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Italian Pages [240] Year 2006
Premessa Questo libro si propone un duplice obiettivo: vuole essere sia sussidio didattico per gli studenti dei corsi universitari di demografia, sia strumento di formazione e consultazione per tutti coloro che, per motivi di studio o di lavoro, hanno nella popolazione e nelle sue trasformazioni quantitative e strutturali un punto di riferimento obbligato. Tanto nella scelta degli argomenti trattati, quanto nel metodo adottato per la loro presentazione, si è quindi cercato di conciliare completezza e rigore scientifico con chiarezza espositiva e concretezza. Si sono presi in esame i metodi fondamentali per la misurazione e l’analisi dei fenomeni demografici più importanti e se ne è fornita un’esposizione che non richiede particolari conoscenze di base (anche se la disponibilita di nozioni in campo statistico-matematico potrà indubbiamente agevolare l’apprendimento). L’impostazione del testo, pur seguendo una linea abbastanza tradizionale nella scuola italiana, si sviluppa secondo gli orientamenti più moderni. Dopo una breve introduzione, nel corso della quale si presentano i contenuti della disciplina e si esaminano le principali fonti dei dati demografici, vengono distinti quattro capitoli. Nei primi due si forniscono le definizioni e le nozioni essenziali per la descrizione e la misurazione delle caratteristiche evolutive della popolazione e delle sue componenti – quali nascite, morti e migrazioni – che sono la causa prima di tale evoluzione. Il terzo capitolo è rivolto all’analisi dei principali fenomeni demografici e alla presentazione, con riferimento ad alcuni di essi (mortalità, nuzialità, fecondità e mobilità) dei più importanti strumenti metodologici. Il quarto, infine, è dedicato all’esposizione dei metodi e delle 8problematiche ricorrenti nel campo delle previsioni demografiche; un settore, quest’ultimo, la cui rilevanza è crescente e nel cui ambito trovano spesso finalizzazione i diversi strumenti per la descrizione e l’analisi dei fenomeni demografici via via considerati. Il testo è corredato da numerose esemplificazioni, svolte con riferimento a dati reali e finalizzate, da un lato, a dare concretezza alle metodologie introdotte, dall’altro, a segnalare, con un approccio pratico e didatticamente più efficace, gli ulteriori sviluppi che arricchiscono le conoscenze di base e lasciano intuire nuovi e più specifici approfondimenti. In corrispondenza di ogni grande tema viene altresì presentata una scheda sintetica che, mediante l’uso degli indicatori via via proposti nel testo, delinea i tratti essenziali del panorama demografico internazionale, delle principali tendenze in atto e degli scenari che si affacciano nel futuro.
Introduzione 1.Che cos’e la demografia Un essere umano che nasce, che raggiunge un certo compleanno, che trasferisce la propria residenza, che si sposa, che genera un figlio, che muore, sono tutti eventi che, sotto il profilo demografico, assumono rilevanza ed interesse scientifico.
Secondo un’autorevole definizione, la Demografia è la scienza, per l’appunto, «che ha per oggetto lo studio delle popolazioni umane, che tratta del loro ammontare, della loro composizione, del loro sviluppo, dei loro caratteri generali, considerati principalmente da un punto di vista quantitativo» Il concetto di popolazione, già circoscritto mediante l’attributo «umana», rappresenta, dunque, il termine di riferimento su cui converge il complesso delle analisi descrittive e investigative che danno vita alla disciplina suddetta. Ma come si identifica una popolazione in senso demografico? Non tutte le collettività umane sono infatti oggetto di interesse da parte dei demografi. Affinché ciò accada è essenziale che la collettività sia un insieme non occasionale; un insieme, cioè, caratterizzato da continuità nel tempo, requisito, questo, che si realizza mediante la presenza del ricambio generazionale. In altre parole, affinché si possa parlare di popolazione in senso demografico, deve trattarsi di un gruppo di individui che, accomunati da caratteristiche territoriali, o etniche, o sociali, o religiose ovvero di altro tipo, risultino soggetti ad un processo di rinnovamento sotto il profilo quantitativo e qualitativo; un processo riconducibile all’azione diretta di tre fondamentali fenomeni: la natalità, la mortalità e la mobilità. Quest’ultima va intesa sia in termini di movimenti territoriali (migrazioni), sia in termini di spostamenti delle unità demografiche 10nell’ambito dei diversi sottoinsiemi in cui le unità medesime possono classificarsi sulla base di talune caratteristiche che le contraddistinguono (il cambiamento di professione, di stato civile, di livello di istruzione di religione, e così via).
2.Le fonti demografiche La descrizione e l’analisi della popolazione e degli eventi che determinano le sue trasformazioni ha come premessa irrinunciabile la disponibilità di un esauriente insieme di informazioni di base. Infatti, può accadere che la natura e la qualità dei dati sui quali si può contare siano un elemento condizionante nella scelta delle metodologie più adatte e, conseguentemente, un fattore limitativo per il raggiungimento degli obiettivi prefissati; viceversa, si verificano casi in cui, proprio la disponibilità di informazioni originali o più attendibili offre l’opportunità di individuare e di mettere a punto metodologie innovative o più efficienti. Con tali premesse, è del tutto evidente che nella ricerca demografica l’analisi delle fonti, intese come strumento mediante il quale raccogliere i dati di interesse demografico, debba ricevere la più am-pia ed attenta considerazione. E ciò, non solo al fine di individuare e valorizzare i canali informativi esistenti, ma con l’intento di identificarne e attivarne di nuovi, curando, altresì, la qualità dei dati sotto il profilo sia dell’attendibilità, sia della loro rispondenza agli obiettivi di descrizione e di analisi della realtà cui si fa riferimento.
2.1. Dati di stato e di movimento della popolazione Rispetto agli obiettivi, le rilevazioni demografiche si possono dividere in due grandi categorie: quelle che mirano a realizzare un’immagine della popolazione con riferimento ad un dato istante e quelle che si propongono di seguire nel tempo le manifestazioni dei fenomeni (nascite, morti, migrazioni, ecc.) che determinano la continua evoluzione di tale immagine.
Nel primo caso si tratta di rilevazioni concernenti lo stato della popolazione; nel secondo, di rilevazioni relative al movimento della popolazione. Tra le rilevazioni di stato rientrano i censimenti e talune indagini, in genere occasionali, condotte con metodo campionario; gli uni e le altre sono principalmente intesi a mettere in luce particolari aspetti strutturali della popolazione, ma, assai spesso, permettono anche di ottenere preziose informazioni di tipo dinamico. Significativi esempi di indagini campionarie sono forniti dall’Indagine trimestrale sulle forze di lavoro, dall’Indagine multiscopo sulle famiglie, condotte dall’Istituto nazionale di statistica (Istat), e dall’Indagine sulla fecondità in Italia, svolta per la prima volta nel 1979 e ripetuta nel 1995 nel quadro di 11un ampio programma di ricerca sul piano internazionale finalizzato alla conoscenza dei comportamenti e degli orientamenti in tema di nascite e di contraccezione. Per quanto riguarda le rilevazioni di movimento, esse sono generalmente riconducibili, anche per il carattere di continuità che le distingue, ad una stabile organizzazione statistico-amministrativa. In particolare, nell’attuale realtà demografica dei paesi economicamente più evoluti, tra i quali l’Italia, le principali fonti di informazione relative al movimento della popolazione sono offerte, come verrà meglio precisato nel successivo paragrafo 2.3, dalle Statistiche dello stato civile e dal Registro della popolazione (Anagrafe).
2.2. I censimenti Il censimento, nella sua concezione più moderna, è una rilevazione diretta, individuale, universale, simultanea e periodica che ha lo scopo di accertare, relativamente ad un dato momento, la consistenza numerica e le principali caratteristiche strutturali (sesso, età, stato civile, istruzione, professione, ecc.) di una popolazione. Cie significa che esso mira a fornire risposta alle domande su quanti e come sono gli individui che fanno parte della popolazione oggetto di indagine, attraverso una procedura che si ripete periodicamente (in genere ogni cinque o dieci anni) e che prevede: a) l’acquisizione delle necessarie informazioni in forma diretta, vale a dire senza l’impiego di metodi di stima o di altri elementi di mediazione tra il dato rilevato e la realtà che si vuole conoscere; b) la ricerca analitica di dati individuali, che caratterizzano ogni singolo soggetto; c) l’estensione della rilevazione (con obbligo di risposta) a tutte le unità che fanno parte della popolazione (universalità) e con riferimento ad uno stesso istante (simultaneità). La completa realizzazione di un censimento, con le caratteristiche di cui sopra, richiede la messa a punto di una complessa macchina organizzativa e la soluzione di numerosi e non facili problemi. In particolare, occorre aver definito la data di esecuzione dell’indagine, la tecnica di rilevazione e le unità elementari cui fare riferimento, i caratteri o gli aspetti oggetto di rilevazione. La questione della data in cui svolgere le operazioni censuarie ha formato spesso motivo di discussione; mentre, per quanto riguarda l’anno di calendario, al fine di garantire una sufficiente comparabilità sul piano internazionale, esiste un diffuso orientamento verso gli anni terminanti con lo zero o con l’uno (nel caso di censimenti decennali) o verso quelli terminanti per cinque o sei (in
caso di periodicità quinquennale), un simile accordo non sussiste a proposito della scelta del mese e del giorno. Per quanto riguarda il mese, l’opinione prevalente suggerisce periodi dell’anno nei quali risultano meno intensi gli allontanamenti dalla dimora abituale (per lavoro, vacanze, 12ecc.). In Italia, si è quasi sempre ritenuto preferibile effettuare il censimento in primavera o in autunno e la scelta del periodo autunnale è, per l’appunto, quella che ha caratterizzato i cinque censimenti del secondo dopoguerra. Relativamente alla individuazione del giorno, in generale, viene preferito un giorno festivo, nella presunzione che gli individui siano più facilmente presenti in casa e, inoltre, abbiano maggior tempo a disposizione per compilare la scheda di censimento. Ciò premesso, per quanto riguarda i tredici censimenti tenutisi in Italia dalla sua unificazione ai giorni nostri, la successione delle date è la seguente: 31 dicembre 1861 21 aprile 1936 31 dicembre 1871 4 novembre 1951 31 dicembre 1881 15 ottobre 1961 10 febbraio 1901 24 ottobre 1971 10 giugno 1911 25 ottobre 1981 1 dicembre 1921 20 ottobre 1991 21 aprile 1931
La tecnica di rilevazione Nei moderni censimenti l’unità statistica di riferimento è sempre costituita dal singolo individuo, anche se non necessariamente esso coincide con l’unità elementare di rilevazione. Per la raccolta dei dati si distinguono due metodi: 1) il foglio di famiglia (o di convivenza), in cui si raccolgono le notizie relative a tutti i membri di una stessa famiglia (o convivenza); 2) la cartolina individuale, in cui si registrano i dati relativi a ogni singolo soggetto. Nel primo caso, quindi, l’unità elementare di rilevazione è la famiglia (o la convivenza); nel secondo è il singolo soggetto. In Italia, a eccezione dei censimenti del 1901 e del 1911 (allorché furono adottate cartoline individuali riunite in una busta per ciascun nucleo familiare) si è sempre fatto ricorso al foglio di famiglia e al foglio di convivenza, limitando l’uso della scheda ad alcuni casi specifici (ad esempio, per gli ospiti presso gli esercizi alberghieri). In proposito, è opportuno precisare che ai fini del censimento il concetto di famiglia è diverso da quello usuale, in quanto vuole identificare un complesso di persone che sono abitualmente conviventi. In particolare, l’appartenenza alla famiglia di censimento è stata tradizionalmente condizionata dai seguenti requisiti: l’esistenza di legami (parentali, affettivi o di altro tipo), la dimora abituale nel comune, la coabitazione, l’unità economica o di bilancio. Quest’ultimo requisito, la messa in comune del reddito da parte dei componenti della famiglia, è stato tuttavia abolito in occasione del censimento del 1991, allo scopo di evitare che, autorizzando l’attribuzione di uno status familiare a se stante a tutti i membri forniti di autonomia di bilancio, 13si favorissero
ulteriormente le scissioni di comodo dei nuclei familiari (per altro già incentivate da alcune norme tariffarie e fiscali) con la conseguente proliferazione del numero di famiglie fittizie (spesso unipersonali). Ciò premesso, nelle avvertenze diffuse in occasione del censimento del 1991 dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) – l’istituzione ufficialmente incaricata di svolgere la rilevazione censuaria – si precisa che: Ai fini del Censimento, per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincolo di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune (anche se non sono ancora iscritte nell’Anagrafe della popolazione del Comune medesimo). Una famiglia può essere costituita anche da una sola persona. Inoltre, la tradizionale figura del capofamiglia (che già nel 1981 era stato ridefinito come «colui ritenuto tale dalla famiglia») è stata sostituita nel 1991 con quella dell’intestatario del foglio di famiglia, soggetto che, stando alle indicazioni fornite dall’Istat: «dovrebbe coincidere, preferibilmente, con la persona a cui è intestata la scheda di famiglia in anagrafe». Le stesse avvertenze chiariscono infine che: il personale di servizio della famiglia (domestici, collaboratori familiari, ecc.) che dimori abitualmente nell’abitazione costituisce famiglia a sé stante sempreché tra i componenti la famiglia e il personale suddetto non vi siano legami di alcun tipo fra quelli compresi nella definizione già citata. Per quanto riguarda poi il concetto di convivenza ai fini del censimento, concetto che è ben diverso da quello ricorrente nel linguaggio comune (con cui si identificano le coppie non sposate), le suddette avvertenze segnalano che: Ai fini del Censimento si intende per convivenza un insieme di persone che, senza essere legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità e simili, conducono vita in comune per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili. Le persone addette alla convivenza per ragioni di lavoro, se vi convivono abitualmente, sono considerate membri permanenti della convivenza purché non costituiscano famiglia a sé stante. I principali tipi di convivenza possono essere così distinti: istituti di istruzione; istituti assistenziali; istituti di cura pubblici e privati; istituti di prevenzione e di pena; conventi, case ed istituti ecclesiastici e religiosi; caserme ed analoghe sedi; alberghi, pensioni, locande e simili, navi mercantili.
L’oggetto dei censimenti ll censimento ha, come si è detto, un duplice obiettivo: misurare la consistenza numerica della popolazione e delinearne la struttura rispetto ad alcuni caratteri giudicati qualificanti o meritevoli di particolare attenzione.14 A proposito del primo di tali obiettivi, occorre richiamare l’attenzione sul fatto che l’ammontare della popolazione oggetto di censimento può determinarsi in base a due diversi punti di vista: quello che considera la popolazione residente e quello che fa riferimento alla popolazione presente.
Il primo identifica la popolazione legate, cioè quella cui la legge riconosce valore giuridico per l’applicazione di alcune disposizioni normative (ad esempio, la disposizione relativa al numero di rappresentanti al Parlamento) e che è costituita dal complesso delle persone che hanno dimora abituale nel territorio sottoposto a rilevazione. Il secondo identifica la popolazione di fatto, ossia tutte le persone censite come presenti sul territorio al momento della rilevazione. La distinzione fra popolazione residente e popolazione presente non è affatto trascurabile; i due insiemi non solo rispondono a concetti diversi, ma possono differire numericamente in misura notevole per effetto degli spostamenti territoriali. Ne consegue che l’analisi della popolazione presente può portare a risultati anche assai diversi da quelli conseguibili rispetto alla popolazione residente. Per quanto riguarda il secondo obiettivo di cui si è detto – descrivere la struttura della popolazione – la rilevazione censuaria provvede a raccogliere un ampio ventaglio di informazioni relative ad ogni singolo individuo, ventaglio che, nel corso del tempo, è andato affinandosi quasi ovunque. Ad esempio, mentre il primo censimento italiano, quello del 1861, ha rilevato solo sesso, età, relazione di parentela col capofamiglia, alfabetismo, luogo di nascita e di dimora, lingua, religione e infermità, nei censimenti successivi il numero dei caratteri rilevati aumentato ed alcune richieste di informazioni, reperibili presso altre fonti, sono state o eliminate o modificate ovvero sostituite con nuove. In particolare, il censimento del 1991 (del cui foglio di famiglia si riporta un fac-simile in Appendice) ha preso in esame per ogni soggetto i seguenti caratteri: relazione di parentela con l’intestatario del foglio di famiglia (o posizione nella convivenza), sesso, luogo e data di nascita, stato civile ed eventuale data del matrimonio, cittadinanza, istruzione, condizione professionale o non professionale (casalinga, studente, ecc.), luogo di presenza alla data del censimento (20 ottobre 1991), luogo di residenza e condizione professionale cinque anni prima di tale data (ottobre 1986), luogo di lavoro o di studio con l’indicazione dei mezzi e dei tempi necessari per raggiungerlo. L’impiego del foglio di famiglia (o di convivenza) ha inoltre consentito di integrare la serie dei dati individuali, associando ad essi notizie sulla composizione della famiglia (o della convivenza) e sulle caratteristiche dell’abitazione cui faceva capo ogni soggetto censito. Infine, per la prima volta nella storia dei censimenti italiani, nel 1991 si è affiancato al foglio di famiglia o di convivenza un questionario, redatto in più lingue, allo scopo di censire la popolazione straniera 15non residente: il Foglio individuale per stranieri non residenti in Italia. Tale questionario ha rilevato per ogni straniero temporaneamente presente i seguenti caratteri: condizione abitativa ed eventuale posizione nella convivenza, sesso e data di nascita, stato civile, cittadinanza, durata della presenza in Italia, grado di istruzione, motivo della presenza in Italia, eventuale presenza di altri parenti, situazione lavorativa.
Valutazione e impiego dei dati di censimento Il complesso dei dati censuari rappresenta una preziosa miniera di informazioni la cui finalizzazione naturale consiste nel mettere in risalto l’immagine (statica) della popolazione, con tutti i dettagli che possono ottenersi mediante la considerazione congiunta dei diversi caratteri presi in esame, ma che, se sfruttata opportunamente, consente di pervenire anche ad altri risultati di indubbio interesse. Ad esempio, si pensi alla possibilità di stimare la consistenza annua delle nascite avvenute in una data area, per alcuni decenni e sino all’anno di censimento, mediante la conoscenza della distribuzione per età (meglio se per anno di nascita) dei censiti e attraverso l’impiego di appropriati correttivi che tengano conto della mortalità e della mobilità territoriale dei diversi contingenti annui di nati. Inoltre, qualora si riesca a mettere in relazione l’età dei bambini censiti nell’ambito di ciascuna famiglia con quella dei rispettivi genitori, sussiste anche la possibilità di specificare le suddette nascite (almeno per gli anni più vicini al censimento) rispetto all’età della madre e/o del padre all’atto dell’evento. Ulteriori conoscenze sulla dinamica della popolazione, a partire dai dati censuari, possono anche realizzarsi considerando il legame fra luogo di nascita e di residenza di ogni singolo censito oppure, se il modello di rilevazione contiene le necessarie informazioni, attraverso il confronto fra la residenza e/o la condizione professionale alla data del censimento e in un’epoca precedente (cinque anni prima, nel caso del modello italiano adottato nel 1991). Ma questi non sono che alcuni degli innumerevoli sviluppi cui può condurre un’accurata analisi delle risultanze censuarie. Per intuire pienamente le opportunità di una loro più ampia valorizzazione occorre avere sempre presente che la struttura della popolazione, anche se osservata in un dato istante, porta i segni della storia (demografica e non) che ha caratterizzato la popolazione stessa nei tempi precedenti. La fotografia scattata in occasione del censimento, se osservata con attenzione, consente di ricostruire i momenti salienti di tale storia ed offre la possibilità di misurare le manifestazioni dei fenomeni più rilevanti che l’hanno interessata. Ogni giudizio sull’importanza e la valorizzazione dei dati di censimento non può comunque prescindere da valutazioni sul loro grado 16di affidabilità. A tale proposito è certamente confortante prendere atto che l’organizzazione che cura la rilevazione censuaria compie, almeno in Italia, numerosi controlli, sia con riferimento alla fase di rilevazione, sia nel corso delle successive procedure di spoglio dei questionari e di classificazione dei dati in essi contenuti. Anche nel 1991 i risultati di tali controlli sono apparsi soddisfacenti, sia sotto il profilo della copertura della popolazione interessata, sia sul piano della qualità dei dati raccolti. D’altra parte, la complessità delle operazioni di censimento induce a ritenere illusoria la pretesa di risultati del tutto esenti da errori. Ciò che è verosimile attendersi è che gli errori siano contenuti e tali da non provocare gravi distorsioni nella descrizione della realtà.
2.3. Rilevazioni di movimento della popolazione: stato civile e anagrafe Si è già anticipato come per l’acquisizione dei dati relativi al movimento della popolazione si richieda una stabile organizzazione statistico-amministrativa, decentrata ed efficiente. Nei paesi dove ciò accade, la rilevazione, coordinata dagli organismi statistici centrali, è effettuata dai servizi
di stato civile di ogni singolo comune, presso il quale si provvede alla compilazione di un’apposita scheda per ogni nascita, morte o matrimonio avvenuti nel territorio del comune stesso. In Italia tali rilevazioni sono obbligatorie e hanno carattere di continuità, e la scheda viene compilata dall’ufficiale di stato civile all’atto della celebrazione del matrimonio o in occasione della denuncia della nascita o della morte. Allorquando esiste, come nel nostro paese, una organizzazione statistico-amministrativa più avanzata, lo stato civile è affiancato da uno strumento di rilevazione – il registro della popolazione o anagrafe – che, almeno in teoria, può offrire informazioni sia sullo stato della popolazione, sia sul suo movimento. L’anagrafe riporta le principali caratteristiche della popolazione residente in ciascun comune italiano e viene continuamente aggiornata mediante l’iscrizione dei nati (da genitori residenti) o di coloro che immigrano (trasferendo la loro residenza nel comune) e mediante la cancellazione dei morti (che erano residenti nel comune) e di coloro che emigrano. Va comunque osservato che, relativamente alla rilevazione delle nascite e delle morti, non vanno confusi i dati dello stato civile con quelli dell’anagrafe; mentre i primi segnalano gli eventi avvenuti nel comune (indipendentemente dalla residenza del soggetto interessato), i secondi riguardano solo gli eventi (ovunque occorsi) relativi a soggetti che hanno o hanno avuto, la loro residenza nel comune. In termini più sintetici: i dati di stato civile si riferiscono alla popolazione presente, quelli anagrafici alla popolazione residente.
CAPITOLO 1. DIMENSIONE E STRUTTURA DELLA POPOLAZIONE PARAGRAFO 1 – Determinazione dell’ammontare della popolazione Fra i numerosi elementi che caratterizzano la popolazione, il dato relativo alla sua consistenza numerica è certamente uno dei più significativi. La conoscenza di quanti sono gli abitanti di un dato territorio o, più in generale, di quante unità formano il collettivo demografico oggetto di esame costituisce una delle informazioni di base da cui prendere avvio per descriverlo o per analizzarne l’evoluzione. A tale conoscenza si può giungere mediante procedure diverse, la cui scelta dipende sia dalle fonti disponibili, sia dal riferimento temporale che si desidera. Si è già avuto modo di osservare come il censimento costituisca l’occasione tipica per la conoscenza dell’ammontare della popolazione e si è concordi nel ritenere che il dato di censimento, pur senza garantire l’assoluta precisione, offra la stima più verosimile e rappresenti un termine di riferimento obbligato. Tuttavia, possono verificarsi casi in cui la fonte censuaria non sia stata attivata o abbia fornito risultati scarsamente attendibili. È quanto vale relativamente alle aree considerate oggi sviluppate allorché si faccia riferimento alle loro popolazioni nei secoli scorsi ed è quanto accade, ancor oggi, per alcuni paesi del terzo mondo. In tali circostanze, l’ammontare della popolazione può essere valutato mediante stime basate su elementi indiretti oppure adottando procedure che permettono di colmare le lacune nei dati e di correggere quelli giudicati poco affidabili. A tale proposito, sono state messe a punto alcune metodologie sia per la raccolta dei dati di stato e di movimento in territori ove manca una struttura statistico-amministrativa, sia per l’utilizzazione di informazioni incomplete o parzialmente attendibili. Anche quando si è in presenza di rilevazioni censuarie frequenti e accurate, il problema relativo alla determinazione della consistenza numerica della popolazione non è ancora perfettamente risolto. Infatti, si pone spesso l’esigenza di disporre di tale ammontare anche relativamente al periodo intercensuario. In tal caso, il dato dell’ultimo censimento costituisce un importante punto di riferimento che va tuttavia aggiornato mediante la contabilizzazione dei movimenti della popolazione (nascite, morti, migrazioni) via via verificatisi nel corso degli anni successivi. In particolare, se P(t) e P(t + n) sono, rispettivamente, l’ammontare della popolazione all’atto del censimento (istante t) e dopo un certo periodo (istante t + n ), e se: N(t, t + n) , M (t, t + n) , I (t, t + n) , E (t, t + n ) identificano, a loro volta, il numero dei nati, dei morti, degli immigrati e degli emigrati che si sono osservati nel corso dell’intervallo temporale (t, t + n) , la relazione attraverso la quale si procede all’aggiornamento del dato censuario è la seguente: [1.1] P(t + n) = P(t) + N(t, t + n) – M(t, t + n) + + I(t, t + n) – E(t, t + n).
Tale relazione è nota come equazione della popolazione e la sua possibilità di impiego, così come l’accuratezza dei risultati che ne derivano, dipendono dalla disponibilità e dall’affidabilità dei dati relativi agli elementi che in essa figurano a secondo membro. Si osserva in proposito che tali dati sono in genere facilmente disponibili (in Italia anche a livello di singolo comune) ma non risultano del tutto esenti da errori; ciò vale, in particolare, per i dati relativi al movimento migratorio. Infatti, può accadere che, adottando la suddetta equazione, si pervenga, a seguito di imprecisioni nelle componenti del movimento della popolazione, ad una stima distorta della consistenza della medesima; e che tale distorsione possa essere tanto più forte quanto più ci si allontana dall’istante t, ossia dalla data del censimento che è servito come termine di riferimento. Una verifica in tal senso è comunque attuabile solo in occasione del censimento successivo, ed in tale circostanza, essendo noto l’ammontare «esatto» della popolazione, si è soliti rettificare i dati relativi al movimento intercensuario al fine di renderli coerenti con le nuove risultanze censuarie (cfr. esempio 1.1).
Esempio 1.1. Calcolo della popolazione residente Determinazione dell’ammontare della popolazione residente nel comune di Milano al 20.10.1991 a partire dal dato di censimento 25.10.1981 impiegando i dati del movimento anagrafico nel periodo 25.10.1981 - 19.10.1991.
Il censimento del 20.10.1991 ha «contato» 1369231 residenti, vale a dire 49498 unità in meno rispetto a quanto ottenuto con la procedura di calcolo che ha impiegato i dati del movimento anagrafico. Se durante l’intervallo intercensuario il comune non ha subito modifiche territoriali tali da dar luogo a variazioni di popolazione (ed è quanto accaduto nel caso di Milano) e se si trascurano gli eventuali errori dovuti ad omissioni o duplicazioni nei dati di censimento, la differenza riscontrata rappresenta il saldo intercensuario degli errori e dei ritardi nelle registrazioni anagrafiche cumulatisi nel periodo. Poichè si ritiene che vi siano minori possibilità di errori e ritardi nelle registrazioni riguardanti il movimento naturale (nascite e morti), si è soliti ritenere esatti tali risultati e attribuire la differenza riscontrata ad errori nel saldo migratorio (immigrazioni meno emigrazioni) relativo all’intero periodo intercensuario. Con tali premesse, si può procedere al ricalcolo del saldo migratorio (SM) e, nel caso dell’esempio in questione, si ottiene: SM (25.10.1981, 20.10.1991) = = P(20.10.1991) – P(25.10.1981) + M(25.10.1981, 19.10.1991) – N(25.10.1981, 19.10.1991) = = 1369231 – 1604773 + 157558 – 102029 = – 180013
Tale risultato rappresenta comunque solo una stima del saldo migratorio e non permette valutazioni circa la consistenza dei flussi di immigrazione e di emigrazione che lo hanno determinato.
PARAGRAFO 2 - INCREMENTO Allorché si conosce l’ammontare di una popolazione in corrispondenza di due date successive, è possibile determinare la variazione (incremento o decremento) che essa ha subito nell’intervallo di tempo racchiuso tra le date medesime. La misura di tale variazione può effettuarsi con vari metodi la cui scelta è in funzione degli obiettivi che si intendono raggiungere. Ad esempio, ci si può semplicemente chiedere: «di quante unità si è accresciuta una data popolazione», oppure: «come è variata, nel tempo, l’intensità del suo incremento», o ancora: «in che misura la crescita demografica della stessa è stata superiore, uguale o inferiore, a quella di altre». Per rispondere alla prima di tali domande è sufficiente determinare l’incremento (o decremento) assoluto: [1.2] Ia = P(t + n) – P(t), dove P(t) e P(t + n) identificano, rispettivamente, l’ammontare della popolazione all’inizio e alla fine dell’intervallo temporale (t, t + n) . Se, invece, ci si propone di valutare e di confrontare l’intensità della variazione subita dalla popolazione nel corso di successivi intervalli temporali, spesso di ampiezza non uniforme, è opportuno fare riferimento all’incremento (o decremento) medio per unità di tempo: [1.3]
essendo n il numero dei periodi, generalmente anni, in cui è articolato l’intervallo (t, t + n) . Infine, se ci si vuole spingere al confronto fra la variazione di una popolazione e quella di altre, spesso assai diverse sotto il profilo della consistenza numerica, occorre avvalersi di un indicatore che sia sensibile all’intensità della variazione, ma, a differenza dei due precedenti, sia anche indipendente dall’ammontare delle popolazioni che si considerano. A tale proposito è opportuno ricorrere non ad una misura assoluta, bensì ad un tasso di incremento; vale a dire, un indicatore ottenuto dal rapporto tra l’intensità della variazione media annua, in un dato intervallo temporale, e l’ammontare di individui che, nello stesso intervallo, hanno contribuito a determinarla. Le alternative per il calcolo di un tale tasso sono diverse e implicano la formulazione di alcune ipotesi sulle leggi di evoluzione della popolazione. Un primo tipo di approccio ha come premessa la risposta alla seguente domanda: «posto che vi siano P(t) soggetti nella popolazione all’istante t e che essi (e solo essi) abbiano prodotto in n anni una variazione di Ia unità, Ia = P(t + n) – P(t) , quale è stato, nel corso dell’intervallo (t, t + n) , il contributo medio annuo r alla crescita demografica attribuibile ad ognuno dei P(t) individui inizialmente presenti?».
La risposta a quanto sopra è fornita dalla formula: [1.4]
Il valore r fornito dalla [1.4] è noto come tasso di incremento aritmetico ove il significato del termine aritmetico risiede nel fatto che tale valore è equivalente alla media aritmetica degli n tassi annui:
registrati nell’intervallo temporale (t, t + n) [1.5]
Il risultato cui ora si è giunti ha come presupposto che, qualunque sia n, il contributo alla variazione demografica venga sempre fornito, con un’intensità media unitaria pari a r, solo dai P(t) soggetti presenti all’istante iniziale t. In altri termini, ci si basa su un modello di crescita della popolazione che è lineare (proporzionale) rispetto al tempo:
[1.6] P(t + n) = P(t) + rnP(t), ma che, tuttavia, può risultare poco adeguato. Infatti, in taluni casi può sembrare più adeguato alla realtà supporre che i soggetti via via entrati a far parte della popolazione contribuiscano anch’essi alla variazione demografica negli anni successivi al loro ingresso e che, in generale, la variazione della popolazione nel corso di un dato anno sia determinata dall’effettivo ammontare della popolazione inizialmente presente nel corso dell’anno stesso. Con tale variante, se:
sono gli n tassi annui relativi all’intervallo (t, t + n) , sussistono le relazioni:
e quindi: [1.7]
Ciò premesso, per la ricerca di un tasso medio annuo di accrescimento nell’intervallo (t, t + n) si è soliti scegliere il valore r’, che, sostituito a ciascuno degli n tassi annui, assicura l’uguaglianza: [1.8]
da cui si ricava che: [1.9]
Poiché dalla [1.8] emerge che (1 + r’) può intendersi come media geometrica dei fattori di incremento: quanto (1 + r’) =
,
, . . .,
, in
il tasso r’ fornito dalla [1.9] prende il nome di tasso di incremento geometrico. Esso noto anche come tasso di incremento medio annuo composto in quanto la [1.9] ipotizza un modello di sviluppo della
popolazione in funzione del tempo che è identico a quello di un capitale investito ad un tasso di interesse r’ in regime di capitalizzazione composta ove, come è noto, l’interesse si aggiunge al capitale alla fine di ogni periodo e contribuisce a sua volta a fruttare interesse nel corso del periodo successivo. In linea con tale approccio può tuttavia sembrare ancora più verosimile assimilare lo sviluppo della popolazione a quello della crescita di un capitale in regime di capitalizzazione continua ad un tasso di interesse (tasso di incremento) r”. In tal caso il modello di sviluppo diventa: [1.10] P(t + n) = P(t) er”n, essendo e = 2,71828 la base dei logaritmi neperiani. Ciò equivale a supporre che l’ammontare della popolazione (e quindi il potenziale di coloro che contribuiscono alla variazione demografica del collettivo in oggetto) venga continuamente aggiornato, istante per istante; in tal caso il tasso di incremento r”, chiamato tasso di incremento continuo, si può calcolare nel seguente modo: [1.11]
ovvero applicando il logaritmo alla [1.10] e ricavando, quindi, r”.
