul giornale scientifico napoletano «Giambattista Vico», (II, pp. 338 ss). 76. Del centro d’unità nella storia d’Italia, prolusione al corso di storia nazionale letta nell’Università di Napoli addì 19 novembre 1861 da Giuseppe De Blasiis. 77. Floriano Del Zio (1831-1914), filosofo e politico lucano, professore di filosofia a Cagliari fino al 1865, deputato della Sinistra dalla IX alla XV legislatura, senatore dal 1891. 78. Ippolito Amicarelli (1823-1889), insegnante e politico italiano, è stato deputato nell’VIII legislatura del regno d’Italia.
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354 A Silvio Spaventa Chieti, 2 ottobre 1866 Mio caro Silvio, Sono qui da ier sera, dove fui costretto a venire da Raffaele, il Dottor Lanciano, Goffredo e Pompeo, che trovai a Pescara. Ho fatto un buon viaggio. Domani spero di partire per Lanciano. Berenice79 difficilmente verrà, perché deve mutar casa. Ti scriverò da Bomba e forse da Lanciano. Saluto Rosei, a cui scriverò da Bomba la lettera di rito e di altro, e Pietro 80 e Colapietro. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
355 A Silvio Spaventa Bomba, 7 ottobre 1866 Mio caro Silvio, Ieri sera sono arrivato qui, bene e senza incontrar briganti. Il sindaco mi ha ricevuto officialmente alle porte della città e accompagnato sino a casa colla guardia nazionale e le autorità pubbliche. Oggi sono assediato da visitatori, e ho un sonno, che non mi reggo in piedi. Questa mattina non potendo uscire per il paese, perché le vie erano impraticabili, ho fatto una corsa in campagna. Ho trovato Bomba d’una sporcizia inimmaginabile! – Ho dovuto restare tre giorni in Lanciano, aspettando la scorta. Sono stato un giorno a Chieti. Berenice non poté venire perché deve cambiar casa. – Domani ti scriverò di nuovo. Qui tutti stiamo bene, e tutti i nostri ti salutano. Saluto Rosei a cui scriverò domani, e Pietro.81 Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
79. Berenice Spaventa. 80. Pier Silvestro Leopardi. 81. Pier Silvestro Leopardi.
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356 A Silvio Spaventa Bomba, 12 ottobre 1866 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua lettera degli 8. Subito arrivato qui ti scrissi. Io sto bene, e così anche Isabella e i bimbi, e tutti di casa. Se non fosse il cattivo tempo, che dura da 4 giorni, e pare che non voglia finire per ora, starei anche meglio. In verità Bomba mi fa orrore, tanto è sudicia e sporca. Pure la campagna mi piace, e il primo giorno rividi con gran piacere la vignola, il vascone etc. Ma ora è impossibile uscire. Qui la vendemmia è cominciata appena. Scrivo oggi stesso a Rosei, perché mi faccia definire le cose che proposi al Berti e al Napoli per la Delegazione e l’Ispettorato. Se puoi, dà una mano anche tu. Al far dei conti, io non chiedo nulla per me; l’unico mio desiderio è che le cose vadano bene. E della cosa tua che ci è? Hanno ancora paura? – È vero che il Pasolini 82 va a Venezia? Me l’ha detto pel primo Mincantonio Sacchetti, non senza un perché, come tu stesso capirai. Spero che Berardo83 possa andare colà, e così passare dalla pubblica sicurezza alla amministrazione. Mincantonio mi si è mostrato ossequentissimo, e mi viene a vedere quasi ogni giorno etc. Naturalmente io fo in conformità. Mincantonio mi fa tenere l’acchiusa di Epimenio.84 Leggila. Sarebbe bene che ti occupassi seriamente d’una simile faccenda, e che questa storia finisca. È inutile pensare ad altri mezzi persuasivi: qui, da quel che mi imaginavo e da quel che vedo, bisogna farsi temere; la potenza si misura così. Se puoi dunque, fa andare al diavolo il Millo. Non potresti parlarne tu stesso al Ricasoli? Parlarne chiaro e netto? Dunque addio per oggi. Scrivimi subito. Io non ti dico più, perché parte la posta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
357 A Silvio Spaventa Bomba, 14 ottobre 1866 Mio caro Silvio, Ti mando una domanda di un buon giovine di Bomba, nipote di Angelantonio D’Angelo e di Mincantonio Sacchetti, indirizzata al Ministro di Grazia e Giustizia, per ottenere la dispensa dell’età. Credo che sia una cosa non difficile a conseguire e consentita dalla legge. Vedi di fargliela ottenere. 82. Giuseppe Pasolini (1815-1876), fu prefetto di Milano, Torino e Venezia. 83. Berardo Sacchetti. 84. Epimenio Giannico.
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Qui continua il cattivo tempo, ed è una vera noia. Pur esco in campagna quando e quanto posso. Altrimenti, non so come potrei star bene. Fammi sapere quando tornerai a Firenze, se è vero che sei andato al Lago Maggiore. Dimmi qualche cosa di politica, che qui non ne so niente. Si riconvocherà la Camera? È certa la nomina del Pasolini? O accadrà che le grida dei giornali faranno mutar consiglio al Ministro? – Io aspetto che il colera finisca a Napoli, per risolvermi a partire. Se ne parlerà, credo, alla fine del mese. – Ho scritto a Rosei, e gli ho ricordato le cose che dissi al Berti e al Napoli per la Delegazione. Sono certo che se ne occuperà. Tu intanto insieme con lui bada, nel caso che ci sia qualche riforma del Consiglio. Non vorrei che in un modo o in un altro si rinnovasse il caso dell’anno passato, che mi anteposero il De Renzi.85 Noi stiamo bene. Aspetto tue lettere. Saluto Pietro 86 e Rosei. Sono sempre Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
358 A Silvio Spaventa Bomba, 17 ottobre 1866 Mio caro Silvio, Ti ho scritto giorni fa. Io continuo a star bene con tutti di famiglia. Il tempo comincia a essere migliore. Ti scrivo di fretta; per rimetterti una nuova lettera di Epimenio87 ad Angelo De Gubernatis su un fatto comico del loro Sottoprefetto. Scrivimi. Saluto Rosei e Pietro.88 Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
359 A Silvio Spaventa Bomba, 18 ottobre 1866 Mio caro Silvio, Il marito di Faustina, 89 Innocenzo De Nillo, è stato promosso a titolare, ma traslocato a Celenza da Torricella. Ora a Celenza essi non vorrebbero andare, e si raccomandano a 85. Cfr. lettera 298. 86. Pier Silvestro Leopardi 87. Epimenio Giannico. 88. Pier Silvestro Leopardi. 89. Faustina Spaventa.
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me, perché scriva a te; tu devi far in modo che vadano in un paese migliore, per esempio Palena, Villa Santa Maria, o anche rimangano a Torricella… Io gli ho consigliato ad accettare la promozione e anche la traslocazione, salvo poi a provvedere al resto. Veramente essi vorrebbero collocarsi in Bomba. Ma non credo che ciò sia possibile ora; né io lo credo utile qui. Su questo ti scriverò. Io continuo a star bene. E tu? Scrivimi. Resterò qui sino alla fine del mese. Almeno spero che per allora il cholera sarà finito. Isabella e Millo e Mimì ti salutano; e così tutti di casa. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
360 A Silvio Spaventa Bomba, 30 ottobre 1866 Mio caro Silvio, Sto ancora qui. Dovea partire oggi, per trovarmi a Napoli ai primi novembre; ma da due giorni piove dirottamente, e le strade sono impraticabili. Devo dunque aspettare qualche altro giorno. Sono stato qualche giorno a Colledimezzo; Federico90 e Biagio vennero a prendermi per forza, e mi accompagnarono Mincantonio Sacchetti, Rosario Sigismondi etc. Pure mi sono un po’ divertito. Domani ti scriverò più a lungo. Ora è tardi e parte la posta. Fa di vedere Rosei subito e digli che io sono ancora qui, mentre dovrei trovarmi come Delegato a Napoli. Vedano loro di darmi una venia. Non mi ha risposto! Perché? A domani dunque Tuo Bertrando I poteri di De Blasiis, se non gli hanno confermati, finiscono domani.91 SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
90. Federico De Laurentiis. 91. De Blasiis era stato incaricato dal Ministero di coadiuvare Bertrando nell’ufficio di regio delegato sopra gli studi per la provincia di Napoli fino alla fine di ottobre 1866 (cfr. lettera 329).
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361 A Silvio Spaventa Lanciano, 2 novembre 1866 Mio caro Silvio, Sono qui giunto da due ore. Partirò di qui dopo domani. Ti scriverò da Napoli. Noi stiamo tutti bene. È con me Rosariuccio.92 Addio per oggi. Tuo Bertrando Non ho risposte da Rosei. Cos’è? SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
362 A Silvio Spaventa Napoli, 10 novembre 1866 Mio caro Silvio, Sono arrivato qui ieri. Stiamo tutti bene. Ora ti scrivo di fretta; e sono impicciatissimo. Spero di potere scriverti a lungo domani; come anche a quell’originale di Rosei; il quale di tutto ciò che mi avea promesso non ha fatto ancora nulla. Non capisco il perché. Dunque a domani. Tu scrivimi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
363 A Silvio Spaventa [Napoli,] 18 novembre 1866 Mio caro Silvio, Ricevo la tua del 14. Non ti ho scritto più, come ti aveva promesso, dopo il mio ritorno, perché non ho avuto tempo. In verità non avea che dirti. Ho scritto a Rosei per ricordargli specialmente la nomina del giovane Labriola, 93 il quale sta così senza niente. 92. Rosario Spaventa. 93. Conseguito nel settembre 1865 il diploma di abilitazione per materie letterarie nel ginnasio inferiore, Antonio Labriola insegnò nel ginnasio dell’ex seminario (1865) e poi al principe Umberto (1866-1871), impartendo anche lezioni nell’Istituto privato diretto da Domenico Borselli e presso la scuola tedesca di Napoli.
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– Il Berti di tutte le cose che mi avea promesso, non ne ha fatto nulla. L’aspetto qui; e vedremo. Ti manderò il cappello subito che mi si presenterà l’occasione. – Intanto non mi dici più nulla della cosa o idea tua. È svanita? Sarebbe tempo di stringere qualche cosa. Ti mando una domanda di Tito Livio De Sanctis. Vedi se è possibile fare qualche cosa. Se no, dimmelo subito. Il De Sanctis, come sai, è il mio medico e chirurgo, gratis; gli renderei volentieri, potendo, questo favore. Scrivimene, dunque, almeno un rigo, perché vegga almeno, che io ci ho pensato. Vorrei ricordarti anche il Celano, il quale sta anche qui senza far nulla. Forse lui solo non è stato richiamato di quelli consiglieri che furono messi in disponibilità. Se potessi aiutarlo, faresti cosa buona. Ritornando a ciò che mi dicevi in una lettera scrittami a Bomba, non ho bisogno di dirti che io non avrei mai accettato l’ufficio di membro di quella tale commissione di esami. Intanto bisogna badare, e pensare a qualche cosa per l’avvenire. Se mi mancasse quel che ho ora come consigliere, appena appena potrei tirare avanti, e non potrei pensare alla vecchiaia. Se ne parlò tra me e Rosei così quasi accademicamente; è molto probabile che oggi o domani il Consiglio sia tolto o ritornato. E allora? Bisogna dunque stare in guardia. Ti raccomando questa cosa. Io sto bene colla famiglia, sebbene annoiato qui, dove non si conclude mai nulla, e non ci è modo di far allignare il senso comune. Ti saluta Ciccone, il quale ha la podagra. Saluto Rosei e Pietro.94 Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
364 A Silvio Spaventa Napoli, 19 novembre 1866 Mio caro Silvio, Ti raccomando con questa mia il Signor Filippo De Crecchio, fratello del Professore,95 che tu conosci. Egli è Sostituto Procuratore Regio nel tribunale Circondariale di Cosenza; dove è stato sempre ammalato con febbri intermittenti. Vorrebbe essere presentato da te o raccomandato al Ministro Borgatti,96 per ottenere una traslocazione. Questa traslocazione non dovrebbe essere in una residenza peggiore di quella che lascerebbe; e non compresa tra quelle che potranno essere soppresse. Ho conosciuto la famiglia De Crecchio in Lanciano, e ha adoperato con me molto gentilmente. Vorrei che tu rendessi questo piccolo servigio al De Crecchio. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
94. Pier Silvestro Leopardi. 95. Luigi De Crecchio. 96. Francesco Borgatti (1818-1885), magistrato e politico, ministro di grazia e giustizia del regno d’Italia nel 1866-1867 nel governo Ricasoli; deputato e senatore del regno dal 1870.
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365 A Silvio Spaventa Napoli, 20 dicembre 1866 Mio caro Silvio, Non ti scrivo da un pezzo, né so dirti la cagione. È stata più tosto pigrizia che altro. Del resto ho avuto sempre notizia ora da questo, ora da quello, e so che stai bene. – Per un tal Piscinelli, amico di Ciccio Fornaro, ti mandai la cappelliera col cappello dentro. Ieri ho letto il decreto, che riforma l’amministrazione dell’istruzione pubblica;97 e ricevuto una lettera del Ministro, che mi annuncia che io cesso di essere membro del Consiglio superiore.98 La lettera al solito è gentilissima. Tra le altre cose vi si dice questo: «Il sottoscritto; dovendo in questo nuovo ordinamento valersi di Consiglieri, che liberi da altri uffici, diano opera continua alla direzione etc., sente il debito di… ringraziarla vivamente, etc». Starò a vedere, se sarà così; cioè se i nuovi Canonici saranno proprio quelli, che sono liberi da altri uffici, o invece i soliti Bertini,99 Coppino, 100 Ricotti, 101 Prati,102 etc. Su otto membri della Giunta per gli esami di Licenza liceale (con £ 2000) furono nominati 4 piemontesi. – Io non dico nulla del contenuto del decreto. A Napoli sarà una vera babilonia, peggiore di quella che ci è ora. – Naturalmente e in forza dello stesso decreto, che chiama a presidente del Consiglio Scolastico un membro della Deputazione provinciale (un Mazza,103 un Sandonato, un Lazzaro qualunque), io devo anche cessare di far il Delegato; e mi aspetto la stessa lettera di ringraziamento. Il Berti mi avea detto e assicurato più volte che per Napoli città era ormai persuaso che ci voleva un ordinamento speciale, un non so che, che non sapea né anche lui, ma di grandioso e magnifico etc.; e che me ne avrebbe scritto etc. Fandonie. Io dunque resto con 2000 lire di meno. Pazienza! Il povero stipendio ora – togliendo casa, ritenuta e tassa – rimane un po’ magro. Ma ripeto pazienza.104 Cosa devi dir tu che non hai niente, e hai fatto più di me? Viva l’Italia;
97. Decreto del 6 dicembre 1866. La riforma non si prefiggeva tanto il decentramento amministrativo, quanto la responsabilità e la competenza settoriale e territoriale, così da «rendere produttive le intelligenze del paese e quindi procurare diligentemente di istruire gli adulti» (AP Senato, Discussioni, tornata del 28 dicembre 1866, p. 25). I provvedimenti del 6 dicembre l866 segnarono lo scioglimento di fatto del Consiglio superiore della pubblica istruzione malgrado che Berti, in una lettera inviata al vicepresidente Matteucci, ribadisse che la nuova legge si limitava a dare al Consiglio una diversa struttura, più rispondente alla riforma generale del settore amministrativo scolastico. 98. Bertrando lo era dal 1861. 99. Giovanni Maria Bertini, professore di storia della filosofia nell’Università di Torino dal 1847, dal 1858 fu nominato membro ordinario del Consiglio superiore della pubblica istruzione. 100. Michele Coppino (1822-1901), politico e accademico, più volte presidente della Camera dei deputati e ministro della pubblica istruzione. 101. Ercole Ricotti (1816-1883), ingegnere, storico e politico, docente universitario, deputato nel parlamento del regno di Sardegna nelle legislature I e IV. 102. Giovanni Prati (1815-1884), letterato e uomo politico trentino, deputato nell’VIII legislatura. Fu nominato senatore del regno d’Italia nel 1876. 103. Pietro Mazza (1820-1891), avvocato, giornalista e politico, deputato in parlamento del regno di Sardegna dalla V alla VII legislatura, del regno d’Italia nell’VIII e dalla XIII alla XVII. 104. Il 23 dicembre 1866, quanto alla delegazione, Silvio commentava: «non mi dispiace che l’abbia a lasciare: tanto di noie e di fatiche di meno»; poi, riferendogli il parere di Nicola Rosei, lo
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la quale non ha l’obbligo di essere obbligata a nessuno. I francesi sono partiti da Roma; la maledetta Convenzione è stata eseguita puntualmente.105 Chi si è ricordato degli autori di essa? Non ti dico neanche di vedere se si può fare qualcosa per me. Temo che non si abbi a perdere il tempo e le parole. Ti mando una lettera di Ciro Sacchetti. Vedi se puoi aiutarlo. – Scrivimi subito e ama sempre Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
rincuorava: «se devi continuare a tenerla te ne daranno un compenso pari al danno che ora ricevi col cessare di essere consigliere» (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 105). 105. La convenzione del 15 settembre 1864.
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366 A Silvio Spaventa [Napoli,] 23 gennaio 1867 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto più per la solita poltroneria. Del resto non avea gran cosa a dirti. Sono stato lì lì per fracassarmi il capo. Salito su una sedia, per prendere certi libri, la sedia mi si ruppe sotto i piedi, e caddi, battendo sul pavimento colla natica e riparandomi colla mano sinistra, che mi duole ancora. Isabella si ficcò un piccolo spiede nella mano, e l’ebbe a buonissimo mercato, perché è guarita in pochi giorni. Millo, malato da due mesi, comincia a star molto meglio per la cura ordinata da Tommasi. E tu come stai? È curioso, che non mi hai chiesto più denaro! E pure io n’ho ancora del tuo, e non aspetto che i tuoi ordini per mandartelo. Da Braico ho saputo qualcosa su quella tale tua idea,1 che non mi ha fatto nessuna meraviglia. Che c’è di vero in ciò? – E il Ministero cosa fa? Mi pare che è mancato poco che non sia andato giù per quella tua proposta in occasione della interpellanza Friscia.2 E del progetto sui beni del Clero (cioè della Chiesa) che n’è?3 È una cosa seria e buona? Come sai, il Berti è stato qui. Prima di venire, e poco dopo di avermi ringraziato come consigliere della Pubblica Istruzione4 – al quale ringraziamento io non risposi punto – mi scrisse una lettera così: «Mio caro carissimo etc. Sento il dovere di dirvi, che mio Decreto che abolisce il Consiglio, colpisce il consigliere, ma non l’amico e collega. Sto ordinando le cose in modo che voi non patirete danno. Vi dirò a voce nella mia venuta costì il mio disegno». Né anche risposi; e pure avrei voluto fargli intendere, che l’offesa per me era appunto l’esser colpito come consigliere. Ma volli aspettare, e vedere. Venuto qui, mi soffocò di gentilezze; basta dire che m’invitò a pranzo (e che pranzo!), terzo tra due grandi uomini del nostro paese, pancion Trinchera e mastro 1. Cfr. lettere 330 e 332. 2. Saverio Friscia (1813-1886), medico e politico siciliano, deputato del regno d’Italia dall’VIII alla XIV legislatura. 3. Con la legge n. 3848 del 15 agosto 1867 venne promossa la soppressione di tutti gli enti secolari dallo Stato ritenuti superflui per la vita religiosa della nazione. Da tale provvedimento restarono esclusi seminari, cattedrali, parrocchie, canonicati, fabbricerie ed ordinariati. 4. Cfr. lettera 365.
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Fiorelli. Mi parlava spesso di te, etc. Finalmente bisognava pervenire al quatenus. Già avea detto, in diverse occasioni, a me e ad altri, che la Delegazione dovea restare, anzi rafforzarsi; che io avrei dovuto seguitare ad essere il Delegato, etc. Vediamoci domani alle 8. Vado. Sediamo; fumiamo; cuore a cuore. Comincia col farmi tre o quattro progetti, l’uno più strampalato dell’altro; il che mi faceva veder chiaro che non avea ordinato niente. Io rifiutava seccamente. Alla fine tirò fuori un altro progetto, che si riferiva alla Delegazione, ma che anche offriva alcune difficoltà, specialmente avute riguardo al suo stesso Decreto. Me ne andai, senza dirgli neanche: conchiudi. La sera gli scrissi una breve lettera, in cui gli diceva netto che la cosa non mi pareva seria; gli citava gli articoli contrari del suo Decreto; lo ringraziava; e gli augurava il buon viaggio. Mi era proposto di non vederlo più. Già prima gli avea detto parole dure (superbe): quando un uomo, come me, che ha lavorato sempre, e non meno di certi altri, a 50 anni, si vede rimosso, invece di essere promosso, bisogna dire, che… … voi altri siete o minchioni o bricconi. – Pure fu necessità per me rivederlo per certe faccende d’ufficio. «Alla tua lettera risponderò col decreto che farò per te. … tu hai diffidato di me». – «Non ho diffidato di voi, ma della cosa che non mi era parsa seria». Etc. Mi disse che promise tante cose; e che avrebbe fatto subito. Ti ho scritto tutto ciò per farti ridere. Intanto io sto ancora qui, a seccarmi gratuitamente. – Il vero è che se il Decreto si applica a Napoli e la istruzione va in mano d’un deputato provinciale, se ne vedranno delle belle. Facciano loro. Forse è anche bene che ti abbia scritto di ciò. Se tu vedessi il Berti, potresti dirgli, che… Digli quel che ti pare e piace. Addio per oggi. Scrivimi subito. Saluto Rosei, a cui scriverò tra giorni. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
367 A Silvio Spaventa [Napoli,] 2 febbraio 1867 Mio caro Silvio, Ti acchiudo un ordine di pagamento della Banca di 500 lire. Con altra lettera ti dirò quanto resta del tuo. È ancora qualche cosa. Avvisami subito la ricevuta. Io sto ancora così. Lavoro alla Delegazione, senza compenso. Il Berti finora non ha fatto nulla. Gli scrissi subito dopo la sua partenza da qui, come mi avea detto che facessi; ma non ha ancora risposto. Gli ho scritto anche officialmente, per dirgli che ora si devono prendere parecchi provvedimenti urgenti per l’istruzione in questa provincia, i quali non si possono prendere se egli o non mi toglie o non mi riconferma in un modo ragionevole quale che sia. La mia autorità ora è più nominale, che reale. Se tu potessi fare che si risolvesse finalmente al sì o al no, faresti bene. Io non posso perdere così inutilmente il mio tempo. Gli ho scritto anche perché rimuova dal circondario di Pozzuoli un certo ispettore Errico, creatura del Mancini, un facsimile in piccolo di costui. Gliene parlai a Firenze, e gliene ho parlato a Napoli; ne dissi anche al Napoli; e ne ho
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scritto più volte. Niente. Come vogliono poi che le cose vadano bene? Se puoi anche in questo, fa. Giliberto è ito. Me lo ha detto l’altra sera Don Peppe De Martino, il quale era tutto compunto e umile. Lo trattai come meritava, lui e il suo direttore Rossi. Sono riusciti a ingannare il Gualterio. Io non sono andato da costui né ci andrò. Gliene ho parlato tante volte, anche a nome tuo, che mi pare codardia parlargliene ancora. Se tu puoi da costì far qualche cosa pel povero Giliberto, bene. Se no, che ci posso far io? Cosa ci è del progetto della libertà della chiesa etc.? Sarà accettato? Dimmene qualche cosa. Dunque scrivimi subito. Saluto Rosei. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
368 A Silvio Spaventa Napoli, 15 febbraio 1867 Mio caro Silvio, Viene a Firenze un giovane di Atessa, il Signor De Francesco, molto amico di Ciccillo Vizioli, e che anch’io conosco da qualche anno. Costì egli non conosce nessuno. Se tu potessi giovargli in qualche cosa, faresti bene. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
369 A Silvio Spaventa Napoli, 17 febbraio 1867 Mio caro Silvio, Aspettavo tue lettere dopo lo scioglimento.5 Vorrei sapere cosa farai; se resterai costì, o verrai qui. Cosa pensi di fare per l’elezione? Devo dirti, che sono venuti a trovarmi Celano e Rende; l’uno per sapere cosa si deve fare a Vasto; l’altro a Montecorvino. Io ho risposto loro, che tu non mi avevi scritto niente. Colapietro poi mi ha detto di avere già scritto a Castiglione.
5. Battuto il governo alla Camera l’11 febbraio 1867 sulla questione della proibizione dei comizi, il re sciolse la Camera, convocando la nuova per il 22 marzo (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 106).
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Scrivimi e dimmi della situazione, che io capisco e non capisco. È vero che il Berti si è fatto nominare Consigliere di Stato? – Io sono ancora qui a fare il delegato gratis da due mesi con perdita di tempo. Addio. Scrivimi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
370 A Silvio Spaventa Napoli, 19 febbraio 1867 Mio caro Silvio, Ricevo la tua del 16. Ti avea già scritto l’altrieri, e ti diceva che Colapietro avea già presa l’iniziativa a Castiglione e Atessa (Cardone). Iersera poi mi ha detto di aver scritto anche ad Archi (Cieri suo parente). Mi ha promesso di scriverti quest’oggi per migliori concerti. Pare che tu non voglia ritornare, e commetti a me l’incarico di scrivere e usare tutti quei mezzi che posso per la tua elezione. Io farò tutto ciò che potrò, senza dubbio; ma se tu non ti dai da fare, e a modo tuo, come al solito, non so cosa possa valere io. Millo da Vasto ti sarà, credo, contrario, specialmente in Atessa; e bisogna fare di tutto per farlo restare con un palmo di naso. A chi posso scrivere io in Atessa? Scriverò a Colledimezzo, e a Bomba: ecco tutto. Rende insiste per sapere se vuoi portarti a Montecorvino. Io gli ho risposto che non so su ciò la tua intenzione. Anche Celano mi ha parlato di Vasto, e ha scritto a Ciccarone. Ma che possono essi? E ti converrebbe di farti innanzi? Dunque, attività. Scrivi, non dico quanto due anni fa; ma non restarti inerte e svogliato. Ora devo parlarti di me. Ti ho scritto più volte della mia faccenda col Berti; ma tu ti sei sempre dimenticato di rispondermi. In breve, io mi sarei dimesso da Delegato sin da quando mi ringraziarono6 come membro del Consiglio Superiore (a cui ora appartiene il Cammarota), se il Berti non mi avesse scritto quella tal lettera, con cui mi prometteva di farmi rimanere Delegato senza mio danno,7 e se qui non mi avesse più volte assicurato a voce, che subito ritornato costì mi avrebbe mandato il decreto etc. con tale una indennità per spese di ufficio e altro, che avrei forse avuto di più di prima. Io dubitavo. Pure, cosa dovea fare dopo tante assicurazioni? Ora è evidente che il Berti non ha fatto nulla. Scrivere al Correnti, che mi conosce, io non voglio; sono seccato di parlare e di sentir parlare più di ciò; non me la sento punto di scrivere a certa gente che una volta era come ero io, e non so ora come sia più di me. Dunque me ne andrò via. Sono già due mesi, che lavoro gratis. E poi, ho in certo modo le mani legate, perché ho sempre proposto invano, e non han fatto nulla di ciò che ho scritto e riscritto etc. Che vadano a farsi fottere quanti sono,
6. Cfr. lettera 365. 7. Cfr. lettera 366.
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Berti, Bertoldi,8 Bertini, Bertinaria,9 e tutta la famiglia delle bertucce e bertuccioni. – Ma prima di dimettermi, ne scrivo a te. E tu subito mi risponderai, dicendomi il tuo parere. Essendo costì, puoi giudicare la cosa meglio di me. Dunque rispondimi subito. Se credi, parlane con Rosei. Dunque addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
371 A Silvio Spaventa Napoli, 22 febbraio 1867 Mio caro Silvio, Andai da Cuciniello ieri sera stessa. Rimase quasi spaventato dalla proposta. Sarebbe più facile, mi diceva, far eleggere Francesco II, che lui. Pure, vedremo. Mi disse che gli uomini influenti davvero nel Mercato sono: Ragozzino, Pasquale Turco, Ciccio Russo e Persico.10 Andò lì per lì Persico, e mi promise di farmi sapere il parere di costui. Stamattina mi ha mandato la lettera, che ti acchiudo. Bisogna dunque aspettare ciò che dirà Persico dopo la sua visita al Mercato. Vedrò oggi Russo anch’io. Ieri sera vidi anche Fittipaldi, che mi dava la cosa per fatta! Io gli raccomandai di pensarci bene prima, di fare con prudenza e non compromettere invano il tuo nome. – Ti scriverò. Colapietro anche mi dà buone speranze, e mi ha detto di averti mandato ieri una lettera di Castiglione. Vorrebbero che fosse rimessa colà l’agenzia delle tasse, concessa a Celenza per opera e intrigo, dice egli, del Millo. Potresti ottenere ciò? Sarebbe un bel colpo. Vedi. Ho scritto ieri molte lettere. Ma se tu non operi, non so quanto possa valere l’opera mia sola. Ti prego di rispondere alla mia lettera, in cui ti parlava del mio ufficio di Delegato. Rosei, come membro del Comitato secondario, deve saperne qualche cosa. Io non posso più restare così. O devo uscire; o rimanere e sapere subito di rimanere, con quella indennità che diceva quel fanfarone di Berti. A Correnti io non ho voglia di scrivere. Non vorrei fare una cattiva figura. Mi contento di lavorare a casa mia. Dunque rispondimi di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
8. Giuseppe Bertoldi (1821-1904), letterato, giornalista e politico, fu ispettore generale delle pubbliche scuole, dapprima in Piemonte, poi a Firenze. 9. Francesco Bertinaria (1816-1892), saggista e filosofo, dal 1860 fu docente all’Università di Torino e dal 1865 insegnò nell’ateneo di Genova. 10. Michele Persico, patriota meridionale e deputato del regno d’Italia nell’VIII legislatura.
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372 A Silvio Spaventa [Napoli,] 23 febbraio 1867 Mio caro Silvio, Ieri mattina ti mandai una lettera di Cuciniello a me. Ieri sera vidi Ciccio Russo. Mi disse che Persico era andato al Mercato, e quindi anche da lui: Ciccio – uomo fino, come dice lui stesso – a Persico, che gli diceva non parergli possibile la candidatura tua, rispose: se vuole Michele Persico, non solo sarà possibile, ma certa. Egli si vanta di aver visto il nodo della quistione. Stasera si vedranno di nuovo. E saprò l’esito dell’abboccamento. Intanto ora in punto ricevo questa lettera da Cuciniello. Io credo alla sincerità di Cuciniello. Non so poi fino a quel punto debba credere a Michele. Domani o al più tardi dopo domani ti scriverò di nuovo, e ti dirò ciò che potrò sapere. Intanto regolati tu. Dimmi cosa devo fare. Ti mando una lettera di Cardone a Colapietro. Ti ricordo ciò che ti ho scritto di me per la maledetta Delegazione. Addio per oggi. Tuo Bertrando Ti mandai, mesi fa, una lettera di Ciro Sacchetti per un sussidio. Ora egli insiste di nuovo con me. Cosa devo dirgli? Perché non gli hai risposto? SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
373 A Silvio Spaventa [Napoli,] 25 febbraio [1867] Non ti mandai questa lettera, perché venne Fittipaldi, e mi disse di aver parlato allora allora con Persico, il quale non faceva difficoltà, purché consentisse Cuciniello. Fittipaldi andò da Cuciniello, che disse: non aver nessuna voglia di essere eletto, ma non potere per la seconda volta dire di no agli elettori, raccomandando in vece sua un amico. Intanto ieri sera Fittipaldi gli disse che vedrà di nuovo Cuciniello; che i voti promessi da questo e da quello – anche da Faucitano – sono molti; etc. Io gli dissi che a me, pareva – trovandocisi di mezzo Cuciniello, tuo amico, non se ne dovesse fare più nulla. – Tu intanto pensaci, e scrivi subito. Se saprò altro, te ne scriverò subito. Tu scrivi subito, perché il tempo è breve. Ho ricevuto in tempo la tua lettera del 23. Suggella le lettere, perché vengono quasi aperte. SNSP, XXXI.D .2 (inedita). Il testo, con data e firma autografe, è scritto sullo stesso foglio contenente il testo della lettera precedente.
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374 A Silvio Spaventa Napoli, 4 marzo 1867 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (Domenica). Avvisa la padrona di casa, perché arriverò un po’ tardi, alle 10 circa. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
375 A Silvio Spaventa Napoli, 6 marzo 1867 Mio caro Silvio, Non ti scrivo da qualche giorno. Le notizie che io ho da Bomba e Colapietro da Castiglione continuano ad essere buone. Aspettiamo dunque domenica. Qui io non ne capisco niente. Il Comitato Maglione, o dei moderati, porta tra gli altri Ruggero,11 Crisci, 12 Persico, per spirito di conciliazione; il Comitato Lequile porta Mancini, D’Ayala, il Pessina (il quale si è messo, due giorni fa, sotto la protezione di Lazzaro) per spirito d’indipendenza. Dopo l’elezione ti dirò cosa penso io del mio ufficio di Delegato; e scriverò anche a Rosei. Se devo restare, bisogna che mi ascoltino. Non ho potuto mai ottenere la rimozione d’un Ispettore di Pozzuoli,13 un imbroglione di prim’ordine, protetto del Mancini e del sottoprefetto Fiorentini e del Marchese Reggio. Mi ha scombussolato tutto il circondario. Ne parlai a Firenze al Berti, al Napoli; e ne ho scritto più volte. Niente, niente. Mi farò giustizia da me; lo caccerò dalla Delegazione; e poi me ne andrò io. E poi vogliono che le cose vadano. Con simili birbanti e imbecilli niente può andare. Ma ne parleremo dopo l’elezione. Intanto mi si prepara un altro piccolo tiro, che io non sopporterò. E perciò te ne scrivo. Mi è stato detto che la Commissione istituita per la nuova divisione del palazzo San Giacomo (il Municipio deve avere un’altra parte del locale) ha deciso di mettermi fuori delle stanze che ho; per farci entrare un tal Cavaliere Salvi, amico del Direttore del Demanio e Ispettore del Sindacato etc.; a cui le stanze che ha o quelle a cui dovrebbe passare, perché le sue si devono cedere al Municipio, non piacciono. Perché il Salvi deve essere preferito a me? Io non cederò. Aspetterò gli ordini del Ministero di Pubblica Istruzione; e se questo mi ordinerà di cedere, me ne andrò. Vedi intanto se puoi impedire la cosa o presso il Ministero stesso o presso quello delle Finanze. È un favore che si vorrebbe fare al Salvi, con poco decoro mio. 11. Bonghi. 12. Costantino Crisci (1813-1900), deputato del regno d’Italia nella VIII e IX legislatura. 13. Tale ispettore Errico, di cui parla anche nelle lettere 367 e 376.
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Ti acchiudo una domanda d’un tal Grieco, impiegato. È un buon uomo, carico di figli, e mi fa pietà. Abita sopra di me. Te lo raccomando tanto: e fa anche qualcosa davvero. Non si tratta poi di una gran cosa. Dunque addio per oggi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
376 A Silvio Spaventa Napoli, 13 marzo 1867 Mio caro Silvio, So l’esito della tua elezione,14 e in un punto ricevo lettera di Rosario Sigismondi, il quale mi racconta tutto, anche gli intrighi per Checchi. Dunque va bene per ora. Se vuoi che mandi subito a Loescher ciò che gli devi, lo farò. Ma se credi che io gli scriva che lo metta a conto mio, sarebbe meglio; perché io ho conti sempre con lui, e lo pago in fin d’anno. Rispondi su ciò. Scrivo oggi a Rosei. Fate insieme, e presto. Dico fate insieme; e dì a Cammarota che mi liberasse da questa birba di Errico. Ti raccomando ancora una volta quel povero Grieco, di cui ti mandai un’istanza. Vedi di fare tutto il possibile e subito. E scrivimene. Addio di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
377 A Silvio Spaventa Napoli, 7 aprile 1867 Mio caro Silvio, Non mi scrivi da un mese. E pure in questo mese sono accadute tante cose e accadono ancora, che avresti potuto parlarmene per appagare la mia naturale curiosità. Dunque il Ricasoli è andato giù? E avremo il Rattazzi?15 Il bello per me è stato questo, che gli amici, specialmente Colapietro, mi domandavano: cosa scrive Silvio? Nulla; non mi scrive da un pezzo, rispondevo io. Non mi credevano, e mi tenevano per diplomatico. 14. Silvio Spaventa fu rieletto nel collegio di Atessa. 15. Il governo Ricasoli, ricomposto, non durò dopo l’inaugurazione della nuova camera il 22 marzo, e cedette il posto al governo Rattazzi.
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Ti scrivo per uno dei soliti pettegolezzi. Senti. La (mia eterna) Delegazione ha alla sua immediazione l’Ispettorato provinciale; il quale ha due impiegati, un segretario e un applicato. La Delegazione non ha impiegati propri; ne ho chiesto, almeno uno; e non ho potuto mai averne. La Delegazione, dunque, si è servita sempre dei due impiegati dell’Ispettorato. Ora ieri l’Ispettore – non io – riceve una nota ministeriale, con cui gli si dice, che il segretario e l’applicato con decreto… sono stati messi in disponibilità. – Dunque dobbiamo chiudere l’Ispettorato e la Delegazione. Questa è la conseguenza. E pure l’altr’ieri lo stesso Ministero ordina alla Delegazione e Ispettorato certi lavori statistici complicati e lunghi e difficili! Raccapezza, se puoi. – Naturalmente ho fatto sospendere la comunicazione di quella disposizione agl’interessati. Se ciò non è uno sbaglio, è un mezzo puerile e indegno di sbarazzarsi della Delegazione etc. Ho risoluto di scrivere al Ministero su ciò come si conviene; io non sono uomo da essere trattato così; e me ne fotto di tutti i minchioni che sono stati e saranno ministri della Pubblica Istruzione. Non credo che abbiano pensato e fatto più di quello che ho pensato e fatto io. non ne posso più: e oramai non me la sento di tolerare i Bertoldi e i Lambruschini,16 eunuchi intriganti. Scriverò e parlerò dunque coll’anima sui denti. Ma prima di farlo, voglio il tuo consiglio e di Rosei. Ma subito, a corso di posta. Più: non vorrei né anche passare per minchione per un altro verso. È questo già il quarto mese che lavoro gratis. Voglio essere ricompensato. Come si ha a fare per questo? Rispondimi subito. Quando ci penso, mi par di sognare. Ma li tratterò come meritano. Rispondimi subito. Tuo Bertrando AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
378 A Silvio Spaventa [Napoli,] 19 aprile 1867 Mio caro Silvio, Sin da due giorni avea pronte le 400 lire che ti mando oggi con lettera assicurata in 4 biglietti di banca di lire 100 ciascuno. Non te l’ho mandato prima, perché mi era stato detto che forse saresti ritornato per Pasqua. Rimangono in tutto £ 480 circa, che ti manderò a suo tempo. Ora non ho più denari. La perdita di quelle 2 mila lire del Consiglio è stato un vero guaio.17 Siano rese grazie all’amico Berti. Se Rosei è tornato, prego te e lui, perché facciate risolvere la faccenda della Delegazione, o in un modo o in un altro: o sì, o no. Non vorrei, del resto che mi ringraziassero così, come un uomo qualunque. Ci badino; perché altrimenti mi risentirò.18 Più: non vorrei passare per minchione. Sono 4 mesi che lavoro gratis. Non devono compensarmi? 16. Raffaello Lambruschini (1788-1873), pedagogista e prelato, rinunciò al sacerdozio dedicandosi all’opera di educatore. 17. Il 20 dicembre 1866 comunicava al fratello di aver ricevuto una lettera dal Ministero con cui cessava di essere membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione (cfr. lettera 365). 18. Bertrando aveva richiesto un impiegato per l’ufficio di delegato (cfr. lettera precedente).
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– Oramai non mi conviene più aspettare. Ripeto, sono 4 mesi; e la mia autorità e quella stessa del Consiglio scolastico è come se non ci fosse, e ci facciamo una brutta figura. A ciò ha contribuito un po’ – forse molto – anche il buon Gualterio; il quale spesso si fa infinocchiare da certi fini bricconi, che son tanti qui. È inutile che ti dica tutto. Basta; finora non ho potuto ottenere la rimozione d’un ispettore,19 creatura del Mancini, matricolato impostore. – Dunque dì a Rosei, che ora è tempo di conchiudere. Io non conosco il Coppino. Credo che seguirà le gran pedate del Berti e del Bertoldi. Si serva pure. Non ho ancora ricevuto risposta su quel curioso incidente, cioè la collocazione in disponibilità di due soli impiegati della Delegazione, del Consiglio e dell’Ispettorato. Avrei dovuto chiudere immediatamente gli uffici. Pure ho scritto colla massima flemma. Sono cose incredibili, e che dimostrano come si amministra in Italia. – Dunque scrivimi subito su ciò. Saluto Rosei. Lui sa meglio di me, che se l’istruzione pubblica qui va in mano di qualche consigliere provinciale, da qui a qualche anno… ne riparleremo. – Scrivi. Tuo Bertrando Non potresti ora fare qualcosa pel buon Celano? Scrivimi su ciò. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
379 A Silvio Spaventa [Napoli,] 3 giugno 1867 Mio caro Silvio, Eccoti per ora 300 lire con vaglia della banca nazionale. Tra pochi giorni ti manderò il resto… quando avrò le 500 lire di cui mi parli nell’ultima tua. Ringrazio Rosei. È dovere: sebbene non abbia ancora ricevuto la sua lettera, che tu mi dicevi già scritta, se non mandata. Dunque 500 Lire per un semestre! Ma, se è permesso, a che titolo? Come compenso della fatica che fo? Credo che io fatichi quanto un somaro d’Ispettore circondariale, e che un’ora di tempo che perdo io valga almeno quanto un’ora del detto somaro. Ebbene Sua Asinità ne ha 100 mensili. Capisco la risposta: tu sei Professore e hai 5000 Lire: sei Accademico e hai etc. Vero; ma come Professore io fatico da Professore; come Accademico fatico da Accademico; almeno quanto i Professori che hanno 7000 e 6000. – Ma lo Stato non può pagare di più! Verissimo. Ma quei cotali Professori membri del Comitato per la licenza liceale a 2000 Lire, cosa fanno più di me? E non ero io membro ordinario del Consiglio Superiore? E secondo la legge non avrei dovuto durare 7 o almeno 3 anni? E poteva quel furfante di Berti mandarmi via con un semplice decreto dopo un anno?20 Se fossimo in un altro paese non avrei avuto il dritto reale di citarlo innanzi ai tribunali? La prima cosa per un uomo di lettere e professore, come sono io, non è la sicurezza della sua posizione, in cui non possa entrare l’arbitrio del primo mascalzone che diventa Ministro?… Dico tutte queste cose così per… esercitare la logica. So bene 19. Il non meglio noto ispettore Errico (cfr. lettere 375 e 376). 20. Cfr. lettera 365.
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che è fiato sprecato. Ma non dovrebbe essere così. – Dunque Pazienza e Pazienza. Già ne hai tanta tu, con 0 in tasca. – Pure io vedrò. E aspetto la lettera di Rosei per sapere cos’è. Scrivimi. Tra giorni avrai le 180 Lire. Saluto Rosei. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
380 A Silvio Spaventa [Napoli,] 10 giugno 1867 Mio caro Silvio, Rosei mi ha scritto da Udine, e corretto lo sbaglio che tu avevi fatto, dicendo semestre invece di trimestre. Finora però non ho avuto nulla, e ci vorrà ancora qualche tempo per adempire tutte le formalità. Con tutto ciò tra qualche giorno spero di poterti mandare qualche altro po’ di danaro. – Non rispondo a Rosei, perché non so dove indirizzare la lettera. Quando sarà tornato, fammelo sapere subito. Mi trovavo d’aver scritto al Coppino una confidenziale sullo stato delle cose qui, pigliando occasione da un affare. Sono già sei mesi – cioè dal decreto Berti 21 – che le cose qui sono in grande scompiglio. Era mio dovere parlare: tanto più se mi compensano ora delle mie fatiche. Ho detto delle novità. Saranno dure – forse sì e forse no –; ma la forma, in cui le ho dette, è irréprochable. E pure non ho detto tutto. Ho parlato, più per dare l’occasione d’irrogarmi sul resto, che per altro. Ed ho che dire! Se vogliono il bene, devono interrogarmi. – Ho voluto farti sapere ciò per tua norma, nel caso. Se non ti senti bene, fa di venire più presto. È vero che qui già si parla di cholera. Ma venuto qui, potrai poi risolvere se restare o andare dove che sia. Ciò che importa è di non ammalarsi a Firenze. Ti ho mandato ieri un mio mezzo volume. 22 Qui Lignana e Pessina han messo una gran paura in corpo al corpo universitario. Pure non temono, perché ci son loro, intimi al Ministro, che proteggeranno l’Università di Napoli. Perciò si raccomandino a loro! Il Pessina ieri lesse nell’Accademia la sua relazione sullo stadio delle scienze giuridiche in Italia etc., 23 merce destinata all’Esposizione di Parigi, 24 dove – credo che lo sappia tu – il Professore Cavaliere Giuseppe De Luca (altra merce rara) fu incaricato da non so qual Ministro di Agricoltura e Commercio a rappresentare il genio statistico e geografico 21. Decreto del 6 dicembre 1866 (cfr. lettera 365). 22. Si tratta dei Principii di filosofia, di cui, nel maggio 1867, si pubblicavano le prime due sezioni (I. La Conoscenza; II. La Logica) presso l’editore Ghio di Napoli. 23. Dei progressi del diritto penale in Italia nel secolo XIX, memoria letta nell’Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, Napoli, Tipografia dell’Università, 1868; poi Firenze, Civelli, 1868. 24. L’Exposition universelle de Paris (1867) fu la seconda manifestazione di questo genere organizzata nella capitale francese; ebbe per tema agricoltura, industria e belle arti, e si svolse dal 1° aprile al 3 novembre.
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italiano. Il Pessina dunque in quella relazione mette il Mancini accanto a Mario Pagano,25 Romagnosi 26 etc. E sai perché? Per quelle tali sue lettere sul dritto di punire a Mamiani,27 che tu ricorderai di certo, e per le Ore solitarie.28 Se il Pessina medesimo fosse stato incaricato di riferire sulla poesia in Italia, avrebbe collocato la Lauretta29 tra Manzoni e Giusti; 30 se sull’Economia, avrebbe ficcato pancion Trinchera tra Genovesi31 e Galiani;32 etc. Scrivimi. Tuo Bertrando 11 Giugno. Ieri mi dimenticai di mettere alla posta questa lettera. Ho ricevuto la partecipazione dell’assegno delle £ 2000 ieri stesso. Fammi sapere il ritorno di Rosei. Sono due volte che Pasquale di Matteo insiste perché ti scriva per lui. Teme che un tal Forte, chiamato qui alla Questura, non lo soppianti. Non so cosa puoi fargli tu. AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
381 A Francesco Fiorentino Napoli, 13 giugno 1867 Mio caro Fiorentino, Ho scritto or ora alla Marchesa,33 chiedendo perdono del lungo silenzio, e ora scrivo a te, e chiedo lo stesso perdono. Non lo merito, ma tu me lo concederai. Lo stesso dico a Tocco.34
25. Francesco Mario Pagano (1748-1799), scrittore e politico lucano, rappresentante dell’illuminismo napoletano, fu uno dei protagonisti della repubblica napoletana nata dalla rivoluzione del 1799. 26. Gian Domenico Romagnosi (1761-1835), giurista e filosofo, di formazione illuministica, fu un fautore dell’Unità italiana; come giurista è considerato uno dei fondatori del diritto penale moderno. 27. Fondamenti della filosofia del diritto e singolarmente del diritto di punire, lettere di Terenzio Mamiani e di Pasquale Stanislao Mancini, IV ed. accresciuta di quattro discorsi inediti del Mamiani sulla sovranità e di una prefazione del professore P.L. Albini, Torino, presso il tipografo G. Cassone e il libraio G. Grondona, 1853. 28. «Continuazione delle Ore solitarie, ovvero giornale di scienze morali legislative ed economiche», compilato per cura di Pasquale Stanislao Mancini, 1842. 29. Laura Beatrice Oliva Mancini. 30. Giuseppe Giusti (1809-1850), poeta toscano. 31. Antonio Genovesi (1713-1769), filosofo, economista e illuminista meridionale. 32. Ferdinando Galiani (1728-1787), economista e pensatore meridionale. 33. Marianna Florenzi Waddington. 34. Felice Tocco (1845-1911), professore di antropologia e storia della filosofia all’Università di Roma. Fu allievo di Bertrando Spaventa.
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Ti mando per la posta la metà d’un mio volume;35 e dei manifesti. Ho bisogno di molti associati; se no, fallisco. Dunque aiutatemi voi. Alla Marchesa ho mandato anche dei manifesti, ma non ho avuto il coraggio di dirle nulla del mio prossimo fallimento. Glielo dirai tu di certo. Il Campanella36 ristampato, l’avrai tra due o tre giorni. Dunque addio. Scrivimi del mio libercolo. Saluto tanto Tocco; e Jaja e tutti che si ricordano di me. Addio di nuovo e ama Il tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 48 (inedita).
382 A Marianna Florenzi Waddington Napoli, 13 giugno 1867 Pregiatissima Signora Marchesa, La causa del mio lungo silenzio verso di Lei è il mezzo volume che le mando per la posta.37 Avrebbe dovuto esser pubblicato 4 mesi fa, ma il tipografo ha tardato sino ad oggi. E io che non volevo scriverle, senza mandarle qualche cosa, ho tardato anche. Merito rimproveri e gastigo, e tutto quel che Lei vuole; ma dopo anche il perdono e l’assoluzione. Il maggior gastigo sarebbe quello di indugiare a scrivermi tanto quanto ho indugiato io. Ma questa è la differenza fra Lei e me; Lei buona e generosa, e io ho il merito, puramente negativo, di porgerle la materia propria di tali atti. La ringrazio ora dei Suoi saggi sullo Spirito38 che ho letti con grande piacere. Lei ha già terminato il suo lavoro, e io sono ancora a principio. Ma qui per stampare un libro, ci vuole una fatica d’Ercole. Io ora devo fare da editore, speditore, commesso libraio etc. Come si fa a pensare così? Mi voglia sempre bene: porga i miei ossequi al Signor Ercolino, e mi creda sempre Suo devotissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 58 (inedita).
35. Principii di filosofia, I, Napoli, Ghio, 1867 (cfr. lettera 380, nota 22). 36. Bertrando cominciò a raccogliere sotto il titolo Tommaso Campanella, poi apparso come primo saggio della raccolta Saggi di critica filosofica, politica e religiosa (I, Napoli, Ghio, 1867), la recensione delle Opere di T. Campanella, precedute da un discorso sulla vita e le dottrine dell’autore per Alessandro D’Ancona, apparsa su «Il Cimento» del 31 agosto 1854 (pp. 265-281), lo scritto Tommaso Campanella. Teoria della cognizione, sempre su «Il Cimento» del 30 settembre 1854 (pp. 425-440) e 31 dicembre 1854 (pp. 1009-1030) e l’altro scritto Tommaso Campanella. III. Metafisica, «Il Cimento», 15 agosto 1855 (pp. 189-212). 37. Principii di filosofia, citato nella lettera precedente. 38. Saggio sulla filosofia dello spirito, Firenze, Le Monnier, 1867.
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383 A Emilio Celano Napoli, 21 giugno 1867 Cogli associati non si va male. Ai Principi 39 sono un 140, e ai Saggi40 meno. Ma aspetto altre risposte. E poi si vedrà al principio dell’anno venturo. Del resto, si fallirà; ecco tutto. Originale presso la contessa Maria Del Vasto, stralcio trascritto da Gentile in AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, B a 2 (inedita).
384 Al Ministro della Pubblica Istruzione41 Firenze Napoli, 12 luglio 1867 Onorevole Signore, Io non ho più alcuna ragione di continuare in quest’ufficio di Regio Delegato,42 né pur quello di fare, anche con discapito del mio decoro, un po’ di bene a questa Città e Provincia. Mi astengo dal ripetere a Vostra Signoria Illustrissima ciò che ho scritto in tante altre note. Riuscita vana ogni mia istanza presso cotesto Ministero da più di sei mesi, e non essendo stata data né anche risposta alla mia nota riservata a Lei solo del 6 Giugno pacco postale numero 26, a me non rimane altra via che di presentare le mie dimissioni a Vostra Signoria Illustrissima, come fo con questa lettera. Invierò quanto prima a Vostra Signoria la nota delle spese fatte e pagate anticipatamente da me per questo ufficio nei tre mesi di Aprile, Maggio e Giugno scorsi e in questi giorni di Luglio, e quella delle spese fatte, e pagate, per mancanza di denaro, soltanto in parte, per gli esami di licenza liceale di concerto cogli altri Commissari. Prego Vostra Signoria Illustrissima di volermi esonerare anche da quest’ultimo incarico; che io non rifiutai, quando mi fu dato, perché il tempo era breve, e io non volevo impedire in alcun modo col mio rifiuto un’opera utile agli studi. Professore B. Spaventa ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale (1860-1880), Ba 2014, Bertrando Spaventa (inedita).
39. Cfr. lettera precedente. 40. B. Spaventa, Saggi di critica filosofica, politica e religiosa, I, Napoli, Stabilimento tipografico Ghio, 1867. 41. Domenico Berti. 42. Bertrando aveva accettato l’ufficio di regio delegato sopra gli studi per la provincia di Napoli agli inizi del 1866 (cfr. lettera 311).
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385 A Silvio Spaventa [Napoli,] 12 luglio 1867 Mio caro Silvio, Dà subito a Rosei l’acchiusa. Qui si parla di cholera a Firenze. Che aspetti a venire? E che ci fai più alla camera, dove domina un cholera di altro genere più tristo? Scrivo di fretta. Scrivi subito e bada alla salute. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
386 A Silvio Spaventa [Napoli,] 11 settembre 1867 Mio caro Silvio, Ho ricevuto ieri la tua, con un po’ di ritardo; e già io avea cominciato ad almanaccare. Noi stiamo bene finora. Non credo che potremo andare in Abruzzo. Il colera circola colà da per tutto fino a Palena e Lama; e anche a Bomba ci è stato ora un altro caso. Vedrò e mi regolerò con prudenza. Povero Rosei!43 Non so ancora capacitarmi che sia morto, e l’ho ancora presente con quella sua cera di burbero benefico. Dimmi subito cosa farai. M’immagino che non resterai a Firenze, se è vero che il colera è cominciato costì. Sta attento. Se puoi, vedi di riuscire in una piccola faccenda. Sai che vorrei rimandare Millo a Maddaloni. Il Preside nel suo rapporto finale, appoggiato dal Presidente del Consiglio Scolastico, ha proposto la traslocazione Prefetto Censore di disciplina (un piemontese), e la nomina in sua vece di un tal Giovanni Pasanisi, che io conosco, paesano di Sabato. 44 È un brav’uomo, e di carattere fermo e onesto. Con costui censore starei tranquillo per Millo. Ne avrei scritto a Rosei! Ora ne scrivo a te. Il Pasanisi ha esercitato altra volta lo stesso ufficio, ed è ora maestro di calligrafia nel Convitto. Vedi di parlarne a qualcuno, al Napoli o altri. È una bagattella; ma difficile, appunto perché tale, almeno per te. Oggi la Patria stampa un elogio dell’istituto Altavilla, e loda tra le altre cose il liberalismo del Direttore etc. Scrivimi spesso, e dammi qualche notizia politica. Saluto Pietro.45 43. L’amico Nicola Rosei fu colpito in maniera mortale dal colera. 44. Antonio Sabato. 45. Pier Silvestro Leopardi.
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Epistolario
Isabella ti saluta con Millo e Mimì. Tuo Bertrando Ti mando una lettera di Omero 46 per te. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
387 A Silvio Spaventa Napoli, 19 settembre 1867 Mio caro Silvio, Probabilmente partiremo per Campodigiove tra qualche giorno. Intanto stiamo bene. E tu cosa farai? Resterai ancora a Firenze? – Prima di partire ti scriverò. Sta sempre attento a qualche cosa che possa accadere nel Ministero d’Istruzione pubblica. Serve per non passar sempre per minchione. Millo e Mimì vanno un po’ meglio. Scrivi spesso. Tuo Bertrando Saluto Pietro. 47 Scrivo di fretta. Di Napoli non ti dico nulla. È roba che puzza sempre. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
388 A Silvio Spaventa Vasto, 22 settembre 1867 Mio caro Silvio, Sono partito ieri da Napoli e questa mattina sono giunto qui. Domani o al più tardi dopodomani partirò per Campodigiove. Ho dovuto fare questo lungo viaggio, perché né Colucci 48 né De Caro mi davano per sicura la strada di Castel di Sangro. Ti scriverò da Campodigiove. Noi stiamo tutti bene. Silvio Ciccarone, in casa di cui mi trovo ti saluta tanto. 46. Omero Persiani. 47. Pier Silvestro Leopardi. 48. Giuseppe Colucci (1827-1900), collaboratore di Silvio Spaventa, redattore de «Il Nazionale», poi prefetto in diverse città italiane.
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Ricordati di stare attento alle gran mutazioni che si faranno nel Ministero della Pubblica Istruzione.49 Dunque addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
389 A Silvio Spaventa Campodigiove, 30 settembre 1867 Mio caro Silvio, Siamo qui da tre giorni, dopo due giorni di riposo a Vasto e a Sulmona. Stiamo bene, quantunque il primo giorno che arrivammo qui il tempo fosse orribile pel vento e freddo; ma oggi la giornata non può essere più bella; e io non mi sazio di correre su per queste montagne. Non so se andrò a Bomba, dove c’è stato qualche caso di cholera. Ignoro se sia cessato. Scrivimi qui (Sulmona Campodigiove). Di notizie politiche qui nulla, meno l’arresto di Garibaldi. E poi? Dimmi dunque. Ti raccomando sempre di vedere cosa succede al Ministero dell’Istruzione pubblica. Mi dorrebbe di passare anche per questa volta per minchione. Scrivimi. Ti saluta Isabella Millo e Mimì, e tutti i Nanni. Tuo Bertrando Ti mando una memorietta di Paolo.50 Te ne scrisse anche mesi fa. Vedi di aiutarlo subito. Se dovesse pagare la multa di £. 3000 sarebbe rovinato, e senza vera sua colpa. Rispondimi su ciò subito. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
390 A Silvio Spaventa Bomba, 22 ottobre 1867 Mio caro Silvio, Sono qui da qualche giorno, dopo una buona dimora a Campodigiove. Ti scrissi di colà per due cose; non avendo avuto risposta devo credere che la lettera si sia smarrita, 49. Silvio aveva avvisato Bertrando che il ministro della pubblica istruzione, Michele Coppino, aveva intenzione di restituire il Consiglio superiore della pubblica istruzione, di abolire i Comitati e di cacciare i venti Ispettori centrali in carica (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 110). 50. Paolo Nanni.
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perché la consegnai a un quidam che scendeva a Sulmona. Del resto non conteneva nulla. Ti parlava del povero Labriola51 figlio; il quale l’anno passato fu nominato incaricato della 3 a ginnasiale nel Liceo Principe Umberto colla promessa espressa della reggenza almeno in questo anno. Invece, cioè malgrado la promessa, pare che l’abbiano congedato, e nominato altri in suo luogo. Tutte le altre nomine o riconferme sono giunte, e la sua no. Cattivo segno! Come farà a vivere? Peccato, perché è giovine di molto ingegno e di buoni studi. Ma che importa ciò al Ministero di Pubblica Istruzione? Non so se tu puoi fare qualcosa per lui. Se puoi, fa, e subito. Parlane al Villari o altri, anche a nome mio. Ti scriveva anche per la riconferma di De Blasiis a Professore straordinario. Gli intrighi e gli intriganti sono tanti ora più di prima, che ci è sempre a temere di essere sgambettato da qualcuno. A quest’ora le riforme e le nomine nell’amministrazione superiore di Pubblica Istruzione saranno state fatte; e chi ha avuto ha avuto. Pure per me ti dico che la cosa non può andare così. Dopo essere stato, 4 anni quasi, consigliere a Napoli, e nominato di nuovo due anni fa per altri tre anni almeno, fui ringraziato con un decreto,52 che ora è revocato; e nessuna riparazione o considerazione per me. Ma meglio non parlarne e non pensarci, perché la cosa mi mette di cattivo umore. Partirò di qui ai principi di novembre. Scrivimi intanto subito, e dimmi qualcosa anche della situazione politica: Io non ne capisco nulla qui; e mi pare imbrogliatissima.53 Ho scritto a Ciccone, perché ti mandasse 500 Lire per novembre e dicembre. Isabella e i bimbi stanno bene e ti salutano con zio Peppino54 e altri di casa. Scrivi. Tuo sempre Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 24-25).
391 A Silvio Spaventa Napoli, 16 novembre 1867 Mio caro Silvio, Ieri sera siamo ritornati qui. – Non ricevo lettere tue da un pezzo. Scrivimi subito, e dimmi qualche cosa della situazione politica. Qui non ho visto ancora nessuno. Dai giornali mi persuado che è sempre lo stesso. Saremo salvi o andremo in rovina? Pensa un po’ ora alle cose nostre. Che n’è del Consiglio Superiore? È vero che sono stati o saranno nominati tutti gli antichi membri? Eccetto me, s’intende! E chi sarà provveditore qui?55 – Vorrei che pensassi un po’ a queste bagattelle. – Tu conosci Broglio, mi 51. Antonio Labriola. 52. Il decreto Berti, che lo privava dell’incarico di regio delegato sopra gli studi (cfr. lettera 365). 53. E lo era: il 19 ottobre 1867, Urbano Rattazzi, dietro la minaccia dell’intervento della Francia (che aveva deciso di intervenire in territorio pontificio il 16 ottobre), si dimise; fallito il tentativo di Cialdini, il 27 ottobre si insediò il governo Menabrea. 54. Giuseppe Spaventa. 55. Il 30 novembre 1867, Silvio gli comunicò che il nuovo ministro della pubblica istruzione, Emilio Broglio, lo avrebbe incaricato dell’ufficio di provveditore a Napoli (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 112). Il 18 gennaio 1868, Bertrando riceverà la comunicazione ufficiale dal ministro (cfr. lettera 399).
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pare. – Del resto tireremo avanti come Dio vorrà, lasciando che il mondo cada in bocca dei soliti intriganti. Dal Rattazzi mi aspettavo qualche cosa di simile a quel che ha fatto, ma tanto, poi, no. Ha superato se stesso. E poi giudicano Persano!56 E perché lui no? Scrivimi subito. Isabella coi ragazzi ti saluta. Tuo Bertrando Epimenio Giannico venne a vedermi e mi raccomandò come cosa necessaria – per le ragioni che sai – l’affare di Codagnone. 57 Vedi cosa puoi fare. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
392 A Silvio Spaventa Napoli, 20 novembre 1867 Mio caro Silvio, Ti ho scritto appena ritornato qui. Aspetto tue lettere. Villari mi scrive spontaneamente la lettera che ti acchiudo e che io intendo e non intendo. Vedi di spiegarmi tu la cosa, e dirmi le conseguenze e il risultato finale. Di fretta Tuo Bertrando Giacché Vincenzo Turco è costì, rimanda per mezzo di lui tutta la roba che non serve a te, e può servire qui ai ragazzi e anche a me. Hai capito? Non fare al solito. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
393 Telegramma Napoli, 3 dicembre 1867 Firenze Deputato Spaventa Invitati urgenza Consiglio settimana senza partecipazione nomina. Rispondi telegramma credi parta subito e convenga passare Roma Bertrando ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale (1860-1880), B a 2014, Bertrando Spaventa (inedita).
56. Carlo Pellion Di Persano (1806-1883), nobile e militare, deputato nel parlamento del regno di Sardegna (VII legislatura) e del regno d’Italia (VIII legislatura), fu ministro della marina italiana nel 1862 nel primo governo Rattazzi. 57. Gennaro Codagnone, giudice a Napoli, e in precedenza a Campobasso e a Sala, nel gennaio 1899 divenne consigliere di Corte d’Appello a Napoli.
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394 A Silvio Spaventa Napoli, 16 dicembre 1867 Mio caro Silvio, Sono arrivato ieri sera e sto bene. Anche la famiglia sta bene. Ti acchiudo una lettera del Codagnone a me. Dice che ti ha scritto e che non gli hai risposto. Vedi. Saluto Pietro58 e digli che sono dolentissimo nella fretta del partire quella sera di avermi portato in tasca la chiave della sua casa. Gliela riporterò. Prima di ritornare costì ti scriverò. Addio di fretta Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
395 A Isabella Sgano Firenze, 28 dicembre 1867 Mia cara Isabella, Probabilmente andrò domani a Bologna. Io continuo a star bene. Qui fa un freddo forte. E tu come stai con Millo e Mimì? Non ti scordare di far prendere loro il ferro e l’olio. Io già mi sono annoiato qui. Dì a Millo che mi scriva e che Silvio vuole che studi e ripeta alla scuola. Altrimenti… Badate alla salute. Se domani non ti scrivo, non ti prender collera. Dunque addio per oggi. Ti abbraccio con Millo e Mimì. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
58. Pier Silvestro Leopardi.
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396 A Isabella Sgano Firenze, 10 [gennaio] 1868 Mia cara Isabella, Ti scrivo per non farti andare in collera, sebbene non abbia niente di nuovo a dirti, eccetto che il freddo cresce, che è una consolazione. Ho riveduto la sorella della domestica di Leopardi. Mi ha fatto meno cattiva impressione. Sa stirare, cucire, cucinare (alla casareccia). Vedrò ancora. Forse m’indurrò a prenderla. Ma voglio andare prima a Bologna a vedere colà. Chi sa? Ho scritto ieri a Millo. Ho detto alla domestica che il primo patto è che non uscirà a fare la spesa. Che ne dici tu? Dunque addio per oggi. Ricordati di me e tanti baci alla Mimì. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
397 A Francesco Fiorentino Firenze, 13 gennaio 1868 Mio caro Fiorentino, Partirò di qui domani sera. Ci vedremo dunque dopodomani mattina alle 11 circa all’Hotel Brünn, dove andrò a dormire. Di fretta. Tuo affezionatissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 59 (inedita).
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398 A Isabella Sgano Bologna, 15 [gennaio] 1868 Mia cara Isabella, Sono arrivato qui stanotte alle 4. Altro che Firenze. Fa un freddo di Siberia, e le montagne di neve sulla strada fa un piacere a vederle. Del resto sto bene, quantunque abbia dormito poco. Non so quanto mi tratterrò qui, ma non meno di un 5 o 6 giorni. E poi, dopo un paio di giorni a Firenze, per fare i conti col Ministero, ripartirò per Napoli. Mi duole che tu stai poco bene. Spero che a quest’ora vada meglio. Bada a te, e guardati dall’umido. E Mimì? Guarita dallo sfogo? Io sono nell’Hotel Brünn. Bacio Mimì, saluto Rosario. 1 Ama sempre Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
399 A Silvio Spaventa Bologna, 19 [gennaio] 1868 Mio caro Silvio, Ci tratterremo qui qualche altro giorno. Le cose fin ora procedono bene, quantunque non ci volessero, e temessero non so che cosa. – Ieri ho ricevuto la lettera di Broglio che m’incarica del Provveditorato di Napoli.2 Ti raccomando di farmi trovare costì i biglietti della ferrovia, perché voglio andarmene subito. Saluto Pietro,3 Morelli4 etc. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
1. Rosario Spaventa. 2. Il 30 novembre 1867, in una lettera, Silvio gli aveva preannunciato l’incarico (cfr. lettera 388, nota 49). 3. Pier Silvestro Leopardi. 4. Donato Morelli (1824-1902), politico, deputato del regno d’Italia dalla VIII alla XV legislatura..
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400 A Isabella Sgano Firenze, 23 [gennaio] 1868 Mia cara Isabella, Sono ritornato qui ieri sera. Non ti posso ancora dire di certo se partirò domani sera. Devo ancora definire alcune faccende col Ministro, riguardanti l’ex delegazione. Forse, se parto, ti farò un telegramma. Non ne posso più; e la noia qui è arrivata al colmo. Bacio Mimì e sono sempre Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
401 A Isabella Sgano Firenze, 24 [gennaio] 1868 Mia cara Isabella, Domani sera partirò di certo, e sarò costì Domenica la sera (26). Proprio un mese dopo la mia partenza da Napoli. Quanto alla domestica, quella che era di Rosei pare che non voglia venire; pure vedrò ancora. L’altra vuol venire, ma è un po’ malata. Verrà tra una quindicina di giorni. Almeno spera di ristabilirsi in salute. Dunque a rivederci Domenica. Bacia per me Mimì. Sempre Tuo Bertrando P.S. La domestica del povero Rosei è risoluta di venire; ma tra altri pochi giorni, perché5 SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
402 A Silvio Spaventa Napoli, 3 febbraio 1868 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto prima, né ho scritto a nessuno, perché ritornato appena qui, sono stato preso da un reuma fastidioso, che non è ancora finito, con un’appendice di dolor di capo. Del resto sto bene; e passerà. 5. La conclusione della frase è illegibile.
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Al solito, il Ministero non ha fatto ancora nulla di quanto mi avea promesso. E pure ciò che avea promesso a me, gli era stato già proposto dal Consiglio Scolastico e dal Prefetto. Io non ancora ho preso possesso dell’ufficio,6 perché malato. Lo prenderò tra giorni. Se vedi il Napoli, ricordagli le promesse. Non sarebbe male – se lo credi – che tu parlassi col Rudinì7 di me, se è vero che viene qui prefetto. Serva per evitare conflitti, e altro. Codagnone mi perseguita. Dovresti contentarlo in qualche modo. E De Filippo 8 anche dovrebbe farlo per te. Saluto Pietro, 9 Morelli10 etc. Ricorda a Pietro la gran faccenda della… col Broglio. Fa del resto quello che credi. Al far dei conti è lo stesso. Isabella non sta ancora bene. Fammi il piacere di subito scrivere una lettera di raccomandazione allo studio a Millo al liceo di Maddaloni, perché fa troppo il diavolo e poco ne vuol sapere. Mi scordai di dirtelo costà. Ieri ho visitato il Pisanelli. Non sta poi tanto male. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
403 Al Ministro della Istruzione Pubblica11 Firenze Napoli, 7 febbraio 1868 Sebbene non ancora interamente rimesso in salute, ho preso oggi la consegna di questo Ufficio, secondando le premurose istanze del Cavaliere Cammarota. Nel ringraziare Vostra Signoria Illustrissima della nuova fiducia, che il Ministero ripone in me coll’affidarmi l’incarico di Provveditore in questa Provincia, io La prego di provvedere prontamente conforme alla Deliberazione del Consiglio Scolastico, alle note del Cavaliere Cammarota, e alle mie istanze fatte alla Signoria Vostra Illustrissima personalmente, intorno alla costituzione di questo Ufficio.
6. Di provveditore agli studi per la provincia di Napoli. 7. Antonio Starabba, marchese di Rudinì (1839-1908), politico e prefetto, più volte ministro e presidente del Consiglio dei ministri del regno d’Italia nei periodi dal 1891 al 1892 e dal 1896 al 1898. 8. Gennaro De Filippo (1816-1887), avvocato e giornalista, deputato nel parlamento del regno d’Italia dall’VIII all’XI legislatura e senatore del regno d’Italia dal 1872. Fu ministro di grazia e giustizia e dei culti nel secondo e terzo governo Menabrea. 9. Pier Silvestro Leopardi. 10. Donato Morelli. 11. Si tratta del ministro Emilio Broglio.
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Io mi riserbo di farle tenere su ciò quanto più presto mi sarà possibile, un rapporto particolarizzato. Il Regio Provveditore B. Spaventa ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale (1860-1880), B a 2014, Bertrando Spaventa (inedita).
404 A Silvio Spaventa Napoli, 14 febbraio 1868 Mio caro Silvio, Il nostro Ghio ha indirizzato al Guardasigilli un memorandum per quella sua faccenda della convenzione col Governo per la ristampa degli atti ufficiali etc. Tu sai tutto; e conosci Ghio e la sua posizione. De Filippo anche. Egli ha ragione: mille ragioni. Ti prego dunque di parlarne a De Filippo, forte, anche a nome mio, e a nome del bravo Ghio. Se anche De Filippo fa il sordo, la posizione del nostro Ghio si farà sempre più terribile. Dunque. Io sto sempre meglio. Addio per oggi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
405 A Silvio Spaventa Napoli, 20 febbraio 1868 Mio caro Silvio, Viene costà il nostro De Blasiis per il suo affare capitale, cioè quello della cattedra. Se io mi trovassi costì, non ti scriverei, e lo aiuterei io medesimo in qualunque modo. Vedi tu dunque di fare per lui ciò che farei io, e anche di più. Raccomandalo al Napoli, al Matteucci, e, se credi, anche al Broglio. Egli conosce l’Amari, e gli potrà giovar molto nel Consiglio. Non sarebbe inutile se tu ne parlassi anche allo stesso Amari. Insomma adoperati per lui. E non ti dico altro. Scrivo anche a Pietro.12 Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
12. Pier Silvestro Leopardi.
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406 A Silvio Spaventa Napoli, 29 febbraio 1868 Mio caro Silvio, Ti mando per ora un vaglia di £ 350; tra pochi altri giorni avrai il resto. Sono quasi quasi senza denari; giacché quella tale tanto celebrata indennità13 per la faccenda di Bologna non me l’hanno ancora pagata. L’assegno per Consiglio Superiore non l’ho ancora esatto, e l’aumento dello stipendio di Professore, già decretato, non ancora si è visto. Ho poi qualche debituccio. Questo benedetto Provveditorato mi dà una gran noia, almeno a principio. Ho trovato le cose sottosopra; e sono 20 giorni che lavoro da mattina a sera per ordinarle e potere così andare avanti. Il Ministero mi ha concesso qualcosa di ciò che mi avea promesso, ma non tutto. Non ho avuto né meno il tempo di scrivergli come si deve su ciò. Aspetto anche il Signor Prefetto nuovo, e vedrò. Santa pazienza! Devo anche scrivere e rispondere al Broglio per l’affare di Cosenza; io non ci posso andare. Nomineranno Senatore il Ciccone? Ha quasi perduta ogni speranza, sebbene confidi ancora nel caro De Filippo. Che brav’uomo! Io sto bene, quantunque ancora con un po’ di catarro; ma è cosa da niente ora. E tu? – Isabella ti saluta. Saluto Pietro.14 Scrivimi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
407 A Silvio Spaventa Napoli, 29 febbraio 1868 Mio caro Silvio, Con la data di oggi ti mando un vaglia di £ 350. Scrivimi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
13. Si tratta della indennità per la rinuncia all’ufficio di delegato scolastico (cfr. lettere 370 e 371). 14. Pier Silvestro Leopardi.
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408 A Silvio Spaventa Napoli, 18 marzo 1868 Mio caro Silvio, Ricevo per sbaglio dalla Prefettura l’acchiusa lettera indirizzata a te. Io sto bene colla famiglia. Millo anche sta bene e studia un po’ di più. Sta apparecchiando la lettera di risposta a te! Non ancora ho ricevuto dal Ministero quei tali denari che mi dovevano – (assegno del Consiglio e indennità). La nota di quest’ultima era stata smarrita, e ho dovuto mandarne una seconda. Appena li avrò, ti manderò il resto. E tu come stai? Fa di stare sempre di buon umore; perché altrimenti farai stare di cattivo umore anche me. – Dimmi qualche cosa di politica. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
409 A Silvio Spaventa Napoli, 21 marzo 1868 Mio caro Silvio, Ti mando una lettera di Paolo Nanni: povero minchione. Vedi di aiutarlo subito. Non te ne dimenticare. I denari che mi si devono non si vedono ancora. E sono ormai tre mesi quasi. Il Napoli mi fece rispondere dal Garneri;15 il quale mi promise che sarebbe qui giunto l’ordine di pagamento lunedì scorso al più tardi. Oggi è sabato; e niente. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
15. Giuseppe Ignazio Garneri, capo divisione del Ministero della pubblica istruzione.
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410 Ad Angelo Camillo De Meis Firenze, 9 aprile 1868 Mio caro Camillo, Mi trovo qui da qualche giorno per la faccenda che tu sai e ti scrivo in fretta nella sala della seduta. Avrei dovuto scriverti da quasi un mese. E non l’ho fatto, non per smemorataggine o altra scusa simile, ma perché volevo mandarti i ritratti d’Isabella e di Mimì e anche il mio; giacché quello fatto a Bologna è un orrore. Ora due righi soltanto. Da Napoli, dove ritornerò domani ti scriverò a lungo. Ama sempre, Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
411 A Silvio Spaventa Napoli, 20 aprile 1868 Mio caro Silvio, Ti acchiudo una domanda al Ministero delle Finanze, di Giuliano Fortunato e Paolo Nanni. Abbi pazienza. Io non capisco bene cosa vogliono, e se è giusto. Rispondimi su ciò, perché io possa dire loro qualche cosa. Paolo16 mi scrive di averti già inviato la domanda in regola e altro per la grazia che chiese. Ti raccomando anche questo. E del nostro Erasmo 17 che cosa c’è? Mi domanda sempre, e io non ho cosa dirgli. Non ho potuto ancora parlare seriamente al Pironti.18 Vuole che ti dica che oggi partono per costì il Pisanelli e il Mirabelli.19 Rispondimi anche su ciò. Eccoti di nuovo il vaglia di £ 150. Ciccillo 20 me l’ha rimandato, chiedendomi le 150 £ che gli ho dato già. Bada che per Maggio e Giugno io non potrò darti altro che £ 350. Non si scherza!! Io sto bene colla famiglia. E tu? Rispondimi subito. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
16. Paolo Nanni. 17. Erasmo Colapietro. 18. Michele Pironti (1814-1885), politico e patriota, senatore del regno d’Italia dal 1869 e ministro di grazia e giustizia nel terzo governo Menabrea. 19. Giuseppe Mirabelli (1817-1901), giurista e magistrato, senatore del regno d’Italia dal 1867. 20. Francesco Vizioli.
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412 A Silvio Spaventa Napoli, 22 aprile 1868 Mio caro Silvio, Il porgitore di nome Faraglia di Pescocostanzo è nipote del nostro Liborio di Padova. Te lo raccomando, se puoi giovargli in qualche cosa. Non ho bisogno di dirti altro. È un bravo giovine e io lo conosco da più anni. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
413 A Silvio Spaventa Napoli, 2 maggio 1868 Mio caro Silvio, Eccoti il vaglia di £ 350. Io sto bene insieme colla famiglia. E tu? Scrivimi. Del resto niente di nuovo qui: tutto è vecchio, vecchissimo, come i coglioni del progenitore di Adamo, che Domeneddio si degnò di formare o plasmare lui stesso colle sue proprie mani. Addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
414 A Silvio Spaventa Napoli, 2 maggio 1868 Mio caro Silvio, Come un’altra lettera d’oggi ti mando un vaglia di 350 £. Dovrei ricordarti Erasmo;21 ma da quel che sento pare che non ci sia più niente a fare per lui. Pironti, dicono, ha proposto il Pirro De Luca. E Rende; che non andrà a [Losino]. Ricorda a Bonghi e a Villari, e al Ministero il De Blasiis Peppino, che teme un po’ di non essere nominato più professore ordinario. Sta di buon umore. Tuo sempre Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
21. Erasmo Colapietro.
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Epistolario
415 A Silvio Spaventa Napoli, 7 maggio 1868 Mio caro Silvio, Ricevo la tua lettera. Ti acchiudo una lettera di Fortunato Nanni che chiarisce la sua faccenda. Vedi di occupartene, e ripeto abbi pazienza. E la grazia per Paolo? 22 Rispondimi su ciò. Noi stiamo bene. Di fretta Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
41623 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 8 maggio 1868 24
Mio caro Camillo, Le seccature napoletane, le lezioni, l’Ufficio,25 la poltroneria mia e un po’ anche forse in capite libri la gran voglia di chiacchierare con te a lungo con tutto il mio comodo, non mi ha permesso finora di scriverti e né meno di rispondere alla tua del 22 aprile. Oggi qui è gran festa straordinaria di precetto, l’apparizione di San Michele! Vacanza all’Università, vacanza al Provveditorato: Isabella di buon umore; la Mimì tranquilla, il signor servitore e la signora servitora borbottano poco: io non ho la minima tentazione di uscire di casa: se non ti scrivo ora, a rivederci chi sa a quando! Dunque, in primo luogo, eccoti i famosi ritratti. Due miei, feroci tutti e due (è il mio carattere); due d’Isabella anzi tre (quel di profilo non mi piace; è troppo mansueto, e te lo mando solamente per scrupolo di coscienza): e uno della Mimì. Avrei potuto mandarteli anche prima con un rigo di lettera; ma mi pareva poco onorevole un così magro accompagnamento. Ora devono andare anche a Parigi! Sai da chi? Non l’indovini. Dalla Gigia, la svizzera che era a Modena in temporibus illis. Ha scritto di nuovo dopo 4 anni, e chiede notizie di me, d’Isabella, di Millo, di Mimì, e anche di te, particolarmente di te, ancora. Che tenacità di memoria! Dice che non è più tanto grassa; ha dimorato due o tre anni in Inghilterra; vive ora a Parigi con tutta la famiglia. Non andare in collera se ti confesso che non ho letto ancora davvero il tuo secondo articolo sul Sovrano.26 Devo leggerlo bene; a modo mio; e te ne parlerò in un’altra lettera. E non credere che ciò sia poco rispetto 22. Paolo Nanni. 23. Di seguito si riportano in nota le varianti presenti nel testo edito nella «Rivista bolognese», II (1868), vol. I, fasc. 5, pp. 429-441. 24. «Rivista bolognese»: «amico». 25. Di provveditore agli studi per la provincia di Napoli; il 25 febbraio 1868 comunicava a Silvio la «gran noia» che gli procurava lo svolgimento del provveditorato (cfr. lettera 406). 26. Il De Meis aveva pubblicato nella «Rivista bolognese» del gennaio 1868 (pp. 79-87) un articolo intitolato Il Sovrano, che, come Gentile informa, diè molto sui nervi ai repubblicani e demagoghi
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per una cosa tua; anzi. O legger bene o non leggere, questo è il rispetto vero. Filosofo pedante anche in questo; perché Aristotele dice: quello che viene dopo, non è secondo, anzi primo, di quel che viene prima. Ho letto – invece – tutti gli altri articoli delle tue puntate della Rivista. Che vuoi che ti dica? Necesse est… che abbia un colore deciso. Tra di noi: ci sei tu e Fiorentino; e sta bene. Ma cosa si vuole che sia? Quei nomi lì al frontespizio! Dio, che arca di Noè o torre di Babele! Capisco che è un frontespizio; ma… non so se mi spiego; e già tu mi capisci. I Paolotti non mi hanno invitato a quella loro società di autori-lettori. Non han fatto bene? Benissimo. È tempo ormai, che vultus e animus dicano una cosa medesima. Ho parlato col Settembrini, col Vera, e simili; non so se riuscirò. Manca la colla! Perché a Bologna ci è un casino, dove si vedono professori, avvocati, etc.; e a Napoli no, meno quello semi-aristocratico dell’Unione, e il Club dei borbonici? Per veder Ciccone per esempio devo andare io a casa sua, o lui venire a casa mia; la sera non esce mai, e cova ancora. Io esco, e non vedo nessuno, o per forza chi non mi piace di vedere. Ogni testa qui è una monade (leibniziana, non herbartiana) che rappresenta essa sola l’universo; e il vero male è che manca perfino quella tal monade suprema, che fa da cappello piuttosto che da capo dell’intero mondo. Qui la vera armonia è giù giù a Porta Capuana, al Mercato, al Pendino: come s’intendono! Toledo è un guazzabuglio! Perché a Bologna ci è una Rivista; e qui non si è potuta fare? Pure continuerò a picchiare. Hai ragione di temer 27 il Paolottismo. 28 Ti ricordi in Piemonte, quando l’Italia era colà? La Rivista contemporanea (che si diceva cattolica) ammazzò il Cimento (che era detto razionalista);29 ma ammazzandolo mutò veste e un po’ anche natura; prese un po’ quella dell’ammazzata. Quella opposizione non era una cosa molto seria e che desse a pensare; voglio dire che il cattolicismo era già, e il razionalismo, quantunque manomesso, vinceva lui. Basta dire che il mio nemico era Massari! 30 L’Italia non era fatta, e si pensava a farla; questa era l’occupazione principale: il razionalismo giovava, e il cattolicesimo noceva a quest’opera. Ciò si sapeva e si diceva, e il cattolicesimo di Tizio e di Caio avea più tosto aspetto di commedia che di altro. Ora, a Firenze, la faccenda è ben diversa. L’Italia ci è, è fatta, o quasi fatta; e si tenta di disfarla o rifarla o farla davvero a un certo modo, che né a te né a me può piacere. Si prepara l’opposizione seria. Berti nostro taceva allora; ed ora parla.31 Perché? Forse ne sa ora più di prima? Non mi pare. Da qui a qualche anno – se pure il ballo non è aperto fin da adesso – avremo di Bologna, e suscitò una spiacevole polemica tra il Carducci e il Fiorentino sui giornali della città. Gli articoli del Carducci uscirono nell’«Amico del Popolo» (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 481, nota 1). 27. «Rivista bolognese»: «augurar male del». 28. Il 22 aprile 1869, da Bologna, De Meis aveva scritto a Spaventa: «Perché non faremmo fra noi una Società di Autori-lettori come quella che fanno i Paolotti a Firenze?… Pensaci, e vedi che si può fare. Bisogna anche noi farci vivi, e farli stare a dovere» (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 482, nota 1). 29. Qui termina la prima parte della minuta indirizzata a De Meis che ospita le prime due carte del fascicolo citato nella nota precedente. 30. Questa frase era sostituita da un’altra, poi cancellata, ma riportata in nota da Gentile nella sua edizione della lettera: «Dico razionalismo e cattolicismo, perché non mi viene altro nome ora sotto la penna» (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 482, nota 2). 31. «Rivista bolognese»: «V’è qualcuno che taceva allora; ed ora parla». Il Berti aveva pubblicato l’anno precedente la sua Vita di G. Bruno nella «Nuova Antologia»; e la ripubblicava quell’anno con aggiunte in un volume in 8°, a Torino, presso l’editore Paravia (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 483, nota 1).
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dunque contro di noi,32 privatamente e forse anche ufficialmente i filosofi paolotti. Hai ragione! Io leggo poco e so poco ciò che si fa colà e costà; ma da quel poco che leggo e so, vedo questo. Ci è ancora nei più una certa perplessità: non so come dire. Come nelle assemblee francesi ci era una volta il ventre, che poi finiva per votar sempre con chi più poteva, così – disgraziatamente – tra i giovani filosofanti italiani ora ci è un certo numero, che non puoi dire sicuramente cosa sia; accenna a questo e a quel lato; incensa a dritta e a sinistra, in cornu epistolae e in cornu evangelii; incensa sempre; direttamente e indirettamente; lodando Tizio, o vituperando Caio che è avversario di Tizio. Io ne conosco uno – dovrei dire più d’uno – che a Napoli fa con me l’hegeliano, e dice corna per esempio del positivismo, e a Firenze fa il positivista con altri e dice corna dell’Hegelismo. Non è né hegeliano né positivista: è un giovine positivo! E hai visto come si cita e come si fa la critica? Aristotele e Del Zio;33 Platone e il nipote dell’abate Fornari;34 Sant’Agostino e Berti;35 Socrate e l’abate Rayneri;36 Hegel e Pessina;37 Torquato Tasso e Totonno Tasso.38 Se la critica continuerà come è ricominciata; se sarà sempre una gran messa parata, il cui principale efficiente è il predetto inciensiere, la torcia e l’aspersorio; se non si pon mano una volta davvero ai ferri; se non si chiama finalmente, come tu dici ripetendo il detto di Bruno,39 pane il pane e vino il vino, e – aggiungo io – acqua l’acqua, aceto l’aceto, Del Zio Del Zio, Fornari Fornari, Pessina Pessina:40 tutta quella gran massa o ventre si deciderà non per la migliore filosofia, ma per il maggiore offerente. Ora, ripeto, questa massa non è ben decisa; aspetta e guarda a oriente, dove spunta l’astro quotidiano. Se quest’astro sarà il paolottismo, persuadiamoci che questo sarà il Dio dei nostri filosofi. 32. Gentile informa di una parentesi nella minuta poi espunta dall’Autore quando girò la lettera dal Fiorentino al De Meis. Nella parentesi che seguiva: «(credo di avere il permesso di farti entrare in questa consorteria dopo il tuo articolo sulla Religione)» si riferiva alla prolusione di Francesco Fiorentino, pubblicata sulla «Rivista bolognese» con il titolo: Religione e filosofia; alla quale tenne dietro un altro articolo sullo stesso argomento, dal titolo: Risposte ad alcune difficoltà mosse dal Conte Terenzio Mamiani. Cfr. Francesco Fiorentino, Scritti vari di letteratura, poesia e critica, Napoli, Morano, 1876, pp. 230-293 (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 483, nota 2). 33. «Rivista bolognese»: «Y». 34. «Rivista bolognese»: «Z». Vito Fornari (1821-1900). Sacerdote, allievo di Basilio Puoti, autore dell’Arte del dire, 4 voll., Napoli, Stamperia del Vaglio, 1857-1862) e della Vita di Gesù Cristo, 3 voll., Firenze, Barbera, 1869-1893. 35. «Rivista bolognese»: «X». 36. Giovanni Antonio Rayneri (1810-1867), pedagogista piemontese, estensore della legge varata nel 1848 per la riforma del sistema educativo nel regno di Sardegna e fondatore, l’anno seguente, della Società d’istruzione e di educazione, presieduta da Vincenzo Gioberti. 37. «Rivista bolognese»: «P». 38. Improvvisatore da caffè molto noto allora in Napoli. Cfr. Antonio Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia. Lettere a G. Sorel, Roma, Loescher, 1890, p. 98 (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 484, nota 2). Uno dei fogli allegati alla minuta reca le correzioni apportate nelle bozze accanto ai nomi propri: «Aristotele e Y; Platone e il nipote dell’abate Z; Sant’Agostino e X; Socrate e il pedagogo R.; Hegel e il professor P.; Torquato…». 39. Nel famoso luogo dell’Epistola esplicatoria preposta allo Spaccio della bestia trionfante, nell’edizione Wagner delle Opere italiane, Leipzig, Weidmann, 1830, II, p. 108. 40. Bertrando si riferisce a un passo della lettera del De Meis del 22 aprile, nella quale l’amico, annunziandogli la prossima pubblicazione del primo volume del suo Dopo la laurea (Bologna, Monti, 1868), soggiungeva: «Ti prevengo che… ho parlato… fuor de’ denti e senza cerimonie. Pane pane, vino vino» (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 484, nota 4).
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Quando io vedo il buon Mamiani che si castra del tutto, e s’inginocchia, e imbalsama il Conti 41 e gli fabbrica un mausoleo nelle sue Confessioni,42 appendendovi quasi per voto i suoi strizzati coglioni; e rifrittura di ateo, manipolata nel ghetto dei teisti 43 mostra di aver paura44 dell’etica e della religione della filosofia tedesca, e a scongiurare il pericolo, a preservare il cuore degli italiani dall’imminente corruzione, raffazzona uno scipito soprannaturalismo, io dico: già ci siamo! Si teme in Italia, dove ha sede antica un’autorità spirituale riconosciuta infallibile, si teme come corruttrice del cuore la filosofia tedesca! È un po’ la paura della puttana di perdere la sua verginità nella conversazione di giovani sani e vigorosi. Ovvero si teme – e questo sarebbe le fin mot della cosa – che quella filosofia non dia il calcio di grazia a questa tarlata, e pure ancor viva, mostruosa attività spirituale? O Paolottismo! Io credo che noi italiani abbiam bisogno, più che i tedeschi e gl’inglesi di libertà interiore, morale, religiosa, scientifica, filosofica, per potere essere liberi politicamente, interiormente, esteriormente, all’aria aperta. Ne abbiam bisogno, perché abbiamo in casa, come cosa o persona nostra il nostro più gran nemico, il nemico dello spirito libero, l’autorità spirituale infallibile (Papa Pio, Papa Mazzini). Quando si pensa a questo motto45 di spirito umano, che per esaltare se stesso (per celebrare la sua natura, diceva il nostro Don Giambattista46) arriva fino a farsi il tiranno di sé stesso e suicida (una volta gli uomini offrivano i loro genitali alle loro fottenti e fottute divinità),47 ci è da diventar matti davvero! E quando si pensa che nell’Occidente l’Italia fu destinata a fare da portatrice per sé e per gli altri, ad educare eunuchi per tutti i serragli del vecchio e del nuovo mondo, ci è da diventar due volte matti! Caro Camillo, è vero che siamo già sulla via della vecchiaia; ma questi Signori tendono appunto a questo, a strapparci i nostri coglioni, che in verità conservano ancora un po’ di sugo e non sono pervenuti allo stato di beatitudine soprannaturale come que’ del Mamiani. Io capisco il teismo nel secolo passato, come capisco il naturalismo. Furono due cose necessarie: direi quasi la stessa cosa. Il teismo fece del vecchio, capriccioso e incomprensibile Dio de’ tempi passati il vescovo in partibus dell’universo; e a nome della ragione umana lo dichiarò professore emerito, ritirato coll’intero stipendio, e lo decorò 41. Augusto Conti (1822-1905), filosofo e pedagogista toscano, docente all’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze e membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Fu deputato del regno d’Italia nella IX e X legislatura. 42. Mamiani, nella Prefazione alle Confessioni di un metafisico (Firenze, Barbera, 1865, p. IV), aveva scritto: «In Italia Augusto Conti, scrittore acuto perspicuo ed elegantissimo, coltiva da parecchi anni con largo frutto quella maniera piana e socratica di filosofare; e sebbene, per mio giudicio, egli la tragga sovente là dove con le sole forze della ragione andar non potrebbe, conviene ringraziarlo assai che contro l’esempio de’ troppo dommatizzanti mai non gli è uscita parola contro la libertà illimitata del pensare e dello scrivere in metafisica» . 43. Sullo stesso foglio si legge inoltre: «Quando io vedo anche il buon M. che si castra del tutto e s’inginocchia e imbalsama il C. e gli fabbrica un mausoleo nelle sue ultime Opere / elucubrazioni, appendendovi quasi per voto i suoi logori arnesi; e, rifrittura d’ateo manipolata nel ghetto de’ teisti, mostra…». 44. A questa paura, come osservò Gentile, rispose lo Spaventa con i suoi Studi sull’etica di Hegel, Napoli, Stamperia della Regia Università, 1869 (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 485, nota 3). 45. «Rivista bolognese»: «originale». 46. Giambattista Vico. 47. E poco oltre si legge: «(una volta gli uomini offrivano la miglior parte corporea di se stessi alle loro maschili o femminili deità naturali)».
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della gran croce dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Il Naturalismo gli tolse di fatto il governo del mondo, e – come accade in cose simili – non ebbe sempre per lui tutto quel rispetto che gli si doveva. Non tutti si comportarono da gentiluomini come lo Spinoza di Voltaire: Pardonnez-moi; mais je crois – entre nous – que vous n’esiste pas.48 Si usò anche la forza brutale. Povero vecchio! A conti fatti, era stato il nostro Papà, ostinato, collerico, crudele qualche volta, e anche imbecille; ma le viscere parlano e il sangue non si rinnega. Dunque intendo, capisco e compatisco, sino a un certo punto. Ma ora, in questo secolo, cosa vuol dire il teismo, e anche il naturalismo? Lasciami continuare, giacché mi ci trovo. Parlando sul serio, correggendo e spiegando meglio ciò che ho detto, io mi raffiguro questa tale situazione del secolo passato un po’ simile a quella che la carta del 183049 faceva al re de’ francesi: il re regna, ma non governa. Ciò fu detto e si dice ancora una finzione. Al regnare senza il governare si sottrae tutto il contenuto positivo della vita, la realtà, la individualità e direi quasi la puntualità delle cose (umane), cioè la vera vita: quindi la irresponsabilità del re. Il re è attività astratta, generale; l’attività positiva, distintiva, responsabile (e sfido io ad agire senza porre, a porre senza distinguere, e a rispondere senza porre e distinguere), l’attività veramente universale ed effettiva è il governo: o se vuoi, regnare e governare insieme. Questa riserva espressa nel se, scopre e dissipa la finzione. Tu dirai: quell’attività astratta ha una radice o base naturale, immediata, concreta (eredità, tradizione, fatti proprii, storia): e (guardando in generale qua e là) anche una base nuova, viva, presente (il libero consenso, il plebiscito, etc.). Questa seconda base non entra ora nel mio discorso, e, intesa bene, conferma ciò che intendo dire; e qualche cosa di analogo alla prima io lo vedo anche nello stato di riposo e d’irreprensibilità conferito dal naturalismo al vecchio re e fin allora governatore dell’universo. Il teismo e il naturalismo gli toglieva il governo; e in grazia dell’antichità e de’ servigi resi, lo conservava come semplice re alla francese. Ciò non impedì però l’ultima conseguenza, quod erat in fatis: un bel giorno per questa o quell’altra cagione o ragione lo presero, lo ammanettarono, lo carcerarono, lo giudicarono e lo mandarono alla ghigliottina. Il materialismo fu la ghigliottina del buon vecchio Dio! La divina commedia fu prima recitata in cielo; poi in terra. Le roi est mort; vive le roi! Teismo, naturalismo, materialismo si affrettarono troppo a vincere, e trionfare. Questo sanno ora, o almeno dovrebbero sapere, anche gli alunni di 2° liceale. Con tutto ciò questo gran moto – questa grand’orgia del secolo passato – fu davvero una gran cosa: l’unico vero Dio è la Natura; l’unico vero Sovrano è l’uomo, il popolo. Non importa che alcuni, correndo sino all’estremo, dissero materia invece di natura, come si disse e si dice ancora plebe invece di popolo, e anche canaglia. Il vero fu, che si ammise e proclamò la naturalità (direi quasi la naturalezza, e quindi la ragionevolezza) di Dio; e la umanità (la popolarità, e quindi la ragionevolezza) dello Stato. Oltre e fuori della Natura non ci è niente, altro che il vuoto, o l’ospedale de’ cronici incurabili; il Dio vivo, palese, immenso, glorioso, sempiterno, storico (la vera storia eterna), è Lei, non altro che Lei. Benissimo! Te Deum Natura laudamus! Ma quale natura? Che cosa è la natura? Vi ha una sola natura? E l’uomo, in quanto uomo, è natura come ogni altro ente naturale, come l’animale, il vegetale, il numerale? Ahi! Un grande intoppo, ripeto, fu – come sempre in tutte le cose di questo mondo – l’uomo, questo benedetto uomo: questo nano incontentabile, turbolento, demagogico, rivoluzionario, che non pago d’essersi fatto creare da 48. «Pardonnez-moi, dit-il en lui parlant tout bas, mais je pense, entre nous, que vous n’existez pas» (Voltaire, Les systèmes, vv. 59-60). 49. La carta costituzionale del 14 luglio 1830, promulgata da Luigi Filippo d’Orléans.
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Dio come ogni altra e semplice creatura, lo costrinse un bel giorno al pœnitet e poi a farsi uomo anche lui, e si fece creare di nuovo, una seconda volta, per il futile piacere d’assistere e partecipare anch’esso alla propria creazione. Che vanità! Ma non ci fu rimedio. Perdona, caro Camillo: mi ero dimenticato di parlare a te, e mi figuravo di far una lezione straordinaria a quei che ne sanno meno di te e di me. Ma quello che è scritto è scritto; e giacché ho cominciato, devo finire. Dunque il naturalismo, il materialismo, l’ateismo spiegavano il mondo naturale (vedi che fo una larghissima concessione), ma non spiegavano mica l’uomo, il mondo nuovo; e quindi non spiegavano né meno il mondo naturale. Non spiegavano dunque niente. Non dico che non spiegavano sé stessi! Ciò che essi avevano ammesso, provato, assodato, la loro conquista sicura, immortale, si rivolgeva contro di loro e li condannava a morire senza riparo. Essi avevano detto: senza la natura, senza il meccanismo, senza il corpo, senza la materia, etc., non ci è l’uomo, il fine, l’anima, lo spirito, il pensiero, etc.: il primo regno o mondo è scala al secondo; la prima natura alla seconda. E si rispondeva: mostrateci dunque come ci si arriva salendo a questa seconda natura, e fatecela intendere: ma voi non l’avete saputo fare; dunque. Il vecchio Dio, che sebbene decollato come il gigante Orrilo50 non si dava per morto, rideva a crepapelle della consolazione: espulso per la finestra sperava di rientrare per la magna porta, per la porta dell’uomo. Ma il proverbio dice: riderà bene chi riderà l’ultimo: e l’ultimo a ridere non fu lui. In apparenza egli rientrò: la ristaurazione divina fu festeggiata con cento e un colpo di cannone; i divoti rialzarono gli altari; il Palmaverde della vecchia corte fu riabilitato; ma fu un’illusione ottica: erano i morti che figuravano da vivi; e in realtà era entrato il nuovo Dio, noto soltanto a pochi, ancora bambino, avvolto e nascosto nelle fasce e bende della infanzia; i cui vagiti erano coperti51 dal suono degli organi e delle campane. E tutto questo fracasso non fece né anche udire l’ultimo grido del vecchio Dio, il quale era stato morto davvero; e chi gli recise il fatal capello fu una, o meglio, due persone dabbene, timorate di Dio, spiriti solitari, con parrucca e codino: l’una del golfo di Napoli, l’altro da quel di Danzica. E uccidendo lui, uccisero con lo stesso colpo il naturalismo, il materialismo, l’ateismo. Questa idea qui del valore di Vico e Kant e di una certa relazione estemporanea tra di loro – tra la scienza nuova e la critica della ragione – è o almeno è stato il mio caval di battaglia; o, se non ti piace l’immagine di me guerriero e cavalcatore, dirò il mio diploma di nobilità; o, se anche questa frase aristocratica ti disturba, dì pure la mia scoperta.52 Dunque, volendo rientrare per la 50. Personaggio dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto. 51. Gentile, nella sua edizione della lettera, riferisce che nella minuta la parola è: «sopraffatti» (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 489, nota 1). 52. Il seguente brano della minuta fu quasi del tutto espunto nell’operazione di copia: «E a questo proposito dico a te una cosa che non ho detto mai a nessuno: non ti guarentisco però che qualcuno non l’abbia anche vista e detta a sé. Ma mi hai da promettere acqua in bocca. Il nostro bravo Fiorentino che mi ha citato spesso – anche quando io non meritavo davvero tale onore, e in ciò io lodo e ringrazio il suo buon cuore – scrisse, or fu parecchi anni, delle lettere alla nostra immortale Marchesa (immortale almeno come socia della Reale nostra Accademia), sullo stesso tema, se ben ricordo, cioè su Vico e Kant; o se il tema non era proprio quello, il mio faceva di certo parte del suo. Ebbene il nostro amico fece sua la mia idea (buona o cattiva, vera o falsa, bella o brutta, era mia; e io me ne teneva un po’ allora e me ne tengo forse, come ti ho detto, anche adesso), la commentò, l’amplificò, l’abbellì, ma non mi citò punto. E pur se ci è una cosa, su cui io avea gran voglia d’esser citato, era questa. Giusta punizione alla mia vanagloria». La stesura definitiva della lettera reca cancellata la parte iniziale del brano fino a «acqua in bocca». Anche Gentile riporta in nota il brano espunto dalla minuta (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 489,
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gran porta dell’uomo, il già decapitato Dio incontrò sulla soglia una morte oscura e triviale. Vico aveva detto: è razionale e perciò può e deve essere contemplato, concepito, inteso filosoficamente, non solo il mondo naturale, ma più assai di questo e massimamente il mondo umano o spirituale; giacché quello il fece solo Dio e non l’uomo (Dio come simpliciter e immediate Natura, dico io; e la natura in generale, avea detto il naturalismo), e questo il fece (e fa) anche e insieme l’uomo (il quale sa e può e deve intendere quello che fa come uomo, come mente); e non sarebbe stato fatto (né si farebbe) senza l’uomo o almeno senza il concorso dell’umanità o concetto dell’uomo in quello di Dio (l’ha fatto e il fa, dico io, il vero e verace Dio). Conseguenze o presupposti immediati del detto di Vico. 1.° Profonda distinzione – non separazione – delle due nature (Già – dopo Cartesio, Spinoza e Leibniz – il concetto di Natura non era più quello antico; se l’antico era al più oggettività ideale, il moderno cominciò con l’essere idealità oggettiva). La seconda – l’umana – non è la superficie mobile, il riverbero incostante, la nuda efflorescenza, e in generale il nudo effetto, più o meno lontano, della prima (questa, più o meno, fu la tesi del naturalismo); né il mondo suo è puro caso, o arbitrio (umano o divino: Machiavelli e Guicciardini nostri, e Bossuet53), ma è mente, o almeno ha sue radici nella mente; e la mente non è né mero caso o arbitrio, né mera necessità (e pure non esclude né l’uno né l’altro. Cos’è?) – 2.° Se l’uomo non è, né può fare il suo mondo senza che sia già e siasi spiegata la prima natura, nel grembo di cui e su cui e contro cui e con cui e per mezzo di cui egli opera e riopera; e se il mondo di quella non l’ha fatto lui, ma solo Dio, e il suo lo fanno lui e Dio insieme, e questo suo è massimamente inteso da lui, e quell’altro solo da Dio veramente, e da lui in quanto, solamente, è inteso il suo; bisogna conchiudere che il mondo naturale non è il mero presupposto o la causa, ma la via o la scala all’umano. Etc. etc. Questo è l’ultimo fine; e se questo non è intesa, non è inteso davvero quello. 3.° L’oggetto, come si dice, della mente non è il puro Ente o il tutt’insieme delle determinazioni astratte, comuni, universali di ogni cosa, la cui notizia54 ut sic, senz’altro, non equivale alla notizia di ciò che è la cosa (per esempio l’uomo in generale, o l’uomo di una data età o epoca, come distinto dalle altre cose, o dall’uomo di un’altra età o epoca); e né meno è solo il mondo naturale. Oggetto suo principale e ultimo – degno, adeguato – è il mondo umano, il mondo mentale, la mente stessa. Cosa vuol dir ciò? Il nosce te ipsum? Vico dice, come sai: metafisica che proceda sulle umane idee. Cosa sono le umane idee? Le idee sono o si possono dire sempre umane, a parte subiecti, in quanto è l’uomo, l’intelletto o la mente umana che le contempla o sa: in questo senso tutte le idee sono umane. Ma come le sa? E per essere, le idee devono esnota 2), e osserva (ibid.) che questo brano dalla minuta non dovette passare nella copia mandata al De Meis. Nelle Lettere sopra la Scienza Nuova indirizzate alla marchesa Marianna Florenzi Waddington, Fiorentino aveva parlato della relazione tra Vico e Kant, senza citare Spaventa. Solo più tardi, nel 1881, lo stesso Fiorentino osserverà come «lo Spaventa ha notato col suo solito acume, ed egli per primo, che questa metafisica richiesta dal Vico non era la vecchia metafisica dell’essere, ma una nuova, la metafisica della mente, e della mente umana» (Manuale di storia della filosofia, Napoli, Morano, 18872, pp. 388-389). Nell’«immortale» di Spaventa, osserva Gentile, è forse una punta diretta all’opuscolo sull’Immortalità dell’anima umana, pubblicato appunto in quel periodo dalla marchesa Florenzi Waddington (Firenze, Le Monnier, 1868). A Spaventa, Marianna Florenzi Waddington aveva dedicato il suo Saggio sulla natura, Firenze, Le Monnier, 1866 (cfr. lettera 312). 53. Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704) teologo e predicatore francese impegnato nella difesa dell’ortodossia cattolica. 54. «Rivista bolognese»: «natura».
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sere sapute da lui? Sarebbero, se non fossero sapute? Se sì, sarebbero accidentalmente umane. E anche in questo caso, come sono sapute? Posso io sapere un quid, che non sia in certo modo mio? Dove io non sia in qualche modo? Posso io sapere qualche cosa che non sia punto umano? Ci è da non finirla più. Si è detto per esempio: sono le idee che fanno la mente, e la fanno tale e atta a ricevere o contemplare le idee, loro stesse. Grazie di tanta bontà; ma… Aristotele lasciò scritto nel suo testamento ai futuri filosofi: la mente fa la mente. E dì poi che Aristotele non ne sapeva più di Platone! È una vera ira di Dio! Come diavolo dai coglioni55 del Mamiani sono arrivato sino alla quistione delle idee? Lascio dunque stare, dove si trovano i coglioni 56 e le idee umane soltanto a parte subiecti, e ritorno a quelle umane a parte obiecti. Aver visto ciò e insistito su ciò, è di certo un gran merito; ma non il maggior merito di Vico. Il maggior merito è la conseguenza che Vico più o meno chiaramente ha tirato da questa premessa: conseguenza che risolve, e sola può risolvere, anche la prima così difficile e tanto lungamente discussa quistione a parte subiecti. Le idee umane sono quelle che concernono l’uomo: non l’uomo soltanto come ente o soggetto o spirito individuo, isolato (non so come dire; qualcosa di simile alla così detta psicologia); ma l’uomo come comunità o università, più o meno, umana (come nazione, stirpe, umanità), e – in quanto soggetto o psiche o spirito – attivo così, cioè come comunità o università: voglio dire, senziente così, percepiente così, imaginante così, ricordante così, pensante così, volente così, etc. Quindi senso comune, percezione comune, imaginazione comune, etc. Ti par poco questo? Non si tratta solo di aggiungere l’aggettivo comune alle facoltà (diciamo pure facoltà), che l’uomo ha come psiche individua. L’aggettivo diventa qui sostantivo; una nuova sostanza, una nuova facoltà. Così senza il comune, l’uomo non sarebbe parola, proprietà, famiglia, etc.; non penserebbe davvero né anche; se fa tutto ciò, è appunto per il comune e in quanto, ripeto, è attivo come il comune. In generale, quando la mente contempla e sa tali idee, le idee umane, la conoscenza è più vivace, è raddoppiata, è più intima, è più conoscenza; è la vera conoscenza; ed è proprio il caso di dire: riconosce se stessa nell’oggetto suo. Ma – e questo è il gran merito – posta così la cosa, non si può più parlare di idee come nudo oggetto della mente. Noi diciamo: l’occhio vede l’oggetto come qualcosa di diverso da lui in quanto atto del vedere e vede mediante un terzo – la luce – che non è né l’atto del vedere né quello che è visto. L’occhio è semplice spettatore; io vado a teatro, assisto allo spettacolo che la Regia compagnia drammatica mi apparecchia e rappresenta a lume di sole o di candela. La mente, invece, vede, in quanto produce in sé (o almeno riproduce. E già riprodurre è produrre) quello che ella vede; l’oggetto suo è il prodotto suo; se non producesse, non vedrebbe. Tale è la natura dell’atto mentale: vista produttiva; la luce è la produzione stessa. Che vuol dir ciò? Benedetto Hegel! Perché ti confutano senza leggerti? O perché ti leggono – e sanno a menadito57 – senza intenderti? Essere, essenza, concetto = pensiero. Mente è in sé pensiero, concetto (idea, con la i maiuscola). E cos’è 55. «Rivista bolognese»: «dal mausoleo». 56. «Rivista bolognese»: «mausolei». Il foglio allegato alla minuta con le correzioni suggerite per la pubblicazione reca queste ultime annotazioni: «Come diavolo dagli arnesi del M…» e «Lascio dunque stare, dove si trovano, gli arnesi…». 57. Antonio Galasso, l’anno precedente, aveva pubblicato un volume Del sistema Egheliano e sue pratiche conseguenze (Napoli, Stamperia del Fibreno, 1867), del quale Pietro Siciliani nel fascicolo di febbraio 1868 della stessa «Rivista bolognese» aveva scritto: «Questo libro contro l’Eghelianismo è il primo in Italia, quant’io mi sappia, che mostri nerbo e profondità di critica […]. Egli (l’Autore) conosce perfettamente la filosofia tedesca dal Kant ad Hegel: la conosce a menadito,
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il concetto? Qui è la profonda magia. 58 Chi non distingue, non pensa; ma né anche pensa chi distingue senza unire. Ma chi è prima? L’uovo o la gallina? Il distinguere suppone l’unire, e l’unire il distinguere; la circonferenza presuppone il centro, il centro la circonferenza (senza di cui il centro è un punto qualsiasi, non centro). Il vero circolo è il circuire; e il circuire non è né lo stare al centro, né il correre per la circonferenza; ma stare e correre insieme. E così il pensiero: due atti – unire e distinguere – come uno ed unico atto. Dico due atti, in quanto distinguo, cioè penso il pensiero; e questo pensiero – che è distinzione – non è il vero pensiero del pensiero. Ora quest’uno ed unico atto, che io dico brevemente unità (intendiamoci bene: unità come circolo: unità distintiva, distinzione unitiva, e in somma unire e distinguere com’uno. E dico unità, anche perché tale è il pensiero come, direi, principio e fine di sé stesso; la distinzione è come59 mezzo; ma mezzo necessario, sine qua non. Etc.) (e se non ti piace la voce unità, chiamalo pure semplicemente Atto), dunque quest’atto è 1.° unità transitiva; ed ecco il giro dell’essere. 2.° unità riflessiva; ed ecco il giro dell’essenza. 3.° unità positiva; ed ecco il giro del concetto. Atto positivo, produttivo, creativo, dice lo stesso; e in esso s’immedesimano il transito e la riflessione, e come questa unità esso è sviluppo: Soggetto. Concetto è Soggetto: quello che concepisce sé: concezione, concepito (quello che comunemente si dice concetto), e concipiente. Così fatta, di questa pasta – che non è pasta – è in sé la mente. Dico concepire, assolutamente; come se dicessi generare; e quindi concepir sé è generar sé e riconoscersi (porsi e conoscersi) come medesimo a sé nel generato. Etc. etc. Questo contatto con sé medesimo (che non è possibile senza la distinzione) è il conoscersi, il sapersi, l’anima, lo spirito, etc. E similmente, dico positivo quello che pone in quanto pone, e non semplicemente quello che è posto; come dico fattivo quello che fa, e non il nudo fatto. Unità positiva è quella che ponendo (distinguendo, opponendo, producendo i molti, gli opposti) unisce quel che ella pone; producendo e unendo gli opposti, produce sé stessa. L’unità transitiva, invece, immedesima gli opposti momentaneamente (come termine), né gli produce; e non gli produce, ma gl’immedesima neutralizzandoli (come essenza, principio, sostanza) l’unità riflessiva; e perciò nell’una e nell’altra gli opposti non sono né veramente distinti né veramente uniti; e così l’una come l’altra non è vera unità. Etc. Etc. Etc. Etc. Perdona, caro Camillo; m’ero distratto: ritorno a Vico, e mi affretto – se è possibile – a conchiudere una volta. Quella santa unità produttiva che è la mente, è più visibile nel mondo umano: visibile come senso (mente sensitiva) comune, come percezione comune, come fantasia comune, etc. La mente fa, produce; e sa, perché fa, produce. Questo fatto o prodotto è ciò che dicesi positivo umano: parola, mito, religione, etc.; in generale storia. E la mente ut sic? È visibile come unità produttiva? Ecco Kant; che ricomincia ab ovo: Critica della ragione (della mente appunto). Ragione pura: unità produttiva, pura, cioè: 1°. ragione sensitiva, che produce tempo e spazio (intuizioni pure). 2.° ragione intellettiva, che produce le categorie (i concetti puri). (E come intellettiva e sensitiva insieme, produce il fenomeno, l’esperienza).60 3°. Ragione razionale (va bene?) (cioè vera ragione), che produce le idee pure (anima, mondo, Dio): il l’ha inteso nel suo vero spirito, e perciò solamente è riuscito a scrivere un buon libro» (p. 168 e p. 170). 58. Giordano Bruno, nel dialogo De la causa, principio et uno: «Profonda magia è trar il contrario, dopo aver trovato il punto dell’unione» (Opere italiane, I, p. 291). 59. Nella minuta, come riporta Gentile, «semplice» invece di «come» (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 495, nota 1). 60. Nella «Rivista bolognese» il testo è riportato senza le parentesi tonde.
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noumeno, il vero ente. Tutto questo è il positivo puro kantiano. (È vero che in conchiusione per Kant la vera ragione è vuota ragione. Ma, ma…; non è qui il luogo di far vedere come ciò accada; e come ciò non ostante, io non abbia torto). E similmente: ragione pratica: unità produttiva pratica: giudizi sintetici a priori pratici. Etc. Etc. Etc. Etc. Tutta questa bagattella della mente, come unità positiva assoluta – pura, naturale, umana – è da Kant e dopo Kant il problema della filosofia tedesca. Questo è il suo valore: la mente come unità positiva. Questa è il mondo nuovo; il cui Colombo (anche per il compenso che n’ebbe) fu Vico. In questo mondo nuovo cosa rappresentano ora il naturalismo, il materialismo, il teismo, l’empirismo, il positivismo e… il ciarlatanismo? La bottega del vecchio Dio era il positivo naturale e umano, che l’uomo diceva di non intendere, e dichiarava puro arbitrio divino; una merce non valutabile né trafficabile nel mercato della filosofia; reperibile soltanto a Basso Porto e al Lavinaio.61 L’empirismo, il naturalismo, il materialismo dissero: questo positivo (la vita della natura e dello spirito) ve lo fo intendere io; e così dicendo, relegò, come ho detto, fuori del mondo, nel vuoto, e tolse di mezzo il vecchio Dio, e mise bottega lui, riducendo l’umano al naturale, e vendendo a buon prezzo indistintamente. Ho bisogno di continuare? Una volta che la ragione umana (la quale si era occupata sino allora di ragnateli: cosmologia, psicologia, teologia razionali) si pigliò lei anche il positivo, e poi lo distinse e pose l’umano più alto che il naturale, etc., il ritorno del vecchio teo non fu più possibile, e il pretto naturalismo non avea più significato. Del primo non ci è ora più bisogno; il secondo – volta, gira e martella – non basta. Dunque Mamiani teista o vuoto sopranaturalista è un’anticaglia; è un po’ anticaglia anche il naturalismo, quando pretende di essere assoluto. Rimane il positivismo. Non vorrei invadere la provincia – dovrei dire il regno – del nostro collega Siciliani 62 (al quale – in parentesi – non posso perdonare l’Hegel a menadito).63 Cosa è il positivismo? Se è naturalismo, è anticaglia anche lui. Ma la storia? Il positivo umano? I fatti umani? Esperienza, osservazione; giù la metafisica! Anche il nostro Pasqualino,64 che 61. Strade e quartieri di Napoli (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 497, nota 1). 62. Pietro Siciliani (1835-1885), pedagogista e filosofo, fu professore di pedagogia all’Università di Bologna. Questi, nel fascicolo di gennaio 1868 della «Rivista bolognese» (I, pp. 23-52), aveva pubblicato una Critica del positivismo, esaminando la filosofia del Comte e del Littré. Poi nel fascicolo di aprile (ultimo uscito prima della composizione della lettera di Spaventa), aveva intrapreso uno studio Sulle fonti storiche della filosofia positiva in Italia, con un primo articolo Galileo Galilei (pp. 269-305). Nel numero di aprile del «Politecnico» di Milano, il positivista Giuseppe Sottini, professore di geografia all’Università di Pisa, confutò le affermazioni di Siciliani e ribadì la distinzione tra positivismo e comtismo. Nello stesso mese di aprile, dalle pagine della «Rivista bolognese», Siciliani affidò la sua replica all’articolo La condanna del positivismo, fatta da un positivista del Politecnico (pp. 349-362). 63. L’espressione in corsivo è stata poi cancellata forse ad opera del De Meis. 64. Nel gennaio 1866 Pasquale Villari aveva pubblicato nel «Politecnico» La filosofia positiva ed il metodo storico, prolusione a un corso di lezioni di storia nell’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze per l’anno accademico 1865-1866. Il testo fu ristampato due anni dopo nei Saggi di storia, di critica e di politica (Firenze, Tipografia Cavour, 1868, pp. 1-36) e, in seguito, nel volume Arte, storia e filosofia. Saggi critici (Firenze, Sansoni, 1884, pp. 437-489). Alla severa recensione di Grégoire Wyrouboff apparsa nell’autunno 1867 nella «Philosophie positive» del Littré si affiancano in Italia giudizi di segno opposto. Al platonismo di Mamiani esposto nella lettera Del Kant e della filosofia Platonica, al sig. Carlo Cantoni di Lomellina («Nuova Antologia», v. III, 1866, pp. 433-461), Fiorentino replicava, dal
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sa e scrive e fa di tante cose, gridò: Keine metaphysik mehr!… Per me, se il positivismo ha un senso, è quello che si fonda sull’attività positiva della mente. Se no, è naturalismo rifritto.65 Ma i fatti, i fatti umani si osservano, non s’inventano e costruiscono a priori! Molto bene! Ma cosa vuol dire l’a priori? Forse sugo di rapa o di cipolla, e non già sugo del cervello umano? E cos’è l’osservare? Già gli stessi fatti naturali – che solo Dio o la natura o chi si sia, fece, e non l’uomo – io non sto a guardarli soltanto, colle mani alla cintola, uti jacent; ma il più delle volte, se voglio intenderli, sono costretto a produrli o riprodurli. E questo è l’esperimento che compie e corregge la nuda e selvaggia osservazione. Ora sfido io a sperimentare così senza qualcosa d’a priori.66 Pure, ciò sia come non detto. Ma i fatti umani? Chi gli ha fatti? L’uomo. E dove sono? Nella memoria dell’uomo; nel mondo umano. E cosa devo fare io per averli dinanzi a me, presenti lì, ed osservarli? Ahi! I fatti umani non sono come schegge di pietra o foglie di fico o penne di gallina; io vado alla pietraia, all’orto, al pollaio, e le trovo belle e fatte; le taglio, le sminuzzo, le piglio tra due unghie o colle pinzette, e le colloco e incollo sotto le lenti d’ingrandimento; fatto questo, il rimanente è affar d’occhi, e un po’ anche di cervello. I fatti umani, invece, non sono lì, non mi si presentano dinanzi, palpabili, freschi, vivi, osservabili, riconoscibili, che in quanto io li riproduco; io devo avere, in mezzo ai sepolcri, la potenza di Ezechiele: l’uomo, lo spirito gli ha generati, imaginati, favellati, pensati, etc., e io uomo, spirito, li rigenero, li rimmagino, li rifavello li ripenso, etc. Dinanzi ai fatti naturali – al positivo naturale – lo spirito è, in certo modo, passivo: non tanto però, quanto si crede, e non sempre. Dinanzi ai fatti umani – al positivo umano – egli è passivo… un corno. Il positivo naturale io lo trovo posto. Chi l’ha posto? Come è stato posto? Come è posto quotidianamente? Quistioni, che vengon dopo; io devo intanto accettare e chinare il capo alla prima, immediata posizione. Pure, se voglio intendere, devo porre anch’io. Solo così posso rispondere alla quistione: come è stato posto? Il positivo umano, invece, nella sua stessa prima e immediata presentazione dinanzi a me, non lo trovo soltanto posto; ma è posto davvero, in quanto lo pongo anch’io insieme; la sua posizione, in quanto egli è umano, è una doppia posizione; egli è doppiamente positivo; è tale immediatamente per la sua stessa natura. Questo doppiamente positivo – cioè posto insieme da altro e dall’osservatore (altro e osservatore = uomo; sebbene non = vuoto uomo) – è il vero Positivo.67 Dir positivo quello soltanto punto di vista dell’idealismo assoluto, nell’articolo Del positivismo e del platonismo in Italia apparso nella «Rivista bolognese» del 1867 (poi raccolto negli Scritti varj, pp. 496-529). Su posizioni analoghe è la replica a Villari dell’amico De Meis nel Dopo la laurea. Nella polemica contro Villari interviene anche Felice Tocco nel saggio Studii sul positivismo, uscito nei fascicoli di giugno e luglio 1869 della «Rivista contemporanea» di Torino (v. LVII, pp. 329-339; v. LVIII, pp. 21-37). 65. Intorno al naturalismo e al positivismo cfr. i giudizi espressi già da Spaventa un anno prima nella prefazione ai Principi di filosofia, pubblicati a cura di Giovanni Gentile con il titolo Logica e metafisica in Opere, III, pp. 1-429, cfr. pp. 13-15. 66. «Rivista bolognese»: «Non s’avvedono che l’apriori, in generale e in fin di conto, è la stessa potenza nuova della natura, la potenza umana, quale risulta e si concentra da tutta la sparsa attualità antecedente; e perciò è insieme un assoluto a posteriori». Il brano vergato su un piccolo foglio allegato al testo della minuta è assente sia nella minuta che nella versione definitiva della lettera ed è inserito a questo punto dell’articolo nella «Rivista bolognese». 67. Al riguardo, in un appunto allegato con poche altre carte al testo della minuta, Spaventa scrive: «Positivismo; non in quanto l’oggetto – che si considera – è posto soltanto e si trova come posto, da altro e come distinto, dirimpetto del Soggetto. (Il positivismo così sarebbe una rifrittura
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che è lì, che s’impone allo spirito, che lo spirito deve accettare come una forza estranea maggiore, che è perché è, etc. (e quindi dir positivismo quel metodo o maniera di pensare che nasce da questa supina rassegnazione dello spirito), è un po’ troppo! Perché il positivo ci s’impone e noi dobbiamo rassegnarci? Perché siamo noi medesimi lì dentro; sebbene ciò non apparisce alla superficie: in quella superficie, che il positivismo chiama positivo, il solo, unico positivo. E così pronunzia egli medesimo la sua condanna; perché l’unico suo diritto è la superficialità delle cose. E l’appagarsi della superficialità delle cose favorisce – più che non si crede – il paolottismo, il bigottismo, il cretinismo, il bertismo, il bertinismo, il bertoldismo, il bertinesimo, il coppinismo e simili mostricelli, più o meno vitali (come dicono i medici); i quali s’impadroniscono di quel che è dentro – del Sancta sanctorum – e ne fanno quell’uso che n’han fatto sempre. Gli favorisce il gridare contro la metafisica; e rivela un cervel d’oca al meno, o un cervello in verità poco positivo, o positivo nel senso loro. Contro la metafisica, Dio mio! In Italia! Dove non se n’è di certo abusato, come forse, anzi senza forse, è accaduto in Germania; e ciò che manca è piuttosto l’uso che l’abuso; l’uso, voglio dire della nuova metafisica: di quella iniziata da Kant, e prevista da Vico. Ma basta, basta, basta. Rileggendo questa lettera, cominciata il dì 8, e poi interrotta, e finalmente terminata ieri – 14 – mi accorgo di aver detto minchionerie senza fine, e la minima è quella d’esser spesso saltato di palo in frasca. Ma il fatto è fatto; rassegnati anche tu: farai atto di positivismo! Poscritto. Un amico, a cui per una certa vanità di autore-lettore ho fatto udire la parte polemica – non so come dire – di questa lettera, mi ha detto: perché non la stampi? Non mi pare possibile né fattibile. 1.° Minchionerie. 2.° I nomi proprii. 3.° I nomi comuni, come coglioni, e simili. 4.° Il vecchio Dio. Mi farebbero un processo di lesa moralità, divinità ed eccellentissime Asinità. Dunque: non Imprimatur. Isabella Millo e Mimì tante cose. Sono sempre Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (ed. in B. Spaventa, Paolottismo). La minuta, opportunamente rivista, fu pubblicata nella «Rivista bolognese», II (1868), pp. 429-441.