Esempio 1.2. Misure dell’incremento demografico Si supponga di voler misurare l’incremento della popolazione italiana e di quella ligure dal 1951 al 1994 potendo disporre dell’ammontare dei residenti alle date sottoindicate (valori in migliaia di unità):
a) Incremento assoluto:
b) Incremento medio annuo:
Si ricorda che n identifica l’intervallo di tempo (anni e frazione di anno) compreso tra le due date che si considerano; ad esempio, dal 25.10.1981 al 31.12.1994 si contano 13 anni e 67 giorni, il che equivale a n = 13 + (67/365) = 13,18 anni . c) Tasso di incremento aritmetico:
Si osserva in proposito che l’intensità dell’accrescimento di una popolazione può essere valutata con maggior chiarezza se il valore del tasso di incremento r viene convertito in «tempo di raddoppio», vale a dire in: «numero di anni necessari affinché una popolazione che si sviluppa ad un dato tasso r, seguendo il modello di crescita lineare che ne è il presupposto, raddoppi la propria consistenza numerica». Posto P(t + n) = 2P(t) , la suddetta conversione si realizza ricavando n dalla relazione: 2P(t) = P(t) (1 + rn)
ovvero: 2 = 1 + rn
da cui:
In corrispondenza dei valori di r ottenuti per le due popolazioni qui considerate valgono i seguenti tempi di raddoppio (n):
Relativamente all’intervallo (1981, 1994), essendo la popolazione ligure caratterizzata da un incremento negativo si potrà calcolare, invece del tempo di raddoppio, il tempo necessario affinché essa, in base al tasso osservato, si dimezzi. In tal caso si avrà:
da cui:
pertanto:
d) Tasso di incremento geometrico:
I corrispondenti tempi di raddoppio, legati al modello di svi-luppo geometrico ed ai tassi sopra riportati, si ottengono impie-gando la formula:
in particolare si ha:
e) Tasso di incremento continuo:
Il tempo di raddoppio per il modello di sviluppo continuo si ottiene con l’espressione:
e sussistendo la relazione: r” = loge (1 + r’), i valori n” che si ricavano coincidono con quelli ottenuti mediante n’.
PARAGRAFO 3 - STRUTTURA
Struttura Accanto all’esigenza di determinare e di seguire nel tempo la consistenza numerica di una popolazione si colloca, con altrettanta importanza pratica, la necessità di individuare, descrivere ed analizzare le sue caratteristiche strutturali. Ad esempio, così come è utile disporre dell’ammontare della popolazione italiana relativo ad una o più date successive, è altrettanto rilevante conoscere la sua composizione per sesso e per età, la sua distribuzione secondo lo stato civile, la condizione professionale, il grado di istruzione e altre importanti caratteristiche di tipo biologico, sociale, economico e così via. D’altra parte, la struttura di una popolazione e la sua dinamica sono aspetti che s’influenzano reciprocamente: i mutamenti strutturali comportano modificazioni nei flussi di entrata (nascite e immigrazioni) e/o di uscita (morti ed emigrazioni) e, conseguentemente, nei ritmi di accrescimento nella popolazione; a loro volta, le variazioni nell’intensità di detti flussi danno luogo a trasformazioni di tipo strutturale.
PARAGRAFO 3.1 – LA STRUTTURA PER ETA’ La distribuzione per età rappresenta il dato più significativo nell’ambito delle caratteristiche strutturali di una popolazione. Si tratta di un elemento la cui conoscenza consente non solo di comprendere e approfondire numerosi aspetti dell’evoluzione demografica, passata e futura, ma anche di valutare e, talvolta, di anticipare alcune problematiche di natura economica e sociale. In particolare, la struttura per età della popolazione condiziona sia la frequenza dei decessi, che a parità di rischio di morte alle diverse età risulta tanto più alta quanto più la popolazione è anziana, sia l’ammontare delle nascite, generalmente crescente al crescere della presenza di coppie giovani. Al tempo stesso, lo stretto legame fra età biologica (o anagrafica) ed età sociale consente di identificare, nei soggetti in età compresa entro prefissati limiti, alcune importanti categorie socioeconomiche, ad esempio, gli studenti, la forza lavoro, i pensionati. La classificazione per età della popolazione, le cui informazioni di base sono usualmente disponibili solo in occasione del censimento (anche se non mancano esempi di stime per gli anni intermedi e di aggiornamenti realizzati attraverso l’impiego dei dati di movimento e/o la valorizzazione del contenuto informativo delle anagrafi o di altri archivi statistici e amministrativi), pone alcuni problemi di natura definitoria. L’età, infatti, è una variabile continua ma, in fase di rilevazione e di classificazione, le sue manifestazioni vengono generalmente raggruppate in intervalli mediante l’adozione di opportune convenzioni. In proposito, l’età può essere valutata secondo i due seguenti criteri: a) età in anni compiuti; b) età in anni iniziati.
Se la classificazione dell’età viene realizzata per intervalli annui (se ne intuisce la generalizzazione ad intervalli di diversa ampiezza), risulta che: – con il criterio dell’età in anni compiuti si indica con x l’intervallo fra l’x-esimo e l’x + 1-esimo compleanno e la successione degli intervalli risulta del tipo: 0, 1, 2, …, ω – 1 (essendo ω l’età limite che non viene raggiunta da alcun individuo) e diventa, ad esempio: 0-4, 5-9, 10-14, …, nel caso di intervalli quinquennali;32 – con il criterio dell’età in anni iniziati, i soggetti vengono distintamente classificati in relazione al fatto di trovarsi nel primo anno di vita, nel secondo, nel terzo, ecc. e gli intervalli assumono la struttura: 1°, 2°, 3°, …, ω °,(1°-5°, 6°-10°, 11°-15°, … nel caso di intervalli quinquennali). Va precisato che il criterio dell’età in anni compiuti è quello nella pratica più frequentemente adottato e nelle pagine che seguono, salvo diversa indicazione, si farà sempre riferimento ad esso.
La piramide delle età La distribuzione per età della popolazione, relativamente ad una stessa data ma distintamente per i due sessi, viene spesso visualizzata mediante una rappresentazione grafica per istogrammi in cui i rettangoli, anziché essere affiancati, risultano fra loro sovrapposti. Tale rappresentazione prende il nome di piramide delle età in quanto, se nella composizione per età non vi sono alterazioni patologiche, i contingenti nelle varie classi risultano via via più ridotti e, di conseguenza, essa assume, sia pure approssimativamente, la forma triangolare tipica della faccia di una piramide. Tuttavia tale forma non è ricorrente nelle popolazioni attuali, soprattutto nelle popolazioni dei paesi più sviluppati. Molteplici fattori hanno infatti contribuito ad alterare la regolarità nella distribuzione per età delle popolazioni, primi fra tutti le brusche oscillazioni nella frequenza annua delle nascite (a seguito di eventi bellici o di improvvisi mutamenti nel comportamento riproduttivo), le modifiche nella struttura del rischio di morte per età e la presenza di consistenti apporti o depauperamenti che hanno interessato alcune classi di età a seguito di massicci movimenti migratori. Le anomalie nella forma della piramide delle età sono, comunque, estremamente indicative: esse localizzano le divergenze rispetto alla struttura regolare e inducono alla ricerca delle cause che le hanno determinate. L’analisi della piramide delle età consente non solo una diagnosi demografica della popolazione, ma aiuta anche a comprendere la sua storia e a suggerire verosimili ipotesi sul suo comportamento futuro.
Indicatori sintetici della struttura per età Benché già con la rappresentazione grafica della composizione per età della popolazione si rendano possibili i confronti nel tempo e nello spazio, vi sono circostanze in cui è più opportuno fare ricorso ad alcuni indicatori sintetici, anche al fine di mettere in evidenza taluni fenomeni che sono connessi con la struttura per età. Nell’ambito di tali indicatori si segnalano, qui di seguito, i più importanti sotto il profilo operativo.
L’età media: . L’età media di una popolazione risulta dalla media aritmetica delle età relative a tutti gli individui che la compongono. Rinviando a quanto contenuto nell’esempio 1.4 per l’esame dei problemi pratici e delle varianti che intervengono nel suo calcolo (in relazione al fatto che la distribuzione per età sia per intervalli annui o pluriennali e sia stata costruita con il criterio degli anni compiuti o degli anni iniziati), è comunque opportuno osservare che l’età media non è generalmente ritenuta un buon indice per valutare sinteticamente il grado di invecchiamento di una popolazione, se questo viene inteso come intensità del peso relativo (percentuale) dei soggetti nelle classi di età più anziane. Infatti, come è facile immaginare, la stessa età media può ottenersi in corrispondenza di distribuzioni tra loro anche molto dissimili e, al fine di giudicare correttamente quanto una popolazione sia più giovane o più vecchia rispetto ad un’altra, si deve tenere adeguatamente conto di come le tre grandi componenti (i giovani, gli adulti e gli anziani) sono diversamente rappresentate. L’indice di vecchiaia Iv. Si tratta di un indicatore sintetico che, assai meglio dell’età media, consente di mettere in evidenza il livello di invecchiamento raggiunto dalla popolazione. Esso si determina moltiplicando per 100 il rapporto fra l’ammontare dei soggetti nelle fasce di età anziana, convenzionalmente identificati con i soggetti in età 65 e + (o 60 e + ), ed il numero degli individui nelle età giovanili (0-14 anni), vale a dire:
oppure:
Talvolta, anziché considerare al denominatore del rapporto il sottoinsieme di soggetti giovani si fa riferimento alla popolazione nel suo complesso; in tal caso i corrispondenti indici di vecchiaia:
e:
si identificano con i rapporti di composizione (o quote percentuali) relativi alla classe di età 65 (o 60) e oltre. È del tutto evidente che quanto più alto è il valore numerico dei predetti indicatori tanto più elevato è il livello di invecchiamento della popolazione, anche se dev’essere sempre tenuta presente la natura convenzionale dei limiti di età che definiscono gli aggregati della popolazione anziana e di quella giovane. Infatti tali limiti andrebbero adeguati alle diverse realtà sociali ed aggiornati nel tempo, per tenere conto dei progressi nel campo della sopravvivenza e delle variazioni delle soglie anagrafiche che caratterizzano le diverse fasi della vita. L’indice di dipendenza o di carico sociale Id. Al fine di misurare il livello del carico sociale si è soliti impiegare un indicatore espresso dal prodotto di 100 per il rapporto tra l’ammontare della popolazione al di fuori del limite di età attiva (definita, quest’ultima, convenzionalmente, come l’età tra il 15-esimo ed il 65-esimo compleanno) e l’ammontare della popolazione che appartiene a tale fascia di età, cioè:
Non mancano, tuttavia, proposte alternative a tale indice, sia per quanto riguarda i limiti di età da considerare, sia a proposito della sua eventuale scissione in due rapporti riferiti a ciascun segmento di popolazione a carico: i giovani e gli anziani; rapporti, cioè, del tipo seguente:
e:
Mentre il rapporto Id misura la dipendenza totale, il rapporto Ida risulta particolarmente adatto a quantificare il rapporto prestazioni-contributi che caratterizza il sistema di soliarietà tra le generazioni. Inoltre, mediante medie di Idg e Ida opportunamente ponderate, si possono determinare misure del carico sociale capaci di tenere conto della diversa natura (e del costo medio) dei servizi che i due segmenti di popolazione, giovane e anziana, ricevono dalla collettività. L’indice di ricambio della popolazione in età lavorativa Ir. Col proposito di misurare, in un dato intervallo, l’intensità del potenziale ricambio della popolazione in età lavorativa, viene suggerito un indice costituito dal prodotto di 100 per il rapporto tra l’ammontare di coloro che per raggiunti limiti di età sono destinati ad uscire da tale aggregato e quello di coloro che, una volta completato il processo di formazione scolastico-professionale, sono in procinto di entrarvi. Se l’intervallo assunto è quello quinquennale si ha:
che ha significato sotto l’ipotesi che, in assenza di mortalità e di migrazioni, coloro che entreranno a far parte della popolazione in età lavorativa nel corso di un quinquennio, o che ne usciranno, provengano tutti dalla popolazione che si trova in età 15-19 (anni compiuti) e 60-64, rispettivamente, all’inizio del quinquennio; due contingenti, questi, naturalmente destinati a transitare nelle classi d’età 20-24 e 65-69. Va ancora osservato che, se riferito al sesso maschile, il suddetto indice esprime con buona approssimazione la misura del ricambio di quella che viene definita forza lavoro, sussistendo, infatti, una notevole corrispondenza fra questa e la popolazione in età lavorativa. Resta altresì inteso che tale indicatore può agevolmente adattarsi, con appropriata ridefinizione delle classi d’età interessate, ai diversi contesti (normativi e socioculturali) in cui le soglie di ingresso e di uscita dall’età lavorativa siano diverse da quelle adottate nella formulazione qui proposta (rispettivamente, il 20-esimo e il 65-esimo compleanno e con eventuali diversificazioni tra maschi e femmine).
3.2. La struttura per sesso Oltre alla composizione per età, un elemento che merita attenzione nell’analisi delle caratteristiche strutturali di una popolazione è la composizione per sesso, in quanto essa condiziona sia le manifestazioni di alcuni importanti fenomeni demografici (nascite e matrimoni), sia alcuni fondamentali aspetti della vita economica e sociale.
Si pue ritenere che la composizione per sesso della popolazione sia determinata dall’azione congiunta di numerosi fattori, tra i quali: •
•
•
la frequenza delle nascite, la cui struttura per sesso, mantenendosi relativamente stabile attorno a 104-106 nati maschi per ogni 100 femmine (al punto da far ritenere tale dato una costante biologica), privilegia la componente maschile (cfr. esempio 1.6); il comportamento differenziale della mortalità tra i due sessi alle diverse età, che tende a favorire le femmine assoggettandole a livelli di eliminazione per morte più bassi rispetto a quelli dei coetanei maschi; il diverso comportamento tra i sessi nei riguardi della propensione a migrare, che risulta generalmente più accentuata per la popolazione maschile.
Una misura sintetica della composizione per sesso di una popolazione è offerta dal rapporto di mascolinità:
o, in alternativa, dal rapporto di composizione rispetto al sesso:
dove Pm e Pf sono, rispettivamente, il numero di maschi e di femmine presenti nella popolazione. Entrambi i suddetti indicatori sono distintamente calcolabili in corrispondenza delle diverse età e mostrano valori superiori a 100 e rispettivamente a 50, secondo che la popolazione totale (o il sottoinsieme che si considera) risultino caratterizzati da un eccesso della componente maschile.
3.3. La struttura per stato civile Anche la composizione della popolazione secondo lo stato civile si dimostra interessante sotto il profilo demografico: le nascite, infatti, 42provengono prevalentemente da individui coniugati, il rischio di morte varia al mutare dello stato civile, gli spostamenti di popolazione sono in genere più frequenti tra i celibi. Per i confronti nel tempo e nello spazio si procede di solito al calcolo di rapporti di composizione (percentuali) separatamente per ciascun sesso, tra l’ammontare dei soggetti di un dato stato civile e l’ammontare della popolazione. Va comunque precisato che i confronti fra popolazioni diverse risultano più espressivi se i rapporti di cui si è detto vengono istituiti con riferimento non al complesso della popolazione, bensì al
sottoinsieme di individui che hanno già raggiunto l’età minima per contrarre matrimonio; meglio ancora, se essi vengono costruiti per distinte età o classi di età.
3.4. Altre caratteristiche strutturali Al di là dei caratteri di cui si è detto, vi sono numerosi altri aspetti strutturali di una popolazione che formano oggetto di descrizione e di analisi. Si va dagli aspetti più tradizionali riguardanti l’istruzione (titolo di studio, anni di frequenza scolastica, alfabetizzanone) e l’area del lavoro (attività, condizione lavorativa o non lavorativa), ad altri, come l’etnia o la cittadinanza, che solo recentemente hanno assunto rilievo nella realtà italiana. Anche in questi casi, per esprimere l’intensità con cui si manifestano le diverse modalità di ogni carattere e per realizzare i necessari confronti nel tempo e nello spazio si fa solitamente ricorso al calcolo di appropriati rapporti. È quanto accade, ad esempio, per il tasso di attività, inteso come rapporto tra il totale di soggetti economicamente attivi (occupati, disoccupati e persone in cerca di prima occupazione) e l’ammontare di popolazione in età attiva (convenzionalmente 15-64 anni); per la percentuale di laureati, calcolata rispetto al totale della popolazione; per la quota di presenza straniera extracomunitaria, espressa in percentuale con riferimento al totale della popolazione italiana iscritta in anagrafe o, più in generale, rispetto al complesso dei residenti (italiani e non).
Capitolo 2 - Componenti che determinano l’evoluzione di una popolazione 1. I fenomeni di movimento della popolazione: ruolo, importanza, problemi di misurazione e di confronto Nel corso delle pagine precedenti in più di una occasione si è avuto modo di osservare lo stretto legame tra la consistenza numerica e la struttura di una popolazione, da un lato, e le diverse componenti della dinamica demografica (nascite, morti, migrazioni), dall’altro. L’intensità con la quale tali componenti agiscono consente, non solo di valutare le variazioni quantitative di una popolazione, attribuibili all’azione congiunta del saldo naturale (nascite meno morti) e del saldo migratorio (immigrazioni meno emigrazioni), ma, come mostra l’esempio 2.1, costituisce anche un termine di riferimento per interpretare alcune sue significative trasformazioni di natura strutturale. Con tali premesse si comprende facilmente l’importanza che assumono la descrizione e l’analisi dei fenomeni di movimento della popolazione, e trova giustificazione l’esigenza di predisporre opportuni strumenti che consentano di seguire l’evoluzione di tali fenomeni e di facilitarne il confronto nel tempo e nello spazio.
Esempio 2.1. Qualche osservazione sulle relazioni tra dinamica e struttura di una popolazione Si consideri il processo di formazione e il successivo sviluppo di una popolazione, del tutto immaginaria, caratterizzata dai seguenti elementi: a) al 1° gennaio di ogni anno nascono 10600 individui di sesso maschile e 10000 di sesso femminile (rapporto di mascolinità alla nascita: Rm = 106 ); b) non esistono movimenti migratori; c) nessun individuo raggiunge il 4° compleanno (l’età estrema (ω) è uguale a 4); d) l’eliminazione per morte tra i compleanni x e x + 1 (x = 0, 1, 2, 3 ) si manifesta in conformità alle seguenti percentuali:
vale a dire: dei 10600 soggetti di sesso maschile nati al 1° gennaio dell’anno t (compleanno 0) il 10% (1060 unità) muoiono entro il 1° compleanno; il 20% dei 9540 che raggiungono (all’1.1.t + 1) il primo compleanno muoiono entro il secondo compleanno (1908 decessi); il 50% dei 7632 soggetti che raggiungono (all’1.1.t + 2) il secondo compleanno muoiono entro il terzo (3816 decessi) e tutte le 3816 unità che raggiungono (all’1.1.t + 3) il terzo compleanno muoiono entro il quarto; analogo significato assumono le percentuali relative alla popolazione femminile.
Con tali premesse, se si suppone che la popolazione acquisti la sua consistenza con le prime 20600 nascite del 1° gennaio dell’anno t e mantenga le caratteristiche a, b, c e d immutate nel tempo, la sua distribuzione per età, determinata dalla numerosità delle generazioni di individui nati in anni successivi e sopravviventi (in età diversa) alla stessa data, si evolve nel modo seguente:
Come si vede, la popolazione in oggetto, caratterizzata da un livello di mortalità e da un ammontare annuo di nascite costanti nel tempo, diviene, dal quarto anno in poi, immutata (stazionaria) sia sotto il profilo della consistenza, sia in termini di struttura per sesso ed età. La numerosità della popolazione si attesta su 65623 unità, il rapporto di mascolinità si fissa a 92,8 maschi per ogni 100 femmine, la distribuzione per età non cambia. È anche agevole verificare che i risultati di cui sopra si possono ottenere anche senza supporre che la popolazione faccia la sua comparsa al 1° gennaio dell’anno t. Infatti, qualunque sia la sua distribuzione per sesso ed età al tempo t, l’insieme di ipotesi a, b, c e d determina il raggiungimento all’1.1.t + 4 della condizione di stazionarietà e delle caratteristiche strutturali che risultano dal precedente prospetto. Variazione delle nascite Se, a partire da un dato anno, la frequenza delle nascite dovesse modificarsi, subentrerebbero talune trasformazioni. Si supponga, ad esempio, che l’ammontare annuo di nascite si dimezzi a partire dall’anno t + 5 e che, viceversa, si mantengano fissi gli elementi indicati ai precedenti punti b, c e d. La popolazione reagirebbe nel modo seguente:
Si osserverebbe un decremento iniziale, per effetto del calo delle nascite, per poi tornare alla situazione di stazionarietà. La struttura per sesso ed età mostra nel corso della fase di transizione (tra t + 5 e t + 8 ) due fenomeni particolarmente significativi: l’accrescimento del peso relativo delle classi di età più anziane (invecchiamento demografico) e la minor presenza di popolazione maschile (femminilizzazione). Variazione della mortalità Si supponga ora che, ferme restando le nascite, i livelli di mortalità si attenuino, favorendo in modo più evidente il sesso femminile, e le percentuali di eliminazione per morte si attestino, a partire dall’anno t + 9 , sui seguenti valori:
(entro parentesi si riporta la variazione rispetto alle precedenti percentuali). Ciò comporta la seguente evoluzione:
Si ha modo di notare come la popolazione risenta del calo della mortalità attraverso un incremento del suo ammontare ed un’accentuazione del fenomeno dell’invecchiamento: la quota di soggetti in età più anziana passa dal 14,0% al 17,2%. Al tempo stesso, si accresce il peso della popolazione femminile, che era già caratterizzata da una mortalità più bassa ed è stata ulteriormente favorita dalla variazione differenziale dei livelli di mortalità. Alla luce di quanto si è visto si possono ricavare le seguenti riflessioni: a) una popolazione caratterizzata da un ammontare annuo di nascite e da un livello di mortalità costanti nel tempo raggiunge, qualunque sia la sua struttura iniziale, la condizione di stazionarietà, vale a dire: «crescita zero» e struttura per sesso ed età costanti; b) il calo delle nascite, fermi restando i livelli della mortalità, determina i fenomeni dell’invecchiamento e della femminilizzazione della popolazione; c) anche il calo della mortalità può contribuire ad accentuare la presenza di popolazione anziana e di popolazione femminile; tuttavia, ciò dipende da come la variazione interviene in corrispondenza delle diverse età e nell’ambito dei due sessi. Se si sviluppasse ulteriormente l’esempio qui considerato si potrebbe infatti osservare come, riducendo la mortalità solo nelle età più giovani e/o favorendo in misura maggiore il sesso maschile, si perverrebbe ad una popolazione meno vecchia e caratterizzata da una minor presenza femminile.
Esempio 2.1. Qualche osservazione sulle relazioni tra dinamica e struttura di una popolazione Si consideri il processo di formazione e il successivo sviluppo di una popolazione, del tutto immaginaria, caratterizzata dai seguenti elementi: a) al 1° gennaio di ogni anno nascono 10600 individui di sesso maschile e 10000 di sesso femminile (rapporto di mascolinità alla nascita: Rm = 106 ); b) non esistono movimenti migratori; c) nessun individuo raggiunge il 4° compleanno (l’età estrema (ω) è uguale a 4); d) l’eliminazione per morte tra i compleanni x e x + 1 (x = 0, 1, 2, 3 ) si manifesta in conformità alle seguenti percentuali:
vale a dire: dei 10600 soggetti di sesso maschile nati al 1° gennaio dell’anno t (compleanno 0) il 10% (1060 unità) muoiono entro il 1° compleanno; il 20% dei 9540 che raggiungono (all’1.1.t + 1) il primo compleanno muoiono entro il secondo compleanno (1908 decessi); il 50% dei 7632 soggetti che raggiungono (all’1.1.t + 2) il secondo compleanno muoiono entro il terzo (3816 decessi) e tutte le 3816 unità che raggiungono (all’1.1.t + 3) il terzo compleanno muoiono entro il quarto; analogo significato assumono le percentuali relative alla popolazione femminile. Con tali premesse, se si suppone che la popolazione acquisti la sua consistenza con le prime 20600 nascite del 1° gennaio dell’anno t e mantenga le caratteristiche a, b, c e d immutate nel tempo, la sua distribuzione per età, determinata dalla numerosità delle generazioni di individui nati in anni successivi e sopravviventi (in età diversa) alla stessa data, si evolve nel modo seguente:
Come si vede, la popolazione in oggetto, caratterizzata da un livello di mortalità e da un ammontare annuo di nascite costanti nel tempo, diviene, dal quarto anno in poi, immutata (stazionaria) sia sotto il profilo della consistenza, sia in termini di struttura per sesso ed età. La numerosità della popolazione si attesta su 65623 unità, il rapporto di mascolinità si fissa a 92,8 maschi per ogni 100 femmine, la distribuzione per età non cambia. È anche agevole verificare che i risultati di cui sopra si possono ottenere anche senza supporre che la popolazione faccia la sua comparsa al 1° gennaio dell’anno t. Infatti, qualunque sia la sua distribuzione per sesso ed età al tempo t, l’insieme di ipotesi a, b, c e d determina il raggiungimento all’1.1.t + 4 della condizione di stazionarietà e delle caratteristiche strutturali che risultano dal precedente prospetto. Variazione delle nascite Se, a partire da un dato anno, la frequenza delle nascite dovesse modificarsi, subentrerebbero talune trasformazioni. Si supponga, ad esempio, che l’ammontare annuo di nascite si dimezzi a partire dall’anno t + 5 e che, viceversa, si mantengano fissi gli elementi indicati ai precedenti punti b, c e d. La popolazione reagirebbe nel modo seguente:
Si osserverebbe un decremento iniziale, per effetto del calo delle nascite, per poi tornare alla situazione di stazionarietà. La struttura per sesso ed età mostra nel corso della fase di transizione (tra t + 5 e t + 8 ) due fenomeni particolarmente significativi: l’accrescimento del peso relativo delle classi di età più anziane (invecchiamento demografico) e la minor presenza di popolazione maschile (femminilizzazione). Variazione della mortalità Si supponga ora che, ferme restando le nascite, i livelli di mortalità si attenuino, favorendo in modo più evidente il sesso femminile, e le percentuali di eliminazione per morte si attestino, a partire dall’anno t + 9 , sui seguenti valori:
(entro parentesi si riporta la variazione rispetto alle precedenti percentuali). Ciò comporta la seguente evoluzione:
Si ha modo di notare come la popolazione risenta del calo della mortalità attraverso un incremento del suo ammontare ed un’accentuazione del fenomeno dell’invecchiamento: la quota di soggetti in età più anziana passa dal 14,0% al 17,2%. Al tempo stesso, si accresce il peso della popolazione femminile, che era già caratterizzata da una mortalità più bassa ed è stata ulteriormente favorita dalla variazione differenziale dei livelli di mortalità. Alla luce di quanto si è visto si possono ricavare le seguenti riflessioni: a) una popolazione caratterizzata da un ammontare annuo di nascite e da un livello di mortalità costanti nel tempo raggiunge, qualunque sia la sua struttura iniziale, la condizione di stazionarietà, vale a dire: «crescita zero» e struttura per sesso ed età costanti; b) il calo delle nascite, fermi restando i livelli della mortalità, determina i fenomeni dell’invecchiamento e della femminilizzazione della popolazione; c) anche il calo della mortalità può contribuire ad accentuare la presenza di popolazione anziana e di popolazione femminile; tuttavia, ciò dipende da come la variazione interviene in corrispondenza delle diverse età e nell’ambito dei due sessi. Se si sviluppasse ulteriormente l’esempio qui considerato si potrebbe infatti osservare come, riducendo la mortalità solo nelle età più giovani e/o favorendo in misura maggiore il sesso maschile, si perverrebbe ad una popolazione meno vecchia e caratterizzata da una minor presenza femminile.
2. Tassi generici e specifici Per poter valutare meglio l’intensità con la quale si manifestano i fenomeni di movimento, è spesso opportuno rapportare la loro frequenza assoluta (numero di nati, morti, ecc.) all’ammontare della popolazione cui essi si riferiscono. Così facendo si costruiscono tassi (o quozienti) che informano sulla intensità media per abitante con la quale un evento del tipo suddetto si è manifestato nel corso di un prefissato intervallo temporale. Indicata con P la numerosità della popolazione e con N, M, I ed E, rispettivamente, il numero di nati, di morti, di immigrati e di emigrati, nel corso dell’intervallo di tempo che si considera, i seguenti rapporti: n = 1000 N/P; m = 1000 M/P; i = 1000 I/P; e = 1000 E/P esprimono, nell’ordine, il tasso di natalità, di mortalità, di immigrazione e di emigrazione (per ogni 1000 abitanti). Tali tassi vengono riferiti alla popolazione nel suo complesso ed assumono la denominazione di tassi generici. Con la stessa procedura, ripetuta su distinti sottoinsiemi della popolazione, definiti dalle modalità di alcune prefissate caratteristiche (età, sesso, stato civile, ecc.), si perviene ai cosiddetti tassi specifici. Ad esempio:
oppure:
identificano la serie dei tassi specifici di mortalità per età, o per classi quinquennali d’età, essendo Px (o Px,x+4) e Mx (o Mx,x+4), rispettivamente, l’ammontare della popolazione ed il numero dei decessi relativi a soggetti in età x (oppure x, x + 4 ). Allo stesso modo si costruiscono i tassi specifici di mortalità rispetto ad altri caratteri (sesso, professione, stato civile, ecc.) ed anche quelli relativi a fenomeni di altra natura (natalità, immigrazione, emigrazione). Per procedere al calcolo dei suddetti tassi, generici o specifici, è però opportuno fissare: 1. l’intervallo temporale a cui si riferisce l’evento la cui frequenza viene posta a numeratore; 2. l’ammontare della popolazione da porre a denominatore.
Per quanto riguarda l’intervallo temporale viene generalmente adottato l’anno e qualora i tassi debbano essere riferiti a periodi pluriennali, ad esempio un quinquennio, essi si interpretano come valore medio annuo e si calcolano mediante la media aritmetica ponderata dei tassi annui (adottando come pesi la numerosità delle corrispondenti popolazioni annue). Quanto al valore da porre a denominatore, va tenuto presente che, poiché l’ammontare della popolazione varia istante per istante nel corso dell’intervallo annuo, è necessario esprimere il relativo ordine di grandezza mediante un opportuno valore sintetico. Solitamente si adotta la media aritmetica semplice dell’ammontare della popolazione al 1° gennaio e al 31 dicembre dell’anno cui si riferisce il tasso. Deve osservarsi, comunque, che tale media viene a coincidere col complesso degli anni vissuti, entro le stesse date, dai soggetti che hanno fatto parte della popolazione, sotto l’ipotesi, usualmente sottaciuta, secondo cui gli individui che sono entrati o usciti dalla medesima abbiano vissuto al suo interno esattamente metà anno (cfr. esempio 2.2).
Esempio 2.2. Calcolo degli anni vissuti Riprendendo, dall’esempio 1.1, i seguenti dati relativi al bilancio demografico del Comune di Milano nell’anno 1990:
si osservano 39492 ( = 10230 + 29262) ingressi nella popolazione (nati e immigrati) e 56711 ( = 16017 + 40694) uscite dalla stessa (morti ed emigrati). Se si esclude la stagionalità nei movimenti e si suppone che essi siano distribuiti uniformemente nel corso dell’anno, si può ritenere che ciascun individuo, entrato o uscito, abbia vissuto «in media» nella popolazione per metà anno: così, ad esempio, gli entrati il 1° gennaio compensano gli entrati il 31 dicembre dello stesso anno, quelli del 2 gennaio compensano gli entrati il 30 dicembre, e così via. Il che autorizza a considerare tutti i movimenti dell’anno come avvenuti esattamente a metà anno (il 1° luglio). Con tale semplificazione, per il calcolo degli anni vissuti nel 1990 dal complesso dei residenti a Milano, basterà considerare che: a) dall’1.1 al 30.6 ci sono stati 1449403 residenti; b) dall’1.7 al 31.12 ci sono stati: (1449403 + 39492 – 56711) = 1432184 residenti; per un totale di: 1449403 · 1/2 + 1432184 · 1/2 = 1440794 anni vissuti. Si ha così modo di verificare come, con l’ipotesi introdotta, il numero di anni vissuti equivalga alla media aritmetica dell’ammontare dei residenti all’1.1 e al 31.12 dell’anno considerato.
Esempio 2.2. Calcolo degli anni vissuti Riprendendo, dall’esempio 1.1, i seguenti dati relativi al bilancio demografico del Comune di Milano nell’anno 1990:
si osservano 39492 ( = 10230 + 29262) ingressi nella popolazione (nati e immigrati) e 56711 ( = 16017 + 40694) uscite dalla stessa (morti ed emigrati). Se si esclude la stagionalità nei movimenti e si suppone che essi siano distribuiti uniformemente nel corso dell’anno, si può ritenere che ciascun individuo, entrato o uscito, abbia vissuto «in media» nella popolazione per metà anno: così, ad esempio, gli entrati il 1° gennaio compensano gli entrati il 31 dicembre dello stesso anno, quelli del 2 gennaio compensano gli entrati il 30 dicembre, e così via. Il che autorizza a considerare tutti i movimenti dell’anno come avvenuti esattamente a metà anno (il 1° luglio). Con tale semplificazione, per il calcolo degli anni vissuti nel 1990 dal complesso dei residenti a Milano, basterà considerare che: a) dall’1.1 al 30.6 ci sono stati 1449403 residenti; b) dall’1.7 al 31.12 ci sono stati: (1449403 + 39492 – 56711) = 1432184 residenti; per un totale di: 1449403 · 1/2 + 1432184 · 1/2 = 1440794 anni vissuti. Si ha così modo di verificare come, con l’ipotesi introdotta, il numero di anni vissuti equivalga alla media aritmetica dell’ammontare dei residenti all’1.1 e al 31.12 dell’anno considerato.
Sulla base di tali osservazioni, l’espressione per il calcolo del tasso generico di natalità relativo ad un dato anno t assume la forma:
Analogamente si procede per il calcolo dei tassi di mortalità, di immigrazione e di emigrazione (cfr. esempio 2.3). Anche per i tassi specifici si è soliti determinare l’ammontare della popolazione mediante la media aritmetica semplice del numero di soggetti che, all’inizio e alla fine dell’anno cui si riferisce il tasso, erano in possesso della modalità del carattere oggetto di attenzione. 52 Così, nel caso dei tassi di mortalità per età, si ha:
con x = 0, 1, 2, … , ω – 1 . Va infine aggiunto che tra ogni serie di tassi specifici e il corrispondente tasso generico esiste la relazione che dimostra come il tasso generico coincida con la media aritmetica, opportunamente ponderata, dei tassi specifici. Ad esempio, il tasso generico di mortalità (m) coincide con la media aritmetica ponderata dei tassi specifici per età (mx), adottando come pesi i valori ( della popolazione nelle diverse classi di età, vale a dire:
) che identificano l’ammontare (medio)
Esempio 2.3. Calcolo dei tassi generici Con riferimento al bilancio demografico relativo alla popolazione residente in Italia nel triennio 1992-1994 (valori in migliaia):
Si possono determinare i seguenti tassi:
È altresì possibile determinare i corrispondenti tassi medi annui per il triennio 1992-1994. Ad esempio, il tasso di natalità n (1992, 1994) si ottiene nel modo seguente:
Esempio 2.3. Calcolo dei tassi generici Con riferimento al bilancio demografico relativo alla popolazione residente in Italia nel triennio 1992-1994 (valori in migliaia):
Si possono determinare i seguenti tassi:
È altresì possibile determinare i corrispondenti tassi medi annui per il triennio 1992-1994. Ad esempio, il tasso di natalità n (1992, 1994) si ottiene nel modo seguente:
3. Confronto fra tassi Sovente nasce l’esigenza di confrontare l’intensità con cui si manifesta un fenomeno demografico nell’ambito di differenti popolazioni ovvero in una stessa popolazione in tempi diversi. Ad esempio, ci si può domandare «se nel 1996 la natalità è stata più alta in Italia piuttosto che in Svezia», oppure «se il livello della mortalità in Europa si è accresciuto nel 1996 rispetto a quello di vent’anni fa», e così via. A tale proposito, il confronto mediante i tassi generici (di natalità, di mortalità, ecc.), che costituiscono il termine di riferimento più immediato, essendo, fra l’altro, non influenzati dal diverso ammontare delle popolazioni che si considerano, è certamente utile. Tuttavia, esso può risultare impreciso e, talvolta, può fornire un’immagine distorta della realtà. Infatti, come si è già avuto modo di mettere in evidenza introducendo la relazione fra tassi generici e tassi specifici, il valore del tasso generico può intendersi come la risultante di un duplice insieme di elementi: a) la serie dei tassi specifici, che misurano l’intensità del fenomeno nell’ambito dei gruppi di individui definiti dalle diverse modalità di una prefissata caratteristica; b) i pesi con i quali tali tassi specifici vengono ponderati per determinare la media aritmetica che fornisce, per l’appunto, il tasso generico. 54 Ad esempio, facendo riferimento al tasso di mortalità m ed alla corrispondente serie dei tassi specifici per età mx, si può osservare come il valore di m non dipenda solo dai valori mx, che, nella fattispecie, esprimono l’intensità del livello di mortalità alle diverse età x ma, sussistendo la relazione:
anche dalla serie dei pesi dove rappresenta, come è noto, la frequenza relativa delle unità, che nella popolazione considerata, hanno età x ( x = 0, 1, 2, … , ω – 1 ).
Ne consegue che, se la quota di individui nelle età più anziane (per le quali il livello di mortalità mx è in genere più alto) risulta molto consistente, la frequenza di decessi per ogni 1000 abitanti (sinteticamente espressa dal tasso generico m) non potrà che essere elevata; assai più elevata di quella riscontrabile in una popolazione che, caratterizzata dagli stessi identici valori di mx, possiede una struttura per età più giovane. In proposito l’esempio 2.4 è assai significativo.
Esempio 2.4. Confronto fra tassi Relativamente alla popolazione italiana per i trienni 1960-1962 e 1970-1972 sono stati calcolati, mediante la formula:
i seguenti tassi specifici di mortalità per classi di età pluriennali1:
Confrontando i valori contenuti nella seconda e nella terza colonna del precedente prospetto si osserva come i livelli di mortalità si siano attenuati, nel corso del decennio in esame, in corrispondenza di tutte le classi di età. Tuttavia, ciò non trova conferma allorché dal confronto delle diverse coppie di tassi specifici si passa al confronto dei corrispondenti tassi generici. Per questi, infatti, si osserva un valore medio di 9,60 nel triennio 1960-1962 e di 9,67 nel triennio 1970-1972. La spiegazione di tale fatto va ricercata analizzando le variazioni intervenute nella struttura per età della popolazione italiana, variazioni che si possono cogliere dal sottostante prospetto e che dimostrano un sensibile accrescimento nel 1970-1972 della quota di soggetti nelle classi di età più anziane.
Ciò premesso, poiché il tasso generico si identifica con la media aritmetica ponderata dei tassi specifici (mediante un sistema di pesi determinati dalla struttura per età della popolazione), il suo incremento nel tempo deve attribuirsi al fatto che nel 1970-1972 i tassi specifici relativi alle età più anziane, ossia quelli che, pur essendosi ridotti rispetto al decennio precedente, sono anche caratterizzati dalle intensità più alte, «pesano di più» nel calcolo della media e contribuiscono ad accrescerne il valore.
Esempio 2.4. Confronto fra tassi Relativamente alla popolazione italiana per i trienni 1960-1962 e 1970-1972 sono stati calcolati, mediante la formula:
i seguenti tassi specifici di mortalità per classi di età pluriennali1:
Confrontando i valori contenuti nella seconda e nella terza colonna del precedente prospetto si osserva come i livelli di mortalità si siano attenuati, nel corso del decennio in esame, in corrispondenza di tutte le classi di età.
Tuttavia, ciò non trova conferma allorché dal confronto delle diverse coppie di tassi specifici si passa al confronto dei corrispondenti tassi generici. Per questi, infatti, si osserva un valore medio di 9,60 nel triennio 1960-1962 e di 9,67 nel triennio 1970-1972. La spiegazione di tale fatto va ricercata analizzando le variazioni intervenute nella struttura per età della popolazione italiana, variazioni che si possono cogliere dal sottostante prospetto e che dimostrano un sensibile accrescimento nel 1970-1972 della quota di soggetti nelle classi di età più anziane.
Ciò premesso, poiché il tasso generico si identifica con la media aritmetica ponderata dei tassi specifici (mediante un sistema di pesi determinati dalla struttura per età della popolazione), il suo incremento nel tempo deve attribuirsi al fatto che nel 1970-1972 i tassi specifici relativi alle età più anziane, ossia quelli che, pur essendosi ridotti rispetto al decennio precedente, sono anche caratterizzati dalle intensità più alte, «pesano di più» nel calcolo della media e contribuiscono ad accrescerne il valore.
3.1. Metodo della popolazione tipo Al fine di evitare false valutazioni del tipo suddetto allorché si confrontano i tassi generici relativi a popolazioni che risultano diverse sotto il profilo della struttura, sembrerebbe conveniente comparare tra loro le corrispondenti serie di tassi specifici. È facile, tuttavia, rendersi conto come un tale modo di procedere sia poco agevole sotto il profilo operativo e, inoltre, possa condurre a risultati di difficile interpretazione. Infatti, se accade che tra due popolazioni non tutti i tassi specifici dell’una risultano inferiori (o non superiori) ai corrispondenti tassi dell’altra, riesce difficile giudicare in quale delle due il fenomeno che forma oggetto di confronto si manifesta con maggior intensità. Più opportuno sembra, invece, orientarsi verso una sintesi delle serie di tassi specifici facendo ricorso a tassi generici che siano, però, standardizzati rispetto alle differenze strutturali; tali tassi si possono ottenere adottando, nel calcolo della media aritmetica ponderata dei tassi specifici, un sistema di pesi che non varia al variare delle diverse popolazioni che si intendono confrontare. Ad esempio, relativamente alla mortalità, si può determinare per una data popolazione i, tra le k che si vogliono mettere a confronto, il tasso standardizzato:
dove sono i tassi per età effettivamente osservati relativi alla popolazione che si considera mentre, rappresenta la distribuzione per età di un’ipotetica popolazione, per l’appunto, chiamata popolazione tipo. Così facendo, i valori che si ottengono risultano diversi per il solo effetto dei tassi specifici di cui costituiscono la sintesi (cfr. esempio 2.5). Va comunque osservato come tale procedimento, che assume la denominazione di standardizzazione diretta o standardizzazione mediante il metodo della popolazione tipo, non sia del tutto esente da critiche. Se è vero che l’adozione del sistema dei pesi standard forniti dalla popolazione tipo dà origine ad indicatori sintetici comparabili, è altrettanto vero che questi ultimi, così come gli stessi risultati del confronto, non sono indifferenti alla scelta della popolazione assunta come tipo. Per ovviare in qualche modo a tale inconveniente viene suggerita l’adozione di una popolazione tipo che abbia una struttura intermedia rispetto a quella delle k popolazioni che si mettono a confronto, anche se, talvolta, per comodità, la scelta cade proprio su una di esse. In quest’ultimo caso, è evidente che il tasso standardizzato relativo alla popolazione assunta come tipo, viene a coincidere con il suo corrispondente tasso generico.
3.2. Metodo dei tassi o quozienti tipo Nel corso del paragrafo precedente si è visto come la standardizzazione dei tassi generici, condotta mediante il metodo della popolazione 57tipo, richieda la disponibilità delle serie dei tassi specifici relativi a ciascuna delle popolazioni che si pongono a confronto. Ma tale disponibilità presuppone, a sua volta, un insieme di dati di base la cui conoscenza risulta, in alcuni casi, tutt’altro che agevole. Ad esempio, se relativamente ad alcune popolazioni (si pensi a paesi privi di un efficiente sistema di rilevazioni statistiche) risulta disponibile solo il numero totale dei decessi in un dato anno e non la loro distribuzione per età, non è possibile calcolare i tassi specifici mx e, di conseguenza, il tasso standardizzato m’. Tuttavia, in tale situazione, se si è almeno a conoscenza della di-stribuzione secondo il carattere che forma oggetto di specificazione (l’età nell’esempio in esame) relativamente a tutte le popolazioni che si considerano, è allora possibile procedere ad un altro tipo di standardizzazione dei tassi generici: quello cosiddetto della standardizzazione indiretta o standardizzazione mediante il metodo dei tassi (o quozienti) tipo. La procedura, qui applicata al tasso di mortalità (adottando l’età quale carattere di specificazione), si articola nelle seguenti fasi: a) viene scelta una opportuna popolazione di cui siano noti il tasso generico di mortalità m(T) e la
serie dei tassi specifici per età:
( x = 0, 1, 2, … , ω – 1 ), da assumere come tassi tipo;
b) si calcola, per ciascuna delle k popolazioni che si intendono porre a confronto, il numero teorico di morti (M*(i), i = 1, 2, …, k ) che essa avrebbe se, ferma restando la sua struttura per età, fosse
assoggettata ai livelli di mortalità descritti dalla serie dei tassi tipo – 1 ), cioè:
( x = 0, 1, 2, … , ω
Successivamente, si determina il corrispondente valore teorico del tasso di mortalità, vale a dire:
c) eseguendo il rapporto m*(i) = / m(T) si può determinare in che misura le differenze tra la struttura per età della i-esima delle k popolazioni considerate e l’analoga struttura della popolazione di riferimento influiscono sul valore del tasso di mortalità della prima; ad esempio, se tale rapporto valesse 0,9 si potrebbe affermare che la i-esima popolazione ha una struttura per età che comporta una frequenza di decessi (per abitante) che, a parità di livelli di mortalità per età, raggiunge solo il 90% di quella popolazione di riferimento; viceversa, di fronte ad un valore di 1,2 si giungerebbe alla conclusione che l’effetto struttura aumenta del 20% (sempre 58rispetto alla popolazione tipo di riferimento) la frequenza dei morti nella i-esima popolazione. Con tali premesse, al fine di pervenire ad una serie di tassi di mortalità m”(i) che siano tra loro comparabili, ci si può avvalere dei rapporti m*(i)/m(T) per standardizzare i tassi di mortalità m(i) effettivamente osservati nelle diverse popolazioni. In particolare, dividendo ciascun valore di m(i) ( i = 1, 2, …, k ) per il corrispondente rapporto m*(i)/m(T) si depura il tasso di mortalità dall’effetto struttura della popolazione cui si riferisce; e poiché tale effetto è stato misurato per tutte le k popolazioni con riferimento alla stessa popolazione, di cui si adottano i tassi tipo, i valori così ottenuti possono ritenersi correttamente comparabili. La procedura ora esposta trova la sua sintesi in quanto segue:
che può anche porsi nella forma:
È opportuno tenere presente, comunque, che anche il metodo di standardizzazione indiretta è basato sulla scelta arbitraria di una popolazione, quella di cui si adottano i tassi tipo, ed i risultati cui esso conduce possono risultare influenzati da tale scelta. Prima di concludere l’argomento va ancora aggiunto che la procedura di standardizzazione, sia diretta che indiretta, deve essere applicata a caratteri le cui modalità abbiano un peso significativo nel differenziare le intensità del fenomeno che si misura col tasso generico; infatti, solo relativamente a tali caratteri la diversa struttura della popolazione costituisce un elemento di disturbo nei confronti del livello del tasso generico.
Esempio 2.5. Standardizzazione del tasso generico di mortalità Relativamente all’anno 1974 sono stati calcolati per le province di Brescia e di Mantova i seguenti tassi generici di mortalità:
Sulla base dei suddetti valori, prima di concludere che la pro-vincia di Mantova è, tra le due, quella la cui popolazione è caratterizzata da un più alto livello di mortalità, conviene eliminare dai tassi generici l’effetto delle differenze relative alla struttura per età. Standardizzazione mediante il metodo della popolazione tipo Se si è in possesso dei dati contenuti nelle colonne da 1 a 4 dei successivi prospetti A e B, si possono determinare le corrispondenti serie di tassi specifici di mortalità (colonna 5) e, attraverso l’impiego della distribuzione per età di una popolazione tipo, si può procedere, tramite il metodo diretto, alla standardizzazione del tasso generico. In particolare, se si considera come popolazione tipo quella della Lombardia, i cui valori sono riportati nella colonna 4 del prospetto C, si ottengono, attraverso la media:
i seguenti tassi standardizzati:
dove i numeratori delle frazioni che figurano a secondo membro sono proposti nella colonna 6 dei prospetti A e B. Come si vede, eliminando l’influenza delle diverse strutture per età, la situazione si è capovolta: la popolazione di Mantova risulta quella con la mortalità più bassa. Ad una conclusione analoga si sarebbe anche arrivati adottando come popolazione tipo quella di una delle due province oggetto di confronto (una procedura assai comoda quando non si disponga dei tassi specifici relativi ad una delle due popolazioni considerate). A tale proposito, se si fosse scelta quale popolazione tipo quella di Brescia si sarebbero ottenuti i seguenti tassi standardizzati: m’BS = 9,71 (evidentemente identico al tasso generico) e m’MN = 8,74 ; viceversa, adottando come popolazione tipo quella di Mantova i due tassi sarebbero stati: m’BS = 13,96 e m’MN = 12,39 . Alla luce di quanto sopra, è facile osservare come, variando la popolazione tipo, anche se in questo caso non si modifica il risultato del confronto, si modifica comunque il rapporto fra i tassi standardizzati. Infatti:
Standardizzazione mediante il metodo dei tassi o quozienti tipo Qualora per ciascuna provincia non sia possibile disporre dei tassi specifici, ma si conosca la distribuzione per età della popolazione residente, si può procedere alla standardizzazione del tasso di mortalità utilizzando il metodo indiretto. A tal fine è ancora necessario identificare una popolazione di riferimento di cui siano noti i tassi specifici (
).
In particolare, se si adottano quelli che caratterizzano la Lombardia (colonna 5, prospetto C) si hanno, mediante la formula:
i seguenti tassi standardizzati:
dove i valori di M*(i) sono stati ottenuti mediante i calcoli riportati nelle colonne 7 dei prospetti A e B. Come si vede, anche con il procedimento indiretto si ottiene la conferma dei precedenti risultati.
Esempio 2.5. Standardizzazione del tasso generico di mortalità Relativamente all’anno 1974 sono stati calcolati per le province di Brescia e di Mantova i seguenti tassi generici di mortalità:
Sulla base dei suddetti valori, prima di concludere che la pro-vincia di Mantova è, tra le due, quella la cui popolazione è caratterizzata da un più alto livello di mortalità, conviene eliminare dai tassi generici l’effetto delle differenze relative alla struttura per età. Standardizzazione mediante il metodo della popolazione tipo Se si è in possesso dei dati contenuti nelle colonne da 1 a 4 dei successivi prospetti A e B, si possono determinare le corrispondenti serie di tassi specifici di mortalità (colonna 5) e, attraverso
l’impiego della distribuzione per età di una popolazione tipo, si può procedere, tramite il metodo diretto, alla standardizzazione del tasso generico. In particolare, se si considera come popolazione tipo quella della Lombardia, i cui valori sono riportati nella colonna 4 del prospetto C, si ottengono, attraverso la media:
i seguenti tassi standardizzati:
dove i numeratori delle frazioni che figurano a secondo membro sono proposti nella colonna 6 dei prospetti A e B. Come si vede, eliminando l’influenza delle diverse strutture per età, la situazione si è capovolta: la popolazione di Mantova risulta quella con la mortalità più bassa. Ad una conclusione analoga si sarebbe anche arrivati adottando come popolazione tipo quella di una delle due province oggetto di confronto (una procedura assai comoda quando non si disponga dei tassi specifici relativi ad una delle due popolazioni considerate). A tale proposito, se si fosse scelta quale popolazione tipo quella di Brescia si sarebbero ottenuti i seguenti tassi standardizzati: m’BS = 9,71 (evidentemente identico al tasso generico) e m’MN = 8,74 ; viceversa, adottando come popolazione tipo quella di Mantova i due tassi sarebbero stati: m’BS = 13,96 e m’MN = 12,39 .
Alla luce di quanto sopra, è facile osservare come, variando la popolazione tipo, anche se in questo caso non si modifica il risultato del confronto, si modifica comunque il rapporto fra i tassi standardizzati. Infatti:
Standardizzazione mediante il metodo dei tassi o quozienti tipo Qualora per ciascuna provincia non sia possibile disporre dei tassi specifici, ma si conosca la distribuzione per età della popolazione residente, si può procedere alla standardizzazione del tasso di mortalità utilizzando il metodo indiretto. A tal fine è ancora necessario identificare una popolazione di riferimento di cui siano noti i tassi specifici (
).
In particolare, se si adottano quelli che caratterizzano la Lombardia (colonna 5, prospetto C) si hanno, mediante la formula:
i seguenti tassi standardizzati:
dove i valori di M*(i) sono stati ottenuti mediante i calcoli riportati nelle colonne 7 dei prospetti A e B. Come si vede, anche con il procedimento indiretto si ottiene la conferma dei precedenti risultati.
Scheda 3. La transizione demografica Il termine di transizione demografica identifica il processo evolutivo di una popolazione che segna il passaggio da una situazione di equilibrio caratterizzata da alti tassi di natalità e di mortalità, con saldo naturale ridotto o persino nullo (fase pretransizionale), ad un’altra situazione di equilibrio (fase post transizionale), caratterizzata da bassi tassi di natalità e mortalità, ma con un altrettanto ridotto saldo naturale. Fra queste due fasi si situa appunto, con durata variabile, il periodo di transizione vera e propria, durante il quale in un primo tempo la mortalità comincia a diminuire più o meno rapidamente, mentre i tassi di natalità restano alti, provocando un forte incremento demografico. In un secondo tempo, anche i tassi di natalità diminuiscono progressivamente e si avvicinano a quelli di mortalità che, nel frattempo, sono andati stabilizzandosi. I tassi di crescita della popolazione vanno così riducendosi sino a ripresentare gli stessi valori che caratterizzavano la fase pretransizionale.
Fig. 2.1
Teoria della transizione demografica. Il processo di transizione demografica, che può ritenersi ormai concluso da qualche decennio in tutti i paesi economicamente più sviluppati ma è più che mai attuale (anche se con un diverso grado di avanzamento) in gran parte del terzo mondo, non ha come unica conseguenza l’accrescimento numerico di una popolazione. Esso comporta altresì significativi cambiamenti nella sua struttura per età (cfr. fig. 2.2). La tipica sequenza di tali cambiamenti strutturali, alla luce dell’esperienza di numerose popolazioni, può riassumersi in quattro fasi. 1) Fase pretransizionale. L’alto livello della natalità (in assenza di qualsiasi controllo volontario delle nascite) viene compensato da livelli di mortalità pressoché analoghi. Ciò, in un contesto di bassa durata media della sopravvivenza, contribuisce a mantenere giovane la struttura per età della
popolazione, così che le uniche perturbazioni strutturali possono derivare da eventi catastrofici come carestie ed epidemie.
Fig. 2.2
Capitolo 3 L’analisi dei fenomeni demografici Sino ad ora si è affrontato lo studio della popolazione sotto un profilo prevalentemente descrittivo. In particolare, si è mostrato come i dati relativi a popolazioni tra loro differenti possono essere elaborati e resi comparabili al fine di valutare l’intensità sia della crescita demografica, sia delle trasformazioni strutturali che hanno interessato le popolazioni medesime.
Anche quando si è posto l’accento sulla dinamica demografica e sui fenomeni che concorrono a determinarla, si è voluto privilegiare la misurazione e la descrizione delle intensità con le quali tali fenomeni si sono manifestati nel corso del tempo, senza entrare nell’analisi delle cause e nella ricerca dei fattori che hanno contribuito a produrle. Ma una tale analisi è certamente non meno importante della descrizione e costituisce la premessa essenziale per comprendere e completare la conoscenza della realtà demografica. Nelle pagine che seguono, verranno proposti alcuni metodi e strumenti che consentono, per l’appunto, di approfondire l’analisi dei fenomeni demografici; in particolare, di quelli che esercitano maggiori riflessi, diretti o indiretti, sulla struttura e sulla dinamica della popolazione.
1.Strumenti e concetti di base 1.1. Il diagramma di Lexis Un primo prezioso strumento per affrontare l’analisi di cui sopra è rappresentato dal diagramma di Lexis. Esso consiste in uno schema che permette di rappresentare la storia (biografia) di ciascun soggetto e di evidenziare gli eventi demografici 68che lo hanno interessato (nascita, matrimonio, paternità/maternità …, morte), in funzione sia dell’istante in cui si sono verificati, sia dell’età del soggetto nell’istante medesimo.
FIG. 3.1 Diagramma di Lexis. Rappresentazione delle linee di vita. Ad esempio, si consideri una donna nata il 5 marzo 1900, sposatasi il 1° ottobre 1922, divenuta madre un’unica volta il 20 aprile 1930 e deceduta il 15 novembre 1970. La rappresentazione della sua biografia nello schema in questione (cfr. fig. 3.1) avviene secondo le seguenti regole: • •
•
tracciato nel piano un sistema di assi cartesiani ortogonali, sul quale si fissa l’usuale sistema di riferimento, in ascissa si riportano i tempi ed in ordinata le età; a partire dal punto che, sull’asse dei tempi, coincide con la data di nascita del soggetto si traccia una linea parallela alla bisettrice del quadrante formato dal verso positivo degli assi; essa identifica la linea della vita del soggetto in esame, in quanto ciascun punto di tale linea ha come coordinate l’istante in cui egli è vissuto e la relativa età in quell’istante; lungo tale linea si collocano gli eventi che si sono via via verificati e li si pone in corrispondenza dei punti che hanno come coordinate le coppie istante-età che li caratterizzano.
In modo analogo si procede per tutti gli individui che appartengono alla popolazione cui si è interessati. Il risultato finale è costituito da un insieme di linee di vita (al69cune delle quali sovrapposte) costellate da tanti punti quanti sono gli eventi che si sono succeduti. Tali eventi possono venire
conteggiati e classificati (anche congiuntamente) sia rispetto al tempo in cui si sono verificati, sia rispetto all’età e all’istante di nascita dei soggetti che li hanno vissuti.
FIG. 3.2 Diagramma di Lexis. Figure geometriche che identificano gruppi di eventi accomunati dalle stesse caratteristiche.
Se tale classificazione avviene per intervalli – ad esempio, si ripartisce il tempo in anni solari, si misurano le età in anni compiuti e si considerano congiuntamente le tre caratteristiche: anno in cui si è verificato l’evento, età e anno di nascita del soggetto interessato –, tutti i punti (eventi) che nel grafico risultano compresi entro i triangoli del tipo di quelli evidenziati nella figura 3.2 vengono accomunati nella stessa classe.
Invece, se la classificazione avviene rispetto a due sole caratteristiche, i punti accomunati sono quelli compresi entro i quadrati (somma dei triangoli B e C nella fig. 3.2), allorché si considerano età 70e anno dell’evento; entro i parallelogrammi del tipo B + A (cfr. fig. 3.2), se si considerano l’anno di nascita e l’anno dell’evento; entro i parallelogrammi del tipo C + D (cfr. fig. 3.2), se si considerano età e anno di nascita.
FIG. 3.2 Diagramma di Lexis. Stato e movimento della popolazione. Provincia di Brescia. Rappresentazione del numero di nati (N), morti (M), immigrati (I) ed emigrati (E), classificati per età, anno di nascita e anno di osservazione; rappresentazione della popolazione residente che raggiunge il compleanno x nel corso di un dato anno (R) o che si trova in età x anni compiuti (P) alla data del 31 dicembre.
Ciò premesso, quando si voglia rappresentare la frequenza degli eventi conteggiati, in accordo con una delle suddette classificazioni, sarà sufficiente indicare il corrispondente valore all’interno delle aree (triangoli, quadrati o parallelogrammi) che consentono di identificare le caratteristiche considerate (cfr. esempio 3.1).
Così come, con lo schema di Lexis, si procede alla classificazione e alla rappresentazione dei puntievento, si può operare facendo riferimento alle linee della vita; in particolare, conteggiando queste ultime in corrispondenza di un prefissato valore di ascissa (tempo) o di ordinata (età) si possono determinare e mettere in evidenza il numero dei soggetti sopravvissuti in un dato istante (eventualmente specificati per classi d’età) o il numero di coloro che hanno raggiunto 71un prefissato compleanno (eventualmente specificati per intervalli temporali). Ad esempio, nella figura 3.3 il segmento AB interseca tutti i 12924 punti che appartengono ad altrettante linee di vita riguardanti soggetti che al 31 dicembre 1979 avevano un’età compresa fra il secondo e il terzo compleanno; il segmento CB fa riferimento ai 12332 soggetti che, alla stessa data, avevano età compresa fra il primo e il secondo compleanno, e così via; viceversa, il segmento DB attraversa i 12908 punti-vita di coloro che, nel corso del 1979, hanno raggiunto il secondo compleanno, il segmento EF si riferisce agli 11594 soggetti che hanno iniziato la loro vita (compleanno 0) nel corso del 1979, e così via. Alla luce di quanto sopra, è facile rendersi conto come lo schema di Lexis si presti bene ad evidenziare e a mettere ordine nei dati di stock e di flusso di una popolazione, e sia particolarmente utile per porre in relazione la numerosità degli eventi osservati con la corrispondente popolazione che è stata in grado di viverli. Va ancora aggiunto che l’impiego del diagramma di Lexis non è limitato a dati che provengono dalla storia demografica degli individui; se ne può fare un uso ben più ampio, adattandolo a rappresentare la storia di qualsiasi fenomeno che abbia avuto origine in un dato istante e di cui si ritenga utile osservare l’evoluzione in tempi successivi. Un’applicazione di questo tipo si ha allorché si rappresenta la storia dei matrimoni; in tal caso le linee di vita hanno origine all’atto della celebrazione del matrimonio, sono caratterizzate da alcuni eventi (tra i quali il più significativo sotto il profilo demografico è la nascita di un figlio) e si sviluppano sino all’evento terminale (separazione, divorzio o morte di uno dei coniugi) che dà luogo allo scioglimento dell’unione.