417 A Silvio Spaventa Napoli, 19 giugno 1868 Mio caro Silvio, Non ti scrivo da un gran pezzo, non so nemmeno io perché, con tutta la buona volontà che ho avuto e ho sempre di scriverti. Sono di cattivo umore; arrabbiato contro non so chi; contro tutti e tutto. Fatico come un asino abruzzese, e meno fortunato del mio prototipo non conchiudo nulla. Parlo del benedetto Provveditorato. Non credo di del naturalismo); ma in quanto è posto da quello che lo considera. Mi spiego: così l’oggetto è doppiamente positivo: è trovato posto ed è posto dal Soggetto (umano)».
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essere inferiore a tanti amici miei colleghi, che pur conchiudono qualcosa. Perché io non conchiudo nulla, e gitto al vento la fatica? Anche tu mi parli della faccenda dei sussidi. 68 Che progresso! Forse avrò bisogno di esser difeso da te per questo, presso i miei superiori. Il ritardo non è derivato da me; alcuni delegati scolastici non hanno né anche risposto alla circolare. Non so se qualche istituzione farà qui buona prova. Ricorderai che anche sotto i Borboni ci erano gl’Ispettori distrettuali gratuiti. Ci è qualcheduno buono; ma il maggior numero è come Dio vuole. Ce n’è uno, che era Ispettore e fu destituito da Ministero per pubblica immoralità. Quando io ripresi l’ufficio, accortomi della cosa, la ricordai al Ministero mandandogli copia dei documenti che egli stesso mi avea mandati. Il Ministero non ne ha fatto nulla. – Io fui incaricato di compilare le proposte dei sussidi sulle proposte dei Delegati. Con qual criterio? Norma? Ragione? È vero che si sono richiesti degli elementi, da cui deve risultare il criterio: anni di servizio, numero degli alunni, etc. Ma il criterio non è i suoi elementi; e se deve essere comune e costante, bisogna annunciarlo chiaramente e non già proporlo come un problema, alla intelligenza e coscienza individuale di ciascuno, Delegato, Ispettore, Provveditore. Il Delegato compila; compila l’Ispettore; compila il Provveditore. E la Commissione centrale cosa fa? Compila anche essa sulle tante compilazioni? Quale deve essere la relazione tra le compilazioni di prima istanza e quelle di seconda? Tra queste e quelle di terza e ultima? Qual è l’ufficio della Commissione centrale? A noi altri, almeno a me, non si è detto nulla di ciò; non si è fatto altro che ristampare una circolare dell’anno passato e mandarcela. E uno degli elementi del criterio non è anche la somma totale da distribuire? Quant’è questa? Io non lo so. Come dunque io potevo dire: Tizio merita e gli si può dar tanto; Caio tanto; etc.? Negli anni passati si fissava una somma determinata, questa o quella, per provincia, secondo non saprei dire se l’importanza sua o l’arbitrio di chi fissava; i Consigli scolastici distribuivano, e l’approvazione era riserbata al Ministero. I Consigli dunque non compilavano soltanto gli elementi, ma giudicavano, e quindi dovevano avere un criterio. Quale? Non saprei dirlo sicuramente; io non mi son trovato mai in ufficio all’epoca della distribuzione. I veri compilatori poi erano gl’ispettori. Questo sistema fu trovato poco utile, anzi dannoso. E sarà così. Dunque un nuovo sistema. Cos’è questo? Ripeto, io non lo so. So solamente che c’è una Commissione centrale; e che commissione significa unione di più persone, e centro il punto egualmente distante dalla circonferenza e in cui si raccolgono i raggi sparsi etc. Ma questo è tutto? È la cosa stessa? Non avendo dunque io dinanzi agli occhi un criterio ufficiale, e non volendo né dovendo improvvisarne uno io, che non avesse altra probabilità di vita che 24 ore – quante se ne impiega per correre da Napoli a Firenze –, invitato a compilare sulle redazioni dei Delegati, ecco cosa io credetti di fare. Io dissi tra me: «la Commissione avrà il suo criterio, che è il suo segreto. Ciò che vuole da me ella – punto lontano più che centro – è la indicazione e l’accertamento degli elementi; l’applicazione del criterio, credo di no, perché se l’avesse voluta, me l’avrebbe rivelato questo criterio. Dunque trasmetto gli elementi semplicemente. È vero che pei maestri degli adulti ella vuole anche le proposte. E tu nella tua lettera dici: proponili tutti, e per due lire ad alunno. Bene; ma perché non dirlo prima? Tu devi avere le tue ragioni costì per dire due lire e tutti. Che ragione ho io? Io, che non sono nel centro? E vedi, da circondario a circondario di questa stessa provincia un delegato ha 68. Nella lettera del 16 giugno 1868, Silvio si lamentava del fatto che in otto anni di governo unitario non si fosse ancora giunti a fissare delle norme per una giusta ed equa distribuzione dei sussidi (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 114).
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proposto 4 per esempio, e un altro a caso pari ha proposto 8. È l’accidente che domina. E io non ho voluto aggiungere un altro accidente a tanti accidenti o colpi di testa, che Dio ne liberi, che ci piovono addosso. Mi limito dunque a mandare gli elementi. Mando anche le proposte dei Delegati; ma senza dar loro molta importanza, persuaso che la Commissione con gli elementi in mano giudicherà bene da sé uniformemente e infallibilmente. È bene anche che la Commissione veda la babilonia di tanti criterii, individuali senza criterio. È sempre un bene vedere il male, e comprendere la necessità del rimedio. Etc. etc.». E così feci; pochi giorni prima della tua lettera, mandai dunque gli specchi: poche modificazioni da parte mia; il resto, cioè il tutto, è tutta roba dei Delegati e Ispettori. A me è parso che l’istituzione della Commissione centrale volea dir questo: criterio puro, e norme per la raccolta, l’accertamento, il controllo etc. degli elementi. L’esecuzione di questa seconda parte è in gran parte l’ufficio delle autorità locali. Ma qui ti volevo e ti voglio. L’autorità locale è il Provveditore, gl’Ispettori, i Delegati, e se vuoi anche i Sindaci e i Sottoprefetti. Ma che ne so io – Provveditore di Napoli,69 che da Gennaio fino ad oggi non ho avuto che 350 lire di spese di ufficio – di ciò che esiste e si fa, non dico a Ischia e a Sorrento, ma a Napoli stessa? Dovrei girare, vedere, toccare. E come fo senza un centesimo in tasca? Come visito e verifico e controllo io 400 e più scuole qui, per non parlare delle private che sono più di tante? Vado a piedi; visito una scuola, e se ne passa tutta la giornata. E l’ufficio burocratico? E le carte del Consiglio? E la corrispondenza col Ministero? E altro e altro? Mi aveano dato dalla Prefettura un segretario, che non ho mai visto una bestia simile. L’introduzione di questa bestia mi ha fatto perdere un tempo infinito. Finalmente l’ho dovuto rimandare donde era venuto, più bestia di prima. Dunque devo dipendere dai Delegati, dagl’Ispettori, etc. E questo è il ponte dell’asino. Chi sono i Delegati? Chi gli ha proposti? Il Consiglio Scolastico. E come è composto questo Consiglio? Due consiglieri provinciali, due comunali, e due persone nominate dal governo, con un vice-presidente, che sono io, e un presidente che è il Prefetto. Ora i due provinciali non sono mai mai intervenuti; i due comunali e i governativi intervengono, ma: presto, presto; abbiamo che fare, etc.; il prefetto non può intervenire, perché ha tanti affari più seri sulle spalle. Dunque al far dei conti il Consiglio sono io. Ma i Delegati non gli ho nominati io. Pure ammettiamo che siano brava gente. E gl’Ispettori? Eccetto il prete Romano, che tu hai da conoscere – dio mio che roba! L’Ispettore di due circondari riuniti – Casoria e Pozzuoli – tra tante belle cose fece anche questa: per favorire due femmine inventò di pianta e comunicò al Sottoprefetto di Pozzuoli una deliberazione del Consiglio Scolastico. Era una falsità; avrei potuto mandarlo alla Corte criminale. Pure ne parlai al Consiglio; e il Consiglio deliberò di riferire al Ministero. Detto fatto, con tutti i documenti. Sono più di tre mesi; il ministero non ha risposto. Posso io credere agli specchi di questo Ispettore? E se ci credo e m’inganno e sono ingannato, può il Ministero che lo mantiene al posto, pigliarsela con me? E non devo credere io a un Ispettore, che è tanto su nella stima dei suoi Superiori da tenere due Circondari e poter fare il falsario senza altra paura che quella di esser promosso? – E ritornando al Consiglio, prima si componeva delle due coppie di Consiglieri comunali e provinciali, e dei capi degl’istituti normali, tecnici e classici governativi, i quali ultimi aveano l’obbligo d’intervenire, e intervenivano. Intendevano la materia. Furono tolti, perché si disse, non possono fare da giudici e parte nello stesso tempo. – Io mi son preso la curiosa pena di paragonare gli specchi degl’ispettori e quel69. Bertrando era stato nominato provveditore agli studi per la provincia di Napoli dal ministro Broglio il 18 gennaio 1868.
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li dei delegati. Dove nella stessa scuola di un dato Comune l’Ispettore diceva: 20 alunni, il delegato diceva 40, e viceversa: dove quello: 3 anni di permesso, questo diceva 5, e viceversa. Etc. Dunque in conchiusione accidenti e sempre accidenti anche in questo. Dunque – per questo anno o almeno per questa provincia – i sussidi saranno distribuiti colla stessa norma sicura, con cui i nostri gran signori d’una volta il dì delle nozze distribuivano danaro alla folla sottoposta dai balconi del palazzo: aprivano il pugno, e chi raccoglieva raccoglieva. E chi no, andava con Dio, sperando di essere più fortunato un’altra volta. – Lasciando lo scherzo, dico che la Commissione può far del gran bene per l’avvenire, cioè stabilendo criteri buoni etc., e norme per i dati o elementi. Ma qui ti voglio. – Basta di ciò. Ti direi quasi di leggere questa sciocchezza alla rispettabile Commissione per la mia difesa; ma non oso tanto, appunto perché è troppo rispettabile. È bene però che si sappia – in verità m’importa poi punto o poco – che la colpa non è tutta mia, e che pasticci io non ne fo sapendo di fare pasticci. Dunque non ho fatto che mandare gli elementi. Veri o falsi, giudicate voi. Basta per oggi. Domani ti dovrò scrivere su altre cose. Tuo Bertrando AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
418 A Silvio Spaventa Napoli, 21 giugno 1868 Mio caro Silvio, Ieri ti ho scritto una filastrocca, senza capo né coda, sui sussidi. Oggi devo dirti d’una faccenda, che ha di certo un capo e potrà avere una più brutta coda, e che se è tale quale la so io – e pare di sì, non la so proprio digerire. Ecco dunque di che si tratta. – Tu conosci l’Amicarelli, e sai che brav’uomo sia. Un venti giorni fa, un tal Emanuele Bardare,70 un mezzo faccendiere e imbroglioncello, protetto dal nostro buon Pironti e da Nicola,71 disse a un ispettore che l’ha riferito a me come Provveditore: Devi fare un’inchiesta segreta sul Preside del Liceo Vittorio Emanuele per incarico ricevuto ab alto; si tratta di cose grosse: negligenza nell’ufficio di rettore e di preside, commercio con femmine fuori e dentro il Convitto, di notte; furti sulla cassa del convitto d’accordo coll’Economo; etc.: ci è stato un ricorso anonimo. – Come c’entra, diss’io tra me, il Bardare a proposito di Amicarelli e del Liceo? Fosse una spacconata! E mostrando una specie di curiosità femminile ebbi dall’ispettore l’offerta di migliori informazioni. Queste, cavate di bocca allo stesso Bardare, furono le seguenti. Io, diceva costui all’ispettore, ho ricevuto l’incarico dal Questore, il quale l’ha ricevuto dal Ministero: Ho già indagato e riferito; certe cose sono vere; 70. Leone Emanuele Bardare (1820-1874), poeta noto soprattutto per aver integrato il libretto del Trovatore di Giuseppe Verdi. 71. Nicola Schiavoni Carissimo (1818-1904), politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia nelle legislature VIII e XV, senatore dal 1886.
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etc. – Cascai dalle nuvole più di prima. Tu sai come corro io, quando mi metto a riflettere e a ragionare o sragionare! Io diceva dunque tra me: E come c’entra di botto il Questore a inquirere contro un Preside Rettore, dove c’è un Provveditore? E dove questo Preside rettore è un Amicarelli? E quale Ministero ha incaricato il Questore? Quello dell’Istruzione Pubblica? E non c’ero io? Non c’era il Prefetto, Presidente del Consiglio Scolastico e Soprintendente dell’istruzione nella Provincia? O forse il Prefetto, incaricato dal Ministero di Pubblica Istruzione, ha girato l’incarico al Questore? E il Questore al rispettabile Bardare? Ma di nuovo, non ci ero io? Non poteva il Prefetto rivolgersi a me? E lo stesso Questore non poteva dipendere da me (non so se io avrei accettato questa dipendenza; dico così per dire)? Ovvero è un altro Ministero quello, da cui è venuto l’incarico? Per esempio quello dell’Interno? Giacché non credo che abbia potuto essere quello di casa reale o dei lavori pubblici. Ma dunque il Prefetto ci entra; giacché non credo che il Ministero dell’Interno abbia potuto incaricare direttamente il Questore. E di nuovo, perché il Prefetto non si è rivolto a me, Provveditore? Il povero Amicarelli – un ex deputato della maggioranza, un letterato, un preside di uno dei primi licei del Regno, un ufficiale di Santi Maurizio e Lazzaro – è rotolato tanto giù, da cadere in mano al primo che s’incontra per strada, a un Bardare? E così via via di galoppo colla fantasia, che non ti so dire. – Pure, qui ci vuol prudenza, diss’io. E se tutta questa storia fosse una invenzione di Bardare? Possibile che il Ministero, il Prefetto, il Questore? Amicarelli e Bardare? Mi misi dunque a investigare anch’io. Ed ecco quello che ho saputo di certo, da non potere dubitare, punto punto. 1. Vero il ricorso contro l’Amicarelli al Ministero di Pubblica Istruzione. Ricorso anonimo. È accusato di negligenza nell’ufficio; di non visitare le scuole come preside; di non attendere alla disciplina del Convitto come rettore; di ritirarsi tardi la notte; di andare a giocare a casa di Pisanelli e D’Afflitto. E le femmine? Non ho potuto sapere fin lì; cioè, non già se Amicarelli frequenti le femmine, ma se di femmine si parli nel ricorso. Lo stesso dico dell’altro capo di accusa: i furti. [La persona, da cui ho questa e le seguenti notizie, non so se non sappia altro lui, o sapendo di più non abbia creduto bene dirmelo]. 72 2. Il Ministero dell’istruzione Pubblica manda il ricorso al Ministero dell’Interno, dicendo: sebbene anonimo, e gli anonimi devono essere trattati come anonimi, pure fatene materia d’indagini etc. 3. Il Ministero dell’Interno incarica il Prefetto; il Prefetto il Questore; il Questore Bardare. 4. Bardare indaga, e indagando va per Toledo coi capi d’accusa in mano, e ne parla a chiunque incontra per via. Riferisce: vera la negligenza, vera la tarda ritirata. E le femmine? La mia persona di fiducia tace anche su ciò, come innanzi. Può darsi che non abbia voluto dirmi tutto. 5. Dalla Prefettura si domanda alla Questura: chi ha dato le informazioni a Bardare (forse l’autore o gli autori stessi del ricorso) potrebbe attestare con firma le informazioni stesse? Non so la risposta. Questo è il filo d’oro di tutta questa porcheria. E dico porcheria, almeno perché Bardare ha palesato la cosa a molti, i quali discutono di Amicarelli. – Ora, chi ha mandato l’attore al Ministero dell’Interno? Broglio? Non credo. Napoli? Quasi non lo credo. Barberis?73 Masi? E perché l’ha mandato al Ministero dell’Interno? Il Ministero 72. In questa lettera, caso unico, Spaventa adoperò le parentesi quadre. 73. Giuseppe Barberis (1821-1896), membro ordinario del Comitato per l’istruzione primaria e ispettore delle scuole secondarie presso il Ministero della pubblica istruzione.
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dell’Istruzione Pubblica non avea i suoi canali propri per dar sfogo all’affare? Perché ricorrere a un’altra cloaca? Per la qualità della materia, o per poca fiducia nei suoi propri dipendenti? O per altra causa? Il Masi, qualche mese fa, a Firenze mi parlò male di Amicarelli, e con una certa stizza: io lo feci tacere. Il Masi non è il povero Rosei. Non dico di più. Non potrebbe essere un basso intrigo? Per esempio ci è il ricorso anonimo. Se andiamo da Broglio, e gli diciamo: «provvedete o informatevi dall’autorità locale, dal Provveditore», Broglio potrà dire: ma Amicarelli mi dicono sia un brav’uomo; ovvero: vediamo cosa dice Spaventa. Ma costui sarà di certo favorevole ad Amicarelli. Facciamo dunque così: prepariamo un risultato d’inchiesta mediante il Ministero dell’Interno, in cui Spaventa non c’entrerà. Ci presenteremo con questo risultato a Broglio, e… poi si vedrà. Sono arzigogoli miei. Ma come vuoi che io non ne faccia, quando l’autorità scolastica non è punto interrogata, e la negligenza d’un preside, e anche la sua brachetta diventa affare di Questura? Non ho bisogno di far notare a te, che conosci Amicarelli, come si deva qualificare tutta questa faccenda. Te ne scrivo con tanta pazienza, perché tu sappi quanto m’importa. Mi dorrebbe se Amicarelli fosse sacrificato; per lui, e per il Liceo. Vedi dunque di sapere cosa c’è; come la cosa è andata al Ministero dell’Interno; perché non sono stato interrogato io, etc. E se t’accorgi che l’intrigo c’è, e sia riuscito, salva Amicarelli. A costoro (non parlo di Broglio, né di Napoli) non piace forse che io faccia il Provveditore qui; non per il Provveditorato ut sic; ma perché se io non facessi il Provveditore, dovrei oggi o domani cessare di essere membro del Consiglio Superiore. E allora si comincia a fare dei piccoli dispetti. Il Provveditore sbrighi le carte; ma nessun segno di stima e di fiducia da parte nostra. S’irriterà; e il resto si sa. – Senti per esempio questa. Hanno incaricato qui di fare l’ispezione nei Licei due professori dell’Università: il Fergola 74 (bravo uomo e capace) e il celebre filologo – che non ha stampato mai nulla – Lignana. È una cosa eccellente, e non eccezionale; è nei regolamenti; e tutti i Licei, almeno di questa provincia, stanno ricevendo ora questa visita. Anche in altri anni si è fatto così nelle provincie; a Napoli no; si avea allora un certo riguardo al Regio Delegato, che era l’Imbriani, e poi io. Per Napoli dunque l’ispezione è una cosa nuova. Ma sia pure; si deve fare così; sebbene io non credo che da tante coppie d’ispettori, diverse, con diversi criteri, l’una ignara di quel che sa e ha toccato con mano l’altra, possa risultare un’unica corrente elettiva come da quelle della pila. Non sarebbe stato meglio una commissione unica, che avesse avuto l’incarico di visitare tutti i Licei del Regno per esempio? Due, tre, quattro anni; ma una misura, un criterio, possibilità di paragonare, etc. Dunque, diceva, transeat; il Provveditore non ha tempo di fare l’ispezione lui; dunque veniamo in suo aiuto. Niente niente di tutto ciò: i due ispettori sono stati nominati, e si son messi all’opera (anzi il Lignana ha fatto annunziare sul Pungolo, che era Regio Commissario), e il Ministero – cioè Barberis e Masi, non ne ha scritto nulla. C’est trop fort. Quel picozzo del Masi mi renderà ragione di questa mancanza di galateo. Se io fossi te, gli tirerei bene le orecchie; perché metta giudizio, e non vada innanzi. Ma se fosse più che mancanza di galateo? – Tu solo puoi vedere, indagare e saper ciò. Io ho preso sul serio questa mancanza; non ne ho scritto ancora nulla; ma aspetto che cosa farai tu; puoi parlarne a chi credi, anche al Broglio; io non giudico l’invio degl’ispettori, né gl’ispettori; giudico e mi lamento del silenzio tenuto con me. 74. Emanuele Fergola (1830-1915), matematico, professore di astronomia e rettore dell’Università di Napoli, senatore del regno d’Italia dal 1905.
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Dunque regolati tu; già ti ho detto e seccato abbastanza. Erasmo 75 mi ha fatto leggere una lettera di Cardone, che dice che il giudice di Atessa, Vitelli, fa propaganda contro di te a favore di Melchiorre, 76 il quale vorrebbe rientrare in quel Collegio in caso di nuove elezioni. È vero che De Filippo lascia i sigilli e sarà nominato Procuratore generale militare al posto del Tronchetta? Non tornerebbe al Consiglio di Stato? Dimmi quando partirai per Viareggio, e dove devo mandarti i danari. Sto bene colla famiglia, sebbene questo Provveditorato mi annoia e opprime. Isabella e i ragazzi ti salutano. Scrivi. Tuo Bertrando AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
419 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 23 giugno 1868 Una Commissione del Consiglio Superiore ha fatto un progetto di riforma dell’Insegnamento Superiore, in cui è abolita, tra le altre, la cattedra di Storia della medicina, nella facoltà di medicina, quella di Filosofia nella facoltà di filosofia (è conservata solo la cattedra di Storia della filosofia); etc. 77 Ci è un articolo transitorio: «I professori ordinari che nell’applicazione di questa legge non troveranno collocamento, saranno messi in disponibilità». Dunque, io e tu andremo a spasso. Pare dunque che si avvererà ciò che ti scrissi più mesi fa: io andrò a morire a Bucchianico in casa tua, giacché la mia casa di Bomba non esiste più da un gran pezzo. Credo che nella commissione ci sia Pasqualino.78 Questa notizia resti fra noi. SNSP, XXXI.D.7.2, (ed. in Croce, Ricerche, p. 6).
75. Erasmo Colapietro. 76. Nicolò Melchiorre. 77. Cfr. Lettera del ministro Broglio al Consiglio superiore sul progetto di riforma universitaria, in Fonti per la storia della scuola, V, L’istruzione universitaria (1859-1915), a cura di Gigliola Fioravanti, Mauro Moretti, Ilaria Porciani, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali-Ufficio centrale per i beni archivistici, 2000, pp. 192-194. 78. Pasquale Villari.
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420 A Silvio Spaventa Napoli, 23 giugno 1868 Mio caro Silvio, Ricevo in questo momento il progetto di riforma degli Studi Superiori fatto dalla Commissione del Consiglio Superiore. Ci do un’occhiata. Nella Sezione Lettere e Filosofia (la presente Facoltà a cui appartengo io) della futura gran Facoltà filosofica a uso antico e tedesco moderno (anche le scienze naturali e matematiche) di filosofia non ci è che la Storia della Filosofia; la filosofia propriamente detta è tolta. Più: i Professori ordinari son tre soli. Più: quegli ordinari che non potessero aver collocamento nell’applicazione della nuova legge, andranno a casa con 4 anni di disponibilità. Capisco che ci è tempo. Ma… un giorno o l’altro, se il progetto è adottato, se cattedre di filosofia non ci sarà, se i professori ordinari non ponno esser che tre, un ministro baron fottuto che applichi la legge nuova non trova modo di collocarmi e mi manda al diavolo. – Tutto può avvenire in Italia! Credi tu che valga la pena che io intervenga al Consiglio pro domo mea? Il progetto si discuterà nella prossima seduta. Potresti darmi chiarimenti sulla cosa, e come sia andata la esclusione della Filosofia? Domandane a Bonghi. Insomma scrivimi subito. Curioso! Dopo tanti anni dover ricominciar da capo. Messo in disponibilità, domanderò di far il percettore come Serino alla Borra, che ha 4 cavalli. Vorrei sapere se il progetto si discuterà di certo nella prossima riunione. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 30).
421 A Silvio Spaventa Napoli, 30 giugno 1868 Mio caro Silvio, Eccoti un vaglia di £ 300 per ora; tra giorni il resto. – Ho ricevuto la tua lettera, e prendo atto delle promesse del Ministro. Ma non credo se non tocco: cioè se non scrive. Scrivo di fretta. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
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422 A Silvio Spaventa Napoli, 11 luglio 1868 Mio caro Silvio, Nella mia lettera sull’affare Amicarelli79 ti parlai per incidente d’una cosa che mi riguardava più direttamente, cioè della nomina fatta dal Ministero, senza mia saputa, di due Ispettori straordinari delle scuole secondarie governative (Fergola e Lignana) a Napoli. Mi scrivesti che avevi fatta leggere quella lettera al Broglio, ma non mi dicesti cosa ti avesse egli detto su questo punto. E pure era un punto che meritava una risposta. – Per quanto mi ripugni l’occuparmi di pettegolezzi (preferirei piuttosto di essere impiccato), nella mia condizione qui di Provveditore etc. e con cotesti impiegati Superiori del Ministero che mi trattano così male mi ci sento tirare pei capelli. In verità poi non è un pettegolezzo. Non sarebbe, né anche se io fossi un semplice Provveditore di mestiere, come il Felicetto Nisio,80 o il Cavalier Fenili, o gli stessi Commendatori Barberis o Gatti o Sorci che siano: io sono un professore dell’Università, un membro del Consiglio Superiore, un membro dell’Accademia di Scienze morali e politiche, e ho pensato e scritto qualcosa, che il Ministero non conosce e fa bene a non conoscere; e, vuoi o non vuoi, la persona vale più dell’ufficio, quando alle altre persone che coprono lo stesso ufficio. Se mi avessero scritto: «Lei ha tanto da fare; vogliamo mandare due ispettori, due suoi colleghi; che ne dice Vostra Signoria?», passi pure; sebbene… Ma non dirmene nulla, mandarmeli qui, e fottersene di me in modo così villano, è un boccone che io non ho potuto né posso digerire. La cosa è stata notata ed è parsa nova e strana a moltissimi qui; e ci è voluto il bello e il buono per schermirmi dalle curiose interrogazioni di questo e di quello. Che avrebbero detto, se avessero saputo che io non era stato, non dico consultato, ma né manco avvisato? I due Ispettori poi hanno recitato molto bene la loro parte. Il Fergola è un buon uomo, e valente nelle matematiche; il Lignana, tu sai chi è: il più falso dei tanti piemontesi che io conosca, servo della Permanente, un Ropolo professore: e ha tirato a cavezza l’altro. In breve, questo tristo, che ha una riputazione colossale di gran filologo e di conoscere quasi tutta la lingua e la letteratura viva e morta, e sa di teologia e di filosofia e di altro, e in verità non intende né meno il greco, e pochissimo il latino, e scrive l’italiano come un saracino, e, mentre chiama bestia il Gervasio81 e il Flecchia,82 non ha mai dal 1850 in qua interpretato né commentato un manoscritto sanscrito, e, mentre l’Ascoli83 declina e coniuga nomi e verbi e compara e induce e indaga e stampa, lui non fa che chiacchierare e intrigare e turbare la pace di questo e di quello… Dunque questo diavolo zoppo ha fatto e detto con una tal quale accortezza tali cose, da far nascere ingenuamente nella testa dei più il pensiero che a lui siano stati dati pieni poteri, sopra, contro e fuori del Provveditore. Potevo io chiedergli le sue credenziali? Il Fergola – voglio credere senza capire – l’ha secondato. È vero che non è mancato il lato comico, per dimostrare una volta 79. Cfr. lettera 418. 80. Felice Nisio (1815-1894), era stato, insieme al fratello Girolamo, scolaro di De Sanctis a Napoli. 81. Agostino Gervasio (1784-1863), epigrafista e cultore di studi archeologici e umanistici. 82. Giovanni Flechia (1811-1892), glottologo e orientalista, senatore del regno d’Italia dal 1891. 83. Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907), linguista e glottologo, senatore del regno d’Italia dal 1889.
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di più la serietà di tali ispezioni, ordinate a caso, senza un disegno generale; e per la sola ragione che ci è una somma da spendere, da quelle teste classiche, letterate, alfabete, che sono il Masi e il Barberis, molto note – come i loro colleghi Gatti e Bertoldi – nella repubblica delle lettere. Ma il lato comico apparisce comico a me e a pochi altri; i più stanno con la bocca aperta e le orecchie tese; e hanno ragione di dire: il Provveditore è uno sbrigacarte, a cui si dà il difficile e delicato incarico di scrivere a tal di tale, perché mandi al Ministero un francobollo d’una lira da apporre a un diploma d’insegnante (testuale). Capisco che io non devo badare a delle inezie; ma metti insieme la faccenda dell’Amicarelli (Broglio m’ha scritto, come t’avea promesso e io lo ringrazio) e questa degl’ispettori e qualche lettera, in cui io riconosco lo stile alla Ranalli del Masi, un po’ troppo sans façon e pedantesca, e vedi se non ci deva essere qualche momento in cui io perda la pazienza e sfoghi il malumore. Trinchera mi diceva a Modena e mi ripete sempre qui quando lo vedo, che bisogna mostrare gli artigli in ogni occorrenza; chi si fa agnello, lupo se lo mangia. Io non invidio a Trinchera la rotondità della pancia, l’adipe della nuca e i due cavalli bianchi della sua carrozza; ma quanto agli artigli gli do ragione. Non per spiegare gli artigli, ma perché non ne potevo più, ho scritto una lettera riservata al Ministero, nella quale prendendo occasione da un’altra inezia gli parlo anche di quella che è causa del mio cattivo umore.84 Io ti mando questa lettera, che è una continuazione di una mia precedente, in cui gli accennava per dovere di ufficio il fatto, senza nominare alcuno, riserbandomi di scrivergli poi con maggiori particolari. Leggila: e così mi risparmio la fatica di raccontare di nuovo a te la cosa. Nota l’intervento del Ropolo; a cui io non ho fatto mai male né bene. Ma son tutti così, legati tra loro contro di noi. Ora se questa lettera la giudichi presentabile, una delle due: o presentala tu stesso a Broglio e commentala; ovvero mettila a dirittura alla posta. A me importa che quei del Ministero sappiano il contenuto della lettera. È necessario, dico io, che il Ministero mi dia una certa sodisfazione per l’offesa che mi ha fatto: una sodisfazione non tanto alla mia vanità, quanto all’altrui che, vuoi o non vuoi, si mette in luogo della mia: sia pure un nastro di maggior dimensione, una commenda, o che so io, tanto da, non dico, rallegrarmi, ma far crepare qualcuno che non chiamato s’occupa di me e dei fatti miei. Vedi che già son ritornato di buon umore, e scherzo. Pure il Pungolo nei numeri posteriori continua a occuparsi dell’opera mia per la faccenda degli esami; è sempre Ropolo e dietro di lui Lignana che fanno il loro mestiere. 85 Costui seguita a far lo spaccone; ha fatto intender a più d’uno – segretamente – ch’ei rimarrà ispettore permanente, e tante altre cose. Son quasi certo poi, che riferirà cose da chiodi su dei buoni professori, che di greco e di latino e d’italiano e in generale di studi classici, ne sanno più di lui; e forse anche sui presidi; e perché no sul Provveditore? – Il Lignana è il più grande infarinato che io abbia mai conosciuto in vita mia; e se è vero che una delle qualità dell’ingegno serio è il parlare a proposito, come si dice, e il mettere le cose, ciascuna al proprio posto, costui ha tanto ingegno, quanto ha ordine il caos. E io non parlo del caos primitivo, padre o madre, non ricordo bene, dell’ordine; ma di quello posteriore, che distrugge l’ordine. Figurati! Nella classe di Millo per esempio (1a ginnasiale: la sestella o quintella dei nostri antichi Seminari) faceva agli scolari interrogazioni come questa: mi dica le funzioni proprie di ciascuna lettera dell’alfabeto. E nella 2a: la teorica del verbo; e: il fonetismo; e la geografia comparata; e la grammatica comparata; etc. Io, scolaro, gli 84. Si riferisce alla nomina a ispettori straordinari delle scuole secondarie governative di Fergola e Lignana. 85. Nel manoscritto: «mestieri», corretto lapsus calami.
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avrei detto: professore, traducetemi questo luogo d’Orazio o di Pindaro. Se questo gran teologo fosse andato a visitare una scuola elementare, a proposito di storia sacra avrebbe parlato e dimandato di esegesi biblica e della Scuola di Tubinga, etc. Questo è l’uomo. Capisco che sono ridicolaggini; ma il male è che se le cose continuano così, avremo un guazzabuglio peggiore dell’ignoranza che abbiamo ora. Cosa vuol dire studii classici nei ginnasi? Lingua, lingua, e lingua; imparare a tradurre e scrivere; invece si vuol parlare di leggi fonetiche a quei che non sanno bene l’ortografia. E nei licei? Letteratura, letteratura, letteratura, come si può. I Ginnasi e i Licei sono luoghi, dove si possa parlare di filologia e letteratura, geografia comparata? Ma ci è un vantaggio o compenso: il comparare (cioè ripetere le comparazioni fatte da altrui) dispensa dal conoscere le cose su cui cade la comparazione; io so la grammatica comparata ariana, ma non so né il sanscrito, né il greco, né il latino, né etc. – Ma basta. Una nota alla lettera al Ministero. Nell’anno passato, quando io non era più Delegato di dritto ma solo di fatto, feci il facchino, acciocché la prima prova della Giunta centrale di esame per la licenza liceale riuscisse bene in Napoli; e feci stupire della mia facchinaggine gratuita tutti i Commissari, e in particolare l’Imbriani. Il Lignana, Commissario anche lui, finse d’istruire; ma terminata la sessione, propose in una riunione dei Commissari un voto al Ministro di biasimo contro di me, perché, diceva lui, io avea profanato la santità delle sedi d’esame con la presenza degli agenti di pubblica sicurezza travestiti. Il vero fu, che gli agenti furono mandati non nelle sale di esame, ma nelle Corti, e non per ordine o preghiera mia, ma per disposizione del Prefetto Marchese Gualterio. E pure, circa tre mesi fa, quando ritornai da Firenze e aveva ricevuto dal Brioschi facoltà di proporre i Commissari per quest’anno e la promessa che le mie proposte sarebbero state accettate tali e quali, domandai al Lignana – il quale venne a trovarmi nell’Ufficio e a parlarmi di questo e di quello, come fanno i Piemontesi, bonariamente – se volesse esser Commissario. Mi rispose, che non avrebbe accettato, ma che desiderava di essere nominato, perché non si dicesse che lui non era nominato. Ed io: Ma io non posso accomodarmi a tali giuochi di novità. E non se ne parlò più. Quando poi, un mese fa, mi occupai di formare le Commissioni esaminatrici, non l’invitai come Commissario. Intanto il Lignana, mediante il Ropolo, stampa sul Pungolo, che invitato avea declinato l’incarico. Non volli smentire la notizia per non far pettegolezzi. Il fatto è, che io lavoro come un somaro, 5 ore al giorno, né più né meno. È una situazione un po’ dura; ma io fo il mio dovere; e pazienza. Ma per dio, non vorrei essere seccato, e costretto a infastidirmi con delle sciocchezze simili a quelle di cui ti scrivo. Io non temo punto questo birbo fanfarone; dica ciò che gli pare di me e dei fatti miei, ripeto, io non lo temo. Ma potrebbe fare qualche brutto tiro a qualcuno che non lo meriti, e ciò mi dorrebbe. Non vorrei che alle sue parole si desse costà maggiore importanza di quella che si deve a un cialtrone suo pari; qualche proposta sua a danno di qualche professore o chi si sia, accettata e approvata senza saputa mia, al solito – mi farebbe montare in bestia sicuramente. In conclusione dunque io ti scrivo così, currente calamo, per due cose. 1. perché conosca e consideri il torto che m’hanno fatto costà. 2. perché veda di non farmene fare uno maggiore; e questo sarebbe l’accettazione, senza saputa mia – senza che io fossi per nulla consultato – delle proposte di quei Signori. Per me, se devo restare e resistere ancora qui, a questo banco di forzato, è questo un punto di massima importanza; giacché dàlli oggi e dàlli domani, finalmente la pazienza scappa, e un calcio al banco, e tutto è finito. AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
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423 A Silvio Spaventa Napoli, 26 luglio 1868 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto, perché sono stato (e sono ancora) occupatissimo in questi benedetti esami di licenza liceale: una delle grandi invenzioni dei nostri grandi uomini nati in una notte come i funghi. Domani avrai lettera più lunga. Io sto benissimo colla famiglia. Vidi ieri sera Federico Casanova.86 Saluto Decoroso.87 Tuo Bertrando P.S. Ti mando un vaglia di £ 200 fatto sin dal 17. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
424 A Silvio Spaventa Napoli, 27 luglio 1868 Mio caro Silvio, Ti scrissi ieri due righi per dirti che stavo bene con la famiglia, e mandarti un vaglia di £ 200. Ti dico in verità, che non so ancora cosa risolvere su quella disposizione del Broglio, a mio favore, di cui tu mi parli nella tua penultima lettera. Da una parte, quando rifletto alle fatiche che sopporto, alle seccature, ai fastidi che mi reca questo Provveditorato, vedo che merito questo e altro. D’altra parte, che vuoi che ti dica? Sono così di cattivo umore contro non so che e non so chi, che rifiuterei questo e altro. Questo cattivo umore lo vedrai da una mia lettera, scritta da molti giorni, nella quale ti acchiudeva un’altra per il Ministro, e che non ti ho mandato finora non so né men io davvero perché. Vedrai che è un pettegolezzo; ma pure non tanto. 88 Dopo quella disposizione del Broglio io te la mando quasi come documento soltanto dello stato dell’animo mio. Non ti dico ora, come prima, di presentarla o di farla capitare nelle mani proprio del Broglio. Fa ciò che ti pare; tu puoi essere più prudente di me e considerare meglio ciò che convenga fare. Pure non credo inutile del tutto, che il Broglio ne sappia qualcosa, qualunque sia il modo. Ripeto, me ne rimetto interamente al tuo giudizio. Non ti dico di più su questo; bada a conservar bene queste lettere, e lacerale anche. Ma rispondimi. E ti raccomando il Ropolo. Finalmente hai parlato alla Camera;89 e ti sei misurato col gigante Sella! Era tempo! Finora non ho avuto che la coda del tuo discorso; al solito il rendiconto ufficiale giunge 86. Federico della Valle, marchese di Casanova (1828-1890), militare e patriota liberale. 87. Decoroso Sigismondi. 88. Cfr. lettera 422. 89. Discorso del 23 luglio 1868 sull’articolo 25, relativo al contenuto dell’esercizio dell’anno finanziario, in risposta all’onorevole Sella, che si può leggere in Discorsi parlamentari di Silvio
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irregolarmente. Spero di avere domani tutto il discorso. Se no, ti scriverò perché me lo mandi intero. Forse ti scriverò di nuovo domani per darti delle seccature per altri. Ieri dopo 26 anni, credo, ho preso un bagno di mare. E mi sento bene. – Dimmi quando partirai per Viareggio. Saluto Decoroso.90 Addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
425 A Silvio Spaventa Napoli, 31 luglio 1868 Mio caro Silvio, Mi hai da rispondere subito su ciò che ti scrivo. Quando io venni costà ai primi di Dicembre al Consiglio, fui nominato dal Consiglio stesso membro della Commissione dei libri di testo; e quando venni di nuovo per andare a Bologna, mi diedero a esaminare una Grammatica italiana del Pansini91 (quel prete con cui abitava De Sanctis nel 48, amico di Villari). Partendo per Bologna, lasciai quella Grammatica nel Cassettone della Camera di Bonghi; ritornato a Firenze, ripartii subito per Napoli, e non ci pensai più; tanto più che avea già avuto l’incarico di Provveditore qui. Con tutto ciò mi mandarono un altro libro qui da esaminare. Io scrissi al Villari, presidente della Commissione e per ordine di cui il libro m’era stato mandato, che io lavorando qui nel Provveditorato, non potevo occuparmi di esame di libri. La risposta fu l’invio di altri libri, sempre per ordine dello stesso presidente della Commissione. Non me ne diedi per inteso. Ora è qualche tempo, che prima per ordine del Villari, poi del Vice Presidente del Consiglio mi si richiedono dal Segretario i libri colle relazioni. Scrissi di nuovo al caro Pasqualino;92 mi facesse il piacere di cercare quel libro del Pansini in casa di Pietro93 e facesse lui la relazione; e quanto agli altri, io non avea tempo né anche di leggerli, perché occupatissimo qui nell’Ufficio. Pasqualino mi ha risposto con una di quelle lettere sue curiose; non dico insidiose: «La Commissione si lamenta che essa sola lavora, e tu no; se non puoi esaminare i libri; dimettiti da membro della Commissione, etc.». E pure io l’avea pregato di acconciare lui la cosa senza tante formalità. È vero sì o no, che io lavoro qui, e ogni giorno, etc.? E ciò per incarico avuto dal Ministero? Sono dunque io obbligato anche a lavorare per il Consiglio e nel Consiglio come ogni altro? Spaventa, pubblicati per deliberazione della Camera dei deputati, Roma, Tipografia della Camera dei deputati, 1913, pp. 20-27. 90. Decoroso Sigismondi. 91. Orazio Pansini, nato a Molfetta, fu scolaro di Francesco De Sanctis, che lo ricorda nel capitolo XXIV della Giovinezza; autore dei Nuovi elementi di grammatica italiana, quarta edizione, Cosenza, Tip. di Migliaccio, 1866. 92. Pasquale Villari. 93. Pier Silvestro Leopardi.
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Ora qui potrebbe stare non dico l’insidia, ma un po’ di buona malignità di Pasqualino; obbligar me a scrivere al Consiglio: vedete, io sono qui come Provveditore; dunque non posso, etc. E quindi una discussione sulla mia posizione di Consigliere facente funzione da Provveditore; etc. E quindi il Gatti di mezzo, e qualche altro imbroglione. – Nota; anche dopo l’ultima mia a Pasqualino, ho ricevuto un sollecito dal Segretario. Dunque, cosa devo fare? Scrivere costà? E a chi? Al Ministro? Ed ecco il Gatti in mezzo. Al Vice-Presidente? Ed è probabile che se ne parli in Consiglio. Perciò io scrissi al Villari, che avrebbe potuto comporre la cosa in modo semplice; ma si vede che ha finto di non capire. Puoi accomodarla tu costà, e subito, e in modo che io non sia più seccato? Hai capito di che si tratta; e basta. Il resto lo puoi sapere o capire dallo stesso Villari. – Ma rispondimi subito, quanto più subito potrai; perché Villari mi secca e se mi scappa la pazienza, gli scriverò forte! Tuo Bertrando Fammi sapere quando andrai a Viareggio. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
426 A Silvio Spaventa Napoli, 1 agosto 1868 Mio caro Silvio, Isabella ed io ti raccomandiamo di rimandare per mezzo di Fornaro la roba che non ti serve più. Non puoi figurarti di quanta utilità essa sia; e quando verrai qui ti farai delle grasse risate. Non te ne dimenticare. Hai ragione su quella lettera al Ministro; lo capivo anch’io. Ma che vuoi, certe volte si diventa pettegolo per forza. Pure è bene parlarne in qualche modo. Io poi non ho ricevuto nessuna lettera dal Ministero che spieghi come sia andata la nomina di quegl’Ispettori.94 Ho letto il tuo discorso e quello del Sella. Nel tuo ci è anche una dote estrinseca che non m’aspettavo tanto, cioè la facilità. Però non hai acquistato ancora l’arte di stemperare un concetto in un lago di parole, come fanno anche i migliori costì. Il discorso ha troppa densità. Scrivo di fretta. Occupati di ciò che ti scrissi ieri, e toglimi o suggeriscimi il modo di togliermi da tanta seccatura. Tuo Bertrando Accetta di far parte della Commissione d’inchiesta.95 È sempre bene per tanti rispetti. AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
94. Cfr. lettera 422. 95. Il ministro della pubblica istruzione Broglio aveva nominato Silvio membro di una commissione d’inchiesta sulla istruzione primaria (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 115).
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427 A Silvio Spaventa [Napoli, 19 agosto 1868] Caro Silvio, Ti scrivo due righi per dirti che sto bene, quantunque oppresso da tutti questi guai e fatiche del Provveditorato: e per raccomandarti Antonio.96 Su ciò non ti dico altro. Sento dire oggi stesso, che vogliono abolire il Liceo Principe Umberto.97 Il Lignana è stato a Firenze, per appoggiare la sua Relazione sull’ispezione. Forse lui avrà proposto ciò. Può darsi che voglia collocare nell’altro Liceo Vittorio Emanuele qualche professore di Principe Umberto, suo amico e piemontese. Ci può essere qualche imbroglio; è capace di tutto. L’anno passato quel Liceo fu aperto con gran leggerezza, senza interrogare l’autorità locale, e per raccomandazione di Abignente, sotto Coppino. Con la stessa leggerezza potrebbero chiuderlo ora, e anche senza dire nulla a me. Ciò mi dispiacerebbe, naturalmente. Te ne scrivo, per evitare inconvenienti; perché non so cosa farci e risolverei nel caso. Quelle due lettere del Ministro (affare Ispezione, e affare Consiglio Superiore, id est Villari98) non le ho ancora ricevute. Rispondimi subito, e in modo preciso. Saluto Decoroso.99 Ripeto, bada che il Lignana non sorprenda la buona fede di Broglio; e fa che io sia interrogato e considerato sulle mutazioni. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
428 A Silvio Spaventa Napoli, 2 settembre 1868 Mio caro Silvio, Ho ricevuto le tue lettere da Viareggio e da Firenze. – Eccoti Lire 200, per ora. Ma ti prego di non spendere molto. Io sono senza danari, con tutto quel che sai. – Ti aspetto dunque fra giorni. Fammi sapere quando verrai; voglio dire il giorno preciso. Dal Napoli – non ho ricevuto nessuna lettera. Minchionasse? Non so poi persuadermi come il Lignana non abbia mandata ancora la sua relazione – secondo l’assicurazione del Napoli – se è venuto costì a posta. Del resto non me ne importa; e non te ne parlerò più. 96. Antonio Labriola. 97. Dove Antonio Labriola, conseguito il diploma di abilitazione nel 1865, insegnava a Napoli. 98. Cfr. lettera 425. 99. Decoroso Sigismondi.
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Non ti ho parlato mai del Labriola100 padre, il quale vorrebbe migliorare la sua posizione, cioè da professore di 1 a ginnasiale – dove non sta bene, perché non ha pazienza molta coi fanciulli – passare a professore di storia e geografia nel Liceo stesso di Maddaloni. Questa lezione potrebbe farla benissimo. Ora lo fa il De Carli, quel monaco di Montecassino, che poi si ammogliò a San Germano etc. A costui converrebbe essere traslocato vicino Cesena, sua patria. Scrissi di ciò, or sono più mesi, al Barberis. Non potresti tu parlarne al Napoli? Il povero Ciccio sta proprio male come sta. Vedi di far qualche cosa per lui. Mi si assicura che anche Colucci e Quercia abbiano riferito favorevolmente. Scrivo di fretta. Rispondimi subito; e non ti prender collera se ti ho raccomandato di spender poco! Isabella e Millo e Mimì ti salutano e ti aspettano. La tua stanza è già apparecchiata come si deve. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Lettere politiche, p. 116).
429 A Giuseppe Fiorelli Napoli, 4 ottobre 1868 Mio caro Fiorelli, Il porgitore è la persona di cui ti parlai: Ferdinando di Coccorese, indoratore etc. Te lo raccomando di nuovo quanto io più possa. Tuo affezionatissimo B. Spaventa BNN, Ms. San Martino 780 bis. 116. 2 (inedita).
430 A Silvio Spaventa Napoli, 14 ottobre 1868 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua lettera, e mi rallegro che sei arrivato bene. Nei giorni scorsi sono stato poco bene: mal di capo, dolori allo stomaco, vomito, e qualche altra cosa; e tutto ciò in una notte. Sono un po’ stanco, ecco tutto. Da Febbraio sto lavorando come un facchino al Provveditorato, senza riposo; e questi santi esami di licenza liceale mi han dato l’ultimo crollo. Pure, ora vado meglio; e non ti mettere in pensiero per me; la crisi è passata. Ma 100. Francesco Saverio Labriola.
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vedo di aver bisogno di un po’ di quiete o di vacanza per un 15 o venti giorni, prima di ricominciare e ritornare alla fatica. Se no, temo che non mi manchino poi le forze. Dunque si potrebbe avere dal Ministero un breve permesso?101 Potrei andarmene da Napoli fuori all’aria aperta e sana per una quindicina di giorni? La mia posizione è ben curiosa; non ho chi lasciare qui a far le mie veci. Intanto tutto ciò che dovevo fare per il nuovo anno scolastico, l’ho fatto: tutto, tutto, tutto. È vero che ho da mandare ancora la Statistica delle scuole elementari. Ma che colpa ci ho io se il Municipio di Napoli, non mi ha rimandato ancora gli specchietti? L’altro ieri gli ho scritto per la millesima volta, e tante e tante volte ho pregato per questo e gli assessori e il Direttore. Dunque potrei andarmene per un po’ di tempo? Ma a chi lasciare la spedizione degli affari correnti? A qualche Ispettore? Non mi parrebbe conveniente; tanto più che si tratta anche di affari attinenti alle scuole secondarie nel Provveditorato. Dunque? Parla di ciò subito al Broglio, al Napoli o al Barberis. Per me incaricherei il Presidente del Liceo Vittorio Emanuele, l’Amicarelli: onestà, capacità, autorità, etc. Anni fa, nell’interregno tra Fusco e me nella Delegazione, ebbe un simile incarico. Dunque ottienimi un permesso e subito. E valga come domanda questa lettera, o falla tu. Mi si scriva, e nella stessa lettera in cui mi si concede un po’ di vacanza mi si dia facoltà di lasciare la firma per le cose correnti a Tizio o Caio, all’Amicarelli. In ultima istanza e in casi gravi ci è sempre il Prefetto. – Ti prego di far subito e rispondermi subito. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
431 A Silvio Spaventa Napoli, 15 ottobre 1868 Mio caro Silvio, Ricevo la tua lettera su Erasmo.102 Lo vedrò e gli dirò ciò che mi dici. Ieri ti scrissi per avere un breve permesso. Ti mando alcune lettere, tra le quali una di Mincantonio Sacchetti indirizzata a me su Berardo.103 Cosa devo rispondergli? O gli risponderai tu? Di fretta Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
101. Spaventa avrebbe ottenuto il permesso a partire dal 22 ottobre del corrente anno (cfr. lettera 433). 102. Erasmo Colapietro. 103. Berardo Sacchetti.
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432 A Silvio Spaventa Lanciano, 28 ottobre 1868 Mio caro Silvio, Sono qui da due giorni, e domani andrò a Bomba. Dopo aver pensato e ripensato dove dover andar a passare qualche settimana d’ozio, non ho trovato meglio che Bomba. Altrove Isabella e i ragazzi si sarebbero annoiati. Io sto bene. Eccoti un vaglia di £ 300. Rispondimi a Bomba subito. Di là ti scriverò di nuovo. È vero che han nominato Del Carretto Consigliere? Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
433 A Silvio Spaventa Bomba, 13 novembre 1868 Mio caro Silvio, Ti scrissi da Lanciano il 28 Ottobre e ti mandai un vaglia di £ 300, raccomandandoti di rispondermi qui. Non ho avuto nessuna risposta. Come va ciò? Si fosse perduto il vaglia? Meno male, che conservo lo scontrino. Fammi dunque sapere di che si tratta, e scrivimi a Napoli. Dove a quest’ora dovrei già trovarmi, perché il mio permesso è finito ieri. Ma da più giorni piove a diluvio. Partirò il primo dì di tempo mediocre, non dico buono. Se credi, informa di ciò il Ministero per un’altra settimana di permesso. Io lasciai l’ufficio il giorno 22 Ottobre. Il Ministero me ne ha fatte delle belle. Durante la mia assenza. Te ne scriverò da Napoli. Ora non ne ho voglia e sono troppo di cattivo umore. Voglio che ne parli di proposito al Broglio; se non vogliono avere niuna considerazione per me, non so se mi convenga star lì a fare il minchione. Ma di ciò a Napoli; o forse domani, se sarò di vena. Dimmi delle cose tue. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
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434 A Silvio Spaventa Napoli, 24 novembre 1868 Mio caro Silvio, Ieri sono tornato qui, molto stanco, e ho trovato la tua del 19. Non ti dico che mi rallegro della notizia che mi dai.104 Finalmente ti han fatta la giustizia; e ora sei più libero tu, e, anche un po’ più libero io. Questo benedetto provveditorato mi pesava sulle spalle, e ora mi sembra più leggero, perché posso farne ciò che voglio senza nuocere a te. Viva la libertà! Non mai come ora sento forte la forza di questa parola. – La tua nomina qui non si sa officialmente, ma si dà per certa: notizia del Pungolo. Io non ho detto nulla a nessuno. Intanto scriverò subito a Bomba, a Federico 105 a Colledimezzo, perché scriva a Montazzoli; farò scrivere da Erasmo 106 a Castiglione, etc. Farò ciò che potrò. Ma anche tu devi agire, e forte. Domani ti manderò una lettera da Atessa su quel Pretore, e ti dirò altro. Ora non la ho qui, che ti scrivo dall’Ufficio. Contemporaneamente alla tua ho ricevuto una lettera del buon Ciccone, che mi dà la stessa notizia. Bravo De Filippo! È morto, come sai, Leonardo Raffaele.107 Ci è posti di professori nuovi nella Camera? Rispondimi subito su ciò! Non sarebbe difficile che io fossi eletto, se ti dessi da fare. A Villa ci è il Castracane, che ho visto: cognato di Federico; a Palena ci ho amici molti; a Gesso i Fossi parenti di Federico; a Casoli i Ricci, idem, e i De Petra; etc. Nel caso che non ci sia posti vuoti, si potrebbe far eleggere per ora qualcuno, che non fosse poi difficile non far rieleggere nell’elezione generale. Rispondimi subito. A domani. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
435 A Silvio Spaventa Napoli, 25 novembre 1868 Mio caro Silvio, Ti scrivo anche di fretta, perché pieno d’impicci in questi primi giorni al Provveditorato. Ti mando le due lettere di Aminta Sacchetti sul pretore di Atessa. Che te ne pare? È un imbroglio. Scontento Cardone, ti mancherebbero molti elettori, anche a Casalanguida, 104. Si riferisce alla nomina a consigliere di Stato, che comportò la rinuncia alla carica di deputato nella X legislatura per il collegio di Atessa. 105. Federico De Laurentiis. 106. Erasmo Colapietro. 107. Leonardo Raffaele (1822-1868), deputato nella IX e X legislatura del regno d’Italia.
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perché egli è amico di Piscicelli, come mi ha detto Evandro108 a Lanciano, col quale ho parlato di ciò. Del resto tu te ne intendi più di me, e vedi tu cosa hai da fare. Cardone scrisse a Evandro, perché avesse parlato con Gabbia,109 dal quale sospettano aver avuto cattivi rapporti come vice-Pretore. Evandro vide Gabbia, il quale dice che non era vero. Intanto Colapietro mi assicura che sì. Credi che Codagnone ti possa nuocere? O potresti fare causa electionis qualcosa per lui? Rispondi alla mia di ieri. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
436 A Silvio Spaventa Napoli, 27 novembre 1868 Mio caro Silvio, Epimenio110 scrive da Atessa e mi raccomanda di ricordarti la faccenda di quella tale Cappella di Santa Maria delle Grazie, per cui è molestato usque ad mortem da quel Ricevitore di Registro e Bollo etc. Egli ti scrisse su ciò. Io non so se tu hai risposto alla sua lettera. Abbi pazienza, se non per te, almeno per me. Ieri venne a trovarmi il Codagnone. È curioso. È contentissimo di me; e si duole di te, che non hai voluto saperne del fatto suo. Gli ho detto più o meno come stava la cosa. Non so se si sia persuaso. E se ne è andato. Di fretta Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
437 A Silvio Spaventa Napoli, 27 novembre 1868 Mio caro Silvio, Ho ricevuto il telegramma. Scrivo a Federico,111 Evandro, 112 De Millo, Margadonna 108. Evandro Sigismondi. 109. Si tratta di Tommaso Gabbia, procuratore del regno d’Italia. 110. Epimenio Giannico. 111. Federico De Laurentiis. 112. Evandro Sigismondi.
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(Palena), etc. Vedrò oggi Turchi 113 e Croce.114 Ma per Porreca dovete scrivere e far scrivere dal Ministero a Ciccio Auriti cognato del Porreca. Di fretta. Saluto Ciccone. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
438 A Silvio Spaventa Napoli, 30 novembre 1868 Mio caro Silvio, Sei stato malato, e non me n’hai scritto niente. Meno male che il buon Ciccone mi scrisse, assicurandomi che eri già guarito. Scrivimi subito, e bada di non ricadere. Tu devi fare un po’ di moto, e strapazzarti un po’ e sudare. Bada per dio. Eccoti le altre 200 lire in vaglia per dicembre. Quando si annunzierà la tua nomina? 115 Scrissi per Ciccone. Sai che io sono stato estratto dal Consiglio Superiore.116 E me ne hanno dato già partecipazione. Sarò rinominato? Bada che non mi facciano qualche tiro; e parlane, se bisogna, anche a Ciccone. Rispondimi su ciò. Dovrei cessare alla fine di Dicembre. Scrivimi dunque subito. Isabella e i ragazzi tanti saluti. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
439 A Silvio Spaventa Napoli, 7 dicembre 1868 Mio caro Silvio, Ricevo risposta per l’affare di Ciccone da tutti quelli, a cui ho scritto, e tutti promettono di fare energicamente. Il sindaco di Casoli, De Petra,117 fratello di quello che tu hai visto al [Mafro], ci ha prevenuti. Mi si scrive che egli da buon Casolano, considerando che l’Aventino è senza ponte, e la riva del Sangro senza strada, etc., ha conchiuso: no113. Marino Turchi (1808-1890), medico e patriota abruzzese; dal 1861, insieme a Salvatore De Renzi , fu membro della Commissione municipale d’igiene di Napoli. 114. Pasquale o Raffaele Croce, cugini di Bertrando. 115. La nomina di Silvio a consigliere di Stato (cfr. lettera 434, nota 104). 116. Come membro ordinario, mantenendo tale incarico fino al 12 maggio 1881, allorché fu nominato membro per elezione. 117. Giuseppe De Petra.
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miniamo il Ministro d’Agricoltura etc., che non è ancora deputato. Gli ho fatto scrivere anche dal fratello per infervorarlo di più. So che Parduccio Franceschelli si presentava candidato. Me lo scrive anche De Nillo da Villa Santa Maria. Ma Federico De Laurentiis, che dovrebbe saperlo, non me ne dice nulla. Sirolli partì. Egli potrà fare anche per la tua elezione qualcosa in Archi. Colapietro ha scritto a Castiglione. E anche altrove per Ciccone. Scrivo di fretta. Ti raccomando di fare una buona e rigorosa cura per non riavere la colica. Se hai bisogno un altro 100 franchi, dimmelo, ché te lo manderò subito. Addio per oggi. Isabella e i ragazzi tanti saluti. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
440 A Silvio Spaventa Napoli, 14 dicembre 1868 Mio caro Silvio, In punto Erasmo118 mi fa leggere la lettera di Cardone, il quale scrive che è sorta in Atessa la candidatura del Codagnone, che accetta etc. Ti mando originalmente la lettera. Intanto tu devi farci sapere per telegrafo per mezzo di Rudinì se il numero di magistrati è completo; perché nel caso affermativo si possa da noi mandare in Atessa e Archi e altrove questa notizia. Le notizie che Erasmo ha da Castiglione rendono inutile ogni altra insistenza; pure scriverò di nuovo. Fai anche tu di costì, e se credi facci sapere ciò che farai per cooperare d’accordo. Rispondi subito e di fretta. Tuo Bertrando Erasmo procurerà di vedere Codagnone qui e trattarlo con accorgimento. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
441 A Silvio Spaventa Napoli, 16 dicembre 1868 Mio caro Silvio, Eccoti le 100 lire in vaglia. Ho detto a Colapietro ciò tu mi hai scritto. Egli mi assicura che per Castiglione non c’è da dubitare; e che intanto avrebbe scritto di nuovo per prevenire qualunque assalto da parte del Lorenzetti. Mi ha promesso che, nel caso fosse necessaria 118. Erasmo Colapietro.
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la sua presenza colà, partirebbe. Pure io credo che convenga che tu gli scriva una lettera un po’ forte, e gli dica di andare; e faccia più effetto che forse non ho fatto io sull’animo suo. È inutile raccomandare a te attività. Non credo che il Codagnone voglia rinunziare alla carica per essere eleggibile. Dunque? In ultimo caso convengo che bisogna agire su lui, e contentarlo in qualche modo; ma deve scrivere ai suoi per te, etc. Non ho potuto sapere se egli sia ancora qui, o sia partito. Colapietro non l’ha visto. Insisterò su costui perché si risolva ad andare. Tu intanto scrivimi tutto, se credi che io possa fare qualcosa di qui. Sirolli partì, come ti scrissi. Chi sa cosa farà ad Archi! Non mi ha scritto mai; e pure avrebbe dovuto. Non posso credere che faccia contro. Addio per oggi e ti do i saluti d’Isabella e ragazzi. Tuo Bertrando Bada alla salute. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
442 A Silvio Spaventa Napoli, 24 dicembre 1868 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto più, perché non aveva nessuna notizia da darti. Ieri sera ho ricevuto da Federico119 la lettera che ti mando. – Erasmo120 dice sempre che la sua presenza a Castiglione non è necessaria, perché tutte le lettere lo rendono sicuro di una buona e compatta votazione. Io lo lascio dire: dopo Natale gl’intimerò la partenza: Spero che andrà. Tu intanto, se lo credi, scrivigli di nuovo. – Da Potenza nessuna risposta ancora. Se giunge più tardi, riaprirò la lettera. Scrivendo a Erasmo, non gli potresti dire che egli potrebbe essere utile in Atessa? O credi di no? Rispondimi subito e fammi sapere le notizie che hai. Saluto da parte d’Isabella e ragazzi. Tuo Bertrando Giunge risposta da Potenza. Pironti avea scritto a Cepolla 121 due cose per Codagnone: 1. costui scrivesse ai suoi per te. 2. ritirasse pubblicamente la sua candidatura. Risposta telegramma: accetta contenuto lettera; rifiuta fare dichiarazione pubblica. Pironti ti scriverà lui stesso. Mi dimenticavo di dirti che è Erasmo che mi ha portato or ora questa notizia. «A lui pare che tutto vada bene. Ho visto Ciccio venuto da Archi ed anche l’ineleggibile Codagnone è servito a qualche cosa. Erasmo» SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
119. Federico De Laurentis. 120. Erasmo Colapietro. 121. Vincenzo Cepolla (1818-1885), primo presidente della Corte di appello di Ancona e de L’Aquila; deputato nel parlamento del regno d’Italia nella VIII legislatura.
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443 A Silvio Spaventa Telegramma Napoli, 3 gennaio 1869 Silvio Spaventa Firenze, Turco ricevuta lettera Salvatore deciso venire vedere figlio chiede sapere possa tardare qualche giorno risposta pagata per Bertrando. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
444 A Silvio Spaventa Napoli, 16 gennaio 1869 Mio caro Silvio, Anch’io non ti ho scritto da un pezzo, perché non avea nulla a dirti di nuovo, eccetto l’impressione fatta anche qui della tua rielezione 1 tra amici e nemici, e le grandi congratulazioni dei primi. In verità né meno io mi aspettava tanto. – Intanto è bene che ti dica alcune cose. Cardone scrive a Colapietro dolendosi che il Pretore stava ancora ad Atessa. Dice quasi che tu non te ne sei dato pensiero; che la traslocazione fu promossa dal Prefetto; e che, se è rimasto per raccomandazioni del Procuratore del Re Gabbia, ciò significa che tu non ne hai parlato punto al Guardasigilli. – Ma posto anche che la cosa sia venuta dal Prefetto, chi ha mosso il Prefetto? Erasmo 2 poi è un po’ curioso. Nella faccenda della elezione ci si è messo con tutte le sue forze. Ciò è vero. Ma non è meno vero, che ha fatto di tutto per farmi capire che egli 1. Si tratta della rielezione di Silvio a deputato nel collegio di Atessa, decretata ufficialmente il 16 gennaio 1869. 2. Erasmo Colapietro.
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ha fatto molto e molto. Erasmo è fino; ma qualcosa sempre traspare. Mi sono accorto che vorrebbe essere considerato in qualche modo. Mi ha fatto leggere una lettera del fratello da Castiglione, che si meravigliava che ei si adoperi tanto per te, mentre tu fai poco per lui: giacché i suoi compagni, per esempio l’Auriti, sono saliti tanto su, ed egli è rimasto sempre quel che era tanti anni fa. Ti dico questo, perché ti regoli. Questo è Erasmo. Del resto devo confessare, che ha fatto per te molto. Ed egli mi domanda sempre: che ti scrisse Silvio? Suppone che io ti abbia scritto qualcosa. Ma io non gli ho detto mai che ti avrei scritto su di lui; e ho fatto come se non avessi capito. Ti mando per Turco quei rasoi che ho trovato. – Se puoi, rimandami per lo stesso un abito nero (giubba), se ne hai di soverchio. Mi dispiacerebbe di farmene un nuovo. E altro, se l’hai. Il Professore Tulelli mi si raccomanda sempre, perché ti ricordassi suo fratello, che vorrebbe essere richiamato al suo posto di delegato di Pubblica Sicurezza a Catanzaro. Potresti aiutarlo? Dammi notizie di Decoroso 3 che saluto. Ha speranza di rientrare in ufficio? Tu bada alla salute, e non spendere molto danaro! Isabella e i ragazzi ti salutano. Ama sempre Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
445 A Silvio Spaventa Napoli, 11 febbraio 1869 Mio carissimo Silvio, Non ricevo le tue lettere da un pezzo. Cos’è? Il Consiglio di Stato? So che stai bene da tutti quei che ti hanno visto prima di ritornarsene qui; ma non altro. Pazienza! Tulelli mi domanda sempre cosa hai fatto per suo fratello. Scrivo oggi al Ministero per far destinare qui al Liceo Principe Umberto Ciccio Labriola4 come incaricato di Storia e Geografia.5 Parlane subito al Barberis; che non ci faccia io una cattiva figura, se non accettano la mia proposta. Il figlio di Corinto, Filippo,6 mi manda una domanda per fare il concorso di Pretore. Io lo raccomando a te, e lo fo per il povero Corinto: qualcosa bisogna pur fare per i propri elettori. Rispondimi su ciò, affinché io possa scriverne a Corinto. Io sto bene colla famiglia. Tu bada alla salute. Cammina sempre, per la colica. Di fretta. Isabella e i ragazzi tanti saluti. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
3. Decoroso Sigismondi. 4. Francesco Saverio Labriola. 5. Come aveva precedentemente ipotizzato (cfr. lettera 428). 6. Filippo Vitullo, vicepretore del mandamento di Bomba, nel 1869 venne dispensato dal servizio.
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446 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 26 febbraio 1869 Mio caro Camillo, Ciò che tu dici di me è poca cosa e non può stare a fronte di quel che il mio signor Io dice di sé stesso. Io ho torto, torto marcio verso di te, e tu sei troppo buono se ti contenti di chiamarmi più volte scandaloso. Io so e sapeva, anche prima che tu mi scrivessi, di meritare un titolo maggiore; giacché, se si dice non si crede che io non ti abbia scritto più dalla prima metà del mese di luglio. Cos’è stato? Domandi tu. E chi lo può sapere? Non credere che io non abbia più pensato a te in questi lunghi mesi, e che la tua lettera mi abbia rotto l’alto sonno. Al contrario: il mio tormento e la mia punizione è stato appunto questo, che ogni giorno mi proponevo e promettevo a me stesso e a Isabella che non sapeva capacitarsi che tardassi tanto, di scriverti uno di quei letteroni, che sai; e intanto? Niente, niente, niente. Era un vero strazio questa volontà inefficace, simile all’incubo. Diavolo! Ci voleva tanto a mettere insieme quattro parole e combinare una lettera? Non ci voleva nulla; e pure questo nulla era per me una bestia così grossa, un gigante così potente, che mi facea tremar le vene e i polsi. Vedi poi se non è vero che il Nulla sia più forte dell’Essere, almeno per certi uomini, come sono io; di quel caro Essere, che noi altri filosofi abbiamo sempre in tasca, e ne facciamo quel che vogliamo. In verità, tu sai la mia pedanteria; e che ci vuol poco a scontentarmi, a togliermi quel po’ di buon umore che mi è rimasto qui, a rendermi muto, sordo, privo di sentimento, inetto e dappoco. Ebbene, 8 mesi di questa vita veramente beata! Sai che, quando mi trovo in tale stato, non ci è santi né cristi, né tu né io che tenga: non posso scrivere né far nulla, e quanto più mi ci metto e mi sforzo, tanto peggio. Il guaio serio è, che quando mi piglia quest’estasi, l’intima coscienza – quella in cui consisto proprio io, singolare, personale, impenetrabile, incomunicabile – mi si fa più vivace e tagliente; io non sono più uno, ma due veramente e apertamente, cioè quel più vivo che ho detto, e quello inerte e morto, e per l’appunto scandaloso, che dici tu: e dovresti vedere come l’uno, che sono io strilla e bestemmia, e incalza e spinge e bastona l’altro, che sono anche e non sono io; ma, ripeto, questo dorme e non si sceta,7 e tutte le mie prediche e le tue anche, mio caro Camillo, sono buttate al vento. Dunque, tu hai ragione e siamo perfettamente di accordo. Che devo dirti di più? E poi va e dì che l’essenza dello spirito dell’uomo sia la medesimezza: Io = Io! Altro che queste frasi! Lo spirito è medesimo, come i due fratelli gemelli siamesi, legati l’uno all’altro, credo, per la schiena fin dentro l’utero materno; non si conoscono col mirarsi direttamente in viso, ma torcendo il capo dietro; e l’uno incomoda e annoia l’altro; quello vuol camminare, quando questo vuol stare in piedi o seduto, e intanto devono o camminare insieme o insieme stare a sedere: insieme a tavola, insieme al cesso. Che vita! Rara concordia fratrum! E intanto non ci è rimedio; giacché, in grazia della medesimezza, l’uno non può separarsi dall’altro e viver e far casa da sé, quello per esempio a Napoli e l’altro a Torino; il loro destino (ripeto, la medesimezza) li obbliga moralmente e li costringe fisicamente a quella ridicola posizione; e se si recide il legame dorsale, buonanotte! Libertà per essi è morte. Nel mondo, così detto naturale, questa medesimezza a modo de’ gemelli siamesi è una eccezione, un aborto, una rarità; nel mondo più alto è la natura stessa. O mangiati questa minestra, o buttati per la 7. In dialetto napoletano: «non si sveglia» (cfr. Croce, Ricerche, p. 7, nota 1).
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finestra. Se vuoi essere un ente spirituale, dice la Natura sive Deus, non devi essere né uno né due soltanto, ma uno e due insieme, gemello di te stesso, cane e gatto dos à dos; e se vuoi conoscere cosa sei tu, contemplarti faccia a faccia, guarda indietro; sul tuo comune dorso troverai la chiave dell’enimma. La prima satira l’ha fatta domeneddio, quando creò l’uomo e gl’introdusse dentro il cervello il lume della coscienza. Non sarebbe stato meglio se questo lume non fosse stato mai acceso? Accuso la Natura, per giustificare me stesso; per pigliartela con me devi fare prima i conti con lei. O sarà vero che la Natura sia irresponsabile, e noi, suoi ministri e sudditi, dobbiamo coprir lei, e non viceversa; come i buoni figliuoli di non so qual buon patriarca un po’ brillo? Se anche qui dobbiamo fare una finzione costituzionale, quasi quasi mi persuade8 che la Natura era ubriaca quando procreò dal suo turgido grembo l’uomo; e giacché si sottintende che nel mondo ci ha da essere pur qualcuno che risponda di ciò che si fa o non si fa, e non può rispondere la Natura per la bella ragione qui detta, devo in ultima conseguenza entrare (direbbe il Rodinò, nel suo Prontuario9) mallevadore e pagatore io per la gran Mamma. Eccomiti dunque in tua piena balìa, le mani e i piedi legati e annodati, confuso, contrito, umiliato; sfogati pure, e dì e fa e pigliati quella soddisfazione che ti pare sopra di me, figliuol discolo: ma bada. Io mi ti metto davanti o,10 per dir meglio, mi ti sottometto come quell’Ens geminum che ho avuto l’onore di dirti; non posso rinunciare a questa geniale teorica.11 Colpisci e ammazza dunque. Ma chi? Tutti e due i me stesso insieme? Ma non sarebbe cosa giusta; giacché l’uno è d’accordo con te e ha giudicato e condannato l’altro non meno inesorabilmente che hai fatto tu: se tu colpissi lui, colpiresti un innocente, e, se non erro, te stesso. Colpirai dunque l’altro solo? Ma l’altro è lo stesso che l’uno, e la sua morte sarebbe anche la morte di quello, e intanto ingiusta. Dunque? Al diavolo la dialettica! Quasi quasi sono tirato a gridare: viva l’impunità! Eppure non è tanto una minchioneria quello 12 che dico. Che senso avrebbe, senza la mia teorica dell’ens geminum siamense, la confessione, l’assoluzione, la rimissione de’ peccati, il perdono? Che senso avrebbe la stessa pena, che è il contrario? Non so cosa pensi su ciò il nostro Pessina. E a proposito, il dentista Clément, se ti ricordi, diceva: guarire non è distruggere, cioè l’arte del cavadenti non è cavare i denti! Ebbene, parlando proprio sul serio – prescindendo da Pessina e Clément, che ho nominato insieme un momento senza pretender per questo che siano gemelli – io penso e dico che la mia teorica mena dritto dritto a dimostrare ingiusta e assurda la pena di morte, ed è insieme la sola via di fondare il diritto di punire.13 Che c’entra questo? Dirai tu, arricciando il tuo naso, che non è piccola bagatella. Che c’entra? Già, in generale, quello che è vero entra da per tutto, come il sole; alla verità, come al sole, non si può applicare il detto: passa di palo in frasca. In particolare poi, ecco come. Io sono colpevole, e merito d’esser punito. Ora punire non è ammazzare, ma nettare, raddrizzare, causticare, impiombare. Come mi punirai tu, posto che non hai più diritto d’ammazzarmi? La mia colpa non è di quelle che si maneggiano dai tribunali, e si puniscono con la reclusione e con l’ergastolo; non è né una contravvenzione, né un delitto, né un crimine: è un mero peccato; e più che una pena, merita una penitenza. E la penitenza già l’ho fatta, cioè l’ho fatta fare, forse più del 8. Croce: «persuado». 9. Leopoldo Rodinò, Repertorio per la lingua italiana di voci non buone o male adoperate, Napoli, Stamperia e cartiere del Fibreno, 18663. 10. Croce: «e». 11. Croce: «teoria». 12. Croce: «quella». 13. Cfr., per le idee sulla pena di morte di Bertrando, gli Studi sull’etica di Hegel, pubblicati nello stesso 1869 a Napoli presso la Stamperia dell’Università.
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dovere, a questo poltrone del mio gemello, ordinandogli e costringendolo con vie di fatto a torturarsi 14 il cervello per scarabocchiare questa sciocca tiritera; e tale tortura l’ho sentita anch’io, e forse più di lui, perché, come ti ho già detto, io ho più giudizio e perspicacia di lui; e la sento anche adesso, che mi fo a leggere quello che è stato scritto fin qui, più forte di prima. Il bello sarà quando lo leggerai tu a Bologna; ché, per conseguenza, sentirai la stessa, anzi maggior tortura che non ho sentita io, senza niuna colpa; anzi. Che sottigliezze! Frutto della metafisica tedesca. Se Pasqualino 15 leggesse questa lettera, trionferebbe. Pane pane, vino vino. Non ti posso dire precisamente perché non ti abbia scritto: ci è stato un po’ di tutto, poltroneria, noia, malumore, mancanza di tempo, distrazioni, etc.; tante piccole cose, che fanno una gran cosa, la quantità che fa la qualità (e da capo colla metafisica). Quello che ti posso dire di preciso è in forma negativa, non positiva! Dunque la causa del mio silenzio non è stato l’oblio e annessi e connessi, non noncuranza, poco affetto, cuore di piombo, etc. Altro, altro. Quello che ho detto più su non è poi tutto favola o dialettica hegeliana. So io quello che ho sofferto qui: quel volere e non potere scriverti è stato per me la vera tortura; ed ora che mi vedo innanzi tre foglietti quasi… saranno, come sono di certo, delle corbellerie; ma mi sento l’animo sollevato, e respiro. La causa non è stata né anche, come tu supponi, la recisione de’ testicoli del Mamiani e simili in quella lettera pubblicata nella Rivista.16 Sarebbe stata per me una vera fortuna, se tu avessi reciso ogni cosa. Chi ha gridato di qua, e chi di là; e si è commosso non solo il Conti, che se ne è lamentato con Silvio, e Pasqualino, che pretende che io ero arrabbiato e perciò avevo meno torto, ma financo Don Raffaele Masi, del Ministero, che mi accusa di aver detto male della santa messa, e un arciprete della Provincia di Molise,17 che mi piglia sul serio e mi confuta con una scrittura doppia della mia. Solo il Mamiani non ha né anche fiatato, e avrebbe avuto ragione di farlo: non tanto contro di me, quanto contro di te… che gli hai reciso i coglioni. Né la causa è stata l’articolo del Siciliani.18 Dio buono, perché? Perché mi ha lodato, e perché mi ha chiamato pasticciere? La lode fa sempre piacere; e quanto al biasimo, la natura umana non è così umana come si dice, e, in fondo, è sempre maligna. Bada bene che il maligno qui sono io, non il Siciliani. Dopo le lodi, io avevo paura che non mi si fosse scoperto il lato debole, per l’appunto, del mio libro su Gioberti.19 Cos’ha scoperto il Siciliani? La sua nudità, perché con quella sua nota ha mostrato di non avere inteso né Hegel né Gioberti né il mio libro. È inutile che dica le ragioni e le prove. Dunque, io diabolicamente mi consolai. Quando uno ti si fa innanzi per offenderti e invece offende sé stesso, hai tempo tu a predicare vangelo e amor del prossimo; il primo sentimento è di piacere, non di compassione. La compassione vien dopo. Ora io compatisco il Siciliani. Il pasticcio l’ha fatto e fa lui, non io. Pasticcio è una pietanza a diversi ingredienti, dove ce n’è per tutti i gusti: per me, per te, per Pasqualino, per Conti, etc. Perciò piace tanto a tutti; o almeno a chi piace e a chi non dispiace. E bravo il cuoco! Io non voglio dire che le cose della Pubblica Istruzione vadano come quelle della cucina: dico solo – vedi quanto sono maligno io – che quando il Siciliani sarà più sicuro 14. Croce: «torturare». 15. Pasquale Villari. 16. Positivismo, paolottismo, razionalismo, pubblicata nella «Rivista bolognese» nel maggio 1868; edita poi a cura di Giovanni Gentile negli Scritti filosofici di B. Spaventa, pp. 291-314, e qui riprodotta nella sua stesura originale (cfr. lettera 416). 17. Agostino Tagliaferri. 18. Pietro Siciliani, che aveva pubblicato nella «Rivista bolognese» (II [1868], pp. 516-549) un articolo su Gli hegeliani in Italia. 19. La filosofia di Gioberti, I.
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del fatto suo, ci darà di certo del buono arrosto o del buon pesce; giacché in filosofia, in fondo in fondo, ci20 vuole carne che sia carne, e pesce che sia pesce. E non già… ma basta per carità; e ti prego di lacerare questa brutta pagina e di non farla leggere a nessuno… tanto più che io debbo essere obbligato al signor Pietro 21 dell’essersi egli occupato di me e di aver preso sotto la sua protezione il signor Bertrando, etc. Mentre ti sto scrivendo, ecco il Sindaco di Bucchianico, il quale mi dà i saluti di Gregorio… e della sua nipote, che non si è maritata ancora. Quindi castelli su aria! Vogliamo tornare l’anno venturo (voglio dire alle prossime vacanze) tutti quanti a Bucchianico? Non lo spero da te. Nelle vacanze passate mi facesti sperare che saresti ritornato qui. Quasi quasi mi è venuto il sospetto che non venisti,22 perché io non ti scrissi più. Se è vero, cresce la mia colpa verso di te. Se non vieni tu, vedrò di venir io; e farò come Maometto. Mi chiedi notizie sul nostro Tari, che è ancora Professore straordinario. O De Sanctis, quante fesserie23 hai fatte! Tari bisogna leggerlo per farsene un’idea giusta. Vittorio24 te ne avrà parlato. Se tu vuoi che egli stesso ti scriva una notizia della sua mente, alla quale io mi permetterò di fare le mie osservazioni (beninteso col suo consenso; giacché io sono spesso il tormento del buon Tari, il suo apprettatore,25 il gran nemico del suo Innominato 26), glielo dico subito subito. Eccoti le 200 lire per i 20 esemplari del tuo libro;27 incassate da un pezzo e lasciate imputridire dalla mia trascuraggine. Osserva la data del vaglia, e dì poi se non sono uno sciagurato io. Mi si domandano sempre altre copie, che io non ho. Le hai tu? Aspetto, puoi figurarti con che desiderio, il 2° volume, e ho letto l’intermezzo, che non hai mandato a me per punirmi del mio silenzio. Spero che la collera ti sia passata, e che a quest’ora – cioè, quando leggerai questa lettera – mi avrai pienamente perdonato, e me lo scriverai subito, almeno con un rigo. Devo scrivere ora al nostro Fiorentino. Ma abbia pazienza lui per pochi altri giorni ancora. Tu eri da preferire a lui, perché la mia colpa verso di te era già grossa. Intanto digli tu tante cose da parte mia, e fammi da avvocato, e tanti saluti alle sue padrone di casa. Chi sa se un giorno o l’altro non mi vedrete costì? Ma zitti, per carità; perché temo di esser lapidato, se lo sanno. Isabella e i bimbi ti salutano. E ama sempre Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (ed. in Croce, Ricerche, pp. 7-12).
20. Croce: «si». 21. Pietro Siciliani. 22. Croce: «venissi». 23. Croce: «corbellerie». 24. Vittorio Imbriani (1840-1886), patriota e letterato, fu allievo di Francesco De Sanctis a Zurigo e suo collaboratore (1863-1867) sulle pagine dell’«Italia» e della «Patria». Fondò a Napoli nel 1872, insieme a Bertrando Spaventa e Francesco Fiorentino, il «Giornale napoletano di filosofia e lettere». Dal 1878 al 1882 fu libero docente di letteratura italiana e tedesca all’Università di Napoli, nel dicembre 1884 venne nominato ordinario di estetica nello stesso ateneo. 25. In dialetto napoletano: «opprimente, seccatore» (cfr. Croce, Ricerche, p. 12, nota 1). 26. Che nella filosofia di Tari rappresenta il Reale o Assoluto. 27. Angelo Camillo De Meis, Dopo la laurea, Bologna, Stabilimento tipografico di G. Monti, 1868.
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447 A Silvio Spaventa Napoli, 10 marzo 1869 Mio caro Silvio, Stamattina ti ho scritto un rigo per rispondere all’ultima tua e dirti che sto bene. Ora spero di poter scriverti più a lungo. Prima di tutto devi venire per Pasqua; noi ti aspettiamo; e tu non ci perdi niente; anzi ci guadagni un po’ di distrazione almeno. Su ciò siamo intesi. Ho risoluto di lasciare il Provveditorato. 28 Ci ho pensato e ripensato da un pezzo; e perciò non ti ho scritto, perché tra le altre cose volevo dirti proprio questa. Non mi conviene più per tante ragioni, che credo inutile spiegarti, perché puoi supporle meglio di me. Già mi ci ammazzo e ci divento stupido, senza la speranza di arrivar mai a quel grado in cui si perde la coscienza della sua stupidezza. Non posso fare le due cose al medesimo tempo; e la necessità di fare l’una e l’altra, e il patimento di non poter far bene l’una e l’altra sono per me un tormento incredibile. Come Provveditore tutto devo far io; e anche se avessi un aiuto (tante volte sono stato lì lì per domandarlo), dovrei pensar tutto io. Ora questo pensiero mi disturba e quasi annichila l’altro, al quale – vuoi o non vuoi – io sono stato educato, e nel quale soltanto mi trovo e diverto e riconosco e sono contento come in casa mia. Lascio stare altre considerazioni di convenienza, e anche di decoro; le quali nascerebbero, se io dovessi fare il Provveditore perpetuamente. E oramai sono tre mesi e più, che fo questo mestiere. Sta bene che l’abbia fatto; ma non dovendo farlo sempre, è meglio che smetta adesso. Al diavolo, che se lo porti; non ne posso più. Dunque mi dimetterò. Ma prima di farlo, ho voluto scriverne a te; e tu rispondimi subito; e non dir niente a nessuno. Mi hai a rispondere anche per la seguente ragione. Provveditorato, no; ma Consiglio Superiore, sì; o almeno non vedo, perché debba dire anche, no. Non credo che sia necessario – che si possa esigere – che io venga costà ogni mese; potrei venire, al più, ogni due mesi. E basterebbe. E il viaggio? Venendo ogni mese, spenderei più di 2000 lire in un anno. Ma anche venendo ogni due mesi, la spesa non sarebbe poca. Dunque si potrebbe tentare di avere il viaggio gratis, o quasi? E presso chi? Il Ministero, o la Direzione delle ferrovie romane? La prima gratuità sarebbe più eventuale; la seconda dovrebbe essere un bel biglietto di circolazione almeno per un anno; e poi si vedrebbe. Che ne dici tu? È possibile qualcosa di ciò che ti dico? AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
28. Il ministro della pubblica istruzione Broglio lo aveva nominato provveditore agli studi per la provincia di Napoli il 18 gennaio 1868 (cfr. lettera 399).
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448 All’Eccellentissimo Signore Il Ministro della Pubblica Istruzione29 Firenze [Napoli,] 16 marzo 1869 Ragioni di salute mi obbligano a chiedere a Vostra Signoria Eccellentissima la dimissione dall’incarico di Regio Provveditore in questa Provincia. Speravo di poter reggere ancora tale incarico per qualche tempo; ma ora vedo l’impossibilità di durare più lungamente senza danno di quest’Ufficio e mio. E perciò io prego Vostra Signoria Eccellentissima a nominare nel più breve tempo possibile una persona che prenda il mio posto. Colgo questa occasione per ringraziare vivamente Vostra Signoria Eccellentissima di tanti attestati di benevolenza di cui si è compiaciuta degnarmi; e mi dichiaro di Vostra Signoria Eccellentissima Devotissimo Servo Professore Bertrando Spaventa ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale (1860-1880), Ba 2014, Bertrando Spaventa (inedita).
449 A Silvio Spaventa Napoli, 17 marzo 1869 Mio caro Silvio, Ti ho scritto 8 giorni fa del mio proposito di rinunciare al Provveditorato. Tu non mi hai ancora risposto. Non avendo io alcuna ragione di mutare proponimento, anzi tutte le ragioni per confermarlo, ti mando sic et simpliciter una lettera per il Ministero, officiale e bollata.30 Se vuoi consegnarla tu, bene; se no, mettila alla buca della posta, dopo averla chiusa. Sarebbe meglio. Ma in questo caso, non sarebbe male che tu ne parlassi al Ministero e ti mostrassi inteso della cosa, per l’unico motivo di affrettare la nomina del mio successore. Ho detto, nella domanda di licenza dall’ufficio, che sono malato; e non ho voluto dire le altre ragioni. La malattia non è una favola, ed è questa. Sento un dolore al cuore, che ho sentito qualche volta anche negli anni passati; ma ora è più sensibile e molesto. Sarà affar di nervi; ma il certo è: questa mia strana posizione e le cose dell’ufficio m’irritano e mi perturbano l’animo; e io ho bisogno di pace. Persisto poi ora più che mai nell’idea della mia libertà; che già son ricominciati i pettegolezzi per gli esami di licenza liceale. Io non temo gli studenti; ma sono seccato di tali minacce e di sprecare il coraggio così. Voglio tornare ai miei libri e ai miei studi, valgano ciò che valgano. Quanto alla mia venuta costà, piglierò tempo. Domanderò – come malato – uno o due mesi di congedo come membro del Consiglio Superiore. Ciò si vedrà qui quando 29. Emilio Broglio. 30. La lettera precedente.
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verrai; giacché io ti aspetto immancabilmente in questa festa di Pasqua. Scrivimi dunque, e dimmi quando verrai; il giorno preciso. – Ti raccomando la mia rinunzia; inzucchera e indora la pillola, se è pillola; a me importa che faccian presto; non ne posso più. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
450 A Silvio Spaventa Napoli, 19 marzo 1869 Mio caro Silvio, Ti ho scritto ieri mattina, prima di ricevere la tua lettera di Mercoledì, e ti ho mandata la rinunzia al Provveditorato.31 Se l’hai data al Ministero, non se ne parli più. Se no… Io non credevo tanto difficile l’ottenere un biglietto di libera circolazione sulle ferrovie romane, e quindi il poter rimanere Consigliere di Pubblica Istruzione. Se siamo ancora in tempo, non sono alieno dall’aspettare ancora qualche giorno, per parlare tra noi della cosa pacatamente a voce, se tu verrai, o nel caso contrario per lettera. Non è mai possibile che io possa restare più lungamente per tante ragioni, che è inutile che ti dica ora. I miei nervi, tra le altre cose, sono maledettamente scossi, e io mi sento proprio male. Mi sento lentamente andare in rovina l’intelletto, etc. È un contrasto interno che mi cruccia non poco. Pure potrei ancora restare; ma non così, come ora. Devo fare tutto io; i due impiegati che ho e che mi concesse il Ministro dell’Istruzione pubblica devono andar via alla fine di questo mese, perché finiscono la loro disponibilità. Ho scritto; e nessuna risposta precisa; promesse sempre, e niente di positivo e concludente. Dovrei dunque cadere nelle braccia della Prefettura. Ma anche se questi due rimanessero, io non potrei durare. Mi dovrebbero dare un aiuto, un – non so che dire – vice-provveditore o ispettore, riconosciuto, che potesse fare e dire e avere un po’ di voce in capitolo, sotto la mia direzione. Alla fine si tratta di Napoli, e non di Chieti o Panicocoli.32 Ma i fondi? Li potrebbero prendere da quelli che dovrebbero essere assegnati per il Provveditore di Napoli; dai quali non prendono che le 2 mila lire che danno a me. Dunque? Fa tu ciò che ti pare; almeno per qualche altro giorno. – Se poi la cosa è già decisa, sia pure; e ripeto, amen. Meglio vivere tranquillo, che la noia è peggio con le 4 mila lire di più. Capisco che non è una bagattella; ma… Dunque, ripeto, fa tu: se la cosa non è decisa, io posso ancora aspettare. Rispondimi subito. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
31. Cfr. la lettera precedente. 32. Villaricca, comune della provincia di Napoli, denominato così fino al 13 maggio 1871.
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451 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 3 aprile 1869 Mio caro Camillo, Devi contentarti di due righi; se no, saremo da capo, e passeranno quei soliti sette o otto mesi di silenzio e di poltroneria, e poi il solito letterone. Prima di ricevere l’ultima tua lettera avevo già pensato di mandare al diavolo il Provveditore; questo terzo intruso nell’ens germinum che sono io: tu l’hai inteso come l’avevo sperimentato e inteso io. Scrissi dunque al Ministero; il quale mi ha risposto che non ne vuol sapere; ed io da capo, che non posso e quindi non voglio saperne del suo non volerne sapere. Ma al Broglio io devo usare qualche riguardo, perché è stato sempre buono con me, e non posso romperla così, come avrei fatto e feci di fatto col nostro antico amico il Professore Coppino due anni fa. Ma ho deciso, e si tratta di qualche settimana di più. – Quanto ci vuole per acquistare una certa libertà in questo mondo! Ho ricevuto e letto di un fiato al solito – mi ricordo dell’uovo fresco – il secondo volume del Dopo la laurea.33 Mi propongo – non ridere di questo mio proposito, e piglialo se non altro come una buona intenzione, sia anche di quelle che lastricano l’inferno – di rileggere il primo e il secondo attentamente. Vorrei – temo di dire uno sproposito che ti farà ridere anche di più – svestirli di tutta quella magnifica veste che… li veste, se sarà possibile: di quella veste che a me che non sono, ti ripeto e già lo sai, né poeta né religioso, fa un effetto magico, cioè poetico e religioso. Dico se sarà possibile; perché ohimè! quella che ho detto veste per non aver pronto un altro vocabolo più proprio, non è veste, ma è simile a quel corpo interno indissolubile, che alcuni pietosi e pii filosofi, i quali (temo di fare un periodo lungo e sviluppato come quel tuo dell’abate Fornari) non sanno rinunziare all’immortalità individuale, attribuiscono all’anima come la sua esistenza stessa in quantum anima, direbbe uno scolastico, disciolto quello che noi diciamo propriamente corpo. Pure mi ci proverò, e farò di intendere, cioè scorticare e disossare sino all’ultimo midollo, sino al purum quid, quella tua singolare e originale anima, e pensarla nuda nuda come pensiero, senza poesia e senza religione; o, se non altro, mi persuaderò che questa operazione chirurgica non è possibile senza ammazzare l’anima stessa; e in questo caso potrei avere anche la consolazione di convincermi che io, il quale (ecco di nuovo l’abate) non sono, ripeto per la seconda volta, né poeta né religioso, e penso e ripenso e sempre penso, sono, in conchiusione, un’anima bell’e ammazzata! Questo secondo volume ha fatto la solita impressione sui tuoi vecchi conoscenti, naturalisti, positivisti, microscopisti, materialisti etc. «La piccola e la grande ragione; il medio evo è un pesce; il risorgimento un animale; micro-macro-noo-cosmo, etc. Che peccato il nostro De Meis! Se avesse continuato a studiare le scienze naturali!». – In ginocchio, miei cari piccoli, ignorantelli, pesci, animali; fate quello che facevate volentieri una volta: passa il Santissimo; cavatevi il cappello. E da bravo carabiniere li costrinsi a quest’atto di dovere. Il senso della predica fu questo: Miei cari ragazzi, è tempo di finirla con questa maschere o fantasie, le quali non hanno altra ragione che la vostra natura di pesci e animali, e con le quali ingannate voi stessi e il vostro prossimo; voi vi dite darvinisti, e non avete letto mai questo libro né in inglese né in francese e né meno in turco 33. Pubblicato a Bologna, presso lo Stabilimento tipografico di G. Monti, 1869.
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(chi l’ha letto di voi, si faccia avanti e mi dica il frontespizio, il testo, la carta, il colore, etc. Nessuno risponde; i ragazzi fanno silenzio): vi dite positivisti, e non avete letto, non dico il papà Comte, 34 ma né anche Mill,35 figliuolo più o meno legittimo o illegittimo, ma avete letto Pasqualino,36 il quale al par di voi non ha letto – da vero vostro maestro – né l’uno né l’altro medesimamente, e non è figlio di nessuno (chi ha letto, alzi la mano. Nessuna risposta; anzi qualcuno fece intendere cogli sguardi di non aver letto né anche Pasqualino); e ignorate – siete proprio ignorantelli – che padre e figlio e tutta la parentela pretendono che il positivismo sia una filosofia, cioè una spiegazione sistematica o scientifica del cosmo (compresovi il soggetto che spiega); quegli, del macro; e questi, del micro; e quindi, vuoi o non vuoi, una metafisica, però senza metafisica: ho detto tutta la parentela; ma bisogna eccettuare Pasqualino e seguaci, il quale e i quali non pretendono, con riverenza parlando, nulla, all’infuori di essere chiamati Pasqualino e pasqualiniani, cioè inventori del positivismo peretolano ad uso dei minchioni della nuova Italia; il quale consiste nell’arte di far diventar filosofo in ventiquattro ore immediatamente tutto il genere umano, compreso i pesci e gli animali, cominciando dai lavatrippe e terminando a voi altri. Voi vi dite naturalisti, materialisti, e simili in isti; e non vi accorgete che non siete né meno questo, giacché la desinenza in ismo (naturalismo, etc.) è una flessione della grande ragione, e la piccola non conosce altra desinenza che in ino o ano, come Pasqualino e pasqualiniano. – E ciò dicendo volsi loro il deretano. Mandami una trentina di copie del tuo libro. Ci sono alcuni che vorrebbero il primo volume; che non esiste più. Questo è un grave inconveniente; fanno scrupolo a prendere il secondo senza o prima del primo, per la ragione che il primo è prima del secondo. Ho tastato qualche libraio per la ristampa; ma finora non ho conchiuso niente, e tu hai ragione che non c’è da fidarsene. Solo il bravo Ghio potrebbe farla onestamente; ma si trova in gravi imbarazzi, e non ho ancora avuto il coraggio di proporgli la cosa, perché se glielo dicessi, sono certo che non mi direbbe di no. Vedrò, mi regolerò e ti scriverò. Mentre ti scrivo, altra risposta del Ministero. Dimissione no, congedo di 2 mesi sì. Accetto il congedo; poi si vedrà. È probabilissimo che vada a Firenze ai primi di Maggio, e di colà a Bologna di certo, a rivederti. – A Fiorentino tante cose, e che non pigliasse sul serio il mio silenzio. Gli scriverò ora che sono congedato, e nel caso contrario si vendicherà quando verrò col darmi un pranzo a suo modo, robusto e forte come lui. Saluti a Siciliani e alla Cesira.37 Isabella e i ragazzi (non i pasqualiniani) ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (parzialmente ed. in Croce, Ricerche, pp. 12-14).
34. Auguste Comte (1798-1857), filosofo francese, considerato il fondatore del positivismo. 35. John Stuart Mill (1806-1873), filosofo ed economista britannico, fu tra i massimi esponenti del liberalismo e dell’utilitarismo. 36. Si allude sempre a Pasquale Villari e al suo libro sulla filosofia positiva: La filosofia positiva e il metodo storico, Milano, Tipografia Zanetti, 1866 (estratto da «Il Politecnico», IV serie, I, 1866, pp. 1-28). 37. Cesira Pozzolini (1839-1914), scrittrice e moglie del filosofo Pietro Siciliani.
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Epistolario
452 A Silvio Spaventa Napoli, 16 aprile 1869 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto da un pezzo per poltroneria; giacché ora fo il poltrone e me la godo. Almeno dovrebbe essere così. Certo è che non mi par vero di avere, dopo tanto tempo che n’avea quasi perduto l’abitudine, delle giornate libere, nelle quali fo ciò che mi pare e piace ed esco di casa e rientro quando voglio. E questo io chiamo fare il poltrone. Del resto non ci è male, e vado meglio; il cuore mi dà un po’ di tregua; e quando non ci penso, sto benissimo. Si avvicina il tempo che io dovrei venire costà per prendere una risoluzione con te e combinare qualcosa al Ministero.38 Ma ci sarà ancora da qui a 15 giorni questo stesso Ministero? Ci sarà il Broglio? In ogni caso io verrei sempre, per rivederti e consigliarmi con te. La cosa nuda nuda è questa: fare quello che ho fatto finora al Provveditorato, io solo, non posso più; mi ci ammazzerei il corpo e l’anima, che sono tutt’uno. Quando era Delegato,39 avea come aiuto e supplente l’Ispettore provinciale, che ora non ci è più per una delle tante infinite riforme fatte da uno dei tanti ministri; il quale provvedeva alle scuole primarie e facea il grosso della fatica; a me spettava la rappresentanza, l’autorità morale, i grandi affari. Ora invece io devo fare più parti in commedia, dal padre nobile al brillante, e mi gira la testa. Non si potrebbe, senza modificare il Regolamento, darmi un coadiutore, o come diavolo vogliamo chiamarlo? Si tratta di Napoli, e non di Chieti o di Avellino. Ma, bisognerebbe pagarlo! Certamente. E la cosa non sarebbe difficile, quando si volessero spendere tutte le 6 mila lire che dovrebbero spendere per il Provveditorato di Napoli. Per esempio 2000 al coadiutore; qualche piccola cosa a me; e io resto… resterebbe. Si devono persuadere che a Napoli un Provveditore, solo lui, anche quando non faccia altro mestiere che il Provveditore e da mattina a sera, non può riuscire. Io lo so oramai; con tutta la buona intenzione, con tutta la pena che mi son dato, che ho fatto? Ho sbrigato gli affari. Ma la sostanza delle cose, quel bene vero che vedo sarebbe da fare, non l’ho né anche toccato; non ho potuto; mi è mancato sempre il tempo. Ho pensato, ho visto, ho concepito; ma… come eseguire? E tutto ciò con 5 ore di lavoro al giorno… Ma di ciò a Firenze. Io vorrei dunque venire alla fine del mese o ai primi di Maggio, se tu non credi altrimenti; e trattenermi pochi giorni. Se trovo lo stesso Ministero, bene; tratterò: se vogliamo mettere un coadiutore, forse m’indurrò a continuare (dico forse, perché in verità non sono ancora deciso); se non vogliono, amen; e si vedrà per il Consiglio Superiore. Se non trovo lo stesso Ministero… non so che dire. A ogni modo io non vorrei spendere ut sic circa 200 £ per il viaggio. Vedi dunque di farmi tenere un biglietto di andata e ritorno. Una quarantina di lire per la locanda la spenderei volentieri; giacché non so se potrei andare a stare con Pietro.40 Ciò è cosa di
38. Per risolversi se lasciare o no l’incarico di provveditore agli studi, come aveva recentemente stabilito (cfr. lettera 447). Bertrando tenne il posto di provveditore fino al 31 marzo 1870 e vi rinunziò per iniziativa propria. 39. Spaventa fu regio delegato agli studi per la provincia di Napoli dal gennaio 1866 al luglio 1867. 40. Pier Silvestro Leopardi.
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poco momento. L’importante è il biglietto: – mi trovo con pochi denari. Devo vestirmi da capo a piedi. Devo pagare dei libri41 – e prima della fine del mese. Rispondimi subito; e dimmi come devo regolarmi: se venire ora, o aspettare ancora. Insomma tutto. E tu come stai? Isabella e i ragazzi stanno bene e ti salutano. Salutami Ciccone. Gli parlai per Filippo Vitullo (di Corinto). Mi si mostrò disposto. Il resto l’hai da far tu. Corinto mi scrive che tu gli hai risposto quasi infastidito… per quella domanda al Guardasigilli. Se De Meis è ancora costì, dagli l’acchiusa; se no, mandagliela a Bologna e metti a mio conto 20 centesimi. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
453 A Silvio Spaventa Napoli, 21 aprile 1869 Mio caro Silvio, Poche righe in fretta. Verrò dunque a mie spese; ciò che tu dici è giusto e mi persuade. Vedrò di accomodare la faccenda del Provveditorato a voce. Se mi danno un buon diavolo di coadiutore, potrò (forse) rimanere. Scrivo al Segretario del Consiglio per sapere il giorno preciso della riunione di Maggio; che non potrà essere di certo prima dei primi giorni del mese. Intanto prima di venire vorrei sapere il caso o destino del Ministero. Capisci il perché senza che te lo spieghi. Dunque scrivimi su ciò, e subito che potrai.42 – Io ti avviserò poi il giorno della partenza. Ti mando la misura per una cappellina di paglia alla Mimì, che mi farai trovare quando verrò. Sia come si usa. S’intende che la pagherò io; giacché tu non puoi avere ancora denari disponibili; e per un pezzo. Scrivimi subito sul Ministero. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Lettere politiche, p. 120).
41. In quell’anno uscirono gli Studi sull’etica hegeliana, presso la Stamperia dell’Università. 42. Il 23 aprile, Silvio gli scriveva che le eventuali trasformazioni non sarebbero avvenute prima del mese di maggio, e lo invitava così a recarsi a Firenze senza preoccupazioni (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 121).
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Epistolario
454 A Silvio Spaventa Napoli, 25 aprile 1869 Mio caro Silvio, Se Ciccone mi procura i biglietti, non ci è male; ma dovrei averli qui almeno la sera del giorno 29, se dovrò partire il 30 per trovarmi costà il 1° Maggio, al più presto. Non so ancora il giorno della riunione del Consiglio. Ti farò sapere quando partirò. Rispondimi subito e dimmi la cosa di Pietro. 43 Scrivo di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
455 Ad Angelo Camillo De Meis Firenze, 3 maggio 1869 Caro Camillo, Sono qui da ieri. Verrò costà tra giorni. Ti scriverò una lettera. Spero di trovarti bene e di buon umore. Scrivo di fretta e fuori di casa. A rivederci presto. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
456 A Francesco Fiorentino Firenze, 3 maggio 1869 Mio caro Fiorentino, La risposta alla tua lettera di tanti mesi fa te la porterò io stesso a Bologna tra giorni; e ti farò le debite scuse e riceverò da te quella penitenza che ti piacerà di infliggermi. Oggi i nostri filosofi e letterati e storici passeggiano negli orti Buccellari o Oricellari per onorare la memoria di Niccolò Machiavelli.44 Che te ne pare? Non dir nulla a nessuno di costì che io vengo; temo le sassate di Montanari etc. 43. Pier Silvestro Leopardi. 44. Si celebrava, in quell’anno, il quarto centenario della nascita di Niccolò Machiavelli con numerose iniziative editoriali patrocinate dalla città di Firenze.
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A Camillo45 scriverò domani. Con altra lettera vi avviserò del giorno della partenza perché possiate venire a ricevermi alla ferrovia. Saluto Siciliani. Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 60 (inedita).
457 A Silvio Spaventa Napoli, 21 maggio 1869 Mio caro Silvio, Arrivai qui bene, e sto piuttosto bene; quantunque non possa ancora camminare per Napoli. Qui al Provveditorato non è venuto ancora alcun segno delle promesse che mi fecero al Ministero. Forse ci vorrà ancora del tempo. – Alla fine del mese finisce il mio congedo.46 Se non han fatto nulla, io devo ripigliare l’ufficio? Mi pare che sì; e poi vedere. Intanto tu chiedine conto al Barberis; e fammi sapere qualcosa prima della fine del mese. Isabella e Millo e Mimì, contentissima del cappellino, ma non degli orecchini, ti salutano. Tuo affezionatissimo Bertrando Saluto Decoroso e Berardo.47 SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
458 A Vittorio Imbriani Napoli, 26 maggio 1869 Caro Vittorio, Voglio farti un regalo: il sunto della 1a conferenza del Professore 48 su Machiavelli fatto dal Roma. Lo mando anche a De Meis. Come chiodo scaccia chiodo, così Rettorica scaccia Rettorica; e la conclusione è che regna e governa sempre la rettorica. 45. Angelo Camillo De Meis. 46. Spaventa aveva avuto un mese di congedo dal suo incarico di provveditore agli studi nella provincia di Napoli. 47. Decoroso Sigismondi e Berardo Sacchetti. 48. Si riferisce a Francesco De Sanctis, che abitualmente chiamò il «Professore» (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 157, nota 2). De Sanctis espose per la prima volta la sua interpretazione di Machiavelli nella gran sala del capitolo dell’ex convento di San Domenico Maggiore a Napoli, nei
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Come vai con la dissenteria, questa rettorica degl’intestini? – Ieri ho visto Tari, che sta benone, e gli ho fatto gustare un po’ di filosofia bertesca.49 Abbiamo riso molto. La mia podagra – rettorica dei piedi – non è ancora finita. Al diavolo la rettorica! Addio, addio e ama sempre Il tuo B. Spaventa BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 1 (ed. in Imbriani, Carteggi, pp. 34-35; Pellicani, Lettere inedite, p. 882; B. Spaventa, Scritti inediti, p. 546).
459 A Silvio Spaventa Napoli, 28 maggio 1869 Mio caro Silvio, Non mi scrivi. – Senti questa. Schiavoni (Nicola) mi disse l’altra sera in modo misterioso che dovea parlarmi. Il segreto era: Lovito50 e altri dello stesso colore vogliono staccarsi dalla Sinistra e aggrupparsi intorno a Silvio etc.; bisogna scrivere a Silvio. – Io feci come se la cosa mi riuscisse nuova; e mi limitai a dirgli che non era punto da trattare qui, ma a Firenze, nel caso. Intanto ieri sera mi han detto che nostro antico amico e buon Sornione si agita anche lui in un senso che potrebbe essere lo stesso di quello che dice lo Schiavone;51 eccetto, s’intende, il centro di gravità, che sarebbe naturalmente un altro; e vuol apparecchiare la cosa qui, sui giornali, e ha chiamato il redattore del Piccolo e ha confabulato. Sono piccolezze; e te le dico per non aver che dire. Mandai subito la scatola a De Chiara; ma non l’ho visto, né mi ha mandato a dir niente. Ieri soltanto ho potuto fare due passi giù per la Strada Toledo. Del resto sto bene. Isabella e i ragazzi ti salutano e stanno bene. Tuo Bertrando Scrivimi. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
giorni 23, 27, 30 maggio, 3 e 6 giugno 1869. Le conferenze di De Sanctis si possono leggere in Francesco De Sanctis, Saggi critici, a cura di Luigi Russo, II, Bari, Laterza, 1965. 49. Si riferisce al giobertiano Domenico Berti, che scrisse anche la Vita di Giordano Bruno da Nola, in «Nuova Antologia», febbraio-dicembre 1867, di cui Spaventa fu critico severo (cfr. B. Spaventa, La vita di Giordano Bruno scritta da Domenico Berti, in «Giornale napoletano di filosofia e lettere», I [1872], 1). 50. Francesco Lovito (1830-1906), avvocato e politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia nelle legislature VIII-XXI. 51. Schiavoni: l’errore ortografico è di Spaventa.
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460 A Silvio Spaventa Napoli, 8 giugno 1869 Mio caro Silvio, Non ho lettere tue da molti giorni. Io sto bene; e tu? La podagra è cessata interamente, sebbene non possa ancora calzare le scarpe nuove d’un mese fa. Oggi ho ricevuto una lettera d’ufficio del Vice-Presidente del Consiglio Superiore, il Mamiani, che mi manda delle carte e m’incarica di fare un rapporto etc. Dopo un anno e più, usciti dal Ministero il Broglio e il Napoli ricomincia la solita storia52 che, se ti ricordi, il Villari – ora Segretario generale53 – avea messo innanzi allora come membro del Consiglio e presidente di non so che commissione di cui ero membro. Può darsi che sia un caso e uno sbaglio. Ma può darsi anche che no. Se io come Consigliere sono incaricato del Provveditorato, e lavoro più di loro, è giusto che non faccia anche dei rapporti per il Consiglio. Ma il Villari forse vuole che io dica questo ufficialmente al Vicepresidente del Consiglio; e allora la quistione si agiterà nel seno del Consiglio stesso, e si dirà: ma come ci può essere un consigliere che non fa atto di consigliere, etc.? E da cosa nascerà cosa. – Io non risponderò finché tu non mi abbia risposto. Se tu puoi accomodare la cosa costì in modo che non mi secchino più, e che io facendo il Provveditore non faccia, come gli altri, il Consigliere, bene; se no, dimmi che ne pensi e come ti pare che io deva rispondere, senza darla vinta al caro Pasqualino. Non rispondo prima di sentire la tua opinione, perché mi viene la voglia di cantargliela senza complimenti a lui e al Vicepresidente. È bene che si ammetta che facendo io il Provveditore, non sia obbligato a fare rapporti per il Consiglio; e una volta per sempre. Ma il furbo vuole che ciò cada in discussione nel Consiglio etc. Dunque scrivimi subito, subito. Non ti domando notizie. Che diavolo succede in Italia? Dove siamo? Governo, Camera, paese, tutto in disordine, che non se ne capisce niente, o si capisce che siamo caduti giù giù. Ti accludo una lettera di Gilberto.54 Vedi di aiutarlo presso il Guardasigilli! Sarebbe per lui un gran bene se avesse il fratello qui vicino. – Rispondimi subito. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
52. Bertrando si riferisce al conferimento di nuovi incarichi da parte del Consiglio superiore della pubblica istruzione, che avrebbe dovuto associare all’ufficio di provveditore; vicenda che provocò polemiche nei vertici dello stesso Consiglio superiore (cfr. lettera 425). 53. Dal 16 maggio al 14 dicembre 1869 Villari fu segretario generale del ministro della pubblica istruzione Angelo Barboni; e dal 15 dicembre al 15 gennaio 1870 del suo successore Cesare Correnti. Con questa carica promosse, tra le altre riforme, quella che dalla licenza ginnasiale alla liceale corressero almeno tre anni, per consentire una preparazione adeguata a chi si apprestasse a svolgere gli studi universitari e precluderne l’accesso a chi non avesse maturato una adeguata preparazione. 54. Gilberto Vitullo.
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461 A Silvio Spaventa Napoli, 28 giugno 1869 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto più, perché questo è il mese dei miei guai, degli esami di licenza liceale, e ho pochissimo tempo e pochissima voglia di scrivere. Pure sto bene con la famiglia. – Come sai, Clotilde55 è qui con Mincantonio56 e la figlia; ci è voluta la mia insistenza per farli venire. Adelaide 57 avea da due anni un non so che nell’interno del naso; e quindi e finalmente una fistola lagrimale a un occhio. Ho chiamato Castorani e De Sanctis,58 i quali d’accordo la curano. – Clotilde né anche sta interamente bene: ha dei disordini uterini e mestruazioni irregolari e spesso continuate. L’ho fatta visitare da Tommasi, che le ha prescritto una minuta cura. Ma bisogna che si risolvano a farla. Qui prenderanno i bagni, di cui han bisogno, tanto Clotilde quanto Adelaide; la quale, sebbene vicino a San Vito, non sa cosa sia acqua di mare. Villari mi ha scritto 1°. una lettera come Segretario nella quale mi raccomanda di rinviare quelle tali carte col mio parere (a fianco ci è un poscritto di suo carattere in cui come Pasqualino mi dice che non mi saranno mandate più altre carte), 2°. una lettera come Pasqualino, in cui dice di avermi già scritto, e di ripetermi ciò che mi avea scritto nella prima lettera. E mi parla di altre cose. Vedi tu. Intanto il Mamiani mi invita per il primo di Luglio al Consiglio con una lettera a posta. Proprio adesso che si devon fare qui gli esami! Che teste! – Ho risposto al Villari,59 e gli ho parlato convenientemente anche di questa lettera del Mamiani; al quale non ho risposto ancora. Cosa devo dirgli! Non mi seccare. Ti dico ciò perché ti regoli e mi scriva se ce n’è di bisogno. Capii subito, dal primo telegramma, l’evoluzione del Berti. È lui, proprio lui. Spero di scrivere tra poco sulla sua vita di Bruno.60 Altro è fare… quel che fa lui al Parlamento, altro lo scrittore. E dire, che gli hanno dato la croce dell’ordine civile di Savoia! e l’han fatto Accademico della Crusca! – Spero di scriverti subito. Ti salutano Isabella Clotilde Mincantonio e i ragazzi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
55. Clotilde Spaventa. 56. Domenicantonio Sacchetti. 57. Adelaide Sacchetti. 58. Tito Livio De Sanctis. 59. Cfr. lettera seguente. 60. L’articolo dal titolo La vita di Giordano Bruno scritta da Domenico Berti, apparve nel «Giornale napoletano di filosofia e lettere», I (1872), 1, pp. 1-25.
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462 A Pasquale Villari Napoli, 28 giugno 1869 Mio caro Pasqualino, Resto inteso di quanto mi dici sulla mia compartecipazione ai lavori del Consiglio. Rimanderò le carte dell’affare Centofanti61 col mio parere, che non ho potuto stendere, perché mi mancano alcuni dati o fatti (e senza fatti non si fa niente, non è vero?), che devo avere dall’Università; e in questi giorni io mi trovo proprio in un mare d’impicci. E intanto il Mamiani mi scrive giorni fa che venga costà senz’altro per il primo di luglio. È il caso di dire: se io parto, chi resta? Tu parli di grida e sassate da quei della licenza Liceale! Le grida forse toccheranno a te, ma le sassate – se ci saranno – me le avrò io per il Ministero. Figurati questi giovani, che hanno il sentimento di certe loro ragioni, cioè dei torti del Ministero, sobillati un po’ da certi professori imbroglioni privati e non privati o insieme l’uno e l’altro, e poi dimmi tu se non sarebbe per me una vera fortuna il dire: vengo, e trovarmi così fuori dei guai o prendere i sassolini62 costà! Dunque mentre io qui devo rimanere a ricevere le sassate per voi, liberami tu dai dolcissimi inviti del nostro buon Mamiani, e fagli intendere ciò che a quest’ora si sarebbe dovuto intendere. Fammi questo piacere. Non so veramente cosa succederà in questi esami. Pure spero che i giovani non faran niente di male. Ho lettere che mi minacciano di pugnalarmi. Lo stesso negli anni scorsi. Attribuiscono tutto a me – così dicono i Professori che gl’istigano – etc. Che canaglia questa! Ma sarebbe bene il provvedere ragionevolmente per altre sessioni. Studiate bene questa faccenda e fate; e soprattutto si dica una volta: sia questo, e sia; e non si facciano eccezioni, né concessioni, né grazie… che non ci si raccapezza più, e ciò che s’agita63 è il sentimento della Legge… Ma voi sapete meglio di me quel che dovete fare. La faccenda delle lauree false è, come mi hanno assicurato, semplicissima. Cancellati con un processo chimico sulla carta pecora i nomi dei laureati e messi altri nomi. Così mi han detto alla Segreteria dell’Università. È probabile che ti scriva un’altra volta. Ora non ho più tempo. E corro alla ricerca delle Sedi, dei Commissari e degli esaminatori. Quaero hominem, come Diogene. Tuo Bertrando P.S. Fammi rispondere con telegramma al dubbio che ho oggi. Gli esaminatori in ciascuna sede devono essere 9 o 6? So che devono essere tre Sezioni. Ma non è detto chiaro che ciascuna deva contenere esaminatori diversi. E la propina? Se gli esaminatori sono 9 e ciascuna ha £ 3 per esaminato, il Governo sul fondo delle tasse paga il terzo di più. Se no, ogni esaminatore avrà sole 2 Lire. E per 2 Lire è difficile trovare buoni esaminatori. Scrivo ciò, perché questo tra le altre cose è il pensiero o il sentimento di qui. 61. Gioacchino Centofanti. 62. Correzione per: «le sassate» (cfr. B. Spaventa, Scritti inediti, p. 549, nota 4). 63. D’Orsi: «scalpita».
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Dovrebbero essere per le 6 sedi, 54 esaminatori!!! BAV, Carteggio Villari, 510-511 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 548-550).
463 All’Illustrissimo Vicepresidente del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione Signore Conte Terenzio Mamiani Firenze Napoli, 11 luglio 1869 Illustrissimo Signore, Il Ministero Eccellentissimo non ignora – e voglio credere che già n’abbia dato notizia a Vostra Signoria Illustrissima – quali e quante siano le mie quotidiane occupazioni in questo Provveditorato agli Studi, massime in questi mesi; e può dire se io sia in grado di muovermi di qui. Oltre i molti affari correnti e i non pochi che ricorrono sempre alla fine dell’anno scolastico, e altri nuovi incarichi datimi dal Ministero, i quali richiedono la mia presenza in questa città, la gran faccenda degli esami di licenza liceale, a cui si presentano circa 800 giovani e che non so se in quest’anno si faranno così tranquillamente come negli anni passati, non mi ha permesso finora né mi permette ancora di corrispondere all’invito ch’Ella mi fa di recarmi al Consiglio. Promisi di riferire sulla domanda di Centofanti Gioacchino; ma finora non ho avuto un momento di tempo. Spero di potermene occuparmene tra giorni. La prego dunque di scusarmi, e colgo questa occasione per riconfermarLe la mia distinta stima e considerazione. Devotissimo Servo B. Spaventa BOP, Carte Mamiani, 12521 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, p. 547).
464 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 12 luglio 1869 Mio caro Camillo, Finalmente ho saputo il tuo indirizzo; non ti raccomandai altro a Bologna e da Firenze; ma tu, duro, non ti sei dato niun pensiero di farmelo sapere. Del resto, questa è colpa veniale, ed è di certo maggiore la mia di non averti scritto finora. È vero, verissimo; ma tu sai la mia benedetta natura, e non devi poi farne sempre un caso serio e criminale. Ho sempre domandato di te a chi più ho potuto; le prime notizie me le diede Salvatore,64 ma vaghe e indeterminate; e poco diverse l’ebbi da Bologna. De Lumi ha dato il tuo indirizzo. Dunque come vai? Voglio saperlo con precisione. È lo stesso male d’una volta, o nuovo? Ti senti meglio? Perché non ne hai detto niente a Salvatore? Scrivimi tutto, e fammi anche sapere se 64. Salvatore Tommasi.
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ti tratterrai ancora costà. – L’avevi un po’ con me a Firenze, perché non ti dissi nulla del tuo articolo (1°.) Lo Stato.65 Avrai ragione, ma io non ho torto. Ero sul punto di partire, imbarazzato ancora dalla podagra, e non ebbi altro tempo che di scriverti due righe per dirti che partivo. Ritornato qui lo rilessi, e l’ho fatto leggere a quanti ho potuto. Lo stesso feci della Prolusione sul Morgagni.66 Bada però: questi lettori non sono della stessa risma di quelli di cui ti lodi tanto con Salvatore! Questa prolusione è stupenda; e io dico spesso ai medici nostri amici: sapete voi questo? Conoscete la storia della nostra scienza? Sapete scrivere così? Etc. Serve per ridere e schermirsi dal caldo, che quest’anno è insopportabile. Lo Stato mi piace anche. È sempre quel tuo pregio d’intendere e formare o riformare le cose – certi gran concetti – a modo tuo: pregio, che per qualcuno – non dico per me, ed è quanto dire! – può essere un difetto. Magnifica la relazione tra nazionalità e Stato. Contro – nella sostanza – io non ho da osservare nulla. Vedrai fra qualche mese, non dico il rovescio della medaglia, ma lo stesso tema o quasi trattato da me67 con quella avidità metafisica o bertrandevole o spaventevole che tu sai. Lessi all’Accademia la prefazione68 – de omnibus e de quibusdam; in apparenza; ma il concetto principale è: l’assoluto, il relativo e la relazione assoluta; idest i semi-soggettivisti dico io (teisti, sopranaturalisti, Mamiani e mamianeschi, etc), gli oggettivisti (i positivisti), e l’hegelismo. Forse la manderò a Fiorentino; è un po’ lunghetta. Isabella e i ragazzi ti dicono tante cose, specialmente per il 15 di questo mese che è San Camillo tuo compaesano. Quando rimangeremo in quel giorno quei tali maccheroni come a Torino? Dunque rispondimi e dimmi come stai precisamente e ama sempre Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
465 A Silvio Spaventa Napoli, 12 luglio 1869 Mio caro Silvio, Il Mamiani mi ha scritto un’altra lettera di invito a Firenze. 69 Gli ho risposto oggi stesso. Scrivo anche al Villari e gli dico chiaro che non mi seccasse più! Dio sa come reggo qui, e cosa ci vuole per far fronte a questi giovani! e intanto pare a cotesti coglioni che io me la goda qui e non faccia niente. L’altro ieri son venuti a casa in gran numero; lettere anonime minacciano di pugnalarmi, e una mi augura anche l’inferno; e Mamiani fa l’arcade e mi chiama al Consiglio. – Può darsi che sia uno sbaglio. Ma mi par certo che il 65. Lo Stato, in «Rivista bolognese», II (1869), pp. 3-31, 153-194, 453-475. 66. Della medicina sperimentale, in «Il Morgagni», XI (1869), pp. 161-189. 67. Negli Studi sull’etica di Hegel, il cui testo fu pubblicato da Bertrando nel 1869 negli «Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», IV. 68. Il Proemio e l’Appendice al Proemio uscirono nella «Rivista bolognese», S. II, anno III, I (1869), pp. 509-558, con il titolo: L’Assoluto, il relativo e la relazione assoluta. 69. Il 28 giugno scriveva a Silvio di aver ricevuto una prima lettera d’invito per la riunione del Consiglio superiore da tenersi il 1 luglio (cfr. lettera 461).