Esempio 3.1. Diagramma di Lexis. Rappresentazione (mediante figure geometriche) della frequenza di eventi accomunati dalle stesse caratteristiche
1.2. Analisi per generazioni e per contemporanei Le osservazioni introdotte a proposito del diagramma di Lexis lasciano intuire l’esistenza di due differenti approcci allo studio dei fenomeni demografici: uno orientato a seguire un sottoinsieme di linee di vita in tutta la loro durata e ad analizzare gli eventi che via via si sono succeduti in corrispondenza delle diverse età (o durate). Un altro che privilegia l’analisi limitata nel tempo (ad esempio, un anno) estesa però a tutte le linee di vita della popolazione; vale a dire, l’analisi con cui si considerano tutti coloro che, nello stesso intervallo temporale (anche se diversi per età e generazione di appartenenza), vivono l’evento oggetto di interesse. Il primo tipo di approccio identifica quella che si è soliti chiamare analisi longitudinale o analisi per generazioni (o coorti), intendendo per generazione (o coorte) un gruppo di persone (in generale un gruppo di casi statistici) che hanno in comune il fatto di avere vissuto in un dato intervallo temporale (generalmente un anno di calendario) uno stesso evento-origine: la nascita (o la celebrazione se ci si riferisce ad un gruppo di matrimoni), una trasformazione dello stato civile (da celibe/nubile a coniugato/a, da coniugato/a a vedovo/a, ecc.), il raggiungimento dell’età minima per sposarsi, per generare un figlio, e così via. Il secondo tipo di approccio, invece, è costituito da quella che si definisce analisi trasversale o per contemporanei; essa prende in esame l’esperienza di individui (casi) che appartengono a
generazioni (coorti) tra loro diverse ma che convivono, con età (durate) differenti, nel corso dell’intervallo di tempo al quale è estesa l’osservazione. I due tipi di analisi assumono un diverso significato ed un’importanza autonoma anche se possono integrarsi vicendevolmente. Ad esempio, uno studio longitudinale (per generazioni) della mortalità consente di mettere in rilievo l’influenza esercitata sulla eliminazione per morte, sia dall’età, sia dai fattori che hanno determinato un eventuale miglioramento del tenore di vita nel corso della storia delle generazioni via via succedutesi. Viceversa, con lo studio della mortalità per contemporanei si dà maggior rilievo all’influenza dei fattori di un dato momento (guerre, epidemie, ecc.), vale a dire dei fattori che agiscono simultaneamente in un arco temporale limitato su tutti gli individui, diversi per età e generazione, che appartengono alla popolazione in oggetto. Al fine di sottolineare gli aspetti congiunturali dell’analisi per contemporanei si assegna talvolta la denominazione di misure del momento agli indicatori con cui viene realizzata tale analisi. Rispetto alla disponibilità degli elementi con cui svolgere i due tipi di analisi va segnalato che, mentre l’analisi per contemporanei richiede la disponibilità di informazioni relative ad un arco di tempo limitato, quella per generazioni necessita di lunghe serie temporali di dati. Queste ultime possono ottenersi mediante due diverse procedure: l’osservazione continuativa e l’osservazione retrospettiva. Nel primo caso, si tratta di seguire (spesso a posteriori attraverso un’accurata documentazione) la storia di una generazione e di rilevare gli eventi che via via l’hanno interessata. Viceversa, nel secondo (osservazione retrospettiva), si tratta di ricostruire la storia passata di una generazione interrogando i suoi componenti in un dato istante. Tale procedura è certamente più comoda della precedente ma presenta alcuni limiti. In particolare: – è inutilizzabile per la ricostruzione della sequenza di eventi che col loro verificarsi escludono i soggetti dal campo di osservazione (come accade, ad esempio, per le morti o le emigrazioni definitive); – in genere si basa sulla capacità dei soggetti di ricordare gli eventi a distanza di tempo, con tutto quello che ciò può comportare in termini di qualità dei dati; – fa riferimento ad un gruppo di individui (quelli contattati in occasione dell’osservazione) che, rispetto al complesso dei membri della generazione che si vuole indagare, rappresentano un sottoinsieme selezionato; la loro storia demografica potrebbe infatti non rappresentare adeguatamente quella di coloro che, per morte, emigrazione, ecc., sono usciti dal complesso suddetto antecedentemente all’istante cui si riferisce l’osservazione retrospettiva.74
1.3. Intensità e calendario Lo studio di un fenomeno demografico è spesso condotto con un duplice obiettivo: a) misurare l’intensità con la quale il fenomeno si manifesta nel corso della vita di una generazione o nel corso di un dato intervallo di tempo; b) determinare la cadenza o il calendario di tale intensità, specificandola rispetto all’età degli individui che appartengono alla generazione o di coloro che convivono nell’intervallo temporale di riferimento. Con l’analisi longitudinale, la misura più immediata dell’intensità di un fenomeno è fornita dal rapporto tra il numero totale degli eventi vissuti dagli appartenenti ad una generazione e l’ammontare iniziale della generazione medesima. Si tratta di un valore medio unitario (pro capite) che può determinarsi con riferimento sia al termine della storia della generazione (intensità finale), sia ad un istante intermedio qualsiasi (intensità attuale), ma che, in ogni caso, esprime l’effetto dell’azione congiunta di numerosi fattori, demografici e non, che agiscono sul fenomeno in esame. Ad esempio, in una generazione femminile il numero medio di figli per donna calcolato al termine della vita riproduttiva (intensità finale) risulta condizionato, tra l’altro, dall’intensità e dalla cadenza della nuzialità, da come ha agito la selezione per morte, dalla presenza di migrazioni, e così via. Va comunque precisato che esiste la possibilità di pervenire a misure dell’intensità (finale o attuale) di un dato fenomeno che sono indipendenti dall’azione di alcuni dei fattori o dei fenomeni che col medesimo interagiscono; ovvero che consentono di misurare l’intensità di un fenomeno ridotto al cosiddetto stato puro (cfr. esempio 3.2). Per quanto riguarda, invece, il secondo obiettivo di cui si è detto – l’identificazione del calendario degli eventi di un fenomeno demografico – esso può realizzarsi sia facendo riferimento alla distribuzione della sua intensità rispetto all’età o alla durata, sia, in forma più sintetica, mediante opportuni indicatori statistici: l’età (o durata) media, la moda, la mediana, i percentili. Comunque, va tenuto presente che per taluni fenomeni risulta più importante l’analisi del calendario che non la misura dell’intensità; è questo il caso della mortalità, per la quale lo studio dell’intensità finale (ossia della frequenza con cui i membri di una data generazione muoiono, prima o poi) appare del tutto scontato e privo di interesse. Allorché dall’analisi per generazioni si passa a quella per contemporanei occorre ricordare che l’intensità del fenomeno, nell’arco temporale che delimita l’osservazione, risulta dall’aggregazione delle intensità manifestate da tutte le generazioni che si trovano a convivere (per un tratto della loro storia) ed è, pertanto, funzione sia della loro intensità finale, sia del calendario con cui ciascuna di esse la realizza. Ai fini della misurazione dell’intensità di un fenomeno per contem75poranei, si può, da un lato, determinare l’intensità pro capite relativa all’intera popolazione nell’arco temporale considerato, mediante il calcolo di un opportuno tasso generico (cfr. cap. 2, par. 2), dall’altro, eseguire la somma degli eventi pro capite vissuti da ogni spezzone di generazione entro il suddetto intervallo di tempo ed assumere tale risultato come l’intensità finale che si avrebbe in una generazione fittizia se essa fosse sottoposta, durante la sua vita, alle medesime condizioni che hanno agito nel corso di tale intervallo (cfr. esempio 3.2). L’analisi di tale generazione fittizia può anche estendersi al calendario degli eventi, per la cui specificazione e sintesi si adottano gli stessi metodi usati nell’analisi longitudinale.
Esempio 3.2. Analisi longitudinale e analisi trasversale. Intensità e calendario del fenomeno demografico: «nuzialità delle minorenni (14-17 anni)» Si consideri l’insieme dei dati relativi alla popolazione italiana convenientemente esposti nel seguente diagramma di Lexis.
Analisi longitudinale Va subito osservato che, con un tale complesso di informazioni, l’analisi della nuzialità può essere svolta in termini longitudinali solo per la generazione di minorenni che sono entrate in età matrimoniale, avendo raggiunto il 14° compleanno, nel corso del 1974. Ciò premesso, il numero medio di matrimoni, riferito all’ammontare iniziale di tale generazione di quattordicenni, risulta pari a: [1]
e costituisce una prima misura, ancorché grezza, dell’intensità finale del fenomeno in oggetto. Analogamente, l’intensità attuale alle diverse età viene espressa dai valori riportati nel seguente prospetto (colonna 4).
Infine, un indicatore sintetico del calendario del fenomeno, relativamente alla generazione in oggetto, viene fornito dal calcolo dell’età media al matrimonio:
per la cui determinazione si assume che gli eventi occorsi tra il 14° e il 15° compleanno si siano verificati in (media) ad un’età di 14,5 anni, quelli occorsi tra il 15° e il 16° compleanno si siano verificati ad una età media di 15,5 anni, e così via1. I precedenti risultati non tengono conto, però, delle variazioni che intervengono nel numero di donne effettivamente presenti alle diverse età (a seguito della mortalità e dei movimenti migratori) e che, viceversa, influiscono sulla determinazione del numero di matrimoni osservati. Per ovviare a tale limite si possono innanzitutto determinare i tassi specifici per età, calcolando, relativamente alla generazione in oggetto, il rapporto tra il numero di matrimoni in età x ed il numero medio di donne (anni vissuti) della stessa età2.
Successivamente, ricordando che i tassi specifici sx esprimono il numero di matrimoni entro i compleanni x e x + 1 per ogni 1000 anni-vita entro tali anniversari, se ne può operare la somma. Tale somma si presta ad essere interpretata come misura del numero totale di matrimoni che si sono osservati tra il 14° e il 18° compleanno in una generazione di 1000 donne, nell’ipotesi che nessuna donna sia morta o emigrata entro tali limiti d’età e che esse siano state caratterizzate dai tassi specifici di nuzialità sx (x = 14, 15, 16, 17). Così facendo, si ha modo di disporre di una misura dell’intensità del fenomeno ridotto «allo stato puro», vale a dire: una misura della nuzialità delle minorenni che non risenta delle variazioni intervenute nell’ammontare della generazione a seguito dell’interferenza di altri fenomeni demografici (mortalità, migrazioni). La disponibilità dei tassi specifici sx consente anche di rivedere il calcolo dell’età media al matrimonio. Tale media può essere ottenuta, sulla base delle manifestazioni del fenomeno depurate dall’effetto delle variazioni nell’ammontare della generazione, mediante l’espressione:
Analisi trasversale L’insieme di dati disponibili offre la possibilità di analizzare la nuzialità delle minorenni oltre che in un’ottica longitudinale, come per la generazione di quattordicenni del 1974, anche in un’ottica di tipo trasversale. Infatti, relativamente all’anno 1979 è possibile misurare l’intensità del fenomeno mediante: a) il calcolo del tasso generico, che esprime l’intensità pro capite attribuibile al complesso delle donne in età 14-17 nel 1979:
b) il calcolo e la successiva somma dei tassi specifici relativi a ciascuna età3.
Quest’ultimo procedimento consente di determinare una misura dell’intensità finale basata sulle condizioni del momento (anno 1979), vale a dire: quell’intensità che verrebbe prodotta da una ipotetica generazione di 1000 quattordicenni nell’ipotesi che tutte restino in vita e nessuna emigri fino al 18° compleanno e che sperimentino, nel corso delle diverse età, i tassi specifici osservati nel 1979. Rispetto alla sintesi del calendario del fenomeno, con i dati osservati nel 1979 si può procedere al calcolo dell’età media effettiva:
oppure all’analogo calcolo riferito alla generazione fittizia di cui si è detto:
1.4. Tassi e probabilità Come si è avuto già occasione di osservare, la misurazione dell’intensità di un fenomeno demografico richiede sovente il calcolo di rapporti tra dati di flusso (numero di eventi) e dati di stock (ammontare della popolazione cui gli eventi si riferiscono), rapporti che, assai spesso, hanno nella scelta dell’ammontare della popolazione da porre a denominatore un elemento di differenziazione: si può, ad esempio, adottare la popolazione all’inizio del periodo di riferimento, oppure la popolazione media (anni vissuti), ovvero la popolazione direttamente esposta a produrre o a subire l’evento che si considera. In proposito, nel corso delle pagine precedenti (cfr. cap. 2, par. 2) si sono introdotti i tassi generici e si è precisato come essi misurino l’intensità pro capite di un fenomeno demografico in un dato intervallo di tempo (generalmente un anno) mediante il rapporto tra il numero degli eventi che si sono verificati (nascite, morti, ecc.) e l’ammontare medio della popolazione (inteso come anni vissuti) nello stesso intervallo (cfr. fig. 3.4).
Fig. 3.4 Misure dell'intensità relativa all'evento E. Viceversa, se si intende misurare l’intensità di un fenomeno in corrispondenza di ogni singola età (o durata), si possono configurare diverse alternative, all’interno delle quali la scelta avviene in funzione sia della struttura dei dati disponibili, sia del tipo di analisi (trasversale o longitudinale) che ci si propone di compiere.
Una prima possibilità consiste nel calcolare i tassi specifici per età (e anno di calendario) con una formula analoga a quella adottata per i 80tassi generici. Ossia, eseguendo il rapporto (già anticipato nel corso del cap. 2, par. 2) tra il numero di eventi osservati nell’anno considerato riguardanti i soggetti di età x e l’ammontare medio di questi ultimi. È tuttavia opportuno mettere in evidenza come, con tale procedura, si impiegano, sia a numeratore che a denominatore del rapporto, i dati relativi a due generazioni successive (cfr. fig. 3.5a).81
FIG.3.5 Tassi specifici per età relativi all’evento E. (sopra) In alternativa, quando i dati lo consentano, si possono calcolare altri due tipi di tassi specifici per età: a) i tassi specifici tra compleanni (per età e generazione). In cui gli eventi occorsi ad una generazione di individui tra i compleanni x e x + 1 (in due anni solari successivi) vengono rapportati al loro ammontare medio (anni vissuti) entro i suddetti compleanni (cfr. fig. 3.5b, caso b1), e quando questo dato non sia disponibile né approssimabile (come accade ad esempio con la formula b2 della fig. 3.5b), detti eventi vengono rapportati all’ammontare iniziale della generazione da cui essi provengono (cfr. fig. 3.5b’). Circa quest’ultima variante, va tuttavia segnalato che i tassi calcolati con riferimento all’ammontare iniziale presentano valori generalmente inferiori a quelli dei corrispondenti tassi che impiegano l’ammontare medio. Infatti, al denominatore dei primi figurano valori che, generalmente, sono superiori alla media dei sopravviventi tra i compleanni (o le durate) x e x + 1 , a causa del fatto che, sovente, i fattori di eliminazione (si pensi ai decessi o, se si tratta di coorti di matrimoni, alle rotture d’unioni) prevalgono numericamente sui fattori di accrescimento (ad esempio, l’immigrazione netta); b) i tassi specifici per generazione (e anno di calendario). Ove il tasso relativo alla generazione g viene determinato, con riferimento all’anno t, mediante il rapporto tra il numero di eventi riguardanti soggetti nati nell’anno g e la consistenza media (anni vissuti) di questi ultimi (cfr. fig. 3.5c). Occorre comunque precisare che i tassi per generazione e anno di calendario fanno riferimento ad eventi che si sono verificati tra le età (anni compiuti) x – 1 e x, vale a dire: tra i compleanni x – 1 e x + 1 (ma solo nel corso dell’anno t). Oltre ad essere condizionata dalla struttura dei dati e dal tipo di analisi (per generazioni o per contemporanei) che si intende svolgere, la scelta degli strumenti per misurare l’intensità con cui si manifesta un fenomeno demografico dipende anche dalla natura degli eventi con i quali il fenomeno si manifesta. A tale proposito, è opportuno distinguere tra: eventi rinnovabili (o ripetibili) ed eventi non rinnovabili. Sono esempi del primo tipo: la nascita di un figlio, il matrimonio, l’emigrazione, e così via; sono esempi del secondo tipo: la nascita di un primogenito, il primo matrimonio, la morte, ecc. L’importanza della distinzione nasce dal fatto che relativamente ad un evento non rinnovabile, il cui accadimento comporta l’uscita di un individuo dalla generazione (o coorte) oggetto di osservazione, si possono ricavare, in aggiunta ai tassi specifici per età, vere e proprie probabilità relative al verificarsi dell’evento medesimo nell’arco di un prefissato intervallo temporale. Tali probabilità rappresentano lo strumento per descrivere, mediante una tavola di eliminazione (se ne vedrà un esempio nel seguito), la graduale estinzione di una generazione di individui accomunati 82dalle stesse caratteristiche (senza figli, celibi, in vita, ecc.) a seguito dell’azione di un dato fenomeno demografico (la nascita di un primogenito, la nuzialità dei celibi, la mortalità, ecc.).
FIG. 3.6 Probabilità per età relative all’evento non rinnovabile E. La determinazione della probabilità di un evento, in funzione dell’età, può avvenire secondo due differenti criteri, entrambi basati sulla definizione classica di probabilità come rapporto tra il numero di casi favorevoli all’evento che si vuole probabilizzare e il numero di casi possibili (questi ultimi ritenuti tutti equiprobabili). Si possono calcolare:
1) probabilità tra compleanni, tramite il rapporto che ha al numeratore il numero di eventi verificatisi tra i compleanni x e x + 1 nell’ambito degli appartenenti ad una data generazione (casi favo83revoli) e al denominatore il corrispondente numero di soggetti che, avendo raggiunto il compleanno x, sono stati esposti all’evento (casi possibili) (cfr. fig. 3.6a); 2) probabilità tra due date e tra due classi d’età successive, dette anche probabilità prospettive (per il fatto ch’esse vengono impiegate nel campo delle previsioni demografiche), mediante il rapporto tra l’ammontare di eventi occorsi in un dato anno solare ai soggetti di una generazione (casi favorevoli) e l’ammontare della generazione all’inizio dell’anno stesso (casi possibili); va osservato che tale rapporto esprime la probabilità che un soggetto di età x (anni compiuti) al 1° gennaio dell’anno considerato viva l’evento in oggetto entro il 31 dicembre dello stesso anno, vale a dire: subisca tale evento nel passare dalla classe di età x alla classe di età x + 1 (cfr. fig. 3.6b). Va infine precisato che nel caso di eventi ripetibili le espressioni per il calcolo delle due probabilità ora introdotte si identificano, rispettivamente, con quella dei tassi specifici tra compleanni (cfr. fig. 3.5b) e con quella dei tassi per generazione e anno di calendario (cfr. fig. 3.5c). Infatti, poiché l’evento ripetibile non implica l’eliminazione dell’individuo dalla generazione, il numero di esposti all’evento (ovvero i casi possibili) comprende anche coloro che hanno già vissuto tale evento e viene pertanto a coincidere col numero medio (anni vissuti) di appartenenti alla generazione.
2. La mortalità La mortalità costituisce, in genere, la principale componente negativa del movimento della popolazione. Il suo studio può essere realizzato con riferimento al complesso dei decessi, avvenuti in un dato periodo o in una data generazione; si parla allora di mortalità generale (o generica). Oppure, l’interesse può indirizzarsi su alcuni sottoinsiemi di popolazione opportunamente definiti: si parla allora di mortalità specifica. Quest’ultimo studio, inteso generalmente a evidenziare l’incidenza del fenomeno su prescelti gruppi di individui, può essere anche finalizzato all’analisi della mortalità differenziale col proposito di scoprire, ad esempio, l’esistenza di una supermortalità maschile rispetto a quella femminile, le differenze di mortalità per stato civile, l’incidenza dei diversi fattori ambientali e socioprofessionali nel determinare il maggior o minor rischio di morte. Nell’ambito della mortalità specifica sussistono aspetti degni di approfondimento quali, ad esempio: 1) la natimortalità: a tale riguardo deve osservarsi che la definizione di «nato morto» varia a seconda dei paesi: in Italia viene definito nato morto il neonato che non abbia dato alcun segno di vita e che, all’esame medico, risulti aver compiuto almeno 180 giorni di vita 84intrauterina; in assenza di quest’ultima caratteristica l’evento viene classificato come aborto; 2) la mortalità perinatale: essa è usualmente intesa come somma della natimortalità e della mortalità infantile dovuta a cause endogene (ovvero a malformazioni o alle particolari circostanze in cui è avvenuto il parto); quest’ultima componente viene misurata facendo riferimento ai decessi di neonati nel corso della prima settimana (o del primo mese di vita);
3) la mortalità infantile: essa è intesa come la mortalità che colpisce i nati vivi nell’intervallo fra la nascita e il primo compleanno. Nello studio della mortalità per età, la locuzione mortalità infantile è la sola che si riferisce ad una ben definita classe di età universalmente accettata, mentre ciò non accade nel caso della mortalità perinatale e ancor meno nei casi della mortalità giovanile, della mortalità adulta e della mortalità senile.
2.1.
Misure della mortalità
Tassi generici L’indicatore più usato per valutare il livello di mortalità di una popolazione in un dato anno di calendario è rappresentato dal tasso generico. Esso, come si è già avuto modo di precisare, segnala il numero di decessi (per ogni 1000 abitanti) avvenuti nel corso dell’anno medesimo. Si tratta di una semplice misura che, pur risentendo gli effetti della struttura della popolazione, ha il pregio di essere facilmente calcolabile e di fornire una immediata idea dell’intensità del fenomeno. Va comunque ricordato che, quando si vogliono effettuare confronti, è opportuno isolare il tasso di mortalità dall’influenza della struttura della popolazione; il che può essere realizzato con i procedimenti di standardizzazione di cui si è parlato in precedenza (cfr. cap. 2, par. 3).
Tassi specifici L’analisi delle differenze presentate dalla mortalità in corrispondenza dei sottogruppi di una popolazione può adeguatamente realizzarsi mediante un insieme di tassi specifici (espressi per 1000 abitanti), ciascuno dei quali ottenuto dal rapporto tra i decessi osservati, generalmente in un intervallo annuo, e l’ammontare medio della popolazione (anni vissuti) nello stesso arco temporale. Si possono calcolare tassi specifici per età (per classi annuali o pluriennali), per sesso, per professione, per stato civile, ecc. e considerare altresì due o più caratteri congiuntamente (cfr. esempio 3.3).
Esempio 3.3. Tassi specifici di mortalità per età, sesso e stato civile Dalle statistiche relative ai decessi in Italia nel 1971 si ricavano i seguenti valori:
Supponendo che nel 1971 il numero di anni vissuti nella classe di età x, x + 4 dalla popolazione italiana di un dato sesso e stato civile sia approssimato dal corrispondente ammontare di soggetti presenti alla data del censimento (24.10.1971), si può procedere (integrando i dati del prospetto A con quelli del successivo prospetto B) al calcolo dei seguenti tassi specifici di mortalità, per sesso, età e stato civile:
dove: x, x + 4 identifica la classe di età ( x = 40 , 45, 50, 55, 60, 65, 70), s il sesso (m = maschi, f = femmine) e sc lo stato civile (c = celibi/nubili, cg = coniugati, v = vedovi/e). Ad esempio:
Il complesso dei risultati conseguiti con l’impiego del suddetto indice figura nel seguente prospetto.
Fra i tassi specifici, particolare importanza rivestono quelli per età, spesso calcolati distintamente per maschi e femmine. Con essi è possibile determinare il livello della mortalità alle diverse età, osservarne i cambiamenti attraverso il confronto fra tassi per contemporanei calcolati in tempi successivi oppure studiare l’evoluzione del calendario della mortalità nelle generazioni. In particolare, l’analisi per contemporanei può realizzarsi impiegando i seguenti tassi specifici di mortalità per età (per singolo anno o per classi pluriennali) riferiti ad un anno di calendario t (cfr. graf. 1 e 2): [3.1]
[3.1’]
Meno ricorrente nell’analisi trasversale è invece il calcolo – in corrispondenza di tutte le generazioni che convivono alle diverse età (per uno spezzone della loro storia) nel corso dell’anno oggetto di osservazione – sia dei tassi specifici tra compleanni, sia di quelli per generazione. Viceversa, quando l’analisi viene rivolta ad una specifica generazione, l’impiego dei tassi tra compleanni oppure dei tassi per generazione e anno di calendario si prospetta come una scelta indispensabile. Per il calcolo dei primi si ricorre, in corrispondenza di tutti i successivi compleanni della generazione in oggetto, alla seguente espressione (cfr. graf. 3): [3.2]
dove g è l’indice che identifica l’anno di nascita della generazione che si considera ed è chiaro che gmx fa necessariamente riferimento all’intervallo biennale (t, t + 1 ), con t = g + x . Va comunque precisato che, assai spesso, quando non si hanno elementi per ricostruire la consistenza numerica dei soggetti che raggiungono l’x-esimo e l’ x + 1 -esimo compleanno (rispettivamente, gPx e gPx + 1), si è soliti adottare a denominatore della [3.2], in luogo di ½ [ gPx + gPx + 1 ], la quantità Px (31.12.t), con x = t – g .
Per quanto riguarda invece il ricorso ai tassi specifici per generazione e anno di calendario, la cui espressione di calcolo è la seguente (cfr. graf. 4): [3.3]
essi consentono di ricostruire (a partire dall’anno t = g + 1 ) l’incidenza della mortalità nella generazione nata nell’anno g in corrispondenza dei successivi passaggi, anno dopo anno, dalla classe d’età x = t – g – 1 alla classe d’età x + 1 , ( t = g + 1 , g + 2, … ).
Probabilità di morte per età Oltre che attraverso i tassi specifici, la valutazione del rischio di morte per età può essere effettuata con accuratezza (con finalità che verranno chiarite al successivo par. 2.2) sia nell’analisi per generazioni, sia in quella per contemporanei, mediante l’impiego delle probabilità di morte tra compleanni. Queste ultime, ipotizzando assenza di movimenti migratori sono fornite dai rapporti (cfr. graf. 5): [3.4]
che possono essere calcolati per tutte le età di una generazione (nell’analisi longitudinale) o in corrispondenza delle diverse età di tutte le generazioni che convivono in un dato intervallo biennale (analisi trasversale). L’esempio 3.4 mette in evidenza la modalità di calcolo e talune avvertenze che occorre seguire (in relazione alla struttura dei dati disponibili) nel procedere alla determinazione delle probabilità di morte tra compleanni.
Esempio 3.4. Calcolo delle probabilità di morte tra compleanni Ci si proponga di calcolare per la popolazione maschile residente nella provincia di Brescia la probabilità di morte tra il 60° ed il 61° compleanno relativa al bienio 1978-1979. A tale proposito, si può ricorrere alla formula 3.4, adattandola opportunamente per tener conto sia della natura dei dati disponibili, sia del «fattore di disturbo» dovuto alla presenza di movimenti migratori. Si prospettano le seguenti alternative. Disponibilità della classificazione annua dei decessi per età e anno di nascita (senza tener conto delle migrazioni) In tale circostanza si fa riferimento, senza alcuna variante, alla formula 3.4.
il cui numeratore si determina aggregando i decessi avvenuti nel biennio 1978-1979 relativamente ai soggetti nati nel 1918: 1918M60 = 1918M60 (1978) + 1918M60 (1979), ed il denominatore viene calcolato a partire dal numero di soggetti sessantenni al 31.12.1978: 1918P60 = 1918P60 (31.12.1978) + 1918M60 (1978) . Disponibilità della classificazione analitica dei decessi e delle migrazioni
La presenza di movimenti migratori modifica l’ammontare della popolazione esposta al rischio di morte. In tal caso la probabilità relativa viene calcolata emettendo l’ipotesi che i movimenti migratori si equidistribuiscano durante l’anno e che i saldi siano rimasti esposti al rischio medesimo per un periodo (medio) di metà anno. Conseguentemente la 3.4 assume la forma seguente:
con 1918P60 = P60 (31.12.1978) + 1918M60 (1978) – 1918I60 (1978) + + 1918E60 (1978) . Disponibilità della classificazione annua dei decessi e/o delle migrazioni solo per età Qualora non sia possibile conoscere con esattezza i dati di flusso che si identificano nei triangoli dello schema di Lexis ma solo quelli corrispondenti ai quadrati, anno dell’evento ed età dei soggetti interessati (grafico 8a), viene emessa l’ipotesi secondo cui le morti (M) ed il saldo migratorio (S) relativi ad un anno solare e ad una data età si equiripartiscono tra le due generazioni da cui provengono4; il tutto come emerge dal grafico 8b. Una volta operata la scomposizione indicata nel suddetto grafico 8b il calcolo della probabilità di morte può essere effettuato secondo il criterio esposto nel precedente punto.
Mentre le probabilità di morte tra compleanni hanno in genere, come si vedrà tra poco, la finalità di consentire la costruzione di tavole di mortalità, un secondo tipo di probabilità di morte – quelle tra due date e due classi d’età successive (o probabilità prospettive di morte) – sono prevalentemente usate nel campo delle previsioni demografiche. Tali probabilità misurano il rischio che hanno, in media, i soggetti in età x (anni compiuti) all’istante iniziale t dell’intervallo annuo (t, t + 1 ) di non essere in vita, in età x + 1 , all’istante finale t + 1 dell’intervallo stesso. Il calcolo delle probabilità prospettive di morte, che è comodo riferire ad una generazione (e quindi ad intervalli di tempo che coincidono con l’anno di calendario), avviene (sempre nell’ipotesi di flussi migratori nulli) mediante il rapporto (cfr. graf. 9): [3.5]
dove gM(t) rappresenta il numero dei decessi osservati nell’anno t nell’ambito dei gPx (1.1.t) soggetti appartenenti alla generazione nata nell’anno g, in età x (anni compiuti) al 1° gennaio dell’anno t. 93
2.2.
La tavola di mortalità
Quando si conoscono le probabilità di morte qx tra i diversi compleanni degli appartenenti ad una data popolazione (sia essa una generazione o un insieme di contemporanei), si può descrivere il processo di eliminazione per morte degli individui che ne fanno parte mediante una procedura che ha il pregio di offrire risultati comparabili – nel senso che non risentono dell’ammontare della popolazione che si considera né della sua struttura per età – e consente di isolare l’azione della mortalità quale unica causa di eliminazione degli individui dalla popolazione. Tale procedura trova la sua rappresentazione in un prospetto, noto col nome di tavola di mortalità (che può essere per generazioni o per contemporanei secondo la natura delle probabilità adottate), i cui elementi si determinano nel modo seguente. Sia l0 il numero degli individui considerati (abitualmente l0 è uguale a 100000 o ad un diverso multiplo di 10) e si supponga che durante la loro esistenza essi risultino sottoposti al rischio di morte tra due compleanni successivi secondo i valori delle probabilità (qx) cui si fa riferimento. Con tali premesse, se q0, è il valore della probabilità di morte tra il compleanno 0 (nascita) e il compleanno 1, il numero atteso (d0) 94dei decessi entro il primo compleanno risulta essere: [3.6] d0 = l0 q0.
Dal che segue che il numero di coloro che sopravvivono fino al raggiungimento del primo compleanno (l1) è fornito da: [3.7] l1 = l0 – d0.
Valutato l1 è poi possibile determinare, con una relazione analoga alla [3.6], il numero di coloro (d1) che muoiono tra il primo e il secondo compleanno, ovvero: [3.8] d1 = l1 q1.
da cui si ottengono i sopravviventi (l2) al secondo compleanno: [3.9] l2 = l1 – d1,
e così via. In generale si ha: [3.10] dx = lx qx,
e: [3.11] lx + 1 = lx – dx = lx (1 – qx),
con x crescente sino all’età in cui il numero dei sopravviventi non risulta annullato, ovvero in corrispondenza dell’età, comunemente indicata con ω, che identifica l’età estrema della tavola. Mediante la procedura suddetta si ha modo, con riferimento ad una ipotetica generazione di l0 individui nati nello stesso istante e soggetti nel corso della loro vita al rischio di morte espresso dalle probabilità qx, di ottenere: a) la serie completa dei sopravviventi lx ai successivi compleanni; b) il numero di decessi dx avvenuti entro i diversi compleanni, ( x = 0, 1, 2, … , ω – 1 ). In aggiunta ai valori così determinati, la tavola di mortalità può contenere anche altri indicatori (o funzioni biometriche) cui si attribuisce il compito di arricchire la descrizione del processo di eliminazione per morte degli l0 individui presi in considerazione. In particolare: a) le probabilità di sopravvivenza (px) dal compleanno x al com95pleanno x + 1 , che rappresentano il complemento ad uno delle probabilità di morte; cioè: px = 1 – qx;
b) gli anni vissuti (Lx) tra i compleanni x e x + 1 da parte dei soggetti che hanno raggiunto l’età x. La determinazione di tali valori avviene sommando: 1) il numero lx + i dei sopravviventi al compleanno x + 1 , ognuno dei quali ha vissuto un anno entro i limiti di età che si considerano, e 2) il numero complessivo degli anni vissuti tra i compleanni x e x + 1 da parte dei dx soggetti che sono deceduti in età x. Quest’ultimo dato si ottiene supponendo che ognuno di essi abbia vissuto, in media, tra i suddetti compleanni una predeterminata frazione di anno pari a kx, ( 0 < kx < 1 ). Pertanto: Lx = lx + 1 + kx dx.