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Villari non gli abbia detto niente; 70 e pure me l’avea promesso! Ci fosse sotto un secondo pensiero? – Rispondimi. Spero che invece di andare in Abruzzo nel mese di Agosto a morire di caldo, tu voglia venir qui; credo che potrai prendere ancora i bagni. Rispondimi anche su ciò; è superfluo dirti che io ti aspetto. Vincenzo Turco mi prega sempre di dirti che raccomandassi suo figlio a Pironti. Rispondimi qualcosa su ciò anche. Stiamo tutti bene. Clotilde71 Isabella Mincantonio72 e i ragazzi ti salutano Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
466 A Pasquale Villari Napoli, 12 luglio 1869 Mio caro Pasqualino, Rispondo oggi 73 stesso al Mamiani e gli dico che non posso muovermi di qui. Se non lo sai, te lo dico io: mi ha scritto una seconda lettera, invitandomi a venire. Vedo che ti sei dimenticato74 di fargli sapere cosa io fo qui e l’impossibilità morale, fisica e legale (e direi anche metafisica, se tu me lo permettessi), in cui mi trovo di venire costà. Ti ripeto, toglimi questa seccatura, o non so che dire né che pensare. Diavolo! Io sto qui, ora, e vorrei che altri stesse al mio posto, e pare che si creda che io mi stia a godere il fresco come Titiro. Non so come finirà quest’anno questa faccenda degli esami di licenza liceale. Che Dio ve la perdoni a tutti voi altri riformatori della Pubblica Istruzione75 in Italia, che da 9 anni non avete conchiuso niente. È uno sfogo ad hominem. I nuovi programmi – non credo perché nuovi, ma perché conosciuti tardi – han messo in gran malumore i giovani, questi giovani. Oggi è aperto l’esame e ora che ti scrivo non so come sia principiata la cosa. L’altro giorno fecero un po’ di baldoria: si radunarono 76 nell’Università e deliberarono (cosa che i Regolamenti permettono) di venire al Provveditorato in massa; vennero, e non mi trovarono, che77 erano circa le 9; mi si presentarono a casa, a casa mia (cosa anche permessa dai Regolamenti e 70. A Villari aveva scritto il 28 giugno, chiedendo di essere esonerato dagli inviti del Consiglio comunicati dal vicepresidente Mamiani (cfr. lettera 462). 71. Clotilde Spaventa. 72. Domenicantonio Sacchetti. 73. In verità, aveva risposto il giorno prima, 11 luglio 1869 (cfr. lettera 463). 74. Cfr. lettera 462, in cui Spaventa aveva chiesto all’amico di liberarlo dagli inviti del Mamiani. 75. Da segretario generale dell’istruzione pubblica, Villari si mise a capo di un movimento di riforma (cfr. lettera 460). 76. D’Orsi: «radunavano». 77. D’Orsi: «ché».
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dalle Leggi); etc. etc. L’autorità universitaria avrebbe potuto avvisarmi; ma può darsi che ciò fosse proibito dai Regolamenti! Non ci è dubbio che le cose vanno bene! Le lettere poi che minacciano pugnali e pistole, 78 fioccano. E va anche bene. Ma ciò che non va bene è questo: che io sia molestato da voi altri costà, e chiamato e incaricato e seccato, quando d’incarichi e di seccature n’ho qui da rifondere. Basta per oggi. Rispondimi. Tuo Bertrando BAV, Carteggio Villari, 512-513 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 551-552).
467 A Pasquale Villari Napoli, 14 luglio 1869 Caro Pasqualino, Oggi calma perfetta negli esami liceali. Spero di terminare domani il rapporto. 79 Mi manca il tempo. Beati voi costì. Intanto leggi la lettera del Signor Professor Fava che mando oggi stesso al Ministero. È alquanto insolente; e voglio che il Ministero gli faccia almeno un rimprovero; se no, oltre le mazzate degli studenti, avremo le fiche anche dei professori governativi. Non si può poi tollerare che, mentre tutti i Commissari ed esaminatori hanno gareggiato di zelo e di abnegazione in questa brutta faccenda, lui solo si sia rifiutato per… dignità. In un’altra lettera ti dirò perché il Professor Barbera non fu né deve esser compreso tra gli esaminatori. Oh! Bella! Dobbiamo dunque calarci le brache e farci dare a dirittura le sculacciate! Io resto qui come Regio Provveditore e non come Tutto tuo B. Spaventa Rispondimi. P.S. Riapro la lettera per dirti ciò che già sai a quest’ora dal telegramma mandato per mezzo del Prefetto. Abbiamo fatto la frittata. Tumulti gravi nelle sedi. Impossibile continuare gli esami oggi. Quali le cause? Domani, se potrò (giacché domani avrò molto da fare per preparare per dopo domani… una nuova frittata forse), farò il rapporto. Eppure… BAV, Carteggio Villari, 514-516 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, p. 553).
78. Su queste minacce, che ricorrono, cfr. lettera 465. 79. Probabilmente il rapporto concernente «l’affare Centofanti» (cfr. lettere 462 e 463).
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468 A Silvio Spaventa Napoli, 20 luglio 1869 Mio caro Silvio, Uno dei primi e migliori miei discepoli in questa Università, ora giudice di tribunale, il Signor Massari, dovendo recarsi costà, mi ha manifestato il desiderio di essere presentato a te. E io te lo presento volentieri, perché è un bravo e onesto giovine. Non ti dico altro. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
469 A Silvio Spaventa Napoli, 28 luglio 1869 Mio caro Silvio, Sono tormentato da Erasmo80 in modo incredibile. Tu sai il suo desiderio ardente di andare avanti. Ora dice e torna a dire che questo è il tempo, e la cosa dipende da te: ci sono posti di Consigliere di Cassazione e di reggenti le procure generali; e che una parola tua al Pironti non sarà senza effetto; e che tutti o quasi tutti i suoi colleghi sono stati considerati, e lui solo o quasi solo, no. Etc. Che diavolo devo dirgli io? Te ne scrivo. E tu rispondimi subito, perché mi domanda sempre. Non credo che abbia tanto torto. Clotilde81 è ancora qui. – Dimmi positivamente quando verrai qui. Isabella i ragazzi e tutti di casa ti salutano. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
470 A Silvio Spaventa Napoli, 2 agosto 1869 Mio caro Silvio, Il giovine che ti porge questa lettera è Teofilo Patini82 di Castel di Sangro, il quale viene a Firenze come pensionato dal Governo per il concorso di pittura fatto nell’anno 80. Erasmo Colapietro. 81. Clotilde Spaventa. 82. Teofilo Patini (1840-1906), pittore, autore del ritratto di Salvatore Tommasi e di quello di Bertrando Spaventa (Napoli, Museo nazionale di San Martino; il bozzetto è presso la Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo).
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passato. Tra moltissimi giovani concorrenti ottenne il primo posto, e meritamente; perché ha molto ingegno, svelto, preciso, e conosce bene l’arte sua. Se continua come ha cominciato, sarà un pittore davvero coi fiocchi, e farà grande onore ai nostri Abruzzi. Io lo conosco da un pezzo. E oltre a ciò è un bravo giovine. Ciccone e Tommasi l’hanno raccomandato al Villari; e io lo raccomando a te, perché gli faccia tutto il bene che puoi. Te ne parlerò più a lungo quando verrai qui. Non devo tacerti che il Patini mi ha fatto un ritratto che è una meraviglia. Sono sempre Tuo Bertrando AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
471 A Pasquale Villari Napoli, 2 agosto 1869 Mio caro Pasqualino, Sebbene non chiamato, esco anch’io in campo a parlarti di De Blasiis.83 Volete che ei faccia qualcosa di buono in questo mondo – nel mondo degli studi storici – oltre ciò che ha fatto? Nominatelo professore ordinario. Dove – cioè in quel paese dove – un Regaldi 84 è ordinario, De Blasiis può essere diecimila volte tale. Questo quanto alla convenienza estrinseca. Tu sai che io parlo sempre col mio gergo di metafisico fradicio, e impenitente. Pure – sebbene sia sempre tra le nuvole dell’assoluto85 – e bisogna crederlo, perché lo dici tu – qualcosa, qualche piccola cosa, vedo anch’io. Quello che vedo è questo: con £. 2800 lorde De Blasiis non può vivere con la sua non piccola famiglia. E 2800 da 8 anni! Paga appena la pigione della casa a Napoli! Necessariamente ha dovuto pensare ad altro. Voi – non dico te, ma non so chi, per esempio il Consiglio, o il suo relatore, o chi si sia – v’inalberate per questo, e dite: se non lasciate la direzione delle scuole municipali, non è possibile che vi si nomini ordinario. Ma dico io, e con me qualche altro: volete che De Blasiis lasci la direzione? Nominatelo ordinario. Questo mi pare che sia studiare il feno83. Giuseppe De Blasiis ebbe dal ministro Amari la nomina a professore straordinario di storia moderna nell’Università di Napoli (15 ottobre 1863). Sperando nell’ordinariato rinunziò alla mansione di aiutante bibliotecario nella Biblioteca Nazionale di Napoli (12 luglio 1864). Restò invece professore straordinario con uno stipendio sottopagato. Di qui le pratiche per passare all’ordinariato o per avere nuovi incarichi ed emolumenti. Nel frattempo (6 luglio 1867) De Blasiis era stato incaricato della direzione generale delle scuole comunali di Napoli, ma rinunziò anche a quest’incarico nella speranza di ottenere la promozione auspicata. Questa giunse il 1° febbraio 1873, dopo che egli, optando per l’università, rinunziò definitivamente all’impiego nella Biblioteca. 84. Giuseppe Regaldi (1809-1883), poeta e docente nelle scuole medie, poi nelle Università di Cagliari e di Bologna. 85. Allude alla risposta di Villari alla lettera 466, datata 13 luglio 1869 (cfr. Riccardo Zagaria, Per la biografia di Pasquale Villari, Firenze, F. Perrella, 1921, p. 351).
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meno e indagare la causa, cioè un procedere eminentemente positivo. E tanto più, che De Blasiis promette e mi dà la sua parola d’onore – e credo che basti e sia un dato positivo anche questo – di lasciare il posto di Direttore, tosto che l’avrete o l’avranno nominato ordinario. Cosa volete di più? Non so se ho fatto bene a scriverti: forse il mio intervento nuocerà a De Blasiis. Cosa c’entro io? Non c’entro; ma per scrupolo di coscienza devo dire che il Ministero – non dico questo – ha nociuto al De Blasiis e un po’ anche all’Università nostra e agli studi storici, col non nominarlo ordinario. Nominato, egli non avrebbe pensato che ai suoi studi. Invece, ha dovuto pensare anche ad altro. E se la nomina non verrà, il danno continuerà. È logica questa? 8 anni con86 sole 2800 Lire a un giovine che promette tanto e che ha fatto qualcosa che vale più d’una promessa! La logica assoluta, nebulosa, non fa male a nessuno; ma la relativa e positiva – abbi pazienza – qualche volta pizzica, ferisce, fa male. Scusa. Tu sai che io parlo così, alla carlona, senza sinistro fine. Sfogo.87 E poi con questo caldo! Nella lettera che hai scritta a Ciccone ci è una cosa, anzi due, che indirettamente riguardano anche me: 1. Perché il Municipio di Napoli non chiede sussidi al Governo, come tanti altri Municipi italiani? Nella proposta di sussidi alle scuole degli adulti, fatta da questo Consiglio Scolastico, si chiese qualche somma per questo Municipio. Risposta, firmata da te, mi pare: il Municipio di Napoli non ne ha di bisogno. – Negli altri anni il Governo ha detto: fate proposte di sussidi. Quest’anno, niente; o almeno a me non è stato detto né partecipato nulla. Dite: proponete pei Municipi; e la proposta sarà fatta subito, e in capite libri per Napoli nostra. 2. Scuola femminile superiore. Ho parlato e scritto al Prefetto e agli assessori. Al primo perché scuota il Consiglio e la Deputazione provinciale. Ma qui sta il punto. Pure mi continuerà a insistere. Ho scritto già troppo. Aggiungo soltanto che nei tumulti liceali – per rispondere alla tua ultima lettera – l’Assoluto, il povero Assoluto, non c’entra né punto né poco, direbbe Massari. La Giunta è forse l’Assoluto? Berti è l’Assoluto? Hai notizie di Camillo88 che è a Parigi, malato? – Scusa, di nuovo, le chiacchiere. Tuo Bertrando BAV, Carteggio Villari, 517-520 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 554-556).
472 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 7 agosto 1869 Mio caro Camillo, Ti scrivo poche righe, e spero di scriverti una lettera più lunga fra giorni. Sebbene abbia un aiutante al Provveditorato, pure in questi giorni d’esame ho avuto molto da fare. 86. D’Orsi: «che». 87. Di «sfogo ad hominem» Spaventa aveva parlato anche nella lettera 466. 88. Angelo Camillo De Meis.
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Ma è cosa che dura poco. Temo che questa non ti giunga prima della tua partenza per Vichy. Tu mi scriverai subito di colà, e mi dirai, senza meno, dove devo indirizzare la lettera. Ho letto la parte storica (devo dire una parte della parte) del Sovrano.89 Mi piace come la prima; forse anche più. Io non mi scandalizzo che non apparisca la deduzione. Tu fai a modo tuo. E se è il tuo difetto, come crede Vittorio, è anche il tuo pregio: gran pregio. Pure, la deduzione è latente. E se io ti dico che la deduzione è il mio difetto? Nell’altra lettera che ti scriverò, ti dirò altro. Ora sono così stretto da faccende, che non ho tempo. Al diavolo il mondo! Mi hai da dire come stai; tutto, tutto. Spero che stii meglio. Io non capisco il vomito. È cosa dunque dello stomaco? E la vescica non ci entra più? Ora non andare in collera e non mi sgridare. Tu spendi tanto costì. Potrei io aiutarti in qualche modo? Il mio primo moto è stato di fare un vaglia. Ma tu certe volte sei così strano (ripeto, non andare in collera), che ho avuto paura di offenderti. Io non sono stato così con te. Se non te ne ricordi tu, me ne ricordo io. Io ora posso disporre di qualche somma. Te la manderò; ma devi darmene il permesso. Poi faremo i conti; me la restituirai; farai quel che vorrai; mi sgriderai. Non so come devo parlare, perché tu in queste cose sei un animale poco grazioso e benigno. Ma in ogni caso io ho dritto di parlarti così, perché sono (vedi 1 a. pagina) per te quello che sono, cioè Bertrando; e questo basta. Dunque scrivimi subito; rispondi e facciamo di rivederci presto. Isabella e Millo e Mimì tanti saluti. Ripeto, non andare in collera. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
473 A Silvio Spaventa Napoli, 14 agosto 1869 Mio caro Silvio, Non mi scrivi più. Cos’è stato? Non mi fai sapere neanche quando partirai di costì. Intanto prima di partire vedi di raccomandare la seguente cosa. Uno dei principali elettori di Palena, il Signor Margadonna che io conosco da molti anni, mi scrive per un giovine Michele Testa, fratello della moglie di Filoteo Persiani, anche a nome del padre Raffaele Testa, palmese ed elettore anche lui. Il giovine Testa è stato alunno del Collegio militare di Modena; ha fatto gli esami ultimamente, è stato approvato, e si trova ora a Sassuolo per le esercitazioni pratiche prescritte dai regolamenti. Vorrebbe – vedi desiderio innocente! – essere destinato ai Granatieri, piuttosto che alla semplice fanteria, e particolarmente al 2°, 3°, 5°, 6° o 8° reggimento. Il Testa è piuttosto ricco, e vorrebbe fare il granatiere per risiedere in una grande città. Le pratiche per ottener ciò si dovrebbero fare presso il Ministero di Guerra prima del 5 settembre, giorno in cui gli alunni tornano da Sassuolo a Modena, dove ricevono la destinazione. – È una cosa di poco momento; ma sarebbe bene che si facesse, per far vedere agli elettori di Palena che 89. Cfr. lettera 416, nota 26.
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– giacché Ciccone non dà segno di vita – siamo vivi almeno noi. – Rispondimi, prima di partire, su ciò! È un collegio che merita riguardi. Il Signor Faucitano è venuto a vedermi, per pregarmi di ricordarti un non so che cosa. Dunque scrivimi e a rivederci, spero, presto. Tanti saluti da Isabella, Clotilde90 etc. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
474 A Silvio Spaventa Napoli, 12 settembre 1869 Mio caro Silvio, Ho ricevuto ieri sera la tua lettera e godo che stii bene, quantunque non abbi dormito nel viaggio. Anche noi stiamo tutti bene. Adelaide91 è ancora qui. Abbiamo stimato di non farla ancora partire per maggior sicurezza. Ora senti ciò che mi succede. Il Mamiani mi ha comunicato una deliberazione del Consiglio espressa così: «Prega il Signor Vicepresidente a voler eccitare il Consigliere Spaventa ad intervenire alle adunanze del Consiglio, non potendosi ritenere come regolare tanto l’abituale sistema di mancare alle tornate, quanto quello di spedire per la posta, come adempimento del debito di Consigliere, le relazioni sugli affari ad esso connessi, senza curarsi di venire a riferire da se stesso e a viva voce».92 Il primo impeto, come puoi immaginare, è stato quello di rispondere immediatamente e mandare al diavolo Consiglio e Consiglieri. Ma poi ho pensato di scriverne prima a te. Risponderò, ma voglio prender tempo; e aspetto il tuo consiglio. Veramente è troppo. Il Mamiani sa, e glielo scrissi qualche mese fa,93 che io fo qui il Provveditore. Come Provveditore io ho tali faccende che non posso pensare a quelle del Consiglio. Il biasimo non tocca me, ma il Ministero. Quanto allo spedire la relazione per la posta, ecco come va la cosa. Mi fu mandata una pratica da quella riguardante un napoletano:94 fu mandata a me perché si presumeva che sapessi meglio di ogni altro gli usi di questa Università. Feci il rapporto, e colla stessa lettera nella quale diceva al Mamiani di non potermi muovere per gli esami liceali, lo spediva a lui. È stata la prima e l’ultima volta. – Dimmi dunque subito che ne pensi. Se credi che non risponda prima di venire costà, e che sia meglio prima di discorrerne insieme tra noi, dimmelo. In verità io non credo conveniente ripresentarmi al Consiglio dopo quella deliberazione, senza prima aver risposto. Scrivimi dunque. È curiosa! Io lavoro come un cane qui; gli altri fanno meno di me; e intanto. 90. Clotilde Spaventa. 91. Adelaide Sacchetti. 92. Bertrando aveva pregato il vicepresidente del Consiglio superiore della pubblica istruzione Terenzio Mamiani di esonerarlo dalle riunioni del Consiglio a causa dei numerosi impegni del Provveditorato (cfr. lettera 463). 93. Cfr. lettera 463. 94. Gioacchino Centofanti (cfr. lettera 463).
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Dirò a Erasmo 95 ciò che mi scrivi su Codagnone. Ma devi insistere su Pironti. Se Codagnone non ottiene nulla, ti sarà più nemico appunto dopo la domanda. Aglietiello vorrebbe che facessi scrivere dal Direttore dei telegrafi D’Amico96 all’ufficiale telegrafico in Forio d’Ischia, perché prendesse come non so che, commesso per esempio, o altro, e senza stipendio il figlio, di nome Salvatore di Lustro, per istruirlo. Che rinnovassi la lettera per quel Delegato di Cassino a cui lo raccomandasti, e la mandassi a me. Rispondimi sulla faccenda del Consiglio. Ti do i saluti di tutti. Tuo Bertrando Ti mando 2 lettere, e un fascicolo della Camera. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
475 A Francesco Fiorentino Napoli, 17 settembre 1869 Mio caro Fiorentino, M’hanno detto che sei in gran collera con me, e lo credo e vedo dal tuo lungo silenzio. Capisco che avrei dovuto scriverti io per il primo, e in questo hai ragione. Ma ho ragione anch’io. Tutti hanno ragione a questo mondo, perché hanno la ragione. Tornato a Firenze da Bologna mi venne quel malanno che forse non sapesti e avresti dovuto sapere: febbre e poi podagra, frutto delle tue eccentricità calabresi, almeno in parte. Diavolo! Vengo a posta a Bologna per rivedervi; in questo, credo ci sia un certo merito. Tu invece pretendi da me l’etichetta, i complimenti e non so che cos’altro. E avrei fatto anche questo; ma la podagra e la noia mi turbò talmente, che dimenticai ogni cosa, e il pensiero, anzi il proposito di scriverti e ringraziarti, etc. fu seppellito come tanti altri. Tu poi non sei tanto puro e illibato, come ti credi. Mi promettesti di trattare una certa faccenda col Menozzi e di mandarmi quel libro di Ravaisson sulla filosofia francese.97 Niente, niente, niente. Ha più ragione di dolersi di me il bravo Jaja,98 al quale non ho risposto ancora; e imploro ora la tua intercessione, perché mi perdoni e mi scusi. A conti fatti, non saprei dire chi sia di noi creditore o debitore. Dico questo per fiaccare un po’ il tuo orgoglio. È vero che io ho sull’anima tanti peccati di negligenza. Ma tu pure sai come sono fatto io, e non mi pare che si deve essere tanto crudele con uno come me. Serba la tua collera per
95. Erasmo Colapietro. 96. Ernesto D’Amico. 97. Félix Ravaisson, La philosophie en France au XIXe siècle, Paris, à l’Imprimerie Imperiale, 1868. 98. Donato Jaja (1839-1914), filosofo e allievo di Spaventa, dal 1887 professore di filosofia teoretica all’Università di Pisa.
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altri, per Berti, Ferri99 e simili, veramente uomini grandi, proclamati tali dall’unanime giudizio del paese. Con un pover’uomo come sono io ci vuole più indulgenza, più semplicità, più cuore. Non ti basta questa penitenza? E allora mi raccomando alle tue signore di casa, e le prego di placarti; esse sono più buone e gentili di te, calabrese mio di San Biase, e sono certo che mi perdoneranno; e ciò mi basta. Cos’hai fatto per la sottoscrizione per Hegel? La mandi tu direttamente a Berlino? Dimmelo. Devo mandarti per la rivista una mia tiritera, che è un proemio a certi studi sull’Etica di Hegel.100 Può stare da sé. Non l’ho potuto copiare ancora. Sarà stampato col resto sugli atti dell’Accademia. Penso di fare così: ti manderò le bozze di questo proemio. Per la pubblicazione intera qui ci sarà tempo: e la Rivista sarà sempre la prima a pubblicare il Proemio. Se ti pare che vada bene così, scrivimi. – Dunque si può sperare che non si parli più della tua gran collera? – Tante cose alle tue signore, alle quali mi raccomando. Saluto Jaja, e ama sempre Il tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 3 (inedita).
476 A Francesco Fiorentino Napoli, 22 settembre 1869 Mio caro Fiorentino, Spero di mandarti l’articolo101 fra pochi giorni. Mi faresti un gran piacere – quindi – se differissi un po’ la stampa della Rivista. 102 Scrivo di fretta. Saluto Camillo,103 del quale aspetto notizie, e tante cose alle tue Signore di casa. Tuo affezionatissimo B. Spaventa Grazie del Vaglia. Aspetto il Ravaisson. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 61 (inedita).
99. Luigi Ferri (1826-1895), professore (1865-1871) all’Istituto di studi superiori e pratici di Firenze, e quindi (1871-1895) all’Università di Roma; dal 1876 socio nazionale dei Lincei. 100. Il testo del Proemio e l’Appendice agli Studi sopra l’etica di Hegel. 101. Il testo degli Studi sopra l’etica di Hegel. 102. Si riferisce al IV fascicolo del 1869 della «Rivista bolognese» su cui doveva apparire l’articolo. 103. Angelo Camillo De Meis.
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477 A Francesco Fiorentino Napoli, 28 settembre 1869 Mio caro Fiorentino, Ti mando per la posta una parte del Proemio. Ti ripeto che la pubblicazione qui negli Atti dell’Accademia sarà fatta da qui a 2 o 3 mesi, e perciò tu puoi pubblicarlo sulla Rivista, e come il primo! Come avrò le altre bozze, te le manderò. Sulla Rivista non gli darai il titolo di Proemio, ma quello di = L’Assoluto, il relativo etc. È una cosa che sta da sé. Dirai però in una nota, come egualmente tu devi questo gioiello alla cortesia dell’Autore, e che esso è una prefazione ai suoi Studi sull’Etica di Hegel. E allora potrai togliere anche le prime parole = Innanzitutto etc.; e cominciare a dirittura con = Il Mamiani etc. Cosa vuoi che io faccia dell’abate Fornari? Un articolo? Non te lo prometto. Ne sto facendo un altro per la Rivista. Poi si vedrà. Saluta le tue Signore e tante cose a Camillo104 a cui scriverò tra giorni. Ho ricevuto il Ravaisson.105 Grazie. Di fretta Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 62 (inedita).
478 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 11 ottobre [1869] Caro Camillo, Parto domani per Firenze. E tu? Scrivimi colà un rigo. Io non mi tratterrò più di una settimana. – Scrivo di fretta e con l’acqua alla gola. Saluta Fiorentino al quale ho mandato già tutti i brani del gran Proemio. 106 Se me lo potesse mandare stampato o compaginato almeno a Firenze! Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 122 (inedita).
104. Angelo Camillo De Meis. 105. Ravaisson, La philosophie en France. 106. Il Proemio agli Studi sull’etica di Hegel.
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479 A Silvio Spaventa Napoli, 11 ottobre 1869 Mio caro Silvio, Partirò domani mattina. Pensa a trovarmi una stanza; amerei stare con Decoroso.107 Fa venire Filippo 108 alla stazione. Isabella e i ragazzi ti salutano Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
480 Ad Angelo Camillo De Meis Firenze, 14 ottobre [1869] sera Mio caro Camillo, Sono qui da ieri, e mi tratterrò pochi giorni. Se tu vieni o non vieni, fammelo sapere subito. Ma vieni subito, se devi venire, che vogliamo passare due giorni insieme alla barba di tanti minchioni una volta, ora uomini grandi. Dunque subito, mettiti in ferrovia, e avvisaci l’ora, che ti riceveremo alla stazione. Vittorio109 ti saluta e ti prega idem. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 121 (inedita).
481 A Silvio Spaventa Telegramma Firenze, 19 ottobre [1869] Deputato Spaventa – Firenze Non ancora ricevuto dispaccio né lettera ministeriale promessa. Insisti vengo subito telegrafo. Bertrando ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale (1860-1880), Ba 2014, Bertrando Spaventa (inedita).
107. Decoroso Sigismondi. 108. Filippo Vitullo. 109. Vittorio Imbriani.
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482 A Silvio Spaventa Napoli, 3 novembre 1869 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto dopo ritornato, non so nemmeno io perché. Non aveva che dirti se non che stavo bene, etc., o domandarti notizie politiche, etc. Sarà sciolta la Camera? Erasmo 110 diede la prima notizia al Codagnone del suo tramutamento. Vedremo se è rimasto contento. – Bisognerà pensare per Gesso Palena. Ma ne riparleremo. Peppino Pica, che incontro quasi ogni sera, mi raccomanda sempre di scriverti e ricordarti la risposta alla sua lettera che ti diedi io stesso. Ritornando portai a Millo e Mimì due coserelle, e dissi che le mandavi tu, tanto per non farti fare una cattiva figura. Ti scrivono due righe; e tu rispondi senza meno. Millo ha fatto davvero un buono esame. Qui non ci è niente di nuovo. Scrivimi. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Saluto Decoroso111 e Filippo.112 SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
483 A Silvio Spaventa Napoli, 4 novembre 1869 Mio caro Silvio, È venuto Aglietiello a dirmi che ha avuto l’avviso che l’eredità dalla China è giunta costà. Egli teme che la mandino ad Ischia al Sindaco, e che costui essendo un imbroglione non si pigli qualcosa. Perciò si raccomanda a te, perché l’abbia sana e salva; e s’egli deve venire a Firenze a prenderla, verrà. Tu insomma gli hai da dire come deve fare, per evitare qualche brutto tiro del Sindaco. Io gli ho detto che non avesse paura; ma egli ha voluto che io ti scrivessi. Rispondimi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
110. Erasmo Colapietro. 111. Decoroso Sigismondi. 112. Filippo Vitullo.
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Epistolario
484 A Vittorio Imbriani Napoli, 11 novembre 1869 Mio caro Vittorio o Don Vittorio, giacché tu hai richiamato in vita il Don, Ho scritto e ho parlato al Ghio degli stamponi tuoi. Se li darà a me, te li manderò subito. Della Rivista113 ancora nulla. Il Morano 114 accetta in principio, e si mostra ben disposto. Ma lo crederesti? Non ancora posso riuscire a riunire due persone che potrebbero scrivere, cioè il De Blasiis e il Settembrini, per fare un progetto, etc. e conchiudere col Morano.115 Vedi anche tu, e mandami una nota di persone nostre che possano scrivere. Ti scriverò di nuovo su ciò. Non temere per il Berti. Se la Rivista si farà, pubblicherò in essa l’articolo.116 Se no, m’inginocchierò da capo al Protonotaro.117 E se anche questa porta non s’aprirà, lo manderò alla Bolognese.118 Hai fatto altri sonetti? Ci rivedremo a Dicembre, spero. Tuo sempre B. Spaventa BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 2 (ed. in Imbriani, Carteggi, p. 57; Pellicani, Lettere inedite, pp. 882883; B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 557-558).
113. Spaventa maturò il disegno di una rivista propria dopo la pubblicazione nella «Rivista bolognese» della lettera a De Meis (cfr. lettera 416) dal titolo Paolottismo, positivismo, razionalismo (5 maggio 1868, pp. 429-441), che sollevò le ire di molti cattolici, i quali avevano nella «Antologia» di Firenze il loro organo ufficiale. Il primo numero della rivista, diretta da Fiorentino, Imbriani e Spaventa, uscì nel gennaio 1872, con il titolo: «Giornale napoletano di filosofia e lettere». 114. Antonio Morano (1831-1911), tipografo napoletano. 115. Il disegno di una rivista napoletana o hegeliana fu partecipato al Vera e al Settembrini. Cfr., in proposito, Gentile, Bertrando Spaventa, in Opere, I, p. 122 e D’Orsi, che lo riprende, in B. Spaventa, Scritti inediti, p. 557, nota 2. 116. L’articolo di apertura del primo fascicolo del «Giornale napoletano di filosofia e lettere», uscito nel gennaio 1872 e annunziato in precedenza nel manifesto Rivista di filosofia e lettere, fu appunto quello di Spaventa, La vita di Giordano Bruno di D. Berti (pp. 1-25), testo pubblicato nella «Nuova Antologia» nel 1867 e poi raccolto in volume dall’editore Paravia. 117. Francesco Protonotari – la «o» finale è di Spaventa – (1836-1888), direttore della rivista «Nuova Antologia». Spaventa allude ai tentativi attuati per pubblicare sulla rivista il suo saggio sulla Vita di Giordano Bruno scritta da Domenico Berti. Nella biografia di Bertrando Spaventa, Gentile dà notizia del fatto che Bertrando inviò il suo articolo alla «Nuova Antologia» (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 123). 118. La «Rivista Bolognese», che aveva già ospitato la pubblicazione, in forma di saggio, della lettera a De Meis, Paolottismo, positivismo, razionalismo (cfr. lettera 416), che causò però qualche problema alla rivista (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 480).
1869
501
485 A Francesco Fiorentino Napoli, 12 novembre 1869 Mio caro Fiorentino, Ricevetti la tua lettera e il Biamonti, 119 ma non gli estratti del mio articolo.120 Ho fatto domandare alla posta: niente. Come va questo? Vedi tu costà, e fammi sapere cosa c’è. – Ringrazia tanto tanto per me il Biamonti. Risponderò a Tocco fra giorni. Intanto dagli i miei saluti, e una tiratina di orecchio perché non si è risoluto ancora a diventare positivista. Costa così poco! Del mio nome sul tuo Telesio121 fa quello che ti pare e piace. Mettilo sul frontespizio, alla coda, dove vuoi. Io sto bene, se non che da parecchi giorni – causa lo scirocco – ho un catarronaccio che non ne posso più. Oggi comincia il freddo, e spero di liberarmene. Scriverò subito a Camillo.122 A dicembre tornerò a Firenze. Chi sa se non farò una sfuggita a Bologna? Saluto Camillo, e alle tue Signore tante cose. Tuo sempre B. Spaventa Ti raccomando i miei poveri estratti. 123 BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 63 (inedita).
119. Potrebbe trattarsi delle Serie di meditazioni, prediche ed istruzioni di Antonio Francesco Biamonti, di cui era apparsa nel 1862 la quinta edizione presso l’editore Giuseppe Oliva di Milano. 120. Studi sull’etica hegeliana. L’assoluto, il relativo e la relazione assoluta. 121. Francesco Fiorentino, Bernardino Telesio, ossia Studi storici su l’idea della natura nel Risorgimento Italiano, I, Firenze, Successori Le Monnier, 1872. L’opera è dedicata «al Ch. Commendatore B. Spaventa». 122. Angelo Camillo De Meis. 123. Si tratta sempre degli estratti degli Studi sull’etica hegeliana.
502
Epistolario
486 A Silvio Spaventa Napoli, 18 novembre 1869 Mio caro Silvio, Eccoti lo Schenkel;124 e anco una mia tiritera. 125 Ti manderò anche uno per volta i libri che lasciasti. Io sto bene, ma sono molestato, è quasi una settimana, da un catarraccio diabolico, effetto dello scirocco. Dovrà passare! Hai visto il decreto col quale gli stipendi di cotesto Istituto superiore sono aumentati da 4 a 5 e 6 mila lire? Oltre quelli dei professori dell’Università? Villari ha una faccia tosta, che non se ne trova una simile. In Italia dunque si può fare tutto quello che si vuole; chi frega, frega. E non ci sarà nessuno che reclamerà in Parlamento, e la Corte dei Conti ha lasciato correre? Come sai, io dovrò venire a Dicembre. Dove andrò a dormire? E non sarebbe anche possibile avere per mezzo di Salvatore un mezzo biglietto? Scrivo di fretta. Ti saluta Isabella e i ragazzi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
487 A Pasquale Villari Napoli, 19 novembre 1869 Caro Villari, Ti scrissi, è già quasi un mese, e ti mandai una lettera per il Ministero, in cui lo pregava di far rimanere ancora presso di me l’Ispettore Zaccardi. Non mi hai risposto. Va bene, e sic itur ad astra. Ora con la data di ieri scrivo di nuovo. Insisto pel bene dell’Ufficio. Se volete farlo, bene; se no, accomodatevi pure. Tanto, l’Italia cammina, e purché stii ritto tu, de minimis etc. Dunque buona fortuna e credimi Tuo B. Spaventa Ho risposto.
124. Si tratta del Bibel-Lexikon: Realwörterbuch zum Handgebrauch für Geistliche und Gemeindeglieder, herausgegeben von Daniel Schenkel, I, A und O-Dichtkunst, II, Didrachme-Heilig, Leipzig, F.A. Brockhaus, 1869. Daniel Schenkel aveva pubblicato in precedenza lo studio Die protestantische Geistlichkeit und Deutschkatholiken (Zurich, Mener und Zeller, 1846). 125. Studi sull’etica hegeliana. L’assoluto, il relativo e la relazione assoluta, che inviava, negli stessi giorni, anche all’amico Francesco Fiorentino (cfr. lettera precedente).
1869
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Tu dici che mi occupo solo di stare al posto. Allora io ti chiedo: perché ci chiamiamo amici. BAV, Carteggio Villari, 521 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, p. 559).
488 A Silvio Spaventa Napoli, 20 novembre 1869 Mio caro Silvio, Fammi il piacere di far capitare a Vittorio126 le acchiuse carte. – Io sto meglio col catarro. Dunque Lanza Presidente. 127 Che ne sarà del Ministero? Dimmi qualche cosa. Bada alla salute. Di fretta Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
126. Vittorio Imbriani. 127. Al governo Menabrea, il 14 dicembre 1869, successe quello Lanza, che rimase in carica quattro anni, fino al 10 luglio 1873.
1870
489 A Silvio Spaventa Napoli, 19 gennaio 1870 Mio caro Silvio, Feci un buon viaggio, e sto bene, quantunque mi sia tornato un po’ di catarro. A Napoli niente di nuovo, meno una gran paura nei professori dell’Università per la notizia delle economie proposte dal Correnti sul bilancio della Pubblica Istruzione! 1 La famiglia sta bene. Dammi tue notizie e ama sempre Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
490 A Silvio Spaventa Napoli, 2 febbraio 1870 Mio caro Silvio, Il nostro Raffaele Masi che tu conosci, uno dei provveditori centrali e di conseguenza mio superiore, mi scrive una lettera, che ti acchiudo per non copiartela. Sia o non sia esatto ciò che egli dice a principio, e giacché qualche volta invece del vero dobbiamo contentarci del verisimile, io ti raccomando la sua preghiera vivamente come egli desidera. Naturalmente egli verrà da te.
1. Cesare Correnti, ministro della pubblica istruzione nel governo Lanza, in carica da pochi mesi, per l’istruzione universitaria, prevedeva una riduzione delle facoltà ma un potenziamento di quelle che sarebbero rimaste sul piano delle attrezzature scientifiche e sperimentali.
506
Epistolario
Giorni fa Don Onorato2 mi mandò a dire di avere avuto notizia certa che Paolucci era morto da circa un mese. Io non ne ho creduto niente, e gli ho risposto che dovea essere un equivoco; che Raffaele 3 si apparecchiava, stando alle notizie di 15 giorni fa, a partire per Siena. A questa ora credo che sia costì con Berenice.4 Salutamelo e fa con lui le mie congratulazioni per la sua risurrezione. Pel tenente colonello che mi hai raccomandato farò quel che potrò. Ma la cosa dipende dalla Commissione esaminatrice e non da me, che come presidente devo stare a guardare soltanto la regolarità del concorso. Io sto bene colla famiglia. Dammi notizie tue e ama Il tuo Bertrando P.S. So che il Frosali (Colonnello dei Carabinieri) ti ha, tanto tempo fa, scritto per una sua faccenda; ed è mortificato un po’ che non gli hai risposto. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
491 A Silvio Spaventa Napoli, 17 febbraio 1870 Mio caro Silvio, Due righi in fretta, perché la posta parte. – Scrivo e fo scrivere a molte persone da Palena, Villa, Gesso, Casoli; ma se tu, che sei il grande elettore, non mi aiuti, io non posso fare gran cosa da me e riuscire. Alla mia devi aggiungere anche la tua voce ai seguenti: Federico5 per Castracane e Ricci (Casoli) e Tozzi6 (Gesso) Paoluccio7 Innocenzo8 Persiani (e Don Onorato?9 ) per Torricella e per Testa10 di Palena Auriti Ciccio – idem Achille Ulisse Evandro11 a Lanciano 2. Onorato Croce, zio di Bertrando. 3. Raffaele Paolucci. 4. Berenice Spaventa. 5. Federico De Laurentiis. 6. Gian Tommaso Tozzi (1848-1907), avvocato e politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia nelle legislature XVIII-XXI. 7. Paolo Nanni. 8. Innocenzo De Nillo. 9. Onorato Croce. 10. Raffaele Testa. 11. Evandro Sigismondi.
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Anche Mincantonio Sacchetti. Fa scrivere anche da Filippo.12 Io scrivo e fo scrivere a Palena, e Casoli. Insomma se vuoi che io riesca devi operare con la solita energia anche tu da costì. Io farò di qui quello che potrò. E poi, è più conveniente che tu presenti me; io non ho mai saputo presentarmi bene da me. Pure farò la faccia tosta. Non credo che l’essere facente funzione Provveditore costituisca ineleggibilità. Di certo, se fossi eletto,13 ringrazierei. Rispondimi su ciò: e su altro che farai. Intanto t’invio una supplica del Campana,14 Sindaco mi pare di Palena, al Guardasigilli. È una riparazione che gli si può concedere. La diedi a Ciccone; ma… Proprio non si è curato di nulla! Sarebbe bene che si provvedesse prima all’elezione. Leggila. Tu saluta Isabella coi ragazzi. Scrivimi subito. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
492 A Silvio Spaventa Napoli, 18 febbraio 1870 Mio caro Silvio, Non ho da aggiungere nulla alla mia di ieri. Ti raccomando di fare e scrivere rigorosamente, come se si trattasse d’una gran cosa. Non sarebbe bene scrivere al Bertini15 a Chieti? Io non so a chi dirigermi per questo. – Evandro16 può giovare anche nel caso che uno dei Finamore di Gesso che è avvocato a Lanciano, non sapendo o sapendo che sono per entrare io in ballo, si presentasse lui. Al magno D’Afflitto conviene dirne qualcosa? Aspetto tue lettere. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
12. Filippo Vitullo. 13. Succeduto, il 14 dicembre 1869, il governo Lanza a quello Menabrea (cfr. lettera 488), anche Bertrando entrò nella Camera nel luglio 1870. 14. Raffaele Campana, sindaco di Palena (cfr. lettera 701). 15. Si tratta di Angelo Bertini, che fu prefetto dell’ufficio territoriale del governo di Chieti dal 1867 al 1876. 16. Evandro Sigismondi.
508
Epistolario
493 A Silvio Spaventa Napoli, 21 febbraio 1870 Mio caro Silvio, Credo che a quest’ora il fuoco sia già acceso. Ho scritto e fatto scrivere a tutti coloro ai quali si poteva scrivere; a Palena, Villa, Casoli, Gesso, etc. Ma manca il punto sull’i; e questo devi metterlo tu. Sarebbe bene che il Prefetto Bertini, e De Feo facessero anche qualche cosa. Per primo mi si è offerto Erasmo;17 ma gli ho detto di soprassedere sino a nuov’ordine. Tu mi devi dire subito come bisogna scrivergli, considerato che è un’autorità: o se credi di fargli scrivere di costì. – Pel De Feo, non potresti scrivere in modo conveniente a Silvio a Vasto? Silvio gli è molto amico; ed ha anche relazioni nel Collegio. – Non dimenticare di scrivere ad Auriti per Porreca di Torricella. Scrivi anche ad Evandro18 a Lanciano; e a tutti quelli che ti indicai nelle mie due ultime lettere; e ad altri. Se ci sarà difficoltà, sarà forse la nessuna prova fatta dal nostro amico ex deputato. Che vuoi? – A proposito ti raccomando la cosa del Sindaco Campana di Palena. Rispondimi sul dubbio che ti feci circa il mio ufficio di Provveditore.19 Mi è venuto il pensiero di far parlare a Don Onorato; 20 ma mi fido poco di lui, e molto meno di suo nipote Raffaele. 21 Dimmi dunque cosa hai fatto; rispondimi pel Bertini e De Feo. Non altro per oggi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
494 A Francesco Fiorentino Napoli, 22 febbraio 1870 Mio caro Fiorentino, Poche parole subito di risposta alla tua del 20; ti scriverò più a lungo dopo che avrò veduto il Settembrini. Figurati il mio piacere, se ti potessi avere qui vicino, collega e commilitone! La cattedra di filosofia della storia è vacante, e non ha incaricato. Mesi fa il Ministero trasmise alla Facoltà, per parere, una domanda della buon’anima di Predari.22 Fu nominato un relatore; ma poi non se n’è fatto niente, perché Predari fu chiamato a pro17. Erasmo Colapietro. 18. Evandro Sigismondi. 19. Per la sua eleggibilità alla Camera (cfr. lettera 491). 20. Onorato Croce. 21. Raffaele Croce. 22. Francesco Predari era morto il 3 gennaio 1870.
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fessore dell’Università dell’altro mondo. Se la Facoltà fosse interrogata dal Ministero o in qualsiasi modo invitata a dare il suo voto, io sono certo che ti sarebbe più che favorevole. La faccenda da questo lato pare a me dunque tutt’altro che disperata. Dal lato del Ministero, bisogna che te la veda tu costì (Diavolo, non conosci Pasqualino?23). – Dunque, ti dirò altro, dopo veduto Luigi;24 e tu intanto dimmi subito cosa intendi fare a Firenze. Salvo uno dei soliti accidenti, non rari in Italia, io ho speranza che la cosa riuscirà. Sono in colpa di nuovo verso di te, e più verso Camillo.25 Sono divenuto proprio un uomo raro, per… inumanità! Non ti ho mandato né meno quei tali Studi sull’Etica di Hegel stampati da due mesi! Che vuoi? Tante cose a Camillo… e mi scusi, mi perdoni, mi rimproveri. Mi congratulo con lui dell’astrattore.26 Saluto tanto le signore di casa e credimi sempre Tuo affezionatissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 64 (inedita).
495 A Silvio Spaventa Napoli, 26 febbraio 1870 Mio caro Silvio, Ero quasi certo che Don Pasquale27 si sarebbe presentato lui. Mi venne in mente questo sospetto fin da quando mi scrivesti la prima volta; ma poi mi dimenticai di dirtelo. Bisogna dunque combattere con Don Pasquale! Io penso come te che se la prima manifestazione dei principali elettori sarà per me, l’autorità della provincia dovrà raccomandare a chi ha proposto il mio caro amico, che smetta. Dunque non bisogna perder tempo. Tu scrivi di nuovo e forte a tutti quelli a cui puoi scrivere. Lo stesso fo e fo fare io di qui. Pensa per Lama; io non ci conosco nessuno. Achille Ulisse potrebbe essere utile. Dovrebbe mettersi a cavallo, e girare, come fece nell’elezione di Ciccone. Ricordati Auriti. – Su De Feo potrebbe operare Silvio da Vasto, e dirgli e suggerirgli qualcosa che tu non gli puoi dire. – Chi sa che non mi giovi la presentazione di Don Pasquale? Gli abruzzesi potrebbero dire: ma chi è costui? (Chi è Carneade?, diceva Don Abbondio); e contentarsi di me pover’uomo. Sono certo che Pasquale, presentandosi, ignorava che mi sarei presentato anche io. – Non potresti scrivere a Raffaele Lanciano perché esplorasse Bertini? Insomma fa tu con l’attività d’una volta. È cosa nuova per me dover entrare in lizza con un piccolo colosso come è il Villari; e quasi ho piacere della novità. Scrivimi, almeno un rigo, spesso. Ti ricordo la domanda del Sindaco di Palena. Vedi che io mi metto tutto nelle tue mani; se operassi io solo non riuscirei. Perciò. 23. Pasquale Villari. 24. Luigi Settembrini. 25. Angelo Camillo De Meis. 26. Allusione alle critiche mosse da De Meis a Mazzini e ai mazziniani, da lui ritenuti portavoce di un pensiero astratto. 27. Pasquale Croce.
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Epistolario
Di fretta. Tuo Bertrando Rispondimi subito sul Provveditorato.28 È necessario che sappia cosa devo fare. Hai scritto a Evandro? 29 Come avvocato almeno di quelle parti può giovare molto. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
496 A Silvio Spaventa Napoli, 28 febbraio 1870 Mio caro Silvio, Ti mando in fretta due lettere, di Rosario30 e d’Omero.31 Dicono quel che dicevo io: scrivere ad Auriti per Porreca di Torricella. – Vedi di risolvere la difficoltà di De Feo. Il paese che bisogna curar di più di ogni altro è Casoli, diviso in partiti; dove se uno dice sì, l’altro di no per opposizione. Forse scriverò al Canonico De Vincentiis. 32 Scrivimi. A questa ora Pasquale 33 saprà la cosa. Che dice? Tuo Bertrando Scrivi o fa scrivere a De Thomasis.34 SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
497 A Silvio Spaventa [Napoli,] 2 marzo [1870] Caro Silvio, Ecco altre lettere, che non dicono gran cosa. Aspetto altre risposte da Palena; se le avrò oggi, te le manderò subito. Farò oggi tutto ciò che mi suggerisci nella tua ultima. – Scriverò io stesso a Ciccio Auriti. Scrivimi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
28. Ancora sulla sua eleggibilità alla Camera (cfr. lettere 491 e 493). 29. Evandro Sigismondi. 30. Rosario Spaventa. 31. Omero Persiani. 32. Domenico De Vincentiis, canonico, fu rettore della basilica pontificia di San Nicola di Bari. 33. Pasquale Croce. 34. Giacinto De Thomasis.
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498 A Silvio Spaventa Napoli, 3 marzo 1870 Mio caro Silvio, Rispondo all’ultima tua. Già ti avea mandato una lettera di Rosario35 etc. Ora ti mando una di Margadonna di Palena e un’altra di Raio. Scrissi a Tommaso Ricciardi per suo cognato Perticone di Palena; non ho avuto ancora risposta. Scrivigli anche tu. Ho scritto al Canonico De Vincentiis per Casoli e altrove; dove può. E a Raffaele Lanciano, perché ecciti e sorvegli il Canonico. – Ho scritto io stesso a Ciccio Auriti. Don Camillo Ulisse scriverà al nipote Achille e anche a Di Lauro. Scrivo anch’io ad Achille.36 Pasqualino37 scriverà a nome di Don Onorato38 al Porreca, a Don Niccola Villa (Palena), a Giacomo De Vincentiis (nipote del Canonico). E agli altri amici. A Fornari di Borrello scrisse Colapietro, e anche a Marinelli di Montelapiano; e scriverà di nuovo. Non dubito di Palena e di Villa Santa Maria. Di Casoli non so che dire. Il fratello di De Petra non ha ancora risposto. Non so quanto ei possa e quanto sia sincero; il fratello qui è un buon giovine; e se glielo dico sul serio, tornerà a Casoli. Se Ricci e De Vincentiis saranno con noi, allora la cosa può andare. Bisogna insistere su Altino (Sirolli). Di Lama non so nulla, eccetto ciò che se ne dice nella lettera di Palena. Fo scrivere al Raffaele Recchione di Palena, che in caso di cose importanti e urgenti, scriva direttamente a te. Costui che io conosco, può essere un mezzo contro (insieme con Mincantonio Villa, mio amico, fratello del Don Niccola) per Lama e Palena. Fo scrivere anche dai Ricciardelli che sono qui e ieri sera vennero a casa, a Giacomo De Vincentiis loro parente. Avrà scritto Corinto 39 o Filippo40 ai Napoleone di Palena! Non lasciate in pace il Bertini. Non altro per oggi. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
35. Rosario Spaventa. 36. Achille Ulisse. 37. Pasquale Croce. 38. Onorato Croce. 39. Corinto Vitullo. 40. Filippo Vitullo.
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Epistolario
499 A Silvio Spaventa Napoli, 3 marzo 1870 sera Mio caro Silvio, Niente di nuovo, eccetto la lettera di Rosario41 che ti acchiudo. Per neutralizzare almeno il Finamore 42 bisogna insistere su Federico43 per Ricci di Casoli e Tilli etc. Evandro 44 potrebbe anche riconvertire il Finamore 45 fratello che è a Lanciano. Se avrò altre lettere più tardi te le manderò domani mattina. Di fretta. Tuo Bertrando È curioso che Rosario non parla affatto di Villari! SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
500 A Silvio Spaventa Napoli, 4 marzo 1870 sera Mio caro Silvio, Questa mattina ti ho mandato una lettera di Raffaele Recchione di Palena a Giuseppe Margadonna che è qui. Gennaro Finamore, mio scolaro nel 1861-1862-1863 e ossequiosissimo etc., si oppone. Ma nella lettera da lui scritta a Margadonna, dalla sua rettorica puritana e antigovernativa – giacché non parla del Villari, anzi insiste sulla necessità di nominare un deputato vero, che non abbia nessuno dei colori finora conosciuti – trapela un secondo fine, e pare che ei lasci una mia e della opposizione del Villari (lotta tra l’hegelismo e il positivismo). – Chi te l’ha detto? Non ha voluto dirmelo. Scrivimi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
41. Rosario Spaventa. 42. Antonio Finamore (1839-1896), avvocato. 43. Federico De Laurentiis. 44. Evandro Sigismondi. 45. Gennaro Finamore (1836-1923), educatore e antropologo, esercitò la professione di medico a Lanciano, nella provincia di Chieti.
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501 All’Illustrissimo Signore Conte Terenzio Mamiani Senatore etc. Firenze Napoli, 5 marzo 1870 Illustrissimo Signor Conte, Dovendo presiedere, per incarico ricevuto dal Ministero, a cominciare da oggi, a 3 Commissioni di esami per concorsi a cattedra 46 dei Licei di Napoli, io non sono in grado d’intervenire in questo mese alla seduta dell’onorevole Consiglio Superiore. Ho stimato mio dovere informare di ciò Vostra Signoria Illustrissima; e colgo questa occasione per rinnovarLe i sentimenti della mia profonda stima. Suo devotissimo Servo B. Spaventa BOP, Carte Mamiani, 12522 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, p. 560).
502 A Silvio Spaventa [Napoli,] 6 marzo [1870] Mio caro Silvio, Niente di nuovo, se ne togli l’acchiusa che non dice nulla. Aspetto notizie da te. – Di fretta. Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
503 A Silvio Spaventa Napoli, 6 marzo 1870 sera Mio caro Silvio, Finalmente ho risposte da Casoli, come vedrai dalla lettera acchiusa di De Petra 47 scritta al fratello Giulio48 che è qui.
46. Al singolare in D’Orsi. 47. Giuseppe De Petra. 48. Giulio De Petra (1841-1925), archeologo e senatore del regno d’Italia dal 1914.
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Epistolario
Mincantonio (D’Angelo) ti avrà scritto la risposta ricevuta da Gesso, da Valentino Persiani: vuole che io faccia un programma, nel quale io esponga le mie idee intorno al miglioramento della cosa pubblica! Devo farlo, insomma, da ministro delle finanze! Il Persiani pare che ripeta le parole del Finamore (Gennaro). Intanto il fatto curioso è che Evandro49 mi scrive che Antonio, fratello di Gennaro, avvocato in Lanciano, e che è quei che ha un certo valore e dà l’imbeccata in famiglia, ha promesso di scrivere a Gesso in mio favore! Ora senti questa. Ciccone stamane – sotto sugello di confessione – mi ha detto che il Villari gli ha scritto una lettera, nella quale, senza dargli l’incarico esplicito di parlarne a me, gli ha acchiuso due lettere dirette a lui (Villari), una del Lanza, l’altra del Cavallini;50 queste lettere dichiarano senza più che lo Spaventa Bertrando è ineleggibile, perché il numero dei Professori alla Camera è completo, anzi ce ne avanza uno. Tralascio di descriverti l’imbarazzo del Ciccone; amico di Villari, ma più mio, egli non può dar torto a costui di essersi presentato in quel collegio senza dir nulla a te e di persistere ora, dopo aver saputo che mi ero presentato io. Ha risposto: «Credo Spaventa eleggibile, perché se io sono rimasto deputato dopo essere stato rinominato professore, è segno che c’era un posto di professore vacante; e se ora io non sono più deputato, questo posto è vacante da capo; e il posto lo fece a me l’Ellero che si dimise. Io non ho detto nulla a Spaventa, perché tu non mi hai dato nessun incarico. Se vuoi che gli dica qualcosa, parla chiaro e preciso. Intanto ti fo notare, che lo Spaventa è abruzzese, e direi quasi di quel collegio,51 e che a te non mancano collegi, etc.». Questo è il senso, giacché la lettera io non l’ho letta. – È da aspettarsi dunque questa nuova forma di opposizione: Spaventa è ineleggibile! – Già questo non può essere deciso che dalla Camera. Se nella nomina di Ciccone a Senatore – dico io col mio grosso buon senso elettorale – è detto, Ciccone deputato, e Ciccone era professore, ciò significa che non essendo lui più deputato, rimane vacante un posto di professore. Ma accada quello che potrà accadere; decida la Camera anche contro di me, etc.; io sono risoluto di battermi col Villari; il quale con quella sua lettera al Ciccone e con quella lettera del Lanza e del Cavallini, senza dubbio fatte fare da lui, mi pare davvero un imbroglioncello al quale io non avrei niuna difficoltà di dare in qualunque occasione due calci al culo come a un suo pari qualunque. Se egli avesse scritto a me: «Vedi, io ho interesse di portarmi deputato; so che ti porti tu; fammi il piacere di vedere, se ti conviene, etc.»; io gli avrei risposto sì, o no, schiettamente; e saremmo rimasti amici! Ma così, è una brutta cosa! Considera ora tu la cosa: questo nuovo ostacolo. Io credo, come ti ho detto, che bisogna continuare ad agire. Se la Camera annullerà – nel caso che io sia eletto – la mia elezione, allora si vedrà; si proporrà un altro, ma il Villari non mai. E impareranno! – Pensa a ciò e scrivimi. Ho parlato col Bonghi un po’ di ciò, senza dirgli nulla della lettera del Villari al Ciccone. Egli non vede bene l’elezione del Villari. Gli ho raccomandato di parlare con te della quistione dell’eleggibilità, e di veder bene la cosa. Tu puoi parlarne anche con altri amici; anche con qualcuno di sinistra che mi conosce… Il gran Sornione mi ha domanda-
49. Evandro Sigismondi. 50. Gaspare Cavallini (1817-1903), politico e giurista lombardo, fu deputato dall’VIII all’XI legislatura e dal 1873 senatore del regno d’Italia. 51. Si tratta del collegio di Gessopalena, comune abruzzese della provincia di Chieti, non distante da Bomba, città natale degli Spaventa.
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to all’Accademia: dunque tu ti porti candidato, e persisti dopo che il Villari si porta lui? – Sì, persisto; e più di prima. Da quel che ho visto, pare che il Sornione abbia quasi un piccolo dispetto che io abbia solamente pensato a credermi capace di essere uno dei 500 deputati che l’Italia manda alla Camera! Se ho bene inteso, metteva in dubbio la vacanza del posto. Villari non ha detto nulla a te? Sarei curioso di sapere. Non ti ha detto niente nessuno del Governo? Fa di vedere Bonghi che sarà partito per costì oggi stesso. – Scrivimi. – Ti mando una lettera di Pasqualino Croce. Tuo Bertrando P.S. Bertini risponde a Colapietro diplomaticamente: la candidatura Villari esser stata prima della mia; essere impegnato lui; etc.: aver di ciò discorso con Raffaele Lanciano, il quale si era persuaso e avea promesso di scriverne ai due fratelli Spaventa! Raffaele è un po’ coglione, ma tanto! SNSP, XXXI.D.2 (ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 31-32).
504 A Silvio Spaventa Napoli, 10 marzo 1870 Mio caro Silvio, Ieri e l’altr’ieri non ti ho scritto. Ti scrissi un po’ a lungo lunedì mattina e ti mandai la risposta di De Petra;52 e a parte, chiuse in un’altra busta altre lettere. L’ultima tua è stata di Domenica 6. Il Canonico De Vincentiis non ancora mi risponde. Raffaele Lanciano, a cui avea raccomandato anche questa relazione mia, mi ha risposto; ma tace del Canonico. Credo che abbia scritto anche a te sulle torture morali del Bertini, costretto ad appoggiare contro sua voglia e contro il suo partito Pasquale,53 e non me! Raffaele dice che il Bertini gli ha fatto leggere delle lettere di persone altolocate, nelle quali gli si minaccia la disponibilità o Sassari, se avversi Pasquale; e gli si discorre della poca fiducia che in lui ripone l’attuale Ministero, etc. (Carlo De Cesare 54 sa niente di questa nostra faccenda? E che parte ci ha presa?). Raffaele non mi dice: ritirati; ma quasi vuol muovermi a pietà del povero Bertini! O si è lasciato persuadere (e così scrive il Bertini a Erasmo55) o io non so che pensare. Quanto diverso si è mostrato il Ciccarone, il quale ha resistito, e insiste per me ora con più attività di prima! – La lettera del Bertini a Erasmo, che ho letto poi, è di un altro tenore quasi. Più che di amico ad amico, è di autorità ad autorità, o di furbo a furbo, che si sono proposto di coglionarsi a vicenda. Il Bertini non parla di torture. Vuol aver ragione lui: la candidatura di Pasquale fu pensata e proposta non solo prima della mia, ma prima 52. Giulio De Petra. 53. Pasquale Villari. 54. Carlo De Cesare (1824-1882), magistrato e politico pugliese, deputato dall’VIII alla X legislatura e senatore del regno d’Italia dal 1876. 55. Erasmo Colapietro.
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ancora che si potesse sospettare che il Ciccone sarebbe stato nominato Senatore, e quasi quasi prima che Pasquale stesso fosse nato! (E intanto dalla lettera di De Feo che tu mi mandasti, si vede che il Bertini a principio proponeva De Cesare!). Quindi siamo noi che ci facciamo contro di lui, e non lui contro di noi; Pasquale era predestinato al Collegio di Gessopalena, e noi ci ribelliamo al destino. Se questa ribellione procurerà una scissione56 nel partito liberale nella provincia, la colpa non sarà sua (del Bertini), ma nostra etc. Il Fornari di Rosello ha mandato a Erasmo la circolare fatta a nome del Prefetto per il Villari Commendatore etc. Pasquale (che sarà più celebre del suo omonimo Mancini Commendatore etc.), firmata dal capo di gabinetto; e la risposta negativa che egli, il Fornari, ha data. Ieri57 venne il Ciccone da me (ti ho già informato dei principi di questo negoziato nella lettera di Domenica58) con una lettera del Commendatore diretta a lui. Pasquale diceva che ei suol parlar chiaro e preciso, e che non è gesuita; tutto gli si può dire, eccetto questo; e perciò parlava chiaro e preciso. «Dì dunque a Spaventa…» – Che cosa? – «Quello che ti pare che tu deva dire». – Che chiarezza! – Il Commendatore, dopo aver ripetuto che io non sono eleggibile, perché così han deciso il Lanza e il Cavallini (e qui, credo, anche il Sornione, gran protettore di tutte le mediocrità), soggiunge che come Provveditore poi è fuori dubbio che io… devo fare il Provveditore, e cedere il passo al Segretario Generale, e non pensare né meno di pretendere di andare alla Camera… Io dissi in risposta al buon Ciccone queste semplici parole: dì al Villari, che non mi ritiro. – E poi: se vuoi dirgli altro in mio nome, ecco; ma ti prego di virgolare: dico, che è un imbroglioncello, etc. – Non posso, rispose Ciccone. – E va bene. – Ciccone mi disse anche: potrei dire a Villari: ritirati tu; fa che Spaventa sia eletto; e poi, dichiarato egli ineleggibile, e riconvocato da capo il Collegio, ei ti appoggerà. – Risposi che non avevo facoltà di rispondere. – Oggi ho incontrato Ciccone, che mi ha detto di aver consigliato al Villari di ritirarsi, se non vuole avere uno scacco; facendogli anche osservare che per le rinunzie di parecchi deputati ci sono ora parecchi collegi vacanti, ed egli – il Commendatore Pasquale59 – può presentarsi benissimo in questi, in quelli ed altri siti, senza incomodare me. – Questa idea non è poi tanto cattiva, e nel caso che bisogni te la raccomando. Ti ho detto queste cose sotto sugello di confessione. Il buon Ciccone tratta il Villari da amico, anche confessando che ha torto. È fatto così. Scrivi tu a Goffredo per De Vincentiis, il quale, come ti ho detto, non mi ha ancora risposto. Casoli è sempre il punto su cui bisogna insistere. Ti acchiudo due lettere da Palena l’una (di Raffaele Recchione), l’altra da Lanciano (dal fratello) a Peppino Margadonna. – Provvedi tu. Vedi se puoi ridurre al dovere Mastrangelo di Roccapalena. Si dubita, come vedi, anche di Madonna di Lama. – Non conosco Di Giorgio. Vedrò se qualche amico qui lo conosce. Da Ulisse60 nessuna risposta ancora. Acchiudo anche una lettera di Innocenzo De Nillo. – De Novelli è in disgusto con suo cognato Accettella. Ho fatto chiamare Ciccillo Vizioli, che mi si dice essere molto amico di costui. Né anche Ciccio Auriti mi ha risposto finora. 56. Vacca: «scissura». 57. Vacca: «Qui». 58. La lettera 503. 59. Pasquale Villari. 60. Achille Ulisse.
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Ti mando anche un sunto di una lettera anteriore del Margadonna da Lanciano al fratello che è qui. Ho scritto a zio Gaetano Ferrara. Ho rinnovato le istanze a Federico 61 per Ricci e Tozzi. Fai tu, che puoi più di me. – Parlerai col Lanza? Consegnai la tua al D’Afflitto. Quando vide che il Consiglio di Stato gli era stato favorevole, mise un grido di gioia. E mi fece gran cerimonia. Che brava gente! Scrivimi. Niente altro per oggi. Tuo Bertrando Ciccarone vorrebbe che ti servissi anche di Ciccio Raffaele,62 che deve essere costà, per Lama e Casoli. SNSP, XXXI.D.2 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 34-35).
505 A Silvio Spaventa Napoli, 11 marzo 1870 Mio caro Silvio, Poche parole in fretta. Risposta favorevole da Auriti Ciccio: dal Canonico De Vincentiis e suo fratello Giacomo di Casoli. Domani ti manderò le lettere. Contemporaneamente ricevo una lettera di Goffredo, scritta per incarico di Bertini. È la stessa storia cantata da Raffaele Lanciano. Pare insomma che Raffaele 63 e Goffredo si siano intesi per persuadermi a ritirarmi, e ciò per salvare il Prefetto. Che pasticcio! Io invece ora ne fo una questione di onestà, e insisto più forte di prima. Sono un po’ scandalizzato di tutti e due, che evidentemente mi sono contrari con la loro tiepidezza; e non so se mi terrò dallo scrivere loro duramente. Perché mi hanno preso? Scrivimi e dimmi se hai ricevuto le mie di lunedì (7) e di ieri. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
61. Federico De Laurentiis. 62. Francesco Raffaele, uomo politico abruzzese nato nel 1834, deputato del regno d’Italia nelle legislature XIII-XVII. 63. Raffaele Croce.
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506 A Silvio Spaventa Napoli, 12 marzo 1870 Mio caro Silvio, Eccoti altre lettere. – È inutile che ti mandi quella di Goffredo di cui ti parlai ieri; la ritengo io. Innocenzo64 nota che D’Alanno65 favorisce il Villari. Raffaele Croce risponde a Pasqualino66 e non solo promette tutta la sua cooperazione, ma suggerisce alcune cose a zio Onorato,67 che già si son fatte. Casoli è sempre il punto importante e dove ci è ancora da fare. Rispondi a Auriti. Scrivimi subito e dimmi se hai ricevuto tutte le mie lettere. Nessuna risposta ancora da Achille Ulisse, a cui scrissi io stesso; e lo zio anche. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
507 A Silvio Spaventa Napoli, 14 marzo 1870 Mio caro Silvio, Ecco altre lettere di più o meno importanza. – Sta bene che il Villari ritiri la sua candidatura a Gessopalena. Ma… tu sai che io fo sempre dei casi o sospetti. Ieri mattina leggo annunziata la convocazione di parecchi collegi, tra gli altri di quello di Avellino per il 27 corrente; e non ancora si parla di Gessopalena. Ieri sera poi il gran dispaccio sulla dimissione del Villari! Villari, dunque, dico io, ritorna professore (naturalmente a 6 mila); si farà eleggere ad Avellino per esempio; e prenderà posto come professore prima di me alla Camera (sebbene scrivendo di me al Ciccone mi dichiarasse ineleggibile); e io…68 Con tutto ciò io continuo a insistere e a persistere, e raccomando a te lo stesso. Avvenga poi quello che dovrà avvenire. Ti ho scritto così per non tacerti nulla, anche le fantasie che mi passano per il capo. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 35).
64. Innocenzo De Nillo. 65. Gaetano Bassi Di Alanno (1840-1899), politico e deputato del regno d’Italia nella XIV legislatura. 66. Pasquale Croce. 67. Onorato Croce. 68. Spaventa e Villari vennero eletti entrambi, e Bertrando fece il suo primo ingresso alla Camera, «nella quale peraltro si fece notare per taciturnità» (S. Spaventa, Lettere politiche, p. 122). Bertrando era già stato eletto deputato nel 1861, ma la Camera non ne aveva convalidato l’elezione, perché il numero dei posti riservati ai professori era già coperto (cfr.Vacca, Nuove testimonianze, p. 35, nota 46).
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508 A Silvio Spaventa Napoli, 15 marzo 1870 sera Mio caro Silvio, Eccoti altre lettere. – Fa attenzione a quella di Antonio Porreca, nella quale si vede una tal quale incertezza, che mi pare l’effetto della lettera di Ciccio Auriti. A questo brav’uomo scrissi di nuovo l’altro ieri, raccomandandogli – quasi prevedendo la risposta del Porreca – che ora che la candidatura del Villari è ritirata – scrivesse subito al Porreca stesso in senso esplicito, chiaro, decisivo. Non sarebbe male, anzi sarebbe necessario che tu stesso scrivessi subito a Ciccio, cogliendo anche l’occasione della lettera diretta a me che ti ho mandata. – Era poi naturale che l’Ulisse Achille, fratello dell’Ambasciatore,69 non mi rispondesse; giacché, come vedi, vuol essere deputato lui, e chiede l’appoggio del governo! – Ho detto a Pasqualino70 che facesse scrivere di nuovo al Porreca da Zio Onorato71 e gli si dichiarasse il ritiro del Villari. – Don Camillo Ulisse non si è fatto più vedere; e ciò è anche naturale. Giacomo De Vincentiis in un’altra lettera a Pasqualino annunzia un’altra candidatura, quella di Ciccio Raffaele; e vorrebbe che scrivessi a lui (De Vincentiis) una lettera, in cui dessi l’assicurazione di trattare con tutto lo zelo etc. presso il Governo di interessi materiali dell’intero Collegio e in particolar modo di Casoli. E fa cenno d’una controversia tra quel Municipio e la Prefettura per una strada, e che abbia fatto scrivere su ciò anche a te da Evandro.72 Io non gli ho scritto ancora. Capisco che un deputato – tra i suoi doveri – ha anche quello di non scordarsi del suo Collegio e fare il Ciccone (che Dio gli perdoni); ma ho bisogno io di dire e giurar questo? – Scrivi su ciò anche tu a Evandro; io mi regolerò. Da Federico De Laurentiis niuna altra risposta. Rosario73 mi scrive ieri che essendo andato a Colledimezzo, Federico l’ha rassicurato che manderà subito Roccuccio 74 e il futuro genero Daniele, giovine molto accorto e amico di De Petra,75 Ramondi e Travaglini, a Casoli, e Gesso; e che i Tozzi gli hanno scritto che voteranno e faran votare per me. Bisogna pensare a Porreca! Ti scrivo col lapis dal letto, non perché sia malato, ma perché sono stanco. Oggi Università, Provveditorato, concorsi; non ne posso più, e muoio di sonno. E domani da capo alle 6 concorso. – A proposito, fammi sapere quando devo mandare la rinunzia all’incarico di Provveditore,76 in quali termini anche. – Rispondimi subito. E scrivi ad Auriti: giacché l’elezione come sai è a 3 aprile. Cosa fa il Bertini ora? Appoggia la mia candidatura? Non ricevo lettere da Chieti. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
69. Il conte Raffaele Ulisse Barbolani (1818-1900), diplomatico e giornalista, segretario generale del Ministero degli affari esteri (1867-1869). 70. Pasquale Croce. 71. Onorato Croce. 72. Evandro Sigismondi. 73. Rosario Spaventa. 74. Rocco De Laurentiis. 75. Giulio De Petra. 76. Per presentare la sua candidatura alla Camera (cfr. lettere 491, 493 e 495). La rinuncia verrà corrisposta al ministro della pubblica istruzione il 22 marzo 1870 (cfr. lettera 511).
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509 A Silvio Spaventa Napoli, 17 marzo 1870 Mio caro Silvio, Ti ho scritto ieri e mandato alcune lettere. Eccotene altre due. – Ricordati di scrivere a Auriti. – Ciccarone mi scrive in data dell’altro ieri; e non sa nulla del ritiro della candidatura di Villari! Niente di nuovo. Scrivimi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
510 A Silvio Spaventa Napoli, 18 marzo 1870 Mio caro Silvio, Ricevo le due lettere tue. Oltre il collegio d’Avellino, quello anche di Castel San Giovanni è convocato pel giorno 27 corrente; e il decreto è nello stesso n° della Gazzetta (13 Marzo) che contiene il decreto per Gessopalena. Perché non te ne han detto niente? Che sia quello il collegio riserbato all’illustre filosofo Villari? In ogni caso, pazienza; e bisogna agire come se non fosse niente, e non dire i sospetti a nessuno ora, perché potrebbe raffreddare gli animi etc. Ciccarone mi segnala sempre i candidati Caccianini 77 (raccomandato da Giacinto De Thomasis) e Ciccio Raffaele!! Non so niente ancora dell’Ulisse; 78 il quale non potrebbe avere altro appoggio serio che il Porreca. Spero che Auriti gli scriverà come si deve. Aspetto tue lettere sulla mia rinunzia. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
77. Si tratta del barone Giovanni Caccianini, che concorse nel 1870 contro Bertrando Spaventa per il collegio di Gessopalena. 78. Achille Ulisse.
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511 All’Eccellentissimo Signore Il Ministro di Pubblica Istruzione 79 Napoli, 22 marzo 1870 Per mie particolari ragioni devo rinunziare e rinunzio con la presente all’incarico, conferitomi da Vostra Eccellenza con la nota 17 Gennaio 1868 numero di partenza 530, di reggere l’ufficio del Provveditore in questa Provincia. Sempre grato a Vostra Eccellenza della benevola fiducia di cui mi ha onorato in tutto il tempo in cui ho sostenuto tale incarico, sono obbligato dalle medesime ragioni a pregarla di benignarsi di accettare questa mia rinunzia prima della fine del mese corrente; e di indicarmi sia direttamente sia per l’organo di questa Regia Prefettura, la persona a cui devo fare la consegna dell’Ufficio. Sono con profondo rispetto Professore Bertrando Spaventa ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale (1860-1880), B a 2014, Bertrando Spaventa (inedita).
512 A Silvio Spaventa Napoli, 22 marzo 1870 Mio caro Silvio, Ti mando una lettera di Porreca a Innocenzo,80 e un’altra di Peschi a Zio Onorato.81 Curioso costui! – Non so chi sia e che influenza abbia. – Pare che il competitore più temibile sia Ciccio Raffaele. Se non altro avrò la gloria d’essere sconfitto da un uomo come lui. Solo De Feo può rimediare. Gli hai risposto? Credo di sì. Innocenzo ha domandato d’essere traslocato a Bomba da Villa. Zia Luisa e Faustina82 anche me ne scrivono. Vedi di appoggiare la sua domanda. Il posto di Bomba sarebbe lasciato vuoto dall’attuale ricevitore che ritorna in Piemonte. Per distogliere Caccianini – raccomandato da Giacinto De Thomasis – Ciccarone propone di far parlare al fratello – cassiere della succursale di Chieti – da Colonna. 83 Io non ho tali relazioni col Colonna da potergli parlare di ciò. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
79. Cesare Correnti. 80. Innocenzo De Nillo. 81. Onorato Croce. 82. Luisa Croce e Faustina Spaventa. 83. Salvatore Colonna, pedagogista, autore di molte opere tra le quali il Corso completo di pedagogia elementare, uscito in tre volumi a Salerno (Stabilimento tipografico nazionale) nel 1872.
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513 Telegramma Firenze 29 marzo 1870 Napoli. Ministero Istruzione Firenze. Prego accettare subito telegramma mia rinunzia provveditorato mandata ultimamente organo prefetto. Posdomani consegnerò Ufficio Prefetto Bertrando Spaventa ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale (1860-1880), Ba 2014, Bertrando Spaventa (inedita).
514 A Silvio Spaventa Napoli, 30 marzo 1870 Mio caro Silvio, Mandai la rinunzia al Ministero per l’organo del Prefetto il 22 corrente,84 pregandolo di accettarla prontamente, e dichiarando che io avrei lasciato l’Ufficio senz’altro alla fine del mese; e mi feci rilasciare ricevuta dal Prefetto. Non avendo avuto risposta, ieri sera per consiglio di D’Afflitto feci un telegramma, nel quale ripeteva la preghiera dell’accettazione per telegrafo, e la dichiarazione che avrei consegnato l’ufficio al Prefetto. D’Afflitto crede che la rinunzia deve essere accettata prima della riunione del Collegio. Non avendo avuto il tempo di sapere di certo se ciò sia esatto, per mettermi al sicuro, ho seguito il suo consiglio. Intanto prego te di insistere domani stesso presso il Ministero perché l’accettazione mi sia mandata subito, se non me la mandano oggi stesso. Saprai già la guerra rosso-nera che mi fa il Raffaele.85 Vincerà? Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
515 A Silvio Spaventa Napoli, 31 marzo 1870 Mio caro Silvio, Ricevo la tua lettera. Ti scrissi ieri per l’accettazione della rinunzia. Mi giunse ieri sera per telegrafo. – In una delle lettere precedenti ti raccomandai di appoggiare la do84. Cfr. lettera 511. 85. Francesco Raffaele, competitore di Spaventa e di Achille Ulisse-Barbolani, e del barone Giovanni Caccianini nel collegio di Gessopalena.
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manda fatta da Innocenzo per essere traslocato in Bomba. Ora egli mi scrive d’urgenza, perché ti raccomandi il contrario; di fare cioè che la sua domanda non sia esaudita, perché melius re perpensa e vista l’impossibilità di trovare una casa conveniente e per altre cagioni ha dovuto mutar pensiero. Te lo raccomando; si è mostrato attivissimo nella faccenda dell’elezione.86 Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
516 A Emilio Celano Napoli, 6 aprile 1870 Se sapessi alcuni particolari dell’elezione! Un tale per esempio non diede il voto né al Ciccio87 né al suo avversario, ma con molto spirito al “Santissimo Redentore”. Originale presso la contessa Maria Del Vasto, copia manoscritta di Gentile in AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
517 A Silvio Spaventa Napoli, 6 aprile 1870 Mio caro Silvio, Fatta la mia elezione, rimane che la Camera l’approvi e mi consideri come professore che pigli, il posto del Ciccone etc. Quella tale quistione di cui ti parlai un mese fa.88 Tu ne sai più di me; e sai come fare perché la cosa non sia portata innanzi alla Camera senza che ci si badi e sia risolta anche così. Vigila. – Devo mandare io di qui l’accettazione della rinunzia al Provveditorato;89 o pure ci penserà costì? – Dimmi insomma cosa io devo fare da parte mia, o se non devo far nulla. – Ti ricordo che Villari faceva correre delle lettere di Lanza e Cavallini le quali asserivano che io non era eleggibile, perché il numero pei professori era completo.90 Intanto il Villari si è presentato anche lui a Guastalla. Ma 86. Nella propaganda per l’elezione di Bertrando alla Camera nel luglio 1870. 87. Francesco Raffaele. 88. La questione della elezione di Antonio Ciccone a senatore, e il conseguente posto da professore lasciato libero alla Camera (cfr. lettera 503). 89. Ne aveva fatto richiesta al ministro della pubblica istruzione Cesare Correnti il 22 marzo 1870 (cfr. lettera 511). 90. Cfr. lettera 503.
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la mia elezione ha avuto luogo prima della sua, che ha ancora da venire. Avverrà, se avverrà, il 10. Dunque da questo lato non c’è che temere; né mi pare che siano stati eletti ora altri professori. Rimane dunque quella quistione; e ci devi pensare tu. Non ti far sorprendere. Scrivimi subito; e dimmi subito, cosa devo fare io. Tuo Bertrando Naturalmente ho ringraziato il De Feo; che mi scrisse ieri. Ricorderai che pochi giorni prima che Ciccone lasciasse il Ministero e fosse rinominato professore, il Professore Ellero 91 si dimise da Deputato. Chi prese il posto dell’Ellero, se non Ciccone? SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
518 A Silvio Spaventa Napoli, 8 aprile 1870 sera Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua lettera; e avea già messo alla posta la mia in cui ti trascriveva un brano della lettera del Ministero di Pubblica Istruzione al Prefetto sulla mia inammissibilità. Dunque il Ministero, almeno quello di Pubblica Istruzione, è già d’accordo con la Riforma!92 In questa gran mia faccenda io non credo di doverti dare suggerimenti: fa tu. La cosa può diventare contesa di partiti. Hai fatto bene a parlarne al Dina; e devi parlarne ad altri principali della Camera. Credi anche di doverne parlare al Lanza? Insomma fa ogni cosa e scrivimi. Ciò che bisogna evitare è una sorpresa. Informati dunque quando verranno costì le carte, chi farà il rapporto, etc. Vedi a che minuzie arrivo io! A proposito; il Pisanelli qui si mostrava piuttosto contrario al mio diritto. Potresti convertirlo? Qualcuno – non dico lui – deve parlare alla Camera nel caso. Che devo dirti di più? Vinti i preti, rimane a vincere i loro figliuoli ora. Di fretta. Tuo Bertrando 91. Pietro Ellero (1833-1933), giurista e docente universitario, deputato del regno d’Italia nelle legislature IX e X. 92. Nel 1870 Quintino Sella, nell’ambito dei provvedimenti per il contenimento della spesa, propose la chiusura delle Facoltà nelle quali il rapporto fra docenti e studenti fosse stato inferiore a 1:8 nel periodo 1861-1870. Nonostante le gravissime difficoltà, l’ordinamento dell’istruzione superiore non fu mai, allora, concepito solo in funzione della spesa; e la richiesta rimase senza esito, salvo che per le Facoltà di teologia, la soppressione delle quali veniva prospettata già prima del 20 settembre 1870.
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Intanto i concorrenti del Provveditorato sono parecchi: Fusco, De Luca, un po’ anche il Settembrini; e vi ha chi parla anche del Persico, del Mirabelli. Sai che il La Cecilia è in corsa per non so quale truffa, falsità, etc.? AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
519 A Silvio Spaventa Napoli, 11 aprile 1870 Mio caro Silvio, Non credo inutile mandarti un brano d’un articolo della Perseveranza di Sabato, che è una reclame del Villari. Si ammette la vacanza di un posto di Professore; ma si pretende che la mia elezione non essendo stata ancora convalidata, 93 non toglie questa vacanza. Non mi pare che vada bene così. Il mio diritto data dal giorno dell’elezione o da quello della convalidazione? Mi ricordo che quando io dovetti uscire dalla Camera nel 1861,94 si fece così: si sottoposero al sorteggio i soli professori eletti nelle prime elezioni, i quali erano più del numero prescritto; gli altri, tra i quali ero io, eletti nelle elezioni suppletorie, non furono neanche sottoposti a sorteggio, e furono mandati via sic et simpliciter. Se ora ci è dunque un posto, mi pare che deva occuparlo chi è stato eletto prima. Perché aspettare che si presentino altri e altri? È superfluo che ti raccomandi questa faccenda. E a proposito di atti della mia elezione sono venuti costà? Quando sarà proposta la convalidazione? Dopo Pasqua? Se si potesse far prima! Bada anche a questo. Insomma fa tu e vigila in tutto. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
520 A Silvio Spaventa Napoli, 18 aprile 1870 Mio caro Silvio, Viene costì il Del Giudice, che tu conosci e di cui sai la storia, cioè tutta la sua faccenda col Direttore di questo archivio. Io te ne scrissi, giorni fa.
93. Sarebbe stata convalidata in luglio, ed era stata decretata in aprile. 94. Come già ricordato, nel 1861, la Camera non aveva convalidato l’elezione di Bertrando perché il numero dei posti riservati ai professori era già coperto.
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Credo superfluo raccomandartelo; e sono certo che lo aiuterai, per il bene del nostro paese. De Donno 95 qui presente ti saluta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
521 A Silvio Spaventa Napoli, 20 aprile 1870 sera Mio caro Silvio, Non ti scrivo da più giorni, perché non avevo che dirti; ed ero un po’ stanco di scriver lettere; che ne ho scritte tante in questi giorni; e poi il giorno di Pasqua sono stato a letto con un catarraccio molesto, che non mai l’eguale. Cosa da niente; ma noiosa certo. Ora sto meglio, anzi bene. Dunque io posso esser certo che sarò ammesso alla Camera? E il Villari? E la sua pretesa di essere sorteggiato con me? Quando lui si portava a Gesso-Palena, il posto di professore non c’era. Ora… viva la gomma elastica. Intanto, lasciando stare lo scherzo, bada che non ostante il parere unanime della Giunta di accertamento, non succeda alla Camera qualcosa di contrario. Sii pronto ad ogni caso. Sarebbe bene che la mia ammissione fosse decisa subito. L’incertezza mi annoia più del catarro. Scrivimi su ciò. Dovendo mutar casa, non è possibile che io venga prima del 4 Maggio. Ho già incaricato Nicola di far fare le scarpe, che mi pagherai! Se non sarò ammesso. Ciccarone mi ha scritto di averti raccomandato una faccenda del Porreca. Fa per costui tutto ciò che puoi. Costui e Sirolli sono stati i miei grandi elettori, e meritano ogni riguardo. Te lo raccomando. Scrivimi subito. Sai che io dubito sempre. E toglimi d’ogni dubbio. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Non ho visto ancora il Pisanelli e la sua consorte. Ho incontrato invece il mio vecchio amico, il Duca di San Donato, che si è rallegrato con me, e mi ha detto ciò che sapevo già, cioè che la Giunta era stata a me favorevole. Dagli amici di Pasqualino96 qui chi dice che ha rinunziato al Professorato (!), chi, che sarà sorteggiato con me! Bada! – Non credo che sarà necessaria la mia presenza! SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
95. Oronzio De Donno (1819-1886), patriota e politico, deputato del regno d’Italia nelle legislature VIII, XI e XII. 96. Pasquale Villari.
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522 A Silvio Spaventa Napoli, 28 aprile 1870 Mio caro Silvio, Sebbene la tua ultima lettera mi rassicuri sulla mia ammissibilità alla Camera, pure avendo letto ieri sera sull’Italia la discussione di ieri l’altro sull’elezione del Villari temo non so che cosa. – Il male è stato che il rapporto della Giunta per l’accertamento etc. deliberato il 12 non sia stato fatto alla Camera prima della convalidazione di quella elezione. Presentato ora, ci potrà essere discussione. Cosa vuol dire la risposta del Miceli97 al Presidente? Il Presidente: «la quistione può essere rinviata alla Giunta; la quale si riunirà domani, e potrà fare il suo rapporto domani stesso». E Miceli: «membro della Giunta, devo dichiarare che ella non potrà fare domani il suo rapporto, giacché ha tra mani un’altra quistione che esige almeno tre giorni». Quale è quest’altra quistione? La mia? Si ritorna forse sulla deliberazione unanime già presa in mio favore? Capisci, che avendo il minimo motivo di dubitare, la mia fantasia vola e ci spazia. Io ti raccomando di stare attento. Se pure a quest’ora la cosa non è decisa. Insomma Villari si batte fino all’ultimo momento. E tu non mancare mai questi giorni alla Camera. Dovrei venire pel 1° Maggio al Consiglio. Ma non posso, perché devo cangiar casa; e anche perché mi sento un po’ dolere il piede segno probabile di podagra. Fammi sapere di dire a chi credi e in tempo, al Mamiani, o al Bonghi (se se ne ricorderà) o al Messedaglia,98 o al Tenca,99 che io ho la podagra a dirittura. Insomma pensa e rimedia tu. – Non te ne dimenticare. Temo che le scarpe le avrai a pagar tu, grazie al Villari. Scrivimi subito se puoi. Tuo Bertrando Se la Camera decide che non ci è posto né per me né per lui, buona notte! Ma se decide che ci è posto, può il Villari essere equiparato a me che sono stato eletto prima di lui? SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
97. Luigi Alfonso Miceli (1824-1906), avvocato e politico, deputato del regno d’Italia dalla VIII alla XIX legislatura. 98. Angelo Messedaglia (1820-1901), politico e deputato dalla IX alla XIV legislatura. Nel 1884 fu nominato senatore del regno d’Italia. 99. Carlo Tenca (1816-1883), pubblicista e letterato, insegnante nelle scuole superiori, deputato del regno d’Italia dalla VIII alla XIII legislatura.
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Epistolario
523 A Silvio Spaventa Napoli, 16 maggio 1870 Mio caro Silvio, Se non ci saranno altri impedimenti, io partirò di qui giovedì prossimo mattina, e per conseguenza sarò costì Venerdì. Nel caso che non potrò partire, ti avviserò; se no, abbi per certo che verrò. Mandami Filippo100 alla stazione, perché io sappia dove devo andare a dormire, almeno nel primo giorno. Poi si vedrà. Naturalmente porterò le scarpe, che tu mi pagherai.101 Abbiamo avuto la repubblica all’Università! Dunque a rivederci tra giorni. Isabella e Millo e Mimì salutano. Tuo Bertrando Ti acchiudo una partecipazione funebre di D’Afflitto diretta a te. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
524 Ad Angelo Camillo De Meis Firenze, 30 maggio 1870 Mio caro Camillo, Tu devi averla tremendamente con me, e hai ragione. Almeno la logica esige così, perché tu sei stato l’ultimo a scrivere, e da quasi un mese io ho fatto il morto. Mesi fa, avea intenzione di intavolare una polemica con te – io povero Giorgio102 – a proposito del nulla, e difendere la mia posizione di quasi ribelle alla Bibbia hegeliana; ma la faccenda minaccia di diventar troppo lunga e grossa, e lo scartafaccio mi rimase in portafoglio. Devi però sapere che il tuo Deus Creator et Servator, l’ha fatta un po’ troppo da ebreo con me, e si è mostrato non solo vindex, anzi ultor; giacché, giunto sin qui e mentre mi apparecchiava a scriverti e chiederti scusa e tentare di placare la tua santa collera, esso mi ha visitato col flagello della podagra, che di questa stagione e a Firenze è un fastidio amaro e incompensabile, direbbe il nostro perspicuo Mamiani, con la giunta del superlativo. Oggi sto un po’ meglio, e posso andare a pranzo fuori di casa. Il peggior male è stato, che non ho potuto assistere alle ultime sedute della Camera, e udire il discorso del Conti sui provvedimenti militari,103 lo svolgimento delle sue 4 tesi e gli ammonimenti suoi al Ministero delle armi. A Gennaio l’udii all’Istituto Superiore, ragionare innanzi a molte signore del 100. Filippo Vitullo. 101. Per la scommessa sull’elezione di Bertrando alla Camera del deputati. 102. Personaggio del romanzo filosofico Dopo la laurea. 103. Augusto Conti prese parte alla discussione generale del progetto di legge per provvedimenti finanziari relativi all’esercito nella tornata del 27 maggio 1870 alla Camera.
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finito e sì dell’infinito e sì della loro relazione, a spese della torre di Arnolfo e del Duomo di Milano: che, come sai, sono due categorie logiche e metafisiche. Prima della podagra avea ricominciato il giro dell’Istituto; e rivisto il Trezza, che è una gran cassa di primo ordine. Quasi quasi mi viene il sospetto, che il Dio e della podagra – testa meschina e pettegola – non sia punto il tuo, che ci è ed è un gran Dio, e di quello di… lasciamo pur dire… di Pasqual…; il quale in questi ultimi mesi mi ha dato delle incredibili seccature e per poco, con tutto il rispetto dovuto alla sua positiva divinità, non l’ho mandato a farsi fottere. Caro Camillo, la filosofia positiva è inconcludente, e come dici tu, pellicolare; la religione positiva è ridicola; ma la morale o pratica positiva è brutta, e un po’ anche schifosa. È capace di farti venire financo la podagra. Io spero di venire a rivederti tra giorni, e che non l’avrai più con me, e mi perdonerai tutti i miei peccati. – So da Fiorentino che stai bene. Salutamelo tanto; e fa lo stesso coi Signori Siciliani. Addio per oggi. Non posso scrivere più, perché mi fa male un po’ il piede. Tuo sempre Bertrando Saluti di Vittorio,104 che mi ha fatto compagnia sempre. E di Silvio. Addio. Dà l’acchiusa a Fiorentino. SNSP, XXXI.D.7.2 (parzialmente ed. in Croce, Ricerche, pp. 14-15).
525 A Francesco Fiorentino Firenze, 30 maggio 1870 Mio caro Fiorentino, Ho dato la preferenza a Camillo,105 perché era quasi un anno che non gli scrivevo. In grazia della mia podagra e della promessa che ti fo che verrò a rivedere Bologna, tu contentati di questi pochi righi. Ho ricevuto la tua lettera e non ho potuto risponderti prima. Oggi, nell’uscir di casa dopo più giorni di letto, ho incontrato il Menozzi. Mi ha detto che quella canzone l’avea e la diede poi a un amico; che sarebbe venuto a vedermi etc. È superfluo che ti dica che farò di tutto per cavarne il meglio che potrò. Vittorio106 ti ha già mandato le altre canzoni. Della Rivista parleremo costà. Dunque addio per ora. E tante cose alle tue Signore di casa. Tuo affezionatissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 65 (inedita).
104. Vittorio Imbriani. 105. Angelo Camillo De Meis. 106. Vittorio Imbriani.
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526 A Silvio Spaventa Napoli, 11 settembre 1870 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto più, e puoi indovinare il motivo: dopo tutto quel che è successo, mi sento così stordito e rimpiccolito che non ho voglia di far nulla. E chi sa cosa avverrà ancora! Come saprai già e vedrai dalla lettera acchiusa qui gli Amministratori dell’Annunziata respinsero subito la mia domanda per Mimì. E pure il Fabbroni, se ben ricordo, ti avea promesso qualche cosa. E ora che devo fare? Mi trovo proprio imbarazzato. – Io devo trovarmi costì pel 20 corrente. Parleremo di questo. Ora bisogna che ti dia molti fastidi, elettorali s’intende. Devi aiutarmi, se vuoi che io sia rieletto nella prossima convocazione dei Collegi per Roma! Abbi pazienza; altrimenti, ci perderai più tu, che io. Non è vero? 1. In primo luogo il Porreca, il quale mi scrisse per il Nardilli Camillo, volontario da 5 anni nell’Agenzia delle Tasse; il quale vuole essere nominato aiuto governativo. Me ne ha scritto anche il Turchi. Risposi al Porreca, che ci saremmo adoperati etc. E non si è fatto nulla. Vedi tu, e subito. 2. Una risposta qualunque ad Omero Persiani che mi raccomanda il Giudice di Torricella. 3. La grazia pei contadini di Gamberale. 4. Una risposta per Innocenzo il quale vuole andarsene da Villa Santa Maria. Vuole Atessa o Castel di Sangro!!! E questo per ora. Ti prego di occuparti di queste faccende. Io sto bene. E tu? Ti troverò a Firenze pel 20? Rispondimi subito. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Vincenzo Turco mi raccomanda una cosa sua. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
527 A Silvio Spaventa Napoli, 12 settembre 1870 Mio caro Silvio, Io partirò di qui domani (Domenica) sera alle 6 e giungerò costì o Lunedì la sera o Martedì mattina.
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A rivederci a presto Tuo affezionatissimo Bertrando Fo la via di Foggia. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
528 A Silvio Spaventa Napoli, 18 settembre 1870 Mio caro Silvio, Non posso partire oggi, come mi ero proposto e ti avevo scritto, perché ieri sera mi calpestarono per via il piede dritto dove avevo un’unghia incarnata, e sento ora molto dolore, e non posso camminare. È cosa da niente; ma mi impedisce di viaggiare. Ti prego di farlo sapere tal quale al Mamiani per mezzo di Volpicelli107 o altri. Che vuole che faccia io? Avvisa anche Filippo,108 a cui avevo scritto. Tuo Bertrando Del resto, tolto il dolore al piede, sto benissimo. SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
529 A Silvio Spaventa Napoli, 21 settembre 1870 Mio caro Silvio, Sto meglio col piede. È stato bene che non partii, perché la notte ebbi un po’ di febbre. Ora è passata, e stamattina sono uscito di casa per fare due passi come meglio ho potuto. Gilberto109 ti manda l’acchiusa. Vedi cosa puoi far per lui: sarebbe cosa dolorosissima se rimanesse così in mezzo alla strada. Isabella Millo e Mimì ti salutano Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
107. Volpicelli: lapsus calami. Si tratta di Cesare Volpicella, segretario del Consiglio superiore della pubblica istruzione. 108. Filippo Vitullo. 109. Gilberto Vitullo.
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530 A Silvio Spaventa Napoli, 24 settembre 1870 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua. Come ti scrissi giorni sono, sto meglio col piede, e posso camminare. Oggi, mi ho fatto tagliare un po’ d’unghia dal chirurgo. Del resto è cosa di poco momento. Probabilmente fra giorni farò una sfuggita a Palena, tra i miei seccatori elettori. Ti scriverò di nuovo. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
531 A Silvio Spaventa San Vito Chietino, 9 ottobre 1870 Mio caro Silvio, Sono qui da una settimana e ho riveduto Emilia dopo tanti anni. Domani andrò a Palena. Ci fui anche tre anni fa, in forma pubblica; e mi conoscono tutti. Palena è un paese solitario e all’estremità del Collegio; e perciò non temo tanto le conseguenze che tu prevedi. Del resto non ho potuto farne di meno, perché l’avevo promesso. Saprò poi regolarmi. Ti scriverò di là. Mi tratterrò pochi giorni. Tuo sempre Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
532 A Francesco Fiorentino Firenze, 11 ottobre 1870 Mio caro Fiorentino, Sono arrivato qui alle 7 antimeridiane. Ritornerò per Bologna e verrò a vederti. A voce risponderò alla tua lettera, che ho ricevuto con molto ritardo. Tanti saluti alle Signore. Tuo sempre B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 66 (inedita).
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533 A Silvio Spaventa San Vito Chietino, 16 ottobre 1870 Mio caro Silvio, Sono arrivato bene. Domani farò una pausa a Palena solo; dove mi tratterrò pochi giorni. Isabella e i ragazzi rimangono a San Vito. Come vai col dolore al fianco? Bada per carità. Di fretta. Ama sempre Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
534 A Silvio Spaventa San Vito Chietino, 29 ottobre 1870 Mio caro Silvio, Tornai iersera da Palena, e partirò domani per Napoli. Mi trovavo a Lanciano quando giunse il tuo telegramma al De Feo sulla morte del povero Decoroso. 110 A Palena poi dopo molti giorni seppi tutto. Povero Decoroso! Oltre a Palena sono stato a Montenero, Torricella, Lama e Casoli. Volevo andare a Villa Santa Maria, ma il tempo cattivo e le strade pessime me l’hanno impedito. – A Torricella, sebbene il Porreca fosse assente, ho avuto una entusiastica accoglienza. A Lama anche, da quelli che votavano per me, specialmente dal Tabazzi. Anche a Casoli m’hanno ricevuto bene. Ho visto il Travaglini. Che faccia! Mi ha fatto tante promesse e offerte. In generale mi pare che sarà rieletto. Io dovrò essere costì pel 6. Scrivimi subito a Napoli, e dimmi dove devo andare ad alloggiare. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo sempre Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
110. Decoroso Sigismondi.
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535 A Silvio Spaventa Napoli, 14 novembre 1870 Mio caro Silvio, Sono tornato qui venerdì sera, dopo essermi fermato un giorno a Roma; e passato Presenzano per poco non siamo precipitati tutti in un fosso, perché la strada si è rotta, la macchina è uscita dalla rotaia, e quattro vagoni sono andati in pezzi. Siamo salvi per un vero miracolo. Ho notizie buone da Casoli. Mi risponde il Travaglini, dichiarandosi obbligatissimo per la risposta, sebbene negativa, del Raeli; e promette la quasi unanimità. Lo stesso mi dice Giulio De Petra, e mi assicura che il Travaglini si adopera efficacemente per me. Buone nuove anche da Palena. Non ho ancora risposte da Sirolli di Altino, né dal Parroco di Torricella, e né anche dal De Nillo da Villa Santa Maria; né da Omero. 111 Evandro112 mi scrive che il De Feo gli ha detto che non ci sia nulla da temere. Il Tabazzi da Lama mi promette tutto quello che può. – Se oggi avrò altre notizie, te le comunicherò. Intanto se tu credi di scrivere di costì, fa pure. Il Roma di qui dice che i liberali di Atessa ti oppongono il generale Griffini,113 e che alcuni consorti ti propongono a Nicastro! A Napoli pare che riuscirà tutta la lista progressista, non ostante gli sforzi del Comitato moderato e del Prefetto; e avremo il Rilli114 e di nuovo lo Spasiano,115 etc. Omero, con una lettera che mi è pervenuta con molto ritardo, mi raccomanda una petizione del municipio di Montenero al Ministro delle finanze. Io non so se la cosa si possa fare. Te la mando; e vedi, e rispondimi almeno. Il Travaglini ti ricorda il ricorso al Consiglio di Stato contro la deliberazione del Consiglio Scolastico sulla maestra. Vorrebbe alcune altre cose per Casoli, di cui mi parlarono anche il De Vincentiis e il Sindaco Masciantonio; ma di ciò a voce quando verrò. E tu che notizie hai di Atessa? Spero che Ciccone sia tornato; sempre può giovare. Scrivimi. Isabella e Millo e Mimì ti salutano. Sono sempre Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
111. Omero Persiani. 112. Evandro Sigismondi. 113. Paolo Griffini (1812-1878), militare e deputato nel parlamento del regno d’Italia nelle legislature VIII-X, XIII. 114. Luigi Passerini Orsini De’ Rilli, nato nel 1816, fu pubblicista e deputato nel parlamento del regno d’Italia nella VIII legislatura. 115. Enrico Spasiano, nato nel 1833, fu militare e deputato nel parlamento del regno d’Italia nella IX legislatura.
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536 A Silvio Spaventa Napoli, 16 novembre 1870 Mio caro Silvio, Ho ricevuto risposta dal Porreca che è favorevolissima; e per mezzo di Mincantonio dal Sirolli, che mi dà anche buone notizie; e dal De Vincentiis di Casoli, idem. Nessuna notizia di Villa Santa Maria, né da Innocenzo De Nillo né dal Fornari. Il solo Marinelli ha risposto a Erasmo;116 e promette. – Cosa credi di fare per Villa? Ci è più tempo? – Ne scrivo oggi stesso a De Feo. E di Atessa? Di fretta Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
537 A Emilio Celano Napoli, 19 novembre 1870 Il mio indirizzo è = Salita Stella, 47. Originale presso la contessa Maria Del Vasto, copia manoscritta di Gentile in AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
538 A Silvio Spaventa Napoli, 26 novembre 1870 Mio caro Silvio, Mincantonio117 mi scrive i particolari della tua elezione; e di certo li avrà scritti anche a te. Ci è stato dell’imbroglio e della negligenza. – Il Codagnone (magistrato) tornato qui da Atessa pochi giorni prima del 20 disse ad Erasmo118 che le cose andavano benissimo per te, che non si presentava alcun competitore, etc. È possibile che egli non sapesse nulla delle macchinazioni dei suoi parenti? Sento che anche il Marchione si sia dato da fare contro di te. Un’altra volta bisogna star bene attenti. Io devo trovarmi costà il 4 per Consiglio. Intanto ti raccomando caldamente due cose, di cui mi ha scritto il Travaglini di Casoli; il quale, come sai, ha fatto fare quella votazione a Casoli. 116. Erasmo Colapietro. 117. Domenicantonio Sacchetti. 118. Erasmo Colapietro.
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1. I ricorsi del Comune al Re, e specialmente quello sul maestro elementare. 2. Sulla tenuta dei Catasti, che oggi per loro sono di un peso esorbitante, perché sono nelle sole agenzie delle tasse. Dice che il Governo sta per pubblicare un Regolamento sulla legge delle volture obbligatorie. Se si pensasse diversamente, non mancherebbero mezzi come obbligare le Segreterie a versare, ovvero a far sì che i dritti fossero esatti dalle ricevitorie ad altri nell’atto della registrazione dei stipulati, o diversamente. Ti ho trascritto tale e quale ciò che dice il Travaglini. È superfluo avvertire che io non ne capisco niente. Ma tu vedi cosa puoi fare. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
539 A Silvio Spaventa Napoli, 31 dicembre 1870 Mio caro Silvio, Tornai qui l’antivigilia di Natale, e trovai Isabella malata piuttosto gravemente da parecchi giorni; e io non ne sapeva nulla. Ora sta un po’ meglio. Il giorno prima del mio ritorno accadde vicino ad Agrino un nuovo disastro sulla via ferrata;119 morì il macchinista, e ci furono molti feriti! Leggi l’acchiusa di Ciccio Fornari di Borrello. Io non so se ciò che desidera si possa fare. Mi pare che qualche anno fa si poteva fare qualcosa di simile. Rispondimi subito una lettera quale che sia, ma tale che io possa mandargliela. Puoi domandare al Torre. Ti raccomando la sollecitudine. Io sto bene coi ragazzi. Di fretta. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.2 (inedita).
119. Un altro incidente, precedente, è descritto nella lettera 535.
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540 A Silvio Spaventa Napoli, 6 gennaio 1871 Mio caro Silvio, Diedi la lettera di Lanciano su De Nillo a Rosario,1 il quale è ripartito per Bomba l’altro ieri sera. Quella del Gadda2 non gliela diedi, perché non sapevo che dovevo dargliela. Scrivo al Fornari perché mandi a te l’istanza al Ministero della Guerra per il suo nipote. E tu la darai al Torre o in nome tuo, o mio, o tuo e mio insieme. Non mi dici se hai trovato uno stanzino anche per me. Di fretta. Tuo Bertrando Ciccio Russo ti ricorda quella sua faccenda! SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
541 A Silvio Spaventa Napoli, 28 gennaio 1871 Mio caro Silvio, Partirò domani (domenica) all’una pomeridiana. Scrivo a Filippo3 perché venga alla stazione. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
1. Rosario Spaventa. 2. Giuseppe Gadda (1822-1901), politico e prefetto in vari comuni del regno d’Italia. Deputato nel 1860, fu nominato senatore del regno d’Italia nel 1869. 3. Filippo Vitullo.
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542 A Silvio Spaventa Napoli, 15 febbraio 1871 Mio caro Silvio, Tornai qui venerdì. Sto bene con la famiglia. Ho letto il rapporto della Commissione per l’accrescimento dei Deputati impiegati. Tra i consiglieri di Pubblica Istruzione è stato omesso il mio nome. È vero che non è da sperare che la Camera voglia esimere dal sorteggio i Professori consiglieri. Ma pure sarebbe bene per ogni buon fine avvertire l’omissione. Puoi rendere a Vincenzo Turco un piccolo favore. Scrive a me l’acchiusa, credendomi ancora a Firenze. Ha mandato una domanda al Ministero della Guerra; e tu devi dire due parole al Torre, al terribile Torre. – Se si può fare bene; se no, no. Ma leggi la lettera e rispondimi! Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
543 A Silvio Spaventa Napoli, 2 marzo 1871 Mio caro Silvio, Partirò domani all’una pomeridiana e sabato sarò costà. Non verrò a far colazione da te, perché ci ho Consiglio alle 10. Ho scritto a Filippo.4 Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
544 A Francesco Fiorentino Firenze, 6 marzo 1871 Mio caro Fiorentino, Domani (Martedì) partirò di qui alle 10 antimeridiane. – Avvisa Camillo.5 Tanti saluti alle Signore. Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 67 (inedita).
4. Filippo Vitullo. 5. Angelo Camillo De Meis.
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545 A Silvio Spaventa Napoli, 11 marzo 1871 Mio caro Silvio, Sono tornato qui ieri direttamente da Bologna, e con tutte le 20 ore di viaggio mi sento bene. Non sono andato a Torino; e tu avevi ragione di dubitare del mio proposito. Ora che il Banco mette una sede succursale a Roma, m’immagino che avrai molte seccature. Se tu sei disposto ad accettare alcuna, non sarebbe da preferire di fare un po’ di bene al figlio di Ersilia,6 Raffaele […], il quale è un buon giovine e onesto, come sono tutti i suoi fratelli e la sua famiglia? Rispondimi su ciò. Ho trovato Mimì un po’ arrabbiata contro la sua maestra, perché nel dettarle una parte della lettera che ti ha scritto le ha fatto dire cose che ella dice di non capire; e ha dichiarato che un’altra volta ti scriverà da sé. Vedi di farmi mandare dalla posta le lettere qui. Tutti ti salutano. Tuo Bertrando Ti ricordo l’affare di Antonio Sabato. Parlane al Duchoquet.7 SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
546 All’Illustrissimo Signore Conte Terenzio Mamiani Vicepresidente del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione Firenze Napoli, 15 [marzo] 1871 Illustrissimo Signore, Un forte reuma con febbre m’impedisce di partire oggi per Firenze e intervenire alla adunanza del Consiglio. Se il mio stato di salute me lo permetterà, farò di partire domani o dopo domani. Prego intanto Vostra Signoria Illustrissima e gli onorevoli membri del Consiglio di avermi per iscusato. Sono con profonda stima di Vostra Signoria Illustrissima Devotissimo Servo B. Spaventa BOP, Carte Mamiani, 12523 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, p. 561).
6. Non si tratta di Ersilia Spaventa, sorella di Bertrando. 7. Augusto Duchoqué (1813-1893), politico e senatore del regno d’Italia dal 1862.
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547 A Vittorio Imbriani Napoli, 17 [marzo] 1871 Mio caro Vittorio, Il tuo articolo è stato mandato al De Cesare, 8 con raccomandazione espressa di stamparlo subito. Mi ha dato la sua parola di… onore che avrebbe sodisfatto il tuo e il mio desiderio. – Io non sto molto bene; ho un reuma che mi tormenta al collo e alla spalla egregiamente. Per questa cagione non son venuto ancora a Firenze. Il reuma è frutto delle lezioni che fo all’Università. Sarebbe stato meglio non farle, non è vero? Non ebbi il coraggio di scriverti, come avrei dovuto, quando lessi9 come te, in un giornale, quella triste notizia.10 Cosa potrei dirti ora? Fa animo, mio caro Vittorio, e ama sempre Il tuo B. Spaventa BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 3 (ed. in Imbriani, Carteggi, p. 69; Pellicani, Lettere inedite, p. 883; B. Spaventa, Scritti inediti, p. 562).
548 A Silvio Spaventa Napoli, 21 marzo 1871 Mio caro Silvio, Ti scrivo per Antonio Sabato, il quale non ha potuto ancora liquidare la pensione per una lacuna che la Corte dei Conti dice di trovare nei documenti. Egli ha risposto alla Corte con una lettera, di cui ti mando copia, e da cui puoi vedere in che stia la difficoltà. Ne puoi parlare al Duchoquè? Io sto bene con la famiglia. Tuo Bertrando Quando si fa questo benedetto sorteggio? SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
8. Raffaele De Cesare (1845-1918), giornalista e politico, intimo di Vittorio Imbriani. Imbriani aveva pubblicato sulla «Nuova Patria» del De Cesare del 23 gennaio 1871 la recensione all’Almanacco storico d’Italia di Mauro Macchi. Nel primo fascicolo del 1872 (pp. 41-61) del «Giornale napoletano di filosofia e lettere» apparve poi l’articolo Un preteso poeta (Giacomo Zanella). 9. D’Orsi: «seppi». 10. Forse un lutto in casa di Vittorio Imbriani (cfr. B. Spaventa, Scritti inediti, p. 562, nota 2).
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549 A Vittorio Imbriani Napoli, 17 aprile 1871 Mio caro Vittorio, Scusa il ritardo. Mando a Silvio il manoscritto (raccomandato);11 domani puoi andare a prenderlo. Non ho potuto mandarlo prima per tante ragioni, che è inutile che ti dica ora. Ma me lo pubblicherà il Protonotari?12 Poco lo credo. E nel caso affermativo, come faremo per le correzioni? Me le farai tu, o mi manderai le bozze qui nel caso che io non mi trovi costì?13 Fa tu, come ti pare. Dunque Correnti ha scoperto la mano (dovrei dire il membro) di Hegel nell’ingravidamento di quella giovinetta bolognese? Che talento! E Fiorentino cosa gli ha risposto? Non l’ha mandato alla Cerra? 14 O a Barisciano?15 (Barisciano in Abruzzo è la terra dei somari protosomari; e dire asino di Barisciano è quanto dire, tra noi, un asino laureato in utroque. Un asino degno di fare il Ministro della Pubblica Istruzione). Siciliani non ha ragione contro De Meis e Fiorentino. Godo che il nostro pontefice16 l’abbia in pectore; e desidero che l’espettori a Roma al più presto cardinale della filosofia del mezzo. Il povero Pietro 17 poi non ha tanto torto; e noi altri del Consiglio Superiore faremo in questo caso da emetico. Non ha torto; perché se ci sono due indirizzi filosofici estremi, per esempio l’idealismo e il realismo, ci può essere un indirizzo medio o del mezzo. Ma che dire del Mamiani, il quale ha scoperto (e lo storico della filosofia italiana au dixneuvième siècle18 lo loda e lo ammira per questo) due filosofie – proprio filosofie, non indirizzi – cioè quella del senso comune, e quella che si chiama teoretica? Gioberti ne ammetteva due (a parte subjecti): la umana e la divina. Se il Mamiani ammette quest’ultima, ne avremo tre; e se le bestie avessero la loro, ne avremmo quattro. Per me, se il Mamiani non fosse stato espettorato da un pezzo, sarebbe proprio il caso di espettorarlo ora (professore delle 4 filosofie)! – Non dire che io faccia il maligno; perché tutta la tiritera è nata dalla tua frase: in pectore. Torno al manoscritto.19 Bisogna che a principio ci si metta la nota, che dica che fu scritto nel 1869 e si pubblica tal quale; mi credano o non mi credano, non m’importa. Altrimenti, avrei dovuto tagliare, modificare, guastare. 11. Si tratta del saggio sulla Vita di Giordano Bruno, che uscì sul primo numero del «Giornale napoletano di filosofia e lettere», pp. 1-25. 12. Cfr. lettera 484, nota 117. 13. Coppola e Pellicani: «costà». 14. Pellicani: «Cera». 15. Coppola e Pellicani: «Bovisciano», anche nelle occorrenze successive. 16. Allusione a Pio IX, al soglio pontificio dal 1848 al 1878. 17. Pietro Siciliani. 18. Luigi Ferri, Essai sur l’Histoire de la Philosophie en Italie au dixneuvième siècle, 2 voll., Paris, Durand, 1869. 19. Domenico D’Orsi ritiene di poter accertare, a partire da questa specificazione, che il manoscritto della critica alla Vita di Giordano Bruno del Berti fu steso nel 1869, anziché nel 1871, come invece potrebbe far pensare ciò che ha scritto Gentile negli Scritti filosofici di B. Spaventa (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 123). Cfr. B. Spaventa, Scritti inediti, p. 564, nota 7.
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I francobolli che dicevi di mandarmi, non li ho trovati nella lettera. Ti sono rimasti in tasca? Non so dirti il giorno preciso della mia venuta costì. Sta di buon animo, come puoi, mio caro Vittorio e abbi ancora pazienza. Tuo padre mi disse prima di Pasqua, che sarebbe venuto nella settimana santa: avendolo visto ieri, mi ha detto che non ha potuto ancora, ma che verrà. Ripeto, abbi pazienza e fa animo. Tuo B. Spaventa Salutami l’hegeliano Fiorentino, ingravidatore possibile (possibile nel senso aristotelico) di tutte le figlie dei suoi colleghi. Oh Correnti! Meriteresti di essere ingravidato da… dalla20 Verità. Che ne nascerebbe? A Napoli un giovane ammogliato ha anche in questi ultimi mesi ingravidato una giovinetta, e vi era tra loro una relazione di Superiore e inferiore (relazione etica). L’ingravidante non è hegeliano; anzi: ma giobertiano puro sangue, cioè fautore e applicatore della formula: l’ente crea le esistenze. Nella cartella unita, segno alcuni miei dubbi su certe frasi del mio scritto. Aiutami tu, famoso saggio. BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 4 (ed. in Imbriani, Carteggi, pp. 72-73; Pellicani, Lettere inedite, pp. 883-885; B. Spaventa, Scritti inediti, p. 563).
550 A Francesco Fiorentino Napoli, 28 aprile 1871 Mio caro Fiorentino, Non ho risposto subito alla tua lettera, perché ogni giorno sono stato sul punto di partire, e naturalmente e poltronescamente mi proponevo di rispondere a voce. Tu non ti sei certo meravigliato di questo; piuttosto ti saresti meravigliato del contrario, cioè della mia puntualità e sollecitudine. Io dunque partirò domani sera (sabato) o al più tardi domenica all’una pomeridiana; e sarò quindi costà domenica a sera o lunedì mattina. Saluto Vittorio, 21 che io forse vedrò prima di te, perché tu domani partirai per Bologna di certo. Tanti saluti dunque alle Signore e a Camillo.22 Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 68 (inedita).
20. Pellicani: «dalle». 21. Vittorio Imbriani. 22. Angelo Camillo De Meis.
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551 A Silvio Spaventa Napoli, 29 aprile 1871 Mio caro Silvio, Partirò domani e sarò costì lunedì mattina. Scrivo a Filippo.23 Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
552 A Silvio Spaventa Napoli, 24 maggio 1871 Mio caro Silvio, Tornai qui Venerdì senza fermarmi a Roma; e sto bene con la famiglia. Non so ancora se verrò pel 28. Se ci è bisogno del mio voto, me lo farai sapere, e verrò. Ora mi hai da fare un piacere, il primo di questo genere! Il Sindaco di Casoli, il Masciantonio, mi manda un’istanza al Ministro delle Finanze per un guaio suo. Ho grande interesse di rendere un servizio a un casolano, specialmente al Sindaco. Tu dunque scrivi due righi al Peruzzi, raccomandandogli in linea di giustizia la cosa, e fa di avere – questo importa sopra tutto – una risposta. – Me lo farai questo piacere? Diavolo. – Scrissi al Peruzzi anch’io per due faccende. Su di una mi rispose; sull’altra che riguarda il Comune di Montenero – il quale chiedeva di pagare a rate un debito suo col Governo – non mi ha ancora risposto. Quasi quasi ti direi di ricordarglielo. Ti mando le carte del Masciantonio. Dunque addio per oggi e ti do i saluti di tutti di casa. Tuo Bertrando Rispondimi. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
553 A Silvio Spaventa Napoli, 25 maggio 1871 Mio caro Silvio, La disgrazia di Berenice24 ci ha costernati tutti, e io sono talmente abbattuto che non ho avuto animo di rispondere subito stamattina alla tua lettera. Ti avea scritto l’altro ieri a Firenze. Chi poteva immaginare ciò che era accaduto! Povera Berenice! M’immagino l’affli23. Filippo Vitullo. 24. Berenice Spaventa, della quale Silvio aveva comunicato la scomparsa.
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Epistolario
zione di Raffaele25 e dei ragazzi, e tanto più me ne addoloro. Avea risoluto di partire e venire costà; ma un po’ di dolore che sentiva al piede ora è molto cresciuto, e temo che sia podagra. Non posso muovermi. Tu scrivimi ogni giorno un rigo. Potessi almeno sperare di rivederla viva! E così l’uno dopo l’altro ce ne andiamo tutti! Ti abbraccio con Raffaele e i ragazzi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
554 All’Illustrissimo Signore Vicepresidente del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione26 Firenze Napoli, 27 maggio 1871 Illustrissimo Signore, Un eccesso di febbre m’impedisce di partire e intervenire alla adunanza del Consiglio. Prego Vostra Signoria Illustrissima e gli onorevoli Colleghi di scusarmi. Sono con profonda stima Devotissimo B. Spaventa BCF, Carte Piancastelli, B a 13 (inedita).
555 A Silvio Spaventa Napoli, 2 giugno 1871 Mio caro Silvio, Fo di sopportare con rassegnazione la disgrazia che abbiamo avuto;27 ma mi mancano le forze. Sono due giorni che non mi sento bene, e dopo parecchi anni mi è tornato il dolore di stomaco. Fosse tutto questo il male! Scrivo a Raffaele.28 Povero Raffaele! Come deve essere desolato! Scrivo anche a Mincantonio per Clotilde.29 Tu fa animo, e pazienza sempre. E ama Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
25. Raffaele Paolucci. 26. Terenzio Mamiani. 27. Per la morte della sorella Berenice, cfr. lettera 553. 28. Raffaele Paolucci. 29. Domenicantonio Sacchetti, marito di Clotilde Spaventa.
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556 A Francesco Fiorentino Napoli, 3 giugno 1871 Mio caro Fiorentino, Ho aspettato a risponderti che finisse il mese di Maggio. Il Ministero non ha ancora scritto nulla sulla cosa tua,30 nulla, nulla finora. Che parola da galantuomini! Non so se questa mia ti troverà a Bologna. Ma la Tuta che saluto con la Mamma,31 sa dove sei e te la manderà. Da Firenze ti rivedrò poi di certo a Bologna. È morta mia sorella32 che era a Siena. Camillo33 la conosceva. Saluto Camillo e sono sempre Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 69 (inedita).
557 A Silvio Spaventa Napoli, 3 giugno 1871 Mio caro Silvio, Sto un po’ meglio col dolore di stomaco, e spero che cesserà presto. Ti acchiudo una lettera per Torre. Contiene l’istanza di quel soldato che vuole il congedo definitivo per la ragione che suo padre ha più di 60 anni e l’unico suo fratello per una frattura a una gamba è inabile a qualunque lavoro. Credo che spetti a Torre decidere la cosa; e perciò scrivo a lui. Se non spetta a lui, ti prego di indirizzare tu la domanda al Ministero della Guerra. Se spetta a lui, manda la lettera tal quale alla Posta. Ti ricordo e ti raccomando di nuovo l’istanza del Sindaco di Casoli al Ministero delle Finanze. Mandali al Peruzzi. Il Sindaco mi scrive di nuovo, e insiste. Bada alla salute. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
30. Sulla proposta di assegnare a Fiorentino la cattedra di filosofia della storia all’Università di Napoli (cfr. lettera 559). 31. Restituta Trebbi, futura moglie di Francesco Fiorentino da cui ebbe quattro figli, e la madre Marianna Trebbi. 32. Berenice (cfr. lettera 553). 33. Angelo Camillo De Meis.
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Epistolario
558 A Silvio Spaventa Napoli, 4 luglio 1871 Mio caro Silvio, Non ho tue lettere da un pezzo. Ho però tue notizie da amici. Io sto bene, meno un po’ di dolor di capo che mi viene di tanto in tanto. Del resto è cosa da niente. La famiglia ora sta anche bene; nei giorni scorsi Millo e Mimì sono stati un po’ ammalati: qui corrono ora tutte le malattie possibili e immaginabili. Ti rimetto originalmente una lettera del Travaglini, che mi raccomanda l’istanza del Masciantonio al Ministero delle Finanze. Io ti mandai e ti raccomandai, è già da un mese, questa istanza. Che ne hai fatto? Non me ne hai fatto sapere nulla. – Se non hai fatto nulla, ti prego di far qualche cosa ora e subito; e in ogni caso rispondimi subito particolarmente, acciocché io possa dir qualcosa al Masciantonio e al Travaglini. Aveva in verità desiderato di far qualcosa per loro, almeno per far vedere che… fo qualcosa. Dunque rispondimi. Ti mandai anche una lettera pel Torre. Non avendo finora ricevuto da costui niuna risposta, che devo credere? Era una faccenda raccomandatami dai Testa di Palena. Non ancora ho la chiamata pel Consiglio; e non capisco il ritardo. O se ne fossero dimenticati di chiamarmi? Appena la riceverò, verrò e ci rivedremo. Bada alla salute e ama sempre Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
559 A Francesco Fiorentino Napoli, 6 luglio 1871 Mio caro Fiorentino, Cos’è stato che non rispondi all’ultima mia lettera in cui ti diceva della deliberazione della Facoltà sulla proposta del Ministero intorno alla cattedra di Filosofia della storia?34 Non so davvero cosa pensare del tuo silenzio. Se tu fossi me, non mi farebbe nulla, perché io sono solito di prendermi queste e altre licenze con gli amici; ma tu che sei così esatto, e manchi ora e non scrivi…, non so veramente cosa pensare, ripeto. E poi non mi dici ancora nulla della risposta di Tocco e Jaja all’invito di scrivere sulla nostra Rivista.35 – Animo dunque. Scrivimi subito, e mettiti a lavorare. 34. In seguito a tale deliberazione, Fiorentino avrebbe lasciato l’Università di Bologna per ricoprire la cattedra di filosofia della storia nell’ateneo di Napoli. 35. Il «Giornale napoletano di filosofia e lettere», diretto da Francesco Fiorentino, Vittorio Imbriani e Bertrando Spaventa, e stampato presso l’editore Morano di Napoli, che iniziò le pubblicazioni nel gennaio 1872.
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Saluta le Signore. Vittorio36 che è qui ti saluta. Tuo B. Spaventa Saluto Camillo37 a cui devo ancora scrivere. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 70 (inedita).
560 A Silvio Spaventa Napoli, 7 luglio 1871 Mio caro Silvio, M’importa di sapere se il Consiglio si sia riunito in Giugno o ai principi di Luglio, cioè se abbia tenuto l’adunanza di Luglio. Se sì, bisogna dire o che la lettera d’invito per me si sia smarrita o che non me l’abbiano fatta. E nell’ultimo caso, perché? L’affare per cui scrissi a Torre è questo. Un vecchio di Pizzoferrato chiedeva al Ministro di dare un congedo definitivo a suo figlio, citando alcuni articoli della legge sulla leva, mi pare, che riscontrammo insieme costà, cioè che lui ha più di 60 anni, e ha solo un altro figlio inabile al lavoro etc. per frattura d’una gamba, come risulta da attestato della Giunta municipale. Fa che il Peruzzi ti faccia una risposta per l’affare di Masciantonio; perché la possa mandare al Travaglini o a lui stesso, che insistono tutti e due. Tutti di casa ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
561 A Silvio Spaventa Napoli, 8 luglio 1871 Mio caro Silvio, Ieri sera ho ricevuto l’invito al Consiglio pel 12. Ci rivedremo dunque Mercoledì mattina Tuo Bertrando Se lo credi fa avvisare il locandiere. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
36. Vittorio Imbriani. 37. Angelo Camillo De Meis.
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Epistolario
562 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 10 luglio 1871 Mio caro Camillo, Avrei dovuto rispondere da tanto tempo alla tua lettera e dirti tante cose, ma al solito ha vinto la poltroneria. Speravo di venire costà alla fine del mese passato; ma non sono stato chiamato per Consiglio, e perciò non sono venuto. Ora devo trovarmi a Firenze il 12 e spero di venire a Bologna dopo pochi giorni, e rivederti e stare un giorno insieme. Saprai che la Rivista38 si farà; è una cosa conchiusa. Ma tu devi aiutarmi a scrivere. Se no, i positivisti ce la fanno, e di qui a qualche tempo a Napoli non si parlerà più di Filosofia. Ma di ciò a Bologna. Ho avuto nel mese scorso alcuni piccoli guai; Millo e Mimì sono stati poco bene. Dunque a rivederci a Bologna. Tanti saluti da Isabella e ragazzi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (parzialmente ed. in Croce, Ricerche, p. 15).
563 A Francesco Fiorentino Napoli, 10 luglio 1871 Mio caro Fiorentino, Ricevo la tua. – L’affare della Rivista è conchiuso; e perciò bisogna metterci a lavorare. Avvisa Tocco e Jaja. Fa e facciamo una critica di qualche opera italiana degna di essere criticata, o ciò che vogliono. Uscirebbe il 1° Ottobre.39 Bisogna prepararsi anche pei mesi seguenti. Devo trovarmi a Firenze il 12 corrente. È facile che ritorni per Bologna, per vedere Camillo.40 Tu ti sei messo a girare per conto di quei signori lì del Ministero. Dove potrò io raccapezzarti a Camerino? Bisogna che la rivista sia fatta bene; sale e pepe ci vuole. Mi raccomando a te e Tocco e Jaja. Saluto le signore e sono sempre Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 4 (inedita).
38. Il «Giornale napoletano di filosofia e lettere», che allora si preparava. 39. In realtà, il primo fascicolo della rivista uscì nel gennaio dell’anno successivo. 40. Angelo Camillo de Meis.
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564 A Francesco Fiorentino Napoli, 26 luglio 1871 Mio caro Fiorentino, Non ti ho scritto più per questi benedetti manifesti che ho avuto finalmente dal Morano e ti mando ora.41 Ma di ciò appresso. Dunque fui a Bologna e mi trattenni due giorni e arrivai che tu eri partito da poche ore. Fui ricevuto da Camillo, 42 che come sai ora ha una casa spaziosa e comoda e una persona di servizio sua e non detestabile come quella dell’altra casa. Stemmo allegri e il caso volle che io capitassi lì proprio il giorno di San Camillo. Fui visitato, naturalmente, dal Siciliani, e vidi la Cesira. 43 Il Consiglio Superiore non ha ancora deciso l’affare suo; nell’ultima sessione mancava il relatore che è – secondo alcuni – il Messedaglia (!), secondo altri l’Aleardi (!!): non si sa di certo, e il Mamiani – gran testa – ne fa un mistero. Ma ci è un brutto precedente; la domanda del Trezza, nonostante le premure di Pasqualino,44 non è stata accolta. Sarà Pietro45 più potente e più fortunato? È probabile che alla metà di Agosto io lasci Napoli e vada… sai dove? Sul nostro Adriatico. Scrivo a un amico perché mi trovi una casetta, a pagamento. Qui fa un caldo che è un orrore. E tu che farai? dopo Camerino, tornerai a Bologna, o verrai qui per trovarti l’alloggio? Le Signore dimoreranno ancora a Francavilla? Tutte cose, che io voglio sapere. Dunque vedrai dal manifesto che io sono il Direttore in capo, come si dice. Morano ha voluto così, e ha combinato la cosa con Vittorio,46 che l’ha scritto. Tu te ne farai una risata, come me l’ho fatta io; e crederai al titolo che reca noi tre direttori. – Ora bisogna mettersi davvero all’opera: il primo fascicolo deve uscire il primo di Ottobre; e poi verrà il secondo, etc. Camillo mi disse che vuoi fare una Critica del Conti, col sale e col pepe. Benissimo; io non desidero altro. Mano dunque ai ferri, e subito. E Tocco e Jaja? Devono scrivere tutti e due. Fa loro un ricordo; ammoniscili, minacciali; e manda loro dei Manifesti, perché procurino anche associati. Tu poi devi scrivere a tutti i tuoi amici influenti e sicuri, e a tutti i tuoi dipendenti: in Calabria, a Bologna, a Spoleto, a Teramo, ad Aquila,… anche ad Alessandria d’Egitto, se occorre; a Palmucci, al Waddington… Scrivi all’Albicini, 47 che anche può far molto. Insomma attività grande, straordinaria. Lo stesso farò io. A Filippo Masci 48 scriverò io e manderò dei manifesti. – Scrivi anche al Bonatelli;49 se vuol mandare anche articoli. O no? Pensa e risolvi tu. 41. I manifesti pubblicitari per il lancio del «Giornale napoletano di filosofia e lettere», edito da Morano a Napoli. 42. Angelo Camillo De Meis. 43. Cesira Pozzolini. 44. Pasquale Villari. 45. Pietro Siciliani. 46. Vittorio Imbriani. 47. Cesare Albicini (1825-1891), avvocato, docente universitario e pubblicista, deputato del regno d’Italia nelle legislature VIII e IX. 48. Filippo Masci (1844-1922), giurista, filosofo, docente universitario e deputato nella XIX e nella XX legislatura. Fu nominato senatore del regno d’Italia nel 1913. 49. Francesco Bonatelli (1830-1911), filosofo, fu professore nelle Università di Bologna (1861-1867) e di Padova (dal 1867). Nel 1884 fu nominato socio dell’Accademia dei Lincei.
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A Chimirri 50… che altro ti devo dire per oggi? – Avrei a dirti tante cose di qui: certi avvertimenti; ma me li riserbo, quando verrai. Intanto ti raccomando la Rivista. Scrivi a tutti. Bisogna che vada bene per tante ragioni. Tanti saluti alla Tuta e alla Mamma, 51 che spero di rivedere presto qui. Rispondimi qui. Tuo B. Spaventa Se ti bisognano altri manifesti, scrivi. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 71 (inedita).
565 A Emilio Celano Napoli, 27 luglio 1871 Fiorentino, Vittorio52 ed io facciamo una Rivista di Filosofia e Lettere;53 tanto per fare qualche cosa. Ti mando tre manifesti. Puoi fare qualche abbonato costì? Di quelli però che pagano sicuramente. Originale presso la contessa Maria Del Vasto, copia manoscritta di Gentile in AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, B a 2 (inedita).
566 A Francesco Fiorentino Napoli, 30 luglio 1871 Mio caro Fiorentino, Le nostre lettere si sono incontrate – senza conoscersi – per via. Ho poco da aggiungere alla mia. – Credo che fai bene a trattare del mondo greco. Non ti ammazzare. Farai un certo numero di lezioni; non è necessario che faccia 3 lezioni la settimana. Sta bene che ti ricordi di Hegel (tanto mangiato e digerito e cagato in Italia). Potresti leggere anche con frutto la Philosophie der Geschichte di Conrad Hermann 1870, 54 che è un hegeliano, il quale nota i difetti di Hegel e cerca di correggerli etc.
50. Bruno Chimirri (1842-1917), avvocato e politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia nelle legislature XII-XXIII, senatore del regno d’Italia dal 1913; più volte ministro. 51. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 52. Vittorio Imbriani. 53. Il «Giornale napoletano di filosofia e lettere», edito da Morano a Napoli. 54. Conrad Hermann, Philosophie der Geschichte, Leipzig, Friedrich Fleischer, 1870. Conrad Hermann (1819-1897), filosofo tedesco, si formò a Lipsia e a Berlino; scolaro di Hegel, si occupò soprattutto di storia della filosofia.
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Scuoti Tocco e Jaja, forte forte perché scrivano. Prepara l’articolo sull’oracolo Conti.55 Dirama i manifesti, specialmente nei tuoi dominii calabri e umbri. Ringrazia il Tallarigo tanto tanto per me. Vittorio penserà a farvi lui o farvi fare un articolo. Pare certo che alla metà di Agosto io vada a Francavilla. Scrivimi due righi e dimmi da Camerino dove andrai. Tanti saluti alle signore, e ricordami al Mariotti.56 Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 20 (inedita).
567 A Silvio Spaventa Napoli, 7 agosto 1871 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto, perché non avevo proprio che dirti. Sto bene con la famiglia. Millo sta facendo gli esami di licenza ginnasiale, e questo è il motivo per cui sono ancora qui. Mai come quest’anno ho sofferto pel caldo e Napoli mi è sembrata brutta e puzzolente. Alla metà di Agosto me ne andrò un po’ in Abruzzo e propriamente a Francavilla vicino Pescara, dove ho avuto una casetta bastantemente comoda, e mi ci tratterrò qualche tempo. Perché non vieni anche tu a fare i bagni? È vero che ti avvicini al tuo Collegio, e potresti non sfuggire a delle seccature. Ma si potrebbe pensare al modo di scansarle. Fammi dunque sapere cosa risolvi. Io qui non me la sento più di starci; tanto più che non abbiamo preso ancora i bagni appunto per le occupazioni di Millo. È stato qui il Correnti, che ha fatto ridere per i suoi discorsi sconnessi e scuciti. Col Direttore del Museo 57 si è occupato di scuole elementari; all’Accademia di belle arti ha parlato delle cliniche di Gesù e Maria; al Collegio di Musica ha intavolato la quistione di Pompei, etc. E il Dall’Ongaro58 che l’accompagnava si è rallegrato col D’Afflitto dell’interesse che il nuovo Municipio mostrava per la pubblica istruzione, e gli ha raccomandato di intendersela sempre più con esso, etc. Che strinerii! De Blasiis ti ha scritto ieri pe’ conti che gli han chiesto della Legione da lui comandata nel 1860. Se puoi, aiutalo. Labriola figlio ti mandò la sua Memoria59 e ti raccomandò di dire qualche parola per lui al Ministero d’Istruzione Pubblica sul suo esame di pareggiamento.
55. Il testo di Filosofia elementare per le scuole del Regno, ordinata e compilata dai proff. Augusto Conti e Vincenzo Santini: Dialogo, che uscì sul primo numero del «Giornale napoletano di filosofia e lettere», pp. 26-40. 56. Filippo Mariotti (1833-1911), politico, deputato del regno d’Italia dalla X legislatura, e senatore dal 1892, fu segretario generale al Ministero della pubblica istruzione. 57. Stanislao Gatti. 58. Francesco Dall’Ongaro (1808-1873) è stato un poeta, drammaturgo e librettista. 59. La Dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone ed Aristotele, Memoria di Antonio Labriola premiata dall’Accademia di scienze morali e politiche di Napoli nel concorso dell’anno 1869, pubblicata dapprima negli «Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche di
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Scrivimi e pensa a star bene. Io dovrei venire costà dopo la metà del mese pel Consiglio. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Dà l’acchiusa a Salvatore. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
568 A Silvio Spaventa Francavilla al mare, 25 agosto 1871 Mio caro Silvio, Sono qui da una settimana circa e mi ci trovo bene sinora. I ragazzi e Isabella prendono i bagni, giacché fa ancora caldo e il mare è tranquillissimo. E tu sei ancora costì? E dove andrai a Settembre e cosa farai? Non sono venuto pel Consiglio, perché era stanco e non ne potevo più di 15 giorni di inchiesta sugli esami di licenza liceale e di lavoro fastidioso di 8 ore al giorno, a maggior gloria della Giunta superiore. Che guazzabuglio, che immoralità, che porcheria! Ora devo darti una gran seccatura, e non c’è che fare e devi farmi questo piacere. Si tratta, come puoi immaginarti, d’uno dei più influenti elettori di Casoli, cliente di Evandro,60 che me lo ha anche raccomandato caldamente. È venuto a trovarmi qui a posta. Già te ne parlai a Firenze. Sono due reclami: uno suo e l’altro della moglie per gravi errori materiali incorsi a loro danno nella tassa fondiaria. I due reclami o domande al Ministro delle Finanze espongono chiaramente la cosa; e ci sono i documenti necessari. – Bisogna vedere se si è ancora in tempo a fare il reclamo. In Lanciano chi crede di sì; e chi di no, e che bisogna fare una domanda di grazia al Re. Da una lettera che ti mando dello stesso Di Benedetto, vedrai infine che Evandro cita un Decreto del 1870 che mette la correzione per errore materiale. Ripeto, abbi pazienza. Fa leggere a qualcuno, che se ne intende, le carte; e scrivimi un rigo di risposta. Non ho visto ancora Evandro; il quale mi scrisse che voleva parlarmi della condizione di Atessa. Sai che Cardone non è stato rieletto consigliere provinciale; e in luogo suo è stato eletto uno degli Spaventa. Ti raccomando la cosa di Di Benedetto e sono sempre Tuo Bertrando De Feo mi scrisse – e ne avea scritto anche a te – per ottenere l’indennità di viaggio. Gli hai risposto? SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
Napoli» (VII [1870], pp. 299-455) e poi come estratto presso la Stamperia della Regia Università di Napoli nel 1871. 60. Evandro Sigismondi.
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569 A Vittorio Imbriani Francavilla al mare, 27 agosto 1871 Mio caro Vittorio, Non ti ho scritto subito perché proprio non avea che dirti, se non che era arrivato bene, etc. – Fiorentino è ripartito di qui mercoledì con la Tuta61 e la Marianna.62 De Meis è andato in Piemonte ad accompagnare l’Amico63 ammalato. Siciliani mi scrive stamane che ha fatto fiasco 64 per opera65 di Brioschi, non ostante l’appoggio di Mamiani e di Aleardi. Io non potetti andare, perché avevo ed ho ancora un foruncolo sotto l’ascella. E tu come stai? Di cattivo umore? Non ho avuto qui né anche un numero della Nuova Patria. Perché non me l’hai mandata? Hai scritto sul Zanella?66 Ti raccomando anche un po’ di piccola critica bibliografica. Fiorentino farà il Conti67 e manderà lo scritto direttamente a te. – Ti mando una lettera diretta a lui, che contiene una nota di persone, a cui farai mandare i Manifesti da Morano. Io aspetto le bozze del mio articolo.68 Rispondimi e dimmi qualche cosa. Ti scriverò di nuovo tra giorni. Ama sempre Il tuo B. Spaventa BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 5 (ed. in Imbriani, Carteggi, pp. 80-81; Pellicani, Lettere inedite, pp. 885-886; B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 566-567).
61. Restituta Trebbi. 62. Marianna Trebbi. 63. Coppola e Pellicani: «l’unico». 64. Per la nomina a professore ordinario nell’Università di Bologna, dove dal 1867, con il favore di Terenzio Mamiani, Niccolò Tommaseo e Giosuè Carducci, fu chiamato come professore straordinario di filosofia teoretica e dove svolse la sua carriera accademica, divenendo ordinario solo nel 1879; nel triennio 1869-1871 e dal 1876 ebbe anche l’incarico di antropologia e pedagogia. 65. Pellicani: al plurale. 66. Vittorio Imbriani pubblicò nel primo fascicolo del «Giornale napoletano di filosofia e lettere» (1872, pp. 41-61) l’articolo dal titolo Un preteso poeta (Giacomo Zanella). 67. Subito dopo l’articolo di Bertrando Spaventa La vita di Giordano Bruno scritta da Domenico Berti, nel primo fascicolo del «Giornale napoletano» fu pubblicato quello di Francesco Fiorentino Filosofia elementare per le scuole del Regno, ordinata e compilata dai proff. Augusto Conti e Vincenzo Santini: Dialogo (1872, pp. 26-40). 68. La vita di Giordano Bruno scritta da Domenico Berti, in «Giornale napoletano di filosofia e lettere», I (1872), 1, pp. 1-25.
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570 A Francesco Fiorentino [Francavilla al mare, 30 agosto 1871] Mio caro Fiorentino, Contentati di queste poche righe; se no aspetterai ancora un pezzo! Ho mandato a Vittorio 69 la lettera di Julia. – Il povero Siciliani mi scrive che ha fatto fiasco 70 per l’opposizione di Brioschi, non ostante l’appoggio di Mancini e del filosofo Aleardi e con tutta l’assenza del poeta Spaventa. Non è stata quistione di merito, ma, come io avea preveduto, di numero d’ordinario. Povero Pietro! 71 Ti raccomando il nostro amico Conti; va pettinato come si deve.72 Tra giorni ti scriverò più a lungo. Dammi notizie di Camillo.73 È tornato. Tanti saluti alle Signore anche da parte d’Isabella. Alla Tuta74 dirai che quando verrò a Bologna deve provvedermi di sigari, in compenso di quelli che mi furono presi da lei quella sera. Dunque saluti. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 21. 21 (inedita).
571 A Francesco Fiorentino Chieti, 5 settembre 1871 Mio caro Fiorentino, Sono venuto qui iersera con Filippo,75 e ce ne torniamo oggi a Francavilla. – Ti avea promesso una lunga lettera; ma come farla qui, e poi cosa ti potrei dire? Trovammo qui le solite teste, le solite bande, e il solito fuoco d’artificio. Mancavano i tamburi! Ho visto Raffaele Lanciano, e abbiamo parlato di te, e della trattoria della città, e dei fiaschi. Vittorio76 mi scrive, e vuole al più presto il tuo articolo sul gran Conti.77 L’hai terminato? Per carità, mandalo subito; se no, guai. – Se poi potessi, cioè volessi mandare qualche piccola
69. Vittorio Imbriani. 70. Per la nomina a professore ordinario (cfr. lettera 569). 71. Pietro Siciliani. 72. Si riferisce all’articolo Filosofia elementare per le scuole del Regno, ordinata e compilata dai proff. Augusto Conti e Vincenzo Santini: Dialogo, che uscì sul primo numero del «Giornale napoletano di filosofia e lettere», pp. 26-40. 73. Angelo Camillo De Meis. 74. Restituta Trebbi. 75. Filippo Masci. 76. Vittorio Imbriani. 77. Si riferisce ancora all’articolo Filosofia elementare per le scuole del Regno.
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bibliografia anche, cioè ciascuna d’una mezza pagina, saresti davvero un eroe, un’aquila, un Fornari. Camillo78 è tornato? Salutamelo tanto. Spero di rivedervi alla fine del mese. Tanti saluti alla Tuta e alla Marianna.79 La Tuta ha comprato i sigari? Non se lo dimentichi. Dunque addio per ora e ama sempre Il tuo B. Spaventa Non ti dimenticare degli associati alla Rivista bolognese. E manda direttamente a Vittorio.80 BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 72 (inedita).
572 A Filippo Capone Francavilla al mare (Abruzzo chietino), 6 settembre 1871 Mio carissimo Capone, Ti ringrazio della lettera per Paone. Le carte che io devo firmare potete mandarmele qui; e io le rimanderò a te subito. Mi rallegro con te e Settembrini, che saluto, del coronamento dell’edificio, e auguro al Galdi buona fortuna. Sono sempre Tuo affezionatissimo B. Spaventa BPA, Fondo Capone, cartella 35 (inedita).
573 Al Ministro Spaventa Roma Telegramma [Napoli,] 10 settembre 1871 Dicono sei malato. Telegrafa subito tua salute e lettera domani: Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
78. Angelo Camillo De Meis. 79. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 80. Vittorio Imbriani.
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Epistolario
574 A Vittorio Imbriani Francavilla al mare, 17 settembre 1871 Mio caro Vittorio, Fiorentino mi scrive che ti ha già mandato l’articolo sul Conti,81 e l’elenco degli associati alla Rivista Bolognese. – A che punto è la stampa degli articoli? Mi raccomando a te, perché tutto vada in regola: vedi Morano. Manderò anch’io qualcosa di piccola bibliografia; ma innanzi tutto voglio sapere da te e subito quante pagine occupano i tre articoli nostri82 e la tua bibliografia, cioè di quante pagine potrò disporre io. Rispondimi su ciò. Vedo che prendi parte ai lavori del Congresso pedagogico.83 Dio ti benedica! – Mi manderai il volume della84 Novellaia?85 Millo, Mimì e Isabella tanti saluti. Rispondimi lungo lungo, e ama sempre Il tuo B. Spaventa Fiorentino mi scrive che il De Gubernatis nella Rivista Europea ha chiamato sciocco il nostro programma.86 BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 6 (ed. in Imbriani, Carteggi, pp. 83-84; Pellicani, Lettere inedite, p. 886; B. Spaventa, Scritti inediti, p. 568).
575 A Vittorio Imbriani Francavilla al mare, 20 settembre 1871 Mio caro Vittorio, Ricevo in punto l’avviso pel Consiglio; devo partire la mattina del 26. Se avrò qui il resto delle bozze per il giorno 25, le correggerò io; se no, correggile tu. Bada che nella 2 a parte bisogna fare una mutazione. Io dico al Berti: «Aspetti il Concilio, e lo vedrà». Così 81. Cfr. la lettera 569, nota 67. 82. Gli articoli di Spaventa, Fiorentino e Imbriani aprivano il primo numero del «Giornale napoletano di filosofia e lettere», I (1872). 83. Il VII congresso pedagogico italiano, che si tenne a Napoli nel settembre 1871. 84. D’Orsi: «di». 85. Il riferimento è al libro di Vittorio Imbriani La novellaja fiorentina: cioè fiabe e novelline stenografate in Firenze dal dettato popolare e corredate di qualche noterella, Napoli, Tip. Napoletana, 1871. 86. Nella «Rivista Europea», anno II, vol. IV, fasc. I, p. 153, a proposito del «Giornale Napoletano», della cui imminente uscita era arrivata la notizia, si legge: «A Napoli mancava sempre una grande rivista; speriamo che quella che ora sorge, nasca vitale, e non si mostri troppo esclusiva e troppo dottrinaria, come l’infelice programma ne farebbe minaccia».
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mi pare. Ora io scriveva prima della definizione dell’infallibilità.87 Bisogna dunque mutare; dire per esempio (ma io non ho presente il testo, e non so se dico bene): Ha aspettato il Concilio, e l’ha visto. 88 Insomma correggi e modifica tu. Ti do carta bianca. Aspetto risposta alla mia precedente e a questa. A Firenze mi tratterrò pochi giorni. Scrivimi. Ama Il tuo Bertrando Stamane ti ho mandato raccomandate le bozze corrette. Nella 3 a cartella si parla del Cardinale San Severino89 più volte. San Severino o Santa Severina? Non ricordo bene; né qui posso verificare. BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 7 (ed. in Imbriani, Carteggi, p. 85; Pellicani, Lettere inedite, pp. 886887; B. Spaventa, Scritti inediti, p. 569).
576 A Francesco Fiorentino Napoli, 23 settembre 1871 Mio caro Fiorentino, Mi fa proprio pena la notizia che mi dai della malattia della Tuta. 90 Io vi facevo già a Roma e speravo di rivedervi colà tra giorni e stare allegri insieme e forse tornare insieme a Napoli! Meno male che ora è in convalescenza. Speriamo che si rimetta subito; e di Bologna non se ne parli più. Chi diavolo vi ha suggerito l’idea di dimorare a Portici? Potevi scegliere a dirittura Sorrento, Salerno, e anche San Biase! Così per venire a vederti, bisogna fare un viaggio, e star sempre colla valigia pronta. Del resto se l’hai fatto per avarizia, te ne farò pentire, perché verrò a pranzo da te due volte almeno la settimana con quanti amici potrò raccogliere, finché ti costringerò a fuggire di là. È proprio una pensata da capodopera. Ricordai i libri a Vittorio. 91 E oggi glieli ricorderò di nuovo. Il giornale è quasi tutto stampato. La colpa è stata, come ti scrissi, di Morano;92 e io ne parlai forte al primo dei fratelli. 93 Ma ora prima di permettere la pubblicazione del 87. L’articolo di Spaventa, suddiviso in tre parti, fu corretto e modificato in questo punto dall’Imbriani, il quale apportò questa sola correzione: «Io non so se il Berti abbia riconosciuto l’Infallibilità» (p. 15). 88. Coppola e Pellicani: «vista». 89. Si tratta di Giulio Antonio Santori, inquisitore nel processo a Giordano Bruno, di cui Spaventa parla a p. 9 nell’articolo sulla Vita di Giordano Bruno scritta da Berti. 90. Restituta Trebbi. 91. Vittorio Imbriani. 92. Editore del «Giornale napoletano di filosofia e lettere». 93. Vincenzo Morano (1822-1890), primogenito di Vito e Antonia Servello, a cui seguirono i fratelli Domenico e Antonio), giunse a Napoli, da Cosenza, nel 1847, aprì una libreria nel 1850
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Epistolario
1° fascicolo, io devo essere sicuro che l’indugio non si ripeta per gli altri. Bisogna che non solo Morano stampi sollecitamente, ma che la materia non manchi. Ora cosa mi dai tu pel 2° fascicolo? E Tocco perché non si fa vivo? E il caro Jaja? Pubblicato il primo, gli altri devono seguire di mese in mese senza né anche un giorno di ritardo. Perciò desidero che – salute permettendo – voi veniate qui il più presto possibile. – De Sanctis è stato nominato professore di letteratura comparata nella nostra Università. Spero, anzi sono quasi certo – da un discorso che facemmo insieme giorni fa – che scriverà anche lui nel Giornale. Si può dunque fare – anche con l’aiuto di Settembrini – un’opera seria. Dunque facciamola. E poi ci sono tante ragioni per farla, delle quali alcune ne sai, altre, se ci pensi, le puoi imaginare da te. Con quei colossi che sono iti a Roma alla Sapienza, bisogna farsi vivi. Se poi credi di no, sia pure; io farò il morto, e sarà meglio per me. Tante cose alla Tuta e alla Marianna94 da parte mia e d’Isabella; speriamo che si ristabilisca presto. A Camillo,95 a cui devo ancora scrivere (ma come si fa, se non ho un momento) tanti saluti. Se verrà a Napoli, gli consiglio – more tuo – d’andare ad abitare a Pozzuoli per esempio. E allora io me ne andrò a Casoria o a dirittura ad Aversa. Partirò per Roma sabato o domenica. Dirò oggi stesso a Settembrini la causa del tuo ritardo. Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 5 (inedita).
577 A Francesco Fiorentino Francavilla, 24 settembre 1871 Mio caro Fiorentino, Passerò costà dopodomani (martedì) alle 2,25 meridiane per andare la sera a Firenze. Mi tratterrò al ritorno. Intanto puoi venire alla stazione per un momento, giacché il treno fermerà circa mezz’ora. Saluto Camillo; 96 se può venga anche lui. Tanti saluti alla Tuta e alla Mamma97 e sono Tuo B. Spaventa Filippo98 ti saluta. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 73 (inedita).
al vico Quercia 14, dando vita a una propria attività editoriale, mentre i fratelli si occupavano del negozio. 94. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 95. Angelo Camillo De Meis. 96. Angelo Camillo De Meis. 97. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 98. Filippo Masci.
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578 A Silvio Spaventa Francavilla, 24 settembre 1871 Mio caro Silvio, Vedi quant’è la mia poltroneria! È già più di un mese che non ti scrivo, e tu hai ben ragione di dolerti di me. – Non so se questa lettera ti troverà a Firenze. Fiorentino mi scriveva da Bologna che saresti passato per colà per andare al traforo. Ci sei stato? Io partirò di qui dopo domani mattina (26) e arriverò la sera a Firenze alle 7 e ½ circa, pel Consiglio. Credo che potrai venire fino alla stazione. Non so se ci sia la mia solita locanda. Se no, vedrò di andare all’albergo di Milano che è il più vicino. Dunque a rivederci tra giorni. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
579 A Vittorio Imbriani Firenze, 27 settembre 1871 Mio caro Vittorio, Sono giunto qui stamane con Fiorentino da Bologna. – Non hai99 risposto a due mie lettere. – Vedo bene che il Giornale non uscirà in luce il 1° ottobre. Del resto pel 1° numero non è gran male. Se ci è ancora tempo, mi manderai il resto del mio articolo a Francavilla. – Fiorentino aspetta le bozze del suo. E il tuo?100 – Eccoti intanto due piccole riviste. Le unirai alle tue; e se ti pare le intitolerai Scorse bibliografiche etc. Se ci è spazio, aggiungi il sommario delle riviste tedesche. Persuadi Morano a stampare101 nel caso qualche mezzo foglio di più per questo 1° numero. Scrivimi a Francavilla; io mi tratterrò qui 3 o 4 giorni, non più. Perché non mi hai102 scritto più? Ora fa ammenda. Dunque scrivimi e scuoti Morano. Silvio ti saluta. Tuo B. Spaventa BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 8 (ed. in Imbriani, Carteggi, p. 85; Pellicani, Lettere inedite, p. 887; B. Spaventa, Scritti inediti, p. 570).
99. Pellicani: «ha». 100. Si riferisce all’articolo di Imbriani che, insieme al proprio e a quello di Fiorentino, avrebbe aperto il primo numero del «Giornale napoletano» (cfr. lettera 569, note 66 e 67). 101. Coppola: «stanziare». 102. Pellicani: «ha».
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580 A Emilio Celano Firenze, 28 settembre 1871 Grazie degli abbonati alla Rivista.103 L’elenco degli associati e il denaro bisogna mandarli ai fratelli Morano Librai a Napoli secondo il Manifesto. Originale presso la contessa Maria Del Vasto, copia manoscritta di Gentile in AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, B a 2 (inedita).
581 A Francesco Fiorentino Firenze, 29 settembre 1871 Mio caro Fiorentino, Partirò domani mattina alle 10. Porto i libri per Camillo.104 Tallarigo105 ha avuto il diploma. Per Morandi si aspettano altri chiarimenti. Saluto tutti di casa Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 74 (inedita).
582 A Silvio Spaventa Francavilla al mare, 7 ottobre 1871 Mio caro Silvio, Tornai qui Lunedì; e stiamo tutti bene. Mi tratterrò a Francavilla un’altra diecina di giorni di certo. Prima di partire ti scriverò di nuovo. Vedi di raccomandare a qualche Capo di Divisione del Ministero di Grazia e Giustizia – non a Sua Eccellenza De Falco – l’affare di cui parla Vincenzo Marinelli di Montelapiano nella lettera che ti acchiudo. Il Marinelli, come sai, è un mio elettore. Non te ne
103. «Giornale napoletano di filosofia e lettere», fondato da B. Spaventa nel 1870 e diretto da Spaventa, Fiorentino e Imbriani. 104. Angelo Camillo De Meis. 105. Carlo Maria Tallarigo (1832-1889), letterato e professore di letteratura latina e greca, poi di filosofia ed infine di letteratura italiana a Spoleto; trasferitosi a Napoli, insegnò lettere nel liceo Genovesi e ricoprì la cattedra di lettere italiane nella Facoltà di lettere.
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dimenticare. Non so ancora se verrò costì alla fine di Ottobre. Isabella, Millo e Mimì ti salutano. Sono sempre Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
583 A Francesco Fiorentino Francavilla al mare, 9 ottobre 1871 Mio caro Fiorentino, Vittorio106 mi mandò ieri le ultime bozze del mio articolo; e siccome il tuo viene dopo immediatamente credo che tra giorni avrai le bozze anche tu. Tanto più che scrissi a Vittorio una lettera da mostrarsi al Morano, in cui mi doleva forte della lentezza pecorina di costui. Al nostro ritorno a Napoli, la cosa andrà diversamente. Non ti so dire ancora quando partirò di qui. Filippo 107 sta bene ed è occupatissimo nella vendemmia, e nella confezione preistorica del vino. La sera si fa un po’ di calavresella anche preistoricamente. Giorni fa siamo andati a mangiare i maccaroni in quella stessa campagna dove tu facesti quelle grandi prodezze; e abbiamo fatto commemorazione di te e bevuto alla tua salute. Ieri è stata festa, con banda, sparo di […] e fuochi di artifizio. Vuoi più? Francavilla ora puzza di mosto, di vinaccia, di olio, e di non so che altro, che è una meraviglia. E intanto fa caldo ancora. Quando partirai per gli esami? Non mi dici niente di Camillo! 108 Come sta? La signora Unico109 è partita? E il Congresso110 a che ne sta? Ho pregato questi francavillesi di intervenirvi; ma non mi hanno dato ascolto. E pure avrebbero avuto tante cose da esporre. Dunque a rivederci a Napoli, se pure non mi vedrai costì alla fine del mese. E ti troverò sposo e riconciliato con la Santa Madre Chiesa e pentito e assolto dei tuoi peccati. Che festa! Tanti saluti alla Tuta e alla Signora Marianna111 anche da parte di Isabella. Capodopera è ancora costà? Spero che si sarà persuaso che quando egli pronunziava la parola assoggettarsi, io non pensava alla grammatica, ma al grosso e grasso Abate di Boccaccia. Saluta Camillo e sono sempre Tuo B. Spaventa Filippo vorrebbe sapere se ricevesti un suo vaglia postale di Lire 10, mi pare. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 75 (inedita).
106. Vittorio Imbriani. 107. Filippo Masci. 108. Angelo Camillo De Meis. 109. Ippolita Patellani, vedova Unico, moglie di Angelo Camillo De Meis. 110. Il VII congresso pedagogico italiano, a cui Fiorentino partecipò a Napoli nel settembre 1871 (cfr. lettera 574). 111. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi.
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584 A Francesco Fiorentino Francavilla al mare, 27 ottobre 1871 Mio caro Fiorentino, Dunque ci siamo! Domani, quando ti giungerà questa lettera, lo Stato e la Chiesa vi benediranno e congiungeranno, te e la Tuta,112 nel santo vincolo che si chiama Matrimonio! Cosa devo dirti io qui da Francavilla? Non altro che ciò che ogni buono abruzzese suol dire in così solenni avvenimenti: vi auguro tutte quelle felicità che il vostro cuore (dico cuore e non cuori, perché d’ora innanzi i due devono fare uno solo) desidera. Dunque: buono e felice matrimonio, e citolo maschio, un bel calabro – celto – etrusco –, che nascerà sulle rive del Sebeto, a piè del Vesuvio dinanzi alla statua di Vico, etc. Io non dico di più. Saluto Camillo,113 che di certo sarà presente alla festa, e lascio all’eloquenza e allo spirito di Filippo114 qui presente di comporre un vero epitalamio, che il mio arido intelletto non può fare. Tra giorni partirò per Napoli. Mi scordavo di dirti che Isabella e i ragazzi fanno con te e con la Tuta tante congratulazioni. E tanti saluti e simili con la Signora Marianna.115 Tuo B. Spaventa P.S. Ho detto: calabro – celto – etrusco. Dovea dire: etrusco – celto – calabro. Così non offenderò la storia, e Capellini116 e sì Mantegazza.117 Del Giornale non so nulla. Vittorio 118 mi manda delle cose sue, non mi risponde. Se ne parlerà, quando saremo colà. Dunque di nuovo. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 76 (inedita).
585 A Silvio Spaventa Francavilla, 2 novembre 1871 Mio caro Silvio, Parto oggi per Napoli. Fammi sapere quando partirai per Roma, se pure non sei già partito. Ti scriverò da Napoli.
112. Restituta Trebbi. 113. Angelo Camillo De Meis. 114. Filippo Masci. 115. Marianna Trebbi. 116. Giovanni Capellini (1833-1922), geologo e paleontologo, senatore del regno d’Italia dal 1890. 117. Paolo Mantegazza (1831-1910), fisiologo e antropologo, deputato del regno d’Italia dalla IX alla XII legislatura e senatore dal 1876. 118. Vittorio Imbriani.
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Noi stiamo bene. Tuo sempre Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
586 A Vittorio Imbriani [Napoli,] 7 novembre [1871] Mio caro Vittorio, Il bibliotecario Minervini119 mi ha mandato a richiedere quel volume della Nuova Antologia, che ha la fortuna di contenere l’articolo di… Del Lungo, mi pare, sul Zanella,120 e che diedi a te.121 Ti prego di riportarmelo oggi o di riconsegnarlo tu stesso alla Biblioteca, facendoti però restituire la scheda firmata da me. Tuo Bertrando BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 9 (ed. in Pellicani, Lettere inedite, p. 888; B. Spaventa, Scritti inediti, p. 573).
587 A Francesco Fiorentino Napoli, 9 novembre 1871 Mio caro Fiorentino, Sono tre o quattro giorni che siamo tornati; e ho ricevuto la tua del 3. Mi rallegro delle nozze. Che devo dirti di più? Ora ti aspetto; e mi farai sapere per tempo il giorno e l’ora che arriverai; perché in quel giorno verrete a pranzo da me; non per complimenti, ma per toglierti da impicci. Dunque restiamo così. I Morano vanno con la solita lentezza. E hanno detto a chi chiedeva ragione del ritardo, che la colpa era della Direzione! Che buona fede! Il mio articolo122 consegnato alla fine di Agosto, non era ancora stampato alla metà d’Ottobre; e il giornale dovea uscire il 1° di detto mese. Ho visto uno dei fratelli, e l’ho catechizzato a dovere. Ora aspetto te per decidere insieme cosa si deve fare.
119. Giulio Minervini (1819-1891), archeologo e numismatico. 120. L’Imbriani era, allora, interessato allo studio di Zanella, sul quale scrisse l’articolo già citato Un preteso poeta (Giacomo Zanella). 121. Si tratta dell’articolo con il quale Isidoro Del Lungo annunciava essere sorto con il Zanella «un nuovo poeta»: I. Del Lungo, Un nuovo poeta, in «Nuova Antologia», settembre 1868. 122. La vita di Giordano Bruno scritta da Domenico Berti.
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Qui il nostro caro Correnti ha fatto un sacco di fesserie. Nega se puoi la provvidenza che aiuta l’Italia. Senza di essa basterebbe mezzo Correnti per rovinarla. Saluto la Tuta e la signora Marianna 123 anche da parte d’Isabella. A Camillo 124 tante cose. Vedi di indurlo a dare il suo assenso a venire qui. Da quel che so io, non dipende che da lui la cosa. Gli scriverò subito. Scrivo in fretta. Tuo B. Spaventa Scrivimi. BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 6 (inedita).
588 A Silvio Spaventa Napoli, 14 novembre 1871 Mio caro Silvio, Ho aspettato tue lettere sino a ieri. Ora vedo che non verrai più, giacché domani, come mi hai scritto, ricominceranno i lavori del Consiglio di Stato. – Eccoti dunque a Roma. Che te ne pare? Penso di venire costà alla fine della settimana ventura, e al più tardi domenica 26.125 Credo che ci sarà gran folla; e che i deputati e senatori napoletani verranno tutti, se non altro per lo spettacolo. Si muoverà dal posto anche Ciccone; che è quanto dire. – Io, come puoi figurarti, accetto toto corde l’ospitalità che mi offri, per tante ragioni. E tu mi hai da dire se bisogna che porti con me qualcosa, per esempio lenzuola etc.; il puro puro necessario, perché non vorrei caricarmi di molta roba. E a questo proposito mi farai anche sapere, se puoi darmi un abito nero – non molto antiquato – per la seduta reale. Un’altra seccatura. Prendimi subito un posto nella nuova Camera. Quel che m’importa è di averne uno, da cui possa udire gli oratori, specialmente il Lanza, giacché io sono un po’ sordo, e a Firenze dal mio posto udivo poco o niente. Qui nulla di nuovo; e non ho visto nessuno dei personaggi politici. Si aspetta il nuovo Giornale dell’Associazione unitaria; non so se abbiano ancora trovato il Direttore locale dopo la rinunzia del Fusco. Il De Blasiis e il De Novelli, interrogati, non hanno voluto saperne. Ti acchiudo una lettera di Luigi Sirolli126 di Altino, che ti conosce di nome e per quel che ha fatto nella mia elezione. Leggila. Pel sussidio di £ 1.500 pel Comune di Altino dovresti parlarne o scriverne subito a qualcuno del Ministero, e avere una risposta e mandarmela. Quanto al secondo affare, raccomandato dal Conte Barbolani e su cui Sua Eccellenza il Ministro Devincenzi127 ha fatto delle buone promesse, parlane, se lo credi, ora: se no, pregherò io stesso, se potrò avere udienza, Sua Eccellenza nella mia venuta costà. 123. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 124. Angelo Camillo De Meis. 125. Silvio Spaventa si trasferì a Roma il 3 novembre 1871, e fu raggiunto da Bertrando in occasione della seduta reale per la riapertura del parlamento. 126. Luigi Sirolli era il sindaco del comune di Altino in provincia di Chieti. 127. Giuseppe Devincenzi, al tempo ministro dei lavori pubblici.
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Ti ho dato un mondo di seccature. Ma che vuoi? – Non perdere questa lettera. Isabella e i ragazzi ti salutano. Scrivimi Tuo Bertrando Ti accludo una lettera da Firenze. SNSP, XXXI.D.6 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 35, e datata al mese di settembre).
589 A Vittorio Imbriani Napoli, 3 dicembre 1871 Mio caro Vittorio, Ieri sera vidi il Morano. Che devo dirti? Mi disse tante minchionerie e peggio, che per poco non perdei le staffe. Che brutta gente sono questi napoletani! Lo costrinsi a confessare che non avea ancora stampato l’ultimo manoscritto che gli consegnasti il giorno che partisti. – La solita lagnanza che tu correggi troppo sulle bozze. – Somma fatta128 e sottratte le ciarle, mi promise che ti avrebbe mandato subito l’originale e le bozze. Terrà la promessa? Non mi ha dato ancora le bozze della bibliografia che gli consegnai 10 giorni fa. E ha il coraggio di lamentarsi! Ma pazienza! La devi avere tu, come l’ho io. – Se ti manda le bozze, correggile subito. E aspettiamo dove andrà a finire. Anzi io preparo già l’articolo pel 129 2° fascicolo.130 E tu – fammi questo piacere – fa lo stesso. E lo manderai a me. Io gli manderò tutta la materia del fascicolo 15 giorni prima o 20: vedremo che scuse metterà innanzi! Dunque mettiti a scrivere. Rispondimi un rigo. Tuo B. Spaventa Il Correnti ha diviso l’insegnamento del latino nell’Università di Roma in due: filologia latina, ed eloquenza latina. Domani vedrò di nuovo il Morano. BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 10 (ed. in Imbriani, Carteggi, p. 89; Pellicani, Lettere inedite, p. 888; B. Spaventa, Scritti inediti, p. 572, in data 6 novembre 1871).
128. D’Orsi: «tutto». 129. Coppola e Pellicani: «del». 130. Si tratta del primo articolo Sulle psicopatie in generale, uscito nel «Giornale napoletano di filosofia e lettere», I (1872), 2, pp. 127-136.
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590 A Vittorio Imbriani Roma, 6 dicembre 1871 Caro Vittorio, Arrivo in punto a Roma. Fa di farti vedere domani. Alle 11 andrò al Consiglio. Tuo B. Spaventa BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 11 (ed. in B. Spaventa, Scritti inediti, p. 572, in data 6 novembre 1871)
591 A Silvio Spaventa Napoli, 11 dicembre 1871 Mio caro Silvio, Francesco Duval, marito di Clorinda nostra cugina, ti ha scritto una lettera per raccomandarsi a te, perché ti adoperi a farlo destinare a Maddaloni al battaglione d’istruzione. Egli ti dice tutto nella sua lettera. Il suo Colonnello gli ha promesso di dare buone informazioni qualora sia interrogato dal Ministro. Non è un grande affare. Vedi di contentarlo. Noi stiamo bene. Sono sempre Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
592 A Vittorio Imbriani Roma, 18 dicembre 1871 sera Caro Vittorio, Vieni da me domani prima di mezzodì, senza meno. Tuo B. Spaventa Porto con me le bozze che ho avute sul punto di partire, e il reverendo Don Vito131 in 4 volumi. BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 12 (ed. in Imbriani, Carteggi, pp. 89-90; Pellicani, Lettere inedite, p. 889, in data 18 novembre 1871; B. Spaventa, Scritti inediti, p. 574, in data 18 novembre 1871 sera).
131. Si riferisce ai 4 volumi Dell’arte del dire, dell’abate Vito Fornari.
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593 A Vittorio Imbriani Roma, 19 dicembre 1871 Mio caro Vittorio, Arrivai qui iersera e ti lasciai una lettera alla posta.132 Poi seppi che eri partito. Portava con me le bozze del tuo articolo 133 e l’Abate Fornari. Quest’ultimo lo diedi 134 al Tocco. Quanto alle bozze, ecco ciò che ho pensato di fare: il Giornale deve uscire il 1° gennaio;135 ovvero non uscirà più. Io dunque correggo con la massima diligenza le bozze sul manoscritto. Da Napoli, dove ritornerò al più tardi dopodomani,136 ti manderò un duplicatum137 e il manoscritto. Se tu me lo rimanderai corretto pel giorno 26, bene. Se no, farò tirare quelle corrette da me. Che te ne pare? Sono un buon direttore io? Sono autorevole? – E poi, perché non fai come fo io, che quel che è scritto è scritto, e si stampa tal quale? Rispondimi subito a Napoli. Le bozze non le potei avere dal Morano che ieri mattina. Quanta pazienza! Abbila anche tu; e farai bene! E quelle due piccole bibliografie? Potrai fare qualcosa pel fascicolo di Febbraio? Sul Fornari?138 Ci rivedremo al 1872. Rispondimi. Tuo B. Spaventa BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 13 (ed. in Imbriani, Carteggi, pp. 90-91; Pellicani, Lettere inedite, p. 889, in data 19 novembre 1871; B. Spaventa, Scritti inediti, p. 575, in data 19 novembre 1871).
594 A Vittorio Imbriani Napoli, 22 dicembre 1871 Mio caro Vittorio, Ti scrissi da Roma. Eccoti secondo la promessa le bozze – le ultime – raccomandate. Ho un duplicatum 139 corretto presso di me, come riserva nel caso che tu non mi risponda 132. Coppola e Pellicani: «porta». 133. L’articolo Un preteso poeta (Giacomo Zanella). 134. D’Orsi: «dài». 135. Il primo fascicolo del «Giornale napoletano di filosofia e lettere» uscì effettivamente nel gennaio 1872. 136. Pellicani: «domani». 137. Pellicani: «una duplicatura». 138. L’Imbriani scrisse nell’aprile, nel luglio e nel novembre 1872 (fasc. 4, 7, 11) tre articoli su Vito Fornari estetico nel «Giornale napoletano di filosofia e lettere», poi ristampati a cura di Benedetto Croce, in Studi letterari e bizzarrie satiriche, Bari, Laterza, 1907, pp. 209-304. 139. Coppola: «duplicaturo»; Pellicani: «una duplicatura»; D’Orsi: corsivo. Spaventa aveva accennato a questo duplicatum nella lettera precedente.
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Epistolario
affatto. Mando anche quell’originale che mi han dato: Morano e il proto dicono che non ne hanno altro, e che devi avere tu la prima parte. Fa di necessità virtù, e correggi come meglio puoi; deve essere l’ultima correzione, giacché, come ti scrissi, il Giornale ha da pubblicarsi ai primi di Gennaio,140 e tu – limitandoti a una correzione spaventiana e non facendo a modo tuo, puoi rimandarmi le bozze tra il 26 e il 27. Ti prego di metterti nei panni miei, e di esser buono. Ho lasciato al Tocco il Fornari.141 Se mi potessi mandare una piccola bibliografia letteraria! Ma già non ne farai nulla! Ho letto il tuo articolo. 142 Va benissimo. Se potessi temperare qualche frase, non sarebbe male. A pagina 50 linea 12: più cinicamente prete.143 Non capisco: pagina 53, linea 6 da sotto: Sampono. pagina 58, linea 21, 22 da sopra: taddei, tiddiano.144 pagina 58, linea 10 da sotto: Pianura? pagina 58, linea 8 da sotto: voglio (vuole?). pagina 51, linea 14: Ma il Zanella ha corso (torto?). pagina 52, linea 5: epimitto (parola greca?). Se non mi rispondi, io farò tirare l’articolo. Sarò a Roma il 14 Gennaio la sera. Tuo B. Spaventa Farai il Fornari? Devi farmelo trovare pel 15 gennaio. Ti raccomando la moderazione… nelle parole. BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 14 (ed. in Imbriani, Carteggi, pp.91-92; Pellicani, Lettere inedite, p. 890; B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 576-577).
595 A Vittorio Imbriani Napoli, 23 dicembre 1871 Mio caro Vittorio, Ricevo la tua (21 corrente). Ieri sera ti ho scritto e ti ho mandato le bozze, raccomandate. Il Giornale deve uscire ai primi di Gennaio, questo è il punto inconcusso145 e indiscutibile; e: l’articolo tuo 146 non può essere spezzato, ma deve essere pubblicato intero; 140. Cfr. lettera 593. 141. Si riferisce ai 4 volumi Dell’arte del dire, dell’abate Vito Fornari. 142. Si tratta dell’articolo su Zanella: Un preteso poeta (Giacomo Zanella). 143. L’Imbriani, infatti, attenuò l’espressione, eliminando la parola «prete» e lasciando l’avverbio al grado positivo: «Zanella cinicamente riconosce». 144. Pellicani: «ti diamo». 145. Pellicani: «inconsueto». 146. Il già citato articolo su Zanella.
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questo è il secondo punto, egualmente indiscutibile. Dunque? Correggi pure; ma ti prego di avere un po’ di riguardo alla mia pazienza con Morano. Correggi il meno che puoi. Non ti bastano tre giorni? È vero che sono feste di Natale. Ma per carità, Vittorio, toglimi da questo imbarazzo. Due ore di divertimento o di sonno di meno, e la cosa sarà fatta. Mettiti nei panni miei. Se passa Gennaio, non se ne farà più nulla. 147 Io non posso giudicare; ma mi pare che il tuo articolo come è vada bene. La prima parte è magnifica: questa almeno è l’impressione mia. Dunque ti do un giorno di più di tempo. Il 28 io devo avere tutto qui, per darlo a Morano. Ti raccomando di nuovo di non far tutto da capo: di essere buono, docile… Cosa devo dirti per persuaderti? Mi dorrebbe se il Giornale non andasse. E a proposito, chiedo scusa a Casetti,148 se non mi sono ricordato di lui; se l’apparenza almeno è contro di me. Lui mi perdonerà. Il suo lavoro me lo mandi pel 15 Gennaio. E tu ricordati del Fornari. Non lo chiamare abate né prete né collo torto, ma batti sul libro e ammaccalo senza pietà. Del resto, ci rivedremo a Roma il 14 la sera. Che dirà il Berti e i Veneti? – Sono stato alla Sapienza. Ho visto il Ferri. – Quante porcherie149 ha fatto e sta facendo il Ministero di Pubblica Istruzione! Dunque io aspetto le bozze – incorreggibili – quanto prima, e a tempo, perché il Giornale possa uscire ai primi di Gennaio. Non mi dar dispiaceri. Saluto Casetti. Scrivimi, che non ti costa niente. Quanti argomenti devo adoperare per persuaderti! Tuo sempre B. Spaventa Correggi chiaramente. BUN, Carteggio Imbriani, Ms. 87. 95. 15 (ed. in Imbriani, Carteggi, pp. 92-93; Pellicani, Lettere inedite, pp. 890-891; B. Spaventa, Scritti inediti, pp. 578-579).
147. Il 19 dicembre 1871 aveva scritto che, se il «Giornale» non fosse uscito il 1° gennaio, non sarebbe più uscito (cfr. lettera 593). 148. Antonio Costanzo Casetti (1832-1875), allievo di Bertrando Spaventa, fu poi provveditore agli studi di Maglie, nella provincia di Lecce. Collaborò al «Giornale», pubblicandovi, nei fascicoli di aprile, maggio e luglio 1872, tre articoli dal titolo: Vita e opere di Antonio Galateo (pp. 3-25, 193-212, 273-293). 149. Coppola e Pellicani: al singolare.
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596 A Francesco Fiorentino Napoli, 9 marzo 1872 Mio caro Fiorentino, Isabella vi invita a pranzo domani (domenica), te, la Tuta, e la Marianna. 1 Vi aspetto. Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 77 (inedita).
597 A Donato Jaja Napoli, 25 marzo 1872 Salita Stella 47 Mio caro Jaja, Sono tornato ieri sera da Roma. L’editore del Giornale, Don Vincenzo Morano, mi dice che ha consegnato le bozze del tuo articolo2 a un giovine tuo nipote3 che andò a chiedergliele per mandartele. Se questa cosa è vera, rimandamele subito subito corrette. Se non è vera, scrivimi anche subito. Tanti saluti agli amici. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja.
1. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 2. Donato Jaja, Su la teoria del giudizio di Ausonio Franchi, in «Giornale napoletano di filosofia e lettere», I (1872), 4, pp. 213-234, 294-320. 3. Potrebbe trattarsi di Nicola De Bellis (cfr. Vacca, Gli hegeliani, p. 79).
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Epistolario
598 A Silvio Spaventa Napoli, 23 aprile 1872 Mio caro Silvio, Eccoti una lettera di Mincantonio,4 balestrata qui dalla posta. – Mandami le mie lettere che ti vengono dalla Camera, specialmente quelle dei Ministeri. Ti ho mandato per Vittorio 5 3 camicie da notte. Sto bene. Millo va meglio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
599 A Cesare Volpicella Napoli, 29 giugno 1872 Mio caro Volpicella, I libri del Di Giovanni6 che vi pregai di farmi mandare qui dal Ministero non gli ho ancora ricevuti. Vi ripeto la preghiera, perché ho bisogno di quei libri per fare il rapporto. Vostro affezionatissimo B. Spaventa ACS, Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Ba 32, fascicolo 2, Ministero della Pubblica Istruzione, 1860-1880, Ba II. 18 (inedita).
600 A Silvio Spaventa Maddaloni, 14 luglio 1872 Mio caro Silvio, Ti scrivo dal letto con la podagra, che mi è venuta ieri sera, dopo due giorni di diarrea e un po’ di vomito. Ora, meno il dolore al piede, mi sento bene. – Isabella va anche meglio; e i ragazzi stanno bene. 4. Domenicantonio Sacchetti. 5. Vittorio Imbriani. 6. Vincenzo Di Giovanni (1832-1903), arcivescovo e filosofo, in quegli anni aveva pubblicato numerose opere tra cui i volumi sulla Filosofia e letteratura siciliana e sulla Storia della filosofia in Sicilia.
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E tu? cosa farai? e dove andrai? Sono sempre Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
601 A Silvio Spaventa Francavilla al mare, 17 agosto 1872 Mio caro Silvio, So da Salvatore che tu sei a Livorno e ti scrivo due righe. Siamo qui da circa una settimana, e stiamo piuttosto bene; se non che a me, sono già due giorni, è tornata la podagra, e non ti puoi figurare che noia mi dà. Scrivimi e dimmi dove andrai e quando tornerai a Roma. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
602 A Francesco Fiorentino Francavilla al mare, 23 agosto 1872 Mio caro Fiorentino, Sono tornato ieri da Roma, dove sono stato un giorno e mezzo, quantunque non ancora guarito interamente dalla podagra, che mi avea visitato di nuovo qui. Ci andrò non prima dei primi di Ottobre. Intanto per Filippo7 ecco quello che potresti fare. Dovresti scrivere subito al Barberis: Sento che Jaja sarà traslocato. «Ti propongo di dare almeno l’incarico al Masci, giovine etc. etc., conosciuto e stimato molto anche da Spaventa (dovesse ostare l’hegelismo? Non credo). Può riuscire un ottimo insegnante, etc. etc.». Fammi sapere cosa ti risponde. Devo ringraziarti della tua prossima rentrée nel Giornale? Mi hai fatto andare un po’ in collera, sebbene abbi ragione pei guai che hai avuto. E a me anche sono mancati. Pazienza! Bisogna che il Giornale vada come si deve; bisogna lavorarci seriamente. Io, se non vedo voi, e te specialmente, lavorare, non ho voglia di far nulla. Bisogna far bene il Giornale, per tante ragioni. Ho bisogno di dirtele? Non solo pane vivit homo. Non ho ancora ricevuto il fascicolo nuovo del Giornale. 7. Filippo Masci.
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Epistolario
Saluto Vittorio8 e Tocco. Al primo dirai che finisca il Fornari,9 e al secondo che continui il Bain, 10 e che mi scrivano. Dunque per Fascicolo IX: 1. L’articolo tuo 2. di Vittorio 3. continuazione di quello di Filippo 4. Tocco? 5. fine dell’articolo di Marazzi11 Se potrò, manderò qualche cosa anch’io. Se fa bisogno, manderò un articolo di Ragnisco12 che ho qui. Vedi dunque con Vittorio e Tocco ciò che bisogna e ci è pel IX fascicolo; decidete, e scriveteci subito, per non perdere tempo nella stampa. Perché non mi fai una visita a Francavilla? Saluto tanto la Tuta e la Marianna,13 anche da parte di Isabella e Millo e Mimì, e credimi sempre Tuo Bertrando Rispondimi a tutto ciò che ti ho detto. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 78 (inedita).
603 Ad Angelo Camillo De Meis Francavilla al mare, 29 agosto 1872 Mio caro Camillo, Non ti scrivo da tanto tempo! In questi mesi ho avuto non pochi guai. Ritornato a Napoli da Bologna, dove ti rividi l’ultima volta, trovai Isabella molto malata, e per consiglio di Salvatore 14 dovetti farle mutar aria in un paese poco lontano da Napoli. Aveva perduto interamente l’appetito, e si era ridotta in tale stato che faceva pietà. Fuori Napoli si sentì meglio. 8. Vittorio Imbriani. 9. Vittorio Imbriani scrisse tre articoli su Vito Fornari estetico, in «Giornale napoletano di filosofia e lettere», I (1872), 4, pp. 235-272; II (1872), 7, pp. 26-42; 11, pp. 241-260. (cfr. lettera 593). 10. Felice Tocco, Sulla teoria delle sensazioni di A. Bain, in «Giornale napoletano di filosofia e lettere», II (1872), 8, pp. 102-116; 9, pp. 127-141; 10, pp. 226-240. 11. Antonio Marazzi, Dhuntasamagama ossia il Congresso de’ bricconi, in «Giornale napoletano di filosofia e lettere», II (1872), 8, pp. 57-76; 9, pp. 121-126. 12. Pietro Ragnisco (1839-1920), storico della filosofia e professore nelle Università di Palermo, Padova e Roma. Nel «Giornale napoletano di filosofia e lettere» pubblicò l’articolo Tommaso Rossi e Benedetto Spinoza (II [1872], 10, pp. 177-193). 13. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 14. Salvatore Tommasi.
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Ora siamo qui da circa 15 giorni; e sta così così; non bene perfettamente, ma non tanto male come prima. Desidera vedere te, e dice sempre che tu solo la puoi guarire; e tu ci faresti una vera grazia se ti risolvessi a venire qui. Mi ricordo che a Bologna mi facesti pensare che saresti venuto. Ho qui una piccola casa, dove ci è una stanza sola! Io non ti dico di startene qui un mese; non spero tanto. Ma almeno una settimana. Se vuoi venire incognito, serberò il segreto; e verrò a prenderti sino ad Ancona, e fino a Bologna anche. Che male c’è alla fine che tu venga qui? Al contrario faresti un gran bene alla povera Isabella. In un mese ho avuto due volte la podagra, e con tutto ciò ho dovuto andare a Roma, dove sono stato un giorno e mezzo. Ora sto bene. Ma di me non m’importa niente. Ieri mi ha scritto Silvio e mi ha detto che era con te. Ho bisogno assolutamente del tuo articolo pel Giornale. So che l’hai fatto. Mandamelo dunque subito subito qui, chiuso e sigillato entro una busta; e non fare lo scrupoloso. Di certo avrai scritto una cosa mediocre, anzi cattiva; ma io me ne contento! Dunque mandamelo subito. Rispondimi e tanti saluti da Isabella Millo e Mimì. Tuo sempre Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
604 Ad Angelo Camillo De Meis Francavilla al mare, 6 settembre 1872 Mio caro Camillo, Mi dispiace che la Signora Unico e suo figlio siano malati. Spero che guariscano presto; e che alla fine saremo tutti contenti: loro, della salute ricuperata; e noi, di rivederci qui, in Abruzzo, dopo tanti anni. Hai dato una gran consolazione a Isabella con la promessa della tua venuta. Mi pare che vada meglio. Quanto alla sua malattia, la vedrai tu stesso. Che vuoi che ti dica io? Dunque restiamo intesi. Quando potrai venire, scrivimi; e io verrò sino ad Ancona e anco sino a Bologna. Ti avverto però che pel 1° Ottobre io devo trovarmi a Roma pel Consiglio; ma sarà affare di pochi giorni. Non sono punto contento di quel che dici del tuo articolo. L’hai scritto; e mandamelo senza tante cerimonie o scuse. Sempre così: tutto chiami abbozzo, e non finisci mai di finire.15 Perché non fai come fo io, che quello che è scritto la prima volta, è scritto, e non ci è punto più? Ti prego di aiutarmi. Se no, mi passa proprio la voglia, e non ci penso più al Giornale. E forse sarà meglio; farò altro. Scrivo di fretta. Isabella Millo e Mimì tanti saluti. Masci e Turchi ti salutano. Dunque a rivederci presto. Scrivimi due righe e dimmi come vanno la Signora Unico e suo figlio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
15. L’articolo di De Meis Non più metafisica (Keine Metaphysik mehr), uscì solo nel fascicolo 12, dicembre 1872, del «Giornale napoletano di filosofia e lettere» (pp. 321-353).
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Epistolario
605 A Silvio Spaventa Francavilla al mare, 6 settembre 1872 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto a Pallanza, perché non sapevo se eri ancora colà. A quest’ora sarai a Roma. Ti raccomando di usare tutte le precauzioni possibili in questi giorni che rimangono di aria cattiva, specialmente la sera quando sei sudato. – Io sto bene ora: anche Isabella va meglio; e i ragazzi bene. – Io devo essere costà il 1° Ottobre. De Meis mi ha promesso di venire a trovarmi qui. Tanti saluti di tutti. Tuo Bertrando Che bella elezione a Napoli! 16 SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
606 Ad Angelo Camillo De Meis Francavilla al mare, 11 settembre 1872 Mio caro Camillo, È vero che io sono curioso, perché ti ho pregato di ricopiare l’articolo e mandarmelo; ma non sei meno singolare tu che nella tua lettera non mi parli più della tua venuta qui, né dello stato di salute della Signora Unico e di suo figlio. Io non ti ho detto che Isabella stava bene, ma solo che andava meglio. La verità è che ora va meglio e ora no; e che ella desidera ardentemente che tu venga qui, e dice sempre di non poter tornare a Napoli. Fammi la santa grazia di venire quanto più presto puoi. Isabella, visto che tu non ne parli della tua venuta, si è fatta rattristata. Rispondimi. Scrivo di fretta. Tuo sempre Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
16. Le elezioni comunali si svolsero il 1° settembre 1872, fu eletto sindaco il clerico moderato Francesco Spinelli; consigliere municipale e poi vicesindaco divenne Vincenzo Volpicelli, candidato nella lista dei cattolici moderati appoggiati dal cardinale Sisto Riario Sforza.
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607 A Silvio Spaventa Francavilla al mare, 18 settembre 1872 Mio caro Silvio, Ti ho scritto, giorni fa; e non mi hai risposto. Ti chiedeva notizie della tua salute. Io sto bene colla famiglia. Zio Peppino17 mi ha mandato l’acclusa istanza di Tito Sacchetti. Essendo spirato il termine, credo non può essere accolta. Pure te la mando. Se credi inutile presentarla, ti prego di conservare la laurea del Sacchetti, che gliela rimanderò io stesso, quando verrò costà. Con una lettera ti avviserò del giorno della mia venuta. Non so dove si trovi il Peruzzi. Gli raccomando un affare del Travaglini. Mandagli l’acclusa. Bada alla salute. Isabella Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
608 A Luigi Settembrini Roma, 3 ottobre 1872 Mio caro Luigi, Ricevo qui la tua lettera del 30 settembre, e rispondo brevemente. De Blasiis ha presentato la sua domanda.18 A me pare che il meglio da fare sia questo: aspettare l’esito della domanda di De Blasiis. Se si presentano insieme tre professori straordinari, non è improbabile che il Consiglio faccia il muso duro. Entrato, invece, De Blasiis, non ci è ragione, anzi ci è una ragione di più che entrino gli altri; ai quali come sai e non ci è bisogno di dirtelo, io voglio egualmente bene che al primo. Tale è anche il parere di Villari che mi è accanto, e ti saluta. Saluto gli amici e sono sempre Tuo B. Spaventa P.S. Se siete di altro avviso, scrivetemelo, perché possa regolarmi. BNN, Carte Pessina, Ba B3. 459 (inedita).
17. Giuseppe Spaventa. 18. De Blasiis dal 1863 era professore straordinario all’Università di Napoli per la cattedra di storia moderna e partecipò al concorso per l’ordinariato che vinse nel 1873.
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Epistolario
609 A Francesco Fiorentino Roma, 5 ottobre 1872 Mio caro Fiorentino, Sono qui da 5 giorni e riparto stasera per Francavilla. Fa un caldo da crepare, con uno scirocco peggiore del partenopeo. Non ho visto nessuno del Ministero, meno il Zanfi,19 a cui ho raccomandato anch’io De Blasiis. Non ce n’era di bisogno; è stato cortesissimo, ha promesso di trasmettere subito le carte al Consiglio Superiore. Che n’è di Tocco? Accetta la nomina al Quirino Visconti? Gli daranno l’incarico all’Università? Io non ne so nulla; e mi sono guardato bene dall’interrogare qualcuno, giacché chi può osare di penetrare nei misteri profondissimi e imperscrutabilissimi della Sapienza? A proposito, il Mamiani del cui stile tu ed io siamo tanto innamorati, sta benissimo e fa sempre più progressi in squisitezza e cortesia. Io non ti ho scritto prima d’ora, un po’ per poltroneria e un po’ perché volevo darti tempo a tornare da San Biase. A quest’ora sarai tornato di certo. E Jaja? Mi scrissero che era qui; ma non ce l’ho trovato. Il Coppino è innamorato di lui, per quanto può essere innamorato Coppino. Io tornerò a Napoli alla fine d’Ottobre. E abbiamo a parlare di tante cose, curiose e non curiose. Abbi intanto pazienza, e ti raccomando il Giornale. Sempre più mi convinco che bisogna che vada innanzi, ma un po’ in altro modo e con forze più unite. O pure bisogna che se ne vada a dirittura al diavolo. Se vedi Vittorio,20 salutamelo. Gli scriverò da Francavilla. De Meis verrà a Francavilla tra giorni. Ma non vuole che si sappia colà. Lo dico a te – e già te ne scrisse Filippo21 – perché sei lontano! Saluto la Tuta e la Marianna22 e sono sempre Il tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 9 (inedita).
610 A Silvio Spaventa Francavilla al mare, 15 ottobre 1872 Mio caro Silvio, Ti mando una lettera del Porreca di Torricella. Leggila e scrivi tu, come meglio puoi, al Giacomelli: 23 fammi questo piacere. Dico, come meglio puoi, perché io capisco 19. Luigi Zanfi (1831-1900), dirigente della divisione dell’università del Ministero della pubblica istruzione, poi provveditore agli studi di Modena dal 1881. 20. Vittorio Imbriani. 21. Filippo Masci. 22. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 23. Angelo Giacomelli (1816-1907), prefetto in vari comuni italiani e deputato del regno d’Italia nelle legislature XII-XIV.
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quanto te, che di raccomandazione per gli esami fatti dal Nardilli non bisogna parlarne. A me importa di avere una risposta da cui si veda che il Giacomelli ha in pregio te e le tue raccomandazioni, e che io ho in non minor pregio le raccomandazioni del Porreca. Ti scrivo così, perché giorni sono Evandro 24 mi ha fatto sapere sul Porreca delle cose curiose; cioè che nel Consiglio Provinciale si è unito a Melchiorre, sperando l’appoggio di costui nello affare della Peligna,25 e ha fatto fiasco; che ha parlato della necessità di un deputato di opposizione nel suo collegio; etc. Non do grande importanza a questi fatti. Pure ho creduto di dirteli. Il Porreca è un buon uomo. Non credo che pensi da sé. Farà sempre ciò che gli suggerirà Auriti. Il quale ora è già Procuratore generale. Dunque scrivi subito; e rispondimi. Ho un dolore di stomaco molto molesto dal giorno che ritornai da Roma. Non l’avevo avuto più da 8 anni, cioè dopo la podagra! Fosse l’effetto dell’aria di Roma? Oggi prendo il chinino. Isabella, Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
611 Ad Angelo Camillo De Meis Francavilla al mare, 30 ottobre 1872 Mio caro Camillo, Se tu sei in grado e hai proprio volontà di venire qui, ecco ciò che posso dirti: avevo risoluto di partire per Napoli il 2 di novembre, e il 3 la sera per Roma, perché il 4 mattina devo trovarmi al Consiglio. Invece, andrei a Roma per Falconara, e lascerei Isabella co’ ragazzi qui. Potrei tornare da Roma il 7 o l’8 al più tardi. Potresti tu venire pel giorno 8? Staremo insieme qui sino al 15 al più tardi. L’unica difficoltà è questa, che Millo dovrebbe trovarsi pel 4 a Napoli per la riapertura del Liceo. Ma sarà una riapertura nominale, perché tutti i professori sono occupati sino alla fine di novembre negli esami di licenza liceale. Scrivo oggi stesso al Preside per sapere il netto della cosa. Dunque rispondimi un sì o un no, e subito. io dovrei avere la tua risposta dopo domani mattina 1° novembre, e perciò dovresti impostare alla ferrovia non dopo mezzogiorno 31 ottobre; ovvero farmi un dispaccio domani stesso, raccomandando a Pescara o di mandarmelo per la posta o per corriere. Se mi dici sì, io intenderò che pel 7 o 8 novembre tu potrai venire; se mi dici no, intenderò no. In ogni caso voglio una tua risposta pel 1° Novembre. Di tutt’altro o qui o per lettera. Tanti saluti d’Isabella e Millo e Mimì. Tuo Bertrando
24. Evandro Sigismondi. 25. Torricella Peligna, comune della provincia di Chieti, in Abruzzo.
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Epistolario
Tornando io da Roma non potremmo incontrarci ad Ancona? Verremmo non col diretto, ma a tappe coll’omnibus. Isabella a cui ho fatto sentire la lettera ti raccomanda di dir sì, perché prima di tornarsene a Napoli vuole che tu l’osservi. SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
612 A Vittorio Imbriani [Napoli,] Domenica [1 dicembre 1872] Caro Vittorio, De Meis mi telegrafa: «Distrussi prove cattivo umore sofferenze, rimandate prove correggerò posta corrente». Ho scritto a Morano di mandar subito altre bozze nuove.26 Perché non vieni a vedermi domani? Così potrò rispondere a voce alla lettera poliglotta. Partirò per Roma Martedì. Tuo B. Spaventa Dalla collezione privata di Nunzio Coppola (ed. in Imbriani, Carteggi, p. 111).
613 A Vittorio Imbriani Napoli, 6 dicembre 1872 Mio caro Vittorio, Ti trascrissi il telegramma di De Meis. Jaja27 mi manda un articolo di Gabriele De Sanctis sul Giusti e me lo loda. Vieni a prenderlo a casa; che io parto oggi per Roma. Fa ciò che ti pare. Al tuo giudizio obbedirò. Tuo B. Spaventa Dalla collezione privata di Nunzio Coppola (ed. in Imbriani, Carteggi, p. 112).
26. Per l’ultimo fascicolo dell’anno 1872 del «Giornale napoletano di filosofia e lettere». 27. La lettera di Jaja a Spaventa, inviata da Chieti il 30 novembre 1872 è riprodotta in Carteggi di Vittorio Imbriani, p. 112, nota 1.
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614 Ad Angelo Camillo De Meis Firenze, 14 dicembre 1872 Mio caro Camillo, Hai ragione – mille ragioni – di dolerti di me, che non ho risposto ancora alla tua lettera. Vittorio28 mi ha fatto leggere la tua diretta a lui. Dal giorno che sono tornato da Francavilla, non ho fatto che correre da Napoli qui e di qui a Napoli. Sono proprio seccato, annoiato di questa vita senza sugo e senza costrutto. Sono di nuovo qui da 10 giorni a udire tante chiacchiere, che in vita mia non ne ho udito mai tante, da che son nato. Tutti vogliono parlare; è una cacarella generale. – Ricevo il tuo telegramma con cui mi richiedevi di nuovo le bozze29 appena ebbi tempo di scrivere una lettera al Morano perché te la mandasse e un’altra a Vittorio perché in caso di bisogno ne sollecitasse l’invio. E partii. Ho visto Vittorio qui, e poi non l’ho visto più; e m’ha detto che Morano te le ha mandate. – Ora bisogna vedere se il Giornale può e deve continuare. Ho visto Scialoja30 alla prima riunione della maggioranza; e, la prima cosa, gli ho parlato di Vittorio31 (e puoi figurarti in che modo) e di ciò che tu mi scrivesti. Gli ho detto che Tari sarebbe anche disposto a venire a Roma. Allora resterebbe vuoto il posto a Napoli. Risposta, benevola; ma non ancora positiva. Bisogna aspettare che il Consiglio Superiore deliberi sull’affare di Tari; 32 riferisce Pasqualino.33 – Capisci bene che io poi non ho, naturalmente e giustamente, molta influenza sull’animo di Scialoja, e per quanto voglia bene a Vittorio e possa metter calore nelle mie parole, l’effetto non è per nulla proporzionato all’impegno con cui tratto la cosa. Qui si son fatte parecchie nomine di professori e incaricati. Dio mio! Non dico che tutto sia male; ma il male è superiore, molto superiore, al bene. Ne dicono tante; e io sono proprio infastidito così dei lodatori come dei vituperatori. Ma non si può negare che la ditta Mariani-Ferri sia su per giù una porcheria. Ricominciano le insinuazioni: ateismo, panteismo, comunardismo, internazionalismo. Ferri è proprio senza alcuna convinzione. Mi rallegro che vai meglio. Io sto ora di cattivo umore e tanto più che non ne vedo la cagione. Non vedo il modo di scriverti questa lettera, in mezzo alle ciarle dell’oratore che sta parlando, e che non so come si chiami. Ho letto anch’io il discorso di De Sanctis.34 Avevo già fatte alcune delle osservazioni fatte da te. In generale l’impressione estetica che ho avuto è quella della notte di Natale, quando sparano le botte e accendono i fuochi di bengala etc.
28. Vittorio Imbriani. 29. Dell’articolo Non più metafisica (Keine Metaphysik mehr). 30. Antonio Scialoja, allora ministro della pubblica istruzione. 31. Vittorio Imbriani, che si sarebbe voluto far succedere ad Antonio Tari nella cattedra di estetica nell’Università di Napoli. 32. Per la nomina a professore ordinario all’Università di Napoli, dove era entrato come professore straordinario di estetica nel 1861. 33. Pasquale Villari. 34. Si tratta del discorso inaugurale del 1872, La scienza e la vita, letto nell’Università di Napoli il 16 novembre 1872 e ristampato nel volume II degli Scritti vari, a cura di Benedetto Croce, Napoli, Morano, 1898.
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Epistolario
Dunque scusami se termino. Proprio sono senza sugo oggi. Fiorentino che è qui accanto ti saluta tanto tanto. Addio addio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (parzialmente ed. in Croce, Ricerche, p. 15; ed. in B. Spaventa, Opere, III, pp. 853-855).
615 A Silvio Spaventa Napoli, 23 dicembre 1872 Mio caro Silvio, Ti ho mandato stamane per la ferrata una scatola cogli abiti fatti da De Chiara dentro (soprabito, gilet, pantaloni a grande volontà). Il quale invece di spedirli qui direttamente, gli ha mandati a me, e così si è perduto un giorno. Scrivimi se gli hai ricevuti, e se parti. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Ti sei ricordato del Testa?35 SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
616 A Francesco Fiorentino Napoli, 26 dicembre 1872 Mio caro Fiorentino, Dovresti scrivere al Barberis pel Labriola, il quale viene costì per questo.36 Scrivi forte. Saluto tutti di casa. Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 79 (inedita).
35. Michele Testa. 36. Nell’autunno 1871, Antonio Labriola decise di abbandonare il lavoro di insegnante nei ginnasi, convinto che non lo avrebbe condotto ad alcuna carriera. Così, dopo un’intensa attività pubblicistica, che lo vide impegnato nelle redazioni di alcune importanti testate giornalistiche (come l’«Unità nazionale» e la «Nazione»), Labriola dedicò l’anno 1873 alla preparazione del concorso per la cattedra di filosofia morale e pedagogia dell’Università di Roma. Ne risultò vincitore, con regio decreto del 23 gennaio 1874, e vi tenne l’insegnamento fino al 1902, quando passò (con regio decreto del 7 luglio) all’insegnamento di filosofia teoretica.
1873
617 A Donato Jaja Roma, 6 febbraio 1873 Mio caro Jaja, Ti devo una risposta da un pezzo sul Cerretelli che mi raccomandavi. Questo signore ha messo sottosopra cielo e terra e mi si è fatto raccomandare anche dagli inferi. Cosa ha conchiuso? Sai l’esito del concorso. Hai però da sapere che io non ho fatto parte della Commissione. Già, sarebbe stato lo stesso. Cosa fai ora? Mi congratulo della tua titolarità.1 Scusa il ritardo e la fretta. E salutando gli amici sono sempre Tuo affezionatissimo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
618 A Silvio Spaventa Napoli, 14 marzo 1873 Mio caro Silvio, Tornato qui ho trovato una lettera – di cui Millo ti mandò ieri stesso una copia – di Filippo […] figlio di Ersilia,2 intorno a una faccenda poco bella del fratello ricevitore. Se tu credi cosa conveniente aiutarlo, vedi di farlo per riguardo alla povera Ersilia; e dimmene qualche cosa.
1. Come professore di liceo a Chieti, dove insegnò prima di tornare a Bologna, dove si era laureato, e di recarsi a Napoli, nel 1879, per insegnare al liceo Genovesi. 2. Non si tratta della sorella di Bertrando.
584
Epistolario
Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
619 A Silvio Spaventa Napoli, 20 marzo 1873 Mio caro Silvio, Il porgitore Federico Lizzi di Guilmi vuol venire a vederti e chiederti un consiglio. Perciò ti scrivo. Sto cambiando casa e per questo ti scrivo in fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
620 A Silvio Spaventa Napoli, 26 marzo 1873 Mio caro Silvio, Scrissi a Lo Monaco3 di dire alla posta della Camera che mi mandassero qui le lettere. Non mi hanno risposto; e non avendo ricevuto finora nessuna lettera, e non potendo supporre la felicità di un deputato a cui nessun elettore scriva in due settimane, devo credere che ei se ne sia dimenticato. Mi raccomando ora a te, perché mi faccia mandare qui le mie lettere, specialmente la chiamata pel Consiglio, a cui non posso mancare. Hai ricevuto una lettera del Sindaco di Roccascalegna? Puoi fare qualcosa? Ho mutato casa: Via Salvator Rosa 290, e ci sto bene. Ci rivedremo tra giorni. Isabella e Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
3. Francesco Lo Monaco (1833-1887), politico e deputato del regno d’Italia dalla IX alla XII legislatura.
1873
585
621 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 6 aprile 1873 Mio caro Camillo, Sono tornato qui ieri. Non sono venuto a vederti non tanto pel telegrafo di Fiorentino che mi dava migliori notizie della tua salute, quanto per una lettera d’Isabella, la quale mi richiamava a Napoli. Io verrò a trovarti a Maggio; di certo; e mi tratterrò un paio di giorni con te, e spero che allora sarai perfettamente ristabilito. Io non ti ho scritto più da tanti mesi, al solito, perché avevo sempre in mente di venire a Bologna; ma ora un motivo ora un altro me l’ha impedito. Sai bene che io preferisco il viaggiare allo scrivere. È una stranezza. Ma che vuoi? Sono fatto così. Isabella sta meglio. Pare, per non dire è certo, che non si tratta della malattia che diceva il povero Salvatore. 4 Si crede invece che sia il verme solitario, ma finora mancano le prove dirette, giacché un pezzo di verme lo fece circa due mesi fa, ma lo vide lei sola, e d’allora in poi non ne ha fatto più. E da due mesi, dopo una curetta di china e rabarbaro, non ha più quel malessere che aveva prima. Già la forza non ci è stata mai, e non ci è. È di buon umore; e la nuova casa, dove siamo già passati, pare che le giovi: l’aria è migliore. Sai che il Consiglio superiore ha proposto al ministro la nomina a titolare di Tari e Calvello.5 Finalmente! Ora la cosa dipende da Scialoja,6 il quale spero che non vorrà mettere innanzi la quistione del bilancio. Quando penso che Tari e Calvello sono ancora straordinari, e certi commendatori sono nati ordinari! Salvatore non ha più quei brutti dolori di prima; mangia che è una meraviglia; e pareva che andasse proprio meglio. Ma ieri sera mi hanno detto che è abbattuto e malinconico, perché si è accorto lui stesso che non si nutrisce. Questo fatto, già notato da qualche mese, ci mette in grande apprensione. Povero Salvatore! In conclusione, presto o tardi, bene o male, tutti così. Evviva la madre natura! Non capisco perché l’hanno chiamata madre. Naturalmente, va bene; ma… e qui m’imbroglio. Quale è l’altro termine della distinzione? Madre, perché ci produce dal suo grembo, e pietosamente ne raccoglie, mi pare che dica Bruno.7 Il secondo perché è titolo non l’intendo punto. – Rompo la filastrocca. Dunque a rivederci a Maggio. Intanto scrivimi due righi e dimmi come vai, senza meno. Silvio mi dice di salutarti tutti tanto; e anche gli amici tutti di Roma. Tante cose da Isabella e ragazzi. Tuo sempre Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
4. Salvatore Tommasi. 5. Giambattista Calvello (1810-1874), storico, letterato e filosofo, nel 1862 fu nominato professore incaricato di storia antica nell’Università di Napoli e in seguito professore straordinario. Solo un anno prima della morte divenne professore ordinario. 6. Allora ministro della pubblica istruzione. 7. Giordano Bruno, Cena delle ceneri, I: «Et n’apre gli occhii ad veder questo nume, questa nostra madre, che nel suo dorso ne alimenta, et ne nutrisce, dopo averne produtti dal suo grembo al qual di nuovo sempre ne riaccoghe; et non pensar oltre, lei essere un corpo senza alma, et vita, et anche feccia tra le sustanze corporali».
586
Epistolario
622 A Silvio Spaventa Napoli, 21 aprile 1873 Mio caro Silvio, Ricevo un telegrafo che mi chiama al Consiglio per giorno 25. Fammi sapere a posta corrente se ti troverò a via della Missione ancora, o dove. Non te ne dimenticare. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
623 A Silvio Spaventa Napoli, 10 maggio 1873 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (Domenica). Se vedi Filippo,8 digli che venga alla stazione. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
624 A Francesco Fiorentino Roma, 31 maggio 1873 Mio caro Fiorentino, Potevi farmi svegliare! Ieri sera siamo stati qui sino alle 5; e poi dove vederti dopo al desinare? L’affare del Morandi 9 è andato male; e in verità non ci è stato modo di farlo riuscire bene. A voce, i particolari. Probabilmente andrò fra giorni a Bologna a vedere Camillo.10 Saluta la Tuta11 e sono sempre Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 80 (inedita).
8. Filippo Vitullo. 9. Luigi Morandi (1844-1922), pubblicista, giornalista e letterato; docente universitario e deputato del regno d’Italia dalla XIX alla XXI legislatura. 10. Angelo Camillo De Meis. 11. Restituta Trebbi.
1873
587
625 A Francesco Fiorentino Napoli, 3 luglio 1873 Mio caro Fiorentino, Sono tornato ieri da Roma. La tua collera contro Pasqualino12 è un po’ troppa! Tu sai se io sono dolce di sale. E pure devo dirti che in questa minestra tu ce ne metti più di quel che conviene. A voce ti dirò come è andata la cosa. È vero che m’hanno invitato la seconda volta a far parte della Commissione pel concorso di Etica a Roma; e che ho detto che non potevo. Puoi dunque accettare tu. Ci rivedremo tra giorni qui. Scusa la fretta. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 7 (inedita).
626 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 14 luglio 1873 Mio caro Camillo, Isabella, Millo, Mimì e io ti facciamo tanti auguri pel giorno di domani. 13 Isabella sta al solito, ora bene, ora mediocremente; ma in paragone dell’anno scorso di questa stagione, meglio. Saprai che Scialoja consentì poi per Tari e Calvello.14 E gliene sono veramente grato. Non è difficile che quando meno te lo pensi, io venga a rivederti. E contentati ora di questi pochi righi. Saluta Siciliani e De Dominicis. 15 Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
12. Pasquale Villari. 13. De Meis era nato a Bucchianico il 14 luglio 1817. Erroneamente la lettera di Bertrando porta la stessa data del 14 luglio pur riferendosi al giorno successivo. 14. Sul loro passaggio all’ordinariato all’Università di Napoli, rispettivamente nelle cattedre di estetica e storia antica (cfr. lettera 621). 15. Saverio Fausto De Dominicis (1845-1930), pedagogista, dal 1881 professore straordinario di pedagogia all’Università di Pavia, poi anche di filosofia morale (1885-1904) e di filosofia della storia (1904-1909).
588
Epistolario
627 A Silvio Spaventa Napoli, 25 luglio [1873] Mio caro Silvio, Non so ancora il giorno che si riunirà il Consiglio. Se hanno portato a casa tua il solito biglietto, mandamelo subito per la posta. Se no, puoi domandare al Tenca. Scrivimi due righe. Io sto piuttosto bene con la famiglia. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
628 A Francesco Fiorentino 7 agosto 1873 Mio caro Fiorentino, Leggi questa lettera di Filippo16 e rimandamela. Se vuoi rispondigli tu stesso, bene; se no, dimmi cosa gli devi dire, che gli risponderò io. Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 81 (inedita).
629 A Francesco Fiorentino Napoli, 25 settembre 1873 Mio caro Fiorentino, Ti mando per la posta oggi stesso il Liebig17 (Bacone etc.). Sai che Filippo18 ottenne la patente di filosofia. Nel mese di Agosto chiese al Ministero un posto in un Liceo (non molto lontano da Francavilla). Perché non scrivi al Bar16. Filippo Masci. 17. Si riferisce al volume Über Francis Bacon von Verulam und die Methode der Naturforschung, München, Literarisch-Artistische Anstalt, 1863, del chimico tedesco Justus von Liebig (1803-1873). 18. Filippo Masci.
1873
589
beris? Se Jaia fosse promosso, Filippo potrebbe andare a Chieti.19 Come si sta a Portici? Saluta la Tuta e la Marianna20 e sono sempre Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 8 (inedita).
630 A Cesare Volpicella Napoli, 10 ottobre 1873 Mio caro Volpicella, Non ho potuto partire stasera. Vedrò domani sera. Ti prego di fare le mie scuse col Signor Vicepresidente21 e i signori colleghi. Sono vostro Affezionatissimo B. Spaventa ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale (1860-1880), Ba 2014, Bertrando Spaventa (inedita).
631 A Francesco Fiorentino Napoli, 17 ottobre 1873 Mio caro Fiorentino, So da Labriola che la Tuta22 ha partorito un maschio, e me ne rallegro con lei e con te. Spero che il puerperio vada bene. – Sono stato due giorni a Roma e ho visto Tocco. – Se Lunedì verrai agli esami ci vedremo. Tanti saluti e credimi sempre Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 82 (inedita).
19. Dove Donato Jaja insegnava nei licei. 20. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 21. Terenzio Mamiani. 22. Restituta Trebbi.
590
Epistolario
632 Ad Antonio Tari Napoli, 7 novembre 1873 Mio caro Tari, Scusami se non ho risposto subito alla tua lettera. Volevo da un pezzo scrivere a te io per il primo e congratularmi della tua nomina,23 ma la buona intenzione rimase lì, nel seno dell’Innominabile, 24 forse. La tua nomina è una brutta prova contro di te, cioè contro la tua teoria: la innominabilità di Dio. Un Dio innominabile, come può nominare o permettere che si nomini? Chi non nomina sé, non può nominar nulla, né permettere che si nomini nulla. Deve essere proprio una brava persona il nostro Domenedio, perché se fosse stato quell’antico di Mosè, avrebbe giudicato colla legge del taglione, e ti avrebbe detto: tu non nomini me, e io non nomino te. Io son chi sono non dice niente: l’essere, il puro essere è l’innominabile stesso.25 Il primo dovere di un professore ordinario di filosofia è di credere che Dio, se ci è, non può essere altro che il primo professore ordinario dell’università del mondo. È questo anche il parere di Calvello. Devi convenire con noi, che se sei un matematico, non t’intendi affatto di teologia. Tu per esaltar troppo Dio, ne fai un gran minchione, un quidam assoluto, senza fede di battesimo, senza padre né madre, senz’arte né parte, un eterno Esposito! A questo mondo – e in ogni mondo – anche a Terelle – il nome è tutto: chi non ha nome, non sussiste. Tu dici: Te innominabilem laudamus. Ora sfido io a lodare senza nominare. Bella lode, che comincia dal dire: non so come ti chiami! D’ora innanzi dunque al tuo Don tal di tale o Don come ti chiami, io propongo di surrogare… che cosa? l’assoluto Nome. – Qui ti volevo, dirai tu; pronunzia, se puoi, questo assoluto Nome! – È la cosa più facile di questo mondo, e non so come non te ne sei accorto: la più logica, che concilia il nome e l’universalità del nominato. Tu, che ora sei professore ordinario, dirai: l’assoluto Tari; questo è il tuo Dio. Io ho detto da un pezzo: l’assoluto Bertrando. E anche Pepere 26 e Fusco per esempio hanno detto già, prima di te e di Calvello: l’assoluto Pepere, l’assoluto Fusco! L’assoluto Commendatore! Così sono tutti contenti: te, Pepere, Fusco, me, e Dio. Per te d’oggi innanzi Dio sarà il gran Nominatore, identico al gran Nominato, e perciò assoluto Tari. Per me… te lo dirò un’altra volta. Per Fusco… cos’è Fusco? Qui l’affare s’imbroglia, e quasi quasi mi vien voglia di esclamare anche me: Vos nominatos innominabiles laudamus! Godo che tuo figlio stia bene. Tuo Bertrando FBBC, Lettere di Silvio a Bertrando Spaventa, CXIX.D .7 (inedita).
23. Come titolare della cattedra di estetica all’Università di Napoli (cfr. lettera 626). 24. Allusione a un aspetto della dottrina filosofica di Antonio Tari, il cui hegelismo si concilia con la fede in un trascendente e inconoscibile assoluto («l’Innominabile»). 25. Tari aveva espresso lo stesso parere nel saggio del 1863 su Le prime categorie della logica di Hegel: «quando si va a vedere, l’Essere stesso, solo l’Essere, non dice: Essere, non dice È, non dice punto». 26. Francesco Pepere (1823-1903), giurista, vincitore nel 1861 della cattedra di storia del diritto all’Università di Napoli, e poi di quella di enciclopedia del diritto.
1873
591
633 A Cesare Volpicella Napoli, 15 novembre 1873 Mio caro Volpicella, Sono un po’ indisposto e il medico non vuole che mi muova di qui. Perciò vi prego di fare le mie scuse col Signor Vicepresidente27 e i Signori Colleghi. Il Tenca troverà tra le mie carte dei frati insegnanti della Provincia di Roma […] delle relazioni del Ferri e dei loro titoli. Non ho dato parere perché non avevo la circolare del Regio Provveditore. Credetemi sempre Vostro affezionatissimo B. Spaventa ACS, Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, B a 32, fascicolo 2, Ministero della Pubblica Istruzione, 1860-1880, Ba II. 18 (inedita).
634 A Cesare Volpicella Napoli, 15 dicembre 1873 Mio caro Volpicella, Eccovi firmato il mandato di Procura. Vi ringrazio tanto tanto e sono sempre Vostro affezionatissimo B. Spaventa ACS, Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, B a 32, fascicolo 2, Ministero della Pubblica Istruzione, 1860-1880, Ba II. 18 (inedita).
635 A Francesco Fiorentino Napoli, 18 dicembre 1873 Mio caro Fiorentino, Se vieni a Napoli, fammi il piacere di farti vedere o di dirmi – se ti rincresce di salire fin qua – dove ti posso trovare. Voglio sapere i particolari della gran lotta da te combattuta coll’Inedito, col Neoplatone e col suo Nano. Dico: Nano; che raccomando alla gentilezza di Madamoiselle Simons. Saluto la Tuta, la Marianna28 e il piccirillo.29 Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 10 (inedita).
27. Terenzio Mamiani. 28. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 29. Pasquale Fiorentino, figlio di Francesco.
592
Epistolario
636 A Silvio Spaventa Napoli, 22 dicembre 1873 Mio caro Silvio, Finalmente è finita la discussione del tuo bilancio!30 Da quel poco che ho potuto leggere sui giornali mi pare che sia andata bene. Qui di certo il tuo sapere tecnico ha fatto molta impressione! Ora che farai in queste vacanze? A Napoli non ci verrai; non lo spero, e non se ne parli né anche. Rispondi un rigo alla povera Mimì, e fa sapere a lei dove andrai a passare le feste. Ella non sa persuadersi che tu non le rispondi, e non capisce cosa vuol dire discussione di bilancio alla Camera. Noi stiamo bene. E tu bada alla tua salute e fa moto. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (parzialmente ed. in S. Spaventa, Lettere politiche, p. 128).
30. Silvio Spaventa fu nominato ministro dei lavori pubblici nel governo Minghetti, formatosi il 10 luglio 1873, l’ultimo della Destra, che raggiunse il pareggio di bilancio e provvide al definitivo assetto amministrativo del nuovo Stato italiano.
1874
637 A Silvio Spaventa Napoli, giovedì 8 [gennaio] 1874 Mio caro Silvio, Non ho tue notizie da un pezzo. – Sarò costà domani sera. Fa un freddo da cani. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
638 A Francesco Fiorentino Roma, 10 [gennaio] 1874 Mio caro Fiorentino, Letto il rapporto con le tue osservazioni in Consiglio, il risultato della votazione è stato questo: 11 votanti; per Labriola straordinario1 6 voti favorevoli, e 5 bianchi, cioè di astenuti. Non posso per lettera raccontarti ogni cosa. Te la dirò a voce. È stata battaglia campale. Saluto tutti. Tuo B. Spaventa N.B. Pasqualino2 si è portato bene. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 86 (inedita).
1. Si tratta del concorso per la cattedra di filosofia morale e pedagogia presso l’Università di Roma, nel quale Antonio Labriola risultò vincitore, con regio decreto del 23 gennaio 1874. 2. Pasquale Villari.
594
Epistolario
639 A Francesco Fiorentino Napoli, 18 [gennaio] 1874 Mio caro Fiorentino, Non posso partire domani (Lunedì); partirò dopodomani. Di fretta. Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 87 (inedita).
640 A Donato Jaja Roma, 8 febbraio 1874 Mio caro Jaja, Ti ringrazio della tua lettera sul Vicentini. Che buona gente! Io sono qui dal 21 del mese passato, e aspetto che si decida la sorte di questa legge cartacea.3 Fiorentino è anche qui: ha fatto ieri una corsa a Spoleto e ritornerà domani. Non avendo che fare, visitiamo insieme qualche cattedra di questa Sapienza, per imparare qualche cosa della filosofia italica nova, restaurata e restauratrice, che noi non conosciamo punto, e alla quale incautamente e per ignoranza ci siamo ribellati. Sebbene tardi, pare che ora la grazia divina ci voglia illuminare e toccare non solo l’intelletto ma il cuore. Abbiamo udito il Mamiani e il Berti. Quegli sul suo Progresso; questi sul non suo Spinoza. Odi davvero grandi, mio caro Jaja. Bisogna confessare che la filosofia finalmente o non ci è più in questo mondo o è qui. Che fortuna per la nostra risorta Italia possedere ed essere posseduta da questi due eccelsi pensatori! Il Mamiani è oramai vecchio, e quel che ha fatto, ha fatto; la grande nostra ignoranza è nella sua scuola. Ma il Berti è giovine ancora; e chi può dire e misurare l’orizzonte che egli aprirà alle menti italiche? O che fortuna, che fortuna! Scusa la fretta e credimi sempre Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
3. Riferimento alla legge sulla circolazione cartacea durante il corso forzoso, varata alla Camera il 24 febbraio 1874.
1874
595
641 A Silvio Spaventa Napoli, 22 febbraio 1874 Mio caro Silvio, Non sono venuto né credo di poter venire per ora, per questo dolore al piede dritto, che se non mi impedisce di passeggiare, mi dà pure non poca noia e mi mette di cattivo umore. Dicono che sia podagra, ma intanto – e in questo piede non l’ho avuta mai – la podagra non viene. Aspetterò ancora qualche giorno, e poi vedrò cosa debba fare. E per non aver che fare qui, ho ricominciato le lezioni. La risposta di Innocenzo De Nillo mi è giunta con molto ritardo. Egli la diresse – non so perché – a Napoli; e da Napoli la mandarono a Roma, dove è stata molti giorni alla posta della Camera. Io ti mando questa lettera e lo stato di servizio, e vedi tu che cosa puoi fare. Ti mando pure un’istanza di un tal De Angelis di Casoli, raccomandatami da Travaglini. Fammi rispondere da Andreoli.4 Il Sirolli di Altino mi scrive di nuovo per sussidio alla strada e mi manda tutte le carte relative a questa faccenda. Ti prego di farle esaminare, e di farmi sapere che cosa gli devi rispondere. Come stai in salute? Ora che non fa freddo e i giorni sono più lunghi, puoi farti benissimo una passeggiata la mattina per tempo prima di andare al Ministero. Meno il piede, io sto bene. Isabella e i ragazzi anche essi; e ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
642 Ad Antonio Labriola Napoli, 23 febbraio 1874 Mio caro Labriola, Sarei venuto a votare la legge sulla circolazione,5 ma un dolore alquanto indiscreto al piede destro – che non so ancora se sia podagra o altro – me l’ha impedito. Né ti so dire ora quando potrò venire. Dipende da questo benedetto piede. Ti ringrazio della tua cronaca dell’asilo, e spero che non ti mancherà la materia per continuarla. A quest’ora il
4. Raffaele Andreoli (1823-1981), giurista e politico, caposezione al Ministero dell’interno a Torino e a Firenze dopo il 1860; successivamente, consigliere di prefettura a Firenze e a Napoli. Nel 1873, Silvio Spaventa, ministro dei lavori pubblici, lo chiamò a Roma come suo segretario particolare; tenne questo ufficio sino alla caduta della Destra nel 1876. 5. La legge sulla circolazione cartacea durante il corso forzoso, varata alla Camera il 24 febbraio 1874 (cfr. lettera 640, nota 3).
596
Epistolario
Conte 6 e Fra Domenico 7 avranno ripigliato il filo – dico così per dire – delle loro ricerche scientifiche e forse finito di strozzare – appunto con quel filo – il falso progresso e la falsa scienza, vulgo la filosofia. E mi figuro la gran scopa del nostro buon Filippo e Giacomo che spazzerà al solito ogni cosa e metterà con gran fracasso la stalla della Sapienza, gittando per la finestra il tappeto verde, la cosa in sé e se bisogna, financo il fenomeno e sé stesso. Ciò che importa, è scopare e far rumore. Ora, come saprai, anche a Napoli, il mezzodì è annunziato da un colpo di cannone. O se il Bovio8 venisse anche lui costì! Sarebbe un quarto impareggiabile e impagabile. Pure, beati loro! Almeno i due primi. Se fossero nel caso mio, cioè col piede destro addolorato – non intendo dire che pensino coi piedi – quanta consolazione non avrebbero dalla sollecitudine e afflizione delle ragazze, delle belle ragazze! – Come va il piede? – Che notizie si ha del piede? – A che n’è la storia del piede? – A che fare siamo della scienza del piede? E forse penserebbero anco alla filosofia del piede; – E così in pochi giorni, nelle vergini menti, il piede diventerebbe uno di quei tipi assoluti e irriducibili, che splendono come stelle fisse nel cielo dell’idealismo italiano (idealismo moderato si potrebbe dire anche pedestre – consorte? – dice Ferri). In verità, giacché finora non si è trovata una testa che funzionasse bene e facesse da capo, ci vorrebbe un piede di quelli, un piede tipo davvero, un piede cogli stivali, aristotelico che – altro che la scopa di Filippo e Giacomo – li colpisse di punta proprio lì, e… Ma m’immagino lo spavento e le grida delle belle ragazze, e anche dei bravi ragazzi! Per amor loro dunque, delle ragazze e dei ragazzi, lasciamo stare le cose come si trovano; non facciamo nessuna perturbazione. E poi, si sta così bene! Non senti che caldo dentro con questo freddo fuori? Ci è la stufa, il palchetto di legno, il tappeto. E quella voce, quella simpatica sonora voce! O quam dulce et iucundum…! Dunque il mio piede destro – che è semplicemente mio, questo mio piede destro, e che non pretende punto punto di diventar tipo di alcuna scuola, di alcuno idealismo moderato – mi impedisce di venire per ora. Fammi sapere quando comincerai le lezioni. E altro. E fammi il piacere di dir (subito) alla posta della Camera che mi mandino qui le lettere. Saluta tua moglie e sono sempre Affezionatissimo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
6. Terenzio Mamiani. 7. Domenico Berti. 8. Giovanni Bovio (1837-1903), filosofo e politico, deputato al parlamento del regno d’Italia dalla XIII alla XXI legislatura.
1874
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643 A Cesare Volpicella Napoli, 28 febbraio 1874 Mio caro Volpicella, Ho la podagra e non posso venire al Consiglio. Vi prego di fare le mie scuse col Signor Vicepresidente9 e coi signori Colleghi. Sono sempre Vostro affezionatissimo B. Spaventa ACS, Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, B a 32, fascicolo 2, Ministero della Pubblica Istruzione, 1860-1880, Ba II. 18 (inedita).
644 A Silvio Spaventa Napoli, 1 marzo 1874 Mio caro Silvio, Stamane è ricomparsa – finalmente la podagra, e ora che ti scrivo è forte, e mi ha costretto a mettermi a letto. Del resto sto bene, e tu non ti dar pensiero di me. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
645 A Silvio Spaventa Napoli, 4 marzo 1874 Mio caro Silvio, Ancora la podagra, che ha preso a consolarmi ora l’altro piede, dove non m’era venuta mai. E la notte è un po’ più dura. – Pure dovrà finire. Ti ho spedito stamane un barile di vino. Non so se ti piacerà; non è dolce ed è il meglio che ho potuto avere ora. Se non ti piace, riserbalo per me! Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
9. Terenzio Mamiani.
598
Epistolario
646 A Silvio Spaventa Napoli, 14 marzo 1874 Mio caro Silvio, Questa volta l’ho avuta un po’ brutta! Ora sto assai meglio, e da tre giorni mi alzo e mi muovo come meglio posso per la casa. I piedi sono ancora un po’ gonfi, e mi rimane anche un leggero dolore ai calcagni, che m’impedisce di camminare bene. Del resto, sto bene. E tu perché non mi scrivi due righi? Hai ricevuto il vino? Mi figuro che non ti sia piaciuto! Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
647 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 16 marzo 1874 Mio caro Camillo, Ti scrivo col lapis, perché non posso stare al tavolino, che mi dolgono i piedi; e stando sdraiato non posso usare la penna, che l’inchiostro non scorre. E ti scrivo su questa carta ruvida, perché sulla levigata il lapis non ha presa. Dunque da 20 giorni podagra, su tutta la linea, cioè nei due piedi, compresi i calcagni, e qualche toccatina anche ai ginocchi. Ora sto assai meglio, tanto che ieri sono uscito un po’ in carrozza, che – dopo tanto cattivo tempo – era una bellissima giornata; non ne potevo proprio più, e due settimane quasi di letto mi avevano messo in corpo tale un appetito dell’aria libera, che non potendo scendere le scale mi sarei gittato dalla finestra. Abito al 4° piano e ho penato non so quanto a trascinarmi per le scale sino alla carrozza. Queste benedette rotelle dei ginocchi non vogliono funzionare ancora bene, come prima. Ecco tutto. Del resto, tra qualche giorno spero che sarà finito ogni cosa, per ricominciare poi, s’intende, da capo quando piacerà al Signore, e per finalmente finire in modo da non ricominciare mai più. O che! Ci sarà la gotta anche nell’altro mondo? Sono mortificato del tuo telegramma. Io non ti scrivo da un secolo. E non è a dire che non ci abbia pensato: altro! Ma ora una cosa, ora un’altra, e non mi ci risolvevo mai. Già tu sai che per me è più facile venirti a trovare a Bologna, che scriverti. E sarei venuto ai principi del mese scorso o alla fine di Gennaio e n’avea parlato anche al nostro buon Fiorentino; ma il freddo era così crudele che si convenne di rimettere la cosa alla buona stagione. Dunque a dopo Pasqua. Avrei tante e tante cose a dirti non tanto di qui, ma di Roma, dei nostri vecchi amici Berti, Mamiani, etc. Ma io non posso scrivere a lungo, e ci soffro a scrivere così come
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scrivo e mi dolgono le braccia. Siamo stati Fiorentino ed io a udire la voce potente del tuo Monsignor Cosà;10 più volte io solo sono andato ad ammirare il Mamiani. Roba fresca, di non so quanti secoli fa conservata bene, o per dir meglio di nessun secolo, di nessun sapore, di nessuna cucina: delle cose scipite, eternamente, essentialiter, che mi fan sempre ricordare la tua avversione per le cocozze,11 a Torino, che comunque condite, non ti piacevano mai. E il peggio è che il Conte condisce le sue cocozzelle sempre allo stesso modo. E Monsignore? Un cocozzone anche lui. Lui però condisce sempre diversamente. Ora la sua salsa è Galilei, la scienza, il positivo, i testi, la filosofia scientifica che si sta creando a Roma viribus unitis degli scolari e delle scolare (le quali sono piuttosto belle). Ma di ciò a voce. Ora devo finire. – Isabella e i ragazzi stanno bene; e con questa stagione! Dei tuoi Tipi,12 dopo la podagra. Vidi Morano e ci dovea tornare il giorno dopo, ma mi venne la gotta. – E tu come stai? Scrivimi. Salvatore13 fa lezione: positivista ora. La sua salute è un miracolo. Io lo vedo quanto più spesso posso. – Saluto De Dominicis: non ho letto il suo libro,14 che ricevo in questo momento da Zanichelli.15 – Dunque a rivederci a Bologna. E conservati in salute e ama sempre il tuo semper idem, monotono, Bertrando Isabella e i ragazzi tanti saluti. AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (parzialmente ed. in Croce, Ricerche, p. 15, in data 13).
648 A Silvio Spaventa Napoli, 28 marzo 1874 Mio caro Silvio, Sto meglio colla podagra, ma non sono ancora perfettamente guarito. Mi rimane ancora un po’ di dolore alle calcagna e ai ginocchi. Verrai o no a Pasqua? Lo spero poco. Pure ci è ancora a tempo a risolvere, e ti scriverò ancora. 10. Croce ipotizza che si alluda al Berti (cfr. Croce, Ricerche, p. 14, nota 3). In effetti, poco oltre Spaventa nomina Galilei a cui Berti si dedicò molto tra il 1873 e il 1882, dopo che fu incaricato di organizzare la commemorazione del quarto centenario della nascita di Copernico (1873). Si ricordano un ciclo di lezioni e il saggio Copernico e le vicende del sistema copernicano in Italia nella seconda metà del secolo XVI e nella prima del XVII, con documenti inediti intorno a G. Bruno e G. Galilei (Roma, Tipografia G.B. Paravia, 1876). 11. Al singolare in Croce. 12. Angelo Camillo De Meis, I tipi animali: lezioni, 2 voll., Bologna, Stabilimento Tipografico di G. Monti, 1872-1875. 13. Tommasi, che dal 1865 fece ritorno a Napoli, dove ottenne la cattedra di patologia speciale medica che mantenne fino alla sua morte nel 1888. 14. Galilei e Kant, o l’esperienza e la critica nella filosofia moderna, Bologna, Nicola Zanichelli, 1874. 15. Nicola Zanichelli (1819-1884), editore e fondatore dell’omonima casa editrice a Modena nel 1859.
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Millo ha avuto il morbillo. Ora va meglio. Ti acchiudo un’istanza di un mio elettore di Villa Santa Maria. Fammi rispondere da Andreoli o altri. In ogni modo manda a me la risposta. Mi promettesti di rispondermi sulle carte mandate da Sirolli di Altino. Invece sono state rinviate alla Prefettura, la quale ha rimproverato duramente il povero Sirolli; il quale si lamenta un po’ di me. Isabella e i ragazzi ti salutano. Pensa alla salute. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
649 Ad Antonio Labriola [Napoli, 30 marzo 1874] Mio caro Antonio, Tutto avrei imaginato fuorché questa disgrazia.16 Ieri stesso ti avrei scritto a Roma, poco prima di ricevere la triste notizia. Sono rimasto di sasso. Pure bisogna far coraggio, e conforta come meglio puoi tua madre e la Zia.17 Scrivimi. Povero Ciccio! Tuo affezionatissimo B. Spaventa SNSP, Fondo Dal Pane, Ms. 7. 32. 1 (ed. in Labriola, Carteggio, p. 402).
650 A Silvio Spaventa Napoli, 2 aprile 1874 Mio caro Silvio, Se vieni – poco lo credo – eccoti l’indirizzo pel telegramma: Salvator Rosa 290. Non sono ancora libero dalla podagra; anzi ieri un po’ di dolore più forte ai calcagni. Oggi meglio. In ogni caso scrivimi e fammi sapere cosa farai. Riposati un po’; e pensa seriamente alla salute. La cosa non può continuare così. Isabella e i ragazzi ti salutano… e ti aspettano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
16. Si riferisce alla scomparsa improvvisa di Francesco Saverio Labriola, padre di Antonio. 17. Pasqualina Ponari, sorella nubile di Francesca madre di Labriola.
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651 A Francesco Fiorentino Roma, 21 aprile 1874 Mio caro Fiorentino, Ricevei la tua lettera da Napoli col documento della muliebrità del nostro progresso filosofico. Non ti ho risposto, perché ti aspettavo qui, avendomi detto il Labriola che dovevi venire sin dal giorno 15. Cos’è stato? Perché non vieni a udire tutti questi gran discorsi? Ieri discorse (ero per dire: discorsò) il Toscanelli.18 Ora discorre magniloquentemente il tuo caro Luzzatti.19 Se non ti risolvi a studiare economia politica e statistica, sul serio, profondamente, come sto facendo ora io, non sarai mai un grand’uomo, come ho la speranza quasi certa di diventare io, e tanti sono diventati prima, molto prima di me. Dunque risolviti a venir qui, e la grandezza non ti potrà mancare. Ecco per esempio un diverbio tra Branca 20 e Luzzatti. Luzzatti dice: «la differenza tra me e Branca, è questa, differenza di scuola: io parto dall’esperienza e sull’esperienza fondo la scienza, e perciò appartengo alla scuola sperimentale, modesta, umile; Branca al contrario parte da principi a priori, trascendentali, metafisici, ontologici, e perciò appartiene alla scuola speculativa, iperfisica, mistica, superba, e via di seguito». Branca replica, e si scusa e protesta che di apriori, di trascendentalismo non ne sa niente e che Luzzatti combatte con dei mulini a vento. – Mulini a vento! Grida interrompendo Floriano Del Zio. Come l’apriori, il trascendentale, la gran novità dell’evoluzione del progresso dello spirito dell’umanità è un mulino a vento! Questa è una irriverenza contro la Scienza assoluta. Io non ne posso più. Firmo la lettera ed esco dall’aula. B. Spaventa Saluto a tutti di casa. BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 11 (inedita).
652 A Francesco Fiorentino Napoli, 15 maggio 1874 Mio caro Fiorentino, Ho tardato a scriverti né so se questa lettera ti troverà a Roma. Coi piedi – coi cauti piedi – sto meglio; ma m’è venuto su un dolore di stomaco che mi dà una brutta noia. Credo che sia effetto, più che altro, di debolezza. Poca carne, poco vino: in generale, poco di 18. Giuseppe Toscanelli (1828-1891), politico e deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla VIII alla XVII legislatura. 19. Luigi Luzzatti (1841-1927), economista, docente universitario e giornalista, deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla XI alla XXV legislatura . 20. Ascanio Branca (1840-1903), giurista e pubblicista, deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla XI alla XXI legislatura.
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ogni cosa. Con queste pochezze come si fa ad aver buono stomaco? Si finisce per perdere l’attività digestiva, ora che ce ne è tanto di bisogno: che le cose che dobbiamo inghiottire – e smaltire, sono incredibili, cioè indigeribili. Ieri dunque ho bevuto un poco più di vino, ma un poco veh!, e già mi sento meglio oggi. – Da che dipende il destino dell’uomo! Ti ringrazio – già non ce n’è bisogno – della tua lettera. Quando ritornerai qui fammelo sapere. Io non posso venire per ora, in questo stato di debolezza di stomaco: potrei prendere un’indigestione a Montecitorio. Ti prego dunque di farmi mandare subito dalla Posta della Camera le mie lettere qui a Napoli. Saluto Tocco e Labriola e con mille riverenze agli illustri Infermi sono Tuo Bertrando Con tutto il dolore di stomaco ho letto l’articolo stampato sul Giornale da Ulrici sulla scoperta miracolosa avvenuta in Italia pochi anni fa – cioè il Congiungimento come base della Percettiva. Cosa diranno quei minchioni di tedeschi? Atti che si compenetrano e sostanze che non si compenetrano. Non sarebbe meglio se si penetrassero a dirittura le sostanze? Monsignore potrebbe benissimo avviare così la cosa. – Ho fatto la coda a quel sonetto, e l’ho intitolato: l’atto creativo, in omaggio ai concreatori e concreati. Sonetto a rime forzate, con coda libera. BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 12 (inedita).
653 A Silvio Spaventa Napoli, 15 maggio 1874 Mio caro Silvio, Non mi sento ancora bene. Cessato quasi il dolore ai piedi, mi è venuto un dolore alquanto forte allo stomaco, che mi dà molta noia nell’ora della digestione. Credo che sia effetto di debolezza, della poca carne e anche del poco vino. Vedrò. Ho cominciato a prendere la litina. E tu la prendi? Io non so se possa ritornare subito costì con questo dolore di stomaco. Rosario21 mi scrive una lunga lettera pel Pretore di Bomba che è minacciato di essere traslocato, e mi promette di mandarmi anche una memoria. Ma che cosa posso fare io? È la stessa cosa di cui ti scrisse Clotilde.22 Scrivimi come stai. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
21. Rosario Spaventa. 22. Clotilde Spaventa.
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654 A Silvio Spaventa Napoli, 25 maggio 1874 Mio caro Silvio, Quod erat in votis! Credo che non ci sia migliore occasione di questa per uscire dai guai del tuo ministero. Io non sono una testa politica, anzi di politica non me ne intendo affatto. Pure dico che la peggior via sarebbe lo scioglimento della Camera: la nuova sarebbe di certo più malsana e malata di questa vecchia.23 Viva dunque la camera, e si faccia un nuovo ministero! Tanto, gli uomini non mancano, e oltre i De Luca e i Mezzanotte, ci è da prenderli anche a destra, tra i Mascilli,24 i Capone,25 i Samarelli, 26 i Santamaria 27 et similia. I quali tutti, com’è noto, hanno fatta l’Italia! o almeno la stanno facendo. Non dico di più, perché temo di dire delle minchionerie. Il mio dolore di stomaco non è ancora cessato, ma da due giorni è più mite: mi giovano molto le bagnature fredde. Intanto io devo trovarmi costà alla fine della settimana. Te ne avviserò prima. Tu scrivimi e dammi qualche notizia. Pensa bene a ciò che ti conviene di fare; e alla salute. Isabella e Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando P.S. Ricevo in punto28 la tua. Meglio è che il Sella o il De Luca (!) o chi diavolo si sia, abbia da fare con questa Camera o sia gittato giù dalla futura, che voi altri. Per me – animal impoliticum – credo che il meglio sia che questa gioia di Camera resti, e il Ministero vada via. Mi piace il dilemma posto al Re: o Camera o Ministero, via.29 Ma delle due corna – costretto ad affrontarne uno – presceglierei il secondo, e lascerei il primo, cioè il corno della Camera ai successori ed eredi. Scrivimi. Se mi sentirò meglio, verrò più presto. SNSP, XXXI.D.6 (ed. in S. Spaventa, Lettere politiche, p. 130).
23. Castellano: «di questa». 24. Luigi Mascilli (1815-1890), avvocato e politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla XI alla XVI legislatura . 25. Filippo Capone. 26. Mauro Samarelli, giurista e magistrato, nato nel 1823, deputato nel parlamento del regno d’Italia nelle legislature XI, XII, XIV. 27. Nicola Santamaria, nato nel 1831, fu giurista e magistrato, deputato nel parlamento del regno d’Italia nella legislatura XI. 28. Castellano: «in questo momento». 29. Il 24 maggio, Silvio gli aveva scritto: «il Ministro ha posto a S. M. il re il dilemma: o dimissioni o scioglimento della Camera» (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 130).
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655 A Francesco Fiorentino Roma, 3 giugno 1874 Mio caro Fiorentino, Domani ci ho ancora il Consiglio e la Giunta, forse anche a sera. Ora non ti posso dire se sarò in grado di venire. Ti scriverò di nuovo domani. Questi benedetti piedi! Avrei una gran voglia di piantarli lì… a qualche Illustre Pensiero che espone le sue proprie dottrine etc. Dirò al Labriola ciò che mi scrivi. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 83 (inedita).
656 Ad Angelo Camillo De Meis Roma, 4 giugno 1874 Mio caro Camillo, Voleva venire a rivederti con Fiorentino, ed ecco perché ho tardato a scriverti. Ma come fo? Non mi sento ancora bene, né co’ piedi né collo stomaco. Sì, anche lo stomaco in questi giorni ha dato segni di vita, non come a Torino, ma poco meno. Sono però quattro giorni che mi sento meglio, mediante le bagnature fredde. Non ci è che fare. Siamo vecchi; e pazienza. Ora ho la testa tutta stordita, né so quello che ti scrivo. Abbiamo avuto 4 giorni di lunghi consigli al Consiglio, figurati! Si diventa proprio cretini, a maggior gloria dell’Italia e del suo Dio. Devo dirti tante cose, rispondere a tutta la tua lettera, punto per questo. E qui ora non ho tempo, né capo. Domani ritornerò a Napoli, donde ti scriverò subito, e ti manderò la noterella che mi chiedi. Non mi dici nulla di te, e della tua salute. Se mi sentirò meglio, a Luglio o Agosto o Settembre, ti verrò a rivedere di certo, purché sia certo di trovarti a Bologna. Ma di questo ci è tempo a parlare. Dunque addio per ora. Silvio ti saluta tanto. Povero Silvio. Lavora come un bue! Ama sempre Il tuo Bertrando Isabella e i ragazzi stanno bene. SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
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657 A Silvio Spaventa Napoli, 14 giugno 1874 Mio caro Silvio, Da Castelli30 che è venuto a vedermi ieri, so che stai bene. Anch’io mi sento meglio; non ho più né il dolore allo stomaco né al fianco; mi rimane sempre un doloretto al piede, che però non m’impedisce di camminare; e oramai mi ci sono abituato. Senza essere Ministro dei lavori pubblici sono occupato anch’io tutta la santa giornata; giacché fo ora lezione ogni giorno, e oggi, domenica, è il primo giorno di riposo da che sono tornato. Puoi immaginarti cosa si dica qui del voto del Senato contrario ai porti.31 Come ti regolerai tu ora? Sirolli – il Sindaco di Altino – mi scrive di nuovo pel sussidio alla strada. Io ti mando la sua prima lettera, che in parte ti lessi. Dice che la pratica è stata compilata secondo le istruzioni avute, e che colà si meravigliano che essendo io quello che sono non conchiuda niente per loro. Rispondimi due righi a parte su ciò, affinché io possa mandarle al Sirolli, al quale non so che rispondere da me. Marietta, Faustina, 32 Zia Luisa,33 lo stesso Zio Peppino34 mi scrivono per Innocenzo35 e per l’altro Sirolli ricevitore. Rispondo che per ora abbiano pazienza. Ieri Donna Costanza mi scrisse questa che ti mando: il marito è stato sospeso e traslocato al Pizzo. Clotilde e Mincantonio Sacchetti mi raccomandano l’istanza di un tal Martonella di Bomba al Ministero dei Lavori pubblici. Aspetto tue lettere. Dimmi qualche cosa della situazione. Come ti dissi, io devo ritornare costà il 1. Luglio. Ti troverò a Roma? Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Pisanelli mi ha domandato all’Accademia, se era vero che tu venivi qui? Non ho capito bene se tu ne hai scritto a lui o ad altri. E io domando a te: è vero? Spero che io ne saprò qualcosa, se è vero. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
30. Francesco Castelli (1819-1907), politico e deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla X alla XII e dalla XV alla XVI legislatura. 31. Durante l’XI legislatura del regno d’Italia, Silvio Spaventa, in qualità di ministro dei lavori pubblici, si fece promotore di progetti di legge che prevedevano spese per il miglioramento di alcuni porti italiani. 32. Faustina Spaventa. 33. Luisa Croce. 34. Giuseppe Spaventa. 35. Innocenzo De Nillo.
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658 A Silvio Spaventa Napoli, 15 giugno 1874 Mio caro Silvio, Ho visto il Pisanelli, poco fa. Non gli ho detto che tu mi hai scritto; anzi ho mostrato di andare da lui per chiedere tue notizie, giacché ieri egli mi aveva detto che tu saresti venuto qui, e poi non lo vidi più.36 Mi ha letto una letterina di De Donno: «Non combinare, prima che venga Spaventa; ma dopo il voto del Senato, Spaventa non verrà così presto. È una posizione la sua…! Ma si può fare una Permanente napoletana?». Il Pisanelli mi ha detto molto male del Minghetti: che ha fatto l’opposto di quello che aveva promesso; dovea far partecipare dal governo questa provincia,37 inducendo i loro deputati a votare le imposte, e facendo votare lavori pubblici per esse; e invece! Inqualificabile poi la sua condotta nel Senato. – Io ho lasciato dire il Pisanelli. La nostra posizione ora è proprio critica: il Minghetti ha rovinato il nostro partito. Ciò che si è detto, che abbia invitato il Sella, è vero; me lo ha detto il Sella stesso che fu qui (pare che volesse dire: a casa. Può darsi. Certo è però che il Pisanelli pranzò col Sella in casa del Barone Nicotera). Ma il Sella non ha voluto saperne, e mi ha detto: presso i meridionali non gioverei al Ministero, perché io mi chiamo Tasse; e presso i miei settentrionali non gioverei a me stesso, giacché prima mi vedevano un po’ male e ora cominciano a vedermi bene, e se entrassi nel Ministero rischierei di perdere il vento favorevole. – Ma cosa vuol dire De Donno, ho domandato io, colla Permanente napoletana? Risposta: la posizione di Silvio è molto delicata ora. Se egli si dimettesse, certamente38 diventerebbe popolarissimo nel mezzogiorno, e capo; gioverebbe non solo a sé, e si riserverebbe per l’avvenire, ma principalmente al partito. Ma… E non c’è stato modo di farlo continuare. È rimasto al ma. – Gli ho chiesto tra una pausa e l’altra: credi possibile una permanente napoletana? Credi che questa permanente attirerebbe contro il mezzogiorno tutta l’altra maggior parte 39 d’Italia? Durerebbe una coalizione di tutte le altre province o regioni contro la nostra? Il proposito fermo del mezzogiorno non potrebbe invece indurre a più miti consigli le altre province? – Nessuna risposta precisa. – E finalmente: se viene Silvio fammelo sapere subito. Ora che posso dirti e consigliarti io? Certo la tua posizione non è bella, non tanto per la votazione del Senato, quanto per altre cause più generali e che sono le vere, e delle quali questa votazione non è stata che una parziale espressione. Se non ci fosse stato che il voto del Senato, io direi: non te ne incaricare; dimettendoti, porresti un accento troppo grave su questo voto. Ma questo voto è una parte minima. Il tutto è, che tu devi fare il Ministro delle spese, senza fondi per fare le spese. Se la cosa continua così, oggi o domani devi lasciare il posto. Conviene lasciarlo oggi o domani? Non ci è dubbio che lasciarlo oggi sarebbe tacciato di regionalismo, e il compenso della popolarità qui e di diventare capo, non sarebbe moneta di buona lega. Oltre a ciò, diventeresti davvero capo con questa 36. Il 14 giugno 1874 (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 130-132), Silvio aveva chiesto a Bertrando di ricevere da lui stesso e da Giuseppe Pisanelli un parere sull’eventualità di lasciare il Ministero dei lavori pubblici in seguito alla votazione negativa espressa dal Senato sullo stanziamento di alcune spese straordinarie finalizzate al miglioramento dei porti italiani (cfr. lettera precedente). 37. Castellano: «queste province». 38. Castellano: «certo». 39. Castellano: «parte».
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gente qui? Ciò che io temo non è l’effetto altrove della Permanente, ma la impossibilità che la Permanente si faccia. L’unione vera e salda dei napoletani – questo mito – se diventasse una realtà, dovrebbe dare da pensare alle altre province. Ciò che offenderebbe queste sarebbe l’intenzione di fare, non il fatto. E i napoletani si chiamano intenzione, voglia, non fatti. Il rischio che tu correresti potrebbe essere questo: essere accusato di regionalismo e rimanere senza le forze della regione: capo senza soldati. – Dunque devi rimanere? Non dico questo, in generale. La quistione è: se devi andartene ora o poi. E ciò è difficile a decidere. E io mi c’imbroglio. I giornali non si dolgono di te al Senato, anzi ti rendono giustizia. Ma dicono male del Minghetti; e tu sei collega del Minghetti.40 Pure distinguono la parte presa da te da quella del Minghetti. Al Minghetti41 io parlerei chiaro, e forte, e duro. Ti ha detto niente delle aperture col Sella? Non sarebbe bene che tu venissi qui – secondando il Minghetti e senza dire il vero motivo – per un paio di giorni, e ti abboccassi col Pisanelli e qualche altro, se ci è, e poi risolvessi ciò che ti conviene fare? A me pare che questo sarebbe il miglio partito per ora: sospendere un poco, sino a migliore informazione, ogni risoluzione. Ma se devi venire, vieni presto. E avvisami prima, perché possa farti gli onori di casa. Ieri ti ho scritto. Ho scritto ora currente calami 42 e non so quanti spropositi politici ho detto. Ma che vuoi da me? Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Pisanelli mi ha detto di aver saputo stamane che il Bonghi entrerà nel Ministero.43 Mi pare che il Pisanelli sia sincero nel dire di volere una combinazione colla sinistra giovine. È sincero44 il Minghetti? Se fosse possibile, e fatta questa combinazione, farebbe evitare molti mali: fatta d’accordo col Minghetti eviterebbe la Permanente, e ti torrebbe dalla posizione in cui ti trovi. SNSP, XXXI.D.6 (ed. in S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 132-134).
659 A Silvio Spaventa Napoli, 25 giugno 1874 Mio caro Silvio, Viene costì Clodomiro Vitullo, fratello di Gilberto, che era usciere alla Pretura di Bomba e fu destituito per una rissa col Cancelliere. Assoluto dalla Corte di Appello fa 40. Castellano: «suo». 41. Castellano: «A questi». 42. L’espressione latina corretta sarebbe currenti calamo: di getto. 43. Come ministro della pubblica istruzione, dopo i predecessori Antonio Scialoja e Girolamo Cantelli. 44. Castellano: «sicuro».
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istanza di riavere l’impiego. Desidera di essere raccomandato a te, e me ne scrivono zio Peppino,45 Clotilde46 e Mincantonio Sacchetti. E io te ne scrivo a te. Io verrò costì il 1°. Luglio mattina. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
660 A Francesco Fiorentino Napoli, 30 giugno 1874 Mio caro Fiorentino, 6 o 7 anni di insegnamento nelle classi ginnasiali 1a e 2 a dichiarato lodevole dalle autorità scolastiche competenti (per esempio gli Ispettori etc.), dietro visita fatta, bastano ad ottenere almeno un’abilitazione provvisoria. Tuo affezionatissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 84 (inedita).