Anzi, poiché il valore di kx viene generalmente posto uguale a 1/2 si ha: Lx = lx + 1 + 1/2 dx = lx + 1 + 1/2(lx – lx + 1) = = 1/2(lx + lx + 1).
Va tuttavia osservato che in corrispondenza di x = 0 , così come in corrispondenza delle età più anziane, l’ipotesi secondo cui kx = 1/2 appare poco realistica. La mortalità nel primo anno di vita, infatti, è prevalentemente concentrata nelle prime settimane dell’esistenza e la frazione di anno vissuta (in media) da coloro che sono deceduti entro tale limite è sensibilmente variabile nel tempo e nello spazio. A seguito di ciò, il valore di k0 viene in genere determinato sulla base della
distribuzione per età dei decessi nel primo anno di vita corrispondenti al periodo, o alla generazione, cui si riferisce la tavola. Ad esempio, la tavola di mortalità relativa alla popolazione italiana per il 1992 (cfr. tav. 3.1) utilizza il valore k0 = 0,025 per i maschi e 0,042 per le femmine. Va ancora aggiunto che la serie degli Lx, oltre a rappresentare gli anni vissuti, si presta anche a rappresentare la struttura per età della popolazione stazionaria (e quindi a crescita zero) associata alla tavola di mortalità; vale a dire: i valori Lx identificano la distribuzione per classi di età che verrebbe acquisita da un’ipotetica popolazione se essa, indipendentemente dalla sua numerosità e dalla sua struttura per età iniziale, dovesse registrare costantemente, per un sufficiente numero di anni (almeno ω), la frequenza annua l0 di nascite e dovesse subire il rischio di morte secondo le probabilità qx, che definiscono 96gli elementi della tavola in oggetto (cfr. esempio 2.1 ed esempio 3.5). Una certa considerazione merita altresì la serie retrocumulata (Tx) degli anni vissuti. Tale indicatore fornisce il numero totale di anni che verranno ancora vissuti (complessivamente) dagli lx soggetti che hanno raggiunto il compleanno x; esso si ottiene mediante la relazione: Tx = Lx + Lx + 1 + Lx + 2 + … + Lω – 1.
c) la speranza di vita o vita media (o vita attesa) (ex) all’età x, che rappresenta il numero medio di anni che un soggetto può ancora attendersi di vivere al compimento dell’età x se sarà esposto, nel corso della sua vita, alle condizioni di mortalità che, mediante la serie dei qx, caratterizzano la tavola . In particolare, il valore e0 (speranza di vita alla nascita) viene generalmente assunto come indice sintetico per descrivere e confrontare il livello di mortalità espresso da una tavola di mortalità; ad esempio, dal valore di e0 riportato nella tavola 3.1 si può immediatamente cogliere il fenomeno della maggior sopravvivenza delle femmine ( e0 = 80,36 ), rispetto ai maschi ( e0 = 73,79 ), che caratterizza la popolazione italiana in base ai livelli di mortalità del 1992. Ai fini del calcolo, la speranza di vita si può ottenere come rapporto tra la somma retrocumulata Tx, anni che restano complessivamente da vivere ai soggetti che raggiungono il compleanno x, e la numerosità lx di questi ultimi, cioè:
Esempio 3.5. Rappresentazione della tavola di mortalità nel diagramma di Lexis e riflessioni sul modello della popolazione stazionaria Il contenuto della tavola di mortalità si presta ad essere rappresentato nel diagramma di Lexis nel modo seguente:
essendo, per cose note,
Ciò premesso, si può subito osservare che se una popolazione (in assenza di movimenti migratori) nell’anno t dovesse presentare un’ammontare di 100000 nascite e se tale generazione di nati dovesse subire nel corso della sua vita l’azione della mortalità secondo i valori di qx espressi da una data tavola (con l0 = 100000 ), i contingenti in età 0 al 31.12.t, in età 1 al 31.12.t + 1 , …, in età x al 31.12.t + x verrebbero a coincidere con i valori L0 , L1, …, Lx che caratterizzano la tavola cui si fa riferimento. Ne segue che, qualora la frequenza di 100000 nati annui – destinati ad una sopravvivenza regolata dai suddetti valori di qx – dovesse costantemente ripetersi anche negli anni t + 1, t + 2, …, t + h, si avrebbe modo di constatare al 31.12.h una perfetta coincidenza tra la popolazione in età 0, 1, 2, …, h e i corrispondenti valori L0 , L1, L2, …, Lh forniti dalla tavola. A questo punto, ben si comprende che il protrarsi della frequenza annua di l0 nascite e dei livelli di mortalità corrispondenti ai valori di qx per un sufficiente numero k di anni (tale che k arrivi ad eguagliare ω, così da ritenere estinte tutte le generazioni che erano presenti all’istante iniziale 1.1.t) potrà condurre la popolazione in oggetto ad acquisire al tempo t + k lo stato di perfetta stazionarietà. Ciò significa che, da allora in poi (sino a che persisteranno le condizioni di natalità e
di mortalità ipotizzate) la struttura per età di tale popolazione verrà a coincidere con i valori di Lx ( x = 0, 1, 2, … , ω – 1 ), e la sua numerosità totale P si identificherà con il corrispondente valore di:
L’invarianza nel tempo dell’ammontare della popolazione implica altresì l’uguaglianza tra la frequenza annua di nascite N e di morti M, e tra i corrispondenti tassi generici. Questi ultimi, stante le uguaglianze P = T0 , N = M = l 0 , e ricordando che: e0 = T0/l0 , risultano equivalenti al reciproco (per 1000) della speranza di vita alla nascita.
Va ancora aggiunto che le precedenti osservazioni, svolte a partire dall’ipotesi di una frequenza annua di 100000 nati e dal riferimento ai valori di una tavola caratterizzata da l0 = 100000 , restano valide qualunque sia l’ammontare di nascite, purché costante nel tempo. In generale, indicato tale ammontare con N’, la struttura per età della corrispondente popolazione stazionaria sarà data dalla serie di valori N’ Lx/l0 ( x = 0, 1, 2, … , ω – 1 ) e la numerosità totale sarà uguale a: N’T0/l0 = N’e0 . Resta invece indipendente dal valore di N’ l’uguaglianza fra i tassi generici (di natalità e di mortalità) e la loro relazione inversa rispetto alla speranza di vita alla nascita. L’importanza pratica del modello della popolazione stazionaria consiste essenzialmente nel fungere da termine di riferimento per un duplice ordine di obiettivi. Uno di tipo investigativo, quando ci si propone di allargare, con stime appropriate e coerenti, la conoscenza di alcuni fenomeni o dati di struttura relativi a collettivi demografici per i quali si dà per scontata (o quanto meno si accetta come plausibile) la condizione di stazionarietà (caso 1). L’altro, di tipo interpretativo, quando si affronta la verifica empirica della condizione di stazionarietà in una data popolazione, evidenziando i punti di divergenza tra realtà e modello teorico (caso 2). I seguenti casi esemplificano i due diversi approcci. Caso 1. Potendo ritenere che nel corso del periodo 1828-1837 la popolazione localizata nella zona agraria di pianura dell’area piemontese fosse approssimativamente in condizione di stazionarietà e sapendo che essa era caratterizzata da tassi generici di natalità e di mortalità nell’ordine del 35-40 per 1000, la corrispondente durata media della sopravvivenza (compatibile con tali elementi) può stimarsi in un valore compreso tra un minimo di 25 anni ed un massimo di 28,6, infatti:
Caso 2. Nel corso del 1993 la popolazione italiana è stata caratterizzata da un saldo naturale negativo di circa 2 mila unità (su 57 milioni di residenti). Prescindendo dalla componente
migratoria si può dunque affermare il raggiungimento della crescita zero, realizzata in presenza di 553 mila nascite annue e di una durata media della sopravvivenza (e0) nell’ordine di 77 anni (complessivamente per maschi e femmine). Ma è lecito interpretare tale crescita zero come indizio dell’effettivo raggiungimento della condizione di stazionarietà? La risposta non può che essere negativa. Infatti, con 553 mila nascite e 77 anni di vita media l’ammontare totale della popolazione stazionaria compatibile sarebbe di soli 42,5 milioni ( P = N’e0 ) di abitanti. Di fatto, tenendo fisse le condizioni di mortalità che si sono osservate nel corso dei primi anni ’90 – e quindi il corrispondente valore di e0 – occorrerebbero costantemente 740 mila nascite annue (quasi 200 mila in più) al fine di raggiungere la stazionarietà con un ammontare totale di 57 milioni di abitanti N’ = P/e0 57000000/77 = 740260 . D’altra parte, anche il fatto che l’invarianza sotto il profilo quantitativo, accertata nel corso di questi ultimi anni, non abbia avuto analogo riscontro sul piano della struttura per età, rappresenta un’ulteriore conferma del divario tra realtà e modello di stazionarietà, ed avvalora l’interpretazione della crescita zero nella popolazione italiana come fenomeno temporaneo dovuto alle particolari circostanze del momento.
Circa la disponibilità degli elementi mediante i quali procedere alla costruzione della tavola di mortalità va ancora precisato che, qualora per mancanza di dati sufficientemente analitici (quando manca la struttura dei decessi per sesso, età e anno di nascita) non sia possibile calcolare le probabilità di morte mediante la [3.4], si può ricorrere a soluzioni approssimate che richiedono informazioni più accessibili. Una, ad esempio, fa riferimento alla seguente relazione: [3.12]
dove mx indica il tasso specifico di mortalità relativo all’età x, ottenibile con la [3.1] in corrispondenza di un dato anno t o con la [3.2] in corrispondenza di una data generazione g, mentre kx rappresenta una conveniente stima della frazione di anno (spesso per semplicità, posta pari a 1/2) vissuta tra il compleanno x e x + 1 da parte di coloro che sono deceduti in età compresa fra i compleanni medesimi.
Con l’esempio 3.6 viene mostrato il legame fra tassi specifici e probabilità, evidenziando, altresì, le ipotesi che stanno alla base del legame medesimo e indicando come si debba procedere nel caso di intervalli di età che non siano di ampiezza annuale.
Una precisazione, quest’ultima, che, come si avrà modo di vedere nel seguito, trova utilità pratica nella costruzione di tavole di mortalità in forma abbreviata; tavole che richiedono la disponibilità di opportune serie di probabilità di morte aqx tra i compleanni x e x + a (con a ≥ 1 ).
Esempio 3.6. Approssimazione delle probabilità di morte qx, mediante l’impiego dei tassi specifici per età Si attribuisca ai simboli A, A’, B, P e P’ la funzione di rappresentare, in conformità al significato che essi assumono nello schema di Lexis, una serie di dati relativi ai decessi in età x negli anni t e t + 1 ed alla popolazione nelle stesse età al 1° gennaio e al 31 dicembre dell’anno t.
Supponendo che i due gruppi di soggetti i cui decessi sono rappresentati dalla lettera A’ e B nei triangoli (1) e (2) del grafico 11 abbiano vissuto, in media, tra i compleanni x e x + 1 , rispettivamente, k’ e k” anni ( 0,5 < k’ < 1 ; 0 < k” < 0,5 ), il numero complessivo di anni vissuti dalla popolazione nel corso dell’anno t entro i suddetti compleanni è fornito dall’espressione: (P’ – A’) ½ + (P) ½ + k”B + (k’ – ½) A’ = = ½ (P + P’) – A’ + k”B + k’A’ = = ½ (P + P’) + k”B – (1 – k’) A’.
Il tasso specifico mx(t) e la probabilità di morte qx tra i compleanni x e x + 1 si ottengono nel modo seguente: [1]
e: [2]
Se valgono le ipotesi A = A’ e P = P’ , che sottointendono un identico comportamento per le generazioni nate negli anni g – 1 e g, è possibile istituire una relazione tra mx e qx. La [1] diviene infatti:
che, sostituendo a k’ e k” la loro media aritmetica ponderata:
può anche scriversi:
da cui, dividendo entrambi i membri per P + B e ricordando la [2], si ottiene: mx(t) – mx(t) qx(1 – kx) = 1000 qx
[3]
Per quanto riguarda l’impiego della [3], si consideri la trasformazione in probabilità dei seguenti tassi specifici.
La [3] può anche generalizzarsi al caso di tassi specifici per classi di età pluriennali del tipo:
L’espressione per la trasformazione di tali tassi in probabilità è la seguente: [4]
essendo aqx la probabilità di morte tra i compleanni x e x + a (con a = h + 1 ) e akx la frazione dell’ampiezza a dell’intervallo (x, x + a ) mediamente vissuta da coloro che sono deceduti entro i suddetti compleanni ( 0 < akx < 1 ). Il sottostante prospetto riporta alcune applicazioni della [4].
Tavola di mortalità abbreviata Per motivi di comodità, per mancanza di dati analitici di base oppure per condizionamenti di ordine territoriale quando la popolazione cui si fa riferimento è di dimensioni contenute e si teme che la distribuzione dei morti possa aver risentito di fluttuazioni accidentali o di eventi straordinari che hanno inciso pesantemente su specifiche classi annue d’età (ad esempio per un grave incidente mortale in una scolaresca) si procede talvolta alla costruzione di tavole di mortalità in una forma più ridotta rispetto a quella proposta nelle pagine precedenti. Si tratta di tavole in cui il processo di eliminazione per morte viene descritto, invece che tra compleanni contigui, tra successivi intervalli di età pluriennali. In tali circostanze, le modalità di costruzione della tavola restano sostanzialmente identiche a quelle già viste e le relazioni a suo tempo introdotte subiscono solo alcuni semplici adattamenti. In particolare, identificando con: • • • • • • •
aqx la probabilità di morte tra i compleanni x e x + a ; adx i decessi entro i compleanni x e x + a ; lx i sopravviventi al compleanno x; akx la frazione di intervallo compreso tra i compleanni x e x + a vissuta (in media) dai deceduti entro tali limiti di età ( 0 < akx < 1 ); aLx gli anni vissuti entro i compleanni x e x + a ;107 Tx la somma retrocumulata degli anni vissuti a partire dal compleanno x; ex la speranza di vita (o vita media) al compleanno x;
si avrà: adx = lx aqx, lx + a = lx – adx, aLx = alx + a + akxa adx, ex = Tx / lx.
Riportiamo la tavola di mortalità abbreviata (cfr. tav. 3.2) relativa alla popolazione maschile egiziana calcolata con riferimento all’anno 1992.
Impiego della tavola di mortalità La disponibilità di una o più tavole di mortalità consente, da un lato, di approfondire la descrizione e l’analisi del processo di eliminazione per morte, dall’altro, di avere un modello teorico cui fare riferimento nel compiere talune scelte di natura operativa. Il primo aspetto è certamente il più evidente e forse il più noto; il complesso di informazioni contenute in una tavola di mortalità offre, infatti, gli elementi per misurare l’evoluzione del rischio di morte alle diverse età ed il confronto fra più tavole consente di individuare nei dettagli gli eventuali progressi (o regressi) nella durata della sopravvivenza. Tali progressi (o regressi) si possono cogliere accostando tavole che riproducono la reale esperienza di successive generazioni (confronto fra tavole per generazioni) oppure valutando l’ipotetica evoluzione di gruppi di individui sottoposti alle condizioni di mortalità che hanno caratterizzato epoche diverse (confronto fra tavole per contemporanei, cfr. esempio 3.7).
Esempio 3.7. Confronto fra la speranza di vita ad alcune età calcolata con riferimento ad epoche diverse Il sottostante prospetto riporta, relativamente alla popolazione italiana, i valori della speranza di vita ad alcune età ricavati da sei tavole di mortalità per contemporanei. Si tratta di tavole che sono state costruite utilizzando le probabilità di morte fra compleanni riferite ad un dato intervallo di tempo e che, pertanto, riflettono le corrispondenti condizioni di mortalità «del momento». Il confronto dei valori di ex in tempi successivi consente di valutare, per età e per sesso, in che misura le variazioni dei livelli del rischio di morte per età si tradurrebbero, per un’ipotetica popolazione sottoposta a tali livelli, in un accrescimento della sopravvivenza. Ad esempio, un neonato (femmina) se dovesse sperimentare, nel corso della sua esistenza, condizioni di mortalità analoghe a quelle osservate nel quadriennio 1899-1902, avrebbe una «vita attesa» di 43 anni; in base alle condizioni osservate nel 1977-1979 la sua «vita attesa» salirebbe 77,2 anni e aumenterebbe di altri 3 circa in base alle condizioni del 1992.
Nell’arco di circa un secolo la curva di sopravvivenza relativa alla popolazione femminile lx è andata sempre più assumendo una forma «rettangolare», con un significativo incremento dell’area degli anni vissuti (compresa tra gli assi e la curva di sopravvivenza). Ulteriori guadagni futuri sembrano tuttavia possibili, oltre che mediante il completamento del processo di «rettangolarizzazione» della curva, anche a seguito dello «spostamento a destra» del limite estremo della sopravvivenza.
Relativamente alla finalizzazione operativa della tavola di mortalità si sottolineano due importanti settori d’impiego (cfr. esempio 3.8): a) il campo assicurativo-attuariale, ove essa consente di predisporre le basi tecniche per il calcolo dei premi delle assicurazioni sulla vita; b) le previsioni demografiche, ove si fa riferimento al modello di sopravvivenza descritto da una opportuna tavola e lo si proietta nel futuro al fine di stimare il numero di coloro che, stante la validità del modello adottato, sopravviveranno alla fine dell’intervallo di tempo coperto dalla previsione.
Esempio 3.8. Alcuni impieghi della tavola di mortalità Costruzione delle basi tecniche per il calcolo dei premi nelle assicurazioni sulla vita Come è noto, la somma (o premio) che un individuo di età x deve pagare per assicurarsi un certo capitale, se sarà in vita ad un prefissato compleanno x + n (o per assicurarlo a favore degli eredi in caso di morte), viene determinata (dall’assicuratore) in funzione della probabilità che si verifichi l’evento (sopravvivenza o decesso) che costituisce l’oggetto dell’assicurazione. Tale probabilità, che non può evidentemente calcolarsi a priori (se non arbitrariamente) in corrispondenza di ogni singolo caso, si ricava facendo riferimento ad un’appropriata tavola di mortalità. Si ipotizza, cioè, che la popolazione degli assicurati sia soggetta alle regole di sopravvivenza (e di eliminazione) che governano la tavola prescelta. Ad esempio, se un individuo (maschio) che oggi compie trent’anni volesse assicurare ai suoi eredi un dato capitale in caso di morte entro il 60° compleanno, la probabilità del verificarsi di un tale evento (secondo la tavola italiana 1992) è uguale a:
Analogamente, se una femmina in età tra il 50° ed il 51° compleanno volesse garantirsi un capitale, se in vita al compimento del 70° compleanno, la stessa tavola consentirebbe di assegnarle una probabilità di sopravvivenza pari a:
I precedenti valori, opportunamente rielaborati al fine di tener conto anche di considerazioni di ordine finanziario (legate allo sfasamento temporale tra il pagamento del premio e l’eventuale versamento della somma assicurata da parte dell’assicuratore), entrano a far parte delle cosiddette «basi tecniche» delle assicurazioni sulla vita; ossia, di quell’insieme di parametri adottati dall’assicuratore per la determinazione del premio.
Costruzione di probabilità di sopravvivenza finalizzate al calcolo di previsioni demografiche Si consideri un gruppo di individui (Px(t)) in età x al tempo t e ci si proponga di voler prevedere quanti di essi (Px + n (t + n)) saranno in vita, in età x + n, al tempo t + n. La soluzione di tale problema si ottiene eseguendo il prodotto tra il numero di soggetti esposti a sopravvivere tra le età x e x + n nell’intervallo temporale (t, t + n ) e la relativa probabilità di sopravvivenza; quest’ultimo valore, opportunamente determinato sulla base di una tavola di mortalità idonea a rappresentare i livelli di eliminazione per morte prevedibili nell’intervallo (t, t + n ), si esprime mediante il rapporto:
Ad esempio, considerando la popolazione maschile ventenne residente in Italia al 20.10.1991 (460062 unità) il corrispondente numero di trentenni che si prevedono, in assenza di migrazioni, per il 20.10.2001 è:
da cui, impiegando i valori Lx forniti dalla tavola di mortalità italiana del 1992, si ottiene:
2.3.
Un approfondimento in tema di mortalità: la mortalità infantile
Come si è già avuto modo di segnalare, rientrano nell’ambito della mortalità infantile tutti i decessi avvenuti entro il primo compleanno. La misurazione di tale fenomeno riveste particolare importanza sia perché le morti infantili rappresentano spesso una quota consistente della mortalità totale, sia perché il livello della mortalità infantile costituisce un significativo indicatore delle caratteristiche ambientali e sociosanitarie che contraddistinguono una popolazione. In proposito, risulta assai interessante lo studio differenziale della mortalità infantile esteso a sottopopolazioni diversificate dal punto di vista territoriale, socioeconomico, culturale, e così via.
Per la misura della mortalità infantile (cfr. esempio 3.9) si è soliti fare riferimento al tasso di mortalità infantile, definito dal rapporto tra il numero M0(t) di decessi in età 0 e il numero N(t) di nati in un dato anno di calendario (cfr. graf. 12): [3.13]
Si tratta di un indicatore assai semplice, che ha il pregio di richiedere dati di facile acquisizione ma che presenta una evidente incongruenza: i decessi al numeratore provengono da due diverse
generazioni (i nati negli anni t – 1 e t) e vengono rapportati agli effettivi di una sola di esse (i nati nell’anno t). Tale limite, che assume rilievo solo allorché si abbiano sensibili oscillazioni nel numero di nati tra due anni contigui, può suggerire il ricorso a formule alternative alla [3.13]. In particolare: si potrà correggere la distorsione contenuta nella [3.13] ponendo a denominatore la media aritmetica ponderata dell’ammontare di nascite avvenute negli anni t e t – 1 adottando come pesi la frazione h di decessi nel primo anno di vita, avvenuti nell’anno stesso di nascita ed il suo complemento a uno ( 1 – h ). [3.13’]
In merito alla scelta del valore di h va osservato che tale funzione è crescente al decrescere del livello della mortalità infantile. Qui di 112seguito si riportano alcuni valori di h desunti da osservazioni empiriche relative alla popolazione italiana in un periodo che va dal primo dopoguerra agli anni ’90.
Esempio 3.9. Calcolo del tasso di mortalità infantile Si considerino i seguenti dati relativi alla popolazione italiana:
Il calcolo del tasso di mortalità infantile relativamente all’anno 1978, mediante le formule proposte nel paragrafo 2.3, può svolgersi nel modo seguente:
oppure, posto h = 0,9 e ( 1 – h ) = 0,1:
e analogamente per l’anno 1992:
3. La nuzialità In tutte le società umane si osserva la naturale tendenza alla costituzione di unioni, relativamente stabili, tra coppie di sesso opposto. Tali unioni, sia che vengano giuridicamente sancite attraverso un atto formale statisticamente rilevabile (il matrimonio), sia che abbiano origine da accordi consensuali, identificano la nascita di un nucleo familiare e costituiscono la premessa (anche se non in via esclusiva) per la manifestazione della riproduttività della popolazione. Il processo di formazione (e di scioglimento) delle coppie assume quindi rilevanza, oltre che sotto il profilo sociale, anche sotto il profilo demografico, e ciò nonostante esso non dia luogo a modificazioni quantitative della popolazione ma solo, eventualmente, a trasformazioni di natura qualitativa (variazioni dello stato civile). Nello studio del processo di formazione delle coppie, l’analisi della nuzialità occupa certamente il ruolo più importante, sia per la maggior rilevanza del fenomeno, sia per una più ampia disponibilità di dati statistici. È infatti estremamente difficile identificare la costituzione e lo scioglimento delle unioni consensuali, in merito alle quali, si possono, al più, fornire stime a proposito della loro consistenza e della loro struttura sulla base dei dati del censimento oppure mediante indicatori indiretti (cfr. scheda 5) o alla luce di risultati di inchieste speciali. Nel rivolgere l’attenzione alla nuzialità di tipo istituzionale vanno, tuttavia, segnalati due aspetti del fenomeno che accrescono le difficoltà per un suo esame. Il primo è che la nuzialità risulta caratterizzata da eventi rinnovabili; occorre, perciò, distinguere i primi matrimoni da quelli di ordine successivo, così come d’altra parte è opportuno valutare distintamente i diversi casi di scioglimento del vincolo matrimoniale: per vedovanza, separazione, divorzio. Il secondo elemento consiste nel fatto che il matrimonio è un evento che mette in relazione due unità statistiche ben distinte che converrebbe considerare congiuntamente. Tuttavia, assai spesso, per difficoltà di varia natura (connesse anche alla struttura dei dati usualmente disponibili), l’analisi della nuzialità viene svolta separatamente per ciascun sesso.
3.1.
Analisi trasversale della nuzialità
L’indicatore più immediato per misurare la nuzialità nel corso di un dato periodo (generalmente un anno) e per consentirne il confronto in tempi e luoghi diversi è costituito dal tasso generico di nuzialità: [3.14]
ove S(t) indica il numero di matrimoni celebrati nell’anno t e (anni vissuti) nello stesso arco di tempo.
la popolazione media
Talvolta, col proposito di introdurre una stima più verosimile della popolazione esposta all’evento, si considerano al denominatore del rapporto solo i soggetti matrimoniabili (non coniugati nc) e in età compresa entro prefissati limiti: [3.15]
essendo a, e b, rispettivamente, i prescelti limiti inferiore e superiore dell’età matrimoniabile; tali limiti vengono spesso approssimativamente fissati tra il 15° e il 50° compleanno, ma non si deve ritenere che essi siano necessariamente costanti nel tempo e nello spazio ed identici per maschi e femmine. Misure analoghe alla [3.14] e alla [3.15] possono anche costruirsi con riferimento alla sola nuzialità dei primi matrimoni. In tal caso è opportuno operare la distinzione per sesso e rapportare la frequenza annua di sposi (o spose) al loro primo matrimonio S’ m(t) o S’ f(t) alla popolazione media del corrispondente sesso o o all’ammontare di popolazione (sempre del corrispondente sesso) in condizione di contrarre un primo matrimonio (celibi (c) e nubili (n) in età matrimoniabile): [3.16]
anche se, per questi indici (come d’altra parte per quello fornito dalla [3.15]), manca talvolta, al di fuori dell’anno di censimento, la disponibilità dei dati da porre al denominatore del rapporto.
Esempio 3.10. Calcolo del tasso generico di nuzialità Si considerino i matrimoni celebrati in Italia negli anni 1961, 1971, 1978 e 1991 e le corrispondenti stime della popolazione media, specificata secondo alcuni caratteri:
Un tale insieme di dati consente il calcolo dei seguenti tassi generici di nuzialità (cfr. le formule [3.14], [3.15] e [3.16]):
Per quanto riguarda poi l’analisi della nuzialità per età, essa può realizzarsi, separatamente per maschi e femmine, mediante il calcolo di tassi specifici per età analoghi a quelli introdotti con la [3.1] (cfr. graf. 13): [3.17]
o, meno frequentemente, mediante i tassi per generazione e anno di calendario (cfr. graf. 14): [3.18]
In entrambi i casi si potrà porre a denominatore l’ammontare della corrispondente popolazione totale o quello della popolazione ritenuta matrimoniabile; così come si potranno costruire (considerando a numeratore solo gli sposi celibi o le spose nubili) tassi del tipo [3.17] e [3.18] limitatamente ai primi matrimoni. Le stesse formule (con gli opportuni adattamenti), consentono altresì di calcolare i tassi specifici relativi a classi di .età di ampiezza pluriennale del tipo (cfr. esempio 3.11): [3.19]
Traslazione dei tassi per contemporanei calcolati mediante la [3.20]. Allorché si disponga, per ciascun sesso, della serie dei tassi specifici per età del tipo [3.17] o [3.18] è anche possibile determinare quello che si è soliti definire tasso di nuzialità totale (TNT) dell’anno considerato e che è fornito dalla somma: [3.20]
che, nel caso di tassi specifici per classi di età pluriennali, chiama in causa i prodotti di ciascun tasso per la corrispondente ampiezza della classe (cfr. esempio 3.11). La [3.20] può anche applicarsi (sempre distinguendo fra maschi e femmine) al caso di tassi riferiti ai primi matrimoni, risultando: [3.21]
119 I valori del TNT e del TNT’ forniscono misure della intensità finale della nuzialità (complessiva o di primo ordine) attribuibile ad una generazione fittizia di 1000 soggetti del sesso considerato, nell’ipotesi che nessuno dei medesimi venga eliminato dal collettivo entro l’età b e che essi sperimentino nel corso della loro vita alle diverse età i tassi specifici di nuzialità, sx(t) o , osservati nell’anno t (cfr. fig. 3.7).
Esempio 3.11. Calcolo dei tassi specifici di nuzialità e del corrispondente tasso di nuzialità totale Si considerino le distribuzioni per età dello sposo relative al complesso dei matrimoni e ai primi matrimoni celebrati in Italia nell’anno 1978:
Nelle colonne (5) e (6) si riportano i tassi specifici di nuzialità per età ottenuti mediante la [3.19], ad esempio:
La somma dei tassi specifici relativi a tutte le età identifica il tasso di nuzialità totale (TNT o TNT’) i cui valori si interpretano nel modo seguente: qualora una generazione di 1000 individui di sesso maschile, esente da mortalità e da migrazioni entro il 50° compleanno, dovesse sperimentare nel corso della sua vita i tassi specifici di nuzialità sx o osservati nel 1978 essa registrerebbe, al termine dell’età matrimoniale (50° compleanno), 829 matrimoni e 813 primi matrimoni. Va in ogni caso ricordato che i precedenti risultati si ottengono proiettando nella vita di una generazione le intensità del fenomeno osservato in uno stesso anno su un complesso di generazioni e relative ad uno «spezzone» assai limitato della loro storia. È del tutto evidente la netta influenza che esercitano su tali risultati le condizioni ambientali, favorevoli o avverse alla nuzialità, che agiscono sul complesso delle generazioni che convivono nell’anno considerato. Tale influenza può giungere a produrre risultati palesemente assurdi quando, ad esempio, l’elevato valore dei tassi specifici di un dato anno dà luogo ad un numero totale di primi matrimoni (TNT’) che, riferito a 1000 soggetti, risulta superiore a 1000.
In proposito, il seguente esempio, relativo alla nuzialità italiana del 1964, si dimostra assai eloquente.
I tassi riportati nella colonna (4) si ottengono con la formula:
ad esempio:
il tasso di nuzialità totale si ottiene dalla somma dei prodotti tra ciascun tasso (s’x, x + h) e l’ampiezza (a) della corrispondente classe d’età: TNT’ = (3)(1,221) + (3)(14,486) + … + + (7)(16,386) + (10)(3,740) = 1047,989. Le condizioni del 1964 hanno generato un insieme di tassi specifici che, se riferiti ad una generazione, comporterebbero 1048 primi matrimoni per ogni 1000 soggetti!
Mentre la misura dell’intensità della nuzialità in un dato anno può determinarsi attraverso l’impiego dei tassi generici o, rendendo il fenomeno allo stato puro, mediante il ricorso al TNT (anche se con i limiti imposti dal riferimento ad una generazione fittizia come descritto nell’esempio 3.11), la determinazione di una misura sintetica del calendario con cui il fenomeno in questione può essere realizzato si ottiene ricorrendo ad alcuni particolari indicatori. Uno di questi, forse il più usato, è quello che si identifica nell’età media al matrimonio o, più raramente, nell’età mediana o modale. Il primo ha la struttura seguente: [3.22]
se si fa riferimento alla distribuzione per età (in anni compiuti) degli sposi (o delle spose) osservata nell’anno t, e: [3.23]
se si fa riferimento alla sintesi del calendario della generazione fittizia relativamente alla quale è stato calcolato il TNT. In entrambi i casi, è immediato osservare che si tratta di una media aritmetica ponderata delle età al matrimonio, il cui sistema di pesi è rappresentato, nella [3.22], dal numero dei matrimoni per età
(Sx) e, nella [3.23], dai tassi specifici (sx). È del tutto evidente l’estensione della [3.22] e della [3.23] al calcolo dell’età media al primo matrimonio (cfr. esempio 3.12).