661 A Silvio Spaventa Napoli, 18 luglio 1874 Mio caro Silvio, Hai ragione di dolerti di me che non ti scrivo, e ora non ho proprio che fare. Ma tu sai meglio di me che non è altro che poltroneria e il non avere avuto che dirti. Ti volevo scrivere e domandare delle cose politiche, giacché qui se ne dicono tante; ma se ci fosse stato qualcosa degna di essere saputa, me ne avresti scritto. – Mi rincresce assai assai che sei stato poco bene; è questa la seconda volta in un mese. Il pranzo del caffè di Roma sarà eccellente, ma non credo sia salutare. Io partii da Roma con una tal quale indigestione, e il giorno dopo qui ebbi una diarrea, che me la ricorderò per un pezzo, e mi parea di avere il colera. Bisogna che tu mi persuada una volta che devi interrompere un po’ il lavoro. È già un anno che tiri il carro, solo. Non so che gusto ci sia ad ammazzarsi così. Dunque per carità, fuori di Roma e degli affari per qualche tempo. Va dove ti pare e piace. Se venissi qui, è superfluo che ti dica quanto piacere mi faresti. Ma poco lo spero. Finora sono e resto qui; non ho risoluto niente. Dove vado? Qui in casa sto bene: dove trovo delle comodità come queste che ho qui? Pure non so di certo ancora cosa farò. Per ora si prende i bagni. Dunque se ti pare, puoi venire. Sono già due anni che manchi da qui. 45. Giuseppe Spaventa. 46. Clotilde Spaventa.
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Non vedo alcuno da un pezzo. Non so se il Pisanelli sia ancora qui. L’unico commercio che ho avuto in questi giorni con uomini politici è stata una lettera dal deputato Sorrentino47 per farmi venire dei buoni maccheroni da Gragnano. Se non sono storici, saranno giovani. Sai nulla cosa fa il prefetto di Chieti pel Collegio di Lanciano? Molti concorrenti! Anche il prof. De Crecchio si presenta! Del mio non so nulla. Filippo48 verrà in casa stasera a prendersi la tua lettera; almeno così mi disse. Io non so dove abita. Credo che verrà, di certo. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
662 A Sebastiano Maturi 49 Napoli, 21 luglio 1874 Mio caro Maturi, Sarebbe bene che in queste vacanze lasciassi l’Isola e tornassi un po’ all’aria nativa, per ristabilirti bene in salute. Non credo che il Ministero possa fare difficoltà al tuo traslocamento in altro Liceo migliore, dopo 4 anni che sei stato costì.50 Da parte mia io ti aiuterò con tutto il mio potere. Spero di rivederti presto e sono sempre Tuo affezionato B. Spaventa BNN, Carte Maturi, B a 5. 3. 5 (inedita).
663 A Silvio Spaventa Napoli, 29 luglio 1874 Mio caro Silvio, Eccoti una lettera di Millo che ha fatto gli esami di licenza liceale, ed è andato molto bene. Povero ragazzo! Ha studiato come un cane in questi ultimi mesi; e lo mando un po’ in Abruzzo a prendere un po’ d’aria. 47. Tommaso Sorrentino, nato nel 1830, avvocato e giornalista, deputato nel parlamento del regno d’Italia nelle legislature XI-XVIII. 48. Filippo Vitullo. 49. Sebastiano Maturi (1843-1917), allievo di Bertrando Spaventa, filosofo e docente di filosofia nei licei, fu libero docente all’Università di Napoli, dove insegnò dal 1891 al 1894. 50. Nel febbraio 1871 Maturi ottenne la sua prima assegnazione a Trapani, spostandosi poi nelle sedi di Chieti, Messina e Avellino, che raggiunse nel 1876. Fu trasferito a Napoli nell’ottobre 1883, circa venti giorni dopo la morte di Spaventa.
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E tu quando ti muoverai da Roma? E dove andrai? Fammelo sapere. Per ora io rimango qui. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
664 A Silvio Spaventa Napoli, 14 agosto 1874 Mio caro Silvio, Ti mando una lettera e dei biglietti. Mi scrive Evandro51 e mi raccomanda l’acchiusa istanza di due ingegneri. Rispondimi due righi su questa, perché io possa mandarli ad Evandro. Il povero Millo aspetta ancora la tua risposta. Scrivigli e manda la lettera a me, che gliela manderò io a Palena. Sii un po’ più umano! Isabella e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
665 A Silvio Spaventa Napoli, 21 agosto 1874 Mio caro Silvio, Albanese52 mi scrive di raccomandarti il caso suo presso Finali.53 Deve andare a Lecce a fare un giornale per le elezioni, e vorrebbe avere il permesso a non perdere lo stipendio. Io sto bene. Ci rivedremo alla fine del mese. Ti scriverò prima. Isabella e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
51. Evandro Sigismondi. 52. Fedele Albanese (1845-1882), giornalista, poi direttore del «Messaggero» (1878) e del «Monitore bibliografico italiano» (1881). 53. Gaspare Finali (1829-1914), politico, deputato dalla IX alla X legislatura e senatore del regno d’Italia dal 1872, fu presidente della Corte dei conti e più volte ministro.
1874
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666 A Cesare Volpicella Villa Santa Maria, 1 ottobre 1874 Mio caro Volpicella, Una forte febbre che mi ha preso iersera m’impedisce di continuare il viaggio e venire a Roma. Vi prego perciò di fare le mie scuse col signor Vicepresidente54 e signori Consiglieri. Sono vostro Affezionatissimo e devotissimo B. Spaventa ACS, Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, B a 32, fascicolo 2, Ministero della Pubblica Istruzione, 1860-1880, Ba II. 18 (inedita).
667 A Silvio Spaventa Palena, 6 ottobre 1874 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto perché eri in viaggio. Ebbi la tua a Castel di Sangro. Ho letto tutte le dimostrazioni che hai ricevuto. Ho visitato la maggiore o almeno la più difficile parte del Collegio, e sono tornato qui per riposarmi, perché ho le ossa rotte dall’andare a cavallo; a Villa Santa Maria ho avuto anche un po’ di febbre, e per ciò non sono venuto al Consiglio. Ora vado meglio. Sono andato a Torricella, Montenero, Villa Santa Maria, Montelupiano, e Gesso. Ho avuto da per tutto liete e affettuose accoglienze. Porreca mi ha accompagnato sempre, e mi ha mostrato molta affezione. Nei paesi dove sono stato ho visto anche elettori influenti dei paesi vicini, per esempio il Fornari. A Villa c’era un certo malumore per la Sangritana, non tanto perché non si è avuta sinora, ma perché passa per Bomba (!), troppo sopra, dicono essi. In generale, buone impressioni. Sono venuti a vedermi anche degli elettori che hanno votato sempre contro di me, e a protestare che avrebbero votato per me ora. A Gesso poi mi hanno fatto una festa da non dire; e ieri il Sindaco mi ha mandato una deliberazione presa dal Consiglio (rinnovato) per acclamazione, nella quale mi si fanno tanti e tanti ringraziamenti etc. per la visita che ho fatta. Andrò tra giorni a Lama e Casoli, di dove ho buone notizie. Pare dunque che la mia rielezione non si possa mettere in dubbio. – A Palena ci sono; e voteranno per me. So che ti portano a Chieti da Rosario 55 che è venuto a Torricella e Gesso con me. Da Chieti mi scrivono ora che vada colà, che ciò potrebbe giovare etc.: è Ciccillo De Innocentiis che mi fa ressa. Vedrò. Scrivimi e dimmi come stai. Io spero di riacquistare subito le forze. Rispondimi qui (Castel di Sangro per Palena, via Caianiello). 54. Terenzio Mamiani. 55. Rosario Spaventa.
612
Epistolario
Dammi qualche notizia. Labriola mi scrisse che non era stato ancora riconfermato.56 Parlane al Bonghi. Isabella e i ragazzi ti salutano. Bada alla salute. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
668 A Cesare Volpicella Palena, 19 ottobre 1874 Mio caro Volpicella, Le spedisco di qui per la posta tutte le mie carte del Consiglio. La prego appena le avrete ricevute di mandarmele a casa di mio fratello (Palazzo Simonettina), giacché io sarò a Roma tra giorni. Tra le carte troverà quelle del Di Giovanni. Sono Vostro devotissimo B. Spaventa ACS, Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Ba 32, fascicolo 2, Ministero della Pubblica Istruzione, 1860-1880, Ba II. 18 (inedita).
669 A Silvio Spaventa Lanciano, 22 ottobre 1874 Mio caro Silvio, Sono qui da ieri sera. Verrò a Roma dopodomani sera 24. Io sto bene. Evandro57 ti saluta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
56. Come professore di filosofia morale e pedagogia presso l’Università di Roma, dove era risultato vincitore. Labriola tenne quell’insegnamento fino al 1902, quando passò (con regio decreto del 7 luglio) all’insegnamento di filosofia teoretica. 57. Evandro Sigismondi.
1874
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670 A Francesco Fiorentino Napoli, 13 novembre 1874 Mio caro Fiorentino, Sono tornato il giorno 7 e ho trovato una tua lettera degli ultimi di Ottobre. Non ti ho risposto subito, credendo che tu tornassi prima del 15 corrente. Spero che questa ti pervenga in tempo. Ti auguro una buona riuscita a San Severino Marche, ora che è tolto l’impedimento del deputato governativo uscente. – Andrò a Roma sul 23. Tanti saluti alla Tuta58 e a tutti e un bacio a Pasqualino.59 Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 85 (inedita).
671 A Silvio Spaventa Napoli, 21 novembre 1874 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto, perché sapevo che stavi bene, e non avevo che dirti, a meno che non avessi voluto parlarti delle elezioni; delle quali tu ne sapevi e ne sai più di me. Verrò probabilmente domani sera (domenica) o, certamente, dopo domani. Ho visto ora il Pisanelli, che sta bene e dà la colpa di ogni cosa al Minghetti che non seppe o non volle fare il connubio. Ieri vidi il De Crecchio, che fermo alla promessa fatta e stampata, sederà nel centro geometrico della Camera. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
672 A Silvio Spaventa Napoli, 12 dicembre 1874 Mio caro Silvio, Sono da 3 giorni al letto col raffreddore peggio di prima. Oggi però mi sento un po’ meglio. Verrò subito che potrò. 58. Restituta Trebbi. 59. Pasquale Fiorentino.
614
Epistolario
E tu come stai? Vedo che hai presentato la legge sulle Convenzioni.60 Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
673 A Sebastiano Maturi Napoli, 31 dicembre 1874 Mio caro Maturi, Scusami se rispondo tardi alla tua lettera. Godo che stai bene a Chieti.61 Studia; ma bada alla salute. Eccoti due coserelle mie e il Paolottismo.62 Credimi sempre Tuo affezionato B. Spaventa BNN, Carte Maturi, Ba 5. 3. 6 (inedita).
674 A Silvio Spaventa Napoli, 31 dicembre 1874 Mio caro Silvio, Gilberto63 mi prega di scriverti per ricordarti una sua lettera di circa un mese fa, colla quale ti mandava un’istanza pel Ministro dell’Interno e ti raccomandava una proposta fatta da questa Prefettura per un sussidio. Noi stiamo bene. Io vado meglio col catarro. E tu? Bada alla salute. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Scrivimi un rigo. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
60. Progetto di legge presentato durante la XII legislatura del regno d’Italia. Il progetto di legge prevedeva la stipula di convenzioni con le Società delle ferrovie romane, meridionali e dell’alta Italia per il riscatto delle reti appartenenti a ciascuna Società, attraverso un trattato con il governo austro-ungarico per la separazione delle reti di strade ferrate austriache dalle reti italiane. 61. Dove ottenne un trasferimento per l’insegnamento liceale (cfr. lettera 662, nota 50). 62. Bertrando Spaventa, Paolottismo, positivismo, razionalismo. Lettera al prof. A. C. De Meis, in «Rivista bolognese», anno II, I (1868), 5, pp. 429-441. 63. Gilberto Vitullo.
1875
675 A Francesco Fiorentino 1 gennaio 1875 Mio caro Fiorentino, Ricevo da Morano ora il tuo biglietto del 29. Mi troverai a casa domenica (3) dopo l’accademia all’1 circa, ovvero all’Accademia dopo le 11. Buon 75 colla famiglia. Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 88 (inedita).
676 A Hermann Loescher Napoli, 17 gennaio 1875 Pregiato Signor Loescher, Le acchiudo un vaglia postale di lire 67,75 a saldo del mio debito con Lei. Il conto che Ella fa è invece di lire 86; io lo rettifico così. L’annata (1874) dei Philosophische Monatshefte1 costa lire 13 e non 15 (vedi la Sua lettera 5 febbraio 1873). L’annata (VI) della Philosophie positive 2 costa lire 27,50, e non già 30 (vedi la Sua citata lettera); e di questa annata la metà (il 2° semestre 1873) fu da me pagato (vedi la mia lettera a Lei diretta 20 Maggio 1874): rimane dunque a pagare lire 13,75. Il mio debito è per conseguenza questo:
1. «Philosophische Monatshefte», Berlin, Nicolaische Verlagsbuchhandlung, 1868-1894. 2. «La Philosophie Positive», revue dirigée par E. Littré & G. Wyrouboff, Librairie Germer Baillière (Paris), 1867-1883.
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Epistolario
Zeitschrift für exacte Philosophie3 tomo XI lire 11 Zeitschrift für Völkerpsychologie 4 tomo VIII lire 12 Zeitschrift für Philosophie und philosophische Kritik5 tomo 64. 65. Lire 18 Philosophische Monatshefte 1874 lire 13 La Philosophie positive lire 13,75 67,75 Pagato il mio debito, devo fare osservare che del tomo VIII della Zeitschrift für Völkerpsychologie io non ho ricevuto sinora che il 1° e il 2° fascicolo, e aspetto dalla Sua cortesia l’invio del 3° e del 4°. Dei Monatshefte 1874 ho ricevuto sino al fascicolo 7°; e desidero gli altri, che sono già pubblicati. E della Zeitschrift für exacte Philosophie ho ricevuto sino al fascicolo 3°, e aspetto pazientemente il 4°. La prego intanto di non rinnovare più d’ora innanzi per conto mio la commissione delle sopraddette riviste, e sono sempre Suo devotissimo B. Spaventa SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
677 A Silvio Spaventa Napoli, 12 marzo 1875 Mio caro Silvio, Non capisco come ti abbiano potuto dire che io sia stato e sia infermo. Dacché tornai qua da Roma, sono stato sempre bene, e ora sto benissimo. Fo, come ti ho detto oggi per telegrafo, regolarmente le mie lezioni all’Università, e la sera leggo l’interminabile e noiosa discussione del tuo bilancio.6 Che pazienza devi avere a udire e rispondere a tante chiacchiere! È molto probabile che io venga costì lunedì prossimo; spero, a bilancio finito. Pensa tu a star bene. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
3. «Zeitschrift für exacte Philosophie im Sinne des neuen philosophischen Realismus», Leipzig, L. Pernitzsch, 1861-1875; la pubblicazione rimase sospesa tra il 1876 e il 1882. 4. «Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft», Berlin, Ferd. Dummlers Verlagsbuchhandlung, 1860-1890. 5. «Zeitschrift für Philosophie und philosophische Kritik», Leipzig, C.E.M. Pfeffer, 1847-1918. 6. Cfr. lettera 636.
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678 A Silvio Spaventa Napoli, 28 marzo 1875 Mio caro Silvio, Ti scrivo per dirti che sto bene, con tutto il freddo che ha fatto in questi giorni. Anche i ragazzi e Isabella stanno bene. E tu come stai? Ti muoverai da Roma? Nei giornali officiosi leggo una rubrica a parte – oltre quella del viaggio dell’Imperatore di Austria7 –: Viaggio del Ministro Bonghi. Che uomo singolare! Il Rende mi scrive che ti ha scritto di nuovo e si contenta di Trani. Che cosa posso dirgli io? – Anche Gilberto8 mi tormenta pel figlio, e sostiene che la cosa dipende dal Ministero, perché la Prefettura ha riferito favorevolmente. Non sono riuscito a fargli capire, che finché la Prefettura non dichiara necessario il posto, la risposta non è favorevole. Che n’è delle Convenzioni?9 Scrivimi due righe, e fa di star bene e non stancarti tanto. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando P.S. Riapro la lettera, che ricevo la tua. Buona Pasqua anche a te. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
679 A Donato Jaja Napoli, 11 aprile 1875 Mio caro Jaja, Devo ancora rispondere alla tua lettera del 1° Marzo. Finalmente ti sei fatto vivo! Dico questo agli amici io, che non mi fo vivo mai ad alcuno e in alcun modo. Per un pover uomo, che come me, scrive lettere – e che letteratura di lettere – agli elettori da mane a sera, merita compatimenti e compassione, se non ha tempo né voglia di scrivere agli amici. Non creder però che la tua lettera mi sia pervenuta prima di 20 giorni fa, quando tornai da Roma: sicché il ritardo da parte mia è meno di un mese. E non è molto, se si considera che a Camillo 10 non scrivo da quasi due anni. Egli avrebbe tutto il dritto di bastonarmi; e se non lo fa ha torto lui. Quante volte, non dico ho pensato, ma ho risoluto di venire al sabato a Bologna, a rivedere lui e te; a portare a lui la mia lettera annua, come dico io; e non l’ho fatto: non l’ho potuto fare. pure spero di farlo tra non molto. E così lui mi assolverà di tutti i peccati, vecchi e nuovi; non siamo per niente cattolici, tutti e due; o tutti e tre. 7. Il 10 aprile 1875 l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe I fece visita alla città di Zara, capitale del regno dalmata. 8. Gilberto Vitullo. 9. Cfr. lettera 672. 10. Angelo Camillo De Meis.
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Epistolario
A tuo nipote non ho dato nulla. E non poteva. Tu mi chiedi delle cose mie quelle che non possiedi, e mi dici possiedi hoc, hoc, hoc e… etcetera. Ora se non determini questo benedetto etcetera, come posso regolarmi io? Dimmi dunque quello che hai, senza etcetera; e allora io saprò che farmi. La tua maniera di determinare negando, fa poco onore a un professore di logica. Aspetto la 2a dispensa (chiamiamola pure così) de’ Tipi.11 Chi sa che non venga a prendermela io stesso? A Camillo non ho mandato le mie due ultime note, perché lui come socio corrispondente riceve i rendiconti. Non capisco come non si capaciti della finalità etc. Qui l’eccetera ci va. Io dico solo, che il vantaggio esige il fine: niente altro. Non sarà il gran fine; ma fine è. E senza vantaggio, dove è la selezione? Del resto, di questa metafisica, ne parleremo a Bologna, 12 che è la sede naturale… della speculazione. Fai bene a scrivere sull’atto penetrativo e sul contatto marginale. Sarà una voce che stonerà nel gran concerto platonico di Via del Vantaggio (questo sì che esige il fine di certo); ma il buon Terenzio ci avrà piacere; perché ciò che gl’importa in primo luogo è che si parli di lui; se ne parli bene o male; si dica come dice lui, che è il nuovo Plato, o che è quello che è, cioè… questo lo dirai tu… queste contingenze vanno in accordo lineare per lui. Dunque mano ai ferri; e ti raccomando. Come vedi, la carta è piena. Nicolai13 ti risaluta; studia. A Camillo tante e tante. Ci rivedremo tra breve. Rispondimi… senza eccetera. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
680 A Silvio Spaventa Napoli, 12 aprile 1875 Mio caro Silvio, Se ti pare, fa raccomandare l’acchiusa, che mi manda un amico di Palena a cui non posso dire di no. Sei stato a Firenze e tornato, e non me ne hai scritto nulla. Io sto bene colla famiglia. Verrò tra giorni. Pensa a star bene. Isabella e i ragazzi ti salutano. Bertrando È la seconda volta che ricevo tue lettere dopo scritto. Ho consegnato ora a Fittipaldi le 100 lire; e gli ho detto ciò dovea dirgli da parte tua. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
11. De Meis, I tipi animali (cfr. lettera 647, nota 12). 12. Jaja era infatti tornato a Bologna nel 1874, dopo aver insegnato al liceo a Caltanissetta e poi a Chieti. Si trasferì a Napoli nel 1879 e ottenne la cattedra di filosofia teoretica a Pisa nel 1887. 13. Lelio Nicolai venne premiato il 9 novembre 1875 per un suo lavoro filosofico dalla Facoltà di lettere dell’Università di Napoli, dove poi si laureò in filosofia nel 1877.
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681 A Cesare Volpicella Napoli, 14 maggio 1875 Mio caro Volpicella, Sto poco bene; perciò non posso partire questa sera. Spero di partire domani. Intanto vi prego di fare per me le mie scuse al Consiglio. E credetemi sempre Vostro affezionato B. Spaventa ACS, Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, B a 32, fascicolo 2, Ministero della Pubblica Istruzione, 1860-1880, Ba II. 18 (inedita).
682 A Silvio Spaventa Napoli, 30 maggio 1875 Mio caro Silvo, Verrò domani sera (Lunedì). Con tutta la buona volontà di partire da più giorni, finora non ho potuto. A rivederci dunque domani Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
683 A Ruggero Bonghi Roma, 1 giugno 1875 Caro Bonghi, Iersera venendo da Napoli trovai a casa la tua lettera circolare del 10 p.p.14 ai Professori Deputati. Ti rispondo subito. Da parte mia come Professore non me la sento di accettare ut sic il biasimo più o meno implicito che ella contiene. Se vuoi sapere ciò che ho fatto io nella Università di Napoli dal 1861 e ciò che fo ora quantunque Deputato, informatene da chi è in grado di dirtelo, per esempio dal Rettore. Come Deputato poi, scusami; ma questa circolare io dovrei rimandarla senz’altro al Ministro; e se non lo fo, la ragione è facile a vedere; mi ricordo di una terza mia qualità verso di te, cioè l’antica 14. Sigla: per procura.
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Epistolario
conoscenza ed amicizia, e di aver perciò l’obbligo di compatire le tue debolezze e di pregare Dio che te ne faccia fare il meno possibile. Sono sempre Tuo affezionatissimo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
684 A Silvio Spaventa Napoli, 21 giugno 1875 Mio caro Silvio, Ritorna Lo Monaco e ti scrivo questi due righi. Sto meglio, ma non ancora bene. A poco a poco mi rimetterò. Pensa a star bene tu, e scrivimi qualche volta. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
685 A Raffaele Andreoli Napoli, 25 giugno 1875 Caro Andreoli, Ti prego di farmi rispondere da Silvio sull’acclusa istanza. Sono sempre tuo, B. Spaventa BCB, Archivio Silvio Spaventa, Protocollo B. 1504 (inedita).
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686 A Silvio Spaventa Napoli, 25 giugno 1875 Mio caro Silvio, Donna Costanza mi fa premura perché ti mandi e raccomandi vivamente l’acchiusa istanza di Don Ferdinando. Ora che Donna Costanza non è più in San Francesco di Sales, la sua famiglia si trova in una brutta condizione. Che devo dirti di più? Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
687 A Silvio Spaventa Napoli, 2 luglio 1875 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua di ieri l’altro. Avrei tutta la volontà di partire stasera per venire al Consiglio di domani; ma non mi sento ancora bene. Sto meglio di quando partii da Roma, ma bene, no. Il dolore di stomaco l’ho avuto di nuovo una volta sola, ma di poche ore e non così forte. Piglio chinino di tanto in tanto. Vedrò di andare in campagna, ma prima della fine di Luglio, non posso. E tu? Fammi sapere cosa farai. Scrivo al Consiglio che non posso venire, perché ancora malato. A Bonghi che fulmina – come fulmina lui – non scrivo niente: 15 che faccia quello che vuole. Scrivimi qualche volta; bada alla salute. Tanti saluti da Isabella Millo e Mimì. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
688 A Cesare Volpicella Napoli, 2 luglio 1875 Mio caro Volpicella, Non sono ancora guarito della perniciosa che mi colpì in Roma qualche settimana fa, e i medici mi dicono che non potrei ora senza pericolo ritornare così presto. Devo perciò pregarvi a fare le mie scuse cogli Illustrissimi Vicepresidente e Consiglieri, se non intervengo al consiglio. 15. Gli aveva scritto precedentemente, il 1° giugno (cfr. lettera 683).
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Epistolario
Ora fatemi il favore di mandare sollecitamente l’acclusa al Professore Bonatelli, relativa ai libri di testo. Avrei potuto mandargliela io direttamente; ma non ricordando in modo preciso le istruzioni o norme stabilite dalla Giunta, ho temuto di sbagliare, e perciò prego voi di trasmettergliela insieme alla mia lettera. Ricordo bene che i libri devono essere distribuiti in tre serie: quelli che non devono essere ammessi, gli ammissibili, e quelli che hanno un pregio particolare; ma ripeto non rammento i termini esatti e tecnici, che furono formulati dopo lunga discussione. Perdonate l’incomodo. Ho avvertito il Professore Bonatelli che, nel caso abbia bisogno di alcuni segnati nell’elenco, si rivolga direttamente alla Segreteria del Consiglio Superiore; se dovesse rivolgersi a me, vi sarebbe non poca perdita di tempo. Credetemi sempre Vostro affezionatissimo B. Spaventa ACS, Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Ba 32, fascicolo 2, Ministero della Pubblica Istruzione, 1860-1880, Ba II. 18 (inedita).
689 A Silvio Spaventa Napoli, 12 agosto 1875 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto da un gran pezzo, perché non avea che dirti, e le notizie tue le avea dagli amici che venivano da Roma; le ultime me le ha recate il Castelli. So che stai bene; e ciò mi basta. Di me, che devo dirti? Sto bene; ma un 20 giorni fa mi ritornò il dolore di stomaco molto forte, e mi ha durato quasi due settimane. Ora non l’ho più. È accompagnato da grande stitichezza; ed è cessato, cessata la stitichezza. Mi ha giovato moltissimo l’acqua medica di Castellammare, che prendo ogni mattina, insieme coll’acetosella, la quale è indicata per la podagra. Sono ancora qui, per prendere questa benedetta acqua. Poi vedrò. – Se il dolore mi torna, non è possibile che io venga a Roma, e chiederò al Bonghi pel Consiglio un congedo. Speriamo che non ce ne sia bisogno. Il guaio è che, quando ho il dolor di stomaco, non posso lavorare; e da parecchi giorni non fo niente e ho lasciato di leggere e di scrivere. Pazienza. Ti mando tardi una lettera del Sindaco di Palena sulla corriera postale. Rispondimi. Il Piccirilli di Raio mi scrive e desidera una risposta riguardo alle cose lasciate da suo zio ammazzato in America. Te ne scrissi parecchi mesi fa, e tu ne scrivesti al Ministero degli esteri. Il quale finora non ha risposto nulla. Potresti insistere, per avere una risposta? Fammi sapere cosa farai, e dove andrai, se partirai da Roma. E bada alla salute. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Ti do i saluti del buon Peppino Gravina qui presente. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
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690 Al Commendatore Giuseppe Fiorelli Napoli, 28 agosto 1875 Mio caro Fiorelli, Mi fa un pregio di presentarti e raccomandarti la Signora Contessa De Fusco,16 donna molto ragguardevole, che io conosco e stimo da parecchi anni. Credimi sempre Tuo affezionatissimo B. Spaventa BNN, Ms. San Martino 780 bis. 116. 1 (inedita).
691 A Silvio Spaventa Napoli, 4 settembre 1875 Mio caro Silvio, Venendo costà il nostro Carlo Rende ti scrivo per dirti che sto alquanto meglio; il dolore di stomaco va e viene, ma non così forte come prima. Ha risoluto finalmente di andare a Campodigiove. Ti scriverò di nuovo prima di partire. Intanto ti raccomando il Rende. Vedi di fare qualcosa per lui. Tuo affezionatissimo Bertrando BCB, Archivio Silvio Spaventa, Protocollo B. 2058 (inedita).
692 A Silvio Spaventa Napoli, 10 settembre 1875 Mio caro Silvio, Ho letto nell’Unità Nazionale che da qualche giorno ti era tornata la colica, e perciò ti ho fatto il telegramma. E in punto ricevo la risposta. Meno male. Non capisco come non me n’abbia scritto punto! Ora pensa a riposarti un poco: il troppo è troppo. Non dico di far come gli altri, che viaggiano e si divertono; ma ammazzarsi… non va bene. Io partirò domani sera. Starò due giorni a Francavilla; e poi a Sulmona e Campodigiove. 16. Marianna Farnararo (1836-1924), moglie del conte Albenzio De Fusco (1824-1864). Rimasta vedova, si dedicò a opere di apostolato e beneficenza; nel 1885 sposò Bartolo Longo, fondatore del santuario di Pompei.
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Epistolario
A Roma ci verrò se mi sentirò meglio; giacché sto così così, e il dolore di stomaco non mi lascia del tutto. Scrivimi a Sulmona. E bada alla salute. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
693 A Sua Eccellenza Il Ministro di Pubblica Istruzione17 Sulmona, 24 settembre 1875 Illustrissimo Signore, Ricevo qui contemporaneamente da Napoli i due telegrammi di Vostra Eccellenza. Io non sono venuto a Roma, perché ancora ammalato. Tutti gli affari sui quali io dovea riferire, furono da me rimandati al Ministero colle rispettive relazioni, molti giorni fa, per mezzo della Segreteria dell’Università di Napoli, compreso l’affare Labanca. 18 Il 18 del corrente scrissi di qui al Signor Vicepresidente del Consiglio dicendogli il motivo della mia assenza. Scrissi anche al Consigliere Tenca, al quale raccomandai appunto la mia relazione sull’istanza Labanca. Sono col più profondo rispetto di Vostra Eccellenza. B. Spaventa ACS, Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Ba 32, fascicolo 2, Ministero della Pubblica Istruzione, 1860-1880, Ba II. 18 (inedita).
694 A Silvio Spaventa Campodigiove, 28 settembre 1875 Mio caro Silvio, Da Rende so che sei tornato a Roma. Sapevo dai giornali che eri andato a Firenze; ma poi nulla più. E non ti ho scritto, perché ignoravo dove eri. – Sono qui da una diecina di giorni; e bene. Il dolore di stomaco mi è tornato qualche volta, ma non così forte. Che devo farci? Ci vuol pazienza. E tu come stai? Bisogna che pensi seriamente al tuo male, e che faccia una 17. Ruggero Bonghi. 18. Baldassarre Labanca (1829-1913), storico della filosofia e delle religioni, insegnò storia della filosofia a Padova, poi (dal 1886) storia delle religioni e (dal 1888) storia del cristianesimo a Roma.
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cura come si deve. Tutti mi dicono che l’acqua di Vichy ti gioverebbe molto, e l’acetosella di Castellammare, che si vende in Napoli dallo Scarpitti. Perché non te la fai venire? Scrivimi due righi, e dimmi come stai, e dammi qualche notizia. Isabella e i ragazzi stanno bene e ti salutano. E tante cose ti dicono anche Fortunato,19 Giuliano20 e tutti della loro famiglia. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
695 A Silvio Spaventa Francavilla al mare, 3 novembre 1875 Mio caro Silvio, Al solito, non ti scrivo da un pezzo. Giungo in punto qui, e ripartirò per Napoli tra un paio di giorni. Sono stato a Campodigiove sino quasi alla fine di Ottobre. Il dolore di stomaco non l’ho più da un mese circa; e sto bene. Ci rivedremo a Roma alla metà del mese. E tu come stai? Continui la cura? Scrivimi due righi a Napoli e dammi qualche notizia. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
696 A Silvio Spaventa Napoli, 13 novembre 1875 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (domenica). Se puoi mandarmi Filippo21 e Berardo22 alla Stazione, sarà bene. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
19. Fortunato Nanni. 20. Giuliano Nanni. 21. Filippo Vitullo. 22. Berardo Sacchetti.
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Epistolario
697 A Francesco Fiorentino Napoli, 9 dicembre 1875 Mio caro Fiorentino, Ho scritto al Bonatelli, al Ferri e al Berti e gli ho convocati a Roma pel 16 corrente alle 3 in una delle sale del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione; e ora scrivo a te e ti fo lo stesso invito. Dobbiamo pronunciare il nostro verdetto sul concorso alla Cattedra di Pedagogia nell’Università di Napoli. – Morano mi ha detto che stai poco bene (o sei stato). Spero che pel 16 sarà finita ogni cosa e sarai in grado di venire. Ed è bene che venga. Saluto tutti di casa e sono sempre Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 89 (inedita).
698 A Silvio Spaventa Napoli, 12 dicembre 1875 Mio caro Silvio, Verrò dopodomani sera (Martedì) e ti parlerò dell’affare del Tozzi. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
699 A Francesco Fiorentino Napoli, 28 dicembre 1875 Mio caro Fiorentino, Eccoti il Ravaisson.23 Spero che ti farai rivedere prima di partire. Buon capodanno anche a te e alla famiglia. Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 90 (inedita).
23. Ravaisson, La philosophie en France (cfr. lettera 475).
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700 A Silvio Spaventa Napoli, 31 dicembre 1875 Mio caro Silvio, Ho letto sui giornali la tua partenza per Firenze e il ritorno a Roma; e ti scrivo per avere notizie più precise della tua salute. Alla quale ti raccomando sempre di badare più che non hai fatto finora. E in primo luogo il moto; tanto più, quanto più lavori. Io sto bene colla famiglia. È stata qui in questi giorni Faustina24 con Innocenzo;25 e sono partiti ieri per Gragnano. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Riapro la lettera: Innocenzo e Faustina non sono partiti, e sono venuti a casa ora che sono le 7 di sera, a dirmi che ci è ostacolo al possesso della Ricevitoria. Io non ne so nulla. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
24. Faustina Spaventa. 25. Innocenzo De Nillo.
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701 A Silvio Spaventa Napoli, 4 gennaio 1876 Mio caro Silvio, Mi si scrive da Palena che, in vece del Signor Raffaele Campana che esercita la carica di Sindaco da tanto tempo ed è una brava ed onesta persona, sia stato proposto Clodomiro Testa, che nelle ultime elezioni votò e fece votare pel Melchiorre e fu uno dei più intriganti avversari del candidato del Governo. Scrivo oggi stesso al Bertini. Non ci sarebbe modo d’impedire nel Ministero dell’interno il nome del Testa? Sarebbe un brutto scherzo, se il Testa fosse nominato. Io sto bene. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
702 A Silvio Spaventa Napoli, 7 [gennaio] 1876 Mio caro Silvio, Il dottor Luigi Sirolli, Sindaco di Altino che viene a Roma, desidera di farti una visita e ringraziarti del sussidio accordato due anni fa alla strada del suo Comune. Egli ti darà questo biglietto. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
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706 A Silvio Spaventa Napoli, 12 [gennaio] 1876 Mio caro Silvio, In punto ricevo l’invito d’intervenire al Consiglio Superiore pel giorno 20. Intanto secondo l’articolo 6 della legge (Casati, 13 novembre 1859)1 io non sono più Consigliere. Nominato in sul finire del 1867 (a cominciare dal 1868),2 alla fine del 1868 fui estratto a sorte e confermato. Dalla conferma (29 novembre 1868) sino ad oggi sono passati 7 anni e più. E nuova nomina non ho avuta. – Come devo regolarmi? Venire, e poi vedere la cosa costì? Ovvero fare altrimenti? Non voglio fare la figura d’uno che chiede. Che ne pensi tu? Rispondimi subito. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
704 A Silvio Spaventa Napoli, 14 [gennaio] 1876 Mio caro Silvio, Il Professore De Petra3 manda oggi per la posta al Ministero dei Lavori Pubblici un’istanza sulla strada Casoli-Gesso; e desidera non già che io te la raccomandi, ma che ti avverta di considerare, se hai tempo, tu stesso la cosa. È una vertenza tra lui e il Di Benedetto, anche di Casoli, e anche mio principale elettore. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
1. Legge Casati, 13 novembre 1859, n. 3725. Ai sensi dell’Art. 6, il Consiglio superiore della pubblica istruzione, sotto la presidenza del ministro, si compone di ventuno membri, dei quali quattordici sono ordinari e sette straordinari, tutti nominati dal re. Dei membri del Consiglio, cinque almeno scelti fra persone che non appartengano alla classe degl’insegnanti ufficiali. I soli consiglieri ordinari sono retribuiti. Tutti i consiglieri durano in carica sette anni. Nei primi quattro anni è prevista l’estrazione a sorte di tre consiglieri, di cui due ordinari ed uno straordinario, non compresi quelli che erano stati estratti a sorte e confermati nei precedenti anni, o quelli che li avessero sostituiti. 2. Cfr. lettera 391; il decreto di nomina è del 18 gennaio 1868 (cfr. lettera 399). 3. Giulio De Petra.
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705 A Silvio Spaventa Napoli, 18 [gennaio] 1876 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (mercoledì), un po’ più tardi del solito, perché l’orario è mutato. Perciò avvisa la padrona di casa, che mi faccia trovare apparecchiato il letto. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
706 A Silvio Spaventa Napoli, 4 febbraio 1876 Mio caro Silvio, Lo Monaco ti attesterà che sto bene; almeno senza dolor di stomaco e senza stitichezza. Ho letto anch’io con raccapriccio – ma senza meraviglia – il fallimento della Trinacria,4 dopo i 5 milioni avuti dal Governo. Ai tempi del Vangelo si diceva: necesse est enim ut veniant scandala!5 Ora non è così; e lo scandalo torna a profitto e anche a lode di chi l’ha fatto. Questo è progresso. Bisogna dunque coprire e salvare i gran delinquenti; il paese, tante volte invocato da Crispi e Nicotera, farà il resto e, e penserà alle corone civiche e ai monumenti. – In verità un po’ della ferocia tedesca di Bismark non sarebbe fuori luogo a proposito. Ma l’Italia ha altra indole, e rappresenta nel mondo altra cosa che la ferocia tedesca. A Napoli, per non essere feroci, si pensa al Carnevale: il re della città, festa è il Sandonato, col suo gran cordone e l’appalto è stato dato al Rilli, che l’ha ceduto sottraendo a un altro. Ora che Auriti è costì, sarebbe bene che tu parlassi con esso di quella faccenda dell’elezione. Io non posso durare più a lungo così, e perdere il mio tempo – quel poco che mi rimane ancora, prima di passare all’eternità – a scriver lettere senza costrutto e significato, e a sbrigare affari. Dico così per dire; che in vero da 6 anni che mi trovo in mezzo agli affari (e agli affaristi), non ne ho sbrigato alcuno né per conto mio né per conto di nessuno. E anche se volessi durare, tra un paio d’anni – alla più lunga – ci sarebbe un ostacolo certo, e dovrei smettere. Adunque o devo ritirarmi – e mi ritirerei sin da ora – e aspettare tranquillo e rassegnato la fine, facendo largo alle nuove più valorose generazioni; o volendo ancora vivere, trovare un altro modus vivendi. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
4. La Trinacria era una società di navigazione in stato avanzato di fallimento; il governo le prodigò allora altri cinque milioni, e gli organi ministeriali giustificarono l’enormità adducendo che proprio in quei momenti la pubblica opinione esigeva dei riguardi per la Sicilia. 5. Matteo 18,7.
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Epistolario
707 A Silvio Spaventa Napoli, 10 febbraio 1876 Mio caro Silvio, Lo Monaco ti avrà detto che io sto bene; almeno senza forti dolori di stomaco e senza stitichezza. E per una curiosa combinazione ho fluido e ubbidiente, come dicono i medici, non il solo ventre, ma la testa, e da un pezzo in qua non ho mai sentito tanto stimolo a pensare, a discorrere, anzi a chiacchierare, che per me è la cosa più difficile. Chiacchiere dunque. Ho udito anch’io con raccapriccio, ma senza meraviglia, il fallimento della Trinacria, dopo i milioni ricevuti dal Governo, e leggo ora con non minor diletto e consolazione le riflessioni morali che vi fanno sopra Asproni,6 Comin 7 e Zerbi.8 Cosa pensino Nicotera e Crispi, non lo so; ed è difficile che si sappia, perché sono stati sempre degli scrivani, non degli scrittori, uomini d’azioni, non di penna, dei pubblicani, mai pubblicisti. E io che non sono né l’uno né l’altro, dico semplicemente tra me e me, o meglio tra me e te, che, se ci è da impiccare o almeno impalare qualcuno – qualche pezzo grosso –, si segnali al pubblico e s’impicchi e s’impali senza cerimonie. L’antico Piemonte – quello del 1850 – impiccava i grassatori, uno o due per settimana. Dal 1860 in poi si è posto ogni studio a foggiare dei gran delinquenti posticci, non tanto per appagare il pubblico affamato di moralità, quanto per capire e salvare i reali malfattori; e il pubblico – il paese appellato con tanta energia di polmoni dai sommi oratori Mancini e Compagni – fece il resto, intessendo loro corone civiche e innalzando monumenti. Per me, il degno monumento sarebbe, come ho detto, la forca o il palo. Tanto in Turchia ci siamo da qualche anno; e il gran turco in Italia ora è il povero Bonghi9 vero Sultano di serraglio (come era prima ad intervalli il Correnti); il quale fa e disfa a modo suo, non rispetto a leggi e decreti, né per quelli fatti fare o fatti da lui stesso. Ora che distanza ci è da questo assoluto arbitrio al palo? Se io posso fottermene della legge, tanto più posso fottere le persone e impalarle a piacere. Io esagero, di certo; e l’esagerazione è nella natura dello scherzo. Ma… ciò che voglio dire è questo: che in Italia, come sono andate e come stanno le cose finora, finalmente un po’ di ferocia da parte dello Stato (Governo) – di ferocia tedesca, di moralità alla Bismark – non sarebbe fuori luogo e proposito. Cosa sono il conte Arnim e il cardinale Ledokowsky10 al paragone dei Trinacri e dei loro predecessori e (forse) successori? Per me, dei galantuomini. Ma, si dice, la ragione di Stato; quei galantuomini hanno offeso la ragione di Stato. ne convengo perfettamente. Ma la moralità pubblica (la vera moralità) non entra nella ragione di Stato essentialiter? O è invece una salsa, che ci può essere e non essere senza che la vivanda muti sostanzialmente, e serve soltanto a […] 6. Giorgio Asproni (1808-1876), politico e deputato del regno di Sardegna. Deputato del regno d’Italia dalla IX alla XII legislatura. 7. Jacopo Comin (1832-1896), giornalista e deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla IX alla XVIII legislatura. 8. Candido Zerbi (1827-1889), politico e senatore del regno d’Italia dal 1889. 9. Allora ministro della pubblica istruzione. 10. Harry Karl Kurt Eduard von Arnim (1824-1881), conte, diplomatico prussiano presso la Santa Sede in Francia. Oppositore di Bismark, fu arrestato il 5 ottobre 1874 in contumacia e non fece più ritorno in Germania. Mieczysław Halka Ledóchowski (1822-1902), arcivescovo e primate di Polonia, si oppose anch’egli alla politica del cancelliere tedesco e fu arrestato dal 1874 al 1876.
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il palato e a stuzzicare lo stomaco di quei che non hanno il bene dell’appetito? Io direi a costoro: se non avete appetito, astenetevi dal mangiare. O i Trinacri e simili sono dei semplici peccatori, che devono fare i conti soltanto con Domeneddio nell’altro mondo e in questo col prete, e la moralità che lo Stato ammette è unicamente la paura dell’inferno e la speranza del Paradiso? Capisco l’obbiezione: l’Italia ha altra indole e altra storia (pur troppo!), e rappresenta nel mondo (delle nazioni) altra cosa che la ferocia tedesca. Capisco, e piego la testa. E infatti a Napoli per esempio per non esser feroci, si pensa al Carnevale; e il re della città ora come sempre, ma più ora che mai, è il buon Sandonato, il quale io non so se crede all’inferno o al paradiso, ma di certo crede al gran cordone e ai quattrini e non crede a tutto ciò che credo io. Pubblicamente incoronato e rinquattrinato egli passeggia su e giù per Toledo, ammirato, salutato, ossequiato da tutti, e non si cura delle fiche che gli fa Don Michele Pepe, che passeggia su e giù anche lui, spirito maldicente, ma che ha quattrini suoi propri e non è né anche semplice cavaliere. Incordonato passeggia Michele Pepe né anche cavaliere. Sandonato e il cardinale ducale borbonico senza i borboni era un giovinotto prima del 48. Io ho conosciuto il Sandonato giovanotto prima del 48, e mi aveva ancora l’aria di un basso impiegato di Intendenza, di un nostro applicato di terza, poco più o poco meno (salvo…) di Colosimo e di Filippo; e se avesse potuto correre sotto i Borboni avrebbe fatto un discreto cammino, e toccato la meta suprema di una sottintendenza. Or come si spiega la gran carriera morale che egli ha percorso senza i Borboni, nel nuovo Regno italiano? È curiosa questa Napoli! Mi pare il Giappone di parecchi anni fa: ci è il Taicun che è il Cardinale, e ci è il Mikado che è il Sandonato; quegli rappresenta la Chiesa, questi lo Stato; e l’unica differenza – in favor del Giappone – è questa: che da noi Taicun e Mikado sussistono pacificamente insieme e si danno la mano, per la maggior prosperità del popolo partenopeo, cittadino, e credente. A Napoli guai se il Mikado vincesse il Taicun! E nel Giappone il Taicun non ha più voce in capitolo. Dunque piego la testa, come Galileo piegava i ginocchi; ma non mi rassegno: non sono convinto. – Ho udito glorificare come uno dei singolari pregi scientifici di Minghetti, se non la invenzione del metodo sperimentale, positivo, a posteriori (il quale è fallito anche esso innocentemente nei trattati di commercio), di certo l’introduzione dell’etica nella economia politica: cosa, a cui Adamo Smith non avea pensato. Introduzione accademica! Cos’è l’etica nell’economia, senza l’etica nello Stato? dottrina vecchia; ma ora soltanto se ne discorre in Italia come di una novità partorita da non si sa chi o da non so chi, poniamo dal metodo positivo: finora l’etica era spettata alla Chiesa, da cui si riverberava sullo Stato. Per me lo Stato è essentialiter, eminenter, Governo: è la potenza come etica, o l’etica come potenza: tanto è mostruosa o sciocca la potenza senza etica, o senza etica propria, quanto è ridicola una etica impotente! Questa potenza è quella che, non conoscendo altro nome, io chiamo ferocia tedesca o bismarkiana: insomma un’etica con tanto un par di coglioni, da fottere utilmente (e non come fa Bonghi) e ingravidare mezzo mondo. Ora perché Minghetti non ha introdotto l’etica nello Stato? La risposta facile e comica è: perché non ha più coglioni. Io non rispondo niente: non posso rispondere – a proposito un aneddoto in parentesi. Un giorno poco prima la festa di Natale, Guerzoni11 – allora deputato, ora professore di lettere italiane a Padova – propose alla Camera d’accordo con Scialoia Ministro che la discussione del bilancio dell’Istruzione Pubblica si rimandasse a dopo Capodanno, affinché fosse fatta seriamente e largamente; e fece un lungo ed enfatico discorso. La Camera approvò la proposta; e il vincitore uscì 11. Giuseppe Guerzoni (1835-1886), politico e deputato del regno d’Italia dalla IX alla XI legislatura; dal 1874 professore di letteratura italiana a Palermo e poi a Padova.
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subito dall’aula, fregandosi le mani, come Cavour, e tutto raggiante di gioia, incontrato me nel corridoio, mi strinse la mano all’inglese, e: Caro Spaventa, bisogna sverginarla una volta questa benedetta Istruzione pubblica. Ed io: caro Guerzoni: sverginata, fottuta e strafottuta da un pezzo e da tutti; ma ingravidata mai. – Rimase lì come un minchione… quale era. – Io non so se i regolamenti e le nomine fatte dal Bonghi abbiano ingravidato l’Istruzione Pubblica. Ma io domando: chi ingraviderà l’Italia, fottuta e strafottuta etc.? Cattedre di teologia.12 Checché ne dica il nostro buon amico Giorgini – professore di università a riposo, e che riposa realmente – il mondo da quasi un secolo in qua – e anche prima – si è mosso e agitato molto, e si muoverà ancora; ha fatto e seguiterà a fare un gran cammino. Checché ne dica il nostro buon amico Giorgini – professore di università al riposo (imagine anticipata quaggiù della pace de’ giusti che si gode nell’altro mondo) – il mondo si muove; il tempo della sua giubilazione non è ancora venuto. Giorgini sarà appieno contento quando potrà giubilare il mondo, come ha giubilato sé. Noi abbiamo assistito a un grande sfacelo d’istruzioni, di dogmi, di fedi; e non si crede più – se ci facciamo bene l’esame di coscienza – che a quel che si sente, si vede e si tocca. L’invisibile è rimasto in balia della grama metafisica; la quale, per vivere ancora e non essere fischiata dai naturalisti e dai positivisti, dové rinunziare a collocarlo fuori e oltre (praeter) il visibile, e lo ficcò e rannicchiò dentro al visibile stesso, come germe nel guscio. Colpo da maestro! Perché per ispegnere il germe, bisogna rompere il guscio. In vero, cosa ci è oltre e fuori del visibile? Niente, assolutamente niente. E quanto tempo ci volle – quanti secoli – per giungere a questa verità, che ora pare così semplice e naturale! Tantae molis erat…! Alla caduta degli Dei dell’Olimpo ha tenuto dietro finalmente la rovina del vero Dio, creatore sciente e volente del cielo e della terra, padre, tutore, curatore e pedagogo del genere umano. Caro Giorgini! Dio – ed era naturale – è stato giubilato prima di te! E non ti sei accorto che per esempio in Italia lo Stato ratificò questa giubilazione, abolendo la facoltà teologica nelle sue Università,13 e conservandone soltanto alcuni insegnamenti nella facoltà di lettere e archeologia, come critica di miti, di favole e di leggende e come storia della Chiesa, dei suoi vizi e delle sue virtù, come ne ha ogni istituzione dell’uomo? Dico trasferire, 14 perché così dice la legge; ma pare che in Italia anche la legge sia ora in via di giubilazione, perché Bonghi – che ha disseppellito tante cose morte e ha fatto bene – ha forse per legge d’equilibrio seppellito quegli insegnamenti – gli ha trasferiti di fatto nel campo santo, e non se ne parla più, e nessuno gliene ha chiesto conto. Ora qual è il senso vero di questa abolizione? Perché lo Stato non ha abolito per esempio la facoltà di scienze naturali? O quella di diritto? O quella di matematica? O quella di lettere e di filosofia? Perché le ha invece ampliate e impinguate (meno quella di filosofia; e non senza motivo)? Se lo avesse fatto, sarebbe scoppiato un coro generale di meraviglia e di maledizioni: – Come? Non vedete che la natura è lì, dinanzi agli occhi, dappertutto, fuori, intorno viva e dentro di voi, sempre giovine, incorruttibile, eterna? Come natura e come spirito, misurata e misurante. Etc.? – Il senso è questo: scienza senza oggetto, è scienza vana; soppresso l’oggetto, soppressa la scienza. È vero che la filosofia, anche si occupa, o almeno si occupava di Dio. Ma ci è un pericolo: occupandosene, può darsi che lo riconosca e può darsi che non lo riconosca; che l’ammetta come personale e trascendente o come immanente e impersonale. E la storia è lì a provare che la schietta filosofia del Dio personale non ha capito mai nulla. E voi per uscire d’imbarazzo, come si dice; per vivere tranquilli e contenti, 12. Scritto a margine di un periodo cancellato. 13. Lo schema di legge per la soppressione delle Facoltà di teologia in Italia fu discusso alla Camera nella tornata del 30 aprile 1872. 14. Cancellato: «conservare», che concorda con il «conservandone» di poco sopra.
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avete preso le vostre precauzioni; avete 15 più saldo, più serio e più ricco di quello che si spegne per noi? Pure così la quistione, e risolverla è per me tutt’uno; ed è superfluo dire quale sia la mia soluzione. – È degna di nota questa riduzione moderna della religione all’estremo momento dell’esistenza, di transito dall’essere al non essere. È una conferma della differenza già detta di religione e filosofia. Una volta – in altri tempi – la religione entrava – almeno così si dice – in tutte le faccende della vita; e contuttocciò la vita non era migliore di adesso. Questa riduzione non ha lo stesso significato dell’abolizione della facoltà teologica, e della secolarizzazione dello Stato? E perciò della vita umana? Prima di conchiudere questa digressione sulla giubilazione, della quale sono obbligato al mio buon amico Giorgini e di venire alla vera conclusione, vorrei soggiungere due cose, quasi in forma di note, che faranno più chiaro il mio parere. 1. Io non sono né sono stato mai, se bene mi ricordo, un cattivo soggetto: non ho mai fatto male volontariamente ad alcuno, ed ho fatto del bene a parecchi. L’ho fatto per timore dell’inferno e per la speranza del paradiso? Nemmen per sogno. Parmi talvolta – quando sono distratto – di avere un punto nero sulla coscienza; ma questo punto, quando ci penso bene, mi apparisce il più luminoso della mia vita: l’essermi fatto e disfatto prete. Ora non lo sono più. Ma come e perché lo fui? Quegli 16 che mi ci costrinse non credeva a niente, ed è morto qualche anno fa con tutti i conforti della religione cattolica. Io né anche ci credeva e non ci credo, e spero di morire senza questi conforti. Come dunque due miscredenti si unirono a formare un prete? Il motivo di mio Zio fu volgare; il mio tanto nobile ed alto, quanto il suo era ignobile e basso. La religione dice: salva l’anima. Mio Zio diceva: a salvare l’anima c’è ancora tempo; salviamo intanto la borsa. Io – se ci avessi creduto – avrei detto: perdo l’anima mia, se è necessario, per salvare quella dei miei. – Salvare l’anima: questo è il summus ius della religione, ed è conforme all’origine sua, che è l’egoismo dell’uomo. La religione, attingendo alla morale, al più dice: ama il prossimo tuo come te stesso; io dissi, nel farmi prete: amo mio padre e mia madre e i fratelli miei più che me stesso. Questa è stata ed è la mia irreligione. Amo la patria mia più che me stesso, più che l’anima mia. Ho detto origine, e avrei dovuto dire: uno dei due momenti necessari alla nascita della religione; giacché, se l’altro manca, manca del tutto la religione, e così si spiega come, la religione sia transitoria di natura sua, quantunque l’egoismo umano sussista sempre. Ma se l’egoismo non cessa mai, ciò non vuol dire che abbia sempre la stessa forma; e la meno buona è quella che riveste nella religione: dove la religione è nulla, come nell’animo mio, l’egoismo può avere la forma migliore: ed essere l’egoismo dell’umanità, non dell’individuo. Infatti, perché io sia religioso, di certo è necessario che io sappia di essere una creatura debole e limitata nel mondo, e che sopra di me ci è una potenza – più o meno onnipotente – da cui dipende la mia vita. Ma ciò non basta. Se io fossi e mi sentissi onnipotente, non avrei religione di sorta; e perché non ho religione, sebbene non sia e non mi creda onnipotente? Due soli al mondo non hanno punto religione: Dio onnipotente, e l’uomo impotente che non crede in Dio. Ma in quale Dio?17 Infatti, perché l’uomo io sia religioso, non basta che sappia di essere una creatura debole e finita nel mondo e che sopra di me ci è una potenza – più o meno onnipotente – da cui dipenda la mia vita; ma si richiede che io concepisca o imagini questa potenza come un altro me stesso nella sua 15. Giovanni Gentile, in una trascrizione a mano conservata presso l’AFG (Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2), si chiede se subito dopo questa parola manchi un foglio. 16. Si tratta di Onorato Croce, zio materno di Bertrando. 17. Dalla parola «Infatti», nel manoscritto, il brano è cerchiato, probabilmente con l’intenzione di espungerlo.
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onnipotenza: come intelletto, sentimento, volere; e come arbitrio. Su questa base s’intraveda tra l’arbitrio umano e l’arbitrio divino (tra i due egoismi) – quello reale ed effettivo, questo supposto e imaginato – una serie di scambi, di traffichi, di trattative e relazioni d’ogni sorta: offerte, sacrifici, preghiere, minacce, concessioni, grazie, castighi; e questa serie, che si sviluppa e realizza nella fantasia sola e nell’animo dell’uomo e quindi nel mondo umano in tante forme diverse, è la storia della religione e delle religioni. Che cosa ci è di reale dall’altra parte,18 AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (parzialmente ed. in B. Spaventa, Opere, I, pp. 48-49).
708 A Silvio Spaventa Napoli, 18 febbraio 1876 Mio caro Silvio, Non ti scrivo da lungo tempo; ma questa volta la cagione non è stata né la mia pigrizia, né il non avere alcuna cosa da dire: anzi il contrario. Avevo principiato, 15 giorni fa, una lettera a proposito della Trinacria, e mi è venuta su di sotto la penna tanto lunga – e pure non l’ho ancora terminata – che ho scrupolo, se le darò compimento, a mandartela. Ci ho lavorato nei pochi ritagli di tempo che mi avanzano dall’unica e totale mia occupazione: le lezioni. Nato maestro di scuola, morrò così come sono nato. Quest’anno mi ci sono messo di proposito e di buonissima voglia; le scrivo, più o meno, giorno per giorno, e rifaccio quasi da capo ogni cosa. Finora dolori – forti – di stomaco non ne ho; e anche la stitichezza di ventre – e di testa – è scomparsa. Solo comincia a farsi sentire un po’ di dolore ai talloni: può darsi che sia segno di podagra proscinea; giacché son due anni che ne sono senza. Da molti giorni si parla a Napoli della tua venuta; e ieri sera Peppino Pica mi assicurò che verrai dopo domani! Dicono anzi che non verrai a casa mia (che è la tua), ma in casa Petroni. Io non ne credo niente. Se fosse vero, sarebbe pel mio povero stomaco (diciamo stomaco), afflitto da tanti dolori, che nessuno conosce – un colpo gratuito, che difficilmente potrebbe sopportare. Il povero Tommasi, che ho visto giorni fa, mi ha incaricato di ricordarti la strada di Accumoli; e che scusi, mi ha detto, se ti secca. Rispondimi un rigo, e se vieni, avvisami qualche giorno prima. Quando si riapre la Camera? Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
18. Qui il manoscritto si interrompe.
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70919 A Francesco Fiorentino Napoli, 29 febbraio (martedì di carnevale) 1876 Caro amico, Rispondo con qualche ritardo alla tua lettera, perché voleva prima vedere questa Critica delle critiche; e non prima di ieri sera l’ho potuta avere. Da una settimana l’amico di Panicocoli20 mi aveva mandato a dire che era uscita alla luce, e che era fatta contro di te, di lui, di me e di tutti i nostri fratelli razionalisti, panteisti, ateisti; e che, quanto a me, ci aveva un gusto matto e che me la meritava. Gli risposi – senza sapere di che propriamente si trattasse – che io ci aveva più gusto di lui e me ne congratulavo tanto tanto con me stesso. Capisci che feci ciò per non darla vinta al Panicocolese, che è un po’ un cattivo soggetto. Ma in verità, tra me e me – a te lo posso dire – avevo una gran paura in corpo. Chi sa che durlindana, pensavo, avrà sfoderato il frate! Eccomi bell’e spacciato! E mi giunse la tua lettera che parlava di critica velenosa: di tre quarti dello scritto (o del veleno) rivolti contro di noi soli. Mi cadde di mano il foglio, e per poco non isvenni: mi credeva avvelenato, moribondo! Pure feci forza a me stesso, e per distrarmi uscii di casa a fare una lunga passeggiata da porta Nolana a Poggio Reale, verso il camposanto. Chi incontro? Indovina, se puoi: l’abate Fornari (è permesso di chiamarlo così simpliciter, o devo dire secundum quid, il sommo, il divino Abate Fornari?). Non credere che io inventi: era lui, colla testa (colla gran testa) chianata leggermente sull’omero sinistro, tirato da un gran carrozzone a due cavalli, a passo lento, come conviensi al primo consigliere della creazione. Vedutomi, sporse un po’ il capo (il venerando capo) in fuori dolcemente, e mi guardò con quell’aria «Quell’aria tra il minchione ed il gradasso» del celebre sonetto: e pareva che mi volesse dire: – Come! Ti permetti di vivere ancora? Di passeggiare correndo contro di me? L’amico non sapeva – non sospettava neanche – che tremarella aveva io! Superstizioso un po’ come sono, questo incontro finì di rovinarmi: lo credetti un segno del cielo, anzi una decretazione dell’eterno padre. Incontrare lui, il divino suggeritore in petto e in persona, in carrozza, faccia a faccia…! Non ebbi tempo, né mente di vedere se seco lui ci era Galasso!21
19. Questa lettera uscì nel giornale «Il Fanfulla» il 26 marzo 1876 con il titolo Gli spaventiani spaventati, ossia critiche di alcune critiche di Spaventa, Fiorentino, Imbriani, su i nostri filosofi moderni: lettera del prof. Acri al prof. Fiorentino. Bologna, Società tipografica dei compositori, 1875. Recava in nota l’indicazione: «La seguente lettera, inviataci dal nostro corrispondente straordinario di Napoli, fu trovata dinanzi alla porta di quella regia Università» e recava il titolo. Nella parte finale era autenticata: «E per copia conforme Il Bibliotecario» e firmata «B. Spaventa». Fu riportata nell’appendice di Fiorentino, La filosofia contemporanea, pp. 467-471. Ne esiste una trascrizione di Giovanni Gentile custodita presso l’Archivio della Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici. 20. Vittorio Imbriani. 21. Antonio Galasso (1833-1891), nipote dell’abate Vito Fornari (cfr. lettera 416, nota 34).
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Allontanatosi il gran carrozzone col rispettivo deposito (mi accorgo di scrivere male assai; ma che vuoi? Non ho studiato a tempo l’Arte del dire22), io ebbi appena la forza di tornarmene a casa più morto che vivo. Si va a pranzo. Non parlo, né guardo in faccia ad alcuno. Mia moglie mi dice: che hai? E io zitto, neppure una sillaba. E pure mangio con un appetito formidabile: divoro. E mia moglie: ma che? Hai il verme solitario? Altro che verme! Risposi io tra me e me. E finito il pranzo, senza salutare, giù per le scale, e a Toledo di corsa sino al Largo del Plebiscito; e giro, giro, giro intorno alla Baracca del Festival. Incontro San Donato – il re di Napoli – e rispondo al saluto e alla solita stretta di mano macchinalmente senza parlare, e alle dieci, non avendo altro di meglio da fare, di nuovo a casa: e a letto. Che notte, mio caro amico! Che sogno! Pareami di essere trasportato in una contrada, che non avevo vista, né immaginata mai, quasi senza tempo e senza spazio, o, come si direbbe da noi, tutta tempo e spazio puri, nella quale non vedevo, né discernevo nulla: nulla di successivo, nulla di simultaneo. Mi guardavo sotto i piedi, nulla; a dritta, a sinistra, indietro, avanti, di sopra, nulla; vuoto, vuoto dappertutto. O Dio, mo precipito! Ed ecco a un tratto che vedo! Vedo lontano lontano un punto luminoso che, irraggiando, subitamente diventa un mare, un oceano e riempie in un istante il vuoto infinito in cui mi trovavo io. Ma questa, dissi tra me più sbalordito di prima, è la Creazione!!! E intonai il sonetto: 23 «Iddio pria di crear chiamò Fornari A consiglio, e costui chiamò Galasso…». E infatti quel punto prese una forma, una figura, una faccia, che mi pareva di aver visto e di non aver visto altra volta, di conoscere e di non conoscere. Era da capo l’Abate Fornari, il mio persecutore! Ma era e non era lui: non più tirato dal carrozzone, ma seduto su un trono di luce, e tutto luce anche lui, la testa (la gran testa), le spalle, il petto (il divin petto), la pancia, i piedi (anche i piedi aveva, che erano anche divini) – e intorno intorno un’aureola grande di luce, sempre luce, non altro che luce; ma la sua era una luce più lucida, più limpida, più pura, più fiammeggiante di ogni altra: era la Luce; la faccia specialmente, la divina faccia, era una cosa che non ti so dire: tutta parvenza, trasparenza, specchialità; in una parola: Bellezza. Ed ecco vidi una voce che era La Voce (non l’udii, perché anche la voce era la luce), la quale folgorò (non gridò): fiat. Ed ecco il luminoso infinito Vuoto intorno al trono popolarsi d’innumerevoli Cosi o Parvenza, che mi parevano Stelle o Soli, e anche essi sedevano su troni di luce, come sopra, ma di luce riflessa, ripercossa, ectipa, derivata dalla Luce; e i troni eran più bassi; e le facce – quelle facce! – erano belle! Erano belle di certo, ma non erano la Bellezza. A destra e a sinistra del trono riconobbi Galasso e il frate:24 e poi Conti, Persico,25 Cantù e altri, e più lontano uno stuolo sterminato di ora non più infelici, ma felicissimi Pugliesi. L’abate, quantunque trasfigurato e pellucidato assolutamente, aveva pure in mano un volume, il Divino Volume, e non ho bisogno di dirti che era l’Arte del dire. ma non era di quelli che tante volte tu ed io abbiamo avuto anche in mano e che si vende 22. Si riferisce ai 4 volumi Dell’arte del dire, dell’abate Vito Fornari, che ebbe a Napoli diverse edizioni fra il 1857 e il 1876. 23. Scritto da Spaventa intorno al 1870 e intitolato L’atto creativo (cfr. lettera 652). 24. Forse un riferimento a Terenzio Mamiani della Rovere. 25. Federico Persico (1829-1919), giurista e poeta.
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da Morano a tanti centesimi il foglio. No: il volume appariva anch’esso trasfigurato e pellucidato; era carta che non era carta, inchiostro che non era inchiostro, scrittura che non era scrittura; anche esso tutto Parvenza, tutto Luce, tutto Bellezza; era il Dire, l’eterno e sempiterno Dire, il Dire in sé e per sé. E le Parvenze o Cosi dattorno aveano anche ciascuno il suo medesimo volume in mano, squadernato sulle ginocchia, e mi pareva che leggessero ed esultassero, e dicessero sfavillando in coro: Questo è il Libro, gloria al Libro! A un tratto, mentre essi cantavano, io non vidi più nulla, e all’oceano di luce successe un oceano di tenebre, e poi – per farla breve – a poco a poco vidi ricomparire l’una dopo l’altra le stesse figure illuminate scarsamente da due moccoli di candele: l’abate, il frate, Galasso, Conti e tutti i Pugliesi! Ma, mio Dio! Quanto erano brutti! Facce scarne e sporche, occhi infossati e lividi, nasi mucosi e allungati, bocche bavose e sdentate; e poi un puzzo, un fetore tale che mi pareva di essere chiuso in una sepoltura. E principiarono a fare un chiasso d’inferno, una specia di cancan alla loro maniera, e a gridare: Che Spaventa, che Fiorentino, che Imbriani! Ammazziamoli tutti! Ammazziamoli tutti, ammazziamoli! Figurati la paura mia. Pareami che mi guardassero e fissassero in viso, e l’abate più di tutti, e mi si avventassero contro; e mentre io, non potendo resistere a tante forze riunite, mi preparavo a fuggire non so dove, s’udì come dall’alto una voce chioccia e nasale gridare: Guagliuni, basta: lo carnevale è finito! E vidi al balcone delle finanze affacciarsi il duca di San Donato. Era lui! E crac… la visione scomparve. E io mi destai. Tuo affezionatissimo B. Spaventa 710 A Francesco Fiorentino Napoli, 10 marzo 1876 Mio caro Fiorentino, Tu mi inviti a rispondere al Professore Acri,26 il quale in una sua lettera diretta a te e fatta annunziare e lodare con mirabile uniformità di sentimenti e di parole su quasi tutti i giornali politici di ogni colore, ha esaminato diffusamente alcune pagine di alcuni scritti miei, pubblicati quattordici anni fa. Ignoro se la massima dei pezzi grossi che non rispondono sia, come l’idealismo platonico, una specialità del nostro genio nazionale. In ogni caso io non sono un pezzo grosso; e confesso che coglierei di buona voglia questa occasione per fare un po’ di polemica anche con altri critici. Ma… ci è un ma; anzi ce ne sono due. Primo: a me pare che la filosofia ora, specialmente in Italia, abbia troppe faccende o guai in casa – troppa materia da smaltire, apparecchiata e accumulata lungamente dalle scienze naturali e storiche d’ogni genere – per perdere ancora il tempo a discutere se ente e idea debbano scriversi colle iniziali maiuscole o colle minuscole; o per parlare più chiaro e profondo, se il filosofo principe a Napoli sia l’illustre Vito Fornari o l’umile sottoscritto. Quistioni bizantine, quistioni partenopee! Secondo: di Professore Acri io ho imparato, un po’ forse a mie spese, a conoscerne – finora – due; e non mi auguro di im26. Francesco Acri (1834-1913), filosofo e docente di storia della filosofia dapprima all’Università di Palermo e, dal 1871, all’Università di Bologna, dove rimase fino al 1911.
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parare a conoscerne di qui a poco anche un terzo. A quale dei due dovrei rispondere? I. L’uno – il Professore Acri del 1875 – scrive a proposito di quelle pagine che il Professore Spaventa non ha acume filosofico e né meno quello non tanto raro di distinguere l’uno dall’altro due tipi opposti; che immaginando e confondendo tutte le differenze fa un guazzabuglio, anzi una babilonia d’ogni cosa; e insomma insegna la filosofia nell’Università da 17 anni, senza intendersene né punto né poco. Altro che principato! Il Professore Spaventa non merita del gran reame della Scienza; e bisogna metterlo alla porta. E a pensare che il Professore Spaventa è stato uno dei giudici del Professore Acri – non di questo in verità del 1875, ma di quell’altro! ci è da stupire. Né ciò è tutto. Il professore Spaventa, che identifica ciecamente ogni cosa, non essere identico a sé stesso; e le sue contraddizioni si riferiscono non all’intelletto solo, ma ad altro… Ad altro? Che sia quest’altro, non è detto; ma si capisce da sé. Che è l’altro dell’intelletto, se non la volontà, la moralità, il carattere? Si vede che la insinuazione è fatta bene, con tutte le regole dell’arte… del dire. Il Professore Spaventa parecchi anni fa parlava del Rosmini dandogli dell’Eccellenza, col cappello in mano: da poco in qua gli si mette alla pari, gli dà del tu etc. La conclusione finale di tutta la critica è chiara e stringente, e può essere annoverata fra i maggiori trionfi della sullodata arte: manca l’acume filosofico, manca il carattere morale; dunque dalla porta anche della società delle persone oneste e sincere. E se questa è la sorte che spetta al Professore Spaventa, quale sarà quella del Professore Fiorentino, con cui il Professore Acri ha diviso, come si dice, insino a ieri il letto e il sonno? Piamente – è una pietà che prende norma dall’affezione anzi dalla gratitudine – il meno che il professore Acri dice del suo caro Fiorentino è che: ha acceso i moccoli ai Santi, e ricevuta la Grazia, cioè ottenuta la nicchia, gli ha spenti! Imagini di sacristia! Questa storia dell’eccellenza e del cappello in mano non è istoria in alcun modo, comunque s’intenda, metaforicamente o senza metafora: è, mi si perdoni la ripetizione, mera arte del dire. Parlando del Rosmini io principiai (nel 1851) del dirne un po’ male quando egli era vivo,27 e studiandolo meglio ho finito (se ho finito) col dirne bene tanto nei miei scritti, quanto a viva voce dalla cattedra, dopo morto. Senza metafora: io non ho mai conosciuto di persona e né meno visto di lontano il Rosmini; non gli ho scritto mai lettere; non sono stato mai a Stresa, e non ho avuto mai l’onore di baciargli la mano e recitare il rosario e il divino ufficio con lui; ho letto e leggo ancora le sue opere, ecco tutto. II. Quell’altro – il Professore Acri del quinquennio 1867-1872 non parla soltanto del Professore Spaventa, ma scrive al Professore Spaventa invocandolo così: «Mio ottimo, illustre, onorando, onorandissimo Professore, illustre Filosofo!». E: «Le mando come segno della venerazione profonda che io ho per Lei un discorso da me letto nella università di Palermo. Laddove Ella avesse tempo per leggerlo e dirmi alcuna osservazione, mi farebbe un regalo. Palermo 19 Aprile 1867». Non sono moccoli, perché in quel tempo io non ero un Santo; ma dell’Eccellenza e del cappello in mano ce n’è quanto basta. E a proposito di quegli scritti miei: «felice a voi che potete scrivere pagine così piene di pensiero!». (Il punto ammirativo non è mio). «All’anno nuovo io procurerò con tutte le mie 27. Si riferisce al testo dei Principi della filosofia pratica di G. Bruno, scritto nel 1851 in occasione di una conferenza presso l’Accademia di filosofia italica di Torino diretta da Terenzio Mamiani, e successivamente raccolto nei Saggi di critica filosofica, politica e religiosa, I, Ghio, Napoli 1867, pp. 139-175. Il giudizio negativo su Rosmini è espresso particolarmente nell’articolo Hegel confutato da Rosmini. Saggio primo, in «Il Cimento», 31 maggio 1855, pp. 881-906 (rist. in B. Spaventa, Opere, II, pp. 151-188); cfr. lettera 61.
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forze di spacciarvi copie dei vostri libri: anzi sarebbe buono che me ne mandaste da ora un 5 copie. Io vi riverisco e vi auguro che viviate sano e lieto. Palermo 21 Giugno 1867». «La saluto di cuore, augurandole buona salute per lavorare ed onorare il nostro paese. Palermo 20 Novembre 1867». E a proposito dei miei scritti e di qualcos’altro per cui si suole accendere i moccoli ai Santi: «Io ho studiato con grande soddisfazione le Sue cose, e se il Governo mi darà per comodità di fare, spero di pubblicare qualche mia considerazione al proposito. La riverisco augurandole buona salute perché possa sempre alacremente proseguire nei suoi lavori. Palermo 5 Maggio 1868». La salute del Professore Spaventa era cosa molto preziosa pel Professore Acri. Il quale non stette contento agli auguri; ma nel 1875 ha mantenuto la promessa fatta e non richiesta, esprimendo nella critica lealmente la sua gran soddisfazione. «La prego di continuarmi a mandare gli altri fascicoli dei suoi Saggi di Critica: ora le invio una mia risposta ai Gesuiti. Qualunque possa essere tra noi la diversità nel giudicare il lavoro del Fornari, certo però Ella conviene meco nell’opinione» (altro che opinione) «che i Gesuiti bisogna combatterli e per amore e per forza. La riverisco e le auguro» (ora non si tratta più della salute) «che la sua chiarissima fama di acutissimo filosofo» (due superpatici!) «vada sempre più crescendo a beneficio dell’Italia. Palermo» (senza data). Salute e fama, a beneficio dell’Italia! C’era da divenir matti dalla consolazione. E non basta. Il Professore Spaventa non era semplicemente un acutissimo e illustre filosofo, ma eccolo proclamato alla fine, – se non un gran Santo – un grande avvocato, anzi un avvocato principe! «Le ho mandato tutte le mie cose stampate, acciocché vi dia un’occhiata e possa parlare per me… Mio ottimo Professore, affido la mia causa a Lei. Lei sola può efficacemente giovarmi. E per giovarmi bisogna che Lei parli un po’ a lungo di me e dei miei lavori… La riverisco e la saluto di cuore e la ringrazio sin da ora di quel che farà per i miei figli. Bologna 26 Febbraio 1872». Cauta cauta. Adunque, da capo, a quale di questi due Professore Acri io dovrei rispondere? Al Professore Acri del 1867-72, o al Professore Acri del 1875? Per me io me ne lavo le mani; e se c’è bisogno proprio di una risposta, risponda il Professore Acri al Professore Acri, il professore straordinario all’ordinario; se la veda e transiga lui con se stesso: nell’intimità della sua coscienza scientifica, composta armonicamente, sul medesimo soggetto, di due coscienze contraddittorie, io non ho punto voglia di entrare. Per me, in questi giorni di trinacria, di fabbricazioni e di paolotterie politiche, la quistione è ben altra: e sarei tentato di fare una dissertazione morale. Ma a che gioverebbe? Il mondo è fatto così e la colpa è tutta di tipi che sono… eterni. Il Professore Acri ama i tipi, e ne fa la base della sua critica. Io domando semplicemente: quale è il tipo suo? La mosca è una bestiola innocente; il filosofo – il nudo filosofo – è un animale minchione: per rappresentare il mondo qual è realmente ci manca un terzo tipo di animale: quel tipo di cui il Professore Acri è l’ectipo più perfetto. Sono Tuo affezionatissimo B. Spaventa BNN, XVI .C.2.31 (ed. in Gli spaventiani spaventati; rist. in Fiorentino, La filosofia, pp. 467-471. Cfr. Bibliografia in B. Spaventa, Opere, III, p. 920, nota 87).
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711 A Silvio Spaventa Napoli, 26 marzo 1876 Mio caro Silvio, Dammi notizie della tua salute. Io sto bene. Credo inutile di venire alla Camera dopodomani per vedere i nuovi ministri.28 – Se non sarai rinominato al Consiglio di Stato o non ti conviene d’accettare, stimo superfluo ricordarti che io – sebbene non sono stato ministro – sono più ricco di te e sono in grado di disporre di qualche cosa. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Del Consiglio Superiore finora niente. 29 Meglio così. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
712 A Silvio Spaventa Napoli, 30 marzo 1876 Mio caro Silvio, Se non l’hai letto, leggi quest’articolo dell’Opinione di stamane. È una reclame che si fa l’onorevole Bonghi un po’ a mie spese. L’ultimo periodo che riguarda me mi pare inesatto, o almeno non conforme alla lettera che mi scrisse il 16 corrente. «Era vacante un posto d’ordinario sino agli ultimi giorni del cessato ministero; ma l’onorevole Bonghi lo ha rimpiuto, richiamandovi l’onorevole Bertrando Spaventa che era uscito d’ufficio nel Dicembre dell’anno scorso». Così l’Opinione. Ora il Bonghi mi scrisse così: «Il pagamento è stato regolare, e perciò rimando gli stipendi, i quali non potrebbero, ad ogni modo, essere restituiti a me. I consiglieri d’Istruzione pubblica restano in uffizio insino a che non sono stati surrogati. Il decreto che vi riconferma, è stato firmato da gran tempo; ma non spedito ancora, perché aveva qualche altro disegno; che non mi è più possibile di effettuare. E il decreto quindi andrà alla Corte dei Conti oggi o domani». Ora, se io ero restato in ufficio sino al 16 Aprile, come va che era uscito di ufficio nel Dicembre dell’anno scorso? Come era uscito, se sono stato sempre chiamato e ho assistito al Consiglio? E come era vacante un posto d’ordinario sino agli ultimi giorni etc., se il 28. La rivoluzione parlamentare del 18 marzo 1876 pose fine al governo di Destra. Ministro dell’interno del nuovo governo di Sinistra, presieduto da Agostino Depretis, fu Giovanni Nicotera, nemico acerrimo di Silvio e della Destra, che indusse Silvio a lasciare il Consiglio di Stato, unica sua fonte di sostentamento. Dopo essere stato trasferito, con regio decreto del 23 aprile 1876, dalla sezione interno e lavori pubblici alla sezione di finanza, Silvio presentò le dimissioni. Nel novembre 1878, grazie a Giuseppe Zanardelli, Silvio fu reintegrato nell’ufficio di consigliere di Stato. 29. Scaduto il precedente incarico, Bertrando aspettava la nuova nomina (cfr. lettera 706).
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decreto che mi riconfermava era stato firmato da gran tempo innanzi al 16 marzo, cioè agli ultimi momenti? Ci è da parlare per mezz’ora sulla concordanza tra la lettera e l’articoletto. – È una faccenda questa che puzza; degna proprio del Bonghi. Il Broglio, quando fui sorteggiato nel 68, mi riconfermò subito. Cosa vuol dire questo dire e non dire, riconfermare e non riconfermare del Bonghi? A chi sarebbe dato – nel caso – il posto? Rinominato, non so se accetterò: ci devo ancora pensare; ma il mio primo impeto – che in me è sempre il migliore – mi consiglia di non accettare. Non voglio essere obbligato al Bonghi di nulla. – Correndo un intervallo tra la decadenza e la riconferma, ci è pericolo di cessare, da deputato, nel caso d’accettazione? Ti scrivo in fretta e confusamente. Ma desidererei che considerassi tu se è il caso di rettificare l’articoletto sull’Opinione; e pregassi il Dina.30 Se il Bonghi non avesse fatto parte del Ministero ceduto, gliela canterei io senza cerimonie. Ma come si fa? Bisogna aver prudenza. E se – rinominato – mi conviene di accettare. Che ne pensi tu? Ma rispondi subito. Ti scrissi domenica sera;31 ma finora nessuna risposta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
713 A Francesco Fiorentino Napoli, 3 aprile 1876 Mio caro Fiorentino, Nel Liceo di Maddaloni il nuovo Preside Don Cacciapuoti32 – che quei che l’han conosciuto a Potenza mi dicono non sia un tipo di galantuomo, ma ha invece il merito di far parte della Società dell’Arte del Dire – si è messo a perseguitare e tormentare i migliori professori, tra i quali il Petrone,33 che tu devi conoscere. Il Petrone è un giovine buono e molto studioso e intelligente; e insegna lettere latine e greche. La rottura è giunta a un punto, che ha dovuto metterci mano il Provveditore; e mi dicono che questi sia favorevole al Petrone. Ora il fratello del Petrone 34 – professore di diritto romano a Napoli e anche molto valente – è venuto da me e temendo che il preside non valga presso il Ministero più del Provveditore (tu sai che nel Ministero di Pubblica Istruzione ci è una corrente 30. Giacomo Dina (1824-1879), giornalista e politico, redattore, dal 1848, dell’«Opinione», ne assunse la direzione nel 1854 (succedendo a Bianchi-Giovini) e la tenne per un trentennio; deputato al parlamento del regno d’Italia dalla X alla XII legislatura. 31. Cfr. lettera precedente. 32. Salvatore Cacciapuoti, preside e rettore del Convitto nazionale statale Giordano Bruno di Maddaloni, dal 1° novembre 1875 al 20 gennaio 1879. 33. Giuseppe Petroni, docente di lettere italiane e latine nel liceo di Maddaloni, fu autore della dissertazione De Romanorum satyra, pubblicata a Napoli dall’editore Morano nel 1875. 34. Giulio Petroni, docente di diritto romano e di istituzioni di diritto romano nell’Università di Napoli, morì nel 1895.
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Molfettese) mi si è raccomandato e mi ha pregato di scrivere a Roma per neutralizzare questa corrente. Impresa gigantesca! Pigliarsela contro la corrente per eccellenza, in sé e per sé! Ma questo è il nostro destino: lottare contro Giove, per avere poi il piacere di essere fulminati da lui! – A chi posso scrivere io? Tu sai le mie relazioni colla Minerva. Potrei scrivere al Barberis; ma non gli ho scritto mai e non lo vedo da un pezzo. E poi in che qualità gli scriverei? Dunque… non ci è bisogno che tiri la conseguenza; devo scrivergli io, dirai tu. – Se ti pare, scrivigli. Se non altro, puoi dirgli: fui a Maddaloni, conosco quei Professori (nota che il Caroli-Zarelli35 è dalla parte del Preside), ho conosciuto il Petrone a Napoli etc. E che non batta il Preside, ma che non batta né anche il povero Petrone; ma veda, s’informi bene, indaghi, ricerchi, prima di battere qualcuno. Insomma scrivi come meglio ti pare e conviene. Avrei fatto a meno di darti questa seccatura; ma conosco i due Petrone, che sono come t’ho detto dei bravi giovani, e il Cacciapuoti è una bestia parlante e dicente. – Saluti a tutti. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 91 (inedita).
714 A Francesco Fiorentino [Napoli,] 7 giugno [1876] Caro Fiorentino, Sono giunto (o giunsi secondo l’arte) iersera, e ti ho aspettato sino all’una stamane. Vieni dopo pranzo, che ti aspetterò sino a 24 ore. Domattina ho (avrò) lezione, e non ti potrei ricevere senza danno della scienza. Sai che Don Sartini ha stampato sullo scetticismo? 36 Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 119 (inedita).
35. Gian Francesco Nazareno Caroli (1812-1899), insegnò filosofia a Maddaloni sino al 1879; pubblicò sotto lo pseudonimo di T. Zarelli e con la falsa indicazione geografica di Parigi i volumi Il sistema filosofico di V. Gioberti, Paris, L. Sarlier, 1848 e Il sistema teologico di V. Gioberti, Paris, L Sarlier, 1848. 36. Vincenzo Sartini, Storia dello scetticismo moderno, Firenze, Sansoni, 1876.
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715 A Silvio Spaventa Napoli, 13 giugno 1876 Mio caro Silvio, So che stai bene, e nondimeno ti scrivo per avere da te stesso notizie della tua salute. Io sto bene. – Consegnai a Fiorentino i 3 volumi del Mommsen.37 – A Lo Monaco dirai, che lo ringrazio della sua lettera e di quella di Massari: dopo due mesi! Hai trovato casa? Isabella e i ragazzi ti salutano. Pensa a star bene. Tuo Bertrando È qui Clotilde38 con Mincantonio39 e Adelaide40 da parecchi giorni. Ripartiranno tra poco per Bomba. Stanno bene. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
71641 A Emilio Celano Napoli, 21 giugno 1876 Il sottoscritto manda al consigliere di prefettura Celano Emilio il libro del Fiorentino: La filosofia contemporanea in Italia ecc., nella speranza che non vorrà rifiutarlo; e lo prega di dargli la maggiore pubblicità possibile. B. Spaventa Si raccomandano le seguenti pubblicazioni: Zumbini, Saggi critici42 Fiorentino, Scritti varî. 43 Originale presso la contessa Maria Del Vasto, copia manoscritta di Gentile in AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
37. Theodor Mommsen, Römische Geschichte, 3 Bande, Leipzig, Weidmann, 1854-1856. 38. Clotilde Spaventa. 39. Domenicantonio Sacchetti. 40. Adelaide Sacchetti. 41. Di mano di Carlo Maria Tallarigo, che aggiungeva i suoi saluti, ma firmato «B. Spaventa». 42. Bonaventura Zumbini, Saggi critici, Napoli, Morano, 1876. 43. Francesco Fiorentino, Scritti vari di letteratura, filosofia e critica, Napoli, Morano, 1876.
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717 A Silvio Spaventa Napoli, 21 giugno 1876 Mio caro Silvio, Vittorio (Imbriani) dopo la sconfitta elettorale vorrebbe abbandonare Pomigliano d’Arco e Napoli, e venirsene a Roma, purché vi trovasse qualche occupazione che gli facesse lucrare qualche cosa. Sarebbe possibile procurargli un posto nella collaborazione dell’Araldo o di qualche altro giornale, o nell’Ufficio – se si stabilisce – dell’opposizione parlamentare? Tu conosci Vittorio; e sai che sotto una buona guida potrebbe essere molto efficace ed utile. Pensaci un po’ su, e rispondimi. Hai trovato casa, e dove? Fammelo sapere. Bada alla salute. Noi stiamo bene. Isabella coi ragazzi ti saluta. Tuo Bertrando Se c’è bisogno che io venga per la discussione sull’Alta Italia44 fammelo sapere a tempo. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
718 A Silvio Spaventa Napoli, 25 giugno 1876 Mio caro Silvio, Ti scrivo per dirti anch’io bravo, perché difficilmente potrò partire stasera. Ho letto, come meglio ho potuto, il sunto del tuo gran discorso45 sui giornali, e anche la confutazione che ne ha fatto iersera stesso per dispaccio telegrafico il valoroso Comin al Pungolo. Sarebbe bene che ne facessi tirare delle copie a parte. Che ne dici? Per me, lo credo necessario assolutamente. Qui l’elezione amministrativa va male, malissimo. Napoli rimarrà in mano a Nicotera e Sandonato, i due più legittimi e gloriosi figli di questa provincia! Io devo venire tra giorni. Dimmi subito se hai trovato casa, e dove. Se Fiorentino è ancora costà, salutamelo; e che gli scriverò tra giorni. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando 44. La discussione sul progetto di legge per il riscatto delle ferrovie dell’Alta Italia si tenne alla Camera il 24 giugno 1876. 45. Il discorso di Silvio sulle convenzioni ferroviarie del 23-24 giugno 1876 è stato ristampato in Discorsi parlamentari di Silvio Spaventa, pp. 406-438.
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Bada alla salute; e ti prego di non riscaldarti col Correnti o altri. Ormai hai detto; e se bisogna, usa i sali frizzi. Dà l’acchiusa a Lo Monaco. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
719 A Francesco Fiorentino Roma, 3 luglio 1876 Mio caro Fiorentino, Sono qui da ieri mattina. Non sono venuto prima, perché sono stato poco bene. Ripartirò domani sera per Napoli. Per ora – con questo caldo e stando ancora Isabella così così e dovendo andare in campagna – non me la sento di andare a Bologna; e me ne duole, se ci vai tu solo. Alla fine di Settembre però o ai principi di Ottobre sarò disponibile. Fammi sapere cosa risolverai tu. Non so ancora l’effetto prodotto nell’ovile Molfettese dal tuo libro: 46 non ho visto più né il Miraglia47 né il Tallarigo. Saluto tutti di casa e sono sempre Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 92 (inedita).
720 A Silvio Spaventa Napoli, 10 luglio 1876 Mio caro Silvio, Sono a Gragnano da Sabato e stiamo bene. Scrivimi, e dimmi quando partirai da Roma, e dove andrai. Pare che non si parli più di scioglimento della Camera; colla guerra che ci è in Oriente48 non credo che oseranno. Del resto con questa gente tutto è possibile – dammi qualche notizia. Pensa a star bene; e sta in cautela pel clima di Roma. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
46. Fiorentino, La filosofia contemporanea. 47. Luigi Miraglia (1846-1903), dal 14 marzo 1878 professore ordinario di filosofia del diritto all’Università di Napoli, senatore del regno d’Italia dal 1900. 48. La seconda crisi d’Oriente (1875-1878), che seguì la prima culminata nella guerra di Crimea (1853-1856), nel corso della quale si erano contrapposti l’impero russo e un’alleanza composta da impero ottomano, Francia, Gran Bretagna e regno di Sardegna.
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721 A Silvio Spaventa Gragnano, 24 luglio 1876 Mio caro Silvio, Ricevo l’acchiusa da Giulio De Petra. Mi dice che ha scritto anche a te per l’amico del D’Alanno. Rispondigli a Napoli, dove egli tornerà alla fine del mese. – Credo che il Pierantoni49 tenterà di farsi strada nella nostra Provincia; e anche il Verratti che finora non avea dato segni di vita nella sua nicchia dell’Albergo dei Poveri, si agita e mette innanzi Don Pardo Franceschelli, contento di non essere stato nominato Senatore. Fammi sapere quando partirai da Roma e dove andrai. Non credo che vorrai rimanere costì anche in agosto. Noi stiamo bene. Bada tu alla salute; e scrivimi e dammi qualche notizia. Isabella e i ragazzi e Faustina e Innocenzo 50 ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
722 A Silvio Spaventa Gragnano, 18 agosto 1876 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto più, perché non avevo che dirti, se non che sono stato qualche giorno a letto colla podagra. Erano già due anni, che non mi visitava; ma questa volta è stata molto benigna e a un piede solo, tanto che temo che possa essere un prodromo; giacché non mi capacito che deva finire così. Del resto sto bene; mangio poca pasta e bevo poco vino. Sto prendendo i bagni a Pozzano (vicino Castellammare), dove all’acqua del mare si mescola un po’ di acqua minerale. Finora mi fanno bene o almeno non mi fan male. E tu quando lascerai Roma? E come stai col caldo che fa? La sciolgono o no la Camera? 51 E che notizie hai del tuo collegio? Mi dicono che il Verratti ti faccia propaganda contro, e che sia stato promesso a Pardo Franceschelli di farlo senatore (!) se appoggerà Codagnone, che restituirebbero alla Corte d’Appello e che pare sia il candidato governativo. – Del mio Collegio il De Petra52 mi dà buone notizie; solo mi dice che i Travaglini sono incerti; gli altri di Casoli fedeli. Ho visto qui il Tabazzi e il Castracane, e non dubito quindi di Lama e di Villa Santa Maria. Di Gesso non so nulla; Tozzi non si
49. Augusto Pierantoni (1840-1911), giurista e politico, fu deputato del regno d’Italia dalla XII alla XIV legislatura e senatore dal 1883. 50. Faustina Spaventa e Innocenzo De Nillo. 51. La Camera verrà sciolta nel mese di settembre (cfr. le due lettere seguenti). 52. Giuseppe De Petra.
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è fatto più vivo. Il Porreca poi non mi ha scritto più da un gran pezzo; si è di certo preso collera di non aver avuto la croce. Ma ci penserà Auriti a placarlo. Mi dicono che il Sorrentino – che venne a visitarmi qui – sia stato a Chieti, e che intenda concorrere in qualche collegio della nostra provincia, e spera di riuscire coll’appoggio di Brescia Morra;53 teme di non essere rieletto a Castellammare. Rispondimi e dammi qualche notizia e specialmente se ti muoverai da Roma e dove andrai. Isabella e i ragazzi e Faustina col marito54 ti salutano. Tuo Bertrando Ti prego di dare l’acchiusa a Filippo.55 Ricevo in punto questa lettera del Masci da Francavilla e te la mando tal quale. – Lanciano non mi ha scritto. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
723 Silvio Spaventa Roma, 3 settembre 1876 Mio caro Silvio, Sono qui da stamane pel Consiglio, e credo che dovrò trattenermi qualche giorno di più del solito, perché abbiamo tanta roba da discutere – i regolamenti universitari – che non so quando si finirà. Sto bene: la podagra passò sull’altro piede, ma durò poco e fu niente, e ora non la sento più. Non so dove ti trovi. Dai giornali so che passasti sotto Chieti; ma non più. Indirizzo la lettera a Bomba. Scrivimi un rigo di tanto in tanto, acciocché sappia almeno come stai e dove devo scriverti. Dammi qualche notizia del tuo collegio. Del mio, ho dal De Petra Giuseppe, tornato recentemente da Casoli, notizie piuttosto buone. – Oggi si dice da tutti qui che il Ministero ha risoluto lo scioglimento della Camera. Bada alla salute. Saluto tutti. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
53. Francesco Brescia Morra (1832-1910), prefetto in varie città d’Italia, all’epoca in servizio a Chieti; deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla X alla XII legislatura e senatore dal 1883. 54. Faustina Spaventa e Innocenzo De Nillo. 55. Filippo Vitullo.
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724 A Silvio Spaventa Gragnano, 11 settembre 1876 Mio caro Silvio, Sono due giorni che sono tornato da Roma, e il giorno dopo ho ricevuto la tua da Montenero. Mi rallegro che stai bene e che ti sei divertito e ti diverti tra i nostri costì. Anch’io sto bene e la podagra non mi si è fatta più sentire. Dunque il Decreto di scioglimento è firmato; ma non si sa di certo quando sarà pubblicato né quando i collegi saranno convocati. I ministeriali a Roma mi dicevano ai primi di novembre. Pare che abbiano interesse a fare credere che ci sia ancora tempo. – Ho visto a Roma qualcuno dei nostri; in generale si lamentano del Sella assente, e del Righetti56 che anche se ne sta in campagna; e che non si sia pensato di indirizzare una parola agli elettori. Dubitano che il Massari sia rieletto, e pare che sia in pericolo anche il povero Lo Monaco. Ho gran voglia di sapere l’effetto della tua presenza nel Collegio. Persisterà Don Pedro a mettertisi contro? Pare incredibile! E gli Atessani? Tutte le artiglierie del Ministero sono dirette contro di te. L’altro ieri il Brescia Morra aspettava il Nicotera alla stazione per conferire con lui; è venuto a posta da Chieti. – Devi riflettere se ti conviene partire dagli Abruzzi molto tempo prima del giorno della elezione; bisogna aspettarsi la guerra sino all’ultima ora, e dopo la tua partenza potrebbero nascere nuove difficoltà e incidenti. Del resto tu sai meglio di me come devi regolarti. – Oggi o domani tornerà a Napoli Erasmo57 da Messina; non so se verrà a Castiglione. Potrebbe mettere a dovere i suoi parenti di Archi, e fare qualche altra cosa. Non ho notizie dirette del mio collegio (tra giorni scriverò a qualcuno dei grandi elettori), meno quelle che mi dai tu. Sono curioso di conoscere se il Travaglini sia venuto da te. Di Gesso non so nulla; il Tozzi non si è fatto più vivo da un pezzo. Scrivimi spesso, almeno un rigo; e dammi notizie di come vanno le cose tue in primo luogo, e le mie in secondo. E bada alla salute e salutami tutti. Isabella e i ragazzi e Faustina e Innocenzo 58 ti salutano. Tuo Bertrando Un giovane di Napoli dice che il Brescia Morra sia venuto per dimettersi da Prefetto, dopo la pubblicazione della sentenza che lo condanna alla prigione. Ma si crede che il non meno assente Nicotera non accetterà le dimissioni. A Roma incontrai il Senise59 (che accompagnava il Lacava60), che non mi disse nulla e fece vista di non avermi visto. Due giorni dopo venne a trovarmi al Consiglio, dicendo di aver saputo due ore prima che io ero a Roma, e ci facea un dovere etc.! SNSP, XXXI.D .6 (inedita).
56. Carlo Righetti (1830-1906), giornalista e deputato nel parlamento del regno d’Italia nella X legislatura. 57. Erasmo Colapietro. 58. Faustina Spaventa e Innocenzo De Nillo. 59. Tommaso Senise (1848-1920), medico chirurgo e docente universitario, deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla XVI alla XX legislatura. 60. Pietro Lacava (1835-1912), avvocato e politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla X alla XXIII legislatura, più volte ministro.
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725 A Silvio Spaventa Gragnano, 12 settembre 1876 Mio caro Silvio, Ieri tornando da Napoli incontrai alla stazione il Brescia Morra, che ripartiva per Chieti: non dimissionario. Tu sai che io lo conosco, e che egli ha avuto sempre per me de’ riguardi, dell’affezione e della stima, come mi ha ripetuto ultimamente. Mi venne incontro e mi porse la mano. Ebbene, gli dissi, questa volta sarete il mio carnefice! – Sono loro i miei carnefici, che mi han pubblicato quella sentenza. È una infamia. Se fosse il caso, anche ora prefetto come sono, farei lo stesso. – Lo credo. E qui naturalmente il discorso cadde sulle elezioni. L’amico fece l’ingenuo con me. Mi assicurò che lui non se ne impicciava, e lasciava liberi gli elettori di votare secondo coscienza: solamente avrebbero tenuto d’occhio gli impiegati, perché facessero il loro dovere. Insomma, la circolare Nicotera. – Non lo credo. Se vi hanno mandato a posta, per moralizzare la provincia di Chieti! E tutta l’artiglieria è rivolta ad Atessa. Non è vero? – Al contrario: io ho sempre pensato, e detto anche al Governo che uomini come Silvio Spaventa sono necessari alla Camera e non si devono combattere; e il Governo è del mio parere. – Non lo credo: si sa, che avete il vostro candidato. – Ce n’è uno contro; ma, ripeto, io non me ne impiccio: è il Codagnone. Non mi parlò punto del Franceschelli. Mi assicurò anche che contro il Castelli non si porta il Marchione, ma… il De Thomasis. E conchiuse: in ogni caso, io non potrei farvi guerra, perché so che questa volta non vi presentate a Gessopalena, e che in vece vostra si presenta l’Auriti. – Davvero? – Così ho sentito, e questo si dice da tutti. Ho voluto riferirti brevemente questo dialogo, specialmente per l’ultima parte. Già non ne credo niente; se l’Auriti avesse avuto questa intenzione, me ne avrebbe detto qualcosa. Ne sai niente tu? Aspetto su ciò tue lettere. Del resto, io scriverò domani agli amici. E tu sai anche ciò che devi fare costì. Scrivimi e dimmi del tuo collegio e del mio: e se hai visto il Travaglini. Isabella e i ragazzi e Faustina e Innocenzo61 ti salutano. Saluto tutti. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
61. Faustina Spaventa e Innocenzo De Nillo.
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Epistolario
726 A Silvio Spaventa Gragnano, 15 settembre 1876 Mio caro Silvio, Dopo tornato da Roma ti ho scritto due lettere; e nell’ultima si diceva che il Brescia Morra mi aveva detto correre voce costà che io mi ritirava dalla vita politica e che l’Auriti si presentava in mia vece. Ora leggi questa lettera del Masci da Francavilla. Parlano anche del mio consenso! – Chi ha messo in giro questa voce? Il partito ministeriale? Io che d’ordinario sono sospettoso più che non convenga, non posso credere che in questa brutta faccenda ci abbiano la mano gli Auriti medesimi e il Porreca. Tu gli hai visti, e non te ne han detto nulla. In ogni modo, ti prego di smentire in tutte le maniere e con tutti questa voce; e ciò fo anche io delicatamente con gli amici. Io non intendo punto di ritirarmi,62 specialmente ora che il governo è in mano alla sinistra. Aspetto tue lettere, con qualche notizia, soprattutto dei Travaglini. – Dimmi anche, se credi necessaria la mia venuta costì. Io credo di no per due ragioni: 1. perché a Torricella e Villa e Palena sarebbe inutile; 2. perché a Casoli potrebbe riuscire di danno piuttosto che di bene, giacché in quel paese i partiti sono talmente feroci l’uno contro l’altro, che andando in casa di Tizio, Caio l’avrebbe a male. Del resto, farò come tu mi dirai. Non tardare a scrivermi, e dimmi come vanno le cose tue. Saluto tutti anche da parte di Isabella e ragazzi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
727 A Silvio Spaventa Gragnano, 21 settembre 1876 Mio caro Silvio, Ricevo la tua del 17, e cominciavo già a temere che le mie lettere si fossero smarrite e fossero state sottratte alla posta per ardire del Brescia Morra. Ti ringrazio delle notizie che mi dai del tuo collegio e del mio; e speriamo che le cose vadano bene. Non posso credere che Porreca mi tradisca: se egli mi abbandona, la causa è perduta. È in Napoli il Di Benedetto di Casoli che ti presentai a Roma. Mi è fedele, come anche il De Vincentiis, il Rossetti, e altri; e da quanto mi dice, potrei avere colà, senza il Travaglini, la metà circa dei voti. Con Torricella e Villa Santa Maria, e con alcuni voti di Gesso, Lama e Palena potrei ottenere la maggioranza. Rivedrò dopodomani il Di Benedetto a Napoli e mi consiglierò con lui e con De Petra63 se convenga che io vada a Casoli. 62. Bertrando tuttavia non fu rieletto, e cessò di essere deputato con la fine della XII legislatura, il 3 ottobre 1876 (cfr. lettera 741). 63. Giulio De Petra.
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Se hai riveduto il Porreca e ti ha detto qualcosa che possa interessarmi, scrivimelo. Giulio De Petra mi scrive la lettera che ti acchiudo. Fammi sapere dove andrai, acciocché io possa scriverti, in caso di bisogno. Erasmo 64 è venuto a trovarmi qui. È sicuro di Castiglione. È venuto col povero Lo Monaco, al quale fanno una guerra spietata. Bada alla salute. Tutti qui ti salutano. Tuo Bertrando Considera bene se ti conviene lasciare il Collegio o almeno gli Abruzzi, prima che le cose siano assicurate in modo che il Brescia Morra non possa mutarle. Di Benedetto mi ha detto (ma non vuole che si sappia da alcuno, e perciò te lo dico in segreto) che sul punto di partire per Napoli, fu chiamato a Chieti dal Prefetto; forse ci andrà dopo ritornato a Casoli. Vedremo che gli dirà il signor Prefetto. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
728 A Silvio Spaventa Gragnano, 29 settembre 1876 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua da Tornareccio. Era bella; le ridicolaggini di Brescia Morra ti han fatto più bene che male. – Mi si scrive da Francavilla, che andrai vicino Chieti al casino di De Laurentiis; e io avea quasi risoluto di fare una scappata costì. Ma ecco da capo la podagra: non molto forte in verità, ma non saprei quanto possa durare. Del resto, sto bene. – Il Di Benedetto, che ho visto di nuovo, mi ha promesso a Casoli coi suoi amici e miei, rimasti fedeli, almeno un centinaio di voti. Ora con quelli di Altino e i soliti di Torricella e di Villa e i pochi di Palena e di Lama, e con quelli di Gesso (se i Tozzi non muteranno) io spero di raccogliere in tutto più di 400 voti. E credo che basteranno. Ho scritto a Porreca e Castracane e Fornari e altri di Villa e a Tabazzi, e spiegato loro la posizione etc. Ho scritto anche al Sirolli, col quale il Di Benedetto mi ha promesso di operare di concerto. – A Casoli il Sindaco Tilli è cognato di Auriti (Peppino). Non so ancora cosa farà. Ma gli Auriti potrebbero indurlo a operare in mio favore. E così anche proverebbero che hanno smesso il pensiero di un’altra candidatura. Andrai a Chieti? Sarebbe bello assalire la belva nella propria tana! Se la podagra mi darà un po’ di riposo, verrò. Scrivimi. Tutti ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
64. Erasmo Colapietro.
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729 A Silvio Spaventa Gragnano, 5 ottobre 1876 Mio caro Silvio, Ho ricevuto la tua da Roma. Ora sto bene, e senza podagra. Parto stasera per Francavilla; ove mi tratterrò qualche giorno; e farò una corsa a Lanciano, per vedere Evandro,65 Di Benedetto, e se occorre, Sirolli. Da Casoli non ho ancora notizie precise; il Brescia Morra ci è stato poche ore, ha visto e corteggiato i Travaglini e i Ramondi; e ha minacciato fortemente il vice-Ispettore forestale De Giorgi (stato sempre favorevole a me); il Sindaco Tilli non si è fatto trovare, e se ne è andato a Torricella. Non si sa ancora chi mi mettono contro. – Ricevo ora la lettera di Porreca, che mi incarica di salutarti; e mi garantisce, come sai, l’unanimità di Torricella, la maggioranza di Lama e di Villa Santa Maria. Ma da Villa Santa Maria non ho ancora risposta alcuna, né da Castracane né da Fornari: solo uno di Borrello mi assicura che avrò i soliti voti. Ho raccomandato al marito di Faustina che è partito giorni fa di scuotere un po’ gli incerti. De Petra 66 mi scrive da Napoli, che Finamore 67 a Gesso sarà per me! A Lanciano mi regolerò se andare a Casoli: ci penserò due volte, perché non vorrei ricevere mortificazioni, e io me ne fotto di loro e… delle Camere come loro. Ti farò sapere ogni cosa. – Curioso! Di Benedetto scrive che ad Atessa ti portano contro l’attuale Ministro. Chi? Zanardelli68 o Nicotera? Bada alla salute. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
730 A Isabella Sgano Francavilla al mare, 6 ottobre 1876 Mia cara Isabella, Siamo arrivati bene, e stiamo bene; abbiamo trovato alla stazione Filippo,69 Don Errico, Grumelli, e Luigi e Camillo De Innocentiis. Emilia è a Teramo; le altre sorelle di Filippo sono qui. Scrivo a De Benedetti di andare a Lanciano, dove desidero vederlo. Tu intanto scrivimi a Francavilla; ché mi manderanno le lettere, nel caso che io non ci sia. Ti 65. Evandro Sigismondi. 66. Giulio De Petra. 67. Gennaro Finamore. 68. Giuseppe Zanardelli (1826-1903), patriota e politico, fu deputato del regno di Sardegna e del regno d’Italia per varie legislature. Esponente della Sinistra, fu più volte ministro di grazia e giustizia, presidente del Consiglio dei ministri e della Camera dei deputati. 69. Filippo Masci.
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farò sapere dove andrò. Ti raccomando di badare alla salute, e di guardarti dalle correnti di aria; e prendi la corallina e la china. Mandami le lettere, e fammi scrivere due righi da Mimì. Bada al freddo. Insomma abbiti cura. Millo vi dice tante cose; Filippo e le sorelle ti salutano. E ti abbraccio con Mimì. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
731 A Isabella Sgano Lanciano, 11 ottobre 1876 Mia cara Isabella, Siamo qui da iersera con Filippo e Camillo De Innocentiis. Sto bene e Millo anche. Scrivimi qui. Innocenzo70 mi scrive che Castracane mi ha risposto con una lettera raccomandata. Io non l’ho avuta ancora. Bada alla salute. Ti scriverò quando partiremo per Torricella. Finalmente ho saputo che Villa Santa Maria è per me senza dubbio. E niente altro ho a dirti. E ti abbraccio con Mimì. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
732 A Silvio Spaventa Lanciano, 11 ottobre 1876 Mio caro Silvio, Sono qui da iersera. Finalmente ho notizie di Villa Santa Maria, ed eccellenti: solo il Piccirilli di Raio ha defezionato, ma è cosa di poca importanza. A Casoli le cose stanno ancora così; ma Peppino Auriti, a cui ho scritto, mi risponde che farà subito il giro di Casoli, Fara, Palombaro etc. Goffredo, che ho visto a Francavilla, mi assicura che Giulio Raffaele, se si porta contro di me De Thomasis, sarà per me. Il figlio di Tozzi è qui, e verrà a vedermi oggi: e saprò da lui cosa ci è a Gesso più precisamente. Il curioso è che non è ancora certo se mi portano contro di me il De Thomasis: si comincia a parlare del Melchiorre. Brescia Morra ha minacciato la destituzione al Vice-pretore Rossetti di Casoli e la traslocazione a Giacomo De Vincentiis, Ricevitore del Registro. 70. Innocenzo De Nillo.
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Penso di andare per ora a Torricella e poi a Montenero. Raffaele 71 è venuto a vedermi a Francavilla ed è partito ieri per Montenero. Così posso operar meglio su Villa, Gesso, Fara, Lama, etc. A Casoli mi consigliano di non andare, almeno per ora. Se avrò qualcosa da dirti, ti scriverò più tardi. Evandro72 mi dice che le notizie di Atessa sono le stesse, cioè buone. Però bisogna essere vigilanti; giacché il Brescia Morra lavora e minaccia sempre. Bada alla salute. Tuo Bertrando Evandro ti saluta. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
733 A Silvio Spaventa Torricella Peligna, 16 ottobre 1876 Mio caro Silvio, Sono qui da iersera. Ti dico in breve la posizione del Collegio. Gran maggioranza a Villa Santa Maria, unanimità a Torricella, idem ad Altino, circa 60 voti nel mandamento di Lama (giacché avrò tutti i voti di Palombaro e 10 di Fara), e i soliti pochi voti di Palena. Ieri Antonio Porreca ha fatto un gran colpo a Gesso con De Gregorio, il quale è per me; e si può contare su 40 voti. Se mi danno 40 voti a Casoli, si vincerà. Ora questi 60 voti me li promettono; e anche più. E mi si scrive anche da Casoli che le notizie della concordia a me favorevole delle altre parti del Collegio hanno sconcertato i miei avversari. Ora pare che il mio competitore sia finalmente il De Thomasis; giacché il Melchiorre declina la candidatura nell’Eco degli Abruzzi e il giornale propone il De Thomasis. Ciò mi giova, come dicono qui. Intanto il Brescia Morra comincia a rimandare le liste: cassa e aggiunge a suo arbitrio. Ho con me manoscritti i consigli formulati da Evandro,73 e li farò conoscere a tutti. Non ti dico altro. Antonio, Teseo Madonna e altri tanti saluti. Ti scriverò subito che avrò altre notizie. Quelle del tuo collegio continuano a essere buone. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
71. Raffaele Lanciano. 72. Evandro Sigismondi. 73. Evandro Sigismondi.
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734 A Isabella Sgano Torricella Peligna, 19 ottobre 1876 Mia cara Isabella, Stamane ho ricevuto da Lanciano il tuo telegramma. Ti avevo già scritto Venerdì scorso 16 corrente ciò che dovevi fare quanto alla chiamata e alle carte del Consiglio. Io non posso andare a Roma pel 21, e scriverò che sto poco bene. Non posso lasciare qui le cose, ora che la lotta serve. Millo è andato l’altro ieri a Palena, e tornerà oggi. Io sto bene. Tu sta di buon animo, e fammi sapere qui (e se bisogna per telegramma diretto a Lama De’ Peligni per Torricella Peligna) cosa farai. Per il 28 corrente io tornerò di certo, o costà o a Napoli, secondo che tu mi scriverai. Ti abbraccio con Mimì. Saluto Don Ciccio74 etc. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
735 A Silvio Spaventa Torricella Peligna, 19 ottobre 1876 Mio caro Silvio, Niente di nuovo: le notizie continuano ad essere buone da tutte le parti del Collegio, se non che a Casoli si potrebbe fare di più, e tutti i miei amici sono in tale posizione da non poter mostrarsi apertamente: l’uno è ricevitore, l’altro vice-pretore, etc.: solo il De Petra,75 che deve tornare tra domani e dopodomani, potrebbe agire davvero. A Gesso, come ti scrissi lunedì, abbiamo fatto una breccia seria. Su Tozzi però non posso ancora contare. Scrisse ad Antonio 76 che sarebbe venuto a vedermi subito, ma non si è visto. Dopo il ritiro di Melchiorre e la presentazione di De Thomasis, si vocifera che si porti candidato anche Ciccillo Raffaele;77 e così potrebbe spiegarsi la condotta di Tozzi verso di me. Ieri a Casoli c’è stata una riunione dei miei avversari, compreso i Testa di Palena; ma ora che scrivo non so ancora che cosa hanno risoluto. Lo saprò più tardi. Peppino Auriti che può molto a Casoli, mi promise di andarci, ma finora non si è mosso. Gli abbiamo scritto ieri, e spero che farà il giro. Non potresti fargli scrivere ancora da Ciccillo? – Se il candidato definitivo sarà il De Thomasis, i Tozzi non potranno non votare per me; né il Raffaele, i Finamore e il Peschi egualmente; a meno che non si presentino tutti e due. – Il Brescia Morra ha 74. Potrebbe trattarsi di Francesco Porreca, prete e fratello di Camillo Porreca, grande benefattore dei poveri di Torricella Peligna. 75. Giuseppe De Petra. 76. Antonio Porreca. 77. Francesco Raffaele.
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cancellato nella lista di Torricella circa 40 iscritti. Si reclamerà; si può fare anche in modo che egli non possa legalmente fare la decretazione definitiva prima del 5 novembre. Ma se lo facesse, commettendo un’illegalità? In tal caso nasce questo dubbio: se si vota, contro la decretazione, colla vecchia lista, l’elezione può essere annullata; se si vota colla nuova, illegalmente decretata, l’elezione può essere egualmente annullata. Mi pare che questo – se non erro – fu il caso dell’elezione di Chieti. Se puoi dirmi qualcosa su ciò, farai bene. In gran parte la cosa dipende dalla venuta di De Petra78 e da Peppino Auriti. Da parte mia ho fatto tutto ciò che ho potuto per indurli a venire: De Petra mi promise di partire la sera stessa del giorno che finirà il Concorso a Portici; e sarebbe oggi. Se avrò a dirti altro ti scriverò anche domani. Bada alla salute. Tuo Bertrando Antonio ti saluta. Come stanno le cose, io non posso ancora partire di qui e trovarmi costà il 21 pel Consiglio. Mi scuserò con telegramma come malato. Ti sia di prevenzione, se ti diranno che io sto poco bene. (Volta)79 SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
736 A Silvio Spaventa Torricella Peligna, 20 ottobre 1876 Mio caro Silvio, Ti ho scritto ieri. L’adunanza di Casoli ha proposto il Melchiorre, non ostante la rinunzia di costui. Come vadano tutte queste mutazioni di candidati, non so. Vogliono forzare la volontà del Prefetto, che si era ostinato per De Thomasis? Ripeto, non so. Ora la situazione è questa. Gl’iscritti sono circa 900. Fatti i calcoli, io conto su circa 400 voti. Se votano tutti i 900, perderò. Ma voteranno tutti? Nelle passate elezioni non hanno votato mai più di 650 al più. Ora i miei 400 voteranno di certo. I Travaglini dicono, che a Casoli Melchiorre avrà 150 voti. Ora gli iscritti a Casoli sono, senza Altino e Roccascalegna, circa 250. E gli altri 100? Ho calcolato per me 40; e me ne promettono almeno 60. Ma sia 40. E gli altri 60? Con questa proporzione, non è possibile che votino in tutto il Collegio più di 700 o 750. E con 40 a Casoli, io raccoglierò in tutto circa 400. Da uno di Gesso, molto influente e risolutamente mio e amico di Tozzi, e che mi promette circa 35 votanti per me su 84 iscritti, so che i Tozzi non mi sono contrari, ma non mi si mostrano apertamente favorevoli. Temono di non so che: del Prefetto, della Sinistra etc. Il figlio di Tozzi a Lanciano mi promise i suoi voti. Intanto Don Michelangelo80 pro78. Giuseppe De Petra. 79. Nell’ultima facciata del foglietto, si trova un’acchiusa lettera per Silvio da parte del nipote Antonio. 80. Michelangelo Tozzi.
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mette di venire, ma non viene a vedermi. E il figlio, di passaggio per Casoli, intervenne all’adunanza: ma non firmò – dice l’amico di Gesso che è venuto a vedermi stamane – la proposta pel Melchiorre; né l’ha firmata Don Michelangelo, a cui l’hanno presentato a Gesso. Perché Tozzi aderisse a questa proposta, dovrebbe riconciliarsi con Finamore e con Peschi, suoi nemici. Io non cesso di agire sui Tozzi. Potresti far tu qualcosa su Raffaele Tozzi? Ma è cosa molto delicata, e bisogna pensarci due volte. Rispondimi. Io penso di andarmene di qui il 27, purché non vi sia qualche cosa che mi faccia rimanere. Di fretta. Tuo Bertrando Antonio81 ti saluta. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
737 A Silvio Spaventa Torricella Peligna, 27 ottobre 1876 Mio caro Silvio, Ricevo la tua del 24. Le notizie di Casoli sono migliori: Auriti e De Petra 82 hanno prodotto buoni effetti. Auriti è stato anche a Fara e Palombaro; questa è tutta per me, quella voterà per metà in mio favore. De Petra continuerà ad agire in Casoli e promette di fare di più. I miei amici colà si sono rianimati, non ostante le continue minacce del Signor Prefetto.83 – Ora a Tozzi. Costui (Don Michelangelo84) scrisse una lettera ad Antonio85 giorni fa, il cui tenore era questo: «Mi duole di non potere ancora venire ad ossequiare il Commendatore (me), ed ardo del desiderio di farlo; ma devo fare questo sacrificio, perché la cosa riesca meglio e a Gesso e a Casoli. Io mi adopero attivamente, ma occultamente. Il secreto è condizione della riuscita. Siate sicuro della mia cooperazione. Verrò domani o dopodomani a riverire il Commendatore, ma per poche ore e non in vostra casa!». Non è venuto; forse pel cattivo tempo. Che uomo! Intanto non si sa ancora chi si presenta contro di me, se Melchiorre o De Thomasis; di Raffaele 86 non si parla più. Don Pardo87 ha pubblicato il suo programma nell’Eco: 88 accetta la candidatura di Atessa, in data del 18 ottobre. 81. Antonio Porreca. 82. Giuseppe De Petra. 83. Francesco Brescia Morra. 84. Michelangelo Tozzi. 85. Antonio Porreca. 86. Francesco Raffaele. 87. Pardo Carlo Franceschelli (1821-1886), avvocato e politico, deputato del regno d’Italia nella XIII legislatura. 88. Si tratta dell’«Eco degli Abruzzi», quotidiano politico abruzzese.
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Non son partito ancora, perché devo salire a Montenero per vedere Raffaele (Croce), e il tempo è pessimo. Qui ho visti tutti i principali amici: Sirolli, De Petra, Tabazzi, Marinelli, etc. Da tutte le parti ho sempre buone notizie. Antonio vorrebbe che scrivessi due righe a Michele o Filippo Franceschelli, perché raccomandino la mia candidatura al Persichitti sindaco di qui che è loro cognato; non perché costui mi sia contrario, anzi; ma è un uomo freddo di sua natura, e non ci è male che sia spinto o riscaldato da tutte le parti. La lettera del Franceschelli dovrebbe venir qui per corriere da Montazzoli. È necessario assolutamente che il Professore De Paola venga; e perciò disponilo a partire. Avrà il certificato d’iscrizione in tempo con lettera raccomandata. Antonio e Mariotta ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
738 A Silvio Spaventa Montenerodomo, 31 ottobre 1876 Mio caro Silvio, Sono qui da ieri, e domani andrò a Palena, e poi a Lanciano per ritornarmene in Napoli, dove spero di trovarmi il giorno 4 la sera o il 5 la mattina. – Le notizie di Gesso e Casoli continuano ad essere buone, anzi sono migliori. Del resto a quest’ora non ci è più da fare: quel che è fatto è fatto. Il De Thomasis ha ritirato la sua candidatura, a favore di un non si dice pubblicamente chi sia, che in realtà è il Melchiorre. Da Chieti mi si fa sapere, che all’ultima ora raccomanderanno segretamente il De Thomasis. Non so cosa ci sia di vero in questa notizia, né la intendo. Omero89 vuol sapere se hai ricevuta la sua lettera; e ti ricorda il decreto che lo confermi come notaro. Te lo raccomando. Ti scriverò da Napoli; il giorno dopo le elezioni! Non ne posso proprio più. E il Sella che nel discorso di Cossato chiama ancora suo amico personale il Nicotera! Sarà. Ma che amicizia personale ci può essere tra loro due? Su che base di studi, di inclinazioni, di affetti etc., si fonda questa amicizia? Ma è il nostro capo politico; e non parlo più. Bada alla salute. Tuo Bertrando 1 novembre. Questa mattina il tempo è cattivo; non so se parto. Ti scriverò. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
89. Omero Persiani.
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739 A Isabella Sgano Montenerodomo, 2 novembre 1876 Mia cara Isabella, Ieri dovevamo andare a Palena, per ritornarcene costì per la via di Lanciano, ma il tempo è stato pessimo e ci ha impedito di partire. Oggi nevica. Sicché partiremo il primo giorno che farà di buon tempo. Noi stiamo bene. Pensa a star bene tu e Mimì. Se domani farà buon tempo, partiremo subito. Insomma la partenza dipende dal tempo. Ti abbraccio con Mimì. Tuo Bertrando Guardatevi dai primi freddi. Fa i bagni freddi. SNSP, XXXI.D.7.2.
740 A Silvio Spaventa Montenerodomo, 4 novembre 1876 Mio caro Silvio, Quando riceverai la presente, tutto sarà già deciso e saprai ogni cosa. Ti scrivo nell’interesse di due ufficiali postali, miei elettori, che sono stati fortemente minacciati. Camillo Porreca di Torricella Peligna e Camillo Isacco di Palena. Non sarebbe bene di scrivere una lettera riservata al Barbavara,90 a fine di prevenire e impedire ogni danno che loro potrebbe esser recato dal Prefetto di Chieti? Anche l’agente delle tasse di Torricella è stato chiamato a Chieti ieri, alla vigilia del voto; avrebbe votato per me e non potrà votare! Spero di andarmene lunedì. Vincitore o vinto? Basta alla salute. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
90. Giovanni Barbavara conte di Gravellona (1813-1896), politico e senatore del regno d’Italia dal 1870.
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741 A Silvio Spaventa Palena, 9 novembre 1876 Mio caro Silvio, Finalmente stamane ho potuto partire da Montenero, dove sono stato imprigionato dalla neve (e dal freddo), ed ho saputo la tua sconfitta e la mia (se è sconfitta). Qua poi ho saputo il resto, cioè la rovina universale della Destra. Che devo dire? Povero paese! Ormai quasi tutta l’Italia è napoletanizzata; è diventata un quartiere Montecalvario. – Pensa a conservarti la salute. La vittoria della Sinistra è troppo fresca, perché sia vittoria vera. Io sto bene. Partirò di qui domani o dopodomani. Scrivo, che mi tremano le mani dal freddo; e non ho tempo di riscaldarmele perché la posta parte. – Ho letto l’Autobiografia, e le parole del Turco. Ti raccomando flemma. – Ho saputo qui la morte del povero Luigi91 e letto il tuo dispaccio! Ti scriverò da Lanciano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 36).
742 A Silvio Spaventa Napoli, 13 novembre 1876 Mio caro Silvio, Sono tornato ieri notte alle 11; e sto bene. Che devo dirti della elezione in Atessa, che tu non sai già, e meglio di me? Quanto a Gessopalena, te ne parlerò, se ne vale appena, a voce, quando verrò costà pel Consiglio: che non so pel quale giorno sarà convocato. Non ho bisogno di dirti quanto mi duole che tu non sei stato rieletto, ma mi sarebbe doluto molto di più, se fossi stato rieletto io solo; e me ne sarei quasi vergognato. Scrivimi subito, e dimmi come stai. E bada bene alla salute. Isabella e Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
91. Luigi Settembrini era morto a Napoli il 4 novembre 1876.
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743 A Silvio Spaventa Napoli, 28 novembre 1876 Mio caro Silvio, Sarò costà domani sera (mercoledì) alle 10 circa pel Consiglio. Scrivo a Filomusi,92 che venga alla stazione e mi faccia trovare pronta una stanza in qualche albergo. A rivederci dunque domani sera. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
744 A Silvio Spaventa Napoli, 15 dicembre 1876 Mio caro Silvio, Pensando e ripensando nella mia stanza da studio, fuori dall’impuro ambiente di Roma, io credo che a te non convenga più di rispondere dopo la dichiarazione fatta. Che diritto si ha d’interrogarti su certi giornali e nel modo che fanno e su certe cose, come si farebbe in un processo? Che dovere hai tu di rispondere a interrogazioni bugiarde? Questo modo corrisponde a quello tenuto col Bonghi e col Lanza. – Questo è il parere anche del Sornione. Ti raccomando dunque calma. Ieri sera ti parlai circa la faccenda dell’eredità dei nostri amici. L’avvocato ha persuaso l’erede di qui a non vendere niente; e mi ripete che sarebbe bene, che l’erede di costì faccia lo stesso, seguendo l’esempio dell’altro, e non ceda a stimoli momentanei. All’avvocato dorrebbe, se giovine come egli è, facesse uno sproposito. Eviti di vendere finché può, e, in ogni caso, non venda che secondo le condizioni convenute. Ma sarebbe sempre meglio non vendere. Scrivimi e dimmi come stai. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
92. Francesco Filomusi Guelfi (1842-1922), docente e politico italiano, studiò giurisprudenza a Napoli, dove seguì anche le lezioni di Bertrando Spaventa dal 1868 al 1870; divenne professore ordinario di filosofia del diritto a Roma dal 1873.
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745 A Silvio Spaventa Napoli, 22 dicembre 1876 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto più da 8 giorni, perché non avevo che dirti di nuovo, e avevo avuto buone notizie di te da Beneventano.93 Io sto bene, e se non son venuto di nuovo al Consiglio, la cagione è stata che mi sentiva stanco, e non me la sentiva di fare dopo una settimana che ero tornato, un altro viaggio per Roma. Sansonetti, 94 che è venuto a vedermi stamane, mi ha detto che sei in apprensione per me. Sta pure di buon animo quanto a me; e pensa tu alla tua salute e a essere tranquillo. Ripeto io sempre, che, ora più che mai, bisogna pensare a vincere, e a vincere e rimuovere dallo spirito ogni cagione di fastidio. Spero che il tuo miglioramento continui; e la medicina adoperata dopo la mia partenza e che non bisogna abbandonare più mai, basti a guarirti perfettamente. Così l’avessi presa prima! Ma del resto l’effetto è stato lo stesso; e ora è inutile pensarci più. Fammi sapere se parti e quando e per dove. In primo luogo dimmi come stai ora; e ti raccomando sempre sempre di badare a star bene. – Che devo dirti altro? Isabella e i ragazzi tanti saluti. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
746 A Silvio Spaventa Napoli, 29 dicembre 1876 Mio caro Silvio, Ti scrivo due righi per dirti che sto bene, e per chiederti tue notizie che non ho più da parecchi giorni. Dimmi come stai, e che ci è dell’elezione. Spero che il dolore al cuore ti sia cessato. Non ho altro a dirti. Pensa a star bene, e tranquillo. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
93. Giuseppe Luigi Beneventano (1840-1934), uomo politico siciliano, esponente delle Destra storica. Fu deputato nel parlamento del regno d’Italia nella XII legislatura e senatore dal 1908. 94. Vito Sansonetti (1839-1896), giurista e professore universitario a Napoli e a Roma.
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747 A Silvio Spaventa Napoli, 10 [gennaio] 1877 Mio caro Silvio, Non ho più tue notizie da una diecina di giorni: le ultime me le ha date Tommasi. Spero che stii bene. Però scrivimi due righe. Sto con un po’ d’infreddatura alla testa; ma è cosa da nulla, e con un po’ di sudore passerà. Te ne scrivo perché se lo saprai da qualcuno, non t’imagini chi sa che cosa. Mi figuro che cosa faranno costoro di te a San Arcangelo.1 Anche più che ad Atessa? Ti mando per la posta parecchi biglietti da visita indirizzati a te qui, da qualche giorno. Scrivimi. Isabella coi ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
748 A Silvio Spaventa Napoli, 12 [gennaio] 1877 Mio caro Silvio, Ti scrivo subito per farti sapere che il raffreddore è cessato quasi del tutto; ma ieri mattina ricomparve la podagra: la quale però è molto mite, e, dalla pratica che ne ho, credo che non durerà molto. Del resto sto bene; e non è più cosa da pensarci più che tanto. Ciò che m’importa è che tu stii bene, e tranquillo, e che non lavori colla fantasia. Devo ripetere cose che ti ho detto altre volte? Abbi pazienza; e lascia funzionare la mente; 1. A Sant’Arcangelo, i fautori di Silvio si ostinarono a mantenere la sua candidatura (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 147).
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e niente altro; quest’orgia di bricconi, di impostori, di pusillanimi, di vigliacchi, d’ignoranti e di quanto vi ha di peggio ora in Italia, passerà; e tu disprezza, come fo io, tutta questa canaglia: e se non passerà presto, tanto peggio per chi si sia. Che dovere ho io, uomo dabbene, onesto, virtuoso, di farla gioire di più coll’affliggermi inutilmente? Piuttosto mi concentro in me stesso, e accumulo forza, e aspetto il momento di colpirla come si merita. Per carità dunque ti raccomando la tranquillità d’animo; e te ne prego anche per me. Devo dirti di più? Hai fatto bene a scrivere al Codronchi2 di ritirare il tuo nome se le cose stanno come mi scrivi. Scrivimi. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 36).
749 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 14 gennaio 1877 Mio caro Camillo, Sono stato e sto ancora poco bene e perciò non ti ho risposto subito. Prima un raffreddore alla testa; e poi di nuovo la podagra, da tre giorni. E l’ebbi anche a Gragnano in Agosto e Settembre. Però è molto mite, e finora – da 12 anni oramai – è stata sempre semplicemente podagra. Era naturale che non potendo io più – almeno per ora – venire sino costà a mangiare le mortadelle con te, tu ne mandassi a Napoli. Isabella i ragazzi e io te ne ringraziamo tanto tanto tanto. Sebbene io non ti abbia scritto da un pezzo – dal mese di Luglio per San Camillo – ho chiesto e avuto sempre notizie di te. So che stai bene in salute. E la salute ora, in questi tempi, è la prima cosa. Silvio sta bene. Parla sempre di te, e ultimamente rileggeva il tuo Dopo la laurea.3 Che devo dirti altro? L’altro è tanto, così infinito, che non saprei né dove cominciare né dove finire. Dunque taccio: De infinito nihil. Isabella sta così così: tira avanti. E lascio queste due altre pagine vuote. Tu sai che io ti amo sempre lo stesso, ti scriva o non ti scriva, lungamente o brevemente. A tempi migliori! Saluti da Isabella a Millo e Mimì. Riverisco la Signora Ippolita.4 Ama il tuo sempre Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
2. Giovanni Codronchi Argeli (1841-1907), politico, prefetto di Milano e di Napoli; deputato nel parlamento del regno d’Italia nelle legislature XI-XVI. 3. De Meis, Dopo la laurea. 4. La contessa Ippolita Patellani.
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750 A Francesco Fiorentino Napoli, 14 [gennaio] 1877 Mio caro Fiorentino, Finalmente! Dirai tu; e non se ne vergogna! Che faccia tosta! – Hai ragione; dì di me e contro di me tutto quello che vuoi – tanto male quanto finora ne hai detto bene – chiamami anche Luciani, 5 Nicotera; ho torto, torto, torto; merito tutti i rimproveri, tutti i gastighi; scudisciate, mazzate… Sei contento? Più mi abituo a vivere, e più mi ci imbroglio a risolvere un caso di coscienza – psicologico, non morale – che mi è accaduto più volte. Ci vuol tanto a scrivere una lettera a un amico, a un amico come te e Camillo6 per esempio (o non per esempio, perché l’esemplificazione suppone una moltitudine più o meno infinita di individui, e nel fatto mio o nostro, gli individui sono rari, pochissimi), quando si è abituati più o meno a scrivere, e si ha più o meno la testa piena di idee e il cuore di affetti, e vivissima voglia di dire ciò che si pensa e si sente? E pure a me è avvenuto, non sempre in verità, ma spesso, tutto il contrario. L’esempio dell’acqua che non scorre dalla bottiglia a un tratto capovolta, non mi capacita. Io mi son messo in tutte le posizioni possibili, dalla orizzontale gradatamente alla verticale; niente, niente, niente: dalla mia bottiglia piena non è uscita fuori né anco una goccia. Sono due mesi che rispetto a te, mio caro Fiorentino, mi trovo in questa condizione. Ogni giorno dicevo: scrivo, devo, posso, sono in grado di scrivere a Fiorentino: dunque scriviamo. Ma il dunque restava lì, nella mia testa, nella più riposta camera del cervello, e non passava nelle dita della mano diritta. Che razza di libertà è questa che diciamo di avere noi, uomini! Io mi sono accorto – troppo tardi – che mentre io dicevo risolutamente dunque, un altro potere – forse il vero potere – certamente logico del pari, inconscio nell’atto suo e che se non è quello stesso me medesimo è in me di certo più forte di me, conchiudeva con un dunque opposto, con un no, dove io diceva sì. Che imbroglio, ripeto, è questo? Cosa sono io? Sono Io, o non Io? Davvero, non Io, in quanto sono Io? Due dunque due logiche? Ci perdo la testa; e per non perderci anche la carta, fo punto. Metto da parte la psicologia. Il vero è che da parecchi mesi sono stato un po’ bene e un po’ male. Ho avuto due volte la podagra a Gragnano; poi sono andato in Abruzzo a farmi sconfiggere da Brescia Morra; poi sono corso a Roma a seccarmi ed ammalarmi; e ora che ti scrivo ho un raffreddore al capo da quasi due settimane, e da tre giorni da capo la podagra. Però il raffreddore accenna di finire, e la podagra è piuttosto mite. – Tutto ciò, capisco, non spiega nulla; non equivale né anche alle circostanze attenuanti; ma che vuoi che ci faccia io? Il fatto è quel che ti ho detto. Godo che studii, lavori, e vivi ritirato dal mondo. Così il mondo non ci fosse (che bestemmia in bocca d’un hegeliano!), o fosse diverso da quello che è! In verità, ora è troppo; potrebbe essere un po’ migliore, voglio dire meno cattivo o pessimo di quello che è. Anch’io il mondo lo so, in quanto lo vedo e non posso non vederlo; ma quantunque mi si muova dattorno e faccia rumore, ne sono lontano da un pezzo, e non me ne curo. Si buggeri, dico io; e giacché non vi è via di raddrizzarlo, faccia il comodo suo. 5. Luciano Luciani (1829-1894), avvocato e politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla XV alla XVIII legislatura. 6. Angelo Camillo De Meis.
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Basti per oggi. Vedo che sei persuaso più di me stesso, che se io non ti scrivo, non ci è da pensar male. Sempre idem sono io, anche se taccio per un secolo. Anzi, quando non parlo, sono, se posso dire così, più io, più me stesso cogli amici, coi pochi amici che ho. Assolvimi dunque ora, e sempre. Isabella sta così così, ora non bene, ora benino: si tira avanti. Silvio sta bene, e mi scrive spesso. Guerra più spietata di Atessa a San Arcangelo contro di lui. È naturale. Tante cose alla Tuta e alla Marianna, 7 e ai bimbi. I miei tutti ti salutano. Ama sempre Il tuo Bertrando Rileggerò la tua lettera, e spero di poterti scrivere ancora fra poco. BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 18 (inedita).
751 A Pietro Siciliani Napoli, 15 [gennaio] 1877 Mio caro Siciliani, Ricevei il tuo libro8 il giorno prima della lettera di auguri. Grazie e di quello, e di questi, e delle gentili e poetiche reminiscenze di Castellammare e Gragnano. Ma il libro è giunto in un cattivo momento: l’anno novo mi ha visitato con un forte raffreddore al capo – proprio al capo –, e da quattro giorni ha fatto interloquire anche la podagra. Ho dovuto dunque mettere sotto chiave a dormire il libro; giacché un dialogo tra il raffreddore, la podagra, me e la filosofia zoologica non mi è parsa una cosa fattibile né conveniente; tu stesso, maestro nell’arte, non potresti né vorresti farlo. Libererò il prigioniero, quando i due molesti ospiti mi avranno lasciato in pace; e mi sforzerò di fargli gli onori di casa seriamente, funditus, dalla prima all’ultima pagina. Ma dopo che l’avrò letto, potrò io dartene un giudizio che abbia un vero valore? Che ne so io di zoologia? È vero che io sono uno dei tuoi interlocutori, indegnamente seri, ma questa è una tua insinuazione poetica (non dico zoologica), e il mio giudizio per essere un vero e reale giudizio dovrebbe essere non imaginato ma pensato. Ora qui è la gran difficoltà: come si fa a pensare ciò che non si conosce? Né anche un hegeliano può fare di questi miracoli; e gli hegeliani, anche a parer tuo, ne han fatti tanti, che il mondo finalmente e giustamente gli ha messi alla porta. – Sia pace all’anima loro, se non alle loro ossa! Pur nondimeno non ti dico assolutamente di no. Qualcosa te ne dirò alla meglio, spropositando. Sei contento? È contenta la Cesira?9 Alla quale non rispondo ora con una lettera particolare anche a lei; per tante ragioni. Primo: il raffreddore e la podagra, rozzi 7. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 8. Pietro Siciliani, La critica nella filosofia zoologica del XIX secolo. Dialoghi, Napoli, Morano, 1876. 9. Cesira Pozzolini.
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consiglieri e ispiratori in una lettera a una Signora. Secondo: scrivendo a te, presumo di scrivere e rispondere anche a lei. È vero che marito e moglie sono due persone distinte; con propri attributi e diritti, come anima e corpo sono due sostanze; ma noialtri filosofi – almeno gli Hegeliani – miriamo innanzi tutto o dopo tutto all’unità; e spero che questa volta almeno saremo tutti d’accordo, in questo caso particolare, la Cesira, tu ed io; e che per conseguenza io e voi, contemplati da me in un ente solo, invece di biasimo mi darete lode. Buoni auguri anche a voi: ai due enti in uno. Se vedete De Meis, tanti saluti. Gli ho scritto iersera due righi. Affezionatissimo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
752 A Silvio Spaventa Napoli, 17 [gennaio] 1877 Mio caro Silvio, Ti scrissi il giorno 12, subito dopo aver ricevuta l’ultima tua del giorno innanzi, che era una risposta a una mia del 10, nella quale ti diceva che avevo un raffreddore da parecchi giorni. In quella del 12 ti diceva che il raffreddore era quasi svanito, ma era ricomparsa la podagra; però mite. Non avendo avuto alcuna tua dopo questa mia, non so cosa pensare. L’hai ricevuta? E dimmi come stai. Il figlio di De Feo mi reca ora questa che ti accludo di suo padre. E io te la mando. Scrivimi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
753 A Silvio Spaventa Napoli, 20 [gennaio] 1877 Mio caro Silvio, La podagra è quasi scomparsa, e stamane sono andato a fare la lezione all’università. Non so ancora quando ci sarà il Consiglio di questo mese. Sta tranquillo e di buon umore. Isabella e i ragazzi tanti saluti. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
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754 A Silvio Spaventa Napoli, 31 [gennaio] 1877 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (Giovedì) alle 9 ¾ pel Consiglio. Ho scritto a Filomusi per una camera, e di venire alla stazione. Spero di poterti vedere domani sera. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
755 A Silvio Spaventa Napoli, 26 febbraio 1877 Mio caro Silvio, Eccoti lo scritto che mi chiedi: 10 almeno mi pare che sia quello che desideri; e non ho trovato altro tra le mie carte. Giudica tu se ti conviene di pubblicarlo, anche in parte. È di circa 30 anni fa e, nella quasi universale ignoranza ora delle cose di Napoli e d’Italia di quel tempo lì, avrebbe bisogno di qualche commento. Perfino quel sentimento profondo della legge che ci domina – sentimento che per me è il vero spirito liberale etc. – potrebbe nello stesso presente dei cervelli italiani essere mal capito. Figurati per la confessione di federalismo! Nel 1852, e innanzi ai giudici del Borbone. Del resto, vedi te, ripeto. Il Consiglio, come fu stabilito, dovrebbe adunarsi il 2 di Marzo o il 3. Ma finora non ho ricevuto il solito avviso. Forse l’avranno differito. Verrò quando sarò chiamato. Sto bene. Vedremo cosa faranno i Bergamaschi! 11 Giorni fa ti mandai un giornale di qui col celebre discorso sui briganti che siamo noialtri! Isabella e i ragazzi ti salutano. Bada alla salute. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 36-37).
10. Si trattava del discorso recitato da Silvio di fronte ai giudici, in propria difesa, prima della sentenza di condanna a morte, pronunciata l’8 ottobre 1852, dopo otto tornate e dopo diciannove ore di deliberazione. Il discorso, come lo stesso Silvio riferisce, fu raccolto da Enrico Pessina (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 148) e fu riportato in S. Spaventa, Dal 1848 al 1861, pp. 121-125. 11. Non eletto nel consueto collegio abruzzese di Atessa (cfr. lettera 742), Silvio avrebbe accolto l’invito del comitato moderato di Bergamo, presieduto dal senatore Camozzi, a candidarsi in quel collegio, dove fu eletto il 4 marzo 1877 (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 148).
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756 A Francesco Fiorentino Roma, 5 marzo 1877 Mio caro Fiorentino, Pochi righi per dirti che ho ricevuto la tua, e che sono vivo. Ti scriverò da Napoli, dove ritornerò domani. Ho da dirti tante cose; ma sono un poltrone e merito tutti i rimproveri che tu mi fai o m’imagino che mi possa fare. Silvio ti saluta e ti dice tante cose. Sai il ballottaggio a Bergamo. 12 Il Barone di San-Biase13 farà il possibile – il suo possibile – per non farlo riuscire. Faccia, finché può. Dunque ti scriverò da Napoli. Saluto la Tuta,14 i bimbi e la Marianna. 15 Da più giorni ho dolore allo stomaco. Pazienza! Tuo sempre B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 14 (inedita).
757 A Silvio Spaventa Napoli, 7 marzo 1877 Mio caro Silvio, Non ho trovato i numeri della Gazzetta di Torino, per quante ricerche abbia fatto; invece mi è capitato tra le mani un articolo di Zerbi della stessa epoca, che non ho creduto di dover mandare direttamente al Camozzi; 16 e lo mando a te per la posta raccomandata. Leggo che mandano anche il Bolis a Bergamo. Perché non va a dirittura Lui, anzi tutti il Consiglio dei Ministri? Forse m’inganno, perché non ho la sapienza politica dei Dina e superiori e inferiori; ma a me pare che abbia perso la testa. Speriamo che pel bene d’Italia smetta i piccoli difetti che ha, e finalmente si educhi e istruisca e disciplini in modo da corrispondere e soddisfare i desideri di quanti amano la prosperità, la grandezza e la gloria del nostro paese in generale e di Napoli in particolare. Vittorio17 qui presente ti saluta. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
12. Cfr. lettera precedente. 13. Giovanni Nicotera. 14. Restituta Trebbi. 15. Marianna Trebbi. 16. Giovanni Battista Camozzi-Vertova (1818-1906), medico e patriota italiano, senatore del regno d’Italia dal 1860. 17. Vittorio Imbriani.
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758 A Silvio Spaventa Napoli, 12 marzo 1877 Mio caro Silvio, Ebbi iersera tardi il telegramma, e dubitavo già… Non ti scrissi, perché non ebbi tempo. Del resto, che devo dirti? Qui l’elezione 18 tua ha fatto furore, forse troppo, come avrai visto dal telegramma che t’hanno spedito e che ho letto sulla Gazzetta di Napoli di oggi. Feci fare ieri sera stesso per stamane un telegramma dal De Petra19 al Ferri [ad] Atessa con preghiera di spedire un corriere a Bomba. Ora, bada alla salute, e sii tranquillo. Ho incontrato stamane per via il buon De Filippo. Figurati come è contento. Isabella e Millo e Mimì tante cose. Tuo Bertrando Scrivimi, se hai tempo. È degno di nota l’articoletto di stamane dell’Opinione sulla tua elezione! SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
759 A Silvio Spaventa Napoli, 3 aprile 1877 Mio caro Silvio, Filomusi mi ha detto che verrai a Napoli Sabato o Domenica prossima. Sarebbe bene che mi facessi sapere a tempo il giorno e l’ora precisa del tuo arrivo. Non ti pare? Il Consiglio che doveva adunarsi il 9, è stato differito. Se parti Sabato sera, devi scrivermi venerdì sera. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
18. L’elezione di Silvio nel collegio di Bergamo il 4 marzo 1877. 19. Giulio De Petra.
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760 Al Segretario del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione Roma Napoli, 4 aprile 1877 Pregiatissimo Signore, Eccole la relazione sui tre postulanti del Ginnasio di Nicastro, e i documenti relativi. Quanto al Polinelli, lui sa che la sua istanza e documenti furono mandati a me il 6 Marzo per posta; e il Consiglio non si è più riunito dal 5 dello stesso mese. Sono colla massima stima di Vostra Signoria Devotissimo B. Spaventa BCF, Carte Piancastelli, Ba 13 (inedita).
761 A Pasquale Del Giudice20 Napoli, 6 aprile 1877 Mio caro Del Giudice, Rispondo subito alla tua lettera. Io non so nulla del tramestio, di cui tu mi parli; e questa ignoranza fa onore alla mia qualità di presidente: vero de inter etc. Non ho visto alcuno, né ho ricevuto lettere da alcuno. Non sono dunque in grado di dare a te niuna informazione o chiarimento di fatto. Persisto nella mia opinione, che l’articolo 69 sia l’articolo 69;21 quello che è e non già quel che non è, quello che dice e non già quello che non dice: logica formale, non hegeliana. Lasciamo pure l’assurda logica hegeliana sbizzarrirsi nella teoria, dove non fa male a nissuno; e nella pratica serviamoci della buona e vecchia logica, che ci fa arare diritto e schivare molti inconvenienti, per non dire ingiustizie. Sentenzia come un Catone: e in verità se nella storia del mondo Catone ebbe torto marcio contro Cesare, avrebbe ora se ritornasse al mondo, nella cronica della Pubblica Istruzione d’Italia mille ragioni contro i nostri Cesari posticci, che si sono divertiti a stiracchiare e violare la legge a nome di una teodicea non meno posticcia ed effimera dell’esser loro. Scusa la digressione e la pedanteria. Tu temi che qualcuno della Commissione, movendo da criteri diversi, non abbia a produrre discrepanza di pareri, che potrebbe arruffare la matassa. Capisco; ma come ci si rimedia? Da parte mia io non posso far nulla: forse voi altri avreste potuto mettervi di accordo prima tra voi. Ma mi pare che ora non ci sia più tempo. – Quanto a M confermo ciò che ti dissi a Roma. Saluto il Professore D’Ercole e sono B. Spaventa Contro l’ontoteodicea dei nostri Cesari positivisti, che da un pezzo in qua si divertono a stiracchiare e violare la legge. SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
20. Pasquale Del Giudice (1842-1924), giurista, accademico e politico italiano, fu senatore del regno d’Italia dal 1882 e membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione dal 1895 al 1898. 21. Della legge Casati (cfr. lettera 773).
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Epistolario
762 A Francesco Fiorentino Napoli, 22 aprile 1877 Mio caro Fiorentino, Sono tornato iersera da Roma, e ho trovato a casa le bozze,22 che ho letto subito e ora ti spedisco. Bene, bene, bene. Sei stato di una gentilezza incomparabile con Pietro Buccione, che per quanto linceo sia, è pur sempre il nostro carissimo Buccione. Saluti etc. Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 15 (inedita).
763 A Silvio Spaventa Napoli, 27 aprile 1877 Mio caro Silvio, Ho dato stamane la tua lettera al Morelli; il quale ha promesso di accogliere i tuoi bergamaschi con tutta la cortesia di cui è capace. Lessi il tuo discorso.23 Va benissimo. Poi a Roma ti dirò le mie impressioni. Io verrò costà il 6 o il 7 di Maggio. Sto bene. Isabella, Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando 28 Aprile Riapro la lettera: iersera non sono giunto in tempo a impostarla. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
22. Forse di uno degli articoli di Fiorentino che uscirono sul «Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche», VI (1877). 23. Il 17 aprile del 1877, dopo l’elezione come deputato, Silvio Spaventa aveva pronunciato a Bergamo il discorso Il primo anno di governo della Sinistra.
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764 A Silvio Spaventa Napoli, 5 maggio 1877 Mio caro Silvio, Verrò costà lunedì mattina. Ho scritto a Labriola e Filomusi per la camera. Credo che non sarà tanto facile trovarla per causa dei Pellegrini. Dunque a rivederci presto. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
765 A Francesco Fiorentino Roma, 16 maggio 1877 Mio caro Fiorentino, Partirò domani mattina (sabato) alle 8 e sarò costà – per la Maremmana – alle 7 di sera. Naturalmente ti aspetto alla stazione. Saluto la Tuta 24 e tutti di casa. Di fretta. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 93 (inedita).
766 A Silvio Spaventa Napoli, 29 maggio 1877 Mio caro Silvio, È giunta per la posta questa lettera diretta a te, che io ho aperta senza guardare la soprascritta. A marzo te ne mandai un’altra dello stesso autore. Io sto bene. Non ti parlo di politica, perché… non saprei di dove cominciare né dove finire. Fa di star bene. Ci rivedremo alla metà di Giugno. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
24. Restituta Trebbi.
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Epistolario
767 A Francesco Fiorentino Napoli, 3 giugno 1877 Mio caro Fiorentino, Il Galasso (non fare il punto interrogativo, né ricordare il sonetto: Iddio pria di crear chiamò… e costui chiamò…) ti manderà un suo libro recentissimo.25 Accoglilo cortesemente e benevolmente. Poi ti dirò – quando ci rivedremo – il come e il perché. Domani andrò a Castellammare colla famiglia. Sarò a Roma il 9 e mi tratterrò 3 giorni. Prima di venire a Napoli, scrivimi e dimmi il giorno del tuo arrivo. Saluto la Tuta26 e tutti. Di fretta. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 94 (inedita).
768 A Silvio Spaventa Napoli, 3 giugno 1877 Mio caro Silvio, Si reca in Roma il giovine Domenico Cerella di San Buono (ex elettore del nostro Castelli), che io conosco da parecchi anni, e ti presentai nell’ultima tua nomina in Napoli. Desidera farti una visita e parlarti di alcune sue cose, e io l’accompagno di buon grado con questi pochi righi di lettera. Pensa a star bene. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
25. Antonio Galasso, Del criterio della verità nella scienza e nella storia secondo G. B. Vico, Milano, Hoepli, 1877. 26. Restituta Trebbi.
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769 A Silvio Spaventa Napoli, 9 giugno 1877 Mio caro Silvio, Verrò lunedì mattina. Scrivo a Labriola e Filomusi per una camera. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
770 A Silvio Spaventa Napoli, 23 giugno 1877 Mio caro Silvio, Non ho potuto dire di no a scriverti questa lettera. Il maestro di musica di Mimì – Signor Antonio Orsini disgustato di Napoli e incoraggiato da alcuni Inglesi a cui ha dato lezione – alla fine del mese lascia questa bella città e se ne va a Londra. Desidera qualche lettera di raccomandazione. Se non sarà possibile per qualche inglese di gran valore – almeno per qualcuno dell’ambasciata italiana, sia anche Sua Eccellenza in persona il generale Menabrea. L’Orsini è un uomo serio, di buoni costumi, di poche parole, e non pare punto napoletano. È stato altra volta a Londra, e sa l’inglese. Già alunno di San Pietro a Maiella,27 conosce benissimo il contrappunto e la composizione, e il maneggio di tutti gli strumenti musicali e massime del pianoforte. Fu per circa 6 anni soldato e diresse la banda del suo reggimento (s’intende dopo il 1860). Potresti tu stesso scrivere due righi al Menabrea, o qualche altro; far scrivere dal Massari, o anche da Sua Eccellenza Minghetti? Vedi fin dove arrivano le esigenze mie! Del resto niente di più naturale, che un italiano che va a Londra chieda raccomandazioni per rappresentanti del suo Governo colà. Difficile, credo, sarà aver lettere per qualche inglese. Massari forse potrebbe farla. – Sia come si sia, l’Orsini parte alla fine di questo mese; e la risposta a questa mia, tu dovresti farmela – affermativa o negativa, con o senza lettera di raccomandazione – piuttosto subito, cioè prima che finisca l’entrante settimana. Ho preso il casino, non a Portici, ma sulle colline di Castellammare: non Quisisana, sede di ministri, ma un luogo non meno bello e di bellissima vista. Mi costa un po’; ma con questo piccolo sproposito – primo e ultimo – celebro il mio giubileo anch’io da me medesimo, ché tra due altri giorni compio 60 anni! E l’ho preso, perché voglio che tu ci venga, e ci starai benissimo. Io poi ho bisogno di quelle acque, e Mimì e Millo e Isabella di aria buona; etc. Ci andremo ai primi di Luglio. E tu non devi far altro che avvisarmi un 27. Il conservatorio di San Pietro a Majella, istituto superiore di studi musicali fondato a Napoli nel 1808. È situato nel centro storico della città, nell’ex convento dei Celestini annesso alla chiesa di San Pietro a Majella.
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Epistolario
paio di giorni prima, quando vuoi venire. Ma di ciò parleremo meglio poi, fra giorni. Ci è da star bene e comodamente. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
771 A Silvio Spaventa Scansano (Castellammare di Stabia) Villa De Rosa, 7 luglio 1877 Mio caro Silvio, Siamo venuti qui l’altro ieri, e ci si sta bene. Sento da Labriola che sei stato poco bene. Io verrò costà lunedì mattina; e tu intanto fa le valigie che ce ne torneremo insieme. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
772 A Francesco D’Ovidio Castellammare, 9 agosto 1877 28
Mio caro D’Ovidio, Grazie della tua lettera. Mi rincresce ciò che mi dici sul buon Goffredo; l’unica nostra speranza è nel Barberis. A Camillo29 tante cose, anche da parte di Silvio, il quale ti risaluta. Stiamo piuttosto bene; e io mi apparecchio fin da ora a celebrare il secondo Giubileo, al quale invito formalmente tutti voi altri. Verrete se potrete. Grazie dell’opuscolo, che non ho ancora ricevuto. Tuo affezionatissimo B. Spaventa BSNS, Fondo D’Ovidio, C. 1 (inedita).
28. Francesco D’Ovidio (1849-1925), filologo e critico letterario, dal 1876 professore di storia comparata delle lingue neolatine all’Università di Napoli; dal 1905 senatore del regno d’Italia. 29. Angelo Camillo De Meis.
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773 A Francesco Fiorentino Castellammare, 9 settembre 1877 Mio caro Fiorentino, Rispondo con gran ritardo alla tua lettera, e la causa è la poltroneria. Oramai ho scoperto la legge: il ritardo nella risposta che devo fare è in ragione diretta dell’importanza, del numero delle lettere e del tempo che passa. Che te ne pare? È una legge come un’altra, come per esempio quella del Fechner, 30 e meriterebbe di essere presentata ai Lincei: non sarebbe inferiore di pregio alla scoperta della Ciconia. Mi rallegro che stai bene colla Tuta 31 e tutti di famiglia. Divertiti ora. A te raccomando di lavorare poco, di fare molto moto, specialmente dopo pranzo. Bisogna pensare alla salute. Anch’io sto bene coi miei. Sapevo della comparsa dell’articolo del frate,32 ma non so né mi curo di sapere cosa sia. Gli auguro le simpatie dei canonici Pompei, di Lilla, e compagni. L’affare di Angiulli non va bene. 33 Il D’Ercole34 e il Bonatelli hanno risposto, come sai favorevolmente in conclusione; ma il Ferri, il mite e ciconioso Ferri, ha detto naturalmente no. Come si fa? Anche se tu sarai favorevole, è un brutto guaio sempre la negativa di Pietro Buccione, perché può fare impressione nell’animo dei miei Colleghi del Consiglio. Se vedrò il Ferri a Roma, vedrò di indurlo a più equi consigli. – Mi mandi anche il suo parere sul concorso di Torino, negativo quanto all’applicazione dell’articolo 69.35 Gli parlerò anche di questo. Tu potresti fare ciò che ha fatto il Bonatelli che ha detto: proporrei il Tocco se non fosse molto giovine; ma se i miei colleghi lo propongono, eccomi qua. Se il Ferri si inducesse a dire di sì anche lui! Silvio andò a Montignoso dal Giorgini. Era incerto se andare prima a Pallanza o a Bergamo; e io non so ora dove sia; che non mi ha scritto più. Andrò a Roma pel 13. Forse ti scriverò di colà, dopo aver visto il Ferri. Tante cose alla Tuta e a tutti tutti di casa, compreso Pasquale 36 e tuo Padre Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 16 (inedita).
30. Gustav Theodor Fechner (1801-1887), psicologo e statistico tedesco, fondatore della psicofisica; nel 1860 ritenne di aver individuato un’equazione in grado di quantificare esattamente il rapporto tra stimolo fisico e sensazione (rapporto tra anima e materia), detta “formula di Fechner”. 31. Restituta Trebbi. 32. Probabile allusione all’articolo di Terenzio Mamiani sul libro di Francesco Fiorentino, Elementi di filosofia ad uso dei licei, Napoli, Morano, 1877 (cfr. lettera 780). 33. Si tratta della nomina a professore ordinario di pedagogia all’Università di Napoli, avvenuta dopo l’incarico all’Università di Bologna. 34. Pasquale D’Ercole (1831-1917), filosofo e docente di filosofia teoretica dal 1862 all’Università di Pisa e dal 1878 in quella di Torino. 35. Secondo quanto previsto dal Capo III del Titolo II dell’articolo 69 della legge Casati, il ministro avrebbe potuto proporre senza concorso la nomina a professore per persone di chiara fama «per opere, per iscoperte, o per insegnamenti dati». 36. Pasquale Fiorentino.
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Epistolario
774 A Luigi Barbera37 Castellammare, 11 settembre 1877 Mio caro Barbera, Ho ricevuto la tua lettera. Verrò costà giovedì mattina alle 6 circa. Se ti facessi trovare alla stazione, mi faresti un gran favore. Affezionatissimo B. Spaventa BNB, Carteggio Barbera, 48 (inedita).
775 A Silvio Spaventa Roma, 13 settembre 1877 Mio caro Silvio, Sono arrivato qui stamane. Non risposi alla tua lettera, perché non sapevo bene indirizzare la risposta, se a Pallanza o a Bergamo, e anche forse per poltroneria. Ora so da Federico 38 che sei già a Bergamo, e che stai bene. Però Giorgini mi dice che hai sofferto ai denti. Come stai ora? Io sto bene. Ma nei giorni scorsi ebbi la solita crisi allo stomaco; credo per cagione del sudore e dell’acqua acidula. Non so quanti giorni mi tratterrò ancora qui; forse qualche giorno di più, perché abbiamo da discutere parecchi progetti di regolamenti. Fammi sapere quando tornerai qui. Io ti scriverò di nuovo quando partirò di qui. Bada alla salute. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
37. Luigi Barbera (1829-1904), matematico e filosofo, professore di filosofia all’Università di Bologna. 38. In questa e nelle successive occorrrenze potrebbe trattarsi del già menzionato Federico De Laurentiis, ma il contesto non permette di confermarne l’identità.
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776 A Silvio Spaventa Castellammare, 23 settembre 1877 Mio caro Silvio, Dalla tua lettera a Federico credo che a quest’ora sei per tornare a Roma e perciò ti scrivo. Ti scrissi già da Roma appena arrivato. Spero che stii bene. Io anche sto bene, e resterò qui finché ci potrò stare. Finora, non ostante qualche giorno di pioggia, non fa né freddo né umido. Sono rimasto quasi solo: tutti i gran villeggianti sono partiti: la famiglia di Sua Eccellenza è venuta a fare la seconda villeggiatura a Portici. Il buon Antonacci è morto l’altro ieri; e oggi la famiglia parte per Trani. Ci rivedremo alla metà di Ottobre. Lasciai il tuo soprabito a Federico; e mi dimenticai di portare la maglia di lana. Se ti servono ora, te la manderò subito; se no, te [la] porterò quando verrò. Saluto Federico. Isabella i ragazzi ti salutano. Bada alla salute. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
777 A Francesco Fiorentino Castellammare di Stabia, 8 ottobre 1877 Mio caro Fiorentino, Mandami subito il tuo parere sull’Angiulli,39 perché tra giorni si riunirà il Consiglio, e io devo fare la mia relazione. Il Ferri che vidi in Roma nel mese passato, non ha acconsentito a mostrarsi più mite: dice che l’Angiulli non ha presentato nulla in pedagogia, eccetto alcune generalità che non hanno molto valore. Similmente: fa molta stima di Tocco, ma non crede che gli si possa sic et simpliciter applicare l’articolo 69. Ho fatto dunque fiasco completo col nostro amico Pietro Bucio y Ciconia! Mi tratterrò ancora qua qualche altro giorno. E tu? Se saprò il giorno del tuo arrivo a Napoli, ti verrò a rivedere. Silvio è ritornato a Roma da una settimana. Saluto la Tuta 40 e tutti tutti di casa e sono sempre Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 17 (inedita).
39. Cfr. lettera 773. 40. Restituta Trebbi.
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Epistolario
778 A Silvio Spaventa Castellammare, 16 ottobre 1877 Mio Caro Silvio, Verrò Giovedì mattina alle 6 ½. Se potessi avvisare Federico di venire alla Stazione, faresti bene. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
779 A Silvio Spaventa Napoli, 17 novembre 1877 Mio caro Silvio, Verrà lunedì mattina. Scrivo a Labriola perché venga con Filomusi alla stazione. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
780 A Francesco Fiorentino Roma, 22 novembre 1877 Mio caro Fiorentino, Mi è dispiaciuto il caso di Pasqualino; 41 spero che stia ora meglio. L’intrigo di cui tu mi parli mi ha messo di cattivo umore. Aspetto il parere del D’Ercole.42 Ti scriverò su ciò lungamente da Napoli. Ora non me la sento. Silvio sta bene e ti saluta tanto e naturalmente – questo lo dico io – aspetta il bariletto. Dunque via Turbiglio,43 Bertinaria, e Barzellotti!44 Tanti saluti alla Tuta 45 e a tutti di casa.
41. Pasquale Fiorentino. 42. Per la nomina di Andrea Angiulli a professore ordinario a Napoli (cfr. lettere 773 e 777). 43. Sebastiano Turbiglio (1842-1901), filosofo e politico, docente universitario; deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla XV alla XIX legislatura. 44. Giacomo Barzellotti (1844-1917), filosofo e politico, docente universitario; senatore del regno d’Italia dal 1908. 45. Restituta Trebbi.
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Saluto Tocco, sul quale anche ti parlerò da Napoli. Scusa la fretta e ama sempre Il tuo Bertrando Hai letto l’articolo del Mamiani sui tuoi Elementi?46 E l’apologia di Ferrari47 (ingegno critico eminente) sulla Revue del Ribot?48 Credendo che il Betti49 partisse subito, scrissi iersera questi pochi righi. Ora mi continua il cattivo umore. Leggo nell’Opinione di stamane un articolo apologetico sul Bertinaria; il quale – secondo lo scrittore, Ferri o Turbiglio o Bertinaria stesso – introdusse in Piemonte la filosofia tedesca, sforzandosi di conciliare Hegel e Krause! E ciò 25 anni fa; quando per poco non crocifissero me, accusato di Hegelismo etc. Che imbroglioni! Aspetta un’altra mia da Napoli. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 97 (inedita).
781 A Francesco Fiorentino Napoli, 30 novembre 1877 Mio caro Fiorentino, Poche parole; non ho ancora tempo di scriverti la lunga lettera promessa da Roma. E ciò che ti dico resti tra noi; e non dirne niente ad alcuno. Tornato qua trovai la Nota ministeriale sul Bertinaria, e una lettera di Bonatelli, che si confessa imbarazzato, e vuol consiglio da me. Gli rispondo; e interpreto il suo imbarazzo come un parere; giacché l’articolo 69 non ammette imbarazzi; 50 e gli ricordo la proposta da lui fatta del Tocco.51 – Bonatelli e te = 2. Se io mi accodo a voi, siamo 3. Sarebbe il caso allora, secondo le istruzioni ministeriali, di convocare la Commissione a Roma o altrove. Il Ferri già propone il Bertinaria; il quale mi ha mandato il suo Commento al Wronski.52
46. Fiorentino, Elementi di filosofia; l’articolo si trova nella rassegna bibliografica della rivista di Mamiani «La filosofia delle scuole italiane», anno VIII, XV (febbraio 1877), pp. 241-249. 47. Giuseppe Ferrari (1811-1876), filosofo, storico e politico. Deputato del regno d’Italia dall’VIII all’XI legislatura, fu nominato senatore nel 1876. 48. Théodule-Armand Ribot (1839-1916), psicologo francese, fondò nel 1876 la «Revue philosophique». La recensione di Alfred Espinas al libro di Giuseppe Ferrari Teoria dei periodi politici, MilanoNapoli, Hoepli, 1874, apparve sulla «Revue philosophique», t. 2 (Juillet a Décembre 1876), pp. 308-314. 49. Enrico Betti (1823-1892), matematico, docente universitario e politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia nell’VIII, IX e XII legislatura. 50. Cfr. lettera 773. 51. Si riferisce alla proposta di trasferimento di Tocco, professore di antropologia a Roma dal 1871, all’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze. 52. Bertinaria aveva appena curato a Torino per i tipi dell’Unione Tipografico-Editrice l’edizione commentata dell’opera, La psicologia fisica ed iperfisica di Josef Maria Hoene-Wroński (17761853), eclettico pensatore polacco che si occupò di filosofia, matematica, fisica, economia e diritto.
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Epistolario
Il D’Ercole non ancora risponde; se propone anche lui il Tocco, si avrà 4. Non potresti scrivere tu al Del Giudice di sollecitarlo e farlo intendere di che si tratta. E fa subito e con prudenza. Saluto la Tuta 53 e tutti tutti. In fretta. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 98 (inedita).
782 A Francesco Fiorentino Napoli, 9 dicembre 1877 Mio caro Fiorentino, Tu hai tardato a rispondermi, e prima di ricevere la tua lettera io avevo già scritto al D’Ercole per sollecitarlo a inviarmi il suo parere. Vedremo che risponderà. Se il Consiglio si riunirà, come fu stabilito, il giorno 16, io verrò costà il 15; o alle 2 o alle 10 pomeridiane: farò di tutto per venire alle 2 e avremo tempo di parlare prima del fatale giorno 16. Se poi verrò alle 10, tu dovrai aver pazienza, e andare a letto – contra solitum – a mezzanotte! Devi però riflettere che, anche se il D’Ercole avesse già risposto e io venissi oggi stesso e presentassi la mia relazione, la proposta del Tocco non potrebbe influire menomamente nel concorso per Firenze; giacché qualsiasi proposta di questo genere non è valida e non se ne può parlare né da me né da te né da altri, finché il Ministro 54 non l’abbia approvata. Vedi se io non sono un uomo pratico! Ma di ciò e di qualche cosa relativa a questa faccenda, parleremo a voce. Veniamo ora direttamente all’imbroglio di Firenze. 55 Il Bonatelli è della Commissione? Se non è e invece di lui ci è un facsimile del nostro Ciconia, alias Pietro Buc[c]ione, allora puoi benissimo dire che 5 giorni per leggere e meditare tanti volumi sono pochi, e domandar tempo; ma non ti crederanno, perché il solito è di leggere 3 pagine di ogni libro e tre righi di ogni pagina. E inoltre diranno che un professore vecchio di filosofia ha l’obbligo di conoscere le produzioni nazionali, etc. Tu li lascerai dire e farai per iscritto la tua, si dica pure, protesta. Naturalmente, se faranno senza di te, questa cosiddetta protesta dovrà essere letta in Consiglio: almeno così mi pare. Se poi ti risolverai a mostrarti pronto pel giorno 16, e quindi interverrai nella Commissione, farai benissimo – nel caso certissimo che al Tocco non si faccia quella giustizia che merita – a scrivere e firmare e far annettere al verbale, il tuo parere separato, ragionato, ragionatissimo, critico, apologetico. Darai una lezione alle Cicogne: esporrai che cos’è la storia della filosofia; come si può conoscere chi la sa e chi non la sa; che non la sa chi non sa alcuno dei principali sistemi delle principali epoche; etc. etc.; e poi farai l’applicazione a Tizio e Caio, a questa o quella Cicogna, ai futuri Terenzii e Pietri Buccioni. Ma tutto ciò col tuo solito vigore. E questo tuo parere non potrà non esser letto (e commentato) nel Consiglio Superiore. – Scegli tu tra i due partiti; e vedi che ne dice Silvio. 53. Restituta Trebbi. 54. Michele Coppino. 55. Allude alla proposta di trasferimento di Tocco all’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze.
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Se poi il Bonatelli è della Commissione, la cosa cangia aspetto. Ecco il calcolo che fo io. Se le leggi di natura (cioè la compenetrazione degli atti e il contatto marginale) non muteranno, Don Terenzio56 e il fesso Cicogna voteranno contro il Tocco: rimane il Bonatelli, Labriola (giacché saprai ora che il Labriola è stato chiamato in luogo del Vera), e te. Ora può il Bonatelli in coscienza e per amor di pace – dopo il tuo giudizio sul Tocco – anteporgli uno qualsiasi dei concorrenti? Ho troppa stima del suo carattere e conosco troppo il suo sincero amore per la filosofia, perché io possa credere che ciò avvenga. Quanto al Labriola, non so cosa ne pensa. Ho però il dovere di credere che farà al Tocco quella giustizia che tu nella Commissione ed io nel Consiglio facemmo a lui nel suo concorso. – Se dunque siete tre, basta. Metterete al suo posto Don Terenzio e la sua Cicogna. Se poi siete due, siamo da capo nel caso primo, e non vi resta altro a fare che fare il parere a parte, come sopra. Se rimani tu solo, similmente. E questo è quanto. Scrivendo, il sangue mi ribolle nelle vene, direbbe quell’Angiolo del tuo amico Ciccio della Compagnia di Gesù Vito, e la bile mi gonfia il fegato. Dove ci è Don Terenzio e Cicogna, ci è sempre imbrogli. Dagli dagli; e la selezione naturale e l’artificiale, unite insieme, ci condurranno al nicoterismo anche nella filosofia. Scrivo di fretta e confusamente. Potrai rispondermi due righi prima di Sabato. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 99 (inedita).
783 A Silvio Spaventa Napoli, 9 dicembre 1877 Mio caro Silvio, Se il Consiglio si riunirà il 16 come fu detto, verrò il 15. Dà subito l’acchiusa a Fiorentino, che sarà costì domani. Stiamo bene; e so che anche tu stai bene dal Bonghi che ho visto stamane. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
56. Terenzio Mamiani.
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Epistolario
784 A Francesco Fiorentino [Napoli, 13 dicembre 1877] Mio caro Fiorentino, Il D’Ercole non mi ha mandato ancora il suo parere. Stamane ricevo una sua lettera, nella quale si scusa del ritardo e mi promette di mandarmelo subito e intanto mi annunzia che sarà pel Tocco. A me preme ora di sapere se il Bonatelli è costì; avresti dovuto scrivermelo. Ti dico – ma in tutta segretezza – ciò che non ho creduto dirti nella mia ultima lettera, che avrai avuto da Silvio. Il Bonatelli esita ora, per ragioni di convenienza; crede il Tocco meritevole, ma osserva che la fama sua è ancora in sul formarsi e principalmente – che essendo già da un pezzo aperto il concorso e presentatisi molti concorrenti, i cui titoli sono già stati esaminati da alcuni membri della commissione, proposti fuori concorso – his stantibus – potrebbe sembrare da parte nostra una parzialità, un favoritismo; il Tocco non farà male aspettare l’esito del concorso, giacché non ci è chi possa vincerlo. Queste ragioni hanno un certo peso; non lo nego. Ma a me pare che il bravo nostro collega muova da un dato, che non mi par dato: cioè il concorso già intimato, etc. Come presidente, io dovrei saperlo, e non ne so nulla. Il Ministero, nella lettera di nomina, mi significava che l’affare era nel primo stadio, cioè la ricerca dell’uomo dell’articolo 69.57 Se il concorso fosse stato aperto, avrei dovuto ricevere avviso, e, chiuso, i titoli dei concorrenti. Niente di tutto questo. Dunque? Se il Bonatelli è costì, abboccati con lui. Se crede di proporre il Tocco, me lo faccia sapere subito (14), e io convocherò domani la Commissione. È necessario che ci sia lui: persona molto autorevole. E in questo caso resterebbe solo Don Cicogna. Senza di lui, cioè lui con Cicogna, non mi quadrerebbe. Se poi non crede di proporlo, in fin di conto ciò non sarebbe un male per Tocco; sarebbe un semplice differimento. Essendo il Consiglio convocato pel 18, io verrò il 17; ma dimmi dove devi dirigerti le lettere. – Scrivimi qualche cosa del concorso di Firenze etc. – Regolati con prudenza su quanto ti ho scritto. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
785 A Silvio Spaventa Napoli, 15 dicembre 1877 Mio caro Silvio, Verrò Lunedì. Scriverò domani sera a Filomusi di venire alla Stazione. Fa di consegnare l’acclusa a Fiorentino. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
57. Della legge Casati (cfr. lettera 773).
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786 A Francesco Fiorentino Napoli, 15 dicembre 1877 Mio caro Fiorentino, Il D’Ercole non ancora mi manda la relazione etc. Avresti potuto dirmi se il Bonatelli è costì, e che cosa ti ha detto. Essendo il Consiglio convocato pel 18, io partirò lunedì (17), non so ancora se alle 7 antimeridiane o alle 2,40 pomeridiane. – Scriverò domani a Filomusi. Non te ne andare: aspettami. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 100 (inedita).
787 A Francesco Fiorentino Napoli, 22 dicembre 1877 Mio caro Fiorentino, Sono tornato ieri sera. Il Betti già ti avrà detto ogni cosa della faccenda del concorso di Torino. Calma; e cercate in ogni modo di salvare Tocco. Non ti scordare di scrivere subito a Pavia per un parere simile al tuo e di Bonatelli. E stimola il Professore Bobba.58 Di fretta. E tanti saluti alla Tuta59 e a tutti. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 101 (inedita).
788 A Silvio Spaventa Napoli, 23 dicembre 1877 Mio caro Silvio, Ritornando ho trovato a casa una lettera di Camillo60 del 17 diretta a Roma, con cui mi avvisava che il giorno dopo ti avrebbe mandato il Cesare. Dice, che passando avanti 58. Romualdo Bobba (1828-1905), filosofo e professore, poi preside nelle scuole medie, fu nominato nel 1877 professore di storia della filosofia nell’Università di Padova e nel 1879 in quella di Torino. 59. Restituta Trebbi. 60. Angelo Camillo De Meis.
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Epistolario
a un libraio, vi rivide il Cesare che vi avevate trovato insieme e gli parve che lo stesse aspettando per andare a raggiungere te, etc. Si rallegra della caduta del Ministero: 61 uscito dalla m… (Cambronne62), è ricascato nella m… essere impossibile che non vi sottentri qualcosa – non di più pulito – ma di meno sporco; sarà piscia se non altro; e sarà un progresso enorme. Parlo del De Sanctis,63 che ha votato 2 anni per Nicotera; tutti gli articoli morali dettati nel Diritto non potranno calmare la sua coscienza; e s’imagina che ora deve essere molto pentito del dirizzone che ha pigliato. A questo proposito gli ho ricordato che il De Sanctis principiò coll’avere per collega il Cavour e per Segretario Generale il Sella. Che progresso! Non ha potuto leggere il tuo discorso sui tramways.64 Non avrebbe mai imaginato che tu ti fossi messo in capo di questa roba! Isabella e ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
789 A Francesco Fiorentino Roma 1877 Telegramma Roma Cosenza 113 14.6.10/46 Donato Morelli Deputato Roma = Silvio Debullato trovatore applausi continui sta completamente allegra per tano le piane = Nota Bene: Silvio non è nome, ma cognome di una bellissima cantante, molto giovine e graziosa. Debullato: corrige buttato. Spero che questo telegramma consolerà l’amorevole animo dell’onorevole Deputato di Spoleto. B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 13 (inedita).
61. Il primo governo Depretis (25 marzo 1876-25 dicembre 1877). 62. Secondo l’aneddotica, Pier Jacques Ètienne, visconte di Cambronne (1770-1842), alla fine della battaglia di Waterloo, quando gli inglesi imposero la resa, avrebbe pronunciato il celebre insulto «merd!». 63. Francesco De Sanctis. 64. Discorso tenuto alla Camera dei deputati l’11 dicembre 1877 (ora in Discorsi parlamentari di Silvio Spaventa, Roma, Tipografia della Camera dei deputati, 1913, pp. 468-474).
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790 A Silvio Spaventa 1877 Telegramma Roma Castellammare Stabia 353 13 17 18 Silvio Spaventa Via Missione 6 Roma Non verrò domani ma dopodomani mattina = Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
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791 A Silvio Spaventa [Napoli,] 6 gennaio 1878 Telegramma Roma Napoli 534 12 6 10/50 Silvio Spaventa Roma via della Missione 6. Verrò stasera ora solita = Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
792 A Silvio Spaventa Napoli, 13 [gennaio] 1878 Mio caro Silvio, Viene costà il giovine Olindo Lannutti di Archi, figlio di Giuseppe e nipote del Vescovo di Atessa. Desidera di farti una visita, e io te lo presento. Fa sapere come stai; e bada alla salute. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
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Epistolario
793 A Silvio Spaventa Napoli, 28 [gennaio] 1878 Mio caro Silvio, Verrò Mercoledì sera, e ci rivedremo dopo un mese e mezzo circa. Ho scritto a Filomusi di venire alla stazione e di dispormi la camera alla Minerva. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
794 A [Celestino Subatti]1 gennaio 1878 Nel fare i miei conti dell’anno passato trovo di aver ricevuto per indennità di viaggio – dal ritorno a Napoli nel mese di marzo fino a tutto ottobre – una somma maggiore di quella che mi aspettava. Sono salvo errore £ 101,40 = prodotto £ 7,80 (riduzione del biglietto di prima classe) per numero 13 viaggi. Non sapendo come fare altrimenti invio questa somma a Lei per vaglia postale, pregando la Sua cortesia di restituirla al ministero in mio nome. Ringraziandola anticipatamente del favore sono sempre Suo devotissimo Bertrando Spaventa ACS, Ministero della pubblica Istruzione, Personale (1860-1880), B a 2014, Bertrando Spaventa (inedita).
795 A Luigi Barbera Napoli, 12 febbraio 1878 Mio caro Barbera, Statu quo; e ancora secreto su tutta la linea matematico-zoologico-filosofica. Tu sbagli se pensi che il Consiglio possa ora come ora far nulla nella faccenda; dar fretta al 1. Il destinatario della lettera ha trascritto il messaggio di Bertrando in una lettera su carta intestata “Ministero Istruzione Pubblica – Consiglio Superiore” indirizzata al capo di ragioneria del Ministero di pubblica istruzione cavaliere Celestino Subatti, da cui viene qui riprodotta. La firma della trascrizione risulta illegibile.
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Ministero e fargli notare la inutilità e la poca convenienza della Commissione mista; e simili. Il Consiglio in questa materia non ha il diritto d’iniziativa: interrogato, risponde. E la risposta – la prima risposta – fu data da esso col proporre la Commissione mista appunto; alla quale proposta quantunque candidato presidente io mi opposi. Ma che l’interesse scientifico fece approvare. Sai bene che l’interesse scientifico oggi è una gran parola e quindi una grande Potenza. Il fatto fu che il Ministero non parlò più al Consiglio: non approvò né disapprovò la mistura e tacque; e intanto nel secreto del Gabinetto imaginò lui e incarnò una combinazione più mite, una specie di unguento preparatorio e rifocillatorio destinato ad ungere e pulire gli atleti prima della gran lotta nel Circo. Se la manipolazione dell’unguento sia terminata – se le commissioni scientifiche extraconsiliari – abbiano dato il loro parere: di che natura e virtù l’unguento sia, di che droghe si componga, etc., etc. tutto questo io l’ignoro perfettamente; e ignoro del pari cosa farà il Ministero: se, di nuovo, manderà al Consiglio di completare la Commissione pura e legittima, senza misture né unguenti di sorta; se non ne farà nulla; se proporrà l’affare per uno solo dei due, o per tutti e due; etc. Il Cantoni,2 a cui chiesi chiarimenti, non mi seppe dir nulla. – Dunque? Questo è lo stato della cosa, detto colla maggiore brevità e… serietà possibile. E né il Consiglio né io possiamo mutarlo. Dunque pazienza; o fa e insisti in altro modo. Credimi sempre Tuo affezionatissimo B. Spaventa BNB, Carteggio Barbera, 52 (inedita).
796 A Silvio Spaventa Napoli, 6 aprile 1878 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (Domenica). Ho scritto a Filomusi di trovare la camera e di venire alla Stazione. Spero di vederti al caffè del Parlamento domani stesso. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
2. Carlo Cantoni (1840-1906), era allora professore di filosofia teoretica all’Università di Pavia.
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Epistolario
797 A Francesco Fiorentino Roma, 10 aprile 1878 Mio caro Fiorentino, Pochi righi. D’Ercole mi dice di aver già letto la massima parte delle opere dei concorrenti per Padova, e consegnatele al Rettore di Pavia, il quale sa a chi deve mandarle. A te, o al Ferri? Nescio. Pare che il Bertinaria le abbia già lette. Farò di tutto per affrettare la convocazione della Commissione. Il programma preciso etc. te lo manderò da Napoli. Dell’altra faccenda (Bruno),3 niente si è conchiuso finora. Teste gloriose partenopee! Vorrei parlarti ora della 3 a faccenda, che mi dicesti a Napoli ultimamente. Sarebbe col De Sanctis ora il tempo. Ma ne scriverò anche da Napoli. Silvio sta bene. Addio. Saluti alla Tuta, la Marianna 4 e piccirilli. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 102 (inedita).
798 A Silvio Spaventa Napoli, 20 aprile 1878 Mio caro Silvio, Dammi qualche notizia tua e di altro. Io non verrò costà prima del 15 Maggio: ci è ancora quasi un mese di tempo. Noi stiamo bene; e tu? Sta di buon umore; bada la prima cosa alla salute. Isabella Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
3. Si riferisce all’edizione delle opere latine di Giordano Bruno, che l’allora ministro della pubblica istruzione De Sanctis commissionò a Fiorentino. 4. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi.
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799 A Francesco Fiorentino Napoli, 6 maggio 1878 Mio caro Fiorentino, Ho scritto oggi stesso a Sua Eccellenza di convocare la Commissione per giorno 18. Il Consiglio si aduna il 15. Non si può convocarla né paulo ante né pel tempo in cui siede il Consiglio, non per la impossibilità del miracolo di San Antonio (che di miracoli più grossi di questo se ne vedono tanti ai tempi nostri), ma per dar tempo ai signori commissari di fare le valigie e dire addio alle loro mogliere. Dunque paulo post. Sei contento? Sapevo già dai giornali dell’incarico che il De Sanctis ti ha dato di fare l’edizione delle opere latine di Bruno.5 E va benissimo. Coll’accademia di qui era molto difficile combinar niente; e a voce ti dirò come è andata la cosa. Hai letto la lettera del nostro vecchio amico Berti all’Opinione di qualche giorno fa sugli autografi inediti di Bruno esistenti in una biblioteca di Pietroburgo? Il Berti dà delle notizie che a te potrebbero essere di molta utilità. Si proponeva due anni fa di fare un viaggio fino colà, leggere quei manoscritti e così dar compimento alla seconda Parte della sua Opera su Bruno, e ciò è (stile Mamiani) la esposizione (perspicua, nitidissima, s’intende) e la critica (acutissima, irrefragabilissima) della sua filosofia (di Bruno, non di Berti: s’intende anche). È necessario che tu ti affretti a fare entrare nella tua Edizione anche quei manoscritti, giacché altrimenti si corre il rischio di non leggere e conoscere più mai ciò che il nostro Berti ha pensato così lungamente su Bruno. – Non ricordo se io ti abbia mai detto che la prima notizia sull’esistenza di quei manoscritti (specialmente del Lampas triginta statuarum) gliela diedi io al Berti nel 1866 a Firenze, quando sedeva (lui, non io) sulle cose della Pubblica Istruzione; li possedeva il libraio Trost di Parigi, il quale vendolli a un Russo. Il Berti che ha citato tanti suoi coadiutori e amici, avrebbe potuto citare a titolo di gloria anche me, e procacciarmi un po’ di fama nel gran campo della filosofia delle scuole italiane! Ingrato Berti! Invece la fama che oramai mi è assicurata è quella di non essere più orso, come tu stesso osservi e constati nella tua lettera: di essere una persona a modo (ammodata), gentilissima, piena di cortesia, squisitissima e soavissima. Ma tu, mio caro Fiorentino, non ne sai niente della conversione mia: della grazia che finalmente mi ha preso. Quella che mi colse o incolse tanti anni fa quando, il tuo amatissimo Ciccio briccone ci scriveva quelle lettere eroiche, è niente al paragone. Sappi dunque che io ora non passeggio più solo per Toledo e sono perfettamente disorsato; e ora mi accompagna il Labanca (meno male), dandomi, s’intende, la destra, ed ora… lo dico o non lo dico, lo manifesto o non lo manifesto?… chi? imagina se puoi… Iddio pria di crear chiamò Fornari A Consiglio, e costui chiamò Galasso… Dunque mi accompagna il Galasso (a destra sempre); e si discorre di filosofia, di storia, di politica, d’ogni cosa, eccetto – e si capisce – di Domeneddio e dell’Abate.6 5. L’edizione si interruppe dopo la pubblicazione del primo volume, Jordani Bruni Nolani opera latine conscripta publicis sumptibus edita (Neapoli, D. Morano, 1879-1880), per l’impossibilità di ottenere alcune opere del filosofo custodite nella Biblioteca imperiale di Pietroburgo. De Sanctis si era adoperato perché il re intervenisse direttamente presso l’imperatore Alessandro, ma in seguito alle sue dimissioni da ministro si dissolse anche questa possibilità. Il lavoro proseguì comunque sotto la direzione di Vittorio Imbriani e Carlo Maria Tallarigo, i quali pubblicarono il secondo volume. 6. Vito Fornari, di cui Antonio Galasso era nipote.
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Epistolario
Ma l’Abate si sottintende. Come quando io dico tuona, lampeggia, etc. si sottintende il cielo, così quando dico buono, vero, bello, assoluto, si sottintende l’Abate. E chi sa se non verrà il giorno – o che giorno sarà quello! – in cui Napoli, anzi il Mondo stupefatto, attonito, fuori di sé – extra et praeter se – mi vedrà e contemplerà in compagnia dell’Abate; sì dell’Abate; e forse salire con esso su quel trono di luce, che io sognavo una volta, e diventar luce – tutto luce – e pellucidarmi anch’io? O concorsi, o concorsi! Per Dio, ti piglio in parola. È tempo di finire colle ispirazioni divine e chiamare pane il pane, e bobba la bobba. Dunque a rivederci a Roma. Orso sono sempre. Saluti a tutti. Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 19 (inedita).
800 A Silvio Spaventa Napoli, 6 maggio 1878 Mio caro Silvio, Fiorentino mi scrive che sei stato malato alla gola. Come stai ora? E cos’è stato? Rispondimi due righi. E bada alla salute. Io verrò costà – se non ci sarà novità – il 14. Ti scriverò prima. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
801 A Silvio Spaventa Napoli, 5 giugno 1878 Mio caro Silvio, Ti scrivo per congratularmi con te del tuo discorso,7 di cui ho letto il sunto (Dio, che sunto!) sui giornali di qui. Se lo pubblicherai a parte, mandamene una copia; se no, mandami il Rendiconto. Noi stiamo bene. E tu bada alla salute. Isabella e i ragazzi ti salutano Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
7. Ricostruzione del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, discorso letto alla Camera il 4 giugno 1878 (ora in Discorsi parlamentari di Silvio Spaventa, Roma, Tipografia della Camera dei deputati, 1913, pp. 475-496).
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802 A Francesco Fiorentino Roma, 20 giugno 1878 Mio caro Fiorentino, Silvio ha avuto il solito ascesso di colica nefritica, e sono già 4 giorni. Ieri sera è stato su meglio, e stamane anche; ma alle 10 è stato di nuovo preso, sebbene leggermente, dal male. Però in generale va meglio. Deve fare una cura, che non ha mai voluto fare. Il Burnasi che è venuto a vederlo gliel’ha consigliato energicamente. Ho dato al Betti il Bruno del Berti. 8 Vittorio9 andò da Morano, per vedere i caratteri etc. Più o meno sono quelli già visti da noi a Roma. Sai, che io non me ne intendo. Noto però che anche cogli stessi caratteri, l’edizione fatta a Napoli mi pare meno bella all’occhio, di quella fatta altrove. Compaginano meglio altrove. Del resto giudica tu. Ho letto poco dell’articolo del Labriola,10 e non sono ancora in grado di darne un giudizio. Mi ha assicurato però lui medesimo che è scritto con eleganza e sapore di lingua incomparabile; e non ci è che dire. Porsiani ha avuto la patente. Il Consiglio non ha approvato, – e me l’aspettavo – il codicillo al risultato negativo del concorso per la morale a Padova, cioè la proposta del Labanca come straordinario. Sicché, se il Ministero approverà questa non approvazione, bisognerà fare il concorso per esami, e quindi andare a Padova. Il Bobba è stato convalidato. Non so ancora dove andrò a parare in queste vacanze. Te lo scriverò. Spero che i tuoi bimbi stiano bene. Scusa la brevità. Tanti saluti alla Tuta11 e tutti. Tuo Bertrando 21 giugno Riapro la lettera per dirti che Silvio da ieri a oggi va molto meglio e ti saluta tanto tanto. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 103 (inedita).
8. Domenico Berti, Vita di Giordano Bruno da Nola, Firenze, Paravia, 1868. 9. Vittorio Imbriani. 10. Antonio Labriola, Del concetto della libertà: studio psicologico, Roma, Tipografia Elzeviriana, 1878 (estratto da «Archivio di statistica», a. 2., fasc. 4, parte 2). 11. Restituta Trebbi.
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Epistolario
803 A Silvio Spaventa Napoli, 25 giugno 1878 Mio caro Silvio, Dimmi come stai. E per carità prendi ogni mattina, senza interruzioni, la litina e il bicarbonato di soda. Io sto bene. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando P.S. Sai che la povera Clorinda (Nanni) è rimasta vedova. Mi dice di averti scritto per la pensione. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
804 A Luigi Barbera Napoli, 7 luglio 1878 Mio caro Barbera, Affretto quanto più posso la conclusione della faccenda; ma non dipende tutto da me. Ci vedremo, spero, costà, prima che finisca Luglio. Grazie delle notizie di Camillo.12 Saluto Federico e Carluccio. E scusa la fretta. Tuo B. Spaventa BNB, Carteggio Barbera, 54 (inedita).
805 A Gustav Teichmüller 13 Napoli, 8 luglio 1878 Onorevole Signor collega, Ella mi troverà a casa tutti i giorni sino a mezzodì. 12. Angelo Camillo De Meis. 13. Gustav Teichmüller (1832-1888), filosofo tedesco, professore presso l’Università di Basilea (dal 1868) e l’Università Imperiale di Dorpat (dal 1871).
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Col vivissimo desiderio di rivederla. Sono Suo devotissimo B. Spaventa BUB, Handschriften, NL 79, B. 2698 (inedita).
806 A Gustav Teichmüller Napoli, 11 luglio 1878 Pregiatissimo Signor collega, La podagra m’impedisce di uscire e mi costringe a stare in letto. Perciò non verrò al Caffè, come Le promisi l’altra sera. Faccia buon viaggio; e ossequiando la Sua famiglia sono sempre Suo devotissimo B. Spaventa BUB, Handschriften, NL 79, B. 2699 (inedita).
807 A Silvio Spaventa Pomigliano d’Arco, 18 luglio 1878 Mio caro Silvio, Vittorio14 ti avrà detto, che sarei venuto qui; e di fatto mi ci trovo – e bene – da quasi una settimana. Se non che, venutoci con un po’ di dolore ai piedi, ecco la visita della podagra, che da due anni non si era fatta più vedere. È un po’ forte, e a tutti e due i piedi; e una notte l’ho passata dura; ma ora pare che voglia cedere; e mi sento molto meglio. E non ci penso più che tanto. E tu come stai? Non mi hai scritto. Fai la cura della litina? Per carità, pensaci bene. Dove andrai? E quando? Fammelo sapere. Difficilmente ci rivedremo in occasione del Consiglio di questo mese; giacché se io non m’assicuro bene che la podagra è cessata, io non mi muovo. I ragazzi e Isabella ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
14. Vittorio Imbriani.
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Epistolario
808 A Silvio Spaventa Pomigliano d’Arco, 21 luglio 1878 Mio caro Silvio, Vado molto meglio colla podagra. Questa mattina ho potuto mettermi le pianelle e fare due passi per la casa. Non è Pomigliano che mi ha fatto venire la podagra; la quale mi aveva già colpito prima di partire da Napoli; e poi bisogna considerare che erano già passati due anni che non l’avevo. Del resto qui stiamo bene, e come in perfetta campagna; e siamo obbligati a Vittorio del pensiero fatto da lui di farci venire qui. Pensa a star bene, a prendere la litina – sempre litina – e a niente altro. Te l’ho detto tante volte. Non pensare ai tuoi guai; e non esser di cattivo umore. Per carità, senti a me. Passerà; sempre così. Il vero nostro guaio è la presente abbiezione in cui siamo caduti. Oramai tutto è lo stesso: tanto vale un ciuco quanto un dotto, se non di più; tanto un briccone quanto un onesto; tanto un imbecille quanto un prudente e esperto uomo. Questo è il gran male. Ricordo sempre che nel piccolo Piemonte a me fece gran senso che il Farini fosse nominato ministro di Pubblica Istruzione. Scommetto che ora se nominassero Ciccio Sprovieri,15 la cosa non farebbe impressione. Fammi sapere quando partirai da Roma e dove andrai; e scrivimi spesso. Mi pare difficile che io possa venire costà per il 24. Non sono sicuro che la podagra non mi ritorni; e non mi piacerebbe che mi colpisse di nuovo a Roma, in questa stagione, e nella solitudine di una locanda. Se mi deciderò a venire, ti avviserò. Isabella e Millo e Mimì ti salutano. Saluto Federico con Carluccio. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (parzialmente ed. in Vacca, Nuove testimonianze, p. 37).
809 A Silvio Spaventa Pomigliano d’Arco, 2 agosto 1878 Mio caro Silvio, La podagra è finita; e sto perfettamente bene. E così tutti di casa. Scrivimi spesso ora che starai lontano da Roma, e fammi sapere sempre quando muti luogo di dimora. Bada alla salute, e fa di stare di buon umore sempre. Scriverò a De Sanctis per Camillo,16 sebbene spero poco. 17 Ti pare che a quest’ora non gli abbiano suggerito già una specialità pel Consiglio? Gli avea parlato di nominare il
15. Francesco Sprovieri (1826-1900), militare e politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla XII alla XVI legislatura. 16. Angelo Camillo De Meis. 17. Per la nomina di De Meis come membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione (cfr. lettera seguente).
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Barone Costa al Collegio di Musica; e ora ha nominato un Siciliano, che val molto poco, a suggerimento forse di Speciale. Dunque buon viaggio. Scrivimi subito. Isabella e i ragazzi tanti saluti. Barbera è venuto già a vedermi. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
810 A Silvio Spaventa Pomigliano d’Arco, 25 agosto 1878 Mio caro Silvio, Ricevo in punto la tua da Bergamo, e siccome la posta parte subito, ti scrivo due righi; perché ti giungano costà prima che tu parta. Poi ti scriverò a Pallanza. Io sto bene ora. La podagra non l’ho avuta più. La famiglia anche sta bene. Nel tuo itinerario non vedo compresa Bologna. Perché? – Ho scritto a De Sanctis per Camillo 18 al Consiglio. Non so se avrà il coraggio di nominarlo; o non si sia già impegnato con qualcuno. Dirti della mia vita qui non torna il conto. È un po’ monotona; ma io ci sono avvezzo alla monotonia. Fo moto il più che posso col caldo che fa nel paese. La casa però è fresca, e il giardino spazioso, e ci si può passeggiar bene. – Vittorio19 è a Gallarate. – Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
811 A Silvio Spaventa Pomigliano d’Arco, 9 settembre 1878 Mio caro Silvio, Ricevo il tuo biglietto da Milano e ti rispondo due righi, al solito. Di che vuoi che ti parli di qui? Di politica? Mi rallegro con te della buona salute. Ma non bisogna tralasciare la cura; ogni giorno bisogna far qualcosa contro la renella. A me dopo la podagra non è mancato il solito doloretto allo stomaco; ma ora sta per finire. Del resto, ti ripeto, sto bene. Andrò a Roma al 25 pel Consiglio. Sarai tornato allora?
18. Angelo Camillo De Meis. 19. Vittorio Imbriani.
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Epistolario
È vero che tornerai a Bergamo per fare un discorso politico? Ci è molto da dire; ma è come parlare al muro. Oramai in Italia tutto è lo stesso; e tanto è aver per ministro un Cavour quanto un pazzo furioso come il Doda20 o uno scemo quanto… uno degli altri suoi, a scelta. Dì a Giorgini, che saluto, che comincio a credere nella Provvidenza, dopo tutto quello che ho visto in questi due anni. Isabella e i ragazzi ti salutano. Scrivi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
812 A Silvio Spaventa Roma, 26 settembre 1878 Mio caro Silvio, Sono arrivato qui ieri sera, e sto bene. Scrivimi due righi a Pomigliano, e dimmi come stai, e quando tornerai a Roma. Saluto Fiorentino. Tuo Bertrando La nipote di Aglietiello è a Roma e ti scrive. Vuole che io te la raccomandi. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
813 A Vittorio Imbriani Roma, 29 settembre 1878 Mio caro Vittorio, Ti ho fatto scrivere ieri dal Barbera. 21 Partirò domani (lunedì) e sarò alla stazione di Napoli alle 4 ½ circa pomeridiane. Ho scritto a Isabella che venga anche lei da Pomigliano. Vieni anche tu. Tuo affezionato B. Spaventa Dalla collezione privata di Nunzio Coppola (ed. in Imbriani, Carteggi, p. 166).
20. Federico Seismit Doda (1825-1893), avvocato e giornalista, deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla IX alla XVIII legislatura. 21. La lettera di Luigi Barbera, da Roma, in data 28 settembre 1878 è riprodotta in Imbriani, Carteggi, p. 166, nota 1.
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814 A Francesco Fiorentino Pomigliano d’Arco, 5 ottobre 1878 Mio caro Fiorentino, Io sono più poltrone di te, e perciò sono scusabile se non ti ho scritto da tanto tempo. Sono qua, a Pomigliano, da circa 3 mesi, in casa di Vittorio;22 e sto benissimo. Ho avuto un po’ di podagra e di dolore allo stomaco; ma ora ne sono libero. Anche Isabella e i ragazzi stanno bene. Non ti scrissi della deliberazione dell’Accademia,23 perché non ne valeva la pena. La prevedevi a priori. La sollecitudine pel concorso al Liceo non dipende tanto da me. Sono già due mesi che ho dato le carte a Miraglia, che le avrà consegnate al Belli. Gli scrivo oggi stesso perché faccia presto. L’affare Barbera-Siciliani sta in questi termini: te lo dico sotto sugello di confessione. Tulelli e Bonatelli preferiscono il Barbera; anzi il Bonatelli opina che il Siciliani non meriti né anche l’ordinariato. Il D’Ercole invece (te lo ricordi il buon D’Ercole al concorso di Padova), è di parere che il Siciliani debba essere preferito al Barbera. Per me che vuoi che ti dica? Quale che sia il merito o il demerito del Barbera per la sua filosofia matematica, mi pare di vedere dalle sue prime opere (la Metafisica del Bene24 e la Logica,25 etc.), che egli sia più capace dell’altro nostro europeo amico di fare un corso regolare di filosofia. Il Siciliani – tu lo conosci meglio di me – fa dei gran programmi sempre. Ma sarebbe al caso di trattare funditus una quistione, fare una ricerca, concludere? Nelle stesse opere filosofiche matematiche del Barbera, dove ci sono – secondo gli uomini competenti – errori elementari di geometria e algebra – ci è però un filo, un nesso, una certa logica, che merita un po’ di considerazione. Mostra di saper trattare una materia qual che sia, sebbene erri nei dati, nei principi, nei postulati, e che so io. Insomma ci è una ricerca e un certo metodo. – Io dunque lo preferirei. Ma anche se tu sarai d’accordo con me, bisogna che la commissione si riunisca; giacché il D’Ercole è contrario al Barbera. Giorni fa il Ministero mi scrive, che indicassi subito il giorno della riunione; e che ha fatto vivissime premure a te di far presto. Sarebbe bene di riunire la Commissione prima della fine di Ottobre e della riunione del Consiglio Superiore, che sarà il 28. Se no, se ne parlerebbe alla fine di Novembre!! Potresti venire a Roma il 26 Ottobre per esempio? – Rispondimi subito, a posta corrente. Prima della tua risposta, io non risponderò al Ministero. Tanti saluti alla Tuta 26 e tutti i tuoi. Tuo sempre Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 104 (inedita).
22. Vittorio Imbriani. 23. Per il concorso di filosofia morale a Padova, cioè per la proposta del Labanca come professore straordinario (cfr. lettera 802). 24. Luigi Barbera, Elementi della metafisica del bene, Firenze. M. Cellini, 1863. 25. Luigi Barbera, Lezioni di logica inventiva, Pisa, Nistri, 1866. 26. Restituta Trebbi.
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Epistolario
815 A Luigi Barbera Pomigliano d’Arco, 9 ottobre 1878 Mio caro Barbera, Scrissi a Federico per la nota faccenda della domestica il giorno dopo del mio ritorno da Roma. Sebbene non mi abbia ancora risposto, spero, anzi sono certo che se ne occuperà alacremente, e me la troverà. Raccomandagli di far presto. Se no, mi contenterò della Nunziata, a cui comprerò un paio di occhiali, e che sarà certamente migliore d’una napoletana. D’Ercole ha mandato il suo parere.27 Aspetto tra giorni quello di Fiorentino. Probabilmente la Commissione si riunirà due o tre giorni prima del Consiglio in questo mese. A rivederci dunque. Vi scriverò prima. Saluto Federico e Carlo. Tuo affezionatissimo B. Spaventa BNB, Carteggio Barbera, 62 (inedita).
816 A Silvio Spaventa Pomigliano d’Arco, 11 ottobre 1878 Telegramma Roma Castelnuovo 25 15 15/10 7/25 = Deputato Silvio Spaventa Roma = Risposi subito Approvo aspettare uditi amici + lettera sarà smarrita + scrivo oggi = Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
817 A Silvio Spaventa Pomigliano d’Arco, 15 ottobre 1878 Mio caro Silvio, Il tuo telegramma spedito all’una pomeridiana mi è pervenuto alle 10; e perciò iersera non potei rispondere. L’ho fatto stamane alle 7. – Alla tua lettera del 9 risposi subito; e ti diceva che avevi fatto bene, mostrando di non essere in nessuna difficoltà di accettare,28 27. Per la nomina a professore ordinario di filosofia morale nell’Università di Bologna (cfr. lettera precedente). 28. Il governo Cairoli aveva deliberato di offrire di nuovo a Silvio un posto al Consiglio di Stato, di cui era stato membro dal 25 novembre 1868 al 10 marzo 1873 (cfr. lettera 711). Dopo la caduta della Destra fu rinominato dal 30 marzo all’11 maggio 1876. Fu richiamato in carica l’8 novembre 1878 (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 158-159).
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e riserbarti il consiglio degli amici di Bergamo. Io non vedeva alcun motivo ragionevole di rifiutare; e così mi pare anche ora, che ci ho pensato più giorni. Se dunque a Bergamo non si fa difficoltà e la rielezione non è in pericolo, accetta pure. E questo è quanto. Spero che questa ti perverrà. Fammi sapere cosa hai fatto. Isabella e ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
818 A Silvio Spaventa Pomigliano d’Arco, 26 ottobre 1878 Mio caro Silvio, Sarò costì alle 7 di domani sera (Domenica); e ci potremo vedere o al Morfeo o al Caffè del Parlamento. Ho scritto a Federico di venire alla Stazione. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
819 A Silvio Spaventa Napoli, 26 novembre 1878 Mio caro Silvio, Verrò domani sera alle 7. Ho scritto già a Federico per la camera e a Filomusi. Spero di giungere in punto alle 7 e di rivederti domani sera stessa (Mercoledì). Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
820 A Silvio Spaventa Napoli, 7 dicembre 1878 Mio caro Silvio, Fammi telegrafare domani sera – non molto tardi, che io vado presto al letto – l’elezione. (Salvatore Rosa 290).
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Epistolario
Io sto bene. Isabella e Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
821 A Francesco Fiorentino Napoli, 14 dicembre 1878 Mio caro Fiorentino, Volevo rispondere all’ultima (ora penultima) tua con tutto il mio comodo, e prima dare termine ad alcune mie belle meditazioni sulla inutilità della filosofia, della scienza, del sapere, del conoscere e perfino del sentire e del pari dell’onestà e della moralità, e viceversa poi sull’assoluto valore del nicoterismo, del crispismo, del depretismo. Ma tu mi incalzi e tormenti con una raccomandata (mezza lira di spesa); e io smetto. Non credo – dunque – che la Commissione per Torino possa essere convocata prima del ceppo e del capitone. Pare che prima di questa epoca, il Consiglio non ci sarà, giacché finora – e stiamo al 14 – non ho ricevuto l’avviso; e a me non conviene – a me, membro del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione e rappresentante del Regio Governo, non è permesso di aggravare il pubblico erario di un’indennità di 150 Lire circa, che mi si dovrebbe pagare, non sedendo il Consiglio sulla data. E anche se volessi (contro ogni spinta di diretta economia sociale) convocare la commissione pel 20 per esempio, oggi non sarei più in tempo: dovrei scrivere al Ministero, cioè al carissimo Zanfi; questi dovrebbe scrivere a voi; voi dovreste rispondere a lui; e lui finalmente rispondere a me. Sarebbe un circolo, che non potrebbe compiersi in 5 o 6 giorni. Ho ragionato bene? Dunque non c’è altro da fare; a dopo capodanno. Ci sarebbero anche altre ragioni mie particolari; ma non te le dico e non ne fo conto, perché – tu lo sai – io sacrifico sempre il mio al bene pubblico, appunto come il tuo gran compaesano! Dunque da capo: fa buon Natale, e a rivederci dopo. Io vedo non solo possibile, ma certo un quarto o quinto che sia ministero sinistro. Un’altra applicazione del Darwinismo. Evoluzione, evoluzione; se no… Interrompo, che l’ora è vicina; e devo andare a far lezione. Saluti alla Tuta,29 alla Marianna30 e ai bimbi. Tuo sempre B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 106 (inedita).
29. Restituta Trebbi. 30. Marianna Trebbi.
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822 A Francesco Fiorentino Napoli, 17 dicembre 1878 Mio caro Fiorentino, In questo momento ricevo la chiamata al Consiglio pel 21. Non ci è tempo di convocare la Commissione per prima di Natale. Dunque a dopo Natale. Saluti. Di fretta Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 105 (inedita).
823 A Silvio Spaventa Napoli, 19 dicembre 1878 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (Venerdì) alle 7 pel Consiglio. Ho scritto a Federico e Filomusi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
824 A Francesco Fiorentino Roma, 22 dicembre 1878 Mio caro Fiorentino, Non posso dirti niente della faccenda di Torino,31 perché ho avuto molta da fare in Consiglio e mi è mancato il tempo di andare al Ministero. Ieri fui occupatissimo; oggi fan festa, e domani partirò. Benedetto Piero! 32 Betti ti dirà ogni cosa. Silvio ti saluta e tante cose belle alla Tuta 33 e figliuoli e alla Marianna.34 Mi scordavo di dirti che appena giunto a Napoli scriverò al Ministero per l’affare sopra-detto. Scrivo ora colla testa confusa. Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 107 (inedita).
31. Si riferisce al concorso per la cattedra di storia della filosofia (cfr. lettera 827). 32. Potrebbe trattarsi di Pietro Siciliani, chiamato anche con il nome di Piero. 33. Restituta Trebbi. 34. Marianna Trebbi.
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Epistolario
825 A Luigi Barbera Napoli, 27 dicembre 1878 Mio caro Barbera, Ricevetti la tua prima lettera il giorno stesso della partenza per Roma, dove abbiamo avuto due giorni di Consiglio; e nel ritorno ho trovato qui il telegramma e la tua seconda lettera. Chi sa cosa ti avrà scritto quella testa gloriosa del buon Lo Monaco? Io gli domandai se aveva tue notizie, e gli dissi, che io non ne avevo, e che tu non mi avevi scritto. Nelle mie parole non ci era punto un rimprovero, ma una affettuosa curiosità; anche io fui assicurato a Roma che il tuo decreto era già stato firmato dal De Sanctis.35 – E su ciò non ti dico più niente. Il nostro Filomusi affaccia i suoi diritti. Non pretende che si ritorni a Spillmann; ma che qualcosa si faccia, in memoria – più o meno eterna – dell’avvenimento. A me non conviene dar consiglio in questa faccenda; regolati da te, e sono certo che farai bene, almeno quanto Filomusi. Scrivimi il seguito della tua storia. Saluto Camillo,36 e tanti ossequi alla Signora Ippolita. 37 Speriamo di rivederci di passaggio per Padova insieme con Fiorentino. Tuo affezionatissimo B. Spaventa BNB, Carteggio Barbera, 61 (inedita).
35. Il decreto riguardava la nomina a professore ordinario di filosofia morale nell’Università di Bologna. Francesco De Sanctis era all’epoca ministro della pubblica istruzione. 36. Angelo Camillo De Meis. 37. Ippolita Patellani.
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826 A Silvio Spaventa Napoli, 2 gennaio 1879 Mio caro Silvio, Noi stiamo tutti bene, non ostante il tempo pessimo. Io però sono seccato a morte da un concorso di Liceo, che dura da 8 giorni, e mi toglie tutte le forze. Non ci capiterò più. Manderò il tuo biglietto alla Russo.1 Ho ricevuto con ritardo la tua lettera, perché senza indirizzo (Napoli). È uno dei casi della statistica della media (delle lettere mancanti l’indirizzo) dell’amico Messedaglia. Ti raccomando la litina. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
827 A Francesco Fiorentino Napoli, 17 gennaio 1879 Mio caro Fiorentino, Ricevo in questo momento – e interrompo le mie celebrali occupazioni per leggerla – la risposta del Ministero alla mia proposta o preghiera di convocare la Commissione per Torino alla fine del mese, qualche giorno prima della riunione del Consiglio Superiore. Piglio fiato. La risposta è in questi precisi termini: «La procedura del Concorso alla Cattedra di Storia della filosofia di Torino non è ancora matura per ora, e perciò etc. Sarà cura del sottoscritto per intesa la Signoria Vostra illustrissima quando il giro dei titoli ne sarà compiuto». Vedi bene che non ci è che fare: bisogna aspettare che la procedura maturi, e 1. Donna Teresina Russo.
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Epistolario
che quel tal giro, cominciato da me e continuato da te e dal Bonatelli, ne sia compiuto – indovina da chi o in chi? – Dai nostri bravi amici e colleghi, gli illustri ed eminenti Ferri e Berti. E tu e io, che credevamo che il giro l’avessero principiato loro! E pure è un bel piacere dire: che minchioni che siamo. E a proposito, leggi, se hai tempo, un 1° articolo dell’amico Espinas 2 nella Revue di Ribot sulla filosofia sperimentale in Italia.3 Che peccato che non ci vedremo subito! Ti avrei da raccontare delle cose stupende e graziose insieme del nostro antico Mecenate e Protettore prestantissimo Don Terenzio e leggerti un sonetto che gli ho dedicato viaggiando sulla ferrovia. «Che ingegno! che intelligenza! che acume finissimo! Basta dire che si ricorda i nomi di tutti i professori di Università, di Liceo, di Ginnasio, e di Scuola tecnica del Regno! È vero che non ha scritto nulla. Ma…» E con ciò, saluti alla Tuta 4 e figliuoli. Tuo Bertrando Il Consiglio si aduna il 27. Sarò in Roma il 24 la sera, se tutti i membri di una Commissione accetteranno di venire; se no, il 26. Pensa al giro, e fa che ne sia compiuto; e non ti scordare di maturare la procedura. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 112 (inedita).
828 A Silvio Spaventa Napoli, 25 [gennaio] 1879 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (domenica) alle 7. Ho già scritto a Federico per la camera. Assisterò con molto piacere al matrimonio della Destra col gruppo Sprovieri, che è l’argomento di tutti i discorsi dei politicanti partenopei. Dalla chimica ritorniamo all’alchimia. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
2. Alfred Espinas (1844-1922), sociologo, antropologo e filosofo francese. 3. Alfred Espinas, La philosophie expérimentale en Italie: R. Ardigò, in «Revue Philosophique de la France et de l’Étranger», t. 7 (Janvier à Juin 1879), pp. 18-38; segue, sullo stesso numero della rivista, un secondo articolo su Siciliani – Lombroso – De Dominicis – E. Ferri, pp. 131-153. 4. Restituta Trebbi.
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829 A Francesco Fiorentino Roma, 30 gennaio 1879 Mio caro Fiorentino, Ho dato la tua a Silvio, e sono curioso, sebbene incompetente, di conoscere come andranno a finire le tue conclusioni su Machiavelli.5 In breve ti dico, a nostra consolazione, che nella prossima tornata del Consiglio – qualche giorno prima – si adunerà finalmente la Commissione per la Cattedra6 destinata all’illustre Bobba (et fac saponem). Più tardi ti farò sapere il giorno preciso, più o meno. Non ti dico di più, perché in questo Consiglio non posso scrivere. L’alto Consesso ha deliberato or ora che la prossima riunione abbia il luogo il 27 febbraio. Dunque si convocherà… non prima, ma dopo Carnevale. Saluti alla Tuta e tutti. Tuo Bertrando Vedrai i progressi della mia arte poetica. Non sarà arte del dire,7 ma qualcosa è. Ci ho un piccolo poema: un primo Canto. Ti racconterò qualche curiosità del concorso liceale di Napoli. Sapientia romana petro bucchionica. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 113 (inedita).
830 A Donato Jaja Napoli, 3 febbraio 1879 Mio caro Jaja, Faremo i conti a Napoli, e discuteremo se sia possibile, almeno rispetto a me, la distinzione che tu fai tra mente e cuore, e se io meriti il rimprovero di uomo poco cordato. Intanto ti ringrazio della tua lettera, e non ti dico altro, perché ho fretta e non ho tempo di abbandonarmi alle ispirazioni cardiache. Ossequia la Signora Ippolita 8 e tante cose a Camillo.9 Barbera fa lo gnorri, ma Filomusi, che ho visto a Roma ultimamente, freme e gli ricorda Spillmann. Tuo affezionatissimo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
5. Che confluiranno nell’articolo Del Principe del Machiavelli e di un libro di Agostino Nifo, in «Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche», N.S., I (1879), 1, pp. 94-114. 6. Si riferisce al concorso per la cattedra di storia della filosofia all’Università di Torino (cfr. lettera 827). 7. Si riferisce ai 4 volumi Dell’arte del dire, dell’abate Vito Fornari. 8. Ippolita Patellani. 9. Angelo Camillo De Meis.
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831 A Francesco Fiorentino Napoli, 11 febbraio 1879 Mio caro Fiorentino, Prego il Ministero di convocare la Commissione per Torino 10 pel 28 corrente. Mandami o porta con te il parere sul Siciliani. E intanto ristudia e annota un po’ il Bobba, senza meno; giacché prevedo, anzi sono certo, che saremo 2 contro 3. Si trattasse di Roma, dove ci è il nostro caro Turbiglio, potrebbe passare; ma per Torino, non m’entra: ho avuto sempre ripugnanza per le bobbe e Torino. Dunque a rivederci presto. E udirai il sonetto a Mamiani e altro e altro, ammirerai. Saluti alla Tuta e tutti i tuoi. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 95 (inedita).
832 A Silvio Spaventa Napoli, 17 febbraio 1879 Mio caro Silvio, Deroberti – impiegato nella ferrovia romana – desidera che io ti scriva due righi di raccomandazione, e di essere ricevuto da te. Lo fo, anche per darti mie notizie, che non ti ho scritto mai da che son partito di costì. So da De Crecchio che stai bene. – Ci rivedremo il dì delle Ceneri. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
833 A Silvio Spaventa Napoli, 24 febbraio 1879 Mio caro Silvio, Non verrò il 26, come ti scrissi giorni fa; perché stamane ricevo l’avviso che il Consiglio è differito sino a nuovo ordine di Sua Eccellenza. 10. Per l’assegnazione della cattedra di storia della filosofia all’Università di Torino.
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Federico mi scrive che hai sofferto un’infreddatura. Come stai ora? Bada; e ti raccomando sempre sempre la litina. Noi stiamo bene. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
834 A Francesco Fiorentino Napoli, 28 febbraio 1879 Mio caro Fiorentino, Due o tre giorni fa incontrai Tallarigo colla sua bella graziosa e simpatica Metà11 e seppi da lui i guai che ti avevano travagliato in questo cadente mese. E volevo scriverti subito; ma dovendo partire per Roma, credetti meglio di aspettare la tua solita lettera per mezzo del Betti. Fatto sta che il Consiglio, come sai, è stato prorogato da Sua Eccellenza; e quella lettera tu hai dovuto mandarmela per la posta. Vedi cosa vuol dire il principio di causalità, che Kant, ma non Mamiani (il Platone italiano o italico, come più ti piace) dice soggettivo! Altro che soggettivo! Senza l’efficienza coppiniana, tu non avresti speso 20 centesimi! Già, tutti i grandi uomini (e ministro e grande uomo sono sinonimi, non escluso Mezzanotte) sono così: cioè oggettivi, non soggettivi; lasciano tracce reali, incancellabili, del loro sedere sul letto del Potere, inconsapevolmente. L’incoscienza è la sostanza del Genio! Chi sa se Sua eccellenza sa nulla del principio di causalità? Dunque il Consiglio è prorogato, con mio dispiacere anche; perché non credere che io sia beato sulle sponde del Sebeto (che non ho visto mai); e ho gran bisogno, ora, di interrompere questa monotonia colla gita a Roma capitale. Figurati che per più settimane spesso non vedo alcuno, che conosca; e non parlo con anima pensante e filosofante: la sera, passeggio solo; incontro qualche volta il buon Galasso, e se l’eccelso Fornari uscisse di sera e a piedi, ti dico in verità che gli farei da chierico e gli risponderei a messa (per Toledo), tanta è la voglia che ho di parlare di cose dell’altro mondo. In fin di conto il Fornari è un uomo, non teologo soltanto, ma filosofo: se non sommo, di certo grande, checché ne dicano in contrario il Mamiani e il Barzellotti. «Iddio pria di crear…» A Roma c’è il Berti; e io imparo tante cose da lui, maestro del Bobba carissimo nostro. Che testa! Che sguardo sintetico! Che attitudine creativa! Peccato, che anche lui, come il Coppino, crea inconsciamente, e non si accorge di essere quello che è! Ti ricordi quelle lezioni sui fegatelli di Spinoza? Mi pare di vederli ancora, quei fegatelli! A Roma ci sono le enciclopedie semoventi e viventi. In una chiacchierata serale, da piazza Colonna a Piazza Venezia, s’impara tutto lo scibile. – A Napoli, niente di tutto ciò; o almeno, non cade sotto la mia solitaria percezione. 11. Luigi Miraglia (cfr. lettera 719).
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So dal Ministero lo smarrimento dei titoli dei concorrenti alla cattedra di Torino. Che vuoi che faccia io? Quello che posso fare è questo: quando sarò a Roma pel Consiglio (finora nessun avviso), pregherò Sua Eccellenza di chiamarvi (te e Bonatelli) per telegrafo, visto e considerato che i titoli sono noti a tutti i commissari, etc. etc. E a proposito ti scrissi, che avessi preso qualche appunto sul Bobba. L’hai fatto? Vedi, che saremo battuti: due contro tre. Spero che daremo compimento anche alla Pierogonia. 3 sono favorevoli. Piero 12 mi scrisse alla fine di Gennaio (non auguri di capodanno; e la Cesira13 né meno un biglietto di visita!). Gli ho risposto: desiderare quanto lui la sua finale evoluzione, condizione sine qua non di quella tranquillità e serenità d’animo tanto necessaria ai parti mentali (specialmente negli animali in cui la gestione è così breve). Capisci bene, che la finale evoluzione è l’ordinariato. E basta per oggi. Spero che i tuoi malati convalescenti andranno sempre meglio, e di rivederti presto a Roma. Ma – ti ripeto – non impegnarti a pranzo con alcuno; se no, non ci è gusto. A Roma io non posso vederti che la sera, e la sera tu te ne scappi ora con un pretesto, ora con un altro. Saluto la Tuta14 e tutti di casa. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 21 (inedita).
835 A Silvio Spaventa Napoli, 18 marzo 1879 Mio caro Silvio, Zio Peppino,15 Clotilde16 e Mincantonio17 sono arrivati ieri sera alle 11; e li feci venire da me. Per poco non è avvenuto il caso dell’altra volta, che non mi fecero saper nulla dell’arrivo… Ma credo inutile entrare in pettegolezzi. Zio Peppino è molto malandato. È vero che ha 74 anni; ma si vede che è malato da un pezzo, e non capisco come si sia risoluto così tardi di far qualche cosa. Pare che abbia il diabete. Il caso di Clotilde non sembra così grave; almeno così mi assicura il Vizioli Raffaele. Del resto domani si vedrà: ho fatto chiamare il Cantoni,18 il Capozzi19 e il Maier. 20 12. Pietro Siciliani. 13. Cesira Pozzolini. 14. Restituta Trebbi. 15. Giuseppe Spaventa. 16. Clotilde Spaventa. 17. Domenicantonio Sacchetti. 18. Gaetano Cantoni (1815-1887), medico e deputato nel parlamento del regno d’Italia nella XV legislatura. 19. Domenico Capozzi (1829-1907), medico e docente universitario, insegnò patologia medica, semeiotica e cardiologia all’Università di Napoli. 20. Giustino Mayer, ginecologo e ostetrico abruzzese di nascita, morì a Napoli il 22 ottobre 1879. Studiò a Napoli, dove fece carriera come medico primario dell’ospedale celtico e professore pareggiato d’ostetricia e ginecologia nell’università.
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Mi dispiace che ti pigli spesso delle infreddature. Sta attento. – Non ho ancora alcun invito pel Consiglio; e già mi secca Napoli, avvezzo come sono a sfogarmi ogni mese a Roma. E quando uscirò da Consiglio, come si farà? – Domanderò di essere nominato Senatore del Regno, tra gli Sprovieri, i Del Giudice,21 i Torrigiani22 etc. Che cuccagna! Domani saranno 30 anni che fosti arrestato da Campagna.23 Se fosse vivo, sarebbe un buon senatore nicoterino. E oggi 3 anni, che cadde il Ministero Minghetti. Tutti ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
836 A Silvio Spaventa Napoli, 22 marzo 1879 Mio caro Silvio, Verrò domani sera alle 7. Ho scritto a Federico e Filomusi di venire alla Stazione. – I medici non hanno ancora finito di osservare Zio Peppino e Clotilde.24 È certo però di Zio Peppino, non ha il diabete. Qui sta molto meglio. Finora non ho potuto condurre Clotilde da Tommasi; il quale è tormentato dai soliti dolori. Saluti da tutti Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
837 A Francesco Fiorentino Roma, 27 marzo 1879 Mio caro Fiorentino, Sarò brevissimo, perché – già lo sai – avvezzo a scrivere e pensare (che bestia! Metto prima lo scrivere e poi il pensare. Che bestia!) sempre nella mia cameretta, solo, solo, in questo gran Consesso di celebrità scientifiche che è il Consiglio superiore, non mi ci tro-
21. Achille Del Giudice (1819-1907) politico campano ricoprì incarichi negli enti locali. Deputato del regno d’Italia nell’XI e nella XII legislatura, fu nominato senatore nel 1876. 22. Pietro Torrigiani (1810-1885), politico, senatore del regno d’Italia dal 1879. 23. Cfr. lettera 100. 24. Giuseppe e Clotilde Spaventa.
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vo; non ho più né anco la mia solita vena poetica. Poveri fegatelli!25 – Dunque non posso darti nessuna notizia del concorso di Torino. È sorto un incidente, di cui ti parlerà il Betti, da cui non so cosa potrà nascere. – Quanto alla Pierogonia, per ora non ci è bisogno di riunire la Commissione. Ecco la verità nuda e cruda. Dunque? Aspettiamo che il Ministero decida la faccenda di Torino. E se la decisione sarà A, io proporrò subito la convocazione; se sarà non A, se la vedranno loro. Saluta la Tuta.26 Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 22 (inedita).
838 A Silvio Spaventa Napoli, 31 marzo 1879 Mio caro Silvio, Zio Peppino, Clotilde e Mincantonio 27 partirono l’altra sera. Le osservazioni posteriori dei medici confermarono le precedenti. La povera Clotilde – che non sa nulla del suo male – dovrà fare una cura rigorosa, prescrittale da Mayer e Tommasi. Il tumore di Zio Peppino è poca cosa. Quella piccola infiammazione all’orecchio mi produsse a Roma un po’ di febbre; che mi tornò anche iersera. Se mi ritorna stasera, domani prenderò il chinino. Del resto sto bene. ti raccomando la litina. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
839 A Francesco Fiorentino Napoli, 15 aprile 1879 Mio caro Fiorentino, Prego il Ministero di convocare la commissione per Torino pel giorno 27 corrente. Va bene? – Il Betti ti avrà detto cosa ci fu su questa faccenda: per poco non è andato a monte ogni cosa. Non hai risposto mai a una mia istanza: cioè di notare o annotare i 25. Riferimento alle lezioni tenute da Domenico Berti all’Università di Roma (cfr. lettera 834). 26. Restituta Trebbi. 27. Giuseppe Spaventa, Clotilde Spaventa e Domenicantonio Sacchetti.
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maggiori spropositi del Bobba. Credo che 3 saranno in suo favore; e noi 2 saremo battuti. Battuti, ma non fottuti, se faremo un parere a parte, ragionato e ammodato. Potrei studiare io; ma tu sei più svelto di me, e fai più presto. Dunque mi ti raccomando, e rispondimi su questo particolare. I fegatelli! Gli spinozelli! … La sostanzella! Gli attributelli! … o che storiella! … Tale è il tipo di un professore buono di storia della filosofia. Piero28 mi scrive, e vuole notizie da me della sua faccenda. Gli rispondo che non la proposi nell’ultimo Consiglio per cagioni indipendenti dalla mia volontà, e che la proporrò nel prossimo. A te posso dire – ma non lo dire a nessuno – che se avessi fatto la proposta, facilmente avrei fatto fiasco. E la cosa ora non è del tutto sicura. Quel benedetto art. 69!29 E non ti dirò tutto. Lo traducono ora in francese: Piero,30 non l’art. 69. Avremo le Pierogonie moderne. Vuoi più meritata fama di questa? Chi sa se un giorno non tradurranno anche la mia celebre ode pindarica? Ma sarà difficile. È una fortuna che non tocca a noi; almeno a me, che sono intraducibile. Come tradurre, per esempio fegatelli, spinozelli, sostanzella etc., conservando la freschezza e originalità delle dizioni? E berticelli? E Pierbucionelli? E (apriti cielo!) Mamianelli? Dunque a rivederci a Roma. E ti ripeto per la millesima volta, a pranzo insieme. E crepi l’avarizia. Se no, non ti leggerò i miei poemi. – Concerteremo anche la gita a Padova… e Bologna. A proposito, Piero mi scrive: Camillo31 sta bene, fisicamente. Capisci? Piero, lo psicogenista metafisicofobo, fa il patetico insinuante. Se sta bene fisicamente, sta bene totalmente; giacché cosa c’è oltre la fisica? Nulla. Piero non si degna di ammettere la metafisica. Saluto la Tuta 32 e tutti di casa. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 23 (inedita).
28. Pietro Siciliani. 29. Cfr. lettera 773, nota 35. 30. Cfr. Pietro Siciliani, Prolégomènes à la psychogénie moderne, traduit de l’italien par A. Herzen, Paris, G. Ballière, 1880. 31. Angelo Camillo De Meis. 32. Restituta Trebbi.
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840 A Francesco Fiorentino Napoli, 20 aprile 1879 Mio caro e immortale collega! Perché collega e per giunta Immortale? Perché stamane ti abbiamo eletto ad unanimità Socio ordinario non residente della nostra Accademia.33 Socio è altro (e più) da corrispondente; e nella nostra Sezione filosofica non ci era che il solo venerando Terenzio Mamiani della Rovere. Non residente vuol dire che non ha l’assegno fisso; ma se interviene alle sedute, percepisce il gettone. Se tu verrai a Napoli di nuovo, non credo che sarà difficile cassare il non. Il resto a voce a Roma. Nominarti residente non si poteva; perché tu non risiedi qui. Il Ministero mi risponde di avervi convocati pel 27. Dunque a rivederci tra breve. E a pranzo. Hai bobbato? Saluti. Tuo Bertrando Bobbo, -as, -avi, -atum, -are. BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 24 (inedita).
841 A Silvio Spaventa Napoli, 25 aprile 1879 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (Sabato) alle 7. Ho scritto a Federico e Filomusi. Spero di vederti al Caffè del Parlamento o al Morfeo. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
842 A Francesco Fiorentino Napoli, 14 maggio 1879 Mio caro Fiorentino, Partirò domani (giovedì) per Roma. E non ti posso dire altro di sicuro. Può darsi che parta da Roma la sera del 16 e me ne venga a Pisa alle 11 e ½ antimeridiane del giorno seguente, e può darsi che parta la mattina del 17 e me ne venga costà alle 10 e 34 di sera 33. Della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti in Napoli.
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(ora incomodissima per te). Ti telegraferò da Roma (una lira per farti piacere!). Il 18 si rimane a Pisa, il 19 si va a Bologna; il 21 si parte per Padova, dove speriamo di trovare i nostri cari colleghi, specie il Bertinaria che desidero tanto tanto di rivedere. – Per fare i calcoli precedenti ho dovuto comprare l’orario; e sono 50 centesimi di più. – A proposito fa la solita provvisione di francobolli. Non ho ancora scritto a Camillo.34 Cesira35 e Pietro 36 mi han ringraziato molto benevolmente e teneramente, e mi invitano già a passare una giornata con loro. Non sarà possibile. Hai preparato la tesi? Bisogna che facciamo buona figura nell’Ateneo padovano.37 Avremo supplenti il Bonatelli e il Micheli38 e poi, invece del Bonatelli che partirà per l’ispezione, il caro Bobba. Insomma, Bobba sempre: di qua, di là, di su, di giù: eccetera, direbbe Berti l’egregio; cioè, secondo l’etimologia di Varrone, fuori gregge, o ex gregge (proveniente dal gregge; scusa se traduco). Perché non scrivi a Tocco di venire a Pisa per un giorno? Pel gran giorno? Si farà un po’ di chiasso. Tanti saluti alla Tuta 39 e a tutti di casa. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 108 (inedita).
843 A Silvio Spaventa Napoli, 14 maggio 1879 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (Giovedì) alle 7. Ho scritto, al solito, a Federico e Filomusi. Ci vedremo la sera stessa al Caffè. Mi tratterrò a Roma appena un giorno. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
34. Angelo Camillo De Meis. 35. Cesira Pozzolini. 36. Pietro Siciliani. 37. Per lo svolgimento del concorso per la cattedra di filosofia morale. 38. Giuseppe Micheli (1823-1883), politico e deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla XIII alla XV legislatura. 39. Restituta Trebbi.
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844 A Silvio Spaventa Bologna, 5 giugno 1879 Mio caro Silvio, Sono arrivato qui iersera, dopo essere stato due settimane a Padova e un giorno e ½ a Venezia. Sto bene. Camillo 40 mi ha dato tue notizie. Non ti ho scritto, perché non ho avuto finora un momento di tempo. – Verrò costì dopo domani (7), ora non so a quale ora. Scriverò a Federico e Filomusi. A rivederci presto. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
845 A Federico [De Laurentiis]41 Bologna, 6 giugno 1879 Mio caro Federico, Partirò di qua stanotte e sarò a Roma coll’omnibus delle 6 circa pomeridiane di domani Sabato. Potrai tu venire alla Stazione col pranzo imminente? Scrivo a Filomusi, che verrà. Tu almeno pensa alla camera nell’anglo-americano; e se puoi avvisa Silvio dell’arrivo. Saluto Carlo. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
846 A Francesco Fiorentino Roma, 11 giugno 1879 Mio caro Fiorentino, Due righi pel Betti. Ti scrivo per la posta una lunga lettera. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 109 (inedita).
40. Angelo Camillo De Meis. 41. Cfr. lettera 775, nota 38.
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847 A Francesco Fiorentino Napoli, 17 giugno 1879 Mio caro Fiorentino, Finalmente è venuto l’invito alla Facoltà; la quale oggi stesso ha deliberato favorevolmente, anzi ha fatto qualche cosa di più; perché ha accolto con piacere la proposta ministeriale; perché non ignara dei tuoi libri e del gran pregio etc., ringrazia il Ministro42 etc. Dunque… Ti ho scritto giorni fa per la Rivista. Di fretta. Saluto Camillo43 al quale devo ancora rispondere. Saluti alle Signore. Tuo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 110 (inedita).
848 A Silvio Spaventa Napoli, 6 luglio 1879 Mio caro Silvio, Ho un po’ di podagra da qualche giorno; ma è piuttosto leggera. Se mi sentirò meglio, verrò costà il 9 pel Consiglio. Filomusi mi dice che Federico ha cambiato casa. Non sapendo il suo nuovo indirizzo, io gli scriverò con quello dell’albergo anglo-americano. Tu intanto glielo farai sapere subito, acciò possa ricevere la lettera in tempo. Dunque si farà il Connubio?44 Questa ci mancava: anche la Destra diventerà nicoterina. Così l’Italia sarà di un sol colore: tutta unificata, senza gli scrupoli metafisici di pochi uomini così detti onesti. A che serve l’onestà? La nuova generazione non ne vuol sapere e non ha che farne. Se non vengo, ti scriverò di nuovo. Isabella Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
42. Michele Coppino, ministro della pubblica istruzione. 43. Angelo Camillo De Meis. 44. A pochi giorni dalla caduta del terzo governo Depretis iniziò a circolare la voce di una probabile alleanza tra la Sinistra parlamentare, guidata da Nicotera, e alcuni esponenti della Destra, che ruotavano intorno a Sella.
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Epistolario
849 A Francesco Fiorentino Napoli, 9 luglio 1879 Mio caro Fiorentino, Viene a Pisa come Provveditore il Signor Francescantonio Marinelli,45 compaesano del nostro Amicarelli e che io conosco da gran tempo. Brava persona, capace, onesta, istruita, io te lo raccomando caldamente. E fa di essergli utile quanto più puoi. Devo dirti altro? Tuo affezionatissimo B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 111 (inedita).
850 A Francesco Fiorentino Napoli, 17 luglio 1879 Mio caro Fiorentino, La podagra mi permise di andare a Roma donde sono tornato 3 giorni fa. Volevo vedere il Coppino per ringraziarlo della giustizia resa al Labanca46 e a noi, ma in quella confusione degli ultimi momenti del Ministero non ci riuscii. Vidi lo Zanfi e il Bertoldi, i quali pregai di voler fare le nostre parti. Lo Zanfi mi parlò tanto della tua lettera. L’altra volta mi dimenticai di dirti che al Berti non nascosi la tua visita ai Frari e qualche scoperta fatta da te. Dopo qualche scusa, mi annunziò che stava scrivendo la Storia (proprio la Storia) della filosofia del Risorgimento: molti volumi – alla Bobba, volevo dir io. Ma mi ricordai del buon Bobba di Padova; e tacqui. L’ho col Berti: la sua condotta coll’affare del Labanca è stata degna d’un gesuita. Bisogna trattarlo come merita: sarà un uomo egregio, ma è anche un colossale asino, e farabutto. Te lo raccomando nella lettera che farai sul Giornale.47 Anche al Cantoni bisognerebbe dare una lezioncina. Ora è tempo di essere parchi di cerimonie, e di mostrare un po’ i denti. Non ho letto il Discorso cruscale. 48 L’Opinione è ora in mano di Luzzatti e di Turbiglio; quegli è pagato per fare l’elogio di sé medesimo, questi di altri: Luzzatti rappresenta l’egoismo, Turbiglio l’altruismo.
45. Francesco Antonio Marinelli, al tempo provveditore della provincia di Abruzzo Ulteriore. 46. Per la proposta come professore straordinario nel concorso per la cattedra di filosofia morale all’Università di Padova. 47. Una lettera del prof. Francesco Fiorentino al prof. Bertrando Spaventa, in «Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche», N.S., I (1879), 3, pp. 446-459. 48. Il riferimento è alla lezione pronunciata da Domenico Berti nell’adunanza pubblica dell’Accademia della Crusca il 16 settembre 1878: I piemontesi e la Crusca. La conferenza era stata allora pubblicata negli Atti dell’Accademia dalla casa editrice Cellini di Firenze.
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Il Connubio Sella Nicotera49 non è avvenuto ora, ma avverrà senza dubbio e quanto prima. Quasi tutta la destra, specie i giovani, sono favorevoli, e ardono dal desiderio di vederlo compiuto. Poche eccezioni: Lanza, Silvio, Minghetti, Finzi,50 Donato Morelli, Morselli. Chimirri 51 è pel connubio. Marvasi pel connubio. Berracco è pel connubio. De Crecchio pel connubio. Silvio ti avrà detto o ti dirà il resto. E non ho ancora risoluto di andare via da Napoli e dove. Quest’anno non ho proprio voglia di lasciar la mia casa. Non fa gran caldo finora. Vedrò. Ora mi ricordo di Sicûro e dei giorni felici passati a Padova. Prima della risoluzione del Coppino, non potevo pensarci senza dolore. Facevamo una bella figura! Ora il Guerrazzi52 sarà dolentissimo e avrà telegrafato a Platone e… a Democrito. Tocco è ancora qui e parte domani col fratello. Scrivimi qualche volta. Non ho a dirti altro per ora. Se vado via te lo farò sapere. Alla Tuta e alla Marianna53 tanti saluti, e baci ai ragazzi. Nino 54 migliora? Tuo affezionato Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 27 (inedita).
851 A Silvio Spaventa Napoli, 17 luglio 1879 Mio caro Silvio, Zia Luisa55 mi scrive per raccomandarmi Luigi Sirolli (il marito della povera Mariotta), ricevitore del Registro a Nereto, il quale ha avuto da dire coll’ispettore ed è minacciato di rimozione. So che ha scritto anche a te. Veramente io non posso far nulla in questa faccenda; se non ricordarla a te. I piedi miei sono liberi, ma ho ancora un po’ di dolore ai ginocchi. Bada alla salute. Isabella, Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
49. Bertrando Spaventa dedicò una speciale poesia al connubio, pubblicata da Giuseppe Berti sul n. 1, anno XI, gennaio 1954, p. 32, della rivista «Rinascita», con il titolo Rime satiriche di Bertrando Spaventa sul connubio Sella-Nicotera. 50. Giuseppe Finzi (1816-1886), avvocato, possidente e politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia dall’VIII alla XV legislatura. 51. Bruno Chimirri (1842-1917), avvocato e politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla XII alla XXIII legislatura, più volte ministro. 52. Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873), letterato e giornalista, deputato nel parlamento del regno di Sardegna e del regno d’Italia dall’VIII alla X legislatura. 53. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 54. Pasquale Fiorentino. 55. Luisa Croce.
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Epistolario
852 A Silvio Spaventa Napoli, 29 luglio 1879 Mio caro Silvio, Noi partiamo oggi per gli Abruzzi. Ci tratterremo una diecina di giorni a Francavilla; e poi per Sulmona andremo a Pescocostanzo. Ti scriverò di là. E tu hai risoluto dove andare? Spero che me lo farai sapere. Devi fare una cura, quale che sia e badare alla salute. Saluto Federico, se è ancora costì. Isabella, Millo e Mimì ti salutano. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
853 A Silvio Spaventa Francavilla al mare, 13 agosto 1879 Mio caro Silvio, Ti scrissi prima di partire da Napoli; e non ebbi risposta, né da un pezzo ho tue notizie. Ho saputo che l’altro ieri passò per questa stazione Federico, al quale avrei potuto domandare; ma né egli sapeva che io mi trovavo qua, né io che egli passava. Mi tratterrò ancora qua un paio di giorni, e poi andremo a Pescocostanzo per Sulmona. Di là ti scriverò. Come stai? Dove andrai alla fine di Agosto? Fammi sapere ogni cosa. – Di politica non ti domando niente. Il connubio56 si farà ora di certo dopo la vittoria di don Giovanni57 a Napoli. Bada alla salute, per carità. Isabella e Mimì ti salutano. Millo è a Bomba e verrà a Pescocostanzo per la via di Palena. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
56. Cfr. lettera 850. 57. Giovanni Nicotera.
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854 A Silvio Spaventa Pescocostanzo, 22 agosto 1879 Mio caro Silvio, Giungiamo in questo momento qua e trovo la tua. Era un mese già che non avevo tue notizie. Godo che stai bene. È necessario che esca subito da Roma, e vada a prendere i bagni e le acque alcaline, dove che sia. Noi stiamo bene. Ci siamo trattenuti una ventina di giorni a Francavilla e due a Sulmona. La posta sta per partire e perciò non ti dico altro. Fammi sapere quando partirai e dove andrai. Isabella, Mimì ti salutano. Millo non ancora viene. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
855 A Camillo Spaventa Pescocostanzo, 3 settembre 1879 Mio caro Millo, ti scrissi ieri che la carrozza non poteva venire sino a Palena. Ora Mario mi dice che sì. Tienti dunque pronto. Non è improbabile che la carrozza venga domani: e forse verranno Mammà e Mimì, per trattenersi un’oretta costì. La valigia piccola potrà essere portata in carrozza; ma la grande devi pensare a mandarla per altra via sicura. Saluti a tutti di casa. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
856 A Silvio Spaventa Napoli, 6 novembre 1879 Mio caro Silvio, La podagra non mi lascia ancora libero; e questa benedetta gamba sinistra non è ancora guarita del tutto: sicché, se non guardo il letto, guardo ancora la casa, e non posso uscire. Del resto sto bene.
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Devo trovarmi costà il 22 la sera. Potrò venire in casa tua? Troverò il letto pronto, meno la biancheria che porterò io? Mi raccomando a Federico, che mi manderà la misura delle cusciniere. Tu comprerai una buona coperta di lana. Temo però dei pavimenti, così per me come per te. Sono asciutti? Come stai collo sfogo? Bada anche a questo. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Saluto Federico e Carlo. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
857 A Francesco Fiorentino Napoli, 21 novembre 1879 Mio caro Fiorentino, Oh! finalmente; rivediamo i caratteri etc., dirai tu pieno di stupore. Hai ragione. Ma io non ho poi tanto torto. Metti sulla bilancia in primo luogo la mia innocente e perciò incolpevole poltroneria, e in secondo luogo il gran guaio che mi è cascato sui piedi da un mese in qua, e poi se ti basta l’animo, condannami pure ai lavori forzati. Sai già che a Roma – anzi nell’andare a Roma – fui colto dalla podagra. Chi non lo sa? Ed ho la consolazione di annunziarti, che non è ancora perfettamente guarita. E domenica prossima devo partire di nuovo. Spero di poter fare questo viaggio. – Del resto sto bene. – Non so se ti potrò scrivere a lungo. Ho perduto l’abitudine di scrivere lettere. Così a sangue freddo non mi ci trovo. Io sono lo scrittore delle grandi occasioni. Ti dirò le cose principali. Senti questa che è curiosa. Mi scrive da Palermo Ragnisco che la nostra Facoltà sarà interrogata sulla convenienza di chiamar lui a professore di filosofia della storia dell’Università partenopea. Dichiara che verrà, se tu non hai voglia di venir tu, o se ne andrà quando tu vorrai venire. E mi si raccomanda etc. D’altra parte dice di aver sentito da un professore di Pisa, che tu non ti muoverai da Pisa l’anno venturo; che il Municipio ti ha riconfermato l’assegno etc. – Che ci è di vero in questa notizia? Verrai o non verrai l’anno venturo? Non ho letto né la tua prefazione 58 né quella di De Sanctis al Settembrini,59 perché Morano non mi ha ancora mandato i libri. Quanto a ciò che mi dice Silvio del concorso presso i Lincei,60 tu sei perfettamente libero. Da parte mia, io – anche se avessi le opere pronte – ai Lincei io non presenterei mai nulla: non mi reputo degno di essere giudicato da Mamiani e simili. 58. Luigi Settembrini, Scritti vari di letteratura, politica ed arte, 2 voll., riveduti da Francesco Fiorentino, Napoli, Morano, 1879-1880. 59. Luigi Settembrini, Ricordanze della mia vita, 2 voll., riveduti da Francesco Fiorentino, Napoli, Morano, 1879-1880. 60. Nel 1880, spinto anche da polemiche interne all’ateneo pisano, Fiorentino fece ritorno a Napoli per occupare, tre anni più tardi, la cattedra che era stata di Spaventa. La riapertura di un bando
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E per la prima volta dopo tanti mesi, credo che basti. Forse ti scriverò da Roma. Saluto la Tuta e la Marianna61 e tanti baci ai bimbi. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 96 (inedita).
858 A Silvio Spaventa Napoli, 22 novembre 1879 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (Domenica). Dì a Federico di farsi trovare alla Stazione alle 8 ¼ con Filomusi, a cui scrivo. E gli raccomando la camera all’albergo, che sia buona. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
859 A Silvio Spaventa Napoli, 4 dicembre 1879 Mio caro Silvio, Federico mi promise di darmi notizie della tua salute, e non mi ha detto niente. Cosa devo intuire dal suo silenzio? Vai meglio? – Tommasi dice che devi mutare sistema di alimentazione. Ma di ciò a suo tempo. Appena tornato, mi sono ammalato di nuovo. Prima, un fiero dolore di stomaco, simile a quello che mi prese a Roma, quando tu eri ai Lavori Pubblici62 e da cui fui liberato dal Bonomo: con quasi gli stessi fenomeni, con un po’ di vomito e febbre quotidiana. Poi, da capo la gotta a un piede; e finalmente a tutte due; ma leggera. È svilente che in tutto questo piccolo guaio ci entra anche la malaria: se ancora quella di Abruzzo o quella di Roma, non lo so. Però da ieri sto meglio. Prendo il chinino e da ieri la febbre è molto leggera. Vedremo se tornerà oggi; e te lo scriverò più tardi. Ti scrivo queste cose, non perché ne valga la pena, di concorso dell’Accademia dei Lincei lo indusse a dedicarsi con maggiore organicità alla filosofia del Quattrocento. Iniziò a lavorare a una monografia che sarebbe rimasta incompiuta per l’improvvisa morte, avvenuta il 22 dicembre 1884, e che apparve postuma a cura di Vittorio Imbriani nel 1885 con il titolo Risorgimento filosofico nel Quattrocento (Napoli, Tipografia della Regia Università). 61. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 62. Silvio Spaventa fu ministro dei lavori pubblici nel secondo governo Minghetti (dal luglio 1873 al marzo 1876).
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ma per prevenire esagerazioni di notizie. Oggi mi sento, ripeto molto meglio, e mi sono levato un momento per scriverti. Attribuisci il cattivo carattere alla penna, non al polso. Aspetto dunque tue notizie. Saluto Federico e Carlo. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
860 A Francesco Fiorentino Napoli, 10 dicembre 1879 Mio caro Fiorentino, Le nostre lettere si sono incontrate per istrada, senza conoscersi e stringersi la mano: viaggiavano incognito, come fanno i ministri della Riparazione, per ischivare le orazioni della folla. Ricevo ora appunto la tua che sono le 9 del mattino, e a stomaco digiuno, fumando la prima pipa, ti rispondo senza por tempo in mezzo e interrompendo le meditazioni filosofiche, destinate alla creazione dei grassatori, dei camorristi e dei mafiosi che allietano in Regno d’Italia. Quanto alla tua venuta qui, credo che farai bene a scriverne al De Sanctis e conchiudere la cosa ora. Da quanto so, la Facoltà finora non è stata interrogata sul conto del Ragnisco, 63 al quale non risposi. Pare che la faccenda di costui sia rimasta lì e che il Perez64 prima di morire non abbia inserito questo codicillo nel suo testamento. Se De Sanctis interrogherà la Facoltà per te, non ci potrà essere opposizione di sorta. Dunque fa presto. Aspetta però che De Sanctis sia prima rieletto Deputato; giacché tra le altre cose vere o false, probabili o improbabili, possibili o impossibili che dicono i giornali, ci è questa: che ci corra pericolo di essere bocciato e che il Depretis stesso – Ministro dell’Interno – non l’appoggi, anzi si adoperi sottomano a farlo cadere a fine di sbarazzarsene. Viva la Sinistra! Vengo al Siciliani, giacché me ne parli. Come sai, i due coniugi di questo nome furono in Napoli a Ottobre e Novembre e diedero spettacolo nel Gran Caffè. Tornato da Roma malato la prima volta (non ora) alla fine di ottobre, trovai a casa un biglietto di visita del maschio, del solo maschio, senza un rigo, un punto, una virgola: della femmina niente, proprio niente, né meno un sospiro. E dire che altre volte erano venuti a visitarmi, riverirmi, ossequiarmi sino a Gragnano e a Scanzano sulla montagna di Castellammare! Che amore, che bene mi volevano allora! E tu sai quanto io n’era contento e beato: me ne andava in brodo, non so se di giuggiole o d’altro. Che gran bella cosa è la dottrina dell’evoluzione! Specialmente se applicata alla vita privata o alle piccole comunità. Oggi tu sei un organo importante, un mezzo principalissimo (vedi che anch’io so usare i superlativi) nella vita di un animale: e diventi testa, cuore, fegato, stomaco e anco intestino: e sei sotto 63. Per essere assunto come professore di filosofia della storia all’Università di Napoli (cfr. lettera 857). 64. Il riferimento è probabilmente a Francesco Paolo Perez (1812-1892), il quale nel marzo 1878 aveva lasciato il Ministero dei lavori pubblici per assumere nel luglio 1879 quello della pubblica istruzione.