Esempio 3.12. Calcolo dell’età media al matrimonio Con i dati dell’esempio 3.11 e mediante l’impiego della [3.22] e [3.23] si ottengono i seguenti valori relativi all’età media dello sposo al primo matrimonio: Anno 19786:
oppure:
Anno 1964:
oppure:
In quest’ultimo caso, il sistema di ponderazione, in corrispondenza del valore centrale di ogni classe, è determinato dal prodotto fra tasso specifico e ampiezza della classe.
3.2.
Nuzialità per contemporanei e per generazioni
Sino ad ora si è fissata l’attenzione all’analisi della nuzialità per contemporanei. Tale analisi, che richiede dati solitamente disponibili, consente di evidenziare le caratteristiche del fenomeno con riferimento a un dato intervallo temporale, ma non fornisce un’immagine di quelle che sono le sue tendenze di fondo. A domande del tipo «Come è cambiata negli anni più recenti la propensione a sposarsi?» oppure: «Le nuove generazioni sono orientate verso una nuzialità precoce o più tardiva?», l’approccio per contemporanei offre risposte che sono inadeguate, in quanto fornite da indicatori che risentono l’influenza delle condizioni (economiche, sociali, culturali) del ristretto periodo che si considera. Infatti, in anni particolarmente favorevoli, il recupero di matrimoni, che in epoche precedenti sono stati rinviati, o la celebrazione anticipata di nozze, programmate per tempi successivi, possono contribuire ad accrescere l’intensità della nuzialità, senza che ciò significhi né un incremento della propensione a sposarsi, né un nuovo orientamento stabile rispetto alla scelta dei tempi (cfr. esempio 3.11). Così come può accadere che condizioni congiunturali avverse inducano a rinviare il matrimonio e contribuiscano a comprimere il livello annuo della nuzialità, indipendentemente da variazioni sistematiche nell’intensità e nel calendario del fenomeno. D’altra parte, va sempre tenuto presente che la nuzialità, le cui manifestazioni derivano da decisioni che tengono conto delle condizioni del momento, è uno dei fenomeni demografici maggiormente influenzati da fattori esterni. Le variazioni nella frequenza dei matrimoni nel corso degli anni risentono non solo dell’ammontare della popolazione matrimoniabile e della relativa distribuzione per età, ma possono altresì risentire anche di un complesso di altri fattori quali: il verificarsi di eventi storici e sociali di grande rilievo (ad esempio, le guerre), la situazione economica ed occupazionale, la disponibilità di abitazioni, la presenza di incentivi al matrimonio, la variazione dei limiti dell’età minima per sposarsi, e così via. Il fatto che la ricerca delle tendenze di fondo della nuzialità debba poter prescindere dall’influenza dei suddetti fattori rende indispensabile il ricorso all’analisi longitudinale. Va comunque precisato che gli indicatori introdotti nel corso delle pagine precedenti mantengono la loro validità anche nell’approccio per generazioni. In particolare, mentre i tassi di nuzialità totale (TNT e TNT’) assolvono il compito di misurare l’intensità finale della nuzialità nelle generazioni che via via si susseguono, il calendario della nuzialità trova una conveniente sintesi nell’età media al matrimonio calcolabile con la [3.22] o la [3.23].
3.3.
Lo scioglimento del matrimonio
L’estinzione o lo scioglimento del matrimonio può avvenire per la morte di un coniuge, oppure, ove ciò sia ammesso, in forza della legge (civile o religiosa) o delle consuetudini. Il caso dello scioglimento del matrimonio per morte di uno dei coniugi si inquadra nell’ambito dello studio della mortalità e costituisce la premessa per approfondire il fenomeno della vedovanza e quindi uno dei più significativi processi di formazione delle famiglie unipersonali. Relativamente alle altre cause di scioglimento occorre distinguere i casi di divorzio e di annullamento da quelli di allentamento del vincolo matrimoniale, non necessariamente definitivo, a seguito di separazione legale o di fatto. Per quanto riguarda gli strumenti per la misura e l’analisi della divorzialità (facilmente adattabili anche allo studio delle separazioni) si può innanzitutto ricorrere al tasso generico: [3.24]
definito dal rapporto tra la frequenza dei divorzi in un dato anno di calendario D(t) e l’ammontare medio
della popolazione, ovvero al tasso generico:
[3.25]
dove al denominatore figura l’ammontare medio dei matrimoni in vita nell’anno t, che può identificarsi, in assenza di poligamia, con la metà dell’ammontare medio della popolazione coniugata: coppie nell’anno t).
(numero medio di
Assai spesso, in alternativa alla [3.25] si fa uso del rapporto fra la frequenza annua dei divorzi e l’ammontare S(t) di nuovi matrimoni celebrati nello stesso anno: [3.26]
Si tratta di un indice che, rispetto a quello proposto con la [3.25], ha il pregio di richiedere al denominatore un dato di più facile acquisizione ma che ha anche un significato del tutto diverso; mentre con la [3.26] si ottiene una stima del numero dei divorzi nell’intero arco di vita matrimoniale, con la [3.25] ci si limita a considerare uno spezzone della vita stessa compreso entro un anno di calendario. Allorché si disponga della distribuzione annua dei divorzi classificati per durata del matrimonio e coorte matrimoniale da cui essi provengono (gDx(t)), può risultare utile costruire i seguenti tassi specifici di divorzialità tra due successivi anniversari di matrimonio (x e x + 1 ) (cfr. graf. 15): [3.27]
(essendo gS l’ammontare iniziale dei matrimoni celebrati nell’anno g), oppure calcolare la serie dei tassi specifici per coorte e anno di calendario (cfr. graf. 16): [3.28]
In entrambi i casi, si tratta di tassi che sono simili a quelli proposti in altre occasioni ma che hanno la particolarità di rapportare i divorzi, opportunamente specificati, all’ammontare iniziale (gS) della coorte di matrimoni da cui essi provengono, senza tenere conto delle variazioni subite da tale ammontare (per morte di uno dei coniugi) al crescere della durata del matrimonio. D’altra parte, se è vero che le fonti statistiche usualmente dispo125nibili rendono spesso difficile un tale aggiornamento, è altrettanto vero che, in regime di bassa mortalità, la sopravvivenza di entrambi i coniugi risulta sufficientemente elevata sino alle durate più interessate alla divorzialità; pertanto, la scelta forzata di impiegare costantemente il valore iniziale di ogni coorte non sembra essere causa di sensibili distorsioni, quando la funzione dei tassi è quella di descrivere il calendario della divorzialità (rispetto alla durata) e/o la sua intensità relativamente ad una coorte di matrimoni.126
A tale proposito, la disponibilità dei tassi specifici calcolati con la [3.27] e la [3.28] consente di procedere alla determinazione del tasso di divorzialità totale (TDT). Ciò può avvenire con riferimento ad una data coorte di matrimoni (e in tal caso identifica una misura della sua intensità finale):
[3.29]
oppure può eseguirsi mediante la somma dei tassi specifici osservati in un dato anno (o biennio) e relativi al complesso delle coorti di matrimoni che convivono nel corso dell’anno medesimo: [3.30]
Gli indici proposti con la [3.30] si prestano all’usuale estrapolazione in termini di misura dell’intensità finale della divorzialità osservabile in una coorte fittizia di 1000 matrimoni esenti da altre cause di scioglimento e sottoposti ai tassi specifici di divorzialità relativi all’anno o al biennio che si considera.
4. La fecondità Tra le componenti positive che concorrono a determinare la dinamica demografica di una popolazione, il ruolo più importante è generalmente svolto dalla natalità. Questa, in un dato anno e sotto il profilo demografico, dipende da un complesso di fattori: il numero di soggetti in età riproduttiva, la loro distribuzione per sesso, età e stato civile, il loro atteggiamento in merito alla propensione a generare figli ed al calendario rispetto al quale concretizzare tale propensione. L’analisi demografica si propone di isolare gli effetti indotti (sulla frequenza annua delle nascite) da ciascuno dei suddetti fattori e costituisce il mezzo per l’approfondimento degli elementi (biologici, socioculturali ed economici) che determinano le scelte e i comportamenti in tema di procreazione. Nell’ambito degli studi demografici il termine natalità viene generalmente impiegato per indicare la frequenza (relativa) di nascite nel complesso della popolazione; si preferisce, invece, parlare di fecondità (talvolta di fertilità) allorché si fa riferimento alle nascite relative a gruppi scelti di individui (specificati per sesso, età, stato civile, ecc.) o, più in generale, quando si considera il fenomeno della procreazione nei suoi molteplici aspetti. Lo studio della fecondità ha per oggetto non solo l’analisi dell’intensità e del calendario con cui si manifestano le nascite, ma riguarda, altresì, tutti i fenomeni che caratterizzano, fin dal concepimento, le singole fasi del processo riproduttivo. Formano oggetto di interesse nell’ambito della fecondità: l’individuazione dei limiti di età che definiscono l’intervallo di vita feconda e la loro evoluzione in tempi e luoghi diversi; la diffusione della contraccezione e l’efficacia dei metodi con i quali essa viene realizzata;
le caratteristiche della gravidanza, la sua durata, la mortalità intrauterina, il genere di parto (semplice o plurimo) e numerosi altri aspetti di natura biomedica relativi al neonato quali: sesso, peso, lunghezza, presenza di malformazioni, e così via; l’ordine di nascita (secondo cui si distinguono: primogeniti, secondogeniti, ecc.), attribuito con riferimento alla stessa madre o allo stesso matrimonio; la distanza tra il matrimonio e la nascita del primogenito (intervallo protogenesico), tra le nascite di ordine successivo (intervallo intergenesico) o tra l’ultima nascita e il termine dell’età feconda della donna (intervallo aperto); la filiazione (nato legittimo o illegittimo), generalmente basata sullo stato matrimoniale della coppia, ed alcuni altri importanti aspetti socioeconomici relativi ai genitori (livello di istruzione, professione, ecc.) ed all’ambiente familiare da cui proviene il neonato.
4.1.
Analisi della fecondità in un dato anno
Un primo approccio allo studio della fecondità relativa a una popolazione consiste nel misurare l’intensità del fenomeno e nell’evidenziarne le caratteristiche con riferimento ad un arco temporale limitato, generalmente un anno di calendario. Ciò, se ripetuto in anni successivi, consente di seguire nel tempo le manifestazioni del fenomeno e di valutare la sua evoluzione, inquadrandola rispetto alle condizioni ambientali, agli avvenimenti e alle trasformazioni strutturali che hanno caratterizzato la storia della popolazione che forma oggetto di interesse.
Misure della natalità e della fecondità La misura più immediata della natalità nel corso di un anno di calendario è rappresentata dalla frequenza delle nascite. Si tratta di un dato, certamente importante per analizzare la dinamica demografica e per compiere valutazioni di ordine sociale ed economico, ma che si dimostra insufficiente allorché ci si propone di identificare l’intensità del fenomeno al fine di instaurare confronti nel tempo o tra popolazioni diverse. A tale proposito, una prima soluzione viene fornita dal tasso generico di natalità, già introdotto nel corso delle pagine precedenti (cfr. cap. 2, par. 2) e definito dal rapporto tra il numero di nascite N(t) avvenute nell’anno che si considera e l’ammontare medio popolazione nello stesso periodo: [3.31]
(anni vissuti) della
Il tasso di natalità, il cui calcolo richiede dati di agevole acquisizione, presenta, tuttavia, due elementi di debolezza: da un lato, risulta influenzato dalle caratteristiche strutturali della popolazione (e in particolare dalla distribuzione di questa rispetto al sesso, all’età e allo stato civile), dall’altro, misura l’intensità delle nascite con riferimento alla popolazione nel suo complesso, senza tenere conto della quota di soggetti che realmente possono essere stati in grado di contribuire a produrre le nascite osservate. Per superare quest’ultimo limite si possono ragguagliare le nascite all’ammontare del sottoinsieme di individui che sono in età riproduttiva. Allorché nella scelta del sottoinsieme cui fare riferimento ci si limita alla popolazione femminile (per la quale la determinazione dei limiti d’età che definiscono il periodo di vita feconda risulta assai più precisa) e si considerano i soggetti in età compresa tra il 15° e il 13050° (talvolta il 45°) compleanno, la formula del tasso, chiamato tasso generico di fecondità, assume l’aspetto: [3.32]
Il ricorso al tasso generico di fecondità, tuttavia, non risolve in modo soddisfacente i problemi del confronto tra popolazioni diverse; infatti, tale indicatore risente ancora della distribuzione per età della popolazione femminile che si trova nel prescelto intervallo di vita feconda. Al fine di superare anche tale limite, qualora le nascite di un dato anno siano specificate rispetto all’età della madre Nx(t) oppure alla generazione cui essa appartiene gN(t), conviene procedere innanzitutto al calcolo della serie di tassi specifici di fecondità per età adottando una delle seguenti formule (cfr. graf. 17): [3.33]
se ci si riferisce alla popolazione femminile in età x nell’anno t, oppure (cfr. graf. 18): [3.34]
se ci si riferisce alla popolazione femminile nata nell’anno g e in una età compresa tra il 15° e il 50° compleanno nel corso dell’anno t. Quindi, la somma dei tassi specifici così ottenuti consente di determinare un indicatore sintetico dell’intensità annua della fecondità 131che è indipendente dalla struttura per età della popolazione femminile. Esso prende il nome di tasso di fecondità totale (TFT), ed è altresì noto come indice (o indicatore congiunturale) di fecondità oppure (se ne chiarirà tra breve il motivo) come numero medio di figli per donna:
[3.35]
Esempio 3.13. Un metodo di stima del tasso di fecondità totale (TFT) La possibilità di pervenire alla conoscenza del tasso di fecondità totale (TFT) aggiornato secondo i dati più recenti o di specificarne il valore con riferimento a popolazioni circoscritte ad ambiti territoriali ridotti si scontra generalmente con la carenza delle necessarie informazioni di base: la serie dei tassi specifici di fecondità fx, oppure la distribuzione dei nati per età della madre al parto
Nx e del numero medio di donne in età feconda loro determinazione.
, ( x = 15, 16, …, 49 ) con cui procedere alla
Tuttavia, quando con riferimento ad un dato anno t si è in condizione di disporre dei valori di ( x = 15, 16, …, 49 ), e si conosce la frequenza totale dei nati N(t), è possibile ottenere una stima del TFT.
In proposito, se N(t) identifica il complesso dei nati nell’anno t e è la struttura per età della popolazione femminile in età feconda nella popolazione in oggetto ( x = 15, 16, …, 49 ), sussiste la seguente relazione:
essendo:
la quota di fecondità totale corrispondente all’età x. In conclusione, si può affermare che il valore del TFT nell’anno t scaturisce dal rapporto tra la frequenza di nascite N(t) e la quantità:
. Tale quantità, nota come dimensione media delle generazioni femminili in età feconda, rappresenta la media aritmetica ponderata dalla numerosità dei diversi contingenti femminili in età feconda , pesando ognuno di essi con un valore (Hx(t)), che esprime il grado di importanza che la corrispondente età assume nel calendario della fecondità.
Ciò premesso, adottando una opportuna serie di valori , adeguati ad approssimare il calendario della fecondità nella popolazione in oggetto (in quanto relativi all’ultimo anno disponibile o a contesti demografici che le sono assimilabili), si può procedere alla seguente stima della dimensione media delle generazioni femminili in età feconda:
e quindi alla corrispondente stima
da cui:
del tasso di fecondità totale:
con l’avvertenza che, nel caso di classi quinquennali, il valore di modificato:
essendo:
risulta così
da cui:
e quindi:
Il tasso di fecondità totale relativo a un dato anno permette anche di ricavare interessanti elementi circa l’intensità del ricambio generazionale corrispondente al comportamento riproduttivo osservato nel corso dell’anno in questione. Esso si presta infatti ad essere interpretato come il numero complessivo di nascite che un’ipotetica generazione femminile formata da 1000 unità produrrebbe nel corso di tutta la sua vita feconda, nell’ipotesi che: 1. nessun soggetto esca dalla popolazione per morte o migrazione prima del 50° compleanno; 2. la fecondità del collettivo alle diverse età sia interpretata dalla serie dei tassi specifici osservati nell’anno che si considera. In prima approssimazione, si può dire che, valendo le suddette ipotesi, un sufficiente livello di ricambio generazionale si ha quando il valore del TFT risulta non inferiore a 2000; in tal caso, infatti, 1000 donne (ed altrettanti uomini) riprodurrebbero nel corso della loro vita almeno 2000 figli. Assai spesso, tuttavia, si preferisce impostare l’analisi del ricambio generazionale sostituendo all’impiego del TFT l’uso del tasso lordo di riproduttività, facendo cioè riferimento alle sole nascite femminili e rettificando la soglia limite che garantisce il ricambio generazionale da almeno 2000 figli per ogni 1000 donne in almeno 1000 figlie per ogni 1000 donne. Detto tasso, quando si disponga della distribuzione dei nati specificati per sesso ed età della madre, si ottiene ancora sommando i tassi specifici calcolati mediante la [3.33] o la [3.34], ma adottando le sole nascite femminili; in alternativa, quando ciò non sia possibile (o semplicemente per una maggiore comodità di calcolo), il tasso lordo di riproduttività si può anche ricavare moltiplicando il valore del TFT (o del TFT’) per la frazione di femmine sul totale dei nati, essendo tale frazione prossima al valore 0,485 e relativamente stabile nel tempo e nello spazio (si veda in proposito l’esempio 1.6): 135 [3.36]
L’attributo lordo, che contraddistingue il tasso di riproduttività, trova giustificazione nel fatto che esso si basa sull’ipotesi che le migrazioni siano nulle e che la popolazione femminile sia esente da mortalità in tutto l’arco temporale che va dalla nascita sino al termine della vita feconda. È possibile, tuttavia, affinare l’indicatore, eliminando questa seconda ipotesi. Ciò avviene allorché ci si propone di misurare l’intensità del ricambio generazionale facendo riferimento ad un contingente di 1000 neonate destinate a vivere l’esperienza di maternità con l’intensità ed i tempi descritti dai tassi fx che si considerano e ad essere sottoposte nel corso della loro vita al rischio di morte in linea con quanto espresso dalle probabilità Lx/l0 ( x = 0, 1, 2, …, 49 ) ricavate da una opportuna tavola di mortalità (ad esempio, quella per contemporanei relativa all’anno in esame). A tale proposito (cfr. fig. 3.8), si può stimare in:
– 1000 L15/l0 la frequenza di soggetti (dei 1000 iniziali) ancora in vita tra il 15° ed il 16° compleanno e potenzialmente in grado di procreare con intensità pari a f15 (nati per ogni 1000 15enni), – 1000 L16/l0 la frequenza di soggetti (dei 1000 iniziali) ancora in vita tra il 16° ed il 17° compleanno e potenzialmente in grado di procreare con intensità pari a f16 (nati per ogni 1000 16enni), e così via sino a: 1000 L49/l0 la frequenza di soggetti ancora in vita tra il 49° ed il 50° compleanno e potenzialmente in grado di procreare con intensità pari a f49 (nati per ogni 1000 49enni). Sulla base di quanto sopra, il tasso netto di riproduttività R0, ovvero il numero complessivo di figlie «riprodotte» da una generazione di 1000 individui di sesso femminile soggetti alle condizioni di fecondità e mortalità di cui si è detto risulta (essendo, come di consueto, i valori di fx già moltiplicati per 1000): [3.37]
In ogni caso, va tenuto presente che sia il tasso di fecondità totale, sia il tasso di riproduttività (lordo e netto) identificano, nell’ottica con cui sono stati proposti, misure trasversali dell’intensità finale della fecondità e della riproduttività ed hanno tutte le caratteristiche dell’indicatore congiunturale. Le loro variazioni nel corso degli anni possono dipendere da effettive modificazioni del comportamento riproduttivo della popolazione, ma anche, più semplicemente, da evoluzioni del calendario (rispetto all’età della madre) con cui tale comportamento si manifesta, risentendo, altresì, dei condizionamenti del periodo che si considera.136
Rappresentazione schematica del tasso netto di riproduttività. Per una valutazione sintetica del calendario della fecondità, sulla base delle osservazioni di un dato anno, si può comunque procedere al calcolo dell’età media della maternità. Tale indicatore, se si avvale della distribuzione delle nascite Nx(t) nell’anno t per età della madre, può calcolarsi nel modo seguente: [3.38]
mentre se ci si avvale della serie dei tassi specifici di fecondità fx(t), calcolati con la [3.33] diventa: [3.39]
In particolare, con la [3.39] si perviene ad una misura dell’età media al parto che è indipendente dalla distribuzione per età della popolazione femminile nell’anno t (che invece condiziona la frequenza dei nati per età adottati come «pesi» nella [3.38]). Va ancora osservato che se, come sovente accade, la struttura dei dati relativi alle nascite per età della madre prevede classi di ampiezza quinquennale, il calcolo dei tassi specifici e degli indicatori che da essi derivano subisce alcuni adattamenti. In particolare, la [3.33] diviene (cfr. graf. 19): [3.40]
(mentre meno frequente è l’esigenza di un analogo adattamento della [3.34], e le formule che forniscono i valori del TFT, del tasso di riproduttività (lordo e netto) e della corrispondente età media al parto assumono l’aspetto seguente: [3.41]
[3.42]
[3.43]
[3.44]
[3.44’]
Esempio 3.14. Misure della fecondità Si considerino le nascite avvenute in Italia nel 1992 classificate secondo l’età della madre al parto, raggruppate in classi quinquennali:
Mentre il tasso generico di fecondità relativo al 1992 si ricava, applicando la [3.32], dal rapporto:
i corrispondenti tassi specifici si ottengono mediante la [3.40], ad esempio:
La somma dei tassi specifici relativi a tutte le classi di età moltiplicata per 5 fornisce un valore del tasso di fecondità totale pari a 1308,65, da cui: R = 0,485 · 1308,65 = 634,70 . Ciò significa che: qualora una generazione di 1000 donne, esente da mortalità e migrazioni entro il 50° compleanno, dovesse sperimentare nel corso della sua vita i tassi specifici di fecondità fx, x + 4 osservati nel 1992, essa riprodurrebbe complessivamente circa 635 nascite femminili. Supponendo che tale generazione sia sottoposta ad eliminazione per morte in conformità a quanto risulta dalla tavola di mortalità italiana del 1992 (cfr. tav. 3.1b), il suo livello netto di produttività (R0) risulterebbe pari a circa 625 figlie:
Per quanto riguarda, infine, l’età media al parto, essa si può calcolare adottando la [3.44]:
oppure la [3.44’]:
4.2.
Analisi della fecondità per generazioni
Lo studio delle tendenze di fondo in tema di fecondità può essere condotto con maggior precisione integrando, quando i dati lo consentono, l’analisi per contemporanei (relativa ad uno o più anni di calendario) con l’analisi per generazioni. Con quest’ultima, infatti, si riescono ad eliminare i condizionamenti del comportamento riproduttivo imputabili a fattori congiunturali e si ha modo di offrire una risposta adeguata alle esigenze di conoscere «come varia nel tempo la propensione a generare figli» ed eventualmente «in che misura vanno affermandosi nuovi orientamenti rispetto al calendario con il quale si concretizza tale propensione». L’approccio per generazioni prevede, con semplici adattamenti di calcolo e conveniente interpretazione, l’impiego degli stessi indicatori introdotti nelle pagine precedenti.
Innanzitutto, per ciascuna generazione, si procede al calcolo della serie dei tassi specifici tra compleanni successivi mediante la formula (cfr. graf. 20): [3.45]
(il cui denominatore viene spesso approssimato adottando la popolazione in età x al 31.12 dell’anno
t = g + x, (31.12.t)), oppure si può fare riferimento alla serie dei tassi specifici per generazione e anno di calendario, già introdotti con la [3.34]:
Si passa, quindi, alla determinazione del tasso di fecondità totale e del tasso lordo di riproduttività attraverso le usuali formule: [3.46]
e: [3.47]
Inoltre, nel caso si disponga di una tavola di mortalità idonea a rappresentare l’eliminazione per morte della generazione che si considera, il ricorso alla [3.37] consente di esprimere la riproduttività della generazione medesima in termini di tasso netto, ovvero: [3.48]
Per approfondire l’analisi del calendario col quale si costituisce la 141discendenza finale di una generazione è altresì utile calcolare, accanto all’età media al parto (impiegando con gli opportuni adattamenti la [3.38] o la [3.39]), il valore cumulato dei tassi specifici sino a prefissati limiti di età. Ad esempio con l’indice: [3.49]
si perviene al livello di fecondità complessivamente raggiunto dalla generazione g entro il 30° compleanno e, in generale, con l’espressione: [3.50]
si misura la discendenza entro il compleanno x. Se si utilizzano i tassi per generazione e anno di calendario, cfr. [3.34], l’estremo superiore della sommatoria relativo alla [3.50] conviene sia x invece di x – 1 . Qualora, infine, per mettere a confronto il calendario di più generazioni si voglia prescindere dal valore della discendenza finale realizzata da ciascuna di esse, è opportuno rielaborare i risultati forniti dalla [3.50] ed esprimerli in termini percentuali, ponendo uguale a 100 il valore della discendenza finale gTFT; vale a dire: [3.51]
(cfr. esempio 3.15).
Esempio 3.15. Ricostruzione ed analisi dei tassi specifici di fecondità per generazioni Si disponga dei tassi specifici di fecondità relativi alla popolazione italiana per gli anni dal 1930 al 1979 (cfr. prospetto A). Tali dati, oltre a consentire di seguire per 50 anni la dinamica della fecondità, si prestano ad essere riorganizzati per generazioni attraverso una loro lettura in senso diagonale. In particolare, assumendo, per semplicità, che i tassi siano stati calcolati con la [3.34] (tassi per generazioni e anno di calendario), le madri che raggiungono il 15° compleanno nel 1930, il 16° nel 1931, il 17° nel 1932, ecc., appartengono alla generazione nata nel 1915; le madri che raggiungono il 15° compleanno nel 1944, il 16° nel 1945, ecc., appartengono alla generazione nata nel 1929, e così via.
Ciò premesso, da un tale insieme di dati si possono estrarre numerose serie di tassi per generazioni, alcune delle quali complete (per tutte le età da 15 a 50 anni), altre tronche nelle età iniziali (per le generazioni nate prima del 1915) o finali (per le generazioni nate successivamente al 1929).
Ad esempio, relativamente alle generazioni nate negli anni 1910, 1915, 1925 e 1935, si ottengono le serie di tassi riportate nel prospetto B. A partire da tali valori è possibile confrontare il comportamento riproduttivo nelle quattro generazioni, dopo avere stimato i dati mancanti (la cui influenza è comunque poco rilevante), sia sotto il profilo dell’intensità finale (TFT) e della riproduttività (R), sia in termini del calendario della fecondità. Gli elementi per un tale confronto vengono forniti nel seguente prospetto:
4.3.
Ordine di nascita
L’analisi della fecondità in corrispondenza di ciascun ordine di nascita (determinato con riferimento ai nati da una stessa madre) offre preziosi elementi per approfondire e interpretare l’evoluzione del comportamento riproduttivo di una popolazione. Quando, mediante il tasso di fecondità totale, si accertano variazioni nel valore della discendenza finale di generazioni successive, può essere utile distinguere in che misura tali risultati derivino da una maggiore (o minore) frequenza di donne senza figli oppure sono dovuti ad un diverso orientamento circa la dimensione familiare e l’attitudine a favorire (o a penalizzare) alcuni ordini di nascita. L’analisi della distribuzione dei nati rispetto all’ordine assume anche rilievo per comprendere le variazioni subite dagli indicatori sintetici del calendario della fecondità. Un’attenuazione dell’età media al parto può infatti dipendere più che da una generale tendenza verso maternità precoci, da una minor frequenza di nascite di ordine elevato, nascite che, molto spesso, provengono proprio da quelle donne che appartengono alla fascia più anziana dell’intervallo di vita feconda. Lo studio della fecondità per ordine di nascita può essere svolto sia nel quadro dell’analisi per contemporanei sia in quello per generazioni, facendo riferimento agli indicatori già introdotti. In particolare, il tasso generico di fecondità può essere scomposto in tanti addendi quanti sono gli ordini di nascita che si considerano; cioè: [3.52]
essendo: n il massimo ordine di nascita osservato, Ni il numero di nati in ordine i e fi il tasso generico di fecondità del corrispondente ordine ( i = 1, 2, … n ). Analogamente, i tassi specifici per età, il tasso di fecondità totale e l’età media al parto (nelle sue differenti versioni), possono essere calcolati distintamente per ciascun ordine di nascita; in particolare si ha: [3.53]
[3.54]
[3.55]
(oppure, in luogo della [3.55], la stessa media calcolata sostituendo ai valori di Ni i tassi specifici ). Inoltre, se relativamente ad una generazione si dispone dei valori del tasso di fecondità totale distintamente per ogni ordine di nascita gTFTi ( i = 1, 2, … n ), si può misurare la propensione con la quale 146gli individui che ne fanno parte manifestano la tendenza a passare da ciascun ordine di nascita al successivo. Si tratta delle cosiddette probabilità di accrescimento ai ( i = 0, 1, 2, … , n – 1 ), che si definiscono come probabilità che una donna con (i) figli abbia l’(i + 1)-esimo figlio e si calcolano mediante i rapporti (cfr. esempio 3.16): [3.56]
[= numero di donne che hanno avuto almeno un figlio/numero complessivo di donne (teoricamente esposte ad avere il 1° figlio)]
[= numero di donne che hanno avuto almeno due figli/numero di donne che hanno avuto almeno un figlio (teoricamente esposte ad avere il 2°)]
[numero di donne che hanno avuto almeno tre figli/numero di donne che hanno avuto almeno due figli (teoricamente esposte adavere il 3°)]
[= numero di donne che hanno avuto n figli/numero di donne che hanno avuto almeno n – 1 figli (teoricamente esposte ad avere l’n-esimo figlio)]
Esempio 3.16. Scomposizione dei tassi specifici per età rispetto all’ordine di nascita e calcolo delle probabilità di accrescimento relative ad una generazione Si considerino i seguenti tassi specifici di fecondità per età scomposti per ordine di nascita e relativi alla generazione di donne italiane nate nel 1915 (vedi tabella successiva). Il calcolo delle probabilità di accrescimento per i primi quattro ordini di nascita porta ai seguenti risultati:
4.4.