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diverse forme elevato sugli altari e accarezzato, baciato (o leccato) e adorato. Domani, non servi più a nulla; altre funzioni richiedono altri organi, altri fini altri mezzi: e tu, o sei tolto di mezzo interamente, o se ti si concede di esistere ancora, passi allo stato di coda; il che per me è la maggiore ingiustizia che si possa fare a un povero galantuomo. Meglio non assistere, che assistere, non dico come coda (che anche la coda è necessaria a certi animali), ma come mozzicone di coda. A me il mozzicone fa l’effetto di chi dice: «una volta sono stato un gran cosa, una gran coda: ho fatto queste e queste imprese; ho nascosto e stretto nelle mie spire questo o quel genio incompreso: ora vedi a che stato sono ridotto; sono la caricatura e la burla di me stesso: sono e desidero più che mai d’essere, e non sono più e non posso essere più, coda». Supposto che un mozzicone di coda abbia la coscienza di se stessa, il maschio Siciliani (e perché mai non anche l’altra?) potrebbe occuparsi di questo problema nella sua psicologia comparata:65 analizzare il sentimento di una coda nell’atto di dimenticare un mozzicone di coda… Dove corro colla fantasia investigatrice? Non vorrei che tu supponessi che per la magia di mastro Piero66 e compagna io sia fatto coda o mozzicone di coda. Di certo il loro genio è questo: caudificare l’universo, per decaudificarlo poi, sempre in beneficio di se stessi. Ma se l’universo – il Dio Universo – vuol farsi fare questa operazione zoo-pedagogica elzeviriana, padrone! Ci sono però certi enti – certe parti dell’universo – che si ribellano a questa legge evoluzionistica, e avendo la coda avanti e non di dietro, e ancora forte e vigorosa (due aggettivi, alla maniera di Mamiani e Cairoli67), se la sanno vedere da sé. – Perdona le sporche imagini, in grazia del soggetto. Auguro al mago e alla maga di non diventare o per meglio dire di non apparir mai coda; ma se questo di grazia accadesse – e temo che la finirà così – auguro loro una coda grossa e lunga, acciò si divertano bene, e siano messi in grado di risolvere con cognizione di causa quel tal problema che ho detto. Nota, che spiega la causa del mio grave risentimento. Il nostro Jaja dice più volte al mago e alla maga, che io era a letto, malato di podagra. Finsero di non capire. Non li vidi punto; cioè, non si fecero vedere. Una volta, la prima copia di ogni sua pubblicazione era mandata a me, in segno e attestato di questo e di quest’altro; ora, non mi ha mandato l’elzeviro di cui mi discorri. Non puoi figurarti quanto questa non curanza mi abbia trafitto il cuore e l’intelletto anche! Ingrato! Privarmi del piacere di leggere non tanto il libro, quanto quella dedica al Perez, che deve essere una bellezza di sincerità, di onestà, di Sicilianità. Beato te, che l’hai letta! Ma, ora che ci penso, perché mandarla a te, e non a me? Decrescenzo68 è stato più umano, più decente. Diavolo! O che anche qui sia applicabile l’evoluzione, la coda e il mozzicone? Il povero mago non è sicuro ancora dell’opera sua: ha bisogno dell’articolo; e tu non sarai tanto crudele da dargli una negativa. – Veramente, io non capisco perché egli cerchi ancora chi parli di lui e delle sue magnifiche e geniali fabbricazioni. È già tanto grande: è noto in Francia, in Germania, in Inghilterra, nei Paesi Bassi, e perfino nell’Australia: in quell’Australia, dove il Berti voleva mandare te come missionario della filosofia lincea. Che vuole di più? Non ci è che dire: ingegno massimo, animo massimo, massima ambizione. È la fama, o la sete dell’infinito che lo strugge. È un uomo lui, che 65. Forse riferimento ai Prolegomeni alla moderna psicogenia, Bologna, Zanichelli, 1878, che furono il contributo che Pietro Siciliani diede in quel periodo alla psicologia. 66. Pietro Siciliani. 67. Benedetto Cairoli (1825-1889), avvocato e politico, deputato nel regno di Sardegna e nel regno d’Italia per diverse legislature; tre volte presidente del Consiglio. 68. Vincenzo De Crescenzo, autore di un saggio dal titolo Il modo di risolvere il problema degli universali secondo la dottrina di san Tommaso D’Aquino, in «La scienza e la fede», s. IV, 40 (1880), 19-20, poi in opuscolo (Napoli, 1880).
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non è fatto della nostra creta ortodossa – della creta di Molfetta: superiore al Fornari, oramai egli merita di prendere il posto di 1° consigliere della creazione. Non ci sarà bisogno di Galasso: l’altare ei lo possiede già. È vero che egli ora non crede più alla creazione ebaziale. Non fa niente. Se tu gli suggerissi, proprio nell’articolo, questa probabilità, anzi necessità di scavalcare l’abate, egli sarà capace di tornare al Theo e all’ontologia, e di fare un’altra lettera al Perez. Di che non è capace? Sono stanco. Ho scritto un mondo di minchionerie, e vado a fare colazione. Non posso star più seduto, perché mi dolgono i piedi. Questa maledetta gotta non mi vuol lasciare. È mite, ma è noiosa. Del resto, la preferisco agli elzeviri. 11. Dicembre a Labanca. Padova… 1. Bravo, bravo, bravo. Le mie congratulazioni, i miei mi rallegro, le mie strette di mano pel gran successo della Prolusione,69 e soprattutto pel gran concorso di Signore. Le signore padovane devono esser belle. Io non ne vidi alcuna in quei giorni memorabili della nostra dimora costì; ma a giudicare dalle ragazze che vedemmo in piazza, è bene dire che ci è della creta fine. Essere applaudito da delle belle donne, è sempre una gran soddisfazione: nella mia oramai non buona carriera di pubblico insegnante io non ho avuto mai questa fortuna. E già le signore belle sono state sempre il tuo debole. Peccato che tu non sii il loro forte! … Che testa, che testa! (Decrescenzo). Dio li perdoni, o piuttosto perdoniamo noi a Dio, che in verità avrebbe potuto fare a meno di crearlo, se non altro per decenza. AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (inedita).
861 A Donato Jaja Napoli, 14 dicembre 1879 Mio caro Jaja, Se non t’incomoda, passando oggi sotto casa mia sali un momento da me, che ti devo fare una preghiera. Tuo affezionatissimo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
69. Intorno alla scuola padovana e alla filosofia morale: prelezione letta il dì 4 dicembre 1879 nella regia Università di Padova da Baldassarre Labanca, Verona-Padova, Drucker & Tedeschi, 1880.
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862 A Silvio Spaventa Napoli, 18 dicembre 1879 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (Venerdì) alle 9 e mezzo, a meno che il tempo non sia pessimo; nel qual caso ti telegraferò, per non far andare inutilmente Federico alla stazione. Raccomando a Federico di trovare una camera sana, non umida, etc., e lontana dal cesso, a qualsiasi prezzo. Se non ci è nell’Anglo-americano veda all’Hotel centrale, o alla Minerva. Ma veda coi suoi due occhi aperti, e segni il numero, e paghi anche anticipato se occorre. Non vorrei ammalarmi un’altra volta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
863 A Silvio Spaventa Napoli, 31 dicembre 1879 Mio caro Silvio, Fammi sapere come stai; ché non ho tue notizie dal giorno che partii da Roma. Io vado meglio, ma non ancora sto perfettamente bene: i piedi, specialmente il sinistro, mi si mostrano ancora un po’ ribelli. Verrai il giorno 6? Avvisami almeno un giorno prima. Isabella Millo e Mimì ti augurano il buon Capodanno. Bada alla salute. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
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864 A Sebastiano Maturi Napoli, 1 [gennaio] 1880 Mio caro Maturi, Ricevetti con molto piacere il ritratto della tua bimba, e se non ti risposi per ringraziarti, la causa fu parte la partenza per Pescocostanzo, parte l’essermi ammalato per via, andando a Roma. Né ancora sto bene perfettamente come prima. Già in prima linea la gotta. Però miglioro da qualche giorno. Mi rincresce che l’Ernesta1 sia stata anch’essa ammalata, e la bimba. Speriamo che guarisca quanto prima. È un triste inverno questo. Anche mia moglie è stata a letto parecchi giorni. Pazienza! Scusa se sono breve. Capirai che ho, specialmente in questi giorni a Napoli, poco tempo. Tanti saluti all’Ernesta e alla Mamma, anche da parte di mia moglie e figlioli e sono sempre Tuo affezionato B. Spaventa BNN, Carte Maturi, B a 5. 3. 7 (inedita).
865 A Silvio Spaventa Napoli, 22 [gennaio] 1880 Mio caro Silvio, Millo ha fatto gli esami di militare giudiziario; e pare – almeno a giudizio di persone che dicono d’intendersene – che non sia andato male. Certamente gli scritti suoi non sono lavori perfetti; ci è qualche menda o inesattezza: ma nel complesso dicono che ne può 1. Ernesta Sali, moglie di Sebastiano Maturi.
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essere contenti. Ora la cosa dipende dalla Commissione, che siede costì. Io non so di chi sia composta, né ho modo qua di saperlo. Dicono che ne sia presidente il Miraglia. Il mio primo pensiero è stato di scrivere all’Auriti; ma poi l’ho smesso, riflettendo che le lettere di questa natura possono essere male interpretate; perché per l’imbarazzo in cui si trova chi le scrive possono dire più o meno di ciò che era nell’intenzione. Però, dovendo io venire a Roma il giorno 28, gliene parlerò, come meglio saprò, a voce. Intanto non faresti male se gliene parlassi anche tu, e prima di me, anzi ora, subito. E non già perché Millo ottenga uno dei primi posti, o un posto che non potrebbe occupare senza danno degli altri: ma perché sia almeno approvato, se non merita altro (approvato è sempre un titolo per l’avvenire). Se poi merita altro, tanto meglio. E serve anche per impedire che – in mezzo alla grande moralità che ci affoga – gli sia fatta in ogni caso ingiustizia. Insomma dì tu; che, come vedi, io non so cosa mi dica, anche scrivendo a te. – Se l’Auriti non è della Commissione, ti potrà sempre dire qualcosa, e tanto che tu possa regolarti. – Ho voluto scriverti, perché a 63 anni ho imparato che chi ha tempo non aspetta tempo. Prima di partire ti scriverò di nuovo. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
866 A Francesco Fiorentino Roma, 30 [gennaio] 1880 Mio caro Fiorentino, Ab Iove –. Dunque venuto qua l’altra sera, ieri ho visto il De Sanctis, e gli ho letto quella parte della tua lettera relativa alla copia del Manoscritto etc. 2 Mi ha detto: ho già risposto e dato le disposizioni etc. – Poi, spontaneamente, prima che io gliene chiedessi, «di che cattedra parla Fiorentino a Napoli? Giacché mi ha scritto che vuol tornare colà». La cattedra? Quella che aveva prima di andare a Pisa. 3 – «Ah! Ma mi pare che questo insegnamento (della filosofia della storia) sia stato abolito a Napoli».4 Niente affatto; anzi, in mancanza di meglio, c’è un incaricato, il Bertolini professore di storia. «Ah! Dunque vedremo…». Tutti i dialoghi che nel corso della mia vita ho fatto col buon De Sanctis sono stati sempre senza conclusione: proprio come i dialoghi platonici, colla differenza che… ma ho bisogno di dire a te la differenza tra quelli e questi? Ma è bene che tu gli scriva chiaro e esiga una risposta chiara: dall’amico. È qui, vicino a me, l’omicida illustre storico, tutto modesto nella sua postuma gloria. Gli dico che qualche 2. Si tratta delle opere di Bruno custodite nella Biblioteca imperiale di Pietroburgo che sarebbero servite a Fiorentino per curare l’edizione delle opere latine del filosofo (cfr. lettera 799). 3. Fiorentino aveva lasciato Napoli nel 1875 per ricoprire a Pisa la cattedra di filosofia teoretica e, per incarico, quella di pedagogia; nel 1880, spinto anche da polemiche interne all’ateneo pisano, fece ritorno a Napoli per occupare, tre anni più tardi, la cattedra che era stata di Spaventa. 4. De Sanctis allude all’ipotesi di inserire Pietro Ragnisco nell’insegnamento di filosofia della storia all’Università di Napoli (cfr. lettera 857).
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mese fa è stata pubblicata in Germania un’altra operona sul processo di Galilei,5 non del povero Gebler6 morto e sepolto da un anno o due, ma del signor Tal dei Tali… «La leggerò, e vedrò». Mi pento ora di avergli dato questa notizia. Chi ci assicura che non lo faccia correre qui, e morire come l’altro di crepacuore? Sta bene; ingrassa, e trionfa alla Palombella. – Ieri ho incontrato il Ferri; non lo vedevo più da Padova. Incontro dolcissimo! Mi dispiace che anche tu hai avuto i tuoi guai in famiglia, e mi rallegro che non gli hai più. Io sto meglio, ma non ancora pienamente libero nei piedi. Silvio sta bene e ti saluta. – In Consiglio non posso continuare. Saluto la Tuta, la Marianna 7 e baci ai ragazzi. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 150 (inedita).
867 A Silvio Spaventa Napoli, 13 febbraio 1880 Mio caro Silvio, Ieri ti scrissi a Roma; e stamane prima di ricevere la tua, ho scritto e mandato a Mincantonio8 le medicine, e rispondo a Rosario. 9 A me aveano fatto credere che la malattia di Clotilde10 non fosse grave cosa, sebbene ricordassi la diagnosi fatta dal Mayer l’anno scorso. Esco dall’Amabile,11 e dal telegrafo. L’Amabile, letta e lodata la diagnosi del Rossetti, ha detto che non ci è da dubitare, che è cancro; che egli non crede ad operazioni di cancri; che non opererebbe lui; che non consiglia l’operazione; che il cancro è come un albero bene potato, che cresce di più, e non si estirpa; etc. È pronto però a venire a Bomba; ma, ripete, non per operare; ma per dare soltanto una soddisfazione a te e agl’interessati. Dello stesso parere sono altri chirurgi che ho potuto vedere. È già tardi e temo di non arrivare a tempo a impostare. Tu scrivimi ogni giorno come va Clotilde. E bada alla salute costà. Che devo dirti di più? Povera Clotilde. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
5. Franz Heinrich Reusch, Der Process Galilei’s und die Jesuiten, Bonn, Eduard Weber’s Verlag, 1879. 6. Karl von Gebler, Die Acten des Galileischen Process nach der vaticanischen Handschrift, Stuttgart, J.G. Cotta, 1877. 7. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 8. Domenicantonio Sacchetti. 9. Rosario Spaventa. 10. Clotilde Spaventa. 11. Luigi Amabile (1828-1892), medico chirurgo, giornalista e docente universitario, deputato nel parlamento del regno d’Italia nell’VIII, X e XIV legislatura.
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868 A Silvio Spaventa Napoli, 14 febbraio 1880 Mio caro Silvio, Ricevo in punto il tuo telegramma (ore 6 pomeridiane), e vado dal Gallozzi. Non sono più in tempo di dirti stasera il suo parere, né forse di mandare la siringa. Vedrò. Se no, a domani. Aspetto lettere tue sullo stato di Clotilde.12 Dimmi se ci è pericolo ora. A domani. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
869 A Silvio Spaventa Napoli, 17 febbraio 1880 Mio caro Silvio, Mando oggi a Mincantonio13 la prescrizione di Tommasi per la malattia principale di Clotilde,14 giacché come mi scrive Mincantonio l’accessoria del catarro intestinale è cessata e l’altra del catarro allo stomaco è ridotta a poca cosa. Il medico che l’ha esplorata definisce la malattia: tumefazione asimmetrica, bernoccoluta e dura della posizione vaginale (dell’utero), con un’ulcera carcinomatosa non molto recente (osservata dal povero Mayer l’anno passato), che comprende quasi tutta la superficie del labbro anteriore dell’orifizio uterino. Se Mincantonio non ti ha mandato questo giudizio del medico e tu lo desideri per farlo vedere al Todaro, te lo manderò io. È un brutto guaio: povera Clotilde! Io sto bene. Isabella e i ragazzi ti salutano. Saluto Federico. E tu come stai? Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
870 A Silvio Spaventa Napoli, 21 febbraio 1880 Mio caro Silvio, Stamane ho ricevuto la tua del 17 da Bomba, tanto che non sapevo se tu ti trovassi ancora colà o fossi tornato a Roma. Ora da una lettera di Rosario 15 a Millo so che è stato 12. Clotilde Spaventa. 13. Domenicantonio Sacchetti. 14. Clotilde Spaventa. 15. Rosario Spaventa.
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lui che in mezzo alla confusione per la tua partenza si è dimenticato di impostarla. Ti mando una copia delle prescrizioni di Amabile e Tommasi. Amabile stesso mi ha consigliato di andare da Tommasi, definendosi incompetente su alcune parti della malattia. Sono stato senza notizie quasi una settimana; figurati con che animo. E pure cosa ci voleva a scrivere un rigo! Lo stato di Clotilde16 mi fa gran dolore: a pensarci ci è da perdere la testa; tanto più che mi avevano sempre fatto credere che la cosa non fosse tanto grave. Mando oggi stesso a Mincantonio la detta ricetta. Come sei tornato in salute? Io devo venire a Roma il giorno 28. Se Federico è tornato, mi faccia preparare un letto. Se non si può, mi trovi una buona camera dove che sia. Ti scriverò prima di partire. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
871 A Francesco D’Ovidio Napoli, 23 febbraio 1880 Mio caro D’Ovidio, Ho bisogno della tua scienza – e a tutto dispetto, filosofia – filologica. Ci è urgenza. E poiché tu sei giovine ancora, e non soffri di podagra, ti prego di venire tu da me domani sera (Martedì). Tuo affezionatissimo B. Spaventa BSNS, Fondo D’Ovidio, C. 2 (inedita).
872 A Francesco Fiorentino Napoli, 25 febbraio 1880 Mio caro Fiorentino, Oggi è giorno di lezione, e sarà difficile che possa scriverti a lungo. Pure se non ti scrivo ora, non so se potrò scriverti più prima della partenza per Roma, che sarà il 29. Ti scriverò di nuovo dalla città eterna. Prendo atto delle gesta nuove del nostro fra Domenico17 (pensatore ecumenico). A me non ha parlato né meno della sua novella pubblicazione18 (alias orinata o cacata, o tutti e due 16. Clotilde Spaventa. 17. Domenico Berti. 18. Domenico Berti, Documenti intorno a Giordano Bruno da Nola, Roma, Salviucci, 1880.
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insieme, come ti par meglio). Da un pezzo non mi abbraccia più: meglio così: una ipocrisia di meno. Voleva convertirmi a favore del Fontana,19 pel cui merito tu riferisti al Consiglio; ma dové smettere. T’invidio l’autografo. Spero che lo porterai a Roma, quando verrai. A proposito, io non so niente di questa tua venuta. Fa che coincida con una delle mie. È un pezzo che non ci vediamo: dalla stazione di Pistoia dopo la creazione di Padova. Non mi fa meraviglia la condotta del De Sanctis. Me ne accorsi fin dal mese scorso, quando gli parlai in tuo onore degli scritti di Bruno da ricopiare. E non volli insistere, per lasciarlo libero e perciò responsabile, e per non fargli supporre che io ti volessi raccomandare a lui. Ma ora devo fare un po’ i conti con lui. Me ne ha fatte parecchie anche a me in temporibus illis. – Sento però che stia per andarsene dal ministero. Tu d’altra parte vai subito in furia. Hai ragione di dolerti del De Sanctis. Non so se in tutto ciò c’entra anche il Bertolini. Può darsi e può non darsi. Ma la Facoltà è innocente, innocentissima. E perciò non devi smettere il pensiero di venire l’anno venturo. Ho bisogno di dirtene le ragioni? Ne abbiamo discorso tante volte. Una ragione – l’ultima; ma anche importante – è il Giornale. Perciò non ti compromettere coi Pisani, prima di qualche altro mese. Vediamo cosa avverrà del De Sanctis: se tornerà alla vita privata a predicare la moralità o resterà alla direzione a praticare. Domenica scorsa Jaia è stato nominato corrispondente nazionale della nostra Accademia, ad unanimità. Bisogna però che lavori. E basta qui. Tanti saluti alla Tuta,20 baci ai ragazzi. Saluti alla Marianna. 21 I miei stanno bene. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 25 (inedita).
873 A Silvio Spaventa Napoli, 12 marzo 1880 Mio caro Silvio, Adelaide22 mi scrive che lo stato della povera Clotilde 23 è gravissimo, e mi manda un nuovo parere del Rossetti; che avrà mandato anche a te. Il Tommasi, a cui l’ho fatto leggere, dice che ci è poco a fare, e ha solo prescritto il modo di dare un po’ di cibo all’inferma: il caso è disperato. Spedirò stasera altre medicine. Il mio dolore di stomaco non è ricomparso finora; e né anche la podagra. Tu bada alla salute. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
19. Bartolomeo Fontana (1835-1901), allora professore di storia presso l’istituto tecnico Leonardo da Vinci di Roma. 20. Restituta Trebbi. 21. Marianna Trebbi. 22. Adelaide Sacchetti. 23. Clotilde Spaventa.
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874 A Silvio Spaventa Napoli, 19 marzo 1880 Mio caro Silvio, Perduta ogni speranza, mi aspettavo da un giorno all’altro la notizia della morte di Clotilde.24 E tu sei stato il primo e solo a darmela: da Bomba non mi ha scritto nessuno. È un po’ troppo, non è vero? Ma ciò non m’importa, e non intorbida il sentimento puro e dolorosissimo che provo in questi momenti. Hai ragione: di sette anime che formavano una sola, siamo rimasti due soli. E chi all’infuori di noi due intende ciò? Oggi fa 31 anno, che tu fosti carcerato.25 Chi se ne ricorda più? Il mondo fa il suo cammino e non bada a chi soffre, o, come si dice, si sacrifica per esso. – Bada alla salute. Io sto bene. Isabella e Millo ti salutano. Tuo Bertrando P.S. Riapro la lettera per dirti che in punto ricevo lettere di Rosario26 e di Corinto. 27 Millo non è stato approvato.28 E con lui alcuni giovani di molto valore. Invece altri notoriamente mediocri hanno ottenuto buoni punti prodotti da Imbecilli. I lavori di Millo non erano gran cosa, e sta bene. Ma quelli di alunni approvati? Aiutati da uno capacissimo, il quale non è stato approvato lui? SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
875 A Francesco Fiorentino Napoli, 28 marzo 1880 Mio caro Fiorentino, A Roma non vidi il De Sanctis, malato allora gravemente di un’iridite (dicono sifilitica!) e chiuso in casa. Mi proponeva di scriverti di qui; ma le notizie sempre più gravi e poi la morte di mia sorella me ne hanno distolto. Di 7 che eravamo, 5 son morti:29 siamo rimasti soli Silvio ed io. Pure ti posso dare qualche notizia. Il De Luca Peppino reduce da Roma mi ha detto che il De Sanctis non ha punto rifiutato di nominarti a Napoli; ha inteso soltanto di non nominarti ora per ora; che farà il decreto alla fine dell’anno scolastico!! etc. E ciò gli ha assicurato anche il Nisio. Era inutile rispondere, pure ho risposto: Ma perché non ha ri24. Clotilde Spaventa. 25. Silvio fu arrestato in via Toledo il 19 marzo 1849. 26. Rosario Spaventa. 27. Corinto Vitullo. 28. Per gli esami da militare giudiziario (cfr. lettera 865). 29. Tito, Berenice, Enrichetta, Clotilde, Ersilia.
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sposto a Fiorentino? Quando mai Fiorentino ha chiesto di andare subito a Napoli? etc. Il fatto grave è il non aver risposto punto. – Il Peppino, tutto mite e mellifluo, mi soggiunse: lo faranno Commendatore. – E anche le Commende bisogna sopportare. Non andare in collera. Vado a Roma il 31 e farò di vedere il De Sanctis. Per me, ritengo la cosa fatta. E io ti ripeto non ti compromettere coi Pisani; e che per tante ragioni è necessario che tu venga qui: politiche, letterarie, filosofiche: tante, tante. Buone feste pasquali anche a te e alla famiglia. Spero che i ragazzi stiano meglio. Saluti alla Tuta 30 etc. Tuo Bert. (Bertrando, non Berti) Dell’Etica a Pavia non so niente; né so se sia aperto il concorso né chi siano i commissari. Probabile che presidente sia Berti, l’Etico per eccellenza. BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 28 (inedita).
876 A Silvio Spaventa Napoli, 29 marzo 1880 Mio caro Silvio, Verrò dopodomani sera alle 8 ½ (Mercoledì). Se Federico non è tornato, vedi di far venire alla stazione Titino Sacchetti. Se no, non fa niente. Isabella Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
877 A Francesco Fiorentino Roma, 3 aprile 1880 Mio caro Fiorentino, Vengo da De Sanctis, il quale mi ha fatto la nota difficoltà, che non può nominarti ora per Novembre. Gli ho risposto: non esser vero che non può; esserci stati tanti casi in cui nomine simili si son fatte, etc. Allora mi ha detto: quando è così, lo nominerò subito a Napoli. 31 – E questo è tutto. Dunque? 30. Restituta Trebbi. 31. Cfr. lettera 866, nota 3.
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Eccoti i nomi della Commissione per Pavia:32 Bonghi, Cantoni Carlo, Labriola, Bonatelli, Conti (l’Augusto). Per oggi non ho altro a dirti. Sono annoiato e svogliato. Spero che i tuoi vadano meglio. Tanti saluti. Di fretta. Tuo Bertrando Scrivimi a Napoli. BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 114 (inedita).
878 A Silvio Spaventa Napoli, 10 aprile 1880 Mio caro Silvio, È venuta da me Donna Teresina Russo e mi ha dato questa lettera per te, pregandomi di mandartela e raccomandartela, come fo, caldamente. Invia a me la risposta. Dimmi qualche cosa dell’affare di Ricciardelli, a cui devo ancora rispondere. Io sto bene collo stomaco. Tu bada alla salute. Isabella Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
879 A Silvio Spaventa Napoli, 13 aprile 1880 Mio caro Silvio, Viene costà il Professore Miraglia, il quale ti parlerà in mio nome di ciò che si potrebbe fare per Millo, e ti darà tutte le informazioni necessarie. Avendo il diploma di procuratore e un po’ di pratica Millo potrebbe essere nominato procuratore sostituto aggiunto erariale. La cosa dipende dal Mantellini, 33 col quale tu dovresti parlare; e così aiutarmi un po’. Ricevo in punto la tua. Bada alla salute; e fa di fare i bagni.
32. Per l’assegnazione della cattedra di etica (cfr. lettera 875). 33. Giuseppe Mantellini (1816-1885), avvocato e politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia nelle legislature XI-XV.
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Aspetto con grande interesse estetico la esaltazione dell’onorevole Nicotera per opera del non meno onorevole Sella. Saluti. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
880 A Francesco Fiorentino Napoli, 28 aprile 1880 Mio caro Fiorentino, Mi imaginavo che ti era accaduto qualche malanno, perché Jaia, Tallarigo ed io non avevamo da un pezzo tue lettere. Speriamo ora che sei in campagna che insieme coi tuoi recupererai la salute: del corpo, se non dell’anima. Per quest’ultima dovresti raccomandarti al Dio di Mamiani e lasciar fare al contatto marginale e simili ricette speculative di primissimo ordine; ma tu hai il torto di non voler credere alla efficacia degli empiastri e degli emollienti spacciati nella bottega dell’idealismo italiano moderato e prudente; e se sarai dannato, sarà colpa tua. Non mi fa meraviglia, punto, punto, che il buon De Sanctis e l’angelico Nisco non ti abbiano risposto. Ripeto, che il De Sanctis mi disse che (ora che capiva che poteva farlo. Che ingenuità di critico, di gran critico!) avrebbe fatto subito il decreto di traslocazione.34 Poveromo! Vedo che se n’è dimenticato. – Lo so che non è una buona azione, anzi è una cattiva azione; ma, quando hai detto che è cattiva, l’è finita (direbbe il buon Massari); il mondo corre lo stesso, e nessuno ci bada. Se ne fanno tante di cattive azioni ora, che anche il più attento osservatore, il più attento distintore (mi pare che Bruno usi questo vocabolo: intelletto distintore! o ricordo male) non ci avverte nulla. Siamo in piena identità assoluta, dalla quale si è smarrita la via di uscire. In questa identità tu, Bertolini, Berti, Turbiglio, Sprovieri, e il sottoscritto Io, siamo tutti lo stesso. Altro che contatto marginale! L’utero è stato sfondato; e non ci è membro che sia atto a fecondarlo. – Del resto il buon De Sanctis e l’angelico suo suggeritore pare che si apparecchino a far fagotto; giacché se son vere le ultime notizie, i triumviri daranno battaglia al Ministero, e il buono non si salverà. Aspettiamo. Pensa ora a rimetterti in salute. Vediamo quale ministro novo (novo, non uovo) ci darà la progresseria, e ci regoleremo. Dirigo questa lettera a Lucca; così Jaia mi ha detto di fare. E ti mando una mia chiacchierata, 35 che non essendo lunga potrai leggere e dirmene qualcosa. Ho perso l’abito di stampare. Partirò dopo domani per Roma, dove al solito mi tratterrò 3 o 4 giorni. Non ho risoluto dove andrò a parare in queste vacanze. Se fossi ricco come Crispi o il barone tuo 34. Per Fiorentino, che da Pisa voleva essere trasferito a Napoli (cfr. lettera 866, nota 3). 35. Kant e l’empirismo, pubblicato negli «Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», XVI (1880), e rist. da Gentile negli Scritti filosofici (raccolti in B. Spaventa, Opere, I, pp. 257-291).
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concittadino, farei un viaggio: non per scoprire la filosofia (ora che Berti si è rimesso a pensare, cioè a scrivere, basta andare a Roma. Ti pare – dimmi la verità – che la faccia di fra Domenico sia filosofica?), ma per dimenticarmene. Tanto, ci è Berti che fa le veci nostre e di tutti, anche di Turbiglio: non ci è pericolo che si perda. Se non avrò la solita mutria che ho ora, ti scriverò di nuovo da Roma. Se no, pazienza. Jaja ti saluta. Tanti saluti alla Tuta, alla Marianna 36 e ai bimbi. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 26 (inedita).
881 A Silvio Spaventa Napoli, 28 aprile 1880 Mio caro Silvio, Verrò dopodomani la sera (Venerdì) alle 8 ½ circa. Se Federico è costì, gli raccomando di venire alla stazione. Se no, venga Titino. 37 Isabella Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
882 A Francesco Fiorentino Roma, 1 maggio 1880 Mio caro Fiorentino, De Sanctis mi dice ora che ha già fatto il decreto del tuo traslocamento a Napoli. Io – testuale – mi sono rallegrato con lui e per lui. Tanti saluti. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 29 (inedita).
36. Restituta Trebbi e Marianna Trebbi. 37. Tito Sacchetti.
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883 A Silvio Spaventa Napoli, 15 maggio 1880 Mio caro Silvio, Non ho più tue notizie dal tuo discorso a Bergamo. Non avendo più letto nulla di te – come viaggiatore – sui giornali, suppongo che te ne sei tornato a Roma. Io sto bene; ma ancora col catarro che presi a Roma da Guardabassi. Se domani avrai dispacci a buon’ora, fammi sapere qualcosa di Bergamo e di Atessa. Saluti da Isabella Millo e Mimì. Come stai? Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
884 A Silvio Spaventa Napoli, 31 maggio 1880 Mio caro Silvio, Verrò dopodomani sera (Mercoledì) alla solita ora: 8 ½ circa. Se Federico è ancora assente, manda Titino38 alla stazione. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
885 Ad Angelo Camillo De Meis Roma, maggio 1880 Ti mando per la posta una mia chiaccherata: un compendio – a uso accademia – di parecchi capitoli di quel tal lavoro.39 Sono i preliminari. Vedrai, se lo leggerai, che ciò che m’importa è il nucleo. A che mena poi il nucleo, si vedrà. SNSP, XXXI.D.7.2 (parzialmente ed. in B. Spaventa, Opere, III, p. 855).
38. Tito Sacchetti. 39. Cfr. lettera 880, nota 35.
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886 A Sebastiano Maturi Napoli, 1 giugno 1880 Mio caro Maturi, Sono tuo debitore di parecchie lettere di risposta; e ancora non ti posso scrivere lungamente. Ti ringrazio tanto dell’ultima tua lettera sulle elezioni. Certo qualcosa di buono, più di quanto si sperava, si è fatto. Ma cosa avverrà, è difficile dire. L’imbroglio è tale, che non si sa vedere come se ne uscirà. Mi rallegro sempre degli studi che fai, e ti esorto a continuare. In mezzo a tanto fracasso di asini politici e scienziati che ci assordano coi loro ragli e ci offendono coi loro calci, non ci è altro modus vivendi che lo studio. Ti mando una mia cosarella, che è un estratto di una parte di un lavoro.40 Non è facile intendere da questo estratto il concetto del tutto. Pure te lo mando tal quale. Alla Ernesta41 tanti saluti anche da parte di mia moglie, e io sono sempre Tuo affezionato B. Spaventa BNN, Carte Maturi, B a 5. 3. 8 (inedita).
887 A Silvio Spaventa Napoli, 28 giugno 1880 Mio caro Silvio, Verrò giovedì mattina (1 luglio) alle 6 ½. Puoi fare a meno di mandare qualcuno alla stazione. Giacché ti scrivo, ti ricordo che ora sarebbe tempo che anche tu parlassi al Mantellini per Millo. Mi dicono che l’organico nuovo è già approvato, e si attuerà tra poco, tra giorni, se non hanno già combinato ogni cosa. Mantellini fece una certa promessa al De Cesare. Se Millo non entra ora, chi sa quanto altro tempo dovrà aspettare! Che ti costa di dirgliene una parola sulla faccenda? Dunque a rivederci tra giorni e fa che ti trovi in buona salute. Isabella, Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
40. Cfr. lettera 880, nota 35. 41. Ernesta Sali.
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888 A Francesco Fiorentino Napoli, 29 giugno 1880 Partirò domani sera per Roma, dove mi tratterrò fino a Mezzodì del giorno 4 luglio. Mi troverai in casa di Silvio, o al Consiglio. In ogni caso ci rivedremo qui. Saluto tutti. Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 118 (inedita).
889 A Francesco Fiorentino [Roma, 4 luglio 1880] Mio caro Fiorentino, Non voglio disturbare colla mia presenza anche momentanea la calma della vostra adunanza. Me ne vado via. Ti aspetto da Silvio sino a mezzodì e mezzo o qui dopo. Tanti saluti a Camillo.42 Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 152 (inedita).
890 Ad Angelo Camillo De Meis Napoli, 13 luglio 1880 Mio caro Camillo, Spero che la festa di quel sant’uomo di De Lellis,43 tuo omonimo concittadino e la tua, ti riconcilieranno cogli amici. In particolare io conto sulla reminiscenza, anche involontaria, di quei maccheroni al pomidoro, di quella frittata e di quelle cocozzelle, ormai divenuti celebri nei nostri annali domestici. Via De’ Fiori a San Salvario, n°….44 Il numero non lo ricordo più, e non ho tempo di consultare la Signora Isabella che attende 42. Angelo Camillo De Meis. 43. San Camillo De Lellis, di Bucchianico, patria del De Meis. 44. Recapito dello Spaventa a Torino negli anni dell’esilio dopo il 1854. Il numero non ricordato da Spaventa era 23 (cfr. Francesco Fiorentino, Commemorazione di Bertrando Spaventa, in Onoranze funebri a Bertrando Spaventa, Napoli, Morano, 1883, p. 40.
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alle faccende di casa. Non lo ricordo; ma fa lo stesso: ricordo il luogo, il prato, la porta, la scala, il piano, le stanze, e il mio tavolino da lavoro, e tutte le minchionerie che scrivevo; le cose futili e le serie; il mio chiodo solare, e i misteri hegeliani svelati; e te che venivi ogni giorno, angelo consolatore, e le chiacchiere che facevamo insieme; e la mia povera prima Mimì e le sue ultime parole: Papà lavora! – Papà lavora! Io non so se quella casa sia rimasta ancora in piedi; oramai non vedo più Torino da circa vent’anni: ma essa sussiste tuttora, qui – come forse non ha mai meglio esistito in realtà, nel mio cervello o come dicevano una volta nell’anima mia, e non si dileguerà se non quando questo cervello (Papà lavora, Papà lavora), non ci sarà più. E che ne sarà? Che significa non esserci più? Diverrà proprio nulla? E pure è stato, ed è. O ci è proprio un modo di essere, che non è sussistere? E sussistere cos’è? L’orgoglio e la balordaggine umana ha trovato la consolazione: tutto nasce e perisce, è vero, ma gli atomi restano, e son sempre quelli, non mutano mai. Bella scoperta: me li fo fritti gli atomi, io. Troppo serio per la festa di San Camillo; troppo malinconico anzi. Ma va, e frena la mia fantasia! Io la lascio fare, e tu e l’Ippolita45 non l’avrete a male, perché davvero non fa male a nessuno. Dunque sia come non detto: il pallone è salito, ed è calato. Ma prima di sgonfiarlo perfettamente, se è possibile, permettere al povero aeronauta (al pallonaro) di fare ancora una volatina terra terra, palude palude, pozzanghera pozzanghera. Non pare a te che quei maccheroni e cocozzelle e frittate valevano più di questi lasagnoni, cocozzoni, frittatoni e… bricconi che siamo costretti a inghiottire e digerire in questa Italia moderna, sempre cattolica apostolica romana e per di più napoletana, e tutto, tutto quello che vuoi, eccetto che italiana? Il nostro caro ed amato professore, che appunto di questi tempi di caldo estivo si buttava e sdraiava la sera per terra, in nostra compagnia, a pancia in aria,46 sull’erba secca di Piazza D’Arme come un nudo mortale, non ha perduto poi, almeno agli occhi nostri, 2 metri circa della sua reale o apparente altezza gigantesca, e passando per zero, abbracciato e appoggiato all’ex borbonico suo discepolo ora progressista Magliani,47 non è forse diventata una altezza negativa? E Don Giovanni48 quando non era Barone, faceva affari con Jarak e pigliava a calci Spilapippe 49 e mangiava con me un semolino e un lesso nel Moro, non era avvenente, simpatico, spiritoso, quanto ora è brutto e ributtante fisicamente e moralmente, non ostante le sue case, le sue carrozze, i suoi gran debiti, la sua fama assodata di uomo di Stato, la sua amicizia personale col Capo dell’opposizione di Sua Maestà, le sue mantenute e la sua mantenente? E Crispi, quando moriva di fame e scriveva nel Progresso spropositi di grammatica, che Correnti gli correggeva, sebbene sempre ringhioso e invidioso non era preferibile, ma molto preferibile al Principe Crispi, gran diplomatico, che fa telegrammi all’Imperatore tedesco, gran giureconsulto, che ha un guardaporta a sé, come i Ministri esteri, che ha casa e che casa e che carrozze e che cavalli e che mobilio e che servidorame e che livree e che cipria, a Firenze a Roma a Napoli; che è stato anche Ministro, bigamo e trigamo e avvocato di Charles, Richard e compagnia bella? E Mancini – Don Pasquale – sempre sofista (ma non mai Protagora) e 45. La contessa Ippolita Patellani, moglie di Angelo Camillo De Meis. 46. Gentile: «per aria». 47. Agostino Magliani (1824-1891), politico e ministro delle finanze del regno d’Italia nel secondo e terzo governo Cairoli e dal secondo all’ottavo governo Depretis. 48. Giovanni Nicotera, abbreviato nel manoscritto con la sigla D.G., accompagnata dalla cancellatura della parola «Nicotera». 49. Soprannome di Cesare Oliva, cognato di Pasquale Stanislao Mancini, morto nel 1883; procuratore generale a Milano.
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paglietta grande, non aveva aspetto e nome di un caro uomo, quando era poeta di corte,50 semplice cavaliere della Rosa rossa, marito di Lauretta,51 poi professore di Dritto internazionale, e protettore degli emigrati; tanto caro, quanto è deforme e schifoso ora che è il primo oratore del Parlamento, Ministro di Stato, fasciato e rinfasciato di decorazioni, Papiniano, Gaio, Machiavelli, Montesquieu, se vuoi anche Vico, redivivo, autore di codici, spanditore di amnistie, abolitore del patibolo, grande umanitario? E Correnti predetto? Non valeva più il suo Nipote di Vestaverde 52 che il suo gran Magistero, che non ammaestra nessuno in niente? E Cialdini? E Mezzacapo, o i Mezzacapo 53 non eran più grandi, quando eran piccini? E quel Pensionato, come dicevamo noi la Camera Subalpina, non era più grande di questa bottega di eloquenti affaristi? Povero Ciccio Trinchera! Se fosse vivo, che non sarebbe ora divenuto dopo il 18 marzo?54 Non sono tanto minchione da non capire i primi elementi della filosofia della storia, cioè che questa fortuna, trasfigurazione (anche Spilapippe è trasfigurato) o escrescenza, naturale o posticcia, sarebbe scusabile, anzi non farebbe né caldo né freddo, anzi non ci si guarderebbe più che tanto e meriterebbe anche lode, se… se mio Dio! Un resultato ci fosse stato, un resultato di quelli che son tali davvero, un gran risultato. Si direbbe: che volete? I tempi non son più quelli. Cavour ha fatto l’Italia con quei mezzi buoni che tutti sanno. Bismarck ha fatto o cominciato a fare la Germania con quei mezzi che avea disponibili, non buoni e cavouriani sempre ma conducenti allo scopo. Costoro, Nicotera, Crispi, Correnti, Mancini, Mezzacapo, han peccato, sì han peccato, ma han del pari fatto; si son trovati in tempi che non si poteva fare se non a furia di peccare; e quindi ci volevan loro, i peccatori. Se Adamo ed Eva non avessero peccato, non avremmo avuto mai l’onore di ricevere una visita dal figlio stesso di Dio, Dio egli stesso. Che non si è detto per scusare e giustificare? Si è ricorso perfino alla felix culpa di Sant’Agostino. Chiedo scusa a Sant’Agostino e volto le spalle al mistero. Ciò che non è mistero, ciò che a tutti è palese che è55 di fatto, risultato non ce n’è stato niente, o ci è stato sol questo fatto, che si è disfatto o si sta disfacendo ciò che tanto bene e con tanti sacrifici s’era fatto, tranne che non si voglia dir fatto il fatto loro. Questo sì che l’ha saputo fare! Dunque è stato un peccato gratuito, inutile – un lusso di peccato – e più che inutile, dannoso. E perciò quella fortuna, trasfigurazione, escrescenza, è roba tutta posticcia, scandalosa, vergognosa, schifosa, putrida, abominevole, cancrenosa; e ci vuole il ferro e il foco, come dicevi tu che si avea a fare coi preti. Ma qui ti voglio! Se non altro i preti qualcosa di buono lo fecero al modo loro. E Cesare fu quel pezzo di birichino che fu, ma fu Cesare; Napoleone III concorse a fare l’Italia. Ripeto, cos’ha fatto Crispi, Nicotera, Mancini dopo il 76? O 50. Pasquale Stanislao Mancini scrisse un’ode per le nozze di Ferdinando II con Maria Teresa d’Austria, ristampata con illustrazioni da Vittorio Imbriani. Cfr. in proposito Vittorio Imbriani, Poerio a Venezia, Napoli, Morano, 1884, pp. 456-458. 51. Laura Beatrice Oliva. 52. Il nipote della «Vesta-verde» (Milano, Vallardi), almanacco compilato da Cesare Correnti dal 1848 al 1859. 53. Carlo e Luigi Mezzacapo, noti uomini politici. Luigi (1815-1885) fu ministro della guerra dal 26 marzo 1876 al 23 marzo 1878. 54. Francesco Trinchera era morto nel 1874 (cfr. lettera 40, nota 14). Il 18 marzo 1876 fu il giorno del voto che determinò la caduta della Destra al potere. 55. Come Gentile informa nella sua edizione della lettera, questo e altri brani che seguono, chiusi tra uncini, furono rifatti da Spaventa in cartelle aggiunte alla minuta, da dove la lettera è riprodotta. Ma le cartelle richiamate nella minuta non sono attualmente reperibili (cfr. B. Spaventa, Opere, I, p. 143, nota 2).
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Poerio o Scialoja o Pisanelli, avete fatto bene a morire: a cedere il luogo per sempre a questa decorata e dorata canaglia. Povero Settembrini! Rallegrati: tuo genero 56 è senatore e fu ministro; è avvocato principe, e fa denari, si diverte; felice lui, felici tutti. Idealisti, direbbe l’estetico di Zola, voi non eravate più di questo mondo; l’unico vostro merito è di essere scomparsi a tempo, forse troppo tardi; e se ci è qualcuno ancora che non accetta o non ha letto l’Assommoir, si affretti ad andarsene via. Questa è la critica.57 Andare, un corno: ci sto e ci resto. Non già che io speri di vederla trattata dal caso o dal fato come merita, questa canaglia; non m’illudo: i tempi son suoi. Ma ci sto per dirne, che è quella che è, cioè una canaglia sic et simpliciter, senza condizioni, senza attenuanti, senza scusa, canaglia pura, l’ideale = reale della canaglia, l’assoluta canaglia; e quanto più m’inoltro negli anni, quanto più m’approssimo al punto in cui avrò se non altro la gran fortuna di non sporcarmi più coi piedi in mezzo a essa, quanto più essa si allarga, e si spande e trionfa, tanto più m’avanza e mi cresce il coraggio di dirle canaglia a viso aperto alla faccia sua non riverita e di tutti. Non m’illudo e non spero. I giovani, la speranza della patria, ahimè! Si esercitano sulla evoluzione, sulla lotta per l’esistenza, sulla trasformazione delle specie, a quella che tu chiamavi lotteria,58 e smaniosi di arrivare presto tirano ai centri, ai connubi, ai mezzi spicciativi. Donde vuoi che piglino il coraggio non dico per farsi crocifiggere pel bene dell’umanità, come il Verbo eterno, ma di crocifiggere e impiccare e anche impalare essi a dirittura tutta questa associazione di malfattori? Ahi! Il pallone è sgonfiato del tutto, e io scendo a terra sulla nuda terra. Ma in somma che hai avuto e che hai? Perché non ti sei fatto più vivo? O ci ho colpa io? Dimmi la verità: l’ultima volta che ti scrissi e ti mandai quella cartoffia59 (son circa due mesi) da Roma, non ricordo se te la spedii liscia liscia o con qualche parola di ricordo: ti sei preso collera per questo? Ovvero, non ti è piaciuta punto? Preferirei a ogni altra causa una di questa due o anche tutte e due: il colpevole sarei io in ogni caso. Alla signora Ippolita.60 AFG, Bertrando Spaventa. Fonti e documenti, Ba 2 (ed. in Gentile, Bertrando Spaventa, pp. 140-145).
891 A Silvio Spaventa Napoli, 1 agosto 1880 Mio caro Silvio, Non ho tue notizie da qualche tempo; le ultime me le diede Tocco. Ora come stai? Continui i bagni a Tivoli? Io, finora sto bene, e prendo i bagni dolci a casa. Stessi sempre così! Non so ancora, se mi rimoverò da Napoli. A casa si sta più comodi o almeno si pati-
56. Enrico Pessina. 57. Si allude alla conferenza di Francesco De Sanctis, Zola e l’Assommoir, tenuta a Napoli il 15 giugno 1879 e stampata lo stesso anno presso l’editore Treves di Milano. 58. Nella sua critica della teoria darwiniana. 59. La memoria Kant e l’empirismo. 60. Ippolita Patellani. Qui la lettera si interrompe.
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sce meno che altrove. I ragazzi stanno bene: solo Isabella è afflitta dal dolore di stomaco di tanto in tanto. Ti raccomando la salute. E mi farai sapere quando lascerai Roma e dove andrai! E la politica che fa? Che capodopera lo Zini61 al Senato! Pure al Depretis non ha fatto né caldo né freddo. Che tempra felice e stagionata di farabutto! E quando il mondo non sarà più governato dai bricconi o dagl’imbecilli? Dio regna, non governa. Ti salutano, e sono sempre Tuo Bertrando E Vittorio 62 ora, come avrai visto, crede e scrive Dio colla maiuscola. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
892 A Francesco Fiorentino Napoli, 6 settembre 1880 Mio caro Fiorentino, Che avrai pensato e detto del mio lunghissimo silenzio? E pure è la cosa più semplice del mondo. La solita poltroneria, e il desiderio di dirti qualcosa di positivo sulla faccenda dell’Accademia. Per questa faccenda aspettavo Bonghi alla fine del mese passato; e non è venuto. E in gran parte dipende da lui. Dirò la cosa più chiara a Tallarigo. Come stai tu colla famiglia? Noi, non c’è male; e siamo ancora qui. – Silvio è qui da 4 giorni e ti saluta. Partirà domani per Bergamo. Devo fare una ventina di lettere (circa 3 mesi di poltroneria), e perciò sono breve. Tanti saluti alla Tuta63 e tutti. Sempre, poltrone e no, Tuo affezionatissimo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 116 (inedita).
893 A Donato Jaja Napoli, 9 settembre 1880 Mio caro Jaja, Ricevetti la tua cartolina da Genova. Non risposi, perché tu mi mettesti in una posizione simile a quella dell’asino scolastico. […] e […] erano per me due X perfettamente 61. Luigi Zini (1821-1894), politico e senatore del regno d’Italia dal 1876. 62. Vittorio Imbriani. 63. Restituta Trebbi.
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eguali, e non potendo scegliere, non feci nulla. Dunque viaggeremo. Forse ci farà bene. Isabella va meglio. Io, da capo, col dolore di stomaco, e non posso più lavorare, almeno come prima. Tu di certo ti sei divertito, e stai bene. E va bene. Hai letto la sesta eresia del Presidente? Io l’avevo indovinato. Oramai gli stessi Ministri si vergognano di dirsi monarchici. Dove si va? Fa anche tu le mie scuse alla Signora Ippolita 64 per la breve e esile mia lettera. Effetto del dolore di stomaco. I miei ti salutano. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
894 A Francesco D’Ovidio Roma, 18 settembre 1880 Caro D’Ovidio, Oggi il Consiglio ad unanimità ha deliberato che puoi apparecchiarci il pranzo. 65 Tuo B. Spaventa BSNS, Fondo D’Ovidio, C. 3 (inedita).
895 A Donato Jaja Roma, 19 settembre 1880 Mio caro Jaja, Grazie della tua lettera e delle notizie che mi dai. Giungevamo qua la sera del 17. Ieri e oggi e domani Consiglio di certo. Probabile partenza il 21. Avviserò per telegramma. Ignorando indirizzo preciso, dirigerò a Camillo66 Università. Stai perciò attento. Ossequi alla Ippolita67 e saluti a tutti e da tutti. Tuo Bertrando AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
64. Ippolita Patellani. 65. Si riferisce all’elezione di D’Ovidio come membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione. 66. Angelo Camillo De Meis. 67. Ippolita Patellani.
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896 Ad Angelo Camillo De Meis Venezia, 14 ottobre 1880 Mio caro Camillo, Arrivammo bene; e finora stiamo bene. Stamani è venuto il Labanca, che si è mostrato questa volta – che è quanto dire – più gentile del gentilissimo Barbera. Alle Signore Venezia ha fatto grande impressione, e a Millo. Dopodomani partiremo per Milano. A Milano (fermo in posto) fammi sapere: come va Silvio. Spero meglio. Alla Ippolita tante e tante e tante cose da parte d’Isabella Mimì Millo e mia, e di Labanca. Saluti e riverenze alla Gigia,68 alla Signorina Maria; e a Barbera. A te, che devo dire? Se vengono lettere, conservale tu per me. Tuo affezionatissimo B. Spaventa BAM, Fondo Casati, 2 (inedita).
897 A Silvio Spaventa Firenze, 4 novembre 1880 Mio caro Silvio, Partiamo di qua domattina e giungiamo costì alle 3.40 (Venerdì). Se Federico è tornato, come mi telegrafò da Cortona, fa che venga alla stazione, e mi prenoti l’alloggio all’Anglo-americano. Speriamo di trovarti meglio colla gamba. Isabella, Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
898 A Luigi Barbera Napoli, 20 novembre 1880 Mio caro Barbera, In primis eccoti un vaglia di £. 16,35 per la spesa da te fatta per me. Grazie del libro,69 che ho cominciato a leggere; ma chi sa se continuerò! Mi manca il tempo; e poi, non leggo cose matematiche da un gran pezzo e non me ne intendo più. Devo però congratularmi con te – se non altro – del modo chiaro e preciso di esposizione 68. La signorina Luisa Unico, figliastra di Angelo Camillo De Meis. 69. Luigi Barbera, Introduzione allo studio del calcolo, Bologna, Tipografia di G. Cenerelli, 1881.
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etc. Che vuoi da me? Noi stiamo bene. Jaja viene tutte le sere, e naturalmente si discorre di tutti voi. La notizia della indisposizione di Camillo 70 ci ha sconcertati un po’; ma poi ci siamo rassicurati colla cartolina della Signora Ippolita.71 Il mio stomaco mi dà un po’ di tregua. Che devo farci? Ho pazienza: ormai mi fa compagnia da 32 anni; ma gli sono affezionato e mi dorrebbe congedarlo del tutto. Se fossi ministro gli darei riposo e anche la croce della Corona. E la meriterebbe certo più di Marciano!72 Ma non essendo ministro… Dì a Camillo che gli scriverò tra giorni. Martedì andrò a Roma pel sacro Consiglio. Tanti saluti a tutti tutti. Alla Ippolita chiedo di nuovo scusa della mia sopranaturalità o sopranaturalezza e credimi sempre Tuo affezionatissimo B. Spaventa Saluti da parte dei miei tutti. BNB, Carteggio Barbera, 74 (inedita).
899 A Silvio Spaventa Napoli, 22 novembre 1880 Mio caro Silvio, Sarò costì domani (martedì) o dopodomani sera. Ti farò sapere a tempo per telegrafo il giorno e l’ora precisa. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
900 A Silvio Spaventa Napoli, 23 novembre 1880 Mio caro Silvio, Verrò domani sera (mercoledì) alle 7. Aspetto Federico alla stazione. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
70. Angelo Camillo De Meis. 71. Ippolita Patellani. 72. Beniamino Marciano (1831-1907), patriota, educatore e politico.
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901 A Silvio Spaventa Napoli, 10 dicembre 1880 Mio caro Silvio, Devo congratularmi con te, che sei rimasto nella camera.73 È vero che questa camera è quella che è: per esempio un luogo immondo. Ma meglio dentro quando ci è bisogno di entrare, che fuori. Finora sto bene collo stomaco. E tu colla gamba? E la nuova persona di servizi come si porta? Isabella e Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
902 A Silvio Spaventa Napoli, 14 dicembre 1880 Mio caro Silvio, Lo Monaco non è qui da un pezzo: ci sono la moglie e il figliuolo. Mi dicono che si trova a Potenza. Io verrò costà il 19 pel Consiglio. Con altra lettera ti dirò l’ora. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
73. La legislatura ebbe inizio il 13 dicembre 1880. Due giorni prima, Silvio specificava: «E veramente ci resto non so perché, non sapendo interessarmici o prendervi nessuna parte» (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, p. 166).
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903 A Silvio Spaventa Napoli, 31 dicembre 1880 Mio caro Silvio, Giacché domani è l’anno nuovo, e abbiamo un nuovo Ministro d’Istruzione Pubblica nel Baccelli,74 ti fo sapere che sto bene, e lo stomaco non va male. E tu? Bada alla salute. Isabella, Millo e Mimì tanti saluti. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
74. Guido Baccelli /(1832-1916), medico e chirurgo romano, fu docente universitario. Deputato del regno d’Italia dalla XII alla XXIV legislatura fu ministro della pubblica istruzione nei governi Depretis (1880-1884), Crispi (1893-1896), Pelloux (1898-1900) e dell’agricoltura nel governo Zanardelli ( 1901-1903).
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904 A Silvio Spaventa Napoli, 18 febbraio 1881 Mio caro Silvio, È probabile che venga il giorno 22. Ti avviserò con altra lettera. Io sto bene, e non ho il dolor di stomaco da un pezzo. E tu? Bonghi mi dice che stai bene. Isabella e Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
905 A Silvio Spaventa Napoli, 3 marzo 1881 Mio caro Silvio, Donna Teresina Russo mi manda l’acchiusa memoria, e ti prega di leggerla, per la giustizia. Io sto bene. Isabella Millo e Mimì ti salutano. Bada alla salute. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
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906 A Silvio Spaventa Napoli, 31 marzo 1881 Mio caro Silvio, Verrò domani (venerdì 1 aprile) alle 6 e 50 di sera… per lo scrutinio del Consiglio. Manda qualcuno alla stazione, se non ci è Federico. Isabella e Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
907 A Silvio Spaventa Napoli, 15 aprile 1881 Mio caro Silvio, È arrivato da me l’avvocato e professore Grippo1 – che tu conosci e che è stato mio scolaro – tutto sconcertato e contristato, perché il Sansonetti gli ha detto che tu vuoi rinunciare a far parte della Commissione del concorso alla cattedra di Diritto costituzionale nella Università di Napoli. Egli vede in te l’arciguarentigia della serietà e imparzialità del giudizio della Commissione stessa; e se tu ti ritiri, rinuncerà al concorso. Che ci è di vero nella notizia data da Sansonetti? Io non ho il coraggio di dirti, rimani, se hai ragione di ritirarti; ma d’altra parte il povero Grippo! Scrivimi due righi su questo. Oggi ballottaggio pei Consiglieri di Pubblica Istruzione colle terne fatte dal Ministero! Credo che dovrò venire tra giorni. Isabella Millo e Mimì ti danno la buona Pasqua. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
1. Pasquale Grippo (1846-1933), avvocato, giurista e libero docente di diritto costituzionale all’Università di Napoli. Deputato del regno d’Italia dalla XVII alla XXIV legislatura, fu ministro della pubblica istruzione nel secondo governo Salandra (1914-1916) e senatore dal 1919.
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908 A Silvio Spaventa Napoli, 20 aprile 1881 Mio caro Silvio, Verrò domani (giovedì) alle 6.50 pomeridiane. Prego Federico, se è costì di farsi trovare alla stazione. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
909 A Donato Jaja Roma, 24 aprile 1881 Mio caro Jaja, Tu che sei in campagna e ti riposi e te la godi, vuoi ch’io ti scriva una lunga lettera, e ti parli della crisi già terminata felicemente, e delle fasi dello scrutinio, e de quibusdam aliis! È facile volere e dire! Ma io povero uomo che mi trovo qua, occupato e annoiato da mane a sera, fuori delle mie abitudini, della mia stanzetta, della mia sedia, del mio sofà, della mia pipa, sono come un pesce fuor d’acqua; e con tutto il buon volere, non sono in grado di servirti! Aspetta ancora una settimana, e ti racconterò quello che ho udito. Per ora ti contenti la notizia – che forse già sapevi – che il Commendatore Marciano è stato nominato Regio Soprintendente degli Educandati femminili a Napoli, e Sciosciammocca cavaliere della corona. Evoluzione su tutta la linea! E pare che ci sia poca speranza di salute. Destra e sinistra, la materia è quella che è: e la forma – anche diversa – non val nulla; la materia – contro ciò che dice la filosofia – la determina e ne fa quel che vuole. Perché Sella non ha accettato?2 Chi dice una cosa, chi un’altra, e chi una terza, e una quarta. Chi: volle seguire la corona; chi: ebbe paura; chi: fu un tiro fatto alla Sinistra. Il vero motivo s’ignora. Certo è che ha fatto (o non fatto) da sé. Ma basta. Il Consiglio! Spropositi anche su tutta la linea e gli eletti li saprai dai giornali. Professori della Facoltà di legge: quella di Pavia un capo d’opera. Ma tutto inutile. Non sono in vena di scrivere. Scusa; divertiti. Probabile che riparta domani; al più tardi dopo domani. Viva Marciano e Sciosciammocca. Saluti a Donna Carmela e agli amici costì. Tuo B. Spaventa Dimenticato Turbiglio, professore ordinario. Et turbata est… AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
2. Si riferisce al connubio con Nicotera, che rimase sempre allo stato di progetto.
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910 A Silvio Spaventa Napoli, 5 maggio 1881 Mio caro Silvio, Millo tra un paio di giorni ti manderà la cassa colle carte. Non l’ha fatto finora, perché tornato da Roma s’ammalò; e poi ci è voluto un po’ di tempo, perché tra le tue carte – tanto quelle del 60, quanto quelle del 62 – si erano ficcate non so come parecchie anzi molte carte mie, e si è dovuta fare la separazione ed esaminare una per una. Tutte le carte si trovavano e si trovano in tale disordine, che non so se Titino3 – senza di te – ne caccerà le mani. Millo si ricorda l’offerta tua, e dice che il Loasses4 verrà costà domani. Fa quello che umanamente – cioè onestamente – puoi perché non rimanga scontento. Se si riesce – e ci spero poco – tanto meglio. Se no, vedendo che si è fatto il possibile umano per riuscire, si persuaderà per un po’ di tempo almeno e seguiterà a lavorare. Noi stiamo bene, e tu? Non ti chiedo notizie. A che pro? Bada a star bene. Saluto Federico. Isabella Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
911 A Silvio Spaventa Napoli, 10 maggio 1881 Mio caro Silvio, Finalmente stasera partiranno le due casse colle carte. Ho ordinato fermo stazione, e non già a domicilio, per evitare il rischio che siano aperte nell’ufficio del dazio. È un po’ di impiccio per te, mandare una persona alla stazione a prenderle. Ma meglio così, che altrimenti, e meno male. Manda subito. Le casse o scatole sono affunate, inchiodate bene e sugellate (B.S.) opera di Millo il quale ti si ricorda e raccomanda impaziente. E te lo e mi raccomando anch’io. Tu sai che carte contengono le casse. Perciò bada nel farle esaminare etc. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando Come vedi sono già più di 15 lire altri [sic] altro!!! SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
3. Tito Sacchetti. 4. Enrico Loasses, illustre giurista, era allora regio avvocato erariale.
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912 A Silvio Spaventa Napoli, 31 maggio 1881 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto più e domandato notizie neanche della crisi,5 perché credevo di dover venire costà tra giorni per la solenne inaugurazione e costituzione del nuovo Consiglio di Pubblica Istruzione. – Ora leggo nella officiosa e turbigliosa Opinione che la solennità ha avuto luogo sabato scorso, ma in onore della Giunta, non del Consiglio; e che dopo un’allocuzione il Ministro ha presentato al suo piccolo Consesso un certo progetto di legge,6 etc. È un metodo come un altro, il metodo del Ministro Baccelli; l’altro avrebbe potuto essere: inaugurare e aprire la bocca al Consiglio plenario, e poi alla Giunta, e presentare a quello, non a questa, quel certo progetto (si dice, sull’istruzione secondaria). La legge del Consiglio dice art. 6: «Una Giunta di 15… provvede alla spedizione degli affari correnti». E articolo 7: «Sono riservati al Consiglio plenario 1°. i pareri da darsi a richiesta del Ministro sopra proposte di legge e provvedimenti generali sull’ordinamento degli studi, etc. 2°. etc.». Ora il parere da dare su un progetto di legge è un affare corrente? E ciò che è riservato al Consiglio plenario può essere dato alla Giunta? Fo una quistione accademica, giacché capisco bene che è inutile, ridicolo ora, farne una quistione pratica e positiva. Baccelli fa a modo suo, come gli altri fanno a modo loro. È vano ora domandare: è regolare, legittimo, legale? Si fa la figura di un imbecille, cioè di un uomo nato, cresciuto e provato in altri tempi e secondo altri principi e pregiudizi. Regolare e irregolare, è lo stesso ora; il progresso ha superato quest’ultima differenza, quest’ultimo intoppo. È ammesso ora come la luce del sole che se il vocabolario consente ancora questa differenza, è per un altro rispetto. Io per esempio ho il braccio forte, e rompo la testa a Tizio. Ciò è regolare; e sarebbe irregolare, se non lo facessi; e Tizio ha il dovere, anzi il diritto di farsi rompere la testa. Chi freca, freca; frechi chi può, questa formula della Repubblica partenopea, è ora proclamata la legge del mondo. I minchioni dicono ancora: ma questo non è giusto, non è lecito farlo, e simili esclamazioni ingenue. Prima, in altri tempi, si rispondeva negando: no, è giustissimo, e per ciò lo facciamo. Tu dicevi: manca la giustizia dell’amministrazione;7 e la risposta era questa: ma sì che c’è; come, non la vedi? Ora, cresciuti i lumi, non si va tanto per le lunghe, e si risponde: tu dici che non è giusto; e che perciò? Io lo fo, lo stesso; prova a impedirmelo, se puoi; e crepa, se vuoi (da chi si intitolerà8 questo sistema?). Io non crepo. Ci capitai una volta, dopo il 15 Maggio 1848.9
5. La crisi governativa che aveva portato, il 29 maggio 1881, alla caduta del governo Cairoli e alla nascita del quarto governo Depretis. 6. Il progetto di legge Baccelli prevedeva l’introduzione del sistema di designazione elettivo per una metà dei membri del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Questa metà dei membri sarebbe stata designata dai vari corpi scientifici universitari con il sistema elettivo. Veniva inoltre istituita una giunta di quindici membri nell’ambito del Consiglio (cfr. Fonti per la storia della scuola, II, Il consiglio superiore della pubblica istruzione 1847-1928, a cura di Gabriella Ciampi e Claudio Santangeli, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1994, pp. 46-49). 7. Cfr. il famoso discorso di Silvio, pronunciato presso la Associazione costituzionale di Bergamo, il 7 maggio 1880, ora in Discorsi parlamentari di Silvio Spaventa, pp. 550-579. 8. Vacca: «intitola». 9. Allude alle vicende della sua fuga da Napoli dopo la repressione borbonica dei moti costituzionali.
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Epistolario
La nomina di Protosomaro a Consigliere e membro della Giunta ha fatto ridere anche il mio piccolo pappagallo, che è un animale di molto buon senso. Come, pareva dire, perché lui, e non io? – Al caro Giorgini, Baccelli l’ha fatta. L’ha fatta al Cannizzaro,10 a cui non è giovato il convincimento postumo del gran valore scientifico del sistema delle terne. L’ha fatta al Villari, malgrado la sua condotta positiva.11 Ma basta, e vado a far lezione. Lezioni inutili: ora la gioventù vuol essere educata ad altra scuola e vuole altri maestri. – Però, io non crepo; non gli do questa consolazione. Mi duole vedere degli uomini come Mamiani, Amari… inchinarsi a Baccelli; ma d’altra parte, giacché la cosa deve andar così e non ci è rimedio e io non valgo e non posso far nulla contro, mi ci diverto. E il divertimento sarà maggiore, quando vedrò ministri La Cava, Morana, 12 La Porta,13 Indelli a braccetto con… O è stato uno scherzo, un espediente? Io sto bene. E tu? Dimmi dunque come stai. Isabella e i ragazzi ti salutano. Saluto Federico. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 38-39).
913 A Silvio Spaventa Napoli, 3 giugno 1881 Mio caro Silvio, Lessi ieri mattina la lettera del Sella, e iersera mi mise di cattivo umore la notizia data per telegrafo dal Piccolo, cioè che l’Opinione aveva pubblicato la circolare dell’Associazione Costituzionale centrale, nella quale tra le altre cose, «era esposta con molte lodi la iniziativa del Sella».14 Speravo solo, anzi ero certo che – essendo la circolare firmata da te – la notizia fosse falsa o data apposta in modo equivoco; e non m’ingannai. Stamane ho letto la circolare, e non ci trovo le lodi; tutt’altro – Levi,15 Zerbi, … – chi si sia, più o meno tutti, una canaglia medesima. Non ammiro niente affatto la lettera del Sella. Non so, non me n’intendo; ma il Sella non ha ingegno né di scrittore né di uomo politico. E mi par anche che sia un gran birichi10. Stanislao Cannizzaro (1826-1910), chimico e patriota siciliano, fu docente universitario e senatore del regno d’Italia dal 1871. 11. Allusione all’adesione di Villari al positivismo, che risale alla metà degli anni Sessanta. 12. Giovanni Battista Morana (1833-1900), avvocato e banchiere, deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla XII alla XVI legislatura. 13. Luigi La Porta (1830-1894), militare e politico, deputato nel parlamento del regno d’Italia dall’VIII alla XVII legislatura. 14. Il governo Cairoli era stato sostituito il 23 maggio 1881 da un nuovo governo Depretis, dopo un vano tentativo di dare vita a un governo di Destra guidato da Quintino Sella. Questo tentativo era avversato dalla Destra stessa, che aveva messo in atto dimostrazioni e rimostranze contro Sella. 15. Ulderico Levi (1842-1922), militare e politico, deputato del regno d’Italia dalla XV alla XVIII legislatura.
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no. Dio mio! Il nobile disinteresse, la tanta abnegazione personale, tanta che ogni mio elogio sarebbe inferiore alla realtà… – di Lacava, Laporta! E della Destra poi? La lettera birichina mi pare anche vuota. – Alla Destra caduta – abbandonata dalla pubblica opinione (specialmente pel macinato, id est anche per causa Sella), parve a lui decoroso atto di abnegazione (frase felice e lusinghiera per la Destra) (un amico che soccorse un amico (nemico), fa un atto di abnegazione!: di quella stessa abnegazione lodata nel Lacava, Laporta). Il non rifiutar il suo cordiale appoggio. – Però non già questo non rifiuto, questa abnegazione, ma sì le trattative o con quei nobilissimi animi o animali di Lacava, Laporta… costituiranno uno de’ più confortanti ricordi della sua vita. Basta, perché la posta parte. La circolare però pare a me che gli risponde – come e quanto si poteva in una circolare – per le rime o se fatta prima, anticipi la risposta. Può darsi che io sbagli. Due giorni fa ti scrissi una lettera un po’ lunghetta sul Baccelli. Scrivimi e dimmi qualche cosa, se ti pare. Isabella e Millo ti salutano. Bada a star bene. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
914 A Silvio Spaventa Napoli, 28 giugno 1881 Mio caro Silvio, Come in tutte le stagioni estive, anche in questa m’è tornato il dolore di stomaco. Non t’impressionare per ciò; accenna a passare, anzi sarebbe già finito senza due gironi di fitto esame all’università che mi ha dato proprio fastidio. Avevo pensato di venire a farti una sorpresa, e non ho ancora smesso questo pensiero; giacché fino al 20 Luglio ci ho il ritorno a Roma semi-gratuito come membro del Consiglio defunto, e posso usarne senza scrupolo, perché sono membro del nuovo, che mi par defunto più dell’altro, appena nato. Io non capisco più niente. La legge (noi abbiamo il vizio – la viziosa abitudine – d’invocare sempre la legge) dice art. 10 e16 ultimo: «L’attuale Consiglio continuerà a esercitare le sue attribuzioni in conformità delle leggi vigenti fino alla costituzione definitiva del nuovo». Il vecchio – l’attuale di allora – si dissipò da sé, non fu sciolto o chiuso o licenziato da alcuno; il vice-presidente fuggì, e gli altri onorevoli fuggirono per imitazione; non furono convocati più, e né meno ringraziati, sia pure dal Costantini!17 Morte eroica e gloriosissima! Due mesi fa, ebbi la partecipazione della nomina, e ieri il decreto; 18 e m’immagino che ciò sia accaduto a ciascuno di noi. Ora dimmi tu: si può dire ciò costituzione definitiva del nuovo Consiglio? E se non si può dire? 16. Vacca: «C». 17. Settimio Costantini (1839-1899), deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla XIII alla XX legislatura, sindaco di Teramo, varie volte sottosegretario al Ministero della pubblica istruzione. 18. Cfr. lettera 912.
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Epistolario
Ma già è inutile. – Leggo nell’Opinione di ieri che il Senatore Cremona19 si è dimesso da Consigliere per dissenso del Ministro sull’indirizzo etc. Ma dunque la Giunta fa anche da Consiglio plenario abitualmente? O il Consiglio plenario è stato convocato e costituito, e io qua non ne so niente? Tutto è possibile tra gl’impossibili. Leggo anche, che oltre la restituzione di £ 500 e il gettone di presenza, i consiglieri hanno una indennità. Questa resta! Intanto ti dico una cosa, ed è: che io devo avere dal Ministero circa £ 500 come membro del vecchio consiglio per retribuzione e indennità; e se ne sono dimenticati. Non ho scritto a nessuno; e al ministero non m’indurrò a scrivere. Cosa devo fare? Cosa si suol fare in casi simili? Rispondimi su ciò. Leggo sulla stessa Opinione con infinito piacere le adesioni.20 È il nuovo metodo di fabbricare i grandi uomini. Una volta i grandi uomini nascevano da sé, all’improvviso, senza pensarci, senza l’aiuto dei Perazzi21 e dei Mariotti; e i grandi uomini, facendo così e così, creavano e trascinavano le maggioranze. Ora siamo noi, gente piccola e sconclusionata e birbona, che creiamo i grandi uomini, per appello nominale. È una ridicolaggine, a dir poco; e il non accorgersene né meno, è un brutto segno. Ti ricordi della statuetta di legno del San Carlo di quando eravamo ragazzi? Mi pare lo stesso gioco. Che nascerà da queste ragazzate? Io non me ne intendo; ma dato che il futuro grand’uomo riesca a trovare la larga base e abbia il coraggio di sedervisi sopra, chi ci assicura che non avverrà ciò che è avvenuto nel gran corpo della Sinistra, se gli elementi sono i medesimi? Perché la Sinistra si è divisa e suddivisa? Perché i tanti La Cava, i tanti Morana, i tanti La Porta, che entreranno nella gran composizione patriottica nuova non faranno lo stesso effetto? Ciò che ha tenuto unito per tanto tempo la Destra, almeno quanto era possibile, è mancato alla Sinistra, e mancherà al gran futuro unico Partito. Recisa e buttata via la estrema Destra, rimasti padroni del campo i giovani tanto dotti, tanto sperimentati, tanto forniti di nobile abnegazione, dove troveranno nella larga base tanti posti disponibili quanti son essi? Giacché di questo di tratta: il progresso è, che ci sia posto per tutti, specialmente per gli spostati. In un senso – che direi elevato – il più gran spostato è Lui. Uso l’iniziale maiuscola. E ciò mi fa ricordare di un cantico di quella testa putrida di Petruccelli nel Piccolo. Per esaltare il Sella, scrive: Sella È, proprio così, È più che maiuscolo! Il che vuol dire: Sella è l’Ente; gli abati 22 partenopei commentano: l’Ente che crea l’esistente; e le ovazioni23 significano: l’esistente ritorna o crea l’Ente. È una creazione reciproca. Scrivo sciocchezze. Una di più, non fa niente alle tante che si scrivono e fanno ogni giorno. Sansonetti mi ha detto che forse prenderai quest’anno le prime vacanze. Fammi sapere quando lascerai Roma, e per tempo, acciò io possa regolarmi. E se ti risolvi tu a
19. Luigi Cremona (1830-1903), matematico, politico e accademico, senatore del regno d’Italia dal 1879 e ministro della pubblica istruzione nel quinto governo Rudinì (giugno 1898). 20. Come informa Giuseppe Vacca, Bertrando si riferisce alle vicende del tentato governo Sella fra la crisi del governo Cairoli e l’insediamento di un nuovo governo di Sinistra, capeggiato da Depretis. Il tentativo di Sella, che mirava ad un connubio di forze della Destra e della Sinistra, veniva avversato da uomini della Destra intransigente, anti-trasformistica, come gli Spaventa (cfr. S. Spaventa, Lettere politiche, pp. 167 ss.). 21. Costantino Perazzi (1832-1896), ingegnere e politico piemontese, fu deputato del regno d’Italia dalla XII alla XV legislatura e senatore dal 1884. 22. Vacca: «abitanti». 23. Vacca: «adesioni».
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venire qua, avvisami qualche giorno prima. Del resto, ci sarà ancora tempo. Pensa a star bene. Isabella e i ragazzi ti salutano. Saluto Federico se è costì. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 39-40).
915 A Silvio Spaventa Napoli, 10 luglio 1881 Mio caro Silvio, Collo stomaco da 3 o 4 giorni sto quasi bene; appena appena una leggera puntura di un quarto d’ora al giorno; e se devo stare all’esperienza di anni e anni, devo dire che è per finire. – Dunque non ci pensiamo più, almeno per ora. Desidero di venire costà per un paio di giorni: ma me ne astengo. Il caldo è troppo; e non ci è cosa che mi faccia più male allo stomaco che il caldo e specialmente quello di Roma. Dunque a un’altra volta. E tu che cosa hai risoluto? Me lo farai di certo sapere, prima di partire. Se vuoi venire qui, avvisami qualche giorno prima. Qualche giorno dopo che scrissi a te sul mio credito contro il Ministero, ne ebbi pagata la maggior parte. Post hoc ovvero propter hoc? Ebbi giorni fa la copia del Decreto di nomina al Consiglio24 (ancora in mente Dei). Devo rispondere e ringraziare? Non ne ho punto voglia. Lui non convoca, contro l’obbligo che gli fa la legge; e io non sono obbligato né meno al galateo. Ma che ne dici tu? Dicono che verrà qui, e la Facoltà di medicina gli darà un gran pranzo, come a collega scienziato di prim’ordine e come a Summus summorum etc.25 Dopo la Trinacria,26 l’affare Charles Richard etc; dopo questo quello Rubattino Flo27 rio. Chi sa quante altre belle cose dobbiamo vedere? Ora il mondo è in vena di porcherie. Si serva pure. Si vede che la base si allarga. Scrivi. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
24. Cfr. lettera 912. 25. Allusione a Guido Baccelli, di recente confermato ministro della pubblica istruzione nel quarto governo Depretis. 26. Si riferisce al fallimento della società di navigazione siciliana (cfr. lettera 706). 27. Il 4 settembre 1881 vedeva la luce la Navigazione generale italiana (Società riunite Florio e Rubattino), che si presentava come il più grande complesso armatoriale mai sorto in Italia. Le quote azionarie erano distribuite tra Ignazio Florio e Raffaele Rubattino per il 40% ciascuno e il credito mobiliare di Roma per il restante 20%.
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Epistolario
916 A Silvio Spaventa Napoli, 23 luglio 1881 Mio caro Silvio, Oggi siamo al 23 e tu non ancora mi scrivi se sei partito o no. Che devo imaginare? O che sei malato o che sei già partito senza dirmi nulla. Preferisco, non ci è bisogno di dirlo, la seconda ipotesi. Scrivimi dunque, se sei ancora costì, e toglimi da ogni apprensione. Io sto bene collo stomaco. Saluti da Isabella e ragazzi. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
917 A Donato Jaja [Napoli,] 6 agosto 1881 Mio caro Jaja, Dopo la cartolina (io odio le cartoline. Non so perché, ma l’odio. Avrò torto, ma il fatto, il positivo, è questo: come amo, non ti saprei dir quanto, per esempio la psicofilosofia o psicologia, forse per la contraditio in adiecto che contiene), dunque dopo l’odiata cartolina, a cui non risposi, ricevo oggi 6 agosto, in punto, la tua lettera del 3 (4 giorni da Varallo a Napoli!) e il giornale. Ricordati che il numero della casa mia – della mia abitazione – è 290 e non 249. Jaja. Jaja! Sento gridare zia dal salotto. Non m’imagino certo che tu sii tornato; altro. Metto da parte le cartelle, non so dire se del relativo o dell’assoluto (non confondere per carità colla valigia dell’assoluto) – diciamo l’uno e l’altro, per non scontentar nessuno – (povere cartelle, con questo caldo!) – e prendo la lettera. Leggo a voce alta: io seduto innanzi a quel tale tavolinetto di 4 lire su una sediola alta un palmo, e intorno intorno a sentire, Isabella, Mimì, Millo, e anche Misciò e Cocò; manca Pipì,28 il buon gesticolante Pipì, partito da più giorni per Agnone, sua città natale. Leggo dunque (povero Bertini!): figurati l’attenzione degli uditori, le osservazioni, gli applausi, non senza qualche sbadiglio d’Isabella alla voce filosofia scientifica, psicologia, relativo etc., imitata in modo strano da Misciò e Cocò: ripeto, Pipì assente. Finita la lettura, licenzio tutti, e in verità licenzierei anche me stesso, perché fa un caldo già che annunzia una giornata infernale. Trasporto il tavolinetto colla sediola in altra stanza. Meno male qui si respira un po’, in mezzo alla porta, tra il salotto e la galleria: mi levo la cosa, direbbe Fiorentino, e scrivo, cioè mi propongo di scriverti. Scriverò? È il caso di raccomandarsi alla forza nervea del nostro caro Orlando.29 Penso a Varallo! Come si può pensare a una cosa che non si conosce? E pure pensiamo al paradiso e all’inferno e anche al purgatorio, e non conosciamo nessuno de’ tre: quando non vogliamo dire che si conoscano benissimo tutti e tre, calunniando il passato, il presente 28. Si riferisce a Baldassarre Labanca, nativo di Agnone. 29. Questo appellativo ricorre nel testo della Introduzione alla critica della psicologia empirica, in B. Spaventa, Opere, III, pp. 463-589.
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e l’avvenire del nostro paese. A Varallo però io ci sono stato tanti e tanti anni fa, quando era giovine, non brutto giovine (direbbe Pipì), e me ne ricordo un po’, come ti dissi; ci fermammo alla estremità inferiore del paese, sulla consolare, e io guardava in alto all’osservatorio… che non ci era: ci si presentò un certo Franciosi, mi pare; avvocato, credo, amico degli amici, cioè sinistro, m’imagino. Naturalmente si fece colazione. Salire su a vedere l’interno del paese, non se ne parlò neppure; sarebbe stato troppo incomodo. E ritornammo a Borgosesia. Questa è la mia conoscenza di Varallo. Come vedi è una conoscenza positiva, pari a quella in profondità che il marito di sua moglie professa di possedere della Critica di Kant. L’ha letta in saracino, tradotta da Orlando. Cocò riflette, che anche se l’avesse letta in buono italiano, non l’avrebbe mai capita. Io sono del parere di Cocò. Tanto, oggi, anche le bestie che hanno un’anima cioè una forza nervea pari alla nostra, hanno diritto a dare il loro parere. Ahi! Una improvvisa trafittura allo stomaco, mi fa saltare dalla sedia. Una vendetta della forza nervea. È impossibile continuare. Non sapevo che l’anima delle bestie fosse tanto vendicativa. Passeggio su e giù per la galleria; fumo un mezzo sigaro; apro il balcone; oh che luce, oh che caldo! Mi affaccio, e grido all’aperto. O forza nervea, odimi; io ti amo molto, ti riconosco e mi ti sottometto; ma tu nella tua verità, nella tua intimità divina – nel pensiero – non sei quello che ti raffigurano questi cialtroni: i quali ti dividono, tagliano, sminuzzolano dottamente a piacer loro, e tu non ne fai caso, e ne ridi, una indivisibile immortale. Non pigliartela con me, povero minchione, col mio stomaco: ho bisogno che stia bene, perché stia e funzioni bene la testa, per poterti pensare. Colpisci invece loro; non nello stomaco – perché han bisogno di mangiare – ma nella testa, nel cervello, affinché non faccian di te, Santa mater, più strazio di quel che non han fatto finora colle loro Zanichellerie. Questa preghiera fa effetto (è pur vero che collo stomaco non ci vuole medicine): il dolore cessa come per miracolo; e torno a scrivere. La lettura della psicologia nervea comincia a farmi psicologo da vero. Parlo a un professore di filosofia del Regio Liceo Bagatta.30 Ora capisco come si possa pensare a un luogo, per esempio al paradiso, a figurarselo così e così, senza conoscerlo; senza averlo percepito prima. Si pensa – che sapienza! – a quei che si conosce, e che si trovano in quello. Io non penso al paradiso, perché per me nessuno ci è. Penso a Varallo, me lo imagino così e così, perché ci siete voi. Vi vedo in casa, a pranzo, in conversazione, a passeggio. Giunge la mia lettera: l’Ippolita,31 la Gigia, 32 Camillo33 si affollano intorno a te. La […]34 non se n’incarica. Camillo si mette gli occhiali: e oh oh Bertrando, e ti aiuta a decifrare i miei geroglifici. E io sono con voi, dritto o sopra le vostre spalle, e rido e godo (mi lusingo) con voi. Ora venite voi qua, e vedete la mia vita. Dalla sera che tu partisti, non veduto più alcuno di fuori, tranne una volta Fiorentino alla Facoltà. La sera, a letto alle 10; la mattina, fuori letto alle 5; fumo una pipa al balcone, e poi alle cartelle; alle 10 a colazione; poi, un sonnerello; poi da capo alle cartelle; alle 3, al Corso Vittorio Emanuele a passeggiare innanzi San Pasquale sino alle 5; poi a pranzo alle 6; dopo pranzo un’ora di passeggio per la casa; preparo nelle due passeggiate il lavoro del giorno seguente. Alle 10 ricarico l’orologio, e, come ti ho detto, a letto. Che bella vita! 30. Giacinto Bagatta, nativo di Lodi, dottore in lettere, insignito della onorificenza dei SS. Maurizio e Lazzaro e della Corona d’Italia; resse, come preside, il liceo Genovesi dal 1874 al 1887; dal 1886 membro del Consiglio provinciale scolastico, con sede nel palazzo della prefettura, con vicepresidente il provveditore agli studi Luigi Palmucci. 31. Ippolita Patellani. 32. Luisa Unico. 33. Angelo Camillo De Meis. 34. Parola cancellata da Spaventa.
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Epistolario
Che ne dici? Ieri al Corso, pensavo all’impressione che avrebbe avuto Camillo, se fosse stato con me. Un fruttivendolo guidava il suo bravo somaro; passeggiavamo insieme: il somaro e io. A un tratto: «Pappacoda, cosce i donna: mettiti a la bocca» (non so il napoletano) «i che è doce». Vendeva prugne e pere. Figurati che paradiso ha in capo quell’uomo là! E per oggi basta. Temo in verità, che la trafittura non mi ritorni. Non so cosa ho scritto. Ti raccomando di non parlare delle mie cartelle. L’affare s’ingrossa. Fiorentino stava bene. Farò di vederlo al più presto. A Camillo che devo dire? Che non ho detto a te. All’Ippolita, alla Gigia, tanti saluti, anche da parte d’Isabella Mimì Millo. A te, item, aggiungendo quelli di Misciò e Cocò. Dunque basta. Vado a passeggiare a San Pasquale. Tuo affezionatissimo B. Spaventa Conserva questa lettera per la posterità. AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
918 A Ernesta Sali Napoli, 11 agosto 1881 Mia buona Signora Ernesta, Si contenta di poche righe? L’idea del dovere che ho di scriverle una lunga lettera, ha finora tanto offesa la mia inerzia abituale senza vincerla, che la conchiusione è stata che non l’ho scritta. E temo che non sia così per qualche altro po’ di giorni. Dunque si contenti, e mostri anche così, sebbene non ce ne sia bisogno, di essere buona. Devo ringraziarla di tanta bontà? Della passata, della presente e sono certo anche della futura? Lei sa che io non ho il dono del discorso facile e lungo; e se le dico che le sono molto obbligato, in caso di necessità, come è ora, può bastare. Mando a Sebastiano 35 la Nota36 che desidera. Alla brava Itala37 tante impertinenze. Mia moglie e figliuoli tanti saluti a tutti. Finora, quanto a salute, non c’è male. Dove andremo, se andremo via, non si sa ancora. Ora mi sono messo a lavorare un po’, e mi trovo bene qui. Tante cose a Sebastiano e mi creda sempre Suo affezionato B. Spaventa BNN, Carte Maturi, Ba 5. 3. 2 (inedita).
35. Sebastiano Maturi. 36. Forse il manoscritto autografo di Spaventa posseduto da Maturi di cui parla Gentile nella prefazione alla Introduzione alla critica della psicologia empirica («Annali delle Università toscane», Pisa, 1915; poi in B. Spaventa, Opere, III, pp. 463-589). Il testo, che appartiene allo stesso ordine di studi del saggio Kant e l’empirismo e del più tardo Esperienza e metafisica (postumo), a Gentile pare il primo abbozzo di un lavoro cominciato nel novembre 1881 in preparazione del corso accademico dell’anno 1881-1882, raccolto poi nel volume Esperienza e metafisica (a cura di Donato Jaja, Torino-Roma, Loescher, 1888). 37. Itala Maturi, figlia di Sebastiano.
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919 A Silvio Spaventa Napoli, 22 agosto 1881 Mio caro Silvio, Seppi il fatto38 iersera per telegrafo da Labriola, e telegrafai subito a Sulmona e Palena stamane. Da Palena mi rispondono che iersera stessa eri partito per Roma improvvisamente. Che devo dirti? Leggo qualche particolare sull’Opinione e altri me ne dà Labriola per lettera. Credevo si trattasse più di furto di carte che d’altro. Fammi dire da qualcuno – da Federico se è con te – cos’è stato o da altri. Tu scrivimi un rigo. Vuoi che venga? Hai bisogno di danaro? Abbi pazienza: ne hai avuta tanta! Isabella e Mimì ti dicono lo stesso. Tuo Bertrando Scrivimi. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
920 A Donato Jaja Napoli, 26 agosto 1881 Caro Jaja, Per scrupolo di coscienza – giacché non ti fai più vivo – ti domando e ti fo semplicemente sapere, che il 6 di questo mese ti scrissi in risposta alla tua lettera-cartolina una lettera alquanto lunga. Se non l’hai ricevuta, e così par dal tuo poco spiegabile, anzi spiegabilissimo, silenzio, non ho che fare. Ripeterla o scriverne un’altra, non posso. Qui caldo caldo; pure meno un po’ di noia, io mi ci trovo bene. Esco alle 3 col gran sole, ma all’ombra, e corro nel Corso a San Pasquale… Salute, non ci è male per tutti. Isabella soffre qualche volta, ma in generale…, non peggio degli altri anni. Mimì suona la Gavotta, ora bene, ora male, secondo l’umore. Io sudo; e già chi non suda…. Povera Bologna che ha perduto Viani.39 Oh Baccelli! Il furto a Silvio si è ridotto – per quanto so – sinora alle croci. A Camillo,40 che certo sarà di cattivo umore, tante cose. Non si è ancora persuaso come sono persuaso io, che l’essere è non essere, e che non è altro che la verità, la bellezza, la bontà e la santità: l’essere è zero; ma uno zero che… come il zero costituisce…. 38. Dalla lettera seguente si evince che si trattò di un furto a Silvio. 39. Prospero Viani (1812-1892), letterato e classicista, insegnò lettere italiane dal 1859 al 1863 a Reggio nell’Emilia; qui divenne preside del liceo, passò successivamente a Bologna e poi a Roma. Da ultimo fu bibliotecario della Riccardiana in Firenze, e socio dell’Accademia della Crusca. 40. Angelo Camillo De Meis.
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Alla Signora Ippolita, 41 alla Gigia,42 a tutti tanti saluti miei e de’ vicini. E non scrivo più per la poltroneria di non voltar la pagina. Tuo Bertrando AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
921 A Silvio Spaventa Napoli, 26 agosto 1881 Mio caro Silvio, Fiorentino è in campagna e con questo caldo non sono stato in grado di andare da lui. Pur feci sapere subito a Morano il contenuto della tua prima lettera; e ieri stesso mandai Tallarigo a Fiorentino per comunicargli quello della seconda; e ti acchiudo la risposta. Ricevuta oggi la cartolina, ho scritto due righi a Morano, e domenica ne parlerò a Fiorentino all’Accademia. Una curiosità. Le cambiali le hai ritrovate tu, o te le hanno restituite? Noi stiamo bene. Scrivimi prima di andartene. Saluto Federico con tutti. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
922 A Silvio Spaventa Napoli, 6 settembre 1881 Mio caro Silvio, Verrò dopodomani (Sabato) sera alle 6 ¾. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
41. Ippolita Patellani. 42. Luisa Unico.
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923 A Silvio Spaventa Napoli, 20 settembre 1881 Mio caro Silvio, Ieri andai a passare una giornata a Torre del Greco e ritornai tardi a casa; perciò non risposi subito alla tua lettera. Sapevo già che eri stato a Varallo e n’eri partito per Montignoso; e mi aspettavo la tua da Roma da un giorno all’altro. Godo che stai bene. Di questi giorni ho avuto il solito dolore allo stomaco. Ma ieri, in campagna, niente. Più che altro, si vede che è affare di aria; sicché l’anno venturo, ci penserò a tempo e meglio. Se Napoli non fosse una città marittima, sarebbe una peste: il puzzo delle stalle e delle cloache si sente, quest’anno, non so perché, fino quassù. Chiamato o non chiamato, verrò a Roma a rivederti, alla fine di questo mese o ai principi dell’altro. Di far parte del Consiglio, in verità non me la sento. Ma di ciò discorreremo costà. Sono tante le illegalità accumulate dal Ministro43 e talvolta dai membri convocati finora come Giunta, che non so risolvermi a parteciparvi né meno da lontano, neppure col silenzio. L’ultima indegnità è stata quella di porre dei decreti reali sull’insegnamento secondario la clausola: Udito il Consiglio che non è stato punto udito. Si è fatta dire al Re una menzogna. E pure il vicepresidente della Giunta – che ha manipolato questo pasticcio – è un Senatore e Consigliere di Stato; e membri anche Senatori. Tutti servitori del Baccelli! Il quale l’aspettano qua a braccia aperte, e questo imbecille di Marino l’ha già invitato a nome dei professori; e ne vedremo delle belle. Possibile, che tra i consiglieri estranei alla Giunta, non ci sia alcuno che non sia un vigliacco? Non si può dare – giacché il Parlamento tace e i giornali non parlano – una lezione a questo somaro arrogante e impostore? Lascio stare; se no, mi torna il dolore allo stomaco. Probabilmente, andremo per una decina di giorni alla Torre; e poi verrò a Roma. Fa di star bene. Isabella e Mimì ti salutano. Millo è in Abruzzo. Tuo Bertrando Ricevo ora l’altra tua, di ieri. Credo che il Di Cola non possa essere che uno dei figli del fu Sinodoro. Giorni fa ne venne da me uno che si chiama Valmiro, non Mauro, calligrafo nel Ginnasio di Lucera. Farò di rintracciarlo. Pei concorsi c’era una legge: quella del 59: modificata nella parte organica per Decreto Reale da Bonghi44 quando fu abolita da Baccelli. Ora che legge c’è? O regolamento? Domande inutili. Baccelli è legge, regolamento, tutto. Baccelli ci tratta tutti, come se fos-
43. Guido Baccelli, allora ministro della pubblica istruzione. 44. Da ministro della pubblica istruzione (27 settembre 1874-20 novembre 1876), Ruggero Bonghi diede nuovi regolamenti integrativi della legge Casati per garantire agli istituti universitari maggiore libertà d’insegnamento. I documenti più significativi della sua amministrazione furono riuniti dallo stesso Bonghi nei due volumetti Discorsi e saggi sulla pubblica amministrazione, Firenze, Sansoni, 1876. Spaventa si riferisce probabilmente al DDL n. 81, Sugli istituti d’insegnamento secondario classico e sul miglioramento della condizione degli insegnanti, approvato nella seduta del 17 marzo 1876.
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Epistolario
simo tanti Ciccio Sprovieri, Napodano, 45 Costantini. Questa mi pare maggior umiliazione che lo schiaffo stesso di Tunisi. Per sentire questo, bisogna sentire quella. Noi non sentiamo nulla: siamo governati da uno che 10 anni fa non era altro che uno scolacoratelle. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
924 A Silvio Spaventa Napoli, 28 settembre 1881 Mio caro Silvio, Devo ancora aver pazienza col dolor di stomaco: vado meglio, ma non ancora bene. passerà; poi ritornerà; e poi… finirà. Ormai liberarmene interamente, dopo tanti anni… dal 1848… quando Baccelli era in mente… Papae… non lo spero più! Vivrò come meglio potrò, e non ci penserò. Almeno sopravvenisse la podagra! Sono quasi due anni che non l’ho; cioè da ottobre 79 a Roma. E tu come stai? Hai trovato la donna di casa? Bada al mangiare. Millo è da capo in angustia, perché gli hanno scritto dall’avvocatura (credo il nipote di Abignente) che Mantellini è per nominare a quel posto vuoto quel tal Greco, di cui si parlò mesi fa, e che Mantellini disse a te che non era vero. Ti scriverà. Vedi di dargli un po’ di pace; cioè indurlo, come fo io, a aver pazienza, specie in questi tempi. Del resto sto bene. E verrò a rivederti in Ottobre. Scrivi. Tuo Bertrando Ti mando sotto fascia una istanza di Nicolino De Laurentiis, fratello di Rocco, al Ministro della Guerra. È cosa da niente. Ciò che si desidera è pronta risposta; e dipende da Torre a cui ti prego fare due righi. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
925 A Donato Jaja Napoli, 4 ottobre 1881 Mio caro Jaja, Ricevo la tua da Conversano e rispondo subito. Probabile che mi troverai ancora qui: e partirò sabato. Fammi sapere, se occorre anche per telegrafo l’ora in cui arriverai venerdì prossimo, perché Isabella possa apparecchiarti un tavolo; che non rifiuterai col classico no. 45. Luigi Napodano, nato a Napoli nel 1842, fu deputato del regno d’Italia dalla XIII alla XVII legislatura e nella XIX.
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Saluti a te e i Florenzi46 da parte di tutti noi. Millo è ancora a Roccella. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
926 A Silvio Spaventa Napoli, 30 ottobre 1881 Mio caro Silvio, Ti scrivo per dirti che il mio dolore allo stomaco è quasi scomparso; e sto bene. E tu? Scrivo a Labriola. Spero che mi darà delle notizie, specialmente del Consiglio: se si riunirà o no per l’affare Sbarbaro.47 Hai visto il Sella? Lessi giorni fa nell’Opinione, che fu lui che ideò il riscatto della ferrovia dell’Alta Italia e che Minghetti e Venosta48 (di te non si parla naturalmente) non fecero altro che incarnare – e coll’opera sua – la idea sua. Insomma Figaro qua, Figaro là. Senza di Figaro come si fa? Fa di star bene. Isabella e Mimì ti salutano. Millo deve tornare stasera o domani. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
927 A Silvio Spaventa Napoli, 4 dicembre 1881 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto più, perché speravo di venire costà prima di Natale, e avevo tue notizie da Evandro49 e Rosario.50 Intanto ieri ricevetti una solita del buon Mamiani, che mi avvisa che probabilmente il gran Consiglio sarà convocato nella prima metà di Gennaio per udire le difese del professore Sbarbaro etc.; e per altri affari. Credevo che ci avrebbero chiamato anche per l’atto di accusa, e per lo scrutinio delle elezioni suppletorie, fatte da più settimane. Cacherano avrà fatto fare tutto alla Giunta. Ci rivedremo dunque di qui a un mese: probabilmente. 46. Nipoti di Donato Jaja. 47. Pietro Sbarbaro (1838-1893), avvocato e docente universitario, deputato nel parlamento del regno d’Italia nella XV e XVI legislatura . 48. Emilio Visconti Venosta (1829-1914), diplomatico ed esponente della Destra; fu deputato nel regno d’Italia dall’VIII alla XV legislatura e senatore dal 1886. 49. Evandro Sigismondi. 50. Rosario Spaventa.
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Epistolario
Non ancora posso avere il vino da Capri. Non credere che me ne sia dimenticato. Il peggio che mi può accadere è di perdere perfino la curiosità. In altri tempi ti avrei scritto per domandarti notizie sulla situazione. Certo che tu ne hai pieni i c…. più di me, mi sono astenuto. Del resto, quel po’ di curiosità che mi è rimasta è pienamente appagato dagli articoli dell’Opinione. Ora sappiamo che Lui sa tutto e ha fatto tutto e può far tutto: il Campidoglio lo dobbiamo a Lui; a Lui la soluzione della quistione anzi del problema religioso; a Lui la nova scienza; a Lui l’Ideale; a Lui l’Eccelsior; a Lui…Eccetera. Chiniamo la fronte al massimo fattor. Pensa a star bene e scrivimi un rigo. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
928 A Silvio Spaventa Napoli, 5 dicembre 1881 Mio caro Silvio, Oggi è stato spedito il vino ed eccoti la bollettina di spedizione. Non so se, fino a domicilio. Ieri ti scrissi. Di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
929 A Silvio Spaventa Napoli, 13 dicembre 1881 Mio caro Silvio, Pochi righi per presentarti e raccomandarti, per ogni buon fine, il Professore Perricci51 dell’Istituto di Belle Arti, uomo veramente degno di essere considerato e stimato, modesto quanto valoroso: e mio amico. Credo di non aver bisogno di dirti altro. Noi stiamo bene. Ti riscriverò prima di Natale. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
51. Ignazio Perricci (1834-1907), artista, decoratore e scultore.
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930 A Silvio Spaventa Napoli, 17 dicembre 1881 Mio caro Silvio, Avvenimento improvviso e impreveduto! Hai fatto una carica a fondo. L’organo reale giudicato dalla funzione in sé e per sé! Dalla legge. La buona e retta natura è questa che fa quello, non al contrario. Baccelli ha voluto lui creare la funzione, e ha imbaccellato tutto. M’imagino che cosa avrà risposto oggi, e che applausi dai professori Sprovieri, Nocita, Pierantoni e Lazzaro! Ora non posso dire di più; è già tardi. – Leggo un magro sunto e parmi pessimo dall’Opinione. – Aspetto, voglio, una copia, o a parte se la pubblichi, o dalla Camera, del tuo discorso. Mi dicono che Federico sia tornato costà. Dunque puoi venire a Natale. Già ti riscriverò, forse domani, anche per sapere quando verrai. Isabella con i ragazzi saluti di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
931 A Silvio Spaventa Napoli, 19 dicembre 1881 Mio caro Silvio, Ho letto il sunto del tuo secondo discorso,52 e mi pare che la replica del terremoto sia stata più forte della prima scossa. Pure il Baccelli si sarà salvato, anzi avrà trionfato. All’ora che scrivo, non so come sia finita la seduta di ieri; ma non dubito che l’ordine del giorno Crispi sia stato votato dalla Maggioranza. La Maggioranza può votare ogni cosa: che 2+2 fan 5; che il sole gira intorno alla terra; che Ciccio Sprovieri è il più gran filosofo di questo secolo; che Baccelli più liberale di te e di me; che chi vìola la legge, la eseguisce; che un mascalzone è un uomo onesto; etc. etc. 2+2 fan 4; la terra gira intorno al sole; Ciccio è una bestia, e simili, sono dommi della scienza ufficiale; il contrario sono scoperte della scienza libera, e queste il Governo – l’ufficialità – deve promuovere. Dunque? Abbasso il Governo, l’ufficialità, la legge, e viva… la libertà! – Quando una maggioranza e un governo ragiona (dico per dire) e fa così, si ammazza da sé. E il tuo merito è l’aver dimostrato ciò. O è vero che il Governo assoluto dal mondo sia la stupidità assoluta, o l’assoluta Bricconeria?53
52. Dal 16 al 18 dicembre 1881 Silvio pronunciò alla Camera dei deputati tre discorsi sull’istruzione pubblica (cfr. Discorsi parlamentari di Silvio Spaventa, pp. 580-618). 53. Vacca: «Birboneria».
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Epistolario
Ora a noi. Vieni, e avvisami almeno due giorni prima; e già ci siamo. Naturalmente devo fare qualche apparecchio. Isabella e i ragazzi ti salutano e ti aspettano. Saluti a Federico, reduce… dalla patria battaglia. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (ed. in Vacca, Nuove testimonianze, pp. 37-38).
932 A Silvio Spaventa Napoli, 24 dicembre 1881 Mio caro Silvio, Ricevo l’invito al Consiglio pel 5 Gennaio. Verrò il 3 o il 4. Ma ti scriverò di nuovo. Fate buon Natale. Saluta Federico e Aurelio. 54 Ieri ho visto la [Marcellina] che sta bene e ingrassa. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
933 Ad Angelo Camillo de Meis Napoli, 30 dicembre 1881 Mio caro Camillo, Non scrivo all’Ippolita55 da un pezzo – un gran pezzo –, e sono io che devo domandare perdono a lei, non ella a me, come credi e dici tu, non so con qual logica. Logica nuova! Ho detto tra me: che sia la logica scientifica? Sei a Bologna; e per quanto usi precauzioni e reagenti e resista, e chiuda gli occhi e turi gli orecchi, il gran sole di Piero56 comincia a illuminare e scaldare – e far dire spropositi – anche a te. Piero ha ora sempre in bocca – quanto è scientificamente sboccato! – i dettami della filosofia scientifica. Dettami di qua, dettami di là. I dettami sono il suo segreto, la sua magia. Con riverenza parlando, a me pare uno di quei cani che van pisciando alle porte di tutte le chiese, e non si azzardano di entrare dentro… per paura delle bastonate. Pedagogia scientifica, psicologia scientifica, sociologia scientifica, baccelleria scientifica! Scienza è urina, piscio. Povera Cesira!57
54. Aurelio Cipriani. 55. Ippolita Patellani. 56. Pietro Siciliani. 57. Cesira Pozzolini.
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Altro esempio: voler pagare l’Atlante. Io te l’aveva promesso fin da Bologna, e se non te lo mandai subito, la cagione fu che la pubblicazione non era ancora finita; era appena cominciata. Ora che male ci è se io ti faccia una volta un regalo? Che dettame pisciatorio è violato? Jaia e io ci abbiamo fatte delle grosse risate leggendo certe ultime provocazioni di Piero. Dice tra le ultime cose che il Baccelli ha un genio più genio di quello di De Sanctis suo predecessore. È la legge della evoluzione. Piscia, Piero. Questo vuole ora il mondo; questo è il tempo tuo. E basta. Partirò per Roma il 3. Forse ti scriverò di là. Abbiamo il processo Sbarbaro. Dunque devo chiedere io perdono all’Ippolita – lo chiedo flexis genibus. E ringrazio per la mostruosa bomba o mortadella, che non ho potuto pesare, perché la mia bilancia non ci arriva. Come farei, se dovessi pesar Piero? Dunque tra giorni. Buon capodanno all’Ippolita, alla Gigia,58 a te da parte di tutti Isabella, Mimì e Millo. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
934 A Donato Jaja [Roma, autunno 1881] 59 Mio caro Jaja, Povero Borrelli! L’altro ieri il Ministro 60 venne in Consiglio. Disse poche parole graziose ai Consiglieri, spropositi su parecchie cose, specie sull’affare Sbarbaro. Poi fece il giro nella Sala dando la mano. Oh! Caro Spaventa, come state? – Grazie. E voi come state? Ieri poi: scoppio della bomba. Né dissi per dire e col calore che sai. Lo conciai per le feste. Volevo poi andarmene. Ma i colleghi mi pregarono di rimanere e per buone ragioni: e rimango. Ma lo scoppio – ragionamento chiaro e documentato – fece impressione. Non posso ripetertelo, perché temo che lo stomaco non si risenta. A voce, te ne parlerà Fiorentino se tornerà prima di me. Ora basta. Non posso più scrivere qui. Non dir nulla ad alcuno. Ti raccomando i miei. AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
58. Luisa Unico. 59. Databile all’autunno 1881, per il riferimento all’affare Sbarbaro. 60. Guido Baccelli, ministro della pubblica istruzione.
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935 A Silvio Spaventa Napoli, 2 febbraio 1882 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto dopo il mio ritorno, perché non avevo proprio che dirti: niente di qui, dove ogni cosa va come prima, meno la presenza di Garibaldi, a cui nessuno pensa più; e niente a domandarti di costì, dove le cose vanno come si prevedeva. Sapevo poi che tu stavi bene; e me l’ha detto anche Aurelio1 che ho visto all’Università. Io sto bene; qualche volta ho il dolore, ma leggero; e non ci è che fare. Sono curioso di sapere cos’ha fatto il Baccelli dello Sbarbaro. Né anche il Giani,2 suo amico, sa niente. Morano non ha ancora pagato; né io gli ho detto niente. Dissi solo a Fiorentino che avevo io la cambiale, e che tu mi avevi dato l’incarico di ricevere il danaro. Pensa a star bene. Isabella e i ragazzi ti salutano. Saluto Federico, a cui dirai che il lumicino a benzina ha fatto fiasco. La migliore benzina che si vende qui, non arde se con tanto puzzo e fumo. O ci vuole una benzina speciale? Domandi al venditore. Tuo Bertrando Ricevetti le 4 copie bergamasche del tuo discorso.3 SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
1. Aurelio Cipriani. 2. Costanzo Giani (1826-1896), storico e letterato, docente universitario e deputato nel parlamento del regno d’Italia nella X legislatura. 3. Cfr. lettera 931.
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Epistolario
936 A Enrico Cocchia4 Napoli, 21 febbraio 1882 Mio caro Cocchia, Vi ringrazio della vostra lettera, che mi ha fatto tanto più piacere, quanto meno me l’aspettavo. In questi tempi un dottore in filosofia che si ricorda, e da Bologna, di un suo maestro per accidens di filosofia, – e di che filosofia, Dio mio! – è una meraviglia di fenomeno! Ciò mi consola da una parte, e dall’altra mi affligge, perché mi fa supporre che studiate solo il latino e abbiate chiuso gli occhi e turato gli orecchi alla luce e al fracasso della nuova scienza, felicemente regnante costì. Ossequiate per me la Signora Ippolita 5 e salutate De Meis anche da parte del Professore Jaja qui presente e credetemi sempre Vostro affezionatissimo B. Spaventa BNN, Carte Maturi, Ba 5. 3. 4 (inedita).
937 A Silvio Spaventa Napoli, 1 marzo 1882 Mio caro Silvio, Figurati con che dolore ho saputo da Decio che ti è tornata la colica! Decio mi avvisava che è passata subito, e ha durato appena 3 ore, e che ora stai bene. Assicurami che è vero, e che stai bene davvero. Scrivimi due righi. Sono così sbalordito che non so cosa dico. Se credi che devo venire costì, sono pronto. Rispondimi subito. Isabella e i ragazzi tante cose. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
938 A Silvio Spaventa Napoli, 6 marzo 1882 Mio caro Silvio, Spero che la colica non sia più tornata e che ora stii bene. 4. Enrico Cocchia (1852-1930), professore di letteratura latina a Napoli dal 1884 e senatore del regno d’Italia dal 1913. 5. Ippolita Patellani.
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Incontrai per istrada il De Crecchio pochi giorni prima di ricevere l’ultima tua lettera. Mi disse che ti aveva scritto per consigli e che tu gli avevi risposto con grande benevolenza. Tu lo conosci e non ci è bisogno di descrivertelo. A un dipresso mi tenne questo discorso: «la prima cosa è pensare a lui (a te) nell’Abruzzo chietino, salvo il caso che egli non voglia, o perché certo di essere eletto a Bergamo, o per altro motivo. Dovendosi, come pare, eleggere 3 soli deputati nel nostro collegio, conviene – e ciò mi scrivono anche di colà alcuni miei amici, per esempio il Piscinelli – portare uno solo de’ nostri (moderati), e sarebbe lui; il secondo sarebbe uno di sinistra, col quale ci accorderemo; e il terzo farebbe da sé, abbandonato alle sue proprie forze. Questo potrei essere io, nel caso. Ma tutto dipenderebbe dalla risoluzione di Don Silvio». – E chi sarebbe il secondo? Con chi fareste gli accordi? – Da quanto ho potuto capire dalla risposta, possibile che questo signore sia il De Riseis.6 Con tutto il rispetto che mostra di avere per te, a me pare che De Crecchio sarebbe lieto se tu ti accomodassi altrove. Non farebbe egli di certo questa proposta; ma sarebbe possibile che la facesse fare così come per accidens da qualcuno di là. Forse m’inganno; ma il sospetto l’ho fatto, e te lo dico. Quando egli dice di volere entrare nel terzo posto – di contentarsi di questo –, non so se sia di buona fede. Se si accorderà col De Riseis, sarà per prendere uno dei due primi posti. Io non ho alcun mezzo di sapere ciò che egli fa in Abruzzo; tu l’hai, e potrai vigilare. Ricordo che quando nel 76 la sua elezione fu contestata, dava a intendere e volere che si sapesse che se l’avessero annullata, saresti stato eletto tu. E non fu annullata. Se lo vedrò di nuovo – e cercherò di vederlo – ti scriverò. Scrivimi come stai e saluta Federico. Credo che – da quanto si stabilì – il Consiglio si riunirà ad Aprile: non so se prima o dopo Pasqua. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
939 A Silvio Spaventa Napoli, 26 marzo 1882 Mio caro Silvio, Da persone ultimamente venute da Roma so che stai bene. È un bene. Anch’io colla famiglia sto bene. Finora nessun avviso pel Consiglio; ma credo che non potrà mancare dopo Pasqua. – Morano ha pagato le mille lire. Ho dunque a tua disposizione 555 lire e centesimi. Te le manderò sabato, se vuoi; se no, te le porterò quando verrò. De Crecchio si duole che col Rossetti di Casoli tu hai parlato della sua indole. Altro non mi ha detto. Pare che non faccia accordi col De Riseis. Almeno finora. 6. Giuseppe De Riseis (1833-1924), sindaco di Chieti, deputato nel parlamento del regno d’Italia dalla XII alla XXII legislatura e senatore dal 1910.
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E non ci è altro. Bada alla salute. Isabella e i ragazzi ti salutano con Federico. Tuo Bertrando Fiorentino dice che ti ha scritto due lettere, e desidera una risposta. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
940 A Silvio Spaventa Napoli, 3 aprile 1882 Mio caro Silvio, Ho cercato in tutti i tuoi cassetti, e non ho trovato le lettere che desideri. Già, le tue carte, così quelle del 1861, come quelle del 1863-1864, erano state conservate in casse separate, e solo poche ne furono tolte; e ricordo bene che te le mandai insieme colle altre, per esempio la lettera di Bixio7 dopo le giornate di Settembre. Fruga dunque ancora. Il consiglio si riunirà il 25; sicché ci rivedremo dopo Casale. Spero, sono certo che farai una cosa buona. Hai fatto bene ad accettare, se l’invito ti è stato fatto dai Piemontesi. Non altro. Isabella e i ragazzi ti salutano. Saluto Federico . Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
941 A Donato Jaja Napoli, 7 aprile 1882 Mio caro Jaja, Ritorno dalla solita passeggiata, e ricevo la tua lettera. Botta e risposta: se no, se passa un’ora, non ti scriverò più. E per quanto lunga è la botta, tanto breve sarà la risposta. Già non ho niente a dire, se non che stiamo bene; e ci rallegriamo del buon viaggio che hai fatto, e della buona dimora che farai. Tutto quel mi dici e potrai dire della positiveria, non mi riesce nuovo. Ci sarà il positivismo, ma i nostri positivisti sono la più parte dei birbaccioni. Delle rifritture – non dico d’atei – ma di borbonici, gesuiti, sagrestani, e sant’agostiniani, non francesi, ma italiani. Senti questa: «Il discorso di Ardigò su Pietro
7. Gerolamo Bixio (1821-1873), generale e politico, deputato del regno d’Italia dall’VIII alla X legislatura, fu nominato senatore nel 1870.
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Pomponazzi8 non ostante la sua brevità contiene idee più giuste e profonde di quelle che si possono incontrare in volumi più grossi». Ora domando a te: Il paragone è coi volumi più grossi in generale, su qualsiasi materia, o pure co’ volumi più grossi sulla stessa materia, cioè su Pietro Pomponazzi? Nel secondo caso, chi ha scritto un volume grosso su Pietro Pomponazzi? All’amico scrittore, critico eminente, prude il culo. E basta così. Sono stanco e il sofà mi aspetta. Saluti da tutti e ossequi a Donna Carmela e scrivi, anche senza speranza di risposta: volume piccolo, deve essere, come quelli dell’amico scrittore. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
942 A Silvio Spaventa Napoli, 22 aprile 1882 Mio caro Silvio, Verrò dopodomani sera (Lunedì) alle 6 ¾. Prego Federico alla Stazione. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
943 A Silvio Spaventa Napoli, 4 maggio 1882 Mio caro Silvio, Ho spedito stamane un pacco postale con 18 monete, tra le quali una d’argento. Non ne trovo altre. Spedisco ora un pacco di fichi, che sono migliori di quelli che si vendono a Roma. Fammi scrivere subito da Federico come vai cogli occhi. Io sto bene. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
8. Roberto Ardigò, Pietro Pomponazzi. La psicologia come scienza positiva, Mantova, L. Colli, 1882.
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Epistolario
944 A Ernesta Sali Napoli, 22 maggio 1882 Pregiatissima Signora Ernesta, Rispondo io due righi – al solito – a Lei e a Maturi: a Lei in nome dell’Isabella che sta così così: la febbre è cessata, ma il dolore di stomaco ritorna spesso, e quanto fastidio le dia, se l’immagini Lei. A Lei dunque, per ringraziarla del magnifico disegno; a lui, per l’opuscolo,9 che non dirò magnifico, ma che in seconda lettura ha riportato la piena approvazione del lettore. Sempre guai. Mi duole assai assai delle loro sofferenze. Oh se ci fosse modo di liberarvi da Avellino. Ci penso e ripenso; ma non vedo almeno per ora il modo. Anche il mio stomaco – per non fare una cattiva figura in mezzo a tanti ammalati – si rifà vivo. Meno male che mi si fa sentire di notte, e non m’impedisce – finora – di lavorare. All’Itala… Maturi, non Cipolla – tanti milioni… di baci da parte di tutti. Saluti a lei e a Maturi idem. Sempre affezionatissimo B. Spaventa P.S. Isabella vuole che aggiunga 1. Ringraziamenti per la ricetta dei carciofi. Non ricordo se gli abbia fatti; ma per mettermi al sicuro, li fo o ripeto ora. 2. La preghiera di conservare l’originale del disegno magnifico etc. BNN, Carte Maturi, Ba 5. 3. 3 (inedita).
945 A Silvio Spaventa Napoli, 22 maggio 1882 Mio caro Silvio, So che vai meglio da alcuni deputati. Ora desidero che me lo dica tu stesso con un rigo. – Io sto bene; non senza il solito dolore di stomaco, che – meno male – mi visita un po’ la notte, e passa colle bagnature di acqua fredda. Millo è un po’ scoraggiato. So ora che ti ha scritto. Se puoi, rispondigli due righi, e incoraggialo. Pare certo che Mantellini nominerà,10 se non l’ha già fatto, non solo il Greco di Falcone (che non è stato mai praticante), ma anche il Taranto, figlio dell’Intendente di Finanza. Per l’interesse, a me importa poco o nulla ora. Ma non vorrei che non se ne facesse mai nulla. Finora lavora; e se non altro, non è in ozio. 9. Sebastiano Maturi, L’ideale del pensiero umano, ossia La esistenza assoluta di Dio, discorso letto il 5 giugno 1881 nel R. Liceo di Avellino, Avellino, Stabilimento tipografico di V. Maggi, 1882. 10. Come procuratore sostituto aggiunto erariale, incarico per il quale concorreva anche Camillo, figlio di Bertrando (cfr. lettera 879).
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Ho ricevuto due copie del tuo discorso. Non ne hai altre? Scrivi. Dà l’acclusa a Federico. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
946 A Silvio Spaventa Napoli, 2 giugno 1882 Mio caro Silvio, L’altro ieri De Blasiis e ieri Federico nella sua lettera a Millo, mi han dato notizie poco buone della tua malattia d’occhi. Tu stesso nella tua ultima, me l’accennavi, ma io non credevo tanto seria la cosa. Ora dunque che risolvi? Vieni o non vieni? Mi dicono, che mutar aria giovi. Basta, come ti dissi, che me l’avvisi due giorni o un giorno anche, prima. Federico parla di Portici. Dove e da chi? Scrivimi due righi; e non mi fare stare in angustia. Isabella e i ragazzi ti salutano e ti dicono di venire. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
947 A Sebastiano Maturi Napoli, 1 luglio 1882 Mio caro Maturi, Lessi rapidamente il tuo lavoro11 e mi propongo di rileggerlo in queste vacanze e probabilmente te ne dirò qualcosa. Mi rallegro intanto con te dei tuoi progressi negli studi filosofici. Lo scritto è concepito e fatto bene. – All’Ernesta,12 alla buona e intelligente Ernesta, tante cose da parte di tutti i miei; e ricordami e dà tanti baci per me alla maliziosa e impertinente Itala.13 Colla solita fretta, ma mi perdonerai, sono Tuo affezionato B. Spaventa BNN, Carte Maturi, B a 5. 3. 9 (inedita).
11. L’opuscolo di cui si parla nella lettera 944. 12. Ernesta Sali. 13. Itala Maturi.
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Epistolario
948 A Sebastiano Maturi Napoli, 14 luglio 1882 Mio caro Maturi, Verrò Sabato al giorno coll’ultimo treno, e con me verrà anche Jaia. Tutti e due in casa tua, è troppo; uno lì e uno là, non va. Io direi – ma non ti prendere collera – di… Oh del resto fa quel che ti pare e piace. Ritorneremmo qui Domenica. Caso io non possa venire – dico caso – ti avviserò Sabato stesso a tempo per telegrafo. Saluta l’Ernesta14 anche da parte dei miei e sono sempre Tuo B. Spaventa BNN, Carte Maturi, Ba 5. 3. 10 (inedita).
949 A Sebastiano Maturi Napoli, 19 luglio 1882 Mio caro Maturi, Ti do una notizia che non ti farà piacere. Ieri mattina dopo aver riposato bene, stanco com’era dal viaggio, mi svegliai con la podagra, che non mi aveva visitato da un pezzo, cioè da quasi due anni. Quanti giorni durerà, e se sarà mite o feroce, non ti so dire finora; giacché non ci è divinità più capricciosa di questa. Con questo caldo non è certo una consolazione. Ho trovato anche Isabella poco bene col suo mal di stomaco e di nervi. Sicché per nostra disgrazia possiamo considerare come svanito almeno per ora il nostro bel sogno di Avellino con tutti i suoi annessi e connessi: le passeggiate, i discorsi e le impertinenze della Signorina Cipolla. Pazienza! Ora ringraziare l’Ernesta15 e te di tutta la gran pazienza che avete avuto per me, vecchio invalido, è impresa superiore alle mie forze di scrittore: spero di poterlo fare a voce, quando che sia. Ti prego di ringraziare per me il Signor Salomone e di fare le mie scuse. Non ti dico di più oggi. Scrivo dal letto e male. Tanti saluti all’Ernesta, alla buona Ernesta, un bacio all’Italina Maturi e tante cose da parte dei miei. Saluti di Jaia. Tuo affezionato B. Spaventa BNN, Carte Maturi, Ba 5. 3. 11 (inedita).
14. Ernesta Sali. 15. Ernesta Sali.
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950 A Donato Jaja Resina/Pugliano, Villa Panzuti, 10 agosto 1882 Mio caro Jaja, Ricevuto iersera tua cartolina da Bardonecchia… due giorni prima la lettera da Torino. A 50, neppure, metri dal livello dell’elemento infido, io levo su su lo sguardo per vederti all’altezza di mille e duecento, e non vedo che l’osservatorio dove abita quell’ubbriacone del figlio di Palmieri, e il fumo del Vesuvio – del Padre distruggitor Vesuvio. Sono dunque le 6 antimeridiane. Devo uscire, e voglio impostare questa lettera. Se mi dilungo, esco tardi, e il sole mi brucerà; se rimetto la lettera a oggi, l’imposterò tardi, e forse non ti troverà a Bardonecchia. Dunque l’essenziale. Silvio sempre meglio: fa le sue passeggiate al bosco ogni mattina, e anche fuori. Isabella così così; a me par che vada anche meglio; da 4 giorni non vomita. Si lagna di non poter dormire: e di fatto non si dorme più a Pugliano: la notte, alle 2 pomeridiane, alle 4 ½, grande concerto di campane, di mortaretti e di banda: si fa in Chiesa la novena della Madonna, Gran madre di Dio: la festa a’ 15. E che sarà?!! Festa, dice il Manifesto del Municipio – installata dal Principe degli Apostoli, il quale come si sa, checché ne dica in contrario lo scettico beffardo, venne a posta a Pugliano da Napoli in treno sino a Ercolano. Etc etc. Contentati di questi pochi righi ora. Divertiti, scrivi cartoline e non andare in collera (dico così per modo di dire) se non ti si risponde subito. Silvio preferisce Oulx a Bardonecchia. Noi il solito: caldo un po’ il giorno; e la sera fresco, anzi freddo. Ci è delle Madonne, Madri di Dio, a Bardonecchia? Pregale di far tacere queste campane! A tutti saluti senza fine. Di Camillo16 e Ippolita17 nessuna notizia. Se scrivi, ricorda noi tutti. Tuo Bertrando AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
951 Ad Angelo Camillo De Meis Resina, Villa Panzuti, 27 agosto 1882 Mio caro Camillo, Silvio non ti ha scritto finora, perché non può ancora né leggere e scrivere senza danno; e dice che una lettera a te deve scriverla lui tutta di mano sua. Abbi dunque pazienza ancora un po’. E infatti va molto ma molto meglio. La nubecola alla cornea è ridotta quasi a un punto e si riduce sempre più. Le pennellate del nostro Castorani hanno fatto effetto che si può dire miracoloso. Egli viene qua due volte la settimana: semplice, igienico, amorevole, senza gran cassa, come un antico abruzzese. Silvio n’è contentissimo. 16. Angelo Camillo De Meis. 17. Ippolita Patellani.
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Epistolario
Io poi non ti scrivo da un pezzo, lo so purtroppo; e questa volta, neppure il giorno di San Camillo. Non so nemmeno io come la sia andata, tanto ero stordito e svogliato in quei giorni. Son due mesi che con tutta l’aria buona e asciutta – forse troppo – il dolore allo stomaco mi tormenta. E in quei giorni tu eri in gran angustia, e io non ebbi l’animo di dirti una parola sola. Sono proprio un tanghero. Ho da dirti tante cose che non so dove cominciare né dove finire; conchiusione: non ti dico niente. Posso dire che parlo sempre, ogni giorno, con te, giacché da più anni non ho con chi parlare, e tu m’intendi e rispondi. È un sogno perpetuo. Se non ci fosse stato Jaja, sarebbe stata una vera disperazione. Ma quello che importa a me e a Silvio e tutti noi è che tu sei tranquillo e di buon umore; e ci raccomandiamo a te e alla buona Signora Ippolita18 e all’amor vostro. Santo Dio! Se io non avessi questo non santo dolor di stomaco! Pace dunque pace pace. Jaia ha scritto da Bardonnecchia. Beato lui! Non ho neppure ringraziato del Frantz.19 Lessi tanti anni fa lo Schelling (filosofia positiva) (che non è quella dei nostri positivisti). Silvio Isabella Mimì Millo tante cose alla Ippolita e a te e io poi chiedo di nuovo perdono a lei e a te della mia trascuratezza. Scrivo breve perché non scrivo da un pezzo. Alla Gigia20 idem. E tu ama sempre Il tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
952 A Donato Jaja Resina, 17 settembre 1882 Mio caro Jaja, Non ti aspettare una lunga lettera. Avevo pensato, poltrone come sono, a una cartolina; ma tu sai quanto io odio questa novità, come tante altre: innocenti, ma antipatiche. Prendo dunque un foglietto, e mi sforzo di allargare il carattere. Siamo tutti di cattivo umore. Qui piove quasi continuamente, giorno e notte, da una settimana: lampi, tuoni, vento, un fracasso d’inferno, che è una disperazione. Il povero Silvio – che si può dire guarito, perché quella nubecola che sai è ridotta a tale che si vede e non si vede, e l’occhio ricomincia a leggere anche i caratteri più minuti, e ogni traccia di sanguinamento è scomparsa – da 4 giorni non esce di casa. E non può far più le solite passeggiate al bosco. Io stesso approfitto di qualche lucido intervallo di questo tiranno che si chiama tempo – fratello siamese dell’altro che si chiama spazio – e tra una tropea e un’altra scivolo giù a
18. Ippolita Patellani. 19. Costantin Frantz (1817-1891), scrittore e politico prussiano; dopo aver studiato matematica e filosofia, seguendo il pensiero di Hegel e di Friedrich Schelling, si occupò principalmente di politica. Il riferimento è a Costantin Frantz, Schelling’s positive Philosophie, nach ihrem Inhalt, wie nach ihrer Bedeutung für den allgemeinen Umschwung der bis jetzt noch herrschenden Denkweise, Köthen, Schettler, 1879-1880. 20. Luisa Unico.