Qualche osservazione circa l’analisi della fecondità dei matrimoni
L’età, ampiamente considerata nel corso delle pagine precedenti, non rappresenta l’unica variabile meritevole di attenzione nello studio del comportamento riproduttivo di una popolazione.148 La fecondità, infatti, non è solo un fatto biologico strettamente legato all’età della donna; assai spesso la nascita di un figlio costituisce una scelta volontaria, un evento che si inserisce nel tradizionale processo di crescita della famiglia in un rapporto di coppia istituzionalizzato attraverso il matrimonio. Nelle società contemporanee, ove è largamente diffuso il controllo delle nascite, la fecondità legittima, ossia quella relativa alle coppie coniugate, concentra ancora la quota prevalente della fecondità totale (in Italia essa raggiunge più del 90%) e risulta direttamente condizionata, oltre che dall’età dei coniugi, dalla durata della vita coniugale e dalla presenza, o meno, di altri figli. Con tali premesse, si intuisce facilmente quale sia l’importanza e l’opportunità di approfondire, quando i dati lo consentano, il livello della conoscenza in tema di fecondità legittima. A tale proposito, si possono adottare gli stessi strumenti, di descrizione e di analisi, già introdotti nel corso delle pagine precedenti a condizione che si assumano i matrimoni, anziché la popolazione femminile, come unità elementare di riferimento. In particolare, esiste ancora la possibilità di impostare l’analisi per generazioni (coorti di matrimoni) o per contemporanei e a tal fine si possono costruire, con formule analoghe a quelle introdotte ai paragrafi 4.1 e 4.2, tassi specifici di fecondità legittima per durata del matrimonio, mediante il rapporto tra le nascite provenienti dai matrimoni di durata x (limitatamente ad una data coorte di matrimoni o a un dato anno di calendario) e l’ammontare di matrimoni in vita a tale durata, oppure, se tale ammontare non è noto, si può considerare a denominatore la consistenza iniziale dei matrimoni medesimi ( x = 0, 1, 2, … ). Una volta determinati i tassi specifici per durata, è agevole procedere al calcolo del tasso di fecondità totale legittima (TFTL), cui assegnare il noto significato di indicatore della fecondità complessivamente attribuibile ad una coorte, reale o fittizia, di matrimoni (pur con i limiti e le ipotesi a suo tempo introdotte per il TFT). Va ancora aggiunto che, in una popolazione in cui le coppie praticano il controllo delle nascite al fine di regolare i tempi e l’intensità finale della loro fecondità, l’analisi delle nascite legittime specificate per ordine offre un supporto essenziale per lo studio del processo di crescita delle famiglie. Per una tale analisi si possono riprendere, disponendo dei dati necessari, i metodi descritti al precedente paragrafo 4.3; essi consentono di scomporre, rispetto all’ordine di nascita (determinato con riferimento ai nati da uno stesso matrimonio), i tassi specifici per durata del matrimonio e di procedere al calcolo delle relative probabilità di accrescimento, vale a dire: le probabilità (ai) che un matrimonio con (i) figli metta al mondo l’( i + 1 )-esimo ( i = 0, 1, 2, … ). Per il calcolo di tali probabilità ci si può ancora avvalere, con opportuni adattamenti, delle formule [3.56] (cfr. esempio 3.17).
Esempio 3.17. Analisi della fecondità legittima. Calcolo delle probabilità di accrescimento relative ad una coorte di matrimoni Si considerino i seguenti tassi specifici di fecondità legittima7 per durata del matrimonio (vedi tab. successiva), scomposti per ordine di nascita, relativi alla coorte di matrimoni celebrati in Italia nel 1932. Il calcolo delle probabilità di accrescimento per i primi quattro ordini di nascita, mediante le formule [3.58], porta ai seguenti risultati:
5. Mobilità e migrazioni Tra i fenomeni che comportano variazioni quantitative e strutturali in una popolazione, quello della mobilità territoriale è certamente il meno agevole da trattare. Gli spostamenti di popolazione riflettono, infatti, una gamma di situazioni estremamente diversificate: ad esempio, possono essere indotti da motivi economici, di studio, familiari, affettivi, ecc.; possono essere volontari o forzati (a seguito di guerre, calamità naturali, ecc.); possono assumere carattere transitorio o definitivo; riguardare ambiti territoriali differenti, locali, internazionali, intercontinentali. Diversamente da quanto accade per altri eventi demografici (come le nascite, le morti e i matrimoni) non è facile definire in modo inequivocabile quali caratteristiche debba avere uno spostamento per essere meritevole di attenzione, così come non è sempre possibile disporre di un efficiente sistema di rilevazione che sia coerente con la definizione di mobilità che ci si propone di adottare. Con tali premesse, nella ricerca di una definizione di mobilità territoriale che sia, da un lato significativa sotto il profilo demografico, dall’altro tale da consentire adeguate rilevazioni statistiche, viene solitamente seguito il criterio di fissare l’attenzione solo sugli spostamenti che danno luogo al trasferimento, anche se temporaneo, della cosiddetta dimora abituale, intesa questa come il centro della vita e degli interessi che fanno capo ad un individuo. A tali trasferimenti si attribuisce la qualifica di migrazioni.
5.1.
Caratteristiche delle migrazioni
Come si è detto, il termine migrazione sta ad indicare il cambiamento di dimora: si parla di emigrazione quando l’evento viene riferito all’ambito territoriale di provenienza e di immigrazione quando lo si valuta rispetto all’area di destinazione. Inoltre, le migrazioni possono essere distinte in interne, quando i due complessi demograficoterritoriali che si considerano vengono a coincidere, ed esterne nel caso contrario; anche se uno stesso spostamento può qualificarsi come esterno relativamente ad un’area ristretta (ad esempio, un comune) ed essere, a sua volta, interno in un contesto più allargato (ad esempio, una regione). Nel prendere in esame i movimenti migratori si fissa spesso l’attenzione, oltre che sulla intensità con cui si manifestano, su due altri importanti aspetti: a) la distanza e la direzione dei flussi (ossia la loro specificazione rispetto all’origine e alla destinazione); b) la struttura della popolazione migrante secondo le principali caratteristiche di tipo biodemografico, socioeconomico, etnico-culturale (sesso, età, stato civile, condizione professionale, livello di istruzione, nazionalità, religione, ecc.).
5.2.
Rilevazione dei movimenti migratori
La rilevazione dei movimenti migratori presenta numerose difficoltà, giacché tali spostamenti territoriali, soprattutto quelli interni ai confini di uno stato, sono generalmente esenti da limitazioni e controlli. Una fonte particolarmente importante per la rilevazione continua dei flussi migratori è costituita dal registro della popolazione o anagrafe.
Nei paesi (tra i quali l’Italia), in cui tale fonte è operante essa consente di identificare e di conteggiare, via via che si verificano, le variazioni di dimora che danno luogo ai cosiddetti spostamenti di residenza, ossia a quei movimenti territoriali che comportano la cancellazione di un individuo dalla popolazione (anagrafica) di una data area (di emigrazione) e la sua iscrizione in quella di un’altra (di immigrazione). Affinché i dati relativi alle iscrizioni e alle cancellazioni anagrafiche costituiscano un valido supporto per la conoscenza del fenomeno migratorio è necessario potersi garantire circa la loro attendibilità, soprattutto per quanto riguarda la coincidenza (o almeno il minimo sfasamento temporale) tra la data effettiva dello spostamento e quella della sua registrazione in anagrafe. Le difficoltà nel raggiungere quest’ultimo obiettivo costituiscono il limite più rilevante della fonte anagrafica. Ad esempio, nell’esperienza italiana non mancano frequenti casi di omissioni o di ritardi nel registrare gli spostamenti di residenza, con la conseguenza che, in occasione del censimento, si rende necessario procedere alla regolarizzazione del registro anagrafico ed operare il recupero delle iscrizioni mancanti (soggetti censiti come residenti ma non ancora iscritti all’anagrafe) e l’aggiornamento delle cancellazioni non eseguite (soggetti assenti al censimento ma non ancora cancellati dall’anagrafe). Una seconda importante fonte per la rilevazione dei movimenti migratori interni e per le immigrazioni dall’estero è costituita dai censimenti. Con essi è possibile ottenere alcune informazioni in merito agli spostamenti che hanno caratterizzato il passato della popolazione censita, senza tuttavia identificare con precisione né le date in cui tali spostamenti sono avvenuti, né l’eventuale presenza di tappe intermedie rispetto al luogo ove i soggetti sono stati censiti. Va infine segnalata, con riferimento alla realtà italiana di questi ultimi due decenni, la crescente utilità delle statistiche del Ministero dell’Interno riguardanti i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini stranieri (per lo più di origine extracomunitaria). Tali dati, per quanto destinati a cogliere la sola componente regolare del fenomeno dell’immigrazione straniera sul territorio italiano, rappresentano una delle fonti più importanti per valutarne l’intensità e per descriverne le principali caratteristiche strutturali. Ed è per l’appunto a partire dai dati sui permessi di soggiorno, integrati dalle informazioni provenienti da altre fonti (anagrafe, censimento, uffici del lavoro, ecc.) e 153dai risultati di apposite indagini campionarie, che si rendono possibili tentativi di stima di tale fenomeno estesi al complesso della presenza straniera (regolare e non).
5.3.
Misura delle migrazioni mediante i dati di fonte anagrafica
I dati relativi ai movimenti anagrafici registrati in un’area nel corso di un dato intervallo temporale, generalmente un anno di calendario, possono formare oggetto di valutazione e di analisi in termini assoluti o possono venire trasformati in tassi, al fine di rendere possibili i confronti tra aree diverse e/o fra tempi successivi. A tale proposito, si possono calcolare per ciascun ambito territoriale tassi generici di emigrazione e(t) e di immigrazione i(t) relativamente ad un dato anno t, dividendo la frequenza annua delle cancellazioni E(t) o delle iscrizioni anagrafiche I(t) per la popolazione media (t) dell’area cui tali movimenti si riferiscono, cioè: [3.57]
[3.58]
È tuttavia opportuno osservare che i suddetti tassi non sono tra loro omogenei. Infatti, mentre nel calcolo del tasso di emigrazione si rapportano gli eventi alla popolazione (media) che è stata in condizione di viverli, per il tasso di immigrazione si considera a denominatore la popolazione dell’area di destinazione e non quella da cui provengono i soggetti immigrati. In ogni caso, la differenza: i(t) – e(t) tra i due tassi identifica il cosiddetto tasso migratorio tm, ossia il rapporto tra il saldo migratorio: SM(t) = I(t) – E(t) e la popolazione media alla quale esso si riferisce, ed esprime, in termini relativi, l’incremento o il decremento netto subito nel corso dell’anno da un dato complesso demografico-territoriale per effetto dei movimenti migratori: [3.59]
Volendo quantificare, mediante i dati di fonte anagrafica, il grado di attrazione o di repulsione che un’area esercita verso l’esterno, si può fare riferimento all’indice migratorio: [3.60]
Tale indice, particolarmente utile nei confronti territoriali, ha la caratteristica di assumere valori compresi tra – 1 e + 1; in particolare, 154è tanto più vicino a + 1 quanto più l’area denota capacità attrattiva (se tutti i movimenti sono di immigrazione si avrà: E = 0 , I + E = I , IM = + 1 ) ed è tanto più vicino a – 1 quanto più prevalgono le tendenze repulsive (se tutti i movimenti sono di emigrazione si avrà: I = 0 , I + E = E , IM = – 1 ).
Oltre ai tassi generici, quando i dati lo consentono, è possibile procedere alla costruzione di tassi di immigrazione e di emigrazione specificati rispetto ad alcune caratteristiche della popolazione migrante. Ad esempio, eseguendo il rapporto tra il numero di emigrazioni (o di immigrazioni) relative a soggetti in età x e la popolazione media nella stessa età, si possono calcolare i consueti tassi specifici per età (o per classi di età): [3.61]
e:
5.4.
Misura delle migrazioni mediante i dati di censimento
Per quanto riguarda lo studio della mobilità, i dati ottenuti con il censimento consentono: a) di effettuare, se integrati con quelli relativi al movimento naturale intercensuario, il bilancio migratorio di una popolazione tra due censimenti successivi (immigrati meno emigrati) ad un livello di precisione che è generalmente superiore a quello fornito dalle fonti anagrafiche; b) di misurare la mobilità dei censiti, sia con riferimento a tutto l’arco della loro vita (verificando la coincidenza tra luogo di nascita e luogo di residenza di ciascun individuo), sia relativamente ad un intervallo pluriennale antecedente la data del censimento (ad esempio, confrontando il luogo di residenza al censimento con quello di n anni prima); in Italia, questa seconda opportunità è stata possibile solo in occasione dei tre ultimi censimenti. In particolare, mentre nel 1971 è stato richiesto di specificare quale fosse il luogo di residenza cinque e dieci anni prima della rilevazione censuaria, nel 1981 e nel 1991 si è fatto riferimento alla residenza, rispettivamente, nell’ottobre 1976 e nell’ottobre 1986.
Calcolo del saldo migratorio Già in una precedente occasione (cfr. esempio 1.1) si è avuto modo di segnalare come, conoscendo la numerosità P(t) e P(t + n)155della popolazione censita in due rilevazioni successive e la consistenza numerica del movimento naturale (nascite N(t, t + n ) e decessi M(t, t + n )), sia possibile, attraverso l’equazione della popolazione, pervenire al calcolo del saldo migratorio intercensuario: [3.62]
Si tratta di una procedura che, pur non consentendo di precisare il contributo di ciascuna delle due componenti migratorie (immigrazioni ed emigrazioni) nel determinare il saldo, conduce in genere a risultati affidabili (nell’ipotesi che lo siano i dati censuari e quelli relativi al movimento naturale), rendendo così possibile una corretta valutazione del fenomeno migratorio anche laddove le rilevazioni anagrafiche sono inesistenti o scarsamente attendibili. Analogamente si può procedere, con qualche adattamento della [3.62], al calcolo del saldo migratorio in corrispondenza di ciascuna generazione. Relativamente a coloro che erano già in vita all’istante t, ossia alla data del primo dei due censimenti che si considerano, il saldo migratorio per generazioni si ottiene dalla relazione: [3.63]
il cui impiego richiede la conoscenza della distribuzione per anno di nascita g sia dei censiti gP(t) e gP( t + n ) sia dei morti gM(t, t + n ) nell’intervallo intercensuario (t, t + n ). Per quanto riguarda le generazioni nate nel corso di un anno g’ compreso nell’intervallo (t, t + n ) occorre introdurre nella [3.63], in luogo di gP(t), la loro consistenza iniziale N(g’), vale a dire: [3.64]
essendo N(g’) la frequenza di nascite nell’anno g’. Va osservato in proposito che, qualora non si disponga del valore gM(t, t + n ), o g,M(t, t + n ), si può procedere ad una sua stima mediante l’impiego di una tavola di mortalità che sia idonea a rappresentare i livelli di eliminazione per morte della generazione che si considera. Maggiori dettagli circa il calcolo del saldo migratorio con l’ausilio della tavola di mortalità vengono forniti con l’esempio 3.18.
Esempio 3.18. Calcolo del saldo migratorio per generazioni mediante l’impiego della tavola della mortalità Si consideri la popolazione maschile italiana nata nel 1948. Nel censimento del 24.10.1971 essa era costituita da 444126 soggetti, in gran parte ventitreenni (la presenza di ventiduenni si riferisce ai nati dal 24.10 al 31.12.1948), che sono divenuti 417644 (in prevalenza trentatreenni) al censimento del 25.10.1981. Si supponga di voler determinare, mediante l’espressione: [1]
il saldo migratorio 1948SM(71,81) che ha caratterizzato tale generazione nell’intervallo intercensuario (1971, 1981), ma di non conoscere l’ammontare dei decessi 1948M(71,81). A tale proposito, si può innanzitutto fare riferimento ad un’appropriata tavola di mortalità maschile (qui si è impiegata la tavola 1977-1979) e calcolare le seguenti probabilità di morte tra le età 23 e 33 nel corso di un decennio:
Quindi, si procede alla stima: [2]
che consente di ottenere: 1948SM(71,81) = 417644 – 444126 + 4486 = – 21996.
Così facendo, nell’ipotizzare che i decessi 1948M(71,81) siano determinati dal prodotto tra la probabilità di morte e la popolazione esposta a tale evento, si assume che l’ammontare di quest’ultima coincida con il numero di coloro che sono stati censiti nel 1971 e non si tiene conto delle possibili fluttuazioni di tale ammontare per effetto di movimenti migratori nell’intervallo intercensuario.
Al fine di considerare anche la componente migratoria, si suggerisce di rettificare il numero di soggetti esposti alla mortalità sommando ai censiti del 1971 metà del saldo migratorio intercensuario 1948SM(71,81). Con tale variante si ha:
e dalla [1] [3]
da cui si ricava:
La suddetta procedura può essere estesa al calcolo del saldo migratorio per tutte le generazioni in vita al censimento del 1971 (soggetti nati nel 1971 e negli anni precedenti), così come può essere adattata al caso di generazioni nate successivamente al 1971. Ad esempio, per la generazione maschile costituita dai 456613 soggetti nati nel 1974, N(1974), di cui sono stati censiti 440781 residenti 1974P(81) nel 1981 (prevalentemente in età 7), si ottiene, mediante la [2]:
da cui:
Viceversa, se si fa riferimento alla [3] si ha:
Confronto fra luogo di nascita e luogo di residenza I censimenti demografici consentono spesso di classificare congiuntamente i due caratteri: luogo di nascita e luogo di residenza dei soggetti che formano una popolazione. Mediante tale classificazione è possibile conoscere l’ammontare di soggetti nati in un ambito territoriale diverso da quello di residenza e misurare, in via approssimata (in quanto il luogo di nascita può anche essere determinato da circostanze occasionali), i flussi migratori relativi al passato della popolazione censita, specificando, altresì, l’origine e la destinazione di detti flussi. Ad esempio, se si ipotizza la suddivisione di un dato territorio in tre regioni A1, A2 e A3, i dati di censimento consentono di costruire, relativamente ai P soggetti complessivamente censiti, la seguente classificazione:
nella quale: i valori Pk h ( k = 1, 2, 3 ; h = 1, 2, 3 ) identificano il numero di censiti residenti nella kesima regione e nati nella h-esima; i totali per riga Pk. = Σh Pk, h ( k = 1, 2, 3 ) indicano il numero di residenti nella k-esima regione e i totali per colonna forniscono il numero dei nati P.h = Σk Pk, h ( h = 1, 2, 3 ) nella h-esima regione. Sulla base di tale classificazione si può pervenire ad una misura della mobilità interna, riferita al complesso della popolazione, mediante il rapporto fra il numero dei censiti residenti al di fuori del luogo di nascita: P – P11 – P22 – P33 e il numero complessivo P dei censiti: [3.65]
È altresì possibile, relativamente a ciascuna regione Ak ( k = 1, 2, 3 ), determinare una misura delle immigrazioni, mediante il rapporto tra i residenti nati altrove ed il totale dei residenti, ad esempio per A1: [3.66]
e una misura delle emigrazioni, rapportando i nati in Ak residenti altrove al totale dei residenti in Ak, ad esempio (sempre per A1): [3.67]
Infine, dalla differenza tra la [3.66] e la [3.67], si può avere una misura delle migrazioni nette: [3.68] tm1 = i1 – e1.
La stessa procedura può essere estesa al caso in cui si vogliano ottenere misure della mobilità mediante i confronti tra il luogo di residenza alla data del censimento e quello relativo ad una data anteriore. In ogni caso, va messo in rilievo che tutti gli indicatori di mobilità elaborati mediante i dati di censimento hanno il vantaggio di poter essere calcolati in corrispondenza di talune sottopopolazioni (definite da una qualunque tra le molteplici combinazioni dei caratteri rilevati) difficilmente indagabili mediante le usuali informazioni di fonte anagrafica.
Capitolo 4 - Le previsioni demografiche Il complesso di informazioni concernenti il comportamento tenuto nel passato da una popolazione e dai principali fenomeni demografici che l’hanno interessata costituisce la premessa per formulare ipotesi e previsioni circa il futuro. Gli scopi per i quali si rende necessario svolgere previsioni demografiche sono facilmente immaginabili e vanno al di là di una conoscenza fine a se stessa. Se è vero che ogni società organizzata sente l’esigenza di guardare in avanti, di fissarsi obiettivi e di predisporre programmi per il loro conseguimento, è altrettanto vero che ciò non può avvenire senza che si tenga conto di quella che sarà la consistenza e la struttura della popolazione, perché è proprio al benessere di quest’ultima che, in sostanza, sono finalizzati i programmi e le scelte. La predisposizione di piani urbanistici, il dimensionamento di taluni servizi sociali (scuole, ospedali, centri di assistenza per anziani, ecc.), la pianificazione degli interventi nel campo dell’edilizia residenziale, la programmazione economica ed occupazionale sono solo alcuni degli innumerevoli esempi in cui la disponibilità di previsioni demografiche si pone al programmatore come un’esigenza irrinunciabile. In proposito, si è soliti distinguere tra previsioni di base e previsioni derivate. Le prime sono di natura strettamente demografica e forniscono la consistenza e la struttura (in genere per sesso e per età) della popolazione; le seconde riguardano alcuni aggregati che assumono rilevanza sotto il profilo socioeconomico (la popolazione scolastica, la forza lavoro, le famiglie, ecc.), per la cui determinazione si applicano in genere alle previsioni di base opportuni parametri di conversione: tassi di attività, di occupazione, di scolarità, di consumo o di utenza di beni e servizi, ecc. (cfr. il successivo par. 4 e gli esempi 4.4 e 4.5). Un elemento che merita attenta considerazione quando si effet-162tuano previsioni demografiche è la lunghezza del periodo cui fare riferimento. Il concetto di previsione a breve, a medio o a lungo termine assume, in demografia, un significato diverso da quello in uso in altre discipline. Un quinquennio, per il quale sono sufficienti estrapolazioni delle tendenze più recenti, può essere considerato un breve periodo mentre, viceversa, sono considerate a medio termine previsioni riferite ad un arco temporale di un ventennio per le quali occorre considerare, in aggiunta ai fattori demografici, elementi di natura economica e sociale. Oltre i 20 anni le ipotesi hanno un grado di aleatorietà così elevato da rendere i risultati scarsamente attendibili, suggerendo particolare accortezza nelle valutazioni quando sia strettamente necessario il loro impiego a fini programmatori.
1. Oggetto delle previsioni demografiche Nell’effettuare previsioni demografiche l’attenzione può essere rivolta o solo all’ammontare totale della popolazione oppure al conseguimento di conoscenze intorno a quella che sarà la sua struttura secondo alcuni caratteri; ad esempio, quella per sesso ed età. Tale distinzione comporta alcune scelte, sia relativamente al metodo col quale svolgere la previsione, sia rispetto all’ampiezza dell’intervallo di tempo cui fare riferimento, e condiziona l’affidabilità dei risultati che si otterranno.
In particolare, l’ammontare totale della popolazione può essere conseguito rapidamente mediante quello che si può definire metodo sintetico, ossia attraverso l’impiego di una opportuna funzione matematica che consenta di estrapolare nel futuro gli andamenti osservati nel passato. Tale metodo ha il vantaggio di richiedere dati di facile acquisizione ma, proprio perché non tiene conto delle tendenze in atto nelle singole componenti della dinamica demografica, consente solo valutazioni di breve periodo che possono risultare, alla fine, anche non perfettamente aderenti alla realtà. Viceversa, le previsioni concernenti la struttura per sesso ed età, condotte con quello che verrà proposto come metodo analitico, offrono buone garanzie di affidabilità anche al di là del breve periodo, ma richiedono la disponibilità sia di dettagliate informazioni sulla distribuzione della popolazione secondo i suddetti caratteri, sia di convenienti stime circa il comportamento di fenomeni quali la sopravvivenza, la fecondità e la mobilità nel periodo cui si riferisce la previsione.
2. Metodo sintetico: determinazione dell’ammontare totale della popolazione Si tratta, come si è già anticipato, di stimare quello che sarà lo sviluppo futuro di una popolazione, limitatamente alla sua consistenza totale, mediante l’impiego di una funzione matematica adatta ad esprimere, sotto il profilo temporale, tale andamento. A tale proposito, la procedura si articola in tre fasi successive; esse consistono: 1. nell’individuazione del tipo di funzione più adatta per esprimere nel tempo l’evoluzione dell’ammontare della popolazione, sulla base delle conoscenze relative al passato e di alcune ipotesi circa il futuro; 2. nella specificazione dei parametri di tale funzione, mediante l’impiego di tecniche di interpolazione applicate alla serie storica dei dati disponibili; 3. nell’utilizzo della funzione prescelta quale modello di sviluppo per determinare l’ammontare della popolazione nel corso del periodo di previsione. Per quanto riguarda il punto 1, nell’ambito dei possibili modelli si segnalano i seguenti (già introdotti nel corso del cap. 1, par. 2): [4.1] P(t) = a + bt,
e: [4.2] P(t) = a ert,
dove P(t) è l’ammontare della popolazione, t è il tempo, a, b ed r sono opportuni parametri ed e è la base dei logaritmi neperiani ( e = 2,71828 ) . Tali funzioni sono adatte ad esprimere una evoluzione della consistenza della popolazione di tipo lineare (proporzionale rispetto al tempo) e, rispettivamente, di tipo esponenziale. Tra l’ampia gamma di funzioni di altro tipo alle quali si può fare riferimento, è opportuno ricordare la seguente: [4.3]
Si tratta della cosiddetta funzione logistica, idonea a descrivere l’evoluzione di una popolazione la cui crescita risulti condizionata da due elementi: a) una forza espansiva, che se incontrastata provocherebbe in una popolazione di ammontare iniziale P una crescita esponenziale ad un tasso di incremento continuo h ( h > 0 ) (cfr. cap. 1, par. 2); b) un’azione frenante, provocata dall’ambiente e dalla limitatezza delle risorse disponibili, la cui intensità «aumenta in proporzione del quadrato della velocità con cui la popolazione tende a crescere»
. Sotto il profilo geometrico la [4.3] presenta una caratteristica forma di S allungata (cfr. fig. 4.1), con la concavità rivolta verso l’alto nel primo tratto e verso il basso nel secondo; i parametri P e K determinano gli asintoti entro i quali si stende la curva, mentre C è una conveniente costante ed e è la base dei logaritmi neperiani (P, K, C > 0 ).
Rappresentazione grafica della funzione logistica P(t)= P+K1+Ce−ht(P, K, C, h>0) .
L’esempio 4.1 mostra le modalità di applicazione del metodo sintetico per la previsione dell’ammontare totale della popolazione in corrispondenza dei tre tipi di funzione ora introdotti.
Esempio 4.1. Previsioni della popolazione: metodo sintetico Ci si proponga di voler stimare quale sarà l’ammontare della popolazione messicana residente nelle aree urbane ed in quelle rurali al 31 dicembre 2000, utilizzando le seguenti informazioni retrospettive:
Per prima cosa, occorre procedere alla scelta di una funzione che sia idonea ad esprimere l’evoluzione nel tempo dell’ammontare delle due popolazioni in oggetto, scelta che può essere agevolata dall’analisi della rappresentazione grafica dei dati relativi a tale evoluzione negli anni passati (cfr. fig. 1). Per quanto riguarda la popolazione rurale l’esperienza del passato induce a prospettare un livello di crescita lineare (proporzionale) rispetto al tempo e suggerisce l’impiego della retta: P(t) = a + bt ; viceversa, per la popolazione urbana sembra proponibile una delle seguenti alternative: a) si può ipotizzare uno sviluppo di tipo esponenziale, interpretabile con la funzione: P(t) = a ert , oppure b) si può supporre che l’evoluzione sia di tipo logistico ed introdurre quale modello interpretativo la funzione:
In ogni caso, una volta scelta la funzione cui fare riferimento, occorre specificare il valore dei parametri che la caratterizzano. È questo un problema che viene generalmente risolto mediante l’impiego di tecniche di interpolazione, ossia attraverso procedimenti di tipo statistico-matematico capaci di identificare i valori dei parametri che rendono la funzione prescelta il più possibile idonea ad interpretare la serie storica dei dati osservati.
I successivi punti a), b) e c) mostrano, in forma schematica, alcune tecniche di interpolazione adottabili per la determinazione dei parametri delle tre funzioni proposte; i risultati che essi forniscono consentono di formulare le seguenti previsioni al 31.12.2000: 1) popolazione rurale: P(t) = – 457,03 + 0,2423 t P(2000) = – 457,03 + (0,2423) (2000) = 27,57
2) popolazione urbana: – modello esponenziale: P(t) = 4,9608 e0,0442(t – 1930) P(2000) = 4,9608 e0,0442(2000 – 1930) = 109,46
– modello logistico: P(t) = 4 + {80/[1 + 52,15 e–0,0806(t –1930)]} P(2000) = 4 + {80/[1 + 52,15 e–0,0806(2000 – 1930)]} = 71,52.
a) Calcolo dei parametri a e b della retta: P(t) = a + bt (metodo dei minimi quadrati)
Formule:
Impostazione dei calcoli:
Risultati:
da cui: P(t) = – 457,03 + 0,2423 t.
b) Calcolo dei parametri a e r della funzione: P(t) = a ert Una conveniente soluzione consiste nel considerare, in luogo della variabile t, la variabile x = t – 1930 e nel procedere all’applicazione del metodo dei minimi quadrati, in modo analogo a quanto esposto nel prospetto A, con riferimento alla seguente trasformazione logaritmica: logeP(t) = logea + rx .
Formule:
da cui:
Impostazione dei calcoli:
Risultati:
da cui: P(t) = 4,9608 e0,0442(t – 1930).
c) Calcolo dei parametri P, K, C e h della funzione:
Conviene considerare la seguente trasformazione della funzione logistica:
essa consente di mostrare l’esistenza di un legame lineare tra la variabile Z(t) = loge {[K + P – P(t)] / [P(t) – P]}, ottenuta per trasformazione della variabile originaria P(t), e la variabile t; tale legame può esprimersi, in funzione dei parametri C e h, mediante la retta: Z(t) = a + bt,
con a = logeC
e b = – h.
Il procedimento di interpolazione prende avvio da tali premesse e consiste innanzitutto nel cercare due valori P’ e K’ che identifichino il limite inferiore (P’) ed il limite superiore (P’ + K’) della popolazione in oggetto e che siano tali da garantire, tra le N coppie di osservazioni [Z(t), t], la suddetta relazione lineare. Nel caso specifico, tenuto conto dei dati disponibili, si possono scegliere P’ = 4 e K’ = 80 che consentono di ottenere, al variare di t, i sottostanti valori di Z(t) = loge {[80 + 4 – P(t)] / [P(t) – 4]}:
Poiché si osserva una netta relazione lineare tra i dati riportati nelle colonne (1) e (3), come mostrano sia la figura 2 sia il fatto che il valore del coefficiente di correlazione lineare r risulta uguale a – 0,999, si ritiene opportuno considerare accettabili i prescelti valori P’ = 4 e K’ = 80 ; in caso contrario, si sarebbero dovute ripetere la scelta e la successiva procedura di verifica.
Fig. 2.
Relazione tra t e z(t) =
loge 80+4−P(t)P(t)−4 .
Una volta fissati i valori di P e K, per la determinazione degli altri due parametri della funzione logistica (C e h) è sufficiente identificare i valori a e b che caratterizzano la retta Z(t) = a + bt , ossia quella retta idonea ad esprimere la relazione lineare di cui si è accertata l’esistenza. A tale proposito, adottando (per semplicità di calcolo) la variabile x = t – 1930 in luogo alla variabile t, si può fare riferimento alla stessa procedura di interpolazione descritta nel precedente punto a) .
Formule:
da cui: h=–b a = (1/N) Σ Z(t) – b(1/N) Σ x
da cui: C = ea.
Risultati:
da cui:
3.Metodo analitico: previsioni della popolazione classificata per sesso e per età 3.1. I concetti di base Si consideri, in assenza di movimenti migratori, un gruppo di Px(t) individui (generalmente si opera separatamente per maschi e femmine) che oggi (istante t) hanno l’età x (anni compiuti). Tra un anno (istante t + 1 ) essi avranno raggiunto l’età x + 1 ed il loro ammontare, Px + 1 ( t + 1 ), sarà dato da Px(t) al netto della frequenza di decessi avvenuti nell’intervallo (t, t + 1 ). Se si indica con qx/x + 1 la probabilità che un soggetto muoia, nel passare dall’età x all’età x + 1 , entro il suddetto intervallo (t, t + 1 ) e con sx = 1 – qx/x + 1 la probabilità, viceversa, che egli sopravviva, una conveniente stima di Px + 1 ( t + 1 ) potrà realizzarsi con la formula: [4.4] Px + 1 (t + 1) = Px(t) – Px(t) qx/x + 1 = Px(t) sx.
È evidente che la [4.4], mentre consente di procedere al calcolo dei sopravviventi al tempo t + 1 in corrispondenza di tutti i gruppi di individui, specificati per età, già in vita al tempo t, non permette di determinare l’ammontare P0 ( t + 1 ) di coloro che sono nati nel corso dell’intervallo (t, t + 1 ). Per giungere anche a tale conoscenza è necessario procedere in due tempi: innanzitutto, occorre stimare la frequenza annua dei nati N(t, t + 1 ), quindi, mediante l’impiego di una opportuna probabilità Ns0, ossia la probabilità che un soggetto sia in vita (in età 0) alla fine dell’intervallo annuo (t, t + 1 ) entro il quale è nato, si può ottenere il valore richiesto: [4.5] P0 (t + 1) = N(t, t + 1) Ns0.
Quanto premesso, trova esposizione grafica nel diagramma di Lexis riportato nella figura 4.2.
FIG. 4.2 Calcolo della distribuzione per età della popolazione al tempo t+1.
3.2. Sopravvivenza e fecondità Come si è visto, per il calcolo della distribuzione per età di una popolazione al tempo t + 1 è necessario non solo conoscere l’analoga distribuzione Px(t), ( x = 0, 1, 2, … ) al tempo t, ma è altresì essenziale disporre di convenienti stime circa le probabilità di sopravvivenza, sx e Ns0, e l’ammontare delle nascite entro l’intervallo (t, t + 1 ). Per quanto riguarda la stima delle probabilità di sopravvivenza, si può fare riferimento ai valori contenuti in una tavola di mortalità che sia idonea a rappresentare il comportamento della popolazione nel corso del periodo in oggetto e si può procedere al calcolo di dette probabilità mediante le formule (cfr. anche quanto riportato nell’esempio 3.8): [4.6]
[4.7]
Per la stima delle nascite è possibile operare con diversi metodi. Quello più semplice consiste nel determinare la frequenza N(t, t + 1 ) dei nati nel corso dell’intervallo (t, t + 1 ) moltiplicando l’ammontare iniziale della popolazione per un opportuno tasso di natalità n(t, t + 1 ), (nati per ogni 1000 abitanti); vale a dire: [4.8]
Tale metodo non è tuttavia esente da rilievi critici. Il primo, più formale che sostanziale, è che il tasso di natalità viene applicato all’ammontare della popolazione iniziale anziché a quello della popolazione media (cui il tasso medesimo si riferisce); il secondo è che mediante tale procedura non si valorizzano le conoscenze concernenti la distribuzione per sesso ed età della popolazione e, in particolare, non si tiene conto dell’ammontare e della struttura dei soggetti che si trovano in età feconda.
A seguito di ciò, è preferibile fare riferimento, anziché al tasso di natalità, al tasso generico di fecondità f(t, t + 1 ), (nati per ogni 1000 donne in età feconda), e determinare la frequenza delle nascite mediante il prodotto fra detto tasso e l’ammontare medio di popolazione femminile in età compresa tra il 15° ed il 50° compleanno: [4.9]
dove il valore di
va preventivamente determinato mediante la [4.4]:
La stima ottenuta con la [4.9] può essere ulteriormente migliorata allorché, disponendo delle necessarie informazioni, si adotta nel calcolo una conveniente serie di tassi specifici per età fx(t, t + 1 ), ( x = 15, 16, …, 49 ), e si tiene conto della distribuzione per età della popolazione femminile in età feconda. In tal caso si ottiene: [4.10]
Prima di concludere va ancora tenuto presente che, mentre l’ammontare dei nati, ottenuto con uno dei metodi precedentemente descritti, si riferisce ad entrambi i sessi, le previsioni vengono svolte distintamente per la popolazione maschile e per quella femminile È necessario, pertanto, che anche le nascite siano specificate rispetto al sesso. A tale proposito si è soliti impiegare l’usuale valore del rapporto di composizione per sesso alla nascita (515 nati maschi per ogni 1000 nati) e scomporre la frequenza dei nati mediante le formule: [4.11] Nm (t, t + 1) = 0,515 N(t, t + 1)
e: Nf(t, t + 1) = 0,485 N(t, t + 1),
essendo N(t, t + 1) l’ammontare di nascite stimate e Nm(t, t + 1) e Nf(t, t + 1) i corrispondenti valori per maschi e femmine. Stima dell’evoluzione della sopravvivenza Nel corso delle pagine precedenti, allorché si sono introdotte le probabilità di sopravvivenza espresse dalle formule [4.6] e [4.7], si è visto come esse si determinano mediante i valori Lx contenuti in una tavola di mortalità idonea a rappresentare quello che sarà il comportamento della popolazione in oggetto nel corso del periodo di previsione. Ma la disponibilità di una tavola che abbia tali requisiti non è affatto agevole. Per poter identificare un insieme di probabilità di morte qx che concorrano a determinarla (mediante la procedura esposta nel cap. 3, par. 2.2) occorre analizzare il comportamento della mortalità negli anni passati, valutare le sue tendenze più recenti e formulare ipotesi sul suo andamento futuro. Nella formulazione di tali ipotesi ci si basa spesso sull’evoluzione (attesa o già osservata in aree demograficamente più avanzate) dei fattori che possono determinare variazioni nei livelli della sopravvivenza (alimentazione, abitudini di vita, assistenza sanitaria, ecc.) e si cerca di individuare la loro ipotetica incidenza differenziale per sesso e per età. Una volta acquisite le necessarie informazioni di base, la concreta determinazione delle probabilità di morte qx (da cui ricavare i corrispondenti valori Lx) avviene con tecniche di vario tipo; assai spesso si tratta di semplici estrapolazioni delle tendenze in atto compiute sia alla luce dei dati più recenti, sia a seguito di valutazioni circa il passato e le aspettative per il futuro (cfr. esempio 4.3). Stima dell’evoluzione della fecondità Anche per quanto riguarda la fecondità si pone l’esigenza di prospettare quella che sarà la sua evoluzione nel corso dell’intervallo di tempo cui si riferiscono le previsioni. A tale proposito, occorre interpretare i dati storici a disposizione al fine di ipotizzare uno sviluppo del comportamento riproduttivo della popolazione che tenga conto delle tendenze in atto e del contesto storico, geografico, sociale e culturale che caratterizzerà negli anni futuri la popolazione medesima. Una volta compiute le necessarie valutazioni e definiti gli scenari di riferimento è necessario tradurre le indicazioni che ne derivano in termini di comportamento di quegli indicatori sintetici (tasso di natalità, tasso generico e tassi specifici di fecondità) che si intendono adottare nel calcolo delle nascite. In proposito, esistono diverse alternative. Ad esempio, relativamente al tasso generico di natalità o a quello di fecondità, si procede spesso all’estrapolazione delle tendenze in atto, adottando opportune funzioni matematiche i cui parametri vengono specificati interpolando gli andamenti del passato. Quando si voglia fare riferimento ai tassi specifici di fecondità (ed è bene farlo ogni qualvolta sia possibile), una procedura ricorrente è quella che fissa come primo obiettivo la stima dei valori del TFT nel corso del periodo oggetto di previsione e, in un secondo tempo, la loro scomposizione nelle corrispondenti serie di tassi specifici per età; tali tassi possono essere scelti in modo da riprodurre un profilo del calendario della
fecondità analogo a quello di altre popolazioni caratterizzate da valori del TFT simili, oppure possono riflettere un’ipotetica distribuzione tipo che si ritiene verosimile alla luce delle tendenze emergenti (cfr. esempio 4.3).
3.3. Il metodo analitico nel caso di classi di età di ampiezza quinquennale Sino a ora si è sempre fatto riferimento alla classificazione della popolazione per sesso e singolo anno d’età e si è visto come una tale struttura consenta di sviluppare cicli di previsione di ampiezza annua: conoscendo la popolazione al tempo t è infatti possibile determinare la corrispondente popolazione al tempo t + 1 ; da quest’ultima si può poi calcolare quella al tempo t + 2 e così via, di anno in anno. Qualora al tempo t si disponga solo della popolazione per classi di età di ampiezza quinquennale Px, x + 4(t) ( x = 0, 5, 10, … ), le formule e lo schema di calcolo introdotti nel corso delle pagine precedenti richiedono qualche semplice adattamento. In particolare, in assenza di movimenti migratori, l’ammontare della popolazione nella classe d’età [ x + 5 , x + 9 ] al tempo t + 5 , Px + 5, x + 9 ( t + 5 ), si ottiene mediante la formula: [4.12] Px + 5,x + 9 (t + 5) = Px, x + 4(t) 5sx, x + 4,
dove 5sx, x + 4 è la probabilità di sopravvivenza tra le suddette classi d’età nel corso dell’intervallo (t, t + 5 ), e si può così procedere, di quinquennio in quinquennio, sino al termine del periodo di previsione. 175Qualche considerazione aggiuntiva va svolta a proposito della popolazione nelle età più anziane ed è legata al fatto che i componenti di detta popolazione vengono spesso raggruppati in un’unica classe di età. Ad esempio, allorché si considera globalmente la classe di età 85 anni e più si deve tenere presente che al tempo t + 5 confluiscono in essa sia i sopravviventi dei P85 +(t) soggetti che erano ultraottantaquattrenni al tempo t, sia i sopravviventi di coloro che erano in età 80-84 alla stessa data; ciò induce a modificare la [4.12] nel modo seguente: [4.13] P85 + (t + 5) = [P80,84(t) + P85 + (t)] 5s80 +,
essendo 5s80 + la probabilità di sopravvivenza tra i tempi t e t + 5 che caratterizza, in media, la popolazione ultrasettantanovenne. Per quanto riguarda, infine, la popolazione nella prima classe di età, P0,4(t + 5), si tratta di procedere anche in questo caso in due tempi successivi; occorre innanzitutto stimare l’ammontare di nati N(t, t + 5 ) nel corso del quinquennio (t, t + 5 ) ed in seguito calcolare i sopravviventi alla fine di tale periodo mediante la formula: [4.14] P0,4 (t + 5) = N(t, t + 5) Ns0,4,
dove Ns0,4 è la probabilità che un soggetto nato nel quinquennio (t, t + 5 ) sia ancora in vita, in età 0-4, alla fine del quinquennio medesimo. Le suddette probabilità 5sx, x + 4, 5s80+ e Ns0,4, si ottengono, con riferimento ai valori di un'adeguata tavola di mortalità, mediante formule analoghe alle [4.6] e [4.7]: [4.15]
[4.16]
[Ricordando che (cfr. cap. 3, par. 2.2): Tx = Lx + Lx + 1 + … + Lω – 1 e
avrà che Lx = T85 = e85l85 e Lx = T80 = e80l80 ; pertanto, una comoda espressione di calcolo per la [4.16] è la seguente:
[4.17]
si
FIG. 4.3 Calcolo della distribuzione per età della popolazione al tempo t+5 (classi di età quinquennalei).
Per la determinazione delle nascite nel quinquennio (t, t + 5 ) si può ancora fare ricorso ai metodi che impiegano una conveniente stima del tasso generico di fecondità f o della serie dei tassi specifici (per classi di età) fx, x + 4, è invece assai meno consigliabile il metodo che utilizza il tasso di natalità. Le formule corrispondenti sono le seguenti:
[4.18]
e: [4.19]
A tale proposito è opportuno precisare che i termini a secondo membro della [4.18] e della [4.19] vengono moltiplicati per 5 in 177quanto i tassi di fecondità f e fx, x + 4 si riferiscono, rispettivamente, alla frequenza annua di nati per ogni 1000 donne che sono in età feconda (15-49 anni) o nella classe d’età x, x + 4 . Va ancora aggiunto che, al fine di operare distinte previsioni per la popolazione maschile e per quella femminile, i valori ottenuti con le [4.18] o [4.19] vanno scomposti per sesso. A tale proposito, si può fare riferimento a formule analoghe alla [4.11].
3.4. I movimenti migratori nelle previsioni demografiche Nelle pagine precedenti si è fatto esclusivamente riferimento a previsioni demografiche condotte sulla base del solo movimento naturale. Qualora si vogliano considerare anche i movimenti migratori occorre risolvere due problemi: da un lato, si deve prevedere il loro inserimento tra gli elementi che figurano nelle formule utilizzate per i calcoli; dall’altro, è necessario predisporre adeguate stime riguardanti l’ammontare e la distribuzione per sesso ed età di movimenti medesimi. Per quanto riguarda il primo punto la soluzione è relativamente semplice: si tratta di modificare la formula [4.4] e la [4.5] al fine di tenere conto sia del saldo migratorio, sia della mortalità dei migranti. In particolare, se si suppone che le probabilità qx/x + 1 siano idonee a rappresentare il rischio di morte nell’intervallo (t, t + 1 ) anche per la popolazione immigrata nel corso di tale intervallo, dette formule possono essere adattate nel modo seguente: [4.20] Px + 1(t + 1) = Px(t) + Ix(t, t + 1) – Ex(t, t + 1) +
– {Px(t) + ½[Ix(t, t + 1) – Ex(t, t + 1)]} qx/x + 1 = = Px(t) · sx + ½[Ix(t, t + 1) – Ex(t, t + 1)] (1 + sx) e:
[4.21] P0(t + 1) = N(t, t + 1) + t, t + 1I(t, t + 1) – t, t + 1E(t, t + 1) +
– {N(t, t + 1) + ½[t, t + 1I(t, t + 1) – t, t + 1E(t, t + 1)]} qN/0 = = N(t, t + 1) Ns0 + ½[t, t + 1I(t, t + 1) – t, t + 1Ex(t, t + 1)] (1 + Ns0) dove, mentre Ix(t, t + 1 ) e Ex(t, t + 1 ) rappresentano, rispettivamente, l’ammontare di soggetti in età x al tempo t che sono immigrati o emigrati nel corso dell’intervallo (t, t + 1 ), t, t + 1I(t, t + 1 ) e t, t + 1E(t, t + 1 ) rappresentano gli analoghi valori riferiti ai soggetti nati nell’intervallo (t, t + 1 ). Per quanto riguarda, invece, il secondo problema, quello concernente la previsione dell’ammontare di movimenti migratori e la loro 178specificazione per sesso ed età, va subito segnalato che le difficoltà che si presentano sono notevoli e le soluzioni talvolta prospettate hanno validità solo limitatamente al contesto territoriale o temporale in cui vengono proposte. D’altra parte, si intuisce facilmente come ogni previsione del movimento migratorio non possa che essere aleatoria, essendo la mobilità della popolazione condizionata da fattori di ordine sociale, economico, psicologico, politico; fattori tutti difficilmente prevedibili. Si comprende, pertanto, come le stime relative ai valori del movimento migratorio da inserire nei calcoli delle previsioni demografiche abbiano spesso funzioni di ipotesi sperimentali più che di vere e proprie previsioni, nel senso che con esse ci si limita a prendere atto degli effetti che taluni comportamenti dei flussi migratori provocherebbero sovrapponendosi alla dinamica naturale. Nel prospettare tali comportamenti ci si basa su elementi e valutazioni di vario tipo; ad esempio: ci si può limitare alla semplice estrapolazione di trend già avviati negli anni passati, si possono prevedere gli effetti indotti sulla mobilità a seguito di programmi e piani di sviluppo di natura economica, occupazionale, residenziale, ecc., si possono persino prendere in esame ipotesi di compensazione, mediante i movimenti migratori, degli eventuali squilibri tra crescita demografica e sviluppo socioeconomico che già esistono, o che potranno insorgere, relativamente ad aree potenzialmente interessate da scambi di popolazione. Gli esempi 4.2, 4.3 e 4.4 illustrano come si possa procedere, nell’esecuzione di previsioni demografiche sia nel caso di assenza di movimenti migratori, sia nel caso in cui, al di là delle difficoltà di cui s’è detto, si prospettano alcune convenienti stime sulla loro consistenza e sulla loro struttura per sesso ed età.
Esempio 4.2. Previsioni della popolazione: metodo analitico (per singolo anno d’età e in assenza di movimenti migratori) Si supponga di voler stimare l’ammontare della popolazione maschile italiana in età 19-24 all’1.1.2001 nell’ipotesi che: a) i movimenti migratori siano nulli (o comunque trascurabili); b) l’intensità del rischio di morte, relativamente alle età interessate, sia approssimabile dal modello di sopravvivenza espresso dalla tavola di mortalità maschi Italia 1992. Ciò premesso, disponendo dei sottostanti valori relativi alla distribuzione per età della popolazione maschile all’1.1.1995 (ultimo anno disponibile), Px(1.1.1995), e della corrispondente serie di probabilità di sopravvivenza sx riguardanti tutte le età che, nell’intervallo 1.1.1995 - 1.1.2001, segnano il percorso di vita delle gene-razioni destinate a far parte della classe 19-24 al 1° gennaio del 2001, si ottengono, applicando di volta in volta la [4.4]: Px(t + 1) = Px(t) sx,
i risultati evidenziati nella figura 1.
Ad esempio: P19(1.1.2001) = P18(1.1.2000)s18,
con: P18(1.1.2000) = P17(1.1.1999)s17, P17(1.1.1999) = P16(1.1.1998)s16, P16(1.1.1998) = P15(1. 1. 1997 )s15, P15(1.1.1997) = P14(1.1.1996)s13, P14(1. 1.1996) = P13(1. 1.1995 )s13,
da cui: P19(1.1.2001) = P13(1.1.1995 )s13s14s15s16 s17 s18 = = 321122 (0,99968)(0,99954)(0,99935) (0,99919) (0,99907) (0,99900) = 319783.
Esempio 4.3. Previsioni della popolazione: metodo analitico (classi quinquennali in assenza di movimenti migratori con mortalità e fecondità variabile) Partendo dalla seguente distribuzione per sesso e classi quinquennali d’età della popolazione egiziana al 31.12.1992 (migliaia di unità):
ci si propone di determinare, con cicli di previsione quinquennali e prescindendo dalla componente migratoria, la popolazione per sesso ed età al 31.12.1997 e al 31.12.2002 adottando le seguenti ipotesi. Mortalità Si ritiene che nel corso del quinquennio 1993-1997 il rischio di morte possa venire adeguatamente rappresentato dal contenuto della tavola di mortalità 1992 (i cui valori di Lx sono riportati nella colonna 1 del prospetto A), mentre per il quinquennio 1998-2002 si ipotizza un aumento della durata media della sopravvivenza (sinteticamente espressa dal valore di e0) da 65,0 anni a 68,5 per i maschi e da 69,3 a 72,5 per le femmine. Tale ipotesi, che si concretizza nei valori di Lx riportati nella colonna 1 del prospetto B, nasce dalle seguenti riflessioni: 1) considerato un appropriato insieme di tavole di mortalità tipo2, costruite sulla base dell’esperienza di molti paesi e di diversi periodi ed in grado di esprimere livelli crescenti di sopravvivenza secondo la seguente corrispondenza:
2) osservata la buona corrispondenza tra il contenuto della tavola egiziana del 1992 e quello della tavola tipo di livello 21; 3) viste le tendenze di questi ultimi anni e, in particolare, i guadagni già realizzati in termini di accrescimento della durata media della sopravvivenza; 4) si è ritenuto legittimo avanzare l’ipotesi che tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo secolo il modello di sopravvivenza della popolazione egiziana possa realizzare un salto di livello. Si è così ritenuto realistico l’impiego dei valori della tavola tipo di livello 22 nelle elaborazioni previsive per il quinquennio 1998-2002.
Prospetto A.
Prospetto B. Fecondità Anche in tema di fecondità è opportuno supporre alcune variazioni nel corso del passaggio tra i due cicli di previsione. In particolare, nel quinquennio 1993-1997 si ritengono adottabili i tassi specifici osservati nel 1992 (ultimo dato disponibile) i cui valori, esposti nella colonna 3 del prospetto A, risultano associati ad un TFT di 4,17 figli per donna. Tuttavia, alla luce delle tendenze in atto e tenuto conto delle stesse prospettive avanzate dalle Nazioni Unite per il prossimo decennio, si ritiene realistica una consistente riduzione del livello di fecondità in tempi brevi, così da portare il valore del TFT a 3,0 figli per donna. Tale intensità totale è stata dunque adottata come riferimento per il quinquennio 1998-2002 e si sono determinati i corrispondenti tassi specifici riproporzionando i valori del 1992 nel modo seguente: fx, x + 4(1998-2002) = fx, x + 4(1992) (3,0/4,17), x = 15, 20, …, 45.
I tassi così ottenuti (che recepiscono la riduzione dell’intensità totale ma ipotizzano l’invarianza del calendario della fecondità) vengono esposti nella colonna 3 del prospetto B. Migrazioni
In linea con quanto anticipato, si è deciso di prescindere in questa sede dal considerare gli effetti del movimento migratorio. Tale scelta, pur se costituisce un’evidente forzatura della realtà, risulta particolarmente utile per valutare quale sarebbe l’evoluzione della popolazione egiziana conseguentemente all’azione delle sole componenti naturali della dinamica demografica. Ciò premesso, ogni ciclo di previsione ha richiesto lo svolgimento delle seguenti fasi: a) Identificazione degli elementi di base: • • • •
popolazione iniziale specificata per sesso ed età; modello di sopravvivenza, valori di 5Lx, distinti per sesso ed età; tassi specifici di fecondità; rapporto di composizione per sesso alla nascita.
b) Calcolo delle probabilità di sopravvivenza 5sx (x = 0, 5, 10, …, 75 e + ). c) Calcolo dei sopravviventi relativamente ai soggetti già presenti nella popolazione all’istante iniziale: • • • •
sopravvissuti dalla classe d’età 0-4 alla classe 5-9; sopravvissuti dalla classe d’età 5-9 alla classe 10-14; … sopravvissuti dalla classe d’età 75 e + alla classe 80 e +.
d) Determinazione del numero medio di donne in ogni classe di età feconda. e) Stima del numero medio annuo di nascite e calcolo del totale dei nati nel corso del quinquennio. f) Specificazione dei nati rispetto al sesso. g) Calcolo delle probabilità di sopravvivenza Ns0. h) Calcolo del numero di nati che risultano in vita, in età 0-4, al termine del quinquennio (distintamente per sesso). Quanto sopra viene concretamente esemplificato dal contenuto dei prospetti A e B.
4. Le previsioni derivate Prima di concludere, è opportuno svolgere qualche breve considerazione in tema di previsioni derivate. Come si è già anticipato, queste ultime consistono in rielaborazioni delle previsioni demografiche di base (generalmente si considerano quelle per sesso ed età) e vengono finalizzate alla conoscenza delle prospettive riguardanti alcuni sottoinsiemi della popolazione meritevoli di particolare interesse, ad esempio: gli studenti, la popolazione attiva, i consumatori o gli utenti di taluni beni o servizi, le famiglie, e così via. I metodi per realizzare previsioni derivate sono di varia natura e complessità; la scelta tra le diverse alternative dipende, oltre che dall’aggregato oggetto di interesse, dalla struttura delle previsioni di base alle quali si intende fare riferimento, dalla disponibilità dei necessari elementi con i quali operare la loro conversione e dal livello di analiticità che si vuole ottenere nei risultati. Allorché ci si avvale di previsioni demografiche per sesso ed età, un metodo frequente consiste nell’impiegare appropriate serie di tassi (di scolarità, di attività, di capofamiglia, ecc.) opportunamente specificati rispetto ai suddetti caratteri. La procedura si articola in due tempi. In primo luogo, si tratta di determinare, mediante l’analisi del passato e delle tendenze in atto, la serie di tassi più idonea ad identificare, in corrispondenza di ogni età e distintamente per sesso, quella che sarà la proporzione di soggetti che, nell’istante cui si riferisce la previsione, apparterranno alla categoria considerata (studenti, attivi, capifamiglia, ecc.). Una volta determinati i tassi, si potrà moltiplicare ciascuno di essi per l’ammontare di individui del corrispondente sesso ed età; ammontare la cui conoscenza è, per l’appunto, resa disponibile dalle previsioni demografiche di base. Maggiori delucidazioni circa possibili applicazioni di tale procedura vengono fornite nel corso degli esempi 4.4 e 4.5.
Esempio 4.4. Previsioni della popolazione: metodo analitico in presenza di movimenti migratori. Stima della forza lavoro maschile al 31.12.1999 Partendo dalla distribuzione per età della popolazione maschile residente in Italia al 31.12.1994 (prospetto A colonna 1) ci si proponga di valutare la consistenza della forza lavoro maschile al 31.12.1999 nell’ipotesi che: a) la mortalità agisca nel quinquennio 1995-1999 secondo le intensità che caratterizzano la tavola maschi Italia 1992 (i cui valori di 5Lx sono riportati nella colonna 2 del prospetto A); b) i movimenti migratori si manifestino con la stessa intensità media annua del triennio 1992-1994 e con una struttura per sesso ed età approssimabile con l’analoga distribuzione osservata per le iscrizioni e le cancellazioni anagrafiche, da e verso l’estero, nel corso dell’anno 1993 (ultimo dato disponibile); c) per la trasformazione della distribuzione per età prevista alla data del 31.12.1999 (previsione di base) nella corrispondente distribuzione per età della forza lavoro (previsione derivata) sia lecito fare riferimento ai valori dei tassi di attività per età maschili rilevati in Italia nel corso del 1994 (prospetto B colonna 2). Una volta precisate le ipotesi ed acquisiti i necessari dati di base, si procede, come di consueto, ad elaborazioni articolate in più fasi. 1) Calcolo delle probabilità di sopravvivenza 5sx. 2) Stima del numero totale di immigrati e di emigrati prevedibile nel corso del quinquennio 19951999; a tale proposito, dopo aver accertato in 106640 unità la frequenza media annua delle iscrizioni anagrafiche dall’estero nel triennio 1992-1994 e in 50883 la corrispondente frequenza di cancellazioni, le stime del totale di immigrati e di emigrati in tutto il quinquennio 1995-1999 (entrambe senza distinzione di sesso) risultano, rispettivamente: I(1995, 1999) = (106640) (5) = 533198; E(1995, 1999) = (50883) (5) = 254413.
La successiva specificazione dei suddetti valori per sesso ed età (riportata nelle colonne 5 e 7 del prospetto A, limitatamente al sesso maschile) è stata ottenuta utilizzando appropriate serie di rapporti di composizione per sesso ed età (fatto 100 il totale maschi e femmine), distintamente per le immigrazioni e le emigrazioni, ricavate dalle statistiche dei movimenti anagrafici da e per l’estero nell’anno 1993 (nelle colonne 4 e 6 del prospetto A tali serie vengono evidenziate per la componente maschile ed affiancate, solo per completezza di esposizione, dai corrispondenti valori per il sesso femminile).
Prospetto A. 3) Calcolo del numero di soggetti esposti al rischio di morte, nel passare dalla classe d’età x, x + 4 al 31.12.1994 alla classe x + 5 , x + 9 al 31.12.1999, ( x = 10, 15, 20, …, 60 + ), considerando per ogni età la popolazione iniziale più metà del saldo migratorio (prospetto A, colonna 9). 4) Calcolo della distribuzione dei morti per età, mediante il consueto prodotto tra la popolazione esposta al rischio di morte e le corrispondenti probabilità di morte (prospetto A, colonna 11), essendo queste ultime il complemento a uno delle probabilità di sopravvivenza 5sx (prospetto A, colonna 10). Ciò premesso, i risultati finali, che scaturiscono dalle relazioni: Px + 5, x + 9(31.12.1999) = = Px, x + 4(31.12.94) + Ix, x + 4 – Ex, x + 4 – Mx, x + 4, (per x = 10,15, …, 55)
e P65+ (31.12.1999) = [P60,64(31.12.1994) + P65+ (31.12.1994)] + I60+E60+ – M60+
vengono proposti nella colonna finale del prospetto A e ripresi nel successivo prospetto B ove si mostrano le elaborazioni che portano alla stima della forza lavoro maschile al 31.12.1999.
In conclusione, stante la validità delle ipotesi demografiche adottate nel corso della previsione e supponendo l’invarianza dei tassi di attività osservati nel 1994, i risultati cui si è giunti prospettano un’offerta di lavoro maschile per il 1999 di circa 14,7 milioni di unità.
Esempio 4.5. Previsioni derivate: stima delle famiglie italiane all’1.1.2004 Mediante l’impiego dei risultati delle previsioni demografiche (per sesso ed età) relative alla popolazione italiana, elaborate dall’Istituto di Ricerche sulla Popolazione (Irp-Cnr) con riferimento all’1.1.2004 (cfr. il successivo prospetto A colonne 8 e 9), ci si proponga di conoscere (alla stessa data): a) quale sarà l’ammontare delle famiglie residenti in Italia; b) quale sarà la loro presumibile distribuzione rispetto al numero di componenti. Per il raggiungimento di tali obiettivi si possono impiegare diversi metodi; qui di seguito ci si limiterà alla esposizione di quelle metodologie che si ritengono più semplici e che meglio si adattano alla struttura dei dati usualmente disponibili. Ulteriori e più precisi approfondimenti possono ricavarsi dalle opere citate in bibliografia o da monografie e ricerche specifiche4. Stima dell’ammontare delle famiglie italiane all’1.1.2004
La procedura più agevole consiste nel supporre che l’ammontare delle famiglie debba presentare, nel corso del periodo di previsione, lo stesso tasso di crescita che caratterizza il complesso della popolazione; ciò equivale ad ipotizzare che restino costanti nel tempo sia la quota di soggetti che vive nelle famiglie, sia la dimensione familiare media. Adottando tale procedura, con riferimento all’intervallo temporale che va dal 20.10.1991 (data dell’ultimo conteggio ufficiale delle famiglie italiane) all’1.1.2004, si ottiene per l’anno 2004 una stima di circa 20 milioni di famiglie. Tale risultato deriva dai seguenti calcoli (stima Irp-Cnr per tutte le età):
Come è facile verificare, la dimensione media familiare risulta immutata alle due date di riferimento ed è pari a 2,852 componenti. Al fine di migliorare la stima, si potrebbe supporre che tale dimensione possa variare nel corso dell’intervallo di tempo che si considera. D’altra parte, dal 1961 al 1991 il numero medio di componenti nelle famiglie italiane è passato (con una certa regolarità) da 3,7 a 2,8, ed è lecito ritenere che tale tendenza sia destinata a protrarsi nel tempo; ad esempio, si può ipotizzare che nel 2004 detto valore scenda a 2,5; in tal caso (con una popolazione prevista di 57076 migliaia di unità) il numero di famiglie risulterebbe uguale a 22830 mila ( 57076/2,5 = 22830,4 ). Un altro metodo con cui migliorare la stima ottenuta al precedente punto VI consiste nel riproporre la procedura che ha condotto a tale risultato facendo però riferimento alla sola popolazione adulta (ad esempio i soggetti con almeno 18 anni); ciò, in forza dell’ipotesi secondo cui l’ammontare di adulti risulta più correlato alla numerosità delle famiglie di quanto non accada per l’ammontare della popolazione nel suo complesso. La suddetta variante conduce ad una stima di 20,7 milioni di famiglie; i calcoli sono i seguenti:
Ulteriori affinamenti nelle stime si possono ottenere allorché si adottano metodi analitici, metodi che prendono in considerazione la composizione della popolazione secondo quelle variabili strutturali (sesso, età, relazione di parentela col capofamiglia) che risultano strettamente correlate con l’ammontare delle famiglie. Uno dei metodi più ricorrenti è quello che si avvale dei tassi di capofamiglia ed impiega la procedura introdotta al paragrafo 4. Tali tassi, in accordo alla struttura dei dati che caratterizzano le previsioni demografiche di base cui si fa riferimento, vengono qui specificati per sesso ed età.
Nel prospetto A si evidenziano i calcoli che consentono di ottenere una stima di 22435000 famiglie all’1.1.2004.
Prospetto A. La relazione impiegata a tale proposito è la seguente: [1]
dove: (1991) e (1991) identificano, rispettivamente, i tassi di capofamiglia (calcolati per il 1991 e supposti costanti nel 2004) relativi ai maschi ed alle femmine in età x. È del tutto evidente che, quando lo si ritenga opportuno e si disponga delle necessarie informazioni, sussiste la possibilità di «aggiornare», sulla base di convenienti ipotesi, la serie dei tassi di capofamiglia del 1991 prima di procedere al loro impiego nella procedura di calcolo. Distribuzione delle famiglie italiane all’1.1.2004 classificate rispetto al numero dei componenti Il metodo più semplice consiste nel ripartire il numero totale di famiglie (stimato con le elaborazioni di cui si è trattato precedentemente) utilizzando la distribuzione percentuale delle famiglie per numero dei componenti che risulta dai dati censuari più recenti (eventualmente estrapolati al fine di tenere conto delle tendenze in atto). Tale procedura è stata utilizzata nello svolgimento dei calcoli riportati nel successivo prospetto B, ove si è fatto riferimento alla stima complessiva delle famiglie ottenuta mediante i tassi di capofamiglia (22435000 unità). Va in ogni caso osservato che, potendo costruire tassi di capofamiglia specificati per dimensione familiare, oltre che per sesso ed età, si sarebbero potuti unificare gli obiettivi a e b e calcolare, mediante la [1], il numero di famiglie previsto all’1.1.2004 in corrispondenza di ciascuna dimensione familiare.
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Elementi di demografia - Appendice di 232 • •
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4. Le previsioni derivate
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