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Resina, e poco m’importa se mi bagno e infango, purché mi muova. Isabella da più giorni sta meglio. Mimì e Millo bene. E questo è quanto. Ora a noi. Di te non chiedo notizie. Le francesi, elvetiche, alpine, le so. Le lombarde me le racconterai al tuo ritorno: che per tua consolazione è prossimo. Baccelli – il gran Ministro – il Cavour della pubblica istruzione – a cui s’inchinano riverenti Professori e Congressi di Dotti – il…– ti chiama; e Bagatta, il Caronte del Genovesi, ti aspetta. Come vanno dunque le cose alle Coste? Come sta l’Ippolita?21 Camillo?22 La Gigia?23 È superfluo dirti che queste domande son fatte da tutti noi, compreso Silvio, il quale dice che vuol rispondere alla tua lettera; e contengono un mondo di cose. Ci auguriamo che stiano bene. Devo anch’io scrivere una lunga lettera a Camillo; ma quando lo farò? Una volta, quando ero deputato,24 allo scrivere preferivo di andare a trovarti. Ora non vengo, e non scrivo. Non ti parlo del mio dolor di stomaco. È una seccatura. Aspettiamo tue lettere; cioè le solite cartoline; ci dirai il giorno della partenza per Conversano; e da Conversano per Napoli. Silvio di certo si tratterrà qua per tutto questo mese; e probabilmente lo ritroverai qui. Non vedo Fiorentino da un pezzo: dall’Accademia ultima. La Giulia25 era in convalescenza e ora non so altro. Il foglietto è finito, e vale per 4 cartoline. Dunque all’Ippolita Camillo Gigia tanti saluti di tutti, e affettuosamente Tuo affezionatissimo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
953 A Silvio Spaventa Resina, 15 [ottobre 1882] Caro Silvio, Mando delle lettere per Carmine. 26 Se domattina mi sentirò come oggi e il tempo non sarà come ieri, probabilmente me ne andrò a Roma. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
21. Ippolita Patellani. 22. Angelo Camillo De Meis. 23. Luisa Unico. 24. L’ultima legislatura in cui Spaventa fu eletto deputato fu la XII (1874-1876). In precedenza era stato eletto nell’VIII, nella X e nella XII legislatura del regno d’Italia. 25. Giulia Fiorentino, figlia di Francesco. 26. Carmine Senise.
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Epistolario
954 A Silvio Spaventa Resina, 20 ottobre 1882 Mio caro Silvio, Sapevo già dello strano fenomeno, che ti avvenne in ferrovia. Me lo disse, ma solo così, ieri Aurelio.27 E mi apparecchiava a scriverti, che ricevo in punto la tua. Spero che la cosa sia come me la dici tu, e non abbia seguito. Scrivimi spesso. Basta una cartolina. – Io sto come stavo: ora colla gotta, ora senza. Ieri uscii; oggi a casa, sebbene sia una bella giornata. – Venire per ora, non ci penso più. Il consiglio sarà finito; e non sono sicuro di non avere la gotta per istrada. Dolore allo stomaco, niente da più di una settimana. Non mi fa meraviglia ciò che mi dici di Castorani: è lui. Uomo, di cui si è persa la semenza, come dicono in Abruzzo. Isabella Millo e Mimì ti dicono tante cose. È qui ancora il tuo congegno per fumare; e guardandolo credono che tu sei ancora qui tra noi. Come stai a casa? Hai trovato la persona di servizio? Scrivimi dunque un rigo, e dimmi come vai cogli occhi. Tuo Bertrando La vedova di Sinodoro mi ha portato ieri questa lettera dal figlio. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
955 A Donato Jaja Resina, 21 ottobre 1882 Caro Jaja, Vediamoci domani all’Accademia.28 E poi ce ne ritorneremo insieme qui. Silvio mi ha scritto e ti ringrazia della tua letterina e saluta. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
27. Aurelio Cipriani. 28. L’Accademia di scienze morali e politiche, in via Mezzocannone a Napoli.
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956 A Silvio Spaventa Resina, 23 ottobre 1882 Mio caro Silvio, Dalla tua lettera a Jaja, che vidi ieri all’Accademia, vedo che tu sei in apprensione per me. E pure io sono ora da più di due settimane senza dolor di stomaco; e questo è il mio male: tutt’altro dipende dall’età, e non ci è che fare. Anche i talloni riposano. Così il tempo non fosse cattivo! Ieri meno male! Ma oggi, piove da stamane che è una bellezza. – Invece io sono in apprensione per te, e non capisco cosa sia stata quella subitanea affezione all’occhio, scomparsa il giorno dopo. Spero, che non ritorni, da quello che mi dici. Ma è necessario, che esca di casa solamente nelle belle giornate, e non esca affatto in quelle come questa di oggi. – Notizie di qui – di Napoli – le saprai dai giornali: babilonia perfetta. Nicotera ha discorso anche a Frisio; malinconico, mistico, profetico. Senti questa di Cafiero29 su Pescarola, a proposito della candidatura a Benevento: Uomo di prossima passata Destra, di presente Ibridismo, di passato remoto Farnesismo. È coniugato bene. E così si coniugano a vicenda. Ieri vidi Bonghi, che pare che rimanga qui in questa settimana, non per dirigere certamente. Scrivimi spesso. Noi stiamo bene. Non altro per oggi. Tuo affezionatissimo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
957 A Silvio Spaventa Resina, 27 ottobre 1882 Mio caro Silvio, Meno male che l’è andata, come l’è andata! e che ora ti trovi nello stesso stato in cui eri qui. Poteva avvenire peggio. Anche a me, se ho inteso bene il caso, pare che Castorani abbia ragione. Bisogna ora che ti guardi da una ricaduta: dall’umido etc. De Meis a cui Jaja aveva scritto la cosa, risponde allarmato, e ti fa la stessa raccomandazione. Dà consigli anche a me pel dolor di stomaco; poco pensiero gli fa la gotta. Raccomanda l’igiene. Capisco. Ma che devo fare io, se digerisco più facilmente i maccheroni che non il brodo e la verdura? Amabile diceva che il mio stomaco vuole cibi forti. Del resto io non fo spropositi; e ora, da più settimane, non sento dolori affatto. Ricomincerò quando che sia. E poi, sosta. E così, collo stesso metro, sino alla fine.
29. Pietro Antonio Cafiero (1836-1911), politico e sindaco di Barletta, deputato nel parlamento del regno d’Italia nella XVI, XVIII e XIX legislatura.
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Epistolario
Non mi aspettavo, non ero preparato alla notizia di Bergamo. Spero nell’attività di Camozzi e dei moderati. – Domenico Colaiò mi ha scritto per sapere se ti era pervenuta una sua lettera raccomandata diretta a te a Vico Travaccati. Gli ho risposto, che te ne avrei scritto. Qui fa caldo, e piove di tanto in tanto. Con tutto ciò stiamo bene. È probabile che ritorneremo a Napoli ai primissimi di novembre. Ti avviserò. Prima di tornare, Isabella ti manderà di qui le bottiglie di pomodoro. Ti raccomando la lettera di Castorani, che ti potrà servire. Isabella Millo e Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
958 A Silvio Spaventa Napoli, 3 novembre 1882 Mio caro Silvio, Ieri sera siamo ritornati qui a Napoli; e stiamo bene. Non abbiamo da parecchi giorni tue notizie: non parlo della elezione, ma degli occhi. Scrivi e indirizza le lettere a Napoli. Evandro30 mi telegrafò il risultato del collegio di Lanciano. Era un po’ in apprensione per Bergamo. Meno male che è riuscito così. Che devo dire delle elezioni? Mi pare che sia la solita storia delle monarchie democratiche latine. L’altro ieri spedii da Resina a gran velocità 12 bottiglie di conserva di pomodoro. Scrivi. Isabella e i ragazzi ti salutano. Tuo Bertrando E il povero Fiorentino! Non l’ho visto ancora; e non capisco niente. ISRR, MCRR Ba 90. 44 (inedita).
959 A Gustav Teichmüller Napoli, 27 novembre 1882 Stimatissimo Professore ed Amico, Io devo, innanzi tutto, chiederle perdono del mio lungo, annoso, silenzio; e tanto più che ella è stata sempre cortesissima con me e mi ha fatto dono delle maggiori Sue opere. Avrei dovuto, specialmente, rispondere alla sua gratissima lettera di Agosto e all’invio
30. Evandro Sigismondi.
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della Sua Neue Grundlegung; 31 ma parecchie cagioni me l’impedirono, tra le quali non ultima una, se non grave, fastidiosa infermità. Ora risanato alquanto, Le scrivo, la prima volta, e non so davvero di dove cominciare e come ringraziarla, tanti sono gli obblighi che io Le ho e le cose che avrei a dirle. – Principio dalla nota letta all’Accademia Reale. 32 Il collega Vera ha ragione. 33 Io non meritava la menzione autorevole che Ella ha fatto di me nella Prefazione alla Grundlegung;34 giacché io in quella nota non difesi la Sua interpretazione platonica: non era questo il proposito mio, e molto meno di combatterla; ma soltanto e unicamente l’esaminare gli argomenti del Bonghi.35 Vero è che per rivolgere l’attenzione dell’Accademia maggiormente al problema da Lei discusso, accennai a qualche difficoltà che era stata fatta non da me, ma dal Siebeck,36 alla Sua interpretazione; ma espressamente dichiarai che il luogo a una critica larga, seria, completa, non era quella nota. – Perché Ella vegga e conosca il fatto, Le mando la Nota. Lessi, sebbene infermo, gran parte della Sua Grundlegung; poi dovetti interrompere. Leggendo, feci degli appunti;37 e avevo in animo di mandarli a Lei. Ora li rivedo; forse son troppi, e di niun valore. Pure, cedo alla tentazione, e ne trascrivo uno o due. Ha detto qualcuno, non ricordo chi – che Lei protesta sempre di non essere hegeliano, e intanto la Sua interpretazione platonica in fondo in fondo è – certo meglio dimostrata, ragionata e avvalorata da documenti e indagini nuove – quella di Hegel. io dico tra me e me: il mio amico Teichmüller – senza essere quell’anima bieca un po’ e invidiosa e cattiva che apparisce Aristotele verso Platone – adopera con Hegel come quel di Stagira con suo maestro, se non sempre e in modo assoluto, qualche volta e relativamente. Per esempio Lei dice (pag. 22 seg.): riconosco dialettico il pensiero, ma non accetto la dialettica hegeliana. E che cosa intende poi per dialettica hegeliana?
31. Gustav Teichmüller, Die wirkliche und die scheinbare Welt: neue Grundlegung der Metaphysik, Breslau, Koebner, 1882. 32. Bertrando Spaventa, Osservazioni sulla interpretazione di un luogo di Platone (Rep. X, 661 A.), pubblicata in «Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», XVI (1881). 33. Cfr. Augusto Vera, Platone e l’immortalità dell’anima, in «Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», XVI (1881). 34. Cfr. Teichmüller, Die wirkliche und die scheinbare Welt, p. XX, dove in nota si legge: «Wie sich der berühmte Bonghi in seiner Uebersetzung des Phädon zu meiner Interpretation stellt, habe ich noch nicht zugänglich war. Spaventa aber hat in der Akademie von Neapel, wie ich mit grosser Freude gelesen habe, meine Auffassung durch seine gewichtige Stimme unterstützt». 35. Esposti in Ruggiero Bonghi, Una prova dell’immortalità dell’Anima nella Repubblica di Platone, in «Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», XVI (1881). 36. Gustav Herman Siebeck (1842-1920), filosofo tedesco, nel 1863 conseguì il titolo di dottore in filosofia con un lavoro sulla psicologia in Aristotele ed Herbart; nel 1872 ottenne l’abilitazione all’insegnamento universitario ad Halle con lo scritto De doctrina idearum qualis est in Platonis Philebo; dal 1875 professore ordinario a Basilea. 37. Da questa lettura prese forma l’Esame di un’obiezione di Teichmüller alla dialettica di Hegel, di cui Spaventa lesse un sunto all’Accademia di scienze morali e politiche di Napoli il 10 dicembre 1882, pubblicato nei «Rendiconti delle tornate e dei lavori» (anno XXI, nov.-dic. 1882, pp. 23-24). La memoria venne pubblicata in estratto nel 1883 e inserita negli «Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», XVIII (1884). Teichmüller rispose nella sua Religionsphilosophie (Breslau, Koebner, 1886, pp. XXII-XXVI; e p. 517, nota).
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Giacchè la posta parte e io non ho tempo oggi di continuare sino alla fine e mi preme di darle oggi stesso una notizia, interrompo, e Le riscriverò domani o dopo. 38 Ieri la nostra Accademia Reale ha nominato Lei suo socio straniero. Imparziale, ha nominato anche lo Zeller.39 La nomina sarà mandata al Ministro per l’approvazione. Attenda dunque altre mie lettere. Sono sempre di Lei Devotissimo affezionatissimo amico Professore B. Spaventa BUB, Handschriften, NL 79, B. 2701 (inedita).
960 A Sebastiano Maturi Napoli, 7 dicembre 1882 Mio caro Maturi, Come prevedevo, quest’anno ho finito col non muovermi da Napoli nelle vacanze. Sino alla metà di Settembre la cosa è andata bene, e ho lavorato bene. Ma poi, da capo l’antico dolore allo stomaco, che ancor non m’abbandona. È vero che non mi tormenta più come nel primo mese; ora è tollerabile; ma in conclusione è sempre una seccatura. Sono certo che passerà,… per ricominciare dopo 4 o 5 mesi. Questa è l’esperienza, e non ci è che fare. Spero che manterrai la promessa di farti rivedere qua. Jaja ti saluta e ossequia l’Ernesta.40 Mi dice di aver risposto alla tua lettera, e si ricorda all’Itala.41 Godo che studi sempre. Sono del tuo parere quanto al Teichmüller. Si fa leggere – sino a un certo punto – come critico; è acuto, brillante, erudito molto; ma… come filosofo, ci ho i miei dubbi. E dello stesso parere sono quanto alle riforme del Baccelli. Oramai non possiamo (o veramente possiamo bene) prevedere dove andare a parare! Alla buona Ernesta tante e tante cose, e scusa se non mi dilungo. All’Itala tanti baci, se non fa l’impertinente. Sono sempre Tuo affezionato B. Spaventa BNN, Carte Maturi, Ba 5. 3. 12 (inedita).
38. Quest’ultimo capoverso, nel manoscritto, è inserito, di seguito al precedente, tra due segmenti simili a una doppia parentesi tonda, che qui si è scelto di interpretare come un capoverso indipendente. 39. Eduard Zeller (1814-1908), storico della filosofia, insegnò a Tubinga, a Berna, a Mörburg, dal 1862 a Heidelberg, dal 1872 a Berlino e infine, dal 1895, a Stoccarda. È autore di una fondamentale opera storiografica, Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung dargestellt. 40. Ernesta Sali. 41. Itala Maturi.
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961 A Silvio Spaventa Napoli, 22 dicembre 1882 Mio caro Silvio, Non ti ho scritto da un pezzo, perché non avevo che dirti, e sapevo tue notizie da parecchie persone venute da Roma in questi ultimi giorni. Quanto a me, non ci è male e vorrei che fosse sempre così: qualche volta un po’ di dolore allo stomaco e ai piedi, ma leggero e tollerabilissimo. Sono stato un po’ occupato nelle lezioni, e negli esami: e anche in un lavoro su Teichmüller,42 a cui dovea rispondere, e risposi dopo qualche mese.43 Ma, poiché la lettera sarebbe stata troppo lunga, prima di accennargli l’idea generale della risposta, mi riservai di trattare l’argomento, come feci, in una memoria, che lessi all’Accademia, e che gli manderò dopo che sarà stampata. Ora abbi pazienza, che ti parli di Millo. Sono già quasi 3 anni che è all’avvocatura erariale. Dacché siamo tornati qui lavora indefessamente, e tratta faccende alla pretura e al tribunale; e so certamente da persone dell’avvocatura stessa, che ne sono contenti tutti, compreso lo stesso Loasses. So anche che le informazioni di Monsignor Mirabelli erano alquanto esagerate. Era naturale: Mirabelli ha sempre favorito il Ricci; il quale stanco di chiedere e raccomandarsi a tutti, ora frequenta poco l’ufficio e pare che voglia abbandonarlo. A Millo non rimane come concorrente altri che il Taranto, figlio dell’intendente; e mi dicono che il Loasses protegga costui. Io temo sempre che Millo non si scoraggi. Non credi tu conveniente di tentare qual matto di Mantellini un’altra volta? Di fargliene parlare da qualcuno per esempio dall’Auriti? Falcone riuscì a fargli nominare quel suo nipote Greco, che non avea frequentato punto l’avvocatura. Insomma vedi cosa puoi fare e di togliermi questa spina dall’anima. Buon Natale con Federico e Auriti. 44 Isabella Millo Mimì ti salutano. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
962 A Sebastiano Maturi Napoli, 26 dicembre 1882 Mio caro Maturi, Ho tardato a risponderti, perché un po’ impicciato. Ho riletto il tuo opuscolo.45 Mi pare che vada com’è, e non ho nulla da osservare. Certamente a certa gente non piacerà; 42. Esame di un’obiezione di Teichmüller alla dialettica di Hegel. 43. Cfr. lettera 959. 44. Francesco Auriti. 45. L’ideale del pensiero umano, ossia La esistenza assoluta di Dio.
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Epistolario
ma ad essa non piace Platone, né Aristotele, né Hegel; piace Sciosciamocca. Puoi contentartene. All’Ernesta46 tanti saluti e baci all’Itala47 Tuo B. Spaventa BNN, Carte Maturi, Ba 5. 3. 13 (inedita).
963 A Silvio Spaventa Napoli, 28 dicembre 1882 Mio caro Silvio, Fammi scrivere un rigo da Federico o Aurelio, 48 che mi dica come stai cogli occhi. Dopo l’ultima tua lettera non ho avuto più notizie. Or ora ho visto De Crecchio che appena giunto qui partì contro suo volere per Avellino. Egli ti scrive oggi stesso. Spero che il male non vada avanti. Ti raccomando di darmi notizie. Isabella e i ragazzi ti salutano Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
46. Ernesta Sali. 47. Itala Maturi. 48. Aurelio Cipriani.
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964 A Silvio Spaventa Napoli, 7 [gennaio] 1883 Mio caro Silvio, Non ho avuto più notizie dei tuoi occhi. Mandai subito Millo da Castorani colla tua ultima lettera; il quale disse che ti aveva già scritto e risposto. Da Bonghi ho saputo, così in generale, che vai meglio. A proposito di Millo – di questa spina che, come ti ho detto, ho nell’anima – ti prego di occupartene seriamente. Lui scrisse, è già un pezzo, a Federico; il quale pare che non gli abbia risposto. Ricordo che l’anno passato di questi giorni il Quarto promise ad Auriti che ai principi di questo – dell’83 – avrebbe fatto il possibile per far collocar Millo: quando si osservò che era stano nominato il Greco – senza precedenti nell’avvocatura – per impegni del Falcone. Se tu non hai occasione di vedere il Mantellini o non credi di parlargliene tu stesso, prega Auriti (o qualche altro), anche in mio nome. In somma ti raccomando – non so dir quanto – questa benedetta faccenda. Scrivimi due righi. Saluti. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
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Epistolario
965 A Sebastiano Maturi Napoli, 1 febbraio 1883 Mio caro Maturi, Ha recato dolore a noi tutti la notizia della malattia dell’Ernesta.1 Insomma, nulla dies sine linea: questo è il nostro destino. – Non mi fa meraviglia ciò che mi racconti di codesto imbecille di protettore e farabutto di protetto. Oramai le cose vanno tutte così e dappertutto: e non ci è speranza di meno peggio. Aspetto sempre la tua letterona. Ho dato a stampare un’altra memoria 2 (la quarta nell’anno ora passato)3 per intero; e te la manderò poi a suo tempo. Esamina una obiezione alla dialettica di Hegel. Saluti da tutti, compreso Jaia a te all’Ernesta e baci all’Itala.4 Tuo affezionato B. Spaventa BNN, Carte Maturi, Ba 5. 3. 14 (inedita).
1. Ernesta Sali. 2. Esame di un’obiezione di Teichmüller alla dialettica di Hegel. 3. Le altre tre, tutte lette dall’autore all’Accademia delle scienze morali e politiche di Napoli, e successivamente pubblicate negli «Atti» della medesima Accademia, furono: La sintesi a priori e il nesso causale, Un luogo di Galilei, Un fatto logico e un problema metafisico, ristampate da Giovanni Gentile in B. Spaventa, Opere, I, pp. 571-594. 4. Itala Maturi.
Senza data
966 A Francesco Fiorentino 18 mattina Caro Fiorentino, Iersera alle 9 ho avuto 2 telegrafi, l’uno dopo l’altro. L’uno di Sella l’altro di Brioschi (!) per Martedì. Bisogna dunque partire stasera alle 10,05 (nuovo orario). Vieni a casa coll’ultima corsa da Portici e poi andremo insieme alla Stazione. Porta un po’ di danaro in più, che io non ne ho! Saluto tutti. Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba C 8. 3. 30 (inedita).
967 A Francesco Fiorentino [s.d.] Caro Fiorentino, Siamo venuti Isabella Millo Mimì ed io e non vi abbiamo trovato. Tanti saluti B. Spaventa BNN, Carte Fiorentino, Ba C 1. 3 (inedita).
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Epistolario
968 A Francesco Fiorentino [s.d.] Mio caro Fiorentino, L’articolo della legge 13 Novembre 1859 è il 66°.1 Tuo Bertrando BNN, Carte Fiorentino, Ba B 7. 120 (inedita).
969 A Donato Jaja 24 ottobre Caro Jaja, Oggi – 24 Ottobre – ti aspettiamo a pranzo, senza meno: e non valga la scusa che l’invito non sia stato fatto il giorno innanzi, o altra qualsiasi. Ripeto, assoluto, senza meno. Alle 4 ½. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
970 A Donato Jaja [Napoli,] 10 novembre Caro Jaja, Se Andrea va alla Pignasecca, fagli comprare 4 soldi di catalogne. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
1. L’articolo 66 della legge Casati (13 novembre 1859 n. 3725) prevedeva che i giudizi della Commissione intorno al merito di ciascun candidato fossero stesi, coi motivi su cui si sarebbero fondati, in una relazione diretta al Consiglio superiore della pubblica istruzione.
Senza data
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971 A Donato Jaja [Napoli,] 5 dicembre Caro Jaja, Ho ricominciato le lezioni sin dal martedì della settimana passata, e alla stessa ora. Farai il miracolo di farti vedere? Che bel tempo! Se ci vediamo oggi, ti restituirò la lettera di Silvio. Tuo affezionatissimo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
975 A Donato Jaja Napoli, 12 dicembre Caro Jaja, Noi andiamo in treno a Resina a veder quel tal casino. Vuoi venire? Dovresti esser pronto per le 11 antimeridiane sotto casa mia. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
973 A Francesco D’Ovidio Domenica 14 Caro D’Ovidio, Ricordati di portare Martedì tutte le carte necessarie: i progetti, etc. Tuo B. Spaventa BSNS, Fondo D’Ovidio, C. 4 (inedita).
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Epistolario
974 A Donato Jaja [s.d.] Caro Jaja, Vieni il più presto che puoi, perché vuol venire anche Isabella con Mimì. Noi ora ci mettiamo a tavola. Sono ore 4:25. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
975 A Donato Jaja [s.d.] Caro Jaja, Rimanemmo con Fiorentino ieri che ci saremo veduti oggi alle 11 ½ circa per passeggiare. Perciò vieni a quest’ora. E poi si vedrà. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
976 A Donato Jaja [s.d.] Vieni a Mezzogiorno a casa per andare a vedere il Duilio. B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
Senza data
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977 A Donato Jaja [Napoli, s.d.] Caro Jaja, Bene arrivato! Coi ragazzi, cioè Florenzi?2 Fammelo sapere. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
978 A Donato Jaja [s.d.] Caro Jaja, Riusciti Bonghi 52 Villari 50 Amari 47 Spaventa 46 Ascoli 45. I particolari costì! Non dir nulla a nessuno, nessuno, eccetto Fiorentino che saluto caramente. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
979 A Donato Jaja [s.d.] Caro Jaja, Propongo di far una passeggiata, giacché suppongo che oggi non hai lezioni da fare. Se vuoi cercare cafe, io ti farò da compagno. Vieni dunque dopo mezzogiorno all’ora che ti pare. Tuo B. Spaventa Giovedì Sandonato. AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
2. Nipoti di Donato Jaja.
804
Epistolario
980 A Donato Jaja [s.d.] Caro Jaja, Florenzo3 aspetti Isabella al canto di Cisterna dell’olio alle 12 ½. Se Florenzo ora non è in casa, avvisaci per regolarci. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
981 A Donato Jaja [Napoli, s.d.] Ti aspetto fino all’una. AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
982 A Donato Jaja [s.d.] Caro Jaja, Nell’annuario dell’81 l’indirizzo di Pasquale è: Strada Crocelle a Porta San Gennaro 24. Eccoti la Gazzetta di ieri. Scrivi tu a Silvio per Camillo. 4 Ma ci è sempre quella difficoltà che ti dissi. Del resto, scrivi. Oggi ho lezione. Termino alle 2. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
3. Potrebbe trattarsi del nipote Florenzo Jaja (1869-1931). 4. Angelo Camillo De Meis.
Senza data
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983 A Donato Jaja [s.d.] Caro Jaja, Preferisco che vada tu da Panzuti, e se ieri sera non te lo dissi, capirai che fu per… pudore; perché veramente ti ho incomodato e ti incomoderò ancora troppo per questa benedetta faccenda. Passa dunque da me, prima di recarti dall’egregio Marchese Stillitani; e combineremo il resto. Tuo B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
984 A Donato Jaja [s.d.] Caro Jaja, Andiamo pare; e ti aspettiamo all’1 ½. B. Spaventa AFG, Bertrando Spaventa. Carteggi. Lettere a Donato Jaja (inedita).
985 Ad Antonio Ranieri5 Napoli, 16 ottobre [s.a.] Gentilissimo Signor Don Antonio, Un mio paesano per nome Raffaele Nasuti ha bisogno di essere raccomandato al Giudice Istruttore del 4° Distretto di Napoli Don Domenico Ranieri Tenti, il quale mi si dice essere vostro Zio. Il porgitore è un mio amico, al quale potete consegnare una vostra lettera di raccomandazione al sopradetto Giudice, perché favorisca il Nasuti, sempre nella linea della giustizia. Perdonate il disagio e la temerità e pieno di stima, sono di fretta Vostro devotissimo Umilissimo Bertrando Spaventa BNN, Carte Ranieri, Ba 9. 99 (inedita).
5. Antonio Ranieri (1806-1888), scrittore e avvocato, fu deputato del regno d’Italia dall’VIII alla XIV legislatura e senatore dal 1882.
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Epistolario
986 A Silvio Spaventa Napoli, 15 giugno Giuseppe Auriti, fratello del nostro Ciccio, viene a Firenze. Egli vuol vederti e conoscerti. Non ti dico nulla per raccomandartelo nel caso che egli possa giovare in qualche cosa. Credo superflua ogni parola. Addio di fretta ieri ricevetti la tua. Ti risponderò domani. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
987 A Silvio Spaventa [s.d.] 6
Il povero Ciccio Labriola è disperato. Vorrebbe – visto che non è stato promosso a professore liceale di Storia e Geografia a Maddaloni – ritornare qui al Ginnasio Principe Umberto, di dove fu tolto dall’Imbriani. Vaca la 2a ginnasiale per la rinunzia di Turiello. Io mi trovo di aver proposto un tale Viscera, che ora è stato nominato del Ginnasio di Sessa con maggior soldo. Se il Ministero volesse traslocare qui il povero Ciccio, io non ci avrei difficoltà. Vedi parlarne al Napoli. Ciccio mi fa pietà; non può vivere a Maddaloni con quel che ha. Millo ha fatti gli esami, ed è riuscito benissimo. Quanto a chi faccia per pochi giorni le mie veci, potrei pregarne anche il Settembrini; ma ora che scrivo non so dove pescarlo. Non potrebbero darmi il permesso, e la facoltà di incaricare da me qualche degna persona, o di concerto col Prefetto? Basta; vedi tu. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
6. Francesco Saverio Labriola.
Senza data
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988 A Silvio Spaventa [s.d.]7 Ha fatto degli altri: s’imbarazzerà, s’inutilizzerà, etc. Dunque presto, e senza misericordia. Capisco che ci vuol un po’ di tempo. Ma ora è già un mese. M’imagino, che essa già abbia cominciato a cospirare contro di noi. Dunque attenti, e mano ai ferri. Qui credono te e Peruzzi i meno lenti del Ministero, e direi quasi come i più spinti. Che n’è del partito d’azione in generale? Qual è la tua tattica verso di esso? Bisogna pensare anche a questo. Non inutili persecuzioni. In generale il garibaldinismo (non il mazzinianismo) può essere ancora una forza? Questo è il problema. Non patti, non condiscendenze, ma neppure orrore, abbominio, etc. Studia questo problema. Vedi di convincere i migliori, etc. In breve, fate e presto – quanto si può. Brigantaggio, male amministrazione, ladri grandi (a proposito dicono horribilia dell’amministrazione di casa reale qui), burocrazia, ecco i nostri nemici oggi. Battete, distruggete, riedificate, e la cosa andrà. Ti ho annoiato, di certo, con questi consigli da oracolo. Dunque basta e addio. Isabella e Millo ti salutano. Tuo Bertrando P.S. Sai già della tua rielezione. Dunque va bene. P.S. Ora appunto Decoroso8 m’invia un dispaccio. Sei stato eletto con voti 451 sopra 460 votanti!!! Ma già tu lo sai. SNSP, XXXI.D.6 (parzialmente ed. in Vacca, Gli hegeliani, p. 37, nota 66).
989 A Silvio Spaventa [s.d.] Ti rimetto una lettera di Biagio e vedi cosa puoi fare. Un’altra di Pappalettere. Ti rimetto poi una domanda di Peppino Furlai, fratello del delegato di tal nome. È un buon giovine, molto conosciuto e lodato da Nicola, e che in questi ultimi giorni – specialmente negl’imbrogli dell’Università – mi ha reso buoni servigi. Era impiegato nel Registro e Bollo. Fu tolto per eccedenza di numero, e perché il controllore – borbonico – fece rimanere i suoi simili. È una domanda diretta al Minghetti e corredata di firma e di 7. Il tema della lettera si riferisce al periodo del segretariato di Silvio al Ministero dell’interno nel governo Farini-Minghetti. Cfr., sull’avvio dell’esperienza governativa nazionale di Silvio, la lettera 236 (21 dicembre 1862). 8. Decoroso Sigismondi.
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Epistolario
Mascilli Pironti. Capisco che tu non t’incarichi di queste faccende. Ma pure vedi se puoi aiutare questo giovine, che lo merita. Si tratta poi d’un piccolo impiego di qualche decina di ducati al mese. Ciccio Petroni e Mariannina 9 mi diedero una domanda di un tal Farina per Pisanelli. Io non scrivo di queste cose a Pisanelli e lo dissi al Petroni. Volle allora che la rimettessi a te, e io te la rimetto, sebbene un po’ tardi. Te ne incaricherai? Uf! Capisco che ti secco. Ma fa quel che credi. Solo ti raccomando il povero Furlai davvero. Se hai tempo scrivi a Rosariuccio,10 il quale non studia come dovrebbe. Isabella e Millo ti salutano. Biagio e Donna Camilla sono fuori di sé pel cavallerato di Don Federico.11 Da Bomba si aspettano la strada da te, e che passi dentro al paese! Non ci sarebbe male. Addio di fretta. Tuo Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
990 A Silvio Spaventa [s.d.] Porta aperta per trattare. Ma non è facile dire cosa voglia. Mi pare un cattivo soggetto, sebbene più liberale di me e di te. Si può supporre che avrebbe desiderato che fosse proposto candidato il fratello, avvocato in Lanciano. Evandro12 mi parlò di questa voglia, due anni fa. – Ora vedi tu cosa ci sia da fare. Le convinzioni dei fonetici non si mutano, né quelle che nascono da un principio pensato e ripensato; ma quelle che nascono da un interesse più o meno alto o basso, come si può avere in un paese quale è Gesso non sono poi tanto adamantine. Evandro potrebbe forse rimediare. Credo che gli avrai scritto. – Da Casoli nulla. De Petra non ha ricevuto ancora nissuna risposta! È sempre disposto ad andare. Dimmi tu quando credi che deva andare. Scriverà oggi di nuovo. – Ma i Casolani! Ora dimmi che dice il Villari? Persiste? E il Ministero? Da ciò che mi scrive oggi stesso Ciccarone, pare che il Ministero insista. Così la risposta del Bertini. Niente altro per oggi. Ho incontrato il Marvasi, che mi ha parlato della candidatura. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
9. Marianna Croce. 10. Rosario Spaventa. 11. Federico De Laurentiis. 12. Evandro Sigismondi.
Senza data
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991 A Silvio Spaventa [Napoli, giugno] Sono creditore del Ministero dell’Interno di Lire 500 e più per spese fatte e pagate da me, e autorizzate da esso, per questo Ufficio nell’anno passato. Siamo alla fine di Giugno; i conti sono stati mandati da 3 mesi, anzi 4 per mezzo della Prefettura; e non ci è modo d’essere rimborsato. Potresti mandare Berardo 13 o altri da Miraglia o chi si sia? Se ti conviene, bene; se no, tornerò a insistere ufficialmente, e aspetterò la provvidenza. SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
992 A Silvio Spaventa [s.d.] Caro Silvio, Ci è qui Castelli (di Vasto) che desidera di rivederti. Vieni subito. Bertrando SNSP, XXXI.D.6 (inedita).
993 A Silvio Spaventa [s.d.] Caro Silvio, La pubblicazione del tuo telegramma non produsse l’effetto che si desiderava. Era superiore all’intelligenza comune. Il paese subiva l’opera di Cipriani, perché quasi unico medico. Questa mattina ho fatto affiggere un manifesto ove ho riprodotto quanto mi dicevi nella tua lettera; e poi ne ho scritto uno come bomba finale. Appena scoppiata ha prodotto un effetto meraviglioso. Aurelio Cipriani se ne è scosso, ed andava dicendo, anche questo, io nemico di Silvio Spaventa! Si è incontrato a casa Rabbaglietti con Dottore e Mincantonio il giovane, che erano andati a trovare Giovanni. Qui mi si dice sia avvenuta una discussione per quanto era detto nel manifesto ed egli si è lasciato convincere della ragionevolezza di esso, ed ha detto di ritirarsi dalla lotta. Entusiasmo generale, eccetto me. Si era pareggiato. Ma visto che era solo con Santi-Sacchitto e doveva sentire vergogna nell’animo suo. Quelli per i quali esso più fidava, gli avevano mostrato ripugnanza a seguirlo, il movimento generale era cominciato ed egli si è scosso e si è fermato a tempo.
13. Berardo Sacchetti.
810
Epistolario
Dico così, perché ciò che è detto nel manifesto gliel’avea fatto dire da Balduccio, ma inutilmente. Bisognava stamparlo per convincerlo? Basta, la è finita bene. Ti rimetto i due manifesti e nella speranza di una completa vittoria. Credimi tuo affettuosissimo B. Spaventa SNSP, XXXI.D.7.2 (inedita).
994 A Cesare Volpicella [s.d.] Caro Volpicella, Vi prego di mandarmi a casa stasera una copia delle modificazioni al Regio Universitario. Lascio nell’ufficio la relazione del pareggiamento del Liceo Cirillo. Vostro affezionato B. Spaventa ACS, Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Ba 32, fascicolo 2, Ministero della Pubblica Istruzione, 1860-1880, Ba II. 18 (inedita).
Indice dei nomi*
Abignente, Filippo, 303 e n, 457, 772 Accettella, 516 Acri, Francesco, 9, 639 e n, 640, 641 Agostino, Aurelio, santo, 219, 434 e n, 748 Agresti, Filippo, 73 e n, 81, 239 Ahrens, Heinrich, 210 e n, 232 Albanese, Fedele, 610 e n Albicini, Cesare, 232 e n, 549 e n Albini, Pietro Luigi, 414n Alderisio, Felice, 151n Aleardi, Aleardo, 360 e n, 549, 553, 554 Alessandroni, 385 Alfieri D’Evandro, Antonio, 260 e n Alighieri, Dante, 55, 153 Altamura, Saverio, 22 e n, 39 Amabile, Luigi, 735 e n, 737, 791 Amante, Fedele, 22 Amari, Michele, 306n, 316 e n, 327 e n, 330n, 427, 491n, 762, 803 Amicarelli, Ippolito, 393 e n, 446-448, 451, 452, 459, 722 Andreoli, Raffaele, 595 e n, 600, 620 Angiulli, Andrea, 285 e n, 286, 289, 679, 681, 682n Antonacci, Giuseppe, 681 Antonelli, Francesco, 283 e n Ara, Casimiro, 351 e n Arciò, 24 Arconati, Costanza, 55n, 66 e n
Arconati, Giuseppe, 55n, 66 e n Ardigò, Roberto, 782, 783n Ardito, Pietro, 247 e n Ariosto, Ludovico, 296, 437n Aristotele, 38, 74, 164, 204, 219, 227, 229, 269, 433, 434 e n, 439, 793 e n, 796 Arnim, Harry Karl Kurt Eduard von, 632 e n Ascoli, Graziadio Isaia, 451 e n, 803 Asproni, Giorgio, 632 e n Assanti, Damiano, 227 Aurenza, Giuseppe, 28, 31 Auriti, 181 Auriti, Francesco, 363 e n, 463, 468, 506, 508511, 516-520, 579, 631, 649, 651-653, 734, 795 e n, 797, 806 Auriti, Giuseppe, 652, 653, 655, 657-659, 806 Avena, Carlo, 390 e n Aveta, Carlo, 258n Avitabile, Michele, 317 e n, 345, 353 Ayala, Mariano d’, 32 e n, 34, 39, 68, 170, 179 e n, 186 e n, 367, 383 e n, 409 Azeglio, Massimo Taparelli d’, 23 e n, 307 Baccelli, Guido, 755 e n, 761 e n, 762, 763, 765n, 769, 771 e n, 772, 775, 777 e n, 779, 789, 794 Bacon, Francis, 588 Bagatta, Giacinto, 767 e n, 789 Bain, Alexander, 574
* Nel seguente indice sono riportate le occorrenze di tutti i cognomi presenti nella Prefazione, nel testo e nell’apparato di note dell’Epistolario. Con il solo cognome vengono indicati sia singoli individui dei quali non è stato possibile determinare il nome di battesimo (vedi, per es., la voce “Arciò”) sia i nuclei familiari (vedi, per es., la voce “De Crecchio”). Ove necessario sono stati riportati sotto la voce del cognome, in corsivo e tra parentesi tonde, i soprannomi con i quali Bertrando Spaventa si riferisce a singole persone. In alcuni casi, per consentire al lettore una più rapida comprensione del testo e una facile disambiguazione dei casi di omonimia, sono stati inseriti tra parentesi tonde i gradi di parentela.
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Epistolario (1847-1883)
Balbo, Cesare, 53 e n Barbavara di Gravellona, Giovanni, conte di, 661 e n Barbera, Luigi, 11, 489, 680 e n, 692, 698, 701, 702 e n, 703 e n, 704, 708, 711, 752 e n Barberis, Giuseppe, 447 e n, 448, 451, 452, 458, 459, 468, 481, 573, 582, 588, 589, 644, 678 Barboni, Angelo, 483n Bardare, Leone Emanuele, 446 e n, 447 Bardesono, Cesare, conte di Rigras, 332 Barni, Jules, 124n, 210 Barone, Vincenzo, 293 e n Barzellotti, Giacomo, 682 e n, 713 Bassi di Alanno, Gaetano, 518 e n, 648 Bastogi, Pietro, 331 e n, 332 Battaglia, Felice, 218n Beato, Gennaro, 322 Beato, Pasquale, 322 Beaumont, Gustave Auguste de, 152n, 153n Becker, Karl Ferdinand, 118 e n, 119 Bellantonio, Francesco, 346 Bellelli, Gennaro, 226 e n, 227 Belli, 703 Beltrani, Giovanni, 10, 30n, 31n, 46, 62 e n, 96n, 97n, 117n, 165n, 166 Beneventano, Giuseppe Luigi, 664 e n Berardi, Errico, 30 e n, 32, 34, 37-39, 45, 50, 181, 186, 194, 225, 233-236, 290 Bergonzi, Giuseppe, 220 Berracco, 723 Berretta, 336 Bertani, Agostino, 272n Berti, Domenico, 367 e n, 369n, 377, 380n, 385, 386, 390-393, 395, 396, 399, 400 e n, 403, 404, 406, 407, 409, 411-413, 416n, 433 e n, 434, 482n, 484, 492, 496, 500 e n, 541n, 556, 557n, 569, 594, 596 e n, 598, 599n, 626, 695, 697 e n, 710, 713, 716n, 717, 719, 722 e n, 729, 737 e n, 740, 742, 743 Berti, Giuseppe, 8, 723n Bertinaria, Francesco, 407 e n, 682, 683 e n, 694, 719 Bertini, Angelo, 507 e n, 508, 509, 511, 515517, 519, 629, 808 Bertini, Giovanni Maria, 49n, 124n, 230 e n, 400 e n, 407, 766 Bertoldi, Giuseppe, 407 e n, 411, 412, 452, 722 Bertolini, Francesco, 734, 738, 742 Betti, Enrico, 683 e n, 687, 697, 707, 713, 716, 720
Biamonti, Antonio Francesco, 501 e n Bianchi, Celestino, 39, 53 e n, 326 e n, 327 Bianchi Giovini, Aurelio, 261 e n, 643n Bianchini, Ludovico, 295 e n Bismarck Schӧnhausen, Otto, principe di, 631, 632 e n, 748 Bixio, Gerolamo (detto Nino), 782 e n Bluntschli, Johann Caspar, 184 e n, 185, 186, 188, 212 Bobba, Romualdo, 687 e n, 697, 711-714, 717, 719, 722 Boccardo, Gerolamo, 49n Boggio, Pier Carlo, 121 e n Bolis, Giovanni, 671 Bonaparte, Carlo Luigi Napoleone, vedi Napoleone III Bonatelli, Francesco, 549 e n, 622, 626, 679, 683-687, 703, 710, 714, 719, 741 Bonavino, Cristoforo, vedi Franchi, Ausonio Boncompagni, Carlo, 51n, 191 e n Bonghi, Ruggiero, 39, 355 e n, 363, 374 e n, 375, 409 e n, 431, 450, 455, 514, 515, 527, 607, 612, 617, 619, 621, 622, 624n, 632-634, 642, 643, 662 (Turco), 663, 685, 741, 750, 757, 771 e n, 791, 793 e n, 797, 803 Bonomo, 727 Borgatti, Francesco, 399 e n Borrelli, Pasquale, 271 e n, 777 Borselli, Domenico, 398n Boschi, 54 Boschi (signora), 54 Bosellini, Ludovico, 184, 222, 224 Bossuet, Jacques Bénigne, 438 e n Botta, Carlo, 53 e n Bovio, Giovanni, 596 e n Bozzelli, Francesco Paolo, 125 e n Braico, Cesare, 177 e n, 182, 403 Branca, Ascanio, 601 e n Brandis, Christian August, 338 e n Brénier de Renaudière, Anatole, 235 e n Brescia Morra, Francesco, 649 e n, 650-657, 659n, 667 Brioschi, Francesco, 372 e n, 453, 553, 554, 799 Brofferio, Angelo, 288 e n Broglio, Emilio, 301 e n, 420 e n, 424, 426 e n, 427, 428, 445n, 447, 448, 451, 452, 454, 456n, 457, 459, 460, 473n, 474n, 476, 478, 483, 643 Bruno, Giordano, 48, 49, 51, 54, 72 e n, 73-75, 79, 80, 84, 85, 89-91, 93, 95, 97, 98 e n,
Indice dei nomi 99, 107, 124, 131, 147n, 155, 267, 269 e n, 369, 434, 440n, 484, 557n, 585 e n, 694 e n, 695, 697, 734n, 738, 742 Buccione, Pietro, 674, 679, 681, 684, 685 (Cicogna), 686 (Don Cicogna), 717 Burnasi, 697 Caccianini, Giovanni, 520 e n, 521, 522n Cacciapuoti, Salvatore, 643 e n, 644 Cacherano, 773 Caddeo, Rinaldo, 52n Cafiero, Pietro Antonio, 791 e n Cairoli, Benedetto, 729 e n Calà Ulloa, Girolamo, 47 e n, 186, 187 Calicchio, Francesco, 258 e n, 266, 387 e n Calvello, Giambattista, 585 e n, 587, 590 Cambronne, Pierre Jacques Ètienne, 688 e n Camerini, Eugenio, 10, 104 e n, 159n, 179, 202 e n, 230 Camillo De Lellis, santo, 746 e n Cammarota, Gaetano, 238 e n, 302, 406, 410, 426 Camozzi Vertova, Giovanni Battista, 670n, 671 e n, 792 Campagna, Giuseppe, 164, 293, 715 Campana, Raffaele, 507 e n, 508, 629 Campanella, Tommaso, 82 e n, 84, 89-91, 94, 95, 100, 102, 104, 105 e n, 108, 131, 267, 269n, 304n, 415 Cannizzaro, Stanislao, 762 e n Cantelli, Girolamo, 607n Cantoni, Carlo, 693 e n, 741, 722 Cantoni, Gaetano, 714 e n Cantù, Cesare, 93 e n, 100, 296 e n, 638 Cao, Cesare, 202 e n Capellini, Giovanni, 562 e n Capone, Filippo, 11, 81 e n, 82, 555, 603 e n Capozzi, Domenico, 714 e n Cappella, 391 Capuano, Nicola, 258 e n Caracciolo, Camillo, marchese di Bella, 22 e n, 49n Caracciolo, Luigi, duca di Sant’Arpino e di Santa Teodora, 22 e n, 227 Carafa di Traetto, Luigi, 139n Caravita, 31, 33 Cardone, Luigi, 406, 408, 449, 461, 462, 464, 467, 552 Carducci, Giosuè, 433n, 553n Carlo Alberto, re di Sardegna, 271n Caroli, Gian Francesco Nazareno, 644 e n
813
Carrano, Francesco, 131n, 227 Cartesio, vedi Descartes, René Caruso, Michele, 334 Casetti, Antonio Costanzo, 569 e n Cassinis, Giovan Battista, 351 e n Cassola, Carlo, 22 Cassola, Filippo, 22 Castellani, Cecilia, 13 Castellano, Giovanni, 8, 374n, 387n, 603n, 606n, 607n Castelli, Francesco, 605 e n, 622, 651, 676, 809 Castorani, Raffaele, 56, 176, 324 e n, 484, 787, 790-792, 797 Castracane, 461, 506, 648, 653-655 Castromediano, Sigismondo, duca di Caballino, 175 e n Cavallini, Gaspare, 514 e n, 516, 523 Cavour, Camillo Benso, conte di, 121n, 176n, 180n, 217n, 233n, 239, 251n, 252 e n, 253, 254 e n, 256, 271, 275, 288n, 296, 309n, 634, 688, 702, 748, 789 Cavour, Gustavo Filippo Benso, marchese di, 288 e n Celano, Emilio, 307 e n, 309, 341, 342, 361, 364, 365, 391-393, 399, 405, 406, 412, 416, 523, 535, 550, 560, 645 Cencio, 181, 186 Ceneri, Giuseppe, 226 e n Centofanti, Gioacchino, 485 e n, 486, 489n, 494n Centofanti, Silvestro, 181 e n, 227, 228 Cepolla, Vincenzo, 465 e n Cerella, Domenico, 676 Cerimele, 341, 358 Cerretelli, 583 Cerruti, 376, 377 Cesalpino, Andrea, 74 Cesare, Gaio Giulio, 687, 688 Cesari, Zenocrate, 92n, 115, 116, 314, 315 Checchi, 410 Cherubini, Rodolfo, 312 e n Chiala, Luigi, 115 e n, 116, 126n, 314n Chiapussi, Giacinto, 351 Chiaves, Desiderio, 373n Chimirri, Bruno, 550 e n, 723 e n Cialdini, Enrico, 252n, 258 e n, 260, 261, 263, 293, 420n, 748 Ciampi, Gabriella, 761n Cibrario, Luigi, 52 e n Ciccarone, Silvio, 311 e n, 356, 364, 406, 418, 515, 517, 520, 521, 526, 808
814
Epistolario (1847-1883)
Ciccone, Antonio, 66 e n, 121, 131n, 168, 174, 180, 189, 190, 192, 193 e n, 194n, 197n, 204 e n, 213 e n, 214 e n, 218 e n, 219223, 225, 227 e n, 230, 231n, 235, 236, 239, 240, 245, 260-262, 265, 268, 273, 275, 276, 281, 288, 289, 291, 294, 295, 297, 299, 307, 308, 319, 323, 327, 328, 336, 342, 343, 346, 350, 352, 353, 364, 365, 367, 368, 377, 385, 386, 399, 420, 428, 433, 461, 463, 464, 479, 480, 491, 492, 494, 507, 509, 514, 516, 518, 519, 523 e n, 524, 534, 564 Cieri, Ferdinando, 406 Cimmino, 373 Cinquanta, Erasmo, 342 Cipolla, Gaetano, 385 Cipriani, Aurelio, 289, 776 e n, 779 e n, 790 e n, 796 e n, 809 Cipriani, Raffaele, 338 Clara, Alessandro, 247, 248 Clara, Cesare, 51, 319, 325 Clara Polliotti, Paolina, 35 e n, 41, 43, 47, 51 e n, 54, 247, 248 Cocchia, Enrico, 10, 780 e n Codagnone, Gennaro, 421 e n, 422, 426, 462, 464, 465, 495, 499, 535, 648, 651 Codronchi Argeli, Giovanni, 666 e n Colaiò, Domenico, 792 Colaneri, Nazario, 321 e n, 387 Colapietro, Erasmo, 394, 405-410, 430 e n, 431 e n, 449 e n, 459 e n, 461 e n, 462, 464 e n, 465 e n, 467 e n, 468, 490 e n, 495 e n, 499 e n, 508 e n, 511, 515 e n, 516, 535 e n, 650 e n, 653 e n Colecchi, Ottavio, 22 e n, 142 e n Colfi, 224 Colombo, Antonio, 47n, 51n, 52, 203 e n Colonna, Salvatore, 521 e n Colucci, Giuseppe, 256n, 418 e n, 458 Comin, Jacopo, 632 e n, 646 Comte, Auguste, 441n, 477 e n Conforti, Raffaele, 39 e n, 66, 131n, 168, 238, 247, 284n, 291, 297, 334 Conti, 261, 322, 330 Conti, Augusto, 435 e n, 471, 528 e n, 549, 551, 553, 554, 556, 638, 639, 741 Copernico, Nicolò, 599n Coppino, Michele, 400 e n, 412, 413, 419n, 457, 476, 578, 684n, 713, 721n, 722, 723 Coppola, Nunzio, 8, 10, 541n, 553n, 557n, 559n, 565n, 567n, 569n, 580, 702
Cordova, Filippo, 121 e n, 256 e n, 261, 262, 284n, 385 Cornerò, Giuseppe, 230 e n Correnti, Cesare, 47n, 51 e n, 52, 54 e n, 115, 179-181, 183, 184, 188n, 202, 230, 406, 407, 483n, 505 e n, 521 e n, 523n, 541, 542, 551, 564, 565, 632, 647, 747, 748 e n Cortese, Paolo, 361 e n, 362 Cosenz, Enrico, 131n, 227 e n Costa (signora), 241, 242 Costantini, Settimio, 763 e n, 772 Cotugno, Raffaele, 154n Cousin, Victor, 66n, 124 e n, 337 e n, 338 Cremona, Luigi, 764 e n Cremonini, Cesare, 74 Cresi, 229 Crisci, Costantino, 409 e n Crispi, Francesco, 47n, 339 e n, 366, 631, 632, 742, 747, 748, 775 Crocco, Carmine, 334 e n Croce, 329 Croce, Benedetto (zio di Bertrando Spaventa), 69 e n, 85, 88, 91, 117n Croce, Benedetto, 7-9, 56, 57, 87n, 89n, 91n, 93n, 102, 114, 123n, 126n, 141, 142n, 151n, 156, 182n, 196, 208n, 219, 223, 225, 230, 449, 469n, 470n, 471n, 472 e n, 477, 529, 548, 567n, 581n, 582, 599 e n Croce, Francesco, 96n, 243n Croce, Luisa, 70 e n, 111 e n, 117 e n, 123 e n, 137 e n, 143 e n, 175 e n, 177 e n, 178 e n, 330 e n, 521 e n, 605 e n, 723 e n Croce, Marianna, 117 e n, 120, 125 e n, 314n, 325 e n, 331 e n, 808 e n Croce, Onorato, 9, 69 e n, 70, 85, 88, 91, 96, 123, 125, 127, 506 e n, 508 e n, 511 e n, 518 e n, 519 e n, 521 e n, 635n Croce, Pasquale, 96 e n, 125, 243n, 463 e n, 509 e n, 510 e n, 511 e n, 515, 518 e n, 519 e n Croce, Raffaele, 463 e n, 508 e n, 517 e n, 518, 660 Cubeddu, Italo, 7 Cuciniello, Vincenzo, 349, 377, 407, 408 Curtius, Georg, 164 e n Daelli, Luigi, 52 e n D’Afflitto, Rodolfo, 261 e n, 313, 335 e n, 350, 447, 507, 517, 522, 528, 551 Dahlmann, Friedrich Christoph, 212 e n Dall’Ongaro, Francesco, 551 e n D’Amico, Ernesto, 495 e n
Indice dei nomi D’Ancona, Alessandro, 11, 82n, 88 e n, 185n, 187, 193, 194, 196, 199, 204, 240n, 259, 304 e n, 310 e n D’Angelo, 262 D’Angelo, Angelantonio, 395 D’Angelo, Mincantonio, 514 De Aloysio, Enrico, 308 e n, 309 De Angelis, 272n, 299, 595 De Ballone, 363 De Bellis, Nicola, 571n De Blasiis, Francesco, 181 e n, 186, 194, 225 e n, 256 e n De Blasiis, Giuseppe, 9, 363 e n, 379-381, 386, 389 e n, 390-393 e n, 397 e n, 420, 427, 431, 491 e n, 492, 500, 551, 564, 577 e n, 578, 785 De Blasio, Filippo, 253 e n, 260 De Boni, Filippo, 283 e n De Carli, Carlo, 458 De Caro, Alfonso, 359, 418 De Cesare, Carlo, 515 e n, 516, 745 De Cesare, Paolo, 43 De Cesare, Raffaele, 252n, 270n, 540 e n De Chiara, 328, 350, 371, 372, 482, 582 De Crecchio, 399 De Crecchio, Filippo, 399 De Crecchio, Luigi, 392 e n, 393, 399n, 609, 613, 712, 723, 781, 796 De Crescenzo, Vincenzo, 729 e n, 730 De Dominicis, Saverio Fausto, 587 e n, 599 De Donno, Oronzio, 526 e n, 606 De Falco, Giovanni, 371 e n, 560 De Feo, Francesco, 508-510, 516, 521, 524, 533-535, 552, 669 De Filippi, Filippo, 233 e n De Filippo, Gennaro, 426 e n, 427, 428, 449, 461, 672 De Francesco, 405 De Franchis, Carlo, 225 e n, 243 De Fusco, Albenzio, 623 e n De Giorgi, 654 De Girolamo, 268 De Gregorio, 656 De Gubernatis, Angelo, 10, 357 e n, 396, 556 De Innocentiis, Camillo, 654, 655 De Innocentiis, Francesco, 611 De La Granelais, Achille, 390 e n De Laurentiis, Federico, 300 e n, 397 e n, 461 e n, 462 e n, 464, 465 e n, 506 e n, 512 e n, 517 e n, 519, 653, 680 e n, 681, 682, 698, 700, 704, 705, 707, 710, 713, 715, 718-
815
721, 724, 726-728, 731, 736, 737, 740, 743, 744, 752, 753, 758-760, 762, 765, 769, 770, 775, 776, 779, 781-783, 785, 795-797, 808 e n De Laurentiis, Nicolino, 772 De Laurentiis, Rocco, 519 e n, 772 Del Carretto, Francesco Saverio, 284n, 460 De Leonardis, Leonardo, 362 Del Giudice, Achille, 715 e n Del Giudice, Pasquale, 8, 525, 673 e n, 684 Della Rovere, Alessandro, 306n Della Valle, Federico, marchese di Casanova, 320, 454 e n Della Vigna, Pietro, 393 Del Lungo, Isidoro, 563 e n Del Negro, Domenico, 140 e n Del Re, Giuseppe, 10, 28 e n, 33, 35, 36, 39, 41, 43, 45, 47 e n, 50 e n, 51 e n, 52, 53, 56, 67, 68, 168, 202 e n, 203, 230, 319, 325 De Luca, Ferdinando, 296 e n De Luca, Giuseppe, 278n, 279n, 302, 306, 413, 525, 603, 739, 740 De Luca, Nicola, 334 De Luca, Pirro, 431 De Lumi, 486 Del Vasto, Maria, 416, 523, 535, 550, 560, 645 Del Vecchio Veneziani, Augusta, 363n Del Zio, Floriano, 393 e n, 434, 601 De Marco, 292 De Martino, Antonio, 300 e n, 328 De Martino, Giuseppe, 405 De Meis, Angelo Camillo, 8-11, 21 e n, 28, 29n, 31 e n, 33 e n, 34, 35, 36n, 38 e n, 39, 40, 42, 45 e n, 46, 49 e n, 51, 52 e n, 53, 55 e n, 56 e n, 65, 66 e n, 67, 71, 77, 81 e n, 85 e n, 86 e n, 87 e n, 88, 91 e n, 93 e n, 95 e n, 97n, 98 e n, 100, 101, 103 e n, 106 e n, 107, 108 e n, 112 e n, 113, 115 e n, 117 e n, 120 e n, 121 e n, 123 e n, 126 e n, 127, 128 e n, 129 e n, 130, 131n, 134 e n, 137 e n, 139 e n, 141 e n, 143 e n, 147 e n, 148, 149 e n, 153 e n, 154 e n, 156 e n, 157 e n, 159 e n, 160 e n, 164 e n, 166 e n, 168 e n, 174 e n, 175, 176 e n, 177, 179 e n, 180 e n, 185 e n, 187, 188 e n, 189 e n, 190, 192 e n, 193, 194 e n, 196 e n, 197, 202n, 203, 204, 214, 218 e n, 220 e n, 222, 223, 224 e n, 227, 229, 234, 235, 236 e n, 237 e n, 239 e n, 240, 243, 245, 246, 362, 363 e n, 364-366, 430, 432 e n, 433n, 434n, 438n, 441n, 442n, 449, 469, 472n,
816
Epistolario (1847-1883)
476, 479, 480, 481 e n, 486, 492 e n, 496 e n, 497 e n, 498, 500n, 501 e n, 509 e n, 528, 529 e n, 538 e n, 541, 542 e n, 545 e n, 547 e n, 548 e n, 549 e n, 553, 554 e n, 555 e n, 558 e n, 560 e n, 561 e n, 562 e n, 564 e n, 574, 575 e n, 576, 578-581, 585, 586 e n, 587 e n, 598, 599n, 604, 617 e n, 618 e n, 666 e n, 667 e n, 669, 678 e n, 687 e n, 698 e n, 700 e n, 701 e n, 708 e n, 711 e n, 717 e n, 719 e n, 720 e n, 721 e n, 744, 746 e n, 747n, 751 e n, 752 e n, 753 e n, 767 e n, 768, 769 e n, 776, 780, 787 e n, 789 e n, 791, 804 e n De Negri, Enrico, 144n De Nillo, Innocenzo, 339 e n, 396, 462, 464, 506 e n, 516, 518 e n, 521 e n, 523, 530, 534, 535, 537, 595, 605 e n, 627 e n, 648 e n, 649 e n, 650 e n, 651 e n, 655 e n De Novelli, Raffaele, 308 e n, 391-393, 516, 564 De Paola, 660 De Petra, Giulio, 461, 513 e n, 515 e n, 519 e n, 534, 630 e n, 648, 652 e n, 653, 654 e n, 672 e n De Petra, Giuseppe, 461, 463 e n, 511, 513 e n, 648 e n, 649, 657 e n, 658 e n, 659 e n, 660, 808 Depretis, Agostino, 54n, 284n, 642n, 728, 750, 764n D’Ercole, Pasquale, 673, 679 e n, 682, 684, 686, 687, 694, 703, 704 De Renzi, Salvatore, 282 e n, 359, 361, 371, 374, 375, 393, 396, 463n De Riseis, Giuseppe, 781 e n Deroberti, 712 De Sanctis, Francesco, 10, 21n, 66 e n, 97, 100, 108, 111n, 112n, 115 e n, 116 e n, 120, 121 e n, 126, 128, 131n, 230 e n, 243n, 253, 256, 259, 261, 278, 279n, 281, 285, 288, 297, 302n, 303, 307, 314n, 316 e n, 336 e n, 340, 344, 351, 363 e n, 367 e n, 387, 388 e n, 393, 451n, 455 e n, 472 e n, 481 e n, 482n, 558, 581, 688 e n, 694 e n, 695 e n, 700, 701, 708 e n, 726, 728, 734 e n, 738-740, 742, 743, 749n, 777 De Sanctis, Gabriele, 580 De Sanctis, Giovanni, 364 e n, 365 e n, 366 De Sanctis, Tito Livio, 370 e n, 399, 484 e n Descartes, René, 94, 150, 438 De Simone, Giuseppe, 186, 227 e n, 326 e n De Sterlich, Alessandro, 285 e n, 325
De Tane, Vincenzino, 238 De Thomasis, 360 De Thomasis, Giacinto, 268, 510 e n, 520, 521, 651, 655-660 De Thomasis, Giuseppe, 21n De Thomasis, Vincenzo, 21 e n Detken, Alberto, 103 e n, 272n De Vincentiis, Domenico, 510 e n, 511, 515517 De Vincentiis, Giacomo, 511, 517, 519, 534, 535, 652, 655 Devincenzi, Giuseppe, 166 e n, 168, 348 e n, 564 e n Di Attilio, Primo, 60n Di Benedetto, 552, 630, 652-654 Di Cola (figlio di Sinodoro), 771 Di Cola, Sinodoro, 329, 771, 790 Di Giorgio, 516 Di Giovanni, Vincenzo, 572 e n, 612 Di Lauro, 511 Di Lustro, Salvatore, 495 Di Matteo, Pasquale, 330, 349, 370, 414 Dina, Giacomo, 524, 643 e n, 671 Dinacci, 339 Di Romualdo, 285 Donati, Benvenuto, 184n D’Orsi, Domenico, 8, 10, 31n, 37n, 40n, 73n, 74n, 78n, 485n, 488n, 492n, 500n, 513n, 540n, 541n, 556n, 565n, 567n D’Ovidio, Francesco, 11, 678 e n, 737, 751 e n, 801 Dragonetti, Luigi, 183 e n, 186n, 187, 227, 228 Dubois, 187 Duchoqué Lambardi, Augusto, 539 e n, 540 Durando, Giacomo, 284n D’Urso, 331, 332 Duval, Francesco, 566 Ellero, Pietro, 514, 524 e n Engels, Friedrich, 314n Espinas, Alfred, 683n, 710 e n Everard, 35 Fabbroni, 530 Facella, Nicola, 381 Fachis, 224 Falcone, 784, 795, 797 Falconieri, Carlo, 36 Faraglia, Nunzio Federigo, 319, 431 Fardella, Vincenzo, marchese di Torrearsa, 266 e n, 307
Indice dei nomi Farina, 808 Farini, Luigi Carlo, 49n, 121 e n, 122n, 180 e n, 182 e n, 183 e n, 184-186, 191, 194, 200, 201, 203-206, 207 e n, 208, 210, 211, 230, 233 e n, 234 e n, 236n, 237, 238 e n, 240, 243 e n, 245, 251n, 252n, 256, 259, 261n, 264, 265, 268, 277, 303n, 306n, 307, 309n, 314, 700 Farnararo, Marianna, 623 e n Faucitano, 408, 494 Faucitano, Raffaella Luigia (detta Gigia), 157n, 158n, 159, 160 e n, 161 e n, 169 e n Fava, 489 Fechner, Gustav Theodor, 679 e n Fenili, Francesco Paolo, 451 Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, 66n, 139n, 166n, 174n, 179n, 182, 186, 199n, 235, 250n, 251n, 266, 271 e n, 273, 282, 283n, 316n, 444, 633, 748n Fergola, Emanuele, 448 e n, 451, 452n Ferranti, Vincenzo, 221, 225 Ferrara, Francesco, 179 e n Ferrara, Gaetano, 517 Ferrari, Giuseppe, 683 e n Ferretti, Giovanni, 66n Ferri, Luigi, 230 e n, 236 e n, 496 e n, 541n, 569, 581, 591, 596, 626, 672, 679, 681, 683, 694, 710, 735 Feuerbach, Ludwig Andreas, 100n Fichte, Johann Gottlieb, 122, 128, 141, 197n, 210 Ficino, Marsilio, 282 Filomusi Guelfi, Francesco, 663 e n, 670, 672, 675, 677, 682, 686, 687, 692, 693, 705, 707, 708, 711, 715, 718-721, 727 Finali, Gaspare, 610 e n Finamore, Antonio, 512 e n, 507, 514, 657 Finamore, Enrico, 11, 364 Finamore, Gennaro, 512 e n, 514, 654 e n, 657, 659 Finamore, Vincenzo, 11, 364 e n Finzi, Giuseppe, 723 e n Fioravanti, Gigliola, 449n Fiorelli, Giuseppe, 10, 302 e n, 303, 345, 404, 458, 623 Fiorentini, Lucio, 409 Fiorentino, Francesco, 8-10, 312 e n, 333, 340, 341, 352 e n, 355, 357 e n, 358, 414, 423, 433 e n, 434n, 437n, 438n, 441n, 472 e n, 477, 480, 487, 495-497, 500n, 501 e n, 502n, 508, 529, 532, 538, 541, 542, 545
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e n, 546 e n, 548-550, 553 e n, 554, 556 e n, 557, 558, 559 e n, 560 e n, 561 e n, 562, 563, 571, 573, 578, 582, 585-589, 591 e n, 593, 594, 598, 599, 601, 604, 608, 613, 615, 626, 637 e n, 639-641, 643, 644, 645 e n, 646, 647 e n, 667, 671, 674 e n, 675, 676, 679 e n, 681, 682, 683 e n, 684-688, 694 e n, 695-697, 702-704, 706709, 711-713, 715, 716, 718, 720-722, 726 e n, 728, 734 e n, 737, 739, 740, 742 e n, 743, 746 e n, 750, 766-768, 770, 777, 779, 782, 789 e n, 792, 799, 800, 802, 803 Fiorentino, Giulia, 789 e n Fiorentino, Pasquale, 591 e n, 613 e n, 679 e n, 682 e n, 723 e n Fittipaldi, Luigi, 249 e n, 260-262, 300, 320, 321, 407, 408, 618 Flechia, Giovanni, 451 e n Florenzi Waddington Bacinetti, Marianna, 10, 312 e n, 321, 323, 333, 341n, 344, 352, 355 e n, 357n, 358, 369, 378, 414n, 415, 438n Flores, Ferdinando, 316 e n Florio, Giuseppe, 385 e n Florio, Ignazio, 765n Flourens, Pierre, 78 e n Fontana, Bartolomeo, 738 e n Fornari, 535, 611, 653, 654 Fornari, Francesco, 511, 516, 536, 537 Fornari, Vito, 434 e n, 476, 497, 555, 566 e n, 567, 568 e n, 569, 574, 637 e n, 638 e n, 639, 641, 695 e n, 711n, 713, 730 Fornaro, Francesco, 336, 360, 373, 400, 456 Forni, Luigi, 54 Forte, 414 Fortunato, Giuliano, 430 Fossi, 461 Fossombroni, 39, 45 Foti, 317, 318 Franceschelli, Filippo, 660 Franceschelli, Pardo Carlo, 464, 648, 651, 659 en Francesco II di Borbone, re delle Due Sicilie, 66n, 174n, 182, 186, 199n, 232n, 235, 250 e n, 266, 271 e n, 273, 282, 283n, 316n, 407, 444, 633 Francesco Giuseppe I d’Asburgo Lorena, imperatore d’Austria e re d’Ungheria, 617n Franchi, Ausonio, 72n, 203 e n, 230 Franciosi, 767 Frantz, Costantin, 788 e n
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Epistolario (1847-1883)
Friscia, Saverio, 403 e n Frosali, Sebastiano, 506 Furlai, Giuseppe, 807, 808 Fusco, Salvatore, 368, 370 e n, 371, 459, 525, 564, 590 Gabbia, Tommaso, 462 e n, 467 Gadda, Giuseppe, 537 e n Galasso, Antonio, 439n, 637 e n, 638, 639, 676 e n, 695 e n, 713, 730 Galdi, 555 Galiani, Ferdinando, 414 e n Galilei, Galileo, 599 e n, 633, 735 Gallozzi, Carlo, 257 e n, 385, 736 Galluppi, Pasquale, 99, 122, 141, 142 e n, 143, 210, 267, 270n Galvagno, Giovanni Filippo, 318 e n Garelli, Vincenzo, 131n Gargano, Alessandro, 336 Garibaldi, Giuseppe, 66n, 67n, 187, 188 e n, 193, 194, 196, 215n, 216 e n, 220 e n, 223, 227n, 229-231, 235, 239, 240n, 258, 279, 295n, 297, 300n, 311n, 315n, 318, 419, 779 Garin, Eugenio, 70, 191n Garneri, Giuseppe Ignazio, 429 e n Gatti, Stanislao, 270 e n, 451, 452, 456, 551n Gazzera, Costanzo, 45 e n, 49 Gebler, Karl von, 735 e n Gemelli, Carlo, 34, 39 Genovesi, Antonio, 414 e n Gentile, Giovanni, 7, 9, 10, 28, 42, 49n, 57, 60n, 255n, 266n, 267n, 268n, 272n, 279n, 280n, 282n, 283n, 285n, 294n, 296n, 416, 432n, 433n, 434n, 435n, 437n, 438n, 440n, 442n, 471n, 500n, 523, 535, 541n, 550, 560, 635n, 637n, 645, 742n, 747n, 748n, 749, 768n, 798n Gervasio, Agostino, 451 e n Gfrörer, August Friedrich, 91n Ghio, Raffaele, 293 e n, 413n, 427, 477, 500 Giacobini, 376, 377 Giacomelli, Angelo, 578 e n, 579 Giani, Costanzo, 779 e n Giannico, Epimenio, 395 e n, 396 e n, 421, 462 en Gigante, Raffaele, 342 e n, 373, 377 Gioberti, Vincenzo, 55 e n, 57, 94, 113, 142, 146, 150 e n, 151, 153, 155, 157, 158, 159 e n, 160, 161, 164, 183, 186, 198 e n, 205, 210, 231, 233, 237, 267, 269, 273, 279, 281, 282, 296, 332, 434n, 471, 541
Giorgini, Giovanni Battista, 180 e n, 181, 182, 187, 190, 191, 200, 374, 634, 635, 679, 680, 702, 762 Giovannardi, Tommaso, 234 e n Giudice, 34 Giura, Luigi, 67 e n, 102 Giuseppe Bonaparte, re di Napoli, 345n Giusti, Giuseppe, 414 e n, 580 Gladstone, William Ewart, 170 Goldsmith, Oliver, 296 Gomez Paloma, Lucia, 21 e n, 22 Gradini, Giuseppe, 310 Grattoni, 331 Gravina, Giuseppe, 317, 622 Greco, 772, 784, 795, 797 Greco, Pasquale, 339n Grieco, 410 Griffini, Paolo, 534 e n Grillo, 319 Grillo, Giuseppe, 268, 360 Grimelli, Geminiano, 220 e n, 222 Grippo, Pasquale, 758 e n Grozio, Ugo, 210 Grumelli, 654 Gualterio, Filippo Antonio, 375 e n, 376, 384, 385, 405, 412, 453 Guerrazzi, Francesco Domenico, 723 e n Guerzoni, Giuseppe, 633 e n, 634 Guicciardini, Francesco, 438 Guzzo, Augusto, 183, 191n, 198n, 218n Hallam, Henry, 100n Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, 7, 38, 45, 48, 49, 55, 57, 60, 91, 92, 94, 99, 100, 102, 103, 105, 106, 110, 111, 115, 122, 128, 141, 142, 144 e n, 146, 152, 154, 159, 160, 184, 210 e n, 212, 217, 221, 251, 255n, 267, 272 e n, 279, 281, 338n, 344, 434 e n, 439 e n, 441, 471, 496, 541, 550 e n, 683, 788n, 793, 796, 798 Herbart, Johann Friedrich, 221, 223, 793n Hermann, Conrad, 550 e n Hildenbrand, Karl, 223 e n, 228, 232 Hoene Wroński, Józef Marja, 683 e n Homodei, Francesco, 334 Humboldt, Wilhelm von, 118 Hüni, 219 Hüni, Emilia, 219, 221, 223, 224 Hüni, Giulia, 219, 221, 223, 224 Imbriani, Paolo Emilio, 168 e n, 247n, 252n, 298, 303, 318, 337, 338, 348, 368, 448, 453
Indice dei nomi Imbriani, Vittorio, 8, 10, 472 e n, 481, 482, 493, 498 e n, 500 e n, 503 e n, 529 e n, 540 e n, 541, 542 e n, 546n, 547 e n, 549 e n, 550 e n, 551, 553 e n, 554 e n, 555 e n, 556 e n, 557 e n, 559 e n, 560n, 561 e n, 562 e n, 563 e n, 565-567, 568 e n, 569, 572 e n, 574 e n, 578 e n, 580, 581 e n, 637n, 639, 646, 671 e n, 695n, 697 e n, 699 e n, 700, 701 e n, 702 e n, 703 e n, 727n, 748n, 750 e n, 806 Indelli, Luigi, 345 e n, 384, 385, 762 Isacco, Camillo, 661 Jaja, Donato, 8, 9, 415, 495 e n, 496, 546, 548, 549, 551, 558, 571 e n, 573, 578, 580 e n, 583, 589 e n, 594, 617, 618 e n, 711, 729, 730, 738, 742, 743, 750, 751, 753, 759, 766, 768 e n, 769, 770, 772, 773, 777, 780, 782, 783, 786-791, 794, 798, 800802, 803 e n, 804, 805 Jaja, Florenzo, 773, 803, 804 e n Jarak, 747 Jossa, Nicola, 258 e n Kant, Immanuel, 45, 72, 99, 100, 103, 106, 111, 122, 123, 124n, 128, 130, 134, 141, 142 e n, 158, 159, 161, 204, 209, 210 e n, 221 e n, 223, 224, 277, 437 e n, 438n, 439n, 440, 441, 443, 713, 767 Kapp, Christian, 100 e n Krause, Karl Christian Friedrich, 221 e n, 683 Labanca, Baldassarre, 624 e n, 695, 697, 703n, 722, 730, 752, 766n, 767 (Pipì) Labriola, Antonio, 8, 9, 305n, 314n, 315, 318 e n, 319, 326n, 327 e n, 329 e n, 330 e n, 335 e n, 343, 392 e n, 393, 398 e n, 420 e n, 434n, 457 e n, 551 e n, 582 e n, 589, 593e n, 595, 600 e n, 601, 602, 604, 612 e n, 675, 677, 678, 682, 685, 697 e n, 741, 769, 773 Labriola, Francesco Saverio, 305 e n, 314, 326 e n 327n, 330n, 346, 354, 458 e n, 468 e n, 600 e n, 806 e n Lacaita, Giacomo Filippo, 305 e n Lacava, Pietro, 650 e n, 762-764 La Cecilia (moglie di Giovanni), 50 La Cecilia, Giovanni, 50n, 259 e n, 260, 525 La Guéronnière, Louis-Ètienne-Arthur-DubreuilHélion, visconte de, 198n La Marmora, Alfonso, 280 e n, 334, 353, 382
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Lambruschini, Raffaello, 411 e n Lanciano, Raffaele, 358 e n, 359, 361, 363, 365, 366, 388, 394, 509, 511, 515, 517, 554, 649, 656 e n Landi, Francesco, 315 e n Landolfi, 362 Landucci, Sergio, 33n Lannutti, Giuseppe, 691 Lannutti, Olindo, 691 Lanza, Giovanni, 204n, 353 e n, 503, 514, 516, 517, 523, 524, 564, 663, 723 Lanzetta, Elisa, 88n, 92, 93 Lanzetta, Francesco, 88n La Porta, Luigi, 762 e n, 763, 764 Lavarino, Francesco, 113n Lazzaro, Giuseppe, 340 e n, 351, 400, 409, 775 Ledóchowski, Mieczysław Halka, 632 e n Leibniz, Gottfried Wilhelm von, 74, 312n, 438 Le Monnier, Felice, 9, 10, 73 e n, 75 e n, 76-78, 84, 131 e n, 132, 147 e n, 157n, 161, 199n Lenz, Gustav, 197n, 223 e n, 228, 232 Leo, Teresa, 13 Leopardi, Pier Silvestro, 66 e n, 181 e n, 183, 185 e n, 186, 187 e n, 188, 221-223, 231, 259, 271 e n, 273, 306, 307 e n, 308 e n, 309 e n, 326 e n, 328 e n, 348 e n, 353 e n, 356 e n, 358 e n, 360 e n, 361 e n, 363 e n, 365 e n, 366 e n, 368 e n, 370 e n, 371 e n, 372 e n, 374 e n, 383 e n, 387, 394 e n, 396 e n, 399 e n, 417 e n, 418 e n, 422 e n, 423, 424 e n, 426 e n, 427 e n, 428 e n, 455 e n, 478 e n, 480 e n Leopoldo II di Asburgo Lorena, granduca di Toscana, 53n Lepiane, Nicola, 350 Levi, Davide, 224, 230 e n Levi, Ulderico, 762 e n Liebig, Justus von, 588 e n Lignana, Giacomo, 118n, 190, 205, 230, 260, 261, 267, 413, 448, 451, 452 e n, 453, 457 Littré, Émile, 441n, 615n Lizzi, Federico, 584 Loasses, Enrico, 760 e n, 795 Loescher, Hermann, 8, 289 e n, 410, 615 Lo Monaco, Francesco, 584 e n, 620, 631, 632, 645, 647, 650, 653, 708, 754 Longo, Bartolo, 623n Lopez Fonseca, Ferdinando, 288 e n Lorenzetti, 464 Lovito, Francesco, 482 e n Luciani, Luciano, 667 e n
820
Epistolario (1847-1883)
Luciano di Samosata, 100, 111, 157n Ludovico da Casoria, 386 e n Luigi Filippo, re dei Francesi, 436n Lullo, Raimondo, 74, 75 Lupinacci, Stanislao, 39 Luserna, Emanuele, marchese di Rorà, 352 Lutero, Martin, 48 e n Luzzatti, Luigi, 601 e n, 722 Macaulay, Thomas Babington, 100 e n Macchi, Mauro, 239n, 540n Machiavelli, Niccolò, 438, 480 e n, 481 e n, 711 Madia (moglie di Giuseppe), 51 Madia, Giuseppe, 51, 317 e n, 335, 342, 346 Madonna, Antonio, 656 Madonna, Teseo, 656 Magliani, Agostino, 747 e n Malagoni, 224 Mameli, Cristoforo, 8, 11, 29 e n, 97n Mamiani della Rovere, Terenzio, 9, 10, 22 e n, 49 e n, 54, 60 e n, 79 e n, 81 e n, 82, 83 e n, 85, 89, 91, 94, 102, 103, 105, 108110, 115, 116, 128, 213 e n, 216, 217, 230 e n, 235, 247 e n, 303, 327, 414 e n, 435 e n, 439, 441 e n, 471, 483-487, 488 e n, 494 e n, 497, 513, 527, 528, 531, 539, 541, 544n, 549, 553 e n, 578, 589n, 591n, 594, 596n, 597n, 598, 599, 611n, 618, 638n, 640n, 679n, 683e n, 684, 685 e n, 695, 712, 713, 717, 718, 726, 729, 742, 762, 773 Mancini, Pasquale Stanislao, 36 e n, 50, 52, 57n, 64n, 67, 71, 185, 187, 222, 223, 225, 226, 231, 269, 270, 279n, 280, 284n, 285, 289 e n, 296, 366, 404, 409, 412, 414 e n, 516, 554, 632, 747 e n, 748 e n Mandoj Albanese, Francesco, 62n, 279 e n, 291 Manna, Giovanni, 232 e n, 306n, 348 Mansi, Maria Gabriella, 13 Mantegazza, Paolo, 562 e n Mantellini, Giuseppe, 741 e n, 745, 772, 784, 795, 797 Manzoni, Alessandro, 259 e n, 414 Marazzi, Antonio, 574 e n Marchino, 237, 238 Marchione, 311 Marchione, Pier Domenico, 307 e n, 308, 309, 356, 387, 535, 651 Marciano, Beniamino, 753 e n, 759 Margadonna, Giuseppe, 462, 493, 511, 512, 516, 517
Margotta, 339 Maria Cristina di Savoia, regina delle Due Sicilie, 179 e n Maria Teresa di Asburgo Lorena, regina delle Due Sicilie, 748n Mariano, Raffaele, 272n Marinelli, Francesco Antonio, 722 e n Marinelli, Vincenzo, 511, 535, 560, 660 Marino, 238 Marino, 771 Mariotti, 187 Mariotti, Filippo, 551 e n, 764 Martonella, 605 Marvasi, Diomede, 66 e n, 68, 72, 73, 76 e n, 81, 85 e n, 86 e n, 88 e n, 91 e n, 92, 93, 95 e n, 97, 100, 101 e n, 103 e n, 107 e n, 108 e n, 112 e n, 116 e n, 117, 120 e n, 121 e n, 123 e n, 125 e n, 127 e n, 128 e n, 130 e n, 131n, 134 e n, 137 e n, 139 e n, 141 e n, 143 e n, 147 e n, 153 e n, 154 e n, 156 e n, 157 e n, 159 e n, 160 e n, 164 e n, 166 e n, 168 e n, 177 e n, 185, 190 e n, 217, 218 e n, 219 e n, 220-223, 224 e n, 227 e n, 230 e n, 234e n, 236 e n, 253 e n, 259, 294, 385, 723, 808 Marx, Karl, 314n Masci, Filippo, 549 e n, 554 e n, 558 e n, 561 e n, 562 e n, 573 e n, 574, 575, 578 e n, 588 e n, 589, 649, 652, 654 e n, 655 Masciangoli, Battista, 324 Masciantonio, Mosè, 534, 543, 546, 547 Mascilli, Luigi, 247 e n, 603 e n, 808 Masellis, Vito, 8, 10, 251, 253, 259, 260, 278, 288, 294, 306, 351, 352 Masi, Raffaele, 181, 302 e n, 447, 448, 452, 471, 505 Massabò Ricci, Isabella, 24 Massari, Giuseppe, 42 e n, 55, 66, 111, 112 e n, 125 e n, 126, 179, 198n, 238 e n, 273, 315, 433, 490, 492, 645, 650, 677, 742 Mastai Ferretti, Giovanni Maria, vedi Pio IX Mastrangelo, Francesco Paolo, 516 Matteucci, Carlo, 284n, 289 e n, 297, 298, 299n, 302n, 305, 400n, 427 Maturi, Itala, 768 e n, 784 (Cipolla), 785 e n, 786 (Cipolla), 794 e n, 796 e n, 798 e n Maturi, Sebastiano, 10, 609 e n, 614, 733 e n, 745, 768 e n, 784 e n, 785, 786, 794, 795, 798 Mauri, Achille, 180 Mauro, Domenico, 171 e n, 382 e n Mauro, Raffaele, 171 e n
Indice dei nomi Mayer, Giustino, 714 e n, 716, 735, 736 Mazza, Pietro, 400 e n Mazzetti, Giuseppe Maria, 267 e n Mazzini, Giuseppe, 435, 509n Mazziotti, Francesco Antonio, 359 e n Mazzocchi Alemanni, Muzio, 66n Mazzoni, 324 Medici, Giacomo, 227, 229 e n, 231 Melchiorre, Nicolò, 342 e n, 353, 363, 365, 366, 388, 449 e n, 579, 629, 655-660 Menabrea, Luigi Federico, 306n, 331 e n, 677 Mengozzi, 283 Menozzi, Giacinto, 11, 312 e n, 313, 314, 495, 529 Messedaglia, Angelo, 527 e n, 549, 709 Mezzacapo, Carlo, 239 e n, 748 e n Mezzacapo, Luigi, 748 e n Mezzanotte, Raffaele, 362 e n, 363, 366, 603, 713 Mezzoprete, 257 Miccolis, Stefano, 8, 16, 327n Miceli, Luigi Alfonso, 527 e n Michelet, Karl Ludwig, 100 e n, 338 e n Micheli, Giuseppe, 719 e n Miglietti, Vincenzo, 256 e n Mill, John Stuart, 477 e n Milone, Paola, 13 Minervini, Giulio, 563 e n Minghetti, Marco, 217 e n, 221, 232n, 233, 240, 277, 306n, 324, 349, 350, 385, 606, 607, 613, 633, 677, 723, 773, 807 Minghetti Sarti, Rosa, 233, 235 Mirabelli, Giuseppe, 430 e n, 525, 795 Miraglia, Luigi, 647 e n, 703, 713n, 734, 741, 809 Moccia, Giuseppe, 171, 334 e n Mohl, Robert von, 211 e n, 231, 250 e n Mommsen, Theodor, 645 e n Monnier, Marc, 284n Monod, 21 e n, 22 Montanari, Antonio, 205 e n, 206, 213, 215219, 221, 224, 232, 235, 480 Monzani, Cirillo Emiliano, 32 e n, 34 e n, 39, 45, 50, 76, 132, 147, 148 Mora, Tommaso, 113n Morana, Giovanni Battista, 762 e n, 764 Morandi, Luigi, 560, 586 e n Morano, editore, 546n, 549 e n, 550n, 553, 556, 558-561, 563, 565, 567-569, 580, 581, 599, 615, 626, 639, 643n, 697, 726, 770, 779, 781 Morano, Antonio, 7, 500 e n, 557n
821
Morano, Domenico, 557n Morano, Vincenzo, 557 e n, 571 Morarivo, 345 Morelli, 375 Morelli, Domenico, 31 e n Morelli, Donato, 424 e n, 426 e n, 674, 688, 723 Morelli, Giovanni, 31n Moretti, Mauro, 449n Morselli, 723 Moxedano, Costantino, 346 Murat, Napoleone Carlo Luciano, 227 Musilli, Carlo, 328, 335 Musilli, Ottavio, 306 e n, 321 Nanni, 368, 419 Nanni, Clorinda, 698 Nanni, Fortunato, 324, 335 e n, 367, 368 e n, 432, 625 e n Nanni, Giuliano, 625 e n Nanni, Paolo, 368 e n, 419 e n, 429, 430 e n, 432, 506 e n Napodano, Luigi, 772 e n Napoleone, 511 Napoleone III Bonaparte, imperatore dei Francesi, 198n, 199n, 281n, 748 Napoli, Federico, 380 e n, 386, 390, 391, 395, 396, 404, 409, 417, 426, 427, 429, 447, 448, 457-459, 483, 806 Napolitano, Cesare, 71 e n, 85 e n, 89 e n, 90, 91, 96 e n, 97, 98 e n, 102 e n, 104 e n, 105 e n, 107 e n, 110 e n, 116 e n, 123 e n, 139n, 143 e n, 147 e n, 150 e n, 153 e n, 156 e n, 157 e n, 158, 159, 166 e n, 181 e n, 182, 186, 188 Nardilli, Camillo, 530, 579 Nasuti, Raffaele, 805 Natoli, Giuseppe, 354 e n, 364n, 367 Niccolini, Giambattista, 21 e n Niccolò da Cusa, 74, 75 Nicolai, Lelio, 618 e n Nicotera, Felice, 258 e n Nicotera, Giovanni, 258 e n, 261, 284, 316n, 606, 631, 632, 642n, 646, 650, 654, 660, 667, 671n, 688, 721n, 723, 724 e n, 742, 747 e n, 748, 759n, 791 Nigra, Costantino, 251 e n, 254, 259, 336 Nisco, Nicola, 199 e n, 200, 201, 206, 213, 223, 260, 742 Nisio, Felice, 451 e n, 739 Nisio, Girolamo, 451n Nocita, 775
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Epistolario (1847-1883)
Notargiacomo, 315 Novelli, 42 Novi, Giovanni, 32, 34, 39, 40, 45, 50 Oldrini, Guido, 33n Oliva, Cesare, 747n, 748 (Spilapippe) Oliva, Giuseppe, 501n Oliva Mancini, Laura Beatrice, 57 e n, 289 e n, 414 e n, 748 e n Orestano, Francesco, 142n Orsini, Antonio, 677 Pagano, Francesco Mario, 414 e n Palagi, Alessandro, 214 Palasciano, Ferdinando, 375 e n Palermo, Nicola, 199 Pallavicino Trivulzio, Giorgio, 131n, 334 e n, 336, 381 Palmentieri, Arcangelo, vedi Ludovico da Casoria Palmieri, Luigi, 252n, 267 e n, 270n, 282n, 787 Palmucci, Luigi, 205 e n, 229, 230, 232-235, 237, 238, 333 e n, 341, 345, 549, 767n Panizzi, Antonio, 123n, 168 e n, 171 Pansa, Carolina, 35 e n, 41 e n, 43 Pansini, Orazio, 455 e n Panzuti, 805 Paone, 555 Paolucci, Raffaele, 178 e n, 257, 266, 273 e n, 275 e n, 283 e n, 285 e n, 289 e n, 300 e n, 301 e n, 318, 360, 362 e n, 372, 506 e n, 544 e n Pappalettere, Simplicio, 294 e n, 317 e n, 318, 319, 807 Pardi, 181 Parisi, Augusto, 22 Pasanisi, Giovanni, 417 Pasolini, Giuseppe, 306n, 395 e n, 396 Passerini Orsini De’ Rilli, Luigi, 534 e n, 631 Patini, Teofilo, 490 e n, 491 Pellicani, Antonio, 32, 37n, 39n, 40 e n, 46, 50, 53, 60, 63, 76 e n, 78 e n, 132, 148, 482, 500, 540, 541n, 542 e n, 553 e n, 556, 557 e n, 559 e n, 563, 565 e n, 566, 567 e n, 568 e n, 569 e n Pepe, Michele, 633 Pepere, Francesco, 590 e n Pepoli, Carlo, 232 e n Pepoli, Gioacchino Napoleone, 284n Perazzi, Costantino, 764 e n Perez, Francesco Paolo, 728 e n, 729, 730
Perricci, Ignazio, 774 e n Persano, Carlo Pellion, conte di, 284n, 421 e n Persiani, Filoteo, 493 Persiani, Omero, 418 e n, 506, 510 e n, 530, 534 e n, 660 e n Persiani, Valentino, 514 Persichitti, Camillo, 660 Persico, Federico, 638 e n Persico, Michele, 407 e n, 408, 409, 525 Perticone, 511 Peruzzi, Ubaldino, 306n, 309 e n, 319, 324, 334, 349-351, 385, 543, 545, 547, 577, 807 Pes, Salvatore, marchese di Villamarina, 307 en Pescarola, 791 Peschi, 521, 657, 659 Pessina, Enrico, 213 e n, 214, 215, 221 e n, 222n, 223, 225, 226 (inchiostro) e n, 227 (Prodigio o’ Nchiostro) e n, 228 (Pappagallo), 229 (’nchiostro), 230 (Prodigio) e n, 231 (Prodigio), 232 (Prodigio), 233 (Prodigio), 237 (Prodigio), 267 (Prodigio) e n, 291, 341, 409, 413, 414, 434, 470, 670n, 749n Petitti Bagliani, Agostino, conte di Roreto, 284n Petraccone, 342 Petrarca, Francesco, 102 Petri, Carlo, 227 Petroni, Francesco, 117n, 314 e n, 320 e n, 321 e n, 325, 330 e n, 331 e n, 339, 343, 347 e n, 353, 359 e n, 371, 372 e n, 373, 636, 808 Petroni, Giulio, 643 e n, 644 Petroni, Giuseppe, 643 e n, 644 Petruccelli della Gattina, Ferdinando, 170 e n, 251 e n, 260, 261, 764 Petti, 346 Pica, Giuseppe, 166 e n, 168 e n, 172 e n, 174 e n, 177 e n, 194, 200, 206, 208 e n, 334, 343, 499, 636 Piccirilli, 622, 655 Pierantoni, Augusto, 648 e n, 775 Pignatari, 38n, 42, 76n, 148, 193 Pignatelli, Carolina Barracco, principessa di Strongoli, 41, 42, 44, 46, 50n, 88 e n Pignatelli, Francesco, principe di Strongoli, 23n Pignatelli, Vincenzo, principe di Strongoli, 23 e n, 24, 26n, 41, 42, 44, 46, 50n Pignatelli (signorine), principesse di Strongoli, 45 Pinelli, Alessandro, 263 e n
Indice dei nomi Pintimalli, Filippo, 257 Pio IX, papa, 22, 279n, 435, 541n Piria, Raffaele, 131n, 204 e n, 247n, 252n, 303 Pironti, Michele, 430 e n, 431, 446, 465, 488, 490, 495, 808 Pisacane, Carlo, 111n Pisanelli, Giuseppe, 52 e n, 131n, 180, 186, 187, 190, 194 e n, 219, 220, 222, 223, 227, 238 (Sornione) e n, 239, 246, 251 (Sornione), 252 (Sornione), 253 (Sornione), 256, 260 (Sornione), 261, 276 (Sornione), 291 (Sornione), 306n, 317, 319 (Sornione), 321, 327 (Sornione), 328, 335, 340, 348, 373, 381 (Sornione), 385 (Sornione), 426, 430, 447, 482 (Sornione), 514 (Sornione), 515 (Sornione), 516 (Sornione), 524, 526, 605, 606 e n, 607, 609, 613, 663 (Sornione), 749, 808 Piscinelli, 400, 462, 781 Pitagora, 221 Platone, 74, 164, 204, 219, 227, 229, 282, 312 e n, 434 e n, 439, 793, 796 Plutino, Agostino, 131n, 166, 168, 170 e n, 175, 227 Plutino, Antonino, 166, 168 Poerio, Carlo, 132 e n, 133, 136, 166 e n, 167n, 168 e n, 172 e n, 174, 175, 176 e n, 180, 181, 182 e n, 186n, 187, 196, 227, 239, 240 e n, 249 e n, 251 e n, 749 Poerio, Raffaele, 309 e n Poggi, Enrico, 284n Poggiali, Francesco, 187 e n, 221, 225, 317 e n Polinelli, 673 Polliotti, 35 Polliotti, Margherita, 35 e n, 41, 43, 47, 51 e n, 54 Pomba, Cesare, 315n Pomba, Giuseppe, 304n, 315n Pomba, Luigi, 315 e n Pomponazzi, Pietro, 782, 783 Ponari, Francesca, 600n Ponari, Pasqualina, 600n Ponza, Gustavo, conte di San Martino, 254e n, 255, 256, 259, 294n Porciani, Ilaria, 449n Porreca, Antonio, 463, 508, 510, 511, 519-521, 526, 530, 533, 535, 578, 579, 611, 649, 652-654, 656, 657 e n, 659 e n, 660 Porreca, Camillo, 657n, 661 Porreca, Francesco, 657n Porsiani, 697
823
Pozzolini Siciliani, Cesira, 477 e n, 529, 549 e n, 668 e n, 669, 714 e n, 719 e n, 776 e n Prantl, Karl, 201 e n Prati, Giovanni, 400 e n Predari, Francesco, 115 e n, 116, 128n, 197n, 221 e n, 223, 230, 236, 508 e n Proto, Francesco, 22 e n, 229-231 Protonotari, Francesco, 500 e n, 541 Proudhon, Pierre-Joseph, 38 Puglia, Alessandro, 222 e n, 224 Puoti, Basilio, 270n, 434n Quercia, Federico, 270 e n, 458 Rabbaglietti, Giacomo, 319, 809 Raeli, Matteo, 534 Raffaele, Francesco, 517 e n, 519-521, 522 e n, 523 e n, 657 e n, 659 e n Raffaele, Giulio, 655 Raffaele, Leonardo, 461 e n Ragnisco, Pietro, 574 e n, 726, 728, 734n Ragozzino, 407 Raisini, Guglielmo, 222 Ramondi, 519, 654 Ranalli, Ferdinando, 39 e n, 360, 452 Ranieri, Antonio, 10, 805 e n Ranieri Tenti, Domenico, 805 Ranke, Leopold von, 94 e n Rascaglia, Maria, 8, 10, 12, 34 Rattazzi, Urbano, 256 e n, 262, 264, 265, 275, 277, 284 e n, 295n, 306, 307, 410, 420n, 421 Raumer, Friedrich Ludwig George von, 52 e n Rava, Luigi, 49n, 182n Ravaisson, Félix, 495 e n, 496, 497 e n, 626 e n Rayneri, Giovanni Antonio, 434 e n Recchia, Crescenzo, 317 Recchione, Raffaele, 511, 512, 516 Regaldi, Giuseppe, 491 e n Reggio, Benedetto, 409 Rende, Carlo, 405, 406, 431, 617, 623, 624 Reusch, Franz Heinrich, 735n Revere, Giuseppe, 115 e n Riario Sforza, Sisto, 576n Ribot, Théodule-Armand, 683 e n, 710 Ricasoli, Bettino, 38, 180 e n, 200, 256 e n, 259, 262, 271, 275-277, 305n, 307, 309n, 313, 326n, 350, 375, 387, 388, 395, 410 Ricci, 461, 506, 511, 512, 517, 795 Ricci, Giovanni, 306n Ricciardelli, 511, 741
824
Epistolario (1847-1883)
Ricciardi, 368 Ricciardi, Tommaso, 358 e n, 359, 360, 511 Ricotti, Ercole, 400 e n Ridolfi, Cosimo, 198 e n, 201, 232n Righetti, Carlo, 650 e n Ritter, Heinrich, 94 e n, 98, 100 e n Robecchi, Giuseppe, 54 e n Rodinò, Leopoldo, 470 e n Romagnosi, Gian Domenico, 414 e n Romano, 445 Romano, Liborio, 250 e n, 251, 253, 263 e n, 293 e n, 297 e n, 387 Romano, Paolo, 167n, 308n, 374, 387n Romeo, Pietro Aristeo, 112 Ropolo, Edoardo, 385 e n, 451-454 Rosei, Nicola, 238 e n, 243, 247, 257, 276, 298300, 305, 306, 308, 314, 316, 326 e n, 336, 346, 354, 360, 361, 363, 365, 366, 368, 370-372, 381, 383, 385-388, 390, 391, 393-399, 400n, 404, 405, 407, 409414, 417 e n, 425, 448 Rosenkranz, Johann Karl Friedrich, 338 e n Rosmini Serbati, Antonio, 94e n, 99, 100, 103, 105, 108, 110, 115, 122, 128, 142 e n, 143, 210, 225, 267, 279, 640 e n Rossetti, 652, 655, 735, 738, 781 Rossi, Luigi, 221 e n, 225n, 226, 227, 230, 231, 312 e n, 314 e n, 376 e n, 405 Rousseau, Jean-Jacques, 210 Rubattino, Raffaele, 765n Rudinì, Antonio Starabba, marchese di, 426 e n, 464 Ruffini, Giovanni, 36n Russo, Francesco, 262, 271, 273, 296, 305, 385, 407, 408, 537 Russo, Luigi, 482n Russo, Teresina, 709 e n, 741, 757 Sabato, Antonio, 23 e n, 317, 417 e n, 539, 540 Sabato, Giovanni, 317 Sacchetti, Adelaide, 484 e n, 494 e n, 645 e n, 738 e n Sacchetti, Aminta, 461 Sacchetti, Berardo, 339 e n, 377 e n, 395 e n, 459 e n, 481 e n, 625 e n, 809 e n Sacchetti, Ciro, 289, 335, 338 e n, 339, 340 e n, 342 e n, 401, 408 Sacchetti, Colantonio, 289 Sacchetti, Domenicantonio (Mincantonio), 289, 305 e n, 319 e n, 335, 338 e n, 339, 377 e n, 395, 397, 459, 484 e n, 488 e n, 507, 535
e n, 544 e n, 572 e n, 605, 608, 645 e n, 714 e n, 716 e n, 735 e n, 736 e n, 737 Sacchetti, Sabatino, 377 e n Sacchetti, Tito, 577, 740, 743 e n, 744 e n, 760 en Sacchi, Vittorio, 259 e n, 260 Sali Maturi, Ernesta, 10, 733 e n, 745 e n, 768, 784, 785 e n, 786 e n, 794 e n, 796 e n, 798 e n Saliceti, Aurelio, 39 e n, 225, 230 Salmini, 315 Salomone, 786 Saluzzo, Gioacchino, principe di Lequile, 23 e n, 24, 226 e n, 227, 326, 409 Salvagnoli, Vincenzo, 46 e n, 180, 182, 190 e n, 191, 200 Salvi, 409 Samarelli, Mauro, 603 e n Sambiase Sanseverino, Gennaro, duca di San Donato, 259 e n, 260, 291, 308, 400, 526, 631, 633, 638, 639, 646, 803 Sanchez, Paolo, 334, 346 Sansonetti, Vito, 664 e n, 758, 764 Santamaria, Nicola, 603 e n Santangeli, Claudio, 761n Santoni De Sio, Ferdinando, 365 e n, 366 Santori, Giulio Antonio, 557 e n Santorone, Carmine, 289 Sartini, Vincenzo, 644 e n Savarese, Roberto, 34 e n, 40, 42, 45, 50, 270n Savoia Villafranca, Eugenio Emanuele, principe di Carignano, 191n, 252 e n, 254 e n Savonarola, Girolamo, 39 Savorelli, Alessandro, 9, 49n, 79n, 364 Sbarbaro, Pietro, 773 e n, 777 e n, 779 Scacchi, Arcangelo, 367 e n Scarpitti, 625 Schaller, Julius, 122 e n Schelling, Friedrich Wilhelm Joseph, 74, 79, 122, 128, 152, 160, 312n, 788 e n Schenkel, Daniel, 502 e n Schiavoni Carissimo, Nicola, 171, 446 e n, 482 en Schipa, Michelangelo, 380, 389, 391, 392 e n, 393 Schulze, Johannes von, 144n Schwegler, Albert, 201 e n Scialoja, Antonio, 66 e n, 176 e n, 180, 187, 246, 256, 262, 289, 375, 377, 379, 380, 581 e n, 585, 587, 607n, 633, 749
Indice dei nomi Sèismit Dòda, Federico, 702 e n Sella, Quintino, 284n, 349 e n, 353, 361, 454 e n, 456, 524n, 603, 606, 607, 650, 660, 688, 721n, 723, 742, 759, 762 e n, 763, 764 e n, 773, 799 Selmi, Francesco, 183 e n, 202n, 206-211, 213 e n, 214, 217, 224, 233, 297 Semmola, Mariano, 375 e n Senise, Carmine, 789 e n Senise, Tommaso, 650 e n Settembrini, Luigi, 10, 72 e n, 73, 77, 81, 88, 91 e n, 93, 95, 97, 100, 101, 103, 104, 107, 108, 111 e n, 112, 117, 120, 123 e n, 125128, 130 e n, 132 e n, 133, 134, 135 e n, 136 e n, 137, 138 e n, 139, 140, 141 e n, 143 e n, 147 e n, 150 e n, 153 e n, 154 e n, 156 e n, 157 e n, 158 e n, 159, 160 e n, 161 e n, 164 e n, 166 e n, 167n, 168 e n, 169, 170 e n, 172, 177 e n, 226 e n, 228 e n, 279 e n, 336, 340, 346, 351, 433, 500 e n, 508, 509 e n, 525, 555, 558, 577, 662 e n, 726 e n, 749, 806 Settembrini, Raffaele, 164 e n, 166 e n, 168 e n Sgano, Isabella, 8, 65 e n, 67, 102, 114, 121, 181, 182, 187-190, 192, 194 e n, 199, 204, 208, 210, 212, 214, 216, 219-221, 223, 225, 226, 230-247, 259-264, 266, 268, 270, 271, 273, 275, 276, 279, 280, 283, 285, 288-292, 295, 297, 300, 301, 305, 306, 308, 318-320, 323, 325, 326, 328, 329, 332, 334-336, 339, 340, 343, 344, 346, 348, 350, 352, 353, 355, 356, 358, 360, 362, 365, 376, 377, 383-385, 389, 395, 397, 403, 418-426, 428, 430, 432, 443, 449, 450, 456, 458, 460, 461, 463-465, 468, 469, 472, 475, 477, 479, 481-484, 487, 488, 490, 493, 494, 497499, 502, 507, 526, 528, 530, 531, 533, 534, 536, 545, 548, 552, 554, 556, 558, 559, 561, 562, 564, 565, 571-577, 579, 580, 582, 584-587, 592, 593, 595, 597600, 603-605, 607, 609, 610, 612-614, 616-618, 620-622, 624-627, 636, 642, 645-652, 654, 655, 657, 661-666, 668672, 674, 675, 677, 678, 681, 685, 688, 694, 696, 698-703, 705, 706, 709, 710, 712, 713, 716, 719, 721, 723-726, 731, 734, 736-741, 743-746, 750-755, 757, 758, 760, 762, 763, 765, 766, 768, 769, 771-777, 779-790, 792, 795, 796, 799, 802, 804, 807, 808
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Siciliani, Pietro, 439n, 441 e n, 471 e n, 472 e n, 477 e n, 481, 529, 541 e n, 549 e n, 553, 554 e n, 587, 668 e n, 703, 707 e n, 712, 714 e n, 717 e n, 719 e n, 728, 729 e n, 776 e n, 777 Sicûro, 723 Siebeck, Gustav Herman, 793 e n Sigismondi, Decoroso, 320 e n, 332 e n, 347 e n, 348, 376 e n, 378 e n, 384 e n, 386 e n, 454 e n, 455 e n, 457 e n, 468 e n, 481 e n, 498 e n, 499 e n, 533 e n, 807 e n Sigismondi, Evandro, 285 e n, 462 e n, 506 e n, 507 e n, 508 e n, 510 e n, 512 e n, 514 e n, 519 e n, 534 e n, 552 e n, 579 e n, 610 e n, 612 e n, 654 e n, 656 e n, 773 e n, 792 e n, 808 e n Sigismondi, Rosario, 397, 410 Sirolli, 605 Sirolli, Luigi, 464, 465, 511, 526, 534, 535, 564 e n, 595, 600, 605, 629, 653, 654, 660, 723 Smith, Adam, 633 Smith, Raffaele, 379 Socrate, 124, 126, 128, 130, 134, 227, 434 e n Soloro, 340, 341 Sorrentino, Tommaso, 609 e n, 649 Sottini, Giuseppe, 441n Spasiano, Enrico, 534 e n Spaventa, Berenice, 64, 81, 117, 140, 143 e n, 150 e n, 175, 177, 178 e n, 257 e n, 266 e n, 268, 270 e n, 273 e n, 275 e n, 276 e n, 279 e n, 281 e n, 283 e n, 285 e n, 289 e n, 295 e n, 300 e n, 301 e n, 318 e n, 319 e n, 360 e n, 362 e n, 363 e n, 394 e n, 506 e n, 543 e n, 544n, 545n, 739n Spaventa, Camillo (zio di Bertrando Spaventa), 81, 175 e n, 177 e n, 178 e n, 307 e n Spaventa, Camillo (detto Millo, figlio di Bertrando Spaventa), 181 e n, 182, 187-190, 192 e n, 193, 194 e n, 199, 204, 208, 219221, 223-226, 231-233, 235-247, 256, 259, 260-264, 266, 268, 270, 271, 275, 279, 285, 288, 289-292, 297, 300, 301, 305, 306, 308, 318-320, 323, 325, 326, 328, 329, 332, 334-336, 339-341, 343, 344, 346, 348, 350, 353, 355, 356, 358, 371, 372, 375-377, 397, 403, 417-419, 422, 423, 426, 429, 432, 443, 452, 458, 462, 481, 493, 499, 528, 531, 534, 546, 548, 551, 556, 561, 572, 574, 575, 577, 579, 583, 584, 587, 600, 603, 609, 610, 621, 655, 657, 662, 666, 674, 677, 694,
826
Epistolario (1847-1883)
700, 706, 721, 723-725, 731, 733, 734, 736, 739-741, 743-745, 752, 754, 755, 757, 758, 760, 763, 766, 768, 771-773, 777, 784 e n, 785, 788-790, 792, 795, 797, 799, 806-808 Spaventa, Clotilde, 64, 81, 117, 130 e n, 134 e n, 140, 157 e n, 175, 177, 178 e n, 305 e n, 319 e n, 346 e n, 484 e n, 488 e n, 490 e n, 494 e n, 544 e n, 602 e n, 605, 608 e n, 645 e n, 714 e n, 715 e n, 716 e n, 735 e n, 736 e n, 737 e n, 738 e n, 739 e n Spaventa, Emilia (prima figlia di Bertrando Spaventa), 114 e n, 121, 747 Spaventa, Emilia (seconda figlia di Bertrando Spaventa), 332 e n, 358, 362, 363, 372, 375-377, 397, 418, 419, 422-425, 430, 432, 443, 458, 479, 481, 493, 499, 528, 530, 531, 534, 539, 546, 548, 556, 561, 574, 575, 577, 579, 584, 587, 592, 603, 610, 621, 655, 657, 661, 662, 666, 672, 674, 677, 694, 700, 706, 721, 723-725, 731, 740, 741, 743-745, 747, 752, 754, 755, 757, 758, 760, 766, 768, 769, 771, 773, 777, 788-790, 792, 795, 799, 802 Spaventa, Enrichetta, 72 e n, 81, 84 e n, 86 e n, 307 e n, 739n Spaventa, Ersilia, 140 e n, 739n Spaventa, Eustachio, 31n, 175, 177, 178 Spaventa, Faustina, 101 e n, 111 e n, 117 e n, 123 e n, 159 e n, 339 e n, 346 e n, 347, 396 e n, 521 e n, 605 e n, 627 e n, 648 e n, 649 e n, 650 e n, 651 e n, 654 Spaventa, Giuseppe, 175 e n, 177 e n, 178 e n, 320 e n, 325 e n, 326 e n, 327 e n, 328 e n, 335 e n, 338 e n, 339, 340 e n, 342 e n, 346 e n, 347, 389 e n, 420 e n, 577 e n, 605 e n, 608 e n, 714 e n, 715 e n, 716 e n Spaventa, Rosario, 344 e n, 346 e n, 353 e n, 398 e n, 424 e n, 510 e n, 511 e n, 512 e n, 519 e n, 537 e n, 602 e n, 611 e n, 735 e n, 736 e n, 739 e n, 773 e n, 808 e n Spaventa, Silvio, 7-11, 21 e n, 22-24, 25 e n, 26 e n, 27-29, 30 e n, 31 e n, 34, 36, 37n, 38, 39, 41, 42, 45, 46, 48, 49, 51, 56 e n, 59 e n, 61 e n, 62, 63, 64 e n, 66n, 69n, 71 e n, 72n, 73n, 77, 80, 82, 84 e n, 85 e n, 87 e n, 88n, 89 e n, 90n, 91 e n, 93, 96, 98, 100n, 102, 104, 105 e n, 106n, 107, 110 e n, 111n, 112, 116, 117 e n, 120-122, 123 e n, 125n, 126-129, 130 e n, 132 e n, 134 e n, 135, 137 e n, 139, 141 e n, 143 e n, 146n, 147,
149 e n, 150 e n, 152n, 153, 154 e n, 156, 157 e n, 159, 160 e n, 161, 163, 164 e n, 165 e n, 166n, 167 e n, 169 e n, 171n, 172, 174 e n, 175 e n, 176 e n, 177 e n, 178 e n, 179 e n, 180, 181, 183, 184, 185 e n, 187 e n, 188-192, 193 e n, 194, 195 e n, 196, 197, 198n, 199 e n, 201-205, 206 e n, 207, 208 e n, 209, 211-213, 214 e n, 215 e n, 216-219, 221n, 223-226, 227n, 228-230, 231 e n, 232, 233 e n, 234 e n, 235, 236 e n, 237, 238 e n, 239, 240 e n, 241 e n, 242 e n, 243 e n, 244-248, 249 e n, 250, 251n, 252 e n, 253n, 254, 255, 256 e n, 257, 258 e n, 259, 261, 262, 263 e n, 264n, 265 e n, 266, 268, 270 e n, 271n, 272 e n, 275 e n, 276, 279-281, 283, 284, 285 e n, 286, 288, 289 e n, 290 e n, 291, 292 e n, 293 e n, 294 e n, 295 e n, 298, 300, 301, 305 e n, 306 e n, 307, 308 e n, 311 e n, 313 e n, 314, 315, 316 e n, 317, 318n, 319-322, 323 e n, 324 e n, 326, 327 e n, 328, 329, 330 e n, 331, 332 e n, 333 e n, 334, 335 e n, 336, 338, 339, 341, 342 e n, 343 e n, 345, 346, 347 e n, 348, 349, 350 e n, 351, 353, 354, 356, 358, 359 e n, 360, 361-363, 364 e n, 365-368, 370-379, 380 e n, 381 e n, 382386, 387 e n, 388-390, 394-399, 400 e n, 401n, 403, 404, 405 e n, 406, 407, 409, 410 e n, 411-413, 417, 418 e n, 419 e n, 420 e n, 421, 422, 424 e n, 425, 427-431, 432 e n, 443, 444n, 446, 450, 451, 454, 455, 456 e n, 457-462, 463 e n, 464, 465, 467 e n, 468, 471, 473-475, 478, 479 e n, 480484, 487 e n, 490, 493, 494, 498, 499, 502, 503, 505-513, 515, 517, 518 e n, 519-541, 543 e n, 544-547, 551, 552, 555, 559, 560, 562, 564 e n, 566, 572, 573, 575-578, 582586, 588, 590, 592 e n, 593, 595 e n, 597, 598, 599 e n, 600, 602, 603 e n, 604, 605 e n, 606 e n, 607-614, 616-627, 629-632, 636, 642 e n, 645, 646 e n, 647-657, 658 e n, 659-664, 665 e n, 666, 668, 669, 670 e n, 671, 672 e n, 674 e n, 675-682, 684689, 691-694, 696-702, 704 e n, 705, 707, 709-712, 714-716, 718-721, 723-726, 727 e n, 731, 733, 735, 736, 738, 739 e n, 740, 741, 743-746, 749, 750, 752, 753, 754 e n, 755, 757-760, 761 e n, 762, 763, 764n, 765, 766, 769 e n, 770-774, 775 e n, 776, 779-785, 787-792, 795-797, 801, 803, 804, 806, 807 e n, 808, 809
Indice dei nomi Spaventa, Tito, 21 e n, 84, 86 e n, 164 e n, 739n Speciale, 701 Spillmann, 708, 711 Spinelli, Antonio, 232n Spinelli, Francesco, 576n Spinoza, Baruch, 48, 79, 80, 84, 91, 118, 141, 150, 151, 155, 156, 160, 251, 436, 438, 594, 713 Sprovieri, Francesco Saverio, 55 e n, 700 e n, 710, 715, 742, 772, 775 Stahl, Friedrich Julius, 65 e n, 66, 67, 90 e n, 91, 193, 197 e n, 210 e n, 212 Stein, Lorenz von, 33 e n, 36 e n, 37-39, 231, 235 Steinthal, Hermann Heymann, 118n Stillitani, 805 Subatti, Celestino, 692 e n Summa, Giuseppe Nicola (detto Ninco Nanco), 334 e n Tabazzi, 533, 534, 648, 653, 660 Tacito, Publio Cornelio, 40 Tafone, Tommaso, 330 e n, 346, 348 Tagliaferri, Agistino, 471 e n Talete, 277 Tallarigo, Carlo Maria, 551, 560 e n, 645n, 647, 695n, 713, 742, 750, 770 Tanai, 333 Taranto, 784, 795 Tardy, Placido, 34, 39 Tari, Antonio, 11, 106n, 154n, 297, 314n, 316, 327n, 472 e n, 482, 581 e n, 585, 587, 590 en Tartaglia, Domenico, 247 e n, 255, 308, 309, 311, 315, 323, 324 e n, 334, 335, 343-346 Tasso, Torquato, 434 Tasso, Totonno, 434 Teichmüller, Gustav, 11, 698 e n, 699, 792, 793 e n, 794, 795 Telesio, Bernardino, 501 Tenca, Carlo, 159n, 527 e n, 588, 591, 624 Testa, 657 Testa, Clodomiro, 629 Testa, Michele, 493, 546, 582 e n Testa, Raffaele, 493, 506 e n, 546 Teza, Emilio, 164n Themelly, Mario, 88n Tiberi, 268, 307, 309, 311, 328, 356 Tilli, Liborio, 512, 653, 654 Tiracchia, Ludovico, 140 Tocco, Felice, 414 e n, 415, 442n, 501, 546,
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548, 549, 551, 558, 567, 568, 574 e n, 578, 589, 602, 679, 681, 683 e n, 684 e n, 685-687, 719, 723, 749 Tocqueville, Charles-Alexis-Henri Clerel de, 152n, 153n Todaro, Francesco, 736 Tofano, Giacomo, 180 e n, 192, 194, 198, 201, 204, 222, 225, 230, 231, 244-246 Tognon, Giuseppe, 70, 191n, 198n Tommaseo, Niccolò, 94n, 110 e n, 115, 116, 128, 553n Tommasi, Salvatore, 65 e n, 66, 98, 131n, 166, 168, 174 e n, 177, 179 e n, 180, 182 e n, 184, 187, 188 e n, 193n, 204, 219, 256, 257, 259, 275, 301, 332, 334, 335, 370n, 374, 375, 391, 392 e n, 393, 403, 484, 486 e n, 487, 490n, 491, 552, 573, 574 e n, 585 e n, 599 e n, 636, 665, 715, 716, 727, 736-738 Tommaso d’Aquino, santo, 229 Torella, Giuseppe, principe di, 22 Torre, Federico, 342 e n, 536-538, 545-547, 772 Torre, Pietro, 65 e n, 66, 90n Torrigiani, Pietro, 715 e n Toscanelli, Giuseppe, 601 e n Tosti, Luigi, 294n Totaro, 365, 366 Tozzi, Gian Tommaso, 506 e n, 517, 519, 626, 648, 650, 653, 655, 657-659 Tozzi, Michelangelo, 519, 653, 657, 658 e n, 659 Tozzi, Raffaele, 519, 653, 657-659 Travaglini, 519, 533-536, 546, 547, 577, 595, 648, 650-652, 654, 658 Trebbi, Marianna, 545 e n, 550 e n, 553 e n, 555 e n, 558 e n, 561 e n, 562 e n, 564 e n, 571 e n, 574 e n, 578 e n, 589 e n, 591 e n, 668 e n, 671 e n, 694 e n, 706 e n, 707 e n, 723 e n, 727 e n, 735 e n, 738 e n, 743 e n Trebbi Fiorentino, Restituta, 545 e n, 550 e n, 553 e n, 554 e n, 555 e n, 557 e n, 558 e n, 561 e n, 562 e n, 564 e n, 571 e n, 574 e n, 578 e n, 586 e n, 589 e n, 591 e n, 613 e n, 668 e n, 671 e n, 675 e n, 676 e n, 679 e n, 681 e n, 682 e n, 684 e n, 687 e n, 694 e n, 697 e n, 703 e n, 706 e n, 707 e n, 710 e n, 711, 712, 714 e n, 716 e n, 717 e n, 719 e n, 723 e n, 727 e n, 735 e n, 738 e n, 740 e n, 743 e n, 750 e n Treves, Emilio, 749n Trevisani, Gaetano, 193 Trezza, Gaetano, 529, 549
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Epistolario (1847-1883)
Trinchera, Francesco, 66 e n, 111n, 206, 211, 237 e n, 291, 318, 345, 403, 414, 452, 748 e n Tripoti, Antonio, 258 e n Tripoti, Luigi, 258n Tripoti, Savino, 258n Tronchetta, 449 Tulelli, Paolo Emilio, 302 e n, 311, 468, 703 Tupputi, Ottavio, 226 e n Turbiglio, Sebastiano, 682 e n, 683, 712, 722, 742, 743, 759 Turchi, Marino, 463 e n, 530, 575 Turchiarulo, Antonio, 255 e n, 321, 339, 343346, 349n, 350n, 353 Turco, Pasquale, 407 Turco, Vincenzo, 323, 385, 387 e n, 421, 467, 468, 488, 530, 538 Turiello, Pasquale, 806 Ulisse, Achille, 506, 509, 511 e n, 516 e n, 518, 519, 520 e n Ulisse, Camillo, 511, 519 Ulisse, Felicetta, 88n, 107, 178 e n Ulisse Barbolani, Raffaele, 519n, 522n, 564 Ulrici, Hermann, 602 Umani, Giacinto, 324 Umani, Raffaele, 324 Umberto I di Savoia, re d’Italia, 323n Unico, Luisa (detta Gigia), 752 e n, 767 e n, 768, 770 e n, 777 e n, 788 e n, 789 e n Unico Patellani, Ippolita, 561 e n, 575, 576, 666 e n, 708 e n, 711 e n, 747 e n, 749 e n, 751 e n, 752, 753 e n, 767 e n, 768, 770 e n, 776 e n, 777, 780 e n, 787 e n, 788 e n, 789 e n Vacca, Giuseppe, 8, 10, 13, 26 e n, 27 e n, 29n, 30n, 31 e n, 46, 55n, 59 e n, 61 e n, 62, 64 e n, 73 e n, 77 e n, 79n, 80n, 81 e n, 85, 86, 88 e n, 91 e n, 93, 95 e n, 97, 98n, 99n, 101, 103, 104, 105n, 107, 108, 112, 117, 123 e n, 125n, 126, 127, 138n, 139 e n, 165 e n, 166, 167n, 168n, 169 e n, 172, 173, 175, 176n, 177 e n, 187, 189, 199, 202, 204, 207, 211, 212, 223, 226, 228, 231, 238, 239, 255, 261 e n, 263 e n, 266, 275, 285n, 292, 307-309, 311 e n, 313, 320 e n, 328, 335n, 336, 340, 344, 363n, 364, 366, 368, 374 e n, 375n, 376, 378 e n, 379, 387, 420, 450, 515, 516n, 517, 518 e n, 565, 571n, 662, 666, 670, 700, 761n, 762, 763n, 764n, 765, 775n, 776, 807 Vaccà, Luigi, 218 e n, 220, 222, 224
Valerio, Lorenzo, 257 e n Valussi, Pacifico, 179n, 190, 194 Varrone, Marco Terenzio, 719 Veglio di Castelletto, Emilio, 256 e n Venezia, Antonella, 391-393 Venusio, 41, 213, 225-226 Vera, Augusto, 272 e n, 314n, 337, 338, 433, 500n, 685, 793 e n Vercillo, Ferdinando, 45 Vercillo, Luigi, 384n Vercillo, Matteo, 384 e n, 385 Verdi, Giuseppe, 446n Vernieri, 326 Verratti, Silvio, 283 e n, 353, 648 Viani, Prospero, 769 e n Vicentini, 594 Vico, Giambattista, 49, 227, 267, 435 e n, 437 e n, 438 e n, 439-441, 443, 562 Vieusseux, Giampietro, 45 e n, 49, 181 Vigliani, Paolo Onorato, 370 e n, 371 Vignali, Giovanni, 317 e n Villa, Mincantonio, 511 Villa, Niccola, 511 Villari, Pasquale, 8, 10, 28 e n, 31 e n, 32 e n, 33, 36 e n, 37n, 39n, 41n, 42, 44, 48, 52, 60, 63 e n, 73 e n, 74, 75, 77, 78n, 131, 147 e n, 181, 185-187, 193n, 194, 301, 374, 420, 421, 431, 441 e n, 442n, 449 e n, 455 e n, 456, 457, 471 e n, 477 e n, 483 e n, 484, 485, 487, 488 e n, 489, 491 e n, 502, 509 e n, 512, 514, 515 e n, 516 e n, 518 e n, 519, 520, 523, 525, 526 e n, 527, 549 e n, 577, 581 e n, 587 e n, 593 e n, 762 e n, 803, 808 Villari, Virginia, 31n Viscera, Innocenzo, 806 Vischer, Friedrich Theodor, 121 e n Vischi, Luigi, 219 Visconti Venosta, Emilio, 241, 773 e n Visone, Giovanni, 336 Vitelli, Antonio, 449 Vittorio Emanuele II di Savoia, re di Sardegna, re d’Italia, 216n, 242n, 258, 271 e n, 290n, 292n, 300n, 366n Vitullo, Clodomiro, 607 Vitullo, Corinto, 338 e n, 468, 479, 511 e n, 739 en Vitullo, Filippo, 468 e n, 479, 498 e n, 499 e n, 507 e n, 511 e n, 528 e n, 531 e n, 537 e n, 538 e n, 543 e n, 586 e n, 609 e n, 625 e n, 649 e n
Indice dei nomi Vitullo, Gilberto, 344, 374 e n, 376 e n, 483 e n, 531 e n, 607, 614 e n, 617 e n Vitullo, Nicola, 321 e n, 326 e n, 346 Vizioli, Alfonso, 290 Vizioli, Francesco, 247 e n, 249, 289, 300 e n, 332 e n, 383, 384 e n, 405, 430 e n, 516 Vizioli, Giovanni, 292 Vizioli, Raffaele, 714 Vollaro, Saverio, 156 Volpicella, Cesare, 531 e n, 572, 589, 591, 597, 611, 612, 619, 621, 810 Volpicelli, Vincenzo, 576n Voltaire, François-Marie Arouet detto, 436 e n Waddington, Evelyn, 549 Walewski, Florian Alexandre Joseph, 198 e n Weissenborn, Georg, 215 e n Werder, Karl, 100 e n, 122 Winspeare, Antonio, 232n
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Wyrouboff, Grégoire, 441n, 615n Zabarella, Giacomo, 74 Zabbretti, 232 Zaccardi, 502 Zagaria, Riccardo, 8, 491n Zanardelli, Giuseppe, 642n, 654 e n Zanella, Giacomo, 553, 563 e n, 568 e n Zanfi, Luigi, 578 e n, 706, 722 Zanichelli, Nicola, 312n, 599 e n Zarelli, T. vedi Caroli, Gian Francesco Nazareno Zecchini, Pietro Stefano, 315n Zeller, Eduard, 201 e n, 794 e n Zerbi, Candido, 632 e n, 671, 762 Zini, Luigi, 750 e n Zola, Émile, 749 Zona, 392 Zumbini, Bonaventura, 645 e n Zuppetta, Luigi, 261 e n, 283
Finito di stampare nel mese di settembre 2020 da The Factory s.r.l. Roma